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Italian Pages 2473 [2442] Year 2014
Lope de Vega Carpio T irs oli Tirso dee M Molina irso d olina Miguel de Cervantes BOMPIANI
CLASSICI DELLA LETTERATURA EUROPEA Collana diretta da Nuccio Ordine
IL TEATRO DEI SECOLI D’ORO volume 1 coordinamento generale di Maria Grazia Profeti
TESTO SPAGNOLO A FRONTE
Collana pubblicata con il patrocinio di:
Presidente della Provincia di Cosenza
Fondazione Cassa di Risparmio Calabria e Lucania
Maria e George Embiricos
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO Volume primo Lope de Vega Carpio Tirso de Molina Miguel de Cervantes Saavedra Coordinamento generale di Maria Grazia Profeti Testo spagnolo a fronte
BOMPIANI
Per La dama sciocca, autore Lope de Vega: traduzione dallo spagnolo di Rosario Trovato © 1996 Marsilio Editori S.p.A., Venezia. Per il testo tratto da La spassosa (autore Miguel de Cervantes; a cura di Giulia Poggi; traduzione di David Baiocchi, Marco Ottaiano; introduzione di Giulia Poggi); © 2006, Edizioni ETS, Pisa. ISBN 978-88-452-7725-2 © 2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl I edizione Classici della Letteratura Europea settembre 2014
SOMMARIO Introduzione di Maria Grazia Profeti
VII
Teatro spagnolo dei Secoli d’Oro. Volume primo Lope de Vega Carpio La vita e le opere di Maria Grazia Profeti La dama boba / La dama sciocca Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva di Maria Grazia Profeti Traduzione e note di Rosario Trovato
3 5 15
Los melindres de Belisa / I capricci di Belisa Testo spagnolo a cura di Katerina Vaiopoulos Nota introduttiva, traduzione e note di Katerina Vaiopoulos
263
Fuente Ovejuna Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva, traduzione e note di Maria Grazia Profeti
509
El caballero de Olmedo / Il cavaliere di Olmedo Testo spagnolo a cura di Fausta Antonucci Nota introduttiva, traduzione e note di Fausta Antonucci
689
El castigo sin venganza / Non è vendetta il castigo Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva, traduzione e note di Maria Grazia Profeti
891
Tirso de Molina La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
1095 1097
TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
El vergonzoso en Palacio / Il timido a Palazzo Testo spagnolo a cura di Giulia Poggi e Frej Moretti Nota introduttiva, traduzione e note di Giulia Poggi
1103
Don Gil de las calzas verdes / Don Gil dalle calze verdi Testo spagnolo a cura di Giulia Poggi e Frej Moretti Nota introduttiva e note di Giulia Poggi Traduzione di Giulia Poggi e Ida Poggi Nuccio
1383
El condenado por desconfiado / Dannato perché incredulo Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva, traduzione e note di Giovanni Cara
1619
El burlador de Sevilla / L’ingannatore di Siviglia Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva, traduzione e note di Maria Grazia Profeti
1833
Miguel de Cervantes Saavedra La vita e il teatro di Maria Grazia Profeti
2045 2047
La entretenida / La spassosa Testo spagnolo a cura di Federica Cappelli Nota introduttiva di Giulia Poggi Traduzione di David Baiocchi e Marco Ottaiano Note di Federica Cappelli
2057
Note
2271
Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note
2405
Indice dei nomi citati nelle commedie
2423
Biografie dei curatori
2427
Indice del volume
2433
Introduzione di Maria Grazia Profeti Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro
1. La «crisi» della Spagna nei Secoli d’Oro: tra storia e letteratura La vita culturale spagnola del secolo XVII è segnata da una fortissima teatralità che ne investe ogni momento ed ogni manifestazione: il fenomeno è stato vivacemente descritto e ne sono state indagate le cause, sia chiamando in causa il conflitto latente tra caste e il senso drammatico della crisi, sia ricordando il fasto visivo della cerimonia e l’importanza socio-politica della festa.1 Si è soliti sottolineare, meravigliandosene, come la gran fioritura letteraria e teatrale dei Secoli d’Oro spagnoli si produca in un momento di crisi economica e politica della Spagna; e decada poi dal 1680, cioè quando parrebbe avere inizio una ripresa.2 Si è anche rilevato come, nonostante la ricchezza della sua letteratura, la Spagna risulti singolarmente assente nel panorama della nuova scienza europea;3 il che ovviamente non spiega quel lussureggiare, ed anzi ne incrementa la contraddizione. Per capire l’estrema ricchezza della scrittura può magari essere utile ricordare la presenza massiccia della categoria dei letrados, che costituivano la riserva dei funzionari della macchina statale;4 ma soprattutto bisogna notare come la coscienza della crisi è ben presente agli occhi dell’intellettuale barocco, il malessere è oggetto di riflessione forse per la prima volta; secondo Maravall nasce così la pensosa consapevolezza dell’uomo moderno.5 Alcuni acuti trattatisti ed economisti, gli arbitristas, ridicolizzati da Francisco de Quevedo, vedono con chiarezza i mali della Spagna (inflazione, spopolamento, mancanza di produttività), e suggeriscono adeguati rimedi: appoggio politico al lavoro, sviluppo delle classi medie, riduzione dell’inflazione mediante il controllo monetario... La stessa crisi, VII
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insomma, diventa stimolo alla meditazione ed alla espressione letteraria. Forse un po’ superato oggi dal punto di vista critico un problema che è stato molto dibattuto in Spagna negli anni sessanta-settanta del Novecento e che talora si riaffaccia in relazione al teatro: quello degli estatutos de limpieza de sangre, radicati nella coscienza nazionale, secondo i quali a chi avesse avuto antecedenti arabi o ebrei erano interdette numerose attività. Ora i discendenti degli ebrei erano minoranze attivissime, urbane, perfettamente integrate nella società cristiana e dedite al commercio, all’industria, alle professioni liberali (medici, giuristi, ecc.); i discendenti degli arabi (moriscos), che formavano sacche di popolazione omogenea e forse non del tutto cristianizzata, vivevano soprattutto in zone rurali e si dedicavano all’agricoltura. Di fronte alle crisi economiche che colpivano quelli che venivano chiamati cristianos viejos, i discendenti degli ebrei e degli arabi godevano di un certo benessere economico, per la loro operosità e per il risparmio, che la classe dominante disprezzava. Gli statuti della purezza della razza diventano così una forma di ritorsione contro questo benessere; e giungono a riflettersi in molteplici aspetti della vita nazionale, dalla selezione dei funzionari fino all’ingresso e la carriera negli ordini religiosi. Alcuni scrittori, anche di teatro, e gli intellettuali in genere erano figli di ebrei convertiti; tuttavia non si tratta di stabilire una equazione tra caratteristiche «raziali» e letteratura. Se taluni di essi, come il drammaturgo Felipe Godínez, dovettero soffrire veri e propri processi inquisitoriali, se per altri, come Luis de Góngora e Baltasar Gracián, l’ascendenza ebraica appare indubbia, e se ad altri ancora, come a Juan Pérez de Montalbán, fu rinfacciata impietosamente, la coscienza della discriminazione opera in maniera più sottile, incrementando la consapevolezza di una labilità dell’esistere, altro aspetto della percezione della crisi. Cioè la discriminazione opera non solo sui discriminati, come è stato detto, esaltando certe caratteristiche della loro scrittura; ma più sottilmente sugli stessi appartenenti alla casta discriminatrice, come Quevedo: il suo violento conservatorismo, la sua acredine, la sua sarcastica aggressività non si comprenderebbero senza lo sfondo di quelle tensioni. O si veda proprio l’impossibilità spagnola di partecipare alla fondazione della «scienza» europea, che in questo periodo si veniva elaborando in Italia (i Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze di Galileo sono del 1638), in Francia (Cartesio, Discorso sul metodo, 1633), VIII
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
in Inghilterra (Newton, Principi di Filosofia, 1687). Se aderire al primato dell’esperienza avrebbe implicato la rinuncia ai valori trascendentali spagnoli, unico fragile puntello nel dilagare delle incertezze e degli attacchi esterni, tuttavia la consapevolezza di questo nuovo rapporto con la realtà non manca di insinuarsi nella coscienza dell’intellettuale spagnolo: il mondo è allo stesso tempo infinito6 e misurabile oggettivamente attraverso i nuovi strumenti, l’orologio marca drammaticamente il passare del tempo, il lontano può apparire vicino col cannocchiale e l’occhiale, ogni certezza trasmessa dal passato pare incrinarsi sotto i colpi dell’esperienza. Anche questa labilità dovrà riflettersi nella pagina letteraria. Così il desengaño, l’amarezza del disinganno, la crisi della realtà, l’individualismo, il senso di elitarismo e di orgoglio intellettuale collegato ai valori dominanti, lo stoicismo e la lode dell’«aurea mediocritas», l’angoscia dell’esistere e nello stesso tempo l’adesione ad un epicureismo lirico, costituiscono il raccordo ideologico tra la serie storica e l’elaborazione letteraria. 2. I luoghi del teatro. I «corrales»: teatro a pagamento Nel 1565 a Madrid viene fondata la confraternita della Passione e Sangue di Gesù Cristo, una organizzazione benefica a cui viene concesso di ospitare nei suoi patios e corrales (chiostri e cortili) delle rappresentazioni teatrali per sovvenzionare i propri ospedali. La domanda di teatro a pagamento, via via che avanza il secolo XVI e per tutto il successivo, sarà sempre più vivace; l’istituzione del teatro pubblico corre di pari passo alla sperimentazione di una formula letteraria che Lope de Vega, con la sua prodigiosa attività, consacrerà definitivamente. I corrales vedono successivamente una serie di migliorie: la copertura dello scenario e poi del cortile stesso, la costruzione di gallerie di legno ai lati del palcoscenico, la collocazione di panche nel cortile, l’apertura di finestre e balconi nelle case prospicienti per permettere di vedere la rappresentazione più comodamente. Il corral è luogo emblematico, dove si riuniscono e si stratificano senza mescolarsi i vari livelli sociali: il popolo minuto (servi, operai, soldati di ritorno dalle varie campagne, fino alla marmaglia di stampo picaresco) assiste alla rappresentazione nella platea (patio), in piedi; gli artigiani ed i piccoli industriali, i commercianti, gli appartenenti alle organizzazioni delle arti e mestieri sono invece seduti su panche (bancos), alcune delle quali al coperto (gradas); le classi medie IX
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occupano i desvanes e gli aposentos più bassi (specie di gallerie o palchi, ricavati dalle stanze delle case vicine). Alcuni desvanes, nella parte più alta del corral, erano abitualmente occupati da sacerdoti, frati e «dotti», usi a scambiarsi commenti durante la rappresentazione, tanto che la zona dove si riunivano, privilegiata per il basso prezzo d’ingresso, si chiamò tertulia («conversazione»). Ai ceti più elevati spettano gli aposentos altos e le rejas (speciali palchi, chiusi da schermi traforati, spesso occupati da dame di rango); affittati dalla nobiltà per l’intera stagione, non era raro il caso di nobili che poi trascuravano di pagare il prezzo corrispondente. A parte le dame, che vedevano la rappresentazione con la famiglia negli aposentos o rejas loro spettanti, per tutte le altre donne è previsto un luogo riservato (cazuela: «casseruola»), cui accedono attraverso entrate separate.7 Il palcoscenico è ancora un semplice tablado (palco), con una o più finestre collocate in alto, che possono fingere ogni spazio elevato (da una muraglia a una torre, a una montagna a un balcone stesso), e due o più porte nel fondo che permettono l’entrata e l’uscita dei personaggi. Sul fondo può scorrere una tenda, per la presentazione statica di personaggi; ma non esiste ancora il sipario. Si impiegano anche rudimentali macchinari di scena: la tramoya, una sorta di piramide rovesciata che con corde può girare e mostrare diverse facce al pubblico, permettendo l’apparizione e sparizione orizzontale di personaggi; il pescante, una gru che li può fare scendere e salire, e l’escotillón, una botola attraverso la quale possono scaturire o scomparire sotto il palco.8 La rappresentazione si svolge nel pomeriggio, sotto la piena luce del sole (e sarà necessario fingere convenzionalmente l’oscurità, quando l’azione la richieda); alcuni musici cantano, poi si recita una loa (prologo) per richiamare l’attenzione del pubblico e presentare la compagnia, e a volte per fornire un riassunto dell’argomento.9 Segue la commedia, divisa in tre atti (jornadas); tra il primo ed il secondo atto si rappresenta una breve farsa, chiamata entremés o sainete; tra il secondo ed il terzo un baile. Alla fine una mojiganga e un vivace fin de fiesta: uno spettacolo compatto, senza momenti di pausa o cadute d’attenzione, per una durata di circa tre ore.10 Le compagnie più importanti, cioè quelle che godevano di «privilegio» reale erano otto nel 1603, dodici nel 1615;11 ma altre troupes più piccole offrivano in cittadine e villaggi spettacoli itineranti che Agustín de Rojas descrive con brio nel Viaje entretenido (Il piacevole viaggio): c’è l’attore X
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
solitario che va di paesino in paesino, rappresentando davanti al parroco, al barbiere ed al sagrestano (gli intellettuali del luogo) alcune scene staccate o loas; poi il gruppetto di due, che sanno un entremés e qualche pezzo di auto, due o tre loas; per tutto costume portano una barba finta, suonano un tamburello «cobran a ochavo [...] viven contentos, duermen vestidos, caminan desnudos, comen hambientos y espúlganse el verano entre los trigos, y en el invierno no sienten con el frío los piojos».12 Poi c’è la compagnia più grossa, di tre o quattro uomini, uno dei quali suona, e un ragazzo che fa le parti da donna; hanno in dotazione barbe e parrucche. Ecco poi una mujer que canta y cinco hombres que lloran; estos traen una comedia, dos autos, tres o cuatro entremeses, un lío de ropa que le puede llevar una araña; llevan a ratos a la muger a cuestas y otros en silla de manos [...] están en los lugares cuatro o seis días, alquilan para la mujer una cama, y el que tiene amistad con la huéspeda, dale un costal de paja, una manta y duerme en la cocina y en el invierno el pajar es su habitación eterna.13
E via via salendo nella scala gerarchica si giunge alle compagnie importanti e di tutto rispetto: Farándula es víspera de compañía: traen tres mujeres, ocho y diez comedias, dos arcas de hato; caminan en mulos de arrieros y otras veces en carros; entran en buenos pueblos, comen apartados, tienen buenos vestidos, hacen fiestas de Corpus a docientos ducados, viven contentos (digo los que no son enamorados); traen unas plumas en los sombreros y otros veletas en los cascos [...] En las compañías hay todo género de gusarapas y baratijas, entrevan cualquier costura, saben de mucha cortesía, y hay gente muy discreta, hombres muy estimados, personas bien nacidas y aun mujeres muy honradas (que, donde hay mucho, es fuerza que haya de todo), traen cincuenta comedias, trecientas arrobas de hato, diez y seis personas que representan, treinta que comen, uno que cobra y Dios sabe el que hurta. Unos piden mulas, otros coches, otros literas, otros palafrenes, y ningunos hay que se contenten con carros, porque dicen que tienen malos estómagos. Sobre esto suele haber muchos disgustos. Son sus trabajos excesivos, por ser los estudios tantos, los ensayos tan continuos y los gustos tan diversos.14
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3. Il teatro di corte All’interno del palazzo reale, nel 1607, secondo una testimonianza di Luis Cabrera de Córdoba: Hase hecho en el segundo patio de las casas del Tesoro un teatro donde vean sus Magestades las comedias, como se representan al pueblo en los corrales que están deputados para ello, porque puedan gozar mejor de ellas que cuando se les presenta en su sala, y así han hecho alrededor galerías y ventanas donde esté la gente de palacio y sus Magestades irán allí de su Cámara por el pasadizo que está hecho, y las verán por unas celosías.15
L’istituzione del luogo teatrale all’interno del palazzo non è ovviamente momento di poco conto; e questo senza disistimare quella «pratica scenica di corte», che risale al medioevo, e di cui Teresa Ferrer è stata appassionata illustratrice.16 Pratica scenica che si «inventa» volta per volta gli spazi teatrali: saloni, o meglio giardini e patios di palazzi nobiliari o della reggia. Lo spettacolo teatrale faceva indubbiamente parte della vita quotidiana della corte: le compagnie invitate a Palazzo davano le loro commedie in forma privata nelle stanze del re o della regina (il «Cuarto del Rey», o il «Cuarto de la Reina»), in condizioni sceniche elementari; ugualmente essenziale l’allestimento scenico delle rappresentazioni semipubbliche che si tenevano nell’Armeria o nella sala delle Udienze. Più elaborate erano le messe in scena effettuate nella Sala del vecchio Palazzo di Madrid, l’Alcázar. Ma fin qui si tratta di un rapporto di dipendenza della corte rispetto allo spettacolo del corral. È verso la seconda metà del secolo che il teatro di corte acquista una autonomia ed una vita propria, con un effetto trainante della vita teatrale.17 È vero che anche nella prima metà erano stati montati spettacoli pensati ed organizzati per la corte e dalla corte, ma solo in occasione di speciali ricorrenze, come quelli allestiti nei giardini di Aranjuez nella decade del 1620: nel 1622 vi era stata rappresentata La gloria de Niquea del conte di Villamediana, predisponendo la scena su un’isoletta sul Tago, secondo i disegni dell’ingegnere italiano Giulio Cesare Fontana; gli apparati scenotecnici utilizzati comprendevano ad esempio la «montagna», una macchina girevole con una altezza di 14 metri circa ed una circonferenza base di 23 metri.18 Sempre nel 1622 e nel giardino di Aranjuez chiamato XII
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
«de los Negros» si era messo in scena anche El vellocino de oro (Il vello d’oro) di Lope de Vega, che non poté concludersi per il divampare di un incendio che si disse appiccato dallo stesso Villamediana per poter «salvare» la regina, di cui si diceva fosse innamorato, prendendola in braccio.19 Nel 1623 sempre ad Aranjuez si allestisce Querer por solo querer (Amar solo per amare) di Antonio Hurtado de Mendoza; attrici saranno alcune damigelle della corte: ce ne resta una precisa documentazione dello stesso autore.20 Un deciso avanzamento nella macchinaria scenica si ha nel 1627, quando a Madrid si mette in scena la Selva sin amor (Selva senza amore) di Lope.21 Le macchine furono allestite da Cosimo Lotti, allievo del Buontalenti appena giunto a Madrid: per la prima volta si dà forma ad un teatro smontabile, che utilizza il boccascena, con sipario, luce artificiale e scene in prospettiva. Debitrice delle «invenzioni» italiane, la scenografia barocca spagnola non conosce limiti al suo illusionismo prospettico.22 Vicente Carducho, ricordando i giochi scenotecnici creati dall’«ingegnere» fiorentino, può dire che egli «ha logrado con pasmo general sus admirables y inauditas transformaciones».23 E fino al 1643, anno della sua morte, Lotti continua ad animare le feste di corte.24 Tra il 1636 ed il 1640 la Sala dell’Alcázar venne riattata (da ora in avanti si chiamerà «Salón dorado»), ed usata per banchetti, o solenni ricevimenti di ambasciatori e intrattenimenti di corte. Venne dotata di un palcoscenico pieghevole, ovviamente meno elaborato dello spazio scenico del Coliseo, che si completava in quegli anni, ma comunque fornito di un boccascena, tre paia di quinte (bastidores) e i meccanismi necessari per certi giochi scenici. Il palco era poco alto (87 cm.), e così non c’era al di sotto spazio sufficiente per macchine analoghe a quelle del Coliseo; probabilmente i bastidores erano fatti scivolare a mano e non controllati simultaneamente da un gioco di funi. Varey elenca vari documenti del 1675 che si riferiscono alla mano d’opera utilizzata per «montare e smontare il teatro dorato». Ma nonostante queste differenze tecniche rispetto al Coliseo, anche nel «Salón dorado» lo spettatore attraverso il boccascena vedeva un «cuadro escénico lujoso e inestable, capaz de cambiar a la vista del auditorio».25 Il Salón dorado misurava approssimativamente 46 metri e mezzo per 11, e fu poi ridotto nel 1672; sulla base delle rigide norme della etichetta di palazzo sappiamo che il seggio del re doveva essere situato a 10 o 12 piedi dalla parete terminale del salone. XIII
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Il palcoscenico doveva essere abbastanza grande da contenere tre paia di quinte, e lo spazio tra l’uno e l’altro doveva essere sufficiente per il passaggio delle attrici con le loro gonne gonfie.26 Ma è con la costruzione della nuova sede della corte, il Palacio Real del Buen Retiro, che il fastoso spettacolo palatino diventa parte integrante e consueta dell’intrattenimento cortigiano, soprattutto in occasione di festività, come il compleanno o l’onomastico del re o della regina. I lavori per il palazzo cominciarono nel 1624, e il Coliseo, cioè il teatro di corte, venne aperto al pubblico nel 1640: era stato progettato «in stile italiano» per spettacoli arricchiti da effetti prospettici e luminosi, ed era pertanto dotato di macchine di scena particolarmente sofisticate. Un disegno del 1655 presenta tre file di «balconi» laterali, con quattro aposentos («palchi») ciascuno per la nobiltà e i cortigiani. Nel fondo, di fronte al palcoscenico, si trovavano il palco reale e la cazuela, l’una sull’altro. Il re tuttavia non sedeva nel così detto palco reale, ma su una pedana situata nella platea, nel punto di fuga che permetteva di apprezzare in tutta la sua perfezione la prospettiva.27 Il Coliseo del Buen Retiro era naturalmente dotato di boccascena, con il palco quindi separato dalla sala; viene utilizzato il sipario, dipinto ad hoc per le varie rappresentazioni, del cui senso simbolico diviene parte integrante.28 Sono disposte in prospettiva non solo le quinte, ma anche le decorazioni superiori (bambalinas), se pur con qualche difficoltà data la scarsa altezza.29 Nel fondo della scena, in prospettiva tra il pavimento ed il soffitto, c’era una finestra che in certi momenti «proporcionaba una nueva perspectiva final, no de árboles y plantas artificiales, sino de los auténticos jardines del Retiro».30 La luce artificiale dominava questo spazio chiuso; le spese per l’illuminazione durante le singole rappresentazioni erano ingenti. Le quinte erano molte paia, potevano scorrere su guide ed erano tirate da un lato all’altro con funi; il movimento era controllato da un argano situato sotto il palco, che permetteva cambiamenti a vista e con grande rapidità. Esistevano anche macchine speciali, che potevano essere impiegate solo nel teatro di corte; per esempio il bofetón, che permetteva di far scomparire rapidamente i personaggi, con effetto analogo a quello della tramoya, era impiantato sulle quinte e non sulla parete di fondo, e quindi non poteva essere montato sul palco aggettante dei corrales. Così il sacabuche, utilizzato per il movimento orizzontale di un attore verso XIV
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
l’uditorio a un livello superiore. E su una di queste macchine, il despeñadero, che serviva per le cadute, si è intrattenuto Varey, rilevando gli effetti simbolici del movimento all’interno dei testi letterari messi in scena.31 Sono stati rintracciati dati relativi alle persone impiegate per i movimenti delle scene dei vari spettacoli. Per esempio per le rappresentazioni di Hado y divisa de Leonido y Marfisa di Calderón, che si tennero nei giorni 2, 3 e 4 marzo del 1680, furono necessari 69 operai; non tutti lavorarono per i giorni delle prove, però ben 36 erano necessari per muovere le sole quinte.32 Soprattutto dopo la ripresa delle rappresentazioni, sotto la sovrintendenza di don Luis de Haro, nipote del Conte Duca di Olivares, le feste si intensificano, al fine di distrarre la giovane Mariana, sposa del re dal 1649. Lusso e spese impressionanti sono il segno di questa nuova fase della vita di corte: nel 1651 giunge alla corte di Spagna un altro scenografo fiorentino, Baccio del Bianco, inviato dal Granduca Ferdinando II dei Medici; fino alla sua morte, nel 1657, egli allestirà per il Coliseo rappresentazioni sfarzose.33 Le testimonianze contemporanee dell’illusionismo prospettico offerto dal teatro di corte abbondano; citerò per tutte quella di Alonso Núñez de Castro: En las comedias de tramoya, que han admirado la Corte, el objeto más delicioso a la vista han sido las mudanzas totales del teatro, ya proponiendo un palacio, ya un jardín, ya un bosque, ya un río picando con arrebatado curso sus corrientes, ya un mar inquieto en borrascas, ya sosegado en suspensa calma.34
Dalla seconda metà del secolo un’importanza sempre maggiore assumerà la musica:35 l’influenza operistica italiana si sposa alla declamazione tipica dell’attore spagnolo, ed il compromesso combinatorio è la zarzuela: parti cantate si alternano a parti dette, e lo stile recitativo italiano si giustappone alle melodie popolareggianti ispaniche. Soprattutto l’aria segna l’intervento degli dèi, mentre per altri brani, quelli rustici ad esempio, si utilizza musica di tradizione folklorica spagnola. La rappresentazione deborda inoltre dagli ambiti chiusi di palazzo e si allestiscono spettacoli nelle varie chiesette (hermitas) dell’area del parco del Retiro: quella di Santa Maria Maddalena disporrà di un teatro mobile; in quella di San Bruno un magnate portoghese offrirà ai Re uno XV
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spettacolo carnevalesco nel 1637;36 il marchese di Heliche metterà in scena, per le loro altezze, un’egloga piscatoria di Calderón, El golfo de las sirenas, con gli apparati di Baccio del Bianco, nel gennaio del 1657, nel palazzetto della Zarzuela, e lo spettacolo si sarebbe dovuto ripetere nella chiesetta di San Pablo, utilizzando il suo nuovo Coliseo, ma il secondo spettacolo naufragò per difficoltà tecniche e finanziarie.37 E infine la rappresentazione di corte diventa puro pretesto di ostentazione ed esce da Palazzo, integrandosi alla festa pubblica e popolare, in un meticciamento estremamente significativo. 4. Spettacoli pubblici e privati; i generi «minori» In effetti tutte le città spagnole nei secoli d’oro sono percorse da una serie di spettacoli: basti pensare a quelli del Corpus Domini. A Madrid la processione poteva durare dalle nove della mattina fino alle tre del pomeriggio, e costituiva già una «rappresentazione», non solo devota, vista la presenza di gruppi di ballerini, di gigantones, enormi pupazzi, e della tarasca, un carro a forma di drago su cui attori rappresentavano scene simboliche. Alla processione si assisteva dai balconi, che venivano affittati, e per le strade era circondata da un pubblico di tutto rispetto. Nel pomeriggio, poi, in luoghi deputati e su vari carri o tablados, si effettuavano vere e proprie rappresentazioni devote in un atto, gli autos sacramentales, commissionate spesso a commediografi di grido.38 Ma per strada si facevano anche feste e rappresentazioni non religiose, come quelle del Carnevale, che davano luogo al testo teatrale chiamato mojiganga. Nelle chiese, specialmente in quelle dei Gesuiti, si rappresentavano vere e proprie commedie di argomento religioso. Vi era inoltre il teatro universitario o di collegio, con rappresentazioni di grande impegno anche scenografico,39 e con testi commissionati ad autori celebri, come quella che, in occasione dei festeggiamenti per la Immacolata Concezione, nel 1618, l’Università di Salamanca commissionò a Lope de Vega, e che fu messa in scena dalla compagnia di Baltasar de Pinedo: il concorso di pubblico nel cortile dell’Università fu tanto numeroso che dovette essere replicata durante i sei giorni seguenti.40 Alla commedia, all’auto, alla rappresentazione di corte fa poi da corona e corollario, come s’è visto, una serie di testi brevi: la loa, derivata dal prologo, inizialmente di forma monologica, poi evoluta verso un colloquio di più personaggi, dove si presenta la compagnia che sta per effettuare la XVI
IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
rappresentazione, si domanda attenzione, lodando il pubblico presente e la città sede dello spettacolo; l’entremés, breve farsa dialogata, con personaggi in certa misura topici (il villano sciocco, il sacrestano, lo studente astuto, le donna che tradisce il marito, il vecchietto, spesso cornuto, l’alcalde di campagna, ecc.) che mette in scena una burla, o presenta una serie di macchiette o di situazioni ridicole; il baile, intermezzo cantato e ballato, come dice il suo nome, più breve dell’entremés, ma che subisce anch’esso un’evoluzione verso una commistione di forme; la jácara, all’inizio in forma monologica come la loa, che assumerà poi maggiore estensione, diventando dialogata: descrizione di personaggi della malavita, con ruffiani e prostitute, in un linguaggio fortemente gergale. Infine la mojiganga, anch’essa farsa, ma con personaggi mascherati in maniera burlesca, accompagnata dalla musica e arricchita dal ballo.41 Si tratta di una costellazione rivalutata di recente: è aumentato il corpus di testi a nostra disposizione, i problemi relativi alle varie composizioni sono stati proposti, se non risolti; si sono fissate con più esattezza le caratteristiche delle diverse piezas e la loro evoluzione; sono stati chiariti i rapporti che un testo intrattiene con altri testi similari e con il contesto storico-sociale; ed è stata descritta la loro struttura: quali sono le chiavi tematiche, quali i personaggi che intervengono, che tipo di linguaggio è quello utilizzato. Analisi indubbiamente interessante, dal momento che costringe a riflettere anche sulla comicità propria dei testi brevi, di tipo cinesico: l’attore avrà fatto ridere mediante la mimica, i gesti, i movimenti; ed in un teatro come quello dei Secoli d’Oro, mancante quasi completamente di indicazioni sceniche, questo tipo di comicità è ancora più difficile da recuperare: qui più che altrove, insomma, la labilità del testo spettacolo coinvolge il testo letterario.42 Ma soprattutto i generi brevi rivelano la loro forza dirompente a livello di forma dell’espressione. Mentre la commedia può permettersi pratiche discorsive appartenenti a gruppi sociali diversi, nella pieza breve il linguaggio sarà particolarmente basso e familiare;43 l’assenza di personaggi alti porta con sé la perdita del registro lirico, sentenzioso, ecc. Tuttavia la parodia pre-suppone il livello alto, che così convive, o per meglio dire è co-presente nella sua rottura, nella sua stessa messa in discussione; e si ripete il fenomeno di una complessità che la apparente linearità implica, e che si percepisce attraverso di essa. Inoltre si dice «qualcosa» alludendo ad altro; si opera così a livello verbale uno «spostamento», che si somma XVII
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alla «condensazione» di senso prima rilevata. «Condensazione» e «spostamento» sono le due caratteristiche che Freud attribuisce al sogno: nel momento onirico queste due funzioni permettono di superare la barriera della autocensura; negli atti elaborati culturalmente, come è la comunicazione letteraria, con esse si supera un altro tipo di censura, quella della comunità; e si possono in questa maniera esprimere sentimenti e condotte condannabili. 5. La produzione letteraria per il teatro Il ricambio delle opere messe in scena nelle grandi città era continuo: una commedia poteva tenere cartellone per due-tre giorni, fino a un massimo di quindici a Madrid, come dichiara Tirso de Molina: La que más duración goza es, en la corte, quince días, y en los demás pueblos de tres a cuatro, quedando al tercer año sepultados sus cuadernos en legajos, cuando mucho, de algún tratante papelista.44
Le compagnie venivano rifornite di testi da una serie impressionante di autori: secondo Montalbán nel 1632 operavano, solamente a Madrid, più di cinquanta scrittori di commedie.45 Si può dire che ogni autore di un certo peso scrivesse per il teatro: ci si provano Cervantes, Góngora, Quevedo; ed inversamente i più grandi commediografi eccellono anche nella prosa, come Lope de Vega, Tirso de Molina e Vélez de Guevara, si cimentano nel poema o nei più vari generi letterari, come Lope, Montalbán, Cubillo de Aragón, Belmonte Bermúdez. È un lavoro creativo che si svolge lungo un secolo intero e che ci ha lasciato un patrimonio di testi veramente impressionante. Si può discutere se le opere di Lope arrivassero alle 1800 o alle 1400; di fatto ce ne restano quasi 500; Vélez de Guevara non avrà scritto le 800 che gli attribuisce Pellicer, ma almeno un centinaio sono giunte fino a noi; di Calderón ne abbiamo 111 più 70 autos; e via di questo passo. È una fioritura che arriva allo studioso di oggi in testi difficilmente reperibili, sfuggenti, inquinati da una serie di problemi di paternità e di datazione, tanto da rendere problematica ogni operazione di classificazione e perfino di censimento. È insomma una situazione che non ha paragone in nessuna produzione teatrale europea coeva, e con cui bisogna fare i conti al momento di tentare qualsiasi operazione tassonomica, o addirittura di stabilire paradigmi: nel vorticare XVIII
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delle cifre le linee comuni spesso sbiadiscono e si cancellano, e fissata una norma può sempre darsi la sua patente eccezione. E poi – direi programmaticamente, dal momento che rinnega la distinzione comico/tragico – questa rappresentazione già si presenta come difficilmente definibile.46 Si tratta di una diegesi (Lope parla di un «argomento» che ne costituisce la base), svolta in tre atti, in polimetria, in cui intervengono tutta una serie di tecniche sceniche come il canto, la musica e la danza; e in cui l’unione di comico e tragico non è che la prima e la più macroscopica di una serie di trasgressioni alla norma «aristotelica»: di tempo, di spazio e talora anche di azione, nonostante tutte le raccomandazioni del suo massimo lider, visto che spesso, e proprio nel suo teatro, più di un intreccio è dato rintracciare. Se l’esito di questo spettacolo può essere drammatico o consolatorio – nozze finali e risolutrici, o violenze e morti – i teorici contemporanei di Lope lo potranno definire «tragicomedia», specie se puristi come Cascales.47 Ma abitualmente gli autori lo chiamano «comedia», anche se non mancano delle «tragedie», e delle «tragicommedie», come per esempio il Caballero de Olmedo di Lope, dove l’accento viene posto appunto sulla fine tragica.48 6. I generi. Commedia eroica, di «cappa e spada» Come classificare allora questo corpus debordante e segnato dalla commistione? Se ogni organizzazione tassonomica finora tentata, vuoi su basi contenutistiche, vuoi su basi funzionali, mostra i propri evidenti limiti, sarà il caso di affidarsi alla precettistica contemporanea. Ora la coscienza di diversi «tipi di rappresentazione» era indubbia negli scrittori e trattatisti del Seicento. Cristóbal de Figueroa dichiara nel 1617: Dos caminos tendréis por donde enderezar los pasos cómicos en materia de trazas: al uno llaman Comedia de cuerpo; al otro de ingenio, o sea de capa y espada. En las de cuerpo, que (sin las de Reyes de Ungría o Príncipes de Transilvania) suelen ser de vidas de santos, intervienen varias tramoyas o apariencias.49
Anche Bances Candamo, verso gli anni novanta le divide in «amatorias» e «historiales»:50 dagli inizi alla fine del secolo perdura la consapevolezza teorica di due generi teatrali ben precisi. Il primo è la commedia alta o tragica, magari a base storica ma anche di invenzione fantastica (Suárez de Figueroa parla di «Reyes de Hungría o Príncipes de Transilvania»), XIX
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o di materia agiografica (Bances Candamo afferma: «las de santos son historiales también y no de otra especie»). Questo tipo di commedia può avere anche un argomento amatorio; quello che la distingue è il dato tecnico di una messa in scena più sofisticata: con «tramoyas y apariencias», «de cuerpo», «de fábrica», le definisce Bances, che sottolinea la presenza di personaggi eroici («Sus personajes son reyes, príncipes, generales, duques») e di soggetti elevati («acasos de la fortuna, largas peregrinaciones, duelos de gran fama, altas conquistas, elevandos amores»).51 Accanto a questa commedia alta si situa una commedia-commedia; una commedia al quadrato, per utilizzare una definizione alla Sarduy,52 che finge di dipingere la vita di tutti i giorni, e che pertanto non casualmente si definisce attraverso gli indumenti contemporanei («capa y espada»). I suoi nessi strutturali sono una serie di ricorsi teatrali, che Bances indica come «esconderse el galán, taparse la dama», di dialettiche dell’intreccio («duelos, celos»), in uno spazio scenico («sucesos más caseros») ed in uno spazio argomentale («del galanteo») ben delimitati.53 Commedia urbana, e di Madrid nella sua quasi totalità, commedia di dentro (casa, giardino, strada come spazio contenuto nella città); a questo dentro-famiglia spesso i protagonisti maschili arrivano o ritornano dopo larghe assenze; e a questo dentro-famiglia vogliono assimilarsi attraverso il matrimonio. La peripezia si svolge in questo spazio fisico e mentale: spazio della parola (corteggiamento, gelosie) e spazio di meccanismi teatrali. Ma il consumo ed il ricambio spinge naturalmente ad una erosione dei limiti e delle definizioni, ed alla creazione di veri e propri sottogeneri. Nasce così, ad esempio, la commedia de disparates («di non-sensi»),54 genere che vive in pura funzione intertestuale. Su una commedia di successo, le cui situazioni erano ben conosciute dal pubblico, si montano una serie di rotture logiche e di rotture espressive; per dare una idea al lettore, l’operazione è analoga a molti dei film di Totò (Pepé-le-Moko = Totò-le-Moko) o di Ciccio e Franco (Papillon = Farfallon). Ancora pura deformazione della commedia di cappa e spada è quella de figurón («di maschera, fantoccio»): come dichiara il suo stesso cartellino si svolge attorno ad un personaggio grottesco, che alla fine sarà sbeffeggiato. 7. I rapporti intertestuali: i temi, i «tipi» Al di là della definizione delle gabbie convenzionali, il vivace ricambio dello spettacolo produce una serie di conseguenze, come la creazione di XX
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filoni tematici:55 commedie che avevano avuto successo si ripresentano «ammodernate», con una operazione che ricorda i remakes di film hollywoodiani. Agli occhi degli studiosi romantici in cerca di «originalità», o dei positivisti ancorati allo studio delle «fonti», il fenomeno è sembrato un peccato d’origine senza riscatto: nell’esame di due o più commedie sullo stesso «argomento» l’atteggiamento più corrente è stato quello di tentare un inserimento in sequenza temporale, e poi abbracciare, sulla base di ragioni «estetiche», la tesi della preminenza del risultato finale o inversamente del testo base (in questo caso gli interventi successivi si qualificano come «plagio»). La messa a fuoco può quindi privilegiare il punto di partenza o di arrivo, ma il metodo critico utilizzato è costantemente quello valutativo. Sono tuttavia arrivate a maturazione chiavi analitiche che permettono di superare la polemica relativa ai «plagi» (che talora, come nel caso di Moreto, è stata molto accesa), e di considerare i testi «fonte» e quelli da essi derivati in una relazione alla pari, in cui ognuno dei due interlocutori ha uguale dignità ed importanza. Talora non si tratta solo di una nuova riproposta di un argomento, quanto di una vera e propria rifusione, in cui si rimaneggia un testo, utilizzandone anche frammenti più o meno ampi, a volte scene intere. Il problema qui si fa più complesso e difficili le operazioni critiche. Talvolta si cerca di «difendere» gli autori che si dedicano alla rifusione sottolineando che nel Secolo d’Oro molto diverso era il concetto di proprietà letteraria: «furti» meno gravi, dunque, dal momento che si effettuano verso una sorta di res nullius. Io credo invece che il gioco di riferimento fosse intenzionale, che operasse qui una sorta di appello alla memoria del pubblico («ecco come ri-uso alcune scene di Lope de Vega, che voi conoscete bene»), cioè che operassero delle virtuali virgolette a delimitare agli occhi dei destinatari i frammenti «utilizzati» («citati»?). D’altro canto, in ossequio alle leggi di coerenza strutturale, queste scene identiche, inserite in contesti diversi, possono avere una funzione diversa e perfino opposta. Il teatro del Siglo de Oro conosce anche una tecnica simile a quella del film o del mezzo televisivo, che si potrebbe chiamare del «serial»: si ripresentano alcuni personaggi di successo, e l’intenzione della prosecuzione appare evidente in dizioni come «Seconda parte di...», magari avvertendo «y si casos nuevos / dieren materia a la pluma / segunda parte os prometo».56 Talora la seconda parte si deve allo stesso autore che ha redatto la prima, ma a volte è un autore diverso che si incarica della prosecuzione. XXI
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Ora la coscienza dell’autore di utilizzare un personaggio già codificato, i cui tipici aspetti deve rispettare, può influire nell’organizzazione del materiale e perfino sulla forma dell’espressione; oppure l’autore può stabilire una nuova prospettiva e preterire certe caratteristiche, «prendere le distanze» dall’opera o dalle opere precedenti; perfino protestare che la «sua» storia è la sola legittima, e giungere a polemizzare con quelle anteriori. Relazioni dinamiche, come si vede interessantissime. Senza arrivare a queste relazioni dirette e ben distinguibili, è ovvio che in un corpus tanto variegato e nello stesso tempo tanto omogeneo come il teatro dei Secoli d’Oro si produce anche una vivace circolazione di frammenti tematici, come quello del «disprezzo della corte e lode della campagna», che viene riproposto nei più diversi contesti e con le più varie funzioni, o quello del figlio di re occultato, per menzionarne solo due. Si dà anche la somiglianza o la identità di situazioni (per esempio il gioco della doppia coppia nella commedia di intreccio), o di scene. Si tratta nella maggior parte dei casi di scene «lessicalizzate», che facevano parte di una «lingua scenica» d’uso, ma in cui a volte si può indovinare una precisa volontà di allusione. Il richiamo alla memoria del pubblico si verifica in forma diretta nel caso delle glosse, e può indovinarsi nelle autocitazioni, quando l’autore ingloba nella commedia materiali letterari precedentemente allestiti.57 Ma anche laddove rinvia ed allude ad analoghe scene;58 il che implica, da parte dell’altro polo dell’arco comunicativo, la capacità o la possibilità del destinatario di metterle tra loro in relazione. Si veda proprio La montañesa de Asturias (La montanara delle Asturie) e la Serrana de la Vera (La montanara della Vera) di Luis Vélez de Guevara, con la scena analoga in cui le due protagoniste (che hanno giurato di uccidere ogni uomo in cui si imbattono per vendicarsi del disonore subito) incedono alla ribalta annunziate e descritte dal canto di un romance. Anche nell’Amor en vizcaíno (L’amore in basco) dello stesso autore, la protagonista giura di vendicarsi, e la scena del giuramento è preceduta, come nella Serrana de la Vera, da un accenno al seduttore e fedifrago Vireno. È chiaro che qui sono imbricati vari piani: il rapporto delle commedie tra loro, con la materia popolare del romancero e con la fortuna dell’Ariosto in Spagna. Non tutti i livelli dell’uditorio saranno stati in condizione di rilevare tutte le allusioni: la maggioranza dei suoi componenti conosceva i detti proverbiali, i raccontini burleschi, i romances a cui via via la commedia XXII
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allude, probabilmente conosceva anche le commedie anteriori dello stesso argomento; ed alcuni di essi saranno stati perfino in grado di captare allusioni alle opere letterarie. La cosa più interessante è che in questo sistema simultaneo chi non comprende non è sostanzialmente danneggiato dal mancato accesso ai livelli che gli sfuggono, tanta è la densità e la ricchezza dei materiali messi in opera. Con il meccanismo del gioco intertestuale si riconnette un altro fenomeno, secondo il quale più autori collaboravano alla stesura di una commedia. In un testo encomiastico, Algunas hazañas de las muchas de don García Hurtado de Mendoza (Alcune imprese delle molte di...), intervengono addirittura nove autori; i Terceros de San Francisco (I terziari di San Francesco) fu scritta da Lope e Montalbán (a Lope si deve il primo atto e metà del terzo). Però di solito i collaboratori erano tre, uno per atto. Sarà allora interessante notare come cambia, e se cambia, la tipizzazione dei personaggi, le motivazioni, le dinamiche sceniche, la locuzione, nel passare da un autore all’altro. Il «personaggio» teatrale, come analisi e descrizione di una psicologia individuale, è luogo comune critico ben radicato.59 Ma è ovvio che in pieno Seicento ogni sondaggio di questo tipo sarebbe quanto meno anacronistico; per questo si dovranno aspettare non solo e non tanto meccanismi descrittivi «romantici» e «post-romantici», ma perfino che si formi – attraverso una visione borghese – lo stesso concetto di unicità e distinzione individuale. Nei Secoli d’Oro il personaggio invece diventa spesso un archetipo: facile il riconoscimento ed altrettanto facile la proiezione; non solo il Santo e il Malvagio, ma il Cavaliere innamorato (galán) e la Dama, il Re come fonte di ordine e di giustizia, il Padre nobile, custode dell’onore familiare, e così via. Arrivando alla creazione di vere e proprie figure topiche, come quella della donna forte,60 la vergine guerriera refrattaria all’amore, ma alla fine vinta da esso; e che a volte si traveste da uomo, cosa che ovviamente piaceva molto allo spettatore, visto che così le attrici potevano esibire le gambe; alcune di esse arrivarono a specializzarsi nel ruolo. È il caso della moglie di Baltasar de Pinedo, Juana de Villalba, che aveva una figura particolarmente adatta a incarnare personaggi di donna guerriera; e per lei, dal 1595 al 1610 Lope scrive una decina di commedie; lo scrittore tiene anche conto della presenza in compagnia prima di un figlio degli attori, poi di un secondo; e prepara testi letterari che prevedano una donna vestita da uomo (fino a che la sua parte si riduce con l’avanzare XXIII
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degli anni) e bambini attori di età via via crescente.61 L’episodio può far riflettere come il testo letterario per il teatro sia, più che legato, determinato dalla rappresentazione, cosa che in troppe analisi, purtroppo, non è stato tenuto in conto. L’autore non può progettare nel suo testo letterario che quello che il testo spettacolo potrà poi attuare; e il fatto è ineludibile anche e soprattutto quando si parla di «personaggi». La consapevolezza di questo legame è ben presente agli occhi dei commediografi del Seicento; e ricorderò le parole di Tirso: nelle tre ragioni per cui una commedia può far fiasco, dopo l’incapacità del poeta, viene subito menzionata la mancanza di corrispondenza tra i personaggio e l’attore: La segunda causa [...] de perderse una comedia es por lo mal que le entalla el papel al representante [...] ¿Quién ha de sufrir, por extremada que sea, ver que habiéndose su dueño desvelado en pintar una dama hermosa, muchacha, y con tan gallardo talle que vestida de hombre persuada y enamore la más melindrosa dama de la Corte, salga a hacer esta figura una del infierno, con más carnes que un antruejo, más años que un solar de la Montaña y más arrugas que una carga de repollos, y que se enamore la otra y le diga: «Ay, ¡qué don Gilito de perlas! ¡Es un brinco, un dix, un juguete del amor!? [...] ¿Qué haciérades vos [...] si viésedes enamorar a una Infanta un hombrón, en la calva y barriga segundo Vespasiano, y decirle ella amores más tiernos que rábanos de Olmedo?62
Quello che si può rappresentare, dunque; ed anche quello che il pubblico può gradire, o almeno accettare; quindi nella commedia non si può ridicolizzare il nobile, il galán, la prima dama,63 e ci si potrà prendere gioco solo di categorie disapprovate: lo spirito aristocratico ed antiborghese che regge la commedia barocca porta infatti al disprezzo e alla ironia nei riguardi di strati sociali legati al denaro: il ricco che ha fatto fortuna nelle Indias, il commerciante, ecc.; come il nazionalismo spinge a ridicolizzare lo straniero. Si tratta di un vero e proprio esorcismo: si ride dei «tipi» squalificati per allontanarli da sé stessi (come il cabaret nazista ride degli ebrei), per dire: «io sono diverso, i miei valori sono la purezza ed il disinteresse, sono spagnolo, sono “cristiano vecchio”, ecc.» E si può immaginare che la risata fosse tanto più compulsiva quanto più forte era il timore di essere assimilati alla casta condannata.64 Si formano così nella commedia alcune categorie che da «sociali» o «storiche» diventeranno «letterarie», veri e propri topici. E da qui deriva XXIV
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anche la necessità che esista un professionista della risata, il gracioso,65 vero e proprio alter-ego del primo amoroso (galán), portatore di tutti gli aspetti negativi da quello violentemente rinnegati: la paura, l’avidità, i diritti del corpo (sonno, fame, ecc.). Derivato dal servo della commedia latina e italiana, può talora essere il motore dell’intreccio, altre volte si fa più evidente il suo collegamento con il «rustico» sempliciotto del teatro prelopesco: indubbiamente personaggio complesso, e non solo per l’abilità verbale di cui diventa il fulcro, dal momento che è il depositario dell’arguzia, ma per la funzione che talora gli viene riservata di alleggerimento della tensione drammatica, con un meccanismo di straniamento che può arrivare a una vera e propria messa in crisi del rappresentare, come nel caso della rottura della illusione scenica.66 8. I destinatari e la modificazione dello spettacolo. Le polemiche sulla liceità del teatro Attraverso la reiterazione e la necessità di diversificazione imposta dal consumo, il teatro del Siglo de Oro produce cambiamenti di «forme» e di «modi» dello scrivere, del rappresentare e del dire, cambiamenti abbastanza evidenti, e che hanno portato alla creazione di due cartellini critici sotto i quali far convergere l’enorme produzione: il «ciclo di Lope» e il «ciclo di Calderón». Il primo sarebbe caratterizzato da una maggiore semplicità e schiettezza (nei casi di più violento convenzionalismo critico addirittura si rispolvera la deprecabile definizione di «popolarismo»); il secondo da maggiore riflessività ed intellettualismo. È ovvio che si tratta di una divisione a posteriori, in molti casi palesemente inesatta: si pensi che Montalbán, unanimemente inserito nel ciclo di Lope, come suo discepolo prediletto, mostra una produzione segnata dai tics più specificamente «calderoniani». È tuttavia vero che nel nostro ben poco maneggevole corpus si disegnano alcune linee di tendenza, dalla fine del secolo XVI alle decadi iniziali del seguente.67 La prima di esse è la maggiore consapevolezza dello spazio e delle tecniche sceniche. Dalla povertà scenica della commedia rappresentata nel corral derivano alcune caratteristiche letterarie: per esempio la descrizione dell’ambiente, a cui spesso i suoi versi indulgono, nasce dalla necessità di suscitare dal nulla paesaggi e luoghi, così che ciò che si ascolta supplisca ciò che non si vede; e d’altronde il carattere performativo del linguaggio teatrale spagnolo è stato adeguatamente sottolineato.68 XXV
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Tuttavia, in rapporto a questa consapevolezza e a queste tecniche scaltrite, il gioco fuori-dentro, ostendere-dire, si fa più complesso e mediato. Il teatro dei primi anni del secolo, e di Lope, è un teatro che nonostante la povertà scenica tende a mostrare gli avvenimenti; il teatro delle decadi alte e di Calderón tende invece a raccontarli, e proprio quando il mostrarli sarebbe stato anche più facile. Ora, dal momento che il mostrare fonda la stessa specificità del teatro, sarà il caso di domandarsi il perché di questa caratteristica. Si fissano poi e si modificano certi meccanismi del montaggio dell’intreccio: ricorderò in Lope una struttura «a schidionata», e la presenza di due azioni concomitanti che si ripresentano ciclicamente con una sempre maggiore enfasi; il teatro calderoniano tende invece a disporsi su un’azione a doppia coppia non solo nella commedia da cappa e spada, ma anche in quella eroica. Se volessimo organizzare graficamente queste due caratteristiche strutturali, la prima si potrebbe rappresentare con una linea, la seconda con un quadrato, con tutta la maggiore capacità combinatoria che il diverso assetto permette. Ma questa maggiore complessità si sclerotizza subito in una serie di blocchi di funzioni che si ripetono da commedia a commedia, come è stato notato a proposito di due drammi «de honor» di Calderón.69 Si verifica insomma un fenomeno analogo a quello prima indicato, per cui una maggiore libertà di gioco letterario viene rinnegata non appena attinta. Le due caratteristiche precedenti danno luogo ad un irrigidimento, a una stilizzazione dei personaggi: proprio perché essi dicono più di quanto non agiscano, e poiché si muovono in giochi combinatori prefissati, acquisiscono un’estrema consapevolezza della propria adesione a una «formula» teatrale. Propongo un esempio tratto dal Valiente Nazareno Sansón (Valoroso Nazareno Sansone) di Montalbán: al momento di massimo pathos, quando il protagonista dovrebbe correre in aiuto della donna amata o del padre, l’azione si blocca, egli avanza verso il proscenio e in un lungo e articolato monologo si interroga su quale risoluzione prendere, «pesando» i propri obblighi verso l’uno o l’altro dei pericolanti, con ragionieresco puntiglio e precisione casuidica. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. A livello di forma del contenuto nel teatro delle decadi alte si precisa l’assunzione di un codice simbolico di cui fanno parte il gioco degli elementi di una cosmogonia prefissata, opposizioni elementari come luce-ombra, XXVI
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corte-campagna, ecc.; e lo stesso problema dell’onore, spesso malinteso, non è che un elemento di questo processo simbolico.70 Se i protagonisti paventano che la fragilità delle loro spose, figlie, sorelle, infanghi la loro rispettabilità, questo timore sta per qualcosa d’altro e di diverso, come aveva notato Américo Castro: El drama atroz surgía cuando un español se daba cuenta de que no era tenido por cristiano viejo, es decir, por miembro de la casta dominante [...] Pero este drama sordo y oprimente no fue llevato a la escena, no era posible hacerlo [...] No era pensable [...] sacar a la escena un personaje que, retorcido de dolor, se lamentara de ser privado de un beneficio eclesiástico, de un cargo de gobierno o del respeto de sus convecinos porque su abuelo o retatarabuelo habían sido judíos o moros.71
La «paura di essere disonorati» si sposta dal motivo concreto ed angoscioso ad un altro meno «sconveniente»; si tratta di un meccanismo simile a quello del sogno: la censura viene superata attraverso la creazione del simbolo.72 Ed una volta assunto come simbolo può perdere sempre di più il suo contenuto concettuale, fino a diventare semplicemente la rottura che mette in moto l’intreccio: si può quindi far ricorso anche ad un falso problema di cui sia spettatori che autore siano fin dall’inizio consapevoli.73 Gli aspetti così schematizzati convergono verso la forma dell’espressione. Uno dei suoi risvolti più studiati è stato la massiccia integrazione del preziosismo alla maniera di Góngora, nonostante le varie remore teoriche.74 Ma proprio dalla preponderanza del dire sul fare, dalla concettosità introspettiva dei personaggi e dal loro appoggiarsi a un codice simbolico prefissato deriva il ripetersi di formule verbali,75 in maniera tanto stereotipata da permettere perfino uno straniamento metateatrale. Riassumendo: maggiore manierismo, più rigida codificazione, crescente preziosismo. Un gioco di riflusso, si direbbe, le cui cause sono state anche indagate, sia pure episodicamente. Di solito la spiegazione è stata situata dalla parte dell’emittente, teorizzando una sorta di carisma personale di Lope e di Calderón (più «spontaneo», il primo, più «intellettuale» il secondo), che rifletterebbero sulle proprie scuole (o «cicli») le personali propensioni. Il che non tiene conto, ovviamente, della presenza di vere e proprie epoche nella stessa produzione di Lope, l’ultima delle XXVII
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quali indubbiamente più articolata e matura a livello letterario.76 Ancora una spiegazione centrata nelle «ragioni dell’emittente» può essere la tesi dell’influenza e del carisma di Góngora e della sua maniera, assimilata dalla commedia lopesca e da Lope stesso quasi suo malgrado. E magari si potrebbe integrare questa analisi facendo ricorso ad una giustificazione generazionale, e ricordando come nelle prime decadi del secolo XVII giunga a maturazione una gruppo di autori «dotti», come Montalbán, appunto, o Calderón. Ma già l’anello interposto della committenza delle varie compagnie dovrebbe costituire motivo di riflessione: l’autore di teatro non opera in maniera nativa e libera, come si è visto, ma sottoposto a una serie di condizionamenti. Dice Bances Candamo: El mesmo gusto de la gente fue adelantando cada día la lima de la censura, y escribieron después el doctor Mira de Mescua, el doctor Phelipe de Godínez y el Maestro Tirso de Molina, que sabían harta theología, y no cometieron un tan ignorante pecado.77
Ecco, più che far ricorso a generici carisma, al «genio» di questo e quel drammaturgo, non sarà errato esaminare questo «gusto della gente», spostando il punto di vista all’altro polo dell’arco comunicativo, al «pubblico» della commedia aurea, che oggi ci appare ben lontano dal «necio vulgo» menzionato da Lope nel suo Arte nuevo de hacer comedias,78 o da quella pittoresca stampa fornita da Vélez de Guevara o Zabaleta: il patio pieno di gridi e di movimento, la cazuela con il cicaleccio delle donne, un pubblico distratto e vorace di emozioni di cui bisognava captare l’attenzione a forza di lusinghe o indulgendo a malvezzi. Se indubbiamente il teatro barocco è cultura di massa,79 altrettanto evidente è l’identificazione di questa «massa» con la nobiltà e la sua ideologia: non solo tale ideologia viene sposata dagli appartenenti al «popolino minuto», dalle frange picaresche, il che non meraviglierebbe, dato che si sa bene come il Lumpenproletariat sia tendenzialmente conservatore. Ma anche gli appartenenti alla amministrazione centrale, gli artigiani e i commercianti che vivevano della presenza della corte, si riconoscono negli ideali nobiliari di un supereroismo narcisistico e in fuga da una realtà ingovernabile.80 Da ciò l’importanza di un gruppo di spettatori, ridotto, sì,81 ma di grande influenza: quello dei doctos y nobles. Nella lista XXVIII
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di trecento «intelligenti» di Madrid stilata da Montalbán, nobili e letterati vengono indicati come giudici privilegiati ed elettivi della commedia:82 l’operazione di direzione dell’udienza da parte di questi «ingenios» vi appare in piena luce. Così un pubblico A opera direttamente sull’emittente, ma anche indirettamente sul pubblico B, il «volgo sciocco», ben disposto ad assimilare, per il proprio desiderio di inserimento sociale, modi ritenuti «fini e colti», modificando il proprio orizzonte d’attesa. Se si esaminano i vari nodi del cambiamento prima elencati, il dire che prevale sul fare, l’irrigidimento dell’intreccio, l’autocontrollo dei personaggi, l’assunzione di un codice simbolico, essi appaiono come il risultato della pressione di questo gruppo di intellettuali, di questo pubblico A. L’intellighenzia spagnola era stata scossa dalle controversie sulla liceità del teatro, che si sviluppano intorno agli anni 1609-17, per riaccendersi intorno al 1640, culminando verso il 1646 con la cessazione delle rappresentazioni ordinata dal re.83 Le accuse di «lascivia» e di «sensualità» che i moralisti continuavano a ripetere spingevano Ferrer a proporre l’abolizione degli argomenti amorosi;84 mentre Suárez de Figueroa suggeriva ai commediografi di «llenar su escritos de sentencias morales».85 Appariva dunque conveniente effettuare una compressione razionale dell’affettività a favore di una dizione ornata, e i personaggi si spoglieranno di ogni passionalità, irrigidendosi in pose di un contegnoso intellettualismo. È il trionfo della sottigliezza dell’intreccio e del «dire», che talora è vero e proprio virtuosismo, del dominio dell’ars sulla vita, dominio che Gracián avrebbe voluto vedere anche in Lope, il quale poteva apparirgli vivace nella creazione dei personaggi, specie se «plebei», ma biasimevole per lo stile.86 Così il raccontare finisce per prevalere sul momento chiave dello spettacolo, il mostrare: la rappresentazione, così temibile agli occhi dell’intellettuale del XVII secolo, come capace di muovere incontrollabili «affetti», esige che si dispongano una serie di remore, che vanno dall’attenuazione dei contenuti al paludamento letterario, come una specie di velo teso a coprire la densità del fatto. E per di più Lope avvisa nell’Arte nuevo: Siempre el hablar equívoco ha tenido y aquella incertudumbre anfibológica gran lugar en el vulgo, porque piensa que él solo entiende lo que el otro dice.87
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Rinnovato inganno, insomma, per una massa che crede di entrare a far parte di una selezionata minoranza, subendo il fascino di una pseudointegrazione in un ambiente privilegiato ed elitario, nel momento stesso in cui subisce i condizionamenti di un moralismo tanto evidente da modificare lo statuto stesso del genere teatrale. Fino a che si arriverà a Bances Candamo, per il quale la commedia si organizza come un insieme di norme e regole, morali e letterarie, le sole atte a convincere i detrattori della sua eccellenza. 9. Il testo per il teatro: la rifondazione del letterario. La trasmissione ed i problemi ecdotici In Spagna fino agli inizi del 1600 non vige una prassi assestata di divulgazione a stampa del testo letterario per il teatro: fatto fondamentale, che non sembra essere mai stato tenuto in debito conto.88 I tentativi editoriali che si verificano nel secolo anteriore sembrano fortunosi e casuali, come la stampa della Recopilación en metro di Diego Sánchez de Badajoz effettuata postuma nel 1554 da un nipote-impresario teatrale, per di più sotto l’aspetto povero di edizione fatta per essere smembrata e venduta a fascicoli (pliegos) separati; altra spia che ci fa pensare questi testi come sottoletteratura. E Lope sembra meravigliarsi nell’Arte nuevo de hacer comedias di vedere i testi di Rueda stampati grazie all’opera di Timoneda,89 un libraio valenzano specializzato in operazioni commerciali, che pare aver individuato nei testi teatrali un materiale di interesse editoriale: hoy se ven impresas sus comedias de prosa, tan vulgares que introduce mecánicos oficios...90
Juan de la Cueva è il solo che nel 1558 promuova direttamente la stampa dei propri testi per il teatro, probabilmente muovendosi alla ricerca di un filone di successo, a giudicare dalla lista dei titoli che propone successivamente, e che allineano poemi allegorici, didattici, burleschi.91 Gli altri predecessori di Lope, i Poetas valencianos, appaiono in data tarda, quando la loro esperienza era stata del tutto consumata: la prima parte nel 1609, la seconda addirittura nel 1616;92 e con lo stesso aspetto di edizione da vendersi per lacerti: in cerca, insomma, di un consumatore XXX
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minuto. E in data tarda (1615) Cervantes pubblica polemicamente le sue Ocho comedias y ocho entremeses. Le stampe di commedie di Lope iniziano in maniera decentrata ed avventurosa. Nel 1603 si ha a Lisbona un tentativo, con un libro che riunisce sei commedie che si dicono Seis comedias de Lope de Vega y otros autores; e nel 1604 a Zaragoza e Valladolid Bernardo Grassa propone dodici commedie, numero che diventerà poi canonico per ognuna delle parti, sotto il titolo Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio... L’edizione ha successo (viene riproposta per ben tre volte l’anno seguente, ed ancora ad Anversa nel 1607 e a Valladolid nel 1609); ma per la Segunda parte de las comedias de Lope de Vega si dovrà aspettare fino al 1609; e la Tercera parte de las comedias de Lope de Vega y otros autores è forse del 1612.93 La commedia si consuma invece «calda», a teatro: viene venduta al capocomico dallo scrittore, che perde ogni diritto di proprietà sopra di essa:94 il capocomico (che giustamente si chiamava «autor», autore a buon diritto del testo spettacolo), una volta comprato il testo dal suo estensore (ingenio), era libero di arrangiarlo, tagliarlo, manipolarlo, adattarlo. Alle sue necessità, come direttore di una compagnia più o meno numerosa, o più o meno ricca di presenze femminili,95 per esempio, o ai desiderata del suo pubblico: magari via le tirate lunghe, difficili da recitare, e forse poco gradite ad ascoltatori più rozzi di quelli della capitale. Ma quando ci si accorge – come si era accorto Timoneda – che il testo drammatico scritto può dare un buon provento come letteratura di intrattenimento, alcuni editori cominciano a riunire i copioni teatrali ed a stamparli: il testo letterario quindi arriva al lettore con numerose tracce del processo di adattamento alle scene, fino a che Lope decide di pubblicare direttamente le sue commedie, nel 1617, giustificando la sua operazione con una serie di prologhi che da una parte sottolineano la necessità di presentare testi corretti,96 dall’altra rivendicano la dignità letteraria della commedia. Purtroppo questa attività di stampa in proprio avrà vita breve: nel tentativo di puntellare la vacillante economia, la Junta de Reformación, istituita nel 1621 da Filippo IV, propone – il 6 marzo 1625 – che il Consejo de Castilla sospenda la concessione di licencias per «imprimir libros de comedias, novelas, ni otros deste género»;97 ed effettivamente dal 1625 al 1635 nessuna raccolta di questo tipo appare nella capitale, e l’editoria teatrale deve spostarsi a Zaragoza, Huesca, XXXI
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Barcellona e Siviglia. Ma intanto gli autori hanno riflettuto sul «genere»: il prologo che accompagna il testo letterario per il teatro nel momento in cui si offre alla lettura, opponendosi in certo senso al sistema comunicativo specifico,98 si propone infatti come raccordo transemiotico, e rifonda la dignità letteraria dell’oggetto, offerto ad un momento di consumo meditato. La consapevolezza del cambio di categoria è ben presente in Montalbán: para desengañar a los curiosos y desmentir a los que profanan nuestros estudios me reduje a imprimir las mías, empezando por estas doce, que es el tomo, lectores míos, que os consagro, para que las censuréis en vuestro aposento, que aunque parecieron razonablemente en el tablado, no es crédito seguro, porque tal vez el ademán de la dama, la representación del héroe, la cadencia de las voces, el ruido de los consonantes, la suspensión de los afectos suelen engañar las orejas más atentas, y hacer que pasen por rayos los relámpagos, porque como se dicen aprisa las coplas, y no tiene lugar la censura para el examen, quedan contentos los sentidos, pero no satisfecho el entendimiento.99
Come si vede l’opposizione sentidos/entendimiento corrisponde a luoghi di fruizione ben diversi (tablado/aposento), in una operazione dove si perde il testo spettacolo, così accortamente tratteggiato dallo scrittore, con modi da semiotica della rappresentazione: ecco i segni cinesici (ademán de la dama, representación del héroe), la dizione (la cadencia de las voces, el ruido de los consonantes), la interazione del destinatario (la suspensión de los afectos). Ora si tratta invece di parlare all’intelletto (entendimiento), di asseverare quindi la «letterarietà» del testo per il teatro, innanzi tutto ripensandolo sotto specie teorica; ed è in questa prospettiva che va letto e considerato l’Arte nuevo, il trattatello con il quale Lope medita sul «nuovo» teatro spagnolo. Questa tenace rete teorica appare anche là dove sembrerebbe di imbattersi solo nell’aneddotica; e penso a un testo tanto commentato e citato come il prologo di Cervantes alle Ocho comedias.100 Egli ci parla di un teatro del buon tempo andato, incarnato da Lope de Rueda, in una visione che non pare davvero corrispondere ai testi rimastici: proiezione mitica, dunque, parziale ed inattendibile, che illustra non tanto l’effettiva prassi teatrale della generazione a lui precedente, ma ci rivela invece la visione che del teatro poteva avere Cervantes stesso, visione di retroguardia, leXXXII
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gata ad un ormai improponibile modello, «classico» in quanto «povero» e statico, contro il lussureggiare della commedia lopiana. Non pare quindi un caso, da questa prospettiva, che quando Bartolomé de Torres Naharro nel 1517 aveva pubblicato a Napoli la sua Propalladia (sulla spinta evidente dell’esempio italiano, uso – contro la prassi spagnola – a presentare a stampa il testo letterario per il teatro) l’avesse fatta precedere da un Prohemio: e qui proponeva la distinzione commedia/ tragedia, ripercorreva le definizioni della prima da Cicerone a Orazio, ne dava una propria («un artificio ingenioso de notables y finalmente alegres acontecimientos por personas disputado»),101 stabiliva una distinzione tra commedie di costume o di argomento letterario: lasciava insomma il primo documento teorico inerente il teatro della letteratura spagnola. Ugualmente l’altro stravagante editore dei propri testi, Juan de la Cueva, sente il bisogno di affidare la sua meditazione teorica all’Ejemplar poético (Esemplare poetico, 1606 e 1609), immediatamente precedente l’Arte nuevo, dunque. E ancora nel 1609 Virués avverte la necessità di intrattenere con dichiarazioni teoriche il suo «Discreto lector» nel proemio dei Poetas valencianos e nel prologo alla sua Tragedia de la cruel Casandra.102 Le caratteristiche del consumo del testo letterario per il teatro offrono quindi una nuova lettura delle polemiche sulla commedia che solcano con tanta vivacità la prosa di idee del secolo XVII. Ma ancor più segnano in maniera ineludibile l’assetto testuale delle varie opere. Le tracce dell’uso «teatrale» sopravvivono nei testi non stampati direttamente dagli autori e in gran parte dei manoscritti; e si verifica anche il caso – altrettanto ovvio – per cui opere di autori meno noti venissero ribattezzate ed attribuite ad autori di maggior richiamo;103 ed ecco commedie di doppio o triplo titolo dette ora di uno, ora di un altro autore, con un reticolo spinosissimo di problemi di attribuzione. Oggi il patrimonio di testi disponibili è costituito dai manoscritti stessi (vuoi autografi, vuoi copioni più o meno arrangiati, vuoi derivati da tarde stampe),104 dalla serie di stampe di Lope, e da due importanti «collezioni», più o meno contemporanee: serie in sequenza – curate da vari stampatori – di raccolte di dodici commedie che vanno sotto il nome di «Comedias de diferentes autores»,105 e di «Comedias nuevas escogidas»;106 affiancate da una costellazione di collezioncine minori e pochi volumi estravaganti.107 E comincia la produzione di commedie singole, di solito in 16 o 18 fogli, vendute sciolte (sueltas), spesso prive di stamXXXIII
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patore, di luogo di stampa, di anno (s.l.s.a). La riproposta di questi testi singoli seguiterà per tutto il secolo XVIII: stampano a Siviglia i Leefdael, i Padrino; a Valencia gli Orga, a Barcellona i Sapera e i Suriá y Burgada.108 Si verifica anche un fenomeno di un certo interesse letterario e culturale: pieghi di 4 fogli propongono a stampa dei frammenti declamatori e narrativi di commedie, che vengono definiti come «relaciones».109 Le stampe del secolo XVIII spesso ci hanno consegnato le coordinate di lettura (e spesso i vizi) che si prolungano fino ai giorni nostri. I primi tentativi di sistemare questa «selva selvaggia» come la giudicava un appassionato bibliografo del teatro spagnolo, Antonio Restori,110 furono compiuti nell’Ottocento: a questo periodo risalgono le ristampe della Biblioteca de Autores Españoles (BAE), e alcuni cataloghi, che continuano ancor oggi a far testo.111 E anche questa riscoperta ottocentesca ha lasciato i suoi segni, se non vogliamo dire che ha provocato i suoi danni. Innanzitutto ha orientato il gusto della fruizione successiva in maniera si direbbe irreversibile: ancor oggi si continua a riproporre e a ristampare i testi prescelti dalla BAE, ignorandone altri forse più stimolanti e interessanti, nella misura in cui sono meno «romantici» e più «barocchi». Situazione assolutamente anomala, dunque; forse anche ad essa si deve attribuire la scarsa fortuna del teatro spagnolo ai nostri giorni. I problemi ecdotici, la mancanza in patria per lungo tempo di una adeguata politica editoriale, l’inusitato assetto formale della comedia, sostanzialmente lontana dalle consuetudini teatrali europee, hanno forse influito sulla sua possibilità di «esportazione». La difficoltà di traduzione appare infatti doppia: sul piano della versione letteraria la difficile resa polimetrica, la rete simbolica oscura a fruitori ad essa estranei; ma soprattutto alla traduzione da lingua a lingua va unita quella da modo di rappresentare a modo di rappresentare: si rifletta, ad esempio, che nella pratica corrente europea è quasi impossibile trovare attori in grado di interpretare con la giusta misura i ruoli di gracioso. Per cui poche sono le opere che appaiono attualmente nei repertori teatrali italiani, titoli che si ripetono stancamente e che contrastano in maniera evidente con la ricchezza del patrimonio testuale del Secolo d’Oro. Par difficile credere, insomma, che ai suoi tempi, e come lui stesso orgogliosamente ricorda, le commedie di Lope arrivassero fino alla corte del Gran Turco:
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comprándolas en Venecia a algunos mercaderes judíos para llevárselas, de que yo vi carta de su embajador entonces para el conde de Lemos, encareciendo lo que este género de escritura se extiende por el mundo después que con más cuidado se divide en tomos.112
E non solo vi arrivava il testo letterario per il teatro, ma lo spettacolo stesso: poco dopo Lope ricorda la rappresentazione davanti alla sultana della sua Fuerza lastimosa (Violenza pietosa). O se non vogliamo credere alle sue parole, magari non disinteressate, ecco il testimonio di Emanuel de Aranda, gentiluomo nato a Bruges nel 1606 e schiavo ad Algeri dal 1640 al 1642: Il 7 dicembre 1641, vigilia della festa di Nostra Signora, gli schiavi dei bagni della Dogana rappresentarono, la sera, ai bagni, una commedia in spagnolo piuttosto ben fatta sulla storia di Belisario.113
Potente strumento di penetrazione culturale e ideologica, il teatro spagnolo si diffuse dunque ai suoi tempi non solo fino all’America del Sud, ma nelle zone che più si immaginerebbero impermeabili, l’Impero Turco; venne voracemente tradotto in Francia ed in Italia, fornì temi ed argomenti a Corneille e Racine, creò uno dei pochi miti moderni, quello di Don Giovanni, e continuò ad essere presente nell’Europa del secolo XVIII.114 Pare insomma identificarsi con la Spagna dei Secoli d’Oro, per cui alla condanna ed all’espunzione di quella cultura appare intimamente legata l’incomprensione e la dimenticanza della commedia stessa. Per fortuna la riflessione sul lavoro di riproposta del teatro dei Secoli d’Oro si è andata estendendo e reiterando negli ultimi tempi.115 Il tessuto è labile, e richiederebbe grande perizia e conoscenza dei fenomeni; e su di esso per lungo tempo sono state compiute operazioni ecdotiche superficiali e dannose che hanno smagliato a volte irrimediabilmente il quadro che si dovrebbe pazientemente restaurare; così che oggigiorno alle migliaia e migliaia di testi che costituiscono il corpus del teatro aureo corrispondono poche decine di edizioni critiche serie. La quasi cronica mancanza per lungo tempo di edizioni critiche, l’inadeguatezza perfino dei corpora di Lope e Calderón disponibili, dipinge una situazione assolutamente anomala, dunque; forse anche ad essa si deve attribuire la scarsa fortuna del teatro spagnolo ai nostri giorni. XXXV
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10. I commediografi dell’età aurea Il panorama degli scrittori di teatro dell’età aurea è vastissimo; e ai commediografi «puri» vanno affiancati autori dalla precipua attività lirica, che si cimentano anche nel teatro, come nel caso di Góngora e Quevedo; mentre vari prosatori non mancano di ingrossare il capitale testuale della commedia, come Alonso de Castillo Solórzano o María de Zayas. Se le storie letterarie sono solite irreggimentare questa falange di commediografi in un ciclo o scuola di Lope e uno di Calderón,116 tali gabbie convenzionali mostrano un certo logoramento, e si è tentato di preterirle parlando di un «teatro della modernizzazione» (primo quarto del secolo) e di un «teatro della modernità» (secondo quarto del secolo), cui farebbe seguito una «paralizzazione e prolungamento della commedia» (seconda metà del sec. XVII e proseguimento nel secolo successivo).117 A prescindere da questi problemi di assestamento critico, si noti comunque che il ricambio più evidente si verifica nella seconda metà del secolo: morti Mira, Tirso, Luis Vélez, Alarcón, Godínez, Montalbán, Coello, Rojas, solo Cubillo e Moreto continuano la loro attività fino agli anni sessanta, e Calderón fino agli anni ottanta. Ma intanto giungono al loro pieno sviluppo letterario altri autori, quali Juan Vélez, Solís, Diamante, Bances Candamo. Il teatro presenta ormai caratteristiche ben fissate, sia per quanto attiene alle convenzioni del rappresentare, sia come individuazione dei vari tipi letterari: fiorisce la commedia di costume e d’intreccio, l’alta commedia eroica, con la gemella commedia «de santos», appoggiate a giochi «de tramoya» e ad ardite soluzioni scenografiche; giunge poi al massimo sviluppo la rappresentazione di palazzo, con il suo raffinato apparato musicale e scenografico. Qui veramente siamo di fronte ad un’espressione sincretica, che richiederebbe duttili strumenti di analisi interdisciplinare: il critico letterario dovrebbe insomma essere affiancato dal musicologo e dallo studioso dell’arte, al momento di esaminare talune registrazioni scenografiche che pure ci restano. Alle prese con queste forme mature e «difficili» si muove una serie di autori che spesso erano stati studiati poco e frettolosamente, con strumenti metodologici inadeguati, quasi frutti «decadenti» di una maniera teatrale sclerotica, ma che in anni recenti sono stati indagati da una diversa prospettiva.118 Accanto ai sistemi teatrali elaborati nella seconda metà del secolo si pone poi la riflessione di Bances Candamo, che ormai può estrarre dall’esperienza di un intero secolo una teorizzazione stacXXXVI
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cata dalle più rigide polemiche classiciste ed attenta invece all’operare pratico. Il teatro del Secolo d’Oro magari tramonta, ma con prove manifeste della sua solidità e grandezza, proiettandosi dunque verso le colonie e verso il secolo successivo, quando alcuni intellettuali potranno, sì, manifestare moti di impazienza ed intolleranza verso rappresentazioni ormai lontane dalle problematiche contemporanee, ma che continuavano a trovare entusiasti spettatori ed appassionati lettori, fino a che si dovranno addirittura «proibire», a riprova dello loro vitalità.
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Teatro spagnolo dei Secoli d’Oro Volume primo
Lope de Vega Carpio
La vita e le opere
Lope de Vega nasce a Madrid il 25 novembre 1562.1 Figlio di un ricamatore, di ingegno precocissimo, brucia nella sua vita tumultuosa esperienze culturali e avventure sentimentali, in un intreccio di vitalità ed affabulazione letteraria. Nonostante il tentativo del suo primo biografo e allievo prediletto, Juan Pérez de Montalbán,2 di farne un prototipo di vita virtuosa e un archetipo di dedizione allo studio ed alle lettere, la sua figura per fortuna sfugge alle definizioni ed alle canonizzazioni. Montalbán ci intrattiene sulla sua intelligenza precoce, tanto che già a cinque anni leggeva in latino, e prima dei dodici sapeva cantare, danzare e maneggiare la spada; sta di fatto che già diciassettenne ha una relazione tumultuosa con Elena Osorio, attrice e figlia di attori, fino a che le violente satire che egli indirizza all’infedele gli procurano un processo e l’esilio a Valenza. Ma uscito di carcere e prima di partire esiliato da Madrid, trova modo di rapire Isabel de Urbina e di sposarla nel 1588 per procura; il contratto di matrimonio si stipula il 10 maggio, ma il 29 dello stesso mese Lope si arruola come volontario nella Armada che salpa da Lisbona alla volta dell’Inghilterra. A bordo Lope scrive poemi come La hermosura de Angélica (La bellezza di Angelica), a imitazione dell’Ariosto, o romances nei quali trasfigura l’amore per la moglie lontana. Dopo il disastro dell’Armada è a Valencia con la moglie all’inizio del 1589, un «esilio» dalla capitale che gli permette di partecipare alla vivace vita intellettuale della città mediterranea; da tempo era cominciata la sua produzione teatrale, ed all’inizio del 1600 doveva aver già scritto una cinquantina di commedie. I sei anni di allontanamento da Madrid 5
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vengono trascorsi anche a Toledo, presso il duca di Alba, e ad Alba de Tormes, dove Isabel muore. Tornato a Madrid nel 1596, Lope viene processato per concubinaggio con Antonia Trillo, lascia il servizio del duca di Alba, passa un breve periodo come segretario del marchese di Malpica, poi del marchese di Sarria fino al 1603. Nel 1598 sposa Juana de Guardo, ricca figlia di un macellaio; probabile matrimonio di interesse, che non gli impedisce una lunga relazione con l’attrice Micaela de Luján, che canta con il nome di Camila Luncinda e gli darà sette figli, tra i quali Lope Félix e Marcela, i suoi prediletti. È un periodo in cui pubblica una serie di poemi e libri;3 ricordo solo El peregrino en su patria (Il pellegrino in patria) del 1604, una sorta di romanzo autobiografico in cui si intrecciano riferimenti ad avvenimenti reali, allusioni agli amori con Micaela, ed una per noi utilissima lista di commedie scritte fino al 1603: Lope ha già 219 titoli al suo attivo. Dal 1605, tornato a Madrid, inizia un lungo rapporto con il duca di Sessa, allora elegante giovane di 23 anni: Lope lo servirà come segretario e mediatore di amori fino alla morte, professandogli amicizia ed affetto in un lungo e minuziosissimo epistolario. Il 7 febbraio 1607 viene battezzato a Madrid il figlio Lope Félix; ne è madrina un’attrice, Jerónima de Burgos, con cui Lope intrattiene a più riprese relazioni amorose, ancora in vita della moglie e contemporaneamente alla più appassionata storia con Micaela. Tuttavia ora Lope sembra desideroso anche di simboli di stato; nel 1609 entra in una congregazione religiosa, e compra per 9.000 reali una casa in calle de Francos, con un bel giardino che egli stesso curava, e dove vivrà fino alla morte. La moglie in conseguenza di un parto difficile si ammala, ed egli la cura con affetto, scrive libri di carattere religioso, e nel 1611 termina un’operetta in prosa e versi sulla nascita di Cristo: Los pastores de Belén (I pastori di Betlemme). Nel 1613 la moglie muore dando alla luce una figlia, Feliciana; e l’anno seguente, a 54 anni, Lope prende gli ordini religiosi. Forse decisione non superficiale, come si sarebbe tentati di crederla considerando che nulla cambia nella vita del commediografo; non solo egli continua ad intrattenere rapporti con Jerónima de Burgos, ma nella sua corrispondenza con Sessa appare un’altra attrice, forse Lucía de Salcedo. Dal 1616, poi, iniziano anche gli amori appassionati con Marta de Nevares, che Lope canterà con gli pseudonimi di Amarilis e di Marcia Leonarda; amori segnati non solo dalla senilità del poeta e dalla sua man6
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canza di mezzi, ma dall’ombra del sacrilegio per lui sacerdote e dell’adulterio, in quanto la donna era sposata; una relazione more uxorio che si conclude con la cecità (dal 1628), la decadenza fisica e la pazzia della donna amata, che morirà il 7 aprile 1632. Mentre Lope continua il suo lavoro teatrale (le commedie toccano ormai il migliaio), sembra crescere la sua intera produzione letteraria: si impegna nella polemica contro Luis de Góngora, pubblica una serie di poemi ed un «romanzo» autobiografico, la Dorotea.4 Il 1634, data in cui si stampa la sua ultima e burlesca raccolta di rime, sotto lo pseudonimo di Tomé de Burguillos, è un periodo tristissimo per il poeta: ha 72 anni, la figlia Feliciana si è sposata nel 1633, la prediletta Marcela è monaca dal 1622, forse già morto Lope Félix; gli rimaneva la più piccola, Antonia Clara, figlia di Marta, allora di 17 anni: essa viene sedotta e rapita. È l’ultimo colpo per Lope, che soffre un attacco cerebrale e agonizza fino al 27 agosto; Juan Pérez de Montalbán ne esalta la fine esemplare, in una stampa degna del transito del perfetto cristiano. L’eco nella capitale è enorme: tutta Madrid accorre emozionata ai suoi funerali; i letterati del tempo gli dedicano una raccolta di poesie in memoria, intitolata Fama póstuma, e curata dal fedele Montalbán. Una biografia, dunque, che ci dà la sensazione quasi fisica della messe di versi che Lope ci lascia, se egli pubblica 45 libri poetici in vita, a cui vanno aggiunte le composizioni uscite postume nella Vega del Parnaso,5 titolo indubbiamente allusivo. Infatti il «prodigio della natura», la «Fenice degli ingegni», il Re indiscusso dei Teatri (colui che si era impadronito della «Monarquía cómica» come con una certa amarezza dice Cervantes) è uno dei pochi autori che, con una accorta opera di promozione editoriale, diffondendole anche attraverso l’autocitazione, riesce a stampare e ristampare le proprie opere poetiche, sorte che non toccò né a Góngora né a Quevedo. Ma soprattutto egli ha legato indissolubilmente il proprio nome allo sviluppo ed alla definitiva fisionomia del teatro spagnolo, non solo sperimentando e consacrando una formula ripetuta poi da contemporanei e successori, ma contribuendo ad incrementare in maniera decisiva il patrimonio testuale con le centinaia di commedie che produsse: addirittura 1800 secondo Montalbán, mentre Lope stesso parla più modestamente di 1400; a noi ne sono giunte circa 470. Ma non tutti i testi pervenutici sono affidabili: solo nel 1617 Lope riesce a stampare direttamente le sue commedie, con la Parte IX,6 sottolineando 7
LOPE DE VEGA
che si tratta di Doce comedias de Lope de Vega Carpio, sacadas de sus originales por él mismo (Dodici commedie di Lope de Vega Carpio, estratte dai propri manoscritti da lui stesso); e questa attività editoriale in prima persona terminerà forzosamente nel 1625, anno in cui la Junta de Reformación consiglia che vengano sospese le licenze per stampare in Castiglia libri di intrattenimento. Quindi saranno da considerare affidabili le commedie contenute nelle Parti di Lope dalla IX (1617) alla XX (1625); anche La Vega del Parnaso, che Lope aveva in allestimento quando morì e che uscì solo tre anni dopo, ci consegna otto commedie degne di fiducia, e lo stesso si può dire per le commedie contenute nella Veinte y una parte verdadera (1635), nella Veintidós parte perfeta (1635), e nella Parte veinte y tres (1638) anch’esse postume, ma già preparate per la stampa al momento della morte, e curate dal genero di Lope, Luis de Usátegui.7 Gli interessanti manoscritti autografi che ci restano8 si aggiungeranno ai testi qui raccolti; per gli altri bisognerà sempre considerare che le operazioni di adattamento scenico effettuate dai vari capocomici possono avere adulterato il dettato dell’autore. Dunque non tutte le opere delle Parti stampate fuori del controllo di Lope (come la Parte 22 di Zaragoza, 1630; o la Parte 24 di Zaragoza, 1632) o quelle presenti nella collezione dei Diferentes Autores ed a lui attribuite devono considerarsi sue, dal momento che per smerciare più facilmente il prodotto si potevano attribuire alla «Fenice degli Ingegni» (come più tardi a Calderón) testi di autori minori. In tempi recenti nemmeno l’edizione Accademica, prima curata da Menéndez y Pelayo, e poi da Cotarelo y Mori ed altri,9 può considerarsi critica. Il primo esclude o include le commedie nel novero delle autentiche su basi assolutamente personali e «di gusto», per cui molti testi, per esempio quelli «de santos», che si allontanano dagli standards considerati tipici di Lope, sono giudicati nella migliore delle ipotesi dubbi.10 Né il primo né i secondi, poi, effettuano una recensio esauriente, distinguono le parti affidabili da quelle dubbie, propongono una collatio che faccia capire le linee di trasmissione testuale; né danno apparato, arrivando talora ad intervenire sul testo senza informarne debitamente il lettore. Si dà poi il caso che una stessa edizione del testo presenti due stati diversi, con varianti anche significative, che arrivano fino alla inclusione o alla omissione di interi versi. Per cui si dovrebbero controllare tutte le copie 8
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esistenti di una stampa, dato che in periodo di editoria artigianale, come quella del Seicento, ognuna delle copie può teoricamente costituire uno stato a sé.11 Difficoltà molto gravi, e di cui solo di recente ci si è resi conto fino in fondo, ma che solo parzialmente giustificano l’assenza di una affidabile edizione del teatro del massimo drammaturgo spagnolo; caso che veramente non ha l’uguale in nessuna letteratura nazionale europea. A rendere il fatto ancora più éclatant andrà poi ricordato che, a monte, è ancora da effettuare una recensione bibliografica esauriente della sua opera teatrale.12 Quando Lope comincia a stampare in proprio le sue commedie sa e vuole compiere una operazione rivoluzionaria: egli dimostra di considerare letterario (riproducibile in proprio) un testo che fino ad allora era essenzialmente fugace: di considerare suo un testo di altri (detto, riprodotto dagli altri); un testo che può essere gustato nel «raccoglimento insieme alla propria famiglia», e che magari può essere riletto dopo averlo visto rappresentato. E si veda a questo proposito la diffusa argomentazione che Lope affida al «Teatro» nel prologo alla Parte IX: Estas comedias, que aquí te presento, puedo afirmar como testigo de vista, que son las mismas que en mí se representaron, y no supuestas, fingidas ni hurtadas de otros, donde hay un verso de su autor y trescientos del que dice que de verlas en mí las toma de memoria y las vende a estos hombres que sin licencia del Supremo Consejo las venden con rétulos públicos, en afrenta de los ingenios que las escriben, en que hay tantos caballeros, letrados y hombres doctos. Leerlas puedes seguramente; que son de los borradores de Lope, y no de la pepitoria poética de estos zánganos, que comen de la miel que las legítimas abejas en sus artificiosos vasos labran de tantas y tan diversas flores; que te prometo que si benignamente las reciben, no llegue a mis manos comedia ingeniosa de las muchas que cada día escriben tantos ingenios, que no te la presente, no hurtada, sino con gusto de sus dueños, para que el tuyo tenga en su casa, o recogimiento con su familia, lo que no todos pueden ver, y los que lo hubieran visto puedan considerar.13
Proprio in questo tentativo di ricostruire una dignità letteraria al testo per il teatro si iscrive uno dei più evidenti caratteri dei prologhi di Lope, lo spesseggiare dei riferimenti colti, tendenza tanto macroscopica da non aver bisogno di campionature,14 e che va letta quale marca di una nuova 9
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e diversa collocazione del testo; e varrà la pena di notare come a grandi esegeti del passato questa caratteristica era potuta sembrare una prova in più del popolarismo di Lope, del fatto che la sua era una cultura esterna e d’accatto: così la incomprensione delle circostanze della comunicazione può svirtuare il giudizio. Ma prima ancora che nei prologhi, come abbiamo visto, Lope aveva riflettuto, nel 1609, sulle caratteristiche del testo teatrale nell’Arte nuevo de hacer comedias, che unisce alla conoscenza delle poetiche classiche una loro disinvolta messa in non cale, che sposa la parafrasi di Robortello a gloriose dichiarazioni di novità ed assunzioni di responsabilità, calando il tutto nella disciplina del verso, con impennate fulminee, salti logici ed anacoluti, a vantaggio dell’incisività se non della chiarezza, mentre le rime baciate danno rilievo ai momenti in cui l’autore annette una particolare importanza, come sottolineature vigorose.15 La produzione drammatica di Lope, per la sua stessa incoercibile esuberanza, più di altre sembra richiedere al critico un tentativo di classificazione che la renda leggibile, o almeno maneggevole. La via più facile è indubbiamente quella contenutistica, perseguita da Marcelino Menéndez y Pelayo, che nell’organizzare la sua edizione Accademica delle opere di Lope distingue sette sezioni, dalle commedie basate su argomenti dell’antichità a quelle desunte dalla novellistica; distinzione tuttavia esterna alla morfologia dei testi; né a risultati più felici approdano classificazioni più recenti effettuate su base «semiotica». La via più corretta da praticare è ancora quella indicata da Frida Weber de Kurlat e segue la linea cronologica;16 molto difficoltosa, ovviamente, dato che una parte notevole delle commedie di Lope è priva di una sicura data di composizione; comunque alcuni tentativi di posta in sequenza non mancano. Quello tuttora più affidabile si deve a Morley e Bruerton: essi si basarono su variazioni nella versificazione, attestate dalle commedie di data sicura, che vedono l’uso nelle prime commedie di metri di origine italiana, endecasillabi sciolti, terzine, ecc.; ed una progressiva preminenza di versi tradizionali spagnoli nelle ultime (redondillas, romances, ecc.).17 Lo studio delle prime commedie di Lope (per esempio Los hechos de Garcilaso y el moro Tarfe, Le imprese di Garcilaso e dell’arabo Tarfe, anteriore al 1588 ed in 4 atti), rivela alcune interessanti caratteristiche di un teatro lopesco che si può definire arcaico, quali una struttura giu10
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stapposta, per cui varie scene o azioni non si unificano o intersecano, ma vengono proposte le une accanto alle altre; o la presenza di scene di satira o di pittura costumbrista (Las ferias de Madrid, Le feste di Madrid). Ancora: si utilizzano, ad imitazione degli autori contemporanei e rinascimentali (Lope de Rueda, Cervantes, Juan de la Cueva), personaggi allegorici come la Fama, in monologhi o dialoghi con i protagonisti. O si oscilla, sul piano della forma dell’espressione, tra il lirismo, cui Lope fin dagli esordi si inclina, e una lingua parlata, che negli autori anteriori diventava eccesso di prosasticità e volgarismo. Lope, insomma, non ha ancora trovato la sua formula; ma dal 1590 le commedie rivelano già, dal punto di vista strutturale e tecnico, tratti di maturità. Indubbiamente la pratica teatrale valenciana contribuisce a delimitare le caratteristiche che identificano la commedia della pienezza di Lope;18 ma ad essa vanno aggiunte anche altre linee di tendenza e pressione, per esempio il contatto con la commedia dell’Arte italiana presentata in Spagna da compagnie come quella di Ganassa, e l’equilibrio tra il modello teatrale universitario, de colegio, e di corte da un lato, in cui prevaleva la dizione, e quello del corral, dove l’intrattenimento e la preponderanza di segni kinesici erano fondamentali. Tra il 1590 ed il 1604 si situano le operazioni di un Lope non più arcaico, ma ancora precedente all’assestamento della propria formula teatrale, un Lope più libero, in certo senso, che utilizza una serie di temi molto ampia, dalla commedia mitologica di palazzo come Adonis y Venus (1597-1603), alla riproposta della materia del romancero (El casamiento en la muerte: Le nozze nella morte; 1595-1597, sul ciclo di Bernardo del Carpio), a tutta una costellazione di commedie che si svolgono a Valencia (El Grao de Valencia: La campagna di Valencia; Los locos de Valencia: I pazzi di Valencia; La viuda valenciana: La vedova valenzana). Commedie di grande interesse, con una marca trasgressiva le ultime due: Los locos de Valencia presentano addirittura la possibilità di rottura delle coppie dama-cavaliere, servo-servetta tramite la pazzia d’amore, che permette il rovesciamento carnevalesco e l’innamoramento della dama per un servo. Scatenamento della pazzia come mondo alla rovescia, dunque, a cui può assistere, in uno spettacolo nello spettacolo, l’intera città di Valencia. Lo stesso ambiente cittadino che si considerava particolarmente libero ed aperto fa da sfondo alla Viuda valenciana, commedia variamente studiata, sia perché ridice, rovesciandolo, il tema di Amore e Psiche, sia 11
LOPE DE VEGA
perché derivata dalla novellistica italiana, sia perché propone un finale accomodante e perciò trasgressivo: la disinvolta vedova sposerà il suo bell’amante, già a lungo frequentato nel segreto della propria casa. E a mettere ancor più a disagio la critica contribuisce poi la dedica «svergognata» a Marcia Leonarda, cosicché le riflessioni sulla commedia sembrano per lo più iscriversi in un affannoso tentativo di riscattare l’immoralità di Lope.19 Non solo, dunque, una quantità di temi tra i più vari, ma soluzioni spesso inaspettate, che fanno delle commedie di questi anni un corpus particolarmente stimolante, ed ancora troppo poco conosciuto, con brividi di novità e riassestamenti, dove Lope sembra saggiare e ricercare la propria voce nel momento stesso in cui sonda le possibilità dello spettacolo. Dal 1604 in avanti si svolgerà poi in tutta la sua pienezza un tipo di rappresentazione matura, dalla formula sperimentata. Appartengono a questo periodo le opere più conosciute di Lope, da Peribáñez (1605-1612), a Los melindres de Belisa (I capricci di Belisa, 1606-1608), dal Villano en su rincón (Il villano nel suo cantuccio, 1611) a Fuente Ovejuna (1612-1614), La dama boba (La dama sciocca, 1613), El perro del hortelano (Il cane da guardia, 1613-1615), per culminare nel Caballero de Olmedo (1620-1625) e nel Castigo sin venganza (Non è vendetta il castigo, 1631). Impossibile non solo dare ragione del lavorio critico che si è svolto intorno a questi icastici testi, ma perfino fornirne qualche nota o qualche percorso di lettura che non sia assolutamente banalizzante. Essi possono proporre il genere del dramma rurale (Peribáñez, El villano en su rincón, Fuente Ovejuna, El mejor alcalde el rey: Il miglior giudice è il re, 16201625), o della commedia di cappa e spada (Los melindres de Belisa, El acero de Madrid: Le terme di Madrid, 1608-1612; La dama boba), o de santos (La buena guarda: La buona custode 1610); possono attingere materiali alla novellistica italiana (El castigo sin venganza), o al romancero tradizionale (El bastardo Mudarra 1612). Ma ognuna di esse, da quelle più allegre e frivole a quelle più impegnate, si struttura su un senso del teatro vigile ed abilissimo, capace di riassorbire anche pericolose incrinature alle leggi sociali sotto la logica del rappresentare. All’enorme popolarità contemporanea di cui godette Lope sembra far riscontro una specie di diffidenza successiva, che ha il suo punto di forza proprio nell’esorbitante produzione letteraria dell’autore, per la quale, almeno da parte italiana, sembra funzionare ancora il falso sillogismo: 12
LA VITA E LE OPERE
è genere di consumo, quindi è brutto. Tutt’al più, in questo giudizio, si salvano alcune commedie, che vengono dette eccezionalmente ben riuscite, oppure si salva il corpus nella sua globalità in quanto «artigianato nobile», in una specie di attività collettiva, in un circuito simpatetico tra l’autore ed il vorace pubblico teatrale seicentesco come consumatore. Tuttavia è una falsa prospettiva quella che nel valutare il teatro di Lope distingue tra testi «buoni» (da salvare) vs testi «di second’ordine» (da dimenticare). La validità generale della commedia lopesca era riconosciuta dallo spettatore contemporaneo, che vi ravvisava una specie di standard di livello alto, se «parece de Lope» diventò sinonimo di «è bello». E lo sconosciuto prologhista della Parte XXII spuria, stampata a Zaragoza nel 1630 da Pedro Verges, dichiara: Lope [...] como minero rico y fértil Vega, siempre ha producido ya en vez de versos oro acrisolado, y por todas sus obras tantas, tan varias y tan divinas flores, que apenas se conoce que haya diferencia en su producción, ni haya sido más estéril el ingenio de donde salieron una vez que otra.20
Le considerazioni che devono guidare in una valutazione globale dell’opera di Lope sono di tipo diverso. La prima è quella di una generale labilità del codice comico, così legato alle circostanze da cui nasce; con la ulteriore difficoltà di capire giochi di parole e riferimenti collegati a costumi ed avvenimenti contemporanei oggi perduti e talora inattingibili attraverso la documentazione d’archivio. Il teatro di Lope è più largo di altri di riferimenti al contingente, la sua è una scrittura che voracemente si alimenta della vita, del quotidiano, e quindi risulta per noi elusiva nella misura in cui è allusiva. E si rifletta che lo stesso teatro «leggero» di Calderón si è cominciato ad apprezzarlo e rivalutarlo solo da poco. La seconda difficoltà è quella di recuperare oggi il testo spettacolo: musica, attività coreutiche, dizione, messa in scena, risonanza stessa dei temi in un destinatario di essi tanto consapevole quanto oggi estraneo ad essi (un esempio: quando lo spettatore seicentesco sentiva risuonare la canzone del Cavaliere di Olmedo, doveva essere percorso da un brivido, sapendone il destino tragico; tutte le parole del protagonista acquistavano un sovra-senso netto e marcato). Se poi giudicare il testo letterario per il teatro solo sulla base di una «lettura» dei testi è operazione indebita e parziale, naturalmente, essa 13
LOPE DE VEGA
è tanto più indebita nei riguardi di Lope, i cui testi ci sono pervenuti spesso fortemente corrotti; e va ricordato che quelli di Calderón, invece, non sono stati così affettati da una trasmissione adulterante. Ci sarà anche da considerare che solo un terzo di essi sembra essere arrivato fino a noi, a dar credito alle stime correnti: troppo poco (anche se nello stesso tempo e paradossalmente già troppo) per una valutazione veramente completa.21 Un’ultima considerazione sarà da tenere in conto: come è stato emesso il giudizio su Lope e secondo quali parametri, come infine questo giudizio è arrivato fino a noi, orientando il fruitore moderno. Se un cambiamento nel modo di far spettacolo è evidente dai primi anni del Seicento fino agli anni cinquanta, esso opera negli stessi giudizi dei primi estimatori del teatro, in Gracián e Bances Candamo, per esempio: essi, di fronte alla diversa densità della rappresentazione di stampo calderoniano, non possono che ripensare le prime prove lopesche come qualcosa di ingenuo ed incompleto: Lope de Vega, con su fertilidad y abundancia [...] hubiera sido más perfecto si no hubiera sido tan copioso: flaquea a veces en el estilo, y aún en las traças; tiene gran propiedad en los personajes, especialmente en los plebeyos. 22
Il pubblico stesso mostra verso gli anni cinquanta di gradire rappresentazioni più sofisticate, e la preferenza che verso la fine del secolo e nel successivo si accorda a Calderón è indubbia.23 Con questo bagaglio si arriva alla «riscoperta» ottocentesca, che da esso sarà indubbiamente orientata. Si aggiunga che manca per Lope una operazione come quella che porta i romantici tedeschi alla riproposta di Calderón: il teatro del Fénix, sostanzialmente libero e disomogeneo, ne impedisce ogni appropriazione di tipo ideologico. Si suole dire che Lope non ha legato il suo nome ad un «capolavoro» universalmente conosciuto, come succede con Cervantes, per esempio; bisognerà però ricordare che egli ha legato il suo nome allo sviluppo, alla fioritura di un intero genere, che dopo di lui non potrà più essere concepito nella forma che aveva prima. Egli ha lasciato insomma dopo di sé un grande Teatro, quale può essere modernamente inteso. MARIA GRAZIA PROFETI 14
La dama boba La dama sciocca Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva di MARIA GRAZIA PROFETI Traduzione e note di ROSARIO TROVATO
IMMAGINE
Lope de Vega La dama boba Ms autografo
Nota introduttiva
Due sorelle, una sciocca e ricca (per il lascito di uno zio), l’altra povera e dotta, sono corteggiate da due cavalieri. Dopo una serie di intrighi ognuna di esse riuscirà a convolare a giuste nozze; e la sciocca avrà modo di dimostrare una acquisita saggezza, dovuta al più potente dei maestri, Amore. Commedia d’intreccio piacevole e mossa, La dama boba si apre verso nodi problematici e motivi d’interesse di notevole portata. E molte le analisi della pièce: una delle più interessanti la definisce protocommedia di figurón,1 che, come si sa, fa parte della più ampia categoria della commedia «di cappa e spada».2 Si tratta di un sotto-genere che avrà la sua voga maggiore dal 1620 in avanti, per furoreggiare nella seconda metà del secolo; Lope ne diventa in qualche misura anticipatore, anche se rispetto a questo schema La dama boba presenta notevoli divergenze: la protagonista Finea infatti fa parte di una agiata famiglia della capitale e la conclusione della commedia sarà felice; se la fanciulla è all’inizio incapace, come ogni figurón che si rispetti, di capire anche il più semplice dei traslati, è tuttavia dotata di una sua sana adesione alla vita, che potrà evolversi verso «la luz del entendimiento» che è l’amore (vv. 830-31). 1. Quando scrive la commedia, all’inizio del 1613, Lope è arrivato ad una piena consapevolezza teatrale che gli permette di manovrare con sicurezza personaggi e situazioni, per ritagliare i testi addosso agli attori che glieli commissionano: il manoscritto autografo della Dama boba, ad esempio, reca tracce dell’assegnazione delle parti; e possiamo così sapere che fu l’attrice Jerónima de Burgos, con la quale Lope aveva avuto rapporti stretti e forse intimi, ad interpretare la dotta e raffinata Nise; 17
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA
le altre parti sono destinate ad attori della compagnia di Jerónima e del marito Pedro de Valdés.3 Come di consueto Lope struttura i tre atti intorno a sequenze sceniche destinate a mettere a fuoco situazioni e personaggi. Si veda il primo atto, che si apre in una locanda sulla via che da Toledo porta a Madrid: sono addirittura i primi quattro versi a consegnare allo spettatore il luogo dove l’azione si svolge («¡Qué lindas posadas!», v. 1; «¡Famoso lugar, Illescas!», v. 4), con un corredo di topoi a sottolineare la tradizionale scomodità di questi alberghetti, sporchi e pieni di cimici. Siamo dunque «per strada», in una situazione di «transito», aperta a sviluppi futuri: Lope utilizza così il luogo teatrale rivestendolo di una forte carica simbolica. Liseo ciarla col suo servo Turín, gli domanda se ha comprato nastri votivi ed immaginette; il servo a sua volta gli offre da mangiare. Sembrano chiacchiere senza importanza, a cui lo spettatore presenzi furtivamente, eppure hanno una funzione fondamentale: servono a definire lo status sociale di Liseo, cavaliere «cristiano vecchio», senza presenze ebraiche o arabe nella propria ascendenza, dal momento che mangia carne di porco, vietata ai seguaci delle due religioni, e per di più definisce quello del maiale «nombre hidalgo», cioè nobile e di antica prosapia. Serve poi a connotare Liseo come virile e poco incline alle sdolcinatezze del fidanzamento, dal momento che egli rifiuta dei pasticcini e preferisce il formaggio; inoltre permette di introdurre il tema delle fanciulle di Madrid, tanto raffinate e schifiltose da mangiare solo «zucchero, manna e sciroppo» (v. 63). E mentre sottolinea che ha preparato per la cognata Nise «un gioiello di diamanti / perché abbiano i suoi amanti / a lei uguale attaccamento» (vv. 70-72), Liseo chiarisce che ciò che lo attrae di più in Finea è la ricca dote. Il sopraggiungere di Leandro permette una gustosa e rapida descrizione di Madrid, calderone in cui le pedine si confondono; e di definire i caratteri delle due sorelle: se Nise «è una palma / Finea una quercia, senz’anima / e senza discernimento» (vv. 122-24).4 I primi dubbi si accendono in Liseo; così in soli 128 versi fulminanti Lope ha proposto la situazione, che si svolgerà in due successivi segmenti del primo atto. L’azione si sposta ora a Madrid, all’interno della casa di Ottavio, quella casa in cui Liseo aspira ad entrare e dove agiscono le due fanciulle. Nonostante la precedente descrizione della capitale, e qualche accenno caratterizzante in seguito, lo spazio in cui da ora in avanti i protagonisti 18
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si muovono sarà rarefatto fino allo stereotipo. I loro nomi stessi dimostrano questa intenzione di Lope, dal momento che essi non si chiamano Juan, Fernando, Luis, María, o qualsiasi altro nome tipicamente spagnolo, ma Liseo, Leandro, Laurencio, Duardo, Nise e Finea, nomi cari alla convenzione narrativa, spesso di derivazione italiana. Il manoscritto propone un colloquio tra Ottavio e Miseno, che ribadisce le differenze tra le due sorelle (vv. 185-272): cento versi che scompaiono dalla versione a stampa, forse per dare maggiore rilievo ed incisività alla presentazione diretta dei due personaggi. Nel nucleo scenico che va dal v. 273 al 634 le due fanciulle sono viste infatti all’opera, e sono proprio le azioni che si svolgono sotto gli occhi degli spettatori a illustrare i loro mondi contrapposti. La prima battuta che Nise pronuncia, venendo in scena, è: «¿Diote el libro?» (v. 273); e di libri poi parla e conciona, a cominciare da Eliodoro, riferimento obbligato per una persona di cultura nella Spagna dei Secoli d’Oro.5 Ma Nise non si limita alla nuda citazione; essa discetta con eleganza dell’artificio narrativo dell’inizio in medias res e delle differenze tra i vari tipi di prosa; ed ecco invece che viene in scena Finea, alle prese col suo maestro: in una serie di battute che dovevano suscitare le risate degli spettatori non solo appare incapace di distinguere le lettere dell’alfabeto e di dirne il nome, ma non capisce nemmeno che l’esclamazione di disperazione del pover’uomo («¡Linda bestia!», v. 333) si riferisce a lei stessa, e pensa che «bestia» sia il nome della lettera che deve riconoscere. Quello che le interessa sono invece gli avvenimenti semplici e domestici, come il parto di una gattina, che Lope fa raccontare dalla servetta Clara. L’esordio grandiloquente (vv. 413-16) ha fatto pensare ad una satira del «gongorismo»: proprio nell’aprile del 1613 «giunsero a Corte, da Córdoba, le novità dell’arte matura di Góngora: dapprima il Polifemo e, forse, la Soledad primera. Nelle riunioni e nei circoli letterari costituivano l’argomento del giorno».6 Dámaso Alonso illustra in una vivace stampa l’ambiente della capitale, e l’atteggiamento di Lope, la sua «situazione psicologica»,7 che da un lato l’avrà portato alla satira maliziosa di quello stile ampolloso, dall’altro a cercare di rivaleggiare con il Cordovese in oscurità e preziosismo. Non si deve tuttavia dimenticare che si tratta pur sempre di una commedia, indirizzata a un pubblico certamente più vasto degli «addetti ai lavori». Quando Clara inizia, dopo la consueta petizione di attenzione, 19
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preludio a un brillante a solo: «Dal solito posto il sole / spuntava elegante e ricco, / con la sua livrea da re, / di rossa porpora e d’oro...» (vv. 413-16) la satira al cultismo sarà stata recepita dagli intellettuali della capitale, riuniti ad ascoltare la commedia e a fare i loro commenti nella «tertulia», il settore dei corrales loro specificamente riservato;8 gli altri spettatori avranno più semplicemente goduto della antropomorfizzazione del mondo gattesco, tema che Lope riprenderà in anni successivi nel poemetto burlesco la Gatomaquia.9 Ma ecco arrivare in scena i tre cavalieri Duardo, Feniso, Laurencio, che sottopongono al giudizio raffinato di Nise un sonetto («La calidad elementar resiste», vv. 525-38). Inserimenti analoghi sono tutt’altro che infrequenti nel teatro di Lope, come rileva una ricca letteratura critica; d’altro canto l’autore nell’Arte nuevo aveva proprio teorizzato la presenza della forma metrica nel tessuto drammatico, in funzione di pausa lirica: «El soneto está bien en los que aguardan».10 Nella Dama boba l’inserimento non è certo statico, ma squisitamente funzionale all’azione. Il sonetto parla infatti d’amore, dell’amore più alto, ovviamente di matrice neo-platonica (vv. 526-31): l’analisi di questo sfondo filosofico è stata effettuata da una serie di interventi critici.11 Ma la cosa più interessante, e forse non debitamente rilevata, è che la definizione dell’amore viene effettuata proprio davanti alla raffinata Nise, che tuttavia la respinge come incomprensibile; e da qui la necessità di un commento, effettuato da Duardo stesso, che chiarisca i termini filosofici. Duardo spiega dunque come sia «intenzione o argomento» del sonetto «descrivere chi giunge... all’alta contemplazione / di quel puro, immenso amore» (vv. 543-48). Viene quindi illustrata la dottrina dei tre «fuochi», definiti «elementare», «celestiale» e «angelico»; se quello terreno brucia, quello celeste vivifica e quello superiore è infine puro amore. Se Nise chiude ora la scena con la dichiarazione della propria incomprensione e l’esortazione a scrivere chiaramente (v. 579), il tema dell’amore come forza che di per sé infonde intelletto e sagacia verrà riteorizzato, questa volta addirittura da Finea, nel terzo atto: Amore «catedrático divino», finirà per «rompere e sciogliere» la rudezza della fanciulla. Certo il sonetto può essere stato composto in funzione anti-gongorina, come sostiene Dámaso Alonso, e può essere stato inserito nella commedia per dimostrare che lo stesso Lope era in grado di scrivere in maniera complessa ed oscura; un’oscurità, tuttavia, non derivata dall’uso di cul20
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tismi o latinismi, come quella di Góngora, quindi non «di parole», ma dovuta ad una «profondità e difficoltà di pensiero».12 Ma indubbiamente gioca un ruolo fondamentale nella strutturazione della pièce: se l’intelletto «freddo» di Nise non capisce l’argomentazione sull’amore (tanto da aver bisogno di una explanatio), la forza del sentire di Finea giungerà a rivestirla di luce di saggezza ed a farla argomentare in prima persona, e per di più nel metro consacrato all’introspezione; una specie di doppio percorso (chi non sente, come Nise, non può comprendere; ma sentire, come accade a Finea, implica il comprendere) di cui la commedia diventa illustrazione. Per ora il frammento si chiude con Nise che dichiara apertamente il proprio amore a Laurencio, dandogli un biglietto e toccandogli la mano, poiché «solo i fatti hanno valore» quando si ama (v. 614). Tuttavia rimasto solo Laurencio dubita, versando la propria linea introspettiva in un altro sonetto (vv. 635-48), che inizia con un’apostrofe al proprio «pensiero», secondo un classico incipit di Lope: il tema della mancanza di beni materiali viene ripreso e ne scaturisce la decisione di corteggiare la ricca Finea, nonostante la sua rozzezza e ignoranza. Il cambiamento repentino del cavaliere viene spiegato al servo, confidente ed alter-ego, con la metafora della lancetta che rapidamente si sposta sul quadrante: sia pure unica Nise, come l’una segnata dall’orologio; Finea sarà tuttavia da paragonare al mezzogiorno, ora in cui si «mangia»: Laurencio preferisce quindi segnare questa «ora ricca e benedetta, / più sicura e doviziosa» (vv. 677-80). Eccolo all’opera, corteggiare la stolida Finea, che risponde alle sue profferte raffinate ed astratte con consigli su come curare il raffreddore. Finché davanti ad una più trasparente dichiarazione domanda: «Cos’è l’amore?» (v. 769). Laurencio ripropone la teoria dell’amor platonico come desiderio di bellezza, dell’innamoramento attraverso lo sguardo, dell’amore come «luce dell’intelletto» (vv. 770-830) di fronte allo scetticismo di Finea, che tuttavia comincia ad interessarsi all’argomento: «Queste lezioni mi piacciono!» (v. 827). E nello sfondo della scena del corteggiamento, che ribalta in pratica e concretezza ogni aulico teorizzare, anche il servo amoreggia con la servetta, con grotteschi riferimenti alla malattia d’amore (vv. 808-26).13 I commenti di Finea e della sua servetta, una volta sole, non potrebbero essere più significativi: prima l’amore è paragonato a «uno spezzatino», con il richiamo a cibi ben concreti e corporei; poi il corpo, nella sua inte21
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rezza, è chiamato in causa direttamente: nel ritratto che Finea ha ricevuto il suo promesso sposo è raffigurato fino alla cintura, e questa assenza della «parte bassa» la inquieta notevolmente. Attraverso lo scherzo e la pittura della dabbenaggine di Finea, si insinua la suggestione di una «assenza indicibile» (vv. 879-80). Nell’ultima tranche dell’atto (vv. 889-1062) arriva finalmente il promesso sposo Liseo; la cerimoniosa prima visita alla fidanzata si cambia in incubo, di fronte alle risposte rustiche e ottuse di Finea, che vanta un intingolo di trippa (vv. 958-59); Liseo accetta unicamente un bicchiere d’acqua pura (vv. 962-64); e ritorna così il tema del cibo con i suoi portati simbolici. Rimasto solo con il servo Turín, il cavaliere dichiara il suo interesse per Nise e la repulsione a sposare Finea. Appare ora per la prima volta – nella posizione rilevata in chiusura d’atto – il tema dello specchio, teorizzato dal gracioso Turín: Nise è «riflesso» del piacere di Liseo; nel vederla egli depone ogni ira, come il collerico si calma davanti al cristallo che raffigura «la sua ombra»; poiché il piacere, che costituisce la libertà stessa dell’anima, ne è specchio (vv. 1043-44). L’atto si chiude dunque con una coppia ufficiale, Finea-Liseo, coppia apparente, ma rinnegata violentemente dal cavaliere, che si sente attratto verso Nise. Esiste poi una coppia nascosta Nise-Laurencio, anch’essa più apparente che reale, dal momento che il secondo cavaliere agisce come elemento di disturbo della coppia principale (e con ciò mette ovviamente in crisi anche la coppia nascosta), corteggiando Finea, non insensibile a più concrete profferte. L’inizio del secondo atto (vv. 1063-1364) parte da una posizione di stallo: dalle chiacchiere del terzetto Duardo-Laurencio-Feniso lo spettatore apprende che è passato un mese e Liseo ancora non si è deciso a sposare Finea. Ora è Laurencio che in pezzo di bravura (vv. 1079-126) fa le lodi dell’amore e della sua forza civilizzatrice (vv. 1123-26). Assistiamo poi ai complimenti che i cavalieri porgono a Nise per la sua salute recuperata; mentre essa a parte rimprovera a Laurencio il suo cambiamento e di corteggiare la sorella per motivi d’interesse (vv. 124852). Liseo sorprende Laurencio nel momentro in cui tenta di trattenere l’incollerita Nise; e non appena la fanciulla esce sfida a duello il cavaliere. Questi pensa che la sfida abbia origine dal suo corteggiamento a Finea: niente di più probabile che da sciocca essa lo abbia riferito al fidanzato. Si tratta di una scena mossa, segnata da un gioco di entrate 22
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ed uscite molto vivace, come tutto il secondo atto, del resto; mentre la chiusa appare sibillina; un’ombra di «non detto» aleggia tra i personaggi, il cui comportamento (ciò che appare agli occhi degli spettatori) è in contrasto con le intenzioni dichiarate. Entra ora in azione Finea (vv. 1365-580): in una scena parallela a quella del primo atto lo spettatore assiste ad un’altra lezione impartita alla «sciocca», quella di danza; tuttavia adesso la sana solidità della ragazza appare meno bizzarra: quello che essa rifiuta è tanto artificioso saltabeccare, «Solo Lorenzo me agrada» (v. 1431). Nelle sue chiacchiere con Clara si mette in luce una nuova assennatezza: gli uomini cercano nelle donne, con tanto impegno, la costola utilizzata da Dio per creare la loro compagna (vv. 1458-60). Clara racconta la misera fine che ha fatto un biglietto datole da Laurencio, semibruciato per un suo pisolino mentre filava; obbligato il richiamo al fuoco dell’amore, che si appicca alla stoppa della donna (vv. 1483-84). Finea se lo fa leggere, nella sua dabbenaggine, dal padre stesso. Il pover’uomo rabbrividisce per la sventatezza ingenua della figlia, e comincia a farle la morale quando sopraggiunge il servo di Liseo con la novità del duello; Ottavio si precipita per tentare di impedirlo. Una nuova pensosità riveste Finea di fronte alla necessità di «non amare» Laurencio, secondo i precetti paterni. Essa ora teorizza sull’amore come riflesso dell’altro, specchio della propria immagine; il simbolo comincia dunque a costituirsi come uno dei motivi conduttori della commedia. La servetta conclude: «Ascolto attenta e stupisco / di questo tuo mutamento. / Sembri cambiata in un’altra» (vv. 1563-66). E il nucleo scenico si chiude addirittura con un gioco di parole della sciocca, che sottolinea la sua nuova «acutezza» (vv. 1579-80). Con un repentino cambiamento di luogo (1581-667) la scena si sposta alla campagna retrostante il convento degli agostiniani, dove si sta per svolgere il duello tra Laurencio e Liseo; il primo confessa di essere interessato a Finea, e questo tranquillizza Liseo, sempre più innamorato di Nise; i due cavalieri promettono di aiutarsi a conquistare ciascuno la propria bella. Lo sbalordito Ottavio che sopraggiunge non può che constatare il bell’accordo tra i due. Questo frammento scenico si svolge in endecasillabi, sia per la gravità del momento, che sfiora il confronto a fil di spada, sia perché in esso agisce Ottavio: la sua entrata in scena, infatti, è quasi sempre marcata dal metro nobile (si vedano i vv. 1485-540, e i successivi 1788-824) di origine italiana e dotta. 23
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Questo è il primo di una sequenza di scambi a due, in cui la dinamica delle coppie tende a strutturarsi attraverso una serie di patti. Nonostante il radicale cambiamento di luogo (che ritorna all’interno della casa di Ottavio), il confronto continua infatti con il colloquio tra Nise e Finea (1668-706), che è tanto cambiata da tener testa alla sorella; magari non è in grado di capire l’allusione ai fiori di anacardio come potenziatori della memoria (vv. 1677-78), ma può effettuare un gioco di parole su prenda / empeñar / desempeñar (vv. 1683-86). Il buon carattere e la docilità di Finea si mettono in luce: di fronte alle proteste di Nise, che rivendica per sé Laurencio, decide generosamente di lasciarglielo; e nel successivo confronto col cavaliere gli domanda di «togliere gli occhi» dai suoi e di non abbracciarla, visto che il padre se ne è inquietato. Il che permette una divertente scenetta: il giovane finge di togliere con un fazzoletto i suoi occhi dagli occhi di Finea, e la «disabbraccia», abbracciandola di nuovo (vv. 1707-64). Mentre la sopraggiunta Nise e Laurencio si appartano (vv. 176578), Finea incomincia a sentire i morsi della gelosia (vv. 1779-86), e partecipa – ancora una volta ingenuamente – i propri sentimenti al padre, che può concludere «Ha già qualche barlume di ragione. / Penso e mi vado convincendo che / se Amore le insegnasse, apprenderebbe» (vv. 1813-14). Esce Ottavio e rientra Laurencio, mentre l’endecasillabo, quasi appannaggio del vecchio e dignitoso padre, cede di nuovo alle redondillas. Finea domanda al giovane di guarirla dalla gelosia, ed egli ne approfittta per farsi dare davanti a Duardo e Feniso promessa di matrimonio; esce poi con loro per formalizzare l’atto di fronte a un notaio (vv. 1831-908). Ottavio rientra rimproverando Nise di essersi intrattenuta con Laurencio in un colloquio privato; il provero padre si vede minacciato da più parti, e di fronte alla giustificazione di Nise («è per me come un maestro», v. 1915) ricorda la storia di Juan Latino, negro e schiavo, che a forza di insegnare alla figlia di un consigliere di Siviglia riuscì a sposarsela: ecco i risultati della coniugazione del verbo «amare»! (vv. 1915-26). Così Lope riesce a inserire adeguatamente un raccontino che asseveri la forza dell’ammaestramento, ed a citare il suo protettore, «il grande duca di Sessa / vanto di Spagna e d’Italia» (vv. 1921-22). Ma mentre Ottavio fa la morale a Nise, ecco che viene a sapere che Finea ha dato parola a Laurencio, davanti a testimoni, di diventare sua sposa. Così il povero vecchio esce per cercare un notaio che finalmente accasi la sempre più ingovernabile «boba» con Liseo. Ma sopraggiunge quest’ul24
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timo, che domanda a Nise se Laurencio si è fatto interprete presso di lei dei sentimenti d’amore che egli prova; Nise trasecola e poiché arriva in scena Laurencio gli dirige affettuosi complimenti fingendo di parlare con Liseo (1991-2032). Il secondo atto si chiude dunque sul massimo della confusione: la coppia Finea-Laurencio appare già assestata; anche se contro di essa lavorano una serie di ostacoli: la promessa di matrimonio che il padre ha fatto a Liseo e che intende rispettare (tanto che esce a cercare un notaio) e la pervicacia di Nise, decisa a sposare il suo Laurencio, tanto che gli reitera la sue profferte, fingendo di porgerle a Liseo. Ma i due cavalieri perseguono ciascuno il suo scopo: si tratta ora di ingannare Nise, «perché ingannare un astuto / è la vittoria più grande» (vv. 2031-32). Il primo nucleo del terzo atto ci presenta una Finea ormai saggia, che in un articolato soliloquio in raffinate décimas riflette sull’amore e sui suoi effetti civilizzatori (vv. 2033-72). E Clara sottolinea come la fama della sua nuova avvedutezza si sia già sparsa (vv. 2089-90). Intanto Ottavio conversa con l’amico Miseno; e lo mette a parte del suo desiderio di accasare anche Nise, troppo persa dietro la poesia, e tutta presa dalla Accademia che intrattiene in casa. Ma insomma «perché una donna si impiccia / di Petrarca e Garcilaso / quando i suoi Virgilio e Tasso / sono il filare e il cucire?» (vv. 2109-12). Il padre stila un elenco delle frequentazioni della bas bleu, vera e propria antologia di belle lettere seicentesche, dove Lope indulge a ben tre autocitazioni (vv. 2117-32), senza risparmiare frecciate al gongorismo (vv. 2102-04). Come si vede dal passo, Lope considera letture fondamentali di una dama à la page la prosa della novela bizantina, su cui abbiamo visto Nise pontificare alla sua prima apparizione in scena, quella del romanzo pastorale (La Galatea di Cervantes) e della picaresca (il Guzmán di Mateo Alemán); nella poesia figurano, accanto ad autori sommi come Camões o Herrera, amici di Lope, oggi molto meno conosciuti, come Juan de Arguijo e Liñán,14 o Luis Vélez de Guevara; né mancano in questo canone le commedie di Guillén de Castro:15 il loro consumo attraverso la lettura appare dunque sempre più abituale, tanto che Lope manifesterà di lì a poco l’intenzione di stampare le sue direttamente. Si esaminino anche le autocitazioni: le Rimas (1604), El peregrino en su patria (1604), Los pastores de Belén (1612); evidente il sapore di autopromozione che i riferimenti assumono: Lope rimanda a una stampa 25
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dell’anno anteriore, nel caso dei Pastores, o richiama due suoi testi che egli considera fondamentali: la summa del Peregrino e le proprie liriche, la cui divulgazione cura sempre in modo speciale, fin dalla prima edizione di Sevilla 1604; ed in effetti il successo fu notevole, come attestano le molte edizioni.16 Il frammento si chiude con il richiamo al Don Chisciotte, ormai classico della letteratura comica: Nise, con le sue stramberie libresche, potrà diventare «una don Chisciotte femmina / che farà ridere il mondo» (vv. 2147-48). Liseo tenta di conquistare Nise, e ne ottiene solo ripulse; ma è il momento del riconoscimento pubblico della nuova grazia di Finea, che danza insieme alla sorella con eleganza e garbo (vv. 2201-326). La scena della danza non appare dunque quale mero ornato coreutico della commedia, ma gioca una precisa funzione nella sua struttura, come parallelo positivo rispetto alle lezioni fallite che appaiono nel primo e nel secondo atto; ed ancor più se si tien conto delle parole della canzone che accompagna il ballo: la satira dei nuovi ricchi che ritornano dalle Americhe e che trovano subito dame disposte ad amarli in virtù del denaro accumulato e delle vesti eleganti che esibiscono. Il desiderio smodato di denaro, specie se distorce il sentimento nobile dell’amore, viene così stigmatizzato. Scena fondamentale, dunque, tant’è vero che dopo di essa Liseo si decide a lasciar perdere Nise e ad affrettare le nozze con Finea, come riassume il servo Turín (vv. 2347-51). Laurencio ne viene informato proprio da Turín, e si dispera: è stato il suo amore a produrre il cambiamento, ed ora la «nuova» Finea sarà premio di Liseo. Ecco dunque la ex-boba all’opera, argomentare con finezza sull’amore come «specchio»: tema che si era già presentato e che ora viene ripreso e sviluppato (vv. 2411-22). Ai garbati luoghi comuni di una lunga tradizione amatoria Laurencio risponde che tanta eleganza è addirittura eccessiva per una brava moglie; essa deve solo saper reggere la propria casa e tacere: perle antifemministe, insomma, da far oggi accapponare la pelle. Ma Finea è diventata tanto saggia che potrà addirittura fingere la propria sciocchezza, per far disinnamorare Liseo. D’altro canto – ennesimo luogo comune – le donne sono tanto abili che sanno simulare ancora prima di essere nate, ingannando i padri desiderosi di un sospirato maschio (vv. 2490-513). E difatti: Liseo di fronte alle finte sciocchezze di Finea (notevole il passo sulle «anime» ed il timore che essa dice di provare per questa astrazione, 26
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vv. 2575-611) cambia di nuovo parere, dopo discettazioni su assennatezza, sciocchezza e pazzia: «torno da Nise» (v. 2597). Appena uscito di scena Finea recupera la sua intelligenza, sottolineando quanto è ormai penoso per lei simulare una dabbenaggine che le è estranea (vv. 262223). Ancora un confronto Nise-Laurencio, con Finea che passa a comando dalla saggezza alla sciocchezza contraffatta. Certo è che questi suoi cambiamenti son meno violenti di quelli dei due cavalieri, e non a caso la dama – nel momento in cui si finge sciocca – ricorda le differenti fasi della luna. La luna, richiamo obbligato per ogni pazzia che si rispetti, in questa follia falsa diventa pretesto per una disquisizione molto più sagace di quel che sembri (vv. 2537-47). Dopo la icastica dichiarazione di Finea «quiero / desquitarme de ser boba» (vv. 2628-29) si entra nella parte finale della commedia (vv. 26303184). Il labirinto delle apparenze e dei cambiamenti è retto dalle vertiginose e continue uscite dei personaggi, che Lope annota in forma estremamente sintetica nel suo manoscritto. Ancora Nise spia i complimenti di Finea e Laurencio (2630-76); Finea finge di nuovo la sua antica candidezza, con un superbo pezzo sulle anime (2703-32), che può adesso interpretarsi come sua incapacità di comprendere i traslati della sorella, ma anche come allusione raffinata al suo amore per Laurencio, nel quale solo risiede la sua anima (2707-12). Il falso e il vero si confondono, davanti a Feniso e Duardo in funzione di testimoni. Nise esorta il padre a bandire Laurencio dalla casa (2744-46); e detto fatto Ottavio mette alla porta il cavaliere, nonostante questi dichiari di essersi sposato con Finea; ma sarà proprio la scioccherella che trova il rimedio: visto che a Laurencio è stato imposto di non tornare più a casa di Ottavio, vi rimanga; sarà nascosto in soffitta, ed al padre Finea dichiara che egli non metterà più piede in città. Approfitta poi di un suo suggerimento per dichiarare che da ora in poi lei stessa si nasconderà in soffitta non appena vedrà degli uomini; e all’arrivo di Liseo si allontana: «Nessun uomo mi vedrà / a eccezione del mio sposo» (vv. 2877-78). L’anfibologia domina dunque sovrana: ciò che agli occhi del padre o di Liseo sembra un comportamento stravagante, cioè «da sciocca», allo spettatore si rivela come strategia consapevole. Liseo rompe il patto matrimoniale appena stipulato, di fronte alla nuova idiozia in cui Finea sembra caduta (vv. 2879-930); mentre Finea e Clara fanno le lodi della soffitta, cioè del luogo appartato e solitario dove la vera 27
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saggezza trova il suo naturale ricovero; non senza allusioni ad avvenimenti contemporanei, ormai perduti per il lettore di oggi, ma che dovevano essere ben riconoscibili e godibilissimi per lo spettatore del tempo. Ma quando anche Liseo sta per allontanarsi definitivamente, Nise cede al suo corteggiamento (vv. 3027-72); e nel contempo l’inganno di Finea viene svelato; le proteste e le grida di Ottavio di fronte alla «scostumatezza» della figlia sono una mera ed esterna obbedienza alle convenzioni; il padre sarà ben contento dell’accomodamento finale col doppio matrimonio. Anzi, con un matrimonio quadruplo, perché anche i servitori delle due coppie si sposeranno tra loro. Commedia, dunque, soltanto in apparenza superficiale e brillante, poiché la «sempliciotta» non solo ha imparato a leggere, ad esprimersi correttamente, o a danzare, ma dimostra di essersi ben impadronita dei meccanismi del raggiro e dell’inganno. Finea è diventata insomma e per davvero specchio di Laurencio, non solo riflettendone innamorata l’immagine, e quindi «incivilendosi» (negli aspetti positivi che questo comporta), ma adottando le sue tattiche ingannevoli, mezzi di convivenza civile di cui viene svelato l’implicito valore negativo. Non a caso nel brano sulla soffitta appare una spia precisa: «Tiénele el desván / como el espejo, engañado» (vv. 2977-78). Dove, come si vede, il tema dello specchio si unisce a quello dell’inganno. 2. Della Dama boba conserviamo non solo l’autografo, ma anche una stampa curata dallo stesso Lope, nella Parte IX delle sue commedie, pubblicata nel 1617. Nel 1617 Lope appare fermamente intenzionato a stampare direttamente le sue commedie. Ha 55 anni; è unanimemente riconosciuto come il più grande autore teatrale del suo tempo ed i suoi proventi sono di tutto rispetto. La vendita delle commedie ai capocomici può fruttargli fino a 500 reali;17 le sue spese sono sempre notevoli, e continue le sue lamentele presso il Duca di Sessa, suo mecenate, tuttavia può contare su un gettito costante, che la sua facilità di scrittore, e una formula drammaturgica ormai consacrata, gli assicurano. Ma già da vari anni, dal 1603 per l’esattezza, deve vedere le sue fatiche di scrittore – pubblicate fuori dal suo controllo – arricchire gli stampatori, che comprano sotto prezzo dai capocomici le commedie già «usate» sui palcoscenici. 28
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Così dichiara il Prólogo al lector della Primera parte: Anda en nuestros tiempos tan valida el arte cómica, y son tan recebidas las comedias, que habiendo llegado a mis manos estas doce de Lope de Vega, las quise sacar a luz y comunicarlas con los que por ocupaciones o por dificultad de no llegar a sus pueblos representantes, dejan de oírlas en los públicos teatros, para que, ya que están privados de lo uno, puedan gozar en lectura lo que le es difícil por otro camino. Recibe pues, o lector, mi ánimo; y si viere que este volumen fuere bien recebido, ofrezco otro de todos los más graves autores que en esta materia han escrito.18
Verso il 1603, dunque, il testo stampato si propone come sostituto del testo spettacolo. Sarà utile anche ricordare che in edizioni successive della stessa Parte primera questo prologo dello stampatore sparisce: forse è un indizio che si cominciava ad apprezzare il testo letterario in sé, e non come succedaneo della rappresentazione. Quando Lope si rende conto che il testo letterario per il teatro può contare su un buon mercato, tenta di pubblicare direttamente le proprie commedie; e per farlo deve effettuare una serie di operazioni. Innanzi tutto è evidente la sua preoccupazione per la definizione del proprio corpus: già nel 1604, nel Peregrino en su patria, egli fornisce una lista delle sue commedie; ed il Peregrino sarà così destinato, con le sue molteplici e successive edizioni, a diventare una specie di bibbia degli aficionados di Lope. Né certo puramente gratuite le lodi tributate ai vari capocomici nel congedo del Peregrino stesso, elogi numerosi e convenzionali: Lope è interessato a blandire i «possessori» dei suoi copioni, a stabilire con essi rapporti amichevoli.19 Poi deve rivalutare dal punto di vista letterario il testo della commedia; e giungerà a redigere un manifesto teorico della propria maniera teatrale, l’Arte nuevo de hacer comedias, che pubblica nel 1609. Da questo punto di vista il trattatello si può leggere come rivendicazione della natura «letteraria» del testo per il teatro, come sua proiezione nel quadro della tradizione classica, anche se ormai da essa dissimile, come asseverazione della sua dignità artistica, caratteristiche che lo sottraggono insomma al possesso definitivo e assoluto dei capocomici. 20 Non è una battaglia facile; è ben conosciuta la causa promossa, e persa, da Lope contro lo stampatore Francisco de Avila: Lope si dirige al Re sottolineando come sia a conoscenza che l’Avila ha richiesto la «licenza» 29
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per stampare «24 commedie» (corrispondenti alle Parti VII e VIII), e «suplica a V. Alteza sea servido de mandar que este ni otros no impriman las dichas comedias y obras, sin que él por lo menos las vea y corrija, señalando las que son de su mano».21 L’Avila replica che egli ha ben comprato i testi, a suo tempo venduti da Lope a due capocomici, Baltasar de Pinedo e Luis de Vergara; che le commedie sono sicuramente di Lope ed i testi affidabili; ed esibisce i contratti di acquisto (bassissima la cifra che i due capocomici avevano ricevuto per le commedie «usate»: Pinedo dalle prime dodici ricava 50 reali; María de la O, vedova di Luis de Vergara, per tramite di Juan Fernández, riceve 72 reali per altri dodici testi). Si notifica a Lope l’inizio del procedimento il 14 agosto del 1616; egli però si trova a Valencia, dove è andato a ricevere il Conte di Lemos; in sua assenza il tribunale emette la sentenza: nonostante che l’avvocato di Lope insista che «Dijo que él no vendió las dichas comedias a los autores para que se imprimiesen, sino tan solamente para que se representasen en los teatros»,22 viene concessa la licenza di stampa a Francisco de Avila.23 Ma riaffermato che il testo letterario non è opera di «tutti» o di «molti» (compagnia, stampatori, ecc.), e che invece – come opera letteraria – è proprietà diciamo «morale» di chi la compose (e tutto ciò molto tempo prima che si «inventasse» il concetto di diritto d’autore), Lope riuscirà infine a pubblicare in proprio le sue commedie a partire dal 1617, quando appare a Madrid la Parte IX, sotto il titolo orgoglioso di Doce comedias de Lope de Vega Carpio, sacadas de sus originales por él mismo. Dopo di che potrà farsi carico in prima persona della stampa delle sue Parti, dalla IX alla XX.24 Certo la carta che Lope sta giocando nel 1617, della stampa diretta dei suoi testi, è per lui molto importante, come attesta il Prologo alla stessa Parte IX, dove riaffiora amaramente l’esito infelice della precedente causa legale, e si ribadisce che i testi passati per le mani dei capocomici risultano pesantemente adulterati: Viendo imprimir cada día mis comedias de suerte que era imposible llamarlas mías, y que en los pleitos desta defensa siempre me condenaban los que tenían más solicitud y dicha para seguirlos, me he resuelto a imprimirlas por mis originales, que aunque es verdad que no las escribí con este ánimo, ni para que de los oídos del teatro se trasladaran a la censura de los aposentos, ya lo tengo por mejor que ver la crueldad con que despedazan mi opinión algunos intereses. 30
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Este será el primer tomo, que comienza por esta novena parte, y así irán prosiguiendo los demás.25
Questa genuinità dei testi ora stampati viene perfino sottolineata dall’amico Juan de Piña, che stila la Aprobación del volume il 28 aprile 1617: «Ninguna de sus comedias mejor merecen salir a luz, por ser de sus mismos originales».26 Eppure a volte si è pensato a una specie di scelta ed assemblaggio di commedie raffazzonate, sulla base dei manoscritti posseduti dal Duca di Sessa come, con la sua garbata piaggeria, dichiara la dedica al Duca: De los papeles que Vuestra Excelencia tiene míos saqué estas doce comedias, que le restituyo impresas, porque se verifique que no le puedo dar cosa mía que no sea suya, y aunque en ellas no hay más que pensamientos míos, por lo menos servirán de que todos sepan que Vuestra Excelencia es dueño mío, hasta de los pensamientos.27
Le dodici commedie che Lope riunisce per questa tanto sospirata operazione, anche commerciale, campionano varie maniere della sua scrittura teatrale: il racconto proiettato su uno sfondo turco nella Doncella Teodor, che ripropone il tema della dama dotta vincitrice dei più ragguardevoli studiosi; un truculento fatto di cronaca che vede protagonista un corsaro arabo fatto schiavo e ribelle davanti alla crudeltà del proprio padrone ne El Hamete de Toledo; una serie di intrecci amorosi in commedie «di cappa e spada» come El ausente en el lugar, La niña de plata, Los melindres de Belisa; l’affresco pseudo-storico del Animal de Hungría; il racconto affabulato di vicende del medioevo spagnolo nella Varona castellana; o la linea puramente novellesca della peripezia nella Hermosa Alfreda e Del mal lo menos. A parte quelle commedie la cui data è frutto di congetture,28 ve ne figurano due di cui conserviamo l’autografo: La doncella Teodor, purtroppo non datato (forse la commedia è del 1610-15 o 1610-12), la stessa Dama boba, del 1613, come s’è visto; più il primo atto de Los melindres de Belisa. Di una, La hermosa Alfreda, sappiamo che era già stata scritta il 2 marzo 1601; e della Varona castellana possediamo un manoscritto di copia, datato 2 novembre 1599. Quindi Lope riprende e pubblica perfino commedie scritte quasi vent’anni prima, come La hermosa Alfreda o La varona castellana. Questa commedia gli era stata commissionata da Baltasar de 31
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Pinedo; e Lope l’aveva confezionata a misura per la sua compagnia, che poteva contare sulla presenza dei figli del capocomico, attori precoci, e sulla moglie, Juana de Villalba, specializzata in ruoli di donna forte; capacità che Lope sfrutta abilmente, utilizzando in questo caso fonti di storia patria per costituire uno sfondo credibile alle vicende di tanto diversi personaggi. 29 È logico supporre quanto meno una rilettura dei vecchi copioni, e magari un adattamento di testi tanto lontani nel tempo e legati alle esigenze di una peculiare committenza. Mi limiterò qui a poche e sparse osservazioni che si riferiscono alla Dama boba. Come si è visto la commedia era stata scritta per la compagnia di Jerónima de Burgos,30 a cui il commediografo aveva poi consegnato il proprio manoscritto. Così infatti Lope scrive al Duca di Sessa: En razón de las comedias, nunca Vuestra Excelencia tuvo La dama boba, porque esta es de Jerónima de Burgos, y yo la imprimí por una copia, firmándola de mi nombre.31
Ora questa «copia» da lui firmata, e che pertanto si immagina affidabile, si cambia nel giudizio di García Soriano in una «mala copia»;32 e le divergenze tra manoscritto e testo stampato vengono giudicate «variantes y cambios [...] tan grandes y numerosos, que no pueden atribuirse a simples errores de una copia visual, sino a correcciones deliberadas o, lo que ahora sabemos, a los vicios inherentes a una reproducción auditiva».33 Poi García Soriano identifica la fonte della stampa, fonte che reputa tanto pesantemente adulterata, in un manoscritto della Nacional, n. 14956, firmato da Luis Ramírez de Arellano; il criterio, ben poco scientifico, è la coincidenza delle varianti del manoscritto con la stampa. Fortunatamente in tempi recenti tutta la questione testuale, compresa la valutazione del manoscritto non autografo è stata ripercorsa con acribia da Marco Presotto, al quale dunque si può fare ricorso per la valutazione dei rapporti tra i vari testimoni, e per la fissazione del testo.34 Ma è fin troppo evidente che nell’esame delle varianti il giudizio può oscillare in dipendenza dalle proprie personali propensioni. La stampa ad esempio sopprime i vv. 81-84, e le argomentazioni sul taglio possono essere doppie e divergenti: il difensore della tradizione manoscritta dirà che sono versi essenziali, che chiariscono cosa vuole e si aspetta Liseo: dei 32
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bei soldoni in dote; ma se si difende una rilettura da parte dell’autore prima della stampa si potrà argomentare che forse questo aperto ed evidente riferimento andava bene per un testo recitato, e che invece Lope, affidandosi al meditato giudizio della lettura (alla «censura de los aposentos») sopprime una allusione al denaro tanto sfacciata. E lo stesso dicasi per i vv. 125-128, ugualmente omessi nella Parte IX: troppo schematica e contrapposta la presentazione di Nise («es mujer tan discreta,/ sabia, gallarda, entendida») e di Finea, come «encogida,/ boba, indigna y imperfeta». O si pensi all’intera scena dei vv. 185-272, ugualmente sopressa nella stampa: qui si potrà sensatamente argomentare che si tratta di un colloquio tra due soli personaggi, una scena pesante, piuttosto statica e perfino inutile, visto che torna a dare informazioni di cui il destinatario è già in possesso, o che saranno fornite attraverso le azioni successive. Una scena per di più scritta in endecasillabi, verso «passato di moda» nella seconda decade del secolo XVII.35 E poco difendibile il contenuto, che di nuovo prevede la presentazione contrapposta delle due fanciulle, tutte e due connotate troppo nettamente e negativamente; oltrettutto ancora una volta insistito il richiamo al vile interesse pecuniario, poco elegante e meno adeguato a una lettura. Un ultimo campione: all’inizio del secondo atto nella stampa mancano i vv. 1099-122, dedicati a una nuova definizione dell’amore; anche ora si può ragionevolmente supporre che si tratti della volontaria omissione di un frammento considerato troppo esteso e ripetitivo. Insomma: io credo che si indovini nelle espunzioni una precisa strategia: si cancella sempre il riferimento troppo esplicito al denaro, come nel caso della omissione nella Parte dei vv. 1309-20, o 1600-39 (con i vv. 1618-19 particolarmente volgari e bassi), e perfino della canzoncina ballata, che ovviamente era più che importante per la messa in scena, ma assolutamente noiosa a leggerla; e magari già «vecchia» nel 1617 (vv. 2221-318). Si tagliano poi i lunghi passi sull’amore platonico, come i vv. 2063-72. E si omettono i riferimenti episodici a casi contingenti, come nel brano sulla soffitta (vv. 2939-62, 2967-74, 2983-86). È ovvio che anche la stampa potrà avere le sue pecche, dato che la prassi coeva non prevedeva certo una «correzione delle bozze», e citerò a mo’ d’esempio il commento al sonetto, dove la Parte presenta alcuni luoghi che sembrano errori di trascrizione del compositore dei piombi:36 luoghi tutti dove l’aiuto della prima redazione manoscritta sarà prezioso. 33
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Ci sarà da aggiungere un corollario, forse pleonastico, ma non inutile. Qualora si privilegi come testo base di edizione la stampa, considerandola specchio della volontà dell’autore, l’autografo non perde certo la sua importanza. Esso al contrario attesta una redazione primitiva che ci permette di segnare il percorso di una rielaborazione, ci introduce nella «officina» di Lope, con il suo gioco di espunzioni e di assestamenti. Ricarica cioè di nuovo senso quelle che a un occhio diversamente orientato sembravano letture degradate. Un solo esempio: nel registrare le divergenze tra i due testi, Schevill le illustra sempre a favore dell’autografo. Così per il v. 1, che recita «que buenas» nella stampa e «que lindas» nel manoscritto: lo studioso americano sottolinea che Lope usa costantemente la seconda dizione, arrivando perfino a giustificarla nella dedica della Viuda Valenciana, forse in seguito a critiche ricevute.37 Ma cosa avrebbe impedito a Lope, se preferiva la lettura «lindas», di ripristinarla prima di passare il testo in tipografia? La stampa non testimonierà invece un ripensamento dell’autore, visto che gli si era rimproverato l’abuso di «lindo»? Tanto più che al v. 368 la stampa espunge ancora un «lindo» e favore di «gentil»: evidente prova a favore, a mio vedere, dell’ipotesi di rilettura. 3. Del sonetto inserito nella Dama boba ai vv. 525-38 Lope mostra di fare gran conto; anzi, secondo Damaso Alonso, questo sonetto costituisce una vera e propria ossessione dell’autore.38 Tre anni dopo la stampa della Parte IX lo presenterà di nuovo nella Filomena; e poi ancora, con una estesa esplicazione in prosa, nel volume miscellaneo La Circe.39 Di per sé la riproposta del sonetto pare significativa; ed ancor più il doppio autocommento: per bocca dello stesso personaggio che lo recita, nella commedia; e sotto forma di estesa trattazione in prosa nella Circe.40 La Circe è libro singolare e composito: tre poemi – La Circe stessa, La rosa blanca e La mañana de San Juan –, sono seguiti da tre novelle indirizzate a Marcia Leonarda, ossia all’amante Marta de Nevares, e da nove epistole, le prime sei in versi, le ultime tre che cuciono insieme traduzioni di salmi e proposte di sonetti: proprio l’ultima di esse costituisce l’autocommento che ci interessa. Nel 1621-24 il trionfo della maniera di Góngora appare inarrestabile; e la Circe intera può essere letta come la reazione di Lope al dilagare del cultismo, fino dai tre poemi inziali, risposta sul piano della prassi alla scuola 34
NOTA INTRODUTTIVA
del cordobese. Ma con Góngora bisogna ora venire a patti; egli non può più essere sbrigativamente censurato, se non altro perché la necessità di innovamento poetico e l’«eleganza» propugnata a proposito della prosa di intrattenimento spingono la scrittura verso il preziosismo. Uno dei sonetti inseriti nella Circe non potrebbe essere più significativo:41 il poeta di Córdoba viene definito non «oscuro», ma «claro», «dulce», «puro»; sono invece i suoi commentatori che lo insozzano di «spume vili» e i suoi imitatori che precipitano, Icari incauti, avvicinando le «penne» (ovviamente in duplice accezione) al sole divino del poeta betico. Ecco dunque che nel commento al sonetto «La calidad elementar resiste» l’alta dignità della «difficoltà» filosofica e scientifica viene rilevata in apertura e chiusura, come diversa ed opposta alla mera difficoltà formale, di marca gongorina: Es cosa para burlarse deste siglo la facilidad con que muchos hablan en lo que no entienden [...] Si estuviera la dificultad en la lengua (como ahora se usa) confieso que se quejaran con causa; pero estando en la sentencia, no sé por qué razón no ha de tener verdad lo que no alcanzan. Ya vuestra merced ha visto la explicación de lo que en este soneto pareció a los críticos deste tiempo enigma [...] Yo tengo lástima a los círculos y ambages con que se escurecen, por llamarse cultos.42
A dichiarazioni del genere fanno eco certe doglianze della Epístola septima nella stessa Circe, dove si censura la mania di ...introducir una nueva lengua, que aunque nos dan a entender que no es gramática nueva, sino exornación altísima de la poesía, lejos de la profanidad del vulgo [...] bien sabemos que sienten de otra manera que lo dicen, y desviando del verdadero sentido los lugares. ¿Qué dirá de esa claridad castellana? ¿De esa hermosa exornación? ¿De ese estilo tan levantado con la propia verdad de nuestra lengua? Sin andar a buscar para cada verso tantas metáforas, gastando en los afeites lo que falta de faciones, y enflaqueciendo el alma con el peso de tan excesivo cuerpo.43
E proprio l’esordio della Epístola septima riconduce al binomio pratica/ teoria:
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA
A mí no me espantan, Señor Excelentísimo, prosas ni lugares citados [...], sino el escribirla y mostrarnos cómo luce en la práctica lo que nos enseñan en la teórica.44
Il sonetto viene dunque riproposto come performance pratica a cui seguirà la riflessione dotta e sentenziosa, infarcita di citazioni magari inesatte45 che spaziano da Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Teofilo Folengo, a Platone, Aristotele, Plotino, Euripide, Seneca, Cicerone, passando per Giovanni Crisostomo, Dionigi Areopagita, Adrien Turnèbe, Philippe Desportes, e che culminano addirittura in un’autocitazione («como dije en el cuarto soneto de mis Rimas Sacras...»). La funzione che testo e commento assolvono è quindi duplice: il sonetto vuol dimostrare – come sostiene Dámaso Alonso – che il suo estensore è capace di raffinatezze ed oscurità, non formali, tuttavia, ma «di concetto»; e il commento placa la nuova ansia teoretica di Lope.46 Quella stessa ansia teoretica che presiede alla stesura della Epístola septima, letta da Andrée Collard come serrata argomentazione contro il cultismo.47 Ci troviamo dunque di fronte a una sorta di percorso dell’autocommento: quello inserito nella commedia si rivela magari parte di un contesto polemico, ma funzionale al processo scenico; si passa poi a una proposta più speculativa, alla lunga disquisizione in prosa, quando la polemica deve essere articolata con maggiore consapevolezza. A questo doppio percorso letterario si potrà forse affiancarne uno biografico, certo più labile e indimostrabile. Nella Filomena il sonetto appare sotto l’epigrafe «Castitas res est»; ed ancor maggiore dignità riceve dal vasto e dotto autocommento nel 1624: mi domando se tutto ciò non faccia parte di un progetto di Lope, interessato a proporsi come «amante distaccato dal peso del corpo» in un momento in cui infuriava la polemica circa i suoi amori sacrileghi (Lope era sacerdote) e adulteri con Marta de Nevares.48 4. La commedia ci è pervenuta in vari testimoni seicenteschi, illustrati e comparati da Presotto.49 I più rilevanti di essi sono il manoscritto autografo e firmato – come s’è visto – datato Madrid 28 Aprile 1613, conservato presso la Biblioteca Nacional di Madrid, collocazione Vitrina 7-5; e le «Doce comedias de Lope de Vega, sacadas de sus originales por el mismo, Dirigidas al excelentísimo señor don Luis Fernández de Córdoba y Aragón, 36
NOTA INTRODUTTIVA
Duque de Sessa [...], Novena parte, Año 1617, [...] En Madrid, por la viuda de Alonso Martín de Balboa, A costa de Alonso Pérez, mercader de libros», ff. 256r-275v: ho utilizzato per il confronto l’esemplare della Biblioteca Nacional di Madrid [R-13860]. Nel sec. XIX le edizioni si sono basate sulla stampa; si veda quella di Juan E. Hartzenbusch in Biblioteca de Autores Españoles, vol. XXIV; o quella che appare in Teatro selecto antiguo y moderno, nacional y extranjero, ed. Francisco de Orellana, Barcelona 1866-68. Ma nel nostro secolo con costanza viene considerato testo-base il manoscritto: citerò ad esempio l’edizione di Rudolph Schevill, The dramatic art of Lope de Vega together with «La dama boba», Berkeley 1918; o quella proposta nelle Obras de Lope de Vega, a cura di Justo García Soriano, Nueva edición académica, XI, Madrid 1929; nonché le più recenti di Rosa Navarro Durán, Barcelona, Planeta, 1976; di Diego Marín, Madrid, Cátedra, 1987; di Marco Presotto per Prolope, 2007.50 L’edizione che utilizziamo come base per la traduzione è quella di Diego Marín; tuttavia ho effettuato un controllo sia dell’autografo, sia della Parte IX. Come di consueto ho indicato con parentesi quadre gli interventi e le aggiunte necessarie; e sono talora intervenuta sull’interpunzione. MARIA GRAZIA PROFETI
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LA DAMA BOBA PERSONAS
LISEO,
caballero lacayo LEANDRO, caballero OTAVIO, viejo MISENO, su amigo DUARDO, caballero LAURENCIO, caballero FENISO, caballero TURÍN,
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RUFINO,
maestro dama FINEA, su hermana CELIA, criada CLARA, criada PEDRO, lacayo [MÚSICOS] [UN MAESTRO de danzar] NISE,
LA DAMA SCIOCCA PERSONAGGI
LISEO,
gentiluomo paggio LEANDRO, gentiluomo OTTAVIO, vecchio MISENO, suo amico EDUARDO, gentiluomo LORENZO, gentiluomo FENISO, gentiluomo TORINO,
RUFFINO,
maestro dama FINEA, sua sorella CELIA, serva CLARA, serva PIETRO, paggio [MUSICI] [UN MAESTRO di danza] NISE,
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Liseo, caballero, y Turín, lacayo; los dos de camino LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO
TURÍN LISEO TURÍN LISEO
TURÍN LISEO TURÍN
LISEO TURÍN
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¡Qué líndas posadas! ¡Frescas! ¿No hay calor? Chinches y ropa tienen fama en toda Europa. ¡Famoso lugar Illescas! No hay en todos los que miras quien le iguale. Aun si supieses la causa... ¿Cuál es? Dos meses de guindas y de mentiras. Como aquí, Turín, se juntan de la Corte y de Sevilla, Andalucía y Castilla, unos a otros preguntan, unos de las Indias cuentan, y otros con discursos largos de provisiones y cargos, cosas que el vulgo alimentan. ¿No tomaste las medidas? Una docena tomé. ¿Y imágenes? Con la fe que son de España admitidas, por milagrosas en todo cuanto, en cualquiera ocasión, les pide la devoción y el nombre. Pues, dese modo, lleguen las postas, y vamos. ¿No has de comer?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Liseo, gentiluomo, e Torino, servo, entrambi in abito da viaggio. LISEO TORINO LISEO TORINO LISEO
TORINO LISEO TORINO LISEO
TORINO LISEO TORINO
LISEO TORINO
Che bella locanda! Fresca. Non fa caldo? Insetti e letti hanno fama in tutta Europa. È un posto famoso Illescas! Non ne trovi, ovunque cerchi, uno uguale. Anche sapendo la causa... Qual è? Due mesi di menzogne e di raggiri. Siccome, o Torino, qui arrivano viaggiatori dalla Corte e da Siviglia, da Andalusia e Castiglia, s’informano l’un con l’altro; gli uni parlano delle Indie, altri, con discorsi lunghi, di prebende ed alte cariche, cose che piacciono al volgo. Hai preso i nastri votivi? Ne ho già preso una dozzina. Ed anche le immaginette? Anche quelle, poiché sono credute miracolose quando vengono invocate in qualsiasi occasione per devozione. Ed allora prepara i cavalli e andiamo. Senza mangiare? 41
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LISEO
TURÍN
LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN
LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO
TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN
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Aguardar a que se guise es pensar que a media noche llegamos; y un desposado, Turín, ha de llegar cuando pueda lucir. Muy atrás se queda con el repuesto Marín; pero yo traigo qué comas. ¿Qué traes? Ya lo verás. Dilo. ¡Guarda! Necio estás. ¿Desto pesadumbre tomas? Pues, para decir lo que es... Hay a quien pesa de oír su nombre. Basta decir que tú lo sabras después. ¿Entretiénese la hambre con saber qué ha de comer? Pues sábete que ha de ser... ¡Presto! …tocino fiambre. Pues, ¿a quién puede pesar de oír nombre tan hidalgo? Turín, si me has de dar algo, ¿qué cosa me puedes dar que tenga igual a ese nombre? Esto y una hermosa caja. Dame de queso una raja, que nunca el dulce es muy hombre. Esas liciones no son de galán ni desposado. Aún agora no he llegado. Las damas de Corte son todas un fino cristal:
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LISEO
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TORINO LISEO TORINO LISEO TORINO
Aspettare che cucinino significa arrivare a mezzanotte; ed un fidanzato deve arrivare quando può fare una bella figura. Molto indietro son rimasti Marino e le provvigioni; ma io ho qualche cibaria. Che cos’hai? Ora vedrai. Parla. Aspetta. Sembri scemo! E per questo te la prendi? Per dire di che si tratta... C’è gente che non sopporta manco di sentirne il nome. Ma tra poco lo saprai. Però la fame si calma sapendo il nome del cibo. Sappi dunque che si tratta... Presto! ...lardo di maiale. E a chi mai può dispiacere udir nome tanto nobile? Se qualcosa devi darmi, che c’è di meglio, Torino, che a questo nome si uguagli? E una scatola di dolci. Dammi un poco di formaggio; il dolce non è da uomini. Questi non sono davvero discorsi di un fidanzato Non sono ancora arrivato. A Madrid le dame sono tutte di fino cristallo: 43
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
LISEO TURÍN
LISEO TURÍN
LISEO TURÍN LISEO
TURÍN LISEO
TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN
LISEO
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transparentes y divinas. Turín, las más cristalinas comerán. ¡Es natural! Pero esta hermosa Finea con quien a casarte vas comerá... Dilo. ...no más de azúcar, maná y jalea. Pasárase una semana con dos puntos en el aire, de azúcar. ¡Gentil donaire! ¿Qué piensas dar a su hermana? A Níse, su hermana bella, una rosa de diamantes, que así tengan los amantes tales firmezas con ella; y una cadena también, que compite con la rosa. Dícen que es también hermosa. Mi esposa parece bien, si doy crédito a la fama; de su hermana poco sé, pero basta que me dé lo que más se estima y ama. ¡Bello golpe de dinero! Son cuarenta mil ducados. ¡Bravo dote! Si contados los llego a ver, como espero. De un macho con guarniciones verdes y estribos de palo, se apea un hidalgo. ¡Malo, si la merienda me pones!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
LISEO TORINO
LISEO TORINO
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TORINO LISEO TORINO LISEO TORINO
LISEO
trasparenti e celestiali. Ma anche le più cristalline mangeranno. È naturale! Ma questa bella Finea con cui stai per accasarti mangerà... Dillo. Soltanto zucchero, manna e sciroppo. Può stare una settimana con due zollette di zucchero. Spiritoso! Cosa pensi regalare a sua sorella? A Nise vorrei offrire un gioiello di diamanti perché abbiano i suoi amanti a lei uguale attaccamento; ed anche una catenina che gareggi col gioiello. Anche lei è una donna splendida. La mia fidanzata è bella, se alla fama devo credere, poco so della sorella; ma a me basta che mi dia ciò che più si stima ed ama. Un bel mucchio di quattrini! Quarantamila ducati. Che gran dote! Se contati, come spero, li vedrò. Sta smontando un gentiluomo da un cavallo ben bardato, con staffe di legno. Male! Il pranzo corre pericolo. 45
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Leandro, de camino. LEANDRO LISEO LEANDRO LISEO LEANDRO
LISEO
LEANDRO LISEO
LEANDRO LISEO LEANDRO
LISEO LEANDRO LISEO
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Huésped, ¿habrá qué comer? Seáis, señor, bien llegado. Y vos en la misma hallado. ¿A Madrid?... Dejéle ayer, cansado de no salir con pretensiones cansadas. Esas van adjetivadas con esperar y sufrir. Holgara, por ir con vos, lleváramos un camino. Si vais a lo que imagino, nunca lo permita Dios. No llevo qué pretender; a negocios hechos voy. ¿Sois de ese lugar? Sí soy. Luego podréis conocer la persona que os nombrare. Es Madrid una talega de piezas, donde se anega cuanto su máquina pare. Los reyes, roques y arfiles conocidas casas tienen; los demás que van y vienen son como peones viles: todo es allí confusión. No es Otavio pieza vil. Si es quien yo pienso, es arfil, y pieza de estimación. Quien yo digo es padre noble de dos hijas.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
[Entra] Leandro, in abito da viaggio. LEANDRO LISEO LEANDRO LISEO LEANDRO
LISEO
LEANDRO LISEO
LEANDRO LISEO
LEANDRO
LISEO LEANDRO LISEO
Oste, avete da mangiare? Che voi siate il benvenuto. E anche voi il ben trovato. A Madrid? Sono partito ieri, stanco di non farcela a sbrigare annose pratiche. Allo scopo è necessario aspettare e sopportare. Vorrei, per stare con voi, fare lo stesso cammino. Se andate dove penso, Dio me ne guardi. Non devo sbrigare pratiche. I miei affari sono già fatti. Siete di Madrid? Sì, certo. E forse conoscerete una persona di cui sto per rivelarvi il nome. È Madrid una scarsella di pezzi in cui si disperde quanto il suo apparato genera. I re, le torri e gli alfieri hanno un posto noto a tutti; gli altri che vanno e vengono son come vili pedoni: è una vera baraonda. Ottavio non è un pedone. Se è chi penso, è un alfiere, un pezzo degno di stima. Io mi riferisco al padre di due figlie.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LEANDRO
LISEO LEANDRO
LISEO
[A Turín]
LEANDRO
LISEO
[A Turín]
TURÍN
[A Liseo] [A Turín]
LISEO
[A Leandro] LEANDRO
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Ya sé quién; pero dijérades bien que de una palma y de un roble. ¿Cómo? Que entrambas lo son; pues Nise bella es la palma Finea un roble, sin alma y discurso de razón. Nise es mujer tan discreta, sabia, gallarda, entendida, cuanto Finea encogida, boba, indigna y imperfeta. Y aun pienso que oí tratar que la casaban... ¿No escuchas? Verdad es que no habrá muchas que la puedan igualar en el riquísimo dote; mas, ¡ay de aquel desdichado que espera una bestia al lado! Pues más de algún marquesote, a codicia del dinero, pretende la bobería desta dama, y a porfía hacen su calle terrero. – Yo llevo lindo concierto. ¡A gentiles vistas voy! Disimula. Tal estoy, que apenas a hablar acierto. – En fin, señor, ¿Nise es bella y discreta? Es celebrada por única, y deseada, por las partes que hay en ella, de gente muy principal.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LEANDRO
LISEO LEANDRO
LISEO
[A Torino]
LEANDRO
LISEO
[A Torino]
[A Liseo] [A Torino]
TORINO LISEO
[A Leandro] LEANDRO
Lo conosco; ma fareste meglio a dire di una palma e di una quercia. Come? Così sono entrambe; la bella Nise è una palma; Finea una quercia, senz’anima e senza discernimento. Nise è donna tanto saggia, leggiadra e di mente aperta, quanto Finea è ristretta, sciocca, indegna ed imperfetta. Devo aver sentito dire che la vogliono accasare... Hai sentito? È pur vero che ci sono poche donne che hanno dote tanto ricca; ma povero disgraziato chi vivrà con tale bestia! Ma vi sono dei marchesi che per amore di denaro aspirano alla sciocchezza di questa dama e gareggiano per poterla corteggiare. Ma che bell’affare ho fatto! E che visita ufficiale di nozze mi aspetta! Zitto! Mi sento tanto sconvolto che a stento riesco a parlare. Dunque Nise è bella e saggia? Donna rara è ritenuta e, per le sue qualità, è tanto desiderata da persone altolocate.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LISEO LEANDRO LISEO
LEANDRO
LISEO LEANDRO
TURÍN LISEO LEANDRO LISEO
¿Tan necia es esa Finea? Mucho sentís que lo sea. Contemplo, de sangre igual, dos cosas tan desiguales... Mas, ¿cómo en dote lo son? Que, hermanas, fuera razón que los tuvieran iguales. Oigo decir que un hermano de su padre la dejó esta hacienda, porque vio que sin ella fuera en vano casarla con hombre igual de su noble nacimiento, supliendo el entendimiento con el oro. Él hizo mal. Antes bien, porque con esto tan discreta vendrá a ser como Nise. ¿Has de comer? Ponme lo que dices, presto, aunque ya puedo escusallo. ¿Mandáis, señor, otra cosa? Serviros.
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[Vase Leandro.]
TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN
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¡Qué linda esposa! ¿Qué haremos? Ponte a caballo, que ya no quiero comer. No te aflijas, pues no es hecho. Que me ha de matar, sospecho, si es necia, y propia mujer. Como tú no digas «sí», ¿quién te puede cautivar?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LISEO LEANDRO LISEO
LEANDRO
LISEO LEANDRO
TORINO LISEO LEANDRO LISEO
E Finea, è così sciocca? Vi dispiace proprio tanto. Dello stesso sangue, noto due cose tanto diverse. Ma perché anche nella dote? Dato che sono sorelle dovrebbero averla uguale. Pare che uno zio paterno le abbia lasciato i suoi beni: capiva che senza di essi sarebbe stato difficile sposarla con un suo pari, ma l’oro supplisce bene la mancanza d’intelletto. Ha fatto male. Tutt’altro, perché così sarà saggia come Nise. Vuoi mangiare? Su, prepara quel che hai detto, anche se non ho più fame. Qualcos’altro? Servo vostro. [Leandro esce.]
TORINO LISEO TORINO LISEO TORINO
Che bella moglie mi aspetta! Che si fa? Monta a cavallo. Mi è passato l’appetito. Perché te la prendi tanto! Non sei ancora sposato. Sarà proprio la mia fine, se è tanto sciocca e la sposo. Ma finché non dici «sì», chi ti può accalappiare?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LISEO TURÍN LISEO
Verla no me ha de matar, aunque es basilisco en mí. No, señor. También advierte que, siendo tan entendida Nise, me dará la vida, si ella me diere la muerte.
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Entrense y salgan Otavio, viejo, y Miseno. OTAVIO MISENO OTAVIO
MISENO OTAVIO
MISENO OTAVIO
MISENO
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¿Esta fue la intención que tuvo Fabio? Parece que os quejáis. ¡Bien mal emplea mi hermano tanta hacienda! No fue sabio. Bien es que Fabio, y que no sabio, sea. Si en dejaros hacienda os hizo agravio, vos propio lo juzgad. Dejó a Finea, a título de simple, tan gran renta, que a todos, hasta agora, nos sustenta. Dejóla a la que más le parecía de sus sobrinas. Vos andáis discreto; pues, a quien heredó su bobería, dejó su hacienda para el mismo efeto. De Nise la divina gallardía, las altas esperanzas y el conceto os deben de tener apasionado. ¿Quién duda que le sois más inclinado? Mis hijas son entrambas; mas yo os juro que me enfadan y cansan, cada una por su camino, cuando más procuro mostrar amor e inclinación a alguna. Si ser Finea simple es caso duro, ya lo suplen los bienes de Fortuna y algunos que le dio Naturaleza, siempre más liberal, de la belleza.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LISEO TORINO LISEO
Vederla mi ucciderà proprio come il basilisco. No, di certo. E poi considera che Nise, ch’è tanto saggia, mi ridarebbe la vita, se lei mi desse la morte. Escono; ed entrano in scena Ottavio, vecchio, e Miseno.
OTTAVIO MISENO OTTAVIO
MISENO OTTAVIO
MISENO OTTAVIO
MISENO
OTTAVIO
Questa è stata la volontà di Flavio. Sembra che vi dispiaccia. Male impiega mio fratello un simile patrimonio. Non fu saggio. Era Flavio ma non savio. Se vi ha offeso lasciandovi i suoi beni, solo voi potete dirlo. A Finea, perché sciocca, ha lasciato una gran rendita che basta a mantenerci tutti quanti. L’ha lasciata a colei, tra le nipoti, che più gli somigliava. Giudicate proprio bene. Lasciò il suo patrimonio a chi ne ereditò la stupidaggine. La celestiale bellezza di Nise, la stima e le speranze in lei riposte vi fanno stravedere. Tutti sanno che a lei vanno le vostre preferenze. Son tutt’e due mie figlie, ma vi giuro che mi fanno disperare e mi snervano, ognuna a modo proprio, quando cerco di dimostrare amore ad una d’esse. Il fatto che Finea sia così sciocca è supplito dai beni di Fortuna e da certe altre doti – la bellezza – che la Natura prodiga le diede. 53
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
MISENO OTAVIO
MISENO
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MISENO OTAVIO
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Pero ver tan discreta y arrogante a Nise, más me pudre y martiriza, y que de bien hablada y elegante el vulgazo la aprueba y soleniza. Si me casara agora – y no te espante esta opinión, que alguno la autoriza –, de dos extremos: boba o bachillera, de la boba elección, sin duda, hiciera. ¡No digáis tal, por Dios!; que están sujetas a no acertar en nada. Eso es engaño; que yo no trato aquí de las discretas: solo a las bachilleras desengaño. De una casada son partes perfetas virtud y honestidad. Parir cadaño, no dijérades mal, si es argumento de que vos no queréis entendimiento. Está discreción de una casada en amar y servir a su marido; en vivir recogida y recatada, honesta en el hablar y en el vestido; en ser de la familia respetada, en retirar la vista y el oído, en enseñar los hijos, cuidadosa, preciada más de limpia que de hermosa. ¿Para qué quiero lo que, bachillera, la que es propia mujer concetos diga? Esto de Nise por casar me altera; lo más, como lo menos, me fatiga. Resuélvome en dos cosas que quisiera, pues la virtud es bien que el medio siga: que Finea supiera más que sabe, y Nise menos. Habláis cuerdo y grave. Si todos los extremos tienen vicio, yo estoy, con justa causa, discontento.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
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Però vedere Nise così saggia e arrogante mi dà più sofferenza poiché il volgo la venera e la loda sol perché parla bene ed è elegante. Dovendo risposarmi – non stupirti se la penso così come tanti altri – io, dei due estremi, sciocca o saputella, senza dubbio la sciocca sceglierei. Non lo dite, perdìo! Sapete bene che non ne imbroccano una. Non è vero; non sto parlando delle donne sagge: mi riferisco solo alle saccenti. Le doti che una sposa deve avere sono onestà e virtù. Ed aggiungete anche quella di partorire ogni anno, visto che non v’importa l’intelletto. La saggezza di una sposa consiste nell’amare e nel servire il marito, nel vivere appartata e riservata, onesta nel parlare e nel vestire; nell’esser rispettata dai suoi cari, discreta nello sguardo e nell’ascolto, nell’allevare bene i propri figli, nell’essere pulita più che bella. Perché dovrei volere che mia moglie, da sapientona, sputasse sentenze? Che Nise non si sposi mi preoccupa; gli eccessi stancano quanto i difetti. Desidero perciò due sole cose, poiché la verità sta sempre in mezzo: che Finea ne sapesse un po’ di più e Nise un po’ di meno. Dite bene. Se ogni esagerazione è in sé un difetto ho ben ragione d’essere scontento. 55
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO MISENO OTAVIO
MISENO OTAVIO
MISENO OTAVIO
MISENO OTAVIO MISENO OTAVIO MISENO OTAVIO
Y, ¿qué hay de vuestro yerno? Aquí el oficio de padre y dueño alarga el pensamiento. Caso a Finea, que es notable indicio de las leyes del mundo, al oro atento. Nise, tan sabia, docta y entendida, apenas halla un hombre que la pida; y por Finea, simple, por instantes me solicitan tantos pretendientes – del oro más que del ingenio amantes –, que me cansan amigos y parientes. Razones hay, al parecer, bastantes. Una hallo yo, sin muchas aparentes, y es el buscar un hombre en todo estado, lo que le falta más, con más cuidado. Eso no entíendo bien. Estadme atento. Ningún hombre nacido a pensar viene que le falta, Miseno, entendimiento, y con esto no busca lo que tiene. Ve que el oro le falta y el sustento, y piensa que buscalle le conviene, pues como ser la falta el oro entienda, deja el entendimiento y busca hacienda. ¡Piedad del cielo, que ningún nacido se queje de faltarle entendimiento! Pues a muchos, que nunca lo han creído, les falta, y son sus obras argumento. Nise es aquesta. Quítame el sentido su desvanecimiento. Un casamiento os traigo yo. Casémosla; que temo alguna necedad, de tanto estremo. [Vanse.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO MISENO OTTAVIO
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MISENO OTTAVIO
MISENO OTTAVIO MISENO OTTAVIO MISENO OTTAVIO
E di vostro genero, che mi dite? È l’unico punto che mi conforta come padre e come capo famiglia. Finea, la marito, e questo è un indizio delle leggi del mondo, attento all’oro. Nise ch’è saggia, colta, intelligente, non trova un uomo che la chieda in sposa, e per Finea, la sciocca, ad ogni istante si fanno avanti tanti pretendenti – dell’oro amanti più che dell’ingegno –. Né amici né parenti mi dan tregua. Ragioni ce ne sono, e a sufficienza. Una ce n’è, quelle evidenti a parte, ed è che un uomo, di qualsiasi ceto, cerca con cura ciò che più gli manca. Non vi capisco. Statemi a sentire. Nessun uomo è disposto a riconoscere che gli manchi, Miseno, intelligenza; quindi non cerca ciò che già possiede. Vede invece che gli manca il denaro e pensa che cercarlo gli conviene. Persuaso che gli manchi solo questo, trascura l’ingegno e cerca i quattrini. Perdìo! È impossibile che nessuno si lagni d’esser privo d’intelletto. Manca a molti, ma mai l’hanno creduto; la prova è data dalle loro azioni. Nise è tra questi. Con i suoi discorsi mi fa perdere il senno. Un buon partito io vi porto. Sposiamola, altrimenti temo che ne combinerà qualcuna. [Escono.] 57
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Nise y Celia, criada. NISE CELIA NISE CELIA
NISE CELIA NISE CELIA NISE
CELIA NISE
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¿Diote el libro? Y tal, que obliga a no abrille ni tocalle. Pues, ¿por qué? Por no ensucialle, si quieres que te lo diga. En cándido pergamino vienen muchas flores de oro. Bien lo merece Heliodoro, griego poeta divino. ¿Poeta? Pues parecióme prosa. También hay poesia en prosa. No lo sabía. Miré el principio, y cansóme. Es que no se da a entender, con el artificio griego, basta el quinto libro, y luego todo se viene a saber cuanto precede a los cuatro. En fin, ¿es poeta en prosa? Y de una historia amorosa digna de aplauso y teatro. Hay dos prosas diferentes: poética y historial. La historial, lisa y leal, cuenta verdades patentes, con frase y términos claros; la poética es hermosa, varia, culta, licenciosa, y escura aun a ingenios raros. Tiene mil exornaciones y retóricas figuras.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
Nise e Celia, serva. NISE CELIA NISE CELIA
NISE CELIA NISE CELIA NISE
CELIA NISE
Ti ha dato il libro? Ed è tale che non ho voluto aprirlo. E perché? Per non sporcarlo, se proprio lo vuoi sapere. Con candida pergamena e fiori d’oro è adornato. Se lo merita Eliodoro, poeta divino tra i greci. Poeta? Mi era parsa prosa. C’è anche la poesia in prosa. Non lo sapevo. Ho guardato l’inizio e non m’è piaciuto. La retorica dei greci non permette di capire fino al quinto libro, poi si capisce tutto il resto, anche i primi quattro libri. Dunque, egli è un poeta in prosa? E di una storia d’amore degna di plauso e di teatro. Due sono i tipi di prosa: quella poetica e la storica. Quest’ultima è chiara e semplice, racconta fatti evidenti con frasi e termini chiari; quella poetica è più bella varia, colta, indipendente, ma oscura a volte e difficile anche per gli ingegni fini. Tanti sono gli ornamenti e le figure retoriche.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Pues, ¿de cosas tan escuras juzgan tantos? No le pones, Celia, pequeña objeción; pero así corre el engaño del mundo.
CELIA NISE
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Finea, dama, con unas cartillas, y Rufino, maestro. FINEA CELIA
[A Nise]
NISE CELIA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA
RUFINO
FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO
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¡Ni en todo el año saldré con esa lición! Tu hermana, con su maestro. ¿Conoce las letras ya? En los princípios está. ¡Paciencia y no letras muestro! ¿Qué es esta? Letra será. ¿Letra? Pues, ¿es otra cosa? No, sino el alba. (¡Qué hermosa bestia!) Bien, bien. Sí, ya, ya; el alba debe de ser, cuando andaba entre las coles. Esta es ca. Los españoles no la solemos poner en nuestra lengua jamás. Úsanla mucho alemanes y flamencos. ¡Qué galanes van todos estos destrás! Estas son letras también. ¿Tantas hay? Veintitrés son. Ara... vaya de lición; que yo lo diré muy bien. ¿Qué es esta?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
Come mai c’è tanta gente che di cose tanto oscure vuol parlare e giudicare? È una buona osservazione, ma questo, Celia, è l’inganno in cui sempre cade il mondo.
CELIA
NISE
[Entrano] Finea, dama, con un sillabario in mano, e Ruffino, maestro. FINEA CELIA
[A Nise]
NISE CELIA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA
RUFFINO
FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA
RUFFINO
Neanche in un anno potrò capire questa lezione! Tua sorella e il suo maestro. Riconosce già le lettere? Suvvia, è ancora agli inizi. Di pazienza ce ne vuole! Che cos’è questo? Sarà una lettera. Una lettera? Perché? Forse è un’altra cosa? Ma no, è l’alba! (Bella bestia!) Bene, bene. Sì, già, già; dev’essere proprio l’alba quando cammina tra i cavoli. È una «cappa». Noi spagnoli non siamo soliti usarla nella nostra lingua. La usano i tedeschi ed i fiamminghi. Oh, come sono graziosi questi altri segni che seguono! Anche queste sono lettere. Ce ne sono dunque tante? Ventitré. Bene, ma adesso riprendiamo la lezione; l’ho imparata proprio bene. Cos’è questa? 61
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA
RUFINO FINEA NISE RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA RUFINO
FINEA RUFINO
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¿Aquesta?... No sé. ¿Y esta? No sé qué responda. ¿Y esta? ¿Cuál? ¿Esta redonda? ¡Letra! ¡Bien! Luego, ¿acerté? ¡Linda bestia! ¡Así, así! Bestia, ¡por Dios!, se llamaba; pero no se me acordaba. Esta es erre, y esta es i. Pues, ¿si tú lo traes errado...? (¡Con qué pesadumbre están!) Di aquí: b, a, n: ban. Dónde van? ¡Gentil cuidado! ¿Que se van, no me decías? Letras son; míralas bien! Ya miro. B, e, n: ben. ¿Adónde? ¡Adonde en mis días no te vuelva mas a ver! ¿Ven, no dices? Pues ya voy. ¡Perdiendo el jüicio estoy! ¡Es imposible aprender! ¡Vive Dios, que te he de dar una palmeta! ¿Tú a mí? ¡Muestra la mano!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA NISE RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO
FINEA RUFFINO
Non lo so. E questa? Non so rispondere. E questa? Questa rotonda? Una lettera! Ma brava! Ho capito? Bella bestia! Ah, bestia! Si chiama bestia; ma non mi veniva in mente. Questa è «erre» e questa è «i». E se per caso ti sbagli? (Proprio un bel divertimento!) Leggi qui: «v, a, n: van». Dove vanno? Che sciocchezza! Ma non hai detto che vanno? Queste son lettere, guardale bene. Sì, le vedo, sì. «V,i,e,n: vien». Ma dove vengo? Dove in vita mia mai più possa rivederti! Hai detto «vieni» ed io vengo. Mi fai perdere il giudizio! Sei incapace di imparare! Ma, perdìo, io te le suono! Che suoni? Porgi la mano.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Saca una palmatoria. FINEA RUFINO FINEA RUFINO FINEA NISE CELIA RUFINO NISE FINEA NISE FINEA RUFINO NISE FINEA NISE FINEA
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Hela aquí. ¡Aprende a deletrear! ¡Ay, perro! Aquesto es palmeta? Pues, ¿qué pensabas? ¡Aguarda! ¡Ella le mata! Ya tarda tu favor, Nise discreta. ¡Ay, que me mata! ¿Qué es esto? ¿A tu maestro? Hame dado causa. ¿Cómo? Hame engañado. ¿Yo engañado? ¡Dila presto! Estaba aprendiendo aquí la letra bestia y la ca... La primera sabes ya. Es verdad: ya la aprendí. Sacó un zoquete de palo y al cabo una media bola; pidióme la mano sola –¡mira qué lindo regalo! – y apenas me la tomó, cuando, ¡zas!, la boia asienta, que pica como pimienta, y la mano me quebró.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
Tira fuori una bacchetta. FINEA RUFFINO FINEA RUFFINO FINEA NISE CELIA RUFFINO NISE FINEA NISE FINEA RUFFINO NISE FINEA NISE FINEA
Ecco. Impara a sillabare! [La colpisce.] Ah, cane! Questo è il suonare? Che cosa credevi? Aspetta. Lo sta strapazzando. Vai in suo aiuto, saggia Nise. Ahimè, m’ammazza! Che fai? Al tuo maestro? Motivo me ne ha dato. Come mai? Mi ha imbrogliato. Ti ho imbrogliato? Su, parla! Stavo imparando le lettere «bestia» e «cappa»... Della prima sei già esperta. È vero. L’ho già imparata. Tirò fuori una bacchetta con in cima una pallina. «Porgi la mano», mi disse, – e guarda che bel regalo! – Non appena gliela porsi mi picchia con la pallina; mi ha rovinato la mano che brucia come se avessi messo il pepe.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO NISE
FINEA RUFINO
Cuando el discípulo ignora, tiene el maestro licencia de castigar. ¡Linda ciencia! Aunque me diese, señora, vuestro padre cuanto tiene, no he de darle otra lición.
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[Vase el maestro.] CELIA NISE FINEA
CELIA NISE FINEA NISE
FINEA CELIA FINEA
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¡Fuese! No tienes razón: sufrir y aprender conviene. Pues, letras que allí están, yo no las aprendo bien? Vengo cuando dice ven, y voy cuando dice van. Qué quiere, Nise, el maestro, quebrándome la cabeza con ban, bin, bon? (¡Ella es pieza de rey!) Quiere el padre nuestro que aprendamos. Ya yo sé el Padrenuestro. No digo sino el nuestro; y el castigo, por darte memoria fue. Póngame un hilo en el dedo y no aquel palo en la palma. Mas que se te sale el alma, si lo sabe... ¡Muerta quedo! ¡Oh Celia! No se lo digas, y verás qué te daré.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO NISE
FINEA RUFFINO
Se l’alunno non sa apprendere, il maestro ha il dovere di punirlo. Che bel modo di insegnare! Non le darò più lezioni neppure se vostro padre mi desse tutti i suoi averi. [Esce Ruffino.]
CELIA NISE FINEA
CELIA NISE FINEA NISE
FINEA CELIA FINEA
Se n’è andato. Hai torto. È meglio sopportare ed imparare. E non ho forse imparato le lettere scritte lì? Vengo quando dice «vien» e vado se dice «van». Ma cosa vuole il maestro, quando mi rompe la testa con questi suoi «vien, van, von»? (Fa morire dalle risa!) È il padre nostro che vuole che impariamo. Ma, lo so. Il Padrenostro lo so. Non alludo alla preghiera ma a nostro padre; e il castigo serve a farti ricordare. Che mi leghi un filo al dito e non botte sulla mano. Se lui lo viene a sapere sono guai... Povera me! Oh, Celia! Non glielo dire! E ti farò un bel regalo.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Clara, criada. [A Finea] ¡Topé contigo, a la fe! Ya, Celia, las dos amigas se han juntado. CELIA A nadie quiere más, en todas las criadas. CLARA ¡Dame albricias, tan bien dadas como el suceso requiere! FINEA Pues, ¿de qué son? CLARA Ya parió nuestra gata la romana. FINEA ¿Cierto, cierto? CLARA Esta mañana. FINEA ¿Paríó en el tejado? CLARA No. FINEA Pues dónde? CLARA En el aposento; que cierto se echó de ver su entendimiento. FINEA Es mujer notable. CLARA Escucha un momento. Salía, por donde suele, el sol, muy galán y rico, con la librea del rey, colorado y amarillo; andaban los carretones quitándole el romadizo que da la noche a Madrid, aunque no sé quién me dijo que era la calle Mayor el soldado más antiguo, pues nunca el mayor de Flandes presentó tantos servicios; pregonaban aguardiente, – agua biznieta del vino –, CLARA NISE
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
[Entra] Clara, serva. [A Finea] Finalmente ti ho trovata! Vedi, Celia, le due amiche si sono già ritrovate. CELIA Non c’è un’altra, tra le serve, a cui voglia tanto bene. CLARA Mi spetta una ricompensa per la notizia che porto! FINEA Di che notizia si tratta? CLARA La nostra gatta romana ha partorito. FINEA Davvero? CLARA Sì, stamattina. FINEA Sul tetto? CLARA Macché! FINEA Dove allora? CLARA In camera; vedi quanto è giudiziosa? FINEA È una signora assennata. CLARA Ora ascoltami un momento. Dal solito posto il sole spuntava elegante e ricco, con la sua livrea da re, di rossa porpora e d’oro; per le strade i carri andavano raccogliendo l’escreato che Madrid lascia di notte, anche se qualcuno ha detto che era la Calle Mayor il più vecchio dei soldati, poiché neanche un veterano delle Fiandre può vantare tanta mole di servizi; e gridavano: «acquavite» – la pronipote del vino – CLARA NISE
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
los hombres Carnestolendas, todos naranjas y gritos. Dormían las rentas grandes, despertaban los oficios, tocaban los boticarios sus almireces a pino, cuando la gata de casa comenzó, con mil suspiros, a decír: «¡Ay, ay, ay, ay! ¡Que quiero parir, marido! » Levantóse Hociquimocho y fue corriendo a decirlo a sus parientes y deudos; que deben de ser moriscos, porque el lenguaje que hablaban, en tiple de monacillos, si no es jerigonza entre ellos, no es español, ni latino. Vino una gata vïuda, con blanco y negro vestido – sospecho que era su agüela –, gorda y compuesta de hocico; y, si lo que arrastra honra, como dicen los antiguos, tan honrada es por la cola como otros por sus oficios. Trújole cierta manteca, desayunóse y previno en qué recebir el parto. Hubo temerarios gritos; no es burla, parió seis gatos tan remendados y lindos, que pudieran, a ser pías,
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i venditori ambulanti, tra tante arance e schiamazzi. I grandi ricchi dormivano, gli artigiani si destavano, i farmacisti pestavano nei loro mortai di rame, quando la gatta di casa, tra mille sospiri e gemiti, cominciò a dire: «Ahi, ahi, ahi! Marito mio, partorisco!» E Musopiatto si alzò e corse subito a dirlo a parenti e consanguinei; che credo siano moreschi, perché la lingua che parlano, con il timbro da soprano, come fanno i chierichetti, se non è gergo tra loro non è spagnolo o latino. Arrivò una gatta vedova di bianco e nero vestita – credo che fosse la nonna –, bella grassa e contegnosa; e se lo strascico è segno, – e lo dicono gli antichi – di nobiltà, è onorata per la coda come alcuni per la propria professione. Portò del burro alla puerpera, e poi fece colazione, preparò quindi un giaciglio per deporvi i nascituri. Si udirono grida altissime; – non a torto – mise al mondo sei gattini maculati così belli che, se fossero cavalli, degni sarebbero 71
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
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llevar el coche más rico. Regocijados bajaron de los tejados vecinos, caballetes y terrados, todos los deudos y amigos: Lamicola, Arañizaldo, Marfuz, Marramao, Micilo, Tumbaollín, Mico, Miturrio, Rabicorto, Zapaquildo; unos vestidos de pardo, otros de blanco vestidos, y otros con forros de martas, en cueras y capotillos. De negro vino a la fíesta el gallardo Golosino, luto que mostraba entonces de su padre el gaticidio. Cuál la morcilla presenta, cuál el pez, cuál el cabrito, cuál el gorrïón astuto, cuál el simple palomino. Trazando quedan agora, para mayor regocijo en el gatesco senado correr gansos cinco a cinco. Ven presto, que si los oyes, dirás que parecen niños, y darás a la parida el parabién de los hijos. ¡No me pudieras contar caso, para el gusto mío, de mayor contentatniento! Camina. Tras ti camino. [Vanne Finea y Clara.]
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della carrozza più ricca. Accorsero a rallegrarsi giù dai tetti circostanti, da comignoli e terrazze tutti i parenti e gli amici: Leccacoda, Graffiapelle, Marfuz, Maramao, Micillo, Sconquasso, Micco, Miturrio, Codacorta, Zappancollo; vestiti alcuni di scuro, altri vestiti di bianco, altri con pelle di martora, in corpetto e mantellina. Di nero venne vestito il gagliardo Golosino, e il suo lutto ricordava di suo padre il gatticidio. Uno offriva il sanguinaccio, altri un pezzo di capretto, di pesce o di passerotto, altri un pezzo di colomba. Ora stanno organizzando, per festeggiare l’evento nella gattesca assemblea, il palio delle oche a squadre da cinque. Vieni a sentirli, ti parranno dei bambini e alla madre potrai fare tanti auguri per i figli. Una cosa più gradita e piacevole per me, non potevi raccontarmi. Vieni, su. Ti vengo dietro. [Escono Finea e Clara.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO NISE CELIA NISE CELIA
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¿Hay locura semejante? ¿Y Clara es boba también? Por eso la quiere bien. La semejanza es bastante; aunque yo pienso que Clara es más bellaca que boba. Con esto la engaña y roba.
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Duardo, Feniso, Laurencio, caballeros. DUARDO FENISO LAURENCIO DUARDO FENISO NISE LAURENCIO
NISE LAURENCIO
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FENISO
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Aquí, como estrella cara, a su hermosura nos guía. Y aun es del sol su luz pura. ¡Oh reina de la hermosura! ¡Oh Nise! ¡Oh señora mía! Caballeros... Esta vez, por vuestro ingenio gallardo, de un soneto de Düardo os hemos de hacer jüez. ¿A mí, que soy de Finea hermana y sangre? A vos sola, que sois Sibila española, no cumana ni eritrea; a vos, por quien ya las Gracias son cuatro, y las Musas diez, es justo haceros jüez. Si ignorancias, si desgracias trujérades a juzgar. era justa la elección. Vuestra rara discreción, imposible de alabar, fue justamente elegida. Oíd, señora, a Eduardo.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO NISE CELIA NISE CELIA
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C’è una sciocchezza più grande? E Clara, anche lei è sciocca? Perciò Finea le vuol bene. Si assomigliano abbastanza; anche se penso che Clara sia più furba che sciocca. Così la imbroglia e deruba. [Entrano] Eduardo, Feniso, Lorenzo, gentiluomini.
EDUARDO FENISO LORENZO EDUARDO FENISO NISE LORENZO
NISE LORENZO
NISE
FENISO
Qui, come stella polare la sua bellezza ci attira. Luce solare è la sua. Regina della bellezza! Oh, Nise! Oh, signora mia! Signori... Noi questa volta vorremmo che giudicaste, con il vostro bell’ingegno, un sonetto di Edüardo. Io? Sorella di Finea, dello stesso sangue suo? Voi che siete la Sibilla, non cumana né eritrea, ma spagnola e grazie a cui quattro sono ora le Grazie e le Muse sono dieci, è giusto eleggere a giudice. Se ignoranza o se sventure mi faceste giudicare, mi scegliereste a ragione. La vostra rara saggezza, che le parole non bastano a lodare, è stata scelta. Signora, ascoltate Eduardo.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO NISE DUARDO
NISE DUARDO
NISE LAURENCIO NISE DUARDO
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¡Vaya el soneto! Ya aguardo, aunque, de indigna, corrida. La calidad elementar resiste mi amor, que a la virtud celeste aspira, y en las mentes angélicas se mira, donde la idea del calor consiste. No ya como elemento el fuego viste el alma, cuyo vuelo al sol admira; que de inferiores mundos se retira adonde el serafín ardiendo asiste. No puede elementar fuego abrasarme. La virtud celestial que vivifica, envidia el verme a la suprema alzarme; que donde el fuego angélico me aplica ¿cómo podrá mortal poder tocarme, que eterno y fin, contradición implica? Ni una palabra entendí. Pues en parte se leyera que más de alguno dijera por arrogancia: «Yo sí.» La intención, o el argumento, es pintar a quien ya llega libre del amor que ciega, con luz del entendimiento, a la alta contemplación de aquel puro amor sin fin, donde es fuego el serafín. Argumento y intención queda entendido. ¡Profundos conceptos! ¡Mucho le esconden! Tres fuegos que corresponden, hermosa Nise, a tres mundos, dan fundamento a los otros. ¡Bien los podéis declarar!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO NISE
EDUARDO
NISE EDUARDO
NISE LORENZO NISE EDUARDO
NISE
Avanti con il sonetto! Quantunque sia imbarazzata poiché non mi sento degna. L’elementare qualità ricusa l’amor mio, che a virtù celeste aspira, e nelle menti angeliche si mira, dove l’idea del fuoco sta racchiusa. Non già come elemento il fuoco veste l’anima che nel volo il sole ammira; ché da mondi inferiori si ritira e va dove risplende il serafino. Non può bruciarmi il fuoco elementare. La virtù celestiale che ravviva, m’invidia se mi vede in alto andare; ché dove il fuoco angelico si prova, mortal potere mi potrà toccare se con l’eterno il finito contrasta? Non ne ho capito parola. Se l’avessi letto altrove più d’uno avrebbe affermato con arroganza: «Ho capito». L’intenzione o l’argomento è descrivere chi giunge – non più accecato d’amore – con la luce dell’ingegno all’alta contemplazione di quel puro, immenso amore, di cui splende il serafino. Argomento ed intenzione ora ho capito. Profondi concetti! Molto nascosti! Tre fuochi che corrispondono, mia bella Nise, a tre mondi, e agli altri dan fondamento. Potreste spiegarvi meglio! 77
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO DUARDO
NISE DUARDO NISE DUARDO
NISE DUARDO NISE
DUARDO
NISE FENISO
Calidad elementar es el calor en nosotros; la celestial, es virtud que calienta y que recrea, y la angélica es la idea del calor. Con inquietud escucho lo que no entiendo. El elemento en nosotros es fuego. ¿Entendéis vosotros? El puro sol que estáis viendo en el cielo, fuego es, y fuego el entendimiento seráfico; pero siento que así difieren los tres: que el que elementar se llama, abrasa cuando se aplica; el celeste vivifica, y el sobreceleste ama. No discurras, por tu vida; vete a escuelas. Donde estás, lo son. Yo no escucho más, de no entenderte corrida. ¡Escribe fácil! Platón, a lo que en cosas divinas escribió, puso cortinas; que, tales como estas, son matemáticas fíguras y enigmas. ¡Oye, Laurencio! Ella os ha puesto silencio.
[A Duardo] DUARDO
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Temió las cosas escuras.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LORENZO
NISE EDUARDO NISE EDUARDO
NISE LORENZO NISE
EDUARDO
NISE FENISO
La qualità elementare è il calore che sta in noi; quella celeste è una forza che riscalda e che ravviva, quella angelica è l’idea del calore. Sono inquieta se ascolto senza capire. L’elemento che sta in noi è fuoco. Voi, lo capite? Il puro sole che in cielo potete osservare è fuoco, e fuoco è anche l’intelletto serafico; ma mi accorgo che son tre cose diverse; perché quello elementare brucia quando lo si tocca; quello celeste ravviva, e quello ultraceleste ama. Basta con questi discorsi; falli all’università. L’università è qui, dove sei tu. Non intendo più ascoltare. Non capire mi imbarazza. Non potresti scrivere in modo più facile? Platone, laddove scrisse di cose divine, pose dei veli che, come i miei, sono simboli ed enigmi. Ma tu, sentilo, Lorenzo! Finalmente vi ha zittito.
[A Eduardo] EDUARDO
Delle cose oscure ha paura.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO FENISO DUARDO
NISE
¡Es mujer! La claridad a todos es agradable, que se escriba o que se hable. ¿Como va de voluntad?
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[A Laurencio] LAURENCIO NISE
LAURENCIO
NISE
LAURENCIO
NISE
Como quien la tiene en ti. Yo te la pago muy bien. No traigas contigo quien me eclipse el hablarte ansí. Yo, señora, no me atrevo, por mi humildad, a tus ojos; que, dando en viles despojos, se afrenta el rayo de Febo; pero, si quieres pasar al alma, hallarásla rica de la fe que amor publica. Un papel te quiero dar; pero, ¿cómo podrá ser que destos visto no sea? Si en lo que el alma desea me quieres favorecer, mano y papel podré aquí asir juntos, atrevido, como finjas que has caído. ¡Jesús!
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[Hace Nise como que cae.] LAURENCIO NISE LAURENCIO NISE LAURENCIO NISE
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¿Qué es eso? ¡Caí! Con las obras respondiste. Esas responden mejor, que no hay sin obras amor. Amor en obras consiste. Laurencio mío, a Dios queda. Düardo y Feniso, adiós.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
È una donna! Si capisce. La chiarezza piace a tutti, che si parli o che si scriva. NISE [A Lorenzo] Tu mi vuoi bene, Lorenzo? LORENZO In te ripongo ogni affetto. NISE Io parimenti ricambio. Ma non portare con te chi mi inibisce il parlare. LORENZO Per umiltà non ardisco presentarmi agli occhi tuoi, perché anche il raggio di Febo si offende quando si posa su umili spoglie, però, se passi all’anima mia vi troverai quella fede che l’amore mio proclama. NISE Un biglietto vorrei darti; ma, che cosa posso fare perché gli altri non mi vedano? LORENZO Se mi vuoi accontentare in ciò che il mio cuore agogna, la tua mano ed il biglietto con audacia prenderei se fingerai di cadere. NISE Mio Dio! FENISO
EDUARDO
[Nise finge di cadere.] LORENZO NISE LORENZO NISE LORENZO NISE
Cos’è? Son caduta! Con i fatti mi hai risposto. Solo i fatti hanno valore; senza di essi non c’è amore. Sì. L’amore sta nei fatti. Lorenzo mio, vai con Dio. Eduardo e Feniso, addio.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO DUARDO
Y tanta ventura a vos como hermosura os conceda. [Vanse Nise y Celia.]
DUARDO
[A Laurencio] LAURENCIO DUARDO LAURENCIO
FENISO DUARDO LAURENCIO FENISO
LAURENCIO
¿Qué os ha dicho del soneto Nise? Que es muy estremado. Habréis los dos murmurado, que hacéis versos, en efeto. Ya no es menester hacellos para saber murmurallos; que se atreve a censurallos quien no se atreve a entendellos. Los dos tenemos que hacer. Licencia nos podéis dar. Las leyes de no estorbar queremos obedecer. ¡Malicia es esa! ¡No es tal! La divina Nise es vuestra, o, por lo menos, lo muestra. Pudiera, a tener igual.
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Despídanse, y quede solo Laurencio. LAURENCIO
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Hermoso sois, sin duda, pensamiento, y, aunque honesto también, con ser hermoso si es calidad del bien ser provechoso, una parte de tres que os falta siento. Nise, con un divino entendimiento, os enriquece de un amor dichoso; mas sois de dueño pobre, y es forzoso que en la necesidad falte el contento.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO EDUARDO
Fortuna Dio vi conceda pari alla vostra bellezza. [Escono Nise e Celia.]
EDUARDO
Che vi ha detto del sonetto?
[A Lorenzo] LORENZO EDUARDO LORENZO
FENISO EDUARDO LORENZO
FENISO
LORENZO
Che è davvero straordinario. Ne avrete certo discusso, giacché anche voi create versi. Non c’è bisogno di scriverne per poterli criticare; osa pure giudicarli chi neanche riesce a capirli. Noi due abbiamo da fare. Vi preghiamo di scusarci. La norma «non disturbare» noi vogliamo rispettare. È una malizia! Ma no! La divina Nise è vostra, o per lo meno lo sembra. Potrebbe esserlo se avessi le sue stesse qualità. Salutano, e Lorenzo resta solo.
LORENZO
Sei senza dubbio splendido, o pensiero, ma, pur essendo onesto oltre che bello, se l’utile è una qualità del bene, una parte su tre mi par che manchi. Nise, che ha una sublime intelligenza, vi rende ricco di un felice amore; ma non ha capitali e ciò comporta che non si sia contenti nel bisogno.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Si el oro es blanco y centro del descanso y el descanso del gusto, yo os prometo que tarda el navegar con viento manso. Pensamiento, mudemos de sujeto; si voy necio tras vos, y en ir me canso, cuando vengáis tras mí, seréis discreto.
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Entre Pedro, lacayo de Laurencio. PEDRO LAURENCIO PEDRO LAURENCIO
PEDRO LAURENCIO
PEDRO LAURENCIO PEDRO
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¡Qué necio andaba en buscarte fuera de aqueste lugar! Bien me pudieras hallar con el alma en otra parte. Luego, ¿estás sin ella aqui? Ha podido un pensamiento reducir su movimiento desde mí, fuera de mí. ¿No has visto que la saeta del reloj en un lugar firme siempre suele estar aunque nunca está quïeta, y tal vez está en la una, y luego en las dos está? Pues así mi alma ya, sin hacer mudanza alguna de la casa en que me ves, desde Nise que ha querido, a las doce se ha subido, que es número de interés. Pues, ¿cómo es esa mudanza? Como la saeta soy, que desde la una voy por lo que el círculo alcanza. ¿Señalaba a Nise? Sí. Pues ya señalo en Finea. ¿Eso quieres que te crea?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
Se l’oro è base della sicurezza, e questa del piacere, vi assicuro che con il vento fiacco non si naviga. O pensiero, cambiamo di soggetto; io corro stolto dietro a te e mi stanco, se vieni dietro a me sarai più saggio. Entra Pietro, servo di Lorenzo. PIETRO LORENZO PIETRO LORENZO
PIETRO LORENZO
PIETRO LORENZO PIETRO
Scioccamente ti ho cercato dappertutto fuorché qui! Forse potevi trovarmi con l’anima mia altrove. Perché? Sei qui senza l’anima? Solo un pensiero ha potuto ridurre il suo movimento da dentro a fuori di me. Avrai in qualche orologio notato che la lancetta suole arrestarsi in un punto sebbene non stia mai ferma; ora si trova sull’una, poco dopo sulle due. Così anche l’anima mia, senza che si sia spostata dalla casa in cui mi vedi, da Nise, che tanto ha amata, è passata poi sul dodici, numero che più interessa. Come avviene questo cambio? Sono come la lancetta che dall’una faccio il giro del quadrante per completo. Prima, non segnavo Nise? Sì. Adesso segno Finea. E pretendi che ti creda? 85
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LAURENCIO PEDRO LAURENCIO
PEDRO LAURENCIO
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¿Por qué no, si hay causa? Di. Nise es una sola hermosa, Finea las doce son: hora de más bendición, más descansada y copiosa. En las doce el oficial descansa, y bástale ser hora entonces de comer, tan precisa y natural. Quieto decir que Finea hora de sustento es, cuyo descanso ya ves cuánto el hombre le desea. Denme, pues, las doce a mí, que soy pobre, con mujer que, dándome de comer, es la mejor para mí. Nise es hora infortunada, donde mi planeta airado, de sextil y de cuadrado me mira con frente armada. Finea es hora dichosa, donde Júpiter benigno me está mirando de trino, con aspecto y faz hermosa. Doyme a entender que, poniendo en Finea mis cuidados, a cuarenta mil ducados las manos voy previniendo. Esta, Pedro, desde hoy ha de ser empresa mía. Para probar tu osadía, en una sospecha estoy. ¿Cuál?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LORENZO PIETRO LORENZO
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Perché no, se c’è un motivo? Parla dunque, dimmi tutto. L’una sola è Nise bella, e le dodici Finea: ora ricca e benedetta, più sicura e doviziosa. Le dodici è l’ora in cui l’artigiano si riposa e pensa che per mangiare sia l’ora più adatta e giusta. Voglio dire che Finea è l’ora del nutrimento, e sai bene quanto ogni uomo brami questa sicurezza. Quindi a me che sono povero mi siano date le dodici e al tempo stesso una sposa che, se mi dà da mangiare, è per me quella migliore. Sfortunata ora è Nise perché in lei il mio pianeta, sia sestile sia quadrato, mi guarda con volto irato. Fortunata ora è Finea perché Giove è in lei benevolo, mi sta guardando in ternario con il suo aspetto splendente. Se a Finea – ne son convinto – dedico le mie attenzioni, le mani a quarantamila ducati sto preparando. Questo, Pietro, da oggi in poi sarà l’unico mio compito. Per provare la tua audacia voglio dirti un mio sospetto. Quale?
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PEDRO
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PEDRO
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Que te has de arrepentir por ser simple esta mujer. ¿Quién has visto de comer, de descansar y vestir arrepentido jamás? Pues esto viene con ella. A Nise, discreta y bella, Laurencio, ¿dejar podrás por una boba ínorante? ¡Que inorante, majadero! ¿No ves que el sol del dinero va del ingenio adelante? El que es pobre, ése es tenido por simple; el rico, por sabio. No hay en el nacer agravio, por notable que haya sido, que el dinero no le encubra; ni hay falta en naturaleza que con la mucha pobreza no se aumente y se descubra. Desde hoy quiero enamorar a Finea. He sospechado que a un ingenio tan cerrado no hay puerta por donde entrar. Yo sé cuál ¡Yo no, por Dios! Clara, su boba criada. Sospecho que es más taimada que boba. Demos los dos en enamorarlas. Creo que Clara será tercera más fácil. De esa manera, seguro va mi deseo.
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Che ti pentirai perché questa donna è sciocca. Dimmi, hai visto mai qualcuno pentirsi d’aver mangiato, o d’essersi riposato, o d’essersi ben vestito? Tutto ciò viene con lei. E la bella e saggia Nise sei capace di lasciare per una sciocca e ignorante? Ignorante? Sei uno sciocco! Vale il sole del denaro più di quello dell’ingegno. Il povero è ritenuto uno sciocco e il ricco un saggio. Non c’è tara ereditaria, per quanto grande possa essere, che il denaro non nasconda, né difetto naturale che la grande povertà non accresca o non riveli. Voglio fare innamorare Finea. Ma – ne sono certo – in così chiuso cervello non c’è porta per entrare. Ne conosco una. Davvero? È Clara, la serva sciocca. Sembra più furba che sciocca. Facciamole innamorare tutt’e due. Clara sarà una ruffiana perfetta. Se è così, non c’è nient’altro che io possa desiderare.
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Ellas víenen; disimula. Si puede ser en mi mano. ¡Que ha de poder un crístíano enamorar una mula! Linda cara y talle tiene. ¡Así fuera el alma!
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Finea y Clara. LAURENCIO
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Agora conozco, hermosa señora que no solamente viene el sol de las orientales partes, pues de vuestros ojos sale con rayos más rojos y luces piramidales; pero si, cuando salís tan grande fuerza traéis, al mediodía, qué haréis? Comer, como vos decís, no pirámides ni peros, sino cosas provechosas. Esas estrellas hermosas, esos nocturnos luceros me tienen fuera de mí. Si vos andáis con estrellas, ¿qué mucho que os traigan ellas arromadizado ansí? Acostaos siempre temprano, y dormid con tocador. ¿No entendéis que os tengo amor puro, honesto, limpio y llano? Qué es amor? Amor? Deseo. De qué?
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Fai finta di nulla. Arrivano. Lasciami fare e vedrai. Vedremo come un cristiano fa innamorare una mula! Ha un bel viso ed è ben fatta. Così fosse anche nell’anima! [Entrano] Finea e Clara.
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Adesso, bella signora mi accorgo che il sole spunta non soltanto dall’oriente, poiché sorge dai vostri occhi con i raggi più splendenti e policromi bagliori; ma se solo all’apparire tanta intensità mostrate che farete a mezzogiorno? A quell’ora mangerò, ma non, come dite voi, luci o trespoli cromati, ma cose più sostanziose. Codeste stelle leggiadre e codesti astri notturni mi fan perdere la testa. Se trattate con le stelle non dovete poi stupirvi d’aver preso il raffreddore. Voi dovete andare a letto un po’ più presto e dormire con un berretto da notte. Non capite che ho per voi il più schietto e puro amore? Cos’è l’amore? L’amore? È desiderio. Di che? 91
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De una cosa hermosa. ¿Es oro? ¿Es diamante? ¿Es cosa destas que muy lindas veo? No; sino de la hermosura de una mujer como vos, que, como lo ordena Dios, para buen fin se procura; y esta, que vos la tenéis, engendra deseo en mí. Y yo, ¿qué he de hacer aquí, si sé que vos me queréis? Quererme. ¿No habéis oído que amor con amor se paga? No sé yo cómo se haga, porque nunca yo he querido, ni en la cartilla lo vi, ni me lo enseñó mi madre. Preguntarélo a mi padre... Esperaos, que no es ansí. Pues, ¿cómo? Destos mis ojos saldrán unos rayos vivos, como espíritus visivos, de sangre y de fuego rojos, que se entrán por los vuestros. No, señor; arriedro vaya cosa en que espíritus haya. Son los espíritus nuestros, que juntos se han de encender y causar un dulce fuego con que se pierde el sosiego, hasta que se viene a ver el alma en la posesión, que es el fin del casamiento; que con este santo intento justos los amores son,
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Di una cosa tanto bella. Diamanti? Oro? O un’altra cosa tra quelle che stimo belle? No. Bensì della bellezza di una donna come voi, che sicuramente Dio ha creato per un buon fine; e la beltà che vi adorna suscita in me il desiderio. E che cosa dovrei fare sapendo che voi mi amate? Solo amarmi. Non sapete che amor con amor si paga? Io non so come si fa, poiché mai finora ho amato, né sull’abbiccì l’ho letto, né mia madre me lo ha detto. Vado a chiederlo a mio padre. No. Aspettate. Non così. Come, allora? Dai miei occhi raggi vividi usciranno come spiriti visivi, rossi di sangue e di fuoco, ed entreranno nei vostri. Nossignore. Dio mi guardi dalle cose con gli spiriti. Sono gli spiriti nostri che insieme dovranno accendersi e produrre un dolce fuoco con cui si perde la pace, finché non si vedrà l’anima raggiungere quel possesso che del matrimonio è il fine; ché con questo santo scopo ogni amore è giusto e onesto;
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
porque el alma que yo tengo a vuestro pecho se pasa. FINEA ¿Tanto pasa quien se casa? PEDRO [A Clara] Con él, como os digo, vengo tan muerto por vuestro amor, que aquesta ocasión busqué. CLARA ¿Qué es amor, que no lo sé? PEDRO ¿Amor? ¡Locura, furor! CLARA Pues, ¿loca tengo de estar? PEDRO Es una dulce locura, por quíen la mayor cordura suelen los hombres trocar. CLARA Yo, lo que mi ama hiciere, eso haré. PEDRO Ciencia es amor, que el más rudo labrador a pocos cursos la adquiere. En comenzando a querer, enferma la voluntad. de una dulce enfermedad. CLARA No me la mandes tener; que no he tenido en mi vida sino solos sabañones. FINEA ¡Agrádanme las liciones! LAURENCIO Tú verás, de mí querida, cómo has de quererme aquí; que es luz del entendimiento amor. FINEA Lo del casamiento me cuadra. LAURENCIO Y me importa a mí. FINEA Pues, ¿llevaráme a su casa y tendráme allá también? LAURENCIO Sí, señora. FINEA Y, ¿eso es bien?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
e così l’anima mia passerà nel vostro petto. FINEA E tutto questo succede a coloro che si sposano? PIETRO [A Clara] Sono venuto con lui perché mi sento morire per amor vostro e ho dovuto cercare questa occasione. CLARA E l’amore, che cos’è? PIETRO L’amore? È follia, furore! CLARA Devo diventare pazza? PIETRO Ma no! È una follia dolce che gli uomini sempre accettano in cambio della saggezza. CLARA Ciò che farà la padrona, farò. PIETRO L’amore è una scienza che anche un rustico villano impara in poche lezioni. Come s’inizia ad amare s’ammala la volontà d’una dolce malattia. CLARA Non vorrai farmi ammalare? Io, in tutta la mia vita, ho avuto solo geloni. FINEA Queste lezioni mi piacciono! LORENZO Vedrai come, da me amata, imparerai ad amarmi; perché l’amore è la luce dell’intelletto. FINEA Mi piace la storia del matrimonio. LORENZO Ed è ciò che più m’importa. FINEA Mi porterà a casa sua e lì sempre mi terrà? LORENZO Sì, signora. FINEA E questo è un bene? 95
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LAURENCIO
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Y muy justo en quien se casa. Vuestro padre y vuestra madre casados fueron ansi: deso nacistes. Yo? Sí. Cuando se casó mi padre, ¿no estaba yo allí tampoco? (¿Hay semejante ignorancia? Sospecho que esta ganancia camina o volverme loco.) Mi padre pienso que viene. Pues voyme. Acordaos de mí.
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[Vase Laurencio.] FINEA CLARA PEDRO
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¡Que me place! ¿Fuese? Sí, y seguirle me conviene. Tenedme en vuestra memoria. Si os vais, ¿cómo? [Vase Pedro.]
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Has visto, Clara, lo que es amor? ¡Quién pensara tal cosa! No hay pepitoria que tenga más menudencias de manos, tripas y pies. Mi padre, como lo ves, anda en mil impertinencias. Tratado me ha de casar con un caballero indiano, sevillano o toledano.
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FINEA LORENZO
È giusto per chi si sposa. Vostro padre e vostra madre si sposarono così: e poi siete nata voi. Io? Sì, voi. Non c’ero anch’io quando si sposò mio padre? (Ma vedi che stupidaggine! Ho paura che questo affare mi farà perdere il senno.) Credo che arrivi mio padre. In tal caso me ne vado. Ricordatevi di me. [Esce Lorenzo.]
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Con piacere. Se n’è andato? Sì, e seguirlo mi conviene. Nel vostro ricordo abbiatemi. E come, se ve ne andate? [Esce Pietro.]
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Hai visto che cos’è, Clara, l’amore? Chi mai l’avrebbe pensato! È uno spezzatino con vari tipi di carne: le mani, i piedi e le trippe. E mio padre, come sai, si perde in mille sciocchezze. Ha pensato di sposarmi con un tale di Siviglia o Toledo, che dalle Indie è tornato molto ricco. 97
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
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Dos veces me vino a hablar, y esta postrera sacó de una carta un naipecito muy repulido y bonito, y luego que le miró me dijo: «Toma, Finea, ése es tu mando.» Y fuese. Yo, como, en fin, no supiese esto de casar qué sea, tomé el negro del marido, que no tiene más de cara, cuera y ropilla; mas, Clara, ¿qué importa que sea pulido este marido o quién es, si todo el cuerpo no pasa de la pretina? Que en casa ninguno sin piernas ves. ¡Pardiez, que tienes razón! ¿Tiénesle ahí? Vesle aquí
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Saca un retrato. CLARA FINEA CLARA FINEA CLARA FINEA
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¡Buena cara y cuerpo! Sí; mas no pasa del jubón. Luego este no podrá andar. ¡Ay, los ojitos que tiene! Señor con Níse... ¿Si viene a casarte...? No hay casar; que este que se va de aquí tiene piernas, tiene traza.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
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Me ne ha parlato due volte e l’ultima volta estrasse da una busta un cartoncino, tipo una carta da gioco, molto accurato e grazioso e, dopo averlo guardato, mi disse: «Prendi, Finea. E via, questo è tuo marito». Io, che non sapevo nulla in fatto di matrimonio, presi il dannato marito che oltre alla faccia ha soltanto una blusa ed un giubbetto; ma, Clara, che cosa importa che questo marito o che altro, sia grazioso, se il suo corpo non va più giù della cintola? Non ho mai visto nessuno senza gambe in questa casa. Perdinci, hai proprio ragione! Ce l’hai qua? Eccolo, guarda. Tira fuori un ritratto.
CLARA FINEA CLARA
FINEA CLARA FINEA
Un bel viso ed un bel corpo. Sì. Ma dal giubbetto in giù non c’è più nulla. Non so come farà a camminare. Però gli occhi sono belli. Vai da Nise, signor mio... Ma con te vuole sposarsi. Macché sposarsi e sposarsi; quello che è uscito da qui ha le gambe e un bell’aspetto.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO CLARA
Y más, que con perro caza; que el mozo me muerde a mí. Entre Otavio con Nise.
OTAVIO NISE OTAVIO NISE OTAVIO NISE OTAVIO FINEA OTAVIO
Por la calle de Toledo dicen que entró por la posta. Pues, ¿cómo no llega ya? Algo, por dicha, acomoda. Temblando estoy de Finea. Aquí está, señor, la novia. Hija, ¿no sabes? No sabe; que esa es su desdicha toda. Ya está en Madrid tu marido. Siempre tu memoria es poca. ¿No me le diste en un naipe? Esa es la figura sola, que estaba en él retratado; que lo vivo viene agora.
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Celia entre. CELIA OTAVIO
Aquí está el señor Liseo, apeado de unas postas. Mira, Finea, que estés muy prudente y muy señora. Llegad sillas y almohadas.
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Liseo, Turín y criados. LISEO OTAVIO LISEO FINEA
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Esta licencia se torna quien viene a ser hijo vuestro. Y quien viene a darnos honra. Agora, señor, decidme: ¿Quién es de las dos mi esposa? ¡Yo! ¿No lo ve?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO CLARA
E va a caccia col segugio; il servo quasi mi addenta. Entra Ottavio con Nise.
OTTAVIO NISE OTTAVIO NISE OTTAVIO NISE OTTAVIO FINEA OTTAVIO
Pare sia entrato a cavallo dalla porta di Toledo. E come mai non arriva? Starà sbrigando qualcosa. Per Finea ho tanta paura. Signore, ecco qua la sposa. Figlia, non sai? Non sa nulla; e questa è la sua disgrazia. Tuo marito è già a Madrid. Non ti ricordi mai niente. Me lo hai dato in un biglietto. Ma quello è solo un disegno, in cui egli è raffigurato; ora arriva in carne ed ossa. Entra Celia.
CELIA OTTAVIO
C’è il signor Liseo, smontato proprio adesso da cavallo. Ti prego, Finea, comportati da signora e con prudenza. Portate sedie e cuscini. [Entrano] Liseo, Torino e servi.
LISEO OTTAVIO LISEO FINEA
Questa licenza si è presa chi diverrà vostro figlio. E chi viene a farci onore. Adesso, signore, ditemi: chi è, delle due, la mia sposa? Ma sono io, non se ne accorge? 101
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LISEO FINEA OTAVIO FINEA CLARA FINEA CLARA FINEA OTAVIO LISEO NISE LISEO
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Bien merezco los brazos. Luego, ¿no importa? Bien le puedes abrazar. ¡Clara...! ¡Señora! ¡Aún agora viene con piernas y pies! Esto, ¿es burla o jerigonza? El vede de medio arriba me fiaba mayor congoja. Abrazad vuestra cuñada. No fue la fama engañosa. que hablaba en vuestra hermosura. Soy muy vuestra servidora. Lo que es el entendimiento a toda España alborota. La divina Nise os llaman; sois discreta como hermosa, y hermosa con mucho estremo. Pues, ¿cómo requiebra a esotra, si viene a ser mi marido? ¿No es más necio? ¡Calla, loca! Sentaos, hijos, por mi villa. ¡Turín...! ¿Señor? (¡Linda tonta!) ¿Cómo venís del camino? Con los deseos enoja; que siempre le hacen más largo. Ese macho de la noria pudierais haber pedido, que anda como una persona. Calla, hermana.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LISEO FINEA OTTAVIO FINEA CLARA FINEA CLARA FINEA OTTAVIO LISEO
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NISE
Ho ben diritto a un abbraccio. Ci si può dunque abbracciare? Certo, puoi pure abbracciarlo. Clara...! Signora! Ma adesso ha le gambe ed anche i piedi. È una burla o una finzione? Vederlo solo a metà mi dava una grande angoscia. Potete abbracciare intanto vostra cognata. La fama non mente quando decanta la vostra rara bellezza. Grazie. Sono serva vostra. E la vostra intelligenza! Se ne parla dappertutto; e vi chiamano divina. Siete saggia quanto bella, e bella più di ogni dire. E perché loda quell’altra se a sposare me è venuto? È uno sciocco! Zitta, scema! Vi prego di accomodarvi. Torino...! Sì, mio signore? (È proprio una sciocca!) Come siete arrivato dal viaggio? Con i desideri in fiore, che fanno più lungo il viaggio. Potevate farvi dare quel bel mulo della noria che cammina come un uomo. Stai zitta, sorella mia. 103
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO FINEA NISE LISEO TURÍN LISEO FINEA TURÍN
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OTAVIO FINEA
Callad vos. Aunque hermosa y virtüosa, es Finea de este humor. Turín, ¿trajiste las joyas? No ha llegado nuestra gente. ¡Qué de olvidos se perdonan en un camino a criados! ¿Joyas traéis? (Y le sobra de las joyas el principio, tanto el «jo» se le acomoda.) Calor traéis. ¿Queréis algo? ¿Qué os aflige?, ¿qué os congoja? Agua quisiera pedir. Haráos mal el agua sola. Traigan una caja. A fe que si, como viene agora, fuera el sábado pasado, que hicimos yo y esa moza un menudo... ¡Calla, necia! Mucha especia. ¡Linda cosa! Entren con agua, toalla, salva y una caja.
CELIA OTAVIO LISEO
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El agua está aquí. Comed. El verla, señor, provoca; porque con su risa dice que la beba y que no coma.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO FINEA NISE LISEO TORINO LISEO
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OTTAVIO FINEA
State zitta voi, piuttosto. Anche se bella e virtuosa, Finea è fatta così. Torino, hai con te i gioielli? La servitù non è ancora arrivata. Quante cose si devono perdonare ai servi quando si è in viaggio! Ah, portate delle gioie? (L’inizio di «gioie» avanza; basterebbe solo «ie», come si dice ai somari.) Sentite caldo? Volete qualcosa? Sembrate afflitto. Vorrei solo un poco d’acqua. L’acqua sola può far male. Portate anche dei dolcini. Giuro che se invece di oggi veniva sabato scorso quando io e questa mia serva avevamo preparato una trippa... Zitta, sciocca! Un bell’intruglio davvero!
Entrano i servi con un vassoio, acqua, salvietta e una scatola di dolci. CELIA OTTAVIO LISEO
Ecco, l’acqua è qui. Mangiate qualcosa. Vedere l’acqua, signore, è molto invitante; pare che rida e mi dica di bere senza mangiare.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO
Beba. FINEA TURÍN OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA LISEO OTAVIO
LISEO OTAVIO FINEA NISE FINEA NISE FINEA NISE FINEA LISEO
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Él bebe como una mula. (¡Buen requiebro!) ¡Qué enfadosa que estás hoy! ¡Calla, si quieres! ¡Aun no habéis dejado gota! Esperad; os limpiaré. Pues, ¿tú le limpias? ¿Qué importa? (¡Media barba me ha quitado! ¡Lindamente me enamora!) Que descanséis es razón. (Quiero, pues no se reporta, llevarle de aquí a Finea.) (Tarde el descanso se cobra, que en tal desdicha se pierde.) Ahora bien: entrad vosotras, y aderezad su aposento. Mi cama pienso que sobra para los dos. ¿Tú no ves que no están hechas las bodas? Pues, ¿qué importa? Ven conmigo. ¿Allá dentro? Sí Adiós. ¡Hola! (Las del mar de mi desdicha me anegan entre sus ondas.)
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO
Beve. FINEA TORINO OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA LISEO
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LISEO OTTAVIO FINEA NISE FINEA NISE FINEA NISE FINEA
Beve proprio come un mulo. (Bel complimento!) Stai zitta, oggi sei proprio noiosa. Non ne è rimasta una goccia! Su, vi pulisco la bocca. E vuoi pulirgliela tu? Cosa importa? (Mezza barba quasi mi strappa. È così che vuol farmi innamorare?) Sarebbe bene che andaste a riposarvi. (E così, visto come si comporta, allontanerò Finea). (Lento è a tornare il riposo che in tale imbroglio si perde!) Adesso voialtre andate a preparargli la stanza. Credo che il mio letto possa bastare per tutti e due. Taci, sciocca! Il matrimonio non s’è ancora celebrato. Che importa? Vieni con me. Dove, lì dentro? Sì. Ciao. [Escono Nise e Finea.]
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(Le onde della mia sventura mi travolgono e mi annegano.)
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO OTAVIO
Yo también, hijo, me voy, para prevenir las cosas, que, para que os desposéis con más aplauso, me tocan. Díos os guarde.
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Todos se van; queden Liseo y Turín. LISEO
TURÍN LISEO TURÍN
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No sé yo de qué manera disponga mi desventura.¡Ay de mí! ¿Quieres quitarte las botas? No, Turín; sino la vida. ¿Hay boba tan espantosa? Lástima me ha dado a mí, considerando que ponga en un cuerpo tan hermoso el cielo un alma tan loca. Aunque estuviera casado por poder, en causa propia me pudiera descasar. La ley es llana y notoria; pues concertando mujer con sentido, me desposan con una bestia del campo, con una villana tosca. Luego, ¿no te casarás? ¡Mal haya la hacienda toda que con tal pensión se adquiere, que con tal censo se toma! Demás que aquesta mujer, si bien es hermosa y moza, qué puede parir de mí, sino tigres, leones y onzas?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO OTTAVIO
Me ne vado anch’io, figliolo, perché debbo preparare quanto serve a festeggiare le vostre splendide nozze. Dio vi conservi. Escono tutti meno Liseo e Torino.
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TORINO
LISEO
TORINO LISEO
Non so in che modo potrò oppormi alla mia sventura, ahimè! Vuoi toglierti gli stivali? No, Torino; ciò che invece vorrei togliermi è la vita. C’è una sciocca più mostruosa? Non sai che pena mi dà vedere che il cielo ha messo in un corpo tanto bello un’anima così sciocca. Anche nel caso in cui fossi già sposato per procura ci sarebbero i motivi per sciogliere il matrimonio. La legge è chiara e precisa; presi accordi per sposarmi con una donna sensata e invece mi danno in moglie una bestia primitiva, una villana incivile. Quindi non la vuoi sposare? Al diavolo il patrimonio con questo prezzo acquistato con questa unione ottenuto! Che cosa mai questa donna, anche se giovane e bella, può generare con me se non tigri, leoni e lonze? 109
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO TURÍN
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Eso es engaño, que vemos por experiencias y historias, mil hijos de padres sabios, que de necios los deshonran. Verdad es que Cicerón tuvo a Marco Tulio en Roma, que era un caballo, un camello. De la misma suerte consta que de necios padres suele salir una fénix sola. Turín, por lo general, y es consecuencia forzosa, lo semejante se engendra. Hoy la palabra se rompa; rásguense cartas y firmas; que ningún tesoro compra la libertad. Aun si fuera Nise... ¡Oh, qué bien te reportas! Dicen que si a un hombre airado, que colérico se arroja, le pusiesen un espejo, en mirando en él la sombra que representa su cara, se tiempla y desapasiona; así, tú, como tu gusto miraste en su hermana hermosa – que el gusto es cara del alma, pues su libertad se nombra –, luego templaste la tuya. Bien dices, porque ella sola el enojo de su padre, que, como ves, me alborota, me puede quitar, Turín. ¿Que no hay que tratar de esotra?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO TORINO
LISEO
TORINO
LISEO
TORINO
LISEO
TORINO
È un inganno: noi vediamo per esperienza e storia mille figli sciocchi i padri sapienti disonorare. È vero; anche Cicerone ebbe un figlio, Marco Tullio, che era peggio di un cammello. E allo stesso modo accade che da padri sciocchi possa venir fuori una fenice. Sì, ma la norma è che i figli somiglino ai genitori. La promessa voglio rompere e strappare carte e firme; non c’è tesoro che valga la libertà. Neppure se fosse Nise... Ah, ora ti fermi! Dicono che quando un uomo è adirato e incollerito, se si guarda in uno specchio, vedendo riflessa l’ombra che raffigura il suo viso si calma e si tranquillizza; e così tu, quando hai visto nel viso della sorella riflesso il sembiante ideale, – poiché il piacere è lo specchio dell’anima in quanto si chiama la sua libertà – ti sei calmato e acquietato. Dici bene. Solo lei può distogliere da me la collera di suo padre, che è ciò che temo, Torino. E dell’altra, non ne parli?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO PRIMERO LISEO
TURÍN
LISEO
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Pues, ¿he de dejar la vida por la muerte temerosa, y por la noche enlutada el sol que los cielos dora, por los áspides las aves, por las espinas las rosas, y por un demonio un ángel? Digo que razón te sobra: que no está el gusto en el oro; que son el oro y las horas muy diversas. Desde aquí renuncio la dama boba.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO PRIMO LISEO
TORINO
LISEO
Dovrei cambiare la vita con la morte spaventosa? E il sole che tutto dora con la notte tenebrosa? Cambiare uccelli con aspidi, e rose in cambio di spine, e con un demonio un angelo? Dico che hai proprio ragione: non sta nell’oro il piacere; l’oro e le ore sono cose diverse. Da quest’istante rinuncio alla dama sciocca.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Duardo, Laurencio, Feniso FENISO DUARDO LAURENCIO FENISO LAURENCIO
DUARDO FENISO LAURENCIO
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En fin, ha pasado un mes y no se casa Liseo. No siempre mueve el deseo el codicioso interés. De Níse la enfermedad ha sido causa bastante. Ver a Finea ignorante templará su voluntad. Menos lo está que solía. Temo que amor ha de ser artificioso a encender piedra tan helada y fría. ¡Tales milagros ha hecho en gente rústica amor! No se tendrá por menor dar alma a su rudo pecho. Amor, señores, ha sido aquel ingenío profundo, que llaman alma del mundo, y es el dotor que ha tenido la cátreda de las ciencias; porque solo con amor aprende el hombre mejor sus divinas diferencias. Así lo sintió Platón; esto Aristóteles dijo; que, como del cielo es hijo, es todo contemplación. De ella nació el admirarse, y de admirarse nació el filosofar, que dio
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Eduardo, Lorenzo, Feniso FENISO EDUARDO LORENZO FENISO LORENZO
EDUARDO FENISO LORENZO
Insomma, è passato un mese e Liseo non si sposa. Non sempre la cupidigia fa nascere il desiderio. Forse il ritardo è dovuto alla malattia di Nise. L’ignoranza di Finea avrà smorzato i suoi slanci. È meno sciocca di prima. L’amore è tanto efficace da accendere una pietra tanto gelata e fredda. Anche tra la gente rozza l’amore ha fatto miracoli! Non sarà facile dare al suo duro petto un’anima. Signori, l’amore è stato sempre quel profondo ingegno da tutti considerato come l’anima del mondo, ed è il dotto che ha tenuto la cattedra delle scienze; perché solo con l’amore l’uomo giunge a percepire le divine differenze. Così pensava Platone e così disse Aristotele; che, essendo figlio del cielo, è pura contemplazione. E dalla contemplazione è nata la meraviglia; da questa il filosofare che ci diede quella luce 115
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
luz con que pudo fundarse toda ciencia artificial. Y a amor se ha de agradecer que el deseo de saber es al hombre natural. Amor con fuerza süave dio al hombre el saber sentir, dio leyes para vivir, politico, honesto y grave. Amor repúblicas hizo; que la concordia nació de amor, con que a ser volvió lo que la guerra deshizo. Amor dio lengua a las aves, vistió la tierra de frutos, y, como prados enjutos, rompió el mar con fuertes naves. Amor enseñó a escribir altos y dulces concetos, como de su causa efetos. Amor enseñó a vestir al más rudo, al más grosero; de la elegancia fue amor el maestro; el inventor fue de los versos primero; la música se le debe y la pintura. Pues, ¿quién dejará de saber bien, como sus efetos pruebe? No dudo de que a Finea, como ella comience a amar, la deje amor de enseñar, por imposible que sea.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
sulla quale si fondò ogni scienza artificiale. E all’amore si deve anche quel desiderio di scienza che è congenito nell’uomo. L’Amore, con forza soave, ha dato all’uomo il sentire ed ha dato anche le leggi per vivere in società saggiamente e onestamente. L’Amore ha creato gli Stati perché dall’amore è nata la concordia che ricrea quanto la guerra distrugge. L’Amore ha dato agli uccelli il canto e alla terra i frutti e, come su un ampio prato, ha spinto le navi in mare. L’Amore ha insegnato a scrivere profondi e dolci concetti, effetti di tanta causa. Amore al più rude e rozzo ha insegnato ad abbigliarsi; d’eleganza è stato Amore il maestro; l’inventore primo è stato egli dei versi. A lui si deve la musica e la pittura. Pertanto chi potrà mai prevedere quali effetti può produrre? Non dubito che l’amore renderà accorta Finea, quando inizierà ad amare; anche se sembra impossibile.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FENISO
DUARDO
FENISO LAURENCIO FENISO LAURENCIO FENISO DUARDO FENISO
LAURENCIO DUARDO FENISO
Está bien pensado ansí, y su padre lleva intento, por dicha, en el casamiento, que ame y sepa. Y yo de aquí, infamando amores locos, en limpio vengo a sacar que pocos deben de amar en lugar que saben pocos. ¡Linda malicia! ¡Extremada! ¡Difícil cosa es saber! Sí; pero fácil creer que sabe, el que poco o nada. ¡Qué divino entendimiento tiene Nise! ¡Celestial! ¿Cómo, siendo necío el mal, ha tenido atrevimiento para hacerle estos agravios, de tal ingenio desprecios? Porque de sufrir a necios suelen enfermar los sabios. Ella viene. Y con razón se alegra cuanto la mira.
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Nise y Celia. NISE
[A Celia]
CELIA NISE
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Mucho la historia me admira. Amores pienso que son, fundados en el dinero. Nunca fundó su valor sobre dineros amor, que busca el alma primero,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FENISO
EDUARDO
FENISO LORENZO FENISO LORENZO FENISO EDUARDO FENISO
LORENZO
EDUARDO FENISO
Hai davvero indovinato e l’intento di suo padre, con codesto matrimonio, è che lei ami ed apprenda. Io da tutto ciò ricavo, accusando i folli amori, che pochi debbono amare poiché pochi sono i saggi. Troppa critica! Eccessiva! È difficile il sapere! Sì; ma chi sa poco o nulla spesso crede di sapere. Che divina intelligenza possiede Nise! Stupenda! Ma, se il male è così sciocco, come ha potuto azzardarsi ad oltraggiare il suo ingegno facendole un tale torto? I saggi spesso si ammalano a forza di sopportare gli sciocchi. Eccola che arriva. E giustamente si allieta chiunque la possa guardare. [Entrano] Nise e Celia.
La faccenda mi stupisce. [Sottovoce a Celia] CELIA Penso che sia un amore che si fonda sul denaro. NISE L’amore mai ha fondato la sua forza sul denaro: anzitutto cerca l’anima. NISE
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO DUARDO
FENISO
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Señora, a vuestra salud hoy cuantas cosas os ven dan alegre parabién y tienen vida y quietud; que como vuestra virtud era el sol que se la dio, mientras el mal la eclipsó también lo estuvieron ellas; que basta ver vuestras estrellas Fortuna el tiempo corrió. Mas como la primavera sale con pies de marfil, y el vario velo sutil tiende en la verde ribera, corre el agua lisonjera y están finendo las flores sobre tomar las colores; así vos salís, trocando el triste tiempo y sembrando en campus de almas, amores. Ya se ríen estas fuentes, y son perlas las que fueron lágrimas, con que sintieron esas estrellas ausentes; y a las aves sus corrientes hacen instrumentos claros con que quieren celebraros. Todo se anticipa a veros, y todo intenta ofreceros con lo que puede alegraros.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO EDUARDO
FENISO
Signora, per la salute che avete recuperato, tutto quanto oggi vi vede si congratula con voi e riacquista vita e pace; che essendo la virtù vostra il sole che gliele dava, quando il male la eclissava ogni cosa ne era priva; mancando le vostre stelle anche il tempo era cattivo. Ma, come la primavera con i suoi piedi d’avorio sorge e stende sulla riva il suo velo variopinto, e l’acqua placida scorre ed i fiori fanno a gara nel vestirsi di colori; allo stesso modo voi apparite e l’inclemenza del tempo fate cambiare, e riuscite a seminare nei campi d’anime, amori. Queste fonti ormai gioiscono e le lagrime versate per l’assenza dei vostri occhi, belli al pari delle stelle, si mutano adesso in perle; e il loro flusso accompagna degli uccelli il chiaro canto con cui vogliono onorarvi. Tutto è ansioso di vedervi e s’adopra per offrirvi quanto possa rallegrarvi.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIO
NISE LAURENCIO
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Pues si con veros hacéis tales efetos agora, donde no hay alma, señora, más de la que vos ponéis, en mí, ¿qué muestras haréis, qué señales de alegría, este venturoso día, después de tantos enojos, siendo vos sol de mis ojos, siendo vos alma en la mía? A estar sin vida llegué el tiempo que no os serví; que fue lo más que sentí, aunque sin mi culpa fue. Yo vuestros males pasé, como cuerpo que animáis; vos movimiento me dais, yo soy instrumento vuestro, que en mi vida y salud muestro todo lo que vos pasáis. Parabién me den a mí de la salud que hay en vos, pues que pasamos los dos el mismo mal en que os vi. Solamente os ofendí, aunque la disculpa os muestro, en que este mal que fue nuestro, solo tenerle debía, no vos, que sois alma mía, yo sí, que soy cuerpo vuestro. Pienso que de oposición me dais los tres parabién. Y es bien, pues lo sois por quien viven los que vuestros son.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
LORENZO
NISE LORENZO
E se solo col mostrarvi suscitate tali effetti nelle cose prive di anima, salvo quella da voi data, immaginatevi dunque in questo giorno felice, dopo tante sofferenze, quali segni di esultanza provocherete, se siete il sole degli occhi miei, l’anima della mia anima? Senza vita mi sentii quando non potei servirvi; e fu ciò che più mi dolse anche se non ne ebbi colpa. Ho sofferto i vostri mali come un corpo che animate; voi mi date il movimento, io sono un vostro strumento, poiché nella mia salute e nella mia vita mostro tutto ciò che vi succede. Della vostra guarigione con me tutti si rallegrino poiché entrambi ci ammalammo della stessa malattia. In una cosa vi ho offeso, anche se me ne discolpo, che di questo male nostro non dovevate soffrirne voi che siete la mia anima ma solo io che sono il corpo. Penso che facciate a gara nel rallegrarvi con me. Perché voi siete la vita per i vostri innamorati.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO NISE
DUARDO FENISO DUARDO FENISO DUARDO
Divertíos, por mi vida, cortándome algunas flores los dos, pues con sus colores la diferencia os convida, de este jardín, porque quiero hablar a Laurencio un poco. Quien ama y sufre, o es loco o necio. Tal premio espero. No son vanos mis recelos. Ella le quiere. Yo haré un ramillete de fe, pero sembrado de celos.
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[Vanse Duardo y Feniso.] LAURENCIO
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Ya se han ido. ¿Podré yo, Nise, con mis brazos darte parabién de tu salud? ¡Desvía, fingido, fácil lisonjero, engañador, loco, inconstante, mudable hombre, que en un mes de ausencia – que bien merece llamarse ausencia la enfermedad –, el pensamiento mudaste! Pero mal dije en un mes, porque puedes disculparte con que creíste mi muerte, y, si mi muerte pensaste, con gracioso sentimiento,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO NISE
EDUARDO FENISO EDUARDO FENISO EDUARDO
Ora voi due divertitevi raccogliendo nel giardino un po’ di fiori per me, perché i loro bei colori per la varietà vi invitano. Io vorrei parlare un poco con Lorenzo nel frattempo. Chiunque ami e soffra, o è un pazzo o è uno sciocco. Un tale premio io desidero. Non erano i miei sospetti infondati. Ella lo ama. Le farò con passione un bel mazzetto, ma di gelosia cosparso. [Escono Eduardo e Feniso.]
LORENZO
NISE
Finalmente sono andati. Potrò adesso rallegrarmi, Nise, della tua salute, stringendoti tra le braccia? Vai via, falso, infido, frivolo, ipocrita, ingannatore, pazzo, incostante, volubile uomo che in un solo mese di assenza – così si può chiamare la malattia – hai cambiato di pensiero! Ho detto male in un mese; puoi discolparti dicendo che hai creduto fossi morta e, se mi pensavi morta, – che dolore sopraffino! –
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIO NISE
LAURENCIO NISE LAURENCIO NISE
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pagaste el amor que sabes, mudando el tuyo en Finea. ¿Qué dices? Pero bien haces: tú eres pobre, tú discreto, ella rica y ignorante; buscaste lo que no tienes, y lo que tienes dejaste. Discreción tienes, y en mí la que celebrabas antes dejas con mucha razón; que dos ingenios iguales no conocen superior; y, por dicha, ¿imaginaste que quisiera yo el imperio que a los hombres debe darse? El oro que no tenías, tenerle solicitaste enamorando a Finea. Escucha... ¿Qué he de escucharte? ¿Quién te ha dicho que yo he sido en un mes tan inconstante? ¿Parécete poco un mes? Yo te disculpo, no hables; que la Luna está en el cielo sin intereses mortales, y en un mes, y aun algo menos, está creciente y menguante. Tú en la tierra, y de Madrid, donde hay tantos vendavales de intereses en los hombres, no fue milagro mudarte. Dile, Celia, lo que has visto.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
LORENZO NISE
LORENZO NISE LORENZO NISE
il mio amore hai ricambiato riponendo il tuo in Finea. Ma che dici? Ma fai bene: tu, povero e intelligente, e lei ricca ed ignorante; cercasti ciò che non hai lasciando ciò che possiedi. Intelligenza possiedi e in me a ragione lasciasti quella che prima lodavi; perché due intelletti uguali non vogliono riconoscere che l’altro sia superiore, o, magari, hai immaginato che io volessi quel potere che è concesso solo agli uomini? E l’oro che non avevi hai voluto procurarti innamorando Finea. Ascolta... Che vuoi che ascolti? Chi ti ha detto che in un mese son diventato volubile? E ti sembra poco un mese? Io ti scuso, non dir nulla; la luna che sta nel cielo, senza interessi terreni, in un mese ed anche meno, è crescente e anche calante. Tu che vivi sulla terra, e per di più stai a Madrid, dove infuriano tra gli uomini uragani di interessi, non fa certo meraviglia se in un mese sei cambiato. Digli, Celia, quel che hai visto. 127
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO CELIA
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Ya, Laurencio, no te espantes de que Nise, mi señora, de esta manera te trate: yo sé que has dicho a Finea requiebros. ¡Que me levantes, Celia, tales testimonios! Tú sabes que son verdades; y no solo tú a mi dueño ingratamente pagaste, pero tu Pedro, el que tiene de tus secretos las llaves, ama a Clara tiernamente. ¿Quieres que más te declare? Tus celos han sido, Celia, y quieres que yo los pague. ¿Pedro a Clara, aquella boba? Laurencio, si le enseñaste, ¿por qué te afrentas de aquello en que de ciego no caes? Astrólogo me pareces, que siempre de ajenos males, sin reparar en los suyos, largos pronósticos hacen. ¡Qué bien empleas tu ingenio! «De Nise confieso el talle, mas no es solo el exterior e1 que obliga a los que saben.» ¡Oh, quién os oyera juntos!... Debéis de hablar en rornances, porque un discreto y un necío no pueden ser consonantes. ¡Ay, Laurencio, qué buen pago de fe y amor tan notable! Bien dicen que a los amigos, prueba la canta y la cárcel. Yo enfermé de mis tristezas,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO CELIA
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Non ti stupire, Lorenzo, se la mia padrona, Nise, ti tratta così. So bene che hai corteggiato Finea. Proprio tu, Celia, mi accusi! Ma tu sai che è proprio vero; non solo alla mia signora ti sei dimostrato ingrato, ma il tuo Pietro, che conserva le chiavi dei tuoi segreti, ama Clara ardentemente. Vuoi che dica qualcos’altro? La tua, Celia, è gelosia e vuoi farmela pagare. Pietro e Clara, quella sciocca? Se glielo hai insegnato tu, perché adesso ti vergogni di quanto tu stesso fai e, come un cieco, non vedi? Sembri uno di quegli astrologhi che sempre sui mali altrui, senza avvedersi dei propri, ampi pronostici fanno. Come usi bene il tuo ingegno! «Nise ha una bella figura ma non è solo l’aspetto che seduce chi ha buon senso.» Oh, se potessi ascoltarvi!... Parlerete in assonanza perché un saggio ed uno sciocco mai saranno in consonanza. Ah, come ripaghi male la mia fiducia e il mio amore! È ben vero che gli amici si possono riconoscere nella malattia e nel carcere. Di tristezza mi ammalai 129
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIO NISE
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y, de no verte ni hablarte, sangráronme muchas veces. ¡Bien me alegraste la sangre! Por regalos tuyos tuve mudanzas, traiciones, fraudes; pero, pues tan duros fueron, di que me liste diamantes. Ahora bien: ¡esto cesó! ¡Oye, aguarda!... ¿Que te aguarde? Pretende tu rica boba, aunque yo haré que se case más presto que tú lo piensas. ¡Señora!...
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Entre Liseo, y asga Laurencio a Nise. LISEO
NISE LAURENCIO LISEO NISE
LAURENCIO LISEO
NISE
(Esperaba tarde los desengaños; mas ya no quiere amor que me engañe.) ¡Suelta! ¡No quiero! ¿Qué es esto? Dice Laurencio que rasgue unos versos que me dio de cierta dama inorante, y yo digo que no quiero. Tú podrá ser que lo alcances de Nise; ruégalo tú. Si algo tengo que rogarte, haz algo por mis memorias y rasga lo que tú sabes. ¡Dejadme los dos! [Vanse Nise y Celia.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
LORENZO NISE
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e, afflitta per non vederti, più volte mi salassarono. Il mio sangue hai deliziato! In regalo ebbi da te frodi, inganni e tradimenti, così duri che puoi dire d’avermi dato diamanti. Tutto questo è ormai finito! Senti, aspetta!... Aspetta cosa? Corteggia la ricca sciocca, ma io farò che si sposi prima di quanto tu pensi. Signora!... Entra Liseo, e Lorenzo afferra Nise.
LISEO
NISE LORENZO LISEO NISE
LORENZO LISEO
NISE
(Ben prevedevo delusioni in avvenire; ma l’amore non permette che io continui ad ingannarmi.) Lasciami! No! Che succede! Lorenzo vuole che io strappi dei versi che egli mi ha dato, di una certa dama sciocca, ed io dico che non voglio. Forse tu puoi persuaderla. Chiediglielo tu, ti prego. Se io posso, Nise, pregarti di far qualcosa per me, lacera quel che tu sai. Lasciatemi in pace entrambi! [Escono Nise e Celia.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO LAURENCIO LISEO LAURENCIO
LISEO LAURENCIO LISEO LAURENCIO LISEO LAURENCIO
LISEO
¡Qué airada! Yo me espanto que te trate con estos rigores Nise. Pues, Liseo, no te espantes: que es defeto en los discretos tal vez el no ser afables. ¿Tienes que hacer? Poco o nada. Pues vámonos esta tarde por el Prado arriba. Vamos dondequiera que tú mandes. Detrás de los Recoletos quiero hablarte. Si el hablarme no es con las lenguas que dicen, sino con lenguas que hacen, aunque me espanto que sea, dejaré caballo y pajes. Bien puedes.
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[Vase.] LAURENCIO
Yo voy tras ti. ¡Qué celoso y qué arrogante! Finea es boba, y, sin duda, de haberle contado, nace, mis amores y papeles. Ya para consejo es tarde; que deudas y desafíos a que los honrados salen, para trampas se dilatan, y no es bíen que se dilaten. [Vase.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO LORENZO LISEO LORENZO
LISEO LORENZO LISEO LORENZO LISEO LORENZO
LISEO
È davvero incollerita! Mi meraviglia che Nise ti tratti tanto aspramente. Non ti stupire Liseo: spesso le persone sagge mancano di cortesia. Hai da fare? Poco o nulla. Stasera allora faremo una passeggiata al Prado. Andiamo dove vuoi tu. Voglio parlare con te dietro gli Agostiniani. Se con me tu vuoi discutere non con le lingue che parlano ma con le lingue che agiscono, e temo che sia così, lascerò cavallo e paggi. E farai bene. [Esce Liseo.]
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Io ti seguo. Com’è geloso e arrogante! Finea è sciocca e, senza dubbio, tutto ciò nasce dal fatto che del mio amore e dei miei biglietti gli avrà parlato. Per rimediare è ormai tardi; poiché i debiti e le sfide, se rinviati, sono trappole per le persone onorate, ed è meglio non rinviarli. [Esce.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
Un Maestro de danzar y Finea. MAESTRO FINEA MAESTRO FINEA
MAESTRO
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¿Tan presto se cansa? Sí. Y no quiero danzar más. Como no danza a compás, hase enfadado de sí. ¡Por poco diera de hocicos, saltando! Enfadada vengo. ¿Soy yo urraca, que andar tengo por casa dando salticos? Un paso, otro contrapaso, floretas, otra floreta... ¡Qué locura! ¡Qué imperfeta cosa, en un hermoso vaso poner la Naturaleza licor de un alma tan ruda! Con que yo salgo de duda que no es alma la belleza.) Maestro... ¿Señora mía? Trae mañana un tamboril. Ese es un instrumento vil, aunque de mucha alegría. Que soy más aficionada al cascabel os confieso. Es muy de caballos eso. Haced vos lo que me agrada, que no es mucha rustiqueza el traellos en los pies. Harto peor pienso que es traellos en la cabeza. (Quiero seguirle el humor.) Yo haré lo que me mandáis. Id danzando cuando os vais.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
Un maestro di ballo e Finea. MAESTRO FINEA MAESTRO FINEA
MAESTRO
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MAESTRO FINEA
Ma si stanca così presto? Sì. E non voglio più ballare. Siccome non danza a tempo si è irritata con se stessa. Stavo per sbattere il muso saltando. Sono arrabbiata. Forse che sono una gazza ché devo per casa andare a saltelli? Prima un passo, poi un contropasso e un saltello. È davvero una sciocchezza! (È proprio una imperfezione della Natura riporre in un bel vaso il liquore di un’anima tanto rozza. Per cui non nutro più dubbi: la bellezza non è anima.) Maestro... Signora mia... Porta un cembalo, domani. Ma è uno strumento volgare, anche se gaio ed allegro. Mi piacciono ancor di più i sonagli, lo confesso. Questa è roba da cavalli. Voi fate ciò che a me piace, ché non è affatto volgare portarli legati ai piedi. Penso che sia molto peggio averceli nella testa. (Voglio reggerle la corda.) Farò come voi volete. E poi, quando andate via, fatelo a passo di danza.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO MAESTRO
FINEA
MAESTRO
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Yo os agradezco el favor, pero llevaré tras mí mucha gente. Un pastelero, un sastre y un zapatero, ¿llevan la gente tras sí? No; pero tampoco ellos por la calle haciendo van sus oficios. ¿No podrán, si quieren? Podrán hacellos; y yo no quiero danzar. Pues no entréis aquí. No haré. Ni quiero andar en un pie, ni dar vueltas ni saltar. Ni yo enseñar las que sueñan disparates atrevidos. No importa; que los maridos son los que mejor enseñan. ¿Han visto la mentecata? ¿Qué es mentecata, villano? ¡Senora, tened la mano! Es una dama que trata con gravedad y rigor a quien la sirve. ¿Eso es? Puesto que vuelve después con más blandura y amor. ¿Es eso cierto? ¿Pues no?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO MAESTRO
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MAESTRO
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FINEA MAESTRO FINEA MAESTRO
Vi ringrazio del riguardo, ma mi trascinerei dietro molta gente. Un pasticciere, un sarto o anche un calzolaio, si tiran dietro la gente? No. Ma in strada non vanno facendo i loro mestieri. Se volessero, potrebbero. Sì. Potrebbero anche farlo; però io non voglio danzare. E allora qui non dovete più venire. Son d’accordo. Non mi piace camminare su di un piede o saltellare; io non voglio far volteggi. E a me non piace insegnare a ragazze che hanno in mente avventate stravaganze. Non importa; ché i mariti son quelli che meglio insegnano. Ma guarda che mentecatta! Villano! Cosa vuol dire mentecatta? State ferma con le mani. Mentecatta è una signora che tratta con durezza e con rigore chi si trova al suo servizio. È questo? Sì. Ma poi torna a essere dolce e affettuosa. È proprio vero? Ma certo!
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA
MAESTRO
Yo os juro, aunque nunca ingrata, que no hay mayor mentecata en todo el mundo que yo. El creer es cortesía; adiós, que soy muy cortés.
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Váyase y entre Clara. CLARA FINEA
CLARA FINEA
CLARA FINEA
CLARA
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¿Danzaste? ¿Ya no lo ves? Persíguenme todo el día con leer, con escribir, con danzar, y todo es nada. Solo Laurencio me agrada. ¿Cómo te podré decir una desgracia notable? Hablando; porque no hay cosa de decir dificultosa, a mujer que viva y hable. Dormir en día de fiesta, ¿es malo? Pienso que no; aunque si Adán se durmió, buena costilla le cuesta. Pues si nació la mujer de una dormida costilla, que duerma no es maravilla. Agora vengo a entender solo con esa advertencia, por qué se andan tras nosotras los hombres, y en unas y otras hacen tanta diligencia; que, si aquesto no es asilla, deben de andar a buscar su costilla, y no hay parar hasta topar su costilla.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA
MAESTRO
Allora vi giuro che, anche se non fui mai ingrata, nel mondo non c’è una donna più mentecatta di me. Il credere è cortesia; e cortese io sono. Addio. Esce il maestro ed entra Clara.
CLARA FINEA
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CLARA
FINEA
Hai danzato? E non lo vedi? Tutto il giorno mi tormentano; leggi, scrivi, danza, ma tutto ciò non serve a niente. Solo Lorenzo mi piace. Come potrò riferirti una disgrazia terribile? Parlando; nulla è difficile da dire per una donna che è viva e che può parlare. Dormire in giorni di festa è male? Penso di no; anche se l’aver dormito costò ad Adamo una costola. Quindi se la donna è nata da una costola dormiente è normale che essa dorma. Ecco che adesso capisco, grazie alla tua spiegazione, perché gli uomini ci corrono dietro e con questa e con quella si danno tanto da fare; e, se non è una fandonia, stanno cercando la costola e non sanno darsi pace finché non l’hanno trovata. 139
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO CLARA
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CLARA
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Luego si para el que amó un año, y dos, harto bien le dirán los que le ven que su costilla topó. A lo menos los casados. ¡Sabia estás! Aprendo ya, que me enseña amor quizá con liciones de cuidados. Volviendo al cuento, Laurencio me dio un papel para ti. Púseme a hilar. ¡Ay de mí, cuánto provoca el silencio! Metí en el copo el papel, y como hilaba al candil y es la estopa tan sutil, aprendióse el copo en él. Cabezas hay disculpadas cuando duermen sin cojines, y sueños como rocines que vienen con cabezadas. Apenas el copo ardió, cuando, puesta en él de pies, me chamusqué; ya lo ves. ¿Y el papel? Libre quedó, como el santo de Pajares. Sobraron estos renglones, en que hallará más razones que en mi cabeza aladares. ¿Y no se podrán leer? Toma, y lee. Yo sé poco. ¡Dios libre de un fuego loco la estopa de la mujer!
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CLARA
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Quindi di chi s’innamora e trascorre un anno o due, chi lo vede può ben dire che ha trovato la sua costola. Specie se sono sposati. Ma che brava! Sto imparando; è l’amore il mio maestro con lezioni proprio adatte! Ma torniamo a noi. Lorenzo mi diede un foglio per te. Mi misi a filare – ahimè, cosa può fare il silenzio! – Misi il foglio sulla rocca e poiché stavo filando sotto la luce di un lume ed è la stoppa infiammabile, mi prese fuoco il batuffolo. Sono scusate le teste che senza cuscini dormono e i sonni che, come muli, chinando la testa arrivano. Quando divampò la stoppa la calpestai con i piedi e mi bruciai, come vedi. E il foglio? La stessa fine che fa il santo dei pagliai. Son rimaste queste righe nelle quali troverai molti più ragionamenti di quanti capelli ho in testa. E non si possono leggere? Sì, prendi. Io non sono brava. Dal fuoco pazzo preservi Dio la stoppa della donna. 141
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
Entre Otavio. OTAVIO
FINEA OTAVIO FINEA
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Yo pienso que me canso en enseñarla, porque es querer labrar con vidro un pórfido; ni el danzar ni el leer aprender puede, aunque está menos ruda que solía. ¡Oh padre mentecato y generoso, bien seas venido! ¿Cómo mentecato? Aquí el maestro de danzar me dijo que era yo mentecata, y enojéme; mas él me respondió que este vocablo significaba una mujer que riñe, y luego vuelve con amor notable; y como vienes tú riñendo agora, y has de mostrarme amor en breve rato quise también llamarte mentecato. Pues, hija, no creáis a todas gentes, no digáis ese nombre, que no es justo. No lo haré más. Mas diga, señor padre ¿sabe leer? Pues, ¿eso me preguntas? Tome, ¡por vida suya!, y este lea. ¿Este papel? Sí, padre. Oye, Finea:
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Lea ansí.
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«Agradezco mucho la merced que me has hecho, aunque toda esta noche la he pasado con poco sosiego, pensando en tu hermosura.» ¿No hay más? No hay más; que está muy justamente 1505 quemado lo demás. ¿Quién te le ha dado?
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
Entra Ottavio. OTTAVIO
FINEA OTTAVIO FINEA
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Sono stanco di cercare d’istruirla; è come intagliare il vetro col porfido; né a danzare né a leggere può apprendere, anche se adesso pare meno rozza. O padre mentecatto e generoso, sii il benvenuto. Come mentecatto? Poc’anzi il maestro di ballo mi ha detto che io ero mentecatta, e mi arrabbiai; ma poi lui mi spiegò che questo termine voleva dire una donna che litiga e poi si calma e ritorna affettuosa; e siccome adesso vieni a sgridarmi, ma tra poco mi mostrerai il tuo amore, ho voluto chiamarti mentecatto. Ma, figlia mia, non devi a tutti credere; dire questa parola non sta bene. Non lo farò mai più. Ma, signor padre, mi dica, lei sa leggere? E lo chiedi? Allora prenda questo e me lo legga. Questo foglio? Sì, padre. Dunque ascolta: Legge.
FINEA OTTAVIO
«Ti sono molto grato del favore che mi hai fatto sebbene abbia passato tutta la notte senza prender sonno pensando alla tua splendida bellezza.» Non c’è altro? No, perché il resto è bruciato ed è meglio così. Chi te lo ha dato?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA
OTAVIO
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Laurencio, aquel discreto caballero de la academia de mi hermana Nise, que dice que me quiere con extremo. (De su ignorancia, mi desdicha temo. Esto trujo a mi casa el ser discreta Nise: el galán, el músico, el poeta, el lindo, el que se precia de oloroso, el afeitado, el loco y el ocioso.) ¿Hate pasado más con este, acaso? Ayer, en la escalera, al primer paso, me dio un abrazo. (¡En buenos pasos anda mi pobre honor, por una y otra banda! La discreta, con necios en concetos, y la boba, en amores con discretos. A esta no hay que llevarla por castigo, y más que lo podrá entender su esposo.) Hija, sabed que estoy muy enojado. No os dejéis abrazar. ¿Entendéis, hija? Sí, señor padre; y cierto que me pesa, aunque me pareció muy bien entonces. Solo vuestro marido ha de ser digno de esos abrazos.
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Entre Turín. TURÍN OTAVIO TURÍN
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En tu busca vengo. ¿De qué es la prisa tanta? De que al campo van a matarse mi señor Liseo y Laurencio, ese hidalgo marquesote, que desvanece a Nise con sonetos. (¿Qué importa que los padres sean discretos, si les falta a los hijos la obediencia? Liseo habra entendido la imprudencia deste Laurencio atrevidillo y loco,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA
OTTAVIO
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Lorenzo, quel signore tanto istruito di quell’Accademia di mia sorella Nise. Dice che mi ama alla follia. (Dalla sua ingenuità temo dei guai. L’intelligenza di Nise ha portato a casa mia tutto ciò: il ganimede, il musico, il poeta, il bellimbusto, chi si vanta di essere profumato, l’azzimato, l’ozioso e l’insensato.) Con costui ti è successo qualcos’altro? Ieri sulla scala, al primo gradino, mi ha abbracciato. (Il mio onore è sistemato proprio bene, da una parte e dall’altra. La sapiente ragiona con gli sciocchi e la sciocca amoreggia con i saggi. A questa bisogna fare attenzione prima che il fidanzato se ne accorga.) Figlia, sappiate che sono arrabbiato. Non dovete farvi abbracciare. È chiaro? Sì, signor padre; e mi dispiace molto anche se mi sembrò una cosa buona. Solo vostro marito sarà degno dei vostri abbracci. Entra Torino.
TORINO OTTAVIO TORINO
OTTAVIO
Ti stavo cercando. Perché tanta premura? Stanno andando ad ammazzarsi il mio signor Liseo e Lorenzo, quel nobile arrivato che incanta Nise a forza di sonetti. (Che importa mai che i genitori siano saggi se ai figli manca l’obbedienza? Avrà Liseo scoperto l’imprudenza di questo pazzo e avventato Lorenzo 145
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
TURÍN OTAVIO
y que sirve a su esposa.) ¡Caso extraño! ¿Por dónde fueron? Van, si no me engaño hacia los Recoletos Agustinos. Pues ven tras mí. ¡Qué extraños desatinos!
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[Váyanse Otavio y Turín.] Clara y Finea. CLARA FINEA CLARA FINEA CLARA FINEA
CLARA
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Parece que se ha enojado tu padre. ¿Qué puedo hacer? ¿Por qué le diste a leer el papel? Ya me ha pesado. Ya no puedes proseguir la voluntad de Laurencio. Clara, no la diferencio con el dejar de vivir. Yo no entiendo cómo ha sido desde que el hombre me habló, porque, si es que siento yo, él me ha llevado el sentido. Si duermo, sueño con él; si como, le estoy pensando, y si bebo, estoy mirando en agua la imagen de él. ¿No has visto de qué manera muestra el espejo a quien mira su rostro, que una mentira le hace forma verdadera? Pues lo mismo en vidro miro que el cristal me representa. A tus palabras atenta, de tus mudanzas me admiro. Parece que te transformas en otra.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
TORINO OTTAVIO
che corteggia la sua sposa.) Che strano! E dove sono andati? Se non erro vanno al convento degli Agostiniani. Vieni allora con me. Che sventatezza! [Escono Ottavio e Torino.] Clara e Finea.
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CLARA
Sembra che si sia inquietato tuo padre. Che posso farci? Perché gli hai fatto leggere il foglio? Già me ne pento. Non potrai più corrispondere all’amore di Lorenzo. Clara, ciò per me sarebbe come rinunciare a vivere. Non so cosa mi succede da quando egli mi ha parlato, ché, per poco che ne avessi, mi ha portato via il giudizio. Se dormo, sogno di lui; se mangio, lo sto pensando, e se bevo, sto guardando la sua immagine nell’acqua. Hai notato che lo specchio mostra a chi guarda il suo volto tanto che quella finzione prende la forma reale? Ebbene, in fondo al bicchiere, come su specchio lo vedo. Ascolto attenta e stupisco di questo tuo cambiamento. Sembri cambiata in un’altra.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA CLARA FINEA
CLARA FINEA CLARA FINEA
En otro dirás. Es maestro con quien más para aprender te conformas. Con todo eso, seré obediente al padre mío; fuera de que es desvarío quebrar la palabra y fe. Yo haré lo mismo. No impidas el camino que llevabas. ¿No ves que amé porque amabas, y olvidaré porque olvidas? Harto me pesa de amalle; pero a ver mi daño vengo, aunque sospecho que tengo de olvidarme de olvidalle.
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Váyanse y entren Liseo y Laurencio. LAURENCIO LISEO LAURENCIO
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Antes, Liseo, de sacar la espada, quiero saber la causa que os obliga. Pues bien será que la razón os diga. Liseo, si son celos de Finea, mientras no sé que vuestra esposa sea, bien puedo pretender, pues fui primero. Disimuláis, a fe de caballero, pues tan lejos lleváis el pensamiento de amar una mujer tan inorante. Antes de que la quiera no os espante; que soy tan pobre como bien nacido, y quiero sustentarme con el dote. Y que lo diga ansí no os alborote, pues que vos, dilatando el casamiento, habéis dado más fuerzas a mi intento, y porque cuando llegan, obligadas,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA CLARA FINEA
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In un altro, vorrai dire. È il maestro con il quale più ti intendi per apprendere. Tuttavia sarò obbediente ai voleri di mio padre. E inoltre è da stolti infrangere la parola e la fiducia. Ed anch’io farò lo stesso. No, non devi rinunciare a seguire la tua strada. Io amavo perché tu amavi ma se vuoi dimenticare, anch’io dimenticherò. Quanto mi dispiace amarlo! Ma mi accorgo del mio danno anche se temo in cuor mio che scorderò di scordarlo. Escono ed entrano Liseo e Lorenzo.
LORENZO LISEO LORENZO
LISEO
LORENZO
Liseo, prima di sguainare la spada, io ne vorrei conoscere la causa. Penso che dovrò dirvene il motivo. Liseo, se è per gelosia di Finea, fin quando non saprò che è vostra moglie, di corteggiarla ne ho tutto il diritto dato che sono stato il primo a farlo. Quant’è vero che sono un cavaliere, voi mentite: tentar di farmi credere che amate quella donna dissennata! Invece non stupitevi se l’amo; poiché povero sono quanto nobile, e voglio mantenermi con la dote. E se così lo dico, non turbatevi; voi stesso, rimandando il matrimonio, avete rafforzato i miei propositi, e d’altra parte, quando si è costretti 149
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LISEO LAURENCIO
LISEO
LAURENCIO LISEO LAURENCIO
LISEO
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a desnudarse en campo las espadas, se han de tratar verdades llanamente; que es hombre vil quien en el campo miente. ¿Luego, no queréis bien a Nise? A Nise yo no puedo negar que no la quise; mas su dote serán diez mil ducados, y de cuarenta a diez, ya veis, van treinta, y pasé de los diez a los cuarenta. Siendo eso ansí, como de vos lo creo, estad seguro que jamás Liseo os quite la esperanza de Finea; que aunque no es la ventura de la fea, será de la ignorante la ventura; que así Dios me la dé, que no la quiero, pues desde que la vi, por Nise muero. ¿Por Nise? ¡Sí, por Dios! Pues vuestra es Nise, y con la antigüedad que yo la quise, yo os doy sus esperanzas y favores; mis deseos os doy y mis amores, mis ansias, mis serenos, mis desvelos, mis versos, mis sospechas y mis celos. Entrad con esta runfla y dalde pique; que no hará mucho en que de vos se pique. Aunque con cartas tripuladas juegue, aceto la merced, señor Laurencio, que yo soy rico, y compraré mi gusto. Nise es discreta, yo no quiero el oro; hacienda tengo, su belleza adoro. Hacéis muy bien; que yo, que soy tan pobre el oro solicito que me sobre; que aunque de entendimiento lo es Finea yo quiero que en mi casa alhaja sea. ¿No están las escrituras de una renta
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a sguainare le spade in campo aperto, la pura verità si deve dire: è un uomo vile chi sul campo mente. Allora, non amate Nise? Nise non posso dire che non l’abbia amata; ma avrà in dote non più di diecimila ducati e da quaranta fino a dieci ce ne sono trenta ed io pertanto sono passato dai dieci ai quaranta. Stando così le cose, ed io vi credo, siate sicuro che giammai Liseo v’impedirà di aspirare a Finea: se non è la fortuna della brutta sarà della ignorante la fortuna; Dio me l’aveva data, ma io non l’amo, da quando ho visto Nise, per lei muoio. Per Nise? Sì, vi giuro. E allora è vostra e se un tempo l’ho amata ora vi cedo le sue speranze e tutti i suoi favori; le mie brame vi cedo e i miei amori, le mie ansie, le veglie, le nottate, i versi, i sospetti e le gelosie. Giocate queste carte e prenderete, ché anche lei, di voi, presto sarà presa. Anche se gioco solo con scartine, signor Lorenzo, accetto il vostro aiuto, io sono ricco e quel che voglio compro. Nise è assennata ed io non voglio l’oro; ho dei beni e la sua bellezza adoro. E fate bene; ed io che sono povero chiedo d’avere soldi in abbondanza; Finea, anche se d’intelletto è povera, il gioiello sarà della mia casa. I contratti di rendita non stanno 151
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LISEO LAURENCIO LISEO
LAURENCIO LISEO
en un cajón de un escritorio, y rinden aquello que se come todo el año? ¿No está una casa principal tan firme como de piedra, al fin, yeso y ladrillo, y renta mil ducados a su dueño? Pues yo haré cuenta que es Finea una casa una escritura, un censo y una viña, y seráme una renta con basquiña. Demás que, si me quiere, a mí me basta; que no hay mayor ingenio que ser casta. Yo os doy palabra de ayudaros tanto, que venga a ser tan vuestra como creo. Y yo con Nise haré, por Dios, Liseo, lo que veréis. Pues démonos las manos de amigos, no fingidos cortesanos, sino como si fuéramos de Grecia, adonde tanto el amistad se precia. Yo seré vuestro Pílades. Yo, Orestes.
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Entre Otavio y Turín. OTAVIO TURÍN OTAVIO TURÍN OTAVIO LISEO OTAVIO LISEO
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¿Son estos? Ellos son. ¿Y esto es pendencia? Conocieron de lejos tu presencia. ¡Caballeros...! Señor, seáis bien venido. ¿Qué hacéis aquí? Como Laurencio ha sido tan grande amigo mío desde el día que vine a vuestra casa, o a la mía, venímonos a ver el campo solos, tratando nuestras cosas igualmente.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
LISEO LORENZO LISEO
LORENZO LISEO
là nei cassetti di una scrivania e danno da mangiare tutto l’anno? Una casa importante, anche se fatta di gesso e di mattoni, non è forse salda come una roccia? E certamente rende mille ducati al suo padrone. Farò conto che Finea sia una casa, un contratto, un tributo, una miniera: per me sarà una rendita in gonnella. E poi mi basta che mi ami: non c’è migliore ingegno dell’essere casta. Prometto d’aiutarvi in quanto posso perché sia tanto vostra come credo. Io con Nise farò ciò che vedrete. Da amici dunque diamoci la mano; non come falsi cortigiani ma, come se in Grecia noi fossimo nati, dove tanto si apprezza l’amicizia. Io sarò il vostro Pilade. Ed io, Oreste. Entrano Ottavio e Torino.
OTTAVIO TORINO OTTAVIO TORINO OTTAVIO LORENZO OTTAVIO LISEO
Sono loro? Sì. E questa è una contesa? Ti hanno riconosciuto da lontano. Ehilà! Signore, siate il benvenuto. Che fate qui? Poiché Lorenzo è stato un grande amico dal giorno in cui venni a casa vostra, o potrei dire mia, siam venuti da soli a passeggiare per parlare di certe cose nostre.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO OTAVIO
LISEO LAURENCIO OTAVIO TURÍN
OTAVIO TURÍN
De esa amistad me huelgo extrañamente. Aquí vine a un jardín de un grande amigo y me holgaré de que volváis conmigo. Será para los dos merced notable. Vamos [a] acompañaros y serviros. Turín, ¿por qué razón me has engañado? Porque deben de haber disimulado, y porque, en fin, las más de las pendencias mueren por madurar; que a no ser esto, no hubiera mundo ya. Pues, di, ¿tan presto se pudo remediar? ¿Qué mas remedio de no reñir que estar la vida en medio?
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[Vanse.] Nise y Finea. NISE FINEA NISE FINEA NISE
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De suerte te has engreído, que te voy desconociendo. De que eso digas me ofendo. Yo soy la que siempre he sido. Yo te vi mens discreta. Y yo más segura a ti. ¿Quién te va trocando ansí? ¿Quién te da lición secreta? Otra memoria es la tuya. ¿Tomaste la anacardina? Ni de Ana, ni Catalina, he tomado lición suya. Aquello que ser solía soy; porque solo he mudado un poco de más cuidado. ¿No sabes que es prenda mía Laurencio?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO OTTAVIO
LISEO LORENZO OTTAVIO TORINO
OTTAVIO TORINO
Questa vostra amicizia mi rallegra, parecchio. Son venuto qui a vedere il giardino di un caro amico mio, e sarò lieto se con me tornate. Sarà per tutti e due un vero onore. Per servirvi, noi vi accompagneremo. Torino, a quale scopo mi hai ingannato? Penso che fingano, e poi le contese muoiono ancor prima di maturare; e se così non fosse il mondo intero sarebbe già deserto. E così presto si son messi d’accordo? È molto meglio non litigare se la vita è in gioco. [Escono.] Nise e Finea.
NISE FINEA NISE FINEA NISE
FINEA
NISE
Ti stai tanto inorgogliendo che fatico a riconoscerti. Se dici questo mi offendi. Io sono quella di sempre. Ti sapevo meno saggia. Ed io te, ben più sicura. Chi ti sta cambiando tanto? Chi in segreto ti ammaestra? Adesso hai buona memoria. Hai preso l’anacardina? Ma che Anna e che Caterina! Non mi hanno dato lezioni. Sono quella che ero prima; e se qualcosa è cambiato, è di stare un po’ più attenta. E non sai che è pegno mio Lorenzo?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA NISE FINEA
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¿Quién te empeñó a Laurencio? Amor. ¿A fe? Pues yo lo desempeñé, y el mismo amor me le dio. ¡Quitaréte dos mil vidas, boba dichosa! No creas que si a Laurencio deseas, de Laurencio te dividas. En mi vida supe más de lo que él me ha dicho a mí: eso sé y eso aprendí. Muy aprovechada estás; mas de hoy más no ha de pasarte por el pensamiento. ¿Quién? Laurencio. Dices muy bien. No volverás a quejarte. Si los ojos puso en ti, quítelos luego. Que sea como tú quieres. Fínea, déjame a Laurencio a mí. Marido tienes. Yo creo que no riñamos las dos. Quédate con Dios. Adiós.
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E chi te lo ha dato in pegno? È stato l’amore. Davvero? Io l’ho riscattato e Amore l’ha dato a me. Ti ammazzerò mille volte, sciocca ed anche fortunata! Se desideri Lorenzo non credere che da lui tu possa essere divisa. Io non ho saputo mai più di quel che lui mi ha detto: questo appresi e questo so. Ma che brava! Fai progressi. Ma da oggi in poi non ti passi per la mente. Chi? Lorenzo. Hai ragione. Non avrai più motivo di lagnarti. Se su te ha posato gli occhi, è bene che li distolga. Sia come vuoi tu. Finea, lascia Lorenzo per me. Tu hai già marito. Non credo che dovremo litigare. Dio ti assista. Bene. Addio.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
Váyase Nise y entre Laurencio. FINEA
LAURENCIO
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LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO
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¡En qué confusión me veo! Hay mujer más desdichada? Todos dan en perseguirme. (Deténte en un punto firme, fortuna veloz y airada, que ya parece que quieres ayudar mi pretensión. ¡Oh, qué gallarda ocasión!) ¿Eres tú, mi bien? No esperes, Laurencio, verme jamás. Todos me riñen por ti. Pues, ¿qué te han dicho de mí? Eso agora lo sabrás. ¿Dónde está mi pensamiento? ¿Tu pensamiento? Sí. En ti; porque si estuviera en mí, yo estuviera más contento. ¿Vesle tú? Yo no, jamás. Mi hermana me dijo aquí que no has de pasarme a mi por el pensamiento más; por eso allá te desvía, y no me pases por él. (Piensa que yo estoy en él, y echarme fuera querría.) Tras esto dice que en mí pusiste los ojos... Dice verdad; no lo contradice el alma que vive en ti.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
Se ne va Nise ed entra Lorenzo. FINEA
LORENZO
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FINEA LORENZO FINEA
LORENZO FINEA LORENZO
In che pasticcio mi trovo? C’è donna più disgraziata? Tutti ce l’hanno con me. (Fermati per un momento, fortuna fugace e instabile, giacché sembra che tu voglia favorire i miei propositi. Che magnifica occasione!) Sei tu, mio bene? Lorenzo, non sperare di vedermi mai più. Tutti mi rimbrottano. Che ti hanno detto di me? Questo adesso lo saprai. Dov’è andata la mia mente? La tua mente? Sì. Sta in te; perché se essa fosse in me sarei certo più contento. Tu la vedi? No, per nulla. Mia sorella poco fa mi ha detto che tu non devi più passarmi per la mente e perciò stanne lontano e non passarmici più. (Lei crede che io ci sia dentro e vuole buttarmi fuori.) E dice che su di me hai posato gli occhi... Dice il vero e l’anima mia, che vive soltanto in te, non potrebbe contraddirla. 159
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA LAURENCIO FINEA
LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA
LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO
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Pues tú me has de quitar luego los ojos que me pusiste. ¿Cómo, si en amor consiste? Que me los quites, te ruego, con ese lienzo, de aquí, si yo los tengo en mis ojos. No más; cesen los enojos. ¿No están en mis ojos? Sí. Pues limpia y quita los tuyos, que no han de estar en los míos. ¡Qué graciosos desvaríos! Ponlos a Nise en los suyos. Ya te limpio con el lienzo. ¿Quitástelos? ¿No lo ves? Laurencio, no se los des, que a sentir penas comienzo. Pues más hay: que el padre mío bravamente se ha enojado del abrazo que me has dado. (¿Mas que hay otro desvarío?) También me le has de quitar; no ha de reñirme por esto. ¿Como ha de ser? Siendo presto. ¿No sabes desabrazar? El brazo derecho alcé – tienes razón, ya me acuerdo – y agora alzaré el izquierdo, y el abrazo desharé. ¿Estoy ya desabrazada? ¿No lo ves?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA LORENZO FINEA
LORENZO FINEA LORENZO FINEA
LORENZO FINEA LORENZO FINEA LORENZO FINEA
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Quindi devi toglier via gli occhi che mi hai messo addosso. E come, se in ciò consiste l’amore? Ti prego, toglili con questa pezzuola e guarda se li ho qui dentro, negli occhi. Basta, non crucciarti più. Non sono negli occhi? Sì. Puliscili e togli via questi tuoi occhi perché nei miei non devono starci. Che graziose stravaganze! Mettili in quelli di Nise. Ora con il fazzoletto li pulisco. Li hai levati? E non lo vedi? Lorenzo, non glieli dare, comincio già a sentire una gran pena. E c’è dell’altro: mio padre si è veramente arrabbiato per l’abbraccio che mi hai dato. (Ecco un’altra stramberia.) Devi togliermi anche quello; non voglio che mi rimproveri. Come faccio? Fallo presto. Su, non sai disabbracciare? Prima ho alzato il braccio destro – hai ragione, ora ricordo – adesso alzerò il sinistro e così disfo l’abbraccio. Sono già disabbracciata? Non lo vedi? 161
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
Nise entre. NISE FINEA
LAURENCIO NISE
LAURENCIO
Y yo también. Huélgome, Nise, tan bien, que ya no me dirás nada. Ya Laurencio no me pasa por el pensamiento a mí; ya los ojos le volví, pues que contigo se casa. En el lienzo los llevó, y ya me ha desabrazado. Tú sabrás lo que ha pasado, con harta risa. Aquí no. Vamos los dos al jardín, que tengo bien que riñamos. Donde tú quisieres vamos.
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[Váyanse Laurencio y Nise.] FINEA
Ella se le lleva, en fin. ¿Qué es esto, que me da pena de que se vaya con él? Estoy por írme tras él. ¿Qué es esto que me enajena de mi propia libertad? No me hallo sin Laurencio. Mi padre es este; silencio. Callad, lengua; ojos, hablad.
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Otavio entre. OTAVIO FINEA
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¿Adónde está tu esposo? Yo pensaba que lo prímero, en viéndome, que hicieras fuera saber de mí si te obedezco. Pues eso, ¿a qué propósito?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
Entra Nise. NISE FINEA
LORENZO NISE LORENZO
Anch’io lo vedo. Ed io, Nise, mi rallegro, così non dirai più nulla. Ormai Lorenzo non passa più per la mia mente e gli occhi glieli ho adesso restituiti poiché si sposa con te. Li ha messi nel fazzoletto e poi mi ha disabbracciato. Ti dico quel che è successo, e ne riderai con me. Ma non qui. Andiamo in giardino, e certo bisticceremo. Andiamo dove vuoi tu. [Escono Lorenzo e Nise.]
FINEA
Ecco, se lo porta via. Ma che cos’è che mi duole se assieme a lui se ne va? Vorrei quasi andargli dietro. Che cos’è mai quest’impulso che ogni libertà mi toglie? Senza Lorenzo sto male. Questo è mio padre; silenzio. Taci, lingua; occhi, parlate. Entra Ottavio.
OTTAVIO FINEA
OTTAVIO
E dov’è il tuo fidanzato? Io pensavo che non appena tu m’avessi vista mi avresti domandato se ubbidisco. Ma questo, a che proposito?
163
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA
OTAVIO FINEA
OTAVIO
FINEA
OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA
OTAVIO FINEA OTAVIO
FINEA
164
¿Enojado no me dijiste aquí que era mal hecho abrazar a Laurencio? Pues agora que me desabrazase le he rogado, y el abrazo pasado me ha quitado. ¿Hay cosa semejante? Pues di, bestia, ¿otra vez le abrazabas? Que no es eso: fue la primera vez alzado el brazo derecho de Laurencio, aquel abrazo, y agora levantó, que bien me acuerdo, porque fuese al revés, el brazo izquierdo: luego desabrazada estoy agora. (Cuando pienso que sabe, más ignora; ello es querer hacer lo que no quiso Naturaleza.) Diga, señor padre: ¿cómo llaman aquello que se siente cuando se va con otro lo que se ama? Ese agravio de amor, «celos» se llama. ¿Celos? Pues ¿no lo ves que son sus hijos? El padre puede dar mil regocijos y es muy hombre de bien, mas desdichado en que tan malos hijos ha criado. (Luz va tiniendo ya. Pienso y bien pienso que si amor la enseñase, aprendería.) ¿Con qué se quita el mal de celosía? Con desenamorarse, si hay agravio, que es el remedio más prudente y sabio; que mientras hay amor, ha de haber celos pensión que dieron a este bien los cielos ¿Adónde Nise está? Junto a la fuente. Con Laurencio se fue.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA
OTTAVIO FINEA
OTTAVIO
FINEA
OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA
OTTAVIO
FINEA OTTAVIO
FINEA
Arrabbiato, mi avevi detto che facevo male ad abbracciare Lorenzo. Ed adesso io l’ho pregato di disabbracciarmi, e l’abbraccio di prima lui mi ha tolto. Ma sarà mai possibile? Di’, sciocca, l’hai abbracciato di nuovo? Non è questo! Lorenzo mi abbracciò la prima volta alzando il braccio destro e adesso invece ha alzato il sinistro, proprio al contrario, me lo ricordo bene; e allora credo che adesso sono già disabbracciata. (Quando credo che sappia, meno sa. Non si può fare ciò che non ha fatto la Natura.) Mi dica, signor padre: come si chiama quello che si sente quando chi si ama va via con un’altra? È una pena d’amore, è «gelosia». È gelosia? Sì, è figlia dell’amore. Il padre sa donare mille gioie; è un galantuomo, ma è ben disgraziato se una tale figliola ha generato. (Ha già qualche barlume di ragione. Penso e mi vado convincendo che se Amore le insegnasse, apprenderebbe.) E dalla gelosia si può guarire? Rinunciando ad amare, se si è offesi. È il rimedio più saggio e più prudente; finché c’è amore, c’è anche gelosia, scotto che il cielo assegna a tanto bene. E dov’è Nise? Accanto alla fontana. È uscita con Lorenzo.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO OTAVIO
¡Cansada cosa! Aprenda noramala a hablar su prosa, déjese de sonetos y canciones. Allá voy a romperle las razones. Váyase.
FINEA
¿Por quién, en el mundo, pasa esto que pasa por mí? ¿Qué vi denantes, qué vi, que así me enciende y me abrasa? Celos dice el padre mío que son. ¡Brava enfermedad!
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Entre Laurencio. LAURENCIO
FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA
166
(Huyendo su autoridad, de enojarle me desvío; aunque, en parte, le agradezco que estorbase los enojos de Nise. Aquí están los ojos a cuyos rayos me ofrezco.) ¿Señora?... Estoy por no hablarte. ¿Cómo te fuiste con Nise? No me fui porque yo quise. Pues, ¿por qué? Por no enojarte. Pésame si no te veo, y en viéndote ya querría que te fueses, y a porfia anda el temor y el deseo. Yo estoy celosa de ti; que ya sé lo que son celos;
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1845
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO OTTAVIO
Vecchia storia! Ma che impari a parlare in buona prosa, e la smetta con sonetti e canzoni! Ora vado a interrompergli il discorso. Esce.
FINEA
Nel mondo a chi può succedere questo che succede a me? Che cosa avrò mai veduto che tanto mi arde e mi accende? Gelosia, dice mio padre. È una brutta malattia! Entra Lorenzo.
LORENZO
FINEA LORENZO FINEA LORENZO FINEA
(Fuggo la sua autorità; così evito d’irritarlo; anche se gli sono grato di aver troncato gli sfoghi di Nise. Ma ecco qua gli occhi ai quali mi offro.) Signora... Non vorrei neanche parlarti. Perché sei andato con Nise? Non fu per mia volontà. Perché allora? Per non darti un dispiacere. Sto in pena quando non ti vedo e poi, quando ti vedo, vorrei che te ne andassi; il timore fa a gara col desiderio. Sono gelosa di te; so cos’è la gelosia;
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIO FINEA
LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO
que su duro nombre, ¡ay cielos! me dijo mi padre aquí. Mas también me dio el remedio. ¿Cuál es? Desenamorarme; porque podré sosegarme quitando el amor de en medio. Pues eso, ¿cómo ha de ser? El que me puso el amor me le quitará mejor. Un remedio suele haber. ¿Cuál? Los que vienen aquí al remedio ayudarán.
1850
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Entren Pedro, Duardo y Feniso. PEDRO FENISO LAURENCIO
DUARDO
LAURENCIO
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Finea y Laurencio están juntos. Y él fuera de sí. Seáis los tres bien venidos a la ocasión más gallarda que se me pudo ofrecer; y pues de los dos el alma a sola Nise discreta inclina las esperanzas, oíd lo que con Finea para mi remedio pasa. En esta casa parece, según por los aires andas, que te ha dado hechizos Circe: nunca sales de esta casa. Yo voy con mi pensamiento haciendo una rica traza para hacer oro de alquimia.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
LORENZO FINEA
LORENZO FINEA LORENZO FINEA LORENZO
ahimè, il suo nome crudele mio padre mi ha rivelato. Ma mi ha dato anche il rimedio. E qual è? Di rinunciare ad amare, ché evitando l’amore, mi calmerò. E questo come si fa? Per chi me lo ha messo in corpo sarà facile anche toglierlo. Alle volte c’è il rimedio. E quale? Quelli che arrivano mi aiuteranno a trovarlo. Entrano Pietro, Eduardo e Feniso.
PIETRO FENISO LORENZO
EDUARDO
LORENZO
Finea sta accanto a Lorenzo. Ed egli è fuori di sé. Siate voi tre i benvenuti nell’occasione più bella che mi si sia presentata; e dato che il vostro cuore volge le proprie speranze soltanto alla saggia Nise, udite ciò che succede con Finea per mia fortuna. A vederti svolazzare per tutta la casa sembra che Circe ti abbia stregato e non esci mai di casa. Aguzzando il mio cervello ho un piano per fabbricare l’oro come gli alchimisti.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO PEDRO
LAURENCIO PEDRO
LAURENCIO DUARDO LAURENCIO
FINEA LAURENCIO
FINEA LAURENCIO FINEA LOS TRES FINEA
DUARDO LAURENCIO LOS TRES LAURENCIO
FINEA LAURENCIO FENISO
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La salud y el tiempo gastas. Igual sería, señor, cansarte, pues todo cansa, de pretender imposibles. ¡Calla, necio! El nombre basta para no callar jamás; que nunca los necios callan. Aguardadme mientras hablo a Finea. Parte. Hablaba, Finea hermosa, a los tres, para el remedio que aguardas. ¡Quítame presto el amor, que con sus celos me mata! Si dices delante destos cómo me das la palabra de ser mi esposa y mujer, todos los celos se acaban. ¿Eso no más? Yo lo haré. Pues tú misma a los tres llama. ¡Feniso, Düardo, Pedro! Señora... Yo doy palabra de ser esposa y mujer de Laurencio. ¡Cosa extraña! ¿Sois testigos desto? Sí. Pues haz cuenta que estás sana del amor y de los celos que tanta pena te daban. ¡Dios te lo pague, Laurencio! Venid los tres a mi casa; que tengo un notario allí. Pues, ¿con Fínea te casas?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO PIETRO
LORENZO PIETRO
LORENZO EDUARDO LORENZO
FINEA LORENZO
FINEA LORENZO FINEA TUTTI E TRE FINEA
EDUARDO LORENZO TUTTI E TRE LORENZO
FINEA LORENZO FENISO
Sprechi il tempo e la salute. Meglio sarebbe stancarti – tutto stanca in questo mondo – di cercare l’impossibile. Zitto, sciocco! Basta il nome per non farmi più tacere: lo sciocco non sta mai zitto. Aspettatemi un momento finché parlo con Finea. Vai pure. Stavo parlando, bella Finea, a quei tre, per il rimedio che aspetti. Toglimi presto l’amore, ché la gelosia mi uccide! Se dinanzi a loro tre mi darai la tua parola d’essere mia sposa e moglie, finirà ogni gelosia. Basta questo? Lo farò. Chiamali allora tu stessa. Eduardo, Feniso, Pietro! Signora... La mia parola do di essere sposa e moglie di Lorenzo. Cosa strana! Siete testimoni? Sì. Sei guarita dall’amore e anche dalla gelosia che tanta pena ti davano. Dio ti ripaghi, Lorenzo! Con me a casa mia venite tutti e tre; c’è già il notaio. Con Finea dunque ti sposi? 171
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO LAURENCIO FENISO LAURENCIO
Sí, Feniso. ¿Y Nise bella? Troqué discreción por plata. Quede Finea sola, y entren Nise y Otavio.
NISE OTAVIO NISE
OTAVIO
NISE FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO
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Hablando estaba con él cosas de poca importancia. Mira, híja, que estas cosas más deshonor que honor causan. Es un honesto mancebo que de buenas letras trata, y téngole por maestro. No era tan blanco en Granada Juan Latino, que la hija de un Veinticuatro enseñaba; y siendo negro y esclavo, porque fue su madre esclava del claro duque de Sessa, honor de España y de Italia, se vino a casar con ella; que Gramática estudiaba, y la enseñó a conjugar en llegando al amo, amas; que así llama el matrimonio el latín. De eso me guarda ser tu hija. ¿Murmuráis de mis cosas? ¿Aquí estaba esta loca? Ya no es tiempo de reñirme. ¿Quién te habla?, ¿quíén te riñe?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO LORENZO FENISO LORENZO
Sì, Feniso, con Finea. E la bella Nise? Ho dato l’ingegno in cambio dell’oro. Finea resta sola ed entrano Nise e Ottavio.
NISE OTTAVIO NISE
OTTAVIO
NISE FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO
Stavo parlando con lui di cose senza importanza. Simili cose mi danno più disonore che onore. È un onesto giovanotto esperto in letteratura; è per me come un maestro. Non era un bianco, a Granada, Juan Latino, che alla figlia di un Consigliere insegnava; e sebbene negro e schiavo, essendo sua madre schiava del grande duca di Sessa, vanto di Spagna e d’Italia, finì poi con lo sposarla; studiavano la grammatica e le insegnò a coniugare fino a giungere ad amo, amas, che in latino è il matrimonio. Ma l’essere figlia tua mi salvaguarda da ciò. State parlando di me? Ecco dov’era la sciocca. Ora non puoi più sgridarmi. E chi parla? Chi ti sgrida?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO FINEA
OTAVIO FINEA
OTAVIO
NISE
FINEA OTAVIO NISE
OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO
Nise y tú. Pues sepan que agora acaba de quitarme el amor todo Laurencio, como la palma. ¿Hay alguna bobería? Díjome que se quitaba el amor con que le diese de su mujer la palabra; y delante de testigos se la he dado, y estoy sana del amor y de los celos. ¡Esto es cosa temeraria! Esta, Nise, ha de quitarme la vida. ¿Palabra dabas de mujer a ningún hombre? ¿No sabes que estás casada? Para quitarme el amor, ¿qué importa? No entre en mi casa Laurencio más. Es error, porque Laurencio la engaña: que él y Liseo lo dicen no más de para enseñarla. De esa manera, yo callo. ¡Oh! Pues, ¿con eso nos tapa la boca? Vente conmigo. ¿Adónde? Donde te aguarda un notario. Vamos. Ven. (¡Qué descanso de mis canas!) [Vanse.]
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1935
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO FINEA
OTTAVIO FINEA
OTTAVIO NISE
FINEA OTTAVIO NISE
OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO
Tu e Nise. Ebbene, sappiate che Lorenzo, facilmente, mi ha appena tolto l’amore. Ecco qua un’altra sciocchezza. Mi disse che si toglieva se davo la mia parola di diventare sua moglie; e dinanzi a testimoni gliel’ho data e son guarita totalmente dell’amore e anche della gelosia. Ma tutto questo è pazzesco! Questa qua mi fa morire. La parola hai dato a un altro di diventare sua moglie? Non sai che sei fidanzata? Per togliere via l’amore, cosa importa? In questa casa non entrerà più Lorenzo. Questo è uno sbaglio. Lorenzo la prende in giro. Liseo e lui così si comportano per insegnarle qualcosa. Se è così, non parlo più. E così dunque ci tappa la bocca. Vieni con me. E dove? Dove ti aspetta un notaio. Andiamo. Vieni. (Che riposante vecchiaia!) [Escono.]
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO
Nise sola. NISE
Hame contado Laurencío que han tomado aquesta traza Liseo y él, para ver si aquella rudeza labran, y no me parece mal.
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Liseo entre. LISEO NISE LISEO
NISE
LISEO NISE LISEO
NISE
LISEO
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¿Hate contado mis ansias Laurencio, discreta Nise? ¿Qué me dices? ¿Sueñas o hablas? Palabra me dio Laurencio de ayudar mis esperanzas, viendo que las pongo en ti. Pienso que de hablar te cansas con tu esposa, o que se embota en la dureza que labras el cuchillo de tu gusto, y, para volver a hablarla, quieres darle un filo en mí. Verdades son las que trata contigo mi amor, no burlas. ¿Estás loco? Quien pensaba casarse con quien lo era, de pensarlo ha dado causa. Yo he mudado pensamíento. ¡Qué necedad, qué inconstancia, qué locura, error, traición a mi padre y a mi hermana! ¡Id en buen hora, Liseo! ¿Desa manera me pagas tan desatinado amor?
1970
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1985
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO
Nise, sola. NISE
Lorenzo mi ha raccontato che hanno fatto questo piano, lui con Liseo, per smussare quella sua dura rozzezza, e non è un’idea sbagliata. Entra Liseo.
LISEO NISE LISEO
NISE
LISEO NISE LISEO
NISE
LISEO
Ti ha parlato, saggia Nise, delle mie pene, Lorenzo? Ma che dici? Parli o sogni? A me Lorenzo ha promesso di aiutare le speranze che ho riposto su di te. Io penso che di parlare con la tua sposa sei stanco; forse s’è rotta la lama dei tuoi desideri in quella durezza senza scalfirla; e per tornare a parlarle vuoi affilarla con me. Il mio amore parla a te con verità e non per burla. Ma sei pazzo? Di supporlo ho dato motivo quando io pensavo di sposarmi con chi lo era veramente. Ora ho cambiato parere. Che sciocchezza, che incostanza, pazzia, errore, tradimento per mio padre e mia sorella! Sparite da me, Liseo. A questo modo ricambi il mio amore dissennato? 177
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO NISE
Pues si es desatino, ¡basta!
1990
Entre Laurencio. LAURENCIO
(Hablando están los dos solos. Si Liseo se declara, Nise ha de saber también que mis lisonjas la engañan. Creo que me ha visto ya.)
1995
[Nise dice, como que habla con Liseo.] NISE LISEO NISE
LISEO
LAURENCIO
NISE
LISEO
NISE
¡Oh gloria de mi esperanza! ¿Yo vuestra gloria, señora? Aunque dicen que me tratas con traición, yo no lo creo; que no lo consiente el alma ¿Traición, Nise? ¡Sí en mí vída mostrare amor a tu hermana, me mate un rayo del cielo! (Es conmigo con quien habla Nise, y presume Liseo que le requiebra y regala.) Quiérome quitar de aquí; que con tal fuerza me engaña amor, que diré locuras. No os vais, ¡oh Nise gallarda!; que después desos favores quedará sin vida el alma. ¡Dejadme pasar! [Vase Nise.]
LISEO LAURENCIO
178
¿Aquí estabas a mis espaldas? Agora entré.
2000
2005
2010
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO NISE
Se è dissennato, smettetela! Entra Lorenzo.
LORENZO
(Stanno parlando a quattr’occhi. Se Liseo le si dichiara Nise capirà che sono le mie lusinghe finzione. Credo che mi abbia già visto.) [Fingendo di parlare a Liseo.]
NISE LISEO NISE
LISEO
LORENZO
NISE
LISEO
NISE
Gloria delle mie speranze! Io, vostra gloria, signora? Quand’anche tu mi tradisca, io non ci credo, perché l’anima mia si rifiuta. Tradirti io, Nise? Se mai in vita mia mostrerò amore per tua sorella, dal cielo mi colga un fulmine! (È con me che Nise parla ed invece Liseo prende le dolci frasi per lui.) (Voglio andarmene da qui; l’amore m’inganna tanto che direi delle sciocchezze.) Bella Nise, non andatevene! Senza vita resta l’anima dopo queste belle frasi. Su, lasciatemi passare! [Esce.]
LISEO LORENZO
Che facevi alle mie spalle? Sono appena entrato.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO SEGUNDO LISEO
LAURENCIO
LISEO LAURENCIO
180
¿Luego a ti te hablaba y te requebraba, aunque me miraba a mí, aquella discreta ingrata? No tengas pena; las piedras ablanda el curso del agua. Yo sabré hacer que esta noche puedas, en mi nombre, hablarla. Esta es discreta, Liseo. No podrás, si no la engañas, quitalla del pensamiento el imposible que aguarda; porque yo soy de Finea. Si mi remedio no trazas, cuéntame loco de amor. Déjame el remedio, y calla; porque burlar un discreto es la vitoria más alta.
2015
2020
2025
2030
LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO SECONDO LISEO
LORENZO
LISEO LORENZO
E allora quella sapiente ed ingrata parlava d’amore a te anche se guardava me? Non ti affliggere; il fluire dell’acqua scava le pietre. Farò sì che tu stasera possa, in mio nome, parlarle. Ma questa è scaltra, Liseo. Non potrai, se non l’inganni, togliere dalla sua mente quelle sue pretese assurde; perché io son già di Finea. Se non mi trovi un rimedio mi vedrai pazzo d’amore. Lascia fare a me e stai zitto; perché ingannare un astuto è la vittoria più grande.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Finea, sola FINEA
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¡Amor, divina invención de conservar la belleza de nuestra naturaleza, o accidente o elección! Extraños efetos son los que de tu ciancia nacen, pues las tinieblas deshacen, pues hacen hablar los mudos, pues los ingenios más rudos sabios y discretos hacen. No ha dos meses que vivía a las bestias tan igual, que aun el alma racional parece que no tenía. Con el animai sentía y crecía con la planta; la razón divina y santa estaba eclipsada en mí, hasta que en tus rayos vi a cuyo sol se levanta. Tú desataste y rompiste la escuridad de mi ingenio; tú fuiste el divino genio que me enseñaste, y me diste la luz con que me pusiste el nuevo ser en que estoy. Mil gracias, amor, te doy, pues me enseñaste tan bien, que dicen cuantos me ven que tan diferente soy. A pura imaginación de la fuerza de un deseo, en los palacios me veo
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Finea, sola. FINEA
Divina invenzione, Amore, per serbare la bellezza di questa nostra natura, sia ch’egli arrivi per caso sia per scelta. Strani effetti nascono dalla tua scienza: le tenebre si dissolvono, i muti sanno parlare e anche gli ingegni più rozzi diventano arguti e saggi. Fino a qualche mese fa vivevo come le bestie, sembrava che non avessi un’anima razionale. Sentivo come una bestia e come pianta crescevo; la divina intelligenza eclissata stava in me, finché nei tuoi raggi vidi il sole cui può innalzarsi. Tu sciogliesti e dissolvesti le tenebre dal mio ingegno; tu il divino genio fosti che m’insegnò e che mi diede la luce che mi ha cambiato nel nuovo essere che sono. Mille volte ti ringrazio; mi hai insegnato egregiamente, tanto che chiunque mi vede dice che sono diversa. Sotto il naturale impulso di un ardente desiderio, nei palazzi oggi mi vedo 183
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
de la divina razón. ¡Tanto la contemplación de un bien pudo levantarme! Ya puedes del grado honrarme, dandome a Laurencio, amor, con quien pudiste mejor, enamorada, enseñarme.
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Clara. CLARA FINEA CLARA
FINEA
CLARA FINEA
En grande conversación están de tu entendimiento. Huélgome que esté contento mi padre en esta ocasión. Hablando está con Miseno de cómo lees, escribes y danzar; dice que vives con otra alma en cuerpo ajeno. Atribúyele al amor de Liseo este milagro. En otras aras consagro mis votos, Clara, mejor: Laurencio ha sido el maestro. Como Pedro lo fue mío. De verlos hablar me río en este milagro nuestro. ¡Gran fuerza tiene el amor, catredático divino!
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Miseno y Otavio. MISENO
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Yo pienso que es el camino de su remedio mejor. Y ya, pues habéis llegado a ver con entendimiento a Finea, que es contento nunca de vos esperado,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
della divina ragione. Tanto ha potuto innalzarmi vagheggiare un vero bene! Ormai puoi congratularti dandomi, Amore, Lorenzo, di cui mi hai fatto invaghire perché meglio mi insegnasse. [Entra] Clara. CLARA FINEA CLARA
FINEA
CLARA FINEA
Non fanno altro che parlare della tua intelligenza. Son contenta che stavolta mio padre sia soddisfatto. Sta parlando con Miseno di come tu leggi, scrivi e danzi; dice che vivi con un’altra anima in corpo. E il miracolo attribuisce all’amore di Liseo. Piuttosto su un altro altare consacro i miei voti, Clara: Lorenzo è stato il maestro. Come Pietro è stato il mio. Rido al vederli parlare di questo nostro miracolo. L’amore ha una grande forza, è un divino professore! Miseno e Ottavio.
MISENO
Mi pare l’unica via per una cura completa. E dal momento che siete riuscito a poter vedere Finea così giudiziosa – gioia per voi impensata – 185
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
OTAVIO
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a Nise podéis casar con este mozo gallardo. Vos solamente a Düardo pudiérades abonar. Mozuelo me parecía destos que se desvanecen, a quien agora enloquecen la arrogancia y la poesía. No son gracias de marido sonetos. Nise es tentada de académica endiosada, que a casa los ha traído. ¿Quién le mete a una mujer con Petrarca y Garcilaso, siendo su Virgilio y Taso hilar, labrar y coser? Ayer sus librillos vi, papeles y escritos varios; pensé que devocionarios, y desta suerte leí: Historia de dos amantes, sacada de lengua griega; Rimas, de Lope de Vega; Galatea, de Cervantes; el Camoes de Lisboa, Los pastores de Belén; Comedias de don Guillén de Castro, Liras de Ochoa; Canción que Luis Vélez dijo en la academia del duque de Pastrana; Obras de Luque; Cartas de don Juan de Arguijo; Cien sonetos de Liñán; Obras de Herrera el divino, el libro del Peregrino, y El picaro, de Alemán.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
OTTAVIO
potete sposare Nise con quel giovane valente. Voi intendete garantire solamente per Eduardo. Mi è sembrato che sia uno di quei giovani boriosi che adorano pazzamente l’arroganza e la poesia. Ma i sonetti poco servono a un marito. Quella eccelsa intellettuale di Nise li ha introdotti in questa casa. Perché una donna s’impiccia di Petrarca e Garcilaso quando i suoi Virgilio e Tasso sono il filare e il cucire? Ieri ho visto i suoi libretti, i suoi fogli e vari scritti, e ritenendo che fossero libri di preghiere, lessi questo: Storia di due amanti, che hanno tradotto dal greco; Rime, di Lope de Vega; La Galatea, di Cervantes; il Camõens di Lisbona, I Pastori di Betlemme; le Commedie di Guillén de Castro, Lire di Ochoa; la Canzone che Luis Vélez recitò nell’accademia del Duca di Pastrana; Opere di Luque; di Juan de Arguijo Lettere; Cento sonetti di Liñán; e del divino Herrera le Opere; e il libro del Pellegrino ed Il Pícaro di Alemán. Forse vi annoio? 187
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
MISENO
OTAVIO
MISENO
OTAVIO
Mas, ¿qué os canso? Por mi vida, que se los quise quemar. Casalda y veréísla estar ocupada y divertila en el parir y el criar. ¡Qué gentiles devociones! Si Düardo hace canciones, bien los podemos casar. Es poeta caballero, no temáis; hará por gusto versos. Con mucho disgusto los de Nise considero. Temo, y en razón lo fundo, si en esto da, que ha de haber un don Quijote mujer que dé que reír al mundo.
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Entren Liseo y Nise [y Turín.] LISEO
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Trátasme con tal desdén, que pienso que he de apelar adonde sepan tratar mis obligaciones bien. Pues advierte, Nise bella, Que Finea ya es sagrado; que un amor tan desdeñado puede hallar remedio en ella. Tu desdén, que imaginé que pudiera ser menor, crece al paso de mi amor, medra al lado de mi fe; y su corto entendimiento ha llegado a tal mudanza, que puede dar esperanza a mi loco pensamiento. Pues, Nise, trátame bien;
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
MISENO
OTTAVIO
MISENO
OTTAVIO
Ma vi giuro sul mio onore che avrei voluto bruciarli. Sposatela e la vedrete occupata e ben contenta di fare e allevare figli. Che bei libri di preghiere! Se Eduardo scrive canzoni possiamo farli sposare. È un poeta e un galantuomo; non temete, con piacere scriverà delle poesie. Bastano quelle di Nise ad arrecarmi fastidio. Temo, e ne sono convinto, che, se s’impegna, sarà una Don Chisciotte femmina che farà ridere il mondo. Entrano Liseo e Nise [e Torino.]
LISEO
Mi tratti con tale sdegno che penso debba appellarmi a chi sappia valutare bene le mie attenzioni. Ricorda, mia bella Nise, che Finea è il mio rifugio e un amore disdegnato può trovare in lei conforto. Il tuo sdegno, che pensavo sarebbe stato minore, si accresce con il mio amore, con la mia fedeltà prospera; il suo poco senno invece si è talmente trasformato da offrire qualche speranza alle mie folli intenzioni. Pertanto trattami bene, 189
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
NISE
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NISE
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LISEO NISE LISEO OTAVIO LISEO
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o de Finea el favor será sala en que mi amor apele de tu desdén. Liseo, el hacerme fieros fuera bien consideralo cuando yo te hubiera amado. Los nobles y caballeros como yo, se han de estimar, no lo indigno de querer. El amor se ha de tener adonde se puede hallar; que como no es elección, sino solo un accidente, tiénese donde se siente, no donde fuera razón. El amor no es calidad, sino estrellas que conciertan las voluntades que aciertan a ser una voluntad. Eso, señora, no es justo, y no lo digo con celos, que pongáis culpa a los cielos de la bajeza del gusto. A lo que se hace mal, no es bien decir: «fue mi estrella». Yo no pongo culpa en ella, ni en el curso celestial, porque Laurencio es un hombre tan hidalgo y caballero que puede honrar... ¡Paso! Quiero que reverenciéis su nombre. A no estar tan cerca Otavio... ¡Oh, Liseo! ¡Oh, mi señor!
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o il favore di Finea sarà il tribunale al quale il mio amore sporgerà querela contro il tuo sdegno. Le tue minacce, Liseo potrebbero avere un senso se avessi detto di amarti. I nobili e i gentiluomini come me, vanno apprezzati; non ciò che è indegno d’amore. L’amore s’ha da riporre là dove sia corrisposto; ché non essendo una scelta ma solo un puro accidente, si trova dove ti porta il cuore e non la ragione. L’amore non sta nel merito ma una stella che concilia due volontà che decidono di diventarne una sola. Questo non mi pare giusto, e non è per gelosia; non si può incolpare il cielo della bassezza dei gusti. Non si può, facendo danno, dire: «è colpa delle stelle». Io non incolpo le stelle e neanche il corso degli astri, ché Lorenzo è un galantuomo così nobile che può onorare... Attenta! Voglio che rispettiate il suo nome. Se Ottavio non fosse qui... Ehi, Liseo! Oh, mio signore! 191
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(¡Que se ha de tener amor por fuerza! ¡Notable agravio!)
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Entre Celia. CELIA OTAVIO
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El maestro de danzar a las dos llama a lición. Él viene a buena ocasión. Vaya un criado a llamar los músicos, porque vea Miseno a lo que ha llegado Finea. (Amor, engañado, hoy volveréis a Finea; que muchas veces amor, disfrazado en la venganza, hace una justa mudanza desde un desdén a un favor.) Los músicos y él venían.
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Entren los Músicos. OTAVIO LISEO OTAVIO NISE OTAVIO LISEO
¡Muy bien venidos seáis! (¡Hoy, pensamientos, vengáis los agravios que os hacían!) Nise y Finea... Señor... Vaya aquí, por vida mía, el baile del otro día. (¡Todo es mudanzas amor!) Otavio, Miseno y Liseo se sienten; los Músicos canten, y las dos bailen ansí:
MÚSICOS
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Amor, cansado de ver tanto interés en las damas, y que, por desnudo y pobre,
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(Si dovrebbe quindi amare per forza! Bella pretesa!) Entra Celia.
CELIA OTTAVIO
LISEO
CELIA
Il vostro maestro di ballo vi chiama per la lezione. Arriva al momento giusto. Mandate un servo a chiamare i Musici perché veda Miseno dov’è arrivata Finea. (Amore, tu ingannato, oggi tornerai a Finea; perché molte volte amore, travestito da vendetta, ritiene giusto cambiare un disdegno in un favore.) Ecco i Musici e il maestro. Entrano i Musici.
OTTAVIO LISEO OTTAVIO NISE OTTAVIO LISEO
Siate tutti i benvenuti. (Oggi vendica, o mio amore, gli oltraggi che ti hanno fatto!) Nise e Finea... Sì, signore... Per favore, ripetete il ballo dell’altro giorno. (Quanto è incostante l’amore!) Ottavio, Miseno e Liseo si mettono a sedere; i Musici cantano e le due ragazze ballano.
MUSICI
Stanco Amore di vedere le dame avide a tal punto che al vederlo nudo e povero 193
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
ninguna favor le daba, pasóse a las Indias, vendió el aljaba, que más quiere doblones que vidas y almas. Trató en las Indias Amor, no en joyas, sedas y holandas, sino en ser sutil tercero de billetes y de cartas. Volvió de las Indias con oro y plata; que el Amor bien vestido rinde las damas. Paseó la corte Amor con mil cadenas y bandas; las damas, como le vían, desta manera le hablan: ¿De dó viene, de dó viene? – Viene de Panamá. – ¿De dó viene el caballero? – Viene de Panamá. – Trancelín en el sombrero, – Viene de Panamá. – cadenita de oro al cuello, – Viene de Panamá. – en los brazos el griguiesco, – Viene de Panamá. – las ligas con rapacejos, – Viene de Panamá. – zapatos al uso nuevo, – Viene de Panamá.– sotanilla a lo turquesco. – Viene de Panamá.– ¿De dó viene, de dó viene? – Viene de Panamá.– ¿De dó viene el hijo de algo? – Viene de Panamá.– 194
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nessuna lo favoriva, si è trasferito nelle Indie, ha venduto la faretra, perché più che anime e vite, i dobloni preferisce. Commerciò nelle Indie Amore non gioielli, sete e tele, ma lettere e bigliettini operando da mezzano. Ritornò quindi dalle Indie con tanto oro e tanto argento; all’Amore ben vestito le dame presto si arrendono. Percorse le strade Amore con mille catene e nastri; le dame appena lo vedono, in questo modo gli parlano: Da dove, da dove arriva? – Arriva da Panamà. – Da dove arriva il signore? – Arriva da Panamà. – La treccina sul cappello, – Arriva da Panamà. – catenina d’oro al collo, – Arriva da Panamà. – ha le maniche con sbuffi, – Arriva da Panamà. – e la giarrettiera a frange, – Arriva da Panamà. – ha le scarpe di gran moda, – Arriva da Panamà. – porta il gonnellino turco, – Arriva da Panamà. – Da dove, da dove arriva? – Arriva da Panamà. – Da dove arriva il signore? – Arriva da Panamà. – 195
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Corto cuello y puños largos, – Viene de Panamá.– la daga en banda colgando, – Viene de Panamá.– guante de ámbar adobado, – Viene de Panamá.– gran jugador del vocablo, – Viene de Panamá.– no da dinero y da manos, – Viene de Panamá.– enfadoso y mal criado; – Viene de Panamá– es Amor, llhmase indiano, – Viene de Panamá.– es chapetón castellano, – Viene de Panamá.– es criollo disfrazado. – Viene de Panamá.– ¿De dó viene, de dó viene? – Viene de Panamá.– ¡Oh, qué bien parece Amor con las cadenas y galas! Que solo el dar enamora, porque es cifra de las gracias. Niñas, doncellas y viejas van a buscarle a su casa, más importunas que moscas, en viendo que hay miel de plata. Sobre cuál le ha de querer, de vivos celos se abrasan, y alrededor de su puerta unas tras otras le cantan: ¡Deja las avellanicas, moro, que yo me las varearé! El Amor se ha vuelto godo, – Que yo me las varearé.– puños largos, cuello corto, 196
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Collo stretto e polsi lunghi, – Arriva da Panamà. – ha la daga alla cintura, – Arriva da Panamà. – guanti profumati d’ambra, – Arriva da Panamà. – giocoliere di parole, – Arriva da Panamà. – non dà soldi e stringe mani, – Arriva da Panamà. – noioso e maleducato; – Arriva da Panamà. – è Amore e si chiama indiano, – Arriva da Panamà. – castigliano rimpatriato, – Arriva da Panamà. – è un meticcio travestito. – Arriva da Panamà. – Da dove arriva il signore? – Arriva da Panamà. – Oh, come sta bene Amore con le trine e le catene! Solo donando innamora, ché nel dare sta la grazia. Fanciulle, ragazze e vecchie, a casa vanno a cercarlo, più importune delle mosche vedendo miele d’argento. Per sapere a chi egli tocchi bruciano di gelosia e dinanzi alla sua porta a gara vanno cantando: Lascia le nocciole, moro, ed io le raccoglierò! Amore s’è fatto goto – Ed io le raccoglierò. – polsi lunghi e collo stretto, 197
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– Que yo me las varearé.– sotanilla y liga de oro, – Que yo me las varearé.– sombrero y zapato romo, – Que yo me las varearé – manga ancha, calzón angosto, – Que yo me las varearé.– Él habla mucho y da poco, – Que yo me las varearé.– es viejo, y dice que es mozo, – Que yo me las varearé. – es cobarde, y matamoros. – Que yo me las varearé.– Ya se descubrió los ojos. – Que yo me las varearé – ¡Amor loco y amor loco! – Que yo me las varearé.– Yo por vos, y vos por otro! – Que yo me las varearé.– Deja las avellanicas, moro, que yo me las varearé. ¡Gallardamente, por cierto! Dad gracias al cielo, Otavio, que os satisfizo el agravio. Hagamos este concierto de Düardo con [Nise]. Hijas, yo tengo que hablaros. Yo nací para agradaros. ¿Quién hay que mi dicha crea? Éntrense todos, y queden alli Liseo y Turín.
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Oye, Turín... ¿Qué me quieres? Quiérote comunicar un nuevo gusto.
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– Ed io le raccoglierò. – gonna e giarrettiera d’oro, – Ed io le raccoglierò. – cappello e scarpa quadrata, – Ed io le raccoglierò. – maniche ampie, brache strette, – Ed io le raccoglierò. – Parla assai, ma dà ben poco, – Ed io le raccoglierò. – è vecchio e fa il giovanotto, – Ed io le raccoglierò. – è un vigliacco e ammazzasette, – Ed io le raccoglierò. – I suoi occhi ha ormai scoperto. – Ed io le raccoglierò. – Pazzo amore e Amore pazzo! – Ed io le raccoglierò. – Io per voi, voi per un altro! – Ed io le raccoglierò. – Lascia le nocciole, moro, ed io le raccoglierò. Molto bene, certamente! ringraziate il cielo, Ottavio, che ha risolto i vostri guai. Prendiamo quindi un accordo riguardo ad Eduardo e Nise. Figliole, debbo parlarvi. Sono qui per compiacervi. Chi mai credere potrà alla mia felicità? Escono tutti e restano Liseo e Torino.
LISEO
Torino, ascolta...
TORINO
Che vuoi? Voglio dirti di un mio nuovo interesse.
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LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN LISEO TURÍN
LISEO TURÍN LISEO¡
Sí es dar sobre tu amor pareceres, busca un letrado de amor. Yo he mudado parecer. A ser dejar de querer a Nise, fuera el mejor. El mismo; porque Finea me ha de vengar de su agravio. No te tengo por tan sabio que tal discreción te crea. De nuevo quiero tratar mi casamiento. Allá voy. De tu parecer estoy. Hoy me tengo de vengar. Nunca ha de ser el casarse por vengarse de un desdén; que nunca se casó bien quien se casó por vengarse. Porque es gallarda Finea y porque el seso cobró – pues de Nise no sé yo que tan entendida sea–, será bien casarte luego. Miseno ha venido aquí. Algo tratan contra mí Que lo mires bien te ruego. No hay más! ¡A pedirla voy!
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[Váyase Liseo.] TURÍN
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El cielo tus pasos guíe y del error te desvíe en que yo por Celia estoy. ¡Que enamore amor un hombre como yo! ¡Amor desatina!
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LISEO TORINO LISEO
Se pretendi sul tuo amore un mio parere, cerca un esperto in amore. Ho cambiato opinione. Se hai smesso d’amare Nise, ritengo che hai fatto bene. Sì, e Finea mi aiuterà del suo sdegno a vendicarmi. Non ti ritengo capace di una saggia decisione. Vado subito a riprendere le trattative di nozze. Sono d’accordo con te. Oggi devo vendicarmi. Mai ci si deve sposare per vendicare un rifiuto; non si sposa saggiamente chi si sposa per vendetta. Dato che Finea è bella ed è diventata accorta – di Nise non so nemmeno se sia altrettanto assennata – è meglio sposarti subito. È venuto anche Miseno. Complottano alle mie spalle. Stai ben attento, ti prego. Basta, adesso! Vado subito a chiedere la sua mano! [Liseo esce.]
TORINO
Il cielo guidi i tuoi passi e ti salvi dall’errore in cui anch’io, per Celia, sono. Possibile ch’io mi sia innamorato! L’Amore ci fa perdere la testa! 201
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¡Que una ninfa de cocina para blasón de su nombre, ponga: «Aquí murió, Turín entre sartenes y cazos»! Laurencio y Pedro. LAURENCIO PEDRO LAURENCIO TURÍN LAURENCIO TURÍN
LAURENCIO TURÍN PEDRO TURÍN
LAURENCIO TURÍN LAURENCIO TURÍN LAURENCIO TURÍN LAURENCIO
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Todo es poner embarazos para que no llegue al fin. ¡Habla bajo, que hay escuchas!... ¡Oh, Turín! ¡Señor Laurencio...! ¿Tanta quietud y silencio? Hay obligaciones muchas para callar un discreto, y yo muy discreto soy. ¿Qué hay de Liseo? A eso voy. Fuese a casar. ¡Buen secreto! Está tan enamorado de la señora Finea, si no es que venganza sea de Nise, que me ha jurado que luego se ha de casar. Y es ido a pedirla a Otavio. ¿Podré yo llamarme a agravio? Pues, ¿él os puede agraviar? ¿Las palabras suelen darse para no cumplirlas? No. De no casarse la dio. Él no la quiebra en casarse. ¿Cómo?
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E che una sguattera ninfa, per blasone del suo nome, metta: «Qui morì Torino tra casseruole e padelle»! Lorenzo e Pietro. LORENZO PIETRO LORENZO TORINO LORENZO TORINO
LORENZO TORINO PIETRO TORINO
LORENZO TORINO LORENZO TORINO LORENZO TORINO LORENZO
Non fanno che porre ostacoli per non arrivare in fondo. Parla piano, c’è chi ascolta!... Torino! Signor Lorenzo...! Tutto solo ed in silenzio? Vi sono molti motivi perché un savio se ne stia zitto, ed io un savio sono. E che fa Liseo? Adesso vi dico. È andato a sposarsi. Ma questo non è un segreto! È talmente innamorato della signora Finea – se non è per vendicarsi di Nise – che mi ha giurato che vuole sposarsi subito. La sua mano è andato a chiedere ad Ottavio. Dunque offeso io dovrò considerarmi? E come ha potuto offendervi? Si dà forse la parola perché poi non si mantenga? Questo, no. Mi aveva dato parola di non sposarsi. E non la rompe sposandosi. Come? 203
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Porque él no se casa con la que solía ser, sino con otra mujer. ¿Cómo es otra? Porque pasa del no saber al saber; y con saber le obligó. ¿Mandáis otra cosa? No. Pues adiós.
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[Vase Turín.] LAURENCIO
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¿Qué puedo hacer? ¡Ay Pedro! Lo que temí y tenía sospechado del ingenio que ha mostrado Finea, se cumple aquí. Como la ha visto Liseo tan discreta, la afición ha puesto en la discreción. Y en el oro algún deseo. Cansóle la bobería, la discreción le animó.
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Entre Finea. FINEA
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¡Clara, Laurencio, me dio nuevas de tanta alegría! Luego a mi padre dejé, y aunque ella me lo callara, yo tengo quien me avisara, que es el alma, que te ve por mil vidros y cristales, por donde quiera que vas, porque en mis ojos estás
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Perché non si sposa con quella con cui doveva ma si sposa con un’altra. Un’altra? C’è differenza tra saggezza e non saggezza, e la saggezza lo ha avvinto. Desiderate altro? No. Dunque addio. [Torino esce.]
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Che posso fare? Pietro, ahimè! Sta succedendo proprio quello che temevo e che avevo sospettato quando cominciò Finea a mostrare tanto ingegno. Appena Liseo l’ha vista così accorta, s’è invaghito della sua intelligenza. Ed un po’ dei suoi quattrini. Lo scoraggiò la stoltezza, lo rianimò la saggezza. Entra Finea.
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Lorenzo, Clara mi ha dato notizie molto piacevoli! Quindi ho lasciato mio padre. Ma se non m’informava, ho chi mi avrebbe avvertito: è l’anima che ti vede riflesso in vetri e cristalli, dovunque tu possa andare, perché vivi nei miei occhi 205
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con memorias inmortales. Todo este grande lugar tiene colgado de espejos mi amor, juntos y parejos, para poderte mirar. Si vuelvo el rostro allí, veo tu imagen; si a estotra parte, también; y ansí viene a darte nombre de sol mi deseo; que en cuantos espejos mira y fuentes de pura plata, su bello rostro retrata y su luz divina espira. ¡Ay Finea! ¡A Dios pluguiera que nunca tu entendimiento Ilegara, como ha Ilegado, a la mudanza que veo! Necio, me tuvo seguro, y sospechoso discreto; porque yo no te quería para pedirte consejo. ¿Qué libro esperaba yo de tus manos? ¿En qué pleito habías jamás de hacerme información en derecho? Inocente te quería, porque una mujer cordero es tusón de su marido, que puede traerla al pecho. Todas sabéis lo que basta para casada, a lo menos; no hay mujer necia en el mundo, porque el no hablar no es defeto. Hable la dama en la reja, escriba, diga concetos
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con ricordo imperituro. Il mio amore questa casa ha tappezzato di specchi tutti simili e vicini perché ti possa guardare. Se volgo il viso da un lato, la tua immagine vi scorgo; e dall’altro ancor la vedo; tanto che il mio desiderio ti considera il suo sole; poiché ovunque si rivolga, in specchi o vassoi d’argento, il suo bel volto dipinge, la sua soave luce infonde. Ah, Finea! Volesse Dio che il tuo intelletto non fosse mai giunto a compiere questa trasformazione che vedo. Quand’era sciocco restavo tranquillo, ma ora ch’è saggio mi son fatto sospettoso; perché io non ti volevo per chiederti dei consigli. Forse che aspettavo un libro dalle tue mani? O un consiglio legale per qualche causa? Innocente ti volevo perché una donna agnellino per il marito è un’insegna che può esibire sul petto. Ogni donna sa abbastanza per essere buona moglie; non vi sono donne sciocche, tacere non è un difetto. Parli la donna d’amore, d’inganni o di gelosia, ne scriva e dica concetti 207
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en el coche, en el estrado, de amor, de engaños, de celos; pero la casada sepa de su familia el gobierno; porque el más discreto hablar no es santo como el silencio. Mira el daño que me vino de transformarse tu ingenio, pues va a pedirte, ¡ay de mí!, para su mujer, Liseo. Ya deja a Nise, tu hermana. Él se casa. Yo soy muerto. ¡Nunca, piega a Dios, hablaras! ¿De qué me culpas, Laurencio? A pura imaginación del alto merecimiento de tus prendas, aprendí el que tú dices que tengo. Por hablarte supe hablar, vencida de tus requiebros; por leer en tus papeles, libros difíciles leo; para responderte escribo. No he tenido otro maestro que amor; amor me ha enseñado. Tú eres la ciencia que aprendo. ¿De qué te quejas de mí? De mi desdicha me quejo; pero, pues ya sabes tanto, dame, señora, un remedio. El remedio es fácil. ¿Cómo? Si, porque mi rudo ingenio, que todos aborrecían, se ha transformado en discreto,
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in carrozza o in un salotto; ma la sposa sappia bene governare la sua casa; perché il più cauto parlare non lo è mai quanto il silenzio. Guarda il gran danno che ho avuto da questa trasformazione del tuo ingegno, perché – ahimè – Liseo va a chiederti in sposa. Lascia tua sorella Nise. Lui si sposa ed io son morto. Se tu non avessi appreso a parlare saggiamente! Ma di che cosa m’incolpi, Lorenzo? Ciò che tu dici che ora posseggo, l’ho appreso stimando e apprezzando gli alti meriti delle tue doti. Sol per parlare con te io imparai a parlare, vinta dalle tue frasi d’amore; per leggere i tuoi biglietti ho letto libri difficili; scrivo solo per risponderti. Non ho avuto altro maestro che Amore; lui mi ha insegnato. Tu sei la scienza che apprendo. E ti lamenti di me? Della sfortuna mi lagno; ma poiché sei tanto saggia, dammi, signora, un rimedio. Facile è il rimedio. E quale? Liseo adesso mi vuol bene perché il mio rustico ingegno, che tutti prima aborrivano, adesso si è raffinato; 209
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Liseo me quiere bien, con volver a ser tan necio como primero le tuve, me aborrecerá Liseo. Pues, ¿sabrás fingirte boba? Sí; que lo fui mucho tiempo, y el lugar donde se nace saben andarle los ciegos. Demás desto, las mujeres naturaleza tenemos tan pronta para fingir o con amor o con miedo, que, antes de nacer, fingimos. ¿Antes de nacer? Yo pienso que en tu vida lo has oído. Escucha. Ya escucho atento. Cuando estamos en el vientre de nuestras madres, hacemos entender a nuestros padres, para engañar sus deseos, que somos hijos varones; y así verás que, contentos, acuden a sus antojos con amores, con requiebros. Y esperando el mayorazgo tras tantos regalos hechos, sale una hembra que corta la esperanza del suceso. Según erto, si pensaron que era varón, y hembra vieron, antes de nacer fingimos. Es evidente argumento; pero yo veré si sabes
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se torna ad essere sciocco e stupido come prima, Liseo mi detesterà. E saprai fingerti sciocca? Sì; lo fui per tanto tempo, e anche i ciechi sanno muoversi nei luoghi in cui sono nati. E inoltre noi donne abbiamo quella dote naturale di sapere simulare sia l’amore, sia il timore, tanto bene che fingiamo ancor prima d’esser nate. Ancor prima d’esser nate? Penso che non l’hai mai udito. Ma ascoltami. Attento ascolto. Quando nel ventre ancor siamo delle nostre madri, diamo a intendere ai nostri padri, gabbandone i desideri, che noi siamo figli maschi; e così, tutti contenti, accudiscono alle voglie e ai capricci delle spose. E mentre stanno aspettando l’erede del maggiorasco, dopo tutte le attenzioni e i doni, nasce una femmina che recide ogni speranza. E siccome hanno creduto che sarebbe nato un maschio e poi vedono una femmina, fingiamo prima di nascere. Il discorso è convincente; ma non so se tu saprai
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hacer, Finea, tan presto mudanza de estremos tales. Paso, que viene Liseo. Allí me voy a esconder. Ve presto. Sígueme, Pedro. En muchos peligros andas. Tal estoy, que no los siento.
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[Escóndense Laurencio y Pedro.] Entre Liseo con Turín. LISEO TURÍN LISEO
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En fin, queda concertado. En fin, estaba del cielo que fuese tu esposa. (Aquí está mi primero dueño.) ¿No sabéis, señora mía, cómo ha tratado Miseno casar a Düardo y Nise, y cómo yo también quiero que se hagan nuestras bodas con las suyas? No lo creo; que Nise me ha dicho a mí que está casada en secreto con vos. ¿Conmigo? No sé si érades vos u Oliveros. ¿Quién sois vos? ¿Hay tal mudanza? ¿Quién decís, que no me acuerdo? Y si mudanza os parece,
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trasformarti prontamente da un estremo all’altro estremo. Attento, arriva Liseo. Mi nasconderò là dietro. Fa’ presto. Seguimi, Pietro. Ti cacci in mezzo ai pericoli. Io sto così male, Pietro, che non mi accorgo di loro. [Lorenzo e Pietro si nascondono.] Entrano Liseo e Torino.
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Tutto infine è sistemato. Era deciso dal cielo che fosse infine tua sposa. (Ecco la mia fidanzata di prima). Signora mia, non sapete che Miseno s’è accordato per sposare Eduardo e Nise, e che anch’io vorrei che le nostre nozze si celebrassero insieme alle loro? Non ci credo; perché Nise ha detto a me che in segreto si è sposata con voi. Con me? Non saprei se con voi od Oliviero. Ma, voi chi siete? È possibile un simile cambiamento? Come dite? Non ricordo. E, riguardo ai cambiamenti,
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¿cómo no veis que en el cielo cada mes hay nuevas lunas? ¡Válgame el cielo! ¿Qué es esto? ¡Si le vuelve el mal pasado! Pues, decidme: si tenemos luna nueva cada mes, ¿adónde están? ¿Qué se han hecho las viejas de tantos años? ¿Daisos por vencido? (Temo que era locura su mal.) Guárdanlas para remiendos de las que salen menguadas. ¿Veis ahí que sois un necio? Señora, mucho me admiro de que ayer tan alto ingenio mostrásedes. Pues, señor, agora ha llegado al vuestro; que la mayor discreción es acomodarse al tiempo. Eso dijo el mayor sabio. (Y esto escucha el mayor necio.) Quitado me habéis el gusto. No he tocado a vos, por cierto; mirad que se habrá caído. (¡Linda ventura tenemos! Pídole a Otavio a Finea, y cuando a decirle vengo el casamiento tratado, hallo que a su ser se ha vuelto.) Volved, mi señora, en vos, considerando que os quiero por mi dueño para siempre. ¡Por mi dueña, majadero!
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non sapete che ogni mese c’è una luna nuova in cielo? Dio m’aiuti! Cos’è questo? Le ritorna il vecchio male. Dunque ditemi: se abbiamo luna nuova ad ogni mese, dove sono quelle vecchie? Quelle degli anni passati? Vi arrendete? (Temo proprio che si tratti di pazzia.) Le tengono conservate per mettere le toppe a quelle monche di un pezzo o calanti. Vedete che siete sciocco? Signora, non mi capacito come voi ieri mostravate tanto ingegno. Bene, adesso è tornato uguale al vostro, ché la maggiore saggezza sta nell’adattarsi ai tempi. Lo disse il più grande saggio. (E il più grande sciocco ascolta.) Mi avete tolto il piacere. Io, certo, non vi ho toccato; guardate se vi è caduto. (Andiamo davvero bene! Chiedo Finea ad Ottavio e quando vengo per dirle del matrimonio pattuito, ritrovo quella di prima.) Tornate in voi, mia signora, e pensate che per sempre voi sarete il mio sovrano. «La mia sovrana», scioccone!
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¿Así tratáis un esclavo que os da el alma? ¿Cómo es eso? Que os doy el alma. ¿Qué es alma? ¿Alma? El gobierno del cuerpo. ¿Cómo es un alma? Señora, como filósofo puedo definirla, no pintarla. ¿No es alma la que en el peso le pintan a San Miguel? También a un ángel ponemos alas y cuerpo, y, en fín, es un espíritu bello. ¿Hablan las almas? Las almas obran por los instrumentos, por los sentidos y partes de que se organiza el cuerpo. ¿Longaniza come el alma? ¿En qué te cansas? No puedo pensar sino que es locura. Pocas veces de los necios se hacen los locos, señor. Pues, ¿de quién? De los discretos; porque de diversas causas nacen efetos diversos. ¡Ay, Turín! Vuélvome a Nise. Más quiero el entendimiento que toda la voluntad. Señora, pues mi deseo, que era de daros el alma,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO LISEO FINEA LISEO FINEA LISEO FINEA LISEO
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LISEO
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FINEA TORINO LISEO TORINO LISEO TORINO
LISEO
Così trattate uno schiavo che vi dà l’anima sua? Che dite? Che vi do l’anima. E l’anima, che cos’è? L’anima governa il corpo. E com’è fatta? Signora, come filosofo posso definirla e non dipingerla. E non è un’anima allora quella che sulla bilancia di S. Michele dipingono? Anche agli angeli mettiamo corpo ed ali, ma in realtà non sono che puri spiriti. Parlano le anime? Le anime con i loro mezzi agiscono, con i sensi e le altre parti che costituiscono il corpo. Quale porco? Ma non vedi che è tempo perso? Non posso non pensare che sia pazza. Raramente da uno sciocco vien fuori un pazzo, signore. E da chi allora? Da un saggio; perché da cause diverse nascono effetti diversi. Torino, torno da Nise. Preferisco l’intelletto a qualsiasi desiderio. Signora, poiché il mio intento, di darvi l’anima mia, 217
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
FINEA
TURÍN LISEO
no pudo tener efeto, quedad con Dios. Soy medrosa de las almas, porque temo que de tres que andan pintadas, puede ser la del infierno. La noche de los difuntos no saco de puro miedo la cabeza de la ropa. Ella es loca sobre necio, que es la peor guarnición. Decirlo a su padre quiero.
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Váyanse. Laurencio y Pedro. LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA
LAURENCIO PEDRO
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¿Puedo salir?... ¿Qué te dice? Que ha sido el mejor remedio que pudiera imaginarse. Sí; pero siento en estremo volverme a boba, aun fingida. Y, pues fingida lo siento, los que son bobos de veras, ¿cómo viven? No sintiendo. Pues si un tonto ver pudiera su entendimiento a un espejo, no fuera huyendo de sí? La razón de estar contentos es aquella confianza de tenerse por discretos.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
FINEA
TORINO LISEO
non è andato a compimento, che Dio vi assista. Ho paura delle anime perché temo che a me tocchi, delle tre che di solito dipingono, proprio quella dell’inferno. E la notte dei Defunti non tiro fuori la testa dalle coltri, per paura. Oltre che sciocca è anche pazza, che è il peggiore condimento. Intendo dirlo a suo padre. Escono. Lorenzo e Pietro.
LORENZO FINEA LORENZO FINEA
LORENZO PIETRO
Posso adesso venir fuori? Che cosa te n’è sembrato? È stato il miglior rimedio che si possa escogitare. Sì; ma mi dispiace molto ritornare ad esser sciocca, anche solo per finzione. E se la sola finzione mi fa soffrire, non so come faranno coloro che sono sciocchi davvero. Loro non ne hanno sentore. Oh, se uno sciocco vedesse la sua mente in uno specchio, da se stesso scapperebbe! E se vivono contenti è proprio per la fiducia di considerarsi saggi.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO FINEA
Háblame, Laurencio mío, sutilmente, porque quiero desquitarme de ser boba. Entre Nise y Celia.
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NISE CELIA
FINEA
LAURENCIO PEDRO LAURENCIO
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Siempre Fínea y Laurencio juntos. Sin duda se tienen amor; no es posible menos. Yo sospecho que te engañan. Desde aquí los escuchemos. ¿Qué puede, hermosa Finea, decírte el alma, aunque sale de sí misma, que se iguale a lo que mi amor desea? Allá mis sentidos tienes: escoge de lo sutil, presumiendo que en abril por amenos prados vienes. Corta las diversas flores, porque en mi imaginación, tales los deseos son. Estos, Celia, ¿son amores, o regalos de cuñado? Regalos deben de ser; pero no quisiera ver cuñado tan regalado. ¡Ay Dios; si llegase día en que viese mi esperanza su posesión! ¿Qué no alcanza una amorosa porfía? Tu hermana, escuchando. ¡Ay cielos!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO FINEA
Parlami sagacemente, Lorenzo mio, perché voglio smettere di essere sciocca. Entrano Nise e Celia.
NISE
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LORENZO PIETRO LORENZO
Son sempre insieme, Finea e Lorenzo! Indubbiamente si amano. Non è possibile diversamente. Sospetto che ti possano ingannare. Da qui possiamo ascoltarli. Che può, bella Finea, dirti quest’anima mia, pur trascendendo se stessa, che possa uguagliare ciò che desidera il mio amore? Ecco qua i miei sentimenti: scegli tu tra i più sottili, fingendo di camminare su ameni prati in aprile. Cogli i variopinti fiori perché tali nel pensiero i miei desideri sono. Questo, Celia, è amore o è solo gentilezza di cognato? Dev’essere gentilezza; ma non mi piace vedere cognati tanto gentili. Oh, mio Dio, venisse il giorno in cui potessi vedere attuarsi le mie speranze. E dove la fedeltà in amore non può giungere? C’è tua sorella che ascolta. Oh, cielo. 221
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO FINEA LAURENCIO FINEA NISE LAURENCIO NISE LAURENCIO
Vuélvome a boba. Eso importa. Vete. Espérate, reporta los pasos. ¿Vendrás con celos? Celos son para sospechas; traiciones son las verdades. ¡Qué presto te persüades y de engaños te aprovechas! ¿Querrás buscar ocasión para querer a Liseo, a quien ya tan cerca veo de tu boda y posesión? Bien haces, Nise; haces bien. Levántame un testimonio, porque deste matrimonio a mí la culpa me den. Y si te quieres casar, déjame a mí.
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[Vase Laurencio.] NISE
PEDRO
¡Bien me dejas! ¡Vengo a quejarme, y te quejas! ¿Aun no me dejas hablar? Tiene razón mi señor. Casate, y acaba ya. [Vase Pedro.]
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¿Qué es aquesto? Que se va Pedro con el mismo humor,
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO FINEA LORENZO FINEA NISE LORENZO NISE
LORENZO
Ritorno a fare la sciocca. Sì, è necessario. Tu, vattene. Aspetta, torna qui. Sei ancora gelosa? Si addice la gelosia al sospetto; il tradimento è una chiara verità. Come fai presto a convincerti fidando nelle apparenze! O stai cercando un pretesto per voler bene a Liseo, che mi pare già vicino ad averti come sposa? Fai bene, Nise, fai bene. Chiamami a testimoniare e la colpa delle nozze ricadrà solo su me. E se tu ti vuoi sposare lascia stare in pace me. [Lorenzo esce.]
NISE
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E tu mi lasci così! Vengo a lagnarmi e mi accusi! E non mi lasci parlare! Ha ragione il mio padrone. Sposati e falla finita. [Pietro esce.]
NISE CELIA
Ma che succede? Che Pietro se ne va anche lui irritato,
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
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y aquí viene bien que Pedro es tan ruin como su amo. Ya le aborrezco y desamo. ¡Qué bien con las quejas medro! Pero fue linda invención anticiparse a reñir. Y el Pedro, ¿quién le vio ir tan bellaco y socarrón? Y tú, que disimulando estás la traición que has hecho, lleno de engaños el pecho con que me estás abrasando, pues, como sirena, fuiste medio pez, medio mujer, pues, de animai, a saber para mi daño veniste, ¿piensas que le has de gozar? ¿Tú me has dado pez a mí, ni sirena, ni yo fui jamás contigo a la mar? ¡Anda, Nise, que estás loca! ¿Qué es esto? A tonta se vuelve. ¡A una cosa te resuelve! Tanto el furor me provoca, que el alma te he de sacar. ¿Tienes cuenta de perdón? Téngola de tu traición, pero no de perdonar. ¿El alma piensas quitarme en quien el alma tenía? Dame el alma que solía, traidora hermana, animarme.
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e ciò dimostra che Pietro è vile come il padrone. Ormai lo odio e lo detesto. Che bel guadagno ci ho fatto con le mie lagnanze! E lui: bella trovata la sua, di anticipare il litigio. E bisognava vedere Pietro che se la svignava come un astuto briccone! E tu, che stai simulando il tradimento commesso col cuore pieno d’inganni coi quali mi stai bruciando; tu, che come una sirena, metà pesce e metà donna sei stata, e da bestia a saggia sei passata per mio danno, credi che te lo godrai? Quando mai mi hai dato un pesce, o una sirena? E con te quando sono stata al mare? Nise, sei proprio una pazza! Ma che cosa stai dicendo? Ritorna ad essere sciocca. Ma insomma, devi deciderti! Mi prende un tale furore che vorrei strapparti l’anima. Tieni forse il rendiconto per il perdono delle anime? Quello dei tuoi tradimenti, ma non quello del perdono. Tu vuoi strapparmi quell’anima in cui ho riposto la mia? Sorella infida, ridammi l’anima che mi animava.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
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Mucho debes de saber, pues del alma me desalmas. Todos me piden sus almas: almario debo de ser. Toda soy hurtos y robos. Montes hay donde no hay gente: yo me iré a meter serpiente. Que ya no es tiempo de bobos. ¡Dame el alma!
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Otavio con Feniso y Duardo. OTAVIO FINEA NISE FINEA OTAVIO FINEA
OTAVIO NISE OTAVIO FINEA OTAVIO FENISO DUARDO OTAVIO
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¿Qué es aquesto? Almas me piden a mí; soy yo Purgatorio? ¡Sí! Pues procura salir presto. ¿No sabremos la ocasión de vuestro enojo? Querer Nise, a fuerza de saber, pedir lo que no es razón. Almas, sirenas y peces dice que me ha dado a mí. ¿Hase vuelto a boba? Sí. Tú pienso que la embobeces. Ella me ha dado ocasión; que me quita lo que es mío. Se ha vuelto a su desvarío. ¡Muerto soy! Desdichas son. ¿No decían que ya estaba con mucho seso? ¡Ay de mí!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
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Devi essere molto esperta se l’anima mi disanimi. Tutti mi chiedono l’anima: non son mica «un animario». Non faccio altro che rubare. Sui monti disabitati andrò a fare da serpente. Basta di fare la sciocca! Quell’anima devi rendermi. Ottavio, Feniso ed Eduardo.
OTTAVIO FINEA NISE FINEA OTTAVIO FINEA
OTTAVIO NISE OTTAVIO FINEA OTTAVIO FENISO EDUARDO OTTAVIO
Ma cosa succede qui? Non fanno che chiedermi anime. Sono io forse il Purgatorio? Sì. Cerca allora di uscirne. Potrei sapere il motivo del vostro bisticcio? È Nise che con tutta la sua scienza chiede cose irragionevoli. Anime, sirene e pesci afferma d’avermi dato. È ridiventata sciocca? Sì. Mi pare che sei tu che la fai rincretinire. È lei che mi ha provocato; vuol rubarmi ciò che è mio. È tornata a dare i numeri. Ohimè! È proprio una disgrazia! Non s’era detto che fosse diventata intelligente? Oh, povero me!
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO NISE OTAVIO NISE
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Yo quiero hablar claro. Di. Todo tu daño se acaba con mandar resueltamente – pues, como padre, podrás, y, aunque en todo, en esto más, pues tu honor no lo consiente –, que Laurencio no entre aquí. ¿Por qué? Porque él ha causado que esta no se haya casado y que yo te enoje a ti. Pues, ¡eso es muy fácil cosa! Pues tu casa en paz tendrás.
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Pedro y Laurencio. PEDRO LAURENCIO CELIA OTAVIO
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¡Contento, en efeto, estás! ¡Invención maravillosa! Ya Laurencio viene aquí. Laurencio, cuando labré esta casa, no pensé que academia instituí; ni cuando a Nise crïaba pensé que para poeta, sino que a mujer perfeta, con las letras la enseñaba. Siempre alabé la opinión de que a la mujer prudente, con saber medianamente, le sobra la discreción. No quiero más poesías, los sonetos se acabaron, y las músicas cesaron; que son ya breves mis días.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO NISE OTTAVIO NISE
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Ora voglio parlar chiaro. Dimmi pure. Tutti i tuoi guai finiranno se ordinerai con fermezza che Lorenzo più non entri qui – e, come padre puoi farlo, soprattutto in questo caso in cui ne va del tuo onore –. E perché? La colpa è sua se questa non è sposata ed io ti faccio inquietare. Bene; questo è molto facile! Così avrai la pace in casa. Entrano Pietro e Lorenzo.
PIETRO LORENZO CELIA OTTAVIO
Adesso sarai contento! È stata una eccezionale trovata. Arriva Lorenzo. Lorenzo, quando ho costruito questa casa non pensavo d’istituire un’accademia; né quando educavo Nise volevo farne un poeta, ma le davo l’istruzione per una donna perfetta. Son sempre stato d’accordo che una donna giudiziosa, che sia mediamente istruita, ha già abbastanza saggezza. Non m’importa la poesia, son terminati i sonetti ed è finita la musica; perché ormai sto invecchiando. 229
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
LAURENCIO
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OTAVIO LAURENCIO OTAVIO FENISO DUARDO PEDRO
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Por allá los podréis dar, si os faltan telas y rasos; que no hay tales Garcilasos como dinero y callar. Este venden por dos reales, y tiene tantos sonetos, elegantes y discretos, que vos no los haréis tales. Ya no habéis de entrar aquí con este achaque. Id con Dios. Es muy justo, como vos me deis a mi esposa a mí; que vos hacéis vuestro gusto en vuestra casa, y es bien que en la mía yo también haga lo que fuere justo. ¿Qué mujer os tengo yo? Finea. ¿Estáis loco? Aqui hay tres testigos del sí que ha más de un mes que me dio. ¿Quién son? Düardo, Feniso y Pedro. ¿Es esto verdad? Ella, de su voluntad, Otavio, dársele quiso. Así es verdad. ¿No bastaba que mi señor lo dijese?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
LORENZO
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EDUARDO PIETRO
Li potete offrire altrove se tele o rasi vi mancano; perché neanche Garcilaso può valere quanto valgono il denaro ed il silenzio. Per due reali lo vendono e vi son tanti sonetti così eleganti e profondi che mai ne farete uguali. Non dovrete più venire qua dentro con queste storie. Dio vi accompagni. Senz’altro, non appena mi darete la mia sposa. In casa vostra voi fate quel che vi pare ed anch’io nella mia casa è bene che possa fare quel che più mi sembra giusto. E che sposa debbo darvi? Finea. Siete pazzo? Qui ci sono tre testimoni del sì che mi è stato dato più di un mese fa. E chi sono? Eduardo, Feniso e Pietro. È vero? Sì, è stata lei che spontaneamente, Ottavio, ha voluto dir di sì. È proprio così. E non basta che lo affermi il mio padrone?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO OTAVIO
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Que, como simple, le diese a un hombre que la engañaba, no ha de valer. Di, Finea: ¿no eres simple? Cuando quiero. ¿Y cuando no? No. ¿Qué espero? Mas, cuando simple no sea, con Liseo está casada. A la Justicia me voy.
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[Váyase Otavio.] NISE
Ven, Celia, tras él; que estoy celosa y desesperada. Y [váyanse] Nise y Celia.
LAURENCIO FENISO DUARDO FENISO DUARDO
¡Id, por Dios, tras él los dos! No me suceda un disgusto. Por vuestra amistad es justo. ¡Mal hecho ha sido, por Dios! ¿Ya habláis como desposado de Níse? Piénsolo ser.
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Y [váyanse] Duardo y Feniso. LAURENCIO
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Todo se ha echado a perder, Nise mi amor le ha contado. ¿Qué remedio puede haber, si a verte no puedo entrar?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO OTTAVIO
FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO
Che come una scioccherella abbia dato la parola a un uomo che la ingannava, non può avere alcun valore. Dimmi, Finea: non è vero che sei scioccherella? Quando lo voglio. E quando non vuoi? Non lo sono. Cosa aspetto? Se non è una scioccherella, con Liseo è fidanzata. Io ricorro al tribunale. [Ottavio esce.]
NISE
Andiamo, Celia, seguiamolo; sono gelosa e avvilita. E [escono] Nise e Celia.
LORENZO FENISO EDUARDO FENISO EDUARDO
Voi due, corretegli dietro per evitarmi dei guai! Vi sono amico e lo faccio. Però avete fatto male. Parlate come se foste il fidanzato di Nise. Penso che ancora lo sono. E [escono] Eduardo e Feniso.
LORENZO
È stato un disastro; Nise gli ha spifferato il mio amore. E come farò a vederti se non posso più venire? 233
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO FINEA LAURENCIO FINEA LAURENCIO FINEA
No salir. ¿Dónde he de estar? ¿Yo no te sabré esconder? ¿Dónde? En casa hay un desván famoso para esconderte. ¡Clara!
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Clara entre. CLARA FINEA
CLARA¿ FINEA CLARA LAURENCIO FINEA PEDRO
CLARA PEDRO
Mi señora... Advierte que mis desdichas están en tu mano. Con secreto lleva a Laurencio al desván. Y a Pedro? También. Galán, camine. Yo te prometo que voy temblando. ¿De qué? Clara, en llegando la hora de muquir, di a tu señora que algún sustento nos dé. Otro comerá peor que tú. Yo al desván? ¿Soy gato? Váyanse Laurencio, Pedro y Clara.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO FINEA
Non andando via. Ma dove
LORENZO FINEA LORENZO FINEA
potrò stare? Credi forse che non ti saprò nascondere? Dove? Abbiamo una soffitta molto adatta per nasconderti. Clara! Entra Clara.
CLARA FINEA
CLARA FINEA CLARA LORENZO FINEA PIETRO
CLARA PIETRO
Signora... Ti avverto che nelle tue mani stanno le mie fortune o disgrazie. Conduci segretamente Lorenzo in soffitta. E Pietro? Conduci anche lui. Cammina, bellimbusto. Ti assicuro che sto tremando. E perché? Clara, quando sarà l’ora di soddisfare la pancia, ricorda alla tua padrona di darci qualche cibaria. Qualcun altro mangerà peggio di te. Devo andare in soffitta? Sono un gatto? Escono Lorenzo, Pietro e Clara.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO FINEA
¿Por qué de imposibles trato este mi público amor? En llegándose a saber una voluntad, no hay cosa más triste y escandalosa para una honrada mujer. Lo que tiene de secreto, esto tiene amor de gusto.
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Otavio entre. OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO FINEA OTAVIO
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(Harélo, aunque fuera justo poner mi enojo en efeto.) Vienes ya desenojado? Por los que me lo han pedido. Perdón mil veces te pido. ¿Y Laurencio? Aquí ha jurado no entrar en la Corte más. ¿Adónde se fue? A Toledo. ¡Bien hizo! No tengas miedo que vuelva a Madrid jamás. Hija, pues simple naciste, y por milagros de amor dejaste el pasado error, ¿Cómo el ingenio perdiste? Qué quiere, padre? A la fe, de bobos no hay que fiar. Yo lo pienso remediar. ¿Cómo, si el otro se fue?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO FINEA
Perché mi sembra impossibile questo mio amore evidente? Appena una simpatia viene ad esser risaputa, pare che non ci sia cosa più avvilente e scandalosa per una donna onorata. Quanto più resta segreto tanto più l’amore è dolce. Entra Ottavio.
OTTAVIO
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OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO
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(Lo farò, sebbene pensi che sarebbe cosa giusta dare sfogo alla mia collera.) Siete adesso un po’ più calmo? Così mi hanno consigliato. Ti chiedo ancora perdono. E Lorenzo? Qui ha giurato, davanti a me, che mai più metterà piede in città. E dov’è andato? A Toledo. Bene ha fatto. Non temere che torni mai più a Madrid. Figliola, giacché sei nata ingenua e per un miracolo d’amore sei diventata tanto assennata, com’è che hai perso di nuovo il senno? Padre, che ti posso dire? In verità, degli sciocchi non ci si può mai fidare. Penso di porvi rimedio. Come, se lui se n’è andato? 237
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO OTAVIO
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Pues te engañan fácilmente los hombres, en viendo alguno, te has de esconder; que ninguno te ha de ver eternamente. Pues, ¿dónde? En parte secreta. ¿Será bien en un desván, donde los gatos están? ¿Quieres tú que allí me meta? Adonde te diere gusto, como ninguno te vea. Pues, ¡alto! En el desván sea; tú lo mandas, será justo. Y advierte que lo has mandado. ¡Una y mil veces!
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Entren Liseo y Turín. LISEO
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Si quise con tantas veras a Nise, mal puedo haberla olvidado. Hombres vienen. Al desván, padre, yo voy a esconderme. Hija, Liseo no importa. Al desván, padre: hombres vienen. Pues, ¿no ves que son de casa? No yerra quien obedece. No me ha de ver hombre más, sino quien mi esposo fuere. Váyase Finea.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO OTTAVIO
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OTTAVIO
Dato che gli uomini spesso t’ingannano facilmente, non appena ne vedi uno devi correre a nasconderti; nessuno deve poterti vedere continuamente. Dove? In un posto segreto. Andrebbe bene in soffitta, dove stanno solo i gatti? Vuoi che mi nasconda lì? Dove più ti fa piacere, purché nessuno ti veda. Basta. Va bene in soffitta; se lo ordini, sarà giusto. Ma ricordati d’averlo ordinato tu. Non una, ma mille volte. Entrano Liseo e Torino.
LISEO
FINEA OTTAVIO FINEA OTTAVIO FINEA
Se ho amato Nise con tanta passione, non l’avrò dimenticata. Stanno arrivando degli uomini. Padre mio, corro in soffitta. Figlia mia, Liseo non conta. In soffitta, padre: arrivano degli uomini. Ma non vedi che sono gente di casa? Non sbaglia mai chi obbedisce. Nessun uomo mi vedrà, tranne chi sarà mio sposo. Finea esce. 239
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO LISEO OTAVIO LISEO OTAVIO LISEO OTAVIO LISEO OTAVIO
LISEO
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LISEO
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Tus disgustos he sabido. Soy padre... Remedio puedes poner en aquestas cosas. Ya le he puesto, con que dejen mi casa los que la inquietan. Pues, ¿de qué manera? Fuese Laurencio a Toledo ya. ¡Qué bien has hecho! ¿Y tú crees vivir aquí, sin casarte? Porque el mismo inconveniente se sigue de que aquí estés. Hoy hace, Liseo, dos meses que me traes en palabras. ¡Bien mi término agradeces! Vengo a casar con Fínea, forzado de mis parientes, y hallo una simple mujer. ¿Que la quiera, Otavio, quieres? Tienes razón. ¡Acabóse! Pero es limpia, hermosa, y tiene tanto doblón que podría doblar el mármol mas fuerte. ¿Querías cuarenta mil ducados con una Fénix? ¿Es coja o manca Finea? ¿Es ciega? Y, cuando lo fuese, ¿hay falta en Naturaleza que con oro no se afeite? Dame a Nise.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO LISEO OTTAVIO LISEO OTTAVIO
LISEO OTTAVIO LISEO OTTAVIO
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OTTAVIO
LISEO
Ho saputo dei tuoi guai. Sono padre... A queste cose, un rimedio puoi trovare. Ho già provveduto. Basta che lascino la mia casa coloro che la disturbano. E in che modo? Già Lorenzo è partito per Toledo. Bene hai agito. E pensi tu di poter restare qui se non ti sposi? Perché la tua presenza mi crea le stesse difficoltà. Oggi sono già due mesi che m’illudi con parole. Bel modo di ringraziarmi per il mio comportamento! Per sposare Finea venni, pressato dai miei parenti, e trovo una scioccherella. E vorresti che l’amassi? Hai ragione. Abbiamo chiuso! Ma è bella, linda e possiede tanti soldi che potrebbe piegare il marmo più duro. Avresti forse voluto quaranta mila ducati e in più l’araba fenice? È zoppa o monca Finea? È cieca? E se anche lo fosse, c’è un difetto di natura che l’oro non riesca a coprire? Concedimi invece Nise.
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO OTAVIO
No ha dos horas que Miseno la promete a Düardo, en nombre mío; y, pues hablo claramente, hasta mañana a estas horas te doy para que lo pienses; porque, de no te casar, para que en tu vida entres por las puertas de mi casa que tan enfadada tienes. Haz cuenta que eres poeta.
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Váyase Otavio. LISEO TURÍN
LISEO
TURÍN
¿Qué te dice? Que te aprestes, y con Finea te cases; porque si veinte mereces, por que sufras una boba te añaden los otros veinte. Si te dejas de casar, te han de decir más de siete: «¡Miren la bobada!» Vamos; que mi temor se resuelve de no se casar a bobas. Que se casa me parece a bobas, quien sin dineros en tanta costa se mete. Váyanse, y entren Finea y Clara.
FINEA CLARA FINEA
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Hasta agora, bien nos va. No hayas miedo que se entienda. ¡Oh, cuanto a mi amada prenda deben mis sentidos ya!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO OTTAVIO
Miseno, due ore fa, l’ha promessa, a nome mio, a Eduardo; ma ti do tempo – te lo dico chiaramente – fino a domani a quest’ora, per pensarci seriamente; e se non ti sposerai, mai più dovrai varcare la soglia della mia casa dove tanto hai disturbato. Fa’ conto d’esser poeta. Ottavio esce.
LISEO TORINO
LISEO
TORINO
Che ne pensi? Di far presto a sposarti con Finea; perché se venti ne meriti per sopportare una sciocca, gli altri venti ti regalano. Se invece non te la sposi chissà quanti ti diranno: «Guarda che sciocchezza!» Basta! Il mio timore m’induce a non sposarmi da stupido. A me sembra che da stupido si sposi chi, senza soldi, si mette a far tante storie. Escono ed entrano Finea e Clara.
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Finora c’è andata bene. Non ti devi preoccupare, nessuno verrà a saperlo. Oh, quanto i miei sentimenti devono al mio amato bene! 243
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO CLARA FINEA
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CLARA
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¡Con la humildad que se pone en el desván...! No te espantes; que es propia casa de amantes, aunque Laurencio perdone. ¡Y quién no vive en desván de cuantos hoy han nacido!... Algún humílde que ha sído de los que en lo bajo están. En el desván vive el hombre que se tiene por más sabio que Platón. Hácele agravio; que fue divino su nombre. En el desván, el que anima a grandezas su desprecio. En el desván más de un necio que por discreto se estima. ¿Quieres que te diga yo cómo es falta natural de necios, no pensar mal de sí mismos? ¿Cómo no? La confianza secreta tanto el sentido les roba, que, cuando era yo muy boba, me tuve por muy discreta; y como es tan semejante el saber con la humildad, ya que tengo habilidad, me tengo por inorante. En el desván vive bien un matador criminal, cuya muerte natural ninguno o pocos la ven.
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CLARA FINEA CLARA
FINEA CLARA
FINEA
CLARA FINEA
CLARA
E poi, con quanta umiltà se n’è andato su, in soffitta. Non meravigliarti. È il posto più appropriato per gli amanti, e Lorenzo lo capisce. E, tra quanti sono al mondo, chi non vivrebbe in soffitta? Qualcuno di basso ceto che è venuto su dal nulla. Vive in soffitta anche l’uomo che si ritiene più saggio di Platone. Gli fa torto, perché ha fama universale. In soffitta chi ritiene che il disdegno verso gli altri incoraggi la grandezza. E vi stanno tanti sciocchi che si credono dei saggi. Vuoi che ti spieghi perché il difetto naturale degli sciocchi è proprio quello di non pensare mai male di se stessi? Perché no? La loro intima fiducia li priva della ragione, tanto che, quand’ero sciocca, anch’io mi credevo saggia; e siccome la sapienza è simile all’umiltà, ora che sono assennata, mi considero ignorante. In soffitta vive bene il criminale assassino, la cui morte naturale a nessuno o a pochi importa. 245
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
FINEA
En el desván, de mil modos, y sujeto a mil desgracias, aquel que diciendo gracias es desgraciado con todos. En el desván, una dama que, creyendo a quien la inquieta, por un hora de discreta, pierde mil años de fama. En el desván, un preciado lindo, y es un caimán, pero tiénele el desván, como el espejo, engañado. En el desván, el que canta con voz de carro de bueyes, y el que viene de Muleyes y a los godos se levanta. En el desván, el que escribe versos legos y donados, y el que, por vanos cuidados, sujeto a peligros vive. Finalmente... Espera un poco; que viene mi padre aquí.
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Otavio, Miseno, Duardo, Feniso. MISENO OTAVIO
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¿Eso le dijiste? Sí; que a tal furor me provoco. No ha de quedar, ¡vive el cielo! en mi casa quien me enoje. Y es justo que se despoje de tanto necio mozuelo. Pidióme graciosamente que con Nise le casase;
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
FINEA
In soffitta, in mille modi esposto a mille disgrazie, vive chi per dire arguzie diventa sgradito a tutti. E vi sta bene la dama che, credendo in chi la inquieta, per un’ora di saggezza perde mille anni di fama. In soffitta vive bene chi si atteggia a damerino ed è invece un brutto ceffo; perché proprio la soffitta lo inganna come uno specchio. Vi sta bene anche chi canta con la stessa melodia che un carro da buoi produce; chi dagli arabi discende ed ai goti vuole ascendere. Ed inoltre vi sta bene chi da incolto scrive versi come un garzone apprendista; chi per futili apprensioni seri pericoli corre. Ed infine... Aspetta un poco, che sta arrivando mio padre. Ottavio, Miseno, Eduardo e Feniso.
MISENO OTTAVIO
FENISO OTTAVIO
Gli hai detto proprio così? Sì; talmente mi ha irritato. Non resterà in casa mia nessuno che mi molesti. Mi pare giusto svuotarla di tanti inutili giovani. E mi ha chiesto – che sfrontato! – che gli dessi in sposa Nise; 247
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
MISENO OTAVIO FINEA
OTAVIO CLARA OTAVIO FINEA OTAVIO FENISO FINEA MISENO FINEA
MISENO FINEA
díjele que no pensase en tal cosa eternamente, y así estoy determinado. Oíd, que está aquí Finea. Hija, escucha... Cuando vea, como me lo habéis mandado, que estáis solo. Espera un poco; que te he casado. ¡Que nombres casamiento donde hay hombres! Luego, ¿tenéisme por loco? No, padre; mas hay aquí hombres, y voyme al desván. Aquí por tu bien están. Vengo a que os sirváis de mí. ¡Jesús, señor! ¿No sabéis lo que mi padre ha mandado? Oye; que hemos concertalo que os caséis. ¡Gracia tenéis! No ha de haber hija obediente como yo. Voyme al desván. Pues, ¿no es Feniso galán? ¡Al desván, señor pariente!
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Váyase Finea [y Clara.] DUARDO OTAVIO
MISENO
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¿Cómo vos le habéis mandado que de los hombres se esconda? No sé, por Díos, qué os responda. Con ella estoy enojado, o con mi contraria estrella. Ya viene Liseo aqui. Determinaos.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
MISENO OTTAVIO FINEA
OTTAVIO CLARA OTTAVIO FINEA OTTAVIO FENISO FINEA MISENO FINEA
MISENO FINEA
gli dissi di non insistere ancora sull’argomento, ed ormai così ho deciso. Sentite, c’è qua Finea. Figliola, ascolta... Verrò quando voi sarete solo, come mi avete ordinato. Aspetta un po’. Ti ho sposato. Che parli di sposalizio davanti a tutti questi uomini! Mi prendete per un pazzo? No, ma vi sono degli uomini, e io me ne torno in soffitta. Sono qui per il tuo bene. Per servirvi son venuto. Gesummio, voi non sapete ciò che mio padre ha ordinato? Ascolta; abbiamo pensato di maritarti. Ma bravi! Non ci sarà mai una figlia obbediente come me. Io me ne torno in soffitta. Non vi è gradito Feniso? Signor mio, vado in soffitta! Escono Finea [e Clara.]
EDUARDO
OTTAVIO
MISENO
Ma come avete potuto ordinarle di nascondersi se avesse visto degli uomini? Non so che cosa rispondervi. Sono arrabbiato con lei o con la cattiva stella. Sta già arrivando Liseo. Decidetevi. 249
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO OTAVIO
Yo, por mí, ¿qué puedo decir sin ella?
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Liseo, Nise y Turín, LISEO
NISE
LISEO
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Ya que me parto de ti, solo quiero que conozcas lo que pierdo por quererte. Conozco que tu persona merece ser estimada; y como mi padre agora venga bien en que seas mío, yo me doy por tuya toda; que en los agravios de amor es la venganza gloriosa. ¡Ay Nise! ¡Nunca te vieran mis ojos, pues fuiste sola de mayor incendio en mí que fue Elena para Troya! Vine a casar con tu hermana, y, en viéndote, Nise hermosa, mi libertad salteaste, del alma preciosa joya. Nunca más el oro pudo con su fuerza poderosa, que ha derribado montañas de costumbres generosas, humillar mis pensamientos a la bajeza que doran los resplandores, que a veces ciegan tan altas personas. Nise, ¡duélete de mí, ya que me voy!
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO OTTAVIO
Io, per me... Non so cosa posso dire se prima non le ho parlato. Liseo, Nise e Torino.
LISEO
NISE
LISEO
Visto che sto per lasciarti voglio almeno che tu sappia ciò che perdo per tuo amore. Da parte mia riconosco che tu meriti ogni stima; e se mio padre approvasse che tu fossi mio marito sarei tua completamente; ché nelle pene d’amore magnifica è la vendetta. Ahimè, Nise! Non t’avessero mai veduto gli occhi miei, perché tu, da sola, hai fatto divampare in me un incendio più grande di quello che Elena scatenò a Troia! Per sposare tua sorella ero venuto, ma appena io ti vidi, bella Nise, la mia libertà prendesti, preziosa gemma dell’anima. Mai l’oro, con la sua forza prodigiosa, che ha abbattuto salde rocce di virtù, è riuscito ad abbassare la mia mente alla grettezza indorata da splendori che alle volte hanno accecato tante nobili persone. Compiangimi, bella Nise. Me ne vado. 251
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO TURÍN
NISE
TURÍN
NISE
Tiempla agora, bella Nise, tus desdenes; que se va amor por la posta a la casa del agravio. Turín, las lágrimas solas de un hombre han silo en el mundo veneno para nosotras. No han muerto tantas mujeres de fuego, hierro y ponzoña, como de lágrimas vuestras. Pues mira un hombre que llora. ¿Eres tú barbara tigre? ¿Eres pantera? ¿Eres onza? ¿Eres duende? ¿Eres lechuza? ¿Eres Circe? ¿Eres Pandorga? ¿Cuál de aquestas cosas eres, que no estoy bien en historias? ¿No basta decir que estoy rendida?
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Entre Celia CELIA NISE CELIA NISE
OTAVIO CELIA OTAVIO
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Escucha, señora... ¿Eres Celia? Sí. ¿Qué quieres, que ya todos se alborotan de verte venir turbada? Hija, ¿qué es esto? Una cosa que os ha de poner cuidado. ¿Cuidado?
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO TORINO
NISE
TORINO
NISE
Placa ormai il tuo sdegno, bella Nise; ché l’amore fugge via alla casa della pena. Torino, sappi che solo le lagrime dell’ uomo sono state in questo mondo sempre veleno per noi; meno donne hanno ucciso il fuoco, il ferro e il veleno che non le lagrime vostre. Guarda ora un uomo che piange. Sei tu una tigre feroce? Una pantera? Una lonza? Un fantasma? Una civetta? Sei tu Circe? O sei Pandora? Chi, tra tutte queste, sei? Dimmi tu, ché in queste storie io non sono molto esperto. E non ti basta ch’io dica che mi sono infine arresa? Entra Celia.
CELIA NISE CELIA NISE
OTTAVIO CELIA OTTAVIO
Ascolta, signora mia... Sei Celia? Sì. E cosa vuoi? Tutti sono costernati vedendo che sei sconvolta? Figliola, che c’è? Qualcosa che vi darà da pensare. Da pensare?
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO CELIA
OTAVIO FENISO OTAVIO
CELIA
MISENO CELIA
OTAVIO CELIA FENISO OTAVIO
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Yo vi que agora llevaba Clara un tabaque con dos perdices, dos lonjas, dos gazapos, pan, toallas, cuchillo, salero y bota. Seguíla, y vi que al desván caminaba... Celia loca, para la boba sería. ¡Qué bien que comen las bobas! Ha dado en irse al desván, porque hoy le dije a la tonta que, para que no la engañen, en viendo un hombre, se esconda. Eso fuera, a no haber sido para saberlo, curiosa. Subí tras ella, y cerró la puerta... Pues bien, ¿qué importa? ¿No importa, si en aquel suelo, como si fuera una alfombra de las que la primavera en prados fértiles borda, tendió unos blancos manteles, a quien hicieron corona dos hombres, ella y Finea? ¿Hombres? ¡Buena va mi honra! ¿Conocístelos? No pude. Mira bien si se te antoja, Celia No será Laurencio, que está en Toledo.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO CELIA
OTTAVIO FENISO OTTAVIO
CELIA
MISENO CELIA
OTTAVIO CELIA FENISO OTTAVIO
Ho appena visto Clara portare in un cesto due pernici, due bistecche, due conigli, pane, vino, sale, coltello e salviette. L’ho seguita ed ho veduto che si avviava alla soffitta. Celia stolta, doveva essere il pasto della sciocchina. Oh, come mangiano bene le sciocchine! Si è fissata con la soffitta da quando ho detto a quella balorda che per non farsi ingannare, appena vedeva un uomo, doveva andare a nascondersi. E così sarebbe se io non fossi stata curiosa di sapere dove andasse. La seguii su per le scale e la porta vidi chiudere... E che c’è di tanto strano? Non è strano? Giù per terra spiegò una bianca tovaglia come un tappeto di quelli che la primavera stende sui fertili campi, e poi attorno presero posto lei, due uomini e Finea? Uomini? Povero onore mio! E li hai riconosciuti? Non ho potuto. Sta’ attenta, Celia, non parlare a vanvera. Non può essere Lorenzo perché si trova a Toledo. 255
LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO DUARDO
OTAVIO
Reporta el ojo. Yo y Feniso subiremos. ¡Reconozcan la casa que han afrentado! Váyase Otavio
FENISO NISE DUARDO FENISO
LISEO
No suceda alguna cosa. No hará; que es cuerdo mi padre. Cierto que es divina joya el entendimiento. Siempre yerra, Düardo, el que ignora. Desto os podéis alabar, Nise, pues en toda Europa no tiene igual vuestro ingenio. Con su hermosura conforma.
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Salga, con la espada desnuda, Otavio, siguiendo Laurencio, Finea, Clara y Pedro. OTAVIO LAURENCIO FENISO LAURENCIO OTAVIO FINEA OTAVIO
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¡Mil vidas he de quitar a quien el honor me roba! ¡Detened la espada, Otavio! Yo soy, que estoy con mi esposa. ¿Es Laurencio? ¿No lo veis? ¿Quién pudiera ser agora, sino Laurencio, mi infamia? Pues, padre, ¿de qué se enoja? ¡Oh infame! ¿No me dijiste
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO EDUARDO OTTAVIO
Non ti agitare. Io e Feniso andremo. Si accorgeranno della casa che hanno offeso! Esce Ottavio.
FENISO NISE EDUARDO FENISO
LISEO
Non vorrei che succedesse qualche guaio. Non accadrà, perché mio padre è prudente. Certo l’ingegno è un gioiello divino. Chi non sa, Eduardo, sempre sbaglia. Ma di ciò, Nise, potete vantarvi, perché non ha il vostro ingegno rivali in tutta l’Europa. Si addice alla sua bellezza.
Rientra Ottavio, con la spada sguainata, dietro a Lorenzo, Finea, Clara e Pietro. OTTAVIO
LORENZO
FENISO LORENZO OTTAVIO FINEA OTTAVIO
Mille volte strapperò la vita a chi mi ha rubato l’onore. Mettete giù, Ottavio, la vostra spada! Sono qua con la mia sposa. È Lorenzo? E non si vede? E chi mai, se non Lorenzo, cercherebbe di infamarmi? Padre, perché vi arrabbiate? Ignobile figlia, taci. Non mi avevi detto
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
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OTAVIO MISENO NISE CLARA MISENO
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que el dueño de mi deshonra estaba en Toledo? Padre, si aqueste desván se nombra «Toledo», verdad le dije. Alto está, pero no importa; que más lo estaba el Alcázar y la Puente de Segovia, y hubo Juanelos que a él subieron agua sin sogas. ¿Él no me mandó esconder? Pues suya es la culpa toda. Sola en un desván, ¡mal año! Ya sabe que soy medrosa. ¡Cortaréle aquella lengua! ¡Rasgaréle aquella boca! Esto es caso sin remedio. ¿Y la Clara socarrona que llevaba los gazapos? Mandómelo mi señora. Otavio, vos sois discreto: ya sabéis que tanto monta cortar como desatar. ¿Cuál me aconsejáis que escoja? Desatar. Señor Feniso, si la voluntad es obra, recibid la voluntad. Y vos, Düardo, la propia; que Finea se ha casado, y Nise, en fin, se conforma
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
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OTTAVIO MISENO NISE CLARA MISENO
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che il colpevole del mio disonore era a Toledo? Padre, se a questa soffitta diamo il nome di Toledo, vedrete che ho detto il vero. Poco importa se sta in alto, dato che più in alto ancora sta l’Alcazar di Toledo ed il ponte di Segovia, e poi c’è stato un Giannello che fece arrivare l’acqua senza l’impiego di corde. E non siete stato voi a ordinarmi di nascondermi? E allora la colpa è vostra. Sola soletta in soffitta. Niente affatto. Voi sapete che son molto paurosa. Ti taglierò quella lingua! Ti romperò quella bocca! È un caso senza rimedio. E la birbante di Clara che le portava i conigli? Me lo ordinò la padrona. Ottavio, voi siete saggio e sapete che è lo stesso tagliare o sciogliere i nodi. E cosa dite di scegliere? Scioglierli. Signor Feniso, se la buona volontà vale qualcosa, accettate quella mia, e a voi, Eduardo, dico la stessa cosa; ormai Finea s’è sposata, e anche Nise si accontenta
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LOPE DE VEGA LA DAMA BOBA, ACTO TERCERO
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PEDRO
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con Liseo, que me ha dicho que la quiere y que la adora. Si fue, señor, su ventura, ¡paciencia!, que el premio gozan de sus justas esperanzas. Todo corre viento en popa. ¿Daré a Finea la mano? Dádsela, boba ingeniosa. ¿Y yo a Nise? Vos también. Bien merezco esta vitoria, pues le he dado entendimiento, si ella me da la memoria de cuarenta mil ducados. Y Pedro, ¿no es bien que coma algún güeso, como perro, de la mesa destas bodas? Clara es tuya. Y yo, ¿nací donde a los que nacen lloran, y ríen a los que mueren? Celia, que fue tu devota, será tu esposa, Turín. Mi bota será y mi novia. Vos y yo solo faltamos. Dad acá esa mano hermosa. Al senado la pedid, si nuestras faltas perdona; que aquí, para los discretos, da fin La comedia boba.
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LOPE DE VEGA LA DAMA SCIOCCA, ATTO TERZO
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NISE TORINO FENISO EDUARDO
di Liseo, che già mi ha detto che l’ama molto e l’adora. Se questa è stata, signore la loro sorte, pazienza! Possano godere il giusto premio alle loro speranze. Tutto va col vento in poppa. Posso dare la mia mano a Finea? Potete darla a questa sciocca ingegnosa. E anch’io a Nise? Sì, anche voi. Merito questa vittoria perché le ho dato l’ingegno, e lei dei quarantamila ducati mi dà quietanza. E a Pietro, non toccherà un qualche osso, come al cane alla mensa delle nozze? Puoi prenderti Clara. Ed io sono forse nato là dove si piangono i nati e si ride per i morti? Tu, Torino, sposa Celia che è stata la tua devota. Sarà sposa prelibata. Non restiamo che noi due. Datemi la vostra mano. Affinché possa applaudirci, se i nostri errori perdona, chiedetela al saggio pubblico perché a questo punto diamo fine a La commedia sciocca.
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Los melindres de Belisa I capricci di Belisa Testo spagnolo a cura di KATERINA VAIOPOULOS Nota introduttiva, traduzione e note di KATERINA VAIOPOULOS
Nota introduttiva
1. Los melindres de Belisa è una commedia d’intreccio che Lope de Vega probabilmente redige intorno al 1608,1 cioè all’epoca in cui elabora l’Arte nuevo de hacer comedias. Il testo presenta tutti gli elementi tipici del genere de capa y espada: finge di ritrarre la vita quotidiana in un contesto urbano, i personaggi sono dame e cavalieri di rango medio, la vicenda è ambientata in spazi interni (quasi esclusivamente l’abitazione della famiglia di Belisa), 2 l’intreccio si risolve in una serie di corteggiamenti, gelosie, schermaglie amorose e di giochi teatrali, quali il mascheramento, le scene di buio fittizio e l’ascolto furtivo. La commedia si apre con un nucleo scenico in cui si mettono a conoscenza gli spettatori/lettori della situazione di partenza: la madre vedova Lisarda e lo zio Tiberio discutono della possibilità di trovare un marito per la capricciosa Belisa, donna incasable, che trova costantemente difetti a tutti i corteggiatori ed è affetta da mille manie. La prima apparizione in scena di Belisa, in un brillante dialogo con la servetta Flora, conferma l’opinione della madre, ed è suggellata dal tentativo di Lisarda e Tiberio di convincere la ragazza a porre fine all’atteggiamento sprezzante che ha verso i pretendenti: la madre le rammenta alcuni dei novios respinti e questa carrellata si trasforma in una serie di battute divertenti e, allo stesso tempo, funzionali alla caratterizzazione di Belisa. La scena è interrotta dall’arrivo dell’alguacil e dello scrivano, che mette al corrente lo spettatore/lettore della questione che darà il via all’intreccio vero e proprio: Lisarda è in credito con un debitore insolvente di nome Eliso e autorizza la giustizia a prendere in pegno dei beni di sua proprietà come garanzia di pagamento. 265
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA
L’azione si sposta ora proprio nell’abitazione di Eliso – unica «uscita» dalla casa di Lisarda – dove il giovane sta parlando con il servo Fabio proprio di Belisa e della sua natura capricciosa, che gli impedisce di risolversi a chiederne la mano. I due vengono interrotti dal sopraggiungere dell’amico Felisardo e di Celia: per difendere l’amata da un corteggiatore importuno, Felisardo lo ha colpito con la spada e, non sapendo se l’uomo è vivo o morto, cerca rifugio con Celia in casa di Eliso. Proprio a questo punto la giustizia bussa alla porta di Eliso per pignorare i suoi beni, ma tutti pensano che l’alguacil stia cercando i due fuggitivi, e così Eliso fa travestire da schiavi Celia e Felisardo, che d’ora in poi saranno Zara e Pedro e verranno presi in pegno e portati in casa di Lisarda, come proprietà di Eliso. L’arrivo di Zara e Pedro porterà grande scompiglio nella casa dei nuovi padroni; in primo luogo sono Lisarda e Flora a restarne colpite: la prima vuole subito comprarli e la seconda all’istante è attratta dallo schiavo; successivamente anche Belisa e il fratello Juan si dimostreranno pronti a tutto pur di conquistare l’amore dei due finti schiavi. L’intreccio è costruito perfettamente sulla base delle coincidenze; innanzi tutto la simultaneità tra la fuga di Felisardo e Celia e la decisione di Lisarda di sacar prendas a Eliso; in secondo luogo il fatto che le autorità sopraggiungano proprio mentre Celia e Felisardo si sono rifugiati da Eliso e che dall’equivoco nasca l’esigenza del mascheramento, uno degli espedienti più tipici della commedia di cappa e spada; infine l’arrivo di due splendidi finti schiavi in una casa dove si trovano due giovani in età da matrimonio e una vedova inquieta; il tutto complicato dal desiderio di Eliso di sposare Belisa. Dunque, la trama si fonda sulle insidie dei vari personaggi alla coppiabase costituita da Celia e Felisardo, e si arricchisce di suspense grazie alla costante sfasatura fra ciò che è e ciò che appare, tanto che sembra trasgredito il codice ideologico dell’epoca – codice del destinatario (pubblico) e degli emittenti (commediografo e compagnia teatrale) – che prevedeva una netta separazione dei diversi gruppi sociali. Tuttavia il pubblico sa che i due schiavi sono nobili, e quindi la trasgressione è limitata tramite gli inganni che falsano la situazione reale.3 L’innamoramento della dama capricciosa è l’aspetto dell’azione a cui Lope dedica più spazio. La sua prima reazione è di grande disperazione, poiché si rende conto che si tratta di un amore impossibile che porta 266
NOTA INTRODUTTIVA
al disonore, pensa al suicidio e passa in rassegna vari modi di metterlo in atto, senza rivelare alla sua interlocutrice, Flora, il motivo di tale sofferenza; ma, di fronte alle continue e accorate domande della servetta, decide di confidarle il suo segreto. Ha inizio così un lungo romancillo in cui Belisa ripercorre la sua vita dall’infanzia, spiegando il perché del suo comportamento capriccioso e dandone diversi esempi, fino alla rivelazione dell’amore per lo schiavo. Belisa è consapevole del proprio cambiamento e protesta contro l’impossibilità di questo amore; allora Flora le consiglia di «imbruttire» lo schiavo facendolo frustare o imprimendo sul suo volto il marchio della schiavitù (una «s» e un chiodo: esclavo), per eliminare quella bellezza causa di problemi. Lisarda si rifiuta di marchiare gli schiavi, anche se teme che difendendo Felisardo-Pedro mostrerà i suoi sentimenti per lui e si disonorerà; Belisa cade in un profondo malessere per il no della madre; Tiberio propone una soluzione: sulle guance di Pedro e Zara verranno dipinti dei marchi identici a quelli veri, che saranno utili anche alle due «vittime» per non farsi riconoscere; don Juan si infuria per la deturpazione del volto di Celia. Fino alla fine del secondo atto le schermaglie amorose e le liti familiari si moltiplicano, tanto che la jornada si chiude in una situazione di completa apertura: l’intreccio è al punto di massima complicazione e nessuna soluzione può ancora essere esclusa. Dall’inizio del terzo atto in poi le allusioni alla vera identità di Zara e Pedro cominciano ad intensificarsi. Eliso è in casa di Lisarda e, mentre si lamenta per il trattamento che è stato inflitto allo schiavo (alla marchiatura si sono aggiunti il collare e la catena), lascia trapelare alcuni riferimenti alla reale condizione di Felisardo-Pedro dando nuovo vigore alle speranze di Lisarda. Intanto Belisa finge nuovi svenimenti affermando di sentirsi meglio solo se tocca la mano dello schiavo. Entra in scena Carrillo e descrive a Eliso i nuovi rapporti fra Belisa e Felisardo-Pedro. Si introduce così un altro elemento dell’intreccio, la gelosia di Eliso, che d’ora in avanti non solo non prenderà più le difese dell’amico, ma diventerà un ulteriore impedimento all’unione dei due falsi schiavi. Dato che ancora Eliso non ha appreso tutte le novità, prima di lasciare la casa di Lisarda, incontra anche don Juan che gli rivela il suo amore per CeliaZara. Quest’ultima notizia offre a Eliso un’ottima arma per vendicarsi di Felisardo e quindi allude anche con l’amico alla vera condizione della schiava, rafforzando le sue speranze. 267
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA
Quando ormai tutti dubitano che i due schiavi siano davvero tali, per rimandare lo scioglimento della vicenda, Lope inserisce alcuni meccanismi di ritardo: una sorta di follia amorosa di Belisa e una scena di buio, tipico gioco teatrale e uno dei momenti più brillanti della commedia. Flora consiglia a Belisa di dichiarare apertamente il proprio amore a Felisardo-Pedro al buio, allora serva e padrona spengono le candele con un trucco, dopo che sono entrati in scena anche Celia, Felisardo, Lisarda e Tiberio. Protetti dall’oscurità – che era fittizia sul tablado, rappresentata metonimicamente dallo spegnimento delle candele che simboleggiavano l’ambientazione notturna – i personaggi pensano di cogliere l’occasione per avvicinarsi a chi amano: Belisa, Lisarda e Celia a Felisardo, e quest’ultimo a Celia; ma l’oscurità fa sbagliare tutti, e così Belisa e Lisarda si dichiarano reciprocamente innamorate, Celia si lamenta con Flora della gelosia che le suscita, e Felisardo sussurra dolci parole d’amore all’orecchio di Tiberio, che pensa si tratti di Lisarda. Grande doveva essere a questo punto l’ilarità del pubblico che udiva le intenzioni dei personaggi confessate nei «tra sé», li vedeva poi accostarsi e dichiararsi alle persone sbagliate, e infine perplessi al ritorno della luce. Le informazioni sui mezzi tecnici, cioè la scenografia metonimica e l’espediente delle candele accese, spente e poi di nuovo accese, ci permettono di recuperare lo spirito comico della scena. Inoltre l’equivoco ci risulta ancora godibile perché conosciamo alcuni aspetti del codice amoroso e comportamentale dell’epoca, ad esempio l’esigenza di dissimulare e la dicotomia essere/ apparire, che qui si rendono manifeste nell’opposizione fra luce e buio: la luce è la norma, che implica doppiezza e impossibilità di essere sinceri e schietti (apparenza), mentre il buio è l’eccezione, il nascondiglio, la protezione che permette la sincerità (essenza). Ma la notte è, allo stesso tempo, «madre de errores» e il tentativo di essere franchi fallisce proprio perché per esserlo è necessario nascondersi e proteggersi mediante il buio. L’entrata in scena di don Juan e Carrillo con una torcia dà fine agli equivoci e inizio ad una nuova lite4 in cui sono coinvolti tutti i personaggi, e che vede Lisarda pronta a sposarsi con lo schiavo con la scusa di farne il suo erede per vendicarsi dei figli. Di nuovo è Tiberio a proporre una soluzione: lo schiavo assomiglia molto ad un cavaliere di nome Felisardo, quindi Lisarda fingerà di sposarsi con questo cavaliere, facendo travestire Pedro; la dama accetta, convinta che lo schiavo e il cavaliere siano 268
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la stessa persona e che riuscirà così a sposare con l’inganno l’uomo che ama, senza rischiare il proprio onore. L’idea di Tiberio è il passo decisivo verso il desenlace. Il nucleo scenico conclusivo è basato interamente sull’inganno, dato che nessuno è completamente al corrente delle intenzioni e dei pensieri degli altri. Tiberio crede che Lisarda stia seguendo il suo disegno, mentre lei vuole approfittarne per sposare davvero colui che ormai ritiene il cavaliere Felisardo; Belisa si sbaglia sul motivo delle nozze pensando che sia pura vendetta della madre; Felisardo e Celia sono addirittura al centro di un inganno nell’inganno, dovendo interpretare sé stessi sotto travestimento: sono nobili mascherati da schiavi (per loro stessi, Eliso e il pubblico) e schiavi travestiti da nobili (per gli altri personaggi). L’arrivo di don Juan con Eliso, il padre di Celia e l’alguacil porta al chiarimento generale: Eliso accusa Felisardo di volersi sposare con Belisa, come le apparenze lasciano credere, e dichiara di aver portato con sé la giustizia per denunciarlo e vendicarsi della sua falsa amicizia; Lisarda spiega la situazione a Eliso e gli offre la mano di Belisa, dicendo che Felisardo è suo sposo; Celia esce allo scoperto e, insieme a Felisardo, dichiara il loro amore, subito approvato dal padre Prudencio; il sentimento di don Juan si placa all’istante vedendo burlate la madre e la sorella; vengono fatte le dovute scuse a Celia e Felisardo; l’alguacil dichiara decadute le accuse contro Felisardo perché il cavaliere ferito ha ormai recuperato la salute. La commedia si conclude con un triplo matrimonio: Celia e Felisardo, Belisa ed Eliso e una coppia di servi, anche se in questo caso non sono i reciproci criados di una delle coppie nobili, come era consuetudine, ma Flora e Carrillo, i due servitori della casa di Lisarda. Si raggiunge così una situazione di equilibrio in cui si appianano sia le questioni aperte di partenza, come i capricci di Belisa e il desiderio di Eliso di sposarla, sia quelle che si sono create con il procedere dell’intreccio, cioè le sventure di Celia e Felisardo. Nessun mutamento c’è stato invece per Lisarda e don Juan, che tuttavia, per esigenza di un lieto fine, si dimostrano contenti della conclusione della vicenda. 2. I veri protagonisti della commedia non sono, eccezionalmente, la dama e il galán che costituiscono la coppia principale – Celia e Felisardo –, ma i personaggi che si frappongono tra loro impedendone l’unione, e cioè Lisarda, Belisa e don Juan. I molteplici conflitti che si creano fra i tre 269
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fanno sì che le loro personalità vengano delineate in modo netto, mentre Celia e Felisardo restano meno caratterizzati e di loro conosciamo solo il fatto che sono innamorati, gelosi l’uno dell’altro, pronti a soffrire per il sentimento che li unisce, e, nel caso di Felisardo, che è animato da una certa irruenza e impulsività. Le loro false identità moresche rimandano, secondo Cornejo, al mondo «exótico, y de algún modo atemporal, que remite en parte al imaginario poético del romancero morisco»5 e rappresentano senza dubbio una caduta sociale, esemplificata dagli spazi loro riservati, le stalle per Felisardo-Pedro e la cucina per Celia-Zara. I personaggi si muovono, dunque, in uno spazio chiuso, una casa che è «sinécdoque de una corte tiránica, una casa que remite de algún modo a ciertos espacios palaciegos e intemporales de la comedia palatina»,6 dove Belisa, Lisarda e Juan esercitano un potere assoluto a tratti sadico (si pensi ai marchi, al collare e alle minacce di frustate e altre torture), tanto che è percepita dai due falsi schiavi come una prigione. La famiglia che abita questa casa è priva di autorità maschile, poiché la madre che dovrebbe esercitarla «es tan insensata como su hijos, con lo que resulta un universo en el que priva el exceso, el melindre, la distorsión social y el absurdo».7 In questo spazio chiuso i rapporti interpersonali sono costantemente falsati dalla discrepanza fra ciò che i personaggi sono e pensano e ciò che fingono di essere e di pensare, e nessuno è mai completamente a conoscenza delle intenzioni dell’altro. Se Celia e Felisardo fingono una diversa identità, lo fanno mossi dall’amore che li lega, ma tutti gli altri agiscono in base al proprio interesse e deliberatamente in modo ipocrita, con l’eccezione di Tiberio, sempre impegnato nel tentativo di risolvere i problemi della sorella e dei nipoti. Anche Eliso, che pure aiuta i due fuggitivi, non smette mai di fare il proprio tornaconto; in un sonetto in cui riflette sull’amore rivela di non volersi abbandonare ai sentimenti e non esita ad alimentare le speranze di don Juan riguardo a Celia-Zara per vendicarsi di Felisardo né a offrire alla giustizia l’amico che prima ha protetto, quando pensa che stia corteggiando Belisa e quindi ostacolando i suoi progetti.8 Lisarda è una figura materna, personaggio non molto frequente nel teatro di Lope; anche in questa commedia il ruolo materno è quasi completamente coperto da quello di dama innamorata, che offre spunti di contrasto con la figlia, instaurando una dialettica fra dama giovane e 270
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dama più attempata.9 Infatti Lisarda contraddice rapidamente la sua presentazione iniziale di vedova desiderosa di restare sola, con l’unica ambizione di vedere i propri figli sposati per poi potersi ritirare dalla vita sociale. I rapporti di Lisarda con Belisa e Juan sono segnati dal conflitto e dall’incomunicabilità: i figli non parlano apertamente con la madre dei propri sentimenti e le liti scoppiano sempre per difetto di sincerità; inoltre, dominata dall’amore, Lisarda non è coerente ed usa un doppio canone di giudizio, perché si infuria con i giovani quando sa che amano degli schiavi, ma considera valida per sé la possibilità di amare Pedro. Don Juan è uno dei personaggi più trasparenti; non nasconde né i suoi sospetti sulla vera identità della schiava, né le sue intenzioni matrimoniali, né la rabbia che gli provoca la cecità dello zio sull’amore in età giovanile.10 Don Juan si esprime in modo galante ed è caratterizzato nella sua prima scena dal fatto di essere al tempo stesso un galán con capa y espada e un uomo di lettere.11 Tuttavia anch’egli è animato solo dal proprio interesse e privo di scrupoli. È cresciuto nella ricchezza ed è altrettanto viziato della sorella, conduce una vita dissoluta, ma tollerata dalla madre finché non medita il matrimonio con la schiava mettendo in pericolo l’onore della famiglia; è travolto dai sentimenti tanto da osare minacciare lo zio e offendere la madre, però è così infantile che il suo grande amore si spegne al veder burlate Lisarda e Belisa. Don Juan agisce come galán suelto, un personaggio maschile di cui Fréderic Serralta ha delineato le caratteristiche e gli aspetti ridicoli, mettendolo in relazione con il figurón.12 Il galán suelto ha una funzione attiva, funge da impedimento all’unione delle coppie ufficiali come corteggiatore di una dama e fratello dell’altra, spesso compiendo azioni improprie; alla fine viene sacrificato: non si sposa ed è costretto a riconoscere il trionfo dell’amore altrui, cercando di riscattarsi dall’insuccesso amoroso tramite una magra soddisfazione come fratello dell’altra dama, cosa che rende ridicole le sue affermazioni finali e anche i suoi galanteos, nonostante adotti un linguaggio affine a quello dei normali galanes. Don Juan è caratterizzato dal codice espressivo raffinato e metaforico a cui ricorre nel corteggiamento di Celia-Zara, ma altrettanto evidenti sono le sue incoerenze come galán quando attenta all’onore della dama pensando che sia una schiava e lo fa in modo ridicolo chiedendole cosa mai potrà fare l’amata per lui, se non essere liviana e concedersi; poi decide di volerla sposare perché è l’unico modo per possederla, o almeno per contrariare la madre, alla quale non 271
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esita a mancare di rispetto. Risulta evidente la differenza con Felisardo, quest’ultimo galán perfetto, con obiettivi chiari e definiti e una condotta amorosa lineare, coronata dal matrimonio finale.13 Il personaggio di Belisa è senz’altro il più interessante. Viene presentata all’inizio in modo indiretto, tramite le parole della madre e dello zio, come una «variación caricaturesca de la dama esquiva».14 L’«insposabile» Belisa rifiuta l’amore e trova costantemente difetti a tutti i pretendenti nel primo atto della commedia, salvo innamorarsi del finto schiavo, poiché in quanto dama di commedia d’intreccio la sua ritrosia deve risultare provvisoria nell’azione teatrale e dovrà essere sostituita dal desiderio amoroso. I capricci nella scelta di un marito trasformano Belisa in un personaggio ridicolo e le sue motivazioni danno occasione ad una serie di scambi di battute divertenti, in cui Belisa confonde il piano reale e quello figurativo. La fervida immaginazione e l’arguta abilità linguistica le permettono di creare associazioni fra la realtà e le sue fantasie, ad esempio un marito calvo nel letto diventa un teschio che impedisce di pensare ai piaceri della carne. In altri casi il meccanismo di scambio fra piano reale e piano figurato si basa più semplicemente sull’attribuzione di caratteristiche umane ad oggetti inanimati (una grata può ferirla di proposito ed essere a sua volta uccisa a pugnalate) e sull’ignorare in toto la realtà in favore di visioni fantastiche;15 altre volte ancora Belisa confonde la realtà e la sua raffigurazione scambiando per veri oggetti o animali dipinti, come le decorazioni floreali di un cuscino e il leone raffigurato ai piedi di San Geronimo. I capricci di Belisa motivano anche l’unità di luogo, poiché le paure della dama la obbligano ad una volontaria reclusione; addirittura esita, nella sua prima scena, ad affacciarsi alla finestra e, sia parlando con la madre che nel romancillo in cui si confessa a Flora, elenca i suoi timori verso gli spazi madrileni, che entrano nel testo attraverso la menzione che ne fa Belisa: una serie di chiese, le corridas de toros, il ponte di Segovia sul Manzanares, le passeggiate in carrozza, le strade ventose.16 Il fatto che Belisa crei equivoci giocando fra il livello interpretativo letterale e concreto della realtà e quello figurato in una duplice direzione – rifiutando di concettualizzare quando le si richiede di cogliere un traslato e, viceversa, elaborando la realtà tramite la fantasia quando dovrebbe interpretarla letteralmente – può far pensare ad un accostamento della dama capricciosa ad un altro famoso personaggio femminile creato da 272
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Lope, Finea, la dama sciocca, protagonista appunto de La dama boba (1613), e da questa al personaggio caricaturale detto figurón.17 Finea è incapace di esprimersi e comportarsi secondo gli usi della corte per tutta la prima parte della commedia di cui è protagonista; poi però la dama sciocca evolve, diventa saggia e capace di fingere, riesce a teorizzare sul sentimento e ad usare metafore, e alla fine non la attende un escarmiento, ma il matrimonio che vuole e che riesce a ottenere con metodi che potremmo definire «cortigiani», allontanandosi così dal figurón. Per quanto riguarda Belisa, un eventuale legame con il personaggio caricaturale in questione sarebbe ancora più difficile da stabilire, perché nonostante i suoi capricci la portino spesso a non concettualizzare e restare ancorata ad un livello espressivo letterale, nel suo caso non si tratta di incapacità intellettuale e espressiva, ma della volontà di dire e fare sempre il contrario di ciò che gli altri le propongono e del saper sfruttare le sue visioni fantasiose. La dama capricciosa ha, infatti, una spiccata immaginazione e una notevole abilità linguistica, sa creare giochi verbali che volgano il discorso in suo favore e usa la sua fervida fantasia contro la razionalità che gli altri personaggi cercano di imporle.18 Piuttosto sembra plausibile contraddistinguere il personaggio secondo la definizione di «excéntrico» di Valbuena Briones: «alguien raro, extravagante, fuera de lo normal, apartado del centro de conducta que la sociedad supone para el individuo».19 Ma Belisa non suscita ilarità soltanto per i suoi capricci, è molto probabile, infatti, che il pubblico si divertisse anche per i richiami erotici che ruotano intorno al suo personaggio.20 I rifiuti dei vari pretendenti da parte della dama capricciosa spesso si basano sui motivi che le renderebbero difficile un contatto fisico, 21 come la barba troppo folta e spessa o parti del corpo posticce. Belisa si mostra anche impaurita dalla controparte maschile e nel primo romancillo che recita elenca una serie di sue stranezze che rivelano un disagio con il corpo e con la sfera sessuale (guerrieri, giganti, tori, serpenti, spade ed altri oggetti, animali e raffigurazioni di richiamo fallico o comunque rappresentativi della forza maschile).22 Belisa, quindi, è una dama nobile, ma trasgressiva e «provocante a risa», che infrange le norme della compostezza e dell’espressione; caratterizzazione che non meraviglia se si pensa che i personaggi nobili della commedia possono essere densi di sfumature e offrire occasioni di rottura «que hacen entrever posibilidades de cambio», e che lo spirito comico 273
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può ridurre il valore di sovrastrutture come l’onore, l’autorità, il decoro, senza distruggerle. Infatti la commedia «siempre termina con la integración de los elementos discordantes» e «el deseo de una sociedad regida por la lógica y no por las pasiones es evidente en la utilización del personaje razonable y sensato cuyos comentarios subrayan las extravagancias del personaje cómico». 23 La Belisa comica e stravagante che conosciamo nel primo atto della commedia ci viene riproposta in apertura del secondo in una veste parzialmente mutata,24 consapevole, a parole, dell’inutilità dei suoi capricci e innamorata di un uomo che avrebbe molti motivi per rifiutare. Il proposito suicida di Belisa non sembra giustificare un’interpretazione tragica, ma al contrario risulta comico per il contrasto fra il tema e il modo in cui viene trattato, ad esempio la preoccupazione di Belisa per l’aspetto del suo cadavere; allo stesso modo il pubblico avrà accolto con entusiasmo il romancillo di Belisa che segue, sebbene esso non sia del tutto comico, per i temi della cattiva educazione ricevuta, del matrimonio d’interesse che molti pretendenti cercano corteggiandola, per la consapevolezza dell’inutilità dei capricci e dell’ingiustizia delle disuguaglianze sociali. La comicità di Belisa continua a giocare un ruolo fondamentale nella commedia, ad esempio quando usa la sua reputazione di dama capricciosa per riuscire ad abbracciare Felisardo-Pedro. La scena seguente, con l’entrata di Celia che si ingelosisce e discute con l’amato, mentre Belisa sta appesa al collo del falso schiavo, sicuramente risultava estremamente comica, e lo scoppio della risata ne avrà senza dubbio caratterizzato la fine, quando Felisardo lascia sul pavimento Belisa per poter parlare con Celia senza stancarsi. Successivamente la risibilità della protagonista si basa sul linguaggio infantile (cuna, vaquerito, zapatos dorados, confites pintados, coco) che adotta nel momento in cui perde il senno per l’impossibilità del suo amore, descrivendo con immagini semplici il malessere che sente nel cuore (un arador / que me escarba y hace mal, un granito de sal); allo stesso modo poco dopo propone una versione comica e puerile, ricca di diminutivi e vezzeggiativi, della teoria neoplatonica dell’amore che nasce dagli occhi e passa da questi al cuore. Anche sull’orlo dello scioglimento, la peculiarità di Belisa entra in gioco rendendo il tutto più brillante, sia con il suo comportamento finale – dubita dell’identità di Felisardo e Celia, li aggredisce, viene trattata da pazza, ma accetta passivamente di sposare l’uomo che madre e fratello 274
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ritengono giusto per lei – che con un altro romancillo in cui si burla delle intenzioni della madre inventando comici paragoni dell’imminente matrimonio, basati su giochi di carte, modi di dire, rappresentazioni animalesche e sull’immagine del funambolo. Il finale, in cui la dama accetta il matrimonio con Eliso e chiede perdono per i propri capricci, rispetta la convenzione della comedia de enredo, ma si presta anche ad una lettura ironica per cui Belisa con i suoi capricci non ha ottenuto niente e sposa un uomo che non ama.25 I momenti di donaire che grazie a Belisa sono disseminati nel testo della commedia, hanno come altro protagonista il portatore «ufficiale» della comicità: il gracioso-lacayo. Carrillo fa la sua prima apparizione impegnato con don Juan in una discussione sulle traduzioni dal latino e la conciliazione dello stile di vita guerresco con quello intellettuale (il tema del rapporto fra armi e lettere). Il contrasto fra lo status di servitore di Carrillo e gli argomenti di cui parla, con il suo linguaggio ricercato, costituiscono un immediato elemento comico. La trasgressione della norma per cui una forma dell’espressione elevata non può corrispondere ad un personaggio basso genera la risata in quanto percepita come un elemento stridente dagli spettatori, e anche perché gli altri personaggi la mettono costantemente in risalto commentando le parole di Carrillo, dandogli del pazzo, ordinandogli di tacere o mostrando di non sopportare di ascoltarlo. Il gracioso usa espressioni verbose e ridondanti, una sintassi contorta, perifrasi articolate, un lessico ricercato, apostrofi elaborate, costruzioni allegoriche, mentre viene costantemente liquidato in modo brusco. Oltre che all’abilità verbale e al linguaggio elevato caricaturale, la comicità del gracioso è anche dovuta al suo essere la controparte del galán che assume su di sé quegli aspetti che l’altro non può possedere in quanto nobile, o meglio i difetti corrispondenti ai pregi del personaggio elevato con cui fa coppia. Carrillo «mueve a risa» tramite manifestazioni di codardia, lussuria, gola, egoismo e avidità, e la sua concretezza, oltre a far ridere, è indice di un’adesione alla realtà più immediata e spesso più lucida e chiara, senza quei filtri e quelle sovrastrutture che a volte paralizzano i personaggi nobili e li rendono incapaci di risolvere le situazioni che si trovano ad affrontare, come si evince dalla carrellata di remedia amoris con cui suggerisce a don Juan il modo di dimenticare una dama. Con la stessa lucidità e concretezza Carrillo discute con Eliso il comportamento 275
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di Belisa e il suo rapporto con lo schiavo, liquidando con disinvoltura la complicata questione dell’onore, e commenta i litigi fra la madre e i figli; addirittura scavalca le barriere sociali e tratta con il padrone da pari a pari, assumendo spesso il ruolo di «coscienza» del galán.26 Abbastanza vicino al ruolo del gracioso è quello degli altri personaggi ancillari, nel nostro caso il criado di Eliso, Fabio, che ha uno spazio molto limitato, e la servetta Flora, personaggio brillante, che adotta un linguaggio leggero e spiritoso, sebbene anche il suo ruolo ne Los melindres de Belisa sia poco evidenziato, messo in ombra dalla protagonista che funge anche da figura comica femminile.27 Flora assume spesso il ruolo di «spalla» comica quando interagisce con Belisa, per esempio nelle scene iniziali e in quella che precede le dichiarazioni d’amore fatte alle persone sbagliate, in cui padrona e serva spengono tutte le candele. 3. Los melindres de Belisa è ovviamente una commedia polimetrica, come era consuetudine nel teatro spagnolo del Secolo d’Oro. In questo caso Lope utilizza tre forme metriche italiane, che sono il sonetto, l’ottava reale e gli endecasillabi sciolti, mentre gli altri metri appartengono alla tradizione spagnola: redondilla, romance, quintilla, décima espinela ed endechas o romancillo.28 Le redondillas sono il metro più utilizzato, ad esse sono affidati ben dieci passaggi che vertono soprattutto su schermaglie amorose, liti di gelosia e corteggiamenti. Le redondillas sono inoltre impiegate per alcune riflessioni dei personaggi su ciò che accade, per i passaggi più ricchi d’azione e per alcuni brani brillanti. Non molto dissimile da quello delle redondillas, anche se molto meno cospicuo, è l’uso delle quintillas, impiegate in gran parte della seconda metà del primo atto e in alcuni brani dal tono prevalentemente comico e, a tratti, galante. Al romance spettano due brani narrativi e alcuni passi sull’amore, gli attacchi di gelosia, le liti e gli inganni che ci portano verso la scioglimento dell’intreccio, affidato anch’esso a questo metro. 29 Anche i quattro brani in endecasillabi sciolti presentano una certa varietà argomentale, ma sembrano avere un tono più serio rispetto agli altri passi. Appannaggio di Belisa è il romancillo, ovvero una serie di lunghezza indeterminata di esasillabi assonantati nei versi pari, un metro molto rapido e ritmato, da filastrocca, che la dama capricciosa usa in due lunghe tirate funzionali alla caratterizzazione del suo personaggio, e di carattere narrativo, introdotte da formule di richie276
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sta d’attenzione. Solo un passaggio ciascuno spettano, invece, alle ottave, alle decime e alle coplas reales. Infine, la commedia contiene tre sonetti, recitati da ognuno dei tre galanes, in situazioni analoghe: un personaggio è solo sulla scena e commenta in questa forma ciò che è accaduto subito prima. Il primo è un sonetto sdrucciolo30 in cui Eliso riflette sulle difficoltà sentimentali; il secondo è una specie di riepilogo di don Juan della discussione che ha appena avuto con Carrillo sul tema armas y letras, non ha rapporto con l’intreccio della commedia e riempie il lasso di tempo in cui il lacayo chiama Flora; il terzo ed ultimo è un commento di Felisardo sulla crudeltà dell’amore, subito dopo che gli è stato messo il collare. È evidente che la polimetria risponde sì all’esigenza di conciliare un tipo di tono o di argomento con una forma metrica, ma che non esaurisce qui la sua funzione. E neppure l’indicazione dei passaggi fra i diversi nuclei scenici, che pure era essenziale non essendo i testi del teatro aureo divisi in scene, basta a spiegare la grande varietà metrica del teatro lopesco. Probabilmente risiede proprio nella soddisfazione del bisogno stesso di varietas il motivo principale della polimetria, e la varietas, d’altra parte, viene elogiata dallo stesso Lope nell’Arte nuevo, anche sul piano strutturale, come esempio da seguire offerto dalla natura, ed è elemento fondante dell’estetica barocca. La varietà riguarda anche la forma dell’espressione. Los melindres de Belisa presenta un’ampia gamma di linguaggi diversi: da quello comune delle normali conversazioni a quello enfatico di soliloqui e tirate, ricco di esclamazioni, apostrofi e domande retoriche; da quello rapido e incalzante con cui Felisardo descrive la sua sventura a quello leggero e spiritoso di Flora; da quello elevato e galante di don Juan a quello infantile e comico di Belisa. La diversificazione dei linguaggi rispetta non solo le situazioni ma anche la tipologia del personaggio, ovvero si basa sulla verosimiglianza, sulla funzionalità e sull’adeguamento a chi parla. Tiberio, essendo un viejo, parlerà in modo saggio e prudente; Celia e Felisardo, ma anche Belisa e don Juan, in quanto innamorati, faranno appello alle emozioni; e le dame manterranno sempre il decoro femminile: si pensi alle formule che Lisarda pronuncia per spingersi a trattenersi, come ¡Amor, para, tente, / que perderme temo! (vv. 1414-15), alla vergogna di Belisa per essersi dichiarata schiava d’amore del proprio schiavo, o alla necessità del buio per poter parlare senza maschera e finalmente dire Pe277
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dro, yo soy, yo te quiero (v. 2763). Il decoro prevede anche che un personaggio basso, come un servitore, non possa esprimersi in modo elevato, e proprio dalla trasgressione di tale suggerimento nasce, come abbiamo visto, la comicità del lacayo-gracioso Carrillo. Queste osservazioni sui linguaggi de Los melindres de Belisa non costituiscono solo un riscontro pratico delle idee teoriche che Lope manifesta sulla forma dell’espressione nell’Arte nuevo, ma anche una prova della consapevolezza del Fénix del linguaggio in sé, come strumento per caratterizzare i personaggi (coscienza espressiva che va di pari passo con la conoscenza della psicologia umana), e come mezzo di comunicazione stratificato in base ad un destinatario tutt’altro che omogeneo. Si pensi al pubblico estremamente composito del corral, al quale anche Lope pensava scrivendo, e al modo in cui ogni gruppo sociale avrà trovato nella commedia qualcosa da gustare: i nobili negli aposentos e gli intellettuali nella tertulia avranno ascoltato con piacere le dissertazioni colte, i sonetti, le espressioni raffinate dei galanes, nonché i giochi di parole più complessi e le citazioni che solo a loro erano accessibili; le donne nella cazuela avranno commentato i modi e i costumi delle attrici, ma anche ammirato le scene d’amore e apprezzato il linguaggio galante; il popolo, distribuito sulle gradas e in piedi nel patio, secondo le possibilità economiche, avrà tratto il maggior piacere dalle battute del gracioso e dal fatto di sentirsi parte integrante delle classi elevate condividendo con loro l’interpretazione dei giochi di parole e dei passi più elaborati.31 4. De Los melindres de Belisa si conserva il manoscritto autografo del primo atto presso la Biblioteca Menéndez y Pelayo di Santander.32 I dati di cui disponiamo sulle prime rappresentazioni de Los melindres de Belisa si riducono ad una notizia tratta dal Dietario di Porcar, secondo il quale la commedia apparteneva alla compagnia di Balbín e fu messa in scena a Valencia il 30 agosto del 1614 nel Convento de Predicadores, a porte chiuse, alla presenza dei frati di questo convento e di quello di san Francesco.33 La commedia fu pubblicata nel 1617 nella Parte IX delle commedie di Lope,34 volume che segna l’inizio dell’operazione editoriale diretta del Fénix, che prosegue fino alla sospensione delle licenze per la stampa di libri di novelle e commedie del 1625.35 Probabilmente il fatto stesso che Lope includa la commedia nella prima edizione che cura personalmente 278
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può essere una prova del suo buon esito; soprattutto il personaggio di Belisa dovette godere di una grande popolarità, tanto che viene preso come prototipo della donna capricciosa anche da Calderón de la Barca, che lo propone al pubblico come modello di Beatriz, la protagonista della sua commedia No hay burlas con el amor.36 La commedia viene ripubblicata nell’edizione della Parte IX stampata nel 1618 a Barcellona da Cormellas,37 e in un’edizione sciolta dell’inizio del XVIII secolo.38 Lo stesso Lope forse tentò di sfruttare la scia del successo di questa commedia a distanza di anni, intitolando una delle sue ultime opere teatrali Las bizarrías de Belisa; le due commedie si richiamano nel titolo, nell’onomastica di alcuni personaggi, fra cui la protagonista, una dama insoddisfatta dei suoi pretendenti che si innamora del cavaliere che meno la desidera; tuttavia riteniamo gli intrecci troppo diversi perché si possa ritenere la seconda un’auto-rifusione della prima. La commedia fu tradotta in italiano nel 1643 da Teodoro Ameyden, con il titolo La dama frullosa, per una rappresentazione romana.39 Cotarelo y Mori, Barrau e Sáinz de Robles segnalano le traduzioni francesi di S. Linguet (1770) e di E. Baret (1874), e Barrau anche quella in tedesco di J.F.W. Zachariae (1770-1771).40 Alla fine del secolo XVIII la commedia fu riproposta da Cándido M. Trigueros, autore di sei rifusioni di opere di Lope, con il titolo La melindrosa, o los esclavos supuestos, e fu messa in scena nel teatro de Los Caños del Peral a Madrid il 6 di agosto del 1803.41 I rimaneggiamenti di Trigueros si propongono lo scopo di adattare le commedie di Lope al nuovo gusto settecentesco e alla precettistica neoclassica, fissata nel 1737 da Luzán nella sua Poética e basata sulle prescrizioni pseudo-aristoteliche. Nel caso de Los melindres de Belisa la rifusione non deve aver comportato particolari difficoltà, perché la commedia rispetta già nella sua forma originale una delle regole su cui i classicisti insistevano di più, e cioè il rispetto delle unità di tempo, luogo e azione.42 Nel 1832 la commedia fu pubblicata con il titolo La dama melindrosa in Comedias escogidas de Frey Lope de Vega Carpio43 e nel 1838 nella collezione di Eugenio Ochoa, Tesoro del Teatro Español, desde su origen (año de 1356) hasta nuestros días;44 mentre nel 1840 fu inserita da D.C. Schutz in Teatro español. Colección escogida de las mejores comedias castellanas desde Cervantes hasta nuestros días.45 Fu poi di nuovo pubblicata nel 1856 279
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA
nella «Biblioteca de Autores Españoles» da Eugenio Hartzenbusch46 e nel 1866 in Teatro selecto antiguo y moderno nacional y extranjero.47 Nel XX secolo Los melindres de Belisa ha avuto varie edizioni48 e alcune rappresentazioni. Da un’intervista a Díaz de Mendoza sembra che quest’ultimo abbia realizzato una messa in scena tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento.49 Probabilmente alla stessa epoca risale una riscrittura in un atto fatta dallo scrittore argentino Calixto Oyuela (1857-1932) che non sappiamo se fu redatta per una rappresentazione specifica.50 Nel 1956 Juan Germán Schröeder scrisse un adattamento51 che fu messo in scena il 5 di maggio di quell’anno nel Teatro «Dido» di Madrid 52 e nell’aprile del 1963 nel Teatro de Recoletos, per la regia di Ricardo Lucía.53 Nel 1992 la compagnia indipendente «Producciones Micomicón» realizzò un montaggio de Los melindres de Belisa con Laila Ripoll, che fu portato al Festival de Teatro Hispano di Miami nel 1993. 54 L’ultima messa in scena della commedia è del novembre 2009, a cura del «Recinto de Río Piedras» de la Universidad de Puerto Rico (RRP-UPR), nel Teatro Julia de Burgos, interpretata dal Teatro Rodante Universitario con regia di Dean Zayas. 5. Il testo spagnolo della commedia che proponiamo riproduce la seguente edizione: Lope de Vega, Los melindres de Belisa, ed. J. León, in Comedias de Lope de Vega. Parte IX, coord. Marco Presotto, BarcelonaLérida, Universidad Autónoma de Barcelona, Dep. de Filología Española, Prolope, Editorial Milenio, 2007, vol. III, pp. 1469-1600. Segnaliamo in nota i loci in cui interveniamo con lezioni divergenti, dopo aver rivisto il manoscritto, l’esemplare R-13680 della Biblioteca Nacional di Madrid della Parte IX del 1617, l’esemplare 3-BB-II-79 della Biblioteca di Genova dell’edizione di Cormellas e l’esemplare 11728 del British Museum della suelta. Rispetto all’edizione di León sciogliamo le fusioni e apportiamo qualche modifica alla punteggiatura, segnalata in nota. KATERINA VAIOPOULOS
280
LOS MELINDRES DE BELISA HABLAN EN ELLA LAS PERSONAS SIGUIENTES
TIBERIO
CELIA
LISARDA
PRUDENCIO
ELISO
FELISARDO
FABIO
CARRILLO
UN ALGUACIL
DON JUAN
UN ESCRIBANO BELISA
282
FLORA CUATRO LACAYOS
I CAPRICCI DI BELISA INTERVENGONO I SEGUENTI PERSONAGGI
TIBERIO
CELIA
LISARDA
PRUDENCIO
ELISO
FELISARDO
FABIO
CARRILLO
UNA GUARDIA
DON JUAN
UNO SCRIVANO BELISA
FLORA QUATTRO SERVI
283
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Salen Tiberio y Lisarda. TIBERIO LISARDA TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO LISARDA TIBERIO
284
En fin... ¿se ha quitado el luto? Ha más de un año la muerte de su padre. De esa suerte podremos decir que es fruto de la tristeza el contento. No lo será para mí, que tal marido perdí. ¡Oh, qué inútil sentimiento! ¿Inútil? ¿Pues no es razón que llore su compañía una mujer que tenía tanto amor y obligación? ¿No sabes tú que aun las aves dan ejemplo, pues que muda una tórtola vïuda su canto en quejas süaves, y no se vuelve a casar si una vez su esposo pierde, ni se sienta en ramo verde? ¿Pues dónde se va a sentar? En un espino, en un ramo seco. De esa imitación como tortolillas son las que de este nombre llamo; que así Dios me dé salud, que pienso que se han sentado sobre espino por estrado. Tal es grande su inquietud: no paran en todo el día.
5
10
15
20
25
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entrano Tiberio e Lisarda. TIBERIO LISARDA TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO LISARDA TIBERIO
Allora… si è tolta il lutto? È più di un anno che è morto suo padre. Così facendo potremo dire che è frutto della tristezza la gioia. Ma non lo sarà per me, che ho perso un tale marito. Oh, che vano sentimento! Vano? Dunque, non è giusto che pianga il proprio marito una moglie che ne aveva gratitudine ed amore? Non lo sai che anche gli uccelli ne danno esempio? E che muta la vedova tortorella il canto in dolci lamenti, e non si sposa di nuovo se perde il proprio marito, né siede su rami verdi? E dove si va a sedere? Su un rovo, su un ramo secco. Dal paragone che fai sono come tortorelle quelle che chiamo così; per questo Dio mi perdoni, ma penso che abbiano usato un rovo come divano. Tanto si mostrano inquiete: sono sempre in movimento.
285
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO LISARDA
TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
TIBERIO LISARDA
286
Eso no me toca a mí, y es que jamás pretendí, Tiberio, otra compañía. Pues en verdad que pudieras, que bien moza has enviudado, y con hacienda que ha dado codicia, si tú quisieras, a más de seis pretendientes. ¿Con dos hijos? Y con doce. Mal tu pecho me conoce. Tú negarás lo que sientes. ¿Qué es negar? Cien mil ducados mi marido me dejó, mas con dos hijos, que yo pienso ver presto casados, y recojerme a la aldea con una esclava no más y un escudero. Pues das en lo que es razón que sea, ¿cómo vas tan descuidada en que se case Belisa, pues que ya su edad te avisa y el ser de mil conquistada? Que don Juan al fin es hombre... ¿Cómo puedo yo casar a Belisa, y dónde hallar un hombre tan gentilhombre y con partes tan notables como imaginadas tiene? ¿En ese humor se entretiene? Hay mujeres incasables que dan en ser tan curiosas, que se les pasan las vidas en andar desvanecidas y a todo el mundo enfadosas.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO LISARDA
TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
TIBERIO LISARDA
Questo non riguarda me, perché non ho mai preteso, Tiberio, altra compagnia. Ma veramente potresti, che sei una vedova giovane, e con ricchezze che han reso bramosi, se tu volessi, numerosi pretendenti. Con due figli? Ma con dieci! Tu non mi conosci affatto. Negherai quello che senti. Che? Centomila ducati mi ha lasciato mio marito, ma con due figli, che penso vedere presto sposati, e ritirarmi in campagna con non più di una servetta e uno scudiero. Farai quello che è giusto tu faccia, perché sembri impensierita di far sposare Belisa, che già la sua età ti avvisa e ha molti corteggiatori? E don Juan, poi, è un uomo… Come posso far sposare Belisa, e dove trovare uomo tanto gentiluomo e così ricco di pregi come si immagina lei? Insiste in queste stranezze? Ci sono donne insposabili, donne talmente bizzarre, da sprecare l’esistenza a fare le capricciose e annoiare tutti quanti. 287
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA TIBERIO
288
Y tardando en escojer, lo mejor suelen pasar y andan después a rogar. Luego ¿piensas que ha de ser Belisa de esa manera? ¿Pues ha hecho el cielo cosa más cansada y melindrosa, ni hombre que apetezca y quiera? A codicia del dinero, del entendimiento y talle, es una lonja esta calle del ginovés caballero, del indiano portugués, del papelista, el letrado, el viejo rico, el soldado, el lindo, aunque no lo es... Ninguno de ellos con ella, a todos faltas les pone. Pues Belisa me perdone, que aunque es tan discreta y bella, no se ha de desvanecer en arrogancias injustas. Tiberio, si hablarla gustas, y quieres darla a entender esta locura en que ha dado, hoy está hermosa y gallarda, que ciertas vistas aguarda: háblala. Estoy enojado, y a fe que se ha de casar de mi mano, aunque no quiera. Hoy cuatro novios espera, no sé si le han de agradar. ¿De cuatro en cuatro la piden? Pica el dinero, Tiberio. Métase en un monesterio.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
TIBERIO
LISARDA TIBERIO LISARDA TIBERIO
E tardando nella scelta, spesso rinunciano al meglio, poi non resta che pregare. Dunque, pensi che Belisa si comporterà così? Beh, ha fatto il cielo cosa più stancante e capricciosa, od un omo che lei voglia? Per la brama di denaro, intelletto e bell’aspetto, questa strada è un magazzino: il signore genovese, il portoghese dall’India, il cartaio, il letterato, il vecchio ricco, il soldato, il bello, anche se non è… Nemmeno uno le piace, a tutti trova difetti. Beh! Belisa mi perdoni, ma sebbene arguta e bella, non deve perdersi dietro forme ingiuste d’arroganza. Tiberio, se vuoi parlarle, provare a farle capire che insiste in una follia, oggi è bellissima e vispa, che certe visite aspetta: parlale. Sono arrabbiato, giuro che deve sposarsi, la obbligherò se non vuole. Aspetta tre pretendenti: chissà se le piaceranno. La chiedono a tre per volta? Punta al denaro, Tiberio. Si chiuda in un monastero.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
Vanse. Salen Belisa y Flora, criada. FLORA
BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
290
Las celosías impiden que no veas bien la calle, pues dices que el del overo no era galán caballero, bizarro y de lindo talle. Flora, aquellas celosías los ojos me han afrentado. ¿Cómo? En las niñas me han dado de palos. ¡Qué niñerías! Como los ojos llegué a sus palos, ellos fueron tales que al fin me los dieron, pero luego me vengué. ¿De qué suerte? Del estuche saqué un cuchillo y los di de puñaladas allí. ¡Quién hay que tal gracia escuche! ¿Mataste la celosía? Hice, a lo menos, lugar por donde pude mirar quién por la calle venía. Mas presto vino el castigo, pues en vez del caballero pasó… ¿Quién? Un aceitero. ¿Y mirástele? Eso digo, que le miré y me manchó el vestido.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
Escono. Entrano Belisa e la serva Flora. FLORA
BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
Ti impediscono le grate la veduta della strada, se non ti è sembrato quello col sauro un bel cavaliere, aitante e di bell’aspetto. Flora, quelle gelosie agli occhi mi hanno colpito. Come? Mi hanno preso gli occhi a legnate. Che sciocchezze! Ho accostato gli occhi al legno e legnose sono state che mi hanno preso a legnate, ma mi sono vendicata. E come? Dalla custodia ho estratto un bel coltello e le ho prese a pugnalate. Che sentono le mie orecchie! Hai fatto fuori la grata? Per lo meno ho fatto spazio da dove poter guardare chi andava per la via. Ma ecco subito il castigo, al posto del cavaliere passò... Chi? Un venditore d’olio. L’hai guardato? Certo, l’ho guardato e mi ha macchiato il vestito.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO FLORA
BELISA FLORA
BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA
BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA
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Pues ¿podía, tú detrás de celosía y él en la calle? ¿Pues no? Mírame bien. ¿De mirar el que va aceite vendiendo te has manchado? Así lo entiendo: vestido me puedes dar, y este harás luego vender. Mira que muy limpio está. Necia ¿no te he dicho ya que daño me suele hacer quererme contradecir? ¡Jesús, qué fiero accidente! ¿Cómo? Este pulso, esta frente mira… ¡estoy para morir! ¡Qué terrible calentura! No pienso contradecirte en mi vida, que servirte mi amor y lealtad procura. De rodillas te suplico me perdones. Ya cesó la calentura. ¿Quedó calor alguno? Tantico, pero ya se va aplacando. Tu madre y tu tío. ¡Ay Dios! ¡A dos me nombras! Los dos te están sirviendo y amando.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO FLORA
BELISA FLORA
BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA
BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA
E ci è riuscito, tu dietro la gelosia e lui per strada? Ah no? Guardami bene. Guardando quello che vendeva l’olio ti sei macchiata? È successo: puoi darmi un altro vestito, e poi far vendere questo. Guarda che è proprio pulito. Sciocca, non ti ho detto già che mi sento molto male nel sentirmi contraddire? Dio, un colpo spaventoso! E come? Il polso, la fronte guardami… sto per morire! Che febbre terrificante! Non penso di contraddirti in vita mia, che servirti suscita amore e lealtà. Di perdonarmi ti prego, in ginocchio. È già passata la febbre. Un po’ di calore è rimasto? Solo un po’, ma si sta calmando già. Tua madre e tuo zio. Oh, Dio! Li nomini a coppia! Entrambi ti stanno amando e servendo.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
Van saliendo Tiberio y Lisarda. BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA
Tráeme luego la labor, no me vean tan ociosa. ¿Quieres las randas? Es cosa cansada, aunque es de primor. Y entre tantos majaderos hay uno que me ha quebrado las manos. ¡Ay, que me han dado, Flora, dolores tan fieros, que no los puedo sufrir! Mira que aún no te he traído la almohadilla. ¿No has oído que no has de contradecir? Tráeme una banda al momento en que descanse la mano.
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Vase Flora. LISARDA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO LISARDA
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Persuadilla será en vano. ¿Tan grande imposible intento? Sobrina. ¿Señor? A fe que sales del luto hermosa. A lo menos deseosa de servirte. Bien se ve que andas de boda. ¡Hola, Flora! ¡Sillas y dos almohadas!
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
Entrano Tiberio e Lisarda. BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA
Porta subito il ricamo, che non mi vedano in ozio. Vuoi i merletti? Sono cose delicate, ma stancanti. E fra così tanti spilli ce n’è uno che le mani mi ha ferito. Ahi! Mi fanno, Flora, così tanto male che non posso sopportarlo! Guarda che non ti ho portato il puntaspilli. Hai capito che non devi contraddirmi? Porta subito una fascia per riposare la mano. Se ne va Flora.
LISARDA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO LISARDA
Persuaderla sarà vano. È un’impresa così ardua? Nipote! Signore? Lasci il lutto davvero bella. Almeno desiderosa di servirti. Vedo che pensi alle nozze. Su, Flora! Portaci sedie e cuscini!
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
Sale Flora. FLORA BELISA
FLORA BELISA TIBERIO FLORA
(La banda es esta. Pesadas hacen las tocas agora. Toma allá, que puede darme más cansancio que provecho.) Sillas hay aquí. Sospecho que vienes a predicarme. Pues ya, si oírme procuras toma almohada. Yo voy por ella.
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Vase. TIBERIO BELISA
TIBERIO BELISA
Tu padre soy. No la traigas de verduras, que ayer de sentarme en ella mal de estómago me dio. ¿Lo verde te resfrió? Mátanme las hierbas de ella.
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Sale Flora. FLORA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO
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Aquí tienes almohada. Siéntate, Lisarda, aquí. Tú, sobrina, junto a mí. ¡Oh, cuánto el sentar me enfada entre borlas de colores! La causa esperando estoy. Porque presumo que estoy sentada en cuatro dotores. ¿Cómo va de casamientos? Mal, tío: nadie me agrada. ¿Qué es lo que de ellos te ofende?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
Entra Flora. FLORA BELISA
FLORA BELISA TIBERIO FLORA
(Ecco la fascia. Tessuti pesanti si fanno adesso. Riprendila, che mi fa più fatica che sollievo.) Ecco le sedie. Sospetto che vieni a farmi la predica. Bene, se vuoi ascoltarmi prendi un cuscino. Vado io. Se ne va.
TIBERIO BELISA
TIBERIO BELISA
Ti parlo da padre. Non portarmene uno verde, che sedendomici ieri mi è venuto mal di pancia. Il verde ti ha fatto freddo? Mi uccidono le sue erbe. Entra Flora.
FLORA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO
Ecco un cuscino per te. Siediti, Lisarda, qui, tu, nipote, accanto a me. Quanto mi angoscia sedere fra le nappe colorate! Il motivo sto aspettando. Perché mi sembra di stare seduta in mezzo ai dottori. Come va coi pretendenti? Male, zio: non mi vanno. Cosa non ami di loro? 297
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA
LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA TIBERIO
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Tener mil faltas. ¿Qué faltas? Un letrado me traían calvo. ¿Qué importa la calva? Cuando yo fuera mujer espiritüal y santa, y para vencer la carne, gran enemigo del alma, quisiera una calavera tener de noche en la cama, lindamente me venía un hombre al lado con calva. Era muy rico. Ya quise asir la ocasión: estaba sin copete por la frente y volviome las espaldas. ¿Por qué dejaste al maestre de campo? ¿No es casi nada faltar un ojo? ¿Qué importa, pues se le pone de plata? Yo te diré la ocasión. Dila. Si este hombre jurara: «Como a mis ojos te quiero», y le costaba el de plata dos reales, en otros tantos mi amor y vida estimaba. Fuera de eso, no podía llamarle mis ojos. ¡Calla! Pues llamarle yo mi ojo era ser negra. ¡Oh, qué gracia!
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA
LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA TIBERIO
I difetti. Che difetti? È venuto un letterato calvo. La calvizie conta? Se fossi stata una donna spirituale e santa, e per vincere la carne, grande nemico dell’anima, avessi voluto un teschio di notte dentro il mio letto, ci sarebbe stato bene un uomo calvo al mio fianco. Era molto ricco. Volli cogliere l’occasione: era senza ciuffo sulla fronte e poi si girò di spalle. E l’ufficiale? Perché lo hai lasciato? Conta poco mancargli un occhio? Che importa, se se lo mette di vetro? Ora ti dirò il perché. Di’. Se quest’uomo giurasse: «come i miei occhi ti adoro», e quello finto costasse due reali, altrettanto il mio amore stimerebbe. E per di più, non potevo chiamarlo occhi miei. Zitta! Perché chiamarlo occhio mio era bruttino. Che arguzia! 299
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
BELISA
TIBERIO
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¿Qué dirás del portugués? Que en el pecho y las espaldas se ha de poner el cilicio. No te entiendo. Aquellas barbas negras, cerdosas y espesas, era ponerme en la cara, y aun en la boca, un cilicio, y en la lengua una mordaza. ¿Y aquel caballero rico de aquel lugar de la Mancha? Tenía grandes los pies. ¿Esa es falta de importancia? No madre, que sobra era, y temí, si se enojaba, que era sepultarme en losa cubrirme de una patada. Vile algo negras las uñas, y no pretendo en mi caza cernícalo de uñas negras. ¿Y no las tenía blancas el caballero francés? No quiero yo ser madama, ni llamar mosiur mi esposo. Pues dime ¿en qué hallaste falta a don Luis, mozo y galán, cuyos pechos esmaltaba un lagarto de Santiago? ¡Calla, madre, que me espantas! ¿No dicen que las mujeres a sus maridos abrazan? Con un lagarto en el pecho en mi vida le abrazara. Sobrina, llámase así aquella cruz colorada que es espada y no es lagarto.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
BELISA
TIBERIO
Che dirai del portoghese? Che sul petto e sulla schiena deve mettersi il cilicio. Non capisco. Quella barba nera, spessa e setolosa, era mettermi sul viso, e sulla bocca, un cilicio, ed un morso sulla lingua. E quel cavaliere ricco di quel posto de La Mancha? Troppo grandi aveva i piedi. Questa è una grave mancanza? No, madre, è sovrabbondanza, ho temuto che, arrabbiato, lui mi avrebbe seppellito con una sola pedata. Gli vidi le unghie un po’ nere, non pretendo di cacciare un gheppio dalle unghie nere. Forse non le aveva bianche il cavaliere francese? Non voglio essere madama, né chiamare lui mosiur. Dimmi che difetti aveva don Luis, giovane e bello, il cui petto una lucertola di Santiago decorava? Taci, madre, mi spaventi! Non dicono che le donne abbracciano i loro sposi? Con quella cosa sul petto non l’avrei mai abbracciato. Nipote, è così chiamata quella croce colorata che è una spada in realtà.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO BELISA
TIBERIO
LISARDA FLORA LISARDA
Bastaba la semejanza para matarme de miedo. ¡Jesús! Mas ¿que te desmayas? Pues, sobrina, si ninguno te agrada, y la edad se pasa como la flor, tiempo viene, a quien le tiene y le aguarda, en que después se arrepiente. ¿Llaman? Sí. Mira quién llama.
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Salen un alguacil y un escribano. ALGUACIL TIBERIO ALGUACIL
TIBERIO LISARDA TIBERIO
LISARDA
TIBERIO ALGUACIL
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Siempre entramos sin licencia. Siempre la tienen las varas. Los términos han pasado. Mira si quieres, Lisarda, que saque prendas a Eliso. ¿Con Eliso en pleito andas? No hay remedio de cobrar los dos mil ducados. Basta, que olvida su obligación y como a mujer te trata. Un año habrá que murió mi marido y que no acaba de pagarme; y si he callado es por la amistad pasada y la que tiene de nuevo con don Juan, mi hijo. Vayan y sáquenle prendas. Vamos, que no está lejos su casa.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO BELISA
TIBERIO
LISARDA FLORA LISARDA
Bastava la somiglianza per morire di paura. Oh, Gesù! Ma… stai svenendo? Su, nipote, se nessuno ti piace, e l’età appassisce come il fiore, verrà il tempo, per chi ce l’ha ma l’aspetta, in cui poi si pentirà. Bussano? Sì. Chi sarà? Entrano una guardia e uno scrivano.
GUARDIA TIBERIO GUARDIA
TIBERIO LISARDA TIBERIO
LISARDA
TIBERIO GUARDIA
Entriamo senza permesso. Sempre le picche ce l’hanno. I termini son scaduti. Vedi, Lisarda, se vuoi che pignori i beni a Eliso. Sei in causa con Eliso? Non c’è modo di riscuotere duemila ducati. Basta, che gli obblighi non ricorda, come una donna ti tratta. È già da un anno che è morto mio marito e non finisce di pagarmi; ed ho taciuto per l’amicizia passata e per quella che ha di nuovo con mio figlio. Presto, andate. e pignorate. Andiamo, che è vicina la sua casa.
303
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
Váyanse. TIBERIO LISARDA TIBERIO BELISA
TIBERIO
Yo también me quiero ir. Belisa está desmayada. ¿Qué tienes? Imaginé, como le vi con la vara, que me sacara los ojos. Ojos no, mas prendas sacan.
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[Entra Flora.] FLORA LISARDA FLORA LISARDA FLORA BELISA TIBERIO BELISA
FLORA BELISA
TIBERIO
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Cuatro novios por lo menos aguardan. ¿Dónde? En la sala. ¿Quién son? Fabricio. Ya he visto a Fabricio. ¿En qué te cansa Fabricio? En barba y cabeza tiene ciertas moscas blancas, y cuando ya hay tantas moscas, es que el verano se acaba. El otro es médico. ¡Lindo! Con médico siempre en casa pensaré que estoy enferma. ¡Frío me da de cuartanas! ¡Tiemblo! ¡Ti, ti, ti! ¡Jesús! ¡Hola, llévame a la cama! (Si no fuera mi sobrina la diera dos bofetadas.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
Se ne vanno. TIBERIO LISARDA TIBERIO BELISA
TIBERIO
Me ne voglio andare anch’io. Belisa è ancora svenuta. Che succede? Ho immaginato, vedendoli con le picche, che mi cavassero gli occhi. Non gli occhi, ma i beni cavano. [Entra Flora.]
FLORA LISARDA FLORA LISARDA FLORA BELISA TIBERIO BELISA
FLORA BELISA
TIBERIO
Almeno tre pretendenti aspettano. Dove? In sala. Chi? Fabricio. L’ho già visto. Che cosa non va in Fabricio? Nella barba e sulla testa ha certe moscacce bianche, se ci sono tante mosche, è che l’estate finisce. L’altro è un medico. Perfetto! Col medico sempre in casa penserò d’esser malata. Mi fa un freddo da quartana! Tremo! Ti, ti, ti! Gesù! Forza, portatemi a letto! (Se non fosse mia nipote a schiaffi la prenderei.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO LISARDA
TIBERIO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA TIBERIO FLORA BELISA
No lo oiga, ¡triste de mí!) Vamos a misa, muchacha, y despídanse esos novios. ¿Dónde irás tan de mañana? A San Jerónimo iré. ¡Ay no, madre! ¿Por qué causa? Tiene a los pies un león que siempre que entro me espanta, y una vez, madre, no dudes que ha de saltarme a la cara. Pues no nos pongan el coche, que a San Miguel a pie basta. ¿Y no es nada el de los pies junto al peso de las almas? ¡No vendré a verte en mi vida! Los novios, señora, aguardan. ¡Jesús! ¡Y qué alteración! ¡Hola, dame un vidro de agua!
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Vanse. Salen Eliso y Fabio, criado. FABIO ELISO
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Intenta, por tu vida, el casamiento, que es rica, bien nacida y muy hermosa. Belisa tiene estraño pensamiento en no agradarse de ninguna cosa. Cada día en la corte hay nuevo cuento de esta dama cansada y enfadosa, porque son sus melindres postres y antes, alivio de cansados caminantes. Verdad es que mil cosas le levantan, costumbre de los cuentos que, en efeto, van creciendo contados, que adelantan todos cuantos los cuentan un conceto. Todos los hombres dice que la espantan: ni ella le quiere necio ni discreto,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO LISARDA
TIBERIO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA TIBERIO FLORA BELISA
Oh Gesù, non l’ascoltare!) Signorina, andiamo a messa, e saluti ai pretendenti. Dove andrete così presto? A San Geronimo andremo. Ah no, madre! Perché mai? Tiene ai suoi piedi un leone che ogni volta mi spaventa, e una, di certo, madre, al viso mi salterà. Allora niente carrozza, si va a piedi a San Michele. Non conti il peso dei piedi sommato a quello dell’anima? Non verrò mai più a trovarti! Ma, signora, i pretendenti. Oh, Gesù! Che agitazione! Su, dammi un bicchiere d’acqua! Se ne vanno. Entrano Eliso e Fabio, servo.
FABIO ELISO
Per il tuo bene, prova il matrimonio, che è ricca, bella e di buona famiglia. Belisa si dimostra molto strana perché non le piace niente di niente. In città c’è una novità ogni giorno su questa dama noiosa e seccante, ne sono i capricci antipasti e dolci, lenimento per i viandanti stanchi. Mille cose ingigantiscono il vero, com’è tipico del racconto: cresce man mano che si narra, ed un concetto vi aggiungono tutti quelli che narrano. Dice che ogni uomo le fa paura: non lo vuole né stupido né arguto,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
FABIO ELISO
FABIO ELISO FABIO ELISO
FABIO ELISO
si es alto, porque sobra de lo justo, si es bajo, porque falta. ¡Lindo gusto! Un hombre desechó porque tenía un lunar en la cara, y por bermejo a un caballero. Más razón tenía. ¿Por qué? Por lo que dicen del pellejo. Mirando un novio muy galán un día, dijo, viéndole limpio como espejo: «Más que dormir con este mentecato quiero comer, que es bueno para plato». En Alcorcón pudiera hacer Belisa un desposado, que es famoso el barro. Así le tuvo Eva. Burla y risa hace del más galán, del más bizarro.
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Sale con la espada desnuda Felisardo. FELISARDO ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO
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¿Está aquí Eliso? ¡Oh, Felisardo! Aprisa, que a un caballero... ¿Qué decís? ...navarro pienso que he muerto, acompañando a Celia, que venía del Prado con Aurelia. Salieron de mañana a pasearse; salí, siguiolas este caballero, volvieron, y él detrás, y sin quitarse de paso o frente, a lo de bravo y fiero. Llegaron las crïadas a enfadarse, que no lo estaba yo poco primero. Hablele, respondió, vino derecho, mirele, alzó, metime... ¡ya está hecho!
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
FABIO ELISO
FABIO ELISO FABIO ELISO
FABIO ELISO
se è alto, perché la misura avanza, se è basso, perché manca. Che buon gusto! Ha rifiutato un uomo perché aveva un neo sul viso, ed un cavaliere solo perché aveva i capelli rossi. Era giusto. Perché? Rosso malpelo. Ad un bel pretendente disse un giorno, vedendolo lindo come uno specchio: «non per dormire questo mentecatto, ma per mangiare va bene per piatto». Ad Alcorcón, famosa per la creta, si può plasmare un marito Belisa. Come fece Eva. Si prende gioco degli uomini più belli e raffinati. Entra Felisardo a spada sguainata.
FELISARDO
C’è Eliso?
ELISO
Felisardo! Fate in fretta, che un cavaliere… Che dite? …navarro penso di avere ucciso, accompagnando Celia, mentre ritornava dal Prado. È uscita di mattina a passeggiare; anch’io, l’ha seguita il cavaliere, è tornata, e lui dietro, senza dare segno di cedere, da uomo audace. Le serve si sono arrabbiate, infine, mentre io lo ero già prima di loro. Gli ho parlato, ha risposto e ha fatto un passo, guardo, punto, colpisco... ed ecco fatto!
FELISARDO ELISO FELISARDO
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO
Huyeron las mujeres, di la mano a Celia, y queda… ¿Dónde? ...a vuestra puerta. Metelda presto. ¡Celia, Celia! Sale Celia.
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA
ELISO FABIO
¡Hermano! Aquí estarás segura y encubierta. Pues, ¿dónde vas? Al Carmen. Es en vano, quedar aquí sin ti menos que muerta. Si hay peligro aquí, ¿por qué me dejas? Y si aquí no le hay, ¿por qué te alejas? Bien dice. Cierra, Fabio, nuestra puerta, que a más peligro vais por tantas calles. Yo voy.
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Vase. ELISO CELIA
ELISO
Aquí estará Celia encubierta, y tú, mientras remedio busques o halles. Bien dice, mientras algo se concierta, que dos mancebos de gallardos talles que me vieron venir, no dirán nada. No temas, que no harán si es gente honrada. Vuelve Fabio.
FABIO ELISO FABIO
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¡Gran desdicha! ¿Qué dices? Que aún apenas cerraba las dos puertas de la calle, cuando veo que llega la justicia.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO
Le donne sono fuggite ed ho preso per mano Celia, ed è… Dove? …alla porta. Dentro, presto! Celia, Celia! Entra Celia.
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA
ELISO FABIO
Fratello! Qui starai sicura e nascosta bene. Tu dove vai? Al Carmen. Sarà vano, stare qui senza te, nemmeno morta. Se non c’è pericolo, perché vai? E se anche qui c’è, perché mi ci lasci? Ha ragione. Fabio, chiudi la porta, che corri più pericoli per strada. Vado. Se ne va.
ELISO CELIA
ELISO
Celia starà nascosta qui, con te, mentre rimedio cerchi o trovi. Giusto, finché decidiamo qualcosa, che i giovani che mi hanno visto entrare, è sicuro che non diranno nulla. Non temere, non se è gente d’onore. Fabio torna.
FABIO ELISO FABIO
Che sfortuna! Che succede? Le porte che danno alla strada stavo chiudendo, quando vedo arrivare la giustizia. 311
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
FELISARDO ELISO FABIO ELISO
CELIA ELISO
FELISARDO CELIA
Llamaron, y yo, haciendo que no oía, cerré para decíroslo. ¿Qué haremos? Esta casa no tiene parte oculta, ni menos de salir ventana o puerta. Señor, bien estarán en mi aposento. En caso de buscar hombre por muerte, no dejarán rincón que no le miren y mucho más no habiendo abierto luego. ¡Ay, triste yo! No os aflijáis, señora. Intentemos siquiera alguna industria. Yo tenía en mi casa dos esclavos: Pedro, que a los caballos asistía, porque ya era cristiano bautizado; y Zara, una esclavilla granadina. Los dos podéis fingiros, porque entrambos están en la heredad. Tú, Felisardo, ve a la caballeriza y en la cuerda que atraviesa de la una a la otra parte hallarás el vestido que las fiestas el esclavo se pone. Y tú, señora, en la cocina, el que se pone Zara. Tú toma el almohaza, tú los platos, y no seréis de nadie conocidos. Yo voy. Y yo a lo mismo.
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Vanse. Ya nos quiebran
FABIO
la puerta. ELISO
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Antes me espanto de la flema con que llaman buscando un delincuente. Baja y di que yo estaba en mi escritorio en papeles y cuentas ocupado, y que nadie hasta agora los ha oído;
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
FELISARDO ELISO FABIO ELISO
CELIA ELISO
FELISARDO CELIA
Chiamano, ed io, come non sentissi, chiudo per dirvelo. Cosa faremo? Questa casa non ha zone nascoste, né porte né finestre per uscire. Signore, che ne dite del mio alloggio? Ma cercando un uomo per omicidio, neppure un angolo trascureranno e di più non avendo aperto in fretta. Ahimè! Signora, non vi affliggete. Proviamoci, almeno, con qualche astuzia. Avevo nella mia casa due schiavi: Pedro, che si occupava dei cavalli, perché era già cristiano battezzato; e Zara, una schiavetta di Granada. Potete fingervi loro, che entrambi sono nell’eredità. Felisardo, scendi nella scuderia e sulla corda che l’attraversa da una parte all’altra troverai il vestito che per le feste lo schiavo indossa. Mentre tu, signora, in cucina, quello che indossa Zara. Tu prendi la striglia, tu invece i piatti, e nessuno vi riconoscerà. Vado. Anch’io. Se ne vanno.
FABIO ELISO
Ci stanno buttando giù la porta. Invece stupisce la flemma che mostrano cercando un delinquente. Scendi e di’ che io stavo nel mio studio con le carte e con i conti occupato, e che nessuno finora li ha uditi; 313
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
FABIO ELISO
y detente en hablar lo que pudieres, porque tengan lugar para vestirse. Yo voy, y quiera el cielo que suceda tan felizmente que burlados queden. Por su desdicha conocerlos pueden.
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Vase Fabio. ELISO
Tirano amor, cuya opinión temática nos muestra bien la librería histórica, escura ciencia en lengua metafórica de la esfinje de Tebas enigmática; dichoso el que se queda en tu gramática y no llega a tu lógica y retórica, pues el que sabe más de tu teórica, menos lo muestra en tu experiencia prática. Pues igualas, amor, en tu matrícula, los sabios y los bárbaros salvágicos, el mar y el fuego, el hielo y la canícula, yo seré Ulises a tus cantos mágicos, pues solo vemos en tu acción ridícula principios dulces para fines trágicos.
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Salen alguacil y escribano y Fabio. ALGUACIL
ELISO
ALGUACIL
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¿Pudiera vuesa merced tener estilo debido a quien es? No lo he sabido, y que le tengo creed. Cuentas de hacienda intricada divierten, y yo no soy portero en mi casa. Estoy, por ser de una casa honrada, dos horas a vuestra puerta,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
FABIO ELISO
e fermati a parlare quanto puoi, perché abbiano modo di vestirsi. Vado, e voglia il cielo che tutto fili tanto liscio che restino ingannati. Per sfortuna conoscerli potranno. Se ne va Fabio.
ELISO
Tiranno amore, la cui idea tematica bene ci mostra la libreria storica, oscura scienza in lingua metaforica della sfinge di Tebe, l’enigmatica; felice chi si ferma alla grammatica e non arriva a logica e retorica, perché chi meglio sa la tua teorica, meno lo mostra in esperienza pratica. Poiché equipari, amor, nella matricola, i sapienti ed i selvaggi barbarici, il mare e il fuoco, il gelo e la canicola, sarò come Ulisse ai tuoi canti magici, ché vediamo nell’azione ridicola principi dolci per finali tragici. Entrano la guardia, lo scrivano e Fabio.
GUARDIA
ELISO
GUARDIA
Potrebbe vossignoria avere lo stile adatto a chi è? Non l’ho saputo, e credete che ce l’ho. I conti di una tenuta distraggono, ed io non sono il mio portinaio. Essendo presso una casa onorata, sto per due ore alla porta,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
ELISO
ALGUACIL
ELISO
ALGUACIL
ELISO ESCRIBANO ELISO
ESCRIBANO
y sale vuestro crïado muy dormido y enfadado. La bestia, agora despierta, que no sale más temprano de la cama y, por mi vida, que este descuido no impida el estilo cortesano digno de quien sois. Decid, ¿qué es lo que mandáis? Muy bien, eso diréis que también es estilo de Madrid. ¿No os acordáis que se os hizo por Lisarda ejecución? ¡Ah, sí! Tenéis gran razón. En fin, ¿no le satisfizo ningún concierto? Pasó la oposición, como veis; ningún término tenéis, porque todo se cumplió: prendas os vengo a sacar. No tengo qué responder: Lisarda lo puede hacer. ¿Licencia nos podéis dar? Entrad, que Fabio os dará mi plata y tapicería, y si falta, que podría, satisfacción se os hará con otras prendas. Muy bien. Vamos.
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Vanse con Fabio. ELISO
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Yo estaba engañado. Basta que, siendo el buscado
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
ELISO
GUARDIA
ELISO
GUARDIA
ELISO SCRIVANO ELISO
SCRIVANO
e poi esce un servitore arrabbiato e addormentato. Ora si sveglia, la bestia che non esce prima mai dal letto, ma per favore, questa incuria non intralci le maniere della corte degne di chi siete. Dite, cosa comandate? Bene, questo si può definire come stile di Madrid. Non ricordate la causa che fu fatta da Lisarda? Sì certo! Avete ragione. Nessun accordo, alla fine, l’ha soddisfatta? È finito l’appello, come vedete; non avete nessun margine, tutto oramai è stato fatto: vengo per prendervi i pegni. Non ho nulla da obiettare: Lisarda lo può eseguire. Potete darci il permesso? Prego, Fabio vi darà gli arazzi e l’argenteria, e se manca, che potrebbe, vi potremo soddisfare con altri beni. D’accordo. Andiamo. Se ne vanno con Fabio.
ELISO
Stavo sbagliando, perché essendo proprio io 317
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
y el perseguido también, pensé que era Felisardo. Mas bien es que estén así, por si los conoce aquí; que mi deuda presto aguardo remediarla con dinero que espero en fin de este mes. Tomé el consejo después, que fuera mejor primero, porque si hubiera pedido a Belisa por mujer, pienso que pudiera ser de sus melindres marido, que toda mi cobardía nació de su condición. Entrar quiero, que es razón, a ver esta hacienda mía, que tiempo habrá de pedir a Belisa y de trocar la deuda en deudo, y pagar con el mismo recebir, que es la hacienda poderosa. Pero bien es menester para sufrir y tener una mujer melindrosa.
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Vase, y salen Lisarda y Belisa y Flora. LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
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Este hombre es un pincel. ¿Por qué no te ha de agradar? Cuando te quieras casar elige alguno como él, que a mí no me satisfizo. ¿Por qué? Porque allí contó una pendencia y mostró… ¿Qué mostró?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
quello che stanno cercando, ho pensato a Felisardo. Meglio che stiano così, se per caso li trovasse; che al debito prontamente provvederò col denaro che mi spetta a fine mese. Ho fatto tardi la scelta, che era meglio fare prima, dato che se avessi chiesto già la mano di Belisa, ormai penso che sarei marito dei suoi capricci, che ogni mia vigliaccheria per la sua natura è nata. Voglio entrare, come è giusto, a vedere questi beni, tempo ci sarà per chiedere Belisa, e così cambiare la querela in parentela, e pagare ricevendo, che il patrimonio è eccellente. Ma indispensabile è pure per riuscire a sopportare una moglie capricciosa. Escono, ed entrano Lisarda e Belisa e Flora. LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
Quest’uomo è un capolavoro. Perché non deve piacerti? Quando ti vorrai sposare, scegli uno come lui, perché a me proprio non piace. Perché? Perché ha raccontato un litigio ed ha mostrato… Che cosa? 319
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO BELISA LISARDA BELISA
LISARDA
BELISA LISARDA
BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
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Un puño postizo. ¿Eso importa? Hombre que a mí, señora, me ha de querer, ¿postizo le ha de traer? Y cuando le traiga ansí ¿ha de ser tan descuidado que por hacerse valiente se le caiga, cuando cuente las cuchilladas que ha dado con el puño de la espada, el puño de la camisa? Esos melindres, Belisa, me tienen ya muy cansada. No sé a quién te has parecido, que yo no fui melindrosa. ¿El ser yo limpia y curiosa por melindres has tenido? Pues dime que no lo fue no querer al caballero toledano. Darte espero la razón. Yo no la sé. Tenía grandes los ojos y algo el mirar espantado. Si así mira enamorado ¿qué hará después con enojos? Muy bien despedido va, que vi la figura en él del rey don Pedro el Crüel, que en Santo Domingo está. ¿Y el que antiyer te ofrecí? ¡Ay, Jesús! No te alborotes.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO BELISA LISARDA BELISA
LISARDA
BELISA LISARDA
BELISA LISARDA BELISA
LISARDA BELISA LISARDA
Un pugno posticcio. Che importa? Signora, un uomo che dovrebbe amare me, lo deve avere posticcio? E se proprio lo ha così, deve esser tanto distratto che per fare il valoroso gli cada, quando racconta le coltellate che ha dato con il pugno della spada, il pugno dalla camicia? Questi capricci, Belisa, mi hanno proprio innervosito. Non saprei a chi assomigli, che io non ero capricciosa. L’essere attenta e precisa consideri capriccioso? Beh, dimmi che non lo è stato rifiutare il cavaliere toledano. A spiegarti proverò. Spiegami pure. Aveva gli occhi grandi e lo sguardo spaventato. Guarda così da innamorato, che farà quando è arrabbiato? Va così tanto impettito, che vidi in lui la figura del Re don Pedro il Crudele, che in San Domenico sta. Quello che ti presentai ieri l’altro? Gesù! Calma.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO BELISA
LISARDA FLORA
Muy caídos los bigotes sobre la boca le vi. Imaginé que sería o perro de agua o salvaje, o que estaba algún potaje sorbiendo por celosía. Bien tiene, si come leche, con qué poderla colar. Pues ¿quién te ha de contentar? Un marido en escabeche.
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Salen el alguacil y el escribano. ESCRIBANO ALGUACIL LISARDA ALGUACIL
LISARDA ALGUACIL
LISARDA ALGUACIL LISARDA ALGUACIL
LISARDA
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Hízose todo muy bien. Bien se ha hecho. ¿De qué modo? Depositado está todo, y pídeme que te den dos prendas vivas a ti que por fuerza le saqué. ¿Prendas vivas? Por mi fe, que en toda mi vida vi dos tan gallardos esclavos. Hasme hecho gran placer. El uno es mujer. ¿Mujer herrada? No tiene clavos, pero puédelos poner en cualquiera libertad. ¡Hola, Pedro y Zara, entrad! Bizarros, no hay más que ver.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO BELISA
LISARDA FLORA
I baffi troppo calati sopra la bocca gli vidi. Ho immaginato che fosse o un barboncino o un selvaggio, oppure che gli servissero come filtro per il brodo. Se beve latte, sa già come poterlo colare. Ma chi ti accontenterà? Un marito sott’aceto. Entrano la guardia e lo scrivano.
SCRIVANO GUARDIA LISARDA GUARDIA
LISARDA GUARDIA
LISARDA GUARDIA LISARDA GUARDIA
LISARDA
Tutto è stato fatto bene. Bene si è fatto. In che modo? Tutto sta depositato, e mi chiedono di darti due pegni vivi che a forza sono stati prelevati. Pegni vivi? Per davvero, non ho visto in vita mia due schiavi tanto prestanti. Mi hai fatto un gran piacere. Uno è una donna. Una donna marchiata? Non è marchiata, ma puoi farle fare i marchi come meglio credi tu. Forza, Pedro e Zara, entrate! Belli, non c’è altro da dire.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
Salen Felisardo de esclavo y Celia. ALGUACIL LISARDA
ALGUACIL
LISARDA ALGUACIL LISARDA ALGUACIL
LISARDA ALGUACIL
Yo los saqué, porque creo que un gran servicio te hago. Darele carta de pago, tal gracia en los moros veo, de los dos mil, y aun a ti albricias, porque los dé. Eso es mucho; mas yo sé que lo hará por ti y por mí, y que en caso de vendellos gustará de hacerte gusto. Cualquiera precio es muy justo, aunque muy grande, por ellos. Yo tengo qué hacer. El cielo te guarde. Veme después, que tuya esta casa es. Que no tendremos, recelo, necesidad de vender prendas. Así lo imagino. Adiós.
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Vanse [Lisarda, Belisa, Flora, alguacil y escribano. Quedan Felisardo y Celia.] FELISARDO
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¡Qué estraño camino de desdicha, aunque ha de ser para más remedio mío! Que en aqueste traje y casa, mientras esta furia pasa, estar guardado confío. Pero ¿cuándo historia alguna de cuantas ha visto el mundo dio capítulo segundo al libro de la Fortuna?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
Entrano Felisardo da schiavo e Celia. GUARDIA LISARDA
GUARDIA
LISARDA GUARDIA LISARDA GUARDIA
LISARDA GUARDIA
L’ho presi, perché ho creduto di renderti un gran servizio. Glieli compro tutti e due, tanta grazia vedo in loro, mille per entrambi, e a te ricompensa, se li vende. È molto; ma lo farà per te e per me, e se vorrà venderli, sarà contento di poterti accontentare. Qualsiasi prezzo va bene, anche se è alto, per loro. Ho molto da fare. Il cielo ti protegga. Vado anch’io, che tua questa casa è. Ritengo che non sarà necessaria la cessione dei pegni. Lo credo anch’io. Addio.
Se ne vanno [Lisarda, Belisa, Flora, la guardia e lo scrivano. Restano Felisardo e Celia.] FELISARDO
Che strano cammino di sfortuna, se anche fosse per maggior riguardo mio! Perché in quest’abito e casa, mentre la tempesta passa, di proteggermi confido. Ma, quando una qualche storia di quelle che ha visto il mondo ha avuto questo sviluppo nel libro della Fortuna? 325
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
CELIA
¿Hay suceso más gallardo que un hombre que hoy en Madrid era más noble que el Cid y más libre que Bernardo se vea esclavo y sacado por prenda de ejecución, no con mayor dilación que lo que habemos tardado en vestirnos Celia y yo, sin Morato, sin Jafer, y sin poder responder a estos hombres «sí» ni «no»? Yo estoy como loco aquí: ¡no sé en qué podré parar! Si me pudiera quejar, cielo contrario, de ti por el traje en que me veo, pues él me diera licencia, perdiera aquella paciencia que ya te pido y deseo. No puedo de mí quejarme, pues lo que me ha sucedido engaño, y no culpa, ha sido. Mas ¿qué podrá resultarme? ¿Qué daño puede venirme? Todo es servir ocho días.
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[Entren Belisa y Lisarda.] BELISA LISARDA
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Bien dices, y tú podrías hablarle. Si él está firme, yo le haré con el dinero que los deje, aunque no quiera. ¡Esclavo!
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
CELIA
Esiste un caso più strano di un uomo che oggi a Madrid è più nobile del Cid, più libero di Bernardo, che si vede schiavo e preso come pegno d’escussione, in un tempo non più lungo di quel che abbiamo impiegato a vestirci Celia ed io, senza Jafer né Morato, senza rispondere a questi uomini né «sì» né «no»? Io sto come un pazzo qui: non so cosa mi accadrà. Se mi potessi lagnare, cielo contrario, di te per il vestito che indosso, se me ne dessi licenza, perderei quella pazienza che ti domando e vorrei. Non mi lamento di me, perché quello che è successo è stato inganno e non colpa. Ma, cosa potrà accadermi? Che danno me ne verrà? Tutto è servire otto giorni. [Entrano Belisa e Lisarda.]
BELISA LISARDA
Dici bene, e tu potresti parlargli. Se ne è convinto, farò sì con il denaro, che ceda, anche se non vuole. Schiavo!
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO FELISARDO LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA BELISA
[CELIA]
BELISA
LISARDA
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¿Señora? Espera. (¿Qué he de esperar si esto espero?) ¿Tu nombre? Pedro me llamo. ¿Cristiano? Sí, por la gracia de Dios (aunque por desgracia mía te tengo por amo.) ¿Pésate de estar aquí? No (porque más me pesara si allá en la cárcel pagara lo que no te debo a ti.) ¿De dónde eres? De Granada, aunque en Madrid he nacido, de esclava que hubiera sido reina a no ser desdichada. El hijo de Carlos Quinto, don Juan de Austria, cautivó a mi madre, y nací yo del Alpujarra distinto, donde ella fue natural, y un caballero español limpio y galán como el sol. ¡Qué lástima! ¿Hay cosa igual? ¿Y tú, esclava? Yo me llamo Zara y bautizarme quiero. Soy de Orán, y estarlo espero, si vuelvo a ver a mi amo antes, señora, de un mes. Y aquí también, si tú quieres. Por cierto, hermosas mujeres tiene Orán. Esta lo es. Flora, muestra la cocina
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO FELISARDO LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA BELISA CELIA
BELISA
LISARDA
Sì signora? Attendi. (Cosa mi attende se attendo?) Il tuo nome? Pedro è. Cristiano? Sì, per la grazia di Dio (anche se per disgrazia adesso ti ho per padrona.) Ti dispiace stare qui? No (più mi dispiacerebbe se nel carcere pagassi quello che non devo a te.) Di dove sei? Di Granata, ma sono nato a Madrid, da una schiava che sarebbe regina, con più fortuna. Il figlio di Carlo Quinto, Juan de Austria, imprigionò mia madre, ed io sono nato lontano dall’Alpujarra, da dove proviene lei, e da un signore spagnolo, bello e onesto come il sole. Che peccato! Che sfortuna! E tu, schiava? Io mi chiamo Zara e voglio battezzarmi. Di Orán sono, e farlo spero, se rivedrò il mio padrone, prima, signora, di un mese. Anche qui, se lo vorrai. Che belle donne ci sono ad Orán. Questa lo è. Flora, mostra la cucina 329
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
BELISA
a Zara y lo que ha de hacer. Tú puedes venir a ver cierto novio. ¡Qué mohína!
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Vanse Lisarda y Belisa. FLORA
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
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Ea, Zara, ven commigo. Tú, Pedro, visitarás la caballeriza. ¿Hay más esclavos? No. No lo digo por no servir. Un lacayo del hijo de mi señora cura de su coche agora, los caballos, y a él un bayo. ¿Hijo tiene? Y muy galán. ¿Anda fuera? Está en la cama. Ronda de noche una dama, y no madruga don Juan. Las doce le dan en ella los más días; tú tendrás dueño, si en su casa estás, hermano de esta doncella, que es ángel en condición. Y yo te regalaré, que tu talle obliga, a fe, y buena conversación. De todo tengo las llaves. ¿Bebes vino? ¿Comes, di, tocino?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
BELISA
a Zara e quel che ha da fare. Tu puoi venire a vedere un pretendente. Che bega! Se ne vanno Lisarda e Belisa.
FLORA
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
Su, Zara, vieni con me. Tu, Pedro, visiterai stalle e scuderie. Ci sono altri schiavi? No. Non dico per non servire. Un lacchè del figlio della signora cura della sua carrozza i cavalli, e a lui un baio. Ha un figlio? Ed è molto bello. Sta fuori? No, sta nel letto. Vede di notte una dama, non si sveglia don Juan. Quasi ogni giorno si alza a mezzogiorno; tu avrai un padrone, se rimani, fratello della ragazza, che è un angelo di natura. Ed io ti farò dei doni, che il tuo aspetto lo richiede, ed il modo di parlare. Di tutto quanto ho le chiavi. Bevi vino? Mangi, di’, maiale?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO FELISARDO
FLORA CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
Pienso que sí, porque nací donde sabes (si no es que se me ha olvidado desde anoche que cené.) ¡Oh, qué regalos te haré! Si has de ser tan regalado, alaba, Pedro, a los cielos. (Oye, Celia. No hay oír. Todo lo podré sufrir, pero no sufrir tus celos.)
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Vanse. Sale don Juan con una ropa, desabrochado, poniéndose los botones, y Carrillo, lacayo. JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO
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¿Ensillaste? Ya lo está, pero es hora de comer. ¿Habrá misa? Misa habrá. ¡Qué cansado vine ayer! Con razón te cansas ya. En pidiéndome dinero, luego me desmayo y muero. Muchos escriben remedios de amor, poniendo por medios la ausencia por más ligero, a quien se sigue el olvido; otros, los libros, la caza, el pleito, el entretenido juego; y todos dando traza de divertir el sentido. Cual con las hechicerías quiere librarse de amor; cual con mayores porfías en otro gusto, señor, pasa sus melancolías.
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Penso di sì, perché nacqui dove sai (se non è che l’ho scordato da ieri quando ho cenato.) Che regali ti farò! Loda il cielo, Pedro, se ti faranno tanti doni. (Senti, Celia… Cosa c’è? Tutto potrò sopportare, non, però, la gelosia.)
Se ne vanno. Entra don Juan in camicia da notte, con i bottoni slacciati, abbottonandosi, e Carrillo, il lacchè. JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO
Hai sellato? Certamente, ma è già ora di mangiare. C’è la messa? Ci sarà. Mi sono stancato ieri! A ragione stanco sei. Mi richiedono denaro, dopo morti e svenimenti. Molti scrivono rimedi d’amore, mettendo come il più leggero l’assenza, e di seguito l’oblio; altri, coi libri, la caccia, le liti ed il divertente gioco; e tutti dando modi di distogliere il pensiero. Chi con le stregonerie vuol liberarsi d’amore; chi con maggiore insistenza in altri piaceri passa, l’infelicità, signore. 333
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
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Plinio dijo que se echase un amador – ¡qué molestia! – adonde se revolcase una mula, y que una bestia así a otra bestia imitase. Mas esto fue por mostrar que era una bestia quien ama, no porque puede quitar de aquella bestia la cama esta enfermedad de amar. Mas yo digo que el pedir es el remedio de amor. ¿Dónde has oído decir eso de Plinio? Señor, hanse dado a traducir tantos hombres que carecen de ingenio, que ya sabemos los tontos lo que encarecen los sabios, y merecemos los nombres que ellos merecen. Yo le tengo traducido, y aun a Horacio y a Lucano. ¿Esos hombres has leído? Pues si están en castellano ¿qué dificultad ha sido? Ya mi alazán latiniza. Allá están. Huélgome al fin, que estos que el mundo eterniza buscan a Horacio en latín, y está en la caballeriza. ¡Qué un lacayo te ha leído, divino Horacio! Yo he sido. Mas en verdad que me espanto de que tú te estimes tanto
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Plinio disse di gettare un amante – che molestia! – là dove si rotolava una mula, e che una bestia ne imitasse così un’altra. Ma questo fu per mostrare che era una bestia chi ama, non perché possa guarire il letto di quella bestia la malattia dell’amore. Ma io sostengo che chiedere sia il rimedio d’amore. Dove sentisti la storia che disse Plinio? Signore, si sono messi a tradurre tanti uomini che mancano d’ingegno, che ormai sappiamo noi sciocchi quello che fa lodare i saggi, ed i loro stessi nomi meritiamo. Io lo tengo in traduzione, ed anche Orazio e Lucano. Tu conosci questi autori? Ma se sono in castigliano, che difficoltà c’è mai? Il sauro già latineggia. Sono là. Mi fa piacere che questi che il mondo elogia cercano Orazio in latino, e sta nelle scuderie. Un lacchè già ti conosce, Orazio divino! Io. Ma davvero mi sorprendo che stimi tanto te stesso 335
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
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por el latín aprendido; porque de cuantos es vista con la capa y con la espada tu persona latinista, siempre en libros ocupada, dicen que eres romancista. ¿Luego el ingenio y la ciencia son los bonetes y grados por Sigüenza u por Valencia? En los vulgos engañados consiste la diferencia: espada, luego idiotismo; bonete, luego letrado. ¡Qué gracioso silogismo! Ya está en el vulgo asentado. ¡Oh, qué cansado hispanismo! Lipso con capa y espada fama inmortal tiene y goza; persona fue celebrada don Íñigo de Mendoza, que ha dejado España honrada. Mil ejemplos te trujera con que el vulgo me entendiera, si aquí con el vulgo hablara. ¿Haste de lavar la cara? Llama a Flora. Un poco espera.
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Vase el lacayo. JUAN
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Ciencia es saber que con ingenio y arte alcanza un hombre, no manteo y bonete, que si toda en los hábitos se mete, tendrán las mulas en la ciencia parte. Cesar siguió con alta espada a Marte, sus comentarios no ha cubierto el Lete, que quien tiene dos veces treinta y siete,
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per il latino imparato; se coloro che ti vedono con la cappa e con la spada in veste di latinista, sempre sommerso dai libri, dicono che volgarizzi. Dunque l’ingegno e la scienza sono i berretti ed i gradi per Siguenza o per Valenza? Nella plebe che si inganna consiste la differenza: spada sta per ignoranza; berretto sta per cultura. Oh, che buffo sillogismo! Già sta nel volgo assodato. Oh, che noioso ispanismo! Se Lipsio con cappa e spada gode di fama immortale; e se sempre fu acclamato don Ignigo de Mendoza, che ha reso onore alla Spagna. Mille esempi posso farti con cui il volgo capirebbe, se qui col volgo parlassi. Ti devi lavare il viso? Chiama Flora. Aspetta un po’. Se ne va il lacchè.
JUAN
Scienza è saper che con ingegno ed arte raggiunge un uomo, non manto e berretto, che se tutta negli abiti si mette, le mule avranno nella scienza parte. Con la spada Cesare seguì Marte, i commenti non ha coperto il Lete, che chi tiene due volte trentasette, 337
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
¿quién le quita que de uno se descarte? Yo he visto a Cicerón con un sombrero, y a Jenofonte armado: ¡letras santas, bien os puede tener un caballero! ¡Oh tú, que por los ojos te adelantas: si Apolo tiene pluma y Marte acero, junta a los dos en experiencias tantas!
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Sale con un jarro y un plato Celia, y Flora con una toalla. CELIA FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN
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Aquí tienes agua y plato. Toalla tienes aquí. ¡Flora! ¿De qué es el recato? Nunca esta crïada vi. ¿Vos servís? ¡Oh, tiempo ingrato! Mejor, señor, lo dirás cuando sepas que es esclava. ¿Esclava, Flora? ¿Eso más? En casa de Eliso estaba. ¿Nunca la viste? Jamás. En prendas que le han sacado de una deuda la han traído. Solo el habernos pagado con ella disculpa ha sido del haberle ejecutado. Bella esclava. Desdichada diréis mejor, hasta agora que os sirvo. ¡Qué bien pagada deuda! Echad agua, señora. ¿Tanto la esclava te agrada? ¿Has visto alguna en tu vida más hermosa? Echad más agua, echad más, si sois servida,
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chi gli impedisce che uno ne scarti? Ho visto Cicerone col cappello, Senofonte armato. Lettere sante, vi può tenere un nobile rampollo! Oh tu, che grazie agli occhi ti fai avanti, se Marte ha la spada e la penna Apollo, fondili insieme in esperienze tante. Entra con una brocca e un catino Celia, e Flora con un asciugamano. CELIA FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN FLORA JUAN
CELIA
JUAN FLORA JUAN
Ecco qui l’acqua e il catino. Ecco qui l’asciugamano. Flora! Che problema c’è? Mai ho visto questa serva. Voi servite? Oh, tempo ingrato! Giustamente lo dirai quando saprai che è una schiava. Schiava, Flora? Addirittura? In casa di Eliso stava. Non l’hai mai vista? Per niente. È arrivata a garanzia di un debito non saldato. Solo l’averci pagato così lo discolperà di aver dovuto far causa. Bella schiava. Sfortunata è meglio dire, finora che vi servo. Ben pagato debito! Acqua, signora. Tanto ti piace la schiava? E tu ne hai veduta mai una più bella? Più acqua, versate, se siete pronta, 339
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
CELIA JUAN
CELIA JUAN FLORA JUAN FLORA
porque se tiemple la fragua de vuestro fuego encendida. ¿Hay tales ojos? Pudieran dar agua, si aquí faltara. ¿Qué manos la merecieran? Mas si el alma se lavara, más a proposito fueran. Dame esa toalla, Flora, aunque no podrá limpiar lo que deja impreso agora esclava que puede honrar la más principal señora. Id por el cuello. Yo iré. Ve, Flora, a dársele. Voy. No vuelvas acá. No haré.
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Váyanse las dos. JUAN
Con gusto de verla estoy. Algo a solas le diré. Nunca esta esclava le vi a Eliso. Sin duda creo que él la guardaba de mí, porque el ajeno deseo debió de juzgar por sí. ¡Oh, cuánto lo habrá sentido, si acaso la tiene amor! ¡Desdicha notable ha sido! Sale Celia con un cuello en un tabaque o salva.
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Aquí está el cuello, señor.
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CELIA JUAN
CELIA JUAN FLORA JUAN FLORA
perché si calmi l’incendio acceso dal vostro fuoco. Oh, che occhi! Riuscirebbero a dar acqua, se mancasse. Che mani ne sono degne? Ma se si lavasse l’anima, sarebbero gli occhi giusti. Qua l’asciugamano, Flora, benché non possa pulire ciò che ora lascia impresso una schiava che fa onore alla più nobile dama. Il colletto. Ci andrò io. Va’, Flora, a darglielo. Vado. Non tornare qui. Va bene. Se ne vanno entrambe.
JUAN
Ho voglia di rivederla. Da soli le parlerò. Non ho visto questa schiava ad Eliso. Senza dubbio me la stava nascondendo, che doveva dispiacergli il desiderio degli altri. Oh, quanto ne avrà sofferto, se per caso è innamorato! È stata una gran sfortuna! Entra Celia con un colletto in un cestino.
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Ecco il colletto, signore.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO JUAN
CELIA
Y aquí, señora, el rendido. Ese es cuello que ponello podéis por argolla en mí, aunque bastaba un cabello; y este el cuello que os rendí. ¿Burlaisos? Poneos el cuello.
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No fuera hierro el asiento, pero ya por vos le siento. Hierros en las trenzas hay. Yo pensé que era cambray. ¡Qué engañado pensamiento! Y si vuestros hierros son trenzas, con facilidad podréis romper la prisión. Prisión de la voluntad está en la imaginación. No acierto a atarme la trenza; ponédmela vos. Llegad, llegad, no tengáis vergüenza. Atadme la libertad, que a ser tan vuestra comienza. Llegad, ataréis el cuello. Porque el serviros obliga lo haré, pues os sirvo en ello. Pero ¿quién habrá que os diga, aunque yo acierte a ponello, si está el cuello bien o mal? Voy por espejo. Eso no, porque no habrá espejo igual como ese rostro en que yo miro tan limpio cristal. Retrátenme vuestras bellas niñas, que bien puedo en ellas
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO JUAN
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E questo, signora, è il vecchio. Questo colletto potreste mettermelo per collare, ma basterebbe un capello; e questo quello che rendo. Scherzate? Dovete metterlo. Se lo mette.
JUAN
CELIA JUAN CELIA
JUAN
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JUAN
Il collo mi imprigionate, sento che mi incatenate. I lacci sono catene. Ma li credevo di stoffa. Vi state proprio sbagliando! E se le vostre catene sono lacci, facilmente vi potrete liberare. La prigione del volere è nell’immaginazione. Non riesco a legare il collo; su, stringetemelo voi. Forza, non vi vergognate. Legate la libertà, che inizia ad essere vostra. Vicino, legate il collo. Lo farò perché obbligata a servirvi, e in ciò vi servo. Ma, chi vi confermerà, ammesso che riesca a farlo, che il colletto è ben legato? Prendo uno specchio. Non serve, perché non esiste specchio come questo volto in cui vedo limpido cristallo. Riflettano i vostri occhi, perché in essi potrò dire 343
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
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decir que en el sol me vi. Atad. ¿No está bien ansí? A vuestras claras estrellas se lo quiero preguntar. Sale Felisardo.
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¡Bueno es aquesto, por Dios! Si aquí pudiera cortar, tanto montara en los dos cortar como desatar. ¿Quién está ahí? Yo, señor. Pues ¿quién eres? Un esclavo que hoy te sirve por favor de la Fortuna, que alabo por conocer tu valor. Fui de Eliso, y ya soy tuyo; mas ni soy tuyo ni suyo, ni sé a quién he de servir, tanto que puedo decir: Esclavo soy, pero ¿cúyo? Por prenda vine a tu hacienda de una ejecución; mas ya a tanto pasa otra prenda, que conmigo en prenda está, que puede ser que te prenda. Mi amo esta esclava amó. Vi que a tu pecho llegó, y no es bien que a ti se junte. Pero, aunque me lo pregunte, eso no lo diré yo. Buen talle de esclavo tienes, y leal me has parecido, pues que tan celoso vienes.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO
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che nel sole mi son visto. Legate. Così va bene? Alle vostre chiare stelle desidero domandarlo. Entra Felisardo.
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Che bella scena, per Dio! Se colpissi con la spada, fra loro sarebbe uguale sciogliere quanto tagliare. Chi va là? Son io, signore. E chi sei? Sono uno schiavo che da oggi è al tuo servizio, per la Fortuna, che lodo perché quanto vali so. Ero di Eliso, ora tuo; ma non sono tuo né suo, né so chi devo servire, tanto che posso affermare: Sono schiavo, ma di chi? Sono entrato al tuo servizio come pegno d’escussione; ma esagera l’altro pegno, che sta impegnato con me, che potrei anche impegnarti. L’ha amata il padrone mio. Ho visto che ti ha abbracciato, non è bene che lo faccia. Ma, benché mi venga chiesto, questo non lo dirò io. Sei uno schiavo ben messo, e sembri molto leale, perché sei così geloso. 345
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Zara, buen principio ha sido; bien tu desdicha entretienes. ¿Tú me riñes? ¿Porqué no? Señor me mandó que yo te riñese, y puedo hacello, pues hago en reñirte aquello que cuyo soy me mandó. No la riñas, por mi vida, esclavo, que no es culpada. Y entanto que aquí resida, aunque es de Eliso comprada, haz cuenta que fue vendida. Yo soy su dueño. Y yo ¿cúyo? Mío también. Ya soy tuyo, mas debo temer, señor, de mi primer poseedor, que no diga que soy suyo. Zara estuviera más bien en la cocina que aquí. Y tú curando también tus caballos. Por ti, a mí en sus pesebres me ven. Y a mí por ti entre los platos, sin que me regale Flora, villano, ejemplo de ingratos. No haya más, por Dios, agora, que los dos sois dos retratos de hidalga y noble lealtad. Servid alegres, creed que os tengo gran voluntad y que os he de hacer merced.
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Zara, proprio un bell’inizio; ti svaghi nella disgrazia. Mi riprendi? Perché no? Il padrone mi ha ordinato di riprenderti, e lo eseguo, perché così faccio quello che il padrone mi ordinò. Non brontolarla, ti giuro, schiavo, che lei non ne ha colpa. E mentre risiede qui, benché fu Eliso a comprarla, fa’ conto che fu venduta. Ne sono il padrone. Ed io? Anche tu mio. Io sono, però ho paura, signore, del primo padrone mio, che non dica che son suo. Zara starebbe in cucina assai meglio che qui. E anche tu a prenderti cura dei cavalli. Per te, sto in mezzo alle mangiatoie. Ed io fra i piatti per te, senza i regali di Flora, villano, esempio d’ingrato. Adesso basta, per Dio, che entrambi siete ritratti della nobile lealtà. Servite allegri, credete che vi tengo di gran conto e che vi favorirò.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO FELISARDO JUAN
Si Zara trata verdad, yo la tendré en lo que es justo. A misa voy, que es muy tarde.
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Vase don Juan. FELISARDO CELIA FELISARDO
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Presto mudaste de gusto. ¿Sientes, así Dios te guarde, de veras este disgusto? ¿Soy piedra yo? ¿Soy diamante o soy amante? ¿Soy fiera o soy hombre? ¿Soy hidalgo o soy la misma bajeza? ¿Tú dos mil leguas de un hombre, cuanto más – ¿quién lo creyera? – la distancia que se pudo dividir con una trenza? ¿Tú dando lazos y nudos al cuello de otra cabeza que la mía, para hacerlos en mi garganta de cuerda? ¡Ay, Celia, Celia bella, ni fe en la mar ni en la mujer firmeza! Tú, recién venida aquí para ser última prueba de amor en tan gran desdicha que merece fama eterna, en los brazos… ¿En qué brazos? ¡Déjame! ¡No me detengas! Pues ¿es bien tratar en burlas en tiempo de tantas veras? Vuelve y mira donde estamos, pues en nuestra misma tierra tú eres esclavo y yo esclava; que si de mi honor recelas, ofensa tuya es locura,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO FELISARDO JUAN
Se Zara sarà sincera, nel giusto la riterrò. A messa vado, che è tardi. Se ne va don Juan.
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Presto cambi convinzione. Oh, che Dio ti benedica, davvero te ne dispiaci? Sono una pietra? Un diamante o un amante? Sono un uomo o una bestia? Un nobiluomo o la bassezza in persona? Tu, mille leghe da un uomo, alla distanza – chi può crederlo? – che si misura con il nastro di un colletto? Tu che metti lacci e nodi al collo di un’altra testa, e non della mia, per farli alla mia gola di corda? Ah, Celia, Celia bella, la donna è mobile qual piuma al vento! Tu, appena arrivata qui per dare l’ultima prova d’amore in tale disgrazia che merita fama eterna, fra le braccia… Quali braccia? Lasciami! Non mi fermare! Ti sembra giusto scherzare fra verità tanto amare? Fermo e guarda dove siamo, nella nostra stessa terra sono una schiava e tu schiavo; se dubiti del mio onore, folle è l’offesa tua, 349
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
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y para mi honor la ofensa. Por ti, Felisardo mío, soy esclava: tus quimeras me trujeron a servir. Si sirvo, ¿de qué te quejas? Salí con otra crïada a dar agua a quien quisiera dar veneno. Es hombre y mozo, díjome palabras tiernas, que es la ocasión ligera, pólvora el hombre y la mujer centella. Mandó que trujese el cuello, truje el cuello, até las trenzas, hízome espejo, fui espejo. ¿Y eso no quieres que sienta? No, porque luego que entraste, como era vidro, y se quiebra, cesó el espejo. Mejor dieras, Celia, por respuesta que la mujer es espejo y que, del dueño en ausencia, hace la misma lisonja a cualquier rostro que llega. Deja esos celos injustos, deja, por mis ojos, deja en tanto mal niñerías. Siento, Celia, que lo sean, que si tú en las niñas tuyas retratas prendas ajenas, niñerías son que pueden hacer gigantes ofensas. Mas porque en tales desdichas no es bien que hablemos en quejas, dime, mi bien, ¿qué he de hacer en las muchas que nos quedan? ¿Quieres, dime, que esta noche
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e del mio onore l’offesa. Per te, Felisardo mio, son schiava: le tue chimere mi hanno portato a servire. Se servo, cosa reclami? Sono uscita con la serva per dar acqua a chi vorrei dare veleno. È un ragazzo, m’ha detto dolci parole, facile è l’occasione, polvere è l’uomo e la donna scintilla. Desiderava il colletto, l’ho portato e l’ho legato, m’ha reso specchio, e l’ho fatto. E vuoi che non mi dispiaccia? No, perché dopo il tuo arrivo, dato che è vetro, e si rompe, lo specchio è finito. Meglio, oh Celia, potresti dire che la donna è come specchio e che, mancando il padrone, lusinga allo stesso modo qualunque volto si accosti. Basta ingiuste gelosie, fallo per me, abbandona le sciocchezze in tanto male! Mi dispiace, se lo sono, ma se negli occhi ritrai il volto di qualcun altro, sono sciocchezze che danno salatissimi tormenti. Ma già che nelle sventure non è bene lamentarci, dimmi, cosa devo fare nelle molte che ci aspettano? Dimmi, vuoi che questa notte 351
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO
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nos vamos donde no sea la Fortuna poderosa a hacernos burlas como estas? ¿Quieres que de aquí te saque? Sabe Dios si lo quisiera, pero ponemos a Eliso en notable contingencia; que, como estamos en nombre de esclavos, que diga es fuerza Lisarda que él nos esconde, o nos buscarán por ella. Mejor es que, mientras pasa la furia, aquí te entretengas, que para estar escondidos, ninguna casa como esta. Fuera de esto, de mis padres seré buscada, y apenas saldré en mi traje a la calle, cuando conocida sea. Y para mí, ¿qué más gloria que estar adonde merezca el nombre de esclava tuya? Bien, señora, me aconsejas. Allí he visto los crïados que están poniendo la mesa. Vete, Celia, a la cocina, que puede ser que nos vean. Yo pondré en una toalla, si acaso hurtarle me dejan, algún regalo que comas. Pero no, que se me acuerda que Flora lo hará mejor. Nunca te he visto tan necia. Quien ama, teme.
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fuggiamo dove la Sorte non abbia più facoltà di deriderci così? Vuoi tu che ti porti via? Oh, Dio sa se lo vorrei, ma così mettiamo Eliso in un notevole guaio; perché come schiavi suoi siamo qui, e dirà Lisarda che è Eliso che ci nasconde, o sarà Lisarda a farci cercare. È meglio star qui, mentre la tempesta passa, che per starcene nascosti, non c’è casa come questa. Inoltre, la mia famiglia mi cercherà, e non appena uscirò col mio vestito io sarò riconosciuta. E per me, che più alta gloria che stare dove son degna del nome di schiava tua? Giustamente mi consigli. Ho visto lì i servitori che stanno già apparecchiando. Su, Celia, corri in cucina, che potrebbero vederci. Ti metterò in uno straccio, se riesco a portarlo via, qualche cosa da mangiare. Anzi no, che mi sovviene che Flora lo farà meglio. Ora non fare la sciocca. Chi ama, teme.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO PRIMERO FELISARDO CELIA FELISARDO
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Quien ama, cree. ¿Qué quieres que crea? Que te adoro, mi Celia, que las desdichas crecen las firmezas.
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO PRIMO FELISARDO CELIA FELISARDO
Chi ama, crede. Che cosa vuoi che io creda? Che ti adoro, mia Celia, che la costanza è la virtù dei forti.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Salen Belisa y Flora. FLORA BELISA
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¿En qué tiene de parar tanta tristeza y disgusto? Ya, Flora, todo mi gusto se ha convertido en llorar. Ya mis melindres cesaron, ya mi arrogancia paró, el cielo me castigó, y los hombres se vengaron. Tenme lástima, que estoy para matarme. No diga tal tu entendimiento. Amiga, por pasos tan tristes voy, que es imposible vivir, porque en tanta desventura es el callar mi locura determinarme a morir. ¿Qué tardo? ¿En qué me detengo, que no doy fin a mi vida? ¿Tú de ti misma homicida? A darme la muerte vengo, Flora, con tanta ocasión, que cuando en lo que la fundo venga a conocer el mundo, dirán que tengo razón. Yo he de matarme. Tú, Flora, después de muerta podrás mirar mi pecho y verás la causa que callo agora. Porque escrita en un papel, como el que muere por bando, la llevaré al pecho cuando
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ATTO SECONDO Entrano Belisa e Flora. FLORA BELISA
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Dove porterà, Belisa, tanta tristezza e disgusto? Già, Flora, tutto il piacere in pianto si è trasformato. Posta ormai fine ai capricci, cessata ormai l’arroganza, il cielo mi sta punendo, gli uomini lavano l’onta. Compatiscimi, che sto per uccidermi. Non dire che ci pensi. Amica mia, percorro un triste cammino, che vivere più non posso, perché in tanta avversità tacere l’insania mia è decidermi a morire. Che aspetto? Che mi trattiene dal metter fine alla vita? Tu di te stessa omicida? A darmi la morte giungo, Flora, con tanti motivi, che quando il mondo saprà sopra che cosa li fondo, dirà che avevo ragione. Devo uccidermi. Tu, Flora, dopo la morte potrai vedermi il petto e scoprire la ragione che ora taccio. Perché scritta in un biglietto, come chi muore per bando, la terrò sul petto quando 357
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
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me mate hierro o cordel. Pensando estoy, triste vida, vuestro fin: si con espada, quedaré muy desangrada, mal puesta y descolorida; si en cordel, quedaré fea, la lengua gruesa y torcida la boca, que sin herida no hay muerte que tierna sea; con veneno, me pondré negra y hinchada; sangrada, es muerte a Séneca hurtada; dulcemente moriré, que será cosa famosa morir en filosofía, y de muerte de sangría quedaré limpia y hermosa. ¡Ea, llámame un barbero! Diré que quiero sangrarme, y después podré quitarme la venda hasta el fin postrero. Ve, Flora, veme por él. ¿Qué dices? ¿Estás en ti? Matarme tiene. ¡Ay de mí! Si tardas, con un cordel, o alguna encendida brasa, como Porcia. Si lealtad, si amor, si tratar verdad, si haber nacido en tu casa pueden merecer saber la causa de tus enojos, ellos y mis tristes ojos te obliguen. No puede ser.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
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mi ucciderà corda o spada. Pensando sto, triste vita, la tua fine: con la spada, rimarrò molto scomposta, dissanguata e impallidita; con la corda, sarò brutta, la lingua grossa e contorta la bocca, che non c’è morte soave senza ferita; col veleno diverrò nera e gonfia; col salasso, è morte rubata a Seneca; dolcemente morirò, che sarà cosa famosa da filosofa morire, e morendo di salasso resterò pulita e bella. Forza, chiamami un barbiere! Dirò che voglio un salasso, dopo togliermi potrò la fascia fino a morirne. Su, Flora, chiamane uno. Cosa dici? Sei in te? Deve uccidermi. Ahimè! Se ritardi, con la corda, o con qualche brace accesa, come Porzia. Se lealtà, se amore e sincerità, se l’essere nata qui meritano di sapere la ragione del tuo male, questo ed i tristi occhi miei ti costringeranno. No.
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Pues si no, juntemos vidas y acábenos una muerte. Si te obligas que una suerte nos iguale en dos heridas, aquí te diré mi mal. Yo te lo prometo. Escucha, verás que la causa es mucha y a mi desventura igual. En Madrid nacida, Flora, como sabes, por regalo y gusto de mis ricos padres, me crie en sus brazos con amores tales que aún hablaba en niña pudiendo casarme. Llovían las Indias, Indias Orientales, adonde tenía mi padre dos males en su casa y cofre, perlas y diamantes, plata para gastos, y oro para engastes. Con esto y quererme, gastaban gran parte en mis nuevas galas, en mis ricos trajes. Que don Juan, en fin, como era estudiante, no gastaba en libros, lacayos y pajes, lo que yo en espejos, pastillas y guantes. Con estas locuras fui tan arrogante,
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FLORA BELISA
Allora uniamo le vite e sia una sola la morte. Se ti impegni a che una sorte ci equipari in due ferite, ti dirò il mio male adesso. Te lo prometto. Sta’ attenta, vedrai che il motivo è grande, e pari alla mia sventura. Nata qui a Madrid, Flora, per regalo e gusto dei miei ricchi genitori, fra le loro braccia con amore crebbi che bambina ero potendo sposarmi. Piogge dalle Indie, Indie dell’Oriente, dove possedeva mio padre due mali in casa e forziere, le perle e i diamanti, argento da spendere, oro per gioielli. Con questo e l’amore, spendevano molto per il mio lusso, e in ricchi vestiti. Nemmeno Juan, essendo studente, spendeva nei libri, e in paggi e lacchè, quanto io in specchi, in profumi e guanti. Con queste pazzie e la boria, mai 361
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
que nunca pudieron casarme mis padres. Treinta mil ducados que en parte me caben de esta gruesa hacienda, más que no mis partes, obligan los hombres que por muchos nacen, a venir a verme, verme y conquistarme. Yo con locura de hacienda tan grande, y quizá engañada de mi ingenio y talle, he dado en melindres, en melindres tales, que fui de la corte fábula notable. Di en decir un tiempo que tenía de carne las manos y rostro, lo demás de imagen, que, cual ves, las visten solo por el talle, sin piernas y cuerpo, con bultos iguales. Di en no ir a misa donde hubiese el ángel que venciendo pintan sierpes infernales. Viendo a San Cristóbal forma de gigante, me dieron mil veces desmayos mortales. Jamás en la pila, aunque con los guantes, tomé agua bendita, 362
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la mia famiglia riuscì ad accasarmi. Moltissimi soldi che toccano a me del gran patrimonio, più che i pregi miei, obbligano gli uomini che per essi nascono, a vedermi per tentar la conquista. Ed io con l’abbaglio di tale ricchezza, e forse ingannata da ingegno e bellezza, ho fatto i capricci, assurdi capricci, tali che a Madrid son storie famose. Una volta dissi che avevo di carne mani e volto, e il resto di statua di santo, che hanno tutto il corpo coperto da vesti, senza gambe e torso, e senza sporgenze. Non andavo a messa dove sta dipinto l’angelo che vince le serpi infernali. Presso San Cristoforo forma di gigante, mi presero spesso grandi svenimenti. Non ho mai toccato, nemmeno coi guanti, l’acqua benedetta, 363
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
temiendo anegarme. Nunca salí fuera que el aire sonase, y si me cogía el aire en la calle daba dos mil gritos: «¡Que me lleva el aire!» Nunca he visto toros de miedo que salten, aunque yo tuviese mil rejas delante. La puente de piedra, con ser Manzanares río tan pequeño, no hay orden que pase. Para entrar en coche mil reliquias hacen escolta a mi cuerpo, cruces y señales. No comí en mi vida ciruelas de fraile, porque dicen muchos que en el cuerpo nacen. Caracoles menos, porque nunca barren en su aposentico sus necesitades. Jamás consentí que me tome el sastre medida a vestido, porque no me abrace. Nunca el zapatero lo que calzo sabe: zapatos de un punto y de dos me hace, y hasta dieciséis, porque no se alaben 364
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temendo annegare. Non sono mai uscita se tirava vento, e se mi coglieva il vento per strada, mille volte urlavo: «Mi trascina l’aria!» Né mai vidi i tori temendo che saltino, nemmeno restando dietro mille grate. Il ponte di pietra, benché il Manzanarre sia un piccolo fiume, non riesco a passare. Montando in carrozza ho mille reliquie per scaramanzia, segni della croce. Non ho mai mangiato le prugne dei frati, perché molti dicono che nel corpo nascono. Chiocciole nemmeno, perché non puliscono le loro casette dai propri bisogni. Non ho mai voluto che il sarto prendesse le mie misure, perché non mi abbracci. Né mai il calzolaio sa quello che calzo: scarpe di diverse misure mi fa, anche smisurate, che chi mi corteggia 365
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
que saben mis puntos curiosos galanes. No quise en mi vida jugar a los naipes, porque la espadilla me hiela la sangre. Mas ¿por qué te digo las cosas que sabes y que no es posible que mi lengua baste? Yo, en efeto, Flora, con melindres tales, desechando a tantos caballeros graves, ricos, gentilhombres, nobles, principales, con hábitos muchos, muchos con bastantes cargos en la guerra y oficios reales, poniendo mil faltas a cuantos me salen... no sé si lo diga antes que me mate, porque no me afrenten desatinos tales; pero ya que es fuerza, ¿de qué estoy cobarde? Un esclavo adoro, prenda que a mi madre trujo un alguacil. ¡Dios se lo demande! No es de burla, Flora. Yo quise guardarme, diligencias hice, pero poco valen en estas prisiones: 366
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non dica che sa le misure mie. Non ho mai voluto giocare alle carte, ché il segno di spade il sangue mi gela. Ma perché ti dico le cose che sai, e che la mia lingua non basta per dire? In effetti, Flora, con tali capricci, rifiutando tanti seri cavalieri, ricchi, gentiluomini, nobili, importanti, insigniti molti, molti con diverse cariche di guerra e uffici reali, trovando difetti a chiunque veda… se dirlo non so prima di morire, che mi disonora questa frenesia; ma visto che devo, di cosa ho paura? Adoro uno schiavo, pegno che una guardia a mia madre ha dato. Che paghi per questo! Oh Flora, non scherzo. Volevo salvarmi, ho fatto attenzione, ma è servito a poco in questa prigione: 367
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el amor alcaide castiga con muerte resistencias tales. Ni duermo ni como, ni sé qué se traen estos pensamientos y dificultades. Yo, que burla hice de hombres semejantes, quiero un esclavillo. Mas no diga nadie: «de esta agua no bebo», que los tiempos hacen humillar soberbias, subir humildades; truecan los melindres en sucesos graves, enriquecen chicos, empobrecen grandes. ¡Mal haya quien hizo leyes desiguales! Que lo peque el gusto y el honor lo pague. ¿Qué podré yo responderte? Corrido mi gusto vi de lo que pasa por ti, que callo por no ofenderte. Pero no puedo negarte que ha sido extraña locura. ¿Deja de ser la hermosura hermosura en cualquier parte? ¿Dejará de ser diamante el que lo nació en la mina, porque esté en la mano indina, o porque le cubra el guante? Mas a la cuenta, si a ti lo que a mí te sucedió,
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amor carceriere castiga con morte queste resistenze. Non dormo né mangio, né questi pensieri e tormenti so dove condurranno. Ed io, che derisi uomini così, amo uno schiavetto. Ma nessuno dica: «quest’acqua non bevo», che il tempo i superbi umilia, ed innalza gli umili; e trasforma i capricci in cose gravi, ed arricchisce i piccoli, e i grandi impoverirà. Dannato chi fece leggi disuguali! Ciò che il gusto sbaglia, lo paghi l’onore. Cosa ti risponderò? Sento la stessa vergogna che pure tu stai provando, per non offenderti taccio. Però non posso negarlo: sembra una strana pazzia. Non è forse sempre bella la bellezza ovunque sia? Smette di essere diamante quello che nacque in miniera, perché sta in indegne mani, o perché lo copre il guanto? Però, in fondo, se anche a te è successo come a me, 369
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
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no quiero culparte yo para desculparme a mí. Lo que haré será matarme. Mejor es buscar remedio. Pues ¿hay sin la muerte medio con que poder remediarme? Echarle de casa luego. Hale cobrado afición mi madre, y la privación podrá acrecentar mi fuego. Pues hazle herrar o azotar, aféale de manera que le aborrezcas. ¿Qué fiera puede aborrecer y amar? Piensa en que esa esclava adora, si desamartelan celos. No han hecho salsa los cielos de amor como celos, Flora. Pues algo has de hacer. ¡Morir! Mira el alma. Esa razón sola vence la pasión con que desprecio el vivir. Quiero tomar tu consejo y hacer este esclavo herrar, como quien quiere quebrar, por no mirarse, el espejo. ¡Tu madre! ¡Apártate allí!
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Vanse. Salen Eliso y Lisarda. LISARDA
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No tienes que replicarme: los esclavos has de darme, aunque vienes contra mí.
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BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA
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non voglio certo incolparti, al fine di discolparmi. Quello che farò è morire. Meglio cercare un rimedio. Se non la morte, che mezzo mi potrà porre rimedio? Buttarlo fuori di casa. Mia madre prova per lui interesse, e la mancanza potrà incrementarmi il fuoco. Fallo marchiare o frustare, abbruttiscilo in maniera da detestarlo. Che bestia può detestare ed amare? Pensa che adora la schiava, se la gelosia funziona. Il cielo non ha creato spinta più forte all’amore. Qualcosa farai. Morire! Proteggi l’anima. Solo questo vince la passione che mi fa odiare la vita. Accetterò il tuo consiglio, farò marchiare lo schiavo, come chi rompere vuole, per non vedersi, lo specchio. Ecco tua madre! Nasconditi! Se ne vanno. Entrano Eliso e Lisarda.
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Non devi obiettare niente: devi darmi quegli schiavi, sebbene tu sia contrario. 371
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA ELISO LISARDA
ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA
Tras haberme ejecutado ¿me quitas con tal disgusto en lo que tengo mi gusto? Eres caballero honrado y te obliga el ser mujer. Yo tengo qué te pedir, y así te quiero servir con hacerte este placer, pero advierte que son tres los esclavos que te doy. ¿Cómo? Porque yo lo soy, y el cómo sabrás después. Si es acaso pensamiento de casarte con Belisa, ya su condición te avisa. Sé que un imposible intento, pero tú lo tratarás con ella a solas. Sí haré. Por allí estaba y se fue. Háblala en esto no más, pues sabes mi nacimiento, porque en aquesta ocasión saques en la ejecución las prendas del casamiento. Ya Pedro y Zara son míos. A hablar a Belisa voy. Vase Lisarda.
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Dispuesto a sufrir estoy sus notables desvaríos.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA ELISO LISARDA
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LISARDA ELISO
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Dopo avermi pignorato, mi togli con tale pena quello che mi fa piacere? Un uomo d’onore sei e te lo chiede una donna. Anch’io ti chiedo qualcosa, e perciò voglio servirti facendo questo favore, ma credi che sono tre gli schiavi che ti darò. E come? Lo sono anch’io, e dopo come saprai. Se per caso tu pensassi di sposarti con Belisa, già conosci come è fatta. So che è un intento impossibile, però tu ne parlerai da sola con lei. Sì, certo. Era qui ma se ne è andata. Dille questo e niente più, tu conosci il mio lignaggio, affinché in questa occasione tu prenda nell’escussione il pegno del matrimonio. Pedro e Zara sono miei. Vado a parlare a Belisa. Se ne va Lisarda.
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Sono disposto a subire le sue infinite follie.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
Sale Felisardo de esclavo. FELISARDO ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO
ELISO
FELISARDO ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO ELISO
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Eliso del alma mía. Mi querido Felisardo, ¿cómo va? Tu vista aguardo como las aves al día, en esta obscura prisión. ¿Prisión con Celia? Es verdad, mas no tengo libertad de decille una razón. ¿Qué hay por allá de la herida? ¿No podré salir de aquí? ¿Murmúrase que yo fui? Aún tiene el hidalgo vida, pero está muy peligroso. No salgas de donde estás, porque a peligro pondrás la tuya. ¡Caso espantoso! Este es el mejor sagrado. ¿Buscan a Celia? También. ¿Cómo le va a Celia? Bien, aunque con algún cuidado de una crïada que aquí se pierde por regalarme. ¿Celos? Hoy quiso matarme. Si me ven contigo ansí daremos qué sospechar. ¿Sales de casa? Muy poco. Adiós.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
Entra Felisardo da schiavo. FELISARDO ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO
ELISO
FELISARDO ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO
ELISO FELISARDO ELISO
Oh, mio carissimo Eliso. Felisardo, amico, come stai? Aspetto di vederti come la luce del giorno, in questa oscura prigione. Prigione con Celia? È vero, ma non ho la libertà di dirle mezza parola. Che si dice della lite? Non potrò uscire da qui? Si pensa che sono in fuga? Quel signore è ancora vivo, fuori pericolo no. E nemmeno tu, perciò non pensare di andar via da qui. Quale atrocità! Questo è il rifugio migliore. Cercano Celia? Anche lei. Come sta Celia? Sta bene, è solo un po’ preoccupata per una serva che qui si affanna a farmi favori. Gelosa? Mi ucciderebbe. Se mi vedono con te desteremo dei sospetti. Esci di casa? Di rado. Arrivederci.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
Vase Eliso y sale Lisarda. LISARDA
FELISARDO LISARDA
FELISARDO LISARDA
FELISARDO LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO
(Si yo te provoco, Belisa, a tanto pesar, no hayas miedo que en mi vida te trate de casamiento.) ¡Pedro! ¿Señora? Mi intento fue voluntad conocida, no te parezca deseo de esclavo haberte comprado… ¿Comprado me has? Hoy te ha dado Eliso y hoy te poseo. ¿No te lo dijo? Temió mi sentimiento, que es justo. ¿No estás conmigo con gusto? Muy grande le tengo yo de servirte, mas Eliso es, en fin, dueño primero. Mal pagas lo que te quiero. De que agradezco te aviso la merced y el gran favor que me has hecho. Más me debes que piensas. Palabras breves son las señales de amor. Yo te quiero como a mí. Mil veces beso tus pies.
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Sale Celia. LISARDA FELISARDO
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¿Es esta Zara? Ella es.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
Se ne va Eliso ed entra Lisarda. LISARDA
FELISARDO LISARDA
FELISARDO LISARDA
FELISARDO LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO LISARDA FELISARDO
(Se angoscia, Belisa, ti arreco, stai certa che non proverò a riparlarti di nozze.) Pedro! Signora? Palese affetto è lo scopo mio, non ti sembri desiderio di schiavo averti comprato… Mi hai comprato? Eliso oggi ti ha venduto, e ti possiedo. Non te lo ha detto? Ha temuto il mio dolore, che è giusto. Tu non stai bene con me? A me fa molto piacere servirti, ma Eliso in fondo è stato il primo padrone. Male mi ripaghi il bene. Te ne sono molto grato, per l’onore e il gran favore che mi hai fatto. Tu mi devi più di quanto pensi. Frasi brevi son segni d’amore. Provo per te molto affetto. Grazie, signora, i miei ossequi. Entra Celia.
LISARDA FELISARDO
Questa è Zara? È proprio lei. 377
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO LISARDA CELIA LISARDA CELIA FELISARDO CELIA LISARDA FELISARDO CELIA
LISARDA CELIA LISARDA CELIA
Zara, ¿qué quieres aquí? A Pedro vengo a llamar; don Juan, mi señor, le llama. Id presto. (¿También mi ama te comienza a regalar? ¿Otros celos? Pues ¿qué quieres, si tú me das la ocasión?) Bueno, ¿aquí conversación? (¡Oh, Celia, qué estraña eres!) A Pedro le pregunté si hoy enseñarme quería la oración del otro día. ¿No la sabes? No la sé. Flora te puede enseñar. Vete, perra, a la cocina. (Esta también se le inclina, mas yo me sabré pagar.)
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Vase Celia. LISARDA
¿Qué pensamientos son estos que de un esclavo me han dado? Ni es decente mi cuidado, ni ellos parecen honestos. Agrádame con estremo su talle, su lengua y cara. ¡Qué liviandad! ¡Amor, para, tente, que perderme temo! Sale Belisa.
BELISA
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Sabiendo que Pedro es tuyo y que le compraste a Eliso, vengo a darte cierto aviso.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO LISARDA CELIA LISARDA CELIA FELISARDO CELIA LISARDA FELISARDO CELIA
LISARDA CELIA LISARDA CELIA
Zara, che cosa vuoi qui? Pedro, ti vengo a chiamare: il signor don Juan lo vuole. Andate. (Anche la padrona inizia a farti favori? Di nuovo gelosa? Cosa credi, se ne dai motivo?) Bene, qui conversazione? (Oh, Celia, come sei strana!) Ho chiesto a Pedro se vuole insegnarmi la preghiera che diceva l’altro giorno. Non la sai? No, non la so. Flora te la può insegnare. Cagna, vattene in cucina. (Lei ha un debole per lui, ma saprò farmi valere.) Se ne va Celia.
LISARDA
Che pensieri sono questi che su uno schiavo mi nascono? Non è decente la pena, né i pensieri sono onesti. A me piacciono di lui aspetto, volto e parole. Frivolezze! Amore, fermo, che di perdermi ho paura! Entra Belisa.
BELISA
Sapendo che Pedro è tuo e che lo hai comprato a Eliso, vengo a darti un buon consiglio. 379
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA
BELISA LISARDA
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Será algún melindre tuyo. Dícenme que es fugitivo: hoy has de mandar herralle. ¿Herrar, Belisa, aquel talle? ¿Qué importa? ¿No es de un cautivo? Tengo lástima a la cara: no merece hierro en ella. ¿Parécete a ti muy bella? (Mucho el alma se declara.) ¿Qué me puede parecer de un esclavo? Pues consiente herrarle. Es inconveniente para volverle a vender, como quien hace tapices con sus armas. Perderás el esclavo. ¿Importa más que herrarle, como tú dices? Haz melindre, por tu vida, de herrar una buena cara. Si en no darme gusto para en cosa que yo te pida, el aborrecerme a mí por querer a tu don Juan, presto tus ojos dirán si como don Juan nací. Ábreme, Flora, esa cama. Ve presto, llama el barbero: sángreme luego, hoy me muero. ¡Hola! Al físico me llama. Presto verás si hoy acabo vida que tengo por ti,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA BELISA LISARDA
BELISA LISARDA
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BELISA
Sarà un capriccio dei tuoi. Dicono che è fuggitivo: lo devi fare marchiare. Marchiare, figlia, quel volto? Che importa? Non è di schiavo? Mi dispiace per il viso: certo non merita un marchio. A te sembra tanto bello? (Molto l’anima si svela.) Che cosa mi può sembrare di uno schiavo? Da’ il consenso per marchiarlo. È inopportuno per poi poterlo rivendere, come chi con i vessilli fa gli arazzi. Perderai lo schiavo. Sarebbe peggio che marchiarlo, come dici? Per capriccio, bontà tua, marchieresti un viso bello. Se sfocia nel dispiacermi in tutto quel che ti chiedo, il fatto di detestarmi per amare il tuo Juan, presto gli occhi ti diranno se come lui sono nata. Apri, Flora, questo letto. Fa’ presto, chiama il barbiere: mi salassi, che oggi muoio. Subito, il medico chiama! Presto vedrai se finisco la vita che tu mi hai dato,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
si es mejor perderme a mí que herrar la cara a un esclavo.
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Vase Belisa. LISARDA
¿Hay tan estraña mudanza? ¿Quien de ver dar una voz llamaba delito atroz tanto atrevimiento alcanza que quiere herrar el más bello esclavo que el mundo vio? O la condición trocó, o es interesada en ello. ¿Hay tal locura y crueldad?
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Sale Tiberio. TIBERIO
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Aunque el ver desmayos tales no son indicios mortales, mueven, Lisarda, a piedad. No he visto jamás tan muerta a Belisa. ¿Qué ha tenido? Una necedad ha sido, que de su humor desconcierta. Ha dado en que se ha de herrar Pedro. ¿Pues? Es vuestro esclavo. Aún de comprarle no acabo ¿y ya tengo de mostrar tan grande crueldad con él? Ya sabéis su condición. Pero porque no es razón hacer acto tan crüel, fingir podéis que le herráis; que con un clavo fingido habréis con los dos cumplido, pues a ninguno agraviáis.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
se è meglio perdere me che marchiare il volto a Pedro. Se ne va Belisa. LISARDA
Che sospetto cambiamento! Colei che solo uno strillo chiamava delitto atroce ha raggiunto tanta audacia che vuol marchiare lo schiavo più bello che il mondo ha visto? O l’indole le è cambiata, oppure ha un altro interesse. Che crudeltà! Che pazzia! Entra Tiberio.
TIBERIO
LISARDA
TIBERIO LISARDA
TIBERIO
Benché questi svenimenti non preannuncino la morte, fanno, Lisarda, pietà. Non ho mai visto Belisa tanto smorta. Che succede? Una sciocchezza, che lascia del suo umore assai perplessi. Si è ostinata di marchiare Pedro. Allora? È schiavo vostro. L’ho comprato appena adesso e già devo dimostrare tanta crudeltà con lui? Sapevi già com’è fatta. Ma dacché non c’è motivo di essere così crudeli, puoi simulare quei marchi; che con un chiodo dipinto accontenti tutti e due, e non ferisci nessuno. 383
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO
Que también es cosa fuerte darla tanta pesadumbre si es de vuestros ojos lumbre. Pues ¿puédense hacer de suerte que parezcan verdaderos? Con mucha facilidad. ¿Que a cualquiera liviandad me ha de hacer Belisa fieros? Ahora bien, quede a tu cuenta fingir los hierros. Sí haré, porque esta loca no dé en hacernos una afrenta. Él viene. ¡Oh, Pedro!
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Sale Felisardo. FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO
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¡Oh, señor! ¿Cómo va en la nueva casa? Bien, gracias a Dios, se pasa. Todos me tienen amor. De Lisarda, yo lo juro, pero de Belisa no, pues te manda herrar, y yo por su gusto lo procuro, aunque me pesa en estremo. ¿Cómo? ¿Herrarme? ¡Vive Dios, que si lo intentáis los dos, siendo yo leal, que temo que os quite a entrambos la vida! Lo mismo manda a la esclava. Aquí la invención se acaba. ¡Yo soy, yo soy homicida del navarro caballero! Venid, que escondido estoy. ¿Qué dices?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
LISARDA TIBERIO LISARDA
TIBERIO
Che non è una cosa bella darle tanto dispiacere, se è la luce dei tuoi occhi. Si possono fare in modo che sembrino proprio veri? Con molta facilità. Che mi debba minacciare per ogni inezia Belisa! Dunque, tu ti occuperai di fingere i marchi. Certo, perché non le venga in mente a questa pazza un oltraggio. Arriva. Pedro! Entra Felisardo.
FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO
FELISARDO
TIBERIO FELISARDO
TIBERIO
Signore! Va bene la nuova casa? Certamente, grazie a Dio. Tutti mi vogliono bene. Non c’è dubbio, per Lisarda, ma Belisa non direi, ha ordinato di marchiarti, e per lei io lo farò, benché mi dispiaccia molto. Marchiarmi? Giuro su Dio, che se qualcuno ci prova, nonostante la lealtà, dovrò togliergli la vita! Lo stesso ordina alla schiava. Qui finisce l’invenzione. Son io, son io l’omicida del cavaliere navarro! Venite, sto qui nascosto. Che dici?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO
TIBERIO FELISARDO TIBERIO
FELISARDO
TIBERIO
Que el hombre soy que con el desnudo acero di la muerte a aquel hidalgo. (Loco le vuelve el pesar de herrarle.) No te han de herrar. Esperad, que luego salgo donde aventure la vida. Mira que por darla gusto y impedir tanto disgusto, será la letra fingida: que a los dos quiero pintar los clavos con una tinta que luego se quite. Pinta lo que se pueda borrar y llámame esclavo tuyo. Aguárdame, Pedro, aquí.
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Váyase Tiberio y sale Celia. CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
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¿Fuese ya Tiberio? Sí. ¿Qué hay de Lisarda? Que huyo, por tu gusto, de Lisarda. ¿Y de Belisa? Una cosa bien nueva y dificultosa. Dímela de presto. Aguarda. La desdicha que nos sigue nos confirma por esclavos. ¿Cómo? Que hoy nos ponen clavos. Pues ¿qué puede haber que obligue a tal desatino?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO
TIBERIO FELISARDO TIBERIO
FELISARDO
TIBERIO
Che sono l’uomo che, sfoderata la spada, uccise quel cavaliere. (Lo fa impazzire il dolore di marchiarlo.) Non ti marchio. Fermi, che subito andrò dove rischierò la vita. Per accontentare lei e impedire tanto orrore, la lettera sarà finta: voglio dipingere a entrambi i chiodi con una tinta che si tolga. Raffigura ciò che si può cancellare e chiamami schiavo tuo. Aspettami, Pedro, qui. Se ne va Tiberio ed entra Celia.
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
È andato Tiberio? Sì. Che vuole Lisarda? Fuggo, da lei, per farti piacere. E Belisa? Una questione nuova e molto complicata. Dimmela subito. Aspetta. La sfortuna che ci segue ci conferma come schiavi. Come? Ci mettono i marchi. E cosa spiegherà mai questa follia?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA
Haber dado en aquesto Belisa. De quien eres los avisa. Ya no será menester, porque con clavos fingidos nos han de herrar a los dos. Y viénenos bien, por Dios, para no ser conocidos, que Eliso me dijo aquí que nos andan a buscar. Si acertamos en errar, de veras me hierre a mí quien por ti pusiere clavos a un rostro que ya los tiene en el alma de quien viene la estampa.
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Salen don Juan y Carrillo. JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN
FELISARDO
(¿Qué estos esclavos no se han de apartar jamás?) Son letra y tilde, son nombre y firma. Él es gentilhombre. Y aun discreto. ¿Eso más? Holgaríaste de hablalle. Sí, mas no me puedo holgar de verle con Zara hablar si es discreto y de buen talle.) Pues aquí nadie nos ve, bien me puedes abrazar. Abrázanse.
CELIA
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Siempre te has de anticipar a mis deseos.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA
A Belisa è nato questo capriccio. Rivela a tutti chi siamo. Non ce ne sarà bisogno, perché con ferri dipinti entrambi ci marchieranno. Ed utili ci saranno per restare sconosciuti, che Eliso mi ha appena detto che ci verranno a cercare. Se non erro con il ferro, li faccia davvero a me chi porrebbe ferri a un volto che già li tiene nell’anima, della quale sarà il viso la stampa. Entrano don Juan e Carrillo.
JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN
FELISARDO
(Ma questi schiavi non si separano mai! Sono come una vocale con l’accento. È un gentiluomo. E intelligente. Anche questo? Ti piacerebbe parlarci. Sì, ma non mi può piacere vederlo parlare a Zara, se è bello ed intelligente.) Giacché nessuno ci vede, qui ci possiamo abbracciare. Si abbracciano.
CELIA
Sempre i desideri miei prevedi. 389
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO JUAN CARRILLO JUAN CELIA FELISARDO JUAN FELISARDO
JUAN FELISARDO CARRILLO FELISARDO CARRILLO
FELISARDO CARRILLO
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¿Qué fue? Que se abrazaron los dos, me parece en castellano. ¿Por qué la abrazas, villano? ¿Vionos don Juan? ¡Sí, por Dios! ¿Tú en casa tan principal, perro, haces esto? Señor, si piensas que es esto amor, el tuyo lo piensa mal; que porque me dijo aquí que bautizarse quería, lo que a cristiano debía hice en abrazarla ansí. Si bajar pudiera el cielo, sospecho que la abrazara, pues lo que el cielo intentara disculpa tiene en el suelo. Vete a la caballeriza, perro. Perdona, señor, ¿ser yo cristiano es error? (La palabra atemoriza.) ¡Hola, Pedro! ¿Qué me quieres? Ser cristiano es gran bondad, pero es mucha cristiandad abrazar a las mujeres. Vete, y advierte que aquí las esclavas no se abrazan. Y si amo y lacayo trazan gozarlas, ¿úsase? Sí.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO JUAN CARRILLO JUAN CELIA FELISARDO JUAN FELISARDO
JUAN FELISARDO CARRILLO FELISARDO CARRILLO
FELISARDO CARRILLO
Che cosa fanno? Si stanno abbracciando, credo, se lo dico in castigliano. Perché l’abbracci, villano? Don Juan ci ha visti? Sì! Cane, in una casa illustre tu fai questo? Se tu pensi che lo faccia per amore, il tuo amore sta sbagliando; che perché mi ha appena detto di volersi battezzare, quello che devo a un cristiano ho fatto nell’abbracciarla. Se il cielo potesse scendere, penso che l’abbraccerebbe, e quel che farebbe il cielo non è colpa sulla terra. Vattene alle scuderie, cane. Perdona, signore, sbaglio ad essere cristiano? (È audace con le parole.) Senti, Pedro! Cosa vuoi? Essere cristiani è giusto, ma è molta cristianità abbracciare le ragazze. Vattene, e sappi che qui non si abbracciano le schiave. Ed è normale che il servo ci provi insieme al padrone? Sì.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO CARRILLO
¿Sí? Pues espérate un poco. Algo ha de hacer este perro. Vase Felisardo.
JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA
JUAN CELIA
JUAN CELIA
Advierte, Zara, que es yerro volverme a desprecios loco. ¿Puedo, si no soy cristiana, quererte? Dame tu fe en teniéndola. Sí haré, pero no de ser liviana. Pues ¿qué es lo que harás por mí? Ser tu mujer. Es deshonra de un caballero. ¿Y es honra mía que me rinda a ti? Eres esclava. Tú fueras lo mismo a estar en Argel. En el tuyo estoy. Si en él, como dices, estuvieras, no tuvieras libertad para quitarme el honor. A mí, oblígame el amor. Y a mí, sangre y lealtad, que soy allá más honrada que tú aquí. Detente, espera. Es el vencerme quimera menos que estando casada. Váyase Celia.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO CARRILLO
Sì? Allora aspetta un po’. Cosa farà questo cane? Se ne va Felisardo.
JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA JUAN CELIA
JUAN CELIA
JUAN CELIA
Sappi, Zara, che è sbagliato farmi impazzire di sdegno. Posso amarti, se non sono cristiana? Dammi la fede avendola. Lo farò, ma non con disonestà. Che cosa farai per me? La moglie. Sarebbe un’onta per un nobile. E per me non è un’onta se mi arrendo? Tu sei una schiava. Ad Algeri lo saresti pure tu. Sono lo schiavo tuo. Se, come dici, tu lo fossi, non avresti libertà di privarmi dell’onore. Ma mi obbliga l’amore. A me, il sangue e la lealtà, che là sono più onorata che tu qui. Fermati, aspetta. Il vincermi è una chimera a meno che non mi sposi. Se ne va Celia.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO CARRILLO JUAN
Cerróse. Pensando estoy que si esta es noble en su tierra, en lo que dice no yerra: allá fue lo que aquí soy. Sale Lisarda.
CARRILLO LISARDA
JUAN LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO JUAN
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Tu madre. (Aun de burlas, es cosa que me da pesar hacer a los dos herrar.) ¿Es don Juan? Dame esos pies. ¿Hoy qué has hecho? Salí un poco al Prado. ¿Tú estás aquí? Mucho te espantas de mí. ¿No quieres que espante un loco? Deja a Carrillo, señora, que tengo que hablarte. Di. (Nunca tan Carrillo fui en tus manos como agora.) Este esclavo que tienes en tu casa es más galán que esclavo. Falta es esta más que el vino, que amor su furia vence; y más que el ser ladrón, que el amor roba las almas, que es robar su hacienda al cielo; más es que huir, porque este huir pudiera y perderse el valor, y amor espera, espera hasta que pierda honor y vida después de estar la libertad perdida. Y así juzgo que es justo que le vendas, que para esclavo, en fin, le sobran prendas. ¿Que le venda, don Juan?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO CARRILLO
Chiuso.
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Penso che se lei è nella sua terra nobile, in ciò che dice non sbaglia: là fu ciò che sono qui. Entra Lisarda.
CARRILLO
Tua madre.
LISARDA
(Sebbene finta, è una cosa dolorosa doverli fare marchiare.) Sei Juan? Al tuo servizio. Oggi che hai fatto? Son stato un poco al Prado. Tu qui? Ti faccio molta paura. Non fanno paura i pazzi? Lascia perdere il «carretto», che devo parlarti. Dimmi. (Sono nelle mani tue un vero e proprio «carretto».) Questo schiavo che tieni in casa tua è più amante che schiavo. Ed è un difetto più del bere, che amore è più furente; più del rubare, che l’amore ruba anime, rubando lavoro al cielo; più del fuggire, che potrebbe farlo e perdersi il valore, e amore aspetta, aspetta finché perde onore e vita dopo che è perduta la libertà. E così che tu lo venda sostengo, che, infine, è troppo per essere schiavo. Che lo venda, don Juan?
JUAN LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO JUAN
LISARDA
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO JUAN
LISARDA
JUAN LISARDA JUAN LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO
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Que luego al punto le vendas, y pues yo te lo aconsejo, no me preguntes más: vuélvele a Eliso y di que solo quieres esta esclava, si no quieres venderle en otra parte. Ahora bien, si conviene que le venda o que le vuelva a Eliso, vayan juntos el esclavo y la esclava, que no quiero tener esclava tan hermosa y bella. Que amor es más que el vino, pues le vence, y más que el hurto, pues las almas roba, y más que huir, pues el amor espera a que se pierda vida, hacienda y honra. La esclava no te enoja, ni deshonra. Pues ¿en qué me deshonra a mí un esclavo? En abrazar la esclava, por lo menos. ¿Vístelo tú? Yo vi que se abrazaban, y Carrillo lo vio. ¡Qué buen testigo! Yo vi cruzar los brazos y tocarse, paloteado en las espaldas tanto que solo les faltó, como flamencos, el decirse al tocar: «fróleque, fróleque». Lo que es la paz de Francia fue notable, como suelen tal vez mansas palomas envainarse los picos uno en otro y decirse requiebros en el cuello. Celos deben de ser, don Juan. ¿No tienes mujeres, por allá, bellas y libres? Deja esta mora, que en efeto es mora; no trates de vencerla, que es delito que nos puede costar hacienda y honra; que el enojo de Pedro con reñille,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO JUAN
LISARDA
JUAN LISARDA JUAN LISARDA JUAN LISARDA CARRILLO
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Che tu lo faccia subito, e visto che te lo consiglio, non chiedere altro: rendilo a Eliso e digli che vuoi soltanto la schiava, se non vuoi rivenderlo a qualcun altro. Bene, dunque se è giusto che lo venda o lo renda a Eliso, restino insieme lo schiavo e la schiava, perché non voglio tenere una schiava che è uno splendore. Che l’amore è più furente del vino, peggiore del furto, che anime ruba, peggiore della fuga, perché aspetta che si perdano vita, onore e beni. La schiava non ti disturba, né oltraggia. E come mi può oltraggiare uno schiavo? Abbracciando la schiava, per lo meno. L’hai visto tu? Io li ho visti abbracciarsi, e Carrillo pure. Che testimone! Vidi le braccia intrecciate e incrociate come spadini sulle schiene tanto che solo è mancato, come i fiamminghi, dirsi: «froleche, froleche» nel tocco. Quanto la pace di Francia importante, come usano talvolta le colombe inserire i becchi l’uno nell’altro e dirsi le galanterie nel collo. Sarà la gelosia, don Juan. Non hai donne, fuori di qui, libere e belle? Lascia questa mora, che mora è; non tentare di sedurla, che è colpa che ci può costare i beni e l’onore; che l’affronto di Pedro si castiga
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
con no dejar que suba ni que pase de aquestos corredores, se castiga.
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Vase. JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO
¿Fuese? Con los dos pies y los chapines. ¿Este gusto me da mi madre? Calla, que también eres tú terrible en esto. ¿Por qué quieres que venda a Pedro, [un hombre tan cuerdo, tan discreto y gentilhombre?
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Salga herrada en el rostro Celia. CELIA
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Apelo de esta crueldad al supremo autor del cielo, pues no ha de haber en el suelo ni remedio ni piedad. ¿Qué es esto? ¿Hay mayor maldad? Vive Dios, que sospechaba mi madre que a Zara amaba, y que en el rostro la herró porque aborreciese yo lo que de ella me agradaba. ¿Es esto verdad? Sí es. Míralo bien. ¿Que lo dudas? ¿Que te turbas y demudas? Suyo es el daño que ves; que tú, porque más estés sosegado de tu amor, antes recibes favor en afearle la cara,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
con un rimprovero, e impedendo che salga o passi per questi corridoi. Se ne va. JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO
Se ne è andata? Con le scarpine e i piedi. Quali gioie mi dà mia madre! Taci, che in questo sei terribile anche tu. Perché vuoi che si venda Pedro, un uomo intelligente, saggio e gentiluomo? Entra marchiata sul volto Celia.
CELIA
JUAN
CELIA JUAN CARRILLO
Mi appello per la ferocia al supremo autor del cielo, perché non c’è sulla terra né rimedio né pietà. Che crudeltà! Cos’è questo? Per Dio, che ha sospettato mia madre che Zara amavo, e l’ha marchiata sul volto affinché io detestassi quello che amavo di lei. È vero? Sì che lo è. Guardala bene. Ne dubiti? Perché ti alteri e ti turbi? Suo è il danno che vedi; che tu, per stare più calmo e sicuro del tuo amore, preferiresti piuttosto sfigurare il volto a lei,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
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que por ventura llegara a más peligro tu honor. Déjame mirar, Carrillo, aquellos dos cuyas rosas mancharon las rigurosas manos, bien puedo decillo, que corte un fiero cuchillo o que en Argel ate un moro. Cielo rosado que adoro, ¿qué cometas negras son las que con tal sinrazón eclipsan tus rayos de oro? Esas rosas encarnadas han dado tan negro fruto, que es mirar el sol con luto verlas de negro eclipsadas. Pero, pues están bañadas de tinieblas, cese el día que de su oriente salía; venga la noche y la muerte, y acábense de una suerte su luz y la vida mía. Quien en tan blanco papel tales letras escribió no imaginaba que yo tengo de poner en él el alma, para que dél salga aquel hierro estampado. Llega, no te dé cuidado, estampa ese hierro en mí. ¿Cómo te llegas ansí? Amor licencia me ha dado. Pues a mí no la crueldad de tu madre. Es gran razón, puesto me has en condición de hacer una liviandad.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
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invece di porre a rischio la reputazione tua. Lascia, Carrillo, che guardi quelle guance le cui rose macchiarono le severe mani, che posso ben dirlo tagli un feroce coltello o leghi un moro ad Algeri. Cielo rosato che adoro, che comete nere sono che sconsideratamente eclissano i raggi d’oro? Codeste rose incarnate hanno dato un nero frutto, che è guardare il sole a lutto vederle in nero eclissate. Ma, dacché sono bagnate di tenebre, cessi il giorno che dal suo oriente nasceva; venga la notte e la morte, e un destino quella luce finisca e la vita mia. Chi su carta così bianca ha scritto lettere tali non poteva immaginare che in essa devo riporre l’anima mia, perché ne esca quel marchio stampato in essa. Vieni, non ti preoccupare, imprimi in me questo marchio. Non osare avvicinarti! L’amore mi dà il permesso A me no la crudeltà di tua madre. Certamente, tu mi metti in condizione di fare una sventatezza. 401
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
CARRILLO JUAN
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Rosas puras, esperad, que voy a hacer que esta afrenta de vuestra hermosura sienta quien os deslustra y marchita, y será sentencia escrita de quien vuestra muerte intenta. Ven, Carrillo. ¿Dónde vas? Casarme tengo con ella, que si antes era tan bella, ahora, herrada, lo es más. No es cristiana, no podrás. Podré dar pena a Lisarda. ¿La afrenta no te acobarda? No hay cobarde en siendo loco. Oye, advierte, aguarda un poco. ¡Amor con ira no aguarda!
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Vanse. Celia sola. CELIA
Creído lleva don Juan que estos hierros son de veras, y son fingidas quimeras de celos que en ellas dan. Felisardo es tan galán, que en cualquier traje enamora: Belisa, Lisarda y Flora le quieren de una manera. ¿Quién de un melindre creyera tan grande mudanza agora? Sale Felisardo herrado en el rostro.
FELISARDO CELIA
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¿Estás aquí? ¿No me ves? ¿Cómo te subiste acá?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
CARRILLO JUAN
CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN
Aspettate, rose pure, farò in modo che l’oltraggio della bellezza colpisca chi vi opacizza e sfiorisce, e sarà sentenza scritta per chi vi pretende morte. Andiamo, Carrillo. Dove? Devo sposarla, perché se prima era così bella, lo è più ora che è marchiata. Non potrai, non è cristiana. Farò soffrire Lisarda. L’oltraggio non ti spaventa? Un pazzo non è codardo. Ascolta, pensaci, aspetta. Non aspetta amore irato! Se ne vanno. Celia sola.
CELIA
Don Juan ha creduto che questi marchi siano veri, e sono false chimere nate dalla gelosia. Felisardo è così bello, che affascina in ogni veste: Belisa, Lisarda e Flora lo amano tutte in tal modo! Chi da un capriccio credeva nascesse novità tale? Entra Felisardo marchiato sul volto.
FELISARDO CELIA
Tu sei qui? Sì, non mi vedi? Come sei salito qua?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO
CELIA
FELISARDO CELIA
FELISARDO
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FELISARDO
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Amor licencia me da: sus alas puso a mis pies. ¡Qué bien los hierros te están! Son en tu nombre, bien mío, aunque ha hecho un desvarío por verme herrada don Juan. ¿Cómo? Pienso que es de suerte su sentimiento, que ya a sí mismo se dará, si no a su madre, la muerte. ¡En buen enredo, ay de mí, nos ha puesto amor crüel! Pero ya saldremos dél, que no haber peligro aquí me obliga a sufrir que sea tu bello rostro afrentado. ¿Por qué, mi bien, si hoy me ha dado amor su firma y librea? Hoy soy tuya, que lo ven todos mis cinco sentidos: alégranse los oídos, la boca y manos también. Porque olvidos ni destierros puedan negar tus despojos, desde su alcázar los ojos están mirando los hierros. ¿Qué sientes tú de los tuyos? Que me corro que no sean como los tuyos desean, siendo estampa de los suyos. También mis ojos los ven y mi boca los alaba, y aún una pendencia brava hay entre los dos también: que de los clavos, por ser tuyos, están tan preciados
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO
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L’amore mi dà il permesso: mi ha messo ai piedi le ali. Come ti donano i marchi! Sono in nome tuo, amore, anche se don Juan ha fatto un eccesso nel vedermi. E come? Il suo sentimento tanto è cresciuto oramai che se stesso ucciderà, od ucciderà sua madre. Povero me, che pasticcio ha combinato l’amore! Ma noi presto ne usciremo, che l’essere in salvo qui mi costringe a sopportare l’oltraggio del tuo bel volto. Perché, tesoro, se amore mi ha dato firma e livrea? Oggi son tua, e lo sanno tutti e cinque i sensi miei: si rallegrano le orecchie, e anche la bocca e le mani. Perché né esilio né oblio ti neghino la vittoria, dalla roccaforte gli occhi i marchi stanno osservando. E tu che senti dei tuoi? Mi vergogno se non sono come vorrebbero i tuoi, essendo la loro impronta. Hanno visto gli occhi miei e lodato la mia bocca i marchi, e una lite atroce si è scatenata fra loro: che dei chiodi, essendo tuoi, si vantano tanto gli occhi, 405
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
CELIA
los ojos, que ya de honrados suyos los quieren hacer. La boca dice que están más cerca y que suyos son, pero en tan dulce cuistión los mismos hierros podrán poner paz si los juntamos. Dame los brazos y ireme. Amor llega, el alma teme.
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Abrázanse. Sale Belisa, y Flora. BELISA
FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO
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¡A muy buen tiempo llegamos! ¿No te han dicho, perro, a ti que no subas solo un paso de la escalera? No paso sin causa: a pedir subí cosas que son menester, que aquí me las han de dar. ¿Y es menester abrazar? Somos marido y mujer. ¿Desde cuándo? Desde el punto que a los dos nos han herrado. Hierros habemos juntado porque se ande todo junto. Pues ¿puede un hombre cristiano casarse con una mora? Ya es cristiana, pues agora está el serlo en vuestra mano. Su bautismo y casamiento podéis hacer en un día. ¿Quieres tú? Yo bien querría, que mi noble nacimiento se emplea en Pedro muy bien,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
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che sentendosi onorati vorrebbero farli propri. La bocca dice che stanno più vicino e che son suoi, ma nella dolce questione gli stessi marchi potranno porre pace se li uniamo. Abbracciami e me ne andrò. Vieni amore, l’alma teme. Si abbracciano. Entra Belisa, e Flora.
BELISA
FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO
BELISA CELIA
Arriviamo proprio in tempo! Cane, ma non ti hanno detto di non fare un solo passo sulla scala? Non l’ho fatto senza ragione: richiedo ciò che per me è necessario, e che qui riceverò. È necessario abbracciarsi? Siamo già marito e moglie. Da quando? Da quando entrambi siamo stati sfigurati. I marchi abbiamo congiunto per restare sempre insieme. Dunque può un uomo cristiano sposarsi con una mora? Già è cristiana, solo manca la vostra autorizzazione. Battesimo e matrimonio potete fare in un giorno. Tu lo vuoi? Io lo vorrei, gli illustri natali miei si coronano con Pedro, 407
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
BELISA CELIA BELISA CELIA
que, es por parte de su padre caballero, y por su madre, aunque mora, lo es también. Éntrate, infame, allá dentro; tú, perro, bájate allá. Pues ¿esto enojo te da? Entra, bárbara. Ya entro.
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Vase Celia. BELISA FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO FLORA BELISA FLORA
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Y tú, ¿qué aguardas aquí? Ver si tiemplas el rigor. Templarle pudiera amor, si caber pudiera en ti. Ven acá, Pedro. ¿Señora? ¿Sentiste mucho el herrarte? Por ser el rostro la parte que más el respeto honora, que más la vista venera, Dios sabe si lo he sentido, y más sabiendo que ha sido por quien honrarme pudiera. ¿Piensas que soy yo? Pues ¿quién? Don Juan. De celos será. ¿El dolor pasose ya? ¡Pluguiera a Dios que también el de la afrenta pasara! Tente, que te vas perdiendo. Vame, Flora, suspendiendo el alma su hermosa cara. ¿Agora hermosa?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
BELISA CELIA BELISA CELIA
perché da parte di padre è cavaliere, e di madre, sebbene sia mora, pure. Mettiti, infame, lì dentro; tu, cane, scendi di là. Perché ti arrabbi così? Entra, barbara. Sto entrando. Se ne va Celia.
BELISA FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO BELISA FELISARDO FLORA BELISA FLORA
E tu, cosa aspetti qui? Che tu temperi il rigore. L’amore potrebbe farlo, se tu ne fossi capace. Vieni qua, Pedro. Signora? Ti è dispiaciuto marchiarti? Essendo il volto la parte che di più il rispetto onora, che più venera la vista, sa Dio se mi è dispiaciuto, e più sapendo che è stato per colpa di chi onorarmi potrebbe. Io? Ma chi altro? Don Juan. È per gelosia. Il dolore è già passato? E voglia Dio che finisca anche quello dell’oltraggio! Fermati, ti stai perdendo. Flora, l’anima mi incanta la bellezza di quel volto. Ora bello?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO BELISA
FLORA
BELISA
FLORA BELISA
FLORA
BELISA FLORA BELISA
FELISARDO FLORA
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Los clavos son lunares que hermosean lo que otros rostros afean de menos bellos esclavos. ¡Que castigasen los cielos mis melindres de esta suerte! ¡Que un esclavo me dé muerte y una esclava me dé celos! ¡Ay, Flora, qué mal consejo me diste! Que estando herrado, al bien la puerta he cerrado. Por eso te lo aconsejo, que pudiera ser que hicieras alguna afrenta a tu honor. Pues algo intenta mi amor que tiemple estas ansias fieras. ¿Cómo tocaré una mano de este esclavo? ¡Linda cosa! ¿Eras tú la melindrosa? Es todo melindre en vano cuando llega amor por fuerza. Haz, Flora, alguna invención, no se pierda la ocasión. ¡Brava locura te esfuerza! Finge un desmayo, y haré que en brazos te lleve allá. Notable invención será. ¡Jesús! ¡Ay, Jesús! ¿Qué fue? Picome un mosquito un dedo, y como si fuera un rayo toda me muero y desmayo. ¿De un mosquito? (¡Lindo enredo!) ¿Qué quieres? ¿Ya no sabías sus melindres? Ya está muerta.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO BELISA
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BELISA
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BELISA FLORA BELISA
FELISARDO FLORA
Sono i marchi nèi che rendono più bello quello che imbruttisce i volti degli schiavi meno belli. Che castigassero i cieli i miei capricci così! Lo schiavo mi fa morire, la schiava mi ingelosisce! Flora, che brutto consiglio mi desti! Essendo marchiato, al bene ho chiuso la porta. Per questo l’ho consigliato, avresti potuto fare un qualche oltraggio al tuo onore. L’amore farà qualcosa per calmare l’ansia atroce. Come toccherò una mano dello schiavo? Che bellezza! Eri tu la capricciosa? I capricci sono vani quando arriva amore a forza. Flora, inventati qualcosa, non perdiamo l’occasione. Un folle ardire ti spinge! Fingi di svenire, in braccio ti farò portar di là. Sarà una grande invenzione. Gesù! Gesù! Che succede? Una zanzara mi ha punto un dito, e come se fosse un fulmine svengo e muoio. Per una zanzara? (Bello quest’imbroglio!) Non sapevi dei suoi capricci? È già morta. 411
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO FLORA
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
¿Muerta? Ten por cosa cierta que no vuelva en cuatro días. Tómala en brazos, que yo no la podré levantar. ¿Yo la tengo de llevar en brazos? Pues ¿por qué no? Alto, yo haré lo que mandas. Y yo iré a ver si alguien viene.
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Vase Flora. FELISARDO
Notable desmayo tiene. Ahora bien, quiero ser andas y llevar aquesta muerta.
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En teniéndola en los brazos sale Celia. CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
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¿Adónde vas de esta suerte? Esta imagen de la muerte, de aliento y vida desierta, llevo a echar sobre su cama, que Flora me lo mandó porque aquí se desmayó, y es, en efeto mi ama. A lo menos porque ya debes de quererla bien. Mejor los cielos me den vida. ¿No ves cómo está? ¡Ah, Felisardo crüel! Tú muy celoso de mí, y yo, ingratísimo, a ti por todo estremo fiel. Mas yo sí los he tenido justamente, porque soy tan ofendida.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO
Morta?
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Sta’ sicuro che non torna in sé per tre giorni. Prendila in braccio, che io non la potrò sollevare. La devo portare in braccio proprio io? E perché no? Vado, farò ciò che dici. Vedrò se viene qualcuno.
FELISARDO FLORA FELISARDO FLORA
Flora se ne va. FELISARDO
Terribile svenimento. Dunque, sarò una barella e porterò questa morta. Mentre la tiene in braccio entra Celia.
CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
Dove vai in questa maniera? Quest’immagine di morte, priva di vita e respiro, vado a mettere sul letto, che Flora me l’ha ordinato perché ha perso i sensi qui, e, di fatto, mi è padrona. E senz’altro perché ormai tu le devi voler bene. Per l’amor del cielo, Celia! Ma non vedi come sta? Ah, Felisardo crudele! Tu di me così geloso, mentre io ti sono, ingrato, estremamente fedele. Ma io sì che giustamente sono gelosa, perché ne sono offesa. 413
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA
FELISARDO
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Yo voy, Celia, en el traje fingido cumpliendo mi obligación: no te ofendo en otra cosa. Esta necia melindrosa dijo en aquesta ocasión que de picarla un mosquito estaba para espirar. Mandáronmela llevar. Ni aun tocarla te permito. Pues, si está como la ves, ¿tengo de dejarla aquí? Para darme gusto, sí, pero no, si el tuyo es. ¿Yo había de verte en los brazos otra mujer? Está muerta. ¿Muerta? Pues ¿no es cosa cierta? Llévala y hazla pedazos de ese corredor. Bien fuera, porque tanto me aborrece cuanto adora y encarece su madre, que si hoy quisiera, pienso, de su hacienda toda pudiera ser tesorero, y hacerle un engaño espero. Mal nuestro bien se acomoda. ¡Ay, Felisardo! Ya herrados, ¿qué podemos acertar? ¿Qué fin el tiempo ha de dar a casos tan desdichados? ¿Agora contemplas eso? ¿No ves que me estoy cansando?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO
CELIA FELISARDO CELIA
FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA
FELISARDO
Sto, Celia, secondo il travestimento, facendo il dovere mio: non ti sto offendendo in altro. Questa sciocca capricciosa ha detto in questa occasione che per colpa di un insetto è sul punto di morire. Mi hanno detto di portarla. Non ti permetto nemmeno di toccarla. In questo stato, devo abbandonarla qui? Per farmi contenta, sì, ma non se scontenti te. Dovevo vederti un’altra donna fra le braccia? È morta. Morta? Non è una certezza? Allora tienila e falla a pezzi. Bene farei, perché tanto mi detesta quanto mi adora e mi apprezza sua madre, che, se volessi, tutti i suoi possedimenti mi darebbe da gestire, ed aspetto di ingannarla. Male vedo il nostro bene. Ferrati, soltanto errati i nostri passi saranno? Che fine il tempo darà a eventi tanto infelici? Ora ti metti a pensarci? Non vedi che sono stanco?
415
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO CELIA
FELISARDO CELIA FELISARDO
Suéltala, y vente callando a tratar nuestro suceso a mi aposento, que ya no preguntarán por ti. Alto, yo la dejo aquí. Vamos. Sin sentido está.
1955
Vanse. Sale Flora. FLORA
Aunque con pena y con celos, al fin he dado lugar a que puedan acabar tantos melindres los cielos. Quien cuantos hombres miraba, melindrosa despreció, con un esclavo vengó a quien ofendido estaba, y sin mirar su bajeza le quiere tomar la mano.
1960
1965
Levántase Belisa. BELISA
FLORA BELISA FLORA
BELISA
416
¿Qué estás murmurando en vano, si sabes la fortaleza de aquel poderoso amor? ¡Jesús, señora! ¿Aquí estás? Dame la mano y sabrás la causa. ¡Estraño rigor! ¿Que aún no te llevó de aquí, dejándote yo en sus brazos? ¡Ay, Flora, que aquellos lazos no se hicieron para mí! Luego que adentro te fuiste, y yo llegada a su pecho iba como quien le adora,
1970
1975
1980
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO CELIA
FELISARDO CELIA FELISARDO
Lasciala, e vieni in silenzio a trattare il nostro caso in camera mia, che non chiederanno di te. Basta, la lascerò qui. Andiamo. È priva di sensi. Se ne vanno. Entra Flora.
FLORA
Fra dolori e gelosie, alla fine ho fatto in modo che riesca a mettere fine a tanti capricci il cielo. Chi ogni uomo che guardava capricciosa disprezzava, con lo schiavo ha vendicato chi aveva offeso, e ignorando la bassezza dello schiavo vuole toccargli la mano. Si alza Belisa.
BELISA
FLORA BELISA FLORA
BELISA
Che cosa mormori invano, se conosci la potenza dell’amore impetuoso? Gesù, signora! Tu qui? Dammi la mano e saprai il perché. Strano rigore! Ti ho lasciata in braccio a lui, e non ti ha portato via? Ahimè, Flora, quelle braccia non sono fatte per me! Quando te ne sei andata, ed io giunta sul suo petto restavo in adorazione, 417
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
418
dando rienda al pensamiento, ya tocándole la mano, ya llegando el rostro al cuello, como que el mismo desmayo era de estas cosas dueño, entró Zara, y de miralle celosa rémora siendo, detuvo la nave mía que llevaba en popa el viento. Yo tenía entre sus brazos el cuerpo, pero en el suelo los pies; y aunque me pesaba de ver de los dos los celos, agradecía mi agravio; y por estar en su pecho rogaba a Dios que durasen los enojos que me dieron. ¿Quién vio de amor, quién oyó tal laberinto y enredo como yo, que, con fingido desmayo, estuviese oyendo los mismos celos que daba a quien le tuvo por cierto, y descubrió a voces claras los más estraños secretos que hay en fábula ni historia? ¡Ay, señora! ¿Qué dijeron? Ella le llamaba a él Felisardo, que no Pedro, y él a ella, Celia. ¿Cómo? Celia, que no Zara. ¡Ay, cielos! En fin, en sus relaciones, en sus quejas, en sus miedos, yo entendí, si no me engaño, que no son esclavos estos.
1985
1990
1995
2000
2005
2010
2015
LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
dando sfogo ai desideri, ora toccando la mano, ora col viso sul collo, come se lo svenimento fosse padrone di questo, entrò Zara, e nel guardarlo fece da freno geloso, arrestò la nave mia, che teneva il vento in poppa. Tenevo fra le sue braccia il corpo, ma i piedi a terra; e, sebbene mi pesasse vederli entrambi gelosi, gradivo l’offesa mia; e per restargli sul petto pregavo Dio che durasse la rabbia che mi nasceva. Chi vide o sentì d’amore tale intrigo e labirinto come me, che, da svenuta per finta, ho udito la stessa gelosia che originavo in chi la provò davvero, e ha svelato chiaramente i più curiosi segreti che stanno in favole e storie? Ah, signora! Che hanno detto? Lo chiamava Felisardo, e non Pedro, mentre lui Celia la chiamava. Come? Celia, e non Zara. Gesù! Dunque, dai loro racconti, dai lamenti e le paure, ho capito, se non sbaglio, che questi non sono schiavi. 419
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FLORA BELISA FLORA
BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
Ese es engaño notorio. ¿Engaño, Flora? A no serlo, ¿cómo dejaran herrarse? ¿Cómo sufrieran los hierros? Aunque el otro día vi, al entrar en su aposento de Pedro, un jubón de tela; pero engañome, diciendo que un esclavo que le hurtó allí le trajo a esconderlo. ¿Jubón de tela? Y muy fina. ¿Si es aqueste caballero, y por alguna desdicha vino a tan triste suceso? Si por los hierros no fuera, no lo dudara. ¿Qué haremos? Disimular. Sí, mas mira que se han de huir y que quedo perdida, y más desde agora que es Felisardo y no Pedro. Para estorbar que se vaya: mal puedo darte consejo. Ya yo le sé. ¿Cuál? Escucha: llámame a Carrillo presto.
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Sale Carrillo. FLORA BELISA
420
Él llega por escusarme. (Amor le trujo a mi ruego.)
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FLORA BELISA FLORA
BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA BELISA
Per forza sbagliando stai. Mi sbaglio, Flora? Altrimenti, come avrebbero permesso o retto la marchiatura? Benché l’altro giorno ho visto, nell’entrare nella stanza di Pedro, un manto di tela; però mi ingannò, dicendo che uno schiavo l’ha rubato e poi l’ha nascosto lì. Di tela? E di qualità. E se questo è un cavaliere, che per disgrazia è finito in una triste vicenda? Se non fosse per i marchi, dubbi non avrei. Che cosa faremo? Dissimulare. Sì, ma fuggiranno ed io sarò perduta, e di più se è Felisardo e non Pedro. Per evitare che fugga, male posso consigliarti. So già come fare. Come? Presto, chiamami Carrillo. Entra Carrillo.
FLORA BELISA
Non serve, sta già arrivando. (Amor lo porta per me).
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO CARRILLO
FLORA CARRILLO
FLORA BELISA
CARRILLO
BELISA CARRILLO BELISA
CARRILLO
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¿A qué ha de llegar la furia de amor? ¡Qué buenos están de su obediencia don Juan y Lisarda de su injuria! La madre llora y promete casarse por castigalle, y él con la esclava, por dalle más pena. ¿Qué hay, alcahuete? ¡Oh, secretaria crüel de la ninfa melindrosa! La que se alcorza y endiosa, la que viendo en un papel un san Jorge dibujado, de la sierpe se espantó. ¡Mira que está aquí! Si yo, Carrillo, hubiera mostrado melindre viéndote a ti, ¿qué sierpe más espantosa? Perdona, que esto no es cosa que arguye malicia en mí, y pruébame en tu servicio si quieres ver lo que soy. Hazme un placer. Aquí estoy. Yo he visto, Carrillo, indicio de que Pedro quiere huirse. Sin esto, su atrevimiento llega a entrar al aposento de Zara, y no es de sufrirse. Parte a un herrero, y harás una argolla y un virote. Pues eso no te alborote, señora, que ayer no más
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO CARRILLO
FLORA CARRILLO
FLORA BELISA
CARRILLO
BELISA CARRILLO BELISA
CARRILLO
Dove arriverà la furia dell’amore? Bravi sono don Juan ad assoggettarsi e Lisarda ad insultare! La madre piange e promette di sposarsi per castigo, lui, con la schiava, per farla soffrire. Che c’è, ruffiano? Oh, segretaria crudele della ninfa capricciosa! Quella che si glassa e loda, che vedendo sulla carta un san Giorgio disegnato, si spaventò della serpe. Guarda che sta qui! Se io, Carrillo, avessi mostrato un capriccio nel vederti, che serpe più spaventosa? Perdona, non è una cosa che rivela in me malizia, e provami al tuo servizio per vedere quanto valgo. Fammi un piacere. Comanda. Ho visto, Carrillo, indizi che Pedro vuole fuggire. Inoltre è tanto sfacciato che è arrivato a entrare in stanza da Zara, e non va permesso. Va’ da un fabbro, e fatti fare un collare ed un bastone. Non ti devi preoccupare, signora, che proprio ieri
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
BELISA
CARRILLO
este regidor vecino a un esclavo le quitó; iré a pedírselo yo. Échasele de camino, con favor de los criados de casa. Traeré de enfrente un lacayo muy valiente de bigotes engomados, hombre de más libertad que un cochero.
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Vase. BELISA
FLORA BELISA
Parte presto, que yo viviré con esto en mayor seguridad mientras vengo a conocer si es Pedro o si es Felisardo. El fin del suceso aguardo. Por fuerza lo ha de tener.
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Salen Lisarda y don Juan y Tiberio. LISARDA
TIBERIO LISARDA BELISA JUAN
BELISA
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¿Libertades a mí? Pues por el siglo de vuestro padre, qué veáis muy presto la venganza que tomo de vosotros. Hermana, reportaos: don Juan es mozo, y, en fin, es vuestro hijo. No es mi hijo. ¿Qué es aquesto, don Juan? Vuestras quimeras, que mi madre te pone a ti la culpa. ¿Quién herrara una esclava tan hermosa? En crueldades pararon tus melindres. Pues ¿qué te importa a ti?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
BELISA
CARRILLO
un consigliere vicino ad uno schiavo lo ha tolto; andrò a chiederglielo io. Mettiglielo di sorpresa, con l’aiuto di altri servi della casa. Porterò un valoroso lacchè con i baffi impomatati, uomo di più libertà che un cocchiere. Se ne va.
BELISA
FLORA BELISA
Sii veloce, che in questo modo vivrò con maggiore sicurezza mentre cerco di scoprire se è Pedro o se è Felisardo. Chissà come andrà a finire. Per forza una fine avrà. Entrano Lisarda e don Juan e Tiberio.
LISARDA
TIBERIO LISARDA BELISA JUAN
BELISA
A me parli così? Per la memoria di vostro padre, presto capirete come mi vendicherò su di voi. Calma, sorella, è giovane don Juan, ed, in fondo, è tuo figlio. Non lo è. Che succede, don Juan? Le tue chimere, che nostra madre dà la colpa a te. Chi avrebbe marchiato una bella schiava? Crudeli diventano i tuoi capricci. A te cosa importa?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO JUAN LISARDA TIBERIO JUAN TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
JUAN
TIBERIO JUAN
Mucho me importa, que es mi mujer. ¡Oh, infame! ¿De tu boca salen tales afrentas de tu sangre? Dícelo con enojo, que no es hombre don Juan que ha de afrentar nuestro linaje. De veras hablo, tío. Calla, loco. Pues alto: si don Juan se determina a quererse casar con una esclava, yo me quiero casar con un esclavo. La mitad de la hacienda es mía. Bueno, también eres tú loca. ¿Qué te espantas que don Juan te parezca? No hay cordura con hijos atrevidos, deslenguados y inobedientes. Hoy haremos cuenta: no piense que le toca su legítima tan entera el villano, que en un año me ha gastado en sus deudas, en sus galas y en sus placeres deshonestos cinco, ¿cinco? y aun más de siete mil ducados. Si pensabas casarte y pretendías desampararnos, sin enredos puedes casarte con quien ya tendrás trazado, que yo y mi hermana viviremos juntos con más honra que estamos en tu casa. Salte allá fuera ya, que es desvergüenza. ¿Así tratas las tocas de tu madre? Respeto en vos las canas de mi padre. Sale Felisardo.
FELISARDO TIBERIO
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¿Esto se puede sufrir? ¿Esto es bien hecho? ¿Qué es esto?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
Mi importa molto,
JUAN
che è mia moglie. LISARDA TIBERIO JUAN TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA
JUAN
TIBERIO JUAN
Oh infame! Dalla tua bocca escono tali oltraggi del tuo sangue? Lo dice per rabbia, che non è uomo don Juan da oltraggiare il nostro lignaggio. Ma parlo sul serio, zio. Zitto, pazzo. Fermi tutti: se don Juan è deciso a volersi sposare con la schiava, io voglio sposarmi con uno schiavo. La metà dei beni è mia. Allora bene, che sei pazza anche tu. Ti meravigli se Juan ti assomiglia? Non c’è buon senso con i figli insolenti, spudorati e ribelli. Adesso faremo i conti: non pensi quel villano che gli tocchi la legittima intera, che in un anno mi ha speso in debiti, lussi e piaceri disonesti, cinquemila ducati, cinque? perfino più di settemila. Se pensavi di sposarti e volevi abbandonarci, senza intrighi puoi sposarti con chi già avrai progettato, perché mia sorella ed io vivremo insieme più onorati che con te. Vattene via, che sei uno svergognato. Questo è il modo di trattare una madre? Vi stimo come si rispetta un padre. Entra Felisardo.
FELISARDO TIBERIO
Questo si può sopportare? È forse giusto? Che cosa? 427
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO FELISARDO
LISARDA BELISA FELISARDO BELISA LISARDA
¿No basta el haberme puesto estos hierros sin huïr, sino que mandáis echarme argolla y virote a mí? Yo no lo mandé. Yo sí. Pues ¿en qué puedes culparme? Madre, el esclavo se va; yo lo sé de Zara. ¡Ah, perro! ¡Hiérrenle! ¿No viene el hierro?
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Sale Carrillo, y cuatro lacayos. CARRILLO LISARDA LACAYO LISARDA FELISARDO TIBERIO BELISA
A punto el virote está y la valerosa gente. Echádsele al fugitivo. ¡Hola, Sancho! Por Dios vivo, que dicen que es muy valiente. Herralde, y vamos de aquí. ¡Qué notable confusión! No me parece razón herrarle. Pues a mí sí. Vanse y queden con Felisardo los lacayos.
FELISARDO CARRILLO FELISARDO
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¡Llegad, perros! Luego ¿piensas defenderte? Solo siente mi valor que sois ruin gente, no las afrentas y ofensas.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO FELISARDO
LISARDA BELISA FELISARDO BELISA LISARDA
Non basta avermi marchiato senza tentare la fuga, addirittura ordinate il collare e le catene? Non l’ho ordinato. Io sì. Ma di che cosa mi accusi? Madre, se ne vuole andare; me l’ha detto Zara. Cane! Pronti! Catene e collare! Entra Carrillo, e quattro servi.
CARRILLO LISARDA SERVO LISARDA FELISARDO TIBERIO BELISA
I ferri sono già pronti e la gente valorosa. Metteteli al fuggitivo. Su, Sancho! Con molta forza, dicono che è vigoroso. Incatenatelo, e andiamo. Che tremenda confusione! Non ne vedo la ragione. Basta che la veda io. Se ne vanno e restano con Felisardo i servi.
FELISARDO CARRILLO FELISARDO
Forza, cani! Allora, pensi di difenderti? L’ingiuria il mio valore non soffre, ma che siate gente vile.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO SEGUNDO
Andan al mojicón y ásenle, y en fin en el suelo le ponen el virote. FELISARDO LACAYO
2
FELISARDO LACAYO LACAYO
3 4
CARRILLO
FELISARDO
LACAYO CARRILLO
LACAYO
2
Sois muchos, al fin caí. Ríndete, perro Mahoma. (Cielos, ¿quien me adora toma tanta venganza de mí?) Ea, perrazo, está quedo. Remacha bien. Bien está, que no se le quitará a dos tirones. Hoy puedo decir que llegó mi mal al estremo que podía. Ya sabe que hoy es el día de ser franco y liberal. Cuélense en esa taverna. Llevaré veinte aceitunas, que no ha de ser en ayunas. Yo serviré de lanterna.
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Vanse y queda solo Felisardo con el virote puesto. FELISARDO
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Crüel amor, ¿tan fieras sinrazones tras tanta confusión, tras pena tanta? ¿De qué sirve la argolla a la garganta a quien jamás huyó de tus prisiones? ¿Hierro por premio das a mis pasiones? Dueño crüel, tu sinrazón espanta: el castigo a la pena se adelanta, y cuando sirvo bien, hierros me pones. ¡Gentil laurel, amor! ¡Buenos despojos! Y en un sujeto a tus mudanzas firme, hierros, virote, lágrimas y enojos. Mas pienso que has querido persuadirme que, trayendo los hierros a los ojos, no pueda de la causa arrepentirme.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO SECONDO
Lo spingono a schiaffi e lo legano, e alla fine a terra gli mettono il collare. FELISARDO SERVO
2
FELISARDO SERVO SERVO
3 4
CARRILLO
FELISARDO
SERVO CARRILLO
SERVO
2
Troppi, alla fine ho ceduto. Arrenditi, Maometto! (Cielo, chi mi adora prende su di me questa vendetta?) Su, cagnaccio, sta’ tranquillo! Martella bene. È ben messo, e non se lo toglierà facilmente. Adesso posso dire che è arrivato il male all’estremo che poteva. Già sa che è venuto il giorno di essere franco e sincero. Entrate in questa taverna. Delle olive porterò, non finiremo a digiuno. Io servirò da lanterna.
Se ne vanno e resta solo Felisardo con il collare chiuso. FELISARDO
Crudele amor, atroci vessazioni dopo tanto scompiglio e tanta pena? A che serve alla gola la catena di chi mai rifuggì le tue prigioni? Ferro, per premio, dai alle passioni? Empio padrone, l’eccesso mi aliena la punizione supera la pena, e quando servo bene, mi imprigioni. Che alloro, amore! Bella preda afferri! In un soggetto fermo al mutamento, rancore, lacrime, collare e ferri. Penso che mi sarà da ammonimento perché, ai miei occhi avvicinando i ferri, del motivo non giunga al pentimento. 431
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Salen Eliso y Lisarda. LISARDA ELISO
LISARDA
ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA ELISO LISARDA
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Reporta, Eliso, el enojo. ¿En qué guerra le ganaste, Lisarda, que le trataste como a bárbaro despojo? ¿Virote a un esclavo honrado, y que apenas tuyo es? ¿Qué le pondrás de aquí a un mes? Mi hija es loca y ha dado en aqueste desatino, temiendo que se ha de ir. Mas tú la puedes reñir. ¡Por Dios, Lisarda, que vino a lindo dueño el esclavo del regalo que tenía! Pues tú sabrás algún día quién es. Su virtud alabo y doy la culpa a Belisa. ¿Es melindre herrar un hombre que si supieras su nombre, aunque su talle te avisa, te movieras a piedad? Pero ve, porque la riñas. Pondrele entre las dos niñas de los ojos. Regalad a quien tan bien lo merece, que algún día... Pues ¿quién es? Yo sé que sabrás después lo que quien ama padece. En gran confusión me pones.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano Eliso e Lisarda. LISARDA ELISO
LISARDA
ELISO
LISARDA ELISO
LISARDA ELISO LISARDA ELISO LISARDA
La rabbia, Eliso, reprimi. In che guerra lo vincesti, Lisarda, che lo trattasti come un barbaro bottino? Il collare ad uno schiavo onorato, e appena tuo? Fra un mese che gli farai? Questa folle idea è nata a mia figlia, quella pazza, per paura che fuggisse. Ma tu puoi rimproverarla. Per Dio, Lisarda, ha trovato un bel padrone lo schiavo dal benessere che aveva! Un giorno tu scoprirai chi è. Ne lodo le virtù e do la colpa a Belisa. Che sfizio è marchiare un uomo che se ne sapessi il nome, benché l’aspetto ti avvisi, ti muoveresti a pietà? Ora va’ a rimproverarla. Lo terrò in palmo di mano. Trattate bene chi tanto lo merita e forse un giorno… Allora dimmi chi è. So che fra poco saprai che cosa soffre chi ama. Mi metti in gran confusione.
433
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO ELISO
LISARDA
No hay que preguntarme más. Presto, Lisarda, sabrás notables transformaciones. ¡Oh amor! Si fuesen verdad las sospechas que he tenido, hoy a este esclavo fingido declaro mi voluntad.
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Vase Lisarda, y sale Carrillo, lacayo. CARRILLO ELISO CARRILLO
ELISO
CARRILLO ELISO
CARRILLO
ELISO CARRILLO
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No sé quién puede sufrir una mujer tan cansada. ¿Qué hay, Carrillo? Poco o nada. Nada se puede decir aquello que solo es viento: los melindres viento son... No lo son a mi pasión, aunque el viento es elemento que en fuego suele mudarse, y de ese viento es mi fuego. Pésame que estés tan ciego. Puesto que bastara a helarse en sus melindres amor, por ser de su fuego hielo, yo me abraso y me desvelo. Si yo no fuera, señor, por Tiberio tan aprisa, lindas cosas te contara. ¿Son de Belisa? Repara en que la niña Belisa, la que un confite de mana parte en dos para comelle, y a quien un día vi hacelle, de solo ver una rana, dos sangrías en un hora,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO ELISO
LISARDA
Non devi chiedermi altro. Presto, Lisarda, saprai importanti cambiamenti Amore! Se fosse vero il sospetto che ho tenuto, oggi a questo finto schiavo dichiaro la volontà. Se ne va Lisarda, ed entra Carrillo, lacchè.
CARRILLO ELISO CARRILLO
ELISO
CARRILLO ELISO
CARRILLO
ELISO CARRILLO
Non so chi può sopportare donna così fastidiosa. Che succede? Poco o niente. Niente si può definire quello che è soltanto vento: i capricci vento sono... Non per la passione mia, anche se il vento è elemento che in fuoco suole mutarsi, di tale vento è il mio fuoco. Mi dispiace, che sia cieco. Premesso che gelerebbe nei capricci quest’amore, come gelo di quel fuoco tutto divampo e ne soffro. Se non andassi, signore, tanto in fretta per Tiberio, belle cose ti direi. Sono di Belisa? Sappi che alla fanciulla Belisa, quella che una caramella divide in due per mangiarla, alla quale vidi fare, per aver visto una rana, due salassi in solo un’ora, 435
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
ELISO
CARRILLO ELISO CARRILLO
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ha dado en unos desmayos que, como el sol por sus rayos, muestran que este esclavo adora. En estando desmayada, le han de llamar o morirse. Y esto viene a resumirse en que la niña alcorzada toma la mano al esclavo, que dice que el corazón siente sosiego en razón de las uñas. Mucho alabo la virtud de Pedro en ser de Belisa medicina, si no es que a querer se inclina lo que no puede querer. ¿Por qué no? ¿No es hombre? Sí, que en fin, aunque esclavo, es hombre. Pues si no lo estorba el nombre, está seguro de mí que he visto en él que la adora, aunque finge estar cansado de verse siempre ocupado en curar esta señora. Mas es hombre y es querido, ella hermosa y él mancebo. No picar en tanto cebo tan de bestia hubiera sido, que la uña que tocara le fuera de más provecho. Mas ¿no miras lo que ha hecho esta a quien la fénix rara urraca le parecía, y el más galán, sayagués?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
ELISO
CARRILLO ELISO CARRILLO
sono presi svenimenti che, come il sole dai raggi, mostrano che ama lo schiavo. E standosene svenuta, devono chiamarlo o muore. E tutto para nel fatto che la bambina glassata prende la mano allo schiavo, e dice che il cuore sente sollievo grazie alle unghie. Molto lodo la virtù di Pedro, che è medicina di Belisa, se non è che ad amare si dispone quello che non può volere. Perché no? È un uomo? Sì, in fondo uno schiavo è un uomo. Beh, se non lo intralcia il nome, sta certo di quel che dico che ho osservato che la adora, anche se si finge stanco di essere sempre occupato a curare la signora. Ma è un uomo, ed è amato, bella lei, giovane lui. Non mangiare questo cibo tanto da bestia sarebbe, che l’unghia le avrebbe dato un maggiore giovamento. Non vedi che cambiamento in chi la fenice rara scambiava per una gazza, e il più bello per villano?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO ELISO CARRILLO
ELISO CARRILLO
Castigo del cielo es. ¡Qué bien un hombre decía que no hay eleción más fea que en la mujer melindrosa! Pero ¿mandas otra cosa? Adiós. Adiós.
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Vase. ELISO
¡Que se crea de un hombre honrado y amigo esta traición! ¿Esto aguardo en galardón, Felisardo? ¿Tal traición usas conmigo? ¿Es posible que, olvidado de Celia, mi dama quieres?
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Sale don Juan. JUAN ELISO JUAN ELISO JUAN ELISO JUAN ELISO
JUAN
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¿Que aquí quedaba? ¿Tú eres noble, tú amigo, tú honrado? ¡Eliso mío! ¡Don Juan! ¿Qué esclava es esta que aquí trujiste? (¡Bueno!) (¡Ay de mí!) (Todos parece que están contra mi honor de concierto.) ¿Dirás que te agrada? Y tanto, que de que viva me espanto un hombre después de muerto. ¿Quiéresmela dar a mí? ¿Quiéresmela a mí vender?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO ELISO CARRILLO
ELISO CARRILLO
Castigo del cielo è. Dice bene chi sostiene che non c’è scelta peggiore di quella delle bizzose! Desideri qualcos’altro? Addio. Addio. Se ne va.
ELISO
Non posso credere che mi tradisca un amico che stimavo! Lo merito, Felisardo? Mi tradisci in questo modo? Possibile che, scordata Celia, tu voglia Belisa? Entra don Juan.
JUAN ELISO JUAN ELISO JUAN ELISO JUAN ELISO
JUAN
È rimasto qui? Tu sei nobile, amico, onorato? Eliso amico! Don Juan! Che schiava è questa che qui hai mandato? (Bene!) (Ahimè!) (Sembrano tutti d’accordo per rovinarmi l’onore.) A te piace? E così tanto che mi spavento che viva un uomo dopo che è morto. Me la potresti lasciare? Me la venderesti? 439
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO ELISO
JUAN
ELISO
JUAN ELISO
JUAN ELISO JUAN ELISO
(Mi venganza viene a ser cierta y breve por aquí.) ¿Quiéresla bien? En mi vida me he visto en tan triste estado; tanto, que tengo pensado, si de quien soy se me olvida, viéndola a mis ruegos fuerte, hacerla propia mujer; y en acabando de ser mi mujer, darme la muerte, o irme donde jamás visto de algún hombre sea. Ya que en servilla te emplea amor, por quien loco estás, solo te puedo advertir que es mujer tan principal que no naciste su igual. ¿No es turca? Lo que es decir quién es has de perdonarme. Basta decirte que aciertas si el casamiento conciertas. ¿Con ella puedo casarme? Por no te decir quién es, me voy. Espera. No puedo, que tengo a la lengua miedo, y yo te hablaré después.
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Vase Eliso. JUAN
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No en vano yo te adoraba, – ¡oh, prenda del alma mía! –,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO ELISO
JUAN
ELISO
JUAN ELISO
JUAN ELISO JUAN ELISO
(Certa e veloce la vendetta sarà per questo cammino.) La ami? Mai nella mia vita mi ero visto in questo triste stato; tanto che ho pensato, se dimentico chi sono, vedendola riluttante a cedere, di sposarla; e non appena sarà consorte, darmi la morte, o fuggire dove mai sarò visto da nessuno. Giacché a servirla ti spinge amore, e pazzo ti rende, solo posso dirti che è donna tanto importante che non le nascesti al pari. Non è turca? Adesso dirti chi è costei proprio non posso. Basti dirti che indovini se combini il matrimonio. Posso sposarmi con lei? Me ne vado per non dirti chi sia. Aspetta. Ma non posso, ho paura di dir troppo, te ne parlerò più tardi. Se ne va Eliso.
JUAN
Non invano ti adoravo, – bene dell’anima mia! –,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
pues el alma me advertía de aquello que yo inoraba. ¿Hay tal bien? ¿Hay tal ventura? Sale Lisarda. LISARDA JUAN
¿De qué es la ventura y bien? De que los cielos me den una esperanza segura, de que fui Pigmaleón, pues se me ha vuelto mujer la que fue de piedra ayer para mi honor y opinión. Madre, yo estoy ya casado, no me preguntéis con quién, que yo sé que os está bien, si Eliso no me ha engañado. Apercebid, madre mía, joyas y casa a una nuera, que si el sol hijos tuviera, preciarse de ella podría. Ya descansaréis, señora, del cuidado de mi estado, ya el cielo mujer me ha dado. No me preguntéis agora quién, para qué ni por qué: que el quién es el bien que vi; el para qué, para mí; y el por qué, porque la amé. Y ha de ser de esta manera el cómo y cuándo se acabe: el cómo, como amor sabe, y el cuándo, cuando Dios quiera. Vase.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
perché l’anima avvertiva quello che io non sapevo. Che bellezza! Che fortuna! Entra Lisarda. LISARDA JUAN
Che bellezza? E che fortuna? Perché il cielo mi darà una speranza sicura, di esser stato Pigmalione, perché è diventata donna quella che ieri era pietra per la fama e per l’onore. Madre, sono già sposato, non chiedetemi con chi, che so che vi piacerà, se Eliso non mi ha ingannato. Preparate, madre mia, casa e gioielli a una nuora, che se il sole avesse figli, si vanterebbe di lei. Riposerete, signora, dell’angoscia del mio stato, il cielo moglie mi ha dato. Non domandatemi adesso chi, né per chi, né perché: il chi, è il bene che ho veduto; il per chi, sarà per me; il perché, perché l’ho amata. E sarà in questa maniera come e quando finirà: come, come sa l’amore, quando, quando Dio vorrà. Se ne va.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO LISARDA
¿Qué enigmas, qué desatinos son estos? ¿Qué loco error de los consejos de amor? Pero todos son caminos para conocer que son estos esclavos fingidos. Pensamientos atrevidos, tomemos resolución. Este esclavo es caballero: ¿qué aguardo, pues que le adoro?
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Sale Belisa, furiosa, y Celia y Flora teniéndola. BELISA
LISARDA CELIA
BELISA LISARDA BELISA
CELIA BELISA FLORA
Llamadme ese perro moro de quien mi remedio espero. Presto, presto, que me aprïeta fuertemente el corazón. ¿Qué es esto? Aquella pasión que la oprime y la sugeta a los desmayos que ves. Llamad a Pedro, enemigas. Hija, ¿de qué te fatigas? ¿Qué es esto? ¿No veis lo que es esta fuerza del sentir y este forzoso callar? A Pedro voy a llamar. No tú; Flora puede ir. Pues yo voy.
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Vase. CELIA BELISA LISARDA
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(¡Que Felisardo guste de que viva aquí!) Madre, duélase de mí. ¿Qué tienes?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO LISARDA
Che enigmi, che assurdità son questi? Che folle errore dei consigli dell’amore? Però tutte sono strade per venire a conoscenza che son falsi questi schiavi. Oh pensieri temerari, prendiamo una decisione. Questo schiavo è un cavaliere: se l’adoro, cosa aspetto? Entra Belisa, furiosa, e Celia e Flora tenendola.
BELISA
LISARDA CELIA
BELISA LISARDA BELISA
CELIA BELISA FLORA
Chiamate quel cane moro dal quale aspetto rimedio. Presto, presto, che mi opprime il cuore violentemente. Che succede? La passione che la schiaccia, e la costringe ai mancamenti che vedi. Chiamate Pedro, nemiche. Figlia, che cosa ti affanna? Cos’è? Non vede cos’è questa forza del sentire, questo forzato tacere? A chiamare Pedro andrò. Non tu; può chiamarlo Flora. Allora vado. Se ne va.
CELIA BELISA LISARDA
(Che piaccia a Felisardo star qui!) Madre, si affligga per me. Cosa c’è? 445
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO BELISA LISARDA BELISA
LISARDA
BELISA
LISARDA BELISA CELIA
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La muerte aguardo. ¿Qué sientes? Un no sé qué que me da en el corazón con una cierta pasión que se siente y no se ve. Tengo en él un arador, que me escarba y hace mal, como un granito de sal, y aun sospecho que es menor. Tengo el corazón tan niño, que llora de cualquier cosa. Madre mía, madre hermosa, oiga, mire que la riño de que no me ha regalado. Triste, ¿qué te puedo hacer, si el corazón ha de ser con epítimas curado? Gasta mi hacienda en jacintos, en perlas, oro y corales. ¿No ve que son estos males de los que piensa distintos? Hágame, madre, una cuna, donde mezca el corazón, porque duerma en la pasión que me aflige y importuna. Cómpremele un vaquerito y unos zapatos dorados, dele confites pintados. ¿Estás loca? Hable quedito, que pensará que es el coco. Será el corazón primero con zapatos y vaquero. (¿Hay tal melindre?)
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO BELISA LISARDA BELISA
LISARDA
BELISA
LISARDA BELISA CELIA
La morte aspetto. Cosa senti? Un non so che che mi colpisce nel cuore con una certa passione che si sente e non si vede. Ho nel cuore un insettino, che mi scava e mi fa male, come un granello di sale, ma anche più piccolo credo. Ho il cuore così bambino, che piange per ogni cosa. Madre bella, madre mia, senta, guardi che la sgrido perché non mi ha accontentato. Triste, che ti posso fare, dato che il cuore si deve con epittime curare? Spendi i miei averi in giacinti, in oro, perle, e coralli. Non vede che questi mali sono di tipo diverso? Madre, mi faccia una culla, dove dondolare il cuore, che dorma nella passione che mi affligge e mi disturba. Compri per me un pastorello e le scarpette dorate, mangi confetti dipinti. Vaneggi? Parli pianino, o penserà che è il babau. Sarà quel cuore di prima con le scarpe ed il pastore. (Che capricci!)
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
Salen Flora y Felisardo. FELISARDO FLORA FELISARDO
LISARDA CELIA LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA
Estoy loco. Ten paciencia, que has de ser médico de esta doncella. ¿Téngome de andar tras ella, teniendo tanto que hacer? ¡Por mi fe que estamos buenos! ¿Quién limpiará los caballos? Solos podemos dejallos. (Yo me esconderé a lo menos.) Siéntate en aquesta silla. Y tú, Pedro, llega a hablalla. ¿Cómo podré yo curalla? Tu engaño me maravilla. ¿Qué tengo yo que le curan mis uñas? ¿Soy la gran bestia? ¿Esto te causa molestia? Gentil médico os procuran: a quien cura los caballos remiten vuestra salud. Tienes tú grande virtud. Ea, bien podéis dejallos. Acude, Flora, a tu hacienda, que a hablar con Tiberio voy.
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Vanse Lisarda y Flora, y escóndase Celia. CELIA FELISARDO BELISA FELISARDO
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(Cielos, escondida estoy, haced que este enredo entienda.) Ea, pues ya estoy aquí, ¿qué he de hacer? Dame esa mano. (Bien te entiendo, amor tirano; pero, ¿qué quieres de mí? Adoro a Celia, aborrezco
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
Entrano Flora e Felisardo. FELISARDO FLORA FELISARDO
LISARDA CELIA LISARDA FELISARDO
LISARDA FELISARDO
LISARDA
Sto impazzendo. Porta pazienza, che sei medico della fanciulla. Devo stare dietro a lei, avendo tanto da fare? Siamo messi proprio bene! Chi i cavalli pulirà? Possiamo lasciarli soli. (Per lo meno mi nascondo.) Siediti su questa sedia. E tu, Pedro, va’ a parlarle. Ma come posso curarla? Mi meraviglia il tuo inganno. Sono forse la gran bestia? Che la cura con le unghie? E per te questo è un disturbo? Che bel medico vi danno: la vostra salute è in mano a chi accudisce i cavalli. Hai una grande virtù. Ora potete lasciarli. Flora, pensa alle faccende, io parlerò con Tiberio. Se ne vanno Lisarda e Flora, e si nasconde Celia.
CELIA FELISARDO BELISA FELISARDO
(Cielo, sono qui nascosta, fa’ che questo inganno intenda.) Su, dato che sono qui, che devo fare? La mano. (Ti capisco, amor tiranno; ma che cosa vuoi da me? Adoro Celia, detesto
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA FELISARDO
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este melindre y enfado.) Ya la mano os he tomado. (Válgame amor, que enmudezco.) Corrido estoy que toméis mano tan áspera y callos, que de almohazar seis caballos la tienen como la veis. Con ella descanso, Pedro. Pues si os hago bien, señora, ¿cómo este virote agora? ¿Por el bien que os hago medro? ¿Por qué me tratáis ansí, si vuestro médico soy? Porque si te vas, me voy hasta la muerte sin ti. ¿A cuál esclavo sin culpa clavos y virote han puesto? ¡Jesús! Apriétame presto, y no me pidas disculpa. Aquí, aquí, ¡qué gran dolor! ¿Qué tiene vuesa merced? Deseos de hacer merced a quien ni aun pide favor. ¿Cómo es eso? No sé, a fe. Pónenseme unas cositas en los ojos tamañitas, que apenas el sol las ve; y estas se me entran por ellos, y con dulce alteración pellizcan el corazón. ¡Qué lástima! Tenla de ellos. Mayor la tengo de mí, por vos con este virote.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO
BELISA FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA
FELISARDO BELISA FELISARDO
questo capriccio e mi arrabbio.) Già la vostra mano ho preso. (Aiuto, amore, non fiato.) Mi vergogno che tocchiate la mano tanto callosa, che per strigliare i cavalli è diventata così. Mi dà benessere, Pedro. Se benessere vi do, come si spiega il collare? A far del bene miglioro? Perché così mi trattate, se il vostro medico sono? Perché se tu te ne vai, senza di te morirò. A quale schiavo innocente marchi e collare hanno messo? Gesù! Stringimi, su, presto, e non chiedermi discolpa. Qui, qui, che forte dolore! Che succede vostra grazia? Che grazia concederei a chi neppure favori chiede. Cioè? Non lo so. Mi entrano delle cosine dentro gli occhi, piccoline, che appena il sole le vede; entrano attraverso gli occhi, e con dolce alterazione vanno a pizzicare il cuore. Che pena! Per loro. Provo più pena per me, con questo collare per colpa vostra. 451
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO BELISA
FELISARDO
Pues eso no te alborote, que yo le traigo por ti. (¿Qué dije? ¡Jesús! ¿Qué es esto? Loca estaba, necia estoy.) ¡Qué desgracia! ¡Muerta soy! ¡Aprieta esa mano presto! Desmayose. ¿Hay cosa igual? Vergüenza debió de ser; fácil está de entender la calidad de su mal. Pero, triste yo, ¿qué haré? ¿Qué remedio le he de dar?
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Sale Celia. CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA
FELISARDO
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Bien la puede remediar vuesa merced. ¿Yo? ¿Por qué? Porque quien le dio la mano, ¿qué puede negarle ya? ¡Qué necio tu amor está! Necio sí, mas no liviano. ¡Ah, Felisardo! ¿Qué es esto? Pues no creas que he de estar donde me puedas picar tan libre y tan descompuesto. Don Juan me quiere: yo haré que hoy en sus manos me veas. In culpa matar deseas quien por la tuya se ve en tantas persecuciones. Esta loca melindrosa anda, mi bien, codiciosa de que entienda sus razones. Y es que sin duda ha sabido o sospecha lo que soy. Forzado con ella estoy:
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO BELISA
FELISARDO
Questo non deve inquietarti, anch’io lo porto per te. (Che ho detto? Che sto facendo? Ero pazza, e sono sciocca.) Che disgrazia! Sono morta! Stringi questa mano, presto! È svenuta. Ma è possibile? Sarà stata la vergogna; è facile da capire la qualità del suo male. Povero me, che farò? Che rimedio le darò? Entra Celia.
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA
FELISARDO
Un rimedio le può dare vostra grazia. Io? Perché? Chi le ha concesso la mano, cosa può negarle ormai? Che sentimento insensato! Insensato, ma non frivolo. Felisardo! Cosa fai? Non credere che starò dove mi provocherai senza regole e sfrenato. Don Juan mi ama e farò in modo che tu mi veda con lui. In culpa morte darai a chi per la tua si vede in tante persecuzioni. Questa pazza capricciosa, è bramosa mio tesoro, che ne intenda i desideri. E senz’altro perché sa o sospetta quel che sono. Mi costringono a star qui: 453
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
CELIA
FELISARDO CELIA
FELISARDO
médico violento he sido. Aquí me tomó la mano, y este diamante que ves me puso en ella. No estés conmigo enojada en vano, sino como, en fin, despojos que de su vana locura rinde el alma a tu hermosura hoy le presento a tus ojos. Toma el diamante, mi bien, y vete, no vuelva en sí. ¿Que yo me vaya de aquí? ¡Bueno! Aunque el mundo me den, toma tu diamante allá. Pues ¿quieres que yo me vaya? Sí, que si amor la desmaya, en ti la piedra hallará y en mi el mayor desengaño. Pues voyme, que es ley en mí tu voluntad.
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Vase Felisardo. BELISA
CELIA BELISA
(¿Esto oí? ¿Qué aguarda mi loco engaño?) ¡Fuera digo! ¡Muerta soy! ¿Qué tienes, señora mía? ¡Oh, nube de mi alegría y del sol que viendo estoy! ¡Madre, madre! ¡Flora! ¡Gente de esta casa! ¡Hola crïados! Sale Lisarda, Flora, Carrillo.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
CELIA
FELISARDO CELIA
FELISARDO
sono medico per forza. Mi ha afferrato questa mano, ed il diamante che vedi mi ci ha messo. Non restare arrabbiata con me invano, perché io te lo presento come l’omaggio che l’anima, della sua vana follia, tributa alla tua bellezza. Prendi il diamante, tesoro, e va’, che non torni in sé. Devo andarmene? Nemmeno per tutto l’oro del mondo! Riprenditi il tuo diamante. Vorresti che me ne andassi? Sì, che se sviene d’amore, troverà la pietra in te e in me la disillusione. Vado, che è legge per me ciò che vuoi. Se ne va Felisardo.
BELISA
CELIA BELISA
(Che cosa sento? Che aspetta il mio folle inganno?) Fuori di qui! Sono morta! Cosa succede, signora? Oh, nube della mia gioia e del sole che ravviso! Madre, madre! Flora! Gente di casa! Su, forza, servi! Entra Lisarda, Flora, Carrillo.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
CARRILLO BELISA
CARRILLO LISARDA CELIA CARRILLO FLORA LISARDA BELISA
LISARDA CARRILLO LISARDA
¿Qué es esto? ¿Tristes cuidados? ¿Es melindre o accidente? No es melindre. Pues ¿qué ha sido? Agora veréis quién son esclavos, y si es razón darle el castigo que os pido. Bien conocéis el diamante que compré en los cien escudos. Di más, que nos tienes mudos en suspensión semejante. Estando aquí desmayada, Zara a mi mano llegó y el diamante me tomó. ¡Oh, perra disimulada! ¡A ver la mano! ¿Tú, Zara, agora das en ladrona? Señora… Calla, perrona. ¡Ladrona! ¿Quién tal pensara? ¿Qué disculpa puedes dar? Si a Carrillo no la entregas, si por su perdón me ruegas, si no la mandas pringar, cuéntame por muerta luego. Carrillo. ¿Señora? A ti la entrego. Vanse Lisarda y Flora.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO LISARDA BELISA LISARDA BELISA
CARRILLO BELISA
CARRILLO LISARDA CELIA CARRILLO FLORA LISARDA BELISA
LISARDA CARRILLO LISARDA
Che succede? Tristi pene? Un capriccio o un accidente? Non è un capriccio. Cos’è? Ora vedrete chi sono gli schiavi, e se è giusto dare loro il castigo che chiedo. Conoscerete il diamante che comprai per cento scudi. Di’ di più, stiamo pendendo dalle tue labbra, già muti. Ero qui svenuta, e Zara mi si avvicina alla mano ed afferra il mio diamante. Oh, cagna simulatrice! Mostra la mano. Tu, Zara, ti metti a fare la ladra? Signora… Zitta, cagnaccia! Ladra! Chi l’avrebbe detto? Che scusa mi puoi fornire? Se non la dai a Carrillo, se chiedi di perdonarla, se non ordini torture, dammi subito per morta. Carrillo. Signora? A te la do. Se ne vanno Lisarda e Flora.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO CARRILLO CELIA BELISA
Déjame a mí. Señora… Ponla en un fuego. [Vase Belisa.]
CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO
CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO
Ya vuesa merced está, como ha visto, en mi poder. Pues bien, ¿qué quieres hacer? Eso agora lo verá. Desnúdese. ¿Estás en ti? Galga, agradezca que plugo a su dicha que un verdugo tuviese tan noble en mí, y concluya que ha de haber azote y tocino ardiendo. ¿Tú eres hombre? Así lo entiendo. ¿Y sabes que soy mujer? Eso agora lo veremos. Desnude. (Tiempo es de hablar.) ¡Felisardo! Eso es cansar los aires haciendo estremos. ¡Felisardo, esposo mío! Su esposo está con Mahoma. Acabe.
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Sale don Juan. JUAN
CELIA JUAN
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(Aunque vaya a Roma, veréis si en mi error porfío. Y yo sé muy bien quién es.) ¡Don Juan, señor! ¿Qué es aquesto?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO CARRILLO CELIA BELISA
Lascia fare a me. Signora… Deve bruciare. [Se ne va Belisa.]
CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO
CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO CELIA CARRILLO
Vostra grazia, come vede, si trova ormai in mio potere. Allora, cosa vuoi fare? Questo adesso lo vedrà. Ora si spogli. Sei in te? Cagna, ringrazi che piacque alla fortuna che un boia nobile trovasse in me, e sappia che ci saranno frustate e grasso bollente. Sei un uomo? Sì, lo credo. E sai che sono una donna? Questo adesso lo vedremo. Si spogli. (È venuto il tempo di parlare.) Felisardo! Non diamo fiato alle trombe. Felisardo, sposo mio! Con Maometto sarà. Basta. Entra don Juan.
JUAN
CELIA JUAN
(Dovessi anche andare fino a Roma, nel mio errore insisterò. So chi è.) Don Juan! Che sta succedendo?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO CARRILLO
JUAN CARRILLO
JUAN CARRILLO CELIA JUAN
CELIA
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Cuando lo sepas, verás que causa y licencia tengo. El diamante que tu hermana compró ayer de aquel platero le hurtó la perra que miras, la de los ojos honestos. Hanme mandado azotalla, y yo, como ves… Saque la espada. ¡Oh, perro! ¿A un ángel? Tente, señor. Si es ángel, no tengas duelo, porque si espíritus son, y están, como ves, sin cuerpo, mal pude yo hacerle agravio. ¡Villano, matarte tengo! ¡Tiberio! ¡Lisarda! ¡Flora! ¡Belisa! Dejalde, os ruego, que era, en efeto, mandado. Por vos, señora, le dejo. ¿Hay tal maldad? ¿Hay tal furia? ¿Hay tal envidia? Ojos bellos, tomad venganza en los míos, ponedme esta espada al pecho. Veisla aquí. Matadme, dadme mil muertes: yo las merezco. Señor, dejadme pasar, que tengo a Lisarda miedo. Dejadme, por Dios, señor; porque si os hallan en esto, y a mí con vos sin testigos, habrá testimonios nuevos.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO CARRILLO
Quando lo saprai, vedrai che ne ho motivo e permesso. Il diamante che Belisa dall’orafo comprò ieri l’ha rubato questa cagna, sì, quella dagli occhi onesti. Mi hanno detto di frustarla, ed io, come vedi… Sguaina la spada.
JUAN CARRILLO
JUAN CARRILLO CELIA JUAN
CELIA
Cane! Ad un angelo? Signore. Se è un angelo, sta’ tranquillo, perché se spiriti sono come vedi, senza corpo, non posso averla oltraggiata. Villano, ti ucciderò! Tiberio! Lisarda! Flora! Belisa! Basta, vi prego, che era un ordine davvero. Per voi, signora, lo lascio. Che furia, che crudeltà, che invidia è questa? Occhi belli, vendicatevi sui miei, colpitemi con la spada. Eccola. Datemi mille morti: le merito tutte. Signore, fatemi spazio, che ho paura di Lisarda. Lasciate stare, signore; se vi trovano con me soli, senza testimoni, ci saranno nuove prove.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
JUAN CELIA
Dejadme ir a la cocina, dejadme. Espera. No puedo. Vase Celia.
JUAN
¿Hay tal crueldad? Mas ¿qué mucho que huyáis de verme, pues llego a tiempo que un vil lacayo, obedeciendo al imperio de una mujer, que es mi madre, intente tal sacrilegio a la imagen que crïaron con tal perfeción los cielos? Pues mi mujer ha de ser, yo os desengaño, y tan presto, que os espantéis y tengáis por imposible el remedio.
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Sale Tiberio y Lisarda. TIBERIO JUAN
LISARDA JUAN
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Don Juan, ¿qué es esto que dices? Oíd lo que estoy diciendo, pues sois los dos a quien hoy prestar reverencia debo. Aquí dejastes un hombre, que, a no se escapar tan presto, él llevara el justo pago de su loco atrevimiento para que azotase a Zara. Pero advertid que no quiero que ponga nadie las manos en mi mujer. ¿Qué es aquesto? Que es mi mujer.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
JUAN CELIA
Fatemi andare in cucina, cedete. Aspetta. Non posso. Se ne va Celia.
JUAN
Che crudeltà! Mi sorprendo che mi sfuggiate, se giungo mentre un infame lacchè, obbedendo ad un comando di una donna, che mi è madre, tenta un tale sacrilegio contro un’immagine fatta così perfetta dal cielo? Dato che sarà mia moglie, vi disinganno, e così presto da meravigliarvi e non trovare rimedio. Entrano Tiberio e Lisarda.
TIBERIO JUAN
LISARDA JUAN
Don Juan, cosa stai dicendo? Ascoltate ciò che dico, visto che siete coloro ai quali devo rispetto. Qua avete lasciato un uomo, che, se non fuggiva, avrebbe pagato il prezzo opportuno per la folle sfrontatezza, affinché frustasse Zara. Ma sappiate che non voglio che nessuno metta mano su mia moglie. Cosa dici? È mia moglie.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO TIBERIO
JUAN TIBERIO
JUAN TIBERIO
JUAN
¡Cuán mejor fuera, don Juan, llamar luego quien al Nuncio te llevara! No estoy loco, no, Tiberio. Pues ¿puede tales razones decirlas un hombre cuerdo? Rapaz, loquillo, inorante, estaba por darte… ¡Quedo! …para sacarte vergüenza, pues no la tienes en ellos, con la mano en los carrillos. Háblame con más respeto, que si no fueras mi tío…
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Vase don Juan. TIBERIO LISARDA
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TIBERIO
LISARDA TIBERIO
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¿Tú a mí? Déjale, te ruego, que si él se quiere casar con una esclava, yo quiero casarme con un esclavo. ¿Qué dices? Vengarme tengo. Mi hacienda le quiero dar. Hoy me casaré con Pedro, que ya no puedo sufrir de don Juan atrevimientos y melindres de Belisa. Tan necia estás como ellos. Pero quiérote decir para los dos un remedio con que templarás su furia y puedes ponerlos miedo. ¿Cómo? En la corte, Lisarda, vive un cierto caballero
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO TIBERIO
JUAN TIBERIO
JUAN TIBERIO
JUAN
Ma sarebbe meglio portarti, don Juan, all’istante al manicomio. Non sono pazzo, Tiberio. E può parlare così un uomo saggio e sensato? Pazzo, villano, insolente, stavo per prenderti… Calmo! …a schiaffi, per colorarti di vergogna il volto, visto che da te non arrossisci . Parlami con più rispetto, che se non fossi mio zio… Se ne va don Juan.
TIBERIO LISARDA
TIBERIO LISARDA
TIBERIO
LISARDA TIBERIO
A me? Lascialo, ti prego, perché se vuole sposarsi con la schiava, voglio anch’io sposarmi con uno schiavo. Cosa? Voglio vendicarmi. Tutti i beni voglio dargli. Oggi Pedro sposerò, perché non sopporto più la sfrontatezza di Juan e i capricci di Belisa. Tu sei sciocca quanto loro. Ma voglio dirti un rimedio che funzioni con entrambi per calmarne la pazzia e metter loro paura. Come? Lisarda, a Madrid vive un certo cavaliere 465
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
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cuyo nombre es Felisardo, parecido en tanto estremo a este Pedro, esclavo tuyo, que si los juntasen creo que los que más los conocen no pudiesen conocellos, a tener vestido igual. Y pues los clavos de Pedro son fingidos, y el virote puede quitarlo y ponerlo, hazle vestir ricamente en tu casa de secreto y di que te viene a ver, conmigo, que trato de esto. Y fingiendo la escritura del tratado casamiento, pondrás temor a tus hijos, y rienda al uno en deseos y al otro en tantos melindres. Bien me parece el consejo, pero podrán conocer a Pedro. Pues eso quiero, porque pensarán también que con un engaño secreto das a un esclavo tu hacienda. Sí, pero importa primero instruir a Pedro en todo. Voyle a hablar. Parte, Tiberio. Cielos, sin saber por dónde a hallar mi remedio vengo. Sospecho que aqueste esclavo es el mismo caballero. Ellos me casan de burlas con aqueste fingimiento, y yo de veras me caso,
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che si chiama Felisardo, che sembra in ogni dettaglio questo Pedro, schiavo tuo, che, se messi accanto, credo che chi meglio li conosce non li riconoscerebbe, avendo un vestito uguale. Dato che i marchi di Pedro sono falsi, ed il collare si può mettere e levare, fallo vestire elegante in segreto in casa tua e di’ che viene a vederti, con me, che me ne interesso. E fingendo la scrittura del matrimonio trattato, li spaventi e frenerai i desideri dell’uno ed i capricci dell’altra. Buono mi sembra il consiglio, ma potranno ravvisare che è Pedro. Persino meglio, perché penseranno pure che con inganno segreto dai a uno schiavo gli averi. Sì, ma prima è necessario istruire Pedro in tutto. Vado a parlargli. Va’ pure. Oh, cielo, senza sapere come, ho trovato rimedio. Sospetto che questo schiavo sia il cavaliere in persona. Mi dispongo a nozze finte con questo raggiro, mentre io mi sposo veramente, 467
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
porque si al alma yo creo, ¿quién duda que es Felisardo este que parece Pedro? Vanse y salen Belisa y Flora. BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA
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FLORA BELISA
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Saca unas velas aquí. Ya las prevengo, señora. Arrastra un bufete, Flora. ¿Quieres escribir? No y sí, porque si mis pensamientos quiero al papel remitir, ¿qué pluma basta a escribir tan estraños sentimientos? ¿Cómo fue aquello de Zara, que tanta pena te dio? Fingí desmayarme yo, porque el alma se animara, y cuando me dio la mano, púsele el diamante en ella. ¿A Pedro? Sí, que por ella pudo entenderme el villano; mas no me quiso entender, pues que saliendo celosa esa esclava rigurosa, ese demonio o mujer que escondida nos miraba, aquel diamante le dio, imaginando que yo, Flora, desmayada estaba. Yo, con los justos enojos que de su amor recebí, que ella me le hurtó fingí, por desagraviar mis ojos.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
perché, se all’anima credo, chi non dubita che Pedro questo Felisardo sia? Se ne vanno ed entrano Belisa e Flora. BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA
FLORA BELISA
Porta qui delle candele. Le ho preparate, signora. Porta uno scrittoio, Flora. Vuoi scrivere? Sì e no, perché se voglio affidare alla carta le mie idee, quale penna scriverebbe sentimenti tanto strani? Com’è andata la questione di Zara che ti ha angosciato? Uno svenimento ho finto, per dare all’anima forza, quando mi ha dato la mano, gli ci ho riposto il diamante. A Pedro? Perché potesse capirmi così il villano; ma non mi volle capire, e quando è giunta gelosa quella schiava rigorosa, quel demonio o quella donna che nascosta ci guardava, lui le ha dato quel diamante, immaginando che io, Flora, fossi lì svenuta. Ed io, con la giusta rabbia nata per il loro amore, finsi che mi derubasse, come fosse un indennizzo.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
FLORA
BELISA
FLORA
BELISA
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Pero no lo quedé bien del castigo prevenido. Don Juan la culpa ha tenido para que no se le den. Pero mira que has errado en pensar que Pedro entiende tu amor, pues que se defiende, que lo que le has declarado no ha sido más que por señas. Y en amores desiguales, si no eliges medios tales y le previenes y enseñas, no vendrá en conocimiento de tu amor. Si yo supiese, Flora, que este Pedro fuese quien tengo en el pensamiento, pienso que me atrevería a decirle en el rigor que estoy, de celoso amor. Siempre de la luz del día huye la vergüenza noble. Noche es ya, la escuridad para toda libertad suele dar licencia al doble. Háblale sin luz, y di: «Pedro, yo soy, yo te quiero». Los melindres considero con que he vivido hasta aquí. Pero si por castigarme amor esto permitió, será resistirme yo dar armas para matarme. Mas ¿sabes lo que has de hacer cuando Pedro venga aquí, para que yo pueda ansí esta vergüenza romper?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
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Eppure non l’ho spuntata con il castigo previsto. Don Juan ha avuto la colpa che non la abbiano frustata. Però guarda che ti sbagli pensando che Pedro intenda il tuo amore, dato che si tutela, che soltanto a segni l’hai dichiarato. E in amore disuguale, se non scegli i mezzi giusti per proteggerlo e mostrarlo, non verrà mai a conoscenza del tuo amore. Ma se io, Flora, sapessi che Pedro fosse chi penso che sia, credo che il coraggio avrei di dirgli in quale rigore mi tiene il geloso amore. Sempre la luce del giorno fugge il nobile pudore. Notte è già, l’oscurità dà per ogni libertà il doppio della licenza. Parlagli nel buio, e digli: «Pedro, sono io, ti amo». Tengo presenti i capricci che ho mostrato fino ad ora. Però se per castigarmi l’amore ha permesso questo, e gli oppongo resistenza armi gli darò per darmi la morte. Ma, tu sai cosa fare quando arriva Pedro, perché possa superare questa vergogna? Far finta 471
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
FLORA BELISA
Fingir que al despabilar las velas mataste alguna. Sí, ¿mas la otra? Ninguna luz con luz ha de quedar, que la del entendimiento tengo de cegar también para que pueda más bien decille mi pensamiento. Pero retírate aquí, que estos los esclavos son.
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Al paño. Sale Celia, y Felisardo. FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO
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Esta determinación, Celia, me provoca ansí. Detente y míralo bien. Yo me quiero declarar, que no es razón esperar a que alguna vez te den el castigo que hoy querían, y que un lacayo villano ponga en los ojos la mano que en luz al sol desafían. Míralo mejor primero. ¿Qué tengo ya que esperar, si me acaban de contar que el navarro caballero hoy salió a misa de herido, como suelen las de parto? Y fuera de eso, estoy harto de las penas que he sufrido. Como mal, duermo peor, traigo este virote aquí, que a no ser esto por ti era insufrible rigor.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
FLORA BELISA
che pulendo le candele, Flora, una ti si spenga. Sì, però l’altra? Nessuna luce accesa rimarrà, che quella dell’intelletto inoltre dovrò offuscare affinché possa riuscire a svelare ciò che penso. Ma ritirati da qui, che questi sono gli schiavi. Al telone. Entra Celia, e Felisardo.
FELISARDO CELIA FELISARDO
CELIA FELISARDO
Questa determinazione, Celia, mi disturba molto. Fermati e pensaci bene. Io mi voglio rivelare, non vedo perché aspettare che presto o tardi il castigo odierno mettano in atto, e che un villano lacchè metta la mano sugli occhi che in luce sfidano il sole. Ma prima pensaci bene. Che devo aspettare se mi hanno appena raccontato che il cavaliere navarro è andato alla prima messa, come fa chi partorisce? Ed inoltre sono stanco delle pene che ho sofferto. Mangio male, dormo peggio, indosso questo collare, che se non fosse per te non lo avrei accettato mai.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
CELIA
FELISARDO CELIA
BELISA FELISARDO CELIA FELISARDO BELISA
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
Ayer – ¡mira que vergüenza! –, me hicieron ir hasta el río. Mira, Felisardo mío, que la fortuna comienza por un adverso suceso y después se siguen mil. Confieso que el traje es vil, y tus trabajos confieso; pero considera en mí no menos pena y dolor. Pues ¿será sufrir mejor? Díceme el alma que sí. Salte de la sala luego, que está allí Belisa. Espera, Pedro. Tengo que hacer fuera. Espera. Temblando llego. No te vayas, que después que no esté mi madre aquí tengo que hablarte. ¡Ay de mí! ¿Qué tienes? ¿Ya no lo ves? Dirás que celos. ¿Soy yo de piedra? Piensa, mi bien, que aunque mil mundos me den, diré a todo el mundo no.
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Salen Lisarda y Tiberio. LISARDA TIBERIO
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¡Esto dicen! Es don Juan mozo, no me maravillo.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
CELIA
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BELISA FELISARDO CELIA FELISARDO BELISA
CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO CELIA FELISARDO
Ieri – pensa che vergogna! –, mi hanno fatto andare al fiume. Guarda, Felisardo mio, che la fortuna comincia da un avvenimento ostile e ne seguono altri mille. Riconosco la viltà dell’abito, ed i travagli; ma considera che in me non è minore la pena. Allora è meglio soffrire? L’anima dice di sì. Esci dalla stanza adesso, che c’è lì Belisa. Aspetta, Pedro. Devo lavorare. Aspetta. Arrivo tremando. Non andartene, che quando mia madre non sarà qui ti devo parlare. Ahimè! Che cos’hai? Ma non lo vedi? Sei gelosa. Sono forse di pietra? Pensa, tesoro, per tutto l’oro del mondo dirò a tutte quante no. Entrano Lisarda e Tiberio.
LISARDA TIBERIO
Questo dicono! È don Juan giovane, non mi sorprendo. 475
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO LISARDA TIBERIO LISARDA
FLORA
BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA FELISARDO FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA
BELISA FLORA LISARDA TIBERIO LISARDA FLORA
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Pues más me ha dicho Carrillo. ¿Cómo? De concierto están él y sus locos amigos de robar la esclava. (Agora es imposible, señora, hablarle, que hay mil testigos.) (Calla, que bien sabe amor dar a los estremos medio.) (Pues ejecuta el remedio, porque le tenga el dolor.) ¡Flora! ¿Señora? Esas velas avisa. (Al despabilar llama esta loca avisar.) (El amor todo es cautelas.) ¿Matástela? Por cortalla baja, la vela maté. ¿Que esto no sabes? No sé avisalla y sé matalla, porque quien mata no avisa. Con estotra encenderé. Aguarda, y te enseñaré cómo se avisa. (¡Oh, qué risa!) La vela has muerto también. ¿Qué es esto? A escuras estamos. ¿Cómo? Las velas matamos por avisarlas más bien.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO LISARDA TIBERIO LISARDA
FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA BELISA FELISARDO FLORA BELISA FLORA BELISA FLORA
BELISA FLORA LISARDA TIBERIO LISARDA FLORA
Di più mi ha detto Carrillo. Cosa? Si è messo d’accordo con pazzi amici suoi di rapire questa schiava. (Non potrai parlargli adesso che ci sono testimoni.) (Zitta, che l’amore sa trovare il sistema giusto.) (Allora esegui il rimedio, perché si calmi il dolore.) Flora! Sì, signora? Avviva le candele. (Questa pazza le candele sporche avviva.) (L’amore è tutto prudenza.) L’hai uccisa? Per tagliarla bassa, ho ucciso la candela. Non sai far questo? Non so ravvivarla e so ammazzarla, che chi ammazza non ravviva. Con quest’altra accenderò. Aspetta, e ti insegnerò come si avviva. (Oh, che risa!) Hai ucciso anche quest’altra. Che succede? Siamo al buio. Come? Le candele abbiamo ucciso per ravvivarle.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO LISARDA BELISA FELISARDO CELIA
(Esta es famosa ocasión para allegarme a mi esclavo.) (Hoy de declararme acabo, hoy le digo mi afición.) (Mientras que velas encienden, a Celia quiero acercarme.) (Pues nadie puede estorbarme de los que mi mal pretenden, quiero acercarme a mi bien.)
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Vayan poco a poco, Belisa a su madre, Celia a Flora, Felisardo a Tiberio. LISARDA BELISA
¡Ah, mi bien! ¿Queréis oirme? Pues, ¿qué quiere amor tan firme sino que le oigáis también? Felisardo a Tiberio.
FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO FELISARDO
¡Ah mis ojos! No te enfades de esta loca pretensión. ¿Dícesme a mí esa razón? Luego ¿no te persüades? Yo bien creo que don Juan hará cualquier desatino. Los de Belisa imagino, que mayor pena me dan.
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Celia a Flora. CELIA FLORA CELIA FLORA CELIA FLORA
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En fin, mi vida, ¿que das en darme celos? ¿Quién es? ¿Quién es? ¿Luego no lo ves? (En gracioso engaño estás.) No la hables, por mi vida. ¿A quién no tengo de hablar?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO LISARDA BELISA FELISARDO CELIA
(Questa è una buona occasione per arrivare allo schiavo.) (Ora voglio dichiararmi, ora rivelo il mio amore.) (Mentre accendono le luci, voglio avvicinarmi a Celia.) (Nessuno può ostacolarmi fra chi vuole il male mio, mi avvicino al mio tesoro.)
Vadano a poco a poco, Belisa da sua madre, Celia da Flora, e Felisardo da Tiberio. LISARDA BELISA
Tesoro mio! Vuoi ascoltarmi? Che vuole un amore saldo se non che anche tu l’ascolti? Felisardo a Tiberio.
FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO FELISARDO
Amore! Non arrabbiarti per questa pazza richiesta. Dici a me queste parole? Dunque non ne sei convinta? Credo proprio che Juan farà qualunque follia. Quelle di Belisa penso che più pena mi daranno. Celia a Flora.
CELIA FLORA CELIA FLORA CELIA FLORA
Tesoro, ti ostini a farmi ingelosire? Chi è? Chi sarà mai? Non lo vedi? (Che bizzarro malinteso.) Fallo per me, non parlarle. A chi non devo parlare? 479
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
Lisarda a Belisa. BELISA
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No me osaba declarar, mas ya no hay cosa que impida decirte mi pensamiento. Sabe Dios lo que he pasado por haber disimulado la fuerza de mi tormento.
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Felisardo a Tiberio. FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO
BELISA
LISARDA FELISARDO TIBERIO
¿Quiéresme dar una mano? ¿La mano yo? ¿Para qué? No te enojes, pues no fue el enojarte en mi mano. ¡Hola, velas! ¿Qué es aquesto? Tu voz, Lisarda, y razones desconozco. ¡En qué ocasiones, mi bien, mi vergüenza has puesto! Dame una mano. Y las dos. ¿Que la mano no me das? ¡Velas, hola!
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Sale Carrillo con una hacha alumbrando a don Juan. CARRILLO JUAN TIBERIO BELISA LISARDA
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¿Adónde vas? Voy como un loco, por Dios. ¿Qué hacéis todos de este modo? Lumbre estamos esperando. (Con mi madre estaba hablando; basta, que lo he dicho todo.) (A mi hija he declarado que quiero a mi esclavo bien; y ella me ha dicho también que tiene el mismo cuidado.)
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
Lisarda a Belisa. BELISA
LISARDA
Non osavo dichiararmi, ma ora niente mi impedisce di dirti quello che penso. Dio sa quello che ho passato per aver dissimulato la forza del mio tormento. Felisardo a Tiberio.
FELISARDO TIBERIO FELISARDO TIBERIO
BELISA LISARDA FELISARDO TIBERIO
Mi vuoi dare la tua mano? Darti la mano? Perché? Non adirarti, non è la tua ira in mano mia. Su, candele! Che succede? Lisarda, non riconosco né vocaboli né voce. Rischio la reputazione! Dammi una mano. Ed entrambe. Non vuoi darmi la tua mano? Su, candele! Entra Carrillo con una torcia, illuminando don Juan.
CARRILLO JUAN TIBERIO BELISA LISARDA
Dove vai? A fare il pazzo, per Dio. Che fate tutti così? La luce stiamo aspettando. (Con mia madre sto parlando; e con questo ho detto tutto.) (A mia figlia ho rivelato di amare lo schiavo mio; ed anche lei mi ha affermato di aver la stessa premura.)
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO FELISARDO TIBERIO
CELIA
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LISARDA JUAN TIBERIO JUAN LISARDA FELISARDO
JUAN FELISARDO
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(Basta, que a Tiberio hablaba y requiebros le decía.) (Lo que entonces no entendía, pues ser Lisarda pensaba, era que Pedro, el esclavo, me estaba diciendo amores.) (¡Oh, noche, madre de errores! Agora de ver acabo que dije amores a Flora.) ¿A qué vienes como griego a poner a Troya fuego? Dame mi mujer, señora, que la tengo de llevar esta noche donde veas que, si casarte deseas, también me quiero casar, que está más puesto en razón. Ve, Flora, y encierra a Zara. ¿Encerrar? Oye y repara. ¿Quién repara con pasión? Tú también, Pedro: con Flora guarda a Zara. Que me place, porque esto que don Juan hace es cosa injusta, señora. ¿Vos también, perro? Yo soy perro de sola esta huerta, y mientras guardo la puerta y por su defensa estoy, aunque por las tapias sea, ni entraréis ni cogeréis la fruta que pretendéis y ese loco amor desea. Que tengo sembrada en ella
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO FELISARDO TIBERIO
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LISARDA JUAN TIBERIO JUAN LISARDA FELISARDO
JUAN FELISARDO
(Stavo parlando a Tiberio e gli facevo la corte.) (Ciò che prima non capivo, perché pensavo a Lisarda, era che Pedro, lo schiavo, amoreggiava con me.) (Oh notte, madre di errori! Adesso mi rendo conto che amoreggiavo con Flora.) Perché vieni come un greco a incendiare Troia? Dammi la mia consorte, signora, che questa notte la devo portare dove vedrai che, se tu sposarti vuoi, anch’io mi voglio sposare che più ammissibile è. Va’, Flora, e rinchiudi Zara. Rinchiudere? Ascolta e pensa. Chi pensa con la passione? Anche tu, Pedro: con Flora sorveglia Zara. D’accordo, perché ciò che fa don Juan è cosa ingiusta, signora. Anche tu, cane? Io sono cane di questo orto solo, e mentre guardo la porta ed in sua difesa sto, nemmeno saltando i muri, entrerete e coglierete il frutto che pretendete e vuole quel pazzo amore, che in questo orto ho seminato 483
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
una tan verde esperanza, que veréis en mi venganza lo que pienso hacer por ella. Si el perro cuando le agravian no hay dueño de que se acuerde, vos veréis qué perro os muerde, porque amor con celos rabia.
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Flora y Felisardo lleven a Celia. JUAN TIBERIO
JUAN
LISARDA JUAN BELISA
JUAN BELISA JUAN BELISA
JUAN
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Dejadme que esta loca desvergüenza castigue en este bárbaro villano. Don Juan, detente, y mira que no es justo que a la sangre, a la canas y al consejo pierdas respeto. Yo no he sido viejo; tú has sido mozo, y sabes que amor puede en tierna edad hacer estas locuras. Y yo no sé de tus obligaciones el estrecho camino en que me pones. No le respondas, déjale por loco. Dame, madre, mi esposa. Aunque he callado, no me ha faltado, hermano, el sentimiento debido a semejante atrevimiento. ¿Qué esposa te han de dar? Zara es mi esposa. ¿Zara, una esclava? Pues que yo la pido, yo sé quién es. Pues si otra cosa sabes de lo que de esta turca saben todos, procede más discreto, y como noble harás tus diligencias allá fuera. Si yo os traigo aquí quien lo que digo os diga, ¿qué me diréis?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
una verde aspettativa, nella vendetta vedrete quello che farò per lei. Se il cane ferito scorda ogni padrone, vedrete che cane vi morderà: rabbioso è amore geloso. Flora e Felisardo portino via Celia. JUAN TIBERIO
JUAN
LISARDA JUAN BELISA
JUAN BELISA JUAN BELISA
JUAN
Lasciate che questa folle insolenza castighi in questo barbaro villano. Don Juan, fermo, guarda che non è giusto che di sangue, età e giudizio tu perda il rispetto. Non sono stato vecchio; ma tu ragazzo sì, e lo sai che può da giovani l’amore far follie. Non conosco i doveri di cui parli che mi mettono in una stretta via. Non rispondergli, trattalo da pazzo. Dammi mia moglie. Benché abbia taciuto, non mi manca, fratello, il dispiacere dovuto a una simile sfrontatezza. Che sposa deve darti? Sposo Zara. Zara, una schiava? Dato che la chiedo, so chi è. Se sai qualcosa di più di ciò che tutti sappiamo di questa turca, agisci da saggio, e come nobile soddisfa fuori di qui i tuoi bisogni. Se vi porto qui chi vi dirà quello che dico, che direte?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO TIBERIO
JUAN
CARRILLO JUAN CARRILLO JUAN CARRILLO
JUAN CARRILLO
Si alguno, como tenga crédito, nos dijere el desengaño, y pareciere justo que te cases con mujer que en la cara tiene un hierro, yo mismo quiero dártela esta noche. Parte, Carrillo, y llama a Eliso. Aguarda, vamos los dos, que hasta su padre mismo he de traer aquí. Señor, ¿qué intentas? Mira, por Dios, que tu linaje afrentas. Infame, ¿acaso quieres que te mate? ¿Con esta luz no ves tu disparate? Amor es luz. Confieso, pero mira que esta hacha alumbra con aquesta cera y se alimenta de ella; y luego mira que, volviendo su llama hacia la tierra, la misma cera por quien esta vive es de quien muerte y confusión recibe. Filósofo lacayo ¡vive el cielo que te corte las piernas! Ve delante. ¿Qué luz podrá alumbrar un ciego amante?
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Vanse Carrillo y Juan. TIBERIO LISARDA
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Buena ocasión, Lisarda, me parece para hacer tu fingido casamiento. Parte, y harás que Pedro se transforme en Felisardo, y que a las vistas venga, que yo haré que mis hijos se sosieguen. Yo voy, que conocerle es imposible sin clavos, sin virote y en el hábito bizarro que le tengo prevenido. Vase Tiberio.
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Se qualcuno che abbia credito, ci disingannasse, e ci sembrasse giusto il matrimonio con una donna che ha sul viso un marchio, io stesso vorrò dartela stanotte. Va’, Carrillo, e chiama Eliso. No aspetta, andiamo insieme, che perfino il padre porterò qui. Signore, cosa fai? Guarda per Dio, che offendi il tuo lignaggio. Infame, tu vuoi forse che ti uccida? Questa luce non ti mostra che sbagli? L’amore è luce. Lo ammetto, ma guarda che questa torcia illumina con questa cera, e di lei si alimenta; poi guarda che, girando la fiamma verso terra, la stessa cera che le dà la vita è quella che la uccide e la confonde. Un filosofo lacchè, voglia il cielo che ti tagli le gambe! Va’ per primo. Che luce illuminerà un cieco amante? Se ne vanno Carrillo e Juan.
TIBERIO LISARDA
TIBERIO
Buona occasione, Lisarda, mi sembra perché tu faccia il falso matrimonio. Muoviti, e fa che Pedro si trasformi in Felisardo, e che all’appuntamento venga, così che calmerò i miei figli. Vado, che riconoscerlo sarà difficile senza marchi e collare e con l’abito elegante che ho pronto. Se ne va Tiberio.
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO LISARDA
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BELISA LISARDA
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(Con este engaño engañaré a Tiberio, que él piensa que a mis hijos doy castigo, y es que quiero casarme con un hombre que solo tiene ya de esclavo el nombre.) ¿Sabes dónde fue Tiberio? ¿Fue por la justicia acaso? Pues ¿no sabes que me caso? ¿No has entendido el misterio? ¿Tú te casas? Esta noche vendrá a vistas, ya le espero. ¿Y quién es? Un caballero. Ya va Tiberio en el coche para venirse con él. ¿Es martelo que nos das? ¿Martelo? Ya lo verás, si no le tengo por él. Daisme terribles enfados con vuestros locos antojos; queréisme sacar los ojos después que os tengo crïados. Teneisme muy acabada: tú, con hacer melindritos, comiendo yeso y barritos, siempre opilada y sangrada, y aquel necio inobediente, con pedir galas, cadenas, y verter a manos llenas el oro, que no se cuente, juego, caballos, rameras... ¡Y agora querer casarse! Pues todo vino a acabarse: las burlas se han vuelto veras. Ya no soy madre mimosa, ya no lloro ni me acabo. Aunque fuese de un esclavo,
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(Con quest’inganno ingannerò Tiberio, poiché pensa che punisca i miei figli, mentre voglio sposarmi con un uomo che oramai ha solo di schiavo il nome.) Sai dov’è andato Tiberio? Forse a chiamare le guardie? Tu non sai che io mi sposo? Non hai capito il mistero? Tu ti sposi? Questa notte ci sarà il fidanzamento. E chi sarà? Un cavaliere. Già va Tiberio in carrozza per venire qui con lui. Tu vuoi farci arrovellare? Rovello? Presto vedrai se non lo provo per lui. Voi mi state tormentando coi vostri pazzi capricci, vorreste cavarmi gli occhi dopo che vi ho messi al mondo. Mi avete sfinito ormai: tu, con questi capriccetti, mangiando gesso ed argilla, sempre occlusa e salassata, e l’altro disobbediente, chiedendo lussi e gioielli, e versando a piene mani l’oro, e senza calcolare gioco, cavalli, puttane… Ed ora vuole sposarsi! Ma tutto adesso è finito: non è più tempo di scherzi. Basta con la madre dolce, non piango né mi consumo. Anche fosse di uno schiavo, 489
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
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será más honesta cosa. Quiero, pues que moza soy, tener quien mire por mí: hacienda tengo. Es ansí, pero oídme. Oyendo estoy. Madre, la mi madre, quejaisos de mí que soy melindrosa: la verdad decís. Melindres tenía, con ellos nací; pero son en mozas flores en abril. Mas vos, mi señora, que podéis decir en las hidalguías del nieto del Cid, y que al seis y al siete (sean siete mil) os ha entrado el as, aunque lo encubrís, trocáis las edades y sois lo que fui, por trocar en galas la toca y monjil. Si al ébano negro que en la frente os vi, ponen ya los tiempos lazos de marfil, liviandad parece que os caséis ansí. Y antes de casarme, pensamiento vil, decís que es venganza. ¡Ay, madre! Advertid
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sarebbe cosa più onesta. Essendo giovane, voglio avere chi pensi a me: e sono ricca. Hai ragione, ma ascoltami. Sto ascoltando. Madre, madre mia, di me ti lamenti perché capricciosa: è la verità. Facevo i capricci, così sono nata; ma lascia alle giovani i fiori d’aprile. E voi, mia signora, che potreste stare fra gli aristocratici nipoti del Cid, e che al sei o al sette (anche settemila) vi è toccato l’asso, e lo nascondete, le età confondete e come me siete, per cambiare in lussi le gramaglie e il velo. Se all’ebano nero che sul capo vidi, aggiungono i tempi dei fili d’avorio, frivolo mi sembra sposarsi così. E prima di me, infame pensiero, che dite vendetta. Madre! Riflettete 491
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que, pues bostezáis, señal que os dormís, las flaquezas vuestras me cargáis a mí; tenéis carne y hambre, buscáis perejil. La hierba del prado os hizo gruñir; relinchastes, madre: oyolo el rocín. No pongáis achaques al viernes aquí. Beberéis el agua, pues coméis anís; queréis compañía, medrosa vivís, porque no hay maleta que esté sin cojín. Aquellos barritos que decís de mí os han opilado: quereisos morir. Garabato sois, que al gato decís con la boca: «zape», con los ojos: «miz». Parecéis hormiga; la vejez, en fin, en aluda os vuelve: daréis que reir. Parabién os doy, si ha de ser ansí. Mas miraldo bien, y esto solo oíd: si es viejo y sois vieja, juntaréis allí dos sierras heladas: 492
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che, se sbadigliate, segnale di sonno, queste debolezze scaricate a me; con carne e appetito, cercate prezzemolo. L’erbetta del prato vi ha fatto grugnire; avete nitrito: l’ha udito il ronzino. Inventate scuse per non digiunare. A festa finita, si mangiano avanzi; volete un compagno, inquieta vivete, non esiste rosa che non abbia spine. I pezzi d’argilla che dite di me vi fanno da blocco: volete morire. Fate come chi ad un gatto dice con la bocca: «va’», e con gli occhi: «vieni». Sembrate formica; la vecchiaia, infine, vi ha messo le ali, ridere farete. Congratulazioni, se così sarà. Però riflettete, e questo ascoltate: se è vecchio anche lui, unirete insieme due fredde montagne: 493
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
¡qué triste vivir! Si es mozo y sois vieja, madre, presumid que seréis maroma, como él volatín, que a pies por momentos os ha de medir para dar mil vueltas al aire sutil. Con hacienda vuestra comerá perdiz, vestirá de tela algún serafín. Haranle su Adonis diosas de Madrid, que vuelven peón el mejor arfil. Esto os digo al alma; pero vos a mí, ¿qué? A quien quiere hacer, ¿qué sirve decir?
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Salen Tiberio y Felisardo muy galán, quitado virote y clavos. TIBERIO FELISARDO TIBERIO
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Seguro podéis entrar, que a mí me han dado licencia. Aun no me atrevo a llegar. Pero entrad con advertencia de que os habéis de llamar Felisardo. (¡Estraña cosa! Mi proprio nombre me dice que me llame.) Aquí es forzosa la paciencia. Esto desdice a tu opinión generosa.
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
che vita infelice! Se lui è un ragazzo, dovreste sapere che fune sarete di un equilibrista, coi piedi a momenti vi si appoggerà per far mille salti nell’aria leggera. Con i vostri averi mangerà pernici, vestirà di tela qualche serafino. Lo faranno Adone dee di Madrid, che i migliori alfieri mutano in pedine. Al cuore vi parlo; ma voi a me, che? A chi vuole fare, a che serve dire? Entrano Tiberio e Felisardo molto elegante, senza collare e marchi. TIBERIO FELISARDO TIBERIO
FELISARDO
LISARDA BELISA
Potete entrare sicuro, che mi hanno dato il permesso. Ancora non oso entrare. Ma fatelo ricordando che risponderete al nome di Felisardo. (Che strano! Al vero nome mi dice di rispondere.) Ci vuole pazienza. Contraddirai la buona reputazione. 495
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
TIBERIO BELISA FELISARDO
LISARDA
TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA
TIBERIO
BELISA TIBERIO
BELISA
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Viéndolo estoy y no creo que te casas. Ya ha venido tu esposo. (Cielos, ¿qué veo? ¿No es este Pedro?) Aunque he sido guiado de mi deseo, quiero decir que mi amor trujo ese raro valor. Mil veces seáis bienvenido, que yo la dichosa he sido en mereceros, señor. Siéntense los desposados. Tiberio. ¿Qué es lo que quieres? ¿Es verdad que están casados? Casados no, no te alteres, mas pienso que concertados. ¿Pues este no es Pedro? ¿Quién? Pedro, el esclavo de casa. ¿Estás loca? Y tú también. ¿Cómo? ¿con Pedro se casa mi madre? Míralo bien, que aqueste es un caballero que se llama Felisardo. Mirarle de espacio quiero. Él es sin duda. ¿Qué aguardo? Mírale mejor primero, que Pedro es esclavo herrado en el rostro. Dices bien, mucho me has desengañado,
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
TIBERIO BELISA FELISARDO
LISARDA
TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA TIBERIO BELISA
TIBERIO
BELISA TIBERIO
BELISA
Lo sto vedendo e non credo che ti sposi. È già arrivato lo sposo. (Cielo, che vedo? Non è Pedro?) Benché sia guidato dal desiderio, confesso che il tuo valore ha suscitato il mio amore. Mille volte benvenuto, sono io la fortunata nel meritarvi, signore. Si siedano gli sposini. Tiberio. Che cosa vuoi? È vero che son sposati? Sposati no, non turbarti, ma sono promessi, penso. Questo non è Pedro? Chi? Pedro, lo schiavo di casa. Sei impazzita? Pure tu. Come? Si sposa con Pedro mia madre? Guardalo bene, perché questo è un cavaliere che si chiama Felisardo. Voglio osservarlo con calma. Certo che è lui. Cosa aspetto? Osservalo meglio prima, che Pedro è schiavo marchiato sul volto. Hai ragione tu, bene mi hai disingannato,
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
TIBERIO
aunque puede ser también que se los haya quitado. ¿Cómo, si en la carne están? Mira que eso es locura, y que por tal te tendrán.
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Salen Flora y Carrillo. FLORA CARRILLO
BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA
BELISA
FELISARDO LISARDA
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Así Dios me dé ventura. ¡Cómo es el novio galán! No he visto en toda mi vida cara a la de nuestro esclavo tan propia y tan parecida. Flora. ¿Señora? Hoy acabo esta paciencia ofendida. ¿Este no es Pedro? Señora, mucho le parece. Flora, ve a llamar Pedro luego. Verá que este es Pedro un ciego. Pienso que tu madre adora la gallardía y valor de este esclavo, y que te engaña. Perro, si te tiene amor mi madre, y tan loca hazaña cabe en su perdido honor, no pienses que has de afrentar mi sangre: que a mí me toca matarte. ¡Dadme lugar! ¿Qué es esto? Una hija loca, que hoy no se pudo encerrar. ¡Hola, llevalda de aquí!
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO
TIBERIO
anche se potrebbe darsi che si fosse tolto i marchi. Come, se li ha nella carne? Questa è una cosa da pazzi, e per tale sarai presa. Entrano Flora e Carrillo.
FLORA CARRILLO
BELISA FLORA BELISA
FLORA BELISA FLORA
BELISA
FELISARDO LISARDA
Oh Dio, che il cielo mi assista. Com’è bello il fidanzato! Non ho visto in vita mia una faccia tale e quale a quella del nostro schiavo. Flora. Signora? Ho finito questa pazienza oltraggiata. Non è Pedro? Sì, signora, gli somiglia molto. Flora, va’ a chiamare Pedro adesso. Anche un cieco lo vedrebbe. Io suppongo che tua madre ami la forza e il valore dello schiavo, e che ti imbrogli. Cane, se si è innamorata mia madre, e tale pazzia permette il suo onore perso non credere di oltraggiare il mio sangue: tocca a me farti fuori. Fate spazio! Cosa succede? Una figlia pazza che non ho rinchiuso. Portatela via! Su! Fuori!
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO BELISA FELISARDO BELISA
Yo no soy loca, tú sí, que con un perro te casas. ¡Qué lástima! Mucha pasas haciendo burla de mí.
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Sale Celia muy bravamente vestida, con un escudero y manto. CELIA TIBERIO FELISARDO
LISARDA BELISA TIBERIO CELIA LISARDA
BELISA
CELIA BELISA
FELISARDO BELISA
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Pienso que a buen tiempo vengo. Esta dama es la madrina. Guardado este asiento os tengo, aunque por prenda divina más el del alma os prevengo. Aquí, señora, os sentad. ¿Esta no es Zara, la esclava? Pues, perra… Esa loca atad. ¿Quién es, señora, tan brava? No la escuchéis, perdonad, que de puro melindrosa le dan estos accidentes. ¿Esta no es Zara? ¡Hay tal cosa! Pues, Zara, ¿por qué consientes, siendo tú de Pedro esposa, que con mi madre se case? ¿Que de melindres perdió el seso? ¿Qué esto pase? No sería mujer yo, si de ellos no me vengase. Perros, ¿qué es esto? Crïados, ¡tened esa loca allá! ¿Mi madre y Pedro casados?
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO BELISA FELISARDO BELISA
Non sono pazza, tu sì, che con un cane ti sposi. Che tristezza! Triste tu, se di me ti prendi gioco.
Entra Celia vestita molto elegantemente, con uno scudiero e il manto. CELIA TIBERIO FELISARDO
LISARDA BELISA TIBERIO CELIA LISARDA
BELISA
CELIA BELISA
FELISARDO BELISA
Arrivo al momento giusto. Questa dama è la madrina. Vi ho tenuto questo posto, benché per pegno divino quello dell’anima cedo. Sedetevi qui, signora. Ma non è Zara, la schiava? Cagna… Legate la pazza! Signora, chi è l’insolente? Non la ascoltate, scusate, perché a forza di capricci è sempre molto turbata. Non è Zara? Che succede? Ma, Zara, perché acconsenti, essendo moglie di Pedro, che si sposi con mia madre? Per i capricci ha perduto la testa? Ma cosa accade? Ma che donna sarei mai, se io non mi vendicassi. Cani, cosa fate? Servi, tenete là questa pazza! Mia madre sposa di Pedro?
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LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
Salen don Juan y Prudencio, padre de Celia, Eliso y la justicia. JUAN FELISARDO ELISO FELISARDO ALGUACIL FELISARDO ALGUACIL ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO ELISO
FELISARDO ELISO
FELISARDO
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La casa de boda está; entrad, seréis embozados. Tápate, Celia. ¡Ay de mí! Tu padre viene por ti. ¿Adónde está Felisardo? (Eliso es este, ¿qué aguardo?) ¿Quién es Felisardo aquí? Yo soy. ¿Qué es lo que queréis? ¿Es este? El mismo. ¿Tú, Eliso, traes la justicia? Y es justo castigo de un falso amigo. ¿Yo falso? Pues ¿no se ve, si habiendo yo pretendido a Belisa por mujer, te casas, como se ha dicho y como se ve en el traje? ¿Yo? Pues ¿quién, sino tú mismo? Y para más desengaño de tu traición, ¿no es indicio haberte dejado en forma de esclavo, herrado y vendido, para que no te prendiesen por el pasado delito, y hallarte en traje de novio, tan galán, vistoso y rico? Si hallaras que eso es verdad, por el tiro te permito que la espada que me mate saques de mis propios tiros.
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Entrano don Juan e Prudencio, padre di Celia, Eliso e la giustizia. JUAN FELISARDO ELISO FELISARDO GUARDIA FELISARDO GUARDIA ELISO FELISARDO ELISO FELISARDO ELISO
FELISARDO ELISO
FELISARDO
In casa c’è un matrimonio; prego, starete nascosti. Celia, copriti! Tuo padre ahimè ti viene a cercare. Dov’è Felisardo? (Questo è Eliso, che cosa aspetto?) Chi è Felisardo qui? Sono io. Cosa volete? È questo? È lui. Tu, Eliso, porti le guardie? Ed è il giusto castigo di un falso amico. Sono falso? Non è chiaro, se dato che ho chiesto io di sposarmi con Belisa, la sposi, come si dice e come l’abito mostra? Io? E chi se non tu stesso? E per rivelare il tuo tradimento, non ne è indizio averti lasciato come schiavo, marchiato e venduto, perché non fossi arrestato per il passato delitto, e ritrovarti vestito da sposo, ricco e elegante? Se scopri che questo è vero, per l’inganno ti permetto che la spada che mi uccida tu la prenda fra le mie. 503
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO BELISA
FELISARDO BELISA ELISO LISARDA
¿Por qué niegas, Felisardo, lo que ha de ser como ha sido? Conmigo estás ya casado, hoy te has casado conmigo. ¿Yo contigo? ¿Luego no? Flora y Carrillo lo han visto. Pues ¿cómo, villano, niegas lo que han visto dos testigos? Esos no dicen verdad, que Belisa lo ha fingido de envidia de que es mi esposo; y así te la doy, Eliso, para que tu esposa sea, porque Felisardo es mío.
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Celia se descubre. CELIA
FELISARDO PRUDENCIO JUAN PRUDENCIO JUAN
BELISA
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Quedo, señoras, que yo le tengo por mi marido. Yo soy la propia mujer, y él lo diga. Así lo digo. ¿Es Celia? La misma es. Pues, don Juan, perdón os pido de la palabra que os di. Todo el sentimiento mío se tiempla, viendo burladas mi madre y hermana. Y digo, pues Eliso es caballero, que a Belisa le suplico le dé la mano. Eso es justo. Perdón del desdén le pido, y a Celia del tratamiento; que a Felisardo, pues vino
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LOPE DE VEGA I CAPRICCI DI BELISA, ATTO TERZO BELISA
FELISARDO BELISA ELISO LISARDA
Perché neghi, Felisardo, quel che sarà come è stato? Con me sei sposato ormai, oggi ti sposi con me. Io con te? Lo neghi? Flora e Carrillo lo hanno visto. Villano, neghi quel che hanno visto ben due testimoni? Loro non dicono il vero, che Belisa sta fingendo invidiosa del marito mio; perciò la do a te, Eliso, perché la sposi, perché Felisardo è mio. Celia si scopre.
CELIA
FELISARDO PRUDENCIO JUAN PRUDENCIO JUAN
BELISA
Calma, signore, che io lo ritengo sposo mio. Sono io la vera moglie, lo dica lui. Lo confermo. È Celia? Sì, proprio lei. Don Juan, vi chiedo perdono della parola che ho dato. Tutto il sentimento mio si placa, perché mi vedo beffate madre e sorella. E se Eliso è cavaliere, lo supplico che a Belisa dia la mano. Son d’accordo. Scusa per lo sdegno chiedo, e a Celia del trattamento; che Felisardo quest’oggi, 505
LOPE DE VEGA LOS MELINDRES DE BELISA, ACTO TERCERO
ALGUACIL
FELISARDO TIBERIO LISARDA
BELISA
hoy al fin de su deseo, ya no sentirá el castigo. Y si prisión ha de haber, quiero servirle y serviros con mi hacienda. Ya, señores, aquel caballero herido está bueno. Solo resta hacer a los dos amigos. Vaya Tiberio y negocie que venga a sernos padrino. Él vendrá, y yo lo seré de Flora y del buen Carrillo. Y yo, pues no me he casado, dando a servirles principio, doy fin. Si es a mis melindres, senado, perdón os pido. FIN
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GUARDIA
FELISARDO TIBERIO LISARDA
BELISA
realizzando il sogno suo, non soffre più del castigo. Se ci sarà la prigione, voglio aiutarlo e aiutarvi con il denaro. Signori, quel cavaliere ferito sta bene. Solo rimane far fare loro la pace. Vada Tiberio e negozi perché sia il nostro padrino. Lo farà, ed io lo sarò di Flora e del buon Carrillo. Io, visto che non mi sposo, dando al servirvi principio do fine. Quanto ai capricci, senato, chiedo perdono. FINE
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Fuente Ovejuna Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva, traduzione e note di MARIA GRAZIA PROFETI
IMMAGINE
Lope de Vega Fuente Ovejuna Madrid 1619
Nota introduttiva
1. Fuente Ovejuna, conosciutissima e celebrata fin dai primi anni del Novecento, non sembra aver avuto un particolare successo ai suoi tempi. Fu pubblicata da Lope nel 1619 nella Parte XII delle sue commedie,1 e il 9 agosto dello stesso anno viene menzionata in un documento conservato a Potosí.2 Non ci sono restate edizioni sciolte, né sono attestate rappresentazioni nei secoli XVII e XVIII. Una traccia della sua fortuna coeva può tuttavia essere costituita dalla rifusione effettuata da Cristóbal de Monroy verso la metà del secolo XVII, conservata in una suelta senza luogo di stampa né anno.3 La commedia non è menzionata da Lope nella prima lista delle proprie opere, pubblicata nel Peregrino en su patria nel 1604, ma è inclusa nella seconda edizione del 1618, il che ci fornisce due date sicure post e ante quem per la sua redazione. Morley y Bruerton hanno poi stabilito, sulla base dello studio delle forme metriche utilizzate, che l’opera appartiene probabilmente al periodo 1611-1618, e più esattamente agli anni 1612-1614.4 La rivolta del paese di Fuente Ovejuna agli eccessi di Fernán Gómez, commendatore del potente ordine guerriero di Calatrava, viene menzionata in varie cronache; Lope tuttavia seguì con assoluta fedeltà la versione che ne dà la Crónica di Francisco de Rades, aggiungendo alla storia della ribellione popolare quella della guerra di Ciudad Real, raccolta dallo stesso cronista.5 È stata anche sottolineata l’influenza che su Lope può avere esercitato un testo vulgato come gli Emblemas morales di Sebastián de Covarrubias, pubblicato nel 1610; vi figura infatti l’emblema che, secondo Moir,6 dette al commediografo l’idea della commedia: 511
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA
Grande es la confusión de un juez cristiano cuando en un caso atroz Fuente Ovejuna con atrevida y vengativa mano, sin Dios, sin Rey, sin ley, toda se aúna de hecho a un hecho bárbaro, inhumano, sin que se halle claridad ninguna cuál sea el culpado, cuál el inocente en la comunidad de tanta gente.7
Comunque esisteva un detto proverbiale piuttosto conosciuto,8 che costituisce il punto di raccordo tra le operazioni di Lope e l’enciclopedia del suo destinatario. Modernamente Fuente Ovejuna ha richiamato ripetutamente l’attenzione degli studiosi: la ricca e varia letteratura critica e le numerosissime edizioni9 dimostrano un interesse eccezionale, anche se si può indovinare, al di là della riflessione filologica ed interpretativa, le ragioni di una tale curiosità, che col testo di Lope hanno poco da spartire. Data la messe e la varietà degli interventi, il lettore non si meraviglierà se inizio col loro regesto, e con un frammento molto conosciuto di Menéndez y Pelayo: En Fuente Ovejuna el alma popular que hablaba por boca de Lope, se desató sin freno y sin peligro, gracias a la feliz inconsciencia política en que vivían el poeta y sus espectadores. Hoy, el estreno de un drama así promovería una cuestión de orden público, que acaso terminase a tiros en las calles. Tal es el brío, la pujanza, el arranque revolucionario que tiene; enteramente inofensivo en Lope, pero que, transportado a otro lugar y tiempo, explica el entusiasmo de los radicales de Rusia [...] Se pinta y representa con los más vivos colores la orgía de la venganza popular, una furiosa saturnal demagógica.10
Parole che ci illustrano in maniera perfetta l’ideologia idealista e l’ottica post-romantica del critico, ma che male si adattano alla commedia, dove non è raffigurata una ribellione «politica»; è stato abbastanza facile per la critica successiva correggere questa prospettiva. Per esempio García Pavón osserva che i contadini di Fuente Ovejuna non si ribellano «contro il Commendatore dell’Ordine di Calatrava per questioni di lavoro, di abuso economico, di ingiustizia sociale», e articola la sua lettura sull’uto512
NOTA INTRODUTTIVA
pismo di Lope, sottolineando che la felice soluzione finale è giustificata non solo in rapporto alla difesa dell’onore dei contadini, ma – soprattutto – per la mancanza di formalità giuridica da parte del Commendatore;11 il che indica proprio il fine senso «politico» di Lope, non certamente la sua feliz inconsciencia, come affermava Menéndez y Pelayo. Ma una interpretazione di questo tipo confina sempre con ragioni extra-letterarie; mentre lo sfondo ideologico non può essere esaminato che nelle forme specifiche della sua realizzazione, poiché Lope volle scrivere una commedia, non un trattato politico.12 Certo non sono mancati studi che hanno cercato di valutare il livello letterario della commedia; e ricordo quello di Pring Mill, che sottolinea la «sentenziosità» dell’opera, dove sono presenti ben 63 detti, aforismi e proverbi.13 Molto interessante anche l’intervento di López Estrada, che esamina la canzone Al val de Fuente Ovejuna (vv. 1548-71): Lope costruisce il frammento utilizzando materiali tradizionali e lo inserisce nella commedia come «sublimazione lirica in cui i motivi della tragedia... sono espressi con un tocco geniale di poesia».14 Ha richiamato l’attenzione anche quello che si è soliti definire «intreccio secondario», costituito dalla guerra di Ciudad Real.15 Parker e Ribbans sottolineano come esso si collega all’azione principale, e allo stesso tempo mettono in rilievo una serie di contrasti drammatici tra la vita del popolo e quella dei nobili: studi che tendono ad analizzare l’opera situandola nel suo tempo e ricercando una coerenza interna delle linee sia letterarie che ideologiche.16 E sempre stimolante l’intervento di Casalduero: il «senso» dell’opera, secondo la terminologia tipica dello studioso, risiede nel tema dell’amore, santificato dal matrimonio, in opposizione alla lascivia degli istinti; cioè in un problema morale e metafisico.17 Secondo Spitzer il «tema centrale» della commedia è la relazione tra l’amore e l’armonia del mondo, teorizzata nella seconda scena del primo atto sulla base di una ideologia neoplatonica. Con questi presupposti si connette la funzione assunta dalla musica, che prima sottolinea l’amore che unisce il signore ai suoi vassalli e culmina con la sua esaltazione (vv. 529-44); poi definisce l’armonia che si stabilisce nel matrimonio (vv. 1474-70); infine attraverso la musica si giunge alla rottura di questa armonia per colpa del Commendatore (vv. 1548-72); ed allora i viva lasciano il campo ai muera: la disarmonia anche sociale dovrà essere respinta, e il popolo si unisce «armonicamente» a questo scopo. Ora el orden vie513
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA
ne incarnato dai Re Cattolici, esaltati nella stessa maniera prima riservata al Commendatore, e anche qui in un frammento cantato (vv. 2030-70). Lettura certo magistrale, ma che trascura scene intere, come la prima, e quasi tutte quelle che si riferiscono alla guerra di Ciudad Real.18 Quasi contemporaneamente all’intervento di Spitzer, Wardropper elabora la sua analisi che dà un giusto rilievo alla presenza dell’amore platonico, e sottolinea anche una serie di temi «secondari», come lo studioso li definisce, ma fondamentali per la comprensione dell’opera. Essa sarebbe una political play, che esamina la relazione tra l’individuo e la comunità, tra una vita etica e una vita politica, una relazione di necessaria armonia: «In the Platonic conception of love, el gusto, both in personal and social life, is successfully combined with lo justo».19 Con una «nuova» valutazione politica della commedia (effettuata tuttavia attraverso il peculiare materiale dell’opera letteraria, le sue «immagini») si connette anche lo studio di Herrero, che vede nel testo l’esaltazione della monarchia assoluta, vittoriosa sulle forze feudali, sull’aristocrazia anarchica.20 La lettura di López Estrada descrive i vari «temi» della commedia, «el amor pastoril y sus presupuestos filosóficos», l’onore, in cui vede l’origine del conflitto sociale, l’impostazione umanistica del caso di tirannia, la presenza della musica in rapporto al tema dell’amore; sottolineando la «repercusión léxica» («eco lessicale») dei vari argomenti.21 Madrigal dal canto suo rileva l’importanza dello spazio nella commedia: lo spettatore percepisce la centralità degli avvenimenti che si svolgono nella piazza del paese, un vero e proprio axis mundi, centro del mondo attraverso il quale passa un «ascenso iniciático, que esencialmente es un paso del caos a la armonía».22 Lo scontro tra il Commendatore e il popolo di Fuente Ovejuna passa anche attraverso la caratterizzazione letteraria, con l’uso da parte dei contadini di un linguaggio rustico, con i suoi tratti convenzionali, 23 che è utile identificare. Un’analisi di Teresa Kirschner può servire per alcune considerazioni finali sulla ricezione dell’opera. La studiosa utilizza il concetto di «protagonista collettivo», elaborato da Joachim Tenschert 24 tra gli altri, che usa le teorie di Walter Benjamin e Bertold Brecht, e che applica, in forma retrospettiva, a un testo che si muove ovviamente in una logica ideologica diversa, quella dello spettatore del secolo XVII.25 Per questo spettatore fu scritta l’opera, ed esso era perfettamente in grado di decifrarla: 514
NOTA INTRODUTTIVA
non solo conosceva la tradizione orale e il proverbio «Fuente Ovejuna lo hizo», ma era anche abituato (per lo meno in alcuni suoi livelli) ai topici letterari che appaiono nell’opera, e si pensi all’«ipocrisia dei nomi», o a principi filosofici come l’amor platonico, e così via. Mi sembra evidente, senza necessità di particolari dimostrazioni, che i protagonisti di Fuente Ovejuna si sentano parte di una comunità, di un gruppo, ma lo stesso accade in tutte le opere del periodo, né poteva essere altrimenti: il concetto di individuo, e dei suoi diritti, si formerà quasi un secolo più tardi: è un’«invenzione borghese», potremmo dire. Quello che appare (nel secolo XVII e in Fuente Ovejuna), come ho cercato di dimostrare e come bene dice Casalduero, è il controllo del gruppo sociale sull’individuo, e questo controllo diventa un problema morale e metafisico. Tuttavia va considerata anche una linea diversa, quella che unisce il testo teatrale a spettatori di varie epoche, attraverso interpretazioni che proiettano sul testo le «necessità» di ogni periodo storico; nel caso di Fuente Ovejuna all’inizio del Novecento saranno quelle di tipo «politico» che traspaiono dal giudizio di Menéndez y Pelayo. È con questa connotazione «popolare» e «rivoluzionaria» che Fuente Ovejuna inizia il suo trionfale cammino sulle scene e giunge fino a noi; perché questa nuova e diversa interpretazione risultasse più evidente si sono a volte tagliate le scene finali, con l’intervento dei Re Cattolici e la restaurazione dell’ordine, come fece Federico García Lorca per la messa in scena della Barraca per esempio; proiezione dei nostri desideri in un testo che era nato per un «messaggio» diverso. 26 Ma questo è il destino di ogni testo letterario, che è stato definito una forma vuota, che la storia riempie successivamente di sensi diversi; o meglio, direi, uno schermo sul quale proiettiamo le nostre diverse e nuove aspettative, cancellando o sfumando le sue anteriori ed originali linee. Credo sia possibile connettere le diverse indicazioni ed interpretazioni, sottolineando che le une non escludono le altre, ma illuminano i diversi livelli della commedia, secondo l’analisi che ho tentato di effettuare in altri momenti.27 L’interpretazione del testo può così giovarsi dei risultati più stimolanti a cui la critica è giunta, volgendoli ad una maggiore formalizzazione, che ci permetta di vedere come operano congiuntamente i motivi ideologici (corretta valutazione dell’amore, tema della cortesia come armonia), i loro equivalenti simbolici, ed i fenomeni pertinenti la 515
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA
forma dell’espressione (uso del linguaggio rustico, peculiari forme metriche, espressioni sentenziose, ecc.). 2. Nella prima scena della commedia Fernán Gómez, Comendador Mayor dell’ordine militare di Calatrava, ed i suoi servi commentano il ritardo con cui il giovane Maestro dell’ordine li riceve, sottolineando l’importanza della «cortesia», mentre la «scortesia» non è che «tirannia» verso gli inferiori, e «sciocchezza» tra pari grado (vv. 13-16, 25-28). Ebbene, il Commendatore peccherà lungo la commedia proprio di questa mancanza di saggezza, con il suo comportamento nei riguardi dei Re Cattolici, e di «tirannia» verso i propri vassalli; così perderà l’attributo fondamentale del cavaliere, la cortesia, meritando la propria morte esemplare. Entra in scena il Maestro, e Fernán Gómez lo consiglia di seguire il bando di Alfonso V del Portogallo nella guerra contro i Re Cattolici; il re portoghese aspira infatti a regnare sulla Castiglia, come marito di Juana la Beltraneja, figlia del re castigliano Enrico IV. Un momento strategico essenziale della guerra sarà la conquista di Ciudad Real; il giovane Maestro si lascia convincere a parteciparvi con le proprie truppe. Questo primo nucleo scenico si svolge in un metro colloquiale come le redondillas,28 che sottolineano il tono di elegante conversazione tra i due cavalieri; e successivamente in romance, che eleva la forma dell’espressione al tono epico, in un brano dedicato alla spiegazione delle gestioni politiche del Commendatore e del Maestro. A livello di forma del contenuto, il simbolo dell’eleganza cavalleresca e della fedeltà agli alti ideali è la Croce, intorno alla quale si svolge l’esortazione finale del Commendatore: la conquista di Ciudad Real viene presentata come il mezzo attraverso il quale il valore personale del giovane Maestro può giungere ad essere degno di quello dei suoi avi (vv. 117-135). Ma allo stesso tempo il brano mette a nudo la slealtà del Commendatore, che istiga il pupillo ad opporsi alla politica dei Re Cattolici, ribellandosi alla loro autorità. L’opposizione Cortesia/Scortesia stabilisce una relazione omologa con la coppia Corte/Campagna, che assume tutta la sua importanza nel secondo nucleo, dove appaiono in scena i villici di Fuente Ovejuna: Laurencia, Pasquala, Mengo, Frondoso, Barrildo. La forma dell’espressione assunta dalla descrizione che Laurencia fa della vita semplice dei campi utilizza il topico Más precio... que (vv. 217-44) e tutti i riferimenti ad un ambiente contadinesco convenzionale, per connotare la fanciulla nella sua rusti516
NOTA INTRODUTTIVA
cità, mentre ne viene sottolineato il comportamento corretto, e quindi nobile. Se il Commendatore, che apparterrebbe alla sfera della Corte, perde la propria «cortesia» consegnandosi alla «tirannia», la contadina Laurencia acquista «nobiltà» per la perfezione della propria condotta morale: la Campagna diventa luogo di cortesia, cioè Corte, e le contadine assumono le qualità di damas (v. 290). Immediatamente dopo la stessa «Cortesia» mostra il suo rovescio di Ipocrisia (vv. 292-348). I giovani contadini a loro volta discutono sulle varie concezioni dell’amore: la Campagna chiarisce la relazione positiva che si deve stabilire con un amore retto, sancito dal vincolo sociale del matrimonio, versus l’amore lascivia, incarnato dalla «scortesia» del Commendatore. La forza di un tale amore libero e sfrenato si era rivestita poco prima di un simbolo affascinante, quello del turbinoso torrente (vv. 205-11). La disputa dei contadini sull’amore platonico assevera il carattere di «dame» assunto dalle contadine, e illustra le relazioni che si stabiliscono tra l’amore come impulso egoista e l’onore come correttivo sociale (vv. 366-435). Così il problema e il tema della commedia appaiono impostati nelle loro varie implicazioni nei due nuclei scenici iniziali. Corte e Campagna dovranno ora confrontarsi plasticamente davanti agli occhi stessi degli spettatori: il passaggio seguente, dove Flores racconta come il Maestro di Calatrava e il Commendatore hanno conquistato Ciudad Real, ha la funzione di rendere visibile l’opposizione. Da una parte abbiamo la descrizione in romance dei cavalieri con le loro simboliche croci (vv. 465, 520); dall’altro sfila l’intera Fuente Ovejuna. La forma epica del romance serve per presentare i cavalieri con le loro seduzioni, le livree, i cavalli, i colori e gli ornamenti (vv. 469-96); e subito dopo entrano in scena i contadini, cantando una canzoncina popolare, volutamente rustica e arcaizzante, tanto che esibisce forme come la e paragogica o l’articolo davanti all’aggettivo possessivo (vv. 529-44). I doni recati dai villici sono tanto caratteristici da apparire topici, per sottolineare il loro carattere arcaico e semplice; la descrizione si effettua ancora una volta in un metro nobile e «antico» al tempo stesso: le terzine (vv. 545-78). La relazione tra questi due mondi sembrerebbe essere di «armonia», come direbbe Spitzer:29 i riferimenti all’amore che unisce i vassalli al loro signore si ripetono lungo tutta la scena, sottolineati dalla musica. Il momento di rottura tra le due sfere semantiche è costituito dal primo scontro tra il Commendatore e Laurencia (vv. 603-604). Nella sua bra517
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA
ma di impossessarsi della giovane, il Signore rivela di non considerarla una persona, ma una «preda» di caccia, un essere che appartiene alla sfera degli animali inferiori, «carne» (vv. 623-25); ma la hermosa fiera con la sua forza morale sfuggirà al cavaliere che cercherebbe di ridurla a oggetto. Sono i desdenes (v. 597) che danno dignità alle contadine, nel momento stesso in cui sulle loro labbra abbondano forme linguistiche rustiche, che le connotano chiaramente come appartenenti alla sfera della Campagna (vv. 600-26). La seconda parte dell’atto ripete in maniera speculare la ribellione del Commendatore ai Re: gli assessori di Ciudad Real domandano aiuto ai monarchi, e alla supplica «remediad sus demasías» (vv. 686, 709) don Manrique, missus del re Fernando, può rispondere «Pondré límite a su exceso» (v. 719). La «scortesia», dunque, genera il disordine (demasía, exceso). L’ultima parte dell’atto, poi, si svolge sulla riva del torrente dove Laurencia sta lavando i panni: simbolo, come si è visto, della sregolatezza dell’amore. La fanciulla respinge Frondoso, ma poi gli suggerisce di chiederla in moglie. Assistiamo così ad una autolimitazione dei protagonisti: la forza dell’amore si può dominare attraverso una forma di controllo sociale, il matrimonio, mezzo idoneo a correggere gli eccessi del giovane; inutile sottolineare come queste demasías (v. 727) sono in stretta relazione con quelle appena citate del Commendatore. Il matrimonio regolatore, la cui forma simbolica in tutta la commedia è la formula «para en uno...», viene così alluso direttamente (v. 738) prima che irrompa sulla scena il Commendatore, che tenta di violentare Laurencia. Frondoso interviene e lo minaccia con la stessa balestra che egli aveva deposto a terra. La «tirannia verso gli inferiori» si rivela ancora una volta nel tentativo di ridurre la villanella a oggetto, a presa de caza (v. 781): mentre la «perdita di nobiltà» risiede nello «smentire» quella croce che indica Fernán Gómez come cavaliere (vv. 811-13) e nel desceñirse la espada (v. 835); mentre proprio contro la cruz Frondoso punta la balestra, per difendere Laurencia (vv. 827-30). Il secondo atto presenta una evidente struttura iterativa. I contadini conversano nella piazza del paese con Leonello, ritornato da Salamanca, quando sopraggiunge Fernán Gómez che insolentemente domanda a Esteban di castigare la propria figlia che gli resiste. Ancora una volta con il loro comportamento onorato i contadini assumono il carattere e la 518
NOTA INTRODUTTIVA
dignità di caballeros, mentre il loro signore se ne spoglia, giungendo ad essere bárbaro in quanto «lascivo» (v. 939). Si comprende da questo punto di vista la ragione della lunga parentesi iniziale sull’astrologia e la stampa, che una lettura superficiale potrebbe considerare non necessaria (effettivamente Leonello, che ha studiato all’Università di Salamanca, non apparirà più nella commedia). Ora è necessario sottolineare (e Lope lo fa tramite un metro alto e grave come le ottave) la nobiltà e la saggezza dei contadini, che discettano con grande intelligenza dei propri lavori nei campi (vv. 861-92). Leonello, nonostante i suoi studi, ha mantenuto la sua prudenza campagnola (v. 900) e può dissentire dalla opinione comune indicando i pericoli della stampa inventata da Gutenberg (vv. 927-31). L’arrivo del Commendatore rompe il ritmo elegante delle ottave, e si riprendono le più usuali redondillas; mentre si oppongono l’«eloquenza» nobile dei villici e la volgarità libre, sfrenata, del Commendatore. La diretta allusione ai turpi desideri del cavaliere («Ha dado en darme pena», v. 968), che utilizza di nuovo la metafora della caccia, culmina nella citazione di Aristotele (vv. 975-78). La caballerosidad continua ad essere allusa dal simbolo della «croce», sorretta ora dall’anfibologia: la croce che orna il petto del cavaliere si muta nell’infamia del disonore, che può essere sopportato solo da coloro che non hanno sangre limpia (vv. 986-93). I villici di fatto se igualan al cavaliere, minacciando con questo la sua stessa ragion d’essere (come Frondoso lo aveva minacciato con la balestra, ricorda Fernán Gómez, vv. 1046-50): l’ordine sociale stabilito (mundo) sembra capovolgersi (se acaba). La mancanza di controllo del Commendatore viene sottolineata attraverso la rassegna delle ragazze del paese, tutte bramate dal loro signore, che riesce perfino ad alterare i precetti dell’amor platonico, usati per avallare i propri stravizi (vv. 1089-95); ma nello sfondo appare la potenza e la forza dell’amore retto (v. 1051). E di nuovo si rileva la slealtà del Commendatore nei riguardi dei monarchi, che nell’immaginario collettivo del secolo XVII appaiono come i fondatori del diritto e dello stato spagnolo:30 il soldato Cimbranos appare in scena e racconta che i Re Cattolici sono sul punto di riconquistare Ciudad Real (vv. 1105-38): il romance, che assume un certo tono epico, viene inserito per ricordare l’altro aspetto della colpa del cavaliere («necedad en los iguales», v. 26). 519
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E immediatamente dopo riappare la sua «tirannia»: perfino Mengo, investito ufficialmente del ruolo di gracioso (come «buffo» lo connotano, ad esempio, i giochi di parole dei vv. 1175-79, mentre la sua rusticità è sottolineata dai vv. 1170-74), si comporterà con dignità, difendendo Giacinta dai servi del Commendatore, e patirà il crudele castigo delle frustate: le sue parole assumono un tono nobile (vv. 1225-32); ed i richiami all’onore ed alla giustizia del cielo si ripetono (vv. 1253-54; 1262-65; 1277-78) di fronte a questi nuovi eccessi (demasías, v. 1324). La sequenza centrale dell’atto è costituita dalle nozze di Laurencia e Frondoso, annunziate nel colloquio tra i due giovani (vv. 1279-1318): ora è Frondoso a sottolineare l’aspetto di patto sociale del matrimonio (vv. 1299-1304), come più tardi ribadisce Laurencia («a la villa y a ti respondo...», vv. 1305-06). Nella scena successiva (dove appaiono gli anziani del paese e si ripetono le allusioni al comportamento privo di regole – descomedido – del Commendatore ed alla sua ribellione ai Re Cattolici, vv. 1319-30), Frondoso domanda la mano di Laurencia a Esteban, che felice gliela concede. La caratteristica fondamentale del passaggio è l’allegria, evidente negli scherzi del vecchio, e che ha il suo culmine nelle dichiarazioni dei due giovani (vv. 1443-50). Se il momento in cui la coppia si sottomette alla legge sociale è permeato di gioia, il tradimento dei cavalieri avrà come esito lo sconfitta: nella scena seguente il Maestro e il Commendatore appaiono in fuga da Ciudad Real; il metro aulico (ottave) sottolinea il momento epico in cui i designios dei ribelli hanno come unico risultato lo scacco (v. 1458). Il nucleo scenico finale dell’atto dipinge le nozze, gli scherzi semplici ed i canti dei contadini, e si inserisce qui la canzone Al val de Fuente Ovejuna (vv. 1548-71), nella quale è stato giustamente riconosciuto il centro ispiratore della commedia. L’evocazione poetica del Commendatore precede il suo violento arrivo in scena; le sue vessazioni non si arrestano nemmeno davanti al momento di pubblica allegria e allo stesso carattere di patto sociale che il matrimonio assume (vv. 1592-93); né vuole considerare la causa della reazione di Frondoso, la sua qualità di hombre amante (vv. 1611-13). Il Commendatore sarà così definitivamente spogliato del suo status di cavaliere, mentre i contadini evocano la giustizia dei Re Cattolici, restituzione del patto sociale (vv. 1622-32), e dal punto di vista della forma del contenuto continua ad agire il simbolo cruz (vv. 1629, 1632). 520
NOTA INTRODUTTIVA
La soluzione, a cui come di consueto è dedicato il terzo atto, passa attraverso successivi gradini. Ed abbiamo ancora un esempio del tipo di struttura preferita da Lope, quella a schidionata, con la presentazione ripetuta dei vari motivi: come negli atti precedenti si ripetevano le azioni malvage di Fernán Gómez, di ribellione ai Re e di tirannia verso i contadini. Ora la sua morte viene decretata due volte: dagli uomini del paese e dalle donne. L’epicità e la nobiltà del momento sono sottolineate dei metri utilizzati: terzine, romance, ottave; ci troviamo davanti ad una opposizione al disordine, e i Re Cattolici, ripetutamente allusi, saranno fonte di un nuovo ordine (vv. 1678-81, 1702-03, 1884-88, 1921). Il Commendatore viene condannato come tiranno (linaje de tiranía, v. 28) e come «traditore», ribelle all’autorità reale; cioè come «fuori della norma» (inorme, v. 1805, nel suo valore etimologico), con un’ossessiva ripetizione delle dichiarazioni (vv. 1670, 1699, 1728-29, 1777-79, 1815-16, 1867-68, 1885, 1896). Interviene Laurencia che esorta gli uomini ad uccidere il Commendatore, in un romance epico, costellato di interrogazioni ed esclamazioni retoriche (vv. 1746-59, 1772-85), di iperboli, paragoni (tigres) e perfino violente ingiurie (liebres, bárbaros, gallinas, maricones, amujerados, cobardes), frammento estremamente emotivo, ma anche organizzato su argomentazioni giuridiche (vv. 1725-41). L’intervento marca il passaggio dal disordine (la cui forma simbolica è la perdita di virilità degli uomini) all’ordine (vv. 1806-10). Perfino le donne, todas en orden (v. 1831) con capo squadra, alfiere e capitano, assalgono il Commendatore: tutti gli abitanti di Fuente Ovejuna lo uccidono, con i suoi servi. Non per caso ora Flores chiama le contadine señoras (v. 1917), riconoscendo la nobiltà della loro impresa e la dignità che hanno acquisito. L’amore sociale spinge tutta la comunità, e Frondoso può ben dire: «amor les ha movido» (v. 1866); il tiranno muore, al grido «¡Fuente Ovejuna!», che si ripete. Da questa acmé così violenta bisogna poi ritornare alla normalità, il che si effettua con la solita ripetizione; due volte si promette giustizia: prima lo fa il Re Fernando (vv. 2022-27), e successivamente il Maestro (vv. 2127-62). Ma questo stesso nucleo presenta anche una falsa visione dei fatti: Flores, che riferisce al Re la morte del Commendatore, astutamente sottolinea la alevosía dei contadini (v. 1967), il loro pecho inclemente (v. 1963), irritato da leve causa (v. 1969), il loro hecho fiero (v. 1973). Ora la tiranía 521
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del Commendatore sembra frutto di una valutazione capricciosa dei suoi vassalli (vv. 1970-71, 1975-80), come se Fernán Gómez non avesse perso, con il suo comportamento tirannico, la sua fe de caballero e la sua qualità di nobile (cruzado pecho, v. 1980). Spinto da queste parole del servo, il Re interpreta la rivolta come atrevimiento (v. 2026), contrario all’ordine e dunque meritevole di un castigo esemplare. I successivi comportamenti dei contadini dimostreranno, con la loro risposta ordenada, che lo scopo del fatto di sangue è stato esattamente la restituzione di un ordine sociale, che nasce dal superamento del vantaggio personale. Lo stesso Maestro, dopo alcune immediate ed eccessive dichiarazioni (vv. 2129-38: «Estoy por darte la muerte... la villa he de asolar...»), riesce a «controllarsi» e lasciare l’indagine sul caso all’autorità regale; con questo comportamento si allontana dalla sua precedente slealtà (anteposizione dell’interesse personale a quello collettivo) e recupera l’onore di cavaliere (vv. 2149-62). Tra questi due nuclei si inserisce l’episodio della falsa tortura, dove gli abitanti di Fuente Ovejuna «provano» le risposte univoche che dovranno dare al giudice; nucleo il cui valore è stato giustamente sottolineato.31 Il nuovo «patto sociale» viene qui presentato in tutta la sua evidenza; è il momento nel quale i Re vengono definiti nella loro qualità di «sposi» (vv. 2039-40), già vittoriosi distruttori di tiranni o di violatori della norma, la cui forma simbolica è gigantes y enanos (vv. 2030-55, 2080-82). L’unione di tutto il paese si confronta poi con la realtà della prova, superata giacché un verdadero amor regge la comunità nella sua cellula-base, quella della famiglia. Il sonetto di Laurencia segna il passaggio dal proposito alla attuazione: il giudice sottopone alla tortura un vecchio, un bambino, una donna e Mengo; tutti superano la prova. E nel nucleo finale i Re, il cavaliere pentito (due volte si ripete humilde, perdón, vv. 2316, 2324) e il popolo stabiliscono un nuovo patto sociale, superando l’interés ed il «gusto» personale a favore della comunità; ora il cavaliere ben può fregiarsi della sua cruz roja partecipando alla conquista di Granada (v. 2335). 3. Il testo di Fuente Ovejuna ci è stato trasmesso, come s’è visto, nella Docena parte de las comedias de Lope de Vega Carpio, Madrid, viuda de Alonso Martín – Alonso Pérez, 1619, autorizzata dal suo stesso autore; la stampa tuttavia presenta due diverse tirature, individuate e descritte da Anibal, che dette una prima rassegna delle varianti, con alcune vacillazioni nella 522
NOTA INTRODUTTIVA
loro classificazione.32 Se uguali sono il contenuto ed i preliminari,33 nel frontespizio della tiratura che Anibal chiama A figura lo scudo del dedicatario Lorenzo de Cárdenas; nella B appare invece un emblema raffigurante il Sagittario, con la dizione Salvbris sagitta a Deo missa. Della commedia si conoscono anche due manoscritti: il primo appartenne a Lord Ilchester e, secondo quanto afferma Anibal, è copia della stampa; il secondo, anch’esso copia senza valore stemmatico, è conservato nella Palatina di Parma.34 Non solo nelle due stampe si rilevano alcune divergenze, ma i vari esemplari delle due tirature che oggi ci restano possono presentare minimi cambiamenti e correzioni, che Dixon e Moll,35 hanno illustrato ed argomentato. Il secondo spiega molto bene i processi che presiedevano alla stampa ed alla confezione del libro nei Secoli d’Oro, giungendo alla conclusione che si dovrà seguire sempre l’ultima lezione, ed abbandonare quelli che chiama «criterios subjetivos». Tuttavia io credo che solo il «criterio» di chi si dedica all’edizione critica del testo, quello che gli antichi maestri chiamavano «iudicium», permette di stabilire se la correzione adottata dagli stampatori del sec. XVII restituisce una lettura originale dell’autore o se al contrario se ne allontana.36 I vari esemplari delle due tirature, con le loro eventuali lezioni varianti, si potranno vedere analizzate e censite nella mia ultima edizione, stampata da Prolope, che utilizzo come base della traduzione; nelle note alla traduzione stessa do alcune informazioni al riguardo, tuttavia in maniera non sistematica. A questa mia ultima edizione rimando anche per puntuali analisi delle abitudini lessicali di Lope. Ricorderò poi che si conoscono della commedia una cinquantina di edizioni moderne;37 delle più importanti di esse ho ugualmente indicato le linee di trasmissione nelle note introduttive della edizione Prolope. Fuente Ovejuna è anche una delle commedie dei secoli d’oro più tradotta in Italia;38 ma spesso le versioni non risultano affidabili, o per il gran numero di errori, forse risalenti al testo fonte scelto come base di edizione, o perché appaiono quasi riscritture, poco interessate a conservare la «visione» originale. E citerò a questo riguardo una delle ultime, dovuta a Francesco Tentori Montalto, che sopprime sistematicamente i richiami di Lope all’onore, da considerare invece, come s’è visto, chiave di lettura centrale nella identificazione della «forma del mondo» del suo autore. MARIA GRAZIA PROFETI 523
COMEDIA FAMOSA DE FUENTE OVEJUNA HABLAN EN ELLA LAS PERSONAS SIGUIENTES
FERNÁN GÓMEZ
REY DON FERNANDO
ORTUÑO
REINA DOÑA ISABEL
FLORES EL MAESTRE
DON MANRIQUE
de Calatrava
UN REGIDOR
[Regidor 2: CUADRADO] CIMBRANOS, soldado JACINTA, labradora
PASCUALA LAURENCIA MENGO BARRILDO
UN MUCHACHO
FRONDOSO
ALGUNOS LABRADORES
JUAN ROJO
UN JUEZ
ESTEBAN, ALONSO,
alcaldes
LA MÚSICA
[LEONELO]
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COMMEDIA FAMOSA DI FUENTE OVEJUNA PARLANO I SEGUENTI PERSONAGGI*
FERNÁN GÓMEZ
[Commendatore
di Calatrava]
IL RE DON FERNANDO LA REGINA DONNA ISABELLA
ORTUÑO
DON MANRIQUE
FLORES
UN ASSESSORE
di Calatrava [Rodrigo Téllez Girón]
IL MAESTRO PASQUALA LAURENCIA
[Secondo assessore: QUADRATO] CIMBRANOS, soldato GIACINTA, contadina UN RAGAZZO
MENGO
ALCUNI CONTADINI
BARRILDO
UN GIUDICE
FRONDOSO
MUSICI
JUAN ROJO
[LEONELLO]
ESTEBAN, ALONSO,
sindaci
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Salen el Comendador, Flores y Ortuño, criados. COMENDADOR FLORES ORTUÑO COMENDADOR FLORES COMENDADOR
ORTUÑO COMENDADOR
ORTUÑO
FLORES
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¿Sabe el Maestre que estoy en la villa? Ya lo sabe. Está, con la edad, más grave. ¿Y sabe también que soy Fernán Gómez de Guzmán? Es muchacho, no te asombre. Cuando no sepa mi nombre, ¿no le sobra el que me dan de Comendador Mayor? No falta quien le aconseje que de ser cortés se aleje. Conquistará poco amor. Es llave la cortesía para abrir la voluntad, y para la enemistad la necia descortesía. Si supiese un descortés cómo lo aborrecen todos, y querrían de mil modos poner la boca a sus pies, antes que serlo ninguno, se dejaría morir. ¡Qué cansado es de sufrir! ¡Qué áspero y qué importuno! Llaman la descortesía «necedad» en los iguales, porque es entre desiguales linaje de tiranía. Aquí no te toca nada: que un muchacho aún no ha llegado a saber qué es ser amado.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entrano il Commendatore, Flores e Ortuño, servi. COMMENDATORE FLORES ORTUÑO COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE
ORTUÑO COMMENDATORE
ORTUÑO
FLORES
Il Maestro sa che sono in città? Sì, lo sa già. È cresciuto: è più prudente. E sa anche che io sono Fernán Gómez de Guzmán? È un ragazzo, non stupirti! Se non sapesse il mio nome. Non gli basta che io sia Commendatore maggiore? Non manca chi gli consiglia di non mostrarsi cortese. Così non si farà amici. La cortesia è la chiave che apre il cuore della gente, e la sciocca scortesia procura le inimicizie. Se uno scortese sapesse come tutti l’abborriscono, e in mille modi vorrebbero metterselo sotto i piedi, certo, prima di esserlo, preferirebbe morire. Che noioso sopportarlo! Che aspro e che molesto! La scortesia la chiamano «sciocchezza» se è tra uguali, ma se è con gli inferiori diventa una tirannia. Ma ora non devi prendertela, che un ragazzo non sa ancora come si ottiene l’affetto.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO COMENDADOR
FLORES ORTUÑO COMENDADOR
La obligación de la espada que se ciñó, el mismo día que la Cruz de Calatrava le cubrió el pecho, bastaba para aprender cortesía. Si te han puesto mal con él, presto le conocerás. Vuélvete, si en duda estás. Quiero ver lo que hay en él.
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Sale el Maestre de Calatrava y acompañamiento. MAESTRE
COMENDADOR
MAESTRE
COMENDADOR
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Perdonad, por vida mía, Fernán Gómez de Guzmán, que agora nueva me dan que en la villa estáis. Tenía muy justa queja de vos; que el amor y la crianza me daban más confianza, por ser, cual somos los dos, vos, Maestre en Calatrava, yo, vuestro Comendador y muy vuestro servidor. Seguro, Fernando, estaba de vuestra buena venida. Quiero volveros a dar los brazos. Debéisme honrar, que he puesto por vos la vida entre diferencias tantas, hasta suplir vuestra edad el Pontífice.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO COMMENDATORE
FLORES ORTUÑO COMMENDATORE
La spada che cinse al fianco lo stesso giorno che il petto ricoprì con la croce di Calatrava, doveva essere ben sufficiente a insegnargli a esser cortese. Se te lo hanno messo contro lo vedrai molto presto. Se sei in dubbio, puoi andar via. No: vedrò quello che vale.
Entra il Maestro di Calatrava col suo seguito. MAESTRO
COMMENDATORE
MAESTRO
COMMENDATORE
Scusatemi, ve ne prego, Fernán Gómez de Guzmán: solo ora mi hanno avvisato che siete giunto in città. Stavo giusto lamentandomi di voi: l’affetto e l’avervi allevato mi davano fiducia, perché siamo voi, Maestro di Calatrava, io, vostro Commendatore, e vostro servo devoto. Fernando, io ero sicuro del vostro felice arrivo. Vi voglio ancora abbracciare. E mi dovete onorare: per voi ho rischiato la vita tra tante difficoltà, fino a ottenere dal papa dispensa per la vostra età.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO MAESTRE
COMENDADOR MAESTRE COMENDADOR MAESTRE COMENDADOR
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Es verdad, y por las señales santas que a los dos cruzan el pecho, que os lo pago en estimaros y, como a mi padre, honraros. De vos estoy satisfecho. ¿Qué hay de guerra por allá? Estad atento, y sabréis la obligación que tenéis. Decid, que ya lo estoy, ya. Gran Maestre don Rodrigo Téllez Girón, que a tan alto lugar os trajo el valor de aquel vuestro padre claro, que, de ocho años, en vos renunció su maestrazgo, que después por más seguro juraron y confirmaron reyes y comendadores, dando el Pontífice santo Pío Segundo sus bulas, y después las suyas Paulo, para que don Juan Pacheco, gran Maestre de Santiago, fuese vuestro coadjutor; ya que es muerto, y que os han dado el gobierno solo a vos, aunque de tan pocos años, advertid que es honra vuestra seguir en aqueste caso la parte de vuestros deudos; porque, muerto Enrique Cuarto, quieren que al rey don Alonso de Portugal, que ha heredado, por su mujer, a Castilla, obedezcan sus vasallos;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO MAESTRO
COMMENDATORE MAESTRO COMMENDATORE MAESTRO COMMENDATORE
È proprio vero, e per questa croce che il petto ci orna, ve lo ripago stimandovi e, come un padre, onorandovi. Mi dichiaro soddisfatto. Che notizie della guerra? Datemi ascolto, e saprete quello che dovrete fare. Dite, son pronto a ascoltarvi. Gran Maestro don Rodrigo Téllez Girón, che il valore del vostro illustre padre portò a dignità sì alta, quando rinunciò per voi, bambino di solo otto anni, al grado di Gran Maestro, che dopo fu confermato e fu giurato dai re e commendatori, e il papa Pio Secondo sancì con le sue bolle, e poi dopo Paolo, perché Juan Pacheco, Gran Maestro di Santiago, fosse vostro coadiutore. Ora che è morto, e hanno dato il potere solo a voi, pur essendo così giovane, sappiate che è stretto dovere seguire nel conflitto la parte dei parenti vostri, perché, morto Enrico Quarto, vogliono metter sul trono don Alonso, che è re del Portogallo, ed eredita la Castiglia per parte della moglie: a lui rendano omaggio i suoi vassalli. 531
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
que aunque pretende lo mismo, por Isabel, don Fernando, gran príncipe de Aragón, no con derecho tan claro a vuestros deudos, que, en fin, no presumen que hay engaño en la sucesión de Juana, a quien vuestro primo hermano tiene agora en su poder. Y así, vengo a aconsejaros que juntéis los caballeros de Calatrava en Almagro, y a Ciudad Real toméis, que divide como paso a Andalucía y Castilla, para mirarlos a entrambos. Poca gente es menester, porque tiene por soldados solamente sus vecinos y algunos pocos hidalgos, que defienden a Isabel y llaman rey a Fernando. Será bien que deis asombro, Rodrigo, aunque niño, a cuantos dicen que es grande esa cruz para vuestros hombros flacos. Mirad los condes de Urueña, de quien venís, que mostrando os están desde la Fama los laureles que ganaron; los Marqueses de Villena, y otros capitanes, tantos, que las alas de la Fama apenas pueden llevarlos. Sacad esa blanca espada, que habéis de hacer, peleando,
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Anche se ha uguale pretesa, grazie a Isabella, Fernando, gran principe di Aragona, non è il suo diritto chiaro secondo i vostri parenti, che non credon vi sia inganno se gli succede Giovanna, che ora il vostro cugino tiene in suo potere. E dunque io son qui per consigliarvi che riuniate i cavalieri di Calatrava ad Almagro, prendiate Ciudad Real, che divide come un valico l’Andalusia e la Castiglia, e tutte e due le controlla. Bastano pochi uomini, perché solo ha per soldati i suoi abitanti, e qualche nobile che s’è schierato dalla parte di Isabella, e che chiama re Fernando. Sarà bene far stupire, Rodrigo, pur così giovane, quelli che osano dire che questa croce è ben grande per le vostre spalle deboli. Pensate ai conti di Urueña, vostri antenati, che vi indicano, dal tempio della Fama, gli allori che han guadagnato; i marchesi di Villena, e altri capitani, tanti che le ali della stessa Fama faticano a sostenerli. Sguainate la bianca spada, che farete, combattendo, 533
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
MAESTRE
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tan roja como la cruz; porque no podré llamaros Maestre de la cruz roja que tenéis al pecho, en tanto que tenéis blanca la espada; que una al pecho y otra al lado, entrambas han de ser rojas; y vos, Girón soberano, capa del templo inmortal de vuestros claros pasados. Fernán Gómez, estad cierto que en esta parcialidad, porque veo que es verdad, con mis deudos me concierto. Y si importa, como paso a Ciudad Real, mi intento veréis, que como violento rayo sus muros abraso. No porque es muerto mi tío, piensen de mis pocos años los propios y los extraños que murió con él mi brío, Sacaré la blanca espada, para que quede su luz de la color de la cruz, de roja sangre bañada. Vos, a donde residís ¿tenéis algunos soldados? Pocos, pero mis crïados; que si de ellos os servís, pelearán como leones. Ya veis que en Fuente Ovejuna hay gente humilde, y alguna no enseñada en escuadrones, sino en campos y labranzas. ¿Allí residís?
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MAESTRO
rossa come la croce; ché non vi potrò chiamare Maestro dalla rossa croce fino a che la spada è bianca: l’una al fianco, e l’altra in petto dovranno essere di porpora, e voi, Girón egregio, sarete la protezione dell’immortale tempio dei vostri gloriosi avi. Fernán Gómez, siate certo che io, in questo conflitto, poiché vedo il buon diritto, son d’accordo coi parenti. Se occorre, siccome vado a Ciudad Real, vedrete i miei propositi: un fulmine violento sarò, le mura brucerò. Se mio zio è morto, nessuno deve pensare, né i miei amici, né i nemici, che con lui è morto il mio merito. Sguainerò la bianca spada, perché possa rifulgere del colore della croce, bagnata di rosso sangue. Voi, dove risiedete avete qualche soldato? Pochi, ma servi leali, che se ne avete bisogno si batteranno da leoni. Vedete: in Fuente Ovejuna c’è gente umile, esperta non nell’arte della guerra, ma nel lavoro dei campi. Vivete lì?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO COMENDADOR
MAESTRE
Allí de mi encomienda escogí casa, entre aquestas mudanzas. Vuestra gente se registre; que no quedará vasallo. Hoy me veréis a caballo, poner la lanza en el ristre.
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Vanse, y salen Pascual[a] y Laurencia. LAURENCIA PASCUALA
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Mas ¡qué nunca acá volviera! Pues a la he que pensé que cuando te lo conté, más pesadumbre te diera. ¡Plega al cielo que jamás le vea en Fuente Ovejuna! Yo, Laurencia, he visto alguna tan brava, y pienso que más, y tenía el corazón brando como una manteca. Pues ¿hay encina tan seca como esta mi condición? ¡Anda ya! Que nadie diga: «de esta agua no beberé». ¡Voto al sol que lo diré, aunque el mundo me desdiga! ¿A qué efeto fuera bueno querer a Fernando yo? ¿Casárame con él? No. Luego la infamia condeno. ¡Cuántas mozas en la villa, del Comendador fiadas, andan ya descalabradas! Tendré yo por maravilla que te escapes de su mano.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO COMMENDATORE
MAESTRO
L’ho scelta tra quelle della commenda, in questi tempi agitati. Radunate i vostri uomini; non mancherà alcun vassallo. Mi vedrete oggi a cavallo mettere la lancia in resta. Escono, ed entrano Paquala e Laurencia.
LAURENCIA PASQUALA
LAURENCIA PASQUALA
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PASQUALA
Ma che non torni mai più! Certo, affé mia, che pensavo che se te lo raccontavo t’avrei fatto dispiacere. Voglia il cielo che mai più lo riveda qui in paese! Io, Laurencia, ne ho già viste di superbone, e anche peggio, che poi avevano il cuore tenero come di burro. Ma ci sono forse querce che son dure come me? Vien via! Che nessuno dica: «io quest’acqua non l’assaggio». Accidenti! Io lo dico; vediamo chi mi smentisce! E che vantaggio ne avrei a voler bene a Fernando? Lo potrei sposare? No. Dunque questa è una vergogna. Quante ragazze, al villaggio, credendo al Commendatore, si sono rotte la testa! Mi parrebbe un miracolo che tu potessi sfuggirgli.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO LAURENCIA
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Pues en vano es lo que ves, porque ha que me sigue un mes, y todo, Pascuala, en vano. Aquel Flores, su alcahuete, y Ortuño, aquel socarrón, me mostraron un jubón, una sarta y un copete; dijéronme tantas cosas de Fernando, su señor, que me pusieron temor; mas no serán poderosas para contrastar mi pecho. ¿Dónde te hablaron? Allá en el arroyo, y habrá seis días. Y yo sospecho que te han de engañar, Laurencia. ¿A mí? ¡Que no, sino al cura! Soy, aunque polla, muy dura yo para su reverencia. Pardiez, más precio poner, Pascuala, de madrugada, un pedazo de lunada al huego para comer, con tanto zalacatón de una rosca que yo amaso, y hurtar a mi madre un vaso del pegado cangilón; y más precio al mediodía ver la vaca entre las coles, haciendo mil caracoles con espumosa armonía; y concertar, si el camino me ha llegado a causar pena, casar una berenjena
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Ma non hai dunque visto che da un mese mi sta dietro? Tutto inutile, Pasquala! Quel Flores, il suo mezzano, e Ortuño, quel furbacchione, m’hanno mostrato un giubbetto, una cuffia e una collana; m’hanno detto tante cose di Fernando, il lor signore, che m’hanno fatto paura; ma non basteranno certo a averla vinta con me! E dove ti hanno parlato? Là, al ruscello, saranno sei giorni. Invece io credo che riusciranno a ingannarti. Me? E chi se no, il prete? Sarò pollastra, ma dura sono per sua signoria. Mi piace di più, perbacco, Pasquala, al mattino presto un bel pezzo di lardo al fuoco, da mangiare con un cantuccio del pane che ho fatto proprio io, e rubare alla mia mamma un bel bicchiere di vino dall’orcio ben impeciato; e mi piace a mezzogiorno vedere tra i cavolfiori la vacca che girella con spumeggiante armonia; decidere, se la strada mi ha troppo affaticata, di sposar la melanzana 539
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
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con otro tanto tocino; y después un pasatarde, mientras la cena se aliña, de una cuerda de mi viña, que Dios de pedrisco guarde; y cenar un salpicón con su aceite y su pimienta, y irme a la cama contenta, y al «inducas tentación» rezalle mis devociones, que cuantas raposerías, con su amor y sus porfías, tienen estos bellacones; porque todo su cuidado, después de darnos disgusto, es anochecer con gusto y amanecer con enfado. Tienes Laurencia, razón; que en dejando de querer, más ingratos suelen ser que al villano el gorrïón. En el invierno, que el frío tiene los campos helados, decienden de los tejados, diciéndole «tío, tío», hasta llegar a comer las migajas de la mesa; mas luego que el frío cesa, y el campo ven florecer, no bajan diciendo «tío», del beneficio olvidados, mas saltando en los tejados, dicen: «judío, judío». Pues tales los hombres son: cuando nos han menester somos su vida, su ser, su alma, su corazón;
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con altrettanto prosciutto, e, mentre cuoce la cena, mangiare per merenda un grappolo della vigna, che Dio salvi dalla grandine; e per cena carne in salsa, col suo olio ed il suo pepe, e andare a letto contenta, recitando le preghiere in «secula seculorum», invece che le smancerie col loro amore insistente di questi mascalzoni: quando ci han fatto la festa metton tutto il loro impegno nel passar bene la notte per poi svegliarsi scocciati. Cara Laurencia, hai ragione, che quando smetton d’amare son più irriconoscenti che col contadino i passeri: d’inverno, quando il freddo fa gelare la campagna, scendono giù dai tetti dicendogli «zio, zio», fino a che posson mangiare le briciole dalla tavola; ma quando finisce il freddo e vedon fiorire il campo, dimentichi dell’aiuto, non scendono a dire «zio», ma saltando sopra i tetti dicon «giudìo, giudìo». E così sono anche gli uomini: quando han bisogno di noi siamo per loro la vita, il cuore, l’anima, l’essere; 541
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
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pero, pasadas las ascuas, las tías somos judías, y en vez de llamarnos tías, anda el nombre de las Pascuas. ¡No fiarse de ninguno! Lo mismo digo, Laurencia.
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Salen Mengo y Barrildo y Frondoso. FRONDOSO BARRILDO MENGO
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En aquesta diferencia andas, Barrildo, importuno. A lo menos aquí está quien nos dirá lo más cierto. Pues hagamos un concierto antes que lleguéis allá, y es que si juzgan por mí, me dé cada cual la prenda, precio de aquesta contienda. Desde aquí digo que sí. Mas si pierdes, ¿qué darás? Daré mi rabel de boj, que vale más que una troj, porque yo le estimo en más. Soy contento. Pues lleguemos. Dios os guarde, hermosas damas. ¿Damas, Frondoso, nos llamas? Andar al uso queremos: al bachiller, licenciado; al ciego, tuerto; al bisojo, bizco; resentido al cojo, y buen hombre al descuidado; al ignorante, sesudo; al mal galán, soldadesca; a la boca grande, fresca, y al ojo pequeño, agudo; al pleitista, diligente;
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ma quando il fuoco è esaurito le «zie» diventan «giudìe»: non più nomini dolci, ma parolacce ed insulti. Non fidarsi di nessuno! Proprio così, Laurencia! Entrano Mengo e Barrildo e Frondoso.
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BARRILDO MENGO
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In questa discussione, Barrildo, sei fuori strada. Ecco qui chi ci potrà dire se ho ragione o no. Ma facciamo un patto, prima di arrivare a domandare: se stanno dalla mia parte ognuno mi darà il pegno che abbiamo già stabilito. Fin d’ora dico di sì. Ma se perdi, tu che dai? La mia ribeca di bosso, che vale più d’un granaio, o per lo meno per me. Bene. E allora, forza. Dio vi assista, belle dame. Ci chiami dame, Frondoso? È per seguire la moda: il diplomato è dottore, il cieco, guercio, ed il guercio strabico; offeso lo zoppo, un buon uomo è l’incapace, l’ignorante sarà accorto, chi eccede è un buon soldato, una bocca grande è amabile, l’occhio piccino è acuto, chi cerca briga è uno accorto, 543
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
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gracioso, al entremetido; al hablador, entendido, y al insufrible, valiente; al cobarde, parapoco; al atrevido, bizarro; compañero, al que es un jarro, y desenfadado, al loco; gravedad, al descontento; a la calva, autoridad; donaire, a la necedad, y al pie grande, buen cimiento; al buboso, resfrïado; comedido, al arrogante; al ingenioso, constante; al corcovado, cargado. Esto llamaros imito, damas, sin pasar de aquí; porque fuera hablar así proceder en infinito. Allá en la ciudad, Frondoso, llámase por cortesía de esa suerte; y a fe mía, que hay otro más riguroso y peor vocabulario en las lenguas descorteses. Querría que lo dijeses. Es todo a esotro contrario: al hombre grave, enfadoso; venturoso, al descompuesto; melancólico, al compuesto, y al que reprehende, odioso; importuno, al que aconseja; al liberal, moscatel; al justiciero, crüel, y al que es piadoso, madeja; al que es constante, villano; al que es cortés, lisonjero;
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divertente il ficcanaso, il chiacchierone è uno saggio, valoroso il prepotente, il codardo uomo prudente, coraggioso il temerario, buon amico l’ubriacone, e disinvolto chi è un pazzo, lo scontento è uomo serio, uno calvo è autorevole, se uno è sciocco è divertente, un piedone ha buona base; chi è piagato ha il raffreddore, è prudente l’arrogante, chi si arrabatta è costante, è un po’ curvo chi ha la gobba. E così io vi ho chiamato «dame», e non dico altro, perché potrei continuare a fare esempi infiniti. Là nelle città, Frondoso, si usano per cortesia questi termini, ma credo che c’è un altro più crudele e peggior vocabolario delle lingue più scortesi. Vorrei che me lo dicessi. È il perfetto contrario: l’uomo serio è un noioso, fortunato chi si azzarda, melanconico il tranquillo, chi rimprovera è odioso, importuno chi consiglia, spendaccione il generoso, spietato chi fa giustizia, chi è pietoso, uomo da nulla, e chi è tenace, villano, chi è cortese, adulatore, 545
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
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MENGO LAURENCIA BARRILDO LAURENCIA
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hipócrita, al limosnero, y pretendiente, al cristiano; al justo mérito, dicha; a la verdad, imprudencia; cobardía, a la paciencia, y culpa, a lo que es desdicha; necia, a la mujer honesta; mal hecha, a la hermosa y casta, y a la honrada... Pero basta; que esto basta por respuesta. Digo que eres el dimuño. ¡Soncas que lo dice mal! Apostaré que la sal la echó el cura con el puño. ¿Qué contienda os ha traído si no es que mal lo entendí? Oye, por tu vida. Di. Préstame, Laurencia, oído. ¿Cómo prestado? Y aun dado. Desde agora os doy el mío. En tu discreción confio. ¿Qué es lo que habéis apostado? Yo y Barrildo contra Mengo. ¿Qué dice Mengo? Una cosa que, siendo cierta y forzosa, la niega. A negarla vengo, porque yo sé que es verdad. ¿Qué dice? Que no hay amor. Generalmente, es rigor.
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ipocrita chi dà ai poveri, e supplicante il cristiano. Si dice che è fortunato chi invece ha ben meritato, la verità è imprudenza, vigliaccheria la pazienza, e colpa quando è disgrazia, sciocca la donna onesta brutta quella bella e casta, quella onorata... ma basta: che è risposta sufficiente! Ma sei peggio del demonio! Accipicchia, dice bene! Io scommetto che il prete le buttò il sale a manciate, quando l’hanno battezzata. Su che cosa discutete, se non ho capito male? Senti, per favore. Dimmi. Prestami ascolto, Laurencia. Prestartelo? Te lo do! E te lo do fin da ora. Fido nella tua accortezza. Su cosa avete scommesso? Io e Barrildo contro Mengo. Che dice Mengo? Una cosa che è sicura e certa, e invece la nega. Sì, io la nego, perché so che è proprio vero. Che dice? Che non esiste l’amore. Detto così in generale, è eccessivo. 547
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Es rigor y es necedad. Sin amor, no se pudiera ni aun el mundo conservar. Yo no sé filosofar; leer… ¡ojalá supiera! Pero si los elementos en discordia eterna viven, y de los mismos reciben nuestros cuerpos alimentos, cólera y melancolía, flema y sangre, claro está... El mundo de acá y de allá, Mengo, todo es armonía. Armonía es puro amor, porque el amor es concierto. Del natural os advierto que yo no niego el valor. Amor hay, y el que entre sí gobierna todas las cosas, correspondencias forzosas de cuanto se mira aquí; y yo jamás he negado que cada cual tiene amor correspondiente a su humor, que le conserva en su estado. Mi mano al golpe que viene mi cara defenderá; mi pie, huyendo, estorbará el daño que el cuerpo tiene. Cerraranse mis pestañas, si al ojo le viene mal, porque es amor natural. Pues ¿de qué nos desengañas? De que nadie tiene amor más que a su misma persona. Tú mientes, Mengo, y perdona; porque ¿es materia el rigor
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È un errore e una sciocchezza. Senza amore il mondo intero non potrebbe conservarsi. Io non so filosofare: magari sapessi leggere! Ma se gli stessi elementi vivono in discordia eterna, e proprio da essi ricevono i nostri corpi alimento, collera e malinconia, flemma e sangue, mi par chiaro... Il mondo di qui e di là, Mengo, è tutto armonia. Armonia è puro amore, perché l’amore è concordia. Io di quello naturale non nego certo il valore. C’è un amore che tra sé unisce tutte le cose, necessarie relazioni di quello che qui vediamo; e non ho mai negato che ognuno ha un suo amore che corrisponde al suo umore, e che lo mantiene in vita. Difenderà la mia mano la guancia, se arriva un colpo; e fuggirà il mio piede, se un danno minaccia il corpo. Si chiuderanno le palpebre se l’occhio viene offeso: questo è amore naturale. E allora, che ci vuoi dire? Che nessuno può amare se non la sua persona. Tu menti, Mengo, scusami: è qualcosa materiale 549
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con que un hombre a una mujer, o un animal quiere y ama su semejante? Eso llama amor propio, y no querer. ¿Qué es amor? Es un deseo de hermosura. Esa hermosura ¿por qué el amor la procura? Para gozarla. Eso creo. Pues ese gusto que intenta, ¿no es para él mismo? Es así. Luego, ¿por quererse a sí busca el bien que le contenta? Es verdad. Pues de ese modo no hay amor, sino el que digo, que por mi gusto le sigo, y quiero dármele en todo. Dijo el cura del lugar cierto día en el sermón que había cierto Platón que nos enseñaba a amar; que este amaba el alma sola y la virtud de lo amado. En materia habéis entrado que, por ventura, acrisola los caletres de los sabios en sus cademias y escuelas. Muy bien dice, y no te muelas en persuadir sus agravios. Da gracias, Mengo, a los cielos, que te hicieron sin amor. ¿Amas tú?
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la forza con cui un uomo ama una donna, o ama un animale il suo simile? Questo si può chiamare amor proprio e non affetto. Che è amore? Un desiderio di bellezza. E la bellezza perché l’amore la cerca? Per goderne. Sì, lo credo. E il piacere che ricerca non è per se stessi? Sì. Dunque, perché ama se stesso cerca il bene che gli piace. È vero. In questa maniera non c’è che quell’amore che io cerco per mio gusto, e voglio goderne in pieno. Ha detto un giorno il curato, nella predica, che c’era un certo Platone, che ad amare c’insegnava: e lui amava solo l’anima e la virtù dell’amato. Siete entrati in argomenti che magari fan brillare i cervelli dei sapienti nelle ‘cademie e le scuole. Dice bene, ed è inutile cercare di persuaderlo. Mengo, ringrazia Iddio che ti ha fatto senza amore. Tu ami? 551
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO PASCUALA
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Mi propio honor. Dios te castigue con celos. ¿Quién gana? Con la quistión podéis ir al sacristán, porque él o el cura os darán bastante satisfación. Laurencia no quiere bien, yo tengo poca experiencia: ¿cómo daremos sentencia? ¿Qué mayor que ese desdén?
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Sale Flores. FLORES PASCUALA LAURENCIA FLORES LAURENCIA FLORES
FRONDOSO FLORES
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Dios guarde a la buena gente. (Este es del Comendador crïado). (¡Gentil azor!) ¿De adónde bueno, pariente? ¿No me veis a lo soldado? ¿Viene don Fernando acá? La guerra se acaba ya, puesto que nos ha costado alguna sangre y amigos. Contadnos cómo pasó. ¿Quién lo dirá como yo, siendo mis ojos testigos? Para emprender la jornada de esta ciudad, que ya tiene nombre de Ciudad Real, juntó el gallardo Maestre dos mil lucidos infantes de sus vasallos valientes y trecientos de a caballo de seglares y de freiles; porque la cruz roja obliga
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO PASQUALA
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Solo il mio onore. Dio ti possa castigare con pene di gelosia! Chi ha vinto? Sottoponete il problema al sagrestano, che lui o il prete potranno soddisfare i vostri dubbi. Laurencia non vuole bene, e io ho poca esperienza: non possiamo sentenziare! Ma basta questo disdegno! Entra Flores.
FLORES PASQUALA LAURENCIA FLORES LAURENCIA FLORES
FRONDOSO FLORES
Dio vi salvi, brava gente! (Questo è uno dei servi del Commendatore!) (Un falco!) Quale buon vento vi mena? Non ho vesti da soldato? Ritorna qua don Fernando? La guerra sta finendo, anche se ci è costata molto sangue ed amici. Diteci com’è andata. Ve lo posso dire bene: l’ho visto con i miei occhi! Per questa spedizione contro la città che ora si chiama Ciudad Real, il prode Maestro ha riunito duemila prodi fanti tra i suoi validi vassalli, e trecento cavalieri, secolari e dell’Ordine, ché la croce rossa obbliga 553
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
cuantos al pecho la tienen, aunque sean de orden sacro; mas contra moros se entiende. Salió el muchacho bizarro con una casaca verde, bordada de cifras de oro, que solo los brazaletes por las mangas descubrían, que seis alamares prenden. Un corpulento bridón, rucio rodado, que al Betis bebió el agua, y en su orilla despuntó la grama fértil, el codón labrado en cintas de ante, y el rizo copete cogido en blancas lazadas, que con las moscas de nieve que bañan la blanca piel iguales labores teje. A su lado Fernán Gómez, vuestro señor, en un fuerte melado, de negros cabos, puesto que con blanco bebe; sobre turca jacerina peto y espaldar luciente, con naranjada casaca, que de oro y perlas guarnece; el morrïón, que corona con blancas plumas, parece que del color naranjado aquellos azares vierte; ceñida al brazo una liga roja y blanca, con que mueve un fresno entero por lanza,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
quanti la recan sul petto, anche se del clero, a battersi; certo, solo contro i mori. Uscì il giovane elegante con una casacca verde, ricamata a cifre d’oro, e solo i braccioli uscivano scoperti dalle maniche raccolte da sei alamari, su un poderoso cavallo, pomellato, che ha bevuto l’acqua del Guadalquivir, e brucò sulla sua riva la verde, fertile erbetta, la coda raccolta in strisce di camoscio, il ciuffo riccio tenuto da bianchi lacci, che fanno ricami uguali alle macchie di neve che la bianca pelle solcano. Al suo fianco Fernán Gómez vostro signore, su un forte cavallo color del miele, nere le zampe e la coda, mentre ha bianchissimo il muso; la cotta di maglia turca corazza e schienale lucidi, casacca color arancio, guarnita d’oro e di perle; la celata, coronata dalle bianche piume, sembra che dal colore arancione versi quei fiori di zagara; una fascia rossa e bianca avvolta al braccio, col quale muove una lancia, fatta con un frassino intero: 555
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
que hasta en Granada le temen. La ciudad se puso en arma; dicen que salir no quieren de la corona real, y el patrimonio defienden. Entróla, bien resistida, y el Maestre a los rebeldes y a los que entonces trataron su honor injuriosamente, mandó cortar las cabezas, y a los de la baja plebe, con mordazas en la boca, azotar públicamente. Queda en ella tan temido y tan amado, que creen que quien en tan pocos años pelea, castiga y vence, ha de ser en otra edad rayo del África fértil, que tantas lunas azules a su roja cruz sujete. Al Comendador y a todos ha hecho tantas mercedes, que el saco de la ciudad el de su hacienda parece. Mas ya la música suena: recebilde alegremente, que al triunfo, las voluntades son los mejores laureles.
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Sale el Comendador y Ortuño; músicos, Juan Rojo y Esteban, Alonso, alcaldes. Cantan
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Sea bien venido el Comendadore de rendir las tierras y matar los hombres.
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fino a Granada lo temono! La città si leva in armi, dicono che non vogliono abbondonare i re, i loro beni difendono. Resistono, ma la vince, e il Maestro ai ribelli e a quelli che si opposero ed hanno offeso il suo onore, fa tagliare le teste; e quelli della plebe, col bavaglio sulla bocca fa frustare sulla piazza. Ora là è tanto temuto e amato, perché pensano che chi così da giovane combatte, vince e castiga, con più anni potrà essere della ricca Africa un fulmine, e tante lune azzurre piegherà alla rossa croce. Al Commendatore e a tutti ha fatto infiniti doni: il sacco della città sembra quello dei suoi stessi beni. Ma si sente già la musica: lietamente ricevetelo, ché nel trionfo l’affetto è il migliore degli allori. Entra il Commendatore e Ortuño; musici, Juan Rojo, e Esteban, Alonso, sindaci. Cantano
Sia benvenuto il Commendatore, che conquista terre e guerrieri uccide. 557
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
COMENDADOR ALONSO
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¡Vivan los Guzmanes! ¡Vivan los Girones! Si en las paces blando, dulce en las razones. Venciendo moricos, fuerte como un roble, de Ciudad Reale viene vencedore; que a Fuente Ovejuna trae los sus pendones. ¡Viva muchos años, viva Fernán Gómez! Villa, yo os agradezco justamente el amor que me habéis aquí mostrado. Aún no muestra una parte del que siente. Pero ¿qué mucho que seáis amado, mereciéndolo vos? Fuente Ovejuna y el Regimiento que hoy habéis honrado, que recibáis os ruega y importuna un pequeño presente que esos carros traen, señor, no sin vergüenza alguna, de voluntades y árboles bizarros, más que de ricos dones. Lo primero traen dos cestas de polidos barros; de gansos viene un ganadillo entero, que sacan por las redes las cabezas, para cantar vueso valor guerrero. Diez cebones en sal, valientes piezas, sin otras menudencias y cecinas; y más que guantes de ámbar, sus cortezas. Cien pares de capones y gallinas, que han dejado viudos a sus gallos en las aldeas que miráis vecinas. Acá no tienen armas ni caballos, no jaeces bordados de oro puro, si no es oro el amor de los vasallos.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
COMMENDATORE ALONSO
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Viva i Guzmán! Viva i Girón! Nella pace amabile, dolce a ragionare. Quando vince i mori forte come quercia, da Ciudad Real torna vincitore; e a Fuente Ovejuna porta i suoi stendardi. Viva per molti anni, viva Fernán Gómez! Borghigiani, vi sono molto grato per l’affetto che qui mi dimostrate. È appena un segno di quel che sentiamo. Ma non è strano che voi siate amato: lo meritate! E Fuente Ovejuna coi sui Reggenti, che oggi voi onorate, che accettiate vi supplica e vi prega un omaggio modesto, che quei carri portan, signore, con qualche vergogna, pieni di fronde e del nostro affetto più che di ricchi doni. Prima cosa ecco due ceste di vasi eleganti; una gabbietta di oche ripiena, che dalle reti alzano la testa per cantare le vostre eroiche imprese; dieci porci salati, dei bei capi, pelli odorose più che guanti d’ambra, senza altre piccolezze e carne secca; cento paia di capponi e galline, che hanno lasciato vedovi quei galli nei villaggi vicini che vedete. Qui non abbiamo armi né cavalli, finimenti a ricami d’oro puro, se non è oro l’amore dei vassalli. 559
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
COMENDADOR ALONSO
COMENDADOR ESTEBAN
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Y porque digo puro, os aseguro que vienen doce cueros, que aun en cueros por enero podéis guardar un muro, si de ellos aforráis vuestros guerreros, mejor que de las armas aceradas; que el vino suele dar lindos aceros. De quesos y otras cosas no escusadas no quiero daros cuenta: justo pecho de voluntades que tenéis ganadas; y a vos y a vuestra casa, buen provecho. Estoy muy agradecido. Id, Regimiento, en buen hora. Descansad, señor, agora, y seáis muy bien venido; que esta espadaña que veis y juncia, a vuestros umbrales fueran perlas orientales, y mucho más merecéis, a ser posible a la villa. Así lo creo, señores. Id con Dios. Ea, cantores, vaya otra vez la letrilla. Sea bien venido el Comendadore de rendir las tierras y matar los hombres.
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Vanse. COMENDADOR LAURENCIA COMENDADOR LAURENCIA PASCUALA
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Esperad vosotras dos. ¿Qué manda su señoría? ¿Desdenes el otro día, pues, conmigo? ¡Bien, por Dios! ¿Habla contigo, Pascuala? Conmigo no, ¡tirte ahuera!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
COMMENDATORE ALONSO
COMMENDATORE ESTEBAN
Cantano
Ho detto «puro», quindi vi assicuro che ci son dodici otri di vino, con cui potrete in pieno gennaio difendere muraglie, se con essi voi foderate i vostri guerrieri, meglio che con le armi in puro acciaio, che il vino suole dare gran valore. Dei formaggi e altre cose minori nemmeno parlo: sono il giusto omaggio di un affetto che avete guadagnato: ai vostri servi e a voi buon appetito! Vi son molto grato. Andate, voi del consiglio, in pace. Signore, ora riposatevi, e siate il benvenuto: queste fronde che vedete, questi giunchi, noi vorremmo fossero perle orientali; ben di più meritereste, se potessimo permettercelo. Sì, io lo credo, signori. Dio v’accompagni. Cantori ripetete il ritornello. Sia benvenuto il Commendatore, che conquista terre e guerrieri uccide. Escono.
COMMENDATORE LAURENCIA COMMENDATORE LAURENCIA PASQUALA
Voialtre due aspettate. Che desidera sua grazia? Sdegnosetta l’altro giorno con me? Ma bene, davvero! Pasquala, parla con te? No di certo, con me no. 561
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO COMENDADOR
PASCUALA COMENDADOR LAURENCIA
COMENDADOR FLORES COMENDADOR FLORES LAURENCIA FLORES PASCUALA FLORES COMENDADOR LAURENCIA ORTUÑO PASCUALA FLORES LAURENCIA ORTUÑO LAURENCIA
Con vos hablo, hermosa fiera, y con esotra zagala. ¿Mías no sois? Sí, señor; mas no para cosas tales. Entrad, pasad los umbrales; hombres hay, no hayáis temor. Si los Alcaldes entraran, que de uno soy hija yo, bien huera entrar, mas si no... Flores... Señor... ¿Qué reparan en no hacer lo que les digo? Entrá, pues. ¡No nos agarre! Entrad, que sois necias. Arre, que echaréis luego el postigo. Entrad, que os quiere enseñar lo que trae de la guerra. (Si entraren, Ortuño, cierra.) Flores, dejadnos pasar. ¡También venís presentadas con lo demás! ¡Bien a fe! Desvíese, no le dé... Basta, que son estremadas. ¿No basta a vueso señor tanta carne presentada? La vuestra es la que le agrada. ¡Reviente de mal dolor! Vanse.
FLORES
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¡Muy buen recado llevamos! No se ha de poder sufrir
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO COMMENDATORE
PASQUALA COMMENDATORE LAURENCIA
COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE FLORES LAURENCIA FLORES PASQUALA FLORES COMMENDATORE LAURENCIA ORTUÑO PASQUALA FLORES LAURENCIA ORTUÑO LAURENCIA
Parlo con voi, bella fiera, e con quest’altra ragazza. Non siete mie? Sì, signore ma mica per certe cose! Entrate dentro la casa c’è gente, state tranquille. Se entrassero anche i sindaci, che uno di loro è mio padre, potrei entrare, ma se no... Flores! Signore... Che aspettano, e non fanno quel che dico? Su, entrate! Ora ci piglia! Via, siete sciocche! Perbacco! Poi sprangherete la porta! Entrate, che vuol mostravi il bottino della guerra. (Ortuño, se entrano, chiudi). Flores, lasciaci passare! Fate parte delle offerte con le altre cose...! Sì, proprio! Vada via, se no le appioppo... Basta, sono insopportabili! Non basta al vostro signore la carne che gli hanno offerto? Solo la vostra gli piace! Che crepi di un accidente! Escono.
FLORES
Gli portiamo un bel messaggio! Ritorniamo a mani vuote: 563
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
lo que nos ha de decir cuando sin ellas nos vamos. Quien sirve se obliga a esto: si en algo desea medrar, o con paciencia ha de estar, o ha de despedirse presto.
ORTUÑO
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Vanse los dos y salgan el rey don Fernando, la reina doña Isabel, Manrique y acompañamiento. ISABEL
REY
ISABEL MANRIQUE
REY
Digo, señor, que conviene el no haber descuido en esto, por ver [a] Alfonso en tal puesto, y su ejército previene. Y es bien ganar por la mano antes que el daño veamos; que si no lo remediamos, el ser muy cierto está llano. De Navarra y de Aragón está el socorro seguro, y de Castilla procuro hacer la reformación, de modo que el buen suceso con la prevención se vea. Pues vuestra Majestad crea que el buen fin consiste en eso. Aguardando tu licencia dos regidores están de Ciudad Real: ¿entrarán? No les nieguen mi presencia.
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Salen dos regidores de Ciudad Real. REGIDOR
564
1°
Católico rey Fernando, a quien ha envïado el cielo desde Aragón a Castilla, para bien y amparo nuestro:
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
non si potrà sopportare quello che ora ci dirà! Chi serve non ha scampo: e se vuole farsi strada o si arma di pazienza, o si licenzia in tronco.
ORTUÑO
I due escono, ed entrano il re don Fernando, la regina donna Isabella, Manrique e il seguito. Dico, sire, che bisogna non indugiare più oltre: vediamo cosa fa Alfonso e che prepara il suo esercito. È bene prevenirlo, prima che succeda il danno; se non lo rimediamo, è chiaro: lo subiremo. Sono sicuri gli aiuti di Navarra e d’Aragona, mentre cerco di allestire in Castiglia il necessario, in modo che il buon esito sia pari ai preparativi. Creda vostra maestà che così avremo successo. Due assessori, giunti da Ciudad Real, aspettano che tu li riceva. Possono? Vengano alla mia presenza.
ISABELLA
RE
ISABELLA MANRIQUE
RE
Entrano due Assessori di Ciudad Real. ASSESSORE
1°
Cattolico re Fernando, che per la nostra salvezza il cielo ci ha inviato da Aragona alla Castiglia, 565
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
REY REGIDOR
REY
566
1°
en nombre de Ciudad Real a vuestro valor supremo humildes nos presentamos, el real amparo pidiendo. A mucha dicha tuvimos tener título de vuestros; pero pudo derribarnos de este honor el hado adverso. El famoso don Rodrigo Téllez Girón, cuyo esfuerzo es en valor estremado, aunque es en la edad tan tierno Maestre de Calatrava, él, ensanchar pretendiendo el honor de la encomienda, nos puso apretado cerco. Con valor nos prevenimos, a su fuerza resistiendo, tanto, que arroyos corrían de la sangre de los muertos. Tomó posesión, en fin, pero no llegara a hacerlo, a no le dar Fernán Gómez orden, ayuda y consejo. Él queda en la posesión, y sus vasallos seremos, suyos, a nuestro pesar, a no remediarlo presto. ¿Dónde queda Fernán Gómez? En Fuente Ovejuna creo, por ser su villa, y tener en ella casa y asiento. Allí, con más libertad de la que decir podemos, tiene a los súbditos suyos de todo contento ajenos. ¿Tenéis algún capitán?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
RE ASSESSORE
RE
1°
a nome di Ciudad Real umili ci presentiamo dinanzi al vostro valore, domandando il regio aiuto. Una fortuna ci è parso far parte del vostro regno, ma il fato a noi contrario ci ha tolto un tal privilegio. Il famoso don Rodrigo Téllez Girón, il cui valore è eccelso, anche se l’età è tenera, il Maestro di Calatrava, volendo fare più grande l’Ordine, ci cinse di fiero assedio. Noi ci armammo con valore, resistemmo alla violenza, tanto che scorreva a fiumi il sangue dei caduti. Ma alla fine ci ha vinti, e non lo avrebbe potuto senza l’ordine, il consiglio, l’aiuto di Fernán Gómez. Ha preso la città, e saremo suoi vassalli, anche se non lo vogliamo, se non ci poni un rimedio. E ora dov’è Fernán Gómez? Credo sia a Fuente Ovejuna, perché è un suo possedimento: ha in essa la casa e i beni. E lì, con maggiore arbitrio di quanto si possa dire, tiene i suoi poveri sudditi lontani da ogni allegrezza. E avete un capitano?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO REGIDOR
2°
ISABEL
REY
MANRIQUE
ISABEL
Señor, el no haberle es cierto, pues no escapó ningún noble de preso, herido o de muerto. Ese caso no requiere ser de espacio remediado, que es dar al contrario osado el mismo valor que adquiere; y puede el de Portugal, hallando puerta segura, entrar por Estremadura y causarnos mucho mal. Don Manrique, partid luego, llevando dos compañías; remediad sus demasías, sin darles ningún sosiego. El conde de Cabra ir puede con vos, que es Córdoba osado, a quien nombre de soldado todo el mundo le concede; que este es el medio mejor que la ocasión nos ofrece. El acuerdo me parece como de tan gran valor. Pondré límite a su exceso, si el vivir en mí no cesa. Partiendo vos a la empresa, seguro está el buen suceso.
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Vanse todos y salen Laur[enci]a y Frondoso. LAURENCIA
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A medio torcer los paños, quise, atrevido Frondoso, para no dar que decir, desvïarme del arroyo; decir a tus demasías que murmura el pueblo todo,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO ASSESSORE
2°
ISABELLA
RE
MANRIQUE
ISABELLA
No, purtroppo non lo abbiamo, ché tutti i nobili sono feriti, morti, o in prigione. Questo caso bisogna rapidamente risolverlo, perché l’audace nemico non abbia altro vantaggio; e può il re del Portogallo, trovando la via spianata, entrare in Estremadura e provocarci dei danni. Manrique, partite subito prendendo due compagnie: rimediate i suoi eccessi, senza dargli alcuna tregua. Il Conte di Cabra venga con voi: è della famiglia dei valorosi Córdoba, e tutto il mondo lo acclama come soldato valente. Questo è il modo migliore di risolvere il caso. La decisione mi pare degna del vostro valore. Porrò fine ai suoi eccessi, se non perdo la vita. Il successo è assicurato se vi assumete l’impresa. Escono tutti ed entrano Laurencia e Frondoso.
LAURENCIA
Mentre strizzavo i panni, o sfacciato Frondoso, ho lasciato il ruscello, perché la gente non chiacchieri; davanti ai tuoi eccessi tutto il paese mormora; 569
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO
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que me miras y te miro, y todos nos traen sobre ojo. Y como tú eres zagal, de los que huellan, brïoso, y excediendo a los demás vistes bizarro y costoso, en todo el lugar no hay moza, o mozo en el prado o soto, que no se afirme diciendo que ya para en uno somos; y esperan todos el día que el sacristán Juan Chamorro nos eche de la tribuna, en dejando los piporros. Y mejor sus trojes vean de rubio trigo en agosto atestadas y colmadas, y sus tinajas de mosto, que tal imaginación me ha llegado a dar enojo: ni me desvela ni aflige, ni en ella el cuidado pongo. Tal me tienen tus desdenes, bella Laurencia, que tomo, en el peligro de verte, la vida, cuando te oigo. Si sabes que es mi intención el desear ser tu esposo, mal premio das a mi fe. Es que yo no sé dar otro. ¿Posible es que no te duelas de verme tan cuidadoso, y que, imaginando en ti, ni bebo, duermo ni como?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO
che tu mi guardi, io ti guardo, e tutti ci tengon d’occhio. Siccome sei un ragazzo di quelli di più spicco, di quelli più vivaci, che vince tutti gli altri con vesti belle e care, non c’è ragazza in paese, o giovane nei dintorni che non sia più che sicuro che noi stiamo per sposarci; e tutti aspettano il giorno che il sacrestano Chamorro, lo annunci dalla tribuna dopo aver suonato il basso. Ma che così i granai si riempiano e stracolmino di biondo grano in agosto, e i loro tini di mosto, se di tali fantasie io mi curo poco o punto; non mi angosciano di certo, né io me ne preoccupo! I tuoi sdegni mi han ridotto, bella Laurencia, a uno stato che ho paura di vederti, ma ascoltarti mi rianima. Se sai che la mia intenzione è solo essere tuo sposo male premi la mia fede. Io non so dare altri premi. Ma davvero non ti spiace di vedermi così triste e che pensando a te non bevo, né mangio o dormo?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
LAURENCIA FRONDOSO
LAURENCIA
FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO
¿Posible es tanto rigor en ese angélico rostro? ¡Viven los cielos que rabio! Pues salúdate, Frondoso. Ya te pido yo salud, y que ambos, como palomos, estemos, juntos los picos, con arrullos sonorosos, después de darnos la Iglesia... Dilo a mi tío Juan Rojo; que aunque no te quiero bien, ya tengo algunos asomos. ¡Ay de mí! El señor es este. Tirando viene [a] algún corzo. Escóndete en esas ramas. ¡Y con qué celos me escondo!
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Sale el Comendador. COMENDADOR
LAURENCIA
COMENDADOR
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No es malo venir siguiendo un corcillo temeroso, y topar tan bella gama. Aquí descansaba un poco de haber lavado unos paños; y así, al arroyo me torno, si manda su señoría. Aquesos desdenes toscos afrentan, bella Laurencia, las gracias que el poderoso Cielo te dio, de tal suerte que vienes a ser un monstro. Mas si otras veces pudiste hüir mi ruego amoroso, agora no quiere el campo, amigo secreto y solo; que tú sola no has de ser
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
LAURENCIA FRONDOSO
LAURENCIA
FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO
Tanta durezza è possibile in questo visino d’angelo? Vivaddio, son pieno di rabbia! Fatti curare, Frondoso! Ma che sia tu la mia cura! Che noi due, come colombe, tubiamo coi becchi uniti con mormorii melodiosi, quando la chiesa avrà dato... Dillo a mio zio Juan Rojo; innamorata, non sono; ma sento già qualcosina... Ohimè! Arriva il signore! Starà inseguendo un cerbiatto. Nasconditi tra le fronde. Con che gelosia lo faccio! Entra il Commendatore.
COMMENDATORE
LAURENCIA
COMMENDATORE
È una fortuna, inseguendo un timoroso cerbiatto, trovare una bella daina! Mi stavo qui riposando, dopo aver lavato i panni; ora ritorno al ruscello, se vossignoria permette. Questi scontrosi sdegni, bella Laurencia, fan torto alla grazia che il Cielo onnipotente ti dette; ti fan diventare un mostro! Se altre volte hai potuto sfuggire alle mie richieste d’amore, ora è impossibile: i campi sono amici segreti e solitari! Non potrai soltanto tu 573
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
LAURENCIA
COMENDADOR
LAURENCIA
tan soberbia que tu rostro huyas al señor que tienes, teniéndome a mí en tan poco. ¿No se rindió Sebastiana, mujer de Pedro Redondo, con ser casadas entrambas, y la de Martín del Pozo, habiendo apenas pasado dos días del desposorio? Esas, señor, ya tenían de haber andado con otros el camino de agradaros, porque también muchos mozos merecieron sus favores. Id con Dios tras vueso corzo; que a no veros con la cruz os tuviera por demonio, pues tanto me perseguís. ¡Qué estilo tan enfadoso! Pongo la ballesta en tierra, [...............................................] y a la prática de manos reduzgo melindres. ¡Cómo! ¿Eso hacéis? ¿Estáis en vos?
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Sale Frondoso y toma la ballesta. COMENDADOR FRONDOSO
COMENDADOR LAURENCIA
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No te defiendas. (Si tomo la ballesta, ¡vive el cielo que no la ponga en el hombro!) Acaba, ríndete. ¡Cielos ayudadme agora!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
LAURENCIA
COMMENDATORE
LAURENCIA
essere così superba da celare al tuo signore legittimo il tuo viso, arrivando a disprezzarmi. Non si è arresa Sebastiana, sposata a Pietro Rotondo, e perfino la moglie di Martino del Pozzo, che erano appena passati due giorni dalle nozze? Signore, queste avevano già imparato con altri la strada a voi gradita, perché anche molti ragazzi ebbero i loro favori. Andate, in nome di Dio, dietro al vostro cerbiatto; se non vedessi la croce che portate sopra il petto vi prenderei per demonio, tanto mi perseguitate! Ma che discorsi noiosi! Poso in terra la balestra; [...........................................] le mie mani metteranno fine a tante smancerie! Ma che fate! Siete in voi? Entra Frondoso e prende la balestra.
COMMENDATORE FRONDOSO
COMMENDATORE LAURENCIA
Non resistere! (Se prendo la balestra, vivaddio, la saprò usare bene!) Basta, ferma! Aiutatemi ora, Dio del cielo! 575
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO COMENDADOR FRONDOSO
COMENDADOR FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO
Solos estamos; no tengas miedo. Comendador generoso, dejad la moza, o creed que de mi agravio y enojo será blanco vuestro pecho, aunque la cruz me da asombro. ¡Perro villano!.. No hay perro. ¡Huye, Laurencia! ¡Frondoso, mira lo que haces! Vete.
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Vase. COMENDADOR
FRONDOSO COMENDADOR
FRONDOSO
COMENDADOR
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¡Oh, malhaya el hombre loco, que se desciñe la espada! Que de no espantar medroso la caza, me la quité. Pues, pardiez, señor, si toco la nuez, que os he de apiolar. Ya es ida. Infame, alevoso, suelta la ballesta luego. ¡Suéltala, villano! ¿Cómo? Que me quitaréis la vida. Y advertid que amor es sordo, y que no escucha palabras el día que está en su trono. Pues ¿la espa[l]da ha de volver un hombre tan valeroso a un villano? Tira, infame,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO COMMENDATORE FRONDOSO
COMMENDATORE FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO
Siamo soli, non aver paura! Illustre Commendatore, lasciate questa fanciulla, altrimenti, siate certo che il petto sarà bersaglio della mia offesa ed ira, anche se la croce in esso mi può turbare. Cane villano! Non sono un cane! Scappa, Laurencia! Frondoso, attento a quel che fai! Vai! Esce.
COMMENDATORE
FRONDOSO COMMENDATORE
FRONDOSO
COMMENDATORE
Che sia maledetto il pazzo che si leva dal fianco la spada! Per non spaventare le prede me la son tolta! Occhio, signore, se tocco il fermo vi fo la festa! Se n’è andata! Infame, cane, lascia la balestra subito! Posala, villano! E come? Che dopo mi uccidereste. Sappiate che amore è sordo, e non dà retta a nulla quando è giunto al suo culmine. Dunque volgerà le spalle un uomo tanto valente a un villano? Tira, infame,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO PRIMERO
FRONDOSO
COMENDADOR
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tira y guárdate; que rompo las leyes de caballero. Eso no. Yo me conformo con mi estado, y pues me es guardar la vida forzoso, con la ballesta me voy. ¡Peligro estraño y notorio! Mas yo tomaré venganza del agravio y del estorbo. ¡Que no cerrara con él! ¡Vive el cielo, que me corro!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO PRIMO
FRONDOSO
COMMENDATORE
tira, ma attento, che rompo la legge di cavaliere... Questo no. Io mi contento del mio stato, ma siccome devo difender la vita me ne vo con la balestra. Che rischio strano e palese! Ma io mi vendicherò del torto e del pericolo. Che non lo abbia affrontato! Viva il cielo, mi vergogno!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Salen Esteban y Regidor 1°. ESTEBAN
REGIDOR ESTEBAN
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1°
Así tenga salud, como parece, que no se saque más agora el pósito. El año apunta mal, y el tiempo crece, y es mejor que el sustento esté en depósito, aunque lo contradicen más de trece. Yo siempre he sido, al fin, de este propósito, en gobernar en paz esta república. Hagamos de ello a Fernán Gómez súplica. No se puede sufrir que estos astrólogos en las cosas futuras, y ignorantes, nos quieran persuadir con largos prólogos los secretos a Dios solo importantes. ¡Bueno es que, presumiendo de teólogos, hagan un tiempo el que después y antes! Y pidiendo el presente lo importante, al más sabio veréis más ignorante. ¿Tienen ellos las nubes en su casa y el proceder de las celestes lumbres? ¿Por dónde ven lo que en el cielo pasa, para darnos con ello pesadumbres? Ellos en [el] sembrar nos ponen tasa: daca el trigo, cebada y las legumbres, calabazas, pepinos y mostazas... ¡Ellos son, a la fe, las calabazas! Luego cuentan que muere una cabeza, y después viene a ser en Trasilvania; que el vino será poco, y la cerveza sobrará por las partes de Alemania; que se helará en Gascuña la cereza, y que habrá muchos tigres en Hircania. Y al cabo, que se siembre o no se siembre el año se remata por diciembre.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano Esteban e il primo Assessore. ESTEBAN
ASSESSORE ESTEBAN
1°
Penso, mi possa beccare un malanno, che è meglio che ora non si tocchi il grano! L’annata dice male, il tempo incalza: è bene lasciar stare la riserva, anche se ci son molti che protestano... Sempre son stato anch’io di questo avviso, per governare il paese in pace. Domandiamolo dunque a Fernán Gómez. Questi astrologhi sono insopportabili: ignoranti delle cose future, con paroloni vogliono convincerci di segreti che solo Dio conosce. Ma bene: si danno arie di teologhi, e confondono il prima con il dopo! E siccome è il presente che è importante il più sapiente è anche il più ignorante! Hanno forse le nubi a casa loro, o il percorso delle luci celesti? Dove vedono ciò che avviene in cielo, per angosciarci con i loro detti? Stabiliscono il giorno della semina; e qui il grano, la biada, qua i legumi, le zucche, i cetrioli, e qua la senape... Ma le zucche, davvero, sono loro! Raccontano che muore un signorone, e poi risulta che è in Transilvania; che il vino sarà poco, e che la birra abbonderà laggiù nella Germania; che geleranno i ciliegi in Guascogna, che l’Ircania sarà piena di tigri... Che si semini, infine, o non si semini, l’anno finisce sempre di dicembre!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
Salen el licenciado Leonelo y Barrildo. LEONELO BARRILDO LEONELO BARRILDO LEONELO
BARRILDO LEONELO BARRILDO LEONELO
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A fe que no ganéis la palmatoria, porque ya está ocupado el mentidero. ¿Cómo os fue en Salamanca? Es larga historia. Un Bártulo seréis. Ni aun un barbero. Es, como digo, cosa muy notoria, en esta facultad lo que os refiero. Sin duda que venís buen estudiante. Saber he procurado lo importante. Después que vemos tanto libro impreso, no hay nadie que de sabio no presuma. Antes, que ignoran más siento por eso, por no se reducir a breve suma; porque la confusión, con el exceso, los intentos resuelve en vana espuma; y aquel que de leer tiene más uso, de ver letreros solo está confuso. No niego yo que de imprimir el arte mil ingenios sacó de entre la jerga, y que parece que en sagrada parte sus obras guarda y contra el tiempo alberga: este las destribuye y las reparte. Débese esta invención a Cutemberga, un famoso tudesco de Maguncia, en quien la Fama su valor renuncia. Mas muchos, que opinión tuvieron grave, por imprimir sus obras la perdieron; tras esto, con el nombre del que sabe, muchos sus ignorancias imprimieron. Otros, en quien la baja envidia cabe, sus locos desatinos escribieron,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
Entrano il laureato Leonello e Barrildo. LEONELLO BARRILDO LEONELLO BARRILDO LEONELLO
BARRILDO LEONELLO BARRILDO LEONELLO
Siete arrivato tardi, niente premio: il posto delle chiacchiere è già preso. Come v’è andata a Salamanca? È lunga da raccontare. Siete diventato un Bartolo? Ma nemmeno un barbiere! E vi avviso che è cosa risaputa in questa facoltà quel che vi dico. Sarete stato un bravo studente! Di imparare ho cercato l’importante. Or che vediamo tanti libri a stampa tutti pensano d’esser sapientoni. Anzi, io credo che siano più ignoranti: di pochi dati non ci si contenta, così la confusione, con l’eccesso, dai tentativi cava vana schiuma, e chi di leggere ha più consuetudine poi si confonde se vede un cartello. Io non nego che l’arte della stampa ha dato fama ad uomini d’ingegno che erano nati in un umile ambiente, e ci sembra che in luoghi quasi sacri conservi le loro opere e le salvi dal tempo; le divulghi e le diffonda. L’invenzione si deve a Gutenberg, un famoso tedesco di Magonza, a cui la stessa Fama si inginocchia. Ma molti, che ebbero gran reputazione, la persero stampando le loro opere, ed oltre a ciò l’ignoranza di alcuni la si stampa col nome dei famosi. Ed altri, divorati dall’invidia, hanno scritto una serie di sciocchezze 583
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
BARRILDO LEONELO BARRILDO LEONELO
BARRILDO
y con nombre de aquel que aborrecían impresos por el mundo los envían. No soy de esa opinión. El ignorante es justo que se vengue del letrado. Leonelo, la impresión es importante. Sin ella muchos siglos se han pasado, y no vemos que en este se levante [.............................................................] un Jerónimo santo, un Agustino. Dejadlo y asentaos, que estáis mohíno.
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Sale Juan Rojo y otro labrador. JUAN
LABRADOR JUAN LABRADOR
No hay en cuatro haciendas para un dote, si es que las vistas han de ser al uso; que el hombre que es curioso es bien que note 935 que en esto el barrio y vulgo anda confuso. ¿Qué hay del Comendador? No os alborote. ¡Cuál a Laurencia en ese campo puso! ¿Quién fue cual él tan bárbaro y lascivo? Colgado le vea yo de aquel olivo. 940 Salen el Comendador, Ortuño y Flores.
COMENDADOR REGIDOR COMENDADOR ALCALDE
COMENDADOR
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Dios guarde la buena gente. ¡Oh, señor! Por vida mía, que se estén. Vusiñoría, adonde suele se siente, que en pie estaremos muy bien. Digo que se han de sentar.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
e col nome di quelli che aborrivano le han mandate stampate per il mondo. Io questo non lo credo. L’ignorante si vendica di chi ne sa di più. Ma Leonello, la stampa è importante! Senza essa molti secoli han passato, e non vediamo che ora ci sia [...................................................] un Girolamo santo, o un Agostino. Lasciamo stare e sedetevi qui, che mi sembrate di cattivo umore!
BARRILDO LEONELLO BARRILDO LEONELLO
BARRILDO
Entra Juan Rojo e un altro contadino. Quattro poderi non son sufficienti per una dote come s’usa adesso, anche se chi è preciso noterà che ormai non ci son più regole fisse. Che novità circa il Commendatore? Ma non voglio che vi preoccupate! Come si è comportato con Laurencia! Chi barbaro e lascivo come lui! Possa vederlo impiccato a un olivo!
JUAN
CONTADINO JUAN CONTADINO
Entrano il Commendatore, Ortuño e Flores. COMMENDATORE ASSESSORE COMMENDATORE SINDACO
COMMENDATORE
Dio vi guardi, brava gente! Signore! Per la mia vita, comodi! Sua Signoria al posto suo si sieda, che in piedi staremo bene! Ho detto che vi sediate!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO ESTEBAN
COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR
ESTEBAN
COMENDADOR
ESTEBAN COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR
ESTEBAN
COMENDADOR
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De los buenos es honrar, que no es posible que den honra los que no la tienen. Siéntense; hablaremos algo. ¿Vio vusiñoría el galgo? Alcalde, espantados vienen esos criados de ver tan notable ligereza. Es una estremada pieza. Pardiez, que puede correr a un lado de un delincuente o de un cobarde en quistión. Quisiera en esta ocasión que le hiciérades pariente a una liebre que por pies por momentos se me va. Sí haré, par Dios. ¿Dónde está? Allá: vuestra hija es. ¡Mi hija! Sí. Pues ¿es buena para alcanzada de vos? Reñilda, alcalde, por Dios. ¿Cómo? Ha dado en darme pena. Mujer hay, y principal, de alguno que está en la plaza, que dio, a la primera traza, traza de verme. Hizo mal; y vos, señor, no andáis bien en hablar tan libremente. ¡Oh, qué villano elocuente! ¡Ah, Flores!, haz que le den la Política, en que lea, de Aristóteles.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO ESTEBAN
COMMENDATORE ESTEBAN COMMENDATORE
ESTEBAN
COMMENDATORE
ESTEBAN COMMENDATORE ESTEBAN COMMENDATORE ESTEBAN COMMENDATORE ESTEBAN COMMENDATORE
ESTEBAN
COMMENDATORE
È dei buoni l’onorare: giacché non può certo dare onore chi non ce l’ha. Sedete, parliamo un po’. Sua grazia ha visto il levriero? Sindaco, questi miei servi sono rimasti stupiti della sua velocità. È un animale stupendo! Perbacco, potrebbe correre forte come un delinquente o un codardo in una lite. Vorrei che lo metteste sulle tracce di una lepre che ora mi sta sfuggendo. Lo farò senz’altro. Dove? La lepre è vostra figlia. Mia figlia? Sì. E vi par degna d’essere presa da voi? Per Dio, rimproveratela! Perché? S’è messa in testa di tormentarmi. E ci sono donne, e di gran livello, di qualcuno che è qui in piazza, che han cercato, non appena ho fatto un cenno, il sistema per vedermi. Han fatto male. E neanche voi fate bene a parlare in questo modo. Ma che villano eloquente! O Flores, che gli si dia da leggere la Politica di Aristotele! 587
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO ESTEBAN
LEONELO COMENDADOR REGIDOR
COMENDADOR REGIDOR
COMENDADOR REGIDOR COMENDADOR ALCALDE COMENDADOR
ESTEBAN
COMENDADOR ALCALDE
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Señor, debajo de vuestro honor vivir el pueblo desea. Mirad que en Fuente Ovejuna hay gente muy principal. ¿Viose desvergüenza igual? Pues ¿he dicho cosa alguna de que os pese, Regidor? Lo que decís es injusto; no lo digáis, que no es justo que nos quitéis el honor. ¿Vosotros honor tenéis? ¡Qué freiles de Calatrava! Alguno acaso se alaba de la cruz que le ponéis, que no es de sangre tan limpia. ¿Y ensúciola yo, juntando la mía a la vuestra? Cuando que el mal más tiñe que alimpia. De cualquier suerte que sea, vuestras mujeres se honran. Esas palabras deshonran; las obras, no hay quien las crea. ¡Qué cansado villanaje! ¡Ah! Bien hayan las ciudades, que a hombres de calidades no hay quien sus gustos ataje; allá se precian casados que visiten sus mujeres. No harán; que con esto quieres que vivamos descuidados. En las ciudades hay Dios, y más presto quien castiga. ¡Levantaos de aquí! ¡Que diga lo que escucháis por los dos!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO ESTEBAN
LEONELLO COMMENDATORE ASSESSORE
COMMENDATORE ASSESSORE
COMMENDATORE ASSESSORE COMMENDATORE SINDACO COMMENDATORE
ESTEBAN
COMMENDATORE SINDACO
Signore, protetto dal vostro onore il popolo vuole vivere! A Fuente Ovejuna c’è gente davvero perbene. Mai visto tanta impudenza! Ho forse detto qualcosa che vi dispiace, assessore? Quello che dite è ingiusto; non lo dite; non è giusto che ci togliate l’onore. E voi dunque avete onore? Che nobili di Calatrava! Forse qualcuno si vanta della croce che gli date ed ha sangue meno puro. E lo insudicio, se unisco il mio ed il vostro? Certo: il male macchia, non monda. In qualsiasi modo sia le vostre donne si onorano. Queste parole infamano; alle opere non vogliam credere. Ma che villici noiosi! Felici le città, dove agli uomini di qualità nessuno nega il piacere; là i mariti sono lieti se corteggiano le mogli! Non è vero, voi volete che viviamo senza scrupoli! C’è Dio anche in città, e c’è anche lì chi castiga. Andate via! Che ci dica a noi due quel che sentite! 589
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR FLORES COMENDADOR ORTUÑO COMENDADOR
LEONELO ESTEBAN
¡Salí de la plaza luego! No quede ninguno aquí. Ya nos vamos. Pues no ansí. Que te reportes te ruego. ¡Querrían hacer corrillo los villanos en mi ausencia! Ten un poco de paciencia. De tanta me maravillo. Cada uno de por sí se vayan hasta sus casas. ¡Cielo! ¿Que por esto pasas? Ya yo me voy por aquí.
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Vanse. COMENDADOR ORTUÑO
COMENDADOR FLORES COMENDADOR FLORES
COMENDADOR FLORES COMENDADOR
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¿Qué os parece de esta gente? No sabes disimular que no quieren escuchar el disgusto que se siente. Estos ¿se igualan conmigo? Que no es aqueso igualarse. Y el villano ¿ha de quedarse con ballesta y sin castigo? Anoche pensé que estaba a la puerta de Laurencia, y a otro, que su presencia y su capilla imitaba, de oreja a oreja le di un beneficio famoso. ¿Dónde estará aquel Frondoso? Dicen que anda por ahí. ¿Por ahí se atreve a andar hombre que matarme quiso?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO COMMENDATORE ESTEBAN COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE ORTUÑO COMMENDATORE
LEONELLO ESTEBAN
Subito via dalla piazza! Andiamo. Ma non così! Vi scongiuro di calmarvi. Volevano spettegolare questi villani in mia assenza! Abbi un poco di pazienza! Mi pare di averne troppa! Che ognuno se ne ritorni a casa sua da solo. Cielo! E questo lo sopporti? Io vado via per di qua. Escono.
COMMENDATORE ORTUÑO
COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE
FLORES
COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE
Che ve ne pare di questi? Non sai dissimulare; e non vogliono ascoltare le cose che danno noia. Pretendon d’essermi uguali? Questo non è essere uguali. E quel villano rimane con la mia balestra e senza che lo possa castigare? Ieri sera mi è parso di vederlo alla porta di Laurencia; e a un altro, che pareva proprio lui e che imitava il suo canto, da orecchia a orecchia gli ho dato un taglio da farlo secco. Dove sarà quel Frondoso? Dicono che è giù di qui. E in paese osa apparire un uomo che per poco non m’uccideva?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO FLORES
COMENDADOR
FLORES
COMENDADOR
FLORES COMENDADOR FLORES COMENDADOR ORTUÑO COMENDADOR ORTUÑO
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Como el ave sin aviso, o como el pez, viene a dar al reclamo o al anzuelo. ¡Que a un capitán, cuya espada tiemblan Córdoba y Granada, un labrador, un mozuelo ponga una ballesta al pecho! El mundo se acaba, Flores. Como eso pueden amores. Y pues que vives, sospecho que grande amistad le debes. Yo he disimulado, Ortuño; que si no, de punta a puño, antes de dos horas breves, pasara todo el lugar; que hasta que llegue ocasión al freno de la razón hago la venganza estar. ¿Qué hay de Pascuala? Responde que anda agora por casarse. ¿Hasta allá quiere fiarse? En fin, te remite donde te pagarán de contado. ¿Qué hay de Olalla? Una graciosa respuesta. Es moza briosa. ¿Cómo? Que su desposado anda tras ella estos días celoso de mis recados, y de que con tus criados a visitalla venías; pero que, si se descuida, entrarás como primero.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO FLORES
COMMENDATORE
FLORES
COMMENDATORE
FLORES COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE ORTUÑO COMMENDATORE ORTUÑO
È come un uccello o un pesciolino, che incappa nel richiamo o finisce preso all’amo. Che un contadino, un ragazzo, minacci con la balestra un capitano, temuto fino a Cordova e Granada! È il finimondo, Flores! La potenza dell’amore... Siccome sei ancora vivo penso che tu gli sia grato! Ortuño, ho fatto finta; che se no, a fil di spada nello spazio di due ore avrei passato il paese; fino a che mi si presenti l’occasione, sottopongo al freno della ragione la mia giusta vendetta. Si sa nulla di Pasquala? Dice che sta per sposarsi... E si spinge fino a questo? Insomma rimanda a quando ti potrà saldare il conto. E da Olalla? Una risposta spiritosa. È una ragazza sveglia. Che dice? Il marito in questi giorni la vigila, geloso dei biglietti, e che con i tuoi servi venivi a visitarla; ma che, appena gli passa, potrai andare come prima. 593
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO COMENDADOR ORTUÑO COMENDADOR FLORES COMENDADOR FLORES
COMENDADOR
FLORES
COMENDADOR
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¡Bueno, a fe de caballero! Pero el villanejo cuida... Cuida, y anda por los aires. ¿Qué hay de Inés? ¿Cuál? La de Antón. Para cualquier ocasión te ha ofrecido sus donaires. Hablela por el corral, por donde has de entrar si quieres. A las fáciles mujeres quiero bien y pago mal. Si éstas supiesen, oh Flores, estimarse en lo que valen... No hay disgustos que se igualen a contrastar sus favores. Rendirse presto desdice de la esperanza del bien; mas hay mujeres también por que el filósofo dice que apetecen a los hombres como la forma desea la materia, y que esto sea así, no hay de qué te asombres. Un hombre de amores loco huélgase que a su accidente se le rindan fácilmente, mas después las tiene en poco, y el camino de olvidar, al hombre más obligado, es haber poco costado lo que pudo desear.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO COMMENDATORE ORTUÑO COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE FLORES
COMMENDATORE
FLORES
COMMENDATORE
Bene, a fe’ di cavaliere! Ma quel villanaccio scruta… Scruta e tiene gli occhi aperti. Che si sa di Inés? Chi? Quella di Antonio. In ogni caso ti ha offerto le sue grazie. Le ho parlato nel cortile; entrerai da lì, se vuoi. Mi piaccion le donne facili, ma le ricompenso male! Se sapessero, o Flores, stimarsi per quel che valgono... Non ci sono dispiaceri che possano paragonarsi a negar le loro grazie. Una resa troppo rapida diminuisce il piacere dell’attesa; ma ci sono donne, lo dice il filosofo, che desiderano l’uomo come la forma ricerca la materia, e che sia così non deve stupirti. Un uomo pazzo d’amore si rallegra che si arrendano facilmente ai suoi bisogni, ma poi ne fa poco conto; e la strada più facile per poi dimenticarle, anche per l’uomo più grato, è che gli costi poco quello che desiderava.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
Sale Cimbranos, soldado. SOLDADO ORTUÑO SOLDADO
COMENDADOR
ORTUÑO COMENDADOR SOLDADO COMENDADOR
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¿Está aquí el Comendador? ¿No le ves en tu presencia? ¡Oh, gallardo Fernán Gómez! Trueca la verde montera en el blanco morrïón y el gabán en armas nuevas, que el Maestre de Santiago y el conde de Cabra cercan a don Rodrigo Girón, por la castellana Reina, en Ciudad Real; de suerte que no es mucho que se pierda lo que en Calatrava sabes que tanta sangre le cuesta. Ya divisan con las luces, desde las altas almenas, los castillos y leones y barras aragonesas. Y aunque el rey de Portugal honrar a Girón quisiera, no hará poco en que el Maestre a Almagro con vida vuelva. Ponte a caballo, Señor, que solo con que te vean se volverán a Castilla. No prosigas; tente, espera. Haz, Ortuño, que en la plaza toquen luego una trompeta. ¿Qué soldados tengo aquí? Pienso que tienes cincuenta. Pónganse a caballo todos. Si no caminas apriesa, Ciudad Real es del Rey. No hayas miedo que lo sea.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
Entra Cimbranos, soldato. SOLDATO ORTUÑO SOLDATO
COMMENDATORE
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È qui il Commendatore? Non lo vedi qui davanti? Valoroso Fernán Gómez! Cambia il tuo berretto verde con il bianchissimo elmo, e la giubba con le armi, che il Maestro di Santiago e il conte di Cabra assediano don Rodrigo Girón, in nome della Regina, a Ciudad Real, così che sarà facile perdere quello che è costato tanto sangue di Calatrava. Già dai merli più alti con le luci si possono scorgere le bandiere con i leoni e i castelli, e le barre di Aragona. Se anche il re del Portogallo vuole aiutare Girón, sarà molto se il Maestro tornerà vivo ad Almagro. Monta a cavallo, signore: ché basterà che ti vedano e torneranno in Castiglia. Non proseguire, fermati. Ortuño fai suonare la tromba nella piazza. Che soldati ho qui con me? Una cinquantina, credo. Salgano tutti a cavallo. Se non vi muovete in fretta Ciudad Real è del re. Non lo sarà, non temere. 597
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
[Vanse.] Salen Mengo, y Laurencia y Pascuala huyendo. PASCUALA MENGO LAURENCIA
MENGO LAURENCIA MENGO LAURENCIA
MENGO
LAURENCIA
MENGO LAURENCIA
PASCUALA MENGO
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No te apartes de nosotras. Pues ¿aquí tenéis temor? Mengo, a la villa es mejor que vamos unas con otras, pues que no hay hombre ninguno, porque no demos con él. ¡Que este demonio cruel nos sea tan importuno! No nos deja a sol ni a sombra. ¡Oh, rayo del cielo baje, que sus locuras ataje! Sangrienta fiera le nombra, arsénico y pestilencia del lugar. Hanme contado que Frondoso, aquí en el prado, para librarte, Laurencia, le puso al pecho una jara. Los hombres aborrecía, Mengo, mas desde aquel día los miro con otra cara. ¡Gran valor tuvo Frondoso! Pienso que le ha de costar la vida. Que del lugar se vaya, será forzoso. Aunque ya le quiero bien, eso mismo le aconsejo; mas recibe mi consejo con ira, rabia y desdén; y jura el Comendador que le ha de colgar de un pie. ¡Mal garrotillo le dé! Mala pedrada es mejor. ¡Voto al sol, si le tirara
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
[Escono.] Entrano Mengo, e Laurencia e Pasquala che fuggono. PASQUALA MENGO LAURENCIA
MENGO LAURENCIA MENGO LAURENCIA
MENGO
LAURENCIA
MENGO LAURENCIA
PASQUALA MENGO
Sta con noi, non ci lasciare. Ma di che avete paura? Mengo, è meglio che in paese andiamo tutte insieme, siccome non ci son uomini, per non imbatterci in lui. Che questo demoniaccio ci dia tanto fastidio! Non ci lascia mai in pace! Un fulmine del cielo fermi le sue follie! Chiamalo belva feroce, arsenico e pestilenza del villaggio! M’hanno detto che Frondoso, qui nel prato, per liberarti, Laurencia, gli puntò una freccia al petto... Gli uomini li detestavo, Mengo, ma da quel momento li guardo in altra maniera. Frondoso ha avuto coraggio! Ed ho paura che rischi la vita. Bisognerà che vada via dal paese! Anche se gli voglio bene gli dico la stessa cosa, ma accoglie il mio consiglio con ira, rabbia e sdegno; e il Commendatore giura che lo appende a testa in giù. Si becchi una malattia! Meglio una bella sassata! Per Dio, che se gli tiro 599
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIA MENGO
PASCUALA
con la que llevo al apero, que al sonar el crujidero, al casco se la encajara! No fue Sábalo, el romano, tan vicioso por jamás. Heliogábalo dirás, más que una fiera inhumano. Pero Galván, o quién fue, que yo no entiendo de historia, mas su cativa memoria vencida de este se ve. ¿Hay hombre en naturaleza como Fernán Gómez? No; que parece que le dio de una tigre la aspereza.
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Sale Jacinta. JACINTA LAURENCIA PASCUALA JACINTA
LAURENCIA
Dadme socorro, por Dios, si la amistad os obliga. ¿Qué es esto, Jacinta, amiga? Tuyas lo somos las dos. Del Comendador criados, que van a Ciudad Real, más de infamia natural que de noble acero armados, me quieren llevar a él. Pues, Jacinta, Dios te libre, que cuando contigo es libre, conmigo será cruel. Vase.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
LAURENCIA MENGO
LAURENCIA
con la fionda che ho con me, appena vibra la corda che gli si pianta nel cranio! Non fu Sabalo il romano vizioso come è lui! Vorrai dire Eliogabalo, più feroce di una belva! Piero Galván, o chi è stato, perché io non so la storia, ma il suo malvagio ricordo è vinto da questo qui! La natura ha fatto un uomo come Fernán Gómez? No, che sembra che gli abbia dato la ferocia di una tigre! Entra Giacinta.
GIACINTA LAURENCIA PASQUALA GIACINTA
LAURENCIA
In nome di Dio, aiutatemi, per la nostra amicizia! Che ti succede Giacinta? Siamo tutte e due tue amiche! Servi del Commendatore, che vanno a Ciudad Real, più armati di perfidia che di nobile acciaio, mi vogliono dare a lui! Giacinta, che Dio ti salvi, perché se con te è libero, con me sarebbe feroce! Esce.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO PASCUALA
Jacinta, yo no soy hombre que te puedo defender.
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Vase. MENGO
JACINTA MENGO JACINTA MENGO
Yo sí lo tengo de ser, porque tengo el ser y el nombre. Llégate, Jacinta, a mí. ¿Tienes armas? Las primeras del mundo. ¡Oh, si las tuvieras! Piedras hay, Jacinta, aquí.
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Salen Flores y Ortuño. FLORES JACINTA MENGO ORTUÑO MENGO
FLORES MENGO
¿Por los pies pensabas irte? Mengo, ¡muerta soy! Señores... ¿A estos pobres labradores?... Pues ¿tú quieres persuadirte a defender la mujer? Con los ruegos la defiendo; que soy su deudo y pretendo guardalla, si puede ser. Quitalde luego la vida. ¡Voto al sol, si me emberrincho, y el cáñamo me descincho, que la llevéis bien vendida!
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Salen el Comendador y Cimbranos. COMENDADOR FLORES
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¿Qué es eso? ¿A cosas tan viles me habéis de hacer apear? Gente de este vil lugar, que ya es razón que aniquiles,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO PASQUALA
Giacinta, io non son uomo che ti possa difendere! Esce.
MENGO
GIACINTA MENGO GIACINTA MENGO
Io invece lo sarò: uomo di nome e di fatto! Giacinta, stammi vicina! Hai delle armi? Le prime del mondo. Ah, se le avessi! Qui ci son pietre, Giacinta. Entrano Flores e Ortuño.
FLORES GIACINTA MENGO ORTUÑO MENGO
FLORES MENGO
E pensavi di scapparci? Mengo, son morta! Signori, siam poveri contadini... E tu avresti il coraggio di difender questa donna? La difendo pregandovi: son suo parente e voglio proteggerla, se è possibile. Ammazzatelo subito! Accidenti, se mi arrabbio e metto mano alla fionda ve ne farò pentire! Entrano il Commendatore e Cimbranos.
COMMENDATORE FLORES
Che c’è? Per cose sì basse devo smontare di sella? Gentaglia di questo paese, che dovresti distruggere
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
MENGO
COMENDADOR
MENGO COMENDADOR MENGO COMENDADOR MENGO FLORES COMENDADOR
ORTUÑO COMENDADOR
MENGO COMENDADOR
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pues en nada te da gusto, a nuestras armas se atreve. Señor, si piedad os mueve de soceso tan injusto, castigad estos soldados, que con vuestro nombre agora roban una labradora [a] esposo y padres honrados; y dadme licencia a mí que se la pueda llevar. Licencia les quiero dar... para vengarse de ti. Suelta la honda. ¡Señor!... Flores, Ortuño, Cimbranos, con ella le atad las manos. ¿Así volvéis por su honor? ¿Qué piensan Fuente Ovejuna y sus villanos de mí? Señor, ¿en qué os ofendí, ni el pueblo en cosa ninguna? ¿Ha de morir? No ensuciéis las armas que habéis de honrar en otro mejor lugar. ¿Qué mandas? Que lo azotéis. Llevalde, y en ese roble le atad y le desnudad, y con las riendas... ¡Piedad! ¡Piedad, pues sois hombre noble! Azotalde hasta que salten los hierros de las correas.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
MENGO
COMMENDATORE
MENGO COMMENDATORE MENGO COMMENDATORE MENGO FLORES COMMENDATORE
ORTUÑO COMMENDATORE
MENGO COMMENDATORE
perché in nulla ti asseconda, resiste alle nostre armi. Signore, pietà vi muova di un caso così ingiusto! Punite questi soldati, che in nome vostro ora rapiscono una contadina allo sposo e ai genitori onorati; concedetemi che gliela possa rendere. Io concederò loro... di darti una lezione! Lascia la fionda. Signore! Flores, Ortuño, Cimbranos, legatelo con la fionda! È così che difendete il suo onore? Cosa pensano di me a Fuente Ovejuna? In che cosa, signore, vi ho offeso io, o il paese? Lo uccidiamo? Non sporcate le armi che onorerete in altra e migliore impresa. Cosa comandi? Frustatelo. Prendetelo, legatelo a questa quercia, spogliatelo, e con le redini... Ohimè! Pietà, se siete nobile! ...Frustatelo finché saltino i ferri delle corregge.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO MENGO
¡Cielos! ¿A hazañas tan feas queréis que castigos falten? Vanse.
COMENDADOR
JACINTA
COMENDADOR JACINTA
COMENDADOR
JACINTA COMENDADOR JACINTA COMENDADOR
JACINTA COMENDADOR JACINTA COMENDADOR
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Tú, villana, ¿por qué huyes? ¿Es mejor un labrador que un hombre de mi valor? ¡Harto bien me restituyes el honor que me han quitado en llevarme para ti! ¿En quererte llevar? Sí; porque tengo un padre honrado, que si en alto nacimiento no te iguala, en las costumbres te vence. Las pesadumbres y el villano atrevimiento no tiemplan bien un airado. Tira por ahí. ¿Con quién? Conmigo. Míralo bien. Para tu mal lo he mirado. Ya no mía, del bagaje del ejército has de ser. No tiene el mundo poder para hacerme, viva, ultraje. Ea, villana, camina. ¡Piedad, señor! No hay piedad.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO MENGO
Cielo! A così basse imprese mancherà forse il castigo? Escono.
COMMENDATORE
GIACINTA
COMMENDATORE GIACINTA
COMMENDATORE
GIACINTA COMMENDATORE GIACINTA COMMENDATORE
GIACINTA
COMMENDATORE GIACINTA COMMENDATORE
Tu, villana, perché scappi? Forse è meglio un contadino che un uomo del mio valore? Bene mi restituisci l’onore che mi hanno tolto quando mi han preso per te! T’hanno preso a forza? Sì perché ho un padre onorato: se non ti è uguale per nobile nascita, nei costumi ti vince. Questi insulti e la villana arroganza non sono adatti a calmare un irato. Via, di là. Con chi? Con me! Ma considera... L’ho già ben considerato: non mia, ma dell’esercito sarai. Il mondo intero non potrà, mentre son viva, oltraggiarmi. Su, villana, cammina! Pietà, signore. Niente pietà.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO JACINTA
Apelo de tu crueldad a la justicia divina. Llévanla y vanse, y salen Laurencia y Frondoso.
LAURENCIA FRONDOSO
LAURENCIA
FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO
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¿Cómo así a venir te atreves, sin temer tu daño? Ha sido dar testimonio cumplido de la afición que me debes. Desde aquel recuesto vi salir al Comendador, y fiado en tu valor, todo mi temor perdí. ¡Vaya donde no le vean volver! Tente en maldecir, porque suele más vivir al que la muerte desean. Si es eso, viva mil años, y así se hará todo bien, pues deseándole bien estarán ciertos sus daños. Laurencia, deseo saber si vive en ti mi cuidado, y si mi lealtad ha hallado el puerto de merecer. Mira que toda la villa ya para en uno nos tiene; y de cómo a ser no viene, la villa se maravilla. Los desdeñosos estremos deja, y responde no o sí. Pues a la villa y a ti respondo que lo seremos. Deja que tus plantas bese por la merced recebida,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO GIACINTA
Io mi appello, contro la tua crudeltà, alla giustizia divina.
La portano via ed escono; ed entrano Laurencia e Frondoso. LAURENCIA FRONDOSO
LAURENCIA
FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO
Come ti azzardi a venire senza avere paura? Ho voluto dimostrarti l’affetto che ho per te. Da quella collina ho visto uscire il Commendatore; fidando nel tuo coraggio ho perso tutto il timore. Che se ne vada in un posto dove non possa tornare! Attento, non maledire: a chi si augura la morte gli si allunga la vita! Se è così, viva mill’anni, e tutto andrà per il meglio: desiderando il suo bene sarà certo il suo danno. Laurencia, voglio sapere se in te c’è lo stesso affetto, se la mia lealtà si merita di raggiungere il suo scopo. Vedi che tutto il paese ci considera promessi, e tutti si meravigliano che non siamo ancora sposi. Gli sdegni esagerati lascia, e rispondi no o sì. Al paese e a te rispondo che presto ci sposeremo. Lascia che ti baci i piedi per la grazia che mi fai: 609
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
LAURENCIA
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pues el cobrar nueva vida por ella es bien que confiese. De cumplimientos acorta; y para que mejor cuadre, habla, Frondoso, a mi padre, pues es lo que más importa, que allí viene con mi tío; y fía que ha de tener ser, Frondoso, tu mujer, buen suceso. En Dios confío.
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Escóndese. Salen Esteban, alcalde, y el Regidor. ALCALDE
REGIDOR
ALCALDE REGIDOR
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Fue su término de modo, que la plaza alborotó: en efeto, procedió muy descomedido en todo. No hay a quien admiración sus demasías no den; la pobre Jacinta es quien pierde por su sinrazón. Ya [a] los Católicos Reyes, que este nombre les dan ya, presto España les dará la obediencia de sus leyes. Ya sobre Ciudad Real, contra el Girón que la tiene, Santiago a caballo viene por capitán general. Pésame; que era Jacinta doncella de buena pro. Luego, ¿a Mengo le azotó? No hay negra bayeta o tinta como sus carnes están.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
LAURENCIA
FRONDOSO
devo proprio confessarti che mi pare di rinascere. Basta con i complimenti; e per sistemar le cose parla, Frondoso, a mio padre, che è quello che più ci preme; eccolo lì con mio zio; Frondoso, l’esser tua moglie avrà buon esito, fidati. E così lo voglia Iddio. Si nasconde. Entrano Esteban, sindaco, e l’Assessore.
SINDACO
ASSESSORE
SINDACO ASSESSORE
S’è condotto in modo tale che ha sollevato la piazza: in effetti si è mostrato in tutto senza limiti. E dei suoi eccessi non c’è chi non si meravigli; la sua ingiustizia ha offeso quella povera Giacinta. Presto ai Cattolici Re, come già li si chiama, la Spagna renderà omaggio, e ne obbedirà le leggi. Presto lo stesso Santiago, per capitano supremo, si muoverà a cavallo contro Ciudad Real, e il Girón che l’ha occupata. Mi spiace: Giacinta era una ragazza per bene. E ha fatto frustare Mengo? Non c’è panno così nero, né è così nero l’inchiostro, come sono le sue carni. 611
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO ALCALDE
REGIDOR ALCALDE
REGIDOR FRONDOSO REGIDOR [JUAN]
FRONDOSO
ESTEBAN FRONDOSO ESTEBAN FRONDOSO
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Callad; que me siento arder, viendo su mal proceder, y el mal nombre que le dan. Yo ¿para qué traigo aquí este palo sin provecho? Si sus crïados lo han hecho, ¿de qué os afligís ansí? ¿Queréis más? Que me contaron que a la de Pedro Redondo un día, que en lo más hondo de este valle la encontraron, después de sus insolencias, a sus crïados la dio. Aquí hay gente. ¿Quién es? Yo, que espero vuestras licencias. Para mi casa, Frondoso, licencia no es menester; debes a tu padre el ser, y a mí otro ser amoroso. Hete crïado, y te quiero como a hijo. Pues, señor, fiado en aquese amor, de ti una merced espero. Ya sabes de quién soy hijo. ¿Hate agraviado ese loco de Fernán Gómez? No poco. El corazón me lo dijo. Pues, señor, con el seguro del amor que habéis mostrado, de Laurencia enamorado, el ser su esposo procuro. Perdona si en el pedir mi lengua se ha adelantado;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO SINDACO
ASSESSORE SINDACO
ASSESSORE FRONDOSO ASSESSORE [JUAN]
FRONDOSO
ESTEBAN FRONDOSO ESTEBAN FRONDOSO
Tacete, mi sento fremere vedendo le sue infamie, e come lo si condanna. Ed io, perché mai porto il bastone del comando? Forse l’han fatto i suoi servi; non vi affliggete così! Volete altro? M’hanno detto che alla moglie di Redondo un giorno, che nel più fitto del bosco la incontrarono, dopo di averla oltraggiata la dette ai suoi servitori. Qui c’è qualcuno. Chi è? Sono io; domando il vostro permesso. Per la mia casa non ne hai bisogno, Frondoso; se devi la tua esistenza a tuo padre, a me devi un grande affetto: ti ho allevato e ti vo’ bene come un figliolo. Signore, fidando nel vostro affetto, una grazia vi domando. Già sai di chi sono figlio... Ti ha offeso quel pazzo di Fernán Gómez? Non poco! Me l’aveva detto il cuore! Signore, rassicurato dall’affetto che mostrate, di Laurencia innamorato, vorrei essere suo sposo. Perdona se ho domandato in forma troppo diretta; 613
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
ESTEBAN
REGIDOR
1°
ESTEBAN
FRONDOSO REGIDOR ESTEBAN FRONDOSO ESTEBAN
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que he sido en decirlo osado, como otro lo ha de decir. Vienes, Frondoso, a ocasión que me alargarás la vida, por la cosa más temida que siente mi corazón. Agradezco, hijo, al cielo, que así vuelvas por mi honor, y agradézcole a tu amor la limpieza de tu celo. Mas como es justo, es razón dar cuenta a tu padre de esto; solo digo que estoy presto, en sabiendo su intención; que yo dichoso me hallo en que aqueso llegue a ser. De la moza el parecer tomad, antes de acetallo. No tengáis de eso cuidado, que ya el caso está dispuesto: antes de venir a esto, entre ellos se ha concertado. En el dote, si advertís, se puede agora tratar, que por bien os pienso dar algunos maravedís. Yo dote no he menester, de eso no hay que entristeceros. Pues que no la pide en cueros lo podéis agradecer. Tomaré el parecer de ella, si os parece será bien. Justo es; que no hace bien quien los gustos atropella. ¡Hija! ¡Laurencia!...
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
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sono stato temerario, come dirà qualcheduno. Frondoso, giungi a proposito, che mi allunghi la vita, per la cosa che più temo e che il mio cuore paventa. Figliolo, io ringrazio il cielo, che così tu difenda il mio onore, e ringrazio il tuo affetto, perché le tue intenzioni son limpide. Ma è necessario e giusto che tu ne parli a tuo padre; solo dico che son pronto, visto che so il tuo proposito; ed io sono ben felice che si possa realizzare. Ma prima di accettarlo sentite almeno il parere della ragazza. Non c’è pericolo: è tutto fatto: prima di venire qui lo hanno accordato tra loro! Se volete, della dote possiamo adesso parlare; penso che vi potrò dare un bel po’ di soldarelli. Di dote non ho bisogno; non ve ne preoccupate. Lo potete ringraziare: ve la prende nuda e cruda! Le domanderò il parere se pensate che sia giusto. È giusto; sbaglia di grosso chi forza le inclinazioni. Figlia! Laurencia! 615
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO LAURENCIA ESTEBAN
LAURENCIA ESTEBAN LAURENCIA ESTEBAN
LAURENCIA ESTEBAN LAURENCIA
ESTEBAN LAURENCIA ESTEBAN
REGIDOR ESTEBAN
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Señor... Mirad si digo bien yo. ¡Ved qué presto respondió! Hija Laurencia, mi amor a preguntarte ha venido, apártate aquí, si es bien que a Gila, tu amiga, den a Frondoso por marido, que es un honrado zagal, si le hay en Fuente Ovejuna... ¿Gila se casa? Y si alguna le merece y es su igual... Yo digo, señor, que sí. Sí; mas yo digo que es fea y que harto mejor se emplea Frondoso, Laurencia, en ti. ¿Aún no se te han olvidado los donaires con la edad? ¿Quiéresle tú? Voluntad le he tenido y le he cobrado, pero por lo que tú sabes. ¿Quieres tú que diga sí? Dilo tú, señor, por mí. ¿Yo? ¿Pues tengo yo las llaves? Hecho está. Ven, buscaremos a mi compadre en la plaza. Vamos. Hijo, y en la traza del dote, ¿qué le diremos? Que yo bien te puedo dar cuatro mil maravedís.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO LAURENCIA ESTEBAN
LAURENCIA ESTEBAN
LAURENCIA ESTEBAN
LAURENCIA ESTEBAN LAURENCIA
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ASSESSORE ESTEBAN
Signore... Vedete se ho ragione! E come ha risposto subito! Laurencia cara, il mio amore ti vuol domandare, vieni da questa parte, se è bene che la tua amica Gila si sposi con Frondoso, che è un bravo ragazzo, come pochi qui in paese. Gila si sposa? E se c’è qualcuna che se lo merita, ed è pari a lui... Io dico, signore, di sì. Io invece dico che è brutta, e che è meglio, che Frondoso sposi te. Non vi è passata la voglia di scherzare, con l’età? Gli vuoi bene? Ho avuto affetto per lui, che è aumentato dopo quello che tu sai. Vuoi che gli dica di sì? Dillo tu per me, signore. Io? Ho forse la chiave del tuo affetto? Ma via, siamo d’accordo. Cerchiamo in piazza il mio compare. Si va. Figlio, e per la dote cosa gli dobbiamo dire? Che io ti posso dare ben quattromila denari...
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO FRONDOSO ESTEBAN
Señor, ¿eso me decís? ¡Mi honor queréis agraviar! Anda, hijo, que eso es cosa que pasa en un día; que si no hay dote, a fe mía que se echa menos después.
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Vanse, y queda Frondoso y Laurencia. LAURENCIA FRONDOSO
Di, Frondoso, ¿estás contento? ¡Cómo si lo estoy! ¡Es poco, pues que no me vuelvo loco de gozo, del bien que siento! Risa vierte el corazón por los ojos, de alegría, viéndote, Laurencia mía, en tal dulce posesión.
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Vanse. Salen el Maestre, el Comendador, Flores y Ortuño. COMENDADOR MAESTRE COMENDADOR MAESTRE
COMENDADOR MAESTRE
Dentro MAESTRE
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Huye, señor, que no hay otro remedio. La flaqueza del muro lo ha causado, y el poderoso ejército enemigo. Sangre les cuesta y infinitas vidas. Y no se alabarán que en sus despojos 1455 pondrán nuestro pendón de Calatrava, que a honrar su empresa y los demás bastaba. Tus desinios, Girón, quedan perdidos. ¿Qué puedo hacer, si la Fortuna ciega a quien hoy levantó, mañana humilla? 1460 ¡Vitoria por los Reyes de Castilla! Ya coronan de luces las almenas, y las ventanas de las torres altas entoldan con pendones vitoriosos.
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
Signore, questo mi dite? Voi mi volete offendere! Figliolo, queste son cose che in un giorno finiscono; e se poi manca la dote, non sai come si rimpiange!
FRONDOSO ESTEBAN
Escono, e rimangono Frondoso e Laurencia. LAURENCIA FRONDOSO
Di’, Frondoso, sei contento? Come, se lo sono! Sto per impazzire di gioia; di felicità son pieno! Trabocca il cuore di risa per gli occhi, e di allegria, vedendoti, cara Laurencia, così vicina a esser mia.
Escono. Entrano il Maestro, il Commendatore, Flores e Ortuño. COMMENDATORE MAESTRO COMMENDATORE MAESTRO
COMMENDATORE MAESTRO
Dentro MAESTRO
Fuggi, Signore, non c’è altro rimedio. La colpa è delle mura, troppo deboli, e del possente esercito nemico. Ma gli è costato sangue e molte vite. E non potranno vantarsi di avere tra le spoglie anche il nostro stendardo di Calatrava, che era sufficiente a dare gloria alla loro impresa. I tuoi piani, Girón, sono sfumati. Che fare ormai, se la Fortuna cieca oggi ci innalza, e domani ci umilia? Vittoria dei sovrani di Castiglia! Già coronano di fiaccole i merli, e le finestre delle alte torri ornano con bandiere vittoriose.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO COMENDADOR MAESTRE COMENDADOR
MAESTRE COMENDADOR MAESTRE
Bien pudieran de sangre que les cuesta. A fe que es más tragedia que no fiesta. Yo vuelvo a Calatrava, Fernán Gómez. Y yo a Fuente Ovejuna, mientras tratas o seguir esta parte de tus deudos, o reducir la tuya al Rey Católico. Yo te diré por cartas lo que intento. El tiempo ha de enseñarte. ¡Ah, pocos años, sujetos al rigor de sus engaños!
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[Vanse.] Sale la boda, músicos, Mengo, Frondoso, Laurencia, Pascuala, Barrildo, y Esteban alcalde [y Juan Rojo.] MÚSICOS
MENGO BARRILDO FRONDOSO MENGO
BARRILDO
MENGO
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¡Vivan muchos años los desposados! ¡Vivan muchos años! A fe, que no os ha costado mucho trabajo el cantar. ¿Supiéraslo tú trovar mejor que él está trovado? Mejor entiende de azotes Mengo, que de versos ya. Alguno en el valle está, para que no te alborotes, a quien el Comendador... No lo digas, por tu vida; que este bárbaro homicida a todos quita el honor. Que me azotasen a mí cien soldados aquel día... sola una honda tenía, [harto desdichado fui]. Pero que le hayan echado una melecina a un hombre, que, aunque no diré su nombre,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO COMMENDATORE
MAESTRO COMMENDATORE
MAESTRO COMMENDATORE MAESTRO
Lo potrebbero fare con il sangue che hanno versato! Che, in fede mia, per loro è più tragedia che non festa. Ritorno a Calatrava, Fernán Gómez. Ed io a Fuente Ovejuna; tu decidi se abbracciare il bando dei parenti o seguire coi tuoi il Re Cattolico. Ti scriverò le mie decisioni. Ti ammaestrerà il tempo. Oh, pochi anni, soggetti al rigore dei suoi inganni!
[Escono.] Entra il corteo nuziale, musici, Mengo, Frondoso, Laurencia, Pasquala, Barrildo e Esteban, sindaco [e Juan Rojo]. MUSICI
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BARRILDO
MENGO
Vivano molti anni i novelli sposi! Vivano molti anni! Certo che non v’è costata troppo sforzo la canzone! E tu sapresti comporre versi migliori di questi? Mengo si intende di più di frustate che di rime. C’è qualcuno, in questa valle, e non voglio spaventarti, a cui il Commendatore... Non dirlo, in nome di Dio, che questo omicida barbaro a tutti toglie l’onore! Che mi abbiano frustato cento soldati quel giorno... Avevo solo una fionda: sono stato sfortunato! Ma che gli abbiano dato una purga a un pover’uomo, di cui non farò il nome 621
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
BARRILDO MENGO
FRONDOSO MÚSICOS
MENGO BARRILDO MENGO
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todos saben que es honrado, llena de tinta y de chinas, ¿cómo se puede sufrir? Haríalo por reír. No hay risa con melecinas; que aunque es cosa saludable, yo me quiero morir luego. Vaya la copla, te ruego, si es la copla razonable. Vivan muchos años juntos los novios, ruego a los cielos, y por envidias ni celos ni riñan ni anden en puntos. Lleven a entrambos difuntos, de puro vivir cansados. ¡Vivan muchos años! ¡Maldiga el cielo el poeta que tal coplón arrojó! Fue muy presto... Pienso yo una cosa de esta seta: ¿no habéis visto un buñolero, en el aceite abrasando pedazos de masa echando hasta llenarse el caldero? Que unos le salen hinchados otros tuertos y mal hechos, ya zurdos y ya derechos, ya fritos y ya quemados. Pues así imagino yo un poeta componiendo, la materia previniendo, que es quien la masa le dio: va arrojando verso aprisa al caldero del papel, confiado en que la miel
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
BARRILDO MENGO
FRONDOSO MUSICI
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e che è persona per bene, piena di inchiostro e pietruzze, come si può sopportare? L’avranno fatto per ridere! Non si scherza con le purghe! E anche se fanno bene dopo io vorrei morire! Forza, sentiamo la strofa, basta che sia sensata. Vivano insieme molti anni gli sposi, preghiamo il cielo; per invidie o gelosie non abbiano da ridire. Li portino via defunti stufi da quanto han vissuto. Vivano molti anni! E che il cielo maledica chi ha scritto questa robaccia! L’ho fatta in fretta! Io penso una cosa della setta dei poeti: avete visto chi fa le frittelle e butta nell’olio bollente pezzi di pasta fino a riempire la padella? Alcune riescono gonfie, altre striminzite e mal fatte, ora zoppette ora diritte, ora fritte, ora bruciate. Così io mi immagino un poeta che compone, preparando la materia, che sarebbe come l’impasto: lui butta giù i versi in fretta dentro la padella della carta fiducioso che poi il miele 623
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
BARRILDO LAURENCIA JUAN
ESTEBAN
FRONDOSO JUAN MÚSICOS
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cubrirá la burla y risa. Mas poniéndolo en el pecho, apenas hay quien los tome, tanto que solo los come el mismo que los ha hecho. Déjate ya de locuras; deja los novios hablar. Las manos nos da a besar. Hija, ¿mi mano procuras? Pídela a tu padre luego para ti y para Frondoso. Rojo, a ella y a su esposo que se la dé el cielo ruego, con su larga bendición. Los dos a los dos la echad. Ea, tañed y cantad, pues que para en uno son. Al val de Fuente Ovejuna la niña en cabellos baja; el caballero la sigue de la cruz de Calatrava. Entre las ramas se esconde, de vergonzosa y turbada; fingiendo que no le ha visto, pone delante las ramas. «¿Para qué te ascondes, niña gallarda? Que mis linces deseos paredes pasan.» Acercóse el caballero, y ella, confusa y turbada, hacer quiso celosías de las intricadas ramas; mas como quien tiene amor los mares y las montañas atraviesa fácilmente, la dice tales palabras:
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
BARRILDO LAURENCIA JUAN
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coprirà le sue sciocchezze. Ma se in cuore li conserva nessuno poi li assaggia, tanto che solo li mangia quello stesso che li ha fatti. Basta con queste sciocchezze; lascia parlare gli sposi. Facci baciare la mano. Figlia, tu vuoi la mia mano? Ma domandala a tuo padre, sia per te che per Frondoso. Prego che a lei ed al suo sposo, Rojo, la conceda il cielo, con le sue benedizioni. Su, suonate e cantate, che ormai sono sposati! Nella valle di Fuente Ovejuna va con i capelli sciolti la fanciulla, e il cavaliere di Calatrava la segue. Tra i rami si nasconde, è vergognosa e turbata; finge di non vederlo, si ripara dietro i rami. «Perché ti nascondi bella fanciulla? Il desiderio è una lince, che i muri trapassa». Si avvicina il cavaliere, lei è confusa e turbata, fa dei rami intricati il suo riparo; siccome gli innamorati i mari e le montagne facilmente attraversano le dice queste parole:
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
«¿Para qué te ascondes, niña gallarda?, que mis linces deseos paredes pasan.»
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Sale el Comendador, Flores, Ortuño y Cimbranos. COMENDADOR JUAN
FRONDOSO LAURENCIA COMENDADOR JUAN FRONDOSO JUAN COMENDADOR
PASCUALA COMENDADOR PASCUALA COMENDADOR
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Estése la boda queda, y no se alborote nadie. No es juego aqueste, señor, y basta que tú lo mandes. ¿Quieres lugar? ¿Cómo vienes con tu belicoso alarde? ¿Venciste? Mas ¿qué pregunto? ¡Muerto soy! ¡Cielos, libradme! Huye por aquí, Frondoso. Eso no; prendelde, atalde. Date, muchacho, a prisión. Pues ¿quieres tú que me maten? ¿Por qué? No soy hombre yo que mato sin culpa a nadie; que si lo fuera, le hubieran pasado de parte a parte esos soldados que traigo. Llevarle mando a la cárcel, donde la culpa que tiene sentencie su mismo padre. Señor, mirad que se casa. ¿Qué me obliga a que se case? ¿No hay otra gente en el pueblo? Si os ofendió, perdonadle, por ser vos quien sois, No es cosa, Pascuala, en que yo soy parte. Es esto contra el Maestre Téllez Girón, que Dios guarde;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO
«Perché ti nascondi bella fanciulla? Il desiderio è una lince, che i muri trapassa». Entra il Commendatore, Flores, Ortuño e Cimbranos. COMMENDATORE JUAN
FRONDOSO LAURENCIA COMMENDATORE JUAN FRONDOSO JUAN COMMENDATORE
PASQUALA COMMENDATORE PASQUALA COMMENDATORE
Fermi tutti con le nozze, e che nessuno si muova. Signore, qui non si scherza, e ci basta un tuo ordine. Vuoi sederti? Come torni dalle tue prove guerresche? Hai vinto? Ma che domando... Sono morto! Cieli, aiuto! Fuggi per di qua, Frondoso! No: prendetelo, legatelo! Fatti arrestare, ragazzo. Vuoi dunque che mi uccidano? E perché? Io non son uomo che uccida senza motivo; se lo fossi, già lo avrebbero passato da parte a parte i soldati che ho con me. Lo faccio incarcerare, e il suo stesso padre sia giudice della sua colpa. Signore, si sta sposando! Che mi importa che si sposi? Non ci sono altri in paese? Se vi ha offeso, perdonatelo, voi che siete un gran signore. Non è cosa che io possa decidere. È un’offesa al Maestro Téllez Girón,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO
ESTEBAN
COMENDADOR ESTEBAN COMENDADOR ESTEBAN
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es contra toda su orden es su honor, y es importante, para el ejemplo, el castigo; que habrá otro día quien trate de alzar pendón contra él, pues ya sabéis que una tarde al Comendador mayor – ¡qué vasallos tan leales! – puso una ballesta al pecho. Supuesto que el disculparle ya puede tocar a un suegro, no es mucho que en causas tales se descomponga con vos un hombre, en efeto, amante; porque si vos pretendéis su propia mujer quitarle, ¿qué mucho que la defienda? Majadero sois, alcalde. Por vuestra virtud, señor. Nunca yo quise quitarle su mujer, pues no lo era. Sí quisistes... Y esto baste; que reyes hay en Castilla que nuevas órdenes hacen, con que desórdenes quitan. Y harán mal, cuando descansen de las guerras, en sufrir en sus villas y lugares a hombres tan poderosos, por traer cruces tan grandes. Póngasela el Rey al pecho, que para pechos reales es esa insignia, y no más. ¡Hola! ¡La vara quitalde!
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Dio lo protegga, e al suo ordine, al suo onore, ed è importante il castigo, come esempio; perché magari un giorno ci sarà chi oserà levarsi contro di lui; ché sapete che una sera minacciò con la balestra proprio me, il Commendatore: ma che vassalli leali! Ammesso che discolparlo possa toccare a un suocero, non è strano che in quel caso si sia alterato con voi un uomo innamorato; perché se voi pretendete di togliergli la sua donna, è strano che la difenda? Sindaco, siete uno stupido. Per bontà vostra, Signore. Non ho mai voluto togliergli sua moglie: non lo era ancora. Sì, invece... Ma ora basta, che ci son re in Castiglia che fanno nuove leggi con cui i disordini eliminano. E faran male, una volta che la guerra sia finita, se vorranno sopportare nelle città o nei villaggi uomini così potenti perché ostentano la croce. Se la metta il re sul petto, che questa insegna va bene solo per petti regali. Su, toglietegli il bastone del comando! 629
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO SEGUNDO ESTEBAN COMENDADOR ESTEBAN PASCUALA LAURENCIA COMENDADOR
Tomad, señor, norabuena. Pues con ella quiero dalle, como a caballo brïoso. Por señor os sufro. Dadme. ¡A un viejo de palos das! Si le das porque es mi padre, ¿qué vengas en él de mí? Llevadla, y haced que guarden su persona diez soldados.
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Vase él y los suyos. ESTEBAN
¡Justicia del cielo baje! Vase.
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¡Volvióse en luto la boda! Vase
BARRILDO MENGO
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¿No hay aquí un hombre que hable? Yo tengo ya mis azotes, que aún se ven los cardenales sin que un hombre vaya a Roma. Prueben otros a enojarle. Hablemos todos. Señores, aquí todo el mundo calle: ¡como ruedas de salmón me puso los atabales!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO SECONDO ESTEBAN COMMENDATORE
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COMMENDATORE
Eccolo qui, alla buon’ora! E con questo io lo voglio bastonare, come un cavallo bizzoso. Siete il mio signore: date! Picchiare un vecchio così! Se lo colpisci perché è mio padre, cosa vendichi su lui, che io ti abbia fatto? Portatela via, e che dieci soldati la sorveglino. Esce con i suoi.
ESTEBAN
Il cielo faccia giustizia! Esce.
PASQUALA
Le nozze cambiate in lutto! Esce.
BARRILDO MENGO
JUAN MENGO
E non c’è un uomo che parli? Io ho già avuto le frustate: per vedere vesti viola non importa andare a Roma! Altri si facciano sotto! Parliam tutti. Nossignori: che qui tutti stiano zitti: come pezzi di salmone mi ha ridotto i tamburelli!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Salen Esteban, Alonso y Barrildo. ESTEBAN BARRILDO ESTEBAN BARRILDO ESTEBAN
¿No han venido a la junta? No han venido. Pues más apriesa nuestro daño corre. Ya está lo más del pueblo prevenido. Frondoso con prisiones en la torre, y mi hija Laurencia en tanto aprieto, si la piedad de Dios no lo socorre...
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Salen Juan Rojo y el Regidor. JUAN ESTEBAN
¿De qué dais voces, cuando importa tanto 1660 a nuestro bien, Esteban, el secreto? Que doy tan pocas es mayor espanto. Sale Mengo.
MENGO ESTEBAN
JUAN
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También vengo yo a hallarme en esta junta. Un hombre cuyas canas baña el llanto, labradores honrados, os pregunta 1665 qué obsequias debe hacer toda esta gente a su patria sin honra, ya perdida. Y si se llaman honras justamente, ¿cómo se harán, si no hay entre nosotros hombre a quien este bárbaro no afrente? 1670 Respondedme: ¿hay alguno de vosotros que no esté lastimado en honra y vida? ¿No os lamentáis los unos de los otros? Pues si ya la tenéis todos perdida, ¿a qué aguardáis? ¿Qué desventura es esta? 1675 La mayor que en el mundo fue sufrida. Mas pues ya se publica y manifiesta que en paz tienen los Reyes a Castilla, y su venida a Córdoba se apresta,
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano Esteban, Alonso e Barrildo. ESTEBAN BARRILDO ESTEBAN BARRILDO ESTEBAN
Non son venuti al consiglio? No. Quindi è più che evidente il nostro danno. Sono stati avvisati quasi tutti. Frondoso imprigionato nella torre, e mia figlia Laurencia in grave rischio, se la pietà di Dio non ci soccorre... Entrano Juan Rojo e l’Assessore.
JUAN ESTEBAN
Queste grida perché, se è necessario il segreto per la nostra salvezza? Che grido così poco mi stupisco! Entra Mengo.
MENGO ESTEBAN
JUAN
Anch’io voglio far parte del consiglio. Un uomo, con le canizie bagnate dal pianto, vi domanda, o contadini onorati, che esequie dobbiam fare alla patria oramai disonorata. Se si suole chiamarli «onori funebri», come li renderemo, se tra noi non c’è uomo che scampi da quel barbaro? Rispondete: qualcuno di voialtri ha salvato il suo onore o la sua vita? Non vi lagnate sia gli uni che gli altri? E poiché ogni cosa è già perduta, che aspettate? Che sventura è mai questa? La maggiore possibile nel mondo! Ma siccome oramai sappiamo tutti che i Re han pacificato la Castiglia e che stanno scendendo verso Córdoba, 633
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
BARRILDO
REGIDOR JUAN MENGO REGIDOR
JUAN REGIDOR BARRILDO ESTEBAN
MENGO
JUAN
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vayan dos regidores a la villa, 1680 y, echándose a sus pies, pidan remedio. En tanto que Fernando, aquel que humilla a tantos enemigos, otro medio será mejor, pues no podrá, ocupado, hacernos bien, con tanta guerra en medio. 1685 Si mi voto de vos fuera escuchado, desamparar la villa doy por voto. ¿Cómo es posible en tiempo limitado? ¡A la fe, que si entiende el alboroto, que ha de costar la junta alguna vida! 1690 Ya, todo el árbol de paciencia roto, corre la nave de temor perdida. La hija quitan con tan gran fiereza a un hombre honrado, de quien es regida la patria en que vivís, y en la cabeza 1695 la vara quiebran tan injustamente. ¿Qué esclavo se trató con más bajeza? ¿Qué es lo que quieres tú que el pueblo intente? Morir, o dar la muerte a los tiranos, pues somos muchos, y ellos poca gente. 1700 ¡Contra el señor las armas en las manos! El Rey solo es señor después del cielo, y no bárbaros hombres inhumanos. Si Dios ayuda nuestro justo celo, ¿qué nos ha de costar? Mirad, señores, 1705 que vais en estas cosas con recelo. Puesto que por los simples labradores estoy aquí, que más injurias pasan, más cuerdo represento sus temores. Si nuestras desventuras se compasan, 1710 para perder las vidas, ¿qué aguardamos?
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
BARRILDO
ASSESSORE JUAN MENGO ASSESSORE
JUAN ASSESSORE BARRILDO ESTEBAN
MENGO
JUAN
vadano due Assessori là in città, ai piedi dei sovrani si inginocchino invocando un rimedio ai nostri mali. Ma mentre che Fernando sta vincendo i suoi nemici, dobbiamo trovare altri rimedi, che egli non potrà, così occupato, venire a soccorrerci, con tante guerre a cui deve badare. Se volete ascoltare il mio parere propongo di abbandonare il paese. Impossibile, in così poco tempo. Se si accorgesse del nostro subbuglio il consiglio costerà qualche vita! Rotto l’albero, ormai, della pazienza corre la nave, persa per l’angoscia. La figlia tolgono con tanta arroganza ad un uomo onorato, che amministra la patria in cui vivete, e sulla testa gli spezzano il bastone ingiustamente. Che schiavo fu trattato così male? E cosa dunque deve fare il popolo? Morire, oppure uccidere i tiranni; noi siamo molti, e loro sono pochi. Contro il signore prendere le armi! Dopo Dio, solo il Re è nostro signore, e non barbari uomini inumani! Se Dio aiuta la nostra giusta collera, da temere non c’è. Signori, attenti; in queste cose c’è da andarci piano! Siccome qui sono rappresentante dei contadini poveri, che soffrono maggiori oltraggi, assennatamente devo dar voce alle loro paure. Se misuriamo le nostre sventure, che aspettiamo a rischiare la vita?
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
Las casas y las viñas nos abrasan: tiranos son. ¡A la venganza vamos! Sale Laurencia, desmelenada. LAURENCIA
ESTEBAN JUAN LAURENCIA
ESTEBAN LAURENCIA ESTEBAN LAURENCIA
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Dejadme entrar, que bien puedo en consejo de los hombres; que bien puede una mujer, si no a dar voto, a dar voces. ¿Conocéisme? ¡Santo cielo! ¿No es mi hija? ¿No conoces a Laurencia? Vengo tal, que mi diferencia os pone en contingencia quién soy. ¡Hija mía! No me nombres tu hija. ¿Por qué, mis ojos? ¿Por qué? Por muchas razones, y sean las principales, porque dejas que me roben tiranos sin que me vengues, traidores sin que me cobres. Aún no era yo de Frondoso, para que digas que tome, como marido, venganza, que aquí por tu cuenta corre; que en tanto que de las bodas no haya llegado la noche, del padre, y no del marido, la obligación presupone;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Ci bruciano le case ed i vigneti: sono tiranni! E allora vendichiamoci! Entra Laurencia, scarmigliata. LAURENCIA
ESTEBAN JUAN LAURENCIA
ESTEBAN LAURENCIA ESTEBAN LAURENCIA
Fatemi entrare! Ho il diritto qui, nel consiglio degli uomini, anche se sono una donna, se non votare, vociare! Mi conoscete? Buon Dio! È mia figlia? Non conosci Laurencia? Sono cambiata tanto, che certo potete domandarvi chi io sia. Figlia mia! Non mi chiamare figlia! Ma perché, tesoro? Perché? Per molte ragioni; e le più importanti sono che mi hai lasciato prendere da tiranni e non mi vendichi, da traditori, e non provi nemmeno a riscattarmi. Io non ero di Frondoso ancora, per poter dire che doveva vendicarmi in quanto marito; tuo era il dovere di farlo: finché non sia arrivata la notte delle nozze, del padre, non del marito si presume che sia l’obbligo. 637
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
que en tanto que no me entregan una joya, aunque la compre, no ha de correr por mi cuenta las guardas ni los ladrones. Llevóme de vuestros ojos a su casa Fernán Gómez: la oveja al lobo dejáis, como cobardes pastores. ¡Qué dagas no vi en mi pecho! ¡Qué desatinos enormes, qué palabras, qué amenazas, y qué delitos atroces, por rendir mi castidad a sus apetitos torpes! Mis cabellos, ¿no lo dicen? ¿No se ven aquí los golpes de la sangre y las señales? ¿Vosotros sois hombres nobles? ¿Vosotros, padres y deudos? ¿Vosotros, que no se os rompen las entrañas de dolor, de verme en tantos dolores? Ovejas sois, bien lo dice de Fuente Ovejuna el nombre. Dadme unas armas a mí, pues sois piedras, pues sois bronces, pues sois jaspes, pues sois tigres... Tigres no, porque feroces siguen quien roba sus hijos, matando los cazadores antes que entren por el mar y por sus ondas se arrojen. Liebres cobardes nacistes; bárbaros sois, no españoles.
638
1740
1745
1750
1755
1760
1765
1770
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Fino a che non mi consegnano un gioiello, anche se l’ho già comprato, non son certo tenuto a custodirlo e a proteggerlo dai ladri. Sotto i vostri stessi occhi mi ha rapito Fernán Gómez: lasciate al lupo la pecora come pastori codardi! Mi sono vista puntare la spada contro il petto! E che enormi follie, che parole, che minaccie, e che atroci delitti, perché la mia castità si piegasse ai suoi appetiti turpi! I miei capelli non ne sono testimoni? E non vedete qui i colpi, i lividi ed il sangue? Voi siete uomini degni? Voi siete padri e parenti? Voi, che non vi si rompono le viscere dalla pena nel veder tanti dolori? Pecore siete, e lo dice del nostro villaggio il nome. Date a me delle armi, se siete pietre, o bronzo, se siete diaspri, o tigri... Tigri no, perché feroci uccidono i cacciatori che rubano i loro cuccioli, prima che entrino nel mare e si gettino tra i flutti. Siete nati lepri vili, barbari e non spagnoli! 639
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
ESTEBAN
JUAN REGIDOR
640
Gallinas, ¡vuestras mujeres sufrís que otros hombres gocen! ¡Poneos ruecas en la cinta! ¿Para qué os ceñís estoques? ¡Vive Dios, que he de trazar que solas mujeres cobren la honra de estos tiranos, la sangre de estos traidores! ¡Y que os han de tirar piedras, hilanderas, maricones, amujerados, cobardes! ¡Y que mañana os adornen nuestras tocas y basquiñas, solimanes y colores! A Frondoso quiere ya, sin sentencia, sin pregones, colgar el Comendador del almena de una torre: de todos hará lo mismo; y yo me huelgo, medio-hombres, porque quede sin mujeres esta villa honrada, y torne aquel siglo de amazonas, eterno espanto del orbe. Yo, hija, no soy de aquellos que permiten que los nombres con esos títulos viles. Iré solo, si se pone todo el mundo contra mí. Y yo, por más que me asombre la grandeza del contrario. ¡Muramos todos!
1775
1780
1785
1790
1795
1800
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
ESTEBAN
JUAN ASSESSORE
Conigli, che sopportare che le vostre donne siano godute da altri uomini! Su, cingetevi alla vita delle rocche, non pugnali! Vivaddio che riuscirò a far sì che sian le donne a riscattare l’onore da questi tiranni, il sangue da questi traditori! Vi tirino delle pietre, donnette, finocchiacci, effeminati, codardi! E che domani vi adornino le nostre cuffie e gonnelle, i nostri trucchi e belletti! Il Commendatore vuole, senza sentenza né bandi, fare impiccare Frondoso ai merli di una torre. Farà lo stesso con tutti; e mi rallegro, mezzi uomini, che questo onorato borgo resti senza donnicciole, e che possa ritornare quel secolo delle amazzoni, spavento eterno dell’orbe. Io, figlia, non son di quelli che tollerano che li chiami con questi epiteti vili. Andrò solo, anche se tutti mi si mettessero contro. Io pure, anche se mi angoscia la potenza del nemico. Tutti alla morte!
641
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO BARRILDO
JUAN MENGO
ESTEBAN MENGO TODOS MENGO TODOS
Descoge un lienzo al viento en un palo, y mueran estos inormes. ¿Qué orden pensáis tener? Ir a matarle sin orden. Juntad el pueblo a una voz, que todos están conformes en que los tiranos mueran. Tomad espadas, lanzones, ballestas, chuzos y palos. ¡Los reyes nuestros señores vivan! ¡Vivan muchos años! ¡Mueran tiranos traidores! ¡Traidores tiranos mueran!
1805
1810
1815
Vanse todos. LAURENCIA
Caminad, que el cielo os oye. ¡Ah, mujeres de la villa! ¡Acudid, porque se cobre vuestro honor, acudid todas!
1820
Salen Pascuala, Jacinta y otras mujeres. PASCUALA LAURENCIA
JACINTA
642
¿Qué es esto? ¿De qué das voces? ¿No veis cómo todos van a matar a Fernán Gómez, y hombres, mozos y muchachos, furiosos, al hecho corren? ¿Será bien que solos ellos de esta hazaña el honor gocen, pues no son de las mujeres sus agravios los menores? Di, pues: ¿qué es lo que pretendes?
1825
1830
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO BARRILDO
JUAN MENGO
ESTEBAN MENGO TUTTI MENGO TUTTI
Sciogliete al vento una bandiera e muoiano questi infami! Che ordine dobbiam tenere? Ammazzarlo senz’ordine. Riunite il popolo insieme, che tutti sono d’accordo che muoiano i tiranni! Prendete spade e lance, balestre, picche, bastoni. Viva i re nostri signori! Viva! Vivano mill’anni! Muoiano questi tiranni traditori! Che muoiano i traditori tiranni! Escono tutti.
LAURENCIA
Marciate, il cielo vi ascolta. Ah, donne della borgata! Venite a riscattare il vostro onore, tutte! Entrano Pasquala, Giacinta e altre donne.
PASQUALA LAURENCIA
GIACINTA
Che c’è? perché gridi tanto? Non vedete che van tutti a ammazzare Fernán Gómez? Uomini, ragazzi, giovani, furiosi all’impresa corrono! È bene che solo loro si vantino della prodezza, visto che le nostre offese non sono certo minori? Dicci, cosa vuoi da noi? 643
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO LAURENCIA
JACINTA LAURENCIA PASCUALA
LAURENCIA
PASCUALA LAURENCIA PASCUALA LAURENCIA
Que puestas todas en orden, acometamos un hecho que dé espanto a todo el orbe. Jacinta, tu grande agravio que sea cabo; responde de una escuadra de mujeres. ¡No son los tuyos menores! Pascuala, alférez serás. Pues déjame que enarbole en un asta la bandera: verás si merezco el nombre. No hay espacio para eso, pues la dicha nos socorre: bien nos basta que llevemos nuestras tocas por pendones. Nombremos un capitán. Eso no. ¿Por qué? Que adonde asiste mi gran valor, no hay Cides ni Rodamontes.
1835
1840
1845
Vanse. Sale Frondoso, atadas las manos; Flores, Ortuño y Cimbranos y el Comendador. COMENDADOR FRONDOSO COMENDADOR FRONDOSO FLORES
644
De ese cordel que de las manos sobra quiero que le colguéis, por mayor pena. ¿Qué nombre, gran señor, tu sangre cobra? Colgalde luego en la primera almena. Nunca fue mi intención poner por obra tu muerte entonces. Grande ruido suena.
1850
1855
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO LAURENCIA
GIACINTA LAURENCIA PASQUALA
LAURENCIA
PASQUALA LAURENCIA PASQUALA LAURENCIA
Che tutte, ordinatamente, intraprendiamo un’azione che faccia stupire il mondo. Giacinta, la tua grave offesa ti fa caposquadra: guida uno squadrone di donne. Anche le tue sono gravi! Pasquala, tu sarai alfiere. Lascia dunque che io inalberi la bandiera sopra un’asta: vedrai se merito il titolo! Non c’è tempo per questo, ma la fortuna ci aiuta: basta che come bandiera abbiamo le nostre cuffie. Nominiamo un capitano. Questo no. Perché? Davanti al mio grande valore niente Cid né Rodomonti!
Escono. Entra Frondoso, con le mani legate; Flores, Ortuño e Cimbranos, e il Commendatore. COMMENDATORE FRONDOSO COMMENDATORE FRONDOSO FLORES
Dalla corda che avanza dalle mani appendetelo, e che soffra di più. E da questo ne avrai maggiore gloria? Al primo merlo subito appendetelo! Io non ho mai voluto la tua morte allora! Si ode un grande rumore.
645
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
Ruido suene. COMENDADOR FLORES ORTUÑO
¿Rüido? Y de manera que interrompen tu justicia, señor. Las puertas rompen. Ruido.
COMENDADOR FLORES JUAN
(dentro)
ORTUÑO COMENDADOR FLORES
COMENDADOR FRONDOSO
¡La puerta de mi casa, y siendo casa de la encomienda! El pueblo junto viene. ¡Rompe, derriba, hunde, quema, abrasa! Un popular motín mal se detiene. ¿El pueblo contra mí? La furia pasa tan adelante, que las puertas tiene echadas por la tierra. Desatalde. Templa, Frondoso, ese villano alcalde. Yo voy, señor, que amor les ha movido.
1860
1865
Vase. MENGO
(dentro)
FLORES COMENDADOR
FLORES
COMENDADOR
646
¡Vivan Fernando y Isabel, y mueran los traidores! Señor, por Dios te pido que no te hallen aquí. Si perseveran, este aposento es fuerte y defendido. Ellos se volverán. Cuando se alteran los pueblos agraviados, y resuelven, nunca sin sangre o sin venganza vuelven. En esta puerta, así como rastrillo, su furor con las armas defendamos.
1870
1875
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Si ode un frastuono. COMMENDATORE FLORES ORTUÑO
Rumore? Ed in maniera che interrompono la tua giustizia. E abbattono le porte. Rumori.
COMMENDATORE FLORES JUAN
(dentro)
ORTUÑO COMMENDATORE FLORES COMMENDATORE FRONDOSO
La porta della mia casa, che è quella della Commenda! Il popolo si avanza! Rompi, abbatti, sprofonda, ardi, consuma! Un moto popolare non si frena. Contro me il popolo? La furia si sfrena, e ormai le porte sono giù per terra! Slegatelo! Frondoso vai a placare questo villano sindaco! Io vado, signore; ma è l’amore che li ha spinti. Esce.
MENGO
(dentro)
FLORES COMMENDATORE
FLORES
COMMENDATORE
Viva Fernando e Isabella; a morte i traditori! Signore, per Dio, non farti trovare qui! Se si ostinano questa stanza è sicura e ben difesa. Se ne andranno. Se i popoli angariati si sollevano e muovono a vendetta mai ritornano indietro senza sangue. Su questa porta, come su un cancello, dal furore con le armi difendiamoci!
647
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO FRONDOSO
(dentro)
COMENDADOR FLORES ESTEBAN
¡Viva Fuente Ovejuna! ¡Qué caudillo! Estoy porque a su furia acometamos. De la tuya, señor, me maravillo. Ya el tirano y los cómplices miramos. ¡Fuente Ovejuna! ¡Y los tiranos mueran!
1880
Salen todos. COMENDADOR TODOS COMENDADOR TODOS COMENDADOR TODOS COMENDADOR TODOS
¡Pueblo, esperad! ¡Agravios nunca esperan! Decídmelos a mí, que iré pagando, a fe de caballero, esos errores. ¡Fuente Ovejuna! ¡Viva el rey Fernando! ¡Mueran malos cristianos y traidores! 1885 ¿No me queréis oír? Yo estoy hablando, yo soy vuestro señor. ¡Nuestros señores son los Reyes Católicos! Espera. ¡Fuente Ovejuna! ¡Y Fernán Gómez muera! Vanse, y salen las mujeres armadas.
LAURENCIA PASCUALA JACINTA PASCUALA ESTEBAN
(dentro)
COMENDADOR
Parad en este puesto de esperanzas, soldados atrevidos, no mujeres. ¡Lo que mujeres son en las venganzas! ¡En él beban su sangre es bien que esperes! Su cuerpo recojamos en las lanzas. Todas son de esos mismos pareceres. ¡Muere, traidor Comendador! Ya muero.
[dentro] (dentro) MENGO [dentro] BARRILDO
648
Aquí está Flores. Dale a ese bellaco, que ése fue el que me dio dos mil azotes.
1890
1895
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO FRONDOSO
(dentro)
COMMENDATORE FLORES ESTEBAN
Viva Fuente Ovejuna! Ma che capo! E alla sua furia noi risponderemo. Mi meraviglio della tua, Signore! Ecco qui il tiranno ed i suoi complici! Fuente Ovejuna! Ed i tiranni muoiano! Entrano tutti.
COMMENDATORE TUTTI COMMENDATORE TUTTI COMMENDATORE TUTTI COMMENDATORE TUTTI
Popolo, aspetta! Le offese hanno fretta! Ditele a me, e saprò ripagare, che sono cavaliere, questi errori. Fuente Ovejuna! Viva il re Fernando! Muoiano i peccatori e i traditori! Non volete ascoltarmi? Sto parlando, sono il vostro signore! I re Cattolici sono i nostri signori. Ma aspettate... Fuente Ovejuna! Morte a Fernán Gómez! Escono, ed entrano le donne armate.
LAURENCIA PASQUALA GIACINTA PASQUALA ESTEBAN
(dentro)
COMMENDATORE
[dentro] (dentro) MENGO [dentro] BARRILDO
Ferme qui, in questo luogo di speranza, soldati coraggiosi, e non donnette. Quel che sono le donne se si vendicano! Ci si aspetta che bevano il suo sangue. Infilziamo il suo corpo sulle lance! Siamo tutte dello stesso parere! Muori, vile Commendatore! Muoio. Pietà, mio Dio, spero nel tuo perdono! Qui c’è Flores! Addosso a quel vigliacco, lui, che mi ha dato duemila frustate!
649
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO FRONDOSO
(dentro)
LAURENCIA PASCUALA BARRILDO
[dentro]
LAURENCIA
No me vengo, si el alma no le saco. No escusamos entrar. No te alborotes. Bien es guardar la puerta. No me aplaco. ¡Con lágrimas agora, marquesotes! Pascuala, yo entro dentro, que la espada no ha de estar tan sujeta ni envainada.
1900
1905
Vase. BARRILDO
[dentro] (dentro)
FRONDOSO
Aquí está Ortuño. Córtale la cara.
Sale Flores, huyendo, y Mengo tras él. FLORES MENGO PASCUALA MENGO PASCUALA MENGO JACINTA FLORES JACINTA PASCUALA JACINTA PASCUALA FLORES
650
¡Mengo, piedad, que no soy yo el culpado! Cuando ser alcahuete no bastara, bastaba haberme el pícaro azotado. Dánoslo a las mujeres, Mengo. ¡Para, acaba, por tu vida! Ya está dado; que no le quiero yo mayor castigo. Vengaré tus azotes. Eso digo. ¡Ea, muera el traidor! ¡Entre mujeres! ¿No le viene muy ancho? ¿Aqueso lloras? Muere, concertador de sus placeres. ¡Ea, muera el traidor! ¡Piedad, señoras!
1910
1915
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO FRONDOSO
(dentro)
LAURENCIA PASQUALA BARRILDO
(dentro)
LAURENCIA
Solo quando gli avrò levato l’anima vendicato sarò. Anche noi andiamo. Non ti preoccupare. Sarà bene che rimaniamo a guardia della porta. Non mi lascio commuovere. Ora tocca a voi frignare, vero, bellimbusti! Pasquala, io entro dentro, che la spada non deve stare oziosa, giù nel fodero. Esce.
BARRILDO
[dentro] (dentro)
FRONDOSO
Ecco là Ortuño. Un bel taglio in faccia!
Entra Flores, scappando, inseguito da Mengo. FLORES MENGO PASQUALA MENGO PASQUALA MENGO GIACINTA FLORES GIACINTA PASQUALA GIACINTA PASQUALA FLORES
Pietà, Mengo, non sono io il colpevole! Se non bastasse l’essere ruffiano, brutto briccone, e l’avermi frustato? Dallo a noi donne, Mengo. Ferma, aspetta, in nome di Dio! Ve lo consegno, prendetelo, che è il castigo migliore! Pagherà le tue frustate. E bene! Che muoia il traditore! Ma per mano di donne... E non ti pare proprio giusto? Per questo stai frignando? Dunque muori, tu che predisponevi i suoi piaceri! Traditore, muori! Pietà, signore!
651
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
Sale Ortuño, huyendo de Laurencia. ORTUÑO LAURENCIA
PASCUALA TODAS
Mira que no soy yo... ¡Ya sé quién eres! Entrad, teñid las armas vencedoras en estos viles. Moriré matando. ¡Fuente Ovejuna, y viva el rey Fernando!
1920
Vanse, y salen el rey Fernando y la reina doña Isabel y don Manrique, maestre. MANRIQUE
REY
652
De modo la prevención fue, que el efeto esperado llegamos a ver logrado con poca contradición. Hubo poca resistencia; y supuesto que la hubiera sin duda ninguna fuera de poca o ninguna esencia. Queda el de Cabra ocupado en conservación del puesto, por si volviere dispuesto a él el contrario osado. Discreto el acuerdo fue, y que asista es conveniente, y reformando la gente, el paso tomado esté; que con eso se asegura no podernos hacer mal Alfonso, que en Portugal tomar la fuerza procura. Y el de Cabra es bien que esté en ese sitio asistente, y como tan diligente, muestras de su valor dé; porque con esto asegura
1925
1930
1935
1940
1945
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Entra Ortuño fuggendo da Laurencia. ORTUÑO LAURENCIA
PASQUALA TUTTE
Guarda che io non sono... So chi sei! Forza, immergete le armi vincitrici in questi vili! Morirò uccidendo! Fuente Ovejuna, e viva il Re Fernando!
Escono, ed entrano il re Fernando e la regina donna Isabella e don Manrique, maestro. MANRIQUE
RE
Il piano è stato tale, che aspettandone l’effetto giungemmo a realizzarlo con poche contrarietà. La resistenza fu debole, e anche se ci fosse stata senza dubbio non avrebbe avuto alcun risultato. Il conte di Cabra occupa la posizione, nel caso che volesse ritornare il nemico ad assalirla. Il piano è stato saggio; è opportuno che là resti, e, riordinando i suoi uomini, il passo sia occupato; così saremo sicuri che non potrà assalirci Alfonso, che in Portogallo cerca di riunire armati. Il conte di Cabra è bene che rimanga nel presidio: poiché è tanto diligente, dia prova del suo valore; così ci mette al riparo 653
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
el daño que nos recela, y como fiel centinela, el bien del reino procura. Sale Flores, herido. FLORES
REY FLORES
654
Católico rey Fernando, a quien el cielo concede la corona de Castilla, como a varón excelente: oye la mayor crueldad que se ha visto entre las gentes, desde donde nace el sol hasta donde se escurece. Repórtate. Rey supremo, mis heridas no consienten dilatar el triste caso, por ser mi vida tan breve. De Fuente Ovejuna vengo, donde, con pecho inclemente, los vecinos de la villa a su señor dieron muerte. Muerto Fernán Gómez queda por sus súbditos aleves; que vasallos indignados con leve causa se atreven. Con título de tirano, que le acumula la plebe, a la fuerza de esta voz el hecho fiero acometen; y quebrantando su casa, no atendiendo a que se ofrece por la fe de caballero a que pagará a quien debe,
1950
1955
1960
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1975
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
dai danni che ci minacciano, e, sentinella fedele, procura il bene del regno. Entra Flores, ferito. FLORES
RE FLORES
Cattolico re Fernando, al quale il cielo concede la corona di Castiglia, come al migliore degli uomini, odi la peggior barbarie che mai si sia veduta, da dove il sole nasce fino a dove tramonta. Calmati. Sommo re, le ferite mi impediscono che mi dilunghi a narrarti il triste caso: oramai ho poco tempo da vivere. Vengo da Fuente Ovejuna, dove, con grande ferocia, gli abitanti del paese hanno dato la morte al loro signore. Ormai giace ucciso Fernán Gómez dai suoi sudditi ribelli; perché i vassalli, indignati per cause futili, uccidono. Lo chiamano tiranno, nome che gli dà la plebe, e spinti da questa voce, il feroce fatto imprendono; irrompono in casa sua, e senza considerare che offre, come cavaliere, di pagare quel che deve, 655
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
no solo no le escucharon, pero con furia impaciente rompen el cruzado pecho con mil heridas crüeles, y por las altas ventanas le hacen que al suelo vuele, adonde en picas y espadas le recogen las mujeres. Llévanle a una casa muerto, y, a porfía, quien más puede mesa su barba y cabello y apriesa su rostro hieren. En efeto, fue la furia tan grande que en ellos crece, que las mayores tajadas las orejas a ser vienen. Sus armas borran con picas, y a voces dicen que quieren tus reales armas fijar, porque aquellas les ofenden. Saqueáronle la casa, cual si de enemigos fuese, y gozosos, entre todos han repartido sus bienes. Lo dicho he visto escondido, porque mi infelice suerte en tal trance no permite que mi vida se perdiese; y así estuve todo el día hasta que la noche viene, y salir pude escondido para que cuenta te diese. Haz, señor, pues eres justo, que la justa pena lleven de tan riguroso caso los bárbaros delincuentes:
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
non gli prestano ascolto, anzi con furia impaziente con mille ferite lacerano il petto dalla croce ornato, e dalle alte finestre lo fanno volare al suolo, dove con picche e con spade le donne lo ricevono. Lo portano a una casa morto, e a gara, a chi più può, gli strappan barba e capelli, gli sfigurano il volto. La furia è stata tale che l’han ridotto a brandelli: ora il pezzo più grande saranno le sue orecchie. Con le picche han cancellato il suo blasone e gridano che voglion sostituirlo con le tue armi regali, perché quelle altre li offendono. Han messo a sacco la casa, come fosse dei nemici, e si son spartiti i beni allegramente, tra tutti. Ho visto quanto t’ho detto celato: per mia disgrazia in questa circostanza non ho perduto la vita; son rimasto tutto il giorno così, e al calar della notte sono uscito di nascosto per informarti del caso. Signore, poiché sei giusto, punisci giustamente i barbari delinquenti di un caso così efferato: 657
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
REY
mira que su sangre a voces pide que tu rigor prueben. Estar puedes confiado que sin castigo no queden. El triste suceso ha sido tal, que admirado me tiene, y que vaya luego un juez que lo averigüe conviene, y castigue los culpados para ejemplo de las gentes. Vaya un capitán con él, porque seguridad lleve; que tan grande atrevimiento castigo ejemplar requiere; y curad a ese soldado de las heridas que tiene.
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Vanse, y salen los labradores y labradoras, con la cabeza de Fernán Gómez en una lanza. MÚSICOS
BARRILDO FRONDOSO
LAURENCIA
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¡Muchos años vivan Isabel y Fernando, y mueran los tiranos! Diga su copla Frondoso. Ya va mi copla a la fe; si le faltare algún pie, enmiéndelo el más curioso. ¡Vivan la bella Isabel, y Fernando de Aragón, pues que para en uno son, él con ella, ella con él! A los cielos San Miguel lleve a los dos de las manos. ¡Vivan muchos años, y mueran los tiranos! Diga Barrildo.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
RE
il suo sangue a gran voce domanda il tuo rigore. Puoi stare ben sicuro che saranno castigati. Il triste caso è tale che mi lascia stupefatto. Che un giudice subito vada, stabilisca l’accaduto e i colpevoli castighi, come esempio delle genti. Lo accompagni un capitano per la sua sicurezza, che una tale violenza chiede un castigo esemplare; e dalle sue ferite curate questo soldato. Escono, ed entrano i contadini e le contadine, con la testa di Fernán Gómez su una lancia.
MUSICI
BARRILDO FRONDOSO
LAURENCIA
Vivano per mill’anni Isabella e Fernando, e muoiano i tiranni! Di’ la tua strofa, Frondoso. D’accordo, ecco la mia strofa, e se zoppica un po’ il più bravo la raddrizzi. Viva la bella Isabella e Fernando di Aragona, poiché sono così uniti, lui con lei e lei con lui. Verso il cielo San Michele li conduca per la mano. Vivano per molti anni e muoiano i tiranni E ora Barrildo.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO BARRILDO PASCUALA BARRILDO
MÚSICOS
LAURENCIA FRONDOSO MENGO PASCUALA MENGO
MÚSICOS ESTEBAN MENGO
Ya va, que a fe que la he pensado. Si la dices con cuidado, buena y rebuena será. ¡Vivan los Reyes famosos muchos años, pues que tienen la vitoria, y a ser vienen nuestros dueños venturosos! ¡Salgan siempre vitoriosos de gigantes y de enanos, y mueran los tiranos! ¡Muchos años vivan Isabel y Fernando, y mueran los tiranos! Diga Mengo. Mengo diga. Yo soy poeta donado. Mejor dirás: lastimado el envés de la barriga. Una mañana en domingo me mandó azotar aquel, de manera que el rabel daba espantoso respingo; pero agora que los pringo, ¡vivan los Reyes Cristiánigos, y mueran los tiránigos! ¡Vivan muchos años! Quita la cabeza allá. Cara tiene de ahorcado.
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Saca un escudo Juan Rojo con las armas. REGIDOR ESTEBAN JUAN REGIDOR ESTEBAN
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Ya las armas han llegado. Mostrá las armas acá. ¿Adónde se han de poner? Aquí, en el Ayuntamiento. ¡Bravo escudo!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO BARRILDO PASQUALA BARRILDO
MUSICI
LAURENCIA FRONDOSO MENGO PASQUALA MENGO
MUSICI ESTEBAN MENGO
Ecco qui, perché io l’ho già pensata. Diccela come si deve, e sarà meglio che buona. Vivano i re famosi mill’anni, perché hanno ottenuto la vittoria e sono nostri sovrani. Possano trionfare sempre sui giganti e sui nani, e muoiano i tiranni! Vivano per mill’anni Isabella e Fernando, e muoiano i tiranni! E ora Mengo. Forza, Mengo. Io son poeta esordiente! Di’ piuttosto sofferente nel didietro della pancia! La domenica mattina quello mi fece frustare, in modo che il chitarrino si imbizzarriva di brutto; ma ora che li ho ben conditi, vivano i Re Cristianici e muoiano i tirannici! Vivano per mill’anni! Togli la testa di là. Ha una faccia da impiccato. Juan Rojo tira fuori uno scudo con le insegne dei re.
ASSESSORE ESTEBAN JUAN ASSESSORE ESTEBAN
Sono arrivate le insegne. Fatecele vedere. Dove le dobbiamo mettere? Qui, proprio sul municipio. Che gran scudo! 661
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO BARRILDO FRONDOSO ESTEBAN
FRONDOSO ESTEBAN
FRONDOSO ESTEBAN TODOS ESTEBAN
MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO
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¡Qué contento! Ya comienza a amanecer, con este sol, nuestro día. ¡Vivan Castilla y León, y las barras de Aragón, y muera la tiranía! Advertid, Fuente Ovejuna, a las palabras de un viejo; que el admitir su consejo no ha dañado vez ninguna. Los Reyes han de querer averiguar este caso, y más tan cerca del paso y jornada que han de hacer. Concertaos todos a una en lo que habéis de decir. ¿Qué es tu consejo? Morir diciendo: ¡Fuente Ovejuna! Y a nadie saquen de aquí. Es el camino derecho. ¡Fuente Ovejuna lo ha hecho! ¿Queréis responder así? Sí. Ahora pues, yo quiero ser agora el pesquisidor, para ensayarnos mejor en lo que habemos de hacer. Sea Mengo el que esté puesto en el tormento. ¿No hallaste otro más flaco? ¿Pensaste que era de veras? Di, presto. ¿Quién mató al Comendador? ¡Fuente Ovejuna lo hizo!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO BARRILDO FRONDOSO ESTEBAN
FRONDOSO ESTEBAN
FRONDOSO ESTEBAN TUTTI ESTEBAN
MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO
Una bellezza! Con questo sole comincia a schiarirsi il nostro giorno. Viva Castiglia e León e lo scudo aragonese, e abbasso la tirannia! Gente di Fuente Ovejuna, date ascolto alle parole d’un vecchio: i suoi consigli vi son stati sempre utili. I Re vorranno chiarire questo caso, per di più vicino all’itinerario che si apprestano a seguire. Mettetevi d’accordo su quel che dovete dire. E il tuo consiglio? Morire dicendo: Fuente Ovejuna! E che nessuno dica altro! Ed è la strada migliore: lo ha fatto Fuente Ovejuna! Risponderete così? Sì! Allora io faccio finta d’essere l’inquisitore, per insegnarvi meglio quello che dobbiamo fare. E immaginiamo sia Mengo quello che stan torturando. Non ce n’è un altro peggio? Pensi che sia per davvero? Forza, dimmelo alla svelta! Chi ha ucciso il Commendatore? È stata Fuente Ovejuna!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN
Perro, ¿si te martirizo? Aunque me matéis, señor. ¡Confiesa, ladrón! Confieso. Pues ¿quién fue? ¡Fuente Ovejuna! Dalde otra vuelta. Es ninguna. ¡Cagajón para el proceso!
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Sale el Regidor. REGIDOR FRONDOSO REGIDOR ESTEBAN REGIDOR ESTEBAN REGIDOR ESTEBAN
MENGO
¿Qué hacéis de esta suerte aquí? ¿Qué ha sucedido, Cuadrado? Pesquisidor ha llegado. Echá todos por ahí. Con él viene un capitán. Venga el diablo: ya sabéis lo que responder tenéis. El pueblo prendiendo van, sin dejar alma ninguna. Que no hay que tener temor. ¿Quién mató al Comendador, Mengo? ¿Quién? ¡Fuente Ovejuna!
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Vanse, y salen el Maestre y un soldado. MAESTRE
SOLDADO MAESTRE
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¡Que tal caso ha sucedido! Infelice fue su suerte. Estoy por darte la muerte por la nueva que has traído. Yo, señor, soy mensajero, y enojarte no es mi intento. ¡Que a tal tuvo atrevimiento un pueblo enojado y fiero!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN MENGO ESTEBAN
Cane, e se io ti torturo? Anche se mi ammazzate! Confessa, cane! Confesso! Chi è stato? Fuente Ovejuna! Un altro tratto di corda! Non sento nulla! Il processo è solo una merdata! Entra l’Assessore.
ASSESSORE FRONDOSO ASSESSORE ESTEBAN ASSESSORE ESTEBAN ASSESSORE ESTEBAN
MENGO
Che fate qui, in questo modo? Cos’è successo, Cuadrado? Il giudice è arrivato. Tutti via, per di qua. Con lui c’è un capitano. E che ci sia pure il diavolo: sapete che dovete dire. Stanno già arrestando tutti, senza lasciarne neanche uno. Non c’è da avere paura. Chi ha ucciso il Commendatore, Mengo? Chi? Fuente Ovejuna! Escono, ed entrano il Maestro e un soldato.
MAESTRO
SOLDATO MAESTRO
Che sia potuto succedere! Fu infelice la sua sorte! Quasi ti farei uccidere per la nuova che mi porti! Signore, son messaggero, non voglio certo irritarti! Che si sia scatenato un popolo fiero e offeso! 665
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
SOLDADO
MAESTRE SOLDADO MAESTRE
Iré con quinientos hombres, y la villa he de asolar; en ella no ha de quedar ni aun memoria de los nombres. Señor, tu enojo reporta; porque ellos al Rey se han dado, y no tener enojado al Rey es lo que te importa. ¿Cómo al Rey se pueden dar, si de la encomienda son? Con él sobre esa razón podrás luego pleitear. ¿Por pleito, cuándo salió lo que él le entregó en sus manos? Son señores soberanos, y tal reconozco yo. Por saber que al Rey se han dado se reportará mi enojo, y ver su presencia escojo por lo más bien acertado; que puesto que tenga culpa en casos de gravedad, en todo mi poca edad viene a ser quien me disculpa. Con vergüenza voy; mas es honor quien puede obligarme, y importa no descuidarme en tan honrado interés.
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Vanse. Sale Laurencia sola. LAURENCIA
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Amando, recelar daño en lo amado, nueva pena de amor se considera, que quien en lo que ama daño espera aumenta en el temor nuevo cuidado. El firme pensamiento desvelado, si le aflige el temor, fácil se altera;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
SOLDATO
MAESTRO SOLDATO MAESTRO
Andrò con cinquecento uomini, voglio distruggere il borgo; di esso non rimarrà neanche il ricordo del nome. Signore, frena il tuo sdegno, perché si sono affidati al Re; e non irritarlo è la cosa più importante. Come si possono dare al Re, se sono dell’Ordine? Con lui su questa questione potrai in seguito dibattere. In processo, quando mai perse chi gli si confida? Sono signori sovrani, per tali li riconosco. E se al re si sono dati controllerò il mio sdegno; a lui mi presenterò: ora è la cosa più saggia. Anche se avessi torto in cose tanto importanti, la mia età giovanile mi servirà da scusa. E ci vado con vergogna, ma l’onore me lo impone; e non devo trascurare ciò che interessa l’onore. Escono. Entra Laurencia sola.
LAURENCIA
Se si ama, temere per l’amato nuova pena d’amore si considera, chi teme danni all’essere adorato aumenta nel timore la sua pena. Il pensiero costante, sempre all’erta, se il timore l’affligge, può turbarsi, 667
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
que no es a firme fe pena ligera ver llevar el temor, el bien robado. Mi esposo adoro; la ocasión que veo al temor de su daño me condena, si no le ayuda la felice suerte. Al bien suyo se inclina mi deseo: si está presente, está cierta mi pena; si está en ausencia, está cierta mi muerte.
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Sale Frondoso. FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA
FRONDOSO
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¡Mi Laurencia! ¡Esposo amado! ¿Cómo estar aquí te atreves? ¿Esas resistencias debes a mi amoroso cuidado? Mi bien, procura guardarte, porque tu daño recelo. No quiera, Laurencia, el cielo que tal llegue a disgustarte. ¿No temes ver el rigor que por los demás sucede, y el furor con que procede aqueste pesquisidor? Procura guardar la vida. Huye, tu daño no esperes. ¿Cómo que procure quieres cosa tan mal recebida? ¿Es bien que los demás deje en el peligro presente, y de tu vista me ausente? No me mandes que me aleje, porque no es puesto en razón que, por evitar mi daño, sea con mi sangre estraño en tan terrible ocasión.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
non è pena da poco a un cuor devoto vedere il proprio bene a lui strappato. Amo il mio sposo, ed in questa occasione son condannata a temere per lui, se una felice sorte non lo aiuta. È solo il bene suo il mio desiderio: se sta con me, sicura è la mia pena, se si assenta, sicura è la mia morte. Entra Frondoso. FRONDOSO
Mia Laurencia!
LAURENCIA
Sposo amato! Come osi venire qua? Paure che non son degne dell’amore che ti voglio! Ben mio, cerca di proteggerti; ho timore di un tuo danno. Laurencia, il cielo non voglia che io ti possa contrariare. Non temi tu la durezza con cui gli altri son trattati, l’accanimento che anima questo giudice? Su, cerca di salvar la vita. Fuggi prima della tua rovina. Come vuoi che io faccia una cosa tanto indegna? È bene che lasci gli altri nel pericolo evidente, e da te io mi allontani? Non dirmi che me ne vada, perché non è ragionevole che, per evitare un danno, sia ingrato ai miei parenti in tale occasione orribile.
FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA
FRONDOSO
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
Voces dentro. Voces parece que he oído, y son, si yo mal no siento, de alguno que dan tormento. Oye con atento oído. Dice dentro el Juez, y responden. JUEZ FRONDOSO LAURENCIA ESTEBAN JUEZ ESTEBAN LAURENCIA FRONDOSO JUEZ
NIÑO JUEZ
FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO JUEZ
LAURENCIA
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Decid la verdad, buen viejo. Un viejo, Laurencia mía, atormentan. ¡Qué porfía! Déjenme un poco. Ya os dejo. Decid, ¿quién mató a Fernando? Fuente Ovejuna lo hizo. Tu nombre, padre, eternizo. [..................................................] ¡Bravo caso! ¡Ese muchacho Aprieta! Perro, yo sé que lo sabes. ¡Di quién fue! ¿Callas? Aprieta, borracho. Fuente Ovejuna, señor. ¡Por vida del Rey, villanos, que os ahorque con mis manos! ¿Quien mató al Comendador? ¡Qué a un niño le den tormento y niegue de aquesta suerte! ¡Bravo pueblo! Bravo y fuerte. Esa mujer al momento en este potro tened. Dale esa mancuerda luego. Ya está de cólera ciego.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Grida da dentro. Mi sembra di udire grida. Sono, se io non mi sbaglio, di qualcuno che torturano. Ascolta attentamente. Dice dentro il giudice e gli rispondono. GIUDICE FRONDOSO LAURENCIA ESTEBAN GIUDICE ESTEBAN LAURENCIA FRONDOSO GIUDICE
BAMBINO GIUDICE
FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO GIUDICE
LAURENCIA
Buon vecchio, la verità. Un vecchio, cara Laurencia, torturano. Che violenza! Un po’ di tregua! Va bene! Dite: chi uccise Fernando? L’ha fatto Fuente Ovejuna. Padre, il tuo nome sia eterno! [.....................................................] Che coraggio! Quel ragazzo sia torturato! Cane so che lo sai: di’ chi è stato! Taci? Più forte, dannato! Fuente Ovejuna, signore. In nome del re, villani, vi impiccherò di mia mano! Chi ha ucciso il Commendatore? Che torturino un bambino, e neghi in questa maniera! Che gente! Ardita e forte! Questa donna immantinente sia messa sul cavalletto. Subito un tratto di corda. Ha perso il lume degli occhi!
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO JUEZ
PASCUALA JUEZ FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO JUEZ PASCUALA JUEZ PASCUALA JUEZ LAURENCIA FRONDOSO MENGO JUEZ MENGO JUEZ MENGO JUEZ MENGO JUEZ FRONDOSO JUEZ MENGO JUEZ MENGO JUEZ
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Que os he de matar, creed, en ese potro, villanos. ¿Quién mató al Comendador? Fuente Ovejuna, señor. ¡Dale! Pensamientos vanos. Pascuala niega, Frondoso. Niegan niños: ¿qué te espantas? Parece que los encantas. ¡Aprieta! ¡Ay, cielo piadoso! ¡Aprieta, infame! ¿Estás sordo? Fuente Ovejuna lo hizo. Traedme aquel más rollizo; ¡ese desnudo, ese gordo! ¡Pobre Mengo! Él es sin duda. Temo que ha de confesar. ¡Ay, ay! Comienza a apretar. ¡Ay! ¿Es menester ayuda? ¡Ay, ay! ¿Quién mató, villano, al señor Comendador? ¡Ay, yo lo diré, señor! Afloja un poco la mano. Él confiesa. Al palo aplica la espalda. Quedo, que yo lo diré. ¿Quién le mató? Señor, Fuente Ovejunica. ¿Hay tan gran bellaquería? Del dolor se están burlando. En quien estaba esperando,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO GIUDICE
PASQUALA GIUDICE FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO GIUDICE PASQUALA GIUDICE PASQUALA GIUDICE LAURENCIA FRONDOSO MENGO GIUDICE MENGO GIUDICE MENGO GIUDICE MENGO GIUDICE FRONDOSO GIUDICE MENGO GIUDICE MENGO GIUDICE
Vi ammazzerò, credetemi, villani, sul cavalletto! Chi ha ucciso il Commendatore? Fuente Ovejuna, signore. Più forte! Inutile insistere. Pasquala nega, Frondoso. Ti stupisci? Anche i bambini... Che fai? Sembra che li incanti. Stringi! Oh, cielo pietoso! Stringi, infame! Ma sei sordo? L’ha fatto Fuente Ovejuna! Prendete quello grassoccio! subito nudo, il grassone! Povero Mengo. È lui, certo! Ho paura che confessi. Ahi, Ahi! Comincia a stringere! Ahi! C’è bisogno d’aiuto? Ahi, ahi! Chi ammazzò, villano, il signor Commendatore? Ahi! Ve lo dirò, signore! Allenta un poco la corda. Confessa... Metti la schiena contro la trave. Basta, che io lo dico! Chi l’ha ammazzato? Signore, Fuente Ovejunina! Ma guarda che sfrontatezza! Del dolore se ne ride. Su questo io ci contavo,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
FRONDOSO
niega con mayor porfía. Dejaldos; que estoy cansado. ¡Oh, Mengo, bien te haga Dios! Temor que tuve de dos, el tuyo me le ha quitado.
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Salen, con Mengo, Barrildo y el Regidor. BARRILDO REGIDOR BARRILDO FRONDOSO MENGO BARRILDO MENGO BARRILDO MENGO FRONDOSO BARRILDO FRONDOSO LAURENCIA MENGO BARRILDO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO MENGO FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO MENGO FRONDOSO
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¡Vítor, Mengo! Y con razón. ¡Mengo, vítor! Eso digo. ¡Ay, ay! Toma, bebe, amigo. Come. ¡Ay, ay! ¿Qué es? Diacitrón. ¡Ay, ay! Echa de beber. [................................] Ya va. Bien lo cuela. Bueno está. Dale otra vez a comer. ¡Ay, ay! Esta va por mí. Solenemente lo embebe. El que bien niega, bien bebe. ¿Quieres otra? ¡Ay, ay! Sí, sí. Bebe, que bien lo mereces. A vez por vuelta las cuela. Arrópale, que se hiela. ¿Quieres más? Sí, otras tres veces. ¡Ay, ay! Si hay vino pregunta.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
FRONDOSO
e nega con maggior forza. Lasciateli, son sfinito! Mengo, Dio ti benedica! Per noi due avevo timore, e ora m’hai rassicurato! Entrano, con Mengo, Barrildo e l’Assessore.
BARRILDO ASSESSORE BARRILDO FRONDOSO MENGO BARRILDO MENGO BARRILDO MENGO FRONDOSO BARRILDO FRONDOSO LAURENCIA MENGO BARRILDO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO MENGO FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO BARRILDO MENGO FRONDOSO
Evviva Mengo! Puoi dirlo! Viva Mengo! E lo ripeto! Oi, oi! Su, bevi amico! Mangia! Cos’è? Confettura. Oi, oi! Dagli da bere! [...........................] Ecco qui. Se lo beve. Molto bene. Dagli ancora da mangiare. Oi, oi! Questo in onor mio. Lo beve che è una bellezza. Nega bene, e bene beve! Ne vuoi ancora? Oi, oi! Sì, sì. Bevi, su, che te lo meriti! Ne beve per ogni tratto di corda che gli hanno dato! Copritelo, che è gelato! Ne vuoi dell’altro? Altri tre! Eh, eh... Dice se c’è vino.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO BARRILDO
MENGO FRONDOSO MENGO
Sí hay: bebe a tu placer; que quien niega ha de beber. ¿Qué tiene? Una cierta punta. Vamos; que me arromadizo. Que vea que este es mejor. ¿Quien mató al Comendador? Fuente Ovejunica lo hizo.
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Vanse. FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA
Justo es que honores le den. Pero, decidme, mi amor, ¿quién mató al Comendador? Fuente Ovejuna, mi bien. ¿Quién le mató? ¡Dasme espanto! Pues Fuente Ovejuna fue. Y yo, ¿con qué te maté? ¿Con qué? Con quererte tanto.
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Vanse, y salen el Rey y la Reina y Manrique. ISABEL REY
ISABEL REY ISABEL REY
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No entendí, señor, hallaros aquí, y es buena mi suerte. En nueva gloria convierte mi vista el bien de miraros. Iba a Portugal de paso, y llegar aquí fue fuerza. Vuestra majestad le tuerza siendo conveniente el caso. ¿Como dejáis a Castilla? En paz queda, quieta y llana. Siendo vos la que la allana, no lo tengo a maravilla.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO BARRILDO
MENGO FRONDOSO MENGO
Ce n’è: bevi quanto vuoi, che chi nega deve bere. Com’è? È un poco aspretto. Forza, se no mi raffreddo! Vedi un po’ se questo è meglio. Chi ha ucciso il Commendatore? È stata Fuente Ovejunina! Escono.
FRONDOSO
LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA
È giusto rendergli onore. Ma dimmi, amore mio, chi ha ucciso il Commendatore? Fuente Ovejuna, amor mio. Chi l’ha ucciso? Mi sorprendi: è stata Fuente Ovejuna! Ed io, come ti ho ucciso? Con il bene che ti voglio! Escono, ed entrano il Re e la Regina e Manrique.
ISABELLA RE
ISABELLA RE ISABELLA RE
Non pensavo di trovarvi qui, son stata fortunata. Il bene di rivedervi si muta in nuovo piacere. Andavo in Portogallo, quindi da qui son passato. Vostra maestà cambi strada, se vi è più conveniente. E come va la Castiglia? In pace, quieta e tranquilla. Se siete voi a guidarla non me ne meraviglio.
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
Sale don Manrique. MANRIQUE
ISABEL MANRIQUE
Para ver vuestra presencia el Maestre de Calatrava, que aquí de llegar acaba, pide que le deis licencia. Verle tenía deseado. Mi fe, señora, os empeño, que, aunque es en edad pequeño, es valeroso soldado.
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Sale el Maestre. MAESTRE
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Rodrigo Téllez Girón, que de loaros no acaba, Maestre de Calatrava, os pide, humilde, perdón. Confieso que fui engañado, y que excedí de lo justo en cosas de vuestro gusto, como mal aconsejado. El consejo de Fernando y el interés me engañó, injusto fiel; y ansí yo perdón, humilde, os demando. Y si recebir merezco esta merced que suplico, desde aquí me certifico en que a serviros me ofrezco; y que en aquesta jornada de Granada, adonde vais, os prometo que veáis el valor que hay en mi espada; donde sacándola apenas, dándoles fieras congojas, plantaré mis cruces rojas sobre sus altas almenas;
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
Entra don Manrique. MANRIQUE
ISABELLA MANRIQUE
Il maestro di Calatrava, che è appena arrivato, domanda che lo ammettiate alla vostra presenza. Desideravo vederlo. Io vi posso garantire che, anche se giovanissimo, è un soldato valoroso. Entra il Maestro.
MAESTRO
Rodrigo Téllez Girón, Maestro di Calatrava, che non cessa di lodarvi domanda, umile, il perdono. Io sono stato ingannato, ho deviato dal giusto in cose di vostro gusto: mi hanno male consigliato. Il parere di Fernando, il suo interesse, fu ingiusto; conosco che feci male, e vi domando perdono umilmente. Se mi merito di ricevere la grazia che vi domando, da oggi vi servirò fedelmente; nella guerra di Granada che state per iniziare vi prometto che vedrete della mia spada il valore; appena l’avrò sguainata la temerà il nemico: pianterò la rossa croce sopra i suoi merli più alti. 679
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
REY
MAESTRE ISABEL MAESTRE
y más, quinientos soldados en serviros emplearé, junto con la firma y fe de en mi vida disgustaros. Alzad, Maestre, del suelo; que siempre que hayáis venido seréis muy bien recebido. Sois de afligidos consuelo. Vos, con valor peregrino sabéis bien decir y hacer. Vos sois una bella Ester, y vos un Jerjes divino.
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Sale Manrique. MANRIQUE
REY MAESTRE
REY ISABEL
Señor, el pesquisidor que a Fuente Ovejuna ha ido, con el despacho ha venido a verse ante tu valor. Sed juez de estos agresores. Si a vos, señor, no mirara, sin duda les enseñara a matar comendadores. Eso ya no os toca a vos. Yo confieso que he de ver el cargo en vuestro poder, si me lo concede Dios. Sale el Juez.
JUEZ
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A Fuente Ovejuna fui de la suerte que has mandado, y con especial cuidado y diligencia asistí:
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
RE
MAESTRO ISABELLA
MAESTRO
E cinquecento soldati metterò al vostro servizio, insieme alla promessa di mai più contrariarvi. Alzatevi, Maestro, voi sarete il benvenuto ogni volta che verrete. Siete la consolazione degli afflitti. Voi sapete, con valore eccezionale, unire atti e parole. Voi siete una bella Ester e voi un Serse divino. Entra Manrique.
MANRIQUE
RE MAESTRO
RE ISABELLA
Signore, l’inquisitore mandato a Fuente Ovejuna coi risultati ritorna davanti alla tua grandezza. Giudicate voi i colpevoli. Se io non considerassi d’esser davanti a voi, insegnerei a quella gente a uccider commendatori. Ciò non vi riguarda più. Se Dio me lo concede io vedrò questo incarico sotto il vostro comando. Entra il Giudice.
GIUDICE
Son stato a Fuente Ovejuna, come mi hai comandato, e ho condotto le indagini con particolare cura. 681
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
REY
haciendo averiguación del cometido delito, una hoja no se ha escrito que sea en comprobación; porque conformes a una, con un valeroso pecho, en pidiendo quién lo ha hecho, responden: «Fuente Ovejuna.» Trecientos he atormentado con no pequeño rigor, y te prometo, señor, que más que esto no he sacado. Hasta niños de diez años al potro arrimé, y no ha sido posible haberlo inquirido ni por halagos ni engaños. Y pues tan mal se acomoda el poderlo averiguar, o los has de perdonar, o matar la villa toda. Todos vienen ante ti para más certificarte: de ellos podrás informarte. Que entren, pues vienen, les di.
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Salen los dos Alcaldes, Frondoso, las mujeres y los villanos que quisieren. LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA ISABEL ALCALDE ESTEBAN
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¿Aquéstos los Reyes son? Y en Castilla poderosos. Por mi fe, que son hermosos: ¡bendígalos San Antón! ¿Los agresores son estos? Fuente Ovejuna, señora, que humildes llegan agora para serviros dispuestos. La sobrada tiranía y el insufrible rigor
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
RE
Ma compiuta l’inchiesta sul delitto commesso non ho scritto una riga che lo possa chiarire; perché tutti d’accordo, con coraggio e valore, se domando chi lo ha fatto dicono: «Fuente Ovejuna». Ne ho torturati trecento con grandissimo rigore, e ti giuro, signore, che altro non ne ho cavato. Dei bambini di dieci anni ho steso sul cavalletto: né con inganni o lusinghe fu possibile accertarlo. Siccome è così difficile che si possa appurare, o uccidi tutto il paese o li devi perdonare. Al tuo cospetto vengono tutti, lo potrai provare: interrogali tu stesso. Giacché son qui, che entrino.
Entrano i due Sindaci, Frondoso, le donne ed i villici che sia possibile. LAURENCIA FRONDOSO LAURENCIA ISABELLA SINDACO ESTEBAN
E questi sono i Re? E i più potenti in Castiglia. A fe’ mia, come son belli! Sant’Antonio li protegga! Questi sono gli aggressori? Fuente Ovejuna, signora, che qui vedete, umile e disposta a servirvi. L’eccessiva tirannia, il rigore insopportabile 683
LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
FRONDOSO
MENGO
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del muerto Comendador, que mil insultos hacía, fue el autor de tanto daño. Las haciendas nos robaba y las doncellas forzaba, siendo de piedad extraño. Tanto, que aquesta zagala, que el cielo me ha concedido, en que tan dichoso he sido que nadie en dicha me iguala, cuando conmigo casó, aquella noche primera, mejor que si suya fuera, a su casa la llevó; y a no saberse guardar ella, que en virtud florece, ya manifiesto parece lo que pudiera pasar. ¿No es ya tiempo que hable yo? Si me dais licencia, entiendo que os admiraréis, sabiendo del modo que me trató. Porque quise defender una moza de su gente, que con término insolente fuerza la querían hacer, aquel perverso Nerón, de manera me ha tratado, que el reverso me ha dejado como rueda de salmón. Tocaron mis atabales tres hombres con tal porfía, que aun pienso que todavía me duran los cardenales. Gasté en este mal prolijo, porque el cuero se me curta,
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FRONDOSO
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del morto Commendatore, che ci offendeva a ogni istante, causarono tanto danno. Ci rubava le sostanze, e stuprava le fanciulle, privo di ogni pietà. Tanto che questa ragazza, che il cielo mi ha concesso, per mia grande fortuna che nessuno può eguagliare, quando si sposò non me, proprio quella prima notte, l’ha portata a casa sua come fosse cosa propria; se non si fosse difesa lei, che è piena di virtù, si può ben immaginare quel che poteva succedere. Non è tempo che io parli? Se lo permettete, so che vi farò strabiliare: in che modo mi trattò! Siccome volli difendere dai suoi scherani una giovane, che in maniera insolente volevano violentarla, quel Nerone perverso mi ha trattato in un modo, che mi ha lasciato il didietro come un taglio di salmone. Mi suonarono il tamburo tre uomini in tal maniera che penso che ancora oggi mi rimangono i lividi. Ho speso per questo male, per conciare bene il cuoio,
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ACTO TERCERO
ALCALDE ESTEBAN
REY
FRONDOSO
polvos de arrayán y murta más que vale mi cortijo. Señor, tuyos ser queremos. Rey nuestro eres natural, y con título de tal ya tus armas puesto habemos. Esperamos tu clemencia, y que veas, esperamos, que en este caso te damos por abono la inocencia. Pues no puede averiguarse el suceso por escrito, aunque fue grave el delito, por fuerza ha de perdonarse. Y la villa es bien se quede en mí, pues de mí se vale, hasta ver si acaso sale comendador que la herede. Su Majestad habla, en fin, como quien tanto ha acertado. Y aquí, discreto senado, Fuente Ovejuna da fin. FINIS
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LOPE DE VEGA FUENTE OVEJUNA, ATTO TERZO
SINDACO ESTEBAN
RE
FRONDOSO
in mirto e mortella in polvere più che vale il mio podere. Signore, a te ci affidiamo; sei nostro re naturale, e a questo giusto titolo le tue insegne innalziamo. Fidiamo nella tua clemenza, speriamo che tu consideri che nel far questo ti diamo la prova dell’innocenza. Non potendo stabilire quanto accaduto per scritto, pur se fu grave il delitto, lo si deve perdonare. Ed è bene che il paese resti sotto il mio potere, visto che in me confida, fino a che un Commendatore magari poi la erediti. Sua Maestà, infine, parla come meglio non si può. E qui, spettatori accorti, finisce Fuente Ovejuna. FINIS
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El caballero de Olmedo Il cavaliere di Olmedo Testo spagnolo a cura di FAUSTA ANTONUCCI Nota introduttiva, traduzione e note di FAUSTA ANTONUCCI
IMMAGINE
Lope de Vega El caballero de Olmedo Zaragoza 1641
Nota introduttiva
1. Amatissima, studiatissima, presenza obbligata nel canone del teatro aureo fin dall’Ottocento,1 El caballero de Olmedo è forse tra le opere di Lope de Vega quella che meglio illustra uno degli aspetti più caratteristici della sua produzione teatrale: la compresenza di letterarietà e tradizionalismo, che si alimentano vicendevolmente in un circuito virtuoso nel quale, come in un crogiuolo, i diversi «materiali» utilizzati dal drammaturgo si fondono in maniera omogenea, dando come risultato una creazione che appare nuova, originale ed emozionante. Gli studiosi, naturalmente, si sono da sempre sentiti attratti dalla enorme quantità di citazioni ed echi da altri testi (storici, letterari, tradizionali) che risuonano nel Caballero de Olmedo, e hanno messo alla prova la loro erudizione nel rintracciarli e studiarli, producendo al riguardo una massa ingente di lavori; ma anche chi ignori tutta questa storia critica può ugualmente godere della poesia e del fascino dolente e misterioso che emana da questa che Lope definì, nel penultimo verso dell’opera, «storia tragica». Lo spettatore medio dell’epoca (El caballero de Olmedo fu composto con ogni probabilità tra il 1620 e il 1621) sapeva, molto più di quanto non sappia il lettore o spettatore di oggi, che un’opera con questo titolo non poteva essere altro che tragica; cioè – d’accordo con la competenza generica assai semplificata di quello stesso spettatore medio – che la storia drammatizzata avrebbe avuto un finale infelice. Infatti era di dominio comune una strofetta di canzone a ballo (una seguidilla) che Lope non a caso cita nel testo del Caballero de Olmedo, parzialmente alla fine del primo atto, e integralmente nel terzo atto, subito prima della catastrofe: «Que de noche le mataron / al Caballero, / la gala de Medina, / la flor de 691
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTA INTRODUTTIVA
Olmedo». Sapeva dunque, lo spettatore medio dell’epoca, che il protagonista di un’opera intitolata El caballero de Olmedo era necessariamente destinato alla morte, e a una morte violenta. Probabilmente poi alcuni spettatori conoscevano anche un baile teatral, composto forse per la prima volta all’inizio del 1600, che drammatizzava le sequenze culminanti della storia tragica del Cavaliere, quelle stesse che Lope rappresenta nel terzo atto del suo Caballero de Olmedo: la festa taurina di Medina con la brillante partecipazione del Cavaliere, il suo omaggio alla dama amata, la sua partenza notturna per Olmedo, l’agguato dei rivali che lo uccidono a tradimento, il ritorno a Medina dello scudiero piangente che comunica la notizia alla dama del suo padrone, il pianto della donna e la sua richiesta di vendetta. Il nome del Cavaliere, don Alonso (lo stesso che Lope attribuisce al suo protagonista), compare nelle parole finali della dama: «¡Ay, mi don Alonso, / ay, mi señor, / caro te cuesta / el tenerme amor!» («Ah, mio don Alonso, / ah, mio signore, / caro ti costa /l’avermi amato!»). Questo baile (composizione che veniva recitata con accompagnamento musicale per intrattenere il pubblico nell’intervallo fra uno dei primi due atti delle commedie), ci è pervenuto in versioni diverse; una, attribuita allo stesso Lope, venne pubblicata nella Séptima parte delle sue commedie (Madrid, 1617), parte alla cui preparazione, peraltro, il drammaturgo non partecipò direttamente, ragion per cui non è detto che la paternità del baile sia davvero sua.2 Ma questo non ci interessa ora: quello che ci interessa è mostrare come alcuni dei materiali con i quali Lope costruisce la sua opera hanno una provenienza tradizionale, fanno parte cioè di un patrimonio condiviso da tutto il suo potenziale pubblico, sia dai colti sia dagli incolti, perché non hanno una circolazione limitata ai testi a stampa, inaccessibili agli analfabeti e ai non abbienti. Questi materiali tradizionali elaborano, e trasfigurano, un fatto di sangue avvenuto nel 1521: l’assassinio a tradimento di un nobile olmedano, don Juan de Vivero, sulla strada da Medina a Olmedo, per mano di un suo rivale, anch’egli olmedano, Miguel Ruiz, che riuscì a sfuggire alla giustizia rifugiandosi in un monastero e poi, successivamente, in America. Il fatto è documentato nelle cronache giudiziarie dell’epoca perché la vedova dell’ucciso fece causa per ottenere soddisfazione dall’uccisore: si sa quindi che Miguel Ruiz venne offeso da Juan de Vivero per motivi non chiari (una lite di caccia? una rivalità amorosa?) e venne spinto a vendicarsi dalla propria madre. 692
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Che rapporto c’è tra questo fatto di cronaca e l’opera di Lope? Praticamente nessuno, né arricchisce in nulla la nostra comprensione della commedia conoscere i dettagli di questo evento realmente accaduto circa cento anni prima della stesura del Caballero de Olmedo. Però è interessante perché mostra il peculiare legame mediato fra la storia e la creazione drammatica che si dà in una porzione importante della produzione teatrale di Lope: Lope prende come spunto un testo, o un frammento di testo, che appartiene al patrimonio della tradizione (canzone a ballo, romanza, detto popolare...), e che rielabora un fatto storico (microstorico) stravolgendolo e arricchendolo, comunque modulandolo in modi che non sono storici ma finzionali; poi rielabora questo spunto tradizionale, amplificando le sue potenzialità finzionali ma anche affiancandogli alcuni riferimenti storici (macrostorici) più o meno precisi, tratti dalla cronachistica e utilizzati con grande libertà. Ecco quindi che, nel Caballero de Olmedo, Lope ambienta la vicenda all’epoca del re Juan II di Castiglia, che figura tra i personaggi insieme al suo primo ministro e favorito don Álvaro de Luna, e menziona alcuni fatti storici di quell’epoca, benché senza grande precisione cronologica: la predicazione antisemita di Vicente Ferrer, le ordinanze che imposero a ebrei e mori dei segni distintivi per isolarli dalla popolazione cristiana, le rivalità per la successione al trono di Aragona che turbarono il regno di Juan II, le nuove insegne concesse dal papa all’Ordine militare di Alcántara... Tuttavia, tali riferimenti non bastano a fare del Caballero de Olmedo un dramma storico, come invece si può considerare senza alcun dubbio Fuente Ovejuna, solo per menzionare un’opera famosa di Lope inclusa in questa stessa silloge. El Caballero de Olmedo è prima di tutto, se non esclusivamente, un dramma privato, nel senso che ne sono protagonisti personaggi che oggi definiremmo privati cittadini (nobili sì, ma non nobilissimi), mossi da sentimenti privati: amore, gelosia, invidia... E allora perché questa presenza di elementi e personaggi storici? Le ragioni sono almeno due. La prima è che questa presenza contribuisce ulteriormente a inquadrare l’opera nell’ambito generico della tragedia. Nel modello semplificato che operava nella percezione dello spettatore medio dell’epoca, la tragedia implicava infatti non solo un finale infelice, ma anche personaggi di grado sociale elevato e una connessione più o meno salda con la Storia. Nel caso del Caballero de Olmedo, la menzione di fatti storici, la presenza sul palcoscenico del re e del connestabile nel secondo 693
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e nel terzo atto, e soprattutto nel finale, quando il re assume la funzione di giudice condannando i responsabili dell’assassinio di don Alonso, controbilancia il carattere privato delle vicende teatralizzate e lo status sociale medio dei protagonisti, conferendo all’opera una patina di «dignità» che la sottrae al territorio generico della commedia, cui potrebbe apparentarla la tematica amorosa della vicenda teatralizzata. 2. La seconda ragione ha a che vedere più propriamente con il periodo storico nel quale Lope ha scelto di ambientare la vicenda: il regno di Juan II (1406-1454), dunque un periodo assai anteriore a quello nel quale era avvenuto il fatto rielaborato dai materiali tradizionali ricordati sopra che hanno ispirato il titolo e sicuramente l’ultimo atto dell’opera. Perché Lope sceglie di retrodatare tanto l’ambientazione storica della sua vicenda? Conviene, prima di rispondere a questa domanda, ricordare che Lope attribuisce a don Alonso un cognome che nessuna delle fonti storiche relative al «vero» Cavaliere di Olmedo riporta: Manrique. Ora, Manrique è anche il cognome di uno dei più famosi e importanti poeti castigliani del XV secolo, Jorge, figlio di Rodrigo Manrique, nobile cavaliere che servì per una parte della sua vita proprio il re Juan II. Il nome Manrique, per una persona mediamente colta dell’epoca di Lope, non poteva non richiamare il poeta Manrique, e, attraverso la sua opera, il regno di Juan II (evocato nelle sue famose Coplas a la muerte del padre) e la poesia amorosa cancioneril che iniziò a fiorire sotto questo re e della quale Jorge Manrique fu uno degli autori più rilevanti. Una poesia amorosa che, sia detto per completezza di informazione, circola ancora più di un secolo dopo in raccolte come il Cancionero general, che vengono costantemente ripubblicate almeno fino al 1574. Siamo così in grado di avanzare una risposta alla domanda che ci ponevamo più sopra: Lope retrodata l’ambientazione della vicenda rispetto al suo «correlativo oggettivo» storico, probabilmente perché l’età di Juan II gli appare il contesto ideale per un intreccio amoroso che si nutre di poesia cancioneril. Per molti aspetti, infatti, la vicenda del Caballero de Olmedo è una rielaborazione di motivi e topoi di quella poesia.3 L’amore a prima vista che don Alonso prova per Inés, e che si configura fin da subito come malattia dell’anima (primo atto); i ripetuti lamenti cui dà luogo la sua lontananza dall’amata, per la necessità di tornare a Olmedo, e le variazioni sul tema dell’assenza che equivale alla morte 694
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(secondo e terzo atto); l’adorazione senza limiti della donna amata, della quale don Alonso si dichiara «schiavo» (vv. 993, 2144), per la quale è felice di morire (vv. 1161-1162): tutti questi sono elementi costitutivi del sentimento amoroso così come viene cantato nella lirica cancioneril. Il modello di questo sentimento è lo stesso dell’amore cortese cantato dalla lirica trovadorica, tronco originario comune delle espressioni liriche successive nelle diverse lingue romanze: subordinazione dell’amante all’amata («servizio» d’amore), adorazione distante e senza speranza, che determina al tempo stesso gioia per il sentimento che si prova e dolore per l’inattingibilità dell’amata. Di questo modello, la poesia castigliana de cancionero esaspera le componenti angosciose, dolorose, elaborando innumerevoli variazioni sul tema dell’amore come sofferenza, e in ultima analisi morte, entrambi accettati dall’amante (con una buona dose di masochismo) come destino ineludibile e dono di sé all’amata. L’intera esperienza del proprio amore per Inés, don Alonso la vive, e la esprime, secondo i moduli di questa poesia, dando concretezza teatrale alla figura astratta del poeta innamorato della lirica cancioneril. Del resto, che don Alonso sia, oltre che un coraggioso cavaliere, anche un buon poeta, è indubbio: in ogni atto sono presenti almeno due se non tre suoi «pezzi» di virtuosismo poetico. Tranne il sonetto del primo atto (vv. 503-516) e il romancillo in settenari del secondo atto (vv. 1610-1659), tutti gli altri sono composti in versi ottosillabi, propri della tradizione castigliana; in particolare è rilevante la presenza di ben due glosse in coplas reales (vv. 1113-1162, 2178-2227), un tipo di componimento assai artificioso che, benché non esclusivo della lirica cancioneril, proprio in questo contesto poetico aveva iniziato la sua fortuna. E non sarà un caso che soprattutto in queste glosse si addensino antitesi (vita vs. morte) e paradossi concettuali (vivere morendo) assai correnti nella lirica medievale. Solo che, nel Caballero de Olmedo, queste figure retoriche non sono più soltanto elementi di linguaggio, ma hanno una loro proiezione fattuale: come il personaggio di don Alonso dà consistenza di carne e sangue alla figura dell’innamorato cortese, così la morte e il dolore metaforici da lui cantati secondo i moduli cancioneriles si trasformano, alla fine, in morte vera, in dolore vero. 3. Ecco quindi che i luoghi comuni della lirica acquistano anche una valenza più specificamente teatrale: sono forme di ironia tragica, come 695
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ha visto benissimo Francisco Rico.4 In questo senso, sono solidali con altri elementi inquietanti, che provengono dalla realtà, dal soprannaturale o dall’immaginazione turbata del protagonista: i sogni angosciosi e la scena drammatica dell’uccellino ghermito dal falco che don Alonso racconta a Tello alla fine del secondo atto; l’ombra che appare al Cavaliere nel momento in cui si prepara a lasciare la casa di Inés nel terzo atto; il turbamento che lo invade ad ogni minimo rumore mentre imbocca la strada per Olmedo; il contadino che canta la seguidilla profetica raccomandandogli di non proseguire... Sono, tutti questi, i tipici presagi infausti (sogni, eventi insoliti o drammatici, apparizioni...) che facevano parte integrante di quel modello medievale di tragedia, esemplato sul teatro di Seneca, che Lope continua ad avere ben presente, nonostante ne abbia scardinato molti elementi. Peraltro, nell’inventare per El caballero de Olmedo questi «segni del destino» che servono alla connotazione tragica dell’opera, Lope innova parecchio rispetto alla fissità dei ricorsi tradizionali: l’apparizione, per esempio, non è una semplice ombra, ma è un vero e proprio «doppio magico» del protagonista; la seguidilla profetica viene cantata non da un’entità soprannaturale ma da un vero contadino, che però ne sa abbastanza da ammonire pesantemente don Alonso («Ben sciocco / è il coraggio che mostrate», v. 2412). Soprattutto, è innovatore il modo con cui Lope fa scaturire le premonizioni tragiche dallo stato d’animo del protagonista, caratterizzato ripetutamente da una «tristezza» che veniva considerata, all’epoca, tipica della condizione psicologica del malinconico; a questo proposito, varrà la pena ricordare che El caballero de Olmedo è praticamente contemporaneo della famosa opera di Richard Burton Anatomy of Melancholy, pubblicata nel 1621. Questa attenzione psicologica è evidentissima anche nella costruzione del personaggio di don Rodrigo, il rivale di don Alonso e agente materiale della tragedia. Nel contesto di una vicenda amorosa fortemente connotata dai moduli della poesia lirica cancioneril, non meraviglia che don Rodrigo si esprima anch’egli, almeno all’inizio, secondo gli stilemi retorici di questa poesia: mi riferisco alle décimas che pronuncia nel primo atto, quando è costretto a constatare ancora una volta l’indifferenza di Inés (vv. 461-490).5 In seguito, però, Lope ci mostra un personaggio che, divorato dalla gelosia e dall’invidia, appare sempre più a disagio nelle maglie del codice cortese, e finisce per violarlo apertamente, esponendosi così a una morte altrettanto tragica, se non più, di quella che 696
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ha inflitto al suo rivale: la morte sul patibolo. Don Rodrigo, infatti, non solo non accetta che don Alonso sia più forte e abile, e più fortunato in amore; ma vive come un’umiliazione il fatto di essere soccorso proprio da lui durante i giochi taurini con cui si apre il terzo atto. Questo, invece di legarlo con il vincolo della gratitudine, lo spinge ad organizzare un agguato mortale all’uomo che, solo poche ore prima, gli ha salvato la vita. Quella di don Rodrigo non è l’azione di un nobile, è la vendetta di un bandito: un agguato nottetempo, in condizioni di superiorità numerica sull’aggredito, senza affrontarlo lealmente in un corpo a corpo ma facendogli sparare da un subordinato... Per nascondere ai suoi propri occhi lo scandalo di questa flagrante violazione del codice di comportamento nobiliare, don Rodrigo si costruisce tutta una serie di giustificazioni di ordine ideologico che trovano subito disponibile a condividerle l’amico don Fernando: è scandaloso che un forestiero venga a portar via la gloria e le donne agli uomini di Medina,6 è scandaloso che la casa di don Pedro sia stata disonorata dagli intrighi di Fabia... È geniale il modo in cui Lope, nel personaggio di don Rodrigo, ha mostrato come le frustrazioni di ordine individuale sappiano mascherarsi con le vesti del moralismo e del nazionalismo, per trovare ascolto presso i deboli e creduli e farsene dei complici. Sono brevi pennellate, ma di straordinaria modernità e intuizione psicologica (e anche, direi, sociologica). La tragedia del Caballero de Olmedo, a ben vedere, è proprio qui, nel contrasto e nello scontro finale tra la fiducia di don Alonso nei valori nobiliari di coraggio, lealtà e riconoscenza, e la bieca volontà di sopraffazione di chi, come don Rodrigo, vuole comunque prevalere, anche se sa di non avere le qualità per farlo secondo le norme del codice cortese. Possiamo quindi senz’altro condividere la lettura che Marc Vitse ha proposto della figura di don Alonso come di un eroe afflitto da un «fatale anacronismo»;7 ma solo nel senso che la vicenda di questo personaggio incarna la sconfitta dei valori antichi per mano di una modernità interpretata come desiderio di affermazione individuale ad ogni costo, e abbandono di un codice di comportamento condiviso. Sempre, naturalmente, che si voglia interpretare il comportamento di don Rodrigo e don Fernando come «moderno», e non, semplicemente, come quello di due nobili di animo meschino che tralignano dalla retta via e che, per questo, vengono giustamente puniti dalla suprema autorità, quella del re.
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4. Eppure, a lungo la critica si è intrattenuta molto più del necessario e dell’opportuno a cercare i difetti, gli errori e addirittura i peccati del povero don Alonso, piuttosto che quelli, evidentissimi, del suo rivale. Fuorviati dal concetto di «giustizia poetica» e dal ricordo di quanto dice Aristotele nella Poetica (1453a) circa il miglior tipo di protagonista della tragedia, che non sia né del tutto malvagio né del tutto innocente, ma la cui disgrazia si debba a qualche errore di quelli in cui tutti potremmo incorrere, ecco che gli studiosi si sono dati a cercare i possibili errori di don Alonso (e di donna Inés: ma di questi parleremo dopo). Alcune osservazioni a questo riguardo sono senz’altro condivisibili, in particolare quelle che sottolineano l’incauta gestione del tempo da parte del protagonista nella fase culminante del terzo atto, e il sostanziale conflitto tra onore e amore che sta alla base dell’imprudente audacia che lo condurrà alla morte.8 Molto meno condivisibili sono quelle interpretazioni che collegano la fine tragica di don Alonso alla figura di Fabia, la mezzana-strega cui egli si rivolge all’inizio della vicenda, e che è una trasparente evocazione della straordinaria Celestina della tragicommedia di Fernando de Rojas. Come osserva Rico, la presenza di questo personaggio, e i molteplici rinvii alla Tragicomedia de Calisto y Melibea, vanno letti come una delle forme di ironia tragica di cui Lope dissemina il suo testo.9 Attraverso questi rinvii, assolutamente evidenti per lo spettatore dell’epoca, Lope sta annunciando che la storia d’amore dei protagonisti avrà un finale tragico. Ma è fuor di luogo pensare che questo finale tragico sia la «punizione» per aver fatto ricorso alle dubbie arti della mezzana: è chiarissimo nel testo che Inés già è innamorata di don Alonso prima che Fabia si presenti a casa sua con il biglietto del cavaliere; il suo sentimento non è in alcun modo provocato dalle arti magiche della vecchia, come invece succede a Melibea nell’opera di Rojas; lo stesso don Alonso afferma di non credere nella magia, e che «a far nascere l’amore / sono meriti e costanza» (vv. 986-987). Inoltre, l’amore di don Alonso per Inés è finalizzato al matrimonio e del tutto rispettoso dell’onore della fanciulla (il protagonista lo afferma a più riprese); non può quindi essere paragonato all’amore di Calisto per Melibea, né la fine tragica di don Alonso può essere letta nella chiave moralistica che potrebbe ancora funzionare per leggere la morte di Calisto nella Tragicomedia.10 Che Fabia e la sua magia siano elementi tutto sommato accessori, nel senso che non sono indispensabili a far progredire la storia d’amore dei 698
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protagonisti, lo dimostra il ruolo attivo che assume Inés fin dal primo atto, e insieme a lei, almeno in due occasioni, anche la sorella Leonor. Quando Inés torna con la risposta al biglietto di don Alonso, è Leonor a suggerirle di far finta che si tratti della lista dei panni da lavare (vv. 430-432), per ingannare don Rodrigo e don Fernando, che sono arrivati nel frattempo. E, quando nel secondo atto (vv. 1394-1553) si presentano in casa di don Pedro Fabia e Tello, travestiti rispettivamente da santa donna e da studente, Leonor si guarda bene dallo smascherare la sorella, anzi, rassicura Tello sulla propria discrezione. Ma l’inganno principale, e decisivo per l’andamento della vicenda, è quello che Inés (da sola, stavolta) mette in atto quando, interrotta dal padre mentre si trova in dolce colloquio con don Alonso, fa nascondere quest’ultimo e, dissimulando l’agitazione, confessa al padre di non potersi sposare (con don Rodrigo) perché ha deciso di farsi monaca. Questa falsa confessione, accolta da don Pedro con dolore e al tempo stesso con rispetto per la scelta della figlia, permetterà a Inés non solo di evitare il matrimonio con l’odiato pretendente, ma anche di far entrare in casa Fabia e Tello, apparentemente per insegnarle il necessario per il suo futuro status di religiosa, in realtà per portarle i messaggi di don Alonso. In tutti questi frangenti, Inés mostra uno spirito pratico e una prontezza nel reagire alle difficoltà che sono assai maggiori di quelle che mostra don Alonso, che ad ogni ostacolo subito si abbatte e si scoraggia. Queste caratteristiche della protagonista femminile sono così evidenti che non potevano passare inosservate; molti studiosi, tuttavia, le hanno rilevate per segnalarle come «errori» del personaggio che contribuiscono allo scioglimento tragico della vicenda. Ingannare un padre fiducioso, e servirsi per questo inganno della religione, usata come pretesto; accogliere in casa propria Fabia, la strega, facendole recitare la parte della pia donna... questa attitudine di Inés alla menzogna, e al coinvolgimento della religione nei propri inganni, sono state lette negativamente, come il corrispettivo della scelta di don Alonso di servirsi di Fabia come mezzana. Tuttavia, chiunque conosca abbastanza bene il teatro del Siglo de Oro sa che situazioni come queste non sono affatto insolite, e soprattutto, non necessariamente conducono alla tragedia. Diciamo meglio: è costitutivo della commedia comica l’inganno che la coppia di protagonisti giovani ordisce ai danni della figura dell’autorità familiare (generalmente il padre) con la complicità di aiutanti che si collocano nel settore 699
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servile e non mancano di tratti negativi, in rapporto alla nobiltà dei protagonisti. E in questo inganno è proprio la donna che assume il ruolo più importante, escogitando come burlare l’autorità paterna e arrivare a ottenere quello che desidera: unirsi in matrimonio con l’uomo amato invece che con il pretendente che il padre vorrebbe imporle. Basterà menzionare due esempi: uno di Lope, El acero de Madrid (1607-1609), uno di Tirso de Molina, Marta la piadosa (forse 1615). In entrambi i casi, una fanciulla che vuole evitare il matrimonio impostole dal padre escogita un complicato inganno, che nella commedia di Tirso è proprio quello della falsa vocazione religiosa, e in entrambi i casi comporta una capacità di simulazione notevole, con il coinvolgimento di figure servili che entrano nella casa della ragazza sotto mentite spoglie. Nella commedia di Lope la protagonista, cui un falso dottore ha prescritto lunghe passeggiate mattutine in un parco madrileno, si abbandona all’amore tanto da rimanere incinta; nella commedia di Tirso, la protagonista, innamorata dell’uccisore del proprio fratello, inganna padre e sorella facendo entrare in casa propria l’amato travestito da povero studente che dovrebbe insegnarle il latino. Eppure, né la Belisa di Lope né la Marta di Tirso ricevono alcuna sanzione per questi loro «errori», del tutto analoghi se non più gravi rispetto a quelli di Inés. La peculiarità del Caballero de Olmedo sta proprio nell’aver innestato sequenze e motivi tipici della commedia amorosa comica (l’ostacolo all’amore dei protagonisti aggirato dall’inganno degli amanti, l’ambientazione urbana, le figure degli aiutanti servili) con sequenze e motivi tipici, al contrario, della tragedia: tempo della storia non contemporaneo bensì remoto, presenza di figure elevatissime come il re e il suo favorito, presagi infausti, personaggi evocatori (Fabia, appunto), passioni negative incontrollabili (gelosia ed invidia). Sono queste ultime che conducono alla catastrofe, e non le strategie che gli innamorati adottano per far trionfare il loro amore sugli ostacoli che si frappongono alla sua piena realizzazione. Lope de Vega conosceva bene la gelosia e la sua forza devastante, e non soltanto come tema letterario, ma come esperienza esistenziale che aveva vissuto più volte nella sua lunga biografia di uomo che non si risparmiò mai sentimentalmente, anche a prezzo di infedeltà multiple e di violazioni flagranti dei voti religiosi che aveva preso in età matura. Non a caso questo tema ritorna di continuo, nel suo teatro ma anche nella sua poesia. Mostrare a quali eccessi può condurre la gelosia, non nella sua 700
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accezione più comune di timore che un altro insidi il proprio amore corrisposto, ma in quella di invidia dell’amore corrisposto di un rivale, è un aspetto che, mi pare, Lope soltanto fra i drammaturghi spagnoli della sua epoca ha mostrato con tanta insistenza ed efficacia. In ambito comico, potremmo citare El perro del hortelano (Il cane dell’ortolano), anch’esso compreso in questa raccolta, dove la gelosia è declinata al femminile, nel personaggio di Diana che comincia ad amare Teodoro solo quando sa che questi vive un amore corrisposto con Marcela, e fa di tutto per strapparlo a quest’ultima, servendosi slealmente della propria superiore posizione gerarchica. In ambito tragico, abbiamo appunto El caballero de Olmedo, che era stato preceduto, su questa linea, da un’opera giovanile, El Marqués de Mantua (1596): qui il figlio dell’imperatore francese Carlo Magno si incapriccia della moglie bellissima di un suo vassallo, Baldovinos, e per rubargliela lo uccide a tradimento durante una battuta di caccia, per essere poi a sua volta giustiziato per ordine dello stesso Carlo Magno che, pur di esercitare correttamente la sua funzione di giudice supremo, mette a tacere con enorme sofferenza il suo amore di padre. Basterebbe leggere questa tragedia giovanile per rendersi conto della maturazione cui è giunta l’arte drammatica di Lope trent’anni dopo, e della compattezza e complessità che caratterizzano El caballero de Olmedo rispetto a El Marqués de Mantua. E torniamo quindi alla questione, dibattuta da tanti critici, dell’«errore» che – sulla scorta di Aristotele – dovrebbe giustificare la tragedia: un errore al quale tutti possiamo essere esposti, perché questa relativa non eccezionalità garantisce che il pubblico possa identificarsi nell’eroe e dunque sperimentare la catarsi che costituisce, secondo Aristotele, l’effetto psicologico principale della tragedia, susseguente alla paura e al timore provati nel corso della vicenda. Ebbene, basta spostare lo sguardo da don Alonso a don Rodrigo, per vedere che il vero «errore» tragico, quello nel quale tutti gli spettatori possono identificarsi, è il suo, non quello di don Alonso:11 perché don Rodrigo non è né il cavaliere perfetto che è don Alonso, né un malvagio a tutto tondo nel quale nessuno si identificherebbe, ma un uomo nobile di nascita e di sentimenti che dimentica qualsiasi principio perché viene progressivamente travolto da un’ondata di passioni negative alla quale non sa resistere, e soccombe, arrivando a far assassinare a tradimento il suo rivale come farebbe un qualsiasi bandito di strada e finendo, per questo, sul patibolo. È questo il 701
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vero finale tragico dell’opera, non tanto (o non soltanto) la morte di don Alonso, che gli darà la vita eterna della fama, mentre la morte infamante di don Rodrigo lo condanna al perpetuo ludibrio. Se la leggiamo da questa prospettiva, El caballero de Olmedo è, anche in senso aristotelico, una grande e straordinaria tragedia, molto moderna nonostante tutta la sua patina di medievalismo. Se accetta questa interpretazione, sarà bene che anche il lettore italiano inizi a mettere in questione la nozione vulgata dell’antiaristotelismo costitutivo del teatro aureo spagnolo, non tanto per negarla, quanto per darle profondità e complessità, per vedere che, come dice Ruiz Ramón,12 i grandi drammaturghi spagnoli del Siglo de Oro non rifiutavano Aristotele, ma le letture accademiche di Aristotele, articolate intorno a una opposizione netta fra tragedia e commedia che in realtà Aristotele non formulò mai nei modi in cui la formularono i grammatici medievali. 5. L’edizione del testo spagnolo della commedia è stata condotta seguendo, sostanzialmente, il testo della Veinticuatro parte perfeta de las comedias del Fénix de España (Zaragoza, 1641), primo testimone nella trasmissione dell’opera. Il testo raccolto in questa parte, non controllata dall’autore in quanto postuma (Lope morì nel 1635), presenta alcuni errori evidenti e lacune di versi. Mentre queste ultime, ovviamente, non possono essere sanate in alcun modo, e sono state indicate con dei punti sospensivi racchiusi tra parentesi quadre, per gli errori si possono proporre correzioni congetturali, come hanno fatto i diversi e autorevoli editori dell’opera. Non sempre peraltro c’è accordo sulla effettiva qualità erronea di determinate letture: dove era possibile (dove cioè la lettura del testo originale si lascia spiegare senza necessità di correggere), ho adottato a questo riguardo un atteggiamento conservativo, analogo a quello che manifesta Maria Grazia Profeti nella sua edizione. Questa, così come l’edizione di Francisco Rico, sono state per me un riferimento imprescindibile; in nota indico soltanto i casi nei quali adotto scelte diverse per sanare quelli che ritengo errori dell’originale. Ho adattato il testo spagnolo ai moderni criteri ortografici e di punteggiatura; ho mantenuto però le oscillazioni ex-/es-; la riduzione dei gruppi colti -ct, -pt; l’uso dell’articolo maschile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale atona e dell’articolo femminile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale tonica (al contrario dell’uso odierno). Nel 702
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testo, sia quello spagnolo sia quello italiano, gli aparte dei personaggi, o i momenti in cui determinati personaggi parlano fra loro senza farsi sentire da altri personaggi anch’essi in scena, sono stati segnalati da parentesi tonde. FAUSTA ANTONUCCI
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IL CAVALIERE DI OLMEDO [PERSONAGGI]
DON ALONSO DON RODRIGO DON FERNANDO DON PEDRO DONNA INÉS DONNA LEONOR TELLO ANA
IL RE DON JUAN IL CONNESTABILE MENDO,
domestico [LAÍN]
UN CONTADINO UN’OMBRA
[GENTE] [DOMESTICI]
FABIA
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Sale don Alonso. ALONSO
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Amor, no te llame amor el que no te corresponde, pues que no hay materia adonde imprima forma el favor. Naturaleza, en rigor, conservó tantas edades correspondiendo amistades; que no hay animal perfeto si no asiste a su conceto la unión de dos voluntades. De los espíritus vivos de unos ojos procedió este amor, que me encendió con fuegos tan excesivos. No me miraron altivos, antes, con dulce mudanza, me dieron tal confianza; que, con poca diferencia, pensando correspondencia, engendra amor esperanza. Ojos, si ha quedado en vos de la vista el mismo efeto, amor vivirá perfeto, pues fue engendrado de dos; pero si tú, ciego dios, diversas flechas tomaste, no te alabes que alcanzaste la vitoria, que perdiste, si de mí solo naciste, pues imperfeto quedaste.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entra don Alonso. ALONSO
Amore, tu non sei amore per chi non ti corrisponde, ché in lui non trova materia cui dia la forma il favore. La Natura, a ben vedere, ha perpetuato le ere concordando inclinazioni; tutti gli esseri viventi perfetti, son concepiti dall’unione di due intenti. Dallo spirito che emanano due occhi, è stato causato questo amore, che mi ha acceso di un fuoco così potente. Non mi hanno guardato alteri, anzi, fattisi più dolci, mi hanno dato sicurezza; che basta poco e l’amore, pensandosi corrisposto, genera la speranza. Occhi, se in voi ha prodotto la vista lo stesso effetto, l’amore sarà perfetto, perché da due generato; ma se tu, dio cieco, hai usato due frecce diverse, allora non puoi cantare vittoria, anzi hai perso, se sei nato solo in me, il che ti condanna a rimanere imperfetto.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
Salen Tello, criado, y Fabia. FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA ALONSO TELLO ALONSO
FABIA
ALONSO
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¿A mí, forastero? A ti. Debe de pensar que yo soy perro de muestra. No. ¿Tiene algún achaque? Sí. ¿Qué enfermedad tiene? Amor. Amor, ¿de quién? Allí está: él, Fabia, te informará de lo que quiere mejor. Dios guarde tal gentileza. Tello, ¿es la madre? La propria. ¡Oh, Fabia! ¡Oh retrato, oh copia de cuanto Naturaleza puso en ingenio mortal! ¡Oh peregrino dotor, y para enfermos de amor Hipócrates celestial! Dame a besar esa mano, honor de las tocas, gloria del monjil. La nueva historia de tu amor cubriera en vano vergüenza o respeto mío; que ya en tus caricias veo tu enfermedad. Un deseo es dueño de mi albedrío.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
Entrano Tello, servo, e Fabia. FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA ALONSO TELLO ALONSO
FABIA
ALONSO
Dice a me, straniero? A te. Pensa magari che sono un cane da punta. No. Ha qualche problema? Sì. Di che è malato? D’amore. Amore per chi? Sta lì: lui, Fabia, ti spiegherà meglio di me ciò che vuole. Dio protegga un cavaliere così nobile. È la madre, Tello? Sì, è proprio lei. Oh Fabia! Oh ritratto, oh copia di tutto ciò che Natura pone in ingegno mortale! Oh straordinario dottore, e per malati d’amore Ippocrate celestiale! Voglio baciarti la mano, onore del velo, gloria del saio. La nuova storia del tuo amore inutilmente per rispetto o per pudore tacerei: nei complimenti vedo la tua malattia. Un desiderio è signore del mio arbitrio.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO FABIA
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El pulso de los amantes es el rostro. Aojado estás. ¿Qué has visto? Un ángel. ¿Qué más? Dos imposibles, bastantes, Fabia, a quitarme el sentido: que es dejarla de querer y que ella me quiera. Ayer te vi en la feria perdido tras una cierta doncella, que en forma de labradora encubría el ser señora, no el ser tan hermosa y bella; que pienso que doña Inés es de Medina la flor. Acertaste con mi amor; esa labradora es fuego que me abrasa y arde. Alto has picado. Es deseo de su honor. Así lo creo. Escucha, así Dios te guarde. Por la tarde salió Inés a la feria de Medina, tan hermosa que la gente pensaba que amanecía. Rizado el cabello en lazos; que quiso encubrir la liga porque mal caerán las almas si ven las redes tendidas. Los ojos, a lo valiente, iban perdonando vidas, aunque dicen los que deja que es dichoso a quien la quita.
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Il volto è il polso degli innamorati. Sei affatturato. Che hai visto? Un angelo. Che cos’altro? Fabia, due cose impossibili, tanto da togliermi il senno: una è smettere di amarla, l’altra che lei pure mi ami. Ieri alla festa ti ho visto andar dietro a una fanciulla, che fingendosi villana mascherava il suo lignaggio, non certo la sua bellezza; che penso che donna Inés sia di Medina il fior fiore. Hai indovinato il mio amore: quella contadina è il fuoco che mi consuma. In alto punti. È il suo onore che desidero. Ci credo. Ascolta, in nome di Dio. Verso sera Inés è andata alla fiera di Medina, così bella, che la gente pensava che fosse l’alba. Legati i capelli ricci a nascondere i lacciuoli, che a veder le reti tese è difficile che le anime ci cadano dentro. Gli occhi, come i prodi, tutt’intorno fanno grazia della vita, anche se i graziati dicono fortunato a chi l’ha persa. 711
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
Las manos haciendo tretas, que, como juego de esgrima, tiene tanta gracia en ellas que señala las heridas. Las valonas esquinadas en manos de nieve viva, que muñecas de papel se han de poner en esquinas. Con la caja de la boca allegaba infantería, porque, sin ser capitán, hizo gente por la villa. Los corales y las perlas dejó Inés, porque sabía que las llevaban mejores los dientes y las mejillas. Sobre un manteo francés una verdemar basquiña, porque tenga en otra lengua de su secreto la cifra. No pensaron las chinelas llevar de cuantos la miran los ojos en los listones, las almas en las virillas. No se vio florido almendro como toda parecía, que del olor natural son las mejores pastillas. Invisible fue con ella el Amor, muerto de risa de ver, como pescador, los simples peces que pican. Unos le prometen sartas y otros arracadas ricas; pero en oídos de áspid no hay arracadas que sirvan. Cuál a su garganta hermosa 712
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Le mani muove abilmente come nel gioco di scherma, con tanta grazia, che sfiora appena, e basta a ferire. Stringe con mani di neve le punte del suo colletto; ché i polsi, se son di carta, servono a prendere appunti. La bocca chiama a raccolta reclutando fanteria: senza essere capitano ha radunato un esercito. Non indossava coralli Inés né perle, sapendo che quelli delle sue guance e dei suoi denti eran meglio. Su una sottana francese una gonna a pieghe verde, perché sia in un’altra lingua la cifra del suo segreto. Le scarpine non pensavano di catturare tanti occhi coi nastri, né tante anime coi lacci che le chiudevano. Nessun mandorlo fiorito si è visto mai starle a paro, che è il profumo naturale la migliore delle essenze. La accompagnava, invisibile, Amore, morto dal ridere nel veder, lui pescatore, gli ingenui pesci che abboccano. Chi le promette collane, chi dei preziosi orecchini; ma un aspide non ha orecchi, non gli servon gli orecchini. Chi offre per il suo bel collo 713
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
el collar de perlas finas; pero, como toda es perla, poco las perlas estima. Yo, haciendo lengua los ojos, solamente le ofrecía a cada cabello un alma, a cada paso una vida. Mirándome sin hablarme parece que me decía: «No os vais, don Alonso, a Olmedo, quedaos agora en Medina». Creí mi esperanza, Fabia... Salió esta mañana a misa, ya con galas de señora, no labradora fingida. Si has oído que el marfil del unicornio santigua las aguas, así el cristal de un dedo puso en la pila. Llegó mi amor basilisco, y salió del agua misma templado el veneno ardiente que procedió de su vista. Miró a su hermana, y entrambas se encontraron en la risa, acompañando mi amor su hermosura y mi porfía. En una capilla entraron; yo, que siguiéndolas iba, entré imaginando bodas, ¡tanto quien ama imagina! Vime sentenciado a muerte, porque el amor me decía, «Mañana mueres, pues hoy te meten en la capilla». En ella estuve turbado;
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un filo di perle vere; ma lei è tutta di perla e le perle apprezza poco. Io, parlandole con gli occhi, mi limitavo ad offrirle per ogni capello un’anima, per ogni passo una vita. Mi guardava e non parlava, e sembrava mi dicesse: «Non tornate a Olmedo, Alonso, restatevene a Medina». Ho creduto alla speranza... Stamattina è andata a messa, vestita ormai da signora, non più da contadinella. Hai sentito che l’avorio dell’unicorno santifica le acque? Così lei ha immerso il suo dito di cristallo nell’acqua santa. Si era accostata basilisco, ma da quell’acqua è poi uscito smorzato il veleno ardente che emanava dal suo sguardo. Guardò sua sorella, e entrambe risero allo stesso tempo; il mio amore accompagnava loro, belle, e me, infatuato. In una cappella entrarono, e io, che le stavo seguendo, entrai pensando alle nozze, tanto chi ama fantastica! Poi mi vidi condannato, perché Amore mi diceva: «Domani morrai, giacché oggi sei in ritiro alla cappella». Lì mostrai il mio turbamento: 715
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
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ya el guante se me caía, ya el rosario, que los ojos a Inés iban y venían. No me pagó mal: sospecho que bien conoció que había amor y nobleza en mí; que quien no piensa no mira, y mirar sin pensar, Fabia, es de ignorantes, y implica contradición que en un ángel faltase ciencia divina. Con este engaño, en efeto, le dije a mi amor que escriba este papel; que si quieres ser dichosa y atrevida hasta ponerle en sus manos, para que mi fe consiga esperanzas de casarme, – tan en esto amor me inclina –, el premio será un esclavo con una cadena rica, encomienda de esas tocas de mal casadas envidia. Yo te he escuchado. Y ¿qué sientes? Que a gran peligro te pones. Escusa, Fabia, razones, si no es que por dicha intentes, como diestro cirujano, hacer la herida mortal. Tello, con industria igual pondré el papel en su mano, aunque me cueste la vida, sin interés, porque entiendas que, donde hay tan altas prendas,
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ora mi cadeva un guanto, ora il rosario, che gli occhi mi andavano sempre a Inés. Non fu ingenerosa: credo abbia capito che in me c’è amore e c’è nobiltà; che chi non pensa non guarda, e guardar senza pensare è da ignoranti, e comporta contraddizione che un angelo manchi di scienza divina. Insomma, così ingannato il mio amore mi ha dettato questo biglietto, e se vuoi avere il coraggio e il tatto di farglielo pervenire, perché la mia fede ottenga speranza di matrimonio – che a questo mi spinge amore –, il premio sarà uno schiavo con una ricca catena, ornamento dei tuoi veli che per le malmaritate son causa d’invidia. Ti ho ascoltato. E cosa pensi? Che ti esponi a un gran pericolo. Evita, Fabia, le chiacchiere, a meno che tu non tenti, come l’abile chirurgo, di aggravare la ferita. Tello, con abilità pari le darò il biglietto in mano, mi costi pure la vita, senza interesse, perché tu capisca che, con dama 717
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sola yo fuera atrevida. Muestra el papel. (Que primero le tengo de aderezar.) ¿Con qué te podré pagar la vida, el alma que espero, Fabia, de esas santas manos? ¿Santas? ¿Pues no, si han de hacer milagros? (De Lucifer.) Todos los medios humanos tengo de intentar por ti, porque el darme esa cadena no es cosa que me da pena; mas confiada nací. (¿Qué te dice el memorial?) Ven, Fabia, ven, madre honrada, porque sepas mi posada. Tello... Fabia... No hables mal, que tengo cierta morena de estremado talle y cara... Contigo me contentara, si me dieras la cadena.
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Vanse. Salen doña Inés y doña Leonor. INÉS LEONOR INÉS
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Y todos dicen, Leonor, que nace de las estrellas. De manera que, sin ellas, ¿no hubiera en el mundo amor? Dime tú: si don Rodrigo ha que me sirve dos años, y su talle y sus engaños son nieve helada conmigo,
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di tal classe, solo io posso avere tale audacia. Fammi vedere il biglietto (che lo devo preparare.) Con cosa potrò pagarti la vita che spero, Fabia, da codeste sante mani? Sante? Perché no, se fanno miracoli? (Di Lucifero.) Per te tutti i mezzi umani metterò in opera, che la catena che prometti di darmi, non mi fa stare in pena: sono ottimista. (Che ti dice la memoria?) Vieni, Fabia, madre buona, a vedere dove alloggio. Tello... Fabia... Non sparlare, che avrei per te una moretta con un corpo e con un viso... Mi accontenterei di te, se mi dessi la catena. Se ne vanno. Entrano donna Inés e donna Leonor.
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E dicon tutti, Leonor, che sta scritto nelle stelle. Allora senza di quelle non ci sarebbe l’amore? Dimmi tu: se don Rodrigo mi corteggia da due anni, e il suo aspetto e smancerie son per me neve gelata, 719
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
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y en el instante que vi este galán forastero, me dijo el alma: «Este quiero» y yo le dije: «Sea ansí», ¿quién concierta y desconcierta este amor y desamor? Tira como ciego Amor, yerra mucho y poco acierta. Demás que negar no puedo – aunque es de Fernando amigo tu aborrecido Rodrigo, por quien obligada quedo a intercederte por él – que el forastero es galán. Sus ojos causa me dan para ponerlos en él, pues pienso que en ellos vi el cuidado que me dio, para que mirase yo con el que también le di. Pero ya se habrá partido. No le miro yo de suerte que pueda vivir sin verte.
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Ana, criada. ANA INÉS ANA
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Aquí, señora, ha venido la Fabia... o la Fabïana. Pues ¿quién es esa mujer? Una que suele vender para las mejillas grana y para la cara nieve. ¿Quieres tú que entre, Leonor? En casas de tanto honor no sé yo cómo se atreve,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
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e nel momento che ho visto quel forestiero galante l’anima ha detto: «Amo questo» e io le ho detto: «Così sia», chi è che accorda e disaccorda questo amore e disamore? Cieco è Amore: molti tiri li sbaglia, pochi li azzecca. E poi non posso negare – benché il tuo odiato Rodrigo sia amico del mio Fernando, per cui mi sento obbligata a intercedere per lui – che il forestiero è galante. I suoi occhi mi hanno spinto a guardarlo anch’io coi miei, perché penso che ci ho visto la stessa pena d’amore che mi ha causato, affinché anch’io lo guardassi con la pena che gli ho causato. Ma se ne sarà già andato. Non mi è parso che potesse vivere senza vederti. Ana, domestica.
ANA INÉS ANA
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Signora, è venuta qui la Fabia... o la Fabiana. E chi è codesta donna? Una che vende cosmetici, per le guance il color porpora e per il viso la neve. Vuoi farla entrare, Leonor? A una casa così nobile non so come osa bussare,
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que no tiene buena fama; mas ¿quién no desea ver? Ana, llama esa mujer. Fabia, mi señora os llama.
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Fabia, con una canastilla. FABIA
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(Y ¡cómo si yo sabía que me habías de llamar!) ¡Ay! Dios os deje gozar tanta gracia y bizarría, tanta hermosura y donaire; que cada día que os veo con tanta gala y aseo, y pisar de tan buen aire, os echo mil bendiciones; y me acuerdo como agora de aquella ilustre señora que con tantas perfecciones fue la fénix de Medina, fue el ejemplo de lealtad. ¡Qué generosa piedad de eterna memoria digna! ¡Qué de pobres la lloramos! ¿A quién no hizo mil bienes? Dinos, madre, a lo que vienes. ¡Qué de huérfanas quedamos por su muerte malograda! La flor de las Catalinas hoy la lloran mis vecinas, no la tienen olvidada. Y a mí, ¿qué bien no me hacía? ¡Qué en agraz se la llevó la muerte! No se logró. Aún cincuenta no tenía. No llores, madre, no llores.
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che non gode buona fama; ma chi è che non è curioso? Ana, chiama quella donna. La mia padrona vi chiama. Fabia, con un cestino.
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(Lo sapevo io che mi avresti chiamato!) Ah, che Dio vi lasci godere di tanta grazia e bel garbo, di tanta bellezza e spirito; che ogni giorno che vi vedo così ben messe e vestite, con quel passo seducente, vi benedico; e mi torna, come fosse ora, il ricordo di quella illustre signora che con tante perfezioni fu Fenice di Medina, fu un esempio di lealtà. Che generosa pietà, degna di eterna memoria! Quanti poveri la piangono! A chi non ha fatto il bene? Dicci, madre, cosa vuoi. Quante siam rimaste orfane per la sua morte precoce! Quella santa e buona donna le mie vicine la piangono, non l’hanno dimenticata. E a me, quanto bene ha fatto! Se l’è portata via presto la morte! Era ancora giovane. Non aveva cinquant’anni. Non piangere, madre, su.
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No me puedo consolar cuando le veo llevar a la muerte las mejores, y que yo me quedo acá. Vuestro padre, Dios le guarde, ¿está en casa? Fue esta tarde al campo. (Tarde vendrá.) Si va a deciros verdades, – mozas sois, vieja soy yo – más de una vez me fió don Pedro sus mocedades; pero teniendo respeto a la que pudre, yo hacía, como quien se lo debía, mi obligación. En efeto, de diez mozas, no le daba cinco. ¡Qué virtud! No es poco, que era vuestro padre un loco: cuanto vía, tanto amaba. Si sois de su condición, me admiro de que no estéis enamoradas. ¿No hacéis, niñas, alguna oración para casaros? No, Fabia. Eso siempre será presto. Padre que se duerme en esto, mucho a sí mismo se agravia. La fruta fresca, hijas mías, es gran cosa, y no aguardar a que la venga a arrugar la brevedad de los días.
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Non riesco a consolarmi quando vedo che la morte si porta via le migliori, mentre io rimango qui. Vostro padre, che Dio guardi, è in casa? È andato in campagna dopo pranzo. (Verrà tardi.) A dirvi la verità – siete giovani, io son vecchia – più di una volta don Pedro ha fatto ricorso a me nei suoi ardori giovanili; ma, per rispetto a colei che è sottoterra, io facevo, essendole in obbligo, il mio dovere. Insomma, di dieci ragazze, non gliene davo neanche cinque. Che virtù! Non poca, che vostro padre era un pazzo: ne voleva tante quante ne vedeva. Se siete simili a lui, mi stupisce che non siate innamorate. Non dite, bimbe, nessuna preghiera per maritarvi? No, Fabia. Sarà sempre troppo presto. Padre che su questo dorme fa un grave affronto a se stesso. La frutta fresca, figliole, è una gran cosa, e non va aspettare che si sciupi per la brevità dei giorni. 725
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Cuantas cosas imagino, dos solas, en mi opinión, son buenas, viejas. ¿Y son? Hija, el amigo y el vino. ¿Veisme aquí? Pues yo os prometo que fue tiempo en que tenía mi hermosura y bizarría más de algún galán sujeto. ¿Quién no alababa mi brío? ¡Dichoso a quien yo miraba! Pues, ¿qué seda no arrastraba? ¡Qué gasto, qué plato el mío! Andaba en palmas, en andas. Pues, ¡ay Dios!, si yo quería, ¿qué regalos no tenía de esta gente de hopalandas? Pasó aquella primavera, no entra un hombre por mi casa; que, como el tiempo se pasa, pasa la hermosura. Espera. ¿Qué es lo que traes aquí? Niñerías que vender para comer, por no hacer cosas malas. Hazlo ansí, madre, y Dios te ayudará. Hija, mi rosario y misa: esto cuando estoy de prisa, que si no... Vuélvete acá. ¿Qué es esto? Papeles son de alcanfor y solimán. Aquí secretos están de gran consideración
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Di tutte le cose al mondo due soltanto, a mio parere, son buone vecchie. E sarebbero? Figlia, l’amico ed il vino. Guardate me. Vi assicuro che un tempo la mia bellezza e il mio bel garbo più di uno avevano preso al laccio. Chi non lodava il mio fascino? Chi guardavo, era felice. Di che sete mi vestivo! Come spendevo e mangiavo! Andavo in palma di mano – o piuttosto, in portantina! – E che doni ricevevo dagli studenti, a volerlo! Passò quella primavera, nessun uomo entra più in casa; proprio come il tempo passa, passa la bellezza. Aspetta, che cos’è che porti qui? Sciocchezze che devo vendere per mangiare, per non fare cose peggiori. Fai bene, madre, e Dio ti aiuterà. Figlia, son rosario e messa per me, se vado di fretta; ma se no... Vieni un po’ qua. Che è questo? Sono cartine di canfora e sublimato. Qui ci sono dei rimedi di straordinaria efficacia 727
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para nuestra enfermedad ordinaria. Y esto, ¿qué es? No lo mires, aunque estés con tanta curiosidad. ¿Qué es, por tu vida? Una moza se quiere, niñas, casar; mas acertóla a engañar un hombre de Zaragoza. Hase encomendado a mí, soy piadosa... y en fin es limosna, porque después vivan en paz. ¿Qué hay aquí? Polvos de dientes, jabones de manos, pastillas, cosas curiosas y provechosas. ¿Y esto? Algunas oraciones. ¡Qué no me deben a mí las ánimas! Un papel hay aquí. Diste con él cual si fuera para ti. Suéltale, no le has de ver, bellaquilla, curiosilla. Deja, madre... Hay en la villa cierto galán bachiller que quiere bien una dama; prométeme una cadena porque le dé yo, con pena de su honor, recato y fama. Aunque es para casamiento, no me atrevo. Haz una cosa
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per la nostra malattia periodica. E questo, che è? Non guardare, anche se vedo bene quanto sei curiosa. Su, che cos’è? Una ragazza, bimbe, si vuole sposare; ma era stata già ingannata da un uomo di Saragozza. Mi si è raccomandata, son pietosa... e alla fin fine è fare loro del bene, che possan vivere in pace. Che c’è qui? Dei dentifrici, saponi, profumi, cose utili e particolari. E questo? Delle preghiere. Quanto mi devon le anime del Purgatorio! Un biglietto c’è qui. Sei andata a scovarlo come se fosse per te. Lascialo, non lo guardare, birboncella, curiosetta. Su, madre... C’è qui in città uno studente galante che vuole bene a una dama; mi ha promesso una catena perché glielo porti, a rischio di onore e reputazione. Anche se mira a sposarsi, non mi azzardo. Fai una cosa 729
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
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por mí, doña Inés hermosa, que es discreto pensamiento: respóndeme a este papel, y diré que me le ha dado su dama. Bien lo has pensado, si pescas, Fabia, con él la cadena prometida. Yo quiero hacerte este bien. Tantos los cielos te den, que un siglo alarguen tu vida. Lee el papel. Allá dentro, y te traeré la respuesta.
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(¡Qué buena invención!) (¡Apresta, fiero habitador del centro, fuego accidental que abrase el pecho de esta doncella!)
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Salen don Rodrigo y don Fernando. RODRIGO
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Hasta casarme con ella, será forzoso que pase por estos inconvenientes. Mucho ha de sufrir quien ama. Aquí tenéis vuestra dama. (¡Oh necios impertinentes! ¿Quién os ha traído aquí?) Pero, en lugar de la mía, ¡aquella sombra! Sería gran limosna para mí; que tengo necesidad.
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per me, Inés, bella signora, che mi pare buona idea: rispondi tu a quel biglietto, e dirò che me lo ha dato la sua dama. Ben pensato, se con questo, Fabia, peschi la catena che ha promesso. Ti farò questo favore. Tanti te ne faccia il cielo che arrivi a viver cent’anni. Leggi il biglietto. Là dentro, e torno con la risposta. Se ne va.
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(Buona come scusa!)
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(Appresta, oh tu feroce abitante dell’inferno, un fuoco che infiammi questa fanciulla!) Entrano don Rodrigo e don Fernando.
RODRIGO
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Finché non l’avrò sposata devo per forza passare per queste contrarietà. Deve soffrire chi ama. Ecco qui la vostra dama. (Oh, sciocchi ed inopportuni! Chi vi ha fatto arrivar qui?) Ed invece della mia, c’è quella strega! Sarebbe per me una grande elemosina; e Dio sa se ne ho bisogno. 731
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Yo haré que os pague mi hermana. Si habéis tomado, señora, o por ventura os agrada algo de lo que hay aquí – si bien serán cosas bajas las que aquí puede traer esta venerable anciana, pues no serán ricas joyas para ofreceros la paga – mandadme que os sirva yo. No habemos comprado nada; que es esta buena mujer quien suele lavar en casa la ropa. ¿Qué hace don Pedro? Fue al campo; pero ya tarda. ¿Mi señora doña Inés? Aquí estaba... Pienso que anda despachando esta mujer. (Si me vio por la ventana ¿quién duda que huyó por mí? ¿Tanto de ver se recata quien más servirla desea?)
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Salga doña Inés. LEONOR
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Ya sale. Mira que aguarda por la cuenta de la ropa Fabia. Aquí la traigo, hermana. Tomad, y haced que ese mozo la lleve. ¡Dichosa el agua que ha de lavar, doña Inés, las reliquias de la holanda que tales cristales cubre!
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Vi pagherà mia sorella. Se avete preso, signora, o se per caso vi piace qualcosa di queste qui – anche se saranno cose di poco conto che vende questa vecchia venerabile, non certo ricchi gioielli che siano degni di voi – dite e sono ai vostri ordini. Non abbiamo preso nulla; questa buona donna è colei che ci lava i panni di casa. Che fa don Pedro? È andato in campagna, sta per tornare. E donna Inés? Era qui... Penso sia andata a sbrigare questa donna. (Mi ha visto dalla finestra e per questo se ne è andata. È così restia a incontrare chi più brama di servirla?) Entra donna Inés.
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Eccola. Guarda che aspetta Fabia la lista dei panni. Sorella, l’ho qui con me. Prendete, e fate venire quel ragazzo a ritirarli. Felice, donna Inés, l’acqua che laverà le reliquie della fina tela che veste simili cristalli!
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Lea.
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«Seis camisas, diez toallas, cuatro tablas de manteles, dos cosidos de almohadas, seis camisas de señor, ocho sábanas...». Mas basta, que todo vendrá más limpio que los ojos de la cara. Amiga, ¿queréis feriarme ese papel, y la paga fïad de mí, por tener de aquellas manos ingratas letra siquiera en las mías? ¡En verdad que negociara muy bien si os diera el papel! Adiós, hijas de mi alma.
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Esta memoria aquí había de quedar, que no llevarla. Llévala y vuélvela, a efeto de saber si algo le falta. Mi padre ha venido ya. Vuesas mercedes se vayan o le visiten; que siente que nos hablen, aunque calla. Para sufrir el desdén que me trata de esta suerte, pido al amor y a la muerte que algún remedio me den. Al amor, porque tan bien puede templar tu rigor con hacerme algún favor; y a la muerte, porque acabe
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Legge.
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«Sei camicie, asciugamani dieci, più quattro tovaglie, due involti di biancheria, sei camicie del signore, otto lenzuola...». Ma basta, tutto verrà più pulito e splendente dei tuoi occhi. Amica, volete darmi quel foglio, e fissarne il prezzo, perché io possa almeno avere fra le mie mani uno scritto di quelle mani crudeli? Farei proprio un bel lavoro se vi dessi questo foglio! Addio, figlie del mio cuore. Se ne va.
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Quella lista dovevate tenerla, non darla a lei. La prende e poi la riporta per veder che nulla manchi. Mio padre è appena tornato. Le signorie vostre vadano, o passino a salutarlo; che anche se tace, è scontento che si venga a visitarci. Per sopportare il disprezzo che mi tratta in questo modo, chiedo all’amore e alla morte qualche rimedio. All’amore, perché potrebbe benissimo stemperar la tua freddezza ottenendomi un favore; e alla morte, che potrebbe 735
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
mi vida; pero no sabe la muerte, ni quiere amor. Entre la vida y la muerte no sé qué medio tener, pues amor no ha de querer que con tu favor acierte; y siendo fuerza quererte, quiere el amor que te pida que seas tú mi homicida. Mata, ingrata, a quien te adora; serás mi muerte, señora, pues no quieres ser mi vida. Cuanto vive, de amor nace y se sustenta de amor; cuanto muere, es un rigor que nuestras vidas deshace. Si al amor no satisface mi pena, ni la hay tan fuerte con que la muerte me acierte, debo de ser inmortal, pues no me hacen bien ni mal ni la vida ni la muerte.
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Vanse los dos. INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS
LEONOR
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¡Qué de necedades juntas! No fue la tuya menor. ¿Cuándo fue discreto amor, si del papel me preguntas? ¿Amor te obliga a escribir sin saber a quién? Sospecho que es invención que se ha hecho para probarme a rendir, de parte del forastero. Yo también lo imaginé.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
metter fine alla mia vita; ma la morte non sa farlo, e amore non vuole. Incerto sto tra la vita e la morte, perché amore non vorrà che io riceva il tuo favore; ma io non posso non amarti, e questo mi spinge a chiederti di esser tu a darmi la morte. Uccidi, ingrata, chi ti ama; sii la mia morte, signora, se non vuoi esser la mia vita. Quanto vive, dall’amore nasce e si nutre d’amore; quanto muore, è per freddezza che disfa le nostre vite. Se all’amore non soddisfa la mia pena, e non è forte tanto da darmi la morte, devo essere immortale, giacché né vita né morte mi fanno bene né male. Se ne vanno. INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS
LEONOR
Che cumulo di sciocchezze! Anche tu ne hai fatta una. Quando mai l’amore è saggio, se lo dici per la lettera? E Amore ti spinge a scrivere senza sapere a chi? Penso sia stato uno stratagemma per provare a farmi cedere, da parte del forestiero. Anch’io l’avevo supposto.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO INÉS
Si fue ansí, discreto fue. Leerte unos versos quiero. Lea.
LEONOR INÉS LEONOR INÉS
LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR
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«Yo vi la más hermosa labradora, en la famosa feria de Medina, que ha visto el sol adonde más se inclina desde la risa de la blanca aurora. Una chinela de color, que dora de una columna hermosa y cristalina la breve basa, fue la ardiente mina que vuela el alma a la región que adora. Que una chinela fuese vitoriosa, siendo los ojos del Amor enojos, confesé por hazaña milagrosa. Pero díjele, dando los despojos: “Si matas con los pies, Inés hermosa, ¿qué dejas para el fuego de tus ojos?”». Este galán, doña Inés, te quiere para danzar. Quiere en los pies comenzar, y pedir manos después. ¿Qué respondiste? Que fuese esta noche por la reja del güerto. ¿Quién te aconseja, o qué desatino es ése? No para hablarle. Pues, ¿qué? Ven conmigo y lo sabrás. Necia y atrevida estás. ¿Cuándo el amor no lo fue? Huir de amor cuando empieza...
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO INÉS
Se è così, è stato ingegnoso. Voglio leggerti dei versi. Legge.
LEONOR INÉS LEONOR INÉS
LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR
«Alla famosa fiera di Medina io vidi la più bella campagnola che abbia mai visto il sole, da occidente fin dove sorge il riso dell’aurora. Uno scarpino colorato che orna di una colonna bella e cristallina la stretta base, fu la miccia accesa che ha fatto esploder l’anima al suo cielo. Che la vittoria andasse a uno scarpino, mentre son gli occhi l’arma dell’Amore, conobbi essere impresa prodigiosa. E le dissi, porgendole le spoglie: “Se con i piedi uccidi, bella Inés, che cosa lasci al fuoco dei tuoi occhi?”». Quest’innamorato, Inés, ti vuole per fare un ballo. Dai piedi vuole iniziare per poi chiedere le mani. Che hai risposto? Che stanotte venga accanto all’inferriata del giardino. Cos’hai in mente, e che sciocchezza è mai questa? Non per parlargli. E per cosa? Vieni con me e lo saprai. Sei sciocca e poco prudente. Sono i vizi dell’amore. Fuggi l’amore all’inizio...
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO INÉS
Nadie del primero huye, porque dicen que le influye la misma Naturaleza.
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Vanse. Salen don Alonso, Tello y Fabia. FABIA TELLO FABIA ALONSO TELLO
FABIA TELLO
FABIA
ALONSO
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Cuatro mil palos me han dado. ¡Lindamente negociaste! Si tú llevaras los medios... Ello ha sido disparate que yo me atreviese al cielo. Y que Fabia fuese el ángel que al infierno de los palos cayese por levantarte. ¡Ay, pobre Fabia! ¿Quién fueron los crueles sacristanes del facistol de tu espalda? Dos lacayos y tres pajes. Allá he dejado las tocas y el monjil hecho seis partes. Eso, madre, no importara, si a tu rostro venerable no se hubieran atrevido. ¡Oh, qué necio fui en fiarme de aquellos ojos traidores, de aquellos falsos diamantes, niñas que me hicieron señas para engañarme y matarme! Yo tengo justo castigo. Toma este bolsillo, madre,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO INÉS
Nessuno fugge il suo primo, che gli dà forza la stessa Natura, così si dice. Se ne vanno. Entrano don Alonso, Tello e Fabia.
FABIA TELLO FABIA ALONSO TELLO
FABIA TELLO
FABIA
ALONSO
Quattromila bastonate mi han dato. Bella ambasciata! Te ne fossero toccate la metà... È stata follia l’avere aspirato al cielo. E che Fabia fosse l’angelo che, per portarti lassù, precipitasse all’inferno delle legnate. Ahimè, povera Fabia! Ma chi sono stati i crudeli sagrestani del leggio delle tue spalle? Tre paggi con due lacchè. In più ci ho lasciato i veli e il saio fatto in sei pezzi. Madre, ciò sarebbe il meno, se il tuo viso venerabile avessero rispettato. Oh, che stupido son stato a fidarmi di quegli occhi traditori, di quei falsi diamanti, quelle pupille che mi han fatto cenno solo per ingannarmi ed uccidermi! Ricevo il giusto castigo. Prendi questa borsa, madre; 741
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
TELLO ALONSO FABIA
ALONSO FABIA ALONSO FABIA ALONSO TELLO
y ensilla, Tello, que a Olmedo nos hemos de ir esta tarde. ¿Cómo, si anochece ya? Pues, ¿qué? ¿Quieres que me mate? No te aflijas, moscatel, ten ánimo, que aquí trae Fabia tu remedio. Toma. ¿Papel? Papel. No me engañes. Digo que es suyo, en respuesta de tu amoroso romance. Hinca, Tello, la rodilla. Sin leer no me lo mandes; que aun temo que hay palos dentro, pues en mondadientes caben.
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Lea. ALONSO
«Cuidadosa de saber si sois quien presumo, y deseando que lo seáis, os suplico que vais esta noche a la reja del jardín de esta casa, donde hallaréis atado el listón verde de las chinelas, y ponéosle mañana en el sombrero para que os conozca».
FABIA
¿Qué te dice? Que no puedo pagarte ni encarecerte tanto bien. Ya de esta suerte no hay que ensillar para Olmedo. ¿Oyen, señores rocines? Sosiéguense, que en Medina nos quedamos.
ALONSO
TELLO
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
TELLO ALONSO FABIA
ALONSO FABIA ALONSO FABIA ALONSO TELLO
Tello, tu sella i cavalli, che ce ne torniamo a Olmedo. Come, se è già quasi notte? E cosa vuoi, che mi uccida? Non ti affliggere, pivello, stai di buon animo: Fabia ha qui con sé il tuo rimedio. Prendi. Un biglietto? Un biglietto. Ti prego, non mi ingannare. Dico che è suo, in risposta al tuo amoroso poema. Tello, mettiti in ginocchio. Non prima di averlo letto; temo ancora che contenga legnate, ché son di legno anche gli stuzzicadenti. Legge.
ALONSO
FABIA ALONSO
TELLO
«Preoccupata di sapere se siete colui che penso, e desiderosa che lo siate, vi supplico di venire questa notte alla ringhiera del giardino di questa casa, alla quale troverete legato il nastro verde degli scarpini, che metterete domani sul vostro cappello perché io possa riconoscervi». Che ti dice? Che non posso pagarti né ringraziarti a sufficienza di tanto bene. E dunque non dobbiamo partire più per Olmedo. Visto, signori ronzini? Tranquilli, che rimaniamo qui a Medina. 743
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO ALONSO
La vecina noche en los últimos fines con que va expirando el día pone los helados pies. Para la reja de Inés aún importa bizarría; que podría ser que amor la llevase a ver tomar la cinta. Voyme a mudar.
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Vase. TELLO
FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA
TELLO FABIA
TELLO FABIA TELLO
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Y yo a dar a mi señor, Fabia, con licencia tuya, aderezo de sereno. Detente. Eso fuera bueno a ser la condición suya para vestirse sin mí. Pues bien le puedes dejar, porque me has de acompañar. ¿A ti, Fabia? A mí. ¿Yo? Sí; que importa a la brevedad de este amor. ¿Qué es lo que quieres? Con los hombres, las mujeres llevamos seguridad. Una muela he menester del salteador que ahorcaron ayer. Pues, ¿no le enterraron? No. Pues, ¿qué quieres hacer?
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO ALONSO
La vicina notte coi piedi di ghiaccio calpesta i confini ultimi del giorno che sta spirando. Per andare all’inferriata devo esser ben vestito; che amore potrebbe spingere Inés a vedermi prendere il nastro. Vado a cambiarmi. Se ne va.
TELLO
FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA
TELLO FABIA
TELLO FABIA TELLO
Ed io a dare al mio signore, Fabia, se mi dai licenza, quel che serve per uscire alla fredda aria notturna. Resta qui. Lo potrei fare se lui fosse abituato a vestirsi senza aiuto. E invece lo puoi lasciare, perché devi accompagnarmi. Io accompagnarti? Tu, sì; che importa alla speditezza di questo amore. Che vuoi? È che noi donne, con gli uomini, ci sentiamo più sicure. Ho bisogno di un molare del ladro che hanno impiccato ieri. Non l’hanno sepolto? No. E che cosa vuoi fare?
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
Ir por ella, y que conmigo vayas solo [a] acompañarme. Yo sabré muy bien guardarme de ir a esos pasos contigo. ¿Tienes seso? Pues, gallina, adonde yo voy, ¿no irás? Tú, Fabia, enseñada estás a hablar al diablo. Camina. Mándame a diez hombres juntos temerario acuchillar, y no me mandes tratar en materia de difuntos. Si no vas, tengo de hacer que él propio venga a buscarte. ¿Que tengo de acompañarte? ¿Eres demonio o mujer? Ven, llevarás la escalera; que no entiendes de estos casos. Quien sube por tales pasos, Fabia, el mismo fin espera.
FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
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Salen don Fernando y don Rodrigo, en hábito de noche. FERNANDO RODRIGO
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¿De qué sirve inútilmente venir a ver esa casa? Consuélase entre estas rejas, don Fernando, mi esperanza. Tal vez sus hierros guarnece cristal de sus manos blancas; donde las pone de día, pongo yo de noche el alma; que cuanto más doña Inés con sus desdenes me mata, tanto más me enciende el pecho,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
Andare a prenderlo, e tu devi solo accompagnarmi. Io non ci penso neppure a andar con te in posti simili. Ma sei matta? Sor coniglio, io ci vado, e tu non puoi? Tu, Fabia, sei avvezza al diavolo, e a parlarci. Su, cammina. Chiedimi di tener testa a dieci uomini da solo, ma non di andare a immischiarmi nelle faccende dei morti. Se non vieni, farò in modo che il morto venga a cercarti. Quindi devo accompagnarti? Ma sei un diavolo o una donna? Vieni, porterai la scala; tanto non sai fare altro. Chi sale per quei gradini, Fabia, farà quella fine.
FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
Entrano don Fernando e don Rodrigo, vestiti per uscir di sera. FERNANDO RODRIGO
A che serve inutilmente venire qui a questa casa? Si consola a queste sbarre, Fernando, la mia speranza. A volte adorna quei ferri il cristallo delle sue bianche mani; dove lei le mette di giorno, io metto di notte la mia anima; che quanto più donna Inés mi uccide col suo disprezzo, tanto più mi accende il petto, 747
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
así su nieve me abrasa. ¡Oh rejas, enternecidas de mi llanto, quién pensara que un ángel endureciera quien vuestros hierros ablanda! ¡Oíd! ¿Qué es lo que está aquí? En ellos mismos atada está una cinta o listón. Sin duda las almas atan a estos hierros, por castigo de los que su amor declaran. Favor fue de mi Leonor: tal vez por aquí me habla. Que no lo será de Inés dice mi desconfianza; pero, en duda de que es suyo, porque sus manos ingratas pudieron ponerle acaso, basta que la fe me valga. Dadme el listón. No es razón, si acaso Leonor pensaba saber mi cuidado ansí, y no me le ve mañana. Un remedio se me ofrece. ¿Cómo? Partirle. ¿A qué causa? A que las dos nos le vean, y sabrán con esta traza que habemos venido juntos. Gente por la calle pasa. Salen don Alonso y Tello, de noche.
TELLO
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Llega de presto a la reja; mira que Fabia me aguarda
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
e la sua neve mi brucia. Oh inferriate, intenerite dal mio pianto, chi pensava che un angelo fosse duro con chi scioglie i vostri ferri! Ma guardate! Che c’è qui? Proprio a quei ferri è legata una fettuccia od un nastro. Saranno anime legate alle inferriate, in castigo di chi dichiara il suo amore. Sarà un dono di Leonor: che a volte da qui mi parla. La mia sfiducia mi dice che di Inés non sarà certo; ma, nel caso fosse suo, poiché le sue mani ingrate potrebbero averlo messo, io comunque voglio crederlo. Datemi il nastro. Non voglio: magari Leonor pensava di provar così il mio amore, e se poi non me lo vede... Ho pensato come fare. Come? Lo divideremo. Perché? Entrambe lo vedranno e sapranno in questo modo che lo abbiamo preso insieme. Qualcuno passa di qui.
Entrano in scena don Alonso e Tello, vestiti per uscir di sera. TELLO
Vai subito all’inferriata; guarda che Fabia mi aspetta 749
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO
TELLO ALONSO TELLO ALONSO
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para un negocio que tiene de grandísima importancia. ¿Negocio Fabia esta noche contigo? Es cosa muy alta. ¿Cómo? Yo llevo escalera, y ella... ¿Qué lleva? Tenazas. Pues, ¿qué habéis de hacer? Sacar una dama de su casa. Mira lo que haces, Tello; no entres adonde no salgas. No es nada, por vida tuya. Una doncella, ¿no es nada? Es la muela del ladrón que ahorcaron ayer. Repara en que acompañan la reja dos hombres. ¿Si están de guarda? ¡Qué buen listón! Ella quiso castigarte. ¿No buscara, si fui atrevido, otro estilo? Pues advierta que se engaña. Mal conoce a don Alonso, que por excelencia llaman «el caballero de Olmedo». ¡Vive Dios, que he de mostrarla a castigar de otra suerte a quien la sirve!
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO
TELLO ALONSO TELLO ALONSO
che la aiuti in un affare di grandissima importanza. Affare Fabia stanotte con te! È una cosa elevata. Cioè? Io porto la scala, e lei... E lei? Le tenaglie. E che è che fate? Strappiamo una dama alla sua casa. Tello, attento: non entrare dove non puoi più riuscire. Non è niente, te lo giuro. Non è niente, una fanciulla? È il molare di quel ladro impiccato ieri. Osserva, due uomini stanno accanto all’inferriata. Di guardia? Che bel nastro! Ti ha voluto punire. Avrebbe potuto dirmelo diversamente, se son stato troppo audace. Ma vedrà che si è sbagliata. Non conosce don Alonso, che per eccellenza chiamano «il cavaliere di Olmedo». Vivaddio, le insegnerò a punire in altro modo chi la serve!
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO TELLO ALONSO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
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No hagas algún disparate. Hidalgos, en las rejas de esa casa nadie se arrima. ¿Qué es esto? Ni en el talle ni en el habla conozco este hombre. ¿Quién es el que con tanta arrogancia se atreve a hablar? El que tiene por lengua, hidalgos, la espada. Pues hallará quien castigue su locura temeraria. Cierra, señor; que no son muelas que a difuntos sacan.
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Retírenlos. ALONSO TELLO ALONSO
No los sigas. Bueno está. Aquí se quedó una capa. Cógela y ven por aquí; que hay luces en las ventanas.
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Salen doña Leonor y doña Inés. INÉS
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Apenas la blanca aurora, Leonor, el pie de marfil puso en las flores de abril que pinta, esmalta y colora, cuando a mirar el listón salí, de amor desvelada, y con la mano turbada
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO TELLO ALONSO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
ALONSO RODRIGO TELLO
Ora non fare qualche sciocchezza. Signori, nessuno deve accostarsi alle inferriate di questa casa. Che cosa succede? Di quest’uomo non conosco figura né accento. Chi è che osa parlare con tanta arroganza? Chi ha per lingua, signori, la propria spada. Troverà chi sa punire la sua follia temeraria. Addosso, signore; questi non son denti di defunto. Li mettono in fuga.
ALONSO TELLO ALONSO
Non inseguirli, va bene così. Hanno perso un mantello. Prendilo e vieni con me, che c’è luce alle finestre. Entrano donna Leonor e donna Inés.
INÉS
Appena la bianca aurora, Leonor, sui fiori d’aprile ha messo il piede d’avorio, colorandoli e smaltandoli, sono uscita per vedere se c’era il nastro, che amore mi aveva tenuto sveglia, e con la mano turbata 753
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
LEONOR INÉS LEONOR
INÉS
di sosiego al corazón. En fin, él no estaba allí. Cuidado tuvo el galán. No tendrá los que me dan sus pensamientos a mí. Tú, que fuiste el mismo hielo, ¿en tan breve tiempo estás de esa suerte? No sé más de que me castiga el cielo. O es venganza o es vitoria de Amor en mi condición; parece que el corazón se me abrasa en su memoria: un punto solo no puedo apartarla dél. ¿Qué haré?
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Sale don Rodrigo, con el listón en el sombrero. RODRIGO
INÉS
RODRIGO INÉS LEONOR
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(Nunca, amor, imaginé que te sujetara el miedo. Ánimo para vivir, que aquí está Inés.) Al señor don Pedro busco. Es error tan de mañana acudir, que no estará levantado. Es un negocio importante. (No he visto tan necio amante. Siempre es discreto lo amado, y necio lo aborrecido.)
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
LEONOR INÉS LEONOR
INÉS
ho tranquillizzato il cuore. Il nastro non c’era più. Puntuale, il tuo innamorato: si è dato pena di prenderlo. Mai come quelle che io provo quando penso a lui. Tu, che eri fatta di ghiaccio, così in breve a questo punto ti sei ridotta? So solo che il cielo mi ha castigato. Che sia vendetta o vittoria dell’Amore su di me, mi sembra che il cuore bruci pensando a lui: neanche un attimo riesco ad allontanarlo dal pensiero. Che farò? Entra don Rodrigo, con il nastro sul cappello.
RODRIGO
INÉS
RODRIGO INÉS LEONOR
(Mai, amore, avrei immaginato ti bloccasse la paura. Abbi il coraggio di vivere, che Inés è qui). Sto cercando il signor don Pedro. Sbaglia a cercarlo così presto. Non si sarà ancora alzato. È una questione importante. (Mai visto un innamorato più stupido. È sempre stupido chi si odia, e intelligente chi si ama.)
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO RODRIGO
INÉS
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(¿Que de ninguna manera puedo agradar una fiera ni dar memoria a su olvido?) (¡Ay, Leonor! No sin razón viene don Rodrigo aquí, si yo misma le escribí que fuese por el listón. Fabia este engaño te ha hecho. Presto romperé el papel; que quiero vengarme en él de que ha dormido en mi pecho.)
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Salen don Pedro, su padre, y don Fernando. FERNANDO PEDRO FERNANDO PEDRO FERNANDO PEDRO RODRIGO INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR
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Hame puesto por tercero para tratarlo con vos. Pues hablaremos los dos en el concierto, primero. Aquí está; que siempre amor es reloj anticipado. Habrále Inés concertado con la llave del favor. De lo contrario se agravia. Señor don Rodrigo... Aquí vengo a que os sirváis de mí. (Todo fue enredo de Fabia. ¿Cómo? ¿No ves que también trae el listón don Fernando? Si en los dos le estoy mirando, entrambos te quieren bien. Solo falta que me pidas celos, cuando estoy sin mí. ¿Qué quieren tratar aquí?
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
(Che io non riesca in alcun modo a piacere a questa crudele, e a dare memoria al suo oblio di me?) (Ah, Leonor! Non ha poi torto a venir qui don Rodrigo, se son stata io stessa a scrivergli di andare a prendere il nastro. È Fabia che ti ha ingannato. Strappo subito il biglietto, come vendetta perché ha dormito sul mio petto.)
RODRIGO
INÉS
LEONOR INÉS
Entrano don Pedro, padre delle dame, e don Fernando. FERNANDO PEDRO FERNANDO PEDRO FERNANDO PEDRO RODRIGO INÉS LEONOR INÉS LEONOR INÉS LEONOR
Mi ha fatto suo intermediario per discuterne con voi. Allora parliamo prima dei termini dell’accordo. Sta già qui, che sempre amore ha l’orologio in anticipo. L’avrà regolato Inés con la chiave del favore. Si lamenta del contrario. Signor don Rodrigo... Eccomi, sono qui al vostro servizio. (È stato tutto un imbroglio di Fabia. Come? Non vedi che anche don Fernando ha il nastro? Se ce l’hanno tutti e due, è che tutti e due ti amano. Ci manca che sei gelosa, mentre io son fuori di me. Che sono venuti a fare? 757
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO INÉS
LEONOR INÉS
PEDRO
RODRIGO PEDRO
¿Ya las palabras olvidas que dijo mi padre ayer en materia de casarme? Luego bien puede olvidarme Fernando, si él viene a ser. Antes presumo que son entrambos los que han querido casarse, pues han partido entre los dos el listón.) Esta es materia que quiere secreto y espacio. Entremos donde mejor la tratemos. Como yo ser vuestro espere, no tengo más que tratar. Aunque os quiero enamorado de Inés, para el nuevo estado quien soy os ha de obligar.
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Vanse los tres. INÉS
¡Qué vana fue mi esperanza! ¡Qué loco mi pensamiento! ¡Yo papel a don Rodrigo! ¡Y tú de Fernando celos! ¡Oh forastero enemigo!
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Sale Fabia.
FABIA INÉS FABIA
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¡Oh Fabia embustera! Quedo; que lo está escuchando Fabia. Pues, ¿cómo, enemiga, has hecho un enredo semejante? Antes fue tuyo el enredo, si en aquel papel escribes que fuese aquel caballero
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO INÉS
LEONOR INÉS
PEDRO
RODRIGO
PEDRO
Ti sei già dimenticata di quel che ha detto mio padre ieri, sul mio matrimonio? Allora potrebbe essere Fernando, che mi dimentica. Anzi suppongo che entrambi voglian sposarsi, e per questo si sono divisi il nastro.) Questo è un tema che richiede riserbo e tempo; di là potremo parlarne meglio. Se posso sperare di essere vostro, non mi è necessario discutere di nient’altro. Anche se sono contento di vedervi innamorato di Inés, per il matrimonio il rango impone degli obblighi. Escono.
INÉS
Che fuggevole speranza! Che pensieri folli! Io un biglietto a don Rodrigo! Tu gelosa di Fernando! Oh forestiero crudele! Entra Fabia. Oh Fabia imbrogliona!
FABIA INÉS FABIA
Zitta, che Fabia è qui che ti sente. Come hai potuto, crudele, fare un imbroglio del genere? L’imbroglio l’hai fatto tu, che scrivi a quel cavaliere
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
INÉS
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por un listón de esperanza a las rejas de tu güerto, y en ellas pones dos hombres que le maten, aunque pienso que a no se haber retirado pagaran su loco intento. ¡Ay, Fabia! Ya que contigo llego a declarar mi pecho, ya que a mi padre, a mi estado y a mi honor pierdo el respeto, dime, ¿es verdad lo que dices? Que siendo ansí, los que fueron a la reja le tomaron, y por favor se le han puesto. De suerte estoy, madre mía, que no puedo hallar sosiego si no es pensando en quien sabes. (¡Oh, qué bravo efeto hicieron los hechizos y conjuros! La vitoria me prometo.) No te desconsueles, hija; vuelve en ti, que tendrás presto estado con el mejor y más noble caballero que agora tiene Castilla; porque será por lo menos el que por único llaman «el caballero de Olmedo». Don Alonso en un feria te vio, labradora Venus, haciendo las cejas arco y flechas los ojos bellos. Disculpa tuvo en seguirte, porque dicen los discretos que consiste la hermosura
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
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di andare a prendere un nastro di speranza alle inferriate del tuo giardino, e ci metti due uomini per ucciderlo, anche se credo che avrebbero pagato quel folle intento se non fossero fuggiti. Ah Fabia! Giacché ti ho aperto il mio cuore, giacché ho perso il rispetto per mio padre, per il mio stato e il mio onore, dimmi, è vero quel che dici? Se è così, si son recati alle inferriate, l’han preso e l’han messo come segno di favore. Madre mia, non riesco a trovare pace, se non pensando a chi sai. (Oh, che grande effetto han fatto incantesimi e scongiuri! Già intravedo la vittoria.) Non ti disperare, figlia; torna in te, che sarai sposa al più presto del migliore, più nobile cavaliere che esista oggi in Castiglia; tanto è vero che lo chiamano «il cavaliere di Olmedo» per eccellenza. Ti vide don Alonso in una festa: tu, Venere contadina, usavi le sopracciglia come arco, gli occhi belli come frecce. È comprensibile che ti abbia seguito, se dice chi ne sa di più che la bellezza è questione 761
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
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en ojos y entendimiento. En fin, en las verdes cintas de tus pies llevastes presos los suyos; que ya el Amor no prende por los cabellos. Él te sirve, tú le estimas; él te adora, tú le has muerto; él te escribe, tú respondes; ¿quién culpa amor tan honesto? Para él tienen sus padres, porque es único heredero, diez mil ducados de renta; y aunque es tan mozo, son viejos. Déjate amar y servir del más noble, del más cuerdo caballero de Castilla, lindo talle, lindo ingenio. El rey en Valladolid grandes mercedes le ha hecho, porque él solo honró las fiestas de su real casamiento. Cuchilladas y lanzadas dio en los toros como un Héctor; treinta precios dio a las damas en sortijas y torneos. Armado, parece Aquiles mirando de Troya el cerco; con galas, parece Adonis – mejor fin le den los cielos! – Vivirás bien empleada en un marido discreto. ¡Desdichada de la dama que tiene marido necio! ¡Ay, madre! Vuélvesme loca. Pero, ¡triste!, ¿cómo puedo
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
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di occhi e di intelligenza. Insomma, coi verdi nastri dei tuoi piedi imprigionasti i suoi; perché ormai l’Amore non cattura coi capelli. Lui ti serve, tu lo apprezzi; lui ti adora, tu l’hai ucciso; lui ti scrive, tu rispondi; chi potrebbe mai incolpare un amore così onesto? Hanno in serbo i genitori, per lui che è l’unico erede, una ricchissima rendita; son vecchi, e lui tanto giovane. Lasciati amare e servire dal più nobile, il più saggio cavaliere di Castiglia, bell’aspetto, bell’ingegno. A Valladolid il re grandi mercedi gli ha fatto, per avere dato lustro lui solo, ai festeggiamenti per le sue nozze regali. Colpi di spada e di lancia diede ai tori, come un Ettore; e trenta premi alle dame agli anelli e nei tornei. In armi, sembra un Achille che guarda Troia assediata; vestito di gala, Adone – possa però finir meglio! – Sarai la sposa felice di un marito intelligente. Sfortunata quella dama cui tocca un marito sciocco! Ah, madre! Mi fai impazzire. Povera me! Come faccio 763
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO PRIMERO
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ser suya, si a don Rodrigo me da mi padre don Pedro? Él y don Fernando están tratando mi casamiento. Los dos harán nulidad la sentencia de ese pleito. Está don Rodrigo allí. Esto no te cause miedo, pues es parte y no jüez. Leonor, ¿no me das consejo? Y ¿estás tú para tomarle? No sé; pero no tratemos en público de estas cosas. Déjame a mí tu suceso. Don Alonso ha de ser tuyo; que serás dichosa, espero, con hombre que es en Castilla la gala de Medina, la flor de Olmedo.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO PRIMO
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ad esser sua, se mio padre mi dà in sposa a don Rodrigo? Lui e don Fernando discutono ora del mio matrimonio. Non importa, annulleranno la sentenza del processo. Ma don Rodrigo sta lì. Non ti deve far paura, che è parte in causa, non giudice. Leonor, tu non mi consigli? Perché, tu mi ascolteresti? Non lo so, ma non parliamo di queste questioni in pubblico. Lascia fare tutto a me. Don Alonso sarà tuo; e spero sarai felice con un uomo che è in Castiglia la gala di Medina, di Olmedo il fiore.
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ACTO SEGUNDO Salen Tello y don Alonso. ALONSO TELLO
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Tengo el morir por mejor, Tello, que vivir sin ver. Temo que se ha de saber este tu secreto amor; que con tanto ir y venir de Olmedo a Medina, creo que a los dos da tu deseo que sentir, y aun que decir. ¿Cómo puedo yo dejar de ver a Inés, si la adoro? Guardándole más decoro en el venir y el hablar; que en ser a tercero día, pienso que te dan, señor, tercianas de amor. Mi amor ni está ocioso, ni se enfría; siempre abrasa, y no permite que esfuerce naturaleza un instante su flaqueza, porque jamás se remite. Mas bien se ve que es león Amor; su fuerza, tirana; pues que con esta cuartana se amansa mi corazón. Es esta ausencia una calma de amor, porque si estuviera adonde siempre a Inés viera, fuera salamandra el alma. ¿No te cansa y te amohína tanto entrar, tanto partir?
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ATTO SECONDO Entrano Tello e don Alonso. ALONSO TELLO
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Mi sembra meglio la morte, che viver senza vederla. Temo che si sappia in giro questo tuo amore segreto; che con tanti andirivieni da Olmedo a Medina, credo che ad entrambe le città il tuo desiderio spiaccia e faccia anche sparlare. Come posso fare a meno di vedere Inés, che adoro? Essendo più riguardoso nel parlarle e farle visita; che, essendo oggi il terzo giorno, penso, signore, che hai febbri terzane d’amore. Il mio amore non sta quieto né si raffredda, ma brucia sempre; e neanche un momento la natura gli permette di essere un po’ meno debole, dato che ha sempre la febbre. Ma è vero, Amore è un leone, e la sua forza tirannica, poiché con questa quartana il mio cuore indebolisce. E questa assenza è bonaccia d’amore, perché se stessi sempre in presenza di Inés la mia anima sarebbe uguale a una salamandra. Non ti stancano e deprimono tutti questi andirivieni? 767
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Pues yo, ¿qué hago en venir, Tello, de Olmedo a Medina? Leandro pasaba un mar todas las noches, por ver si le podía beber para poderse templar; pues si entre Olmedo y Medina no hay, Tello, un mar, ¿qué me debe Inés? A otro mar se atreve quien al peligro camina en que Leandro se vio; pues a don Rodrigo veo tan cierto de tu deseo como puedo estarlo yo; que, como yo no sabía cúya aquella capa fue, un día que la saqué... ¡Gran necedad! Como mía. ...me preguntó: «Diga, hidalgo, ¿quién esta capa le dio? Porque la conozco yo.» Respondí: «Si os sirve en algo, daréla a un criado vuestro.» Con esto, descolorido, dijo: «Habíala perdido de noche un lacayo nuestro; pero mejor empleada está en vos. Guardadla bien.» Y fuese a medio desdén, puesta la mano en la espada. Sabe que te sirvo, y sabe que la perdió con los dos. Advierte, señor, por Dios, que toda esta gente es grave,
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Tello, cosa sarà mai viaggiar da Olmedo a Medina? Leandro passava un braccio di mare tutte le notti, quasi lo potesse bere per calmare un po’ il suo fuoco; e se tra Olmedo e Medina non c’è nessun mare, Tello, che cosa mi deve Inés? È affrontare un altro mare esporsi allo stesso rischio che fu fatale a Leandro; perché vedo don Rodrigo certo del tuo desiderio come posso esserlo io; che, visto che non sapevo di chi fosse quel mantello, un giorno che l’indossavo... Grande sciocchezza! Io son sciocco. ...mi chiese: «Signore, dite, chi vi ha dato quel mantello? Perché io lo riconosco». Risposi: «Se può servirvi, lo darò a un vostro domestico». Impallidì alla risposta e disse: «L’aveva perso una notte un nostro servo, ma voi lo portate meglio; abbiatevelo da conto». E se ne andò disdegnoso, con la mano sulla spada. Sa che ti servo e sa pure che è scontrandosi con noi che l’ha perso. Fa’ attenzione, per amor di Dio, signore, che questi son tutti nobili, 769
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y que están en su lugar, donde todo gallo canta. Sin esto, también me espanta ver este amor comenzar por tantas hechicerías, y que cercos y conjuros no son remedios seguros si honestamente porfías. Fui con ella, que no fuera, a sacar de un ahorcado una muela; puse a un lado, como Arlequín, la escalera. Subió Fabia, quedé al pie, y díjome el salteador: «Sube, Tello, sin temor, o si no, yo bajaré.» ¡San Pablo! Allí me caí. Tan sin alma vine al suelo, que fue milagro del cielo el poder volver en mí. Bajó, desperté turbado y de mirarme afligido, porque, sin haber llovido, estaba todo mojado. Tello, un verdadero amor en ningún peligro advierte. Quiso mi contraria suerte que hubiese competidor, y que trate, enamorado, casarse con doña Inés; pues, ¿qué he de hacer, si me ves celoso y desesperado? No creo en hechicerías, que todas son vanidades; quien concierta voluntades son méritos y porfías. Inés me quiere, yo adoro
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e qui stanno a casa loro, dove hanno voce in capitolo. Oltre a questo, mi spaventa che questo amore cominci con tante stregonerie: cerchi magici e scongiuri non sono mezzi sicuri se hai intenzioni oneste. Andai con Fabia – malanno! – a togliere a un impiccato un dente; come Arlecchino le accostai a un lato la scala. Fabia salì, io stavo giù e così disse il bandito: «Tello, non aver paura, sali, se no scendo io». E, San Paolo! ecco che cado. I sensi mi abbandonarono al punto che fu un miracolo se riuscii a tornare in me. Scese Fabia, mi svegliai, turbato e afflitto a guardarmi, ché non aveva piovuto ma ero bagnato lo stesso. Tello, un amore sincero non fa caso dei pericoli. La mia sfortuna ha voluto che avessi un rivale, che, innamorato, desidera sposarsi con donna Inés; che devo mai fare, se son geloso e disperato? Non credo nella magia, son tutte superstizioni; a far nascere l’amore sono meriti e costanza. Inés mi ama, io adoro 771
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a Inés, yo vivo en Inés; todo lo que Inés no es desprecio, aborrezco, ignoro. Inés es mi bien; yo soy esclavo de Inés; no puedo vivir sin Inés; de Olmedo a Medina vengo y voy, porque Inés mi dueño es para vivir o morir. Solo te falta decir: «Un poco te quiero, Inés». ¡Plega a Dios que por bien sea! Llama, que es hora. Yo voy. ¿Quién es? ¡Tan presto! Yo soy. ¿Está en casa Melibea? Que viene Calisto aquí. Aguarda un poco, Sempronio. Sí haré, falso testimonio.
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Sale doña Inés. INÉS ANA INÉS ALONSO TELLO INÉS TELLO INÉS
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¿Él mismo? Señora, sí. ¡Señor mío! Bella Inés, esto es venir a vivir. Agora no hay que decir «Yo te lo diré después». ¡Tello amigo! ¡Reina mía! Nunca, Alonso de mis ojos, por haberme dado enojos esta ignorante porfía
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Inés, io vivo in Inés; tutto quel che non è Inés disprezzo, aborro ed ignoro. Inés è il mio bene; sono schiavo di Inés; non mi riesce viver senza Inés; da Olmedo a Medina vado e vengo, perché è Inés la mia signora per la vita e per la morte. Ci manca solo che dica: «Ti amo un pochino, Inés». Voglia Dio sia per il meglio! Bussa, che è ora. Va bene. Chi è? Così presto? Io. Melibea è in casa? Qui c’è il suo Calisto. Sempronio, aspetta un po’. Sì, bugiarda. Entra donna Inés.
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Proprio lui? Signora, sì. Mio signore! Bella Inés, ecco che ritorno a vivere. Adesso non puoi più dire: «te lo spiegherò più tardi». Tello, amico! Mia regina! Alonso degli occhi miei, l’insistenza inopportuna
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de don Rodrigo, esta tarde he estimado que me vieses. [................................................ .................................................] Aunque fuerza de obediencia te hiciese tomar estado, no he de estar desengañado hasta escuchar la sentencia. Bien el alma me decía, y a Tello se lo contaba cuando el caballo sacaba – y el sol los que aguarda el día –, que de alguna novedad procedía mi tristeza, viniendo a ver tu belleza, pues me dices que es verdad. ¡Ay de mí si ha sido ansí! No lo creas, porque yo diré a todo el mundo no, después que te dije sí. Tú solo dueño has de ser de mi libertad y vida; no hay fuerza que el ser impida, don Alonso, tu mujer. Bajaba al jardín ayer, y como por don Fernando me voy de Leonor guardando, a las fuentes, a las flores estuve diciendo amores, y estuve también llorando. «Flores y aguas – les decía – dichosa vida gozáis, pues, aunque noche pasáis, veis vuestro sol cada día». Pensé que me respondía la lengua de una azucena
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di Rodrigo mi faceva questa sera disperare che tu venissi a trovarmi. [.......................................... ...........................................] Anche se ti costringesse la forza dell’obbedienza non perderei la speranza fino a vederti sposata. Non a caso mi diceva il cuore, e dicevo a Tello, mentre prendevo il cavallo – e preparava i suoi il sole –, che se nel venir da te mi affliggeva la tristezza doveva esserci un motivo, e tu mi dici che è vero. Me infelice, se è così! Non pensare questo, che io dirò di no a tutti quanti dopo aver detto sì a te. La mia vita e libertà saranno soltanto tue; nessuno potrà impedire, Alonso, che io sia tua moglie. Ieri stavo giù in giardino, e poiché, per don Fernando, diffido ormai di Leonor, alle fontane ed ai fiori dicevo frasi d’amore e nel frattempo piangevo. «Fiori ed acque – gli dicevo – felici voi, che vedete ogni giorno il vostro sole dopo il buio della notte». Pensai che mi rispondesse un giglio queste parole 775
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– ¡qué engaños amor ordena! –: «Si el sol que adorando estás viene de noche, que es más, Inés, ¿de qué tienes pena?» Así dijo a un ciego un griego que le contó mil disgustos: «Pues tiene la noche gustos, para qué te quejas, ciego?» Como mariposa llego a estas horas, deseosa de tu luz... no mariposa, fénix ya, pues de una suerte me da vida y me da muerte llama tan dulce y hermosa. ¡Bien haya el coral, amén, de cuyas hojas de rosas palabras tan amorosas salen a buscar mi bien! Y advierte que yo también, cuando con Tello no puedo, mis celos, mi amor, mi miedo digo en tu ausencia a las flores. Yo le vi decir amores a los rábanos de Olmedo; que un amante suele hablar con las piedras, con el viento. No puede mi pensamiento ni estar solo ni callar; contigo, Inés, ha de estar, contigo hablar y sentir. ¡Oh, quién supiera decir lo que te digo en ausencia! Pero estando en tu presencia aun se me olvida el vivir. Por el camino le cuento tus gracias a Tello, Inés, y celebramos después
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– amore fa vaneggiare –: «Se il sole che ti innamora viene di notte, che è meglio, di che cosa piangi, Inés?». Così disse un greco a un cieco che i suoi crucci riferiva: «Se la notte ha i suoi piaceri, perché ti lamenti, cieco?». Come una farfalla volo a queste ore, anelando la tua luce... non farfalla, fenice, che al tempo stesso mi dà la vita e la morte fiamma così dolce e bella. Benedetto quel corallo dai cui petali di rosa escono a farmi del bene parole così amorose! E considera che anch’io, quando non parlo con Tello, gelosia, paura e amore dico, in tua assenza, ai fiori. Gli ho visto dire parole d’amore ai cardi di Olmedo; che un innamorato parla con le pietre, con il vento. Il mio pensiero non riesce né a star solo né a tacere; Inés, con te deve stare, con te parlare e sentire. Oh, riuscissi a dirti cosa ti dico quando son solo! Ma quando sono con te dimentico anche di vivere. Per la strada a Tello parlo delle tue bellezze, Inés, e poi lodiamo la tua 777
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tu divino entendimiento. Tal gloria en tu nombre siento, que una mujer recibí de tu nombre, porque ansí, llamándola todo el día, pienso, Inés, señora mía, que te estoy llamando a ti. Pues advierte, Inés discreta, de los dos tan nuevo efeto, que a él le has hecho discreto, y a mí me has hecho poeta. Oye una glosa a un estribo que compuso don Alonso a manera de responso, si los hay en muerto vivo. En el valle a Inés la dejé riendo. Si la ves, Andrés, dile cuál me ves por ella muriendo. ¿Don Alonso la compuso? Que es buena jurarte puedo, para poeta de Olmedo. Escucha. Amor lo dispuso. Andrés, después que las bellas plantas de Inés goza el valle, tanto florece con ellas que quiso el cielo trocalle por sus flores sus estrellas. Ya el valle es cielo, después que su primavera es, pues verá el cielo en el suelo quien vio, pues Inés es cielo, en el valle a Inés. Con miedo y respeto estampo el pie donde el suyo huella;
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intelligenza divina. Il tuo nome mi dà gioia al punto che ho preso in casa una donna col tuo nome, perché così, a chiamarla tutto il giorno, penso, Inés, di chiamar te, mia signora. Considera, accorta Inés, che effetto hai fatto ad entrambi, perché a lui l’hai reso accorto e me, mi hai reso poeta. Senti una glossa a dei versi che ha composto don Alonso, a maniera di responso, se può farli un morto vivo. Nella valle Inés l’ho lasciata che rideva. Se la vedi, Andrés, dille come mi hai visto: morendo per lei. L’ha composta don Alonso? Per essere di un poeta di Olmedo, è buona, ti giuro. Ascolta. È frutto d’amore. Andrés, da quando la valle coi bei piedi Inés percorre, son così tanti i suoi fiori che il cielo ha proposto un cambio tra quei fiori e le sue stelle. E così la valle è un cielo, e lei è la sua primavera, quindi vede il cielo in terra chi vede, se Inés è un cielo, nella valle Inés. Con timore e devozione cammino sulle sue orme; 779
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que ya Medina del Campo no quiere aurora más bella para florecer su campo. Yo la vi de amor huyendo, cuanto miraba matando, su mismo desdén venciendo; y aunque me partí llorando, la dejé riendo. Dile, Andrés, que ya me veo muerto por volverla a ver; aunque, cuando llegues, creo que no será menester, que me habrá muerto el deseo. No tendrás qué hacer, después que a sus manos vengativas llegues, si una vez la ves; ni aun es posible que vivas si la ves, Andrés. Pero si matarte olvida, por no hacer caso de ti, dile a mi hermosa homicida que por qué se mata en mí, pues que sabe que es mi vida. Dile: «Cruel, no le des muerte, si vengada estás y te ha de pesar después». Y pues no me has de ver más, dile cuál me ves. Verdad es que se dilata el morir, pues con mirar vuelve a dar vida la ingrata, y así se cansa en matar, pues da vida a cuantos mata; pero, muriendo o viviendo, no me pienso arrepentir de estarla amando y sirviendo;
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che ormai Medina del Campo non vuole aurora più bella per far fiorire i suoi campi. L’ho vista fuggire amore, uccidendo chi guardava, vincendo il suo stesso spregio; e, mentre andavo via in lacrime, l’ho lasciata che rideva. Dille, Andrés, che sto morendo di voglia di rivederla, anche se credo che quando arriverai sarà inutile: mi avrà ucciso il desiderio. Non c’è più nulla da fare se le cadi fra le mani crudeli, quando la vedi; anzi non puoi proprio vivere se la vedi, Andrés. Ma se si scorda di ucciderti, perché di te non si cura, dì alla mia bella omicida perché mai si uccide in me sapendo che è la mia vita. Dille: «Crudele, non dargli morte, se sei vendicata e poi te ne pentirai». Poiché non mi vedrai più dille come mi hai visto. È vero che è differita la morte, perché guardandoti l’ingrata ti ridà vita, quindi si stanca ad uccidere perché tutti li resuscita; ma sia che io viva o che muoia, non mi pentirò di certo di amarla e servirla sempre;
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que no hay bien como vivir por ella muriendo. Si es tuya, notablemente te has alargado en mentir por don Alonso. Es decir que mi amor en versos miente. Pues, señora, ¿qué poesía llegará a significar mi amor? ¡Mi padre! ¿Ha de entrar? Escondeos. ¿Dónde?
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Inés mía, ¡agora por recoger! ¿Cómo no te has acostado? Rezando, señor, he estado, por lo que dijiste ayer, rogando a Dios que me incline a lo que fuere mejor. Cuando para ti mi amor imposibles imagine, no pudiera hallar un hombre como don Rodrigo, Inés. Ansí dicen todos que es de su buena fama el nombre; y habiéndome de casar, ninguno en Medina hubiera, ni en Castilla, que pudiera sus méritos igualar. ¿Cómo habiendo de casarte?
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perché il maggior bene è vivere morendo per lei. Se è tua, ti sei dilungato un bel po’ a dire bugie per don Alonso. Vuoi dire che il mio amore in versi mente. Ma signora, che poesia potrà allora dare conto del mio amore? Ecco mio padre! Entrerà qui? Nascondetevi. Dove? Loro si nascondono, ed entra don Pedro.
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Inés mia, ancora alzata! Come mai non sei già a letto? Signore, stavo pregando per quello che hai detto ieri, chiedendo a Dio che mi orienti verso la scelta migliore. Se anche potesse il mio amore immaginare per te cose impossibili, un uomo non riuscirebbe a trovare come don Rodrigo, Inés. Tutti dicono che è tale la nomea della sua fama, che, se dovessi sposarmi, non ci sarebbe nessuno, né a Medina, né in Castiglia che uguaglierebbe i suoi meriti. Come, dovessi sposarti?
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Señor, hasta ser forzoso decir que ya tengo esposo, no he querido disgustarte. ¡Esposo! ¿Qué novedad es esta, Inés? Para ti será novedad; que en mí siempre fue mi voluntad. Y, ya que estoy declarada, hazme mañana cortar un hábito, para dar fin a esta gala escusada; que así quiero andar, señor, mientras me enseñan latín. Leonor te queda, que al fin te dará nietos Leonor. Y por mi madre te ruego que en esto no me repliques, sino que medios apliques a mi elección y sosiego. Haz buscar una mujer de buena y santa opinión, que me dé alguna lición de lo que tengo de ser, y un maestro de cantar, que de latín sea también. ¿Eres tú quien habla, o quién? Esto es hacer, no es hablar. Por una parte, mi pecho se enternece de escucharte, Inés, y por otra parte de duro mármol le has hecho. En tu verde edad mi vida esperaba sucesión; pero, si esto es vocación, no quiera Dios que lo impida. Haz tu gusto, aunque tu celo
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Signore, finché ho potuto tacere che ho già uno sposo non ho voluto spiacerti. Sposo! Che novità è questa, Inés? Novità per te; perché per me è decisione presa da tempo. E poiché ormai te l’ho detta, fammi domani cucire un saio, perché io possa abbandonare quest’eleganza superflua; che così voglio vestire mentre imparerò il latino. Leonor ti resta, e sarà Leonor a darti nipoti. E per mia madre ti prego di non discuter su questo, ma aiutami in questa scelta per la mia pace interiore. Fa’ che si cerchi una donna dalla fama buona e santa, che mi dia qualche lezione circa il mio futuro stato, e un maestro di cappella che sappia anche il latino. Ma sei proprio tu che parli? Questo è fare, non parlare. Mi si intenerisce il cuore, da una parte, ad ascoltarti, Inés, ma dall’altra parte l’hai reso di duro marmo. Dalla tua giovane età mi aspettavo discendenza; ma, se la tua è vocazione, Dio non voglia che io mi opponga. Segui il tuo gusto, anche se 785
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en esto no intenta el mío; que ya sé que el albedrío no presta obediencia al cielo. Pero porque suele ser nuestro pensamiento humano tal vez inconstante y vano, y en condición de mujer, que es fácil de persuadir, tan poca firmeza alcanza – que hay de mujer a mudanza lo que de hacer a decir –, mudar las galas no es justo, pues no pueden estorbar a leer latín o cantar, ni a cuanto fuere tu gusto. Viste alegre y cortesana, que no quiero que Medina, si hoy te admirare divina, mañana te burle humana. Yo haré buscar la mujer y quien te enseñe latín, pues a mejor padre, en fin, es más justo obedecer. Y con esto, a Dios te queda; que, para no darte enojos, van a esconderse mis ojos adonde llorarte pueda.
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Pésame de haberle dado disgusto. A mí no me pesa, por el que me ha dado el ver que nuestra muerte concierta. ¡Ay, Inés! ¿Adónde hallaste
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il tuo zelo religioso non incontra il mio, di gusto; so già che l’uomo propone e Dio dispone altrimenti. Ma poiché i nostri propositi sono a volte poco saldi, e ancor meno in una donna, che è facile persuadere – perché tra donna e incostanza c’è quanto tra il fare e il dire –, non è giusto metter via i tuoi vestiti eleganti, che non ti sono di intralcio per il latino ed il canto, né per nient’altro tu voglia. Vestiti al modo di corte, che non voglio che Medina che oggi ti ammira divina domani ti prenda in giro per esser tornata umana. Farò cercare una donna e un maestro di latino, perché ad un padre migliore devi più giusta ubbidienza. E con questo, a Dio ti lascio; che, per non addolorarti, vanno i miei occhi a nascondersi dove ti possano piangere. Se ne va, e rientrano don Alonso e Tello. INÉS ALONSO
Mi dispiace avergli dato un dolore. A me non spiace, perché lui l’ha dato a me, trattando la nostra morte. Ah, Inés! Dove hai trovato, 787
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en tal desdicha, en tal pena, tan breve remedio? Amor en los peligros enseña una luz por donde el alma posibles remedios vea. Este, ¿es remedio posible? Como yo agora le tenga para que este don Rodrigo no llegue al fin que desea, bien sabes que breves males la dilación los remedia; que no dejan esperanza si no hay segunda sentencia. Dice bien, señor; que en tanto que doña Inés cante y lea, podéis dar orden los dos para que os valga la Iglesia. Sin esto, desconfiado don Rodrigo, no hará fuerza a don Pedro en la palabra, pues no tendrá por ofensa que le deje doña Inés por quien dice que le deja. También es linda ocasión para que yo vaya y venga con libertad a esta casa. ¡Libertad! ¿De qué manera? Pues ha de leer latín, ¿no será fácil que pueda ser yo quien venga a enseñarla? ¡Y verás con qué destreza le enseño a leer tus cartas! ¡Qué bien mi remedio piensas!
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in così grande sventura, un rimedio così spiccio? Amore mostra nel rischio una luce con cui l’anima vede rimedi possibili. Questo, è rimedio possibile? A me ora basta che don Rodrigo non raggiunga l’obiettivo che desidera; tu sai che ai mali imminenti si rimedia col rinviarli; ma non lasciano speranza se non esiste l’appello. Dice bene; e nel frattempo che donna Inés canta e studia, potete disporre come chiedere aiuto alla Chiesa. Ed inoltre, don Rodrigo, persa così la speranza, non esigerà a don Pedro che mantenga la parola, ché non riterrà un’offesa che lo lasci donna Inés per lo sposo che lei dice. È poi una bella occasione perché io possa entrare e uscire liberamente di qui. Liberamente? In che modo? Se deve imparar latino, non possiamo fare che io sia il maestro che le insegna? E vedrai come le insegno a leggere le tue lettere! Che espediente ben pensato!
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Y aun pienso que podrá Fabia servirte en forma de dueña, siendo la santa mujer que con su falsa apariencia venga a enseñarla. Bien dices; Fabia será mi maestra de virtudes y costumbres. ¡Y qué tales serán ellas! Mi bien, yo temo que el día, – que es amor dulce materia para no sentir las horas, que por los amantes vuelan – nos halle tan descuidados que al salir de aquí me vean, o que sea fuerza quedarme – ¡ay Dios, qué dichosa fuerza! –. Medina a la Cruz de Mayo hace sus mayores fiestas. Yo tengo que prevenir, que, como sabes, se acercan; que, fuera de que en la plaza quiero que galán me veas, de Valladolid me escriben que el rey don Juan viene a verlas; que en los montes de Toledo le pide que se entretenga el condestable estos días, porque en ellos convalezca, y de camino, señora, que honre esta villa le ruega; y así, es razón que le sirva la nobleza de esta tierra. Guárdete el cielo, mi bien.
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Penso anche che potrà Fabia vestirsi da rispettabile vedova, e in queste sembianze venire a darle lezione. Dici bene; mia maestra di virtù e costumi Fabia sarà. Maestra eccellente! Mio tesoro, poiché amore è argomento così dolce che fa sembrare agli amanti che le ore volino, temo che alla sprovvista ci colga il giorno, e che mi sorprendano mentre esco di qui, o che invece io sia costretto a restare – che costrizione felice! –. La Croce di Maggio celebra Medina con grandi feste. Io mi devo preparare, che, lo sai, il giorno è vicino; non soltanto perché tu mi veda giostrare bene nell’arena, ma perché da Valladolid mi scrivono che anche il re don Juan verrà; il connestabile vuole che sui monti di Toledo vada a stare in questi giorni per rimettersi in salute, e trovandosi Medina sulla sua strada, lo prega di onorare la città; e dunque deve servirlo la nobiltà della zona. Dio ti protegga, tesoro.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO INÉS ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO
TELLO
Espera; que a abrir la puerta es forzoso que yo vaya. ¡Ay, luz! ¡Ay, aurora necia, de todo amante envidiosa! Ya no aguardéis que amanezca. ¿Cómo? Porque [ya] es de día. Bien dices, si a Inés me muestras. Pero, ¿cómo puede ser, Tello, cuando el sol se acuesta? Tú vas de espacio, él aprisa; apostaré que te quedas.
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1330
Salen don Rodrigo y don Fernando. RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
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Muchas veces había reparado, don Fernando, en aqueste caballero, del corazón solícito avisado. 1335 El talle, el grave rostro, lo severo, celoso me obligaban a miralle. Efetos son de amante verdadero que, en viendo otra persona de buen talle, tienen temor que si le ve su dama 1340 será posible o fuerza codicialle. Bien es verdad que él tiene tanta fama, que, por más que en Medina se encubría, el mismo aplauso popular le aclama. Vi, como os dije, aquel mancebo un día 1345 que la capa perdida en la pendencia contra el valor de mi opinión traía. Hice secretamente diligencia después de hablarle, y satisfecho quedo que tiene esta amistad correspondencia. 1350 Su dueño es don Alonso, aquel de Olmedo, alanceador galán y cortesano, de quien hombres y toros tienen miedo. Pues si este sirve a Inés, ¿qué intento en vano?
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO INÉS ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO
TELLO
Aspetta, vengo con te, che devo aprirti la porta. Ah luce! Ah insensata aurora, invidiosa degli amanti! Non aspettate più il giorno. Come? Perché è già spuntato. Sì, se a Inés ti riferisci. Ma Tello, come è possibile, se sta tramontando ora? Tu vai piano, lui di fretta; scommetto che resti qui. Entrano don Rodrigo e don Fernando.
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
Molte volte mi sono soffermato, don Fernando, a osservar quel cavaliere, dal cuore attento messo sull’avviso. Figura, portamento e volto nobile geloso mi obbligavano a guardarlo. Prova di amore vero è che, vedendo un altro uomo di bella figura, si abbia timore che la propria dama possa o debba per forza innamorarsene. C’è poi da dire che è tanto famoso che, anche se viene a Medina in incognito, le acclamazioni pubbliche lo svelano. Come vi ho detto, ho visto quel ragazzo che il mantello perduto nella rissa portava, con gran danno del mio onore. Dopo avergli parlato ho fatto indagini in segreto, ed adesso so per certo che quell’affetto viene corrisposto. Don Alonso di Olmedo è il suo padrone, destro e cortese tirator di lancia, di cui uomini e tori hanno paura. Se questi serve Inés, mi affanno invano. 793
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
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O ¿cómo quiero yo, si ya le adora, que Inés me mire con semblante humano? ¿Por fuerza ha de quererle? Él la enamora, y merece, Fernando, que le quiera. ¿Qué he de pensar, si me aborrece agora? Son celos, don Rodrigo, una quimera que se forma de envidia, viento y sombra, con que lo incierto imaginado altera; una fantasma que de noche asombra, un pensamiento que a locura inclina, y una mentira que verdad se nombra. Pues, ¿cómo tantas veces a Medina viene y va don Alonso? ¿Y a qué efeto es cédula de noche en una esquina? Yo me quiero casar; vos sois discreto; ¿qué consejo me dais, si no es matalle? Yo hago diferente mi conceto; que ¿cómo puede doña Inés amalle, si nunca os quiso a vos? Porque es respuesta que tiene mayor dicha o mejor talle. Mas porque doña Inés es tan honesta, que aun la ofendéis con nombre de marido. Yo he de matar a quien vivir me cuesta en su desgracia, porque tanto olvido no puede proceder de honesto intento. Perdí la capa y perderé el sentido. Antes, dejarla a don Alonso siento que ha sido como echársela en los ojos. Ejecutad, Rodrigo, el casamiento, llévese don Alonso los despojos y la victoria vos. Mortal desmayo cubre mi amor de celos y de enojos.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
E se lei già lo adora, come posso chiedere che mi guardi con bontà? Per forza deve amarlo? La corteggia lui, Fernando, e si merita che lo ami. Che altro devo pensare, se lei mi odia? La gelosia, Rodrigo, è una chimera che si forma di invidia, vento ed ombra, e l’immaginazione incerta altera; è un fantasma notturno che sgomenta, un pensiero che porta alla follia, e una menzogna che si crede vera. Perché allora così spesso a Medina viene e va don Alonso? E perché mai sta sempre fisso a un angolo di strada come fosse un cartello? Siete saggio voi; io voglio sposarmi; che mi dite, o consigliate, se non che lo uccida? Io non la vedo nello stesso modo; come fa Inés a esserne innamorata, se a voi non vi ha mai amato? La risposta è che è più fortunato o più avvenente. Ma no, lei è così onesta che si offende anche solo del nome di marito. Io ucciderò chi mi costringe a vivere nel disamor di lei: tanta freddezza non può essere dovuta all’onestà. Perso il mantello, perderò anche il senno. Anzi, averlo lasciato a don Alonso è stato come buttarglielo in faccia. Celebrate, Rodrigo, il matrimonio, don Alonso si prenda i suoi trofei, voi, la vittoria. Mortale deliquio copre il mio amor di gelosia e di rabbia.
795
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
Salid galán para la Cruz de Mayo, que yo saldré con vos; pues el rey viene, las sillas piden el castaño y bayo. Menos aflige el mal que se entretiene. Si viene don Alonso, ya Medina ¿qué competencia con Olmedo tiene? ¡Qué loco estáis! Amor me desatina.
1390
Salen don Pedro, doña Inés, doña Leonor. PEDRO INÉS PEDRO
INÉS
LEONOR INÉS LEONOR INÉS
PEDRO INÉS
796
No porfíes. No podrás mi propósito vencer. Hija, ¿qué quieres hacer, que tal veneno me das? Tiempo te queda... Señor, ¿qué importa el hábito pardo si para siempre le aguardo? Necia estás. Calla, Leonor. Por lo menos estas fiestas has de ver con galas. Mira que quien por otras suspira ya no tiene el gusto en estas. Galas celestiales son las que ya mi vida espera. ¿No basta que yo lo quiera? Obedecerte es razón.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO FERNANDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
Partecipate alla Croce di Maggio al vostro meglio, e io vi accompagnerò; verrà il re, ed i nostri due cavalli chiedono già di essere sellati. Distraendosi, il dolore affligge meno. Se viene don Alonso, come fa con Olmedo a competere Medina? Che sciocco siete! Amor mi ha reso folle. Entrano don Pedro, donna Inés, donna Leonor.
PEDRO
Non insistere.
INÉS
Non puoi far sì che io cambi idea. Figlia, cosa mai vuoi fare che mi avveleni così? Hai tempo... Ma cosa importa, signore, l’abito scuro, se lo vestirò per sempre? Sei sciocca. Taci, Leonor. Almeno per queste feste vestiti elegante. Guarda che chi aspira ad altre cose non stima più questi sfarzi. Sfarzi celestiali sono quelli che adesso mi aspetto. E non basta che io lo voglia? Ti ubbidirò, come è giusto.
PEDRO
INÉS
LEONOR INÉS LEONOR INÉS
PEDRO INÉS
797
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
Sale Fabia, con un rosario y báculo y antojos. FABIA PEDRO FABIA
PEDRO FABIA
PEDRO FABIA
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Paz sea en aquesta casa. Y venga con vos. ¿Quién es la señora doña Inés, que con el Señor se casa? ¿Quién es aquella que ya tiene su esposo elegida, y como a prenda querida esos impulsos le da? Madre honrada, esta que ves, y yo su padre. Que sea muchos años, y ella vea el dueño que vos no veis. Aunque en el Señor espero que os ha de obligar piadoso a que acetéis tal esposo, que es muy noble caballero. ¡Y cómo, madre, si lo es! Sabiendo que anda a buscar quien venga a morigerar los verdes años de Inés, quien la guíe, quien la muestre las sémitas del Señor, y al camino del amor como a principianta adiestre, hice oración en verdad, y tal impulso me dio, que vengo a ofrecerme yo para esta necesidad, aunque soy gran pecadora.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
Entra Fabia, con un rosario, un bastone e gli occhiali. FABIA PEDRO FABIA
PEDRO FABIA
PEDRO FABIA
Pace a questa casa. Pace a voi. Chi è la signora donna Inés, colei che deve sposarsi con il Signore? Chi è colei che il suo sposo ha già prescelto fra tutte, ed essendo la sua amata le ha dato la vocazione? Buona vecchia, eccola qui, e io sono il padre. Molti anni vi auguro, e che lei veda lo sposo che a voi è invisibile. Anche se confido in Dio che benigno vi costringa ad accettarlo, che è un cavaliere assai nobile. Madre, certo che lo è! Sapendo che cercavate chi venga ad indirizzare i verdi anni di Inés, chi la guidi, chi le mostri i sentieri del Signore, e chi la inizi al cammino dell’amore, come è giusto che faccia una principiante, mi son raccolta in preghiera e ne ho ricevuto tale ispirazione, che vengo a offrirmi per questo compito, anche se sono una grande peccatrice.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO PEDRO INÉS
FABIA PEDRO LEONOR FABIA
INÉS FABIA PEDRO FABIA
PEDRO
¿Esta es la mujer, Inés, que has menester? Esta es la que he menester agora. Madre, abrázame. Quedito, que el silicio me hace mal. No he visto humildad igual. En el rostro trae escrito lo que tiene el corazón. ¡Oh, qué gracia! ¡Oh, qué belleza! Alcance tu gentileza mi deseo y bendición. ¿Tienes oratorio? Madre, comienzo a ser buena agora. Como yo soy pecadora, estoy temiendo a tu padre. No le pienso yo estorbar tan divina vocación. En vano, infernal dragón, la pensabas devorar. No ha de casarse en Medina; monasterio tiene Olmedo; Domine, si tanto puedo, ad juvandum me festina. Un ángel es la mujer.
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Sale Tello, de gorrón. TELLO
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(Si con sus hijas está, yo sé que agradecerá que yo me venga a ofrecer.) El maestro que buscáis está aquí, señor don Pedro, para latín y otras cosas,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO PEDRO INÉS
FABIA PEDRO LEONOR FABIA
INÉS FABIA PEDRO FABIA
PEDRO
Questa donna fa al caso tuo, Inés? Ora è lei che fa al caso mio. Madre, abbracciami. Pianino, che il cilicio mi fa male. Non ho visto mai una simile umiltà. Ha scritto in volto quello che porta nel cuore. Oh che grazia! Oh che bellezza! Possano compiersi in te voti e desideri miei. Hai una cappella? Madre, inizio ora il mio cammino. Poiché sono peccatrice, ho timore di tuo padre. Non penso di ostacolare questa santa vocazione. Invano, drago infernale, pensavi di divorarla. Non si sposerà a Medina; anche Olmedo ha monasteri; Domine, se riesco a tanto, ad juvandum me festina. È un angelo questa donna. Entra Tello, vestito da studente.
TELLO
(Se sta qui con le sue figlie io so che mi sarà grato che sia venuto a propormi.) Il maestro che cercate ecco qui, signor don Pedro, per il latino e altre cose 801
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
PEDRO
TELLO PEDRO TELLO PEDRO
TELLO PEDRO TELLO PEDRO TELLO FABIA LEONOR INÉS LEONOR INÉS TELLO
802
que dirá después su efeto. Que buscáis un estudiante en la iglesia me dijeron, porque ya de esta señora se sabe el honesto intento. Aquí he venido a serviros, puesto que soy forastero, si valgo para enseñarla. Ya creo y tengo por cierto, viendo que todo se junta, que fue voluntad del cielo. En casa puede quedarse la madre, y este mancebo venir a darte lición. Concertadlo, mientras vuelvo. ¿De dónde es, galán? Señor, soy calahorreño. ¿Su nombre? Martín Peláez. Del Cid debe de ser deudo. ¿Dónde estudió? En La Coruña, y soy por ella maestro. ¿Ordenóse? Sí, señor, de vísperas. Luego vengo. ¿Eres Fabia? ¿No lo ves? Y tú ¿Tello? ¡Amigo Tello! ¿Hay mayor bellaquería? ¿Qué hay de don Alonso? ¿Puedo fiar de Leonor?
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
PEDRO
TELLO PEDRO TELLO PEDRO
TELLO PEDRO TELLO PEDRO TELLO FABIA LEONOR INÉS LEONOR INÉS TELLO
che dovessero servire. Mi hanno detto in chiesa che cercavate uno studente, ché già di questa signora si sa l’onesta intenzione. Son venuto qui a servirvi, anche se son forestiero: spero di essere all’altezza. Credo, anzi sono sicuro, vedendo le coincidenze, che è la volontà del cielo. In casa può rimanere la madre, e questo ragazzo verrà qui a darti lezione. Accordatevi fra voi, finché torno. Giovanotto, di dov’è? Di Calahorra, signore. E qual è il suo nome? Martín Peláez. Del Cid dev’esser parente. Dove ha studiato? A La Coruña, dove mi han fatto maestro. Ha preso gli ordini? Sì, per dire i vespri. Ora torno. Sei Fabia? Che, non lo vedi? E tu, Tello? Amico Tello! Che bricconeria inaudita! Notizie di don Alonso? Di Leonor, posso fidarmi? 803
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO INÉS LEONOR
TELLO
INÉS TELLO INÉS
Bien puedes. Agraviara Inés mi pecho y mi amor, si me tuviera su pensamiento encubierto. Señora, para servirte está don Alonso bueno, para las fiestas de mayo, tan cerca ya, previniendo galas, caballos, jaeces, lanza y rejones; que pienso que ya le tiemblan los toros. Una adarga habemos hecho, si se conciertan las cañas, como de mi raro ingenio. Allá le verás, en fin. ¿No me ha escrito? Soy un necio. Esta, señora, es la carta. Bésola de porte y leo.
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Don Pedro vuelve. PEDRO TELLO
INÉS TELLO INÉS TELLO INÉS TELLO PEDRO INÉS
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Pues pon el coche, si está malo el alazán. ¿Qué es esto? (¡Tu padre! Haz que lees, y yo haré que latín te enseño.) Dominus... Dominus... Diga. ¿Cómo más? Dominus meus. Dominus meus. Ansí, poco a poco irá leyendo. ¿Tan presto tomas lición? Tengo notable deseo.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO INÉS LEONOR
TELLO
INÉS TELLO INÉS
Certo. Inés farebbe torto al mio amore, se nascosti mi tenesse i suoi pensieri. È per servirti, signora, che don Alonso sta bene, preparando per le feste di maggio, che si avvicinano, gale, finimenti, lance, cavalli e stocchi; che penso che hanno già paura i tori. Abbiamo fatto uno scudo, nel caso ci sian tornei, degno del mio raro ingegno. E insomma, lì lo vedrai. Non mi ha scritto? Sono un tonto. Ecco, signora, la lettera. Come tassa un bacio, e leggo. Torna don Pedro.
PEDRO TELLO
INÉS TELLO INÉS TELLO INÉS TELLO PEDRO INÉS
Se il sauro è malato, attacca la carrozza. Ma che fate? (Tuo padre! Fingi di leggere, io fingerò di insegnarti latino.) Dominus... Dominus... Legga. Poi? Dominus meus. Dominus meus. Così, poco a poco imparerà. Già stai prendendo lezione? È che ne ho un gran desiderio.
805
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO PEDRO
INÉS PEDRO INÉS FABIA
PEDRO
FABIA
LEONOR
Basta; que a decir, Inés, me envía el ayuntamiento que salga a las fiestas yo. Muy discretamente han hecho, pues viene a la fiesta el rey. Pues sea con un concierto: que has de verlas con Leonor. Madre, dígame si puedo verlas sin pecar. ¿Pues no? No escrupulices en eso como algunos tan mirlados que piensan, de circunspectos, que en todo ofenden a Dios, y olvidados de que fueron hijos de otros, como todos, cualquiera entretenimiento que los trabajos olvide tienen por notable exceso. Y aunque es justo moderarlos, doy licencia, por lo menos para estas fiestas, por ser jugatoribus paternus. Pues vamos, que quiero dar dineros a tu maestro, y a la madre para un manto. A todos cubra el del cielo. Y vos, Leonor, ¿no seréis como vuestra hermana presto? Sí, madre, porque es muy justo que tome tan santo ejemplo.
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Sale el rey don Juan, con acompañamiento, y el condestable. REY
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No me traigáis al partir negocios que despachar.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO PEDRO
INÉS PEDRO INÉS FABIA
PEDRO
FABIA
LEONOR
Sappi, Inés, che il Municipio mi ha appena chiesto di andare a presenziare alla festa. Hanno fatto molto bene, perché ci verrà anche il re. Allora facciamo un patto: anche tu andrai, con Leonor. Madre, mi dica se posso senza far peccato. Eccome! Non ti fare troppi scrupoli, come certi sussiegosi che pensano, timorosi, di offendere Dio con tutto, e dimentichi di essere figli di mamma anche loro, qualsiasi intrattenimento che allontani un po’ i pensieri ritengono un grande eccesso. E anche se è giusto ridurli, ti do licenza, per queste feste almeno, perché è jugatoribus paternus. Allora andiamo, che voglio dar dei soldi al tuo maestro, e alla madre per un manto. Col suo ci protegga il cielo. E voi, Leonor, non pensate di imitar vostra sorella? Sì, madre: è giusto che io segua un esempio così santo. Entrano il re don Juan, con seguito, e il connestabile.
RE
Non voglio che mi portiate, ora che sto per partire, incombenze da sbrigare. 807
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO CONDESTABLE REY CONDESTABLE REY CONDESTABLE
REY
CONDESTABLE REY
CONDESTABLE REY CONDESTABLE
REY
CONDESTABLE REY
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Contienen solo firmar; no has de ocuparte en oír. Decid con mucha presteza. ¿Han de entrar? Agora no. Su santidad concedió lo que pidió vuestra alteza por Alcántara, señor. Que mudase le pedí el hábito porque ansí pienso que estará mejor. Era aquel traje muy feo. Cruz verde pueden traer. Mucho debo agradecer al pontífice el deseo que de nuestro aumento muestra, con que irán siempre adelante estas cosas del infante en cuanto es de parte nuestra. Estas son dos provisiones, y entrambas notables son. ¿Qué contienen? La razón de diferencia que pones entre los moros y hebreos que en Castilla han de vivir. Quiero con esto cumplir, Condestable, los deseos de fray Vicente Ferrer, que lo ha deseado tanto. Es un hombre docto y santo. Resolví con él ayer que en cualquiera reino mío donde mezclados están, a manera de gabán traiga un tabardo el judío con una señal en él,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO CONNESTABILE RE CONNESTABILE RE CONNESTABILE
RE
CONNESTABILE RE
CONNESTABILE RE CONNESTABILE
RE
CONNESTABILE RE
Dovete solo firmare; non c’è da tenere udienza. Ditemi rapidamente. Faccio entrare? Adesso no. Sua Santità ha acconsentito alle richieste che ha fatto vostra altezza per Alcántara. Gli ho chiesto di far cambiare l’abito, perché così mi sembra che sia più bello. Era brutta quella veste. Ora avrà una croce verde. Sono molto grato al papa del suo interesse per noi, e questo porterà avanti le faccende dell’infante, giacché il papato ci appoggia. Questi sono due decreti, ed entrambi assai importanti. Che dicono? Stabiliscono come vuoi che si distinguano mori ed ebrei che in Castiglia voglion continuare a vivere. Con questo voglio esaudire i voti di Fra’ Vicente Ferrer, che tanto ha insistito, Connestabile, su questo. Egli è un uomo dotto e santo. Ho deciso con lui ieri che in qualsiasi dei miei regni dove mori ed ebrei vivono mescolati coi cristiani, porti un tabarro l’ebreo tagliato come un gabbano, con un segno distintivo, 809
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
CONDESTABLE
REY
CONDESTABLE
REY
y un verde capuz el moro. Tenga el cristiano el decoro que es justo; apártese de él; que con esto tendrán miedo los que su nobleza infaman. A don Alonso, que llaman «el caballero de Olmedo» hace vuestra alteza aquí merced de un hábito. Es hombre de notable fama y nombre. En esta villa le vi cuando se casó mi hermana. Pues pienso que determina, por servirte, ir a Medina a las fiestas de mañana. Decidle que fama emprenda en el arte militar, porque yo le pienso honrar con la primera encomienda.
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Vanse. Sale don Alonso. ALONSO
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¡Ay, riguroso estado, ausencia mi enemiga, que dividiendo el alma, puedes dejar la vida! ¡Cuán bien por tus efetos te llaman muerte viva, pues das vida al deseo, y matas a la vista! ¡Oh, cuán piadosa fueras, si al partir de Medina la vida me quitaras como el alma me quitas!
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
CONNESTABILE
RE
CONNESTABILE
RE
e il moro, un berretto verde. Il cristiano si comporti con il dovuto decoro, e stia alla larga; che questo metterà paura a chi la sua nobiltà contamina. A don Alonso, che chiamano «il cavaliere di Olmedo» vostra altezza qui concede un’alta onorificenza. Ha buona fama e buon nome. L’ho conosciuto qui, quando si è sposata mia sorella. E penso che per servirti a Medina voglia andare alle feste di domani. Ditegli che acquisti fama nelle imprese militari, perché penso di onorarlo dandogli rendite e terre. Se ne vanno. Entra don Alonso.
ALONSO
Ah, condizione dura, assenza, mia nemica, che dividendo l’anima puoi lasciare la vita! Per i tuoi effetti è giusto chiamarti morte viva: dai vita al desiderio ed uccidi la vista. Oh che pietà la tua se quando me ne andavo da Medina mi avessi tolto la vita, proprio come mi hai tolto l’anima! 811
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
En ti, Medina, vive aquella Inés divina, que es honra de la corte y gloria de la villa. Sus alabanzas cantan las aguas fugitivas, las aves que la escuchan, las flores que la imitan. Es tan bella, que tiene envidia de sí misma, pudiendo estar segura que el mismo sol la envidia; pues no la ve más bella, por su dorada cinta, ni cuando viene a España, ni cuando va a las Indias. Yo merecí quererla. ¡Dichosa mi osadía! Que es merecer sus penas calificar mis dichas. Cuando pudiera verla, adorarla y servirla, la fuerza del secreto de tanto bien me priva. Cuando mi amor no fuera de fe tan pura y limpia, las perlas de sus ojos mi muerte solicitan. Llorando por mi ausencia Inés quedó aquel día, que sus lágrimas fueron de sus palabras firma. Bien sabe aquella noche que pudiera ser mía.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
In te, Medina, vive quella divina Inés, che è onore della corte e della città gloria. Cantano le sue lodi le acque fuggitive, gli uccelli che la ascoltano, i fiori che la imitano. Così bella è, che prova invidia di se stessa, potendo star sicura che anche il sole la invidia; ché nessuna più bella ne vede, nel suo corso, né quando arriva in Spagna, né quando va alle Indie. Io ho meritato amarla. Felice la mia audacia! Esalto la mia gioia se dico che le pene di questo amore merito. Quando potrei vederla, adorarla e servirla, la forza del segreto mi toglie questo bene. Se il mio amore non fosse puro ed immacolato, le perle dei suoi occhi avrebbero potuto sospingermi alla morte. Perché Inés l’altro giorno che stavo per partire piangeva, con le lacrime firmando le parole. Quella notte sa bene che, se avessi voluto, poteva essere mia. 813
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
Cobarde amor, ¿qué aguardas, cuando respetos miras? ¡Ay, Dios, qué gran desdicha, partir el alma y dividir la vida! Sale Tello. TELLO ALONSO
TELLO ALONSO
TELLO ALONSO
¿Merezco ser bien llegado? No sé si diga que sí; que me has tenido sin mí con lo mucho que has tardado. Si por tu remedio ha sido, ¿en qué me puedes culpar? ¿Quién me puede remediar, si no es a quien yo le pido? ¿No me escribe Inés? Aquí te traigo cartas de Inés. Pues hablarásme después en lo que has hecho por mí.
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Lea.
TELLO ALONSO TELLO ALONSO
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«Señor mío, después que os partistes no he vivido; que sois tan cruel, que aun no me dejáis vida cuando os vais». ¿No lees más? No. ¿Por qué? Porque manjar tan süave de una vez no se me acabe. Hablemos de Inés. Llegué 1675 con media sotana y guantes; que parecía de aquellos
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
Vigliacco amore, cosa aspetti, che ti fai trattener dal ritegno? Dio mio, che gran sventura, dividere la vita, spezzar l’anima! Entra Tello. TELLO ALONSO
TELLO ALONSO
TELLO ALONSO
Mi merito un benvenuto? Non so se dire di sì; che stavo fuori di me per il tuo grande ritardo. Se è stato per il tuo bene, di cosa mi puoi incolpare? Chi può volere il mio bene, se non colei che lo è? Inés non mi scrive? Ecco, qui ho una lettera di Inés. Allora mi dirai dopo che cosa hai fatto per me. Legge.
TELLO ALONSO TELLO ALONSO
TELLO
«Mio signore, da quando siete partito non vivo più; siete così crudele che non mi lasciate neanche un po’ di vita quando ve ne andate». Non leggi più? No. Perché? Perché cibo così dolce non voglio finisca subito. Parliamo di Inés. Da lei sono andato travestito con sottana corta e guanti; e sembravo uno di quelli 815
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
ALONSO
que hacen en solos los cuellos ostentación de estudiantes. Encajé salutación, verbosa filatería, dando a la bachillería dos piensos de discreción; y volviendo el rostro, vi a Fabia... Espera, que leo otro poco; que el deseo me tiene fuera de mí.
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Lea.
TELLO ALONSO TELLO
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«Todo lo que dejastes ordenado se hizo; solo no se hizo que viviese yo sin vos, porque no lo dejastes ordenado». ¿Es aquí contemplación? Dime cómo hizo Fabia lo que dice Inés. Tan sabia 1690 y con tanta discreción, melindre y hipocresía, que me dieron que temer algunos que suelo ver cabizbajos todo el día. 1695 De hoy más quedaré advertido de lo que se ha de creer de una hipócrita mujer y un ermitaño fingido. Pues si me vieras a mí 1700 con el semblante mirlado, dijeras que era traslado de un reverendo alfaquí. Creyóme el viejo, aunque en él se ve de un Catón retrato. 1705
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
ALONSO
che ostentano nel colletto il loro essere studenti. Ho messo giù un bel saluto, una chiacchiera verbosa, in cui alla pedanteria due dosi di arguzia aggiungo; e girando il viso, vedo Fabia... Aspetta, che leggo un altro po’; il desiderio mi fa uscir fuori di me. Legge.
TELLO ALONSO TELLO
«Tutto quello che avete detto di fare è stato fatto; l’unica cosa che non è stato possibile fare è vivere senza di voi, perché questo non avete detto di farlo». Rimani in contemplazione? Dimmi come ha fatto Fabia quello cui accenna Inés. Si è mostrata così saggia, così prudente e sensata, così melliflua ed ipocrita, che ho concepito timore verso coloro che vedo stare sempre a capo chino. Da oggi in poi saprò ben io quanto bisogna fidarsi di una donna quando è ipocrita e di un eremita falso. Perché se mi avessi visto con l’aspetto sussiegoso, mi avresti detto l’immagine di un reverendo muezzin. Ci è cascato il vecchio, anche se è il ritratto di un Catone.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO ALONSO
Espera; que ha mucho rato que no he mirado el papel. Lea.
TELLO ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
ALONSO
«Daos prisa a venir, para que sepáis cómo quedo cuando os partís, y cómo estoy cuando volvéis». ¿Hay otra estación aquí? En fin, ¿tú hallaste lugar para entrar y para hablar? 1710 Estudiaba Inés en ti; que eras el latín, señor, y la lición que aprendía. Leonor, ¿qué hacía? Tenía envidia de tanto amor, 1715 porque se daba a entender que de ser amado eres digno; que muchas mujeres quieren porque ven querer. Que en siendo un hombre querido 1720 de alguna con grande afeto, piensan que hay algún secreto en aquel hombre escondido. Y engáñanse, porque son correspondencias de estrellas. 1725 Perdonadme, manos bellas, que leo el postrer renglón. Lea.
TELLO ALONSO
818
«Dicen que viene el rey a Medina, y dicen verdad, pues habéis de venir vos, que sois rey mío». Acabóseme el papel. Todo en el mundo se acaba. Poco dura el bien. 1730
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO ALONSO
Aspetta; che è molto tempo che non guardo più il biglietto. Legge.
TELLO ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
ALONSO
«Venite presto, affinché vediate coi vostri occhi come sto quando ve ne andate, e come quando tornate». Hai fatto un’altra stazione? Insomma, hai trovato il modo di entrare e di parlar loro? Inés ha studiato te; tu, signore, eri il latino, la lezione che imparava. Leonor che faceva? Aveva invidia di tanto amore, perché poteva capire che di essere amato sei degno; perché molte donne amano vedendo amare. Che quando con grande affetto vedono che un uomo è amato, pensano che lui nasconda qualche segreta virtù. E sbagliano, perché sono le stelle a determinare la concordanza in amore. Scusatemi, mani belle, che leggo l’ultimo rigo. Legge.
TELLO ALONSO
«Dicono che il re viene a Medina, e dicono la verità, perché ci dovete venire voi, che siete il mio re». Ho terminato il biglietto. Tutto a questo mondo ha termine. Dura poco il bene. 819
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO TELLO ALONSO
En fin, le has leído por jornadas. Espera, que aquí a la margen vienen dos o tres palabras. Lea.
TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO
820
«Poneos esa banda al cuello. ¡Ay, si yo fuera la banda!» ¡Bien dicho, por Dios, y entrar con doña Inés en la plaza! ¿Dónde está la banda, Tello? A mí no me han dado nada. ¿Cómo no? Pues, ¿qué me has dado? Ya te entiendo; luego saca a tu elección un vestido. Esta es la banda. Estremada. Tales manos la bordaron. Demos orden que me parta. Pero, ¡ay, Tello! ¿Qué tenemos? De decirte me olvidaba unos sueños que he tenido. ¿Agora en sueños reparas? No los creo, claro está, pero dan pena. Eso basta. No falta quien llama a algunos revelaciones del alma. ¿Qué te puede suceder en una cosa tan llana como quererte casar?
1735
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO TELLO ALONSO
Insomma, l’hai letto a tappe. Ma aspetta, che vedo che qui sul margine ci sono due o tre parole. Legge.
TELLO
ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO
«Indossate questa sciarpa. Ah, potessi essere io la sciarpa!». In nome di Dio, ben detto, e entrar nell’arena con in collo donna Inés! Dove sta la sciarpa, Tello? A me non han dato nulla. Come no? Tu che mi hai dato? Ho capito: prendi pure un vestito di tuo gusto. Questa è la sciarpa. Bellissima. Se l’ha ricamata Inés... Prepariamoci a partire. Ma, ahimè Tello! Che c’è? Dimenticavo di dirti di certi sogni che ho fatto. Adesso fai caso ai sogni? Non ci credo, com’è ovvio, ma affliggono. Solo questo. Non manca chi li ha chiamati rivelazioni dell’anima. Che può succederti mai in cosa così normale come volerti sposare? 821
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO ALONSO
TELLO
822
Hoy, Tello, al salir el alba, con la inquietud de la noche, me levanté de la cama, abrí la ventana aprisa, y mirando flores y aguas que adornan nuestro jardín, sobre una verde retama veo ponerse un jilguero, cuyas esmaltadas alas con lo amarillo añadían flores a las verdes ramas. Y estando al aire trinando de la pequeña garganta con naturales pasajes las quejas enamoradas, sale un azor de un almendro, adonde escondido estaba, y como eran en los dos tan desiguales las armas, tiñó de sangre las flores, plumas al aire derrama. Al triste chillido, Tello, débiles ecos del aura respondieron, y, no lejos, lamentando su desgracia, su esposa, que en un jazmín la tragedia viendo estaba. Yo, midiendo con los sueños estos avisos del alma, apenas puedo alentarme; que con saber que son falsas todas estas cosas, tengo tan perdida la esperanza, que no me aliento a vivir. Mal a doña Inés le pagas aquella heroica firmeza con que atrevida contrasta
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO ALONSO
TELLO
Oggi, Tello, al far dell’alba, dopo una notte assai inquieta, mi sono alzato dal letto, apro in fretta la finestra, e guardando fiori ed acque che ornano il nostro giardino, sopra una verde ginestra vedo fermo un cardellino, le cui ali di smalto giallo aggiungono fiori ai rami. E mentre trillava all’aria, con passaggi naturali della sua piccola gola, un lamento innamorato, vien fuori un falco da un mandorlo che prima lo nascondeva, ed essendo tanto dispari le sue armi rispetto all’altro, di sangue colora i fiori, nell’aria sparge le piume. A quel triste strido, Tello, risposero deboli echi dell’aria e poi, non lontano, la sua sposa che piangeva la disgrazia, avendo visto da un gelsomino vicino la tragedia. Io, confrontando con i sogni questi avvisi dell’anima, appena riesco a recuperar coraggio; che anche se so che son false tutte queste cose, ho perso in tal modo la speranza che quasi non riesco a vivere. Male donna Inés ripaghi per quell’eroica fermezza con cui audace tiene testa 823
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO SEGUNDO
ALONSO
TELLO
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los golpes de la fortuna. Ven a Medina y no hagas caso de sueños ni agüeros, cosas a la fe contrarias. Lleva el ánimo que sueles, caballos, lanzas y galas, mata de envidia los hombres, mata de amores las damas. Doña Inés ha de ser tuya, a pesar de cuantos tratan dividiros a los dos. Bien dices. Inés me aguarda; vamos a Medina alegres. Las penas anticipadas dicen que matan dos veces, y a mí sola Inés me mata, no como pena, que es gloria. Tú me verás en la plaza hincar de rodillas toros delante de sus ventanas.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO SECONDO
ALONSO
TELLO
ai colpi della fortuna. Vieni a Medina e non dare peso a sogni né a presagi, cose contrarie alla fede. Mostra il coraggio di sempre, cavalli, eleganza e lance, uccidi di invidia gli uomini, uccidi d’amor le dame. E donna Inés sarà tua, a dispetto di chi cerca di dividerti da lei. Dici bene. Inés mi aspetta; andiamo a Medina lieti. Soffrire i mali futuri dicono uccida due volte, e me, solo Inés mi uccide, ma non di pena, di gloria. Tu mi vedrai nell’arena far inginocchiare i tori davanti alle sue finestre.
825
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Suenan atabales y entren con lacayos y rejones don Rodrigo y don Fernando. RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
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Poca dicha. Malas suertes. ¡Qué pesar! ¿Qué se ha de hacer? Brazo, ya no puede ser que en servir a Inés aciertes. Corrido estoy. Yo, turbado. Volvamos a porfiar. Es imposible acertar un hombre tan desdichado. Para el de Olmedo, en efeto, guardó suertes la Fortuna. No ha errado el hombre ninguna. Que la ha de errar os prometo. Un hombre favorecido, Rodrigo, todo lo acierta. Abrióle el Amor la puerta, y a mí, Fernando, el olvido. Fuera de esto, un forastero luego se lleva los ojos. Vos tenéis justos enojos. Él es galán caballero, mas no para escurecer los hombres que hay en Medina. La patria me desatina; mucho parece mujer en que lo propio desprecia, y de lo ajeno se agrada.
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1835
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Rullare di tamburi ed entrano con lacchè e stocchi don Rodrigo e don Fernando. RODRIGO
Poca sorte.
FERNANDO
Brutte mosse. Che rabbia! Che possiam farci? Braccio, non ti è più possibile riuscire a servire Inés. Sono avvilito. Io sconvolto. Riproviamoci di nuovo. Impossibile che riesca uomo così sventurato. Per l’Olmedo, a conti fatti, la Fortuna ha riservato tutte le mosse propizie. Neanche una ne ha sbagliata. Una però, vi assicuro, la sbaglierà. Quando un uomo è corrisposto in amore, Rodrigo, fa bene tutto. L’Amore gli apre la porta, mentre a me l’apre l’oblio. E poi, l’esser forestiero attira più l’attenzione. È giusta la vostra rabbia. Lui è un galante cavaliere ma non tanto da oscurare quelli che son di Medina. La patria mi fa impazzire; somiglia tanto a una donna nel disprezzar chi è di casa e preferire gli estranei.
RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO RODRIGO FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO FERNANDO
De siempre ingrata culpada son ejemplos Roma y Grecia.
1840
Dentro ruido de pretales y voces. [VOZ] 1 [VOZ] 2 FERNANDO RODRIGO VOZ
1
FERNANDO RODRIGO FERNANDO VOZ
2
RODRIGO FERNANDO VOZ
1
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO
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¡Brava suerte! ¡Con qué gala quebró el rejón! ¿Qué aguardamos? Tomemos caballos. Vamos. Nadie en el mundo le iguala. ¿Oyes esa voz? No puedo sufrirlo. Aún no lo encareces. ¡Vítor setecientas veces el caballero de Olmedo! ¿Qué suerte quieres que aguarde, Fernando, con estas voces? Es vulgo, ¿no le conoces? Dios te guarde, Dios te guarde. ¿Qué más dijeran al rey? Mas bien hacen; digan, rueguen que hasta el fin sus dichas lleguen. Fue siempre bárbara ley seguir aplauso vulgar las novedades. Él viene a mudar caballo. Hoy tiene la Fortuna en su lugar.
1845
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1860
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO FERNANDO
Roma e la Grecia ci mostrano che la patria è sempre ingrata. Dentro, rumore di finimenti e voci.
[VOCE] 1 [VOCE] 2 FERNANDO RODRIGO
[VOCE] 1 FERNANDO RODRIGO FERNANDO VOCE
2
RODRIGO FERNANDO VOCE
1
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO FERNANDO
Bella mossa! Che eleganza nel colpire con lo stocco! Che aspettiamo? Monta in sella. Andiamo. Nessuno al mondo può stargli a paro. Lo senti? Non lo riesco a sopportare. Ed ancora hai detto poco. Viva settecento volte il cavaliere di Olmedo! Che cosa posso aspettarmi, Fernando, con queste grida? È volgo, non lo conosci? Dio ti salvi, Dio ti salvi! E che direbbero al re? Ma fanno bene, anzi dicano e preghino che fino all’ultimo arrivi la sua fortuna. Da sempre è barbara legge che il plauso del volgo vada alle novità. Ecco, viene a cambiar cavallo. Oggi la Fortuna sta con lui.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
Salen Tello con rejón y librea, y don Alonso. TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
FERNANDO
RODRIGO
¡Valientes suertes, por Dios! Dame, Tello, el alazán. Todos el lauro nos dan. ¿A los dos, Tello? A los dos; que tú a caballo y yo a pie nos habemos igualado. ¡Qué bravo, Tello, has andado! Seis toros desjarreté, como si sus piernas fueran rábanos de mi lugar. Volvamos, Rodrigo, a entrar, que por dicha nos esperan, aunque os parece que no. A vos, don Fernando, sí; a mí no, si no es que a mí me esperan para que yo haga suertes que me afrenten, o que algún toro me mate o me arrastre o me maltrate, donde con risa lo cuenten.
1865
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Vanse los dos. TELLO ALONSO
TELLO
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Aquellos te están mirando. Ya los he visto envidiosos de mis dichas y aun celosos de mirarme a Inés mirando. ¡Bravos favores te ha hecho con la risa! Que la risa es lengua muda que avisa de lo que pasa en el pecho. No pasabas vez ninguna
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1890
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
Entrano Tello, con stocco e livrea, e don Alonso. TELLO ALONSO TELLO ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
FERNANDO
RODRIGO
Che belle mosse, perdio! Tello, portami qui il sauro. Tutti ci danno già il premio. «Ci» danno, Tello? Ci danno; che tu a cavallo, io a piedi, abbiamo fatto l’uguale. Che coraggioso sei stato! Ho sgarrettato sei tori, come se invece di zampe avessero barbabietole. Rodrigo, torniamo dentro, che può essere ci aspettino, benché a voi sembri di no. Voi, don Fernando, vi aspettano; me no, a meno che mi aspettino per mosse riuscite male, o perché mi uccida qualche toro oppure mi calpesti o mi ferisca, che possano poi raccontarlo ridendo. Se ne vanno.
TELLO ALONSO
TELLO
Quei due ti stanno guardando. Li ho già notati invidiosi della mia fortuna, ed anche gelosi di avermi visto guardare Inés. Che favori ti ha fatto con il sorriso! Che il sorriso è lingua muta che parla dei sentimenti. Non passavi mai una volta
831
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO
TELLO
ALONSO
TELLO
ALONSO
que arrojar no se quería del balcón. ¡Ay, Inés mía! ¡Si quisiese la Fortuna que a mis padres les llevase tal prenda de sucesión! Sí harás, como la ocasión de este don Rodrigo pase; porque satisfecho estoy de que Inés por ti se abrasa. Fabia se ha quedado en casa; mientras una vuelta doy a la plaza, ve corriendo, y di que esté prevenida Inés, porque en mi partida la pueda hablar; advirtiendo que si esta noche no fuese a Olmedo, me han de contar mis padres por muerto; y dar ocasión, si no los viese, a esta pena, no es razón; tengan buen sueño, que es justo. Bien dices; duerman con gusto, pues es forzosa ocasión de temer y de esperar. Yo entro.
1895
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1910
Vase don Alonso. TELLO
832
Guárdete el cielo. Pues puedo hablar sin recelo, a Fabia quiero llegar. Traigo cierto pensamiento para coger la cadena
1915
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ALONSO
TELLO
ALONSO
TELLO
ALONSO
senza che lei si sporgesse dal balcone. Ah, Inés mia! Oh, volesse la Fortuna che potessi ai genitori portare un simile pegno di felice successione! E lo farai, non appena don Rodrigo non sarà più un ostacolo; che io sono sicuro che Inés brucia d’amore per te. A casa è rimasta Fabia; mentre torno a fare un giro dell’arena, vai di corsa e di’ che si tenga pronta Inés, che prima di andare possa parlarle; perché se questa notte non torno a Olmedo, i miei genitori temeranno che sia morto; e non farmi rivedere, dandogli questo dolore, non è giusto, che si meritano di avere un sonno tranquillo. Bene; dormano sereni, ché in un caso come questo si teme e si spera. Vado. Esce don Alonso.
TELLO
Che il Signore ti protegga. Ora che posso parlare liberamente, da Fabia voglio andare. Ho escogitato come prender la catena 833
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
a esta vieja, aunque con pena de su astuto entendimiento. No supo Circe, Medea, ni Hécate lo que ella sabe; tendrá en el alma una llave que de treinta vueltas sea. Mas no hay maestra mejor que decirle que la quiero, que es el remedio primero para una mujer mayor; que con dos razones tiernas de amores y voluntad, presumen de mocedad, y piensan que son eternas. Acabóse. Llego, llamo. ¡Fabia!... Pero soy un necio; que sabrá que el oro precio y que los años desamo, porque se lo ha de decir el de las patas de gallo.
1920
1925
1930
1935
Sale Fabia. FABIA
TELLO
FABIA TELLO
834
¡Jesús, Tello! ¿Aquí te hallo? ¡Qué buen modo de servir a don Alonso! ¿Qué es esto? ¿Qué ha sucedido? No alteres lo venerable, pues eres causa de venir tan presto; que por verte anticipé de don Alonso un recado. ¿Cómo ha andado? Bien ha andado, porque yo le acompañé.
1940
1945
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
alla vecchia, anche se temo la sua astuta perspicacia. Né Medea, né Circe, né Ecate seppero quel che lei sa; avrà un chiavistello all’anima chiuso con trenta mandate. Ma la chiave universale sarà dirle che mi piace, che è l’espediente migliore con una donna ormai anziana, che con due frasette tenere d’amore e di voler bene si credono ancora giovani e pensano di essere eterne. Eccomi giunto. Ora busso. Fabia!... Ma sono uno sciocco; capirà che punto all’oro e che gli anni non mi piacciono, ché glielo dirà il suo amico dalle zampe zoccolute. Entra Fabia. FABIA
TELLO
FABIA TELLO
Gesù, Tello! Perché qui? Che bel modo di servire don Alonso! Come mai? Che è successo? Ricomponi il tuo aspetto venerabile, perché è per te che son qui così presto: per vederti ho anticipato un incarico di don Alonso. In che modo gli è andata? Gli è andata bene, perché io lo accompagnavo. 835
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA TELLO
FABIA
836
¡Estremado fanfarrón! Pregúntalo al rey, verás cuál de los dos hizo más; que se echaba del balcón cada vez que yo pasaba. ¡Bravo favor! Más quisiera los tuyos. ¡Oh, quién te viera! Esa hermosura bastaba para que yo fuera Orlando. ¿Toros de Medina a mí? ¡Vive el cielo! que les di reveses, desjarretando, de tal aire, de tal casta, en medio del regocijo, que hubo toro que me dijo: «Basta, señor Tello, basta». «No basta», le dije yo, y eché de un tajo volado una pierna en un tejado. Y ¿cuántas tejas quebró? Eso al dueño, que no a mí. Dile, Fabia, a tu señora, que ese mozo que la adora vendrá a despedirse aquí; que es fuerza volverse a casa, porque no piensen que es muerto sus padres. Esto te advierto. Y porque la fiesta pasa sin mí, y el rey me ha de echar menos, que en efeto soy su toricida, me voy a dar materia al lugar de vítores y de aplauso, si me das algún favor. ¿Yo favor?
1950
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1960
1965
1970
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO FABIA TELLO
FABIA TELLO FABIA TELLO
FABIA TELLO
FABIA
Che fanfarone incredibile! Chiedilo al re, e vedrai chi di noi due ha fatto meglio; si buttava dal balcone ogni volta che io passavo. Che favore! Preferisco i tuoi. Oh, poterti aver visto! Hai bellezza sufficiente da avermi reso un Orlando. Tori di Medina a me? Vivaddio! Ho menato tanti fendenti per sgarrettarli, con tale forza e in tal modo, mentre tutti mi applaudivano, che un toro è arrivato a dirmi: «Basta, signor Tello, basta.» «Non basta», ho risposto io, e con un rovescio al volo getto una zampa su un tetto. E quante tegole ha rotto? Chiedilo a chi ci abitava. Di’, Fabia, alla tua signora, che il giovane che la adora verrà da lei a salutarla; che deve tornare a casa, per evitare che i suoi lo pensino morto. Questo ti dico. E poiché la festa continua senza di me, e il re sentirà la mia mancanza, perché sono il suo toricida, vado a dare motivo ad applausi e evviva, se mi dai qualche favore. Io? 837
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO TELLO FABIA
TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA
TELLO FABIA TELLO FABIA
TELLO FABIA
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Paga mi amor. ¿Que yo tus hazañas causo? Basta, que no lo sabía. ¿Qué te agrada más? Tus ojos. Pues daréte sus antojos. Por caballo, Fabia mía, quedo confirmado ya. Propio favor de lacayo. Más castaño soy que bayo. Mira cómo andas allá, que esto de ne nos inducas suelen causar los refrescos; no te quite los greguescos algún mozo de San Lucas; que será notable risa, Tello, que donde lo vea todo el mundo, un toro sea sumiller de tu camisa. Lo atacado y el cuidado volverán por mi decoro. Para un desgarro de un toro, ¿qué importa estar atacado? Que no tengo a toros miedo. Los de Medina hacen riza, porque tienen ojeriza con los lacayos de Olmedo. Como esos ha derribado, Fabia, este brazo español. Mas, ¿que te ha de dar el sol adonde nunca te ha dado?
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1995
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO TELLO FABIA
TELLO FABIA TELLO FABIA TELLO FABIA
TELLO
FABIA
TELLO FABIA
TELLO
FABIA
Ricompensa il mio amore. Io motivo le tue imprese? Beh, non lo sapevo proprio. Che ti piace di più? Gli occhi. Ti darò allora gli occhiali. Fabia mia, che son cavallo con questo tu mi confermi. Favore adatto a un lacchè. Son più castagno che baio. Stai attento a come ritorni, che a volte tentar la sorte di nuovo, è un ne nos inducas; non ti tolga i pantaloni qualche servo di San Luca; che sarà proprio da ridere, Tello, che davanti a tutti, un toro sia il tuo domestico e ti tolga la camicia. Le bretelle e la solerzia mi basteranno a difendere il decoro. A cosa servono, di fronte al corno di un toro, le bretelle? Io non ho paura dei tori. I tori di Medina fanno strage, perché coi lacchè di Olmedo ce l’hanno a morte. Ne ha stesi, di quei tori, questo braccio spagnolo, Fabia. Scommetti che oggi prenderai il sole dove mai ti sei abbronzato? 839
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
Ruido de plaza y grita, y digan dentro: VOZ
1
ALONSO VOZ
2
1 2 VOZ 1 VOZ VOZ
¡Cayó don Rodrigo! ¡Afuera! ¡Qué gallardo, qué animoso don Alonso le socorre! Ya se apea don Alonso. ¡Qué valientes cuchilladas! Hizo pedazos el toro.
2015
Salgan los dos, y don Alonso teniéndole. ALONSO
RODRIGO ALONSO
Aquí tengo yo caballo; que los nuestros van furiosos discurriendo por la plaza. Ánimo. Con vos le cobro. La caída ha sido grande. Pues no será bien que al coso volváis; aquí habrá criados que os sirvan, porque yo torno a la plaza. Perdonadme, porque cobrar es forzoso el caballo que dejé.
2020
2025
2030
Vase y sale don Fernando. FERNANDO RODRIGO
840
¿Qué es esto? ¡Rodrigo, y solo! ¿Cómo estáis? Mala caída, mal suceso, malo todo; pero más deber la vida a quien me tiene celoso y a quien la muerte deseo.
2035
LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
L’arena rumoreggia e grida, e dicono dentro: VOCE
1
ALONSO VOCE
2
1 2 VOCE 1 VOCE VOCE
È caduto don Rodrigo! Via di qui! Con che coraggio don Alonso lo soccorre! Ecco scende da cavallo. Che forti colpi di spada! Ha fatto a pezzi quel toro. Entrano tutti e due, e don Alonso lo sostiene.
ALONSO
RODRIGO ALONSO
Ecco, qui ho un altro cavallo; che i nostri corrono in giro per l’arena, imbizzarriti. Coraggio. Voi me lo date. La caduta è stata brutta. E allora non sarà bene che ci riproviate; qui troverete dei domestici che vi aiutino, mentre io torno all’arena. Scusatemi, ma devo andare a riprendere il cavallo che ho lasciato. Se ne va ed entra don Fernando.
FERNANDO RODRIGO
Che succede? Voi, Rodrigo, solo! Come state? Brutta caduta, brutta avventura, brutto tutto; ma ancor più dover la vita a colui del quale sono geloso e al quale auguro la morte. 841
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO FERNANDO
RODRIGO
842
¡Que sucediese a los ojos del rey y que viese Inés que aquel su galán dichoso hiciese el toro pedazos por libraros! Estoy loco. No hay hombre tan desdichado, Fernando, de polo a polo. ¡Qué de afrentas, qué de penas, qué de agravios, qué de enojos, qué de injurias, qué de celos, qué de agüeros, qué de asombros! Alcé los ojos a ver a Inés, por ver si piadoso mostraba el semblante entonces que, aunque ingrato, necio adoro; y veo que no pudiera mirar Nerón riguroso desde la torre Tarpeya de Roma el incendio, como desde el balcón me miraba; y que luego, en vergonzoso clavel de púrpura fina bañado el jazmín del rostro, a don Alonso miraba; y que por los labios rojos pagaba en perlas el gusto de ver que a sus pies me postro, de la Fortuna arrojado y de la suya envidioso. Mas, ¡vive Dios!, que la risa, primero que la de Apolo alegre el oriente y bañe el aire de átomos de oro,
2040
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2050
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO FERNANDO
RODRIGO
Che sia stato sotto gli occhi del re e che vedesse Inés quel suo amante fortunato che faceva a pezzi il toro per salvarvi! Esco di senno. Non c’è uomo più sventurato al mondo di me, Fernando. Quanti oltraggi, quante pene, quante offese, quanta rabbia, quante ingiurie e gelosie, quanti presagi e sospetti! Ho alzato gli occhi a guardare Inés, per vedere se un po’ di pietà mostrava su quel viso che io, sciocco, adoro, anche se mi è ingrato; e vedo che non avrebbe potuto guardar l’incendio di Roma il duro Nerone dalla torre di Tarpea come lei dal suo balcone mi guardava; mentre poi, il gelsomino del volto di fina porpora intriso, come pudico garofano, ecco, guarda don Alonso; schiudendo le labbra rosse pagava in perle il piacere di vedermi steso a terra che ai suoi piedi mi prostravo, dalla Fortuna abbattuto e invidioso della sua. Ma giuro a Dio che il sorriso, prima che quello di Apollo rallegri l’Oriente e intrida l’aria di atomi d’oro, 843
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
FERNANDO RODRIGO FERNANDO
se le ha de trocar en llanto, si hallo al hidaguillo loco entre Medina y Olmedo. Él sabrá ponerse en cobro. Mal conocéis a los celos. ¿Quién no sabe que son monstruos? Mas lo que ha de importar mucho no se ha pensar tan poco.
2070
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Salen el rey, el condestable y criados. REY
CONDESTABLE
REY CONDESTABLE REY
CONDESTABLE REY
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Tarde acabaron las fiestas; pero ellas han sido tales que no las he visto iguales. Dije a Medina que aprestas para mañana partir; mas tiene tanto deseo de que veas el torneo con que te quiere servir, que me ha pedido, señor, que dos días se detenga vuestra alteza. Cuando venga, pienso que será mejor. Haga este gusto a Medina vuestra alteza. Por vos sea, aunque el infante desea – con tanta prisa camina – estas vistas de Toledo para el día concertado. Galán y bizarro ha estado el caballero de Olmedo. ¡Buenas suertes, condestable!
2080
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2090
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
FERNANDO RODRIGO FERNANDO
le si trasformerà in pianto, se tra Medina ed Olmedo trovo quel cavalieruccio. Riuscirà a mettersi in salvo. Non conoscete la forza della gelosia. Chi è che non sa che è un mostro? Ma questioni così importanti van meditate di più. Entrano il re, il connestabile e domestici.
RE
CONNESTABILE
RE CONNESTABILE RE
CONNESTABILE RE
La festa è finita tardi; ma è stata tale, che io non ne ho mai vista l’uguale. Ho già detto ai medinesi che domani ripartivi; ma hanno tanto desiderio che tu presenzi al torneo che hanno allestito in tuo onore, che mi hanno chiesto, signore, che vostra altezza si fermi altri due giorni. Al ritorno penso che sia più opportuno. Contenti in questo Medina vostra altezza. E sia, per voi, anche se l’infante vuole – tanta è la fretta che l’anima – che ci vediamo a Toledo per il giorno concordato. Elegante e coraggioso è il cavaliere di Olmedo. Belle mosse, connestabile!
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO CONDESTABLE
REY CONDESTABLE REY
No sé en él cuál es mayor, la ventura o el valor, aunque es el valor notable. Cualquiera cosa hace bien. Con razón le favorece vuestra alteza. Él lo merece y que vos le honréis también.
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Vanse, y salen don Alonso y Tello, de noche. TELLO ALONSO
TELLO
ALONSO
TELLO ALONSO
Mucho habemos esperado; ya no puedes caminar. Deseo, Tello, escusar a mis padres el cuidado: a cualquier hora es forzoso partirme. Si hablas a Inés, ¿qué importa, señor, que estés de tus padres cuidadoso? Porque os ha de hallar el día en esas rejas. No hará; que el alma me avisará como si no fuera mía. Parece que hablan en ellas, y que es, en la voz, Leonor. Y lo dice el resplandor que da el sol a las estrellas.
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Leonor en la reja. LEONOR ALONSO LEONOR
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¿Es don Alonso? Yo soy. Luego mi hermana saldrá, porque con mi padre está hablando en las fiestas de hoy.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO CONNESTABILE
RE CONNESTABILE RE
Non so in lui cosa predomini se la fortuna o il coraggio, anche se il coraggio è tanto. Qualsiasi cosa fa bene. A ragione vostra altezza lo favorisce. Lo merita, e che anche voi lo onoriate.
Se ne vanno, ed entrano don Alonso e Tello, con mantelli da notte. TELLO ALONSO
TELLO
ALONSO
TELLO ALONSO
Abbiamo fatto assai tardi; non puoi più metterti in viaggio. Voglio, Tello, risparmiare ai miei la preoccupazione: qualsiasi ora sia, devo partire. Se parli a Inés, che importa che ti preoccupi signore, dei genitori? Perché ti troverà il giorno a quelle inferriate. No, l’anima mi avviserà come se non fosse mia. Sento parlare, mi sembra; e dalla voce, è Leonor. Lo conferma lo splendore che il sole dona alle stelle. Leonor alla finestra.
LEONOR ALONSO LEONOR
È don Alonso? Sono io. Mia sorella arriva subito, perché adesso con mio padre parla della festa di oggi. 847
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO TELLO
ALONSO LEONOR
Tello puede entrar, que quiere daros un regalo Inés. Entra, Tello. Si después cerraren y no saliere, bien puedes partir sin mí; que yo te sabré alcanzar. ¿Cuándo, Leonor, podré entrar con tal libertad aquí? Pienso que ha de ser muy presto, porque mi padre de suerte te encarece, que a quererte tiene el corazón dispuesto. Y porque se case Inés, en sabiendo vuestro amor, sabrá escoger lo mejor, como estimarlo después.
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Sale doña Inés a la reja. INÉS LEONOR INÉS ALONSO INÉS LEONOR
INÉS ALONSO INÉS
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¿Con quién hablas? Con Rodrigo. Mientes, que mi dueño es. Que soy esclavo de Inés, al cielo doy por testigo. No sois sino mi señor. Ahora bien, quiéroos dejar; que es necedad estorbar sin celos quien tiene amor. ¿Cómo estáis? Como sin vida. Por vivir os vengo a ver. Bien había menester la pena de esta partida para templar el contento que hoy he tenido de veros ejemplo de caballeros
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ALONSO TELLO
ALONSO LEONOR
Tello può entrare, che Inés vi vuole dare un regalo. Entra, Tello. Se poi chiudono e io non fossi ancora uscito, vai pure senza di me; io ti raggiungerò dopo. Quando, Leonor, potrò entrare qui con questa libertà? Credo presto, che mio padre parla di te così bene, che il suo cuore sembra pronto e predisposto ad amarti. E purché si sposi Inés, quando saprà che vi amate saprà risolversi al meglio, ed in seguito apprezzarlo. Si affaccia donna Inés alla finestra.
INÉS LEONOR INÉS ALONSO INÉS LEONOR
INÉS ALONSO INÉS
Con chi parli? Con Rodrigo. Menti, so che è il mio signore. Che sono schiavo di Inés il cielo mi è testimonio. Siete il padrone, non altro. Bene, vi voglio lasciare; che è da sciocchi far da incomodo quando non c’è gelosia. Come state? Senza vita. Vengo a vedervi per vivere. Mi ci voleva il dolore di questa vostra partenza per compensare la gioia che oggi ho provato a vedervi esempio dei cavalieri 849
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO INÉS ALONSO
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y de las damas tormento. De todas estoy celosa; que os alabasen quería, y después me arrepentía, de perderos temerosa. ¡Qué de varios pareceres! ¡Qué de títulos y nombres os dio la envidia en los hombres y el amor en las mujeres! Mi padre os ha codiciado por yerno, para Leonor, y agradecióle mi amor, aunque celosa, el cuidado; que habéis de ser para mí, y así se lo dije yo, aunque con la lengua no, pero con el alma sí. Mas, ¡ay! ¿Cómo estoy contenta si os partís? Mis padres son la causa. Tenéis razón; mas dejadme que lo sienta. Yo lo siento, y voy a Olmedo dejando el alma en Medina. No sé cómo parto y quedo. Amor la ausencia imagina, los celos, señora, el miedo; así parto muerto y vivo, que vida y muerte recibo. Mas, ¿qué te puedo decir, cuando estoy para partir, puesto ya el pie en el estribo? Ando, señora, estos días, entre tantas asperezas de imaginaciones mías,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ALONSO INÉS ALONSO
e delle dame tormento. Di tutte mi ingelosivo; volevo che vi lodassero, e subito mi pentivo, di perdervi timorosa. Che varietà di opinioni! Che titoli e nomi vi ha dato l’invidia negli uomini e l’amore nelle donne! Mio padre vi vagheggiava per genero, per Leonor, ed il mio amore gradiva, benché gelosa, il pensiero; perché voi siete per me, e questo gli ho detto io, benché con la lingua no, con tutta l’anima sì. Ma ahimè! Posso esser contenta se partite? È per i miei che lo faccio. È giusto, ma lasciate che mi addolori. Mi addolora, e vado a Olmedo lasciando a Medina l’anima. Non so come sia possibile partire e insieme restare. Amore l’assenza immagina, la gelosia, i miei timori; quindi parto morto e vivo, ricevendo vita e morte. Ma cosa più posso dirti, quando sto ormai per partire, il piede già sulla staffa? In questi giorni, signora, fra tante immaginazioni che mi tormentano, sto 851
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
consolado en mis tristezas y triste en mis alegrías. Tengo, pensando perderte, imaginación tan fuerte, y así en ella vengo y voy, que me parece que estoy con las ansias de la muerte. La envidia de mis contrarios temo tanto, que, aunque puedo poner medios necesarios, estoy entre amor y miedo haciendo discursos varios. Ya para siempre me privo de verte, y de suerte vivo, que, mi muerte presumiendo, parece que estoy diciendo: «Señora, aquésta te escribo». Tener de tu esposo el nombre amor y favor ha sido; pero es justo que me asombre que, amado y favorecido, tenga tal tristeza un hombre. Parto a morir, y te escribo mi muerte, si ausente vivo, porque tengo, Inés, por cierto que si vuelvo será muerto, pues partir no puedo vivo. Bien sé que tristeza es; pero puede tanto en mí que me dice, hermosa Inés: «Si partes muerto de aquí, ¿cómo volverás después?» Yo parto, y parto a la muerte, aunque morir no es perderte; que si el alma no se parte, ¿cómo es posible dejarte, cuanto más, volver a verte? 852
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
contento nella tristezza, rattristato nella gioia. Questa mia immaginazione di perderti è così forte ed il cruccio è tanto grande che mi sembra di dibattermi nelle angosce della morte. L’invidia dei miei rivali temo tanto, che, potendo escogitare rimedi, mi dibatto invece incerto fra l’amore ed il timore. Ormai mi privo per sempre della tua vista, e in tal modo vivo, pensando alla morte, che mi sembra che ti dico: «Signora, così ti scrivo». Poter chiamarmi tuo sposo è stato amore e favore; ma certo mi meraviglia che sia tanto triste un uomo così amato e favorito. Parto a morire, e ti scrivo la mia morte, che è lo stesso che allontanarmi da te, perché, Inés, sono sicuro che se torno sarò morto, che non posso andar via vivo. Lo so che è solo tristezza; ma può tanto in me da dirmi, bella Inés, «Se di qui parti morto, come tornerai?» Io parto, e parto alla morte, ma morire non è perderti; che, se l’anima non parte, come potrà mai lasciarti, o tornare a rivederti? 853
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO INÉS
ALONSO
Pena me has dado y temor con tus miedos y recelos; si tus tristezas son celos, ingrato ha sido tu amor. Bien entiendo tus razones; pero tú no has entendido mi amor. Ni tú, que han sido estas imaginaciones solo un ejercicio triste del alma, que me atormenta, no celos; que fuera afrenta del nombre, Inés, que me diste. De sueños y fantasías, si bien falsas ilusiones, han nacido estas razones, que no de sospechas mías.
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Leonor sale a la reja. INÉS LEONOR ALONSO LEONOR
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Leonor vuelve. ¿Hay algo? Sí... ¿Es partirme? Claro está. Mi padre se acuesta ya, y me preguntó por ti. Vete, Alonso, vete. Adiós. No te quejes, fuerza es. ¿Cuándo querrá Dios, Inés, que estemos juntos los dos? Aquí se acabó mi vida, que es lo mismo que partirme. Tello no sale, o no puede acabar de despedirse. Voyme; que él me alcanzará.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO INÉS
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Mi fan male e mi spaventano le tue paure e i tuoi dubbi; se le tue malinconie alla gelosia si devono, il tuo amore è stato ingrato. Capisco le tue parole; tu però non hai capito il mio amore. E neanche tu che queste immaginazioni son solo un triste esercizio dell’anima che mi affligge, non gelosia; che sarebbe offendere il nome, Inés, con cui hai voluto chiamarmi. Da sogni e da fantasie, da false allucinazioni, son nate queste parole, e non da sospetti miei. Leonor ricompare alla finestra.
INÉS LEONOR ALONSO LEONOR
INÉS ALONSO
Leonor torna. C’è qualcosa? Sì... Devo andare via? Proprio. Mio padre sta andando a letto, e ha appena chiesto di te. Vai, Alonso, vai. Addio. Non crucciarti, è inevitabile. Quando permetterà Dio, Inés, che noi due restiamo insieme? Qui finisce la mia vita, perché partire è morire. Tello non esce, o non ha finito di congedarsi. Vado: mi raggiungerà. 855
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
Al entrar, una Sombra con una máscara negra y sombrero, y puesta la mano en el puño de la espada, se le ponga delante. ALONSO
SOMBRA ALONSO SOMBRA ALONSO
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¿Qué es esto? ¿Quién va? De oírme no hace caso. ¿Quién es? ¡Hable! ¡Que un hombre me atemorice no habiendo temido a tantos! ¿Es don Rodrigo? ¿No dice quién es? Don Alonso. ¿Cómo? Don Alonso. No es posible. Mas otro será, que yo soy don Alonso Manrique... Si es invención, ¡meta mano! Volvió la espalda. Seguirle desatino me parece. ¡Oh imaginación terrible! Mi sombra debió de ser... Mas no, que en forma visible dijo que era don Alonso. Todas son cosas que finge la fuerza de la tristeza, la imaginación de un triste. ¿Qué me quieres, pensamiento, que con mi sombra me afliges? Mira que temer sin causa es de sujetos humildes. O embustes de Fabia son, que pretende persuadirme porque no me vaya a Olmedo, sabiendo que es imposible. Siempre dice que me guarde, y siempre que no camine de noche, sin más razón
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Mentre sta per andarsene, un’Ombra con una maschera nera e il cappello, con la mano sull’elsa della spada, gli impedisca il passo. ALONSO
OMBRA ALONSO OMBRA ALONSO
Che cos’è? Chi è là? Non sembra ascoltarmi. Chi è? Parli! Che un uomo mi intimorisca, dopo che non ne ho temuti tanti! È don Rodrigo? Dica chi è. Don Alonso. Come? Don Alonso. Ma è impossibile. Sarà un altro, perché io son don Alonso Manrique... Se è una scusa, combattiamo! Se ne è andato via. Seguirlo mi sembrerebbe follia. Crudele immaginazione! Sarà stata la mia ombra... Ma no, che in forma visibile ha detto di essere Alonso. Son cose che concepisce la forza della tristezza, fantasie di un malinconico. Cosa vuoi da me, pensiero, che con la mia ombra mi crucci? Bada, che avere paura senza motivo è una cosa propria di persone umili. O sono imbrogli di Fabia che cerca di persuadermi che non parta per Olmedo, pur sapendo che è impossibile. Dice sempre che stia attento, e che non viaggi di notte, senza dir altro se non 857
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
de que la envidia me sigue. Pero ya no puede ser que don Rodrigo me envidie, pues hoy la vida me debe; que esta deuda no permite que un caballero tan noble en ningún tiempo la olvide. Antes pienso que ha de ser para que amistad confirme desde hoy conmigo en Medina; que la ingratitud no vive en buena sangre, que siempre entre villanos reside. En fin, es la quinta esencia de cuantas acciones viles tiene la bajeza humana, pagar mal quien bien recibe.
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Vase. Salen don Rodrigo, don Fernando, Mendo y Laín. RODRIGO FERNANDO RODRIGO
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Hoy tendrán fin mis celos y su vida. Finalmente, ¿venís determinado? No habrá consejo que su muerte impida, después que la palabra me han quebrado. Ya se entendió la devoción fingida, ya supe que era Tello, su criado, quien la enseñaba aquel latín que ha sido en cartas de romance traducido. ¡Qué honrada dueña recibió en su casa don Pedro en Fabia! ¡Oh mísera doncella! Disculpo tu inocencia, si te abrasa fuego infernal de los hechizos de ella.
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che l’invidia mi perseguita. Ma adesso non può più essere che don Rodrigo mi invidi, perché mi deve la vita; e questo è un debito tale che un nobile come lui non potrà dimenticarlo. Anzi penso che sarà motivo perché lui stringa da oggi amicizia con me; che non c’è nel sangue nobile posto per l’ingratitudine, che da sempre vive solo fra gente villana. In breve, fra tutte le azioni vili che la bassezza dell’uomo può compiere, la peggiore è ripagare col male il bene che si riceve. Se ne va. Entrano don Rodrigo, don Fernando, Mendo e Laín. RODRIGO FERNANDO RODRIGO
Oggi avrà fine la mia gelosia e la sua vita. Siete ben deciso? Nessun consiglio mi potrà distogliere dopo che hanno mancato alla promessa. Si è capita la finta devozione, ho saputo che Tello, il suo domestico, era l’incaricato di insegnarle un latino che in lettere spagnole era stato tradotto. Onesta donna proprio, la Fabia che don Pedro ha accolto in casa sua! Oh misera fanciulla! Scuso la tua innocenza, se ti brucia l’infero fuoco delle sue magie. 859
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO MENDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
No sabe, aunque es discreta, lo que pasa, y así el honor de entrambos atropella. ¡Cuántas casas de nobles caballeros han infamado hechizos y terceros! Fabia, que puede transponer un monte; Fabia, que puede detener un río, y en los negros ministros de Aqueronte tiene, como en vasallos, señorío; Fabia, que de este mar, de este horizonte, al abrasado clima, al Norte frío puede llevar un hombre por el aire, le da liciones. ¿Hay mayor donaire? Por la misma razón yo no tratara de más venganza. ¡Vive Dios, Fernando, que fuera de los dos bajeza clara! No la hay mayor que despreciar amando. Si vos podéis, yo no. Señor, repara en que vienen los ecos avisando de que a caballo alguna gente viene. Si viene acompañado, miedo tiene. No lo creas, que es mozo temerario. Todo hombre con silencio esté escondido. Tú, Mendo, el arcabuz, si es necesario, tendrás detrás de un árbol prevenido. ¡Qué inconstante es el bien, qué loco y vario! Hoy a vista de un rey salió lucido, admirado de todos, a la plaza, y ¡ya tan fiera muerte le amenaza!
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Escóndanse y salga don Alonso. ALONSO
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Lo que jamás he tenido, que es algún recelo o miedo, llevo caminando a Olmedo.
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FERNANDO RODRIGO FERNANDO RODRIGO MENDO
RODRIGO FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
È accorta, ma non sa cosa c’è dietro, e così offende l’onore di entrambi. Mezzani e sortilegi, quante case di nobili signori hanno infamate! Fabia, che può cambiar di posto a un monte; Fabia, che può immobilizzare un fiume, e sui neri ministri di Acheronte, suoi vassalli, comanda da signora; che da questi orizzonti e questo mare può trasportare in volo una persona alla torrida zona o al freddo polo, le dà lezioni. C’è beffa più grande? Proprio per questo non andrei a cercare altra vendetta. Vivaddio, Fernando, sarebbe una bassezza per entrambi! La più grande è chi si ama disprezzare. Se voi potete, io no. Signore, bada che ci avvisano gli echi che qualcuno sta arrivando a cavallo. Se da altri è accompagnato, sarà che ha paura. Non penso, è un giovanotto temerario. Nascondetevi tutti e state zitti. Tu, Mendo, in caso fosse necessario prepara l’archibugio dietro a un albero. Com’è incostante il bene, folle e incerto! Oggi davanti a un re si è fatto onore, ammirato da tutti, in un’arena, e ora crudele morte lo minaccia! Si nascondono e entra don Alonso.
ALONSO
Ciò che non ho mai provato, cioè timore e paura, provo andando verso Olmedo. 861
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
Pero tristezas han sido. Del agua el manso rüido y el ligero movimiento de estas ramas con el viento, mi tristeza aumentan más. Yo camino, y vuelve atrás mi confuso pensamiento. De mis padres el amor y la obediencia me lleva, aunque esta es pequeña prueba del alma de mi valor. Conozco que fue rigor el dejar tan presto a Inés... ¡Qué escuridad! Todo es horror, hasta que el aurora en las alfombras de Flora ponga los dorados pies.
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Tocan. Allí cantan. ¿Quién será? Mas será algún labrador que camina a su labor. Lejos parece que está, pero acercándose va. Pues, ¡cómo! ¡Lleva instrumento y no es rústico el acento, sino sonoro y süave! ¡Qué mal la música sabe, si está triste el pensamiento!
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Canten desde lejos en el vestuario y véngase acercando la voz, como que camina. [VOZ]
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Que de noche le mataron al caballero,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
Ma sono le mie tristezze. Il brusio mite dell’acqua e il leggero movimento di quei rami con il vento, mi accrescono la tristezza. Vado avanti, e torna indietro il mio pensiero confuso. Amor filiale e obbedienza mi spingono, anche se questa è un’assai piccola prova del mio coraggioso cuore. So che è stata crudeltà lasciare Inés così presto... Che oscurità! Tutto è orrore, finché l’aurora sopra i tappeti di Flora poserà i dorati piedi. Suonano. Laggiù cantano. Chi è? Sarà qualche contadino che se ne va a lavorare. Mi sembra ancora lontano, ma ora si sta avvicinando. Ma come! Ha uno strumento, e la voce non è rustica, ma sonora e dolce! Suona così sgradita la musica, se si è afflitti da tristezza! Cantano da lontano nel vano dietro al palcoscenico e la voce man mano si avvicina, come se chi canta stesse camminando. [VOCE]
E di notte l’hanno ucciso il cavaliere,
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO
VOZ
ALONSO LABRADOR ALONSO LABRADOR
la gala de Medina, la flor de Olmedo. ¡Cielos! ¿Qué estoy escuchando? Si es que avisos vuestros son, ya que estoy en la ocasión, ¿de qué me estáis informando? Volver atrás, ¿cómo puedo? Invención de Fabia es, que quiere, a ruego de Inés, hacer que no vaya a Olmedo. Sombras le avisaron que no saliese, y le aconsejaron que no se fuese el caballero, la gala de Medina, la flor de Olmedo. ¡Hola, buen hombre, el que canta! ¿Quién me llama? Un hombre soy que va perdido. Ya voy.
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Sale un Labrador. Veisme aquí. ALONSO LABRADOR ALONSO LABRADOR ALONSO
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(Todo me espanta.) ¿Dónde vas? A mi labor. ¿Quién esa canción te ha dado, que tristemente has cantado? Allá en Medina, señor. A mí me suelen llamar el caballero de Olmedo, y yo estoy vivo. No puedo deciros de este cantar
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ALONSO
VOCE
ALONSO CONTADINO ALONSO CONTADINO
la gala di Medina, di Olmedo il fiore. Cieli! Cosa sto ascoltando? Se mi volete avvisare, visto che ormai sono qui, di cosa mai mi informate? Tornare indietro non posso. È una trovata di Fabia che, pregata da Inés, vuole far sì che non vada a Olmedo. Ombre lo avvisarono di non partire, e gli consigliarono di non andarsene al cavaliere, la gala di Medina, di Olmedo il fiore. Ehilà, buon uomo che canti! Chi mi chiama? Sono un uomo che si è perso. Adesso arrivo. Entra un contadino.
ALONSO CONTADINO ALONSO CONTADINO ALONSO
CONTADINO
Eccomi qui. (Mi spaventa tutto.) Dove vai? Al lavoro. Chi ti ha dato la canzone così triste che hai cantato? Me l’hanno data a Medina. Di solito è me che chiamano il cavaliere di Olmedo, e io sono vivo. Non so dirvi di questa canzone 865
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO LABRADOR ALONSO LABRADOR ALONSO
más historias ni ocasión de que a una Fabia la oí. Si os importa, yo cumplí con deciros la canción. Volved atrás, no paséis de este arroyo. En mi nobleza, fuera ese temor bajeza. Muy necio valor tenéis. Volved, volved a Medina. Ven tú conmigo. No puedo. ¡Qué de sombras finge el miedo! ¡Qué de engaños imagina! Oye, escucha. ¿Dónde fue, que apenas sus pasos siento? ¡Ah, labrador! Oye, aguarda... «Aguarda», responde el eco. ¡Muerto yo! Pero es canción que por algún hombre hicieron de Olmedo, y los de Medina en este camino han muerto. A la mitad de él estoy. ¿Qué han de decir si me vuelvo? Gente viene... No me pesa; si allá van, iré con ellos.
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Salgan don Rodrigo y don Fernando y su gente. RODRIGO ALONSO FERNANDO ALONSO
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¿Quién va? Un hombre. ¿No me ven? Deténgase. Caballeros, si acaso necesidad
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nient’altro, se non che a una certa Fabia l’ho sentita. Se vi interessa, cantandola ho fatto quel che dovevo. Tornate indietro, il torrente non attraversate. Questo timore sarebbe vile in un nobile. Ben sciocco è il coraggio che mostrate. Tornate indietro a Medina. Vieni tu con me. Non posso. Che ombre crea la paura! Che inganni immagina! Senti, ascolta. Ma dov’è andato, che quasi non sento i passi? Contadino! Senti, aspetta... «Aspetta», risponde l’eco. Morto io! Ma è una canzone che hanno fatto per qualcuno di Olmedo, che sulla strada hanno ucciso i medinesi. Sto a metà di questa strada. Che diranno se ritorno a Medina? Arriva gente... Non mi dispiace; se fanno la mia strada, andrò con loro.
Entrano don Rodrigo e don Fernando e i loro domestici. RODRIGO ALONSO FERNANDO ALONSO
Chi è là? Un uomo. Non vedete? Fermo. Signori, se mai il bisogno vi costringe 867
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
RODRIGO ALONSO RODRIGO ALONSO FERNANDO
ALONSO
los fuerza a pasos como estos, desde aquí a mi casa hay poco; no habré menester dineros, que de día y en la calle se los doy a cuantos veo que me hacen honra en pedirlos. Quítese las armas luego. ¿Para qué? Para rendillas. ¿Saben quién soy? El de Olmedo, el matador de los toros, que viene arrogante y necio a afrentar los de Medina; el que deshonra a don Pedro con alcagüetes infames. Si fuérades a lo menos nobles vosotros, allá, pues tuvistes tanto tiempo, me hablárades, y no agora, que solo a mi casa vuelvo. Allá en las rejas, adonde dejastes la capa huyendo, fuera bien, y no en cuadrilla a media noche, soberbios. Pero confieso, villanos, que la estimación os debo: que aun siendo tantos, sois pocos. Riñan.
RODRIGO
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Yo vengo a matar, no vengo a desafíos; que entonces
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RODRIGO ALONSO RODRIGO ALONSO FERNANDO
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a questo, da qui alla mia casa manca poca strada; non sono un problema i soldi, che di giorno ed in città li do a chiunque incontro, che mi fa l’onore di chiederli. Si tolga la spada, subito. Perché? In segno di resa. Sapete chi sono? Siete il cavaliere di Olmedo, il carnefice di tori, che viene, arrogante e sciocco, a oltraggiare i medinesi; e che con mezzani infami ruba l’onore a don Pedro. Se voi invece foste nobili, lì a Medina potevate, che ne avete avuto il tempo, parlarmi, e non ora che torno a casa e sono solo. Lì vicino alle inferriate, dove fuggendo lasciaste il mantello, era ben fatto, non in gruppo e in piena notte, superbi contro uno solo. Ma riconosco, villani, di dovervi questa stima: nonostante siate in molti, per me siete ancora pochi. Combattono.
RODRIGO
Io vengo a uccidere, non a sfidare; che altrimenti
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te matara cuerpo a cuerpo. Tírale.
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Disparen dentro. ALONSO
FERNANDO ALONSO
Traidores sois; pero sin armas de fuego no pudiérades matarme. ¡Jesús! ¡Bien lo has hecho, Mendo! ¡Qué poco crédito di a los avisos del cielo! Valor propio me ha engañado, y muerto envidias y celos. ¡Ay de mí! ¿Qué haré en un campo tan solo?
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Sale Tello. TELLO
ALONSO
TELLO
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Pena me dieron estos hombres que a caballo van hacia Medina huyendo. Si a don Alonso habían visto pregunté; no respondieron. ¡Mala señal! Voy temblando. ¡Dios mío, piedad! ¡Yo muero! Vos sabéis que fue mi amor dirigido a casamiento. ¡Ay, Inés! De lastimosas quejas siento tristes ecos. Hacia aquella parte suenan. No está del camino lejos quien las da. No me ha quedado sangre. Pienso que el sombrero
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ti avrei ucciso in corpo a corpo. Spara. Sparano da dentro. ALONSO
FERNANDO ALONSO
Siete traditori: mai senza le armi da fuoco avreste potuto uccidermi. Gesù! Ben sparato, Mendo! Quanto poco caso ho fatto delle avvertenze del cielo! L’amor proprio mi ha ingannato, e mi hanno ucciso l’invidia e la gelosia! Ahimè! Che farò solo, in aperta campagna? Entra Tello.
TELLO
ALONSO
TELLO
Mi han messo in ansia questi uomini che a cavallo fuggono verso Medina. Gli ho chiesto se avevan visto don Alonso; e loro, zitti. Brutto segno! Tremo tutto. Dio mio, pietà! Sto morendo! Sapete che al matrimonio era diretto il mio amore. Ah, Inés! Di lamenti tristi sento gli echi commoventi. Da quella parte provengono. Chi li pronuncia non sta molto fuori dalla strada. Il sangue mi si raggela. Penso che su ogni capello 871
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
ALONSO
TELLO
puede tenerse en el aire solo en cualquiera cabello. ¡Ah, hidalgo! ¿Quién es? ¡Ay, Dios! ¿Por qué dudo lo que veo? Es mi señor don Alonso. Seas bien venido, Tello. ¿Cómo, señor, si he tardado? ¿Cómo, si a mirarte llego hecho una fiera de sangre? ¡Traidores, villanos, perros, volved, volved a matarme, pues habéis, infames, muerto el más noble, el más valiente, el más galán caballero que ciñó espada en Castilla! Tello, Tello, ya no es tiempo más que de tratar del alma. Ponme en tu caballo presto y llévame a ver mis padres. ¡Qué buenas nuevas les llevo de las fiestas de Medina! ¿Qué dirá aquel noble viejo? ¿Qué hará tu madre y tu patria? ¡Venganza, piadosos cielos!
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Salen don Pedro, doña Inés, doña Leonor, Fabia y Ana. INÉS PEDRO
LEONOR
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¿Tantas mercedes ha hecho? Hoy mostró con su real mano, heroica y liberal, la grandeza de su pecho. Medina está agradecida, y, por la que he recibido, a besarla os he traído. ¿Previene ya su partida?
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
ALONSO TELLO
ALONSO TELLO
ALONSO
TELLO
potrebbe star dritto in piedi il mio cappello. Signore, ehi! Chi è? Dio mio! Perché dubito, se vedo quel che vedo? È don Alonso. Sii il benvenuto, Tello. Come, signore, se ho fatto tardi? Come, se ti vedo sfigurato dal tuo sangue? Traditori, cani, zotici, tornate indietro a ammazzarmi, perché, infami, avete ucciso il più valoroso, nobile e cortese cavaliere che cinse spada in Castiglia! Tello, Tello, non c’è tempo se non per pensare all’anima. Mettimi sul tuo cavallo e portami dai genitori. Che belle nuove gli porto dalle feste di Medina! Che dirà il nobile vecchio? E tua madre? E la tua patria? Vendetta, cieli pietosi!
Entrano don Pedro, donna Inés, donna Leonor, Fabia e Ana. INÉS PEDRO
LEONOR
Tanti favori ha concesso? Con la sua regale mano mostra, eroico e liberale, la grandezza del suo petto. Medina è riconoscente, e io, per ciò che ho ricevuto, vi ho condotto qui a baciarla. Si prepara già a partire? 873
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO PEDRO
LEONOR PEDRO INÉS FABIA INÉS FABIA
INÉS PEDRO
INÉS
PEDRO
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Sí, Leonor, por el infante, que aguarda al rey en Toledo. En fin, obligado quedo; que por merced semejante más por vosotras lo estoy, pues ha de ser vuestro aumento. Con razón estás contento. Alcaide de Burgos soy. Besad la mano a su alteza. (¡Ha de haber ausencia, Fabia! Más la Fortuna te agravia. No en vano tanta tristeza he tenido desde ayer. Yo pienso que mayor daño te espera, si no me engaño, como suele suceder, que en las cosas por venir no puede haber cierta ciencia. ¿Qué mayor mal que la ausencia, pues es mayor que morir?) Ya, Inés, ¿qué mayores bienes pudiera yo desear, si tú quisieras dejar el propósito que tienes? No porque yo te hago fuerza; pero quisiera casarte. Pues tu obediencia no es parte que mi propósito tuerza. Me admiro de que no entiendas la ocasión. Yo no la sé.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO PEDRO
LEONOR PEDRO
INÉS FABIA INÉS FABIA
INÉS
PEDRO
INÉS
PEDRO
Sì, Leonor, è per l’infante che a Toledo aspetta il re. Insomma, gli sono grato per questo favore, e più per voi, perché cambia in meglio il vostro stato. A ragione sei lieto. Sono prefetto di Burgos. A Sua Maestà dovete baciar la mano. (Fabia, ancora lontananza! La Fortuna ti prepara maggiori offese. Per questo da ieri son così triste. Penso che un male peggiore ti attende, se non mi sbaglio, come potrebbe pur essere, perché di eventi futuri non c’è conoscenza certa. Che male può esser peggiore della lontananza, che è peggiore della morte?) Ora, Inés, che cosa d’altro potrei mai desiderare, se volessi abbandonare il proponimento fatto? Non che io ti voglia costringere; ma ti vorrei maritata. L’ubbidienza che ti devo non è però sufficiente a farmi cambiare idea. Mi meraviglia che tu non ne comprenda il motivo. Non lo so.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO LEONOR
PEDRO
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LEONOR PEDRO LEONOR PEDRO
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Pues yo por ti la diré, Inés, como no te ofendas. No la casas a su gusto. ¡Mira qué presto! Mi amor se queja de tu rigor, porque, a saber tu disgusto, no lo hubiera imaginado. Tiene inclinación Inés a un caballero, después que el rey de una cruz le ha honrado; que esto es deseo de honor, y no poca honestidad. Pues si él tiene calidad y tú le tienes amor, ¿quién ha de haber que replique? Cásate en buen hora, Inés. Pero, ¿no sabré quién es? Es don Alonso Manrique. Albricias hubiera dado. ¿El de Olmedo? Sí, señor. Es hombre de gran valor y desde agora me agrado de tan discreta elección; que, si el hábito rehusaba, era porque imaginaba diferente vocación. Habla, Inés, no estés ansí. Señor, Leonor se adelanta; que la inclinación no es tanta como ella te ha dicho aquí. Yo no quiero examinarte, sino estar con mucho gusto
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Lo dirò io, Inés, se non te ne offendi. Il marito che le dai non le piace. È presto detto! Mi addolora il tuo silenzio, perché a sapere che tu non gradivi quel marito, non lo avrei neanche trattato. Inés prova inclinazione per un cavaliere, il quale ha ricevuto dal re l’onore di una gran croce; è desiderio di onore, non certo scarsa onestà. E allora, se è così nobile e tu lo ami, chi mai può dir qualcosa in contrario? Sposati, Inés, sii felice. Ma non mi dite chi è? È don Alonso Manrique. Oh, benedetta notizia! Il cavaliere di Olmedo? Sì. È uomo assai valoroso e fin da ora mi congratulo di una scelta così saggia; che la mia contrarietà all’abito religioso nasceva dall’intuire in te un’altra vocazione. Parla, Inés, non star così. Signore, Leonor esagera; l’inclinazione che provo non è così grande come lei ti ha appena riferito. Io non voglio giudicarti, ma solo essere contento 877
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO
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de pensamiento tan justo y de que quieras casarte. Desde agora es tu marido; que me tendré por honrado de un yerno tan estimado, tan rico y tan bien nacido. Beso mil veces tus pies. (Loca de contento estoy, Fabia. El parabién te doy, si no es pésame después.) ¡El rey! Llegad a besar su mano. ¡Qué alegre llego!
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Salen el rey, el condestable y gente, y don Rodrigo y don Fernando. PEDRO
REY
PEDRO REY INÉS REY INÉS REY
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Dé vuestra alteza los pies, por la merced que me ha hecho del alcaidía de Burgos, a mí y a mis hijas. Tengo bastante satisfacción de vuestro valor, don Pedro, y de que me habéis servido. Por lo menos lo deseo. ¿Sois casadas? No, señor. ¿Vuestro nombre? Inés. ¿Y el vuestro?
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO
INÉS
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di un pensiero così giusto e che tu voglia sposarti. Fin da adesso è tuo marito; che mi riterrò onorato di un genero che è stimato tanto, e tanto ricco e nobile. Ti bacio i piedi non una, ma mille volte. (Impazzisco di gioia, Fabia. Gli auguri ti faccio, sperando che non siano poi condoglianze.) Il re! Andategli incontro e baciategli la mano. Con che gioia mi avvicino! Entrano il re, il connestabile e gente del seguito, e don Rodrigo e don Fernando.
PEDRO
RE
PEDRO RE INÉS RE INÉS RE
Vostra altezza dia i suoi piedi a me ed alle mie figlie da baciare, per la grazia di avermi fatto prefetto di Burgos. Ho sufficienti prove del vostro valore, don Pedro, nonché di come mi avete servito. Almeno è mio desiderio farlo. Siete sposate? Signore, no. Il vostro nome? Inés. E il vostro? 879
LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO LEONOR CONDESTABLE
REY RODRIGO FERNANDO REY
PEDRO
REY
RODRIGO FERNANDO REY
Leonor. Don Pedro merece tener dos gallardos yernos, que están presentes, señor, y que yo os pido por ellos los caséis de vuestra mano. ¿Quién son? Yo, señor, pretendo, con vuestra licencia, a Inés. Y yo a su hermana le ofrezco la mano y la voluntad. En gallardos caballeros emplearéis vuestras dos hijas, don Pedro. Señor, no puedo dar a Inés a don Rodrigo, porque casada la tengo con don Alonso Manrique, el caballero de Olmedo, a quien hicistes merced de un hábito. Yo os prometo que la primera encomienda sea suya... (¡Estraño suceso! Ten prudencia.) ...porque es hombre de grandes merecimientos.
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Sale Tello. TELLO CONDESTABLE GENTE REY
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¡Dejadme entrar! ¿Quién da voces? Con la guarda un escudero que quiere hablarte. Dejadle.
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO LEONOR CONNESTABILE
RE RODRIGO FERNANDO RE
PEDRO
RE
RODRIGO FERNANDO RE
Leonor. Don Pedro merita di aver due generi valenti, che son qui, sire, ed io per loro vi chiedo che siate voi ad ammogliarli. Chi sono? Io, con la licenza vostra, sire, vorrei Inés. Ed io a sua sorella offro la mano e il cuore. A valenti cavalieri le due figlie vostre, don Pedro, affidate. Signore, non posso dare la mia Inés a don Rodrigo, perché l’ho già maritata a don Alonso Manrique, il cavaliere di Olmedo, a cui avete fatto grazia di un abito. Vi prometto che il primo possedimento sarà suo... (Fatto inaudito! Sii prudente.) ...perché è un uomo grandemente meritevole. Entra in scena Tello.
TELLO CONNESTABILE SEGUITO RE
Fatemi entrare! Chi grida? Con le guardie uno scudiero che vuol parlarti. Lasciatelo.
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO CONDESTABLE REY TELLO
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Viene llorando y pidiendo justicia. Hacerla es mi oficio. Eso significa el cetro. Invictísimo don Juan, que del castellano reino, a pesar de tanta envidia, gozas el dichoso imperio: con un caballero anciano vine a Medina, pidiendo justicia de dos traidores; pero el doloroso exceso en tus puertas le ha dejado, si no desmayado, muerto. Con esto yo, que le sirvo, rompí con atrevimiento tus guardas y tus oídos; oye, pues te puso el cielo la vara de la justicia en tu libre entendimiento, para castigar los malos y para premiar los buenos. La noche de aquellas fiestas que a la Cruz de Mayo hicieron caballeros de Medina, para que fuese tan cierto que donde hay cruz hay pasión, por dar a sus padres viejos contento de verle libre de los toros, menos fieros que fueron sus enemigos, partió de Medina a Olmedo don Alonso, mi señor, aquel ilustre mancebo que mereció tu alabanza,
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LOPE DE VEGA IL CAVALIERE DI OLMEDO, ATTO TERZO CONNESTABILE RE TELLO
Piange chiedendo giustizia. Farla è mio compito. Questo vuol dire avere lo scettro. Sempre invitto re don Juan, che del regno castigliano, nonostante tanta invidia, possiedi il felice imperio: con un cavaliere anziano sono venuto a Medina, per richiedere giustizia di due traditori; ma l’eccesso del suo dolore lo ha lasciato alle tue porte senza sensi, se non morto. A questo punto, io, suo servo, ho forzato con audacia la tua guardia e le tue orecchie; prestami ascolto, giacché ti ha dato il cielo il bastone della giustizia da usare col tuo libero intelletto per castigare i cattivi e per dare premio ai buoni. La notte dopo le feste che per la Croce di Maggio i nobili di Medina han fatto, per confermare che dove c’è croce c’è passione, per dar la gioia ai suoi vecchi genitori di veder che era scampato ai tori, meno crudeli di quanto sian stati i suoi nemici, si mise in viaggio verso Olmedo don Alonso, il mio signore, quel nobile giovane che ha meritato 883
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que es raro encarecimiento. Quedéme en Medina yo, como a mi cargo estuvieron los jaeces y caballos, para tener cuenta de ellos. Ya la destocada noche, de los dos polos en medio, daba a la traición espada, mano al hurto, pies al miedo, cuando partí de Medina; y al pasar un arroyuelo, puente y señal del camino, veo seis hombres corriendo hacia Medina, turbados, y, aunque juntos, descompuestos. La luna, que salió tarde, menguado el rostro sangriento, me dio a conocer los dos; que tal vez alumbra el cielo con las hachas de sus luces el más escuro silencio, para que vean los hombres de las maldades los dueños, porque a los ojos divinos no hubiese humanos secretos. Paso adelante, ¡ay de mí!, y envuelto en su sangre veo a don Alonso espirando. Aquí, gran señor, no puedo ni hacer resistencia al llanto, ni decir el sentimiento. En el caballo le puse tan animoso, que creo que pensaban sus contrarios que no le dejaban muerto. A Olmedo llegó con vida, cuanto fue bastante, ¡ay cielo!, 884
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le tue lodi, lode rara. Io ero rimasto a Medina, a provvedere ai cavalli e ai finimenti, mio incarico. Già la notte, senza veli, giunta a metà fra i due poli, dava al tradimento spada, mani al furto, alla paura piedi, quando anch’io partii; traversando un ruscelletto, sul ponte che fa la strada vedo sei uomini in corsa verso Medina, turbati, e, anche se in gruppo, scomposti. La luna, sorta da poco, ridotto a quarto calante il volto rosso di sangue, due di loro mi mostrò; che a volte illumina il cielo, con le sue torce di luce, il più oscuro dei silenzi, perché gli uomini individuino chi compie azioni malvage, e non ci siano segreti nascosti agli occhi divini. Vado avanti, ahimè!, e intriso nel suo sangue don Alonso vedo, che sta per morire. Qui, gran signore, non posso né trattenere più il pianto, né esprimere il mio dolore. Lo misi sul mio cavallo, così ardimentoso che scommetto che i suoi nemici non pensavan fosse morto. Giunse a Olmedo ancora vivo, quel che bastò per ricevere, 885
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para oír la bendición de dos miserables viejos, que enjugaban las heridas con lágrimas y con besos. Cubrió de luto su casa y su patria, cuyo entierro será el del fénix, señor, después de muerto viviendo en las lenguas de la fama, a quien conocen respeto la mudanza de los hombres y los olvidos del tiempo. ¡Estraño caso! ¡Ay de mí! Guarda lágrimas y estremos, Inés, para nuestra casa. [.........................................] Lo que de burlas te dije, señor, de veras te ruego. Y a vos, generoso rey, de estos viles caballeros os pido justicia. Dime, pues pudiste conocerlos, ¿quién son esos dos traidores? ¿Dónde están? Que ¡vive el cielo de no me partir de aquí hasta que los deje presos! Presentes están, señor: don Rodrigo es el primero, y don Fernando el segundo. El delito es manifiesto, su turbación lo confiesa. Señor, escucha...
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RE INÉS PEDRO
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cielo!, la benedizione di due vecchi sventurati, che asciugavan le ferite con le lacrime e coi baci. La sua casa e la sua patria ha ricoperto di lutto, e sarà il suo funerale signore, al pari di quello della fenice: vivrà dopo morto nella fama, cui tributano rispetto la volubilità umana e lo scorrere del tempo. Che caso inaudito! Ahimè! Serba lacrime e cordoglio, Inés, per la nostra casa. [..........................................] Quel che ti chiesi per finta ora ti chiedo davvero. E a voi, generoso re, chiedo giustizia di questi vigliacchi. Dimmi, poiché hai potuto riconoscerli, chi sono i due traditori? Dove stanno? Giuro a Dio di non partire di qui finché non li vedrò in carcere! Sono qui davanti a te: don Rodrigo, sire, è il primo, e don Fernando il secondo. Il delitto è manifesto, lo confessa il turbamento. Signore, ascolta...
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LOPE DE VEGA EL CABALLERO DE OLMEDO, ACTO TERCERO REY
Prendedlos, y en un teatro mañana cortad sus infames cuellos: fin de la trágica historia del caballero de Olmedo. FIN DE LA COMEDIA
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Arrestateli, e domani sulla pubblica piazza tagliate la testa infame a entrambi; così ha fine la storia tragica del cavaliere di Olmedo. FINE DELLA COMMEDIA
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El castigo sin venganza Non è vendetta il castigo Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva, traduzione e note di MARIA GRAZIA PROFETI
IMMAGINE
Lope de Vega El castigo sin venganza [frontespizio della suelta] Barcellona 1634
Nota introduttiva
1. Lope scrive il Castigo sin venganza verso la fine della sua vita; il manoscritto autografo, con correzioni e cancellature, è datato 1 agosto 1631:1 egli ha quasi 69 anni e morirà quattro anni più tardi, il 27 agosto 1635.2 Il commediografo utilizza (come in varie altre sue commedie) la materia novellistica italiana, ed esattamente il quarantaquattresimo racconto della prima parte delle Novelle di Matteo Maria Bandello, basato sulla vicenda storica di Parisina Malatesta: «Il marchese Niccolò terzo da Este, trovato il figliuolo con la matrigna in adulterio, a tutti dui in un medesimo giorno fa tagliar il capo in Ferrara».3 Nella commedia di Lope il dissoluto duca di Ferrara, deciso a metter fine alla propria vita di dissipazione, sposa Cassandra, figlia del duca di Mantova. Sarà il bastardo Federico a riceverla; i due giovani si innamorano e consumano l’adulterio approfittando di un’assenza del duca.4 Il primo atto della commedia si svolge all’aperto, all’inizio di notte nelle vie di Ferrara, teatro delle gesta amatorie del duca; queste scene d’esordio non hanno solo funzione di pittura di costume, né servono solo ad illustrare la vita di dissipazione del duca, le sue avventure da don Giovanni per le strade notturne della sua città: attraverso una «rappresentazione nella rappresentazione» esse danno corpo alla sua trasgressione (vv. 197-205), percorsa da una «negazione simbolica»: «Per il duca la negazione basilare è “No/ quiero memoria”, dove memoria sintetizza i suoi istinti e la sua vita depravata».5 Ancor prima, al v. 173, il duca aveva dichiarato «todo lo pondré en olvido». Ugualmente in esterno si svolge il secondo nucleo scenico, ubicato in una campagna vicino alla città, dove Federico incontra casualmente Cas893
LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO
sandra, prendendola in braccio per salvarla dalle acque di un fiume. Lo stesso alternarsi dei luoghi li carica di valori simbolici: il fuori/notte che vede le colpevoli avventure del duca, la campagna dove si effettua la prima rottura della norma. L’incontro con la corte ha luogo invece, sempre nel primo atto, in un giardino dove è stato allestito un padiglione: spazio extra-urbano, ma già civilizzato, esso è la soglia che separa la libertà procedente dalla formalizzazione del dovere. Dal secondo atto in avanti la scena è nel palazzo di Ferrara, «spazio chiuso, di contrainte, zona di integrazione, di ordine sociale con tutto ciò che lo riguarda: potere, legge, moralità», in contrasto con lo spazio aperto «campo del disordine, delle passioni, della libertà».6 E il secondo spazio invaderà il primo: «il disordine penetra incontrollabilmente nel palazzo col buio della peccaminosa relazione».7 La forma dell’espressione assunta nella commedia dall’istanza morale è l’opposizione tra ciò che è giusto e ciò che è piacevole (justo vs gusto). Si tratta di una opposizione fondamentale nel teatro di Lope e dei contemporanei, ma che qui acquista una rilevanza peculiare, ricorrendo in più di dieci luoghi e reggendo tutta una serie di giochi paranomastici e in rima.8 Data l’entità della violazione della norma messa in atto, dove l’adulterio si somma alla spinta edipica, la commedia è percorsa da una forte censura: Cassandra e Federico non possono «dire», e ancor prima non possono «immaginare»: la prima trasgressione del giovane assume dunque la forma di «possibilità di immaginare» (imaginación) «contro ragione» (necia) (v. 926). Ma la formulazione del pensiero trasgressivo sarà affidata all’alter ego, il servo buffo Batín (vv. 978-979), come poco prima era stata la servetta Lucrezia a esternare i desideri di Casandra (vv. 589-90): pensamiento e imposible, sia pure con vari referenti, punteggiano ossessivamente i discorsi di Federico e Cassandra, così che per i due infelici amanti la negazione simbolica di base risulta: NO/ ES POSIBLE PENSAR. Il «disordine» o «squilibrio», la hamartia in termini aristotelici, che genera il dramma si colloca dunque non tanto e non solo nella concatenazione degli eventi (che in Lope ancor più che nel Bandello hanno parte fondamentale), quanto nell’uso incontrollato della libertà di pensiero.9
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NOTA INTRODUTTIVA
Proprio per questa impossibilità di dire, ed ancor prima di «pensare»,10 Lope fa ricorso spesso ad un impianto metaforico che utilizza i miti di Ganimede, Fetonte ed Icaro (vv. 561-572) per dare voce alle speranze illegittime di Federico di sostituirsi al padre, non solo nel rapporto con Cassandra, ma anche sul piano politico: egli desidera, anche se figlio illegittimo, di ereditare il ducato di Ferrara.11 L’ambiguità di tutto il discorso, dove si mette a nudo l’hybris di Federico, si annoda nei due versi finali (571-72): egli pare manifestare il desiderio di preservare la vita di Cassandra per riconsegnarla alle braccia del padre, ma larvatamente suggerisce che potrebbe solo «mostrarla» («la vieran») al duca, tenendola invece avvinta al suo petto, quasi insegna nobiliare («tusón del pecho»): il possesso della donna è insomma anche mezzo per acquistare nobiltà e diritto all’eredità del ducato. Oppure la passione di Federico si esprime con il ricorso al paragone del fuoco ed al mito della Fenice che rinasce dalle proprie ceneri (vv. 1315-18): l’allusione è funzionale alla speranza di veder realizzati i propri desideri, di cui diventa forma del contenuto. Ugualmente ai vv. 1458-78, di fronte alla impossibilità di dire, riaffiora la frequenza dei riferimenti mitologici, con l’allusione rinnovata ai miti di Fetonte, Icaro, Bellerofonte, tutti simboli della superbia abbattuta, a cui si unisce ora l’inganno del cavallo di Troia e l’ardire di Giasone: ardire ed inganno paragonati all’insania della passione. A questa serie di accorti riferimenti (funzionali, dunque, e non sfoggi verbali e letterari fine a se stessi) rispondono i richiami di Cassandra (vv. 1479-95): alla «bestialità» travolgente dell’amore (Venere e il fauno), alla possibilità che anche la più alta ed intangibile possa «abbassarsi» (come Diana scende per Endimione sul monte Latmo); la citazione mitologica permette dunque la confessione. Ed ancora sulla follia e la «confusione» della «immaginazione» (in rima: vv. 1533-34) torna a riflettere Cassandra in un soliloquio (vv. 1532-91) tutto sostanziato di opposita, ed asserragliato in una serie di figure che ritornano coattivamente: fuoco e gelo, guerra e pace, tormento e calma (vv. 1536-39); ed ancora «escuros intentos / claras confusiones» (vv. 1542-43), «confusas verdades» (v. 1548); e poi «imaginar» (v.1551), «lo imposible imagino» (v. 1555), «consentir lo imaginado» (v. 1586), «imposibles» (1566); per culminare di nuovo con il richiamo alla «imaginación» (v. 1549), alla «confusión» (v. 1576), al «pensamiento» (vv. 1545, 1561, 1590). 895
LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO
Parallelamente Federico rifletterà in un sonetto, tradizionale pezzo di bravura dell’attore,12 rivolgendosi alle proprie pulsioni ribelli. Un insormontabile impedimento apre e chiude i quattordici versi, giacché all’apostrofe all’«imposible pensamiento» che lo apre (v. 1797), e che viene iterata all’inizio della prima terzina, corrisponde la conclusione: il «pensamiento» è nato «para ser imposible eternamente» (v. 1810), pietra tombale che sigilla il ragionamento. Ma nel frattempo la serie di domande retoriche ha sottolineato la inarrestabile spinta, la vertiginosa ascesa del desiderio («¿Qué me incitas? / ¿Por qué la vida sin razón me quitas /donde volando aún no te quiere el viento?», vv. 1798-800). E la «morte» è in attesa dietro la realizzazione («que la muerte de entrambos solicitas», v. 1802). Siamo dunque nell’ambito di quella trasgressione, nata dalla «possibilità di immaginare contro ragione», che è stata vista come spinta drammatica alla base della pièce. La tragedia culmina verso la fine del secondo atto, al v. 1910: dopo che Cassandra ha citato l’episodio di Antioco, innamorato della propria matrigna, essa dichiara: CASANDRA
FEDERICO CASANDRA FEDERICO CASANDRA
No niegues, conde, que yo he visto lo mismo en ti. Pues, ¿enojaráste? No. ¿Y tendrás lástima? Sí.
(vv. 1907-10)
Il consenso viene dunque proposto allo spettatore prima in maniera mediata, tramite la litote, poi esplode nel «sì» definitivo. E dopo questo sì Lope inserisce e fa commentare da Federico per ben 60 vv. (191675) una copla che era passata dalla poesia dei cancioneros (Cartagena e Manrique) a quella del tardo rinascimento e del barocco (Figueroa e Balbuena).13 Il motivo dell’inserimento è ovviamente profondo, lungi dal puro sfoggio retorico o di erudizione letteraria, come talora è stato giudicato: la parola diventa qui il sostituto dell’altro, dell’atto irrappresentabile: si dice sulla scena il malessere, dal momento che non si può mostrare l’innominabile abbraccio. Quello di cui si parla – o meglio di cui si discetta – e che si analizza è poi la perdita di sé e delle proprie motivazioni trascendentali; ma lo scardinamento è riassorbito, tenuto a 896
NOTA INTRODUTTIVA
bada, confortato, dal consegnarsi pieno alla tradizione letteraria. La catastrofe coincide così con l’esasperazione della parola. A uno dei primi editori «moderni» del testo, Van Dam, tanti giochi retorici e concettuali sembravano datati e «brutti», e loda Eugène Baret che ne aveva omessa la traduzione.14 Effettivamente per il povero traduttore si tratta di una serie di forche caudine, sotto le quali tuttavia è necessario inoltrarsi per tentare di ridare al lettore i molti sensi del passaggio. Il terzo atto è dedicato ai successivi palesamenti del fatto innominabile. Prima la nipote del duca, Aurora, innamorata di Federico, lo scorge abbracciare la matrigna attraverso uno specchio situato nello spogliatoio di Cassandra (vv. 2064-96). Quindi nemmeno Aurora vede direttamente il misfatto: lo specchio è il diaframma che permette la visione e allo stesso tempo è figura dell’appagamento di sé, del piacere narcisistico, della sua ostentazione, su cui ritornano i vv. 2084-85. Dopo la sottolineatura della barbarie del fatto (vv. 2087-88: l’incesto non è ammissibile nemmeno tra i «nudi cafri che vestono pelli di foche»), ai vv. 2134-40 il marchese ricorda ancora questo specchio che mostra l’innominabile, paragonandolo a quello di Medusa e facendo di Cassandra stessa una «nuova Circe»: l’incesto riduce l’uomo a bestia, o a oggetto inanimato. Una volta di più l’apparato retorico e mitologico diventa forma del contenuto. E una specie di «sonno della ragione» (v. 2168) farà dire a Federico, al v. 2215 «Yo me olvido de ser hombre». La «dimenticanza della propria essenza», della propria dignità e del proprio stato, origina ai vv. 2205-45 gli apologhi sulla smemoratezza citati da Batín.15 Poi al ritorno del duca una lettera anonima gli denuncerà il crimine; l’atto con cui egli restaurerà il proprio onore non viene proposto come vendetta, ma come castigo divino, come sottolinea il titolo stesso. Ed il castigo dei due è organizzato come «spettacolo»: prima in un lungo soliloquio il duca rappresenta a se stesso un intero procedimento giudiziario, onde convincere l’«affetto paterno» della necessità della pena, poi egli predispone l’uccisione di Cassandra come una commedia degli equivoci nella tragedia: il duca istigherà lo stesso Federico ad uccidere la matrigna, legata ad un seggiola e velata, facendogli credere che si tratta di un pericoloso nemico del ducato. E così ci si riallaccia alla scena iniziale, in cui il duca a caccia di avventure aveva ascoltato una «prova» di alcuni commedianti, dando poi incarico ad uno dei suoi servi di allestire per 897
LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO
le sue nozze le «migliori commedie».16 E in questo momento, di «creatività» tragica, il duca utilizza il termine «imaginación» (v. 2924) per la prima e unica volta, termine che come s’è visto è portante nel mondo di Cassandra e Federico. Così forma dell’espressione, forma del contenuto, e forma «scenica» si rimandano l’un l’altra; le esigenze del mostrare – qui ed in ogni opera di Lope – organizzano la materia in funzione di una resa teatrale rigorosa ed assoluta. 2. Lope sa, nel 1631, di aver attinto il capolavoro; ma gli sembra di non aver avuto il riconoscimento pubblico che meritava. Il manoscritto reca una «licenza» per rappresentare l’opera, datata 3 maggio 1632, e una lista di attori che la misero in scena.17 Ma l’autore avrebbe voluto forse una più ampia diffusione, quella che si consegue con la stampa del testo teatrale. Tuttavia la stampa delle opere teatrali in quel decennio è proibita in Castiglia; giacché la «Junta de reformación», istituita nel 1621 da Filippo IV, aveva proposto e ottenuto – il 6 marzo del 1625 – che il Consejo de Castilla sospendesse la concessione di licenze «para imprimir libros de comedias, novelas ni otros deste género».18 Dunque Lope aveva dovuto interrompere in quell’anno, dopo la Parte XX, la fortunata serie delle sue raccolte teatrali, che gli portavano non solo fama, ma soprattutto benefici pecuniari; la stampa riprenderà a Madrid solo dopo il 1635, e dopo varie raccolte spurie, o comunque stampate fuori dal suo controllo, a Saragozza o Barcellona. E proprio a Barcellona Lope fa pubblicare, sciolta (suelta), nel 1634, El castigo sin venganza, con una dedica al proprio protettore, il duca di Sessa, ed un Prologo al lettore: Esta tragedia se hizo en la corte solo un día por causas que a vuestra merced le importan poco. Dejó entonces tantos deseosos de verla, que los he querido satisfacer con imprimirla. Su historia estuvo escrita en lengua latina, francesa, alemana, toscana y castellana; esto fue prosa, agora sale en verso; V. m. la lea por mía, porque no es impresa en Sevilla, cuyos libreros, atendiendo a la ganancia, barajan los nombres de los poetas [...] Advirtiendo que está escrita al estilo español, no por la antigüedad griega y severidad latina; huyendo de las sombras, nuncios y coros, porque el gusto puede mudar los preceptos, como el uso los trajes y el tiempo las costumbres.19
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NOTA INTRODUTTIVA
Non sono mancate, su queste parole di Lope, elucubrazioni ben riassunte da Díez Borque;20 si è pensato, per esempio, a ragioni politiche che avessero portato alla censura dell’opera, vuoi che vi si fossero viste allusioni alla storia di don Carlos, disgraziato figlio di Filippo II, o alla vita di Filippo IV. Ma è più probabile che vi fossero stati problemi di tipo amministrativo, a seguito di una denuncia contro la commedia, dovuta a un intellettuale ostile a Lope, Joseph Pellicer de Salas.21 Quel che è certo è che nella stampa di Barcellona è presente una «aprobación» di fray Francisco Palau, dottissima, e piena di lodi, quasi un auto-risarcimento che Lope si organizza.22 E al momento di riannodare la stampa dei testi teatrali, con la Parte XXI, una delle opere in essa comprese è proprio El castigo sin venganza. Lope non giunge a vedere la stampa della parte, probabilmente della fine del 1635; ma non manca in essa un prologo dovuto a José Ortiz de Villena, che assevera aver raccolto le commedie «sacadas de sus borradores y originales», e che essa è stampa legittima, non come quelle che circolano che «todas son de diversos poetas, y aunque están con su nombre no son suyas».23 Ovviamente il manoscritto autografo e la suelta sono una eccellente base di edizione del testo. 24 Anni più tardi, nel 1647, la commedia viene riproposta in una raccolta lusitana, con il curioso titolo Cuando Lope quiere, quiere;25 ed apparirà anche in edizioni settecentesche, ad attestare un interesse costante nel tempo. La commedia non sembra aver suscitato molto interesse in Italia; la prima traduzione, in prosa come sempre, è dovuta a Antonio Gasparetti,26 e presenta varie discrepanze rispetto a un testo assestato ed affidabile, probabilmente dovute alla fonte utilizzata dal traduttore. La prima traduzione in versi è quella che io curai e risale al 1989; 27 questa attuale ne è una rielaborazione. MARIA GRAZIA PROFETI
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EL CASTIGO SIN VENGANZA PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA
EL DUQUE DE FERRARA EL CONDE FEDERICO ALBANO RUTILIO FLORO LUCINDO EL MARQUÉS GONZAGA
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CASANDRA AURORA LUCRECIA BATÍN CINTIA FEBO Y RICARDO
NON È VENDETTA IL CASTIGO* PERSONAGGI
IL DUCA DI FERRARA IL CONTE FEDERICO ALBANO RUTILIO FLORO LUCINDO
CASSANDRA AURORA LUCREZIA BATÍN CINZIA FEBO E RICCARDO
IL MARCHESE GONZAGA
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO El duque de Ferrara, de noche; Febo y Ricardo, criados. RICARDO FEBO
DUQUE RICARDO
DUQUE FEBO
RICARDO
DUQUE
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¡Linda burla! ¡Por extremo! Pero, ¿quién imaginara que era el duque de Ferrara? Que no me conozcan temo. Debajo de ser disfraz, hay licencia para todo; que aun el cielo en algún modo es de disfraces capaz. ¿Qué piensas tú que es el velo con que la noche le tapa? Una guarnecida capa con que se disfraza el cielo. Y para dar luz alguna, las estrellas que dilata son pasamanos de plata, y una encomienda la luna. ¿Ya comienzas desatinos? No, lo ha pensado poeta de estos de la nueva seta, que se imaginan divinos. Si a sus licencias apelo, no me darás culpa alguna; que yo sé quien a la luna llamó requesón del cielo. Pues no te parezca error; que la poesía ha llegado a tan miserable estado, que es ya como jugador de aquellos transformadores, muchas manos, ciencia poca,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Il Duca di Ferrara, vestito per una ronda notturna, Febo e Riccardo, servitori. RICCARDO FEBO
DUCA RICCARDO
DUCA FEBO
RICCARDO
DUCA
Bello scherzo! Per davvero! Chi poteva immaginare che era il Duca di Ferrara? Temo che mi riconoscano. Quando uno è mascherato gli è permesso proprio tutto; ed anche il cielo, del resto, si diverte a mascherarsi. Cosa credi sia quel velo con cui la notte lo copre? Una cappa ben adorna con cui si traveste il cielo, e per fare un po’ di luce le stelle che sparge intorno sono ricami d’argento, e insegna cavalleresca la luna. Ma che sciocchezze! Macché: lo dice un poeta di quelli della nuova scuola, che si credono divini. Certo non mi incolperai se mi rifò ai loro eccessi; io conosco chi la luna chiamò «ricotta del cielo». Questo non ti sembri errore, che è arrivata la poesia a uno stato così misero che ormai è come se cavassero, pari a dei prestigiatori, tutti mani, scienza poca, 903
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
RICARDO
DUQUE RICARDO FEBO DUQUE
FEBO
RICARDO
DUQUE
RICARDO DUQUE RICARDO
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que echan cintas por la boca, de diferentes colores. Pero dejando a otro fin esta materia cansada, no es mala aquella casada. ¿Cómo mala? ¡Un serafín! Pero tiene un bravo azar, que es imposible sufrillo. ¿Cómo? Un cierto maridillo que toma y no da lugar. Guarda la cara. Ése ha sido siempre el más crüel linaje de gente de este paraje. El que la gala, el vestido y el oro deja traer tenga, pues él no lo ha dado, lástima al que lo ha comprado; pues si muere su mujer, ha de gozar la mitad como bienes gananciales. Cierto que personas tales poca tienen caridad, hablando cultidiablesco, por no juntar las dicciones. Tienen esos socarrones con el diablo parentesco; que, obligando a consentir, después estorba el obrar. Aquí pudiera llamar; pero hay mucho que decir. ¿Cómo? Una madre beata que reza y riñe a dos niñas entre majuelos y viñas, una perla y otra plata.
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RICCARDO
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RICCARDO
DUCA
RICCARDO DUCA RICCARDO
dei nastrini dalla bocca, dei più svariati colori. Ma lasciando a altro momento questo noioso argomento, non è male quella donna. Come male! Un serafino! Ma c’è un fatto noioso che non si può digerire Cioè? Un certo maritino: becca i soldi e sta lì duro. Salva la faccia. Si tratta della più odiosa razza che si trovi in questi posti. Chi fa portare alla moglie ori, ornamenti e vestiti abbia – se lui non li ha dati pietà di chi li ha comprati, che se gli muore la sposa se ne godrà la metà, come beni societari. Certo che queste persone «poca» hanno «carità»: parlo colto-indiavolato, e divido le parole. Imparentati col diavolo sono questi furbacchioni, che permettono il consenso e l’operare impediscono. Qui si potrebbe bussare, però c’è molto da dire. Cioè? Una madre bigotta prega e rimbrotta due figlie, quasi ancora da sbocciare. l’una perla, l’altra argento. 905
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO DUQUE RICARDO
DUQUE RICARDO
FEBO RICARDO
DUQUE RICARDO DUQUE RICARDO DUQUE RICARDO
Nunca de exteriores fío. No lejos vive una dama, como azúcar de retama: dulce y morena. ¿Qué brío? El que pide la color; mas el que con ella habita es de cualquiera visita cabizbajo rumiador. Rumiar siempre fue de bueyes. Cerca habita una mujer, que diera buen parecer si hubiera estudiado leyes. Vamos allá. No querrá abrir a estas horas. ¿No? ¿Y si digo quién soy yo? Si lo dices, claro está. Llama pues. Algo esperaba, que a dos patadas salió.
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Cintia en alto. CINTIA RICARDO CINTIA RICARDO
CINTIA RICARDO CINTIA
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¿Quién es? Yo soy. ¿Quién es «yo»? Amigos, Cintia; abre, acaba, que viene el duque conmigo. Tanto mi alabanza pudo. ¿El duque? ¿Eso dudas? Dudo, no digo el venir contigo, mas el visitarme a mí tan gran señor y a tal hora.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO DUCA RICCARDO
DUCA RICCARDO
FEBO RICCARDO
DUCA RICCARDO DUCA RICCARDO DUCA RICCARDO
Io non credo alle apparenze. Qui vicino c’è una dama come zucchero di canna, dolce e bruna. Ed il carattere? Quel che promette il colore. Ma l’uomo che sta con lei davanti a qualsiasi visita rumina a testa abbassata. Come si conviene a un bue! Vicino c’è una signora che darebbe consulenze se avesse studiato legge. Andiamoci. Non vorrà aprirci a quest’ora. No? E se le dico chi sono? Se lo dici ci aprirà. Bussa, allora. Chi aspettava? che al secondo colpo è qui. Cinzia in alto.
CINZIA RICCARDO CINZIA RICCARDO
CINZIA RICCARDO CINZIA
Chi è? Sono io. «Io» chi? Amici, Cinzia, dài, apri, che c’è il duca qui con me: tanto ho saputo lodarti. Il duca? Dubiti? Sì, non tanto che ti accompagni, ma che possa visitarmi questo signore a quest’ora. 907
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO RICARDO CINTIA
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Por hacerte gran señora viene disfrazado así. Ricardo, si el mes pasado lo que agora me dijeras del duque, me persuadieras que a mis puertas ha llegado; pues toda su mocedad ha vivido indignamente, fábula siendo a la gente su viciosa libertad. Y como no se ha casado por vivir más a su gusto, sin mirar que fuera injusto ser de un bastardo heredado, aunque es mozo de valor Federico, yo creyera que el duque a verme viniera; mas ya que como señor se ha venido a recoger, y de casar concertado, su hijo a Mantua ha envïado por Casandra, su mujer, no es posible que ande haciendo locuras de noche ya, cuando esperándola está y su entrada previniendo; que si en Federico fuera libertad, ¿qué fuera en él? Y si tú fueras fiel, aunque él ocasión te diera, no anduvieras atrevido deslustrando su valor; que ya el duque, tu señor, está acostado y dormido;
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO RICCARDO CINZIA
Per riempirti di ricchezze viene così mascherato. Riccardo, se il mese scorso m’avessi detto che il duca chiamava alla mia porta, ne sarei stata convinta, ché tutta la giovinezza ha passato indegnamente: era occasione di scandalo la sua vita licenziosa. Che venisse da me il duca lo avrei creduto di certo: apposta non s’è sposato per vivere più a suo gusto, né considerava ingiusto lasciare il regno a un bastardo, anche se il suo Federico è un giovane di valore. Ma ora che, da pari suo, è giunto a seri consigli, e ha deciso di accasarsi, ed a Mantova ha mandato il figlio, per scortare Cassandra, ormai sua sposa, è impossibile che vada di notte a fare sciocchezze, quando dovrebbe aspettarla e preparare il suo ingresso: ciò sarebbe leggerezza in Federico, e in lui peggio. E se tu gli fossi amico, anche se ti spingesse, non andresti da sfrontato offuscando il suo decoro; certo il duca, tuo signore, dorme tranquillo nel letto.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
DUQUE RICARDO DUQUE FEBO
DUQUE FEBO
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y así cierro la ventana, que ya sé que fue invención para hallar conversación. Adiós, y vuelve mañana. ¡A buena casa de gusto me has traído! Yo, señor, ¿qué culpa tengo? Fue error fïarle tanto disgusto. Para la noche que viene. si quieres, yo romperé la puerta. ¡Que esto escuché! Ricardo la culpa tiene. Pero, señor, quien gobierna, si quiere saber su estado, cómo es temido o amado, deje la lisonja tierna del criado adulador, y disfrazado, de noche, en traje humilde o en coche, salga a saber su valor; que algunos emperadores se valieron de este engaño. Quien escucha, oye su daño; y fueron, aunque los dores, filósofos majaderos, porque el vulgo no es censor de la verdad, y es error de entendimientos groseros fïar la buena opinión de quien, inconstante y vario, todo lo juzga al contrario de la ley de la razón.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
DUCA RICCARDO DUCA FEBO DUCA FEBO
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Chiudo dunque la finestra; so che è stata una trovata per parlare un po’ con me. Ciao, e ritorna domani. Casa di spassi, davvero, questa dove m’hai portato! Che colpa ho io? È stato errore fidarsi; e averne uno sgarbo! Se vuoi, io ti abbatterò la porta, domani notte. Che m’è toccato ascoltare! È Riccardo che ne ha colpa! Ma se chi governa vuole sapere come dai sudditi sia temuto o sia amato, lasci le dolci lusinghe del servo adulatore e di nascosto, di notte, in carrozza o travestito esca, e saprà se è stimato, che anche certi imperatori questo espediente usarono. Chi ascolta lo fa a suo danno; erano, anche se li lodi, dei filosofi ignoranti; perché il volgo non attesta la verità, ed è errore di grossolani intelletti affidare il buon nome a chi, incostante e volubile, giudica tutto al contrario dalla legge di ragione.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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Un quejoso, un descontento echa, por vengar su ira, en el vulgo una mentira, a la novedad atento. Y como por su bajeza no la puede averiguar ni en los palacios entrar, murmura de la grandeza. Yo confieso que he vivido libremente y sin casarme, por no querer sujetarme, y que también parte ha sido pensar que me heredaría Federico, aunque bastardo; mas ya que a Casandra aguardo, que Mantua con él me envía, todo lo pondré en olvido. Será remedio casarte. Si quieres desenfadarte pon a esta puerta el oído. ¿Cantan? ¿No lo ves? Pues, ¿quién vive aquí? Vive un autor de comedias. Y el mejor de Italia. Ellos cantan bien. ¿Tiénelas buenas? Están entre amigos y enemigos: buenas las hacen amigos con los aplausos que dan, y los enemigos malas. No pueden ser buenas todas.
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FEBO
Un lagnoso, uno scontento, sparge, solo per sfogarsi, tra la gente una menzogna, avido di novità, e se, di umile estrazione, non la può verificare di persona nei palazzi, ecco, mormora dei grandi. Confesso di aver vissuto libero senza sposarmi per non volere legami, e pure perché pensavo che poteva ereditarmi Federico, anche bastardo. Ma ora che aspetto Cassandra, che lui accompagna da Mantova, dimenticherò ogni cosa. Buon rimedio è il matrimonio. Metti, se ti vuoi calmare, a questa porta l’orecchio. Cantano? Non senti? Chi ci vive? Abita qui un capocomico. Il meglio d’Italia! Cantano bene. E il repertorio? Secondo se lo stanno giudicando amici e nemici: buono lo dichiarano gli amici, con gli applausi che gli danno, ed i nemici cattivo. Non sarà tutto pregevole! 913
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO DUQUE
FEBO DUQUE RICARDO DUQUE
Febo, para nuestras bodas prevén las mejores salas y las comedias mejores, que no quiero que repares en las que fueren vulgares. Las que ingenios y señores aprobaren, llevaremos. ¿Ensayan? Y habla una dama. Si es Andrelina, es de fama. ¡Qué acción! ¡Qué afectos! ¡Qué extremos!
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Dentro.
DUQUE FEBO DUQUE RICARDO DUQUE RICARDO DUQUE RICARDO
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Déjame, pensamiento; no más, no más, memoria, que mi pasada gloria conviertes en tormento, y de este sentimiento ya no quiero memoria, sino olvido; que son de un bien perdido, aunque presumes que mi mal mejoras, discursos tristes para alegres horas. ¡Valiente acción! ¡Extremada! Más oyera; pero estoy sin gusto. [A] acostarme voy. ¿A las diez? Todo me enfada. Mira que es esta mujer única. Temo que hable alguna cosa notable. De ti, ¿cómo puede ser?
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO DUCA
FEBO DUCA RICCARDO DUCA
Febo, per le mie nozze trova le migliori sale e le commedie migliori; non voglio che tu scelga quelle troppo volgari. Proporrò quelle approvate da letterati e signori. Provano? Parla una attrice. Se è Andreina, è bravissima. Che mosse e coloriture! Dentro.
DUCA FEBO DUCA
RICCARDO DUCA RICCARDO DUCA RICCARDO
Vattene via, pensiero, basta, basta, memoria, che la trascorsa gioia sai mutare in tormento; e di un tal sentimento, non voglio più ricordi, solo oblìo, che è di un bene perduto; anche se credi addolcirmi le pene, sono pensieri tristi in ore allegre. Che interpretazione! Ottima! Ancora l’ascolterei, ma m’è passata la voglia. Decido di ritirarmi. Alle dieci? Tutto ormai mi annoia. Ma questa donna è unica. Temo mi possa dire qualcosa di grave. A te? Sarà mai possibile?
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO DUQUE
Agora sabes, Ricardo, que es la comedia un espejo, en que el necio, el sabio, el viejo, el mozo, el fuerte, el gallardo, el rey, el gobernador, la doncella, la casada, siendo al ejemplo escuchada de la vida y del honor, retrata nuestras costumbres, o livianas o severas, mezclando burlas y veras, donaires y pesadumbres. Basta, que oí del papel de aquella primera dama el estado de mi fama; bien claro me hablaba en él. ¿Que escuche me persüades la segunda? Pues no ignores que no quieren los señores oír tan claras verdades.
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[Vanse.] Federico, de camino, muy galán, y Batín, criado. BATÍN
FEDERICO
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Desconozco el estilo de tu gusto. ¿Agora en cuatro sauces te detienes, cuando a negocio, Federico, vienes de tan grande importancia? Mi disgusto no me permite, como fuera justo, más prisa y más cuidado; antes la gente dejo, fatigado de varios pensamientos, y al dosel de estos árboles, que, atentos a las dormidas ondas de este río, en su puro cristal, sonoro y frío,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
Tu non sai dunque, Riccardo, che la commedia è uno specchio? E lo sciocco, il saggio, il vecchio, il giovane, il forte, il prode, il re, il governatore, la sposa e la fanciulla, rappresenta, ed i costumi nostri, leggeri o severi; e va presa come esempio della vita e dell’onore, ed è burla e verità, tristezza ed allegria. Bene: ho inteso dalla parte di quella prima attrice lo stato della mia fama: chiaramente mi parlava! E m’inviti ad ascoltare la seconda? Forse ignori che non vogliono i signori sentire verità chiare?
DUCA
[Escono.] Federico, vestito da viaggio, molto elegante, e Batín, servo. BATÍN
FEDERICO
Io non capisco più quello che vuoi! Ora ti fermi qui tra quattro salici, quando un affare dovresti concludere e di questa importanza! Il mio disgusto non mi permette, e pur sarebbe giusto, maggior fretta e più impegno. Anzi, evito la gente, tormentato da opposti pensieri; vorrei dimenticarmi di me stesso protetto da questi alberi, che vegliano, sull’onde addormentate del ruscello, e nel cristallo freddo ed argentino, 917
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
BATÍN
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mirando están sus copas, después que los vistió de verdes ropas, de mí mismo quisiera retirarme; que me cansa el hablarme del casamiento de mi padre, cuando pensé heredarle; que si voy mostrando a nuestra gente gusto, como es justo, el alma llena de mortal disgusto camino a Mantua, de sentido ajeno; que voy por mi veneno en ir por mi madrastra, aunque es forzoso. Ya de tu padre el proceder vicioso, de propios y de extraños reprehendido, quedó a los pies de la virtud vencido; ya quiere sosegarse; que no hay freno, señor, como casarse. Presentole un vasallo al rey francés un bárbaro caballo de notable hermosura, Cisne en el nombre y por la nieve pura de la piel que cubrían las rizas canas, que a los pies caían de la cumbre del cuello, en levantando la pequeña cabeza. Finalmente le dio naturaleza, que alguna dama estaba imaginando, hermosura y desdén, porque su furia tenía por injuria sufrir al picador más fuerte y diestro. Viendo tal hermosura y tal siniestro, mandole el rey echar en una cava a un soberbio león que en ella estaba, y en viéndole feroz, apenas viva el alma sensitiva, hizo que el cuerpo alrededor se entolde de las crines, que ya crespas sin molde, si el miedo no lo era,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
BATÍN
che di verdi mantelli li ha adornati, si mirano le chiome. Detesto che mi parlino delle nozze di mio padre; e pensai d’esserne erede! E se sto mostrando ai servi contentezza, come è giusto, l’animo colmo di estremo disgusto, quasi pazzo, a Mantova io vado, ché vo a bere veleno se a forza una matrigna ne ricavo. La libera condotta di tuo padre, censurata da intimi e da estranei, di fronte alla virtù ormai s’è arresa, e vuole ora calmarsi; e non c’è freno come lo sposarsi! Regalò un suo vassallo al re di Francia un superbo cavallo, di bellezza notevole, di nome «Cigno», per la neve pura del manto, ricoperto dalla cima del collo fino ai piedi da bianchi crini, quando fiero ergeva la finissima testa; insomma la natura lo dotava (e uguale lo faceva a qualche dama), di bellezza e disdegno; la sua furia considerava ingiuria sopportare il migliore dei fantini. Vedendo una bellezza sì sfrenata lo fece il re gettare in un fossato a un superbo leone, che lì stava. Di fronte a quella fiera – appena viva l’anima sensitiva – intorno al corpo rigonfiò il pelame, prima increspato senza legge, ed ora domato dal timore, che formò
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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formaron como lanzas blanca esfera, y en espín erizado de orgulloso caballo transformado, sudó por cada pelo una gota de hielo, y quedó tan pacífico y humilde, que fue un enano en sus arzones tilde; y el que a los picadores no sufría, los pícaros sufrió desde aquel día. Batín, ya sé que a mi vicioso padre no pudo haber remedio que le cuadre como es el casamiento; pero, ¿no ha de sentir mi pensamiento haber vivido con tan loco engaño? Ya sé que al más altivo, al más extraño, le doma una mujer, y que delante de este león, el bravo, el arrogante se deja sujetar del primer niño, que con dulce cariño y media lengua, o muda o balbuciente, teniéndole en los brazos le consiente que le tome la barba. Ni rudo labrador la roja parva, como un casado la familia mira, y de todos los vicios se retira. Mas, ¿qué me importa a mí que se sosiegue mi padre, y que se niegue a los vicios pasados, si han de heredar sus hijos sus estados, y yo, escudero vil, traer en brazos algún león que me ha de hacer pedazos? Señor, los hombres cuerdos y discretos, cuando se ven sujetos a males sin remedio poniendo a la paciencia de por medio,
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una sfera di lance biancheggianti. E trasformato in riccio porcospino da orgoglioso cavallo, sudò per ogni pelo una goccia di gelo, e rimase sì umile e pacifico che un nano fu del suo arcione accento, e chi non sopportava cavalieri fanti tollerò poi ben volentieri. Batín, lo so che al mio vizioso padre non si confà rimedio che gli torni meglio del matrimonio; ma non devo dolermi nel mio intimo dell’inganno nel quale son vissuto? Lo so che il più orgoglioso, il più lunatico lo abbindola una donna, e che davanti a questa fiera, il ribelle arrogante ammansire si fa dal primo infante, e con dolci carezze balbettando sciocchezze, tra le braccia cullandolo, acconsente che gli tiri la barba. Il contadino non guarda la messe come un marito guarda la famiglia, e da qualsiasi vizio si allontana. Ma che mi importa che si tranquillizzi mio padre, e si ravveda dei suoi trascorsi vizi, se eredi ne saranno i nuovi figli, e se io accudirò, quale stalliere, una fiera che mi potrà sbranare? Signore, gli uomini saggi e avveduti, se si vedono vinti da mali irrimediabili, s’armano di pazienza,
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
FEDERICO BATÍN
FEDERICO BATÍN FEDERICO BATÍN FEDERICO
fingen contento, gusto y confïanza por no mostrar envidia y dar venganza. ¿Yo sufriré madrastra? ¿No sufrías las muchas que tenías con los vicios del duque? Pues agora sufre una sola, que es tan gran señora. ¿Qué voces son aquellas? En el vado del río suena gente. Mujeres son; a verlas voy. Detente. Cobarde, ¿no es razón favorecellas?
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Vase. BATÍN
Excusar el peligro es ser valiente. ¡Lucindo! ¡Albano! ¡Floro! Estos salen.
LUCINDO ALBANO FLORO BATÍN
El conde llama. ¿Dónde está Federico? ¿Pide acaso los caballos? Las voces de una dama, con poco seso y con valiente paso le llevaron de aquí. Mientras le sigo, llamad la gente. Vase.
LUCINDO ALBANO
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¿Dónde vas? Espera. Pienso que es burla.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
FEDERICO BATÍN
FEDERICO BATÍN FEDERICO BATÍN FEDERICO
fingono gioia, e fiducia, e allegrezza, per non mostrarsi astiosi e per non dare adito alla vendetta. Patirò una matrigna! E non tacevi delle molte che avevi per i vizi del duca? E quindi ora sopportane una sola, e gran signora! Che voci sono queste? Nel guado del torrente sento arrivare gente. Sono donne! Vo loro incontro. Fermati! Vigliacco! L’aiutarle è doveroso! Esce.
BATÍN
Rifuggire dal rischio: lì è il coraggio! Lucindo, Albano, Floro! Questi entrano.
LUCINDO ALBANO FLORO BATÍN
Il conte chiama. Federico dov’è? Non è che chiede i cavalli? Le grida di una dama, lo portarono via da qui a gran passi, con poco senno. Mentre io lo seguo, chiamate gli altri. Esce.
LUCINDO ALBANO
Dove vai? ... Aspetta! Che sia uno scherzo?
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO FLORO
LUCINDO ALBANO
Y lo mismo digo, aunque suena rumor en la ribera de gente que camina. Mal Federico a obedecer se inclina el nuevo dueño, aunque por ella viene. Sale a los ojos el pesar que tiene.
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Federico sale con Casandra en los brazos. FEDERICO CASANDRA FEDERICO
CASANDRA FEDERICO
Hasta poneros aquí los brazos me dan licencia. Agradezco, caballero, vuestra mucha gentileza. Y yo a mi buena fortuna traerme por esta selva, casi fuera de camino. ¿Qué gente, señor, es esta? Crïados que me acompañan. No tengáis, señora, pena: todos vienen a serviros.
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Batín sale con Lucrecia, criada, en los brazos. BATÍN LUCRECIA BATÍN
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Mujer, dime, ¿cómo pesas, si dicen que sois livianas? Hidalgo, ¿dónde me llevas? A sacarte por lo menos de tanta enfadosa arena, como la falta del río en estas orillas deja. Pienso que fue treta suya, por tener ninfas tan bellas, volverse el coche al salir; que si no fuera tan cerca, corriérades gran peligro.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO FLORO
LUCINDO ALBANO
Lo credo anche io. Ma dalla riva sale un trapestio di persone in arrivo. Poca premura Federico mostra di ricevere la nuova signora. Ben evidente è il suo dispiacere. Entra Federico, con Cassandra tra le braccia.
FEDERICO CASSANDRA FEDERICO
CASSANDRA FEDERICO
Solo per deporvi qui le mie braccia hanno il permesso. Io ringrazio, cavaliere, la vostra grande premura. Io la mia felice sorte che mi portò in questi boschi, quasi perduta la strada. Che persone sono queste? Servi che sono con me. Nessun timore, signora: tutti sono ai vostri piedi. Entra Batín con Lucrezia, cameriera, tra le braccia.
BATÍN LUCREZIA BATÍN
Donna, dimmi, perché pesi? E vi chiamano leggere! Cavaliere, ove mi porti? Almeno ti tiro fuori dal fastidio della sabbia, che il fiume nel ritirarsi deposita sulla riva. Rovesciare la carrozza è stato un suo strattagemma, scommetto, per catturare delle ninfe così belle; se non fossi stato qui davvero c’era pericolo!
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CASANDRA
FEDERICO CASANDRA
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Señora, porque yo pueda hablaros con el respeto que vuestra persona muestra, decidme quién sois. Señor, no hay causa por que no deba decirlo. Yo soy Casandra, ya de Ferrara duquesa, hija del duque de Mantua. ¿Cómo puede ser que sea vuestra alteza y venir sola? No vengo sola; que fuera cosa imposible; no lejos el marqués Gonzaga queda, a quien pedí me dejase, atravesando una senda, pasar sola en este río parte de esta ardiente siesta; y por llegar a la orilla, que me pareció cubierta de más árboles y sombras, había más agua en ella, tanto, que pude correr, sin ser mar, fortuna adversa; mas no pudo ser Fortuna, pues se pararon las ruedas. Decidme, señor, quién sois, aunque ya vuestra presencia lo generoso asegura y lo valeroso muestra, que es razón que este favor, no solo yo le agradezca, pero el marqués y mi padre, que tan obligados quedan. Después que me dé la mano, sabrá quién soy vuestra alteza.
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CASSANDRA
FEDERICO CASSANDRA
FEDERICO
Signora, perché io possa parlarvi con il rispetto che mi pare meritiate, dite: chi siete? Signore, non c’è motivo che io debba celarlo: sono Cassandra, duchessa, ormai, di Ferrara, figlia del duca di Mantova. E come potete esserlo e viaggiare così sola? Non sono sola: sarebbe impossibile! Vicino c’è il marchese di Gonzaga: attraversando un sentiero io gli ho chiesto di lasciarmi venire sola sul fiume durante il meriggio ardente, e per giungere alla riva, che mi parve ricoperta di più alberi e più ombra, come più ricca di acque, ecco che rischiai di fare, fuori dal mare, naufragio; fu sorte, ma sorte avversa se le ruote si incepparono. Dite, signore, chi siete, anche se il nobile aspetto fa fede della grandezza, e rende certo il valore. È giusto che del favore non io sola vi ringrazi: il marchese e mio padre ve ne saranno assai grati! Vogliate darmi la mano e lo saprà vostra altezza.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO CASANDRA
FEDERICO CASANDRA
FEDERICO CASANDRA
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¡De rodillas! Es exceso. No es justo que lo consienta la mayor obligación. Señora, es justo y es fuerza. Mirad que soy vuestro hijo. Confieso que he sido necia en no haberos conocido. ¿Quién, sino quien sois, pudiera valerme en tanto peligro? Dadme los brazos. Merezca vuestra mano. No es razón. Dejadles pagar la deuda, señor conde Federico. El alma os dé la respuesta.
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Hablen quedo, y diga Batín. BATÍN
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Ya que ha sido nuestra dicha que esta gran señora sea por quien íbamos a Mantua, solo resta que yo sepa si eres tú, vuesamerced, señoría, o excelencia, para que pueda medir lo razonado a las prendas. Desde mis primeros años sirvo, amigo, a la duquesa. Soy doméstica crïada, visto y desnudo a su alteza. ¿Eres camarera? No. Serás hacia camarera, como que lo fuiste a ser,
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FEDERICO CASSANDRA
FEDERICO CASSANDRA
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In ginocchio? Ma è eccessivo! Vi sono tanto obbligata che non posso consentirlo. Signora, è giusto, e dovuto; sappiate: son vostro figlio. Sono stata sciocca, ammetto, a non averlo capito. E chi, se non voi, mi avrebbe aiutato nel pericolo? Abbracciatemi! Che meriti solo la mano. Non basta! Concedete alle mie braccia di pagare questo debito, signor conte Federico. E sia l’anima a rispondervi. Parlano a voce bassa, e dice Batín.
BATÍN
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BATÍN LUCREZIA BATÍN
Giacché la nostra fortuna volle che questa gran dama, fosse quella che andavamo a cercare fino a Mantova, resta solo da sapere se darti del tu, eccellenza, signoria, o vostra grazia, cosicché possa adeguare le parole con i meriti. Fino dai miei primi anni servo la duchessa, amico; sono la sua damigella: abbiglio e spoglio sua altezza. Sei la cameriera? No. Sarai quasi-cameriera, come sul punto di esserlo, 929
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
LUCRECIA BATÍN LUCRECIA BATÍN
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y te quedaste a la puerta. Tal vez tienen los señores, como lo que tú me cuentas, unas criadas malillas, entre doncellas y dueñas, que son todo y no son nada. ¿Cómo te llamas? Lucrecia. ¿La de Roma? Más acá. ¡Gracias a Dios que con ella topé! Que desde su historia traigo llena la cabeza de castidades forzadas y de diligencias necias. ¿Tú viste a Tarquino? ¿Yo? ¿Y qué hicieras si le vieras? ¿Tienes mujer? ¿Por qué causa lo preguntas? Porque pueda ir a tomar su consejo. Herísteme por la treta. ¿Tú, sabes quién soy? ¿De qué? ¿Es posible que no llega aún hasta Mantua la fama de Batín? ¿Por qué excelencias? Pero tú debes de ser como unos necios, que piensan que en todo el mundo su nombre por único se celebra, y apenas lo sabe nadie.
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LUCREZIA
congelata sulla soglia. A volte hanno, i signori, come mi stai raccontando, delle servette a più usi, tra donzelle e madri nobili, che son tutto e non son nulla. Come ti chiami? Lucrezia. Quella di Roma? Più in su. Grazie a Dio, che ho incocciato in questa! Perché la storia m’ha riempito la testa di castità violentate e di sciocche ostinatezze. Hai visto Tarquinio? Io? E che faresti, a vederlo? Hai moglie? Per che ragione lo domandi? Perché possa chiedere il suo parere. M’hai risposto per le rime! Tu, sai chi sono? Che cosa? Possibile che non giunga fino a Mantova la fama di Batín? Per quali meriti? Mi sa proprio che assomigli a certi sciocchi, che pensano che il loro nome nel mondo viene tenuto in gran pregio, e nessuno li conosce.
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No quiera Dios que tal sea, ni que murmure envidioso de las virtudes ajenas. Esto dije por donaire; que no porque piense o tenga satisfación y arrogancia. Verdad es que yo quisiera tener fama entre hombres sabios, que ciencia y letras profesan; que en la ignorancia común no es fama, sino cosecha, que sembrando disparates coge los mismo que siembra. Aun no acierto a encarecer el haberos conocido; poco es lo que había oído para lo que vengo a ver. El hablar, el proceder a la persona conforma, hijo y mi señor, de forma que muestra en lo que habéis hecho cuál es el alma del pecho que tan gran sujeto informa. Dicha ha sido haber errado el camino que seguí, pues más presto os conocí por yerro tan acertado. Cual suele en el mar airado la tempestad, después de ella ver aquella lumbre bella, así fue mi error la noche, mar el río, nave el coche, yo el piloto, y vos mi estrella. Madre os seré desde hoy, señor conde Federico,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO BATÍN
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Dio non voglia ch’io lo sia, né che mormori invidioso delle qualità degli altri. Questo l’ho detto scherzando, non che lo pensi, o che abbia presunzione ed arroganza. Però è vero che vorrei avere fama tra i saggi che sanno di scienze e lettere, ché la lode degli zotici non è fama, ma un raccolto di chi semina sciocchezze, e ricava quel che semina. Ancora non riesco a dirvi quanto mi sia gradito l’avervi qui conosciuto: mi avevano detto poco rispetto a quello che vedo. Il parlare, il portamento si attagliano alla persona, figlio e signor mio, di modo che mostra negli atti vostri quale anima sostiene una simile grandezza. Ed è stata una fortuna avere sbagliato strada: per un felice errore vi ho conosciuto prima. Come dopo una tempesta sull’ira del mare appare la luce bella, così è stato notte il mio sbaglio, mare il fiume, nave il cocchio, io il pilota, voi la stella. Da oggi vi sarò madre, signor conte Federico,
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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y de este nombre os suplico que me honréis, pues ya lo soy. De vos tan contenta estoy, y tanto el alma repara en prenda tan dulce y cara, que me da más regocijo teneros a vos por hijo, que ser duquesa en Ferrara. Basta que me dé temor, hermosa señora, el veros; no me impida el responderos turbarme tanto favor. Hoy el duque mi señor en dos divide mi ser, que del cuerpo pudo hacer que mi ser primero fuese, para que el alma debiese a mi segundo nacer. De estos nacimientos dos lleváis, señora, la palma; que para nacer con alma, hoy quiero nacer de vos; que, aunque quien la infunde es Dios, hasta que os vi, no sentía en qué parte la tenía; pues, si conocerla os debo, vos me habéis hecho de nuevo; que yo sin alma vivía. Y de esto se considera, pues que de vos nacer quiero, que soy el hijo primero que el duque de vos espera. Y de que tan hombre quiera nacer, no son fantasías; que para disculpas mías,
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e vi prego d’onorarmi fin d’ora con questo nome. Sono di voi tanto lieta e tanto l’anima ammira così dolce e caro oggetto, che mi dà più contentezza l’acquistarvi come figlio che in Ferrara esser duchessa. Bella signora, se il solo vedervi mi intimorisce, non so davvero rispondervi: mi turba il vostro favore. Oggi il duca, mio signore, divide in due il mio essere; che del corpo mi ha dato l’esistenza, solamente perché dovessi l’anima ad una seconda nascita. Di questa duplice vita voi avete il maggior merito; per nascere con un’anima voglio da voi rinascere; sebbene sia Dio ad infonderla, fino a quando non vi ho visto non sapevo da che parte la tenessi. Ora, se a voi devo il conoscerla, penso che mi abbiate creato una seconda volta: io senz’anima vivevo. E da ciò si può desumere, poiché da voi voglio nascere, che sono il primo figliolo che il duca da voi spera. E che io voglia, ormai adulto, nascere, non è fantasia, a discolpa può valermi 935
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
aquel divino crisol ha seis mil años que es sol, y nace todos los días.
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El marqués Gonzaga, Rutilio y criados. RUTILIO MARQUÉS
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Aquí, señor, los dejé. ¡Extraña desdicha fuera, si el caballero que dices no llegara a socorrerla! Mandome alejar, pensando dar nieve al agua risueña, bañando en ella los pies para que corriese perlas; y así no pudo llegar tan presto mi diligencia, y en brazos de aquel hidalgo salió, señor, la duquesa; pero como vi que estaban seguros en la ribera, corrí a llamarte. Allí está entre el agua y el arena el coche solo. Estos sauces nos estorbaron el verla. Allí está con los criados del caballero. Ya llega mi gente. ¡Señora mía! ¡Marqués! Con notable pena a todos nos ha tenido hasta agora vuestra alteza.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
quel divino crogiolo: da seimila anni è sole e rinasce tutti i giorni. Il marchese Gonzaga, Rutilio e servi. RUTILIO MARCHESE
RUTILIO
MARCHESE
RUTILIO
CASSANDRA MARCHESE CASSANDRA MARCHESE
Qui, signore, li ho lasciati. Che disgrazia incredibile, se il cavaliere che dici non le avesse dato aiuto! Mi ordinò di allontanarmi per tuffare le sue nevi nella corrente briosa, bagnando i piedi nell’acqua perché perle ne scorressero; così non poté raggiungerla rapidamente il mio zelo, e in braccio a quel cavaliere, signore, uscì la duchessa; ma come ho visto che erano già sicuri sulla riva corsi a chiamarti. Laggiù tra l’acqua e la sabbia sta il cocchio vuoto. I salici c’impedivano la vista: eccola là, coi famigli del cavaliere. Già arrivano i miei servi. Signora! Marchese! In grande angoscia ci ha tenuti tutti quanti finora l’altezza vostra.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
CASANDRA
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¡Gracias a Dios, que os hallamos sin peligro! Después de ellas, las dad a este caballero. Su piadosa gentileza me sacó libre en los brazos. Señor conde, ¿quién pudiera, sino vos, favorecer a quien ya es justo que tenga el nombre de vuestra madre? Señor marqués, yo quisiera ser un Júpiter entonces, que tranformándose cerca en aquel ave imperial, aunque las plumas pusiera a la luz de tanto sol, ya de Faetonte soberbia, entre las doradas uñas, tusón del pecho la hiciera, y por el aire en los brazos, por mi cuidado la vieran los del duque, mi señor. El cielo, señor, ordena estos sucesos que veis, para que Casandra os deba un beneficio tan grande, que desde este punto pueda confirmar las voluntades, y en toda Italia se vea amarse tales contrarios, y que en un sujeto quepan. Hablan los dos, y aparte Casandra y Lucrecia.
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Mientras los dos hablan, dime, qué te parece, Lucrecia, de Federico.
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Ma vi trovo sana e salva, ringraziando Dio! E poi ringraziate questo nobile: la sua cortesia partecipe mi salvò da ogni pericolo prendendomi tra le braccia. Signor conte, chi poteva, se non voi, così soccorrere chi è ormai giusto che abbia per voi nome di madre? Signor marchese, ed allora fossi io Giove, e mi cambiassi in quell’uccello imperiale (anche esponendo le piume alla luce di un tal sole, superbo come Fetonte): tra i miei unghielli dorati la farei insegna del petto, e per l’aria, tra le braccia, per mia cura consegnarla al duca mio signore. Signore, è il cielo a disporre questi casi che vedete, perché Cassandra vi debba un beneficio sì grande che da questo attimo possa riconfermare gli accordi; e in tutta Italia si veda che tali opposti si amano da coincidere in un essere. Parlano i due, e tra loro Cassandra e Lucrezia.
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Mentre che parlano, dimmi che te ne pare, Lucrezia, di Federico. 939
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Señora, si tú me dieses licencia, mi parecer te diría. Aunque ya no sin sospecha, yo te la doy. Pues yo digo... Di. Que más dichosa fueras si se trocara la suerte. Aciertas, Lucrecia, y yerra mi fortuna; mas ya es hecho, porque cuando yo quisiera, fingiendo alguna invención, volver a Mantua, estoy cierta que me matara mi padre, y por toda Italia fuera fábula mi desatino; fuera de que no pudiera casarme con Federico; y así, no es justo que vuelva a Mantua, sino que vaya a Ferrara, en que me espera el duque, de cuya libre vida y condición me llevan las nuevas con gran cuidado. Ea, nuestra gente venga, y alegremente salgamos del peligro de esta selva. Parte delante a Ferrara, Rutilio, y lleva las nuevas al duque del buen suceso; si por ventura no llega anticipada la fama, que se detiene en las buenas cuanto corre en siendo malas. Vamos, señora, y prevengan caballo al conde.
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Signora, se me ne deste licenza vi direi il mio parere. Anche se con qualche remora io te la do. Dunque, dico... Di’ ...Più felice sareste se poteste fare un cambio. Giusto, Lucrezia, e sbagliato il mio destino, ma ormai anche quando io volessi – inventando qualche inganno – tornare a Mantova, certo mi ucciderebbe mio padre e la mia follia sarebbe la favola dell’Italia; e per giunta non potrei sposarmi con Federico; pertanto è assurdo che torni a Mantova. Andrò a Ferrara, dove mi aspetta il duca, la cui vita libertina, per le notizie che ho, già mi tiene in apprensione. Su, che vengano i famigli, e allegramente si esca dai rischi di questa selva. Tu, vai avanti a Ferrara, Rutilio, e reca notizia al duca del felice caso, non ci preceda la fama, che le buone nuove frena e quelle cattive affretta. Andiamo, dunque, signora; portino al conte il cavallo.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO FLORO CASANDRA FEDERICO
¡El caballo del conde! Vuestra excelencia irá mejor en mi coche. Como mande vuestra alteza que vaya, la iré sirviendo.
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El marqués lleve de la mano a Casandra y queden Federico y Batín. BATÍN FEDERICO BATÍN
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¡Qué bizarra es la duquesa! ¿Parécete bien, Batín? Paréceme una azucena que está pidiendo al aurora en cuatro cándidas lenguas que le trueque en cortesía los granos de oro a sus perlas. No he visto mujer tan linda. ¡Por Dios, señor, que si hubiera lugar – porque suben ya, y no es bien que la detengas – que te dijera... No digas nada; que con tu agudeza me has visto el alma en los ojos, y el gusto me lisonjeas. ¿No era mejor para ti esta clavellina fresca, esta naranja en azar, toda de pimpollos hecha, esta alcorza de ámbar y oro, esta Venus, esta Elena? ¡Pesia las leyes del mundo! Ven, no les demos sospecha; y seré el primer alnado a quien hermosa parezca su madrastra.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO FLORO CASSANDRA FEDERICO
Il cavallo! Vostra grazia starà meglio nel mio cocchio. Come piace a vostra altezza che vada, sono ai suoi ordini.
Il Marchese conduce fuori Cassandra, dandole la mano, e rimangono Federico e Batín. BATÍN FEDERICO BATÍN
FEDERICO
BATÍN
FEDERICO
Che splendore, la duchessa! È bella, vero, Batín? Mi sembra proprio un giglio che sta chiedendo all’aurora con quattro candide lingue che cambi, per cortesia, alle perle i grani d’oro. Mai vista una tanto bella! Ma già salgono, signore, e non è bene attardarci; ci fosse tempo, però, ti direi... Non dire nulla, che con l’acume che hai mi hai visto negli occhi l’anima e vuoi solo assecondarmi. Non era più adatto a te questo garofano fresco, questa arancia ancora in fiore, fatta tutta di boccioli, zuccherino d’ambra e d’oro, questa Venere, quest’Elena? Maledizione alle leggi assurde del nostro mondo! Vieni, non diamo sospetti; e sarò il primo figliastro a cui appare incantevole la matrigna. 943
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Pues, señor, no hay más de tener paciencia; que a fe que a dos pesadumbres, ella te parezca fea.
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[Vanse.] Salgan el duque de Ferrara y Aurora su sobrina. DUQUE
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Hallarala en el camino Federico, si partió cuando dicen. Mucho erró, pues cuando el aviso vino era forzoso el partir a acompañar a su alteza. Pienso que alguna tristeza pudo el partir diferir, que, en fin, Federico estaba seguro en su pensamiento de heredarme, cuyo intento, que con mi amor consultaba, fundaba bien su intención; porque es Federico, Aurora, lo que más mi alma adora, y fue casarme traición que hago a mi propio gusto; que mis vasallos han sido quien me ha forzado y vencido a darle tanto disgusto; si bien dicen que esperaban tenerle por su señor, o por conocer mi amor, o porque también le amaban; mas que los deudos que tienen derecho a mi sucesión, pondrán pleito con razón; o que si a las armas vienen,
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Bah, signore, ci vuole solo pazienza: dopo un paio di soprusi magari ti sembra brutta. [Escono.] Entrano il Duca di Ferrara e Aurora, sua nipote.
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La troverà sulla strada Federico, se è partito quando dicono. Ha sbagliato lui; doveva partire appena avvisato, subito, per fare scorta a sua altezza. Sarà stata l’amarezza a ritardare il viaggio. Nel suo cuore, Federico era ben sicuro ormai d’essere mio erede, e questo lo confermava il mio amore. Perché è Federico, Aurora, la persona a me più cara, e lo sposarmi è violenza che faccio ai miei desideri: sono stati i miei vassalli che mi hanno spinto e costretto a dargli un tale dolore. Dicevano di sperare di averlo come signore, o perché si accorgevano di quanto gli voglio bene o perché anch’essi lo amavano; ma aggiungendo che i parenti che hanno diritto a succedermi si sarebbero poi opposti; e se alle armi si arrivava 945
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no pudiendo concertallos, abrasarán estas tierras, porque siempre son las guerras a costa de los vasallos. Con esto determiné casarme: no pude más. Señor, disculpado estás: yerro de fortuna fue. Pero la grave prudencia del conde hallará templanza, para que su confïanza tenga consuelo y paciencia. Aunque en esta confusión un consejo quiero darte, que será remedio en parte de su engaño y tu afición. Perdona el atrevimiento; que fïada en el amor que me muestras, con valor te diré mi pensamiento. Yo soy, invicto duque, tu sobrina; hija soy de tu hermano, que en su primera edad, como temprano almendro que la flor al cierzo inclina, cinco lustros, – ¡ay suerte cruel! – rindió la inexorable muerte. Criásteme en tu casa, porque luego quedé también sin madre: tú solo fuiste mi querido padre, y en el confuso laberinto ciego de mis fortunas tristes, el hilo de oro que de luz me vistes. Dísteme por hermano a Federico, mi primo, en la crianza, a cuya siempre honesta confïanza con dulce trato honesto amor aplico,
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senza trovare un accordo ne patirebbe il paese, perché la guerra di solito sono i sudditi a scontarla. A tali istanze ho ceduto e ho deciso di sposarmi. Signore, tu non ne hai colpa: è stata la sorte avversa. Ma la prudenza sagace del conte saprà alleviare la delusione, così che sopporti con pazienza. Tuttavia, in questa incertezza, un consiglio voglio darti, che sarà in parte rimedio alla sua delusione ed al tuo affetto per lui. Perdonami, se oso troppo, ma confido nell’amore che mi mostri: con franchezza ti dirò quello che penso. Io sono, invitto duca, tua nipote, figlia di tuo fratello, che nella verde età, come un giovane mandorlo che i suoi fiori inclina al vento, a cinque lustri – oh sorte, crudele! – rapì morte inesorabile. In casa mi hai allevato, perché presto ho perso anche la madre; solo tu mi sei stato padre amato, e nel confuso labirinto cieco della mia triste sorte il filo d’oro che guida alla luce. Mi hai dato per fratello Federico, allevandomi insieme a mio cugino; alla sua fede onesta, con dolce confidenza do il mio affetto, 947
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no menos de él querida, viviendo entrambos una misma vida. Una ley, un amor, un albedrío, una fe nos gobierna, que con el matrimonio será eterna, siendo yo suya, y Federico mío; que aun apenas la muerte osará dividir lazo tan fuerte. Desde la muerte de mi padre amado, tiene mi hacienda aumento; no hay en Italia agora casamiento más igual a sus prendas y a su estado; que yo, entre muchos grandes, ni miro a España, ni me aplico a Flandes. Si le casas conmigo, estás seguro de que no se entristezca de que Casandra sucesión te ofrezca, sirviendo yo de su defensa y muro. Mira si en este medio promete mi consejo tu remedio. Dame tus brazos, Aurora, que en mi sospecha y recelo, eres la misma del cielo que mi noche ilustra y dora. Hoy mi remedio amaneces, y en el sol de tu consejo miro, como en claro espejo, el que a mi sospecha ofreces. Mi vida y honra aseguras; y así te prometo al conde, si a tu honesto amor responde la fe con que le procuras; que bien creo que estarás cierta de su justo amor, como yo, que tu valor, Aurora, merece más.
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non meno da lui amata, vivendo tutti e due la stessa vita. Una legge, un amore, una fiducia, un volere ci regge, che con il matrimonio sarà eterno: io sarò sua, e Federico mio, e un laccio così forte la morte appena lo potrà spezzare. Dalla fine del padre beneamato si accrebbero i miei beni; non vi è in Italia chi meglio lo meriti per ricchezza e per stato: io sola d’ogni grande posso ignorare e la Spagna e le Fiandre. Se lo sposi con me, stai pure certo, non potrà rattristarsi se un qualche erede ti offrirà Cassandra, trovando in me difesa e baluardo. Vedi se in questo modo il mio consiglio può offrirti un rimedio. Abbracciami, o mia Aurora, che tra incertezze e timori sei per me quella del cielo, che la notte fughi e indori. Oggi spunta il mio soccorso: nel sole del tuo consiglio scorgo, come in chiaro specchio, tutti i miei dubbi risolti. Mi rendi vita ed onore; così ti prometto il conte, se al tuo affetto corrisponde la fede per cui lo vuoi; immagino che sarai certa del suo giusto amore; come io so che i tuoi pregi, Aurora, anche più si meritano.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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Y así, pues vuestros intentos conformes vienen a ser, palabra te doy de hacer juntos los dos casamientos. Venga el conde, y tú verás qué día a Ferrara doy. Tu hija y tu esclava soy. No puedo decirte más.
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Entre Batín. BATÍN
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Vuestra alteza, gran señor, reparta entre mí y el viento las albricias, porque a entrambos se las debe de derecho; que no sé cual de los dos vino en el otro corriendo; yo en el viento, o él en mí, él en mis pies, yo en su vuelo. La duquesa, mi señora, viene buena, y si primero dijo la fama que el río, con atrevimiento necio, volvió el coche, no fue nada; porque el conde al mismo tiempo llegó y la sacó en sus brazos, con que las paces se han hecho de aquella opinión vulgar que nunca bien se quisieron los alnados y madrastras; porque con tanto contento vienen juntos, que parecen hijo y madre verdaderos. Esa paz, Batín amigo, es la nueva que agradezco; y que traiga gusto el conde,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
AURORA
E così, se anche lui ha le tue stesse intenzioni, ti do parola di fare insieme i due matrimoni. Arrivi il conte, e vedrai che giorno offrirò a Ferrara. Sono tua figlia e tua schiava: non posso dirti di più. Entra Batín.
BATÍN
DUCA
Vostra grazia, qua una mancia da dividere a metà tra me e il vento: ne abbiamo entrambi pieno diritto, che non so quale dei due ha corso fin qui nell’altro, io nel vento, il vento in me, lui nei passi, io nel suo volo. La duchessa, mia signora; sta bene e se poco fa la fama ha detto che il fiume con un folle ardimento, ha travolto il cocchio, all’ultimo tutto è andato per il meglio, perché il conte in un baleno arrivò e la prese in braccio; e hanno smentito con questo quella opinione comune che non si possono amare il figliastro e la matrigna, perché vengono così contenti insieme, che sembrano figlio e madre naturali. Caro Batín, questa intesa è la nuova a me più grata, e che il conte sia contento 951
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
BATÍN
AURORA BATÍN
AURORA BATÍN
DUQUE
fuera de ser nueva, es nuevo. Querrá Dios que Federico con su buen entendimiento se lleve bien con Casandra. En fin, ¿ya los dos se vieron, y en tiempo que pudo hacerle ese servicio? Prometo a vuestra alteza que fue dicha de los dos. Yo quiero que me des nuevas también. ¡Oh, Aurora, que a la del cielo das ocasión con el nombre para decirte concetos! ¿Qué me quieres preguntar? Deseo de saber tengo si es muy hermosa Casandra. Esa pregunta y deseo no era de vuestra excelencia, sino del duque; mas pienso que entrambos sabéis por fama lo que repetir no puedo, porque ya llegan. Batín, ponte esta cadena al cuello.
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Entren con grande acompañamiento y bizarría Rutilio, Floro, Albano, Lucindo, el marqués Gonzaga, Federico, Casandra y Lucrecia. FEDERICO
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En esta güerta, señora, os tienen hecho aposento para que el duque os reciba, en tanto que disponiendo queda Ferrara la entrada, que a vuestros merecimientos será corta, aunque será
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO
BATÍN
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DUCA
è una nuova e un fatto nuovo. Voglia Iddio che Federico, intelligente com’è, vada d’accordo con lei. Dunque, già si sono visti, e in modo che Federico la poté aiutare? Certo è stata una gran fortuna per tutti e due. Anche io aspetto delle notizie. Oh Aurora, che col tuo nome spingeresti il cielo stesso a dirti rare acutezze! Che cosa vuoi domandarmi? Di’, è molto bella Cassandra? Domanda e curiosità, questa, più consona al duca che a vostra grazia, ma penso che tutti e due già sapete dalla fama quel che io non posso ora ripetere perché arrivano. Batín, questa catena è per te.
Entrano con grande seguito e pompa Rutilio, Floro, Albano, Lucindo ed il marchese Gonzaga, Federico, Cassandra e Lucrezia. FEDERICO
Signora, in questo giardino hanno fatto un padiglione perché il duca vi riceva, mentre si va preparando Ferrara alla vostra entrata, che rispetto ai vostri meriti sarà poca cosa, anche se 953
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CASANDRA FEDERICO
DUQUE
CASANDRA
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MARQUÉS
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la mayor que en estos tiempos en Italia se haya visto. Ya, Federico, el silencio me provocaba a tristeza. Fue de aquesta causa efeto. Ya salen a recibiros el Duque y Aurora. El cielo, hermosa Casandra, a quien con toda el alma os ofrezco estos estados, os guarde, para su señora y dueño, para su aumento y su honor, los años de mi deseo. Para ser de vuestra alteza esclava, gran señor, vengo, que de este título solo recibe mi casa aumento, mi padre honor y mi patria gloria, en cuya fe poseo los méritos de llegar a ser digna de los vuestros. Dadme vos, señor marqués, los brazos, a quien hoy debo prenda de tanto valor. En su nombre los merezco, y por la parte que tuve en este alegre himineo, pues hasta la ejecución me sois deudor del concierto. Conoced, Casandra, a Aurora. Entre los bienes que espero de tanta ventura mía, es ver, Aurora, que os tengo por amiga y por señora.
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CASSANDRA FEDERICO
DUCA
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la più sfarzosa che mai in Italia si sia vista. Federico, il tuo silenzio mi induceva alla tristezza. Il motivo è stato questo. Già escono per accogliervi il duca ed Aurora. Il cielo, mia bella Cassandra, a cui con tutta l’anima offro questi stati, vi protegga, come signora e padrona, a loro gloria ed onore tant’anni quanti io desidero. Per esser vostra schiava altezza, sono venuta; da questo titolo solo la mia stirpe si illustra, acquista onore mio padre e gloria la patria mia; è da qui solo che attingo i meriti per giungere a farmi degna dei vostri. Datemi, signor marchese, le braccia, perché a voi devo gioia di tale valore. Nel suo nome le merito, e per la parte che ho avuto in questo lieto imeneo: fino a che non sia operante me ne dovete l’impegno. Io, Cassandra, sono Aurora. Tra le gioie che mi aspetto dalla mia grande fortuna c’è l’avervi, cara Aurora, per amica e per signora.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO AURORA
CASANDRA
DUQUE
CASANDRA
Con serviros, con quereros por dueño de cuanto soy, solo responderos puedo. Dichosa Ferrara ha sido, ¡oh Casandra!, en mereceros, para gloria de su nombre. Con tales favores entro, que ya en todas mis acciones próspero fin me prometo. Sentaos, porque os reconozcan con debido amor mis deudos y mi casa. No replico; cuanto mandáis obedezco.
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Siéntense debajo de dosel el duque y Casandra y el marqués y Aurora. CASANDRA DUQUE
CASANDRA FEDERICO
CASANDRA FEDERICO CASANDRA FEDERICO
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¿No se sienta el conde? No; porque ha de ser el primero que os ha de besar la mano. Perdonad; que no consiento esa humildad. Es agravio de mi amor; fuera de serlo, es ir contra mi obediencia. Eso no. (Temblando llego). Teneos. No lo mandéis. Tres veces, señora, beso vuestra mano: una por vos, con que humilde me sujeto a ser vuestro mientras viva, de estos vasallos ejemplo; la segunda por el duque,
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO AURORA
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Col servirvi e con l’amarvi, come padrona di tutto, solo vi posso rispondere. Felice è stata Ferrara a meritarvi, Cassandra, per fare illustre il suo nome. Tali favori mi accolgono che già per ogni mio atto prevedo un prospero esito. Sedete, perché vi onorino con amore familiari e parenti. Dico solo: comandate, ed io obbedisco. Si seggono sotto un baldacchino il Duca e Cassandra, e il Marchese e Aurora.
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CASSANDRA FEDERICO CASSANDRA FEDERICO
Non si siede il conte? No, perché dev’essere il primo a baciarvi la mano. Perdonate, non consento che si umìli. Ma fareste torto al mio amore, ed io, poi, mancherei all’obbedienza. Questo no. (Mi sento un tremito.) Fermatevi. Non chiedetelo. Tre volte, signora, bacio questa mano: una per voi, e mi assoggetto con questo a esser vostro finché viva, di questi sudditi esempio; la seconda per il duca 957
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mi señor, a quien respeto obediente; y la tercera por mí, porque no tiniendo más por vuestra obligación ni menos por su preceto, sea de mi voluntad, señora, reconoceros; que la que sale del alma sin fuerza de gusto ajeno, es verdadera obediencia. De tan obediente cuello sean cadena mis brazos. (Es Federico discreto.) Días ha, gallarda Aurora, que los deseos de veros nacieron de vuestra fama, y a mi fortuna le debo que tan cerca me pusiese de vos, aunque no sin miedo, para que sepáis de mí que, puesto que se cumplieron, son mayores de serviros cuando tan hermosa os veo. Yo, señor marqués, estimo ese favor como vuestro, porque ya de vuestro nombre, que por las armas eterno será en Italia, tenía noticia por tantos hechos. Lo de galán ignoraba, y fue ignorancia, os confieso, porque soldado y galán es fuerza, y más en sujeto de tal sangre y tal valor. Pues haciendo fundamento de ese favor, desde hoy
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mio signore, che rispetto obbediente; e poi la terza per me, perché già compiuti gli obblighi che ho verso voi, e il volere di mio padre, di mia propria volontà signora vi riconosco; che se dall’animo sgorga senza costrizione d’altri l’obbedienza, allora è autentica. Di un così docile collo sian catena le mie braccia. (Federico è molto accorto.) Da giorni, mia bella Aurora, la vostra fama m’ha acceso la bramosia di conoscervi, e devo alla mia fortuna ritrovarmi qui vicino a voi, seppur timoroso. Vi voglio dunque dire che compiuta la speranza cresce il gusto di servirvi, vedendovi così bella. Io, signor marchese apprezzo questo vostro complimento, perché già del vostro nome – nome in Italia eterno nelle armi – m’era giunta notizia per tante imprese. Ignoravo che eravate galante, ma avevo torto, che galanteria e ardimento ovviamente vanno insieme, e ancor più in una persona di tale stirpe e valore. Facendo dunque tesoro di questo favore, da oggi 959
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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me nombro vuestro, y prometo mantener en estas fiestas a todos los caballeros de Ferrara, que ninguno tiene tan hermoso dueño. Que descanséis es razón; que pienso que entreteneros es hacer la necedad que otros casados dijeron. No diga el largo camino que he sido dos veces necio, y amor que no estimo el bien, pues no le agradezco el tiempo.
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Todos se entran con grandes cumplimientos y quedan Federico y Batín. FEDERICO BATÍN FEDERICO
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¡Qué necia imaginación! ¿Cómo necia? ¿Qué tenemos? Bien dicen que nuestra vida es sueño, y que toda es sueño, pues que no solo dormidos, pero aun estando despiertos, cosas imagina un hombre que al más abrasado enfermo con frenesí no pudieran llegar a su entendimiento. Dices bien; que alguna vez entre muchos caballeros suelo estar, y sin querer se me viene al pensamiento dar un bofetón a uno y mordelle del pezcuezo. Si estoy en algún balcón, estoy pensando y temiendo echarme dél y matarme.
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vostro mi dico, e prometto di sfidare in queste feste tutti quanti i cavalieri di Ferrara, ché nessuno ha una dama così bella. Dovete ora riposare; intrattenervi qui ancora sarebbe quella stoltezza che s’attribuisce allo sposo alla sua prima visita. Non dica la lunga strada che sono due volte sciocco, né amore mi accusi di non stimare il bene perché troppo tempo esigo. Tutti escono con grandi dimostrazioni di cortesia; rimangono Federico e Batín.
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Che pazzesche fantasie! Pazzesche? Ma cosa avete? Hanno ragione, la vita è sogno, e soltanto sogno: non solo da addormentati, ma anche quando siamo svegli cose si immagina un uomo che un febbricitante infermo nel culmine della crisi non potrebbe figurarsi! Proprio vero: a volte, stando tra un gruppo di cavalieri, non so come, ma mi viene di dare uno schiaffo ad uno; o dargli un morso nel collo. Se mi trovo su un balcone ho la voglia o la paura di buttarmi giù e ammazzarmi. 961
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO
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Si estoy en la iglesia oyendo algún sermón, imagino que le digo que está impreso. Dame ganas de reír si voy en algún entierro; y si dos están jugando que les tiro el candelero. Si cantan, quiero cantar, y si alguna dama veo, en mi necia fantasía asirla del moño intento, y me salen mil colores, como si lo hubiera hecho. ¡Jesús! ¡Dios me valga! ¡Afuera, desatinados conceptos de sueños despiertos! ¿Yo tal imagino, tal pienso? ¿Tal me prometo, tal digo? ¿Tal fabrico, tal emprendo? ¡No más, extraña locura! Pues, ¿tú para mí secreto? Batín, no es cosa que hice, y así nada te reservo; que las imaginaciones son espíritus sin cuerpo. Lo que no es ni ha de ser no es esconderte mi pecho. Y si te lo digo yo, ¿negarásmelo? Primero que puedas adivinarlo, habrá flores en el cielo, y en este jardín estrellas.
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Se in chiesa sto ad ascoltare qualche predica, mi immagino di dire al predicatore che l’ho già vista stampata. Qualche volta ai funerali mi viene la ridarella, o se vedo due che giocano ecco che mi prende l’estro di tirargli un candeliere. Se c’è qualcuno che canta anche a me vien di cantare, e se incontro qualche dama mi verrebbe il ghiribizzo di acciuffarla per la crocchia, e arrossisco come un gambero, quasi che l’avessi fatto. Dio m’aiuti! E voi, lasciatemi dissennate fantasie di sogni a occhi aperti! Che io così immagini e pensi, che mi riprometta e dica, che inventi e che m’affanni... Ma basta, strana pazzia! Dunque mi tieni un segreto! Non è qualcosa che ho fatto, e così nulla ti celo, che sono, le fantasie, spiriti senza corpo. Non ti nascondo il mio animo se taccio ciò che non è e che mai potrà essere. E se a dirlo fossi io, tu lo negheresti? Prima che tu possa indovinarlo nasceranno fiori in cielo e in questo giardino stelle. 963
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO PRIMERO BATÍN
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Pues mira como lo acierto: que te agrada tu madrastra y estás entre ti diciendo... ¡No lo digas! Es verdad. Pero yo, ¿qué culpa tengo, pues el pensamiento es libre? Y tanto, que por su vuelo la inmortalidad del alma se mira como en espejo. Dichoso es el duque. Y mucho. Con ser imposible, llego a estar envidioso dél. Bien puedes, con presupuesto de que era mejor Casandra para ti. Con eso puedo morir de imposible amor y tener posibles celos.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO PRIMO BATÍN
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Guarda come lo indovino: ti piace la tua matrigna e tra te ti stai dicendo... Non lo dire! Eppure è vero. Ma io, che colpa ne ho? Non è libero il pensiero? Sì, e tanto: nel suo volo l’immortalità dell’anima si rimira e si rispecchia. Fortunato il duca! E molto. È impossibile; sì, eppure sono invidioso di lui. Più che possibile! Pensa che era meglio adatta a te Cassandra! E potrò morire così di un amore assurdo e gelosia ben concreta.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Salen Casandra y Lucrecia. LUCRECIA CASANDRA
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Con notable admiración me ha dejado vuestra alteza. No hay altezas con tristeza, y más si bajezas son. Más quisiera, y con razón, ser una ruda villana que me hallara la mañana al lado de un labrador, que de un desprecio señor, en oro, púrpura y grana. ¡Pluguiera a Dios que naciera bajamente, pues hallara quien lo que soy estimara y a mi amor correspondiera! En aquella humilde esfera, como en las camas reales, se gozan contentos tales, que no los crece el valor, si los efectos de amor son en las noches iguales. No los halla a dos casados el sol por las vidrieras de cristal, a las primeras luces del alba, abrazados con más gusto, ni en dorados techos más descanso halló que tal vez su rayo entró, del aurora a los principios, por mal ajustados ripios, y un alma en dos cuerpos vio.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Cassandra e Lucrezia. LUCREZIA CASSANDRA
Profondamente sconvolta mi ha lasciato vostra altezza. Non c’è altezza se uno è triste, e – peggio – per cose basse! E vorrei davvero essere una donna di campagna per svegliarmi la mattina al lato di un contadino, non accanto a chi, tra oro e porpora, mi disprezza! Ah, non fossi nata nobile! Allora sì avrei trovato chi avrebbe apprezzato quello che sono, ed avrebbe il mio affetto ricambiato! In quei modesti recessi come nei letti regali si hanno contentezze tali che il rango non può accrescere, se di notte sono uguali le scoperte dell’ amore. Non trova i novelli sposi il sole, attraverso i vetri di cristallo, sulle prime luci dell’ alba, abbracciati con più gusto, né può scorgere sotto dorati soffitti gioia maggiore di quella che forse un suo raggio ha visto sul principio dell’aurora all’entrare in un pertugio scorgendo due corpi e un’anima!
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
Dichosa la que no siente un desprecio autorizado, y se levanta del lado de su esposo alegremente; la que en la primera fuente mira y lava, ¡oh cosa rara!, con las dos manos la cara, y no en llanto cuando fue mujer de un hombre sin fe, con ser duque de Ferrara. Sola una noche le vi en mis brazos en un mes, y muchas le vi después que no quiso verme a mí. Pero de que viva ansí ¿cómo me puedo quejar, pues que me pudo enseñar la fama que quien vivía tan mal, no se enmendaría aunque mudase lugar? Que venga un hombre a su casa cuando viene al mundo el día, que viva a su fantasía, por libertad de hombre pasa. ¿Quién puede ponerle tasa? Pero que con tal desprecio trate una mujer de precio, de que es casado olvidado, o quiere ser desdichado, o tiene mucho de necio. El duque debe de ser de aquellos cuya opinión, en tomando posesión, quieren en casa tener como alhaja la mujer, para adorno, lustre y gala,
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Fortunata chi non soffre la freddezza di un potente, ma si leva su dal fianco del suo sposo tutta lieta; felice chi ad una fonte, cosa rara, vede e lava con le due mani la faccia, non con il pianto, perché è moglie di un uomo incostante anche se duca in Ferrara! Solo una notte di un mese l’ho visto tra le mie braccia, e mille volte l’ho visto che non voleva vedermi. Ma se lui vive così, come posso lamentarmi? Mi ha mai detto la fama che chi ha agito male un tempo può ravvedersi e cambiare solo col mutare stato? Che un uomo ritorni a casa quando sta spuntando l’alba, e che viva a suo capriccio, si può anche considerare come libertà maschile. Chi la potrebbe frenare? Ma chi con tanto disprezzo tratta una donna di rango, dimentico che è sposato, o vuol esser disgraziato o ha molto dello sciocco. Mi pare che il duca sia di quelli che ritengono – quando ne han preso possesso – di poter tenere in casa la sposa come un oggetto, un addobbo, un ornamento, 969
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
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silla o escritorio en sala; y es término que condeno, porque con marido bueno, ¿cuándo se vio mujer mala? La mujer de honesto trato viene para ser mujer a su casa; que no a ser silla, escritorio o retrato. Basta ser un hombre ingrato, sin que sea descortés; y es mejor, si causa es de algún pensamiento extraño, no dar ocasión al daño, que remediarle después. Tu discurso me ha causado lástima y admiración; que tan grande sinrazón puede ponerte en cuidado. ¿Quién pensara que casado fuera el duque tan vicioso? O que no siendo amoroso, cortés, como dices, fuera, con que tu pecho estuviera para el agravio animoso. En materia de galán puédese picar con celos, y dar algunos desvelos, cuando dormidos están: el desdén, el ademán, la risa con quien pasó, alabar al que la habló, con que despierta el dormido; pero celos a marido, ¿quién en el mundo los dio? ¿Hale escrito vuestra alteza a su padre estos enojos?
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uno scrittoio, o una seggiola. Una cosa che condanno: con un marito buono vi fu mai moglie malvagia? La donna d’animo onesto viene per essere sposa in casa sua, non per fare da quadro, sedia o scrittoio! Basterebbe che, se è ingrato, non fosse poi anche scortese; e sarà meglio, se provoca qualche indebito pensiero, non dare occasione al danno che tentare poi il rimedio. Le vostre parole m’hanno dato dolore e sorpresa: a ragione vi dolete di un torto così palese. Chi poteva mai pensare che anche da sposato il duca continuasse nei suoi vizi? E se incapace di affetto, fosse almeno, come dite, cortese, così che avrebbe sopportato il vostro cuore! Durante il corteggiamento magari puoi civettare, cercando di stimolare un interesse assopito: lo sdegno, il broncio, il sorriso a qualcuno che è passato, e lodare chi ci parla, svegliano gli addormentati; ma ingelosire un marito, questo a nessuno è possibile! Ha scritto di queste pene a suo padre vostra altezza? 971
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO CASANDRA LUCRECIA
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No, Lucrecia; que mis ojos solo saben mi tristeza. Conforme a naturaleza y a la razón, mejor fuera que el conde te mereciera y que contigo casado, asegurando su estado, su nieto le sucediera, que aquestas melancolías que trae el conde, no son, señora, sin ocasión. No serán sus fantasías, Lucrecia, de envidias mías, ni yo hermanos le daré; con que Federico esté seguro que no soy yo la que la causa le dio. Desdicha de entrambos fue.
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El duque y Federico, y Batín. DUQUE
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Si yo pensara, conde, que te diera tanta tristeza el casamiento mío, antes de imaginarlo me muriera. Señor, fuera notable desvarío entristecerme a mí tu casamiento, ni de tu amor por eso desconfío. Advierta pues tu claro entendimiento que si del casamiento me pesara, disimular supiera el descontento. La falta de salud se ve en mi cara, pero no la ocasión. Mucho presumen los médicos de Mantua y de Ferrara, y todos finalmente se resumen
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO SECONDO CASSANDRA LUCREZIA
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No, Lucrezia, che i miei occhi soli sanno le mie angustie. Ma seguendo la ragione e le leggi di natura, non sarebbe stato meglio se aveste sposato il conte? Un nipotino l’erede sarebbe stato del duca, rendendo così sicuro lo stato. La tristezza del conte non è davvero, mia signora, senza causa. Certo le sue fantasie, Lucrezia, non hanno origine da invidie che io gli provochi, né potrò dargli fratelli; stia sicuro, Federico, che non posso essere io causa delle sue amarezze. Siamo entrambi disgraziati. Il Duca, Federico e Batín.
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Se avessi mai pensato che ti avrebbe rattristato così il mio matrimonio prima di progettarlo sarei morto. Non sarebbe sensato, mio signore, che le tue nozze mi dessero pena, né posso dubitare del tuo affetto. La tua lucida mente ben comprende che se mi addolorasse il matrimonio saprei dissimulare lo scontento. Si vede in volto la mia malattia, non si vede la causa. I nostri medici, in Mantova e Ferrara, varie ipotesi hanno avanzato, e tutte per concludere 973
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
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en que casarte es el mejor remedio, en que tales tristezas se consumen. Para doncellas era mejor medio, señor, que para un hombre de mi estado; que no por esos medios me remedio. Aun apenas el duque me ha mirado. ¡Desprecio extraño y vil descortesía! Si no te ha visto, no será culpado. Fingir descuido es brava tiranía. Vamos, Lucrecia; que, si no me engaño, de este desdén le pesará algún día.
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Vanse las dos. DUQUE
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Si bien de la verdad me desengaño, yo quiero proponerte un casamiento, ni lejos de tu amor ni en reino extraño. Es por ventura Aurora? El pensamiento me hurtaste al producirla por los labios, como quien tuvo el mismo sentimiento. Yo consulté los más ancianos sabios del magistrado nuestro, y todos vienen en que esto sobredora tus agravios. Poca experiencia de mi pecho tienen; neciamente me juzgan agraviado, pues sin causa ofendido me previenen. Ellos saben que nunca reprobado tu casamiento de mi voto ha sido; antes por tu sosiego deseado. Así lo creo y siempre lo he creído; y esa obediencia, Federico, pago con estar de casarme arrepentido. Señor, porque no entiendas que yo hago sentimiento de cosa que es tan justa, y el amor que me muestras satisfago, sabré primero si mi prima gusta;
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che sposarti sarà il miglior rimedio: così la tua tristezza sparirà. Rimedio ben più adatto a una fanciulla, signore, che a un uomo del mio stato; non guarirò con simili espedienti. Quasi non mi ha guardato il duca, vedi? Strana freddezza e rozza scortesia! Se non vi ha visto non si può incolpare! Fingere indifferenza è crudeltà. Vieni, Lucrezia; penso che in futuro questo disdegno gli rincrescerà. Escono tutte e due.
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Se la causa è quella che suppongo io ti voglio proporre un matrimonio e di tuo gusto, e qui nel nostro regno. Per caso con Aurora? Il mio pensiero mi rubi, ed esso affiora alle tue labbra come avessi lo stesso intendimento. Ho interpellato i più avveduti anziani del mio consiglio, e tutti mi confermano che questo risarcisce le tue perdite. Hanno poca esperienza del mio cuore: scioccamente mi pensano irritato, senza motivo mi credono offeso. Siano certi che mai ho disapprovato questo tuo matrimonio, ed anzi l’ho desiderato, sì, per il tuo bene. Certo: ci credo, e sempre l’ho creduto, e la tua obbedienza, figlio, pago con l’essere pentito del mio passo. Signore, sappi allora che una cosa così giusta non mi può addolorare, e ripago l’affetto che mi mostri. Che accerti se ciò piace a mia cugina, 975
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
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y luego, disponiendo mi obediencia pues lo contrario fuera cosa injusta, haré lo que me mandas. Su licencia tengo firmada de su misma boca. Yo sé que hay novedad, de cierta ciencia, y que porque a servirla le provoca, el marqués en Ferrara se ha quedado. Pues eso, Federico, ¿qué te toca? Al que se ha de casar le da cuidado el galán que ha servido, y aún enojos; que es escribir sobre papel borrado. Si andan los hombres a mirar antojos, encierren en castillos las mujeres desde que nacen, contra tantos ojos; que el más puro cristal, si verte quieres, se mancha del aliento; mas, ¿qué importa si del mirar escrupuloso eres? Pues luego que se limpia y se reporta, tan claro queda como estaba antes. Muy bien tu ingenio y tu valor me exhorta. Señor, cuando centellas rutilantes escupe alguna fragua, y el que fragua quiere apagar las llamas resonantes, moja las brasas de la ardiente fragua; pero rebeldes ellas, crecen luego, y arde el fuego voraz lamiendo el agua. Así un marido del amante ciego templa el deseo y la primera llama; pero puede volver más vivo el fuego; y así, debo temerme de quien ama; que no quiero ser agua que le aumente, dando fuego a mi honor y humo a mi fama.
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e poi mi disporrò ad obbedirti: poiché il contrario non sarebbe giusto, compirò il tuo volere. Il suo consenso l’ho sentito dalle sue stesse labbra. So tuttavia ch’è mutato qualcosa; e so che, a corteggiarla incoraggiato, il marchese si ferma qui a Ferrara. Ma questo, Federico, che ti importa? Chi si sposa non può che preoccuparsi e dolersi di precedenti amori; è scrivere su carta già segnata! Se ci si invischia in scrupoli del genere le donne le dovremmo tener chiuse, da quando nascono, in una fortezza, al riparo dagli occhi altrui! Il cristallo se ti specchi, con l’alito si appanna, ma se ti vuoi vedere, che ti importa? Dopo infatti si lustra e si pulisce, ed è più terso di com’era prima. Buoni concetti e sottili ragioni mi dici! Quando una fucina ardente vomita le faville rutilanti e il fabbro vuole spengere la fiamma bagna le braci ardenti dei tizzoni, ma ecco che si ribellano e ricrescono, ed il fuoco divampa accanto all’acqua. Così un marito acquieta il desiderio e il primo ardore di un nascosto amante, ma può rinfocolare la fiammata; e per questo ho timore di chi l’ama, né voglio essere l’acqua che l’aumenti, incendiando il mio onore, ed offuscando con fumo la mia fama.
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Muy necio, conde, estás y impertinente. Hablas de Aurora, cual si noche fuera, con bárbaro lenguaje y indecente. Espera. ¿Para qué? Señor, espera.
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Vase [el duque]. BATÍN FEDERICO
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¡Oh qué bien has negociado la gracia del duque! Espero su desgracia, porque quiero ser en todo desdichado; que mi desesperación ha llegado a ser de suerte que solo para la muerte me permite apelación. Y si muriera, quisiera poder volver a vivir mil veces, para morir cuantas a vivir volviera. Tal estoy, que no me atrevo ni a vivir ni a morir ya, por ver que el vivir será volver a morir de nuevo. Y si no soy mi homicida, es por ser mi mal tan fuerte, que porque es menos la muerte, me dejo estar con la vida. Según eso, ni tú quieres vivir, conde, ni morir; que entre morir y vivir como hermafrodita eres; que como aquel se compone
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Impertinente, perfino sciocco, conte, ti riveli! Parli di «Aurora» come fosse «notte», con frasi sia scortesi che indecenti. Aspetta... Perché mai? Signore, aspetta!... Esce [il Duca].
BATÍN FEDERICO
BATÍN
Ti sei proprio conquistato la grazia del duca! Spero cadergli in disgrazia: in tutto voglio essere sventurato! Che la mia disperazione è giunta ad un tale estremo che soltanto mi consente la morte come rimedio. E se morissi, vorrei potere tornare a vivere mille volte, per morire ogni volta che rivivo. Sono in stato così misero che non mi so decidere né a morire, né a vivere perché vivere sarebbe tornare ancora a morire. E se da me non m’uccido è perché è tanto il mio male: la morte sarebbe meno, e così mi lascio vivere. E perciò, conte, non vuoi né vivere né morire; e tra la morte e la vita ti puoi dire ermafrodita: che se questi si compone 979
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de hombre y mujer, tú de muerte y vida; que de tal suerte la tristeza te dispone, que ni eres muerte ni vida. Pero, ¡por Dios!, que, mirado tu desesperado estado, me obligas a que te pida o la razón de tu mal o la licencia de irme adonde que fui confirme desdichado por leal. Dame tu mano. Batín, si yo decirte pudiera mi mal, mal posible fuera, y mal que tuviera fin. Pero la desdicha ha sido que es mi mal de condición que no cabe en mi razón, sino solo en mi sentido; que cuando por mi consuelo voy a hablar, me pone en calma ver que de la lengua al alma hay más que del suelo al cielo. Vete, si quieres, también, y déjame solo aquí, porque no haya cosa en mí que aun tenga sombra de bien.
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Entren Casandra y Aurora. CASANDRA AURORA
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¿De eso lloras? ¿Le parece a vuestra alteza, señora, sin razón, si el conde agora me desprecia y aborrece?
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO SECONDO
FEDERICO
di uomo e donna, tu di vita e morte; ed a tal punto la tristezza ti riduce che non sei vivo né morto. Ma, per Dio, considerato il tuo stato disperato, mi costringi a domandarti o la causa del tuo male, o il permesso di andarmene, per dimostrare che sono sfortunato perché leale. Dammi il congedo. Batín, se ti potessi spiegare il mio male, esso sarebbe possibile e avrebbe fine. Ma la sfortuna ha voluto che il mio sia un male che non nasce da ragione, ma solo dai sentimenti. Se tento, per alleviarmi, di parlare, mi raggelo a vedere la distanza tra il sentire e la parola: più che dalla terra al cielo. E se vuoi, vattene pure e lasciami qui da solo, che non mi possa restare nemmeno un’ombra di bene. Entrano Cassandra e Aurora.
CASSANDRA AURORA
Di questo piangi? E pare a vostra altezza, signora, senza motivo, se il conte mi abborrisce ora e mi sprezza? 981
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Dice que quiero al marqués Gonzaga. ¿Yo a Carlos, yo? ¿Cuándo? ¿Cómo? Pero no; que ya sé lo que esto es. Él tiene en su pensamiento irse a España, despechado de ver su padre casado; que antes de su casamiento la misma luz de sus ojos era yo; pero ya soy quien en los ojos le doy, y mis ojos sus enojos. ¿Qué aurora nuevas del día trajo al mundo sin hallar al conde donde a buscar la de sus ojos venía? ¿En qué jardín, en qué fuente no me dijo el conde amores? ¿Qué jazmines o qué flores no fueron mi boca y frente? ¿Cuando de mí se apartó? ¿Qué instante vivió sin mí?, o, ¿cómo viviera en sí, si no le animara yo? Que tanto el trato acrisola la fe de amor, que de dos almas que nos puso Dios, hicimos un alma sola. Esto desde tiernos años, porque con los dos nació este amor, que hoy acabó a manos de sus engaños. ¡Tanto pudo la ambición del estado que ha perdido! Pésame de que haya sido, Aurora, por mi ocasión; pero tiempla tus desvelos
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Dice che amo il marchese Gonzaga. Io amare Carlo? Quando? Come? Oh, no! Ma vedo cosa significa questo! Federico, indispettito per le nozze di suo padre, pensa d’andare in Ispagna. Prima io ero per lui la stessa luce degli occhi, ora offendo la sua vista e il mio sguardo lo disturba. Nessuna aurora al mondo annunciava il nuovo giorno che non lo trovasse in cerca di quella che gli era cara. A ogni pianta, a ogni fontana, lui d’amore mi parlava! Che gelsomini e che fiori non erano paragonati al mio labbro e alla mia fronte? Quando mai si allontanava da me, sia pure un istante? Pareva non poter vivere se io non l’incoraggiavo. Lo stare insieme rinsalda tanto la fede d’amore, che se Dio ci dette due anime noi ne facemmo una sola. Questo dai più teneri anni, perché insieme a noi due nacque quell’amore, oggi finito e per colpa dei suoi inganni. Tanto poté l’ambizione dello stato, che ha perduto! Mi dispiace sia successo, Aurora, per causa mia; ma contieni il tuo dolore 983
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AURORA CASANDRA AURORA
mientras voy a hablar con él, si bien es cosa crüel poner en razón los celos. ¿Yo celos? Con el marqués, dice el duque. Vuestra alteza crea que aquella tristeza ni es amor, ni celos es.
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Vase Aurora. CASANDRA FEDERICO
CASANDRA
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CASANDRA
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Federico. Mi señora, dé vuestra alteza la mano a su esclavo. ¿Tú en el suelo? Conde, no te humilles tanto; que te llamaré «Excelencia». Será de mi amor agravio; ni me pienso levantar sin ella. Aquí están mis brazos. ¿Qué tienes? ¿Qué has visto en mí? Parece que estás temblando. ¿Sabes ya lo que te quiero? El haberlo adivinado, el alma lo dijo al pecho, el pecho al rostro, causando el sentimiento que miras. Déjanos solos un rato, Batín, que tengo que hablar al conde.
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mentre parlerò con lui, anche se mi par difficile far ragionare un geloso. Io lo farei ingelosire? Con il marchese, così dice il duca. No, mi creda, signora, quella tristezza non è gelosia né amore. Esce Aurora.
CASSANDRA FEDERICO
CASSANDRA
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Federico. Mia signora, vostra altezza dia la mano al suo schiavo. Tu in ginocchio! Non umiliarti così, o ti chiamerò «Eccellenza». E farai torto al mio amore. Né mi voglio alzare senza la tua mano. Eccoti, invece, le mie braccia. Che succede? Che cosa in me ti spaventa? Sembra che tu stia tremando. Sai già che voglio da te? Non appena indovinato, l’anima lo disse al petto, il petto al viso, causando il turbamento che vedi. Lasciaci soli un momento, Batín, che voglio parlare col conte.
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(¡El conde turbado, a hablarle Casandra a solas! No lo entiendo).
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(¡Ay cielo!, en tanto que muero fénix, poned a tanta llama descanso, pues otra vida me espera). Federico, aunque reparo en lo que me ha dicho Aurora de tus celosos cuidados después que vino conmigo a Ferrara el marqués Carlos, por quien de casarte dejas, apenas me persuado que tus méritos desprecies, siendo, como dicen sabios desconfïanza y envidia; que más tiene de soldado, aunque es gallardo el marqués, que de galán cortesano. De suerte que lo que pienso de tu tristeza y recato es porque el duque, tu padre, se casó conmigo, dando por ya perdida tu acción, a la luz del primero parto, que a sus estados tenías. Y siendo así que yo causo tu desasosiego y pena, desde aquí te desengaño, que puedes estar seguro de que no tendrás hermanos, porque el duque, solamente por cumplir con sus vasallos,
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(Il conte sconvolto e Cassandra che gli parla da sola? Cosa vuol dire?) Esce.
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(Oh cielo, mentre ardendo come la fenice muoio, spengi questa enorme fiamma, se un’altra vita mi attende.) Federico, anche se so, – me lo ha rivelato Aurora – le tue gelose inquietudini da quando con me è venuto il marchese qui a Ferrara, e perciò non vuoi sposarti, non riesco a persuadermi che ignori i tuoi stessi meriti, se nasce – dicono i saggi – la gelosia dall’invidia. e dalla propria sfiducia. Il marchese è un rude uomo d’armi, certo valoroso, ma non ha garbo né stile. Penso dunque che la causa del tuo triste segregarti sarà forse il matrimonio di tuo padre, e che consideri ormai perduto il diritto che avevi a questi domini, appena avessi un erede. Se sono, dunque, l’origine delle tue amare apprensioni, ti assicuro fin da ora che fratelli non ne avrai, perché il duca solamente per contentare i vassalli 987
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este casamiento ha hecho; que sus viciosos regalos, por no les dar otro nombre, apenas el breve espacio de una noche, que a su cuenta fue cifra de muchos años, mis brazos le permitieron; que a los deleites pasados ha vuelto con mayor furia, roto el freno de mis brazos. Como se suelta al estruendo un arrogante caballo del atambor, porque quiero usar de término casto, que del bordado jaez va sembrando los pedazos, allí las piezas del freno vertiendo espumosos rayos, allí la barba y la rienda, allí las cintas y lazos, así el duque, la obediencia rota al matrimonio santo, va por mujercillas viles pedazos de honor sembrando. Allí se deja la fama, allí los laureles y arcos, los títulos y los nombres de sus ascendientes claros, allí el valor, la salud y el tiempo tan mal gastado, haciendo las noches días en estos indignos pasos; con que sabrás cuán seguro estás de heredar su estado; o escribiendo yo a mi padre que es, más que esposo, tirano, para que me saque libre 988
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ha ceduto a queste nozze; ma il suo vizioso svagarsi – per non chiamarlo altrimenti – permise che mi abbracciasse appena il breve intervallo di una notte – che dovette sembrargli lunga dei secoli –; e poi ai soliti piaceri si è dato con maggior foga, rotto il freno dei miei lacci. Come si scioglie un cavallo imbizzarrito al rumore del tamburo – perché voglio fare un casto paragone – e del freno ricamato va seminando i frammenti, e i finimenti spezzati sparge di schiuma iridata, qua redini e barbazzale, là le corregge ed i fiocchi, così, rotta l’obbedienza al sacro vincolo, il duca cerca donnucole vili seminando onore a pezzi: e là abbandona la fama, lì gli allori ed i trionfi, ed i titoli ed i nomi dei suoi antenati illustri, lì il valore, la salute, e il tempo così mal speso, facendo di notte giorno in queste indegne imprese. Puoi essere, dunque, certo di ereditare il regno: sia che io scriva a mio padre perché venga a riscattarmi da uno sposo che è un tiranno, 989
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del Argel de su palacio, si no anticipa la muerte breve fin a tantos daños. Comenzando vuestra alteza riñéndome, acaba en llanto su discurso, que pudiera en el más duro peñasco imprimir dolor. ¿Qué es esto? Sin duda que me ha mirado por hijo de quien la ofende; pero yo la desengaño que no parezca hijo suyo para tan injustos casos. Esto persuadido ansí, de mi tristeza me espanto que la atribuyas, señora, a pensamientos tan bajos. ¿Ha menester Federico, para ser quien es, estados? ¿No lo son los de mi prima, si yo con ella me caso? ¿O si la espada por dicha contra algún príncipe saco destos confinantes nuestros, los que le quitan restauro? No procede mi tristeza de interés; y aunque me alargo a más de lo que es razón, sabe, señora, que paso una vida la más triste que se cuenta de hombre humano desde que Amor en el mundo puso las flechas al arco. Yo me muero sin remedio, mi vida se va acabando, como vela, poco a poco,
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da una reggia che è un carcere; sia che la mia morte anticipi la fine di tanti mali. Iniziando vostra altezza coi rimproveri, finisce in pianto, tale da imprimere nella pietra più insensibile compassione. E perché questo? È chiaro che mi considera figlio di chi la offende, ma voglio disingannarla, ch’io non appaia suo figlio in vicende così ingiuste. Chiarito questo, e passando alla mia tristezza, è illogico che vogliate attribuirla a pensieri così vili. Ha bisogno Federico per esser chi è, di beni? Non ne ha abbastanza Aurora, se mi sposassi con lei? O se sguainassi la spada contro qualche principato di questi ai nostri confini, non riacquisterei uno stato? Non nasce la mia tristezza da interesse, e se vado oltre i limiti richiesti dalla ragione, sappia l’altezza vostra che passo la vita più miserevole che un uomo possa condurre da quando Amore nel mondo scoccò frecce col suo arco. Io muoio senza rimedio, la vita si va spegnendo pian piano come candela, 991
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y ruego a la muerte en vano que no aguarde a que la cera llegue al último desmayo, sino que con breve soplo cubra de noche mis años. Detén, Federico ilustre, las lágrimas; que no ha dado el cielo el llanto a los hombres, sino el ánimo gallardo. Naturaleza el llorar vinculó por mayorazgo en las mujeres, a quien, aunque hay valor, faltan manos. No en los hombres, que una vez solo pueden, y es en caso de haber perdido el honor, mientras vengan el agravio. ¡Mal haya Aurora, y sus celos, que un caballero bizarro, discreto, dulce y tan digno de ser querido, a un estado ha reducido tan triste! No es Aurora; que es engaño. Pues, ¿quién es? El mismo sol; que de esas auroras hallo muchas siempre que amanece. ¿Que no es Aurora? Más alto vuela el pensamiento mío. ¿Mujer te ha visto y hablado, y tú le has dicho tu amor, que puede con pecho ingrato corresponderte? ¿No miras que son efectos contrarios,
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e chiedo alla morte invano che non aspetti che agli ultimi bagliori giunga la cera, ma che con rapido soffio copra di notte i miei anni. Frena, illustre Federico, le lacrime: non ha dato il cielo agli uomini il pianto, ma la vigoria dell’animo. La natura fece il piangere appannaggio delle donne, che magari hanno valore ma non potere. In un caso gli uomini possono piangere: quando hanno perso l’onore, e prima che l’onta lavino. E maledetta sia Aurora, ché per gelosia di lei un gentile cavaliere, dolce, saggio, e così degno d’essere amato, a uno stato s’è ridotto tanto misero! Non per Aurora; ti inganni. E allora chi...? Il sole stesso, che posso, di quelle «aurore», trovarne molte al suo sorgere. Non è Aurora? Ben più in alto sta volando il mio pensiero. E vuoi dire che una donna t’ha veduto e t’ha parlato e tu le hai detto il tuo amore, e che questa donna può con un cuore ingrato respingerti? Non ti accorgi che sono effetti contrari, 993
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y proceder de una causa parece imposible? Cuando supieras tú el imposible, dijeras que soy de mármol, pues no me matan mis penas, o que vivo de milagro. ¿Qué Faetonte se atrevió del sol al dorado carro, o aquel que juntó con cera, débiles plumas infausto, que sembradas por los vientos, pájaros que van volando las creyó el mar, hasta verlas en sus cristales salados? ¿Qué Belerofonte vio en el caballo Pegaso parecer el mundo un punto del círculo de los astros? ¿Qué griego Sinón metió aquel caballo preñado de armados hombres en Troya, fatal de su incendio parto? ¿Qué Jasón tentó primero pasar el mar temerario, poniendo yugo a su cuello los pinos y lienzos de Argos, que se iguale a mi locura? ¿Estás, conde, enamorado de alguna imagen de bronce, ninfa u diosa de alabastro? Las almas de las mujeres no las viste jaspe helado; ligera cortina cubre todo pensamiento humano. Jamás Amor llamó al pecho,
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impossibile che nascano da una causa? Eppure, quando tu sapessi il mio segreto, diresti che sono un marmo, perché non muoio di angoscia; o che vivo per miracolo. Quale Fetonte toccò il carro d’oro del sole? Quale Icaro legò con cera fragili penne, che seminate nei venti le credette uccelli in volo il mare, prima di accoglierle nei suoi salati cristalli? Che Bellerofonte vide sopra il cavallo Pegaso il mondo simile a un punto nel circolo dei pianeti? Quale Sinone introdusse dentro Troia quel cavallo gravido d’uomini armati, che ne partorì l’incendio? Quale Giasone tentò di solcare temerario il mare, soggiogandolo con pini e con vele d’Argo? Chi c’è mai, di tutti loro, che sia pari alla mia insania? Ma sei, conte, innamorato di una immagine di bronzo, ninfa o dea di alabastro? No, l’anima delle donne non la copre diaspro gelido; un tenue velo riveste ogni sentimento umano. Mai bussò amore, adornato 995
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siendo con méritos tantos, que no respondiese el alma; «Aquí estoy, pero entrad paso». Dile tu amor, sea quien fuere; que no sin causa pintaron a Venus tal vez los griegos rendida a un sátiro o fauno. Más alta será la luna, y de su cerco argentado bajó por Endimïón mil veces al monte Latmo. Toma mi consejo, conde; que el edificio más casto tiene la puerta de cera. Habla, y no mueras callando. El cazador con industria pone al pelícano indiano fuego alrededor del nido; y él, decendiendo de un árbol, para librar a sus hijos bate las alas turbado, con que más enciende el fuego que piensa que está matando. Finalmente se le queman, y sin alas, en el campo se deja coger, no viendo que era imposible volando. Mis pensamientos, que son hijos de mi amor, que guardo en el nido del silencio, se están, señora, abrasando; bate las alas amor, y enciéndelos por librarlos; crece el fuego, y él se quema. Tú me engañas, yo me abraso; tú me incitas, yo me pierdo;
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di tanti meriti, a un petto che l’anima non rispondesse: «Sono qui, ma entrate piano». Chiunque sia, dille il tuo amore, che non a torto i greci dipinsero a volte Venere arresa a un satiro o un fauno. Era ben alta la luna, ma dal suo cerchio argentato scese per Endimione mille volte al monte Latmo. Conte, ascolta il mio consiglio: anche il più eburneo edificio ha porte di cera. Parla, e non morire tacendo. Il cacciatore avveduto fa un fuoco sotto il nido del pellicano indiano; l’uccello lascia i rami e per liberare i figli batte sconvolto le ali, e così alza le fiamme che pensava di domare. E con le penne bruciate, oramai senza più ali, lo catturano tra l’erba, e non sa che se volava non l’avrebbero mai preso. I miei pensieri, che sono figli di un amore chiuso dentro il nido del silenzio, stanno, signora, avvampando; l’amore batte le ali e li brucia, per salvarli. Cresce il fuoco, ed egli v’arde, tu mi inganni, ed io divampo, tu m’inciti, io mi perdo, 997
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tú me animas, yo me espanto; tú me esfuerzas, yo me turbo; tú me libras, yo me enlazo; tú me llevas, yo me quedo; tú me enseñas, yo me atajo; porque es tanto mi peligro, que juzgo por menos daños, pues todo ha de ser morir, morir sufriendo y callando.
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No ha hecho en la tierra el cielo cosa de más confusión que fue la imaginación para el humano desvelo. Ella vuelve el fuego en hielo, y en el color se transforma del deseo, donde forma guerra, paz, tormenta y calma; y es una manera de alma que más engaña que informa. Estos escuros intentos, estas claras confusiones, más que me han dicho razones, me han dejado pensamientos. ¿Qué tempestades los vientos mueven de más variedades que estas confusas verdades en una imaginación? Porque las del alma son las mayores tempestades. Cuando a imaginar me inclino que soy lo que quiere el conde, el mismo engaño responde que lo imposible imagino. Luego mi fatal destino
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tu mi animi, io mi sgomento, tu mi sproni, ed io mi turbo, tu mi liberi, io mi lego, tu mi trascini, io mi freno, tu mi esorti, ed io mi arresto, perché è tanto il mio pericolo che minore danno reputo – visto che ne morirò – morir soffrendo e tacendo. Federico esce. CASSANDRA
Nulla di così confuso ha creato il cielo in terra per angosciare l’uomo come l’immaginazione. Lei che rende gelo il fuoco, che si trasforma in colore del desiderio, a dipingere pace, guerra, calma, turbine, è una tendenza dell’anima che non rivela, ma inganna. Questi impulsi così oscuri, queste chiare confusioni, più che darmi qualche lume m’hanno messo in apprensione. Quali tempeste scatenano i venti, più incontrollate che nell’immaginazione queste verità confuse? Quelle dell’anima sono le tempeste più tremende. Quando giungo a immaginare che sono io che il conte vuole, lo stesso inganno mi dice che immagino l’impossibile. Poi il mio fatale destino 999
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me ofrece mi casamiento, y en lo que siento, consiento; que no hay tan grande imposible que no le juzguen visible los ojos del pensamiento. Tantas cosas se me ofrecen juntas, como esto ha caído sobre un bárbaro marido, que pienso que me enloquecen. Los imposibles parecen fáciles, y yo, engañada, ya pienso que estoy vengada; mas siendo error tan injusto, a la sombra de mi gusto estoy mirando su espada. Las partes del conde son grandes; pero mayor fuera mi desatino, si diera puerta a tan loca pasión. ¡No más, necia confusión! Salid, cielo, a la defensa, aunque no yerra quien piensa; porque en el mundo no hubiera hombre con honra si fuera ofensa pensar la ofensa. Hasta agora no han errado ni mi honor, ni mi sentido, porque lo que he consentido, ha sido un error pintado. Consentir lo imaginado, para con Dios es error, mas no para el deshonor; que diferencian intentos el ver Dios los pensamientos y no los ver el honor.
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m’indica il mio matrimonio e acconsento a quel che sento: non esiste un impossibile che gli occhi della mente non riescano a vedere. Tante cose mi si affollano intorno, e, soprattutto, questo inumano marito, da farmi impazzire, credo. L’impossibile mi pare facile; m’inganno e penso d’essere già vendicata; ma è un errore così indegno che all’ombra del mio desiderio quel che vedo è la sua spada. I pregi del conte sono grandi, ma ancora più grande sarebbe la mia pazzia se aprisse la porta a così folle passione. Basta, stolta fantasia! Cielo, ti invoco a difesa, anche se non posso credere che pensare sia una colpa: tutti gli uomini sarebbero senza più onore, se fosse offesa pensare offesa. Non han deviato finora né il mio onore né i miei sensi; ho soltanto acconsentito a un errore immaginato. Cedere alla fantasia se per Dio è una colpa non lo è per il disonore; la differenza è nel fatto che i pensieri Iddio li vede, l’onore non può vederli. 1001
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Aurora entre. AURORA
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Larga plática ha tenido vuestra alteza con el conde. ¿Qué responde? Que responde a tu amor agradecido. Sosiega, Aurora, sus celos; que esto pretende, no más.
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¡Qué tibio consuelo das a mis ardientes desvelos! ¡Que pueda tanto en un hombre que adoró mis pensamientos, ver burlados los intentos de aquel ambicioso nombre con que heredaba a Ferrara! Tú eres poderoso, Amor: por ti ni en vida, ni honor, ni aun en alma se repara. Y Federico se muere, que me solía querer, con la tristeza de ver lo que de Casandra infiere. Pero, pues él ha fingido celos por disimular la ocasión, y despertar suelen el amor dormido, quiero dárselos de veras, favoreciendo al marqués.
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Aurora entra. AURORA
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Ha avuto un lungo colloquio vostra altezza con il conte. Che ha risposto? Che risponde riconoscente al tuo amore. Placa la sua gelosia, che questo vuole, nient’altro. Cassandra esce.
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Quale tiepido conforto offri ai miei ardenti timori! Che tanto possa su un uomo, schiavo di ogni mio pensiero, veder deluse le proprie ambiziose speranze di ereditare Ferrara! Amore, tu sei potente: per te si giunge a arrischiare la vita, l’onore, l’anima; e Federico si strugge – lui che tanto m’adorava – abbattuto per quello che Cassandra può causargli. Ma visto che Federico si va fingendo geloso per nascondere il reale motivo, e la gelosia suole avvivare l’amore, voglio offrirgli l’occasione di diventarlo davvero, incoraggiando il marchese.
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Rutilio y el marqués. RUTILIO
MARQUÉS RUTILIO MARQUÉS
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Con el contrario que ves, en vano remedio esperas de tus locas esperanzas. Calla, Rutilio, que aquí está Aurora. Y tú sin ti, firme entre tantas mudanzas. Aurora del claro día en que te dieron mis ojos, con toda el alma en despojos, la libertad que tenía; Aurora, que el sol envía cuando en mi pena anochece, por quien ya cuanto florece viste colores hermosas, pues entre perlas y rosas de tus labios amanece; desde que de Mantua vine, hice con poca ventura elección de tu hermosura, que no hay alma que no incline. ¡Qué mal mi engaño previne, puesto que el alma te adora, pues solo sirve, señora, de que te canses de mí, hallando mi noche en ti, cuando te suspiro Aurora! No el verte desdicha ha sido; que ver luz nunca lo fue, sino que mi amor te dé causa para tanto olvido. Mi partida he prevenido,
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[Entrano] Rutilio e il Marchese. RUTILIO
MARCHESE RUTILIO
MARCHESE
Con un rivale così invano cerchi conforto alle tue folli speranze. Zitto, Rutilio, che qui c’è Aurora. E tu invece sei fuori di te stesso, fermo tra tanti mutamenti. Aurora del chiaro giorno in cui i miei occhi ti resero, con l’anima, le spoglie della libertà che avevo; Aurora, che il sole invia sulla notte del mio affanno, e riveste di colori ogni cosa che fiorisce, ché tra perle e rose nasce proprio dalle tue labbra, da quando venni da Mantova, con poca fortuna ho scelto la tua bellezza, che attrae i cuori di tutti gli uomini. Non ho previsto il mio danno, e che la mia adorazione servisse soltanto a farti stancare di me, signora: ho trovato la mia notte in te, quando sospiravo che tu fossi la mia Aurora! Non è stata una sventura il vederti: non lo è mai vedere la luce; un male è stato l’amarti, causa di un tale completo oblìo. Ho disposto di partire 1005
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que es el remedio mejor: fugitivo a tu rigor, voy a buscar resistencia en los milagros de ausencia y en las venganzas de amor. Dame licencia y la mano. No se morirá de triste el que tan poco resiste, ni galán ni cortesano, marqués, el primer desdén; que no están hechos favores para primeros amores antes que se quiera bien. Poco amáis, poco sufrís, pero en tal desigualdad, con la misma libertad que licencia me pedís, os mando que no os partáis. Señora, a tan gran favor, aunque parece rigor, con que esperar me mandáis, no los diez años que a Troya cercó el griego, ni los siete del pastor, a quien promete Labán su divina joya, pero siglos inmortales, como Tántalo estaré entre la duda y la fe de vuestros bienes y males. Albricias quiero pedir a mi amor de mi esperanza. Mientras el bien no se alcanza méritos tiene el sufrir.
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come unico rimedio: fuggo davanti al diniego e cercherò di resistere; l’assenza fa miracoli, e l’amore si vendica. Dammi dunque la tua mano da baciare, ed il congedo. Non morirà di tristezza chi così male sopporta, poco galante e cortese, un iniziale disdegno: i favori non si addicono all’amore sul suo sorgere, prima che si corrisponda. Poco sopportate e amate, ma in questa disparità, con la stessa libertà con cui volete il congedo, vi comando di restare. Signora, a un tale favore – per rigoroso che appaia – con cui volete che speri, non i dieci anni che il greco assediò Troia, né i sette del pastore a cui Labano promise il divino gioiello, bensì secoli infiniti come Tantalo starò, tra la fede ed il timore e del premio e delle pene. Io domanderò compenso al mio amore della fede. Finché al premio non si arriva ha i suoi meriti il soffrire.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO SEGUNDO
El duque, Federico y Batín. DUQUE FEDERICO DUQUE FEDERICO DUQUE
FEDERICO
DUQUE
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Escríbeme el Pontífice por ésta que luego a Roma parta. ¿Y no dice la causa en esa carta? Que sea la respuesta, conde, partirme al punto. Si lo encubres, señor, no lo pregunto. ¿Cuándo te encubro yo, conde, mi pecho? Solo puedo decirte que sospecho que con las guerras que en Italia tiene, si numeroso ejército previene, podemos presumir que hacerme intenta general de la Iglesia; que a mi cuenta también querrá que con dinero ayude, si no es que en la elección de intento mude. No en vano lo que piensas me encubrías, si solo te partías; que ya será conmigo; que a tu lado no pienso que tendrás mejor soldado. Eso no podrá ser, porque no es justo, conde, que sin los dos mi casa quede. Ninguno como tú regirla puede: esto es razón y basta ser mi gusto. No quiero darte, gran señor, disgusto; pero en Italia, ¿qué dirán si quedo? Que esto es gobierno, y que sufrir no puedo aun de mi propio hijo compañía. Notable prueba en la obediencia mía.
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Váyase el duque. BATÍN
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Mientras con el duque hablaste, he reparado en que Aurora,
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[Entrano] il Duca, Federico e Batín. DUCA FEDERICO DUCA FEDERICO DUCA
FEDERICO
DUCA
FEDERICO DUCA
FEDERICO
Sua Santità mi scrive in questa lettera di andare a Roma subito. E non dice il perché nella missiva? Solo che la risposta sia una pronta partenza. Se non vuoi dirlo, non ti chiedo altro. T’ho mai nascosto il mio animo, conte? Solo ti posso dire che sospetto che con le molte guerre che ha in Italia, se riesce a formare un grosso esercito forse mi vuol proporre a comandante supremo della chiesa, e anche vorrà da parte mia un aiuto in denaro, se poi non cambia di pensiero e scelta. Volevi andare solo? Ecco perché celavi il tuo pensiero! Invece andremo insieme, che al tuo lato non penso avresti migliore soldato. Ciò, conte, non può essere, perché non è giusto che la casa rimanga senza uno di noi due. Nessuno come te potrà guidarla. Questo è ciò che conviene, ciò che io voglio. Non posso contrariarti, mio signore; ma che diranno in Italia se resto? Che questo è necessario per lo stato, e che nemmeno posso tollerare la vicinanza del mio stesso figlio. Gran prova ti darò nell’obbedirti. Il Duca esce.
BATÍN
Mentre tu parlavi al duca, ho notato che Aurora,
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FEDERICO BATÍN FEDERICO AURORA MARQUÉS
AURORA
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sin hacer caso de ti, con el marqués habla a solas. ¿Con el marqués? Sí, señor. Y ¿qué piensas tú que importa? Esta banda prenda sea del primer favor. Señora, será cadena en mi cuello, será de mi mano esposa, para no darla en mi vida. Si queréis que me la ponga, será doblado el favor. (Aunque es venganza amorosa, parece a mi amor agravio). Porque de dueño mejora os ruego que os la pongáis. Ser las mujeres traidoras fue de la naturaleza invención maravillosa; porque, si no fueran falsas, algunas digo, no todas, idolatraran en ellas los hombres que las adoran. ¿No ves la banda? ¿Qué banda? ¿Qué banda? ¡Graciosa cosa! Una que lo fue del sol, cuando lo fue de una sola en la gracia y la hermosura, planetas con que la adorna, y agora, como en eclipse, del dragón lo extremo toca. Yo me acuerdo, cuando fuera la banda de la discordia, como la manzana de oro de Paris y las tres diosas.
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senza fare caso a te, si è appartata col marchese. Col marchese? Sì, signore. E tu pensi che m’importi? Questa sciarpa è un primo pegno del mio favore. Signora, sarà catena al mio collo, e per la mano legame; non la cederò che morto! Se volete che la cinga il favore sarà doppio. (Anche se è per ritorsione al mio amore suona offesa.) Migliora di padrone: vi prego dunque di metterla. Che le donne tradiscano è stata una trovata stupenda della natura: perché se false non fossero – alcune, dico, non tutte – gli uomini che le adorano potrebbero idolatrarle. Vedi la sciarpa? Che sciarpa? Che sciarpa? Ma vuoi scherzare? Una che appartenne al sole, poiché era di una, sola per la grazia e la bellezza, pianeti che la coronano; ed ora, come in eclisse, tocca gli antipodi estremi. Mi ricorda, come fosse la sciarpa della discordia, la famosa mela d’oro di Paride e le tre dee. 1011
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Eso fue entonces, Batín, pero es otro tiempo agora. Venid al jardín conmigo.
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Vanse los dos [y Rutilio]. BATÍN FEDERICO BATÍN FEDERICO BATÍN
FEDERICO
BATÍN
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¡Con qué libertad la toma de la mano y se van juntos! ¿Qué quieres, si se conforman las almas? ¿Eso respondes? ¿Qué quieres que te responda? Si un cisne no sufre al lado otro cisne, y se remonta con su prenda muchas veces a las extranjeras ondas; y un gallo, si al de otra casa con sus gallinas le topa, con el suyo le deshace los picos de la corona; y encrespando su turbante, turco por la barba roja, celoso vencerle intenta hasta en la noturna solfa; ¿cómo sufres que el marqués a quitarte se disponga prenda que tanto quisiste? Porque la venganza propia para castigar las damas, que a los hombres ocasionan, es dejarlas con su gusto; porque aventura la honra quien la pone en sus mudanzas. Dame, por Dios, una copia de ese arancel de galanes, tomaréle de memoria.
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Questo, Batín, fu una volta, ora i tempi son cambiati. Venite con me in giardino. Escono i due [e Rutilio].
BATÍN FEDERICO BATÍN FEDERICO BATÍN
FEDERICO
BATÍN
Con che libertà la prende per mano e escono insieme! Che vuoi dunque, se s’intendono le anime! Questo rispondi? Cosa vuoi che ti risponda! Se un cigno un altro cigno non tollera accanto a sé, e con l’amata compagna fugge verso acque lontane; e un gallo, se un altro gallo trova nel proprio pollaio, a beccate gli devasta i becchi della corona, e gonfiando il suo turbante quasi turco barbarossa geloso cerca di vincerlo fino nel canto notturno, com’è che tu puoi patire che il marchese intenda toglierti un oggetto tanto amato? Ma la migliore vendetta per castigare le donne che provocano gli uomini è lasciarle ai loro giochi: mette l’onore in pericolo chi lo affida ai loro umori! E dammi allora una copia di questo tuo manuale da innamorati, che voglio impararmelo a memoria. 1013
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No, conde. Misterio tiene tu sufrimiento, perdona; que pensamientos de amor son arcaduces de noria: ya deja el agua primera el que la segunda toma. Por nuevo cuidado dejas el de Aurora; que si sobra el agua, ¿cómo es posible que pueda ocuparse de otra? Bachiller estás, Batín, pues con fuerza cautelosa lo que no entiendo de mí a presumir te provocas. Entra, y mira qué hace el duque, y de partida te informa porque vaya a acompañarle. Sin causa necio me nombras, porque abonar tus tristezas fuera más necia lisonja.
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¿Qué buscas, imposible pensamiento? Bárbaro, ¿qué me quieres? ¡Qué me incitas? ¿Por qué la vida sin razón me quitas donde volando aun no te quiere el viento? Detén el vagaroso movimiento; que la muerte de entrambos solicitas; déjame descansar, y no permitas tan triste fin a tan glorioso intento. No hay pensamiento, si rindió despojos, que sin determinado fin se aumente, pues dándole esperanzas, sufre enojos.
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No, la tua sopportazione, conte, per me è un po’ strana: vedi, i pensieri d’amore son condotti d’acquedotto: getta l’acqua precedente chi ne riceve dell’altra. Un qualche nuovo interesse ti fa scordare di quello che avevi per Aurora; che se c’è abbondanza d’acqua non ce ne può entrare altra. Tu fai il saccente, Batín, che con tanto d’argomenti t’avventuri a dedurre quello che non so neanch’io. Entra, e guarda che fa il duca, e informati del viaggio, perché vada a salutarlo. No, non puoi chiamarmi sciocco; se accettassi i tuoi deliri quella sì, vedi, sarebbe la più sciocca adulazione. Esce [Batín.]
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Che cerchi, mio impossibile pensiero? Crudele, che mai vuoi? Perché mi sproni? Perché la vita mia, senza ragioni mi togli, e voli ove non osa il vento? Ferma il tuo errabondo movimento, ché la morte di entrambi ti proponi: dammi una tregua, e non fare che trovi fine infelice un così alto intento. Non c’è pensiero, una volta sconfitto, che sopravviva, senza più un traguardo: se spera regge ad ogni colpo inflitto.
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Todo es posible a quien amando intente; y solo tú naciste de mis ojos, para ser imposible eternamente.
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Entre agravios y venganzas anda solícito Amor después de tantas mudanzas, sembrando contra mi honor mal nacidas esperanzas. En cosas inaccesibles quiere poner fundamentos, como si fuesen visibles; que no puede haber contentos fundados en imposibles. En el ánimo que inclino al mal, por tantos disgustos del duque, loca imagino hallar venganzas y gustos en el mayor desatino. Al galán conde y discreto, y su hijo, ya permito para mi venganza efeto, pues para tanto delito conviene tanto secreto. Vile turbado, llegando a decir su pensamiento, y desmayarse temblando, aunque es más atrevimiento hablar un hombre callando. Pues de aquella turbación tanto el alma satisfice dándome el duque ocasión, que hay dentro de mí quien dice que si es amor, no es traición;
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Può tutto colui che osa, innamorato; ma tu soltanto, nato dai miei occhi, rimarrai impossibile in eterno. Entra Cassandra. CASSANDRA
In mezzo a offese e vendette corre sollecito amore dopo tanti mutamenti, e sparge contro il mio onore speranze ignominiose. Vuole in cose inaccessibili gettare le fondamenta quasi potesse vederle, ma non c’è felicità fondata in cose impossibili. Nel mio animo, rivolto al male per tanti oltraggi del duca, pazza, mi immagino di trovar gioia e vendetta nella peggiore follia. Al conte, gentile e saggio, e suo figlio, già permetto, per mia rivalsa, un’intesa, perché ad una colpa tale si addice un tale segreto. Lo vidi turbato quando mi svelava il suo pensiero, e tremante venir meno; ma ancor più grande è l’ardire se un uomo parla tacendo. E quel turbamento, poi, tanto mi rallegra il cuore, così ferito dal duca, che nell’anima mi dico che se questo è amore, è lecito;
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y que cuando ser pudiera rendirme desesperada a tanto valor, no fuera la postrera enamorada, ni la traidora primera. A sus padres han querido sus hijas, y a sus hermanos algunas: luego no han sido mis sucesos inhumanos, ni mi propia sangre olvido. Pero no es disculpa igual que haya otros males, de quien me valga en peligro tal; que para pecar no es bien tomar ejemplo del mal. Este es el conde. ¡Ay de mí! Pero ya determinada, ¿qué temo? (Ya viene aquí desnuda la dulce espada por quien la vida perdí. ¡Oh, hermosura celestial!) ¿Cómo te va de tristeza Federico? En tanto mal, responderé a vuestra alteza que es mi tristeza inmortal. Destiemplan melancolías la salud: enfermo estás. Traigo unas necias porfías, sin que pueda decir más, señora, de que son mías. Si es cosa que yo la puedo remediar, fía de mí, que en amor tu amor excedo. Mucho fïara de ti, pero no me deja el miedo.
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e se mai dovessi arrendermi disperata alla sua forza, né l’ultima innamorata sarei, né la prima donna che commette un tradimento. Certe donne il loro padre hanno amato, ed altre i propri fratelli: così il mio caso non lo credo disumano, né il mio sangue io dimentico. Ma non è scusa valida ricordare errori analoghi nel pericolo che corro: non è bene, per peccare, prendere esempio dal male. Viene il conte. Oh, mio Dio! Ma se sono già decisa, cosa temo? (Ecco snudata qui viene la dolce spada per cui ho perduto la vita. O celestiale bellezza!) Come va la tua tristezza, Federico? In tanto male rispondo a vostra altezza che è una tristezza immortale. La melanconia rovina la salute: sei malato. Sono stolte ostinazioni, e sono soltanto mie; altro non vi posso dire. Se potessi darti qualche aiuto, conta su me, perché in amore il tuo supero. Ho grande fiducia in voi, ma il timore non mi lascia. 1019
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Dijísteme que era amor tu mal. Mi pena y mi gloria nacieron de su rigor. Pues oye una antigua historia; que el amor quiere valor. Antíoco, enamorado de su madrastra, enfermó de tristeza y de cuidado. Bien hizo si se murió; que yo soy más desdichado. El rey su padre, afligido, cuantos médicos tenía juntó, y fue tiempo perdido; que la causa no sufría que fuese amor conocido. Mas Eróstrato, más sabio que Hipócrates y Galeno, conoció luego su agravio; pero que estaba el veneno entre el corazón y el labio. Tomóle el pulso y mandó que cuantas damas había en palacio, entrasen. Yo presumo, señora mía, que algún espíritu habló. Cuando su madrastra entraba, conoció en la alteración del pulso, que ella causaba su mal. ¡Extraña invención! Tal en el mundo se alaba. ¿Y tuvo remedio ansí? No niegues, conde, que yo he visto lo mismo en ti.
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Mi dicevi che l’amore è il tuo male. Le mie pene e la mia gioia son nate dalla sua spietata legge. L’amore richiede ardire. Ascolta una storia antica: Antioco, innamorato della matrigna, ammalò per la tristezza e il timore. Lui felice se morì! Io non ho tanta fortuna. Il re suo padre, accorato, i più famosi dottori convocò: tempo perduto. Un tale amore impediva che si dicesse la causa. Ma Erostrato, più saggio di Ippocrate e di Galeno, intuì subito il punto: il veleno stava lì, proprio tra il cuore e le labbra. Gli prese il polso e dispose che le dame di palazzo entrassero. C’è da credere, signora, che avrà parlato in sua vece qualche spirito. Quando la matrigna entrò all’alterarsi del polso capì ch’era lei la causa del male. Geniale idea! Per questo il mondo lo loda. E poté così guarire? Non puoi negare che in te ho visto la stessa cosa. 1021
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Pues, ¿enojaráste? No. ¿Y tendrás lástima? Sí. Pues, señora, yo he llegado, perdido a Dios el temor y al duque, a tan triste estado, que este mi imposible amor me tiene desesperado. En fin, señora, me veo sin mí, sin vos, y sin Dios: sin Dios, por lo que os deseo; sin mí, porque estoy sin vos; sin vos, porque no os poseo. Y por si no lo entendéis, haré sobre estas razones un discurso, en que podréis conocer de mis pasiones la culpa que vos tenéis. Aunque dicen que el no ser es, señora, el mayor mal, tal por vos me vengo a ver, que para no verme tal, quisiera dejar de ser. En tantos males me empleo, después que mi ser perdí, que aunque no verme deseo, para ver si soy quien fui, en fin, señora, me veo. A decir que soy quien soy, tal estoy, que no me atrevo, y por tales pasos voy, que aún no me acuerdo que debo a Dios la vida que os doy.
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E v’è dispiaciuto? No. Ed avrete pietà? Sì. Ohimè, signora, perduto il timor di Dio e del duca, son giunto a stato sì misero che questo amore impossibile m’ha ridotto disperato. Mi vedo privo, signora, di me, di voi e di Dio: senza Dio, se vi desidero, senza me, se di voi manco, senza voi, che non possiedo. E in caso non comprendiate, dovrò su questo argomento dirvi tanto, da potervi persuadere della colpa che voi avete dei miei mali. Dicono che il non essere è, signora, il maggior danno, ma tale per voi mi vedo che per non vedermi tale vorrei cessare di esistere. In tante pene mi trovo da quando ha perso me stesso, e vedermi non vorrei, che di quello che son stato mi vedo privo, signora. In questo stato non oso dire ch’io sono chi sono, e per tale strada vado che la vita che vi offro scordo di doverla a Dio.
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Culpa tenemos los dos, del no ser que soy agora, pues olvidado por vos de mí mismo, estoy, señora, sin mí, sin vos y sin Dios. Sin mí no es mucho, pues ya no hay vida sin vos que pida al mismo que me la da, pero sin Dios, con ser vida, ¿quién sino mi amor está? Si en desearos me empleo, y Él manda no desear la hermosura que en vos veo, claro está que vengo a estar sin Dios, por lo que os deseo. ¡Oh, qué loco barbarismo es presumir conservar la vida en tan ciego abismo, hombre que no puede estar ni en vos, ni en Dios, ni en sí mismo! ¿Qué habemos de hacer los dos, pues a Dios por vos perdí, después que os tengo por Dios, sin Dios, porque estáis en mí, sin mí, porque estoy sin vos? Por haceros solo bien, mil males vengo a sufrir; yo tengo amor, vos desdén, tanto, que puedo decir: ¡mirad con quién y sin quién! Sin vos y sin mí peleo con tanta desconfïanza: sin mí porque en vos ya veo imposible mi esperanza; sin vos, porque no os poseo.
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Tutti e due abbiamo la colpa. di questo mio non essere, perché per voi, mia signora, mi dimentico me stesso: eccomi rimasto privo di me, di voi e di Dio. Senza me non meraviglia, perché ormai non c’è più vita, senza voi, che possa chiedere a Lui che solo la dà, ma senza Dio, che è la vita, può stare solo il mio amore. Se consento al desiderio, Dio non vuole che io desideri la bellezza che in voi vedo; così che vengo a trovarmi senza Dio, se vi desidero. Ma che stolta follia è voler vivere ancora in questo cieco abisso, per uno che non può stare né in voi, né in Dio, né in se stesso! Noi due, che dobbiamo fare, se per voi ho perduto Dio da quando Dio vi ritengo: senza Dio, se siete in me, senza me, se di voi manco? Solo per il vostro bene sopporto i miei molti mali; io ho amore, e voi sdegno, tanto che posso ben dire: con chi sono e senza chi! Senza voi e senza me sto combattendo, scorato; senza me, perché in voi vedo la mia speranza impossibile, senza voi, che non possiedo. 1025
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Conde, cuando yo imagino a Dios y al duque, confieso que tiemblo, porque adivino juntos para tanto exceso poder humano y divino. Pero viendo que el amor halló en el mundo disculpa, hallo mi culpa menor, porque hace menor la culpa ser la disculpa mayor. Muchas ejemplo me dieron, que a errar se determinaron; porque los que errar quisieron siempre miran los que erraron, no los que se arrepintieron. Si remedio puede haber, es huir de ver y hablar; porque con no hablar ni ver, o el vivir se ha de acabar, o el amor se ha de vencer. Huye de mí; que de ti yo no sé si huir podré, o me mataré por ti. Yo, señora moriré; que es lo más que haré por mí. No quiero vida: ya soy cuerpo sin alma, y de suerte a buscar mi muerte voy, que aun no pienso hallar mi muerte, por el placer que me doy. Sola una mano suplico que me des; dame el veneno que me ha muerto. Federico, todo principio condeno, si pólvora al fuego aplico. Vete con Dios.
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Conte, quando penso a Dio o al duca, io ti confesso che tremo, perché indovino uniti per il castigo potere umano e divino; ma vedendo che l’amore può essere discolpato, quasi scuso la mia colpa, perché le buone ragioni la rendono meno grave. Seguo l’esempio di tante che hanno scelto l’errore, perché chi vuole sbagliare sempre guarda chi ha sbagliato, e non chi seppe frenarsi. Se un rimedio ci può essere è evitare di vedersi e parlarsi; senza questo o avrà fine la vita o sarà vinto l’amore. Fuggi da me, che non so, a meno che non mi uccida, come fuggire da te. Io morrò, signora: è il meglio che possa fare per me. Io non voglio vita, sono corpo senz’anima ormai, e cerco tanto la morte che non penso di trovarla per la gioia che ne avrei. Solo ti prego di darmi la mano; dammi il veleno che mi ha ucciso. Federico, ogni principio calpesto se offro esca al tuo fuoco. Vai con Dio... 1027
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¡Qué traición! Ya determinada estuve; pero advertir es razón que por una mano sube el veneno al corazón. Sirena, Casandra, fuiste: cantaste para meterme en el mar, donde me diste la muerte. Yo he de perderme; tente, honor; fama, resiste. Apenas a andar acierto. Alma y sentidos perdí. ¡Oh, qué extraño desconcierto! Yo voy muriendo por ti. Yo no, porque ya voy muerto. Conde, tú serás mi muerte. Yo, aunque muerto, estoy tal que me alegro, con perderte, que sea el alma inmortal, por no dejar de quererte.
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Che tradimento! Mi sono decisa, ormai, ma occorre tener presente che per una mano passa il veleno fino al cuore. Come sirena hai cantato perché mi mettessi in mare, dove, Cassandra, m’hai dato la morte! Io sto per perdermi: né mi vale onore e fama. Posso appena camminare. Ho smarrito anima e sensi. Oh che strano turbamento! Io sto morendo per te. Io, ormai, sono già morto. Conte, sarai la mia fine. Ed io, anche se son morto, mi rallegro, nel perderti, che l’anima sia immortale, per non cessare d’amarti.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Salen Aurora y el marqués. AURORA MARQUÉS
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Yo te he dicho la verdad. No es posible persuadirme. Mira si nos oye alguno y mira bien lo que dices. Para pedirte consejo, quise, marqués, descubrirte esta maldad. ¿De qué suerte ver a Casandra pudiste con Federico? Está atento. Yo te confieso que quise al conde, de quien lo fui, más traidor que el griego Ulises. Creció nuestro amor el tiempo; mi casamiento previne, cuando fueron por Casandra en fe de palabras firmes, si lo son las de los hombres, cuando sus iguales sirven. Fue Federico por ella, de donde vino tan triste, que en proponiéndole el duque lo que de los dos le dije, se disculpó con tus celos. Y como el amor permite, que, cuando camina poco, fingidos celos le piquen, díselos contigo, Carlos;
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Aurora e il Marchese. AURORA MARCHESE
AURORA
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T’ho detto la verità. Non riesco a persuadermene. Vedi se qualcuno ascolta e stai attenta a quel che dici. Per domandarti consiglio, marchese, ti ho svelato questa infamia. Ma come hai potuto veder Cassandra con Federico? Ascoltami. Debbo dirti ch’io ho amato, ricambiata, il conte, lui, più infido del greco Ulisse! Crebbe nel tempo l’amore; e preparavo le nozze quando giunse qua Cassandra. Credevo a ferme promesse, se lo sono quelle fatte da uomini che corteggiano dame di pari lignaggio. Andò Federico a prenderla, e ritornò così triste che proponendogli il duca le nostre nozze – infatti glielo avevo detto io stessa – per evitarle sostenne che era geloso di te. E poiché l’amore pigro può essere sollecitato con la gelosia, anche finta, con te, Carlo, cercai allora di provocargliela; ne ebbi 1031
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pero el mismo efeto hice que en un diamante; que celos donde no hay amor no imprimen. Pues viéndome despreciada y a Federico tan libre, di en inquirir la ocasión; y como celos son linces que las paredes penetran, a saber la causa vine. En correspondencia tiene, sirviéndole de tapices retratos, vidros y espejos, dos iguales camarines el tocador de Casandra; y como sospechas pisen tan quedo, dos cuadras antes miré y vi, ¡caso terrible! en el cristal de un espejo que el conde las rosas mide de Casandra con los labios. Con esto, y sin alma, fuime, donde lloré mi desdicha y la de los dos, que viven, ausente el duque, tan ciegos, que parece que compiten en el amor y el desprecio, y gustan que se publique el mayor atrevimiento que pasara entre gentiles, o entre los desnudos cafres que lobos marinos visten. Parecióme que el espejo que los abrazos repite, por no ver tan gran fealdad escureció los alindes; pero, más curioso, amor
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lo stesso effetto che avrei ottenuto su un diamante: la gelosia non incide in un cuore indifferente. E vedendo lui insensibile e me così disprezzata, volli capirne i motivi. La gelosia è una lince che trapassa le pareti: così la causa ho scoperto. Lo spogliatoio di Cassandra ha due camerini uguali contigui, ben tappezzati di ritratti, vetri e specchi, ed io col passo leggero, il passo di chi sospetta, spiando da due stanze prima scorsi – che cosa terribile! – nel cristallo di uno specchio che il conte esplora le rose di Cassandra con le labbra. Allora, stravolta, corsi a pianger la mia disgrazia e quella dei due, che vivono – assente il duca – sì ciechi che sembra facciano a gara nell’amore e nel disprezzo, e godono ad esibire la più enorme trasgressione mai avvenuta tra i cristiani e tra gli ignudi selvaggi che si vestono di pelli. E mi sembrò che lo specchio che duplica i loro abbracci per non vedere lo sconcio oscurasse il suo riflesso; ma l’amore, più indiscreto, 1033
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MARQUÉS
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la infame empresa prosigue, donde no ha quedado agravio de que no me certifique. El duque dicen que viene vitorioso, y que le ciñen sacros laureles la frente por las hazañas felices con que del Pastor de Roma los enemigos reprime. Dime: ¿qué tengo de hacer en tanto mal? Que me afligen sospechas de mayor daño; si es verdad que me dijiste tantos amores con alma, aunque soy tan infelice, que parecerás al conde en engañarme o en irte. Aurora, la muerte sola es sin remedio invencible, y aun a muchos hace el tiempo en el túmulo fenices; porque dicen que no mueren los que por su fama viven. Dile que te case al duque; que, como el sí me confirmes, con irnos los dos a Mantua, no hayas miedo que peligres. Que si se arroja en el mar, con el dolor insufrible de los hijos que le quitan los cazadores, el tigre, cuando no puede alcanzarlos, ¿qué hará el ferrarés Aquiles por el honor y la fama? ¿Cómo quieres que se limpie tan fea mancha sin sangre,
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proseguì l’impresa infame, così che non vi fu offesa di cui io non sia certa. Dicono che il duca torna vittorioso, e che cingono sacri allori la sua fronte per le felici azioni con cui ha sconfitto i nemici del Pontefice romano. Dimmi tu, che posso fare in questa sventura? Temo che ne venga un maggior danno; è vero che m’hai parlato con tanto sincero affetto, ma son così disgraziata che potrai imitare il conte nell’ingannarmi o andartene. Solo la morte, Aurora sconfigge senza speranza, e anche nel tumulo il tempo trasforma molti in fenice, perché non muoiono quelli che vivono nella fama. Di’ al duca che vuoi sposarti, e confermato il tuo sì, tu ed io andremo a Mantova e non dovrai più temere. Che se la tigre si getta nel mare, per il dolore tremendo dei figlioletti che i cacciatori le rubano, quando non li può raggiungere, cosa farà per l’onore, per la sua reputazione, questo ferrarese Achille? Come vuoi che senza sangue lavi, a memoria perenne, 1035
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para que jamás se olvide, si no es que primero el cielo sus libertades castigue, y por gigantes de infamia con vivos rayos fulmine? Este consejo te doy. Y de tu mano le admite mi turbado pensamiento. Será de la nueva Circe el espejo de Medusa, el cristal en que la viste.
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¿Que no ha querido esperar que salgan a recibirle? Apenas el duque vio los deseados confines, cuando dejando la gente, y aun sin querer que te avisen, tomó caballos y parte: tan mal el amor resiste, y los deseos de verte; que aunque es justo que le obligue la duquesa, no hay amor a quien el tuyo no prive; eres el sol de sus ojos, y cuatro meses de eclipse le han tenido sin paciencia. Tú, conde, el triunfo apercibe para cuando todos vengan; que las escuadras que rige han de entrar con mil trofeos, llenos de dorados timbres. Aurora, ¿siempre a mis ojos con el Marqués?
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una macchia così immonda? A meno che il cielo stesso castighi le loro colpe, e con fulmini annienti queste infamie gigantesche. È il consiglio che ti do. E di tua mano lo accetta il mio animo sconvolto. Quello in cui tu l’hai veduta sarà per la nuova Circe uno specchio di Medusa. Federico e Batín.
FEDERICO BATÍN
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Non ha voluto aspettare che uscissero a riceverlo? Non appena il duca ha visto i confini tanto amati, lasciando subito il seguito, senza nemmeno avvisarti, ha preso il cavallo e via; male domina l’affetto e la voglia di vederti, che se pure ha degli obblighi per la duchessa, non c’è amore che sia pari al tuo: sei il sole degli occhi suoi, e quattro mesi di eclisse gli hanno tolto la pazienza. Tu, conte, prepara il trionfo per quando giunga qui il seguito: che le truppe che comanda con mille trofei entrino, ricchi di dorate insegne. Sempre davanti a me, Aurora, col marchese?
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¡Qué donaire! ¿Con ese tibio desaire respondes a mis enojos? Pues, ¿qué maravilla ha sido el darte el marqués cuidado? Parece que has despertado de cuatro meses dormido. Yo, señor conde, no sé ni he sabido que sentís lo que agora me decís; que a Aurora he servido en fe de no haber competidor, y más como vos lo fuera, a quien humilde rindiera cuanto no fuera mi amor. Bien sabéis que nunca os vi servirla; mas siendo gusto vuestro que la deje es justo: que mucho mejor que en mí se emplea en vos su valor.
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¿Qué es esto que has intentado? O, ¿qué frenesí te ha dado sin pensamiento de amor? ¿Cuántas veces al marqués hablando conmigo viste, desde que diste en ser triste, y mucho tiempo después? Y aun no volviste a mirarme, cuanto más a divertirme. ¿Agora celoso y firme, cuando pretendo casarme? Conde, ya estás entendido; déjame casar, y advierte
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MARCHESE
Stai scherzando? Con questo freddo distacco tu rispondi ai miei rimproveri? Mi stupisce che il marchese, ti possa dare fastidio. Sembra che ti sia svegliato da un sonno di quattro mesi! Io, signor conte, non so, né ho saputo, che vi spiaccia quello che adesso mi dite; Aurora ho corteggiato non sapendo di avere un competitore, e inoltre che foste proprio voi. Vi avrei ceduto umilmente tutto, ma non il mio amore. Sappiate che mai vi ho visto corteggiarla; ma se è gusto vostro, che la lasci è giusto, poiché assai più che di me di voi son degni i suoi pregi. [Il Marchese] esce.
AURORA
Che cosa vorresti fare? E che frenesia ti è presa se di me non te ne importa? Quante volte col marchese m’hai visto che parlavo, da quando sei caduto in quella melanconia, e anche dopo? E mai mi hai dato uno sguardo, o m’hai rivolto attenzioni! E ti fai geloso adesso, quando penso di sposarmi? Conte, ormai tutto m’è chiaro; lascia che mi sposi, e sappi 1039
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que antes me daré la muerte, que ayudar lo que has fingido. Vuélvete, conde, a estar triste, vuelve a tu suspensa calma; que tengo muy en el alma los desprecios que me hiciste. Ya no me acuerdo de ti. ¿Invenciones? Dios me guarde. Por tu vida, que es muy tarde para valerte de mí.
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Vase Aurora. BATÍN FEDERICO BATÍN
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¿Qué has hecho? No sé, por Dios. Al emperador Tiberio pareces, si no hay misterio en dividir a los dos. Hizo matar su mujer, y habiéndose ejecutado, mandó, a la mesa sentado, llamarla para comer. Y Mesala fue un romano que se le olvidó su nombre. Yo me olvido de ser hombre. O eres como aquel villano que dijo a su labradora, después que de estar casados eran dos años pasados: «¡Ojinegra es la señora!» ¡Ay, Batín, que estoy turbado y olvidado desatino! Eres como el vizcaíno que dejó el macho enfrenado, y viendo que no comía, regalándole las clines,
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che piuttosto io mi uccido che aiutarti nei tuoi inganni! Torna, conte, a essere triste, torna alla tua inquieta attesa, che il tuo disprezzo lo porto ben dentro l’anima mia. Di te ormai non mi ricordo neanche. Che inganni! Dio mio! E stai attento, che ormai è tardi se vuoi servirti di me. Aurora esce. BATÍN FEDERICO BATÍN
FEDERICO BATÍN
FEDERICO BATÍN
Che hai fatto? Non so, davvero. Forse c’è un qualche mistero per cui li vuoi separare; o sennò sembri Tiberio: fece uccidere la moglie, e dopo l’esecuzione comandò, seduto a mensa, di chiamarla per mangiare. E Messalla fu un romano che dimenticò il suo nome. Io non so più se son uomo! O sei come quel villano che disse alla sua sposina, ed erano ben due anni passati dal matrimonio: «Mia signora, hai gli occhi neri!». Oh, Batín, sono turbato e smanio, di me dimentico. Sei come quel biscaglino che lasciò al puledro il morso, e siccome non mangiava, neanche con le carezze, chiamò a vedere che aveva 1041
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un Galeno de rocines trujo a ver lo que tenía; el cual, viéndole con freno, fuera al vizcaíno echó; quitóle, y cuando volvió, de todo el pesebre lleno apenas un grano había, porque con gentil despacho, después de la paja, el macho hasta el pesebre comía. «Albéitar, juras a Dios», dijo, «es mejor que dotora, y yo y macho desde agora queremos curar con vos». ¿Qué freno es este que tienes, que no te deja comer, si médico puedo ser? ¿Qué aguardas? ¿Qué te detienes? ¡Ay, Batín, no sé de mí! Pues estese la cebada queda, y no me digas nada.
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¿Ya viene? Señora, sí. ¿Tan brevemente? Por verte toda la gente dejó. No lo creas; pero yo más quisiera ver mi muerte. En fin, señor conde, ¿viene el duque mi señor? Ya dicen que muy cerca está; bien muestra el amor que os tiene.
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un dottore di animali. Questi lo vide col morso, mandò fuori il biscaglino, lo liberò, e al suo ritorno della mangiatoia piena non restava manco un grano: tutto contento il cavallo dopo la paglia, già stava mangiando la mangiatoia! «Veterinario, io giurare – disse – che miglior dottore, non esserci, e io e mulo volere voi noi curare». Che morso è questo che hai in bocca che non ti lascia mangiare? Se io ti posso guarire che aspetti? Che ti trattiene? Batín! Son fuori di me! Allora lascia la biada e non mi dire parola. Entrano Cassandra e Lucrezia.
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Sta arrivando? Sì, signora. Così presto? Per vedervi tutto il seguito ha lasciato. Non crederlo! Io vorrei che arrivasse la mia morte! Dunque, signor conte, è giunto il duca nostro signore? Dicono che già si approssima. Bene dimostra l’amore che vi porta.
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(Muriendo estoy de pesar de que ya no podré verte como solía. ¿Qué muerte pudo mi amor esperar, como su cierta venida? Yo pierdo, conde, el sentido. Yo no, porque le he perdido. Sin alma estoy. Yo sin vida. ¿Qué habemos de hacer? Morir. ¿No hay otro remedio? No; porque en perdiéndote yo, ¿para qué quiero vivir? ¿Por eso me has de perder? Quiero fingir desde agora que sirvo y que quiero a Aurora y aun pedirla por mujer al duque, para desvelos de él y de palacio, en quien yo sé que no se habla bien. ¡Agravios! ¿No bastan celos? ¿Casarte? ¿Estás, conde, en ti? El peligro de los dos me obliga. ¿Qué? Vive Dios, que si te burlas de mí, después que has sido ocasión de esta desdicha, que a voces diga, – ¡oh, qué mal me conoces! – tu maldad y mi traición. ¡Señora...!
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(Sto morendo se penso che non potrò più vederti come il solito. Che morte potrà il mio amore aspettare, ineludibile come il fatto che lui arrivi? Conte, perdo la ragione. Io, ormai, l’ho già perduta. Mi manca l’anima. A me la vita. Che dobbiam fare? Morire. Non c’è altro scampo? No: ma se ti sto perdendo, perché mai dovrei io vivere? E così mi perderai? Voglio fingere fin d’ora che corteggio ed amo Aurora. La chiederò al duca in moglie, per sviare lui e la corte; so che di noi già si mormora. Mi offendi! Non basta dunque la gelosia? E vuoi sposarti? Stai delirando? È il pericolo di tutti e due che mi obbliga. Che! Vivaddio, se tu vuoi prenderti gioco di me, tu, che sei stato la causa di questa disgrazia, io – come mi conosci male! – griderò la tua perfidia ed il tradimento mio. Signora...
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No hay qué tratar. ¡...Que te oirán! Que no me impidas. Quíteme el duque mil vidas, pero no te has de casar.) Floro, Febo, Ricardo, Albano, Lucindo, el duque detrás, galán, de soldado.
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DUQUE
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Ya estaban disponiendo recibirte. Mejor sabe mi amor adelantarse. (¿Es posible, señor, que persuadirte pudiste a tal agravio?) Y de agraviarse quejosa mi señora la duquesa, parece que mi amor puede culparse. Hijo, el paterno amor, que nunca cesa de amar su propia sangre y semejanza, para venir facilitó la empresa; que ni cansancio ni trabajo alcanza a quien de ver a sus queridas prendas más hiciera en sufrir larga esperanza. Y tú, señora, así es razón que entiendas el mismo amor, y en igualarte al conde por encarecimiento, no te ofendas. Tu sangre y su virtud, señor, responde que merece el favor. Yo le agradezco, pues tu valor al suyo corresponde. Bien sé que a entrambos ese amor merezco, y que estoy de los dos tan obligado, cuanto mostrar en la ocasión me ofrezco. Que Federico gobernó mi estado en mi ausencia, he sabido, tan discreto, que vasallo ninguno se ha quejado. En medio de las armas, os prometo que imaginaba yo con la prudencia
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Non dire altro! ...ti udranno. Non mi fermare!... Mi uccida mille volte il duca, ma tu non ti sposerai!) Floro, Febo, Riccardo, Albano, Lucindo, il Duca dietro, elegante, in abiti militari.
RICCARDO DUCA CASSANDRA FEDERICO
DUCA
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DUCA
Stavano preparandosi a riceverti. Sa anticipare i tempi il mio amore. (Come hai fatto, signore, a concepire un così grande affronto?) E di un affronto si duole la duchessa mia signora, e pensa che la colpa sia il mio amore... Figlio, l’amor paterno, che non cessa d’amare il proprio sangue e il proprio simile, rese facile e pronto il mio ritorno; non sente né stanchezza né fatica chi, intollerante di una lunga attesa, i suoi cari desidera vedere. E tu, signora, ragionevolmente, comprendi questo affetto, e se sei uguale al conte nel mio amore, non offenderti. Il tuo alto lignaggio e il suo valore, o signore, attestano che appieno merita il tuo favore; io ti ringrazio: il tuo valore al suo corrisponde. Di tutti e due mi merito l’amore, ché sono a tutti e due sì affezionato come dimostrerò al momento giusto. Ho saputo che Federico ha retto in mia assenza lo stato con tal senno che nemmeno un vassallo s’è lagnato. Vi assicuro che in mezzo alle battaglie lo vedevo con la sua gran prudenza 1047
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RICARDO
que se mostraba senador perfeto. ¡Gracias a Dios, que con infame ausencia los enemigos del Pastor romano respetan en mi espada su presencia! Ceñido de laurel besé su mano, después que me miró Roma triunfante, como si fuera el español Trajano. Y así, pienso trocar de aquí adelante la inquietud en virtud, porque mi nombre como le aplaude aquí, después le cante; que cuando llega a tal estado un hombre, no es bien que ya que de valor mejora, el vicio más que la virtud le nombre. Aquí vienen, señor, Carlos y Aurora.
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Carlos y Aurora. AURORA MARQUÉS DUQUE
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Tan bien venido vuestra alteza sea, como le está esperando quien le adora. Dad las manos a Carlos, que desea que conozcáis su amor. Paguen los brazos deudas del alma, en quien tan bien se emplea. Aunque siente el amor los largos plazos, todo lo goza el venturoso día que llega a merecer tan dulces lazos. Con esto, amadas prendas, yo querría descansar del camino, y porque es tarde; después celebraréis tanta alegría. Un siglo el cielo, gran señor, te guarde. Todos se van con el duque, y quedan Batín y Ricardo.
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¡Ricardo amigo! ¡Batín! ¿Cómo fue por esas guerras?
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RICCARDO
mostrarsi qui un perfetto governante. Grazie a Dio che i nemici del Pontefice con fuga ingloriosa hanno temuto la sua sacra presenza nel mio brando. Cinto d’allori baciai la sua mano, dopo che Roma mi vide in trionfo, come fossi lo spagnolo Traiano. D’ora in avanti penso di cambiare l’irrequietezza in virtù, ed il mio nome, ora applaudito, dopo lo si celebri, che quando giunge un uomo a un tale stato da esser nobilitato dal valore non è bene che siano a ricordarlo i vizi, invece delle qualità. Arrivano, signore, Carlo e Aurora. [Entrano] Carlo e Aurora.
AURORA MARCHESE DUCA
FEDERICO
Sia vostra altezza così benvenuto come era atteso da chi tanto l’ama. Date la mano a Carlo, che desidera che sappiate il suo amore. Ricompensino gli abbracci i giusti debiti dell’anima. L’amore male sopporta l’attesa, ma poi gioisce il giorno fortunato in cui merita tanti dolci vincoli. Con questo, o miei diletti, ora vorrei riposare del viaggio, perché è tardi; dopo, festeggeremo tanta gioia. Il cielo ti conservi per i secoli. Tutti escono col Duca e rimangono Batín e Riccardo.
BATÍN RICCARDO BATÍN
Riccardo, amico! Batín! Come è andata con la guerra? 1049
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BATÍN RICARDO
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Como quiso la justicia, siendo el cielo su defensa. Llana queda Lombardía, y los enemigos quedan puestos en fuga afrentosa, porque el león de la Iglesia pudo con solo un bramido dar con sus armas en tierra. El duque ha ganado un nombre que por toda Italia suena; que si mil mató Saúl, cantan por él las doncellas que David mató cien mil; con que ha sido tal la enmienda, que traemos otro duque: ya no hay damas, ya no hay cenas, ya no hay broqueles ni espadas, ya solamente se acuerda de Casandra, ni hay amor más que el conde y la duquesa. El duque es un santo ya. ¿Qué me dices? ¿Qué me cuentas? Que, como otros con las dichas dan en vicios y en soberbias, tienen a todos en poco, – tan inmortales se sueñan – el duque se ha vuelto humilde, y parece que desprecia los laureles de su triunfo; que el aire de las banderas no le ha dado vanagloria. ¡Plega al cielo que no sea, después de estas humildades, como aquel hombre de Atenas, que pidió a Venus le hiciese
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Come volle la giustizia, difesa com’è dal cielo. La Lombardia ora è quieta, i nemici sono stati messi in fuga ignominiosa, perché il leone della Chiesa con un ruggito soltanto fece cader l’armi in terra. Il duca s’è fatto un nome che per l’Italia risuona; per lui le fanciulle cantano: «Se mille ne uccise Saul, David ben centomila!» Ed è cambiato in tal modo che ora abbiamo un altro duca; non più amanti, né banchetti, non più corazze né spade, pensa ormai solo a Cassandra ed i suoi unici affetti sono il conte e la duchessa. Il duca, oramai, è un santo! Che mi dici? Che racconti? Certi, quando la fortuna li favorisce, diventano pieni di vizi e superbia, non guardano più nessuno, tanto immortali si pensano. Invece il duca si è fatto umile, e sembra sprezzare gli allori del suo trionfo: il vento delle bandiere non gli ha montato la testa. Magari che non succeda, con tutta questa umiltà, come a quel tipo di Atene che con suppliche ed offerte pregò Venere di fargli 1051
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RICARDO
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mujer, con ruegos y ofrendas, una gata dominica, quiero decir, blanca y negra! Estando en su estrado un día con moño y naguas de tela, vio pasar un animal de aquestos, como poetas, que andan royendo papeles; y dando un salto ligera de la tarima al ratón, mostró que en naturaleza la que es gata, será gata, la que es perra, será perra, in secula seculorum. No hayas miedo tú que vuelva el duque a sus mocedades; y más si a los hijos llega, que con las manillas blandas las barbas más graves peinan de los más fieros leones. Yo me holgaré de que sea verdad. Pues, Batín, adiós. ¿Dónde vas? Fabia me espera.
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Vase. Entre el duque con algunos memoriales. DUQUE BATÍN DUQUE BATÍN DUQUE
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¿Está algún criado aquí? Aquí tiene vuestra alteza el más humilde. ¡Batín! Dios te guarde. Bueno llegas. Dame la mano. ¿Qué hacías?
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RICCARDO
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una moglie da una gatta domenicana, cioè a dire bianca e nera; ed un giorno che la nuova donna stava nel suo salotto, agghindata con crocchia e gonne in broccato, ecco, passa un animale di quelli che, come poeti, vanno rosicchiando fogli, e lei, con un salto rapido dal divano sopra il topo, mostrò a tutti che nell’indole chi è gatta resta gatta, chi è cagna resta cagna in secula seculorum. Non temere che il duca torni alle sue avventure, e più se avrà dei figlioli, che con le dolci manine le gravi barbe pettinano dei più feroci leoni. Sarei felice se fosse verità quello che dici. Bene, Batín, io ti lascio. Dove vai? Fabia mi aspetta. Esce. Entra il Duca con dei documenti.
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C’è qualche famiglio qui? Ecco qui, per vostra altezza, il più indegno. Batín! Dio vi protegga. Vi trovo bene. Vi bacio le mani. Che facevi?
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Estaba escuchando nuevas de tu valor a Ricardo, que, gran coronista de ellas, Héctor de Italia te hacía. ¿Cómo ha pasado en mi ausencia el gobierno con el conde? Cierto, señor, que pudiera decir que igualó en la paz tus hazañas en la guerra. ¿Llevóse bien con Casandra? No se ha visto, que yo sepa, tan pacífica madrastra con su alnado: es muy discreta y muy virtuosa y santa. No hay cosa que la agradezca como estar bien con el conde; que, como el conde es la prenda que más quiero y más estimo, y conocí su tristeza cuando a la guerra partí, notablemente me alegra que Casandra se portase con él con tanta prudencia, que estén en paz y amistad, que es la cosa que desea mi alma con más afecto de cuantas pedir pudiera al cielo; y así, en mi casa hoy dos vitorias se cuentan: la que de la guerra traigo, y la de Casandra bella, conquistando a Federico. Yo pienso de hoy más quererla sola en el mundo, obligado
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Ascoltavo lodi del vostro valore da Riccardo, che cronista di imprese, vi dipingeva come un Ettore d’Italia. Come è andato in mia assenza il governo con il conte? Certo, signore, potrei dire che in pace uguagliò le tue imprese nella guerra. È stato in buoni rapporti con Cassandra? Mai si vide matrigna tanto benevola col figliastro: è molto saggia, molto virtuosa e santa. Di questo accordo col conte le sono davvero grato, perché il conte è la persona che io più amo e più stimo, e ho visto la sua tristezza quando partii per la guerra; mi rallegra che Cassandra con lui abbia agito con tatto; che stiano in pace e amicizia è la cosa che desidera l’anima con maggior forza di quante potrei impetrare dal cielo; così in palazzo ben due vittorie si vantano: la mia, riportata in guerra, la seconda di Cassandra che conquistò Federico. Penso da oggi in poi di amare lei sola al mondo, sedotto
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de esta discreta fineza y cansado juntamente de mis mocedades necias. Milagro ha sido del Papa llevar, señor, a la guerra al duque Luis de Ferrara. y que un ermitaño vuelva. Por Dios, que puedes fundar otra Camáldula. Sepan mis vasallos que otro soy. Mas, dígame vuestra alteza, ¿cómo descansó tan poco? Porque al subir la escalera de palacio, algunos hombres que aguardaban mi presencia, me dieron estos papeles; y temiendo que son quejas, quise descansar en verlos, y no descansar con ellas. Vete, y déjame aquí solo; que deben los que gobiernan esta atención a su oficio. El cielo, que remunera el cuidado de quien mira el bien público, prevenga laureles a tus vitorias, siglos a tu fama eterna. Vase.
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Este dice: «Señor, yo soy Estacio, que estoy en los jardines de palacio, y, enseñado a plantar hierbas y flores,
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da sì fine intelligenza, e stanco allo stesso tempo delle mie sciocche follie adatte alla gioventù. È un miracolo del Papa: è andato in guerra Luigi quale Duca di Ferrara, ed è tornato eremita. Bah! Potreste istituire una seconda Camaldoli! Che sappiano i miei vassalli che sono ormai un altro duca. Ma, vostra altezza, perché così poco ha riposato? Perché salendo le scale del palazzo alcuni sudditi che aspettavano il mio arrivo mi hanno dato queste suppliche; temendo siano lagnanze ho pensato di potere riposare leggendole, invece di tralasciarle per potermi riposare. Vai, e lasciami qui solo: chi governa deve assolvere agli obblighi del suo ufficio. Il cielo, che ricompensa le cure di chi provvede al bene pubblico, allori vi appresti per le vittorie, vi dia fama nei secoli. Esce.
DUCA
Questa dice [legge]: «Signore, sono Stazio, che curando i giardini di palazzo, e abituato a piantare erbe e fiori, 1057
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planté seis hijos. A los dos mayores 2470 suplico que les deis...» Basta, ya entiendo. Con más cuidado ya premiar pretendo. (Lea.) «Lucinda dice que quedó viuda del capitán Arnaldo...» También pide. (Lea.) «Albano, que ha seis años que reside...» 2475 Este pide también. «Julio Camilo, (Lea.) preso porque sacó...» Del mismo estilo. «Paula de San Germán, doncella honrada...» (Lea.) Pues si es honrada, no le falta nada, si no quiere que yo le dé marido. 2480 Este viene cerrado, y mal vestido un hombre me lo dio, todo turbado, que quise detenerle con cuidado. (Lea.) «Señor, mirad por vuestra casa atento; que el conde y la duquesa en vuestra ausencia...» 2485 No me ha sido traidor el pensamiento: habrán regido mal, tendré paciencia. (Lea.) «...ofenden con infame atrevimiento vuestra cama y honor.» ¿Qué resistencia harán a tal desdicha mis enojos? (Lea.) 2490 «Si sois discreto, os lo dirán los ojos.» ¿Qué es esto que estoy mirando? Letras, ¿decís esto o no? ¿Sabéis que soy padre yo de quien me estáis informando 2495 que el honor me está quitando? Mentís; que no puede ser. ¿Casandra me ha de ofender? ¿No veis que es mi hijo el conde? Pero ya el papel responde 2500 que es hombre y ella mujer. ¡Oh, fieras letras villanas! Pero diréisme que sepa que no hay maldad que no quepa en las flaquezas humanas. 2505
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piantai sei figli; ai due maggiori supplico concediate...». Basta, intuisco. Da oggi sarò più cauto nel premiare. (Legge.) «Lucinda dice che rimase vedova del Capitano Arnaldo...» Altra richiesta. (Legge.) «Albano, che da sei anni risiede...» Un altro chiede. (Legge.) «Giulio Camillo imprigionato perché...» Stesso stile. (Legge.) «Paola di San Germano, onesta giovine...» Dunque, se è onesta, nulla le abbisogna, se non vuole che io stesso la mariti. Questa è chiusa, ed un uomo malvestito me l’ha data, e con tale turbamento tanto che avrei voluto trattenerlo. (Legge.) «Vigilate la vostra casa, duca, che in vostra assenza il conte e la contessa...» Io lo avevo previsto! Avranno fatto arbitrii nel governo! Avrò pazienza. (Legge.) «...hanno offeso con turpe sfrontatezza il vostro letto e l’onore...» E resistere potrà a questa disgrazia la mia ira? (Legge.) «Se li osservate ne avrete conferma». Ma che cosa sto leggendo? Dite veramente questo, parole che sto guardando? Sapete che sono il padre di colui che, a quel che leggo, mi sta togliendo l’onore? Mentite, questo è impossibile! Cassandra che offende me? E non è mio figlio il conte? Ma la lettera risponde: lui è un uomo e lei una donna. O parole laide e atroci! Ma sì, dovrei ben saperlo, che la debolezza umana è capace di ogni male. 1059
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De las iras soberanas debe de ser permisión. Esta fue la maldición que a David le dio Natán; la misma pena me dan, y es Federico Absalón. Pero mayor viene a ser, cielo, si así me castigas; que aquellas eran amigas, y Casandra es mi mujer. El vicioso proceder de las mocedades mías trajo el castigo, y los días de mi tormento, aunque fue sin gozar a Bersabé ni quitar la vida a Urías. ¡Oh, traidor hijo! Si ha sido verdad, porque yo no creo que emprenda caso tan feo hombre de otro hombre nacido. Pero si me has ofendido, ¡oh, si el cielo me otorgara, que, después que te matara, de nuevo a hacerte volviera, pues tantas muertes te diera, cuantas veces te engendrara! ¡Qué deslealtad! ¡Qué violencia! ¡Oh, ausencia, qué bien se dijo que aun un padre de su hijo no tiene segura ausencia! ¿Cómo sabré con prudencia verdad que no me disfame con los testigos que llame? Ni así la podré saber; porque, ¿quién ha de querer
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È cosa che avrà permesso la giusta ira del cielo. La stessa maledizione che a David lanciò Nathan, la stessa pena mi assegna, e Federico è Assalonne! Ma più grandi diventano, cielo, la pena e il castigo, che quelle eran concubine, Cassandra è invece mia moglie. La depravata condotta della giovinezza mia m’ha portato in punizione questi giorni di tormento, anche se io non sedussi Betsabea, né uccisi Uria. Figlio traditore! Se è vero... perché non credo che un uomo nato da un altro giunga a tale turpitudine. Ma se davvero m’hai offeso, ah, volesse allora il cielo che dopo averti ucciso ti generassi di nuovo: tante morti ti darei quante vite ti avrei dato! Che slealtà e che violenza! Lontananza! E proprio vero che nemmeno di suo figlio può fidarsi un padre assente! E come potrò accertare la verità con prudenza, senza ricoprirmi d’onta a riunire i testimoni? Ma no, nemmeno così la potrò sapere mai: e chi infatti vorrà dire 1061
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decir verdad tan infame? Mas, ¿de qué sirve informarme? pues esto no se dijera de un hijo, cuando no fuera verdad que pudo infamarme. Castigarle no es vengarme, ni se venga el que castiga, ni esto a información me obliga; que mal que el honor estraga, no es menester que se haga, porque basta que se diga.
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Entre Federico. FEDERICO DUQUE FEDERICO DUQUE FEDERICO
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Sabiendo que no descansas, vengo a verte. Dios te guarde. Y a pedirte una merced. Antes que la pidas, sabes que mi amor te la concede. Señor, cuando me mandaste que con Aurora, mi prima, por tu gusto me casase, lo fuera notable mío; pero fueron más notables los celos de Carlos, y ellos entonces causa bastante para no darte obediencia. Mas después que te ausentaste, supe que mi grande amor hizo que ilusiones tales me trajesen divertido. En efeto, hicimos paces, y le prometí, señor, en satisfación, casarme,
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verità così infamante? Ma a che mi serve informarsi? Una cosa di tal genere nessuno oserebbe dirla di un figlio, se essa non fosse una verità infamante. Non è vendetta il castigo; chi punisce non si vendica, né son tenuto a un processo, ché colpa contro l’onore non è necessario compierla, basta che solo si mormori. Entra Federico. FEDERICO DUCA FEDERICO DUCA FEDERICO
Sapendo che ancora vegli vengo a visitarti. Bene. E a domandarti una grazia. Prima che me la domandi il mio amore te l’accorda. Signore, quando m’hai detto di prendere in moglie Aurora, che ti avrei fatto felice, sarei stato anch’io contento, ma maggiore fu la mia gelosia per Carlo, tanto che fu causa sufficiente per non obbedirti allora. Ma dopo la tua partenza, ho capito che era stato il mio amore a generare i sospetti e le illazioni che mi avevano confuso. Fatta allora la pace, le ho promesso, mio signore, di riparare sposandola, 1063
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como me dieses licencia, luego que el bastón dejaste. Esta te pido y suplico. No pudieras, conde, darme mayor gusto. Vete agora, porque trate con tu madre, pues es justo darle cuenta; que no es razón que te cases sin que lo sepa, y le pidas licencia, como a tu padre. No siendo su sangre Aurora, ¿para qué quiere dar parte vuestra alteza a mi señora? ¿Qué importa no ser su sangre, siendo tu madre Casandra? Mi madre Laurencia yace muchos años ha difunta. ¿Sientes que «madre» la llame? Pues dícenme que en mi ausencia, de que tengo gusto grande, estuvisteis muy conformes. Eso, señor, Dios lo sabe; que prometo a vuestra alteza, – aunque no acierto en quejarme, pues la adora, y es razón – que aunque es para todos ángel, que no lo ha sido conmigo. Pésame de que me engañen; que me dicen que no hay cosa que más Casandra regale. A veces me favorece, y a veces quiere mostrarme que no es posible ser hijos los que otras mujeres paren. Dices bien, y yo lo creo; y ella pudiera obligarme más que en quererme en quererte,
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se me ne dessi licenza, alla fine della guerra. Questa è la grazia che chiedo. Conte, non potresti darmi maggior piacere. Vai, ora; ne parlerò con tua madre, poiché è giusto sia informata, né è bene che tu ti sposi a sua insaputa: domandale il permesso, come a me. Se Aurora non è del suo sangue, perché vuole vostra altezza, che io informi la duchessa? So che non è del suo sangue, ma è pur tua madre Cassandra. Mia madre Lorenza giace già da molti anni defunta. Ti spiace che la chiami «madre»? Mi dicono che in mia assenza andavate ben d’accordo – cosa che mi fa felice –. Questo lo sa solo Iddio; e giuro a vostra altezza, – ma non devo lamentarmi, poiché a ragione tu l’ami – che se è un angelo per tutti non lo è stata per me. Mi dispiace che mi ingannino; con nessuno, mi hanno detto, Cassandra è stata più affabile. A volte sembra benevola, ma a volte vuol dimostrarmi che non si è figli quando si è nati da altre madri. Dici bene, ed io lo credo; ma lei potrebbe piacermi di più amandoti che amandomi; 1065
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pues con estas amistades aseguraba la paz. Vete con Dios. Él te guarde.
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No sé cómo he podido mirar, conde traidor, tu infame cara. ¡Qué libre! ¡Qué fingido con la invención de Aurora se repara, para que yo no entienda que puede ser posible que me ofenda! Lo que más me asegura es ver con el cuidado y diligencia que a Casandra murmura que le ha tratado mal en esta ausencia; que piensan los delitos que callan cuando están hablando a gritos. De que la llame madre se corre, y dice bien, pues es su amiga la mujer de su padre, y no es justo que ya «madre» se diga. Pero yo, ¿cómo creo con tal facilidad caso tan feo? ¿No puede un enemigo del conde haber tan gran traición forjado, porque con su castigo, sabiendo mi valor, quede vengado? Ya de haberlo creído si no estoy castigado, estoy corrido. Entre Casandra y Aurora.
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De vos espero, señora, mi vida en esta ocasión.
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che con la vostra amicizia si consolida la pace. Va’ con Dio. E lui ti assista. Esce.
DUCA
Non so come ho potuto guardare, traditore, la tua faccia. Che spudorato! Che finto! Con questa storia di voler sposare Aurora si fa schermo, perché io non capisca che è possibile il suo tradimento. Quel che più mi convince è vederne l’astuzia e la premura con cui di Cassandra sparla che gli era ostile quando io non c’ero: Così i crimini pensano d’essere muti quando invece gridano. Che io la chiami «madre» si vergogna, e fa bene; è la sua amante la moglie di suo padre, e definirla «madre» è infamante. Ma come posso credere con tanta facilità una cosa così atroce? E se fosse un nemico del conte a avere ordito questa trama per una sua vendetta, sapendo bene che lo avrei punito? Per averlo creduto nella vergogna stessa ho il mio castigo. Entrano Cassandra e Aurora.
AURORA
Da voi mi attendo, signora, la vita in questa occasione. 1067
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Ha sido digna elección de tu entendimiento, Aurora. Aquí está el duque. Señor, ¿tanto desvelo? A mi estado debo, por lo que he faltado, estos indicios de amor. Si bien del conde y de vos ha sido tan bien regido, como muestra, agradecido este papel, de los dos; todos alaban aquí lo que los dos merecéis. Al conde, señor, debéis ese cuidado, no a mí; que sin lisonja os prometo que tiene heroico valor, en toda acción superior, gallardo como discreto; un retrato vuestro ha sido. Ya sé que me ha retratado tan igual en todo estado, que por mí le habéis tenido; de que os prometo, señora, debida satisfacción. Una nueva petición os traigo, señor, de Aurora: Carlos la pide, ella quiere, y yo os lo suplico. Creo que le ha ganado el deseo quien en todo le prefiere. El conde se va de aquí, y me la ha pedido agora.
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È stata una scelta degna della tua saggezza, Aurora. Ecco qui il duca. Signore, ancora alzato? Al mio stato devo, per la lunga assenza, questi segni di affetto, anche se voi stessa e il conte l’avete retto benissimo: lo attesta questa lettera piena di gratitudine. Tutti mi lodano qui i meriti di voi due. Questi elogi, signore, vanno al conte, non a me; senza adulazione dico che in ogni alta impresa mostra eroico valore, tanto forte quanto accorto: è stato un vostro ritratto. So che m’ha rappresentato bene in ogni occasione, e da voi è stato trattato come me stesso: e di questo io vi prometto, signora, la dovuta ricompensa. Una nuova petizione porto, signore, di Aurora. Carlo la domanda in moglie, lei acconsente, ed io vi prego di esaudirla. Credo che nella richiesta lo ha preceduto qualcuno che gli è superiore in tutto. Il conte – che è appena uscito – me l’ha domandata or ora. 1069
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¿El conde ha pedido a Aurora? Sí, Casandra. ¿El conde? Sí. Solo de vos lo creyera. Y así, se la pienso dar: mañana se han de casar. Será como Aurora quiera. Perdóneme vuestra alteza; que el conde no será mío. (¿Qué espero más? ¿Qué porfío?) Pues, Aurora, en gentileza entendimiento y valor, ¿no vence al marqués? No sé. Cuando quise y le rogué él me despreció, señor; y agora que él quiere, es justo que yo le desprecie a él. Hazlo por mí, no por él. El casarse ha de ser gusto; yo no le tengo del conde.
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¡Extraña resolución! Aurora tiene razón, aunque atrevida responde. No tiene, y ha de casarse, aunque le pese. Señor, no uséis del poder; que amor es gusto, y no ha de forzarse. Vase el duque.
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Il conte ha richiesto Aurora? Sì, Cassandra. Il conte? Sì. Solo da voi posso crederlo. Ed io do il mio consenso. Domani si sposeranno. Sarà come Aurora vuole. Mi perdoni vostra altezza, ma io non sposerò il conte. (Che altro cerco? Perché insisto?) Dunque, Aurora, in eleganza, in saggezza ed in valore non è meglio del marchese? Non lo so. Ma quando io lo amavo, e glielo dissi, lui mi rifiutò, signore; ora è lui che vuole, ed ora tocca a me di rifiutarlo. Fallo per me, non per lui. Ci si sposa per gusto: io non ce l’ho per il conte. Esce Aurora.
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Che strana risoluzione! Aurora ha ragione, anche se risponde troppo d’impeto. No, non l’ha. E suo malgrado lo sposerà. Non usate l’autorità, signore: l’amore è un fatto di gusto: non lo si può comandare! Esce il Duca.
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¡Ay de mí, que se ha cansado el traidor conde de mí! Entre el conde. FEDERICO CASANDRA
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¿No estaba mi padre aquí? ¿Con qué infame desenfado, traidor Federico, vienes, habiendo pedido a Aurora al duque? Paso, señora; mira el peligro que tienes. ¿Qué peligro, cuando estoy, villano, fuera de mí? ¿Pues tú das voces ansí?
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Entre el duque, acechando. DUQUE
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Buscando testigos voy. Desde aquí quiero escuchar; que aunque mal tengo de oír, lo que no puedo sufrir es lo que vengo a buscar. Oye, señora, y repara en tu grandeza siquiera. ¿Cuál hombre en el mundo hubiera que cobarde me dejara, después de haber obligado con tantas ansias de amor a su gusto mi valor? Señora, aún no estoy casado. Asegurar pretendí al duque, y asegurar nuestra vida, que durar no puede, Casandra, ansí. Que no es el duque algún hombre
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Ohimè, si è già stancato di me, quel traditore! Entra il Conte. FEDERICO CASSANDRA
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Non era qui mio padre? Con che infame impudenza traditore Federico, vieni qua dopo aver chiesto la mano d’Aurora al duca! Parla piano, signora! Bada che corri pericolo! Che mi importa del pericolo! Io sono fuori di me! Ma non gridare così! Entra il Duca, di nascosto, per ascoltare.
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Sto cercando delle prove. Voglio ascoltare da qui: anche se origliare è male, ancora più intollerabile è quel che vengo a cercare. Ascolta, signora, e almeno tieni conto del tuo grado. Quale altro uomo al mondo mi poteva lasciare, da codardo, dopo avermi indotta al suo piacere con tante ansie d’amore! Non sono sposato ancora! Io ho soltanto cercato di tranquillizzare il duca per mettere al sicuro le nostre vite; così non possiamo continuare! Perché il duca non è uomo 1073
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de tan baja condición, que a sus ojos, ni es razón, se infame su ilustre nombre. Basta el tiempo que tan ciegos el amor nos ha tenido. ¡Oh, cobarde, mal nacido! Las lágrimas y los ruegos hasta hacernos volver locas, robando las honras nuestras, que de las traiciones vuestras, cuerdas se libraron pocas, ¿agora son cobardías? Pues, perro, sin alma estoy. (Si aguardo, de mármol soy. ¿Qué esperáis, desdichas mías? Sin tormento han confesado... pero sin tormento no; que claro está que soy yo a quien el tormento han dado. No es menester más testigo: confesaron de una vez. Prevenid, pues sois juez, honra, sentencia y castigo. Pero de tal suerte sea que no se infame mi nombre: que en público siempre a un hombre queda alguna cosa fea. Y no es bien que hombre nacido sepa que yo estoy sin honra, siendo enterrar la deshonra como no haberla tenido; que aunque parece defensa de la honra el desagravio,
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di sì bassa condizione da tradirlo sotto gli occhi; né è giusto che si infami il suo nome così illustre. Finì il tempo in cui l’amore ci ha tenuto così ciechi. Ah, maledetto, vigliacco! E adesso le chiami indegne le lagrime e le preghiere che voi, uomini, adoprate fino a farci impazzire, e infangare il nostro onore, ché dai vostri tradimenti solo poche, sagge, scampano! Cane, son fuori di me! (Son di marmo, se mi domino! Che attendete, o mie disgrazie! Senza tortura l’han detto! Ma no, non senza tortura, perché sono proprio io quello che hanno torturato. Non importano altre prove: l’hanno confessato chiaro! Onore, voi siete giudice, preparate la sentenza ed il castigo. Ma sia tale da non infamare il mio nome, che se è pubblico rimane sempre una macchia. Nessuno deve sapere che m’hanno tolto l’onore; seppellire il disonore equivale ad annullarlo. La vendetta può sembrare la difesa dell’onore,
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no deja de ser agravio cuando se sabe la ofensa.) Vase. CASANDRA FEDERICO
CASANDRA FEDERICO CASANDRA
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¡Ay, desdichadas mujeres! ¡Ay, hombres falsos sin fe! Digo, señora, que haré todo lo que tú quisieres, y esta palabra te doy. ¿Será verdad? Infalible. Pues no hay a amor imposible. Tuya he sido y tuya soy; no ha de faltar invención para vernos cada día. Pues vete, señora mía, y pues tienes discreción, finge gusto, pues es justo, con el duque. Así lo haré sin tu ofensa; que yo sé que el que es fingido no es gusto.
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Vanse los dos. Entren Aurora y Batín. BATÍN
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Ya he sabido, hermosa Aurora, que ha de ser, o ya lo es, tu dueño el señor marqués, y que a Mantua os vais, señora, y así os vengo a suplicar que allá me llevéis. Batín, mucho me admiro. ¿A qué fin al conde quieres dejar?
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ma, conosciuta l’offesa, poi ne resta la vergogna.) Esce. CASSANDRA FEDERICO CASSANDRA FEDERICO CASSANDRA
FEDERICO
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Le donne, che disgraziate! Che falsi e perfidi, gli uomini! Ti giuro: farò, signora, tutto quello che vorrai. Ed è vero? Senza dubbio. Niente è all’amore impossibile. Tua sono stata e tua sono; e troveremo il modo per vederci tutti i giorni. Vai, dunque, signora mia, e dato che sei prudente fingi piacere col duca, come è giusto. Lo farò, senza offenderti; se è finto, io lo so, non è piacere. Escono tutti e due. Entrano Aurora e Batín.
BATÍN
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Ho saputo, bella Aurora, che il marchese diverrà – se non lo è già – tuo marito, e che con lui andrai a Mantova. Così vengo a supplicarti di portarmi là con te. Batín, mi sorprendi molto. Perché vuoi lasciare il conte?
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Servir mucho y medrar poco es un linaje de agravio que al más cuerdo, que al más sabio o le mata o vuelve loco. Hoy te doy, mañana no, quizá te daré después... Yo no sé quizá quién es; mas sé que nunca quizó. Fuera de esto, está endiablado el conde. No sé qué tiene: ya triste, ya alegre viene, ya cuerdo, ya destemplado. La duquesa, pues, también insufrible y desigual; pues donde va a todos mal, ¿quieres que me vaya bien? El duque, santo fingido, consigo a solas hablando, como hombre que anda buscando algo que se le ha perdido. Toda la casa lo está: contigo a Mantua me voy. Si yo tan dichosa soy que el duque a Carlos me da, yo te llevaré conmigo. Beso mil veces tu pies, y voy a hablar al marqués.
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Vase y entra el duque. DUQUE
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(¡Ay, honor, fiero enemigo! ¿Quién fue el primero que dio tu ley al mundo, y que fuese mujer quien en sí tuviese tu valor, y el hombre no?
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Molto servire e poco guadagnare è un guaio grosso, e il più saggio ed il più furbo o ci muore, o n’esce pazzo. Oggi do, domani no, forse dopo ti darò: io non so «forse» cos’è; so che non ho più le «forze» Oltre a ciò il conte mi sembra proprio come indiavolato. Non so proprio cosa abbia: ora è triste ed ora allegro, ora è savio, ora è stravolto. E la duchessa, anche lei è insopportabile e strana; così, se tutto va male, vuoi che a me mi vada bene? Il duca, santo fasullo, gira parlando da solo, come un uomo alla ricerca di qualcosa che ha perduto. Perduta è tutta la casa. E io vengo con te a Mantova! Se son tanto fortunata che il duca mi dia a Carlo, sì, ti porterò con me. Ti bacio i piedi, signora, e corro a dirlo al marchese. Esce, ed entra il Duca.
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(Onore, nemico atroce! Chi fu il primo che dettò la tua legge al mondo, e disse che a custodire il tuo bene fosse la donna e non l’uomo?
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AURORA DUQUE
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Pues sin culpa el más honrado te puede perder, honor; bárbaro legislador fue tu inventor, no letrado. Mas dejarla entre nosotros muestra que fuiste ofendido, pues esta invención ha sido para que lo fuesen otros.) ¡Aurora! ¿Señor? Ya creo que con el marqués te casa la duquesa, y yo a su ruego; que más quiero contentarla que dar este gusto al conde. Eternamente obligada quedo a servirte. Bien puedes decir a Carlos que a Mantua escriba al duque, su tío. Voy donde el marqués aguarda tan dichosa nueva.
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Vase Aurora. DUQUE
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Cielos, hoy se ha de ver en mi casa no más de vuestro castigo. Alzad la divina vara. No es venganza de mi agravio; que yo no quiero tomarla en vuestra ofensa, y de un hijo ya fuera bárbara hazaña. Este ha de ser un castigo vuestro, no más, porque valga para que perdone el cielo el rigor por la templanza.
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Onore, anche il più degno senza colpa ti può perdere: chi t’inventò fu un incolto e barbaro legislatore! Questa legge che ci hai imposto mostra che tu fosti offeso, e hai trovato così il modo che anche gli altri lo fossero!) Aurora! Signore! Vedo che col marchese ti sposa la duchessa, ed io acconsento: preferisco contentare lei, piuttosto che il conte. Eternamente obbligata al tuo servizio... Ora puoi dire a Carlo che lo scriva al duca suo zio a Mantova. Vado a dare la felice notizia al marchese. Esce Aurora.
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Oh, cielo! oggi la mia casa veda il tuo castigo soltanto! Alza il tuo divino scettro! Io non voglio vendetta dell’offesa, che effettuarla contro di te, e contro un figlio, sarebbe un’impresa barbara. Questo ha da essere un castigo tuo, non altro, e che sia il mio rigore clemenza degna di pietà divina. 1081
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Seré padre, y no marido, dando la justicia santa a un pecado sin vergüenza un castigo sin venganza. Esto disponen las leyes del honor, y que no haya publicidad en mi afrenta, con que se doble mi infamia. Quien en público castiga, dos veces su honor infama, pues después que le ha perdido, por el mundo le dilata. La infame Casandra dejo de pies y manos atada, con un tafetán cubierta, y por no escuchar sus ansias, con una liga en la boca; porque al decirle la causa, para cuanto quise hacer me dio lugar, desmayada. Esto aun pudiera, ofendida, sufrir la piedad humana; pero dar la muerte a un hijo, ¿qué corazón no desmaya? Solo de pensarlo, ¡ay triste!, tiembla el cuerpo, expira el alma, lloran los ojos, la sangre muere en las venas heladas, el pecho se desalienta, el entendimiento falta, la memoria está corrida y la voluntad turbada. Como arroyo que detiene el hielo de noche larga, del corazón a la boca prende el dolor las palabras.
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Sarò padre, non marito; la santa giustizia dia a una colpa vergognosa non vendetta, ma castigo. Questo esigono le leggi dell’onore, e non si faccia clamore intorno al mio affronto che raddoppi il mio abominio: chi punisce apertamente due volte infama il suo onore, se dopo averlo perduto lo proclama per il mondo. Ecco, ho lasciato Cassandra legata mani e piedi e ricoperta d’un panno, con un bavaglio alla bocca per non udirne i lamenti; mentre le dicevo quello che volevo fare, lei ha perso i sensi, è caduta, e tutto è stato più facile. La pietà umana, se offesa, questo lo può sopportare. Ma dare la morte a un figlio... con che cuore si può reggere? Solo al pensarlo, ohimè, trema il corpo spira l’anima, piangono gli occhi, il sangue mi si gela nelle vene, il petto più non respira, il senno mi si ottenebra, la memoria si vergogna, e la volontà è turbata. Come un torrente, che il gelo rapprende in una nottata, dal cuore alle labbra ghiaccia il dolore le parole. 1083
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO
¿Qué quieres, amor? ¿No ves que Dios a los hijos manda honrar los padres, y el conde su mandamiento quebranta? Déjame, amor, que castigue a quien las leyes sagradas contra su padre desprecia, pues tengo por cosa clara que si hoy me quita la honra, la vida podrá mañana. Cincuenta mató Artajerjes con menos causa, y la espada de Dario, Torcato y Bruto ejecutó sin venganza las leyes de la justicia. Perdona, amor; no deshagas el derecho del castigo, cuando el honor, en la sala de la razón presidiendo, quiere sentenciar la causa. El fiscal verdad le ha puesto la acusación, y está clara la culpa; que ojos y oídos juraron en la probanza. Amor y sangre, abogados le defienden; mas no basta; que la infamia y la vergüenza son de la parte contraria. La ley de Dios, cuando menos, es quien la culpa relata, su conciencia quien la escribe. Pues ¿para qué me acobardas? Él viene. ¡Ay, cielos, favor!
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Che vuoi, tu, amore? Non vedi che Dio comanda ai figli d’onorare il padre, e il conte ha infranto il comandamento? Lascia, o amore, che castighi chi sprezza le leggi sacre a danno del proprio padre, perché mi pare evidente che se oggi mi leva l’onore domani mi toglie la vita. Cinquanta n’uccise Artaserse per molto meno, e le spade di Dario, Torquato e Bruto senza vendetta applicarono le leggi della giustizia. Scusa, amore, non opporti al diritto del castigo, se è l’onore che presiede nell’aula della ragione ed emette la sentenza. Verità, pubblica accusa, dettò la requisitoria; la colpa è certa: occhi e orecchi ne sono i testi giurati. Amore e sangue, avvocati, la difendono, ma è inutile, perché l’onta e la vergogna stanno dalla parte avversa. La stessa legge di Dio elenca i capi d’accusa, la coscienza è cancelliere; perché, allora, mi trattieni? Eccolo. Il cielo m’aiuti.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO
Entre el conde. FEDERICO
DUQUE
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Basta que en palacio anda pública la fama, señor, que con el marqués Gonzaga casas a Aurora, y que luego se parte con ella a Mantua. ¿Mándasme que yo lo crea? Conde, ni sé lo que tratan, ni he dado al marqués licencia; que traigo en cosas más altas puesta la imaginación. Quien gobierna, mal descansa. ¿Qué es lo que te da cuidado? Hijo, un noble de Ferrara se conjura contra mí con otros que le acompañan. Fiose de una mujer, que el secreto me declara: ¡necio quien de ellas se fía, discreto quien las alaba! Llamé al traidor, finalmente; que un negocio de importancia dije que con él tenía; y cerrado en esa cuadra le dije el caso, y apenas le oyó, cuando se desmaya. Con que pude fácilmente en la silla donde estaba atarle, y cubrir el cuerpo, porque no viese la cara quien a matarle viniese, por no alborotar a Italia. Tú has venido, y es más justo hacer de ti confïanza, para que nadie lo sepa.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO TERZO
Entra il conte FEDERICO
DUCA
FEDERICO DUCA
A palazzo si è diffusa la notizia, mio signore, che tu al marchese Gonzaga dai in sposa Aurora, e i due poi partiranno per Mantova. Mi dici che devo crederlo? Conte, non so quel che dicono, né ho dato al marchese assenso, perché a cose ben più alte è rivolto il mio pensiero. Chi governa non ha tregua. Che cos’è che ti preoccupa? Un nobile di Ferrara sta tramando una congiura contro di me, insieme ad altri. Ne ha parlato ad una donna che m’ha rivelato tutto: chi si fida delle donne è uno sciocco; saggio, invece, chi si limita a lodarle. Ho chiamato il traditore con la scusa d’un affare importante da discutere; chiuso qui, in questa stanza, gli ho parlato, e appena lui capisce, crolla svenuto. Così m’è stato più facile legarlo sopra una sedia e coprirgli il corpo in modo che non ne veda il volto chi venisse ad ucciderlo, e l’Italia non si turbi. Sei giunto tu, ed è giusto che io affidi questo caso a te, e nessuno lo sappia. 1087
LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO
FEDERICO
DUQUE
FEDERICO
DUQUE FEDERICO
DUQUE FEDERICO
Saca animoso la espada, conde, y la vida le quita; que a la puerta de la cuadra quiero mirar el valor con que mi enemigo matas. ¿Pruébasme acaso, o es cierto que conspirar intentaban contra ti los dos que dices? Cuando un padre a un hijo manda una cosa, injusta o justa, ¿con él se pone a palabras? Vete, cobarde; que yo... Ten la espada, y aquí aguarda; que no es temor, pues que dices que es una persona atada. Pero no sé qué me ha dado, que me está temblando el alma. Quédate, infame... Ya voy; que pues tú lo mandas, basta. Pero, ¡vive Dios!... ¡Oh, perro! Ya voy... Detente... y si hallara el mismo César le diera por ti ¡ay Dios! mil estocadas.
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[Vase.] DUQUE
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Aquí lo veré; ya llega; ya con la punta la pasa. Ejecute mi justicia quien ejecutó mi infamia. ¡Capitanes! ¡Hola, gente! ¡Venid los que estáis de guarda! ¡Ah caballeros, criados! ¡Presto!
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO TERZO
FEDERICO
DUCA
FEDERICO
DUCA FEDERICO DUCA FEDERICO
Sguaina, intrepido, la spada, conte, e dagli la morte; dalla porta della stanza voglio ammirare il valore con cui uccidi il mio nemico. Vuoi sottopormi a una prova, o è proprio vero che osavano questi due che m’hai detto cospirare contro te? Quando un padre ordina a un figlio una cosa, giusta o ingiusta, non è lecito discuterne. Vai, codardo, oppure io... No, non sguainare la spada, che non è timore il mio: non hai detto che è legato? Ma mi ha preso non so cosa che mi fa tremare l’anima. E allora resta qui, infame. No, vado: tu lo comandi!... Ma, perdio... però... Ah, cane! Vado... Aspetta... E se trovassi Cesare stesso, darei per te, oh Dio!... mille stoccate! [Esce Federico.]
DUCA
Da qui lo vedrò. Si accosta, la trapassa con la spada... La mia giustizia ha eseguito chi ha causato la mia infamia. Capitani! Gente, olà! A me soldati di guardia! Ah, cavalieri, famigli! Presto!
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO
Entren el marqués, Aurora, Batín, Ricardo y todos los demás que se han introducido. MARQUÉS DUQUE
MARQUÉS DUQUE MARQUÉS DUQUE
¿Para qué nos llamas, señor, con tan altas voces? ¿Hay tal maldad? A Casandra ha muerto el conde, no más de porque fue su madrastra, y le dijo que tenía mejor hijo en sus entrañas para heredarme. ¡Matalde, matalde! El duque lo manda. ¿A Casandra? Sí, marqués. Pues no volveré yo a Mantua sin que la vida le quite. Ya con la sangrienta espada sale el traidor.
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Salga el conde. FEDERICO
DUQUE MARQUÉS FEDERICO DUQUE
AURORA
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¿Qué es aquesto? Voy a descubrir la cara del traidor que me decías, y hallo... No prosigas, calla. ¡Matalde, matalde! ¡Muera! ¡Oh, padre! ¿Por qué me matan? En el tribunal de Dios, traidor, te dirán la causa. Tú, Aurora, con este ejemplo parte con Carlos a Mantua, que él te merece, y yo gusto. Estoy, señor, tan turbada, que no sé lo que responda.
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO TERZO
Entrano il Marchese, Aurora, Batín, Riccardo e tutti gli altri che sono già comparsi. MARCHESE DUCA
MARCHESE DUCA MARCHESE DUCA
Perché ci chiami, signore, con grida tali? Ah, che cosa orrenda... Il conte ha ucciso Cassandra, solo perché era la sua matrigna e gli ha detto che recava in seno un figlio legittimo come mio erede. Uccidetelo!... Uccidetelo! È un ordine! Cassandra? Lei, marchese. Non ritornerò a Mantova senza prima averlo ucciso. Con la spada insanguinata ecco il vile. Entra il Conte.
FEDERICO
DUCA MARCHESE FEDERICO DUCA
AURORA
Che è successo? Andai a scoprire il volto del traditore che hai detto e vedo... Non dirlo, taci! Uccidetelo! Che muoia! Padre mio! Perché mi uccidono? Nel tribunale di Dio te ne diranno la causa. Tu, Aurora, con questo esempio parti con Carlo per Mantova, che ti merita, e a me piace. Sono, signore, sconvolta, e non so cosa risponderti.
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LOPE DE VEGA EL CASTIGO SIN VENGANZA, ACTO TERCERO BATÍN AURORA
Di que sí; que no es sin causa todo lo que ves, Aurora. Señor, desde aquí a mañana te daré respuesta.
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Salga el marqués. MARQUÉS DUQUE
Ya queda muerto el conde. En tanta desdicha, aun quieren los ojos verle muerto con Casandra.
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Descúbralos. MARQUÉS DUQUE
BATÍN
Vuelve a mirar el castigo sin venganza. No es tomarla el castigar la justicia. Llanto sobra, y valor falta. Pagó la maldad que hizo por heredarme. Aquí acaba, senado, aquella tragedia del castigo sin venganza que, siendo en Italia asombro, hoy es ejemplo en España. Fin de la comedia
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LOPE DE VEGA NON È VENDETTA IL CASTIGO, ATTO TERZO BATÍN AURORA
Di’ di sì; ha una ragione quello che tu vedi, Aurora. Signore, da qui a domani, ti darò la mia risposta. Entra il Marchese.
MARCHESE
Il conte è morto.
DUCA
In tanta disgrazia, i miei occhi vogliono vederlo morto con Cassandra. Li scoprono.
MARCHESE DUCA
BATÍN
Contempla dunque il castigo senza vendetta. Non lo è se è la giustizia a punire. Troppo desidero piangere e non riesco a resistere. Così ha pagato la colpa di volermi ereditare. Qui termina, o spettatori, quella famosa tragedia non è vendetta il castigo, che fu sgomento in Italia ed ora in Ispagna è esempio. Fine della commedia
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Tirso de Molina
La vita e le opere
Tirso de Molina è lo pseudonimo con cui diventerà famoso Gabriel Téllez, primo volontario velo sotto il quale si cela una figura non sempre decifrabile. Basti pensare che dal 1928 si viene discutendo la sua data di nascita e la sua genealogia, da quando Blanca de los Ríos dichiarò di aver rintracciato presso la parrocchia di San Ginés di Madrid il suo certificato di battesimo, che lo voleva addirittura figlio del Duca di Osuna. E mentre una serie di studiosi, con fondate argomentazioni, mette in dubbio la veridicità del documento, questa ghiotta notizia serve addirittura a suffragare interpretazioni di tipo psicoanalitico, che rilevano nelle sue commedie l’amarezza propria di un figlio naturale e rinnegato; fino a quando Luis Vázquez ha rintracciato il documento che attesta la nascita di Gabriel Téllez, di Andrés López e Juana Téllez, residenti in Calle de la Magdalena, fissandola al 29 marzo 1579, giorno di San Gabriele.1 Entrato nel 1601 come novizio del convento della Merced di Guadalajara, inizia nel 1606 a scrivere per il teatro; esordio tutt’altro che precoce, specie se confrontato con quello di Lope. Egli si trova in quel momento a Toledo, dove continuerà a risiedere saltuariamente, tra i vari viaggi determinati da una carriera ecclesiastica soddisfacente: si recherà in Galizia, a Siviglia, nelle colonie (Santo Domingo). Ritornerà in patria nel 1618, con un ricco bagaglio di esperienze americane, che si rifletterà nelle sue operazioni letterarie. La sempre più brillante carriera all’interno dell’Ordine lo porta a Salamanca, poi dal 1620 a Madrid. Istallato nel monastero di Nuestra Señora de la Merced, Tirso partecipa attivamente alla vivace vita letteraria della capitale, alle celebrazioni poetiche in onore di San Isidro, Santa Teresa, Sant’Ignazio di Loyola, San Franci1097
TIRSO DE MOLINA
sco Xavier, interviene in volumi miscellanei, prepara indirizzi laudatori. Presso i due corrales della Cruz e del Príncipe debuttano sue commedie, mentre nel 1621 completa la stesura della sua prima opera narrativa Los Cigarrales de Toledo (I giardini di Toledo), che pubblicherà nel 1624. Ma nel 1625 la Junta de Reformación non solo suggerisce che si neghi il permesso di stampare in Castiglia libri di intrattenimento, come si sa, ma stila contro Tirso una dura censura, in quanto autore di «commedie profane» e ne sollecita l’allontanamento dalla capitale. Per fortuna la delibera non diviene operante: Tirso ha protettori autorevoli, e basta che si allontani da Madrid e si rechi a Siviglia, dove si terrà il Capitolo Provinciale dei mercedari dell’Andalusia, per far placare lo scandalo. Addirittura negli Atti della Congregazione si inserisce una clausola, ricordando come le cause in cui fossero implicati religiosi non potevano essere discusse da tribunali laici: una mossa per sottrarre il commediografo alla giurisdizione della Junta? Tuttavia dal 1625 in avanti Tirso scriverà solo sporadicamente commedie: gli anni a venire sono dedicati a opere erudite. Nel 1632 termina il Deleitar aprovechando (Ricreare ultilmente), che utilizza a fini didattici lo schema del Decamerone: durante un carnevale, per intrattenersi piamente senza commettere eccessi, alcune dame e cavalieri si riuniscono e si dilettano ascoltando autos, novelle sulla vita di santi, considerazioni devote e così via. Nel 1632 è nominato Cronista generale della Merced e «Definidor» della Provincia di Castiglia. Il primo dei due incarichi assorbe tutto il suo tempo: anche se si stanno stampando le Parti delle sue commedie, Tirso appare sempre più lontano dal teatro. L’ultima commedia conosciuta, Las Quinas de portugal (Lo stemma portoghese), reca la data del 1638. Nel 1639 termina la Historia general de la Merced; viene nominato «maestro» da un breve di Urbano VIII; transitoriamente confinato a Cuenca, passa gli ultimi anni della sua esistenza come Comendador del convento di Soria e Definidor della Provincia di Castiglia. Il 24 febbraio 1648 nel convento di Segovia si dicono messe per l’anima di fra’ Gabriel Téllez, che è morto nella città di Alazán. Oltre la biografia, anche il corpus drammatico di Tirso pare presentare alcuni problemi.2 Durante la sua vita appaiono infatti 5 Parti di commedie, che tuttavia non risultano pienamente affidabili. La Primera parte è anteriore al 1635; appare quindi nel periodo di divieto di stampare com1098
LA VITA E LE OPERE
medie in Castiglia; infatti le due edizioni che se ne conoscono, del 1627 e del 1631, uscirono a Siviglia e Valenza. La Segunda parte poté invece essere edita a Madrid; le commedie vi si dicono «riunite da suo nipote don Francisco Lucas de Ávila». Paradossalmente questa seconda parte appare nel 1635, quindi un anno dopo la Parte tercera, che è del 1634; nello stesso anno della Cuarta parte. Del 1636 è infine la Quinta parte, ultima di questa serie specifica di Tirso. Il problema è costituito proprio dalla seconda parte, che comprende un’opera portante come El condenado por desconfiado, e che presenta una dedica polemica e sibillina: Dedico, de estas doce comedias, cuatro, que son mías, en mi nombre, y en el de sus dueños las otras ocho (que no sé por qué infortunio suyo, siendo hijas de tan ilustres padres, las echaron a mis puertas), las que restan.3
La dichiarazione è stata quasi sempre interpretata come un rifiuto delle otto misteriose commedie, che Tirso non identifica esplicitamente. Ma perché, se non sue, egli si sarebbe preso la briga di raccoglierle e pubblicarle? E perché non le avrebbe identificate? Non si dovrà leggere nella dedica un’ironica rivendicazione di opere che erano corse, magari in redazioni diverse, sotto nomi e paternità false? La proposta di un problema del genere valga a sottolineare le difficoltà ad orientarsi nel mare magnum del teatro aureo. Il corpus di Tirso è abbastanza sostanzioso: una sessantina di commedie; senza arrivare all’esuberanza di quello di Lope, o alla solida consistenza di quello calderoniano, esso appare di tutto rispetto. E gli stessi problemi di paternità non sembrerebbero inusitati o rilevanti, rispetto a quelli coevi, se essi non coinvolgessero anche un testo come El burlador de Sevilla, destinato a rivestire connotati mitici. La commedia spagnola appare già matura e consolidata quando Tirso la coltiva. Egli ne sposa tutte le caratteristiche, sia quelle esterne, come la polimetria, sia quelle funzionali allo sviluppo dell’intreccio, come ad esempio l’agnizione, sia la presenza di personaggi consacrati, come il gracioso, sia le tematiche: l’amore contrastato, la gelosia, l’onore offeso. Anzi i meccanismi convenzionali vengono incrementati ed esaltati da una maniera teatrale che tenta le due vie segnate dalla prassi teatrale barocca. Tirso coltiverà da un lato la commedia storica (La prudencia en la mujer: 1099
TIRSO DE MOLINA
La prudenza nella donna; la trilogia dei Pizarros), quella agiografica come La venganza de Tamar (La vendetta di Tamar, di argomento biblico), o la Santa Juana; dall’altra parte le commedie di intreccio come El vergonzoso en palacio (Il timido a corte), Marta la piadosa (Marta la devota), Don Gil de las calzas verdes (Don Gil dalle calze verdi). Un teatro tanto calcato sul cliché di Lope che pare incredibile si sia voluto distinguerlo in virtù di una accentuata «indagine psicologica», con fiumi di inchiostro versati pro e contro la «verosimiglianza» dei personaggi femminili, e sulla maggiore abilità di Tirso nel disegnarli. Siamo invece addirittura in presenza del fenomeno contrario, quello della rappresentazione archetipica: il timido per amore, la fanciulla ipocrita, la matrona prudente, e così via. Tirso se mai si distingue proprio perché tipizza al massimo situazioni, personaggi, scene, allestendo un teatro che si basa non certo sull’imitazione della «vita» o dei «costumi», ma sull’osservazione del teatro precedente. Ciò produce al tempo stesso una sensazione di iperrealtà e di straniamento, e genera la sostanziale ambiguità dei suoi testi, che ha portato alle analisi critiche più diverse. Basti pensare al meccanismo dell’intreccio, tanto calibrato che è stato addirittura definito «cinematografico», eppure tanto intessuto tra i vari materiali teatrali che si è potuto sostenere che esso è completamente assente.4 E ancor più evidente risulta la sua «letterarietà», nel senso migliore del termine, quando si esaminino le caratteristiche della forma dell’espressione. Innanzi tutto lo sperimentalismo linguistico, palese nell’uso dei gerghi: chiari meccanismi letterari presiedono l’impiego del sayagués, il dialetto delle campagne di Salamanca, linguaggio tradizionale dei villici teatrali.5 In virtù di questo valore stereotipo, che lo allontana vertiginosamente da un’ipotetica «osservazione della realtà», il convenzionale vernacolo contadinesco può convivere con punte massime di accettazione del gongorismo, usato con compiacimento e sottile raffinatezza da Tirso, e non solo nel teatro.6 I frammenti gongorini acquistano una precisa funzionalità teatrale all’interno di una situazione scenica, la stessa funzionalità che sorregge i giochi di parole basati su omofonie, dilogie, ecc.; barzellette abbastanza abituali sulle scene barocche, che ricordano addirittura l’avanspettacolo, momento essenziale dei meccanismi che provocano la risata.7 La tentazione al gioco di parole affiora anche nei luoghi che potrebbero essere definiti patetici o drammatici, scardinan1100
LA VITA E LE OPERE
do l’eventuale compattezza «psicologica» del personaggio, a dimostrare che le preoccupazioni di Tirso sono ben diverse. Ricorderò come unico esempio, ma di valore probante, La venganza di Tamar: quando la protagonista lamenta lo stupro da parte del fratello può indulgere all’equivoco «fiore/deflorare». Così i dati letterari si integrano a costituire il testospettacolo barocco, di cui si vorrebbe sapere di più. E dove la dinamica scenica meglio traspare attraverso il testo letterario è nel momento dell’apparenza che nasconde la verità, cioè nel travestimento, usato con assoluta sicurezza ed abilità. Non solo esso è parte integrante del meccanismo scenico che sostiene l’intreccio; il personaggio è il suo attore, e ancor più esternamente il suo vestito: la falsamente devota Marta la piadosa viene identificata nel suo atteggiamento ipocrita attraverso l’abito; il nobile può diventare villico rivestendone i panni; e così via. Tirso si appropria di questo espediente teatrale con la voracità di chi indulge all’ambiguità, quella stessa messa in atto nei prologhi delle sue Partes, e che si può individuare dietro la medesima scelta dell’arcaico pseudonimo. Infine l’elemento teatrale fondamentale, lo spazio, viene accortamente utilizzato da Tirso; portante è spesso l’opposizione tra città/campagna; ed essenziale appare, per esempio, la geografia urbana in Por el sotano y el torno (Nella cantina e nella ruota). E nello spazio si risolve e si unifica quel gioco temporale che è stato messo in rilievo nella sua commedia.8 Spazio, tempo, rottura dell’«apparenza» tramite il travestimento, diventano così elementi privilegiati del montaggio dell’intreccio, punto di partenza e di arrivo della macchina della commedia, servita da squarci gongorini, usi gergali, giochi di parole, insomma da tutti i marchingegni espressivi a disposizione di un accorto artefice della parola, che intesse il suo testo letterario attento al testo spettacolo che ne deriverà.9 MARIA GRAZIA PROFETI
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El vergonzoso en Palacio Il timido a Palazzo Testo spagnolo a cura di GIULIA POGGI e FREJ MORETTI Nota introduttiva, traduzione e note di GIULIA POGGI
Nota introduttiva
1. Il primo commento al Vergonzoso en palacio, una delle tre commedie che il maestro Tirso de Molina inserì nei Los cigarrales de Toledo, si deve ai protagonisti stessi di quest’opera miscellanea i quali, dopo avere assistito alla sua rappresentazione, inscenano una discussione di taglio teorico a proposito del ruolo che vi giocano i suoi due nobili protagonisti. Il primo (il duca di Coimbra), perché non rispondente ai dati storici e il secondo (il duca di Avero), perché coinvolto nel comportamento non proprio ineccepibile delle sue due figlie: Pedante hubo historial que afirmó merecer castigo el poeta que, contra la verdad de los anales portugueses, había hecho pastor al duque de Coimbra don Pedro siendo así que murió en una batalla que el rey don Alfonso, su sobrino, le dio, sin que le quedase un hijo sucesor en defensa de la casa de Avero y su gran duque, cuyas hijas pintó tan desenvueltas que, contra las leyes de su honestidad, hicieron teatro de su poco recato la inmunidad de su jardín […].1
Critiche cui non mancano di controbattere i difensori di quei principi che, già affermati da Lope de Vega nel celebre libello del 1609, verranno indirettamente ribaditi, nel secondo atto della commedia stessa, da una delle sue due protagoniste femminili. Scritta probabilmente fra il 1610 e il 1613, e dunque negli anni immediatamente successivi all’Arte nuevo (anche se pubblicata solo nel 1624, data della prima edizione dei Cigarrales), El vergonzoso en palacio si costruisce, in effetti, su un duplice intreccio – politico e amoroso – in cui si innesta una fenomenologia di tipo caratteriale. Un carattere senza profondità psicologica, s’intende, e 1105
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO
che tuttavia, come altri del repertorio di Tirso de Molina (penso al Melancólico o allo stesso Burlador), costituisce il motore dell’azione su cui cresce la commedia, la cui trama può riassumersi brevemente. Mireno, figlio del pastore Lauro (sotto le cui spoglie si nasconde il duca di Coimbra, esiliato per intrighi politici) decide, mosso da un anelito di grandezza cui ancora non sa dare un nome, di partirsene dai monti per cercare fortuna ad Avero. Durante il cammino, che intraprende in compagnia del fedele pastore Tarso, egli si imbatte in Ruy Lorenzo, ex segretario del duca d’Avero. Accompagnato dal lacchè Vasco, costui si è dato alla fuga in quanto reo di tradimento per aver tentato di uccidere il seduttore di sua sorella (il conte di Estremoz) contraffacendo la firma del duca. Conosciuta la triste vicenda, Mireno si offre di aiutare i due fuggiaschi scambiando i loro vestiti con quelli, rozzi, suoi e di chi lo accompagna. Ma sarà proprio questo scambio di abiti a far sorprendere e incarcerare i due. Ed è qui che entra in gioco la variabile amorosa: vedendo portare in prigione Mireno, Madalena, una delle due figlie del duca già promessa al conte di Vasconcelos, se ne innamora al punto da chiedere al padre di liberarlo e, una volta ottenuta la grazia, nominarlo suo segretario con la scusa di imparare a scrivere bene per poter degnamente comunicare con il suo promesso. Nel frattempo don Antonio de Barcelos, di passaggio ad Avero, si innamora dell’altra figlia del duca (Serafina, promessa a sua volta al conte di Estremoz) e ottiene, tramite i favori della compiacente cugina Juana, di restare a palazzo occupando il posto del fuggiasco Ruy Lorenzo. Alla fine né Madalena né Serafina sposeranno i loro antichi promessi: la prima perché riuscirà a far sì che Mireno, vincendo la ritrosia dovuta al suo supposto stato di inferiorità, si dichiari; la seconda perché cederà alle lusinghe di don Antonio, il quale, dopo aver commissionato a un pittore il suo ritratto mentre recita vestita da uomo, finge che esso rappresenti don Dionís de Coimbra, figlio del duca esiliato. L’agnitio finale vede riabilitare il duca di Coimbra ingiustamente esiliato e rivelare l’identità di Mireno, il cui vero nome (don Dionís) coinciderà, guarda caso, sia con quello che egli, dopo lo scambio di vestiti si era, per una sorta di premonizione, attribuito, sia con l’altro, fittizio, in cui, per poter essere ammesso alle grazie di Serafina, si era sdoppiato don Antonio. La commedia termina con una molteplicità di nozze: Madalena sposerà il suo timido don Dionís; Serafina don Antonio; il conte di Estremoz la sorella di Ruy Lorenzo il cui onore aveva 1106
NOTA INTRODUTTIVA
oltraggiato; Tarso, la pastora Melisa abbandonata per seguire Mireno nel suo viaggio verso il palazzo; donna Juana un virtuale pretendente assegnatole dal duca. 2. Questo il succedersi degli avvenimenti, il loro sapiente intrecciarsi fino al ribaltamento finale che prepara uno scenario del tutto diverso da quello che prometteva il primo atto. Tuttavia, per quanto così articolata e punteggiata da personaggi e situazioni che si intersecano a vicenda, la vera trama della commedia sta altrove: sta, come recita il suo titolo modellato su un detto che compare già nella Celestina («Al mozo vergonzoso el diablo le llevó a palacio»2) nella timidezza del suo protagonista; o meglio, in piena sintonia con la passione barocca per i contrasti, nella dialettica che la timidezza del suo protagonista stabilisce con l’intraprendenza della sua controparte femminile. È su questa inversione di ruoli che si sviluppa la fenomenologia caratteriale della commedia in cui la timidezza, che dovrebbe essere appannaggio delle donne, viene agita da un uomo e l’intraprendenza, riconosciuta prerogativa maschile, da una donna. Su questa sorta di psicomachia rovesciata delle forze che tradizionalmente presiedono alla dinamica amorosa si costruisce tutto il secondo atto e in parte il terzo. Distribuita su due simmetrici monologhi dei due principali protagonisti (Madalena e Mireno), essa mette in luce, oltre ai conflitti che li agitano intimamente, i divieti sociali che si frappongono alla realizzazione dei loro desideri. Ambedue si rivolgono al pensamiento; la prima per riflettere su quanto di nuovo è giunto a sconvolgere quello che sembrava un pacifico stato di quiete: ¿Qué novedades son estas, altanero pensamiento? ¿Qué torres sin fundamento tenéis en el aire puestas? ¿Cómo andáis tan descompuestas imaginaciones locas? (vv. 1111-16),
il secondo per dare corpo a una speranza che il suo stato di novello segretario non dovrebbe neppure arrivare a concepire:
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO
Pensamiento, ¿en qué entendéis? Vos a que a las nubes subís, decidme, ¿que colegís de lo que aquí visto habéis? (vv. 1359-62)
In un caso o nell’altro il monologo si apre in senso interrogativo e con un appello a quella metafora del volo che si connette alla dialettica alto/ basso serpeggiante in tutta la commedia. Metafora che si rafforzerà nella scena che suggella il secondo atto laddove, ormai segretario di Madalena, Mireno si illude per un attimo di poter essere da lei amato per esprimere subito dopo, ancora una volta affidandosi agli andirivieni del pensamiento, la sua delusione: ¿Luego no fue en mi favor, pensamiento lisonjero, sino porque sea tercero del conde? ¿Veis, loco amor, cuán sin fundamento y fruto torres habéis levantado de quimeras que ya han dado en el suelo? (vv. 2221-28)
Ricavata da una favola d’ispirazione esopica (quella, ripresa in un emblema di Alciato, dell’asino che crede rivolti a lui gli onori e non alla statua sacra che trasporta), l’esemplificazione che segue mette a fuoco la complessa problematica di Mireno/don Dionís, il cui agire irresoluto rimanda, più che a una questione di carattere, alla coscienza della sua inferiorità sociale. Così, sarà solo attraverso la finzione di un sogno a due voci inscenata da Madalena che egli avrà la conferma di essere ricambiato per poi ricadere, una volta disilluso da un detto destinato a diventare celebre («Don Dionís no creáis en sueños, / que los sueños sueños son», vv. 2963-64), nell’incertezza di sempre. Ed è proprio il conflitto tra timore e speranza (simmetrico a quello fra amore e onore che innerva i monologhi di Madalena) a dar vita alla trama sentimentale della commedia e al suo svilupparsi in concomitanza con quella politica. Un duplice conflitto che può riassumersi in un’unica fondamentale dicotomia: quella fra silenzio e parola. Di questa dicoto1108
NOTA INTRODUTTIVA
mia, frequente, come ha dimostrato Florence Béziat,3 nell’opera di Tirso, sarà ancora una volta Madalena a farsi carico in maniera crescente. Se già quando decide di affidare il posto di segretario a Mireno il silenzio cui la obbliga la sua condizione di nobile diventa un peso impossibile da sopportare («…Honor, huir / que revienta por salir / por la boca amor cobarde» ella esclama ai vv. 1356-58), più tardi, esasperata dalla timidezza di don Dionís («...Ciego infante, / ya que me habéis dado amante, / para qué me lo dais mudo?», vv. 2730-32), decide di romperlo grazie alla licenza che le concede il finto sogno. Una escalation cui fanno da contrappunto gli incerti passi del segretario («llego a hablalla, tengo el paso, / tira el miedo, impele amor / y cuando más me provoca / y a hablalla el alma comienza / enojada la vergüenza / llega y me tapa la boca», vv. 2631-36) dettati dalla timidezza e dal timore di perdere un insperato favore («¿no es mucho más acertado / aunque la lengua es muda / gozar un amor en duda / que un desdén averiguado?» vv. 2673-76). Ma se una delle due protagoniste femminili della commedia, attivando la dialettica tra silenzio e parola, suggerisce un’inversione di ruoli sessuali, l’altra, Serafina, finisce per riassumerli in se stessa, sdoppiando la sua personalità fino al punto di non riconoscersi più nel ritratto attraverso cui Antonio riuscirà a piegarla ai propri desideri. Elemento fondamentale anche nella dinamica che investe questa seconda coppia, la finzione non si attesta, ora, nei territori nebulosi del sogno, né si consuma nella vaghezza di affermazioni che svaniscono appena sopraggiunge lo stato di veglia, ma si manifesta tramite l’evidenza di mezzi che coinvolgono la vista quali il ritratto e la rappresentazione teatrale. Le due cose si sovrappongono nel secondo atto quando, così come Madalena approfitterà della licenza onirica, Serafina approfitta della libertà del Carnevale per recitare, vestita da uomo, una farsa. Il ritratto che Antonio commissiona a un pittore perché la dipinga mentre recita così vestita non è solo un mezzo che consente all’azione di andare avanti (sarà proprio di quel ritratto che Serafina, dopo avere rifiutato le avances di Antonio, si innamorerà), ma anche un modo per introdurre un aspetto della psicologia femminile parallelo, se non correlato, a quello rappresentato dall’intraprendente sorella. Non a caso, come è stato notato,4 i nomi di Madalena e Serafina rimandano a due opposti modelli (la peccatrice del Vangelo e la più irraggiungibile gerarchia celeste); e non a caso, mentre la prima riesce a imporre, dopo una serie di conflitti interni, la forza dell’amore, la seconda finisce per subirla, ingan1109
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO
nata da quello stesso don Antonio che aveva sdegnato e che, facendo leva sulle sue debolezze narcisistiche, le fa credere che il soggetto del ritratto sia don Dionís de Coimbra. Succede così che alla fine del terzo atto i don Dionís siano due: quello in carne ed ossa (ossia Mireno, che vedrà corrispondere al nome già scelto la sua effettiva identità) e quello cui don Antonio aveva attribuito una passione nei confronti di Serafina per rendere credibile, ai suoi occhi, il suo ritratto in abiti maschili. Naturalmente, una volta che si scoprirà il vero don Dionís, quello inventato, della cui immagine Serafina si innamorerà, non avrà più ragione di esistere; e così, mentre Madalena potrà sposare il suo caro timido, Serafina dovrà scontare il suo narcisismo rassegnandosi a concedere la sua mano ad Antonio. E tuttavia rimane quel brano da lei recitato nel cuore del secondo atto che, preceduto da una difesa della comedia così come Lope l’aveva concepita nell’Arte nuevo, costituisce uno splendido esempio di teatro nel teatro. 3. A propiziare il gioco di illusionismi e di false identità verso cui corre, in prossimità del suo rapido desenlace, il finale del Vergonzoso en palacio, sta il motivo del travestimento. Frequente, com’è noto, in tutta la commedia aurea (e in particolar modo in quella tirsiana), esso costituisce un perno fondamentale, prima ancora che nella costruzione del personaggio di Serafina, in quella del protagonista Mireno/don Dionís. Già adombrata dalle parole con cui il fedele Tarso lo descrive a Melisa («que debajo del sayal / que le sirve de corteza / se encubre alguna nobleza/ de que se honra Portugal», vv. 269-71), la sua nobile natura si manifesta con chiarezza nel sonetto che egli declama dopo avere indossato i panni di Ruy Lorenzo. Punto di non ritorno nello svolgimento della commedia, esso interpreta e dà vita a un detto comune («debajo del sayal hay al»5) che, all’inverso, verrà smentito dal suo fedele compagno. Costretto a scambiare il suo sayal con le calzas indossate dal lacchè Vasco, Tarso darà inizio a una serie di divertenti rimostranze sulla loro foggia complicata («¿No ves las devanaderas / que me han forzado a traer? / Yo no acabo de entender / tan intrincadas quimeras», dirà a Mireno mentre tenta inutilmente di infilarsele, vv. 661-64) che confermano, non solo il divario che lo separa dal suo padrone, ma anche quello tra veri e finti pastori che percorre tutta la commedia. Che l’abito non faccia il monaco insomma, è vero solo a metà perché, sembra dire Tirso de Molina, prima o poi la vera natura di ciascuno si manifesta; né basta, come nel caso di Serafina, contraffarla con panni fittizi se questi, a loro volta, possono venire trasfor1110
NOTA INTRODUTTIVA
mati. Sovrapponendo nuovi colori sull’abito nero maschile da lei indossato (e che, come nota Redondo,6 costituiva una sorta di divisa per i componenti della casa d’Austria), il committente del suo ritratto finisce per allontanarla da se stessa e coinvolgerla nel gioco di specchi provocato dalla sua smarrita identità e di cui l’unico a trarre profitto sarà proprio lui. Da marca distintiva dell’intimo essere di ciascuno l’abito si trasforma in simbolo di apparenza e di finzione: apparenza che genera apparenza; finzione allo stesso puro, qual è quella, appunto, dello specifico teatrale. Tuttavia, non è solo l’abito a operare il travestimento dei personaggi e l’inversione dei loro ruoli: è anche la voce che essi sdoppiano in dialoghi immaginari moltiplicando le apparizioni figurali della commedia e popolandola di presenze effimere, che scompaiono rapidamente così come rapidamente erano state evocate.7 Penso ai molteplici personaggi cui dà voce Serafina nella sua recita, ora interpretando il ruolo del principe Pinabelo, ora quello dei suoi rustici interlocutori; al sogno in cui Madalena interpreta i desideri nascosti del suo innamorato; allo scambio notturno di galanterie e dimostrazioni di amicizia che, verso la fine del terzo atto, don Antonio è costretto a fingere con un inesistente don Dionís. Alla fine, dopo tutti questi disguidi e travestimenti, ognuno ritroverà il suo posto. Mireno, finto pastore, indosserà a pieno diritto l’abito da corte che tanto l’aveva fatto inorgoglire e Tarso, finto cortigiano, riuscirà a liberarsene per tornare al suo sayal; Ruy Lorenzo vedrà vendicati i suoi torti con la promessa da parte del conte di Estremoz di impalmare la disonorata sorella e Madalena ricompensata, con il coronamento del suo sogno d’amore, un’audacia sempre giocata nel rispetto delle regole. Con il formarsi delle nuove coppie e il ricomporsi delle vecchie si riafferma così il divario fra vita rustica e di corte che fa da sfondo all’intera commedia, i cui personaggi non travalicano mai i limiti imposti dal loro statuto sociale: i nobili con i nobili, i pastori con i pastori e le donne di corte con gli uomini di corte, anche se, come la riluttante Serafina, non l’hanno scelto. 4. Ma El vergonzoso en palacio non è solo una brillante commedia di intreccio palaciego, né soltanto la celebrazione della politica espansionistica adottata nel primo seicento dalla corona spagnola (la sua ambientazione nei territori portoghesi la colloca nella lunga reggenza, da parte di Filippo III, della nazione limitrofa). Essa riflette anche conflitti sociali ben noti allo spettatore del tempo, come quello riguardante la figura del segretario 1111
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO
e la sua ansia di promozione attraverso il matrimonio con una donna di rango superiore. Una problematica cui, come nota Redondo8 si ispirano altre commedie dello stesso Tirso e di Lope (basti pensare al Perro del hortelano), non a caso composte durante il periodo in cui si impose la privanza del duca di Lerma. Solo che, a differenza di quanto accade in altre commedie, in questa i segretari sono tre: uno autentico (ossia lo sleale Ruy Lorenzo, che il duca di Avero riabiliterà solo alla fine) e gli altri due (Mireno e Antonio) destinati, per amore, a divenire tali. Un amore che giustifica, nel primo caso, un avanzamento insperato del finto pastore e, nel secondo, un voluto declassamento del vero nobile («Si tienes por ventura ser criado / de quien eres igual, ventura tienes», vv. 1575-76, dirà Juana ad Antonio dopo che quest’ultimo ha otttenuto il posto che era stato di Ruy Lorenzo). Questo rapporto asimmetrico fra i due neo-segretari, se da un lato ripropone, da opposte prospettive, il tema delle nozze disuguali, dall’altro introduce il concetto di favore che, al centro della letteratura politica del primo seicento, viene interpretato a due voci nel colloquio che segue la liberazione di don Dionís voluta da Madalena. In esso il neo segretario si mostra titubante nei confronti del privilegio che gli viene offerto, e che lui identifica con il diffuso costume della privanza: MIRENO
MADALENA
MIRENO
MADALENA
MIRENO
MADALENA
No nació para servir mi inclinación, que es más alta. Pues cuando volar presuma, las plumas la han de ayudar. ¿Cómo he de poder volar con solamente una pluma? Con las alas del favor; que el vuelo de una privanza mil imposibles alcanza. Del privar nace el temor, como muestra la experiencia y tener temor no es justo. Don Dionís, este es mi gusto. (vv. 1325-37)
La sbrigativa risposta di Madalena mette fine a ogni tentativo di controbattere da parte di Mireno, il quale entrerà in possesso di quella pluma che, prima allusa nella sua duplice valenza di strumento materiale e di volo, 1112
NOTA INTRODUTTIVA
ricomparirà nel terzo atto a riassumere tutta la sua vicenda psicologica. Si tratta, ora, di una pluma vera e propria, che Madalena ordinerà al suo maestro di cortar («appuntare») in un colloquio pieno di sottintesi («¿Han de ser cortos los puntos?» costui le chiede, e lei indispettita: «¡Qué amigo que sois de corto! / Largos los pido…») e di sdegni esibiti («Un hombre vergonzoso / y corto es siempre enfadoso!» vv. 3437-44) che suonano come la naturale conseguenza del sogno dialogato di poco prima. Anche perché, proprio nel corso di esso, Madalena aveva invitato don Dionís a mettere da parte la sua timidezza attraverso l’immagine dell’arazzo arrotolato («…un sabio / el que calla y tiene amor / compara a un lienzo pintado / de Flandes que está arrollado», vv. 2860-63) e un gioco di parole colorito («Declaraos de aquí adelante / don Dionís; a esto os exorto / que en juegos de amor no es cargo / tan grande un cinco de largo / como lo es un circo de corto», vv. 2900-04) a cui difficilmente, da sveglia, avrebbe potuto ricorrere. 5. Se l’imprevisto amoroso finisce per colmare la distanza fra Madalena e Mireno suscitando in quest’ultimo le stesse metafore familiari della sua controparte femminile («¡Por qué varios arcaduces / guía el cielo aqueste amor!» egli esclamerà dopo il suo finto sogno così bruscamente smentito, vv. 2973-74, e a Tarso, che gli chiede come sia andata: «Con un compás quedo igual, / amado y aborrecido», vv. 2986-88), irreparabile sembra quella che separa Antonio da Serafina. Coerente con il suo rifiuto verso ogni approccio maschile, Serafina mostra di sprezzare, prima i ricercati giochi di parole costruiti sul suo celestiale (e asessuato) nome da don Duarte, e poi le fiorite immagini attraverso cui don Antonio tenta di suscitare la sua compassione («Áspid que entre las rosas / desa belleza escondes tu veneno, / ¿mis quejas amorosas / desprecias deste modo?», vv. 3058-61). E tuttavia quando, impressionata dal suo stesso ritratto, tornerà sui suoi passi, il suo stile diventerà più accomodante, tanto da indurre Antonio a narrarle la storia di Dionís de Coimbra che, in parte vera, in parte contraffatta, si ricongiunge a quella lunga e lacrimosa già riferita in apertura di atto da Lauro a Ruy Lorenzo (vv. 2411-528). La cornice storica in cui si iscrive la commedia prevede infatti un’alternanza di metri e di registri che, in accordo con la difesa della libertà promossa nell’Arte nuevo, la rendono mossa e variegata. A ciò contribuisce la disposizione in coppie dei suoi personaggi, i quali stabiliscono fra loro una vivace dialettica linguistica ricalcata sulla differenza dei loro ruoli. Esiste, per esempio, un evidente parallelismo fra 1113
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO
la maniera in cui Mireno dialoga con Tarso e quella in cui Ruy Lorenzo si rapporta a Vasco. Sia il lacchè che il pastore si distanziano dai loro padroni per la tendenza alla dissacrazione (del rito della cresima, per esempio, su cui ambedue costruiscono una battuta) e alla difesa di istinti elementari quali la paura di cui le calzas, come per una sorta di contagio, costituiscono la spia scatologica. Ambedue, inoltre, mostrano di avere una concezione alquanto prosaica dei rapporti amorosi: il primo con la sua scanzonata teoria sulle donne suppostamente sedotte (v. 443 ss.), il secondo per una sorta di realismo professato in nome delle leggi della natura («¿En qué especie de animales / no es la hembra festejada / perseguida y paseada / con amorosas señales?» dirà Tarso a Mireno-don Dionís per convincerlo a deporre il suo pudore e a prendere l’iniziativa nei confronti di Madalena, vv. 2593-96). Questa dialettica linguistica interna alle coppie dello stesso sesso sembra venire meno nel caso in cui a confrontarsi siano un uomo e una donna; quando, insomma, la differenza da rimarcare non è di ordine sociale, ma sessuale. Ed è interessante notare come queste coppie miste assumano toni sempre più aulici man mano che l’intreccio della commedia si snoda ed esce dalla sua cornice rustica per entrare in quella cortese. Così, dal battibecco in sayagués fra Tarso e Melisa del primo atto si passa ai vivaci dialoghi (inframezzati da lunghi monologhi) fra Mireno e Madalena del secondo e allo sdegnoso scambio di battute che, supportato dalla scelta di un metro lirico quale la silva, segna l’inizio del rapporto fra Antonio e Serafina nel terzo. Senza contare il ruolo funzionale che svolgono i dialoghi della coppia don Antonio/donna Juana, oscillanti fra i toni esaltati del primo (si pensi alle ottave in cui egli depreca la temuta ausencia e paragona la sua prigionia amorosa a quella di un passero invischiato, vv. 1465-68) e il sano pragmatismo della seconda, personaggio secondario, eppure così importante per lo snodarsi dell’intreccio. Una serie di registri intermedi, dunque, che hanno il potere di diluire lo scarto fra codice rustico e cortese in cui si calibra la commedia. Da notare, a questo proposito, come l’uso del sayagués, che caratterizzava in maniera prepotente con i suoi neologismi e le sue storpiature fonetiche la scaramuccia amorosa fra Tarso e Melisa, tenda ad affievolirsi man mano che entrano in ballo nuovi personaggi. Riaffiorante, anche se in maniera meno decisa, nelle scene del primo atto in cui i paesani inseguono e poi catturano Tarso e Mireno, esso scompare totalmente nel secondo per poi ricomparire, come segno di una continuità e di un ristabilito status 1114
NOTA INTRODUTTIVA
quo, nelle goffe battute che Melisa rivolge al duca alla fine del terzo. Il fatto stesso che Tarso lo utilizzi con Melisa, ma se ne dimentichi quasi completamente quando dialoga con Mireno, ne fa un sistema di segni autarchico ed autoreferenziale. E ciò a rimarcare, ancora una volta, l’incomunicabilità dei due sistemi culturali che l’autore di questa commedia ha inteso mettere a confronto: quello, chiuso, degli abitanti delle montagne e quello, altrettanto (e forse più) chiuso di coloro che popolano il palazzo con i suoi intrighi, i suoi divieti, i suoi desideri repressi. L’edizione più affidabile del Vergonzoso en palacio è quella recentemente curata da Blanca Oteiza sulla base dell’editio princeps contenuta ne Los cigarrales de Toledo (Madrid, Luis Sánchez, 1624, pp. 107-182) e di due manoscritti non autografi della Biblioteca Nacional di Madrid (16962 e 14966): Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, edición, estudio y notas de B. Oteiza, Madrid, Real Academia Española, 2012. Su tale edizione ho esemplato, con la preziosa collaborazione di Frej Moretti, il testo spagnolo, variando di poco la punteggiatura e introducendo alcune modifiche di cui do ragione in nota. Alle note ho affidato anche la spiegazione dei giochi di parole intraducibili e delle numerose allusioni, storiche, mitologiche e religiose, contenute nella commedia. Sia le note che la versione italiana (la prima in versi, dopo quelle in prosa di A. Radames Ferrarin, Verona 1944 e Gherardo Marone, Torino 1942, 1947, 1984) costituiscono una rielaborazione di quanto già approntato per i tipi di Garzanti: Tirso de Molina, Il timido a palazzo, traduzione in versi e note di G. Poggi, nota introduttiva di M.G. Profeti, in Id., Teatro, a cura di M.G. Profeti, Milano, Garzanti, 1991, pp. 5-361 (secondo volume della trilogia Teatro del siglo de oro. Lope de Vega, Tirso de Molina, Calderón de la Barca, a cura di M. Socrate, M.G. Profeti, C. Samonà, prefazione di C. Samonà, Milano, Garzanti, 1989-1991). Rispetto a quella primitiva versione ho accentuato l’elemento ritmico e tentato una resa rimica più vicina all’originale. Ho modificato anche la resa dei dialoghi in sayaguès, unificandone la traduzione sui toni di un italiano regionale più vicino al romanesco che non al toscano. Invariata invece è rimasta la resa delle formule di trattamento personale e il passaggio dal «voi» al «tu» nei numerosi monologhi rivolti ad entità astratte quali il pensamiento, l’amore, l’onore. GIULIA POGGI 1115
COMEDIA FAMOSA DEL VERGONZOSO EN PALACIO PERSONAS DELLA
EL DUQUE DE AVERO
RUY LORENZO
DON DUARTE,
VASCO,
conde de Estremoz
DOS CAZADORES FIGUEREDO,
criado pastor MELISA, pastora DORISTO, alcalde MIRENO, pastor LARISO, pastor DENIO, pastor
DOÑA MADALENA
TARSO,
DON ANTONIO DOÑA SERAFINA UN PINTOR LAURO,
Representóla Sánchez, único en este género
1116
lacayo
DOÑA JUANA
viejo, pastor BATO, pastor UN TAMBOR
COMMEDIA FAMOSA DEL TIMIDO A PALAZZO PERSONAGGI
IL DUCA D’AVERO
RUY LORENZO
DON DUARTE,
VASCO,
conte d’Estremoz
DUE CACCIATORI FIGUEREDO,
servitore pastore MELISA, pastora DORISTO, sindaco MIRENO, pastore LARISO, pastore DENIO, pastore
lacchè
DONNA JUANA DONNA MADALENA
TARSO,
DON ANTONIO DONNA SERAFINA UN PITTORE LAURO,
vecchio, pastore BATO, pastore UN TAMBURINO
La mise in scena Sánchez, unico in questo genere
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Salen el Duque de Avero, viejo, y el Conde de Estremoz, de caza. DUQUE
CONDE
De industria a esta espesura retirado vengo de mis monteros, que siguiendo un jabalí ligero, nos han dado el lugar que pedís; aunque no entiendo con qué intención, confuso y alterado, cuando en mis bosques festejar pretendo vuestra venida, conde don Duarte, dejáis la caza por hablarme aparte. Basta el disimular; sacá el acero
5
Echa mano.
DUQUE
CONDE DUQUE CONDE
1118
que, ya olvidado, os comparaba a Numa; que el que desnudo veis, duque de Avero, os dará la respuesta en breve suma. De lengua al agraviado caballero ha de servir la espada, no la pluma que muda dice a voces vuestra mengua. Lengua es la espada, pues parece lengua, y pues con ella estáis, y así os provoca a dar quejas de mí, puesto que en vano, refrenando las lenguas de la boca, hablen solas las lenguas de la mano, si la ocasión que os doy, que será poca para ese enojo poco cortesano, a que primero le digáis no os mueve; pues mi valor ningún agravio os debe. ¡Bueno es que así disimuléis los daños que contra vos el cielo manifiesta! ¿Qué daños, conde? Si en los largos años de vuestra edad prolija, agora apresta,
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15
20
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO (Entrano il duca d’Avero, vecchio e il conte di Estremoz, in abito da caccia.) DUCA
CONTE
In questa macchia apposta ritirato mi son dai battitori che inseguendo un veloce cinghiale ci hanno dato il pretesto, ma ancora non intendo per che ragione, confuso e alterato, quando m’appresto a darvi il benvenuto qui nei miei boschi, conte don Duarte, trascurate le caccia per parlarmi. Non più finzioni: prendete la spada Sguaina la spada.
DUCA
CONTE DUCA CONTE
che, già deposta, a Numa vi appaiava. Quella che qui vedete sguainata vi darà, duca, risposta immediata. Da lingua per l’offeso cavaliere la spada ha da servire e non la penna che, pur se muta, a gran voce v’incolpa. E sia lingua la spada, ché lo sembra, e poiché la impugnate e vi permette di lagnarvi di me, anche se invano, tacitando le lingue della bocca, parlino solo quelle della mano a meno che, ma avete appena il tempo che merita la vostra scortesia, prima a spiegarvi non vi decidiate, ché la mia lealtà niente vi deve. In tal modo dissimulate i torti di cui v’accusa il cielo apertamente? Che torti, conte? Per quanti pretesti accampi ora la lunga esperienza 1119
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
duque de Avero, escusas, no hay engaños que puedan convencerme; la respuesta que me pedís, ese papel la afirma con vuestro sello, vuestra letra y firma.
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Arrójale.
DUQUE CONDE DUQUE CONDE
DUQUE CONDE
DUQUE
Tomalde, pues es vuestro; que el criado que sobornastes para darme muerte es, en lealtad, de bronce, y no ha bastado vuestro interés contra su muro fuerte. Por escrito mandastes que en mi estado me quitase la vida, y, desta suerte, no os espantéis que diga, y lo presuma, que, en vez de espada, ejercitáis la pluma. ¡Yo mandaros matar! Aqueste sello, ¿no es vuestro? Sí. ¿Podéis negar tampoco aquesa firma? Ved si me querello con justa causa. ¿Estoy despierto o loco? Leed ese papel; que con leello veréis cuán justamente me provoco a tomar la venganza por mis manos. ¿Qué enredo es este, cielos soberanos?
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Lee el duque la carta. «Para satisfacción de algunos agravios, que con la muerte del conde Estremoz se pueden remediar, no hallo otro medio mejor que la confianza que en vos tengo puesta; y para que salga verdadera, me importa, pues sois su camarero, seáis también el ejecutor de mi venganza; cumplilda, y veníos a mi estado; que en él estaréis seguro, y con el premio 1120
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
della vostra canizie non vi sono scuse che possan persuadermi, duca; ché la risposta questo foglio afferma con il vostro sigillo e con la firma. Glielo getta.
DUCA CONTE DUCA CONTE
DUCA CONTE
DUCA
Riprendetelo, è vostro, giacché il servo che per uccidermi avete sobillato leale è come il bronzo e non ha vinto il vostro piano la sua roccaforte. Voi, per iscritto, gli avete ordinato di procurarmi, nel mio stato, morte, per cui non vi sorprenda che vi dica che tirate di penna e non di spada. Io ordinato di uccidervi? E non è vostro questo sigillo? Sì. E la firma forse che non è vostra? Ora mi dite se non mi sto a ragione risentendo. Sogno o son desto? Leggete quel foglio e saprete perché tanto m’impunto a voler vendicarmi di mia mano. Che imbroglio è questo mai, cielo sovrano? Il Duca legge la lettera. «Per la soddisfazione di certi torti che la morte del conte di Estremoz può vendicare, non trovo mezzo migliore della fiducia in voi riposta e, per meglio provarla, dovreste, voi che siete il suo cameriere personale, essere anche l’esecutore della mia vendetta. Eseguitela e poi riparate nel mio stato, dove vivrete al sicuro, ricompensato come merita il peri1121
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
CONDE
DUQUE
CONDE
que merece el peligro a que os ponéis por mi causa. Sírvaos esta carta de creencia, y dádsela a quien os la lleva, advirtiendo lo que importa la brevedad y el secreto. De mi villa de Avero, a 12 de marzo de 1400 años. – El Duque.» No sé qué injuria os haya jamás hecho la casa de Estremoz, de quien soy conde, 50 para degenerar del noble pecho que a vuestra antigua sangre corresponde. Si no es que algún traidor ha contrahecho mi firma y sello, falso, en quien se esconde algún secreto enojo, con que intenta 55 con vuestra muerte mi perpetua afrenta, vive el cielo, que sabe mi inocencia, y conoce al autor deste delito, que jamás en ausencia o en presencia, por obra, por palabra, o por escrito, 60 procuré vuestro daño: a la experiencia, si queréis aguardarla, me remito, que, con su ayuda, en esta misma tarde tengo de descubrir su autor cobarde. Confieso la razón que habéis tenido, 65 y hasta dejaros, conde, satisfecho, que suspendáis el justo enojo os pido, y soseguéis el alterado pecho. Yo soy contento, duque; persuadido me dejáis algún tanto. Envainan.
DUQUE
1122
No sospecho quién ha sido el autor de aqueste insulto que con mi firma y sello viene oculto; pero antes de que dé fin hoy a la caza, descubriré quién fueron los traidores.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
CONTE
DUCA
CONTE
colo cui, per causa mia, vi esporrete. Questa lettera vi serva da credenziale. Ridatela a chi ve la consegna. Vi raccomando rapidità e segretezza. Dal mio palazzo d’Avero, 12 marzo dell’anno 1400. Il Duca.» Non so che ingiuria vi possa aver fatto la casa di Estremoz, di cui son conte, per tralignare dal nobile petto che al vostro avito sangue corrisponde. Se un traditore non ha contraffatto firma e sigillo sotto cui si cela qualche sdegno segreto con cui cerca dando a voi morte, il mio perenne affronto, sa bene il cielo della mia innocenza e conosce l’autore del delitto, ch’io giammai in presenza od in assenza con fatti, con parole e per iscritto cercai di danneggiarvi: all’esperienza se vorrete aspettare mi rimetto, ché col suo aiuto questa sera stessa scoprirò il vile autore del delitto. Riconosco il motivo che vi ha spinto, ma finché, conte, non sarete pago vi chiedo di fermare il giusto sdegno e di placare il petto esacerbato. Sta bene, duca, le vostre parole m’hanno convinto alquanto. Ringuainano la spada.
DUCA
Non so proprio chi abbia perpetrato questo insulto sfruttando la mia firma e il mio sigillo. Ma prima che la caccia oggi abbia fine avrò scoperto chi è stato a tradire.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Salen dos cazadores. CAZADOR CAZADOR
1 2
DUQUE CAZADOR
1
DUQUE
CAZADOR
2
DUQUE CAZADOR
2
DUQUE CAZADOR
1
¡Famoso jabalí! Dímosle caza, y, a pesar de los perros corredores, hicieron sus colmillos ancha plaza, y escapose. Estos son mis cazadores. Amigos... ¡Oh, señor! No habréis dejado a vida, jabalí, corzo y venado. ¿Hay mucha presa? Habrá la suficiente para que tus acémilas no tornen vacías. ¿Qué se ha muerto? Más de veinte coronados venados, porque adornen las puertas de palacio con su frente, y porque en ellos, cuando a Avero tornen, originales, vean sus traslados, quien en figuras de hombres son venados; tres jabalíes y un oso temerario, sin la caza menor, porque está espanta. Mátase en este bosque de ordinario gran suma de ella. No hay mata ni planta que no la críe.
75
80
85
90
Sale Figueredo. FIGUEREDO DUQUE FIGUEREDO DUQUE
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¡Oh falso secretario! ¿Qué es esto? ¿Dónde vas con prisa tanta? ¡Gracias a Dios, señor, que hallarte puedo! ¿Qué alboroto es aqueste, Figueredo?
95
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
Entrano due cacciatori. CACCIATORE CACCIATORE
1 2
DUCA CACCIATORE
1
DUCA
CACCIATORE
2
DUCA CACCIATORE
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DUCA CACCIATORE
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Che cinghiale! Gli abbiam fatto la posta e nonostante i cani sguinzagliati, le sue zanne si sono aperte un varco ed è fuggito. Ecco i miei cacciatori. Amici! Ohé signore! Non avrete caprioli o cinghiali risparmiato. C’è molta selvaggina? Sufficiente perché le mule non tornino vuote. Cos’è che avete preso? Più di venti incoronate prede la cui fronte adornerà le porte del palazzo e perché in esse, tornando ad Avero, vedan riflessi negli originali quanti son cervi con sembianze umane; tre cinghiali ed un orso temerario senza la caccia piccola, che è enorme. Che se ne uccida molta non è strano in questi boschi. Non c’è cespuglio o pianta che non l’allevi. Entra Figueredo.
FIGUEREDO DUCA FIGUEREDO DUCA
Oh falso segretario! Che c’è? E dove vai con quella fretta? Signore, grazie a Dio che ti ho trovato! Perché così turbato, Figueredo?
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Una traición habemos descubierto que por tu secretario aleve urdida, al conde de Estremoz hubiera muerto, si llegara la noche. ¿A mí? La vida me debéis, conde. (Ya la causa advierto de su enojo y venganza mal cumplida. Engañé la hermosura de Leonela, su hermana, y, alcanzada, despreciela.) ¡Gracias al cielo, que por la justicia del inocente vuelve! Y ¿de qué suerte se supo la traición de su malicia? Llamó en secreto un mozo pobre y fuerte y como puede tanto la codicia prometiole, si al conde daba muerte, enriquecerle; y, para asegurarle, dijo que tú, señor, hacías matarle. Pudo el vil interés manchar su fama: aquesta noche prometió, en efeto, cumplillo; mas amaba, que es quien ama pródigo de su hacienda y su secreto. Dicen que suele ser potro la cama donde hace confesar al más discreto una mujer que da a la lengua y boca tormento, no de cuerda, mas de toca. Declarola el concierto que había hecho, y encargola el secreto; mas como era el güésped grande, el aposento estrecho, tuvo dolores hasta echalle fuera. Concibió por la oreja; parió el pecho por la boca, y fue el parto de manera que, cuando el sol doraba el mediodía, ya toda Avero la traición sabía. Prendió al parlero mozo la justicia,
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Abbiamo smascherato un tradimento che dal tuo vile segretario ordito il conte di Estremoz avrebbe ucciso appena fosse notte. Me? La vita io v’ho salvato conte. (Io so bene perché adirato tenta la vendetta: ho sedotto la bella Leonela, di lui sorella, e poi l’ho abbandonata.) Ringrazio il cielo che ha reso giustizia all’innocente! Ed in che maniera fu smascherato il suo tradimento? Segretamente un giovanotto forte e povero ha chiamato, e gli ha promesso – tanto può l’interesse – che l’avrebbe reso ricco se dava al conte morte. E poi gli disse per rassicurarlo che eri, signore, proprio tu a volerlo. Poté l’avidità renderlo infame e questa notte promise in effetto di farlo; però amava, ed è chi ama prodigo di ogni bene e ogni segreto. È il letto il cavalletto di tortura dove si dice riesca a far cantare la donna il più avveduto, se alla bocca dà supplizi di stoffa e non di corda. Le disse dell’accordo appena fatto e il segreto le ingiunse, ma poiché era l’ospite grande e l’alloggio stretto ebbe doglie finché lo buttò fuori. Concepì dall’orecchio ed il suo petto partorì dalla bocca in modo tale che quando il sole indora mezzogiorno tutta Avero sa già del tradimento. Il giovane loquace è stato preso 1127
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y Ruy Lorenzo huyó con un criado, cómplice en las traiciones y malicia, que el delincuente preso ha confesado. Desto te vengo a dar, señor, noticia. ¿Veis, conde, cómo el cielo ha averiguado todo el caso y mi honra satisfizo? Ruy Lorenzo mi firma contrahizo. Averiguar primero las verdades, conde, que despeñarse, fue prudencia de sabias y discretas calidades. No sé qué le responda a vueselencia, solo que, de un ministro, en falsedades diestro, pudo causar a mi impaciencia el engaño que agora siento en suma; mas, ¿qué no engañará una falsa pluma? Yo miraré desde hoy a quien recibo por secretario. Si el fiar secretos importa tanto, ya yo me apercibo a elegir más leales que discretos. Milagro, conde, fue dejaros vivo. La traición ocasiona estos efetos: huyó la deslealtad y la luz pura de la verdad, señor, quedó segura. ¡Válgame el cielo! ¡Qué dichoso he sido! Para un traidor que en esto se desvela todo es poco. Perdón humilde os pido. A cualquiera engañara su cautela: disculpado estáis, conde. (Aquesto ha urdido la mujeril venganza de Leonela; pero importa que el duque esté ignorante de la ocasión que tuvo, aunque bastante.) Pésame que el autor de aqueste exceso huyese. Pero vamos; que buscalle haré de suerte que, al que muerto o preso
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e Ruy Lorenzo fuggì con un servo complice delle sue perfide trame, ché, preso, il delinquente ha confessato. Di ciò, signore, ti vengo a informare. Conte, vedete come ha sciolto il caso il cielo ed il mio onore soddisfatto? Ruy Lorenzo il mio nome ha contraffatto. Verificare il vero prima ancora di scatenarsi da sempre è prudenza di ogni carattere avveduto e saggio. Non so che dire a vostra eccellenza; solo che è stato un abile intrigante a fare incorrere la mia impazienza nell’errore che tanto oggi mi duole. Ma falsa penna chi non sa ingannare? Da ora in poi starò attento a chi mi scelgo per segretario. Se è così importante confidare segreti, anch’io mi accingo a averne, più che non saggi, leali. Per miracolo, conte, siete in vita. Succede sempre, dopo un tradimento, che la slealtà fugga e la luce pura del vero brilli, signore, sicura. Ringrazio il cielo: che fortuna ho avuto! Per un vile a tal punto smascherato niente è mai troppo. Vi chiedo perdono. Chiunque ingannerebbe la sua astuzia. Siete scolpato, conte. (Ciò ha tramato lo sdegno femminile di Leonela; però è importante che il duca non sappia del valido pretesto che l’ha mossa). Mi spiace che codesto traditore si sia dato alla fuga, ma in tal modo cercare lo farò che a chi lo porta, 1129
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le trujere, prometo de entregalle la hacienda que dejó. Si ofreces eso no hará quien no le siga. Verá dalle todo este reino un ejemplar castigo. La vida os debo; pagarela, amigo.
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(A Figueredo) Vanse. Salen Tarso y Melisa, pastores. MELISA TARSO
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¿Así me dejas, traidor? Melisa, domá otros potros; que ya no me hace quillotros con el alma vueso amor. Con la ausencia de medio año que ya que ni os busco ni os veo, curó el tiempo mi deseo, la enfermedad de un engaño. Dando a mis celos dieta, estoy bueno, poco a poco; ya, Melisa, no so loco porque ya no so poeta. ¡Las copras que a cada paso os hice! ¡Huego de Dios en ellas, en mí y en vos! ¡Si de subir al Parnaso por sus musas de alquiler me he quedado despeado! ¡Qué de nombre que os he dado luna, estrella, Locifer...! ¿Qué tenéis bueno, Melisa, que no alabase mi canto? Copras os compuse al llanto, copras os hice a la risa, copras al dulce mirar,
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CACCIATORE
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o morto o vivo, prometto di dare i beni che ha lasciato. Se ciò offri, tutti lo inseguiranno. E tutto il regno vedrà impartirgli un sonoro castigo. Ripagarvi dovrò la vita, amico.
(A Figueredo) Escono. Entrano Tarso e Melisa, pastori. MELISA TARSO
Ah così mi lasci, infame? Incantate n’artro allocco che ner core il vostro amore nun me dà più quello stuzzico. So’ sei mesi che ‘n ve cerco, so’ sei mesi che ‘n ve guardo, curò il tempo il desiderio l’affezione d’un inganno. Gelosia l’ho messa a dieta, e pian piano mi rimetto; nun so’ più pazzo, Melisa, ché d’esser poeta ho smesso. Sempre a farve ogni momento quelle strofe! Dio le abbruci e ci abbruci pure a noi! Quanti piedi me so’ rotto pe’ sali’ sopra ar Parnaso con le sue muse d’affitto! E che nomi nun ve davo! Luna, stella, Luciféro... Cos’avete più Melisa che nun v’abbia già cantato? E fai strofe al vostro pianto e fai strofe al vostro riso, strofe al vostro dolce sguardo, 1131
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al suspirar, al toser, al callar, al responder, al asentarse, al andar, al branco color, al prieto, a vuesos desdenes locos... ¡al escopir y a los mocos pienso que os hice un soneto!. Ya me salí del garlito do me cogistes, par Dios; que no se me da por vos, ni por vueso amor, un pito. ¡Ay Tarso, Tarso, en efeto hombre, que es decir olvido! ¿Que una ausencia haya podido hacer perderme el respeto a mí, Tarso? A vos y a Judas. Sois mudable: ¿qué queréis, si en señal de eso os ponéis en la cara tantas mudas? ¿Ah sí? Mis prendas me torna, mis cintas y mis cabellos. ¿Luego pensáis que con ellos mi pecho o zurrón se adorna? ¡Qué boba! Ca estar yo ciego trujera conmigo el daño... Ya, Melisa, habrá medio año que con todo di en el huego. Cabellos que fueron lazos de mi esperanza crueles, listones, rosas, papeles, baratijas y embarazos, todo el huego lo deshizo, porque hechizó mi sosiego; pues suele echarse en el huego porque no empezca, el hechizo.
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al sospiro ed alla tosse, al silenzio, alle risposte, allo star seduta o in piedi, al color bianco o al bigetto, ai vostri folli capricci, pure agli sputacchi e ai mocci penso che feci un sonetto! Già so’ fori dalla gabbia in do’ m’avevate messo, ché di voi e del vostro amore nun m’importa un fico secco! Tarso, Tarso uomo davvero, come dir dimenticanza! È bastata poca assenza e manchi già di rispetto a me, Tarso? A voi e a Giuda! Siete proprio voltafaccia: me lo dicono i belletti che mettete sulla faccia. Ah è così? Allora ridammi i miei nastri e i miei capelli Perché? Pensi che ci faccia bello il petto e la bisaccia? Oh strulla! Dovrei esser ceco per portarmi appresso il danno! Già Melisa da mezz’anno ho buttato tutto ar foco! Capelli che eran crudeli lacci per la mia speranza, nastri, rose, bigliettini, altri impicci e cianfrusaglie: tutto quanto il foco ha sfatto, ché m’avevan fatturato e si butta contro ar danno la fattura dentro ar foco!
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Hasta el zurrón di a la brasa do guardé mis desatinos; que por quemar los vecinos se pega huego a la casa. ¿Esto he de sufrir? ¡Ay, cielo!
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Llora. TARSO
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Aunque lloréis un diluvio tenéis el cabello rubio; no hay que fïar de ese pelo. Ya os conozco, que sois fina. ¡Pues no me habéis de engañar, par Dios, aunque os vea llorar los tuétanos y la orina! ¡Traidor! ¡Verá la envinción! Enjugad los arcaduces, que hacéis el llanto a dos luces como candil de mesón. Yo me vengaré, cruel. ¿Cómo? Casándome, ingrato. Eso es tomar el zapato, y daros luego con él. Vete de aquí. Que me place.
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Hace que se va. MELISA TARSO MELISA
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¿Que te vas de esa manera? ¿No lo veis? Andando. Espera. ¿Mas que sé de dónde nace tu desamor? ¿Mas que no?
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Ci buttai anco la bisaccia dove tenni i miei capricci, ché per bruciare i vicini foco alla casa s’appiccia. Che mi tocca sentir, cielo! Piange.
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Sì, piangete pure a scrosci! Delle rosse come voi, c’è ben poco da fidarsi. Vi conosco, siete furba, ma nun me la date a bere, per Dio, vi vedessi pure che piangete le midolla! Traditore! Oh, ma guarda! Asciugate le cannelle, ché piangete come foste un doppiere da taverna! Mi vendicherò, crudele. Come? Sposandomi, ingrato! Questo è quello che si dice prendere la palla al balzo! Vattene di qui! Con gusto. Fa finta di andarsene.
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Come fai a andar via? Non vedi? Con i piedi. Aspetta, forse io lo so da dove nasce il tuo disgusto. Ma no! 1135
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO MELISA TARSO
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Celillos son de Mireno. ¿Yo celillos? ¡Oh, qué bueno! Ya ese tiempo se acabó. Mireno, el hijo de Lauro, a quien sirvo, y cuyo pan como, es discreto y galán, y como tal le restauro vuestro amor; mas yo le miro tan libre, que en la ribera no hallaréis quien se prefiera a hacelle dar un sospiro. Trújole su padre aquí pequeño, y bien sabéis vos que murmuran más de dos, aunque vive y anda así, que debajo del sayal que le sirve de corteza se encubre alguna nobleza con que se honra Portugal. No hay pastor en todo el Miño que no le quiera y respete, ni libertad que no inquiete como a vos; mas ved qué aliño, si la suerte hacelle quiso tan desdeñoso y cruel, que hay dos mil Ecos por él de quien es sordo Narciso. Como os veis dél despreciada, agora os venís acá; mas no entraréis; porque está el alma a puerta cerrada. En fin, ¿no me quieres? No. Pues, para esta, de un ingrato, que yo castigue tu trato. ¿Castigarme a mí vos?
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Sei geloso di Mireno. Io geloso? Questa è bella! È passato ormai quer tempo! Mireno, figlio di Lauro, che io servo ed il cui pane mangio è bello ed è gentile e gli abbono il vostro amore, ma a tal punto io l’ammiro libero su questa sponda che nessuno mai s’azzarda a fargli fare un sospiro. Suo padre lo portò qui da piccino e ben sapete che la gente va dicendo che, seppure così vive, lui nasconde sotto al saio come fosse una corteccia qualche avita discendenza di cui il Portogallo è fiero. Non c’è pastore sul Miño che non l’ami e lo rispetti, libertà che non inquieti come la vostra; peccato che la sorte l’abbia reso tanto crudele e sdegnoso che è come un sordo Narciso per più di duemila Eco. E siccome v’ha sdegnato ritornate qui da me, ma nel core nun m’entrate, ché l’ho chiuso a doppia chiave. Insomma, non m’ami? No. Su questa ti giuro, ingrato, sarai da me castigato! Voi castigarmi?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO MELISA
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Yo: presto verás, fementido, si te doy más de un cuidado; que nunca el hombre rogado ama como aborrecido. Bueno. Verás lo que pasa: celos te dará un pastor; que, cuando se pierde amor, ellos le vuelven a casa.
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Sí andad... Hecho me ha temer alguna burla, aunque hablo; que no tendrá miedo al diablo quien no teme a una mujer.
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¿Es Tarso? ¡Oh, Mireno! Soy tu amigo fiel, si este nombre merece tener un hombre que te sirve. Todo hoy te ando a buscar. Melisa me ha detenido aquí un hora; y cuanto más por mí llora, más me muero yo de risa. Pero, ¿qué hay de nuevo? Amigo: la mucha satisfacción que tengo de tu afición me obliga a tratar contigo
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO MELISA
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Sì, io. Presto vedrai, traditore se non te la fo pagare, ché mai l’uomo supplicato ama come il disprezzato. Ah davvero? Lo vedrai: gelosia avrai d’un pastore, ché, se si sperde l’amore, lei te lo riporta a casa. Esce
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Andate, andate. Ma temo qualche scherzo, pur se parlo, ché non teme neanche il diavolo chi una femmina non teme. Entra Mireno, pastore elegante
MIRENO TARSO
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Sei tu Tarso? Ohé Mireno, sono il tuo amico fedele se può avere questo nome chi ti serve. È tutto il giorno che ti cerco. M’ha tenuto qui Melisa per un’ora e più per me si dispera più dalle risate io muoio. Ma che c’è di nuovo? Amico, la grande soddisfazione che mi dà la tua affezione mi spinge a darti notizia
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lo que, a no quererte tanto, ejecutara sin ti. De ver que me hables así, por ser tan nuevo, me espanto. Contigo, desde pequeño, me crió Lauro, y aunque, según mi edad, ya podré gobernar casa y ser dueño, quiero más, por el amor que ha tanto que te he cobrado, ser en tu casa criado que en la mía ser señor. En fe de haber descubierto mi experiencia que es así y hallar, Tarso, ingenio en ti, puesto que humilde despierto, pretendo en tu compañía probar si hasta donde alcanza la barra de mi esperanza llega la ventura mía. Mucho ha que me tiene triste mi altiva imaginación cuya soberbia ambición no sé en qué estriba o consiste. Considero algunos ratos que los cielos, que pudieron hacerme noble y me hicieron un pastor, fueron ingratos, y que, pues con tal bajeza me acobardo y avergüenzo, puedo poco, pues no venzo mi misma naturaleza. Tanto el pensamiento cava en esto, que ha habido vez que, afrentando la vejez de Lauro, mi padre, estaba por dudar si soy su hijo
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di ciò che se non t’amassi intraprenderei da solo. Se mi parli in questo modo così nuovo mi spaventi. Insieme a te da piccino m’allevò Lauro e, sebbene per la mia età già potrei aver casa da padrone, preferisco per l’amore che da tanto a te mi lega fare il servo in casa tua ch’esser della mia signore. Proprio per aver toccato di mia mano che è così e aver visto che hai un ingegno, pur se umile, vivace, io vorrei in tua compagnia saggiare se dove arriva col suo lancio la speranza giunge la ventura mia. Da tempo mi rende triste un’ardua immaginazione, la cui superba ambizione non so proprio in che consista. Penso alle volte che i cieli, facendo di me un pastore e non un grande signore, siano stati con me ingrati, e anche se di tal bassezza mi vergogno e mi avvilisco poco importa, ché non posso più cambiare la mia essenza. E il pensiero si sprofonda tanto in questo che talvolta, infamando l’età tarda di mio padre, ho dubitato se suo figlio ero o m’avesse 1141
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o si me hurtó a algún señor; aunque de su mucho amor mi necio engaño colijo. Mil veces, estando a solas, le he preguntado si acaso el mundo, que a cada paso honras anega en sus olas, le sublimó a su alto asiento y derribó del lugar que intenta otra vez cobrar me atrevido pensamiento, porque el ser advenedizo aquí anima mi opinión, y su mucha discreción dice claro que es postizo su grosero oficio y traje, por más que en él se reporte, pues más es para la corte que los montes su lenguaje. Siempre, Tarso, ha malogrado estas imaginaciones y con largas digresiones mil sucesos me ha contado, que todos paran en ser, contra mis intentos vanos, progenitores villanos los que me dieron el ser. Esto, que había de humillarme, con tal violencia me altera, que desta vida grosera me ha forzado a desterrarme, y que a buscar me desmande lo que mi estrella destina, que a cosas grandes me inclina y algún bien me aguarda grande, que si tan pobre nací como el hado me crió, 1142
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a un signore egli rubato, pur se dal suo grande amore che m’inganno ne ricavo. Mille volte, con lui solo, gli ho chiesto se questo mondo, che travolge ad ogni istante glorie in mezzo alle sue onde, non l’abbia innalzato a un trono per scagliarlo poi dal luogo che il mio intrepido pensiero conquistare vuol di nuovo. E che lui sia qui da poco conforta questo parere e la sua grande saggezza dice che sono posticci, per quanto egli si contenga, l’abito e il rozzo mestiere, perché è adatto più al palazzo che alle valli il suo parlare. Sempre, Tarso, m’ha distolto da queste immaginazioni e con lunghe digressioni mille storie m’ha contato, e tutte vanno a parare contro ogni mio sforzo vano che a darmi la vita furono progenitori villani. Ma ciò invece di umiliarmi mi sconvolge in tal maniera che m’induce a abbandonare questa vita grossolana per cercare altrove quanto per me vuole la mia stella che mi volge a grandi cose e per me ha del bene in serbo, ché, se povero son nato come il fato m’ha cresciuto, 1143
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cuanto más me hiciere yo, más vendré a deberme a mí. Si quieres participar de mis males o mis bienes, buena ocasión, Tarso, tienes; déjame de aconsejar, y determínate luego. Para mí bástame el verte, Mireno, de aquesa suerte; ni te aconsejo ni ruego; discreto eres; estodiado has con el cura; yo quiero seguirte, aunque considero de Lauro el nuevo cuidado. Tarso, si dichoso soy, yo espero en Dios de trocar en contento su pesar. ¿Cuándo has de irte? Luego. ¿Hoy? Al punto. ¿Y con qué dinero? De dos bueyes que vendí lo que basta llevo aquí. Vamos derechos a Avero, y comprarete una espada y un sombrero. ¡Plegue a Dios que no volvamos los dos como perro con pedrada! Vanse.
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quanto più mi do da fare tanto più a me stesso devo. Se partecipare vuoi ai miei mali od ai miei beni, non consigliarmi, ma vieni, Tarso, via insieme con me. A me basta di vederti Mireno, così infiammato. Non ti consiglio né prego; sei avveduto ed hai stodiato con il prete: ho già deciso di seguirti, pur pensando che per Lauro è un altro affanno. Tarso, se son fortunato, spero in Dio di tramutare in gaiezza il suo dolore. Quando parti? Oggi. Oggi stesso? Per l’appunto. Ed il denaro? Di due buoi che ho già venduto con me porto il ricavato. Andiamo subito a Avero; là ti comprerò una spada e un cappello. Dio non voglia che torniamo tutti e due come cani bastonati! Escono.
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Salen Ruy Lorenzo y Vasco, lacayo. VASCO
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Señor, vuélvete al bosque, pues conoces que apenas estaremos aquí una hora cuando las postas nos darán alcance, 415 y los villanos de estas caserías, que nos buscan cual galgos a las liebres, si nos cogen, harán la remembranza de Cristo y su prisión hoy con nosotros, y quedaremos por nuestros pecados, 420 en vez de remembrados, desmembrados. Ya, Vasco, es imposible que la vida podamos conservar; pues cuando el cielo nos librase de tantos que nos buscan, el hambre vil, que con infames armas 425 debilita las fuerzas más robustas, nos tiene de entregar al duque fiero. Para el hambre y sus armas no hay acero. Por vengar la deshonra de mi hermana, que el conde de Estremoz tiene usurpada, 430 su firma en una carta contrahice; y saliéndome inútil esta traza, busqué quien con su muerte me vengase, mas nada se le cumple al desdichado, y, pues lo soy, acabe con la vida, 435 pues no pude cobrar venganza honrada, que no es bien muera de hambre habiendo espada. ¿Es posible que un hombre que se tiene por hombre, como tú, hecho y derecho, quisiese averiguar por tales medios 440 si fue forzada o no tu hermana? Dime: ¿piensas de veras que en el mundo ha habido mujer forzada? ¿Agora dudas de eso? ¿No están llenos los libros, las historias y las pinturas de violentos raptos 445 y forzosos estupros que no cuento?
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
Entrano Ruy Lorenzo e Vasco, lacchè. VASCO
RUY
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Signore, torna al bosco, perché sai che non sarà passata neanche un’ora e già le mute ci avranno stanato e i contadini di questi casali che come i cani la lepre ci cercano, se ci prendono commemoreranno Cristo e la sua cattura oggi con noi, in modo che per i nostri peccati non rimembrati siamo, ma smembrati. Vasco, è impossibile ormai che la vita salvar possiamo, ché quand’anche il cielo ci liberasse da quanti ci inseguono, la fame vile che con armi infami debilita le forze più robuste consegnar ci dovrà al duca furente. Contro tali armi il ferro non può niente. Per vendicare un torto a mia sorella, dal conte di Estremoz disonorata, la sua firma su un foglio ho contraffatto, ed essendo fallito questo piano, cercai chi con la morte lo punisse; però mai niente al disgraziato riesce, e se lo sono, la farò finita, ché, se non prende vendetta onorata, non perirà di fame chi ha la spada! Possibile che un uomo che si vanta d’esserlo come te in tutto e per tutto, pretenda d’appurare in tali modi se sua sorella fu sedotta? Dimmi, pensi davvero che nel mondo esista donna sedotta? Ora lo metti in dubbio? Forse che i libri, le storie ed i quadri non son pieni di tanti rapimenti e violenti stupri da non dirsi? 1147
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Riyérame a no ver que aquesta noche los dos habemos de cenar con Cristo, aunque hacer colación me contentara en el mundo, y a oscuras me acostara. Ven acá: si Leonela no quisiera dejar coger las uvas de su viña, ¿no se pudiera hacer toda un ovillo, como hace el erizo, y a puñadas, aruños, coces, gritos, y a bocados, dejar burlado a quien su honor maltrata, en pie su fama y el melón sin cata? Defiéndese una yegua en medio un campo de toda una caterva de rocines, sin poderse quejar: ‘‘¡Aquí del cielo, que me quitan mi honra!’’, como puede una mujer honrada en aquel trance; escápase una gata como el puño de un gato zurdo y otro carriromo por los caramanchones y tejados con solo decir miao y echar un fufo; y ¿quieren estas daifas persuadirnos que no pueden guardar sus pertinencias de peligros nocturnos? Yo aseguro si como echa a galeras la justicia los forzados, echara las forzadas, que hubiera menos, y esas más honradas.
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Salen Tarso y Mireno. TARSO MIRENO TARSO
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Jurómela Melisa: ¡Lindo cuento será el ver que la he dado cantonada! Mal pagaste su amor. Dala a Pilatos, que es más mudable que hato de gitanos: más arrequives tienen sus amores que todo un canto de órgano; no quiero
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO VASCO
Riderei non dovessimo stasera cenare tutti e due insieme con Cristo! Pur se preferirei fare vigilia nel mondo, e me ne andrei a letto digiuno. Senti a me: se Leonella non voleva che fosse colta l’uva alla sua vigna, non si poteva rannicchiare tutta come fa il riccio e a suon di pugni e calci, sgraffiando, sbraitando e dando morsi, lasciar gabbato chi al suo onore attenta, la fama in piedi e non toccato il frutto? Si difende una mula in mezzo al campo da tutta una caterva di ronzini senza poter gridare «Aiuto, aiuto attentano al mio onore!», com’è usa fare in quel caso una donna dabbene; scappa una gatta come una saetta da un gatto sciocco e un altro sornione su per le tegole e per gli abbaini soltanto con un miao ed uno sbruffo; e queste sgualdrinelle ci fan credere di non poter difender gli attributi dai rischi della notte? Ti assicuro che, se come ai forzati la giustizia le condannasse ai remi, le sforzate sarebbero assai meno, e più onorate! Entrano Tarso e Mireno.
TARSO MIRENO TARSO
Me la giurò Melisa. Bella faccia farà vedendo che l’ho bidonata! Mal ripaghi il suo amore. Vada al diavolo! Cambia più di un corredo di gitani, ed i suoi amori fan più ghirigori che tutto un canto d’organo; non voglio
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
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sino seguirte a ti por mar y tierra, y trocar los amores por la guerra. Gente suena. Es verdad; y aun en mis calzas se han sonado de miedo las narices del rostro circular, romadizadas. Perdidos somos. ¡Santos estrellados, doleos de quien de miedo está en tortilla! y, si hay algún devoto de lacayos, sáqueme de este aprieto, y yo le juro de colgalle mis calzas a la puerta de su templo, en lavándolas diez veces y limpiando la cera de sus barrios; que aunque las enceró mi pena fiera, no es buena para ofrendas esta cera. Sosiégate, que solos dos villanos, sin armas defensivas ni ofensivas, poco mal han de hacernos. ¡Plegue al cielo! Cuanto y más, que el venir tan descuidados nos asegura de lo que tememos. ¡Ciégalos, San Antón! Calla; lleguemos. ¿Adónde bueno, amigos? ¿Oh, señores!, a la villa, a comprar algunas cosas que el hombre ha menester. ¿Está allá el duque? Allá quedaba. Dele vida el cielo. Y vosotros, ¿do bueno? Que esta senda se aparta del camino real y guía a unas caserías que se muestran al pie de aquella sierra. Tus palabras declaran tu bondad, pastor amigo. Por vengar la deshonra de una hermana
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altro che seguir te per mare e terra e lasciare gli amori per la guerra. C’è gente. E sento già nelle mie calze soffiare di paura le narici del volto circolare, infreddolite. Siamo perduti. Santi scodellati! Pietà per chi la fifa ha impiastricciato! E se esiste un devoto dei lacchè, mi tolga dall’impiccio e io gli giuro che appenderò alla porta del suo tempio le mie calze, lavate e strofinate dalla cera che c’è nei bassifondi, ché, pur se le incerò la pena fiera, non è cera da offerte quella cera! Tranquillo, perché due villani soli, senz’armi di difesa né di offesa, male non ci faranno. Voglia il cielo! Tanto più che la loro noncuranza ci garantisce per ciò che temiamo. Sant’Antonio li accechi! Zitto, andiamo! Amici, dove andate? Ohé, signori! Al paese, a comprare qualche cosa di cui abbiamo bisogno. Là c’è il duca? Stava laggiù. Che gli dia vita il cielo! E voi di bello? Ché questo sentiero si scosta dalla strada principale verso quei casolari che si scorgono alle falde del monte. Il tuo parlare mostra la tua bontà, pastore amico. Per vendicare un torto a mia sorella 1151
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
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intenté dar la muerte a un poderoso, y, sabiendo mi honrado atrevimiento, el duque manda que me siga y prenda su gente por aquestos despoblados, y, ya desesperado de librarme, salgo al camino. Quíteme la vida, de tantos, por honrada, perseguida. Lástima me habéis hecho; y vive el cielo que, si como la suerte avara me hizo un pastor pobre, más valor me diera, por mi cuenta tomara vuestro agravio. Lo que se puede hacer, de mi consejo, es que los dos troquéis esos vestidos por aquestos groseros, y encubiertos os libraréis mejor, hasta que el cielo a daros su favor, señor, comience, porque la industria los trabajos vence. ¡Oh, noble pecho, que entre paños bastos descubres el valor mayor que he visto! Páguete el cielo, pues que yo no puedo, ese favor. La diligencia importa: entremos en lo espeso. Y trocaremos el traje. Vamos. ¡Venturoso he sido!
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Vanse los dos. TARSO
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¿Y habéis también de darme por mi sayo esas abigarradas, con más cosas que un menudo de vaca? Aunque me pese. Pues dos liciones me daréis primero, porque con ellas pueda hallar el tino, entradas y salidas desa Troya; que, pardiez, que aunque el cura sabe tanto, que canta un parce mihi por do quiere,
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cercai di dare morte ad un potente; ma, conosciuto il mio onorato intento, il duca vuole che m’insegua e prenda la sua gente per questi luoghi impervi, e poiché ormai non spero di salvarmi esco al cammino: mi tolga la vita che l’onor vuole da tanti inseguita. Mi avete fatto pena e lo sa il cielo se, avendo io più valore di quello che a un povero pastore sorte ha dato, non prenderei su me la vostra offesa. Quel che ora si può fare, a parer mio, è che ambedue scambiate quei vestiti con questi rustici e così mascherati vi salverete fino a quando il cielo, signore, a favorirvi non cominci, perché l’ingegno le sventure vince. Nobile petto che fra rozzi panni celi il più alto valore mai visto! Il cielo ti ripaghi s’io non posso questo favore. Bisogna far presto: entriamo nella macchia per scambiarci d’abito. Andiamo. Che fortuna ho avuto! Escono.
TARSO
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E mi darete, in cambio del mio saio, quelle carnevalate con più cose che una trippa di vacca? A malincuore. Prima datemi allora due lezioni perché possa trovare la maniera di entrare e uscire da codesta Troia, ché anche il prete, per Dio, che ne sa tante che canta parce mihi sempre e dovunque, 1153
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
VASCO TARSO
no me supo vestir el día del Corpus, para her el rey David. Vamos, que presto os las sabréis poner. Como hay maestros que enseñan a leer a los muchachos, ¿no pudieran poner en cada villa maestros con salarios, y con pagas, que mos dieran lición de calzar bragas?
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Vanse. Salen Doristo, alcalde, Lariso y Denio, pastores. DORISTO
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Ya los vestidos y señas del amo y criado sé; callad, que yo os lo pondré, Lariso, cual digan dueñas. ¿Que quiso matar al conde? ¿Verá el bellaco! Par Dios, que si los cojo a los dos, y el diabro no los esconde, que he de llevarlos a Avero con cepo y grillos. ¡Verá! ¿Qué bestia los llevará en el cepo? Regidero, no os metáis en eso vos; que no empuño yo de balde el palillo. ¿No so alcalde? Pues yo os juro, a non de Dios, que ha de her como publico; y que los ha de llevar con el cepo hasta el lugar de Avero vueso borrico.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
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non ce l’ha fatta a vestirmi nel giorno del corpus dal re David. Via, che presto le saprete infilare. Se ci sono maestri per far leggere i ragazzi, non potrebbero dare a ogni paese maestri salariati e stipendiati per insegnacce a mette’ su le braghe? Escono. Entrano Doristo, sindaco, Lariso e Denio, pastori.
DORISTO
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I vestiti e i contrassegni so del servo e del padrone o Lariso, vedrai come te li concio per le feste! Voleva ammazzare il conte? Che vigliacco! Ma, per Dio, se li prendo tutte e due e nun li rimpiatta il diavolo, giuro che li porto a Avero in ceppi e in manette. Andiamo! Che bestia l’ha da portare con i ceppi? Voi, assessore, nun dovete preoccupavve; nun c’ho forse io il bastone? Nun so’ er sindaco? Ed allora io vi giuro sopra a Dio che avverrà quer che dichiaro, e cioè che li porterà inceppati fino al luogo d’Avero il vostro somaro.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO LARISO
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Busquémoslos, que después quillotraremos el modo con que han de ir. El monte todo está cercado: por pies no se irán. Amo y lacayo han de estar aquí escondidos. Las señas de los vestidos, sombreros, capas y sayo del mozo en la cholla llevo. Si los prendemos, por paga diré al duque que mos haga, par del olmo, un rollo nuevo. Hombre sois de gran meollo, si rollo en el puebro hacéis. Él será tal que os honréis que os digan: «Váyase al rollo».
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Vanse. Salen Ruy Lorenzo, de pastor, y Mireno, de galán. RUY
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De tal manera te asienta el cortesano vestido, que me hubiera persuadido a que eras hombre de cuenta a no haber visto primero que ocultaba la belleza de los miembros la bajeza de aqueste traje grosero. Cuando se viste el villano las galas del traje noble parece imagen de roble que ni mueve pie ni mano, ni hay quien persuadirse pueda sino que es, como sospecha, pared que, de adobes hecha,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO LARISO
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Ora cerchiamoli e dopo arzigoleremo il modo di portalli via. È accerchiato tutto il monte e non potranno scapparci. Servo e padrone si saran qui rimpiattati. Le vesti che hanno indossato le cappe, i cappelli, il saio del ragazzo ce l’ho in mente. Se si prendono in compenso dirò al duca che ci faccia presso all’olmo un nuovo cippo. Sete un omo proprio in gamba se fate un cippo ar paese. E tale che sia un onore senti’ dir: «Vatti a impiccare»!
Escono. Entrano Ruy Lorenzo, in abito da pastore, e Mireno in abito da corte. RUY
In tal modo ti s’attaglia l’abito del cortigiano che potrei anche pensare che sei un uomo d’alto rango se già non avessi visto che occultava la bellezza delle membra la bassezza del vestito grossolano. Se il villano si riveste delle gale del signore una statua in legno pare che non muove piede o mano; non v’è chi se ne convinca, a meno che non sospetti che sia un muro di mattoni 1157
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
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la cubre un tapiz de seda, pero cuando en ti contemplo el desenfado con que andas y el donaire con que mandas ese vestido, otro ejemplo hallo en ti más natural, que vuelve por tu decoro, llamándote imagen de oro, con la funda de sayal. Alguna nobleza infiero que hay en ti, pues te prometo que te he cobrado el respeto que al mismo duque de Avero. ¡Hágate el cielo como él! Y a ti, con sosiego y paz, te vuelva sin el disfraz, a tu estado; y fuera dél, con paciencia vencerás de la fortuna el ultraje. Si te ve un aquese traje mi padre, en él hallarás nuevo amparo; en él te fía, y dile que me destierra mi inclinación a la guerra; que espero en Dios que algún día buena vejez le he de dar. A Dios, gallardo mancebo; la espada sola me llevo, para poder evitar, si me conocen, mi ofensa. Haces bien; anda con Dios, que hasta la villa los dos, aunque vamos sin defensa, no tenemos qué temer y allá espadas compraremos.
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dalla seta ricoperto. Però quando in te contemplo la scioltezza con cui agisci e la grazia con cui indossi quel vestito, un altro esempio trovo a te più congeniale che si volge a tuo decoro se ti chiamo statua d’oro dentro a fodera di sacco. Qualche nobiltà deduco debba avere ché, ti giuro, m’ispiri il rispetto stesso che si dà al duca d’Avero. Come lui ti renda il cielo! E te, ormai pacificato, senza più maschere renda al tuo stato e con pazienza possa vincere esiliato della tua sorte gli oltraggi. Se ti vede in questi panni mio padre in lui troverai nuovo appoggio; in lui confida, e digli che mi allontana il richiamo della guerra, ma che un giorno tornerò a allietargli la vecchiaia. Addio, giovane gagliardo; solo la spada mi porto in maniera da evitare, se mi scoprono, l’offesa. E fai bene. Vai con Dio che fino in città noi due, pure se senza difesa, niente abbiamo da temere. E là spade compreremo.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Sale Vasco, de pastor. VASCO
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Vámonos de aquí. ¿Qué hacemos?, que ya me quisiera ver cien leguas de este lugar. ¿Y Tarso? Allí desenreda las calzas, que agora queda comenzándose a atacar, muy enojado conmigo porque me llevo la espada, sin la cual no valgo nada. La tardanza os daña. Amigo, adiós. No está malo el sayo. Jamás borrará el olvido este favor. Embutido va en un pastor un lacayo.
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Del castizo caballo descuidado, el hambre y apetito satisface la verde hierba que en el campo nace, el freno duro del arzón colgado, mas luego que el jaez de oro esmaltado le pone el dueño cuando fiestas hace, argenta espumas, céspedes deshace, con el pretal sonoro alborotado. Del mismo modo entre la encina y roble, criado con el rústico lenguaje y vistiendo sayal tosco he vivido, mas despertó mi pensamiento noble, como al caballo, el cortesano traje, que aumenta la soberbia el buen vestido.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
Entra Vasco in abito da pastore. VASCO
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Andiam via. Cosa aspettiamo? Ché già mi vorrei vedere cento leghe via da qui. Dov’è Tarso? A sgarbugliare le calze, ché appena ora incomincia a agganciarle, tutto arrabbiato con me perché gli ho tolto la spada senza cui non valgo niente. Fate presto! Amico, addio! Questo saio non è male. Mai potrò dimenticare il favore. Ecco insaccato un lacchè dentro a un pastore. Escono.
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Il cavallo di razza trascurato soddisfa la sua fame e il suo appetito con l’erba verde nata dentro al prato, il duro freno all’arcione appeso; ma non appena i finimenti d’oro il padrone gli mette per la festa, schiume inargenta, praterie dissesta, squassato il suo pettorale sonoro. In tal modo fra il rovere e alla quercia, cresciuto con il rustico linguaggio e addosso il rozzo saio son vissuto; ma ha ridestato il nobile pensiero, come al cavallo l’abito da corte, ché l’alta veste alla superbia induce.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Sale Tarso, de lacayo. TARSO
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¿No ves las devanaderas que me han forzado a traer? Yo no acabo de entender tan intrincadas quimeras. ¿No notas la confusión de calles y encrucijadas? ¿Has visto más rebanadas, sin ser mis calzas melón? ¿Qué astrólogo tuvo esfera, di, menos inteligible, que ha una hora que no es posible topar con la faltriquera? ¡Válgame Dios el juicio que tendría el inventor de tan confusa labor y enmarañado edificio! ¡Qué ingenio! ¡Qué entendimiento! Basta, Tarso. No te asombre, que esta no ha sido obra de hombre. Pues ¿de qué? De encantamiento; obra es digna de un Merlín, porque en estos astrolabios aun no hallarán los más sabios ningún principio ni fin. Pero ya que enlacayado estoy, y tú caballero, ¿qué hemos de hacer? Ir a Avero, que este traje ha levantado mi pensamiento de modo que a nuevos intentos vuelo. Tú querrás subir al cielo, y daremos en el lodo.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
Entra Tarso, in abito da lacchè. TARSO
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Non lo vedi che arcolai m’han costretto ad infilare? Io non mi ci raccapezzo in queste diavolerie! Non noti la confusione di viuzze e di crocicchi? Queste calze hanno più spicchi che se fossero un melone! Quale astrologo ha una sfera più ingarbugliata di questa, che da un’ora sto cercando e non trovo la saccoccia? Dio m’assista! Che giudizio avrà avuto chi ha inventato questo marchingegno astruso, questo aggeggio complicato! Che cervello, che furbizia! Basta, Tarso. Sarà vero, ma non è opera d’uomo. E di chi? D’un qualche mago; potrebbe essere un Merlino, perché in simili astrolabi non potran neanche i più bravi trovare inizio né fine. Ma giacché ora inlacchettato sono e tu sei cavaliere che facciamo? Andremo a Avero, ché quest’abito ha innalzato il pensiero mio in tal modo che a nuovi intenti m’involo. Vorresti salire in cielo, ma cadremo giù nel fango. 1163
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
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Mas, pues eres ya otro hombre, por si acaso adonde fueres caballero hacerte quieres, ¿no es bien que mudes el nombre?, que el de Mireno no es bueno para nombre de señor. Dices bien: no soy pastor, ni he de llamarme Mireno. Don Dionís en Portugal es nombre ilustre y de fama; don Dionís desde hoy me llama. No le has escogido mal; que los reyes que ha tenido de ese nombre esta nación, eterna veneración ganaron a su apellido. Estremado es el ensayo; pero, ya que así te ensalzas, dame un nombre que a estas calzas le venga bien, de lacayo; que ya el de Tarso me quito. Escógele tú. Yo escojo, si no lo tienes a enojo... ¿No es bueno...? ¿Cuál? Gómez Brito. ¿Qué te parece? Estremado. ¡Gentiles cascos, por Dios! Sin ser obispo, los dos mos habemos confirmado.
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Dato che sei un altro uomo, se alle volte decidessi, là dove t’accingi a andare, di passar per cavaliere, non dovrai cambiarti il nome? Non mi sembra il tuo, Mireno, proprio un nome da signore! Ben detto: non son pastore né Mireno ho da chiamarmi. Don Dionís in Portogallo è un nome illustre e di fama: don Dionís da ora chiamami. Mica male la pensata! Perché i re con tale nome che ha avuto questa nazione eterna venerazione hanno sempre ricevuto. Che perfetta soluzione! Ma giacché così ti esalti, dammi un nome da lacchè che convenga a queste calze; Tarso non fa più per me. Sceglilo tu. Sceglierei... se proprio non ti dispiace... Ecco! Quale? Gómez Brito! Che te ne sembra? Azzeccato! Che belle chiorbe, per Dio! Senz’esser vescovi, in due ci siam bell’e cresimati!
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Salen Doristo, Lariso y Denio y pastores con armas y sogas. DORISTO LARISO
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¡Válgaos el dimunio, amén! ¿Que nos los hemos de hallar? Si no es que saben volar, imposible es que no estén entre estas matas y peñas. Busquémoslos por lo raso. ¿No son estos? Habrad paso. Par Dios, conforme las señas, que son los propios. Atalde los brazos, pues veis que están sin armas. Rendíos, galán. Tené al rey. Tené al alcalde.
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Por detrás los cogen y atan. ¿Qué es esto? TARSO ¿Estáis en vosotros? ¿Por qué no prendéis? DORISTO Por gatos. (A los suyos.) ¡Aho! ¿No veis qué mojigatos (A Mireno y Tarso.) hablan? Sabéis her quillotros para dar la muerte al conde, ¿ y pescudaisnos por qué os prendemos? DENIO ¡Bueno, a fe! TARSO ¿Qué conde o qué muerte? ¿Adónde mos habéis visto otra vez? DORISTO Allá os lo dirá el verdugo, cuando os cuelgue cual besugo de las agallas y nuez. MIRENO
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO
Entrano Doristo, Lariso e Denio e pastori con armi e corde. DORISTO LARISO
DENIO LARISO DORISTO LARISO DORISTO DENIO LARISO DORISTO
Corpo d’un demonio, o come nun se sono ancor trovati? A meno che ’un sien volati devono essere per forza qui nel folto della macchia. Andiamo a cercarli in piano. Non son loro? Fate piano. Son proprio loro, per Dio, a giudicare dai panni. Andate dietro a legargli le mani, ché son senz’armi. Arrendetevi, signore. Preso il capo! E anche il compare! Li prendono da dietro e li legano.
MIRENO TARSO DORISTO
(Ai suoi) (A Mireno e a Tarso)
DENIO TARSO DORISTO
Ma che fate? Siete matti? Prender noi? Come due ladri! Ma guarda che gatte morte! Ne combinate di tutte per dar morte al conte e dopo state a chiederci perché vi prendiamo. Bella proprio! Quale conte e quale morte? Quando mai ci siamo visti? Fatevelo dir dar boia il dì che v’appenderà per la gola e per la strozza come foste baccalà!
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO MIRENO TARSO
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A no llevarme la espada, ya os fuerais arrepentidos. El trueco de los vestidos mos ha dado esta gatada. ¡Ah, mi señor don Dionís!, ¿es aquesta la ganancia de la guerra? ¿Qué ignorancia te engañó? ¿Qué barbullís? Tarso quiero ser, no Brito; ganadero, no lacayo; por bragas quiero mi sayo; las ollas lloro de Egipto. ¿Quieres callar, bellacón? Darle de puñadas quiero. Alto, a Avero. Pues a Avero nos llevan, ten corazón; que, cuando el duque nos vea, caerán estos en su engaño sin que nos mande hacer daño. Rollo tendrá muesa aldea. Cuando bajo el olmo le hagas, en él haremos concejo. Yo de ninguno me quejo, sí de estas malditas bragas. ¿Quién ha visto tal ensayo? ¿Qué temes, necio? ¿Qué dudas? Si me cuelgan y hago un Judas, sin hacer Judas lacayo, ¿no he de llorar y temer? Hoy me cuelgan del cogollo. En la picota del rollo un reloj he de poner. Vamos. Bien el puebro ensalzas.
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Se avessi con me la spada credo ve ne pentireste. Ci ha giocato questo scherzo quello scambio di vestiti. Ah, mio signor don Dionís! Questo è quel che hai guadagnato dalla guerra? Che ignoranza t’ingannò? Cosa borbotti? Voglio esser Tarso, non Brito, non lacchè, ma pecoraio, non le calze, ma il mio saio; piango i tegami d’Egitto. Vigliacco, vuoi stare zitto? Ora lo prendo a cazzotti! Via, ad Avero. Poiché a Avero stiamo andando, abbi coraggio, ché se il duca ci vedrà capiranno il loro inganno, né vorrà farci alcun danno. E il paese un cippo avrà. Se lo metti sotto l’olmo là verremo noi a consiglio. Io soltanto me la piglio con queste dannate calze. S’è mai visto un tale caso? Sciocco, di cos’hai paura? Se m’appendon come Giuda e mai fu Giuda un lacchè, pianger non dovrò e tremare? Per la zucca oggi m’appendono. Proprio in cima in cima al cippo Voglio mette’ un orologio. Via! Il paese sarà fiero.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO TARSO
Si te quieres escapar do no te puedan hallar, métete dentro en mis calzas.
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Vanse. Salen doña Juana y don Antonio, de camino. JUANA ANTONIO
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¡Primo don Antonio! Paso, no me nombréis, que no quiero hagáis de mí tanto caso que me conozca en Avero el duque. A Galicia paso donde el rey don Juan me llama de Castilla, que me ama y hace merced, y deseo, a costa de algún rodeo, saber si miente la fama que ofrece el lugar primero de la hermosura de España a las hijas del de Avero, o si la fama se engaña y miente el vulgo ligero. Bien hay que estimar y ver; pero no habéis de querer que así tan despacio os goce. Si el de Avero me conoce, y me obliga a detener, caer en falta recelo con el rey. Pues si eso pasa, de mi gusto al vuestro apelo; mas, si sabe que en su casa don Antonio de Barcelo, conde de Penela, ha estado, y que encubierto ha pasado cuando le pudo servir
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Se ti voi ficcare indove nun te possino trovare entra qui nelle mie calze! Escono. Entrano donna Juana e don Antonio in abito da viaggio.
JUANA ANTONIO
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Antonio, cugino! Piano, non mi nominate, è meglio che non mi facciate caso perché il duca non s’accorga che sono a Avero. In Galizia vado là dove mi chiama il re don Juan di Castiglia, che mi favorisce e m’ama, e vorrei, anche se devio, saper se mente la fama che dice che le più belle di Spagna sono le figlie di colui che regge Avero, o se la fama s’inganna e mente il volgo leggero. È giusto essere curiosi, ma pretendereste forse che vi goda così poco? Se il duca mi riconosce e mi costringe a restare, ho paura di mancare con il re. Quand’è così, mi conformo al vostro gusto; ma se sa che a casa sua don Antonio de Barcelos, conte di Penela, è stato e in incognita è passato quando poteva servirlo 1171
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en ella, halo de sentir con exceso, que en su estado jamás llegó caballero que por inviolables leyes no le hospede. Así lo infiero, que es nieto, en fin, de los reyes de Portugal el de Avero. Pero, dejando esto, prima, ¿tan notable es la beldad que en sus dos hijas sublima el mundo? ¿Es curiosidad, o el alma acaso os lastima el ciego? Mal sus centellas me pueden causar querellas si de su vista no gozo; curiosidades de mozo a Avero me traen a vellas. ¿Cómo tengo de querer lo que no he llegado a ver? De que eso digáis me pesa: nuestra nación portuguesa esta ventaja ha de hacer a todas; que porque asista aquí amor, que es su interés, ha de amar, en su conquista, de oídas el portugués, y el castellano de vista. Las hijas del duque son dignas de que su alabanza celebre nuestra nación. La mayor, a quien Berganza y su duque, con razón, pienso que intenta entregar al conde de Vasconcelos,
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in essa, c’è da sentirlo, ché giammai qui nel suo stato arrivato è cavaliere che per leggi inviolabili non accolga. Ben lo credo, ché del re del Portogallo è nipote quel d’Avero: ma a parte questo, cugina, così grande è la beltà delle sue due figlie come dicono? È curiosità, o l’anima v’ha ferito il cieco? Le sue scintille non mi posson dare angosce se la vista non ne godo; curiosità giovanili m’han portato qui a conoscerle. Come amare quanto ancora non ho il bene di vedere? Mi dispiace ciò che dite, ché in ciò deve il portoghese superare tutti gli altri, che, perché scoppi l’amore che è il suo orgoglio, s’innamora e conquista solamente per sentito dire, mentre lo spagnolo vuol vedere. Le figlie del duca sono degne che il nostro paese intessa le loro lodi: la più grande, che Braganza e il suo duca penso voglia a ragione far sposare al Conte di Vasconcelos, 1173
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su heredero, puede dar otra vez a Clicie celos si el sol la sale a mirar. Pues de doña Serafina, hermana suya, es divina la hermosura. Y de las dos, ¿a cuál juzgáis, prima, vos, por más bella? Más se inclina mi afición a la mayor, aunque mi opinión refuta en parte el vulgo hablador, mas en gustos no hay disputa y más en cosas de amor. En dos bandos se reparte Avero, y por cualquier parte hay bien que alegar. ¿Aquí hay algún título? Sí, don Francisco y don Duarte. Y ¿qué hacen? Más de un curioso dice que pretende ser cada cual de la una esposo. Prima, yo las he de ver esta tarde; que es forzoso irme luego. Yo os pondré donde su hermosura os dé, podrá ser, más de una pena. ¿Serafina o Madalena? Bellas son las dos: no sé. Pero el duque sale aquí con ellas; ponte a esta parte.
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suo erede, può ingelosire nuovamente Clizia quando per guardarla sorge il sole. Ma di donna Serafina, la sorella sua, è divina la bellezza. E delle due quale pensate, cugina, sia la più bella? Io propendo di più verso la maggiore, pur se è contro la mia scelta il volgo mormoratore, però ognuno ha i propri gusti specialmente nell’amore. Si divide in due partiti Avero, ognuno dei quali ha le sue ragioni. Qui ci son titolati? Sì, don Francisco e don Duarte. Che fanno? Più di un curioso dice che ciascuno vuole esser di una lo sposo. Cugina, devo vederle questa sera, perché dopo partirò. Vi farò stare dove la loro avvenenza vi darà più di una pena. Serafina o Madalena? Non saprei: son belle uguali. Ma ecco il duca che con loro sta arrivando: vieni qui.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Salen el Duque, el Conde, Serafina y doña Madalena. DUQUE CONDE
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Digo, conde don Duarte, que todo se cumpla así. Pues el rey nuestro señor, favorece la privanza del hijo del de Berganza, y a vuestra hija mayor os pide para su esposa, escriba vuestra excelencia que con su gusto y licencia, doña Serafina hermosa lo será mía. Está bien. Pienso que su majestad me mira con voluntad, y que lo tendrá por bien; yo y todo le escribiré. No lo sepa Serafina hasta ver si determina el rey que la mano os dé, que es muchacha, y descuidada, aunque portuguesa, vive de que tan presto cautive su libertad la lazada o nudo del matrimonio. Presto os habéis divertido. Decid: ¿qué os han parecido las hermanas, don Antonio? No sé el alma a cuál se inclina, ni sé lo que hacer ordena: bella es doña Madalena, pero doña Serafina es el sol de Portugal. Por la vista el alma bebe llamas de amor entre nieve, por el vaso de cristal
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Entrano il duca, il conte, Serafina e donna Madalena. DUCA CONTE
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Ho deciso, don Duarte, che così si debba fare. Poiché il re nostro signore favorisce l’amicizia con l’erede di Braganza, e vi chiede per sua sposa la vostra figlia maggiore, gli scriva vostra eccellenza, che, dietro vostra licenza, donna Serafina bella sia la mia. Sono d’accordo. Penso che sua maestà mi guardi con compiacenza e che mi darà il consenso; anch’io gliene scriverò. Non lo sappia Serafina fin quando il re non decide di darvela in sposa, ché ancora è giovinetta ed ignara, pur se portoghese, vive di dovere così presto impegnarsi con il laccio o il nodo del matrimonio. Presto vi siete distratto. Dite che effetto v’han fatto le sorelle don Antonio? Non so il cuore quale scelga, né so cosa più comanda: bella è donna Madalena però donna Serafina è il sole del Portogallo. L’anima dal cristallino bicchiere del suo candore tramite la vista beve 1177
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de su divina blancura; la fama ha quedado corta en su alabanza. DUQUE Esto importa. ANTONIO Fénix es de la hermosura. DUQUE Llegaos, Madalena, aquí. CONDE Pues me da el duque lugar, (A Serafina) mi serafín, quiero hablar, si hay atrevimiento en mí para que vuele tan alto que a serafines me iguale. ANTONIO Prima, a ver el alma sale por los ojos el asalto que amor le da poco a poco; ganárame si me pierdo. JUANA Vos entrastes, primo, cuerdo, y pienso que saldréis loco. DUQUE Hija: el rey te honra y estima; cuán bien te está considera. MADALENA Mi voluntad es de cera; vuexcelencia en ella imprima el sello que más le cuadre, porque en mí solo ha de haber callar con obedecer. DUQUE ¡Mil veces dichoso padre que oye tal! CONDE (A Serafina) Las dichas mías, como han subido al extremo de su bien, que caigan temo. SERAFINA Conde, esas filosofías, ni las entiendo, ni son de mi gusto. CONDE Un serafín bien puede alcanzar el fin y el alma de una razón. No digáis que no entendéis, serafín, lo que alcanzáis. 1178
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fra neve, fiamme d’amore: la fama è rimasta indietro nel lodarla. DUCA Ciò è importante. ANTONIO È Fenice di splendore. DUCA Qui venite, Madalena. CONTE Poiché il duca mi dà il destro, (A Serafina) serafino mio, vi parlo se mai avrò tanto ardimento da volare così in alto che i serafini raggiungo. ANTONIO L’anima, cugina, giunge a vedere quale assalto le dan gli occhi poco a poco. Guadagnerò se mi perdo. JUANA Cugino, arrivaste accorto, e ve ne andrete via pazzo. DUCA Figlia, il re ti onora e stima, pensa tu quale fortuna. MADALENA La mia volontà è di cera; vostra eccellenza vi imprima il sigillo che gli aggrada, perché a me spetta tacere solamente ed obbedire. DUCA Ah, fortunato quel padre che ciò ode! CONTE (A Serafina) Or che la mia fortuna è giunta all’estremo che precipiti io temo. SERAFINA Codeste filosofie, conte, io non le capisco né le trovo di mio gusto. CONTE Se raggiunge un serafino delle idee l’anima e il fine, come, serafino, quanto raggiungete non capite?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO SERAFINA CONDE
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¡Jesús, qué de ello que habláis! Si soy hombre, ¿qué queréis? Por palabras los intentos quiere que expliquemos Dios; que, a ser serafín cual vos, con solos los pensamientos nos habláramos. ¿Que amor habla tanto? ¿No ha de hablar? No, que hay poco que fiar de un niño, y más, hablador. En todo os hizo perfecta el cielo con mano franca. Prima: para ser tan blanca, notablemente es discreta. ¡Qué agudamente responde! Ya han esmaltado los cielos el oro de amor con celos; mucho me enfada este conde. ¡Pobre de vuestra esperanza si tal contrario la asalta! Un secretario me falta de quien hacer confïanza; y, aunque esta plaza pretenden muchos por diversos modos de favores, entre todos, pocos este oficio entienden. Trabajo me ha de costar en tal tiempo estar sin él. A ser el pasado fiel, era ingenio singular. Sí, mas puso en contingencia mi vida y reputación.
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JUANA DUCA
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Gesù mio, quante parole! Sono un uomo, che volete? A parole vuole Iddio che spieghiamo le intenzioni, ché se fossi serafino come voi solo a pensieri parleremmo. Tanto parla l’amore? Non deve farlo? No, perché non dà fiducia un bimbo, e in più parlatore. Il cielo, liberalmente, v’ha reso in tutto perfetta. Cugina, per esser candida, è notevolmente saggia. Con che arguzia gli risponde! Già i cieli stan colorando, gelosi, l’oro d’amore. Molto m’irrita quel conte. Addio la vostra speranza con un simile avversario! Sto cercando un segretario su cui fare affidamento, e pure se al posto aspirano molti attraverso le varie vie del favore, fra tutti pochi del mestiere intendono. Difficile sarà farne a meno di questi tempi. Se fosse stato fedele bell’ingegno era il passato. Sì, però ha minacciato la mia vita ed il mio onore.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
Salen los pastores, y traen presos a Mireno y Tarso. Ande apriesa el bellacón. Aquí está el duque. TARSO Paciencia me dé Herodes. DENIO Aho, llegá, pues sois alcalde, y habralde. DORISTO Buen viejo, yo so el alcalde, y vos el duque. LARISO (Al duque) ¡Verá...! (A Doristo) Llegaos más cerca. DORISTO Y sopimos yo, el herrero y su mujer que mandábades prender estos bellacos, y fuimos Bras Llorente y Gil Bragado... TARSO Aquese yo le seré, pues por mi mal me embragué. DORISTO Y después de haber llamado a concejo el regidero Pero Mínguez... (A Lariso) Llegá acá, que no sois bestia, y habrá; decid lo demás. LARISO No quiero: decildo vos. DORISTO No estodié sino hasta aquí; en concrusión: estos los ladrones son, que por solo heros mercé prendimos yo y Gil Mingollo: haga lo que el puebro pide su duquencia, y no se olvide lo que le dije del rollo. DORISTO LARISO
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Entrano i pastori portando legati Mireno e Tarso. Che si sbrighi quer ribaldo! Ecco il duca. TARSO Mi dia Erode la pazienza. DENIO Aho, venì! Sete er sindaco, parlate. DORISTO Io so’ er sindaco, buon vecchio, e voi il duca. LARISO (Al duca) Veramente! (A Doristo) Qui venite! DORISTO E si riseppe con il fabbro e la mogliera che volevi catturare questi due vigliacchi e allora con Llorente e Gil Bragado... TARSO Son io quello, ché mi sono per disdetta mia imbragato. DORISTO E dopo che s’è chiamato a consulta l’assessore Pero Mínguez... (A Lariso) Su venite, nun sete bestia e parlate, dite il resto! LARISO No, non voglio. Seguitate voi. DORISTO Ho stodiato fin qui solo; in concrusione sono questi i due ribaldi che pe’ rendevve un favore si son presi io e Gil Migollo. Faccia ciò che il paese vole vostra ducanza e rammenti quanto del cippo gli chiesi. DORISTO LARISO
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO DUQUE
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(De rodillas)
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¡Hay mayor simplicidad! Ni he entendido a lo que vienen, ni por qué delito tienen así estos hombres. Soltad los presos; y decid vos qué insulto habéis cometido para que os hayan traído de aquesa suerte a los dos. Si lo es el favorecer, gran señor, a un desdichado, perseguido y acosado de tus gentes y poder, y juzgas por temerario haber trocado el vestido por dalle vida, yo he sido. ¿Tú libraste al secretario? Pero sí, que aquese traje era suyo. Di, traidor, ¿por qué le diste favor? Vueselencia no me ultraje, ni ese título me dé; que no estoy acostumbrado a verme así despreciado. ¿Quién eres? No soy, seré; que solo por pretender ser más de lo que hay en mí menosprecié lo que fui por lo que tengo de ser. No te entiendo. (¡Estraña audacia de hombre! El poco temor que muestra dice el valor que encubre. De su desgracia me pesa.) Di: ¿conocías al traidor que ayuda diste?
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(In ginocchio)
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DUCA MIRENO
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DUCA
Si può essere più ingenui! Né ho capito cosa vogliono, né per che delitto portano questi due così. Slegate i prigionieri, e voi ditemi che colpa avete commesso per venire qui condotti tutti e due in codesto modo. Se lo è aver favorito, signore, uno sventurato, dai tuoi uomini braccato e dal potere inseguito; se ritieni temerario aver scambiato il vestito per salvarlo, io son stato. Tu hai salvato il segretario? Certo, sì, perché quei panni eran suoi. Di’, traditore perché gli hai reso il favore? Vostra grazia non m’oltraggi, né mi chiami in questo modo, perché io non sono avvezzo ad esser tanto umiliato. Chi sei? Non sono, sarò, ché soltanto perché voglio esser più di quanto è in me ho sprezzato quel che ero per ciò che essere dovrò. Non t’intendo. (Strana audacia di uomo! Il poco timore già dice quanto valore celi. Della sua disgrazia mi dolgo.) Di’, conoscevi il vile cui hai dato aiuto? 1185
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO
MIRENO
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Mas, pues por él te pusiste en tal riesgo, bien sabías quién era. Supe que quiso dar muerte a quien deshonró su hermana, y después te dio de su honrado intento aviso; y enviándole a prender, le libré de ti, espantado por ver que el que está agraviado persigas, debiendo ser favorecido de ti, por ayudar al que ha puesto en riesgo su honor. (¿Qué es esto? ¿Ya anda derramada así la injuria que hice a Leonela?) ¿Sabes tú quién la afrentó? Supiéralo, señor, yo; que a sabello... Fue cautela del traidor para engañarte: tú sabes adónde está, y así forzoso será, si es que pretendes librarte, decillo. ¡Bueno sería, cuando adonde está supiera, que un hombre como yo hiciera, por temor, tal villanía! ¿Villanía es descubrir un traidor? Llevalde preso; que si no ha perdido el seso y menosprecia el vivir, él dirá dónde se esconde.
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CONTE DUCA MIRENO DUCA
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Ma se per lui hai rischiato, certo sapevi chi era. Seppi che volle dar morte a chi aveva a sua sorella tolto l’onore e ti dette del suo degno intento avviso, ma, volendo tu fermarlo, l’ho sottratto a te, sgomento di veder che ti accanisci con colui che è offeso quando lo dovresti favorire, e soccorrere chi ha messo il suo onore a un tale rischio. (Che sento? Già è divulgata l’onta fatta a Leonela?) Sai tu chi l’abbia oltraggiata? Oh lo sapessi, signore! Ché sapendolo... Fu astuzia di quel vile per giocarti. Tu sai dove lui si trova e per forza ora dovrai, se hai intenzione di salvarti, dirmelo. Bello sarebbe per un uomo come me, fare, anche se lo sapessi, tale sgarbo per timore! È uno sgarbo rivelare chi ha tradito? Via, in prigione, ché se non ha perso il senno e la vita gli sta a cuore ci dirà dove si cela.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO MADALENA
DUQUE CONDE TARSO DUQUE TARSO
DUQUE MIRENO
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(Ya deseo de libralle, que no merece su talle tal agravio.) Intento, conde, vengaros. Él lo dirá. (¡Muy gentil ganancia espero!) Vamos; que responder quiero al rey. (¡Medrando se va con la mudanza de estado, y nombre de don Dionís!) Viviréis si lo decís. (La fortuna ha comenzado a ayudarme: ánimo ten, porque en ella es natural, cuando comienza por mal, venir a acabar en bien.) (Bragas, si una vez os dejo, nunca más transformación.)
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Llévanlos presos. DUQUE
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Meted una petición vosotros en mi consejo de lo que queréis; que allí se os pagará este servicio. Vos, que tenéis buen juicio, la peticionad. Sea así... Señor, por este cuidado haga un rollo en mi lugar, tal que se pueda ahorcar en él cualquier hombre honrado. Vanse los pastores, el duque y el conde; quedan los demás.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO MADALENA
DUCA CONTE TARSO DUCA TARSO
DUCA MIRENO
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(Io vorrei già liberarlo, ché non merita il suo aspetto quest’affronto.) Conte, intendo vendicarvi. Parlerà. (Bella ricompensa aspetto!) Via, ché rispondere voglio al re. (Proprio un bel guadagno quello scambio di vestiti, e il nome di don Dionís!) Siete salvo, se parlate. (La fortuna ha cominciato a aiutarmi: abbi coraggio perché ad essa è congeniale che vada a finire bene quanto è cominciato male.) (Calze, se arrivo a lasciarvi, niente più trasformazioni!) Li portano via legati.
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DORISTO LARISO DORISTO
Fate voi una petizione da portare al mio consiglio di quel che chiedete, e lì vi ripagherò il servizio. Voi che avete buon giudizio, fatela. Davvero, sì. Signore, per questo affare, faccia un cippo ar mi paese tale da farvi impiccare chiunque sia un uomo d’onore. Escono i pastori, il duca, il conte. Restano gli altri.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO PRIMERO MADALENA
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Mucho, doña Serafina, me pesa ver llevar preso aquel hombre. Yo confieso que a rogar por él me inclina su buen talle. ¿Eso desea tu afición? ¿Ya es bueno el talle? Pues no tienes de libralle aunque lo intentes. No sea.
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Vanse doña Serafina y doña Madalena. JUANA ANTONIO
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¿Habeisos de ir esta tarde? ¡Ay, prima! ¿cómo podré, si me perdí, si cegué, si amor, valiente, cobarde, todo el tesoro me gana del alma y la voluntad? Solo por ver su beldad no he de irme hasta mañana. ¡Bueno estáis! ¿Que amáis en fin? Sospecho, prima querida, que de mi contento y vida Serafina será fin.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO PRIMO MADALENA
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Molto, donna Serafina, mi rincresce di vedere che imprigionano quell’uomo. Dal suo aspetto, ti confesso, intercederei per lui. Il tuo affetto vuole questo? Ti piace la sua persona? Bene, per quanto lo voglia, non dovrai farlo. No, certo. Escono Serafina e Madalena.
JUANA ANTONIO
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Partirete questa sera? Cugina, come potrei se son smarrito, accecato, se l’amore spudorato ogni tesoro mi ruba d’anima e di sentimento? Non posso, da quanto è bella, partir prima di domani. State fresco! Amate infine? Temo che, cugina cara, d’ogni mia vita e speranza Serafina sarà il fine.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Sale doña Madalena sola. MADALENA
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¿Qué novedades son estas, altanero pensamiento? ¿Qué torres sin fundamento tenéis en el aire puestas? ¿Cómo andáis tan descompuestas, imaginaciones locas? Siendo las causas tan pocas, ¿queréis exponer mis menguas a juicio de las lenguas y a la opinión de las bocas? Ayer guardaban los cielos el mar de vuestra esperanza con la tranquila bonanza que agora inquietan desvelos. Al conde de Vasconcelos, o a mi padre di, en su nombre, el sí, mas, porque me asombre, sin que mi honor lo resista, se entró al alma a escala vista, por la misma vista un hombre. Viole en ella, y fuera exceso digno de culpar mi honor, a no saber que el amor es niño, ciego y sin seso. ¿A un hombre estranjero y preso, a mi pesar, corazón, habéis de dar posesión? ¿Amar al conde no es justo? Mas ¡ay! que atropella el gusto las leyes de la razón. Mas pues a mi instancia está por mi padre libre y suelto, mi pensamiento resuelto
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entra donna Madalena sola. MADALENA
Che novità son mai queste, pensiero che spicchi il volo? Che castelli senza base costruisci su nel cielo? Dove correte sfrenate dissennate fantasie? Per un motivo da niente esporre le mie debolezze al giudizio delle lingue e al mormorio della gente? Tranquillo ieri era il mare del vostro sperare, ma oggi la sua serena bonaccia dubbi son giunti a increspare. Al Conte di Vasconcelos o a mio padre col suo assenso detti il sì, ma a mio sgomento, senza che il mio onor resista, entrò da una scala a vista, per la vista al cuore un uomo. Lo vide in essa, e sarebbe colpa che accusa il mio onore, se non sapessi che un bimbo cieco e sventato è l’amore. A un forestiero in catene vi vorreste, anima mia, mio malgrado, consegnare? Darsi al conte non è giusto? Ma ahimè, ché sbaraglia il gusto le leggi della ragione! Ora che dietro mia istanza l’ha mio padre liberato, il mio pensiero sfrontato 1193
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
bien remediarse podrá. Forastero es; si se va, con pequeña resistencia podrá sanar la paciencia el mal de mis desconciertos, pues son médicos expertos de amor el tiempo y la ausencia. Pero, ¿con qué rigor trazo el remedio de mi vida? Si puede sanar la herida, crueldad es cortar el brazo. Démosle a amor algún plazo, pues su vista me provoca, que, aunque es la efímera loca ninguno al enfermo quita el agua que no permita siquiera enjaguar la boca. ¿Hacerle quiero llamar a doña Juana? Teneos, desenfrenados deseos, si no os queréis despeñar: ¿así vais a publicar vuestra afrenta? La vergüenza mi loco apetito venza; que, si es locura admitillo dentro del alma, el decillo es locura o desvergüenza.
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Aquel mancebo dispuesto que ha estado preso hasta agora y a tu intercesión, señora, ya en libertad está puesto, pretende hablarte. (¡Qué presto valerse el amor procura
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rinsavire ben potrà. È straniero, e se riparte con ben poca resistenza risanerà, la pazienza, il mio folle vaneggiare, perché medici d’amore sono tempo e lontananza. Ma a che drastico rimedio sottopongo la mia vita? Se sanar può la ferita crudeltà è tagliare il braccio. Facciam credito all’amore, ché il vederlo m’ha sfidato, e pur se la febbre è alta non si nega mai all’infermo una goccia con cui possa bagnarsi, almeno, la bocca. E se lo andasse a chiamare donna Juana? Reggetevi, forsennati desideri, se non volete franare: così intendete annunziare la vostra infamia? Che vinca la mia follia la vergogna, ché se è folle consentirla nell’anima, divulgarla è follia ed inverecondia. Entra donna Juana. JUANA
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Quell’aitante giovanotto fino a poco fa in prigione e che, per tua intercessione, signora, è stato prosciolto, chiede di parlarti. (Presto cerca amore di avvalersi 1195
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
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de la ocasión y ventura que ha de ponerse en efeto! Mas hace como discreto; que amor todo es coyuntura.) ¿Sabes qué quiere? Pretende al favor que ha recibido por ti ser agradecido. (Áspides en rosas vende.) ¿Entrará? (Si preso prende, si maltratado maltrata, si atado las manos ata las de mi gusto resuelto, ¿qué ha de hacer presente y suelto, quien ausente y preso mata?) Dile que vuelva a la tarde; que agora ocupada estoy... Mas oye: no vuelva. Voy. Escucha: di que se aguarde... Mas... váyase; que ya es tarde. ¿Hase de volver? ¿No digo que sí? Ve. Tu gusto sigo. Pero torna, no se queje. Pues ¿qué diré? Que me deje; (... y que me lleve consigo.) Anda; di que entre... Voy, pues. Vase.
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del caso e della fortuna. Però agisce saggiamente che l’amore è congiuntura.) Sai che voglia? Egli vorrebbe per il favore che ha avuto da te, dimostrarsi grato. (Aspidi fra rose vende.) Può entrare? (Se preso, prende, se maltrattato maltratta, se con le mani legate, la mia passione costringe, che farà presente e sciolto se a distanza e in ceppi uccide?) Digli che torni stasera perché ora sono occupata. Anzi no, non torni. Vado. Ascolta, digli che attenda. No, che vada, oramai è tardi. Che ritorni? Non t’ho detto già di sì? Vai. Come vuoi! No, no, aspetta. E se si spiace? Che gli dico? Che mi lasci (e mi porti via con sé.) Via, che entri. Vado, sì. Esce.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO MADALENA
...que, aunque venga a mi presencia, vencerá la resistencia hoy del valor portugués. El desear y ver es, en la honrada y la no tal, apetito natural; y si diferencia se halla, es en que la honrada calla y la otra dice su mal. Callaré, pues que presumo cubrir mi desasosiego, si puede encubrirse el fuego, sin manifestalle el humo. Mas bien podré, si consumo el tiempo a palabras vanas; pero las llamas tiranas del amor, es cosa cierta que, en cerrándolas la puerta, se salen por las ventanas; cuando les cierren la boca, por los ojos se saldrán; mas no las conocerán callando la lengua loca, que, si ella a amor no provoca nunca amorosos despojos dan atrevimiento a enojos si no es en cosas pequeñas, porque al fin hablan por señas cuando hablan solos los ojos. Sale Mireno, galán.
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Aunque ha sido atrevimiento el venir a la presencia, señora, de vuexcelencia mi poco merecimiento,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO MADALENA
Venga sì, alla mia presenza, che saprà far resistenza la mia tempra portoghese. Desiderare e vedere sono istinti naturali nella donna che è dabbene e in quella che non è tale. E se c’è una differenza è che l’onorata tace e l’altra dice il suo male. Tacerò, sì, che presumo di celare il mio subbuglio, se mai il fuoco può celarsi senza che lo mostri il fumo. Ci riuscirò, se consumo il tempo in parole vane, pur se le fiamme tiranne dell’amore, questo è certo, trovando la porta chiusa, dalle finestre se n’escono; e con la bocca serrata, dagli occhi se ne usciranno; ma non le ravviseranno se tace la lingua sciocca, che, se lei non spinge a amare, mai le conquiste amorose daran via libera a sfoghi se non in piccole cose, ché infine parlano a cenni gli occhi quando parlan soli. Entra Mireno, in abito da corte.
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Pure se è stato un azzardo venire qui alla presenza signora, di sua eccellenza, senza averlo meritato, 1199
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
ser agradecido trato al recibido favor; porque el pecado mayor es el que hace un hombre ingrato. Por haber favorecido de un desdichado la vida, que al noble es deuda debida, me vi preso y perseguido, pero en la misma moneda me pagó el cielo, sin duda, pues libre con vuestra ayuda, mi vida, señora, queda. ¿Libre dije? Mal he hablado; que el noble, cuando recibe, cautivo y esclavo vive, que es lo mismo que obligado; y, ojalá mi vida fuera tal que si esclava quedara, alguna parte pagara desta merced, que ella hiciera excesos; pero entre tantas que mi humildad envilecen y como esclavos ofrecen sus cuellos a vuestras plantas
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Arrodíllase.
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a pagar con ella vengo la mucha deuda en que estoy; pues no os debo más si os doy, gran señora, cuanto tengo. Levantaos del suelo. Así estoy, gran señora, bien. Haced lo que os digo. (¿Quién me ciega el alma? ¡Ay de mí!) ¿Sois portugués?
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tento di rendervi grazie del favore ricevuto, perché il peccato più grande per un uomo è essere ingrato. Per avere io favorito la vita di un disgraziato, – per chi è nobile un dovere – m’hanno preso e imprigionato; ma di una stessa moneta ecco il cielo mi ripaga, perché grazie a voi, signora, sono libero di nuovo. Libero ho detto? Ho sbagliato, ché il nobile quando riceve vive schiavo e prigioniero come fosse indebitato, e magari la mia vita fosse tale che, ancor schiava, in qualche modo pagasse questo favore, ché molto gioirebbe; ma fra tante che la mia umiltà avviliscono e come schiave si offrono a voi prostrate dinnanzi, Si inginocchia.
MADALENA MIRENO MADALENA
a pagar con essa vengo il mio debito, ché niente più vi devo, gran signora, se quanto possiedo v’offro. Suvvia, alzatevi. Questo è, gran signora, il posto mio. Fate quel che dico. (Chi, l’anima m’acceca. Ahimè!) Siete portoghese? 1201
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
(Levantáse) Imagino que sí. MADALENA ¿Que lo imagináis? ¿De esa suerte incierto estáis de quién sois? MIRENO Mi padre vino al lugar adonde habita, y es de alguna hacienda dueño, trayéndome muy pequeño; mas su trato lo acredita. Yo creo que en Portugal nacimos. MADALENA ¿Sois noble? MIRENO Creo que sí, según lo que veo en mi honrado natural, que muestra más que hay en mí. MADALENA Y ¿darán la obras vuestras, si fuere menester, muestras que sois noble? MIRENO Creo que sí. Nunca de hacellas dejé. MADALENA «Creo» decís a cualquier punto. ¿Creéis, acaso, que os pregunto artículos de la fe? MIRENO Por la que debe guardar a la merced recibida de vuexcelencia mi vida, bien los puede preguntar, que mi fee su gusto es. MADALENA ¡Qué agradecido venís! ¿Cómo os llamáis? MIRENO Don Dionís. MADALENA Ya os tengo por portugués y por hombre principal; que en este reino no hay hombre humilde de vuestro nombre,
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(Si alza)
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Penso. Come dite? Lo pensate? In tal modo siete incerto su chi siete? Andò mio padre nel luogo dove ora vive e qualche terra possiede con me piccolo, però la sua indole lo dice. In Portogallo, io credo che siam nati. Siete nobile? Credo di sì, a giudicare dal mio senso dell’onore, che oltrepassa quel ch’io sono. E potreste con le azioni dimostrare, all’occorrenza, che siete nobile? Credo, ché mai tralasciai di farle. «Credo» dite a ogni domanda. Credete che vi interpelli sugli articoli di fede? Per quella che ha da serbare la mia vita alla mercede resa da vostra eccellenza, me li può chiedere pure, ché mia fede è il suo volere. Come grato vi mostrate! Vi chiamate? Don Dionís. Ora so che portoghese siete ed uomo d’alto rango, ché nel regno non c’è uomo vile che abbia un tale nome:
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porque es apellido real; y solo el imaginaros por noble y honrado ha sido causa que haya intercedido con mi padre a libertaros. Deudor os soy de la vida. Pues bien, ya que libre estáis, ¿qué es lo que determináis hacer de vuestra partida? ¿Dónde pensáis ir? Intento ir, señora, donde pueda alcanzar fama que exceda a mi altivo pensamiento; solo aquesto me destierra de mi patria. ¿En qué lugar pensáis que podéis hallar esa ventura? En la guerra; que el esfuerzo hace capaz para el valor que procuro. ¿Y no será más seguro que le adquiráis en la paz? ¿De qué modo? Bien podéis granjealle si dais traza que mi padre os dé la plaza de secretario, que veis que está vaca agora, a falta de quien la pueda suplir. No nació para servir mi inclinación, que es más alta. Pues cuando volar presuma, las plumas la han de ayudar.
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è appellativo reale, e solo per ritenervi nobile e onorato volli presso mio padre intercedere per farvi tornare libero. La vita vi devo. E allora, giacché v’hanno liberato, cos’è che avete pensato circa la vostra partenza? Dove andrete? Là, signora, dove possa avere fama che si lasci indietro il mio altezzoso ragionare. Solo questo mi allontana dalla mia patria. E in che luogo pensereste di trovare tanta sorte? Nella guerra, ché il coraggio mi fa degno del valore che ricerco. Però, non sarebbe meglio ottenerla nella pace? E in che modo? Ben potreste guadagnarvela cercando che mio padre vi dia il posto di segretario: saprete che ora è libero e in attesa di chi possa ricoprirlo. Non è nata per servire la mia indole: è più alta. Se dovrà volare, allora penne dovranno aiutarla.
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¿Cómo he de poder volar con solamente una pluma? Con las alas del favor, que el vuelo de una privanza mil imposibles alcanza. Del privar nace el temor, como muestra la esperiencia; y tener temor no es justo. Don Dionís: este es mi gusto. ¿Gusto es de vuesa excelencia que sirva al duque? Pues, alto: cúmplase, señora, ansí, que ya de un vuelo subí al primer móvil más alto. Pues si en esto gusto os doy, ya no hay que subir más arriba: como el duque me reciba, secretario suyo soy. Vos, señora, lo ordenad. Deseo vuestro provecho, y ansí lo que veis he hecho, que, ya que os di libertad, pesárame que en la guerra la malograrais; yo haré cómo esta plaza se os dé porque estéis en nuestra tierra. Mil años el cielo guarde tal grandeza. (Honor, huir, que revienta por salir, por la boca, amor cobarde.)
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Pensamiento, ¿en qué entendéis? Vos, que a las nubes subís, decidme: ¿qué colegís
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E come potrà volare con una penna soltanto? Con le ali del favore, ché il volo di un privilegio cose impossibili ottiene. Ma dal privilegio nasce, per esperienza, il timore e temere non conviene. Don Dionís, è il mio volere. Piace a vostra eccellenza che io serva il duca? Allora, così, signora, si faccia: in un batter d’ali sono già volato al più alto cielo, ché se in questo v’obbedisco, non dovrò volar più in alto. Basta che il duca m’accolga e sarò suo segretario. È un vostro ordine, signora. Desidero il vostro bene, perciò ho fatto tutto questo; se vi ho dato libertà mi dorrei che nella guerra la sciupaste; farò sì che vi diano il posto in modo che restiate in questa terra. Una simile grandezza guardi il cielo. (Fuggi, onore, ché ora scoppia per uscire dalla bocca amore vile.) Esce.
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Pensiero, che ci capisci? Tu che nel cielo t’innalzi dimmi, che cosa ricavi 1207
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de lo que aquí visto habéis? Declaraos, que bien podéis. Decidme: tanto favor ¿nace de solo el valor que a quien os honra ennoblece, o erraré si me parece que ha entrado a la parte amor? ¡Jesús, qué gran disparate! Temerario atrevimiento es el vuestro, pensamiento; ni se imagine ni trate;: mi humildad el vuelo abate con que sube el deseo vario; mas, ¿por qué soy temerario si imaginar me prometo que me ama en lo secreto quien me hace su secretario? ¿No estoy puesto en libertad por ella, y ya sin enojos, por el balcón de sus ojos, no he visto su voluntad? Amor me tiene. Callad, lengua loca; que es error imaginar que el favor que de su nobleza nace, y generosa me hace, está fundado en amor. Mas el desear saber mi nombre, patria y nobleza, ¿no es amor?: esa es bajeza. Pues, alma, ¿qué puede ser?: curiosidad de mujer. Sí; mas, ¿dijera– alma, advierte – a ser eso de esa suerte sin reinar amor injusto: «Don Dionís, este es mi gusto»? Este argumento, ¿no es fuerte? 1208
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da quanto hai visto fin qui? Dichiarati, ché lo puoi. Dimmi: un sì grande favore nasce solo dal valore che nobilita chi onora, o mi sbaglio a pensare che ci sia di mezzo amore? Gesù, quale assurdità! Un azzardo temerario mi suggerisci, o pensiero: non c’è neanche da parlarne! La mia umiltà abbatte il volo dell’inquieto desiderio; ma perché è esser temerario immaginare e sperare che segretamente m’ami chi mi vuol suo segretario? Non m’ha messo in libertà proprio lei? E dai suoi occhi, già più dolci, non ho visto la sua chiara volontà? È innamorata! – Sta’ zitta lingua sciocca; è un grande errore figurarsi che il favore che nasce da nobiltà e generosa mi fa sia fondato sull’amore! Pure, il suo voler sapere il mio nome, la mia patria la mia stirpe, non è amore? Quale infamia! E cos’è, cuore? Curiosità femminile. Sì, ma allora – anima, attenta! – perché dir, se così fosse, e l’amore non regnasse, don Dionís, è il mio volere? Non è un valido argomento? 1209
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Mucho, pero mi bajeza no se puede persuadir que vuele y llegue a subir al cielo de tal belleza; pero ¿cuándo hubo flaqueza en mi pecho? Esperar quiero; que siempre el tiempo ligero hace lo dudoso cierto, pues mal vivirá encubierto al tiempo, amor y dinero.
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Ya que como a Daniel del lago, nos han sacado de la cárcel, donde he estado con menos paciencia que él; siendo la hija del duque nuestro profeta Habacú, ¿qué aguardas más aquí tú, a que el tiempo nos bazuque? ¿Tanto bien nos hizo Avero, que en él con tal sorna estás? Vámonos; pero dirás que quieres ser caballero. Y poco faltó, pardiós, para ser en Portugal caballeros a lo asnal, pues que supimos los dos que el duque mandado había que, por las acostumbradas, nos diesen las pespuntadas orden de caballería. ¡Brito, amigo! No soy Brito, sino Tarso. Escucha, necio.
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Certo, ma la mia modestia non arriva a concepire di poter scalare il cielo d’una simile bellezza. Ma da quando la fiacchezza mi dimora dentro al petto? Aspettiamo, ché il fuggente tempo ogni dubbio risolve, e amore, come il denaro, al tempo non si nasconde. Entra Tarso. TARSO
MIRENO TARSO MIRENO
Ora che, come Daniele dalla fossa, ci hanno tratto dal carcere in cui son stato senza aver la sua pazienza, grazie alla figlia del duca nostro profeta Abacuc, cos’altro aspetti qui tu? Con il tempo la mazzata? T’è piaciuta tanto Avero da star lì con quella calma? Scappiam via! Ma ora dirai che vuoi esser cavaliere. E, per Dio, poco ci manca e ci fanno in Portogallo cavalieri del somaro, ché ambedue ben sapevamo come, su ordine del duca, ci dovessero investire con la frusta, per la via, di quella cavalleria. Brito, amico! Non son Brito, bensì Tarso. Ascolta, sciocco. 1211
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MIRENO MIRENO TARSO MIRENO
TARSO MIRENO
TARSO MIRENO TARSO
Estas calzas menosprecio, que me estorban infinito. Ya que en Brito me transformas, sácame de aquestos grillos; que no fui yo por novillos para que me pongas cormas. Quítamelas, y no quieras que alguna vez güela mal. ¡Peregrino natural! ¿Que nunca has de hablar de veras? Digo que estás temerario. Braguirroto di que estoy. Pero ¿qué hay de nuevo? Soy, por lo menos, secretario del duque de Avero. ¿Cómo? La que nos dio libertad, desta liberalidad es la autora. Mejor tomo tus cosas; ya estás en zancos. Pues aún no lo sabes bien. Darte quiero el parabién: y pues son los amos francos, si algún favor me has de hacer y mi descanso permites, lo primero es que me quites estas calzas, que sin ser presidente, en apretones, después que las he calzado, en ellas he despachado mil húmedas provisiones. Vanse.
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Queste calze io le ripudio, ché continuano a imbrogliarmi. Giacché in Brito mi trasformi, toglimi da questi ceppi; io non me la sto filando perché le pastoie mi metta. Toglimele, non dovessi mandare un cattivo odore! Sempre il solito burlone! Quando parlerai sul serio? Dico che sei un temerario! Di’, piuttosto, sbracalario! Ma che c’è di nuovo? Sono segretario nientemeno del duca d’Avero. Cosa? Colei che ci ha liberato di quest’atto liberale è l’autrice. Vedo meglio le tue cose: sei a cavallo! Non si può ancora sapere. Mi congratulo con te, e poiché son generosi i padroni, se un favore mi vuoi fare perché possa finalmente respirare, toglimi prima di tutto queste calze, perché in esse, dal giorno che l’ho infilate, dispensai a suon di strizzoni, pur senz’esser presidente, mille molli provvigioni. Escono.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Salen don Antonio y doña Juana. ANTONIO
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Prima, a quedarme aquí mi amor me obliga, aguarde el rey o no, que mi rey llamo solo mi gusto, que el pesar mitiga que me ha de consumir si ausente amo. Pájaro soy; sin ver de amor la liga curiosamente me asenté en el ramo de la hermosura, donde preso quedo: volar pretendo; pero más me enredo. El conde de Estremoz sirve y merece a doña Serafina: yo he sabido que el duque sus intentos favorece y hacerla esposa suya ha prometido: quien no parece, dicen que perece; si no parezco, pues, y ya ni olvido ni ausencia han de poder darme reposo, ¿qué he de esperar ausente y receloso? Si mi adorado serafín supiera quién soy, y con decírselo aguardara recíprocos amores con que hiciera mi dicha cierta y mi esperanza clara, más alegre y seguro me partiera, y de su fee mi vida confïara; si se puede fïar el que es prudente de sol de enero y de mujer ausente. No me conoce y mi tormento ignora, y así en quedarme mi remedio fundo; que me parta después o vaya agora a la presencia de don Juan Segundo, importa poco. Prima mía, señora, si no quieres que llore, y sepa el mundo el lastimoso fin que ausente espero no me aconsejes el salir de Avero. Don Antonio, bien sabes lo que estimo tu gusto, y que el amor que aquí te enseño al deudo corresponde que de primo
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Entrano don Antonio e donna Juana. ANTONIO
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Cugina, a restar qui m’obbliga Amore, m’aspetti pure il re, che mio re chiamo il mio piacere, se smorza l’affanno che mi consumerà se m’allontano. Passero ignaro d’amorose panie, mi son posato, curioso, sul ramo, della bellezza di cui schiavo resto: più cerco di volare e più m’invesco. Il conte di Estremoz a buon diritto corteggia donna Serafina; il duca favorisce, ho saputo, i suoi progetti ed ha promesso di dargliela in sposa. Chi non appare dicon che scompare; se non appaio dunque, né l’oblio né mai l’assenza mi daran riposo, che non m’aspetta lontano e geloso? Conoscesse il mio caro serafino chi sono e m’attendessi io col dirlo un mutuo amore sì da render certa la mia fortuna e chiara la speranza, più sereno e sicuro me ne andrei e la mia vita a lei affiderei, se mai si fida chi sia previdente di sole di gennaio e donna assente. Non mi conosce e il mio tormento ignora, per cui l’unica cura è nel restare; che parta poi, o che io vada ora a visitare Giovanni secondo, poco importa. Cugina mia, signora, se non vuoi che m’affligga e sappia il mondo che triste fine m’attende lontano non consigliarmi di lasciare Avero. Don Antonio, tu sai quanto abbia a cuore il tuo piacere e quanto quest’affetto derivi dal legame di cugino 1215
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nuestra sangre te debe, como a dueño; si en que te quedes ves que te reprimo, es por ser este pueblo tan pequeño que has de dar nota en él. Ya yo procuro cómo sin que la dé, viva seguro. 1500 Nunca me ha visto el duque, aunque me [ha escrito; yo sé que busca un secretario esperto, porque al pasado desterró un delito. Con risa el medio que has buscado advierto. ¿No te parece, si en palacio habito 1505 con este cargo, que podré encubierto entablar mi esperanza, como acuda el tiempo, la ocasión, y más tu ayuda? La traza es estremada, aunque indecente, primo, a tu calidad. Cualquiera estado 1510 es noble con amor. No esté yo ausente, que con cualquiera oficio estaré honrado. Búsquese el modo, pues. El más urgente está ya concluido. ¿Cómo? Se ha dado un memorial al duque en que le pido 1515 me dé esta plaza. Diligente has sido; mas, sin saberlo yo, culparte quiero. Del cuidadoso el venturoso nace; hase encargado dél el camarero, de quien dicen que el duque caudal hace. 1520 Mucho priva con él. Mi dicha espero si el cielo a mis deseos satisface
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
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che a te mi unisce, del mio sangue essendo. Se dallo stare qui ti dissuado, è perché questo posto è così piccolo che puoi dare nell’occhio. Farò in modo di non farlo per vivere sicuro. Non mi conosce il duca che per scritto, e so che cerca un segretario esperto, perché il passato lo esiliò un delitto. Mi fa ridere il modo che hai cercato! Non ti sembra che, se abito a palazzo con quest’impiego, potrò di nascosto dar fiato alla speranza, se m’appoggia il tempo, l’occasione e il tuo soccorso? Il piano è bello, ma non corrisponde, cugino, al rango tuo. Qualsiasi grado è nobile in amore. Purché resti, mi riterrò d’ogni ufficio onorato. Si cerchi il modo allora. Il più importante l’ho già trovato. E come? È stato dato un memoriale al duca in cui gli chiedo di darmi questo posto. Hai fatto presto; ma t’incolpo perché non me l’hai detto. La fortuna sorride a chi la incalza: già se ne sta occupando il cameriere di cui, si dice, il duca faccia conto. Di lui si fida molto. Nel successo io spero, quando il cielo mi esaudisca
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
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y el camarero en la memoria tiene esta promesa. Primo, el duque viene. Salen el Duque y Figueredo.
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DUQUE FIGUEREDO
ANTONIO DUQUE ANTONIO DUQUE ANTONIO
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Ya sabes que requiere aquese oficio 1525 persona en quien concurran juntamente calidad, discreción, presencia y pluma. La calidad no sé; de esotras partes le puedo asegurar a vueselencia que no hay en Portugal quien conforme a ellas 1530 mejor pueda ocupar aquesa plaza; la letra, el memorial que vueselencia tiene suyo podrá satisfacelle. Alto, pues tú le abonas, quiero velle. Quiérole ir a llamar... Pero delante 1535 está de vueselencia. Llegá, hidalgo, que el duque, mi señor, pretende veros. Deme los pies vueselencia. Alzaos. ¿De dónde sois? Señor, nací en Lisboa. ¿A quién habéis servido? Heme criado 1540 con don Antonio de Barcelos, conde de Penela, y os traigo cartas suyas, en que mis pretensiones favorece. Quiero yo mucho al conde don Antonio por el valor que dél me cuentan todos, 1545 aunque nunca le he visto. ¿Por qué causa no me las habéis dado? No acostumbro pretender por favores lo que puedo por mi persona, y quise que me viese primero vueselencia.
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
JUANA
e purché il cameriere non si scordi questa promessa. Cugino, c’è il duca. Entrano il duca e Figueredo.
DUCA
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DUCA FIGUEREDO
ANTONIO DUCA ANTONIO DUCA ANTONIO
DUCA
ANTONIO
Sai bene che quel compito richiede persona che abbia insieme discrezione, grado di nobiltà, presenza e penna. Di nobiltà non so, ma le altre doti io garantisco a vostra eccellenza che non c’è in Portogallo chi più le abbia per poter ricoprire un tale posto. Il memoriale che vostra eccellenza ha fra le mani potrà soddisfarvi. Via, lo vedrò, se tu lo garantisci. Chiamare lo farò... ma già si trova davanti a voi. Venite, galantuomo, ché il duca mio signore vuol vedervi. Mi prostro ai piedi di vostra eccellenza. Alzatevi. Da dove provenite? Nacqui a Lisbona. Chi avete servito? Son cresciuto col conte di Penela Antonio de Barcelos, e ho qui le carte con cui le mie richieste favorisce. Io voglio bene al conte don Antonio per il valore di lui a tutti noto, anche se mai l’ho visto. Perché prima non me le avete date? Non sono uso a avere con favori quanto posso ottenere da solo, ed ho voluto che prima mi vedeste.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Camarero, su talle y buen estilo me ha agradado. (A don Antonio.) Mi secretario sois; cumplan las obras lo mucho que promete esa presencia. ANTONIO Remítome, señor, a la experiencia. DUQUE Doña Juana: ¿qué hace Serafina y Madalena? JUANA En el jardín agora estaban las dos juntas, aunque entiendo que mi señora doña Madalena quedaba algo indispuesta. DUQUE Pues ¿qué tiene? JUANA Habrá dos días que anda melancólica, sin saberse la causa deste daño. DUQUE Ya la adivino yo: vamos a vella, que, como darla nuevo estado intento, la mudanza de vida siempre causa tristeza en la mujer honrada y noble; y no me maravillo esté afligida quien teme un cautiverio de por vida. Doña Juana, quedaos; que como viene el mensajero de Lisboa y conoce al conde de Penela, vuestro primo, tendréis que preguntarle muchas cosas. JUANA Es, gran señor, así. DUQUE Yo gusto de eso. Secretario: quedaos. ANTONIO Tus plantas beso. DUQUE
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Vanse el duque y Figueredo. ANTONIO JUANA ANTONIO
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Venturosos han sido los principios. Si tienes por ventura ser criado de quien eres igual, ventura tienes. Ya por lo menos estaré presente, y estorbaré los celos de algún modo que el conde de Estremoz me causa, prima.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
Cameriere, mi piacciono i suoi modi e il suo contegno. (A don Antonio) Siate mio segretario e che si avveri quanto promette la vostra presenza. ANTONIO Mi rimetto, signore, all’esperienza. DUCA Che fanno Serafina e Madalena, donna Juana? JUANA Erano in giardino or ora tutte e due, ma m’è sembrato che la signora donna Madalena non si sentisse bene. DUCA Cos’ha dunque? JUANA Saran due giorni che è un po’ malinconica, senza che se ne sappia la ragione. DUCA Posso intuirla, ma andiamo da lei ché, poiché darle un nuovo stato intendo, il cambiar vita sempre nella donna nobile e degna causa turbamento, e non mi meraviglio che sia afflitta chi teme d’esser prigioniera a vita. Voi, donna Juana, restate, ché arriva il messo da Lisbona e, conoscendo lui il conte di Penela, a voi cugino, dovrete domandargli molte cose. JUANA Così è, gran signore. DUCA Ne ho piacere. Segretario, restate. ANTONIO A voi m’inchino.
DUCA
Escono il duca e Figueredo. ANTONIO JUANA ANTONIO
Come inizio son stato fortunato. Se ritieni fortuna far da servo a chi ti è pari, sì, fortuna hai avuto. Ma perlomeno sarò qui presente, e un poco smorzerò la gelosia che il conte di Estremoz mi dà, cugina. 1221
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO JUANA
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Dásele dél tan poco a quien adoras, y deso, primo, está tan olvidada, que en lo que pone agora su cuidado es solo en estudiar con sus doncellas una comedia, que por ser mañana Carnestolendas, a su hermana intenta representar, sin que lo sepa el duque. ¿Es inclinada a versos? Pierde el seso por cosas de poesía, y esta tarde conmigo sola en el jardín pretende ensayar el papel, vestida de hombre. ¿Así me dices eso, doña Juana? Pues, ¿cómo quieres que lo diga? ¿Cómo? Pidiéndome la vida, el alma, el seso, en pago de que me hagas tan dichoso que yo la pueda ver de aquesa suerte. Así vivas más años que hay estrellas; así jamás el tiempo riguroso consuma la hermosura de que gozas; así tus pensamientos se te logren y el rey de Portugal, enamorado de ti, te dé la mano, el cetro y vida... Paso, que tienes talle de casarme con el Papa, según estás sin seso. Yo te quiero cumplir aquese antojo. Vamos y esconderete en los jazmines y murtas que de cercas a los cuadros sirven, donde podrás, si no das voces, dar un hartazgo al alma. ¿Hay en Avero algún pintor? Algunos tiene el duque famosos; mas ¿por qué me lo preguntas?
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Talmente poco importa a chi tu adori ed a tal punto di lui si è scordata, che adesso si preoccupa soltanto di studiare una farsa con le dame che, dato che domani è Carnevale, vorrebbe far vedere a sua sorella senza che il duca ne sia a conoscenza. È appassionata ai versi? Perde il senno per cose di poesia e questa sera da sola insieme a me vuol nel giardino provar la parte, vestita da uomo. Me lo dici così, donna Juana? E come vuoi che te lo dica? Come? Chiedendomi la vita, il cuore, il senno in cambio di quella fortuna immensa che sarebbe vederla in quella veste. Così tu possa vivere più anni delle stelle del cielo, e giammai il tempo spietato ti consumi la bellezza; così ogni desiderio ti si avveri e invaghito di te il nostro sovrano ti dia lo scettro, la vita, la mano... Calmati, ché potresti darmi in sposa anche al papa, da quanto hai perso il senno! Voglio aiutarti in questo tuo capriccio. Via, ti nasconderò fra i gelsomini e i mirti che circondano le aiuole da dove, se stai zitto, riuscirai a saziare il tuo cuore. C’è ad Avero qualche pittore? Ne ha qualcuno il duca di fama. Ma perché me lo domandi?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO ANTONIO
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Quiero llevar conmigo quien retrate mi hermoso serafín; pues fácilmente, mientras se viste, sacará el bosquejo. ¿Y si lo siente doña Serafina o el pintor lo publica? Los dineros ponen freno a las lenguas y los quitan: o mátame o no impidas mis deseos. ¡Nunca yo hablara, o nunca tú lo oyeras, que tal prisa me das! Ahora bien, primo, en esto puedes ver lo que te quiero. Busca un pintor sin lengua, y no malparas; que, según los antojos diferentes que tenéis los que andáis enamorados sospecho para mí que andáis preñados.
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Vanse. Salen el duque y doña Madalena. DUQUE
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Si darme contento es justo, no estés, hija, desa suerte; que no consiste mi muerte más de en verte a ti sin gusto. Esposo te dan los cielos para poderte alegrar sin merecer tu pesar el conde de Vasconcelos. A su padre, el de Berganza, pues que te escribió, responde; escribe también al conde, y no vea yo mudanza en tu rostro ni pesar, si de mi vejez los días con esas melancolías no pretendes acortar.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO ANTONIO
JUANA ANTONIO
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Voglio con me portare chi ritragga il mio bel serafino: facilmente farà lo schizzo mentre lei si veste. Ma se l’avverte donna Serafina o il pittore lo dice? Col denaro si mette e toglie il freno ad ogni lingua: o mi uccidi o soddisfi le mie brame. Avessi mai parlato e tu ascoltato tanta fretta mi fai! Bene, cugino, da ciò vedrai quanto ti voglio bene. Cerca un pittore muto e fai un buon parto, ché dalle tante e discordanti voglie che avete voi che siete innamorati, non mi sorprenderei che foste pregni! Escono. Entrano il duca e donna Madalena.
DUCA
Se farmi contento è giusto, figlia mia non far così, ché niente come il vederti infelice mi disgusta. Uno sposo ti dà il cielo di cui puoi andare ben lieta, né merita tanta pena il conte di Vasconcelos. Al padre, onor di Braganza, poiché ti ha scritto, rispondi; dovrai scrivere anche al conte, e non veda più tormenti sul tuo volto né tristezza, a meno che tu non voglia con queste malinconie far brevi i miei stanchi giorni.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO MADALENA
DUQUE MADALENA
DUQUE MADALENA
DUQUE MADALENA DUQUE
MADALENA
DUQUE
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Yo, señor, procuraré no tenerlas, por no darte pena, si es que un triste es parte en sí de que no lo esté. Si te diviertes, bien puedes. Yo procuraré servirte; y agora quiero pedirte entre las muchas mercedes que me has hecho, una pequeña. Con condición que se olvide aquesa tristeza, pide. (Honra: el amor os despeña.) El preso que te pedí librases, y ya lo ha sido, de todo punto ha querido favorecerse de mí: con solo esto, gran señor, parece que me ha obligado, y así, a mi cargo he tomado con su aumento tu favor. Es hombre de buena traza, y tiene estremada pluma. Dime lo que quiere en suma. Quisiera entrar en la plaza de secretario. Bien poco ha que dársela pudiera; aún no ha un cuarto de hora entera que está ocupado. (Amor loco: ¡muy bien despachado estáis! Vos perderéis por cobarde, pues acudiste tan tarde, que con alas no voláis.) Por orden del camarero a un mancebo he recibido que de Lisboa ha venido
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO MADALENA
DUCA MADALENA
DUCA MADALENA
DUCA MADALENA DUCA
MADALENA
DUCA
Io, signore, cercherò di scacciarle per non darti pena, ammesso che chi è triste riesca da sé ad evitarlo. Ben lo puoi se ti distrai. Cercherò di compiacerti; però ora ti chiederei fra tanti favori grandi che m’hai fatto uno modesto. Purché questo malumore se ne vada, chiedi pure. (Dignità, t’assale amore!) Il prigioniero che volli liberassi, e già lo è stato, ha preteso in ogni modo d’essermi riconoscente; soltanto per ciò, signore, m’ha, come dire, obbligato, e così ho preso a mio impegno che l’avresti favorito. È un uomo dal fine tratto, eccellente nella penna. Dimmi cosa vuole, insomma. Vorrebbe occupare il posto di segretario. Potevo poco fa averglielo dato; da neanche un quarto d’ora l’ho assegnato. (Amore sciocco, ora sì che sei spacciato! Niente otterrai da codardo, perché, visto il tuo ritardo, le ali certo non hai usato.) Su invito del cameriere un giovane ho ricevuto, che da Lisbona è venuto 1227
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
MADALENA
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MADALENA
con aquese intento a Avero; y, según lo que en él vi, muestra ingenio y suficiencia. Si gusta vuestra excelencia, ya que mi palabra di, y él está con esperanza que le he de favorecer, pues me manda responder al conde y al de Berganza sabiendo escribir tan mal, quisiera que se quedara en palacio, y me enseñara; porque en mujer principal falta es grande no saber escribir cuando recibe alguna carta, o si escribe, que no se pueda leer. Dándome algunas liciones, más clara la letra haré. Alto, pues; lición te dé con que enmiendes tus borrones; que, en fin, con ese ejercicio la pena divertirás, pues la tienes porque estás ociosa; que el ocio es vicio. Entre por tu secretario. Las manos quiero besarte.
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Sale el conde don Duarte. CONDE
Señor...
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¡Conde don Duarte! Con contento extraordinario vengo. ¿Cómo? El rey recibe con gusto mi pretensión,
CONDE DUQUE CONDE
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
MADALENA
DUCA
MADALENA
per questo scopo ad Avero, e da quanto ho constatato mostra ingegno e competenza. Se piace a vostra eccellenza, giacché ho dato la parola ed egli serba speranza ch’io lo possa favorire, poiché vuole che risponda al conte e a quel di Braganza quando so scrivere appena, io vorrei che rimanesse a insegnarmelo a palazzo, perché in donna d’alto rango grave pecca è non sapere scrivere, quando riceve lettere o, se ne scrive, che non le si possa leggere. Se mi dà qualche lezione farò la grafia più chiara. Basta così: egli ti insegni a correggere i tuoi sgorbi ché, con un tale esercizio la pena potrai scacciare che t’assale, dal momento che sei oziosa e l’ozio è un vizio. Sia pure il tuo segretario. Fa’ ch’io ti baci le mani. Entra il conte don Duarte.
CONTE DUCA CONTE DUCA CONTE
Signore! Conte Duarte! Sono al colmo della gioia. Perché mai? Perché il re accoglie di buon grado la richiesta
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
DUQUE
CONDE DUQUE
CONDE DUQUE MADALENA DUQUE CONDE
y sobre aquesta razón a vuestra excelencia escribe. Dice que se servirá su majestad de que elija, para honrar mi casa hija de vueselencia, y tendrá cuidado de aquí adelante de hacerme merced. Yo estoy contento deso y os doy nombre de hijo; aunque importante será que disimuléis mientras doña Serafina al nuevo estado se inclina; porque ya, conde, sabéis cuán pesadamente lleva esto de casarse agora. Hará el alma, que la adora, de sus sufrimientos prueba. Yo haré las partes por vos con ella; perded recelos: el conde de Vasconcelos vendrá pronto, y de las dos las bodas celebraré juntas. Esperar da pena. No estéis triste, Madalena. Yo, señor, me alegraré por dar gusto a vueselencia. Vamos a ver lo que escribe el rey. Quien espera y vive bien ha menester paciencia. Vanse los dos; queda Madalena.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
DUCA
CONTE DUCA
CONTE DUCA MADALENA DUCA CONTE
e scrive sull’argomento a vostra eccellenza. Dice sua maestà che si compiace che io scelga per l’onore del casato mio la figlia di vostra eccellenza e cura prenderà da ora in poi di favorirmi. Ben lieto son di questo e vi ritengo già mio figlio, ma importante sarà che dissimuliate finché donna Serafina non sia al nuovo stato incline, ché ben, conte, voi sapete quanto ella tolleri male di dover sposarsi ora. Farà il cuore che l’adora dura prova di pazienza. Tesserò le vostre lodi presso lei. Non più timori: il conte di Vasconcelos sta arrivando e di ambedue le nozze celebrerò. Aspettare arreca pena. State allegra, Madalena. Io, signore, lo sarò, se vuole vostra eccellenza. Andiamo a veder che scrive il re. Chi aspetta e vive deve bene aver pazienza. Escono ambedue. Rimane Madalena.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO MADALENA
Con razón se llama amor enfermedad y locura, pues siempre el que ama procura, como enfermo, lo peor. Ya tenéis en casa, honor, quien la batalla os ofrece y poco hará, me parece, cuando del alma os despoje, que quien el peligro escoge no es mucho que en él tropiece. Los encendidos carbones tragó Porcia y murió luego; ¿qué haré yo, tragando el fuego, por callar, de mis pasiones? Direle, no por razones, sino por señas visibles, los tormentos insufribles que padezco por no hablar; porque mujer y callar son cosas incompatibles.
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Vase. Salen doña Juana, don Antonio y un pintor. JUANA
ANTONIO
JUANA
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Desde este verde arrayán, donde el sitio al amor hurtas estos jazmines y murtas ser tus celosías podrán: pero que calles te aviso, y tendrá tu amor buen fin. Ya sé que es mi serafín ángel de este paraíso; y yo, si acaso nos siente, seré Adán echado dél. Yo haré que ensaye el papel aquí, para que esté enfrente del pintor, y retratalla
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO MADALENA
Ben si dice che l’amore è un’insania, una follia, ché chi ama cerca sempre, da folle, il male peggiore. Ora ce l’hai in casa, onore, chi ti provoca a battaglia e fra poco, a quanto sembra, dell’anima farà spoglia, perché chi va incontro al rischio va a finire che v’inciampa. Porzia gli ardenti carboni inghiottì e morì tosto. Che avverrà se, per tacere, io fuoco d’amore inghiotto? Gli dirò, non a parole, ma con segnali visibili i tormenti insopportabili che patisco a non parlare, perché esser donna e tacere son due cose incompatibili. Esce. Entrano donna Juana, don Antonio e un pittore.
JUANA
ANTONIO
JUANA
Qui, da questa verde siepe, dove rubi il posto a Amore ti faran da gelosie questi mirti e gelsomini, ma stai attento a non fiatare e il tuo amore avrà buon fine. Ben so che il mio serafino è di questo paradiso angelo e, se ci sentisse, io il suo Adamo discacciato. Farò in modo ch’ella provi la sua parte qui davanti al pittore perché possa 1233
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
con más facilidad pueda. Vistiéndose de hombre queda, pues da en aquesto; a avisalla voy de que solo y cerrado está el jardín. Primo, adiós.
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Vase. ANTONIO
PINTOR ANTONIO
PINTOR ANTONIO
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Pintores somos los dos: ya yo el retrato he copiado, que me enamora y abrasa. No entiendo ese pensamiento. Naipe es el entendimiento, pues la llama tabla rasa, a mil pinturas sujeto, Aristóteles. Bien dices. Las colores y matices son especies del objeto, que los ojos que le miran al sentido común dan; que es obrador donde están cosas que el ingenio admiran tan solamente en bosquejo, hasta que con luz distinta las ilumina y las pinta el entendimiento, espejo que a todas da claridad. Pintadas las pone en venta, y para esto las presenta a la reina voluntad, mujer de buen gusto y voto, que ama el bien perpetuamente, verdadero o aparente, como no sea bien ignoto; que lo que no es conocido nunca por ella es amado.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
con maggior agio ritrarla. Sta vestendosi da uomo, ché così ha deciso; vado a dirle che vuoto e chiuso è il giardino. Addio, cugino. Esce. ANTONIO
PITTORE ANTONIO
PITTORE ANTONIO
Come te sono pittore, ché copiato ho già il ritratto che m’infiamma e m’innamora. Non capisco il tuo concetto. Una tela è l’intelletto sottoposta a ogni pittura ché tabula rasa la chiama Aristotele. Ben detto! Son colori e sfumature apparenze dell’oggetto che dagli occhi contemplato è offerto al senso comune, artefice dove stanno cose rare per l’ingegno, ma soltanto nell’abbozzo, finché con nitida luce non le illumina e dipinge l’intelletto, ch’è uno specchio che sa rischiararle tutte. Dipinte le mette in vendita e per questo le presenta alla volontà regina, donna di gusto e giudizio che ama il bene eternamente, che sia vero od apparente, purché non sia bene ignoto, perché quanto è sconosciuto non può esser da lei amato. 1235
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO PINTOR ANTONIO
PINTOR
ANTONIO
PINTOR ANTONIO
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Desa suerte lo ha enseñado el filósofo. Traído de la pintura el caudal todos los lienzos descoge, y entre ellos compra y escoge, una vez bien y otras mal: pónele el marco de amor, y como en velle se huelga, en la memoria le cuelga, que es su camarín mayor. Del mismo modo miré de mi doña Serafina la hermosura peregrina; tomé el pincel, bosquejé, acabó el entendimiento de retratar su beldad, comprole la voluntad, guarneciole el pensamiento que a la memoria le trajo, y, viendo cuán bien salió luego el pintor escribió: Amor me fecit, abajo. ¿Ves cómo pinta quien ama? Pues si ya el retrato tienes, ¿por qué a retratalla vienes conmigo? Aqueste se llama retrato espiritual; que la voluntad ya ves que es solo espíritu. ¿Pues? La vista, que es corporal, para contemplar el rato que estoy solo su hermosura, pide agora a tu pintura este corporal retrato.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO PITTORE ANTONIO
PITTORE
ANTONIO
PITTORE ANTONIO
È così che ci ha insegnato il filosofo. Una volta che ha davanti l’abbondanza delle tele, le dispiega e ne compra e sceglie alcune, ora bene ed ora male: le incornicia con l’amore e per meglio rimirarle nella memoria l’appende, ch’è il suo salotto migliore. In tal modo io ho guardato della cara Serafina la bellezza peregrina: col pennello l’ho sbozzata, l’intelletto ha terminato di ritrarne l’avvenenza. La passione l’ha comprata, il pensiero incorniciata e affissa nella memoria; e, vedendo il risultato, infine il pittore ha scritto Amor me fecit, sotto. Così dipinge chi ama. Ma se hai già il suo ritratto, perché a dipingerla vieni con me? Questo qui si chiama ritratto spirituale, ché la volontà, sai bene è puro spirito. E allora? La vista, che è corporale perché possa contemplare da sola la sua bellezza chiede ora alla tua pittura un ritratto materiale. 1237
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO PINTOR ANTONIO
No hay filosofía que iguale a la de un enamorado. Soy en amor gradüado; mas oye, que mi bien sale.
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Sale doña Serafina, vestida de hombre; el vestido sea negro, y con ella doña Juana. JUANA SERAFINA
JUANA
SERAFINA JUANA
JUANA
JUANA SERAFINA
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¿Que aquesto de veras haces? ¡Que en verte así no te ofendas! Fiestas de Carnestolendas todas paran en disfraces. Deséome entretener de este modo; no te asombre que apetezca el traje de hombre ya que no lo puedo ser. Paréceslo de manera, que me enamoro de ti. En fin, ¿esta noche es? Sí. A mí más gusto me diera que te holgaras de otros modos, y no con representar. No me podrás tú juntar, para los sentidos todos los deleites que hay diversos como en la comedia. Calla. ¿Que fiesta o juego se halla, que no le ofrezcan los versos? En la comedia, los ojos ¿no se deleitan y ven mil cosas que hacen que estén olvidados sus enojos? La música, ¿no recrea el oído, y el discreto no gusta allí del conceto
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO PITTORE ANTONIO
Non c’è filosofo uguale a colui che è innamorato. L’amore m’ha laureato! Ma ecco che viene il mio bene.
Entra donna Serafina, vestita da uomo; il vestito sarà nero. Con lei è donna Juana. JUANA SERAFINA
JUANA
SERAFINA JUANA
SERAFINA
JUANA SERAFINA
Vuoi far questo veramente? Questi panni non ti offendono? La festa del Carnevale finisce in maschera sempre. Io mi voglio divertire in tal modo: non è strano che ami vestirmi da uomo se non posso diventarlo. In tal modo gli assomigli che potrei di te invaghirmi. Infine è stasera? Sì. A me piacerebbe più che ti svagassi altrimenti, senza dover recitare. Non c’è niente che ti offra riuniti per tutti i sensi i piaceri più diversi come la commedia. Taci. Forse c’è un gioco, uno svago che non stia già nei suoi versi? Nella commedia gli occhi non si deliziano e vedono mille cose che li allietano e bandiscono ogni cruccio? La musica non ricrea l’udito, e chi è avveduto non gode dei suoi concetti, 1239
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA
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y la traza que desea? Para el alegre ¿no hay risa? Para el triste, ¿no hay tristeza? ¿Para el agudo agudeza? Allí el necio, ¿no se avisa? El ignorante ¿no sabe? ¿No hay guerra para el valiente, consejos para el prudente y autoridad para el grave? Moros hay si quieres moros; si apetecen tus deseos torneos te hacen torneos; si toros, correrán toros... ¿Quieres ver los epitetos que de la comedia he hallado? De la vida es un traslado, sustento de los discretos, dama del entendimiento, de los sentidos banquete, de los gustos ramillete, esfera del pensamiento, olvido de los agravios, manjar de diversos precios, que mata de hambre a los necios y satisface a los sabios. Mira lo que quieres ser de aquestos dos bandos. Digo que el de los discretos sigo y que me holgara de ver la farsa infinito. En ella ¿cuál es lo malo que sientes? Solo que tú representes. ¿Por qué, si solo han de vella mi hermana y sus damas? Calla; de tu mal gusto me admiro.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA
dell’intreccio preferito? Per chi è allegro, non v’è riso? Non tristezza per chi è triste? Non arguzia per chi è acuto? Non consiglio per chi è sciocco? L’ignorante non impara? Non v’è guerra per il prode? Consigli per il prudente e serietà per il grave? Se vuoi i mori, eccoti i mori; se desideri vedere dei tornei, te li faranno, se tori, lì correranno. Vuoi sapere in quanti modi ho chiamato la commedia? Della vita essa è un riflesso, alimento degli accorti, dama del discernimento, dei cinque sensi banchetto, dei vari gusti mazzetto, sfera del ragionamento, dimenticanza dei torti, mangiare dai vari prezzi che affama tutti gli sciocchi e rende i saggi satolli. Scegli tu fra i due partiti quale preferisci. Dico che scelgo quello dei saggi e che mai mi stancherei di veder la farsa. In essa cos’è che vedi di male? Che sia tu a recitare. Ma se la vedranno solo mia sorella e le sue donne Taci, hai delle idee balorde. 1241
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO ANTONIO
PINTOR ANTONIO SERAFINA
Suspenso, las gracias miro con que habla; a retratalla comienza, si humana mano al vivo puede copiar la belleza singular de un serafín. Es humano; bien podré. ¿Pues no te admiras de su vista soberana? El espejo, doña Juana; tocareme.
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Trae un espejo. JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA
SERAFINA PINTOR
SERAFINA JUANA ANTONIO
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Si te miras en él, ten, señora, aviso, no te enamores de ti. ¿Tan hermosa estoy ansí? Temo que has de ser Narciso. ¡Bueno! Desta suerte quiero los cabellos recoger, por no parecer mujer cuando me quite el sombrero; pon el espejo. ¿A qué fin le apartas? Porque así impido a un pintor que está escondido por copiarte en el jardín. ¿Cómo es eso? ¡Vive Dios, que aquesta mujer nos vende! Si el duque acaso esto entiende, medrado habemos los dos. ¿En el jardín hay pintor? Sí; deja que te retrate. ¡Cielos! ¿Hay tal disparate?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO ANTONIO
PITTORE ANTONIO SERAFINA
Incantato, guardo il garbo con cui parla; tu a ritrarla comincia, se umana mano può dal vivo ricopiare la bellezza singolare di un serafino. Ma è umano; ci riuscirò. Non stupisci alla sua vista divina? Lo specchio, donna Juana, voglio acconciarmi. Porta uno specchio.
JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA
SERAFINA PITTORE
SERAFINA JUANA ANTONIO
Sta’ attenta, perché guardandoti in esso potresti di te invaghirti. Tanto bella son così? Potresti essere Narciso. Bene. Mi voglio tirare i capelli indietro in modo da non sembrare una donna quando mi tolgo il cappello. Dammi lo specchio. Perché lo togli? Per impedire di ritrarti ad un pittore che nel giardino è nascosto. Che mi dici? Vivaddio! Questa donna ci tradisce! Se anche il duca lo capisce stiamo freschi tutti e due! Nel giardino c’è un pittore? Sì, lascia che ti ritragga. Cielo, è diventata matta? 1243
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO SERAFINA JUANA
ANTONIO JUANA SERAFINA PINTOR
ANTONIO
PINTOR SERAFINA
JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA
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¿Quién se atrevió a eso? Amor, que, como en Chipre, se esconde enamorado de ti por retratarte. Eso sí. (Cuál estará agora el conde!) Humor tienes singular aquesta tarde. ¿Ha de ser el vestido de mujer con que la he de retratar, o como agora está? Sí, como está; porque se asombre el mundo, que en traje de hombre un serafín ande ansí. Sacado tengo el bosquejo, en casa lo acabaré. Ya de tocarme acabé: quitar puedes el espejo. ¿No está bien este cabello? ¿Qué te parezco? Un Medoro. No estoy vestida de moro. No, mas pareces más bello. Ensayemos el papel, pues ya estoy vestida de hombre. ¿Cuál es de la farsa el nombre? La portuguesa cruel. En ti el poeta pensaba, cuando así la entituló. Portuguesa soy, cruel no. Pues a amor ¿qué le faltaba, a no sello?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO SERAFINA JUANA
ANTONIO JUANA SERAFINA PITTORE
ANTONIO
ANTONIO SERAFINA
JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA
Chi ha potuto far ciò? Amore, che, di te innamorato, come a Cipro si nasconde per ritrarti. Questo è vero. (Come starà ora il conte!) Hai uno spirito speciale questa sera. La ritraggo col vestito femminile o come si trova ora? Com’è ora, perché il mondo sbalordisca nel vedere che in quest’abito maschile un serafino si svela. Il bozzetto l’ho già pronto, ora a casa lo finisco. Già ho finito di acconciarmi, porta via pure lo specchio. Non ti piacciono i capelli? Chi ti sembro? Un bel Medoro. Non son vestita da moro. No, ma sembri ancor più bello. Ora recitare voglio in quest’abito da uomo. Come si chiama la farsa? La portoghese crudele. A te il poeta pensava titolandola così. Portoghese sono, sì. ma crudele no. Ed allora cosa all’amore mancava?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO SERAFINA JUANA
¿Qué crueldad has visto en mí? No tener a nadie amor. Vase poniendo el cuello y capa y sombrero.
SERAFINA
JUANA SERAFINA
PINTOR ANTONIO PINTOR ANTONIO SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA SERAFINA
¿Puede ser el no tener voluntad a ninguno crueldad? Di. ¿Pues no? ¿Y será justa cosa, por ser para otros piadosa, ser yo cruel para mí? Par diez, que ella dice bien. ¡Pobre del que tal sentencia está escuchando! Paciencia. Mis temores me la den. Déjame ensayar, acaba; verás cuál hago un celoso. ¿Qué papel haces? Famoso. Un príncipe que sacaba al campo, a reñir por celos de su dama, a un conde. Pues comienza. No sé lo que es; pero escucha y fingirélos. Representa. Conde, vuestro atrevimiento a tal término ha venido, que ya la ley ha rompido de mi honrado sufrimiento.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO SERAFINA JUANA
Che crudeltà hai visto in me? Non amare mai nessuno. Mentre si mette il colletto, il mantello, il cappello.
SERAFINA JUANA SERAFINA
PITTORE ANTONIO PITTORE ANTONIO SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA SERAFINA
Forse non avere amore verso nessuno è crudele? Non lo è? E ti par giusto che per far piacere agli altri sia crudele con me stessa? Vivaddio, che dice bene! Potessi una tal sentenza non sentire! Abbi pazienza! Me la diano le mie pene. Lasciami provare, via, vedrai ora che bel geloso! Che parte fai? Una importante. Un principe che sfidava un conte per gelosia della sua dama. Comincia. Son cose che non conosco, ma vedrai come le rendo. Recita. Conte, la vostra impudenza è arrivata a un tale colmo che oramai ha infranto le leggi della mia degna pazienza.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Espantado estoy, por Dios, de vos y de Celia bella: de vos, porque habláis con ella; della porque os oye a vos; que, supuesto que sabéis las conocidas ventajas que hace a vuestra prendas bajas el valor que conocéis en mí, desacato ha sido: en vos, por habella amado, y en ella, por haber dado a vuestro amor loco oído. Oíd: no hay satisfaciones, que serán intento vanos, pues como no tenéis manos queréis vencerme a razones. Haga vuestro esfuerzo alarde, acábense mis recelos, que no es bien que me dé celos un hombre que es tan cobarde.
1985
1990
1995
2000
Echa mano.
JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA
ANTONIO PINTOR
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Muestra tu valor agora, medroso, infame enemigo; muere. ¡Ay, ten! que no es conmigo la pesadumbre, señora. ¿Qué te parece? Temí. Enojeme. Pues ¿qué hicieras, a ser los celos de veras si te enojas siendo así? ¿Hay celos con mayor gracia? Estoy mirándola loco. ¡Donaire estraño!
2005
2010
2015
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
Indignato son, per Dio, con voi e con Celia bella; con voi perché le parlate, e con lei perché vi ascolta. Ammesso che conosciate il vantaggio manifesto che ha sui vostri bassi meriti il valore a voi ben noto, uno sgarbo è stato fatto da voi che l’avete amata, e da lei perché ha prestato stolto ascolto all’amor vostro. Sarà vano ricercare vendetta e soddisfazione, ché vorrete, non avendo mani, vincermi a parole. Qui si mostri il vostro ardire trovi tregua il mio sospetto, non sia mai ch’io sia geloso di un uomo così vigliacco. Sguaina la spada.
JUANA SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA
ANTONIO PITTORE
Mostra il tuo valore adesso, codardo, infame nemico: muori! Ahi, ferma, non son io il tuo nemico, signora! Che ne dici? Ebbi paura. Ero infuriata. Chissà che non faresti gelosa, se ora ti infuri così. Deliziosa gelosia! Sto guardandola rapito; squisita grazia! 1249
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO JUANA
SERAFINA
JUANA SERAFINA
Por poco sucediera una desgracia, de verte tuve temor; un valentón bravo has hecho. Oye agora: satisfecho de mi dama y de su amor, del enojo que la di muy a lo tierno la pido me perdone arrepentido. Eso será bueno: di. Los cielos me son testigos, si el enojo que te he dado, al alma no me ha llegado. Mi bien, seamos amigos; basta, no haya más enojos, pues yo propio me castigo, vuelvan a jugar conmigo las dos niñas desos ojos; quitad el ceño, no os note mi amor, niñas soberanas; que dirá que sois villanas, viéndoos andar con capote. ¿De qué sirve ese desdén, mi gloria, mi luz, mi cielo, mi regalo, mi consuelo, mi paz, mi gloria, mi bien? ¿Que no me quieres mirar? ¡Que esto no te satisfaga! Mátame, toma esta daga. Mas no me querrás matar, que aunque te enojes, yo sé que en mí tu gusto se emplea. No haya más, mi Celia, ea; mira que me enojaré. Va a abrazar a doña Juana.
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2020
2025
2030
2035
2040
2045
TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO JUANA
SERAFINA
JUANA SERAFINA
Per poco non succede una disgrazia! Vederti dava timore; sembravi proprio un bravaccio! Senti ora: soddisfatto della dama e del suo amore, per averla disgustato tutto tenero le chiedo che mi perdoni, contrito. Questo sarà bello, di’. Mi sian testimoni i cieli se al cuore non m’è arrivato il disgusto che t’ho dato: facciamo pace, mio bene. Basta via con questi sfoghi, ché da solo mi punisco con me tornino a giocare le pupille di questi occhi. Via quel broncio, non vi sgridi il mio amor, bimbe sovrane, come foste due villane se vi vede col cappuccio. A che serve questo sdegno, o mia gloria, luce e cielo, mio conforto, mio sollievo, paradiso, pace e bene? Non mi vuoi dunque guardare? Ancora non sei contenta? Prendi questa daga e ammazzami! Ma non mi vorrai ammazzare, ché anche se ti sdegni io so che riponi in me il tuo amore. Celia, via, non fare storie, bada che m’arrabbierò. Va ad abbracciare donna Juana.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
JUANA
ANTONIO
JUANA
SERAFINA
Como te adoro, me atrevo; no te apartes, no te quites. Pasito, que te derrites; de nieve te has vuelto sebo. Nunca has sido sino agora, portuguesa. ¡Ahi, cielo santo! ¡Quién la dijera otro tanto como ha dicho! Di, señora: ¿es posible que quien siente y hace así un enamorado no tenga amor? No me ha dado hasta agora ese accidente, porque su provecho es poco, y la pena que da es mucha. Aqueste romance escucha; ¡verás cuán bien finjo un loco!
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Representa. ¿Que se casa con el conde, y me olvida Celia? ¡Cielos! Pero mujer y mudanza tienen un principio mesmo. ¿Qué se hicieron los favores que cual flores prometieron el fruto de mi esperanza? Mas fueron flores de almendro: un cierzo las ha secado. Loco estoy, matarme quiero; piérdase también la vida, pues ya se ha perdido el seso. Mas, no. Vamos a las bodas; que razón es, pensamiento,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
JUANA
ANTONIO
JUANA
SERAFINA
Da quanto ti adoro oso: non scostarti, non fuggire. Calma, non ti sdilinquire, prima neve, ora sei strutto. Mai sei stata come ora portoghese. Ah cielo santo! Chi potrebbe far la parte come lei? Dimmi, signora, è possibile che chi con un tale sentimento fa così l’innamorato non lo sia? Non m’è successo fino ad ora un tale impiccio, che arreca poca profitto e in compenso dà gran pena. Ora ascolta questo pezzo: vedrai come faccio un matto! Recita. Che? Si sposa con il conte e mi scorda Celia? Cielo! Ma si sa che dire femmina e fedifraga è lo stesso. Che ne fu di quei favori che han promesso come fiori delle mie speranze il frutto? Fiori di mandorlo, un vento freddo l’ha seccati tutti. Son folle, uccidermi intendo: fugga via pure la vita se oramai è fuggito il senno. Ma no, via, andiamo alle nozze perché è giusto, o mio pensiero, 1253
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
pues que la costa pagamos, que a mi costa nos holguemos. En la aldea se desposan los dos a lo villanesco, que pues se casa en aldea, villano su amor ha vuelto; celos, volemos allá, pues tenéis alas de fuego. A lindo tiempo llegamos, desde aquí verla podemos. Ya salen los convidados, el tamboril toca el tiempo, porque a su son bailen todos; pues ellos bailan, bailemos. Va: Perantón, Perantón.
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Baila. Haced mudanzas, deseos, pues vuestra Celia las hace: tocá, Pero Sastre, el viejo, pues que la villa lo paga. Ya se entraron allá dentro, ya quieren dar colación: la capa del sufrimiento
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Rebózase. me rebozaré, que así podré llegar encubierto, y arrimarme a este rincón, como mis merecimientos. Avellanas y tostones dan a todos. – «¡Hola! ¡Ah, necios!, llegad, tomaré un puñado. – ¿Yo necio? Mentís. – ¿Yo miento? – Tomad. 1254
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
che se le spese paghiamo ci paghiam lo svago almeno. Si sposano nel paese all’usanza villanesca, ché, se si sposa in paese, villano il suo amore ha reso. Gelosia, laggiù voliamo, tu che hai le ali ardenti. Siamo arrivati a puntino: da qui la potrem vedere. Ecco arrivan gli invitati; il tamburo ritma il tempo perché al suono suo si balli e se ballan, balleremo. Trallallero, trallallero. Balla. Svolazzate, desideri, come fa la vostra Celia; suona vecchio Pero Sastre, tanto è il paese che paga. Ormai sono entrati dentro, già la colazione danno, la cappa della pazienza Si copre il volto. mi avvolgerà, ché così potrò entrare ben coperto e ficcarmi in quel cantone dove i miei meriti han messo. Nocciole e ceci tostati danno a tutti «– Salve! Ah, scemi! Qui! Ne prendo una manciata. – Scemo a me? Mentite! – Mento? – Prendi questo. 1255
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Dase un bofetón. – ¿A mí bofetón? Echa mano. Muera! – Ténganse. ¿Qué es esto? –No fue nada. – Sean amigos. –Yo lo soy.
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Envaina. – Yo serlo quiero» Ya ha llegado el señor cura. «– Por muchos años y buenos se regocije esta casa con bodas y casamientos. – Por vertú de su mercé, señor cura: aquí hay asiento. – Eso no. Tome esta silla de costillas. – No haré, cierto. – Digo que la ha de tomar. – – Este escaño estaba bueno, mas por no ser porfïado... » Ya se ha rellanado el viejo. «Echá vino, Hernán Alonso; beba el cura, y vaya arreo. – ¡Oh, cómo sabe a la pega!» También Celia sabe a celos. Ya es hora del desposorio; todos están en pie puestos; los novios y los padrinos enfrente, y el cura enmedio. «Fabio, ¿queréis por esposa a Celia hermosa? – Sí, quiero. – Vos, Celia: ¿queréis a Fabio? – Por mi esposo y por mi dueño. 1256
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
Si dà un ceffone. – A me un ceffone? Sguaina la spada. Muori! – Fermi! Che succede? – Niente, niente. – Siate amici. – Lo son già. Ringuaina la spada. – Io voglio esserlo. Ecco arriva il signor prete. « – Per molti e felici anni questa casa si rallegri con nozze e fidanzamenti. – Grazie a vostra riverenza, signor prete. Qui si segga. – No, no. – Prenda la poltrona con schienale – No di certo – – Le dico che se la prenda. – Mi va bene lo sgabello, ma per non fare il noioso...» Ecco s’accomoda il vecchio. «Butta vino Hernán Alonso, beva il prete e gli altri dietro! – Oh che sapore di pece!» E di gelosia sa Celia. È l’ora degli sponsali; si son tutti alzati in piedi; i due sposi, i testimoni davanti ed in mezzo il prete. « – Fabio, volete sposare Celia bella? – Sì, acconsento – Voi, Celia, volete Fabio? – Come sposo e mio signore –. 1257
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
Mete mano.
JUANA
SERAFINA
ANTONIO
JUANA SERAFINA
JUANA
SERAFINA
– ¡Oh, perros! ¡En mi presencia! El príncipe Pinabelo soy, mueran los desposados, el cura, la gente, el pueblo. – ¡Ay, que nos mata! – Pegadles, celos míos, vuestro incendio: pues Sansón me he vuelto, muera Sansón con los filisteos, que no hay quien pueda resistir el fuego, cuando le enciende amor y soplan celos.» ¡Pecadora de mí; tente! Que no soy Celia, ni Celio, para airarte contra mí. Encendime, te prometo, como Alejandro lo hacía, llevado del instrumento que aquel músico famoso le tocaba. ¿Pudo el cielo juntar más donaire y gracia solamente en un sujeto? ¡Dichoso quien, aunque muera, le ofrece sus pensamientos! Diestra estás; muy bien lo dices. Ven, doña Juana; que quiero vestirme sobre este traje el mío hasta que sea tiempo de representar. A fee que se ha de holgar en estremo tu melancólica hermana. Entretenerla deseo. Vanse las dos.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
Sguaina la spada.
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JUANA
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– Ah cani, alla mia presenza! Il principe Pinabelo son io: muoiano gli sposi, col prete e tutta la gente! – Aiuto, ci uccide! – Appicca, o mia gelosia, il tuo incendio: son Sansone e dunque muoia Sansone coi Filistei, ché non si scampa al fuoco se l’accende amore e gelosia vi soffia dentro!» Ah me misera, sta’ calma, ch’io non son Celia né Celio perché t’arrabbi con me. M’ero infiammata, ti giuro, come faceva Alessandro rapito dallo strumento che gli suonava quel celebre musicista. Poté il cielo unire più garbo e grazia in un unico soggetto? Felice chi, anche se muore, le offre tutti i suoi pensieri. Sei brava; reciti bene. Ora, donna Juana, intendo infilare su quest’abito il mio fin quand’è il momento della recita. Già vedo che avrà un bel divertimento la tua infelice sorella. Di svagarla così cerco. Escono tutti e due.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO PINTOR ANTONIO PINTOR ANTONIO
PINTOR ANTONIO
PINTOR ANTONIO PINTOR ANTONIO
Ya se fueron. Ya quedé con su ausencia triste y ciego. En fin: ¿quieres que de hombre la pinte? Sí; que deseo contemplar en este traje lo que agora visto habemos; pero truécala el vestido. Pues ¿no quieres que sea negro? Dará luto a mi esperanza; mejor es color de cielos con oro, y pondrá en él oro amor y azul mis celos. Norabuena. ¿Para cuándo me le tienes de dar hecho? Para mañana sin falta. No repares en el precio; que no trujera amor desnudo el cuerpo a ser interesable y avariento.
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Vanse. Salen doña Madalena y Mireno. MADALENA MIRENO
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Mi maestro habéis de ser desde hoy. ¿Qué ha visto en mí, vuestra excelencia, que así me procura engrandecer? Dará lición al maestro el discípulo desde hoy. (¡Qué claras señales doy del ciego amor que le muestro!) (¿Qué hay que dudar, esperanza? Esto ¿no es tenerme amor? Dígalo tanto favor,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO PITTORE ANTONIO PITTORE ANTONIO
PITTORE ANTONIO
PITTORE ANTONIO PITTORE ANTONIO
Se ne sono andate. E già senza lei son triste e cieco. Insomma vuoi che da uomo la dipinga? Sì, ché voglio contemplare in quella foggia quel che abbiamo visto appena, però cambiale il vestito. Non vuoi dunque che sia nero? Può dar lutto al mio sperare: meglio se color del cielo con dell’oro, proprio come la mia gelosia e il mio amore. Alla buon’ora. E per quando me lo darai già completo? Per domani, senza dubbio. Non importa a quale prezzo, ché Amore nudo non si ridurrebbe se fosse avaro e attento al suo interesse. Escono. Entrano donna Madalena e Mireno.
MADALENA MIRENO
MADALENA MIRENO
Dovrete esser mio maestro a partir da oggi. Cosa in me ha visto vostra grazia da innalzarmi così in alto? Da oggi in poi sarà l’alunno a dar lezione al maestro. (Troppi segni gli dimostro della mia cieca passione!) (Perché dubiti, speranza? Forse questo non è amore? Lo dichiara il suo favore, 1261
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
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muéstrelo tanta privanza. Vergüenza ¿por qué impedís la ocasión que el cielo os da? Daos por entendido ya.) Como tengo, don Dionís tanto amor... (¡Ya se declara, ya dice que me ama, cielos!) ... al conde de Vasconcelos, antes que venga, gustara, no solo hacer buena letra, pero saberle escribir y por palabras decir lo que el corazón penetra; que el poco uso que en amar tengo, pide que me adiestre esta experiencia, y me muestre cómo podré declarar lo que tanto al alma importa, y el amor mismo me encarga; que soy en quererle larga, y en significarlo corta. En todo os tengo por diestro; y así me habéis de enseñar a escribir y declarar al conde mi amor, maestro. (¿Luego no fue en mi favor, pensamiento lisonjero, sino porque sea tercero del conde? ¿Veis, loco amor, cuán sin fundamento y fruto torres habéis levantado de quimeras que ya han dado en el suelo? Como el bruto en esta ocasión he sido, en que la estatua iba puesta,
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lo dice la confidenza. Perché fermi, timidezza, quest’occasione del cielo? Ormai datti per intesa!) Poiché porto, don Dionís, tanto amore... (Si dichiara! Cielo! Dice che mi ama!) ...al conte di Vasconcelos, prima che sia qui vorrei non soltanto scriver bene, ma sapergli anche spiegare, attraverso le parole, quanto m’è entrato nel cuore, ché il mio scarso uso in amare, chiede alla vostra esperienza che mi mostri come possa dichiarare ciò che tanto preme all’anima e l’amore mi fa carico di dire, ché in amarlo sono prodiga, ma nel dichiararlo timida. Voi, che in tutto siete destro, spero che mi insegnerete a scrivere e a dichiarare l’amor mio al conte, maestro. (Dunque, se m’ha favorito, o adulatore pensiero, è per farmi intermediario presso il conte. Sciocco amore! Vedi in quanto son crollate le tue torri di chimere che nel cielo avevi alzato senza costrutto né base? Son stato in quest’occasione proprio come l’animale che la statua trasportava 1263
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
MADALENA
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haciéndola el pueblo fiesta, que loco y desvanecido creyó que la reverencia, no a la imagen que traía, sino a él solo se hacía; y con brutal impaciencia arrojalla de sí quiso hasta que se apaciguó con el castigo y cayó confuso en su necio aviso. ¿Así el favor corresponde con que me he desvanecido? Basta; que yo el bruto he sido, y la estatua es solo el conde. Bien puedo desentonarme, que no es la fiesta por mí.) (Quise deslumbrarle así; que fue mucho declararme.) Mañana conmenzaréis, maestro, a darme lición. Servirte es mi inclinación. Triste estáis. ¿Yo? ¿Qué tenéis? Ninguna cosa. (Un favor me manda amor que le dé.)
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Tropieza y dala la mano Mireno.
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¡Válgame Dios! Tropecé... (...que siempre tropieza amor). El chapín se me torció. (¡Cielos! ¿Hay ventura igual?) ¿Hízose acaso algún mal vueselencia?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
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e che, vedendo la festa che la gente gli faceva, pensò stolto ed insensato che non fosse l’accoglienza all’effigie tributata, bensì a lui unicamente, e con bestiale impazienza la scagliò da sé lontana, fin quando non si ravvide col castigo e non intese, mortificato, l’avviso. Così al favore risponde per cui ho quasi perso il senno? Basta, ch’io sono la bestia e la statua è solo il conte. Ben mi posso rassegnare ché non è per me la festa.) (Così ho voluto sviarlo, ché mi ero svelata troppo.) Domani cominceremo, maestro, con le lezioni. Servirvi è la mia passione. Siete triste. Io? Che avete? Niente. (Amore mi comanda che un favore ora gli renda.) Inciampa e Mireno le dà la mano.
MIRENO
Ah, mio Dio, sono inciampata! (Come sempre inciampa amore!) Lo scarpino mi si è storto! (Cielo, che unica occasione!) Forse che s’è fatta male vostra grazia? 1265
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO MADALENA MIRENO MADALENA
Creo que no. ¿Que la mano la tomé? Sabed que al que es cortesano le dan, al darle una mano, para muchas cosas pie.
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«¡Le dan, al darle una mano, para muchas cosas pie!» De aquí, ¿qué colegiré? Decid, pensamiento vano: en aquesto ¿ pierdo o gano? ¿Qué confusión, qué recelos son aquestos? Decid, cielos: ¿esto no es amor? Mas no, que llevo la estatua yo del conde de Vasconcelos. Pues ¿qué enigma es darme pie la que su mano me ha dado? Si solo el conde es amado, ¿qué es lo que espero? ¿Qué sé? Pie o mano, decid, ¿por qué dais materia a mis desvelos? Confusión, amor, recelos, ¿soy amado? Pero no, que llevo la estatua yo del conde de Vasconcelos. El pie que me dio será pie para darla lición en que escriba la pasión que el conde y su amor la da. Vergüenza, sufrí y callá; bastan ya, atrevidos vuelos
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO MADALENA MIRENO MADALENA
No, non credo. E se la mano le ho preso? Saprete che al cortigiano, si dà, dandogli la mano, a ben altre cose piede. Esce.
MIRENO
«Si dà dandogli una mano a ben altre cose piede». Che ne debbo ricavare? Dimmi tu, pensiero vano, ci rimetto o ci guadagno? Che sospetti, quali dubbi son mai questi? Dimmi, cielo, questo è amore? No davvero, perché io porto la statua del conte di Vasconcelos. Perché allora mi dà piede chi la mano sua m’ha dato? Se soltanto il conte è amato, che m’aspetto? Che ne so? Piedi o mani, perché mai mi riempite di sospetti? Dubbi, amore, smarrimenti... Ella m’ama? No davvero, perché io porto la statua del conte di Vasconcelos. Sarà, il piede che m’ha dato, invito a darle lezione perché scriva la passione che il conte le ha suscitato. Vergogna, taci e sopporta: che finisca, audaci voli,
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO SEGUNDO
vuestra ambición, si a los cielos mi desatino os subió; que llevo la estatua yo del conde de Vasconcelos.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO SECONDO
il vostro ardire, se al cielo la mia follia vi innalzò, ch’io la statua porterò del conte di Vasconcelos.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Salen Lauro, pastor viejo, y Ruy Lorenzo, también de pastor. RUY
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Si la edad y la prudencia ofrece en la adversidad, Lauro discreto, paciencia, vuestra prudencia y edad pueden hacer la esperiencia. Dejad el llanto prolijo; que si vuestro ausente hijo es causa que lloréis tanto, él convertirá ese llanto brevemente en regocijo. Su virtud misma procura honrar vuestra senectud y hacer su dicha segura, que siempre fue la virtud principio de la ventura, y pues la tiene por madre, no es bien que ese llanto os cuadre. Eso mis males lo vedan, porque los hijos heredan las desdichas de su padre. No le he dejado otra herencia si no es la desdicha mía, y llórolo en esta ausencia, que era el muro que tenía mi vejez. ¿Esa es prudencia? Si por trabajos un hombre es bien que llore y se asombre, ¿quién los tiene como yo, a quien el cielo quitó honra, patria, hacienda y nombre? Un hijo solo perdéis,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano Lauro, vecchio pastore, e Ruy Lorenzo, anch’egli in abito da pastore. RUY
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Se l’età e la prudenza danno nelle avversità, saggio Lauro, tolleranza, ben potranno dimostrarlo l’età vostra e il vostro senno. Asciugate il lungo pianto, ché se il vostro figlio assente vi fa tanto lacrimare, egli presto questo pianto saprà in gioia tramutare. Con la sua virtù procura di onorare i vostri anni e cercar sorte sicura, ché da sempre la virtù fu principio di fortuna, e se lui l’ha presa a madre, non è bene che piangiate. Me lo vietano i miei mali, perché i figli sono eredi delle sventure dei padri, ed io non lasciai nient’altro che sventure al figlio mio, di cui piango ora l’assenza, ché era il muro che reggeva i miei anni. È saggio questo? Se per i travagli un uomo si dà al pianto e allo sgomento, chi ne ha avuti come me a cui onore il cielo ha tolto e poi patria, beni e nome? Solo un figlio avete perso, 1271
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
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aunque no las esperanzas que de gozalle tenéis; pero yo, con las mudanzas que de mi vida sabéis, ¿cuándo veré que el furor del tiempo y de su rigor dejará de hacerme ultraje, despreciado en este traje y con nombre de traidor? Consoladme vos a mí, pues es más lo que perdí. ¿Más que un hijo habéis perdido? El honor ¿no es preferido a la vida y hijos? Sí. Pues si no tengo esperanza de dar a mi honor remedio, más pierdo. En una venganza no es bien que se tome el medio deshonrado; el que la alcanza – de su honor satisfación – con medios que injustos son cuando más vengarse intenta queda con mayor afrenta; dando color de traición el contrahacer firma y sello del duque para matar al conde, pudiendo hacello de otro modo y no manchar vuestro honor por socorrello. Y pues parece castigo el que os da el tiempo enemigo, justo es que estéis consolado, pues padecéis por culpado; pero lo que usa conmigo
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
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anche se non le speranze di tornare a riabbracciarlo, ma io per i mutamenti che vi ho detto della sorte, quando mai vedrò il furore del tempo e del suo rigore smettere di farmi oltraggio, in quest’abito umiliato e in nomea di traditore? Voi dovreste consolarmi: la mia perdita è maggiore. Si può perder più di un figlio? L’onore non viene prima della vita e i figli? Certo. Dunque se non ho speranza di riprendermi l’onore, di più perdo. La vendetta non è bene consumarla senza onore; chi la ottiene – per aver soddisfazione – con dei modi disonesti, più cerca di vendicarsi più di infamia si riveste; ed è stato un tradimento che voi abbiate contraffatto del duca firma e sigillo per far fuori il conte quando potevate in altro modo agire senza macchiare, per difenderlo, l’onore. E se vi appare un castigo questo del tempo nemico, giusto è che vi rassegniate ché per colpa voi patite; però quello che m’infligge 1273
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
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mi desdicha es diferente, pues, aunque no lo merezco, me castiga. Un hijo ausente no es gran daño. El que padezco tantos años inocente os diré, si los ajenos daños hacen que sean menos los propios males. No son de aquesa falsa opinión los generosos y buenos; porque el prudente y discreto siente el daño ajeno tanto como el propio. Si secreto me guardáis, diraos mi llanto su historia. Yo os le prometo; mas llorar un hijo ausente un hombre es mucha flaqueza. Pierdo con perdelle, mucho. ¿Qué más extremos hicieras, a tener tú mis desdichas? ¡Ay, Dios! Si quien soy supieras, ¡cómo todas tus desgracias las juzgaras por pequeñas! Ese enigma me declara. Pues con ese traje quedas en el lugar de mi hijo, escucha mi suerte adversa. Yo, Ruy Lorenzo, no soy hijo destas asperezas, ni el traje que tosco ves es mi natural herencia; no es de Lauro mi apellido,
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la sventura mia è diverso, perché senza causa alcuna mi castiga. Un figlio assente non è un grave danno. Quanto da anni io soffro innocente vi dirò, se i mali altrui servono a diminuire quelli propri. Non saranno di questa falsa opinione né i buoni né i generosi, perché il saggio l’altrui danno sente come fosse proprio. Se il segreto mantenete vi racconterà il mio pianto la sua storia. Io ve lo giuro; ma che un uomo un figlio assente pianga è grande debolezza. Perdo, perdendolo, molto. Cosa, allora non faresti con le mie disgrazie addosso? Ah, Dio mio, se tu sapessi chi son io, le tue disgrazie quanto poco stimeresti! Questo mistero chiariscimi. Poiché ora in questa veste prendi il posto di mio figlio, odi il mio destino avverso. Io non sono, Ruy Lorenzo, figlio di queste aspre terre, né il rozzo abito che vedi da qualcuno ho ereditato; non è Lauro che mi chiamo
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
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ni mi patria aquesta sierra, ni jamás mi sangre noble supo cultivar la tierra. Don Pedro de Portugal me llaman, y de la cepa de los reyes lusitanos deciendo por línea recta. El rey don Duarte fue mi hermano y el que ahora reina es mi sobrino. ¿Qué escucho? ¡Duque de Coimbra! Deja que sellen tus pies mis labios, y que mis desdichas tengan fin, pues con las tuyas son o ningunas o pequeñas. Alza del suelo y escucha, si acaso tienes paciencia para saber los vaivenes de la Fortuna y su rueda. Murió el rey de Portugal, mi hermano, en la primavera de su juventud lozana; mas la muerte, ¿qué no seca? De seis años dejó un hijo, que agora, ya hombre, intenta acabar mi vida y honra; y dejando la tutela y el gobierno de estos reinos solos a mí y a la reina. murió el rey. Sobre el gobierno hubo algunas diferencias entre mí y la reina viuda, porque jamás la soberbia supo admitir compañía en el reinar, y las lenguas de envidiosos lisonjeros
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né mia patria è questo monte, e non ha il mio sangue avito mai la terra coltivato. Don Pedro di Portogallo è il mio nome e dalla schiatta dei sovrani lusitani io discendo in linea retta. Il re don Duarte è stato mio fratello e chi ora regna è un nipote mio. Che sento! Duca di Coimbra! Lascia che ti baci i piedi e fine abbiano le mie disgrazie che in confronto con le tue sono misere o da niente! Alzati da terra e ascolta se mai avrai tanta pazienza da sapere come gira con la ruota la fortuna. Morì il re del Portogallo, mio fratello, nel rigoglio della sua età più verde. Ma, che non secca la morte? Di sei anni lasciò un figlio che, ormai uomo, adesso attenta alla mia vita e al mio onore, e lasciò la sua tutela col governo dei suoi regni a me e alla regina soli. Morì il re. In quanto al governo vi fu qualche divergenza fra me e la regina vedova, perché giammai la superbia ha ammesso condivisioni nei regni, e malevolenze di invidiosi adulatori 1277
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siempre disensiones siembran. Metiose el rey de Castilla de por medio, porque era la reina su hermana en fin; nuestros enojos concierta con que rija en Portugal la mitad del reino y tenga en su poder al infante. Vine en esta conveniencia; mas no por eso cesaron las envidias y sospechas hasta alborotar el reino asomos de armas y guerras. Pero cesó el alboroto porque, aunque era moza y bella la reina, un mal repentino dio con su ambición en tierra. Murió, en fin; gocé el gobierno portugués sin competencia, hasta que fue Alfonso Quinto, de bastante edad y fuerzas. Casele con una hija que me dio el cielo, Isabela por nombre; aunque desdichada, pues ni la estima ni precia. Juntáronsele al rey mozo mil lisonjeros, que cierran a la verdad en palacio, como es costumbre, las puertas. Entre ellos un mi enemigo, de humilde naturaleza, Vasco Fernández por nombre, gozó la privanza excelsa; y queriendo derribarme para asegurarse en ella, a mi propio hermano induce
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spargono discordie sempre. Il re di Castiglia volle mettersi nel mezzo essendo sua sorella la regina, e i nostri screzi concerta in modo che in Portogallo abbia la metà del regno e potere sull’infante. Giunsi a un tale compromesso, ma non smisero per questo né le invidie né i sospetti, ed il regno fu sconvolto da tremori di armi e guerre. Tacque lo sconvolgimento quando, ancor giovane e bella, per un improvviso male finì con la sua ambizione la regina sotto terra. Morì, e io ressi incontrastato il governo portoghese finché Alfonso Quinto ebbe età e forze sufficienti. A una mia diletta figlia, il cui nome era Isabella, lo sposai: misera figlia, ché né l’ama né l’apprezza. Circuito il re inesperto fu dai mille adulatori che da sempre nel palazzo, sbarrano al vero le porte. Fra di essi un mio nemico di modesta discendenza, Vasco Fernández di nome, godé l’alta confidenza, e intendendo rovinarmi per servirsi meglio d’essa, inganna anche mio fratello 1279
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y, para engañarle ordena hacerle entender que quiero levantarme con sus tierras y combatirle a Berganza, siendo duque por mí della. Creyolo y ambos a dos al nuevo rey aconsejan, si quiere gozar seguro sus estados que me prenda; para lo cual alegaban que di la muerte con yierbas a doña Leonor, su madre, y que con traiciones nuevas quitalle intentaba el reino, pidiendo a Ingalaterra socorro con cartas falsas en que mi firma le enseñan. Creyolo; desposeyome de mi estado y las riquezas que en el gobierno adquirí; llevome a una fortaleza, donde, sin bastar los ruegos ni lágrimas de Isabela, mi hija y su esposa, manda que me corten la cabeza. Supe una noche propicia el rigor de la sentencia y ayudándome el temor, las sábanas hechas vendas, me descolgué de los muros, y en aquella noche mesma di aviso que me siguiese a mi esposa, la duquesa. Supo el rey mi fuga y manda que al son de roncas trompetas me publiquen por traidor,
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e ordina di fargli credere che tramo per sollevarmi con le sue terre e contendergli la Braganza di cui era, per mia intercessione, duca. Vi credette ed ambedue consigliano il re recente che se vuol goder sicuro dei suoi regni deve prendermi, e per convincerlo adducono che avrei dato con le erbe morte a donna Leonora, e con nuovi tradimenti stavo per togliergli il regno chiedendo al re d’Inghilterra sostegno, e false lettere con la mia firma gli mostrano. Vi credette e mi spogliò del mio stato e d’ogni bene acquistato col governo; mi portò in una fortezza dove, alle suppliche sordo ed ai pianti di Isabella, mia figlia e sua sposa, ordina che mi taglino la testa. Seppi una notte propizia della crudele sentenza, e incitato dal timore, dei lenzuoli fatte bende, mi calai giù dalle mura ed in quella notte stessa avvisai che mi seguisse la mia sposa, la duchessa. Il re sa della mia fuga e vuole che rauche trombe traditore mi dichiarino,
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dando licencia a cualquiera para quitarme la vida, poniendo mortales penas a quien, sabiendo de mí no me lleve a su presencia. Temí el rigor del mandato, y como en la suerte adversa huye el amistad, no quise ver en ellos su esperiencia. Llegamos hasta estos montes donde de parto y tristeza murió mi esposa querida y un hijo hermoso me deja que en este traje he criado; comprando ganado y tierras, y hecho de duque pastor, ha ya veinte primaveras que han dado flores a mayo, yierba al prado y a mí penas, que el estado en que me ves conservo; mas todo fuera poco a no perder la vista del hijo en cuya presencia olvidaba mis trabajos. Mira si es razón que sienta la falta que a mi vejez hace su vista y que pierda la vida, que ya se acaba, entre lágrimas molestas. Notables son los sucesos que en el mundo representa el tiempo caduco y loco, autor de tantas tragedias. La tuya, famoso duque, hace que olvide mis penas; mas yo espero en Dios que presto
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dando a chiunque licenza che mi tolgano la vita e la morte promettendo a chi, avendo mie notizie, non mi porti in sua presenza. Il duro bando temetti e, dato che in sorte avversa fugge sempre l’amicizia, non volli farne esperienza. Arrivammo in questi monti dove di parto e tristezza morì la mia sposa amata ed un bel figlio mi lascia che in quest’abito ho allevato; comprando bestiame e terra, ieri duca, oggi pastore, già da venti primavere che hanno dato fiori a maggio erbe al prato ed a me pene, sono in questa condizione; ma ciò non sarebbe niente se la vista avessi ancora del figlio alla cui presenza mi scordavo d’ogni pena. Vedi se non ha ragione, la mia vecchiaia, di rimpiangere la sua vista, mentre perdo questa vita ormai al tramonto in un lacrimare mesto. Quali eventi straordinari qui nel mondo rappresenta il tempo caduco e folle, tante tragedie allestendo! La tua fa dimenticare, duca invitto le mie pene; però voglia Iddio che presto
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dará Fortuna la vuelta. Bien claras señales daba de tu hijo la presencia, que, cual ceniza, el sayal las llamas de su nobleza encubría: quiera el cielo que rico y próspero vuelva a consolarte.
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Salen Vasco y Bato, pastores. BATO
LAURO BATO LAURO BATO
LAURO BATO
LAURO
Nuesamo: con cinco carros de leña vamos a Avero. ¿Mandas algo para allá? Bato, que vengas presto. ¿No quieres más? No. Pues yo sí, porque quisiera que a cuenta de mi soldada ocho veintenes me diera para una cofia de pinos que me ha pedido Firela. Ven por ellos. En mi tarja nueve rayas tengo hechas, porque otros cinco tostones debo no más. ¡Qué simpleza!
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Vanse Bato y Lauro. VASCO RUY
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¿No podría yo ir allá? No, Vasco amigo, si intentas no perderte; que ya sabes nuestro peligro y afrenta.
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cambi rotta la Fortuna. Chiari segni già ne dava la presenza di tuo figlio ché, come cenere, il saio la sua accesa nobiltà nascondeva: voglia il cielo che ritorni ricco e lieto a consolarti. Entrano Vasco e Bato, pastori. BATO
LAURO BATO LAURO BATO
LAURO BATO
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Padrone, con cinque carri di legna andiamo a Avero. Comanda qualcosa da là? Che presto torni. E non vuoi altro? No. Ma io sì, perché vorrei che, in acconto del salario, venti soldini mi dessi per la cuffia con le trine che la Firela m’ha chiesto. Vieni a prenderli. Ci ho fatto sul bastone nove segni perché altri cinque pezzi devo solo. Che candore! Escono Bato e Lauro.
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Non potrei andarci anch’io? No, amico Vasco, se tenti di salvarti; ben lo sai quale rischio e onta ci aspetti. 1285
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¿Hasta cuándo quieres que ande en esta vida grosera, de mis calzas desterrado? Vuélveme, señor, a ellas, y líbrame de un mastín que anoche desde la puerta de Melisa me llevó dos cuarterones de pierna. Pues ¿qué hacías tú de noche a su puerta? Hay cosas nuevas. Si aquí es el amor quillotro, quillotrado estoy por ella: hízome ayer un favor en el valle. ¿Y fue? Que tiesa me dio un pellizco en un brazo, terrible, y me hizo señas con el ojo zurdo. ¿Y ese es buen favor? ¡Linda flema! Ansí se imprime el carácter del amor en las aldeas.
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Vanse y salen Mireno y Tarso. TARSO
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¿Más muestras quieres que dé que decirte «Al cortesano le dan, al dalle una mano, para muchas cosas pie»? ¿Puede decirlo más claro una mujer principal? ¿Qué aguardabas, pese a tal, amante corto y avaro,
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Fin quando vuoi che conduca questa vita da villano dalle mie calze esiliato? Rendimi, signore, ad esse e liberami da un mastino che questa notte m’ha preso sulla porta di Melisa due bei quarti della coscia. E che cosa ci facevi tu di notte alla sua porta? Cose nuove son successe. Se l’amore qui è uno stuzzico stuzzicoso son per lei. Ieri m’ha reso un favore nella valle. Quale? Tosta, m’ha affibbiato un pizzicotto sul braccio e ha fatto l’occhietto col mancino. E per te questo è un favore? Che pazienza! Non lo sai che nei paesi il carattere d’amore è così che viene impresso? Escono ed entrano Tarso e Mireno.
TARSO
Cos’altro vuoi che ti dica più che dirti: «al cortigiano quando gli si dà la mano a ben altro si dà piede»? Forse può parlar più chiaro una donna di riguardo? Cosa ancora t’aspettavi, amante timido e avaro, 1287
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que ya te daré este nombre, pues no te osas atrever? ¿Esperas que la mujer haga el oficio del hombre? ¿En qué especie de animales no es la hembra festejada, perseguida y paseada con amorosas señales? A solicitalla empieza, que lo demás es querer el orden sabio romper que puso naturaleza. Habla; no pierdas por mudo tal mujer y tal estado. Un laberinto intricado es, Tarso, el que temo y dudo. No puedo determinarme que me prefieran los cielos al conde de Vasconcelos; pues llegando a compararme con él, sé que es gran señor, mozo, discreto, heredero de Berganza, y desespero, viéndome humilde pastor, rama vil de un tronco pobre, y que tan noble mujer no es posible quiera hacer más favor que al oro al cobre. Mas después el afición con que me honra y favorece, las mercedes que me ofrece, su afable conversación, el suspenderse, el mirar, las enigmas y rodeos con que explica sus deseos, el fingir un tropezar, si es que fue fingido, el darme
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ché da ora così chiamo chi non riesce a farsi avanti? Aspetti che sia la donna a far la parte dell’uomo? In quale specie animale la femmina non si corteggia, non si insegue e si lusinga coi richiami dell’amore? Tu comincia a farti avanti, ché tutto il resto è volere rompere l’ordine saggio che la natura dispone. Parla, o perdi, per star zitto, tale donna e un tale ceto. Un confuso labirinto sono, Tarso, i miei timori. Non riesco a capacitarmi che m’abbia anteposto il cielo al conte di Vasconcelos, ché se arrivo a compararmi con lui so che è un gran signore, saggio, giovane ed erede di Braganza, ed io dispero, essendo umile pastore ramo d’un povero tronco, che una sì nobile donna voglia dare il suo favore piuttosto che all’oro, al bronzo. Però, dopo, quell’affetto di cui ella mi fa onore i favori che mi offre, le sue affabili parole, le esitazioni, gli sguardi, i misteri ed i rigiri con cui esprime desideri, il far finta d’inciampare – se ha finto – il darmi la mano 1289
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la mano, con la razón que me tiene en confusión se animan para animarme, y entre esperanza y temor, como ya, Brito, me abraso, llego a hablalla, tengo el paso; tira el miedo, impele amor, y cuando más me provoca y a hablalla el alma comienza, enojada la vergüenza llega y tápame la boca. ¿Vergüenza? ¿Tal dice un hombre? ¡Vive Dios, que estoy corrido con razón de haberte oído tal necedad! No te asombre que así llame a tu temor, por no llamarle locura. ¡Miren aquí qué criatura, o qué doncella Teodor, para que con este espacio diga que vergüenza tiene! No sé yo para qué viene el vergonzoso a palacio. Amor vergonzoso y mudo medrará poco, señor, que, a tener vergüenza amor no le pintaran desnudo. No hayas miedo que se ofenda cuando digas tus enojos; vendados tiene los ojos pero la boca sin venda. Habla o yo se lo diré; porque, si callas es llano que quien te dio pie en la mano tiene de dejarte a pie.
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con quella motivazione che m’ha tratto in confusione, mi rincuorano di nuovo, e fra speranza e timori, quando già, Brito, infiammato, mi avvicino per parlarle, la paura da una parte tira, mentre amor mi spinge e mi provoca a tal punto che a parlarle il cuor comincia; ma arrabbiata la vergogna viene e mi tappa la bocca. La vergogna? Un uomo parla? Vivaddio ch’io son smarrito solo per aver sentito una simile sciocchezza! Così chiamo il tuo timore per non dire che è follia! Ma guarda che creatura o che donzella Teodora viene qui con questa flemma a dir che prova vergogna! Non si sa che venga a fare se uno è timido a palazzo! Pochi affari fa l’amore se resta timido e muto, ché, se avesse del pudore, non lo farebbero nudo. Non temere che si offenda se le dici i tuoi tormenti, perché se ha bendati gli occhi la sua bocca è senza benda. Parla, o glielo dirò io, ché, se starai zitto, è chiaro che dovrà lasciarti a piedi chi t’ha dato il piede in mano!
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Ya, Brito, conozco y veo que amor que es mudo no es cuerdo, pero si por hablar pierdo lo que callando poseo, y agora con mi privanza y imaginar que me tiene amor vive y se entretiene mi incierta y loca esperanza, y declarando mi amor tengo de ver en mi daño el castigo y desengaño que espero de su rigor, ¿no es mucho más acertado, aunque la lengua sea muda, gozar un amor en duda, que un desdén averiguado? Mi vergüenza esto señala, esto intenta mi secreto. Dijo una vez un discreto que en tres cosas era mala la vergüenza y el temor. ¿Y era? Escucha despacio: en el púlpito, en palacio y en decir uno su amor. En palacio estás, los cielos te abren camino anchuroso; no pierdas por vergonzoso. Si al conde de Vasconcelos ama, ¿cómo puede ser? No lo creas. Si lo veo, y ello lo dice. Es rodeo y traza para saber si amas; a hablarla comienza, que, pardiós, si la perdemos,
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Lo so, Brito, che un amore che stia zitto non è accorto; però, se parlando perdo quanto godo col tacere, se già, standole vicino e pensando che mi ama, vive e ancora si alimenta la mia debole speranza, mentre se dico il mio amore dovrò vedere a mio danno il castigo e il disinganno che promette il suo rigore, non sarebbe più sicuro, pure se la lingua è muta, godere un amore in forse anziché un certo rifiuto? Ciò segnala il mio pudore, ciò persegue il mio riserbo. Disse un giorno un avveduto che in tre cose son dannose la vergogna ed il timore. Quali? Sta’ bene a sentire: sopra il pulpito, a palazzo e in chi vuol parlar d’amore. Sei a palazzo; t’apre il cielo un cammino speranzoso; non vorrai tirarti indietro! Se il conte di Vasconcelos ama, cosa mai m’aspetto? Non ci credere. Ma è vero. È lei a dirlo. È solo un trucco e un disegno per sapere se ami; sbrigati a parlare ché, per Dio, se la perdiamo 1293
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que al monte volver podemos a segar. Si la vergüenza me da lugar yo lo haré, aunque pierda vida y fama.
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Sale doña Juana. JUANA MIRENO TARSO MIRENO JUANA
Mirad, don Dionís, que os llama mi señora... Luego iré. Ánimo. (¿Qué confusión me entorpece y acobarda?) Venid presto, que os aguarda.
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Vase. TARSO MIRENO TARSO
Desenvuelve el corazón; háblala, señor, de espacio. Tiemblo, Brito. Esto es forzoso; bien dicen que al vergonzoso le trujo el diablo a palacio.
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Vanse y sale doña Madalena. MADALENA
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Ciego dios, ¿qué os avergüenza la cortedad de un temor? ¿De cuándo acá niño amor, sois hombre y tenéis vergüenza? ¿Es posible que vivís en don Dionís y que os llama su dios? Sí; pues, si me ama, ¿cómo calla don Dionís? Decláreme sus enojos, pues callar un hombre es mengua;
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sul monte tornar possiamo a spigare. Voglio farlo, il pudore permettendo, ci perdessi vita e fama. Entra donna Juana.
JUANA MIRENO TARSO MIRENO JUANA
Don Dionís, ecco vi chiama la mia signora. Sì, vengo. Coraggio! (Che confusione mi raggela e mi trattiene?) Presto, ché vi sta aspettando. Esce.
TARSO MIRENO TARSO
Aprile tutto il tuo cuore, parlale, signore, calmo. Tremo, Brito. Ciò è normale, perché dicono che il timido lo mandò a palazzo il diavolo. Escono ed entra donna Madalena.
MADALENA
E che? Arretri, cieco dio, per un misero timore? Da quando in qua, bimbo amore ti vergogni? Che uomo sei? Non dimori in don Dionís? Suo dio forse non ti chiama? Sì, ma allora, se mi ama, perché seguita a star zitto? Si dichiari che il tacere per un uomo è grande pecca, 1295
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dígame una vez su lengua lo que me dicen sus ojos. Si teme mi calidad su bajo y humilde estado, bastante ocasión le ha dado mi atrevida libertad. Ya le han dicho que le adoro mis ojos, aunque fue en vano; la lengua, al dalle la mano a costa de mi decoro; ya abrió el camino que pudo mi vergüenza. Ciego infante, ya que me habéis dado amante, ¿para qué me le dais mudo? Mas no me espanto lo sea, pues tanto amor me humilló que, aun diciéndoselo yo, podrá ser que no lo crea.
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Sale doña Juana. JUANA
Don Dionís, señora, viene a darte lición. Vase.
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A dar lición vendrá de callar, pues aun palabras no tiene. De suerte me trata amor que mi pena no consiente más silencio; abiertamente le declararé mi amor, contra el común orden y uso; mas tiene de ser de modo
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dica alfine la sua lingua quanto gli occhi van dicendo. Se il mio rango intimidisce la sua bassa condizione, la mia audacia gli ha fornito assai più di un’occasione. Già gli han detto che l’adoro i miei occhi, pur se invano; la lingua, quando la mano gli offrii a rischio del decoro; già gli ha aperto il mio pudore il cammino che ha potuto; ed allora, cieco infante, giacché m’hai dato un amante, perché me l’hai dato muto? Ma non me ne meraviglio: m’ha umiliato amore al punto ch’egli non ci crederebbe neanche se fossi io a dirglielo. Entra donna Juana. JUANA
Don Dionís è qui, signora, a farti lezione. Esce.
MADALENA
A farla di silenzio, perché ancora non sa avere una parola. Tanto mi bistratta amore ché la mia pena non regge più il silenzio; apertamente gli dichiarerò il mio amore, contro ogni comune uso, però lo farò in tal modo
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que, diciéndoselo todo, le he de dejar más confuso. Siéntase en una silla; finge que duerme y sale Mireno. MIRENO
MADALENA
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¿Qué manda vuestra excelencia? ¿Es hora de dar lición? (Ya comienza el corazón a temblar en su presencia. Pues que calla, no me ha visto: sentada sobre la silla, con la mano en la mejilla está.) (En vano me resisto: yo quiero dar a entenderme como que dormida estoy.) Don Dionís, señora, soy. ¿No me responde? ¿Si duerme? Durmiendo está. Atrevimiento, agora es tiempo; llegad a contemplar la beldad que ofusca mi entendimiento. Cerrados tiene los ojos, llegar puedo sin temor; que, si son flechas de amor, no me podrán dar enojos. ¿Hizo el autor soberano de nuestra naturaleza más acabada belleza? Besarla quiero una mano. ¿Llegaré? Sí; pero no; que es la reliquia divina, y mi humilde boca indigna de tocalla. ¡Pero yo soy hombre y tiemblo! ¿Qué es esto? Ánimo. ¿No duerme? Sí.
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che, dopo che gliel’ho detto, lui rimanga più confuso. Si siede su una sedia e finge di dormire; entra Mireno. MIRENO
MADALENA
MIRENO
Comanda vostra eccellenza? È l’ora della lezione? (Ecco che comincia il cuore a tremare in sua presenza. Se tace non m’avrà visto, seduta sopra a una sedia con la mano sulla guancia se ne sta.) (Invano resisto; farò in modo di apparire come se stessi dormendo.) Signora, son don Dionís. Non mi risponde. Che dorma? Sta dormendo. Ora è il momento, o mia audacia, d’accostarti per guardare la bellezza che offusca l’intendimento. Chiusi ha gli occhi ed accostarmi io potrò senza timore, ché, seppur dardi d’amore, non potranno danneggiarmi. Quando mai fece il sovrano autore della natura più perfetta creatura? Voglio baciarle una mano. M’avvicino? Sì. Ma no! Ché la reliquia è divina, e la mia misera bocca non è degna di toccarla! Ma io sono un uomo e tremo? Coraggio! Non dorme? Sì.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
Llega y retírase.
MADALENA MIRENO
MADALENA
Voy. ¿Si despierta? ¡Ay de mí, que el peligro es manifiesto y moriré si recuerda hallándome deste modo! Para no perderlo todo, bien es que esto poco pierda. El temor al amor venza: afuera quiero esperar. (¡Que no se atrevió a llegar! ¡Mal haya tanta vergüenza!) No parezco bien aquí solo, pues durmiendo está. Yo me voy. (¿Que al fin se va?)
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Como que duerme.
MIRENO
Don Dionís... ¿Llamome? Sí. ¡Qué presto que despertó! Miren, ¡qué bueno quedara si mi intento ejecutara! ¿Está despierta? Mas no; que en sueños pienso que acierta mi esperanza entretenida, y quien me llama dormida no me quiere mal despierta. ¿Si acaso soñando está en mí? ¡Ay, cielos, quién supiera lo que dice! Como que duerme.
MADALENA
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No os vais fuera; llegaos, don Dionís, acá.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Si avvicina e si ritrae.
MADALENA MIRENO
MADALENA
Vado. E se si sveglia? Ahimè. Perché il rischio è manifesto e morirò se si sveglia e mi trova così accosto. Per non perder proprio tutto meglio è perder questo poco. Il timore sull’amore l’abbia vinta: aspetto fuori. (Non ha osato avvicinarsi! Maledetta la vergogna!) Non è bene che stia qui solo, mentre sta dormendo. Vado via. (Che? Se ne va?) Come se dormisse. Don Dionís...
MIRENO
Mi chiama? Sì, A svegliarsi ha fatto presto! Figurarsi se ora avessi messo in atto già il mio intento! È sveglia? No! Solo in sogno penso riesca ad avverarsi la mia illusoria speranza, e chi dormendo mi chiama non mi vuole appena sveglia. E se quello che ora sogna fossi io? Cielo! Sapessi Quel che dice! Come se dormisse.
MADALENA
Non uscite, qui venite, don Dionís. 1301
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MIRENO
Llegar me manda su sueño. ¡Qué venturosa ocasión! Obedecella es razón, pues, aunque duerme, es mi dueño. Amor, acabad de hablar; no seáis corto.
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Todo lo que hablare ella es como entre sueños. MADALENA
MIRENO MADALENA
Don Dionís: ya que a enseñarme venís a un tiempo a escribir y amar... al conde de Vasconcelos... ¡Ay, celos!, ¿qué es lo que veis? ...quisiera ver si sabéis qué es amor y qué son celos; porque será cosa grave que ignorante por vos quede, pues que ningún otro puede enseñar lo que no sabe. Decidme: ¿tenéis amor? ¿De qué os ponéis colorado? ¿Qué vergüenza os ha turbado? Responded, dejá el temor; que el amor es un tributo y una deuda natural en cuantos viven, igual desde el ángel hasta el bruto.
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Ella misma se pregunta y responde como que duerme. Si esto es verdad, ¿para qué os avergonzáis así? ¿Queréis bien? – Señora, sí. – ¡Gracias a Dios que os saqué una palabra siquiera!
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Vuol che m’accosti il suo sogno. Che fortunata occasione! Devo obbedirle perché, pur se dorme, è il mio padrone. Non fare il timido, amore, parla infine.
MIRENO
Tutto ciò che dice è come in sogno. MADALENA
MIRENO MADALENA
Don Dionís, già che state qui a insegnarmi tanto a scrivere che a amare il conte di Vasconcelos... Ahimè, gelosia, che sento? ...dovete dirmi che sia amor, cosa gelosia; perché sarebbe assai grave ch’io ne restassi ignorante, ché nessuno a un altro insegna cose di cui non s’intende. Dite: siete innamorato? Perché diventate rosso? Che vergogna v’ha turbato? Rispondete, non temete perché l’amore è un tributo e un retaggio naturale in quanti vivono uguale dall’angelo fino al bruto.
Lei stessa si fa domande e si risponde come se dormisse. Se ciò è vero, perché mai vi vergognate così? Amate? – Signora, sì. – Grazie a Dio che una parola perlomeno v’ho cavato!
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¿Hay sueño más amoroso? ¡Oh, mil veces venturoso quien le escucha y considera! Aunque tengo por más cierto que yo solamente soy el que soñándolo estoy; que no debo estar despierto. ¿Ya habéis dicho a vuestra dama vuestro amor? – No me he atrevido. – ¿Luego nunca lo ha sabido? – – Como el amor todo es llama, bien lo habrá echado de ver por los ojos lisonjeros, que son mudos pregoneros. – La lengua tiene de hacer ese oficio, que no entiende distintamente quien ama esa lengua que se llama algarabía de aliende. ¿No os ha dado ella ocasión para declararos? – Tanta, que mi cortedad me espanta. – Hablad, que esa suspensión hace a vuestro amor agravio. – Temo perder por hablar lo que gozo por callar. – Eso es necedad, que un sabio al que calla y tiene amor compara a un lienzo pintado de Flandes, que está arrollado. Poco medrará el pintor si los lienzos no descoge que al vulgo quiere vender para que los pueda ver. El palacio nunca acoge la vergüenza; esa pintura desdoblad, pues que se vende,
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C’è un sogno più delizioso? Ah, felice mille volte chi si trova ad ascoltarlo! Anche se stimo più certo che son solamente io quello che lo sta sognando, ché non debbo essere sveglio. L’avete alla vostra dama già detto? – No, non ho osato. – Dunque non l’ha mai saputo? – Se l’amore è solo fiamma, ella se ne sarà accorta dai miei occhi lusinghieri che son muti banditori. – È la lingua a dover fare tale ufficio: non intende con chiarezza chiunque ama quella lingua che si chiama scilinguagnolo d’oriente. – Non v’ha dato ella pretesti per dichiararvi? – Sì, tanti che il mio impaccio mi sgomenta. – Parlate, ché quest’attesa reca al vostro amore torto. – Temo di perder parlando quanto godo col silenzio. – Questo è sciocco, ché compara il saggio chi è innamorato e sta zitto ad un arazzo delle Fiandre arrotolato. Otterrà poco il pittore se gli arazzi non dispiega, acciò che possa vederli il volgo che vuol comprarli. Al palazzo non è accetta la vergogna: dispiegate questo arazzo che vendete, 1305
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que el mal que nunca se entiende difícilmente se cura. – Sí; mas la desigualdad que hay, señora, entre los dos me acobarda. – Amor, ¿no es dios? – – Sí, señora. – Pues hablad, que sus absolutas leyes saben abatir monarcas y igualar con las abarcas las coronas de los reyes. Yo os quiero ser medianera, decidme a mí a quién amáis. – No me atrevo. – ¿Qué dudáis? ¿Soy mala para tercera? No; pero temo, ¡ay de mí! ¿Y si yo su nombre os doy? ¿Diréis si es ella o si soy yo acaso? – Señora, sí. ¡Acabara yo de hablar! ¿Mas que sé que os causa celos el conde de Vasconcelos? – Háceme desesperar; que es, señora, vuestro igual y heredero de Berganza. – La igualdad y semejanza no está en que sea principal, o humilde y pobre el amante sino en la conformidad del alma y la voluntad. Declaraos de aquí adelante, don Dionís; a esto os exhorto, que en juegos de amor no es cargo tan grande un cinco de largo como es un cinco de corto. Días ha que os preferí al conde de Vasconcelos.
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ché se il male non si intende non potrà essere curato. – Sì, ma la disuguaglianza che c’è fra noi due, signora, mi trattiene. – È un dio l’amore? – Sì. – E allora parlate pure, ché i suoi assoluti dettami sanno abbattere monarchi ed appaiare gli zoccoli alle corone regali. Sarò vostra intermediaria: dite a me chi è che amate. – Non mi azzardo. – Che temete? Son cattiva messaggera? – No, però ho paura... ahimè! – E se vi dico il suo nome, direte se è lei, o se sono io per caso? – Sì, signora. S’io finissi di parlare! Ma perché geloso siete del conte di Vasconcelos? Egli mi fa disperare, ché, signora, è un vostro pari ed erede di Braganza. – La parità e somiglianza non risiedono nel grado alto o basso degli amanti, bensì nelle affinità di animi e di sentimenti. Don Dionís, a dichiararvi d’ora innanzi io v’esorto, ché nei giochi dell’amore non è grave il tiro lungo più di quanto non sia il corto. Da giorni v’ho preferito al conte di Vasconcelos.
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¡Qué escucho, piadosos cielos!
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Da un grito Mireno, y hace que despierta doña Madalena. MADALENA
MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA
¡Ay, Jesús! ¿Quién está aquí? ¿Quién os trujo a mi presencia, don Dionís? Señora mía... ¿Qué hacéis aquí? ...yo venía a dar a vuestra excelencia lición: halléla durmiendo, y mientras que despertaba aquí, señora, aguardaba. Dormíme, en fin, y no entiendo de qué pudo sucederme, que es gran novedad en mí quedarme dormida ansí.
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Levántase. MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
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Si sueña siempre que duerme vuestra excelencia del modo que agora, ¡dichoso yo! (¡Gracias al cielo que habló este mudo!) (¡Tiemblo todo!) ¿Sabéis vos lo que he soñado? Poco es menester saber para eso. Debéis de ser otro Josef. Su traslado en la cortedad he sido, pero no en adivinar.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MIRENO
Che odo mai, pietoso cielo! Mireno lancia un grido e sveglia donna Madalena.
MADALENA
MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA
Gesù mio! Chi siete? Chi vi portò alla mia presenza Don Dionís? Signora mia... Che ci fate qui? ...io venivo a fare a vostra eccellenza lezione; però dormiva e stavo qui ad aspettare, signora, che si svegliasse. Sì dormivo, e non intendo cosa mai mi sia successo, perché è un fatto per me nuovo assopirmi in questo modo. Si alza.
MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
Se dormendo sogna sempre vostra eccellenza come ora avrei proprio gran fortuna! (Grazie al cielo che ha parlato questo muto!) (Tremo tutto!) Voi sapete che ho sognato? Non ci vuol molto a saperlo. Siete voi un altro Giuseppe? Lo son stato in timidezza, ma non nella preveggenza.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA
MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
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Acabad de declarar cómo el sueño habéis sabido. Durmiendo, vuestra excelencia, por palabras le ha explicado. ¡Válame Dios! Y he sacado en mi favor la sentencia, que falta ser confirmada, para hacer mi dicha cierta, por vueselencia despierta. Yo no me acuerdo de nada. Decídmelo; podrá ser que me acuerde de algo agora. No me atrevo, gran señora. Muy malo debe de ser, pues no me lo osáis decir. No tiene cosa peor que haber sido en mi favor. Mucho lo deseo oír; acabad ya, por mi vida. Es tan grande el juramento que anima mi atrevimiento: vuestra excelencia dormida... Tengo vergüenza. Acabad, que estáis, don Dionís, pesado. Abiertamente ha mostrado que me tiene voluntad. ¿Yo? ¿Cómo? Alumbró mis celos, y en sueños me ha prometido... ¿Sí? Que he de ser preferido al conde de Vasconcelos. Mire si en esta ocasión son los favores pequeños.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA
MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA MIRENO
MADALENA MIRENO
Finitemi di spiegare come avete appreso il sogno. Dormendo, vostra eccellenza, me l’ha raccontato tutto. Dio mi aiuti! Ed io ne ho tratto a favor mio la sentenza cui ora manca la conferma, per la mia felicità, di vostra eccellenza sveglia. Io non mi ricordo niente. Ditemelo; potrà essere che mi torni in mente ora. Non m’azzardo, gran signora. Molto brutto dovrà essere se neppure osate dirmelo. È la sua cosa peggiore d’esser stato a mio favore. Ho gran voglia di sentirlo, ditelo, per la mia vita! Tanto grande è il giuramento da animare il mio ardimento; vostra eccellenza, assopita... mi vergogno. Via, finitela! Don Dionís, siete noioso! Apertamente ha mostrato che m’ama. Io? Ha dileguato i miei gelosi pensieri ed in sogno m’ha promesso.... Sì? ...d’avermi già anteposto al conte di Vasconcelos. Guardi se in tale occasione sono piccoli i favori. 1311
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MADALENA
Don Dionís, no creáis en sueños, que los sueños, sueños son. Vase.
MIRENO
¿Agora sales con eso? Cuando sube mi esperanza, carga el desdén la balanza y se deja en fiel el peso. ¿Con palabras tan resueltas dejas mi dicha mudada? ¡Qué mala era para espada voluntad con tantas vueltas! ¡Por qué varios arcaduces guía el cielo aqueste amor! Con el desdén y favor me he quedado entre dos luces. No he de hablar más en mi vida, pues mi desdicha concierta que me desprecie despierta quien me quiere bien dormida. Calle el alma su pasión y sirva a mejores dueños, sin dar crédito a más sueños, que los sueños, sueños son.
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Sale Tarso. TARSO MIRENO
TARSO MIRENO
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Pues, señor, ¿cómo te ha ido? ¿Qué sé yo? Ni bien ni mal. Con un compás quedo igual, amado y aborrecido. A mi vergüenza y recato me vuelvo que es lo mejor. Di, pues, que le fue a tu amor como a tres con un zapato. Después me hablarás despacio.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MADALENA
Non crediate, don Dionís, troppo ai sogni: sogni sono. Esce.
MIRENO
Ora te n’esci con questa? Quando aumenta la speranza, lo sdegno sulla bilancia carica ed il peso è pari. Con parole tanto spicce capovolgi la mia sorte? Quant’è brutta per la spada volontà con tante svolte! Per che varie condutture guida il cielo quest’amore! Fra lo sdegno ed il favore non so più cosa pensare. Non dirò più una parola finché vivo, se disdetta vuole che mi sprezzi sveglia colei che in sogno m’adora. Taccia l’animo il suo ardore e a miglior padrone serva, senza credere più a sogni, perché i sogni, sogni sono. Entra Tarso.
TARSO MIRENO
TARSO MIRENO
Signore, come t’è andata? Che ne so! Bene e anche male. Misurati col compasso odio e amore sono uguali. Al mio timido riserbo me ne torno, ché è la meglio. E di’ pure che al tuo amore non gli è andata troppo bene. Poi ne parleremo insieme. 1313
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO TARSO
MIRENO
TARSO MIRENO
TARSO MIRENO TARSO
Bato, el pastor y vaquero de tu padre, está en Avero, y entrando acaso en palacio me ha conocido y desea hablarte y verte, que está loco de placer. Sí hará. ¡Oh, llaneza de mi aldea! ¡Cuánto mejor es tu trato que el de palacio confuso donde el engaño anda al uso! Vamos, Brito, a hablar a Bato, y a mi padre escribiré de mi fortuna el estado. En un lugar apartado quiero velle. Pues ¿por qué? Porque tengo, Brito, miedo que de mi humilde linaje la noticia aquí me ultraje antes de ver este enredo en qué para. Y es razón. Ven, porque le satisfagas. A ti amor y a mí estas bragas, nos han puesto en confusión.
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Vanse. Salen doña Serafina y don Antonio. SERAFINA
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No sé, conde, si dé a mi padre aviso de vuestro atrevimiento y de su agravio, que agravio ha sido suyo el atreveros a entrar en su servicio dese modo para engañarme a mí, y a él afrentalle. Otros medios hallárades mejores, pues noble sois, con que obligar al duque,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO TARSO
MIRENO
TARSO MIRENO
TARSO MIRENO TARSO
Bato, il pastore e vaccaro di tuo padre è qui ad Avero e per caso nel palazzo m’ha riconosciuto e vuole parlare con te, ché già è pazzo di gioia. Senz’altro. Oh, il mio semplice paese! Quanto son meglio i tuoi modi degli intrighi di palazzo, dove regola è l’inganno! Andiamo, Brito, da Bato, ché a mio padre scriverò sulla mia sorte presente. Voglio in un posto appartato incontrarlo. Ma perché? Perché ho, Brito, timore che del mio umile lignaggio si risappia, e ciò mi oltraggi prima che io veda la fine della storia. E a buon ragione. Vieni, andiamo ad incontrarlo. A te amore, a me le calze ci han gettato in confusione! Escono. Entrano donna Serafina e don Antonio.
SERAFINA
Conte, non so se avvisare mio padre della vostra insolenza e dell’oltraggio a lui arrecato perché oltraggio è stato osare entrare a servirlo in quel modo che inganna me ed è per lui ingiurioso. Non potevate trovare altri mezzi, nobile essendo, che obbligare il duca 1315
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
ANTONIO SERAFINA
ANTONIO SERAFINA ANTONIO
SERAFINA
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sin fingiros así su secretario, pues no sé yo, si no es tenerme en poco, qué liviandad hallasteis en mi pecho para atreveros a lo que habéis hecho. Yo vine de camino a ver mi prima, y quiso amor que os viese. Conde: basta. Yo estoy muy agraviado justamente de vuestro atrevimiento. ¿Vos creístes, que en tan poco mi fama y honra tengo, que descubriéndoos, como lo habéis hecho, había de rendirme a vuestro gusto? Imaginarme a mí mujer tan fácil ha sido injuria que a mi honor se ha hecho. Mi padre ha dado al de Estremoz palabra que he de ser su mujer, y aunque mi padre no la diera, ni yo le obedeciera, por castigar aqueste desatino me casara con él. Salid de Avero al punto, don Antonio, o daré aviso de aquesto a don Duarte, y si lo entiende peligraréis, pues corren por su cuenta mis agravios. ¿Que ansí me desconoces? Idos, conde, de aquí, que daré voces. Déjame disculpar de los agravios que me imputas, que el juez más riguroso antes de sentenciar escucha al reo. Conde, viven los cielos, que si un hora estáis más en la villa, que esta noche me case con el conde por vengarme. Yo os aborrezco, conde; yo no os quiero. ¿Qué me queréis? Aquí la mayor pena que me puede afligir es vuestra vista.
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ANTONIO SERAFINA
ANTONIO SERAFINA ANTONIO
SERAFINA
fingendovi così suo segretario? Ben poco mi stimate, ché altrimenti non so che leggerezza nel mio petto abbiate visto per osare tanto. Passavo a visitare mia cugina, e volle amor che vi vedessi. Basta, io della vostra audacia a buon diritto, conte, sono indignata. E che? Credeste che tanto poco stimassi il mio onore da arrendermi alle vostre fantasie appena voi vi foste dichiarato? Immaginarmi donna così facile è stata ingiuria al mio onore arrecata. Mio padre al conte di Estremoz parola ha dato che lo sposerò e, quand’anche così non fosse, o io non l’obbedissi, pur di punire la vostra follia mi sposerei con lui. Lasciate Avero, don Antonio, all’istante oppure io ne informo don Duarte e se l’apprende, peggio per voi, ché corrono a suo carico le offese fatte a me. Così mi sdegni? Uscite, conte, o mi metto a gridare. Lasciami scagionare dalle colpe di cui mi accusi, ché il più fermo giudice prima della sentenza ascolta il reo. Vivaddio, conte, se restate un’ora di più in città vi giuro che stanotte mi sposerò col conte per ripicca. Io vi detesto conte, io non v’amo. Che volete da me? La maggior pena che possa affliggermi è la vostra vista.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
Si a vuestro amor mi amor no corresponde: conde, ¿qué me queréis? Dejadme, conde. Se aparta. ANTONIO
Áspid, que entre las rosas de esa belleza escondes tu veneno, ¿mis quejas amorosas desprecias de este modo? ¡Ay, Dios, que peno, sin remediar mis males, en tormentos de penas infernales! Pues que del paraíso de tu vista destierras mi ventura, hágate amor Narciso, y de tu misma imagen y hermosura de suerte te enamores, que, como lloro, sin remedio llores. Yo me voy, pues lo quieres, huyendo del rigor cruel que encierras, agravio de mujeres; pues de tu vista hermosa me destierras, por quedar satisfecho desterraré tu imagen de mi pecho.
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Saca el retrato del pecho. En el mar de tu olvido echará tus memorias la venganza que a amor y al cielo pido, pues desta suerte alcanzará bonanza el mar en que me anego, si es mar donde las ondas son de fuego.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Se al vostro amore il mio non corrisponde, perché insistete? Lascatemi, conte. Si allontana. ANTONIO
Aspide, che fra rose di codesta beltà celi il veleno, in tal modo disprezzi le mie amorose suppliche? Ahi, ch’io peno, senza rimedio al male, fra tormentosi supplizi infernali! Giacché dal paradiso degli occhi tuoi scacci la mia fortuna, ti renda amor Narciso, e della tua immagine e figura innamorati tanto da piangere così come io piango. Me ne vado, se vuoi, fuggendo dal rigore che racchiudi, oltraggio delle donne, ma se dai tuoi begli occhi mi bandisci, io per giusta vendetta, bandirò la tua effigie dal mio petto. Tira fuori il ritratto dal petto. Nel mare del tuo oblio getti le tue memorie la rivalsa che a amore e al cielo chiedo, in modo che così trovi bonaccia il mare in cui annego, se mare c’è che le onde abbia di fuoco.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
Borrad, alma, el retrato que en vos pinta el amor, pues que yo arrojo aqueste por ingrato; Arrójale. castigo justo de mi justo enojo, por quien mi amor desmedra. Adiós, cruel, retrato de una piedra, que, pues al tiempo apelo, médico sabio que locuras cura, razón es que en el suelo os deje, pues que sois de piedra dura, si el suelo piedras cría. Quédate, fuego, ardiendo en nieve fría.
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Vase. SERAFINA
¡Hay locuras semejantes! Es posible que sujetos a tan rabiosos efetos estén los pobres amantes? ¡Dichosa mil veces yo, que jamás admití el yugo de tan tirano verdugo! ¿Qué es lo que en el suelo echó y con renombre de ingrato tantas injurias le dijo? Quiero verle, que colijo mil quimeras. ¡Un retrato Álzale. es de un hombre y me parece que me parece de modo que es mi semejanza en todo. Cuanto el espejo me ofrece
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Strappa, o cuore, il ritratto che in te dipinge amore, ché io getto questo da quanto è ingrato, Glielo getta. castigo giusto del mio giusto sdegno per chi il mio amore ha in sprezzo. Addio, crudele, come fossi pietra, ora che il tempo invoco, medico saggio che cura follie, è giusto che nel suolo ti lasci, essendo tu di pietra dura, se il suolo alleva pietre. Resta, o fuoco, a bruciare in fredda neve. Esce. SERAFINA
Si può essere più pazzi? Possibile che soggetti a sì furibondi effetti sian questi poveri amanti? Me felice mille volte che giammai ammisi il giogo di quel despota spietato! Ma cos’ha buttato al suolo? Cos’è che ha chiamato ingrato e di ingiurie ricoperto? Lo vedrò, ché ne argomento troppe frottole. Il ritratto Lo raccatta. è di un uomo, ed a me sembra che mi rassembri a tal punto da rassomigliarmi in tutto. Quanto lo specchio riflette 1321
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
miro aquí: como en cristal bruñido mi imagen propia aquí la pintura copia y un hombre es su original. ¡Válgame el cielo! ¿Quién es, pues no es retrato del conde, que en nada le corresponde? Pues ¿por qué le echó a mis pies? Decid, amor, ¿es encanto este para que me asombre? ¿Es posible que haya hombre que se me parezca tanto? No, porque cuando le hubiera, ¿qué ocasión le ha dado el pobre para que tal odio cobre con él el conde? Si fuera mío, pareciera justo que en él de mí se vengara, y que al suelo le arrojara por solo darme disgusto. Algún enredo o maraña encierra en aqueste enima: doña Juana que es su prima, ha de sabello. ¡Qué estraña confusión! Llamalla quiero, aunque con ella he reñido viendo que la causa ha sido que esté su primo en Avero. Mas ella sale.
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Sale doña Juana. JUANA
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Ya está, señora, abierto el jardín; entre el clavel y el jazmín vuestra excelencia podrá, entreteniéndose un rato,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
vedo qui; come in cristallo brunito il dipinto copia la mia immagine, anche se un uomo è il suo originale. M’aiuti il cielo! Chi è, se non rappresenta il conte, ché in niente gli corrisponde? E perché ora è ai miei piedi? Che sia, amore, un sortilegio questo tuo per sbalordirmi? Ci può essere mai un uomo che a tal punto mi somigli? No, perché, anche se ci fosse, che occasione il poveretto gli avrà dato perché il conte l’abbia presa con lui a morte? Fosse mio, sarebbe giusto che di me si vendicasse e che al suolo lo scagliasse solo per darmi disgusto. Qualche intrigo, qualche imbroglio si racchiude in quest’enigma. Donna Juana, sua cugina, lo saprà. Raro subbuglio! La chiamerò pur avendo prima con lei questionato, perché è stato per sua causa se ad Avero si è fermato. Ma ecco che arriva. Entra donna Juana. JUANA
Ora è già signora, aperto il giardino, fra le rose e i gelsomini vostra eccellenza potrà, intrattenendosi un poco, 1323
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SERAFINA JUANA
SERAFINA JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA
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perder la cólera e ira que tiene conmigo. Mira, doña Juana, este retrato. (Este es el suyo. ¿A qué fin mi primo se le dejó? ¡Cielos, si sabe que yo le metí dentro del jardín!) ¿Viste semejanza tanta en tu vida? No, por cierto. (¡Si aqueste es el que en el huerto copió el pintor!) ¿No te espanta? Mucho. Tu primo, enojado, porque su amor tuve en poco, con disparates de loco le echó en el suelo y airado se fue. Quise ver lo que era, y hame causado inquietud, pues por la similitud que tiene, saber quisiera a qué fin aquesto ha sido. Pues de su pecho las llaves tienes, dilo, si lo sabes. (Basta, que no ha conocido que es suyo; la diferencia del traje de hombre y color, que mudó en él el pintor, es la causa). Vueselencia me manda diga una cosa de que estoy tan ignorante como espantada. Bastante es ser yo poco dichosa para que lo ignores. Diera
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SERAFINA JUANA(
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scordare il risentimento che ha per me. Donna Juana, guarda qui questo ritratto. (Questo è il suo. Per che ragione gliel’ha dato mio cugino? Cielo se sapesse ch’io l’ho fatto entrare in giardino!) Hai mai visto in vita tua una tale somiglianza? No. (Per forza! È quello che nell’orto copiò il pittore!) Non ne sei stupita? Tanto. Tuo cugino, disgustato perché sdegnavo il suo amore, con sventatezze da folle lo gettò in terra e adirato se n’andò; volli vederlo, però inquieta m’ha lasciato, la sua somiglianza ed ora vorrei sapere che fine ha tutto ciò. Dal momento che hai del suo petto le chiavi dimmelo tu, se lo sai. (Meno male non s’è accorta che è il suo, per la differenza d’abito e per il colore nuovo che ha messo il pittore.) Vorrebbe vostra eccellenza che le parlassi di un fatto di cui sono tanto ignara quanto sorpresa. Ben troppo sarei stata fortunata lo avessi saputo. Cosa
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
JUANA SERAFINA JUANA
SERAFINA JUANA SERAFINA JUANA
cualquier precio de interés por solo saber quién es. Pues saberlo... ¿Cómo? Espera; llamando al conde mi primo, y fingiendo algún favor con que entretener su amor... Bien dices, la traza estimo; mas habrase ya partido. No habrá; yo le iré a llamar. Ve presto. (¿Hay más singular suceso? Castigo ha sido del cielo que a su retrato ame quien a nadie amó.)
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Vase. SERAFINA
(Al retrato)
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No en balde en tierra os echó quien con vos ha sido ingrato, que si es vuestro original tan bello como está aquí su traslado, creed de mí que no le quisiera mal. Y a fe que hubiera alcanzado lo que muchos no han podido, pues vivos no me han vencido, y él me venciera pintado. Mas, aunque os haga favor, no os espante mi mudanza, que siempre la semejanza ha sido causa de amor.
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JUANA SERAFINA JUANA
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non darei ora solamente per saper chi è. Potresti... In che modo? Sta’ a sentire: richiamando mio cugino, il conte e qualche favore fingendo per il suo amore. Mi sembra un ottimo piano, ma se ne sarà già andato. No, vedrai, vado a chiamarlo. Presto, corri! (Buffo caso! È il cielo che per castigo vuol che ami il suo ritratto chi nessuno ha mai amato.) Esce.
SERAFINA
(Al ritratto)
Non a caso ti scagliò a terra chi t’ha sdegnato, perché se il tuo originale è bello come qui appare la sua copia, credi a me, non potrei volergli male. E ti giuro avrebbe avuto quel che in molti hanno bramato ché, se vivi non m’han vinto, lo farebbe lui dipinto. Se gli rendo ora favore non tacciarmi d’incostanza, ché la somiglianza è sempre stata causa dell’amore.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
Salen don Antonio y doña Juana. JUANA ANTONIO JUANA ANTONIO
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ANTONIO SERAFINA ANTONIO SERAFINA
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Esto es cierto. ¡Hay tal enredo! Lo que has de responder mira. Prima, con una mentira tengo de gozar, si puedo, la ocasión. Conde... Señora... Muy colérico sois. Es condición de portugués, y no es mucho, si en media hora me mandáis dejar Avero, que hiciese estremos de loco. Callad, que sabéis muy poco de nuestra condición. Quiero haceros, conde, saber, porque os será de importancia, que son caballos de Francia las iras de una mujer: el primer ímpetu, estraño; pero al segundo se cansa, que el tiempo todo lo amansa. (Prima, todo esto es engaño.) No quiero ya que os partáis. De aquesta suerte, el desdén pasado doy ya por bien. Pues ya sosegado estáis, ¿no me diréis la razón por qué, cuando os apartastes, este retrato arrojastes en el suelo? ¿Qué ocasión os movió a caso tan nuevo? ¿Cúyo es aqueste retrato?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Entrano don Antonio e donna Juana. JUANA ANTONIO JUANA ANTONIO
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ANTONIO SERAFINA ANTONIO SERAFINA
Questo è certo. Che groviglio! Guarda a cosa le rispondi. Cugina, con la menzogna quest’occasione, se posso, sfrutterò. Conte... Signora... ...molto irascibile siete. Sarà il sangue portoghese, ma del resto se in mezz’ora mi mandate via da Avero, forse non dovrei infuriarmi? Zitto, ché poco sapete della nostra indole. Voglio darvi a conoscere, conte, perché la cosa è importante, che son le ire di una donna come un cavallo di Francia. Focoso in un primo istante, subito dopo si placa perché il tempo tutto acquieta. (Cugina, è solo un inganno!) Non voglio più che partiate. Se è così già mi ricredo dello sdegno di poc’anzi. E ora che siete più calmo, mi dite per che ragione, quando ve ne siete andato, per terra questo ritratto scagliaste? Quale occasione vi spinse a quel gesto strano? Di chi è questo ritratto?
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SERAFINA ANTONIO
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Deciros, señora, trato la verdad; mas no me atrevo. Pues ¿por qué? Temo un castigo terrible. No hay que temer: yo os aseguro. Perder la vida por un amigo no es mucho. Aquesa presencia a declararme me anima. (Ya va de mentira, prima.) Decid. Oiga vueselencia: Días ha que habrá tenido entera y larga noticia de la historia lastimosa del gran duque de Coimbra, gobernador deste reino, en guerra y paz maravilla; que por ser con vuestro padre de una cepa y sangre misma, y tan cercanos en deudo como esta corona afirma, habréis llorado los dos la causa de sus desdichas. Ya sé toda aquesa historia; mi padre la contó un día a mi hermana en mi presencia; su memoria me lastima. Veinte años dicen que habrá que le desterró la envidia de Portugal con su esposa y un tierno infante. Holgaría de saber si aún vive el duque, y en qué reino o parte habita.
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La verità vorrei dirvi, signora, ma non m’azzardo. Perché mai? Temo un castigo terribile. Non temete, io vi son garante. Perdere la vita per un amico ben potrò. Questa presenza a dichiararmi m’invita. (Ecco la bugia, cugina.) Dite. Ascolti, sua eccellenza: avrà avuto ormai da giorni, lunga ed intera notizia della lacrimosa storia del granduca di Coimbra, reggente del regno, in pace ed in guerra meraviglia; ché voi e vostro padre essendo di una stessa discendenza e suoi prossimi vicini, come la corona afferma, avrete pianto le cause della sua triste vicenda. Ben conosco questa storia: l’ha narrata un dì mio padre, me presente, a mia sorella e m’affligge il rammentarla. Da vent’anni ormai l’invidia dicono l’abbia esiliato dal Portogallo con moglie e un figlioletto. Vorrei sapere se ancora vive il conte e dove risiede.
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Sola la duquesa es muerta, porque su memoria viva, que el hijo infeliz y el duque, con quien mi padre tenía deudo y amistad, al tiempo que de la prisión esquiva huyó, le ofreció su amparo, y, arriesgando hacienda y vida, hasta agora le ha tenido disfrazado en una quinta, donde, entre toscos sayales, los dos la tierra cultivan, que con sus lágrimas riegan, dándoles por fruto espinas. El hijo, a quien hizo el cielo con tantas partes que admiran al mundo, su discreción, su presencia y gallardía, se crió conmigo, y es la mitad del alma mía; que el ñudo de la amistad hace de dos una vida. Quiso el cielo que viniese habrá medio año a esta villa, disfrazado de pastor y que tu presencia y vista le robase por los ojos el alma, cuya homicida, respondiendo el valle en ecos, pregonan que es Serafina. Mil veces determinado de decirte sus desdichas le ha detenido el temor de ver que el rey le publica por traidor a él y a su padre y a quien no diere noticia de ellos, que a todos alcanza
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Solo la duchessa è morta, – che la sua memoria viva! – ché al figlio infelice e al duca col quale aveva un legame di amicizia e parentela, offrì mio padre rifugio quando fuggì di prigione, e finora l’ha tenuti, arrischiando beni e vita, camuffati in un podere, dove con rustici panni ambedue terre coltivano che, da lacrime irrigate, danno come frutti spine. Il figlio, a cui ha dato il cielo siffatte doti che ammira il mondo la sua saggezza, la sua forza e gagliardia, crebbe insieme a me ed è metà dell’anima mia, ché il nodo dell’amicizia fa di due un’unica vita. Volle il cielo che venisse sei mesi fa in questo luogo da pastore travestito, e il vederti gli rubasse l’anima, la cui assassina dicon sia, e l’eco a valle lo ripete, Serafina. Mille volte risoluto a narrarti le sue pene lo ha trattenuto il timore di sapere che bandisce il re come traditori lui, suo padre e chiunque altro non ne voglia dar notizia, ché nessuno può sfuggire 1333
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el rigor de su justicia. Yo, que como proprias siento las lágrimas infinitas que por ti sin cesar llora, le di la palabra un día de declararte su amor, y de su presencia y vista gallarda darte el retrato que tienes. Llegué; y sabida tu condición desdeñosa, ni inclinada ni rendida a las coyundas de amor, de quien tan pocos se libran, no me atreví abiertamente a declararte el enigma de sus amorosas penas, hasta que la ocasión misma me la ofreciese de hablarte, y así alcancé de mi prima que el duque me recibiese. Supe después que quería con el de Estremoz casarte, y por probar si podía estorballo de este modo, mostré las llamas fingidas de mi mentiroso amor; respondísteme con ira, y yo, para que mirases el retrato que te inclina a menos rigor, echele a tus pies, que bien sabía que su belleza pintada de tu presunción altiva presto había de triunfar. En fin, bella Serafina, el dueño de este retrato es don Dionís de Coimbra. 1334
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
alla sua fiera giustizia. Io, che sento come mie le lacrime ch’egli sparge per tua causa senza fine, gli ho promesso che t’avrei il suo amore dichiarato, e il ritratto che ora stringi del suo aspetto t’avrei dato. Giunsi, dunque e conosciuta la tua indole altezzosa mai propensa né mai arresa ai legami dell’amore, cui sottrarsi sanno in pochi, non ho osato apertamente manifestarti l’enigma dei suoi amorosi tormenti, fino a quando non venisse l’occasione di parlarti, e da mia cugina ottenni che il duca mi ricevesse. Seppi poi che ti voleva col signore d’Estremoz maritare, e per vedere di impedirlo in questo modo, ti mostrai le fiamme finte del mio menzognero amore. M’hai risposto tu con ira, ed io per darti a vedere il ritratto che ti spinge a minor rigore, ai piedi lo gettai perché sapevo che la sua beltà dipinta presto avrebbe trionfato sulla tua altera superbia. Bella Serafina, infine, chi il ritratto rappresenta don Dionís è di Coimbra. 1335
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO SERAFINA ANTONIO
SERAFINA
ANTONIO SERAFINA
ANTONIO
SERAFINA
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Conde: ¿eso es cierto? Y tan cierto que, a estallo él y saber que le amabas, sin temer el hallarse descubierto, pienso que viniera a darte el alma. (Si eso es verdad no sé si en mi voluntad podrá caber don Duarte.) ¡Válgame Dios! ¡Que este es hijo de don Pedro! Su belleza dice que sí. (¿Qué flaqueza es la vuestra alma? Colijo que no sois la que solía; mas justamente merece quien tanto se me parece ser amado.) ¿No podría velle? De noche bien puedes, si das a tus penas fin, y le hablas por el jardín, que él saltará sus paredes. Mas de día no osará, porque hay ya quien le ha mirado en Avero con cuidado y si más nota en él da, ya ves el peligro. Conde, un hombre tan principal, a mi calidad igual, y que a mi amor corresponde, es ingratitud no amalle. En todo has sido discreto: selo en guardar más secreto
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SERAFINA
ANTONIO SERAFINA
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SERAFINA
Conte, è certo? Così certo che se lui fosse sicuro che l’amassi, senza tema di venir scoperto, penso che verrebbe qui ad offrirti l’anima. (Se così è non so se dentro al mio cuore potrà entrare don Duarte.) Vivaddio, ché è proprio il figlio di don Pedro! Lo conferma la sua beltà. (Cos’è questa debolezza, cuore? Forse non sei più quello di sempre? Ma merita giustamente d’essere amato chi tanto mi somiglia.) E non potrei vederlo? Stanotte puoi, se dai fine alle sue pene e gli parli dal giardino di cui lui salterà il muro. Ma non può farlo di giorno, ché qualcuno l’ha guardato già ad Avero con sospetto e se ancora lo notasse pensa tu che rischio. Conte, un uomo così importante, del mio identico lignaggio, che al mio amore corrisponde sarei ingrata a non amarlo. In tutto sei stato saggio: siilo nel serbare ancora 1337
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
ANTONIO SERAFINA
y haz cómo yo pueda hablalle; que el alma a dalle comienza la libertad que contrasta. Y adiós. ¿Vaste? Aquesto basta, que habla poco la vergüenza.
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Vase. JUANA ANTONIO
JUANA ANTONIO
Primo: ¿es verdad que don Pedro, el duque, vive y su hijo? Calla, que el alma lo dijo viendo lo que en mentir medro. Ni sé del duque ni dónde su hijo y mujer llevó. Don Dionís he de ser yo de noche y de día el conde de Penela; y desta suerte, si amor su ayuda me da, mi industria me entregará lo que espero. Primo, advierte lo que haces. Engañada queda; amor mi dicha ordena con nombre y ayuda ajena, pues por mí no valgo nada.
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Vanse. Salen el duque y doña Madalena. DUQUE
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Quiero veros dar lición, que la carta que ayer vi para el conde, en que leí del sobre escrito el renglón,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
ANTONIO SERAFINA
segretezza e fa’ in maniera ch’io gli parli ché già il cuore comincia a volergli dare la libertà che s’oppone. E ora addio. Vai via? Ciò basti, ché parla poco il pudore. Esce.
JUANA ANTONIO
JUANA ANTONIO
Cugino, davvero il duca e suo figlio sono in vita? Taci, è il cuore che l’ha detto per ciò che a mentire acquisto. Non so del duca né dove moglie e figlio suoi portò. Don Dionís io sarò di notte e di giorno il conte di Penela, e in questo modo se l’amore mi soccorre il mio piano sortirà quanto spero. Occhio, cugino, a ciò che fai. L’ho convinta: vuole amor che la mia sorte sia con nome e aiuto d’altri, ch’io da me non valgo niente. Escono. Entrano il duca e donna Madalena.
DUCA
Voglio vedervi impartire la lezione, ché la lettera al conte che ho visto ieri e di cui ho letto il rigo 1339
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
MADALENA
me contentó. Ya escribís muy claro. Y aún no lo entiende, con ser tan claro, y se ofende mi maestro don Dionís.
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Sale Mireno. MIRENO MADALENA
MIRENO MADALENA
MIRENO MADALENA
MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA
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¿Llámame vuestra excelencia? Sí; que el duque, mi señor, quiere ver si algo mejor escribo. Vos esperiencia tenéis de cuán escribana soy. ¿No es verdad? Sí, señora. Escribí, no ha cuarto de hora, medio dormida, una plana tan clara que la entendiera aun quien no sabe leer. ¿No me doy bien a entender, don Dionís? Muy bien. Pudiera serviros, según fue buena, de materias para hablar en su loor. Con callar la alabo; solo condena mi gusto el postrer renglón, por más que la pluma escuso, porque estaba muy confuso. Direislo por el borrón que eché a la postre. ¿Pues no? Pues adrede lo eché allí.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
MADALENA
della soprascritta m’ha contentato. Già scrivete molto chiaro. E non l’intende, pur se chiaro, e se n’offende don Dionís, il mio maestro. Entra Mireno.
MIRENO MADALENA
MIRENO MADALENA
MIRENO MADALENA
MIRENO
MADALENA MIRENO MADALENA
Mi chiama vostra eccellenza? Sì, che il duca mio signore vuol vedere se migliore è il mio scritto, ed esperienza voi avete di quanto io sia scribacchina. Sì, signora. Da nemmeno un quarto d’ora mezzo addormentata ho scritto una pagina talmente chiara che l’avrebbe intesa perfino chi non sa leggere. Non mi faccio ben capire, don Dionís? Sì, molto bene. Poteva, tant’era buona darvi il destro per parlare in sua lode. Col tacere io l’apprezzo, ma condanno l’ultimo rigo che era, per quanto incolpi la penna, per mio gusto assai confuso. Dite forse per il frego fatto in fondo? Per l’appunto. Ma se ce l’ho messo apposta!
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA
Solo el borrón corregí porque lo demás borró. Bien lo pudistes quitar; que un borrón no es mucha mengua. ¿Cómo? (El borrón con la lengua se quita, y no con callar.) Ahora bien: cortá una pluma.
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Sacan recado y corta una pluma. MIRENO MADALENA
(Enojada)
DUQUE MADALENA
DUQUE MIRENO MADALENA
MIRENO DUQUE MADALENA MIRENO MADALENA
Ya, gran señora, la corto. Acabad, que sois muy corto. Vuestra excelencia presuma que de vergüenza no sabe hacer cosa de provecho. Con todo, estoy satisfecho de su letra. Es cosa grave el dalle avisos por puntos, sin que aproveche. Acabad. Madalena, reportad. ¿Han de ser cortos los puntos? ¡Qué amigo que sois de corto! Largos los pido; cortaldos de aqueste modo, o dejaldos. Ya, gran señora, los corto. ¡Qué mal acondicionada sois! Un hombre vergonzoso y corto es siempre enfadoso. Ya está la pluma cortada. Mostrad. ¡Y qué mala, ay, Dios! Pruébala y arrójala.
DUQUE
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¿Por qué la echáis en el suelo?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MIRENO MADALENA MIRENO MADALENA
Solo quel frego ho corretto perché cancellava il resto. Potevate anche levarlo; non è un frego grande pecca! Come? (Il frego con la lingua si toglie e non stando zitto!) Via, appuntatemi una penna.
Portano il necessario per scrivere e appunta una penna. MIRENO MADALENA
(Arrabbiata)
DUCA MADALENA
DUCA MIRENO MADALENA
MIRENO DUCA MADALENA MIRENO MADALENA
Ora, signora, l’appunto. Suvvia, datevi una mossa! Sappia la vostra eccellenza che, da quanto si vergogna, non ne infila mai una giusta. Pure sono soddisfatto di come scrive. Bisogna riprenderlo ogni momento senza che impari. Spicciatevi! Via, Madalena, calmatevi! Dovrà esser corta la punta? Sempre voler tagliar corto! Lunga la voglio; appuntatela come vi dico, o lasciatela. Ecco, signora, l’appunto. Come siete mal disposta! Un uomo che si vergogna e timido è sempre noioso! Ecco la penna appuntata. Date qua; Dio quant’è brutta! La prova e la getta via.
DUCA
Perché la buttate a terra?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MADALENA
(A Mireno.)
MIRENO
¡Siempre me la dais con pelo! Líbreme el cielo de vos. Quitalde con el cuchillo. No sé de vos qué presuma, siempre con pelo la pluma, (...y la lengua con frenillo.) (Propicios me son los cielos, todo esto es en mi favor.)
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Sale el conde don Duarte. CONDE
MADALENA CONDE
DUQUE CONDE DUQUE MADALENA MIRENO MADALENA DUQUE
Dadme albricias, gran señor: el conde de Vasconcelos está sola una jornada de vuestra villa. (¡Ay de mí!) Mañana llegará aquí; porque trae tan limitada, dicen, del rey la licencia, que no hará más de casarse mañana, y luego tornarse. Apreste vuestra excelencia lo necesario, que yo voy a recibirle luego. ¿No me escribe? Aqueste pliego. Hija: la ocasión llegó que deseo. (Saldrá vana.) (¡Ay, cielo!) (Mi bien suspira.) Vamos: deja aqueso y mira que te has de casar mañana. Vanse los dos.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MADALENA
(A Mireno)
(A Mireno, sottovoce) MIRENO
Sempre la penna coi peli! Da voi mi liberi il cielo! Toglieteli col coltello. Non so che dire di voi! La penna sempre coi peli (...e la lingua con i freni!) (Propizi mi sono i cieli, tutto questo è a mio favore.) Entra il conte don Duarte.
CONTE
MADALENA CONTE
DUCA CONTE DUCA MADALENA MIRENO MADALENA DUCA
Buone nuove, gran signore: il conte di Vasconcelos dista solo una giornata dal vostro palazzo. (Ahimè!) Domani arriverà qui ché il re, dicono, gli ha dato tanto breve la licenza che si sposerà domani per poi subito tornare. Appresti vostra eccellenza quanto deve, ché io vado a riceverlo all’istante. Non mi scrive? Questo plico. Figlia è giunta l’occasione che attendevo. (Inutilmente!) (Cielo!) (Il mio bene sospira.) Via, riponi tutto e pensa che ti sposi domattina. Escono ambedue.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MADALENA
Don Dionís: en acabando de escribir aquí, leed
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Escribe.
MIRENO MADALENA
este billete, y haced luego lo que en él os mando. Si ya la ocasión perdí, ¿qué he de hacer? ¡Ay, suerte dura! Amor todo es coyuntura.
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Vase. MIRENO
Fuese. El papel dice ansí: Lee. «No da el tiempo más espacio; esta noche en el jardín, tendrán los temores fin del vergonzoso en palacio.» ¡Cielos! ¿Qué escucho? ¿Qué veo? ¿Esta noche? ¡Hay más ventura! ¿Si lo sueño? ¿Si es locura? No es posible; no lo creo.
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Vuelve a leer. «Esta noche en el jardín...» ¡Vive Dios, que está aquí escrito! ¡Mi bien! A buscar a Brito voy. ¿Hay más dichoso fin? Presto en tu florido espacio dará envidia entre mis celos,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MADALENA
Don Dionís, quando ho finito di scrivere questo biglietto, Scrive.
MIRENO MADALENA
leggetelo e fate subito quanto in esso vi comando. Se già l’occasione ho perso che farò? Ahi dura sorte! È l’amor solo accidente. Esce.
MIRENO
Se n’è andata. Ecco il biglietto. Legge. «Non ci dà il tempo più spazio: questa notte nel giardino i timori abbiano fine di chi è timido a palazzo.» Cielo! Che leggo? Che vedo? Questa notte? Che fortuna! Che sia un sogno, una follia? Non è vero, non ci credo. Torna a leggere. «Questa notte nel giardino...» Vivaddio, che qui sta scritto! Bene mio! A cercare Brito vado. Che gloriosa fine! Là nel tuo fiorito spazio darà invidia e gelosia
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
al conde de Vasconcelos, el vergonzoso en palacio. Vase. Salen Lauro, Ruy Lorenzo y Bato y Melisa. LAURO
RUY LAURO
BATO LAURO
Buenas nuevas te dé Dios: escoge en albricias, Bato, la oveja mejor del hato; poco es una, escoge dos. ¿Que mi hijo está en Avero? ¿Que del duque es secretario, mi primo? ¡Ay tiempo voltario! Mas, ¿qué me quejo? ¿Qué espero? Vamos a verle los dos; mis ojos su vista gocen. Venid. ¿Y si me conocen? No lo permitirá Dios: tiznaos como carbonero la cara, que desta vez daré a mi triste vejez un buen día hoy en Avero. Mi gozo crece por puntos; agora a vivir comienzo. Alto; vamos, Ruy Lorenzo. Todos podremos ir juntos. Guardad vosotros la casa.
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Vanse los dos. MELISA BATO MELISA
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Sí; Bercebú que la guarde. ¿Qué tenéis aquesta tarde? ¡Ay, Bato! ¡Que aqueso pasa! ¿Que no preguntó por mí Tarso?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
al Conte di Vasconcelos presto il timido a palazzo. Esce. Entrano Lauro, Ruy Lorenzo, Bato e Melisa. LAURO
RUY LAURO
BATO LAURO
Buone nuove ti dia Iddio; scegli in ricompensa, Bato, la migliore pecorella; una è poco: meglio due. Mio figlio si trova a Avero? È del duca segretario mio cugino? Ah tempo vario! Ma a che lagnarsi? Che aspetto? Andiamo ambedue a vederlo. Se lo godano i miei occhi. Via! E se mi riconoscono? Dio non voglia che ciò avvenga. Come un carbonaio tingetevi la faccia, ché finalmente questa mia triste canizie avrà un buon giorno ad Avero. La mia gioia va crescendo. Ora a vivere comincio. Basta, andiamo, Ruy Lorenzo! Potremmo andar tutti quanti. Voi custodite la casa. Escono tutti e due.
MELISA BATO MELISA
Bercebù la custodisca! Cosa avete questa sera? Ahimè, Bato! A questo siamo? Non ti ha mai chiesto di me Tarso?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO BATO MELISA BATO MELISA
BATO MELISA BATO MELISA BATO
MELISA BATO
No se le da un pito por vos, ni es Tarso. ¿Pues? Brito, o cabrito. ¡Ay! ¿Tarso ansí? A verte he de ir esta tarde, cruel, tirano, enemigo. ¿Sola? Vasco irá conmigo. Buen mastín lleváis que os guarde. ¿Quereisle mucho? Enfinito. Pues en Brito se ha mudado, la mitad para casado tien... ¿Qué? De cabrito el brito.
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Vanse. A la ventana doña Juana y doña Serafina. SERAFINA
JUANA
SERAFINA JUANA
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¡Ay, querida doña Juana! Nota de mi fama doy; mas si lo dilato hoy me casa el duque mañana. Don Dionís, señora, es tal que no llega don Duarte con la más mínima parte a su valor. Portugal. por su padre llora hoy día; para en uno sois los dos; gozaos mil años. ¡Ay, Dios! No temas, señora mía, que mi primo fue por él; presto le traerá consigo.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO BATO MELISA BATO MELISA
BATO MELISA BATO MELISA BATO MELISA BATO
Gliene importa un fico di voi e Tarso più non è. E chi è? Brito, anzi cabrito. Ah Tarso! Dunque, è così? Da te verrò questa sera crudele, infame nemico! Sola? C’è Vasco con me. Bel mastino vi fa guardia! Lo amate assai? Da morire! Ma se in Brito s’è cambiato, già metà dello sposato hai. Che? Di cabrito il Brito. Escono. Affacciate alla finestra donna Juana e donna Serafina.
SERAFINA
JUANA
SERAFINA JUANA
Ahimè, cara donna Juana, la mia fama comprometto, ma se ancora oggi rimando mi sposa il duca domani. Don Dionís è un uomo tale, signora, che don Duarte non ha la minima parte del suo valore. Oggi piange per suo padre il Portogallo: siate in due una cosa sola. Mille anni godete. Ahi, Dio! Non temete, mia signora. Mio cugino andò a cercarlo; presto qui lo porterà.
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO SERAFINA JUANA
Él tiene un notable amigo. Poco se hallarán como él. Sale don Antonio, como de noche.
ANTONIO
JUANA
Hoy, amor, vuestras quimeras de noche me han convertido en un don Dionís fingido y un don Antonio de veras. Por uno y otro he de hablar. Gente siento a la ventana. Ruido suena; no fue vana mi esperanza.
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Sale Tarso, de noche. TARSO
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ANTONIO
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Este lugar mi dichoso don Dionís me manda que mire y ronde por si hay gente. Ce: ¿es el conde? Sí, mi señora. ¿Venís con don Dionís? ¿Cómo es esto? ¿Don Dionís? La burla es buena. ¿Mas si es doña Madalena? Reconocer este puesto me manda, porque le avise si anda gente y me parece que otro en su lugar se ofrece; y que le ronde ande y pise. ¡Vaya! ¿Mas que es don Dionís? Eso no. Conmigo viene un don Dionís, que os previene el alma, que ya adquirís,
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO SERAFINA JUANA
Ha un amico dei più veri. Se ne trovan pochi uguali. Entra don Antonio, vestito da ronda notturna.
ANTONIO
JUANA
Stanotte le tue chimere m’hanno, amore, trasformato in un don Dionís per finta e in un don Antonio vero. Dovrò fare l’uno e l’altro. Sento gente alla finestra. C’è qualcuno. La mia attesa non fu vana. Tarso, vestito da ronda notturna.
TARSO
JUANA ANTONIO JUANA TARSO
ANTONIO
È questo il luogo dove il caro don Dionís vuol che guardi e che controlli se c’è gente. Pss. È il conte? Sì, mia signora. Con voi c’è don Dionís? Come, come? Don Dionís? Che scherzo è questo? Sarà donna Madalena? Di vedere questo luogo mi comanda e di avvisarlo se c’è gente e mi par proprio che al posto suo un altro si offra, e che gira e fa la ronda: ma che poi sia don Dionís! Questo no! C’è accanto a me un tal don Dionís che l’anima già v’ha dato e che ora vuole 1353
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
para ofrecerse a esas plantas. Hablad, don Dionís: ¿qué hacéis?
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Finge que habla don Dionís, mudando la voz. ¿Que estoy suspenso, no veis, contemplando glorias tantas? Pagar lo mucho que os debo con palabras será mengua, y ansí refreno la lengua porque en ella no me atrevo. Mas, señora, amor es dios, y por mí podrá pagar. JUANA (¡Bien sabe disimular el habla!) SERAFINA ¿No tenéis vos crédito para pagarme esta deuda? ANTONIO No lo sé; mas buen fiador os daré: el conde puede fïarme. (Disimula la voz) Yo os fío. TARSO ¡Válgate el diablo! Solo un hombre es, vive Dios, y parece que son dos. ANTONIO Con mucho peligro os hablo (Disimula la voz) aquí; haced mi dicha cierta, y tenga mis penas fin. SERAFINA Pues ¿qué queréis? ANTONIO Del jardín tenga yo franca la puerta. JUANA Mira que suele rondarte don Duarte, señora mía, y que si aguardas al día has de ser de don Duarte. Cualquier dilación es mala. SERAFINA ¡Ay, Dios! 1354
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
ai vostri piedi prostrarsi. Orsù, don Dionís, parlate! Fa finta, cambiando la voce, che parli don Dionís. Come posso, se incantato son dinanzi a tanta gloria? Ripagar quanto vi devo a parole è un ardimento, e così freno la lingua ché a far questo non m’attento. Ma, signore, amore è un dio, può pagare al posto mio. JUANA (Come sa dissimulare la parlata!) SERAFINA E non avete crediti con cui pagarmi questo debito? ANTONIO Non so, ma possiedo un buon garante. Mi può garantire il conte. (Contraffa la voce) Vi garantisco. TARSO E che diavolo! Solo un uomo è, vivaddio, e sembra che siano due! ANTONIO Con gran rischio qui vi parlo; (Contraffa la voce) fate la mia sorte certa e abbian le mie pene fine. SERAFINA E in che modo? ANTONIO Del giardino abbia io la porta aperta. JUANA Guarda che ti fa la ronda don Duarte, mia signora, e se aspetti che sia aurora tu dovrai essere sua. Ogni ritardo è fatale. SERAFINA Ahi, Dio! 1355
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
¡Qué tímida eres! ¿Entrará? SERAFINA Haz lo que quisieres. ANTONIO – Don Dionís, amor te iguala (Como a la ventura mayor don Antonio) que pudo dar; corresponde a tu dicha.– (Como don Dionís) – Amigo conde: por vuestra industria y favor he adquirido tanto bien; dadme esos brazos. – Yo soy tu amigo. – Conde, desde hoy. yo vuestro esclavo. – Está bien. – Dará el tiempo testimonio desta deuda. – Aquí te aguardo, que así mis amigos guardo; entrad. – Adiós, don Antonio. JUANA
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Éntrase. SERAFINA JUANA SERAFINA
JUANA
¿Entró? Sí. ¡Que deste modo fuerce amor a una mujer! Mas por solo no lo ser del de Estremoz, poco es todo; mi padre y honor perdone. Vamos y deja ese miedo.
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Vanse las dos. TARSO
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¿Hase visto igual enredo? En gran confusión me pone este encanto. Un don Antonio que consigo mismo hablaba, dijo que aquí se quedaba, y se entró, o es el demonio...
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Che timida sei! Può entrare? SERAFINA Fa’ come vuoi. ANTONIO – Don Dionís, amor t’innalza (Come alla fortuna più alta don Antonio) che possa darti: rispondi degnamente. (Come don Dionís) – Amico conte, grazie a voi e al vostro favore ho ottenuto tanto bene. Datemi le braccia. – Io sono amico tuo. – Da oggi, conte, sarò vostro schiavo. – Bene; sarà il tempo testimone d’un tal debito. – Io qui aspetto, ché così gli amici guardo; entrate. – Addio, don Antonio. JUANA
Entra dentro. SERAFINA JUANA SERAFINA
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È entrato? Sì. Che in tal modo l’amore una donna sforzi! Ma basta ch’io non lo sia dal signore d’Estremoz e mi scordo padre e onore. Suvvia, smetti di temere! Escono ambedue.
TARSO
S’è mai visto un tale imbroglio? Mi mette in gran confusione questa magia. Un don Antonio che con se stesso parlava disse che qui rimaneva ed entrò: che sia il demonio? 1357
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
Sale Mireno, de noche. MIRENO TARSO MIRENO
TARSO MIRENO TARSO
MIRENO TARSO
MIRENO TARSO
Él se debió de quedar, como acostumbra, dormido. Ya queda sostituido por otro aquí tu lugar. ¿Qué dices, necio? Responde: vienes aquí a ver si hay gente, ¡y estaste ansí, impertinente! Gente ha habido. ¿Quién? Un conde, y un don Dionís de tu nombre, que es uno y parecen dos. ¿Estás sin seso? Por Dios, que acaba de entrar un hombre con tu doña Madalena que, o es colegial trilingüe, o a sí propio se distingue, o es tu alma que anda en pena. Más sabe que veinte Ulises. Algún traidor te ha burlado, o yo este enredo he soñado, o aquí hay dos don Dionises. Soñástelo. ¡Norabuena! Sale a la ventana doña Madalena.
MADALENA TARSO MADALENA
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¿Si habrá don Dionís venido? A la ventana ha salido un bulto. ¡Ay Dios! Gente suena. ¿Ce: es don Dionís?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
Entra Mireno, vestito da ronda notturna. MIRENO TARSO MIRENO
TARSO MIRENO TARSO
MIRENO TARSO
MIRENO TARSO
Dev’essersi, come al solito, addormentato l’amico. Oramai ha sostituito qualcun altro il posto tuo. Che dici, sciocco? Rispondi! Vieni a veder se c’è gente e resti lì; impertinente! Gente c’era. E chi? Un tal conte e un don Dionís col tuo nome che è uno solo e sembran due. Ma sei impazzito? Per Dio, che con donna Madalena è da poco entrato un uomo, il quale, o ha studiato lingue, o se stesso in due distingue, o è la tua anima in pena. Ne sa più di venti Ulissi; qui qualcuno t’ha ingannato: quest’imbroglio ho io sognato o i don Dionís sono due. L’hai sognato. Meno male! Si affaccia alla finestra donna Madalena.
MADALENA TARSO MADALENA
Don Dionís sarà arrivato? È comparsa alla finestra un’ombra. Ahimè, c’è qualcuno! Pss. Don Dionís?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MIRENO MADALENA
Mi señora, yo soy ese venturoso. Entrad, pues, mi vergonzoso.
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Vase. MIRENO TARSO MIRENO
¿Crees que lo soñaste agora? No sé. Si mi cortedad fue vergüenza, adiós, vergüenza; que seréis, como no os venza, desde agora necedad.
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Vase. TARSO
Confuso me voy de aquí que debo estar encantado. Dos Dionises han entrado, o yo estoy fuera de mí. Destas calzas por momentos salen quimeras como esta; ¡pobre de quien trae acuestas dos cestas de encantamentos!
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Vase. Salen Lauro y Ruy Lorenzo, de pastores. LAURO RUY
LAURO
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Este es, Ruy Lorenzo, Avero. Aquí me vi un tiempo, Lauro, rico y próspero, y ya pobre y ganadero. Altibajos son del tiempo y la fortuna, inconstante siempre y vario. ¡Buen palacio tiene el duque!
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MIRENO MADALENA
Sì, signora, sono io quel fortunato. Suvvia entrate, caro timido. Esce.
MIRENO TARSO MIRENO
Te lo sei sognato ora? Non lo so. Se timidezza fu il mio impaccio, io la saluto ché sarà, se non la vinco, da oggi in poi solo sciocchezza. Esce.
TARSO
Me ne vado via confuso, ché devo essere incantato, due Dionisi sono entrati, o io son pazzo furioso. Dalle calze ogni momento saltan fuori queste ubbie: poveretto chi s’accolla due corbelli di magie! Esce. Entrano Lauro e Ruy Lorenzo, vestiti da pastori.
LAURO RUY
LAURO
Ecco Avero, Ruy Lorenzo. Qui mi vidi un tempo, Lauro, ricco e prospero e ora povero e pastore. Gli alti e bassi del tempo e della fortuna son mutevoli e incostanti. Ma che bel palazzo ha il duca!
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO RUY
LAURO RUY
LAURO
Ahora acaba de labrallo: propiedad de la vejez, hacellos y no gozallos. Busquemos a mi Mireno. En palacio aún es temprano; que aquí amanece muy tarde, y hemos mucho madrugado. ¿Cuándo durmió el deseoso? ¿Cuándo amor buscó descanso? No os espante que madrugue, que soy padre, deseo y amo.
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Salen Vasco y Melisa, de pastores. VASCO MELISA VASCO
MELISA VASCO MELISA
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MELISA VASCO
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Mucho has podido conmigo, Melisa. Débote, Vasco, gran voluntad. ¿A qué efeto me traes, Melisa, a palacio desde los montes incultos? En él los sabrás de espacio mis intentos. Miedo tengo. (¡Ay, Tarso, cruel y ingrato! Mi imán eres, tras ti voy, que soy hierro.) Aun sería el diablo, que ahora me conociese algún mozo de caballos, colgándome de la horca, en fe de ser peso falso. ¡Ay, Vasco, retiraté! ¿Pues qué hay?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO RUY
LAURO RUY
LAURO
L’ha da poco edificato. Ah, il destino degli anziani! Fare e non poter godere. Cercheremo il mio Mireno. È presto per il palazzo, che ci siamo alzati all’alba, e qui fa mattino tardi. Quando mai dorme chi trepida? Quando amore cerca tregua? Non vi stupisca se è desto chi ama, trepida ed è padre. Entrano Vasco e Melisa, vestiti da pastori.
VASCO MELISA VASCO
MELISA VASCO MELISA
VASCO
MELISA VASCO
Hai potuto su me molto, Melisa. Ti devo, Vasco, grande affetto. A quale scopo mi stai portando a palazzo dai monti incolti, Melisa? Là conoscerai con agio le mie intenzioni. Ho paura. (Ahi, Tarso, crudele, ingrato! mia calamita ti seguo, come ferro.) Ora ci manca solo che mi riconosca qualche garzone di stalla penzoloni dalla forca, visto che son peso falso. Ahi, Vasco, fatti da parte! Perché mai?
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MELISA
¿No ves a nuesamo, y al tuyo? Si aquí nos topa, pendencia hay para dos años.
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Tocan cajas. Volvámonos. Mas ¿qué es esto? ¿Tan de mañana han tocado cajas? ¿A qué fin será? No lo sé. Si no me engaño, sale el duque; algo hay de nuevo. A esta parte retirados podremos saber lo que es, que parece que echan bando.
VASCO RUY LAURO RUY LAURO
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Salen el duque y el conde don Duarte con gente y un atambor. DUQUE
CONDE
LAURO
DUQUE
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Conde, con ningunas nuevas pudiera alegrarme tanto como con estas: ya cesan las desdichas y trabajos de don Pedro de Coimbra, mi primo, si el cielo santo le tiene vivo. Sí hará; que al cabo de tantos años de males querrá que goce el premio de su descanso. ¡Qué es esto que escucho, cielos! ¿Soy yo de quien habla acaso mi primo el duque de Avero? Mas, no, que soy desdichado. Antes que vais, don Duarte, por el yerno, que ya aguardo, quiero que oigáis el pregón que el rey manda. Echad el bando.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MELISA
Lì c’è il padrone mio e tuo, e se qui c’incoccia c’è baruffa per due anni. Suonano la diana.
VASCO RUY LAURO RUY LAURO
Torniamo! Ma che succede? Così presto stan suonando la diana. Ed a che scopo? Non lo so. Se non m’inganno, esce il duca: c’è del nuovo. Se ci facciamo da parte, sapremo cosa succede: sembra che emettano un bando. Entrano il duca e il conte, con gente e un tamburino.
DUCA
CONTE
LAURO
DUCA
Conte, nessun’altra nuova potrà rallegrarmi tanto come questa: ormai cessati son le disgrazie e i travagli di don Pedro de Coimbra, mio cugino, se ora il cielo gli dà vita. L’avrà fatto, perché dopo tanti anni di sventure vuol che goda il premio del suo riposo. Cosa sto sentendo? Cielo! Son io quello di cui parla il duca d’Avero. No, sarei troppo sfortunato! Prima che andiate dal genero che oggi attendo, don Duarte, ascoltate quanto dice il bando del re. Lanciatelo! 1365
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO ATAMBOR
«El rey nuestro señor Alfonso el Quinto manda: que en todos sus estados reales, con solemnes y públicos pregones, se publique el castigo que en Lisboa se hizo del traidor Vasco Fernández, por las traiciones que a su tío el duque don Pedro de Coimbra ha levantado, a quien da por leal vasallo y noble, y en todos sus estados restituye; mandando, que en cualquier parte que asista, si es vivo, le respeten como a él mismo; y si es muerto, su imagen hecha al vivo pongan sobre un caballo, y una palma en la mano, le lleven a su corte, saliendo a recibirle los lugares: y declara a los hijos que tuviere por herederos de su patrimonio, dando a Vasco Fernández y a sus hijos por traidores, sembrándoles sus casas de sal, como es costumbre en estos reinos desde el antiguo tiempo de los godos. Mándase pregonar porque venga a noticia de todos».
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Vase. VASCO MELISA LAURO
RUY
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¡Larga arenga! ¡Qué buen garguero que tiene el que ha repiqueteado! Gracias a vuestra piedad, recto juez, clemente y sabio, que volvéis por mi justicia. El parabién quiero daros con las lágrimas que vierto. Goceisle, duque, mil años.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO TAMBURINO
«Il re nostro Signore Alfonso Quinto ordina che in ogni stato reale con dei solenni e pubblici proclami si pubblichi il castigo che a Lisbona si decretò contro Vasco Fernández, reo di avere ordito tradimenti contro lo zio don Pedro de Coimbra, che ora fedele e leale vassallo riammette in ogni suo possedimento e ordina che dovunque egli si trovi, se vivo, gli tributino rispetto come a lui stesso e, se fosse morto, ne mettano il ritratto su un cavallo portandolo con una palma in mano alla sua corte, mentre le contrade usciranno a onorarlo, e anche dichiara diretti eredi del suo patrimonio i figli che egli avesse, e traditori chiama Vasco Fernández e i suoi figli di sale cospargendone le case, così come si usa in questi regni fin dall’antico tempo dei goti. Si comanda che il bando sia diffuso per notizia di tutti.» Esce.
VASCO MELISA LAURO
RUY
Lunga arringa. Un bel gargarozzo aveva quello che l’ha rintoccata. Grazie alla vostra pietà, giudice clemente e saggio, mi rendete oggi giustizia! Voglio augurarvi ogni bene con le lacrime che verso. Godiatelo, duca, mille anni!
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TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
¿Qué labradores son estos que hacen estremos tantos? CONDE ¡Ah, buena gente! Mirad que os llama el duque. LAURO Trabajos: si me habéis tenido mudo, ya es tiempo de hablar. ¿Qué aguardo? Dadme aquesos brazos nobles, duque ilustre, primo caro: don Pedro soy. DUQUE ¡Santos cielos, dos mil gracias quiero daros! CONDE ¡Gran duque! ¿En aqueste traje? LAURO En este me he conservado con vida y honra hasta agora. MELISA ¡Aho! ¿Disque es duque nueso amo? VASCO Sí. MELISA Démosle el parabién. VASCO ¿No le ves que está ocupado? Tiempo habrá; déjalo agora, no nos riña. MELISA Pues dejallo. DUQUE (A Lauro) Es el conde de Estremoz, a quien la palabra he dado de casalle con mi hija la menor, y agora aguardo al conde de Vasconcelos, sobrino vuestro. LAURO Mi hermano estará ya arrepentido, si traidores le engañaron. DUQUE Doyle a doña Madalena, mi hija mayor. LAURO Sois sabio en escoger tales yernos. DUQUE Y venturoso otro tanto en que seréis su padrino. DUQUE
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO DUCA CONTE LAURO
DUCA CONTE LAURO MELISA VASCO MELISA VASCO
MELISA DUCA
(A Lauro)
LAURO
DUCA LAURO DUCA
Che pastori son mai questi che si agitano tanto? Ah, buona gente, ascoltate! Vi vuole il duca. Travagli, se per voi ho taciuto tanto, ora parlerò. Che aspetto? Datemi codeste braccia, duca illustre, mio cugino, son don Pedro. Santo cielo! Mille grazie voglio darvi! Il granduca! Ed in quei panni! È con questi che ho salvato fino ad ora vita e onore. Dice che è duca il padrone? Sì. Andiamo a congratularci. Non lo vedi che è occupato? C’è tempo, ora lascia stare, non ci sgridi. E lasciam stare! Costui è il conte di Estremoz a cui la parola ho dato di dare mia figlia in sposa, la minore, e sto aspettando il conte di Vasconcelos, nipote vostro. Già immagino mio fratello ora pentito, ché dei vili l’ingannarono. Lo do a donna Madalena, la maggiore. Siete saggio a voler questi due generi. E altrettanto fortunato se gli fate da padrino. 1369
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO RUY
DUQUE
MELISA
(A Lauro.) LAURO MELISA VASCO
(Aunque el conde me ha mirado, no me ha conocido. ¡Ay cielos! ¿Quién vengará mis agravios?) Hola, llamad a mis hijas, que de suceso tan raro, por la parte que les toca, es bien darlas cuenta. Vasco: verdad es; ven y lleguemos. Por muchos y buenos años goce el duquencio. ¿Melisa aquí? Vine a ver a Tarso. (No oso hablar, no me conozcan que está mi vida en mis labios.)
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Salen Madalena, Serafina y doña Juana. MADALENA DUQUE
MADALENA LAURO SERAFINA
LAURO SERAFINA MADALENA
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¿Qué manda vuestra excelencia? Que beséis, hija, las manos al gran duque de Coimbra, vuestro tío. ¡Caso raro! Lloro de contento y gozo. (Mi suerte y ventura alabo: ya segura gozaré mi don Dionís, pues ha dado fin el cielo a sus desdichas.) Gocéis, sobrinas, mil años los esposos que os esperan. El cielo guarde otros tantos la vida de vueselencia. Si la mía estima en algo, le suplico – así propicios de aquí adelante los hados le dejen ver reyes nietos
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO RUY
DUCA
MELISA
(A Lauro) LAURO MELISA VASCO
(Pur se il conte m’ha guardato non ha visto chi ero. Cielo! Chi vendicherà il mio affronto?) Via, chiamate le mie figlie, ché dell’inaudito evento per quello che le riguarda devo render conto. Vasco, vero è, vieni, appressiamoci! Per molti e felici anni goda la ducanza. Tu qui, Melisa? A cercar Tarso. (Non parlo, sennò mi scoprono: la mia vita è appesa a un fiato.) Entrano Serafina, Madalena e donna Juana.
MADALENA DUCA
MADALENA LAURO SERAFINA
LAURO SERAFINA MADALENA
Comanda vostra eccellenza? Che le mani voi baciate al granduca di Coimbra, vostro zio. Che caso strano! Piango di gioia e di giubilo. (La fortuna mi ha baciato: il mio caro don Dionís godrò in pace perché ha dato fine il cielo alle sue offese.) Godete, nipoti, mille anni i mariti a voi assegnati. Il cielo serbi altrettanti la vita di vostra eccellenza. Se la mia un poco stimate, io vi supplico, e propizi d’ora in poi vi siano i fati da vedere re i nipoti 1371
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
DUQUE MADALENA
DUQUE MADALENA
DUQUE MADALENA
DUQUE
MADALENA
DUQUE LAURO DUQUE LAURO
DUQUE
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y venguen de sus contrarios – que este casamiento impida. ¿Cómo es eso? Aunque el recato de la mujeril vergüenza cerrarme intente los labios, digo, señor, que ya estoy casada. ¿Cómo? ¿Qué aguardo? ¿Estáis sin seso, atrevida? El cielo y amor me han dado esposo, aunque humilde y pobre, discreto, mozo y gallardo. ¿Qué dices, loca? ¿Pretendes que te mate? El secretario que me diste por maestro es mi esposo. Cierra el labio. ¡Ay desdichada vejez! Vil: ¿por un hombre tan bajo al conde de Vasconcelos desprecias? Ya le ha igualado a mi calidad amor, que sabe humillar los altos y ensalzar a los humildes. Darete la muerte. Paso, que es mi hijo vuestro yerno. ¿Cómo es eso? El secretario de mi sobrina vuestra hija, es Mireno, a quien ya llamo don Dionís y mi heredero. Ya vuelvo en mí: por bien dado doy mi agravio dese modo.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
DUCA MADALENA
DUCA MADALENA
DUCA MADALENA
DUCA
MADALENA
DUCA LAURO DUCA LAURO
DUCA
e vendicati i nemici, di impedire queste nozze. Che dici? Pur se il riserbo del timore femminile mi vuol chiudere la bocca, dico che sono, signore, già sposata. Cosa sento! Impudente! Hai perso il senno? L’amore e il cielo m’han dato uno sposo umile e povero, ma bello, saggio e gagliardo. Che dici, sciocca! Vuoi forse che t’uccida? Il segretario che mi desti per maestro è il mio sposo. Taci, taci! Ah, vecchiaia sventurata! Vile! Un uomo sì modesto al conte di Vasconcelos preferisci? Già al mio rango l’ha reso uguale l’amore che i potenti sa umiliare e chi è umile esaltare. Morte ti darò! Calmatevi, ché è mio figlio il vostro genero. Come dite? Il segretario di mia nipote e a voi figlia, è Mireno che ormai chiamo don Dionís e erede mio. Torno in me, ché ripagata è la mia offesa in tal modo. 1373
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MADALENA SERAFINA
DUQUE SERAFINA MADALENA SERAFINA LAURO DUQUE MELISA VASCO
MELISA
¿Hijo es vuestro? ¡Ay Dios! ¿Qué aguardo que no beso vuestros pies? Eso no, porque es engaño: don Dionís, hijo del duque de Coimbra, es quien me ha dado mano y palabra de esposo. ¿Hay hombre más desdichado? Doña Juana es buen testigo. Don Dionís está en mi cuarto y mi recámara. ¡Bueno! En la mía está encerrado. Yo no tengo más de un hijo. Tráiganlos luego. ¡En qué caos de confusión estoy puesto! ¿En qué parará esto, Vasco? No sé lo que te responda; pues ni sé si estoy soñando ni si es verdad lo que veo. (¡Ay, Dios! ¡Si saliese Tarso!)
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Sale Mireno. MIRENO LAURO
SERAFINA DUQUE
LAURO
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Confuso vengo a tus pies. Hijo mío: aquesos brazos den nueva vida a estas canas. Este es don Dionís. ¿Qué engaños son estos, cielos crueles? Abrazadme, que ha hallado el más gallardo heredero de Portugal este estado. ¿Qué miras, hijo, perplejo? El nombre tosco ha cesado que de Mireno tuviste; ni lo eres, ni soy Lauro, sino el duque de Coimbra:
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MADALENA SERAFINA
DUCA SERAFINA MADALENA SERAFINA LAURO DUCA MELISA VASCO
MADALENA
Vostro figlio? Dio, che aspetto a baciare i vostri piedi? Questo no, perché è un inganno: don Dionís, figlio del duca di Coimbra, già m’ha dato la parola sua di sposo. Chi di me più sventurato? Donna Juana può attestarlo. Don Dionís ora è da me, nel mio guardaroba. Sì? Ma se è chiuso dentro al mio! Io possiedo solo un figlio. Vengan qui subito. In quale confusione m’han gettato! Che succederà ora, Vasco? Non saprei cosa risponderti, ché non so se sto sognando o se è vero quanto vedo. (Dio, se comparisse Tarso!) Entra Mireno.
MIRENO LAURO
SERAFINA DUCA
LAURO
Confuso ai tuoi piedi vengo. Figlio mio, codeste braccia dian vita a questa canizie. Questo è don Dionís. Che inganni son questi, cieli crudeli? Abbracciatemi: ha trovato il più valoroso erede del Portogallo il mio stato. Che guardi, figlio, perplesso? È sparito il rozzo nome di Mireno che già avesti, né lo sei, né io son Lauro, bensì il duca di Coimbra: 1375
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO
MIRENO
el rey está ya informado de mi inocencia. ¿Qué escucho, cielos? ¡Amor, bienes tantos! Sale don Antonio.
ANTONIO DUQUE SERAFINA ANTONIO
DUQUE SERAFINA CONDE JUANA
ANTONIO CONDE
LAURO
RUY VASCO
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Dame, señor, esos pies. ¿A qué venís, secretario? Conde, ¿qué es de don Dionís, mi esposo? Yo os he engañado; en su nombre gocé anoche la belleza y bien más alto que tiene el amor. ¡Oh, infame! ¡Matadle! ¡Matadle! Paso, que es el conde de Penela, mi primo. Perdón aguardo, duque y señor, a tus pies. Los cielos lo han ordenado, porque vuelven por Leonela, a quien di palabra y mano de esposo, y la desprecié gozada. Aquí está su hermano, que por vengar esa injuria, aunque no con medio sabio, vive pastor abatido. Si a interceder por él basto, reducidle a vuestra gracia. Perdón pido. Y también Vasco.
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO
MIRENO
al re ormai è stata svelata l’innocenza mia. Che sento, cieli? Amore, beni grandi! Entra don Antonio.
ANTONIO DUCA SERAFINA ANTONIO
DUCA SERAFINA CONTE JUANA
ANTONIO CONTE
LAURO
RUY VASCO
Ai tuoi piedi sto signore. Che volete, segretario? Che ne è, conte, del mio sposo don Dionís? Io v’ho ingannato: a suo nome ebbi stanotte la bellezza e il più alto bene che amore possieda. Oh, infame! Uccidetelo! Sì! Piano, ch’egli è il conte di Penela, mio cugino. Qui prostrato, vi chiedo, duca, perdono. Tutto ciò ha ordinato il cielo per vendicare Leonela, cui detti parola e mano di sposo, ma la sprezzai dopo che l’ebbi. Qui c’è il fratello che, volendo vendicare quest’affronto, anche se in modo non saggio, è un pastore derelitto. Se per lui posso intercedere, sia riammesso in seno vostro. Chiedo perdono. E anche Vasco. 1377
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO DUQUE CONDE
RUY SERAFINA DUQUE
(A Mireno)
Basta que lo mande el duque. Recibidme por cuñado, que a Leonela he de cumplir la palabra que le he dado luego que a mi estado vuelva. ¿Dónde está? Tu pecho hidalgo hace, al fin, como quien es. ¡Y que fue mío el retrato! Dadle, conde don Antonio, a Serafina la mano, que, pues el de Vasconcelos perdió la ocasión por tardo disculpado estoy con él. ¡Muy bien habéis enseñado a escribir a Madalena! ¿Érades vos el callado, el cortés, el vergonzoso? Pero ¿quién lo fue en palacio?
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Sale Tarso. TARSO
MELISA
TARSO
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¿Duque Mireno? ¿Qué escucho? Don Dionís, esos zapatos te beso, y pido en albricias de la esposa y del ducado que me quites estas calzas, y el día del Jueves Santo mandes ponellas a un Judas. ¡Ah traidor, mudable, ingrato! Agora me pagarás el amor, penas y llanto que me debes. Señor duque: de rodillas se lo mando que mos case. Estotro ¿es cura?
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO DUCA CONTE
RUY SERAFINA DUCA
(A Mireno)
Sia, ché il duca lo comanda! Io sarò vostro cognato e manterrò la parola che già diedi a Leonela, appena tornato in patria. Dov’é? Finalmente agisce da par suo il tuo petto nobile. Ma che fosse mio il ritratto! Date, conte don Antonio, a Serafina la mano, ché se quel di Vasconcelos è arrivato con ritardo son con lui disimpegnato. Bene, sì, avete insegnato a scrivere a Madalena! Voi eravate il riservato, il timido, il vergognoso? Ma chi mai lo fu a palazzo? Entra Tarso.
TARSO
MELISA
TARSO
Mireno duca? Che sento! Don Dionís, codeste scarpe te le bacio e in ricompensa della sposa e del ducato ti supplico che mi tolga queste calze e che comandi di infilarle a un qualche Giuda quando vien Giovedì Santo. Brutto ingrato, traditore! Ora mi ripagherai l’amore, le pene e il pianto che mi devi! Signor duca, in ginocchio raccomando che ci sposi. Mica è un prete! 1379
TIRSO DE MOLINA EL VERGONZOSO EN PALACIO, ACTO TERCERO MELISA MIRENO TARSO MIRENO DUQUE
Mande que me quiera Tarso. Yo se lo mando, y le doy por ello tres mil cruzados. ¿Por la cara o por la bolsa? Y mi camarero le hago, para que asista conmigo. Doña Juana está a mi cargo; yo le daré un noble esposo. A recibir todos vamos al conde de Vasconcelos, porque viendo el desengaño de su amor sepa la historia del vergonzoso en palacio y a pesar de maldicientes, las faltas perdone el sabio. FIN DE LA COMEDIA DEL «VERGONZOSO EN PALACIO»
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TIRSO DE MOLINA IL TIMIDO A PALAZZO, ATTO TERZO MELISA MIRENO TARSO MIRENO DUCA
Comandi che Tarso m’ami. Glielo comando, e allo scopo gli do tremila crociati. Come, in faccia o nella borsa? E lo faccio cameriere perché sempre m’accompagni. Penso io a donna Juana: le darò un nobile sposo. Ora tutti incontro andiamo al conte di Vasconcelos perché, ormai disingannato, sappia quale strano caso toccò al timido a palazzo; tacciano le malelingue e gli errori scusi il saggio. FINE
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Don Gil de las calzas verdes Don Gil dalle calze verdi Testo spagnolo a cura di GIULIA POGGI e FREJ MORETTI Nota introduttiva e note di GIULIA POGGI Traduzione di GIULIA POGGI e IDA POGGI NUCCIO
Nota introduttiva
1. Amore e interesse. In uno dei sonetti composti contro la corte appena insediatasi a Valladolid (siamo nel 1603), Luis de Góngora affilava i suoi strali satirici contro i vizi che come una grande Babilonia la abitavano. Fra questi l’interesse in coppia antinomica con l’amore.1 Non c’è dunque da stupirsi se, poco più di dieci anni dopo, nel luglio del 1615, la compagnia di Pedro Valdés mette in scena a Toledo Don Gil de las calzas verdes, una brillante commedia di Tirso de Molina che, ambientata fra Madrid e Valladolid, mette a fuoco il motivo della corte come centro di intrallazzi e avidità. Dietro a una trama evanescente, costruita su coincidenze ai limiti del verosimile e macchinazioni faticose a districarsi, si nasconde una realtà ben più corposa, che è quella, appunto, di una società in cui sono i vecchi a decidere del destino dei giovani e il calcolo economico la molla delle unioni matrimoniali. Sedotta e abbandonata da don Martín, donna Juana si recherà, travestita da uomo, da Valladolid a Madrid, dove l’amato si è stabilito per contrarre un matrimonio di interesse con donna Inés; là giunta si presenterà con un nome (don Gil) uguale a quello adottato da don Martín, finendo così per fare innamorare di sé la stessa donna Inés. Ripresi poi gli abiti femminili, interpreterà la parte di una fantomatica donna Elvira per concertare un piano con la rivale che permetta, a quest’ultima, di sposare il fittizio don Gil, e a se stessa di riconquistare il suo amato. Un piano che si regge sul vuoto, perché il don Gil di cui donna Inés (e con lei la cugina donna Clara) si innamora follemente non esiste, così come non esiste il terzo don Gil che donna Elvira assicura essersi invaghito di lei. Da qui l’intrecciarsi di falsi ardori e inutili gelosie e l’intensificarsi di una 1385
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI
matassa di equivoci che, costruiti attorno alla figura del misterioso don Gil dalle calze verdi, vedranno alla fine trionfare l’amore sull’interesse. Evocato nella commedia fin dalle sue prime battute, il denaro condiziona i caratteri e le azioni dei suoi personaggi infiltrandosi nelle pieghe del registro linguistico corrispondente al loro ruolo. Già nel lungo resoconto al servo Quintana che la scorta da Valladolid a Madrid, donna Juana/ don Gil spiega come il suo travestimento in abiti maschili sia conseguenza dell’avidità del padre di don Martín, il quale l’ha allontanato dalla sua città per indurlo a sposarsi con Inés, donna assai più ricca, anche se meno nobile di lei. Ribadito in senso inverso da donna Juana («si bien noble, no tan rica / como [don Martín] pudiera elegir» ella dice di sé ai vv. 191-92), il binomio nobiltà/ricchezza si profila dunque come il primo motore dell’azione. Azione che, confermata dal biglietto inviato dal padre di don Martín a quello di donna Inés (cfr. di seguito al v. 543 : «Ha dado palabra a una dama de esta ciudad, noble y hermosa, pero pobre; y ya vos veis en los tiempos presentes lo que pronostican hermosura sin hacienda…») apre una breccia nello status quo sentimentale dei vari personaggi. Corteggiata da don Juan, donna Inés rifiuta inizialmente la proposta del padre di sostituirlo, spinto dalla «codicia civil» e dall’«avaricia maldita» proprie della vecchiaia, con un pretendente ancora più ricco. Dal canto suo donna Juana sa bene che riconquistare il suo uomo le costerà caro anche in senso materiale e alle preoccupazioni di Quintana riguardo alla sua scelta di affittare una casa confinante con quella della sua rivale non esita a dichiarare che venderà o impegnerà i suoi gioielli. Il denaro, insomma, è il filo che tiene unite le due protagoniste femminili della commedia, che ne sono, per ragioni opposte, vittime. Se infatti donna Inés viene invitata ad accettare un matrimonio contro la sua volontà in ragione della sua ricca dote, donna Juana è costretta a rinunciare al suo, pagando un alto prezzo per le disattese promesse del suo amato. Tanto da arrivare ad affermare con amarezza, dietro lo schermo della falsa identità di donna Elvira, che «...ya Amor es mercader» (v. 1355). Non meno importante il denaro per i protagonisti maschili della commedia e soprattutto per quel don Martín cui il padre, per affrettare il vantaggioso matrimonio, invia una cambiale da riscuotere tramite un mercante asturiano. Destinata a comprare i gioielli per la promessa sposa, la cambiale gli cade di tasca e a raccoglierla sarà proprio l’altro finto don Gil, ossia donna Juana. Divenuta ormai l’invisibile persecutore di 1386
NOTA INTRODUTTIVA
don Martín, costei si affretterà a riscuoterla attraverso Quintana. Insomma, sembra proprio che il coraggio di donna Juana sia stato ricompensato e che invece, per una sorta di nemesi amorosa, la slealtà di don Martín vada incontro a una giusta punizione. Lo stesso Caramanchel, sempre così attento alle condizioni del suo salario servile, non può fare a meno di sottolineare il motivo dell’interesse con una serie di commenti volti a esaltare il denaro come valore primario rispetto a quelli che, come l’amore e la bellezza, vengono perseguiti dal suo (falso) padrone. Insomma, i gioielli che donna Juana è pronta a vendere pur di riconquistare il suo uomo, quelli che don Martín avrebbe dovuto comprare per donna Inés, l’intervento di un mediatore finanziario, il patto fra due vecchi genitori noncuranti dei sentimenti dei figli, l’interesse di un don Gil fittizio, ma che bene si colloca in questa molteplicità di scambi e mediazioni, costituiscono lo sfondo su cui si gioca tutta la commedia, il rovescio della sua superficie dinamica e scoppiettante, il nucleo segreto degli irresistibili effetti di comicità che i suoi equivoci finiscono per provocare. 2. Il gioco delle parti. Si è molto parlato dell’ambiguità che percorre l’universo di Tirso e in particolare, per quanto riguarda questa commedia, delle pulsioni che suscita il travestimento maschile della sua protagonista. In effetti il fascino che ella esercita, non solo su donna Inés, ma anche sulla cugina Clara, scardina e mette in gioco i fondamenti della morale corrente. Dobbiamo dunque pensare a una ripresa del mito platonico dell’androgino, oppure a un rovesciamento da parte di Tirso dei ruoli sessuali, a una sua intuizione della labile linea che li separa e che sarebbe stata, secoli dopo, oggetto di teorie psicoanalitiche?2 Non è questa l’unica volta che Tirso ricorre a proiezioni e dinamiche sessuali per dare impulso all’azione delle sue commedie. Come nel caso della Serafina del Vergonzoso en palacio, che si innamora di se stessa vestita da uomo, anche a don Gil basta cambiare panni per dimostrare che maschile e femminile sono due concetti astratti, non necessariamente connessi con l’identità delle singole persone. Perché, anzi, l’immediata attrazione dimostrata da donna Inés per il misterioso don Gil (una mancanza di cognome che richiama immediatamente quell’«hombre sin nombre» con cui all’inizio del primo atto si qualifica il Burlador de Sevilla) starebbe a dimostrare che le donne si innamorano più delle affinità che delle differenze, e che 1387
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI
il loro oggetto ideale è chi, dietro apparenze maschili, nasconde incanti femminili. Non a caso donna Inés rimane conquistata da don Gil dopo che lui (o meglio lei) ha dimostrato di sapere danzare con grazia, tanto da indurla a capovolgere la sua ostilità in favore di quello che crede essere lo sposo destinatole dal padre. Assistiamo così a un repentino innamoramento di donna Inés («¡Muy enamorada estoy!» ella esclama al v. 910) cui fa eco quello altrettanto repentino di donna Clara («Perdida de enamorada / me tiene el don Gil de perlas», vv. 911-12), e che metterà in moto una catena di equivoci esilaranti. E tuttavia si tratta di un riso ingenuo e liberatorio, provocato dal fatto che, mentre lo spettatore è al corrente del travestimento della protagonista, gli altri personaggi ne sono ignari, compreso Caramanchel, il quale non perde occasione di ammiccare, attraverso una serie di battute salaci, al suo aspetto femmineo. Così, di fronte all’esplicita volontà da parte del suo novello padrone di tacere il proprio cognome, non esita a fare un collegamento fra questa mancanza e quella della barba motteggiandolo con un termine («Capón sois hasta en el nombre; / pues si en ello se repara / las barbas son en la cara / lo mismo que el sobrenombre» vv. 519-22) destinato a essere declinato più volte nel corso della commedia. Culminanti nella battuta del terzo atto («Elvira sin vira», v. 1725) queste continue allusioni del servo alla scarsa virilità del padrone vengono affiancate da un crescente sospetto sulla sua natura bisessuale. Se nel primo atto, di fronte ai modi effeminati di don Gil, Caramanchel incomincia a sospettare di essere vittima di un qualche incantesimo diabolico, nell’ultimo, sconcertato da una delle sue ennesime trasformazioni, decide di sciogliere il contratto di lavoro con lui: [...] Amo, o ama, despídome: hagamos cuenta. No quiero señor con saya y calzas; hombre y mujer, que querréis en mí tener juntos lacayo y lacaya. No más amo hermafrodita; que comer carne y pescado a un tiempo no es aprobado (vv. 2701-09).
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Ma mentre, in linea con il suo ruolo di gracioso, Caramanchel si avvicina sempre più alla verità, sia pure attraverso il motteggio e lo stupore, gli altri contribuiscono a travisarla. Così, quello che per lui è il timbro femmineo del suo padrone («¡Qué bonito / es el tiple moscatel!», esclamerà in un aparte che suona come una ricerca di complicità con il pubblico, vv. 536-37), per donna Inés sono parole di miele, e la sua mancanza di barba è, anziché un difetto, un motivo di contrapposizione con il don Gil de Albornoz «tan lleno de barbas» che il padre le vorrebbe fare sposare. Dal canto suo donna Juana, una volta acquisita l’identità di don Gil, non fa altro che perpetuare l’inganno recitando a più riprese la parte del perfetto innamorato e illudendo, ora donna Inés, ora donna Clara, con espressioni analoghe (il cuore rubato, la notte insonne) a quelle con cui, all’inizio del primo atto, aveva edotto l’accompagnatore Quintana del suo travolgente e fatale incontro con don Martín. E ciò a dimostrazione del fatto che, colpisca un uomo o una donna, sia reale o immaginario, l’amore ha come unica legge quella che il gioco delle parti (in questa commedia particolarmente ingarbugliate) gli impone. 3. Chi di verde si veste… Non c’è niente come il significato dei colori che muti a seconda delle lingue e delle culture. Estraneo alla nostra cultura è, per esempio, l’accezione lasciva che acquista il termine verde in sintagmi tuttora in uso nella lingua spagnola come «viejo verde», «chiste verde». Si tratta, probabilmente di un’accezione legata all’etimologia del termine indicante, alla radice, vigore e rigoglio vitale (da viridis). Meno chiara l’origine di certi detti comuni alle due lingue (come, per esempio, «chi di verde si veste molto di sua beltà si fida» più o meno corrispondente allo spagnolo «quien de verde se viste a su rostro se atreve»3), i quali tuttavia ribadiscono l’eccentricità del colore. Un colore, va detto, che costituisce non poche volte un tratto distintivo di protagonisti di romances e libri di cavalleria. Come non pensare al caballero de la verde espada presente nell’Amadís de Gaula, oppure al caballero de verde gabán in cui si imbatte don Quijote nella seconda parte del romanzo cervantino?4 Insomma, prestando calze verdi al don Gil protagonista della sua commedia, Tirso non fa altro che aggiungere un nuovo indumento (le cosiddette calzas bragas, la cui moda si era affermata nella corte asburgica del secolo XVII) ai tanti che, nella tradizione cavalleresca, indicavano ardore e desiderio amoroso. Solo che qui a indossarlo è una donna sedot1389
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ta e abbandonata, una fanciulla innamorata cui Tirso, con un cambio di genere assai audace per quei tempi, attribuisce quanto era appannaggio dell’altro sesso. Sappiamo bene infatti, e lo sapeva anche lo spettatore dei corrales, che dietro a don Gil dalle calze verdi si nasconde donna Juana, ossia una donna mossa dalla sua passione amorosa a riconquistare un uomo che le ragioni, tutte maschili, dell’interesse avevano allontanato da lei. Espressione di amore e, al tempo stesso, di speranza, il colore verde assume allora, in questa commedia, un forte potere simbolico in quanto tramite di sentimenti inconfessabili, o che si possono confessare solo dietro sembianze fittizie. Un trasferimento degli ideali propri della cultura cavalleresca sul mondo opportunista della corte che permette a Tirso di allargare il suo spettro simbolico e farne il filo portante di tutta l’azione. Non a caso il primo incontro tra don Martín e donna Juana avviene in primavera, mentre quello fra quest’ultima (ormai divenuta don Gil) e donna Inés si svolge sullo sfondo della frondosa huerta del duca di Lerma. Particolari che saranno le stesse due donne a sottolineare, la prima quando, accingendosi a narrare a Quintana l’origine di tutte le sue disgrazie, le colloca in aprile («Dos meses ha que pasó / la Pascua, que por abril / viste bizarra los campos / de felpas y de tabís...», vv. 61-63); la seconda quando, trovandosi nella huerta insieme con donna Clara, la invita a godere della frescura dei suoi pioppi («...Estas parras / destos álamos doseles...», vv. 757 ss.). È in questa cornice che donna Juana acquisisce il nome che darà il titolo all’intera commedia. A darglielo sarà la stessa donna Inés che, invitata dal padre a spiegare il perché del suo rifiuto per don Gil de Albornoz, così descrive i tratti caratterizzanti il «Gilito de esmeralda», divenuto il suo nuovo oggetto d’amore: Una cara como un oro, de almíbar unas palabras, y unas calzas todas verdes, que cielos son, y no calzas (vv. 990-93).
E quando il padre le chiede quale sia il suo cognome così gli risponde: Don Gil de las calzas verdes le llamo yo, y esto basta (vv. 996-97).
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Da questo momento il colore verde prenderà il sopravvento nella commedia, fino al punto da indurre alcuni dei suoi personaggi a smarrire la loro identità per assumere quella, fittizia, del misterioso, sfuggente, inafferrabile don Gil. È il caso di don Martín il quale, ottemperando al proposito già espresso nel primo atto («…Calzas verdes / me pongo desde mañana / si esta color apetece», vv. 1012-14) decide nell’ultimo, e contro il saggio parere del servo Osorio, di vestire come il suo rivale. Con il bel risultato che verrà scambiato con il terzo don Gil fittizio (quello che, grazie all’ennesimo piano architettato da donna Juana, la giustizia sta cercando come suo presunto assassino) e costretto a ritornare alla sua prima maschera quando si vede braccato da don Antonio, il cugino accorso a difendere l’onore di donna Clara. Del resto, poco prima era stata la stessa donna Clara a indossare, per saggiare la lealtà di don Gil, calze verdi «come la speranza», mettendo in atto un paragone topico già citato durante un tête a tête con donna Juana/don Gil (vv. 2389-95). Ma se anche per donna Inés don Gil è conduttore di speranze («…Haga alarde / con su presencia la esperanza mía», ella dirà appena lo vede apparire durante una delle ultime scene del secondo atto, vv. 1834-35), per don Martín ne costituisce il deterrente. Estoy tan desesperado que por toparme con él [don Gil] diera cuanto he granjeado,
egli esclama ai vv. 2016-18, suggerendo un esito inusitato nel conflitto fra amore e interesse messo in moto da lui stesso. E ancora, dopo l’inverosimile storia che Quintana gli ha raccontato a proposito della lacrimevole morte di donna Juana in convento, egli immagina che dietro al misterioso don Gil dalle calze verdi si nasconda la sua anima in pena: supposizione avvalorata, poco dopo, dallo stesso Quintana: («¿Cómo saldrás con tu intento / si una alma del Purgatorio / a doña Inés solicita / y la esperanza te quita / que tienes del desposorio?», vv. 2185-89). Insomma, il colore verde non si limita a indicare la passione di donna Juana/don Gil, ma convoglia i sentimenti positivi e negativi (speranze e disperazioni, amori e gelosie) di quanti le ruotano attorno. Da qui che anche le calze della protagonista siano sottoposte a una sorta di sublimazione o, all’opposto, decostruzione attraverso una serie di giochi lingui1391
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stici che le riducono a puro significante. Nel dialogo a tre voci del secondo atto, nel corso del quale don Martín. vedendosi contrapposto al vero (si fa per dire) don Gil, chiede chi sia mai costui, don Pedro risponde: Don Gil el verde,
suscitando da parte di donna Inés una reazione fondata su un gioco di parole («Y el blanco de mi afición», vv. 1999-2000) che nel terzo atto don Juan restituirà, ma soltanto a livello di colore, sfidando a duello il suo presunto rivale («Don Gil, el blanco o el verde, / ya se ha llegado la hora / tan deseada de mí / y tan rehusada de vos ...», vv. 2853-56). E già Caramanchel non si era limitato a questi innocenti giochi linguistici, ma aveva sfruttato l’ambiguità del termine verde prima, esasperato dalle continue apparizioni e sparizioni del suo padrone, alludendo al suo significato godereccio («Por más que le busco y llamo / nunca quiere mi verde amo / que en sus calzas me dé un verde», vv. 2204-05) e poi insinuando, attraverso la sua accezione più lasciva («que aunque es lampiño don Gil / en obras y en nombre es verde», vv. 2224-25), innumerevoli prestazioni notturne con donna Elvira, rivale (immaginaria) di donna Inés. Infine sarà la stessa donna Juana a dare un senso alle sue calze quando, vestiti i panni di donna Elvira (e il nome, lo abbiamo già visto, non è certo casuale), alla domanda di donna Inés se il don Gil di cui parla è proprio quello «dalle calze verdi», così risponde: Y tan verdes como él, que es abril de la hermosura, y del donaire Aranjuez (vv. 1395-97).
L’ennesima equazione tra amore e rigoglio naturale chiude il cerchio aperto dalla protagonista all’altezza del primo atto e connota il verde di una finzione al quadrato. Per riprendersi don Martín, donna Juana getta tra le braccia di donna Inés quel don Gil bello come la stagione più verde dell’anno e aggraziato come il giardino più ameno di Spagna: quel don Gil che non esiste perché frutto, unicamente, delle macchinazioni cui il suo desiderio e il suo sentimento di donna offesa l’hanno condotta.
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4. Detti, proverbi e ritornelli. Se il colore verde è oggetto di paragoni e doppi sensi che si dipaneranno lungo tutta la commedia fino allo scioglimento delle sue molteplici fila, i diversi campi semantici attraverso cui si esprimono i suoi protagonisti la connotano di un tessuto linguistico che presenta, come sempre in Tirso, svariate sfumature. La disinvoltura con cui donna Juana/don Gil riesce a calarsi, con le sue enfatiche profferte amorose, nel ruolo di corteggiatore, le metafore topiche, i riferimenti mitologici, la descrizione dello stato febbrile in cui l’ha gettata l’incontro con don Martín legittimano il suo audace piano attraverso un linguaggio che riflette le sue nobili origini. Al contrario, la maniera di esprimersi della ricca (ma non nobile) donna Inés appare dettato da incostanza e capricciosità, come dimostra il suo rifiuto di prendere in considerazione la richiesta di matrimonio di don Gil/ don Martín («¿Marido de villancico? /¡Gil! ¡Jesús! no me lo nombres! / Ponle un cayado y un pellico», vv. 699-701) e subito dopo la sua improvvisa passione per donna Juana/don Gil («Ya le he visto, ya le quiero / ya le adoro, ya se agravia / el alma con dilaciones / que martirizan mis ansias», vv. 942-45). Allo stesso stile, pervaso da domande retoriche e parossistiche enumerazioni, donna Inés si affiderà convinta, prima che donna Juana/don Gil le abbia preferito la fantomatica donna Elvira, e poi che, non contento, si sia messo a corteggiare anche donna Clara. Ma se, in preda al suo sdegno rabbioso, donna Inés non esita a ricorrere a metafore alimentari, motteggiando la rivale di «plato que sirvió a otro mesa» (v. 2307), il suo malinconico pretendente, don Juan, si prodiga in impossibili promesse nei suoi confronti. Il ritornello della canzone5 che egli evoca per promettere alla donna di sopprimere il pretendente inviso («que te hago voto solene / que pueden doblar por él», vv. 122627) appare infatti particolarmente ironico e stridente se rapportato alla volubilità che essa dimostra. È questa la terza volta che la canzone tradizionale entra nel tessuto metrico e linguistico della commedia. Già le scene centrali del primo atto, che vedono nascere sullo sfondo della huerta del duca di Lerma gli amori illusori delle due cugine (donna Inés e donna Clara) per don Gil dalle calze verdi, sono accompagnate dall’esecuzione di due canzoni (una albada e una canción molinera) che ripropongono, con metri diversi, ritornelli ben noti agli spettatori. E se gli agili settenari della prima («Alamicos del Prado, / fuentes del duque / despertad a mi niña / porque me escuche /…», vv. 475 ss.) fungono da 1393
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ouverture dell’intera scena, le complesse strofe della seconda riflettono piuttosto, attraverso la metafora erotica del mulino, l’intrigo di amori e gelosie che da essa scaturiranno. «Chi va al mulino si infarina» dice un proverbio italiano non molto diverso dal ritornello («Molinero sois amor, / y sois moledor. / Si lo soy, apartesé / que le enharinaré», vv. 900-01) che, presente con varianti in altre commedie di Tirso, chiude la canzone sulle cui note danzano don Gil e le due dame. Insomma, al di là delle diverse sfumature linguistiche che i personaggi della commedia imprimono ai loro sentimenti (veri o illusori che siano), essi appaiono proiettati sullo schermo di una sapienza antica. A questa sapienza riconducono i proverbi che affiorano sulla bocca dei due servi, la filastrocca sulle tre effe («Vive Dios, que es doña Inés / a mis ojos fría y fea; / si Francisca se llamara / todas las efes tuviera», vv. 2429-31) che, imprudentemente recitata da donna Juana/don Gil a donna Clara, tanto farà infuriare donna Inés, lo sconsolato ritornello («que nunca falta un don Gil que me persiga») attraverso cui don Martín riassume, in prossimità del finale, tutto il suo sconcerto. Artifici tutti che indicano come, seguendo l’esempio di Lope de Vega, Tirso de Molina amasse spezzare l’azione delle sue commedie con brani lirici facenti parte a sé stante, così come a sé stante può considerarsi quel pezzo di bravura che è la rassegna pseudopicaresca (vv. 274-486) in cui Caramanchel descrive i suoi precedenti padroni. In essa i giochi linguistici propiziati dalla formula con cui veniva indicato il salario (ración y quitación) si intrecciano con quel latinorum che costituisce un tratto saliente della fantasia del gracioso. Tutto ciò per dire che Caramanchel non è solo il dispensatore di battute salaci a proposito della dubbia sessualità del suo padrone, né soltanto il superstizioso invocatore di santi improbabili che lo liberino dalle sue diaboliche apparizioni,6 ma anche il conoscitore profondo di tutti gli strati sociali che popolano la Madrid del tempo, la stessa che lo sfondo spiccatamente urbano della commedia lascia intravedere. 5. Una commedia urbana. Sia il desiderio di divertire di pubblico con pause e intermezzi musicali che la tendenza ad assecondarlo attraverso il ricorso a detti di una sapienza condivisa confermano la scelta da parte del mercedario di svolgere la sua commedia in un contesto in cui lo spettatore potesse facilmente riconoscersi. E in effetti i personaggi di Don Gil de las calzas verdes si muovono su uno scacchiere urbano esatto 1394
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e circoscritto, avente come centro la famosa huerta del duca di Lerma (compresa tra la Carrera de San Jerónimo e il vecchio Prado) e come periferie il Ponte di Segovia, da cui prende inizio l’azione della commedia, e la Puerta de Guadalajara, dove si determina il suo svolgimento. Uno scacchiere punteggiato da precisi riferimenti a strade e quartieri di Madrid tuttora esistenti, nonché a chiese e conventi che, come il Carmen e la Victoria, giocavano un ruolo importante nella vita del tempo. E tuttavia non si tratta solo di esattezza topografica, ma anche di una fedele restituzione del clima che si respirava nella Madrid di Filippo III e del suo valido. Una Madrid di trafficanti, questuanti, avventurieri come Caramanchel, la cui prima comparsa sulla scena lascia intravedere il conflitto con un bodegonero che si rifiuta di fargli credito; ma anche, all’opposto, una Madrid dei ceti benestanti, invitati a svagarsi nel sontuoso scenario offerto dal duca di Lerma,7 o a divertirsi assistendo alle commedie allestite dai più famosi impresari del secolo, come quel Pedro de Valdés cui per l’appunto si deve la prima rappresentazione del Don Gil. Ebbene, questa Madrid brulicante di incontri e iniziative è anche il centro geografico di una serie di località più o meno circostanti evocate lungo i tre atti della commedia: Vallecas (dove si ritirerà Quintana poco dopo l’inizio del primo atto, pronto a riapparire nei successivi per aiutare la sua padrona a portare a compimento il suo piano); Alcorcón (dove donna Juana fa finta di essere stata pugnalata a morte dal suo amato); Burgos (dove la stessa si improvvisa una fantomatica donna Elvira) e, soprattutto Valladolid, città di origine dei due amanti divisi. Menzionata con la stessa esattezza, anche se con meno dettagli, di Madrid, Valladolid rappresenta una sorta di sua controparte urbana. A dimostrarlo sta il confronto tra il suo fiume, l’Esgueva, e il Manzanares, che Quintana, sulla scorta di un motivo satirico del tempo, descrive per la sua esigua portata, e tanto più esigua se confrontata con la magnificenza del ponte che donna Juana, dopo essersi da lui congedata, sta per attraversare. Siamo insomma di fronte a una duplice descriptio urbis, avvalorata dal fatto che ambedue le città sono legate alla corte, anche se solo la seconda, Madrid, si identifica con la confusione e i pericoli che essa comporta. E se, a parte qualche sparso accenno alle sue strade, ai suoi conventi e al mestiere svolto dai suoi abitanti, la descrizione di Valladolid si esaurisce nel rapido sguardo nostalgico che le rivolge Quintana, quella di Madrid si distende lungo i tre atti della commedia, trovando un’estrema sintesi 1395
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nel monologo che don Martín, vestito di verde, declama sul finire del terzo. Rivolgendosi alla città che lo ha visto vittima di ogni sorta di inganno, don Martín invoca le sue strade piene di insidie, le sue «casas a la malicia»,8 i suoi alberi frondosi (e così simili ai famosi pioppi che ombreggiavano la huerta del duca), per sapere chi sia mai il misterioso don Gil che lo perseguita. Forgiato su un susseguirsi di ottave che preludono allo scioglimento finale, lo sfogo lirico di don Martín (vv. 3602-72) si presta a una duplice lettura. Se da un lato lo spettatore, al corrente della vera identità di don Gil dalle calze verdi, non può che sorridere di fronte al suo smarrimento e prendere istintivamente le parti di donna Juana, dall’altro non può che condividere le sue considerazioni sul clima di menzogna e di ipocrisia che avvolge la vita della capitale e di cui lui stesso, sottoscrivendo lo scellerato patto di interesse siglato da suo padre, si è reso complice. Insinuando tra le pieghe di una tra le sue più brillanti commedie un giudizio severo sulla corte, Tirso de Molina mostra, insomma, di ottemperare alla massima del deleitar aprovechando e di volere indicare, ancora una volta, l’ingiusta supremazia di chi è ricco su chi è povero, di chi detiene il potere su chi, per atavica consuetudine, è costretto a subirlo. Nonostante già nel 1615 fosse stata messa in scena, Don Gil de las calzas verdes fu pubblicata per la prima volta nel 1635 nella Quarta parte de las comedias del Maestro Tirso de Molina, recogidas por don Francisco Lucas de Ávila, sobrino del autor, Madrid, por María de Quiñones, a costa de Pedro Coello y Manuel López, mercaderes de libros. Il testo su cui è stata condotta la traduzione è stato allestito da Giulia Poggi (con la preziosa collaborazione di Frej Moretti) sulla base di quello curato da Alonso Zamora Vicente per i Clásicos Castalia, Madrid, 1990. In alcuni casi, segnalati in nota, sono stati accolti gli emendamenti proposti da Ignacio Arellano nell’edizione critica della commedia compresa nel secondo volume delle Obras completas di Tirso de Molina (Cuarta parte de comedias II, Pamplona, GRISO-Universidad de Navarra, Revista Estudios, 2003; il testo alle pp. 739-85; le varianti alle pp. 1025-35). A questa edizione si è fatto riferimento anche per le didascalie che accompagnano il testo e per l’adeguamento della sua ortografia alle recenti norme della Real Academia Española.
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Il lavoro di traduzione, che si deve a Ida Poggi Nuccio per i primi due atti e a Giulia Poggi per il terzo, ha comportato un continuo confronto reciproco e una ininterrotta ricerca comune di un ritmo uniforme e fedele alla varietà metrica e linguistica della commedia, finora tradotta soltanto in prosa (da Giovanni La Cecilia, Torino, 1858 e Gherardo Marone, Torino, 1942, 1947, 1984) e oggetto di varie riduzioni teatrali e musicali (fra cui l’operetta in tre atti che ne trassero nel 1922, per la musica di Ezio Carabella, Mario Corsi e Maso Salvini). Non sempre è stato possibile rendere i numerosi modismi e giochi di parole del testo. Se, solo per fare un esempio, un’espressione come «Dios te la depare buena» (v. 406) corrisponde esattamente al nostro «che Dio te la mandi buona», un bisticcio come quello condotto su «beber los vientos» (vv. 731-32) perde, non trovando riscontro in italiano, tutta la sua carica semantica. Difficile è stato anche rendere le espressioni relative al colore (il verde) che dà vita alla commedia, così come le allusioni erotiche contenute nel lessico di Caramanchel. In questi e altri casi è stato necessario ricorrere alle note, attraverso cui sono state fornite anche spiegazioni relative al contesto culturale e geografico che fa da sfondo all’azione. GIULIA POGGI
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DON GIL DE LAS CALZAS VERDES PERSONAJES
DOÑA JUANA
DON DIEGO
DON MARTÍN
DON ANTONIO
DOÑA INÉS DON PEDRO,
CELIO
[viejo]
FABIO
DOÑA CLARA DON JUAN QUINTANA,
[criado] CARAMANCHEL [lacayo] OSORIO
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DECIO VALDIVIESO,
escudero [AGUILAR], paje UN ALGUACIL MÚSICOS
DON GIL DALLE CALZE VERDI PERSONAGGI
DONNA JUANA
DON DIEGO
DON MARTÍN
DON ANTONIO
DONNA INÉS
CELIO
DON PEDRO,
[vecchio]
FABIO
DONNA CLARA DON JUAN QUINTANA,
[servo] CARAMANCHEL [lacchè] OSORIO
DECIO VALDIVIESO,
scudiero [AGUILAR], paggio UNO SBIRRO MUSICISTI
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Sale doña Juana, de hombre, con calza y vestido todo verde y Quintana, criado. QUINTANA
DOÑA JUANA QUINTANA
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Ya que a vista de Madrid y en su puente segoviana, olvidamos, doña Juana, huertas de Valladolid, Puerta del Campo, Espolón, puentes, galeras, Esgueva, con todo aquello que lleva, por ser como Inquisición de la pinciana nobleza (pues cual brazo de justicia, desterrando su inmundicia, califica su limpieza); ya que nos traen tus pesares a que desta insigne puente veas la humilde corriente del enano Manzanares, que por arenales rojos corre, y se debe correr, que en tal puente venga a ser lágrima de tantos ojos; ¿no sabremos qué ocasión te ha traído desa traza? ¿Qué peligro te disfraza de damisela en varón? Por agora no, Quintana. Cinco días hace hoy que mudo contigo voy, un lunes por la mañana en Valladolid quisiste fiarte de mi lealtad: dejaste aquella ciudad; a esta corte te partiste,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entra donna Juana vestita da uomo con calze e un vestito tutto verde e Quintana, servo. QUINTANA
DONNA JUANA QUINTANA
Già che in vista di Madrid, sul suo Ponte Segoviano, noi scordiamo, donna Juana, gli orti di Valladolid, Porta al Campo, l’Espolón, le barche, i ponti, l’Esgueva, con tutto ciò che preleva, come fosse Inquisizione della nobiltà di Pinzia, (ché, qual braccio di giustizia, bandendo la sua sporcizia, esalta la sua purezza); già che vogliono i tuoi guai che da questo insigne ponte veda l’umile corrente dell’esiguo Manzanarre, che fra arene rosse corre, ed è giusto si vergogni d’esser sotto un tale ponte lacrima di tanti occhi, vuoi dirmi per che occasione sei acconciata in questo modo? Per che pericolo indossi, damigella, vesti d’uomo? Per adesso no, Quintana. Sono cinque giorni che viaggio muto insieme a te. Un lunedì di mattina, voluto hai a Valladolid fidar nella mia lealtà: lasciato hai quella città, a questa corte diretta, 1401
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA
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quedando sola la casa de la vejez que te adora, sin ser posible hasta agora saber de ti lo que pasa, por conjurarme primero que no examine qué tienes, por qué, cómo o dónde vienes; y yo, humilde majadero, callo y camino tras ti, haciendo más conjeturas que un matemático a escuras. ¿Dónde me llevas ansí? Aclara mi confusión, si a lástima te he movido; que si contigo he venido, fue tu determinación de suerte que, temeroso de que, si sola salías a riesgo tu honor ponías, tuve por más provechoso seguirte y ser de tu honor guardajoyas, que quedar, yéndote tú, a consolar las congojas de señor. Ten ya compasión de mí; que suspensa el alma está hasta saberlo. Será para admirarte. Oye. Di. Dos meses ha que pasó la Pascua, que por abril viste bizarra los campos de felpas y de tabís, cuando a la puente (que a medias hicieron, a lo que oí, Pero Anzures y su esposa)
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA
abbandonando la casa del tuo vecchio, che ti adora, né ho potuto fino ad ora saper quello che ti accade, dato che mi hai scongiurato di non chiederti che hai, perché, come e dove vai; e io, povero ignorante, taccio e cammino con te, facendo più congetture che un astrologo all’oscuro. Dove mi porti così? Rischiara la mia incertezza, se a compassione ti muovo, ché con te sono venuto, per la tua risolutezza; in quanto io, paventando che, se da sola partissi, l’onore compromettessi, ritenni più conveniente seguirti ed esser custode del tuo onore, che restare in tua assenza a consolare l’angoscia del mio signore. Via, abbi pietà di me, ché la mia anima soffre finché non sa. Ti farò meravigliare. Odi. Di’. Due mesi fa ricorreva la Pasqua, che nell’aprile, veste sontuosa i campi di velluto e di tabì, quando al ponte (che a metà fecero, per quel che ho udito, Pero Anzures e sua moglie) 1403
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
va todo Valladolid. Iba yo con los demás; pero no sé si volví, a lo menos con el alma, que no he vuelto a reducir; porque junto a la Vitoria un Adonis bello vi, que a mil Venus daba amores, y a mil Martes celos mil. Diome un vuelco el corazón, porque amor es alguacil de las almas, y temblé como a la justicia vi. Tropecé, si con los pies, con los ojos al salir, la libertad en la cara, en el umbral un chapín. Llegó, descalzado el guante, una mano de marfil a tenerme de su mano... ¡Qué bien me tuvo! ¡ay de mí! Y diciéndome: «Señora, tened; que no es bien que así imite al querub soberbio, cayendo, tal serafín». Un guante me llevó en prendas del alma, y si he de decir la verdad, dentro del guante el alma que le ofrecí. Toda aquella tarde corta (digo, corta para mí; que aunque las de abril son largas, mi amor no las juzgó ansí), bebió el alma por los ojos, sin poderse resistir, el veneno que brindaba su talle airoso y gentil. 1404
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va tutta Valladolid. Andavo io insieme agli altri, ma non so se più di lì ritornai, almeno con l’anima, che a riprender non riuscii; perché presso alla Vittoria un Adone bello vidi, amore per mille Veneri, gelosia per Marti mille. Il mio cuore fece un balzo, perché l’amore è lo sbirro, delle anime e io tremai nel vedere la giustizia. Inciampai, tanto con gli occhi che coi piedi, nell’uscire, la libertà sulla faccia, sulla strada uno scarpino. Giunse, sfilatosi un guanto, mano eburnea di chi ardì di tenermi per la mano… bene mi trattenne, sì! Dicendo: «Attenta, signora, non è giusto che così imiti il superbo cherubo cadendo un tal serafino», un guanto mi prese in pegno dell’anima e, devo dire la verità, dentro il guanto, l’anima che io gli offrii. Tutta quella breve sera, (dico breve a mio giudizio, ché se son di aprile lunghe, io, amando, non lo avvertii), l’anima bevve per gli occhi, senza poterlo impedire, il veleno che instillava la sua figura gentile. 1405
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Acostose el sol de envidia, y llegose a despedir de mí al estribo de un coche adonde supo fingir amores, celos, firmezas, suspirar, temer, sentir ausencias, desdén, mudanzas, y otros embelecos mil, con que engañándome el alma, Troya soy, si Scitia fui. Entré en casa enajenada. Si amaste, juzga por ti en desvelos principiantes qué tal llegué. No dormí, no sosegué; pareciome que, olvidado de salir el sol, ya se desdeñaba de dorar nuestro cenit. Levanteme con ojeras, desojada por abrir un balcón, de donde luego mi adorado ingrato vi. Aprestó desde aquel día asaltos para batir mi libertad descuidada. Dio en servirme desde allí. Papeles leí de día, músicas de noche oí, joyas recibí, y ya sabes qué se sigue al recibir. ¿Para qué te canso en esto? En dos meses don Martín de Guzmán (que así se llama quien me obliga a andar ansí) allanó dificultades, tan arduas de resistir en quien ama, cuanto amor 1406
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Tramontò il sole invidioso e lui venne a dirmi addio allo sportello di un cocchio, e a quel punto seppe fingere amori, ansie, fedeltà, timori, affetti, sospiri, assenze, infedeltà, sdegni ed altri mille raggiri, con cui imbrogliandomi l’anima, Troia mi rese da Scizia. Tornai a casa fuor di me. Se hai amato, potrai intuire in quelle prime ore inquiete come giunsi. Non dormii, non riposai; mi pareva che, dimentico di uscire, il sole già rifiutasse l’orizzonte di schiarire. Mi levai con gli occhi pesti, stanca di tenerli fissi a un balcone, da cui subito il mio amato ingrato vidi. Da quel giorno egli apprestò assalti per demolire la mia allegra libertà. A corteggiarmi si mise: lessi lettere di giorno, musiche la notte udii, ebbi in dono delle gioie; sai accettarle che vuol dire. Perché annoiarti più a lungo? In due mesi don Martín de Guzmán (così si chiama chi mi riduce così), appianò difficoltà, cui è tanto arduo che resistano gli amanti, quanto all’amore 1407
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invencible, todo ardid. Diome palabra de esposo; pero fue palabra en fin, tan pródiga en las promesas, como avara en el cumplir. Llegó a oídos de su padre (debióselo de decir mi desdicha) nuestro amor; y aunque sabe que nací, si no tan rica, tan noble, el oro, que es sangre vil que califica intereses, un portillo supo abrir en su codicia. ¡Qué mucho, siendo él viejo, y yo infeliz! Ofreciose un casamiento de una doña Inés, que aquí con setenta mil ducados se hace adorar y aplaudir. Escribió su viejo padre al padre de don Martín, pidiéndole para yerno; no se atrevió a dar el sí claramente, por saber que era forzoso salir a la causa mi deshonra. Oye una industria civil. Previno postas el viejo, y hizo a mi esposo partir a esta corte, toda engaños. Ya, Quintana, está en Madrid. Díjole que se mudase el nombre de don Martín, atajando inconvenientes, en el nombre de don Gil; porque, si de parte mía viniese en su busca aquí 1408
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invincibile e ai suoi intrighi. Ebbi parola di sposo, però fu parola infine, generosa di promesse quanto avara nel compirle. Giunse all’orecchio del padre il nostro amore (ché a dirglielo fu forse le mia sventura); quando seppe che non ricca, benché nobile, ero nata, l’oro, essendo il sangue vile che nobilita interessi, aprì nella sua avarizia un varco. Io sfortunata, lui vecchio, perché stupirsi? Gli offrirono il matrimonio con tal donna Inés, che qui settantamila ducati fan lodare e riverire. Il suo vecchio padre scrisse al padre di don Martín, chiedendolo come genero; non si azzardò a acconsentire chiaramente, ben sapendo che in luce doveva uscire per forza il mio disonore. Senti che espediente vile. Disposti cavalli il vecchio, fece il mio sposo partire per la corte degl’inganni. Già, Quintana, egli è a Madrid. Gli propose di cambiare il nome di don Martín, per sventare inconvenienti, con il nome di don Gil; perché se, da parte mia, venisse a cercarlo qui 1409
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la justicia, deslumbrase su diligencia este ardid. Escribió luego a don Pedro Mendoza y Velasteguí, padre de mi opositora, dándole en él a sentir el pesar de que impidiese la liviandad juvenil de su hijo el concluirse casamiento tan feliz; que por estar desposado con doña Juana Solís, si bien noble, no tan rica como pudiera elegir, enviaba en su lugar y en vez de su hijo a un don Gil de no sé quién, de lo bueno que ilustra a Valladolid. Partiose con este embuste; mas la sospecha, adalid lince de los pensamientos, y Argos cauteloso en mí, adivinó mis desgracias, sabiéndolas descubrir el oro, que dos diamantes bastante son para abrir secretos de cal y canto. Supe todo el caso, en fin, y la distancia que hay del prometer al cumplir. Saqué fuerzas de flaqueza, dejé el temor femenil, diome alientos el agravio y de la industria adquirí la determinación cuerda; porque pocas veces vi no vencer la diligencia 1410
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la giustizia, ogni suo zelo turbasse quest’artifizio. Scrisse subito a don Pedro Mendoza y Velasteguí, padre della mia rivale, facendo intanto capire con che dolore vedeva l’incoscienza giovanile di suo figlio ostacolare un matrimonio felice; ché, essendo questi promesso a donna Juana Solís, nobile sì, ma non ricca, quanto egli poteva ambire, inviava al posto proprio e del figlio un tal don Gil, di non so che, del migliore ceto di Valladolid. Se ne andò con questo inganno; ma il sospetto, che è la spia principale dei pensieri e Argo in me sempre guardingo, intuì le mie disgrazie, sapendole poi chiarire l’oro, perché due diamanti son sufficienti a scoprire segreti a prova di bomba. Seppi tutto il caso, infine, e la distanza che c’è tra il promettere e il compire. Forza attinsi a debolezza, il timore femminile lasciai, mi ispirò l’offesa, e l’ingegno mi fornì una decisione saggia; perché poche volte ho visto che non vincesse l’impegno 1411
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cualquier fortuna infeliz. Disfraceme como ves; y, fiándome de ti, a la fortuna me arrojo y al puerto pienso salir. Dos días ha que mi amante, cuando mucho, está en Madrid: mi amor midió sus jornadas. Y ¿quién duda, siendo así, que no habrá visto a don Pedro sin primero prevenir galas con que enamorar, y trazas con que mentir? Yo, pues que he de ser estorbo de su ciego frenesí, a vista tengo de andar de mi ingrato don Martín, malogrando cuanto hiciere: el cómo déjalo a mí. Para que no me conozca, (que no hará, vestida ansí) falta solo que te ausentes, no me descubran por ti. Vallecas dista una legua: disponte luego a partir allá; que de cualquier cosa, o próspera o infeliz, con los que a vender pan vienen de allá, te podré escribir. Verdaderas has sacado las fábulas de Merlín. No te quiero aconsejar. Dios te deje conseguir el fin de tus esperanzas. Adiós.
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il destino più infelice. Travestita come vedi, e mentre che in te confido, nella tempesta mi getto e al porto penso riuscire. Son due giorni, tutt’al più, che il mio amante è qui a Madrid: il mio amore contò i tempi. Le cose stando così, vuoi che abbia visto don Pedro senza prima concepire lussi con cui innamorare e trame con cui mentire? Dovendo essere di ostacolo alla sua cieca follia, intendo seguire le orme del mio ingrato don Martín, guastando quanto farà. In che modo lo so io. Perché non mi riconosca (non potrà, così vestita) dovrai solo allontanarti, sì da non farmi scoprire. Vallecas dista una lega, pensa subito a partire per là, ché di ogni caso, o fortunato o infelice, se qualcuno di lì a vendere viene il pane, potrò scriverti. In te si sono avverate le favole di Merlino. Non ti voglio consigliare. Dio ti faccia conseguire delle tue speranze il fine. Addio.
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¿Escribirás? Sí.
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Vase [Quintana]. Sale Caramanchel, lacayo. CARAMANCHEL
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Pues para fiador no valgo, sal acá, bodegonero; que en esta puente te espero. ¡Hola! ¿Qué es eso? Oye, hidalgo; eso de hola, al que a la cola como contera le siga; y a las doce solo diga: «Olla, olla», y no «hola, hola». Yo, que hola agora os llamo, daros esotro podré. Perdóneme, pues, usté. ¿Buscáis amo? Busco un amo; que si el cielo los lloviera, y las chinches se tornaran amos; si amos pregonaran por las calles; si estuviera Madrid de amos empedrado, y ciego yo los pisara, nunca en uno tropezara, según soy de desdichado. ¿Qué tantos habéis tenido? Muchos, pero más inormes, que Lazarillo de Tormes. Un mes serví, no cumplido, a un médico muy barbado, belfo, sin ser alemán; guantes de ámbar, gorgorán, mula de felpa, engomado, muchos libros, poca ciencia;
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Scriverai? Sì. Esce [Quintana]. Entra Caramanchel, lacchè.
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DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
Se un buon garante non sono, vieni fuori, taverniere, su questo ponte t’aspetto. Olà, che c’è? Gentiluomo, questo olà lascialo a uno con cui sia culo e camicia e che a mezzogiorno dica solo olla e non olà. Io che con olà vi apostrofo, darvi anche il resto potrò. Mi perdoni, via, signò. Cercate un padrone? Proprio; che se il cielo li piovesse, e padroni diventassero le cimici, si spacciassero per le strade e Madrid fosse di padroni lastricata, e io cieco li pestassi, non riuscirei ad inciamparvi, tanto sono disgraziato. Tanti voi ne avete avuti? Tanti, con peggiore sorte di Lazarillo de Tormes. Un mese scarso ho servito un medico assai barbuto, labbrone, ma non tedesco, guanti profumati, seta, mula con drappo, azzimato, molti libri, poca scienza; 1415
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pero no se me lograba el salario que me daba, porque con poca conciencia lo ganaba su mercé; y huyendo de tal azar, me acogí con Cañamar. ¿Mal lo ganaba? ¿Por qué? Por mil causas: la primera, porque con cuatro aforismos, dos textos, tres silogismos, curaba una calle entera. No hay facultad que más pida estudios, libros galenos, ni gente que estudie menos, con importarnos la vida. Pero, ¿cómo han de estudiar, no parando en todo el día? Yo te diré lo que hacía mi médico. Al madrugar, almorzaba de ordinario una lonja de lo añejo, porque era cristiano viejo; y con este letüario aqua vitis, que es de vid, visitaba sin trabajo, calle arriba, calle abajo, los egrotos de Madrid. Volvíamos a las once: considere el pío lector, si podría el mi doctor, puesto que fuese de bronce, harto de ver orinales, y fístulas, revolver Hipócrates, y leer las curas de tantos males. Comía luego su olla, con un asado manido,
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ma non mi soddisfaceva il salario che mi dava, perché con poca coscienza sua grazia lo guadagnava; e fuggendo tanto male, me la dovetti svignare. Perché male guadagnava? Per mille cause: la prima ch’egli con quattro aforismi, due testi, tre sillogismi curava una strada intera. Non c’è scienza che più esiga studi, libri di Galeno, né gente che studi meno, quando ne va della vita. Come possono studiare non fermandosi un momento? Ti dirò quel che faceva il mio medico. Albeggiando, per colazione mangiava del suo prosciutto una fetta, perché era cristiano vecchio, e a mo’ di sciroppo usando di vera vite aqua vitis, visitava senza sforzo, camminando in su e in giù, ogni egroto di Madrid. Ritornavamo alle undici: consideri il pio lettore se poteva il mio dottore, fosse stato anche di bronzo, stanco di vedere fistole ed orinali, sfogliare Ippocrate e compulsare le cure di tanti mali. Mangiava allora la zuppa, con un arrosto frollato, 1417
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y después de haber comido, jugaba cientos o polla. Daban las tres y tornaba a la médica atahona, yo la maza y él la mona; y cuando a casa llegaba, ya era de noche. Acudía al estudio, deseoso (aunque no era escrupuloso) de ocupar algo del día en ver los expositores de sus Rasis y Avicenas; asentábase, y apenas ojeaba dos autores, cuando doña Estefanía gritaba: «Ola, Inés, Leonor, id a llamar al doctor: que la cazuela se enfría». Respondía él: «En un hora no hay que llamarme a cenar. Déjenme un rato estudiar. Decid a vuestra señora que le ha dado garrotillo al hijo de tal condesa; y que está la ginovesa, su amiga, con tabardillo; que es fuerza mirar si es bueno sangrarla estando preñada; que a Dioscórides le agrada; mas no lo aprueba Galeno». Enfadábase la dama, y entrando a ver su doctor, decía: «Acabad, señor; cobrado habéis harta fama, y demasiado sabéis para lo que aquí ganáis: advertid, si así os cansáis, 1418
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e dopo avere pranzato, giocava a cento o a gallina. Erano le tre, e tornava alla medica fatica, io la mazza e lui la scimmia, e quando a casa arrivava, era già notte. Correva in studio, desideroso (sebbene non scrupoloso) di passare un po’ di tempo leggendo i commentatori dei suoi Rasis e Avicenna; si sedeva, e dava appena un’occhiata a qualche autore, quando donna Estefanía gridava: «Ehi, Inés, Leonor, chiamatemi voi il dottore, ché lo stufato si fredda.» Rispondeva: «Per un’ora, non chiamatemi a cenare; lasciatemi un po’ studiare. Dite alla vostra signora che il figlio della contessa ha preso la difterite, e che ha la genovese, sua amica, la scarlattina; devo vedere se è bene salassarla, anche se è incinta; Dioscoride consente, ma non approva Galeno.» Si arrabbiava quella dama, e entrando dal suo dottore, diceva: «Basta, signore; avete abbastanza fama, e ne sapete anche troppa per quello che guadagnate; guardate, se vi stancate 1419
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que presto os consumiréis. Dad al diablo los Galenos, si os han de hacer tanto daño: ¿Qué importa al cabo del año veinte muertos más o menos?» Con aquestos incentivos el doctor se levantaba; los textos muertos cerraba por estudiar en los vivos. Cenaba, yendo en ayunas de la ciencia que vio a solas; comenzaba en escarolas, acababa en aceitunas, y acostándose repleto, al punto del madrugar, se volvía a visitar, sin mirar ni un quodlibeto. Subía a ver al paciente; decía cuatro chanzonetas; escribía dos recetas destas que ordinariamente se alegan sin estudiar; y luego los embaucaba con unos modos que usaba extraordinarios de hablar. «La enfermedad que le ha dado, señora, a Vueseñoría, son flatos y hipocondría; siento el pulmón opilado, y para desarraigar las flemas vítreas que tiene con el quilo, le conviene (por que mejor pueda obrar Naturaleza) que tome unos alquermes que den al hépate y al esplén la sustancia que el mal come». 1420
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così, voi vi esaurirete. Al diavolo quei Galeni, se vi fanno tanto danno. Che importano, in capo a un anno, venti morti in più o in meno?» Con questi incoraggiamenti, il mio dottore si alzava; i testi morti piantava, per studiare quelli vivi. Cenava, sempre digiuno della scienza contattata; con scarole cominciava, terminava con olive, si coricava satollo e quindi, sull’albeggiare, ritornava a visitare, senza aprire un quodlibeto. Si recava dal paziente; diceva due barzellette, scriveva quattro ricette, di quelle che abitualmente si fanno senza studiare; e tosto li infinocchiava con certi modi che usava straordinari di parlare. «L’infermità che è venuta, signora, a Vossignoria, son vapori e ipocondria; sento il polmone ostruito, e volendo eliminare umori vitrei che ha con il chilo, converrà, (perché meglio possa agire la natura) che lei prenda certi alchermes che diano al fegato ed alla milza, sostanze che il male annienta». 1421
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Encajábanle un doblón, y asombrados de escucharle, no cesaban de adularle, hasta hacerle un Salomón. Y juro a Dios que, teniendo cuatro enfermos que purgar, le vi un día trasladar, (no pienses que estoy mintiendo) de un antiguo cartapacio cuatro purgas, que llevó escritas (fuesen o no a propósito) a palacio; y recetada la cena para el que purgarse había, sacaba una y le decía: «Dios te la depare buena». ¿Parécele a vuesasté que tal modo de ganar se me podía a mí lograr? Pues por esto le dejé. ¡Escrupuloso criado! Acomodeme después con un abogado, que es de las bolsas abogado, y enfadome que, aguardando mil pleiteantes que viese sus procesos, se estuviese catorce horas enrizando el bigotismo; que hay trazas dignas de un jubón de azotes. Unos empina-bigotes hay a modo de tenazas, con que se engoma el letrado la barba que en punta está: ¡Miren qué bien que saldrá un parecer engomado! Dejele, en fin; que estos tales,
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Gli sganciavano un doblone, e, incantati ad ascoltarlo, non finivan di adularlo, manco fosse un Salomone. E giuro a Dio che, avendo egli quattro infermi da purgare, lo vidi un giorno copiare (e non pensate che menta) da un antico scartafaccio, quattro purghe che portò trascritte (fossero o no adatte) con sé a palazzo; e poi, prescritta la cena per chi purgarsi doveva, ne tirò fuori una e disse: «Che Dio te la mandi buona!». Sembra a Vostra Signoria che mi potesse garbare quel modo di guadagnare? Ben per questo l’ho lasciato. Oh, che servo delicato! Trovai poi sistemazione presso un avvocato, che è delle borse l’avvocato. Mi indignava che, aspettando mille clienti che vedesse i loro processi, stesse quattordici ore a arricciarsi i baffi, con un contegno proprio da faccia da schiaffi. Esistono piegabaffi, fatti in forma di tenaglie, con cui incolla l’avvocato i suoi mustacchi appuntiti. Come deve essere bello un parere impomatato! Lo lasciai, infine: quei tali, 1423
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por engordar alguaciles, miran derechos civiles y hacen tuertos criminales. Serví luego a un clerigón un mes (pienso que no entero) de lacayo y despensero. Era un hombre de opinión: su bonetazo calado, lucio, grave, carilleno, mula de veintidoseno, el cuello torcido a un lado; y hombre, en fin, que nos mandaba a pan y agua ayunar los viernes, por ahorrar la pitanza que nos daba; y él comiéndose un capón, (que tenía con ensanchas la conciencia, por ser anchas las que teólogas son), quedándose con los dos alones cabeceando, decía, al cielo mirando: «¡Ay, ama, qué bueno es Dios!» Dejele, en fin, por no ver santo que tan gordo y lleno, nunca a Dios llamaba bueno, hasta después de comer. Luego entré con un pelón que sobre un rocín andaba, y aunque dos reales me daba de ración y quitación, si la menor falta hacía, por irremisible ley, olvidando el Agnus Dei, qui tollis ración, decía. Quitábame de ordinario la ración, pero el rocín 1424
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per ingrassare gli sbirri, scrutan diritti civili, e fan torti criminali. Ho servito poi un prelato, (penso un mese non intero) come lacchè e dispensiere. Era un uomo rispettabile; la sua berretta calcata, lustro, placido, paffuto, mula con panno di lusso, il collo torto da un lato; un uomo che ci faceva a pane e acqua digiunare, venerdì, per risparmiare la razione che ci dava; e mangiando lui un cappone, (dato che aveva assai elastica la coscienza, essendo ampie tutte quelle teologali), sulle due ali rimaste diceva, il capo scrollando e verso il cielo guardando: «Donna, quanto è buono Dio!» Lo lasciai per non vedere santo tanto grasso e ingordo, che mai Dio chiamava buono se non dopo aver mangiato. Passai poi ad uno spiantato, che sopra un ronzino andava e se due reali dava per il vitto ed il salario, ad ogni sbaglio pur minimo, per diritto irremissibile, scordandosi l’Agnus Dei, qui tollis vitto diceva. Mi toglievan per lo più il vitto; però il ronzino, 1425
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y su medio celemín alentaban mi salario, vendiendo sin redención la cebada que le hurtaba: con que yo ración llevaba, y el rocín la quitación. Serví a un moscatel, marido de cierta doña Mayor, a quien le daba el señor por uno y otro partido comisiones, que a mi ver el proveyente cobraba, pues con comisión quedaba de acudir a su mujer. Si te hubiera de contar los amos que en varias veces serví, y andan como peces por los golfos deste mar, fuera un trabajo excusado; bástete el saber que estoy sin cómodo el día de hoy, por mal acondicionado. Pues si das en coronista de los diversos señores que se extreman en humores, desde hoy me pon en tu lista, porque desde hoy te recibo en mi servicio. ¡Lenguaje nuevo! ¿Quién ha visto paje con lacayo? Yo no vivo sino solo de mi hacienda; ni paje en mi vida fui: vengo a pretender aquí un hábito o encomienda; y porque en Segovia dejo
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con la sua mezza misura, accresceva il mio salario, ché senza pietà vendevo il foraggio che rubavo: e così ne ricavavo io il vitto, e lui il digiuno. Servii un pivello, marito di certa donna Mayor, a cui affibbiava il padrone, per l’una o l’altra contrada, commissioni che a mio avviso il committente incassava, dato che s’incaricava di accudire lui a sua moglie. Ti dovessi raccontare i padroni che in più guise ho servito, come pesci nei golfi di questo mare, sarebbe un lavoro vano; ti basti saper che sono, per il mio brutto carattere, tutt’oggi disoccupato. Se ti va d’esser cronista dei differenti signori, coi loro perversi umori, mettimi da oggi in lista, ché da oggi al mio servizio ti assumo. Strano linguaggio! Dove mai s’è visto un paggio con un lacchè? Io non vivo altro che della mia rendita, né sono mai stato paggio. Vengo qui a chiedere un abito o un incarico, ed avendo lasciato ammalato un servo 1427
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malo a un mozo, he menester quien me sirva. ¿A pretender entráis mozo? Saldréis viejo. Cobrando voy afición a tu humor. Ninguno ha habido, de los amos que he tenido, ni poeta, ni capón; pareceisme lo postrero; y así, señor, me tened por criado, y sea a merced, que medrar mejor espero que sirviéndoos a destajo, en fe de ser yo tan fiel. ¿Llámaste? Caramanchel, porque nací en el de abajo. Aficionándome vas por lo airoso y lo sutil. ¿Cómo os llamáis vos? Don Gil. ¿Y qué más? Don Gil no más. Capón sois hasta en el nombre, pues si en ello se repara, las barbas son en la cara lo mismo que el sobrenombre. Agora importa encubrir mi apellido. ¿Qué posada conoces limpia y honrada? Una te haré prevenir de las frescas y curiosas de Madrid. ¿Hay ama? Y moza. ¿Cosquillosa?
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DONNA JUANA
CARAMANCHEL
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a Segovia, ho di un garzone bisogno. A chiedere giovane entrate? Uscirete vecchio. Mi vado al tuo buon umore affezionando. Mai ho avuto, tra i padroni che ho servito, né un poeta, né un cappone; mi sembrereste quest’ultimo; così, signore, tenetemi come servo, e a discrezione, ché miglior profitto aspetto servendovi senza patti, da quanto sono fedele. Ti chiami? Caramanchel, perché nacqui in quello basso. Mi stai proprio conquistando con la tua ironia sottile. Voi vi chiamate? Don Gil. Don Gil, e poi? Gil soltanto. Cappone fino nel nome, perché, se bene si guarda, è per la faccia la barba una specie di cognome. Per ora è meglio celare il mio nome. Quale albergo conosci pulito e onesto? Ne farò uno prenotare, tra i più freschi ed eleganti di Madrid. C’è una padrona? E una serva. Civettuola? 1429
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
Y que retoza. ¿Qué calle? De las Urosas. Vamos... (que noticia llevo de la casa donde vive don Pedro. Madrid, recibe este forastero nuevo en tu amparo.) ¡Qué bonito que es el tiple moscatel! ¿No venís, Caramanchel? Vamos, señor don Gilito.
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[Vanse.] Salen don Pedro, viejo, leyendo una carta, don Martín, y Osorio. DON PEDRO
(Lee.)
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«Digo, en conclusión, que don Martín, si fuera tan cuerdo como mozo, hiciera dichosa mi vejez, trocando nuestra amistad en parentesco. Ha dado palabra a una dama de esta ciudad, noble y hermosa, pero pobre; y ya vos veis en los tiempos presentes lo que pronostican hermosuras sin hacienda. Llegó este negocio a lo que suelen los de su especie; a arrepentirse él, y a ejecutarle ella por la justicia: ponderad vos lo que sentirá quien pierde vuestro deudo, vuestra nobleza y vuestro mayorazgo, con tal prenda como mi señora doña Inés; pero ya que mi suerte estorba tal ventura, tenelda a no pequeña, que el señor don Gil de Albornoz, que esta lleva, esté en estado de casarse, y deseoso de que sea con las mejoras que en vuestra hija le he ofrecido. Su sangre, discreción, edad y mayorazgo (que heredará brevemente de diez mil ducados de renta) os pueden hacer olvidar el favor que os debo, y dejarme a mí envidioso. La merced que le hiciéredes recibiré en lugar de don Martín, que os besa las manos.
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
E a cui piace divertirsi. Che strada? De las Urosas. Andiamo... (Perché ho notizia della casa dove vive don Pedro. Madrid, ricevi questo nuovo forestiero, sotto il tuo usbergo.) (Carino quel timbro da sbarbatello!) Venite, Caramanchel? Andiamo, signor Gilietto.
[Escono.] Entrano don Pedro, vecchio, che legge una lettera, don Martín e Osorio. DON PEDRO
(Legge.)
«Dico, in conclusione, che don Martín, se fosse tanto saggio quanto giovane, farebbe felice la mia vecchiaia, cambiando la nostra amicizia in parentado. Si è promesso a una dama di questa città, nobile e bella, ma povera; e voi vedete oggigiorno che predice bellezza senza ricchezza. Questa relazione si è conclusa come tutte le altre di quel genere: lui si è pentito e lei lo ha fatto cercare dalla giustizia. Considerate voi il dispiacere di chi perde la vostra parentela, la vostra nobiltà e il vostro maggiorasco con un tesoro come la signora donna Inés; ma, dato che la mia sorte impedisce tanta fortuna, consideratevi non poco fortunato per il fatto che il signor don Gil de Albornoz, latore della presente, sia libero di sposarsi e desideroso di farlo con i vantaggi che in vostra figlia gli ho offerto. La sua nobiltà, saggezza, età e il suo maggiorasco (che erediterà fra breve con una rendita di diecimila ducati) possono farvi dimenticare il favore che vi debbo, e lasciare me invidioso. La benevolenza che gli dimostrerete la riceverò al posto di don Martín, che vi bacia le mani. Date1431
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DON PEDRO
DON MARTÍN
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Dadme muchas y buenas nuevas de vuestra salud y gusto, que el cielo aumente, etc. Valladolid y julio, etc. Don Andrés de Guzmán.» Seáis, señor, mil veces bien venido para alegrar aquesta casa vuestra; 540 que para comprobar lo que he leído, sobra el valor que vuestro talle muestra. Dichosa doña Inés hubiera sido, si para ennoblecer la sangre nuestra, prendas de don Martín con prendas mías 545 regocijaran mis postreros días. Ha muchos años que los dos tenemos recíproca amistad, ya convertida en natural amor, que en los extremos de la primera edad, tarde se olvida; 550 no pocos ha también que no nos vemos, a cuya causa, en descansada vida, quisiera yo, comunicando prendas, juntar como las almas las haciendas. Pero pues don Martín inadvertido 555 hace imposible el dicho casamiento, que vos en su lugar hayáis venido, señor don Gil, me tiene muy contento. No digo que mejora de marido mi Inés; que al fin será encarecimiento 560 de algún modo en agravio de mi amigo; mas que lo juzgo creed, si no lo digo. Comenzáis de manera a aventajaros en hacerme merced, que temeroso, señor don Pedro, de poder pagaros 565 aun en palabras (que en el generoso son prendas de valor), para envidiaros, en obras y en palabras vitorioso, agradezco callando, y mudo muestro que no soy mío ya porque soy vuestro. 570 Deudos tengo en la corte, y muchos dellos títulos, que podrán daros noticia
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DON PEDRO
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mi molte buone nuove della vostra salute e volontà, che il cielo accresca ecc. ecc. Valladolid, luglio ecc. Don Andrés de Guzmán.» Signore, mille volte benvenuto siate, allietando questa casa vostra, ché, a convalidare quanto ho letto, troppo valore il vostro aspetto mostra. Fortunata sarebbe donna Inés se, per nobilitare il sangue nostro, di don Martín e miei cari rampolli rallegrassero i miei ultimi giorni. Sono molti anni che fra noi abbiamo un’intima amicizia, anzi un fraterno amore, che fra gli entusiasmi nato dell’infanzia, di rado si dimentica; è tanto pure che non ci vediamo, e avrei voluto che serenamente, noi, mettendo in comune i nostri affetti, unissimo coi cuori le ricchezze. Ma poiché don Martín, da sprovveduto, impossibile rende un tale evento, che voi al posto suo siate venuto, signor don Gil, mi fa molto contento. Non dico che abbia un migliore marito la mia Inés, perché questo apprezzamento sarebbe quasi un’offesa al mio amico; ma lo penso, seppure non lo dico. Cominciate a tal punto a avvantaggiarvi nel farmi cortesie, che non sperando, signor don Pedro, di poter pagarvi anche in parole (che nel generoso son pegni di valore), onde ammirarvi in opere e in parole vittorioso, vi ringrazio tacendo e muto mostro che già non sono mio perché son vostro. Ho parenti alla corte e, in molti casi, nobili che potranno dar notizia 1433
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DON PEDRO
DON MARTÍN
de quién soy, si os importa conocellos, que la suerte me fue en esto propicia; aunque si os informáis, de los cabellos quedará mi esperanza, que codicia lograr abrazos y cumplir deseos, abreviando noticias y rodeos. Fuera de que mi padre (que quisiera darme en Valladolid esposa a gusto más de su edad que a mi elección) me espera por puntos; y si sabe que a disgusto suyo me caso aquí, de tal manera lo tiene de sentir, que si del susto destas nuevas no muere, ha de estorbarme la dicha que en secreto podéis darme. No tengo yo en tan poco de mi amigo el crédito y estima, que no sobre su firma sola, sin buscar testigo por quien vuestro valor alientos cobre. Negociado tenéis para conmigo; y aunque un hidalgo fuérades tan pobre como el que más, a doña Inés os diera, si don Andrés por vos intercediera. (El embeleco, Osorio, va excelente.)
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(A Osorio) OSORIO [a él]
(Aprieta con la boda, antes que venga doña Juana a estorbarlo.) DON MARTÍN [A Osorio] Brevemente mi diligencia hará que efeto tenga. DON PEDRO No quiero que cojamos de repente, don Gil, a doña Inés, sin que prevenga la prudencia palabras para el susto que suele dar un no esperado gusto. Si verla pretendeis, irá esta tarde a la Huerta del Duque convidada, y sin saber quién sois haréis alarde de vuestra voluntad.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DON PEDRO
DON MARTÍN
di me, se avete voglia di conoscerli, ché la sorte mi fu in questo propizia; quantunque, se vi informate, interdetta la mia speranza resterà, che ambisce a realizzare abbracci e desideri, abbreviando ricerche e complimenti. Oltre a questo, mio padre (che vorrebbe darmi a Valladolid sposa gradita più alla sua età che ai miei gusti) mi aspetta, da un’ora all’altra, e se sa ch’io mi sposo qui contro il suo volere, in tal maniera si dorrà, che se non muore del colpo di questa nuova, verrà a rovinarmi fortuna occulta che potreste darmi. Non stimo del mio amico tanto poco il credito e l’onore che non basti la sua firma, senz’altro testimone, le vostre qualità ad assicurarmi. Per me è come se il patto sia concluso: foste voi pure un gentiluomo povero quanti altri mai, vi darei donna Inés, se don Andrés per voi intercedesse. (L’imbroglio, Osorio, procede assai bene.)
(A Osorio) OSORIO [A lui]
(Le nozze affretta, se non vuoi che venga ad impedirlo donna Juana.) DON MARTÍN [A Osorio.] In breve, il mio zelo lo manderà ad effetto. DON PEDRO Non voglio che cogliamo di sorpresa donna Inés, senza che, don Gil, opponga la prudenza parole al duro assalto che suol dare un piacere inaspettato. Se intendete vederla, questa sera è nel Giardino del Duca invitata, e in incognito le rivelerete i vostri sentimenti.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DON MARTÍN
DON PEDRO
DON MARTÍN
DON PEDRO DON MARTÍN
¡Oh, prenda amada! Camine el sol, por que otro sol aguarde, y deteniendo el paso a su jornada, haga inmóvil su luz para que sea eterno el día que sus ojos vea. Si no tenéis posada prevenida, y esta merece huésped tan honrado, recibiré merced. Apercebida está cerca de aquí, según me han dado noticia, la de un primo; aunque la vida, que en esta sus venturas ha cifrado, hiciera aquí de su contento alarde. En la huerta os espero. El cielo os guarde.
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Vanse. Salen dona Inés y don Juan. DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
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En dando tú en recelar, no acabaremos hogaño. Mucho deseas acabar. Pesado estás hoy y extraño. ¿No ha de pesar un pesar? No vayas hoy, por mi vida (si es que te importa), a la huerta. Si mi prima me convida... Donde no hay voluntad cierta, no falta excusa fingida. ¿Qué disgusto se te sigue de que yo vaya? Parece que el temor que me persigue triste suceso me ofrece, sin que mi amor le mitigue. Pero en fin, ¿te determinas de ir allá?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DON MARTÍN
DON PEDRO
DON MARTÍN
DON PEDRO DON MARTÍN
Oh amore caro! Cammini il sole, in attesa dell’altro, e rallentando il passo al suo viaggio, trattenga la sua luce perché sia eterno il giorno che i suoi occhi veda! Se non avete alloggio prenotato, e il mio merita un ospite sì illustre, favorite da me. Già preavvisato mi dicono sia quello di un cugino che sta qui accanto; anche se la vita, che in questo le orme fortunate ha impresso, vorrebbe qui la sua gioia mostrarvi. Vi aspetto nel giardino. Dio vi guardi. Escono. Entrano donna Inés e don Juan.
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
Se continui a ingelosirti, la finiremo un altr’anno. Proprio vuoi finirla qui. Non ti soffro oggi, sei strano. Non soffrirò io a soffrire? Non andar, per la mia vita, (se ti preme) oggi al giardino. Se mia cugina m’invita… A una volontà malferma non manca scusa fittizia. Ma perché ti infastidisce il fatto che vada? Pare che il timore che mi affligge mi crei un triste presagio, né il mio amore lo addolcisce. Però, insomma, risoluta sei a andar là?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DOÑA INÉS
DON JUAN DOÑA INÉS
Ve tú también, y verás cómo imaginas de mi firmeza no bien. Como en mi alma predominas, obedecerte es forzoso. Celos y escrúpulos son de una especie; y un curioso
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Sale don Pedro.
DON PEDRO
duda de la salvación, don Juan, del escrupuloso. Tú solamente has de ser mi esposo. Ve allá a la tarde. ¡Su esposo! ¿Cómo?
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[Al paño] DON JUAN DOÑA INÉS
A temer voy. Adiós. Él te me guarde. Vase don Juan.
DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO
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Inés. Señor, ¿es querer decirme que tome el manto? Aguardándome estará mi prima. Mucho me espanto de que des palabra ya de casarte. ¿Tiempo tanto ha que dilato el ponerte en estado? ¿Tantas canas peinas, que osas atreverte a dar palabras livianas con que apresures mi muerte? ¿Qué hacía don Juan aquí?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DONNA INÉS
DON JUAN
DONNA INÉS
Vieni con me, e vedrai che male giudichi la mia fedeltà. Poiché sulla mia anima domini, devo obbedirti per forza. Gelosia e scrupoli sembrano di ugual natura; e un ansioso Entra don Pedro.
DON PEDRO
dubita della salvezza, don Juan, di chi è scrupoloso. Tu solamente devi essere mio sposo; vieni stasera. Suo sposo? Come?
[Seminascosto] Temere
DON JUAN
dovrò. Addio. DONNA INÉS
Egli a me ti serbi. Esce don Juan.
DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO
Inés! Signore, vuoi dirmi forse che prenda il mantello? Aspettandomi starà mia cugina. Mi sorprende che parola tu dia già per sposarti. Troppo è il tempo che io tardo a sistemarti? E tu sei già tanto vecchia che ti azzardi a dichiararti con parole assai leggere con cui affretti la mia morte? Che faceva qui don Juan? 1439
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DOÑA INÉS
DON PEDRO
DOÑA INÉS
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No te alteres, que no es justo; que yo palabra le di, presuponiendo tu gusto; y no pierdes, siendo ansí, nada en que don Juan pretenda ser tu yerno, si el valor sabes que ilustra su hacienda. Esposo tienes mejor. Detén al deseo la rienda. No te pensaba dar cuenta tan presto de lo que trazo; pero con tal prisa intenta cumplir tu apetito el plazo (no sé si diga en tu afrenta), que, aunque mude intento, quiero atajarla. Aquí ha venido un bizarro caballero, muy rico y muy bien nacido, de Valladolid. Primero que le admitas, le verás. Diez mil ducados de renta hereda, y espera más, y corre ya por mi cuenta el sí que a don Juan le das. ¿Faltan hombres en Madrid con cuya hacienda y apoyo me cases sin ese ardid? ¿No es mar Madrid? ¿No es arroyo deste mar Valladolid? Pues por un arroyo, ¿olvidas del mar los ricos despojos? ¿O es bien que mi gusto impidas, y, entrando amor por los ojos, dueño me ofrezcas de oídas? Si la codicia civil que a toda vejez infama, te vence, mira que es vil
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DONNA INÉS
DON PEDRO
DONNA INÉS
Non sdegnarti, non è giusto, perché io, parola dando, il tuo assenso ho presupposto. E non perdi niente, infatti, se don Juan pretende d’esserti genero, visto il tenore della sua insigne ricchezza. Ho per te sposo migliore: contieni i tuoi desideri. Non pensavo darti conto così presto di un progetto; ma poiché le tappe brucia così in fretta il tuo appetito, (parlo forse a tua vergogna) pur mutando idea, intendo tagliar corto. Qui è arrivato un distinto cavaliere, molto ricco e assai ben nato, di Valladolid. Già prima di accoglierlo, lo vedrai. Egli eredita una rendita di diecimila ducati, più ne aspetta, e ha per mio conto, il sì che a don Juan tu dai. Mancano uomini a Madrid ricchi e influenti con cui sposarmi senz’altri impicci? Non è Madrid mare? E fiume suo non è Valladolid? E per un fiume dimentichi del mare le ricche spoglie? Vuoi le mie scelte impedire e, entrando amore per gli occhi, sposo a me per fama offrire? Se l’ignobile avarizia, che vecchiaia sempre infama, ti vince, guarda che è un vile 1441
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO
DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO DOÑA INÉS
defeto. ¿Cómo se llama ese hombre? Don Gil. ¿Don Gil? ¿Marido de villancico? ¡Gil! ¡Jesús, no me le nombres! Ponle un cayado y pellico. No repares en los nombres cuando el dueño es noble y rico. Tú le verás, y yo sé que has de volver esta noche perdida por él. Sí haré. Tu prima aguarda en el coche a la puerta. Ya no iré con el gusto que entendí. Denme un manto. Allá ha de estar, que yo se lo dije ansí. ¿Con Gil me quieren casar? ¿Soy yo Teresa? ¡Ay de mí!
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Vanse. Sale doña Juana de hombre. DOÑA JUANA
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A esta huerta he sabido que don Pedro trae a su hija doña Inés, y en ella mi don Martín ingrato piensa vella. Dichosa he sido en descubrir tan presto la casa, los amores y el enredo que no han de conseguir, si de mi parte, Fortuna, mi dolor puede obligarte. En casa de mi opuesta he ya obligado a quien me avise siempre; darle quiero gracias destos milagros al dinero.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO
DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO DONNA INÉS
difetto. Come si chiama quest’uomo? Don Gil. Don Gil? Un marito da strambotto! Gil! Gesù, non se ne parli! Col bastone e il pellicciotto! Non badare tanto ai nomi, se l’uomo è nobile e ricco! Lo vedrai, e sono sicuro che tornerai questa sera di lui invaghita. Sì, proprio! Tua cugina fuori aspetta in carrozza. Non andrò col piacere che credevo. Un mantello! Sarà là, perché io così gli ho detto. Vogliono con Gil sposarmi? Sono io Teresa? Ahimè! Escono. Entra donna Juana vestita da uomo.
DONNA JUANA
Ho saputo che don Pedro conduce sua figlia donna Inés qui nel giardino, e che in esso il mio ingrato don Martín vuol vederla. Son stata fortunata a scoprir presto casa, amori, intrighi, che falliranno se, per la mia parte, il dolore, o Fortuna, può obbligarti. Dove sta la rivale ho incaricato chi deve sempre informarmi: al denaro io rendo grazie di tanto miracolo.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
Sale Caramanchel. CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
CARAMANCHEL
Aquí dijo mi amo hermafrodita que me esperaba; y vive Dios, que pienso que es algún familiar que, en traje de hombre, ha venido a sacarme de jüicio, y, en siéndolo, doy cuenta al Santo Oficio. ¿Caramanchel? ¡Señor! Bene venuto. ¿Adónde bueno o malo por el Prado? Vengo a ver a una dama, por quien bebo los vientos. ¿Vientos bebes? ¡Mal despacho! ¡Barato es el licor, mas no borracho! ¿Y tú la quieres bien? La adoro. ¡Bueno! No os haréis, a lo menos, mucho daño; que en el juego de amor, aunque os déis priesa, si de la barba llego a colegillo, nunca haréis chilindrón, más capadillo. Mas ¿qué música es ésta? Los que vienen con mi dama serán, que convidada a este paraíso, es ángel suyo. Retírate, y verás hoy maravillas. ¿Hay cosa igual? ¡Capón y con cosquillas!
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Músicos cantando; don Juan, doña Inés y doña Clara como de campo. MÚSICOS
(Cantan)
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Alamicos del Prado, fuentes del Duque, despertad a mi niña por que me escuche; y decid que compare con sus arenas,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
Entra Caramanchel. CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA
CARAMANCHEL
Qui ha detto il mio padrone ermafrodita che mi aspettava; e vivaddio penso che qualche spettro, vestito da uomo, sia venuto a privarmi del giudizio. Se è così, lo denunzio al Santo Uffizio. Caramanchel? Signore, benvenuto. Qual buon vento, o cattivo, per il Prado? Sto cercando una dama per cui ho preso una cotta. Una cotta? Brutto affare! È a buon mercato, ma non ubriaca. E le vuoi bene? L’adoro. Benone! Non vi farete almeno troppo male, ché, nel gioco d’amore, pur sforzandovi, se devo giudicare dalla barba, più che scopa, farete mezza carta. Ma che musica è questa? Sarà gente che scorta la mia dama, che invitata in questo paradiso, è angelo suo. Ritirati, e vedrai oggi meraviglie. Che stranezza! Un cappone col prurito!
Musicisti che cantano, don Juan, donna Inés e donna Clara, vestite da campagna. MUSICISTI
(Cantano)
Pioppi belli del Prado, fonti del Duca, svegliate la mia bimba perché mi ascolti; e dite che confronti, con queste arene, 1445
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DOÑA CLARA DOÑA INÉS
DON JUAN
DOÑA INÉS
DON JUAN DOÑA INÉS
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
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sus desdenes y gracias, mi amor y penas; y pues vuestros arroyos saltan y bullen, despertad a mi niña porque me escuche. ¡Bello jardín! Estas parras, destos álamos doseles, que a los cuellos, cual joyeles, entre sus hojas bizarras traen colgando los racimos, nos darán sombra mejor. Si alimenta Baco a Amor, entre sus frutos opimos no se hallará mal el mío. Siéntate aquí, doña Clara, y en esta fuente repara, cuyo cristal puro y frío besos ofrece a la sed. En fin, ¿quisiste venir a esta huerta? A desmentir, señor, a vuestra merced, y examinar mi firmeza. ¿No es mujer bella? El dinero no lo es tanto; aunque prefiero a la suya su belleza. Pues por ella estoy perdido. Hablarla quiero. Bien puedes.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DONNA CLARA DONNA INÉS
DON JUAN
DONNA INÉS
DON JUAN DONNA INÉS
DONNA JUANA
i suoi favori e sdegni, d’amor le mie pene; e poiché i vostri rivi saltano e schiumano, svegliate la mia bimba perché mi ascolti. Bel giardino! Queste pergole che ai pioppi fan baldacchino, e, come tanti monili, fra il magnifico fogliame, portano grappoli appesi, ci daranno ombra migliore. Se alimenta Bacco Amore, in mezzo ai suoi frutti opimi, non ci starà male il mio. Siediti qui, donna Clara, e questa fonte riguarda, che, cristallo puro e freddo, offre i suoi baci alla sete. Dunque, hai voluto venire qui nel giardino? A smentire vossignoria e a provare qual è la mia fedeltà. Non ti par bella?
[A Caramanchel.] CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
Il denaro non lo è tanto, benché ami più quest’ultima beltà. Io sono pazzo di lei. Voglio parlarle. Fa’ pure.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
[Se acerca doña Juana.] DOÑA JUANA
DOÑA CLARA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DON JUAN
DOÑA INÉS DON JUAN
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
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Besando a vuesas mercedes las manos, licencia pido, por forastero siquiera, para gozar el recreo que aquí tan colmado veo. Faltando vos, no lo fuera. ¿De dónde es vuesa merced? En Valladolid nací. ¿Cazolero? Tendré ansí más sazón. Don Juan, haced lugar a este caballero. Pues que mi lado le doy, con él cortesano estoy. [(Ya de celos desespero.)] (¡Qué airoso y gallardo talle! ¡Qué buena cara!) (¡Ay de mí! ¿Mírale doña Inés? Sí. ¡Qué presto empiezo a envidialle!) ¿Y que es de Valladolid vuesarced? ¿Conocerá un don Gil, también de allá, que vino agora a Madrid? ¿Don Gil de qué? ¿Qué sé yo? ¿Puede haber más que un don Gil en todo el mundo? ¿Tan vil es el nombre? ¿Quién creyó que un don fuera guarnición de un Gil, que siendo zagal
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
[Si avvicina donna Juana.] DONNA JUANA
DONNA CLARA DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DON JUAN
DONNA INÉS DON JUAN
DONNA INÉS
DONNA JUANA DONNA INÉS
DONNA JUANA DONNA INÉS
Baciando a queste signore le mani, licenza chiedo da umile forestiero, per godere dello svago che qui al suo colmo mi appare. Senza voi non lo sarebbe. Di dov’è vossignoria? Son nato a Valladolid. Pentolaio? Avrò così più sapore. Don Juan, fate luogo a questo cavaliere. Poiché il mio fianco gli offro, con lui cortese mi mostro. [(Già per gelosia stravedo.)] (Che corpo snello e gagliardo! Che bel viso!) (Donna Inés lo guarda? Povero me! Presto comincio a invidiarlo.) Ah, è di Valladolid vossia? Conoscerà un don Gil, pure di là, venuto or ora a Madrid. Don Gil di che? Che ne so? Ci sarà più di un don Gil in tutto il mondo? Sì vile è il nome? Chi crederebbe che un don fosse pertinenza di un Gil che, essendo pastore,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DON JUAN
DOÑA JUANA DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS
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anda rompiendo sayal de villancico en canción? El nombre es digno de estima, a pagar de mi dinero; y si no... Calla, grosero. Gil es mi amo, y es la prima y el bordón de todo nombre; y en gil se rematan mil; que hay peregil, torongil, cenogil, por que se asombre el mundo de cuán sutil es, cuando rompe cambray; y hasta en Valladolid hay puerta de Teresa Gil. Y yo me llamo también don Gil, al servicio vuestro. ¿Vos don Gil? Si en serlo muestro cosa que no os esté bien, o que no gustéis, desde hoy me volveré a confirmar. Ya no me pienso llamar don Gil; solo aquello soy que vos gustéis. Caballero, no importa a las que aquí están que os llaméis Gil o Beltrán;. sed cortés, y no grosero. Perdonad si os ofendí; que por gusto de una dama... Paso, don Juan. Si se llama don Gil, ¿qué se nos da aquí? (Este es sin duda el que viene a ser mi dueño; y es tal,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
DON JUAN
DONNA JUANA DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS
tela di sacco consuma fra strambotti e villanelle? Il nome è degno di stima, ci scommetto il mio denaro, e se no... Taci, villano. Gil mio padrone è l’acuto ed il basso di ogni nome, e in gil finiscono in mille: c’è peregil, torongil, cenogil, perché stupisca il mondo di quanto è fine quando logora cambrì; perfino a Valladolid c’è porta Teresa Gil. E mi chiamo io così pure don Gil, al servizio vostro. Voi don Gil? Se a esserlo mostro cosa che non vi sta bene o non vi piace, da oggi ritornerò a cresimarmi. Non penso più di chiamarmi don Gil, sono solo quello che vi piace. Cavaliere, a nessuno importa qui che siate Beltrán o Gil. Siate fine e non volgare. Perdonate, se vi ho offeso; per piacere ad una dama... Calma, don Juan. Se si chiama don Gil, che c’importa qui? (Senza dubbio costui viene come sposo mio, ed è tale
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
DOÑA JUANA DON JUAN
DOÑA CLARA
que no me parece mal. ¡Extremada cara tiene!) Pésame de haberos dado disgusto. También a mí, si del límite salí; ya yo estoy desenojado. La música en paz os ponga.
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Levántanse. DOÑA INÉS DON JUAN
DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DOÑA JUANA DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA CLARA
DOÑA INÉS
Salid, señor, a danzar. [(Este don Gil me ha de dar en qué entender; mas disponga el hado lo que quisiere; que doña Inés será mía, y si compite y porfía, tendráse lo que viniere.)] ¿No salís? No danzo yo. ¿Y el señor don Gil? No quiero dar pena a este caballero. Ya mi enojo se acabó. Danzad. Salga, pues, conmigo. (¡Que a esto obligue el ser cortés!) (Un ángel de cristal es el rapaz; cual sombra sigo su talle airoso y gentil. Con doña Inés danzar quiero.) (Ya por el don Gil me muero; que es un brinquillo el don Gil.) Danzan las dos damas y don Gil.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
DONNA JUANA DON JUAN
DONNA CLARA
che non sembra niente male. Ha una faccia singolare!) Mi rincresce se vi ho dato un dispiacere. Anche a me, se mai i limiti ho trasceso: ormai mi sono calmato. La musica vi concili. Si alzano.
DONNA INÉS
Vi invito al ballo, signore.
[A don Juan] DON JUAN
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DONNA JUANA DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN DONNA CLARA
DONNA INÉS
[(Questo don Gil mi darà pensieri; ma che il destino disponga quello che crede. Donna Inés deve esser mia, e se lui insiste e mi sfida, prenderà quel che si merita.)] Non venite? No, non ballo. E don Gil? Non voglio dare pena a questo cavaliere. Già la mia ira è placata. Ballate. Venga con me. (Che vuol dire esser cortesi!) (Angelo di cristallo è il ragazzo ed io ne seguo come ombra il corpo gentile. Ballerò con donna Inés.) (Già per don Gil vengo meno: è un gioiellino don Gil.) Danzano le due dame e don Gil.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO MÚSICOS
(Cantan)
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Al molino del amor alegre la niña va a moler sus esperanzas: quiera Dios que vuelva en paz. En la rueda de los celos el amor muele su pan, que desmenuzan la harina, y la sacan candeal. Río son sus pensamientos, que unos vienen y otros van, y apenas llegó a su orilla, cuando ansí escuchó cantar: «Borbollicos hacen las aguas, cuando ven a mi bien pasar; cantan, brincan, bullen y corren entre conchas de coral, y los pájaros dejan sus nidos, y en las ramas del arrayán vuelan, cruzan, saltan y pican torongil, murta y azahar.» Los bueyes de las sospechas el río agotando van; que donde ellas se confirman, pocas esperanzas hay; y viendo que a falta de agua, parado el molino está, desta suerte le pregunta la niña que empieza a amar: «Molinico ¿por qué no mueles? Porque me beben el agua los bueyes.» Vio al amor lleno de harina, moliendo la libertad de las almas que atormenta, y ansí le cantó al llegar: «Molinero sois, amor, y sois moledor.»
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO MUSICISTI
(Cantano)
Al mulino dell’amore allegra la bimba va a macinare speranze: voglia Dio che torni in pace. Macina Amore il suo pane nella ruota dei tormenti, che tritano la farina e il fior fiore ne ricavano. Sono fiume i suoi pensieri, che ora vengono e ora vanno, e appena toccò la riva, essa così udì cantare: «Bollicine fan le acque del mio tesoro al passaggio; cantano, saltano, schiumano e corrono fra conchiglie di corallo; gli uccelli lasciano il nido e del mirto sopra i rami, volano, frullano, saltano e beccano mortella, melissa e zagara.» I buoi, che sono i sospetti, il fiume van prosciugando, ché là dove essi si affermano, ci sono poche speranze; vedendo che, senza l’acqua, il mulino si è fermato, in questo modo lo interroga la bimba che inizia a amare: «Mulino, perché non macini? Perchè i buoi mi bevon l’acqua». Vide Amore infarinato macinar la libertà delle anime che tormenta, e così cantò al suo arrivo: «Voi siete mugnaio, Amore, e siete macinatore.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO
«Si lo soy, apartesé, que le enharinaré.»
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Acaban el baile. DOÑA INÉS
DOÑA CLARA DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA CLARA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
Don Gil de dos mil donaires, a cada vuelta y mudanza que habéis dado, dio mil vueltas en vuestro favor el alma. Yo sé que a ser dueño mío venís. Perdonad si, ingrata, antes de veros rehusé el bien que mi amor aguarda. ¡Muy enamorada estoy! [(¡Perdida de enamorada me tiene el don Gil de perlas!)] No quiero solo en palabras pagar lo mucho que os debo. Aquel caballero os guarda, y me mira receloso. Voyme. ¿Son celos? No es nada. ¿Sabéis mi casa? Y muy bien. ¿Y no iréis a honrar mi casa, pues por dueño os obedece? A lo menos a rondarla esta noche. Velarela, Argos toda a sus ventanas. Adiós. (¡Que se va! ¡ay de mí!) No haya falta. No habrá falta. Vanse doña Juana y Caramanchel.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO
Se lo sono, si allontani, perché lo infarinerò». Cessano il ballo. DONNA INÉS
DONNA CLARA DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA CLARA DONNA INÉS DONNA JUANA
Don Gil dai duemila incanti, a ogni giravolta e scambio che fate, fa mille svolte a vostro favore l’anima. So che a essere mio sposo venite: io, scusate, ingrata, rifiutai senza vedervi ciò che Amore mi serbava. Molto innamorata sono! [(Pazzamente innamorata m’ha reso il don Gil di perla.)] Non voglio solo parlando pagare il molto che debbo. Quel cavaliere la guardia fa e mi osserva con sospetto. Vado via. Geloso? Affatto. Sapete dove sto? Eccome! Non verrete ad onorare casa in cui siete padrone? Almeno la ronda a fare questa notte. Io veglierò tutta Argo alle sue impannate. Addio. (Se ne va! Ahimè!) Non mancate. No, senz’altro. Escono donna Juana e Caramanchel. 1457
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DOÑA INÉS DON JUAN
DOÑA INÉS
DON JUAN
Don Juan, ¿qué melancolía es esa? Esto es dar al alma desengaños que la curen, y aborrezcan tus mudanzas. ¡Ah, Inés!, en fin, salí cierto. Mi padre viene; remata, o para después olvida pesares. Voyme, tirana; mas tú me lo pagarás.
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Vase. DOÑA INÉS
¡Ay, que me las jura, Clara! Más quiero el pie de don Gil, que la mano de un monarca.
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Salen don Martín y Don Pedro. DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO
¡Inés! Padre de mis ojos, don Gil no es hombre, es la gracia, la sal, el donaire, el gusto que amor en sus cielos guarda. Ya le he visto, ya le quiero, ya le adoro, ya se agravia el alma con dilaciones que martirizan mis ansias. Don Gil, ¿cuándo os vio mi Inés? [Habla bajo con don Martín.]
DON MARTÍN
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Si no es al salir de casa, para venir a esta huerta, no sé yo cuándo.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DONNA INÉS DON JUAN
DONNA INÉS
DON JUAN
Don Juan, che malinconia è questa? È porgere all’anima disinganni che la curino, in odio alla tua incostanza. Ah, Inés, infine son certo! Arriva mio padre: calmati, o rimanda ad altro tempo i crucci. Vado, tiranna, ma tu me la pagherai. Esce.
DONNA INÉS
Ahi, me l’ha giurata, Clara! Più amo il piede di don Gil, che la mano di un monarca. Entrano don Martín e don Pedro.
DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO
Inés. Padre mio diletto, don Gil non è uomo: è grazia, è il sale, il piacere, il fascino che il cielo d’amore abbraccia. Già l’ho visto, già lo amo, già l’adoro, già si esaspera l’anima per ogni indugio torturato dalle ansie. Don Gil, quando Inés vi ha visto? [Parla sottovoce con don Martín.]
DON MARTÍN
Se non uscendo di casa, venendo a questo giardino, non so dire quando.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DON PEDRO
DON MARTÍN
DOÑA INÉS
DON PEDRO DON MARTÍN DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN DOÑA INÉS DON MARTÍN DOÑA INÉS
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Esto basta. Milagros, don Gil, han sido desa presencia bizarra. Negociado habéis por vos; llegad y dalda las gracias. Señora, no sé a quién pida méritos, obras, palabras con que encarecer la suerte que a tanto bien me levanta. ¿Posible es que solo el verme en la calle os diese causa a tanto bien? ¿Es posible que me admitís, prenda cara? Dadme... ¿Qué es esto? ¿Estáis loco? ¡Yo por vos enamorada! Yo a vos, ¿cuándo os vi en mi vida? Hay más donosa maraña? Hija, Inés, ¿perdiste el seso? (¿Qué es esto, cielos?) ¿No acabas de decir que a don Gil viste? ¿Pues bien...? ¿Su talle no ensalzas? Digo que es un ángel, pues. ¿No le ofreces sí y palabra de esposa? ¿Qué sacas deso, que de mis quicios me sacas? Que a don Gil tienes presente. ¿A quién? Al mismo que alabas. Yo soy don Gil, Inés mía. ¿Vos don Gil? Yo. ¡La bobada!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DON PEDRO
DON MARTÍN
DONNA INÉS
DON PEDRO DON MARTÍN DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN DONNA INÉS DON MARTÍN DONNA INÉS
Basta. Son miracoli, don Gil, di una presenza elegante. Trattato avete per voi; andate e ditele grazie. Signora, non so a chi chiedere meriti, parole, fatti, con cui apprezzare la sorte che a tanto bene mi innalza. Dunque soltanto il vedermi per la strada ha suscitato tanto affetto in voi? È possibile, tesoro, che mi accettiate? Datemi... Che? Siete folle? Io di voi innamorata? Di voi? Quando mai vi ho visto? Ma che storiella leggiadra! Inés, hai perso il cervello? (Che vuol dir, cielo?) Non mi hai detto appena che l’hai visto? E allora? La sua prestanza non lodi? Dico che è un angelo. Non gli offri parola e mano di sposa? Che tiri fuori, per farmi uscire dai gangheri? Che don Gil hai qui presente. Ma quale? Quello che esalti. Son io don Gil, Inés mia. Voi don Gil? Sì. Stupidaggini! 1461
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO DON MARTÍN DOÑA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN
DON PEDRO DOÑA INÉS
DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA CLARA DOÑA INÉS DOÑA CLARA
DOÑA INÉS DON MARTÍN: DON PEDRO DOÑA INÉS DON MARTÍN
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Por mi vida, que es el mismo. ¿Don Gil tan lleno de barbas? Es el don Gil que yo adoro un Gilito de esmeraldas. Ella está loca, sin duda. Valladolid es mi patria. De allá es mi don Gil también. Hija, mira que te engañas. En toda Valladolid no hay, doña Inés de mi alma, otro don Gil, sino es yo. ¿Qué señas tiene ese? ¡Aguarda! Una cara como un oro, de almíbar unas palabras, y unas calzas todas verdes, que cielos son, y no calzas. Agora se va de aquí. ¿Don Gil de cómo se llama? Don Gil de las calzas verdes le llamo yo, y esto basta. Ella ha perdido el juicio. ¿Qué será esto, doña Clara? Que a don Gil tengo por dueño. ¿Tú? Yo, pues; y, en yendo a casa, procuraré que mi padre me case con él. El alma te haré yo sacar primero. ¡Hay tal don Gil! Tus mudanzas han de obligarme... Don Gil es mi esposo. ¿Qué te cansas? Yo soy don Gil, Inés mía, cumpla yo tus esperanzas.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO DON MARTÍN DONNA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN
DON PEDRO DONNA INÉS
DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA CLARA DONNA INÉS DONNA CLARA
DONNA INÉS DON MARTÍN DON PEDRO DONNA INÉS DON MARTÍN
Ti assicuro, è proprio lui. Voi don Gil con quella barba? Il don Gil che adoro è un Gilietto di smeraldo. È impazzita, senza dubbio. Valladolid è mia patria. Di lì è anche il mio don Gil. Figlia, guarda che ti inganni. In tutta Valladolid, donna Inés della mia anima, non si trova altro don Gil. Sai dirmi i suoi connotati? Una faccia come l’oro, certe parole mielate, certe calze tutte verdi, che cieli sono e non calze. È uscito or ora di qui. Come, oltre don Gil, si chiama? Don Gil dalle calze verdi io lo chiamo, e questo basta. Ha perduto il comprendonio. Che ne dici, donna Clara? Che don Gil ho per signore. Tu? Sì, e se vado a casa procurerò che mio padre mi sposi con lui. L’anima ti farò cavare prima. Questo don Gil! Le tue smanie mi obbligheranno... Don Gil mio sposo è. Perché ti affanni? Don Gil sono io, mia Inés; compia io le tue speranze.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO PRIMERO DOÑA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN
DON PEDRO DOÑA INÉS
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Don Gil de las calzas verdes he dicho yo. Amor de calzas... ¿Quién le ha visto? Calzas verdes me pongo desde mañana, si esta color apetece. ¡Ven, loca...! ¡Ay, don Gil del alma!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO PRIMO DONNA INÉS DON PEDRO DON MARTÍN
DON PEDRO DONNA INÉS
Don Gil dalle calze verdi dico io. Amor di calze, s’è mai visto? Calze verdi mi metto fin da domani, se le va tale colore. Vieni, pazza. Gil dell’anima!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Salen Quintana y doña Juana, de mujer. QUINTANA
DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA
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No sé a quién te comparar: Pedro de Urdemalas eres. Pero, ¿cuándo las mujeres no supistes enredar? Esto, Quintana, hasta aquí es lo que me ha sucedido. Doña Inés pierde el sentido con la libertad por mí; don Martín anda buscando este don Gil que en su amor y nombre es competidor; mas con tal recato ando huyéndole la presencia, que, desatinado, entiende que soy hechicero o duende. Pierde el viejo la paciencia, porque la tal doña Inés ni sus ruegos obedece, ni a don Martín apetece; y de tal manera es el amor que me ha cobrado, que, como no vuelvo a vella, desde entonces atropella con pundonores de estado; y como de mí no sabe, no hay paje o criado en casa, ni gente por ella pasa, con quien llorando no acabe que me busque. Si te pierdes, quizás te pregonará. A los que me buscan da por señas mis calzas verdes.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano Quintana e donna Juana vestita da donna. QUINTANA
DONNA JUANA
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Non so a chi paragonarti. Tu sei un Pedro de Urdemalas; ma voi donne quando mai non foste brave a imbrogliare? Questo, Quintana, fin qui, è quello che mi è successo: donna Inés perde il cervello con la libertà per me; don Martín cercando va questo don Gil, che in amore è suo rivale e nel nome; però con tanto riguardo io ne fuggo la presenza che sconcertato suppone che sia folletto o stregone. Perde il vecchio la pazienza, perché quella donna Inés preghiere non vuol sentire, né di don Martín sapere; e di tale sorta è l’amore che le ho ispirato che, non tornando io a vederla, essa da allora calpesta la dignità del suo stato; e poiché non ha notizia di me, non c’è servo o paggio né gente per casa passa che non obblighi piangendo a cercarmi. Se ti perdi, forse lancerà dei bandi. A chi cerca per segnale dà le mie calze verdi. 1467
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
QUINTANA
DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA
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Un don Juan que la servía, loco de ver su desdén, para matarme también me busca. Señora mía, ¡ojo a la vida, que anda en terrible tentación! Procede con discreción o perderás la demanda. Yo me libraré de todo. Una doña Clara, que es prima de mi doña Inés, también me quiere de modo, que a su padre ha persuadido, si viva la quiere ver, que me la dé por mujer. Harás notable marido. A este fin me hace buscar casi, Quintana, a pregones, por posadas y mesones, sin cansarse en preguntar por un don Gil de unas calzas verdes, de Valladolid. ¡Señas son para Madrid buenas! Bien tu ingenio ensalzas. El criado que te dije que, en partiéndote de mí, en la Puente recibí, también confuso se aflige; porque desde ayer acá no ha podido descubrirme; ni yo ceso de reírme de ver cuál viene y cuál va, buscándome como aguja por esta calle, después de saber de doña Inés si me esconde alguna bruja,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
QUINTANA
DONNA JUANA
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Un don Juan, suo ammiratore, sdegnato del suo rifiuto, mi perseguita anche lui per uccidermi. Signora, occhio alla vita, che è esposta ad un terribile rischio. Comportati con giudizio, o perderai la tua posta. Io saprò schivare tutto. Certa donna Clara, che è cugina di donna Inés, mi ama anche lei a tale punto che suo padre si è convinto, la sua vita per salvare, a lasciarmela sposare. Sarai proprio un bel marito! Perciò cercare mi fa, quasi, Quintana, con bandi, per alberghi e per locande, mai stanca di domandare di un don Gil con certe calze verdi di Valladolid. Buoni sono per Madrid questi segni! Sei ben scaltra. Anche il servo che ho descritto, che presso al Ponte ho ingaggiato, dopo che tu mi hai lasciato, si preoccupa e rattrista; perché a partire da ieri non ha potuto scovarmi, e io muoio dalle risate vedendo i suoi andirivieni. Mi cerca per questa strada, come un ago, dopo avere domandato a donna Inés se è qualche strega a celarmi, 1469
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
QUINTANA DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA
QUINTANA
DOÑA JUANA
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y como no halla noticia de mí, afirmará por cierto que el dicho don Juan me ha muerto. Pondrale ante la justicia. Bien puede ser, porque es fiel, gran servicial, lindo humor, y me tiene extraño amor. ¿Llámase? Caramanchel. Pues bien, agora ¿a qué fin te has vuelto mujer? Engaños son todos nuevos y extraños en daño de don Martín. Esta casa alquilé ayer con su servicio y ornato. Aunque no saldrá barato, no es nuevo agora el haber en Madrid quien una casa dé, con todo su apatusco. El por qué la alquilas busco. Oye, y sabrás lo que pasa. Pared enmedio de aquí vive doña Inés, la dama de don Martín, que me ama. Esta mañana la vi, y dándome el parabién de la nueva vecindad, tenemos brava amistad; porque afirma quiere bien a un galán de quien retrato soy vivo, y que en mi presencia la aflige menos la ausencia de su proceder ingrato. Si yo su vecina soy, podré saber lo que pasa con don Martín en su casa;
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
QUINTANA DONNA JUANA
QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA
QUINTANA
DONNA JUANA
e non trovando notizie di me, affermerà deciso che quel tal don Juan m’ha ucciso. Lo accuserà alla giustizia. Può darsi, perché è fedele, premuroso, bell’umore, e ha per me uno strano amore. Si chiama? Caramanchel. Ma dimmi, dunque, a che fine sei tornata donna? Inganni sono tutti nuovi e audaci a danno di don Martín. Questa casa ieri ho affittato, con i suoi servizi e mobili. Certo non costerà poco, ma non è raro trovare chi a Madrid oggi una casa ceda con tutto il suo arredo. Perché l’affitti mi chiedo. Ti spiegherò tutto il caso. Proprio qui accanto, a parete, sta donna Inés, che è la dama di don Martín, e che m’ama. Questa mattina l’ho vista, e dandomi il benvenuto lei, come a nuova vicina, abbiamo fatto amicizia. Afferma di amare un giovane, di cui il vivente ritratto sono, e che in mia presenza la turba meno l’assenza che le infligge quell’ingrato. Poiché sono sua vicina, saprò bene quel che capita con don Martín dentro casa; 1471
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA
DOÑA JUANA QUINTANA
DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA
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y como tan cerca estoy, fácilmente desharé cuanto trazare en mi daño. Retrato eres del engaño. Y mi remedio seré. En fin, vienes a tener dos casas. Con mi escudero y lacayo. ¿Y el dinero? Joyas tengo que vender o empeñar. ¿Y si se acaban? Doña Inés contribuirá; que no ama quien no da. En otros tiempos no daban. Vuélvome pues a Vallecas, hasta ver destas marañas el fin. Di de mis hazañas. Yo apostaré que te truecas hoy en hombre y en mujer veinte veces. Las que viere que mi remedio requiere, porque todo es menester; mas, ¿sabes lo que he pensado primero que allá te partas? Que con un pliego de cartas finjas que agora has llegado de Valladolid en busca de mi amante. ¿Y a qué fin? Trae sospechas don Martín de que quien su amor ofusca soy yo, que en su seguimiento desde mi patria he venido,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA
DONNA JUANA QUINTANA
DONNA JUANA
QUINTANA DONNA JUANA
e vivendo a lei dappresso, facilmente disfarò quanto tramasse a mio danno. Sei il ritratto dell’inganno. La mia salvezza sarò. Insomma, ti tocca avere due case. Col mio scudiero e servitore. E il denaro? Ho delle gioie da vendere e impegnare. E se finiscono? Donna Inés mi aiuterà, ché non ama chi non dà. In altri tempi, non davano. Torno a Vallecas e aspetto, l’esito di questi intrighi. Di pure delle mie imprese. In uomo o donna, scommetto, ti cambierai venti volte oggi. Quelle che vedessi al mio disegno propizie e a necessità conformi. Ma sai che cosa ho pensato prima che tu ti allontani? Che con un biglietto in mano finga di essere venuto da Valladolid in cerca del mio amante. Ed a che fine? Ha il sospetto don Martín che chi il suo amore disturba sono io, che per seguirlo la mia patria ho abbandonato
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA
y soy el don Gil fingido. Para que este pensamiento no le asegure, será bien fingir que yo le escribo desde allá y que por él vivo como quien sin alma está. Dirasle tú que me dejas en un convento encerrada, con sospechas de preñada, y darásle muchas quejas de mi parte; y que si sabe mi padre de mi preñez, malograré su vejez, o me ha de dar muerte grave. Con esto le desatino, y creyendo que allá estoy, no dirá que don Gil soy. Voyme a poner de camino. Y yo a escribir. Vamos, pues: darasme la carta escrita. Ven, que espero una visita. ¿Visita? De doña Inés.
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Vanse. Salen doña Inés, con manto, y don Juan. DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS
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Don Juan, donde no hay amor, pedir celos es locura. ¿Que no hay amor? La hermosura del mundo tanto es mayor, cuanto es la naturaleza más varia en él; y así quiero ser mudable, porque espero tener ansí más belleza.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA
e sono il Gil contraffatto. Affinché non si confermi in tal pensiero, sarà bene fingere che scrivo di laggiù, e che per lui vivo a un passo dall’al di là. Gli dirai che mi hai lasciata rinchiusa dentro un convento, che temo d’essere incinta, e per me lamenterai che se mio padre saprà di questa mia condizione, o morirà di dolore, o trucidarmi dovrà. Con questo lo disoriento, e credendo che son lì non dirà che son don Gil. Mi preparo alla partenza. E io a scrivere. Va bene, mi darai poi quanto hai scritto. Vieni, una visita aspetto. Ma di chi? Di donna Inés. Escono. Entrano donna Inés con mantello e don Juan.
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS
Don Juan, quando non c’è amore esser gelosi è demenza. Non c’è amore? La bellezza del mondo tanto è maggiore, quanto è più variata in esso la natura, e così intendo esser varia, perché spero d’avere in me più bellezza. 1475
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DON JUAN
DOÑA INÉS
DON JUAN
DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS
DON JUAN DOÑA INÉS
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Si la que es más varïable, esa es más bella, en ti fundo la hermosura deste mundo, porque eres la más mudable. ¿Por un rapaz me desprecias, antes de saber quién es? ¡Por un niño, doña Inés! Excusa palabras necias, y mira, don Juan, que estoy en casa ajena. Inconstante, no lograrás a tu amante. A matar tu don Gil voy. ¿A qué don Gil? Al rapaz, ingrata, por quien te pierdes. Don Gil de las calzas verdes no es quien perturba tu paz. Así nos dé vida Dios, que no le he visto después de aquella tarde. Otro es el don Gil que priva. ¿Hay dos? Sí, don Juan, que el don Gilico, o fingió llamarse así o si a vivir vino aquí de asiento, te certifico que de todos se burló. El que de casa te ha echado es un don Gil muy barbado a quien aborrezco yo; pero quiéreme casar con él mi padre, y es fuerza que por darle gusto tuerza mi inclinación. Si a matar estotro don Gil te atreves, de Albornoz tiene el renombre,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DON JUAN
DONNA INÉS
DON JUAN
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS
DON JUAN DONNA INÉS
Se colei che è più volubile è più bella, in te riscontro ogni bellezza del mondo, perché sei la più mutevole. Per un ragazzo mi sdegni, senza sapere chi è? Per un bimbo, donna Inés? Evita parole stolte, perché sono in casa altrui, don Juan. O donna incostante! Non avrai mai il tuo amante! Ucciderò il tuo don Gil. Quale don Gil? Quel monello, ingrata, di cui sei pazza. No, non turba la tua pace don Gil dalle calze verdi. Così ci dia vita Iddio come io da quella sera non l’ho più visto. Altri è il favorito. Son due? Sì, don Juan, ché il don Gilietto o un falso nome fornì, o se a viver venne qui stabilmente, ti assicuro che di tutti si burlò. Chi di casa ti ha cacciato è un don Gil molto barbuto, che io proprio non sopporto; ma con lui mi vuol sposare mio padre, e pertanto è bene che per compiacerlo io pieghi la mia volontà. Se uccidere quest’altro don Gil ardisci, de Albornoz è il suo cognome; 1477
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON JUAN DOÑA INÉS
DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
y aunque dicen que es muy hombre, como amor y ánimo lleves, el premio a mi cuenta escribe. ¿Don Gil de Albornoz se llama? Ansí lo dice la fama, y en casa del conde vive, nuestro vecino. ¿Tan cerca? Por tenerme cerca a mí. ¿Y que le aborreces? Sí. Pues si con su muerte merca mi fe tu amor, el laurel ya mi cabeza previene; que te hago voto solene que pueden doblar por él.
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Vase. DOÑA INÉS
¡Ojalá! Que desta suerte aseguraré la vida del don Gil por quien perdida estoy, pues dándole muerte, quedaré libre, y mi padre no aumentará mi tormento con su odioso casamiento, por más que su hacienda cuadre a su avaricia maldita.
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Doña Juana, de mujer, sin manto y Valdivieso, escudero viejo. DOÑA JUANA
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¡Oh, señora doña Inés! ¿En mi casa? El interés estimo desta visita. En verdad que iba yo a hacer en este punto otro tanto.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON JUAN DONNA INÉS
DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
e benché sia un forte uomo, se amore e coraggio è in te, il premio a mio conto ascrivi. Don Gil de Albornoz si chiama? Così riporta la fama, e in casa del conte vive, nostro vicino. Qui presso? Per stare vicino a me. E tu lo detesti? Sì. Se con la sua morte ottiene la mia fedeltà il tuo amore, già cinge alloro il mio capo, ché, ti giuro, suoneranno per lui a morto le campane. Esce.
DONNA INÉS
Magari! Perché in tale modo porrò al sicuro la vita del don Gil di cui invaghita sono, ché se l’altro muore, sarò libera e mio padre mi risparmierà il supplizio del suo odioso sposalizio, per quanto la dote piaccia alla sua indegna avarizia. Donna Juana vestita da donna, senza mantello, Valdivieso, vecchio scudiero.
DONNA JUANA
Oh, signora donna Inés! In casa mia! Il grande onore apprezzo di questa visita; davvero stavo per fare in quest’istante lo stesso. 1479
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
VALDIVIESO
(A ella, al oído)
DOÑA JUANA
¡Hola! ¿No hay quien quite el manto a doña Inés? ¿Qué ha de haber? ¿Qué dueñas has recibido, o doncellas de labor? ¿Hay otra vieja de honor más que yo? No habrá venido Esperancilla ni Vega. ¡Jesús, y qué de ello pasa la que mudando de casa, hacienda y trastos trasiega! Quitalde vos ese manto, Valdivieso.
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Quítale y vase. DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
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Doña Elvira, tu cara y talle me admira, de tu donaire me espanto. Favorécesme, aunque sea en nombre ajeno; ya sé que bien te parezco, en fe del que tu gusto desea. Seré como la ley vieja, que tendré gracia en virtud de la nueva. Juventud tienes harta: extremos deja; que aunque no puedo negar que te amo, porque pareces a quien adoro, mereces por ti sola enamorar a un Adonis, a un Narciso, y al sol que tus ojos viere. Pues yo sé quién no me quiere, aunque otros tiempos me quiso.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Ohé, chi toglie il mantello a donna Inés? VALDIVIESO E chi mai? (Al suo orecchio) Che governanti hai assunto a servizio, o cameriere? C’è qualche vecchia d’onore oltre me? DONNA JUANA Non saran giunte né Esperancilla, né Vega. Dio mio! Che cosa non capita a chi cambiando di casa trasferisce beni e arnesi! Toglietele voi il mantello, Valdivieso. Glielo toglie e se ne va. DONNA INÉS
DONNA JUANA
DONNA INÉS
DONNA JUANA
Donna Elvira, che personale, che viso! Il tuo fascino m’incanta. Mi lusinghi, benché sia merito altrui; se ti piaccio so bene che è grazie a un altro che ti piace veramente. Son come la legge vecchia che ottiene grazia in virtù della nuova. Molto giovane sei: non dir queste sciocchezze; benché non possa negare che ti amo perché sembri colui che adoro, potresti far da sola innamorare un Adone o un Narciso, e con i tuoi occhi il sole. So ben io chi non mi vuole, anche se un tempo mi amò. 1481
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
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¡Maldígale Dios! ¿Quién es quien se atreve a darte enojos? Las lágrimas a los ojos me sacaste, doña Inés. Mudemos conversación, que refrescas la memoria de mi lamentable historia. Si la comunicación quita la melancolía, y en nuestra amistad consientes, tu desgracia es bien me cuentes, pues ya te dije la mía. No, por tus ojos; que amores ajenos cansan. Ea, amiga... En fin, ¿quieres te la diga? Pues escúchame y no llores. En Burgos, noble cabeza de Castilla, me dio el ser don Rodrigo de Cisneros, y sus desgracias con él. Nací amante (¡qué desdicha!), pues desde la cuna amé a un don Miguel de Ribera, tan gentil como cruel. Correspondió a los principios, porque la voluntad es cambio, que entra caudaloso, pero no tarda en romper. Llegó nuestro amor al punto acostumbrado, que fue a pagar yo de contado, fiada en su prometer. Diome palabra de esposo... ¡Mal haya la simple, amén, que no escarmienta en palabras, cuando tantas rotas ve!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS
DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
Maledetto! Chi è costui che osa darti dispiaceri? Le lacrime, donna Inés, fai sgorgare dai miei occhi. Cambiamo argomento, ché mi richiami alla memoria la mia dolorosa storia. Se la comunicazione caccia la malinconia e all’amicizia acconsenti, le tue disgrazie raccontami, giacché ti ho detto le mie. No, ti scongiuro, gli amori altrui stancano. Via, amica... Tutto, insomma, vuoi che dica? Dunque, ascoltami e non piangere. A Burgos, già capitale di Castiglia, l’esistenza don Rodrigo di Cisneros mi dette con le sue pene. Nacqui amante, perché amai dalla culla un don Miguel di Ribera (che sventura!) nobile quanto crudele. Mi corrispose in principio, perché la passione è cambiale prima lucrosa, ma che non tarda a scadere. Giunse il nostro amore al punto solito, quando dovetti pagare io in contanti, credendo alle sue promesse. Ebbi parola di sposo... Guai a quell’ingenua che non diffida di parole, tante volte disattese! 1483
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
Partiose a Valladolid: cansado debió de ser. Estaba sin padres yo, súpelo, fuime tras él, engañome con achaques, y ya sabes, doña Inés, que el amor que anda achacoso, de achaques muere también. Dábale su casa y mesa un primo que don Miguel tenía, mozo y gallardo, rico, discreto y cortés. Llamábase este don Gil de Albornoz y Coronel, de un don Martín de Guzmán amigo, pero no fiel. Sucedió que al don Martín y a su padre don Andrés, les escribió desta corte, (tu padre pienso que fue), pidiéndole para esposo de una hermosa doña Inés, que, si mal no conjeturo, tú sin duda debes ser. Había dado don Martín a una doña Juana fe y palabra de marido; mas no osándola romper, ofreció este casamiento al don Gil; y el interés de tu dote apetecible alas le puso a los pies. Diole cartas de favor el viejo, y quiso con él partirse al punto a esta corte, nueva imagen de Babel. Comunicó intento y cartas 1484
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Partì per Valladolid: forse era stanco di me. Io, priva di genitori, lo seppi, fuggii al suo seguito. M’ingannò con delle scuse, e sai bene, donna Inés, che può morire di scuse un amore cagionevole. Gli prestava casa e mensa un cugino suo che era ricco, giovane, gagliardo, intelligente e cortese. Si chiamava egli don Gil de Albornoz y Coronel, amico di un don Martín di Guzmán, però infedele. Avvenne che a don Martín e a suo padre don Andrés scrissero da questa corte (che fu tuo padre ritengo) chiedendolo come sposo di una bella donna Inés, che, se arrivo a indovinare, tu stessa dovresti essere. Dato aveva don Martín a una donna Juana fede e promessa di marito; non osando romper quella, offrì questo matrimonio a don Gil e l’interesse della tua dote cospicua gli mise le ali ai piedi. Lo fornì di credenziali il vecchio, e poi volle presto recarsi con lui alla corte, nuova sorta di Babele. Comunicò intento e lettere 1485
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
al amigo don Miguel, mi ingrato dueño, ensalzando la hacienda, belleza y ser de su pretendida dama hasta los cielos; que fue echar fuego al apetito, y su codicia encender. Enamorose de oídas don Miguel de ti: al poder de tu dote lo atribuye, que ya amor es mercader; y atropellando amistades, obligación, deudo y fe, de don Gil, le hurtó las cartas y el nombre, porque con él disfrazándose, a esta corte vino, pienso que no ha un mes. Vendiéndose por don Gil, te ha pedido por mujer. Yo, que sigo como sombra sus pasos, vine tras él, sembrando por los caminos quejas, que vendré a coger colmadas de desengaños, que es caudal del bien querer. Sabiendo don Gil su agravio, quiso seguirle también, y encontrámonos los dos, siendo fuerza que con él caminase hasta esta corte, habrá nueve días o diez, donde aguardo la sentencia de mi amor, siendo tú el juez. Como vine con don Gil, y la ocasión siempre fue amiga de novedades, (que basta en fin ser mujer), 1486
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
all’amico don Miguel, mio ingrato amante, esaltando la ricchezza e la presenza della sua futura dama fino al cielo, e con ciò fece divampare il suo appetito e eccitò le sue pretese. Ti amò per sentito dire don Miguel, ed al potere della tua dote lo ascrive, ché oggi Amore mercante è; e calpestando amicizia, fedeltà e parentela con don Gil, gli rubò lettere e nome con cui poi venne travestito a questa corte, penso non è ora un mese. Spacciandosi per don Gil in matrimonio ti chiese. Io, che seguo come un’ombra i suoi passi, gli andai dietro, spandendo, lungo il cammino, pianti, che daranno mèsse copiosa di disinganni, che è il frutto del voler bene. Visto don Gil il suo affronto, volle seguirlo ugualmente, e noi due c’incontrammo, cosicché con lui dovetti pervenire a questa corte, nove giorni fa o dieci, dove aspetto del mio amore, te giudice, la sentenza. Camminando io con don Gil, poiché l’occasione è sempre amica di novità, (per ciò basta essere femmina), 1487
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
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la semejanza hechicera de los dos pudo encender, mirándose él siempre en mí, y yo mirándome en él, descuidos. Enamorose con tantas veras... ¿De quién? De mí. ¿Don Gil de Albornoz? Don Gil, a quien imité en el talle y en la cara, de suerte, que hizo un pincel dos copias y originales prodigiosos esta vez. ¿Uno de unas calzas verdes? Y tan verdes como él, que es abril de la hermosura y del donaire Aranjuez. Bien le quieres, pues le alabas. Quisiérale, amiga, bien, si bien no hubiera querido a quien mal supo querer. Tengo esposo, aunque mudable; soy constante, aunque mujer; nobleza y valor me ilustran; aliento y no celos, ten; que despreciando a don Gil, y viendo que don Miguel tiene ya el sí de tu padre, si sin ti le puede haber, hice alquilar esta casa, donde de cerca sabré el fin de tantas desdichas como en mis sucesos ves. ¿Que don Miguel de Ribera el don Gil fingido fue
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS
la somiglianza intrigante fra noi creare poté, specchiandomi io sempre in lui, e lui specchiandosi in me, turbamenti. Tanto forte s’innamorò egli... Di chi? Di me. Don Gil de Albornoz? Don Gil ch’è identico a me nel viso e nel personale, come se un solo pennello due copie e due originali miracolosi facesse. Quello dalle calze verdi? Sì, proprio come lui verdi, perché è aprile di bellezza e del fascino Aranjuez. Ben lo ami se lo lodi. Io, amica, ben lo amerei, se ben non avessi amato chi male amare mi seppe. Ho sposo, pur se incostante, pur se donna, son fedele: nobiltà e valore mi ornano; sta’ tranquilla, non temere; perché don Gil rifiutando, vedendo che don Miguel già aveva il sì di tuo padre, (se senza te lo può avere) ho affittato questa casa, dove la fine da presso saprò di tante disgrazie quante vedi dagli eventi. Dunque il falso don Gil era quel don Miguel de Ribera,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA
que, dueño tuyo y tu esposo, quiere que yo el sí le dé? Esto es cierto. ¿Que el don Gil verdadero y cierto fue aquel de las verdes calzas? ¡Triste de mí! ¿Qué he de hacer si te sirve, cara Elvira? Y aun por eso no me ve; que no le bastan dos ojos para llorar tu desdén. Como a don Miguel desprecies, también yo desdeñaré a don Gil. ¿Pues deso dudas? Hombre que tiene mujer, ¿cómo puede ser mi esposo? No temas eso. Pues ven; que a don Gil quiero escribir en tu presencia un papel, que llevará mi escudero, y su muerte escrita en él. ¡Ay, Elvira de mis ojos! Tu esclava tengo de ser. (Ya esta boba está en la trampa. Ya soy hombre, ya mujer, ya don Gil, ya doña Elvira. Mas si amo, ¿qué no seré?)
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Vanse. Quintana y don Martín. DON MARTÍN QUINTANA
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¿Y que tú mismo la dejas en un convento, Quintana? Yo mismo, a tu doña Juana, en San Quirce, dando quejas
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DONNA JUANA DONNA INÉS
DONNA JUANA
DONNA INÉS
DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA
che essendo tuo uomo e sposo, il mio consenso si aspetta? Proprio così. E il don Gil vero ed autentico era quello dalle verdi calze? Che farò, povera me, se ti ama, cara Elvira? Anche per ciò non mi vede, ché due occhi non gli bastano per piangere il tuo diniego. Se tu don Miguel rifiuti, io rifiuterò ugualmente don Gil. E forse ne dubiti? Uomo che moglie possiede, come può essere mio sposo? Non temere. Dunque vieni; voglio scrivere a don Gil in tua presenza un biglietto, che porterà il mio scudiero, e la morte scritta in esso. Ah, Elvira degli occhi miei! Sarò tua schiava per sempre! (Già la sciocca è nella trappola. Già io sono maschio e femmina, già don Gil, già donna Elvira; ma se amo, che non devo essere?) Escono. Quintana e don Martín.
DON MARTÍN QUINTANA
Dici che tu l’hai lasciata in un convento, Quintana? Io in persona: donna Juana è a San Quirce, fra lamenti 1491
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON MARTÍN QUINTANA
DON MARTÍN
QUINTANA
DON MARTÍN QUINTANA
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y suspiros, porque está con indicios de preñada. ¿Cómo? No la para nada en el estómago, y da unas arcadas terribles; la basquiña se le aova; pésale más que una arroba el paso que da; imposibles se le antojan... Vituperio de su linaje serás, si a consolarla no vas, y pare en el monasterio. Quintana, jurara yo que desde Valladolid había venido a Madrid a perseguirme. Eso no. Ni haces bien en no tenella en opinión más honrada. ¿No pudiera disfrazada seguirme? ¡Bonita es ella! Esta es la hora que está rezando entre sus iguales los salmos penitenciales por ti. Esa carta, ¿no da certidumbre que te digo la verdad? Quintana, sí. Las quejas que escribe aquí mucho han de poder conmigo. Vine a cierta pretensión a Madrid, que el rey confirme, y partí sin despedirme della, por la dilación forzosa que en mi partida
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON MARTÍN QUINTANA
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DON MARTÍN QUINTANA
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e sospiri, ché presenta sintomi di gravidanza. Come? Non tiene più niente nello stomaco ed avverte certi conati terribili, la gonna le si solleva, più di un macigno le pesa ogni suo passo; impossibili voglie nutre... Maledetto dalla sua stirpe sarai, se a consolarla non vai e partorisce in convento. Quintana, io giurato avrei ch’essa da Valladolid fosse venuta a Madrid, per seguirmi. No, di certo, e fai male a non avere di lei opinione più degna. Non potrebbe travestita seguirmi? Bellina questa! Con le sue compagne sta a quest’ora recitando i salmi penitenziali per te. Non prova la lettera abbastanza che ti dico la verità? Ebbene, sì. Le suppliche che leggo qui mi hanno commosso davvero. Venni per una richiesta, che dal re attende conferma, a Madrid, e partii senza dirle addio per il ritardo che il suo amore alla partenza 1493
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
QUINTANA
DON MARTÍN
QUINTANA DON MARTÍN QUINTANA
DON MARTÍN
QUINTANA DON MARTÍN
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su amor había de poner; pero, pues llego a saber que corre riesgo su vida, y que mi amor coge el fruto que su hermosura me ofrece, cualquier tardanza parece pronóstico de mi luto. Partireme esta semana sin falta, concluya o no a lo que vine. Pues yo tomo la posta mañana, y a pedirla me adelanto las albricias. Bien harás. Hoy esta corte verás, y yo escribiré entretanto. ¿Dónde tienes la posada? Que no te llevo a la mía, porque malograr podría una traza comenzada, que después sabrás despacio. Junto al Mesón de Paredes vivo. Bien. Mañana puedes, si tienes de ir a Palacio, darme las cartas allá. En buen hora. (No he querido que vaya donde he fingido ser don Gil, que deshará la máquina que levanto.) Voyme, pues, a negociar. Adiós.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
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mia doveva provocare. Ma poiché vengo a sapere che la sua vita è in pericolo, e il mio amore coglie il frutto che m’offre la sua bellezza, qualsiasi indugio mi sembra presagio per me di lutto. Me ne vado in settimana, senza fallo, riesca o no ciò per cui sono venuto. Quanto a me, prendo domani la posta e mi affretto a chiederle la mancia. Bene farai. Oggi tu visiterai la città mentre che scrivo. Ma dov’è la tua locanda? Non ti conduco alla mia, perché guastare potrei un progetto già avviato, di cui ti parlerò a comodo. Sto nei pressi dell’albergo di Paredes. Bene. Vedi, andando domani a corte, di portarmi là la lettera. Alla buon’ora! (Ho evitato che si trovi dove ho finto d’esser don Gil: smonterebbe il castello di menzogne.) Io mi accingo a contrattare. Addio.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO QUINTANA
[(¿En qué ha de parar, cielos, embeleco tanto?)] Vase.
DON MARTÍN
Basta, que ya padre soy, basta, que está doña Juana preñada. Afición liviana, villano pago le doy. Con un hijo, es torpe modo el que aquí pretender quiero, indigno de un caballero. Pongamos remedio en todo, dando la vuelta a mi tierra.
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Sale don Juan. DON JUAN
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Señor don Gil de Albornoz, si, como corre la voz, valor vuestro pecho encierra para lucir el acero, al paso que pretender contra su gusto mujer, pensamiento algo grosero, yo, que soy interesado en esta parte, quisiera que saliésemos afuera del lugar, y que en el Prado o Puente, sin que delante tuviésemos tanta gente, mostrásedes ser valiente, como mostráis ser amante. La cólera requemada cortad por lo que os importa: que para quien no la corta, corta cóleras mi espada, que yo, que más flema tengo,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO QUINTANA
[(Dove andrà a parare, cielo, questo grande imbroglio?)] Esce.
DON MARTÍN
Basta, padre oramai sono, basta, incinta è donna Juana. Che affetto superficiale, che brutto premio le offro! Con un figlio, è vergognoso ciò che intraprendere tento, indegno di un cavaliere. Mettiamo rimedio a tutto ritornando alla mia terra. Entra don Juan.
DON JUAN
DON MARTÍN
Signor don Gil de Albornoz, se come corre la voce, tanto valore in voi avete da dare lustro alla spada, e d’altronde pretendete donna contro il suo volere (intenzione assai villana), io che sono interessato alla questione, vorrei che ci trovassimo fuori dall’abitato e nel Prado o sul Ponte, in modo che non ci fosse tanta gente, mostraste d’esser valente come vi mostrate amante. Voi la collera bruciante frenate da parte vostra, che per chi non si controlla, taglia le ire la mia spada, ed essendo io più calmo, 1497
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON JUAN
DON MARTÍN
DON JUAN
DON MARTÍN
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no riño sin ocasión. Si vos tenéis afición, cuando yo a casarme vengo, y me aborrece mi dama, pues en su mano dejó naturaleza el sí y no, y vos presumís que os ama, pretendámosla los dos; que cuando el no me dé a mí y vos salgáis con el sí, no reñiré yo con vos. Ella me ha dicho que es fuerza hacer de su padre el gusto, y que, amándola, no es justo la deje casar por fuerza; y en fe desta sinrazón, o nos hemos de matar, o no os habéis de casar, dejando su pretensión. ¿Doña Inés dice que quiere a su padre obedecer, y mi esposa admite ser? A su inclinación prefiere la caduca voluntad de su padre. Y por ventura, perder esa coyuntura ¿no sería necedad? Si con lo que yo procuro salgo, ¿no es torpe imprudencia el poner en contingencia lo que ya tengo seguro? ¡Muy bueno fuera, por Dios, que después de reducida, si yo no os quito la vida, me la quitásedes vos, perdiendo mujer tan bella,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON JUAN
DON MARTÍN
DON JUAN
DON MARTÍN
non combatto inutilmente. Se voi avete un sentimento, ed io vengo qui a sposarmi, e mi odia la mia dama, poiché natura lasciò in suo potere il sì e il no, e voi pensate che vi ami, domandiamola ambedue; ché, se mi rifiuterà, e voi invece accetterà, non mi batterò con voi. Mi ha detto ch’è giocoforza far di suo padre il volere, ma se l’amo non è bene la lasci sposar per forza; e per questa iniquità o ci dobbiamo scannare, o dovete voi lasciare la pretesa di sposarla. Dunque dice donna Inés che al padre vuole obbedire e mia sposa divenire? Alla sua scelta antepone la cadente volontà di suo padre. E per ventura, perdere questa fortuna non sarebbe assurdità? Se riesco in quel che voglio, non è stupida imprudenza che io a repentaglio metta un possesso già sicuro? Ci mancherebbe, per Dio, che dopo che l’ho ottenuta, se non vi tolgo la vita, la toglieste voi a me, e una donna tanto bella 1499
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON JUAN
y que después de adquirido el nombre de su marido, os la dejase doncella! No, señor: permitid vos que logre de doña Inés la belleza, y de allí a un mes podremos reñir los dos. O hacéis de mí poco caso, o tenéis poco valor; pero a vuestro necio amor sabré yo atajar el paso en parte donde no tema el favor que aquí os provoca.
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Vase. DON MARTÍN
Para su cólera loca, no ha sido mala mi flema. Si está doña Inés resuelta, y a ser mi esposa se allana, perdonará doña Juana, y mi amor dará la vuelta, si a Valladolid quería llevarme; que el interés y beldad de doña Inés excusan la culpa mía.
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Sale Osorio. OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO
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Gracias a Dios que te veo. Seas, Osorio, bien venido. ¿Hay cartas? Cartas ha habido. ¿De mi padre? En el correo a la mitad de su lista,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON JUAN
perdessi, e avendo acquisito titolo di suo marito, ve la lasciassi pulzella! No, signore, permettete che goda di donna Inés la bellezza e di lì a un mese ci batteremo fra noi. O ben poco mi stimate, o voi valete ben poco; però al vostro amore sciocco saprò io sbarrare il passo, dove a temere non abbia il favore che vi appoggia. Esce.
DON MARTÍN
Contro la sua insana collera ha giovato la mia calma. Se donna Inés è decisa, ed a sposarmi si adatta, perdonerà donna Juana, e tornerà Amore indietro, se a Valladolid voleva portarmi, ché la bellezza e dote di donna Inés scusano la colpa mia. Entra Osorio.
OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO
Ringrazio Dio che ti vedo. Osorio, sii il benvenuto. Ci sono lettere? Sì. Di mio padre? Dal corriere alla metà della lista,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
a ciento y doce leí este pliego para ti. Dásele. DON MARTÍN
Libranza habrá a letra vista.
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Ábrele OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN
¿Quién duda? Este sobrescrito dice: «A don Gil de Albornoz». Corre por ti la tal voz. Estotra cubierta quito. Lee.
OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
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«A mi hijo don Martín» Y estotra... «A Agustín Solier de Camargo, mercader». Bien haya el tal Agustín, si en él nos libran dinero. Eso, Osorio, es cosa cierta. ¿Adónde vive? A la puerta de Guadalajara. Quiero besarla por lo que a mí me toca; que ya no había casi blanca. Abro la mía primero. Bien.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
al centododici c’era questa missiva per te. Gliela dà. DON MARTÍN
Sarà una cambiale a vista. La apre.
OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN
Non c’è dubbio. L’indirizzo dice: «A don Gil de Albornoz». Passa per tuo tale nome. Quest’altro involucro levo. Legge.
OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
«A mio figlio don Martín.» E questo... «A Agustín Solier de Camargo, commerciante.» Ben venga questo Agustín, se con lui arriva il denaro. Osorio, puoi starne certo. Dove risiede? Alla porta di Guadalajara. Bramo baciarla per quanto a me compete; ché più non c’era quasi un soldo. Apro la mia prima. Bene.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DON MARTÍN
(Lee.)
OSORIO DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN
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Dice ansí: «Hijo: Cuidadoso estaré hasta saber el fin de nuestra pretensión, cuyos principios, según me avisáis, prometen buen suceso. Para que le consigáis, os remito esta libranza de mil escudos, y esa carta para Agustín Solier, mi corresponsal. Digo en ella que son para don Gil de Albornoz, un deudo mío: no vais vos a cobrarlos, porque os conoce, sino Osorio, diciendo que es mayordomo de dicho don Gil. Doña Juana de Solís falta de su casa desde el día que os partistes; si en ella están confusos, no lo ando yo menos, temiendo no os haya seguido y impida lo que tan bien nos está. Abreviad lances, y en desposándoos, avisadme para que yo al punto me ponga en camino, y tengan fin estas marañas. Dios os me guarde como deseo. Valladolid y agosto, etc. Vuestro padre.» ¿No escuchas que doña Juana falta de su casa? Ya yo sé dónde oculta está; agora llegó Quintana 1625 con carta suya, y por ella he sabido que encerrada está en San Quirce, y preñada. Parirá en fe de doncella. Huyóse sin avisar 1630 a su padre; que, afligida de celos de mi partida, no la darían lugar el sobresalto y la prisa; y esta será la ocasión 1635 de la pena y confusión que aquí mi padre me avisa. Pero entretendrela agora escribiéndola, y después
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DON MARTÍN
(Legge.)
OSORIO DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN
Dice questo: «Figlio mio, sono in pensiero, non sapendo l’esito della vostra pratica, i cui inizi, a vostro parere, promettono una buona riuscita: perché l’otteniate, vi rimetto un versamento di mille scudi e questa lettera per Agustín Solier, mio rappresentante. Dico in essa che sono per don Gil de Albornoz, un mio parente: non andate voi a riscuoterli, perché vi conosce, ma mandateci Osorio, dicendo che è maggiordomo del suddetto don Gil. Donna Juana de Solís manca da casa sua dal giorno in cui siete partito: se i suoi sono preoccupati, non lo sono meno io, temendo che vi abbia seguito e impedisca ciò che tanto ci preme. Abbreviate i preparativi, e quando pensate di sposarvi, avvisatemi perché possa mettermi subito in cammino e finiscano queste complicazioni. Dio vi custodisca come desidero. Valladolid, agosto ecc. Vostro padre». Non senti che donna Juana manca da casa sua? Già so dove nascosta sta: or ora è giunto Quintana con un suo biglietto e quindi ho saputo che a San Quirce è rinchiusa, essendo incinta. Partorirà affé di vergine! Fuggita è senza avvisare suo padre, in quanto che, afflitta da ansie per la mia partenza, non ne avrebbe avuto l’agio, per la sorpresa e la fretta: sarà questa la ragione di quella preoccupazione di cui mio padre mi avvisa; ma saprò tranquillizzarla scrivendole, e dopo che 1505
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
que posea a doña Inés, puesto que mi ausencia llora, la diré que tome estado de religiosa. Si está en San Quirce, ya tendrá lo más del camino andado.
OSORIO
1640
1645
Sale Aguilar. AGUILAR DON MARTÍN AGUILAR
DON MARTÍN
¿Es el señor don Gil? Soy amigo vuestro, Aguilar. Don Pedro os envía a llamar, y por buena nueva os doy que pretende hoy desposaros con su sucesora bella, aunque llantos atropella. Quisiera en albricias daros el Potosí; esta cadena, aunque de poco valor, en fe de vuestro deudor...
1650
1655
Va a echarse don Martín las cartas en la faltriquera; y mételas por entre la sotanilla, y cáensele en el suelo. AGUILAR DON MARTÍN
Para mal de ojos es buena. Vamos, y irás a cobrar esos escudos, Osorio; que si es hoy mi desposorio, todos los he de emplear en joyas para mi esposa. Los dos aparte.
OSORIO
1506
Para su belleza es poco. Bien se dispone.
1660
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
possederò donna Inés, se a rimpiangermi continua, le dirò che prenda il velo di religiosa. Se è a san Quirce, già sarà più che a metà del cammino.
OSORIO
Entra Aguilar. AGUILAR DON MARTÍN AGUILAR
DON MARTÍN
Siete il signor don Gil? Sono amico vostro, Aguilar. Don Pedro vi fa chiamare e il lieto annuncio vi dò che oggi intende maritarvi con la sua bella figliuola, per quanto in pianto si sciolga. Il Potosí vorrei darvi per mancia: questa catena, benché di poco valore, premio sia al vostro favore.
Fa per mettersi le lettere nel borsello; invece se le mette nel gonnellino e gli cadono a terra. AGUILAR DON MARTÍN
È buona per il malocchio. Andiamo, riscuoterai gli scudi che ho detto, Osorio, ché se oggi c’è il matrimonio, li debbo tutti impiegare in gioie per la mia sposa. Tutti e due tra sé.
OSORIO
Per la sua bellezza è poco. Si mette bene. 1507
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
Estoy loco. ¡Ay, mi doña Inés hermosa!
DON MARTÍN
1665
Vanse. Salen doña Juana, de hombre, y Caramanchel. CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA
1508
No he de estar más de un instante, señor don Gil invisible, con vos; que es cosa terrible despareceros delante de los ojos. Si me pierdes... Un pregonero he cansado diciendo: «El que hubiere hallado a un don Gil con calzas verdes, perdido de ayer acá, dígalo y daranle luego su hallazgo.» Ved qué sosiego para quien sin blanca está. Un real de misas he dado a las ánimas por vos, y a San Antonio otros dos, de lo perdido abogado. No quiero más tentación; que me dais que sospechar que sois duende o familiar, y temo a la Inquisición. Pagadme, y adiós. Yo he estado todo este tiempo escondido en una casa que ha sido mi cielo, porque he alcanzado la mejor mujer en ella de Madrid. ¿Chanzas hacéis? ¿Mujer vos? Yo.
1670
1675
1680
1685
1690
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DON MARTÍN
Impazzisco! Ah, mia bella donna Inés!
Escono. Entrano donna Juana vestita da uomo e Caramanchel. CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA
Non devo più di un istante, signor don Gil invisibile, restare con voi; è terribile vedervi sparir davanti ai miei occhi. Se mi perdi... Un banditore ho stancato per dire: «Chi avrà trovato un don Gil con calze verdi, tra ieri e oggi smarrito, lo dica e otterrà una mancia subito». Vedi che pacchia per chi è senza un quattrino! Un reale in messe ho dato alle anime dei morti per voi e due a Sant’Antonio, di cause perse avvocato. Non voglio più tentazioni; ché mi fate sospettare che spettro o folletto siate, e temo l’Inquisizione. Pagatemi e addio. Nascosto per tutto il tempo son stato dentro una casa, e ne ho fatto il mio cielo, perché ho avuto la migliore donna in essa di Madrid. Scherzar volete? Donna voi? Io. 1509
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
Pues ¿tenéis dientes vos para comella? ¿Es acaso doña Inés, la damaza de la huerta, por las verdes calzas muerta? Sí será. A lo menos es otra más bella, que vive pegada a la casa desa. ¿Es juguetona? Es traviesa. ¿Da? Lo que tiene. ¿Y recibe? Lo que la dan. Pues retira la bolsa, imán de una dama. ¿Llámase? Elvira se llama. Elvira, pero sin vira. Ven, llevarasme un papel. Dellos hay un pliego aquí.
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1705
Alza las cartas.
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA
1510
Oye, que son para ti. ¿Para mí, Caramanchel? El sobrescrito rasgado dice: «A don Gil de Albornoz». Muestra. ¡Ay, cielos! En la voz y cara te has alterado. Dos cerradas y una abierta vienen. Mira para quién. Pronósticos de mi bien hacen mi ventura cierta.
1710
1715
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO CARAMANCHEL
DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
E dove avete per un tale pane i denti? È per caso donna Inés, del giardino la gran dama, per le verdi calze pazza? Sarà lei. È nientemeno una più bella e risiede nella casa più vicina. È vivace? Sbarazzina. Dà? Quello che ha. E prende? Ciò che le danno. Tu stringi la borsa: attira ogni dama. Si chiama? Elvira si chiama. Elvira, ma senza verga. Vieni, ti darò un biglietto. Guarda, ce n’è un fascio qui. Raccoglie le lettere.
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA
Sembra che siano per te. Son per me, Caramanchel? Questa busta, che è strappata, dice: «A don Gil de Albornoz». Fa’ vedere! Dio! Alla voce e nel viso sei alterato. Due sono chiuse e una aperta. Guarda a chi sono dirette. Chiari indizi del mio bene la mia sorte fanno certa.
1511
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
Lee.
CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA
«A don Pedro de Mendoza y Velasteguí». Este es el padre de doña Inés. Algún galán de la moza te pone por medianero con su padre, que querrá que le cases. Y hallará a propósito el tercero. Mira esotro sobrescrito. Dice aquí: «A Agustín Solier de Camargo, mercader.» Ya le conozco, un corito es, que tiene más caudal de cuantos la Puerta ampara aquí de Guadalajara. Pues tenlo a buena señal. Esta abierta es para mí. Mírala. (¿Quién duda que es el pliego de don Andrés para don Martín?)
1720
1725
1730
1735
Léela para sí. CARAMANCHEL
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¿Que ansí haya quien hurte en la corte las cartas? ¡Delito grave! Pero si las nuevas sabe a costa no más del porte, ¿quién las dejará de ver? A alguno que las sacó y el pliego por yerro abrió, se le debió de caer.
1740
1745
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Legge.
CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA
«A Don Pedro de Mendoza y Velasteguí.» – Questi è il padre di donna Inés. Sarà qualche pretendente che ti vuole intermediario con suo padre, per sposare la ragazza. E troverà mediatore adatto al caso. Guarda quest’altro indirizzo. Dice: «Ad Agustín Solier, di Camargo, commerciante.» Lo conosco, un asturiano che possiede più denaro che tutto insieme il quartiere quaggiù di Guadalajara. Ritienilo un buon segnale. Questa ch’è aperta è per me. Leggila. (Senza dubbio è il plico di don Andrés per don Martín.) La legge in silenzio.
CARAMANCHEL
È possibile che in città ci sia chi ruba lettere? È un reato grave! Ma se uno le nuove sa a puro prezzo del porto, chi rinunzierà a vederle? Devono essere cascate a chi le ha ritirate e per sbaglio il plico ha aperto.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA
CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA
(¡Dichosa soy en extremo! A buen presagio he tenido que a mi mano hayan venido estas cartas. Ya no temo mal suceso.) ¿Cúyas son? De un mi tío de Segovia. A Inés querrá para novia. Acertaste su intención. Una libranza me envía para que joyas la dé de hasta mil escudos. Fue mi sospecha profecía. ¿Vendrá en Agustín Solier librada. En esta le escribe que los dé luego. Recibe el dinero en tu poder y no me despediré de ti en mi vida. (A Quintana voy a buscar. ¡Qué mañana tan dichosa! ¡Con buen pie me levanté hoy! Marañas traza nuevas mi venganza. Hoy cobrará la libranza Quintana, y de mis hazañas verá presto el fin sutil.) Por si otra vez te me pierdes. me encajo tus calzas verdes. Hoy sabrán quién es don Gil. Vanse.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA
CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA
(Son fortunata davvero! Buon presagio ho ritenuto che in mano mia sian venute queste lettere. Non temo più sfortuna.) Di chi sono? Di un mio zio di Segovia. Vorrà Inés come sua sposa. L’intenzione hai indovinato. Una rimessa m’invia perché le compri gioielli fino a mille scudi. È stato il sospetto profezia. Agustín Solier sarà a versarla? Qui c’è scritto di pagar subito. Sia nelle tue mani il denaro e non mi separerò più da te in vita mia. (Vado a cercare Quintana. Che mattina fortunata! Stamani mi sono alzata col piede giusto. Altre trame medita la mia vendetta. Quintana oggi la rimessa otterrà e delle mie imprese vedrà presto la riuscita.) Ma se ancora tu mi sperdi, entro nelle calze verdi. Sapranno oggi chi è don Gil. Escono.
1515
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
Salen doña Inés y don Pedro, su padre. DOÑA INÉS
DON PEDRO
DOÑA INÉS
DON PEDRO
DOÑA INÉS
1516
Digo, señor, que vives engañado, y que el don Gil fingido que me ofreces, 1775 no es don Gil, ni jamás se lo han llamado. ¿Por qué mintiendo, Inés, me desvaneces? Don Andrés ¿no me ha escrito por este hombre? ¿No dice que es don Gil el que aborreces? Don Miguel de Cisneros es su nombre, 1780 con una doña Elvira desposado; su patria es Burgos; porque más te asombre, la misma doña Elvira me ha contado todo el suceso, que en su busca viene, y del mismo don Gil es un traslado. 1785 Pared en medio desta casa tiene la suya; hablarla puedes y informarte de todo este embeleco, que es solene. Advierte, Inés, que debe de burlarte, pues no puede ser falsa aquesta firma, 1790 ni a la naturaleza engaña el arte. Pues si esa carta tu opinión confirma, repara en que don Gil el verdadero, en quien mi voluntad su amor confirma, es un gallardo y joven caballero, 1795 que por la gracia de un verde vestido con que le ví en la huerta el día primero, calzas verdes le di por apellido. Este, pues, por la fama aficionado de mí o mi dote, y luego persuadido 1800 de don Andrés a que tomase estado, le hizo que viniese con el pliego en su abono, que tanto te ha engañado. Era su amigo don Miguel, y luego que supo dél, estando de partida, 1805 mi hacienda y calidad, encendió fuego el interés que la amistad olvida; y sin mirar que estaba desposado
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Entrano donna Inés e don Pedro, suo padre. DONNA INÉS
DON PEDRO
DONNA INÉS
DON PEDRO
DONNA INÉS
Dico, signore, che ti hanno ingannato, e che il finto don Gil che tu mi offri non è don Gil, né così fu chiamato. Inés, perché mentendo mi confondi? Don Andrés non mi ha scritto per quest’uomo? Non dice che è don Gil colui che aborri? Don Miguel de Cisneros è il suo nome, a certa donna Elvira fidanzato, è nato a Burgos, e per tuo stupore, la stessa donna Elvira mi ha narrato tutta la storia, che a cercarlo viene e del vero don Gil è un duplicato. La mia casa ha in comune una parete con la sua; puoi parlarle ed informarti di tutto questo imbroglio, che è solenne. Inés, attenta, ché deve burlarsi di te; non può esser falsa quella firma, né può ingannare la natura l’arte. Se la lettera la tua idea conferma, sappi dunque che don Gil, quello vero, il cui amore nel mio trova conferma, è un giovane e prestante cavaliere, che io, grazie ad un suo vestito verde, con cui la prima volta nel verziere l’ho visto, ho battezzato calze verdi. Questi, infatti, per fama interessato a me, o alla mia dote, e presto indotto da don Andrés a cambiare di stato, si dispose a venire con quel plico, in suo appoggio, che tanto ti ha ingannato. Era suo amico don Miguel, e appena conobbe, da lui che era di partenza, la mia ricchezza e nobiltà, si accese di bramosia, che scorda l’amicizia, e non pensando che era fidanzato 1517
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA INÉS
con doña Elvira, un tiempo tan querida, teniéndole en su casa aposentado, le hurtó las cartas una noche, y vino por la posta a esta corte disfrazado. Ganole por la mano en el camino; fingió que era don Gil; diote ese pliego, y con él entabló su desatino. El don Gil verdadero vino luego, que fue el que vi en la huerta y al que mira como a su objeto mi amoroso fuego. No osó contradecir tan gran mentira por ver tan apoyado su embeleco, hasta que a verme vino doña Elvira. Esta me dijo el marañoso trueco, y los engaños del don Gil postizo, que funda su esperanza en mármol seco. Doña Elvira, señor, me satisfizo. Mira lo mucho que en casarme pierdes con quien lo está con otra, y esto hizo. ¿Hay semejante embuste? Que te acuerdes deste suceso importa. ¿No vería yo al don Gil de las calzas, Inés, verdes? Doña Elvira me dijo le enviaría a hablarte y verme aquesta misma tarde. Pues ¿cómo tarda? Aún no es pasado el día. Pero ¿no es este, cielos? Haga alarde con su presencia la esperanza mía. Sale doña Juana, de hombre.
DOÑA JUANA
1518
A daros satisfación, señora, de mi tardanza vengo, y a pedir perdón, no de que en mí haya mudanza,
1810
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS DON PEDRO DONNA INÉS
con donna Elvira, un tempo tanto amata, essendo dall’amico suo ospitato, rubò le lettere una notte e venne con la posta alla corte camuffato. Precedette l’amico nel cammino, finse ch’era don Gil, ti dette il plico e su di esso impostò il suo raggiro. L’autentico don Gil arrivò tosto, ossia il don Gil che ho visto nel giardino, e che è oggetto del mio amoroso fuoco. Non osò sconfessare la bugia, vedendo accreditato quell’imbroglio, finché a trovarmi venne donna Elvira. Mi svelò lei il complicato giuoco, e gl’inganni di quel don Gil fittizio, che fonda le speranze sopra il vuoto. Donna Elvira, signore, mi ha convinto. Guarda che errore a sposarmi commetti con chi è promesso a un’altra, e così ha agito. Che orrenda frode! È bene che rammenti quanto succede. Inés, non potrei don Gil vedere dalle calze verdi? Di inviarlo ha promesso donna Elvira proprio stasera a parlarti e a incontrarmi. E perché tarda? Non finito è il dì. Ma non è lui, cielo? Che rianimi la sua presenza la speranza mia. Entra donna Juana vestita da uomo.
DONNA JUANA
Vengo a scusarmi con voi signora, del mio ritardo, ed a chiedervi perdono, non perché ci sia incostanza 1519
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
sino de mi dilación. Hame tenido ocupado estos días el cuidado en que me puso un traidor, que por lograr vuestro amor, hasta el nombre me ha usurpado; no falta de voluntad, pues desde el punto que os vi os rendí la libertad. Yo sé que eso no es ansí; pero sea o no verdad, conoced, señor don Gil, a mi padre que os desea, y entre confusiones mil, persuadilde a que no crea enredos de un pecho vil. A mucha suerte he tenido, señor, haberos hallado aquí, y llegara corrido a no haberme asegurado cartas que hoy he recibido de don Andrés de Guzmán, que quimeras desharán de quien, con firmas hurtadas, pretendió ver malogradas mis esperanzas. Si dan fe y crédito estos renglones,
1840
1845
1850
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Enséñale las cartas. y me abona este papel, no admitáis satisfaciones fingidas de don Miguel, o guardaos de sus traiciones.
1520
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DONNA INÉS
DONNA JUANA
in me, ma per il mio indugio. Sono stato trattenuto dal pensiero che mi ha dato fino ad oggi un traditore, che, mirando al vostro amore, pure il nome mi ha usurpato, non da scarso attaccamento, perché, da quando vi ho visto, la mia libertà ho perso. Io so che non è così, però, sia o no vero questo, mio padre, signor don Gil, vi presento, che vi cerca; voi, tra mille traversie, persuadetelo a non credere agli imbrogli di quel vile. Gran fortuna ho ritenuto, signore, avervi trovato qui, e arriverei confuso se non mi avesse salvato la lettera che oggi ho avuto di don Andrés de Guzmán, che illusioni smentirà di chi, con firme rubate, pretese di funestare le mie speranze. Se hanno queste righe qui un valore, Gli mostra le lettere. e mi accredita il biglietto, non accettate le scuse bugiarde di don Miguel, o schivate il traditore.
1521
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
Míralas don Pedro. DON PEDRO
Yo estoy, señor, satisfecho de lo que decís y afirma vuestro generoso pecho. Esta letra y esta firma, del agravio que os he hecho, (si es que soy yo quien lo hice) fue la causa, y agora es favor con que os autorice. Sí, letra es de don Andrés.
1875
Míralas otra vez. Quiero mirar lo que dice.
1880
Lee para sí [y ellas hablan aparte]. DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DON PEDRO
1522
¿Cómo va de voluntad? Vos, que sus llaves tenéis, por mí la respuesta os dad. Desde ayer acá queréis mucho nuestra vecindad. ¿Desde ayer? Desde que os mira el alma que en ella os ve, y en vuestra ausencia suspira. ¿En mi ausencia? ¿Pues no? ¿A fe? ¿Y no en la de doña Elvira? Aquí otra vez me encomienda don Andrés la conclusión de vuestra boda, y que entienda la mucha satisfación de vuestra sangre y hacienda. ¡El don Miguel de Cisneros es gentil enredador!
1885
1890
1895
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Le legge don Pedro. DON PEDRO
Son, signore, soddisfatto di ciò che dite ed afferma il vostro nobile petto. Questa scrittura e la firma, dell’offesa che vi ho fatto, (se son io che ve la feci), fu la causa, ed ora è favore che vi autorizza. Sì, l’ha scritta don Andrés. Le legge un’altra volta. Voglio veder quel che dice.
Legge in silenzio [e le due donne parlano da una parte]. DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DON PEDRO
Come andiamo con l’amore? Voi che le chiavi ne avete, per me la risposta date. Da ieri in qua, voi richiedete molto il nostro vicinato. Da ieri? Dacché vi mira il cuore che là vi vede e in vostra assenza sospira. In mia assenza? Come no? O in quella di donna Elvira? Qui nuovamente mi affida don Andrés la conclusione delle vostre nozze e dice tutta la soddisfazione della vostra casa e stirpe. Quel don Miguel de Cisneros è un bel tipo d’impostore!
1523
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DOÑA JUANA
DON PEDRO
(Abrázale) DOÑA INÉS
Mucho gusto en conoceros. Hoy habéis de ser señor desta casa. ¡Que teneros por dueño y padre merezco! Mil veces me dad los pies. Los brazos sí que os ofrezco, y en ellos a doña Inés. Mi dicha al cielo agradezco.
1900
1905
Abrázala. DOÑA JUANA
(A ella) DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
Desta suerte satisfago los celos de la vecina que tenéis. Y yo deshago sospechas, porque me inclina vuestro amor. Con ese os pago.
1910
Sale Quintana. QUINTANA DOÑA JUANA
(A él aparte) QUINTANA DOÑA JUANA
(A ellos)
DON PEDRO
DOÑA JUANA
1524
Don Gil mi señor, ¿está aquí? (¡Quintana! ¿has cobrado libranza y escudos ya?) En oro puro y doblado. Yo vendré a la noche acá, que una ocurrencia forzosa, mi bien, me obliga a apartar de vuestra presencia hermosa. No hay para qué dilatar el desposorio, que es cosa que corre peligro. Pues esta noche estoy resuelto en desposarme.
1915
1920
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DONNA JUANA
DON PEDRO
(Lo abbraccia) DONNA INÉS
È un grande onore conoscervi oggi; che siate signore della mia casa! Di avervi per padrone e padre merito? Mi prostrerò ai vostri piedi! Le braccia sì che vi tendo, ed in esse donna Inés. Di ciò rendo grazie al cielo. La abbraccia.
DONNA JUANA
(A lei) DONNA INÉS
DONNA JUANA
In questo modo rimedio alla vostra gelosia, per la vicina. E io i sospetti caccio, per la simpatia che il vostro amore mi ispira. Con esso vi ricompenso. Entra Quintana.
È qui don Gil, mio padrone? Quintana! Hai riscosso già (A lui sottovoce) della rimessa gli scudi? QUINTANA In oro puro e sonante. DONNA JUANA Qua stasera tornerò, (A loro) ché un’improvvisa emergenza mi obbliga, ben mio, a privarmi di così bella presenza. DON PEDRO Non è bene rimandare gli sponsali, perché a rischio è la cosa. DONNA JUANA Questa sera sono deciso a sposarmi. QUINTANA
DONNA JUANA
1525
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DON PEDRO DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA
Mi Inés será vuestra. Habeisme vuelto el alma al cuerpo. ¡Interés dichoso! La vuelta doy luego. [(¡Quimera sutil!)] Adiós, que a Palacio voy. [Vamos, Juana, Elvira, Gil.]
1925
[A ella] DOÑA JUANA
[Gil, Elvira y Juana soy.]
1930
[A él] Vanse los dos. DON PEDRO
¡Qué muchacho y qué discreto el don Gil! Grande amor le he cobrado, te prometo. Vuélvame el enredador a casa, verá el efeto de sus embustes.
1935
Salen don don Martín y Osorio [y hablan a otro lado]. DON MARTÍN
OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
1526
¿Adónde se me pudieron caer? Si lo advertiste, responde. Pues, ¿puédolo yo saber? ¿Junto a la casa del Conde no las leíste? ¿Has mirado todo lo que hay desde allí? De modo que no he dejado un solo átomo hasta aquí.
1940
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
Sarà vostra la mia Inés. Voi mi avete riportato l’anima in corpo. DONNA INÉS Oh, interesse fortunato! DONNA JUANA Torno subito. QUINTANA [(Che ingannevole miraggio!)] DONNA JUANA Addio, mi reco alla corte. QUINTANA [A lei] [Juana, Elvira, Gil, andiamo.] DONNA JUANA [Gil, Elvira e Juana sono.] [A lui] DON PEDRO
DONNA JUANA
Escono ambedue. DON PEDRO
Che ragazzo intelligente è quel don Gil! Grande amore mi ha ispirato, stanne certo. Se torna quell’imbroglione, a casa, vedrà l’effetto delle sue frodi.
Entrano don Martín e Osorio [e parlano dall’altra parte.] DON MARTÍN
OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
Ma dove mi son potute cadere? Se sai qualcosa, rispondi. E come posso saperlo? Presso la casa del conte non le hai lette? Hai ben guardato tutto il tragitto da lì? Tanto che non ho lasciato un solo atomo fin qui!
1527
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN
¿Hay hombre más desdichado? ¡Pliego y escudos perdidos! Haz cuenta que los jugaste, en vez de comprar vestidos y joyas. ¿No lo miraste bien? Con todos mis sentidos. Pues vuelve, que podrá ser los halles. ¡Linda esperanza! Pero no: ve al mercader, que no acepte la libranza. Eso es mejor. ¡Que a perder un pliego de cartas venga un hombre como yo!
1945
1950
1955
[Ven a los otros.] OSORIO DON MARTÍN OSORIO
Aquí está tu dama. Hoy se venga su menosprecio de mí. Ruega a Dios que no la tenga pagada.
1960
Vase Osorio. DON MARTÍN DON PEDRO
1528
¡Oh, señores! (Quiero disimular mi pesar.) ¿Es digno de un caballero, don Miguel, el enredar con disfraces de embustero? ¿Es bien que os finjáis don Gil de Albornoz, si don Miguel sois, y con astucias mil,
1965
TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN OSORIO DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN
C’è uomo più sventurato? Lettera e scudi son persi! Fai conto che li hai giocati invece di comprar vesti e gioielli. Ma hai guardato bene? Con tutti i miei sensi. Torna allora, potrà darsi che li trovi. Pia illusione! Anzi no; va dal mercante digli che la commissione non accetti. Meglio andrà. Ma che un uomo par mio perda un fascio di lettere! [Vedono gli altri.]
OSORIO DON MARTÍN OSORIO
Ecco la tua dama. Oggi si vendica il suo disprezzo di me. Prega il Cielo che non sia già pagata. Esce Osorio.
DON MARTÍN DON PEDRO
Ohé signori! (Dissimulerò i miei crucci.) È degno di un cavaliere, don Miguel, usare trucchi, e maschere da impostore? Bene è fingersi don Gil de Albornoz, se don Miguel siete, e con astuzie mille, 1529
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO
DON MARTÍN DON PEDRO
DON MARTÍN DON PEDRO DON MARTÍN DOÑA INÉS DON MARTÍN DOÑA INÉS
DON MARTÍN
DON PEDRO
DON MARTÍN DON PEDRO
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siendo ladrón de un papel, queráis por medio tan vil usurparle a vuestro amigo el nombre, opinión y dama? ¿Qué decís? Esto que digo, y guardaos que desta trama no os haga dar el castigo que merecéis. Si os llamáis vos don Miguel de Cisneros, ¿para qué nombres trocáis? ¿Yo? No acabo de entenderos. ¡Qué bien lo disimuláis! ¿Yo don Miguel? Ya sabemos que sois de Burgos. Mentira solene. ¡Buenos extremos! Cumplid la fe a doña Elvira, o a la justicia diremos cuán grande embelecador sois. ¡Pues habeisme cogido los dos de muy buen humor, en ocasión que he perdido seso y escudos! Señor, ¿quién es el autor cruel de quimera tan sutil? Sabed, señor don Miguel, que el verdadero don Gil se va agora de aquí, y dél tengo la satisfación que vuestro crédito pierde. ¿Qué don Gil o maldición es este? Don Gil el verde.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO
DON MARTÍN DON PEDRO
DON MARTÍN DON PEDRO DON MARTÍN DONNA INÉS DON MARTÍN DONNA INÉS
DON MARTÍN
DON PEDRO
DON MARTÍN DON PEDRO
ladro essendo di una lettera, con un mezzo tanto vile, usurpare a un vostro amico, nome, credito, e anche dama? Che dite? Quello che dico: badate che di tal trama non vi procuri il castigo che meritate. Chiamandovi voi don Miguel de Cisneros, perché mai i nomi alterate? Io? Non riesco a capirvi. Bene, sì, dissimulate! Io don Miguel? Lo sappiamo ormai che di Burgos siete. È una solenne bugia. Ma che faccia tosta avete! Mantenete a donna Elvira la promessa, o noi diremo alla giustizia che grande imbroglione siete voi. Per l’appunto mi trovate voi due del migliore umore, nel momento in cui ho perso testa e scudi. Ma, signore, qual è l’autore crudele di invenzione sì sottile? Sappiate, signor Miguel, che l’autentico don Gil esce ora da qui e ottengo da lui la compensazione della stima per voi persa. Che Gil o maledizione è questa? Don Gil il verde.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO DOÑA INÉS DON PEDRO
DON MARTÍN
DOÑA INÉS
Y el blanco de mi afición. Id a Burgos entre tanto que él se casa, y haréis bien, y no finjáis ese espanto. ¡Válgate el demonio, amén, por don Gil o por encanto! ¡Vive Dios, que algún traidor os ha venido a engañar! Oíd... Pasito, señor, que le haremos castigar por archi-embelecador.
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Vanse los dos. [DON MARTÍN]
¿Hay confusión semejante? ¡Que este don Gil me persiga invisible cada instante, y que, por más que le siga, nunca le encuentre delante! Estoy tan desesperado, que por toparme con él diera cuanto he granjeado. ¡Yo en Burgos! ¡Yo don Miguel!
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Sale Osorio. OSORIO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN
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¡Buen lance habemos echado! ¿Has hablado al mercader? Más me valiera que no. Un don Gil o Lucifer, todo el dinero cobró. Malgesí debe de ser. ¿Don Gil?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO DONNA INÉS DON PEDRO
DON MARTÍN
DONNA INÉS
E il bersaglio del mio amore. Andate a Burgos intanto che si sposa e ben farete voi a non fingervi tanto stupito. Ti porti il diavolo, col tuo Gil o col tuo incanto! Vivaddio, ché un traditore è venuto ad ingannarvi. Sentite... Piano, signore, lo faremo castigare come superimbroglione. Escono ambedue.
[DON MARTÍN]
Che situazione angosciante! Che questo don Gil mi segua invisibile ogni istante, e per quanto io lo insegua, mai me lo trovi davanti! Sono tanto disperato che per scoprire chi è darei quanto ho accumulato. Io a Burgos? Io don Miguel? Entra Osorio.
OSORIO DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN
Bel disastro c’è toccato! Hai parlato col mercante? Meglio non l’avessi fatto! Un don Gil, o Satanasso, tutto il denaro ha riscosso. Sarà un Malagigi errante. Don Gil?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO SEGUNDO OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN
OSORIO
DON MARTÍN
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De Albornoz se firma, dándole carta de pago. Solier me enseñó su firma. Este don Gil será estrago de toda mi casa. Afirma el Solier que anda vestido de verde, porque te acuerdes de lo que has por él perdido. Don Gil de las calzas verdes ha de quitarme el sentido. Ninguno me haga creer sino que se disfrazó, para obligarme a perder, algún demonio, y me hurtó las cartas que al mercader ha dado. Hará enredos mil; que sabe muchas vejeces el enemigo sutil. Ven, [señor]. ¡Jesús mil veces! ¡Válgate el diablo, el don Gil!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO SECONDO OSORIO
DON MARTÍN OSORIO
DON MARTÍN
OSORIO
DON MARTÍN
De Albornoz si firma. Solier sopra la quietanza me ne ha indicato la firma. Questo don Gil la disgrazia sarà di casa mia. Afferma Solier che gira vestito di verde, per ricordarti quello che per lui hai perso. Don Gil dalle calze verdi mi farà uscire di senno. Nessuno può persuadermi che non si sia camuffato, per riuscire a rovinarmi, qualche demonio, e rubato mi abbia le lettere, quelle che al mercante ha consegnato. Ordirà mille raggiri, ché sa molte vecchie trappole quell’ingegnoso nemico. Vieni, signore. Per Dio, vada al diavolo don Gil!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO Salen don Martín y Quintana. DON MARTÍN
QUINTANA DON MARTÍN QUINTANA
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No digas más; basta y sobra saber por mi mal, Quintana, que murió mi doña Juana. Muy justa venganza cobra el cielo de mi crueldad, de mi ingratitud y olvido. El que su homicida ha sido soy yo, no su enfermedad. Déjame contarte el cómo sucedió su muerte en suma. Vuela el mal con pies de pluma, viene el bien con pies de plomo. Llegué no poco contento con tu carta, en que fundé albricias que no cobré. Regocijose el convento, salió a una red doña Juana; díjela que en breves días en su presencia estarías, que su sospecha era vana. Leyó tu carta tres veces, y cuando iba a desprender joyas con que enriquecer mis albricias (todas nueces, gran rüido y poco fruto), dijéronla que venía su padre, y que pretendía convertir su gozo en luto, dando venganza a su honor. Encontráronse a la par el placer con el pesar, la esperanza y el temor; y como estaba preñada,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano don Martín e Quintana. DON MARTÍN
QUINTANA DON MARTÍN QUINTANA
Non parlar più: basta e avanza saper, purtroppo, Quintana che è morta donna Juana. Il cielo giusta vendetta fa di ogni mia crudeltà, ingratitudine e oblio; ad ucciderla fui io, e non la sua infermità. Lascia che racconti il modo in cui la morte è avvenuta. Se il male ha piedi di piuma, il bene ha quelli di piombo. Giunsi non poco contento con la tua lettera e attesi una mancia che non ebbi. Se ne rallegrò il convento; fu alla grata donna Juana, le dissi che in breve tempo arrivavi in sua presenza, che i suoi sospetti eran vani. Lesse tre volte il messaggio e quando stava scegliendo gioielli con cui arricchire la mia mancia (solamente noci, chiasso e poco frutto), le dissero che giungeva il padre suo e che voleva cambiar la sua gioia in lutto, per vendicare il suo onore. Si scontrarono alla pari il dolore ed il piacere, la speranza ed il timore, e, poiché gravida era, 1537
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DON MARTÍN QUINTANA
DON MARTÍN
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fue el susto tan repentino que a malparir al fin vino una niña mal formada. Y ella, al dar el primer grito, dijo Adiós, don Mar... y en fin, quedándose con el tín, murió como un pajarito. No digas más. Ni aunque quiera podré, porque en pena tanta, tengo el alma a la garganta, y a un suspiro saldrá fuera. (¿Agora que no hay remedio, osáis, temor atrevido, echar del alma el olvido, y entraros vos de por medio? ¿Agora llora y suspira mi pena? ¿Agora pesar?) (No sé en lo que ha de parar tanta suma de mentira.) No es posible, sino que es el espíritu inocente de doña Juana el que siente que yo quiera a doña Inés; y que en castigo y venganza del mal pago que la di, se finge don Gil, y aquí hace guerra a mi esperanza. Porque el perseguirme tanto, el no haber parte o lugar adonde a darme pesar no acuda, si no es encanto, ¿qué otra cosa puede ser? El no dejar casa o calle que no busque por hallalle, el nunca llegarle a ver, el llamarse de mi nombre,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
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fu sì forte lo spavento che finì per dare al mondo una bimba malformata. E lei, dopo il primo grido, disse: Addio, Mar..., ed infine senza poter dire tin, spirò come un uccellino. Non parlar più. Anche volessi non potrei, ché dal dolore mi ritrovo il cuore in gola, e ad un sospiro se n’esce. (Ora che non c’è rimedio osi, timore sfacciato, cacciare l’oblio dall’anima ed entrare tu di mezzo? Ora piange, ora sospira la mia pena? Ora l’affanno?) (Non so dove andrà a parare questo mucchio di bugie.) Solo immagino che sia quello spirito innocente di donna Juana dolente perché amo donna Inés, la quale, per vendicarsi della triste ricompensa, si finge don Gil e guerra muove qui alla mia speranza. Perché un tale inseguimento, che non ci sia parte o luogo dove a procurarmi noie non giunga, non è incantesimo? Che può essere altrimenti? Il non lasciar casa o strada ch’io non frughi per trovarlo senza riuscire a vederlo, il chiamarsi col mio nome, 1539
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
QUINTANA
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¿no es todo esto conjetura de que es su alma que procura que la vengue y que me asombre? (¡Esto es bueno! Doña Juana cree que es alma que anda en pena. ¿Vio el mundo chanza más buena? Pues no le ha de salir vana porque tengo de apoyar este disparate.) A mí parecíame hasta aquí lo que escuchaba contar, desde el día que murió mi señora, que sería sueño que a la fantasía el pesar representó; pero después que te escucho que el alma de mi señora te persigue cada hora, no tendré, señor, a mucho lo que en Valladolid pasa. Pues, ¿qué es lo que allá se dice? Temo que te escandalice; pero no hay persona en casa de mi señor tan osada, que duerma sin compañía, si no fui yo, desde el día que murió la mal lograda; porque se les aparece con vestido varonil, diciendo que es un don Gil, en cuyo hábito padece, porque tú con este nombre andas aquí disfrazado, y sus penas has causado. Su padre, en traje de hombre, todo de verde, la vio una noche, y que decía
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
QUINTANA
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tutto questo non rivela ch’è la sua anima che cerca la sua vendetta e il mio orrore? (Questa è bella! Donna Juana è per lui un’anima in pena! Bella frottola davvero! Ma non gli riuscirà vana, perché penso di sfruttare quest’assurdità). Finora avevo la convinzione che quello che si narrava della mia signora fosse solo un sogno che il dolore alla fantasia creava; però dopo quanto ho udito sulla mia morta signora che ti insegue ad ogni ora, non dovrà stupirmi quello che accade a Valladolid. Cosa dunque là si dice? Temo di scandalizzarti, ma non c’è nessuno in casa del mio signore sì ardito che vada a dormire solo, eccetto me, fin dal giorno che morì quell’infelice, perché a tutti appare sempre con un abito maschile proclamandosi don Gil nelle cui sembianze è in pena, dato che con questo nome te ne vai qui mascherato e le sue angosce hai causato. A suo padre in veste da uomo tutta di verde è comparsa una notte che diceva
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
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que a perseguirte venía; y aunque el buen viejo mandó decir cien misas por ella, afirman que no ha cesado de aparecerse. El cuidado causé yo de su querella. ¿Y es verdad, señor, que aquí te llamas don Gil? Mi olvido y ingratitud ha querido que me llame, amigo, ansí. Vine a esta corte a casarme, y ofendiendo su belleza codiciando la riqueza de una doña Inés, que a darme el justo castigo viene que mi crueldad mereció. En don Gil me transformó mi padre; la culpa tiene destas desgracias, Quintana, su codicia y interés. Pues no dudes de que es el alma de doña Juana la que por Valladolid causa temores y miedos, y dispone los enredos que te asombran en Madrid. Pero, ¿piénsaste casar con doña Inés? Si murió doña Juana, y me mandó mi avaro padre intentar este triste casamiento, no concluirle sería de algún modo afrenta mía.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
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che ad inseguirti veniva, e pur se il buon vecchio ha fatto dir cento messe per lei, sembra che non abbia smesso di apparire. Io la pena causai del suo lamento. Vero è, signore, che qui ti chiami don Gil? Han voluto la slealtà e l’ingratitudine che mi chiami così, amico. Venni alla corte a sposarmi sprezzando la sua bellezza e attratto dalla ricchezza di una donna Inés che a darmi il giusto castigo viene che crudele ho meritato. In don Gil m’ha trasformato mio padre; colpa di queste disgrazie sono, Quintana, l’avarizia e l’interesse. Allora senz’altro è l’anima di donna Juana quella che a Valladolid causa timori e sgomenti, e provoca gli incidenti che ti turbano a Madrid. Però hai in mente di sposarti con donna Inés? Poiché morta è donna Juana e mi ha imposto l’avidità di mio padre questo triste sposalizio, non concluderlo sarebbe una vergogna per me.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO QUINTANA
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¿Cómo saldrás con tu intento, si una alma del purgatorio a doña Inés solicita, y la esperanza te quita que tienes del desposorio? Misas y oraciones son las que las almas amansan, que, en fin, con ellas descansan. Vamos, que en esta ocasión en el Carmen y Vitoria haré que se digan mil. (A puras misas, don Gil, os llevan vivo a la gloria.)
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Vanse. Doña Inés y Caramanchel. DOÑA INÉS CARAMANCHEL
DOÑA INÉS CARAMANCHEL
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¿Dónde está vuestro señor? ¿Selo yo, aunque traiga antojos, y le mire con más ojos que una puente? Es arador que de vista se me pierde. Por más que le busco y llamo, nunca quiere mi verde amo que en sus calzas me dé un verde. Aquí le vi no ha dos credos; y aunque estaba en mi presencia, cual dinero de Valencia se me perdió entre los dedos; mas tal anda el motolito por una vuestra vecina, que es hija de Celestina y le gazmió en el garlito. ¿A vecina nuestra quiere don Gil? A una doña Elvira, desde que le sirvo, mira
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO QUINTANA
DON MARTÍN
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E come potrai riuscirci, se un’anima del purgatorio a donna Inés va d’intorno e la speranza ti toglie che serbi del matrimonio? Son le messe e le orazioni quelle che le anime placano, ché in esse, infine, si acquietano. Suvvia, ché in questa occasione al Carmen e alla Victoria, ne farò dir più di mille. (A suon di messe, don Gil, vi portan vivo alla gloria!) Escono. Donna Inés e Caramanchel.
DONNA INÉS CARAMANCHEL
DONNA INÉS CARAMANCHEL
Il signor vostro dov’è? Che ne so, per quanto inforchi occhiali e abbia più occhi d’un ponte? È come una zecca che perdo sempre di vista. Più lo cerco e meno vuole darmi, il mio verde padrone, nelle calze un qualche sfizio. Due minuti fa l’ho visto, e pur se era in mia presenza, come un soldo di Valenza m’è sgusciato dalle dita; così agisce il bischerello per colpa di una vicina che, figlia di Celestina, gli ha messo la corda al collo. La nostra vicina ama don Gil? A una certa Elvira, dacché lo servo, lui mira 1545
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA INÉS CARAMANCHEL
DOÑA INÉS CARAMANCHEL
DOÑA INÉS
CARAMANCHEL
de tal suerte, que se muere, señora, por sus pedazos. ¿Sabéis vos eso? Sé yo que esta noche la pasó, cuando menos, en sus brazos. ¿Esta noche? Sí, ¿Os remuerde la conciencia? Y otras mil, que aunque es lampiño el don Gil, en obras y en nombre es verde. Vos sois un grande hablador, y mentís; porque esa dama es mujer de buena fama, y tiene mucho valor. Si es verdad, o si es mentira, lo que digo sé por él, y por el dicho papel
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Enséñasele.
DOÑA INÉS CARAMANCHEL DOÑA INÉS CARAMANCHEL
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que traigo a la tal Elvira. Está su casa cerrada, y mientras que vuelve a ella paje, escudero o doncella (que no debe haber criada que no sepa lo que pasa) y el papel la pueda dar, a mi amo entré a buscar, por si estaba en vuestra casa. ¿De don Gil es ése? Sí. Pues bien, ¿por fuerza ha de ser de amores? Llegá a leer lo que podáis por aquí,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
DONNA INÉS CARAMANCHEL
DONNA INÉS CARAMANCHEL
DONNA INÉS
CARAMANCHEL
tanto da fare pensare che l’ami perdutamente. Ne siete sicuro? Io so perlomeno che passò la notte fra le sue braccia. Stanotte? Sì. Vi rimorde la coscienza? E altre mille ché, pur se imberbe è il don Gil, di nome e di fatto è verde. Siete un grande maldicente e mentite, ché la dama è donna di buona fama e di valore eccellente. Se sia falso o sia bugia, quanto dico so da lui, e dal presente biglietto Glielo mostra.
DONNA INÉS CARAMANCHEL DONNA INÉS CARAMANCHEL
che porto alla tale Elvira. È sbarrata la sua casa, e aspettando che vi rientri paggio, scudiero o fantesca (ché non vi sia serva, immagino, che non sappia quanto accade) e il biglietto le consegni, il padrone a cercar venni, se per caso da voi stava. È di don Gil questo? Sì. Ebbene, perché dev’essere d’amore? Venite a leggere quanto potete da qui;
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Por entre las dobleces del papel. que yo que siempre he pecado de curioso y resabido, las razones he leído que hacia aquí se han asomado. Enséñasele leyendo.
DOÑA INÉS
¿Aquí no dice: «Inés vengo... deseo... me da disgusto?» ¿No dice aquí: «plazo justo.» Y allí: «noche... gusto tengo..» Y hacia aquella parte: «tarde... amor... a doña... a ver voy...» y a aquel lado: «vuestro soy...» Luego: «mío. El cielo os guarde?» ¡Ved si es barro el papelillo! Todo esto es plata quebrada: saque vusté, si le agrada, el hilo por el ovillo. A lo menos sacaré,
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Quítasele.
CARAMANCHEL DOÑA INÉS CARAMANCHEL DOÑA INÉS
(Ábrele y léele)
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leyéndole, el falso trato de un traidor y de un ingrato. Eso, nones; suéltele, que me reñirá don Gil. Alcahuete, ¿he de dar voces? ¿He de hacer que os den mil coces? Dos da un asno, que no mil. «No hallo contento y gusto cuando con vos no le tengo, puesto que a ver a Inés vengo a costa de mi disgusto. Ya deseo el plazo justo
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Fra le pieghe del biglietto. ch’io, che sono sempre stato un curioso ed un saccente, ho già letto gli argomenti che fin qui sono spuntati. Glielo mostra leggendo.
DONNA INÉS
Qui non dice: «Inés, vado...» E qui: «anelo... il mio disgusto?» E qui non: «pace né gusto...» e lì: «notte... avrò piacere...» e nell’angolo: «stasera... amore... da donna... andrò...» e in quell’altro: «sono vostro...» e poi: «mio. Vi guardi il cielo?» Vi par da poco il messaggio? Val tant’oro quanto pesa! Tragga vossia, se le piace, il bandolo dalla matassa! Almeno ne dedurrò Glielo toglie.
CARAMANCHEL DONNA INÉS CARAMANCHEL DONNA INÉS
(Lo apre e lo legge)
leggendolo, tutto l’inganno di un traditore e un ingrato. Lascialo! Questo poi no, ché mi sgriderà don Gil. Imbroglione, vuoi che chiami? Che ti diano mille calci? Due ne dà un ciuco, non mille! «Non avrò pace né gusto quando non sia insieme a voi; pur se a vedere Inés vado reprimendo il mio disgusto, anelo al momento giusto 1549
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
CARAMANCHEL DOÑA INÉS
de volver a hacer alarde de mi amor; y aunque esta tarde a ver a doña Inés voy, no os dé celos. Vuestro soy, dueño mío. El cielo os guarde.» ¡Qué regalado papel! A su dueño se parece, tan infame que apetece las sobras de don Miguel. ¡Doña Inés le da disgusto! ¡Válgame Dios! ¿Ya empalago? ¿Manjar soy que satisfago antes que me pruebe el gusto? ¿Tan bueno es el de su Elvira, que su apetito provoca? No es la miel para la boca del... et caetera. La ira que tengo es tal, que dejara un ejemplo cruel de mí, a estar el mudable aquí.
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Un criado. AGUILAR
Mi señora doña Clara viene a verte. Vase el criado.
DOÑA INÉS
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Pretendiente es también de este galán empalagado. A don Juan, que mi amor celoso siente, he de decir que le mate, y me casaré con él. Llevad vos vuestro papel
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
CARAMANCHEL DONNA INÉS
per tornare a fare sfoggio del mio amore; e se stasera io da donna Inés andrò, non vi affliggete. Son vostro, amor mio, vi guardi il cielo.» Che delizioso biglietto! Assomiglia al suo padrone, sì infame da fargli gola gli avanzi di don Miguel! Donna Inés ora lo stucca? Dio mi aiuti! Già lo sazio? Sono cibo che lo nausea prima che n’assaggi il gusto? Ne ha uno tanto buono Elvira da stuzzicargli le voglie? Non è il miele per la bocca del... et caetera. La furia mi potrebbe far lasciare di me un ricordo crudele se fosse qui l’infedele! Un servo.
AGUILAR
La signora donna Clara vuol vederti. Il servo se ne va.
DONNA INÉS
Altra aspirante a codesto galantuomo nauseato. A don Juan, che di me è geloso amante, andrò a dire che lo uccida, e con lui mi sposerò. Portate il vostro biglietto
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Arrójasele. a esa dama, que es remate del gusto que en él confiesa; que aunque no es Lucrecia casta, para tan vil hombre basta plato que sirvió a otra mesa.
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Vase. CARAMANCHEL
¡Malos años! La pimienta que lleva la doña Inés, no la comerá un inglés. ¡Qué mal hice en darla cuenta del papel! No fui discreto; mas purgueme en su servicio, porque en gente de mi oficio es cual ruibarbo un secreto.
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Vase. Quintana y doña Juana, de hombre. QUINTANA
DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA JUANA
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Misas va a decir por ti, en fe que eres alma que anda en pena. Pues ¿no es ansí? Mas no deja la demanda de doña Inés. ¡Ay de mí! A mi padre tengo escrito como que a la muerte estoy por don Martín, que en delito de que esposa suya soy, y de adorarle infinito, de puñaladas me ha dado, dejándome en Alcorcón; que loco de enamorado
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Glielo getta. a quella dama, che è oggetto del gusto lì dichiarato, ché, seppur Lucrezia casta non è, a un sì vile uomo basta la minestra riscaldata. Esce. CARAMANCHEL
Accipicchia! Tutto il pepe che ha nel corpo donna Inés non basterebbe a un inglese! Che sbaglio farle vedere il biglietto! Non fui attento. Ma mi purgai al suo servizio, perché in gente del mio ufficio è rabarbaro un segreto. Esce. Quintana e donna Juana, vestita da uomo.
QUINTANA
DONNA JUANA QUINTANA DONNA JUANA
Farà dir messe per te, convinta che tu sia un’anima in pena. E così non è? Ma non cessa di volere donna Inés. Misera me! A mio padre ho appena scritto che morente m’ha lasciato don Martín per il delitto d’esser la sua sposa e averlo infinitamente amato; e che per questo m’ha dato pugnalate ad Alcorcón, ché, follemente invaghito 1553
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
QUINTANA DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA
por doña Inés, su afición a matarme le ha obligado. Escríbole que ha fingido ser un don Gil de Albornoz, porque con este apellido encubra la muerte atroz que mi amor ha conseguido; que todo es castigo, y justo, de una hija inobediente, que contra su honor y gusto de su patria y casa ausente, ocasiona su disgusto. Pero que si algún amor le merezco, y este alcanza en mi muerte su favor, satisfaga su venganza las pérdidas de mi honor. Pues ¿para qué tanto ardid? Es para que desta suerte parta de Valladolid mi padre, y pida mi muerte a don Martín en Madrid; que he de perseguir si puedo, Quintana, a mi engañador con uno y con otro enredo, hasta que cure su amor con mi industria o con su miedo. Dios me libre de tenerte por contraria. La mujer venga agravios desta suerte. A hacerle voy a entender nuevas chanzas de tu muerte. Vase Quintana.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
QUINTANA DONNA JUANA
QUINTANA DONNA JUANA QUINTANA
di donna Inés, la passione a uccidermi l’ha obbligato. Gli scrivo che ha simulato d’esser don Gil de Albornoz, per poter con questo nome coprire la morte atroce che il mio amore ha provocato; e che ciò è castigo giusto di una figlia inadempiente che, contro il suo onore e gusto, casa e patria ha abbandonato, causando il suo disgusto. E se ancora un po’ d’amore merito sì da ottenere con la morte il suo favore, ripaghi la sua vendetta la perdita del mio onore. Ma a che pro un tale artificio? È per fare in modo che parta da Valladolid mio padre e chieda ragione della mia morte a Madrid a don Martín, ché, se posso, Quintana, il mio ingannatore con due trame incalzerò, finché il suo amore non curi la mia astuzia, o il suo timore. Prego Iddio di non averti mai mia nemica. Una donna i suoi torti così vendica. Vado a ridirgli le nuove panzane sulla tua morte. Esce Quintana.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Sale doña Clara. DOÑA CLARA
DOÑA JUANA DOÑA CLARA DOÑA JUANA
DOÑA CLARA
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Señor don Gil, justo fuera, sabiendo de cortesía tanto, que para mí hubiera un día... ¿Qué digo un día? Una hora, un rato siquiera. También tengo casa yo como doña Inés; también hacienda el cielo me dio, y también quiero yo bien como ella. ¿A mí? ¿Por qué no? A saber yo tal ventura, creed, bella doña Clara, que por lograrla segura, fuera, si otro la gozara, pirata desa hermosura. Mas como de mí imagino lo poco que al mundo importo, ni sé, ni me determino a pretender; que en lo corto tengo algo de vizcaíno. Por Dios, que desde que os vi en la Huerta, el corazón, nueva salamandra, os di, llevándoos vos un girón del alma que os ofrecí; mas ni sé dónde vivís, qué galán por vos se abrasa, ni qué empleos admitís. ¿No? Pues sabed que mi casa es a la Red de San Luis. Mis galanes más de mil; mas quien en mi gusto alcanza el premio por más gentil,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Entra donna Clara. DONNA CLARA
DONNA JUANA DONNA CLARA DONNA JUANA
DONNA CLARA
Signor don Gil, vi par giusto che, essendo tanto cortese, per me non teniate in serbo un giorno? Che dico un giorno? Un’ora, almeno un minuto? Una casa anch’io ce l’ho, come donna Inés; il cielo anche a me beni donò ed anch’io so voler bene come lei. A me? Perché no? A saper tale ventura credete, avrei, donna Clara, pur di goderne sicuro, rapito, se fosse d’altri, la vostra bella persona. Ma siccome di me so quanto poco importi al mondo, non mi avventuro o decido a corteggiarvi, ché sono come un biscaglino goffo. Per Dio ché, dacché vi vidi nel giardino, il cuore mio vi offrii, nuova salamandra, mentre voi della mia anima vi portaste via un brandello; ma non so dove vivete, che galante vi corteggia, né che corte concedete. No? Ebbene è la mia casa alla Red di San Luis, mi stan dietro più di mille, ma chi per mio gusto ottiene premio come il più gentile 1557
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA JUANA
es verde cual mi esperanza, y es en el nombre don Gil. Esta mano he de besar
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Bésasela. porque del todo me cuadre favor tan para estimar. Sale doña Inés. DOÑA INÉS
DOÑA CLARA DOÑA JUANA
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Como me llamó mi padre, fueme forzoso dejar a mi prima por un rato... Mas ¿no es el que miro, ¡cielos! don Gil el falso, el ingrato, el que cebando mis celos es de mi opuesta retrato? ¡La mano pone en la boca de mi prima! ¿No es encanto que hombre de barba tan poca se atreva a ser para tanto? ¡A qué furia me provoca! Quiero escuchar desde aquí lo que pasa entre los dos. En fin, ¿os morís por mí? ¡Buena mentira! ¡Por Dios, que no me tratéis ansí! Desde el día que en la huerta os vi, hermosa doña Clara, para mi ventura abierta, ni tuve mañana clara, ni noche segura y cierta; porque la pesada ausencia de la luz desa hermosura,
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DONNA JUANA
verde è come la speranza, ed è il suo nome don Gil. Questa mano bacerò Gliela bacia. per esser del tutto degno di un favore così grande. Entra donna Inés.
DONNA INÉS
DONNA CLARA DONNA JUANA
Poiché mi chiamò mio padre dovetti per un momento mia cugina abbandonare... Ma chi vedo non è, cielo! don Gil, il falso, l’ingrato, chi, destando il mio sospetto, specchio è della mia rivale? La mano di mia cugina porta alla bocca. È possibile che chi ha così poca barba ardisca arrivare a tanto? A quale furia mi spinge! Voglio ascoltare da qui ciò che dicono quei due. E così per me morite? Che menzogna! Vi scongiuro, non mi trattate così. Dal giorno che, donna Clara, vidi la vostra bellezza nel giardino, per mia sorte aperto, non più serena fu la notte e il giorno chiaro, perché l’angosciosa assenza di questa beltà radiosa,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA CLARA
DOÑA JUANA DOÑA CLARA DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA CLARA DOÑA JUANA
DOÑA CLARA
DOÑA JUANA DOÑA CLARA
DOÑA JUANA DOÑA CLARA
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sol que mi amor reverencia, noche es pesada y obscura. No lo muestra la frecuencia de doña Inés que os recrea, y es todo vuestro interés. ¿Yo a doña Inés, mi bien? Ea. Vive Dios, que es doña Inés a mis ojos fría y fea: si Francisca se llamara, todas las efes tuviera. (¡Qué buena don Gil me para!) (¡Mas si doña Inés me oyera!) (¡Y le creerá doña Clara!) Pues si no amáis a mi prima, ¿cómo asistís tanto aquí? Eso es señal que os estima la libertad que os rendí, y en vuestros ojos se anima, porque como no sabía dónde vivís, y me abrasa vuestra memoria, venía por instantes a esta casa, creyendo que os hallaría alguna vez en ella. Es lindo modo de excusar vuestro amor. ¿Excusar? Pues, ¿había más de preguntar por mi casa a doña Inés? Fuera darla celos eso. No quiero apurar verdades, don Gil: que os amo os confieso, y que vuestras sequedades me quitan el sueño y seso.
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DONNA CLARA
DONNA JUANA DONNA CLARA DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA CLARA DONNA JUANA
DONNA CLARA
DONNA JUANA DONNA CLARA DONNA JUANA DONNA CLARA
sole che il mio amore adora, notte è fitta e tenebrosa. Non parrebbe dagli svaghi che cercate in donna Inés, vostro unico interesse. Donna Inés, mio bene? Lei. Vivaddio, ma donna Inés ai miei occhi è fosca e fredda; se Francisca si chiamasse avrebbe tutte le effe! (Bella don Gil mi ritrae!) (Se donna Inés mi sentisse!) (Ci crederà donna Clara!) Se non è per mia cugina, perché state sempre qui? Per dirvi quanto vi stimi la libertà che v’ho offerto e al vostro sguardo rivive, perché io che non sapevo dove abitate, infiammato dal ricordo vostro, spesso venivo qui in questa casa per vedere se potevo incontrarvi in essa. È un modo per cercare di celare il vostro amore. Celare? Perché non avete chiesto dove stavo a donna Inés? L’avrei fatta ingelosire. Non voglio chieder nient’altro: don Gil, che v’amo confesso, e che la vostra freddezza m’ha tolto sonno e cervello.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA CLARA DOÑA JUANA DOÑA CLARA
Si un amor sencillo y llano obliga, asegurad mi pena: dadme esa mano. De esposo os la doy: tomad, que, por lo que en ello gano, os la beso. [(¿Esto consiento?)] Mi prima me espera: adiós. Idme a ver hoy... Soy contento. Por que tracemos los dos despacio este casamiento.
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Vase. DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
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Ya que di en embelecar, salir bien de todo espero. A doña Inés voy a hablar. Enredador, embustero, pluma al viento, corcho al mar... ¿No basta que a doña Elvira engañes, que no repara en honras que el cuerdo mira, sino que a mí y doña Clara embeleque tu mentira? ¿A tres mujeres engaña el amor que fingir quieres? A salir con esa hazaña, casado con tres mujeres, fueras gran turco en España. Conténtate, ingrato, infiel, con doña Elvira, relieves y sobras de don Miguel; que cuando sus gajes lleves y la escribas el papel que mis penas han leído, a ti te viene sobrado,
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DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA CLARA DONNA JUANA DONNA CLARA
Se un amore puro e chiaro v’obbliga, rassicurate le mie pene: qua la mano. Di sposo la dò. Prendete, ché per ciò che ora guadagno, ve la bacio. [(E io lo permetto?)] Mia cugina aspetta. Addio, venite oggi... Son contento. ...perché prepariamo in due queste nozze di concerto. Esce.
DONNA JUANA
DONNA INÉS
Già che ho preso ad imbrogliare spero ora di uscirne bene. Devo a donna Inés parlare. Intrigante e impertinente, piuma al vento, scorza in mare... Non ti basta d’ingannare donna Elvira che non cura né convenienze, né onore, ma voglion le tue fandonie me e donna Clara imbrogliare? Fino a tre donne inganna l’amore che finger vuoi? Se riuscissi nel tuo piano, sposandoti con tre donne, saresti il Gran Turco in Spagna. Contentati, ingrato, infedele, di donna Elvira, che è avanzo e scarto di don Miguel, ché, se accetti le sue mance sì da scriverle il messaggio che per mia disgrazia ho letto, sarebbe per te anche troppo, 1563
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
(A ella) DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
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en fe de poco advertido, fruto que otro ha desflorado, y ropa que otro ha rompido. ¿Qué dices, mi bien? ¿Tu bien? Doña Elvira, cuyos brazos sueño de noche te den, te responderá. ¡Pedazos un rayo los haga, amén! (Caramanchel la ha enseñado el papel que me escribí a mí misma, y heme holgado, porque experimente en sí congojas que me ha causado.) ¿Que Elvira te da sospecha? En lo que dices repara. ¡No está mala la deshecha! Dígale eso a doña Clara, pues la tiene satisfecha su amor, su palabra y fe. ¿Eso te ha causado enojos? ¿Luego nos viste? No fue sino burla; por tus ojos, que es una necia. Háblame. Vuélveme esos soles, ea, que su luz mi regalo es. ¡Y dirá, por que le crea: «Vive Dios, que es doña Inés a mis ojos fría y fea!» Pues ¿crees tú que lo dijera, si burlar a doña Clara dese modo no quisiera? «Si Francisca se llamara, todas las efes tuviera». Pues si tantas tengo, y mira, desechos de don Miguel, que por mis prendas suspira,
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(A lei) DONNA INÉS
DONNA JUANA
DONNA INÉS
DONNA JUANA
DONNA INÉS
tanto poco sei avveduto, frutto che altri hanno già colto, e indumento da altri rotto. Che dici, amor mio? Tuo amore? Elvira, nelle cui braccia ti addormenterai stanotte ti risponderà. Le possa un fulmine fare a pezzi! (Caramanchel le ha mostrato il biglietto che io stessa mi son scritta, e me la spasso a veder che sperimenta le pene che m’ha causato.) Su Elvira nutri sospetti? Guarda bene a come parli! Come scusa non c'è male! Che lo dica a donna Clara, che si tiene soddisfatto delle sue offerte d’amore. Questo ti ha causato crucci? Dunque ci hai veduto? È stato uno scherzo, t’assicuro ché è una sciocca. Parla, via! Torna a darmi quei due soli, la cui luce è il mio conforto. E dirà, perché gli creda: «Vivaddio, che è donna Inés ai miei occhi fredda e fosca!» Credi tu che l’avrei detto se burlare donna Clara in tal modo non volessi? «Se Francisca si chiamasse avrebbe tutte le effe!» Se tante ne ho e lei aspira a scarti di don Miguel, che alle mie grazie ora ambisce, 1565
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA JUANA
(A ella)
DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS
(A voces)
DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
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casándome yo con él, castigaré a doña Elvira. Don Miguel es principal, y su discreción, al fin, ha dado clara señal que en amar mujer tan ruin y mudable hiciera mal. Por mi esposo le señalo: a mi padre voy a hablar; que pues a mi gusto igualo el suyo, hoy le pienso dar la mano. (Esto va muy malo.) ¿Con remedios tan atroces castigas una quimera? Oye, escucha. Si doy voces, haré que por la escalera os eche un lacayo a coces. Por Dios, que por más crüel que seas, has de escuchar mi disculpa, y que soy fiel. ¿No hay quien se atreva a matar a este infame? ¡Ah, don Miguel! ¿Don Miguel está aquí? ¿Quieres trazar ya alguna maraña? Aquí está: de miedo mueres. Este es don Gil, el que engaña de tres en tres las mujeres. Don Miguel, véngame dél, tu esposa soy. Oye, mira... ¡Muera este don Gil crüel, don Miguel! ...que soy Elvira, lleve el diablo a don Miguel.
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(Gridando)
DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
io, sposandomi con lui, castigherò donna Elvira. Don Miguel è uomo di rango, e la sua saggezza infine ha mostrato chiaramente che male farebbe a amare donna sì vile e incostante. Per mio sposo lo prescelgo: ne parlerò con mio padre, e dato che il mio piacere è anche il suo, penso di dargli la mano. (Si mette male!) In maniera così atroce punirai una fantasia? Senti, via... Se alzo la voce, un lacchè la scala mia vi farà fare a pedate. Per Dio ché, pur se crudele sei, discolpe ascolterai e saprai che son fedele. Nessuno oserà ammazzare quest’infame? Ah, don Miguel! Don Miguel qui? Ora vuoi forse ordire qualche altra trama? È qui: muori di timore. Ecco qui don Gil che inganna a tre per volta le donne. Don Miguel: fammi giustizia, son tua sposa. Guarda, senti... Muoia il crudele don Gil, don Miguel! ...io sono Elvira! Al diavolo don Miguel! 1567
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS
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¿Quién? ¡Doña Elvira! ¿En la voz y cara no me conoces? ¿No eres don Gil de Albornoz? Ni soy don Gil, ni des voces. ¿Hay enredo más atroz? ¡Tú doña Elvira! Otro engaño. Don Gil eres. Su vestido y semejanza hizo el daño. Si esto no te ha persuadido, averigua el desengaño. Pues ¿qué provecho interesa tu embeleco? ¡Vive Dios, que no ser don Gil me pesa por ti, y que somos las dos pata para la traviesa! En conclusión, ¿he de darte crédito? No vi mayor semejanza. Por probarte, y ver si tienes amor a don Miguel, pudo el arte disfrazarme; y es ansí, que una sospecha crüel me dio recelos de ti. Creyendo que a don Miguel amabas, yo me escribí el papel que aquel crïado te enseñó, creyendo que era don Gil quien se le había dado, y dije que te le diera por modo disimulado, y que advirtiese por él tus celos, y si intentabas usurparme a don Miguel.
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DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA
DONNA INÉS
DONNA JUANA
Chi? Donna Elvira; la voce non riconosci e la faccia? Non sei don Gil de Albornoz? No, e smetti di gridare! Mai un intrigo fu più atroce! Tu donna Elvira? Altro inganno! Don Gil sei. La somiglianza e il vestito han fatto il danno: se di ciò non sei convinta cerca prove al disinganno. Però, che vantaggio arreca il tuo imbroglio? Vivaddio, che mi dispiace per te non esser don Gil, ché siamo noi due sulla stessa barca. Insomma ti dovrò dare credito? Mai ho visto tale somiglianza. Per saggiare se davvero non hai amore per don Miguel, con bell’arte mi mascherai, ed è così che una fantasia crudele gettò dubbi su di te. Credendo che don Miguel amassi, a me stessa scrissi il foglio che quel tuo servo ti mostrò, credendo fosse don Gil a averglielo dato. E dissi che te lo desse con fare dissimulato, e che scoprisse da esso se, gelosa, non tentavi di usurparmi don Miguel. 1569
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
DOÑA JUANA DOÑA INÉS
¡Extrañas industrias! Bravas. ¿Qué tú escribiste el papel? Y a don Gil pedí el vestido prestado, que está por ti de amor y celos perdido. ¿De amor y celos por mí? Como el suceso ha sabido de don Miguel, cuya soy, no apetece prenda ajena. Confusa y dudosa estoy. ¡Ingeniosa traza! Buena, y de suerte, que aún no doy crédito a que eres mujer. Pues ¿cómo haremos que quedes segura? Ansí se ha de hacer. Vestirte en tu traje puedes; que con él podremos ver cómo te entalla y te inclina. Ven, y pondráste un vestido de los míos; que imagina mi amor en ese fingido que eres hombre, y no vecina. Ya se habrá ido doña Clara. ¡Buena irá! (¡Qué varonil mujer! Por más que repara mi amor, dice que es don Gil en la voz, presencia y cara.) Vanse.
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DONNA JUANA DONNA INÉS
DONNA JUANA DONNA INÉS
Che strani espedienti! Audaci. Dunque hai scritto tu il biglietto? Sì, e il vestito ho chiesto in prestito a don Gil che per te muore, geloso e folle d’amore. Gelosia e amore per me? Dacché la storia ha saputo di don Miguel, che è mio sposo, non si giova d’altrui bene. Sono confusa e dubbiosa. Ingegnoso piano! Buono, e in tal modo che neanche ora penso che tu sia una donna. Dunque, che fare perché te ne convinca? Potrai rivestirti dei tuoi panni, ché potremo veder come ti si addicono e ti stanno. Vieni, e mettiti un vestito dei miei, ché il mio amore immagina vedendoti in questo, finto, che uomo sei e non mia vicina. Sarà uscita donna Clara. Buon per lei! (Donna virile! Più lei parla e più il mio amore suggerisce che è don Gil come voce, aspetto e faccia.) Escono.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Salen Caramanchel y don Juan. DON JUAN CARAMANCHEL
DON JUAN CARAMANCHEL DON JUAN CARAMANCHEL
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¿Vos servís a don Gil de Albornoz? Sirvo a un amo que no veo en quince días que ha que como su pan. Dos o tres veces le he hallado desde entonces: ¡ved qué talle de dueño en relación! ¡Pues decir tiene fuera de mí otros pajes y lacayos...! Yo solamente, y un vestido verde, en cuyas calzas funda su apellido, (que ya son casa de solar sus calzas) posee en este mundo, que yo sepa. Bien es verdad que me pagó por junto, desde que entré con él hasta hoy, raciones y quitaciones, dándome cien reales; pero quisiera yo servir a un amo que me holeara cada instante: «¡Hola, Caramanchel! limpiadme estos zapatos; sabed cómo durmió doña Grimalda; id al Marqués, que el alazán me empreste; preguntad a Valdés con qué comedia ha de empezar mañana», y otras cosas con que se gasta el nombre de un lacayo. Pero ¡que tenga yo un amo en menudos, como el macho de Bamba, que ni manda, ni duerme, come o bebe, y siempre anda! Debe de estar enamorado. Y mucho. ¿De doña Inés, la dama que aquí vive? Ella le quiere bien; pero ¿qué importa, si vive aquí, pared en medio, un ángel? Que aunque yo no la he visto, a lo que él dice, es tan hermosa como yo, que basta. Soislo vos mucho.
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Entrano Caramanchel e don Juan. DON JUAN CARAMANCHEL
DON JUAN CARAMANCHEL DON JUAN CARAMANCHEL
DON JUAN
Di don Gil de Albornoz siete voi il servo? Servo un padrone che in quindici giorni dacché mangio il suo pane non ho visto. Lo incontrai due o tre volte: immaginate che razza di rapporto! E poi se avesse altri inservienti oltre il sottoscritto! Macché, soltanto me, e un vestito verde sulle cui calze fonda il suo cognome (ché ormai hanno un casato le sue calze) possiede in questo mondo, che io sappia. Vero è che m’ha già pagato a saldo, dacché con lui entrai, cento reali comprensivi di vitto e di salario; però preferirei avere un padrone che di ohé mi stordisse: «Ohé, pulitemi Caramanchel, le scarpe e dite come donna Grimalda riposò; ora andate dal marchese per chiedergli il leonato; sappiate da Valdés con che commedia comincerà domani», e ogni altra cosa, grazie a cui il nome del lacchè si spreca. Ma che io abbia un padrone a pezzettini, che come il ciuco di Bamba non ordina, né dorme, mangia o beve, e sempre trotta! Probabilmente è innamorato. E tanto! Di donna Inés, la dama che qui vive? Lei gli vuol bene, ma che ci può fare se abita qui, proprio a parete, un angelo? E pur s’io non l’ho vista, a quel che dice, è bella come me e ho detto tutto. Lo siete molto.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO CARAMANCHEL
DON JUAN CARAMANCHEL:
DON JUAN
CARAMANCHEL DON JUAN
Viéneme de casta. Este papel la traigo; mas de suerte simbolizan los dos en condiciones, que jamás doña Elvira, o doña Urraca, para en casa, ni en ella hay quien responda; pues con ser tan de noche, que han ya dado las once, no hay memoria de que venga quien lástima de mí y el papel tenga. ¿Y que ama doña Inés a don Gil? Tanto, que abriéndome el papel, y conociendo lo que por él decía a doña Elvira, hizo extremos de loca. Y yo los hago de celos. ¡Vive Dios, que aunque me cueste vida y hacienda, tengo de quitarla a todos cuantos Giles me persigan! En busca voy del vuestro. ¡Bravo Aquiles! Yo agotaré, si puedo, los don Giles.
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Vase. De mujer doña Juana y doña Inés. DOÑA INÉS
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Ya experimento en mi daño la burla de mis quimeras; don Gil quisiera que fueras, que yo adorara tu engaño. No he visto tal semejanza en mi vida, doña Elvira, en ti su retrato mira mi entretenida esperanza. Yo sé que te ha de rondar esta noche, y que te adora. ¡Ay, doña Elvira! Ya es hora. Doña Elvira, oí nombrar. Aquella sin duda es
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO CARAMANCHEL
DON JUAN CARAMANCHEL
DON JUAN
CARAMANCHEL DON JUAN
Lo son di famiglia. Questo foglio le porto, ma in tal modo i due son pari nel comportamento che giammai donna Elvira o donna Urraca è in casa, né c’è in essa chi risponda; e, seppure sia notte e sian suonate le undici, non c’è nessun che vuole aver di me e il biglietto compassione. E donna Inés ama don Gil? Talmente che aprendo quel biglietto ed apprendendo quanto lì dichiarava a donna Elvira, fece cose da matta. E da geloso io le farò. Vivaddio, mi costasse la vita e i beni, la voglio sottrarre a quanti Gili mi stanno inseguendo. Vado in cerca del vostro. Fiero Achille! Sopprimerò, se posso, i due don Gili. Esce. Donna Juana vestita da donna e donna Inés.
DONNA INÉS
DONNA JUANA DONNA INÉS CARAMANCHEL
Sperimento per mio danno la burla delle mie fole; magari don Gil tu fossi, ché io adorerei il tuo inganno. Una tale somiglianza mai ho visto, donna Elvira: in te il suo ritratto ammira la mia illusoria speranza. So che ti farà la ronda questa notte e che ti adora. Ahi, donna Elvira, è già l’ora! Di donna Elvira udii il nome: certamente sarà quella 1575
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA INÉS CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA INÉS CARAMANCHEL
DOÑA INÉS CARAMANCHEL
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que con doña Inés está: el diablo la trajo acá; que estando con doña Inés, mal podré darla el papel que mi don Gil la escribió, y ya su merced leyó, Hermano Caramanchel, a palos me vais oliendo. Hola ¿qué buscáis aquí? ¿Sois vos doña Elvira? Sí. ¡Jesús! ¿Qué es lo que estoy viendo? ¡Don Gil con basquiña y toca! No os llevo más la mochila. ¿De día Gil, de noche Gila? ¡Oste, puto! punto en boca. ¿Qué decís? ¿Estáis en vos? ¿Qué digo? Que sois don Gil, como Dios hizo un candil. ¿Yo don Gil? Sí, juro a Dios. ¿Piensas que soy sola yo la que tu presencia engaña? Azotes dan en España por menos que eso. ¿Quién vio un hembri-macho que afrenta a su linaje? Esta dama es doña Elvira. Amo, o ama, despídome: hagamos cuenta. No quiero señor con saya y calzas, hombre y mujer; que querréis en mí tener juntos lacayo y lacaya. No más amo hermafrodita; que comer carne y pescado
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DONNA INÉS CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA INÉS CARAMANCHEL
DONNA INÉS CARAMANCHEL
che con donna Inés lì sta: la portò il diavolo qua, ché, se sta con donna Inés, non potrò darle il biglietto che il caro don Gil le ha scritto, e che già sua grazia ha letto. Povero Caramanchel! Sento già odore di botte! Ohé, che cercate qui? Siete donna Elvira? Sì. Gesù, che ho davanti agli occhi? Don Gil con gonna e con velo! Più non vi porto il bagaglio. Gil il dì, la notte Gila? Porca puttana! Acqua in bocca! Che dite? Siete impazzito? Dico che siete don Gil, com’è vero ch’io son io. Io, don Gil? Sì, vivaddio! Pensi che soltanto io sia chi la tua presenza inganna? Per meno di questo in Spagna c’è la frusta. S’è mai visto un uomo-donna che offende la sua stirpe? È questa donna Elvira. Dammi il mio padrone o padrona, e ciao. Non voglio un signore in gonna ed in calze, uomo e donna; sarebbe come s’io fossi lacchè e laccaia al contempo. Coi padroni ermafroditi basta, ché insieme mangiare 1577
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS CARAMANCHEL DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA JUANA
CARAMANCHEL
a un tiempo, no es aprobado. Despachad con la visita, y adiós. ¿De qué es el espanto? ¿Pensáis que vuestro señor sin causa me tiene amor? Por parecérseme tanto emplea en mí su esperanza. Díselo tú, doña Inés. Causa suelen decir que es del amor la semejanza. Sí, mas ¡tanta! No, par Dios. ¿A mí engañifas, señora? Y si viene antes de un hora don Gil aquí, y a los dos nos veis juntos, ¿qué diréis? Que hablé por boca de ganso. Él vendrá, y humilde y manso, y vos a él mismo le hablaréis, conociendo la verdad. ¿Dentro un hora? Y a ocasión que os admire. Pues chitón. En la calle le esperad, y subámonos las dos al balcón para aguardalle. Bájome, pues, a la calle. Este me dio para vos.
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Dásele.
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Mas rehusé por doña Inés la embajada. Ya es mi amiga.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
DONNA JUANA
DONNA INÉS CARAMANCHEL DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA JUANA
CARAMANCHEL
carne e pesce non può andare. Concludete questa visita e addio. Cosa vi sgomenta? Se m’ama il vostro signore, sarà per qualche ragione! A me tanto si assomiglia che ha riposto in me speranza. Diglielo tu, donna Inés. Dicono che dell’amore sia causa la somiglianza. Sì, ma tanta! No, per Dio. Brutti scherzi a me, signora? E se nel giro d’un’ora Gil venisse qui e ambedue ci vedeste, che direste? Che ho parlato da demente. Lui verrà, e voi, umilmente, con lui stesso parlerete scoprendo la verità. Fra un’ora? E in tale maniera da stupirvi. Taccio allora. Andate in strada a aspettarlo, e saliremo ambedue sul balcone ad avvistarlo. Scendo dunque nella strada. Questo m’ha dato per voi. Glielo dà.
DONNA JUANA
Ma evitai per donna Inés l’ambasciata. Ora è mia amica.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO CARAMANCHEL
Don Gil es, aunque lo diga el Conde Partinuplés. Vanse. Sale don Juan, como de noche. Con determinación vengo de agotar estos don Giles, que agravian por medios viles las esperanzas que tengo. Dos son. ¿Quién duda que alguno su dama vendrá a rondar? O me tienen de matar, o no ha de quedar ninguno.
DON JUAN
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Sale Caramanchel [y queda a un lado.] CARAMANCHEL
A esperar vengo a don Gil, si calles ronda y pasea; que por Dios, aunque lo vea no dos veces, sino mil, no lo tengo de creer.
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A la ventana, doña Inés y doña Juana, de mujer. DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
DON JUAN
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¡Qué extraordinario calor! Pica el tiempo y pica amor. ¿Si ha de venirnos a ver mi don Gil? ¿Y dudas deso? (Para poderme apartar de aquí, me vendrá a llamar brevemente Valdivieso, y podré, de hombre vestida, fingirme don Gil abajo.) El premio de mi trabajo escucho: mi Inés querida,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO CARAMANCHEL
È don Gil, checché ne dica il Conte Partinuplés. Escono. Entra don Juan, vestito per la ronda.
DON JUAN
Vengo qui con l’intenzione di far fuori i due don Gili, che si oppongono con vili mezzi alle mie aspirazioni. Son due: vuoi che almeno uno non corteggi la sua dama? O ammazzare mi dovranno, o spariranno ambedue. Entra Caramanchel [e rimane da una parte.]
CARAMANCHEL
Vengo a attendere don Gil, se per caso qui passeggia, ché, per Dio, pur se lo vedo, non due volte, ma anche mille, non potrei arrivare a crederci.
Donna Inés e donna Juana, vestita da donna, alla finestra. DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
DON JUAN
Che terribile calore! Arde il tempo e arde l’amore. Non veniva a farci visita il mio don Gil? Stanne certa. (Perché possa allontanarmi da qui mi verrà a chiamare fra un attimo Valdivieso, e potrò, da uomo vestita, fingermi don Gil qui sotto.) Delle mie pene il conforto sento: la mia Inés diletta, 1581
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DOÑA INÉS DOÑA JUANA CARAMANCHEL DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
si no me engaña la voz, es la que a la reja está. Gente siento. ¿Si será nuestro don Gil de Albornoz? Háblale y sal de esa duda. Un rondante se ha parado. ¿Si es mi don Gil encantado? Llegad y hablad, lengua muda. ¡Ah de arriba! ¿Sois don Gil? [(Allí la pica: diré que sí.)]
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Rebozado.
DOÑA INÉS CARAMANCHEL
DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DON JUAN CARAMANCHEL
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Don Gil soy, que en fe de que en vos busco mi abril, en viéndoos, señora mía, mi calor pude templar. Eso es venirme a llamar, por gentil estilo, fría. Muy grueso don Gil es este. El que sirvo habla atiplado. Si no es ya que haya mudado de ayer acá... Manifieste el cielo mi dicha. En fin, ¿que a un tiempo os abraso y yelo? Quema amor, yela un recelo... (Sin duda que es don Martín el que habla. ¡Qué en vano pierdes el tiempo, ingrato, sin mí!) No parece él. ¿Sois, decí, don Gil de las calzas verdes? Luego, ¿no me conocéis? Ni yo tampoco, par Dios.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
DONNA INÉS DONNA JUANA CARAMANCHEL DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
se non m’inganna la voce, è colei che sta alla grata. Qui c’è gente. Non sarà il nostro Gil de Albornoz? Parlagli e sciogli il tuo dubbio. Chi ronda qui si è fermato. Sarà il mio don Gil fatato? Forza, parla, lingua muta. Voi lassù! Siete don Gil? [(Sempre lui! Dirò di sì.)] Coperto.
DONNA INÉS CARAMANCHEL
DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN DONNA JUANA
DONNA INÉS DON JUAN CARAMANCHEL
Son don Gil che, tutto intento a cercare in voi il mio aprile, signora mia, nel vedervi, potei il mio ardore smorzare. È un bel modo di chiamarmi, con gentile stile, fredda. Questo don Gil è ben rozzo! Chi servo parla in falsetto, a meno che già da ieri non sia cambiato... Confermi la mia sorte il cielo. Infine, vi brucio e insieme vi gelo? Brucia amor, gela un sospetto... (Certo sarà don Martín a parlare. Invano perdi senza me, il tuo tempo, o ingrato!) (Non sembra lui.) Siete, dite, don Gil dalle calze verdi? Ma non mi riconoscete? E neppure io, per Dio!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
Como me pretenden dos... Sí; mas vos, ¿a cuál queréis? A vos, aunque en el hablar nuevas dudas me habéis dado. Hablo bajo y rebozado; que es público este lugar.
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Don Martín, con vestido verde, y Osorio. [Quedan apartados y se acerca a los otros don Martín conforme indican los versos.] DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN OSORIO
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Osorio, ya doña Juana muerta, como dicen, sea quien me persigue y desea, en la opinión de Quintana, que no goce a doña Inés, ya otro amante disfrazado el nombre me haya usurpado por ver cuán querido es, el seso de envidia pierdo. ¿Puede doña Inés amalle por de mejor cara y talle? No por cierto. ¿Por más cuerdo? Tú sabes cuán celebrado en Valladolid he sido. ¿Por más noble o bien nacido? Guzmana sangre he heredado. ¿Por más hacienda? Ocho mil ducados tengo de renta, y en la nobleza es afrenta amar el interés vil. Pues si solo es porque vino con traje verde, yo y todo he de andar del mismo modo. (Ese es gentil desatino.) ¿Qué dices? Que el seso pierdes.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
Poiché in due mi fan la corte... Sì, ma voi quale volete? Voi, per quanto con la voce nuovi dubbi mi instillate. Parlo basso e soffocato, ché sono in pubblico luogo.
Don Martín vestito di verde e Osorio. [Restano da una parte e si avvicina agli altri don Martín a seconda di ciò che indicano i versi.] DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN
OSORIO DON MARTÍN OSORIO
Osorio, sia donna Juana che morta, come si dice, mi perseguita volendo, nel concetto di Quintana, che io non goda donna Inés, o sia un amante truccato che il nome mio ha usurpato per veder se amato è, per l’invidia il senno perdo. Lo può Inés amare forse per il suo aspetto migliore? Certo no. Perché è più accorto? Tu lo sai quanto stimato a Valladolid io sia. Perché ha più nobile stirpe? Dai Guzmani io discendo. Perché è più ricco? Ottomila ducati ho avuto di rendita, e per un nobile è un’onta amar l’interesse vile. Dunque se è solo perché veste di verde, anch’io voglio adottare questa foggia. (Una sciocchezza mi sembra). Che dici? Che il senno hai perso. 1585
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DON MARTÍN
OSORIO
Piérdale o no, yo he de andar como él y me han de llamar don Gil de las calzas verdes. Vete a casa; que hablar quiero a don Pedro. En ella aguardo.
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Vase. DOÑA INÉS
(A don Juan) DON MARTÍN
DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA INÉS DON JUAN
DON MARTÍN DON JUAN DON MARTÍN DON JUAN
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Don Gil discreto y gallardo, poco amáis y mucho os quiero. ¿Don Gil? ¿Cómo? Este es sin duda quien contradice mi amor. ¿Si es doña Juana? El temor de que en penas anda muda mi valor en cobardía. En no meterme me fundo con cosas del otro mundo, que es bárbara valentía. Gente parece que viene. Reconoceré quién es. ¿Para qué? ¿No veis, mi Inés, que nos mira y se detiene? Diré que pase adelante. Entretanto me esperad. Hidalgo... ¿Quién va? Pasad. ¿Dónde, si por ser amante tengo aquí prendas? (Don Gil es este, el aborrecido de doña Inés: conocido le he en la voz.)
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DON MARTÍN
OSORIO
Lo perda o no, vestirò come lui e mi chiamerò don Gil dalle calze verdi. Vai a casa, ché parlar voglio a don Pedro. Là t’aspetto. Esce.
DONNA INÉS
(A don Juan) DON MARTÍN
DONNA INÉS DON JUAN DONNA INÉS DON JUAN
DON MARTÍN DON JUAN DON MARTÍN DON JUAN
Don Gil, gagliardo e avveduto, voi non mi amate e io v’adoro. Don Gil? Come? Senza dubbio è chi contrasta il mio amore. Se fosse Juana? Il timore che vaghi in pena già muta in codardia il mio coraggio. Meglio non entrare troppo in cose dell’altro mondo, ché è ardimento disumano. Mi sembra che arrivi gente. Voglio sapere chi è. Perché? Non t’accorgi, Inés, che ci guarda e si sofferma? Gli dirò che vada avanti; voi nel frattempo aspettate. Cavaliere... Chi è? Passate. E dove se, essendo amante, ho qui il mio bene? (Don Gil è costui, il tanto odiato da donna Inés: l’ho capito dalla sua voce.)
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO CARAMANCHEL
DON JUAN
DON MARTÍN
DON JUAN
CARAMANCHEL
DON JUAN CARAMANCHEL DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA DON JUAN DON MARTÍN
DON JUAN DON MARTÍN
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¡Oh qué alguacil tan a propósito agora! ¡Y qué dos espadas pierde! Don Gil, el blanco o el verde, ya se ha llegado la hora tan deseada de mí, y tan rehusada de vos. (Conocídome ha, por Dios, y quien rebozado ansí sabe quién soy, no es mortal, ni salió mi duda vana: el alma es de doña Juana.) Dad de vuestro amor señal, don Gil, que es de pechos viles ser cobarde y servir dama. ¿Don Gil estotro se llama? A pares vienen los Giles. Pues no es mi don Gil tampoco, que hablara a lo caponil. Sacad la espada, don Gil. O son dos, o yo estoy loco. Otro don Gil ha venido. Debe de ser don Miguel. Bien dices, sin duda es él. (¿Ya hay tantos de mi apellido?) No conozco a este postrero. Sacad el acero, pues, o habré de ser descortés. Yo nunca saco el acero para ofender los difuntos, ni jamás mi esfuerzo empleo con almas; que yo peleo con almas y cuerpos juntos. Eso es decir que estoy muerto de asombro y miedo de vos. Si estáis gozando de Dios, que así lo tengo por cierto,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO CARAMANCHEL
DON JUAN
DON MARTÍN
DON JUAN
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DON JUAN CARAMANCHEL DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA DON JUAN DON MARTÍN
DON JUAN DON MARTÍN
Uno sbirro starebbe bene qui ora! Due belle spade si perde! Don Gil, siate bianco o verde, oramai è arrivata l’ora da me tanto sospirata e da voi tanto temuta. (Per Dio, m’ha riconosciuto, e chi così imbacuccato mi scopre non è mortale, né il mio dubbio è stato vano: l’anima è di donna Juana.) Del vostro amore un segnale don Gil date, ché è da vili non osare e servir dama. Don Gil quest’altro si chiama? A coppie vengono i Gili; non è neanche il mio però, ché non parla da castrato. Fuori la spada, don Gil! O son due, o io stravedo! Un altro don Gil è giunto. Dev’essere don Miguel. Dici bene: è lui di certo. (Tanti il mio nome hanno assunto?) Quest’ultimo non lo conosco. Fuori la spada, o dovrò esser scortese con voi. Io la mia spada non sguaino per offendere i defunti, né mai impegno il mio coraggio con le anime, ché combatto anima e corpo congiunti. Come dire che son morto di spavento a causa vostra. Se Dio state contemplando, ché sarà così senz’altro, 1589
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
DON JUAN DOÑA JUANA CARAMANCHEL DOÑA INÉS DOÑA JUANA CARAMANCHEL DON JUAN CARAMANCHEL
DON MARTÍN
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o en carrera de salvaros, doña Juana, ¿qué buscáis? Si por dicha en pena andáis, misas digo por libraros. Mi ingratitud os confieso, y ojalá os resucitara mi amor, que con él pagara culpas de mi poco seso. ¿Qué es esto? ¿Yo doña Juana? ¿Yo difunto? ¿Yo alma en pena? ¡Lindo rato, burla buena! ¿Almitas? ¡Santa Susana! ¡San Pelagio! ¡Santa Elena! ¿Qué será esto, doña Elvira? Algún loco: calla y mira. ¿Almas de noche y en pena? ¡Ay Dios!, todo me desgrumo. Sacad la espada, don Gil, o haré alguna hazaña vil. ¡Oh, quién se volviera en humo, y por una chimenea se escapara! Alma inocente, por aquel amor ardiente que me tuviste y recrea mi memoria, que ya baste mi castigo y tu rigor. Si por estorbar mi amor, cuerpo aparente tomaste, y, llamándote en Madrid don Gil, intentas mi ultraje, si con ese nombre y traje andas por Valladolid, y no te has vengado harto, por el malogrado fruto, ocasión de triste luto que dio a tu casa el mal parto,
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
DON JUAN DONNA JUANA CARAMANCHEL DONNA INÉS DONNA JUANA CARAMANCHEL DON JUAN CARAMANCHEL
DON MARTÍN
o in procinto di salvarvi, donna Juana, che volete? Se per caso foste in pena con messe voglio affrancarvi. L’ingratitudine ammetto, e magari vi potesse risuscitare il mio amore: sconterei il mio poco senno. Ma che dite? Io donna Juana? Io defunto? Io anima in pena? (Bella burla, bel problema!) Animucce, San Pelagio, Santa Susanna, Sant’Elena! Che succede, donna Elvira? Sono pazzi: guarda e zitta! Anime di notte e in pena? Ah, Dio mio! Tutto mi squaglio! Fuori la spada, don Gil o farò un’azione vile! Oh potessi trasformarmi in fumo e per un camino fuggir via! Anima innocente! Per quella passione ardente che per me avesti e rivive nella memoria, che cessi la mia pena e il tuo rigore. Se per intralcio al mio amore corpo apparente prendesti, e chiamandoti a Madrid don Gil, cerchi di oltraggiarmi, se con quel nome e in quei panni giri per Valladolid, ed ancora vendicata non ti sei del triste frutto, grave occasione del lutto che ai tuoi inflisse il brutto parto, 1591
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
que no aumentes mis desvelos. Alma, cese tu porfía; que no entendí yo que había en el otro mundo celos; pues por más trazas que des, ya estés viva, ya estés muerta, o la mía verás cierta, o mi esposa a doña Inés.
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Vase. DON JUAN
CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
DOÑA INÉS DOÑA JUANA DOÑA INÉS DOÑA JUANA
¡Vive el cielo que se ha ido, excusando la cuestión, con la más nueva invención que los hombres han oído! ¿Lacayo Caramanchel de alma en pena? ¡Esto faltaba! Y aun por eso no le hallaba cuando andaba en busca dél. ¡Jesús mil veces! Amiga, averiguar un suceso me importa. Adiós. Valdivieso me espera abajo. Prosiga la plática comenzada, pues don Gil contigo está. ¿No te esperarás, y irá contigo alguna crïada? ¿Para qué, si un paso estoy de mi casa? Toma, pues, un manto. No, doña Inés; que en cuerpo y sin alma voy. Vase.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
non aumentar le mie angosce; cessi, anima, il tuo assillo, ché, si dice, non esista gelosia nell’altro mondo; e perciò, per quanto intessa piani, tu sia viva o morta, o vedrai che il mio trionfa o che sposo donna Inés. Esce. DON JUAN
CARAMANCHEL
DONNA JUANA
DONNA INÉS DONNA JUANA DONNA INÉS DONNA JUANA
Vivaddio, che se n’è andato aggirando la questione con la più strana invenzione che abbian gli uomini ascoltato. (D’anima in pena lacchè Caramanchel? Ci mancava! Per forza non lo trovavo quando ne ero alla ricerca! Gesù mille volte!) Amica, è importante che m’accerti d’una cosa. Addio. M’aspetta Valdivieso giù. Prosegua il colloquio già intrapreso, ché don Gil con te ora sta. Non aspetti, ché verrà a scortarti qualche serva? Perché mai, se sono a un passo dalla mia casa? Un mantello prendi. No, perché in corpetto, ma senza l’anima esco. Esce.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Quiero volverme a mi puesto, por ver si el don Gil menor es hoy también rondador. En gran peligro os ha puesto, don Gil, vuestro atrevimiento. Amor que no es atrevido no es amor, afrenta ha sido. Escuchad, que gente siento.
DON JUAN
DOÑA INÉS DON JUAN
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Sale doña Clara, de hombre. DOÑA CLARA
DON JUAN
Celos de don Gil me dan ánimo a que en traje de hombre mi mismo temor me asombre. ¡A fe que vengo galán! Por ver si mi amante ronda a doña Inés y me engaña, hice esta amorosa hazaña; él mismo por mí responda. Aguardad, sabré quién es.
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Apártase don Juan y llega doña Clara a la ventana. DOÑA CLARA
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Gente a la ventana está. Llegarme quiero hacia allá, por si acaso doña Inés a don Gil está esperando; que él me tengo de fingir, por si puedo descubrir los celos que estoy temblando. ¡Ah del balcón! Si merece hablaros, bella señora, un don Gil que en vos adora, en fe que el alma os ofrece. Don Gil de las calzas soy verdes, como mi esperanza.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DON JUAN
DONNA INÉS DON JUAN
Me ne tornerò al mio posto per veder se anche il minore don Gil fa il corteggiatore. In un gran rischio v’ha posto don Gil, il vostro ardimento. L’amore che non sia ardito non è amore, ma è un’infamia. Ascoltate, gente sento. Entra donna Clara, vestita da uomo.
DONNA CLARA
DON JUAN
Di don Gil la gelosia m’induce a che, in veste d'uomo, di me stessa abbia timore. Bel tipo sono, affé mia! Per veder se fa la ronda a donna Inés e m’inganna il mio amante quest’azzardo feci, lui per me risponda. Saprete presto chi è.
Si allontana don Juan e donna Clara si avvicina alla finestra. DONNA CLARA
(Gente alla finestra sta; mi spingerò fino a là tante volte donna Inés stesse don Gil attendendo; farò finta d’esser lui, per scoprire quale mai gelosia mi fa tremare.) Ehi del balcone, se è degno di parlarvi, mia signora, questo don Gil che vi adora per l’anima che v’ha offerto! Don Gil sono dalle calze verdi come la speranza.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO CARAMANCHEL DOÑA INÉS
DON JUAN DOÑA INÉS
¿Otro Gil entra en la danza? Don Giles llueve Dios hoy. Este es mi don Gil querido, que en el habla delicada le reconozco. Engañada de don Juan sin duda he sido, que es sin falta el que hasta aquí hablando conmigo ha estado. El don Gil idolatrado es este. [(¡Triste de mí! Que temo que ha de matalle este don Juan atrevido.)]
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Llégase don Juan a doña Clara. DON JUAN
DOÑA CLARA DON JUAN DOÑA CLARA DON JUAN
DOÑA CLARA
Huélgome que hayáis venido a este tiempo y a esta calle, señor don Gil, a llevar el pago que merecéis. ¿Quién sois vos que os prometéis tanto? El que os ha de matar. ¿Matar? Sí, y don Gil me llamo, aunque vos habéis fingido que es don Miguel mi apellido. A doña Inés sirvo y amo. (El diablo nos trujo acá. Aquí os matan, doña Clara.)
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Doña Juana, de hombre. DOÑA JUANA
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A ver vengo en lo que para tanto embeleco; y si está doña Inés a la ventana todavía, la he de hablar.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO CARAMANCHEL DONNA INÉS
DON JUAN DONNA INÉS
Un altro don Gil in ballo? Oggi piovono i don Gili! Questo è il mio don Gil diletto, ché il suo accento delicato riconosco; io ingannata da don Juan fui certamente, ché senz’altro è chi fin qui a parlare con me è stato. Il don Gil idolatrato è costui. (Misera me! Temo che possa accopparlo questo don Juan tanto ardito.) Si accosta don Juan a donna Clara.
DON JUAN
DONNA CLARA DON JUAN DONNA CLARA DON JUAN
DONNA CLARA
Che veniate mi è gradito, a quest’ora e in questa strada, signor don Gil a riscuotere la paga che meritate. Chi siete che minacciate tanto? Chi vi darà morte. Morte? Sì, e don Gil mi chiamo, pur se finta avete fatto che don Miguel mi chiamassi. Donna Inés io servo e amo. (Il diavolo ci portò qua. Vi fan fuori, donna Clara.) Donna Juana, vestita da uomo.
DONNA JUANA
Voglio veder dove para un tale imbroglio, e se sta donna Inés alla finestra ancora le parlerò. 1597
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO QUINTANA DOÑA JUANA
QUINTANA DOÑA JUANA QUINTANA DOÑA CLARA DON JUAN DOÑA CLARA DOÑA JUANA DON JUAN DOÑA JUANA CARAMANCHEL DON JUAN DOÑA JUANA DOÑA INÉS DON JUAN DOÑA CLARA
(A ellos) QUINTANA
[A doña Juana] DOÑA JUANA DOÑA INÉS
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Ahora acaba de llegar tu padre a Madrid. Quintana, persuadido que me ha muerto don Martín en Alcorcón, a tomar satisfación vendrá aquí. Tenlo por cierto. Gente hay en la calle. Espera, reconoceré quién es. ¿Don Gil sois? Y doña Inés mi dama. ¡Buena quimera! ¡Ah caballeros! ¿Hay paso? ¿Quién lo pregunta? Don Gil. Ya son cuatro, y serán mil. ¡Endiablado está este paso! Dos don Giles hay aquí. Pues conmigo serán tres. ¿Otro Gil? ¡Cielos! ¿Cuál es el que vive amante en mí? Don Gil el verde soy yo. (Ya he vuelto mi miedo en celos. A doña Inés ronda. ¡Cielos! Sin duda que me engañó.) Dél me tengo de vengar. Don Gil de las calzas verdes soy yo solo. El nombre pierdes: dél te salen a capear otros tres Giles. Yo soy don Gil el verde o el pardo. ¿Hay suceso más gallardo?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
È arrivato appena ora tuo padre a Madrid. DONNA JUANA Quintana, convinto che m’abbia ucciso don Martín ad Alcorcón a chieder soddisfazione verrà qui. QUINTANA Stanne pur certa. DONNA JUANA C’è gente per strada. QUINTANA Aspetta, ché saprò dirti chi è. DONNA CLARA Don Gil siete? DON JUAN E donna Inés la mia dama. DONNA CLARA Bella questa! DONNA JUANA Cavalieri, aprite il passo! DON JUAN Chi è che lo chiede? DONNA JUANA Don Gil. CARAMANCHEL Già son quattro, forse mille: ma che passo indiavolato! DON JUAN Due don Gili sono qui. DONNA JUANA E con me saranno tre. DONNA INÉS Un altro? Cielo! Qual è l’amante che vive in me? DON JUAN Don Gil il verde son io. DONNA CLARA (Già il timore è gelosia: donna Inés corteggia. Cielo! Certamente m’ingannò.) Di lui devo vendicarmi. (A loro) Don Gil dalle calze verdi son io solo. QUINTANA Il nome perdi: [A donna Juana] sono venuti a scippartelo altri tre Gili. DONNA JUANA Son io il don Gil verde o il grigio. DONNA INÉS Esiste caso più strano? QUINTANA
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DON JUAN DOÑA JUANA QUINTANA CARAMANCHEL
Guardando este paso estoy. O váyanse, o matarelos. ¡Sazonada flema a fe! Vuestro valor probaré. ¡Mueran los Giles!
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Echan mano y hiere Quintana a don Juan. DON JUAN DOÑA JUANA
¡Ay, cielos! Muerto soy. Por que te acuerdes de tu presunción, después di que te hirió, a doña Inés, don Gil de las calzas verdes.
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Vanse los tres. DOÑA CLARA
Pártome desesperada de celos. ¿Mas no me dio fe y palabra? Harele yo que la cumpla. Vase doña Clara.
DOÑA INÉS
Bien vengada de don Juan don Gil me deja. Querrele más desde hoy.
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Vase. CARAMANCHEL
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Lleno de don Giles voy. Cuatro han rondado esta reja; pero el alma enamorada que por suyo me alquiló, del purgatorio sacó en su ayuda esta gilada. Ya la mañana serena
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DON JUAN DONNA JUANA QUINTANA CARAMANCHEL
Son di guardia a questo passo: se ne vadano o li uccido. Un po’ di calma, perdinci! Sfiderò il vostro valore. Muoiano i Gili!
Mettono mano alla spada e Quintana ferisce don Juan. DON JUAN DONNA JUANA
Ahi cielo! Muoio! Perché ti rammenti della tua albagia, dirai a donna Inés che a ferirti fu don Gil in calze verdi. Escono tutti e tre.
DONNA CLARA
Me ne vado disperata per la gelosia. Parola lui mi dette e dovrà ora compierla. (Esce donna Juana.)
DONNA INÉS
Ben vendicata di don Juan don Gil mi lascia. Gli vorrò da oggi più bene. Esce.
CARAMANCHEL
Di don Gili son strapieno. Quattro ne ha visti la grata; ma l’anima innamorata che come suo mi ingaggiò, dal purgatorio portò in suo aiuto la gilata. Già la mattina serena 1601
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
amanece. Sin sentido voy. ¡Jesús! ¡Jesús! ¡Que he sido lacayo de un alma en pena!
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Sale don don Martín, vestido de verde. DON MARTÍN
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Calles de aquesta corte, imitadoras del confuso Babel, siempre pisadas de mentiras, al rico aduladoras como al pobre severas, desbocadas; casas a la malicia, a todas horas de malicias y vicios habitadas. ¿Quién a los cielos en mi daño instiga, que nunca falta un Gil que me persiga? Árboles deste Prado, en cuyos brazos el viento mece las dormidas hojas, de cuyos ramos, si pendieran lazos, colgara por trofeo mis congojas; fuentes risueñas, que feriáis abrazos al campo, humedeciendo arenas rojas, pues sabéis murmurar, vuestra agua diga que nunca falta un Gil que me persiga. ¿Qué delitos me imputan, que parece que es mi contraria hasta mi misma sombra? A doña Inés adoro: ¿esto merece el castigo invisible que me asombra? ¿Qué don Gil mis deseos desvanece? ¿Por qué, fortuna, como yo se nombra? ¿Por qué me sigue tanto? ¿Es por que diga que nunca falta un Gil que me persiga? Si a doña Inés pretendo, un don Gil luego pretende a doña Inés, y me la quita; si me escriben, don Gil me usurpa el pliego y con él sus quimeras facilita; si dineros me libran, cuando llego, hallo que este don Gil cobró la dita.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
l’alba annuncia. Son stordito: Gesù, Gesù! Sono stato lacchè di un’anima in pena! Entra don Martín, vestito di verde. DON MARTÍN
Strade di questa corte, imitatrici di Babele confusa, calpestate da menzogne, del ricco adulatrici come severe al povero e sfrontate; astute case che siete da vizi e da malizie ogni istante abitate; chi i cieli contro me starà istigando che un Gil non manca mai a perseguitarmi? Voi, alberi del Prado, nel cui seno il vento culla le dormienti foglie, ed ai cui rami, se avessero lacci, appenderei per trofeo le mie angosce; amene fonti che vendete abbracci al prato, inumidendo arene rosse, la vostra acqua dica mormorando che un Gil non manca mai a perseguitarmi. Che delitti m’addossano, che pare voglia osteggiarmi la mia stessa ombra? Adoro donna Inés: merita questo l’occulta pena che mi dà sgomento? Quale don Gil dilegua le mie brame? Perché, o fortuna, ha il mio stesso nome? Perché tanto m’insegue? È perché affermi che un Gil non manca mai a perseguitarmi? Se donna Inés corteggio, un don Gil tosto corteggia donna Inés e me la toglie; se ho lettere, don Gil m’usurpa il foglio in modo da appianare ogni suo inganno; se mi inviano denaro, appena giungo, questo don Gil ha riscosso il mandato.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Ya ni sé adónde vaya, ni a quién siga, pues nunca falta un Gil que me persiga. Salen Quintana, don Diego, viejo, y un alguacil. QUINTANA
DON DIEGO
ALGUACIL DON MARTÍN ALGUACIL DON MARTÍN ALGUACIL DON MARTÍN
Este es el don Gil fingido, a quien conoce su patria por don Martín de Guzmán, y el que ha muerto a doña Juana, mi señora. ¡Oh, quién pudiera teñir las prolijas canas en su sangre sospechosa, que no es noble quien agravia! Llegad, señor, y prendelde. Dad, caballero, las armas. ¿Yo? Sí. ¿A quién? A la justicia. ¿Qué es esto? ¿Hay nuevas marañas?
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Dalas.
DON DIEGO
DON MARTÍN
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¿Por qué culpas me prendéis? ¿Ignoras, traidor, la causa, después de haber dado muerte a tu esposa malograda? ¿A qué esposa? ¿Qué malogros? De esposo le di palabra; partime luego a esta corte, dicen que quedó preñada. Si de malparir una hija se murió, estando encerrada en San Quirce, ¿tengo yo culpa desto? Tú, Quintana, ¿no sabes la verdad desto?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Non so più chi inseguire o a chi affidarmi, ché un Gil non manca mai a perseguitarmi. Entrano Quintana, don Diego, vecchio e uno sbirro. QUINTANA
DON DIEGO
SBIRRO DON MARTÍN SBIRRO DON MARTÍN SBIRRO DON MARTÍN
Costui è il don Gil contraffatto, che la sua patria conosce come Martín de Guzmán, e che ha ucciso donna Juana, la mia signora. Oh, potessi tinger la mia testa bianca con il suo sangue sospetto, perché è ignobile chi oltraggia! Arrestatelo, signore. Cedete, signore, le armi! Io? Sì. A chi? Alla giustizia. Che succede? Nuovi imbrogli? Gliele dà.
DON DIEGO
DON MARTÍN
Per che colpa mi arrestate? Non ne sai, vile, la causa, dopo che hai arrecato morte alla sposa sventurata? Quale sposa? Che sventura? Promisi che la sposavo, poi partii per questa corte; dicon che incinta rimase. Se partorendo una bimba morì, mentre rinserrata era a san Quirce, che colpa ho di questo? Tu, Quintana, non lo sai che questo è vero? 1605
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO QUINTANA
DON MARTÍN ALGUACIL DON MARTÍN
DON DIEGO
DON MARTÍN
La verdad que yo sé clara, es, don Martín, que habéis dado sin razón de puñaladas a vuestra inocente esposa, y, en Alcorcón sepultada, pide contra vos al cielo, como Abel, justa venganza. ¡Traidor! ¡Vive Dios... ¿Qué es esto? Que a no hallarme sin espada, la lengua con que has mentido y el corazón te sacara. ¿Qué importa, tirano aleve, que niegues lo que esta carta afirma de tus traiciones? La letra es de doña Juana.
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Léela para sí. DON DIEGO DON MARTÍN
DON DIEGO ALGUACIL
DON MARTÍN
DON DIEGO
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Mira lo que dice en ella. ¡Jesús! ¡Jesús! ¿Puñaladas yo a mi esposa en Alcorcón? ¿Yo estuve en Alcorcón? Basta. Deja excusas aparentes. Despacio haréis la probanza, señor, de vuestra inocencia, en la cárcel. Si quedaba en San Quirce como muestran estas escritas palabras de su mano y de su firma, decid, ¿cómo pude darla la muerte yo en Alcorcón? Porque finges letras falsas, del modo que el nombre finges.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO QUINTANA
DON MARTÍN SBIRRO DON MARTÍN
DON DIEGO
DON MARTÍN
La verità che so chiara è, don Martín, che voi avete colpito con il pugnale la vostra sposa innocente che, ad Alcorcón sotterrata, vuol dal cielo, come Abele, contro voi esser vendicata. Vivaddio, infame... Che dite? Se avessi ancora la spada la lingua con cui hai mentito e il cuore t’avrei strappato. A che pro, tiranno vile, il tradimento negare che afferma questo biglietto? Sì, l’ha scritto donna Juana. Lo legge in silenzio.
DON DIEGO DON MARTÍN
DON DIEGO SBIRRO
DON MARTÍN
DON DIEGO
Leggi cosa dice in esso. Gesù, Gesù, pugnalate io alla mia sposa a Alcorcón? Io ad Alcorcón? Ora basta, con queste misere scuse. Avrete agio di provare in carcere l’innocenza, signore. Se era rimasta a San Quirce, come provano queste parole vergate di sua mano e con la firma, dite, come potei darle ad Alcorcón io la morte? Perché mostri carte false, così come fingi il nome.
1607
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Don Antonio y Celio. DON ANTONIO CELIO
DON DIEGO DON MARTÍN
DON ANTONIO DON MARTÍN DON ANTONIO: DON MARTÍN DON ANTONIO CELIO DON DIEGO
CELIO ALGUACIL CELIO DON MARTÍN
1608
Ese es don Gil. En las calzas verdes le conoceréis. Sí, que estos don Gil lo llaman. La palabra que le distes a mi prima doña Clara, señor don Gil, por justicia ya que vuestro amor la engaña, venimos a que cumpláis. Esa es sin duda la dama por quien a su esposa ha muerto. ¿Queréis volverme esa daga? Acabaré con la vida, pues mis desdichas no acaban. Doña Clara os quiere vivo, y como a su esposo os ama. ¿Qué doña Clara, señores? ¡Que no soy yo! ¡Buena estaba la excusa! ¿No sois don Gil? Ansí en la corte me llaman; mas no el de las calzas verdes. ¿No son verdes esas calzas? O habéis de perder la vida, o cumplir palabras dadas. Quitarásela el verdugo, levantando en una escarpia su cabeza enredadora antes de un mes en la plaza. ¿Cómo? Mató a su mujer. ¡Oh, traidor! ¡Oh, si llegara a dar remate a mis penas la muerte que me amenaza!
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Don Antonio e Celio. DON ANTONIO CELIO
DON DIEGO DON MARTÍN
DON ANTONIO DON MARTÍN DON ANTONIO DON MARTÍN DON ANTONIO CELIO DON DIEGO
CELIO SBIRRO CELIO DON MARTÍN
Costui è don Gil. Dalle calze verdi lo si riconosce. Sì, ché i due così lo chiamano. La parola che voi deste alla mia cugina Clara, vogliamo, signor don Gil, già che il vostro amor l’inganna, per giustizia, che compiate. Questa è senz’altro la dama per cui ha ucciso la sua sposa. Ridatemi quella daga. Cessi pure la mia vita, se non cessa la disgrazia. Donna Clara vi vuol vivo e come suo sposo vi ama. Che donna Clara, signori? Non son io! L’ha ben trovata la scusa! Don Gil non siete? Così alla corte mi chiamano; ma non dalle calze verdi. Non son verdi quelle calze? O perdete voi la vita, o la parola serbate. Verrà a togliergliela il boia, sopra un uncino innalzando la sua testa truffaldina fra non molto tempo in piazza. Perché? Ha ucciso la sua donna. Oh che vile! Oh, se arrivasse a dar fine alle mie pene la morte che mi minaccia!
1609
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO
Fabio y Decio. FABIO
DECIO
DON MARTÍN ALGUACIL FABIO
DON MARTÍN QUINTANA DON MARTÍN
DON DIEGO ALGUACIL QUINTANA
Ese es el que hirió a don Juan en la pendencia pasada. Con él está un alguacil. La ocasión es extremada. Poned, señor, en la cárcel a este hidalgo. ¿Hay más desgracias? Allá va. Pero, ¿por qué prenderle los dos me mandan? Hirió a don Juan de Toledo anoche, junto a las casas de don Pedro de Mendoza. ¿Yo a don Juan? ¡Miren si escampa! ¿Qué don Juan, cielos? ¿Qué noche, qué casa o qué cuchilladas? ¿Qué persecución es esta? Mirad, señores, que el alma de doña Juana difunta, que dicen que en penas anda, es quien a todos enreda. ¿Luego habeisla muerto? Vaya a la cárcel. Aguardad, que se apean unas damas de un coche, y vienen aprisa a dar luz a estas marañas.
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Doña Juana, de hombre, don Pedro; doña Ines; doña Clara, de mujer, y don Juan, con banda al brazo. DOÑA JUANA DON DIEGO
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¡Padre de los ojos míos! ¿Cómo? ¿Quién sois?
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Fabio e Decio. FABIO
DECIO
DON MARTÍN SBIRRO FABIO
DON MARTÍN QUINTANA DON MARTÍN
DON DIEGO SBIRRO QUINTANA
Questi è chi ferì don Juan nella contesa passata. Accanto a lui c’è uno sbirro. Oh che spaventoso caso! Incarcerate, signore, quest’uomo. Me disgraziato! Ci va; ma perché quei due di arrestarlo mi comandano? Ferì don Juan de Toledo stanotte, presso la casa di don Pedro de Mendoza. Io don Juan? Guarda che faccia! Che don Juan, cielo? Che notte, che casa, quale stoccata? Che persecuzione è questa? Attenti signori, è l’anima di donna Juana defunta, che tutti quanti v’inganna. L’uccideste dunque? In carcere vada subito. Aspettate, ché smontano alcune dame da una carrozza, e ben presto quest’intrigo sveleranno.
Donna Juana, vestita da uomo, don Pedro; donna Inés, donna Clara, vestita da donna, e don Juan, con una fascia al braccio. DONNA JUANA DON DIEGO
Padre degli occhi miei! Che? Chi siete?
1611
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DOÑA JUANA DON DIEGO DOÑA JUANA DON DIEGO DOÑA JUANA
[a don Martín.] DON MARTÍN
DOÑA JUANA DON MARTÍN
(A don Diego) DON DIEGO
DON PEDRO
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Doña Juana, hija tuya. ¿Vives? Vivo. ¿Pues no es tuya aquesta carta? Todo fue porque vinieses a esta corte, donde estaba don Martín hecho don Gil, y ser esposo intentaba de doña Inés, a quien di cuenta desta historia larga, y a poner remedio viene a todas nuestras desgracias. Yo he sido el don Gil fingido, célebre ya por mis calzas, temido por alma en pena por serlo tú de mi alma. Dame esa mano. Confuso te la beso, prenda cara, y agradecido de ver que cesaron por tu causa todas mis persecuciones. La muerte tuve tragada. Quintana contra mí ha sido. Volvió por mi honor Quintana. Perdonad mi ingratitud, señor. Ya padre os enlaza el cuello, quien enemigo vuestra muerte procuraba. Ya nos consta del suceso, y las confusas marañas de don Gil, Juana y Elvira. La herida no ha sido nada, de don Juan.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO
Donna Juana, la tua figlia. DON DIEGO Viva? DONNA JUANA Viva. DON DIEGO Questo foglio non firmasti? DONNA JUANA Tutto fu perché venissi alla corte dove stava don Martín che, finto Gil, d’esser lo sposo tentava di donna Inés, a cui questa lunga storia ho io narrato, e viene a porre rimedio ad ogni nostra disgrazia. Ero io il falso don Gil, celebre per le mie calze, anima in pena temuta [A don Martín.] ché lo sei della mia anima. Dammi la mano. DON MARTÍN Confuso te la bacio, amore caro, e contento di vedere che grazie a te son cessate già le mie persecuzioni. Ho visto la morte in faccia. Quintana contro me è stato. DONNA JUANA Per il mio onore l’ha fatto. DON MARTÍN Perdonate se, signore, (A don Diego) fui un ingrato. DON DIEGO Ora le braccia di padre v’offre chi prima la vostra morte ha cercato. DON PEDRO Ora è chiaro l’accaduto, con le storie aggrovigliate di don Gil, Juana ed Elvira. La ferita di don Juan fu leggera. DONNA JUANA
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DON JUAN
DOÑA INÉS DON PEDRO DOÑA CLARA DON ANTONIO DON DIEGO DON MARTÍN
Antes, por ver que ya doña Inés me paga finezas, tengo salud. Dueño sois de mí y mi casa. Don Antonio lo ha de ser de la hermosa doña Clara. Engañome como a todos don Gil de las verdes calzas. Yo medro por él mis dichas, pues vos premiáis mi esperanza. Ya, don Martín, sois mi hijo. Mi padre que venga falta para celebrar mis bodas.
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Sale Caramanchel, lleno de candelillas el sombrero y calzas, vestido de estampas de santos, con un caldero al cuello y un hisopo. CARAMANCHEL
DOÑA JUANA CARAMANCHEL
DOÑA JUANA
CARAMANCHEL DOÑA JUANA CARAMANCHEL
¿Hay quien rece por el alma de mi dueño, que penando está dentro de sus calzas? Caramanchel, ¿estás loco? Conjúrote por las llagas del hospital de las bubas, abernuncio, arriedro vayas. Necio, que soy tu don Gil. Vivo estoy en cuerpo y alma. ¿No ves que trato con todos, y que ninguno se espanta? Y ¿sois hombre o sois mujer? Mujer soy. Esto bastaba para enredar treinta mundos.
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Sale Osorio. OSORIO
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Don Martín, agora acaba vuestro padre de apearse.
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DON JUAN
DONNA INÉS DON PEDRO DONNA CLARA DON ANTONIO DON DIEGO DON MARTÍN
Anzi, vedendo che donna Inés mi ripaga con gentilezze, guarisco. Son vostra e lo è la mia casa. E promesso sarà Antonio della bella donna Clara. Mi ha ingannato come tutti don Gil dalle verdi calze. Grazie a lui ottengo il mio bene, si avvera la mia speranza. Don Martín, siete mio figlio. Manca che arrivi mio padre per dar luogo alle mie nozze.
Entra Caramanchel, con il cappello e le calze piene di candeline, tutto rivestito di santini, con un recipiente al collo e un aspersorio. CARAMANCHEL
DONNA JUANA CARAMANCHEL
DONNA JUANA
CARAMANCHEL DONNA JUANA CARAMANCHEL
Chi vuol pregare per l’anima del mio padrone che dentro le sue calze sta pensando? Caramanchel, sei impazzito? Ti scongiuro per le piaghe dell’ospizio dei bubboni, abrenuncio, indietro vai! Sciocco, sono il tuo don Gil, vivo nel corpo e nell’anima: non vedi che parlo a tutti e nessuno si travaglia? E siete uomo e anche donna? Sono donna. Ciò bastava a imbrigliare trenta mondi. Entra Osorio.
OSORIO
Don Martín, sta ora smontando vostro padre appena giunto. 1615
TIRSO DE MOLINA DON GIL DE LAS CALZAS VERDES, ACTO TERCERO DON PEDRO OSORIO DON PEDRO DOÑA JUANA CARAMANCHEL
¿De apearse y no en mi casa? Esperando os está en ella. Vamos, pues, porque se hagan las bodas de todos tres. Y porque su historia acaba don Gil de las calzas verdes. Y su comedia con calzas. FIN
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TIRSO DE MOLINA DON GIL DALLE CALZE VERDI, ATTO TERZO DON PEDRO OSORIO DON PEDRO DONNA JUANA CARAMANCHEL
Smonta e non nella mia casa? Aspettandovi sta in essa. Andiam su, perché si facciano le nozze di tutti e tre. E perché chiuda il suo caso don Gil dalle calze verdi. E la sua farsa calzata. FINE
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El condenado por desconfiado Dannato perché incredulo Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva, traduzione e note di GIOVANNI CARA
Nota introduttiva
1. Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro, rispetto ad altri generi – narrativa e poesia principalmente – che sbrigativamente tutt’insieme si dicono letterari, è forse la più pervasiva forma di comunicazione d’epoca in grado di coinvolgere ognuno, dal picaro ignorante ed affamato sino all’intellettuale o l’aristocratico locale, nel sistema comunicativo e sociale. La messa in scena è altra cosa rispetto alla possibilità d’una lettura che ritorna su sé stessa per ricordare e concertare, e non consente alcuna moviola e nessun segnalibro che divida i tempi della ricezione; essa si basa su un continuum che si apre e chiude di fronte alla rappresentazione che, però, non è ripetibile ed è affidata non alle larghezze e comodità del montaggio, che può condannare o salvare e spostare ogni sintagma, ma, anche nel Seicento, alla concretezza d’una compagnia e alla disponibilità di attori. Ed è per questo, oltre che per la totale assenza d’una specie giuridica sul diritto d’autore, così come oggi la conosciamo, che lo stato di trasmissione dei testi teatrali aurei è quanto mai lacunoso e problematico: ciò che lo stesso Condenado testimonia nella sua tormentata attestazione e diversa presenza nella tradizione testuale. Il Dannato perché incredulo s’inserisce a pieno titolo nella prassi teatrale che oramai è spettacolo accolto ovunque nella penisola spagnola come appuntamento, occasione pomeridiana di svago, incontro, rispecchiamento; esigenza complessa che assume ogni scheggia d’universo circostante, evento onnipresente, che non a caso costituisce metafora efficace per parlare di tutta l’estetica barocca, per il suo essere immagine tridimensionale, multimediale ed effimera di vita. La vita come sogno, il teatro della vita, l’esistere come ombra sul palcoscenico dell’esistenza; 1621
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO
pubblico e recita, palco e platea, pensiero comune e ideologia dominante, acquiescenza e strappo: fra strumento di propaganda e spazio dove s’incontrano istanze diverse – sociali, intellettuali, ideologiche, estetiche e del tutto pratiche – il teatro de corral, a cercare d’immaginare la sua esistenza in cronaca, è il fermo immagine su un’intera comunità locale. Il cortile interno ad un edificio costruito su quattro lati: su una facciata è addossato il palcoscenico; di fronte la platea di scarti e spettatori negletti; poco più in là, seduta su tavolacci, piccola gente avventizia e di città. In fondo, in spazi disposti secondo una precisa progressione, i ceti cominciano a dividersi e distinguersi, e lo sguardo privilegiato sulla scena a dire dell’importanza di chi osserva. Poi, in verticale, tra balconate e finestre, il potere si distribuisce e innalza: religiosi locali, intellettuali, nobiltà dei due sessi. Lo spazio teatrale, insomma, è anche la sezione – già per sé stessa metateatrale e luogo scenico dentro luogo sociale – d’una società verticale; è icona delle intenzioni del destinatore e delle aspettative, spesso indotte, del destinatario; un’istantanea di tutta la compagine di ceti che, riuniti un pomeriggio nell’occasione d’una rappresentazione, da spettatori recitano secondo ruoli precisi. Ovviamente, come necessari sfiati, qua e là esistono resistenze e margini – o spesso squarci – di contraddizione: non sarà dunque un caso che, da un certo momento in poi, si moltiplicarono i decreti volti a delimitare, controllare e proibire le rappresentazioni teatrali, sul filo sottile tra politica e religione così teso ed evidente persino nella scansione del calendario che regolava stagioni e passaggi annuali, tra ataviche funzioni legate al clima e regolamenti liturgici. Anche la rigida composizione ortodossa, aderente ai dettami tridentini, può porre domande e insinuare il dubbio, ciò che è proibito ma di cui è contemporaneamente pieno l’uomo barocco. 2. El condenado por desconfiado fu per la prima volta pubblicato nella Segunda parte de las comedias del Maestro Tirso de Molina. Recogidas por su sobrino don Francisco Lucas de Ávila, Imprenta del Reino, a costa de la Hermandad de los Libreros de esta corte, Madrid, 1635. Tale Segunda parte presenta numerosi aspetti ancora oggi sotto discussione circa l’attribuzione di alcune tra le commedie raccolte, discussione che comunque in questa sede tralascio e per la quale rimando alla bibliografia critica relativa. 1622
NOTA INTRODUTTIVA
La vicenda contrappone due profili teologici icastici: il peccatore che si redime all’ultimo e il fedele che, travolto dai dubbi, soccombe e si danna. Entrambi, però, hanno il dono della fede. Enrico è colui che, all’ultimo, si pente – ma non che debba convertirsi: aspetto non secondario dell’intima questione posta da Tirso – mentre Paolo dubita, non già dell’esistenza di Dio, ma delle sue giustizia e misericordia. Siamo esattamente sul crinale che separò Lutero dal Vaticano, e credo che questo a Tirso importasse: come a dire che, in fondo, El condenado è un dramma su uno dei canoni del Concilio di Trento, quello sulla confessione e dell’ultimo istante in cui, tra parole e opere, l’uomo viene giudicato. Ma – consapevolezza, filtro, intertesto e tradizione – l’autore ha anche altri riferimenti «narrativi» e, si direbbe oggi, di cronaca, evocati dalla disputa tra gesuiti e domenicani, i primi legati a Luis de Molina e i secondi al padre Báñez. Sia Enrico che Paolo hanno la grazia della fede al di là dei meriti, ma Paolo la rifiuta ed Enrico, all’ultimo, coopera. Una delle fonti è la leggenda di San Panuzio e del ladrone, tratto dalle Vitae patrum, cui peraltro sul finale i vv. 2985-87 alludono; un’altra il dialogo tra l’eremita e il macellaio, fonte che ricorre nel Conde Lucanor e nel racconto indiano del Brahmano (il cacciatore che prima è macellaio poi ladrone); o, ancora, la leggenda medievale dell’apostasia dell’eremita che vede perdonato e accolto da Dio un ladro, vicenda che rivitalizza l’episodio evangelico del buon ladrone.1 Paolo, eremita, vive in grazia di Dio ma è preda della duplice tentazione evangelica: possiede l’incredulità di Tommaso (Gv, 20, 24-29), che non a caso nella tradizione esegetica è l’ultimo dei discepoli e il primo dei fedeli, e la superbia del fariseo (Lc, 18, 9-14). In sottofondo c’è il libro di Giobbe e la storia delle tentazioni di Cristo (Lc, 4, 1-12): superbia e incredulità che nella teologia sono peccati considerati contigui. Il riferimento al libro di Giobbe è fedele alla lettera, quello alle tentazioni di Cristo invece no, e questo pare significativo del clima controriformato. Il libro di Giobbe è un dramma con pochissima azione e molta passione. [...] Allontanandosi dalla dottrina tradizionale della retribuzione, Giobbe oppone a un principio un fatto, ad una idea un uomo. [...] Il nostro autore propone il caso limite: fa soffrire il suo protagonista innocente, perché il suo grido sgorghi «dal profondo».2
1623
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO
Per quanto riguarda le tentazioni del demonio, mentre nella fonte sono pura volontà del male, nel testo seicentesco sono ispirate da Dio in un gesto ai limiti del blasfemo in linea peraltro con l’interpretazione fervorosa e rigida dei mistici.3 In questo senso, tra il Condenado e il Burlador, chiunque sia l’autore dell’uno e dell’altro, emerge il dissenso radicale verso il peccatore incallito e il suo rovescio, il fautore del bene per conformismo e apparenza (Mt, 6, 5-7) e il peccatore senza pentimento. La tentazione conduce Paolo a Napoli, e il testo fa emergere una doppia idiosincrasia questa volta storica: gli spagnoli sono invisi perché sovraordinati; la commedia dell’arte ha perduto molti pericolosi Pulcinella impiccati in nome dei viceré, e chi sa quanti graciosos il teatro spagnolo deve alla commedia dell’arte; al contempo il luogo si fa preciso per lo spettatore, che immagina Napoli come la sentina d’ogni male: è la frontiera, la città vicina al mare, come la Siviglia corrotta dei suburbi e della feccia descritta nella picaresca. Anche l’orrore per i margini penso che sia un dato da capire nella letteratura spagnola dei Secoli d’Oro: da Don Quijote che guarda Barcellona come un luogo misterioso, da cui inizia la sua morte, ai terribili diari delle Indie, che cercano d’interpretare la storia come un libro di cavalleria, al finale del Buscón fino alla circolarità del Celoso extremeño, ancora di Cervantes. «Calarsi nel teatro spagnolo del Siglo de Oro – dice Carmelo Samonà – è come visitare una città sterminata ed inafferabile: [...] sull’intima essenza della città – sulla sua forma intera – continuiamo a interrogarci».4 Le parole di Samonà, a leggerle bene, sono dense di riferimenti e, tra le righe, dicono d’un nuovo rapporto tra spettatore e pubblico che viene da lontano ed è sancito e codificato da Lope nell’Arte nuevo; un rapporto che incrocia anche le complesse vicende europee nel Cinquecento, poi assunte in Spagna in maniera peculiare e drammatica, poiché, più che altrove – e più forse che nella stessa tradizione italiana – in Spagna pesò la commistione tra politica, intellettuali e cattolicesimo tanto da innervare tutto l’organismo sociale d’una opinione corrente: quella della teocrazia. Questa mi pare una prima ineludibile premessa tra le pieghe d’un teatro che, comunque sia, spesso finisce per contraddirsi e argomentare surrettiziamente pensieri eterodossi, come sempre accade, per usare terminologia oramai in disuso, anche attraverso intellettuali organici e integrati, per citare due riflessioni novecentesche, di Gramsci e di Eco. Lo dice molto bene Samonà: il teatro barocco comincia ad essere prevalente1624
NOTA INTRODUTTIVA
mente teatro urbano. Nei piccoli o grandi centri abitati, dove uno dietro l’altro sorsero i corrales, si gioca molto della partita intellettuale barocca e della sua specifica appartenenza agli agglomerati che attiravano borghesi e derelitti e che spingevano le élites intellettuali e la propaganda all’elogio dell’aldea, in modo che i pastori eleganti e colti rimanessero, nel verosimile, chiusi dentro le amenità e solitudini di romanzi e idilli e, nel vero, fossero gentilmente invitati ad esercitare extra moenia. Certo, si tratta di un’operazione comunicativa di potere: ma tale operazione risulta complessa, piena di increspature, e dunque mossa da contrasti e contraddizioni. Il teatro e la teatralizzazione, la celebrazione e il trionfo del potere, la partecipazione collettiva a un’idea che si vuole universale prima che comune, sono tratti tipicamente riconosciuti del Barocco: come gli opposti, però, perché esiste la possibilità che qualcuno – come Góngora, come Cervantes o Calderón – da qualche parte, riesca con un iperbato a dire che il soggetto è lontano dal verbo. Il Condenado è anche una riflessione intorno a un quesito che tornò ad essere capitale dopo la frattura luterana, cui seguì il dettato del Concilio di Trento. Il rovello sembra oggi distante, ma in realtà su di esso rinvigorì la radice della diatriba che spezzò in due l’Europa tra riformati, con tutte le successive variabili, e cattolici. Il nerbo consiste nella questione del libero arbitrio: un nucleo teologico intensamente barocco, nel merito, per come fu in grado di attrarre soluzioni eterogenee e ambigue provenienti da lunghe dispute secolari; basti solo pensare al lascito di Erasmo circa il rapporto fra parole ed opere, le seconde per lui superiori alle prime, in contrasto con Lutero. La medesima questione, in fondo, investe il dramma che si può considerare maggiore nel Seicento ispanico, La vida es sueño di Calderón de la Barca, anche in questo caso con non poche fratture nel problematico dettato teologico, nonché l’altra grande opera attribuita a Tirso, El burlador de Sevilla, peccatore al quale, sulla soglia della morte, diversamente da Enrico, viene negato il sacramento della confessione. Dietro tutto ciò consiste il faticoso cammino cinquecentesco che imboccò, principalmente, tre strade: riformismo spinto, cattolicesimo pensoso e controriformismo blindato. Tra Lutero, illuminati e ortodossi, insomma, si produssero molteplici variabili, e il Rinascimento consegnò al Barocco una patata bollente. Molti sono i frutti difficilmente decifrabili di tali rovelli: dal Lazarillo al Quijote; dai fratelli Valdés alla resistenza sospetta dei mistici; dall’ade1625
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO
sione prona ai dettati della predicazione ufficiale ai dubbi dei missionari presso le Indias de allá e anche dei piccoli preti nelle Indias de acá che, ignoranti nei piccoli paesini della profonda provincia spagnola, dovevano vedersela coi fedeli più vicini al sudore che alle lettere. Nel caso del Condenado – che sia o meno del medesimo autore – si pone un problema simile e forse ugualmente irrisolto rispetto a quello del Burlador de Sevilla, che termina con la condanna eterna del dongiovanni, che pure chiede in extremis la confessione al suo aguzzino. In quest’ultimo caso l’antieroe viene condannato per l’eternità da un morto che rappresenta la giustizia insieme divina e umana, in quanto appartenente all’ordine militare e religioso di Calatrava. Fra terra e cielo, don Diego vendica l’oltraggio a sua figlia ed esercita contemporaneamente, mercé la croce di Calatrava che porta sul petto, il diritto di Dio e dell’uomo. Eppure non pare del tutto risolto l’assoluto dogmatico per il quale, secondo dottrina cattolica, fino all’ultimo il peccatore, in potestà e per volontà, si può salvare.5 Nel Sueño calderoniano, poi, il destino s’inscrive nel caso, doppiamente provvidenziale, che prima costringe l’uomo al capriccio di un disegno astrologico in cifra, poi lo salva anche attraverso un capro espiatorio (il soldato). La provvidenza divina, insomma, prevede già un soldato che liberi il principe e condanni il re e, contemporaneamente, perdoni il re e condanni il soldato per liberare l’uomo dal cortocircuito tribale della colpa. Giusti e peccatori, fra matrimoni d’interesse e minuetti di corte, sembrano poco più che fantocci nelle mani di Dio come le spoglie michelangiolesche nel Giudizio. Anche il Dannato perché incredulo è tutto dentro il garbuglio della Controriforma e, poeticamente, pone una mole di problemi che non risolve. Opera fino in fondo secentesca, sembra parlare senza rispondere, piegandosi sulle contraddizioni che il dogma non voleva sciogliere nell’atto di fede ma che tentava di risolvere in sede teologica di fronte al pubblico del corral, così composito e vario. Insomma: che spazio di libertà ha l’uomo di fronte a Dio? Un eremita in crisi e un peccatore indomito daranno la risposta prevedibile, sorretta da due sequenze evangeliche: la parabola della pecora smarrita (Mt, 18, 10-14 e Lc, 3-7), peraltro esplicitamente evocata dal pastorello nella pièce, e la parabola dei due figli, nota come «del figliol prodigo» (Lc, 15, 15-32). A voler essere acribiosi, pare d’avvertire, in questo dramma così come in tanti dell’epoca, anche la radice narrativa del doppio, un filo poco 1626
NOTA INTRODUTTIVA
visibile che conduce alla storia di Caino e Abele. Tale ordito insiste non solo sulla trama che raffigura il trattamento distinto riservato da Dio ai due uomini che offrono doni diversi, trattamento che a uno dei due, Caino, sembra ingiusto e iniquo: in epoca aurea e coloniale le due figure si riempirono dei segni originari nella contrapposizione tra stanzialità ed erranza e riprodussero le esigenze piccine di cronaca e di storia. L’erranza del pastore Abele, privilegiato e martire, e la stanzialità del contadino Caino, dannato e fondatore di città, sembrano ridursi e attualizzarsi, apparentemente in chiasmo, in Paolo ed Enrico; la città, fucina di peccato e orrore, e il campo, luogo di meditazione e pace: in pieno Seicento abbiamo un Caino urbano e peccatore che si pente e un Abele eremita ed errante che tradisce la vocazione del viaggio e della distanza dal secolo, con un pastore che è a sua volta doppio di Cristo. In realtà, a leggere bene il testo, Paolo si equivoca circa l’allontanamento dalla città e fa una scelta estrema – quella dell’ascesi – che nella pubblicistica d’epoca era guardata con sospetto, come peraltro documenta tutta la storia dei rapporti tra mistici e Chiesa ufficiale. S’intravede di nuovo in controluce, e ora su basi teologiche, l’ennesimo elogio dell’aldea propagandistico che cercava di spingere le masse inurbate, attirate dalle opportunità coloniali che ingrassavano le città e truccavano i bilanci di Stato, a ritornare alla terra, per lasciare i privilegi ai privilegiati. Ma le ragioni d’epoca hanno bisogno d’una descrizione. Il problema posto da Lutero, pieno del dettato di sant’Agostino, è lacerante: se Dio esiste, com’è ch’esiste il peccato? E quale margine è concesso all’uomo? Davanti a quale abisso si può salvare fino all’ultimo? La risposta teologica è la seguente: se l’uomo pecca ma si pente, avrà la sua salvezza; ma se, anche puro in vita, all’ultimo si piega al male, sarà dannato. Un protestante, di fronte al dolente dogma per cui gli atti governano la vita sopra la preghiera, discorda; il cattolico s’accorda ma soffre: «Operis credite, et non verbis». Eppure il dubbio di Paolo, stanco da dieci anni d’eremitaggio, lo condanna proprio perché posto in termini di grido e di preghiera: è con le parole che Paolo dubita e mette in gioco la sua decennale esistenza dedicata, con i fatti, a Dio.6 Paolo ha il nome del protettore dei gentili, cioè d’un ebreo convertito a Damasco; diviene peccatore per libera scelta, quasi in controtendenza e opposizione rispetto all’omonimo epistolografo del Nuovo Testamento; il primo ha il dono della fede ma dubita, come Tommaso, che mi sembra 1627
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO
il vero nucleo originario del Condenado, per il suo tentennare sulla resurrezione, non su Dio; il secondo è miscredente ma riceve, e soprattutto accetta, il dono. L’autore, chiunque sia, in realtà tende una corda teologica che da un momento all’altro si può spezzare: Erasmo e Lutero, che prima fecero lotta intestina alla Chiesa e poi scelsero l’uno di rimanere e l’altro di andarsene, incombono in epoca di Controriforma. Il Burlador pone diversamente lo stesso problema risolvendolo, stranamente, con altrettante ma divaricate contraddizioni: persino don Giovanni, per quanto poco sia stato sottolineato, chiede in vista della fine un confessore, che gli è negato, ciò che – leggendo alla lettera le parole del pastorello nel Condenado (per esempio nei vv. 2679-88) – non dovrebbe essere possibile, perché anche il più efferato peccatore ha diritto al perdono. Insomma: come districarsi nella congerie di possibili voci d’autore, se pure sono poi diverse? Qui, qualunque autore abbia scritto o allestito il testo che ci è giunto, che sia Tirso o Claramonte o chiunque altro, ha pensato a due peccatori schematici ma pieni dei dubbi tridentini, impadroniti dal dolore del peccato che, quando c’è bisogno di Dio, ammaestra la tragedia in una barocca coincidenza degli opposti. Il caso è che per entrambi i protagonisti, Paolo ed Enrico, Dio c’è, sicché non è un problema di fede in senso stretto; è ancora peggiore, perché consta nell’origine della medesima fede: la salvezza è dovuta al penitente o si spende, nell’ultimo istante, per il peccatore, anche solo grazie alla conversione? Per questo ho optato per un titolo come Dannato perché incredulo: il dilemma rimonta al Tommaso giovanneo, che non dubita di Cristo, semmai dubita della resurrezione, ossia della salvezza possibile per ognuno. Sottigliezze teologiche per noi distanti, ma dirimenti in epoca barocca; la controversia de auxiliis tra domenicani e francescani, viva verso la fine del Cinquecento, è tutt’altro che sopita nell’epoca successiva, al contrario di quanto annota Morón Arroyo nella sua riedizione del Convidado per ridiscutere l’attribuzione a Tirso:7 è sentita quanto la presenza inquietante di un arabo a ridosso d’una storia impervia come quella del Quijote e non era un dettaglio privo di echi e di passato; è parte integrante del sistema teologico cattolico, al suo interno continuamente lacerato, dal Medio Evo fino all’epoca attuale – potremmo dire – tra parole ed opere. 3. Non mi soffermo sull’attribuzione dell’opera e sulle più recenti discussioni critiche, che al lettore italiano potranno apparire intricate e 1628
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noiose. Mi limito a rimandare alla bibliografia e segnalare che anche Morón Arroyo, dalla sua prima edizione del 1987 in collaborazione con Adorno, alla seconda del 2000 senza collaborazione e presso lo stesso editore, vira decisamente per un’attribuzione ad Andrés de Claramonte (1580-1626) e retrodata il Convidado ai primissimi anni del Seicento. Tutta la questione presta il fianco per riflettere brevemente sullo stato di trasmissione testuale e, dunque, sulla medesima natura del teatro aureo. Si è già accennato alla natura pervasiva e alla diffusione capillare del teatro de corral, con il rapido e spesso effimero fiorire di messe in scena per le più diverse occasioni: quelle normali che le pressanti esigenze di cartellone esigevano, ma anche quelle occasionali, festive o celebrative. In totale assenza del moderno diritto d’autore e invece in presenza di una complicata dialettica tra scrittore del copione, autor (oggi potremmo dire capocomico), struttura della compagnia e contingenze accidentali (le reiterate proibizioni legislative, la diffusione di molteplici varianti pirata, le possibili riscritture date dalla distanza che separa la stesura dall’allestimento), spesso la storia testuale del teatro aureo è lacunosa, diroccata e complessa. La conseguenza più ovvia è l’attribuzione degli esemplari a stampa che ci sono giunti. Il caso del Convidado è esemplare proprio perché legato al nome d’uno degli autori fondamentali del Seicento ispanico e perché – per alcuni editori – sarebbe di uno o d’un altro decennio e di uno o d’un altro autore al solo interpretare gli ultimi versi in riferimento a Belarmino come originali oppure aggiunti come aggiornamento scenico. Rimando alla breve nota al testo: ciò che qui preme sottolineare è la consistenza di una materia che, al tempo, viveva forse più in ragione del suo pubblico e del palcoscenico che per la fissità della stampa. Conservo qua, come semplice suggestione e in mancanza di prove documentali inespugnabili, ancora la tradizionale attribuzione. Tirso de Molina, pseudonimo di Gabriel Téllez, frate mercedario, nacque a Madrid il 24 marzo 1579, giorno di San Gabriele.8 All’inizio del Seicento lo ritroviamo prima novizio presso il convento madrileno della Merced di Guadalajara (1601), studente a Salamanca e Toledo (1601-1607), e poi incardinato e ordinato sacerdote (1608 circa). Toledo risulta il centro di gravità dei suoi numerosi viaggi per impegni sacerdotali ed anche la tappa iniziale del suo tardivo ingresso nel mondo delle lettere, quand’è quasi trentenne. Inizia prima scrivendo teatro agiografico e poi d’intrec1629
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cio (teatro cortesano), non senza mostrare, più tardi, grande capacità nella prosa cronachistica e storiografica: tra il 1616 e il 1618 si trova nelle colonie, a Santo Domingo, e la relazione dell’esperienza americana verrà inserita nella sua Historia general de la Merced (1639). Tra le opere teatrali del periodo toledano ricordo per esempio Cómo han de ser los amigos e El saber guardar su hacienda. Dal 1620 al 1625 circa è attivo a Madrid, dove può contare su spazi teatrali prestigiosi come i corrales della Cruz e del Príncipe e dove interviene spesso nei tornei poetici che, numerosi e quasi sempre legati ad eventi festivi e proclamazioni di santi, attiravano in città poeti e poetastri da tutta la Spagna; fenomeno, questo, che peraltro a sua volta si verificava in tutti i principali centri della penisola. Quasi sicuramente del 1624 è la sua prima prosa narrativa (parlare di romanzo sarebbe in gran parte anacronistico): Los cigarrales de Toledo. Tirso continua a scrivere teatro (per esempio Por el sótano y el torno, Los balcones de Madrid, Siempre ayuda la verdad, La celosa de sí misma, Amar por señas, No hay peor sordo); intanto Madrid, con l’inizio del regno di Filippo IV (1621), viene attraversata da livori e intrighi politici e mostra le crepe d’un impero in disfacimento, minato dagli sprechi e dalle sperequazioni e minacciato nel quadro della politica internazionale: l’«impero dove non tramonta mai il sole» appare sempre più come un colosso d’argilla. Proprio in riferimento al regno di Filippo IV, è un buon esempio del contrasto tra verità e apparenza il suo desiderio di grandeur nel volere a tutti i costi un luogo-simbolo del potere, un nuovo Palazzo dell’Alcázar, il vecchio palazzo di corte, dove inscenare i giochi, le feste, le accademie e le attività cortigiane: il Buen Retiro. Il giorno dell’inaugurazione dei giardini, il 1633, una pioggia torrenziale parve rovinare il cerimoniale scrupolosamente studiato dall’eminenza grigia di Filippo, il conte duca Olivares, il quale «per proteggere Filippo dalla pioggia fece ricoprire la terrazza dell’edificio con pannelli di vetro ornati di velluto cremisi e stoffe damascate; nel ricordo di un testimone oculare, il sovrano finì per assomigliare a una sacra reliquia nel suo reliquiario».9 Sono questi anche gli anni in cui, tra ragioni di strettezze economiche e rigido controllo ideologico, s’impedisce per decreto la stampa in Castiglia di raccolte di commedie e novelle. Tirso, come tanti altri, viene colpito dalla censura: Si è discusso dello scandalo che causa il frate mercedario che si chiama Maestro Téllez, conosciuto con lo pseudonimo di Tirso, che fa commedie profane e con 1630
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cattivi incentivi ed esempi. E siccome è caso a tutti noto, si deliberò di rivolgersi a Vostra Maestà, perché il confessore dica al Nunzio che lo esili da Madrid ad uno dei monasteri più remoti del suo ordine, e si colpisca con grave scomunica latae sententiae nel caso che faccia commedie o altro genere di versi profani.10
Come in tantissimi altri casi analoghi il decreto rimase inatteso e i delicati equilibri tra poteri religioso e politico permisero di sopire la vicenda. Ma Tirso oramai è quasi cinquantenne e il teatro è un’occupazione sempre più sporadica: seguendo lo schema del Decameron, pubblica Deleitar aprovechando (1632), dialogo eterogeneo a più voci (teatro, exempla, racconti agiografici, divagazioni) a tesi moraleggiante. Nel 1632 diventa Cronista de la Merced e Definidor della Provincia de Castilla; al 1638 data la sua ultima commedia (Las quinas de Portugal). Muore nel 1648 ad Almazán. 4. Ho utilizzato come riferimento l’edizione allestita da Maria Grazia Profeti per Garzanti in Teatro del siglo de oro: Lope de Vega, Tirso de Molina, Calderón de la Barca, a cura di M. Socrate, M. G. Profeti, C. Samonà, 1991. Sono solo intervenuto talvolta per modificare la punteggiatura e, quando risultava significativo un confronto con altre edizioni, l’ho segnalato in nota. Ogni traduzione è solo di supporto ed è legata al contesto del destinatario. Rimane da una parte l’originale, come un diamante che non si può intaccare, e dall’altra il desiderio o l’amore per la diffusione e la mediazione. La presente traduzione del Condenado por desconfiado, fin dal titolo, si dichiara inerme. In italiano non esiste un termine tecnico convincente, in ambito teologico, per riferire il senso di un rovello che risponda ad esigenze insieme di sintesi e pregnanza; la debolezza della fede in Dio è tratto ideologico e concettista che segna molto Seicento ispanico ma che già, tra ortodossia romana e frangia luterana, aveva dilaniato l’anima cristiana. La questione del libero arbitrio, il problema dei limiti e dell’ambito entro cui l’uomo può scegliere, sono fondanti da subito, fin sotto la croce, per l’eco della voce che domanda: «Yavè, Yavè, lamè sabactanì?» (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?): in epoca di Controriforma si fa problema al quadrato che non si riesce a domare. Contro recenti teorie, non penso che le note siano una sconfitta del traduttore, dato che la traduzione è sempre un tradimento utile ed effime1631
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ro per i lettori (quanti di noi italiani, senza traduzione, avrebbero mai conosciuto Ibsen, Dostoevskij, Kafka?) e le note sono un’occasione per chiarire e spiegare, tra semiosi e contesto storico, l’originale che, comunque, è sovrano. La concezione narcisistica che pensa a una «sconfitta» sembra attingere al concetto muscolare d’una guerra fra autore e traduttore, mentre la traduzione è un servizio appena circostanziale. Il teatro, forse più di qualunque altra forma d’arte vincolato a ragioni persino meramente pratiche (di messa in scena, per esempio), comporta anche nella traduzione molte più scelte di quante non siano evidenti: bisogna tenere in conto l’iconografia, le possibilità scenotecniche, gli spazi, la luce, lo stesso mezzo linguistico e persino la fisicità del pubblico, ben diverso oggi da quello rumoroso, pomeridiano, privo di stimoli mediatici bidimensionali come la televisione o il web, ed eventualmente attento a stimoli bidimensionali come la pittura e l’emblematica o tridimensionali come la scultura, che tanta importanza ebbero nella costruzione di figure e suggestioni sceniche. Codici, canali e rumori di fondo interagiscono per restituire un oggetto unico che vive sulle tavole d’un palco e mai più riproducibile – se non a stampa – nella sua completezza, per dirla col dilemma di Benjamin,11 neppure con le tecniche moderne. Se poi consideriamo dubbia l’attribuzione del Condenado a Tirso, il problema della traduzione diventa ancor più complicato; sappiamo infatti che il teatro aureo spagnolo è teatro che spesso appare come un’ombra sfuggente, proprio perché messa in scena diffusa e capillare, declinata su stilemi, scritture e riscritture continuamente riutilizzabili e riciclabili, priva del concetto moderno di diritto d’autore, che è proprio in qualche modo l’avanguardia barocca, nelle persone soprattutto di Lope e Cervantes, a porre in maniera pre-illuministica. Il problema traduttologico e la medesima prassi della traduzione diventano più complicati perché dovremmo cercare un sistema autoreferenziale in cui sia identificabile un idioletto d’autore immerso in una congerie più o meno costante, indicizzabile, ricorrente. Se il titolo già testimonia la difficoltà d’una traduzione, la sintesi di quasi tutti i versi esigerebbe l’analisi, il che violerebbe il principio scenico: ma se il teatro è per sua natura diverso dal procedere narrativo, e ha le sue regole, anche la traduzione s’è arresa a tale principio, a costo di seguire le pieghe del testo. Il confronto era nientemeno che con la traduzione di Mario Luzi, per molti versi bella e chiara, ma per altri – mi sia con1632
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cesso – luziana fino in fondo. Certo è stato impossibile inseguire le rime dell’originale, ma ho scelto di seguirne la misura. Anche senza assonanza in versi pari, la misura del romance è rimasta tale (con accento sulla settima); la silva mantiene la sua alternanza fra settenari ed endecasillabi; la rima e la suggestione italiana sono state sacrificate alla misura originale, a costo di riprodurre, talvolta, pezzi estranei alla poesia nostrana. A modo di esempio, valga l’esordio di Paolo in silvas: come poterlo snaturare, come fa Luzi giocando sulla misura sillabica, senza tener conto della complessa valenza semiotica della silva come metro (endecasillabi e settenari, variamente rimanti senza regola) e della selva come fascio di significazioni, tra tecnica e poetica, quando entrambe erano tutt’uno nella percezione del tempo, specie dopo Góngora? Per il traduttore italiano, d’altro canto, il settenario lascia una certa libertà perché «non sembra avere bisogno, per la sua riconoscibilità, di alcun punto fisso di riferimento interno»,12 a parte, ovviamente l’accento di 6a. GIOVANNI CARA
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EL CONDENADO POR DESCONFIADO COMEDIA FAMOSA POR EL MAESTRO TIRSO DE MOLINA REPRESENTÓLA FIGUEROA HABLAN LAS PERSONAS SIGUIENTES
PAULO,
de ermitaño gracioso
PEDRISCO,
EL DEMONIO OCTAVIO LISANDRO
GALVÁN ESCALANTE
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UN GOBERNADOR UN ALCAIDE
su criada
ENRICO
ROLDÁN
padre de Enrico ALBANO, viejo UN PASTOR
CELIA LIDORA,
CHERINOS ANARETO,
UN PORTERO UN JUEZ UN MÚSICO ALGUNOS VILLANOS
DANNATO PERCHÉ INCREDULO COMMEDIA FAMOSA DEL MAESTRO TIRSO DE MOLINA MESSA IN SCENA DA FIGUEROA PARLANO I SEGUENTI PERSONAGGI
PAOLO,
vestito da eremita buffone
PEDRISCO,
CHERINOS ANARETO,
DEMONIO OTTAVIO
UN PASTORE
LISANDRO CELIA LIDORA,
padre di Enrico ALBANO, vecchio
UN GOVERNATORE UN ALCALDE
serva
ENRICO GALVANO ESCALANTE
[capo carceriere] UN CARCERIERE UN GIUDICE UN MUSICO ALCUNI VILLANI
ROLDANO
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
JORNADA PRIMERA Sale Paulo de ermitaño. PAULO
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¡Dichoso albergue mío! ¡Soledad apacible y deleitosa, que en el calor y el frío me dais posada en esta selva umbrosa, donde el huésped se llama o verde yerba o pálida retama! Agora, cuando el alba cubre las esmeraldas de cristales, haciendo al sol la salva que de su coche sale por jarales, con manos de luz pura, quitando sombras de la noche oscura, salgo de aquesta cueva que en pirámides altos de estas peñas naturaleza eleva, y a las errantes nubes hace señas para que noche y día, ya que no hay otra, le hagan compañía. Salgo a ver este cielo, alfombra azul de aquellos pies hermosos. ¡Quién, oh celeste velo, aquesos tafetanes luminosos rasgar pudiera un poco para ver!... ¡Ay de mí! Vuélvome loco. Mas ya que es imposible y sé cierto, Señor, que me estáis viendo desde ese inaccesible trono de luz hermoso, a quien sirviendo están ángeles bellos, más que la luz del sol hermosos ellos, mil glorias quiero daros por las mercedes que me estáis haciendo sin saber obligaros.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entra Paolo, vestito da eremita. PAOLO
Felice mio rifugio, diletta solitudine di pace che da calura e freddo mi proteggete in questa selva ombrosa dove mi danno albergo la verde erba, la pallida ginestra! Adesso, quando l’alba questi smeraldi copre di cristalli dando il saluto al sole che dal suo carro appare fra le fronde con carezze di luce fugando l’ombre della notte scura, esco da questa grotta che tra le alte piramidi di roccia innalza la natura ed alle erranti nuvole domanda che ogni notte e giorno, siano per me la sola compagnia. Esco a vedere il cielo, tappeto azzurro per quei piedi belli. Ma chi, oh celeste velo, potrebbe quei tessuti luminosi strappare appena un poco per vedere...? Ahimè, divento folle. Lo so, non è possibile, che di certo, Signore, mi guardate da quell’inaccessibile trono di luce grande, circondato da angelico splendore della luce del sole ancor più bello. Perciò vi rendo grazie per la misericordia che mostrate e non si può pretendere: 1637
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
¿Cuándo yo merecí que del estruendo me sacarais del mundo que es umbral de las puertas del profundo? ¿Cuándo, Señor divino, podrá mi indignidad agradeceros el volverme al camino que, si no lo abandono, es fuerza el veros y tras esa victoria darme en aquestas selvas tanta gloria? Aquí los pajarillos, amorosas canciones repitiendo por juncos y tomillos, de vos me acuerdan, y yo estoy diciendo: «Si esta gloria da el suelo, ¿qué gloria será aquella que da el cielo?» Aquí estos arroyuelos, jirones de cristal en campo verde, me quitan mis desvelos y son la causa a que de vos me acuerde. Tal es el gran contento que infunde al alma su sonoro acento. Aquí silvestres flores el fugitivo viento aromatizan y de varios colores aquesta vega humilde fertilizan. Su belleza me asombra, calle el tapete y berberisca alfombra. Pues con estos regalos, con aquestos contentos y alegrías, ¡bendito seas mil veces, inmenso Dios, que tanto bien me ofreces! Aquí pienso servirte, ya que el mundo dejé para bien mío; aquí pienso seguirte, sin que jamás humano desvarío, por más que abra la puerta el mundo a sus engaños, me divierta. 1638
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ma quando ho meritato la salvezza dai clamori del mondo che è soglia delle porte dell’abisso? Quando potrà, Signore, il mio esservi indegno dire grazie per il cammino nuovo che, se lo seguo retto, porta a voi e, dopo la vittoria, per il dono di gloria in questa selva? È qui che gli uccellini, amorose canzoni ripetendo tra i giunchi e le artemisie, vi chiamano mentr’io vado dicendo: «Se è in terra questa gloria, quale sarà la gloria che dà il cielo?» Ma questi ruscelletti, ricami di cristallo in campo verde, mi placano ogni pena e son ragione perché io vi pensi: è questa grande gioia che mormorando infondono nell’anima! E qui fiori silvestri al fuggitivo vento danno aroma e di vari colori ricolmano quest’umile pianura. Tanta bellezza turba, niente al confronto gli arabi tappeti! Per questi doni, dunque, per ciascun premio e per ogni gioia sii sempre benedetto, immenso Dio, che mi offri tanto bene! Qui penso di servirti, per il mio bene ho lasciato il mondo; qui penso di seguirti senza che più l’umano smarrimento, per quanto apra la porta il mondo ai suoi inganni, mi distragga. 1639
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Quiero, Señor divino, pediros de rodillas humildemente que en aqueste camino siempre me conservéis piadosamente. Ved que el hombre se hizo de barro vil, de barro quebradizo.
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Sale Pedrisco con un haz de yerba. Pónese Paulo de rodillas, y elévase. PEDRISCO
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Como si fuera borrico vengo de yerba cargado, de quien el monte está rico; si esto como, ¡desdichado!, triste fin me pronostico. ¡Que he de comer hierba yo, manjar que el cielo crió para brutos animales! Déme el cielo en tantos males paciencia. Cuando me echó mi madre al mundo, decía: «Mis ojos santo te vean, Pedrisco del alma mía». Si esto las madres desean, una suegra y una tía, ¿qué desearán? Que aunque el ser santo un hombre es gran ventura es desdicha el no comer. Perdonad esta locura y este loco proceder, mi Dios; y pues conocida ya mi condición tenéis, no os enojéis porque os pida que la hambre me quitéis o no sea santo en mi vida. Y si puede ser, señor, pues que vuestro inmenso amor todo lo imposible doma,
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Voglio, Signor divino, con umiltà pregarvi inginocchiato che lungo questa strada pietosamente sempre mi seguiate, ché l’uomo è stato fatto di argilla vile, argilla delicata. Entra Pedrisco con un fascio d’erba. Paolo s’inginocchia e si estrania in estasi. PEDRISCO
Come se fossi un somaro eccomi carico d’erba, ricco bottino del monte: se questo è il pranzo, soccorso! Prevedo un brutto avvenire. Perché mangiar solo erba, cibo che il cielo ha pensato per gli animali selvaggi? Che il cielo mi dia, nel male, pazienza. Quando mi mise al mondo, mia madre disse: «Possa io vederti santo, Pedrisco, anima mia». Se una madre vuole questo, una suocera, una zia che vorranno? Anche se l’essere santo è una bella fortuna, è una disdetta il digiuno. Perdonate la follia ed il folle mio procedere, mio Dio, ma so che vi è nota ormai la mia condizione; non v’inquietate se chiedo che mi leviate la fame e non sia santo da vivo. Poiché il vostro immenso amore ogni impossibile vince, 1641
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que sea santo y que coma mi Dios, mejor que mejor. De mi tierra me sacó Paulo, diez años habrá, y a aqueste monte aportó; él en una cueva está y en otra cueva estoy yo. Aquí penitencia hacemos y solo yerba comemos, y a veces nos acordamos de lo mucho que dejamos por lo poco que tenemos. Aquí, al sonoro raudal de un despeñado cristal, digo a estos olmos sombríos: «¿Dónde estáis, jamones míos, que no os doléis de mi mal?» Cuando yo solía cursar la ciudad y no las peñas – ¡memorias me hacen llorar! – de las hambres más pequeñas gran pesar solíais tomar. Erais, jamones, leales: bien os puedo así llamar, pues merecéis nombres tales, aunque ya de las mortales no tengáis ningún pesar. Mas ya está todo perdido; yerbas comeré afligido, aunque llegue a presumir que algún mayo he de parir por las flores que he comido. Mas Paulo sale de la cueva oscura; entrar quiero en la mía tenebrosa y comerlas allí.
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se mi è concesso, Signore, che io sia santo e che mangi, mio Dio, è il meglio del meglio! Saranno circa dieci anni che ho lasciato la mia terra, confinato qui da Paolo; lui ha la casa in una grotta mentre io vivo in un’altra. Qui facciamo penitenza e mangiamo solo erba ed a volte ricordiamo quanto abbiamo abbandonato per il poco che ora abbiamo. Qui, presso il corso sonoro di un impetuoso ruscello, mi rivolgo agli olmi ombrosi: «Dove sei prosciutto mio, che non ti duole il mio male?» Quando usavo frequentare la città e non le rocce – il ricordo mi fa male! – tu provavi grande pena d’ogni minimo languore. Eri leale, prosciutto: posso invocarti così perché meriti tal nome, se anche ormai non ti dai pena della mia fame mortale. Ma oramai tutto è perduto, mangerò, triste, quest’erba anche se inizio a pensare che darò vita a un bel mazzo di tutti i fiori mangiati. Ma Paolo esce dalla grotta oscura, meglio entrare nella mia tenebrosa per mangiarmeli là.
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¡Qué desventura! ¡Y qué desgracia, cierta, lastimosa! El sueño me venció, viva figura – por lo menos imagen temerosa – de la muerte cruel; y al fin, rendido, la devota oración puse en olvido. Siguiose luego al sueño otro, de suerte, sin duda, que a mi Dios tengo enojado, si no es que acaso el enemigo fuerte haya aquesta ilusión representado. Siguiose al fin, ¡ay, Dios!, de ver la muerte. ¡Qué espantosa figura! ¡Ay, desdichado! Si el verla en sueño causa tal quimera, el que vivo la ve, ¿qué es lo que espera? Tirome el golpe con el brazo diestro no cortó la guadaña; el arco toma, la flecha en el derecho, en el siniestro, el arco mismo que altiveces doma; tiróme al corazón; yo, que me muestro al golpe herido, porque el cuerpo coma la madre tierra como a su despojo, desencarcelo al alma, el cuerpo arrojo. Salió el alma en un vuelo, en un instante vi de Dios la presencia. ¡Quién pudiera no verle entonces! ¡Qué cruel semblante! Resplandeciente espada y justiciera en la derecha mano, y arrogante – como ya por derecho suyo era – el fiscal de las almas miré a un lado, que aun con ser victorioso estaba airado. Leyó mis culpas, y mi guarda santa leyó mis buenas obras, y el justicia mayor del cielo, que es aquel que espanta de la infernal morada la malicia, las puso en dos balanzas; mas levanta
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Esce. Entra Paolo. PAOLO
Ah, che sventura! Quale disgrazia sicura e penosa! Mi ha vinto il sonno con viva figura – od anche solo fantasma pauroso – della morte crudele e poi, arreso, ho scordato la preghiera devota. Sogno a sonno è seguito ed ho compreso che senza dubbio Dio con me è inquietato a meno che, chissà, il nemico forte abbia questa illusione messo in scena. Mio Dio! Ho visto il volto della morte, figura spaventosa, mala sorte! Se tale mostro genera nel sonno che cosa attende chi la vede vivo? Mi vibra un colpo con il braccio destro; ma la falce fallisce; impugna l’arco, la freccia con la destra e alla sinistra vedo l’arco che vince ogni superbia. Al cuore mira dritto, cado al suolo, sono ferito; perché madre terra mangi il mio corpo, abbia le sue spoglie, libero l’anima e rigetto il corpo. L’anima alza il suo volo e in un istante sono di fronte a Dio; mai lo avessi allora visto! Che volto crudele! Poi vedo accanto il giudice dell’anime che, se pur vittorioso, era adirato: la spada risplendente e giustiziera nella mano destra, ed in posa altera, come del resto certo gli spettava. Legge le colpe ed il custode santo legge l’opere buone; quindi il giudice supremo delle sfere, che spaventa gli avvocati dell’infernale albergo, le pone sui due piatti, ma prevale 1645
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el peso de mi culpa y mi injusticia mis obras buenas, tanto, que el juez santo me condena a los reinos del espanto. Con aquella fatiga y aquel miedo desperté, aunque temblando, y no vi nada si no es mi culpa, y tan confuso quedo, que si no es a mi suerte desdichada o traza del contrario, ardid o enredo, que vibra contra mí su ardiente espada, no sé a qué lo atribuya. Vos, Dios santo, me declarad la causa de este espanto. ¿Heme de condenar, mi Dios divino, como ese sueño dice, o he de verme en el sagrado alcázar cristalino? Aqueste bien, Señor, habéis de hacerme. ¿Qué fin he de tener? Pues un camino sigo tan bueno no queráis tenerme en esta confusión, Señor eterno. ¿He de ir a vuestro cielo o al infierno? Treinta años de edad tengo, Señor mío, y los diez he gastado en el desierto, y si viviera un siglo, un siglo fío que lo mismo ha de ser; esto os advierto. Si esto cumplo, Señor, con fuerza y brío, ¿qué fin he de tener? Lágrimas vierto. Respondedme, Señor: Señor eterno, ¿he de ir a vuestro cielo o al infierno?
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Aparece el demonio en lo alto de una peña. DEMONIO
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Diez años ha que persigo a este monje en el desierto, recordándole memorias y pasados pensamientos, y siempre le he hallado firme, como un gran peñasco opuesto. Hoy duda de su fe, que es duda
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il peso delle colpe ed ingiustizie tanto sul bene, che il giudice santo mi condanna al regno del terrore. Con tale affanno, con tale paura, tremando, appena sveglio, non ho visto altro che la mia colpa, e son confuso: ché se non alla sorte sventurata, al segno del nemico, astuzia, imbroglio che vibra contro me l’ardente spada non so a che attribuirlo. Voi, Dio santo, dell’incubo svelatemi la causa: devo esser condannato, Dio divino, come mi dice il sogno, o contemplarmi presso la sacra reggia di cristallo? Signore, mi dovete questo bene. Per me che fine? Dato che un cammino seguo diritto, Voi, non mi lasciate in questa confusione, eterno Dio. Andrò al vostro cielo od all’inferno? Oh, mio Signore, io compio trent’anni e dieci consumati nel deserto, ma se vivessi un secolo, vi giuro, continuerei così, ve lo assicuro. Se adempio a questo con passione e forza quale destino avrò? Ecco, io piango. Signore, rispondete, eterno Dio: andrò al vostro cielo od all’inferno? Appare il demonio in cima ad una roccia. DEMONIO
Sono dieci anni che tento questo frate nel deserto evocandogli ricordi e i pensieri suoi trascorsi, ma l’ho sempre visto saldo come roccia che si oppone. Ora dubita e s’insinua 1647
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de la fe lo que hoy ha hecho, porque es la fe en el cristiano que sirviendo a Dios y haciendo buenas obras ha de ir a gozar de él en muriendo. Este, aunque ha sido tan santo, duda de la fe, pues vemos que quiere del mismo Dios, estando en duda, saberlo. En la soberbia también ha pecado; caso es cierto. Nadie como yo lo sabe, pues por soberbio padezco. Y con la desconfianza le ha ofendido, pues es cierto que desconfía de Dios el que a su fe no da crédito. Un sueño la causa ha sido, el anteponer un sueño a la fe de Dios, ¿quién duda que es pecado manifiesto? Y así me ha dado licencia el juez más supremo y recto para que con más engaños le incite agora de nuevo. Sepa resistir valiente los combates que le ofrezco para luego desconfiar y ser como yo, soberbio. Su mal ha de restaurar de la pregunta que ha hecho a Dios, pues a su pregunta mi nuevo engaño prevengo. De ángel tomaré la forma y responderé a su intento cosas que le han de costar su condenación, si puedo. 1648
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proprio un dubbio della fede: perché è fede cristiana servire Dio ed operare per il bene, per godere di Dio stesso nel morire. Certo, ha vissuto da santo, ma ora dubita: è evidente che vuole proprio da Dio, preso dal dubbio, sapere. È caso chiaro, ha peccato al tempo stesso in superbia: da superbo condannato in questo sono un esperto. Con la mancanza di fede ha offeso Dio, perché è certo che non ha fiducia in Dio chi mette in dubbio la fede. Un sogno è stato la causa: ma anteporre solo un sogno alla fede in Dio è chiaro che è manifesto peccato. Così mi ha dato licenza, retto, il giudice supremo perché con le mie illusioni io lo tenti ancora e ancora: sappia resistere, dunque, forte alla sfida che lancio e poi dopo dubitare e come me insuperbire. Deve rimediare al male della domanda che ha fatto a Dio, e di fronte al suo dubbio allestisco il nuovo inganno: gli apparirò come un angelo per rispondere al suo caso, cosa che spero gli costi la sua condanna, se riesco. 1649
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Quítase el demonio la túnica y queda de ángel. PAULO
DEMONIO PAULO DEMONIO
PAULO DEMONIO
PAULO
DEMONIO PAULO
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¡Dios mío!, aquesto os suplico: ¿Salvareme, Dios inmenso? ¿Iré a gozar vuestra gloria? Que me respondáis espero. Dios, Paulo, te ha escuchado y tus lágrimas ha visto. (¡Qué mal el temor resisto! Ciego en mirarlo he quedado.) Me ha mandado que te saque de esa ciega confusión, porque esa vana ilusión de tu contrario se aplaque. Ve a Nápoles, y a la puerta que llaman allá del Mar, que es por donde tú has de entrar a ver tu ventura cierta o tu desdicha, verás cerca de allá, estame atento, un hombre... ¡Qué gran contento con tus razones me das! ...que Enrico tiene por nombre, hijo del noble Anareto, Conocerásle, en efecto, por señas: que es gentilhombre, alto de cuerpo y gallardo. No quiero decirte más, porque apenas llegarás cuando le veas. Aguardo lo que le he de preguntar cuando le llegare a ver. Solo una cosa has de hacer. ¿Qué he de hacer?
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Il demonio si toglie la tunica e rimane in veste d’angelo. PAOLO
DEMONIO PAOLO DEMONIO
PAOLO DEMONIO
PAOLO
DEMONIO PAOLO
Signore, questo vi chiedo: mi salverò, immenso Dio? Potrò goder della gloria? Spero che mi rispondiate. Dio, caro Paolo, ti ascolta e le tue lacrime ha visto. (Mal sopporto la paura, la sua visione mi acceca.) Mi ha ordinato di salvarti dalla cieca confusione perché la vana illusione del tuo nemico si spenga. Se vai alla Porta di Napoli che vien chiamata «del Mare» è dove devi passare per incontrar la fortuna o la sventura; vedrai, vicino là, fai attenzione, un uomo... Che grande gioia mi danno le tue parole! Risponde al nome di Enrico, figlio illustre di Anareto, e lo potrai riconoscere subito, è un gentiluomo di alta statura, prestante; non voglio dirti di più perché quando arriverai lo vedrai. Ma ora attendo quel che devo domandare non appena lo vedrò. Solo una cosa hai da fare. Quale?
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PAULO
DEMONIO
Verle y callar, contemplando sus acciones, sus obras y sus palabras. En mi pecho ciego labras quimeras y confusiones. ¿Solo eso tengo de hacer? Dios que en él repares quiere, porque el fin que aquel tuviere ese fin has de tener.
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Desaparece. PAULO
¡Oh misterio soberano! ¿Quién este Enrico será? Por verle me muero ya. ¡Qué contento estoy, qué ufano! Algún divino varón debe de ser ¿quién lo duda?
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Sale Pedrisco. PEDRISCO
PAULO PEDRISCO PAULO
PEDRISCO PAULO PEDRISCO
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(Siempre la fortuna ayuda al más flaco corazón. Lindamente he manducado; satisfecho quedo ya.) Pedrisco. A esos pies está mi boca. A tiempo ha llegado. Los dos habemos de hacer una jornada al momento. Brinco y salto de contento. Mas ¿dónde, Paulo, ha de ser? A Nápoles. ¿Qué me dice? Y ¿a qué, padre?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO DEMONIO
PAOLO
DEMONIO
Guardarlo e tacere, contemplare ogni suo gesto, le sue opere e parole. Nel mio cuore cieco incidi strani segni e confusione: solo questo devo fare? Dio vuole che tu l’osservi perché la sorte di Enrico sarà la stessa tua sorte. Scompare.
PAOLO
Ah, quale immenso mistero! Chi sarà mai questo Enrico? Voglio conoscerlo, brucio! Sono felice, deciso. Dev’esser uomo divino, chi mai lo può dubitare? Entra Pedrisco.
PEDRISCO
PAOLO PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
La fortuna aiuta sempre anche il cuore meno forte: ho mangiato a sufficienza, mi ritengo soddisfatto. Ah, Pedrisco! Sono qui ai tuoi ordini. Sei in tempo: siamo qui per allestire una bella spedizione. Ballo e danzo per la gioia! Ma dove siamo diretti? A Napoli. Che mi dici? E poi, padre, a fare cosa?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA PAULO
PEDRISCO PAULO
PEDRISCO
PAULO PEDRISCO PAULO
PEDRISCO
En el camino sabrá un paso peregrino. ¡Plegue a Dios que sea felice! ¿Si seremos conocidos de los amigos de allá? Nadie nos conocerá, que vamos desconocidos en el traje y en la edad. Diez años ha que faltamos. Seguros pienso que vamos, que es tal la seguridad de este tiempo que en un hora se desconoce el amigo. Vamos. ¡Vaya Dios conmigo! De contento el alma llora. A obedeceros me aplico, mi Dios; nada me desmaya, pues vos me mandáis que vaya a ver al dichoso Enrico. ¡Gran santo debe de ser! Lleno de contento estoy. Y yo, pues contigo voy. (No puedo dejar de ver, pues que mi bien es tan cierto con tan alta maravilla, el bodegón de Juanilla y la taberna del Tuerto.)
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Vanse y sale el demonio. DEMONIO
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Bien mi engaño va trazado. Hoy verá el desconfiado de Dios y de su poder el fin que viene a tener, pues él propio lo ha buscado.
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PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
PAOLO PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO
Lungo il viaggio tu saprai di un affare assai curioso: voglia Dio che vada bene! E se poi ci riconoscono quegli amici di laggiù? Non potranno, siam cambiati per l’età, per gli indumenti. Son dieci anni che manchiamo: penso che siamo al sicuro perché è tale la certezza d’oggigiorno che in un’ora si dimentica un amico. Andiamo. Dio m’accompagni. L’anima piange felice, io m’impegno ad obbedirvi, mio Dio; niente mi scoraggia: voi mi ordinate di andare dove è Enrico il fortunato; certo sarà un grande santo, sono davvero felice! Allora vengo con te. (Poiché il viaggio pare certo, con immensa meraviglia non ci riesco a non pensare all’osteria di Giovanna, alla taverna del Guercio.) Escono. Entra il Demonio.
DEMONIO
Il mio inganno prende forma: quest’uomo di poca fede nella potenza di Dio conoscerà il suo destino che da sé stesso ha cercato.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Vase y salen Octavio y Lisandro. LISANDRO OCTAVIO LISANDRO
OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO
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La fama de esta mujer solo a verla me ha traído. ¿De qué es la fama? La fama que de ella, Octavio, he tenido es de que es la más discreta mujer que en aqueste siglo ha visto el napolitano reino. Verdad os han dicho; pero aquesa discreción es el cebo de sus vicios. Con esa engaña a los necios; con esa estafa a los lindos. Con una octava o soneto, que con picaresco estilo suele hacer de cuando en cuando, trae a mil hombres perdidos, y por parecer discretos alaban el artificio y el lenguaje y los conceptos. Notables cosas me han dicho de esta mujer. Está bien. ¿No os dijo el que aquesto os dijo, que es de esa mujer la casa un depósito de vivos, y que nunca está cerrada al napolitano rico, ni al alemán, ni al inglés, ni al húngaro, armenio o indio, ni aun al español tampoco, con ser tan aborrecido en Nápoles? ¿Eso pasa?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
Esce. Entrano Ottavio e Lisandro. LISANDRO OTTAVIO LISANDRO
OTTAVIO
LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO
La fama di questa donna mi ha condotto qui a vederla. In che consiste la fama? Ottavio, ciò che di lei sono venuto a sapere è che è la donna più saggia che il regno napoletano abbia mai visto oggigiorno. Vi hanno detto solo il vero; però quella intelligenza fa da esca dei suoi vizi: con essa inganna gli sciocchi, con essa truffa gli ingenui. A mille gli uomini attrae con un’ottava o un sonetto che con piglio picaresco suole far di quando in quando; e poi, per sembrare accorti, lodano l’abilità, i linguaggi ed i concetti. Ma grandi cose ho saputo su questa donna. Va bene: chi vi ha informato vi ha detto che in casa di questa donna c’è rifugio per chiunque e che mai la porta è chiusa per il ricco cittadino, per l’inglese ed il tedesco per l’ungherese, l’armeno e l’indiano o lo spagnolo, anche se non è ben visto in città? Ma è così?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO
OCTAVIO LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO
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La verdad es lo que digo, como es verdad que venís de ella enamorado. Afirmo que me enamoró su fama. Pues más hay. Sois fiel amigo. Que tiene cierto mancebo por galán, que no ha nacido hombre tan mal inclinado en Nápoles. Será Enrico, hijo de Anareto el viejo, que pienso que ha cuatro o cinco años que está en una cama el pobre viejo, tullido. El mismo. Noticia tengo de ese mancebo. Os afirmo, Lisandro, que es el peor hombre que en Nápoles ha nacido. Aquesta mujer le da cuanto puede, y cuando el vicio del juego suele apretalle se viene a su casa él mismo y le quita a bofetadas las cadenas, los anillos... ¡Pobre mujer! También ella suele hacer sus ciertos tiros, quitando la hacienda a muchos que son en su amor novicios con esta falsa poesía. Pues ya que estoy advertido de amigo tan buen maestro, allí veréis si yo os sirvo.
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LISANDRO OTTAVIO LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO
OTTAVIO LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO
Io vi dico solo il vero, come è vero che voi siete innamorato. Confermo, mi ha innamorato la fama. C’è di più. Siete un amico. Ronza un certo giovanotto che la corteggia, il peggiore di quanti vivono a Napoli. Ho timore che sia Enrico, figlio del vecchio Anareto che da quattro o cinque anni giace immobile nel letto vecchio ed ormai paralitico. È proprio lui. So qualcosa del giovanotto. Vi dico, Lisandro, che non è nato uomo peggiore in città. Quella donna gli concede quanto può, e quando il vizio del gioco non gli dà tregua si precipita da lei e le leva a suon di schiaffi le collane, i suoi anelli... Povera donna! Anche lei sa giocare certi tiri, quando alleggerisce i molti principianti dell’amore con la sua falsa poesia. Poiché mi avete avvisato, da buon amico e maestro, saprò come ricambiare.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA OCTAVIO LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO
LISANDRO OCTAVIO LISANDRO
Yo entraré con vos también, mas ojo al dinero, amigo. ¿Con qué invención entraremos? Diréisle que habéis sabido que hace versos elegantes, y que a precio de un anillo unos versos os escriba a una dama. ¡Buen arbitrio! Y yo, pues entro con vos, le diré también lo mismo. Esta es la casa. Y aun pienso que está en el patio. Si Enrico nos coge dentro, por Dios, que recelo algún peligro. ¿No es un hombre solo? Sí. Ni le temo ni le estimo
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Sale Celia leyendo un papel y Lidora con recado de escribir. CELIA LIDORA CELIA LIDORA CELIA LIDORA CELIA OCTAVIO LISANDRO
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Bien escrito está el papel. Es discreto Severino. Pues no se le echa de ver notablemente. ¿No has dicho que escribe bien? [Sí, por cierto; la letra es buena; esto digo.] Ya entiendo. [La mano y pluma son de maestro de niños.] Las razones, de ignorante. Llega, Lisandro, atrevido. Hermosa es, por vida mía. Muy pocas veces se ha visto
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO OTTAVIO LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO OTTAVIO
LISANDRO OTTAVIO LISANDRO
Entriamo insieme da Celia; ma amico, occhio al denaro! Quale pretesto inventiamo? Le direte che sapete dei suoi versi raffinati e che in cambio di un anello vi componga qualche verso per una dama. Perfetto! E dato ch’entro con voi le dirò la stessa cosa. Questa è la casa. Mi pare che sia nel patio. Se Enrico ci trova dentro, mio Dio, temo qualche brutto affare. Non è un uomo solo? Sì. Non lo temo né lo stimo.
Entrano Celia, mentre legge un foglio, e Lidora col necessario per scrivere. CELIA LIDORA CELIA LIDORA CELIA LIDORA CELIA OTTAVIO LISANDRO
Scritta bene questa lettera! È uno arguto, Severino. Non lo dà proprio a vedere, non si nota. Non hai detto che scrive bene? Sì, certo, scrive con bella grafia. Ah, capisco, mano e penna sono degni di un maestrino. E i concetti da ignorante. Avvicinati, coraggio. È bellissima, mio Dio. Ho veduto raramente 1661
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
LIDORA
CELIA LIDORA OCTAVIO CELIA LISANDRO
LIDORA
LISANDRO
LIDORA
[A Celia]
OCTAVIO
CELIA
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belleza y entendimiento tanto en un sujeto mismo. Dos caballeros, si ya se juzgan por el vestido, han entrado. ¿Qué querrán? Lo ordinario. Ya te ha visto. ¿Qué mandan vuestras mercedes? Hemos llegado atrevidos, porque en casas de poetas y de señores no ha sido vedada la entrada a nadie. (Gran sufrimiento ha tenido, pues la llamaron poeta y ha callado.) Yo he sabido que sois discreta en extremo, y que de Homero y de Ovidio excedéis la misma fama; y así yo y aqueste amigo, que vuestro ingenio me alaba, en competencia venimos de que para cierta dama, que mi amor puso en olvido y se casó a su disgusto, le hagáis algo; que yo afirmo en premio a vuestra hermosura, si es, señora, premio digno el daros mi corazón. Por Belerma te ha tenido. Yo vine también, señora, pues vuestro ingenio divino obliga a los que se precian de discretos, a lo mismo. ¿Sobre quién tiene que ser?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
LIDORA CELIA LIDORA OTTAVIO CELIA LISANDRO
LIDORA
LISANDRO
LIDORA
[A Celia]
OTTAVIO
CELIA
tanta bellezza e giudizio in una sola creatura. Quelli son due cavalieri, a giudicare dagli abiti. Entrano. Cosa vorranno? Sarà il solito. Ti ha visto. Qual buon vento, vostra grazia? Abbiamo osato venire perché in casa di poeti e di signori mai è stato ed è proibito l’ingresso. (Accusa il colpo, ci soffre a esser chiamata poeta, ma non fiata.) Ho saputo del vostro estremo talento: superate nella fama tanto Omero quanto Ovidio. Perciò io e questo amico, che decanta il vostro genio, siamo qui per un dilemma: la questione è che una dama ha deciso di scordarmi e sposarsi suo malgrado. Fate qualcosa ed in cambio – premio per vostra bellezza, se è premio degno, signora – ecco, vi affido il mio cuore. Vi ha scambiato per Belerma. Anch’io, signora, son qua per l’identica ragione: il vostro genio divino attrae chi vuol esser saggio. E chi è il soggetto dei versi?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA LISANDRO
LIDORA CELIA
[A Lidora] LISANDRO OCTAVIO LIDORA CELIA LISANDRO CELIA LISANDRO CELIA OCTAVIO CELIA
Una mujer que me quiso cuando tuvo que quitarme, y ya que pobre me ha visto se recogió a bien vivir. (Muy como discreta hizo.) A buen tiempo habéis llegado, que a un papel que me han escrito quería responder ahora, y pues decís que de Ovidio excedo la antigua fama, haré ahora más que él hizo. A un tiempo se han de escribir vuestros papeles y el mío. Da a todos tinta y papel. ¡Bravo ingenio! ¡Peregrino! Aquí están tinta y papel. Escribid, pues. Ya escribimos. Tú dices que [a] una mujer que se casó... Aqueso digo. Y tú a la que te dejó después que no fuiste rico. Así es verdad. Y yo aquí le respondo a Severino.
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Escriben y salen Galván y Enrico con espada y broquel. ENRICO LISANDRO ENRICO LISANDRO
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¿Qué se busca en esta casa, hidalgos? Nada buscamos; estaba abierta, y entramos. ¿Conocéisme? Aquesto pasa.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO LISANDRO
LIDORA CELIA
(a Lidora) LISANDRO OTTAVIO LIDORA CELIA LISANDRO CELIA LISANDRO CELIA OTTAVIO CELIA
Una donna che mi amava finché aveva da spillare e che poi si è ritirata quando mi è restato poco. (E direi che è stata saggia.) Arrivate giusto in tempo: mi accingevo alla risposta a una lettera recente; dato che dite che vinco la fama antica di Ovidio, farò di più del poeta. Possiamo scrivere a un tempo la mia e le vostre lettere. Porta a tutti carta e penna. Grande ingegno! Dote rara! Carta, penna e calamaio. Su, scrivete. Siamo pronti. Tu vuoi scrivere a una donna che si è sposata... Sì, sì! E tu a chi ti ha lasciato quando hai perso le ricchezze. Proprio così! Invece io do risposta a Severino.
Mentre scrivono, entrano Galvano ed Enrico con spada e scudo. ENRICO LISANDRO ENRICO LISANDRO
Che cercate in questa casa, gentiluomini? Noi? Niente; era aperto e siamo entrati. Mi conoscete? Ma certo.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA ENRICO
OCTAVIO ENRICO CELIA
Pues váyanse noramala, que, voto a Dios, si me enojo... No me hagas, Celia del ojo. ¿Qué locura a aquesta iguala? ...que los arroje en el mar, aunque esté lejos de aquí. Mi bien, por amor de mí...
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[Aparte, a Enrico] ¿Tú te atreves a llegar? Apártate, ¡voto a Dios, que te dé una bofetada! OCTAVIO Si el estar aquí os enfada ya non iremos los dos. LISANDRO ¿Sois pariente o sois hermano de aquesta señora? ENRICO Soy el diablo. GALVÁN Yo ya estoy con la hojarasca en la mano. ¡Sacúdelos! OCTAVIO ¡Deteneos! CELIA ¡Mi bien, por amor de Dios! OCTAVIO Aquí venimos los dos no con lascivos deseos, sino a que nos escribiese unos papeles. ENRICO Pues ellos, que se precian de tan bellos, ¿no saben escribir? OCTAVIO Cese vuestro enojo. ENRICO ¿Qué es cesar? ¿Qué es de lo escrito? OCTAVIO Esto es. ENRICO Vuelvan por ellos, después, [rasga los papeles] porque ahora no hay lugar. CELIA ¿Los rompiste? ENRICO
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
Dunque andatevene al diavolo che, giuraddio, se mi arrabbio... Celia, tu non ammiccare. OTTAVIO Ma che razza di pazzia! ENRICO Io li sprofondo nel mare anche se il mare è lontano. CELIA (a Enrico) Per favore, amore mio... ENRICO Tu! Tu osi avvicinarti? Allontanati, perdio, se non vuoi che alzi le mani. OTTAVIO Se vi rendiamo furioso ce ne andiamo, l’uno e l’altro. LISANDRO Siete parente o fratello di questa donna? ENRICO Io sono il demonio. GALVANO Io già stringo nella mano la mia spada. Alle mani! OTTAVIO No, fermate! CELIA Amore, in nome di Dio... OTTAVIO Ma noi due siamo venuti senza seconde intenzioni, solo perché ci scrivesse qualche riga... ENRICO Lor signori, in posa da gentiluomini, sono incapaci di scrivere? OTTAVIO Calmate la vostra furia. ENRICO E perché dovrei calmarmi? Dov’è finito quel foglio? OTTAVIO Ecco qui. ENRICO (strappa il foglio) Ora sgombrate, perché proprio non è il caso. CELIA L’hai strappato!
ENRICO
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Claro está.
ENRICO
Y si me enojo... CELIA ENRICO LISANDRO ENRICO
LISANDRO OCTAVIO ENRICO
¡Mi bien! Haré lo mismo también de sus caras. Basta ya. Mi gusto tengo de hacer en todo cuanto quisiere, y si voarcé lo quiere, seor hidalgo, defender, cuéntese sin piernas ya, porque yo nunca temí hombres como ellos. ¡Que ansí nos trate un hombre! ¡Callá! Ellos se precian de hombres siendo de mujer las almas; si pretenden llevar palmas y ganar honrosos nombres, defiéndanse de esta espada.
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Acuchíllelos. CELIA
¡Mi bien!
ENRICO
¡Aparta! ¡Detente! [Nadie detenerme intente.] ¡Qué es aquesto! ¡Ay, desdichada! Huyendo van que es belleza. ¡Qué cuchillada le di! Viles gallinas. ¿Así afrentáis vuestra destreza? Mi bien, ¿qué has hecho? Nonada. Gallardamente le di.
CELIA ENRICO CELIA LIDORA GALVÁN ENRICO CELIA ENRICO
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO ENRICO CELIA
(a Enrico)
ENRICO LISANDRO ENRICO
LISANDRO OTTAVIO ENRICO
E senza indugi: se mi arrabbio... Amore mio... ...farò l’identica cosa dei loro volti. Ora basta. In ogni cosa che voglio seguo solo il mio piacere; vossignoria, se lei vuole obiettare, cavaliere, dica addio alle sue gambe, perché io non ho paura di gentucola così. Questo è il colmo! State zitto. Loro si credono uomini e hanno il coraggio di donna; ma se aspirano al trionfo e ricercano l’onore sono pronto. Forza, in guardia! Li colpisce
CELIA
Amore!
ENRICO
Togliti! Fermo! Nessuno provi a fermarmi. Cosa accade! Andrò in malora! Corrono ch’è una bellezza! Bella infilzata gli ho dato! Brutti conigli, è così che oltraggiate il vostro onore? Ma che hai fatto, amore? Niente! Gliele ho suonate per bene:
CELIA ENRICO CELIA LIDORA GALVANO ENRICO CELIA ENRICO
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
LIDORA GALVÁN
ENRICO CELIA ENRICO
CELIA ENRICO CELIA
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A aquel más alto le abrí un jeme de cuchillada. ¡Bien el que entra a verte gana! Una punta le tiré a aquel más bajo, y le eché fuera una arroba de lana. ¡Terrible peto traía! ¿Siempre, Celia, me has de dar disgusto? Basta el pesar, sosiega, por vida mía. ¿No te he dicho que no gusto que entren esos marquesotes? todos guedeja y bigotes adonde me dan disgusto? ¿Qué provecho tienes de ellos? ¿Qué te ofrecen, qué te dan estos que contino están rizándose los cabellos? De peña, de roble o risco es al dar su condición, su bolsa hizo profesión en la Orden de San Francisco. Pues ¿para qué los admites? ¿Para qué les das entrada? ¿No te tengo yo avisada? Tú harás algo que me incite a cólera. Bueno está. ¡Apártate! Oye, mi bien: porque sepas que hay también alguno en estos que da, aqueste anillo y cadena me dieron estos.
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LIDORA GALVANO
ENRICO CELIA ENRICO
CELIA ENRICO CELIA
a quello alto gli ho aperto una ferita di un palmo. Bell’affare che è incrociarti! A puntino l’ho infilato il più basso; gli ho cavato a chili la protezione; che inutile pettorale! Celia, mi devi dar sempre dispiaceri? Ora basta, calmati, fallo per me. Non ti ho detto che non voglio ch’entrino dei nobilastri, tutti zazzera e baffetti, proprio qui? Mi fanno schifo. E che cosa ci guadagni, che ricavi, cosa danno questi che continuamente s’impomatano i capelli? Al momento di sganciare sono roccia, quercia, pietra: quelle tasche han fatto voto presso i frati francescani. Ma perché tu li fai entrare? Perché mai, poi, gli dai il passi? Non mi son raccomandato? Finirai per incitarmi alla rabbia. Senti, caro... Vai via. Ma ascoltami, amore, guarda, c’è pure tra loro qualcuno in grado di dare un anello, una collana come questi.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA ENRICO
CELIA ENRICO LIDORA ENRICO GALVÁN LIDORA CELIA
ENRICO CELIA
ENRICO CELIA ENRICO
GALVÁN ENRICO
LIDORA GALVÁN CELIA ENRICO
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¿A ver? La cadena he menester, que me parece muy buena. ¿La cadena? Y el anillo también me hace falta agora. Déjale algo a mi señora. Ella ¿no sabrá pedillo? ¿Para qué lo pides tú? Esta por hablar se muere. (¡Mal haya quien bien os quiere, rufianes de Bercebú!) Todo es tuyo, vida mía; y pues yo tan tuya soy, escúchame. Atento estoy. Solo pedirte querría que nos lleves esta tarde a la Puerta de la Mar. El manto puedes tomar. Yo haré que allá nos aguarde la merienda. Oyes, Galván, ve a avisar luego al instante a nuestro amigo Escalante, a Cherinos y Roldán, que voy con Celia. Sí, haré. Di que a la Puerta del Mar nos vayan luego a esperar con sus mozas. ¡Bien, a fe! Ello habrá lindo bureo. Mas ¿qué ha de haber cuchilladas? ¿Quieres que vamos tapadas? No es eso lo que deseo. Descubiertas habéis de ir,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO ENRICO
CELIA ENRICO LIDORA ENRICO GALVANO LIDORA CELIA
ENRICO CELIA
ENRICO CELIA ENRICO
GALVANO ENRICO
LIDORA GALVANO CELIA ENRICO
Fai vedere... La collanina mi serve dato che pare preziosa. La collanina? E l’anello; pure lui fa al caso mio. Lascia qualcosa per Celia. Perché, lei non sa parlare? A che pro lo chiedi tu? Pur di parlare lei muore. (Maledetto chi vi ama, aiutanti del demonio.) È tutto tuo, vita mia, e poiché son tutta tua voglio dirti... ...ed io ti ascolto... ...volevo chiederti solo se ci porti questa sera presso la Porta del Mare. Puoi già prender la mantella. Farò in modo che ci aspetti lo spuntino. Dì, Galvano, va ad avvertire all’istante il nostro amico Escalante e Cerino e poi Roldano che arrivo con Celia. Bene. Digli anche che ci aspettino presso la Porta del Mare con le ragazze. Sicuro! Sarà un bel divertimento. Voleranno anche fendenti? Vuoi che andiamo camuffate? Non è questo ciò che voglio: dovete andare scoperte 1673
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
CELIA LIDORA
[a Celia]
CELIA GALVÁN
ENRICO GALVÁN ENRICO
GALVÁN ENRICO
porque quiero en este día que sepan que tú eres mía. Cómo te podré servir. Vamos. Tú eres inocente. ¿Todas las joyas le has dado? Todo está bien empleado en hombre que es tan valiente. Mas ¿qué, no te acuerdas ya que te dijeron ayer que una muerte habías de hacer? Cobrada y gastada está ya la mitad del dinero. Pues ¿para qué vas al mar? Después se podrá trazar, que agora, Galván, no quiero. Anillo y cadena tengo que me dio la tal señora: dineros sobran agora. Ya tus intentos prevengo. Viva alegre el desdichado, libre de cuidado y pena, que en gastando la cadena le daremos su recado.
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Vanse y sale Paulo y Pedrisco de camino, graciosamente. PEDRISCO PAULO PEDRISCO
PAULO
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Maravillado estoy de tal suceso. Secretos son de Dios. ¿De modo, padre, que el fin que ha de tener aqueste Enrico ha de tener también? Faltar no puede la palabra de Dios; el ángel suyo me dijo que, si Enrico se condena,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
CELIA LIDORA
(a Celia)
CELIA GALVANO
ENRICO GALVANO ENRICO
GALVANO ENRICO
perché desidero oggi che si sappia che sei mia. Farò tutto quel che vuoi. Ora andiamo. Sei un’ingenua, gli hai dato tutti i gioielli? È tutto bene investito per un uomo di valore. Forse l’hai dimenticato: solo ieri ti hanno detto che c’è in ballo un omicidio. Già incassata e sperperata la metà di quel bottino. Allora perché vai al mare? Ci penseremo più tardi, ora, Galvano, non voglio; ho l’anello e la collana che mi ha dato la mia donna: i soldi bastano e avanzano. Comprendo le tue intenzioni. Lo sventurato sia allegro, senza pensieri e dolori; investiamo la collana e avrà quanto gli è dovuto.
Escono. Entra Paolo con Pedrisco, vestito di buffi abiti da viaggio. PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
PAOLO
Sono confuso per quanto è accaduto. È mistero di Dio. Padre, vuol dire che la fine che attende tale Enrico sarà anche la sua? Non può mentire la parola di Dio. L’angelo suo mi ha detto che se Enrico è tra i dannati
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO
PAULO
PEDRISCO PAULO
yo me he de condenar, y si él se salva 630 también me he de salvar. Sin duda, padre, que es un santo varón aqueste Enrico. Eso mismo imagino. Esta es la puerta que llaman de la Mar. Aquí me manda el ángel que le aguarde. Aquí vivía 635 un tabernero gordo, padre mío, adonde yo acudía muchas veces, y más allá, si acaso se le acuerda, vivía aquella moza rubia y alta, que arcuero de la guardia parecía, 640 a quien él requebraba. ¡Oh vil contrario! Livianos pensamientos me fatigan. ¡Oh cuerpo flaco! Hermano, escuche. Escucho. El contrario me tiene con memoria y con pasados gustos... Échase en el suelo.
PEDRISCO PAULO
PEDRISCO
Pues, ¿qué hace? En el suelo me arrojo de esta suerte, para que en él me pise; llegue, hermano, píseme muchas veces. En buen hora, que soy muy obediente, padre mío.
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Písale.
PAULO PEDRISCO
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¿Písole bien? Sí, hermano. ¿No le duele?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
PAOLO
PEDRISCO PAOLO
anch’io sono dannato; s’egli è salvo, anch’io devo salvarmi. Senza dubbio dev’essere un sant’uomo questo Enrico. Anch’io lo penso. Ed eccola la porta che chiamano del Mare. È qui che vuole quell’angelo che aspetti. Qui viveva un taverniere grasso, padre mio, e ci passavo il tempo molto spesso; un po’ più in là, ma forse lo ricorda, viveva una ragazza bionda e alta, sembrava un bell’arciere della guardia e lei la corteggiava. Via, demonio! Pensieri lussuriosi mi tormentano. Ah, carne debole! Fratello... Dica. Il demonio m’insegue coi ricordi di antichi desideri. Si butta a terra.
PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO
E ora che fa? Guarda, mi butto a terra in questo modo perché tu mi calpesti; su, fratello, calpestami più volte. Come vuole, lo sa, sono obbediente, padre mio. Lo calpesta.
PAOLO PEDRISCO
Calpesto bene? Sì. Non le fa male? 1677
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA PAULO
Pise y no tenga pena.
PEDRISCO
¿Pena, padre? ¿Por qué razón he yo de tener pena? Piso y repiso, padre de mi vida, mas temo no reviente, padre mío. Píseme, hermano.
PAULO
Dan voces, deteniendo a Enrico. ROLDÁN ENRICO PAULO ENRICO CHERINOS ENRICO CELIA ENRICO
ROLDÁN
Deteneos, Enrico. Al mar he de arrojalle, vive el cielo. A Enrico oí nombrar. ¿Gente mendiga ha de haber en el mundo? ¡Deteneos! Podrasme detener en arrojándole. ¿Adónde vas? Detente. No hay remedio, harta merced te hago, pues le saco de tan grande miseria. Qué habéis hecho?
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Salen todos. ENRICO
PAULO ENRICO PEDRISCO CELIA ENRICO ESCALANTE
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Llegó a pedirme un pobre una limosna, doliome el verle con tan gran miseria, y porque no llegase a avergonzarse a otro desde hoy, cogíle en brazos y le arrojé en el mar. ¡Delito inmenso! Ya no será más pobre, según pienso. ¡Algún diablo limosna te pidiera! ¿Siempre has de ser cruel? No me repliques, que haré contigo y los demás lo mismo. Dejemos eso agora, por tu vida. Sentémonos los dos, Enrico amigo.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO PAOLO
Calpesta, non temere.
PEDRISCO
Ma non temo, non c’è ragione di avere paura. Calpesta e ricalpesta, non vorrei farla scoppiare, padre di mia vita. Pesta, fratello.
PAOLO
Si sentono voci che invitano Enrico a trattenersi. ROLDANO ENRICO PAOLO ENRICO CHERINOS ENRICO CELIA ENRICO
ROLDANO
Enrico, trattenetevi! Lo butto in mare, quanto è vero Iddio! Aspetta, ho udito il nome di Enrico. Che razza di accattoni sono al mondo! Fermatevi! Dopo averlo buttato! Ma dove vai? Stai fermo! Non c’è scampo: gli faccio un gran favore se lo levo dalla miseria. Ma che avete fatto? Entrano tutti.
ENRICO
PAOLO ENRICO PEDRISCO CELIA ENRICO ESCALANTE
Un povero mi ha chiesto l’elemosina, la sua miseria mi faceva pena: così, per evitargli la vergogna con altri nel futuro, l’ho afferrato e l’ho buttato in mare. Quale colpa! Non vive più in miseria, questo penso. Un diavolo ti chieda l’elemosina! Perché sempre crudele? Se non taci farai la stessa fine insieme agli altri. Lasciamo andare, adesso, dammi retta; sediamoci un momento, Enrico, amico.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
[a Pedrisco] A este han llamado Enrico. Será otro. ¿Querías tú que fuese este mal hombre, que en vida está ya ardiendo en los infiernos? Aguardemos a ver en lo que para. ENRICO Pues siéntense voarcedes, porque quiero haya conversación. ESCALANTE Muy bien ha dicho. ENRICO Siéntese, Celia, aquí. CELIA Ya estoy sentada. ESCALANTE Tú, conmigo, Lidora. LIDORA Lo mismo digo yo, señor Escalante. CHERINOS Siéntese aquí, Roldán. ROLDÁN Ya voy, Cherinos. PEDRISCO ¡Mire qué buenas almas, padre mío! Lléguese más, verá de lo que tratan. PAULO ¡Que no viene mi Enrico! PEDRISCO Mire y calle, que somos pobres y este desalmado no nos eche en el mar. ENRICO Agora quiero que cuente cada uno de vuarcedes las hazañas que ha hecho en esta vida. Quiero decir... hazañas, latrocinios, cuchilladas, heridas, robos, muertes, salteamientos y cosas de este modo. ESCALANTE Muy bien ha dicho Enrico. ENRICO Y al que hubiere hecho mayores males al momento una corona de laurel le pongan, cantándole alabanzas y motetes. ESCALANTE Soy contento. ENRICO Comience, seor Escalante. PAULO ¡Que esto sufra el Señor! PEDRISCO Nada le espante. ESCALANTE Yo digo ansí. PEDRISCO ¡Qué alegre y satisfecho!
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PEDRISCO
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO PAOLO
(a Pedrisco) L’hanno chiamato Enrico.
PEDRISCO
ENRICO ESCALANTE ENRICO CELIA ESCALANTE LIDORA CHERINOS ROLDANO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
ENRICO
ESCALANTE ENRICO
ESCALANTE ENRICO PAOLO PEDRISCO ESCALANTE PEDRISCO
Sarà un altro. Ma non vorrai che sia tale figuro che in vita già sta ardendo nell’inferno? Aspettiamo e vediamo dove para. Sedetevi signori, perché voglio che ora noi si parli. E dici bene. Siedi qui accanto, Celia. Ecco fatto. E tu, Lidora, vieni accanto a me. Ed io, caro Escalante, son d’accordo. Siediti qui, Roldano. Detto fatto. Anime belle, proprio un bel consesso! Si accosti, padre, ascolti cosa dicono. Ma non c’è Enrico! Lei stia zitto e ascolti, siamo in miseria e quel senza coscienza in un baleno può buttarci a mare. Adesso voglio che mi raccontiate le imprese che ciascuno ha conseguito; cioè, imprese, ruberie, per esser chiari, ferite, furti, morti, coltellate, rapine, insomma, cose similari. Ben detto, Enrico! Inoltre chi mai avesse fatto cose peggiori, sul momento che venga incoronato con l’alloro cantandogli in lode dei mottetti. Son soddisfatto. E allora inizi lei. Sopporta mio Signor. Niente la turbi. Allora riferisco. Bella faccia!
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA ESCALANTE
PEDRISCO ENRICO PEDRISCO CHERINOS
ENRICO CHERINOS
ENRICO CHERINOS ENRICO CHERINOS ENRICO CHERINOS PEDRISCO CELIA ENRICO ESCALANTE ENRICO GALVÁN PEDRISCO PAULO ENRICO CELIA PEDRISCO ENRICO
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Veinticinco pobretes tengo muertos, seis casas he escalado y treinta heridas he dado con la chica. ¡Quién te viera hacer en una horca cabriolas! Diga Cherinos. ¡Qué ruin nombre tiene! Cherinos, cosa poca. Yo comienzo. No he muerto a ningún hombre, pero he dado más de cien puñaladas. ¿Y ninguna fue mortal? Amparóles la fortuna. De capas que he quitado en esta vida y he vendido a un ropero, está ya rico. ¿Véndelas él? ¿Pues no? ¿No las conocen? Por quitarse de aquesas ocasiones las convierte en ropillas y calzones. ¿Habéis hecho otra cosa? No me acuerdo. ¿Mas qué le absuelve ahora el ladronazo? Y tú, ¿qué has hecho, Enrico? Oigan vuarcedes. Nadie cuente mentiras. Yo soy hombre que en mi vida las dije. Tal se entiende. ¿No escucha, padre mío, estas razones? Estoy mirando a ver si viene Enrico. Haya, pues, atención. Nadie te impide. ¡Miren a qué sermón atención pide! Yo nací mal inclinado, como se ve en los efectos
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO ESCALANTE
PEDRISCO ENRICO PEDRISCO CHERINOS
ENRICO CHERINOS
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Ho ucciso venticinque poveracci, sei case scassinate, trenta sfregi ben dati con la daga. Da vederti giocare all’altalena con la forca! Parli Cherinos. Che nome meschino! Cherinos, poca cosa. Io comincio: non ho ucciso nessuno, però ho inferto oltre cento pugnalate. E nessuna mortale? La fortuna era con loro. Le cappe che ho rubato fino ad ora hanno arricchito chi le riciclava. Le vende? Perché no? E se lo pescano? Fa presto ad evitare questo rischio: trasforma tutto in giubbe e pantaloni. Hai fatto qualcos’altro? Non ricordo. Magari ora assolve questo ladro! E tu che hai fatto, Enrico? Udite, udite. Nessuno dica il falso. Sono un uomo che mente nella vita? Si capisce. Ma padre, non ascolta quel che dicono? Sto attento a veder se viene Enrico. Fate silenzio. Qua nessuno fiata. Chiede pure attenzione al suo sermone! Io son nato incline al male come risulta provato 1683
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
del discurso de mi vida, que referiros pretendo. Con regalos me crié en Nápoles, que ya pienso que conocéis a mi padre, que aunque no fue caballero ni de sangre generosa, era muy rico, y yo entiendo que es la mayor calidad el tener, en este tiempo. Crieme, al fin, como digo, entre regalos, haciendo travesuras cuando niño, locuras cuando mancebo. Hurtaba a mi viejo padre, arcas y cofres abriendo, los vestidos que tenía, las joyas y los dineros. Jugaba, y digo jugaba para que sepáis con esto que de cuantos vicios hay es el primer padre el juego. Quedé pobre y sin hacienda, y como enseñado a hacerlo di en robar de casa en casa cosas de pequeño precio. Iba a jugar y perdía; mis vicios iban creciendo. Di luego en acompañarme con otros del arte mesmo; escalamos siete casas, dimos la muerte a sus dueños; lo robado repartimos para dar caudal al juego. De cinco que éramos todos solo los cuatro prendieron y nadie me descubrió, 1684
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dal discorso della vita che ora voglio raccontarvi. Sono cresciuto tra gli agi presso Napoli; ma penso che conosciate mio padre, che non era un cavaliere o di nobile casato, ma era ricco, e son convinto che l’avere, in questi tempi, sia la qualità maggiore. Insomma, sono cresciuto tra gli agi, mentre facevo marachelle, da bambino, e follie poi, da ragazzo. Scassinando casse e scrigni, derubavo il vecchio padre dei vestiti ch’egli aveva, dei preziosi e del denaro. Giocavo: e dico «giocavo» perché con questo sia chiaro che fra tutti quanti i vizi il primo padre è il gioco. Rimasi nullatenente, ma ormai esperto nel furto: presi a svuotare le case di cose senza valore. Me le giocavo e perdevo e alimentavo i miei vizi. Presi poi ad accompagnarmi con altri artisti del furto: svaligiammo sette case dando morte ai proprietari; ci dividemmo il bottino per dar corso ancora al gioco. Eravamo cinque in tutto; ne catturarono quattro, ma nessuno mi tradì 1685
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
aunque les dieron tormento. Pagaron en una plaza su delito, y yo, con esto, de escarmentado, acogíme a hacer a solas mis hechos. Íbame todas las noches solo a la casa de juego, donde a su puerta aguardaba a que saliesen de adentro. Pedía con cortesía el barato, y cuando ellos iban a sacar qué darme, sacaba yo el fuerte acero que riguroso escondía en sus inocentes pechos, y por fuerza me llevaba los que ganando perdieron. Quitaba de noche capas; tenía diversos hierros para abrir cualquiera puerta y hacerme capaz del dueño. Las mujeres estafaba y no dándome el dinero visitaba mi navaja su rostro luego al momento. Aquestas cosas hacía el tiempo que fui mancebo; pero escuchadme y sabréis, siendo hombre, las que he hecho. A treinta desventurados yo solo y aqueste acero, que es de la muerte ministro, del mundo sacado habemos; los diez muertos por mi gusto, y los veinte me salieron, uno con otro, a doblón.
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neppure sotto tortura. Pagarono in una piazza il delitto ed io decisi, imparata la lezione, di far da me, negli affari. Ogni notte mi recavo, solo, alla casa da gioco e sulla porta attendevo che uscissero i giocatori; cortesemente chiedevo una frazione del piatto e, mentre quelli frugavano per trovare cosa darmi, io trovavo la mia spada e secca la nascondevo nei loro petti innocenti e prendevo con la forza quel che, vincendo, perdevano. Di notte rubavo cappe; con ogni specie di ferri aprivo qualunque porta, sopraffacendo il padrone. Ho imbrogliato molte donne: se non vedevo denaro il coltello visitava puntualmente il loro viso. Io facevo tali cose quand’ero solo ragazzo, ma ascoltatemi e saprete quel che ho fatto poi, da uomo. Io da solo e questa spada, che è ministra della morte, a ben trenta sventurati abbiamo tolto la vita: dieci per il puro gusto; gli altri venti mi han fruttato un doblone nel totale. 1687
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Diréis que es pequeño precio: es verdad, mas, voto a Dios, que en faltándome el dinero que mate por un doblón a cuantos me están oyendo. Seis doncellas he forzado: ¡dichoso llamarme puedo, pues seis he podido hallar en este felice tiempo! De una principal casada me aficioné, y en secreto habiendo entrado en su casa a ejecutar mi deseo, dio voces, vino el marido, y yo, enojado y resuelto, llegué con él a los brazos, y tanto en ellos le aprieto que perdió tierra, y apenas en este punto le veo cuando de un balcón le arrojo y en el suelo cayó muerto. Dio voces la tal señora, y yo, sacando el acero, le metí cinco a seis veces, en el cristal de su pecho, donde puertas de rubíes en campos de cristal bellos le dieron salida al alma para que se fuese huyendo. Por hacer mal solamente he jurado juramentos falsos, fingido quimeras, hecho máquinas, enredos, y un sacerdote, que quiso reprenderme con buen celo, de un bofetón que le di cayó en tierra medio muerto. 1688
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Direte: «scarso guadagno!»: è vero, ma, giuraddio, che se ho bisogno di soldi ucciderei per lo stesso quanti ora stanno ascoltando. Ho violentato sei vergini: sono stato fortunato a poter trovarne sei in questi tempi infelici! Di una nobile sposata m’incapricciai, e in segreto a casa sua riuscii a entrare per soddisfare la voglia. Lei grida, viene il marito; io, risoluto, con rabbia mi scaglio in un corpo a corpo; lo tengo stretto, lo incalzo, lui indietreggia; a questo punto è ridotto a mal partito: lo getto giù dal balcone, si schianta lì, sotto casa. La signora inizia a urlare ed io sfodero la spada, infilandola più volte nel cristallo del suo seno, dove porte di rubini in bei campi di cristallo spalancarono per l’anima il sentiero della fuga. Per puro gusto del male ho giurato giuramenti falsi e inventato chimere, ho macchinato, imbrogliato. Un sacerdote ha provato a convertirmi, zelante: gli ho vibrato un tale schiaffo da lasciarlo mezzo morto. 1689
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
Porque supe que encerrado en casa de un pobre viejo estaba un contrario mío, a la casa puse fuego, y sin poder remediallo todos se quemaron dentro, y hasta dos niños hermanos cenizas quedaron hechos. No digo jamás palabra si no es con un juramento, con un «pese» o un «por vida», porque sé que ofendo al cielo. En mi vida misa oí, ni estando en peligros ciertos de morir me he confesado ni invocado a Dios eterno. No he dado limosna nunca, aunque tuviese dineros: antes persigo a los pobres, como habéis visto el ejemplo. No respeto a religiosos: de sus iglesias y templos seis cálices he robado y diversos ornamentos que sus altares adornan. Ni a la justicia respeto: mil veces me he resistido y a sus ministros he muerto, tanto que para prenderme no tienen ya atrevimiento. Y finalmente, yo estoy preso por los ojos bellos de Celia, que está presente; todos la tienen respeto por mí que la adoro, y cuando sé que la sobran dineros, con lo que me da, aunque poco, 1690
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Venni a sapere che un tizio, un mio nemico, viveva nascosto a casa di un vecchio: appiccai fuoco alla casa e senza trovare scampo tutti morirono arsi; persino due fratellini furono cenere a cenere. Non dico altre parole perché dovrei spergiurare sulla vita o sulla morte, ma così offendo il cielo. Certo, ho seguito una messa, ma neanche in rischio mortale ho voluto confessarmi né invocare Dio eterno. Non ho mai fatto elemosina anche se avevo denaro: sono mie vittime i poveri, ne avete visto un esempio. Non rispetto i religiosi: dai loro luoghi di culto ho sgraffignato sei calici e numerosi ornamenti che adornano i loro altari. Né rispetto la giustizia: spesso ho opposto resistenza ed ho ucciso i suoi ministri, tanto che di catturarmi ormai gli manca il coraggio. Veniamo ad oggi: io sono ostaggio degli occhi belli di Celia, ch’è qui tra noi: è rispettata da tutti grazie a me che l’amo, e quando so che le avanza denaro quel che mi dà, pure poco, 1691
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
PEDRISCO
ESCALANTE ROLDÁN CHERINOS CELIA ENRICO CELIA
GALVÁN CELIA TODOS ENRICO
mi viejo padre sustento, que ya le conoceréis por el nombre de Anareto. Cinco años ha que tullido en una cama le tengo, y tengo piedad con él por estar pobre el buen viejo, y porque soy causa, en fin, de ponelle en tal extremo, por jugarle yo su hacienda el tiempo que fui mancebo. Todo es verdad lo que he dicho, voto a Dios, y que no miento. Juzgad ahora vosotros cuál merece mayor premio. Cierto, padre de mi vida, que son servicios tan buenos que puede ir a pretender éste a la Corte. Confieso que tú el lauro has merecido. Y yo confieso lo mesmo. Todos lo mesmo decimos. El laurel darte pretendo. Vivas, Celia, muchos años. Toma, mi bien; y con esto pues que la merienda aguarda, nos vamos. Muy bien has hecho. Digan todos: «¡Viva Enrico!» ¡Viva el hijo de Anareto! Al punto todos vamos a holgarnos y entretenernos. Vanse.
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PEDRISCO
ESCALANTE ROLDANO CHERINOS CELIA ENRICO CELIA
GALVANO CELIA TUTTI ENRICO
è per il mio vecchio padre che di certo conoscete con il nome di Anareto. Son cinque anni che, immobile, giace disteso sul letto: provo pietà per mio padre perché, vecchio, è in povertà; in fondo sono la causa di questa sua condizione: gli ho giocato ogni suo bene quand’ero solo un ragazzo. Giuro su Dio che non mento e che ho detto tutto il vero. Giudicate da voi, adesso, chi si merita la palma. Certo, padre, vita mia, che rende tali servigi da poter rivendicare qualcosa a corte. Lo ammetto, quella palma spetta a te. Da parte mia son d’accordo. Coincidiamo tutti quanti. Io voglio darti l’alloro. Possa vivere cent’anni! Ecco, mio amore, e con questo, visto che ci attende il pranzo, ora andiamo. Sì, ben detto. Tutti insieme: «viva Enrico!». Viva il figlio di Anareto! Ora andiamocene tutti a spassarci e divertirci. Escono.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA PAULO
PEDRISCO PAULO
PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO
PEDRISCO PAULO
PEDRISCO
PAULO
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¡Salid, lágrimas, salid; salid apriesa del pecho, no lo dejéis de vergüenza! ¡Qué lastimoso suceso! ¿Qué tiene, padre? ¡Ay hermano! Penas y desdichas tengo; este mal hombre que he visto es Enrico. ¿Cómo es eso? Las señas que me dio el ángel son suyas. ¿Es eso cierto? Sí, hermano, porque me dijo que era hijo de Anareto, y aquéste también lo ha dicho. Pues aquéste ya está ardiendo en los infiernos. ¡Ay triste! Eso solo es lo que temo. El ángel de Dios me dijo que si este se va al infierno que al infierno tengo de ir, y al cielo, si este va al cielo. Pues al cielo, hermano mío, ¿cómo ha de ir este, si vemos tantas maldades en él, tantos robos manifiestos, crueldades y latrocinios y tan viles pensamientos? En eso ¿quién pone duda? Tan cierto se irá al infierno como el despensero Judas. ¡Gran Señor, Señor eterno! ¿Por qué me habéis castigado con castigo tan inmenso? Diez años y más, Señor,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO PRIMO PAOLO
PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO
PAOLO
Scendete, lacrime, forza, ora sgorgate dal cuore senza temere vergogna. Quale triste avvenimento! Cosa c’è, padre? Fratello! Ah, dolore e malasorte! Il maledetto che ho visto è proprio Enrico. Ma come? Gli indizi dati dall’angelo dicon di lui. Ne è sicuro? Sì, fratello, ché mi ha detto ch’era il figlio di Anareto e costui lo ha confermato. Ma questo già sta bruciando nell’inferno. Che sventura! È proprio quello che temo. Ha detto il messo di Dio che, se Enrico va all’inferno, all’inferno vado anch’io od al cielo se va al cielo. Ma come al cielo, fratello, potrà esser destinato, quando in lui c’è tanto male, tanti furti plateali, latrocini, crudeltà e così vili intenzioni? E chi mai lo mette in dubbio? Se ne andrà dritto all’inferno come Giuda, il tesoriere. Grande Dio, Signore eterno, perché infliggermi la pena di un castigo così grande? Mio Dio, son più di dieci anni 1695
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
PEDRISCO PAULO
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ha que vivo en el desierto, comiendo yerbas amargas, salobres aguas bebiendo, solo porque vos, Señor, juez piadoso, sabio, recto, perdonarais mis pecados. ¡Cuán diferente lo veo! Al infierno tengo de ir. Ya me parece que siento que aquellas voraces llamas van abrasando mi cuerpo. ¡Ay! ¡Qué rigor! Ten paciencia. ¿Qué paciencia o sufrimiento ha de tener el que sabe que ha de ir a los infiernos? ¡Al infierno, centro oscuro, donde ha de ser el tormento eterno y ha de durar lo que Dios durare! ¡Ah cielos! ¡Que nunca se ha de acabar! ¡Que siempre han de estar ardiendo las almas! ¡Siempre! ¡Ay de mí! (Solo oírle me da miedo.) Padre, volvamos al monte. Que allá volvamos pretendo; pero no a hacer penitencia, pues que ya no es de provecho. Dios me dijo que si aquéste se iba al cielo, me iría al cielo, y al profundo si al profundo, pues es ansí, seguir quiero su misma vida; perdone Dios aqueste atrevimiento si su fin he de tener, tenga su vida y sus hechos, que no es bien que yo en el mundo
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che vivo in questo deserto: mi nutro di erbe amare e bevo l’acqua salmastra solo perché voi, Signore, re pietoso, saggio, giusto, perdonaste i miei peccati. Ben altra cosa ora vedo! Io devo andare all’inferno! Ecco, mi par di sentire che quelle fiamme voraci stanno bruciando il mio corpo! Siete duro! Abbi pazienza. Sopportazione, pazienza? Come può averne chi sa che è destinato all’inferno? All’inferno, centro oscuro dove persiste il tormento in eterno, fino a quando vi sia Dio. Ah, Signore! Non potrà mai avere fine! Per sempre devon bruciare le anime! Sempre, ahimè! (Tremo solo ad ascoltarla); padre, facciamo ritorno. Voglio che torniamo al monte non per fare penitenza, dato che non serve a niente. Mi ha detto Dio che, se Enrico va su in cielo, vado in cielo, e se all’inferno all’inferno. Ma, se è così, seguo l’orme della sua vita, e che Dio abbia pietà del mio ardire: se mi attende la sua fine la sua vita, anche, mi spetta. Non è giusto ch’io nel mondo 1697
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esté penitencia haciendo y que él viva en la ciudad con gustos y con contentos y que a la muerte tengamos un fin. Es discreto acuerdo. Bien ha dicho, padre mío. En el monte hay bandoleros: bandolero quiero ser, porque así igualar pretendo mi vida con la de Enrico, pues un mismo fin tendremos. Tan malo tengo de ser como él, y peor si puedo, que pues ya los dos estamos condenados al infierno, bien es que antes de ir allá en el mundo nos venguemos. ¡Ah Señor! ¿Quién tal pensara? Vamos, y déjate de eso, y de esos árboles altos los hábitos ahorquemos. Vístete galán. Sí haré; y yo haré que tengan miedo a un hombre que siendo justo se ha condenado al infierno. Rayo del mundo he de ser. ¿Qué se ha de hacer sin dineros? Yo los quitaré al demonio si fuere cierto el traerlos. Vamos, pues. Señor, perdona si injustamente me vengo. Tú me has condenado ya; tu palabra es caso cierto que atrás no puede volver.
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debba fare penitenza e che lui viva in città tra i piaceri e i godimenti, condividendo la sorte in morte. Saggio proposito. Ha parlato bene, padre. Ci son banditi, nel monte: voglio essere un bandito perché voglio che sia una la vita mia e di Enrico, come sarà nella morte. Voglio essere malvagio come lui, ed anche peggio. Dato ch’entrambi già siamo condannati giù all’inferno, è meglio, prima di andarci, vendicarci in questo mondo. Dio, chi l’avrebbe creduto? Andiamo, dimentichiamo e impicchiamo a questi rami i nostri abiti, presto. Vestiti bene. Lo faccio, e farò in modo che temano un uomo che, essendo giusto, si è condannato all’inferno. Voglio essere tempesta. Come facciamo, in bolletta? Li sottrarrei al demonio se sapessi che ne ha. Ora andiamo. Dio, perdona, forse è ingiusta la vendetta, ma tu mi hai già condannato e la tua parola, è certo, non si può più ritrattare. 1699
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA PRIMERA
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Pues si es ansí, tener quiero en el mundo buena vida, pues tan triste fin espero. Los pasos pienso seguir de Enrico. Ya voy temiendo que he de ir contigo a las ancas cuando vayas al infierno.
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Le cose stanno così, quindi quello che ora voglio è godere della vita, se mi aspetta questa fine. Voglio seguire l’esempio di Enrico. Già mi figuro di trovarmi fianco a fianco con te, diretti all’inferno.
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JORNADA SEGUNDA Salen Enrico y Galván. ENRICO GALVÁN ENRICO GALVÁN ENRICO GALVÁN ENRICO
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¡Válgate el diablo, el juego! ¡Qué mal que me has tratado! Siempre eres desdichado. ¡Fuego en las manos, fuego! ¿Estáis descomulgadas? Echáronte a perder suertes trocadas. Derechas no las gano; si las trueco, tampoco. Él es un juego loco. Esta derecha mano me tiene destruido; noventa y nueve escudos he perdido. Pues ¿para qué estás triste, que nada te costaron? ¡Qué poco que duraron! ¿Viste tal cosa? ¿Viste tal multitud de suertes? Con esa pesadumbre te diviertes y no cuidas de nada, y has de matar a Albano, que de Laura el hermano te tiene ya pagada la mitad del dinero. Sin blanca estoy; matar a Albano quiero. ¿Y aquesta noche Enrico, Cherinos y Escalante...? [Empresa es importante.] A ayudallos me aplico. ¿No han de robar la casa de Octavio el genovés? Aqueso pasa. Pues yo seré el primero que suba a sus balcones;
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ATTO SECONDO Entrano Enrico e Galvano. ENRICO GALVANO ENRICO GALVANO ENRICO GALVANO ENRICO
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Alla malora il gioco! Sono stato bidonato! Sei sempre sfortunato. Ah, queste mani! Fuoco! Vi han scomunicato? Hai perso, il tuo destino era truccato. Giochi pulito o bari, non riesco a dominarti. È proprio un gioco matto. E questa mano destra che mi ha messo sotto scacco: novantanove scudi son sfumati. Ma smetti d’esser triste, non son costati niente. E son durati poco! L’hai vista, no? L’hai vista quale incostante sorte? Con simili rovelli perdi tempo e dimentichi il resto: devi uccidere Albano, ché il fratello di Laura sai che ha già consegnato la metà del denaro. Non ho più un soldo, Albano morirà. E questa notte, Enrico, Cherinos, Escalante...? È un affare importante, bisogna che li aiuti: il colpo è nella casa di Ottavio, il genovese? Esattamente. Allora sarò il primo a entrare dal balcone: 1703
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
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en tales ocasiones aventajarme quiero. Ve y diles que aquí aguardo. Volando voy, que en todo eres gallardo. Vase.
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Pues mientras ellos se tardan y el manto lóbrego aguardan, que su remedio ha de ser, quiero un viejo padre ver que aquestas paredes guardan. Cinco años ha que le tengo en una cama tullido, y tanto a estimarle vengo que con andar tan perdido a mi costa le mantengo. De lo que Celia me da, o yo por fuerza le quito, traigo lo que puedo acá y su vida solicito, que acabando el curso va. De lo que de noche puedo, varias casas escalando, robar con cuidado o miedo voy [su sustento] aumentando y a veces sin él me quedo. Que esta virtud solamente en mi vida distraída conservo piadosamente, que es deuda al padre debida el serle el hijo obediente. En mi vida le ofendí ni pesadumbre le di: en todo cuanto mandó siempre obediente me halló desde el día que nací;
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in simile occasione è meglio avvantaggiarsi. Va’ e digli che li attendo. Vado volando! Sei sempre il più grande. Esce.
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E mentre quelli si attardano in attesa delle tenebre come un rifugio sicuro, visiterò il vecchio padre che queste mura proteggono. Son cinque anni che giace a letto immobilizzato, ed ho per lui tanto bene che, anche se vivo perduto, io lo mantengo a mie spese. Di quel che Celia mi dà o con la forza le prendo gli porto quello che posso per prolungargli la vita, ormai a fine della corsa. Con quel che riesco a rubare dalle case, nottetempo, agendo attento e prudente, al suo sostento provvedo anche se a me resta niente. Questa virtù solamente nella mia vita ribelle conservo pietosamente: perché è un debito dovuto che obbedisca il figlio al padre. In vita mia non l’ho offeso, non gli ho dato dispiaceri; ogni cosa che ha disposto, obbediente, l’ho osservata fin dal giorno in cui son nato. 1705
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que aquestas mis travesuras, mocedades y locuras nunca a saberlas llegó, que a saberlas, bien sé yo que aunque mis entrañas duras, de peña, al blando cristal opuesta fueron formadas y mi corazón igual a las fieras encerradas en riscos de pedernal, que las hubiera atajado. Pero siempre le he tenido donde de nadie informado ni un disgusto ha recibido de tantos como he causado.
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Descubre su padre en una silla.
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Aquí está; quiérole ver. Durmiendo está, al parecer. ¡Padre! ¡Mi Enrico querido! Del descuido que he tenido perdón espero tener de vos, padre de mis ojos. ¿Heme tardado? No, hijo. No os quisiera dar enojos. En verte me regocijo. No el sol con celajes rojos, saliendo a dar resplandor a la tiniebla mayor que espera tan alto bien, parece al día tan bien, como vos a mí, señor. Que vos para mí sois sol, y los rayos que arrojáis
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Tutte le mie leggerezze, ogni bravata o follia, non è mai giunto a conoscerle; se fosse stato altrimenti so che mi avrebbe fermato, anche se la mia natura è dura, è roccia, il contrario del delicato cristallo e il mio cuore come quello delle fiere abituate a luoghi impervi e selvaggi. Però l’ho sempre tenuto al riparo da soffiate, non gli ho dato un dispiacere pure se tanti ho causato. Tira una tenda e scopre suo padre seduto. ENRICO
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Eccolo, voglio vederlo. Sembra che sia addormentato. Padre... Ah, Enrico, mio amato! Se sono stato distratto spero di esser scusato da voi, padre dei miei occhi. Ho tardato? Ma no, figlio. Non vorrei darvi fastidi. Il vederti mi consola. Neppure il sole, sorgendo splendido fra veli rossi per dare luce alle tenebre, che non aspettano altro, il nuovo giorno rallegra come voi me, mio signore. Voi siete un sole per me ed i raggi che irradiate 1707
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
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de ese divino arrebol son las canas con que honráis este reino. Eres crisol donde la virtud se apura. ¿Habéis comido? Yo, no. Hambre tendréis. La ventura de mirarte me quitó la hambre. No me asegura, padre mío, esa razón, nacida de la afición tan grande que me tenéis; pero agora comeréis, que las dos pienso que son de la tarde. Ya la mesa os quiero, padre, poner. De tu cuidado me pesa. Todo esto y más ha de hacer el que obediencia profesa. (Del dinero que jugué un escudo reservé para comprar qué comiese, porque aunque al juego le pese no ha de faltarme esta fe.) Aquí traigo en el lenzuelo, padre mío, qué comáis. Estimad mi justo celo. Bendito, Dios mío, seáis en la tierra y en el cielo pues que tal hijo me distes, cuando tullido me vistes, que mis pies y manos sea. Comed, porque yo lo vea.
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da quel divino rossore son l’argento che fa onore al mondo. Tu sei crogiolo dove la virtù si forgia. Avete mangiato? No. Avrete fame. La gioia di vederti mi ha levato l’appetito. Non mi basta, padre mio, questa risposta che nasce dal grande amore che voi nutrite per me; ora dovete mangiare ché credo siano le due della sera; perciò, padre, ora apparecchio la tavola. Mi dispiace darti pena. Questo ed altro deve fare chi professa l’obbedienza. (Del denaro che ho giocato ho trattenuto uno scudo per comprargli da mangiare; anche se intacco il bottino non vengo meno al mio pegno). Vi ho portato nell’involto da mangiare, padre mio: apprezzate il giusto zelo. Sia benedetto il Signore, come in cielo così in terra, che mi ha dato tale figlio, mani e piedi per un corpo destinato a stare infermo. Voglio vedervi mangiare.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO
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Miembros cansados y tristes, ayudadme a levantar. Yo, padre, os quiero ayudar. Fuerza me infunden tus brazos. Quisiera en estos abrazos la vida poderos dar. Y digo, padre, la vida, porque tanta enfermedad es ya muerte conocida. La divina voluntad se cumpla. Ya la comida os espera. ¿Llegaré la mesa? No, hijo mío, que el sueño me vence. ¿A fe? Pues, dormid. Dádome ha un frío muy grande. Yo os llegaré la ropa. No es menester. Dormid. Yo, Enrico, quisiera por llegar siempre a temer que en viéndote es la postrera vez que te tengo que ver, porque aquesta enfermedad me trata con tal crueldad, yo quisiera que tomaras estado. ¿En eso reparas? Cúmplase tu voluntad. Mañana pienso casarme. (Quiero darle aqueste gusto. aunque finja.)
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Aiutatemi ad alzarmi, membra tristi e affaticate. Ci son io per aiutarvi. Le tue braccia danno forza. Con il mio abbraccio vorrei potervi dare la vita: e dico, padre, «la vita» perché tanta sofferenza è già presagio di morte. Sia fatta la volontà di Dio. Sì, ma ora dovete mangiar qualcosa. Avvicino la mensa? No, figlio mio. Ora son stanco. Davvero? Dormite. Ma sento freddo. Vi avvicino una coperta. Lascia stare. Ora dormite. Poiché ogni volta ho paura che quando posso vederti sia per me l’ultima volta, dato che la malattia mi tratta in modo crudele, io vorrei che in qualche modo ti sistemassi. Vuoi questo? Sia fatta tua volontà. Domani intendo sposarmi. (Voglio dargli questa gioia, anche falsa.)
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO
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Será darme la salud. Hacer es justo lo que tú puedes mandarme. Moriré, Enrico, contento. Darte gusto en todo intento, porque veas de esta suerte que por solo obedecerte me sujeto al casamiento. Pues, Enrico, como viejo te quiero dar un consejo. No busques mujer hermosa, porque es cosa peligrosa ser en cárcel mal segura alcaide de una hermosura donde es la afrenta forzosa. Está atento, Enrico. Di. Y nunca entienda de ti que de su amor no te fías, que viendo que desconfías, todo lo ha de hacer ansí. Con tu mismo ser la iguala: ámala, sirve y regala; con celos no la des pena; que no hay mujer que sea buena si ve que piensan que es mala. No declares tu pasión hasta llegar la ocasión, y luego...
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Venciole el sueño, que es de los sentidos dueño, a dar la mejor lición. Quiero la ropa llegalle
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Mi darà la salute. Trovo giusto fare ciò che mi comandi. Morirò felice, Enrico. Voglio assecondarti in tutto perché veda in questo modo come per pura obbedienza chino il capo al matrimonio. Sono vecchio, Enrico, quindi ti voglio dare un consiglio: non cercar la donna bella, è un affare assai rischioso stare in carcere insicuro a guardia d’una bellezza, dove l’oltraggio è scontato. Fai attenzione, Enrico... Dimmi... Mai deve rendersi conto che del suo amore diffidi, ché se ti vede dubbioso si sentirà autorizzata. Trattala come tua pari, sii dolce, amala, servila, non devi esser geloso: non c’è una donna fedele che d’infedele abbia fama. Non dichiarare il tuo amore fino al momento giusto. Inoltre... Si addormenta.
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L’ha vinto il sonno, padrone dei nostri sensi, proprio al momento cruciale. Sarà bene che lo copra 1713
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
y de esta suerte dejalle hasta que repose. Cúbrele y sale Galván. GALVÁN
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Ya todo prevenido está, y mira que por la calle viene Albano, a quien la muerte has de dar. ¿Pues yo he de ser tan tirano? ¡Cómo! ¿Yo lo he de matar por un interés liviano? ¿Ya tienes temor? Galván, estos dos ojos, que están con este sueño cubiertos, por temer que estén despiertos, aqueste temor me dan. No me atrevo, aunque mi nombre tiene su altivo renombre en las memorias escrito, intentar tan gran delito donde está durmiendo este hombre. ¿Quién es? Un hombre eminente a quien temo solamente y en esta vida respeto; que para el hijo discreto es el padre muy valiente. Si conmigo le llevara siempre, nunca yo intentara los delitos que condeno, pues fuera su vista el freno que en la ocasión me tirara. Pero corre esa cortina,
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e lo lasci qui tranquillo perché riposi. Lo copre. Entra Galvano. GALVANO
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Oramai è tutto in ordine, a posto; guarda lì in fondo alla strada: sembra Albano, si avvicina, ora è il momento di ucciderlo. Perché devo esser crudele? Ma come? Dovrei ammazzarlo solo per puro interesse? Ora hai paura? Galvano, son gli occhi di questo vecchio, chiusi, coperti dal sonno, che m’incutono timore nel pensare al loro sguardo. Non oso, eppure il mio nome porta con sé altera fama scolpita nella memoria; non so eseguire il delitto dove quest’uomo riposa. Ma chi è? Uomo importante, il solo di cui ho timore e in questa vita rispetto: per un figlio che ha buon senso il padre ha grande valore. Se fosse sempre con me non riuscirei a perpetrare gli atti ch’io stesso condanno, perché il suo sguardo sarebbe freno per le tentazioni. Ora chiudi quella tenda; 1715
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
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que el no verle podrá ser, pues mi favor afemina, que rigor venga a tener si ahora piedad me inclina. Ya está cerrada.
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(corre la cortina) ENRICO
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Galván, ahora que no le veo ni sus ojos luz me dan, matemos, si es tu deseo, cuantos en el mundo están. Pues mira, que viene Albano, y que de Laura al hermano que le des muerte conviene. Pues él a buscarla viene, dale por muerto. Eso es llano.
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Sale Albano, viejo, y pasa. ALBANO
El sol a poniente va, como va mi edad también, y con cuidado estará mi esposa. Vase.
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Brazo, detén. ¿Qué aguardas ya? Miro un hombre que es retrato y viva imagen de aquel a quien siempre de honrar trato; pues di, si aquí soy cruel, ¿no seré a mi padre ingrato? Hoy de mis manos tiranas por ser viejo, Albano, ganas la cortesía que esperas,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
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chissà, forse il non vederlo, dato che riesce a piegarmi, serve a ridarmi coraggio, ché la pietà indebolisce. Ecco, ora è chiusa.
(tira la tenda) ENRICO
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Galvano, adesso che non lo vedo e non mi abbaglia il suo sguardo uccidiamo a tuo piacere ogni uomo che sta al mondo. Guarda, Albano si avvicina e conviene che lo uccida per il fratello di Laura. La cerca, è qui per lei. Dallo per morto. È sicuro. Entra Albano, vecchio, e attraversa la scena.
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Il sole volge a ponente, come anche la mia vita; spero che non stia in pensiero la mia promessa. Un momento! E ora? Cosa ti trattiene? Vedo un uomo che è il ritratto, viva immagine, di quello che mi sforzo di onorare; dimmi, se ora son crudele, non sarò a mio padre ingrato? Da queste mani proterve oggi tu, vecchio, ricevi, Albano, quel che ti spetta:
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
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que son piadosas terceras, aunque mudas, esas canas. Vete libre, que repara mi honor, que así se declara, aunque mi opinión no cuadre, que pensara que a mi padre mataba, si te matara. Ay canas, las que aborrecen, pocos las ofenderán, pues tan seguras se van cuando enemigos se ofrecen. Vive Dios, que no te entiendo, otro eres ya del que fuiste. Poco mi valor ofendo. Darle la muerte pudiste. No es eso lo que pretendo. A nadie temí en mi vida, varios delitos he hecho, he sido fiero homicida y no hay maldad que en mi pecho no tenga siempre acogida; pero en llegando a mirar las canas que supe honrar porque en mi padre las vi, todo el furor reprimí y las procuré estimar. Si yo supiera que Albano era de tan larga edad, nunca de Laura al hermano prometiera tal crueldad. Respeto fue necio y vano. El dinero que te dio por fuerza habrás de volver, ya que Albano no murió. Podrá ser. ¿Qué es podrá ser?
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la tua canizie, anche muta, è mediatrice pietosa. Vattene, mentre si avvede l’onor mio, così si dice, se anche non sono concorde, ch’io avrei ucciso mio padre uccidendo proprio te. La canizie che si teme sono pochi ad oltraggiarla e procede ben sicura in presenza dei nemici. Vivaddio, non ti capisco, sembri un altro dal passato. Non scalfisco il mio valore. Perché non l’hai giustiziato? Perché non è quel che voglio. Non so che sia la paura e ho alle spalle molte morti; son stato un fiero omicida e non esiste alcun male a cui non apra la porta. Ma non appena ho veduto la canizie da onorare come quella di mio padre, ho represso ogni furore e ho voluto rispettarla. Solo a sapere che Albano era maturo negli anni, mai col fratello di Laura avrei firmato un contratto. È un ritegno sciocco e vano: ora dovrai restituire il denaro che ti ha dato perché Albano ancora è vivo. Forse è così. Come «forse»?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ENRICO GALVÁN
Podrá ser, si quiero yo. Él viene.
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Sale Octavio. OCTAVIO ENRICO OCTAVIO
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OCTAVIO ENRICO
GALVÁN OCTAVIO ENRICO OCTAVIO ENRICO
A Albano encontré, vivo y sano como yo. Ya lo creo. Y no pensé que la palabra que dio de matarle vuesarcé no se cumpliera tan bien como se cumplió la paga. ¿Esto es ser hombre de bien? (Este busca que le den un bofetón con la daga.) No mato a hombres viejos yo, y si a voarcé le ofendió, vaya y mátele al momento, que yo quedo muy contento con la paga que me dio. El dinero ha de volverme. Váyase voarcé con Dios. No quiera enojado verme, que ¡juro a Dios!... Ya los dos riñen: el diablo no duerme. Mi dinero he de cobrar. Pues yo no lo pienso dar. Eres un gallina. ¡Mientes!
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Le hiere. OCTAVIO ENRICO GALVÁN
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Muerto soy. Mucho lo sientes. Hubiérase ido a acostar.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO ENRICO GALVANO
Dico, forse si vedrà. Ecco, viene. Entra Ottavio.
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OTTAVIO ENRICO
GALVANO OTTAVIO ENRICO OTTAVIO ENRICO
L’ho incrociato vivo e vegeto qui, Albano. Credo bene. Non pensavo che la sua parola data in questo modo finisse per essere disattesa, come non è per la paga. Vi sembra da gentiluomo? (Questo mi sa che va in cerca di un bel colpetto di spada). Non ammazzo vecchi, io, e se a voi ha recato offesa deve solo vendicarsi; mi ritengo soddisfatto, a me basta la caparra. Quel che ho dato lo rivoglio. Via di qua, vada con Dio. Non mi voglia contrariare che, giuraddio... Tutt’e due lottano come demoni. Voglio indietro il mio denaro. Non intendo restituirlo. Sei un coniglio. Dici il falso. Lo ferisce.
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Sto morendo...
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...e non vorresti. Starsene a casa era meglio.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ENRICO
A hombres como tú, arrogantes, doy la muerte yo, no a viejos, que con canas y consejos vencen ánimos gigantes. Y si quisieres probar lo que llego a sustentar, pide a Dios, si él lo permite, que otra vez te resucite, y te volveré a matar.
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Dentro dice el gobernador. GOBERNADOR GALVÁN
ENRICO
GALVÁN ENRICO
GALVÁN ENRICO
Prendedle, dadle muerte. Aquesto es malo; más de cien hombres vienen a prenderte con el gobernador. Vengan seiscientos. Si me prenden, Galván, mi muerte es cierta; si me defiendo, puede hacer mi dicha que no me maten y que yo me escape; y más quiero morir con honra y fama. Aquí está Enrico, ¿no llegáis, cobardes? Cercado te han por todas partes. Cerquen, que vive Dios que tengo que arrojarme por entre todos. Yo tus pasos sigo. Pues haz cuenta que César va contigo. Sale el gobernador y mucha gente, y Enrico los mete a todos a cuchilladas.
GOBERNADOR ENRICO GOBERNADOR
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¿Eres demonio? Soy un hombre solo que huye de morir. Pues date preso y yo te libraré.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
Agli arroganti par tuo do morte, ma non ai vecchi: con l’esperienza e i consigli vincono gli animi duri. Se volessi comprovare quanto intendo sostenere, chiedi a Dio, se lo permette, che altra volta ti dia vita e altra volta io ti uccido.
ENRICO
Il governatore, fuori scena. GOVERNATORE GALVANO
ENRICO
GALVANO ENRICO
GALVANO ENRICO
Prendetelo! A morte! Siamo nei guai. A centinaia ti stanno braccando con il governatore. Sian seicento, avrò morte sicura se mi prendono; può esser che se, invece, mi difendo, salvi la vita e poi riesca a fuggire; se devo, morirò con fama e onore. Eccovi Enrico, su, codardi, avanti! Sei circondato. Che facciano pure sono pronto a gettarmi nella mischia, giuro su Dio. Ed io ti vengo dietro. Puoi far conto che Cesare è con te.
Entra il governatore e una moltitudine di gente; Enrico, con il coltello, si scaglia contro tutti. GOVERNATORE ENRICO GOVERNATORE
Ma sei un demonio? No, son solo un uomo che non vuol morire. Se ti consegni io ti risparmio. 1723
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ENRICO GALVÁN GOBERNADOR UNO
No pienso en eso. Así habéis de prenderme. Sois cobardes. ¡Ay de mí! Muerto soy. ¡Grande desdicha! ¡Mató al gobernador! ¡Mala palabra!
1345
Retíralos y sale Enrico. ENRICO
GALVÁN
[UNO] (dentro) GALVÁN ENRICO
GALVÁN ENRICO GALVÁN ENRICO
1724
Ya aunque la tierra sus entrañas abra y en ella me sepulte, es imposible que me pueda escapar; tú, mar soberbio, 1350 en tu centro me esconde; con la espada en la boca tengo de arrojarme. Tened misericordia de mi alma, Señor inmenso; que aunque soy tan malo, no dejo de tener conocimiento 1355 de vuestra santa fe. Pero ¿qué hago? ¿Al mar quiero arrojarme cuando dejo triste, afligido, un miserable viejo? ¡Ay, padre de mi vida! Volver quiero a llevarle conmigo y ser Eneas 1360 del viejo Anquises. ¿Dónde vas? Detente. Seguidme por aquí. Guarda tu vida. Perdonad, padre mío de mis ojos, al no poder llevaros en mis brazos, aunque en mi alma bien sé yo que os llevo. 1365 Sígueme tú, Galván. Yo ya te sigo. Por tierra no podemos escaparnos. Pues arrójame al mar. Su centro airado sea sepulcro mío. ¡Ay, padre amado! ¡Cuánto siento el dejaros!
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO ENRICO GALVANO GOVERNATORE UNO
Non ne ho intenzione, perciò dovrete prendermi. Codardi. Ah, mi sento morire! Che sciagura! L’ha ucciso! Il solo dirlo mi spaventa! Li respinge; Enrico rientra in scena.
ENRICO
GALVANO
[UNO] (dentro) GALVANO ENRICO
GALVANO ENRICO GALVANO ENRICO
Se anche dovesse fendersi la terra ed inghiottirmi, credo sia impossibile poter fuggire; tu, mare superbo, nascondimi; mi getto nei tuoi abissi, tra i denti la mia spada, non ho scelta. Abbiate, immenso Dio, misericordia di un’anima, ché se anche son malvagio non è venuta meno la co-scienza di voi e della fede. Ma che faccio? Mi sto gettando in mare, mentre lascio un vecchio triste, afflitto, derelitto? Ah, padre di mia vita! Torno indietro, lo porterò con me, sarò l’Enea di un vecchio Anchise. Dove vai? Non farlo! Seguitemi di qua. Enrico, attento! Chiedo perdono, padre dei miei occhi se non vi porto via tra le mie braccia, se anche dentro me so di portarvi. Vieni con me, Galvano. Sono qui. Per terra non possiamo avere scampo. Mi butto in mare. Il suo abisso inquieto sia la mia tomba. Ah, mio padre amato! Quanto soffro al lasciarvi!
1725
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
Ven conmigo. Cobarde soy, Galván, si no te sigo.
GALVÁN ENRICO
1370
Sale Paulo de bandolero, y otros, y traen tres hombres; y Pedrisco de bandolero gracioso. PRIMERO
[BANDOLERO]
PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PRIMERO
A ti solo, Paulo fuerte, pues que ya todos te damos palabra de obedecerte, que sentencies esperamos estos tres a vida o muerte. ¿Dejáronnos ya el dinero? Ni una blanca nos han dado. Pues ¿qué aguardas, majadero? Habémoselo quitado. ¿Qué ellos no lo dieron? Quiero sentenciar a todos tres. Ya esperarnos ver lo que es. ¡Ten con nosotros piedad!
1375
1380
[CAMINANTE] PAULO
[LOS TRES
De ese roble los colgad. ¡Gran señor!
1385
CAMINANTES] PEDRISCO
PAULO PEDRISCO
1726
Moved los pies, que seréis fruta extremada en esta selva apartada de todas aves rapantes. De esta crueldad no te espantes. Ya no me espanto de nada, porque verte ayer, señor, ayunar con tal fervor y en la oración ocupado, en tu Dios arrebatado pedirle ánimo y favor para proseguir tu vida en tan grande penitencia; y en esta selva escondida
1390
1395
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO GALVANO ENRICO
Su, venite. Galvano, sarei un vile a non seguirti.
Entrano Paolo, vestito da brigante, ed altri, con tre prigionieri entra anche Pedrisco, vestito in maniera buffa da brigante. PRIMO
[BRIGANTE]
PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PRIMO
Solo a te, valente Paolo, noi che tutti abbiamo fatto giuramento di obbedienza, affidiamo la sentenza: per i tre è vita o morte? Hanno svuotato le tasche? Neppure un soldo bucato. Ma che aspetti, allora, idiota? Quel che avevano ora è nostro. Non volevano mollare? Pronti qui per giustiziarli! Vediamo un po’ come va. Ti prego, abbi pietà.
[VIANDANTE] PAOLO
[I TRE
Impiccateli alla quercia. Mio signore!
VIANDANTI] PEDRISCO
PAOLO PEDRISCO
Su, alla svelta, ché sarete grassi frutti di questo bosco nascosto per ogni uccello rapace. La crudeltà non ti turbi. Non mi spaventa più niente; solo ieri ti vedevo digiunare con passione infiammato dal tuo Dio, tutto dentro la preghiera a implorar forza e coraggio per continuare la vita in così grande penuria; ora, tra selve nascoste, 1727
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
PAULO
PEDRISCO
PAULO
PEDRISCO PAULO
1728
verte hoy, con tanta violencia capitán de forajida gente, matar pasajeros tras robarles los dineros: ¿qué más se puede esperar? Ya no me puedo espantar [de nada.] Los hechos fieros de Enrico imitar pretendo, y aun le quisiera exceder. Perdone Dios si le ofendo, que si uno el fin ha de ser, esto es justo, y yo me entiendo. Así al otro le decían que la escalera rodaba; otros que rodar le vían. ¡Que a mí, que a Dios adoraba y por santo me tenían en este circunvecino monte, el globo cristalino rompiendo el ángel veloz me llegase con su voz a dejar tan buen camino, dándome premio tan malo! Pues hoy verá el cielo en mí si en las maldades no igualo a Enrico. ¡Triste de ti! Fuego por la vista exhalo. Hoy, fieras, que en horizontes y en napolitanos montes hacéis dulce habitación, veréis que mi corazón vence a soberbios faetontes. Hoy, árboles, que plumajes sois de la tierra, o salvajes por lo verde que os vestís,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
PAOLO
PEDRISCO
PAOLO
PEDRISCO PAOLO
ti vedo fatto violento a capo di fuorilegge, ad ammazzare viandanti dopo averli alleggeriti: cos’altro posso aspettarmi? Non credo più di temere ormai niente. Le bravate di Enrico intendo imitare e magari superarle. Dio mi perdoni l’offesa: se una dev’esser la fine, che sia così; so che dico. Così dicevano a quello, che cadeva dalla scala, che era la scala a cadere. Proprio a me che Dio adoravo, a me con fama di santo tutt’intorno a questi luoghi, attraversando veloce le pure sfere celesti, doveva chiedere un angelo di abbandonare il cammino e darmi in cambio un veleno! Oggi dunque vedrà il cielo se ad Enrico son secondo nel male. Povero te! Dai miei occhi esce il fuoco. Oggi voi, fiere disperse tra i monti napoletani, dove quiete dimorate, vedrete come il mio cuore vince in superbia Fetonte. Alberi, che siete piume di questa terra e rustici, così vestiti di verde, 1729
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
PEDRISCO PAULO PEDRISCO PRIMERO
el huésped que recibís os hará varios ultrajes. Más que la naturaleza he de hacer por cobrar fama, pues para mayor grandeza he de dar a cada rama cada día una cabeza. Vosotros dais, por ser graves, frutos al hombre suaves; mas yo con tales racimos pienso dar frutos opimos a las voladoras aves; en verano y en invierno será vuestro fruto eterno, y si pudiera hacer más, más hiciera. Tú te vas gallardamente al infierno. Estos tres cuelga al momento de un roble. Voy como el viento. ¡Señor!
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[CAMINANTE] PAULO
PEDRISCO SEGUNDO
No me repliquéis, si acaso ver no queréis el castigo más violento. Venid los tres. ¡Ay de mí!
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[CAMINANTE] PEDRISCO
Yo he de ser verdugo aquí, pues a mi dicha le plugo, para enseñar al verdugo cuando me ahorquen a mí. Vase.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PRIMO
l’ospite che voi accogliete vi oltraggerà molte volte. Devo crear per la fama più che la stessa natura; per mia maggiore grandezza affiderò ad ogni ramo ogni giorno una testa. Se voi, onusti, donate all’uomo la dolce frutta, io voglio dar frutti grassi alle alate creature: in inverno ed in estate sarà eterno il vostro frutto e se potessi di più, farei di più. Tu vai dritto senza stazioni all’inferno. Intanto i tre va’ a impiccare alla quercia. Vado al volo. Signore...
[VIANDANTE] PAOLO
PEDRISCO SECONDO
Non contraddirmi! o dovrai sperimentare un castigo più feroce. Forza voi tre! Ho paura.
[VIANDANTE] PEDRISCO
Per volere del destino ora recito da boia; potrò dare dei consigli quando spetti a me la forca. Esce.
1731
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PAULO
(Enrico, si de esta suerte yo tengo de acompañarte y si te has de condenar, contigo me has de llevar, que nunca pienso dejarte. Palabra de un ángel fue; tu camino seguiré, pues cuando Dios, juez eterno, nos condenare al infierno ya habremos hecho por qué.)
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Cantan dentro. MÚSICOS
PAULO
No desconfíe ninguno, aunque grande pecador, de aquella misericordia de que más se precia Dios. ¿Qué voz es esta que suena?
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PRIMERO BANDOLERO
MÚSICOS
PAULO
La gran multitud, señor, de esos robles nos impide, ver dónde viene la voz. Con firme arrepentimiento de no ofender al Señor llegue el pecador humilde, que Dios le dará perdón. Subid los dos por el monte y a ver si es algún pastor el que canta este romance.
1480
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SEGUNDO BANDOLERO MÚSICOS
1732
A verlo vamos los dos. Su majestad soberana da voces al pecador, porque le llegue a pedir lo que ninguno negó.
1490
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PAOLO
(Visto che devo imitarti e seguire le tue orme e che sei dannato, Enrico, devi portarmi con te ché non intendo lasciarti. È la parola di un angelo: farò la stessa tua strada e quando il giudice eterno ci avrà dannati all’inferno noi già sapremo il perché.) Cantano fuori scena
MUSICI
PAOLO PRIMO BANDITO
MUSICI
PAOLO
SECONDO BANDITO MUSICI
Nessuno può disperare, pur se grande peccatore, di quella misericordia di cui più si gloria Dio. Che voce è questa, che canta? Signore, la fitta selva di queste querce impedisce di capir da dove viene. Risoluto nel pentirsi d’avere offeso il Signore, umilmente il peccatore venga e sarà perdonato. Risalite la montagna e scoprite se è un pastore a cantare questi versi. Andiamo subito, Paolo. La sua sovrana maestà si rivolge al peccatore perché a lei giunga a chiedere ciò che a nessuno ha negato.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
Sale por el monte un pastorcillo, tejiendo una corona de flores. PAULO
PASTORCILLO PAULO PASTORCILLO
PAULO PASTORCILLO
PAULO
PASTORCILLO
1734
Baja, baja, pastorcillo, que ya estaba, vive Dios, confuso con tus razones, admirado con tu voz. ¿Quién te enseñó ese romance, que le escucho con temor, pues parece que en ti [habla] mi propia imaginación? Este romance que he dicho Dios, señor, me lo enseñó. ¡Dios! O la Iglesia, su esposa, a quien en la tierra dio poder suyo. Bien dijiste. Advierte que creo en Dios a pie juntillas y sé, aunque rústico pastor, todos los diez mandamientos, preceptos que Dios nos dio. ¿Y Dios ha de perdonar a un hombre que le ofendió con obras y con palabras y pensamientos? ¿Pues no? Aunque sus ofensas sean más que átomos del sol y que estrellas tiene el cielo, y rayos la luna dio, y peces el mar salado en sus cóncavos guardó. Esta es su misericordia, que con decirle: «Señor, «pequé, pequé muchas veces», le recibe al pecador
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
Appare sul monte un pastorello che tesse una corona di fiori. PAOLO
PASTORELLO PAOLO PASTORELLO
PAOLO PASTORELLO
PAOLO
PASTORELLO
Scendi, scendi, pastorello, che quasi mi confondevi con quel che stavi cantando e con la tua voce bella. Chi ti ha insegnato quei versi? Nell’ascoltarli ho paura, mi sembra che parli in te il più profondo di me. È stato Dio ad insegnarmi i versi che ora ho cantato. Dio? O la chiesa, sua sposa a cui in terra ha concesso il suo potere. Ben detto. Sappi che io credo in Dio senza aver dubbi e conosco, anche se vile pastore, i dieci comandamenti, leggi che Dio ci ha lasciato. Come può Dio perdonare chi nella vita lo ha offeso con le parole, le opere e i pensieri? Perché no? Se anche fossero le offese più degli atomi del sole, delle stelle lassù in cielo, più dei raggi della luna, dei pesci che il grande mare ha nutrito nei suoi abissi, tanta è la misericordia che basta dirgli: «Signore, spesso ho commesso peccato», ch’egli accoglie il peccatore 1735
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
en sus amorosos brazos, que, en fin, hace como Dios. Porque si no fuera aquesto, cuando a los hombres crió no los criara sujetos a su frágil condición. Porque si Dios, sumo bien, de nada al hombre formó para ofrecerle su gloria, no fuera ningún blasón en su majestad divina dalle aquella imperfección. Diole Dios libre albedrío y fragilidad le dio al cuerpo y al alma; luego dio potestad con acción de pedir misericordia, que a ninguno le negó. De modo que, si en pecando el hombre, el justo rigor procediera contra él, fuera el número menor de los que en el sacro alcázar están contemplando a Dios. La fragilidad del cuerpo es grande; que en una acción, en un mirar solamente con deshonesta afición, se ofende a Dios; de ese modo, porque este triste ofensor, con la imperfección que tuvo le ofenda una vez o dos, ¿se había de condenar? No, señor, aqueso no: que es Dios misericordioso y estima al más pecador, porque todos igualmente 1736
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
in un abbraccio d’amore: è la natura di Dio. Perché, se fosse altrimenti, quando ha dato vita all’uomo non l’avrebbe assoggettato a una fragile esistenza; perché se Dio, sommo bene, l’uomo dal niente ha plasmato per regalargli la gloria, non sarebbe stato un vanto della sua maestà divina dargli tale imperfezione. Gli ha dato il libero arbitrio e ha dato fragilità a corpo e anima; dopo ha fatto in modo che l’uomo possa implorare il perdono, che mai a nessuno ha negato. Del resto, se l’uomo pecca e su di lui si abbattesse giusto il rigore divino, sarebbe piccolo il numero di chi nel sacro palazzo contempla il volto di Dio. La carne è debole, fragile, basta un semplice atto, basta un semplice sguardo e una cattiva intenzione perché sia offeso il Signore. Ora, triste, il peccatore, che nella sua imperfezione ha più volte offeso Dio, dovrà subire condanna? Non può essere, signore, perché Dio è misericordia e ama tutti i peccatori perché tutti ed ugualmente 1737
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
le costaron el sudor que sabéis, y aquella sangre que liberal derramó, haciendo un mar a su cuerpo, que amoroso dividió en cinco sangrientos ríos; que su espíritu formó nueve meses en el vientre de aquella que mereció ser virgen cuando fue madre, y claro oriente del sol que como clara vidriera, sin que la rompiese, entró. Y si os guiáis por ejemplos, decid: ¿no fue pecador Pedro, y mereció después ser de las almas pastor? Mateo, su coronista, ¿no fue también su ofensor? Y luego ¿no fue su apóstol y tan gran cargo le dio? ¿No fue pecador Francisco? Luego ¿no le perdonó y a modo de honrosa empresa en su cuerpo le imprimió aquellas llagas divinas que le dieron tanto honor, dignándole de tener tan excelente blasón? ¿La pública pecadora Palestina no llamó a Magdalena, y fue santa por su santa conversión? Mil ejemplos os dijera a estar despacio, señor; más mi ganado me aguarda y ha mucho que ausente estoy. 1738
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
gli costarono il sudore che sapete ed il sangue ch’egli sparse generoso facendo del proprio corpo fonte di piaghe d’amore per cinque fiumi di sangue. Ha dato forma al suo spirito in nove mesi nel ventre di colei che ha meritato come madre d’esser vergine, e, quale sole da oriente come attraverso un cristallo, vi penetrò senza romperlo. Se poi seguite gli esempi, dite: non fu peccatore Pietro, e dopo meritò d’esser pastore dell’anime? Il cronista del Signore non fu forse suo nemico? Poi fu apostolo, Matteo, con incarico importante. Non è stato peccatore Francesco, e poi perdonato? E a sigillo della fede non ha impresso nel suo corpo le divine piaghe, quelle che gli han dato tanta gloria e hanno concesso l’onore di un magnifico blasone? Non fu forse conosciuta Maddalena in Palestina come una pubblica moglie, e poi convertita in santa? Ti potrei far mille esempi se, signore, avessi tempo, ma il mio gregge è lì che aspetta e lo trascuro da troppo. 1739
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PAULO PASTORCILLO
PAULO PASTORCILLO PAULO PASTORCILLO PAULO
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Tente, pastor, no te vayas. No puedo tenerme, no, que ando por aquestos valles recogiendo con amor una ovejuela perdida que del rebaño se huyó; y esta corona que veis hacerme con tanto amor es para ella, si parece, porque hacérmela mandó el mayoral, que la estima del modo que le costó. El que a Dios tiene ofendido pídale perdón a Dios, porque es Señor tan piadoso que a ninguno le negó. Aguarda, pastor. No puedo. Por fuerza te tendré yo. Será detenerme a mí parar en su curso al sol. Este pastor me ha avisado en su forma peregrina, no humana, sino divina, que tengo a Dios enojado por haber desconfiado de su piedad, claro está; y con ejemplos me da a entender piadosamente que el hombre que se arrepiente perdón en Dios hallará. Pues si Enrico es pecador, ¿no puede también hallar perdón? Ya vengo a pensar que ha sido grande mi error. Mas ¿cómo dará el Señor perdón a quien tiene nombre,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PAOLO PASTORELLO
PAOLO PASTORELLO PAOLO PASTORELLO PAOLO
Non andartene, ti prego. No, non posso trattenermi; sto cercando in queste valli di trovare, con amore, la pecorella smarrita che mi è fuggita dal gregge; vedete questa corona che intreccio con tanto amore? È per lei, per quando torna, mi ha ordinato di comporla il mio padrone, che pensa a quanto gli sia costata. Se qualcuno offende Dio chieda a Dio il suo perdono, la sua pietà è così grande che a nessuno l’ha negata. Non andartene. Non posso. Ti tratterrò con la forza. Sarà come trattenere il sole lungo il suo corso. Il pastore mi ha avvisato, pure in forma peregrina, non umana ma divina, che Dio con me è inquietato per avere dubitato, è chiaro, della pietà; con degli esempi mi dà, pietoso, indicazione che, quando l’uomo si pente perdono in Dio troverà. Ma se Enrico è un peccatore non potrà anche lui trovare perdono? Son qui a pensare: è così grande il mio errore? Come potrà perdonare il Signore chi ha la fama 1741
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
¡ay de mí! del más mal hombre que en este mundo ha nacido? Pastor, que de mí has huido, no te espantes que me asombre. Si él tuviera algún intento de tal vez arrepentirse, bien pudiera recibirse lo que por engaño siento, y yo viviera contento. ¿Por qué, pastor, queréis vos halle su remedio medio? Alma, ya no hay más remedio que el condenarnos los dos.
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Sale Pedrisco. PEDRISCO
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Escucha, Paulo, y sabrás, aunque de ello ajeno estás, y lo atribuyas a engaño, el suceso más extraño que tú habrás visto jamás. En esa verde ribera de tantas fieras aprisco, donde el cristal reverbera cuando el afligido risco su tremendo golpe espera, después de dejar colgados aquellos tres desdichados estábamos Celio y yo, cuando una voz que se oyó nos dejó medio turbados. «¡Que me ahogo!» dijo, y vimos cuando la vista tendimos [dos hombres nadar valientes, con espada entre los dientes uno, y a sacarlos fuimos.] Como en la mar hay tormenta
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
del peggiore tra gli uomini che ha vissuto in questo mondo? Pastorello, sei fuggito; non stupire ch’io stupisca: se Enrico avesse intenzione alla fine di pentirsi accetterei di buon grado quel che mi sembra un inganno e potrei viver felice. Perché volete, pastore, che per lui vi sia rimedio? Ma non c’è altro rimedio che la condanna di entrambi. Entra Pedrisco. PEDRISCO
Ascolta, Paolo, e saprai, anche se non lo comprendi ritenendolo un inganno, quale fatto peregrino e inaudito è accaduto. Tra queste floride rive, rifugio per tante fiere, dove il cristallo rifrange ogni frustata e la roccia attende il colpo tremendo, ci trovavamo io e Celio, dopo aver lasciato appesi quei tre miseri viandanti, quando si è udita una voce che ci ha lasciato turbati e diceva: «Sto affogando!» Abbiamo visto lontani due che tra i flutti nuotavano – uno la spada tra i denti – e siamo andati a salvarli. Il mare s’alza in tormenta 1743
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO
PAULO
PEDRISCO PAULO
y está de sangre sedienta, para anegallos bramaba; ya en las estrellas los clava, ya en su centro los asienta. En los cristales no helados las dos cabezas se vían de aquestos dos desdichados, y las olas parecían ser tablas de degollados. Llegaron al fin, mostrando el valor que significo; mas por no estarte cansando, has de saber que es Enrico el uno. Estoylo dudando. No lo dudes, pues yo llego a decirlo, y no estoy ciego. ¿Vístele tú? Vile yo. ¿Qué hizo al salir? Echó un «por vida» y un «reniego»: ¡Mira qué gracias le daba a Dios, que ansí le libraba! ¡Y dirá ahora el pastor que le ha de dar el Señor perdón! El juicio me acaba. Mas poco puedo perder, pues aquí le llego a ver en proballe la intención. Ya le trae tu escuadrón. Pues oye lo que has de hacer. Sacan a Enrico y a Galván atados y mojados.
ENRICO
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¿Dónde me lleváis ansí?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
PAOLO
PEDRISCO PAOLO
ed è assetato di sangue; vuole inghiottirli furioso: ora li schianta alle stelle poi nell’abisso li succhia. Su quel liquido cristallo si scorgevano le teste di questi due sventurati e ci sembravano le onde assi di due decollati. Si son salvati, alla fine, mostrando il loro valore; ma non ti voglio annoiare: devi sapere che è Enrico uno dei due. Non ci credo. Tu devi credermi, Paolo, non sono cieco, ti dico. Quindi l’hai visto? L’ho visto. E che ha fatto quando è uscito? Imprecato e bestemmiato. Proprio un bel ringraziamento fatto a Dio che lo salvava! Ora il pastore dirà che il Signore gli concede il perdono! Non capisco, ma ormai ho poco da perdere: appena riesco a incontrarlo ne sonderò le intenzioni. I tuoi lo stanno portando. Senti quel che devi fare. Conducono Enrico e Galvano, legati e bagnati.
ENRICO
Dove mi state portando?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PRIMERO BANDOLERO
El capitán está aquí, que la respuesta os dará. Vase.
PAULO PEDRISCO PRIMO
Haz esto. Todo se hará. Pues ¿vase el capitán?
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BANDOLERO PEDRISCO ENRICO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO
PEDRISCO
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Sí. ¿Dónde iban vuesas mercedes, que en tan gran peligro dieron como es caminar por agua? ¿No responden? Al infierno. Pues ¿quién le mete en cansarse, cuando hay diablos tan ligeros que le llevarán de balde? Por agradecerles menos. Habla voarcé muy bien, y hace muy a lo discreto en no agradecer al diablo cosa que haga en su provecho. ¿Cómo se llama voarcé? Llámome el diablo. Y por eso se quiso arrojar al mar, para remojar el fuego. ¿De dónde es? Si de cansado de reñir con agua y viento no arrojara al mar la espada, yo os respondiera bien presto a vuestras necias preguntas con los filos de su acero. Oye, hidalgo, no se atufe ni nos eche tantos retos;
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PRIMO BANDITO
C’è il nostro capo che aspetta e vi darà la risposta. Esce.
PAOLO PEDRISCO PRIMO BANDITO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO
PEDRISCO
Vai, esegui. Signorsì. Va via il capo? È così. Dove andavate, signori, lungo un sentiero rischioso com’è andare per acqua? Non rispondete? All’inferno. Chi vi costringe a stancarvi se ci son demoni alati pronti a portarvi lì gratis? Io non voglio avere debiti. Vossignoria parla bene: è una saggia decisione non assecondare il diavolo in qualcosa che gli garba. Come si chiama, di grazia? Io sono il diavolo. E quindi gettarvi in mare serviva per inzuppare le fiamme. Di dove siete? Se, stanco di combattere acqua e vento, non mi fossi disarmato, immediata la risposta degna di tali domande sarebbe in filo di lama. Dica, calmi i suoi bollori e non lanci troppe sfide
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
PRIMERO
que juro a Dios, si me enojo, que le barrene ese cuerpo más de setecientas veces, sin la que a su nacimiento barrenó naturaleza. Y ha de advertir que está preso, y que si es valiente, yo soy valiente como un Héctor; y que si él ha hecho muertes, sepa que también yo he muerto muchas hambres y candiles y muchas pulgas a tiento. Y si es ladrón, soy ladrón y soy el demonio mesmo, y ¡por vida!... Bueno está.
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BANDOLERO ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO GALVÁN PEDRISCO
¿Esto sufro y no me vengo? Ahora ha de quedar atado a un árbol. No me defiendo, haced de mí vuestro gusto. Y él también. De esta vez muero. Si son como vuestra cara, vos tenéis bellacos hechos. Ea, llegaldos a atar, que el capitán gusta de ello. Llegad al árbol.
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Átalos. ENRICO PEDRISCO GALVÁN
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¡Que ansí me quiera tratar el cielo! Llegad vos. ¡Tened piedad!
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
PRIMO BANDITO ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO GALVANO PEDRISCO
che, per Dio, se gira male la riduco a un colabrodo, le ricamo mille fori che si aggiungono a quegli altri, dono suo da quando è nato. Badi bene, è prigioniero; se si crede coraggioso io son Ettore, al confronto e se ha fatto molti morti sappia che anch’io ho ammazzato fami su fami e candele e pulci con queste mani. Se poi è un ladro, io pure, sono il demonio in persona e vi giuro... È sufficiente. Sopporto senza reagire? Forza, legatelo bene a un albero. Fate pure. non opporrò resistenza. Anche lui! La vedo male. Se il vostro aspetto non mente la vostra è storia di un vile. Ora basta, via, legateli, sono gli ordini del capo. All’albero! Li legano.
ENRICO PEDRISCO GALVANO
Ma perché Dio vuole questo per me? Venite. Abbiate pietà.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PEDRISCO GALVÁN
PEDRISCO
PRIMERO
Vendarles los ojos quiero con las ligas a los dos. ¿Viose tan extraño aprieto? Mire vuesarcé que yo vivo de su oficio mesmo, y que soy ladrón también. Ahorrará con aquesto de trabajo a la justicia y al verdugo de contento. Ya están vendados y atados.
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1760
BANDOLERO PEDRISCO
PRIMERO
Las flechas y arcos tomemos, y dos docenas, no más, clavemos en cada cuerpo. Vamos.
1765
BANDOLERO PEDRISCO PRIMERO BANDOLERO PEDRISCO
(Aquesto es fingido nadie los ofenda.) Creo que el capitán los conoce. Vamos, y ansí los dejemos. [Vanse.]
GALVÁN ENRICO GALVÁN ENRICO
1750
Ya se van a asaetearnos. Pues no por aqueso pienso mostrar flaqueza ninguna. Ya me parece que siento una jara en estas tripas. Vénguese en mí el justo cielo, que quisiera arrepentirme y cuando quiero no puedo.
1770
1775
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PEDRISCO GALVANO
PEDRISCO
PRIMO BANDITO PEDRISCO
PRIMO BANDITO PEDRISCO
(piano)
PRIMO BANDITO PEDRISCO
Intendo coprire gli occhi con le bende a tutt’e due. Mai vissuto un tale guaio. Cerchi di considerare che campiamo in modo uguale e che anch’io sono un furfante. In questo modo risparmia il lavoro alla giustizia e il piacere per il boia. Sono bendati e legati. Bene, mano ad archi e frecce per ficcarne in ogni corpo due dozzine, non di più. Subito. Questa è una finta, ma che nessuno li tocchi. So che il capo li conosce. Andiamo via e lasciamoli. [Escono.]
GALVANO ENRICO GALVANO ENRICO
Vanno via per infilzarci. Non per questo è mia intenzione dimostrare debolezza. Mi pare già di sentire una punta giusto in pancia. Giusta vendetta abbia il cielo: io vorrei tanto pentirmi, ma quando voglio non posso.
1751
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
Sale Paulo, de ermitaño, con cruz y rosario. PAULO
ENRICO GALVÁN ENRICO
PAULO ENRICO PAULO
ENRICO PAULO
ENRICO PAULO
ENRICO PAULO ENRICO
1752
Con esta traza he querido probar si ese hombre se acuerda de Dios, a quien ha ofendido. ¡Que un hombre la vida pierda me parece que es saeta! ¡Cada mosquito que pasa me parece que es saeta! El corazón se me abrasa. ¡Que mi fuerza esté sujeta! ¡Ah fortuna, en todo escasa! Alabado sea el Señor. Sea por siempre alabado. Sabed con vuestro valor llevar este golpe airado de fortuna. ¡Gran rigor! ¿Quién sois vos que ansí me habláis? Un monje que este desierto, donde la muerte esperáis, habita. Bueno, por cierto. Y ahora, ¿qué nos mandáis? A los que al roble os ataron y a mataros se apartaron supliqué con humildad que ya que con tal crueldad de daros muerte trataron, que me dejasen llegar a hablaros. ¿Y para qué? Por si os queréis confesar, pues seguís de Dios la fe. Pues bien se puede tornar, padre, o lo que es.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
Entra Paolo, vestito da eremita, con croce e rosario. PAOLO
ENRICO GALVANO ENRICO
PAOLO ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO ENRICO
Con questo piano volevo mettere Enrico alla prova, lui che Dio ha offeso e scordato. Può un uomo perder la vita senza potere reagire? Ogni zanzara che passa mi pare una coltellata. Mi sento il cuore bruciare. Ma chi l’avrebbe mai detto! Ah, quale avara sfortuna! Che sia lodato il Signore. Che sia per sempre lodato. Il vostro fiero valore sa incassare un colpo forte della sorte. E tanto duro! Chi sei, per dirmi così? Sono un monaco che abita il deserto in cui aspettate la morte. Sono contento! Ma insomma, cosa volete? Ho supplicato umilmente gli uomini che vi han legato e sono andati ad armarsi e hanno pensato, crudeli, di consegnarvi alla morte, di potervi avvicinare per parlarvi. A quale scopo? Se volete confessarvi, dato che siete cristiano... Lei può andarsene tranquillo, padre, o chi sia.
1753
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PAULO ENRICO PAULO
ENRICO PAULO
ENRICO
PAULO ENRICO PAULO ENRICO
PAULO
ENRICO PAULO ENRICO GALVÁN PAULO ENRICO PAULO
1754
¿Qué decís? ¿No sois cristiano? Sí, soy. No lo sois, pues no admitís el último bien que os doy. ¿Por qué no lo recibís? Porque no quiero. (¡Ay de mí! Esto mismo presumí.) ¿No veis que os han de matar ahora? ¿Quiere callar, hermano, y dejarme aquí? Si esos señores ladrones me dieren muerte, aquí estoy. (¡En qué grandes confusiones tengo el alma!) Yo no doy a nadie satisfacciones. A Dios sí. Si Dios ya sabe que soy tan gran pecador, ¿para qué? ¡Delito grave! Para que su sacro amor de darle perdón acabe. Padre, lo que nunca he hecho tampoco he de hacerlo ahora. Duro peñasco es su pecho. Galván, ¿qué hará la señora Celia? Puesto en tanto estrecho ¿quién se ha de acordar de nada? No se acuerde de esas cosas. Padre mío, ya me enfada. ¿Estas palabras piadosas le ofenden?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PAOLO ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO
ENRICO
PAOLO ENRICO PAOLO ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO ENRICO GALVANO PAOLO ENRICO PAOLO
Ma perché? Non è cristiano? Ma certo! Non lo siete: voi negate l’ultima occasione data: ma perché la rifiutate? Perché non voglio. (Ahimè, proprio quello che temevo!) Ma non vi rendete conto che sarete giustiziati? Basta, lasciatemi in pace; se questi emeriti vogliono darmi la morte, son qua. (Il mio animo è confuso.) Non intendo regalare alcuna soddisfazione. Almeno a Dio! Ma se sa i miei peccati, perché? Tu sei blasfemo, e rispondo: perché l’amore suo sacro possa conceder perdono. Quel che non ho fatto mai non intendo farlo adesso. Il suo cuore è dura pietra. Mio Galvano, che sarà di Celia? Le circostanze mi hanno tolto la memoria. Non ripensi a queste cose. Padre, mi sta infastidendo. Queste parole d’amore la feriscono?
1755
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA ENRICO
PAULO ENRICO GALVÁN ENRICO PAULO
Cosa es cansada, pues si no estuviera atado, ya yo lo hubiera arrojado de una coz dentro del mar. Mire que le han de matar. Ya estoy de aguardar cansado. Padre, confiéseme a mí, que ya pienso que estoy muerto. Quite esta liga de aquí, padre. Sí haré, por cierto.
1840
1845
Quítales las vendas. ENRICO GALVÁN PAULO
Gracias a Dios que ya vi. Y a mí también. En buen hora, y vuelvan la vista ahora a los que a matarlos vienen.
1850
Salen los bandoleros con escopetas y ballestas. ENRICO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO
ENRICO PEDRISCO
1756
Pues ¿para qué se detienen? Pues que ya su fin no ignora, digo ¿por qué no confiesa? No me quiero confesar. Celio, el pecho le atraviesa. Dejad que le vuelva a hablar, desesperación es esa. ¡Ea, llegalde a matar! Deteneos (¡Triste pena!), porque si este se condena, ¿me queda más que dudar? Cobardes sois: ¿no llegáis y puerta a mi pecho abrís? De esta vez no os detengáis.
1855
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO ENRICO
PAOLO ENRICO GALVANO ENRICO PAOLO
Son stanco e se non fossi legato l’avrei già scaraventata con un calcio in fondo al mare. Guardi che deve morire. Sono stanco di aspettare. Voglio esser confessato ché so già d’essere morto. Padre, mi tolga la benda. Lo farò immediatamente. Toglie loro le bende.
ENRICO GALVANO PAOLO
Grazie a Dio posso vedere. E ringrazia pure me. Ora volgete lo sguardo verso chi sta per uccidervi. Entrano i banditi con schioppi e balestre.
ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO
ENRICO PEDRISCO
Dunque, perché non si sbrigano? Ma perché non si confessa ora che sa di morire? Non mi voglio confessare. Celio, colpisci nel petto. Aspetta, voglio parlargli. (È pura disperazione.) Forza, dovete ammazzarli. Aspettate! (Ah, che angoscia! Se da sé costui si danna non mi resta più speranza.) Avanti, siete codardi? Non aprite questo petto? Basta. Rompete gli indugi.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PAULO
ENRICO PAULO ENRICO PAULO
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Aguardad, que si le herís más confuso me dejáis. Mira que eres pecador, hijo. Y del mundo el mayor: ya lo sé... Tu bien espero. Confiésate a Dios. No quiero, cansado predicador. Pues salga del pecho mío, si no dilatado río de lágrimas, tanta copia, que se anegue el alma propia, pues ya de Dios desconfío. Dejad de cubrir, sayal, mi cuerpo, pues está mal, según siente el corazón, una rica guarnición sobre tan falso cristal. En mis torpezas resbalo y a la culebra me igualo; mas mi parecer condeno, porque yo desecho el bueno, mas ella desecha el malo. Mi adverso fin no resisto, pues mi desventura he visto y da claro testimonio el vestirme de demonio y el desnudarme de Cristo. Colgad ese saco ahí para que diga (¡ay de mí!): «En tal puesto me colgó Paulo, que no mereció la gloria que encierro en mí.» Dadme la daga y la espada, esa cruz podéis tomar;
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PAOLO
ENRICO PAOLO ENRICO PAOLO
Aspettate, se colpite sarò ancora più confuso. Tu sai che sei peccatore, figliolo. Lo so, e il più grande. Io voglio solo il tuo bene. Confessati a Dio. Non voglio, mio stanco predicatore. Dunque prorompa dal cuore una cascata di lacrime o un fiume in piena, così d’annegar l’anima stessa tanto incredula su Dio. Che questo saio non vesta il mio corpo, perché è male – in cuor mio è quel che sento – che un adorno così ricco falso cristallo rivesta. È sui miei errori che cado e striscio come un serpente; contraddico quel che ho detto, perché io rifiuto il bene mentre lui rifiuta il male. Non sopporto il mio destino e già so la mia sventura: è chiara testimonianza il mio vestirmi da diavolo e il mio spogliarmi di Cristo. Qui, dunque, penda il mio saio perché ripeta di me: «Qua sono stato impiccato da Paolo ch’è stato indegno della gloria in me racchiusa.» Consegnate daga e spada e prendete questa croce;
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
ENRICO GALVÁN
[ENRICO] PAULO
ENRICO PAULO
ENRICO PAULO
1760
ya no hay esperanza en nada, pues no me sé aprovechar de aquella sangre sagrada. Desatadlos. Ya lo estoy, y lo que he visto no creo. Gracias a los cielos doy. Saber la verdad deseo. ¡Qué desdichado que soy! ¡Ah, Enrico!, nunca nacieras, nunca tu madre te echara, donde, gozando la luz, fuiste de mis males causa; pluguiera a Dios que ya que infundido el cuerpo y alma saliste a luz, en sus brazos te diera la muerte un ama, un león te deshiciera, una osa despedazara tus tiernos miembros entonces, o cayeras en tu casa del más altivo balcón, primero que a mi esperanza hubieras cortado el hilo. Esta novedad me espanta. Yo soy Paulo, un ermitaño, que dejé mi amada patria de poco más de quince años, y en esta oscura montaña otros diez serví al Señor. ¡Qué ventura! ¡Qué desgracia! Un ángel, rompiendo nubes y cortinas de oro y plata, preguntándole yo a Dios qué fin tendría, «repara – me dijo –: ve a la ciudad,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
ENRICO GALVANO
[ENRICO] PAOLO
ENRICO PAOLO
ENRICO PAOLO
oramai non spero in niente e non posso più godere di quel sangue consacrato. Su, slegateli. Son libero. Non credo a quello che vedo. Voglio render grazie al cielo. Io saper la verità. Quanto sono sventurato! Ah, tu non fossi mai nato, partorito da tua madre, perché, venendo alla luce, tutto il mio male causassi! Ah, se Dio avesse disposto che, corpo e anima uniti in te, bimbo, ti spegnessi nell’abbraccio di una puerpera, o un leone ti sbranasse oppure un’orsa mangiasse le membra tenere subito, o fossi precipitato dal più alto dei balconi prima che fosse reciso il filo della speranza! Ciò che dici mi spaventa. Sono Paolo, un eremita che ha lasciato la sua terra all’età di quindici anni e altri dieci Dio ho servito in questa cupa montagna. Che fortuna! Che disgrazia! Frangendo nubi, un angelo, fra tende d’oro e d’argento, mentre a Dio io gli chiedevo della mia fine «Stai attento – mi ha detto – scendi in città, 1761
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
ENRICO
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y verás a Enrico – ¡ay alma! – hijo del noble Anareto, que en Nápoles tiene fama. Advierte bien en sus hechos y contempla en sus palabras; que si Enrico al cielo fuere, el cielo también te aguarda; y si al infierno, el infierno.» Yo entonces imaginaba que era algún santo este Enrico; pero los deseos se engañan. Fui allá, vite luego al punto, y de tu boca y por fama supe que eras el peor hombre que en todo el mundo se halla. Y ansí, por tener tu fin, quitéme el saco, y las armas tomé, y el cargo me dieron de esta forajida escuadra. Quise probar tu intención, por saber si te acordabas de Dios en tan fiero trance; pero salióme muy vana. Volví a desnudarme aquí, como viste, dando al alma nuevas tan tristes, pues ya la tiene Dios condenada. Las palabras que Dios dice por un ángel, son palabras, Paulo amigo, en que se encierran cosas que el hombre no alcanza. No dejara yo la vida que seguías, pues fue causa de que quizá te condenes el atreverte a dejarla. Desesperación ha sido lo que has hecho, y aun venganza
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
ENRICO
dove c’è Enrico – ahimè! – figlio a Napoli famoso di Anareto blasonato. Bada bene alle sue opere e contempla le parole, ché se Enrico sale al cielo sarà il cielo che ti attende; se l’inferno, sarà inferno.» Ecco, quindi, che ho pensato ad Enrico come a un santo: ma s’inganna la speranza. Giunto a Napoli ti ho visto e da te, dalla tua fama, ho saputo cosa sei: l’uomo peggiore del mondo. Una la tua e la mia sorte: smesso il saio, ho preso l’armi e ho accettato di esser capo di una banda fuorilegge; ho cercato di capirti per veder se ricordavi Dio, in simile momento: è stato spreco di tempo. E per questo ora mi spoglio, come vedi, e parlo all’anima dando tristi avvisi, tanto è già dannata da Dio. Le parole che Dio dice con un angelo son cose, amico Paolo, che celano sensi all’uomo misteriosi. Hai fatto male a lasciare la vita che conducevi: forse, così, è una condanna l’avere osato lasciarla. È una mancanza di fede quello che hai fatto, una sfida 1763
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
de la palabra de Dios, y una oposición tirana a su inefable poder; y al ver que no desenvaina la espada de su justicia contra el rigor de tu causa, veo que tu salvación desea; mas ¿qué no alcanza aquella piedad divina, blasón de que más se alaba? Yo soy el hombre más malo que naturaleza humana en el mundo ha producido; el que nunca habló palabra, sin juramento; el que a tantos hombres dio muertes tiranas; el que nunca confesó sus culpas, aunque son tantas; el que jamás se acordó de Dios y su madre santa, ni aún ahora lo hiciera, con ver puestas las espadas a mi valeroso pecho. Mas siempre tengo esperanza en que tengo de salvarme, puesto que no va fundada mi esperanza en obras mías, sino en saber que se humana Dios con el más pecador, y con su piedad se salva. Pero ya, Paulo, que has hecho ese desatino, traza de que alegres y contentos los dos en esta montaña pasemos alegre vida, mientras la vida se acaba. Un fin ha de ser el nuestro: 1764
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
alla parola di Dio e presuntuosa battaglia all’ineffabile forza. Ma se Dio non ha sguainato la spada della giustizia contro il tuo protervo gesto, vuole la tua redenzione. Chi è che non può dirsi degno della divina pietà, tratto che Dio più distingue? Sono l’uomo più malvagio che l’umana condizione abbia messo in questo mondo; uno che mai ha parlato senza giuramento, giudice di vite senza processo; uno che mai ha confessato le colpe, e sono tante; uno che non ha pensato a Dio, alla Vergine santa e ora neppure lo fa, anche dinanzi alla spada pronta a trafiggergli il cuore. Ma non smetto di sperare che per me vi sia salvezza, dato che non è fondata la speranza in ciò che ho fatto, ma nel saper che il Signore s’incarna per il peggiore e che, pietoso, lo salva. Ma se tu, Paolo, hai compiuto questo errore, fai che insieme trascorriamo con letizia quel che resta della vita in questo luogo, felici, allegri tra le montagne. Una è la sorte assegnata: 1765
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA
PAULO GALVÁN PAULO ENRICO
PAULO PEDRISCO PAULO
GALVÁN PEDRISCO
PAULO ENRICO
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si fuere nuestra desgracia el carecer de la gloria que Dios al bueno señala, mal de muchos gozo es; pero tengo confianza en su piedad, porque siempre vence a su justicia sacra. Consoládome has un poco. Cosa es, por Dios, que me espanta. Vamos donde descanséis. (¡Ay, padre de mis entrañas!) Una joya, Paulo amigo, en la ciudad olvidada se me queda; y aunque temo el rigor que me amenaza, si allá vuelvo he de ir por ella pereciendo en la demanda. Un soldado de los tuyos irá conmigo. Pues vaya Pedrisco, que es animoso. Por Dios, que ya me espantaba que no encontraba conmigo. Dalde la mejor espada a Enrico, y en esas yeguas que al ligero viento igualan, os pondréis allá en dos horas. Yo me quedo en la montaña a hacer tu oficio. Yo voy donde paguen mis espaldas los delitos que tú has hecho. Adiós, amigo. Ya basta el nombre para abrazarte. Aunque malo, confianza tengo en Dios.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO
PAOLO GALVANO PAOLO ENRICO
PAOLO PEDRISCO PAOLO
GALVANO PEDRISCO
ENRICO PAOLO ENRICO
se fosse persa la grazia del meritare la gloria che all’uomo giusto Dio mostra, mal comune mezzo gaudio; ma io conservo speranza nella pietà, perché sempre alla giustizia converte. Mi consoli almeno un poco. Oh, mio Dio, sono confuso. Voi dovete riposare. (Ahimè, padre del mio cuore!) Ho scordato, amico Paolo, d’aver lasciato perduta una gioia giù in città: temo, al tornarvi, il pericolo che mi minaccia; ma devo, se anche l’impresa è mortale. Mi darai un tuo soldato. Dunque sia: verrà con te Pedrisco, ch’è coraggioso. Mi pareva alquanto strano che non fossi messo in mezzo. Date la migliore spada a Enrico; quelle puledre gareggiano con il vento e arriverete in due ore. Resto qui sulla montagna in vece tua. Mentre io vado dove paghi la mia groppa i delitti che hai commesso. Addio, amico. Per me vale questa parola un abbraccio. Se anche malvagio, confido in Dio.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA SEGUNDA PAULO
ENRICO PAULO ENRICO
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Yo no la tengo, cuando son mis culpas tantas. Muy desconfiado soy. Aquesa desconfianza te tiene de condenar. Ya lo estoy; no importa nada. ¡Ah Enrico! Nunca nacieras. Es verdad; mas la esperanza que tengo en Dios ha de hacer que haya piedad de mi causa.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO SECONDO PAOLO
ENRICO PAOLO ENRICO
Ma io non riesco. Le mie colpe sono troppe, sono incredulo del tutto. Questa mancanza di fede ti porterà alla condanna. Son già dannato: che importa? Se tu non fossi mai nato! È vero, ma la speranza che trovo in Dio farà sì che abbia pietà del mio caso.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
JORNADA TERCERA Salen Pedrisco y Enrico en la cárcel presos. PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO
PEDRISCO
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¡Buenos estamos los dos! ¿Qué diablos estás llorando? ¿Qué diablos he de llorar? ¿No puedo yo lamentar pecados que estoy pagando sin culpa? ¿Hay vida como esta? ¡Cuerpo de Dios con la vida! ¿Fáltate aquí la comida? ¿No tienes la mesa puesta a todas horas? ¿Qué importa que la mesa llegue a ver, si no hay nada que comer? De necedades acorta. Alarga tú de comida. ¿No sufrirás como yo? Que pague aquel que pecó es sentencia conocida; pero yo que no pequé, ¿por qué tengo de pagar? Pedrisco, ¿quieres callar? Enrico, yo callaré; pero la hambre al fin hará que hable el que muerto se vio y que calle aquel que habló más que un correo. ¿Que ya piensas que no has de salir de la cárcel? Error fue. Desde el día que aquí entré
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Pedrisco ed Enrico in carcere. PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO
Siam ben messi tutt’e due. Di che diavolo ti lagni? Di che diavolo mi lagno? Neanche posso lamentarmi perché pago dei peccati senza averne alcuna colpa? Non ti basta questa vita? Quale vita? Sei a digiuno? Non hai forse preparata ad ogni ora la tavola? Che m’importa di vedere la tavola preparata se sopra poi non c’è niente? Lascia stare le sciocchezze. E tu porta da mangiare. Non soffrirai quanto me? Che paghi colui che pecca è una legge risaputa; ma se io non ho peccato perché mai devo pagare? Ma Pedrisco, vuoi star zitto? Va bene, Enrico, sto zitto; la fame darà parola a chi ha veduto la morte e invece terrà in silenzio chi non fa che straparlare. Non mi dire che ora temi di non uscire dal carcere? No, ti sbagli, sei in errore, fin da quando siamo entrati
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO
he llegado a presumir que hemos de salir los dos... Pues ¿de qué estamos turbados? ...para ser ajusticiados, sino lo remedia Dios. No hayas miedo. Bueno está: pero teme el corazón que hemos de danzar sin son. Mejor la suerte lo hará.
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Salen Celia y Lidora CELIA
LIDORA ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO
No quisiera que las dos, aunque a nadie tengo miedo, fuéramos juntas. Bien puedo, pues soy criada, ir con vos. Quedo, que Celia es aquésta. ¿Quién? Quien más que a sí me adora. Mi remedio llega agora. Bravamente me molesta la hambre. ¿Tienes acaso en qué echar todo el dinero que agora de Celia espero? Con toda la hambre que paso me he acordado, vive Dios, de un talego que aquí tengo. Saca un talego.
ENRICO
Pequeño es.
PEDRISCO
A pensar vengo que estamos locos los dos, tú en pedirle, en darle yo.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO
ENRICO
sono stato del parere di potere uscire entrambi... Dunque perché preoccuparsi? ...per finire giustiziati, se Dio non pone rimedio. Non temere. Sì, va bene, ma ho paura che ci aspetta una danza senza musica. Sarà migliore, la sorte. Entrano Celia e Lidora.
CELIA
LIDORA ENRICO PEDRISCO ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO
Anche se non ho paura, non vorrei che ci vedessero stare insieme. Ne ho diritto, io sono al vostro servizio. Zitto, è Celia! Di chi parli? Mi ama più che sé stessa, con lei arriva la salvezza. Mi tormenta con tenacia questa fame. Hai per caso dove mettere il denaro che mi aspetto ora da Celia? Anche se muoio di fame, vivaddio, mi viene in mente un sacchetto che mi porto. Tira fuori un sacchetto.
ENRICO
Mi pare piccolo.
PEDRISCO
Inizio a pensar che siamo matti, tu nel chiedere, io a dare. 1773
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA ENRICO CELIA
PEDRISCO ENRICO CELIA ENRICO
CELIA PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO CELIA PEDRISCO ENRICO PEDRISCO CELIA ENRICO PEDRISCO ENRICO
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¡Celia hermosa de mi vida! (¡Ay de mí! Yo soy perdida: Enrico es el que llamó.) Señor Enrico. ¿Señor? No es buena tanta crianza. Yo no tenía esperanza, Celia, de tan gran favor. ¿En qué puedo yo serviros? ¿Cómo estáis, Enrico? Bien, y ahora mejor, pues ven, [a costa de mil suspiros,] mis ojos los tuyos graves. Yo os quiero dar... ¡Linda cosa! ¡Oh, qué mujer tan hermosa! ¡Qué palabras tan suaves! Alto, prevengo el talego; pienso que no ha de caber... Celia, quisiera saber qué me das. Tu dicha es llana. Las nuevas de que mañana a ajusticiaros saldrán. El talego está ya lleno otro es menester buscar. ¡Que aquesto llegue a escuchar! ¡Celia, escucha! ¡Aquesto es bueno! Ya estoy casada. ¿Casada? ¡Vive Dios! ¡Tente! ¿Qué aguardo? ¿Con quién, Celia?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO ENRICO CELIA
PEDRISCO ENRICO CELIA ENRICO
CELIA PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO CELIA PEDRISCO ENRICO PEDRISCO CELIA ENRICO PEDRISCO ENRICO
Vita mia, Celia, mia bella! (Oh, mio Dio, sono perduta, è stato Enrico a parlarmi.) Mio signore... «Mio signore?» Strana tanta educazione. Non avevo più speranza, Celia, in tanta cortesia. In cosa posso servirvi? E come state? Sto bene, ed ora meglio, ché guardo, al prezzo del mio dolore, dentro il tuo sguardo distante. Vorrei darvi... Che bellezza! Quanto è bella questa donna! Quanto dolci le parole! Ora preparo il sacchetto, anche se forse non basta. Celia, vorrei mi dicessi cosa mi dai. Sei al sicuro. La notizia che domani voi sarete giustiziato. Il sacchetto ormai è già pieno, pare che ne serva un altro. Cosa mi tocca sentire! Celia ascolta... Questo è adatto! Sono sposata. Sposata? Mio Dio! Aspetta! E che cosa? Dimmi con chi.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA CELIA ENRICO CELIA
LIDORA ENRICO CELIA PEDRISCO CELIA
ENRICO LIDORA ENRICO PEDRISCO CELIA
Con Lisardo y estoy muy bien empleada. Mataréle. Dejaos de eso y poneos bien con Dios, que habéis de morir los dos. Vamos, Celia. Pierdo el seso. Celia, mira... Estoy de prisa. Por Dios, que estoy por reírme. Ya sé que queréis decirme: que se os diga alguna misa. Yo lo haré, quedad con Dios. ¡Quién rompiera aquestas rejas! No escuches, Celia, más quejas, vámonos de aquí las dos. ¡Que esto sufro! ¿Hay tal crueldad? ¡Lo que pesa este talego! ¡Qué braveza!
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Vanse. ENRICO PEDRISCO
ENRICO
PEDRISCO ENRICO
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Yo estoy ciego. ¿Hay tan grande libertad? Yo no entiendo la moneda que hay en aqueste talego que, vive Dios que no pesa una paja. ¡Santos cielos! ¡Que aquestas afrentas sufra! ¿Cómo no rompo estos hierros? ¿Cómo estas rejas no arranco? ¡Detente! ¡Déjame, necio! ¡Vive Dios que he de rompellas y he de castigar mis celos!
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO CELIA ENRICO CELIA
LIDORA ENRICO CELIA PEDRISCO CELIA
ENRICO LIDORA ENRICO PEDRISCO CELIA
Con Lisardo, e mi ritengo felice. Lo ucciderò. Su, smettete e riflettete su Dio; entrambi siete mortali. Andiamo, Celia. Io impazzisco. Senti... No, vado di fretta. Quasi quasi me la rido. Io so già cosa volete, che per voi chieda una messa. Lo farò, Dio sia con voi. Maledette queste sbarre! Non badare ai suoi lamenti, Celia, andiamo via di qua. Che crudeltà, quanto soffro! Quanto pesa, questo sacco! Quale furia! Escono.
ENRICO PEDRISCO
ENRICO
PEDRISCO ENRICO
Non ci vedo! Questa è dunque fedeltà? Ma che razza di moneta ci sarebbe in questo sacco? Te lo giuro, una pagliuzza pesa di più. Santo cielo! Sopportare questo affronto! Vorrei spezzar le catene, scardinare queste sbarre! Stai calmo. Lasciami, idiota. Devo romper le catene, devo spegnere il dolore! 1777
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA PEDRISCO ENRICO
Los porteros vienen. Vengan.
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Sale un portero. PORTERO ENRICO PEDRISCO PORTERO ENRICO
PORTERO ENRICO PEDRISCO
[UNO] (dentro) ENRICO
PEDRISCO
¿Ha perdido acaso el seso el homicida ladrón? Moriré si no me vengo. De mi cadena haré espada. Que te detengas te ruego. ¡Asilde, matalde, muera! Hoy veréis, infames presos, de los celos el poder en desesperados pechos. Un eslabón me alcanzó y dio conmigo en el suelo. ¿Por qué, cobardes, huís? Un portero deja muerto. ¡Matalde! ¿Qué es matar? A falta de noble acero no es mala aquesta cadena con que mis agravios vengo. ¿Para qué de mí huís? Al alboroto y estruendo se ha levantado el alcaide.
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Sale el alcaide y gente, y asen a Enrico. ALCAIDE PORTERO ALCAIDE
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¡Hola, teneos! ¿Qué es esto? Ha muerto aquese ladrón a Fidelio. Vive el cielo que a no saber que mañana, dando público escarmiento, has de morir ahorcado,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO PEDRISCO ENRICO
I carcerieri! Che vengano! Entra un carceriere.
CARCERIERE ENRICO PEDRISCO CARCERIERE ENRICO
CARCERIERE ENRICO PEDRISCO
[UNO] (dentro) ENRICO
PEDRISCO
Deve aver perduto il senno questo ladro ed assassino. Se non mi vendico muoio: la catena sarà spada! Fermati, Enrico, ti prego! Deve morire, fermatelo! Miserabili, vedrete la potenza che ha nel petto un geloso disperato. La catena mi ha colpito e non riesco più a rialzarmi. Perché fuggite, codardi? Ha ammazzato un carceriere. Uccidetelo! Che illusi; in mancanza di una spada basterà questa catena per vendicare le offese. Vili, dunque ora fuggite? Il rumore ed il fracasso hanno svegliato l’alcalde.
Entra il capo carceriere con altra gente, e immobilizzano Enrico. CAPO
Fermi tutti! Che succede?
CARCERIERE CARCERIERE CAPO CARCERIERE
Il criminale, qui, ha ucciso Fidelio. Io te lo giuro, se non sapessi che presto devi morire impiccato offrendo pubblico monito, 1779
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ENRICO
ALCAIDE
ENRICO
ALCAIDE ENRICO
PEDRISCO PORTERO
PEDRISCO
[UNO] (dentro) PEDRISCO
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que hiciera en tu aleve pecho mil bocas con esta daga. ¡Que esto sufro, Dios eterno! ¡Que me maltraten ansí! Fuego por los ojos vierto No pienses, alcaide infame, que te tengo algún respeto por el oficio que tienes, sino porque más no puedo, que a poder ¡ah cielo airado! entre mis brazos soberbios te hiciera dos mil pedazos, y despedazado el cuerpo me le comiera a bocados, y que no quedara, pienso, satisfecho de mi agravio. Mañana a las diez veremos si es más valiente un verdugo que todos vuestros aceros. Otra cadena le echad. Eso sí, vengan más hierros, que de hierros no se escapa hombre que tantos ha hecho. Metelde en un calabozo. Aquése sí es justo premio, que hombre de Dios enemigo no es justo que mire el cielo. ¡Pobre y desdichado Enrico! Más desdichado es el muerto, que el cadenazo cruel le echó en la tierra los sesos. Ya quieren dar la comida. Vayan llegando, mancebos, por la comida. En buen hora, porque mañana sospecho
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
ENRICO
CAPO CARCERIERE
ENRICO
CAPO
aprirei con questa spada mille bocche sul tuo petto. Com’è possibile, Dio, sopportare tante ingiurie? Guarda il mio sguardo di fuoco: non pensare, infame alcalde, che ti porti alcun rispetto per il ruolo che rivesti. Impotente, non reagisco; se non fossi prigioniero, ti ridurrei in brandelli con queste mie fiere mani e mangerei a bocconi ogni più piccolo pezzo e penso non avrei ancora soddisfazione per l’onta. Domani il boia alle dieci ci mostrerà che è più forte d’ognuno dei vostri strali. Forza, un’altra catena! Ma sì, ben venga lo strale, ché non si scappa dal male: lo so, ne ho lunga esperienza. Sbattetelo in una cella.
CARCERIERE ENRICO
PEDRISCO CARCERIERE
PEDRISCO
[UNO] (dentro) PEDRISCO
Questo sì che è un giusto premio per un nemico di Dio: non poter vedere il cielo. Sventurato, triste Enrico! Il morto è più sventurato, ché la crudele catena l’ha lasciato a terra, esangue. Mi sa che passano il rancio. Forza, venite, novizi, si mangia! Ah, finalmente! Ho paura che domani 1781
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
que han de añudarme el tragar y será acertado medio que lleve la alforja hecha para que allá convidemos a los demonios magnates a la entrada del infierno.
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Vase y sale Enrico. ENRICO
UNA VOZ
(dentro)
ENRICO
UNA VOZ
(dentro)
ENRICO
UNA VOZ ENRICO
1782
(dentro)
En lóbrega confusión, ya, valiente Enrico, os veis, pero nunca desmayéis; tened fuerte corazón, porque aquésta es la ocasión en que tenéis de mostrar el valor que os ha de dar nombre altivo, ilustre fama. Mirad... Enrico. ¿Quién llama? Esta voz me hace temblar. Los cabellos erizados pronostican mi temor; mas ¿dónde está mi valor? ¿Dónde mis hechos pasados? Enrico. Muchos cuidados siente el alma. ¡Cielo santo! ¿Cúya es voz que tal espanto infunde en el alma mía? Enrico. A llamar porfía. De mi flaqueza me espanto. A esta parte la voz suena que tanto temor me da. ¿Si es algún preso que está
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
debbano stringermi il gozzo, quindi mi pare sia meglio che io riempia la bisaccia per potere convitare, alle porte dell’inferno, i diabolici signori. Esce. Entra Enrico. Eccovi, intrepido Enrico, nella confusa tristezza: non dovete disperare; che sia in alto il vostro cuore, perché questa è l’occasione in cui dovete mostrare il valore che consegna alla fama, alla nomea. Perché, vedete... UNA VOCE (dentro) Enrico... ENRICO Chi chiama? Ma sto tremando e questa voce dà i brividi, chiaro segno di paura. Dov’è finito il coraggio? Dove le imprese compiute? UNA VOCE (dentro) Enrico... ENRICO Dentro me l’anima è scossa, oh santo cielo! Chi sei, voce, che spaventi la mia anima? UNA VOCE (dentro) Enrico... ENRICO Chiama di nuovo. Mi turba questa mia fragilità. La voce che mi spaventa pare venire di qua; forse è di un prigioniero ENRICO
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
amarrado a la cadena? Vive Dios, que me da pena. Sale el demonio y no le ve. DEMONIO ENRICO
DEMONIO ENRICO
DEMONIO
Tu desgracia lastimosa siento. ¡Qué confuso abismo! No me conozco a mí mismo y el corazón no reposa. Las alas está batiendo con impulso de temor. Enrico, ¿este es el valor? Otra vez se oye el estruendo. Librarte, Enrico, pretendo. ¿Cómo te puedo creer, voz, sino llego a saber quién eres y adónde estás? Pues agora me verás.
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Aparécesele como en forma de una sombra. ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO
1784
Ya no te quisiera ver. No temas. Un sudor frío por mis venas se derrama. Hoy cobrarás nueva fama. Poco de mis fuerzas fío. No te acerques. Desvarío es el temer la ocasión. Sosiégate, corazón. ¿Ves aquel postigo? Sí. Pues salte por él, y ansí no estarás en la prisión. ¿Quién eres?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
che si trova incatenato. Oh, mio Dio, quasi fa pena. Entra il demonio, invisibile a Enrico. DEMONIO ENRICO
DEMONIO ENRICO
DEMONIO
Mi addolora come stai. In quale abisso confuso! Non riconosco me stesso e corre forte il mio cuore; batte le ali veloce sospinto dalla paura. Dov’è finito il coraggio? Sento di nuovo i rumori... Voglio solo liberarti. Come ti posso dar fede, voce, se neppure so chi sei e dove ti trovi? Ed allora mi vedrai. Appare in forma di ombra.
ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO DEMONIO ENRICO
Meglio non averti visto. Non temere. Sento il gelo scorrere dentro le vene. Oggi tu avrai nuova fama. Nelle mie forze confido ben poco; stammi lontano. Perdi una grande occasione. Datti pace, cuore mio. Vedi quella porta? Sì. Attraversala, e così uscirai dalla prigione. Ma chi sei?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA DEMONIO
ENRICO
Salte al momento y no preguntes quién soy, que yo también preso estoy, y que te libres intento. ¿Qué me dices, pensamiento? ¿Libraréme? Claro está. Aliento el temor me da de la muerte que me aguarda. Voyme. Mas ¿quién me acobarda? Mas otra voz suena ya.
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Cantan dentro. MÚSICOS
ENRICO
DEMONIO ENRICO MÚSICOS
(cantan)
ENRICO
DEMONIO ENRICO
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Detén el paso violento, mira que te está mejor que de la prisión librarte el estarte en la prisión. Al revés me ha aconsejado la voz que en el aire he oído, pues mi paso ha detenido, si tú le has acelerado. Que me está bien he escuchado el estar en la prisión. Esa, Enrico, es ilusión que te representa el miedo. Yo he de morir si me quedo, quiérome ir; tienes razón. Deténte, engañado Enrico, no huyas de la prisión, pues morirás si salieres, y si te estuvieres, no. Que si salgo he de morir y si quedo viviré dice la voz que escuché. ¿Que al fin no te quieres ir? Quedarme es mucho mejor.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO DEMONIO
ENRICO
Non indugiare e non chiedere chi sono: anch’io sono un prigioniero, tento solo di salvarti. Mio pensiero, che consigli? L’attraverso? Sì, ma certo. Dà coraggio la paura della morte che mi aspetta. Vado... Aspetta, chi mi ferma? Sta cantando un’altra voce. Cantano fuori scena.
MUSICI
ENRICO
DEMONIO ENRICO MUSICI
(cantano)
ENRICO
DEMONIO ENRICO
Frena il tuo passo irruento, sappi che è meglio per te rimanere prigioniero che fuggir dalla prigione. Consiglia tutto il contrario la voce udita nell’aria; il passo che tu hai sospinto la voce me l’ha frenato: mi diceva che per me meglio è stare prigioniero. Questa, Enrico, è un’illusione a cui dà forma il timore. Io morirò se rimango, voglio andarmene, hai ragione. Fermo, Enrico, sei in errore, non fuggir dalla prigione: se tu evadi morirai e se resti, invece, no. La voce appena ascoltata dice: se evado son morto, mentre, restando, vivrò. Quindi, alla fine, rimani? Mi pare meglio restare.
1787
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA DEMONIO
Atribúyelo al temor; pero, pues tan ciego estás, quédate preso, y verás cómo te ha estado peor.
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Vase. ENRICO
Desapareció la sombra y confuso me dejó. ¿No es este el portillo? No. Este prodigio me asombra. ¿Estaba ciego yo, o vi en la pared un portillo? Pero yo me maravillo del gran temor que hay en mí. ¿No puedo salirme yo? Sí, bien me puedo salir. Pues ¿cómo...? Que he de morir la voz me atemorizó. Algún gran daño se infiere de lo turbado que fui. No importa, ya estoy aquí para el mal que me viniere.
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Sale el alcaide con la sentencia. ALCAIDE
ENRICO ALCAIDE
ENRICO
1788
Yo solo tengo de entrar, los demás pueden quedarse. Enrico. ¿Qué [me] mandáis? En los rigurosos trances se echa de ver el valor; agora podréis mostrarle. Estad atento. Decid.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO DEMONIO
Questo è frutto del timore; dato che sei inavveduto resta in catene, vedrai che hai scelto per il peggio. Esce.
ENRICO
L’ombra che è appena svanita ora mi lascia confuso. Non c’era forse una porta? Tale stranezza mi turba: ho visto, oppure ero cieco, la via di fuga da qui? E ora sì, mi meraviglio della paura che provo. Forse non posso fuggire? Certo che posso fuggire! Come farò, se la voce ha minacciato la morte? Dal mio timore capisco quale disgrazia mi aspetta. Poco importa, sono qui in attesa del mio male. Entra il capo carceriere con la sentenza.
CAPO CARCERIERE ENRICO CAPO CARCERIERE
ENRICO
Lasciate ch’entri da solo, gli altri possono aspettare. Enrico... Cosa volete? Il valore si dimostra nelle dure circostanze: ora avete l’occasione. Ascoltate. Sono pronto.
1789
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA ALCAIDE
[Lee]
ENRICO ALCAIDE ENRICO
ALCAIDE
ENRICO
ALCAIDE
(Aún no ha mudado el semblante.) «En el pleito que es entre partes, de la una el promotor fiscal de su majestad ausente, y de la otra reo acusado, Enrico, por los delitos que tiene en el proceso, por ser matador, facineroso, incorregible y otras cosas. Vista, etc... fallamos que le debemos de condenar y condenamos a que sea sacado de la cárcel donde está, con soga a la garganta y pregoneros delante que digan su delito, y sea llevado a la plaza pública, donde estará una horca de tres palos, alta del suelo, en la cual sea ahorcado naturalmente. Y ninguna persona sea osada a quitalle de ella sin nuestra licencia y mandado. Y por esta sentencia definitiva juzgando, ansí lo pronunciamos y mandamos, etc.» ¡Que aquesto escuchando estoy! ¿Qué dices? Mira, ignorante, que eres opuesto muy flaco a mis brazos arrogantes, 2340 porque, si no, yo te hiciera... Nada puede remediarse con arrogancias, Enrico: lo que aquí es más importante es poneros bien con Dios. 2345 ¿Tú vienes a predicarme o a leerme la sentencia? Vive Dios, canalla infame, que he de dar fin con vosotros. El demonio que te guarde. 2350 Vase.
1790
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO CAPO
(Non mostra alcuna emozione.)
CARCERIERE
(legge)
ENRICO CAPO
«Nel contenzioso tra le parti, essendo di una promotore il rappresentante di sua maestà, assente, e l’altra presente nella persona di Enrico, per i delitti di cui è accusato nel processo, e per essere assassino, violento eccetera; visti gli articoli eccetera: stabiliamo che sia da condannare e la condanna consista nel tradurlo dal carcere in cui si trova, con la corda al collo e i banditori innanzi che rendano pubblici a voce i suoi crimini; e che sia condotto alla pubblica piazza dove l’attenderà una forca alta tre metri da terra a cui verrà impiccato secondo giustizia. Nessuno potrà osare liberarlo senza previa licenza od ordine. E col giudizio espresso in questa sentenza definitiva, così attestiamo e stabiliamo eccetera.» Cosa mi tocca sentire! Che dici?
CARCERIERE ENRICO
CAPO CARCERIERE
ENRICO CAPO CARCERIERE ENRICO
Guarda, ignorante, che sei un nemico da poco per le mie mani gagliarde, diversamente vedresti... Non puoi fare proprio niente con la tua arroganza, Enrico; ciò che adesso è più importante è riavvicinarsi a Dio. Ma sei qui per predicare o per dare la sentenza? Devi credermi, canaglia, che io e te faremo i conti. Che ti venga un accidenti. Esce.
1791
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA ENRICO
Ya estoy sentenciado a muerte; ya mi vida miserable tiene de plazo dos horas. Voz que mi daño causaste, ¿no dijiste que mi vida si me quedaba en la cárcel sería cierta? ¡Triste suerte! Con razón debo culparte, pues en esta cárcel muero cuando pudiera librarme.
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Sale un portero. PORTERO
ENRICO
PORTERO ENRICO
PORTERO ENRICO
PORTERO
Dos padres de San Francisco están para confesarte aguardando fuera. ¡Bueno! ¡Por Dios que es gentil donaire! Digan que se vuelvan luego a su convento los frailes, si no es que quieran saber a lo que estos hierros saben. Advierte que has de morir. Moriré sin confesarme, que no ha de pagar ninguno las penas que yo pasare. ¿Qué más hiciera un gentil? Esto que le he dicho baste, que por Dios, si me amohíno, que ha de llevar las señales de la cadena en el cuerpo. No aguardo más. Vase.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO ENRICO
Ho la sentenza di morte, la mia vita miserabile non ha che altre due ore. Voce che mi hai condannato, non mi avevi forse detto che rimanendo nel carcere avrei salvato la vita? io t’incolpo con ragione: morirò in questa prigione e avrei potuto salvarmi. Entra un carceriere.
CARCERIERE
ENRICO
CARCERIERE ENRICO
CARCERIERE ENRICO
CARCERIERE
Due fratelli francescani son venuti a confessarti e ti aspettano qua fuori. Che gentili, quale onore! Dite dunque a questi frati che ritornino al convento se non vogliono sapere di che sanno questi ferri. Devi morire, stai attento. Muoio senza confessarmi e nessuno pagherà alcun prezzo al posto mio. Ti comporti da pagano. Le basti quanto le ho detto, che, per Dio, se poi m’infurio ne avrà i segni in tutto il corpo. Me ne vado. Esce.
1793
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA ENRICO
Muy bien hace. ¿Qué cuenta daré yo a Dios de mi vida, ya que el trance último llega de mí? ¿Yo tengo de confesarme? Parece que es necedad. ¿Quién podrá ahora acordarse de tantos pecados viejos? ¿Qué memoria habrá que baste a recorrer las ofensas que a Dios he hecho? Más vale no tratar de aquestas cosas. Dios es piadoso y es grande, su misericordia alabo; con ella podré salvarme.
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Sale Pedrisco. PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO ENRICO
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Advierte que has de morir, y que ya aquestos dos padres están de aguardar cansados. ¿Pues he dicho yo que aguarden? ¿No crees en Dios? Juro a Cristo que pienso que he de enojarme, y que en los padres y en ti he de vengar mis pesares. Demonios, ¿qué me queréis? Antes pienso que son ángeles los que esto a decirte vienen. No acabes de amohinarme, que por Dios que de una coz te eche fuera de la cárcel. Yo te agradezco el cuidado. Vete fuera y no me canses.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO ENRICO
E fa bene. Ma quale mai resoconto presento a Dio, nel momento in cui c’è l’ultima scelta? Devo forse confessarmi? Ma mi pare una sciocchezza: chi potrebbe ricordare così tante vecchie colpe? Che memoria basterebbe per contare ogni offesa fatta a Dio? Ma forse è meglio non pensare a queste cose; Dio è pietoso, Dio è grande, lode alla misericordia che alla fine può salvarmi. Entra Pedrisco.
PEDRISCO
ENRICO PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO ENRICO
PEDRISCO ENRICO
Tu sai che devi morire e che, fuori, entrambi i frati sono stanchi di aspettare. E chi gli ha detto di farlo? Non credi in Dio? Giuro in Cristo che mi sto per arrabbiare e che sui frati, su te penso di aver la vendetta. Demoni, cosa volete? Penso invece siano gli angeli che t’ispirano i pensieri. Continui ad infastidirmi; guarda, perdio, con un calcio rischi di prendere il volo. Grazie per il tuo pensiero. Vattene via, mi hai stancato.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA PEDRISCO
Tú te vas, Enrico mío, al infierno como un padre.
2410
Vase. ENRICO
Voz, que por mi mal te oí en esa región del aire, ¿fuiste de algún enemigo que así pretendió vengarse? ¿No dijiste que a mi vida le importaba de la cárcel no hacer ausencia? Pues di, ¿cómo quieren ya sacarme a ajusticiar? Falsa fuiste, pero yo también cobarde, pues que me pude salir y no dar venganza a nadie. Sombra triste, que piadosa la verdad me aconsejaste, vuelve otra vez y verás cómo con pecho arrogante salgo a tu tremenda voz de tantas escuridades. Gente suena; ya sin duda se acerca mi fin.
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Sale el padre de Enrico y un portero. PORTERO
ANARETO
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Hablalde, podrá ser que vuestras canas muevan tan duro diamante. Enrico, querido hijo, puesto que en verte me aflijo de tantos hierros cargado, ver que pagues tu pecado me da sumo regocijo.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO PEDRISCO
Tu sarai, Enrico, ad andare dritto all’inferno per primo. Esce.
ENRICO
Per mia disgrazia hai parlato, voce, fluttuando nell’aria: sei forse di un mio nemico che pretendeva vendetta? Non mi hai detto ch’era bene per salvare la mia vita stare dentro la prigione? E ora vogliono portarmi alla forca? Mi hai ingannato e sono stato codardo, perché avrei potuto uscire senza espiare per nessuno. Ombra triste che, pietosa, hai voluto consigliarmi, torna ancora, proverai come con cuore arrogante, mentre terribile parli, da questi abissi risalgo. Sento gente. Certamente è la mia fine. Entra il padre di Enrico con un carceriere.
CARCERIERE
ANARETO
Parlategli, forse la vostra canizie scalfirà questo diamante. Enrico, figlio mio amato, anche se soffro a vederti sotto il peso del dolore, mi rende tanto felice veder che paghi i peccati.
1797
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ENRICO ANARETO
ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO
ENRICO ANARETO
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¡Venturoso del que acá, pagando sus culpas, va con firme arrepentimiento, que es pintado este tormento si se compara al de allá! La cama, Enrico, dejé, y arrimado a este bordón por quien me sustento en pie vengo en aquesta ocasión. ¡Ay padre mío! No sé, Enrico, si aquese nombre será razón que me cuadre, aunque mi rigor te asombre. ¿Eso es palabra de padre? No es bien que padre me nombre un hijo que no cree en Dios. Padre mío, ¿eso decís? No sois ya mi hijo vos, pues que mi ley no seguís. Solos estamos los dos. No os entiendo. ¡Enrico, Enrico! A reprenderos me aplico vuestro loco pensamiento, siendo la muerte instrumento que tan cierto os pronostico. Hoy os han de ajusticiar, ¿y no os queréis confesar? ¡Buena cristiandad, por Dios! Pues el mal es para vos y para vos el pesar. Aqueso es tornar venganza de Dios, que el poder alcanza del empíreo cielo eterno. Enrico, ved que hay infierno para tan larga esperanza.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
ENRICO ANARETO
ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO
ENRICO ANARETO
Fortunato chi, pentito, paga tutte le sue colpe finché vive sulla terra: qui il dolore è solo un’ombra del tormento d’aldilà. Ho lasciato il letto, Enrico, e, appoggiato al mio bastone grazie a cui mi reggo in piedi, sono qui solo per te. Ah padre mio! Io non so se il modo in cui tu mi chiami a ragione mi compete, e so di farti del male. Non mi parli come un padre. Tu non puoi chiamarmi padre, non ho figli miscredenti. Padre mio, cosa mi dite? Voi non siete più mio figlio, non seguite la mia legge: l’uno e l’altro siamo soli. Non capisco. Enrico! Enrico, cerco di farvi vedere il vostro credo impazzito, e ne è strumento la morte, morte che vi do per certa. Oggi giustizia vi aspetta: come non vi confessate? Che cristianesimo è? Si ritorce contro voi il dolore, questo male, desiderio di vendetta contro Dio, l’onnipotente, re celeste dell’eterno. Non c’è altro che l’inferno nel tardar col pentimento. 1799
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ENRICO
ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO
1800
Es, el quererte vengar de esa suerte, pelear con un monte o una roca, pues cuando el brazo le toca, es para el brazo el pesar. Es, con dañoso desvelo, escupir el hombre al cielo presumiendo darle enojos, pues que le cae en los ojos lo mismo que arroja al cielo. Hoy has de morir: advierte que ya está echada la suerte; confiesa a Dios tus pecados, y ansí, siendo perdonados, será vida lo que es muerte. Si quieres mi hijo ser, lo que te digo has de hacer. Si no, de pesar me aflijo, ni te has de llamar mi hijo, ni yo te he de conocer. Bueno está, padre querido; que más el alma ha sentido – buen testigo de ello es Dios – el pesar que tenéis vos, que el mal que espero afligido. Confieso, padre, que erré, pero yo confesaré mis pecados, y después besaré a todos los pies para mostraros mi fe. Basta que vos lo mandéis, padre mío de mis ojos. Pues ya mi hijo seréis. No os quisiera dar enojos. Vamos, porque os confeséis. ¡Oh, cuánto siento el dejaros! ¡Oh, cuánto siento el perderos!
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
ENRICO
ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO
Il tuo cercare vendetta in questo modo è combattere con la montagna, la roccia che quando il pugno colpisce è proprio il pugno a dolere. È solo vana fatica per l’uomo che sputi al cielo nello sforzo di ferirlo, perché ritorna alla terra l’odio che al cielo dirige. Devi morire, stai attento che la tua sorte è segnata; confessa a Dio i tuoi peccati e, una volta perdonati, ciò che è morte sarà vita. Se vuoi essere mio figlio devi fare quanto dico, se no – questo mi addolora – non posso dirti mio figlio e neppure riconoscerti. Ho compreso, padre amato: la mia anima ha provato il dolore che sentite – e che Dio sia testimone – più del male che rinnego. Ammetto, padre, ho sbagliato; ora voglio confessare i miei peccati e prostrarmi ai piedi di tutti quanti per mostrare la mia fede. Basta che me l’ordiniate, oh, padre mio dei miei occhi. Ti riconosco mio figlio. Ma io non vorrei darvi pena. Ora andiamo a confessarvi. Ah quanto soffro al lasciarvi! Ah quanto perdervi costa! 1801
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA ENRICO
ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO
1802
¡Ay ojos! Espejos claros, antes hermosos luceros, pero ya de luz avaros. ¡Vamos, hijo! A morir voy; todo el valor he perdido. Sin juicio y sin alma estoy. Aguardad, padre querido. ¡Qué desdichado que soy! Señor piadoso y eterno, que en vuestro alcázar pisáis cándidos montes de estrellas, mi petición escuchad. Yo he sido el hombre más malo que la luz llegó a alcanzar de este mundo; el que os ha hecho más que arenas tiene al mar ofensas; mas, Señor mío, mayor es vuestra piedad. Vos, por redimir al mundo, de aquel pecado de Adán, en una cruz os pusisteis; pues merezca yo alcanzar una gota solamente de aquella sangre real. Vos, aurora de los cielos; vos, Virgen bella, que estáis de paraninfos cercada, y siempre amparo os llamáis de todos los pecadores: yo lo soy, por mí rogad. Decilde que se le acuerde a su sacra Majestad de cuando en aqueste mundo empezó a peregrinar. Acordalde los trabajos que pasó en él por salvar
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO ENRICO
ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO
Occhi, specchi trasparenti, siete stati luci belle, ora siete luci spente. Figlio andiamo. Alla morte; non oppongo resistenza. Sono stanco e non comprendo. Aspettate, padre amato. Quanta sventura mi affligge! Eterno Dio di pietà che camminate in un regno tra monti bianchi di stelle, vi prego, datemi ascolto. Son stato l’uomo peggiore che in questo mondo è mai nato; sono colui che vi ha offeso molte più volte di quanti siano i granelli di sabbia, ma voi avete pietà. Voi, per redimere il mondo da quel peccato di Adamo, avete scelto la croce; se potessi meritare una goccia solamente di tanto nobile sangue! E voi, aurora di ogni cielo, vergine bella che siete in mezzo a schiere di angeli; voi che siete protettrice di tutti noi peccatori, sono il primo, intercedete. Ricordate a vostro figlio di quando al mondo è venuto per il suo pellegrinaggio; ricordategli il dolore sopportato per salvare
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ANARETO ENRICO ANARETO ENRICO
ANARETO ENRICO
ANARETO ENRICO
ANARETO ENRICO
los que inocentes pagaron por ajena voluntad. Decilde que yo quisiera, cuando comencé a gozar entendimiento y razón, pasar mil muertes y más antes de haberle ofendido. Adentro priesa [me] dan. ¡Gran Señor, misericordia! No puedo deciros más. ¡Que esto llegue a ver un padre! (La enigma he entendido ya de la voz y de la sombra: la voz era angelical y la sombra era el demonio.) Vamos, hijo. ¿Quién oirá ese nombre, que no haga de sus dos ojos un mar? No os apartéis, padre mío, hasta que hayan de expirar mis alientos. No hayas miedo. Dios te dé favor. Sí hará, que es mar de misericordia, aunque yo voy muerto ya. Ten valor. En Dios confío. Vamos, padre, donde están los que han de quitarme el ser que vos me pudisteis dar.
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Vanse y sale Paulo. PAULO
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Cansado de correr vengo por este monte intrincado:
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ANARETO ENRICO
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gli innocenti che han pagato per estranea volontà. Dite lui che avrei voluto, non appena riacquistati discernimento e ragione, sopportare mille morti prima di fargli un’offesa. È giunta l’ora, sei atteso. Misericordia, Dio grande, non ci sono altre parole. Triste sorte per un padre! (Ora ho compreso il mistero di quella voce e dell’ombra: la voce era di un angelo e l’ombra era il demonio.) Figlio mio, questo è il momento. Come udire da te «figlio» senza rompere nel pianto? Padre mio, statemi accanto fino all’ultimo respiro. Ma non devi aver paura; Dio ti assista. Lo farà perché è un mare di perdono anche se già sono morto. Abbi forza. In Dio confido. Ora andiamo dove attende chi dovrà levar la vita che da voi fu regalata. Escono. Entra Paolo.
PAOLO
Sono stanco di vagare per questo monte intricato;
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
atrás la gente he dejado que a ajena costa mantengo. Al pie de este sauce verde quiero un poco descansar, por ver si acaso el pesar de mi memoria se pierde. Tú, fuente, que murmurando vas, entre guijas corriendo, en tu fugitivo estruendo plantas y aves alegrando, dame algún contento agora, infunde al alma alegría con esa corriente fría y con esa voz sonora. Lisonjeros pajarillos, que no entendidos cantáis, y holgazanes gorjeáis entre juncos y tomillos, dad con picos sonorosos y con acentos suaves gloria a mis pesares graves y sucesos lastimosos. En este verde tapete jironado de cristal, quiero divertir mi mal, que mi triste fin promete.
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Échase a dormir, y sale el pastor con la corona deshaciéndola. PASTOR
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Selvas intrincadas. verdes alamedas, a quien de esperanzas adorna Amaltea; fuentes que corréis murmurando apriesa, por menudas guijas, por blandas arenas:
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ho lasciato dietro gente che mantengo a spese altrui. Voglio riposare un poco all’ombra di questo salice, chissà che riesca a lenire il peso dei miei ricordi. Tu, fonte, che mormorando rapida scorri fra i sassi e rallegri piante e uccelli con la tua voce fuggente, dammi una consolazione, dona all’anima allegria con la tua fresca corrente e la tua eco sonora. Uccellini che cantate canti dolci, inconsapevoli, ed oziosi gorgheggiate qui fra il giunco ed il serpillo, alleviate la mia pena e i trascorsi dolorosi coi vostri becchi sonori, coi vostri accenti soavi. Su questo verde tappeto e tra i ricami in cristallo, voglio distrarre il mio male che la mia fine preannuncia. Si stende per dormire ed entra il pastore, che sta disfacendo la corona. PASTORE
Intricate selve e pioppeti verdi che Amaltea adorna con i suoi germogli; fonti che correte fuggitive e garrule tra minuti sassi e su molle sabbia, 1807
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
ya vuelvo otra vez a mirar la selva y a pisar los valles que tanto me cuestan. Yo soy el pastor que en vuestras riberas guardé un tiempo alegre cándidas ovejas. Sus blandos vellones entre verdes felpas jirones de plata a los ojos eran. Era yo envidiado, por ser guarda buena de muchos zagales que ocupan la selva; y mi mayoral, que en ajena tierra vive, me tenía voluntad inmensa, porque le llevaba cuando quería verlas, las ovejas blancas como nieve en pellas. Pero desde el día que una, la más buena, huyó del rebaño, lágrimas me anegan. Mis contentos todos convertí en tristezas, mis placeres vivos en memorias muertas. Cantaba en los valles canciones y letras; mas ya en triste llanto funestas endechas. Por tenerla amor, 1808
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torno un’altra volta e la selva ammiro scendendo le valli che son mia fatica. Io sono il pastore che in tempi felici curava il suo gregge tra i vostri ripari. I candidi velli tra i soffici verdi sembravano agli occhi ricami d’argento. Da bravo custode io ero l’invidia di molti pastori che vivono qui. Il capo pastore, che vive lontano, mi considerava con grande favore perché gli portavo, quand’egli voleva, le pecore bianche, cuscini di neve. Ma, dal giorno in cui una, la migliore, ha lasciato il gregge, piango disperato. Ho volto in tristezza qualunque mia gioia ed ogni piacere in morta memoria. Cantavo fra i prati canzoni e poesie, ed ora soltanto funesti lamenti. In questa foresta 1809
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PAULO
PASTOR
PAULO
PASTOR
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en esta floresta aquesta guirnalda comencé a tejerla, mas no la gozó, que, engañada y necia, dejó a quien la amaba con mayor firmeza. Y pues no la quiso, fuerza es que ya vuelva por venganza justa hoy a deshacerla. Pastor, que otra vez te vi en esta sierra, si no muy alegre, no con tal tristeza: el verte me admira. ¡Ay perdida oveja! ¡De qué gloria huyes y qué mal te allegas! ¿No es esa guirnalda la que en las florestas entonces tejías con gran diligencia? Esta misma es; mas la oveja necia no quiere volver al bien que le espera, y ansí la deshago. Si acaso volviera, zagalejo amigo, ¿no la recibieras? Enojado estoy, mas la gran clemencia de mi mayoral dice que, aunque vuelvan, si antes fueron blancas, al rebaño negras,
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volevo intrecciare ghirlanda di fiori soltanto per lei, ma non ne godrà. Ingannata e sciocca si è allontanata da chi più l’amava: se non l’ha voluta, per giusta vendetta non ho altra scelta se non di disfarla. Pastore, altra volta ti ho visto quaggiù: se non eri allegro neppure eri triste: stupisco al vederti. Pecora smarrita! Fuggi dalla gloria e ti pieghi al male! Non è la ghirlanda che in questa foresta tu stavi intrecciando con tanta premura? È proprio la stessa: la pecora sciocca non vuole tornare al bene promesso e quindi la disfo. Ma se ritornasse, amico pastore, non l’accoglieresti? Io sono inquieto; ma il capo pastore, di grande clemenza, vuol solo che torni al gregge, anche nera seppure era bianca: 1811
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
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que les dé mis brazos, y sin extrañeza requiebros les diga y palabras tiernas. Pues es superior, fuerza es que obedezcas. Yo obedeceré, pero no quiere ella volver a mis voces, en sus vicios ciega. Ya de aquestos montes en las altas peñas la llamé con silbos y avisé con señas. Ya por los jarales, por incultas selvas la anduve a buscar: ¡qué de ello me cuesta! Ya traigo las plantas de jaras diversas y agudos espinos rotas y sangrientas. No puedo hacer más. (En lágrimas tiernas baña el pastorcillo las mejillas bellas.) Pues te desconoce, olvídate de ella y no llores más. Que lo haga es fuerza. Volved, bellas flores, a cubrir la tierra, pues que no fue digna de vuestra belleza. Veamos si allá en la tierra nueva la pondrán guirnalda
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e devo abbracciarla e non dubitare di dirle parole di dolce accoglienza. Se ti è superiore gli devi obbedire. Ed io obbedirò, ma, cieca nel vizio e sorda al richiamo, non vuole tornare. Dai picchi più alti di queste montagne l’ho sempre chiamata coi fischi, con segni. E poi l’ho cercata tra i fitti cespugli e le selve incolte, e quanto è costato! Le piante dei piedi, ferite e piagate, son piene di schegge e spine puntute. Non posso far altro. (Con lacrime dolci bagna il pastorello le sue guance belle.) Ma se ti rinnega perché non la scordi e smetti di piangere? E quale altra scelta? Tornate bei fiori, coprite la terra: non è stata degna di tanta bellezza. Vedremo se là, in nuova altra terra, sarà la ghirlanda 1813
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tan rica y tan bella. Quedaos, montes míos, desiertos y selvas, adiós, porque voy con la triste nueva a mi mayoral. Y cuando lo sepa, aunque ya lo sabe, sentirá su mengua, no la ofensa suya, aunque es tanta ofensa. Lleno voy a verle de miedo y vergüenza; lo que ha de decirme, fuerza es que lo sienta. Diráme: «Zagal, ¿ansí las ovejas que yo os encomiendo guardáis?» ¡Triste pena!, yo responderé... No hallaré respuesta. si no es que mi llanto la respuesta sea.
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Vase. PAULO
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La historia parece de mi vida aquésta. De este pastorcillo no sé lo que sienta; que tales palabras fuerza es que prometan oscuras enigmas... Mas ¿qué luz es esta que a la luz del sol sus rayos afrentan?
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così ricca e bella. Restate deserti, oh monti e voi selve; addio, mi dirigo con triste novella dal capo pastore. E quando saprà – per quanto già sappia – soffrirà la perdita ma nessuna offesa, se anche offesa grande. Vado e con me porto vergogna e timore, ma devo ascoltare quel che deve dirmi. Mi dirà: «Pastore, custodite bene le greggi affidate a voi!» Che dolore! Io risponderò... Non avrò risposta e sarà il mio pianto l’unica risposta. Esce. PAOLO
Mi sembra la storia di ciò che ho vissuto. Non so che pensare di questo pastore, ché le sue parole mi sembrano moniti ed enigmi oscuri. Cos’è questa luce che sfida umiliandoli i raggi del sole?
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
Con la música suben dos ángeles al alma de Enrico por una apariencia, y prosigue Paulo. Música celeste en los aires suena, y a lo que diviso dos ángeles llevan una alma gloriosa a la excelsa esfera. ¡Dichosa mil veces, alma, pues hoy llegas donde tus trabajos fin alegre tengan! Frutas y plantas agrestes, a quien el hielo corrompe, ¿no veis cómo el cielo rompe ya sus cortinas celestes? Ya rompiendo densas nubes y esos transparentes velos, alma, a gozar de los cielos feliz y gloriosa subes. Ya vas a gozar la palma que la ventura te ofrece: ¡triste del que no merece lo que tú mereces, alma!
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Sale Galván. GALVÁN
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Advierte, Paulo famoso, que por el monte ha bajado un escuadrón concertado de gente y armas copioso que viene solo a prendernos. Si no pretendes morir, solamente, Paulo, huir es lo que puede valernos. ¿Escuadrón viene?
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
Si alza la musica e due angeli portano in cielo l’anima di Enrico. Paolo continua. PAOLO
Musica celeste risuona nell’aria e per quel che scorgo due angeli innalzano un’anima in gloria all’eccelsa sfera. Per sempre beata anima che vai dove le tue pene son pagate in gioia Voi frutti e voi, piante agresti, che inverno gela e corrompe, guardate il cielo che rompe i suoi velami celesti; l’anima squarcia le nubi, la trasparenza dei veli, perché gioisca dei cieli e ascenda in gloria, felice. Potrai godere del premio che la tua sorte ti offre: triste colui che non merita quello che meriti tu. Entra Galvano.
GALVANO
PAOLO
La tua fama ha richiamato un esercito compatto ricco di armi e soldati; ha disceso questo monte per condurci prigionieri. Se non intendi morire, Paolo, l’unica salvezza che ci resta è la fuga. Un esercito? 1817
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
Esto es cierto; ya se divisa la hilera, con su caja y su bandera. No escapas de preso o muerto si aguardas. ¿Quién la ha traído? Villanos, si no me engaño, como hacemos tanto daño en este monte escondido, de aldeas circunvecinas se han juntado. Pues matallos. ¡Qué! ¿Te animas a esperallos? Mal quién es Paulo imaginas. Nuestros peligros son llanos. Sí, pero advierte también que basta un hombre de bien para cuatro mil villanos. Ya tocan, ¿no lo oyes? Cierra y no receles el daño, que antes que fuese ermitaño supe también qué era guerra.
GALVÁN
PAULO GALVÁN
PAULO GALVÁN PAULO GALVÁN PAULO
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Salen los labradores que pudieren, con armas, y un juez. JUEZ PAULO
Hoy pagaréis las maldades que en este monte habéis hecho. En ira se abrasa el pecho. Soy Enrico en las crueldades.
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Éntralos acuchillando y sale Galván por la otra puerta, huyendo, y tras él muchos villanos. UN VILLANO
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¡Ea, ladrones, rendíos!
TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO GALVANO
PAOLO GALVANO
PAOLO GALVANO PAOLO GALVANO PAOLO
GALVANO PAOLO
È così. Già si vede la colonna col tamburo ed il vessillo. Sarai loro, vivo o morto, se ora indugi. Chi li guida? Penso che siano i paesani dei villaggi di qui attorno che, stanchi delle razzie in questo monte nascosto, si sono uniti. Morranno. Ma come? Intendi affrontarli? Non hai capito chi è Paolo. Ma non c’è scampo per noi. Sì, ma considera anche che basta un valoroso per quattromila villani. Senti? Arrivano. Tu attacca, non dubitare di me: prima che fossi eremita ho conosciuto la guerra. Entrano i contadini armati e un giudice.
GIUDICE PAOLO
Oggi pagate ogni torto fatto da voi in questo monte. Mi brucia il petto per l’ira, per crudeltà sono Enrico.
Uscendo li assale con la spada mentre Galvano, fuggendo, rientra dalla parte opposta inseguito da numerosi contadini. UN VILLANO
Arrendetevi, furfanti!
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA GALVÁN
Mejor nos está el morir, mas yo presumo de huir, que para eso tengo bríos.
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Vanse y dice dentro Paulo. PAULO
JUEZ
Con las flechas me acosáis y con ventajas reñís; más de doscientos venís para veinte que buscáis. Por el monte va corriendo.
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Baja Paulo por el monte, rodando, lleno de sangre. PAULO
Ya no bastan pies ni manos, muerte me han dado villanos; de mi cobardía me ofendo. Volveré a darles la muerte; pero no puedo, ¡ay de mí! El cielo a quien ofendí se venga de aquesta suerte.
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Sale Pedrisco. PEDRISCO
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Como en las culpas de Enrico no me hallaron culpado, luego que públicamente los jueces le ajusticiaron, me echaron la puerta afuera y vengo al monte. ¿Qué aguardo? ¿Qué miro? La selva y monte anda todo alborotado. Allí dos villanos corren, las espadas en las manos. Allí va herido Fineo, y allí huyen Celio y Fabio,
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO GALVANO
Mi sa che è meglio morire, ma io tenterò la fuga, ché per questo ho gambe lunghe. Escono. Paolo parla fuori scena. Mi incalzate con le frecce e combattete in vantaggio; venite in più di duecento a cercarne una ventina. Sta scappando verso valle.
PAOLO
GIUDICE
Paolo scende per il monte, precipitando, coperto di sangue. PAOLO
Fuga e lotta sono inutili, questa gente è la mia morte. Ma sono forse un vigliacco? Torno indietro, io li ammazzo. Ma come posso? Ahimè! È il cielo che adesso chiede la sua vendetta, l’ho offeso. Entra Pedrisco.
PEDRISCO
Mi hanno cacciato da Napoli perché non hanno trovato in me le colpe di Enrico, dopo che pubblicamente è stata fatta giustizia; torno al monte e che mi aspetto? Cosa vedo? Selva e monte sono in preda allo scompiglio: due villani lì che corrono ed impugnano le spade; là Fineo, ferito, fugge e lì ecco Celio e Fabio.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
PAULO
PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO
PEDRISCO PAULO
PEDRISCO
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y aquí ¡qué gran desventura! tendido está el fuerte Paulo. ¿Volvéis, villanos, volvéis? La espada tengo en la mano. No estoy muerto, vivo estoy, aunque ya de aliento falto. Pedrisco soy, Paulo mío. Pedrisco, llega a mis brazos. ¿Cómo estás ansí? ¡Ay de mí! Muerte me han dado villanos. Pero ya que estoy muriendo, saber de ti, amigo, aguardo qué hay del suceso de Enrico. En la plaza le ahorcaron de Nápoles. Pues ansí, ¿quién duda que condenado estará al infierno ya? Mira lo que dices, Paulo; que murió cristianamente confesado y comulgado, y abrazado con un Cristo, en cuya vista, enclavados los ojos, pidió perdón, y misericordia, dando tierno llanto a sus mejillas, y a los presentes espanto. Fuera de aqueso, en muriendo resonó en los aires claros una música divina; y para mayor milagro y evidencia más notoria, dos paraninfos alados se vieron patentemente, que llevaban entre ambos el alma de Enrico al cielo.
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PAOLO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO
Ma qui... ah quale sventura! Paolo il grande steso al suolo! Tornate indietro bifolchi! Stringo nel pugno la spada, se anche mi manca il respiro ancora non sono morto. Paolo mio, sono Pedrisco. Pedrisco, vieni vicino. Che ti è successo? Ahimè! Mi hanno ferito i villani, ma adesso, in punto di morte, voglio sapere da te che è capitato ad Enrico. Impiccato nella piazza di Napoli. Se è così nessuno può dubitare della condanna all’inferno. Paolo, attento a quel che dici perché è morto da cristiano confessando i suoi peccati stretto stretto a un crocefisso a cui ha rivolto lo sguardo per implorare il perdono e la sua misericordia. Il dolce pianto ha lasciato tutti i presenti stupiti, e dopo, mentre spirava, nel cielo chiaro si è alzata una musica divina. E per maggiore miracolo e manifesta grandezza due paraninfi alati sono comparsi splendendo per condurre, tra di loro, l’anima di Enrico al cielo. 1823
TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA PAULO PEDRISCO PAULO
PEDRISCO PAULO PEDRISCO
PAULO
PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO PEDRISCO PAULO
¡A Enrico, el hombre más malo que crió naturaleza! ¿De aquesto te espantas, Paulo, cuando es tan piadoso Dios? Pedrisco, eso ha sido engaño: otra alma fue la que vieron, no la de Enrico. ¡Dios santo, reducidle vos! Yo muero. Mira que Enrico, gozando está de Dios: pide a Dios perdón. ¿Y cómo ha de darlo a un hombre que le ha ofendido como yo? ¿Qué estás dudando? ¿No perdonó a Enrico? Dios es piadoso. Es muy claro. Pero no con tales hombres. Ya muero, llega tus brazos. Procura tener su fin. Esa palabra me ha dado Dios: si Enrico se salvó, también yo salvarme aguardo.
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[Muere.] PEDRISCO
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Lleno el cuerpo de lanzadas quedó muerto el desdichado. Las suertes fueron trocadas: Enrico, con ser tan malo, se salvó, y este al infierno se fue, por desconfiado.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO PAOLO PEDRISCO PAOLO
PEDRISCO PAOLO PEDRISCO
PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO PEDRISCO PAOLO
Enrico! Il più malvagio che ha generato Natura! Paolo, ma ti meravigli della divina pietà? Pedrisco, è stato un inganno, era l’anima di un altro non di Enrico. Santo Dio, convincetelo. Io muoio. Pensa che Enrico ora gode di Dio; domanda perdono a Dio. E come potrà darlo ad un uomo che lo ha offeso? Ma come ne puoi dubitare? Non ha perdonato Enrico? Dio ha pietà... E non c’è dubbio. ...ma non di uomini simili. Sto morendo, avvicinati. Ti prego, segui il suo esempio. Dio mi ha dato la parola e se Enrico si è salvato anch’io attendo la salvezza. [Muore.]
PEDRISCO
Le numerose ferite lo hanno ucciso, sventurato. I destini rovesciati: Enrico che era malvagio si è salvato, mentre Paolo, incredulo, è spirato.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
Cubriré el cuerpo infeliz cortando a estos sauces ramos. Mas ¿qué gente es la que viene?
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Salen los villanos. Si el capitán se ha escapado, poca diligencia ha sido. VILLANO Yo lo vi caer rodando, PRIMERO pasado de mil saetas, de los altivos peñascos. JUEZ Un hombre está aquí: prendedle. PEDRISCO ¡Ay Pedrisco desdichado! Esta vez te dan carena. [VILLANO] Este es criado de Paulo PRIMERO y cómplice en sus delitos. GALVÁN Tú mientes como villano; que solo lo fui de Enrico, que de Dios está gozando. PEDRISCO Y yo, Galvanito hermano, [aparte, a Galván] no me descubras aquí, por amor de Dios. JUEZ Si acaso me dices dónde se esconde el capitán que buscamos, yo te daré libertad: habla. PEDRISCO Buscarle es en vano cuando es muerto. JUEZ ¿Cómo muerto? PEDRISCO De varias flechas y dardos pasado le hallé, señor, con la muerte agonizando en aqueste mismo sitio. JUEZ ¿Y dónde está? PEDRISCO Entre estos ramos le metí. JUEZ
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
Taglierò rami di salice per coprire il triste corpo. Ma chi è che sta venendo? Entrano i villani. Se è fuggito il responsabile c’è stata disattenzione. PRIMO VILLANO È caduto scivolando da lì, dai picchi più alti, trapassato dalle frecce. GIUDICE C’è qui un uomo, catturatelo. PEDRISCO Ah, Pedrisco sfortunato, questa volta butta male. PRIMO Costui è il servo di Paolo, [VILLANO] complice dei suoi delitti. GALVANO Menti, da vero bifolco; ho servito solo Enrico che sta godendo di Dio. PEDRISCO Anch’io Galvanino caro! [piano, a Galvano] Per amor di Dio, ti prego, non tradirmi proprio ora. GIUDICE Se tu per caso mi dici dove si sta nascondendo colui che stiamo cercando io ti darò libertà. Parla. PEDRISCO Ma ormai è troppo tardi, dato che è morto. GIUDICE È morto? PEDRISCO L’ho trovato agonizzante proprio qui, in questo luogo; il suo corpo era trafitto dagli strali, dalle frecce. GIUDICE E dov’è? PEDRISCO Tra questi rami. GIUDICE
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA
Descúbrese fuego, y Paulo lleno de llamas.
PAULO
Mas ¡qué visión descubro de tanto espanto! Si a Paulo buscando vais, bien podéis ya ver a Paulo, ceñido el cuerpo de fuego y de culebras cercado. No doy la culpa a ninguno de los tormentos que paso: solo a mí me doy la culpa, pues fui causa de mi daño. Pedí a Dios que me dijese el fin que tendría, en llegando de mi vida el postrer día; ofendíle, caso es llano; y como la ofensa vio de las almas el contrario incitóme, con querer perseguirme con engaños. Forma de un ángel tomó y engañóme, que a ser sabio, con su engaño me salvara; pero fui desconfiado de la gran piedad de Dios, que hoy a su juicio llegando, me dijo: «Baja, maldito de mi Padre, al centro airado de los oscuros abismos, adonde has de estar penando.» ¡Malditos mis padres sean mil veces, pues me engendraron! ¡Y yo también sea maldito, pues que fui desconfiado! Húndese por el tablado, y sale fuego.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO
Si vede un fuoco e Paolo tra le fiamme.
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Ma che orribile visione si spalanca qui davanti? Se state cercando Paolo, ecco Paolo, lo vedete?, stretto il suo corpo dal fuoco e circondato da serpi; non do la colpa a nessuno se soffro questi tormenti: io solamente ho la colpa ed ho causato il mio male. Chiesi a Dio che mi dicesse che fine fosse prevista dopo il mio ultimo giorno; ho peccato, senza dubbio, e quando vide l’offesa il nemico delle anime m’incitò con l’intenzione di tentarmi con l’inganno. Con le sembianze di un angelo mi ha ingannato; avrei potuto riflettere per salvarmi. Ma non ho avuto fiducia nella divina pietà ed il giudice supremo mi ha maledetto: «Sprofonda giù verso il centro furioso degli abissi tenebrosi dove scontare la pena.» Maledetti mille volte padre, madre e i miei natali! E maledetto sia anch’io perché sono stato incredulo. Sprofonda tra le fiamme.
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TIRSO DE MOLINA EL CONDENADO POR DESCONFIADO, JORNADA TERCERA JUEZ GALVÁN PEDRISCO JUEZ
PEDRISCO
GALVÁN PEDRISCO GALVÁN PEDRISCO
JUEZ PEDRISCO
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Misterios son del Señor. ¡Pobre y desdichado Paulo! ¡Y venturoso de Enrico que de Dios está gozando! Porque toméis escarmiento, no pretendo castigaros; libertad doy a los dos. Vivas infinitos años. Hermano Galván, pues ya de ésta nos hemos librado, ¿qué piensas hacer desde hoy? Desde hoy pienso ser un santo. Mirando estoy con los ojos que no haréis muchos milagros. Esperanza en Dios. Amigo, quien fuere desconfiado, mire el ejemplo presente, no más. A Nápoles vamos a contar este suceso. Y porque es este tan arduo y difícil de creer, siendo verdadero el caso, vaya el que fuere curioso, porque sin ser escribano dé fe de ello, a Belarmino, y si no más dilatado, en la vida de los padres, podrá fácilmente hallarlo. Y con aquesto da fin El Mayor desconfiado y pena y gloria trocadas. El cielo os guarde mil años.
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TIRSO DE MOLINA DANNATO PERCHÉ INCREDULO, ATTO TERZO GIUDICE GALVANO PEDRISCO GIUDICE
PEDRISCO
GALVANO PEDRISCO GALVANO PEDRISCO
GIUDICE PEDRISCO
È mistero del Signore. Triste Paolo, sfortunato! Ed Enrico fortunato perché ora gode di Dio! Non intendo condannarvi perché ne abbiate un esempio. Libertà per tutt’e due! E lunga vita per te! Visto, fratello Galvano, che noi l’abbiamo scampata, cosa vuoi fare da oggi? D’ora in poi voglio esser santo. Anche se, a ben guardarvi, non farete dei miracoli. Abbi fede in Dio, amico. Basta solo che l’incredulo guardi all’esempio presente, niente di più. Andiamo a Napoli. a riferir l’accaduto. E poiché risulta arduo e difficile da credere, pur essendo vero il caso, guardi chi fosse curioso Belarmino e presti fede, anche senz’essere colto; e se no, ben più evidente, può facilmente trovarlo nelle esistenze dei Padri. E con questo si dà fine a Il più grande degli increduli o Pena e gloria invertite. Dio vi protegga per sempre.
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El burlador de Sevilla L’ingannatore di Siviglia Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva, traduzione e note di MARIA GRAZIA PROFETI
Nota introduttiva
1. Il Burlador de Sevilla y Convidado de piedra fonda la fortuna europea del tema di don Giovanni, utilizzando una serie di simmetrie e di dissimmetrie, il gioco dell’intreccio e il fascino della parola.1 Il testo fonde due leggende popolari, quella del convito macabro e quella del profanatore del luogo sacro per motivi amorosi, analizzate da Armesto Said e Menéndez Pidal.2 Il successo che arride alla commedia è immediato, se essa viene rappresentata a Napoli dalla compagnia di Pedro Osorio nel 16253 (il che ci fornisce una sicura data ante-quem per la redazione del testo); sarà più volte rielaborata in tutta Europa. Eppure niente nella caratterizzazione del personaggio lascerebbe presagire la straordinaria fortuna che gli arrise: seduttori tracotanti erano già apparsi nell’opera stessa di Tirso (si vedano ad esempio, La ninfa del cielo, La dama del Olivar, Santa Juana, Averígüelo Vargas, Escarmientos para el cuerdo.4 O di Lope: in La fianza satisfecha echeggiano versi che sembrano diretti antecedenti del «tan largo me lo fiáis» («Cosí lontana è la scadenza!») di don Giovanni: ¡Que Dios los pague por mí y pídamelo después! Dios ha de ser mi fiador...5
Anche il tema – indubbiamente suggestivo – del morto che domanda vendetta ad un vivo, proveniente dalle archetipiche fonti delle ballate popolari e dalla affascinante riserva della letteratura folklorica, non manca certo nel teatro aureo anteriore al Burlador. Vari sono i morti che 1835
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA
appaiono in scena e parlano, spesso accolti con grande forza d’animo dai presenti; e si veda ad esempio il Marqués de las Navas di Lope de Vega: Sale Leonardo con el rostro difunto. ¿Temor adquieres? ¿Cómo temor? ¡Camina a do quisieres!6
LEONARDO MARQUÉS
Il defunto effettua poi un lungo racconto, e il gracioso Mendoza commenta: «¡Cuerpo de tal con el muerto! / ¡Y qué notable hablador!»7 Addirittura nel Negro del mejor amo di Mira de Amescua la statua di Benedetto Sforza, fondatore del convento francescano di Gesù del Monte, ammonisce il protagonista e lo esorta alla conversione: Corren una cortina y aparece en un altar un bulto de mármol, que será un hombre con su manto capitular y una lámpara encendida. ROSAMBUCO
[...]
¡Pavorosa estatua, espera, que no te valdrán hechizos contra mi valor! [...] Mármol, sombra, hielo, asombro, que de los lagos estigios vienes a ser de la Muerte un funesto paraninfo, ¿qué me quieres? ¿qué me quieres?8
In Dineros son calidad di Lope la statua del Re viene sfidata a duello da un protagonista che addirittura si chiama Otavio: Descúbrese un sepulcro de piedra, donde está de rodillas el Rey, también de piedra, debajo de un dosel negro. OTAVIO
1836
En las venas apenas me queda sangre, viendo el retrato de aquel que a estado tan miserable nos reduce. [...] ¡Vive Dios!, que he de vengarme en vuestro alabastro eterno,
NOTA INTRODUTTIVA
como el toro, que deshace la capa del que le ofende! [...] Tirano y bárbaro rey, mi honor y mi hacienda dadme, o, ¡vive Dios! que he de haceros tantos átomos y partes como miserias nos distes, como hacienda nos quitastes.9
All’inizio del terzo atto, poi, la statua del re Enrico si presenta puntuale, dichiarando «Enrique soy»; al che l’intemerato Ottavio ribatte: Aunque seas demonio, que no me espantan a mí demonios de piedra.10
E nell’Hércules de Ocaña di Vélez de Guevara il protagonista Céspedes invita a pranzo un oste defunto, e addirittura utilizza la candela del morto per farsi luce: Estará el huesped amortajado en el suelo, y con luz. CÉSPEDES
Perdone vuestra merced, señor huésped, entretanto que el señor Céspedes cena, y présteme por un rato esta luz, que yo prometo de volvérsela en cenando [...] ¡Vive Dios, que hace lo mismo que le he dicho; no se ha hallado difunto tan obediente; y ¡por Dios, que para el caso es menester todo el brío deste corazón bizarro!11
1837
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Sostiene poi un duello con il morto, e solo il sopraggiungere di altri personaggi impedisce una fine tragica: DIFUNTO
CÉSPEDES
Agradece, temerario, a quien viene [...] ¡Caso extraño! Del lugar la gente vuelve, y al suyo, muy mesurado [...] se ha vuelto el señor difunto.12
2. Il Burlador si distingue magari per una connotazione che fa perno sugli aspetti più bassi e «non nobili» del comportamento, quelli che di rado si danno in un galán della commedia aurea, in contrasto insomma con la debita grandezza di condotta che caratterizza anche i personaggi più abietti del teatro del Siglo de Oro. È ovvio che l’autore deve spogliare il suo protagonista della dignità cavalleresca che di solito il primo amoroso della commedia riveste, dal momento che il suo destino sarà la punizione eterna. Infatti se gli autori successivi iscrivono i loro protagonisti nelle due possibilità antagonistiche della salvezza e della dannazione, nell’ottica controriformistica il personaggio si danna; e ovviamente non solo perché seduttore e irridente dell’onore femminile, peccati davvero irrilevanti e facilmente perdonabili, ma per la sua ambiguità e superficialità di fronte al mistero della morte e della salvezza stessa. Da qui le mezze luci del personaggio: il tradimento ben poco nobile nei riguardi di Ottavio e soprattutto dell’amico Mota; la salvezza ottenuta non per valore personale, ma per l’appoggio interessato dello zio, e l’impunità di cui gode costantemente per la protezione del padre, favorito del re. Non mancano letture che forniscono una visione alta del personaggio tirsiano, sottolineandone la componente demoniaca;13 a me pare tuttavia che l’unico dato stimabile che gli rimane sia il coraggio tracotante di fronte al mistero. La novità, dunque, se novità ci fu, è nella proposta di un modello «contrario» rispetto alla comedia de santos: in essa un personaggio negativo, titanico in tutto e nella stessa perseveranza nel male, si salva per un supremo atto di pentimento; nel Burlador, invece, il protagonista si danna 1838
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per una sua incapacità a capire la grandezza della morte e l’ineluttabilità del peccato. E la dannazione si verifica sulla scena, sotto gli occhi dello spettatore: forse è da questa evidenza perturbante che l’elaborazione mitica riceve un suo incentivo. Le gesta del personaggio si organizzano su una trama ben sperimentata nella commedia aurea spagnola: quattro sequenze ripetono il meccanismo di inganno-fuga secondo uno schema narrativo che si può definire «a schidionata». Le donne burlate sono per due volte i prototipi della dama (Isabela, Ana) e della popolana (Tisbea, Aminta); le dame vengono ingannate, le popolane sedotte.14 L’inganno si vale di due convenzioni sceniche: il travestimento e la notte; la seduzione si compie invece durante il giorno ed utilizza il gioco letterario. La campagna diventa così il luogo della parola e la città quello dell’azione ingannevole; per questo Tisbea esordisce con un frammento squisitamente gongorino che usa un lessico colto, iperbati, metafore: il passo è funzionale alla pittura di un raffinato e improbabile ambiente pastorale da egloga piscatoria. E così il successivo lamento della fanciulla non può essere interpretato come espressione «naturalistica», sfogo spontaneo della pescatorella sedotta, ma rilettura e riproposta del prototipo della dama offesa e abbandonata, da Didone a Olimpia. In ognuno di questi momenti dedicati alla conquista amorosa si consuma inoltre un attentato all’ordine sociale; e la seduzione di Isabela non solo è tradimento contro Ottavio, ma diventa atto di lesa maestà in quanto è effettuata nel palazzo reale; il disonore di Tisbea trasgredisce la legge dell’ospitalità; l’insidia tesa a doña Ana sarà accompagnata dall’assassinio e dallo spregio della solidarietà dell’amicizia; la conquista di Aminta disattende addirittura il patto matrimoniale, minando alle sue radici l’istituzione sociale. Secondo Feal Deibe è questo un aspetto della «rottura della legge del padre»;15 ipotesi suggestiva, ma forse indotta più dalla nostra ottica post-freudiana che giustificata all’interno del testo. La peripezia (il suo archetipo è la tempesta che spinge il protagonista sulla costa di Tarragona) porta il seduttore ad abbracciare i due spazi antitetici della città e della campagna. Ed è la peripezia a riassorbire anche certe incongruenze e discrepanze dell’intreccio, tanto vertiginosamente condotto sotto lo sguardo dello spettatore. Non va mai dimenticato, infatti, che il teatro dei Secoli d’Oro non nasce per la lettura pausata, ma per la fruizione a caldo nello spazio teatrale, indulgendo ai piaceri e ai «vizi» degli spettatori 1839
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contemporanei. E con il diletto che il pubblico doveva ricavarne si giustifica l’inserimento della descrizione della città di Lisbona, incrementato dall’essere argomento d’attualità, dopo il viaggio lusitano di Filippo III nel 1619;16 la descrizione diventa pausa e ritardo, analogo a quello che nel primo atto marca il tempo dedicato da don Juan alla seduzione di Tisbea. E lo stesso spazio, proiezione del desiderio, nella conquista di Aminta viene riassorbito nell’intervallo tra il secondo e il terzo atto. Ci sono dunque tre tempi inseriti nel procedere della trama: quello narrativo della peripezia, il tempo teatrale dell’inganno (tempo «a orologeria» si direbbe, che sarebbe fin troppo facile mettere in crisi alterando il ritmo delle entrate e delle uscite), e il tempo letterario della parola. Tutti e tre saranno destinati a confrontarsi con l’assenza di tempo, l’eternità, in rapporto alla quale il disordine mondano, la rottura delle leggi dell’equilibrio sociale, diventerà ordine divino. Alla stessa maniera il fuoco vitalistico della passione e il fuoco poetico evocato da Tisbea (l’incendio di Troia) si riassorbono nel fuoco della punizione eterna. In questo mondo basso di peccatori ogni personaggio è portatore di un suo stigma: lo zio e il padre di don Juan peccano di familismo; Mota appare frivolo quanto il suo amico, e avvolto come lui nell’atmosfera notturna dell’inganno, a cui collaborano le citazioni dei «giganti», che evocano la rottura della norma e l’enormità del delitto; o il ricordo dell’incendio Troia,17 punizione mitica di un mitico seduttore. Così i dati di una tradizione colta, il linguaggio elegante, i rimandi dotti, diventano funzionali a una proiezione morale, a una riflessione didattica. Aurora Egido ha affermato lapidariamente che la bibliografia critica sul Burlador «è praticamente incontrollabile»;18 Pilar Palomo parla di una «lessicalizzazione» del mito,19 che specialmente in Spagna giunge fino ai giorni nostri. E che ben presto si diffonde in tutta Europa: immediata l’eco italiana, con la riscrittura di Giacinto Andrea Cicognini,20 rappresentata prima del 24 marzo 1632 (more fiorentino: ossia 1633) con grande successo a Firenze, e poi a Pisa.21 E ancora il Nuovo risarcito convitato di pietra di Giovan Battista Andreini,22 la messe di scenari dei comici dell’arte, fino al rinverdito interesse del secolo XVIII e Goldoni. 23 E interessantissima la tappa francese, che vedrà la riscrittura di Molière.24 Ma non mancano testi polacchi, tedeschi o l’intervento di Pushkin, fino al libretto di Da Ponte e alla musica di Mozart; o parodie moderne:25 non rimane che arrenderci davanti alla voragine insondabile. 1840
NOTA INTRODUTTIVA
3. La complessa storia editoriale del Burlador non è certo unica nel teatro dei Secoli d’Oro, ed è stata enfatizzata proprio per la fortuna successiva del testo. Non c’è infatti da meravigliarsi se la commedia è stata stampata fuori dal controllo di Tirso: in Spagna l’autore del testo teatrale lo vende al capocomico della compagnia che glielo ha commissionato, che ne diviene unico proprietario, libero di tagliarlo, arrangiarlo secondo le proprie esigenze, e venderlo poi magari a uno stampatore dopo averlo sfruttato sulle scene. Lope deve intraprendere complicate strategie e addirittura denunciare (senza esito) gli stampatori per potere promuovere l’edizione diretta dei suoi testi, poi interrotta da un decreto nonostante le sue ripetute querimonie.26 Va infatti ricordato che quando appare la falsa collezione Doce comedias nuevas de Lope de Vega Carpio y otros autores, Barcelona, Gerónimo Margarit, 1630,27 di cui il Burlador fa parte, da cinque anni era stata sospesa la possibilità di stampare commedie a Madrid e nel regno castigliano,28 con la conseguente diaspora, vera o fittizia, dell’attività editoriale fuori dalla Castiglia. 29 La stampa è stata minuziosamente analizzata da Cruickshank, che giunge alla conclusione che si tratta di un falso confezionato a Siviglia dal tipografo Simón Fajardo, che riutilizzò un lacerto di una stampa precedente, che risaliva agli anni 1627-29, effettuata da Manuel Sande, anch’egli stampatore sivigliano.30 Il testo venne poi riproposto in forma abbreviata in una decina di stampe sciolte,31 ed in raccolte miscellanee teatrali di metà del secolo XVII,32 che permisero la circolazione del testo presso i lettori. Non sono mancati dubbi circa la paternità di Tirso, data la presenza di una stampa dal titolo Tan largo me lo fiáis, forse del 1635, che la attribuisce a Calderón, ma che è stata anche ascritta a un attore e commediografo minore, Andrés de Claramonte.33 Ma come sottolinea Francisco Rico nella sua presentazione della edizione Hunter i due testi vanno considerati diversi ed indipendenti.34 La più forte argomentazione a favore della paternità di Tirso per il Burlador, delle molte che sono state avanzate, è che egli (che morirà nel 1648) non ha mai rinnegato la commedia; motivate conferme della attribuzione tirsiana si possono vedere in varie edizioni moderne.35 Il testo che presento si basa ovviamente sulla stampa delle Doce comedias nuevas; ma la princeps, proprio per il suo carattere di stampa fuori dal controllo dell’autore, effettuata quasi «alla macchia» e poi riciclata, è poco affidabile. Non sono mancati editori, come Luis Vázquez, che tendono a conservarne ad oltranza anche le letture chiaramente errate e 1841
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA
stravaganti; altri al contrario suppliscono frammenti da Tan largo me lo fiáis, prassi seguita recentemente da D’Agostino.36 Come di consueto mi affido al mio iudicium, quando ritengo necessario, o anche solo plausibile, emendare; ed indico gli interventi nelle note al testo.37 Segnalo con una linea di punti la mancanza di uno o più versi, percepibile nel caso di assetti strofici cogenti (redondillas, ottave, liras, ecc.)38 Per la traduzione, ricordo le precedenti: non solo le prime in prosa dovute a Gherardo Marone e Antonio Gasparetti, ma quelle in versi di Roberto Paoli e Laura Dolfi;39 e l’ultima in ordine di tempo, su un testo «riassestato», di D’Agostino.40 MARIA GRAZIA PROFETI
1842
Tirso de Molina El burlador de Sevilla Barcellona 1630
EL BURLADOR DE SEVILLA Y CONVIDADO DE PIEDRA COMEDIA FAMOSA DEL MAESTRO TIRSO DE MOLINA REPRESENTÓLA ROQUE DE FIGUEROA HABLAN EN ELLA LAS PERSONAS SIGUIENTES
DON DIEGO TENORIO, DON JUAN TENORIO, CATALINÓN,
viejo su hijo
lacayo
EL REY DE NÁPOLES EL DUQUE OCTAVIO DON PEDRO TENORIO EL MARQUÉS DE LA MOTA DON GONZALO DE ULLOA EL REY DE CASTILLA FABIO,
criado duquesa TISBEA, pescadora ISABELA,
1844
BELISA,
villana pescador CORIDÓN, pescador GASENO, labrador BATRICIO, labrador RIPIO, criado [DOÑA ANA DE ULLOA] [AMINTA, villana] [CRIADO 1°] [CRIADO 2°] ANFRISO,
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA COMMEDIA FAMOSA DEL MAESTRO TIRSO DE MOLINA MESSA IN SCENA DA ROQUE DE FIGUEROA PARLANO I SEGUENTI PERSONAGGI
DON DIEGO TENORIO,
vecchio suo figlio
DON GIOVANNI TENORIO, CATALINÓN,
lacchè
IL RE DI NAPOLI IL DUCA OTTAVIO DON PEDRO TENORIO IL MARCHESE DELLA MOTA DON GONZALO DE ULLOA IL RE DI CASTIGLIA FABIO,
servo duchessa TISBEA, pescatrice
BELISA,
contadina pescatore CORIDONE, pescatore GASENO, contadino BATRICIO, contadino RIPIO, servo [DONNA ANNA DI ULLOA] [AMINTA, contadina] [PRIMO SERVO] [SECONDO SERVO] ANFRISO,
ISABELLA,
1845
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
JORNADA PRIMERA Sale don Juan Tenorio e Isabela, duquesa. ISABELA DON JUAN ISABELA
DON JUAN ISABELA DON JUAN ISABELA DON JUAN ISABELA DON JUAN ISABELA DON JUAN ISABELA DON JUAN ISABELA
Duque Octavio, por aquí podrás salir más seguro. Duquesa, de nuevo os juro de cumplir el dulce sí. ¿Mis glorias serán verdades, promesas y ofrecimientos, regalos y cumplimientos, voluntades y amistades? Sí, mi bien. Quiero sacar una luz. Pues, ¿para qué? Para que el alma dé fe del bien que llego a gozar. Mataréte la luz yo. ¡Ah, cielo! ¿Quién eres, hombre? ¿Quién soy? Un hombre sin nombre. ¿Que no eres el duque? No. ¡Ah de palacio! Detente. Dame, duquesa, la mano. No me detengas, villano. ¡Ah del rey! ¡Soldados, gente! Sale el rey de Nápoles, con una vela en un candelero.
REY ISABELA REY DON JUAN
1846
¿Qué es esto? (¡El rey! ¡Ay, triste!) ¿Quién eres? ¿Qué ha de ser? Un hombre y una mujer.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entrano don Giovanni e Isabella, duchessa ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA
DON GIOVANNI ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA DON GIOVANNI ISABELLA
Duca Ottavio, per di qua potrai uscire più sicuro. Duchessa, di nuovo giuro che ti dirò il dolce sì. Sarà vera tanta gioia? Le promesse e le profferte, i regali e i complimenti, le intenzioni, il nostro amore? Sì, mio bene. Vado a prendere un lume. E perché mai? Perché il cuore si convinca della gioia che ora godo. E io te lo spengerò. Cielo! Uomo, ma chi sei? Chi? Un uomo senza nome! Ma non sei il Duca? No. Gente del palazzo! Ferma! Duchessa, dammi la mano. Non trattenermi, villano! Guardie del re! Gentiluomini!
Entra il re di Napoli con una candela in un candelabro. RE ISABELLA RE DON GIOVANNI
Che succede? (È il re, ohimè!) Chi sei? E chi sarà mai? Un uomo con una donna.
1847
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA REY
ISABELA
(Esto en prudencia consiste.) ¡Ah de mi guarda! Prendé a este hombre. ¡Ay, perdido honor!
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Vase Isabela. Sale don Pedro Tenorio, embajador de España, y guarda. [DON PEDRO] REY
¡En tu cuarto, gran señor voces! ¿Quién la causa fue? Don Pedro Tenorio, a vos esta prisión os encargo. Siendo corto, andad vos largo: mirad quién son estos dos. Y con secreto ha de ser, que algún mal suceso creo; porque si yo aquí lo veo, no me queda más que ver.
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Vase. DON PEDRO DON JUAN
DON PEDRO DON JUAN
DON PEDRO
¡Prendelde! ¿Quién ha de osar? Bien puedo perder la vida, mas ha de ir tan bien vendida que a alguno le ha de pesar. ¡Matalde! ¿Quién os engaña? Resuelto en morir estoy, porque caballero soy del embajador de España. Llegue; que solo ha de ser quien me rinda. Apartad; a ese cuarto os retirad todos con esa mujer. [Vanse]
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO RE
ISABELLA
(Qui bisogna esser prudenti). Olà, mie guardie! Arrestate quest’uomo. Ho perso il mio onore!
Esce Isabella. Entra don Pedro Tenorio, ambasciatore di Spagna, e guardie. [DON PEDRO] RE
Maestà, nelle vostre stanze grida? Che cos’è successo? Don Pedro Tenorio, a voi do il compito di arrestarli. In breve: guardate bene chi siano questi due. Vi raccomando il segreto, che credo sia un fatto grave, e se io qui lo vedo non ho altro da vedere. Esce.
DON PEDRO DON GIOVANNI
DON PEDRO DON GIOVANNI
DON PEDRO
Arrestatelo! Provateci! Posso perdere la vita, ma la venderò ben cara. Ve ne dovrete pentire! Uccidetelo! Davvero? Sono deciso a morire, perché sono un cavaliere dell’ambasciator di Spagna. Si faccia avanti: a lui solo m’arrenderò. Allontanatevi; entrate là, in quella stanza tutti voi, con questa donna. [Escono]. 1849
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
DON JUAN DON PEDRO DON JUAN DON PEDRO
DON JUAN
DON PEDRO
DON JUAN DON PEDRO
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Ya estamos solos los dos; muestra aquí tu esfuerzo y brío. Aunque tengo esfuerzo, tío, no le tengo para vos. Di quién eres. Ya lo digo: tu sobrino. (¡Ay, corazón, que temo alguna traición!) ¿Qué es lo que has hecho, enemigo? ¿Cómo estás de aquesta suerte? Dime presto lo que ha sido. ¡Desobediente, atrevido! Estoy por darte la muerte. Acaba. Tío y señor, mozo soy y mozo fuiste; y pues que de amor supiste, tenga disculpa mi amor. Y pues a decir me obligas la verdad, oye y diréla: yo engañé y gocé a Isabela, la duquesa. No prosigas, tente. ¿Cómo la engañaste? Habla quedo, y cierra el labio. Fingí ser el duque Octavio. No digas más. ¡Calla! ¡Bast[e]! (Perdido soy si el rey sabe este caso. ¿Qué he de hacer? Industria me ha de valer en un negocio tan grave). Di, vil, ¿no bastó emprender con ira y fuerza extraña tan gran traición en España con otra noble mujer, sino en Nápoles también,
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO
DON GIOVANNI DON PEDRO DON GIOVANNI DON PEDRO
DON GIOVANNI
DON PEDRO DON GIOVANNI DON PEDRO
Siamo rimasti soli; dimostra ora il tuo valore! Ne ho da vendere, zio, ma certo non contro voi! Di’, chi sei? Io l’ho già detto: tuo nipote! (Nel mio cuore temo qualche tradimento!) Cosa hai fatto, disgraziato? Come mai ti trovi qui? Dimmi che cosa è successo. Disobbediente, sfrontato!... Quasi vorrei ammazzarti! Parla, su! Zio e signore, son giovane, e lo sei stato: hai conosciuto l’amore e puoi scusarmi se amo. Siccome vuoi che ti dica la verità, ascolta, è questa: ho ingannato la duchessa Isabella e l’ho goduta. Non dire altro! L’hai ingannata? Parla piano, e poi silenzio! Ho finto d’essere Ottavio. Non dire altro, zitto, basta! (Son perduto se il re sa quel che è successo. Che faccio? Mi sia d’aiuto l’astuzia in un caso tanto grave). Disgraziato, non bastava il tradimento che in Spagna così brutalmente hai fatto a un’altra nobile dama? Ora perfino a Napoli,
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DON JUAN DON PEDRO DON JUAN DON PEDRO
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y en el palacio real, con mujer tan principal? ¡Castíguete el cielo, amén! Tu padre desde Castilla a Nápoles te envió, y en sus márgenes te dio tierra la espumosa orilla del mar de Italia, atendiendo que el haberte recebido pagaras agradecido, ¡y estás su honor ofendiendo, y en tan principal mujer! Pero en aquesta ocasión nos daña la dilación. Mira qué quieres hacer. No quiero daros disculpa, que la habré de dar siniestra; mi sangre es, señor, la vuestra; sacalda, y pague la culpa. A esos pies estoy rendido, y esta es mi espada, señor. Álzate, y muestra valor, que esa humildad me ha vencido. ¿Atreveraste a bajar por ese balcón? Sí atrevo, que alas en tu favor llevo. Pues yo te quiero ayudar. Vete a Sicilia o Milán, donde vivas encubierto. Luego me iré. ¿Cierto? Cierto. Mis cartas te avisarán en qué para este suceso triste, que causado has.
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e nel palazzo del re, a una donna di tal rango... Che Dio ti punisca, e amen! Tuo padre dalla Castiglia a Napoli t’ha mandato; e così sei approdato sulle spumeggianti coste d’Italia; ci si aspettava che la buona accoglienza l’avresti ben ripagata; e tu ne offendi l’onore, con una dama sì nobile! Ma ora ci reca danno ogni indugio. Che vuoi fare? Non voglio cercare scuse, sarebbe discolpa indegna. Zio, il mio sangue è vostro: spargetelo e lavi l’onta. Arreso qui, ai vostri piedi, io vi consegno la spada. Alzati, e fatti coraggio; la tua umiltà m’ha convinto. Te la senti di calarti da questo balcone? Sì! Il tuo aiuto mi dà le ali. Bene, voglio aiutarti. Vai in Sicilia, o a Milano, e lì vivi ben nascosto. Parto subito. Davvero? Davvero. Ti scriverò per dirti come finisce questo avvenimento triste, di cui sei stato la causa.
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA DON JUAN DON PEDRO DON JUAN
(Para mí alegre dirás.) Que tuve culpa confieso. Esa mocedad te engaña. Baja, pues, ese balcón. (Con tan justa pretensión, gozoso me parto a España).
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Vase don Juan y entra el Rey. DON PEDRO
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Ya ejecuté, gran señor, tu justicia justa y recta: el hombre... ¿Murió? Es[capose] de las cuchillas soberbias. ¿De qué forma? De esta forma: aun no lo mandaste apenas, cuando sin dar más disculpa, la espada en la mano aprieta, revuelve la capa al brazo, y con gallarda presteza, ofendiendo a los soldados y buscando su defensa, viendo vecina la muerte, por el balcón de la huerta se arroja desesperado. Siguiole con diligencia tu gente; cuando salieron por esa vecina puerta, le hallaron agonizando como enroscada culebra. Levantose, y al decir los soldados: «¡Muera, muera!», bañado con sangre el rostro, con tan heroica presteza
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(Per me allegro, vorrai dire). Confesso di esser colpevole. Colpa della giovinezza... Su, calati dal balcone. (Con questa bella speranza parto allegro per la Spagna). Esce Don Giovanni ed entra il re.
DON PEDRO
RE DON PEDRO RE DON PEDRO
Mentre stavo eseguendo i vostri ordini, Signore, quell’uomo... È morto? È sfuggito alle spade valorose. E in che modo? In questo modo. Lo avevi appena ordinato, quando, invece di scolparsi, sguainata la sua spada, avvolge la cappa al braccio, e con ardita prontezza, scagliandosi sui soldati e cercando la salvezza dalla morte ormai vicina, dal balcone del giardino si getta alla disperata. Lo ha seguito con prontezza la tua gente; sono usciti da questa porta qui accanto, e lo han trovato morente come serpe attorcigliata. Ma mentre loro gridavano «a morte, a morte!» si è alzato con il viso insanguinato, con rapidità e coraggio è fuggito, mentre io 1855
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REY DON PEDRO REY
se fue, que quedé confuso. La mujer, que es Isabela, que para admirarte nombro, retirada en esa pieza, dice que es el duque Octavio que, con engaño y cautela, la gozó. ¿Qué dices? Digo lo que ella propia confiesa. (¡Ah, pobre honor! Si eres alma del [hombre], ¿por qué te dejan en la mujer inconstante, si es la misma ligereza?) ¡Hola!
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Sale un criado. CRIADO REY
DON PEDRO
¿Gran señor? Traed delante de mi presencia esa mujer. Ya la guardia viene, gran señor, con ella.
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Trae la guarda a Isabela. ISABELA REY
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(¿Con qué ojos veré al rey?) Idos, y guardad la puerta de esa cuadra. Di, mujer, ¿qué rigor, qué airada estrella te incitó, que en mi palacio, con hermosura y soberbia, profanases sus umbrales? Señor... Calla, que la lengua no podrá dorar el yerro
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RE DON PEDRO RE
sono rimasto confuso. La donna, che è Isabella – e lo dico per stupirti – sorvegliata in questa stanza, dice che è il duca Ottavio, che con l’astuzia e l’inganno l’ha sedotta. Cosa dici? È lei stessa a confessarlo. (Povero onore, se sei vita dell’uomo, perché vieni affidato alla donna, così incostante e leggera?) Olà! Entra un servo.
SERVO RE DON PEDRO
Signore... Portate al mio cospetto la donna. La guardia già la conduce. Le guardie conducono Isabella.
ISABELLA RE
ISABELLA RE
(Potrò mai guardare il re?) Uscite e state all’ingresso di questa sala. Di’, donna, che errore, che fato avverso, ti spinse a profanare le stanze del mio palazzo, con la tua bellezza altera? Signore... Taci! La lingua non potrà scusare il fallo
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
ISABELA REY
ISABELA REY
que has cometido en mi ofensa. ¿Aquel era el duque Octavio? Señor... No importan fuerzas, guardas, criados, murallas, fortalecidas almenas, para amor, que la de un niño hasta los muros penetra. Don Pedro Tenorio, al punto a esa mujer llevad presa a una torre, y con secreto haced que al duque le prendan; que quiero hacer que le cumpla la palabra, o la promesa. ¡Gran señor, volvedme el rostro! Ofensa a mi espalda hecha, es justicia y es razón castigalla a espaldas vueltas.
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Vase el Rey. DON PEDRO ISABELA
Vamos, duquesa. Mi culpa no hay disculpa que la venza, mas no será el yerro tanto si el duque Octavio lo enmienda.
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Vanse, y sale el duque Octavio y Ripio, su criado. RIPIO OCTAVIO
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¿Tan de mañana, señor, te levantas? No hay sosiego que pueda apagar el fuego que enciende en mi alma Amor. Porque, como al fin es niño, no apetece cama blanda,
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che hai commesso e che m’offende. Era costui il duca Ottavio? Signore... Dunque non bastano servi, guardiani, bastioni, fortezze contro l’amore; così la forza di un bimbo trapassa anche le muraglie! Don Pedro Tenorio, subito rinchiudete questa donna in una torre, e in segreto fate arrestare il duca: voglio fargli mantenere la parola o la promessa. Guardatemi, mio Signore! Un’offesa che è stata fatta alle mie spalle è giusto e saggio che la punisca proprio dandovi le spalle.
ISABELLA RE
ISABELLA RE
Esce il re. DON PEDRO ISABELLA
Duchessa, andiamo. Il mio errore non può essere scusato, ma non sarà tanto grave se il duca Ottavio lo emenda.
Escono, ed entrano il duca Ottavio e il suo servo Ripio. RIPIO OTTAVIO
Così presto, o signore, ti sei levato? Non c’è riposo che possa spengere il fuoco con cui Amore m’accende l’anima. Infine è un bambino: non gli piace 1859
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entre regalada holanda, cubierta de blanco armiño. Acuéstase, no sosiega, siempre quiere madrugar por levantarse a jugar, que al fin como niño juega. Pensamientos de Isabela me tienen, amigo, en calma, que como vive en el alma, anda el cuerpo siempre en [vela], guardando, ausente y presente, el castillo del honor. Perdóname, que tu amor es amor impertinente. ¿Qué dices, necio? Esto digo: impertinencia es amar como amas.¿[Quies] escuchar? Prosigue. Ya prosigo. ¿Quiérete Isabela a ti? ¿Eso, necio, has de dudar? No, mas quiero preguntar: ¿y tú no la quieres? Sí. Pues, ¿no seré majadero, y de solar conocido, si pierdo yo mi sentido por quien me quiere y la quiero? Si ella a ti no te quisiera, fuera bien el porfïalla, regalalla y adoralla, y aguardar que se rindiera; mas si los dos os queréis con una mesma igualdad,
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il letto, anche se soffice, lenzuola di tela fino con coperte d’ermellino. Si corica, non riposa, e si sveglia di buon’ora per alzarsi e per giocare: perché è un bimbo, e quindi gioca. Il pensiero d’Isabella, amico, mi rende inquieto: siccome mi riempie l’anima, il mio corpo è sempre a guardia, che sia assente o presente, del castello dell’onore. Scusami, ma questo amore è un amore impertinente. Che dici, sciocco? Dico che è impertinenza amare come ami. Mi vuoi ascoltare? Su, dimmi. Bene, lo dico. Ti ama Isabella? Stupido! E lo puoi mettere in dubbio? No, ma voglio domandare: e tu non l’ami? Sì, l’amo. Allora, non è da sciocco, e di quelli patentati, se perdessi il cervello per chi amo e mi riama? Ora, se lei non ti amasse, capisco il corteggiarla, farle regali, adorarla, aspettando la sua resa; ma se vi amate entrambi, e nella stessa misura, 1861
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dime, ¿hay más dificultad de que luego os desposéis? Eso fuera, necio, a ser de lacayo o lavandera la boda. Pues, ¿es quienquiera una lavandriz mujer, lavando y fregatrizando, defendiendo y ofendiendo, los paños suyos tendiendo, regalando y remendando? Dando, dije, porque al dar no hay cosa que se le iguale, y si no, a Isabela dale, a ver si sabe tomar.
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Sale un criado. CRIADO
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El embajador de España en este punto se apea en el zaguán, y desea, con ira y fiereza extraña, hablarte, y si no entendí yo mal, entiendo es prisión. ¿Prisión? Pues, ¿por qué ocasión? Decid que entre.
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Entra don Pedro Tenorio con guardas. DON PEDRO
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Quien así con tanto descuido duerme, limpia tiene la conciencia. Cuando viene vuexcelencia a honrarme y favorecerme, no es justo que duerma yo;
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dimmi: che cosa si oppone a che vi sposiate subito? E così sarebbe, sciocco, se le nostre nozze fossero tra un lacchè e una lavandaia. E ti par che sia dappoco una dama lavatrice, che lava e che strofina, e che difende ed offende i panni sporchi, li tende, li accomoda e li rammenda? E ho detto rammendare, perché in amore il dare qualsiasi cosa supera; se non ci credi, prova a «dare» alla tua Isabella, e vedrai se saprà «prendere». Entra un servo.
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L’ambasciatore di Spagna è smontato proprio ora nel cortile, e vuol parlarti, con strana e irosa durezza: se non ho capito male è qui per portarti in carcere. Carcere? E per che motivo? Fatelo entrare. Entrano don Pedro Tenorio e guardie.
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A quest’ora chi così tranquillo dorme ha la coscienza pulita. Quando viene Vostra Grazia a onorarmi e favorirmi non è giusto che io dorma; 1863
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DON PEDRO OCTAVIO
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velaré toda mi vida. ¿A qué y por qué es la venida? Porque aquí el rey me envió. Si el rey, mi señor, se acuerda de mí en aquesta ocasión, será justicia y razón que por él la vida pierda. Decidme, señor, ¿qué dicha o qué estrella me ha guiado, que de mí el rey se ha acordado? Fue, duque, vuestra desdicha. Embajador del rey soy; dél os traigo una embajada. Marqués, no me inquieta nada; decid, que aguardando estoy. A prenderos me ha enviado el rey; no os alborotéis. ¿Vos por el rey me prendéis? Pues, ¿en qué he sido culpado? Mejor lo sabéis que yo, mas, por si acaso me engaño, escuchad el desengaño, y a lo que el rey me envió. Cuando los negros gigantes, plegando funestos [t]oldos, y[a] del crepúsculo huyen, tropezando unos con otros, estando yo con su alteza, tratando ciertos negocios, porque antípodas del sol son siempre los poderosos, voces de mujer oímos, cuyos ecos, menos roncos por los artesones sacros, nos repitieron «¡Socorro!». A las voces y al rüido
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d’ora in poi starò ben sveglio. A che devo il vostro arrivo? È il re che qui mi ha inviato. Se il re, mio signore, oggi di me si vuol ricordare sarà giusto e ragionevole dare per lui anche la vita. Ditemi: quale fortuna, signore, quale occasione ha fatto in modo che il re di me si sia ricordato? La vostra disgrazia, duca. Sono del re ambasciatore: vi porto una sua ambasciata. Marchese, non ho timori; ditemi, che sto aspettando. Ad arrestarvi mi manda il re; rimanete calmo. In nome del re arrestarmi!... E di che sarei colpevole? Meglio di me lo sapete; ma se per caso m’inganno ascoltate il disinganno e a cosa il re mi ha inviato. Quando i neri giganti piegano i funesti drappi e fuggono all’albeggiare, urtandosi l’un con l’altro, mentre ero con sua altezza a trattare certi affari – perché sempre i potenti sono antipodi del sole – udimmo grida di donna i cui echi, attutiti dai soffitti della reggia, ripetevano «Soccorso!» Alle grida ed al rumore 1865
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acudió, duque, el rey propio, halló a Isabel a en los brazos de algún hombre poderoso; mas quien al cielo se atreve sin duda es gigante o monstruo. Mandó el rey que los prendiera, quedé con el hombre solo. Llegué y quise desarmalle, pero pienso que el demonio en él tomó forma humana, pues que, vuelto en humo y polvo, se arrojó por los balcones, entre los pies de esos olmos, que coronan del palacio los chapiteles hermosos. Hice prender la duquesa, y en la presencia de todos dice que es el duque Octavio el que con mano de esposo la gozó. ¿Qué dices? Digo lo que al mundo es ya notorio y que tan claro se sabe, que Isabela, por mil modos... ¡Dejadme! No me digáis tan gran traición de Isabela. (¿Mas si fue su honor cautela?) Proseguid; ¿por qué calláis? ¡Mas si veneno me dais que a un firme corazón toca, y así a decir me provoca que imita a la comadreja, que concibe por la oreja, para parir por la boca! ¿Será verdad que Isabela, alma, se olvidó de mí
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accorse, duca, il re stesso, e Isabella tra le braccia trovò di un uomo potente, che chi osa sfidare il cielo o è un gigante o è un mostro. Il re ordinò d’arrestarli; rimasi solo con l’uomo, mi avvicinai a disarmarlo, ma penso che il demonio in lui prese forma umana, giacché, come fumo e polvere, si gettò giù dal balcone, ai piedi di quegli olmi che ornano del palazzo le architetture fastose. Ho arrestato la duchessa, che alla presenza di tutti ha detto che il duca Ottavio, promettendo di sposarla, l’ha posseduta. Che? Dico quello che tutti ormai sanno come cosa acclarata, che Isabella, in mille modi... Smettete! Non mi dite d’Isabella il tradimento! (Ma se è stata una sua astuzia...) Continuate, parlate! Voi mi date un veleno per il mio costante cuore, e mi spingete a dire che alla donnola assomiglia fecondata dall’orecchio, che si sgrava dalla bocca. Possibile che Isabella, anima mia, m’ha scordato 1867
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para darme muerte? Sí, que el bien suena y el mal vuela. Ya el pecho nada recela, juzgando si son antojos; que, por darme más enojos, al entendimiento entró y por la oreja escuchó lo que acreditan los ojos. Señor marqués, ¿es posible que Isabela me ha engañado y que mi amor ha burlado? ¡Parece cosa imposible! ¡Oh, mujer! ¡Ley tan terrible de honor, a quien me provoco a emprender! Mas ya no toco en tu honor esta cautela. ¿Anoche con Isabela hombre en palacio...? ¡Estoy loco! Como es verdad que en los vientos hay aves, en el mar peces, que participan a veces de todos cuatro elementos; como en la gloria hay contentos, lealtad en el buen amigo, traición en el enemigo, en la noche escuridad, y en el día claridad, así es verdad lo que digo. Marqués, yo os quiero creer: no hay cosa que me espante, que la mujer más constante es, en efeto, mujer. No me queda más que ver, pues es patente mi agravio.
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e mi ha dato la morte? Sì: perché «il bene si sente, ma il male invece rimbomba». Il cuore nulla più teme, pensando che sia illusione; per angosciarmi di più m’è entrato nel cervello e dall’orecchio ha ascoltato, quello che gli occhi confermano. Signor marchese, possibile che Isabella m’ha ingannato ed ha irriso il mio amore? Sembra una cosa impossibile! Oh donna! Legge terribile dell’onore, che mi accingo a seguire! E tuttavia questo inganno con l’onore ha poco a vedere! Iernotte un uomo con Isabella a palazzo... Io impazzisco! Come ci sono nell’aria uccelli, nel mare pesci, che a volte sono partecipi di ognuno degli elementi, se c’è gioia nella gloria, nel buon amico lealtà, tradimento nel nemico, nella notte oscurità, e nel giorno pura luce, così è vero quel che dico. Marchese, io voglio credervi. Più nulla mi può stupire, se la donna più fedele è, in fin dei conti, una donna. Non c’è altro da vedere, poiché il mio affronto è palese.
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Pues que sois prudente y sabio, elegid el mejor medio. Ausentarme es mi remedio. Pues sea presto, duque Otavio. Embarcarme quiero a España, y darle a mis males fin. Por la puerta del jardín, duque, esta prisión se engaña. ¡Ah, veleta! ¡Débil caña! A más furor me provoco y extrañas provincias toco huyendo de esta cautela. ¡Patria, adiós! ¿Con Isabela hombre en palacio?... ¡Estoy loco!
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Vanse y sale Tisbea, pescadora, con una caña de pescar en la mano. TISBEA
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Yo, de cuantas el mar pies de jazmín y rosa en sus riberas besa, con fugitivas olas sola de amor exenta, como en ventura sola, tirana me reservo de sus prisiones locas. Aquí donde el sol pisa soñolientas las ondas, alegrando zafiros las que espantaba sombras, por la menuda arena, unas veces aljófar, y átomos otras veces del sol, que así le adora, oyendo de las aves las quejas amorosas, y los combates dulces del agua entre las rocas,
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Voi siete saggio e prudente: scegliete il miglior rimedio. Il solo rimedio è andarmene. Allora fatelo in fretta. Mi imbarcherò per la Spagna, e porrò fine ai miei mali. Per la porta del giardino, duca, potete fuggire. Ah, donna leggera e vana! Si riaccende il mio furore, e devo andare lontano, sfuggendo a questo raggiro. Patria addio! A palazzo un uomo con Isabella? Impazzisco!
Escono ed entra Tisbea, pescatrice, con una canna da pesca in mano. TISBEA
Io, tra quante – piedini di gelsomino e rosa – il mare sulla riva bacia con fugaci onde, sola da amore libera, e sola fortunata, sto lontana, impassibile, dalla sua prigionia; qui, dove il sole sfiora le onde sonnolente, rallegrando zaffiri e spaventando ombre, sulla sabbia sottile (a volte madreperla, oppure atomi d’oro del sole che l’adora), ascolto degli uccelli i lamenti amorosi e le dolci battaglie dell’acqua tra gli scogli; 1871
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ya con la sutil caña que al débil peso dobla del necio pececillo que el mar salado azota, o ya con la atarraya, que en sus moradas hondas prenden cuantos habitan aposentos de conchas, seguramente tengo que en libertad se goza el alma, que amor áspid no le ofende ponzoña. En pequeñuelo esquife y ya en compañía de otras, tal vez al mar le peino la cabeza espumosa, y cuando más perdidas querellas de amor forman, como de todos río, envidia soy de todas. ¡Dichosa yo mil veces, Amor, pues me perdonas, si ya por ser humilde, no desprecias mi choza! Obeliscos de paja mi edificio coronan, nidos, si no hay cigarras, [a] tortolillas locas. Mi honor conservo en pajas como fruta sabrosa, vidrio guardado en ellas para que no se rompa. De cuantos pescadores con fuego Tarragona de piratas defiende en la argentada costa,
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a volte con la canna piegata sotto il peso del pesciolino sciocco che sferza il mar salato, a volte con la rete – che nelle onde azzurre cattura quanti vivono in case di conchiglia – mi intrattengo, sicura, che l’anima si allieta se è libera: l’amore, come se fosse un aspide, non la può avvelenare. In una barca piccola, insieme a alcune amiche, a volte al mare pettino la testa spumeggiante; e quando disperate dell’amore si dolgono, siccome me ne rido, son l’invidia di tutte. Felice mille volte, che mi risparmi, o Amore, o se per troppo umile sprezzi la mia capanna. Obelischi di paglia la mia casa coronano, nidi vuoi di cicale che di tortore pazze. L’onore tra la paglia serbo, come la frutta, o come si conserva un vetro per non romperlo. E quanti pescatori coi falò Tarragona protegge dai pirati sulla costa d’argento, 1873
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desprecio soy, encanto a sus suspiros sorda, a sus ruegos terrible, a sus promesas roca. Anfriso, a quien el cielo con mano poderosa, prodigio en cuerpo y alma, [dotó de] gracias todas, medido en las palabras, liberal en las obras, sufrido en los desdenes, modesto en las congojas, mis pajizos umbrales, que heladas noches ronda, a pesar de los tiempos las mañanas remoza; pues [ya] con ramos verdes que de los olmos corta, mis pajas amanecen ceñidas de lisonjas; ya con vigüelas dulces y sutiles zampoñas músicas me consagra, y todo no le importa, porque en tirano imperio vivo, de amor señora, que halla gusto en sus penas y en sus infiernos gloria. Todas por él se mueren, y yo todas las horas le mato con desdenes: de amor condición propia, querer donde aborrecen, despreciar donde adoran, que si le alegran muere, y vive si le oprobian. En tan alegre día, 1874
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io disprezzo ed incanto, sorda ai loro sospiri, aspra alle loro suppliche e roccia alle promesse. Anfriso, al quale il cielo con mano onnipotente ogni grazia ha concesso, prodigio in corpo ed anima, prudente nel parlare, liberale nel fare, paziente ai miei dinieghi, modesto nei lamenti, nelle gelide notti e con qualsiasi tempo la capanna di paglia all’alba mi rinnova, poiché coi rami verdi, che dagli olmi recide, la capanna si sveglia guarnita d’ornamenti. Poi con dolci chitarre e con fini zampogne musiche mi consacra; e non gli importa niente che io viva superba, padrona dell’amore; le sue pene gli piacciono, il suo inferno gli è gloria. Tutte per lui si struggono, ed io in ogni momento lo uccido con gli sdegni: regola dell’amore è amare chi ci spezza, sprezzare chi ci adora; muore se lo soddisfano, vive se lo disprezzano. In giorni così allegri, 1875
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segura de lisonjas, mis juveniles años amor no los malogra; que en edad tan florida, Amor, no es suerte poca no ver, tratando en redes, las tuyas amorosas. Pero, necio discurso que mi ejercicio estorbas, en él no me diviertas en cosa que no importa. Quiero entregar la caña al viento, y a la boca del pececillo [e]l cebo. ¡Pero al agua se arrojan dos hombres de una nave, antes que el mar la sorba, que sobre el agua viene, y en un escollo aborda! Como hermoso pavón hace las velas cola, adonde los pilotos todos los ojos pongan. Las olas va escarbando, y ya su orgullo y pompa casi la desvanece; agua un costado toma. Hundióse, y dejó al viento la gavia, que la escoja para morada suya, que un loco en gavias mora. ¡Qué me ahogo! Un hombre a otro aguarda que dice que se ahoga. ¡Gallarda cortesía! En los hombros le toma. Anquises le hace Eneas,
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al riparo da inganni, i miei giovani anni amore non li turba; in età tanto lieta, Amore, è gran fortuna che tra le reti manchino quelle tue amorose. Basta, sciocco parlare, mi impedisci il lavoro con cose trascurabili. Voglio lanciare al vento la canna, ed alla bocca del pesciolino l’esca. Ma vedo ora due uomini che si buttano in acqua, prima che il mare inghiotta una nave che è andata sopra uno scoglio a battere, che come un bel pavone fa delle vele coda, dove di ogni pilota si affissano gli occhi. Fa un solco in mezzo alle onde: l’orgoglio, la sua pompa, l’hanno fatta impazzire. Un fianco assorbe l’acqua... Affonda, lascia al vento la gabbia, che la scelga per sua dimora: un pazzo deve star chiuso in gabbia! Affogo! Un uomo aiuta un altro che dice di affogare. Che nobile coraggio! Lo prende sulle spalle, come Enea con Anchise,
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si el mar está hecho Troya. Ya, nadando, las aguas con valentía corta, y en la playa no veo quien le ampare y socorra. Daré voces: ¡Tirseo, Anfriso, Alfredo, hola! Pescadores me miran, plega a Dios que me oigan. Mas milagrosamente ya tierra los dos toman, sin aliento el que nada, con vida el que le estorba.
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Saca en brazos Catalinón a don Juan, mojados. CATALINÓN
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¡Válgame la Cananea, y qué salado es el mar! Aquí puede bien nadar el que salvarse desea, que allá dentro es desatino donde la muerte se fragua. ¿Dónde Dios juntó tanta agua, no juntara tanto vino? Agua salada, extremada cosa para quien no pesca. Si es mala aun el agua fresca, ¿qué será el agua salada? ¡Oh, quién hallara una fragua de vino, aunque algo encendido! Si de la agua que he bebido escapo yo, no más agua. Desde hoy abernuncio della, que la devoción me quita tanto, que agua bendita no pienso ver, por no vella. ¡Ah, señor! Helado [y frío]
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in un mare che è Troia. Già fendendo le acque nuota con gran valore, ma non c’è sulla riva chi lo aiuti e soccorra. Chiamerò aiuto. Su, Tirseo, Anfriso, Alfredo! M’han visto i pescatori: Dio voglia che mi sentano! Ma come per miracolo i due giungono a terra: quello che nuota esausto, ma l’altro si è salvato. Catalinón porta in braccio don Giovanni; bagnati. CATALINÓN
Che la Cananea mi salvi! Ma com’è salato il mare! È meglio nuotare a terra, se ci si vuole salvare, che laggiù dentro è da pazzi! Là si prepara la morte: Dio ci ha versato troppa acqua; poteva metterci vino! L’acqua salata: che bella cosa per chi non va a pesca! Se è cattiva l’acqua fresca, che sarà quella salata? Se trovassi una fucina di vino, anche un po’ passato! Se dall’acqua che ho bevuto io mi salvo, mai più acqua! Fin da oggi ci abrenuntio, mi leva la devozione: per non vederla, nemmeno vo’ vedere l’acqua santa. Signore! È gelato e freddo. 1879
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está. ¡Señor! ¿Si está muerto? Del mar fue este desconcierto, y mío este desvarío. ¡Mal haya aquel que primero pinos en la mar sembró, y que sus rumbos midió con quebradizo madero! ¡Maldito sea el vil sastre que cosió el mar, que dibuja con astronómica aguja, causa de tanto desastre! ¡Maldito sea Jasón, y Tifis maldito sea! Muerto está. No hay quien lo crea. ¡Mísero Catalinón! ¿Qué he de hacer? Hombre, ¿qué tienes en desventuras iguales? Pescadora, muchos males, y falta de muchos bienes. Veo, por librarme a mí, sin vida a mi señor. Mira si es verdad. No, que aún respira. ¿Por dónde, por aquí? Sí; pues, ¿por dónde? Bien podía respirar por otra parte. Necio estás. Quiero besarte las manos de nieve fría. Ve a llamar los pescadores que en aquella choza están. Y si los llamo, ¿vernán? Vendrán presto, no lo ignores. ¿Quién es este caballero?
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Non sarà mica già morto? Questo è colpa del mare, e io sto dando i numeri! Disgraziato chi per primo seminò di alberi il mare, e misurò le sue rotte con così fragili legni! Maledetto il sarto vile che cucì il mare, e disegna con un ago astronomico, causa di tanti disastri! E maledetto Giasone, e maledetto anche Tifi! È morto! Non posso crederci! Misero Catalinón! Che posso fare? Cos’hai, in tutte queste disgrazie? Pescatrice, molti mali, i beni invece mi mancano. Vedo, per salvare me, senza vita il mio signore. Guarda! Ma no, che respira. Da dove? Da qui? Ma certo! da dove, se no? Eh, potrebbe sfiatare da un’altra parte! Ma che sciocco! Vo’ baciarti le mani bianche, di neve. Va’ a chiamare i pescatori che sono in quella capanna. E se li chiamo, verranno? Subito, non dubitare. Chi è questo cavaliere? 1881
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Es hijo aqueste señor del camarero mayor del rey, por quien ser espero antes de seis días conde en Sevilla, donde va, y adonde su alteza está, si a mi amistad corresponde. ¿Cómo se llama? Don Juan Tenorio. Llama mi gente. Ya voy.
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Vase. Coge en el regazo Tisbea a don Juan. TISBEA
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Mancebo excelente, gallardo, noble y galán. Volved en vos, caballero. ¿Dónde estoy? Ya podéis ver; en brazos de una mujer. Vivo en vos, si en el mar muero. Ya perdí todo el recelo que me pudiera anegar, pues del infierno del mar salgo a vuestro claro cielo. Un espantoso huracán dio con mi nave al través, para arrojarme a esos pies, que abrigo y puerto me dan. Y en vuestro divino oriente renazco, y no hay que espantar, pues veis que hay de amar a mar una letra solamente. Muy grande aliento tenéis para venir [sin aliento], y [tras] de tanto tormento,
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È figlio, questo signore, del Cameriere Maggiore del re, e per questo spero che tra sei giorni sarò conte a Siviglia, in premio della mia amicizia: va là, dove il re risiede. E si chiama? Don Giovanni Tenorio. Chiama i miei amici. Subito. Esce. Tisbea prende in grembo don Giovanni.
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DON GIOVANNI TISBEA DON GIOVANNI
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Che bel ragazzo, nobile, fine, elegante! Tornate in voi, cavaliere! Dove sono? Lo vedete: tra le braccia di una donna. Muoio in mare e in voi rivivo! Ho perso tutto il timore di potere affogare: ché dall’inferno del mare salgo al vostro chiaro cielo. Una tempesta orribile ha sommerso la mia nave, per gettarmi a questi piedi che mi danno porto e asilo. Nel vostro oriente divino rinasco, e non mi stupisce, se c’è tra amare e mare solo una lettera in più. Fiato ne avete un bel po’, per venire senza fiato, e dopo tanta tormenta 1883
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mucho tormento ofrecéis. Pero si es tormento el mar y son sus ondas crüeles, la fuerza de los cordeles, pienso que os hacen hablar. Sin duda que habéis bebido del mar la oración pasada, pues por ser de agua salada con tan grande sal ha sido. Mucho habláis cuando no habláis, y cuando muerto venís mucho al parecer sentís, ¡plega a Dios que no mintáis! Parecéis caballo griego que el mar a mis pies desagua, pues venís formado de agua y estáis preñado de fuego. Y si mojado abrasáis, estando enjuto, ¿qué haréis? Mucho fuego prometéis, ¡plega a Dios que no mintáis! A Dios, zagala, pluguiera que en el agua me anegara para que cuerdo acabara y loco en vos no muriera; que el mar pudiera anegarme entre sus olas de plata que sus límites desata, mas no pudiera abrasarme. Gran parte del sol mostráis, pues que el sol os da licencia, pues solo con la apariencia, siendo de nieve, abrasáis. Por más helado que estáis, tanto fuego en vos tenéis, que en este mío os ardéis. ¡Plega a Dios que no mintáis!
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date tormento agli altri. Ma se il mare è tormento, con le sue onde crudeli, saranno i tratti di corda che vi fanno parlar tanto... Certo vi siete bevuto nel mare questo discorso: siccome è d’acqua salata, è stato ben saporito. Parlate quando tacete; se venite mezzo morto conservate i vostri sensi: Dio voglia che non mentiate! Come un cavallo di Troia che il mare getta ai miei piedi, venite inzuppato d’acqua e siete pieno di fuoco. E se bagnato bruciate, cosa farete, da asciutto? Molto fuoco promettete: Dio voglia che non mentiate! Che Dio volesse, ragazza, che fossi annegato in acqua, per morire ancora saggio e non da pazzo per voi; potevo affogare in mare, tra le sue onde d’argento, mare immenso, senza limiti, e non mi sarei bruciato. Somigliate molto al sole, ed il sole vi concede di bruciare, essendo neve, e solo con il mostravi. Anche se siete gelato avete in voi tanto fuoco che vi bruciate nel mio. Dio voglia che non mentiate! 1885
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
Sale Catalinón, Coridón y Anfriso, pescadores. CATALINÓN TISBEA DON JUAN CORIDÓN TISBEA CORIDÓN
TISBEA
1886
Ya vienen todos aquí. Y ya está tu dueño vivo. Con tu presencia recibo el aliento que perdí. ¿Qué nos mandas? Coridón, Anfriso, amigos... Todos buscamos por varios modos esta dichosa ocasión. Di lo que mandas, Tisbea, que por labios de clavel no lo habrás mandado a aquel que idolotrarte desea apenas, cuando al momento, sin cesar, en llano o sierra, surque el mar, tale la tierra, pise el fuego [y pare] el viento… (¡Oh, qué mal me parecían estas lisonjas ayer, y hoy echo en ellas de ver que sus labios no mentían!) Estando, amigos, pescando sobre este peñasco, vi hundirse una nave allí, y entre las olas nadando dos hombres; y compasiva di voces, y nadie oyó; y en tanta aflicción llegó libre de la furia esquiva del mar, sin vida a la arena, de este en los hombros cargado, un hidalgo, y anegado;
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Entrano Catalinón, Coridón e Anfrisio, pescatori CATALINÓN TISBEA DON GIOVANNI CORIDÓN TISBEA CORIDÓN
TISBEA
Ecco che vengono tutti. Il tuo padrone sta bene. La tua presenza mi dà tutto il vigore perduto. Che facciamo? Coridón, Anfrisio, amici... Noi tutti cercavamo in vari modi, questa felice occasione. Dicci cosa vuoi, Tisbea; appena lo avranno espresso le tue labbra di garofano – che tutti noi ti adoriamo – chiunque, immediatamente, senza fermarsi, sui monti o al piano, solcherà mari, spoglierà terre, il fuoco calcherà, fermerà il vento. (Ohimè, come disprezzavo ieri queste lusinghe, e invece oggi mi accorgo che son parole sincere!) Amici, stavo pescando su questo scoglio, e ho visto là una nave che affondava, e che tra le onde nuotavano due uomini; impietosita grido, e nessuno mi sente; mi dispero, ma ecco arriva libero dalla furia del mare, ma quasi esanime, alla spiaggia, caricato sulle spalle di questo, quasi annegato, un nobile; 1887
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
ANFRISO
TISBEA
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CORIDÓN
ANFRISO
DON JUAN TISBEA DON JUAN TISBEA DON JUAN TISBEA
1888
y envuelta en tan triste pena, a llamaros envié. Pues aquí todos estamos, manda que en tu gusto hagamos, lo que pensado no fue. Que a mi choza los llevemos quiero, donde, agradecidos, reparemos sus vestidos y a ellos regalaremos, que mi padre gusta mucho de esta debida piedad. (¡Extremada es su beldad! Escucha aparte. Ya escucho. Si te pregunta quién soy, di que no sabes. ¡A mí!... ¿Quieres advertirme a mí lo que he de hacer? Muerto voy por la hermosa [pesc]adora. ¡Esta noche he de gozalla! ¿De qué suerte? Ven y calla.) Anfriso, dentro de un hora [los pescadores prevén] que canten y bailen. Vamos, y esta noche nos hagamos rajas y palos también. Muerto soy. ¿Cómo, si andáis? Ando en pena, como veis. Mucho habláis. Mucho entendéis. ¡Plega a Dios que no mintáis!
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ANFRISO
TISBEA
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CORIDÓN
ANFRISO
DON GIOVANNI TISBEA DON GIOVANNI TISBEA DON GIOVANNI TISBEA
e molto preoccupata io v’ho mandati a chiamare. Eccoci, siamo qua tutti, dicci che vuoi che facciamo; anche se siamo sorpresi. Portiamoli a casa mia, ripareremo i vestiti, e poi li ristoreremo: a mio padre piace molto questa pietà doverosa. (Stupenda è la sua bellezza. Sentimi bene. Ti sento. Se ti domanda chi sono di’ che non lo sai. A me vuoi insegnare che cosa devo fare? Sto morendo per la bella pescatrice. Stanotte la farò mia. E in che modo? Vieni e taci). Anfriso, di’ ai pescatori che tra un’ora siano pronti per cantare e per ballare. Andiamo, e questa notte balliamo fino a sentirci a pezzi, anzi distrutti. Sono morto! E camminate? Ma disperato: lo vedi. Dite troppo. E voi capite. Dio voglia che non mentiate!
1889
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
Vanse. Sale don Gonzalo de Ulloa y el rey don Alonso de Castilla. REY DON GONZALO
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REY
DON GONZALO
REY
DON GONZALO REY DON GONZALO
REY DON GONZALO
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¿Cómo os ha sucedido en la embajada, Comendador Mayor? Hallé en Lisboa al rey don Juan, tu primo, previniendo treinta naves de armada. ¿Y para dónde? Para Goa me dijo, mas yo entiendo que a otra empresa más fácil apercibe. A Ceuta o Tánger pienso que pretende cercar este verano. Dios le ayude, y premie el celo de aumentar su gloria. ¿Qué es lo que concertasteis? Señor, pide a Cerpa y Mora, y Olivencia y Toro; y por eso te vuelve a Villaverde, al Almendral, a Mértola y Herrera entre Castilla y Portugal. Al punto se firmen los conciertos, don Gonzalo. Mas decidme primero cómo ha ido en el camino, que vendréis cansado, y alcanzado también. Para serviros, nunca, señor, me canso. ¿Es buena tierra Lisboa? La mayor ciudad de España. Y si mandas que diga lo que he visto de lo exterior y célebre, en un punto en tu presencia te pondré un retrato. Gustaré de oíllo. Dadme silla. Es Lisboa una otava maravilla. De las entrañas de España, que son las tierras de Cuenca,
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Escono. Entrano don Gonzalo de Ulloa e il re Alfonso di Castiglia. RE DON GONZALO
RE DON GONZALO
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DON GONZALO
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DON GONZALO RE DON GONZALO
RE DON GONZALO
Come si è svolta la vostra ambasciata, Commendatore Maggiore? Ho trovato a Lisbona re Juan, vostro cugino, che trenta navi stava apparecchiando. Per dove? Per Goa mi disse, ma credo che un’impresa più facile prepari. Penso voglia assalire Ceuta o Tangeri quest’estate. Che Dio l’assista e premi lo zelo con cui accresce la sua gloria. Che accordi avete preso? Egli vorrebbe Serpa e Mora, e Olivenza e Toro; e ti darebbe in cambio Villaverde, Mértola, Herrera ed Almendral, paesi tra la Castiglia e il Portogallo. Subito sia firmato il trattato, don Gonzalo. Ma prima raccontatemi il viaggio; sarete affaticato. Non mi stanco quando vi servo, Maestà. Ed è bella Lisbona? È la più grande della Spagna. E se vuoi che ti dica quel che ho visto del panorama e dei suoi monumenti, in tua presenza ne farò un ritratto. Mi piacerà ascoltarlo. Qua, una sedia. È Lisbona un’ottava meraviglia. Dal cuore stesso di Spagna, che son le terre di Cuenca,
1891
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
nace el caudaloso Tajo, que media España atraviesa. Entra en el mar Oceano, en las sagradas riberas de esta ciudad por la parte del sur, mas antes que pierda su curso y su claro nombre hace un cuarto entre dos sierras, donde está[n] de todo el orbe barcas, naves, caravelas. Hay galeras y saetías tantas, que desde la tierra parece una gran ciudad adonde Neptuno reina. A la parte del poniente guardan del puerto dos fuerzas de Cascaes y Sangián, las más fuertes de la tierra. Está de esta gran ciudad, poco más de media legua Belén, convento del santo conocido por la piedra y por el león de guarda, donde los reyes y reinas católicos y cristianos tienen sus casas perpetuas. Luego esta máquina insigne desde Alcántara comienza una gran legua a tenderse al convento de Iobregas. En medio está el valle hermoso coronado de tres cuestas, que quedara corto Apeles cuando [pintarlas] quisiera, porque miradas de lejos parecen piñas de perlas, que están pendientes del cielo, 1892
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nasce il Tago, ricco di acque, che mezza Spagna attraversa. Si getta dentro l’Oceano proprio sulle sacre sponde di questa città, dal lato sud, ma prima di lasciare il corso e il nome famoso fa un’ansa tra due monti, dove dall’orbe giungono barche, navi e caravelle. Le galee ed i navigli sono tanti, che da terra sembra una grande città dove Nettuno impera. Dalla parte di ponente fan la guardia due fortezze di Cascais e San Giuliano, le più salde della terra. Dista da questa città poco più di mezza lega Belén, convento del santo che è famoso per la pietra ed il leone di guardia, dove i re e le regine cattolici e cristiani han sepoltura perpetua. Dopo il superbo edificio c’è almeno più di una lega, che dall’Alcántara arriva al convento di Jabregas. In mezzo una bella valle da tre colli è coronata: nemmeno Apelle potrebbe dipingerli se volesse, perché visti da lontano sembran grappoli di perle sospese lassù nel cielo. 1893
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en cuya grandeza inmensa se ven diez Romas cifradas en conventos y en iglesias, en edificios y calles, en solares y encomiendas, en las letras y en las armas, en la justicia tan recta, y en una «Misericordia» que está honrando su ribera, y pudiera honrar a España y aun enseñar a tenerla. Y en lo que yo más alabo de esta máquina soberbia, es que del mismo castillo en distancia de seis leguas, se ven sesenta lugares que llega el mar a sus puertas, uno de los cuales es el Convento de Odivelas, en el cual vi por mis ojos seiscientas y treinta celdas, y entre monjas y beatas, pasan de mil y doscientas. Tiene desde allí a Lisboa, en distancia muy pequeña, mil y ciento y treinta quintas, que en nuestra provincia Bética llaman cortijos, y todas con sus huertos y alamedas. En medio de la ciudad hay una plaza soberbia que se llama del «Rucío», grande, hermosa y bien dispuesta, que habrá cien años y aun más que el mar bañaba su arena, y ahora della a la mar, hay treinta mil casas hechas, 1894
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Nella sua immensa grandezza si vedono dieci Rome, tra i monasteri e le chiese, tra gli edifici e le strade, tra i terreni e le commende, tra le lettere e le armi, nella giustizia, sì retta, e in una «Misericordia» che onora le sue rive, e onorerebbe la Spagna, insegnandole ad averla. Tra le cose che più lodo di questa città superba è che dal suo castello, per un raggio di sei leghe, ci sono sessanta borghi, tutti prospicienti al mare; e uno di questi è il convento di Odivelas: vi ho visto con questi occhi ben seicentotrenta celle, e tra monache e converse son più di mille e duecento. Da lì Lisbona comprende, su una piccola distanza, millecentotrenta ville, che si chiamano poderi da noi in Andalusia, tutte con orti e giardini. Nel centro della città si apre una piazza superba che chiamano del Rossio, grande, bella, ben disposta, che più di cento anni fa era bagnata dal mare; ma ora da lì alla riva, han potuto costruire 1895
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que, perdiendo el mar su curso, se tendió a partes diversas. Tiene una calle que llaman «rua Nova» o calle Nueva, donde se cifra el Oriente en grandezas y riquezas; tanto que el rey me contó que hay un mercader en ella que, por no poder contarlo, mide el dinero a fanegas. El terrero, donde tiene Portugal su casa regia, tiene infinitos navíos, varados siempre en la tierra, de solo cebada y trigo de Francia y Ingalaterra. Pues el palacio real, que el Tajo sus manos besa, es edificio de Ulises, que basta para grandeza, de quien toma la ciudad nombre en la latina lengua, llamándose Ulisibona, cuyas armas son la esfera, por pedestal de las llagas que en la batalla sangrienta, [a]l rey don Alfonso Enríquez dio la Majestad Inmensa. Tiene en su gran Tarazana diversas naves, y entre ellas las naves de la conquista, tan grandes que, de la tierra miradas, juzgan los hombres que tocan en las estrellas. Y lo que de esta ciudad te cuento por excelencia
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più di trentamila case, perché il mare, ritirandosi, si è spostato in altro luogo. C`è una strada che si chiama «rua Nova» o strada Nuova, da far invidia all’Oriente per le sue grandi ricchezze: il re mi ha raccontato che vi abita un mercante che, non potendo contarlo, misura il denaro a staia. La piazza dove si eleva la reggia del Portogallo ha migliaia di navi sempre ormeggiate a terra, cariche d’orzo e di grano, di Francia e d’Inghilterra. Ed il palazzo reale, le cui mani bacia il Tago, lo costruì Ulisse stesso – ciò basti alla sua grandezza – e da lui la città ha preso il nome in lingua latina, chiamandosi «Ulissibona»; ed ha per stemma una sfera, in cui son raffigurate le piaghe che Cristo dette al re Alfonso Enríquez nella battaglia cruenta. Ha nel suo grande arsenale molte navi, e tra di esse quelle delle spedizioni, così grandi che, al vederle da terra, la gente pensa che raggiungano le stelle. Quello che della città ti racconto come prova 1897
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es, que estando sus vecinos comiendo, desde las mesas ven los copos del pescado que junto a sus puertas pescan que, bullendo entre las redes, vienen a entrarse por ellas; y, sobre todo, a el llegar cada tarde a su ribera más de mil barcos cargados de mercancías diversas, y de sustento ordinario: pan, aceite, vino y leña, frutas de infinita suerte, nieve de Sierra de Estrella, que por las calles a gritos, puesta sobre las cabezas, la venden. Mas, ¿qué me canso? porque es contar las estrellas querer contar una parte de la ciudad opulenta. Ciento y treinta mil vecinos tiene, gran señor, por cuenta; y por no cansarte más, un rey que tus manos besa. Más estimo, don Gonzalo, escuchar de vuestra lengua esa relación sucinta, que haber visto su grandeza. ¿Tenéis hijos? Gran señor, una hija hermosa y bella, en cuyo rostro divino se esmeró naturaleza.
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della sua eccellenza, è che mentre i suoi abitanti stanno a tavola a mangiare, vedon nelle reti i pesci pescati alle loro porte, che guizzando tra le maglie sembrano entrare in casa. E soprattutto arrivano ogni sera alle sue sponde più di mille navi cariche di diverse mercanzie, e del cibo necessario: pane, olio, vino e legna, ed ogni tipo di frutta, neve di Sierra de Estrella, che vendono per la strada, gridando, con delle ceste che portano sulla testa. Ma è inutile che mi stanchi: perché voler raccontare solo una parte di questa città opulenta è come voler contare le stelle. Ha ben centotrentamila abitanti, o gran Signore, e, per non stancarti oltre, un re che a te s’inchina. Stimo di più, don Gonzalo, avere da voi ascoltato questa densa relazione, che aver visto il suo splendore. Avete figli? Maestà, ho una figlia così bella che nel suo volto divino la natura ha dato il meglio.
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Pues yo os la quiero casar de mi mano. Como sea tu gusto, digo, señor, que yo lo aceto por ella. Pero, ¿quién es el esposo? Aunque no está en esta tierra, es de Sevilla, y se llama don Juan Tenorio. Las nuevas voy a llevar a doña Ana. ............................................. Id en buena hora, y volved, Gonzalo, con la respuesta.
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Vanse, y sale don Juan Tenorio y Catalinón. DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
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Esas dos yeguas prevén, pues acomodadas son. Aunque soy Catalinón, soy, señor, hombre de bien, que no se dijo por mí: «Catalinón es el hombre»; que sabes que aquese nombre me asienta al revés a mí. Mientras que los pescadores van de regocijo y fiesta, tú las dos yeguas apresta, que de sus pies voladores solo nuestro engaño fío. ¿Al fin pretendes gozar a Tisbea? Si burlar es hábito antiguo mío, ¿qué me preguntas, sabiendo mi condición?
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Io la voglio maritare per mano mia. Se è questo ciò che vuoi, dico, Signore, che io accetto in nome suo. Ma chi è lo sposo? Sebbene non viva qua, è di Siviglia e si chiama don Giovanni Tenorio. A donna Anna, porterò questa notizia. ........................................... Andate dunque e tornate, Gonzalo, con la risposta.
Escono; ed entrano don Giovanni Tenorio e Catalinón. DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI
Prepara queste cavalle, che faranno al caso nostro. Mi chiamo Catalinón, ma sono un uomo per bene, e per me non vale il detto: «quest’uomo se la fa addosso»; sai bene che questo nome è proprio il contrario mio. Mentre che i pescatori festeggiano e fan baldoria tu prepara le cavalle: ai loro veloci zoccoli affiderò il nostro inganno. Insomma ti vuoi godere Tisbea? Se prenderle in giro è una mia vecchia abitudine, perché lo chiedi? Conosci la mia natura.
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
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DON JUAN CATALINÓN
Ya sé que eres castigo de las mujeres. Por Tisbea estoy muriendo, que es buena moza. ¡Buen pago a su hospedaje deseas! Necio, lo mismo hizo Eneas con la reina de Cartago. Los que fingís y engañáis las mujeres de esa suerte, lo pagaréis con la muerte. ¡Qué largo me lo fiáis! Catalinón con razón te llaman. Tus pareceres sigue, que en burlar mujeres quiero ser Catalinón. Ya viene la desdichada. Vete, y las yeguas prevén. Pobre mujer, harto bien te pagamos la posada.
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Vase Catalinón y sale Tisbea. TISBEA DON JUAN TISBEA DON JUAN TISBEA DON JUAN
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El rato que sin ti estoy estoy ajena de mí. Por lo que finges ansí, ningún crédito te doy. ¿Por qué? Porque si me amaras mi alma favorecieras. Tuya soy. Pues di, ¿qué esperas, o en qué, señora, reparas?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
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DON GIOVANNI CATALINÓN
Lo so: sei il flagello delle donne. Sto smaniando per Tisbea; che bella ragazza! Bello è il sistema con cui paghi la sua ospitalità. Sciocco! Enea fece lo stesso con la regina Didone. Voi che fingete, e ingannate le donne in questa maniera, lo pagherete alla morte. Ancora ce n’è del tempo! Hanno ragione a chiamarti Catalinón. Fai pure quello che vuoi con le donne; se si devono ingannare voglio esser Catalinón. Eccola, la sventurata. Vai, prepara le cavalle. Povera ragazza! Bene ti paghiamo l’accoglienza! Esce Catalinón ed entra Tisbea.
TISBEA DON GIOVANNI TISBEA DON GIOVANNI TISBEA DON GIOVANNI
Se non ti vedo io sono come fuori di me stessa. So che tu stai fingendo: non ti do nessun credito. Perché? Perché se mi amassi mi daresti i tuoi favori. Sono tua. Che aspetti, allora? Di che cosa ti fai scrupolo?
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA TISBEA DON JUAN
TISBEA DON JUAN
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Reparo en que fue castigo de Amor el que he hallado en ti. Si vivo, mi bien, en ti, a cualquier cosa me obligo. Aunque yo sepa perder en tu servicio la vida, la diera por bien perdida, y te prometo de ser tu esposo. Soy desigual a tu ser. Amor es rey que iguala con justa ley la seda con el sayal. Casi te quiero creer, mas sois los hombres traidores. ¿Posible es, mi bien, que ignores mi amoroso proceder? Hoy prendes con tus cabellos mi alma. Yo a ti me allano bajo la palabra y mano de esposo. Juro, ojos bellos que mirando me matáis, de ser vuestro esposo. Advierte, mi bien, que hay Dios y que hay muerte. ¡Qué largo me lo fiáis! Y mientras Dios me dé vida, yo vuestro esclavo seré, ésta es mi mano y mi fe. No seré en pagarte esquiva. Ya en mí mismo no sosiego. Ven, y será la cabaña del amor que me acompaña tálamo de nuestro fuego.
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Penso che è stato un castigo di Amore averti incontrato. Mio bene, vivo per te, disposto a qualsiasi cosa. Se anche sapessi di perdere per amor tuo la vita, la darei ben volentieri. E ti prometto di essere tuo sposo. Sono inferiore al tuo stato. Amore è un re che con giusta legge uguaglia la seta ai rustici panni. Io quasi vorrei crederti, ma son traditori gli uomini. Ben mio, come puoi ignorare quanto amore ho per te? Tu mi imprigioni l’anima coi tuoi capelli. Mi arrendo, se mi dai la tua parola di sposarmi. Occhioni belli, che mi uccidete guardandomi, giuro di esser vostro sposo. Attento, amore mio, che c’è un Dio e c’è la morte. Ce n’è del tempo! E finché Dio mi concederà vita, sarò vostro schiavo: eccoti la mano e la mia parola. Saprò ripagarti bene. Non sto più in me. Vieni dunque, e sarà la mia capanna talamo del nostro fuoco, 1905
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
DON JUAN TISBEA DON JUAN TISBEA DON JUAN
Entre estas cañas te esconde, hasta que tenga lugar. ¿Por dónde tengo de entrar? Ven y te diré por dónde. Gloria al alma, mi bien, dais. Esa voluntad te obligue, y si no, Dios te castigue. ¡Qué largo me lo fiáis!
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Vanse, y sale Coridón, Anfriso, Belisa y músicos. CORIDÓN
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ANFRISO BELISA ANFRISO
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Ea, llamad a Tisbea, y los zagales llamad, para que en la soledad el huésped la corte vea. ¡Tisbea, Usindra, Atandria! (No vi cosa más crüel. ¡Triste y mísero de aquel que [en] su fuego es salamandria!) Antes que el baile empecemos, a Tisbea prevengamos. Vamos a llamarla. Vamos. A su cabaña lleguemos. ¿No ves que estará ocupada con los huéspedes dichosos, de quien hay mil envidiosos? Siempre es Tisbea envidiada. Cantad algo mientras viene, porque queremos bailar. ¿Cómo podrá descansar cuidado que celos tiene? A pescar salió la niña, tendiendo redes, y en lugar de peces, las almas prende.
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dell’amore che mi domina. Nasconditi tra le canne fino al momento opportuno. E da dove potrò entrare? Vieni, ti dirò da dove. Mi riempi di gioia l’anima. Corrispondi a questo amore, e se no, Dio ti castighi. Ancora ce n’è del tempo!
Escono, e entrano Coridón, Anfriso, Belisa e musici. CORIDÓN
ANFRISO
BELISA CORIDÓN BELISA CORIDÓN
ANFRISO BELISA ANFRISO
Cantano
Orsù, chiamate Tisbea, e chiamate anche i pastori, perché in questi luoghi rustici ritrovi la corte l’ospite. Tisbea, Usindra, Atandria! (Non ho mai sofferto tanto! Triste chi nel proprio fuoco brucia, come salamandra.) Prima di iniziare il ballo avviseremo Tisbea. Andiamo a chiamarla. Andiamo. Andiamo alla sua capanna. Non vedi che è occupata con i felici ospiti, che tanti di noi invidiano? Tisbea è sempre invidiata. Cantiamo mentre aspettiamo, perché vogliamo ballare. Come potrà riposare chi soffre di gelosia? A pesca va la bimba, le reti tende, ed invece di pesci le anime prende. 1907
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
Sale Tisbea. TISBEA
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¡Fuego, fuego, que me quemo, que mi cabaña se abrasa! Repicad a fuego, amigos, que ya dan mis ojos agua. Mi pobre edificio queda hecho otra Troya en las llamas, que después que faltan Troyas, quiere Amor quemar cabañas. Mas si Amor abrasa peñas, con gran ira y fuerza extraña, mal podrán de su rigor reservarse humildes pajas. ¡Fuego, zagales, fuego, agua, agua! ¡Amor, clemencia, que se abrasa el alma! ¡Ay choza, vil instrumento de mi deshonra, y mi infamia! ¡Cueva de ladrones fiera, que mis agravios ampara! Rayos de ardientes estrellas en tus cabelleras caigan, porque abrasad[a]s estén, si del viento mal peinadas. ¡Ah, falso huésped, que dejas una mujer deshonrada, nube que del mar salió, para anegar mis entrañas! ¡Fuego, fuego, zagales, agua, agua! ¡Amor, clemencia, que se abrasa el alma! Yo soy la que hacía siempre de los hombres burla tanta, que siempre las que hacen burla, vienen a quedar burladas. Engañóme el caballero debajo de fe y palabra de marido, y profanó
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO
Entra Tisbea. TISBEA
Al fuoco, al fuoco, che ardo, che la mia capanna brucia! Amici, suonate a stormo, vi danno acqua i miei occhi. La mia povera casetta è incendiata come Troia, che siccome le Troie mancano Amore arde le capanne. Ma se brucia anche le rocce con grande ira e strana forza, come potrà al suo rigore scampare l’umile paglia? Fuoco, fuoco, pastori, acqua, acqua! Amore, abbi pietà, mi brucia l’anima! Capanna, vile strumento del mio disonore e infamia! Covo feroce di ladri, che hai protetto i miei oltraggi! Fulmini di ardenti stelle cadano sulla tua testa, che essa possa bruciare, mal pettinata dal vento! Ospite falso, che lasci una donna senza onore! Nube che è sorta dal mare per annegarmi le viscere! Fuoco, fuoco, pastori, acqua, acqua! Amore, abbi pietà, mi brucia l’anima! Io sono quella che sempre degli uomini si beffava, ma quante che si burlano finiscono burlate! Mi ha ingannato il cavaliere facendomi giuramento di sposarmi, e ha profanato 1909
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA PRIMERA
mi honestidad y mi cama. Gozóme al fin, y yo propia le di a su rigor las alas, en dos yeguas que crié, con que me burló y se escapa. ¡Seguilde todos, seguilde! Mas no importa que se vaya, que en la presencia del rey tengo de pedir venganza. ¡Fuego, fuego, zagales, agua, agua! ¡Amor, clemencia, que se abrasa el alma!
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Vase Tisbea. CORIDÓN ANFRISO
CORIDÓN
Dice Tisbea dentro: ANFRISO CORIDÓN TISBEA
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[dentro]
Seguid al vil caballero. ¡Triste del que pena y calla! ¡Mas, vive el cielo, que en él me he de vengar de esta ingrata! Vamos tras ella nosotros, porque va desesperada, y podrá ser que ella vaya buscando mayor desgracia. Tal fin la soberbia tiene: su locura y confianza paró en esto. ¡Fuego, fuego! Al mar se arroja. Tisbea, detente y para. ¡Fuego, fuego, zagales, agua, agua! ¡Amor, clemencia, que se abrasa el alma!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO PRIMO
la mia onestà e il mio letto. Mi ha goduta; io stessa ho dato ali alla sua crudeltà: ho allevato le cavalle con cui mi ha giocato e fugge. Andategli tutti dietro! Ma che importa se è scappato: alla presenza del re io domanderò vendetta! Fuoco, fuoco, pastori, acqua, acqua! Amore, abbi pietà, mi brucia l’anima! Esce Tisbea. CORIDÓN ANFRISO
CORIDÓN
Dentro dice Tisbea: ANFRISO CORIDÓN TISBEA
[dentro]
Dietro al cavaliere vile! Ah, penare e tacere, che tristezza! Ma su lui, lo giuro, vo’ vendicarmi anche di questa ingrata. Seguiamola, tutti noi, perché è proprio disperata, e può anche andare in cerca di una disgrazia peggiore. Bella fine del suo orgoglio! La sua follia e superbia l’hanno perduta. (Fuoco, fuoco!) Si butta in mare. Tisbea, ferma! Fuoco, fuoco, pastori, acqua, acqua! Amore, abbi pietà, mi brucia l’anima!
1911
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
JORNADA SEGUNDA Sale el rey don Alonso y don Diego Tenorio, de barba. REY DON DIEGO
REY DON DIEGO REY DON DIEGO REY DON DIEGO
REY
DON DIEGO REY
1912
¿Qué me dices? Señor, la verdad digo. Por esta carta estoy del caso cierto, que es de tu embajador y de mi hermano; halláronle en la cuadra del rey mismo con una hermosa dama de palacio. ¿Qué calidad? Señor, [es] la duquesa Isabela. ¿Isabela? Por lo menos... ¡Atrevimiento temerario! ¿Y dónde ahora está? Señor, a Vuestra Alteza no he de encubrille la verdad: anoche a Sevilla llegó con un criado. Ya conocéis, Tenorio, que os estimo, y al rey informaré del caso luego, casando a ese rapaz con Isabela, volviendo a su sosiego al duque Octavio, que inocente padece; y luego al punto haced que don Juan salga desterrado. ¿Adónde, mi señor? Mi enojo vea en el destierro de Sevilla; salga a Lebrija esta noche, y agradezca solo al merecimiento de su padre... Pero, decid, don Diego, ¿qué diremos a Gonzalo de Ulloa, sin que erremos? Casele con su hija, y no sé cómo lo puedo ahora remediar.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entra il re don Alfonso e don Diego Tenorio, vecchio. RE DON DIEGO
RE DON DIEGO RE DON DIEGO RE DON DIEGO
RE
DON DIEGO RE
Che mi dici? Signore, dico il vero. Questa lettera mi informa del caso: è del tuo ambasciatore, mio fratello; lo han scoperto nelle stanze del re, con una bella dama di palazzo. Di che rango? Signore, è la duchessa Isabella. Isabella? A quanto pare... Che impertinenza temeraria! E dove si trova adesso? Sire, a vostra altezza non celerò la verità: iernotte è arrivato a Siviglia con un servo. Voi sapete, Tenorio, che vi stimo. Subito informerò il re di Napoli: lo scriteriato sposerà Isabella e si lasci tranquillo il duca Ottavio, che innocente patisce, e don Giovanni parta immediatamente per l’esilio. Dove, signore? Al mio sdegno basta allontanarlo da Siviglia: parta per Lebrija stanotte, e che ringrazi solo i meriti del suo genitore. Ma vediamo, don Diego, che diremo a Gonzalo de Ulloa, senza sbagliare? Gli ho promesso che avrei dato sua figlia in sposa a don Giovanni, e non so come possiamo rimediare.
1913
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON DIEGO
REY
Pues mira, gran señor, qué mandas que yo haga que esté bien al honor desta señora, hija de un padre tal. Un medio tomo con que absolvello del enojo entiendo: mayordomo mayor pretendo hacelle.
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Sale un criado. CRIADO REY CRIADO REY
DON DIEGO
REY
DON DIEGO
1914
Un caballero llega de camino, y dice, señor, que es el duque Octavio. ¿El duque Octavio? Sí, señor. Sin duda que supo de don Juan el desatino y que viene, incitado a la venganza, a pedir que le otorgue desafío. Gran señor, en tus heroicas manos está mi vida, que mi vida propria es la vida de un hijo inobediente, que, aunque mozo, gallardo y valeroso, y le llaman los mozos de su tiempo el Héctor de Sevilla, porque ha hecho tantas y tan extrañas mocedades, la razón puede mucho. No permitas el desafío, si es posible. Basta. Ya os entiendo, Tenorio, honor de padre. Entre el duque. Señor, dame esas plantas. ¿Cómo podré pagar mercedes tantas?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON DIEGO
RE
Maestà, dica che devo fare, che convenga all’onore di questa nobildonna, figlia di un tale padre. Mi propongo di riparare il torto in questo modo: maggiordomo maggiore voglio farlo. Entra un servo.
SERVO RE SERVO RE
DON DIEGO
RE DON DIEGO
Un cavaliere è appena arrivato; dice di essere il duca Ottavio. Il duca Ottavio? Sì, signore. È certo: di don Giovanni seppe la pazzia; desideroso di vendetta, viene a chiedermi il permesso di sfidarlo. Signore, nelle tue gloriose mani sta la mia vita: la mia vita stessa è la vita di un figlio così indocile, forse immaturo, ma forte e valente; i suoi coetanei l’hanno battezzato l’Ettore di Siviglia, per le molte audaci ragazzate che ha compiuto. La ragione può compiere miracoli: proibisci questa sfida, se è possibile. Ho capito, Tenorio: onor di padre. Che entri il duca. Sono ai vostri piedi. Come ripagherò tanti favori?
1915
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Sale el duque Octavio, de camino. OCTAVIO
REY OCTAVIO
REY
OCTAVIO
REY OCTAVIO
1916
A esos pies, gran señor, un peregrino, mísero y desterrado, ofrece el labio, juzgando por más fácil el camino en vuestra gran presencia. Duque Octavio... Huyendo vengo el fiero desatino de una mujer, el no pensado agravio de un caballero, que la causa ha sido de que así a vuestros pies haya venido. Ya, duque Octavio, sé vuestra inocencia. Yo al rey escribiré que os restituya en vuestro estado, puesto que el ausencia que hicisteis, algún daño os atribuya. Yo os casaré en Sevilla, con licencia y con perdón [del rey] y gracia suya; que puesto que Isabela un ángel sea, mirando la que os doy, ha de ser fea. Comendador mayor de Calatrava es Gonzalo de Ulloa, un caballero a quien el moro por temor alaba, que siempre es el cobarde lisonjero. Este tiene una hija en quien bastaba en dote la virtud, que considero, después de la [bel]dad, que es maravilla, y el sol de ella es estrella de Castilla. Esta quiero que sea vuestra esposa. Cuando este viaje le emprendiera a solo eso, mi suerte era dichosa, sabiendo yo que vuestro gusto fuera. Hospedaréis al duque, sin que cosa en su regalo falte. Quien espera en vos, señor, saldrá de premios lleno. Primero Alfonso sois, siendo el onceno.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Entra il duca Ottavio, in abito da viaggio. OTTAVIO
RE OTTAVIO
RE
OTTAVIO
RE OTTAVIO
O gran signore, i vostri piedi bacia un pellegrino misero e esiliato, che pensa sia più facile il camino col vostro aiuto. Dite, duca Ottavio... Sto fuggendo il crudele tradimento di una donna, l’inaspettato oltraggio di un cavaliere, che è stato la causa che mi vediate oggi ai vostri piedi. So che siete innocente, duca Ottavio. Scriverò al re che vi restituisca la vostra dignità, se mai la fuga in qualche modo vi abbia danneggiato. Vi sposerò a una dama di Siviglia, col perdono del Re e con la sua grazia, che anche se Isabella fosse un angelo, sembrerà brutta a confronto di questa. È, Gonzalo de Ulloa, commendatore maggior di Calatrava: un cavaliere che il moro elogia perché ne ha paura, perché il codardo è sempre adulatore. Questi ha una figlia, alla quale basta per dote la virtù, che io considero, dopo la sua bellezza, eccezionale; il suo sole è la stella di Castiglia. Questa voglio che sia la vostra sposa. Se il mio viaggio l’avessi intrapreso solo per questo, avrei felice sorte: sapendo quale è il vostro volere. Sia dato alloggio al Duca, e nulla manchi al suo agio. Chi in voi confida, Signore, ne avrà doni senza fine; il primo Alfonso siete, non l’undecimo.
1917
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Vase el Rey y don Diego, y sale Ripio. RIPIO OCTAVIO
RIPIO
OCTAVIO
1918
¿Qué ha sucedido? Que he dado el trabajo recebido, conforme me ha sucedido, desde hoy por bien empleado. Hablé al rey, vióme y honróme, César con el César fui, pues vi, peleé y vencí, y hace que esposa tome de su mano, y se prefiere a desenojar al rey en la fulminada ley. Con razón el nombre adquiere de generoso en Castilla. ¿Al fin te llegó a ofrecer mujer? Sí, amigo, mujer de Sevilla; que Sevilla da, si averiguallo quieres, porque de oíllo te asombres, si fuertes y airosos hombres, también gallardas mujeres. Un manto tapado, un brío, donde un puro sol se asconde, si no es en Sevilla, ¿adónde se admite? El contento mío es tal que ya me consuela en mi mal.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Escono il re e don Diego, ed entra Ripio. RIPIO OTTAVIO
RIPIO
OTTAVIO
Che è successo? Io credo, per come mi è andata oggi, che gli affanni sofferti finora gli ho spesi bene. Parlo al re, mi vede, onora; fui Cesare con un Cesare, perché venni, vidi e vinsi; decide di darmi moglie di sua mano, e si è offerto di far revocare al re l’editto che m’ha colpito. Con ragione lo si chiama «il generoso» in Castiglia. E insomma vi ha anche offerto una moglie? Sì, una dama sivigliana, che Siviglia offre, se lo vuoi sapere e se te ne vuoi stupire, uomini forti e aitanti ma anche donne bellissime. I loro scialli ricoprono un brio, un sole purissimo: se non a Siviglia, dove si trovano? La letizia è tale che mi consola delle sventure.
1919
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Sale don Juan y Catalinón. CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
OCTAVIO
DON JUAN
OCTAVIO
1920
Señor, detente, que aquí está el duque, inocente Sagitario de Isabela, aunque mejor le di[ré] Capricornio. Disimula. (Cuando le vende, le adula.) Como a Nápoles dejé por enviarme a llamar con tanta priesa mi rey, y como su gusto es ley, no tuve, Octavio, lugar de despedirme de vos de ningún modo. Por eso, don Juan amigo, os confieso que hoy nos juntamos los dos en Sevilla. ¡Quién pensara, duque, que en Sevilla os viera para que en ella os sirviera, como yo lo desea[ra]! Dejáis más, aunque es lugar Nápoles tan excelente: ¡por Sevilla solamente se puede, amigo, dejar! Si en Nápoles os oyera, y no en la parte en que estoy, del crédito que ahora os doy sospecho que me riera. Mas, llegándola a habitar, es, por lo mucho que alcanza, corta cualquier alabanza
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Entrano don Giovanni e Catalinón. CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
OTTAVIO
DON GIOVANNI
OTTAVIO
Signore, fermo! C’è il duca, innocente Sagittario di Isabella, o meglio il suo Capricorno. Ora fa’ finta di nulla. (Lo tradisce e lo lusinga). Siccome ho lasciato Napoli, perché mi mandò a chiamare con grande urgenza il mio re, e il suo desiderio è legge, Ottavio, non fu possibile prender congedo da voi in alcun modo. Ma certo don Giovanni, amico mio; son contento di trovarvi così a Siviglia. Duca, chi avrebbe mai pensato che io vi avrei rincontrato a Siviglia, per servirvi come io desideravo! Avete lasciato molto; Napoli è una città splendida; solo si può abbandonare per Siviglia, caro amico. Se avessi ascoltato a Napoli, e non dove siamo adesso, quel che mi dite, sospetto che mi sarei fatto beffe di quanto ora do per certo. Ma ora che vivo qui, ogni lode è inadeguata, anche la più esagerata
1921
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
DON JUAN
OCTAVIO
CATALINÓN
OCTAVIO CATALINÓN
RIPIO CATALINÓN
que a Sevilla queráis dar. ¿Quién es el que viene allí? El que viene es el marqués de la Mota; descortés es fuerza ser. Si de mí algo hubiereis menester, aquí espada y brazo está. (¡Y, si importa, gozará en su nombre otra mujer, que tiene buena opinión!) De vos estoy satisfecho. Si fuere de algún provecho, señores, Catalinón, vuarcedes continuamente me hallarán para servillos. ¿Y dónde? En los Pajarillos, tabernáculo excelente.
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Vase Octavio y Ripio, y sale el marqués de la Mota. MOTA
DON JUAN
CATALINÓN
1922
Todo hoy os ando buscando, y no os he podido hallar. ¿Vos, don Juan, en el lugar, y vuestro amigo penando en vuestra ausencia? Por Dios, amigo, que me debéis esa merced que me hacéis. (Como no le entreguéis vos moza o cosa que lo valga, bien podéis fïaros dél, que, en cuanto a esto es cruel, tiene condición hidalga.)
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
DON GIOVANNI
OTTAVIO
CATALINÓN
OTTAVIO CATALINÓN
RIPIO CATALINÓN
che si può fare a Siviglia. Ma chi sta arrivando? Quello che viene qui è il Marchese della Mota. E scusatemi se vi lascio. Ma se avete bisogno di me, contate sul mio braccio e la mia spada. (E magari si godrà in nome suo un’altra donna, visto che è un nome stimato!) Son lieto di avervi visto. Se vi potesse far comodo, signori, Catalinón, voi mi troverete sempre disposto al vostro servizio. E dove? Dagli «Uccellini», tavernacolo eccellente.
Escono Ottavio e Ripio, ed entra il marchese de la Mota. MOTA
DON GIOVANNI
CATALINÓN
È un giorno che vi cerco, senza riuscire a trovarvi. Voi siete qui in città, e lasciate il vostro amico in pena senza di voi? Perbacco, amico mio, io vi sono debitore della vostra cortesia! (A patto che non gli diate una ragazza, o qualcosa che le possa assomigliare, ve ne potete fidare; perché, se in questo è spietato, è nobile in tutto il resto!) 1923
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
DON JUAN
MOTA
DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
1924
¿Qué hay de Sevilla? Está ya toda esta corte mudada. ¿Mujeres? Cosa juzgada. ¿Inés? A Vejel se va. Buen lugar para vivir la que tan dama nació. El tiempo la desterró a Vejel. Irá a morir. ¿Costanza? Es lástima vella lampiña de frente y ceja. Llámale el portugués «vieja», y ella imagina que «bella». Sí, que «velha» en portugués suena «vieja» en castellano. ¿Y Teodora? Este verano se escapó del mal francés [por un río de sudores]; y está tan tierna y recente que anteayer me arrojó un diente envuelto entre muchas flores. ¿Julia, la del Candilejo? Ya con sus afeites lucha. ¿Véndese siempre por trucha? Ya se da por abadejo. ¿El barrio de Cantarranas tiene buena población? Ranas las más dellas son. ¿Y viven las dos hermanas? Y la mona de Tolú de su madre Celestina, que les enseña dotrina.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI
MOTA
DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
Che c’è di nuovo a Siviglia? La città è tutta cambiata. Donne? Le solite cose. Inés? Sta andando a Vecchieta. Un bel posto per viverci per chi è nata gran dama! È il tempo che l’ha esiliata laggiù. Ci andrà a morire. Costanza? Vederla fa pena. senza capelli né ciglia. Se i portoghesi le dicono «vecchia», lei capisce «bella». Eh sì, «velha» in portoghese vuol dire «vecchia» in spagnolo. E Teodora? Quest’estate è sfuggita al mal francese con un fiume di sudori, ed è così fresca e tenera, che ieri m’ha gettato un dente avvolto tra molti fiori. E Giulia del Lanternino? Alle prese coi belletti. E si vende per salmone? Oramai per stoccafisso. Il rione Cantarana ha sempre belle ragazze? La maggioranza son rane. Son vive le due sorelle? E anche quella brutta scimmia e ruffiana della madre che gli insegna la lezione.
1925
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
DON JUAN
MOTA
DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN
1926
¡Oh, vieja de Bercebú! ¿Cómo la mayor está? Blanca, sin blanca ninguna. Tiene un santo a quien ayuna. ¿Agora en vigilias da? Es firme y santa mujer. ¿Y esotra? Mejor principio tiene; no desecha ripio. Buen albañir quiere ser. Marqués, ¿qué hay de perros muertos? Yo y don Pedro de Esquivel dimos anoche un cruel, y esta noche tengo ciertos otros dos. Iré con vos, que también recorreré cierto nido que dejé en güevos para los dos. ¿Qué hay de terrero? No muero en terrero, que enterrado me tiene mayor cuidado. ¿Cómo? Un imposible quiero. Pues, ¿no os corresponde? Sí, me favorece y me estima. ¿Quién es? Doña Ana, mi prima, que es recién llegada aquí. Pues, ¿dónde ha estado? En Lisboa, con su padre en la embajada. ¿Es hermosa?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI
MOTA
DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI
Ma che vecchiaccia del diavolo! E come sta la maggiore? Bianca? È senza un soldo; ha un santo, e per lui digiuna. E ora si dà all’astinenza? È donna santa e devota. L’altra? Ha migliori principi: non scarta manco un detrito. Come i buoni muratori. Marchese, e qualche scherzo? Io e don Pedro Esquivel ne abbiamo fatto uno ieri e ne ho altri due pronti per questa notte. Vengo con voi; voglio anche vedere un nido dove ho lasciato una covata per noi. E dame da corteggiare? Non faccio più il cascamorto, che sono morto di già, e per una grande pena. Cosa? Amo una donna inarrivabile. Dunque non vi corrisponde? Sì, mi favorisce e mi stima. Chi è? Donna Anna, mia cugina. che è da poco qui in città. Prima dov’era? A Lisbona, con suo padre, all’ambasciata. È bella? 1927
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA MOTA
DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA CATALINÓN DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
Es extremada, porque en doña Ana de Ulloa se extremó Naturaleza. ¿Tan bella es esa mujer? ¡Vive Dios que la he de ver! Veréis la mayor belleza que los ojos del rey ven. Casaos, pues es extremada. El rey la tiene casada y no se sabe con quién. ¿No os favorece? Y me escribe. (No prosigas, que te engaña el gran burlador de España). ¿Quién tan satisfecho vive? Agora estoy aguardando la postrer resolución. Pues no perdáis la ocasión, que aquí os estoy aguardando. Ya vuelvo.
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Vase el marqués y el criado. CATALINÓN CRIADO DON JUAN
Señor Cuadrado, o señor Redondo, adiós. Adiós. Pues solos los dos, amigo, habemos quedado, los pasos sigue al marqués, que en el palacio se entró. Vase Catalinón, y habla por una reja una mujer.
MUJER DON JUAN MUJER
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Ce, ¿a quién digo? ¿Quién llamó? Pues sois prudente y cortés, y su amigo, dalde luego
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO MOTA
DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA CATALINÓN DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
È straordinaria: in donna Anna di Ulloa natura ha fatto prodigi. Così bella è questa dama? Perbacco, voglio vederla. Vedrete la maggior bellezza, che gli occhi del re contemplino. Se è così bella, sposatela. Il re l’ha già promessa, però non si sa a chi. Vi fa favori? E mi scrive. (Sta’ zitto, che può burlarti l’ingannatore di Spagna!) Chi può dirsi più felice? Sto proprio adesso aspettando la sua decisione ultima. Non perdete l’occasione; io starò qui ad aspettare. Ritorno subito. Escono il marchese e il suo servo.
CATALINÓN SERVO DON GIOVANNI
Addio, signor Quadrato o Rotondo. Addio. Visto che siamo rimasti soli, amico, vai dietro al marchese che è entrato nel palazzo.
Esce Catalinón. Una donna parla attraverso un’inferriata. DONNA DON GIOVANNI DONNA
Oilà, dico a voi. Chi chiama? Poiché sembrate suo amico, e prudente e cortese, 1929
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
DON JUAN MUJER
al marqués este papel; mirad que consiste en él de una señora el sosiego. Digo que se lo daré; soy su amigo y caballero. Basta, señor forastero, adiós.
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Vase. DON JUAN
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Ya la voz se fue. ¿No parece encantamento esto que agora ha pasado? A mí el papel ha llegado por la estafeta del viento. Sin duda que es de la dama que el marqués me ha encarecido. Venturoso en esto he sido. Sevilla a voces me llama «el Burlador», y el mayor gusto que en mí puede haber es burlar una mujer y dejalla sin honor. ¡Vive Dios que le he de abrir, pues salí de la plazuela! Mas ¿si hubiese otra cautela?... Gana me da de reír. Ya está abierto el papel, y que es suyo es cosa llana, porque aquí firma «doña Ana». Dice así: «Mi padre infiel en secreto me ha casado, sin poderme resistir; no sé si podré vivir, porque la muerte me ha dado. Si estimas, como es razón, mi amor y mi voluntad,
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
DON GIOVANNI DONNA
dovete dare al marchese questo biglietto: si tratta della pace di una dama. Sicuro, glielo darò, son suo amico e cavaliere. Bene, signor forestiero. Addio. Si ritira.
DON GIOVANNI
La voce è svanita. Sembra proprio un incantesimo quello che ora è successo! Il biglietto mi è arrivato con la staffetta del vento. Senza dubbio è della dama che il marchese mi ha lodato: sono stato fortunato. Tutta Siviglia mi chiama «l’Ingannatore», e il maggiore piacere che posso avere e l’ingannare una donna e lasciarla senza onore. Perbacco, lo voglio aprire, qui, fuori della piazzetta. Ci sarà sotto qualcosa? Mi viene proprio da ridere! Ecco, ho già aperto il biglietto; è proprio suo, è evidente, perché è firmato «Donna Anna». Dice: «Mio padre, sleale, mi ha sposato in segreto, senza che potessi oppormi: io non posso più vivere, sono colpita a morte. Se apprezzi, come è giusto, il mio amore fedele, 1931
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
y si tu amor fue verdad, muéstralo en esta ocasión. Porque veas que te estimo, ven esta noche a la puerta, que estará a las once abierta, donde tu esperanza, primo, goces, y el fin de tu amor. Traerás, mi gloria, por señas de Leonorilla y las dueñas, una capa de color. Mi amor todo de ti fío, y adiós». ¡Desdichado amante! ¿Hay suceso semejante? Ya de la burla me río. Gozarela, ¡vive Dios!, con el engaño y cautela que en Nápoles a Isabela.
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Sale Catalinón. CATALINÓN
Ya el marqués viene.
DON JUAN
Los dos aquesta noche tenemos que hacer. ¿Hay engaño nuevo? Extremado. No lo apruebo. Tú pretendes que escapemos una vez, señor, burlados; que el que vive de burlar burlado habrá de escapar ............................................... de una vez. ¿Predicador te vuelves, impertinente? La razón hace al valiente.
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
se il tuo amore è sincero, dimostramelo adesso. Perché veda quanto t’amo vieni stanotte alla porta, che alle undici sarà aperta; e riceverai quel premio, cugino, che tanto speri. Amor mio, metti un mantello rosso, che sarà il segnale per Leonorina e le donne. A te affido il mio cuore. A presto». Povero amante! S’è mai visto un caso simile? Già rido della mia beffa. La farò mia, vivaddio, con l’inganno e l’astuzia, come a Napoli Isabella. Entra Catalinón. CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN
Il marchese sta arrivando. Noi due avremo da fare questa notte. Un altro inganno? Straordinario! Ti biasimo. Saremo noi a scappare se un giorno siamo i beffati, perché chi vive burlando burlato dovrà scappare ............................................ a sua volta. Insolente, ti metti a farmi la predica? La ragione dà coraggio.
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
Y al cobarde hace el temor. El que se pone a servir, voluntad no ha de tener, y todo ha de ser hacer, y nada ha de ser decir. Sirviendo, jugando estás, y si quieres ganar luego, haz siempre, porque en el juego quien más hace gana más. También quien hace y dice pierde por la mayor parte. Esta vez quiero avisarte, porque otra vez no te avise. Digo que de aquí adelante lo que me mandes haré, ya tu lado forzaré un tíger, un elefante. Guárdese de mí un prior, que si me mandas que calle y le fuerce, he de forzalle sin réplica, mi señor.
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Sale el marqués de la Mota. DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
1934
Calla, que viene el marqués. ¿Pues, ha de ser el forzado? Para vos, marqués, me han dado un recaudo harto cortés por esa reja, sin ver el que me lo daba allí; solo en la voz conocí que me lo daba mujer. Dícete al fin que a las doce vayas secreto a la puerta, (que estará a las once abierta), donde tu esperanza goce la posesión de tu amor,
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
Ed il timore lo toglie. Chi si mette a servizio rinunci alle proprie idee, deve solo eseguire e non deve mai fiatare. Servire è come giocare, e se desideri vincere datti da fare: giocando più si fa, più si guadagna. Sì, ma chi chiacchiera e fa il più delle volte perde. Te lo dico questa volta, non te lo voglio ripetere. Bene: da qui in avanti farò quello che mi ordini, e accanto a te stuprerò una tigre, un elefante. Che stia attento anche un curato: se mi ordini di tacere e di stuprarlo, lo stupro, signore, senza fiatare. Entra il marchese della Mota.
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
Zitto, che arriva il marchese. È lui che devo stuprare? Per voi, marchese, mi han dato un messaggio assai cortese da questa inferriata, senza vedere chi me lo dava; ma dalla voce ho capito che era una donna. Ti dice che alle dodici tu vada di nascosto alla sua porta (che sarà aperta alle undici); e riceverai quel premio che tanto brami, e ti metta 1935
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
MOTA DON JUAN
MOTA
DON JUAN
MOTA
DON JUAN MOTA
DON JUAN
MOTA CATALINÓN
y que llevases por señas de Leonorilla y las dueñas, una capa de color. ¿Qué dices? Que este recado de una ventana me dieron, sin ver quién. Con él pusieron sosiego en tanto cuidado. ¡Ay, amigo! Solo en ti mi esperanza renaciera Dame esos [pies]. Considera que no está tu prima en mí. Eres tú quien ha de ser quien la tiene de gozar, ¿y me llegas a abrazar los pies? Es tal el placer que me ha sacado de mí. ¡Oh, sol, apresura el paso! Ya el sol camina al ocaso. Vamos, amigo, de aquí, y de noche nos pondremos. ¡Loco voy! (Bien se conoce, mas yo bien sé que a las doce harás mayores extremos). ¡Ay, prima del alma, prima, que quieres premiar mi fe! (¡Vive Cristo que no dé una blanca por su prima!) Vase el marqués, y sale don Diego.
DON DIEGO CATALINÓN
1936
¡Don Juan! Tu padre te llama.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
MOTA DON GIOVANNI
MOTA
DON GIOVANNI
MOTA
DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI
MOTA CATALINÓN
un mantello rosso, in modo che ti possano conoscere Leonorina e le donne. Che dici? Questo è il messaggio; non so chi me l’ha dato da una finestra. Mi rende la pace in tante angosce. Ah, amico, solo per te la mia speranza rinasce! Ti bacerei i piedi! Attento, che non sono tua cugina! Sei tu che te la godrai! E perché dunque baciarmi i piedi? È tale il piacere che ho perduto la testa! Sole, affretta il tuo corso! Già il sole volge al tramonto. Andiamocene, amici, a cambiarci per la notte. Son fuori di me! (Si vede; ma io so che alle dodici farai pazzie anche maggiori.) Ah, cugina del mio cuore, che vuoi premiare il mio amore! (Giuraddio, che non darei un soldo per la cugina!) Esce il marchese e entra don Diego.
DON DIEGO CATALINÓN
Don Giovanni! C’è tuo padre!
1937
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON JUAN DON DIEGO
DON JUAN DON DIEGO
DON JUAN
DON DIEGO DON JUAN
DON DIEGO
1938
¿Qué manda vueseñoría? Verte más cuerdo quería, más bueno y con mejor fama. ¿Es posible que procuras todas las horas mi muerte? ¿Por qué vienes desa suerte? Por tu trato y tus locuras. Al fin el rey me ha mandado que te eche de la ciudad, porque está de una maldad con justa causa indignado. Que, aunque me lo has encubierto, ya en Sevilla el rey lo sabe, cuyo delito es tan grave, que a decírtelo no acierto. ¿En el palacio real traición, y con un amigo? Traidor, Dios te dé el castigo que pide delito igual. Mira que, aunque al parecer Dios te consiente y aguarda, su castigo no se tarda, y que castigo ha de haber para los que profanáis su nombre; que es juez fuerte Dios en la muerte. ¿En la muerte? ¿Tan largo me lo fiáis? De aquí allá hay gran jornada. Breve te ha de parecer. Y la que tengo de hacer, pues a su alteza le agrada, agora, ¿es larga también? Hasta que el injusto agravio satisfaga el duque Octavio, y apaciguados estén en Nápoles de Isabela
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GIOVANNI DON DIEGO
DON GIOVANNI DON DIEGO
DON GIOVANNI
DON DIEGO DON GIOVANNI
DON DIEGO
Che ordina vossignoria? Vorrei vederti più saggio, più buono e più stimato. Possibile che ogni giorno mi fai morire di pena? Perché dici queste cose? Per la tua condotta folle. Insomma il re mi ha ordinato di bandirti da Siviglia, ché di una tua malefatta è giustamente indignato. Anche se me lo hai nascosto il re la conosce già, ed è cosa così grave, che a dirtela non riesco. Nel palazzo reale stesso, un tradimento, a un amico? Dio ti castighi, perfido, come richiede il delitto. Attento, anche se sembra che Dio lo permetta e aspetti, il suo castigo è imminente; ci sarà, questo castigo, per coloro che profanano il suo nome: Egli è un giudice duro, in punto di morte! Dici in punto di morte? Ce n’è del tempo! Da qui a là c’è un bel tragitto! Ma breve ti sembrerà! E il viaggio che ho da fare, e che ha deciso sua altezza, è ugualmente molto lungo? Finché non vien riparata l’ingiusta offesa recata al duca Ottavio, e si calmi a Napoli lo scandalo 1939
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
CATALINÓN
DON DIEGO
los sucesos que has causado, en Lebrija retirado, por tu traición y cautela, quiere el rey que estés agora, pena a tu maldad ligera. (Si el caso también supiera de la pobre pescadora, más se enojara el buen viejo). Pues no te vence castigo con cuanto hago y cuanto digo, a Dios tu castigo dejo.
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Vase. CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
1940
Fuese el viejo enternecido. Luego las lágrimas copia, condición de viejos propia. Vamos, pues ha anochecido, a buscar al marqués. Vamos, y al fin gozarás su dama. Ha de ser burla de fama. Ruego al cielo que salgamos della en paz. ¡Catalinón, en fin! Y tú, señor, eres langosta de las mujeres, y con público pregón, porque de ti se guardara, cuando a noticia viniera de la que doncella fuera, fuera bien se pregonara: «Guárdense todos de un hombre que a las mujeres engaña, y es el burlador de España». Tú me has dado gentil nombre.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
CATALINÓN
DON DIEGO
di Isabella, che hai causato con l’inganno e il tradimento, a Lebrija ritirato il re vuole che tu stia: pena lieve alla tua colpa. (Se sapesse anche la storia della pescatrice misera di più si arrabbierebbe il buon vecchio!) Ma siccome non riesci a pentirti per quanto io faccia e dica, a Dio lascio il tuo castigo. Esce.
CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI
Il vecchio, commosso, è uscito. Piangi anche tu come lui? Roba proprio da vecchi! Si è fatta notte, andiamo a cercare il marchese. E ti godrai la sua dama! Una beffa memorabile! Prego il cielo che ne usciamo senza danni! Sei un fifone, come indica il tuo nome. E tu, mio signore, sei una piaga per le donne. E con un bando pubblico si dovrebbero avvisare quelle che ancora son vergini: «Che tutte siano avvertite; stiano lontane da un uomo che ogni donna inganna: l’ingannatore di Spagna». M’hai messo proprio un bel nome! 1941
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Sale el marqués, de noche, con músicos, y pasea el tablado, y se entran cantando. MÚSICOS MOTA DON JUAN CATALINÓN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
Cantan DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA
DON JUAN MOTA
1942
El que un bien gozar espera, cuanto espera desespera. Como yo a mi bien goce nunca llegue a amanecer. ¿Qué es esto? Música es. Parece que habla conmigo el poeta. ¿Quién va? Amigo. ¿Es don Juan? ¿Es el marqués? ¿Quién pu[e]de ser sino yo? Luego que la capa vi, que érades vos conocí. Cantad, pues don Juan llegó. El que un bien gozar espera cuanto espera desespera. ¿Qué casa es la que miráis? De don Gonzalo de Ulloa. ¿Dónde iremos? A Lisboa. ¿Cómo, si en Sevilla estáis? ¿Pues aqueso os maravilla? ¿No vive con gusto igual lo peor de Portugal en lo mejor de Castilla? ¿Dónde viven? En la calle de la Sierpe, donde ves [a Adán vuelto] en portugués;
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Entra il marchese con abiti adatti alla notte, e passeggia sul palcoscenico, accompagnato da musici che poi escono cantando. MUSICI MOTA DON GIOVANNI CATALINÓN MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
Cantano DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI MOTA
Chi il suo ben godere spera più spera, più si dispera. Se godo del mio bene che mai arrivi l’alba. Che cos’è? Una serenata. Sembra che lo dica a me il poeta. Chi va là? Amici. È don Giovanni? È il marchese? Sì, son io. Appena ho visto la cappa vi ho riconosciuto subito. Cantate, che è don Giovanni. Chi il suo ben godere spera più spera, più si dispera. E di chi è questa casa che qui state guardando? Di don Gonzalo de Ulloa. Dov’è che andiamo? A Lisbona. Come, se siamo a Siviglia! E questo vi meraviglia? Il peggio del Portogallo non vive felicemente nel meglio della Castiglia? Dove abitano? In via della Serpe, qui si vede Adamo alla portoghese:
1943
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
CATALINÓN
DON JUAN MOTA DON JUAN
MOTA DON JUAN MOTA
DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA CATALINÓN MOTA DON JUAN CATALINÓN
1944
que en aqueste amargo valle con bocados solicitan mil Evas que, aunque en bocados, en efeto, son ducados con que el dinero nos quitan. Ir de noche no quisiera por esa calle cruel, pues lo que de día es miel entonces lo dan en cera. Una noche, por mi mal, la vi sobre mí [vertida], y hallé que era corrompida la cera de Portugal. Mientras a la calle vais, yo dar un perro quisiera. Pues cerca de aquí me espera un bravo. Si me dejáis, señor marqués, vos veréis cómo de mí no se escapa. Vamos, y poneos mi capa, para que mejor lo deis. Bien habéis dicho. Venid y me enseñaréis la casa. Mientras el suceso pasa, la voz y el habla fingid. ¿Veis aquella celosía? Ya la veo. Pues llegad, y decid: «Beatri[z]», y entrad. ¿Qué mujer? Rosada y fría. Será mujer cantimplora. En Gradas os aguardamos. Adiós, marqués. (¿Dónde vamos?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
CATALINÓN
DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI
MOTA DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA CATALINÓN MOTA DON GIOVANNI CATALINÓN
in questa valle di lacrime mille Eve gettano l’esca: sembrano frutti d’oro, ma per spillarci il denaro son bocconi avvelenati. Non vorrei andare di notte in questa strada terribile: quello che di giorno è miele ora ce lo danno in cera. Una notte, per disgrazia, me l’hanno versata in capo, e capii che è roba marcia la cera del Portogallo. Mentre là andate, avrei voglia di fare un tiro a qualcuno. Vicino ne ho preparato uno superbo. Cedetemelo: vedrete, signor marchese, come mi riuscirà bene. Su, mettete la mia cappa, per poterlo fare meglio. Avete ragione. Via, e mostratemi la casa. Per riuscire nell’inganno simulate la mia voce. Vedete quella finestra? Sì, la vedo. Avvicinatevi, chiamate «Beatrice» e entrate. Che donna è? Rosa e fresca. Una donna che rinfresca! Vi aspetto alle scalinate. Arrivederci, marchese. (E adesso dove andiamo?
1945
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
Calla, necio, calla agora: adonde la burla mía ejecute. No se escapa nadie de ti. El trueque adoro. Echaste la capa al toro. No, el toro me echó la capa.)
1545
[Vanse don Juan y Catalinón] MOTA MÚSICO MOTA
(Cantan)
La mujer ha de pensar que soy él. ¡Qué gentil perro! Esto es acertar por yerro. ............................................... El que un bien gozar espera, cuando espera desespera.
1550
Vanse, y dice doña Ana dentro. ANA DON JUAN ANA
¡Falso, no eres el marqués! ¡Que me has engañado! Digo que lo soy. ¡Fiero enemigo, mientes, mientes!
1555
Sale don Gonzalo con la espada desnuda. DON GONZALO ANA
1946
La voz es de doña Ana la que siento. ¿No hay quien mate este traidor, homicida de mi honor?
1560
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
Zitto, sciocco, ora stai zitto. Andiamo a mettere in opera la mia burla. Non ti sfugge nessuno! Amo l’inganno. Hai presentato la cappa al toro. No, è stato il toro che l’ha presentata a me). [Se ne vanno don Giovanni e Catalinón]
MOTA MUSICI MOTA
Cantano
Quella donna penserà che sono io. Bello scherzo! È indovinare per sbaglio. ............................................... Chi il suo ben godere spera più spera, più si dispera. Escono, e grida donna Anna da dentro.
DONNA ANNA DON GIOVANNI DONNA ANNA
Infame! Non sei il marchese! Mi hai ingannata! No, ti dico che sono io! Maledetto! Menti, menti! Entra don Gonzalo con la spada in pugno.
DON GONZALO DONNA ANNA
È la voce di donna Anna. Uccidete questo traditore, questo omicida del mio onore! 1947
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA DON GONZALO
ANA
¿Hay tan grande atrevimiento? Muerto honor, dijo, ¡ay de mí!, y es su lengua tan liviana que aquí sirve de campana. ¡Matalde!
1565
Sale don Juan y Catalinón, con las espadas desnudas. DON JUAN DON GONZALO
DON JUAN DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO DON JUAN CATALINÓN DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO DON JUAN
¿Quién está aquí? La barbacana caída de la torre de mi honor, echaste en tierra, traidor, donde era alcaide la vida. Déjame pasar. ¿Pasar? Por la punta desta espada. Morirás. No importa nada. Mira que te he de matar. ¡Muere, traidor! De esta suerte muero. Si escapo de esta, no más burlas, no más fiesta. ¡Ay, que me has dado la muerte! Tú la vida te quitaste. ¿De qué la vida servía? Huyamos. Vase don Juan y Catalinón.
DON GONZALO
1948
La sangre fría con el furor aumentaste. ¡Muerto soy! ¡No hay bien que aguarde! ¡Seguiráte mi furor!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO DON GONZALO
DONNA ANNA
Chi può avere tanto ardire? «Omicida del mio onore» ha detto, povero me; la sua lingua è tanto improvvida che diffonde il disonore. Uccidetelo!
Entrano don Giovanni e Catalinón, con le spade sguainate. DON GIOVANNI DON GONZALO
DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI CATALINÓN DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI
Chi è là? Hai distrutto il contrafforte della torre del mio onore, che custodiva la vita, o traditore. Lasciami passare. Sarai passato a filo della mia spada. Morrai. Oramai che importa? Attento: ti ucciderò. Muori, traditore! Muoio così! Se scampo da questa basta con burle e baldorie! Ohimè, m’hai colpito a morte! Tu, ti sei tolto la vita! E a che la vita serviva? Scappiamo! Escono don Giovanni e Catalinón.
DON GONZALO
Il sangue si gela, ma il mio furore aumenta. Io muoio!... Tutto è finito... T’inseguirà la mia collera, 1949
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
¡Que es traidor, y el es que traidor es traidor porque es cobarde!
1585
Entran muerto a don Gonzalo, y sale el marqués de la Mota y músicos. MOTA
Presto las doce darán, y mucho don Juan se tarda; ¡fiera prisión del que aguarda! Sale don Juan y Catalinón.
DON JUAN MOTA DON JUAN MOTA DON JUAN CATALINÓN MOTA CATALINÓN DON JUAN MOTA
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
¿Es el marqués? ¿Es don Juan? Yo soy, tomad vuestra capa. ¿Y el perro? Funesto ha sido; al fin, marqués, muerto ha habido. Señor, del muerto te escapa. ¿Búrlaste, amigo? ¿Qué haré? (Y a vos os ha burlado). Cara la burla ha costado. Yo, don Juan, lo pagaré, porque estará la mujer quejosa de mí. ¡Adiós, marqués! (A fe que los dos mal pareja han de correr.) ¡Huyamos! Señor, no habrá águila que a mí me alcance.
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Vanse, y queda el marqués de la Mota. MOTA
1950
Vosotros os podéis ir porque quiero ir solo [ya].
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
traditore! E chi tradisce lo fa perché è un vigliacco. Portano via il cadavere di don Gonzalo, e entra il marchese de la Mota e i musici. Presto sarà mezzanotte, e don Giovanni è in ritardo: che tormento per chi aspetta!
MOTA
Entrano don Giovanni e Catalinón. DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI MOTA DON GIOVANNI CATALINÓN MOTA CATALINÓN DON GIOVANNI MOTA
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
È il marchese? È don Giovanni? Son io: ecco il vostro mantello. E la beffa? È andata male. Insomma: c’è stato un morto. Signore, dal morto scappa. Scherzi amico? Che ho da fare? (E anche voi siete burlato.) La burla è costata cara. E sarò io a pagarla, perché la donna sarà infuriata con me. Addio, marchese. (Certo entrambi faranno una bella festa!) Fuggiamo! Manco un’aquila mi raggiungerà, Signore.
Se ne vanno, e rimane solo il marchese della Mota. MOTA
Voialtri potete andare mentre io proseguo solo. 1951
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Dentro MOTA
¿Vióse desdicha mayor, y vióse mayor desgracia? ¡Válgame Dios, voces siento en la plaza del Alcázar! ¿Qué puede ser a estas horas? Un yelo el pecho me arraiga. Desde aquí parece todo una Troya que se abrasa, porque tantas luces juntas hacen gigantes de llamas. Un gran de escuadrón de hachas se acerca a mí; ¿por qué anda el fuego emulando estrellas, dividiéndose en escuadras? Quiero saber la ocasión.
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Sale don Diego Tenorio y la guarda con hachas. DON DIEGO
[MOTA]
DON DIEGO MOTA DON DIEGO
MOTA DON DIEGO MOTA
1952
¿Qué gente? Gente que aguarda saber de aqueste rüido el alboroto y la causa. Prendeldo. ¿Prenderme a mí? Volved la espada a la vaina, que la mayor valentía es no tratar de las armas. ¿Cómo al marqués de la Mota hablan ansí? Dad la espada, que el rey os manda prender. ¡Vive Dios!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
[Da dentro] MOTA
S’è mai vista una sciagura, una simile disgrazia? Dio m’aiuti! Sento grida nella piazza del palazzo! Che può essere, a quest’ora? Il cuore mi si raggela. Da qui sembra una nuova Troia che bruci; infatti tante fiaccole insieme fanno giganti di fiamma. Uno squadrone di torce mi si avvicina; perché il fuoco emula le stelle e si divide in squadre? Voglio saperne la causa. Entrano don Diego Tenorio e guardie con fiaccole.
DON DIEGO
Chi va là?
[MOTA]
Uno che vuole sapere cosa ha causato questo rumore e scompiglio. Arrestatelo! Arrestarmi? Rinfoderate la spada, che il coraggio maggiore è non ricorrere alle armi. Al marchese della Mota dite questo? Qua la spada: è il re che vi fa arrestare. Per Dio!
DON DIEGO MOTA DON DIEGO
MOTA DON DIEGO MOTA
1953
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Sale el rey y acompañamiento. REY
DON DIEGO MOTA REY
MOTA
DON DIEGO MOTA DON DIEGO MOTA REY
1954
En toda España no ha de caber, ni tampoco en Italia, si va a Italia. Señor, aquí está el marqués. ¿Vuestra alteza a mí me manda prender? L[l]evalde y ponelde la cabeza en una escarpia. ¿En mi presencia te pones? ¡Ah, glorias de amor tiranas, siempre en el pasar ligeras, como en el vivir pesadas! Bien dijo un sabio que había entre la boca y la taza peligro; mas el enojo del rey me admira y espanta. No sé por lo que voy preso. ¿Quién mejor sabrá la causa que vueseñoría? ¿Yo? Vamos. ¡Confusión extraña! Fulmínesele el proceso al marqués luego, y mañana le cortarán la cabeza. Y al comendador, con cuanta solenidad y grandeza se da a las personas sacras y reales, el entierro se haga; en bronce y piedras varias un sepulcro con un bulto
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Entra il re col suo seguito. RE
DON DIEGO MOTA RE
MOTA
DON DIEGO MOTA DON DIEGO MOTA RE
Che in tutta la Spagna non possa trovar rifugio, né in Italia, se ci va. Signore, ecco il marchese. Vostra altezza ha ordinato di arrestarmi? Portatelo via, appendetegli la testa a un gancio. Come osi venirmi davanti? Ah, gioie tiranne d’amore, sempre rapide nello svanire, pesanti quando si vivono! Bene disse quel saggio che tra la bocca e la tazza ci posson esser pericoli! Ma mi stupisce e spaventa l’ira del re. Io non so perché son stato arrestato. Chi potrà saperlo meglio di vossignoria? Di me? Andiamo. Che sbaglio assurdo! Che si faccia il processo al marchese immantinente, e domani gli si tagli la testa. E al Commendatore si disponga un funerale con la stessa grandezza che si usa per le persone sacre e regali; in bronzo e con marmi un sepolcro
1955
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
DON DIEGO REY
le ofrezcan, donde en mosaicas labores, góticas letras den lenguas a sus venganzas. Y entierro, bulto y sepulcro quiero que a mi costa se haga. ¿Dónde doña Ana se fue? Fuése al sagrado doña Ana de mi señora la reina. Ha de sentir esta falta Castilla; tal capitán ha de llorar Calatrava.
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1670
Vanse todos. Sale Batricio, desposado con Aminta, Gaseno, viejo, Belisa y pastores músicos. Cantan
BATRICIO
AMINTA
Cantan
GASENO BATRICIO
1956
Lindo sale el sol de Abril, con trébol y toronjil; y aunque le sirv[a] de estrella, Aminta sale más bella. Sobre esta alfombra florida, adonde en campos de escarcha el sol sin aliento marcha con su luz recién nacida, os sentad, pues nos convida al tálamo el sitio hermoso. Cantalde a mi dulce esposo favores de mil en mil. Lindo sale el sol de Abril, con trébol y torongil; y aunque le sirva de estrella, Aminta sale más bella. Muy bien lo habéis solfeado. No hay más sones en los kiries. Cuando, con sus labios tir[i]es ..............................................................
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
DON DIEGO RE
si costruisca, e una statua, dove in lettere gotiche, a mosaico, si proclami la sua vendetta. Esequie, statua e sepolcro voglio che siano fatte a mie spese. Dove si trova Donna Anna? Le ha offerto sicuro asilo la regina, mia signora. Sentirà questa mancanza Castiglia, ed un tale capo rimpiangerà Calatrava.
Escono tutti. Entra Batricio, sposo, con Aminta; Gaseno, vecchio, Belisa e musici pastori. Cantano
BATRICIO
AMINTA
Cantano
GASENO BATRICIO
Spunta il bel sole d’aprile, con la menta ed il trifoglio, ma lo precede, più bella, Aminta, come una stella. Sopra il tappeto fiorito sui campi rugiadosi, che son percorsi dal sole con la sua pallida luce, sediamoci: qui ci invita, come un letto nuziale, questo piacevole luogo. Cantate al mio caro sposo mille e mille dolcezze. Spunta il bel sole d’Aprile, con la menta ed il trifoglio, ma lo precede, più bella, Aminta, come una stella. Che solfeggio stupendo! Ha più note del Kirie. Quando le sue labbra rosse ................................................... 1957
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
AMINTA
(Cantan)
vuelve en púrpura sus labios, saldrán, aunque vergonzosos, afrentando el sol de abril. Batricio, yo lo agradezco; falso y lisonjero estás; mas si tus rayos me das por ti ser luna merezco ........................................... después de salir menguante, para que el alba te cante la salva en tono sutil. Lindo sale el sol de Abril, [etc.]
1695
1700
Sale Catalinón, de camino. CATALINÓN GASENO
CATALINÓN GASENO CATALINÓN BELISA BATRICIO
CATALINÓN BATRICIO
1958
Señores, el desposorio huéspedes ha de tener. A todo el mundo ha de ser este contento notorio. ¿Quién viene? Don Juan Tenorio. ¿El viejo? No es ése don Juan. Será su hijo galán. Téngolo por mal agüero; que galán y caballero quitan gusto y celos dan. Pues, ¿quién noticia les dio de mis bodas? De camino pasa a Lebrija. Imagino que el demonio le envió; mas ¿de qué me aflijo yo? Vengan a mis dulces bodas del mundo las gentes todas.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
AMINTA
Cantano
di porpora diventano, appariranno, anche se timide, e vinceranno il sol della primavera. Batricio, io ti ringrazio, sei bugiardo e adulatore, ma se mi presti i tuoi raggi potrò essere la luna: ..................................... se sono nata calante, così che l’alba ti accolga cantando dolcemente. Spunta il bel sole d’Aprile, ecc. Entra Catalinón, vestito da viaggio.
CATALINÓN GASENO
CATALINÓN GASENO CATALINÓN BELISA BATRICIO
CATALINÓN BATRICIO
Signori, allo sposalizio ci saranno degli ospiti. A tutti deve esser noto quanto siamo contenti. Chi è? Giovanni Tenorio. Quello vecchio? No, è un altro. Sarà il suo bel figliolo. Mi par di cattivo augurio: un aitante cavaliere, toglie gioia e fa gelosi. E chi gli ha dato notizie del mio matrimonio? È in viaggio per Lebrija. Il demonio l’ha mandato. Ma di cosa mi preoccupo? Vengano alle mie nozze tutte le genti del mondo.
1959
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
GASENO
BELISA BATRICIO
Mas, con todo, un caballero en mis bodas, ¡mal agüero! Venga el Coloso de Rodas, venga el Papa, el Preste Juan, y don Alfonso el Onceno con su corte, que en Gaseno ánimo y valor verán. Montes en casa hay de pan, Guadalquivides de vino, Babilonias de tocino, y entre ejércitos cobardes de aves, para que las [lardes], el pollo y el palomino. Venga tan gran caballero a ser hoy en Dos Hermanas honra de estas nobles canas. ¡El hijo del camarero mayor! (Todo es mal agüero para mí, pues le han de dar junto a mi esposa lugar. Aun no gozo, y ya los cielos me están condenando a celos. Amor, sufrir y callar).
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Sale don Juan Tenorio. DON JUAN
GASENO BATRICIO
1960
Pasando acaso he sabido que hay bodas en el lugar, y dellas quise gozar, pues tan venturoso he sido. Vueseñoría ha venido a honrallas y engrandecellas. (Yo, que soy el dueño dellas, digo entre mí que vengáis en hora mala).
1745
1750
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
GASENO
BELISA BATRICIO
E tuttavia, un cavaliere, alle nozze... Porta male! Venga il Colosso di Rodi, venga il Papa, il prete Gianni, o venga il re Alfonso undecimo e la sua corte, e vedranno di Gaseno il cuore e l’animo. Ho in casa monti di pane fiumi abbondanti di vino, Babilonie di prosciutto, e, tra eserciti codardi di uccelli da lardellare, polli e piccioni a strafare. Venga, questo cavaliere che oggi, a Dos Hermanas, onora la mia canizie. Il figlio del cameriere maggiore... (Brutti presagi, per me, perché gli faranno posto accanto alla mia sposa. Prima ancora di goderla condannato a esser geloso! Amor, soffrire e tacere.) Entra don Giovanni Tenorio.
DON GIOVANNI
GASENO BATRICIO
Mentre ero in viaggio, m’hanno detto per caso, di questo sposalizio; e ho voluto approfittarne: sono stato fortunato! Vossignoria è venuto a onorarlo e farlo grande. (Io, che sono il titolare, dico tra me che venite alla malora.) 1961
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA GASENO DON JUAN
¿No dais lugar a este caballero? Con vuestra licencia quiero sentarme aquí. Siéntase junto a la novia.
BATRICIO
DON JUAN GASENO DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
AMINTA BATRICIO GASENO
1962
Si os sentáis delante de mí, señor, seréis de aquesa manera el novio. Cuando lo fuera no escogiera lo peor. ¡Qué es el novio! De mi error y ignorancia perdón [pido]. (¡Desventurado marido!) (Corrido está). (No lo ignoro; mas, si tiene de ser toro, ¿qué mucho que esté corrido? No daré por su mujer ni por su honor un cornado. ¡Desdichado tú, que has dado en manos de Lucifer!) ¿Posible es que vengo a ser, señora, tan venturoso? Envidia tengo al esposo. Parecéisme lisonjero. (Bien dije que es mal agüero en bodas un poderoso.) Ea, vamos a almorzar, porque pueda descansar un rato su señoría.
1755
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1775
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO GASENO DON GIOVANNI
Non fate posto a questo cavaliere? Con vostra licenza voglio sedermi qui. Si siede accanto alla sposa.
BATRICIO
DON GIOVANNI GASENO DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI
AMINTA BATRICIO GASENO
Se sedete davanti a me, signore, sembrerà che voi siate lo sposo!... E se lo fossi avrei scelto molto bene. Ma lo sposo è lui!... Oh, scusate la mia ignoranza e lo sbaglio! (Che marito sventurato!) (Sta a capo basso.) (Lo vedo, ma se porterà le corna è la posizione giusta. Non giocherei su sua moglie o sul suo onore nemmeno un soldo cornificato! Povero te, sei cascato tra le grinfie di Lucifero!) Possibile che sia stata la mia fortuna sì grande? Invidio il vostro sposo. Voi mi volete adulare. (Ho detto bene: un potente alle nozze è un brutto segno!) Su, cominciamo a mangiare, perché possa riposare un poco sua signoria.
1963
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA SEGUNDA
Tómale don Juan la mano a la novia. DON JUAN AMINTA GASENO BELISA DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN BATRICIO GASENO BATRICIO CATALINÓN
¿Por qué la escondéis? ¡Es mía! ¡Vamos! Volved a cantar. (¿Qué dices tú? ¿Yo? Que temo muerte vil de esos villanos. Buenos ojos, blancas manos, en ellos me abraso y quemo. ¡Almagrar y echar a extremo! Con esta cuatro serán. Ven, que mirándome están.) (¿En mis bodas caballero? ¡Mal agüero!) Cantad. (¡Muero!) (Canten, que ellos llorarán.) Vanse todos, con que da fin la Segunda Jornada.
1964
1780
1785
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO SECONDO
Don Giovanni prende la mano alla sposa. DON GIOVANNI AMINTA GASENO BELISA DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI BATRICIO GASENO BATRICIO CATALINÓN
Perché la nascondi? È mia. Andiamo. Cantate ancora. (Cosa dici? Io? Ho paura che ci faranno la pelle. Che begli occhi e bianche mani! In essi ardo e mi brucio. Bollarla e poi scappare! E con questa fanno quattro. Vieni, mi stanno osservando.) (E tuttavia, un cavaliere, alle nozze... Porta male!) Su, cantate! (Sto morendo...) (Cantino... poi piangeranno.) Escono tutti, e così termina il secondo atto.
1965
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
JORNADA TERCERA Sale Batricio, pensativo. BATRICIO
1966
Celos, reloj de cuidados, que a todas las horas dais tormentos con que matáis, aunque dais desconcertados; celos, del vivir desprecios, con que ignorancias hacéis, pues todo lo que tenéis de ricos, tenéis de necios, dejadme de atormentar, pues es cosa tan sabida que, cuando amor me da vida, la muerte me queréis dar. ¿Qué me queréis, caballero, que me atormentáis ansí? Bien dije, cuando le vi en mis bodas, «¡Mal agüero!». ¿No es bueno que se sentó a cenar con mi mujer, y a mí en el plato meter la mano no me dejó? Pues cada vez que quería metella, la desviaba, diciendo a cuanto tomaba, «¡Grosería, grosería!». Pues llegándome a quejar a algunos, me respondían y con risa me decían: «No tenéis de qué os quejar, eso no es cosa que importe; no tenéis de qué temer, callad, que debe de ser uso de allá, de la corte». ¡Buen uso, trato extremado!
1790
1795
1800
1805
1810
1815
1820
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entra Batricio, pensieroso. BATRICIO
Gelosia, sveglia d’angosce, che batti a tutte le ore, anche se in modo confuso, i tormenti che mi uccidono, gelosia, affanno del vivere, che rendi sciocca la gente, perché quel che ti fa crescere dalla tua stoltezza ha origine, smettila di tormentarmi, perché è cosa risaputa che se amore dà la vita, tu mi vuoi dare la morte. Che volete, cavaliere, che così mi torturate? Dissi bene «brutto segno», nel vederlo alle mie nozze. È giusto che si sedesse accanto alla mia sposa, e a me manco mi lasciasse metter le mani nel piatto? Ogni volta che volevo allungarle le toglieva, se prendevo qualche cosa diceva «Che scortesia»! E se poi mi lamentavo tutti lì che mi dicevano, ridendo: «Non vi dovete lagnare, che è poca cosa; non c’è nulla da temere, zitto, che questo dev’essere un’usanza della corte». Bell’usanza, e che finezza!
1967
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
¡Más no se usara en Sodoma! ¡Que otro con la novia coma, y que ayune el desposado! Pues el otro bellacón a cuanto comer quería, «¿Esto no come?», decía; «No tenéis, señor, razón». Y de delante al momento me lo quitaba. Corrido estó; bien sé yo que ha sido culebra y no casamiento. Ya no se puede sufrir ni entre cristianos pasar; y acabando de cenar con los dos, ¿mas que a dormir se ha de ir también, si porfía, con nosotros, y ha de ser el llegar yo a mi mujer «Grosería, grosería»? Ya viene, no me resisto; aquí me quiero esconder; pero ya no puede ser, que imagino que me ha visto.
1825
1830
1835
1840
1845
Sale don Juan Tenorio. DON JUAN
¡Batricio!
BATRICIO
Su señoría, ¿qué manda? Haceros saber... (¿Mas que ha de venir a ser alguna desdicha mía?) ...que ha muchos días, Batricio, que a Aminta el alma di, y he gozado...
DON JUAN BATRICIO DON JUAN
1968
1850
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
Neanche a Sodoma si usava che uno mangi con la sposa mentre lo sposo digiuna. E quell’altro svergognato, quando volevo mangiare, «Non mangia nulla?» diceva, «avete torto, signore», e mi levava il boccone dinnanzi. Io mi vergogno; mi par proprio che sia stato veleno e non matrimonio. Che non si può sopportare tra cristiani; e se finito di mangiare fa lo stesso, quando si andrà a dormire e mi avvicino a mia moglie mi dirà: «Che scortesia!» Non ne posso più; ed eccolo, voglio nascondermi qui; ma ormai non posso più farlo, perché penso che mi ha visto. Entra don Giovanni Tenorio. DON GIOVANNI BATRICIO DON GIOVANNI BATRICIO DON GIOVANNI
Batricio! Cosa comanda vossignoria? Voglio dirti... (Che potrà essere mai se non qualche mia disgrazia?) ...che già da molto tempo a Aminta ho dato il cuore e lei mi ha dato...
1969
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA BATRICIO DON JUAN BATRICIO
DON JUAN
BATRICIO
1970
¿Su honor? Sí. (Manifiesto y claro indicio de lo que he llegado a ver; que si bien no la quisiera, nunca a su casa viniera; al fin, al fin es mujer.) Al fin, Aminta, celosa, o quizá desesperada de verse de mí olvidada y de ajeno dueño esposa, esta carta me escribió enviándome a llamar, y yo prometí gozar lo que el alma prometió. Esto pasa de esta suerte. Dad a vuestra vida un medio, que le daré sin remedio a quien lo impida, la muerte. Si tú en mi elección lo pones, tu gusto pretendo hacer, que el honor y la mujer son males en opiniones. La mujer en opinión siempre más pierde que gana, que son como la campana que se estima por el son. Y así es cosa averiguada que opinión viene a perder, cuando cualquiera mujer suena a campana quebrada. No quiero, pues me reduces el bien que mi amor ordena, mujer entre mala y buena, que es moneda entre dos luces. Gózala, señor, mil años,
1855
1860
1865
1870
1875
1880
1885
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO BATRICIO DON GIOVANNI BATRICIO
DON GIOVANNI
BATRICIO
Il suo onore? Sì. (È la conferma più chiara di quanto han visto i miei occhi: che se non l’avesse amata non sarebbe qui venuto. In fin dei conti lei è donna!) Dunque, Aminta, gelosa o magari disperata di vedersi abbandonata e promessa a un altro sposo, mi ha inviato questa lettera e mi ha mandato a chiamare, e io ho deciso di compiere quello che avevo promesso. Le cose stanno così: decidi quel che è più giusto; considera che io darò, a chi si oppone, la morte. Se mi lasciate scegliere, farò quello che vorrete, perché l’onore e la donna non devono lasciar dubbi. Se la donna è chiacchierata ci perde e non ci guadagna: è come con le campane: si giudica dal rumore. Ed è cosa risaputa che perde reputazione qualsiasi donna, se suona come una campana rotta. Non voglio, se mettete in dubbio il bene a cui mi avviavo, una donna buona a mezzo, proprio come una moneta quando non si vede bene. Godetevela per mill’anni, 1971
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
que yo quiero resistir, desengañar y morir, y no vivir con engaños. Vase. DON JUAN
Con el honor le vencí, porque siempre los villanos tienen su honor en las manos, y siempre miran por sí. Que por tantas variedades es bien que se entienda y crea que el honor se fue al aldea huyendo de las ciudades. Pero antes de hacer el daño le pretendo reparar; a su padre voy a hablar para autorizar mi engaño. Bien lo supe negociar; gozarla esta noche espero. La noche camina y quiero su viejo padre llamar. ¡Estrellas que me alumbráis, dadme en este engaño suerte, si el galardón en la muerte tan largo me lo guardáis!
1890
1895
1900
1905
Vase. Sale Aminta y Belisa. BELISA AMINTA
1972
Mira que vendrá tu esposo. Entra a desnudarte, Aminta. De estas infelices bodas no sé qué siento, Belisa. Todo hoy mi Batricio ha estado bañado en melancolía, todo en confusión y celos.
1910
1915
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
preferisco rinunciare, disingannarmi e morire, e non vivere ingannato. Esce. DON GIOVANNI
L’ho vinto con l’onore, perché questi contadini ne han sempre piena la bocca; stanno sempre sul chi vive. In mezzo ai cambiamenti, si deve proprio credere che l’onore è fuggito dalle città, rifugiandosi in campagna. Però prima di fare il danno lo voglio riparare: vo a parlare con suo padre; così posso condurre meglio il mio inganno. Ho fatto tutto per bene; stanotte me la godrò. La notte avanza; voglio chiamare il suo vecchio padre. Stelle che mi illuminate, il mio inganno aiutate, se il rendiconto è alla morte ancora ce n’è del tempo! Esce. Entrano Aminta e Belisa.
BELISA AMINTA
Tra poco arriva il tuo sposo: Aminta, vai a spogliarti. Di queste nozze infelici non so che penso, Belisa. Per tutto il giorno Batricio è stato pensieroso, preoccupato e geloso: 1973
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
BELISA
AMINTA BELISA AMINTA
¡Mirad qué grande desdicha! Di, ¿qué caballero es este que de mi esposo me priva? La desvergüenza en España se ha hecho caballería. .......................................... Déjame, que estoy corrida. ¡Mal hubiese el caballero que mis contentos me priva! Calla, que pienso que viene; que nadie en la casa pisa de un desposado, tan recio. Queda a Dios, Belisa mía. Desenójale en los brazos. Plega a los cielos que sirvan mis suspiros de requiebros, mis lágrimas de caricias!
1920
1925
1930
Vanse. Sale don Juan, Catalinón, Gaseno. DON JUAN GASENO
DON JUAN GASENO
Gaseno, quedad con Dios. Acompañaros querría, por dalle de esta ventura el parabién a mi hija. Tiempo mañana nos queda. Bien decís, el alma mía en la muchacha os ofrezco. [Vase]
DON JUAN CATALINÓN
1974
Mi esposa decid. Ensilla, Catalinón. ¿Para cuándo?
1935
1940
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
vedi che grande disgrazia! Di’, chi è questo cavaliere che mi allontana il mio sposo? La sfrontatezza in Spagna si è fatta cavalleria! ................................... Lasciami, sono avvilita! Maledetto il cavaliere che mi toglie ogni allegria! Zitta, che penso che arriva, perché nessuno entrerebbe così deciso in casa di chi si è appena sposato. Addio, mia cara Belisa. Gli passerà se lo abbracci! Dio voglia che i miei sospiri servano da complimenti, le lacrime da carezze!
BELISA
AMINTA BELISA AMINTA
Escono. Entrano don Giovanni, Catalinón e Gaseno. DON GIOVANNI GASENO
DON GIOVANNI GASENO
Arrivederci, Gaseno. Vi vorrei accompagnare, e di questa fortuna rallegrarmi con mia figlia. Avrete tempo domani. Dite bene. E vi affido l’anima mia con mia figlia. [Esce]
DON GIOVANNI CATALINÓN
Ormai mia moglie! Sella, Catalinón, i cavalli. Per quando?
1975
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
1976
Para el alba, que de risa muerta ha de salir mañana de este engaño. Allá en Lebrija, señor, nos está aguardando otra boda. Por tu vida que despaches presto en esta. La burla más escogida de todas ha de ser esta. Que saliésemos quería de todas bien. Si es mi padre el dueño de la justicia, y es la privanza del rey, ¿qué temes? De los que privan suele Dios tomar venganza, si delitos no castigan, y se suelen en el juego perder también los que miran. Yo he sido mirón del tuyo, y por mirón no quería que me cogiese algún rayo, y me trocase en cecina. Vete, ensilla, que mañana he de dormir en Sevilla. ¿En Sevilla? Sí. ¿Qué dices? Mira lo que has hecho, y mira que hasta la muerte, señor, es corta la mayor vida; que hay tras la muerte imperio.
1945
1950
1955
1960
1965
1970
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
Per domattina, quando l’alba spunterà, ridendo a crepapelle per questo inganno! E a Lebrija, signore, ci sta aspettando un secondo matrimonio! Ti scongiuro di sbrigarti con il primo! La migliore burla sarà proprio questa! Vorrei uscire da tutte sani e salvi. Se mio padre è il capo della giustizia e il favorito del re, di che hai paura? Dio è solito farla pagare ai potenti se non castigano i crimini, e nel gioco ci rimettono anche quelli che guardano. Io sono stato a vedere il tuo, non vorrei che un fulmine mi colpisse, per guardone, e mi riducesse in cenere. Sella i cavalli: domani voglio dormire a Siviglia. A Siviglia? Sì. Che dici? Guarda quello che hai fatto, guarda che fino alla morte anche la vita più lunga è breve, e dopo la morte c’è giustizia.
1977
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
Si tan largo me lo fías, ¡vengan engaños! Señor... Vete, que ya me amohínas con tus temores extraños. Fuerza al turco, fuerza al scita, al persa y al caramanto, al gallego, al troglodita, al alemán y al Japón, al sastre con la agujita de oro en la mano, imitando contino a la Blanca niña.
1975
1980
Vase. DON JUAN
La noche en negro silencio se extiende, y ya las cabrillas entre racimos de estrellas el polo más alto pisan. Yo quiero poner mi engaño por obra, el amor me guía a mi inclinación, de quien no hay hombre que se resista. Quiero llegar a la cama. ¡Aminta! Sale Aminta, como que está acostada.
AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN
1978
¿Quién llama Aminta? ¿Es mi Batricio? No soy tu Batricio. Pues, ¿quién? Mira de espacio, Aminta, quién soy.
1985
1990
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN
Per gli inganni ancora ce n’è del tempo! Ma signore... Su, va’ via, che i tuoi sciocchi timori mi indispongono! E allora violenta i turchi, gli sciti, i persiani, i garamanti, i gaglieghi, i trogloditi, i tedeschi, i giapponesi, il sarto con l’ago d’oro in mano, che notte e giorno imita Berta che fila! Se ne va.
DON GIOVANNI
La notte in silenzio oscuro si stende, e già le Pleiadi calpestano l’alto polo tra i grappoli di stelle. Voglio mettere in opera il mio inganno. Amor mi spinge verso il mio destino, a cui nessun uomo può resistere. Mi avvicino al suo letto. Aminta! Entra Aminta, come se si alzasse dal letto.
AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI
Chi chiama Aminta? È il mio Batricio? Non sono il tuo Batricio. E chi, allora? Guardami con calma, Aminta.
1979
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA AMINTA DON JUAN AMINTA
DON JUAN
AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN
1980
¡Ay de mí! ¡Yo soy perdida! ¿En mi aposento a estas horas? Estas son las [horas] mías. Volveos, que daré voces, no excedáis la cortesía que a mi Batricio se debe, ved que hay romanas Emilias en Dos Hermanas también, y hay Lucrecias vengativas. Escúchame dos palabras, y esconde de las mejillas en el corazón la grana, por ti más preciosa y rica. Vete, que vendrá mi esposo. Yo lo soy. ¿De qué te admiras? ¿Desde cuándo? Desde agora. ¿Quién lo ha tratado? Mi dicha. ¿Y quién nos casó? Tus ojos. ¿Con qué poder? Con la vista. ¿Sábelo Batricio? Sí; que te olvida. ¿Que me olvida? Sí; que yo te adoro. ¿Cómo? Con mis dos brazos. Desvía. ¿Cómo puedo, si es verdad que muero? ¡Qué gran mentira! Aminta, escucha y sabrás, si quieres que te lo diga, la verdad; que las mujeres
1995
2000
2005
2010
2015
2020
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO AMINTA DON GIOVANNI AMINTA
DON GIOVANNI
AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI
Ohimè! Io sono perduta! Nella mia stanza a quest’ora? Queste sono le ore mie! Uscite, che se no grido! Non violate il rispetto che si deve al mio Batricio! Anche qui, a Dos Hermanas, ci sono Emilie romane, e Lucrezie che si vendicano! Ascolta due parole e dalle guance richiama al cuore quel rossore in te così prezioso! Va via, che verrà il mio sposo! Io lo sono! Ti stupisci? Da quando lo sei? Da adesso. Chi l’ha deciso? La sorte. Chi ci ha sposato? I tuoi occhi. Con che potere? Il tuo sguardo. E lo sa Batricio? Sì; t’ha scordato. M’ha scordato? Sì, e io t’adoro. Come? Con queste due braccia! Scostati! E come posso, se è certo che muoio? Ma che menzogna! Aminta, ascolta, e saprai, se vuoi che te lo dica, il vero, perché voi donne 1981
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
AMINTA
DON JUAN
AMINTA
1982
sois de verdades amigas. Yo soy noble caballero, cabeza de la familia de los Tenorios antiguos, ganadores de Sevilla. Mi padre, después del rey, se reverencia y estima, y en la corte, de sus labios pende la muerte o la vida. Corriendo el camino acaso, llegué a verte, que amor guía tal vez las cosas, de suerte que él mismo de ellas se admira. Vite, adorete, abraseme, tanto que tu amor me anima a que contigo me case: mira qué acción tan precisa. Y aunque lo mormure el re[ino], y aunque el rey lo contradiga, y aunque mi padre enojado con amenazas lo impida, tu esposo tengo de ser. ¿Qué dices? No sé qué diga, que se encubren tus verdades con retóricas mentiras. Porque si estoy desposada, como es cosa conocida, con Batricio, el matrimonio no se absuelve, aunque él desista. En no siendo confirmado, por engaño o por malicia, puede anularse. En Batricio toda fue verdad sencilla.
2025
2030
2035
2040
2045
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
AMINTA
DON GIOVANNI
AMINTA
amate la verità. Sono un cavaliere nobile, e capo della famiglia dei Tenorio, che un tempo conquistarono Siviglia. E dopo il re, mio padre è il più stimato e ossequiato della corte, e da lui dipendono morte e vita. Passando di qua per caso ti ho vista, che amore a volte dispone le cose in modo che si stupisce lui stesso. Ti vidi, t’adorai, arsi tanto d’amore per te che ho deciso di sposarti: altro non potevo fare. Anche se il re si adira, o se il regno lo critica, anche se mio padre irato lo impedisce, minacciandomi, devo essere tuo sposo. Che dici? Non so che dire: le tue verità nascondi con retoriche menzogne; perché se sono sposata – e tutti quanti lo sanno – con Batricio, il matrimonio non si scioglie anche se egli vi rinunzia. Tuttavia se non è consumato, o per inganno o malizia si può annullare. Batricio è sempre stato sincero. 1983
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN
AMINTA DON JUAN
AMINTA DON JUAN AMINTA DON JUAN
AMINTA
1984
Ahora bien, dame esa mano, y esta voluntad confirma con ella. ¿Que no me engañas? Mío el engaño sería. Pues jura que cumplirás la palabra prometida. Juro a esta mano, señora, infierno de nieve fría, de cumplirte la palabra. Jura a Dios que te maldiga si no la cumples. Si acaso la palabra y la fe mía te faltare, ruego a Dios que a traición y alevosía me dé muerte un hombre... (muerto; que vivo, Dios no permita). Pues con ese juramento soy tu esposa. El alma mía entre los brazos te ofrezco. Tuya es el alma y la vida. ¡Ay, Aminta de mis ojos! Mañana sobre virillas de tersa plata, estrellada con clavos de oro de Tíbar, pondrás los hermosos pies, y en prisión de gargantillas la alabastrina garganta, y los dedos en sortijas, en cuyo engaste parezcan transparentes perlas finas. A tu voluntad, esposo, la mía desde hoy se inclina. Tuya soy.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI
AMINTA DON GIOVANNI
AMINTA DON GIOVANNI AMINTA DON GIOVANNI
AMINTA
Suvvia, dammi questa mano, e confermami con essa il consenso. Non mi inganni? Su me ricada l’inganno. Giurami di mantenere la promessa che mi hai fatto. Giuro su questa tua mano, inferno di fredda neve, che manterrò la promessa. Giura che Dio ti punisca se non la mantieni. Se alla fede e alla parola io mancassi, prego Dio che io muoia a tradimento per mano di un uomo... (morto; vivo, Dio non lo permetta!) Dopo questo giuramento sono tua sposa. L’anima con questo abbraccio ti offro. Tua è l’anima e la mia vita. Oh, Aminta degli occhi miei! Domani tu calzerai questi tuoi bei piedini con scarpette d’argento stellato di chiodi d’oro, imprigionerai la bianca gola in collane di perle, ed in anelli le dita: lì incastonate parranno fini perle trasparenti. Al tuo volere, mio sposo, da oggi il mio si piega: sono tua.
1985
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
(¡Qué mal conoces al burlador de Sevilla!) Vanse. Sale Isabela y Fabio, de camino.
ISABELA
FABIO
ISABELA FABIO
1986
¡Que me robase el dueño la prenda que estimaba y más quería! ¡Oh riguroso empeño de la verdad! ¡Oh máscara del día! ¡Noche al fin tenebrosa, antípoda del sol, del sueño esposa! ¿De qué sirve, Isabela, el amor en el alma y en los ojos, si amor todo es cautela, y en campos de desdenes causa enojos, si el que se ríe agora en breve espacio desventuras llora? El mar está alterado, y en grave temporal, tiempo socorre; el abrigo han tomado las galeras, duquesa, de la torre que esta playa corona. ¿Dónde estamos [ahora]? En Tarragona. De aquí a poco espacio daremos en Valencia, ciudad bella, del mismo sol palacio, divertiraste algunos días en ella; y después a Sevilla irás a ver la octava maravilla. Que si a Octavio perdiste, más galán es don Juan, y de Tenorio solar. ¿De qué estás triste? Conde dicen que es ya don Juan Tenorio, el rey con él te casa, y el padre es la privanza de su casa.
2090
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
(Tu non conosci l’ingannator di Siviglia.)
Escono. Entrano Isabella e Fabio, in abiti da viaggio. ISABELLA
FABIO
ISABELLA FABIO
Che chi ne era padrone m’abbia rubato ciò che più stimavo! Oh rigoroso peso di dire il vero! Oh notte tenebrosa, oh maschera del giorno, sposa del sonno, antitesi del sole! A che serve, Isabella, nell’anima e negli occhi avere amore, se amore è solo astuzia, e tra contrarietà causa dolori, se chi oggi sorride tra breve piangerà le sue sventure? Il mare è tempestoso, ma le burrasche passano col tempo. Rifugio hanno cercato le galere, duchessa, là alla torre che domina la spiaggia. Ma ora dove siamo? A Tarragona. Non distante da qui troveremo Valencia, città bella, che è dimora del sole; e lì ti svagherai per qualche giorno, poi andrai a Siviglia, a vedere l’ottava meraviglia. E se hai perduto Ottavio, don Giovanni è migliore, e dei Tenorio erede. E sei triste? Si dice che è già conte don Giovanni. A lui ti sposa il re: suo padre è del monarca favorito!
1987
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA ISABELA
FABIO
No nace mi tristeza de ser esposa de don Juan, que el mundo conoce su nobleza; en la esparcida voz mi agravio fundo, que esta opinión perdida es de llorar mientras tuviere vida. Allí una pescadora tiernamente suspira y se lamenta, y dulcemente llora. Acá viene, sin duda, y verte intenta. Mientras llamo tu gente, lamentaréis las dos más dulcemente.
2120
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2130
Vase Fabio y sale Tisbea. TISBEA
ISABELA TISBEA
ISABELA TISBEA
1988
Robusto mar de España, ondas de fuego, fugitivas ondas, Troya de mi cabaña, que ya el fuego, por mares y por ondas, en sus abismos fragua, y el mar forma, por las llamas, agua. ¡Maldito el leño sea que a tu amargo cristal halló [camino], antojo de Medea, tu cáñamo primero o primer lino aspado de los vientos, para telas de engaños e instrumentos! ¿Por qué del mar te quejas tan tiernamente, hermosa pescadora? Al mar formo mil quejas. ¡Dichosa vos, que en su tormento agora dél os estáis riendo! También quejas del mar estoy haciendo. ¿De dónde sois? De aquellas cabañas que miráis del viento heridas, tan vitorios[o] entre ellas;
2135
2140
2145
2150
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO ISABELLA
FABIO
Non nasce la mia tristezza di andare sposa a don Giovanni; e tutti la sua nobiltà conoscono; io soffro per le voci che son corse, che la mia fama perduta la piangerò fino a che avrò vita. Laggiù una pescatrice teneramente geme e si lamenta e piange dolci lacrime. Viene qua per parlarti, senza dubbio. Mentre riunisco gli altri, lamentatevi insieme dolcemente. Esce Fabio e entra Tisbea.
TISBEA
ISABELLA TISBEA
ISABELLA TISBEA
Possente mare di Spagna, onde di fuoco, fuggitive onde, Troia della mia capanna, il fuoco ormai, per i mari e le onde, si forgia nei tuoi abissi e poi trasforma in acqua le sue fiamme! Sia maledetto il legno che aprì una via sui tuoi cristalli amari, capriccio di Medea, e quella prima canapa o quel lino, dipanato dai venti, per farne tela e strumento d’inganni! Perché così dolcemente ti lamenti del mare, o pescatrice? Sono mille i motivi. Felice voi, che ora del suo tormento ve ne potete ridere! Anch’io del mare mi sto lamentando! Di dove siete? Di quelle capanne che vedete laggiù, scosse dal vento vittorioso; 1989
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
ISABELA
TISBEA
ISABELA
1990
cuyas pobres paredes desparcidas van en pedazos graves, dándole mil graznidos a las aves. En sus pajas me dieron corazón de fortísimo diamante; mas las obras me hicieron, de este monstruo que ves tan arrogante, ablandarme de suerte que al sol la cera es más robusta y fuerte. ¿Sois vos la Europa hermosa que esos toros os llevan? [A Sevilla] llévanme a ser esposa contra mi voluntad. Si mi mancilla a lástima os provoca, y si injurias del mar os tienen loca, en vuestra compañía para serviros como humilde esclava me llevad, que querría, si el dolor o la afrenta no me acaba, pedir al rey justicia de un engaño cruel, de una malicia. Del agua derrotado a esta tierra llegó don Juan Tenorio, difunto y anegado; amparele, hospedele en tan notorio peligro, y el vil güésped víbora fue a mi planta e[n] tierno césped. Con palabra de esposo, la que de esta costa burla hacía se rindió al engañoso. ¡Mal haya la mujer que en hombres fía! Fuése al fin, y dejóme: mira si es justo que venganza tome. ¡Calla, mujer maldita! ¡Vete de mi presencia, que me has muerto!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
ISABELLA
TISBEA
ISABELLA
le povere pareti, ormai disfatte cadono giù a pezzi, e fanno gracidare mille uccelli. Quelle paglie mi dettero un cuore di durissimo diamante, ma l’opera di questo mostro, che ora sì arrogante vedi, mi ha resa così tenera che al sol la cera è più robusta e forte. Siete la bella Europa? Quei tori vi rapiscono? A Siviglia mi portano a sposarmi contro la mia volontà. Se il dolore mio vi induce a pietà, e se l’ira del mare vi sconvolge, portatemi con voi come un’umile schiava per servirvi: dal re vorrei andare, se il dolore e l’oltraggio non mi uccidono, per chiedergli giustizia di un inganno crudele, di un’astuzia. Sbattuto dalle onde approdò qui don Giovanni Tenorio mezzo morto e annegato; lo soccorsi e lo accolsi in così grave pericolo, e quel vile vipera fu al mio piede tra l’erbetta. Promise di sposarmi; io che burlavo tutti in questa costa mi arresi a quell’inganno: disgraziata chi d’uomini si fida! Fuggì poi; mi ha lasciato: vedi se è giusto che io cerchi vendetta! Zitta, maledetta donna! Via dalla mia presenza: che m’hai ucciso! 1991
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
TISBEA ISABELA TISBEA ISABELA TISBEA
Mas, si el dolor te incita no tienes culpa tú. Prosigue el cuento. ¡La dicha fu[e]ra mía...! ¡Mal haya la mujer que en hombres fía! ¿Quién tiene de ir contigo? Un pescador, Anfriso; un pobre padre de mis males testigo. (No hay venganza a mi mal que tanto cuadre.) Ven en mi compañía. ¡Mal haya la mujer que en hombres fía!
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Vanse. Sale don Juan y Catalinón. CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN
1992
Todo enmalletado está. ¿Cómo? Que Octavio ha sabido la traición de Italia ya, y el de la Mota ofendido de ti justas quejas da, y dice, al fin, que el recado que de su prima le diste fue fingido y simulado, y con su capa empren[d]iste la traición que le ha infamado. Dice que viene Isabela a que seas su marido, y dicen... ¡Calla! Una muela en la boca me has rompido. ¡Hablador!, ¿quién te revela tanto disparate junto? ............................................. Verdades son. No pregunto si lo son. Cuando me mate
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
TISBEA ISABELLA TISBEA ISABELLA TISBEA
Ma se il dolore ti spinge tu non ne hai colpa: prosegui il racconto. Sarei stata felice...! Disgraziata chi d’uomini si fida! Chi porterai con te? Anfriso, un pescatore; un padre povero testimone dei miei mali. Questa vendetta giova al mio dolore! Vieni dunque con me. Disgraziata chi d’uomini si fida! Escono. Entrano don Giovanni e Catalinón.
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI
Le cose si metton male. Perché? Ottavio ha saputo quello che hai fatto in Italia e il marchese de la Mota, offeso, di te si duole giustamente, ripetendo che il messaggio che gli desti da parte di sua cugina era falso e menzognero, e che con il suo mantello hai ordito il tradimento con cui l’hai disonorato. Dice che arriva Isabella, che con te s’ha da sposare, e dicono... Vuoi piantarla? Mi hai rotto un dente in bocca! Chiacchierone! Chi t’ha detto tutte queste stupidaggini? ................................................ Son verità! Non domando se lo sono. Anche se Ottavio 1993
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
Otavio, ¿estoy yo difunto? ¿No tengo manos también? ¿Dónde me tienes posada? En la calle oculta. Bien. La iglesia es tierra sagrada. Di que de día me den en ella la muerte. ¿Viste al novio de Dos Hermanas? También le vi ansiado y triste. Aminta estas dos semanas no ha de caer en el chiste. Tan bien engañada está que se llama doña Aminta. Graciosa burla será. Graciosa burla y sucinta, mas siempre la llorará.
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Descúbrese un sepulcro de don Gonzalo de Ulloa. DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
1994
¿Qué sepulcro es este? Aquí don Gonzalo está enterrado. Este es el que muerte di. ¡Gran sepulcro le han labrado! Ordenolo el rey ansí. ¿Cómo dice este letrero? «Aquí aguarda del Señor el más leal caballero la venganza de un traidor». Del mote reírme quiero. ¿Y habeisos vos de vengar, buen viejo, barbas de piedra?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN
mi vuol morto, ora son vivo! Non ho forse queste mani? Dove mi hai preso l’alloggio? In una via nascosta. Bene. E la chiesa è luogo sacro. Voglio proprio vedere chi, in pieno giorno, mi può uccidere lì. E hai visto lo sposo di Dos Hermanas? Sì, l’ho visto ansioso e triste. Per due settimane Aminta non si avvedrà dello scherzo! C’è caduta tanto bene che si fa chiamare «donna Aminta». Che bella burla! Bella e rapida; però dovrà piangerla per sempre. Si scopre il sepolcro di don Gonzalo de Ulloa.
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
Che tomba è questa? Qui è sepolto don Gonzalo. Quello che ho ammazzato io! Gli hanno fatto un bel sepolcro! Il re lo ha fatto innalzare. Cosa dice l’iscrizione? «Il più leale cavaliere qui attende dal Signore vendetta di un traditore». Mi fa ridere l’epigrafe! E volete vendicarvi buon vecchio, barba di pietra?
1995
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN
No se las podrás pelar que en barbas tan fuertes medra. Aquesta noche a cenar os aguardo en mi posada; allí el desafío haremos, si la venganza os agrada, aunque mal reñir podremos, si es de piedra vuestra espada. Ya, señor, ha anochecido, vámonos a recoger. Larga esta venganza ha sido; si es que vos la habéis de hacer; importa no estar dormido, que si a la muerte aguardáis la venganza, la esperanza agora es bien que perdáis, pues vuestro enojo y venganza tan largo me lo fiáis.
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Vanse, y ponen la mesa dos criados. CRIADO
1º
CRIADO
2º
Quiero apercebir la cena, que vendrá a cenar don Juan. Puestas las mesas están. ¡Qué flema tiene si empieza! Ya tarda como solía mi señor; no me contenta: la bebida se calienta y la comida se enfría. Mas, ¿quién a don Juan ordena esta desorden? Entra Don Juan y Catalinón.
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
1996
¿Cerraste? Ya cerré como mandaste. ¡Hola! Tráiganme la cena!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
Non gliela potrai strappare, è diventata ben dura! Vi aspetto stasera a cena alla mia locanda. Là se la vendetta vi garba potremo fare il duello... Ma ci batteremo male: la vostra spada è di pietra! Signore, si è fatto buio: è ora di ritirarci. Questa vendetta è un po’ lunga! Se proprio volete farla bisogna che vi svegliate; se aspettate che io muoia per vendicarvi, è bene che perdiate la speranza: per la vendetta e la collera ancora ce n’è del tempo!
CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI
Escono, e due servi apparecchiano la tavola. PRIMO SERVO SECONDO SERVO
Vo’ preparare la tavola; don Giovanni verrà a cena. La tavola è apparecchiata. Ma lui se la piglia comoda. Il padrone è, come sempre, in ritardo, e non va bene: le bevande si riscaldano ed i cibi si raffreddano. Ma chi può mettere ordine nel suo disordine? Entrano don Giovanni e Catalinón.
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
Hai chiuso? Ho chiuso come mi hai detto. Olà, portate la cena. 1997
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA CRIADO
2º
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN CRIADO
1º
DON JUAN
Ya está aquí. Catalinón, siéntate. Yo soy amigo de cenar de espacio. Digo que te sientes. La razón haré. También es camino este, si come con él. Siéntate.
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Un golpe dentro. CATALINÓN DON JUAN CRIADO
1º
CATALINÓN DON JUAN
Golpe es aquel. Que llamaron imagino. Mira quién es. Voy volando. ¿Si es la justicia, señor? Sea, no tengas temor.
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Vuelve el criado huyendo.
CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
1998
¿Quién es? ¿De qué estás temblando? De algún mal da testimonio. ¡Mal mi cólera resisto! Habla, responde, ¿qué has visto? ¿Asombrote algún demonio? Ve tú, y mira aquella puerta. ¡Presto, acaba! ¿Yo? Tú, pues. Acaba, menea los pies. A mi agüela hallaron muerta, como racimo colgada, y desde entonces se suena
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO SECONDO SERVO DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN PRIMO SERVO DON GIOVANNI
È pronta. Catalinón, siediti. A me piacerebbe cenare tranquillamente... Siediti, dico. Va bene, risponderò al vostro invito. Crede di essere in viaggio se sta a tavola con lui. Siedi. Un colpo dentro.
CATALINÓN DON GIOVANNI PRIMO SERVO CATALINÓN DON GIOVANNI
Ho sentito un colpo. Penso che abbiano bussato. Vedi chi è. Vado subito. E se fosse la giustizia? Bene, non aver paura. Rientra il servo di corsa.
CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
Chi è? Perché stai tremando? È indizio di qualche guaio. Freno a stento la mia collera. Parla, rispondi, che hai visto? Ti ha spaventato il demonio? Va tu, guarda chi c’è all’uscio. Presto, muoviti! Io? Tu, sì, spicciati ad andare! Mia nonna la trovarono morta, appesa come un grappolo, e da allora si dice
1999
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN CRIADO
2º
DON JUAN CATALINÓN
que anda siempre su alma en pena. ¡Tanto golpe no me agrada! Acaba. ¡Señor, si sabes que soy un Catalinón! Acaba. ¡Fuerte ocasión! ¿No vas? ¿Quién tiene las llaves de la puerta? Con la aldaba está cerrada no más. ¿Qué tienes? ¿Por qué no vas? ¡Hoy Catalinón acaba! Mas, ¿si las forzadas vienen a vengarse de los dos?
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Llega Catalinón a la puerta, y viene corriendo; cae y levántase. DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN
2000
¿Qué es eso? ¡Válgame Dios, que me matan, que me tienen! ¿Quién te tiene? ¿Quién te [mata]? ¿Qué has visto? Señor, yo allí vide, cuando luego fui... ¿Quién me ase, quién me arrebata? Llegué, cuando después, ciego, cuando vile, ¡juro a Dios!... Habló y dijo: «Quién sois vos?»... respondió... respondí luego... topé y vide... ¿A quién? No sé.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN SECONDO SERVO DON GIOVANNI CATALINÓN
che vaghi l’anima in pena. Questi colpi non mi piacciono. Finiscila! Tu sai, signore, che sono un bel fifone... Basta! Sono momentacci! Vai o non vai? Chi ha le chiavi della porta? Ma se è chiusa solo con il chiavistello! Che c’è? Perché non ti muovi? Catalinón oggi muore. Magari sono le donne stuprate che ora vengono e di tutti e due si vendicano.
Catalinón si avvicina alla porta e torna indietro di corsa; cade e si rialza. DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN
Ma che fai? Che Dio mi aiuti! M’hanno preso! M’ammazzano! Chi t’ha preso? Chi t’ammazza? Che hai visto? Signore, ho visto quando... poi sono scappato... Chi m’afferra?... Chi mi tira?... Arrivo quando... poi, cieco... E l’ho visto, ve lo giuro! M’ha parlato e ha detto: «Chi siete»? Rispose e risposi... Sbatto e vedo... Chi? Non so.
2001
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
¡Cómo el vino desatina! Dame la vela, gallina, y yo a quien llama veré.
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Toma don Juan la vela y llega a la puerta. Sale al encuentro don Gonzalo, en la forma que estaba en el sepulcro, y don Juan se retira atrás turbado, empuñando la espada, y en la otra la vela, y don Gonzalo hacia él con pasos menudos, y al compás don Juan, retirándose, hasta estar en medio del teatro. DON JUAN DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO DON JUAN
CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
2002
¿Quién va? Yo soy. ¿Quién sois vos? Soy el caballero honrado que a cenar has convidado. Cena habrá para los dos, y si vienen más contigo, para todos cena habrá. Ya puesta la mesa está. Siéntate. ¡Dios sea conmigo! ¡San Panuncio, San Antón! Pues, ¿los muertos comen? Di. Por señas dice que sí. Siéntate, Catalinón. No, señor, yo lo recibo por cenado. Es desconcierto. ¡Que temor tienes a un muerto! ¿Qué hicieras estando vivo? ¡Necio y villano temor! Cena con tu convidado, que yo, señor, ya he cenado. ¿He de enojarme? Señor, ¡vive Dios que güelo mal!
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
Il vino fa degli scherzi... Qua la candela, coniglio, io stesso vedrò chi chiama.
Don Giovanni prende la candela e va verso la porta. Gli viene incontro don Gonzalo, come era raffigurato sul sepolcro, e don Giovanni indietreggia, turbato, con la spada in pugno, e con la candela nell’altra mano, e don Gonzalo avanza verso di lui a piccoli passi, e ugualmente don Giovanni indietreggia, ritirandosi fino al centro del palcoscenico. DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI
CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
Chi va là? Son io. Voi chi? Il cavaliere onorato che a cenare hai convitato. La cena basta per due, e se altri vengon con voi ci sarà cena per tutti. La tavola è apparecchiata. Sedete. Che Dio m’aiuti! San Pannunzio, Sant’Antonio! Allora i morti mangiano? A cenni dice di sì. Siediti, Catalinón. No, signore; io fo conto di avere cenato già. Che sciocchezza! Che paura puoi avere di un morto? E allora, se fosse vivo? Paura da sciocchi e villani! Cena col tuo convitato; io, signore, ho già cenato. Devo arrabbiarmi? Signore, me la sono fatta addosso! 2003
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN CATALINÓN
Llega, que aguardando estoy. Yo pienso que muerto soy y está muerto mi arrabal.
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Tiemblan los criados. DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
CRIADO
1º
CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN
Y vosotros, ¿qué decís? ¿Qué hacéis? ¡Necio temblar! Nunca quisiera cenar con gente de otro país. ¿Yo, señor, con convidado de piedra? ¡Necio temer! Si es piedra, ¿qué te ha de hacer? Dejarme descalabrado. Háblale con cortesía. ¿Está bueno? ¿Es buena tierra la otra vida? ¿Es llano o sierra? ¿Prémiase allá la poesía? A todo dice que sí con la cabeza. ¿Hay allá muchas tabernas? Sí habrá, si [Noé] reside allí. ¡Hola! Dadnos de [cenar]! Señor muerto, ¿allá se bebe con nieve?
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Baja la cabeza.
DON JUAN
2004
Así, que hay nieve. ¡Buen país! Si oír cantar queréis, cantarán.
2365
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI CATALINÓN
Fa presto, che sto aspettando! Io penso che sono morto, e le mie natiche anche! I servitori tremano.
DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
PRIMO SERVO CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN
E voialtri, cosa dite? Che fate? Timore sciocco! Io non vorrei mai cenare con gente d’altri paesi! Io, signore, e il convitato di pietra? Sciocche paure! Se è di pietra, che può farti? Lasciarmi col capo rotto! Parlagli cortesemente... State bene? È un bel paese quell’altro mondo? È pianura o è un paese montagnoso? Danno premi di poesia? A tutto dice di sì con la testa. Là ci sono molte taverne? Di certo, se ci abita Noè. Su, dateci da mangiare. Signor morto, là si beve vino fresco con la neve? Annuisce.
DON GIOVANNI
E così avete la neve: bel paese! Se volete che cantino...
2005
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
Baja la cabeza. CRIADO
2º
DON JUAN CATALINÓN CRIADO
1º
Cantan dentro.
CATALINÓN
Sí, dijo. Cantad. Tiene el seor muerto buen gusto. Es noble, por cierto, y amigo de regocijo. Si de mi amor aguardáis, señora, de aquesta suerte, el galardón en la muerte, ¡qué largo me lo fiáis! O es sin duda veraniego el seor muerto, o debe ser hombre de poco comer. (Temblando al plato me llego.)
2370
2375
Bebe.
Cantan
CATALINÓN
2006
Poco beben por allá; yo beberé por los dos. Brindis de piedra ¡por Dios! Menos temor tengo ya. Si ese plazo me convida para que gozaros pueda, pues larga vida me queda, dejad que pase la vida. Si de mi amor aguardáis, señora, de aquesta suerte, el galardón en la muerte, ¡qué largo me lo fiáis! ¿Con cuál de tantas mujeres como has burlado, señor, hablan?
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2385
2390
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
Annuisce. SECONDO SERVO DON GIOVANNI CATALINÓN PRIMO SERVO
Cantano dietro le quinte.
CATALINÓN
Dice sì. Cantate dunque! Il sor morto ha buon gusto. Certo è nobile, e ama il divertimento. Se del mio amore aspettate, in questo modo, signora, la ricompensa alla morte, ce n’è del tempo ancora! O soffre molto il caldo, il signor morto, o deve essere uomo di poco appetito. (Tremando mi accosto al piatto.) Beve.
Cantano
CATALINÓN
Laggiù bevono poco, io berrò per tutti e due. Per Dio, brindisi di pietra! Ho di già meno paura! Se mi date una scadenza perché io possa godervi, e mi resta lunga vita, che la vita passi pure. Se del mio amore aspettate in questo modo, signora, la ricompensa alla morte ce n’è del tempo ancora! Di chi delle molte donne che tu hai burlato, signore, si parla?
2007
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
CATALINÓN
DON JUAN
CATALINÓN
De todas me río, amigo, en esta ocasión. En Nápoles a Isabela... Esa, señor, ya no es [no] burlada, porque se casa contigo, como es razón. Burlaste a la pescadora que del mar te redimió, pagándole el hospedaje en moneda de rigor. Burlaste a doña Ana... Calla, que hay parte aquí que lastó por ella, y vengarse aguarda. Hombre es de mucho valor, que él es piedra, tú eres carne: no es buena resolución.
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2400
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Hace señas que se quite la mesa y queden solos. DON JUAN
CATALINÓN
DON JUAN
¡Hola! Quitad esa mesa; que hace señas que los dos nos quedemos, y se vayan los demás. ¡Malo, por Dios! No te quedes, porque hay muerto que mata de un mojicón a un gigante. Salíos todos. ¡A ser yo Catalinón...! Vete, que viene.
Vanse, y quedan los dos solos, y hace señas que cierre la puerta.
2008
2410
2415
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN
Rido di tutte, amico, in questo momento. A Napoli di Isabella... Questa, signore, oramai non è più burlata, se con te si sposa come è giusto. Ma la pescatrice che ti ha salvato dal mare l’hai ingannata, e in tal modo l’ospitalità hai pagato con impietosa moneta. Hai burlato donna Anna... Zitto, c’è qui chi ha versato per lei, e aspetta vendetta. È un uomo assai valoroso: lui è pietra e tu sei carne: non è certo un buon affare!
[La statua] fa cenno che si sparecchi la tavola e che rimangano soli. DON GIOVANNI
CATALINÓN
DON GIOVANNI
Su, sparecchiate la tavola, che fa cenno che dobbiamo restare soli noi due, e che gli altri se ne vadano. Che brutto affare, per Dio! Non restare: ci son morti che con un cazzotto accoppano un gigante! Uscite tutti. Non sono un Catalinón. Va via, che viene.
Escono, e rimangono soli, e fa cenno [don Gonzalo] che chiuda la porta.
2009
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
La puerta ya está cerrada. Ya estoy aguardando. Di, ¿qué quieres, sombra o fantasma o visión ? Si andas en pena, o si aguardas alguna satisfación para tu remedio, dilo; que mi palabra te doy de hacer lo que ordenares. ¿Estás gozando de Dios? ¿Dite la muerte en pecado? Habla, que suspenso estoy.
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Paso, como cosa del otro mundo. DON GONZALO DON JUAN
DON GONZALO DON JUAN
¿Cumplirásme una palabra como caballero? Honor tengo, y las palabras cumplo, porque caballero soy. Dame esa mano, no temas. ¿Eso dices? ¿Yo temor? Si fueras el mismo infierno la mano te diera yo.
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Dale la mano. DON GONZALO
DON JUAN
2010
Bajo esta palabra y mano, mañana a las diez estoy para cenar aguardando. ¿Irás? Empresa mayor entendí que me pedías.
2440
TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
La porta è chiusa. Io sono qua che aspetto. Di’, cosa vuoi ombra, fantasma o visione? Se sei anima in pena, se aspetti riparazione per il tuo sollievo, dillo, che ti do la mia parola di fare quello che vuoi. Sei nella gloria di Dio? Ti ho ammazzato in peccato? Parla, sono qui sospeso.
Parla lentamente, come se venisse dall’altro mondo. DON GONZALO DON GIOVANNI
DON GONZALO DON GIOVANNI
Terrai fede alla promessa come gentiluomo? Sono uomo d’onore, mantengo la mia parola perché sono cavaliere. Dammi la mano senza timore. Ma che dici? Io temere? Tu fossi lo stesso inferno io ti darei la mano! Gli dà la mano.
DON GONZALO
DON GIOVANNI
Con questa stretta di mano, e con la tua parola, ti aspetto domani notte alle dieci per cenare. Verrai? Ben altra impresa credevo che mi chiedessi!
2011
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO
DON JUAN DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO
Mañana tu güésped soy. ¿Dónde he de ir? A mi capilla. ¿Iré solo? No, los dos; y cúmpleme la palabra como la he cumplido yo. Digo que la cumpliré, que soy Tenorio. Yo soy Ulloa. Yo iré sin falta. Y yo lo creo. Adiós.
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Va a la puerta. DON JUAN DON GONZALO
Aguarda, iréte alumbrando. No alumbres, que en gracia estoy.
Vase muy poco a poco, mirando a don Juan y don Juan a él, hasta que desaparece, y queda don Juan con pavor. DON JUAN
2012
¡Válgame Dios! Todo el cuerpo se ha bañado de un sudor y dentro de las entrañas se me yela el corazón. Cuando me tomó la mano, de suerte me la apretó, que un infierno parecía; jamás vide tal calor. Un aliento respiraba, organizando la voz, tan frío, que parecía infernal respiración. Pero todas son ideas
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO
DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO
Domani sarò tuo ospite. E dove? Alla mia cappella Solo? Col tuo servitore. E mantieni la promessa, come io l’ho mantenuta. Dico che la manterrò: sono un Tenorio! E io sono un Ulloa! Non mancherò. Ne sono certo. Addio. Va alla porta.
DON GIOVANNI DON GONZALO
Aspetta, che voglio farti luce. È inutile, perché io sono in grazia di Dio.
Esce molto lentamente, guardando don Giovanni, e don Giovanni lo guarda fino a che sparisce, e don Giovanni rimane turbato. DON GIOVANNI
Dio m’aiuti! Tutto il corpo di sudore s’è bagnato, e fino dentro le viscere il cuore mi s’è gelato. Quando m’ha preso la mano me l’ha stretta in modo tale che mi sembrava l’inferno: un calore mai sentito! E articolando la voce un alito così gelido spirava, che mi pareva il respiro dell’inferno. Ma no; sono tutte idee 2013
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
que da la imaginación, el temor; y temer muertos es más villano temor. Que si un cuerpo noble, vivo, con potencias y razón y con alma no se teme, ¿quién cuerpos muertos temió? Mañana iré a la capilla donde convidado soy, porque se admire y espante Sevilla de mi valor.
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Vase. Sale el rey y don Diego Tenorio, y acompañamiento. REY DON DIEGO REY DON DIEGO REY DON DIEGO REY
DON DIEGO REY
DON DIEGO REY
2014
¿Llegó al fin Isabela? Y disgustada. Pues, ¿no ha tomado bien el casamiento? Siente, señor, el nombre de infamada. De otra causa procede su tormento. ¿Dónde está? En el convento está alojada de las Descalzas. Salga del convento luego al punto, que quiero que en palacio asista con la reina, más de espacio. Si ha de ser con don Juan el desposorio, manda, señor, que tu presencia vea. Véame, y galán salga, que notorio quiero que este placer al mundo sea. Conde será desde hoy don Juan Tenorio de Lebrija; él la mande y la posea; que, si Isabela a un duque corresponde, ya que ha perdido un duque, gane un conde. Todos por la merced tus pies besamos. Merecéis mi favor tan dignamente, que, si aquí los servicios ponderamos,
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
della mia immaginazione; l’aver paura dei morti è il più vile dei timori. Se un corpo nobile, vivo, dotato di facoltà di anima e di ragione, non si teme, chi dovrà temere di un cadavere? Domani andrò alla cappella dove son stato invitato, perché Siviglia stupisca e tremi del mio valore. Esce. Entrano il re e don Diego Tenorio e il seguito. RE DON DIEGO RE DON DIEGO RE DON DIEGO RE
DON DIEGO RE
DON DIEGO RE
È arrivata Isabella? E molto afflitta. Non le va bene, dunque, il matrimonio? Le duole, sire, esser disonorata. Un’altra causa avrà la sua pena. Dove si trova? Alloggia nel convento delle Scalze. Che esca dal convento subito; voglio che venga a palazzo e stia con la regina a proprio agio. Se si deve sposar con don Giovanni, ordina che egli venga al tuo cospetto. Che si presenti, e in abito di gala: voglio che questa gioia sia nota a tutti. Da oggi don Giovanni sarà conte di Lebrija, suo feudo e signoria, che se Isabella ha dignità ducale, e ha perso un duca, ottenga almeno un conte. Per questa grazia i piedi ti baciamo. Del mio favore siete tanto degni che se qui soppesiamo i vostri meriti 2015
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
DON DIEGO REY
DON DIEGO REY DON DIEGO
REY
DON DIEGO
REY
2016
me quedo atrás con el favor presente. Paréceme, don Diego, que hoy hagamos las bodas de doña Ana juntamente. ¿Con Octavio? No es bien que el duque Octavio sea el restaurador de aqueste agravio. Doña Ana, con la reina, me ha pedido que perdone al marqués, porque doña Ana, ya que el padre murió, quiere marido; porque si le perdió, con él le gana. Iréis con poca gente y sin ruido luego a hablalle a la fuerza de Triana; por su satisfacción y por abono de su agraviada prima, le perdono. Ya he visto lo que tanto deseaba. Que esta noche han de ser, podéis decille, los desposorios. Todo en bien se acaba; fácil será al marqués el persuadille, que de su prima amartelado estaba. También podéis a Octavio prevenille. Desdichado es el duque con mujeres; son todas opinión y pareceres. Hanme dicho que está muy enojado con don Juan. No me espanto, si ha sabido de don Juan el delito averiguado, que la causa de tanto daño ha sido. El duque viene. No dejéis mi lado, que en el delito sois comprehendido.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
DON DIEGO RE
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e con l’onore che oggi vi faccio li compariamo, resto debitore. Io penserei, don Diego, che si celebrino oggi anche le nozze di donna Anna. Con Ottavio? Non è bene che Ottavio ripari all’onta che essa ha subito. Essa chiede – mi ha detto la regina – che perdoni il marchese: ha perso un padre, e ora vuole un marito, quel che ha perso così potrebbe ora recuperare. Con poca scorta e senza clamore andrete alla prigione di Triana; se soddisfa i suoi obblighi e ripaga la cugina oltraggiata, io gli perdono. S’è realizzato ogni mio desiderio. Ditegli che le nozze si faranno questa notte. Tutto finisce bene. Convincere il marchese sarà facile, perché ama pazzamente la cugina. Potete anche avvertire il duca Ottavio. Il duca è sfortunato con le donne, sono tutte ostinate e capricciose. Mi hanno detto che è molto adirato con don Giovanni. Non me ne stupisco, se ha saputo la colpa ormai accertata, che gli ha provocato tanto danno. Arriva il duca. State qui al mio fianco, perché la colpa anche su voi ricade.
2017
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
Sale el duque Octavio. OCTAVIO REY OCTAVIO
REY
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REY
OCTAVIO DON DIEGO REY DON DIEGO OCTAVIO
2018
Los pies, invicto rey, me dé tu alteza. Alzad, duque, y cubrid vuestra cabeza. ¿Qué pedís? Vengo a pediros, postrado ante vuestras plantas, una merced, cosa justa, digna de serme otorgada. Duque, como justa sea, digo que os doy mi palabra de otorgárosla. Pedid. Ya sabes, señor, por cartas de tu embajador, y el mundo por la lengua de la fama sabe, que don Juan Tenorio, con española arrogancia, en Nápoles una noche, para mí noche tan mala, con mi nombre profanó el sagrado de una dama. No pases más adelante, ya supe vuestra desgracia. En efeto, ¿qué pedís? Licencia que en la campaña defienda cómo es traidor. Eso no, su sangre clara es tan honrada... ¡Don Diego! Señor... ¿Quién eres que hablas en la presencia del rey de esa suerte?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
Entra il Duca Ottavio. OTTAVIO RE OTTAVIO
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RE DON DIEGO OTTAVIO
Invitto Re, mi inchino ai vostri piedi. Alzatevi e mettetevi il cappello. Che mi chiedete? Vi chiedo, ai vostri piedi prostrato, una grazia, cosa giusta, che potete ben concedermi. Duca, se è cosa giusta, vi do la mia parola di concederla. Chiedete. Sire, voi già sapete, dalle lettere del vostro ambasciatore, ed il mondo dalle lingue della fama, che don Giovanni Tenorio, con arroganza spagnola, a Napoli, una notte, per me notte sventurata, profanò, usando il mio nome, il sacrario di una dama. Non continuate. Ho saputo la vostra sventura. Dunque, che volete? La licenza di sfidarlo, e dimostrare che è traditore. Questo no: il suo sangue illustre è sì onorato... Don Diego! Signore... Chi sei, che parli alla presenza del re, in questo modo?
2019
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON DIEGO
OCTAVIO DON DIEGO
OCTAVIO
¡Soy quien calla porque me lo manda el rey; que si no, con esta espada te respondiera! Eres viejo. Ya he sido mozo en Italia, a vuestro pesar un tiempo; ya conocieron mi espada en Nápoles y en Milán. Tienes ya la sangre helada, no vale «fui», sino «soy».
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Empuña. DON DIEGO REY
OCTAVIO REY DON DIEGO REY OCTAVIO REY OCTAVIO
Pues fui y soy. Tened, basta, bueno está. Callad don Diego, que a mi persona se guarda poco respeto. Y vos, duque, después que las bodas se hagan, más de espacio hablaréis. Gentilhombre de mi cámara es don Juan, y hechura mía, y de aqueste tronco rama. Mirad por él. Yo lo haré, gran señor, como lo mandas. Venid conmigo, don Diego. (¡Ay, hijo, qué mal me pagas el amor que te he tenido!) Duque... Gran señor... Mañana vuestras bodas se han de hacer. Háganse, pues tú lo mandas. Vase el rey y don Diego, y sale Gaseno y Aminta.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON DIEGO
OTTAVIO DON DIEGO
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Son uno che tace perché lo comanda il re; se no con la spada ti risponderei. Sei vecchio. Ma un tempo son stato giovane, in Italia, e ve ne dolse: conobbero la mia spada a Napoli e a Milano! Ormai hai il sangue ghiaccio! Non conta il «fui», ma il «sono». Impugna [la spada].
DON DIEGO RE
OTTAVIO RE DON DIEGO RE OTTAVIO RE OTTAVIO
Fui e sono! Fermatevi! Basta. Tacete, don Diego, poco rispetto portate alla mia persona. E voi, duca, a nozze celebrate, parlerete con più calma. Don Giovanni è un gentiluomo di palazzo, è mia creatura, e ramo di questo tronco: rispettatelo! Farò, sire, come comandate. Venite meco, don Diego. (Ah, figlio, male ripaghi l’amore che ti ho portato!) Duca. Signore. Domani si faran le vostre nozze. Se questo è il vostro volere...
Escono il re e don Diego e entrano Gaseno e Aminta. 2021
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA GASENO
OCTAVIO AMINTA OCTAVIO AMINTA OCTAVIO AMINTA OCTAVIO GASENO OCTAVIO GASENO
AMINTA GASENO OCTAVIO
2022
Este señor nos dirá dónde está don Juan Tenorio. Señor, ¿si está por acá un don Juan a quien notorio ya su apellido será? Don Juan Tenorio diréis. Sí, señor, ese don Juan. Aquí está, ¿qué le queréis? Es mi esposo ese galán. ¿Cómo? Pues, ¿no lo sabéis siendo del Alcázar vos? No me ha dicho don Juan nada. ¿Es posible? ¡Sí, por Dios! Doña Aminta es muy honrada; cuando se casen los dos, que cristiana vieja es hasta lo güesos, y tiene de la hacienda el interés, .............................................. más bien que un conde, un marqués. Casóse don Juan con ella, y quitósela a Batricio. Decid cómo fue doncella a su poder. No es juicio esto, ni aquesta querella. (Esta es burla de don Juan, y para venganza mía estos diciéndola están.) ¿Qué pedís al fin?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO GASENO
OTTAVIO AMINTA OTTAVIO AMINTA OTTAVIO AMINTA OTTAVIO GASENO OTTAVIO GASENO
AMINTA GASENO OTTAVIO
Questo signore potrà dirci dove si trova don Giovanni Tenorio. Signore, è da queste parti un don Giovanni, il cui nome sarà già ben noto? Volete dire il Tenorio? Sì, signore, quello lì. È qui; perché lo cercate? Quel bel giovane è il mio sposo. Come? Voi non lo sapete, e vivete qui a palazzo? Don Giovanni non mi ha detto nulla. Sarà mai possibile? Davanti a Dio ve lo giuro. È onorata donna Aminta; e quando si sposeranno, perché è di ceppo cristiano fino al midollo, e gode di un discreto patrimonio, ................................................. da marchese, più che conte. Don Giovanni l’ha sposata, togliendola a Batricio. Ditegli che ero vergine quando a lui mi sono data. Qui non siamo in tribunale, né stiamo intentando causa. (Questa è un’altra delle beffe di don Giovanni, e costoro me la stanno raccontando perché possa vendicarmi.) Dunque, che cosa volete?
2023
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA GASENO
OCTAVIO GASENO OCTAVIO
AMINTA OCTAVIO
AMINTA OCTAVIO GASENO OCTAVIO
Querría, porque los días se van, que se hiciese el casamiento, o querellarme ante el rey. Digo que es justo ese intento. Y razón, y justa ley. (Medida a mi pensamiento ha venido la ocasión.) En el Alcázar tene[mos] bodas. ¿Si las mías son? (Quiero, para que acertemos, valerme de una invención.) Venid donde os vestiréis, señora, a lo cortesano, y a un cuarto del rey saldréis conmigo. Vos de la mano a don Juan me llevaréis. Que de esta suerte es cautela. El arbitrio me consuela. (Estos venganza me dan de aqueste traidor don Juan y el agravio de Isabela).
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Vanse. Sale don Juan y Catalinón. CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
2024
¿Cómo el rey te recibió? Con más amor que mi padre. ¿Viste a Isabela? También. ¿Cómo viene? Como un ángel. ¿Recibióte bien?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO GASENO
OTTAVIO GASENO OTTAVIO
AMINTA OTTAVIO
AMINTA OTTAVIO GASENO OTTAVIO
Siccome i giorni passano vorrei che si celebrasse il matrimonio, se no mi appellerò proprio al re. Mi pare giusta intenzione. Ragionevole e legale! (Questo caso ha risposto al mio pensiero.) A palazzo si celebra un matrimonio. Si tratta forse del mio? (Per raggiungere il mio scopo voglio servirmi di un trucco.) Signora, con me venite; vi vestirete alla moda della corte, ed io stesso vi introdurrò nelle stanze del re. Voi mi porterete per mano da don Giovanni. Useremo questa astuzia. Quest’espediente mi piace! (Così posso vendicarmi dell’infame don Giovanni e dell’offesa a Isabella.) Escono. Entrano don Giovanni e Catalinón.
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
Come ti ha accolto il re? Con più affetto di mio padre. Hai visto Isabella? Certo. Come ti è parsa? Un angelo. E ti ha ricevuto bene?
2025
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN
CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN
2026
El rostro bañado de leche y sangre, como la rosa que al alba despierta la débil cá[rcel]. ¿Al fin esta noche son las bodas? Sin falta. [Si antes] hubieran sido, no hubieras, señor, engañado a ta[les]. Pero tú tomas esposa, señor, con cargas muy grandes. Di, ¿comienzas a ser necio? Y podrás muy bien casarte mañana, que hoy es mal día. Pues ¿qué día es hoy? Es martes. Mil embusteros y locos dan en esos disparates. Solo aquel llam[o] mal día, aciago y detestable, en que no tengo dineros; que los demás es donaire. Vamos, si te has de vestir, que te aguardan, y ya es tarde. Otro negocio tenemos que hacer, aunque nos aguarden. ¿Cuál es? Cenar con el muerto. ¡Necedad de necedades! ¿No ves que di mi palabra? Y cuando se la quebrantes, ¿qué importa? ¿Ha de pedirte una figura de jaspe la palabra? Podrá el muerto llamarme a voces infame.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI
CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI
Col viso bianco e rosso come una rosa che all’alba apre il bocciolo tenero. Insomma son per stasera le nozze? Senza alcun dubbio. Si fossero fatte prima tu non avresti ingannato, signore, tante fanciulle. Ora ti prendi una moglie con bei pesi di coscienza! Ricominci a far lo stupido? E poi potresti sposarti domani: oggi è un brutto giorno! Che giorno è oggi? Martedì. Tutti gli imbroglioni e i pazzi badano a queste sciocchezze. Considero un brutto giorno, disgraziato e detestabile, solo quello in cui non ho soldi: il resto son sciocchezze! Andiamo, devi vestirti, ti aspettano, ed è tardi. Un’altra faccenda abbiamo da sbrigare, anche se aspettano. Quale? Cenare col morto. Che sciocchezza madornale! Ho dato la mia parola! Se anche non la mantenessi, che importa? Ti verrà a chiedere forse ragione una statua di marmo? Il morto potrebbe svergognarmi come infame.
2027
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN DON JUAN CATALINÓN
Ya está cerrada la iglesia. Llama. ¿Qué importa que llame? ¿Quién tiene de abrir, que están durmiendo los sacristanes? Llama a ese postigo. Abierto está. Pues entra. ¡Entre un fraile con su hisopo y con estola! Sígueme y calla. ¿Que calle? Sí, [que calles]. ¡Dios en paz de estos convites me saque!
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Entran por una puerta y salen por otra. ¡Qué escura que está la iglesia, señor, para ser tan grande! ¡Ay de mí! ¡Tenme, señor, porque de la capa me asen!
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Sale don Gonzalo como de antes y encuéntrase con ellos. DON JUAN DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO
DON JUAN DON GONZALO
2028
¿Quién va? Yo soy. ¡Muerto estoy! El muerto soy, no te espantes. No entendí que me cumplieras la palabra, según haces de todos burla. ¿Me tienes en opinión de cobarde? Sí, que aquella noche huiste de mí, cuando me mataste.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN DON GIOVANNI CATALINÓN
La chiesa oramai è già chiusa. Bussa. Che importa bussare? Chi ci dovrebbe aprire, se dormono i sagrestani? Bussa a quella porticina. È aperta. Entra. Che entri un frate, con la stola e l’aspersorio! Seguimi e taci. Tacere? Sì. Che Dio mi scampi e liberi da simili inviti a cena. Escono da una porta e rientrano da un’altra. Come è buia questa chiesa, signore, ed è così grande! Ohimè! Signore, tienimi, m’hanno acchiappato il mantello.
Entra don Gonzalo come prima e va loro incontro. DON GIOVANNI DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO
DON GIOVANNI DON GONZALO
Chi è là? Son io. E io son morto! Sono il morto, non temere! Non credevo che tu avresti mantenuto la promessa, poiché di tutti ti burli. Mi credi dunque un codardo? Sì, perché quella notte mi hai ucciso e sei fuggito.
2029
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
DON GONZALO CATALINÓN
DON JUAN DON GONZALO
DON JUAN DON GONZALO DON JUAN CATALINÓN DON GONZALO DON JUAN CATALINÓN
Huí de ser conocido, mas ya me tienes delante; di presto lo que me quieres. Quiero a cenar convidarte. Aquí excusamos la cena; que toda ha de ser fiambre, pues no parece cocina. ........................................... Cenemos. Para cenar es menester que levantes esa tumba. Y si te importa levantaré esos pilares. Valiente estás. Tengo brío, y corazón en las carnes. Mesa de Guine[a] es esta, pues, ¿no hay por allá quien lave? Siéntate. ¿Adónde? Con sillas vienen ya dos negros pajes.
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Entran dos enlutados con sillas.
DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN
2030
¿También acá se usan lutos y bayeticas de Flandes? Siéntate. Yo, señor, he merendado esta tarde. No repliques. No replico. ¡Dios en paz desto me saque! ¿Qué plato es este, señor?
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
DON GONZALO CATALINÓN
DON GIOVANNI DON GONZALO
DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI CATALINÓN
DON GONZALO DON GIOVANNI CATALINÓN
Per non farmi riconoscere; ma ora ti son qui davanti. Di’ alla svelta cosa vuoi. Voglio invitarti a cena. Ne facciamo bene a meno, che sarà una cena fredda, visto che non c’è cucina. .............................................. Ceniamo. Se vuoi cenare bisogna che tu scoperchi questa tomba. E se ti aggrada solleverò anche i pilastri. Sei valoroso. Vigore ho nel corpo ed ardimento. Questa è mensa da Guinea tant’è nera. Non si lava là nell’altro mondo? Siedi. Dove? Stanno già arrivando con sedie due paggi neri. Entrano due vestiti a lutto con due sedie.
DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN
Anche qua vestiti a lutto con drappettini di Fiandra? Siedi anche tu. Io, signore, ho fatto merenda prima. Non ribattere. Non replico. Dio mi liberi e mi salvi! Che piatto è questo, signore?
2031
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO DON JUAN
DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO
Cantan
CATALINÓN
DON JUAN
Cantan
CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN DON JUAN DON GONZALO
2032
Este plato es de alacranes y víboras. ¡Gentil plato! Estos son nuestros manjares. ¿No comes tú? Comeré, si me dieses áspid y áspides cuantos el infierno tiene. También quiero que te canten. ¿Qúe vino beben acá? Pruébalo. Hiel y vinagre es este vino. Este vino exprimen nuestros lagares. Adviertan los que de Dios juzgan los castigos grandes, que no hay plazo que no llegue ni deuda que no se pague. ¡Malo es esto, vive Cristo!, que he entendido este romance, y que con nosotros habla. Un yelo el pecho me abras[e]. Mientras en el mundo viva, no es justo que diga nadie ¡qué largo me lo fiáis!, siendo tan breve el cobrarse. ¿De qué es este guisadillo? De uñas. De uñas de sastre será, si es guisado de uñas. Ya he cenado, haz que levanten la mesa. Dame esa mano. No temas, la mano dame.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO DON GIOVANNI
DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN DON GONZALO
Cantano
CATALINÓN
DON GIOVANNI
Cantano
CATALINÓN DON GONZALO CATALINÓN DON GIOVANNI DON GONZALO
Questo piatto è di scorpioni e vipere. Che pietanzina! Questi sono i nostri piatti. Tu non mangi? Mangerei anche se tu mi imbandissi tutti gli aspidi che esistono nell’inferno. Voglio anche che si canti. E che vino si beve? Lo puoi assaggiare. Fatto di fiele e d’aceto è questo vino! È il vino che i nostri torchi spremono. Ascolti chi di Dio crede pesanti i castighi: ogni scadenza arriva, ogni debito si paga. Brutta faccenda, per Dio! Ho capito questo canto, e che parla per noialtri. Un gelo mi rompe il petto. Finché si vive nel mondo nessuno è giusto che dica «ancora ce n’è del tempo!», ché la scadenza è vicina. Che cosa c’è in questo intingolo? Unghie. Saranno di sarto! Ho cenato, di’ che tolgano le mense. Dammi la mano, non aver paura: dammela. 2033
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA DON JUAN
DON GONZALO
DON JUAN
DON GONZALO DON JUAN DON GONZALO DON JUAN
¿Eso dices? ¿Yo temor? ¡Que me abraso! ¡No me abrases con tu fuego! ¡Este es poco para el fuego que buscaste! Las maravillas de Dios son, don Juan, investigables, y así quiere que tus culpas a manos de un muerto pagues. Y si pagas de esta suerte .............................................. esta es justicia de Dios: «quien tal hace, que tal pague». ¡Que me abraso, no me aprietes! Con la daga he de matarte. Mas, ¡ay, que me canso en vano de tirar golpes al aire! A tu hija no ofendí, que vio mis engaños antes. No importa, que ya pusiste tu intento. Deja que llame quien me confiese y absuelva. No hay lugar, ya acuerdas tarde. ¡Que me quemo! ¡Que me abraso! ¡Muerto soy!
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Cae muerto. CATALINÓN
DON GONZALO
2034
No hay quien se escape, que aquí tengo de morir también por acompañarte. Esta es justicia de Dios: «quien tal hace, que tal pague».
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO DON GIOVANNI
DON GONZALO
DON GIOVANNI
DON GONZALO DON GIOVANNI DON GONZALO DON GIOVANNI
Che dici? Paura, io? Ah, ardo! Non mi bruciare col tuo fuoco! Questo è nulla, per le fiamme che ti meriti. Don Giovanni, imperscrutabili sono i prodigi di Dio; egli vuole che tu paghi il fio delle tue colpe così, per mano di un morto. Se paghi in questa maniera .................................................. questa è giustizia divina: «chi fa il male, che lo paghi». Sto bruciando! Non mi stringere! Ti ammazzerò con la daga! Ma ohimè, mi affatico invano a dare colpi nel vuoto! Tua figlia io non l’ho offesa, che si è accorta dell’inganno! Non importa: l’intenzione l’avevi. Lascia che chiami chi mi confessi e mi assolva. Non c’è tempo; è troppo tardi. Ardo! Brucio! Sono morto! Cade morto.
CATALINÓN
DON GONZALO
Non posso scappare! Qui dovrò morire anch’io come accompagnatore! È la giustizia di Dio «chi fa il male, che lo paghi».
2035
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
Húndese el sepulcro con don Juan y don Gonzalo, con mucho ruido, y sale Catalinón arrastrando. CATALINÓN
¡Válgame Dios! ¿Qué es aquesto? Toda la capilla se arde, y con el muerto he quedado, para que le vele y guarde. Arrastrando como pueda, iré a avisar a su padre. ¡San Jorge, San Agnus Dei, sacadme en paz a la calle!
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Vase. Sale el rey, don Diego y acompañamiento. DON DIEGO REY
Ya el marqués, señor, espera besar vuestros pies reales. Entre luego, y avisad al conde, porque no aguarde.
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Sale Batricio y Gaseno. BATRICIO
REY BATRICIO
¿Dónde, señor, se permite desenvolturas tan grandes, que tus criados afrenten a los hombres miserables? ¿Qué dices? Don Juan Tenorio, alevoso y detestable, la noche del casamiento, antes que le consumase, a mi mujer me quitó; testigos tengo delante.
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Sale Tisbea y Isabela y acompañamiento. TISBEA
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Si vuestra alteza, señor, de don Juan Tenorio no hace
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
Il sepolcro sprofonda, con don Giovanni e don Gonzalo, con gran rumore, e esce Catalinón trascinandosi. CATALINÓN
Dio m’aiuti! Che è successo? Tutta la cappella è in fiamme, sono rimasto col morto per vegliarlo e custodirlo! Trascinandomi alla meglio andrò a informare suo padre. San Giorgio, Sant’Agnus Dei, fate che trovi l’uscita. Esce. Entrano il re, don Diego e il seguito.
DON DIEGO RE
Il marchese aspetta, sire, di baciare i vostri piedi. Entri subito, e avvertite il conte, ché non attenda. Entrano Batricio e Gaseno
BATRICIO
RE BATRICIO
Sire, dove è consentita una tale sfrontatezza: che i tuoi uomini oltraggino i più poveri sudditi? Che dici? Don Giovanni, traditore detestabile, la notte delle mie nozze, prima che le consumassi, mi ha tolto la mia sposa, e ne ho qua i testimoni. Entrano Tisbea e Isabella con i loro accompagnatori.
TISBEA
Sire, se vostra altezza non punisce don Giovanni 2037
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
REY ISABELA
justicia, a Dios y a los hombres mientras viva he de quejarme. Derrotado le echó el mar, dile vida y hospedaje, y pagóme esta amistad con mentirme y engañarme con nombre de mi marido. ¿Qué dices? Dice verdad[es].
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Sale Aminta y el duque Octavio. AMINTA REY AMINTA
¿Adónde mi esposo está? ¿Quién es? Pues ¿no lo sabe? El señor don Juan Tenorio; con quien vengo a desposarme, porque me debe el honor, y es noble y no ha de negarme. Manda que nos desposemos. .....................................................
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Sale el marqués de la Mota. MOTA
REY
DON DIEGO
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Pues es tiempo, gran señor, que a luz verdades se saquen, sabrás que don Juan Tenorio la culpa que me imputaste tuvo él, pues como amigo pudo el cruel engañarme; de que tengo dos testigos. ¿Hay desvergüenza tan grande? Prendelde y matalde luego. ................................................... En premio de mis servicios, haz que le prendan y pague sus culpas, porque del cielo
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
RE ISABELLA
Tenorio, a Dio ed agli uomini mi appellerò finché vivo. Il mare lo gettò esanime, lo soccorsi e l’ospitai, e ripagò l’accoglienza mentendomi ed ingannandomi, con l’impegno di sposarmi. Che dici? La verità. Entrano Aminta e il Duca Ottavio.
AMINTA RE AMINTA
Dov’è il mio sposo? Chi è? Ancora non lo sapete? È don Giovanni Tenorio, col quale sto per sposarmi, perché mi deve l’onore: è nobile, non può negarlo. Ordina le nostre nozze. ............................................ Entra il Marchese de la Mota.
MOTA
RE
DON DIEGO
È il momento, gran signore, che la verità si scopra: e saprai che don Giovanni Tenorio ebbe la colpa che a me venne imputata; mi ingannò e era mio amico: e ne ho due testimoni. Che impudenza senza pari! Che sia preso e giustiziato! .................................................. Come premio ai miei servigi fa’ che lo arrestino e paghi le sue colpe, perché il cielo 2039
TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA
REY
rayos contra mí no bajen, si es mi hijo tan malo. ¿Esto mis privados hacen?
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Sale Catalinón. CATALINÓN
REY CATALINÓN
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Señor, escuchad, oíd, el suceso más notable que en el mundo ha sucedido, y en oyéndome matadme. Don Juan, del Comendador haciendo burla una tarde, después de haberle quitado las dos prendas que más valen, tirando al bulto de piedra la barba por ultrajarle, a cenar le convidó. ¡Nunca fuera a convidarle! Fue el bulto, y convidole. Y agora, porque no os canse, acabando de cenar entre mil presagios graves de la mano le tomó y le aprieta hasta quitalle la vida, diciendo: «Dios me manda que así [t]e mate, castigando tus delitos. Quién tal hace, que tal pague». ¿Qué dices? Lo que es verdad; diciendo, antes que acabase, que a doña Ana no debía honor, que lo oyeron antes del engaño.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO
RE
non mi fulmini, se ho un figlio così malvagio. Questo fanno i miei fedeli? Entra Catalinón.
CATALINÓN
RE CATALINÓN
Signori, ascoltate tutti il fatto più incredibile che sia successo nel mondo, e magari poi uccidetemi. Una sera don Giovanni, burlando il Commendatore, – dopo che gli aveva tolto le due cose più preziose – la statua ne oltraggiò tirandogli la barba, ed a cena lo invitò: non l’avesse mai invitato! Venne la statua e a sua volta ricambiò l’invito. Insomma, per non farvela lunga, sul finire della cena, tra mille infausti presagi, l’ha preso per la mano e lo ha stretto fino a togliergli la vita, dicendo: «Dio vuole che così t’uccida per punire i tuoi delitti: chi fa il male, che lo paghi». Che dici mai? Quel che è vero. Disse, prima di morire, che a donna Anna non ha tolto l’onore, che fu scoperto prima.
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TIRSO DE MOLINA EL BURLADOR DE SEVILLA, JORNADA TERCERA MOTA REY
OCTAVIO MOTA BATRICIO
REY
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Por las nuevas mil albricias quiero darte. ¡Justo castigo del cielo! Y agora es bien que se casen todos, pues la causa es muerta, vida de tantos desastres. Pues ha enviudado Isabela, quiero con ella casarme. Yo con mi prima. Y nosotros con las nuestras, porque acabe El convidado de piedra. Y el sepulcro se traslade en San Francisco en Madrid para memoria más grande.
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TIRSO DE MOLINA L’INGANNATORE DI SIVIGLIA, ATTO TERZO MOTA RE
OTTAVIO MOTA BATRICIO
RE
Per la notizia ti farò mille regali. Giusto castigo del cielo! Ora è bene che si sposino tutti, scomparsa la causa unica di tanti mali. Ora che è rimasta vedova voglio sposare Isabella. Io sposerò mia cugina. E noi le nostre donne; e così possa concludersi Il convitato di pietra. E il sepolcro sia portato a San Francesco a Madrid, a imperitura memoria.
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Miguel de Cervantes Saavedra
La vita e il teatro
La vita di Cervantes è più avventurosa di qualsiasi romanzo, tra duelli, imprese belliche, prigionie presso i turchi, problemi con la giustizia, tardive fortune letterarie. L’autore del romanzo nazionale spagnolo nasce ad Alcalá de Henares nel 1547, figlio di un cerusico che si sposta da Alcalá a Valladolid, Cordova, Siviglia, Madrid, itinerari tra città dove il piccolo cresce. Da Madrid dovrà fuggire alla fine del 1569, in seguito a un duello e al suo primo scontro con la giustizia; si sposta a Roma, sotto la protezione del cardinale Giulio Acquaviva; si arruola con il fratello Rodrigo nelle truppe che combattono a Lepanto, battaglia che ricorderà come «la più grande occasione che videro il secoli passati, i presenti e non sperano di vedere i futuri».1 È ferito alla mano sinistra, che rimarrà invalida; ottiene attestati del suo valore, viene promosso, e dopo un soggiorno nelle isole italiane e a Napoli, nel 1575 si imbarca per ritornare in Spagna. Ma la sua nave viene assalita da corsari barbareschi, che dai documenti in suo possesso desumono che deve essere persona di valore, e domandano un riscatto così alto che i parenti non possono pagarlo; tenta la fuga da Algeri per quattro volte, ma senza successo; per fortuna non subisce le terribili pene che erano conseguenza di un tale atto di ribellione, e finalmente nel 1580 può essere riscattato con l’aiuto dei frati trinitari. Dopo 12 anni di lontananza da Madrid non riesce ad ottenere nessun tipo di soccorso, anche se presenta più volte richieste di sussidi e testimonianze dei propri meriti. Scrive un romanzo pastorale, La Galatea, che viene pubblicato ad Alcalá nel 1585 senza molto successo. In quegli anni, tra il 1582 ed il 1583, tenta la fortuna come scrittore di teatro: si 2047
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
ricordano una commedia, El trato de Argel (La vita ad Algeri), ed una tragedia El cerco de Numancia (L’assedio di Numanzia). Nel 1584 ha una relazione con Ana Franco de Rojas, moglie del proprietario di una locanda; da cui nascerà una bambina, Isabel; il 12 dicembre si sposa con Catalina de Salazar e risiede a Esquivias, presso Madrid. Dal 1587 al 1600 vive a Siviglia, incaricato di requisire olio e cereali per la spedizione di Filippo II contro l’Inghilterra; ma viene arrestato per malversazioni nel 1587; dopo la liberazione viene incarcerato di nuovo nel 1597 a seguito del fallimento del banchiere al quale aveva consegnato le imposte riscosse. Cerca anche inutilmente di ottenere dal Consiglio delle Indie un posto per l’America; seguendo le sorelle Andrea e Maddalena si stabilisce nel 1604 a Valladolid, dove si è spostata la corte. Forse a questo periodo risale l’inizio del Ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha. Un piccolo lascito, fatto a suo favore dal cognato ritiratosi in convento, gli permette di dedicarsi alla scrittura, il romanzo sarà terminato proprio nel 1604, lo stampatore Juan de la Cuesta licenzia l’edizione nel gennaio del 1605: Cervantes ha 58 anni. Vive con le sorelle e la figlia, un gruppo di donne dalla vita non proprio specchiata. Nel giugno di quell’anno viene ucciso un cavaliere di fronte alla casa dello scrittore, e vanno a finire in carcere tutti gli abitanti; ennesima disgrazia del povero Cervantes, che nell’autunno abbandona Valladolid, vive tra Salamanca e Esquivias, e nel maggio 1607 si sistema definitivamente a Madrid. Nel 1606 la figlia si sposa, rimane vedova con una figlia, diventa l’amante ufficiale di un nobilotto; e intraprenderà un’azione legale contro il padre. Le sorelle si danno a una vita più morale, diventando terziarie francescane; e lo stesso Miguel entra in una congregazione religiosa, dove probabilmente conosce il Conte di Lemos, che sarà suo mecenate; spera inutilmente di seguirlo a Napoli; riesce a pubblicare nel 1613 le sue Novelas ejemplares, che hanno molto successo; nel 1614 il poema Viaje del Parnaso (Viaggio al Parnaso), e nel 1615 i suoi Ocho comedias y ocho entremeses nunca representados (Otto commedie ed otto intermezzi mai messi in scena). Si dedica alla stesura della seconda parte del Chisciotte: nel settembre del 1614 è stata infatti pubblicata una seconda parte apocrifa, stampata a Tarragona, scritta da un certo Alonso Fernández de Avellaneda; si specula chi si nasconda dietro questo pseudonimo. Cervantes, sofferente da 2048
LA VITA E IL TEATRO
tempo di idropisia, riesce a concludere la Seconda parte del Quijote nel 1615: i protagonisti discettano su chi sia il falsario, cambiano la traiettoria del proprio viaggio, per via appare un personaggio dell’apocrifo: la vita entra dentro la letteratura. Cervantes dedica le sue ultime poche forze a terminare un altro romanzo, Los trabajos de Persiles y Segismunda, Historia septentrional (Le traversie di Persile e Sigismunda, Storia settentrionale), che sarà pubblicato postumo: l’autore era morto a Madrid il 22 aprile del 1616. Lontano dalla Spagna dal 1569 al 1580, anni fondamentali per la storia del teatro spagnolo, Cervantes tenta al suo ritorno di inserirsi nell’ambiente teatrale, a suo dire con buoni risultati, anche se lascia nel vago l’entità del proprio contributo: se vieron en los teatros de Madrid representar Los tratos de Argel, que yo compuse; La destrucción de Numancia y La batalla naval; donde me atreví a reducir las comedias a tres jornadas, de cinco que tenían, mostré, o por mejor decir, fui el primero que representase las imaginaciones y los pensamientos escondidos del alma, sacando figuras morales al teatro, con general y gustoso aplauso de los oyentes; compuse en este tiempo hasta veinte comedias o treinta, que todas ellas se recitaron sin que se le ofreciese ofrenda de pepinos ni de otra cosa arrojadiza.2
Venti o trenta con cifra iperbolica, presumibilmente; nella Adjunta al Viaje del Parnaso, nel 1614, Cervantes consegnerà alcuni titoli, 10 in tutto: – Sí – dije yo – muchas; y a no ser mías, me parecieran dignas de alabanza, como lo fueron Los tratos de Argel, La Numancia, La gran Turquesca, La batalla naval, La Jerusalén, La Amaranta o la del Mayo, El bosque amoroso, La única y La bizarra Arsinda, y otras muchas de que no me acuerdo. Mas la que yo más estimo y de la que más me precio fue y es una llamada La confusa, la cual, con paz sea dicho de cuantas comedias de capa y espada hasta hoy se han representado, bien puede tener lugar señalado por buena entre las mejores.3
Un undicesimo titolo appare in un contratto stilato col capocomico Gaspar de Porres il 5 marzo 1585: Cervantes si impegna a consegnare a Porres la Confusa «dentro de quince días de la fecha de esta carta» e El Trato de Costantinopla y muerte de Selim (La vita a Costantinopoli e morte di 2049
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
Selim) «para ocho días antes de la Pascua de Flores»; il compenso di 40 ducati sarà diviso in due rate: venti gli vengono pagati immediatamente e venti li riceverà alla consegna della seconda commedia.4 Di questi testi ricordati nella Adjunta solo i primi due ci restano; e Los tratos con un profilo testuale dubbio (i due ms. che la conservano presentano notevoli discrepanze).5 A giudicare dai titoli, questo primo teatro cervantino appare vicino al sistema che si era forgiato verso la metà del secolo: argomenti di attualità e magari di taglio autobiografico, come le turcherie e il ricordo di Lepanto, si uniscono a quelli di tono ariostesco e tassiano. Inutilmente nel Prólogo alle Ocho comedias (1615), Cervantes tenta di esagerare la propria auto presentazione in veste di novatore; certo egli non fu il primo a ridurre gli atti a tre, né a porre in scena «figure allegoriche», che anche il Lope giovane utilizza.6 Le due opere che ci restano attestano poi un tipo di teatro povero di azione, declamatorio, ben lontano dagli sviluppi degli ultimi anni del secolo XVI e delle prime decadi del Seicento. Forse il successo fu scarso, altrimenti Cervantes non avrebbe abbandonato una carriera brillante e remunerativa per la modestissima attività di commissario.7 Forse trascinato dalle vicende personali, dal 1587 al 1591, Cervantes a suo dire si allontana dalla scrittura teatrale; forse i contatti con il mondo delle scene si rinverdiscono nel 1592, anno in cui stipula un contratto con il capocomico Rodrigo Osorio impegnandosi a fornirgli «en lo tiempos que pudiere» («quando potrò») sei commedie.8 Cervantes guarda comunque sempre più spaesato il panorama della scena spagnola, che gli appare confuso e dissennato. Sparita ormai la distinzione tra comico e tragico che ancora si manteneva nella prima metà del secolo XVI, e lontana e dimenticata la «semplicità» rinascimentale di Rueda, sulla quale l’ormai anziano scrittore affabula, lasciando campo alla dimensione del ricordo: En el tiempo deste célebre español [Lope de Rueda], todos los aparatos de un autor de comedias se encerraban en un costal, y se cifraban en cuatro pellicos blancos guarnecidos de guadamecí dorado, y en cuatro barbas y cabelleras y cuatro cayados, poco más o menos. Las comedias eran unos coloquios, como églogas, entre dos o tres pastores y alguna pastora; aderezábanlas y dilatábanlas con dos o tres entremeses, ya de negra, ya de rufián, ya de bobo y ya de vizcaíno; que todas estas cuatro figuras y otras muchas hacía el tal Lope con la mayor 2050
LA VITA E IL TEATRO
excelencia y propiedad que pudiera imaginarse. No había en aquel tiempo tramoyas, ni desafíos de moros y cristianos, a pie ni a caballo; no había figura que saliese o pareciese salir del centro de la tierra por lo hueco del teatro, al cual componían cuatro bancos en cuadro y cuatro o seis tablas encima, con que se levantaba del suelo cuatro palmos; ni menos bajaban del cielo nubes con ángeles o con almas. El adorno del teatro era una manta vieja tirada con dos cordeles de una parte a otra, que hacía lo que llaman vestuario, detrás del cual estaban los músicos, cantando sin guitarra algún romance antiguo.9
Lode del buon tempo andato, dunque, in gran misura inattendibile e di parte, perché oggi sappiamo che molto più articolati dovevano essere gli spettacoli di Rueda; e acre e amareggiato il profilo che egli traccia del gran Lope: Tuve otras cosas en que ocuparme, dejé la pluma y las comedias, y entró luego el monstruo de naturaleza, el gran Lope de Vega, y alzóse con la monarquía cómica. Avasalló y puso debajo de su juridición a todos los farsantes; llenó el mundo de comedias propias, felices y bien razonadas, y tantas que pasan de diez mil pliegos los que tiene escritos, y todas, que es una de las mayores cosas que puede decirse, las ha visto representar o oído decir por lo menos que se han representado; y si alguno, que hay muchos, han querido entrar a parte y gloria de sus trabajos, todos juntos no llegan en lo que han escrito a la mitad de lo que él solo.10
Ben poco centrato anche il florilegio di autori che Cervantes presenta a rappresentare il teatro contemporaneo, e quasi contrapponendoli a Lope: Pero no por esto, pues no lo concede Dios a todos, dejen de tenerse en precio los trabajos del doctor Ramón, que fueron los más después de los del gran Lope; estímense las trazas artificiosas en todo extremo del licenciado Miguel Sánchez; la gravedad del doctor Mira de Mescua, honra singular de nuestra nación; la discreción e innumerables conceptos del Canónigo Tárrega; la suavidad y dulzura de don Guillén de Castro; la agudeza de Aguilar; el rumbo, el tropel, el boato, la grandeza de las comedias de Luis Vélez de Guevara, y las que ahora están en jerga del agudo ingenio de don Antonio de Galarza, y las que prometen Las fullerías de amor, de Gaspar de Ávila, que todos estos y otros algunos han ayudado a llevar esta gran máquina al gran Lope.11 2051
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
Ramón, Miguel Sánchez, Tárrega, Aguilar, Gaspar de Ávila sono per noi presenze sbiadite, spesso cultori di un tipo di commedia quasi prelopista; Antonio de Galarza addirittura non sappiamo chi sia; Mira sembra quasi venire opposto a Lope per la «regolarità» delle sue commedie, e l’unico autore decisamente nella linea del Fénix, Vélez de Guevara, sembra menzionato più per le invenzioni sceniche che per le caratteristiche letterarie dei testi. Sta di fatto che queste considerazioni talora risentite, talora inattuali, precedono le Ocho comedias y ocho entremeses nuevos, nunca representados che nel 1615, ormai sessantottenne, Cervantes pubblica con un prologo molto amareggiato. «Mai messi in scena», dunque, i suoi testi, mentre le commedie di Lope «tutte – il che è una delle maggiori cose che possano dirsi – le ha viste in scena; o ha sentito dire, almeno, che sono state messe in scena». Proporre la propria opera teatrale a stampa si configura così come un estremo tentativo, una rivendicazione contro un ingiusto e per Cervantes incomprensibile oblio: No hallé autor que me las pidiese, puesto que sabían que las tenía, y así las arrinconé en un cofre y las consagré y condené al perpetuo silencio. En esta sazón me dijo un librero que él me las comprara si un autor de título no le hubiera dicho que de mi prosa se podía esperar mucho, pero que del verso nada; y si va a decir la verdad, cierto que me dio pesadumbre el oírlo y dije entre mí: «O yo me he mudado en otro, o los tiempos se han mejorado mucho; sucediendo siempre al revés, pues siempre se alaban los pasados tiempos». Torné a pasar los ojos por mis comedias y por algunos entremeses míos que con ellas estaban arrinconados, y vi no ser tan malas ni tan malos que no mereciesen salir de las tinieblas del ingenio de aquel autor a la luz de otros autores menos escrupulosos y más entendidos. Aburríme y vendíselas al tal librero, que las ha puesto en la estampa como aquí te las ofrece.12
Stravagante è anche il numero dei testi raccolti, otto, visto che di solito le commedie di Lope, e poi quelle di Montalbán, Rojas Zorrilla, Calderón, o quelle di Diferentes autores (vari autori), si stampavano letteralmente a dozzine, riunendo cioè dodici testi.13 Lo scarso interesse dei capocomici, che Cervantes insinua fossero «asserviti e posti sotto la giurisdizione» di Lope, oggi non ci meraviglia: non tanto e non solo perché Cervantes appare lontano dai «centri di potere» teatrale, da quella stretta simbiosi con le compagnie che ci si rivela alla base della scrittura di Lope. 2052
LA VITA E IL TEATRO
Osserviamo invece queste Otto commedie con l’occhio rivolto alle loro possibilità di messa in scena nei secoli d’oro:14 Cervantes non tiene conto delle necessità e perfino della composizione delle compagnie, proponendo testi che prevedono una ventina di attori in scena (a volte di più): anche se i personaggi minori potevano essere duplicati (o triplicati),15 in un periodo in cui la tendenza era alla riduzione delle compagnie questa pletora poteva costituire una ragione in più di diffidenza. E che dire del fatto che nell’elenco dei personaggi della Entretenida se ne registrino due, Anastasio e Gil, che poi non appaiono in scena? E ugualmente spaesati dovevano essere i capocomici davanti alla mancanza di ruoli prefissati, delle coppie dama/galán, gracioso/criada... I critici che oggi lodano la rottura di questi schemi da parte di Cervantes16 paiono non aver chiare le ferree regole di produzione che legano il commediografo del secolo d’oro al suo committente privilegiato: le compagnie. Eppure non sono mancati studiosi che non si rassegnano a questa lontananza di Cervantes dal tablado dei corrales: Granja suppone che certe didascalie della Casa de los celos e dei Baños de Argel indichino «que Cervantes colaboró, de alguna manera, en la dirección escénica de esta comedia».17 La possibilità di una presenza di Cervantes alle prove è avanzata sulla base di didascalie di questo tenore: Malgesí, vestido como diré, sale por la boca de la sierpe. Sale el Temor vestido como diré, con una tunicela parda, ceñida con culebras. Parece Angélica, y va tras ella Roldán; pónese en la tramoya y desaparece, y a la vuelta parece la Mala Fama, como diré, con una tunicela negra, una trompeta negra en la mano, y alas negras, y cabellera negra.18 Aquí ha de salir la boda desta manera: Alima con un velo delante del rostro, en lugar de Zara, llévanla en unas andas en hombros, con música y hachas encendidas, guitarras y voces con grande regocijo, cantando los cantares que yo daré.19
Si tratta in tutto di quattro luoghi, che si riducono a due se si considera che nella seconda e terza didascalia della Casa de los celos la spiegazione dell’abito del Timore e della Fama viene immediatamente fornita. Troppo poco per ipotizzare una pratica di intervento registico da parte di uno scrittore, pratica di cui non si avrebbero in questo periodo altre 2053
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
testimonianze; questo tipo di intervento magari si produrrà più tardi nel teatro di palazzo, ma non è mai attestato per il corral.20 Ma è soprattutto il tenore delle didascalie a far riflettere: la loro minuziosità (ben lontana dalle indicazioni sommarie di Lope, che si affida sempre all’abilità delle compagnie per la realizzazione della messa in scena) dimostra a mio avviso proprio il contrario di una partecipazione alla regia; dimostra cioè che Cervantes tenta di orientare nel testo letterario il testo spettacolo proprio perché non ne ha alcun controllo. È un aspetto affine a un’altra caratteristica delle didascalie di Cervantes, felicemente notata da Varey, quando rileva che egli «parece confundir el arte del dramaturgo con el del novelista».21 E così inserisce informazioni inutili dal punto di vista tecnico, fino ad indulgere al ricordo autobiografico, o a suggerire che certe spiegazioni saranno posticipate, rivolgendosi insomma a un lettore, non certo a uno spettatore, e probabilmente nemmeno agli attori. Si veda questo esempio significativo: Entra a esta sazón Buitrago, un soldado, con la espada sin vaina, oleada con un orillo, tiros de soga; finalmente, muy malparado. Trae una tablilla con demanda de las ánimas del purgatorio, y pide para ellas. Y esto de pedir para las ánimas es cuento verdadero, que yo lo vi, y la razón por que pedía se dice adelante.22
Cervantes, innamorato respinto del teatro, non se ne dà comunque ragione, e continua a speculare nei suoi testi sullo statuto del rappresentare, con punti di convergenza con l’Arte nuevo.23 Ma se nel 1592 Osorio nello stilare il contratto con Cervantes sembra dubitare della validità dei risultati della scrittura, e se poi la sordità dell’ambiente teatrale aumenta, non rimane che il lamento: Habiendo de ser la comedia, según le parece a Tulio, espejo de la vida humana, ejemplo de las costumbres e imagen de la verdad, las que ahora se representan son espejos de disparates, ejemplos de necedades e imágenes de lascivia. 24
Bisognerà rassegnarsi comunque alla maniera dominante; e così nel Rufián dichoso (Il Ruffiano fortunato) ecco la Comedia e la Curiosidad discutere tra loro,25 ripetendo concetti avanzati da Juan de la Cueva e Lope de Vega. Ma i due drammaturghi lo avevano detto in poemetti teorici,26 mentre Cervantes lo infligge ai suoi ascoltatori in una tirata di cento 2054
LA VITA E IL TEATRO
versi. C’è di che convenire sulle impazienze dei commedianti davanti ai testi di Cervantes. Le Ocho comedias raccolgono testi tra loro molto dissimili: El gallardo español (Il valoroso spagnolo), La casa de los celos (La casa della gelosia), Los baños de Argel (Le prigioni di Algeri), El rufián dichoso (Il rufiano fortunato), La gran Sultana, El laberinto de amor (Il labirinto d’amore), La entretenida (La spassosa), Pedro de Urdemalas. Secondo Canavaggio almeno tre di questi testi potrebbero risalire al periodo 1587-1606, periodo in cui i contatti con l’ambiente teatrale ci sarebbero stati, anche se sporadici (si veda il contratto con Rodrigo Osorio): La casa de los celos e El laberinto de amor; e forse anche El rufián dichoso.27 Comunque la cronologia cervantina pare ancora da assestare; una ipotesi plausibile è che Cervantes abbia scritto dopo il 1606, sotto una più marcata influenza della commedia lopesca, sei commedie: nel 1614 nella Adjunta, egli afferma appunto di averne sei pronte per la stampa; avrebbe poi aggiunto al volume due delle più antiche, e precisamente La casa de los celos e El laberinto de amor.28 La produzione teatrale di Cervantes presenta complessivamente una pratica scenica ancora in fieri, sperimentale, secondo la definizione di Canavaggio; in bilico tra richiami classici ed aperture al nuovo (anche a livello teoretico). Forse un teatro troppo letterario, nel senso che la sua fruizione privilegiata può essere proprio – e paradossalmente – la lettura; un teatro che – nonostante l’amore per la rappresentazione del suo estensore, ed i giochi di teatro nel teatro a cui egli indulge – esige la meditazione, il tornare a rileggere certi passaggi; insomma un tipo di fruizione che ricorda più quella del racconto che la precipitosa e brillante macchina che Lope aveva messo a punto. La stessa fisionomia delle didascalie prima rilevata conferma questo «uso improprio» del testo teatrale; un suo carattere magmatico, che ha generato i rilievi di scarsa coesione, di conglomerato di episodi spesso scollegati.29 E certo è che anche in tempi recenti vi si è sottolineata la coesistenza di una doppia azione, che non arriva a saldarsi in un tutto organico, cosicché «En este sentido Cervantes es todavía un autor del siglo XVI; no ha llegado en Los baños de Argel a la altura del dramaturgo que sabe asegurar que todas las líneas dramáticas llevan inexorablemente hacia el centro de la obra: su comedia es más bien centrífuga que centrípeta».30 2055
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
Il fascino di questo teatro va forse rintracciato proprio nella sua ambiguità, che ne ha permesso varie e dissimili interpretazioni, 31 nella ricerca di equilibri non sempre raggiunti, tra l’accettazione e l’allontanamento dal cliché drammaturgico contemporaneo. Non a caso la critica si divide tra entusiasti sostenitori dell’originalità di Cervantes, e coloro che sottolineano l’evoluzione presente nelle Ocho comedias rispetto ai testi anteriori; tra coloro che rivendicano l’impronta di Lope, e quelli che giudicano «convenzionale» la formula lopesca e sostengono un suo superamento nei testi cervantini. Lope è comunque sempre presente, termine di paragone per la critica come, attraverso le parole del Prólogo, sappiamo che lo fu per Cervantes stesso.32 MARIA GRAZIA PROFETI
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La entretenida La spassosa Testo spagnolo a cura di FEDERICA CAPPELLI Nota introduttiva di GIULIA POGGI Traduzione di DAVID BAIOCCHI e MARCO OTTAIANO Note di FEDERICA CAPPELLI
Nota introduttiva
1. La trama. In una casa altolocata di Madrid vivono don Antonio e Marcela de Almendárez, due fratelli circondati da uno stuolo di servitori: Muñoz e Dorotea, rispettivamente scudiero e dama di compagnia di Marcela, la sguattera Cristina, il lacchè Ocaña e il paggio Quiñones. Mentre Antonio è innamorato di una fantomatica Marcela Osorio, il cui nome invoca con tanta angoscia e desiderio da far sorgere nella sorella il sospetto che egli nutra un amore incestuoso nei suoi confronti, Marcela è destinata a sposarsi con don Silvestre de Almendárez, un ricco cugino che ha fatto fortuna in Perù e il cui arrivo si attende da un momento all’altro. Nel frattempo Cardenio, un giovane studente giunto a Madrid con il suo scagnozzo Torrente, invaghitosi di Marcela, riesce a penetrare in casa sua fidando in un piano orchestrato dall’astuto Muñoz. Fingendo di essere scampato a un naufragio, durante il quale avrebbe perso le lettere e i doni mandati dai supposti futuri suoceri, egli si spaccia per il promesso sposo don Silvestre, di cui ripercorre le tracce sulla falsa riga di un promemoria stilato dallo stesso Muñoz (primo atto). Innamorato di Marcela Osorio è anche un tal don Ambrosio il quale, dopo averla cercata per mare e per terra, pensa, ingannato dall’omonimia, che essa si trovi in casa di don Antonio. Svelato l’equivoco, Marcela de Almendárez capirà, una volta per tutte, di non essere lei, ma un’altra con il suo stesso nome, l’oggetto della passione del fratello. Nel frattempo l’intrigante Cristina, già nel primo atto contesa fra Quiñones e Ocaña, trova un nuovo pretendente in Torrente, il quale la sottopone a una corte spietata con gran dispetto del lacchè. Ed è proprio con un gustoso battibecco fra la sguattera e il lacchè Ocaña (il quale, non visto, 2059
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA
ha assistito a una scena in cui la sua innamorata, corteggiata e lusingata dal finto peruviano Torrente, gli ha chiesto di impartirgli una sonora lezione) che si chiude il secondo atto. Il terzo si apre con un colloquio attraverso cui l’amico don Francisco informa don Antonio che Marcela si trova in un convento vicino Madrid, dove il padre l’ha nascosta con l’intenzione di dargliela in sposa. Tutto sembra andare per il meglio, e perfino i due rivali in amore, Torrente e Ocaña, si accordano per inscenare una rissa con tanto di spargimento di finto sangue nel bel mezzo di uno spettacolo con ballo organizzato dai famigli della casa, quand’ecco che l’improvviso arrivo del vero don Silvestre de Almendárez, con le lettere e i doni che Cardenio aveva fatto finta di avere smarrito nel naufragio, smaschera i due truffatori e il loro complice Muñoz. Non più promessa sposa del falso don Silvestre, Marcela non potrà neppure convolare a giuste nozze con quello vero, essendo stata negata la dispensa papale necessaria ai matrimoni fra cugini. Niente nozze neppure per la sua omonima, la misteriosa Marcela Osorio, da cui si allontanano sia don Ambrosio che don Antonio: il primo per non voler contravvenire alla volontà paterna, il secondo perché disgustato da una scrittura in cui ella si dichiarava promessa a don Ambrosio. E come se non bastasse anche la pluricorteggiata Cristina sarà rifiutata dai due antichi spasimanti, stanchi dei suoi capricci e delle sue civetterie, e da Torrente, al quale non resta altro, per evitare ulteriori guai, che darsela a gambe con il suo padrone. Questa, in sintesi, la vicenda dell’Entretenida, una delle otto commedie pubblicate da Cervantes nella raccolta del 1615 (Ocho comedias y ocho entremeses), forse la più ingarbugliata, sia per la continua commistione, quasi direi la promiscuità, fra servi e padroni, sia per la scarsa efficienza dei meccanismi drammatici che ne regolano lo svolgimento e che, anziché generare suspense e poi scioglimento, crea percorsi faticosi alla ricezione e comunque non immediatamente assimilabili da un ipotetico spettatore. Non sempre è facile capire la serie di equivoci generati dall’omonimia delle due Marcele, così come districarsi fra i minimi colpi di scena che, fra cédulas improvvisamente esibite, dispense negate e richieste di matrimonio insufficienti a motivare la decisione da parte di un padre di segregare la figlia, scandiscono l’ultima parte della commedia. Per non parlare dello scambio fra i due don Silvestri, esilarante finché si vuole nella descrizione del falso naufragio e nella contraffazione del2060
NOTA INTRODUTTIVA
la geografia e della mitologia della conquista, ma poco credibile come espediente drammatico, anzi sviante, come dimostra il fatto che uno dei personaggi che lo inscenano, Torrente, continua a illudere gli altri e se stesso su un carico di ricchezze il cui arrivo riuscirebbe soltanto a smascherare la truffa sua e del suo padrone. Si tratta, insomma, di una trama fitta, ma poco coesa, di un intreccio privo di nodi forti e ricco, in compenso, di fila che a volte si perdono (ingarbugliate, appunto) e che nel finale si dissolvono con movimento centrifugo: quanto di più lontano si possa immaginare dal compatto schema raccomandato dall’Arte nuevo («Adviértase que solo este sujeto / tenga una acción, mirando que la fábula, / de ninguna manera sea episódica…»).1 La maniera in cui, uno alla volta, i personaggi chiave della vicenda (le due Marcele, contese da più di un pretendente sul côté femminile; il vero e il falso don Silvestre e i due rivali, don Antonio e don Ambrosio, su quello maschile) si dileguano dalla scena per via di un mancato matrimonio sembrerebbe, infatti, più rimandare a una spettacolarità effimera e spicciola che non a un preciso disegno drammatico. Anomalo anche il ruolo svolto dalla servetta Cristina e dai suoi tre pretendenti (uno dei quali, Ocaña, apre e chiude l’azione), che occupano, con le loro zuffe e scenate di gelosia, un posto di primo piano nella commedia, contravvenendo a ogni norma dettata dal decoro e formando un inedito contrappunto con lo stile accorato – spesso sfiorante la parodia – dei personaggi più altolocati. L’ alternarsi di quadri esotici e familiari, di toni farseschi e fintamente tragici, anziché risolversi nella mescolanza di registri auspicata da Lope de Vega, finisce così per suggerire la loro intrinseca incompatibilità. Inoltre l’andamento centrifugo della commedia e il suo disporsi per quadri impedisce la progressione e l’affermazione dei suoi protagonisti che, rinunciando con facilità ai propri obbiettivi, contravvengono ai dettami del protocollo lopiano. 2 Rifluendo nel proprio ruolo, tanto i servi come i padroni ribadiscono insomma la trama inconsistente dell’Entretenida e ne riaffermano la motivazione, già contenuta nel titolo, di puro e semplice divertimento.3 2. Contro Lope? Che dietro al divertimento annunciato dall’Entretenida cervantina non vi sia solo l’intenzione giocosa dell’autore, né unicamente la sua capacità di ritrarre dal vivo gustosi dialoghi e scene familiari, mi sembra evidente. Così come mi sembra evidente che, presentandoci una 2061
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA
commedia senza matrimonio, Cervantes non fa altro che riproporre in maniera indiretta lo schema tracciato da Lope e dimostrare quanto vuoto esso potesse risultare una volta modificato, o privato dalle sue obbligate conclusioni. Questa sottile e neppure tanto nascosta volontà polemica nei confronti delle innovazioni del teatro nazionale può cogliersi, oltre che nei macroscopici ribaltamenti di prospettiva di cui abbiamo parlato, in spie minori e già registrate dalla critica. Penso alla sovrabbondanza di sonetti, probabile ammiccamento all’abuso che di questo metro faceva il Fénix,4 oppure alle numerose notazioni metadrammatiche culminanti nella convulsa scena dell’entremés (il cui rapido passaggio dai toni della tragedia a quelli della commedia viene esplicitamente commentato) o, ancora, allo stile volutamente enfatico con cui i galanes esprimono le loro angosce amorose, al loro petrarchismo di maniera, e comunque stridente rispetto allo stile spiccio, e quasi osceno, che regola le scaramucce fra i servitori. Tuttavia non sono soltanto questi rimandi più o meno espliciti all’Arte nuevo a segnare il fitto dialogo che nell’Entretenida Cervantes instaura con il rivale, ma anche e soprattutto le larvate allusioni alle sue turbinose vicende biografiche che essa contiene. Come non leggere, ad esempio, dietro la fantomatica Marcela Osorio, una combinazione fra il nome della figlia del Fénix (Marcela) e il cognome di una delle sue tante donne (Elena Osorio), forse la più amata, senz’altro la più nota al pubblico dei suoi contemporanei?5 D’altro canto Marcela è anche il nome della sdegnosa pastora che appare nella prima storia interpolata nel Don Quijotee, contesto cui rimanda lo stesso nome di Cardenio (il folle innamorato incontrato dall’hidalgo nella Sierra Morena, e di cui il goffo studente dell’Entretenida rappresenta, forse, una propaggine in versione drammatica). Insomma, senza volere entrare in questioni di datazione, è indubbio che nella commedia «divertente» scritta da Cervantes, scorrono personaggi e situazioni che saranno – o erano già stati – oggetto della sua vena narrativa.6 Non è un caso che le coplas cantate durante il ballo organizzato dai domestici siano le stesse che rappresentano un mezzo di seduzione nella novella del Celoso extremeño, così come non è un caso che la scena del finto ferimento ricalchi uno degli artifici teatrali messi in atto nell’episodio delle nozze di Camacho nel secondo Quijote. Osservata da quest’angolatura l’Entretenida presenta interessanti indizi dell’ideologia di Cervantes, a partire dalla problematica del matrimonio 2062
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tridentino per finire alle varie riflessioni sul filo di quella «filosofia naturale» che può intravedersi nelle altre sue opere. In questo senso, oltre che come un divertimento provocato dal rapporto conflittuale con il creatore della comedia nueva, o un esperimento composito e basato su una molteplicità di forme drammatiche (il ballo, l’entremés, la comedia de enredo, e perfino la tragedia, presente in absentia dietro alla storia del paventato incesto), La entretenida può leggersi come un repertorio dei più ricorrenti motivi cervantini. Basti pensare all’ennesima definizione della gelosia in esso contenuta (vv. 170-76), oppure a certe inflessioni evangeliche che emergono nei momenti più impensati, oppure, ancora, all’embrionale dibattito sull’astrologia e sulle arti magiche evocato dal colloquio iniziale fra don Francisco e don Antonio a proposito dell’introvabile Marcela Osorio (vv. 216-25). E tuttavia questa versatilità di forme drammatiche, quest’inedita alternanza di dialogo e azione, che a tratti evoca la grande lezione celestinesca, a tratti quella spettacolarità effimera di cui parlavamo, e di cui l’artificio del teatro nel teatro (ossia gran parte del terzo atto) rappresenta la spia più evidente, non bastano a raccogliere le fila intricate dell’Entretenida, né a garantirne l’efficacia sulle scene. Dobbiamo dunque leggere questa commedia come un esperimento, un riflesso del percorso che avrebbe portato l’autore del Quijote a intensificare, tra la sua prima e la sua seconda parte, la dialettica tra forme drammatiche e romanzesche? O dobbiamo credere, più semplicemente, che essa sia una prova d’autore, godibile attraverso la lente deformante della parodia, priva, in tutti i casi, di una sua concreta fisionomia? 3. Una commedia «parlata». In realtà una sua fisionomia l’Entretenida la possiede, così come possiede un’unità di fondo, non riconducibile a un mero divertimento letterario né a una parodia di spunti drammatici. Mi riferisco alla sua tessitura linguistica che, modulata su una serie di registri intermedi, riflette, più che i ruoli ritagliati sui dettami della comedia nueva, lo stile – variegato e imprevedibile – del parlato. È questo un tratto comune a tutte le otto commedie «non rappresentate» di Cervantes, ma che nell’Entretenida assume una particolare evidenza. Simile in questo (e in molti altri aspetti) alla «picaresca» Pedro de Urdemalas, La entretenida non si «diverte» soltanto a mescolare diversi livelli e registri linguistici, ma anche a mettere in scena le oscillazioni foniche e lessicali che costituiscono un’inesauribile fonte di comicità nel Quijote. 2063
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Nell’ambito di questo parlato colorito e intessuto di onomatopee, deittici ed espressioni figurate va ricondotta anche la tendenza da parte di alcuni personaggi a rinominare affettivamente la realtà. Così Cristina, o più spesso Cristinica o Cristinilla, dopo aver dato a Quiñones del «mancebito frión» (v. 769), dipinge se stessa come una «...mozuela / de mantellina y chinela» (vv. 1724-25), ossia una povera ragazza indifesa alla mercé di quell’«indianazo guascón» che è Torrente (v. 1156); così Muñoz chiede a Cardenio di dargli, come ulteriore ricompensa del piano (fallimentare) che gli ha suggerito, un altro «escudillo» (v. 441). Per non parlare della scena dell’entremés, le cui partecipanti femminili sono evocate attraverso un elenco di vezzeggiativi che denunciano un rapporto di stretta familiarità con i loro compagni («Como tarda Aguedilla, la del sastre! / ...Y Julianilla / la del entallador, con Sabinica /...», vv. 2253-55), i quali vengono a loro volta nominati con toni affettivi (come il barberito, campione di ballo) o spregiativi («musiquillo de mohatra» griderà Ocaña a uno di loro con l’intento di affermare la sua supposta superiorità, v. 2359). Contigua a questa gamma di alterazioni sostantivali è la coniazione di neologismi forgiati su desinenze sdrucciole come vinático e acuático (quest’ultimo enfatizzato dalla rima: «mas yo tengo por lunático / quien sube en caballo acuático, / cuando le tiene terrestre», vv. 2685-87) o su suffissi burleschi. Un concentrato di neologismi (lacayuno, pajil, fregonil) corrispondenti alle mansioni che differenziano, al suo interno, il sottomondo della servitù è contenuto nella maniera in cui Cristina descrive l’entremés del terzo atto (vv. 2072-75). Cristina è anche responsabile della voce gergale buzaque (nel significato traslato di «ubriacone», v. 1713), mentre Torrente, sua controparte maschile, oscilla fra l’uso di arcaismi («con ese yelo no habrá / ostugo que nos alcance» dice a Cardenio con l’intenzione di smuovere le sue incertezze amorose, vv. 1636-37) ed espressioni traslate volte a infrangere il tradizionale silenzio sul sesso che avvolgeva le pur maliziose battute fra criados nella comedia nueva. La pulsione all’immediatezza, ossia a una lingua non filtrata da norme, ma modulata sulla loro combinazione o invenzione (e dunque sottoposta alla pulsione opposta, che è quella che potremmo chiamare della saccenteria), non è solo appannaggio del mondo dei servi. Se è vero, infatti, che il linguaggio colorito di Cristina e i suoi pronti scambi di battute con i numerosi corteggiatori richiamano la fantasia linguistica dei graciosos e altri personaggi «bassi» della comedia nueva, è anche vero che questa 2064
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vivezza è un tratto comune di tutta la Entretenida, e non solo delle sue pause comiche e folcloristiche. Perché non è tanto la preponderanza dei servi (il loro proliferare e occupare, con la scena dell’entremés, buona parte del terzo atto) ad accorciare la distanza dai padroni, quanto soprattutto il fatto che sia gli uni che gli altri si esprimono secondo un registro non codificato (significativo, ad esempio, che, pur mimando varie pronunce e linguaggi gergali, Cervantes non ricorra mai, nel suo teatro, al sayagués 7), ma che tende a riprodurre, come si diceva, l’ordine – casuale e imprevedibile – della lingua parlata. Dove quest’imprevedibilità meglio si coglie è nei dialoghi che intessono La entretenida in una proporzione con i monologhi inversa a quella che regola, di solito, le commedie auree. Prendiamo ad esempio la scena d’apertura del terzo atto. In essa un personaggio secondario, don Francisco, tenta, nella veste di amico, di svelare a don Antonio dove sia Marcela, ma viene continuamente interrotto da una serie di esclamazioni rivelatrici dello stato d’animo intemperante del suo interlocutore. Esclamazioni che si caricano di umorismo, non solo perché rivelano la monomania dell’innamorato (il quale, spinto dalla sua infatuazione, arriva al punto di credere che la mano del padre di Marcela sia quella della sua adorata), ma anche ritardano, paradossalmente, la soluzione ai suoi sospiri. Dopo una serie ritmata di «oh!», che parrebbe adeguarsi alle raccomandazioni di Lope sull’opportunità di inserire anafore e ripetizioni nella commedia (Arte nuevo, vv. 313-18), ecco che don Francisco prorompe in un groviglio di imprecazioni tipiche di chi non riesce più a contenersi: ¡Por vida juro!, ¡Muérdome la lengua! Voto a Chito, que estoy por!… ¡Lleve el diablo a cuantos alfeñiques hay amantes (vv. 1903-06)!
Aspetti complementari di una stessa prassi linguistica, l’imprecazione e l’interiezione disegnano un contorno mosso attorno al dialogo che si svolge fra i due amici, improntandolo, più che alla complicità e al rispetto di un codice condiviso, a un’umoristica incomunicabilità. Inoltre la condanna da parte di uno dei due delle smanie amorose dell’altro rimanda a un motivo topico della letteratura celestinesca: quello della religione d’amore, bene esemplificato dall’aneddoto che, alimentando 2065
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l’impazienza di don Antonio, recita don Francisco (vv. 1919-36) a proposito del palillo che una dama sottrae a un vecchio sdentato per soddisfare le pressanti richieste del suo innamorato feticista. Si tratta di un piccolo inserto narrativo attraverso cui don Francisco, non solo spezza la continuità del dettato drammatico (quando di fatto, nella commedia aurea, erano quasi sempre i personaggi più umili a interromperlo), ma anche vi imprime dei tratti che richiamano fortemente la dimensione orale. Tratti riconoscibili nella ridondanza e nella spezzatura anacolutica della frase («trújole de su amo / que era viejo y sin muelas el palillo», vv. 1925-26) e, poco oltre, nel passaggio ellittico tra la narrazione e l’interrogazione enfatica culminante, ancora una volta, in un’imprecazione: Gemía ante él de hinojos, y al palo seco y suyo plegarias enviaba que en su empresa dudosa le ayudase. ¿Y el otro presumido, que va a las embusteras del cedacillo y habas, y da crédito firme a disparates? ¡Cuerpo del mundo todo (vv. 1931-39)!
Da notare come l’ellissi riguardi, non solo l’introduzione di una pratica religiosa «alternativa», ma anche le sue stesse officianti, ossia le fattucchiere, definite attraverso gli attrezzi del mestiere («las embusteras / del cedacillo y habas»). Insomma l’alternanza fra ellissi e ridondanza, parallela a quella fra interiezioni e imprecazioni (le quali coprono tutta la gamma del sacrilego consentito),8 governa il movimentato orizzonte linguistico dell’Entretenida, una commedia in cui i ruoli vengono, se non parificati in ragione dell’uguaglianza sociale, smorzati e messi in forse da quella linguistica. Una commedia in cui nessuno sta mai al suo posto, ma ognuno critica quello degli altri, inferiori o superiori che siano, come attesta la maniera disinvolta in cui si passa dal «tu» al «lei», sia nei dialoghi tra persone di pari grado, sia in quelli tra servo e padrone, Caratterizzata da oscillazione nelle formule di trattamento è, per esempio, la scena che apre il secondo atto, dove Marcela, dopo aver dato del «tu» alla servetta Cristina, continua a rimproverarla attraverso un ironico 2066
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«voi» e dove Cristina, in risposta ai rimproveri della padrona, si esibisce in un’irriverente imitazione modulata sui toni dell’ipocrita perbenismo di quest’ultima (vv. 991-1050). 4. Per far ridere. Il ricorso a frequenti forme di disturbo del discorso (quali l’imprecazione, l’insulto, l’interiezione), lo smembramento del suo ordine sintattico e lessicale, la sospensione dei suoi nessi logici attraverso anacoluti, ellissi e ridondanze, sono tutti fenomeni riconducibili a un unico grande principio che regola la sfera del parlato: l’interruzione. Grazie a questo principio la commedia s’intesse di scene che richiamano da vicino, più che le partiture del teatro aureo, la veste linguistica «rattoppata» di molta novellistica italiana.9 Ma il principio dell’interruzione non investe soltanto i dialoghi dell’Entretenida o i suoi gustosi pezzi di bravura: esso si estende anche alle sua versificazione. Infatti, se da un lato i dialoghi condotti sull’imprevedibilità del «botta e risposta», i fili sconvolti della sintassi e la scomposizione dei singoli termini tendono a frammentare la commedia secondo un ritmo prosastico e colloquiale, dall’altra il metro è esso stesso fattore di disturbo e di comicità. E che Cervantes, in questa commedia antilopiana, finisca per suggerire un metro versatile, solo apparentemente obbediente ai principi del decoro formalizzati nell’Arte nuevo, lo si vede dal diverso uso che egli fa del sonetto. Dei sei inseriti ne La entretenida, tre, distribuiti fra il primo e il terzo atto, svolgono i motivi petrarchisti dell’audacia, dell’ausencia e della speranza, mentre gli altri tre, concentrati nel secondo atto, ne propongono una variazione in chiave enfatica o, all’opposto, parodica. Si pensi al sonetto caudato che, avviato su reminiscenze della canzone 366 del Petrarca («Por ti, Virgen hermosa, esparce ufano», vv. 1269-85), suona come una specie di giaculatoria in bocca a un ridicolo innamorato (don Ambrosio); oppure a quello smembrato («Pluguiera a Dios que nunca aquí viniera», vv. 1168 ss.) la cui declamazione viene regolarmente differita, ad ogni stacco di quartina o terzina, da interferenze che ne smarriscono la continuità (tanto che il suo autore, Torrente, dovrà ammettere alla fine: «¡Oh tú, reparador de nuestras vidas, / Amor, cura las ansias de mi alma, / que no pueden caber en un soneto!»); si pensi infine al sonetto de cabo roto («Que de un lacá la fuerza poderó») che, pronunciato da Ocaña con tutte le forzature ritmiche e lessicali che questa scelta 2067
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comporta, conclude il secondo atto. Lo sfruttamento di un metro italianeggiante non era certo nuovo nel teatro del tempo, né Cervantes il solo a stravolgerne il ritmo, o a seguirne la progressiva costruzione (come nel celebre «Un soneto me manda hacer Violante», declamato da un gracioso di Lope); tuttavia lo sgranarsi delle sue diverse funzioni nell’arco della commedia (enfatica, parodica, metapoetica, comica) contribuisce ancora una volta a movimentarne e frammentarne il tessuto. Ma l’andamento frammentario dell’Entretenida, il suo ritmo difforme, le sue azioni interrotte (come il ballo, commentato dalle continue intrusioni di Ocaña e Torrente, e poi sospeso per il finto incidente e la conseguente irruzione della giustizia), trovano una loro compensazione in una serie di liaisons che hanno il potere di ricucirne le fila disperse. Penso alle parole con cui Ocaña, dopo avere assistito non visto al corteggiamento di Cristina da parte del finto «indiano» Torrente, rinfaccia alla donna la sua dichiarata (e interessata) sottomissione («¡Rendida vendré a tus pies!», vv. 1745-93), oppure allo scambio di battute che suggellano la scena del ballo e del finto ferimento («¿Luego todo aquesto es burla?» chiederà lo sbirro a Ocaña, il quale, di rimando: «Todo aquesto es burla luego, / pero después serán veras», vv. 2480-82). È come se la rete linguistica servisse a contenere questo momento di massima confusione, in cui i ruoli sembrano ribaltarsi e ogni cosa, sfiorata la tragedia, tornare al suo posto («De que todo sea comedia / y no tragedia me alegro», commenterà a sua volta lo sbirro, larvatamente ristabilendo quel divario di registri drammatici che Lope aveva inteso annullare, vv. 2496-97). Ma dove lo scivolamento di senso fra una battuta e l’altra è funzionale allo svolgimento dell’azione è nel sistematico fraintendimento con cui Torrente, interrogato sul supposto naufragio, cerca di depistare i suoi indagatori (vv. 2634-41). Un fraintendimento voluto, naturalmente, un dialogo fra sordi (o meglio: tra finti sordi), il cui effetto comico è assicurato. Se infatti l’approssimazione linguistica (e la correlata saccenteria) genera il sorriso (e un benevolo sorriso suscitano le dispute linguistiche di Sancho e don Quijote), il dialogo fra sordi non può che far sorgere il riso, e tanto più se a prendere fischi per fiaschi non è un ignorante, ma un attore mosso da calcolata malizia come Torrente. I bisticci linguistici («paje/paraje»; «alijó/ahijó»; «Bermuda/Barbuda») che Torrente colleziona nella sua relazione in due tempi del falso naufragio (vv. 873-77; 2700-934) sono altrettanti spunti comici che suturano 2068
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il tessuto della commedia. Si tratta di una comicità primaria e istintiva, esclusivamente affidata alla fuggevolezza del significante e ai suoi impercettibili spostamenti di significato. Una comicità fondata su facili giochi di parole ed equivoci grossolani (il fraintendimento e l’incomprensione del parlato costituiscono l’unità minima del ridere) e per ciò stesso lontani da quelli, pieni di senso e concettosi, che fioriranno nel ricco tessuto della commedia lopiana. Una comicità che non scaturisce dall’immediato confronto fra alfabetizzazione e ignoranza, ma si infiltra piuttosto fra le pieghe delle minime differenze sociali che movimentano la pièce, e di cui gli scambi di battute fra Muñoz e Torrente (il vecchio e il giovane, l’aspirante «soldato» e l’aspirante «letterato») costituiscono esempi significativi. Le elementari acutezze (quasi perogrulladas, «ovvietà») e le potenziali paronomasie che costellano questi dialoghi (come, ai vv. 2672-73, quella cebollinas/cebellinas, che abbassa a livello alimentare il vagheggiato sogno del cambio d’abito) esprimono un continuo scarto fra la faciloneria dello scagnozzo (la cui attrazione per il cibo è chiara fin dalle prime battute della commedia) e il sarcasmo dello scudiero, sempre più disilluso e sempre più – a buon ragione – timoroso delle ripercussioni negative del suo piano. 5. L’importanza degli oggetti. Per quanto sottili e basate su uno stile più colloquiale di quello, apertamente recitato, della commedia lopiana, le liaisons finora esaminate rientrano pur sempre nell’arte del dialogo su cui quest’ultima si basa. Arte di cui le figure retoriche, gli equivoci, le invenzioni onomastiche costituiscono parte integrante («Las figuras retóricas importan / como repetición y anadiplosis, / … / Siempre el hablar equívoco ha tenido, / … / gran lugar en el vulgo…» recitano i vv. 322-25 dell’Arte nuevo10). Gli stessi proverbi e modi di dire, presenti nell’Entretenida come in tutta l’opera cervantina, non sono estranei al tessuto linguistico della comedia nueva, ma anzi caratteristici dei suoi ceti più umili. Tuttavia l’ingenua fantasia linguistica del gracioso, l’interazione servo / padrone, il potere grammaticale che quest’ultimo detiene e in base al quale esercita la pulsione della «saccenteria» sono, in Lope, funzionali a una contrapposizione di ruoli e non alla creazione di quei registri intermedi (e intersociali) tanto cari a Cervantes. Registri spesso e volentieri modulati sul quotidiano, e dunque non solo sul rapporto fra persona e persona, ma anche, in linea con quel teatro delle origini 2069
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esaltato nel prologo alle sue Ocho comedias, fra parole e cosa, fra gesto e parola. A differenza di Lope, il cui teatro è povero di didascalie e di oggetti che non siano quelli altamente simbolici o strettamente funzionali allo svolgimento drammatico, Cervantes si attiene a una concezione mista dell’evento scenico, fruibile, più che nelle sue azioni, nella maniera in cui queste ultime vengono espresse e commentate, ossia in quella serie di atti linguistici che sono, ancora una volta, caratteristici dell’oralità. Disseminata di oggetti che rappresentano un prolungamento dei suoi personaggi, l’Entretenida è un esempio tipico di questa commistione. Alternativamente colmato e svuotato di biada, uno staccio (harnero) scandisce i battibecchi amorosi di Ocaña e Cristina e costituisce, al tempo stesso, un pretesto per maliziose allusioni (vv. 122-26). Una cajita pintada (una scatolina dipinta), che don Ambrosio regala a Cristina in cambio dei suoi servizi di intermediaria amorosa, susciterà la reazione ironica del geloso Quiñones (vv. 752-55). Una almohadilla (il cuscinetto da cucito che accompagna Marcela nella sua entrata in scena all’inizio del secondo atto) ispira i rimproveri di una padrona benpensante nei confronti della sua serva allegrotta (vv. 972-75). Per non parlare dei tessuti (la baietta costantemente invocata, con relativo sarto, da Muñoz), degli oggetti d’arredamento (l’arazzo dietro cui Ocaña si nasconde per ascoltare il dialogo fra Torrente e Cristina) e dei vari documenti cartacei (il memorial prima di tutto, ma anche la lettera che nega la dispensa papale e la cédula matrimoniale compilata da Marcela Osorio) simili, per la loro funzionalità, ai vari tramiti scritturali della commedia aurea, ma diversi da essi per la maniera in cui vengono recapitati (difficilmente accade di vedere comparire un portalettere sulla scena lopiana) e per il contesto giuridico che evocano (non a caso Marcela Osorio viene ripudiata in quanto «doncella de escritorios, / de públicas audencias»). Ma la scena in cui questa fusione fra oggetto, personaggio ed espressione linguistica appare più evidente è quella in cui Torrente e Ocaña si affrontano armati dei rispettivi randelli (vv. 2085-156). Una scena scandita da una serie di deittici che, dietro la finzione dei convenevoli («Señor Ocaña a esta parte / …» invita Torrente, e il lacchè di rimando: «Desas ceremonias huyo / … / adondequiera voy bien / al diestro o siniestro lado»), delimitano lo spazio fra i due contendenti, ma soprattutto la paura che ciascuno ha di esser colpito per primo. Prima amici, poi rivali, 2070
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infine alleati contro Cristina, Torrente e Ocaña sono attanti di quella comicità primaria di cui parlavamo e che, giocata tra l’attesa del gesto e l’indefinitezza del suo destinatario («un cogote», «un palo», «una penca»), rievoca tipi e comportamenti da commedia dell’arte. Alternato con gli strumenti musicali e vari oggetti d’uso (l’otre da cui si sparge il sangue-vino, la sonda usata dal barbiere), il gesto costituisce un elemento portante nella scena del ballo, specie nelle parti in cui esso viene censurato da Ocaña e Torrente (vv. 2307-2361). Con un’acutezza simile a quella con cui, alla fine del terzo atto, Dorotea deprecherà la sua triste sorte («Nunca he sido requebrada / ni sé amor a lo que sabe; / mas esto y mucho más cabe / en la ventura quebrada», vv. 3060-63) Cervantes coniuga la lascivia dei gesti propri della seguidilla con gli umori di chi la balla, ossia i protagonisti, maschili e femminili, di una festa che per un momento vede coinvolti tutti i personaggi. Personaggi che si muovono a metà fra la sfera privata e quella pubblica e che rimandano, più ancora che all’alternanza tra spazi chiusi e aperti caratteristica della commedia urbana, a una realtà brulicante di occupazioni quotidiane e di mestieri (il barbiere-medico, i musicisti, lo sbirro, il portalettere). È su questa realtà che si infrangono i confusi desideri dei protagonisti dell’Entretenida; è su di essa che le loro voci, modulate sulle impennate, le fratture, le pause proprie di una lingua non cristallizzata, si dissolvono fino a spengersi del tutto. La presente traduzione riproduce, con lievi modifiche, quella approntata da David Baiocchi e Marco Ottaiano per il primo volume della collana «Bagatelle» (M. de Cervantes, La spassosa, Pisa, ETS, 2006). Di tale volume vengono riproposte sia l’introduzione (in più punti rielaborata) di Giulia Poggi che le note (riviste e integrate) di Federica Cappelli. Il testo di riferimento rimane quello stabilito da Luis F. Díaz Larios (M. de Cervantes, La entretenida. Pedro de Urdemalas, Barcelona, PPU, 1988, pp. 53-153), che Federica Cappelli ha confrontato e integrato, soprattutto per quanto riguarda alcune didascalie, con quello compreso nel III volume della Obra completa de Miguel de Cervantes, curato da Florencio Sevilla Arroyo e Antonio Rey Hazas (Ediciones del Centro de Estudios Cervantinos, Alcalá de Henares, 1995, pp. 667-772) e con quello predisposto da Schevill e Bonilla (M. de Cervantes, La entretenida, in Comedias y entremeses, Madrid, Imprenta de B. Rodríguez, 1918, tomo III, pp. 5-115; note, pp. 229-246). 2071
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA
Il testo è stato adeguato alle recenti norme della Real Academia Española de la Lengua. Tradotta con vistosi tagli (manca totalmente la scena dell’entremés) da Giovanni La Cecilia (La burlata, in Teatro scelto spagnuolo antico e moderno, Torino, Utet, 1857, II, pp. 71-109), la commedia è stata riproposta un secolo dopo nella versione integrale di Giovanni Battista De Cesare (La divertente, in Tutte le opere di Cervantes, a cura di F. Meregalli, Milano, Mursia, 1971, I, pp. 1113-1161). Si tratta, in ambedue i casi, di versioni in prosa, non vincolate alla dialettica tra ritmo e significato che rappresenta un elemento portante del testo. È questa dunque la prima traduzione italiana in versi della commedia, firmata da due allievi del Master in Traduzione Letteraria della Facoltà di Lettere di Siena. Marco Ottaiano ha tradotto il primo atto e David Baiocchi il secondo; il terzo è opera di David Baiocchi fino al v. 2592 e di Marco Ottaiano dal v. 2593 in poi. GIULIA POGGI
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IMMAGINE
Miguel de Cervantes Ocho comedias y ocho entremeses Madrid, 1615
COMEDIA FAMOSA DE LA ENTRETENIDA LOS QUE HABLAN EN ELLA SON LOS SIGUIENTES
OCAÑA,
lacayo CRISTINA, fregona
(ANASTASIO)
DON ANTONIO
UN BARBERO
MARCELA,
su hermana
DON FRANCISCO CARDENIO TORRENTE, MUÑOZ,
su criado escudero de Marcela
DOROTEA DON AMBROSIO QUIÑONES,
2074
paje
MÚSICOS UN ALGUACIL
[UN] CORCHETE (DON GIL, bastardo) CLAVIJO UN CARTERO
[DON PEDRO OSORIO], padre de Marcela [DON SILVESTRE DE ALMENDÁREZ]
COMMEDIA FAMOSA LA SPASSOSA PERSONAGGI
(ANASTASIO)
OCAÑA,
lacchè CRISTINA, sguattera
MUSICISTI
DON ANTONIO MARCELA,
UN BARBIERE
sua sorella
UNO SBIRRO
DON FRANCISCO
UNA GUARDIA
(DON GIL, bastardo)
CARDENIO TORRENTE,
suo servitore MUÑOZ, scudiero di Marcela DON PEDRO OSORIO,
DOROTEA DON AMBROSIO QUIÑONES,
CLAVIJO UN PORTALETTERE
padre di Marcela
DON SILVESTRE DI ALMENDÁREZ
paggio
2075
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
JORNADA PRIMERA Salen Ocaña, lacayo, con un mandil y harnero, y Cristina, fregona. OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA
OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
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Mi sora Cristina, denmos. ¿Qué hemos de dar, mi so Ocaña? Dar en dulce, no en huraña, ni en tan amargos extremos. ¿Querría el sor que anduviese de pa y vereda contino? No hay quien ande ese camino que algún gusto no interese. Siempre la melancolía fue de la muerte parienta, y en la vida alegre asienta el hablar de argentería. Motes, cuentos, chistes, dichos, pensamientos regalados, muy buenos para pensados y mejores para dichos. Sé yo, Cristina, con quién te burlas, y no es conmigo. ¿Sabe, Ocaña, qué le digo? ¿Qué dirás que me esté bien? Dígote que no malicie con tan dañados intentos. Pues a fe que en estos cuentos ando por la superficie; que, si llegase hasta el centro, ¡oh, qué diría de cosas! Muchas pero maliciosas. Sálenme mil al encuentro del corazón a la lengua. No te pienso escuchar más. Vuelve, Cristina; ¿a dó vas?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entrano Ocaña, lacchè, con un grembiule e un setaccio, e Cristina, sguattera. OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA
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CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
‘Ndiamo, via, sora Cristina! Dove andiamo, sor Ocaña? A cercar pace, non bronci, né esasperazioni amare. Il signore mi vorrebbe sempre tutta pappa e ciccia? Non c’è chi da questa strada qualche piacere non tragga. La malinconia da sempre con la morte è imparentata, e la vita spensierata vuole un po’ di luccichio: motti, storie, detti e lazzi, complimenti lusinghieri, molto buoni se pensati, meglio ancora se son detti. Lo so io con chi tu scherzi, o Cristina, e non con me! Sa cosa le dico, Ocaña? Dai, sentiamo, che mi dici? Di non fare troppo il furbo con codeste insinuazioni! Ma ti giuro, in fede mia, che mi tengo in superficie, ché se andassi fino in fondo quante cose avrei da dire! Molte, sì, ma maliziose! Sulla punta della lingua ne ho già pronte più di mille. Non ti voglio più ascoltare. Dove vai, Cristina? Aspetta!
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Es el escucharte mengua, y enfádanme tus ruindades y tus modos de decir. El que está para morir, siempre suele hablar verdades. Yo estoy muriendo, y confieso que quieres bien a Quiñones. De tus malas intenciones agora se ve el exceso; agora se echa de ver que eres loco y laca... Bueno; pronuncia de lleno en lleno, aunque el «yo» no es menester; que el ser lacayo no ignoro, sin rodeos y sin cifras. Y mal tu venganza cifras en no guardar el decoro que debes a ser fregona de las más lindas que vi, entre Quiñones y mí, ya cordera, y ya leona. ¿Soy, por ventura, mujer que he de avasallarme a un paje? ¿O vengo yo de linaje de tan bajo proceder? ¿No soy yo la que en mi flor, por no querer ofendella, presumo más de doncella que no el Cid Campeador? ¿No soy yo de los Capoches de Oviedo? ¿Hay más que mostrar? Con todo, te has de quedar, Cristina... ¿A qué? A buenas noches. Eres muy solicitada
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Ascoltarti è una vergogna, m’han stufato questi modi, queste tue volgarità. Colui che sta per morire dice solo verità. Io sto morendo e confesso che tu vuoi bene a Quiñones. Ora sì mi è chiaro quanto i tuoi intenti sian malvagi; ora sì stai dimostrando che sei stupido e la... Bene, dillo pure per intero, anche se è superfluo il «cchè»; sì, lo so, sono un lacchè, senza tanti sottintesi. Mal ti vendichi se intendi di scordarti del decoro che vorrebbe il tuo esser serva, fra le più belle che ho visto, agnellina e leonessa, fra quel paggio e il sottoscritto. Forse che sono una donna che si sottomette a un paggio? Vengo forse da un lignaggio di così bassa estrazione? Non son la ragazza in fiore che perché non vuol sgualcirlo pensa d’esser più donzella che il Cid non trionfatore? Non discendo io dai Capocci d’Oviedo? Che vuoi di più? Così rimarrai, Cristina... Dove resto? A bocca asciutta! È un continuo corteggiarti
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
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y muy vista, y no está el toque en que la flor no se toque, si al serlo está aparejada. Las flores en (el) campo están sujetas a cualquier mano: a las del bajo villano y a las del alto galán, al arado y al pie duro del labrador que le guía; pero la flor que se cría tras el levantado muro del recato, no la ofende el cierzo murmurador ni la marchita el ardor del que tocarla pretende. La mujer ha de ser buena, y parecerlo, que es más. Gran predicador estás; mas tu dotrina condena a tus lascivos intentos. Levántasles testimonio: que al blanco del matrimonio asestan mis pensamientos. A mucho te has atrevido. Muestra; aquí está la cebada.
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Dale el harnero; éntrase Cristina. OCAÑA
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Toma el harnero, agraviada deste que de ti lo ha sido. ¡Oh pajes, que sois halcones destas duendas fregoniles, de su salario alguaciles, de sus vivares hurones! Llevaisos la media nata deste común beneficio; dais en ella rienda al vicio,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
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e ammirarti e non vuol dire che il fiore non sia toccato, quando a questo è preparato. I fiori di campo sono soggetti a qualsiasi mano: a quelle del gran villano e a quelle del signorone, all’aratro e al duro piede del bracciante che lo regge; ma se un fiore è coltivato dietro al muro che ha innalzato il ritegno, non è offeso dal vento mormoratore, né appassisce con l’ardore di chi è ansioso di toccarlo. La donna dev’esser buona e, soprattutto, sembrarlo. Bello questo predicozzo; ma la tua fede condanna le tue lascive intenzioni. Tu provale, se ti riesce, ché i miei pensieri rivolgo dritti dritti al matrimonio. Molto in là ti sei lanciato! Dammi, ché qui c’è la biada. Le consegna il setaccio; Cristina esce.
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Prendi il setaccio, oltraggiata da chi già da te lo è stato! Oh, paggi avvoltoi di queste pollastrelle sguatterecce, pappa dei loro salari, dei vivai loro furetti! Voi vi prendete metà di questo bene comune; date via libera al vizio 2081
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sin hallar ninguna ingrata; gozáis del justo botín y de la limpia chinela, y os reís del arandela y del dorado chapín; hacéis con modos süaves burla que os cuesta barata de aquellas lunas de plata que van pisando las graves. ¡Qué presto Cristina vuelve con la cebada y Quiñones! ¡Corazón, triste te pones! ¡La sangre se me revuelve en ver a estos dos tan juntos, tan domésticos y afables!
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Entra Cristina con la cebada, y Quiñones, el paje. CRISTINA
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No le mires ni le hables. Si le hablares, no sea en puntos que te descubran celoso; que hará mil suertes en ti. Aunque mozo, nunca fui, ni soy, ni seré medroso. Advierte que está delante. Tome, galán, la cebada. ¿Bien medida? Y bien colmada. ¿Midiola mi so galante? No la midió sino el diablo, que tu mala lengua atiza. Voyme a mi caballeriza, por no ver este retablo destas dos figuras juntas que no se apartan jamás.
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senza trovar resistenza; godete di stivaletti e di linde ciabatine, beffandovi di colletti e di dorati scarpini; vi burlate soavemente e a buon mercato di quelle suole d’argento che vanno pestando le altolocate. Ma Cristina già ritorna con la biada e con Quiñones! Cuore, ti sei fatto triste! Dentro il sangue mi ribolle nel vedere questi due così affabili e affiatati! Entrano Cristina con la biada e il paggio Quiñones. CRISTINA
QUIÑONES CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
Non guardarlo e non parlargli; se gli parli non mostrarti mai geloso perché lui mille finte ti farà. Pur se giovane non sono, né sarò, o fui mai, un fifone. Attenzione, è qui davanti. Galantuomo, ecco la biada. Ben misurata? È ricolma. La misurò quel galante? L’ha misurata il demonio che la tua linguaccia aizza. Me ne vado nella stalla per non veder l’altarino di questi due piccioncini che fan sempre comunella.
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En tales malicias das, que con una mil apuntas, y que te engañas sé yo. Y también sé yo muy bien que a los dos estará bien el callar. Yo sé que no, porque quien calla concede con el mal que dél se dice. Ninguno te dije o hice. Ni el decir o hacerle puede. Por vida suya, que abaje el toldo; que, en mi conciencia, que hay muy poca diferencia entre un lacayo y un paje. La longura de un caballo puede medirla a compás, yo delante, y él detrás: andallo, mi vida, andallo.
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Éntrase Ocaña. CRISTINA
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¡Y que tú no tengas brío para responderle! Creo que he de recobrar mi empleo y volverme a lo que es mío. ¿Qué tengo de responder? ¿Ciño espada? No la ciño. Y más, que es mengua si riño con... Quiñones, a placer: que es Ocaña hombre de bien, y espadachín además.
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A tal punto sei maligno che ne dici mille in una, ma che ti sbagli io so. Ed anch’io so molto bene che dovreste tutti e due stare zitti. E invece no, ché chi tace sottoscrive quanto mal di lui si dice. Nessun male ho detto o fatto. Né lui dirlo o farlo può. Che costui abbassi la cresta, per favore, ché in coscienza non c’è molta differenza fra chi è paggio e chi è lacchè. La lunghezza di un cavallo la misura giusta giusta: io davanti e lui di dietro; datti una calmata, amico! Esce Ocaña.
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Che ti manchi anche l’ardire di rispondergli? Ma è meglio che riprenda la mia parte, e alle mie cose ritorni! Che risposte dovrei dare? Ho la spada? Non ce l’ho. Tanto più che è un abbassarmi litigare con... Quiñones! Ocaña è un uomo dabbene, spadaccino per di più.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
Entran don Antonio y su hermana Marcela. DON ANTONIO
QUIÑONES DON [ANTONIO] CRISTINA
¡Porfiada, hermana, estás! Quiero, mas no diré a quien. Tengo ausente mi alegría sin saber adónde yace, y de aquesta ausencia nace toda mi melancolía. Hanla escondido, y no sé adónde, en cielo ni en tierra; muévenme los celos guerra, y dan alcance a mi fe, no porque la menoscaben: que celos no averiguados ministran a los cuidados materia porque no acaben; son la leña del gran fuego que en el alma enciende amor, viento con cuyo rigor se esparce o turba el sosiego. Aún no han echado de ver que estamos aquí nosotros. Dejadnos aquí vosotros. Entra aquí el obedecer.
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Éntranse Quiñones y Cristina. MARCELA DON ANTONIO MARCELA DON ANTONIO MARCELA
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¿Siquiera no me dirás el nombre desa tu dama? Como te llamas, se llama. ¿Como yo? Y aun tiene más: que se te parece mucho. (¡Válame Dios! ¿Qué es aquesto? ¿Si es amor este de incesto? Con varias sospechas lucho.) ¿Es hermosa?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
Entrano don Antonio e sua sorella Marcela. DON ANTONIO
QUIÑONES DON [ANTONIO] CRISTINA
Non insistere, sorella: amo e non ti dirò chi. L’allegria mi ha abbandonato, più non so dove risieda, e da questo vuoto nasce ogni mia malinconia. L’han nascosta ed io non so dove sia, se in cielo o in terra; la gelosia mi fa guerra e la mia fedeltà assalta, ma non riesce a sminuirla, ché gelosie non testate somministrano alle pene materia per non morire; sono il legno del gran fuoco che all’anima appicca amore, il vento dal cui rigore la quiete è scossa o turbata. Non si sono ancora accorti che qui stiamo ad ascoltarli. Andate via voi di qui. Non ci resta che obbedire. Escono Quiñones e Cristina.
MARCELA DON ANTONIO MARCELA DON ANTONIO MARCELA
Non vuoi dirmi neanche il nome che questa tua dama porta? Come ti chiami si chiama. Come me? E c’è dell’altro: ti assomiglia pure molto. (Dio m’aiuti! Cosa sento? Che sia quest’amore incesto? Con più d’un sospetto lotto.) Ed è bella? 2087
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
Como vos, y está bien encarecido. (El seso tiene perdido mi hermano. ¡Válgale Dios!)
DON ANTONIO MARCELA
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Entra don Francisco, amigo de don Antonio. DON FRANCISCO DON [ANTONIO]
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¿Andan hinchadas las olas del mar de tu pensamiento? Entraos en vuestro aposento; dejadnos, hermana, a solas; retiraos, hermana mía. ¡Dios tus intentos mejore!
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Éntrase Marcela. DON ANTONIO DON FRANCISCO
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¿Traéis desdichas que llore, o ya venturas que ría? Promesas, que se han cumplido con dádivas, se han probado; industrias se han intentado del Sinón más entendido; las diligencias que he hecho, frisan con las imposibles, linces ha habido invisibles, y espías de trecho a trecho; pero no puede mostrar sagacidad o cautela dónde han llevado a Marcela: cosa que es para admirar. Solamente se imagina que una noche la sacó su padre, y se la llevó, pero adónde no se atina. ¿Si podrá la astrología judiciaria declarallo?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
Come te, e t’ho detto pure troppo. (Deve aver perso il cervello mio fratello. Dio l’assista!)
DON ANTONIO MARCELA
Entra don Francisco, amico di don Antonio. DON FRANCISCO DON ANTONIO
MARCELA
Stai lottando con le onde del mare dei tuoi tormenti? Tornate in camera vostra e lasciateci da soli. Ritiratevi, sorella! Dio migliori i tuoi pensieri! Esce Marcela.
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DON ANTONIO
Mi portate buone nuove o notizie di sventure? Promesse son state fatte da regali accompagnate, si son messe in atto astuzie del Sinone più ingegnoso; gli espedienti dispiegati sfiorano cose mai viste; linci e spie a ogni pie’ sospinto sono state sguinzagliate; ma non c’è astuzia o sagacia che sia giunta a dimostrare dove han portato Marcela: è davvero molto strano! Si può solo immaginare che la prelevò suo padre e la portò via una notte, tuttavia non si sa dove. Forse può l’astrologia giudiziaria rivelarlo?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA DON FRANCISCO
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Yo no pienso interrogallo; que tengo por fruslería la ciencia, no en cuanto a ciencia, sino en cuanto al usar della el simple que se entra en ella sin estudio ni experiencia. Si acaso Marcela fuera alguna joya perdida, yo buscara otra salida que buena en esto la diera. Santos hay auxiliadores veinte, o más, o no sé cuántos; pero no querrán los santos curarnos de mal de amores. A la justa petición siempre favorece el Cielo. Pues ¿no es muy justo mi celo? ¿No está muy puesto en razón? ¿Busco yo a Marcela acaso sino para ser mi esposa? ¿Della pretendo otra cosa? O vámonos o habla paso, que no sabes quién te escucha. Vamos, amigo, y advierte que fío mi vida y muerte de tu discreción, que es mucha.
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Éntranse don Antonio y don Francisco. Entran Cardenio, con manteo y sotana, y tras él Torrente, capigorrón, comiendo un membrillo o cosa que se le parezca. CARDENIO
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Vuela mi estrecha y débil esperanza con flacas alas, y, aunque sube el vuelo a la alta cumbre del hermoso cielo, jamás el punto que pretende alcanza. Yo vengo a ser perfecta semejanza de aquel mancebo que de Creta el suelo
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Non intendo interrogarla, ché ritengo una sciocchezza non la scienza in quanto scienza, ma l’uso che fa di essa l’ingenuo che vi si addentra senza studio né esperienza. Se Marcela, per esempio, fosse una gemma smarrita, cercherei un’altra sortita che portasse a ritrovarla. Vi son santi protettori venti o più, non so dir quanti; ma non riusciranno i santi a curarci il mal d’amore. Il cielo sempre risponde a richieste che sian giuste. Non vi sembra dunque giusto, sacrosanto ciò ch’io bramo? Forse non cerco Marcela solo per farla mia sposa? Da lei pretendo altra cosa? O usciamo o parli più piano: non si sa mai chi ti ascolta. Andiamo, amico, e ricorda che mi affido, vita e morte, al tuo giudizio, che è grande.
Entrano don Antonio e don Francisco; entra Cardenio con mantello e zimarra e dietro a lui Torrente, con cappa e berretta, mentre mangia una mela cotogna o qualcosa di simile. CARDENIO
Vola la mia speranza fioca e angusta con ali stanche e pur se il volo innalza all’alta vetta del cielo supremo, giammai la meta che vorrebbe tocca. Io sarò come il simile perfetto di quel ragazzo che di Creta il suolo 2091
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
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dejó y, contrario de su padre al celo, a la región del cielo se abalanza. Caerán mis atrevidos pensamientos, del amoroso incendio derretidos, en el mar del temor turbado y frío; pero no llevarán cursos violentos, del tiempo y de la muerte prevenidos, al lugar del olvido el nombre mío. ¿Comes? Buena pro te haga; la misma hambre te tome. No puede decir que come el que masca y no lo traga. No se me vaya a la mano, que desta, si acaso es culpa, ser me sirve de disculpa el membrillo toledano. Sé cierto que decir puedo, y mil veces referillo: espada, mujer, membrillo, a toda ley, de Toledo. Las acciones naturales son forzosas, y el comer una dellas viene a ser, y de las más principales; y esto aquí de molde viene, y es una advertencia llana: come el rico cuando ha gana, y el pobre, cuando lo tiene. Con todo, me darás gusto de que en la calle no comas. Si estas niñerías tomas por deshonra o por disgusto, yo me aturaré la boca con cal y arena a pisón. Sé que tienes discreción. ¡Y golosina no poca!
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lasciò e, incurante del paterno avviso, si spinse fino alle sfere del cielo. Cadranno i miei pensieri temerari dall’amoroso rogo liquefatti, nel mare del timore freddo e rio, però non condurranno corse folli, dal tempo e dalla morte prevenute, il mio nome nel luogo dell’oblio. Mangi? Che buon pro ti faccia! La fame stessa ti prenda! Non si può dire che mangi chi mastica senza inghiottire. Che nessuno m’interrompa, ché di questa, se è una colpa, mi servirà di discolpa la cotogna toledana. Certamente posso dirlo e mille volte ridirlo: che spada, donne e cotogne devon esser di Toledo. Le funzioni naturali son necessarie e il mangiare viene ad essere, fra queste, una delle principali. E ciò viene qui a puntino ed è un chiaro avvertimento: mangia il ricco quando ha fame, il povero quando può farlo. Però mi farai il piacere di non mangiare per strada. Se prendi per disonore o disgusto queste inezie, io mi turerò la bocca con la calce e con la sabbia. So che sai essere saggio. E un ghiottone non da poco!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA CARDENIO TORRENTE CARDENIO TORRENTE
Sabes lo que nunca supo el diablo. Y aun soy peor. ¿Vuelves a comer, traidor? Ya no como, sino chupo.
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Entra Muñoz, escudero de Marcela.
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Pero ves donde parece tu Santelmo. Así es verdad, puesto que mi tempestad nunca mengua y siempre crece. En estas benditas manos tengo mi remedio puesto. Vos veréis cómo echo el resto en daros consejos sanos. Advertid, hijo, que son las canas el fundamento y la basa a do hace asiento la agudeza y discreción. En la mucha edad se muestra que asiste toda advertencia porque tiene la experiencia por consejera y maestra; y estas canas no han nacido en aqueste rostro acaso. Hablad, señor Muñoz, paso, que ya os tengo conocido, y sé que sabéis cortar, colgado del aire, un pelo. Así me ayude a mí el Cielo como os pienso de ayudar; porque el premio es el que aviva al más torpe ingenio y rudo. Si es premio, este pobre escudo vuestra merced lo reciba
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Ne sai veramente una più del diavolo. Più d’una. Mangi ancora, traditore? Ora ho smesso: sto succhiando. Entra Muñoz, scudiero di Marcela.
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Guarda, guarda chi si vede! Il tuo Santelmo. Hai ragione, visto che la mia tempesta giammai cala e sempre aumenta. In codeste sante mani sta tutta la mia salvezza. Vedrete come m’impegno a darvi giusti consigli. Ricordatevi, figliolo, che la vecchiaia è la base dove trovano dimora l’acutezza e la ragione. È sempre l’età avanzata portatrice di saggezza, perché tiene l’esperienza per maestra e consigliera. La canizie non è sorta sopra questo capo invano. Basta, via, signor Muñoz, troppo bene vi conosco, e so bene che sapreste spaccare un capello in quattro. Che possa aiutarmi il Cielo com’io penso di aiutarvi, perché è il compenso che accende il più lento e rude ingegno. Se è un compenso, ricevete questo scudo miserello 2095
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con aquella voluntad sana con que yo lo ofrezco. ¡Oh señor, que no merezco tanta liberalidad! Tomole, besole y diole quizá perpetua clausura; del oro la color pura sin duda que enamorole, porque tiene una virtud de alegrar el corazón, y la avara condición vive con la senectud. Pero ¿a qué pecho no doma la hambre del oro? Escucha, y con advertencia mucha, hijo, este consejo toma. De Marcela no hay pensar que es de tan tiernos aceros, que la han de ablandar terceros, ni rogar, ni porfiar, ni lágrimas, ni suspiros, ni voluntad verdadera: que son con ella de cera de amor los más fuertes tiros. A las olas que se atreven a embestirla por amar se muestra roca en la mar, que la tocan y no mueven. Esto con Marcela pasa. No me acobardes y espantes. ¡Oh, cuántos destos diamantes he visto volver de masa! ¡Cuántas he visto rendidas a un billete trasnochado! ¡Cuántas, sin darlas, han dado de ganadas en perdidas!
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con lo stesso animo lieto con il quale ve lo porgo. Oh signore mio, non merito tanta generosità! L’ha preso, baciato e forse in eterno l’ha sepolto, dell’oro il colore puro senz’altro l’ha innamorato, poiché esso ha la virtù di dare allegria al cuore e l’avara condizione vive nella senescenza. Ma che petto non è vinto dall’ansia dell’oro? Ascolta, e con attenzione estrema segui, figlio, il mio consiglio. Non si creda che Marcela sia di sì morbido acciaio che la pieghino mezzani o preghiere od insistenze, o le lacrime e i sospiri, o un amore veritiero, ché rispetto a lei son cera d’amore i più forti tiri. Alle onde che si azzardano a investirla per amarla, ella è come roccia in mare, sempre toccata, mai smossa. Questo accade con Marcela. Non tentar di scoraggiarmi. Quanti di questi diamanti ho visto mutarsi in pappa! Quante arrendersi ne ho viste a un biglietto nella notte! Quante, innocenti, finire da guadagnate, perdute! 2097
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¡Cuántas siguen sus antojos en mitad de su recato! ¡Cuántas en el dulce trato tropiezan, y aun dan de ojos! Pues ni Marcela tropieza ni cae. ¡Gran milagro! Calla: que es extremo que se halla hoy en la naturaleza, y el señor Muñoz bien sabe lo que dice. Yo estoy cierto que, aun más bien del que os advierto, todo en mi señora cabe. Pero vengamos al punto de lo que quiero decir. Hasta acabarle de oír, estoy, Torrente, difunto. Es el caso que está en Lima un hermano de su padre de Marcela, caballero de ilustre y claro linaje. De los bienes de fortuna dicen que le cupo parte tanta que, entre los más ricos, suelen por rico nombrarle. Tiene un hijo que se llama don Silvestre de Almendárez, el cual con doña Marcela, aunque prima, ha de casarse. Cada flota le esperamos; mas si en esta, que se sabe que ha llegado a salvamento, no viene, echado ha buen lance. Fíngete tú don Silvestre, que yo te daré bastantes
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Quante andar dietro a capricci mentre fan le pudibonde! Quante che, sedotte, inciampano e ci sbattono la faccia! Ma Marcela non inciampa, né cade. Che gran miracolo! Taci, questa rarità oggi si trova in natura, e il signor Muñoz sa bene quel che dice. Sono certo che ha virtù la mia signora più di quelle che vi ho detto. Ma adesso veniamo al punto di quello che voglio dire. Finché non avrà finito sarò, Torrente, defunto. Il caso vuole che a Lima viva un fratello del padre di Marcela, cavaliere di illustrissimo lignaggio. Dei beni del patrimonio gli toccò, si dice, parte tanto grande che i più ricchi sogliono il ricco chiamarlo. Egli ha un figlio che si chiama don Silvestre di Almendárez che, benché ne sia il cugino, Marcela deve sposare. Lo aspettiamo ad ogni nave, ma se in questa che si sa che è scampata a un naufragio non c’è, il colpo puoi tentare. Fingi d’esser don Silvestre, ch’io ti darò sufficienti
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relaciones con que muestres ser el mismo; y serán tales que, por más que te pregunten, podrás responder con arte que, acreditando el engaño, tus mentiras sean verdades. Aposentarante en casa, harante gasajos grandes, y tú dentro, una por una, podrás ver cómo te vales. Está bien, pero si acaso en aquesta flota trae cartas de ese don Silvestre, y de que no viene saben, yo dentro en casa, ¿qué haré? ¿Cómo podrá acreditarse tan conocida mentira para que pase adelante? Dirás que, después de escritas y dadas, quiso tu madre que te vinieses a España aunque a hurto de tu padre; que ella, deseando verse con nietos en quien dilate su nombre y posteridad, no quiso que más tardases. Y este venirte a escondidas podrá, señor, excusarte de no venir con riquezas que el ser quien eres señalen; mas no dejes de traer algunas piedras bezares; y algunas sartas de perlas, y papagayos que hablen. En eso yo daré trazas que dese aprieto me saquen, y tales que satisfagan.
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ragguagli da dimostrare che sei lui; tali saranno che per quanto ti domandino risponderai in tal maniera che, accreditando l’inganno, la menzogna appaia vera. Ti riceveranno in casa, ti faranno mille omaggi, e tu dentro, un po’ alla volta, vedrai come farti largo. D’accordo, ma se per caso giungono con questa flotta lettere di don Silvestre che dicono che non viene, che farò lì dentro, in casa? Come potrà esser credibile tanto palese bugia in modo da andare avanti? Dirai che dopo che furono scritte le lettere e date, tua madre volle mandarti qui, di nascosto a tuo padre. Perché lei, desiderando nipoti cui tramandare il suo nome e la sua fama, non volle farti aspettare. E il venirtene in segreto potrà, signore, spiegare l’esser senza le ricchezze che chi sei debban mostrare; però vedi di portare delle pietre bezoar e qualche filo di perle e pappagalli che parlino. Se è per questo inventerò qualche piano che mi tolga dall’impaccio, e con successo. 2101
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Todo aquesto es disparate. La memoria sea cumplida, y los puntos importantes que en este nuevo edificio han de ser fundamentales, vengan especificados, de modo que me declaren por el mismo don Silvestre. Ven por ellos esta tarde. Volverá este mi criado. Volveré, si a Dios le place; que, sin su ayuda, no puedo ni estornudar ni mudarme. Señor, si acaso, si a dicha, si por buena suerte traes otro escudillo, bien puedes con liberal mano darle: que es invierno, y no hay bayeta, y no será bien que pase frío el que al incendio tuyo procura refrigerarle. No le traigo, en mi conciencia; pero yo haré que se os saque un vestido de bayeta y a mi cuenta le hará el sastre. Venderele, ¡vive Roque! No consentiré se ensanche Marcela con mis trofeos, que cuestan gotas de sangre. Vístame la que quisiere que polido la acompañe: que gastar yo mi bayeta en servicio ajeno, ¡tate! Y voyme, porque conviene que la memoria se estampe que fortifique este embuste. Y a Dios quedéis.
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Tutto questo è una follia. La memoria sia esauriente e che i punti più importanti che in questo nuovo edificio han da essere centrali vengano specificati in maniera che mi scambino per il vero don Silvestre. Vieni a prenderli stasera. Verrà questo mio domestico. Verrò, sì, se piace a Dio, perché senza il suo volere non mi soffio neanche il naso. Se hai, signore, per ventura, o per caso, o buona sorte, un altro scudino, puoi, liberalmente elargirlo, ch’è inverno e non ho baietta, ed a me non sembra giusto che abbia freddo chi il tuo incendio sta cercando di annacquarlo. Non ce l’ho con me, lo giuro: ma vi ordino all’istante un vestito di baietta che farà a mie spese il sarto. Lo venderò, per San Rocco! Non vorrei s’inorgoglisse Marcela coi miei trofei che mi costan tanto sangue. Che mi vesta se le piace che agghindato l’accompagni! Io sprecar la mia baietta al servizio altrui? Giammai! Vado via perché bisogna che sia steso il promemoria che sorregge quest’inganno. Che Iddio v’aiuti! 2103
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Él os guarde. Mire que no se le olvide lo de la bayeta y sastre: que en este punto consisten sus gustos o sus pesares.
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Éntrase Muñoz. CARDENIO TORRENTE
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¡Gran principio a mi quimera! Llámala, señor, dislate, torre fundada en palillos, como casica de naipes. Dime: ¿dónde están las perlas? ¿Dónde las piedras bezares? ¿Adónde las catalnicas o las papagayos grandes? ¿Dónde la prática de Indias, de los puertos y los mares que se toman y navegan? ¿Dónde la bayeta y sastre? Si quieres que tus negocios en felice punto paren, lleva, y esto te aconsejo, siempre la verdad delante. Capigorrista soy tuyo, y como padezco hambre, tengo sotil el ingenio y en dar consejo soy sacre. Yo me remito a la lista de Muñoz; tú no desmayes, que en las empresas de amor, tal vez se ha visto que valen el ingenio y la ventura más que las riquezas grandes. Deste laberinto, el Cielo con las narices nos saque.
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Altrettanto. E cerchi di non scordarsi il sarto con la baietta, ché da lì passano tutte le sue gioie o le sue pene. Esce Muñoz.
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Parte ben la mia chimera! Baggianata, vorrai dire, torre su stuzzicadenti, un castelletto di carte. Dimmi: dove son le perle? Dove le pietre bezoar? Dove son le pappagalle? Dove i pappagalli grandi? Che esperienza hai delle Indie? Quali mari hai mai solcato? In che porti hai mai attraccato? Dove son sarto e baietta? Se pretendi che i tuoi affari vadano a finire bene metti, questo è il mio consiglio, sempre innanzi quanto è vero. Io che sono il tuo scagnozzo, e perciò sempre affamato, son d’ ingegno perspicace e nel consigliare un falco. Mi rimetto al promemoria di Muñoz: tu non temere ché nelle amorose imprese spesso capita che valgano più l’ingegno e la fortuna che non le ricchezze grandi. Il Cielo ci aiuti a uscire interi da questo imbroglio!
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Éntranse. Entran Marcela y Dorotea, su doncella. DOROTEA
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Dime, señora, ¿qué muestra te ha dado tu hermano [t]al que sea indicio y señal de alguna intención siniestra? No puedo darme a entender que te ama viciosamente, aunque es caso contingente. ¡Y cómo si puede ser! ¿Ya no se sabe que Amón amó a su hermana Tamar? ¿Y no nos vienen a dar Mirra y su padre ocasión de temer estos incestos? Con todo, señora, creo que encamina su deseo por términos más compuestos, y esto tengo por verdad. Mi querida Dorotea, plega al Cielo que así sea, él rija su voluntad. De contino trae en la boca mi nombre, a hurto me mira, gime a solas y suspira, las manos me besa y toca, y da por disculpa desto que me parezco a su dama, que de mi nombre se llama. ¿Hase, a dicha, descompuesto a hacer más de lo que dices? No, por cierto; ni querría. Pues desto, señora mía, no es bien que te escandalices; pues podrá ser que su dama se llame, señora, así,
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Escono. Entrano Marcela e Dorotea, sua dama di compagnia. DOROTEA
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Che segni, signora mia, ti ha mai dato tuo fratello che sian sintomi ed indizi di qualche bieca intenzione? Non mi so capacitare che perversamente t’ami, anche se è un caso frequente. Eccome se può accadere! Non ha amato forse Ammone la sorella sua Tamar? Forse che Mirra e suo padre non ci danno l’occasione di temere questi incesti? Nonostante ciò, signora, io credo che le sue voglie abbiano fini più onesti: di questo sono sicura. Mia diletta Dorotea, voglia il Cielo che sia vero. Esso guidi il suo cammino. Col mio nome sempre in bocca, lui mi guarda di nascosto, da solo geme e sospira, le mie mani bacia e tocca, e lo spiega con il fatto che assomiglio alla sua dama che col mio nome si chiama. Si è per caso mai azzardato a far più di quel che dici? No di certo, né io vorrei. Allora, signora mia, ciò non deve spaventarti, ché può darsi che si chiami proprio così la sua dama
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y que se parezca a ti, si de hermosa tiene fama.
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Entra don Antonio, hermano de Marcela. MARCELA
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Mira do viene suspenso, tanto que no echa de ver que aquí estamos. De su ser que está trastocado pienso. Escuchémosle, y advierte cómo de Marcela trata. Es tu ausencia la que mata; no el desdén, aunque es tan fuerte. ¡Ay dura, ay importuna, ay triste ausencia! ¡Cuán lejos debió estar de conocerte el que al furor de la invencible muerte igualó tu poder y tu violencia! Que, cuando con mayor rigor sentencia, ¿qué puede más su limitada suerte que deshacer la liga y nudo fuerte que a cuerpo y alma tiene inconveniencia? Tu duro alfanje a mayor mal se extiende, pues un espíritu en dos mitades parte. ¡Oh milagros de amor que nadie entiende! Que, del lugar de do mi alma parte, dejando su mitad con quien la enciende, consigo traiga la más frágil parte. ¡Oh Marcela fugitiva y sorda al lamento mío! ¿Cómo quiere tu desvío que ausente muriendo viva? ¿Dónde te escondes? ¿Qué clima inhabitable te encierra? ¿Cómo a tu paz no da guerra el dolor que me lastima?
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e ti assomigli, signora, se d’esser bella ha la fama. Entra don Antonio, fratello di Marcela. MARCELA
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Osserva com’è distratto, a tal punto che nemmeno ha notato che ci siamo. Che non sia in sé io penso; ascoltiamolo: vedrai come parla di Marcela! Quel che uccide è la tua assenza, non il tuo pur grande sdegno. Ahi dura, ahi importuna, ahi triste assenza! Quanto fu dal conoscerti lontano colui che alla furiosa morte invitta uguagliò il tuo potere e la tua forza! Perché quand’anche con rigor sentenzia, cos’altro può la sua modesta sorte se non sciogliere il laccio e il nodo forte che l’anima al suo corpo tiene avvinta? La spada tua maggior rigore arreca perché divide in due un solo respiro. Follie d’amore che nessuno intende! Che da dove il mio cuore si diparte, la sua metà lasciando a chi l’accende, porti con sé la più fragile parte. O Marcela fuggitiva e sorda al lamento mio! Perché vuole la tua fuga che, assente, morendo viva? Dove ti celi? Che clima inospitale ti serra? Non dà alla tua pace guerra il dolore che mi opprime?
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¡Téngote siempre delante, y no te puedo alcanzar! Para temer y pensar, ¿esto no es causa bastante? Sí, por cierto. Nunca estés sola, si fuere posible; de que aspire a lo imposible jamás ocasión le des; rómpase en tu honestidad, en tu advertencia y recato la fuerza de su maltrato, que nace de ociosidad. Y vámonos, no nos vea; dé a solas rienda a su intento. Yo estoy en tu pensamiento, que es muy bueno, Dorotea.
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Éntranse Marcela y Dorotea. Sale Ocaña, de lacayo, con una varilla de membrillo y unos antojos de caballo en la mano, y pónese atento a escuchar a su amo. DON ANTONIO
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Amor, que lo imposible facilitas con poderosa fuerza blandamente, allanando las cumbres, ¿por qué las nubes de mi sol no quitas? ¿Por qué no muestras por algún Oriente las dos hermosas lumbres que dan rayos al sol, luz a tus ojos, por quien te rinde el mundo sus despojo? ¿Qué quieres, Ocaña? Quiero herrar el bayo, señor, y no acierta el herrador a herralle si no hay dinero. Débense cuatro herraduras y un brebajo; mira, pues, si andarán aquellos pies
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Davanti agli occhi ti ho sempre e non ti posso mai avere! Non ti sembra sufficiente ciò per dare da pensare? Sì, davvero. Fai in maniera di non restare mai sola; di aspirare all’impossibile non gli dare mai occasione. Sian freno la tua onestà, il tuo senno, il tuo pudore al suo malsano appetito che nasce da oziosità. Andiamo via, ché ci vede; da solo sfoghi il suo intento. Mi rimetto al tuo parere, che è assai saggio, Dorotea.
Escono Marcela e Dorotea. Entra Ocaña, vestito da lacchè, con un frustino e dei paraocchi da cavallo in una mano, e si mette ad ascoltare attentamente il suo padrone. DON ANTONIO
OCAÑA
Amore, che con forza poderosa risolvi facilmente l’impossibile spianando anche le vette, perché al mio sole non togli le nubi? Perché non sveli in qualche tuo Oriente le due leggiadre luci che danno raggi al sole, ai tuoi occhi lume, per cui il mondo ti rende le sue spoglie? Cosa vuoi, Ocaña? Vorrei ferrare il baio, signore, e non riesce il ferraiuolo a ferrarlo senza soldi. Quattro ferrature avanza e una cruscata, tu guarda se quei piedi han da trottare 2111
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siendo tus manos tan duras, y vengo por seis raciones que me deben: que amohína ver que sobren a Cristina y resobren a Quiñones, y que falten para mí, que sirvo mejor que todos, de tres y de cuatro modos. Confieso que ello es así, Ocaña amigo, y sabed que todo se os pagará. Y andad con Dios. Siempre está conmigo vuestra merced riguroso por el cabo. ¿En qué modo? ¿Yo no veo que, cual si fuera guineo, bezudo y bozal esclavo, apenas entro en la sala por alguna niñería, cuando cualquiera me envía, si no en buena, en hora mala? A nadie se le trasluce, por más que yo lo procuro, el ingenio lucio y puro que en este lacayo luce. Anda conmigo al revés fortuna poco discreta, que, si tú fueras poeta, quizá fuera yo marqués o, por lo menos, ya fuera tu consejero y privado; pero de mi corto hado tamaño bien no se espera.
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con codeste dure mani. Vengo poi per sei salari che mi devono: è seccante veder che a Cristina avanzino, ne stravanzino a Quiñones, e che ne manchino a me, che servo meglio di tutti in tre e quattro direzioni. Riconosco che è così, amico Ocaña, e sappiate che tutto sarà pagato. E andate con Dio. Con me vostra grazia è sempre stato troppo severo. E in che modo? Credete che non mi accorga che, come fossi guineo, schiavo selvaggio e labbrone, non faccio in tempo ad entrare per qualsiasi inezia in sala che chiunque può mandarmi anziché in buona, in malora? Mai nessuno che s’accorga, per quanti sforzi io faccia, dell’ingegno lustro e puro che in questo lacchè rifulge. Con me fa il cammino inverso la fortuna poco accorta, ché se tu fossi poeta, chi lo sa, sarei marchese, o per lo meno sarei già il tuo fido consigliere, ma dal mio scarso destino non m’aspetto tanto bene.
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Hay poetas tan divinos, de poder tan singular, que pueden títulos dar como condes palatinos; y aun, si lo toman despacio, en tiempo y caso oportuno, no habrá lacayo ninguno que no casen en palacio con doncellas de la reina, de valor único y solo: que, por la gracia de Apolo, esta gracia en ellos reina. Pero yo nací, sin duda, para la caballeriza, haciendo en mis dichas riza mi suerte, que no se muda. El discreto es concordancia que engendra la habilidad; el necio, disparidad que no hace consonancia. Del cuerpo por los sentidos obra el alma, y, cuales son, muestra su perfección o términos abatidos. De aquesto quiero inferir que tan sotil cuerpo tengo, que en un instante prevengo lo que he de hacer y decir. Lacayo soy, Dios mediante; pero lacayo discreto, y, a pocos lances, prometo ser para marqués bastante como aquel de Marinán, de dinare, e più dinare, si la suerte no estorbare este bien que no me dan.
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Vi son poeti divini, dal potere così grande che posson titoli dare come conti palatini, e se poi ci pensan sopra a tempo e caso opportuno non rimane lacchè alcuno che non sposino a palazzo con dame della regina di valore unico e raro, dato che, in grazia di Apollo, questa grazia hanno costoro. Ma io, certo, sono nato per star dentro ad una stalla, dove il mio destino resta per i secoli immutato. Il sapiente è concordanza che genera abilità, lo sciocco disparità che non fa mai consonanza. Tramite i sensi del corpo l’anima opera, e a seconda di quel che sono rivela perfezione o deficienza. Con ciò intendo dimostrare che ho sensi così sottili che prevengo in un istante ciò che devo fare o dire. Son lacchè, piacendo a Dio, ma un lacchè intelligente, e fra poco, vi prometto, sarò marchese abbastanza come quel di Marignan di dinare e più dinare, se la sorte non mi toglie quello che mi devon dare.
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¡Alto! Vos habéis hablado de modo que me obligáis a que de humilde subáis a más eminente estado, siendo al primero escalón servirme de consejero; y así, amigo Ocaña, quiero mostraros mi corazón, para que, viendo patentes las ansias que en él se anidan, ellas a tu ingenio pidan, los remedios suficientes: que tal vez una dolencia casi incurable la sana de una vejezuela cana una fácil experiencia. Dime tu mal, mi señor, y verás cómo en tantico tantos remedios aplico, que sanes con el menor. Y si por ventura es el ciego el que atormenta, puedes, señor, hacer cuenta de que ya sano te ves, porque no se ha de tomar conmigo el dios ceguezuelo. Que no estás en ti recelo. ¿Pues en quién había de estar? Que, a no tomarme del vino, por costumbre o por conhorte, no hubiera en toda la corte otro Catón Censorino como yo. Ya desvarías. Vuélvete, Ocaña, a tu establo. Éntrase don Antonio.
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Basta! Ché avete parlato in tal modo da obbligarmi a innalzarvi da un modesto ad un più elevato stato, e sarà il primo gradino diventar mio consigliere e così, amico Ocaña, vi voglio aprire il mio cuore acciocché, vedendo chiare le ansie che in esso si annidano, esse al tuo ingegno chiedano i rimedi necessari: ché a volte una sofferenza quasi incurabile sana una vecchietta canuta con la semplice esperienza. Dimmi il tuo male, signore, e vedrai che in un istante vi porrò tanti rimedi che potrai guarir con niente. E se quel che ti tormenta fosse eventualmente il cieco, puoi, signore, stare certo che ne sei di già guarito, ché il cecagnolo sa bene che con me non ce la fa. Che non stia più in te sospetto. E in chi altri dovrei stare? Se non fosse per il vino, o per uso o per conforto, non c’è in tutta questa corte altro Catone il Censore come me. Già stai svariando; torna alla tua stalla, Ocaña. Esce don Antonio. 2117
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Aunque más sentencias hablo y elevadas fantasías, se me trasluce y figura, conjeturo, pienso y hallo, ha de ser mi sepultura. Y está muy puesto en razón: que el que quiere porfiar contra su estrella ha de dar coces contra el aguijón. Cristina estará agora en la plaza; allá me impele aquella fuerza que suele, que dentro del alma mora. Búscola como a mi centro, y, si la encontrase yo, nunca jugador echó tan rico y gustoso encuentro. Deste gusto no me prive Amor, que en mi ayuda llamo, y siquiera, con mi amo, ni más medre, ni más prive.
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Éntrase Ocaña. Salen don Ambrosio, caballero, y Cristina, con un billete en la mano. CRISTINA
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Hasta ponerle yo en parte donde le vea, harelo; pero en lo demás recelo que no podré contentarte. Haz, amiga, que le lea: que en solo aquesto consiste la alegría deste triste. Digo que haré que le vea. Quizá, por curiosidad, querrá leerle Marcela: que se ha de usar de cautela
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Per quante sentenze dica e sublimi fantasie, intravedo e mi figuro, congetturo, penso e credo [che la stalla ed il cavallo] mi faranno da sepolcro. Ed è pure naturale, perché chi si mette contro alla sua stella finisce per dar solo calci al vento. Cristinuccia sarà adesso in piazza e laggiù mi porta quella mia solita forza che nell’anima dimora. La cerco come il mio centro, e se dovessi incontrarla, mai capitò a un giocatore accoppiata più vincente. Di una simile fortuna non m’abbia a privare Amore, ma m’aiuti, e niente chiedo più neppure al mio padrone.
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Esce Ocaña. Entrano don Ambrosio, cavaliere, e Cristina, con un biglietto in mano. CRISTINA
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Metterlo dove si veda, questo sì lo posso fare; ma più di così non so se vi posso accontentare. Fa’ in maniera che lo legga, ché solo in questo consiste la felicità di un triste. Dico che così farò. Forse per curiosità vorrà leggerlo Marcela: ché bisogna essere astuti 2119
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con su mucha honestidad. No desplegaré la boca para decirla palabra: que en sus entrañas no labra fuerza de amor, mucha o poca. ¿Regálala, por ventura, don Antonio? Como a hermana. De ser su intención tan sana no sé yo quien lo asegura. ¡Oh padre mal advertido! No le tiene. Sí, le tiene; pero a mí no me conviene el darme por entendido. De las cosas que sospecho, y de las que son tan graves, tenga la lengua las llaves y no las arroje el pecho. Vete, señor, que allí asoma un paje de casa. Amiga, por tu industria y tu fatiga, este pobre premio toma. Y prométete de mí montes de oro, que bien puedes. La menor de tus mercedes suele ser un Potosí.
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Dale una cajita pintada. Vase Ambrosio y entra Quiñones. QUIÑONES
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¿Quién era, Cristina, el lindo que con tanta sumisión debió encajar su razón? «Tuyo soy, y a ti me rindo».
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con la sua grande onestà. Io non aprirò la bocca per dirle parola alcuna, poiché non le strazia il petto una pena che sia una. La lusinga, che tu sappia, don Antonio? Da fratello. Delle sue buone intenzioni non sarei così sicuro. Oh padre poco prudente! Non ce l’ha. Sì che ce l’ha! Però a me non mi conviene far sapere che so tutto. Delle cose che sospetto, e di quelle così gravi, abbia la lingua le chiavi e non le rigetti il petto. Vai, signore, ché ora arriva un paggio di casa. Amica, per l’impegno e il tuo disturbo prendi questo: è poca cosa, ed aspettati da me, ché ben puoi, montagne d’oro. Il tuo più piccolo dono è per me come un Perù.
Le dà una scatolina dipinta. Esce Ambrosio ed entra Quiñones. QUIÑONES
Chi è, Cristina, il bellimbusto che con tanta devozione inscatolò i suoi argomenti? «Sono tuo e a te mi arrendo».
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
CRISTINA
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¡Vive el dador de los cielos, que es la fregona bonita! Ordena, manda, pon, quita; ta, ta, también pide celos. El so paje, por su entono, que primero se tarace la lengua, que otra vez trace palabras, y no en mi abono. ¿Hásenos vuelto otro Ocaña? ¡Celos y más celos! Calle, y advierta que está en la calle. ¡Ay! Por mi fe, que se ensaña el mancebito frión. Cristina, menos gallarda; que esa gallardía aguarda... ¿Qué, mi rufo? Un bofetón. ¿En mi cara? En la del cura le diera, a venir a mano. Y qué, ¿alzarás tú la mano contra tanta hermosura como pusieron los cielos en mis mejillas rosadas? Siempre son desatinadas las venganzas de los celos. Ocaña es este. Camina, y escóndete entre la gente.
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Éntrase Quiñones y Cristina, y sale Ocaña. OCAÑA
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Partió mi sol de su Oriente, y al ocaso se encamina, y tras sí lleva la sombra que le sirve de arrebol. Para mí no es este sol,
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Vivaddio, ché questa sguattera è carina per davvero! Fa e disfa, pone e dispone e fa pure ingelosire! Il sor paggio, un’altra volta, che si cucia quella lingua, prima di sputar parole che non siano in mio favore! E che, abbiamo un altro Ocaña? Sempre gelosie! Stia zitta, e sappia che è sotto, in strada. Guarda tu come s’arrabbia quest’insulso giovanotto! O Cristina, meno boria, perché questa boria chiama... Cosa, bello? Uno schiaffone. Sul mio viso? Pure a un prete lo darei se fosse qui. E alzeresti tu la mano sopra a quella gran bellezza che misero un giorno i cieli sulle mie guance di pesca? Sono sempre dissennate le vendette del geloso. Ecco Ocaña. Via di qua, nasconditi fra la gente. Escono Quiñones e Cristina ed entra Ocaña.
OCAÑA
Il mio sole dal suo Oriente all’occaso s’incammina, e si porta dietro l’ombra che da rossore gli serve. Per me questo non è sole, 2123
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
sino niebla que me asombra. Plegue a Dios, humilde paje, asombro de mi esperanza, que ni valgas por privanza ni te estimen por linaje; sirvas a un catarribera que te dé corta ración; sea tu estado un bodegón; no te dé luto, aunque muera; y cuando el Cielo te adiestre a servir a un titulado, tu enemigo declarado el maestresala se muestre. De las hachas no te valgas, ni de relieves veas gozo, y nunca te salga el bozo, porque de paje no salgas. Póngante infames renombres, juegues, pierdas la ración, que es la mayor maldición que pueden darte los hombres.
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Éntrase Ocaña. Sale Muñoz. MUÑOZ
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Despierto y durmiendo, estoy pensando siempre y soñando cuándo ha de llegar el cuando mude el pellejo en que estoy; cuándo querrá aquel planeta que sobre mí predomina que remedien mi rüina el gran sastre y la bayeta. Diles la memoria, y diles, previniendo mil barruntos, de los más sotiles puntos las respuestas más sotiles;
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ma nebbia che mi sgomenta. Voglia Iddio, umile paggio che oscuri la mia speranza, che nessun di te si fidi né ti stimi per lignaggio, che attenda a un morto di fame, che ti dia un magro salario, sia una bettola il tuo ambiente, non ti paghi neanche morto; e se il Cielo ti addestrasse a servire un titolato si riveli il maggiordomo tuo nemico dichiarato. Non ti avvalga mai di lumi, né di resti della mensa, non ti spunti mai la barba, sempre paggio tu rimanga. Ti dian turpi soprannomi, perda al gioco il tuo salario, ché peggior maledizione non potrebbe darti un uomo. Esce Ocaña. Entra Muñoz. MUÑOZ
Sia che dorma o che stia sveglio, sempre penso e sogno il giorno in cui arriverà il momento per me di cambiare pelle; in cui vorrà quel pianeta che su di me è dominante che m’innalzino di stato il gran sarto e la baietta. Consegnato ho la memoria, prevenuto ho mille dubbi, dando risposte sottili per i più sottili punti.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
pero, con todo, me pesa de haberme empeñado así, porque tengo para mí ser de peligro la empresa.
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Entran don Antonio, y Torrente en hábito de peregrino. DON ANTONIO
MUÑOZ TORRENTE
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Mucho más es melindre que advertencia, y hase tenido en confianza poca de quien yo soy. Por Dios, que estoy corrido. ¡Válgate el diablo! ¿Qué disfraz es este? Esto no puse yo en la lista. Digo que el señor don Silvestre de Almendárez no pudo más. El caso fue forzoso, y la borrasca tal, que nos convino alijar el navío y echar cuanto en su anchísimo vientre recogía al mar, que se sorbió como dos huevos catorce mil tejuelos de oro puro. Al Cielo las promesas y oraciones volaban más espesas que las nubes, que la cara del sol cubrían entonces; entre las cuales oraciones, una envió don Silvestre al sumo alcázar con tan vivos y tiernos sentimientos, que penetró los cascos de los cielos. Conteníase en ella que de Roma, aquello que se llama Siete Iglesias, andaría descalzo peregrino, si Dios de aquel peligro le sacaba. Añadió a su promesa mi persona; añadidura inútil, aunque buena en parte, pues que soy su amparo y báculo. En fin, salimos mondos y desnudos a tierra, ni sé adónde, ni sé cómo, habiéndose engullido el mar primero
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
Nonostante ciò mi pesa l’essermi impegnato tanto, perché sento che l’impresa non mi condurrà a buon porto. Entrano don Antonio, e Torrente in abito da pellegrino. DON ANTONIO
MUÑOZ TORRENTE
Son complimenti questi, non saggezza e non si è avuta abbastanza fiducia in chi son io. Dio, che avvilimento! Per tutti i diavoli! Cos’è quel vestito? Non ce l’avevo messo nella lista! Il signor don Silvestre, vi assicuro, non poté farne a meno. Fu l’evento e la burrasca tali che dovemmo alleggerirci e quanto la nave nel suo ampissimo ventre conteneva buttare in mare che come due uova sorbì migliaia di pezzi d’oro puro. Al Cielo le promesse e le orazioni volavano più spesse delle nubi che coprivano il sole in quel momento. Una supplica fece don Silvestre al sommo creatore, così piena di vivi e appassionati sentimenti che penetrò il culmine dei cieli. Diceva in essa che avrebbe percorso a Roma come scalzo pellegrino la via chiamata delle Sette Chiese, se Dio da lì l’avesse tratto salvo. Al suo voto abbinò la mia persona: abbinamento inutile, ma buono in parte, ché gli servo da bastone. Giungemmo infine, nudi come vermi, a terra, ma non so dove né come, dopo che il mare s’era già inghiottito
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
DON ANTONIO
TORRENTE MUÑOZ TORRENTE
MUÑOZ TORRENTE MUÑOZ
DON ANTONIO TORRENTE DON ANTONIO
TORRENTE
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hasta una catalnica que traíamos, de habilidad tan rara, y tan discreta, que, si no era el hablar, no le faltaba otra cosa ninguna. Bien, por cierto, la habéis encarecido; aunque yo pienso que catalnicas mudas valen poco. Por señas nos decía todo cuanto quería que entendiésemos. ¡Milagro! De perlas, ¡qué de cajas arrojamos!, tamañas como nueces, de buen tomo, blancas como la nieve aun no pisada; de esmeraldas, las peñas como cubas, digo, como toneles y aun más grandes; piedras bezares, pues dos grandes sacos; anís y cochinilla fue sin número. Entre esas zarandajas, ¿por ventura fue la bayeta al mar? ¡Y el sastre y todo! (A malísimo viento va esta parva; no me cuadra ni esquina esta tormenta, puesto que viene bien para el embuste.) ¿En qué paraje sucedió el naufragio? Estaba yo durmiendo en aquel trance, y no pude del paje ver el rostro. Paraje dije, pero no me espanto, que aun hasta aquí os conturba la borrasca, ni que en ella os durmiésedes, que el miedo tal vez suele causar sueño profundo. No quiso mi señor, ni por semejas de cuatro mil y más ofrecimientos que de darle dineros se le hicieron, recibir sino aquellos que bastasen a no pedir limosna en su viaje; pero no supo bien hacer la cuenta, porque ya casi todos son gastados.
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fino una pappagalla che avevamo, di così rara e acuta intelligenza che tranne la parola non aveva niente che le mancasse. Giustamente sì tanto la lodate, anche se penso che pappagalli muti valgan poco. Con mosse ci diceva tutto quello che voleva capissimo. Miracolo! Che perle, nelle casse, che gettammo, del taglio d’una noce e di gran pregio, bianche come la neve ancora intatta! Certi smeraldi grossi come botti, che dico, ancora meglio, come tini; due grandi sacchi di pietre bezoar, anice e cocciniglia in quantità. E fra queste bazzecole, per caso la baietta andò in mare? E pure il sarto! (Avanza controvento quest’impresa; questa tormenta non mi quadra affatto, malgrado sia perfetta per l’inganno.) In che paraggi naufragò la nave? In quel momento io stavo dormendo, del paggio non riuscii a vedere il viso. Paraggi ho detto, ma non mi stupisco che ancora vi sconvolga la burrasca, né che foste assopito in quel momento, che dà il timore, a volte, un grande sonno. Non volle il mio padrone, neanche l’ombra delle oltre quattromila offerte avute e solamente accettò il denaro che a malapena fosse sufficiente perché in viaggio poi non mendicasse; però non seppe bene fare i conti perché l’ha consumato quasi tutto. 2129
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA MUÑOZ TORRENTE
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DON ANTONIO
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(¡Válgate Satanás, qué bien lo enredas!) La primera estación fue a Guadalupe, y a a la imagen de Illescas la segunda, y la tercera ha sido a la de Atocha. A hurto quiso verte, y esta tarde quiere partirse a Roma; ahora queda en San Ginés hincado de hinojos, arrojando del pecho mil suspiros, vertiendo de sus ojos tiernas lágrimas, pidiendo a Dios que le encamine y guíe en el viaje santo prometido. Yo, señor, soy ternísimo de plantas, a quien callos durísimos enclavan, de tan largo camino procedidos; querría que se diese alguna traza de que por quince días descansásemos, para tomar aliento y refrigerio en el nuevo camino que se espera. Además, que también [él] es ternísimo, y podría el cansancio fatigalle, de modo que el camino con la vida se acabase en un punto: caso triste, si tal viniese a ser, por el tremendo dolor que sentiría mi señora doña Ana de Briones, madre suya. Vamos, que yo pondré remedio en todo. No hay decir, señor, que yo te he visto, porque me ha de matar si es que tal sabe. ¡Oh pecador de mí! ¡Este es que viene! ¡En la red me ha cogido! ¡Negativa, señor; si no, yo muero! No hayas miedo.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO MUÑOZ TORRENTE
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DON ANTONIO
(Per Satanasso come lo infinocchi!) A Guadalupe fu la prima tappa, la seconda all’immagine di Illescas, ed a quella di Atocha fu la terza; vuol vederti in incognito e stasera già partirà per Roma; adesso sta pregando inginocchiato a San Ginese, traendo dal suo petto mille afflati, versando dai suoi occhi calde lacrime, chiedendo a Dio che lo guidi e incammini lungo il viaggio santo stabilito. Io, signore, ho le piante delicate su cui sono cosparsi duri calli, a causa di un così lungo cammino, sicché vorrei che si trovasse il modo di farci riposar quindici giorni per riprendere fiato e nuova forza in vista del cammino che ci aspetta. Tanto più che anche lui è ben delicato e potrebbe fiaccarlo la stanchezza, così che il suo cammino e la sua vita finirebbero entrambi: caso triste se questo succedesse, per l’orrendo dolore che ne avrebbe la signora donna Ana di Briones, madre sua. Andiamo, troverò un rimedio a tutto. Non gli dire, signore, che ti ho visto, ché se lo sa mi potrebbe ammazzare. Ahimè, povero me, eccolo qua! In flagrante m’ha preso. State zitto, signore, sennò muoio. Non temere!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
Entra Cardenio, como peregrino.
CARDENIO
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(A don Antonio.) DON ANTONIO
TORRENTE DON ANTONIO
TORRENTE
CARDENIO
DON ANTONIO CARDENIO
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Mi señor don Silvestre de Almendárez, ¿para qué es encubriros de quien tiene tantas obligaciones de serviros? ¡Oh traidor, mal nacido! Por Dios vivo, que os engaña, señor, este embustero: que yo no soy aquese don Silvestre que dices de Almendárez, sino un pobre peregrino. ¡Y tan pobre! ¿Qué me miras? Yo no le he dicho nada; y, si lo he dicho, digo que miento una y cien mil veces. (¡Vive Dios!, que es el mismo que te digo. Apriétale, y conjúrale, y confiese.) ¡Por Dios, primo y señor, que es caso fuerte negarme esta verdad! ¿Qué importa venga[s] rico o pobre a tu casa, que es la mía? ¡Eso es lo que yo digo, pesia al mundo! ¿Mandabas tú a los vientos o pudiste del proceloso mar las altas olas sosegar algún tanto? ¿No es locura hacer caso de honra los sucesos varios de la fortuna, siempre instable, o por mejor decir, del cielo firme? ¡Ea, señor, que ya pasa de raya tan grande pertinacia! ¡Vive Roque, señor, que es don Silvestre de Almendárez, vuestro primo y cuñado, el peregrino, y mi amo, que es más! Pues tú lo dices, no quiero más negarlo, pues no importa. Dadme, señor, las manos. Doy los brazos y el alma en su lugar, querido primo. Tomad los míos, que entre aquestos brazos también os doy mi alma.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
Entra Cardenio, vestito da pellegrino.
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(Sottovoce, a don Antonio.) DON ANTONIO
TORRENTE DON ANTONIO
TORRENTE
CARDENIO
DON ANTONIO CARDENIO
Nobile don Silvestre di Almendárez, cos’è questo nascondervi a chi tante obbligazioni ha verso di voi? Oh traditore, oh infame! Vivaddio che v’inganna, signore, questo vile, perché non sono io quel don Silvestre che dici d’Almendárez, ma soltanto un pellegrino misero. Che guardi? Io non gli ho detto nulla, e se l’ho detto dico di aver mentito mille volte. (Mio Dio, costui è proprio il nostro uomo. Costringilo, scongiuralo e confessi!) Per Dio, signor cugino, è assai crudele negarmi questa verità. Che importa se qui, che è casa tua, povero arrivi? È ciò che dico anch’io, porco d’un mondo! Forse eri tu che comandavi i venti, che potevi calmare le alte onde del mare tempestoso? Non è folle fare un caso d’onore degli eventi vari della fortuna sempre instabile o, per dir meglio, del cielo costante? Mi sembra che, signore, esageriate con questa pertinacia! Il pellegrino è proprio don Silvestre d’Almendárez vostro cugino e cognato, signore, oltre che mio padrone! Tu l’hai detto, ed allora non voglio più negarlo. Qua le mani, signore. Le mie braccia e il mio cuore vi do, caro cugino. E a voi do le mie braccia e fra di esse anch’io vi do il mio cuore. 2133
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA PRIMERA
(A Torrente.) TORRENTE MUÑOZ DON ANTONIO TORRENTE
DON ANTONIO
CARDENIO MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ TORRENTE
(En recompensa, no te la cubrirá pelo si puedo.) Que no temo amenazas mal nacidas, porque esto es lo que importa a nuestro hecho. ¿Y cómo? No hayáis miedo que se os toque al pelo de la ropa por lo dicho. Mi señor es discreto, y verá presto de cuán poca importancia era el silencio en semejante caso. Señor primo, vamos a casa, y sepa vuestra esposa vuestra buena venida y deseada. Siempre he de obedecer. (¡Qué bien trazada quimera! Si ella llega a colmo, espero un Potosí de barras y dinero.) ¿Qué os parece, Muñoz? Que me parece que es verdad cuanto ha dicho, y que lo veo. ¡Y cómo que es verdad! Sin que la falte un átomo, una tilde, una meaja.
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Éntranse don Antonio, Cardenio y Torrente. MUÑOZ
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Términos tienen estos socarrones de hacerme a mi entender que la borrasca y el alijo de ropa es verdadero. Ahora bien: veremos lo que pasa, que, una por una (los) dos ya están en casa.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO PRIMO
(A Torrente.) TORRENTE MUÑOZ DON ANTONIO TORRENTE
DON ANTONIO
CARDENIO MUÑOZ
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(In ricompensa se posso ti fo il pelo e il contropelo.) Non temo più malevoli minacce, ché questo è ciò che importa al nostro assunto. E come? Non temete, neanche un pelo vi sarà tolto per aver parlato. Il mio padrone è saggio e vedrà presto quanto il silenzio fosse in questo caso poco opportuno. Via, signor cugino, andiamo a casa e che la sposa vostra sappia del vostro sospirato arrivo. Son servitore vostro. (Astuto piano! M’aspetto, se esso giunge fino in porto, un Potosí in lingotti e in denaro.) Muñoz, che ve ne pare? Che mi pare vero quello che ha detto e che lo vedo. Potete dirlo forte. Non gli manca un atomo, una virgola, un accento. Escono don Antonio, Cardenio e Torrente.
MUÑOZ
Questi impostori son così scafati da far credere a me che la burrasca e il carico buttati siano veri. Bene, allora: vediamo che succede, visto che i due, di fatto, son già entrati.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
JORNADA SEGUNDA Salen Marcela y Dorotea, con una almohadilla, y Cristina. MARCELA
CRISTINA
MARCELA CRISTINA MARCELA CRISTINA
MARCELA CRISTINA
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Andas con vergüenza poca, Cristina, muy inqüieta, y, con puntos de discreta, das mil puntadas de loca. Sabed, señora, una cosa: que entre las prendas de honor es tenida por mejor la honesta que la hermosa. (¿Señora me llama? ¡Malo!, que ya sé por experiencia que no hay dos dedos de ausencia de esta cortesía a un palo.) ¿Qué murmuras, desazada, maliciosa y atrevida? Nunca murmuré en mi vida. ¿Qué dices? No digo nada. ¡Tenga el Señor en el Cielo a mi señora la vieja! Desas plegarias te deja. Pronúncialas mi buen celo. Si ella fuera viva, sé que otro gallo me cantara y que ninguna no osara reñirme, no en buena fe. ¡Tristes de las mozas a quien trujo el Cielo por casas ajenas a servir a dueños que, entre mil, no salen cuatro apenas buenos, que los más son torpes y de antojos feos!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano Marcela e Dorotea (con un cuscinetto) e Cristina. MARCELA
CRISTINA
MARCELA CRISTINA MARCELA CRISTINA
MARCELA CRISTINA
Sei proprio una svergognata, Cristina, così inquieta, e, con punti da assennata, tiri gugliate da pazza. Perché sappiate, signora, che fra i pregi dell’onore, vanta un credito maggiore l’onestà della bellezza. (Signora mi chiama? Male! Lo so già per esperienza che non c’è gran differenza fra quel garbo e una legnata.) Che borbotti, malcreata, maliziosa ed insolente? Quando mai ho borbottato? Che dici? Non dico niente. Il Signore abbia nel cielo la padrona, quella vecchia! Lascia stare le preghiere. Le pronuncia il mio buon zelo. Se lei fosse ancora viva altra musica sarebbe, e nessuna mai oserebbe rimbeccarmi, no davvero. Meschine le serve che il cielo ha mandato per le case d’altri a servir padroni, ché a stento fra mille ne trovi due buoni, ma i più sono turpi e d’orrende bizze! 2137
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
¿Pues qué si la triste acierta a dar celos al ama, que piensa que le hace tuerto? Ajenas ofensas pagan sus cabellos, oyen sus oídos siempre vituperios, parece la casa un confuso infierno: que los celos siempre fueron vocingleros. La tierna fregona, con silencio y miedo, pasa sus desdichas, malogra requiebros, porque jamás llega a felice puerto su cargada nave de malos empleos. Pero, ya que falte este detrimento, sobran los del ama, que no tienen cuento: «Ven acá, suciona. ¿Dónde está el pañuelo? La escoba te hurtaron y un plato pequeño. Buen salario ganas; de él pagarme pienso, porque despabiles los ojos y el seso. Vas, y nunca vuelves, y tienes bureo con Sancho en la calle, con Mingo y con Pedro.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
Che dire poi quando diventa gelosa della poveretta quella sospettosa della sua padrona? Le offese degli altri le paga in capelli, le sue orecchie odono insulti perenni: la casa assomiglia a un confuso inferno, ché la gelosia chiassosa fu sempre. La povera sguattera, tremante e in silenzio, passa mille guai, spreca complimenti, perché mai non giunge a felice porto la sua nave colma di cómpiti indegni. Ma anche se mancasse questo detrimento, la padrona, ecco, ne aggiunge altri cento. «Vieni qua, zozzona, dov’è la pezzuola? Ti han preso la scopa e un piccolo piatto. Sul tuo buon salario di rifarmi penso, così impari a aprire gli occhi e il cervello. Vai via e mai ritorni, perché ti trastulli con Sancho per strada, con Mingo e con Pedro. 2139
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
Eres, en fin, pu... El «ta» diré quedo porque de cristiana sabes que me precio». Otra vez repito, con cansado aliento, con lágrimas tristes y suspiros tiernos: ¡triste de la moza a quien trujo el Cielo por casas ajenas! Señoras, ¿qué es esto? Cristinica amiga, dime: ¿con qué viento esta polvareda has alzado al Cielo? La desenvoltura es un viento cierzo que [d]el rostro ahuyenta la vergüenza y miedo. Pero yo haré, si es que acaso puedo, si ella no se enmienda, lo que callar quiero.
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Entra Quiñones, el paje. Don Antonio, mi señor, entra con dos peregrinos.
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Entran don Antonio, Cardenio, Torrente y Muñoz. DON ANTONIO
CARDENIO
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¿Vuestros intentos divinos fueran disculpas al rigor del no vernos? Así es; pero yo, señor, holgara
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
Sei, insomma, una pu... dirò «ttana» piano: sai quanto ci tengo ad esser cristiana». E ancora ridico col respiro stanco, con lacrime tristi, sospiri strazianti: meschina la serva che il Cielo ha mandato per le case d’altri. Che accade, signore? Cristinuccia mia, dimmi: con che vento al Cielo hai levato questo polverone? La disinvoltura è una tramontana che scaccia dal volto vergogna e paura. Però io farò, ammesso che possa, se lei non migliora, ciò che ora taccio.
DOROTEA
MARCELA
Entra Quiñones, paggio. Don Antonio, il mio signore, entra con due pellegrini.
QUIÑONES
Entrano don Antonio, Cardenio, Torrente e Muñoz. DON ANTONIO
CARDENIO
Le vostre sante intenzioni vi fornirono la scusa per non vederci? È così; però, signore, io vorrei 2141
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
DON ANTONIO CARDENIO DON ANTONIO CARDENIO
DOROTEA DON ANTONIO
MUÑOZ MARCELA
CARDENIO
MARCELA
MUÑOZ CARDENIO
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que esta deuda se pagara de espacio, y fuera después de mi peregrinación, que no se puede excusar. Fácilmente habéis de hallar en mi voluntad perdón. ¿Es mi señora y mi prima? La misma. ¡Oh mi señora, rico archivo donde mora de la belleza la prima! No me niegues estos pies, pues no merezco esas manos. Peregrinos cortesanos son estos. No tan cortés, señor primo, que mi hermana está del caso suspensa. (La traza de lo que él piensa es más cortés que no sana.) Señor, para que me muestre con el respeto debido a quien sois, el nombre os pido. Vuestro primo don Silvestre de Almendárez; vuestro esposo, o el que lo tiene de ser. Mudaré de proceder con un huésped tan famoso: los brazos habré de daros, que no los pies, primo mío. (Destos principios yo fío que son más dulces que caros.) No fue huracán el que pudo desbaratar nuestra flota, ni torció nuestra derrota el mar insolente y crudo; no fue del tope a la quilla
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DON ANTONIO CARDENIO DON ANTONIO CARDENIO
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MUÑOZ MARCELA
CARDENIO
MARCELA
MUÑOZ CARDENIO
che questo debito fosse pagato a suo tempo e dopo questo mio pellegrinaggio che rimandare non posso. Facilmente troverete nel mio sentire perdono. La mia signora cugina? Proprio lei. Signora mia, ricco archivio ove risiede della bellezza il fior fiore! Fa’ che io ti baci i piedi, ché non merito le mani. Pellegrini cortigiani son questi. Non sí cortese, cugino, ché mia sorella del caso è meravigliata. (Il piano che lui ha in mente è più cortese che sano.) Signore perché mi mostri col rispetto che vi devo, vogliate dirmi chi siete. Vostro cugino Silvestre di Almendárez, vostro sposo o colui che lo sarà. Cambierò comportamento con un ospite sì illustre; le mie braccia dovrò darvi non i piedi, o mio cugino. (Questi esordi, ci scommetto, son più moine che altro.) Non fu un uragano quello che la nostra flotta sfece, né ci rovinò per sempre l’insolente e duro mare; né squarciata tutta quanta 2143
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
mi pobre navío abierto, pues he llegado a tal puerto y pongo el pie en tal orilla; no mi[s] riquezas sorbieron las aguas que las tragaron, pues más rico me dejaron con el bien que en vos me dieron. Hoy se aumenta mi riqueza, pues, con nueva vida y ser, peregrino llego a ver la imagen de tu belleza.
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Entra Ocaña. OCAÑA
MARCELA
DON ANTONIO MARCELA
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Desta común alegría alguna parte quizá mi tristeza alcanzará, que está como estar solía. Desde aquí quiero mirarte, si es que te dejas mirar de mi suerte, amargo azar, de mi bien el todo y parte. Pues en aqueste rincón, como lacayo sin suerte, veré quízá de mi muerte alguna resurrección. La desventura mayor, más espantosa y temida es la de perder la vida. Primero es la del honor. Ansí es; y pues vos, primo, con honra y vida venís, mal haréis si mal sentís del mal que por bien yo estimo. Y en llegar adonde os veis, habéis de tener por cierto que habéis arribado a un puerto
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
fu la mia povera nave se a tal porto sono giunto e a tal riva metto piede; non bevvero i miei averi le acque che li inghiottirono, ché più ricco ne divenni con il bene che in voi ebbi. Cresce oggi la mia ricchezza, ché, con nuova vita e stato, pellegrino, a veder giungo del tuo volto la bellezza. Entra Ocaña. OCAÑA
MARCELA
DON ANTONIO MARCELA
Di quest’allegria comune la mia tristezza chissà, che a se stessa è sempre uguale, qualche cosa prenderà. Da quaggiù voglio guardarti se ti lascerai guardare, del mio fato amaro azzardo, del mio bene tutto e parte. Messo qui in questo cantuccio, da lacchè senza fortuna, chissà che dalla mia morte non veda resurrezione. Non v’è sventura maggiore, più spaventosa e temuta che di perdere la vita. Peggio è perdere l’onore. È così, e poiché, cugino, vita e onore possedete, male fate a aver per male il male ch’io stimo bene. E arrivato dove siete ritener dovete certo che arrivato siete a un porto 2145
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
CARDENIO TORRENTE CRISTINA TORRENTE
CRISTINA TORRENTE OCAÑA TORRENTE CRISTINA TORRENTE
CRISTINA
TORRENTE
DON ANTONIO
OCAÑA
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adonde restauraréis las riquezas arrojadas al mar, siempre codicioso. Tendrá el que fuere tu esposo las venturas confirmadas. ¿Doncella acaso es de casa? No soy sino de la calle. Eso no, que aquese talle a los de palacio pasa. ¿Sirve en ella? Soy servida. La respuesta ha sido aguda. Ten, pulcra, la lengua muda; no la descosas, perdida. ¿El nombre? Cristina. Bueno; que es dulce, con ser de rumbo. ¿Túmbase? Yo no me tumbo. Basta, que tiene barreno el indianazo gascón. Yo, señora, como ves, soy criollo perulés, aunque tiro a borgoñón. Reposaréis, primo mío, y después saber querría del buen estar de mi tía, de vuestro padre y mi tío. (¡Oh peregrino traidor, cómo la miras! ¡Oh falsa, cómo le vas dando salsa al gusto de su sabor!) Pluguiera a Dios que nunca aquí viniera; o, ya que vine aquí, que nunca amara; o, ya que amé, que amor se me mostrara de acero no, sino de blanda cera.
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CARDENIO TORRENTE CRISTINA TORRENTE
CRISTINA TORRENTE OCAÑA TORRENTE CRISTINA TORRENTE
CRISTINA
TORRENTE
DON ANTONIO
OCAÑA
TORRENTE
dove recupererete le ricchezze inabissate nelle onde sempre bramose. Chi sarà il tuo sposo avrà le fortune assicurate. È la ragazza di casa? No, lo sono della strada. Questo no, la sua figura quelle nobili sorpassa. Serve qui? No, son servita. La risposta è stata arguta. Tieni la tua lingua muta, non scucirla, sciagurata! Il nome? Cristina. Bene; dolce, seppur intrigante. Si scoccia? Io non mi scoccio. Basta, ché vuol saper troppo questo indianaccio guascone! Io, signora, come vedi, sono un creolo peruviano, pur sembrando borgognone. Riposatevi cugino, ché dopo vorrò sapere le notizie di mia zia, e di mio zio, vostro padre. (O pellegrino sleale! Come la guardi! O falsa, quanta legna stai mettendo sopra il fuoco del suo ardore!) Piacesse a Dio che mai fossi venuto, o che, giacché son qui, mai avessi amato; o giacché amai, che Amor mi si mostrasse, d’acciaio no, bensì di molle cera! 2147
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA CARDENIO OCAÑA TORRENTE
MARCELA CARDENIO TORRENTE
CARDENIO
TORRENTE
DON ANTONIO
Depositario fue el mar de sus cartas y presentes. (¡El alma tengo en los dientes! ¡Casi estoy para expirar!) O que de aquesta fregonil guerrera de los dos soles de su hermosa cara no tan agudas flechas me arrojara, o menos linda y más humana fuera. Entrad, señor, do podáis mudar vestido decente. Mi promesa no consiente que esa merced me hagáis. (Estas sí son borrascas no fingidas, de quien no espero verdadera calma, sino naufragios de más duro aprieto.) No puedo mudar de traje por un tiempo limitado: que esta pobreza ha causado la tormenta del viaje. ¡Oh tú, reparador de nuestras vidas, Amor, cura las ansias de mi alma, que no pueden caber en un soneto! A no ser tan perfecto, primo, vuestro designio, yo hiciera que por otra persona se cumpliera.
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Éntranse Marcela, don Antonio, Dorotea, Cristina y Cardenio. Quedan en el teatro Muñoz, Torrente y Ocaña. MUÑOZ
No me habléis, Torrente hermano, que nos escuchan, y siento que en nuestro famoso intento el callar es lo más sano. Éntrase Muñoz.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO CARDENIO OCAÑA TORRENTE
MARCELA CARDENIO TORRENTE
CARDENIO
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DON ANTONIO
Fu depositario il mare delle lettere e dei doni. (Reggo l’anima coi denti e sto quasi per spirare.) Oppure che la sguattera guerriera, dai due soli della sua bella faccia, non così acute frecce mi scagliasse, e meno bella e un po’ più umana fosse. Venite, signore, dove possiate cambiar vestito. Il mio voto non ammette da voi un simile favore. (Queste sì son autentiche burrasche da cui nessuna vera calma aspetto, ma naufragi di quelli tremendi!) Cambiar d’abito non posso fino ad una certa data, ché a farmi povero è stata la tormenta del viaggio. Ristoratore delle nostre vite, Amore, cura le ansie del mio cuore che non possono stare in un sonetto! Non fosse così perfetto, cugino, il vostro piano, farei in modo che un altro lo compisse al posto vostro.
Escono Marcela, don Antonio, Dorotea, Cristina e Cardenio. Restano in scena Muñoz, Torrente e Ocaña. MUÑOZ
Zittati, Torrente caro, ché ci sentono, ed io avverto che per il nostro bel piano niente è meglio che tacere. Esce Muñoz.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA OCAÑA
TORRENTE OCAÑA
TORRENTE OCAÑA TORRENTE
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Si a mí el ojo no me miente, sé con gran certinidad que vuestra paternidad tiene el alma algo doliente. Es C[r]istina un harpón, es un virote, una jara que el ciego arquero dispara, y traspasa el corazón. Es un incendio, es un rayo. ¿Como un rayo? Dos y tres. Y vuesa merced, ¿quién es? Soy desta casa el lacayo; y aunque en la caballeriza me arrincono, el amor ciego, con su hielo y con su fuego, me consume y martiriza. Entre el harnero y pesebre, entre la paja y cebada, de noche y de madrugada, me embiste de amor la fiebre. ¿Y es Cristina la ocasión de tan grande encendimiento? No sé quién es; sé que siento el alma hecha un carbón. Si es Cristina, pondré pausa en ciertos recién nacidos pensamientos atrevidos que su memoria me causa. No pienso en manera alguna seros rival, que sería género de villanía que al ser quien yo soy repugna. Honestísimo decoro se guardará en esta casa, puesto que me arda la brasa desta niña a quien adoro. Quebrantaré en la pared
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Se non mentono i miei occhi, so con gran lucidità che vostra paternità ha nel cuore un bel tormento. Cristinuccia è un arpïone, una freccia, un giavellotto, che l’arciere cieco scaglia e che ti trafigge il cuore. È un incendio, una saetta. Una saetta? Due o tre! E sua signoria chi è? Il lacchè di questa casa, e sebbene nella stalla mi rimpiatti, l’amor cieco, col suo ghiaccio e col suo fuoco, mi consuma e martirizza. Fra la greppia ed il setaccio, fra la paglia e fra la biada, che sia sera o sia mattina, febbre d’amore m’assedia. È Cristina l’occasione di un incendio così grande? Non so chi sia: so che sento l’anima come un tizzone. Se è Cristina sopirò certi miei pensieri audaci che mi sono appena nati ricordandomi com’era. Io non penso in nessun modo d’esservi rivale in quanto sarebbe una villania che con me non va d’accordo. Onestissimo decoro regnerà in questa casa, pur se mi brucia la brace di questa bimba che adoro. Romperò sulla parete 2151
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
mis pensamientos primeros, con gusto de conoceros para haceros merced. Porque no han de naufragar siempre las flotas, que alguna tendrá próspera fortuna para podérnosla dar. Beso tus pies, peregrino, único, raro y bastante a ablandar en un instante un corazón diamantino. Yo, en quien nacieron barruntos de celos cuando te vi, a tus pies los pongo aquí, semivivos y aun difuntos. Alzaos, señor; no hagáis sumisión tan indecente, que humillaré yo mi frente, si es que la vuestra no alzáis. Dadme los brazos de amigo, que lo hemos de ser los dos gran tiempo, si quiere Dios, que es de mi intención testigo. Como tú, señor, me abones con tu amistad peregrina, doy por cordera a Cristina y por cabrito a Quiñones. Por verte con gusto, voy alegre, así Dios me salve. (Por estas, que yo os calve, o no seré yo quien soy.)
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Éntranse Torrente y Ocaña. Entra don Ambrosio. DON AMBROSIO
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Por ti, virgen hermosa, esparce ufano, contra el rigor con que amenaza el Cielo, entre los surcos del labrado suelo,
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le mie prime riflessioni, assai lieto di conoscervi per offrirvi dei favori. Perché non tutte le flotte naufragheranno: qualcuna avrà prospera fortuna per potercela elargire. M’inchino a te, pellegrino, raro, solo e sufficiente per blandire in un istante questo cuore adamantino. In me nacquero pensieri da geloso nel vederti; ai tuoi piedi ora li pongo semivivi e anche defunti. Suvvia, alzatevi, non fate tanta indegna professione, ché umilierò la mia fronte se la vostra non alzate. Datemi braccia da amico, ché dovremo esserlo entrambi lungamente, se Dio vuole, del mio intento testimone. Dal momento che mi onori di amicizia pellegrina, stimerò agnello Cristina e Quiñones un capretto. Son contento di vederti compiaciuto, se Dio vuole! (Vedrai cosa ti combino o non sono più chi sono!)
OCAÑA
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OCAÑA
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Torrente e Ocaña escono. Entra don Ambrosio. DON AMBROSIO
Per te, Vergine bella, sparge lieto, contro il rigore che minaccia il Cielo, tra i solchi di terreno lavorato, 2153
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
el pobre labrador el rico grano. Por ti surca las aguas del mar cano el mercader en débil leño a vuelo; y, en el rigor del sol como del yelo, pisa alegre el soldado el risco y llano. Por ti infinitas veces ya perdida la fuerza del que busca y del que ruega, se cobra y se promete la vitoria. Por ti, báculo fuerte de la vida, tal vez se aspira a lo imposible, y llega el deseo a las puertas de la gloria. ¡Oh esperanza notoria, amiga de alentar los desmayados, aunque estén en miseria sepultados!
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Entra Cristina. CRISTINA
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Habrá fiesta y regodeo, y la parentela toda vendrá, sin duda, a la boda. Mi norte descubro y veo, ¡oh dulcísima Cristina! De alcorza debo de ser. Tribunal do se ha de ver lo que el amor determina en mi contra o mi provecho. ¡Extraña salutación! La lengua da la razón como la saca del pecho. Pero vengamos al punto. Mi esperanza, ¿cómo está? ¿Ha de morir? ¿Vivirá? ¿Contareme por difunto? ¿Dificúltase la empresa? ¡Presto, que me vuelvo loco! Idos, señor, poco a poco, que preguntáis muy apriesa.
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il povero bracciante il ricco grano. Per te le acque del canuto mare solca il mercante in fragile vela, e nel rigore del sole e del gelo preme allegro il soldato monte e piano. Per te, infinite volte ormai smarrita la forza di chi cerca e di chi prega, si ottiene e si intravede la vittoria. Per te, forte bastone della vita, talvolta all’impossibile si aspira e sfiora il desiderio fin la gloria. O speranza notoria, amica che dai fiato agli avviliti pur se son fra miserie seppelliti! Entra Cristina. CRISTINA
DON AMBROSIO CRISTINA DON AMBROSIO
CRISTINA DON AMBROSIO
CRISTINA
Vi sarà festa e baldoria e i parenti, di sicuro, verran tutti al matrimonio. Ecco che arriva il mio Nord. Oh, dolcissima Cristina! Devo essere di glassa! Tribunale in cui vedrò se l’Amore ha decretato contro me o a mio favore. Che saluto strampalato! La lingua rispecchia quello che si cela dentro al cuore. Ma veniamo tosto al punto: come sta la mia speranza? Deve vivere o morire? Dovrò darmi per defunto? Ha l’impresa qualche intralcio? Presto, ché divento matto! Piano, una cosa per volta: domandate troppo in fretta. 2155
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA DON AMBROSIO CRISTINA
DON AMBROSIO CRISTINA
DON AMBROSIO
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CRISTINA
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Más apriesa me consume el vivo incendio de amor. En solo un punto el rigor suyo se abrevia y resume, y es que puedes ya contar a Marcela por casada. Ya no es suya, ya está dada a quien la sabrá estimar. No me digas el esposo, que, sin duda, es don Antonio. Levantas un testimonio que pasa de mentiroso. ¿Con su hermana? ¡Ah, Cristinica! ¿Qué es eso? ¿Cubierta y pala con que una obra tan mala se apoya y se fortifica? Que es con su primo. ¿Qué es esto, Cielo siempre soberano? ¿Hoy primo el que ayer fue hermano? ¿Cámbiase un hombre tan presto? Digo que es un peregrino, primo suyo y perulero, de tan soberbio dinero, que de las Indias nos vino. De oro más de cien mil tejos se sorbió el mar como un huevo, deste peregrino nuevo, que no está de ti muy lejos, porque vesle allí do asoma. ¡Y que eso en el mundo pase! Puesto que antes que se case, entiendo que ha de ir a Roma.
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Ma più in fretta mi consuma dell’amore il vivo incendio. In un sol punto il rigore suo si può sintetizzare, ed è che puoi far già conto che Marcela sia sposata. Non è più vostra: è già data a chi la saprà stimare. Dello sposo non mi dire, ché senz’altro è don Antonio. Ti fai teste di una cosa che oltrepassa la bugia. Con sua sorella? Ah, Cristina! Perché mettere a tacere un’azione sì malvagia che si rafforza in tal modo? É suo cugino. Che sento, Cielo da sempre supremo? Cugino oggi, ieri fratello, così in fretta cambia un uomo? Dico che è un pellegrino, suo cugino e peruviano, assai pieno di denaro, dalle Indie giunto qui. Centomila e più lingotti bevve il mare come un uovo, di quel pellegrino nuovo che da te non è lontano, perché, ecco, spunta lì. Guarda che va a capitare! Seppur prima di sposarsi credo a Roma debba andare.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
Entran Cardenio, Torrente y Muñoz. DON AMBROSIO
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CARDENIO
MUÑOZ
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Embustero y perulero, atrevido e insolente, ¿por qué te haces pariente de la vida por quien muero? Descornado se ha la flor; perecemos. Malo es esto; la traza se ha descompuesto al primer paso. Señor, no te entiendo, ni imagino por qué tan acelerado la maldita has desatado contra un noble peregrino. Quien dijere que yo di lista a nadie, mentirá cuantas veces lo dirá. No sino lléguense a mí, que fabrico en ningún modo castillos mal prevenidos. (Antes de ser convencidos, este lo ha de decir todo. ¡Oh levantadas quimeras en el aire, cual yo dije!) Por el Cielo que nos rige, que si acaso perseveras en el embuste que intentas, primero que en algo aciertes ha de ser una y mil muertes el remate de tus cuentas. Vuélvete a tu Potosí, deja lograr mi porfía. Aqueste ya desvaría. Así me parece a mí.
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Entrano Cardenio, Torrente e Muñoz. DON AMBROSIO
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Impostore e peruviano, faccia tosta ed insolente fingi d’essere parente della vita per cui muoio? Gli altarini son svelati: siamo fritti! Brutto affare! Appena partito, il piano già è crollato. Io, signore, non ti capisco e neppure immagino perché mai te la stai prendendo tanto contro un leale pellegrino. Chi dicesse che abbia dato a qualcuno il promemoria mille volte mentirebbe. Poi non mi si venga a dire che sto sempre a fabbricare dei castelli senza senso! (Prima che si rendan conto questo qui spiffera tutto! Oh chimere disegnate su nell’aria, come dissi!) Per il Cielo che ci regge, se tu vuoi perseverare nell’imbroglio che ora tenti, prima ancora di riuscirci devi mettere nel conto non una, ma mille morti. Torna nel tuo Potosí, la mia tenacia trionfi. Questo è fuori di cervello. Giusto, sembra pure a me.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
Don Francisco y mi señor son estos. ¡Pies, a correr!
CRISTINA
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Éntrase Cristina. Salen don Francisco y don Antonio. DON FRANCISCO
DON AMBROSIO
DON FRANCISCO DON ANTONIO
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Todo aqueso puede ser: que a más obliga el rigor de un celoso, si es honrado, como el padre de Marcela. Este es el que urdió la tela que tan cara me ha costado. ¿Qué rigor de estrella ha sido, señor don Antonio, aquel que de piadoso en cruel contra mí os ha convertido? ¿Y qué peregrino es este, tan medido a vuestro intento, que queréis que su contento a mí la vida me cueste? Mía es Marcela, si el Cielo quisiere y si vos queréis: que en vuestra industria tenéis de mi mal todo el consuelo. No es desigual mi linaje del suyo, y su padre creo que deste igual himeneo no ha de recibir ultraje. Si él la escondió en vuestra casa por quitármela delante, ved, si acaso sois amante, lo que el alma ausente pasa. Este habla de Marcela Osorio, y no de tu hermana. La presumpción está llana, gran mal mi alma recela. Desta vana presumpción y mal formados antojos
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
Don Francisco e il mio signore sono qui. Via, gambe in spalle!
CRISTINA
Se ne va Cristina. Entrano don Francisco e don Antonio. DON FRANCISCO
DON AMBROSIO
DON FRANCISCO DON ANTONIO
Tutto ciò può esser vero ché a ben più spinge il rigore di un geloso, quando ha onore, come il padre di Marcela. Questo è chi ha ordito la tela che salata mi è costata. Quale rio destino è stato, don Antonio, quello che da pietoso a senza cuore contro me vi ha trasformato? E che pellegrino è questo così adatto al vostro intento che volete che io paghi con la morte il suo trionfo? Mia è Marcela, quando il Cielo lo volesse insieme a voi, ché sta nella vostra astuzia ogni mia consolazione. Non diverso è il mio lignaggio dal suo, e credo che suo padre da questo pari imeneo non riceverebbe oltraggio. Se presso voi la nascose per levarmela dinnanzi, capirete, se voi amate, quanto soffre il cuore assente. Di Marcela Osorio parla, e non già di tua sorella. Qui l’errore è manifesto, grande male il mio cuor teme. Questa vana congettura, questi inutili sospetti 2161
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
DON AMBROSIO
os han de dar vuestros ojos la justa satisfacción. Veníos conmigo y veréis en el engaño en que estáis. Si a Marcela me lleváis, al cielo me llevaréis.
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Éntranse don Antonio, don Francisco y don Ambrosio; quedan en el teatro Muñoz, Torrente y Cardenio. CARDENIO MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
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¡Ah, Muñoz, con cuán pequeña ocasión habéis temblado! Temo de verme brumado y molido como alheña; temo que mis trazas den, mis embustes y quimeras, con mi cuerpo en las galeras, que no le estará muy bien. ¿Sin apretaros la cuerda os descoséis? ¡Mala cosa! La conciencia, temerosa de los castigos, se acuerda. Pero desde aquí adelante pienso ser mártir, y pienso que paga a la culpa censo con temor el más constante. Pésame que fue la lista de mi letra y de mi mano, y este temor, que no es vano, todas mis fuerzas conquista. Vamos a ver en qué para el comenzado desastre. Aquella bayeta y sastre nunca el Cielo lo depara.
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saranno dai vostri occhi giustamente soddisfatti. Venite con me e vedrete come vi state ingannando. Portandomi da Marcela dritto in cielo mi portate.
Escono don Antonio, don Francisco e don Ambrosio. Rimangono Muñoz, Torrente e Cardenio. CARDENIO MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
Ah Muñoz, per quanto poco vi siete messo a tremare! Temo di venir pestato, macinato come grano, temo che con le mie trame, le mie frottole e chimere, il mio corpo alle galere finisca, e non gli sta bene. Non vi han strattonato ancora e già cantate? Ma bravo! La coscienza, intimorita dai castighi, si ridesta, ma da questo punto in poi farò il martire, ché penso che alla colpa paghi il dazio col timore anche il più fermo. Mi secca d’avere scritto di mia mano il promemoria, e quest’utile timore ogni forza rende vana. Chissà dove va a parare questo disastro annunciato. Quella baietta col sarto non vuole il Cielo approntare.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
Éntranse todos. Salen Marcela y Dorotea. Este primo no me agrada, dulce amiga Dorotea. ¡Plegue a Dios que por bien sea su venida no esperada! Como le ves mal vestido, no te parece galán. Las galas no siempre dan aire y brío, ni el vestido. Desmayado me parece, aunque atrevido tal vez. De su causa eres juez. Basta; poco me apetece. Parece que se ha templado tu hermano en su pensamiento. Todavía, a lo que siento, anda un poco apasionado: no se le cae de la boca mi nombre, y aun todavía descubre una fantasía que en lascivos puntos toca; mas yo no le doy lugar de que esté a solas conmigo. Eso es lo que yo te digo, y lo que has de procurar.
MARCELA
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DOROTEA MARCELA DOROTEA MARCELA
DOROTEA
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Aquí han de entrar don Antonio, [don Ambrosio], don Francisco, Cardenio, Torrente y Muñoz. DON ANTONIO
DON AMBROSIO
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Mirad, señor, destas dos cuál es la Marcela hermosa que con fuerza poderosa os tiene fuera de vos. Esta le parece en algo, y no es ella; mas ya veo, sin duda, que es devaneo
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
Escono tutti. Entrano Marcela e Dorotea. Non mi piace quel cugino, dolce amica Dorotea, Voglia Iddio che un bene sia il suo arrivo inaspettato. Vedendolo malvestito, ti sembra poco galante. Non sempre le gale danno tono e neanche il vestito. È lui che mi appare scialbo, pure se alle volte audace. Sei arbitro della sua sorte. Basta, via: non mi convince. Sembra che si sian calmate le smanie di tuo fratello. Ancora, per quel che sento, sembra alquanto infatuato; continua ad avere in bocca il mio nome e ancora insiste a mostrare fantasie che lascive cose toccano; ma io non gli do mai occasione di restar solo con me. Questo è quello che ti dico che devi cercar di fare.
MARCELA
DOROTEA MARCELA
DOROTEA MARCELA DOROTEA MARCELA
DOROTEA
A questo punto entrino don Antonio, [don Ambrosio], don Francisco, Torrente e Muñoz. DON ANTONIO
DON AMBROSIO
Guardate, di queste due, signore qual è la bella Marcela che ha tanta forza da farvi uscire di senno. Questa un poco le assomiglia, e non è lei, ma già vedo, che senz’altro il mio è un delirio 2165
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
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y que de sentido salgo. Téngase Amor de su mano, y los Cielos, si me ofenden. ¿O me compran o me venden? Decidme qué es esto, hermano. No es otra cosa alguna, sino que la belleza incomparable sola de otra que tiene el propio nombre vuestro, su donaire, su gracia, su honesta compostura, su ingenio, su linaje se llevaron tras sí mis pensamientos. Amela honestamente, adorela rendido, solicitela mudo, aunque los ojos son parleros siempre. Su padre, recatado por algún su desinio, o por mi desventura, llevola, y no sé adónde. Esta es mi historia. No con más diligencia la diosa de las mieses buscó a su hija amada hasta los escondrijos del infierno, como yo la he buscado por cuanto las sospechas han podido llevarme pensativo, solícito y ansioso. En esto, a mis oídos el nombre de Marcela llegó, y vuestra hermosura; pero no el sobrenombre de Almendárez. Creí que don Antonio, vuestro querido hermano, por orden de su padre
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e che esco di sentimento. Che mi proteggano i Cieli e l’Amore, se mi offendono! Mi si compra e mi si vende: che cosa sta succedendo? Semplicemente è successo che la beltà impareggiabile, unica e incomparabile di una che porta il vostro stesso nome, il suo garbo ed il suo brio, il suo degno portamento, il suo linguaggio, il suo ingegno, si son rapiti tutti i miei pensieri. L’amai onestamente, arreso l’adorai, la corteggiai in silenzio, pure se gli occhi son loquaci sempre. Suo padre sospettoso, per qualche suo disegno, o per sventura mia, la portò non so dove. È la mia storia! Non con maggior premura la dea d’ogni raccolto cercò l’amata figlia fin dentro ai nascondigli dell’inferno di me che l’ho cercata dovunque i miei sospetti mi abbiano condotto, pensieroso, sollecito ed ansioso. D’un tratto alle mie orecchie il nome di Marcela giunse e la beltà vostra, ma non con il cognome di Almendárez. Pensai che don Antonio, a voi caro fratello, per ordine del padre 2167
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
DON FRANCISCO DON ANTONIO DOROTEA
(A Marcela)
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de la Marcela Osorio, que yo busco, en casa la tenía, y, mal considerado y con los celos ciego, hice los disparates que habéis visto. ¿Estas no son lanzadas que te pasan el alma? Y aun rayos que la embisten, la hieren, desmenuzan y quebrantan. (Apostaré, señora, que es esta la Marcela por quien tu hermano gime, suspira y con angustia se lamenta.) Un canto pesadísimo, una montaña dura, una máquina inmensa, de acero un monte dilatado y grave, de sobre el pecho quito. Y yo de sobre el alma una carcoma aguda. ¡Maldito seas de Dios, amante simple! ¡Qué confusos nos tuvo aqueste mentecato! ¡Con cuán pocos indicios trocó las dos Marcelas el cuitado! Ya pensé que mi lista andaba por la casa de mano en mano. ¡Ay, duro trance, no imaginado y repentino! Pues en esta Marcela veis patente de vuestro pensamiento el desengaño, mostraos, señor, más cauto y más prudente otra vez que os acose vuestro engaño, y volved a buscar más diligente la cámara original de vuestro daño.
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della Marcela Osorio che io cerco in casa la celasse, e da sconsiderato, cieco di gelosia, feci quelle pazzie che avete visto. Forse che non son lance queste che il cuor trafiggono? Fulmini che lo investono, lo rompono, sminuzzano e feriscono. Ci scommetto, signora, che è questa la Marcela per la quale sospira, e geme tuo fratello e si lamenta. Un masso pesantissimo, una montagna dura, un infinito ordigno, d’acciaio un monte dilatato e grave da sopra il petto tolgo. E io da dentro al cuore un tarlo persistente. Maledetto tu sia, stupido amante! E quanto ci ha confuso codesto mentecatto! Con quanti pochi indizi scambiò le due Marcele l’imbranato! Io già mi immaginavo che andasse per la casa il promemoria. Ahi duro frangente, repentino ed imprevisto! Avendo visto con questa Marcela quanto il vostro pensiero fosse falso, siate, signore, più cauto e prudente, vi dovesse incalzare un nuovo inganno, in modo da cercar più attentamente da dove scaturisce il vostro danno.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA DON AMBROSIO
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Tiene cualquiera enamorada culpa fácil y compasiva la disculpa. Erré, mas no es el yerro de tal suerte que perdón no merezca. Yo imagino que ministró ocasión al atreverte este pobre sayal de peregrino. La rabia de los celos es tan fuerte, que fuerza a hacer cualquiera desatino. Selo yo bien, que ya me vi celoso, atrevido, arrojado y malicioso. En siglos prolongados tu ventura goces, ¡oh peregrino!, y tus bisnietos te lleven a la honrada sepultura sobre sus hombros, para el caso electos; no menoscabe el tiempo la hermosura de tu Marcela; celos indiscretos no perturben tu paz en tanto cuanto de vida os diere aliento el Cielo santo. Yo vuelvo a renovar mi pena antigua buscando aquella que me encubre el Cielo, y mientras dónde está no se averigua, un Sísifo seré nuevo en el suelo. De noche, como sombra o estantigua, llena la vista de inmortal desvelo, por ver el fin de mis trabajos largos, un lince habré de ser con ojos de Argos.
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Desesperado se parte. Yo sin esperanza quedo, dulce Marcela, de hallarte. De mí se ha arredrado el miedo. De mí ya no tiene parte; pero, con todo, quisiera que la lista se rompiera,
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Quando da amore discende la colpa più facile e pietosa è la discolpa. Sbagliai, però il mio errore non è tale che perdono non meriti. Io penso che pretesto abbia dato alla tua audacia questo povero saio da pellegrino. La rabbia del geloso è così grande che spinge a far qualunque stramberia. Ben lo so, ché son stato io geloso, audace, temerario e malizioso. Per secoli infiniti buona sorte, goditi, pellegrino, e pronipoti ti portino a onorata sepoltura su spalle che per questo siano scelte; non sminuisca il tempo la bellezza della Marcela tua: la gelosia non turbi la tua pace fino a quando ti donerà respiro il Cielo santo. Io torno a rinnovare la mia pena e a cercare colei che il Cielo asconde, e fino a quando non l’avrò trovata, novello Sisifo sarò nel mondo. Di notte, come un’ombra od uno spettro, la vista piena di mortale insonnia, pur di veder risolti i miei travagli, una lince sarò con gli occhi d’Argo. Esce don Ambrosio.
MARCELA DON ANTONIO TORRENTE MUÑOZ
Se ne va via disperato. E io resto senza speranza, o Marcela, di trovarti. Da me il timore è arretrato. A me più non appartiene: però vorrei che stracciassero la lista che di mia mano 2171
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
DON FRANCISCO
DON ANTONIO
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que di escrita de mi mano; que cualquier susto, aunque vano, la mala conciencia altera. Haz cuenta, amigo, que envías en este amante curioso a buscar tu gloria espías. Con todo, estoy temeroso: que son tiernas sus porfías, y muchas, que es lo peor. Yo lo tengo por mejor: que este anzuelo ha de sacar del profundo de la mar la perla que escondió Amor.
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Éntranse don Francisco y don Antonio. CARDENIO MARCELA
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¿No ha sido extremado el cuento, señora prima? Sí ha sido; aunque de él me ha parecido ir mi hermano descontento, pensativo y desabrido. Y es la causa que la dama que aquel busca, adora y ama, como quiere Amor tirano, es la misma que mi hermano quiere, busca, nombra y llama; y yo, simple, imaginaba ser yo la hermosa Marcela a quien mi hermano llamaba, y con malicia y cautela a las manos le miraba, a los ojos y a la boca, y con no advertencia poca, ponderaba sus razones, sus movimientos y acciones.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
DON FRANCISCO
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DON FRANCISCO
scrissi perché, pur se vano, scuote la coscienza sporca ogni minimo spavento. Amico, fai conto di inviare, con questo amante curioso, spie a cercare la tua gloria. Con tutto ciò io ho paura: le sue insistenze commuovono e, quel che è peggio, son tante. Io sono più fiducioso, ché quest’amo ha da pescare dal più profondo del mare la perla che cela Amore. Escono don Francisco e don Antonio.
CARDENIO MARCELA
Non è strana questa storia signora cugina? Certo, quantunque mi sia sembrato che mio fratello ne fosse rimasto triste e scontento. E il motivo è che la dama che quel tale adora e ama, come vuole Amor tiranno, è colei che mio fratello cerca, vuole, invoca e chiama; ed io, ingenua, che credevo d’esser la bella Marcela che mio fratello invocava, e con malizia e sospetto io guardavo le sue mani, i suoi occhi e la sua bocca, e con non poca attenzione ponderavo i suoi argomenti, i suoi gesti e le sue azioni.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA DOROTEA MARCELA
CARDENIO MUÑOZ MARCELA
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Curiosidad simple y loca. Pídele perdón. No quiero, pues nunca arraigó en mi pecho el pensamiento primero. Y más, que te ha satisfecho tan llano y tan por entero. ¿Hemos de hacer la visita de mi señora doña Ana? Todavía es de mañana, y el frío la gana quita de hacer visitas agora. Ven, amiga Dorotea; vamos donde el sol nos vea. ¡Y cómo que iré, señora! ¡Que tirito, ti, ti, ti! ¡Insufrible frío hace!
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Éntranse Marcela y Dorotea. TORRENTE
CARDENIO
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El tuyo a mí me desplace. ¿Para qué viniste aquí, Cardenio, si te has de estar como una estatua sin lengua? «Allá voy, y no hago mengua». ¿Piensas que se te ha de entrar la ventura por la puerta, y arrojársete en la cama? A mi yelo y a mi llama ningún medio las concierta. Cuando de Marcela ausente algún breve espacio estoy, ardo de atrevido, y doy en pensar que soy valiente; pero apenas me da el Cielo lugar para a solas vella,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO DOROTEA MARCELA
CARDENIO MUÑOZ MARCELA
DOROTEA
Stolto e ingenuo curiosare! Chiedigli scusa. Non voglio, ché mai allignò nel mio petto il primitivo pensiero. Ed in più t’ha soddisfatto così bene e per intero. C’è da andare a visitare la signora donna Ana? Siamo ancora di mattina e il freddo toglie la voglia di far visite a quest’ora. Vieni, amica Dorotea, andiamo dove c’è il sole. Vengo subito, signora. ma che freddo, do, do, do! Non si riesce a sopportare. Escono Marcela e Dorotea.
TORRENTE
CARDENIO
Il tuo, io non lo capisco. Perché sei venuto qui se, Cardenio, devi stare come statua senza lingua? «Vado là e la cosa è fatta!» Ma pensi che la fortuna debba veramente entrare dalla porta principale? Il mio ghiaccio ed il mio fuoco non c’è modo di accordare. Quando da Marcela assente sono io per qualche istante, ardo di audacia e comincio a pensare d’esser forte; ma appena il Cielo permette che ci vediamo da soli,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
TORRENTE MUÑOZ
CARDENIO
MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ TORRENTE
MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
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cuando estoy, estando ante ella, frío mucho más que el yelo. Con ese yelo no habrá ostugo que nos alcance. Cierto que yo he echado un lance que a los ojos me saldrá, si a las espaldas no sale primero. ¡Oh viejo imprudente! Bien merecéis, inocente, que se evapore y exhale el alma con el más chico temor que te sobresalte. Cuando yo, Muñoz, os falte, cuando yo no os haga rico, jamás del Pirú me venga el mi esperado tesoro. ¡Que no me vuelva yo moro, y que yo paciencia tenga para escuchar lo que escucho! ¿Dónde está el oro, señores socarrones, embaidores? Muñoz, que ha de venir mucho. ¿De qué Pirú ha de venir, de qué Méjico o qué Charcas? Cuatro cofres y seis arcas puedes desde luego abrir para echar cuatro mil barras, y aun son pocas las que digo. Tente; que Dios sea contigo, Torrente, que te desbarras. Con el sastre y la bayeta estaría yo contento. Sastres pasarán de ciento. La bayeta es la que aprieta al deseo de tenella.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
TORRENTE MUÑOZ
CARDENIO
MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ TORRENTE
MUÑOZ
TORRENTE MUÑOZ
ecco che, con lei davanti, son più freddo d’un ghiacciolo. Ma da questo freddo qua non si ricava una semola! Questa impresa va a costarmi quasi un occhio della testa, se alla schiena non m’arriva prima. Oh vecchio imprudente! Ben meritate, innocente, che l’anima esali e svapori non appena il soprassalto più piccolo ti sorprende. Qualora vi deludessi e ricco non vi facessi, dal Perù mai non arrivi il tesoro tanto atteso. Ch’io non giunga a sbattezzarmi e che abbia tanta pazienza da sentire quel che sento! Dov’è quest’oro, signori, buontemponi e furbacchioni? Muñoz, ne arriverà molto. E da quale Perù arriva, da che Messico o che Charca? Quattro bauli e sei arche potrai certo aprire e farti ben quattromila lingotti: ma che dico? Ancor di più. Per l’amor di Dio, Torrente, ora stai passando il segno: con il sarto e la baietta m’accontenterei di già. Sarti, ne avrai più di cento. Ma m’infonde la baietta la brama di possederla.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA TORRENTE
Déjenme los dos aquí, que viene Cristina allí, y me importa hablar con ella.
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Vanse Muñoz y Cardenio. Entra Cristina. ¿Que es posible, flor y fruto del árbol lindo de amor, que ha de andar por tu rigor siempre mi alma con luto? ¿Que es posible que un potente indiano no te remate, ni que a tu dureza mate la blandura de Torrente?
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Entra Ocaña en calzas y en camisa, con un mandil delante, y con un harnero y una almohaza; entra puesto el dedo en la boca, con pasos tímidos, y escóndese detrás de un tapiz, de modo que se le parezcan los pies no más. ¿Que es posible que no precies los montones de oro fino, y por un lacayo indino un perulero desprecies? ¿Que no quieras ser llevada en hombros como cacique? ¿Que huygas de verte a pique de ser reina coronada? ¿Que, por las faltas de España, que siempre suelen sobrar, no quieras ir a gozar del gran país de Cucaña? ¿Que te tenga avasallada un lacayo de tal modo que por él dejes el todo y te acojas al no nada? ¿Que a un borracho te sujetes, 2178
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO TORRENTE
Voi due lasciatemi qua, perché ecco giunge Cristina e con lei voglio parlare. Escono Muñoz e Cardenio. Entra Cristina. È possibile, mio frutto del bell’albero d’amore, che io per il tuo rigore abbia sempre il cuore in lutto? Possibile che un potente indiano non ti conquisti, né che il tuo sdegno rintuzzi la dolcezza di Torrente?
Entra Ocaña, in calzoni e camicia, con un grembiule, un setaccio e una striglia: entra con il dito sulla bocca a passi timidi e si nasconde dietro a un arazzo in maniera che gli si vedano soltanto i piedi. È possibile che sdegni le montagne d’oro fino e per un lacchè meschino un peruviano disprezzi? Che rifiuti che ti portino a spalle da gran cacicca e rifugga dal vederti regina in quattro e quattrotto? Che per gli errori di Spagna, sempre in grande quantità, non voglia goder del grande paese della Cuccagna? Che ti tenga in vassallaggio un lacchè di tale risma che per lui tu lasci tutto e ti accontenti del nulla? Che t’asserva a un ubriaco 2179
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
CRISTINA
TORRENTE
CRISTINA
TORRENTE
CRISTINA
TORRENTE
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que cuela tan sin estorbos que unos sorbos y otros sorbos son sus briznas y luquetes? ¡Oh mujeres, que tenéis condición de escarabajo! Hablad, Torrente, más bajo, si por ventura podéis; que dicen que las paredes a veces tienen oídos. Los tuyos tienes tapidos a la voz de mis mercedes. Deja aquese socarrón que tu deshonra procura, y fabrica tu ventura con tu mucha discreción. Pues ¿quiérole yo, mezquina, o por ventura hago caso yo de buzaque? Hablad paso; moderad la voz, Cristina, que no sabéis quién os oye, y haced con prudencia diestra que la humilde suerte vuestra con la que tengo se apoye, y vereisos encumbrada sobre el cerco de la Luna. Esa próspera fortuna para mí no está guardada, que soy una pecadora inútil, una mozuela de mantellina y chinela, no buena para señora; y más, estando abatida y murmurada de Ocaña. Muéveme ese llanto a saña; perderá Ocaña la vida.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
CRISTINA
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che sbevazza a tutto spiano tanto che un sorso e via l’altro son per lui come acqua fresca? Ah donne, che possedete indole da scarafaggio! Parlate piano, Torrente, ammesso che ci riusciate: si dice che le pareti talvolta abbiano orecchi. I tuoi invece sono sordi alle offerte che ti faccio; lascia stare quel furbastro che ti arreca disonore, e cerca la tua fortuna con il tuo senno che è grande. Forse che l’amo, meschina? Forse che io faccio caso agli ubriaconi? Piano, moderate quella voce, non si sa mai chi v’ascolta; cercate, da saggia e accorta, che la vostra umile sorte nella mia abbia protezione, e innalzata vi vedrete sopra al cielo della luna. Questa prospera fortuna a me non è destinata, ch’io sono una peccatrice inutile, una servetta con mantellina e babbuccia, non di certo una signora, tanto più che a sminuirmi son le chiacchiere di Ocaña. Questo pianto smuove rabbia: perderà la vita Ocaña.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA CRISTINA
TORRENTE
CRISTINA TORRENTE CRISTINA
Con solo media docena de palos que tú le des, rendida vendré a tus pies. Blanda y moderada pena a tanta culpa le das; mejor fuera que la lengua que se desmandó en tu mengua se le cortara, y aun más. Palos bastan; vete en paz. El Cielo quede contigo. Procura hacer lo que digo, secreto, astuto y sagaz.
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Éntrase Torrente. ¡Ay Jesús! ¿Quién está aquí? ¿Qué pies son estos, cuitada? Sale Ocaña. OCAÑA
CRISTINA
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Cacica en hombros llevada desde Lima a Potosí, yo soy, vesme aquí presente, hecho estafermo sufrible a tu rancor tan terrible y a los palos de Torrente. «Pocos son media docena»; la piedad en ti florece: que mi culpa bien merece cuatrodoblada la pena. Mas yo no tengo por culpa el amarte y avisarte que de aquello has de guardarte que te obligue a dar disculpa. Por vida tuya, lacayo el más discreto de España, que todo ha sido maraña
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO CRISTINA
TORRENTE
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Basteran mezza dozzina di legnate che gli dai e ai tuoi piedi mi vedrai. Mite e debole è la pena che gli dai per tanta colpa; meglio sarebbe tagliargli quella lingua che si è spinta a screditarti, o anche peggio. Bastan le botte. Va’ in pace. E che il Cielo sia con te. Prova a fare quanto dico, segreto, astuto e sagace. Esce Torrente. Ahimè, Gesù, chi c’è qui? Di chi sono questi piedi? Entra Ocaña.
OCAÑA
CRISTINA
Cacicca portata a spalle fin da Lima a Potosí, sono io, eccomi qui, mammalucco alla mercé del rancore tuo tremendo e dei tonfi di Torrente. «Pochi son mezza dozzina!» La pietà fiorisce in te, ché la mia colpa ben vuole quadruplicata la pena! Ma una colpa non mi sembra volerti bene e avvisarti di non fare cose tali di cui poi debba scolparti. Ma per carità, lacchè, il più saggio delle Spagne, era solo una finzione, 2183
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA
OCAÑA
CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA
OCAÑA
CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
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burlona y de alegre ensayo; porque pensaba avisarte en viéndote. Una por una, tú estarás sobre la Luna, sobre el Sol y aun sobre Marte; yo, mísero apaleado, tendido por ese suelo. Nunca tal permita el Cielo. Tú misma me has condenado. Ya te he dicho la verdad: que burlaba, y esto baste. Pues ¿por qué, di, le intimaste secreto y sagacidad? Porque, advirtiéndote a ti del caso, y estando alerta, fuese la burla más cierta y más buena. Fuera ansí cuando tú no confirmaras con lágrimas tu deseo. ¿Luego no me crees? Sí creo, mas reparo. ¿En qué reparas? En las lágrimas, y en ver que no son burlas risueñas las que descubren por señas matar, rajar y hender. Pero tú forja en tu fragua tus embustes, que yo espero que ha de ver el mundo entero el que lleva el gato al agua. Entra y dame la cebada, o darásmela después. «¡Rendida vendré a tus pies!»
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO
OCAÑA
CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA CRISTINA
OCAÑA
CRISTINA OCAÑA CRISTINA OCAÑA
una recita innocente, che t’avrei avvisato appena ti vedevo. Sta di fatto che sarai sopra alla Luna sopra il Sole e sopra Marte; e io, misero e ammaccato, qui per terra giù disteso. Che non lo permetta il Cielo! Tu stessa m’hai condannato! La verità t’ho già detto: che scherzavo, e questo basti. Perché allora gli intimasti l’accortezza ed il segreto? Perché, essendo tu avvertito del caso e restando all’erta, fosse la burla più bella. E così sarebbe stato, se non avessi sancito con le lacrime il tuo intento. Dunque non mi credi? Certo, ma c’è un fatto. Quale fatto? Le tue lacrime e il vedere che non son burle per scherzo quelle che rivelan voglie di ammazzare e di ferire. Ma continua tu a forgiare le tue frottole, ché presto spero sappia tutto il mondo chi fra noi la spunterà. Entra e porgimi la biada, o sennò me la dai dopo. «Ai tuoi piedi mi vedrai!»
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA SEGUNDA CRISTINA
OCAÑA CRISTINA
¿Esa razón no te agrada? Pero él no verá cumplida tal promesa en vida suya. ¿Tomara yo alguna tuya, puesto que fuera fingida? No seas tan ignorante; muestra, que yo volveré.
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Dale el harnero. Con esto me quitaré dos importunos delante. Éntrase Cristina. OCAÑA
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Que de un lacá la fuerza poderó, hecha a machamartí con el trabá, de una fregó le rinda el estropá, es de los cie no vista maldició. Amor el ar en sus pulgares to, sacó una fle de su pulí carcá, encaró al co, y diome una flechá que el alma to y el corazón me do. Así rendí, forzado estoy a cre cualquier mentí de aquesta helada pu, que blandamén me satisface y hie. ¡Oh de Cupí la antigua fuerza y du, cuánto en el ros de una fregona pue, y más si la sopil se muestra cru!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO SECONDO CRISTINA
OCAÑA CRISTINA
Ti è seccato quel che ho detto? Però mai questa promessa avverarsi lui vedrà. Ne otterrò qualcuna io, dovesse essere per finta? Via, non fare l’antipatico: dammi qua, che tornerò. Le consegna il setaccio. E così mi toglierò due seccatori dai piedi. Esce Cristina.
OCAÑA
Che di un lacchè la forza podero’ dal lavo’ nata a suon di martella’ fiacchi d’una serve’ lo strofina’ è del Cie’ una mai vista dannazio’. Amore l’ar’ fra le sue dita pre’ sfilò una fre’ dalla faretra lu’ mirò al cuo’ e lasciò andare un ti’ che l’anima raggiuns’ e il core vins’. Così abbattu’ sono costretto a cre’ ogni menzo’ di questa fredda pu’ che dolcement’ mi soddisfa e fe’. Oh di Cupi’ l’antica forza e du’ quanto nel vi’ d’una servetta puo’ e più se la sciacqui’ si mostra cru’!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
JORNADA TERCERA Entra don Antonio. DON ANTONIO
En la sazón del erizado invierno, desnudo el árbol de su flor y fruto, cambia en un pardo desabrido luto las esmeraldas del vestido tierno. Mas, aunque vuela el tiempo casi eterno, vuelve a cobrar el general tributo, y al árbol seco, y de su humor enjuto, halla con muestras de verdor interno. Torna el pasado tiempo al mismo instante y punto que pasó: que no lo arrasa todo, pues templan su rigor los cielos. Pero no le sucede así al amante, que habrá de perecer si una vez pasa por él la infernal rabia de los celos.
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Entra don Francisco. DON FRANCISCO
DON ANTONIO
DON FRANCISCO
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Siempre han de herir los vientos, amigo, en cualquier sazón los ayes de tu pasión, los ecos de tus lamentos. Si acaso quiero entonar alguna voz de alegría, siento que la lengua mía se me pega al paladar. A mi angustia, a mi dolencia no dan alivio los cielos, que no le tienen los celos ni le consiente la ausencia. No hay extremo sin su medio, ni es eterna humana suerte; solo no tiene la muerte en la vida algún remedio.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entra don Antonio. DON ANTONIO
Nella stagione dell’irsuto inverno, l’albero spoglio dei fiori e dei frutti muta in un grigio e scolorito lutto gli smeraldi del tenero vestito. Ma pur volando il tempo quasi eterno, riscuote ancora il comune tributo e il tronco secco e del suo umore privo trova segnato da verzura interna. Torna il tempo passato in quell’istante in cui passò, ché tutto non distrugge, ma il suo rigore temperano i cieli. Però così non capita all’amante, che morire dovrà, se mai l’investe la gelosia coi suoi soffi infernali. Entra don Francisco.
DON FRANCISCO
DON ANTONIO
DON FRANCISCO
Sempre han da ferire i venti, amico, in ogni stagione, gli ahimè della tua passione e gli echi dei tuoi lamenti. Appena voglio intonare qualche canto di allegria, sento che la lingua mia al palato mi si attacca. Al dolore mio, all’angoscia non danno sollievo i cieli, né lo dà la gelosia, né l’assenza lo consente. Non c’è estremo senza mezzo, né l’umana sorte è eterna: solamente per la morte non c’è in vita alcun rimedio. 2189
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
DON ANTONIO DON FRANCISCO
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Naturaleza compuso la suerte de los mortales entre bienes y entre males, como nos lo muestra el uso. Esta verdad sé bien yo, sin que en probarla porfíe: ayer lloraba el que hoy ríe, y hoy llora el que ayer rió. ¡Oh, qué filósofo vienes, don Francisco! Yo confieso que lo soy por el progreso de tus males y tus bienes. Dame los brazos y albricias. Los brazos veslos aquí, y las albricias de mí llevarás, si las codicias; pero yo no sé de qué me las pides. Yo las pido de que el Amor ha entendido los quilates de tu fe, y te la quiero premiar con entregarte a Marcela. Sé que es burla, y llevarela con tu gusto y mi pesar; pero no sé qué te mueve a hacer burla de un amigo tal como yo. Verdad digo, y escucha, que seré breve. Su padre de Marcela... ¡Oh nombres cordialísimos de Marcela y su padre! Escucha, no seas tonto. Escucho y soylo.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
DON ANTONIO DON FRANCISCO
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DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
La natura mise insieme il destino dei mortali fra le cose belle e i mali come mostra l’esperienza. Questa verità so bene, senza che insista a provarla: chi ieri piangeva oggi ride; chi oggi piange ieri rideva. Che filosofo che sei, don Francisco! Sì, confesso che lo son per il progresso dei tuoi mali e dei tuoi beni. Dammi le braccia e un regalo! Le mie braccia eccole qui; e ricompensa da me otterrai, se proprio vuoi, ma non so per quale cosa me la chiedi. Te la chiedo per avere Amor capito di che tempra è la tua fede, e così voglio premiartela consegnandoti Marcela. Se è uno scherzo lo sopporto per dar gioia a te e a me pena; ma non so cosa ti muove a burlarti di un amico come me. Dico sul serio ed ascolta: sarò breve. Il padre che ha Marcela… Oh, che cari sono i nomi di Marcela e di suo padre! Ascolta, sciocco. Ascolto e sono sciocco.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO DON FRANCISCO
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Esta mañana, estando en misa de San Jerónimo, al salir de la iglesia me tomó por la mano. ¡Oh dulce toque! ¿Qué toque dulce puede dar la mano de un viejo? Traslúceseme, amigo, que así estáis vos en vos como en el cuento. ¿Luego no fue Marcela la que os tocó la mano? Que no, sino su padre. No entendí bien. Seguid, que estoy [suspenso. Las pacíficas plantas de las olivas verdes fueron testigos ciertos destas palabras que deciros quiero. ¡Oh, santísimos orbes de todas las esferas, a quien inteligencias supernas rigen, mueven y gobiernan! Haced que estas razones en mi provecho sean; lleguen a mis oídos, siquiera esta vez sola, alegres nuevas. ¡Por vida juro! ¡Muérdome la lengua! ¡Voto a Chito, que estoy por!... ¡Lleve el diablo a cuantos alfeñiques hay amantes! ¡Que un hombre con sus barbas, y con su espada al lado, que puede alzar en peso un tercio de once arrobas de sardinas, llore, gima y se muestre más manso y más humilde
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO DON FRANCISCO
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Stamani mi trovavo a messa a San Gerolamo e uscendo dalla chiesa m’ha preso per la mano. Oh, dolce tocco! Che dolce tocco può dar la mano d’un vecchio? Mi sembra, amico mio, che voi stiate svariando! Dunque non fu Marcela chi vi toccò la mano? No, bensì il padre suo. Non v’intendo: suvvia, che sto aspettando! Le pacifiche piante che danno verdi olive furono testi certi delle parole che dirò fra poco. Oh santissimi globi d’ogni celeste sfera, che le alte intelligenze san muovere, guidare e governare! Fate che queste voci sian dette in mio favore! Mi giungano alle orecchie, per questa volta almeno, buone nuove! Giuro che mai... La lingua mi mordo. Stiamo zitti, ché quasi... Vadan tutti al diavolo gli amanti rammolliti! Che un uomo con la barba e con la spada al fianco, che può ben sollevare il peso di un quintale di sardine pianga, gema e si mostri più mite e sottomesso
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
DON ANTONIO
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que un santo capuchino al desdén que le da su carilinda!... Paréntesis es este que se lleva colgada de cada razón suya mi alma aquí y allí. Pues otro queda. Pidiole a una fregona un amante alcorzado le diese de su ama un palillo de dientes, y ofreciole por él cuatro doblones; y la muchacha boba trájole de su amo, que era viejo, y sin muelas, el palillo. Él dio lo prometido, y, engastándole en oro, se lo colgó del cuello, cual si fuera reliquia de algún santo. Gemía ante él de hinojos, y al palo seco y suyo plegarias enviaba que en su empresa dudosa le ayudase. ¿Y el otro presumido, que va a las embusteras del cedacillo y habas, y da crédito firme a disparates? ¡Cuerpo del mundo todo! Descubra el hombre siempre tal valor y tal brío, que le muestren varón a todo trance. No se ande con esferas, con globos y con máquinas de inteligencias puras; atienda, espere, escuche, advierta, y mire,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
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di un santo cappuccino allorché la sua bella lo rifiuta! Hai aperto una parentesi che ai suoi discorsi appesa trasporta in qua e in là l’anima mia. Un’altra ora ne apro. A una servetta chiese un amante mieloso della signora sua uno stuzzicadenti e le offrì in cambio di darle quattro doppie, e la ragazza sciocca questo stuzzicadenti prese al padrone vecchio e senza denti. Lui le pagò il dovuto, e incastonato in oro al collo se lo appese come d’un santo la reliquia fosse. Inginocchiato innanzi a quel suo duro stecco gemeva e lo implorava che l’aiutasse nell’incerta impresa. E quel presuntuoso che va dalle imbroglione col setaccio e le fave e crede fermamente a cavolate? Accidentaccio al mondo! Palesi sempre l’uomo coraggio sufficiente per apparire uomo ad ogni istante! Lasci stare le sfere, i globi e i marchingegni da intelligenze somme; che aspetti, ascolti, badi e che stia attento
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
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o lo que en daño suyo o en su pro sus amigos quisieren descubrirle. Atiendo, espero, escucho, advierto y miro. Digo, pues, que don Pedro, el padre de Marcela, me dijo estas palabras... ¿Es mucho que te diga que apresures la comenzada plática, de cuyo fin depende o mi vida o mi muerte? Díjome, en fin... ¡Primero vendrá el mío! ¡Colérico, enfadoso está! ¡Cuerpo del mundo! Acaba, don Francisco, que está pendiente el alma de tu boca. Dijo que yo sea parte, como que él nada entiende, que a Marcela su hija se la demandes por mujer. ¿Qué escucho? ¿Búrlaste, amigo, o quieres con falsas esperanzas entretener las mías? No burlo, juro a Dios; verdad te digo. Dame esos pies. Levanta. Y pídeme en albricias el alma, y te la diera, si ya a Marcela dado no la hubiera. Mas dime, dulce amigo: ¿tocaste, por ventura, el cuerpo de don Pedro? ¿Viste si era fantasma o no?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
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a ciò che a danno suo o a suo favor gli amici volessero mostrargli. Sto attento, aspetto, ascolto, bado e guardo. Ti dico che don Pedro, il padre di Marcela, mi ha detto queste cose... È troppo se ti dico di affrettarti a chiudere il discorso alla cui fine è appesa la mia vita o la morte? Disse alla fine... Vien prima la mia! Uffa, guardate come s’arrabbia! Accidentaccio! Finisci, don Francisco, ché pende il cuore mio dalle tue labbra. Mi disse di adoprarmi, visto che lui è inesperto, perché tu chieda in sposa la sua figlia Marcela. Cosa sento? Scherzate amico, oppure con le speranze false le mie alimentate? Non scherzo, vivaddio, ché dico il vero. Dammi quei piedi. Alzati! E chiedimi in regalo il cuore, e lo darei se già a Marcela non l’avessi dato. Ma dimmi, dolce amico, per caso hai tu toccato il corpo di don Pedro? Se era un fantasma hai visto?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DON FRANCISCO DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
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Perdido estás desa cabeza. ¿Que era don Pedro Osorio, el padre de Marcela? 1980 El mismo. ¡El mismo! El mismo. ¿Qué es aquesto? A tanta desventura está el corazón hecho, que no puede dar crédito a las dichosas nuevas que le intimas; 1985 pero habrá de creerte, en fe que tú las dices: que el buen amigo vemos que es pedazo del alma de su amigo. Busca a don Pedro Osorio, 1990 y pídele a su hija por legítima esposa. ¿Dónde la tiene? En Santa Cruz la tiene; un monasterio santo que está puesto muy cerca 1995 de Torrejón y Cubas, orden del rico capitán de pobres. ¿Qué le movió a llevarla a tanto encerramiento? No me metí en dibujos, 2000 no le pregunté nada; solo estuve atento a su demanda, y, con la ligereza posible, vine a darte la dulce que has oído alegre nueva. 2005 Entran Marcela y Cristina.
MARCELA
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Llega, Cristina, y dile lo que quieres.
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO DON FRANCISCO DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO
Ormai perduta è quella tua testaccia! Proprio don Pedro Osorio, il padre di Marcela? Lui in persona. Lui? Lui. Ti stupisci? A tanta malasorte il cuore è abituato che credere non sa alle belle notizie che gli rechi; ma crederti dovrà, se sei tu che le dici, ché fra due amici sempre l’uno è un pezzo dell’anima dell’altro. Cerca don Pedro Osorio e chiedigli sua figlia per legittima sposa. Dove la tiene? A Santa Cruz la tiene, un monastero santo fra Torrejón e Cubas, in cui professa l’ordine del ricco capitan dei miserelli. Cosa lo indusse mai a rinserrarla tanto? Non volli approfondire né a lui domandai niente; solo attento stetti a quel che chiedeva, e con la maggior fretta che potei venni a darti la dolce appena udita allegra nuova. Entrano Marcela e Cristina.
MARCELA
Vieni, Cristina, e chiedigli cos’è che vuoi. 2199
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CRISTINA
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[DON ANTONIO]
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Ocúpame el rostro la vergüenza, y enmudece la lengua. ¡Qué melindres! Tomarte has con un toro y con un hombre armado, ¿y de mi hermano tiemblas? Pues, hermana, ¿queréis alguna cosa? ¿Mandáis que os sirva en algo? Pedid a vuestro gusto, que estoy en ocasión de hacer mercedes. En nombre de Cristina, os pido deis licencia para que aquesta noche os hagan una fiesta los de casa: Muñoz y Dorotea, Torrente con Ocaña. Y nuestro buen vecino el barbero también, y la barbera, que canta por el cielo y baila por la tierra, con otro oficial suyo, nos tiene que ayudar; dígalo todo. Dígolo todo, y digo, hermano, que yo gusto que esta fiesta se haga. Digo que soy contento, y doy licencia para que el Cielo rompa en diferentes lenguas y en fiestas diferentes las cataratas de placer, y salga a plaza mi contento. Y aun, a ser necesario, haré yo mi figura. Y aun yo, que soy valiente recitante.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CRISTINA
MARCELA
DON ANTONIO
MARCELA
CRISTINA
MARCELA
DON ANTONIO
DON FRANCISCO DON ANTONIO
M’assale il volto la vergogna e la lingua s’arresta. Quante storie! Affronteresti un toro oppure un uomo armato e mio fratello temi? Via, sorella, volete qualche cosa? In che posso servirvi? Chiedete a piacer vostro, ché sono in vena di fare piaceri. A nome di Cristina chiedo diate licenza affinché questa notte facciano festa quelli della casa: Muñoz e Dorotea, Torrente con Ocaña. E il nostro buon vicino, anche il barbiere insieme alla barbiera, il cui canto è divino, la cui danza è terrestre, con un garzone suo verranno ad aiutarci; dica tutto. Gli dico tutto e dico, fratello, che mi piace che faccian questa festa. Dico che son contento e dò licenza affinché il cielo rompa in differenti lingue e in feste differenti le cataratte del piacere ed esca in piazza la mia gioia. E anch’io, se necessario, farò la mia comparsa. E anch’io che sono un bravo commediante.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CRISTINA
DON ANTONIO
CRISTINA DON ANTONIO DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
Mil años, señor, vivas; mil regocijos buenos el corazón te ocupen. Hacerme tengo rajas esta noche. El término decente de honestidad se guarde, Cristina. ¡Bueno es eso! Bailaremos a fuer de palaciegos. Vamos, amigo. Vamos, aunque don Pedro agora no está en Madrid. ¿Pues dónde? A Santa Cruz es ido, y volverá mañana. Vamos a dar al Cielo gracias porque ha mirado mi buen celo.
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Éntranse don Francisco y don Antonio. MARCELA
CRISTINA
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Mira, Cristina, que sea el baile y el entremés discreto, alegre y cortés, sin que haya en él cosa fea. Hale compuesto Torrente y Muñoz, y es la maraña casi la mitad de Ocaña, que es un poeta valiente. El baile te sé decir que llegará a lo posible en ser dulce y apacible, pues tiene que ver y oír: que ha de ser baile cantado, al modo y uso moderno; tiene de lo grave y tierno, de lo melifluo y flautado.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CRISTINA
DON ANTONIO
CRISTINA DON ANTONIO DON FRANCISCO
DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
Che tu viva mill’anni, signore, mille gioie possa avere nel cuore. Questa notte mi voglio scatenare. Il limite decente dell’onestà si serbi, Cristina! Senti questa! Dovrem ballare come fanno a corte! Andiamo, amico. Andiamo; pur se don Pedro adesso non è a Madrid. E dove? È andato a Santa Cruz e tornerà domani. Andiamo a dare al cielo grazie, ché ha soddisfatto il mio buon zelo! Escono don Francisco e don Antonio.
MARCELA
CRISTINA
Cristina, guarda che siano il ballo e l’intermezzo garbati, allegri, cortesi, senza niente che sia indegno. A comporli sono stati Muñoz, Torrente e Ocaña, che è un poeta di valore: metà trama ha architettato. Del ballo solo dirò che sarà fatto il possibile perché sia dolce e gradevole, per chi vede e per chi sente; ché sarà ballo cantato al modo e uso moderno, e ha del tenero e del grave, è mellifluo e flautato. 2203
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
MARCELA CRISTINA MARCELA CRISTINA
MARCELA CRISTINA
Es lacayuno y pajil el entremés, y me admira de verle una tira mira que tiene de fregonil. La fiesta será extremada. Basta que agradable sea. ¿Sabe el dicho Dorotea? Ninguno no ignora nada de lo que a su parte toca. Dame, señora, lugar, que nos hemos de ensayar. Vamos. De gusto voy loca.
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Éntranse. Salen Torrente y Ocaña, cada uno con un garrote debajo del brazo. TORRENTE OCAÑA
TORRENTE
2204
Señor Ocaña, a esta parte, que está más llano el camino. Por esta vez, peregrino traidor, no pienso de honrarte con darte el lado derecho, porque he de tomar el tuyo. Desas ceremonias huyo, lánguidas y sin provecho; adondequiera voy bien, al diestro o siniestro lado, y no quiero, acomodado, que otros lugares nos den del que me cupiese acaso, y sé yo, señor Torrente, que tiene de lo imprudente hacer destas cosas caso. ¿Es daga aqueste garrote, señor Ocaña?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
MARCELA CRISTINA MARCELA CRISTINA
MARCELA CRISTINA
L’intermezzo ha del lacchesco, del paggesco, e con sorpresa vedo che ha una filastrocca di sapore sguattereccio. Sarà una festa assai bella. L’importante è poi che piaccia. Sa che dire Dorotea? Qui nessuno ignora nulla della parte che gli tocca. Dammi il permesso, signora, ché ora dobbiamo provare. Via. Di gioia sono pazza. Escono ed entrano Torrente e Ocaña, ambedue con un bastone sotto il braccio.
TORRENTE OCAÑA
TORRENTE
Signor Ocaña, di qua, ché è più sicuro il cammino. Per stavolta, pellegrino traditore, non ti onoro cedendoti il fianco destro per dover prendere il tuo. Fuggo queste cerimonie languide e senza profitto. Io sto bene dappertutto che sia destra o sia sinistra, né voglio esser sistemato o che ci diano altri posti di quelli che assegna il caso e so bene, sor Torrente, a che punto sia imprudente fare a queste cose caso. È una daga quel bastone sor Ocaña?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA OCAÑA
TORRENTE
OCAÑA TORRENTE OCAÑA
TORRENTE
OCAÑA
TORRENTE OCAÑA
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Es un palo que por martas lo señalo para ablandar un cogote. ¿Y es puñal aquese vuestro? Es una penca verduga que las espaldas arruga del maldiciente más diestro. ¿Luego vais a castigar algún maldiciente? Sí. Pues no pasemos de aquí, que yo también he de dar doce palos a un bellaco, socarrón, traidor, y miente. Si lo dices por Torrente, daré destierro a este saco, y haré en calzas y en jubón, ya con el palo o sin él, que confieses ser tú aquel desmentido y socarrón. Tente, Torrente; ¿estás loco? Ten tus cóleras a raya, si quieres que yo me vaya en las mías poco a poco, ¿Han de fenecer aquí, por gustos de mozas viles, dos Héctores, dos Aquiles? Mueran. ¿Qué se me da a mí? ¡Vive Dios!, que Cristinilla me mandó te apalease; a lo menos, te reglase la una y otra mejilla con una navaja aguda: que es, si en ello mirar quieres, entre las crudas mujeres la más insolente y cruda.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO OCAÑA
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È un randello che consiglio come martora per blandire una collottola. E non è un pugnale quello? Questa è una frusta boiesca che le spalle liscerà del più destro maldicente. State dunque per punire qualche maldicente? Sì. Finiamola pure qui, perché anch’io devo elargire dieci botte a un mascalzone, furbo, falso e traditore. Se lo dici per Torrente darò addio a questo mio saio ed in giubba e calzamaglia col randello, oppure senza, ti farò ben confessare che sei tu quel bugiardone. Fermo, Torrente, sei pazzo? Tieni a bada la tua rabbia, se ci tieni a che la mia a poco a poco mi sbolla. Devono finir così, per dar gusto a serve vili, due Ettori, due Achilli? All’inferno! Che m’importa? Vivaddio, che Cristinuccia m’ordinò di bastonarti o che almeno t’aggiustassi una gota pari all’altra con un coltello affilato; ché, se ci rifletti bene, è fra le donne crudeli la più crudele e insolente.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
TORRENTE OCAÑA TORRENTE
OCAÑA TORRENTE
Lo mismo a mí me mandó que a ti. Sin duda, ansí es. ¿Y saldrá con su interés? Amigo Ocaña, eso no. Vivamos para beber, pues para beber vivimos, y estos dijes y estos mimos con otros se han de entender de más tiernas intenciones y de más sufribles lomos; no con nosotros, que somos malos sobre socarrones. Disimula; vesla allí donde viene, disimula. Esta es la más mala mula que en mi vida rasqué o vi. Contemporicémosla. Quizá mudará el rigor: que su mudanza en mejor se ha de poner en quizá.
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Entra Cristina. CRISTINA
TORRENTE CRISTINA TORRENTE CRISTINA TORRENTE
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Apostaré que están hechos pedazos mis dos amantes, que revientan de arrogantes y de coléricos pechos. Pero allí están sosegados más que en misa. ¿Cómo es esto? Aún no se habrán descompuesto, que son rufos recatados. Señora Cristina mía... ¿Tuya? ¡Bueno! Pues qué, ¿no? ¿Quién a ti Cristina dio? El dinero y la porfía.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
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OCAÑA TORRENTE
Mi ordinò la stessa cosa che a te. Sì, proprio così. E otterrà qualcosa infine? Questo no, amico Ocaña. Dobbiam vivere per bere, ché per bere noi viviamo e queste smorfie e moine le faccian con qualcun altro di più tenere intenzioni e con spalle più capienti, non con noi che siamo furbi, oltre che un po’ cattivelli. Eccola laggiù che viene: zitto, fai finta di nulla. Questa è la peggiore mula che abbia mai visto o strigliato. Cerchiamo di assecondarla. Forse muterà il rigore, ché il suo mutamento in meglio si dovrà mettere in forse. Entra Cristina.
CRISTINA
TORRENTE CRISTINA TORRENTE CRISTINA TORRENTE
Ci scommetto che a pezzetti sono i miei due spasimanti, tanto scoppian d’arroganza e hanno collerici petti. Ma eccoli laggiù tranquilli più che a messa. Come mai? Non si saran presi ancora, ché son ruffiani guardinghi. O mia signora Cristina... Tua? Ma guarda! E perché no? Chi mai te la consegnò? Il denaro e la costanza. 2209
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CRISTINA TORRENTE
CRISTINA OCAÑA
CRISTINA
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¿Qué dinero? Aquel que pienso darte en llegando la flota, si no es que, de puro rota, da al mar el usado censo. ¿Tú no me das algo, Ocaña? Cristina, ¿yo no te he dado, como poeta rodado, del entremés la maraña? ¿Hay día que no te cebe con dos cuartos y aun con tres? Si es que sale el entremés tal que mi señor le apruebe, yo me daré por pagada y satisfecha, que es más. Cristina, ¿no nos dirás, si es que el caso no te enfada, a cuál de los dos más quieres? Es injusta petición, y aquesa declaración no la han de hacer las mujeres como yo; mas, si gustáis que por señas os lo diga, haré lo que a más me obliga el amor que me mostráis. Muestra, si traes, un pañuelo, Ocaña. Sí, traigo, y roto, y te lo ofrezco devoto con sano y humilde celo. Toma este mío, Torrente, y con esto he declarado lo que me habéis preguntado, honesta y discretamente.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CRISTINA TORRENTE
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Che denaro? Quello che ti darò giunta la flotta, quando al mare, già distrutta, non dia il solito tributo. Tu non mi dai niente, Ocaña? Cristina, non ti ho già dato, da poeta navigato, la trama dell’intermezzo? C’è giorno che non t’ingrassi con due quartini o con tre? Se riuscirà l’intermezzo come vuole il mio signore, mi considero appagata e soddisfatta, che è più. Vorresti dirci, Cristina, se la cosa non ti secca, chi di noi due preferisci? È un’improvvida domanda, e questa dichiarazione non tocca farla alle donne come me; ma se volete che con gesti ve lo dica, farò ciò che più pretende l’amore che mi mostrate. Dammi, Ocaña, una pezzuola, se ce l’hai. Ce l’ho, e bucata, e te la offro devoto, con sano e umile zelo. Prendi questa mia, Torrente: e con ciò io ho dichiarato quello che m’avete chiesto, da donna saggia ed onesta.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
Y adiós; y venid, que es hora de ensayar el entremés.
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Éntrase Cristina. TORRENTE
OCAÑA
TORRENTE
OCAÑA
Si no te aclaras después, más confuso estoy agora que antes de hacer la pregunta. Pues yo me aplico la palma, que en mi provecho mi alma estas razones apunta: a ti dio, sin darle nada, y, sin darme a mí, tomó; con el darte, te pagó; llevando, queda obligada al pago que recibió. A quien toman lo que tiene, dan muestra que se aborrece, y en el dar, claro parece que más amor se contiene, pues con las dádivas crece. La verdad desta cuestión quede a la mosquetería, que tal hay que en él se cría el ingenio de un Platón. Estos capipardos son poetas casi los más, y tal vez alguno oirás que a socapa dice cosas que parece, de curiosas, que las dicta Barrabás.
Éntranse Torrente y Ocaña. Salen don Antonio, don Francisco, Cardenio y Marcela, y Muñoz. DON ANTONIO
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Quiera Dios que la fiesta corresponda al buen deseo de los recitantes.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
E addio, su, ch’è giunta l’ora di provare l’intermezzo. Esce Cristina. TORRENTE
OCAÑA
TORRENTE
OCAÑA
Sono più confuso ora, se dopo non mi chiarisci, che prima della domanda. Io mi aggiudico la palma, ché a vantaggio mio il mio cuore queste ragioni registra: senza che dessi, ti dette, da me prese senza darmi; dandoti, ti ha ripagato, prendendo, resta obbligata a pagare quanto ha preso. Se si prende da chi ha si dimostra che si odia; e nel dare, mi par chiaro che più amore è contenuto, perché con i doni cresce. A risolvere il dilemma siano quelli del loggione, ché lì dentro c’è qualcuno più ferrato di Platone. Questi popolani sono quasi tutti dei poeti, ché a volte, senza parere, senti da qualcuno cose così curiose che sembra le abbia un birbante dettate.
Escono Torrente e Ocaña. Entrano don Antonio, don Francisco, Cardenio, Marcela e Muñoz. DON ANTONIO
Voglia Iddio che la festa corrisponda al desiderio dei rappresentanti. 2213
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA MUÑOZ
Será maravillosa, porque danza nuestro vecino el barberito, ¡y cómo!
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Asómase a la puerta del teatro Cristina, y dice: CRISTINA MARCELA CRISTINA
Pónganse todos bien, que ya salimos. ¿Han venido los músicos? Ya tiemplan. Éntrase Cristina. Salen Ocaña y Torrente, como lacayos embozados.
TORRENTE OCAÑA
CARDENIO MUÑOZ
TORRENTE OCAÑA
TORRENTE OCAÑA
Paréceme que vas algo dañado, Ocaña. Cuando voy desta manera, va el juïcio en su punto. Tú no sabes cómo el calor vinático despierta los espíritus muertos y dormidos. De suerte voy, que pelearé con ciento sin volver el pie atrás una semínima No es muy mala la entrada. ¿Cómo mala? Digo que es la mejor cosa del mundo. Yo soy su medio autor. Ocaña, ¿es este el zaguán de la fiesta? No diviso: que tengo las lumbreras algo turbias. Adonde oyeres música, repara. Escucha, que aquí salen ya Cristina y Dorotea. Cáigome de sueño.
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Salen Dorotea y Cristina como fregonas. DOROTEA
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Aquesta tarde, Cristina amiga, pienso bailar hasta molerme el alma.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
Sarà meravigliosa perché danza il nostro barbierino, e come danza!
MUÑOZ
Si affaccia alla porta del teatro Cristina e dice: Preparatevi tutti, ché ora andiamo. I musicisti? Stanno già accordando.
CRISTINA MARCELA CRISTINA
Esce Cristina ed entrano Ocaña e Torrente, come lacchè avvolti dal mantello. TORRENTE OCAÑA
CARDENIO MUÑOZ
TORRENTE OCAÑA
TORRENTE OCAÑA
Mi sembra che tu sia un poco malmesso, Ocaña. Quando sono in questo stato la ragione è perfetta. Non t’immagini come il calore del vino risvegli spiriti che son morti e addormentati. Son tale che combatterei con cento nemici, senza indietreggiare un ette. Non è male l’inizio. Come male? Dico che è la miglior cosa del mondo: son suo autore a metà. Ocaña, è questo l’androne della festa? Non lo vedo, ché le mie luci sono un po’ appannate. Dove senti la musica tu fermati. Ascolta, ché qui stanno già arrivando Cristina e Dorotea. Casco dal sonno. Entrano Cristina e Dorotea, vestite da sguattere.
DOROTEA
Io voglio, questa sera, Cristinuccia, ballare fino a che casco per terra. 2215
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CRISTINA DOROTEA CRISTINA
DOROTEA CRISTINA
DOROTEA
CRISTINA DOROTEA
CRISTINA DOROTEA CRISTINA
DOROTEA
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Y yo hasta reventar he de brincarme. ¡Cómo tarda Aguedilla, la del sastre! ¿Díjote que vendría? Y Julianilla, la del entallador, con Sabinica, que sirve a la beata en Cantarranas. Todas son bailadoras de lo fino. En fregando, vendrán. Como nosotras, que lo dejamos todo hecho de perlas. De la cena no curo: que mi amo dos huevos frescos sorbe, y a Dios gracias. El mío nunca cena, que es asmático, y con dos bocadillos de conserva que toma, se santigua y se va al lecho. Y tu ama, ¿que hace? ¿No se acuesta? No toméis menos; puesta de rodillas dentro de un oratorio, papa santos dos horas más allá de los maitines. También es mi señora una bendita, y, por nuestra desgracia, ellas son santas. ¿Pues no es mejor, amiga, que lo sean? No, ni con cien mil leguas. Si ellas fueran resbaladoras de carcaño, acaso tropezaran aquí, y allí rodaran, y, sabiendo nosotras sus melindres, tuviéramos la nuestra sobre el hito: ellas fueran las mozas, y nosotras fuéramos las patronas a baqueta, como dice il toscano. Verdad dices; que el ama de quien sabe su criada tiernas fragilidades, no se atreve, ni aun es bien que se atreva, a darle voces, ni a reñir sus descuidos, temerosa que no salgan a plaza sus holguras.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CRISTINA DOROTEA CRISTINA
DOROTEA CRISTINA
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CRISTINA DOROTEA
CRISTINA DOROTEA CRISTINA
DOROTEA
E io fino a scoppiare dimenarmi. Non c’è Agatina, che serve dal sarto? T’ha detto che veniva? Con Giulietta, quella del falegname e Sabinuccia, che serve la bigotta a Cantarranas. Son tutte ballerine sopraffine: puliranno e verranno. Come noi che lasciamo la casa uno splendore. Alla cena non penso, ché il padrone beve due uova fresche, grazie a Dio. Il mio non cena mai perché ci ha l’asma, e con due cucchiaiate di conserva fa il segno della croce e poi via a letto! E la padrona tua non lo accompagna? Non è da meno: china, ginocchioni, nell’oratorio biascica preghiere per ben due ore dopo i mattutini. Anche la mia signora è una devota, e, per nostra disgrazia, esse son sante. Ma non è meglio, amica, che lo siano? No, nemmeno per sogno. Se esse fossero di quelle che son leste a scivolare, inciampa qua, ruzzola là, magari conosceremmo i loro peccatucci e avremmo fatto tombola, ché loro sarebbero le serve e noi, padrone, a bacchetta potremmo comandarle come dice il toscano. Dici il vero, ché la padrona di cui sa la serva fragili debolezze non s’azzarda e non si azzarderebbe mai a sgridarla, né a correggerne errori, timorosa che i suoi svaghi vengano messi in piazza.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CRISTINA
DOROTEA CRISTINA DOROTEA
MUÑOZ OCAÑA
¿Has visto qué calzado trae Lorenza, la que sirve al letrado boquituerto? ¿Quién se lo dio, si sabes? Un su primo donado, que es un santo. ¡Ay Dorotea, cómo los canonizas! Oye, hermana, que los músicos suenan, y el barbero, gran bailarín, es este que aquí sale. ¡Vive el Cielo!, que es cosa de los Cielos el entremés. Aquel viejo me enfada; que le he de dar, pondré, una bofetada.
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Entran los Músicos y el Barbero, danzando al son deste romance: [MÚSICOS]
OCAÑA
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De los danzantes la prima es este barbero nuestro, en el compás acertado y en las mudanzas ligero. Puede danzar ante el rey, y aqueso será lo menos, pues alas lleva en los pies y azogue dentro del cuerpo. Anda, aguija, salta y corre aquí y allí como un trueno; adóranle las fregonas, respétanle los mancebos. Óiganme, pido atención; no gusto destos paseos, deste dar coces al aire y puntapiés a los vientos. Toquen unas seguidillas, y entendámonos; y advierto que se juegue limpiamente, y sepan que no me duermo.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CRISTINA
DOROTEA CRISTINA DOROTEA
MUÑOZ OCAÑA
Hai visto gli scarpini di Lorenza, la serva del dottore boccastorta? Lo sai chi glieli ha dati? Un suo cugino, diacono, che è un sant’uomo. Ah Dorotea, come li canonizzi! Senti, senti: i musicanti suonano e il barbiere, il ballerino, è quello che ora entra. Il cielo sia lodato, che è celeste l’intermezzo! Mi fa venire i nervi quel vecchio: ora gli allungo una manata!
Entrano i musicisti e il barbiere che danza al suono della romanza che segue. MUSICISTI
OCAÑA
Il fior fior dei ballerini è questo nostro barbiere, sempre a tempo con il ritmo e nei volteggi leggero. Può danzare innanzi al re, e questo sarebbe il meno, perché ha le ali ai piedi e addosso l’argento vivo. Corre, saltella e s’affretta qua e là come fa il tuono, l’adorano le servette, i garzoni lo rispettano. Statemi bene a sentire: non mi va questo passeggio, questo dar calci per aria e pedate ai quattro venti. Si suoni una seghidiglia, e sia ben chiaro, v’avverto: che s’ha da giocar pulito e non pensino che dormo. 2219
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA MUÑOZ BARBERO CRISTINA MÚSICOS
TORRENTE
MÚSICOS
OCAÑA
BARBERO
OCAÑA MÚSICOS
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¿Hay tal Ocaña en el mundo? ¿Hay tal lacayo en el Cielo? Alto, pues; vayan seguidas. Sí amigo, porque bailemos. Madre, la mi madre, guardas me ponéis; que si yo no me guardo, mal me guardaréis. Esto sí, ¡cuerpo del mundo!, que tiene de lo moderno, de lo dulce, de lo lindo, de lo agradable y lo tierno. «Dicen que está escrito, y con gran razón, que es la privación causa de apetito. Crece en infinito encerrado amor; por eso es mejor que no me encerréis: que si yo no me guardo...» Ya les he dicho que bailen a lo templado y honesto: que no gusto que se beban de las niñas el aliento. ¡Por vida del so lacayo, que nos deje, que aquí haremos lo que más nos diere gusto! Bailen; después nos veremos. «Es de tal manera la fuerza amorosa, que a la más hermosa vuelve en quimera. El pecho de cera, de fuego la gana, las manos de lana,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO MUÑOZ BARBIERE CRISTINA MUSICISTI
TORRENTE
MUSICISTI
OCAÑA
BARBIERE
OCAÑA MUSICISTI
C’è un migliore Ocaña in terra? C’è un lacchè simile in cielo? Fermi, dunque e via alle strofe. Sì, amico: così balliamo. Madre, madre mia, le guardie chiamate, ché s’io non mi guardo mal mi guarderete. Questo sì, corpo di Bacco, che ha qualcosa di moderno, di piacevole e grazioso, di romantico e struggente. «Si dice sia scritto, ed a buon ragione che è la privazione causa d’appetito. Cresce all’infinito l’amore rinchiuso, per cui sarà meglio che non mi chiudiate, ché s’io non mi guardo...» Ho già avvertito che ballino con compostezza e decenza; non mi piace che annusiate l’alito delle ragazze. Che la possino ammazzare sor lacchè! Ci lasci fare ciò che più ci dà piacere! Ballino e poi la vedremo. «È di tal maniera la forza amorosa che la più graziosa trasforma in chimera. Il petto di cera, di fuoco la voglia, le mani di lana,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
TORRENTE
MÚSICOS OCAÑA
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TORRENTE
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de fieltro los pies: que si yo no me guardo...» Tampoco a mí me contentan estas vueltas ni floreos: que se requiebran bailando, pues son requiebros los quiebros. Señores lacayos, vayan y monden la haza, y déjennos. Musiquillo de mohatra, canta y calla, que queremos estar aquí, a tu pesar. Está bien dicho; cantemos. «Que tiene costumbre de ser amorosa, como mariposa se va tras la lumbre, aunque muchedumbre de guardas le pongan, y aunque más propongan de hacer lo que hacéis: que si yo no me guardo...» Varilla de volver tripas, no hagas tantos meneos; lagartija almidonada, baila a lo grave y compuesto. Bodegón con pies, camine, que aquí no le conocemos; calle o pase, porque olisca a lacayo y a gallego. Estas sí que son matracas, que tienen del caballero, de lo ilustre y de lo lindo, de lo propio y lo risueño. Bailar quiero con Cristina. No con mi consentimiento. ¿No se acuerda el sor Ocaña que a mí me dio su pañuelo,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
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MUSICISTI OCAÑA
MUSICISTI
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i piedi di feltro: ché s’io non mi guardo...» Neanche a me piacciono troppo queste mosse e giravolte, ché amoreggiano ballando, ogni inchino un complimento. Signori lacchè, se ne vadano, e si levino di torno! Musicante da strapazzo, canta e zitto, che vogliamo, tuo malgrado, stare qui. Ben detto: dunque cantiamo. «Perché ha come usanza di far l’amorosa, come una farfalla insegue la luce, pure se una folla di guardie la scorta che più si proponga di far quel che fate: ché s’io non mi guardo...» Mestolone voltatrippe, non ti dimenare tanto lucertola inamidata, balla seria e sta’ composta. Osteria ambulante, via, ché qui non la conosciamo, zitto o sparisca, ché puzza di lacchè e di galiziano. Questi sì son complimenti degni d’un gran cavaliere, che san di maniere illustri, appropriate e convenienti! Voglio ballar con Cristina. Non col mio acconsentimento. Non ricorda, il sor Ocaña, che dette a me la pezzuola, 2223
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
OCAÑA
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TORRENTE
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BARBERO MARCELA BARBERO DOROTEA DON ANTONIO
BARBERO CARDENIO TORRENTE
CARDENIO
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y que, en fe de ser su cuyo, sobre ella dominio tengo, y que los rayos del sol no la han de tocar, si puedo? ¿Y no sabe el so Torrente que soy aquel que merezco bailar con un arzobispo, aunque sea el [de] Toledo? ¿No pasa el baile adelante? No, que ha de pasar primero de Ocaña la valentía, su venganza y su denuedo. ¡Ay, narices derribadas y tendidas por el suelo! Pero toma esta respuesta: de Tarpeya mira Nero. Diole. ¡Mal haya la farsa y el autor suyo primero! Pero yo no di esta traza ni escribí tal en mis versos. ¡Pasado de parte a parte está el pobre Ocaña! ¡Ay Cielos! Yo les tomaré la sangre, que para esto soy barbero. ¡Mi señora se desmaya! Yo tengo la culpa desto, pues que sabía que Ocaña es buzaque en todo tiempo. ¡Paños, estopas, aguijen, tráigame claras de huevos! ¡Huye, traidor enemigo; huye, traidor, que le has muerto! Mire si halla mis narices, porque sin ellas no pienso salir un paso de casa. ¡Sal, que le has muerto!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
OCAÑA
CARDENIO OCAÑA
TORRENTE
MUÑOZ
BARBIERE MARCELA BARBIERE DOROTEA DON ANTONIO
BARBIERE CARDENIO TORRENTE
CARDENIO
ed essendo io il suo bello, ho su lei giurisdizione, e neppure, se potessi, potrebbe toccarla il sole? E non sa, il signor Torrente, ch’io son colui che si merita di ballar con l’arcivescovo, anche fosse di Toledo? Non va avanti questo ballo? No, ché prima ha da passare di Ocaña l’indignazione, la sua vendetta, il suo ardire. Ah, il mio naso frantumato, sparpagliato giù per terra! Ma prendi questa risposta: da Tarpea guarda Nerone! Gliel’ha date. Maledetta sia la farsa e chi l’ha fatta! Però io questo non l’ho messo, né nei miei versi l’ho scritto. Passato da parte a parte è il povero Ocaña. Cielo! Io gli fermerò quel sangue, non per niente son barbiere. Ahi, che la signora sviene! Di tutto ciò mia è la colpa, perché sapevo che Ocaña a tutte le ore si sbronza. Panni, stoppa, presto, presto, mi ci voglion chiare d’uovo. Via, nemico traditore, scappa, ché l’hai fatto fuori! Guardi se trova il mio naso ché senz’esso non potrei fare un passo fuor di casa. Fuggi, l’hai ucciso! 2225
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA TORRENTE DOROTEA DON ANTONIO
DON FRANCISCO
CRISTINA
¡No quiero! ¡Ay, sin ventura señora! Las dos llevadla allá dentro. Miren quién llama a esa puerta. ¡Y la rompen! ¿Qué es aquesto? Yo pondré que es la justicia, que a los llantos lastimeros destas muchachas acude. Aqueso tengo yo bueno: que no lloraré una lágrima si viese a mi padre muerto; y más viéndome vengada destos dos amantes ciegos, importunos, maldicientes, socarrones, sacrílegos, pobres, sobre todo, y ruines: ¡mirad qué extremos extremos!
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Entran un Alguacil y un Corchete. ALGUACIL CORCHETE TORRENTE OCAÑA ALGUACIL MUÑOZ DOROTEA MUÑOZ DON ANTONIO DOROTEA CORCHETE ALGUACIL TORRENTE
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¿Qué guitarra es aquesta? Aquí hay sangre. ¿Qué es aquesto? Yo soy, que estoy sin narices. Y yo, que estoy casi muerto. No se me vaya ninguno; cierren esas puertas luego. De aquí habremos de ir... ¿Adónde? A la cárcel, por lo menos. ¿No la habéis echado el agua? Ya vuelve en sí. ¿Qué haremos? ¿Han de ir a la cárcel todos? El caso sabré primero. ¡Que tengo de ir a Turpia!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO TORRENTE DOROTEA DON ANTONIO
DON FRANCISCO
CRISTINA
Non voglio! Ahi, infelice signora! Voi due portatela dentro. Ma chi batte a quella porta? La fracassano! Chi è? Son gli sbirri, ci scommetto, che ai lamentevoli pianti di queste ragazze accorrono. Questo, almeno, ho io di bello: che non piangerei neanche vedessi mio padre morto, tanto meno se mi vedo vendicata di due amanti, importuni e maldicenti, sacrileghi, furbacchioni e soprattutto pezzenti. Insomma: il colmo dei colmi. Entrano uno Sbirro e una Guardia.
SBIRRO GUARDIA TORRENTE OCAÑA SBIRRO MUÑOZ DOROTEA MUÑOZ DON ANTONIO DOROTEA GUARDIA SBIRRO TORRENTE
Che ci fa questa chitarra? Qui c’è sangue. Di chi è? Mio, perché non ho più il naso. E mio, ché son mezzo morto. Da qui non esca nessuno, chiudete le porte subito. Da qui andremo... Dove andremo? Per lo meno in gattabuia. Non gli avete dato l’acqua? Sta tornando in sé. E allora? Li mettiamo tutti dentro? Prima appuro l’accaduto. Che debba andare a Tropea!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA OCAÑA
BARBERO OCAÑA
CORCHETE TORRENTE
CORCHETE TORRENTE MUÑOZ OCAÑA
DON ANTONIO OCAÑA DON ANTONIO
TORRENTE DON ANTONIO ALGUACIL OCAÑA CARDENIO DON FRANCISCO
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¡Que esté tan cerca mi entierro! ¡Mete la tienta, cuitado, con más blandura y más tiento! Más de dos palmos le cuela. Si yo cuatro azumbres cuelo, no es bien se mire conmigo en dos varas más o menos. Veamos estas narices. Paso, detente, reniego de tus pies y de tus patas: que las pisas, y tendremos que enderezarlas si acaso quedan chatas. Yo no veo en el suelo tus narices. Verdad, porque aquí las tengo. ¡Milagro, milagro, y grande! Tú, compasivo barbero, por lo hueco de una bota entraste la tienta a tiento. ¿Luego todo esto es fingido? Sí, señor. ¡Por Dios del Cielo!, que estoy por hacer que salga lo que es fingido por cierto. ¡Desnudar, donde hay mujeres, espadas! ¡Ah, señor bueno, qué mal sientes de sus bríos! Digo que sois majadero. ¿Luego todo aquesto es burla? Todo aquesto es burla luego, pero después serán veras. ¡Qué buen relente tenemos! El picón, por Dios bendito, que ha sido de los más buenos que he visto en toda mi vida.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO OCAÑA
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GUARDIA TORRENTE
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DON ANTONIO OCAÑA DON ANTONIO
TORRENTE DON ANTONIO SBIRRO OCAÑA CARDENIO DON FRANCISCO
Che debba morir sì presto! Povero me, metti dentro la sonda più lentamente! Più di due palmi gli scende. S’io mi scolo quattro litri non è giusto mi si scruti all’incirca per due metri. Dove sarà questo naso? Piano, fermo, non mi fido dei tuoi piedi e le tue zampe; lo stai pestando e dovremo raddrizzarlo se per caso l’hai schiacciato. Io non lo vedo qui per terra questo naso. Vero: infatti ce l’ho qui. Oh, grandissimo miracolo! E tu, barbiere pietoso, nel cavo d’una bisaccia hai sondato con la sonda. Dunque tutto era per finta? Sì, signore. Dio del cielo! Mi verrebbe da cambiare quanto era per finta in vero! Con le donne sguainare le spade! Ahi, buon signore, perdonate i loro scherzi! Siete proprio un imbroglione! Dunque tutto ciò è una burla? Tutto ciò è una burla, dunque, ma ben presto sarà vero. Che bel frescone che abbiamo! Lo scherzo, giuro su Dio, è stato dei più riusciti che abbia visto in vita mia. 2229
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DOROTEA CRISTINA MARCELA
DON ANTONIO MARCELA TORRENTE
¿Bailaremos más? Bailemos. No, porque aún no estoy en mí del sobresalto, y deseo reparase el accidente que me ha puesto en recio extremo. Entraos, hermana. Venid conmigo vosotras. Demos sobresaltado remate al principio de sosiego.
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Éntranse Cristina, Marcela y Dorotea. ALGUACIL
De que todo sea comedia, y no tragedia, me alegro, y así, a mi ronda, señores, con vuestra licencia, vuelvo.
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Éntranse el Alguacil y el Corchete. CARDENIO
MUÑOZ
OCAÑA
Ocaña y Torrente, digo que el asunto fue discreto del picón, y que se hizo con propiedad en extremo. El principio todo es mío, pero no lo fue el progreso; el perulero y Ocaña tienen el diablo en el cuerpo. Miren la herida por quien metió la tienta el barbero, que mientras es más profunda, más vida y bien me prometo. Enseña una bota de vino.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO DOROTEA CRISTINA MARCELA
DON ANTONIO MARCELA TORRENTE
Balliamo ancora? Balliamo. No, ch’io non mi son ripresa dal sussulto e ancor vorrei si smaltisse l’incidente che m’ha messo in queste angosce. Entrate, sorella. E voi venite con me. Sia data una chiusa sussultante a un esordio in tutta quiete. Escono Cristina, Marcela e Dorotea.
SBIRRO
Di che tutto sia commedia e non tragedia gioisco e alla mia ronda, signori, con vostra licenza torno. Escono lo Sbirro e la Guardia.
CARDENIO
MUÑOZ
OCAÑA
Ocaña e Torrente, dico che la storia dello scherzo fu pensata e messa in scena proprio come fosse vera. Il principio è tutto mio, ma il prosieguo non lo è stato; il peruviano ed Ocaña ne san una più del diavolo. Guardino in quale ferita mise la sonda il barbiere: quanto più profonda è più da essa attendo bene. Indica un otre di vino.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA TORRENTE
OCAÑA
Preguntar quiero otra vez, mis señores mosqueteros, quién ha de llevar la gala de los trocados pañuelos. Pensadlo para otra vez, que en este sitio saldremos con preguntas más agudas, con entremeses más buenos. Y advertid que soy Torrente, perulero por lo menos, y os daré selvas de plata y mil montes de oro llenos. Hermanos, yo soy Ocaña, lacayo, mas no gallego; sé brindar y sé gastar con amigos cuanto tengo.
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Éntranse todos. Entran don Silvestre de Almendárez, el verdadero, con una gran cadena de oro, o que le parezca, y Clavijo, su compañero. DON SILVESTRE
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Si no llega al retrato su hermosura, y della ha declinado alguna parte, podrá buscar en otra su ventura. Señor, lo que yo puedo aconsejarte es que procures que la vista sea la que desta verdad ha de informarte; y si tu prima acaso fuera fea, no faltarán excusas con que impidas el lazo que se teme y se desea: que a darle el matrimonio por dos vidas, las glorias que no diera la primera fueran en la segunda prevenidas. Un nudo solo dado a la ligera aprieta, est[r]echa y liga de tal suerte, que dura hasta la hora postrimera. No fue de Gordïano el lazo fuerte tan duro de romper como este ñudo,
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO TORRENTE
OCAÑA
Voglio domandarvi ancora, o signori del loggione, chi dovrà portare il vanto delle scambiate pezzuole. Rifletteteci ben bene, ché qui ancora torneremo con le domande più acute, con gli intermezzi migliori. Sappiate ch’io son Torrente e da bravo peruviano vi darò boschi d’argento e montagne piene d’oro. Io sono Ocaña, fratelli, lacchè, ma non galiziano, ché offro e spendo con gli amici tutto quello che posseggo.
Escono tutti. Entrano don Silvestre d’Almendárez, quello vero, con una grande catena d’oro, o qualcosa di simile, e Clavijo, suo accompagnatore. DON SILVESTRE
CLAVIJO
Se non è bella come nel ritratto e di lei è sfiorita qualche parte vada a cercare altrove la sua sorte. Signore, ciò che posso consigliarti è fare in modo che la vista sia la teste della verità che cerchi; ché in caso tua cugina fosse brutta, non mancheranno scuse ad impedire il laccio che si teme e che si spera. Si stringesse due volte il matrimonio, le glorie che non desse in questa vita predisposte sarebbero per l’altra; ma un solo nodo stretto alla leggera costringe, lega e preme in tal maniera che resta fermo fino all’ultima ora. Non fu il laccio gordiano tanto forte né inscindibile come questo nodo 2233
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
DON SILVESTRE
CLAVIJO DON SILVESTRE
CLAVIJO
que solo se desata con la muerte. Mancebo eres, pero muy sesudo, y así, de que has de hacer como discreto tan confiado estoy, que en nada dudo. De seguir tus consejos te prometo. Esta es buena coyuntura, porque imagino que es esta mi prima. Como es hoy fiesta, saldrá a misa. ¡Gran ventura! De mi primo esta es la casa. Ella es; no hay que dudar. Toda la puedes mirar, si es que descubierta pasa.
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Salen Marcela y Dorotea, con mantos, y detrás Quiñones, con una almohada de terciopelo, y Muñoz, que lleva a Marcela de la mano. MARCELA MUÑOZ MARCELA MUÑOZ
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Delantero cargó Ocaña, Muñoz, en el entremés. ¿No sabes, señora, que es el mayor cuero de España? Desenvainar las espadas, me dio pena. Aquellas monas nunca las sacan tizonas porque todas son coladas. Embebe como esponja vino Ocaña, y aun Torrente bebe como hombre valiente, sin melindre y sin lisonja. ¿Don Silvestre queda en casa? Sí, señora; y acostado. Mi primo es tan regalado, que ya de lo honesto pasa. ¿Traes, Dorotea, las horas?
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
DON SILVESTRE
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che si scioglie soltanto con la morte. Sei giovane, però alquanto sensato, quindi del fatto che agirai da saggio tanta fiducia ho che niente temo. Che i tuoi consigli seguirò prometto. È una bella coincidenza, perché credo che lei sia mia cugina. Essendo festa andrà a messa. Che fortuna! Se qui vive mio cugino, è lei: non ci sono dubbi. Puoi guardarla tutta intera se passa a volto scoperto.
Entrano Marcela e Dorotea, con mantelli e dietro Quiñones, con un cuscino di velluto e Muñoz che tiene Marcela per mano. MARCELA MUÑOZ MARCELA MUÑOZ
MARCELA MUÑOZ MARCELA
È stato Ocaña a attaccare per primo, nell’intermezzo. Non sai, signora, che è l’otre più grande di Spagna? Veder sguainare le spade mi rattristò. Quelle sbronze non sono mai valorose, perché son tutte scolate! S’imbeve di vino Ocaña come una spugna, e Torrente beve da uomo prestante senza tanti complimenti. Don Silvestre è ancora in casa? Sì, signora, e sempre a letto. Tanto galante è il cugino da esser quasi disonesto. Hai il libro delle preghiere? 2235
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DOROTEA
Sí, señora.
MUÑOZ
El corazón me dice que hoy el sermón tiene de durar tres horas.
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Al pasar, don Silvestre y Clavijo hacen a Marcela una gran reverencia, y ella, ni más ni menos. Pero yo le oiré de modo que fastidio no me pille. ¿Luego no pensáis oílle? Alguna parte, no todo.
MARCELA MUÑOZ
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Éntranse Marcela, Muñoz, Dorotea y Quiñones. DON SILVESTRE CLAVIJO
DON SILVESTRE
CLAVIJO
Esta, es Marcela, mi prima, y el retrato le parece. Por cierto que ella merece ser tenida por la prima de hermosura y gentileza, y estaría en perfección grande, si su discreción llega donde su belleza. Primo y don Silvestre dijo, y que quedaba acostado, y que era muy regalado. ¿Qué infieres desto, Clavijo? De lo que pueda inferir, ingenio no se resuelve; mas el escudero vuelve, que nos lo podrá decir. Vuelve Muñoz.
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Viejo en pie, largo sermón, temblores de puro frío y el estómago vacío
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO DOROTEA
Sì signora.
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Il cuor mi dice che la predica quest’oggi durerà circa tre ore. Passando, don Silvestre e Clavijo fanno un grande inchino a Marcela che ricambia. Ma io la ascolterò in maniera che non mi prenda la noia. Dunque non l’ascolterete? Solo in parte, non del tutto.
DOROTEA MUÑOZ
Escono Marcela, Muñoz, Dorotea e Quiñones. DON SILVESTRE CLAVIJO
DON SILVESTRE
CLAVIJO
È Marcela, mia cugina, e il ritratto le assomiglia. Ella merita senz’altro d’esser ritenuta il fiore d’ogni bontà e gentilezza, ed a grande perfezione giungerebbe, quando fosse saggia tanto quanto bella. Disse «Cugino» e «Silvestre», e che era rimasto a letto, e che era molto galante. Tu che ne pensi, Clavijo? Per quel che posso capire, il problema resta tale. Ma ecco torna lo scudiero: lui ce lo potrà spiegare. Muñoz torna indietro.
MUÑOZ
Vecchio in piedi, lunga predica, brividi da freddo intenso e lo stomaco vacante 2237
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
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no llaman la devoción. Aquí, al sol estaré, en tanto que se quiebra la cabeza este fraile, rica pieza, que todos tienen por santo. Díganos, señor galán: ¿quién es aquesta señora que entró de la mano ahora? ¿Adónde? En San Sebastián. Es Marcela de Almendárez, doncella la más garrida que vive en toda la corte, más honesta y recogida. Es su hermano don Antonio de Almendárez. Tiene en Indias un hermano de su padre, rico a las mil maravillas, un hijo del cual en casa se huelga a pierna tendida, esperando si de Roma el Padre Santo le envía licencia para casarse con Marcela, que es su prima. ¿Y llámase? Don Silvestre de Almendárez, y es de Lima, y a nuestra casa llegó, puedo decir, en camisa, porque en una gran tormenta echó al mar dos mil valijas llenas de tejuelos de oro finísimo, y plata fina, y entre ellas fue mi bayeta, que fue oída y no fue vista.
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non son buoni per pregare. Qui starò al sole nel mentre si lambicca la capoccia questo frate, illustre tomo, che tutti credono santo. Ci dica, signor galante, chi sarebbe la signora che tenevate per mano? Ma dove? A San Sebastián. È Marcela di Almendárez, la donzella più leggiadra, che vive in tutta la corte, la più onesta e riservata. Suo fratello è don Antonio di Almendárez. Nelle Indie c’è un fratello di suo padre ricco in modo inverosimile e il cui figlio se ne sta con le mani in mano in casa, aspettando che da Roma il Santo Padre gli mandi la licenza per sposarsi con sua cugina Marcela. E si chiama? Don Silvestre di Almendárez; è di Lima; quando giunse a casa nostra, si può dire, era in mutande, perché in mezzo a una burrasca buttò duemila valige tutte piene di lingotti d’argento e d’oro finissimo compresa la mia baietta, che fu udita e mai fu vista.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA CLAVIJO MUÑOZ
DON SILVESTRE MUÑOZ
¡Válame Dios! ¡Grave caso! Este que viene podría contaros el caso grave con más lengua narrativa: que se halló presente en todo, con gran dolor de su anima. Ánima, querréis decir. No me importa a mí una guinda pronunciar con dinguindujes.
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Entra Torrente. TORRENTE MUÑOZ TORRENTE MUÑOZ
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Muñoz, ¿en qué está la misa? En el misal; ahora empieza. ¿Pasó por aquí Cristina? Entre la cruz creo andáis, Torrente, y la agua bendita. Bastan las de vuestros ojos, sin buscar ajenas niñas; que es Ocaña apitonado y sabe mucho de esgrima. En este caso y en otros, ¿mondo yo, por dicha, níspolas? Y, cuando no, su cabeza tiene de guardar la mía.
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Entra un Cartero destos que andan por la corte dando las cartas del correo. CARTERO
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¿Don Antonio de Almendárez, saben dónde vive, a dicha, señores? Hombre de bien, a la vuelta, en una esquina. ¿Son de Roma? Sí, señor.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO CLAVIJO MUÑOZ
DON SILVESTRE MUÑOZ
Mi aiuti Iddio! Che pasticcio! Quest’uomo che sta arrivando potrebbe ciò raccontarvi in stile più narrativo, ché a tutto ciò era presente la sua anìma dolorante. Ànima volete dire! Me ne importa a me una secchia di parlare in squinci e in squindi! Entra Torrente. Muñoz, dove sta la messa? Al messale, inizia adesso. Avete visto Cristina? Pare vi piaccia, Torrente, di scherzare con il fuoco. Fatevi bastar le vostre, non cercate altrui pupille, perché Ocaña è assatanato e sa ben tirar di scherma. Come che siano le cose, forse ch’io sono da meno? Ed allora la sua testa farà i conti con la mia.
TORRENTE MUÑOZ TORRENTE MUÑOZ
TORRENTE
Entra un Portalettere di quelli che girano per la corte distribuendo lettere della posta. PORTALETTERE
MUÑOZ
PORTALETTERE
Sanno forse i lorsignori dove vive don Antonio de Almendárez? Buon uomo, alla svolta, in un incrocio. È da Roma? Sissignore.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA MUÑOZ
CARTERO MUÑOZ
La dispensación sería que aguarda el gran peregrino y la en beldad peregrina. ¿Cuánto es el porte? Un escudo. ¡Oxte, puto!, vaya y diga al mayordomo de casa que le pague y la reciba.
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Éntrase el Cartero. TORRENTE
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Agora sí que tendremos gusto abierto y rica jira, regodeos hasta el tope, lautas y limpias comidas. Mudaremos este pelo de sayal con cebollinas martas. Procurad que sean ajunas, que sean más finas. Con tantos gustos, sin duda que olvidaréis la tormenta que pasastes, que, a mi cuenta, debió ser en la Bermuda: que siempre en aquel paraje hay huracanes malignos. Tanto que, de peregrinos, hicimos pleito homenaje yo y mi señor don Silvestre; mas yo tengo por lunático quien sube en caballo acuático, cuando le tiene terrestre. A la sorda y a la muda íbamos muy sin placer, cuando llegamos a ver la venta de la Barbuda; pero tenía cerradas
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO MUÑOZ
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Sarà forse la dispensa che attendono il pellegrino e la beltà peregrina. Quant’è la tassa? Uno scudo. Accidenti, vada e dica al maggiordomo di casa che la paghi e la riceva. Esce il Portalettere.
TORRENTE
MUÑOZ
TORRENTE
Ora sì che ci godremo piaceri e divertimenti, bagordi fino a stordirsi, pranzi lauti e succulenti. Cambieremo questa tela di sacco con cipolline martore. Magari agliate, che son le più sopraffine. Con tutti questi piaceri scorderete senza dubbio la burrasca che vi colse, mi dicono, alle Bermuda, ché sempre da quelle parti soffiano venti tremendi. Tanto che io e Don Silvestre facemmo voto solenne di partire pellegrini; ma io credo sia lunatico chi monta un cavallo acquatico quando può averlo terrestre. Zitti zitti, piano piano procedevamo a fatica quando riuscimmo a avvistare l’osteria della Barbuta; ma aveva porte sbarrate, 2243
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
DON SILVESTRE TORRENTE
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MUÑOZ DON SILVESTRE TORRENTE CLAVIJO TORRENTE DON SILVESTRE MUÑOZ DON SILVESTRE
MUÑOZ
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las puertas, si viene a mano, y no hay fiarse cristiano de viejas que son barbadas. Y la canal de Bahama, ¿pasose sin detrimento? Otra canal yo no siento que aquesta por do derrama sus dulces licores Baco. ¿Dónde se alijó el navío? No le alijó el señor mío, que le tuvo por bellaco; y más, que espera tener hijos en su prima hermosa. La respuesta, aunque graciosa, nos ha de echar a perder. ¿En el golfo de las Yeguas sería el trance cruel? Creo que pasamos dél desviados cuatro leguas. ¿Y dónde se tomó tierra? En el suelo. Dice bien. Vuesas mercedes nos den licencia. Donaire encierra el peregrino, en verdad: que, si aspirara a piloto, que yo le diera mi voto con poca dificultad, porque describe los puertos y los golfos bravamente. Es estimado Torrente de los pilotos más ciertos que encierra Guadalcanal, Alanís, Jerez, Cazalla. Baco en sus Indias se halla, pasando por mi canal.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
DON SILVESTRE TORRENTE
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MUÑOZ DON SILVESTRE TORRENTE CLAVIJO TORRENTE DON SILVESTRE MUÑOZ DON SILVESTRE
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se ben ricordo, ed io penso che di vecchie con la barba non fidarsi è conveniente. E il canale di Bahama lo passaste senza danno? Non conosco altri canali di questo per dove spande Bacco i suoi dolci liquori. Dove si sgravò la nave? Non la sgravò il mio padrone, ché vigliacca la ritenne, e poi di aver figli attende dalla sua bella cugina. La risposta, anche se arguta, finirà per rovinarci. Fu nel Golfo de las Yeguas che la disgrazia vi colse? Credo che da lì passammo lontani di quattro leghe. E dove faceste approdo? Sulla terra. Dice bene. Lorsignori ci concedano il commiato. Spiritoso il pellegrino, altroché: se il nocchiero vorrà fare gli darò tutto il mio appoggio senza far difficoltà, dato che descrive golfi e porti con proprietà. Tutti sanno che Torrente è fra i più abili nocchieri che abbiano Guadalcanal, Alanís, Jerez, Cazalla. Nelle sue Indie sta Bacco passando dal mio canale. 2245
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
Si la plática no atajo en ocasión oportuna, vos os veis, sin duda alguna, Torrente amigo, en trabajo.
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Éntranse Torrente y Muñoz. Salen don Antonio, don Francisco y don Ambrosio: trae un papel en la mano. DON AMBROSIO
DON ANTONIO DON AMBROSIO DON ANTONIO
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Si desto albricias no dais, o esta verdad no creéis, ni de mi mal os doléis, ni de mi bien os holgáis. Tras la noche triste mía, amarga, lóbrega, escura, hizo salir la ventura claro sol y alegre día. Por las levantadas cumbres de imposibles que temí, mi luz clara salir vi llena de piadosas lumbres que como nortes me guían al puerto con dulces modos, y de los peligros todos del mar de amor me desvían. Ya Marcela ha parecido, y con esta letra y firma todos mis bienes confirma; ya, cual ves, soy su marido. ¿Sabéis vos que esta es su mano y firma? Sin duda alguna. Con tan próspera fortuna, bien es que os mostréis ufano; pero de su padre sé que la casa en otra parte.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
Se non do un taglio al discorso al momento più opportuno, caro amico, vi assicuro, che ve la vedrete brutta.
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Escono Torrente e Muñoz. Entrano don Antonio, don Francisco e don Ambrosio che ha un foglio in mano. DON AMBROSIO
DON ANTONIO DON AMBROSIO DON ANTONIO
Se di ciò non giubilate o ciò vero non credete, il mio male non vi turba, né vi rallegra il mio bene. Dopo la mia triste notte, amara, lugubre e oscura, fece la buona ventura sorgere un sole ridente. Dietro alle cime innalzate da ostacoli insormontabili, spuntò la mia chiara luce piena di fiamme pietose che come Nord conducono con dolci maniere al porto e i numerosi perigli del mar d’amore allontanano. Marcela è infine riapparsa, e con questa sua missiva ogni mio bene conferma; già mi sento suo marito. Siete certo l’abbia scritta proprio lei? Non ho alcun dubbio. Di questa grande fortuna mi par giusto che esultiate; però io so da suo padre che vuol maritarla altrove.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DON AMBROSIO
DON ANTONIO
DON FRANCISCO
DON AMBROSIO
Él ni nadie será parte a que se rompa la fe, que con sangre viene escrita, en ese papel que veis. Haga Amor que la gocéis luengo tiempo en paz bendita. Tomad, y hágaos buen provecho vuestra ventura extremada. La mujer determinada pone a todo trance el pecho. Pero veis aquí do viene el padre de vuestra esposa. Esperarle aquí no es cosa que a mis designios conviene.
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Entra el padre de Marcela, y vase [don] Ambrosio, y entra también Ocaña. PADRE
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Como fue demanda honesta la que os hice, vengo a ver si vino a corresponder con mi intención la respuesta, que ya en público la pido: que no quiero que rodeos encubran que mis deseos no son de padre advertido. Daré al señor don Antonio... deste modo lo diré, mi alma, pues le daré a mi hija en matrimonio. En ella le daré esposa bien nacida, cual se sabe, y aun extremo adonde cabe el mayor de ser hermosa; una niña a quien apenas el sol y el viento han tocado; un armiño aprisionado
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DON ANTONIO
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Né questi, né nessun altro potrà infrangere la fede che col sangue viene scritta sul foglio che qui vedete. Voglia Amor che ne godiate molto a lungo e in santa pace. Prendete, e buon pro vi faccia, la vostra immensa fortuna. La donna determinata si espone a qualunque azzardo. Ma, guardate, sta arrivando ora il padre della sposa. Aspettarlo non è cosa che ai miei disegni convenga.
Entra il padre di Marcela, ed esce don Antonio; entra anche Ocaña. PADRE
Avendovi fatto un’onesta domanda, vengo a vedere se ha qualche corrispondenza al mio intento la risposta che ora in pubblico vi chiedo, non dovessero gli indugi dimostrare desideri di padre poco solerte. Darò al signor don Antonio... in tal modo lo dirò, la mia stessa vita, ossia la mia figlia in matrimonio. Gli darò, con lei, una sposa, com’è noto, d’alto rango, ricca di pregi fra cui l’essere bella è il più alto: una bellezza che a stento sole e vento hanno sfiorato, un ermellino legato 2249
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DON ANTONIO
PADRE DON FRANCISCO PADRE DON FRANCISCO
PADRE DON FRANCISCO PADRE DON ANTONIO
[PADRE]
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con religiosas cadenas; una que son sus cuidados de simple y tierna doncella; y ofrezco en dote, con ella, de renta dos mil ducados. Con mucho gusto, señor don Pedro Osorio, hiciera lo que tan bien me estuviera, mirando a vuestro valor; mas la señora Marcela ha ganado por la mano a vuestro intento tan sano, que en honrarla se desvela: ella se ha escogido esposo, que es el que salió de aquí. ¿Mi hija Marcela? Sì. Padre triste, viejo astroso, ¿qué escuchas? ¿Cómo es aquesto? Una cédula le ha dado de su mano, donde ha echado de lo que es amor el resto. ¿Será falsa? Podría ser, pero imagino que no. ¿Pues para qué os la mostró? Turba el sentido el placer. Primero que él la vea, primero que él la toque, primero que la goce, ha de perder la vida, o yo la mía. ¡Que venga un embustero, con sus manos lavadas y no limpias por esto, y el alma os robe y saque de las carnes! Mitades son del alma los hijos; mas las hijas
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da religiose catene; una tenera donzella dai modesti desideri e offro duemila ducati in dote insieme con lei. Con gran piacere, signor don Pedro Osorio, farei ciò che tanto gradirei pensando al vostro valore, ma la signora Marcela ha già pensato a impedire il giusto sforzo con cui la volevate onorare; s’è già scelta lei lo sposo, che è colui che è appena uscito. Mia figlia Marcela? Sì. Padre triste, vecchio misero, che senti mai? Che succede? Una scrittura gli ha dato di suo pugno in cui ha puntato tutto il banco dell’amore. E se è falsa? Forse sì, però io credo di no. E perché ve l’ha mostrata? Il piacere turba i sensi. Prima che lui la veda, prima che lui la tocchi, prima che lui la goda, ha da perder la vita, o io la mia. Che venga un impostore con le mani lavate, e non per questo limpide, e l’anima vi strappi dalle carni! Sono metà dell’anima i figli, ma le figlie 2251
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OCAÑA
DON ANTONIO OCAÑA DON ANTONIO OCAÑA
PADRE
son mitad más entera, por cuyo honor el padre ha de ser lince. Por Cristo benditísimo, que la razón le sobra por cima los tejados a este pobre señor, de quien me duelo. ¡Que aquestos pisaverdes, aquestos tiquismiquis de encrespados copetes, se anden a pescar bobas con embustes! Majadero, ¿qué es esto? Yo callo y me arrepiento de lo dicho. Mostrenco, ¿de cuándo acá os metéis vos en docena? ¡Que no pueda hacer baza yo con este mi amo, y, si a las discreciones jugamos, quince y falta puedo darle! No os quiero pedir nada, ni es razón que os la pida, hijo, que, si lo fuérades, remozara mis canas y mis días. ¡Hijas inobedientes, que al curso de los años anticipáis el gusto, destrúyaos Dios, los Cielos os maldigan!
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Éntrase el Padre. DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
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¡Mi gozo está en el pozo! ¿Y si es falsa la cédula? Aunque lo sea, amigo, ya el honor titubea de Marcela. Cuanto más, que se sabe
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OCAÑA
DON ANTONIO OCAÑA DON ANTONIO OCAÑA
PADRE
una metà più intera; del loro onore il padre ha da esser lince. Per Cristo benedetto, che la ragione gli esce fin da sopra ai capelli a questo poveruomo che compiango! Che questi damerini, questi tizi mielosi dai ciuffi impomatati rimorchino con frottole sciapette! Buzzurro, che borbotti? Io sto zitto, anzi mi pento di quel che ho detto. Bastardo, da quando in qua volete dir la vostra? Che non riesca a metter bocca con questo padrone quando, se giochiamo a chi è più furbo, potrei vincere a man bassa! Non voglio chiedervi niente né è opportuno che lo faccia, figlio, ché se voi lo foste, rinverdirei i miei giorni e i miei capelli. Figlie disobbedienti, che al volgere degli anni il gusto anteponete! Dio vi distrugga, il Cielo vi rinneghi! Esce il Padre.
DON ANTONIO DON FRANCISCO DON ANTONIO
Perduta è ogni mia gioia! E se la carta è falsa? Se anche lo fosse, amico, vacilla ormai l’onore di Marcela. Inoltre tutti sanno
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DON FRANCISCO DON ANTONIO
OCAÑA
que es bueno don Ambrosio, y no levantaría tan grande testimonio. Así lo creo. Doncella de escritorios, de públicas audiencias, de pruebas y testigos, no es para mí. ¡Sentencia aristotélica!
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Entran Torrente y Cardenio. TORRENTE
CARDENIO TORRENTE CARDENIO
TORRENTE CARDENIO TORRENTE
¿A cuándo, cuitado, aguardas? ¿Qué diligencias has hecho que te sean de provecho? ¿A qué esperas? ¿A qué tardas? Lugar tienes y ocasión para rogar y fingir. Yo tengo para morir, no para hablar, corazón. Tu silencio ha de ser causa de toda tu desventura. Su honestidad y hermosura ponen en mi intento pausa. Al cabo, habré de morir callando. ¡Qué simple amante! Medroso, mas no ignorante. Todo lo puedes decir.
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Entran Marcela, Dorotea, Muñoz y Cristina, y Quiñones. MARCELA OCAÑA
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La torpeza en vos se halla; caminad, que os valga Dios. Uno a uno, dos a dos, juntado se ha gran batalla.
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DON FRANCISCO DON ANTONIO
OCAÑA
che don Ambrosio è onesto, e mai ricorrerebbe a una simile prova. Credo anch’io. Donzella da scritture e da pubbliche udienze, da prove e testimoni non fa per me. Sentenza aristotelica! Entrano Torrente e Cardenio.
TORRENTE
CARDENIO TORRENTE CARDENIO
TORRENTE CARDENIO TORRENTE
Meschino, che aspetti ancora? Quali piani hai messo in atto che ti siano di vantaggio? Cosa aspetti? Perché indugi? Avresti modo e occasione per fingere ed implorare. Io ho cuore per morire e non certo per parlare. Sarà causa il tuo silenzio di tutte le tue sventure. Lei è così bella ed onesta che ogni mia intenzione arresta. Finirà che morirò stando zitto. Sciocco amante, Timido, non insipiente! L’uno e l’altro puoi ben dire!
Entrano Marcela, Dorotea, Muñoz, Cristina e Quiñones. MARCELA OCAÑA
La lentezza v’accompagna; camminate, Iddio vi aiuti. Ecco che, uno dopo l’altro, si sta armando la battaglia.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA
Entran [don] Silvestre y Clavijo. DON SILVESTRE
CARDENIO DON SILVESTRE
CARDENIO DON SILVESTRE
TORRENTE
DON SILVESTRE TORRENTE CARDENIO
CLAVIJO DON SILVESTRE
TORRENTE
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¿Un don Silvestre está aquí que tiene por sobrenombre Almendárez? Gentilhombre, yo soy. ¿Qué queréis de mí? Dadme, señor, vuestros pies, que soy grande servidor de vuestro padre. Señor, cortés, mas no tan cortés. Diez mil pesos ensayados, con vos, me escribe mi padre, me envía, y tres mil mi madre. Pesos serán bien pesados. Catorce mil se tragó el mar, como soy testigo. Trece mil son los que digo. Catorce mil digo yo. Es verdad: yo recibí, señor, todo ese dinero, pero el mar... Aquí no hay pero. Yo responderé por mí; callad vos. También me envía de vuestra prima un retrato. Sorbiósele el mar ingrato sin guardarle cortesía. Pensamos que se amansara tocándole su figura, y por respeto y mesura en su lecho se acostara; pero fue tan mal mirado, que alzó montes sobre montes, y escondió los horizontes y aun la faz del sol dorado.
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Entrano don Silvestre e Clavijo. DON SILVESTRE
CARDENIO DON SILVESTRE
CARDENIO DON SILVESTRE
TORRENTE
DON SILVESTRE TORRENTE CARDENIO
CLAVIJO DON SILVESTRE
TORRENTE
C’è tra voi un don Silvestre che reca come cognome Almendárez? Gentiluomo, sono io. Cosa volete? Vi bacio i piedi, signore, ch’io son grande servitore di vostro padre. Signore, cortese sì, ma non troppo! Diecimila pesos buoni con voi, mi scrive mio padre, che mi manda, e altri mia madre. Saran pesos ben pesati. Quattordicimila il mare inghiottì, ve lo assicuro. Ho detto tredicimila. Quattordicimila, dico. Vero è: l’ho ricevuto di persona quel denaro, ma il mare... Non ci son «ma»! A rispondere son io, voi tacete. E anche un ritratto m’invia di vostra cugina. L’ha ingoiato il mare ingrato senza usarle cortesia. Pensammo che si calmasse a contatto del suo volto, e per garbo e per rispetto nel suo letto si adagiasse, ma fu così malfidato che innalzò monti su monti e nascose gli orizzonti celando il sole dorato. 2257
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TORRENTE
DON SILVESTRE CARDENIO MUÑOZ CLAVIJO TORRENTE DON SILVESTRE TORRENTE OCAÑA DON SILVESTRE TORRENTE DON SILVESTRE
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No era reliquia el retrato. No, pero si él le arrojara con devoción, se mostrara manso el mar y el Cielo grato. Todo esto en la memoria no está, Muñoz, que nos diste, y si nos caen en el chiste, nuestra desdicha es notoria. ¿Vuestra merced tiene, acaso, otro hermano? Sí, señor. No, señor. ¡Oh grande error! ¡Mil sustos de muerte paso! ¿Cómo se llama? Don Juan de Almendárez. ¿Qué ed[a]d tiene? Aquella que le conviene. Examinándoles van, y yo no sé para qué. ¿Tocaron en la Bermuda? Ya he dicho de esa Barbuda otra vez lo que yo sé. No ingenio, mas ignorancia, es fabricar la maldad, de quien está la verdad no dos dedos de distancia. Yo soy, señor don Antonio, vuestro primo verdadero, y de ser este embustero darán claro testimonio mis papeles y el retrato de mi señora Marcela. ¡El alma se me rebela! ¡Si hoy no me muero, me mato!
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TORRENTE
DON SILVESTRE CARDENIO MUÑOZ CLAVIJO TORRENTE DON SILVESTRE TORRENTE OCAÑA DON SILVESTRE TORRENTE DON SILVESTRE
MUÑOZ
Non era un ritratto sacro. No, ma gettato con fede, il mare sarebbe stato più calmo ed il cielo grato. Tutto questo non esiste, Muñoz, nel tuo promemoria, e se scoprono il tranello siam spacciati per davvero. Vostra signoria ha per caso un fratello? Sì. signore. No, signore. Oh grave errore! Ahimè, mi sento morire! Come si chiama? Don Juan di Almendárez. La sua età? Quella che gli si confà. Gli fan l’interrogatorio, non capisco come mai. Son sbarcati alle Bermuda? V’ho già detto un’altra volta quel che so della Barbuda. Non è ingegno, ma ignoranza, tramare malignità da cui sta la verità a due dita di distanza. Son io, signor don Antonio il vostro vero cugino, e che questo è un impostore lo mostrano chiaramente le mie lettere e il ritratto della signora Marcela. L’anima mi si rivolta, se non muoio oggi, m’uccido!
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DON SILVESTRE DON FRANCISCO MARCELA TORRENTE
DON FRANCISCO CARDENIO TORRENTE
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Dadme, señora, esos pies por vuestro primo y esposo. ¡Este es caso prodigioso! Cortés, mas no tan cortés. Tres días ha, desventurado, que, por no querer hablar, te has de ver, a bien librar, en galeras y azotado. Embistiérasla, malino, y no aguardaras a verte en la desdichada suerte y en el traje peregrino. ¿Quién eres? Un estudiante. Y yo su capigorrón, que tengo de socarrón harto más que de ignorante. Solicitome el amor entrar en esta conquista la sombra de una lista... Que la escribió este traidor de Muñoz. ¡Dios sea conmigo! ¡Llegó de Muñoz el fin! ¡Ah, escudero viejo y ruin! Eso pido y eso digo. Estos soles sobrehumanos, por quien mi mal crece y mengua, pusieron freno a mi lengua, como esposas a mis manos. En los rayos de sus ojos se despuntaban los míos, y nunca mis desvaríos llegaron a darla enojos. Si me queréis castigar, primero advertid, señores,
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DON FRANCISCO CARDENIO TORRENTE
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A voi m’inchino, signora, io, vostro cugino e sposo! Oh che caso prodigioso! Cortese, sì, ma non troppo! Son tre giorni, disgraziato, che per non voler parlare ti vedrai, se ti va bene, frustato nelle galere. Dovevi affrontarla, inetto, senza aspettare a vederti caduto in questa disgrazia e in abito da pezzente. Chi sei tu? Uno studente. E io sono il suo scagnozzo, un volpone a dire il vero, assai più che un ignorante. Fu l’amore a suggerirmi di tentare la conquista fidando in un promemoria che scrisse quel traditore di Muñoz. Che Dio m’aiuti! Per Muñoz è ormai la fine! Ah scudiero vecchio e vile! È quello che dico anch’io. Questi soli sovrumani da cui dipende il mio male, han cucito la mia lingua e legato le mie mani. Nel bagliore dei suoi occhi si erano smarriti i miei, e mai le mie smanie giunsero a scalfire i suoi pensieri. Se volete castigarmi, prima sappiate, signori,
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que los yerros por amores, son dignos de perdonar. En albricias, el perdón te diera, mas ten aviso que el Pontífice no quiso conceder dispensación entre mi primo y mi hermana. Casamientos de parientes tienen mil inconvenientes. El favor todo lo allana. Yo iré a Roma, y la traeré. Yo, aunque primo verdadero, ni quedarme en casa quiero, ni poner en ella pie: que la honra de mi prima ha de ir contino adelante, sin que haya otro estudiante que la asombre o que la oprima. ¿No ha de haber un casamiento en esta casa jamás? Tú, Cristina, le harás, si te ajustas a mi intento. Yo me ajusto al de Quiñones. Pues yo no me ajusto al tuyo. ¿Tú, para no ser mi cuyo, hallas razón? Y razones. Ocaña, si me deseas, vesme aquí. No es mi linaje tal, que lo que arroja un paje escoja yo, ni tal creas. A no estar temiendo aquí la penca de algún verdugo, ese arrojado mendrugo le tomara para mí. ¡Malos años y mal mes!
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CRISTINA OCAÑA CRISTINA QUIÑONES CRISTINA QUIÑONES CRISTINA OCAÑA
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che gli errori per amore ben si posson perdonare. Per regalo io ti darei il perdono, però sappi che il Pontefice non volle concedere la dispensa al cugino e a mia sorella. Matrimoni fra parenti hanno mille inconvenienti. Ma il favore tutto spiana. Vado a Roma e ve la porto. Io, benché vero cugino, né restare in casa voglio né in essa mettere piede; ché ha da rimanere intatto l’onore di mia cugina, senza che qualche studente venga a opprimerlo o a offuscarlo. Dunque in questa casa mai matrimonio si farà? Tu, Cristina, lo farai se accetti la mia proposta. Sì, se a farmela è Quiñones. Però io non te la faccio. Tu, per non fare il mio bello hai un motivo? Più di uno! Ocaña, se tu mi vuoi, sono qui. Il mio lignaggio non è tale da accettare quello che ha scartato un paggio. Se non fosse che m’aspetto la frusta di qualche boia, questo cantuccio scartato me lo prenderei per me. Qui si va di male in peggio! 2263
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Acordársete debía, facinorosa arpía, del pañuelo y entremés. Con licencia de mi hermano y de mi primo, yo quiero sentenciar al escudero y al gran embustero indiano. Trocará la mano el juego a cuyas leyes me arrimo: quedarse ha en casa mi primo, y él se salga della luego. Lleve su vergüenza a cuestas, que es la venganza mayor que puede tomar Amor de invenciones como aquestas. A Muñoz le doy la pena que da el arrepentimiento y el destierro. Yo bien siento ser ángel el que condena. Mi alma no se alboroza con sentencia que es tan pía, pues ve que yo merecía azotes, si no coroza. Bien haya la lacayuna, humilde y valiente raza, pues que traiciones no traza para subir su fortuna. Junto a la caballeriza, y al olor de su caballo, con su brindez siento y hallo que sus gustos soleniza. De Quiñones desechada, y de Ocaña no escogida, aun no he de quedar perdida, porque espero ser ganada. Hace quien se desespera
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Doveva venirti in mente, o facinorosa arpia, la pezzuola e l’intermezzo. Mio fratello e mio cugino permettendo, io vorrei giudicare lo scudiero e il grande impostore indiano. Cambierà di mano il gioco alle cui leggi mi affido: resti in casa mio cugino, ne esca lo scudiero subito. Porti addosso assai vergogna, che è la vendetta peggiore che possa prendersi Amore su bravate come questa. A Muñoz darò la pena che suol dare il pentimento e l’esilio. E io son contento che a condannarmi sia un angelo. La mia anima non trema con sentenza tanto pia, perché sa che meritavo la frusta, se non la gogna. Sia benedetta la povera, valente schiatta lacchesca, che mai ordisce tradimenti per avere più ricchezza. Vicinissima alla stalla e all’odor del suo cavallo, coi suoi effluvi trovo giusto che essa i suoi piaceri esalti. Da Quiñones rifiutata, e da Ocaña non prescelta, non mi do per persa, ancora spero d’esser guadagnata. Fa chiunque si dispera 2265
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un grandísimo pecado, y es refrán muy bien pensado que tal vendrá que tal quiera. Yo sola soy sin ventura. Es tan corto el hado mío, que no ha alcanzado mi brío lo que impide la hermosura. Nunca he sido requebrada, ni sé amor a lo que sabe; mas esto y mucho más cabe en la ventura quebrada. Siento en aqueste desastre solo el perder a Cristina. Camina, Muñoz, camina, pobre, sin bayeta y sastre.
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Éntrase. DOROTEA
Sin Marcela, don Antonio se entra, amargo el corazón. Éntrase.
DON SILVESTRE
Y yo sin dispensación. Éntrase.
CRISTINA
Cristina sin matrimonio. Éntrase.
CLAVIJO
Yo seguiré de mi amigo los pasos, medio contento. Éntrase.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO
DOROTEA
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un grandissimo peccato, e che avvenga quel che avvenga dice un proverbio sensato. Solo io son scalognata: il mio è un fato tanto avaro che il coraggio non mi accorda quanto la beltà ha negato. Mai son stata corteggiata, né so cosa sia l’amore: ma quando non si ha fortuna questo e altro può accadere. Mi spiace in questo disastro solo aver perso Cristina. Povero Muñoz, cammina, senza il sarto e la baietta. Esce.
DOROTEA
Con il cuore infranto Antonio se ne va senza Marcela. Esce.
DON SILVESTRE
E io senza la dispensa. Esce.
CRISTINA
Cristina senza il suo sposo. Esce.
CLAVIJO
Io seguirò del mio amico i passi, a metà contento. Esce.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA ENTRETENIDA, JORNADA TERCERA DON FRANCISCO
Yo alabaré el pensamiento de don Antonio, a quien sigo. Éntrase.
MARCELA
Yo quedaré en mi entereza, no procurando imposibles, sino casos convenibles a nuestra naturaleza.
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Éntrase. OCAÑA
Esto en este cuento pasa: los unos por no querer, los otros por no poder, al fin ninguno se casa. Desta verdad conocida pido me den testimonio: que acaba sin matrimonio la comedia entretenida. Éntrase. FIN DE LA COMEDIA.
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA LA SPASSOSA, ATTO TERZO DON FRANCISCO
Io loderò ogni pensiero di don Antonio, che seguo. Esce.
MARCELA
Io resterò come sono, non cercando l’impossibile, se non casi che s’accordino alle leggi di natura. Esce.
OCAÑA
In ciò consiste la storia: certi non hanno voluto, altri non hanno potuto; nessuno, insomma, si sposa. D’una chiara verità chiedo siano testimoni: non finisce in matrimonio questa commedia spassosa. Esce. FINE DELLA COMMEDIA.
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NOTE
Opere citate in forma abbreviata Alonso: J. L. Alonso Hernández, Léxico del marginalismo del Siglo de Oro, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1976. Anibal: C. E. Anibal, Lope de Vega’s «Dozena Parte», in «Modern Language Notes», XLVII, 1932, pp. 1-7. Arellano: Tirso de Molina, Don Gil de las calzas verdes, in Id., Obras completas. Cuarta parte de comedias, II, ed. I. Arellano, Pamplona, Griso, (Universidad de Navarra), 2003, pp. 759-883. Autoridades: Diccionario de Autoridades, Madrid, Gredos, 1984, 3 voll.; edición facsímil del Diccionario de la Lengua Castellana. Compuesto por la Real Academia Española, Madrid, Emprenta de F. Del Hierro, 1726-1739. Ayala: Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, ed. F. Ayala, Madrid, Castalia, 1971. Blecua: A. Blecua (ed.), L. de Vega, Peribáñez. Fuente Ovejuna, Madrid, Alianza, 1981. Casalduero: J. Casalduero, Fuente Ovejuna, in Estudios sobre el teatro español, Madrid, Gredos, 1972, pp. 13-44.
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OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Castro: A. Castro (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna, «Colección Universal», n. 5-6, MadridBarcelona, Espasa Calpe, 1919. Castro(b): Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, ed. A. Castro, Madrid, Clásicos Castellanos, 1910, 1922, 1967, 1980. Corominas: J. Corominas, Diccionario crítico etimológico de la lengua castellana, Madrid 1954, 4 voll. Correas: G. Correas, Vocabulario de refranes y frases proverbiales [1627], texte établi, annoté et presenté par L. Combet, Bordeaux, Institut d’études ibériques et ibéro-américaines de l’Université de Bordeaux, 1967, revisada por R. Jammes e M. Mir-Andreu, Madrid, Castalia, 2000. Covarrubias: S. Covarrubias, Tesoro de la lengua castellana o española (1611), ed. I Arellano y R. Zafra, Madrid, Universidad de Navarra–Iberoamericana Vervuert, 2006. Covarrubias(b): S. de Covarrubias, Tesoro de la lengua castellana [1611], ed. F. R. C. Maldonado revisada por M. Camarero, Madrid, Castalia, 1994; 2000. D’Agostino: T. de Molina, Don Giovanni. Il beffatore di Siviglia, a cura di A. D’Agostino, Milano, Bur, 2011. Dicc. R.A.E: Diccionario de la Lengua Española, Madrid, R.A.E., 1970. Díaz Larios: L. F. Díaz Larios (ed.), M. de Cervantes, Comedia famosa de La entretenida, in La entretenida. Pedro de Urdemalas, Barcelona, PPU, 1988, pp. 53-153. Díez Borque: J. M. Díez Borque (ed.), L. de Vega, El castigo sin venganza, Madrid, Espasa Calpe, 1988. Dixon: V. Dixon (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna, Warminster, Aris and Phillips, 1989.
2274
OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Dolfi: T. de Molina, L’ingannatore di Siviglia, traduzione e note di L. Dolfi, Torino, Einaudi, 1998. Enciclopedia del Idioma: A. Martín, Enciclopedia del Idioma, Madrid, Aguilar, 1958, 3 voll. Entrambasaguas: J. de Entrambasaguas (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna. El Caballero de Olmedo, Madrid, «Biblioteca Básica Salvat», Alianza Editorial, 1969, pp. 17-98. García Santo Tomás: Tirso de Molina, Don Gil de las calzas verdes, ed. E. García Santo Tomás, Madrid, Cátedra, 2009. Gasparetti: T. de Molina, L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, traduzione e note di A. Gasparetti, Milano, BUR, 1956. González Ruiz: T. de Molina, El condenado por desconfiado; selección, notas e introducción general de Nicolás González Ruiz, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2000 (1946): http://Cervantesvirtual. Hartzenbusch: J. E. Hartzenbusch (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna, in Comedias escogidas de Lope de Vega, juntas en colección y ordenadas por don J. E. H., III, 1857 (BAE, tomo XLI), pp. 633-650. Hartzenbusch(b): J. E. Hartzenbusch (ed.) El condenado por desconfiado, in Teatro escogido de Tirso, Madrid, Biblioteca de Autores Españoles, 1839-1842. Herrero García: M. Herrero García, La Fauna en Lope de Vega, in «Fénix», I, febrero 1935, pp. 23-79; II, abril 1935, pp. 263-278; 3 junio 1935, pp. 395-433. Herrero García(b): M. Herrero García, Ideas de los españoles del Siglo XVII, Madrid, Gredos, 1966. Hesse: Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, ed. E. Hesse, Madrid, Cátedra, 1987.
2275
OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Hunter: T. de Molina, El burlador de Sevilla y convidado de piedra, ed. W. F. Hunter, Pamplona, Griso, 2008-2010. Kossof: A. D. Kossof (ed.), L. de Vega, El castigo sin venganza, Madrid, Castalia, 1970. López Estrada, La canción...: F. López Estrada, La canción «Al val de Fuente Ovejuna» de la comedia «Fuente Ovejuna» de Lope, in Homenaje a W. L. Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 453-468. López Estrada: F. López Estrada (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna (dos comedias: de L. de Vega y C. de Monroy), Madrid, Clásicos Castalia, 1979 (1. ed. 1969). Marín-Rugg: D. Marín, Rugg, E. (eds.), L. de Vega, El galán de la Membrilla, Madrid, Real Academia Española, 1962. Marone: T. de Molina, Il seduttore di Siviglia e convitato di pietra, traduzione di G. Marone in Teatro, Torino, Utet, 1984. McCrary: W. C. McCrary, «Fuente Ovejuna»: Its Platonic Vision and Execution, in «Studies in Philology», LVIII, 1961, pp. 179-192. McGrady: D. McGrady (ed.), L. de Vega, Fuente Ovejuna, Barcelona, Crítica, 1993. Menéndez y Pelayo: M. Menéndez y Pelayo, Introducción a Fuente Ovejuna, in Obras de Lope de Vega, publicadas por la RAE, Madrid, 1892-1913, X, pp. CLXII-CLXIII (poi in Estudios sobre el teatro de Lope de Vega, Edición Nacional de las Obras de Menéndez y Pelayo, Santander, 1949, V, pp. 176-177). Morón Arroyo: C. Morón Arroyo, Adorno, R., (eds.) El condenado por desconfiado, Madrid, Cátedra, 1987; C. Morón Arroyo (ed.) El condenado por desconfiado, Madrid, Cátedra, 2000. Oteiza: Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, ed. estudio y notas de B. Oteiza, Madrid, Real Academia Española, 2012.
2276
OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Paoli: T. de Molina, L’ingannatore di Siviglia, traduzione e note di R. Paoli in Teatro, Milano, Garzanti, 1991. Profeti: M. G. Profeti (ed.), Tirso de Molina, Milano, Garzanti, 1991. Prolope: L. de Vega, Fuente Ovejuna, ed. M. G. Profeti, in Comedias de Lope de Vega, Parte XII, Coordinación J. E. Laplana Gil, Barcelona, Milenio, 2013. Rades, Crónica: F. de Rades y Andrada, Chrónica de las tres Órdenes y Cavallerías de Santiago, Calatrava y Alcántara, En Toledo, en casa de Juan de Ayala, Año 1572. Refranero: L. Martínez Klaiser, Refranero General Ideológico español, Madrid, R.A.E., 1953. Reidy: A. García Reidy (ed.), L. de Vega, El castigo sin venganza, Barcelona, Crítica 2004. Rull Fernández: Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, ed. E. Rull Fernández, Madrid, Alhambra, 1986. Sevilla-Rey: F. Sevilla Arroyo-A. Rey Hazas (eds.), M. de Cervantes, La entretenida, in Obra completa. III. Ocho comedias y ocho entremeses, El trato de Argel, La Numancia, Viaje del Parnaso, Poesías sueltas, Alcalá de Henares, Centro de Estudios Cervantino, 1995, pp. 667-672. Schevill-Bonilla: M. de Cervantes, La entretenida, in Comedias y entremeses, Madrid, Imprenta de B. Rodríguez, 1918, tomo III, pp. 5-115; note, pp. 229-246. Spitzer, A central Theme: L. Spitzer, A central Theme and its Structural Equivalent in Lope’s «Fuente Ovejuna», in «Hispanic Review», XXIII, 1955, pp. 274-292. Tan largo me lo fiáis: A. de Claramonte, Tan largo me lo fiáis; Deste agua no beberé, ed. A. Rodríguez López Vázquez, Madrid, Cátedra, 2008.
2277
OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Van Dam: C. F. A. Van Dam (ed.), L. de Vega, El castigo sin venganza: Noordhoff, Groninga, 1928. Vázquez: T. de Molina, El burlador de Sevilla y convidado de piedra, edición crítica, introducción y notas de L. Vázquez, Madrid, Estudios, 1989. Zamora Vicente: Tirso de Molina, Don Gil de las calzas verdes, ed. A. Zamora Vicente, Madrid, Clásicos Castalia, 1990.
2278
Introduzione Queste pagine ripropongono, talora sintetizzandole talaltra ampliandole, quelle che nel 1998 preparai per l’Età d’Oro della Letteratura spagnola. Il cinquecento. Il seicento, Firenze, La Nuova Italia. Illustrazioni più puntuali possono vedersi in M. G. Profeti, Introduzione alla Storia del teatro, Firenze, La casa Usher, 1994. E. Orozco Díaz, Teatro y teatralidad del barroco, Barcelona, Planeta, 1969 (Teatro e teatralità del barocco, traduzione di R. Londero, introduzione di G. Mazzocchi, Como, Ibis, 1995); A. Castro, De la edad conflictiva, Madrid, Taurus, 19723. 1
J. H. Elliot, Imperial Spain 1469-1716, London, E. Arnold Limited, 1981 (La Spagna imperiale 1469-1716, Bologna, Il Mulino, 19822).
2
J. Pérez, La España del Siglo de Oro, in AA.VV., Las constantes estéticas de la comedia en el Siglo de Oro, Diálogos hispánicos de Amsterdam, 2, Amsterdam, Rodopi, 1981, pp. 11-13. Si veda anche M. G. Profeti, La modernidad, el Siglo de Oro, el canon europeo, Conferenza plenaria in Actas del XV Congreso Internacional de Hispanistas, «Las dos orillas», México, AIH, 2007, pp. 3-22; poi in Commedie, riscritture, libretti: 3
La Spagna e l’Europa, vol. VII di Commedia aurea spagnola e pubblico italiano, Firenze, Alinea, 2009, pp. 13-36. B. Bennassar, Il Secolo d’Oro spagnolo, Milano, Rizzoli, 1985, pp. 40-46.
4
5 J. A. Maravall, La cultura del barroco, Barcelona, Ariel, 1975 (Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 39-98).
A. Koyré, Du monde clos à l’univers infini, Paris, Gallimard (trad. it. Dal mondo chiuso all’universo infinito, Milano, Feltrinelli, 1970).
6
7 Per il corral, le compagnie, il pubblico, ecc. si veda J. M. Díez Borque, Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Barcelona, Bosch, 1978. 8 Per la macchinaria teatrale si veda il classico O. Arróniz, Teatros y escenarios del Siglo de Oro, Madrid, Gredos, 1977; e il più recente ma non sempre affidabile panorama di J. M. Ruano de la Haza-J. J. Allen, Los teatros comerciales del siglo XVII y la escenificación de la comedia, Madrid, Castalia, 1994. 9 J. L. Flecniakoska, La loa, Madrid, Sgel, 1975. 10 Sulla durata dello spettacolo e della commedia in particolare cfr. M. Romera Navarro, Sobre la duración de la comedia,
2279
NOTE
INTRODUZIONE
in «Revista de Filología Española», 1932, XIX, pp. 417-421 (poi nel cap. V del suo La preceptiva dramática de Lope de Vega, Madrid, Yunque, 1935); e J. M. Rozas, El significado del «Arte Nuevo», en Estudios sobre Lope de Vega, Madrid, Castalia, 1990.
e perfino donne molto onorate (che dove ci sono molte cose, ci deve essere di tutto); hanno cinquanta commedie in repertorio, trecento libbre di bagaglio, sedici persone che recitano, trenta al seguito, uno che riscuote, e solo Dio sa quello che ruba. Alcuni domandano mule, altri carrozze, altri portantine, altri palafreni, e non c’è nessuno che si contenti dei carri, perché dicono che danno il mal di stomaco. Comunque ci sono molti litigi. Il loro lavoro è eccessivo, perché devono studiare molto, le prove sono continue, ed i pareri del tutto discordi».
11 Sull’attore nei Secoli d’Oro si veda E. Rodríguez Cuadros, La técnica del actor español en el Barroco. Hipótesis y documentos, Madrid, Castalia, 1998.
A. de Rojas, El viaje entretenido, ed. J. V. Falconieri, Salamanca, Anaya, 1965, pp. 46-49: «Prendono un soldo [...] vivono contenti, dormono vestiti, camminano nudi, mangiano affamati; si spulciano d’estate in mezzo alle messi, e d’inverno non sentono i pidocchi col freddo [...] Questi mangiano arrosto, dormono per terra, bevono il loro bel bicchiere di vino, camminano molto, danno spettacolo in qualsiasi cortile».
12
Ibidem: «Una donna che canta e cinque uomini che piangono; questi hanno in repertorio una commedia, due autos, tre o quattro entremeses, un fagotto di vestiti che lo potrebbe portar via un ragno, a volte portano la donna in spalla e altre volte in portantina [...] stanno nei posti quattro e sei giorni, affittano per la donna un letto, e a quello che si è fatta amica l’ostessa, lei gli dà un saccone di paglia, una coperta e dorme in cucina, e nell’inverno il pagliaio è la loro camera abituale». 13
Ibidem: «Farándula è già quasi una compagnia; hanno tre donne, otto o dieci commedie, due bauli di bagaglio; fanno il viaggio su mule affittate, ed altre volte in carri; entrano in paesi importanti, mangiano appartati, hanno bei vestiti, fanno le feste del Corpus a duecento ducati, vivono contenti (quelli che non sono innamorati); alcuni hanno piume sui cappelli e altri banderuole nel cervello [...] Nelle compagnie c’è ogni genere di stravaganze e chincaglierie, hanno astuzie di tutti i tipi, modi molto eleganti, ne fa parte gente molto intelligente, uomini molto stimati, persone bennate,
14
2280
PP. VII-XIII
L. Cabrera de Córdoba, Relaciones de las cosas sucedidas en la Corte de España desde el año 1599 hasta 1614, Madrid, Imprenta de J. Martín Alegría, 1857, p.298: «Si è costruito nel secondo patio delle case del Tesoro un teatro, dove le loro Maestà possano vedere le commedie, come si recitano per il popolo nei corrales a questo preposti, perché possano vederle meglio di quando gliele rappresentano nel loro salone, e così hanno fatto intorno balconate e finestre, dove possano stare i cortigiani, e le loro Maestà ci andranno dai loro appartamenti attraverso un corridoio che è già stato fatto, e le vedranno attraverso delle grate».
15
T. Ferrer, La práctica escénica cortesana: de la época del emperador a la de Felipe III, London, Tamesis Books, 1991.
16
J. E. Varey, Scenes, Machines and the Theatrical Experience in Seventheeh-Century Spain, in La scenografia barocca, Bologna, Schnapper, 1982, pp. 51-63.
17
M. T. Chaves Montoya, La gloria de Niquea. Una «invención» en la corte de Felipe IV, Aranjuez, Doce Calles, 1991, pp. 46-49. 18
L. de Vega, El vellocino de oro, ed. M. G. Profeti, Kassel, Reichenberger, 2007; vedi le «relaciones» stilate da A. Hurtado de Mendoza, ivi, pp. 163-212.
19
20
Ivi, pp. 213-223.
PP. XIII-XVI
INTRODUZIONE
NOTE
L. de Vega, La selva sin amor, ed. M. G. Profeti, Firenze, Alinea, 1999.
IV, Madrid, Alianza-Revista de Occidente, 1985, p. 217: «Offriva una nuova prospettiva finale, non di alberi e di piante artificiali, ma degli autentici giardini del Retiro».
21
Di S. Serlio, Tutte le opere d’Architettura, si conosce una stampa dei primi libri a Toledo, J. de Ayala, 1565; N. Sabbatini, Prattica di fabbricar scene e machine ne’ teatri, Ravenna, P. de Paoli-G. B. Giovannelli, 1638; ed. moderna a cura di E. Povoledo, Roma, Bestetti, 1955. Si veda la documentazione recente su tali influenze italiane nella ed. Profeti de La selva sin amor, cit., pp. 38-43.
22
V. Carducho, Diálogos de la pintura, Madrid, F. Martínez, 1633; ed. F. Calvo Serraller, Madrid, Turner, 1979, p. 429: «Ha ottenuto, con lo sbigottimento di tutti, i suoi ammirevoli ed inauditi cambiamenti di scena».
23
Si veda M. T. Chaves Montoya, El espectáculo teatral en la corte de Felipe IV, Madrid, Ayuntamiento, 2004.
24
J. E. Varey, El influjo de la puesta en escena del teatro palaciego en la de los corrales de comedias, in El teatro español a fines del siglo XVII, Amsterdam, Rodopi, 1989, III, p. 716: «Un quadro scenico lussuoso e mobile, capace di cambiare davanti agli occhi degli spettatori».
25
M. Rich Greer, The Play of Power. Mythological Court Dramas of Calderón de la Barca, Princeton, University Press, 1991.
26
La disposizione degli spettatori può vedersi in un disegno dell’Archivio del palazzo reale, riprodotto in Rich Greer, ivi, p. 84, figura 12. 27
A. Egido, El telón como jeroglífico en la representación valenciana de La fiera, el rayo y la piedra de Calderón, in Comedias y comediantes, Valencia, Universidad de Valencia, 1991, pp. 387-405. 28
P. Calderón de la Barca, La fiera, el rayo y la piedra, ed. A. Egido, Madrid, Cátedra, 1989, pp. 30-32.
29
30 J. Brown-J. H. Elliot, Un palacio para el Rey: el Buen Retiro y la corte de Felipe
J. E. Varey, El despeñadero en el teatro, in «Acotaciones», I, 1990, pp. 35-66. 31
J. E. Varey-N. D. Shergold, Fuentes para la historia del teatro en España, London, Tamesis Books, 1982, I, pp. 123-126. 32
33
Brown-Elliot, Un palacio para el Rey, cit.
A. Núñez de Castro, Libro histórico político, Madrid, A. Riero Tejada-D. García Morrás, 1669, pp. 14-17, apud Varey, El influjo de la puesta en escena del teatro palaciego, cit., p. 716: «Nelle commedie di tramoya («di apparato»), che hanno ammirato la corte, l’oggetto più delizioso alla vista sono stati i cambiamenti totali dello scenario, ora proponendo agli occhi un palazzo, ora un giardino, ora un bosco, ora un fiume che rompeva con violento corso le sue correnti, ora un mare inquieto in burrasca, ora fermo in una sospesa bonaccia».
34
35 Si veda L. K. Stein, La plática de los dioses, in P. Calderón de la Barca, La estatua de Prometeo, ed. M. Rich Greer, Kassel, Reichenberger, 1986; L. K. Stein, Songs of Mortals, Dialogues of the Gods, Oxford, Clarendon Press, 1993.
Brown-Elliot, Un palacio para el rey, cit., pp. 66-105.
36
R. Maestre, Escenotecnia de los salones dorados: el del Alcázar, el del Palacio del Buen Retiro, in Espacios teatrales del barroco español. Calle-Iglesia-Palacio-Universidad, XIII jornadas de teatro Clásico, Almagro 1990, Kassel, Reichenberger, 1991, pp. 191-192.
37
Si veda una documentazione che si riferisce a Madrid, Córdoba, Siviglia e città minori in M. G. Profeti, Introduzione allo studio del teatro spagnolo, Firenze, La Casa Usher, 1994, pp. 119-125.
38
39
Ivi, pp. 125-131.
2281
NOTE
INTRODUZIONE
A. de La Granja, El templo disfrazado. Espacios escénicos, textos, actores y público a la luz de varias crónicas inéditas, in Espacios teatrales del barroco español. Calle-Iglesia-Palacio-Universidad, cit., pp. 139-140.
riassunto e messa a punto bibliografica si veda M. Newels, Los géneros dramáticos en las poéticas del Siglo de Oro, London, Tamesis Books, 1974.
40
J. Huerta Calvo, Teatro breve de los siglos XVI y XVII, Madrid, Taurus, 1985, con bibliografia. In data successiva si veda gli studi ed i testi riuniti in «Criticón», 37, 1987.
41
42 Per le problematiche sul comico nel teatro aureo e in particolare nelle pièces brevi si veda M. G. Profeti, Condensación y desplaziamiento: la comicidad y los géneros menores en el teatro del Siglo de Oro, in AA.VV., Los géneros menores en el teatro del Siglo de Oro. Jornadas del teatro clásico de Almagro, 1987, Madrid, Ministerio de Cultura, 1988, pp. 33-46; poi in M. G. Profeti, La vil quimera de este monstruo cómico, Kassel, Reichenberger, 1992, pp. 57-69. 43 Naturalmente deve intendersi la definizione di «linguaggio polifonico», data da Huerta, all’interno di questi limiti del livello colloquiale o basso. 44 «Quella che dura di più, a Madrid è per quindici giorni, e nelle altre città per tre o quattro, rimanendo dopo tre anni seppelliti i loro fascicoli, quando va bene, nei pacchi di qualche rivendugliolo di carta», apud J. Deleito y Piñuela, También se divierte el pueblo, Madrid, Espasa Calpe, 1966, p. 226.
J. Pérez de Montalbán, Indice de los ingenios de Madrid, ed. M. G. Profeti, in «Anales del Instituto de Estudios madrileños» XVIII, 1981, pp. 570-572. 45
La definizione della rappresentazione spagnola del Seicento (tragedia o non tragedia, metateatro, ecc.) sembra addirittura aver angosciato la critica anglosassone; una decina di interventi, puntigliosamente asserragliati intorno a questo problema, li ho consegnati in nota a L. de Vega, Nuova arte di far commedie in questo tempo, Padova, Liviana, 1986, p. 39, nota 10. Come 46
2282
PP. XVI-XX
F. Cascales, Tablas poéticas, Madrid, Sancha, 1779, pp. 166-167.
47
Si veda La Nota introduttiva stilata da F. Antonucci alla traduzione qui raccolta.
48
49 C. Suárez de Figueroa, El pasajero (Madrid 1617), a cura di I. López Bascuñana, Barcelona, PPU, 1988, vol. I, p. 216: «Due strade ci sono su cui dirigere i passi comici in materia di intreccio: una viene chiamata “commedia di apparato”, l’altra “di invenzione”, ossia “di cappa e spada”. In quelle “di apparato”, che (togliendo quelle di re d’Ungheria o di principi di Transilvania) sono di solito di vite di santi, intervengono varie macchine e scenografie». 50 F. A. de Bances Candamo, Teatro de los teatros de los pasados y presentes siglos, a cura di D. W. Moir, London, Tamesis Books, 1970, pp. 33, 35-36. 51 Ivi: «macchine e scene», «di apparato» «di apparecchi»... «i loro personaggi sono re, principi, generali, duchi»... «successi imprevisti della fortuna, lunghe peregrinazioni, duelli di grande fama, alte conquiste, elevati amori».
Mi riferisco a S. Sarduy, Barroco, Paris, Seuil, 1975 (trad. it: Milano, Il Saggiatore, 1980, pp. 101-106).
52
Bances Candamo, Teatro de los teatros..., cit., pp. 35-36: «nascondersi il cavaliere, velarsi la dama»,... «duelli, gelosie», ... «avvenimenti più quotidiani»,... «del corteggiamento».
53
F. Serralta, Comedia de disparates, in «Cuadernos Hispano-Americanos», 311, 1976, p. 451; S. Crespo Matellán, La parodia dramática en la literatura española, Salamanca, Ediciones de la Universidad de Salamanca, 1979; F. Serralta, La comedia burlesca: datos y orientaciones, in Risa y sociedad en el teatro español del Siglo de Oro, Toulouse 1980, pp. 99-125. Sei volumi
54
PP. XXI-XXV
INTRODUZIONE
NOTE
di commedie burlesche sono state pubblicate a cura dell’équipe dell’Università di Navarra-Iberoamericana, Vervuert.
la novela del siglo XVII, Toulouse, Université, 1978.
I problemi che affronto sono stati anteriormente discussi nel mio intervento Intertextualidad, paratextualidad, collage, interdiscursividad en el texto literario para el teatro del Siglo de Oro, in Teoría semiótica. Lenguajes y textos hispánicos, Actas del Congreso internacional sobre semiótica y hispanismo, Madrid, CSIC, 1986, I, pp. 673-682. E successivamente nella Introduzione a La metamorfosi e il testo, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 11-20, con messa a punto metodologica. 55
56 «Se la materia / darà nuova occasione alla scrittura / vi prometto una seconda parte»: J. Pérez de Montalbán, La monja alférez, suelta senza luogo e data di stampa (Nacional T-15035[17]), f. 24r.
Questi materiali possono arrivare ad essere anche abbastanza sostanziosi, come nel caso del Caballero de Olmedo di Lope: si veda infra.
57
Costume di autoplagio abbastanza diffuso, studiato soprattutto in Tirso; ho raccolto la bibliografia relativa in M. G. Profeti, Note critiche sull’opera di Vélez de Guevara, in Miscellanea di Studi Ispanici, Pisa, Università, 1965, p. 159, nota 18.
58
59 Abbondantissima la bibliografia relativa: in J. de José Prades, Teoría de los personajes de la comedia nueva, Madrid, CSIC, 1963 si troverà quella anteriore alla data. Aggiornamenti e messe a punto metodologiche nel volume miscellaneo El personaje dramático, VII Jornadas de teatro clásico español, Madrid, Taurus, 1985.
Cfr. C. Bravo Villasante, La mujer vestida de hombre en el teatro español, Madrid, Revista de Occidente, 1955; M. McKendrik, Women and Society in the Spanish Drama of the Golden Age, Cambridge, Cambridge University Press, 1974; e gli atti del convegno La mujer en el teatro y
60
T. Wilder, Lope, Pinedo, Some Child-Actors, and a Lion, in «Romance Philology», VII, 1953, pp. 19-25; M. G. Profeti, I bambini di Lope: tra committenza e commozione, in «Quaderni di Lingue e Letterature», 15, 1990, pp. 187-206 (poi in versione spagnola sotto il titolo Los niños de Lope: entre encargo y pathos, in En torno al teatro del Siglo de Oro, Actas de las Jornadas I-VI de Almería, Granada, Instituto de Estudios Almerienses, 1991, pp. 65-85). 61
62 Tirso de Molina, Los Cigarrales de Toledo, ed. FRS, Madrid, Aguilar, 1954, p. 423: «La seconda ragione [...] per cui una commedia può far fiasco è la mancanza di corrispondenza tra la parte e l’attore [...] Chi potrà sopportare, per quanto raffinata sia [la commedia], di vedere che mentre lo scrittore si è impegnato a dipingere una dama bella, giovane e con una figuretta così svelta che vestita da uomo conquista e fa innamorate la più sofisticata dama della capitale, poi venga in scena a impersonarla una che sembra un demonio, con più carni di un carnevale, più anni di un feudo di antica nobiltà, e più rughe di un carretto di cavoli; e che l’altra se ne innamori e le dica: “Ah, don Gilettino d’oro! È un gioiellino, un ninnolo, un giocattolino amoroso!” [...] E che fareste [...] se vedeste una principessa corteggiata da un omaccione, un secondo Vespasiano per la calvizie e la pancia, e che lei gli dice tenerezze più dolci dei ravanelli di Olmedo?»
Per la bibliografia relativa rimando a M. G. Profeti, Código ideológico-social, medios y modos de la risa en la comedia del siglo XVII, in Risa y sociedad, cit., pp. 13-31. 63
Ivi. Quindi la commedia non riassorbe nella festa le spinte liberatorie; lasciando questo compito all’entremés.
64
Abbondantissima la letteratura critica sul personaggio: in J. Prades, cit., pp. 4750, si troveranno i rinvii a Montesinos,
65
2283
NOTE
INTRODUZIONE
Herrero, ed una bibliografia fondamentale anteriore. Si veda ora il sostanzioso volume miscellaneo, curato da L. García Lorenzo, La construcción de un personaje: el gracioso, Madrid, Fundamentos, 2005.
sibile) e un’assenza (cioè un contenuto concettuale non esplicitamente espresso) si pongono in contato analogico; dove un significante e un significato stabiliscono una relazione non arbitraria, un rapporto di contiguità simile a quello della sineddoche. Il significante del simbolo «onore» sarà allora l’errore da parte della donna con la conseguente perdita di credibilità sociale, laddove il significato sarà lo statuto della limpieza de sangre, per cui, scoperto nella propria ascendenza un antenato ebreo, si rischiavano benefici, prebende, honor insomma. Quindi non generico segno, ma segno dotato di uno statuto particolare (il simbolo è per esempio convenzionale, come istituisce Pierce), l’onore nel teatro barocco non appartiene a un codice culturale, bensì a un livello metaculturale: indagarlo con i meri strumenti della critica storicista è inadeguato e falsante.
66 Si veda la bibliografia che ho raccolto in Código ideológico social, cit., p. 21, nota 19.
Riassumo qui il mio Da Lope a Calderón: codificazione teatrale e destinatari, in Retorica e Classi Sociali, Atti del IX Convegno interuniversitario di Studi, Padova, Università, 1983, pp. 109-118.
67
C. Acutis, introduzione a P. Calderón, Il medico del proprio onore – Il pittore del proprio disonore, Torino, Einaudi, 1981, p. VI.
68
69
Ivi, p. VII.
596 titoli registrava nel 1977 J. A. Madrigal, Bibliografía sobre el pundonor: teatro del Siglo de Oro, Miami, Ed. Universal, 1977; ed ovviamente la letteratura critica si è incrementata vivacemente negli anni successivi. 70
A. Castro, De la edad conflictiva, cit., pp. 23-25: «Il dramma atroce nasceva quando uno spagnolo si rendeva conto che non era considerato cristiano di vecchia schiatta, cioè membro della classe dominante [...] Ma questo dramma sordo e opprimente non poteva essere messo in scena [...] Non era pensabile [...] mostrare un personaggio che, gemendo di dolore, si lamentasse di essere stato privato di un beneficio ecclesiastico, di un incarico di governo o del rispetto dei suoi vicini perché il suo nonno o un suo antenato erano stati ebrei o arabi». La tesi è stata ripresa da A. A. Van Beysterveldt, Repercussions du souci de la pureté de sang sur la conception de l’honneur dans la «comedia nueva» españole, Leyden, E. J. Brill, 1966; bibliografia più recente sul dibattito: D. M. Gitliz, The New-Christian Dilemma in Two Plays by Lope de Vega, in «Bulletin of the Comediantes», 34, 1982, pp. 63-81. 71
72 Ricordo la definizione di simbolo come luogo dove una presenza (l’oggetto sen-
2284
PP. XXV-XXVII
73 Cfr. M. G. Profeti, Montalbán: un commediografo dell’età di Lope, Pisa, Università, 1970, p. 79.
C. Samonà, L’esperienza cultista nel teatro dell’età di Lope: appunti ed esempi, in Studi di letteratura spagnola, Roma, Libreria Tombolini, 1964, pp. 99-168; poi in Ippogrifo violento, Milano, Garzanti, 1990, pp. 111-187.
74
75 D. Alonso, La correlación en la estructura del teatro calderoniano, in Seis calas en la expresión literaria española, Madrid, Gredos, 1963, p. 173.
F. Weber de Kurlat, Lope-Lope y Lopepre Lope. Formación del subcódigo de la comedia de Lope y su época, in «Segismundo», 23-24, 1976, pp. 111-131.
76
77 Bances Candamo, Theatro de los Theatros, cit., pp. 29-30: «Lo stesso gusto della gente andò affinando giorno dopo giorno la lima della censura, e in seguito scrissero il dottor Mira de Mescua, il dottor Felipe Godínez, e il maestro Tirso de Molina, che sapevano della bella teologia, e non com-
PP. XXVIII-XXX
INTRODUZIONE
misero un tal peccato, dovuto all’ignoranza». Trattatello fondamentale a cui sono stati dedicati una serie di studi recenti, che potranno vedersi nella edizione curata da E. Rodríguez, Madrid, Castalia, 2011; traduzioni in italiano, portoghese, francese, inglese, tedesco e polacco nella «edición políglota», Madrid, Sociedad Estatal de Conmemoraciones Culturales, 2009.
78
NOTE 84 J. Ferrer, Tratado de las comedias (Barcelona 1618); apud Cotarelo, Bibliografía de las controversias, cit., pp. 252a-b. 85 C. Suárez de Figueroa, Plaza Universal de todas las ciencias (Madrid 1615), apud Cotarelo, Bibliografía de las controversias, cit., p. 557b: «riempire i propri scritti di sentenze morali».
79
B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, in Obras completas, ed. A. del Hoyo, Madrid 1967, p. 442b.
Díez Borque, Sociedad y teatro, cit., pp. 123-150; V. Llorens, Aspectos sociales de la literatura española, Madrid, Castalia, 1974, pp. 21-45.
87 L. de Vega, Arte nuevo de hacer comedias, ed. e traduzione M. G. Profeti, Napoli, Liguori, 1999, pp. 66-67, vv. 323-26: «Sempre il parlare equivoco ha goduto / e quella sua incertezza anfibologica / gran favore nel volgo, perché pensa / che solo intende ciò che l’altro dice».
Díez Borque, Sociedad y teatro, cit., pp. 140-167; J. A. Maravall, Teatro y literatura en la sociedad barroca, Madrid, Seminario, 1972; poi Barcelona, Crítica, 1990.
80
Díez Borque, Sociedad y teatro, cit., pp. 150-159. 81
82 J. Pérez de Montalbán, Indice de los ingenios de Madrid, cit.
E. Cotarelo y Mori, Bibliografía de las controversias sobre la licitud del teatro en España, Madrid, Tipografía de la Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, 1904; ristampato in fac-simile con studio preliminare e indici di J. L. Suárez García, Granada, Universidad, 1997. Naturalmente le polemiche contribuiscono alla definizione della precettistica: a Villegas e Cascales (Tablas poéticas, 1617), che si fanno portavoci di un aristotelismo di stretta osservanza, rispondono i seguaci di Lope come Tirso (Cigarrales de Toledo, 1618); così come all’anonima Spongia (1616) risponde la Expostulatio Spongiae (1618). Nel 1633 anche un classicista come González de Salas deve fare i conti con il trionfo della commedia nella sua Nueva Idea: si veda la linea cronologica delle polemiche in F. Sánchez Escribano - A. Porqueras Mayo, Preceptiva dramática española del renacimiento y el barroco, Madrid, Gredos, 1971, pp. 32-36.
83
86
Riproduco qui parzialmente il mio intervento Il prologo tra testo spettacolo e testo letterario per il teatro: campionature spagnole, in Proemio, Prologo, prefazione, Convegno interuniversitario di Bressanone, 1988; a cui rimando per una più accurata documentazione. 88
Si veda tutte le informazioni relative in J. J. Reynolds, Juan de Timoneda, Boston, Twayne, 1975.
89
L. de Vega, Arte nuevo de hacer comedias, cit., p. 54, vv. 65-7: «ed oggi si vedono stampate /le sue commedie in prosa, sí volgari/che presenta lavori manuali». 90
E la «stranezza» di questa operazione fu rilevata da M. Bataillon, Simples réflexions sur Juan de la Cueva, in «Bulletin Hispanique», XXXVII, 1935, pp. 329-336. Per informazioni su Juan de la Cueva si veda R. F. Glenn, Juan de la Cueva, New York, Twayne, 1973; J. M. Reyes Cano, La poesía lírica de Juan de la Cueva, Sevilla, Diputación provincial, 1980. 91
92 M. G. Profeti, I «Poetas valencianos»: due raccolte teatrali, in AA.VV., Homenaje a José Simón Díaz, Kassel, Reichenberger, 1988, pp. 561-567.
2285
NOTE
INTRODUZIONE
93 Qui e infra si veda M. G. Profeti, La collezione «diferentes autores», Kassel, Reichenberger, 1988; La «Parte primera» de Lope, in Anuario Lope de Vega, I, 1996, pp. 137-188.
«Per disingannare i curiosi e smentire quelli che profanano i nostri studi, mi sono ridotto a stampare le mie [commedie], cominciando da queste dodici, che costituiscono il volume, lettori miei, che vi dedico, perché le giudichiate nelle vostre stanze, che anche se sono sembrate abbastanza buone sul palcoscenico, questo non è credito sicuro, perché talora il gesto dell’attrice, la recitazione dell’eroe, la cadenza delle voci, la sonorità delle rime, la sospensione delle passioni, sogliono ingannare le orecchie più attente, e fanno prendere per fulmini i lampi; perché siccome le strofe si dicono alla svelta e la censura non ha tempo per un esame, rimangono contenti i sensi, ma non soddisfatto l’intelletto».
94 González Palencia, Pleito entre Lope de Vega y un editor de sus comedias, in «Boletín de la Biblioteca Menéndez y Pelayo», III, 1921, pp. 17-26; M. de los Dolores Salazar Bermúdez, Querella motivada por la venta de unas comedias de Lope de Vega, in «Revista de Bibliografía Nacional», 3, 1942, pp. 208-216.
In una stampa sciolta di Virtudes vencen señales di L. Vélez de Guevara spariscono ad esempio tutte le battute dei comprimari: una compagnia poco numerosa avrà ridotto drasticamente le parti secondarie, e le lacune sono passate dal copione ad uno dei testimoni a stampa; si veda la mia ed. della commedia, Pisa, Università, 1965.
95
96 Non solo si lamentano della corruzione dei testi stampati Lope, Alarcón, Tirso, Calderón nei prologhi delle loro parti autentiche, accusando gli stampatori di faciloneria ed amore di lucro, ma se ne duole anche uno di questi stessi raccoglitori, che firma nel 1630 l’indirizzo Al lector della Parte XXII spuria: si veda M. G. Profeti, Un «amigo de Lope» parla «al lector» nel 1630, in «Quaderni di lingue e letterature», 13, 1988, pp. 156-158: qui si troveranno tutti i riferimenti relativi alle lagnanze dei vari autori.
J. Moll, Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla: 1625-1634, in «Boletín de la Real Academia Española», LIV, 1974, p. 98: «per stampare libri di commedie, novelle e altri dello stesso tipo».
97
C. Segre, Contributo alla semiotica del teatro, in Teatro e romanzo, Torino, Einaudi, 1984, pp. 3-14. 98
J. Pérez de Montalbán, Prólogo largo, in Tomo primero de las comedias, Madrid, Imprenta del Reino-A. Pérez, 1935, f. qqv:
99
2286
PP. XXXI-XXXIII
100 M. de Cervantes, Prólogo a Ocho comedias y ocho entremeses nuevos, nunca representados (1615), ed. R. Schevill y A. Bonilla, Madrid, Imprenta de B. Rodríguez, 1915, pp. 5-10. 101 B. de Torres Naharro, Propalladia, ed. facsimile della stampa di Napoli, J. P. de Sallo, 1517, a cura della Real Academia: «un artificio ingegnoso di notevoli ed infine allegri avvenimenti, dialogato da attori». Si veda, per la bibliografia relativa, la traduzione della Comedia soldadesca dovuta a T. Cirillo Sirri, Firenze, Alinea, 2009.
Sánchez Escribano-Porqueras Mayo, Preceptiva dramática, cit., pp. 151-154.
102
103 Per esempio nel sec. XVIII la tipografia de la Santa Cruz di Salamanca stampa per ben due volte il Príncipe de los montes di Montalbán, attribuendola a Calderón; e nella Parte VI dello stesso Calderón si insinua una seconda commedia di Montalbán: M. G. Profeti, «Los empeños que se ofrecen» de Montalbán / Los empeños de un acaso de Calderón, in «Calderón», Actas del Congreso internacional sobre Calderón y el teatro español del Siglo de Oro, Madrid, CSIC, 1983, pp. 249-254. 104 M. Sánchez Mariana, Los manuscritos dramáticos del Siglo de Oro, in Homenaje
PP. XXXIII-XXXV
INTRODUZIONE
NOTE
al profesor José Fradejas Lebrero, Madrid, Uned, I, pp. 441-452,
H. Urzáiz Tortajada, Catálogo de autores teatrales del siglo XVII, Madrid, Fundación Universitaria Española, 2002, 2 voll.
105 La raccolta inizia forse con la Parte XXI, facendo seguito alla trionfale raccolta delle commedie di Lope: si veda Profeti, La collezione «Diferentes autores», cit.
E. Cotarelo y Mori, Catálogo descriptivo de la gran colección de Comedias Escogidas que consta de cuarenta y ocho volúmenes, impresos de 1652 a 1704, in «Boletín de la Real Academia Española», XVIII, 1931, pp. 232-280, 418-468, 583-636, 772-826; XIX, 1932, pp. 161-218.
106
M. G. Profeti, Los textos literarios para el teatro: recensión bibliográfica y problemas ecdóticos, in Trabajos de la asociación española de bibliografía, Madrid, Ministerio de cultura-Biblioteca Nacional, 1993, pp. 261-274. 107
108 W. T. McCredy, Las comedias sueltas de la casa de Orga, in Homenaje a W. L. Fichter, Madrid 1971, pp. 515-524; J. Moll, La serie numerada de comedias en la Imprenta de los Orga, in «Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos», LXXV, 1-2, 1968-1972, pp. 365-456; J. Martin Abad, Series numeradas de la imprenta salmantina de la Santa Cruz, in «Salamanca», 20-21, 1986, pp. 147-200.
M. G. Profeti, Comedias y relaciones: la ricezione deviata (con un catalogo delle «relaciones de comedia» calderoniane), in Atti del «Colloquium Calderonianum» (L’Aquila, 16-19 settembre 1981), L’Aquila, Giannini e figli, 1983, pp. 91-114. È fondamentale il lavoro di M. C. García de Enterría, Sociedad y poesía de cordel en el Barroco, Madrid, Taurus, 1973. 109
A. Restori, Saggi di bibliografia teatrale spagnola, Genève, Olschki, 1927.
110
A. de la Barrera y Leirado, Catálogo bibliográfico y biográfico del Teatro Antiguo Español, Madrid, Imprenta de Rivadeneira, 1860; e la lista dei titoli di commedie che figura alla fine del vol. I. di P. Salvá, Catálogo de la Biblioteca de Salvá, Valencia, Orga, 1872. Un catalogo recente si deve a
111
«Comprandole a Venezia da certi mercanti ebrei per portarle là, e a questo proposito io ho visto una lettera del suo ambasciatore di allora al conte di Lemos, sottolineando come questo tipo di scrittura si diffonde per tutto il mondo dopo che con più accortezza si divide in tomi», L. de Vega, Novelas a Marcia Leonarda, ed. J. Barella, Madrid, Júcar, 1988, p. 125.
112
E. de Aranda, Il riscatto. Relazione sulla schiavitù di un gentiluomo ad Algeri, a cura di C. Béguin, Milano, Serra e Riva, 1981, p. 137. La commedia può essere identificata con El capitán Belisario, di Antonio Mira de Amescua, che viene riproposta nel secondo volume, e che circolò con grande fortuna attribuita anche a Lope de Vega.
113
Vedi le riscritture di Gozzi: M. G. Profeti, Gozzi «riedifica» Calderón: Le due notti affannose, in Con gracia y agudeza, Studi offerti a Giuseppina Ledda, a cura di A. Paba, Roma, Aracne, 2007, pp. 185-202; Gozzi e l’«informe e stravagante teatro spagnolo», in Carlo Gozzi. I drammi «spagnoleschi», a cura di S. Winther, Heidelberg, Universitätsverlag Winther, 2008, pp. 2341; Gozzi re-escribe «Casarse por vengarse», in Rojas Zorrilla en su IV centenario. Congreso Internacional, Toledo, 4-7 ottobre 2007, Cuenca, Universidad de Castilla-La Mancha, 2008, pp. 75-97 (versione italiana: Da «Casarse por vengarse» a «Bianca contessa di Melfi», in Parola, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 533-549); «Eco e Narciso» tra Calderón e Gozzi, in Commedia e Musica tra Spagna e Italia, vol. VI di Commedia aurea spagnola e pubblico italiano, Firenze, Alinea, 2008, pp. 224-245; Calderón en las reescrituras de Gozzi, in Calderón y su escuela: variaciones e innovación de un modelo teatral, XV Coloquio Alglogermano sobre Calderón, Wroclaw, 14-18 de julio de 2008, Actas 114
2287
NOTE
LOPE DE VEGA CARPIO
editadas por M. Tietz y G. Arnscheidt en colaboración con B. Baczynska, in «Archivum calderonianum», 12, F. Steiner Verlag, 2011, pp. 415-434.
si devono a F. Pedraza Jiménez: Lope de Vega, genio y figura, Granada, Universidad, 2008; Lope de Vega. Vida y literatura, Olmedo, Universidad de Valladolid, 2008.
Segnalo solo El teatro del Siglo de Oro. Edición e interpretación, a cura di A. Blecua, I. Arellano, G. Serés, Madrid, Università di Navarra-Iberoamericana, Vervuert, 2009; e la rassegna di tutti i progetti editoriali spagnoli illustrati in La recuperación del patrimonio teatral del Siglo de Oro. Los proyectos de edición de los principales dramaturgos, Olmedo, Varona, 2009.
J. Pérez de Montalbán, Fama póstuma a la vida y muerte de Lope Félix de Vega Carpio y elogios panegíricos a la inmortalidad de su nombre, ed. crítica, estudio y notas de E. Di Pastena, Pisa, ETS, 2001.
115
116 Di ciclo parla J. L. Sirera, El teatro en el siglo XVII: ciclo de Lope de Vega; e El teatro en el siglo XVII: ciclo de Calderón, Madrid, Playor, 1982, nn. 9 e 10 della collana Lectura crítica de la literatura española. A una «scuola di Lope de Vega» ed a «Seguidores de Calderón» si riferisce invece J. M. Díez Borque, El teatro en el siglo XVII, Madrid, Taurus, 1988. 117 M. Vitze, Historia del teatro en España, Madrid, Taurus, 1983.
Vedi, ad esempio, i Diálogos hispánicos de Amsterdam: El teatro español a fines del siglo XVII. Historia, cultura y teatro en la España de Carlos II, a cura di J. H. Calvo, H. den Boer, F. Sierra Martínez, 3 voll. Amsterdam, Rodopi, 1989; o Teatro y poder en la época de Carlos II. Fiestas en torno a reyes y virreyes, a cura di J. Farré Vidal, Navarra, Universidad-Iberoamericana, 2007.
118
M ARIA GRAZIA PROFETI
LOPE DE VEGA CARPIO
2
3 Se ne veda una illustrazione in L. de Vega, ...Questo è amore, lo sa chi l’ha provato, introduzione, edizione e traduzione di M. G. Profeti, Firenze, Alinea, 2010, pp. 7-11.
G. Grilli, Intrecci di vite. Intorno a «La Dorotea» di Lope de Vega, Napoli, Università degli Studi, 2008.
4
5 M. G. Profeti, Per una bibliografia di Lope de Vega. I. Opere non drammatiche a stampa, Kassel, Reichenberger, 2002. 6 E dopo aver intentato un processo allo stampatore Francisco de Avila, reo di aver pubblicato le Parti VII e VIII, su copioni di due capocomici; il giudizio darà ragione allo stampatore, che aveva ben «comprato» i copioni incriminati: vedi i documenti in L. de Vega, La dama sciocca, introduzione di M. G. Profeti, traduzione di R. Trovato, Venezia, Marsilio, 1996, p. 31. 7 M. G. Profeti, La «Vega» di Lope, in Varia Hispánica, Homenaje a Alberto Porqueras Mayo, Kassel, Reichenberger, 1989, pp. 443-453. 8 M. Presotto, Le commedie autografe di Lope de Vega. Catalogo e studio, Kassel, Reichenberger, 2000.
Obras de Lope de Vega, a cura di M. Menéndez Pelayo, Madrid, ed. RAE, 18921913, 12 voll. (poi riprodotta in BAE); Nueva ed. RAE, a cura di E. Cotarelo y Mori, Madrid 1916-1930, voll. I-VIII e XIIXIII; vol. IX a cura di A. González Palencia, Madrid 1930; vol. X a cura di F. Ruiz Morcuende, Madrid 1930; vol. XI a cura di J. García Soriano, Madrid 1929. 9
La vita e le opere 1 La fonte fondamentale per la vita di Lope è ancora H. A. Rennert e A. Castro, Vida de Lope de Vega, notas adicionales de F. Lázaro Carreter, Salamanca, Anaya, 1969. Vari interventi, anche divulgativi,
2288
PP. XXXV-8
PP. 8-14
LOPE DE VEGA CARPIO
NOTE
10 Vedi le argomentazioni che proposi in L. de Vega, El mayor prodigio y purgatorio en la vida, Verona, Università, 1980, pp. 6-12.
«Arte nuevo de hacer comedias» de Lope de Vega, edición de G. Vega García Luengos y Héctor Urzáiz Tortajada, Valladolid, Universidad, 2010.
J. Moll, Problemas bibliográficos del libro del Siglo de Oro, in «Boletín de la Real Academia Española», LIX, 1979, pp. 51-107.
F. Weber de Kurlat, Lope-Lope y LopePrelope. Formación del sub-código de la comedia de Lope de Vega y su época, in «Segismundo», 23-24, 1976, pp. 111-131. In Hacia una sistematización de los tipos de comedia de Lope de Vega, in Actas del quinto congreso internacional de hispanistas, Bordeaux 1977, pp. 867-871, F. Weber de Kurlat individua alcuni criteri per la identificazione della commedia lopesca «de costumbres».
11
12 Solo dal 1997 si è iniziata la pubblicazione «critica» delle commedie apparse nelle Parti, con varie équipes al lavoro presso l’Università Autonoma di Barcellona; e si è giunti attualmente alla stampa della Parte XII.
Apud T. E. Case, Las dedicatorias de Partes XIII-XX de Lope de Vega, Madrid, Hispanófila-Castalia, 1975, pp. 14-15: «Queste commedie che qui ti presento, posso affermare come testimone che sono proprio quelle che si rappresentarono sul mio palcoscenico, e non sono false, finte, né rubate ad altri, dove c’è un verso del loro autore e trecento di chi, dopo averle viste, se le impara a memoria e le vende a questi tali che senza licenza del Supremo Consiglio le vendono sotto pubblica insegna, a disdoro dei poeti che le scrivono, tra cui si annoverano tanti cavalieri, letterati, e uomini dotti. Puoi leggerle con tutta sicurezza, che vengono dalle minute stesse di Lope, e non dalla fricassea poetica di questi fuchi che mangiano il miele distillato dalle api legittime nei loro vetri raffinati da tanti e così diversi fiori. Ti prometto che se le accogli benignamente, non arriverà alle mie mani commedia ingegnosa delle molte che ogni giorno scrivono tanti poeti, che io non te la presenti; non rubata, ma con pieno gradimento dei suoi artefici; in modo che riceva in casa il tuo plauso, nel raccoglimento con la tua famiglia, ciò che non tutti possono vedere, e quelli che lo abbiano già visto possano su di esso riflettere».
13
14
Ivi, pp. 37-38.
Si veda supra, ed i saggi raccolti in occasione del quadricentenario della pubblicazione del trattatello: Cuatrocientos años del
15
16
17 S. G. Morley-C. Bruerton, Cronología de las comedias de Lope de Vega, Madrid, Gredos, 1968.
Sui rapporti del teatro di Lope con quello valenciano si veda l’ormai classico R. Froldi, Lope de Vega y la formación de la comedia española, Madrid, Anaya, 1973; e successive analisi più specifiche come quella di J. Oleza, La propuesta del primer Lope de Vega, in AA.VV., Teatro y prácticas escénicas, II, La comedia, London, Tamesis Books, 1986, pp. 251-308.
18
19 Si veda, per una interpretazione ed una messa a punto bibliografica della critica precedente, S. Monti, Il mito di Psiche e il suo rovesciamento, in La metamorfosi e il testo, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 17-46. 20 M. G. Profeti, Un «amigo de Lope» parla «al lector» nel 1630, in «Quaderni di lingue e letterature straniere», 13, 1988, pp. 156157: «Lope [...] come miniera ricca e fertile pianura [si noti il gioco con il cognome dell’autore], sempre ha prodotto, invece di versi, oro raffinato, e in tutte le sue opere tanto vari e tanto divini fiori, che appena si possono percepire differenze nella sua produzione, né si può pensare che sia stato più sterile una volta che un’altra l’ingegno da cui uscirono».
Per segnalare alcune linee di indagine recenti: si sono analizzati i gerghi usati da
21
2289
NOTE
LA DAMA SCIOCCA
Lope (E. Canonica de Rochemonteix, El poliglotismo en el teatro de Lope de Vega, Kassel, Reichenberger, 1991); i materiali stratificati nei testi (C. Hernández Valcárcel, Los cuentos en el teatro de Lope de Vega, Kassel, Reichenberger, 1992), o le cosiddette «fonti» (J. A. Martínez Berbel, El mondo mitológico de Lope de Vega, Madrid, Fundación Universitaria Española, 2003). O le caratteristiche della polimetria del suo teatro (Métrica y estructura dramática en el teatro de Lope de Vega, a cura di F. Antonucci, Kassel, Reichenberger, 2007), fino alla sua ricezione (E. García Santo Tomás, La creación del «Fénix», Madrid, Gredos, 2000).
in La vil quimera de este monstruo cómico, Kassel, Reichenberger, 1992, pp. 70-82.
B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, in Obras completas, ed. A. del Hoyo, Madrid 1967, p. 442b: «Lope de Vega con la sua fertilità ed abbondanza [...] avrebbe raggiunto una maggior perfezione se non fosse stato tanto prolifico; a volte difetta nello stile ed anche negli intrecci; riesce molto bene nei personaggi, specie in quelli plebei».
5 Informazioni sulla fortuna in Spagna della traduzione delle Etiopiche di Eliodoro di Emesa (effettuata da un anonimo attraverso la versione francese di J. Amyot), possono vedersi nella introduzione di F. López Estrada alla edizione di Fernando de Mena, Historia etiópica de Teágenes y Cariclea, Madrid, Biblioteca selecta de clásicos españoles, 1954. L’altro romanzo greco divulgato in Spagna è le Avventure di Leucippe e Clitofonte, di Achille Tazio di Alessandria, anch’esso alla base di una fortunata traduzione spagnola dovuta a Diego de Ágreda y Vargas, dal titolo Los más fieles amantes Leucipe y Clitofonte, Madrid 1617 (mediata dalla traduzione italiana di F. Angelo Coccio, Venezia 1578 e Firenze 1598). I due testi determinarono in Spagna la creazione del genere narrativo «bizantino»: trame complicatissime, basate sulla peripezia, ritenute raffinate per la loro origine greca dai contemporanei di Lope. Ricca la bibliografia sull’argomento; ricordo solo M. G. Albinio, Heliodoro y la novela española, in «Cuadernos de literatura», 8, 1950, pp. 219-234; E. Carilla, La novela bizantina en España, in «Revista de Filología Española», 49, 1966, pp. 275-287; M. A. Teijeiro, La novela bizantina española: apuntes para una revisión del género, Cáceres, Universidad de Extremadura, 1988; A. Baquero Escudero, La novela grie-
22
23 Si veda i dati riuniti in M. G. Profeti, Texto literario del siglo XVII, texto espectáculo del XVIII: la intervención censoria como estrategia intertextual, in Coloquio internacional sobre el teatro español del siglo XVIII, Abano, Piovan, 1988, pp. 333-350.
M ARIA GRAZIA PROFETI
La dama sciocca Nota introduttiva J.-R. Lanot-M. Vitse, Elements pour une théorie du figurón, in «Caravelle», 27, 1976, p. 189. Si veda in questa nostra silloge, vol. II, la commedia di Francisco de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego.
1
2 Si veda M. G. Profeti, Comedia al cuadrado: espejo deformante y triunfo del deseo, in La comedia de capa y espada, «Cuadernos de teatro clásico», I, 1988, pp. 51-60; poi
2290
PP. 14-19
3 Oggi il manoscritto, firmato e datato 28 aprile 1613, è conservato presso la Biblioteca Nacional di Madrid, collocazione Vitrina 7-5. Per l’identificazione degli attori qui indicati si veda M. De Salvo, Sobre el reparto de «La dama boba» de Lope de Vega, in «Voz y Letra», XI, 1, 2000, pp. 6991; M. De Salvo, Notas sobre Lope de Vega y Gerónima de Burgos: un estado de la cuestión, in «Cuadernos de filología», Anejo L, vol. I, pp. 141-156. 4 La strofa succesiva, vv. 125-28, ancora più dura, sparirà dalla versione a stampa.
PP. 19-29
LA DAMA SCIOCCA
NOTE
ga: proyección de un género en la narrativa española, in «Rilce», VI, 1990, pp. 19-45 (dove si troverà raccolta anche la bibliografia settoriale anteriore).
(1629), fino alla Dorotea (1632): cfr. C. de la Barrera, Catálogo bibliográfico y biográfico, Madrid, Imprenta Rivadeneyra, 1860, pp. 214-216. Per i rapporti di Lope con Juan de Arguijo, anima del circolo poetico sivigliano erede della disciplina erreriana del sonetto, si veda M. G. Profeti, Le «Rimas»: prime tessere per la Bibliografia delle opere non drammatiche di Lope, in «Quaderni di lingue e letterature», 16, 1991, p. 185, note 12, 13.
D. Alonso, Saggio di metodi e limiti stilistici, Bologna, Il Mulino, 1965, pp. 230-231 (prima in Poesía española, Madrid, Gredos, 1950, pp. 447-510). Per le relazioni tra Lope e Góngora cfr. E. Orozco Díaz, Lope y Góngora frente a frente, Madrid, Gredos, 1973.
6
7
Alonso, Saggio di metodi..., cit., p. 230.
J. E. Varey-C. Davis, Las tertulias de los corrales de comedias de Madrid, in En torno al teatro del Siglo de Oro, Actas de las jornadas VII-VIII, Almería 1992, pp. 155-180. Si veda una descrizione degli spettatori, e la bibliografia relativa, in M. G. Profeti, Introduzione allo studio del teatro spagnolo, Firenze, La casa Usher, 1994, pp. 141-145. 8
9 Questo poemetto fu pubblicato da Lope nelle Rimas de Tomé de Burguillos, Madrid, Imprenta del Reino-A. Pérez, 1634, ff. 87r137r. È stato tradotto in italiano da A. Croce, Milano, Adelphi, 1983. 10 L. de Vega, Nuova arte di far commedie in questi tempi, a cura di M. G. Profeti, Napoli, Liguori, 1999, p. 66, v. 308: «Il sonetto sta bene se si aspetta».
Si possono vedere riuniti in A. Egido, La universidad de amor y «La dama boba», in «Boletín de la Biblioteca Menéndez Pelayo», LIV, 1978, pp. 351-371; A. Egido, Vives y Lope: «La dama boba» aprende a leer, in Philologica, Homenaje al profesor Ricardo Senabre, Universidad de Estremadura, 1996, pp. 193-207. 11
Alonso, Saggio di metodi..., cit., pp. 232233. 12
Si veda una bibliografia essenziale in M. G. Profeti, Quevedo: la scrittura e il corpo, Roma, Bulzoni, 1984. 13
A Liñán de Riaza Lope tributa lodi ripetute, dalla Jerusalén conquistada (1608) alla Filomena (1621), al Laurel de Apolo
14
A questo proposito esiste un problema bibliografico, dal momento che l’autografo della Dama boba è datato 24 aprile 1613; e la prima edizione conosciuta delle Comedias di Guillén de Castro si effettua a Valencia nel 1618: cfr. G. de Castro, Los mal casados de Valencia, ed. L. García Lorenzo, Madrid, Castalia, 1976, p. 44. Si possono avanzare due ipotesi: o Lope si riferisce a commedie che circolavano manoscritte, oppure alle Doce comedias famosas de cuatro poetas naturales de... Valencia, Valencia, A. Mey-J. Ferrer, 1608 (seconda edizione Barcelona, S. de Cormellas, 1609), dove figurano appunto quattro commedie di Guillén de Castro: M. G. Profeti, I «poetas valencianos»: due raccolte teatrali, in Varia bibliographica, Homenaje a José Simón Díaz, Kassel, Reichenberger, 1987, pp. 561567.
15
Cfr. M. G. Profeti, Per una bibliografia di Lope de Vega. Opere non drammatiche a stampa, Kassel, Reichenberger, 2002, pp. 276-300.
16
J. M. Díez Borque, Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Barcelona, Bosch, 1978, p. 100. 17
«Nel nostro tempo è così diffusa l’arte del teatro, e sono così ben accette le commedie, che essendo giunte in mano mia queste dodici di Lope de Vega, le volli pubblicare e metterle a disposizione di coloro che o per le loro occupazioni, o perché le compagnie di attori non giungono ai loro villaggi, non possono ascoltarle nei teatri pubblici; di modo che, se ne
18
2291
NOTE
LA DAMA SCIOCCA
sono privi, possano godere attraverso la lettura di ciò che sarebbe loro difficile per altra via. Accogli dunque, o lettore, la mia buona intenzione; e se vedrò che questo volume ha avuto accoglienza favorevole, te ne prometto un secondo di tutti i più dotti autori che hanno scritto in questa materia»: Prólogo al lector, in Primera parte, Zaragoza, A. Tavano, 1603-1604, f. [3]v dei preliminari.
la paternità delle commedie lopiane è attestato dai documenti del processo, dove Francisco de Avila stesso argomenta che le commedie vanno considerate di Lope poiché «Las dichas comedias se han representado muchas veces en esta Corte con nombre y título del dicho Lope de Vega, además de que en el libro que compuso e imprimió del Peregrino en su patria, hace memoria de cómo compuso las dichas comedias entre otras»: «Queste commedie sono state messe in scena molte volte nella capitale, a nome e titolo del suddetto Lope de Vega, oltre ad apparire nel libro che egli compose e stampò, del Pellegrino nella sua patria, dove consta che egli compose, oltre a molte altre, le commedie menzionate»: apud González Palencia, Pleito entre Lope de Vega, cit., p. 19.
19 L. de Vega, El peregrino en su patria, ed. J. B. Avalle-Arce, Madrid, Castalia, 1972, pp. 481-482.
Anche Juan de la Cueva, che per primo tenta di stampare direttamente i propri testi, riflette analogamente sulla natura della commedia nell’Ejemplar poético, che è del 1606 e 1609. E successivamente Lope prosegue nella propria rivendicazione nei prologhi alle varie Partes: T. E. Case, Las dedicatorias de Partes XIII-XX de Lope de Vega, Madrid, Hispanófila-Castalia, 1975, pp. 14-15. Vedi le affermazioni che appaiono nel prologo della Parte XIII, Madrid 1920, pp. 14-15; o nella la Parte XVII, Madrid 1621, pp. 15-16.
20
«Supplica che Vostra Altezza voglia ordinare che né questi né altri stampino le dette commedie ed opere, senza che egli almeno le veda e le corregga, indicando quelle che sono sicuramente sue»: apud A. González Palencia, Pleito entre Lope de Vega y un editor de sus comedias, in «Boletín de la Biblioteca Menéndez y Pelayo», III, 1921, p. 18. Si veda anche M. de los Dolores Salazar Bermúdez, Querella motivada por la venta de unas comedias de Lope de Vega, in «Revista de Bibliografía Nacional», 3, 1942, pp. 208-216.
21
«Disse che non vendette le dette commedie ai capocomici perché si stampassero, ma solo per farle rappresentare nei teatri»: apud González Palencia, Pleito entre Lope de Vega, cit., pp. 25-26.
22
23 Che il Peregrino diventi una specie di riferimento obbligato quando si parla del-
2292
PP. 29-31
La sequenza si interrompe perché la Junta de Reformación, istituita da Filippo IV nel 1621 per riformare la vacillante economia spagnola, nella sua riunione del 6 marzo 1625 propone che il Consiglio di Castiglia sospenda la concessione di licencias per la stampa di libri di commedie e di novelle: J. Moll, Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla, in «Boletín de la Real Academia Española», LIV, 1974, pp. 97-103. E la proibizione deve aver costituito un duro colpo per Lope; egli reagisce inventando il genere miscellaneo esemplificato da Filomena e Circe.
24
«Siccome vedo stampare ogni giorno le mie commedie, in forma tale che mi è impossibile considerarle mie, e poiché nelle cause intraprese per difendermi sempre hanno vinto coloro che avevano più tempo e fortuna per seguirle, mi sono deciso a stamparle sulla base dei miei stessi autografi. Anche se è vero che non le scrissi con questa intenzione, né perché dall’essere ascoltate nei teatri si trasferissero ad essere giudicate nei salotti, ormai lo considero preferibile al vedere la crudeltà con cui alcuni fanno a pezzi il mio buon nome 25
PP. 31-34
LA DAMA SCIOCCA
NOTE
per i loro interessi. Questo sarà il primo volume, che inizia con questa Parte nona, e così proseguirò con i successivi»: Parte IX, Madrid, Viuda de M. de Balboa-A. Pérez, 1617, f. q2+2r.
la sua edizione della Dama boba, Madrid, Espasa Calpe, 1990, pp. 28-29.
«Nessuna delle sue commedie merita più di queste di essere pubblicata, giacché derivano dai suoi stessi manoscritti»: ivi, f. q2+2v.
26
27 «Dai miei fogli, posseduti da Vostra Eccellenza, ho tratto queste dodici commedie, che le restituisco stampate, perché si attesti che non posso darle cosa mia che non sia sua, ed anche se in esse non ci sono altri pensieri che i miei, per lo meno serviranno a far sapere a tutti che Vostra Eccellenza è signore mio, e perfino dei miei pensieri»: Parte IX, cit., f. q2+1v. Che il Duca di Sessa conservasse i brogliacci originali di Lope è attestato da una lettera di Lope dell’inizio di settembre del 1617, in cui Lope dichiara che gli stampatori vogliono confezionare un’altra Parte, «y solicitan criados de V. Excelencia los libreros», evidentemente per trafugare i manoscritti; Lope ne desume che è bene «darnos prisa» nello stampare la Parte che è in allestimento, «que con eso pagaré yo más presto lo que tomé, aunque poco, en confianza de su gracia»: C. A. de la Barrera, Nueva biografía de Lope de Vega, in Obras de Lope de Vega, pubblicate dalla Real Academia Española, I, Madrid, BAE, 1973, p. 198b.
Se ne veda l’edizione e lo studio in Comedias de Lope de Vega. Parte IX, Barcelona, Milenio, 2007. Los melindres de Belisa figura nella nostra silloge, con traduzione di Katerina Vaiopoulos.
28
29 M. G. Profeti, I bambini di Lope: tra committenza e commozione, in «Quaderni di Lingue e Letterature», 16, 1990, pp. 187-206; poi in La vil quimera..., cit., pp. 173-195. 30 Riunisce tutte le notizie sull’attrice e la sua compagnia A. Zamora Vicente nel-
31 «Per quello che si riferisce alle commedie, Vostra Eccellenza non ha mai avuto La dama boba perché è di Jerónima de Burgos, ed io la stampai tramite una copia, firmandola col mio nome», apud F. Asenjo Barbieri, Ultimos amores de Lope de Vega Carpio, Madrid 1876, p. 61.
Obras de Lope de Vega, ed. Justo García Soriano, Nueva Edición Académica, XI, Madrid 1929, p. XXXV.
32
«Cambiamenti tanto grandi e numerosi [...] non si possono attribuire a semplici errori di una copia fatta a vista, ma a correzioni deliberate, o, cosa di cui ora siamo certi, ai vizi derivati da una riproduzione a memoria»: ibidem (corsivi dell’autore).
33
34 L. de Vega, La dama boba, edición de M. Presotto, in Comedias de Lope de Vega. Parte IX, cit., vol. III, pp. 1295-1323. 35 G. Morley-C. Bruerton, Cronología de las comedias de Lope de Vega, Madrid, Gredos, 1968.
Si veda v. 556: los Ms. autografo, os Parte; v. 568: fuego Ms. autografo, luego Parte.
36
Rudolph Schevill, The dramatic art of Lope de Vega together with «La dama boba», Berkeley 1918, pp. 251-252.
37
Alonso, Saggio di metodi..., cit., pp. 232233.
38
La Filomena, Madrid, A. Pérez-Viuda de A. Martín, 1621; La Circe, Madrid, Viuda de A. Martín-A. Pérez, 1624. Le due opere possono vedersi in L. de Vega, Obras poéticas, ed. J. M. Blecua, Barcelona, Planeta, 1989, pp. 527-847 e 861-1225, da cui citerò. Nella Filomena, pp. 845-847, il testo presenta una variante al v. 8: «querubín» in luogo di «serafín»; lettura che resterà nella Circe, pp. 1218-1219.
39
Si veda M. G. Profeti, Imitatio / Admiratio: l’autocommento in Lope, in L’autocommento, Atti del XVIII Convegno Interuniversitario, Bressanone 1990, pp. 43-52. 40
2293
NOTE
LA DAMA SCIOCCA
Si tratta di «Claro cisne del Betis», in Obras poéticas, nella citata ed. Blecua, p. 1186.
1935, pp. 337 sgg., che situa la svolta nel 1617.
41
«È veramente risibile ai nostri giorni la facilità con cui molti parlano di quello che non capiscono... Se la difficoltà si riducesse al linguaggio (come ora si usa) ammetto che si lamenterebbero a ragione; ma se la difficoltà risiede nei concetti non so perché devono ritenere errato quanto non comprendono. Già vostra grazia ha visto la spiegazione di quanto in questo sonetto parve enigma ai critici dei nostri giorni [...] Mi fanno pena le circonlocuzioni ed i velami con cui si rendono oscuri, per volersi chiamare preziosi»: L. de Vega, Obras poéticas, nella citata ed. Blecua, pp. 1218, 1224. 42
«...Introdurre una nuova lingua, anche se ci danno ad intendere che non è grammatica nuova, ma ornamento altissimo della poesia, lungi dalla superficialità del volgo [...] sanno bene che pensano in maniera diversa da quello che dicono, e distorcono le citazioni dal loro vero senso. Che dirà di quella chiarezza spagnola? Di quell’elegante ornato? Di quello stile tanto elevato nella precipua verità della nostra lingua? Senza andare a cercare per ogni verso tante metafore, impegnando in belletti quello che manca nei lineamenti, e infiacchendo l’anima con il peso di un corpo tanto eccessivo», ivi, pp. 1169-70, 1175. 43
«Non mi spaventano, Eccellentissimo signore, prose né citazioni, [...] ma lo scrivere e mostrarci come risplende nella pratica ciò che la teoria ci insegna», ivi, p. 1169.
44
Alcune note esplicative possono vedersi nella citata ed. Blecua delle Obras poéticas, pp. 1218-1225. 45
Questa nuova ansia teoretica è stata illustrata da R. Menéndez Pidal, Lope de Vega. El arte nuevo y la nueva biografía, in «Revista de filología española», XXII, 46
2294
PP. 34-46
A. Collard, Nueva poesía, Madrid, Castalia, 1967, p. 15.
47
48 Per la documentazione di questi amori rimando alla edizione delle Novelle per Marzia Leonarda, con traduzione in italiano di P. Ambrosi, Venezia, Marsilio, 1991. 49 La dama boba, edición de M. Presotto, in Comedias de Lope de Vega. Parte IX, cit., pp. 1295-1318. 50 Si veda un elenco delle varie edizioni alle pp. 59-60 della mia presentazione per l’edizione Marsilio, Venezia 1996.
M ARIA GRAZIA PROFETI Note al testo didascalia. de camino: nel teatro barocco le didascalie erano sempre molto succinte. Qui de camino indica che i due sono in viaggio e quindi vestiti con abiti adeguati. 2. chinches y ropa: letteralmente «cimici e biancheria» di simili locande sono note in tutta l’Europa. 17. medidas: nastri di lunghezza uguale a quella del simulacro di qualche santo. In questi «nastri votivi» era scritto, a lettere d’oro o d’argento, il nome del santo. 25. las postas: «le vetture di posta», i cui cavalli venivano rinnovati lungo il cammino. 39. Si allude a musulmani ed ebrei che non mangiavano carne suina. 72. firmeza: letteralmente «fermezza», ma anche gioiello che simboleggia la «costanza» amorosa, come analogamente avviene in italiano con la a parola «fede». 88. merienda: letteralmente «merenda» ma, in quell’epoca, era il pranzo leggero di mezzogiorno. 94. pretensiones: pratiche da sbrigare per cavalierati, pensioni, ecc.
PP. 48-72
LA DAMA SCIOCCA
NOTE
140 hacen su calle terrero, la corteggiano dalla strada.
cosiddetto «gatto romano», dal pelo tigrato, di cui Lope parla anche nella Gatomaquía.
169. puedo excusallo [excusarlo]: letteralmente: «posso evitarlo», «posso rifiutarlo». 180. basilisco, rettile leggendario che uccideva con lo sguardo. 185. Traduco Fabio con «Flavio» per rendere meglio in italiano il gioco di parole Flavio/savio. 279. Eliodoro, scrittore greco del III sec. d.C., autore delle Etiopiche in cui narra dell’amore contrastato dei due giovani Teogene e Cariclea. 289. Lope allude alla tecnica, utilizzata da Eliodoro, di incominciare il racconto nel bel mezzo dell’azione (in medias res). 300. Questa è una frecciatina per Góngora, della cui poesia Lope criticava l’oscurità. Lope, pur lanciando frecciate contro il suo antagonista, Góngora, capiva perfettamente l’importanza del cultismo, come si può notare in molti passi di questa commedia. 315. È un detto spagnolo che si usa quando si vuol ironizzare sull’altrui sciocchezza. L’origine del detto si fa risalire alla seguente storia. Si racconta che una notte la moglie dell’ortolano si fosse intrattenuta più del solito con un amico. Essendo ormai quasi l’alba, l’amico, per non essere visto, fugge attraverso l’orto. Il marito, svegliato dal rumore che il fuggiasco faceva tra gli ortaggi, chiede alla moglie: «C’è qualcuno nell’orto?» E quella risponde: «Ma no, è l’alba che sorge e cammina tra i cavoli». 326. Tante erano, in quell’epoca, le lettere dell’alfabeto spagnolo. 351. La palmatoria era una piccola bacchetta, terminante a sfera (simile a quella usata per suonare strumenti a percussione), con cui i maestri punivano gli alunni picchiandoli sulle mani. 406. Romana, può essere il nome della gatta, ma è più probabile che si tratti del
412. Nel passo che segue Lope imita – satiricamente – lo stile «culterano» che si andava sempre più diffondendo in quell’epoca. 416. Il rosso e il giallo erano – e sono tuttora (v. bandiera spagnola) – i colori araldici della corona di Spagna, usati negli stemmi, nei blasoni, nelle uniformi, ecc. 419. que da la noche a Madrid: letteralmente «che la notte dà a Madrid». 424. Con servicios, nel doppio significato di «servizio militare» e di «latrina», si allude all’antica usanza di rovesciare nella strada il contenuto degli orinali. 425. aguardiente: bevanda alcolica (l’attuale brandy) ottenuta per distillazione dal vino (onde «pronipote»). 427. Carnestolendas: letteralmente «giorni di Carnevale». Si vuol dire che i venditori ambulanti facevano molto chiasso e tiravano arance ai passanti come si soleva fare durante i giorni del Carnevale. 443. jerigonza: gergo, linguaggio convenzionale, ma anche tacita intesa, finzione (cfr. v. 918). 446. Con il colore, bianco e nero, del pelo della gatta, si allude all’usanza delle vedove che solevano portare l’abito nero con una cuffia bianca. 459. Nel testo pías da pío, animale dal pelo bianco a macchie scure, in genere riferito agli equini. 484. correr gansos [o gallos]: «correre il palio delle oche» (o dei galli). Era un divertimento dei giorni di Carnevale. La gara consisteva nell’interrare in mezzo alla strada un’oca lasciandone fuori la testa. I partecipanti, che correvano a cavallo, dovevano abbassarsi e mozzare il capo all’oca, col pericolo di cadere da cavallo. Cinco a cinco, ritengo si riferisca al numero dei componenti delle squadre poiché in ogni
2295
NOTE
LA DAMA SCIOCCA
palio soleva esserci un numero definito di partecipanti.
936. enoja: letteralmente «infastidisce, molesta». Nell’edizione a stampa del 1617 appare en hoja (in foglia).
538. Anche questo sonetto è una chiara risposta alla poesia «culterana». Lope vuole anzitutto difendersi dalle accuse di Góngora che su di lui scriveva: «con razón Vega, por lo siempre llana» («con ragione Pianura, sempre piatta», in spagnolo vega significa «pianura»). Tuttavia egli non vuole tanto dimostrare di essere capace di scrivere in modo «oscuro» e difficile, ma soprattutto far notare che l’oscurità della sua poesia è dovuta al contenuto filosofico e non a bizzarrie e stravaganze verbali. Non intende quindi liquidare il cosiddetto stile «culto», ma solo affermare che la difficoltà di una poesia deve consistere nel contenuto e non nello stile artificioso. 695. «Sestile», «quadrato», «ternario» ecc. sono termini usati in astrologia per indicare le varie posizioni dei pianeti. Nelle sue opere Lope fa spesso ricorso a tali analogie astrologiche le cui fonti probabilmente risalgono a León Ebreo (Dialoghi d’amore) o, più in generale, all’idea platonica dell’amore inteso come forza cosmica che regola i rapporti di tutto il creato. 752. luces piramidales: «luci piramidali». Ho reso con «policromi bagliori» perché ritengo che Lope, più che all’intensità della luce, intenda riferirsi al fatto che la luce, quando attraversa un cristallo di forma piramidale, si rifrange in fasci luminosi variamente colorati. 757. Nel testo «né piramidi né peri» in riferimento a luces piramidales;/pero (vv. 752-53). 858. indiano: si chiamava «indiano» chi ritornava ricco dalle Indie Occidentali (ossia dall’America).
PP. 76-128
954. Era credenza popolare che l’acqua, da sola, potesse far male, specie se si era molto accaldati. 985. Las del mar: letteralmente «quelle del mare». È un altro gioco verbale tra hola (ciao) e ola (onda). 1164. I versi 1163-64 vogliono significare che «il tempo, finché non vide gli occhi di Nise – le sue stelle – fu burrascoso (corrió Fortuna)». Si può intendere che il tempo era burrascoso perché mancavano i «soli» di Nise, oppure (o anche) che il tempo era burrascoso tanto che non si vedevano le stelle. Fortuna nel senso di «burrasca, tempesta», già usato in un sonetto di Garcilaso, è un italianismo (v. Giacomo da Lentini, 1250). 1215. I discorsi dei tre corteggiatori non sono che una sottile satira contro il preziosismo imperante. Lope ci offre un perfetto esempio di poesia culterana (iperboli esasperate, metafore sorprendenti, argutezze inusitate, che spesso sfociano in quelle «oscurità» di cui solevano accusare Góngora). Riguardo, per esempio, a oposición ho scelto il significato di «esame, concorso, gara». Ma con de oposición ci si può anche riferire alla configurazione celeste di due astri che si trovano «in opposizione». Di conseguenza un’altra possibile traduzione, peraltro in perfetta sintonia con il passo, potrebbe essere: «Penso che perché compaio / come un astro all’orizzonte / mi fate i rallegramenti». E Lorenzo allora risponderebbe: «E in effetti siete l’astro / per cui vivono i satelliti» (los que vuestros son, lett. «coloro che vi appartengono»).
869. negro: epiteto ingiurioso con cui si soleva segnalare antipatia o ripugnanza, ma anche disdetta, sventura, ecc.
1230. Il simbolismo dei colori era molto utilizzato. Il mazzo sarà formato da fiori rossi (la passione amorosa, de fe) e fiori azzurri (la gelosia).
918. jerigonza, qui col significato di «finzione» (cfr. v. 443).
1306. hablar en romances, «parlare come nelle romanze» (che avendo una
2296
PP. 128-198
LA DAMA SCIOCCA
NOTE
rima assonante coincidono solo nelle vocali accentuate) cioè senza una completa concordanza, perché tra un saggio ed una sciocca (Finea) non vi sarà mai una perfetta corrispondenza. Si noti come tra discreto e necio non ci sia consonanza, ma solo assonanza.
1618. runfla, gruppo di carte dello stesso seme, cioè carte buone; dalde [dadle] pique, da dar pique, vincere la partita; se pique (v. 1619), da picarse, accendersi, infiammarsi, invaghirsi.
1312. cama, «letto», nel senso di malattia. Si allude al proverbio «gli amici si riconoscono nelle disgrazie». 1347. Il Prado è il parco di Madrid in cui, allora, si andava a passeggiare a cavallo. 1349. Detrás de Recoletos, letteralmente «dietro il convento degli Agostiniani Recoletos», che si trovava all’estremità del parco ed essendo luogo appartato veniva considerato molto adatto per i duelli. È per questo che Lorenzo (v. 1352) chiede a Liseo se non si tratti di una sfida. 1352. lenguas que hacen, si allude alle spade. 1373. contrapaso, passo in direzione opposta a quello precedente; floreta (v. 1374), passo di danza che consisteva nell’alzare prima un piede, poi l’altro e quindi fare un piccolo saltello. 1477. Si allude al detto spagnolo: El milagro del santo de Pajares, que ardía él y no las pajas («il miracolo del santo dei Pagliai, dove era lui a bruciare e non la paglia»). 1484. Altro proverbio spagnolo: El hombre es fuego, la mujer estopa; viene el diablo y la sopla («l’uomo è fuoco e la donna stoppa; viene il diavolo e vi soffia»). 1508. Lope ironizza sulle Accademie letterarie che in quell’epoca erano così abbondanti da essere a volte formate solo da pochissime persone, come nel caso di Nise e dei suoi corteggiatori. 1608. Si allude alla proverbiale fortuna delle donne brutte: la ventura de la fea, la hermosa la desea («la fortuna della brutta, dalla bella è invidiata»); tu hija hermosa, la mía venturosa («tua figlia bella, la mia fortunata»).
1636. viña, vigna. Tener uno una viña, avere una occupazione molto lucrosa e di poco lavoro. 1647. La leggenda di Pilade e Oreste era una delle più citate nella letteratura dell’epoca. 1677. Si credeva che il succo dei frutti dell’anacardio fosse efficace per la memoria. 1742. cesen los enojos, letteralmente «cessino i fastidi». Si noti il gioco verbale enojos/en-ojos (fastidi/negli occhi) per cui «cessino i fastidi» suona come «cessino negli occhi». 1917. Juan Latino, famoso latinista, cattedratico dell’università di Granada. Figlio di una schiava, venne poi liberato in seguito al suo matrimonio con la figlia di un «ventiquattro» (così venivano chiamati i consiglieri comunali poiché i Consigli di molte città andaluse erano appunto formati da ventiquattro membri). 1936. como la palma, letteralmente «liscio come la palma della mano». 2102. que se desvanecen, letteralmente «presuntuosi». Anche questo passo sembra essere un’ennesima critica al gongorismo. Lope infatti insinua che la poesia in voga – come i giovani che la seguono – è tronfia e arrogante (v. 2104). 2112. hilar, labrar y coser, letteralmente «filare, ricamare e cucire». 2132. Per questo elenco di opere (v. par. 2 della Nota introduttiva). 2295. goto nel senso di presuntuoso. Si pensava che la nobiltà spagnola discendesse dai goti. 2323. Il manoscritto riporta Finea, ma sembra essere una distrazione dell’autore, poiché la trama esige «Nise», anche se la rima impedirebbe di intervenire nel testo
2297
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
spagnolo; si restituisce la coerenza del dialogo.
2825. muquir, termine del gergo della malavita, derivato dal gitano, equivalente a comer (mangiare).
2441. Il marito deve essere così orgoglioso della mansuetudine della moglie come se gli venisse concessa l’alta onorificenza del Toson d’oro, il cui emblema è appunto una collana con una medaglia raffigurante un agnello d’oro. 2454. no es santo como el silencio, letteralmente «non è così santo come il silenzio» dal proverbio al buen hablar le llaman santo («il parlar bene si chiama parlar santo»). 2536. Oliviero è un personaggio del Romancero; è l’eroe epico, compagno di Rolando (v. per esempio Cantar de Roncesvalles). Il suo nome, certo meno famoso di quello di Rolando, serve a Finea per alludere a qualcosa di leggendario e vago. 2559. Quella di «sapersi adattare alle circostanze» è una massima che ricorre spesso nelle letterature classiche; perciò è difficile stabilire chi sia il «grande saggio» cui si allude. 2581. Finea si riferisce alla pittura religiosa che spesso raffigura S. Michele mentre pesa in una bilancia le anime dei morti. 2589. L’autore gioca con le parole organiza (organizza, costituisce) e longaniza (salsiccia) che ho reso con la metatesi «corpo - porco». 2605. Finea si riferisce alle anime dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. 2626. Esiste in spagnolo un proverbio che dice: «No hay tonto, por tonto que sea, que tonto se crea» («non c’è sciocco, per quanto sciocco sia, che sciocco si ritenga»). 2769. Neanche la poesia più raffinata e profonda – che per Lope è quella di Garcilaso de la Vega – vale quanto il denaro e il silenzio. 2771. Si allude al basso prezzo (due reali) a cui si vendeva il libro delle Rime di Garcilaso.
2298
PP. 206-260
2900. Nel testo si gioca con le parole doblón-doblar (doblone-piegare). 2980. La voce di chi canta viene paragonata allo stridore prodotto dalle ruote di un carro. 2981. Muley equivale in arabo al «Don» che in Spagna era generalmente riservato alla nobiltà. Si vuole alludere a coloro che, discendendo dagli arabi, si atteggiavano a nobili, che invece si riteneva discendessero dai goti (cfr. nota al v. 2295). 3082. bota, piccolo otre per il vino. 3107. Reporta el ojo, letteralmente «frena il tuo occhio (il tuo furore)». 3135. Si allude all’italiano Giannello Torrione che aveva inventato un macchinario che aspirava l’acqua dal fiume Tago e la portava in città. 3178. Letteralmente: «sarà il mio otricello e la mia sposa». La battuta di Torino nasce dalla somiglianza fonetica di devota/ de bota (la «v» e la «b» hanno in spagnolo lo stesso suono). 3184. La commedia si chiude, come solitamente avveniva, con la citazione del titolo. Nel ms. appare quindi la formula, alquanto abituale, Loado sea el santísimo sacramento. Amen. En Madrid, 28 de Abril, de 1513 e la firma Lope de Vega Carpio, cui seguono i permessi richiesti per la rappresentazione dell’opera, firmati Tomás Gracián Dantisco e datati 20, 27 e 30 ottobre 1613. ROSARIO TROVATO
I capricci di Belisa Nota introduttiva Secondo M.A. Buchanan, The Chronology of Lope de Vega’s Plays, Università degli Studi di Toronto, N.6, 1922, la comme-
1
PP. 265-271
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
dia non può essere anteriore al 1610; questa ipotesi è accettata da Barrau in Lope de Vega, Los melindres de Belisa, ed. H. C. Barrau, Amsterdam, H. J. Paris, 1933. (Da ora in avanti indico questa edizione come Barrau). Invece, secondo G. Morley e C. Bruerton, Cronología de las comedias de Lope de Vega, Madrid, Gredos, 1968, pp. 360-362 e p. 595, la stesura della commedia risale al 1606-1608, probabilmente verso il 1608; la loro ipotesi si basa sulle percentuali dei versi impiegati e sulla presenza di una frase del Sueño del Infierno di Quevedo, segnalata nelle note al testo.
L. von der Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, in M. Romanos, X. González y F. Calvo (eds.), Estudios de teatro español y novohispano. AITENSO, Buenos Aires, Universidad de Buenos Aires-AITENSO, 2005, pp. 205-217: 205.
La commedia rispetta quasi del tutto l’unità di luogo e si svolge completamente in spazi interni, anche se questo non significa che gli spazi esterni madrileni non vengano presi in considerazione, anzi «el Madrid callejero y monumental impregna muchas conversaciones de las dramatis personae» (M. Cornejo, La imagen burlesca de Madrid y la casa de la dama en «Los melindres de Belisa», in G. Vega García Luengos y R. González Cañal [eds.], Locos, figurones y quijotes en el teatro de los Siglos de Oro, Actas selectas del XII Congreso de la AITENSO, Almagro, Universidad de CastillaLa Mancha, 2007, pp. 81-98: 82). 2
3 Si veda M. G. Profeti, Lope a Roma: le traduzioni di Teodoro Ameyden, in Commedia aurea spagnola e pubblico italiano, vol. I. Materiali, variazioni, invenzioni, Firenze, Alinea, 1996, pp. 33-51, soprattutto pp. 4849. 4 In queste discussioni spesso appare il tema dell’incomunicabilità fra generazioni diverse, che è stato ritenuto un elemento fondamentale della commedia. Si veda E. Hesse, Los conflictos entre madre e hijos en «Los melindres de Belisa», in «Hispania», n. 54, 1971, pp. 836-843.
Cornejo, La imagen burlesca de Madrid y la casa de la dama en «Los melindres de Belisa», cit., p. 90.
5
6
Ibidem.
7
8 Su Eliso si veda M. Aranda, Le galant et son double: Approche théorique du théâtre de Lope de Vega dans ses figures permanentes et ses structures variables, Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 1995, p. 41. 9 La rivalità amorosa madre-figlia appare in altre commedie, come La discreta enamorada, Quien ama no haga fieros e ¿De cuándo acá nos vino?. Sulla madre e la vedova si veda la bibliografia citata in Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, cit., p. 215, nota 12. 10 F. Lázaro Carreter, La comedia amorosa de Lope como «puzzle», in Príncipe de Viana. Anejo. Homenaje a Francisco Ynduráin, 18, 2000, pp. 189-196, menziona proprio le parole che don Juan rivolge allo zio per illustrare il desiderio amoroso giovanile in contrasto con il giudizio dei personaggi più maturi. 11 Lázaro Carreter, La comedia amorosa de Lope como «puzzle», cit., ritiene che Lope stia qui difendendo la categoria a cui egli stesso appartiene. 12 F. Serralta, El tipo del «galán suelto»: del enredo al figurón, in «Cuadernos de Teatro Clásico», I, 1988, pp. 83-93. Lo studioso si propone di studiare lo sviluppo del figurón partendo da elementi interni alle commedie, e non solo ricorrendo a motivazioni socio-economiche esterne ai testi e allo spettacolo teatrale. Ritiene che il galán suelto venga introdotto per ampliare le possibilità di intreccio della doppia coppia di protagonisti e che, con il tempo, venga piegato all’esagerazione burlesca tramite l’ipertrofizzazione delle sue caratteristiche comiche e funzionali. Fra le opere di Lope che prende a esempio figurano La dama
2299
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
boba, El acero de Madrid e Lo que pasa en una tarde, ma non Los melindres de Belisa, sebbene don Juan presenti tutti i tratti del personaggio in questione.
troppo sicuro di sé e quindi non si mette in discussione, restando incapace di evolvere e di far suoi gli usi raffinati e il linguaggio elaborato dell’ambiente a cui ambisce.
C. Oliva, Del galán fiel al galán promiscuo de la comedia española, in El escritor y la escena VI, ed. Ysla Campbell, Universidad Autónoma de Ciudad Juárez, 1998, pp. 179-193, propone Eliso e Felisardo come esempi di galanes perfetti, anche se Eliso appare piuttosto mosso dalle mire economiche, mentre Aranda, Le galant et son double, cit., p. 41, sottolinea l’opportunismo di Eliso.
18
13
Cornejo, La imagen burlesca de Madrid y la casa de la dama en «Los melindres de Belisa», cit., pp. 82-83.
14
Secondo la teoria medica dell’epoca, Belisa è affetta da una sproporzione tra le facoltà mentali per cui quella immaginativa prevale su quella cogitativa. Si veda Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, cit., pp. 206-207, dove la studiosa riporta un brano del trattato medico di Bernardo de Gordonio, e rimanda a Cicerone e Pinciano.
15
16 Cornejo, La imagen burlesca de Madrid y la casa de la dama en «Los melindres de Belisa», cit., pp. 83-89. 17 J.-R. Lanot-M. Vitse, Elements pour une théorie du figurón, in «Caravelle», 27, 1976, pp. 189-213, stilano un elenco delle commedie ascrivibili a questa sotto-categoria del genere di cappa e spada, che si apre proprio con La dama boba, e Finea vi è definita un esempio di «paleo-figurón». Ricordiamo che in questo studio il figurón viene descritto come un personaggio caricaturale, caratterizzato dall’incapacità di usare un linguaggio elaborato e di comportarsi secondo le norme cortigiane; nella quasi totalità dei casi è un personaggio maschile rozzo e stravagante, che viene dalla provincia e vuole inserirsi nella capitale sposando una dama della corte, ma fallisce, ed è alla fine escarmentado, perché è
2300
PP. 272-273
Sul rapporto fra Belisa e il figurón si veda F. Serralta, Sobre el «pre-figurón» en tres comedias de Lope (Los melindres de Belisa, Los hidalgos del aldea y El ausente en su lugar), in «Criticón», n. 87-88-89, 2003, pp. 827-836. Secondo Serralta, fra i tre esempi di «pre-figurón» che prende in esame Los melindres de Belisa è il meno significativo; tuttavia si sofferma sul personaggio di Belisa per le manie che la rendono ridicola e per i suoi capricci al limite del grottesco, soprattutto nel rifiuto dei pretendenti. Ma la differenza fra Belisa e i figurones posteriori (che non permette di classificarla come figurón vero e proprio) è, secondo lo studioso, la sua evoluzione; infatti il figurón deve essere totalmente incapace di migliorare e deve rimanere com’è fino alla fine della commedia. Secondo Serralta, un motivo simile esclude dal genere anche La dama boba e No hay mal que por bien no venga, talvolta menzionate come comedias de figurón. Conclude che, tuttavia, almeno per una jornada, Lope crea un personaggio con tinte caricaturali che parzialmente annunciano i futuri figurones. Non condivide lo status di figurona di Belisa, Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, cit.; secondo la studiosa, la cui opinione condividiamo, dato che Belisa sa di essere «fábula notable» (v. 1321) della Corte, è cosciente delle proprie manie ed è intenzionalmente capricciosa anche nel primo atto, allo scopo, per esempio, di non sposarsi e di non andare a messa. Á. J. Valbuena Briones, «Excéntrico», in Diccionario de la comedia del Siglo de Oro, directores F. P. Casa, L. García Lorenzo, G. Vega García Luengos, Madrid, Castalia, 2002, pp. 142-143, p. 142.
19
Si veda K. Vaiopoulos, «Los melindres de Belisa»: comicità e limiti della trasgressione, in AA.VV., Per ridere. Il comico nei
20
PP. 273-278
I CAPRICCI DI BELISA
Secoli d’Oro, Firenze, Alinea, 2001, pp. 109-141. Questo interesse per gli aspetti più concreti del rapporto con l’altro sesso è un’altra caratteristica che Belisa ha in comune con Finea de La dama boba; si veda l’introduzione di M. G. Profeti a Lope de Vega, La dama sciocca, Venezia, Marsilio, 1996, pp. 9-52, in particolare a pagina 17 si legge: «il corpo, nella sua interezza, è chiamato in causa direttamente: nel ritratto che Finea ha ricevuto, il suo promesso sposo è raffigurato fino alla cintura, e questa assenza della “parte bassa” la inquieta notevolmente. Attraverso lo scherzo e la dabbenaggine di Finea, si insinua la suggestione di una “assenza indicibile”: “un bel viso ed un bel corpo. / Sì. Ma dal giubbetto in giù / non c’è più nulla”» (vv. 879-80). 21
Si veda J. M. Pemán, Belisa la melindrosa, «La estafeta literaria», Madrid, 241, 1962, pp. 1-3; lo studioso analizza il primo romancillo di Belisa secondo i principi freudiani e ritiene che sia una confessione che rispetta i canoni psicanalitici. Si tratta di un’interpretazione anacronistica, dato che la teoria che Lope conosceva non era quella freudiana ma quella delle potencias del cerebro e del loro rapporto con gli umori. Sulla condizione mentale di Belisa esprime un parere simile M. McKendrick, The mujer esquiva. A Measure of the Feminist Sympathies of Seventeenth-Century Spanish Drama, in «Hispanic Review», 40.2, 1972, pp. 162-197.
22
F. P. Casa, El personaje dramático de la comedia burguesa, in AA. VV., El escritor y la escena V, ed. Ysla Campbell, Universidad Autónoma de Ciudad Juarez, 1997, pp. 61-69: 68. 23
Mutata secondo Hesse, Los conflictos entre madre e hijos, cit., p. 838, McKendrick, The mujer esquiva, cit., p. 184, e Serralta, Sobre el «pre-figurón» en tres comedias de Lope, cit., p. 829; ma non nell’interpretazione di Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, cit., pp. 210-212, che secondo
24
NOTE
noi è la più valida. La studiosa sottolinea che l’atteggiamento di Belisa nelle jornadas seconda e terza riproduce gli effetti dell’amore hereos e cita un brano di Villalobos. Walde Moheno, La melindrosa de Lope de Vega, cit., p. 216; F. B. Pedraza Jiménez, Lope de Vega, Barcelona, Teide, 1990, p. 130. 25
Sul gracioso si veda L. García Lorenzo (ed.), La construcción de un personaje: el gracioso, Madrid, Editorial Fundamentos, 2005.
26
Sulla criada si veda L. García Lorenzo (ed.), La criada en el teatro del Siglo de Oro, Madrid, Editorial Fundamentos, 2008.
27
28 Sul sistema metrico della commedia si veda M. Sileri, Belisa entre melindres y bizarrías: como cambia la comedia urbana, in AA. VV., Métrica y estructura dramática en Lope de Vega, Fausta Antonucci ed., Kassel, Reichenberger, 2007, pp. 133-168; la studiosa propone una segmentazione del testo in base ai cambi metrici e alle entrate ed uscite dei personaggi, individuando parallelismi e simmetrie.
Fra le particolarità dei brani in romance evidenziamo la presenza, all’interno della tirata che conclude il primo atto, di estribillos formati da un eptasillabo e un endecasillabo, con assonanza e-a (si veda Morley-Bruerton, Cronología, cit., p. 135): «¡Ay Celia, Celia bella! / ¡Ni fe en la mar, ni en la mujer firmeza!» (vv. 946-47); «… que es la ocasión ligera, / pólvora el hombre y la mujer centella» (vv. 970-71); «Que te adoro, mi Celia, / que las desdichas crecen las firmezas» (vv. 1032-33).
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30 Sull’impiego di versi proparossitoni si veda Morley-Bruerton, Cronología, cit., pp. 154, 157, 186. 31 Per la distribuzione del pubblico nel corral e per l’omologazione degli spettatori al livello di cultura e raffinatezza più elevato vedi M. G. Profeti, Introduzione allo studio del teatro spagnolo, Firenze, La Casa Usher, 1994, pp. 141-145; Díez Borque,
2301
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Barcellona, Bosch, 1978, pp. 150-158 e 171-184; V. Llorens, Aspectos sociales de la literatura española, Madrid, Castalia, 1974, pp. 21-45.
son melindres muy pequeños», atto primo, vv. 295-98; cito dall’edizione della commedia a cura di I. Arellano, Pamplona, EUNSA, 1981.
Manoscritto n. 193 del Catálogo de los Manuscritos redatto da Miguel Artigas nel 1930, così descritto: «Los melindres de Belisa, de Lope de Vega. Un cuaderno de 17 hojas numeradas, más una de cubierta, autógrafo de Lope; 210 x 155 mm, caja de la escritura 190 x 135 mm». Si veda M. Presotto, Las comedias autógrafas de Lope de Vega, Kassel, Reichenberger, 2000, pp. 280-284.
32
T. Ferrer Valls (directora), Diccionario biográfico de actores del teatro clásico español (DICAT), Kassel, Reichenberger, 2008; M. Presotto, La Novena Parte: historia editorial, in Comedias de Lope de Vega. Parte IX*, coord. Marco Presotto, Barcelona-Lérida, Universidad Autónoma de Barcelona, Dep. de Filología Española, PROLOPE, Editorial Milenio, 2007, pp. 7-38, p. 12. Questo dato proviene da P. Sarrió Rubio, La vida teatral valenciana en el siglo XVII. Fuentes documentales, Valencia, Institució álfons els Magnànim, 2001, p. 43 e p. 56: la studiosa dà due date diverse le due volte che menziona la rappresentazione: 30 agosto 1605 e 30 giugno 1614. 33
34 Doce comedias de Lope de Vega sacadas de sus originales por él mismo [...] Parte novena, Madrid, viuda de A. Martín – A. Pérez, 1617, ff. 276-300. 35 Il 6 marzo del 1625, la Junta de reformación, una commissione che si occupava di risanare l’economia spagnola, suggerì al Consiglio di Castiglia di sospendere la concessione delle licenze per pubblicare libri di novelle e commedie. Cfr. J. Moll, Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla, in «Boletín de la Real Academia Española», LIV, 1974, pp. 97-103.
«Los melindres de Belisa, / que fingió con tanto acierto / Lope de Vega, con ella /
36
2302
PP. 278-279
Doce comedias de Lope de Vega [...] Parte novena, Barcelona, S. Cormellas, 1618.
37
38 La dama melindrosa, famosa comedia de Lope de Vega Carpio, impressa en Madrid con las licencias necessarias; y se hallará esta y otros muchos títulos en la Lonja de las Comedias a la Puerta del Sol. Secondo Cotarelo y Mori insieme a questa versione sciolta ne circolava un’altra identica ma con un diverso «pie de imprenta», che indicava la stampa a Saragozza; lo studioso sostiene che si tratta di una sola tiratura e che le copie destinate a Saragozza portavano questa falsa indicazione sul luogo della stampa. La suelta è abbastanza fedele alla stampa del 1617. Si veda Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española (Nueva edición), ed. E. Cotarelo y Mori, Madrid, Sucesores de Rivadeneyra, 1930, tomo XII, p. XXX. D’ora in avanti indico l’edizione come Cotarelo.
Si veda M. G. Profeti, Lope a Roma: le traduzioni di Teodoro Ameyden, cit.
39
Cotarelo, p. XXX; Barrau, p. 5; Lope de Vega, Los melindres de Belisa, in Obras escogidas, ed. Sáinz de Robles, Madrid, Aguilar, 1947, tomo I, pp. 1307-1346, p. 1307 (d’ora in avanti indicata come Sáinz de Robles).
40
Sulle rifusioni delle commedie di Lope fatte da Trigueros vedi E. Caldera, Il dramma romantico in Spagna, Pisa, Università di Pisa, 1974 e P. Bolaños Donoso, De la inventiva a la razón (pero menos), o de Lope a Trigueros, in Otro Lope no ha de haber. Atti del Convegno internazionale su Lope de Vega, Firenze 10-13 febbraio 1999, a cura di M. G. Profeti, Firenze, Alinea, 2000, tomo III, pp. 97-115. Cotarelo, p. XXX sostiene che Trigueros utilizzi una suelta per la sua riscrittura.
41
PP. 279-280
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
42 L’unità d’azione è difesa da Lope anche nell’ Arte nuevo ai versi 181-187: «adviértase que solo este sujeto (quello scelto) / tenga una acción, mirando que la fábula / de ninguna manera sea episódica, / quiero decir inserta de otras cosas / que del primero intento se desvíen, / ni que della se pueda quitar miembro / que del contexto no derribe todo».
della commedia è Lope de Vega, Los melindres de Belisa, ed. J. León, in Comedias de Lope de Vega. Parte IX***, coord. Marco Presotto, Barcelona-Lérida, Universidad Autónoma de Barcelona, Dep. de Filología Española, PROLOPE, Editorial Milenio, 2007, pp. 1469-1600. Questa edizione sarà menzionata da ora in poi come León.
Madrid, Ortega, tomo IV, pp. 257-414. Il testo è diviso in scene e i versi non sono numerati; le ultime pagine contengono un riassunto e un commento. 43
Parigi, Baudry, tomo II. Il testo è lo stesso dell’edizione precedente.
44
45 Bielefeld, Velhagen-Klasing, pp. 79-113. Il testo è diviso in scene e i versi non sono numerati; due versi del terzo atto, completamente diversi rispetto all’edizione del 1617, e identici al testo dell’edizione sciolta, dimostrano che Schutz seguì la suelta.
Comedias escogidas de Frey Lope Félix de Vega Carpio, ed. J.E. Hartzenbusch, Biblioteca de Autores Españoles, tomo XXIV, 1856, ristampa ed. Atlas, 1946. D’ora in avanti indico l’edizione come Hartzenbusch. Lo studioso riproduce abbastanza fedelmente la stampa del 1617, ma il testo che propone presenta anche alcune varianti in comune con la suelta, che possono far pensare ad una contaminazione da parte di quest’ultima.
46
47
Barcelona, Orellana, tomo I.
Prometeo, Valencia, 1919, pp. 173-260 (con Los embustes de Celauro e La discreta enamorada); le edizioni già menzionate di Cotarelo y Mori, di Barrau e di Sáinz de Robles; Buenos Aires, Espasa Calpe, 1954 (con El villano en su rincón; Coleccción Austral 1225); Barcelona, M&S, 1966 (con El mejor alcalde, el rey e La dama boba); a cura di F. Aguilar, Madrid, Magisterio español, 1967 (con La dama boba); Barcelona, Mateu, s.a., pp. 159-319 (con El villano en su rincón; con introduzione di José María Riquer y Palau). L’ultima edizione 48
49 El teatro clásico, las refundiciones y la crítica, según Díaz de Mendoza, in «ABC», Madrid, 29/01/1929, pp. 10-11. 50
Cotarelo, p. XXX.
León, p. 1477, riferisce che il testo presenta alcuni cambiamenti: si sopprimono i personaggi di Fabio, Prudencio, lo scrivano e i quattro lacayos, i nomi di alcuni personaggi e alcune situazioni sono mutati, qualche espressione viene modernizzata.
51
Si può leggere una recensione dello spettacolo, di Alfredo Marquerie, su «ABC», Madrid, 06/05/1956, p. 32.
52
Si può leggere una recensione dello spettacolo, di Enrique Llovet, su «ABC», Madrid, 16/04/1963, pp. 16-17.
53
54 Ne dà annuncio «ABC» nella pagina degli spettacoli (12/02/1993, p. 97, in riferimento allo spettacolo della sera stessa nel Teatro di Coslada; 10/06/1993, p. 101, riferito allo spettacolo del 12 giugno ad Aranjuez). Vedi: L. García Lorenzo, La recepción del teatro clásico español: «El desdén, con el desdén», di Agustín Moreto y «La verdad sospechosa», de Juan Ruiz de Alarcón, in «Revista de Literatura», LV, 110, 1993, pp. 557-572, p. 558; L. Perales, El teatro clásico de las compañías independientes. Comediantes del verso, in «El Cultural.es», 14/03/1999.
K ATERINA VAIOPOULOS Note al testo 37. Qui e in altri casi che seguono (vv. 38, 95, 97, 297, 938, 1136, 1893) alteriamo l’entità dei numeri per problemi sillabici.
2303
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
80. Alteriamo la punteggiatura inserita da León (el lindo… Aunque no lo es / ninguno dellos con ella) che, a nostro avviso, non rispetta il senso della frase, reso nella traduzione con «il bello, anche se non è… / Nemmeno uno le piace».
calva ma con un ciuffo (copete) sulla fronte, che permette di «acciuffarla» o coglierla
91. Il termine vistas indicava un appuntamento fra più persone, con uno scopo determinato; nella traduzione usiamo il vocabolo visite, sebbene sia una corrispondenza imperfetta. Il termine è impiegato anche al v. 2993. 102. Il termine overo, secondo Autoridades, si usava per indicare il cavallo dal manto color uovo, che in italiano è chiamato sauro. 107-08. La dilogia del termine niñas, pupille e bambine, che dà luogo all’esclamazione ¡Qué niñerías!, con il senso di cose puerili, sciocchezze (utilizzata anche ai vv. 985-91), si perde inevitabilmente nella traduzione italiana. 108-11. Rendiamo il gioco di parole sul termine palos con le espressioni legnose e legnate. 116. Non traduciamo alla lettera ma con un’esclamazione analoga. 167. Nel testo spagnolo utilizziamo persuadilla diversamente da León che legge persuadirla; la nostra scelta deriva dal fatto che l’assimilazione r-l è mantenuta quando è in posizione rimante. 173. Nel testo della commedia spesso hola è utilizzato come termine esortativo rivolto ai servi, con il significato di su, sbrigati; Autoridades lo definisce come «modo vulgar de hablar usado para llamar a otro que es inferior». 192. Alteriamo il testo fissato da León leggendo el sentar me enfada e non el sentarme enfada; la nostra scelta deriva dal manoscritto ed è mantenuta nella traduzione. 212-14. La battuta di Belisa si basa sulla raffigurazione emblematica della ocasión,
2304
PP. 286-306
219. León ritiene che Dila sia l’ultima parola del v. 219, mentre noi la reputiamo prima parola del v. 220. 227-28. La battuta era ser negra si riferisce al fatto che i neri non pronunciavano bene la -s finale delle parole, quindi Belisa, chiamando il pretendente con un occhio solo mi ojo invece di mis ojos, avrebbe parlato come una donna di colore. Questa sfumatura della battuta si perderebbe nella traduzione letterale che diventerebbe così insensata. 231. Nel testo spagnolo usiamo cilicio diversamente da León che legge silicio. 215-16. Secondo Autoridades, quello di maestre de campo è un grado militare che corrisponde al coronel. 238. Questo ottosillabo richiama l’incipit del Quijote. 241. Leggiamo No madre, que sobra era (con iato tra sobra ed era), diversamente da León che legge No madre, que [de] sobra era. 246-47. Il cernícalo è un tipo di falchetto che veniva usato nella falconeria, in senso figurato corrisponde a «zoticone», significato che si perde nella traduzione. 255. La croce di Santiago era rossa e a forma di spada e ricordava l’aspetto di una lucertola, da qui il nome dato all’insegna di lagarto de Santiago. 274. Letteralmente il termine vara (tradotto con picca) indica il bastone del comando; per metonimia rappresenta chi ha una posizione d’autorità. 317-22. San Geronimo o Girolamo viene raffigurato mentre toglie una spina dalla zampa di un leone. La chiesa a cui si fa riferimento è il Monasterio de san Jerónimo del Real, nel Paseo del Prado dove poco dopo si ambienta il ferimento del cavaliere navarro da parte di Felisardo.
PP. 306-320
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
Si veda Cornejo, La imagen burlesca de Madrid, cit., pp. 86-87.
negazione no, mantenuta anche da León, che a p. 1583 spiega di aver ipotizzato che la ripetizione dello stesso concetto, ottenuta dalla ridondanza della negazione, sia un effetto voluto da Lope per sottolineare la paura di Celia di restare sola. Osservando anche le letture di altri editori (Hartzenbusch, Cotarelo e Sainz de Robles tolgono la negazione del v. 378 ma aggiungono aun, probabilmente perché ritengono che il verso resti altrimenti ipometro; mentre Barrau toglie la negazione e sostiene di lasciare il verso iposillabico) riteniamo che il senso sia quello della nostra traduzione: «Se c’è pericolo, perché mi lasci? / E se qui non c’è, perché te ne vai?»; quindi nel testo spagnolo leggiamo: «Si hay peligro aquí, ¿por qué me dejas? / Y si aquí no le hay, ¿por qué te alejas?», cioè togliamo la prima negazione e invertiamo la domanda finale.
324. San Miguel è probabilmente la Iglesia de San Miguel de los Octoes (Si veda Cornejo, La imagen burlesca de Madrid, cit., p. 87). 337-38. Alteriamo la punteggiatura inserita da León («porque son sus melindres postres, y antes / alivio de cansados caminantes») che, a nostro avviso, non rispetta il senso della frase, reso nella traduzione con «ne sono i capricci antipasti e dolci, / lenimento per i viandanti stanchi». L’espressione alivio de cansados caminantes era una frase fatta che, probabilmente, faceva riferimento all’opera di Timoneda Sobremesa y alivio de caminantes; indica una pausa destinata all’ascolto di chi sta raccontando una storia. 350. Fabio fa riferimento ai numerosi proverbi e modi di dire sulla cattiva natura delle persone con i capelli rossi; nella traduzione inseriamo un analogo detto italiano. 355-56. Fabio si riferisce ad un luogo famoso per la produzione di creta. 362. Per ragioni metriche evitiamo la menzione di Aurelia. 366. Questo verso ha suscitato dubbi interpretativi, relativi soprattutto all’espressione de paso o frente, poco leggibile nel manoscritto; León legge (come nelle versioni a stampa del 1617 e del 1618 e nell’edizione sciolta) de paso a fuente e spiega così la sua scelta rimandando a Barrau (p. 226): «quiere decir con un paso tal como se va a la fuente, es decir, cargado de jarros, o bien, muy despacio» (León, p. 1583). Interpretiamo come risulta dalla traduzione: «senza cedere il passo e togliersi davanti». 373. Celia chiama Eliso hermano come espressione affettuosa, si veda León, p. 1583. 377-78. Nel manoscritto, nelle versioni a stampa del 1617 e del 1618 e nell’edizione sciolta, entrambi i versi presentano la
424-37. Il sonetto sull’amore che Lope introduce a questo punto ha il compito di colmare il lasso di tempo in cui Eliso si trova solo e aspetta che il lacayo apra la porta all’alguacil, dando tempo a Celia e Felisardo di cambiare i loro abiti: come Lope dice nell’Arte Nuevo (v. 308), el soneto está bien en los que aguardan. Il sonetto è però anche funzionale poiché si tratta di un commento di Eliso ai casi amorosi suoi e dei due fuggitivi; l’atteggiamento che Eliso decide di tenere verso l’amore è quello di Ulisse con i canti ammaliatori delle sirene, cioè provare ad opporgli resistenza nonostante sia difficile farlo. Il sonetto è sdrucciolo ed è esaminato dal punto di vista metrico in Morley-Bruerton, Cronología, cit., pp. 154, 157, 186, e in Sileri, Belisa entre melindres y bizarrías, cit. 495-96. Il gioco di parole di Eliso si basa sulla paronomasia deuda (debito)deudo (parente, congiunto). Cerchiamo di renderlo nella traduzione con la rima interna querela-parentela. 524. curiosa significa qui «accurata, pulita, elegante»; Covarrubias dà la seguente
2305
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
definizione «el que trata alguna cosa con particular cuidado y diligencia».
697-709. Carrillo illustra a don Juan una serie di modi per «disinnamorarsi», secondo uno dei motivi tradizionali della letteratura erotica da Ovidio in poi. Ovidio, dopo aver pubblicato la Ars amatoria, affidò il tema contrario ad un breve poemetto in distici elegiaci, dal titolo Remedia amoris.
536. Pedro I il Crudele o il Giustiziere (1334-1369) fu re di Castiglia e León dal 1350, dopo la morte del padre Alfonso XI. Si distinse per la sua crudeltà, facendo uccidere, appena salito al trono, la favorita del padre e, successivamente, vari nobili castigliani e il re di Granada, a tradimento, mentre era suo ospite. 549. en escabeche significa «marinato, in salsa d’aceto». 561. Il verbo herrar indica l’atto di marchiare una guancia degli schiavi per riconoscerli come tali; il segno consisteva in una esse (es) e un chiodo (clavo) che costituivano la parola esclavo. 568. La carta de pago è la lettera di accreditamento o ricevuta. Lisarda vuole annullare il debito di Eliso comprando i due schiavi, in modo che non siano più pegni a garanzia del debito ma sue proprietà. 597. Probabile riferimento a Bernardo del Carpio che divenne primo conte di Castiglia, dopo essersi liberato dalla prigionia, ed è un simbolo di libertà. 603. Morato e Jafer sono nomi tipicamente arabi, che Lope impiega anche nella Dragontea; è probabile che qui Felisardo si riferisca ai suoi servitori. Si veda León, p. 1584. 638-39. Juan de Austria (1545-1578) fu figlio naturale di Carlo V e combatté contro i Mori riportando varie vittorie. La guerra d’Alpujarras, a cui si fa riferimento nel testo, avvenne fra il 1568 e il 1571. Barrau (p. 30) utilizza questo riferimento per individuare l’epoca in cui è ambientata la commedia, cioè l’inizio degli anni 1590, quando Felisardo ha una ventina d’anni e ancora i moriscos non sono stati espulsi. 680. Il tocino è la carne di maiale; Flora si assicura così del fatto che lo schiavo sia cristiano, in quanto la religione musulmana vietava e vieta tutt’oggi di mangiare questo tipo di carne.
2306
PP. 320-342
710-14. La citazione di Plinio fa riferimento ad un passo della Naturalis historia: «pulverem in quo se mula volutaverit corpori inspersum mitigare ardores amoris», Libro XXX, 148. (Barrau, pp. 235-236; León, p. 1585). 735-39. Questi versi mostrano una stretta somiglianza con una frase del Sueño del infierno di Quevedo (1608): «…que hasta el lacayo latiniza, y hallarán a Horacio en castellano en la caballeriza…». MorleyBruerton, Cronología, cit., p. 362, ritengono probabile che Lope sia stato il primo ad usare queste parole, a causa della rima, necessaria alla sua commedia ma non all’opera di Quevedo; pensano inoltre che la somiglianza fra i due brani sia una prova a favore della datazione della commedia prossima al 1608, data di pubblicazione del Sueño del infierno. 760. Giusto Lipsio (1547-1606) fu un erudito fiammingo, padre del neostoicismo, ma fu anche attivo nelle lotte di indipendenza dei Paesi Bassi. 763. Íñigo López de Mendoza (13981458), primo marchese di Santillana, fu poeta e umanista, ma si dedicò anche alle vicende politiche e militari del suo tempo. 770-83. Nel secondo sonetto della commedia don Juan riflette sul tema armas y letras, elementi complementari nella vita del perfetto cavaliere. 776-77. Nessuno degli editori ha decifrato il senso di questi versi, che sembrano alludere ad un gioco di carte. 835. Il termine argolla indica letteralmente un grosso anello di ferro che si metteva al collo degli schiavi. Don Juan,
PP. 342-362
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
in questo passaggio (vv. 834-36), si offre a Celia come suo schiavo, secondo i canoni dell’amor cortese.
verso di sette e uno di undici sillabe; accettiamo quindi la lettura di León con la ripetizione del nome Celia. Il secondo verso è un luogo comune sull’incostanza sentimentale delle donne, che nella traduzione rendiamo con un endecasillabo sulla volubilità femminile che suona familiare all’orecchio del lettore italiano: la donna è mobile qual piuma al vento.
839-40. Don Juan gioca sulla parola hierro (ferro) che indica il materiale, ma è anche un simbolo di prigionia, in questo caso di prigionia d’amore. Las trenzas a cui si fa riferimento erano lacci intrecciati su fili di ferro che servivano per legare i colletti elaborati che si indossavano all’epoca, mentre il cambray è una stoffa elegante. 871-73. Felisardo usa il lemma dei Re Cattolici tanto monta cortar como desatar per esprimere la sua rabbia nel vedere Celia che allaccia il colletto di don Juan, giocando sulla parola cortar, colpire con la spada e tagliare; il senso letterale, nel quale si perde però la dilogia, è: «se potessi colpire con la spada, sarebbe la stessa cosa nel loro caso tagliare come sciogliere», perché Celia dista da Juan quanto un laccio del colletto. Si veda León, p. 1586. 879-93, 900-03, 910-13. Lope glossa un villancico che recita: «esclavo soy, pero ¿cúyo? / Eso no lo diré yo, / que cuyo soy me mandó / que no diga que soy suyo»; si veda León, p. 1586. 884-88. Felisardo crea un gioco di parole basato sul poliptoto prenda, pegno e prima persona singolare del congiuntivo presente di prender; nella traduzione cerchiamo di creare un gioco simile con i termini «pegno», «impegnato» economicamente e sentimentalmente e «impegnare» un avversario in uno scontro. 900. Eliminiamo la virgola che León mette dopo Señor dato che lo interpretiamo come soggetto del verbo mandó («il padrone mi ha ordinato»). 946-47. È questo il primo dei tre estribillos che, secondo Morley-Bruerton, Cronología, cit., p. 135, Lope inserisce nei romances dal 1604 in poi. Sia nel manoscritto che nelle stampe esaminate il primo verso è pentasillabo (Ay Celia bella) mentre la forma consueta di Lope è l’unione di un
970-71. È il secondo estribillo, di nuovo l’endecasillabo è un luogo comune e riguarda la facilità con cui può nascere un’attrazione fra un uomo e una donna. 985-91. Si ripete il gioco di parole già utilizzato ai vv. 107-08 basato sulla dilogia niñas, pupille e bambine, da cui deriva niñerías, giochi di sguardi e sciocchezze; qui la dilogia si intreccia all’idea degli occhi come specchio (si tú en la niñas tuyas / retratas…). Tutto il gioco di parole non si mantiene nella traduzione; cerchiamo di sostituirlo con quello fra «sciocchezze» e «salatissimi tormenti». 1032-33. È il terzo e ultimo estribillo, ancora una volta l’endecasillabo è un modo di dire, che traduciamo con un’espressione analoga familiare ad un lettore italiano. 1059-65. Belisa si sente condannata a morte dal suo sentimento e si paragona a coloro che venivano giustiziati per un editto pubblico, cioè por bando; questi condannati a morte portavano sul petto un biglietto con su scritta la propria colpa, cioè la causa della propria morte, e Belisa pensa di fare la stessa cosa. 1088. Nel testo spagnolo usiamo tiene (come nelle versioni a stampa del 1617 e del 1618 e nell’edizione sciolta) diversamente da León che legge tengo. 1131. Le pastillas erano profumi (pastillas de olor). 1161-63. L’angelo che viene raffigurato mentre uccide i serpenti infernali è probabilmente l’arcangelo Gabriele, spesso raffigurato con Lucifero sconfitto ai suoi piedi.
2307
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
1165. San Cristoforo deriva il suo nome dal fatto di essere stato colui che ha portato Gesù sulle spalle per fargli superare un fiume; viene raffigurato come un gigante perché le dimensioni superiori al normale simboleggiano la sua forza e il suo compito di mettere in salvo i cristiani sull’altra sponda del fiume; è tutt’oggi il protettore dei viandanti.
1342. Nell’espressione Tu vista aguardo, il termine vista è usato nell’accezione spiegata nella nota al v. 91, ma lo si può interpretare anche «aspetto di vederti».
1182-85. Riferimento al ponte di Segovia sul fiume Manzanares (Cornejo, La imagen burlesca de Madrid, cit., p. 88).
1371. Leggiamo fue invece di que, lettura di tutte le edizioni (nell’esemplare della princeps della Biblioteca Nacional di Madrid la parola que è corretta a mano in fue).
1191. Le ciruelas de fraile sono le cosiddette «prugne monache», di colore verdegiallognolo, che secondo una credenza dell’epoca nascevano nel corpo umano. 1204. La misura delle scarpe era calcolata in puntos ed era un indice di bellezza delle dame. 1229-34. Apportiamo qualche cambiamento alla punteggiatura inserita da León. 1245. Belisa definisce l’amore alcalde e tutte le edizioni mantengono questo termine; riteniamo che la parola usata da Lope non sia alcalde ma alcaide, cioè «carceriere», vocabolo che ha più senso nel contesto della prigionia d’amore. 1292. Flora consiglia a Belisa di far marchiare il volto dello schiavo secondo l’usanza riportata nella nota al v. 561. 1297-98. Traduciamo i termini desmartelar e salsa […] de amor con riferimenti diretti alla gelosia e alla spinta ad amare che essa costituisce. 1306-07. Belisa afferma che facendo marchiare il volto dello schiavo per non amarlo più, farà come chi rompe lo specchio per non vedervi riflessa la propria immagine, poiché chi ama riflette in sé l’immagine dell’amato. Lo specchio ricorre nella commedia con valenze diverse: come metafora dello splendido incarnato della dama (vv. 861-63), come simbolo del sentimento stesso (vv. 985-91), come spunto per giochi di parole e agudezas (vv. 974-78 e 980-83).
2308
PP. 362-388
1356. Eliso definisce la casa di Lisarda el mejor sagrado perché era nelle chiese, nei conventi e nei luoghi sacri in genere che i rei e i fuggitivi trovavano nascondigli sicuri, essendo posti inaccessibili alla giustizia.
1389. Rendiamo la formula di cortesia besar los pies con «Signora, i miei ossequi». 1405. Si utilizza qui, per la prima volta, l’insulto perro-perra, che era utilizzato contro moros e moriscos, e che rendiamo sempre letteralmente. Felisardo è così chiamato ai vv. 1568, 1581, 1593, 1810, 1835, 2135, 2151, 2366, 2593, 2934, 3183 e 3193, Celia ai vv. 1405, 2551, 2590 e 3203, una volta (v. 3216) sono definiti insieme perros. Sull’impiego di questa offesa si veda A. M. Bañón Hernández, Apuntes sobre el tratamiento apelativo en el Siglo de Oro español, in «Tonos Digital, Revista Electrónica de Estudios Filológicos»,1, 2001, www.tonosdigital.com, pp. 84-86. 1430-33. Lisarda afferma che marchiare il volto dello schiavo ne renderà più difficile una nuova vendita e paragona questo caso a quello di chi commissiona arazzi con il proprio stemma e si ritrova così con oggetti privi di valore di mercato. 1487. hacer fieros significa amenazar; secondo Autoridades il termine fieros, usato come sostantivo, indica «bravatas y baladronadas con que alguno le intenta aterrar a otro». 1519-21. Nuovo riferimento alla lettera s e al clavo (chiodo) che rappresentavano la parola esclavo. 1546. Celia gioca sull’omofonia di herrar «marchiare» ed errar «sbagliare», e sull’antinomia con acertar «fare la cosa
PP. 390-430
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
giusta» (letteralmente «fare centro»), usando herrar come antonimo di acertar; il gioco è impossibile da rendere in traduzione, se non tramite i termini erro-ferro.
1898. L’espressione alto usata in questo contesto significa che si eseguirà l’ordine ricevuto alzandosi e muovendosi; Autoridades riporta che si utilizza «porque los que están sentados o echados se pongan altos o en pie para hacer viaje».
1564-65. Carrillo parla sempre in modo inutilmente complicato, usando espressioni pompose e generalmente fuori luogo; in questi versi ha semplicemente detto che Celia e Felisardo si stanno abbracciando, ma aggiunge en castellano, probabilmente perché sente di dover sottolineare il fatto di essere stato per una volta sintetico e concreto. 1605-06. Il nome della città Algeri viene usato come sinonimo di prigione (come indica Barrau, pp. 253-254), per questo Juan risponde «nel tuo mi trovo», riferendosi di nuovo alla prigionia d’amore. Nella traduzione lasciamo Algeri, ma alteriamo la risposta per mantenere il senso. 1623. Rendiamo la formula di cortesia Dame esos pies con «Al tuo servizio». 1630-31. Carrillo commenta le frecciatine ricevute da Lisarda giocando sul significato letterale del proprio nome, «guancia». Nella traduzione, senza alterare il nome del lacayo, usiamo il termine «carretto» che stravolge il significato letterale ma permette un gioco fonico. 1661-62. Carrillo paragona l’abbraccio fra Celia e Felisardo all’incrociarsi delle bacchette che tengono in mano i danzatori del paloteado, un ballo rustico. 1664. Carrillo fa riferimento al saluto dei fiamminghi vrolyk, vrolyk qui ispanizzato in fróleque, fróleque (vedi Hartzenbusch, p. 328 e Barrau, p. 254); ci limitiamo a trascriverlo seguendo le convenzioni ortografiche italiane. 1703. aquellos dos sottintende la parola carrillos, usata al verso precedente come nome del lacayo. Nella traduzione inseriamo il sostantivo guance. 1837. Sull’offesa bárbara si veda Bañón Hernández, Apuntes sobre el tratamiento apelativo, cit., p. 86.
1901. Secondo Autoridades il termine andas indicava una bara per il trasporto dei defunti. 1946-47. Si ripete lo stesso gioco di parole del v. 1546, che cerchiamo di rendere con «ferrati-errati». 1975-76. Non potendo riprodurre la rima brazos-lazos nella traduzione utilizziamo «braccia» invece di «lacci». 2022. Per ragioni metriche rendiamo jubón con «manto». 2071. Il virote era un palo di ferro che si attaccava al collare, argolla, degli schiavi fuggitivi. Sull’uso scenico di questi strumenti si veda Ruano de la Haza, La puesta en escena…, cit., p. 109, dove lo studioso sottolinea come raffigurino il desiderio di Belisa di soggiogare lo schiavo. 2082-83. Non abbiamo rintracciato modi di dire o proverbi sulla libertà dei cocchieri, ma è possibile che, essendo il gracioso a pronunciare questa frase, sia una rivisitazione comica di qualche frase fatta. 2124. Per questioni metriche eliminiamo i termini tocas e canas, rispettivamente il copricapo della madre e i capelli bianchi dello zio – entrambi simboli di età avanzata – a cui Juan dovrebbe portare rispetto. 2146-54. Si impiegano in questo passo i consueti termini dispregiativi perros e perrazo, insieme a Mahoma (usato anche al v. 2581) che chiaramente si riferisce alla religione musulmana. 2166-79. L’atto si chiude con Felisardo solo sulla scena che affida ad un sonetto la riflessione sui propri tormenti: pur essendo saldo e costante nel suo sentimento, Amore ha voluto imprigionarlo con segni
2309
NOTE
I CAPRICCI DI BELISA
di vera schiavitù, come il collare, la catena e i marchi.
2332-35. Pigmalione si innamorò di una statua di donna da lui stesso scolpita, Afrodite ebbe pietà di lui e trasformò la statua in una donna viva, affinché Pigmalione potesse sposarla; qui don Juan si paragona a questo personaggio mitologico perché anche nel suo caso la donna amata, essendo una schiava, era come di pietra per il suo onore e la sua reputazione, mentre, dopo le allusioni di Eliso al suo vero status, è diventata una donna adatta a lui.
2202-03. L’espressione pondrele entre las dos niñas de los ojos significa «lo terrò carissimo», come attesta Correas, Vocabulario de refranes, cit., p. 713; scegliamo un’analoga espressione italiana. 2230. Traduciamo il verbo desvelarse (non dormire per le preoccupazioni) con il più generico «soffrire». 2336. Il confite de mana (o maná, forme che all’epoca coesistevano) era una caramella fatta con il liquido zuccheroso che fluisce da alcune piante.
PP. 432-454
2348-55. Barrau, p. 261 nota che Lope allude al verso di Quintiliano Qui, quid, ubi, quibus auxilis, cur, quomodo, quando.
2247. L’espressione niña alcorzada equivale a bambina leziosa, letteralmente alcorzada significa «inzuccherata, coperta di glassa».
2348-50. Traduciamo para qué con «per chi» per chiarire il senso, dato che la seconda volta in cui si ripete si complementa con para mí.
2251. Si fa riferimento ad una credenza circa la cosiddetta uña de la gran bestia: si riteneva che l’unghia del piede destro dell’alce o del tapiro fosse un efficace rimedio contro il mal di cuore e gli svenimenti.
2388. Il termine arador indica un minuscolo insetto che sta sottopelle e sembra scavare nella carne.
2271-72. Carrillo chiede a Eliso se ha notato il grande cambiamento di Belisa, che ha perso la sua superbia innamorandosi di uno schiavo, proprio lei che era così sprezzante da considerare come una gazza (urraca) perfino la meravigliosa fenice (fénix). Il riferimento alla fenice è tipico di Lope che spesso gioca sugli epiteti che gli venivano dati, fra cui fénix de los ingenios, e sul proprio nome, ad esempio Félix-feliz; a questo proposito si veda Aurora Egido, La fénix y el fénix. En el nombre de Lope, in Otro Lope no ha de haber. Atti del convegno internazionale su Lope de Vega, Firenze, 10-13 febbraio 1999, a cura di M.G. Profeti, Firenze, Alinea, 2000, vol. I, pp. 11-49. 2273. sayagués equivale a rustico, letteralmente è colui che parla il dialetto delle campagne salmantine. Questa forma espressiva fu usata da Juan del Encina e Lucas Fernández e divenne la lingua rustica tipica del teatro aureo.
2310
2399. Il termine epítimas indica i medicamenti esterni che danno sollievo, come gli unguenti. 2404-12. Belisa usa un linguaggio puerile, ricco di termini tratti dal campo semantico dell’infanzia: cuna (culla), mecer (dondolare), vaquerito (pastorello), zapatos dorados (scarpette dorate), confites pintados (caramelle colorate) e coco (il bau-bau). 2465-66. I due rimanti costituiscono un’autorima, ammessa dalla trattatistica coeva perché si tratta della stessa parola ma con due significati diversi: la formula di cortesia vuesa merced e il sintagma hacer merced (concedere una grazia), usata in coppia con l’espressione pedir favores (chiedere favori); un gioco analogo si rende nella traduzione. 2502. matar in culpa significa uccidere volontariamente, sapendo ciò che si fa. 2523-24. Rendiamo l’espressione Aunque el mundo me den con un analogo modo di dire italiano («per tutto l’oro del mondo»); la stessa frase si ripete al v. 2828.
PP. 456-490
I CAPRICCI DI BELISA
NOTE
2559. pringar significa torturare versando grasso bollente addosso alla vittima; Covarrubias dice «pringar es lardar lo que se asa, y los que pringan los esclavos son hombres inhumanos y crueles».
2934-49. In questo brano Felisardo risponde all’ennesimo epiteto di perro, sviluppando una serie di analogie fra la sua situazione e quella di un cane. Prima si paragona al perro del hortelano che, secondo il proverbio, ni come ni deja comer: proteggerà il suo orto (il suo amore per Celia) da qualsiasi tentativo di don Juan di rubarne i frutti (Celia), perché egli stesso nutre la speranza di coglierli e, anche se non lo ha ancora fatto, non permetterà a nessuno di precederlo. Poi, prendendo spunto dal proverbio el perro, cuando le agravian, no hay dueño de que se acuerde, afferma che don Juan si accorgerà di che cane lo morderà, perché l’amore, per gelosia, diventa rabbioso. Sui due proverbi si veda Correas, Vocabulario de refranes, cit., p. 391. La rima tra il verso 2946 (agravian) e il verso 2949 (rabia) è imperfetta; si potrebbe emendare mettendo il verbo al singolare riferito al sostantivo dueño.
2569. Il termine galga è qui usato nell’accezione che indica una razza di cane (il perro galgo è il levriero), quindi equivale a perra (poco prima, v. 2554, si impiega anche perrona); si veda Bañón Hernández, Apuntes sobre el tratamiento apelativo, cit., pp. 84-86. 2578-79. Anche in questo caso rendiamo l’espressione cansar los aires haciendo estremos con un analogo modo di dire italiano («fare scenate inutili»). 2644. Il Nuncio era il manicomio. 2648. Il dipregiativo rapaz indica l’impulsività e l’inesperienza della gioventù; si veda Bañón Hernández, Apuntes sobre el tratamiento apelativo, cit., p. 26. 2798-99. La prima messa a cui assistevano le donne dopo aver partorito era detta misa de parida o de purificación; qui Felisardo paragona questo tipo di messa a quella a cui ha assistito il cavaliere che pensava di aver ucciso e che, invece, era solo rimasto ferito. 2839. Non traduciamo alla lettera l’espressione dar a los estremos medio, ma con «trovare il sistema giusto». 2842-57. Belisa usa il termine avisar al posto di despabilar, ovvero pulire le candele, togliendo la cera sciolta che si solidifica. Felisardo sottolinea questa confusione terminologica di Belisa, che non è casuale: Flora finge di pulire la candela per spengerla, cioè matarla, e usa l’espressione quien mata no avisa per dire che ha «ucciso» la candela e quindi non l’ha «avvisata», giocando sul proverbio La muerte no suele avisar. 2858. famosa è usato del senso di perfetta.
3011-13. Belisa usa la parola martelo con il significato di «pena per gelosia», mentre la madre risponde usando lo stesso termine nell’accezione «innamoramento». 3016-17. Lisarda fa riferimento al proverbio cria cuervos y te sacarán los ojos. 3020-21. Lisarda rinfaccia alla figlia alcuni dei suoi capricci e fa così un breve elenco delle usanze dell’epoca: le donne mangiavano il gesso perché credevano che facesse sbiancare la pelle, inoltre erano solite masticare pezzetti di creta, che poi provocavano ostruzioni intestinali, cioè le opilaciones a cui Lisarda fa riferimento; i salassi erano ritenuti una cura universale ed erano ampiamente praticati. 3047-53. Belisa sta dicendo alla madre che è ormai troppo vecchia per sposarsi: prima le attribuisce un’età che la include fra i nobili nipoti del Cid e poi paragona il comportamento della madre a quello di un giocatore di carte che, in un gioco simile al «sette e mezzo», forse quello chiamato veintiuna, ha perso, superando la cifra massima da raggiungere, e lo tiene nasco-
2311
NOTE
FUENTE OVEJUNA
sto, cioè la madre ha «sballato» e non vuole ammetterlo. Si veda anche Barrau, p. 265.
3292-93. la commedia si chiude, come di consuetudine, con la rottura dell’illusione scenica; Lisarda afferma di dar fine alla rappresentazione e Belisa chiede perdono al pubblico, chiamandolo senado.
3078-79. Allusione al proverbio achaques al viernes para no le ayunar («fingere di star male il venerdì per non rispettare la norma del digiuno»; Barrau, p. 265); è usata per indicare l’invenzione di scuse per non fare qualcosa.
K ATERINA VAIOPOULOS
3080-81. Traduciamo il modo di dire con uno italiano dal significato simile.
Fuente Ovejuna
3090. Covarrubias spiega che il garabato era un gancio a cui si appendeva la carne.
Nota introduttiva
3092-93. zape e miz sono due voci onomatopeiche usate rispettivamente per scacciare e chiamare i gatti. Belisa accusa la madre di usarle entrambe simultaneamente, cioè di avere un atteggiamento doppio. 3094-96. León propone questa punteggiatura e la lettura alada: Parecéis hormiga. / La vejez, en fin, / en alada os vuelve. Cambiamo i segni di interpunzione e manteniamo la lettura aluda delle stampe del 1617 e del 1618 e della suelta. La aluda, infatti, è la formica alata e lo riteniamo il termine giusto per il contesto, anche se il senso della frase non cambia in modo rilevante: Lisarda è paragonata dalla figlia ad una formica alla quale la vecchiaia ha fatto spuntare le ali, cioè è accusata di volersi comportare da fanciulla da marito quando l’età non glielo permette più. 3108-11. maroma è il termine con cui si designa la corda usata dai funamboli, mentre il volatín è il funambolo; Belisa dice alla madre che se sposa un uomo più giovane, si appoggerà a lei solo per poi volteggiare nell’aria, come fa un funambolo con la corda su cui si esibisce. 3120-21. I termini arfil e peón indicano due pezzi degli scacchi, rispettivamente l’alfiere e la pedina normale. Il senso è che se l’uomo che Lisarda vuole sposare è più giovane di lei, la tradirà con le prostitute di Madrid, che trasformano in una pedina insignificante anche il miglior alfiere.
2312
PP. 492-511
1 Docena parte de las comedias de Lope de Vega, Año 1619, En Madrid, por la viuda de Alonso Martín. A costa de Alonso Pérez, ff. 262v-280v. 2 N. Salomon, Recherches sur le thème paysan dans la «comedia» au temps de Lope de Vega, Bordeaux, Bibliothèque des Hautes Etudes Hispaniques, 1965, p. 862, nota 37. 3 È stata edita da E. López Estrada, Fuente Ovejuna (Dos comedias) Madrid, Clásicos Castalia, 19793, pp. 198-345. Si veda l’analisi che ne fa H. Abab, Estupro, linchamiento, canibalismo: dos «Fuente Ovejunas», in La metamorfosi e il testo, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 159-188.
S. Griswold Morley-C. Bruerton, Cronología de las comedias de Lope de Vega, Madrid, Gredos, 1968, pp. 330-331. Sulla base di alcune somiglianze tra Fuente Ovejuna e la seconda parte della Santa Juana di Tirso (della fine del 1613 o dell’inizio del 1614), J. Robles Pazos, Sobre la fecha de «Fuente Ovejuna», in «Modern Language Notes», L, 1935, pp. 179-182 suppone che la commedia di Lope risalga al 1613 o sia di poco anteriore; ma le somiglianze non sono molto evidenti, né è chiaro quale delle due commedie sia anteriore all’altra. Anibal propone come data di composizione gli anni 1615-1618, basandosi su punti di contatto con altre commedie di Lope risalenti a questo periodo e su alcune allusioni genealogiche: C. E. Anibal, The Historical Elements of Lope de Vega’s «Fuente Oveju-
4
PP. 511-512
FUENTE OVEJUNA
NOTE
na», in «Publications of Modern Language Association of America», XLIX, 1934, pp. 657-718 (p. 667).
ron enviados jueces pesquisidores, que atormentaron a muchos dellos, así hombres como mujeres, no les pudieron sacar otra palabra más desta: “Fuente Ovejuna lo hizo”» («Perché consti l’origine che ebbe il famoso proverbio “È stata Fuente Ovejuna”, si deve sapere che nell’anno 1476, anno della battaglia di Toro, siccome tutta la Castiglia era in rivolta tra vari bandi, gli abitanti di Fuente Ovejuna, una notte del mese di aprile, si misero d’accordo per uccidere Fernando Pérez de Guzmán, commendatore maggiore di Calatrava, per le molte offese che dicevano di aver ricevuto. E entrando nella sua stessa casa lo uccisero a pietrate, e anche se furono inviati giudici per giudicarli, che torturano molti di loro, uomini e donne, non poterono ottenere altra risposta che “È stata Fuente Ovejuna”».
F. de Rades, Chrónica de las tres órdenes y Cavallerías de Santiago, Calatrava y Alcántara, Toledo, J. de Ayala, 1572, ff. 79v-80v. Il racconto della guerra di Ciudad Real occupa i fogli anteriori a quelli dedicati agli avvenimenti di Fuente Ovejuna.
5
6 W. D. Moir, Lope de Vega’s «Fuente Ovejuna» and the «Emblemas morales» of Sebastián de Covarrubias Horozco, in Homenaje a W. L. Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 538-543. Per la possibile influenza del detto popolare cfr. la mia edizione di Fuente Ovejuna, Madrid, Biblioteca Nueva, 2002, p. 17, nota 7. 7 S. de Covarrubias Horozco, Emblemas morales, Madrid, L. Sánchez, 1610, f. 297: «Grande è la confusione di un giudice cristiano / quando, in un caso atroce, Fuente Ovejuna / con mano audace e vendicativa / senza Dio, senza Re, senza legge, tutta si unisce / di fatto per un fatto barbaro, inumano, / senza che si trovi con chiarezza/ chi fu il colpevole e chi l’innocente / nell’insieme di tanta gente».
Il detto è: «Fuente Ovejuna lo hizo», e Sebastián de Covarrubias lo registra nel suo Tesoro de la lengua castellana o española (1611), ed. I. Arellano y R. Zafra, Madrid, Università di Navarra-Iberoamericana, Vervuert, 2006, p. 933b. Il commento di Covarrubias al proverbio è il seguente: «Y para que conste el origen que tuvo un proverbio trillado, “Fuente Ovejuna lo hizo”, es de saber que en el año de mil y cuatrocientos y setenta y seis, en el cual se dio la batalla de Toro, como toda Castilla estuviese revuelta con parcialidades, los de Fuente Ovejuna, una noche del mes de abril, se apellidaron para dar la muerte a Hernán Pérez de Guzmán, comendador mayor de Calatrava, por los muchos agravios que pretendían haberles hecho. Y entrando en su misma casa le mataron a pedradas, y aunque sobre el caso fue-
8
Si veda un censimento della impressionante proliferazione critica e delle riproposte editoriali nella mia citata edizione in «Clásicos de Biblioteca Nueva», pp. 100-105.
9
10 M. Menéndez y Pelayo, Obras de Lope de Vega, publicadas por la RAE, X, Crónicas y leyendas dramáticas de España, Madrid 1899, pp. CLIX-CLXVII, poi in Estudios sobre el teatro de Lope de Vega, Santander, Edición Nacional de las Obras Completas de Menéndez y Pelayo, 1949, V, pp. 171-182: «In Fuente Ovejuna l’anima popolare, che parlava per bocca di Lope, si manifestò senza freno e senza pericolo, grazie alla felice incoscienza politica in cui vivevano il poeta ed i suoi spettatori. Oggi la messa in scena di un dramma di questo tipo provocherebbe una questione di ordine pubblico, che magari finirebbe a fucilate per le strade. Tale è il brio, la forza, l’impeto rivoluzionario che possiede; del tutto inoffensivo in Lope, ma che trasportato ad un altro luogo e tempo, spiega l’entusiasmo dei radicali della Russia... Si dipinge e si rappresenta con i più vivi colori l’orgia del-
2313
NOTE
FUENTE OVEJUNA
la vendetta popolare, un furioso saturnale demagogico».
Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 453468 (p. 462).
E. García Pavón, Edición y estudio preliminar a «Fuente Ovejuna», Madrid, Taurus, 19745, pp. 176-177.
15
11
12 Solo con una incapacità metodologica di lettura può spiegarsi un giudizio come quello di Sobejano: «No es cosa de enumerar aquí las tachas de Fuente Ovejuna, comedia donde no hay un solo tramo de conseguida hermosura poética... Como la mayoría de las comedias de Lope de Vega, Fuente Ovejuna no es más que un guión apresurado, un boceto de comedia, y si se ha salvado de la indiferencia es precisamente por lo que tiene de inédita posibilidad futura ese protagonismo de un pueblo entero sobre las tablas. Es decir, se ha salvado por su valor para la historia de las ideas y de los sentimientos; no por su valor artístico, de cuya palmaria mediocridad invitamos al lector a que juzgue por sí mismo» («Non si possono qui enumerare gli errori di Fuente Ovejuna, commedia dove non esiste un solo brano di piena bellezza poetica... Come la maggior parte delle commedie di Lope de Vega, Fuente Ovejuna non è altro che un copione frettoloso, un bozzetto di commedia, e se si è salvata dall’indifferenza è proprio per quello che ha di inedita possibilità futura questo protagonismo di un paese intero sulla scena. Cioè si è salvata per il suo valore relativo alla storia delle idee e dei sentimenti; non per il suo valore artistico, della cui evidente mediocrità invitiamo il lettore a giudicare lui stesso»): G. S[obejano], recensione a J. Casalduero, Estudios sobre el teatro español, in «Papeles de Son Armadans», LXXXIII, 1963, pp. 204-205. 13 R. D. F. Pring Mill, Sententiousness in «Fuente Ovejuna», in «Tulane Drama Review», VII, 1962, pp. 5-37. 14 E. López Estrada, La canción «Al val de Fuente Ovejuna» de la comedia «Fuente Ovejuna» de Lope, in Homenaje a W.L.
2314
PP. 513-514
Così continua a considerarlo López Estrada nella sua edizione, Madrid, Clásicos Castalia, 1969, p. 348: «El caso de la intriga secundaria fue tenido como recurso un tanto forzado en Lope». Ma D. Marín, La intriga secundaria en el teatro de Lope de Vega, Messico, De Andrea, 1958, pp. 63-64, sottolinea che non si tratta di una «intriga secundaria» ma di «dos episodios cumulativos».
A. Parker, Reflections on a new definition of «Baroque» drama, in «Bulletin of Hispanic Studies», XXX, 1953, pp. 142151 (p. 145); G. V. Ribbans, The Meaning and Structure of Lope’s «Fuente Ovejuna», in «Bulletin of Hispanic Studies», XXXI, 1954, pp. 150-170; poi raccolto in versione spagnola in El Teatro de Lope de Vega, Artículos y estudios, prólogo, selección y revisión técnica por S. F. Gatti, Buenos Aires, 1962, col titolo Significado y estructura de «Fuente Ovejuna», pp. 91-123. 16
J. Casalduero, «Fuente Ovejuna», in «Revista de Filología Hispánica», V, 1943, pp. 21-44; poi in Estudios sobre el teatro español, Madrid, Gredos, 1972 (3 ed.), pp. 9-44. 17
L. Spitzer, A central Theme and its Structural Equivalent in Lope’s «Fuente Ovejuna», in «Hispanic Review», XXIII, 1955, pp. 274-292. 18
B. W. Wardropper, «Fuente Ovejuna: “el gusto” and “lo justo”», in «Studies in Philology», LIII, 1956, pp. 159-171. Con il tema dell’unità di azione si connette la lettura di W. C. McCrary, «Fuente Ovejuna»: Its Platonic Vision and Execution, in «Studies in Philology», LVIII, 1961, pp. 179-192.
19
J. Herrero, The New Monarchy: a Structural Reinterpretation of «Fuente Ovejuna», in «Revista Hispánica Moderna», 36, 1970-1971, pp. 173-185. L’interpretazione di Herrero è suggerita da D. Roaten, Wölf-
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PP. 514-523
FUENTE OVEJUNA
NOTE
fin’s Principles applied to Lope’s «Fuente Ovejuna», in «Bulletin of the Comediantes», IV, 1952, pp. 1-4 (poi ampliato in D. Roaten - F. Sánchez Escribano, Wölffin’s Principles in Spanish Drama: 1500-1700, New York, 1952, pp. 94-132); e E. L. Rivers, Lope and Cervantes Once More, in «Kentucky Romance Quarterly», XIV, 1967, pp. 112-119. Secondo M. Cardenal Iracheta, Fuente Ovejuna, in «Clavileño», núm. II, sept.-oct. 1951, pp. 20-26, Lope sarebbe diviso tra la difesa dell’assolutismo regio e la simpatia per il popolo.
27
F. López Estrada, Los villanos filósofos y políticos. La configuración de «Fuente Ovejuna» a través de los nombres y apellidos, in «Cuadernos Hispanoamericanos», LXXXV, 1969, pp. 518-542.
29
21
«Un’ascesa iniziatica, che essenzialmente è il passaggio dal caos all’armonia»: J. A. Madrigal, El valor temático de la plaza y de Ciudad Real en «Fuenteovejuna», in Actas del VI Congreso Internacional de Hispanistas, Toronto, Universidad, 1980, pp. 488-490; J. A. Madrigal, Peregrinaje al centro: esencia del «Axis Mundi» en «Fuente Ovejuna», in «Estudios Ibero-Americanos», 9, 1983, pp. 145-155. 22
23 Una bibliografia sul tema può vedersi nella mia cit. edizione di Fuente Ovejuna; le varie forme rustiche si vedranno infra, censite nelle note al testo; esse appaiono più frequenti nel primo atto, in funzione caratterizzante.
J. Tenschert, El personaje colectivo, in El personaje colectivo, Actas de las VII jornadas de Teatro clásico de Almagro, Madrid, Taurus, 1985, pp. 19-26. 24
25 T. J. Kirschner, El protagonista colectivo en «Fuente Ovejuna», Salamanca, Universidad de Salamanca, 1979, pp. 9, 142.
S. Rogai, Il «divino anacronismo» di «Fuente Ovejuna» in scena, in «Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche», XIV, 2012, pp. 77-100.
26
Si veda la mia citata edizione per Biblioteca Nueva, pp. 25-48. Il quadro metrico segue i criteri abituali di Lope e dei drammaturghi del Siglo de Oro; lo si può vedere nella mia ed. del 2002. Il testo presenta alcune autorime, tipiche del periodo: vv. 37-40, 1292-93. Ai vv. 26-7, 1196-97, 1683-85, 1856-57, 220104, 2270-71, 2302-03 appare il fenomeno di autorima parziale, su cui si veda J. H. Arjona, The Use of Autorhymes in the XVIIth Century’s Comedias, in «Hispanic Review», XXI, 1954, pp. 273-301.
28
Spitzer, A central Theme..., cit., p. 275.
M. G. Profeti, Los Reyes Católicos en el teatro de Lope de Vega, in La literatura en la época de los Reyes Católicos, ed. N. Salvador Miguel-C. Moya García, Madrid, Università di Navarra-Iberoamericana, Vervuert, 2008, pp. 229-247. 30
31 Casalduero, Estudios sobre el teatro español, cit., p. 37; Wardropper, Fuente Ovejuna, cit., p. 166.
C. E. Anibal, Lope de Vega’s «Docena parte», in «Modern Language Notes», XLVII, 1932, pp. 1-7. Si veda poi la documentata rassegna di V. Dixon, in «Bulletin of Hispanic Studies», XLVIII, 1971, pp. 354356, all’edizione di López Estrada.
32
33 Presentano infatti la stessa fe de erratas datata Madrid, 14 dicembre 1618 e firmata dal licenciado Murcia de la Llana; la stessa tasa (Madrid, 22 dicembre 1618), emessa da Diego González de Villarroel; stessa aprobación (Madrid, 15 agosto 1618, firmata da Vicente Espinel), la stessa suma del privilegio (data in San Lorenzo de El Escorial, 6 ottobre 1618), la stessa dedica a don Lorenzo de Cárdenas, e un «prologuillo» de «El Teatro» al lettore. Ho rassegnato e descritto i molti esemplari conosciuti nelle mie edizioni del 2002, ed in quella di PROLOPE.
Esistono anche due fogli finali manoscritti nell’esemplare R-25127 della Biblioteca Nacional di Madrid, evidenti copie
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2315
NOTE
FUENTE OVEJUNA
che suppliscono dei ff. mancanti, ma che alcuni editori hanno considerato interessanti.
213-217; A. Carballo Picazo, in «Revista Bibliográfica y documental», V, 1951, pp. 291-292); Fuente Ovejuna, traduzione di G. Pacuvio, in Teatro di tutti i tempi, a cura di C. Pavolini, Roma, 1952, vol. I, pp. 581614; in Teatro scelto edito ed inedito, traduzione ed introduzione di C. Vian, Milano, ed. Club del libro, 1964, pp. 51-125; Fuente Ovejuna, traduzione di A. Gasparetti, Milano, Rizzoli, 1965; in Teatro, traduzione di F. Saba Sardi, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1968, pp. 14-93; in Teatro, traduzione di C. Vian, Novara, Edipem, 1973, pp. 15-60 (riproduce la precedente edizione del 1964); Fuente Ovejuna, traduzione di G. Cucuccio, Milano, 1980; in Teatro, traduzione e note di F. Tentori Montalto, Milano, Garzanti, 1989; ristampata sciolta 2001.
35 Fuente Ovejuna, ed. V. Dixon, Warminster, Arts and Phillips, 1971; J. Moll, Correcciones en prensa y crítica textual: a propósito de «Fuente Ovejuna», in «Boletín de la Real Academia Española», LXII, 1982, pp. 159-171; si veda anche J. Moll, La imprenta manual, in Imprenta y crítica textual en el Siglo de Oro, Valladolid, Universidad, 2000, pp. 13-17.
Ripeto un esempio che ho già avanzato. Moll indica che al v. 542 «trae los sus pendones» è lettura dello «stato non corretto»; ossia in un momento determinato qualcuno intervenne e corresse «trae sus pendones». La correzione appare in un frammento in cui Lope «ricostruisce» un linguaggio arcaico ed utilizza le e paragogica in «Comendadore» (v. 530) «Ciudad Reale» (v. 539), «vencedore» (v. 539). È evidente che all’autore si deve l’arcaismo «los sus pendones»; come è evidente che a qualsiasi tipografo verso la seconda decade del secolo XVII, la presenza dell’articolo davanti all’aggettivo possessivo sarebbe risultata strana ed errata. Quindi non uno stravagante «juicio subjetivo», ma un corretto uso del iudicium dell’editore impone di non tener conto di una correzione che allontana il testo dalle raffinate intenzioni letterarie dell’autore.
36
Anche qui si veda la mia edizione in Biblioteca Nueva, 2002, pp. 95-98; per le traduzioni, che si estendono fino all’arabo, ivi, pp. 98-100.
37
38 L. de Vega, Fuente Ovejuna, traduzione di A. R. Ferrarin, in Teatro spagnolo, Raccolta di drammi e commedie dalle origini ai giorni nostri, a cura di E. Vittorini, Milano, Bompiani, 1941, pp. 140-199; in Teatro, traduzione di R. Melani, introduzione di M. Casella, Firenze, Sansoni, 1950 (ed. successive: 1955, 1963), pp. 173-239 (fu recensita da C. Guerrieri Crocetti, in «Nuova Antología», 86, n. 1810, 1951, pp.
2316
PP. 523-526
M ARIA GRAZIA PROFETI Note al testo personaggi. L’elenco registra i personaggi secondo l’ordine di entrata, prescindendo dalla loro importanza. Viene omesso Leonelo, que appare all’inizio del secondo atto (vv. 893-1024). Mancano anche gli assessori (Regidores) di Ciudad Real (vv. 655-722); nel «Regidor» che figura nell’elenco si deve riconoscere quello di Fuente Ovejuna, presente molte volte in scena (vv. 861-1024, 1319-1442, 1660-1816, 2073-2126, 2261-84), che si chiama Cuadrado, come indica il v. 2116. Il secondo «regidor» di Fuente Ovejuna è Juan Rojo (López Estrada aggiunge l’indicazione tutte le volte che Juan appare: cfr. le didascalie che seguono i vv. 528, 1318); i due personaggi (indicati come «Regidor» o «Regidor 1» e come «Juan») agiscono spesso insieme: vv. 861-1024, 1660-1817, 20732126. Il testo presenta alcune irregolarità nella distribuzione del dialogo, e luoghi dubbi, che non è possibile sanare. 6. Rades, Crónica, f. 81, riferisce che Rodrigo Téllez Girón, Gran Maestro
PP. 528-538
FUENTE OVEJUNA
NOTE
dell’Ordine di Calatrava, «murió año de 1482, siendo de edad de veinte y cuatro años, y habiendo tenido el Maestrazgo diez y seis».
de Portugal, su esposo, por inducimiento del Marqués de Villena, su primo, y del Conde de Urueña, su hermano, y con esta voz hizo guerra en las tierras del Rey en La Mancha y Andalucía».
37-40. él...él: Il testo presenta alcune autorime, tipiche del periodo; oltre a questa si veda vv. 1292-93. Ai vv. 26-7, 119697, 1683-85, 1856-57, 2201-04, 2270-71, 2302-03 appare il fenomeno di autorima parziale, su cui si veda J. H. Arjona, The Use of Autorhymes in the XVIIth Century’s Comedias, in «Hispanic Review», XXI, 1954, pp. 273-301. 48. cual somos: appare qui la consapevolezza di una orgogliosa superiorità propria del cavaliere della commedia barocca: L. Spitzer, Soy quien soy, in «Nueva Revista de Filología Hispánica», I, 1947, pp. 113-127; II, 1948, p. 275. 69-83. Gran Maestre... coadjutor: il racconto corrisponde esattamente alla Crónica de Rades, f. 78v: «Era el Maestre al tiempo de su elección niño de ocho años, y por esto la Orden suplicó al Papa Pío II supliese de nuevo la falta de edad, y confirmase la elección o postulación que habían hecho. El Papa viendo que hombre de tan poca edad no podía tener el Maestrazgo en título, dióselo en encomienda; y después Paulo II le dio por coadjutor a don Juan Pacheco, su tío, Marqués de Villena». 90-103. La Crónica de Rades, f. 79, continua ed essere la fonte principale di Lope. 95. Leggono «pretenden» le stampe antiche, da sanare «ope ingenii». 100. engaño: si sospettava che doña Juana non fosse figlia di Enrique IV di Castiglia, ma di sua moglie, doña Juana de Portugal e di don Beltrán de la Cueva, favorito del re; da qui il soprannome dispregiativo «la Beltraneja». 102. primo hermano: si tratta di don Diego López Pacheco, marchese di Villena: cfr. Rades, Crónica, f. 79r: «El Maestre, como mancebo que era de diez y seis años, siguió este partido de doña Juana y del Rey
103. agora: la forma alterna con ahora nel Siglo de Oro; in Lope appare con maggior frequenza agora (Marín-Rugg, p. 228). In Fuente Ovejuna ritorna ai vv. 1228, 1396, 2100, 2395. 121. mirad los condes: manca l’indicazione dell’accusativo di persona, omissione abbastanza frequente nel Secolo d’Oro e in Lope. Il fenomeno si ripete infra, vv. 1227, 1767; si veda anche la nota al v. 637. 129. blanca: «ancora non bagnata di sangue». 135. Le stampe antiche leggono «la blanca espada», da sanare «ope ingenii». 138-39. girón...capa: gioco di parole tra girón: «pedazo desgarrado del vestido», ma anche «estandarte o guión» (Autoridades), e capa: «pieza de vestido» oppure «protección». 172. didascalia. Le stampe antiche leggono «Pascual», ovviamente da correggere. 173. mas ¡qué!: López Estrada interpreta «Con il valore di congiunzione concessiva “benché”». Intendo invece come optativa. 174. he: fe. L’aspirazione di h in luogo di f, tipica del linguaggio pastorale convenzionale, ritorna ai vv. 220, 600, 609. 182. brando: «blando»; con rotacismo, che connota il linguaggio rustico; come l’esclamazione e il proverbio dei vv. 185-87. 187. voto al sol: come «giuramento villanesco» viene commentato da Lope ne El Valiente Céspedes, in Obras de Lope de Vega, ed. RAE, Madrid, 1892-1913, XII, p. 198b. Ritorna infra, vv. 1171 e 1216. 198-200. vano...vano: la figura retorica della redditio si presenta varie volte nella commedia, sia come anafora, che come
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NOTE
FUENTE OVEJUNA
epifora: cfr. vv. 1479-80, 1686-87, 1758-59, 1806-07.
233. pasatarde: «merenda» (Enciclopedia del Idioma), con un esempio dello stesso Lope.
200. Pascuala: Le stampe antiche leggono «Pascual», ovviamente da correggere. 211. Il valore simbolico del ruscello, come forza della passione sfrenata, è stato sottolineato da Casalduero, p. 23. 214-15. ¡que no, sino al cura!: il riferimento al curato contribuisce a sottolineare la rusticità del passo; come la polla: «La gallina nueva, medianamente crecida... Por translación se llama la muchacha o moza de poca edad» (Autoridades); «pollastrella», insomma, come anche nell’uso italiano. 216. reverencia: «El título honorífico que se da a las personas religiosas» (Autoridades); in effetto i cavalieri dell’Ordine di Calatrava avevano lo status di religiosi; allo stesso Fernán Gómez de Guzmán spettava il titolo di Frey («frate»): cfr. Rades, Crónica, f. 81. Traduco con il più generico «sua signoria». 217. pardiez: ancora in funzione connotativa del linguaggio rustico; ritorna ai vv. 838, 956. 217. más precio... que: la formula appare con frequenza in Lope; ho registrato alcuni luoghi nella edizione di Fuente Ovejuna per Prolope (a cui si intendano anche i rimandi che effettuerò infra). 219. lunada: «Lo mismo que pernil» (Autoridades). Come i successivi «zalacatón», «cangilón», «salpicón» serve a dare un tono rustico al passo. 220. huego: «fuego»: si veda v. 174. 221. zalacatón: «Pezzo di pane»; ho registrato alcuni passi analoghi di Lope; i termini sono funzionali alla creazione di un ambiente villanesco. 224. pegado cangilón: «vasija» («orcio», «giara»), che per conservare meglio il vino veniva rivestita di pece (pegado).
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PP. 538-542
237. salpicón: «Fiambre de carne picada, compuesto y aderezado con pimienta, sal, vinagre y cebolla, todo mezclado» (Autoridades); menzionato varie volte da Lope in passi rustici. 240. inducas tentación: dalle parole finali del Pater noster: «Et ne nos inducas in tentationem»; il sintagma serve come personificazione rustica di Dio. Sostituisco la formula con una più comprensibile per il lettore italiano. 264. judío: «giudeo, ebreo»: come offesa rustica cfr. N. Salomon, Recherches sur le thème paysan dans la «comedia» au temps de Lope de Vega, Bordeaux, Bibliothèque des Hautes Etudes Hispaniques, 1965, p. 829, nota 63. 272. anda el nombre de las Pascuas: Castro spiega: «putas, bellacas, alcahuetas» («puttane, canaglie, mezzane»). Nella traduzione rendo esplicita l’allusione. 286. rabel de boj: «Instrumento músico pastoril. Es pequeño, de hechura como la del laúd. Compónese de tres cuerdas solas, que se tocan con arco, y forman un sonido muy alto y agudo» (Autoridades); connota i personaggi rustici di Lope. In italiano «ribeca». 287. troj: o «troje»: «Apartamiento donde se recogen los frutos, especialmente el trigo» (Autoridades); «granaio». Una serie di menzioni in Lope possono vedersi nella mia edizione per Prolope. 292. al uso: l’inversione dei valori nella città appare già in Antonio de Guevara, Menosprecio de corte y alabanza de aldea, Madrid, Clásicos Castellanos, n. 29, 1967, p. 100: «En la corte todos son obispos para crismar y curas para baptizar y mudar nombres, es a saber, que al sobervio llaman honrado; al pródigo, magnífico; al cobarde, atentado; al esforçado, atrevido; al encapotado, grave; al recogido, hipócri-
PP. 544-550
FUENTE OVEJUNA
NOTE
ta; al malicioso, agudo; al deslenguado, elocuente; al indeterminado, prudente; al adúltero, enamorado; al loco, regocijado; al entremetido, solícito; al chocarrero, donoso; al avaro, templado; al sospechoso, adevino; y aun al callado, bovo y nescio».
352. la echó: si noti il laismo (la per le), forma preferita da Lope; si veda anche infra vv. 1567, 2424.
302. gracioso, al entremetido: tutte le stampe antiche recitano «al gracioso, entremetido»; tutte le edizioni moderne emendano per il senso. V. Dixon, Recensione alla edizione di López Estrada di Fuenteovejuna, in «Bulletin of Hispanic Studies», XLVIII, 1971, pp. 354-356, consigliava la lettura del ms. Ilchester «al gracioso, entretenido», che effettivamente adotta nella sua edizione; ma la congettura mi pare poco felice. 307. es un jarro: «Al que es necio decimos que es un jarro, presuponemos que es de vino, y si de agua, grosero y basto» (Covarrubias, p. 1121a). 317. esto llamaros: Hartzenbusch emenda «esto al llamaros»; Menéndez y Pelayo, Entrambasaguas e Castro seguono l’emendamento. 334. al liberal, moscatel: emendo, come tutti gli editori, la lettura della Parte «liberal al moscatel». moscatel: «troppo spendaccione». Sul termine si veda C. E. Anibal, Moscatel, in «Hispania», XVII, 1934, pp. 3-18, che ne definisce le accezioni (quella qui presente corrisponde alla L) con ampia esemplificazione relativa alla commedia aurea e a Lope.
366. amor: La discussione dei contadini sull’amore platonico costituisce un momento essenziale in quasi tutte le letture della commedia; cfr. Spitzer, A central Theme..., p. 276: «Since the characters of the villagers appear firmly delineated in their theoretical opinions on love and since the integration of the contrasting opinions will take place in the course of the play when the deeds of the debaters can be measured against their words, one must concede that this apparent hors-d’oeuvre is, to the contrary, essential to the dramatic development of the play»; con una analisi puntuale della scena. Cfr. anche Casalduero, p. 20: «Al amor natural, que es egoísta, porque solo quiere satisfacer sus deseos, se opone el amor platónico, aquel que en lo amado adora la virtud»; e B. W. Wardropper, «Fuente Ovejuna: “el gusto” and “lo justo”», in «Studies in Philology», LIII, 1956, pp. 159-171. Sull’opposizione dei due tipi di amore centrano le loro letture anche F. López Estrada, Los villanos filósofos y políticos. La configuración de «Fuente Ovejuna» a través de los nombres y apellidos, in «Cuadernos Hispanoamericanos», LXXXV, 1969, pp. 525-529; e J. Herrero, The New Monarchy: a Structural Reinterpretation of «Fuente Ovejuna», in «Revista Hispánica Moderna» 36, 1970-’71, pp. 177179, 182-183.
347-48. basta...basta: nel testo appaiono varie anadiplosi: si veda vv. 797-98, 971-72, 1076-77, 1908-09, 2010-11.
404. Hartzenbusch, seguito da Menéndez y Pelayo, Entrambasaguas e Castro, cambia «materia» in «mentira». Ma può intendersi: «è qualcosa di materiale o falso (materia) la forza (rigor) con cui ogni animale desidera ed ama il suo simile?»
349. dimuño: forma tipica del saiaghese: «demonio». La vacillazione vocalica ritorna ai vv. 437, 556, 958, 1226.
429. caletre: «Juicio, capacidad, entendimiento» (Autoridades); vari i luoghi di Lope.
350. soncas: connota il linguaggio rustico: «a fe, en verdad». lo dice mal: con antifrasi ironica.
430. ’cademia: l’aferesi di «academia» dà un tono rustico alla discussione, comunque colta e filosofica. Alla stessa inten-
336. madeja: «Hombre flojo y dejado» (Enciclopedia del Idioma).
2319
NOTE
FUENTE OVEJUNA
zione si può attribuire la forma «quistión» del v. 437: si veda nota al v. 349.
Archivos, Bibliotecas y Museos», 75, 19681972, pp. 308-309).
431. muelas: moler («macinare») è qui «Molestar gravemente y con impertinencia» (Autoridades).
474. alamares: «Botón de macho y hembra, hecho de trenzas de seda o de oro» (Covarrubias, p. 75a).
437. quistión: in luogo di «cuestión» dà il consueto tono rustico alla discussione; cfr. anche v. 958.
475. bridón: «El caballo ensillado y enfrenado a la brida», ossia «con los estribos largos, al contrario de la gineta» (Autoridades).
448. de adónde bueno: forma rustica di saluto. 452. puesto que: «aunque»; documentato in Lope e nel Secolo d’Oro. Ritorna infra, v. 1707. 457-64. Cfr. Rades, Crónica, f. 79r: «En este tiempo el Maestre juntó en Almagro trescientos de caballo entre freiles de su orden y seglares, con otros dos mil peones, y fue contra Ciudad Real con intento de tomarla para su orden»: Lope segue con precisione il racconto. 469-84. muchacho bizarro: secondo López Estrada, p. 65, «La descripción brillante y rica del Maestre sería para Lope ocasión de halagar a la familia de los Girones, protectores del escritor. En 1598 había dedicado la Arcadia a don Pedro Téllez Girón, tercer duque de Osuna, y en la dedicatoria refiere que antes la tenía dirigida a don Juan, el segundo duque». Ma il frammento è laudatorio non solo del Maestre, ma anche di Fernán Gómez: a ognuno di essi si dedica lo stesso numero di versi, 16, il che conferma come la loro ragione strutturale sia più profonda di un semplice atto di omaggio. McCrary, pp. 187-188, sottolinea le connessioni tra il racconto di Flores, che dipinge «The bestial brutality with which the Maestre punished the city» e il successivo comportamento del Comendador; con qualche interpretazione errata: cfr. nota 27, dove McCrary spiega il v. 624 «tanta carne presentada» (che si riferisce ai doni dei contadini, cfr. v. 619), come «the carnage at Ciudad Real» (corretta invece la lettura di E. W. Hesse, Los conceptos del amor en «Fuente Ovejuna», in «Revista de
2320
PP. 550-554
476. rucio rodado: «El caballo de color pardo claro, que comúnmente se llama tordo; y se dice rodado cuando sobre su piel aparecen a la vista ciertas ondas o ruedas, formadas de su pelo» (Autoridades). Sulla inclinazione di Lope a descrivere i cavalli cfr. Herrero García, La fauna en Lope de Vega, pp. 34-42. Si può confrontare con la descrizione che appare nel Romancero general, in BAE, X, p. 62a: «En un caballo andaluz / de la generosa raza / que al sacro Guadalquivir / le suele pastar la grama, / castaño oscuro, fogoso, / cabos negros, gruesas ancas, / ancho pecho, recios brazos, / corto cuello, cola larga, / chica cabeza y orejas, / crines grandes encrespadas, / gallardo, brioso y fiero / y humilde al freno que tasca...». Per alcuni luoghi in Lope, e una descrizione ironica in Quevedo, si veda la mia edizione per Prolope. 479. codón: probabile italianismo (codone): «Bolsa de cuero que, atada a la grupa, sirve para cubrir la cola del caballo cuando hay barro» (Enciclopedia del Idioma). Per alcuni luoghi in Lope si veda la mia edizione per Prolope. 480. rizo: «rizado». La lectura «rico» della seconda tiratura è un errore di stampa evidente. 480. copete: el «pedazo de crin, o mechón que a los caballos les cae sobre la frente de entre las orejas» (Autoridades). 482-84. Le pelli maculate erano molto pregiate, come dimostrano alcuni luoghi (anche relativi al successivo «melado») che ho raccolti nella mia edizione per Prolope.
PP. 554-558
FUENTE OVEJUNA
NOTE
Si veda anche Herrero García, La fauna en Lope de Vega, p. 37.
mordazas en las lenguas». Come si vede Lope segue fedelmente il racconto.
487. melado: «Que tiene color de la miel» (Autoridades).
526. recebilde: la forma recebir è abbastanza corrente nel Siglo de Oro, e ritorna infra, vv. 1308, 2192, 2325, 2343. Normale nella lingua del tempo la metatesi, che ritorna infra, vv. 967, 1215, 1247, 1251, 1581, 1633, 1853, 1864.
487-88. de negros cabos...bebe: il cavallo di Fernán Gómez ha il muso bianco («bebe con blanco»), mentre le zampe e la criniera(«cabos») sono neri, come attestano alcuni passi di Lope; si veda anche Herrero García, La fauna en Lope de Vega, p. 36. 491. naranjada casaca: le due stampe antiche leggono «naranjada las saca»; Hartzenbusch emenda «naranjada orla saca», e lo seguono Menéndez y Pelayo e Entrambasaguas; Castro mantiene la lettura delle stampe, ma con qualche perplessità. Si potrebbe in effetti riferire «las» all’insieme delle armi: «las saca con [banda] naranjada»; tuttavia un emendamento molto felice è stato proposto da D. Cruickshank, Some uses of paleographic and orthographical evidence in «Comedia» editing, in «Bulletin of Comediantes», XXIV, 1972, pp. 41-42: una grafia «Cassaca» del manoscritto, con c maiuscola simile alla l, avrebbe dato luogo alla corruzione «las saca». Fin dalla mia prima edizione ho accettato il suggerimento. 496. azares: gioco di parole tra azar («caso, rischio, disgrazia») e azahar («fiore d’arancio»), non rara in Lope; si veda ad esempio El castigo sin venganza, vv. 638-40, p. 156. 501-12. la ciudad...públicamente: cfr. Rades, Crónica, f. 79r: «Los de Ciudad Real se pusieron en defensa por no salir de la Corona Real, y sobre esto hubo guerra entre el Maestre y ellos, en la cual de ambas partes murieron muchos hombres. Finalmente el Maestre tomó la ciudad por fuerza de armas... Tuvo el Maestre la ciudad muchos días, y hizo cortar la cabeza a muchos hombres de ella porque habían dicho algunas palabras injuriosas contra él y a otros de la gente plebeya hizo azotar con
530. Comendadore: la e paragogica dà al frammento un’aria di eleganza arcaica. Il fenomeno si ripete ai vv. 539 e 440. 538. fuerte: emendo «fuertes», lettura delle due stampe, poiché l’aggettivo non si riferisce ai «moricos», ma al Comendador, come il precedente «dulce». 539-40. Ciudad Reale...vencedore: ancora con uso arcaizzante della e paragogica: cfr. v. 530. 542. trae los sus: in alcuni esemplari della prima edizione è stata effettuata una correzione durante il procedimento di stampa, il cui risultato è la lettura «trae sus», che ovviamente falsa l’uso intenzionale delle forme arcaiche da parte di Lope; correzione che quindi non deve essere accettata. 550. regimiento: «El conjunto o cuerpo de Regidores, en su Concejo o Ayuntamiento, de cada Ciudad, Villa o lugar» (Autoridades). Vari gli esempi in Lope. 554. árboles bizarros: i doni sono ornati con verzure: questi ornamenti e «las voluntades» (cioè il desiderio di fare cosa gradita) sono la parte più apprezzabile dei regali. 556. polidos: pulidos; nelle parole di Esteban ritornano alcune caratteristiche del linguaggio rustico, come le vacillazioni vocaliche: si veda nota al v. 349. 559. vueso: forma rustica, in luogo di «vuestro»; appare infra, vv. 623, 810. 562. más que guantes de ámbar: i cebones (cioè i porcellini) sotto sale sono più profumati dei guanti bagnati in ambra, che venivano tenuti in gran pregio.
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NOTE
FUENTE OVEJUNA
570. cueros: gioco di parole tra cuero, l’otre di pelle in cui si conservava il vino; e en cueros: «nudi»; gioco non infrequente in Lope.
interjecciones de desagrado y desprecio, a veces violentas. Tan abundantes eran, que Quevedo se burló de ellas...», Commento di A. Zamora Vicente a Lope de Vega, El villano en su rincón, Madrid, Clásicos Castellanos núm. 157, 1961, p. 136.
573-74. aceros / armas aceradas: ulteriore gioco di parole tra «armas aceradas» («armi di acciaio») y «aceros» nel suo doppio senso di «arma di acciaio» e «ánimo, brío, denuedo, resolución» (cioè «coraggio») (Enciclopedia del Idioma). 576. pecho: gioco di parole tra il valore di «estimación, agrado» («stima, riconoscenza») e «la contribución o cento que se paga por obligación a cualquier sugeto que no es el rey» (Autoridades), che potrebbe tradursi come «tassa». Gioco non infrequente in Lope, come ho documentato nella mia edizione per Prolope. 583-84. espadaña...juncia: con queste piante («biodo» e «giunco») i contadini di Fuente Ovejuna hanno decorato strade e pareti. Appaiono spesso in Lope, in funzione di connotazione rustica. 600. tirte ahuera: espressione rustica (come il seguente huera, v. 609), tipica del saiaghese. Per l’aspirazione di f si veda nota al v. 174. 606. hayáis temor: La costruzione con «haber», in luogo di «tener», è abbastanza corrente nel Siglo de Oro: cfr. le note di Van Dam a El castigo sin venganza, pp. 388389. Il fenomeno si ripete infra, v. 1138. 608. uno: alcune delle stampe antiche leggono «una», chiaro errore da sanare. 609. huera: si veda nota al v. 174. 612. entrá: «entrad», forma di imperativo apocopato molto usata nel linguaggio rustico; ritorna infra, vv. 2074 («mostrá») e 2118 («echá»). 612. agarre: per «asir» («afferrare, acciuffare»: «prendere»); è ugualmente tipico del saiaghese utilizzato da Lope. 613. Arre: esclamazione che si inquadra nella ricreazione del linguaggio rustico: «se empleaban mucho en el teatro como
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PP. 560-568
617. Dopo il verso il Commendatore esce di scena; l’indicazione viene omessa dalle stampe. 620. a fe: abituale connotazione del linguaggio villanesco. 623. vueso: in luogo di «vuestro», come rusticismo: cfr. nota al v. 559. 634. ha de despedirse presto: tutti gli editori moderni correggono la lettura «ha despedirse de presto» delle stampe; solo Castro la conserva. 637. ver [a] Alfonso: l’omissione dell’indicazione dell’accusativo di persona non è rara nel Siglo de Oro (si veda nota al v. 121). Qui, tuttavia, mi pare più corretto supporre una aferesi, della quale si possono rintracciare in Lope e nel suo tempo numerosi esempi. Il fenomeno ritorna infra, vv. 776, 1230 e 1327. In tutti questi casi restituisco a (dativo, o indicazione dell’accusativo di persona). 650. eso: le stampe antiche leggono «esto», che Castro e Entrambasaguas accettano. Emendo «eso» per ottenere la rima con «suceso» (v. 647), come fanno Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, López Estrada e McGrady. 681. a no le dar: il pronome personale complemento come proclitico dell’infinito e dell’imperativo è abbastanza frequente nel Siglo de Oro. Ritorna infra, vv. 904, 1237, 1248, 1545, 2388. 683-722. Cfr. Rades, Crónica, f. 79r: «Los de la ciudad se quejaron a los Reyes Católicos de los agravios y afrentas que los de la Orden de Calatrava les hacían, y dijeron como en aquella ciudad había pocos vecinos, y ninguno de ellos era rico ni poderoso para hacer cabeza de él contra el Maestre, antes todos eran gente común y
PP. 568-580
FUENTE OVEJUNA
NOTE
pobre, por estar la ciudad cercada de pueblos de Calatrava y no tener términos ni aldeas. Los Reyes Católicos, viendo que si el Maestre de Calatrava quedaba con Ciudad Real, podía más fácilmente acudir con su gente a juntarse con la del Rey de Portugal, que ya había entrado en Extremadura, enviaron contra él a don Diego Fernández de Córdoba, Conde de Cabra, y a don Rodrigo Manrique, Maestre de Santiago, con mucha gente de guerra».
801. entrambas: «tutte e due», si riferisce probabilmente alla donna citata prima, Sebastiana, e a quella menzionata nel v. 802: «la de Martín del Pozo».
722. didascalia. Tutte le stampe antiche leggono «Laura», che ovviamente tutti gli editori emendano. 726. arroyo: si veda nota al v. 211. 738. para en uno: formula che indica gli sposi; per l’uso in Lope e nel suo tempo si veda la mia citata edizione per Prolope. In Fuente Ovejuna è simbolo del matrimonio ordinatore; ritorna ai vv. 1300 e 1547, e Frondoso lo applica alla coppia esemplare dei Re Cattolici. 742. piporros: «Bajón, instrumento músico» (Enciclopedia del Idioma). L’uso del termine sottolinea l’ambiente rustico; si veda «Haberlos el Rey mandado / los muérganos asegura. / ¡Pardiez! que ha de haber piporro, / pues como de Rey serán, / que en ellos el sacristán / suelte lindamente el chorro», Lope de Vega, La Carbonera, en Nueva Edición RAE, vol. X, p. 718b. In italiano «basso» o «fagotto». 766. salúdate: in rapporto alla precedente esclamazione di Frondoso («rabio», v. 765). Saludar in effetti è «curar del mal de rabia por medio del soplo, saliva, y otras ceremonias, que usan» (Autoridades). Rabiar/ saludar è gioco bastante corrente in Lope, come ho censito nella edizione per Prolope. 776. [a] algún: Castro, Entrambasaguas e López Estrada, risolvono la fusione. Sincopi di questo tipo erano molto correnti nel Siglo de Oro (si veda nota al v. 637). 790. monstro: forma corrente nel Siglo de Oro per «monstruo».
810. vueso: si veda nota al v. 559. 816. Manca almeno un verso del romance, assonante in o-o. 817. prática, per «práctica»: le forme ridotte dei nessi consonantici alternano nel Siglo de Oro con quelle etimologiche: cfr. infra, vv. 1461, 1464, 1515, 1990. 818. reduzgo: estensione della terminazione verbale in -go, sempre in funzione della connotazione rustica del linguaggio. 838. pardiez: imprecazione, ancora funzionale alla connotazione del linguaggio rustico: cfr. vv. 217, 956. 839. nuez: «En la ballesta es un hueso que tiene el tablero, en que se arma la cuerda» (Autoridades). 839. apiolar: cfr. Corominas, I, p. 235a: «matar», con il rimando a questo luogo di Lope. Ma abitualmente, proprio in Lope, presenta il valore di «atar un pie con el otro de un animal muerto en la caza para colgarlos por ellos»: cfr. «Llevando una liebre un rústico apiolada (así llama el Castellano a aquella trabazón que hacen los pies asidos) después de muerta...», L. de Vega, Novelas a Marcia Leonarda, ed. F. Rico, Madrid, 1968, p. 144. 847. espa[l]da: tutti gli editori moderni emendano la lettura delle stampe seicentesche («espada»): è evidente che il Commendatore non ha la spada con sé, giacché se l’è tolta per «no espantar [...] la caza» (vv. 835-37). 859. cerrara: «embestir, acometer» (Autoridades). 862. pósito: «La casa en que se guarda la cantidad de trigo» (Autoridades); quindi «granaio». 870. Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Entrambasaguas e Castro emendano «ope ingenii» la lettura delle stampe anti-
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NOTE
FUENTE OVEJUNA
che «futuras y ignorantes» e danno «futuras ignorantes».
ta da Blecua, come «Tela gruesa y rústica» (Autoridades): «l’arte della stampa ha fatto conoscere molti autori nati in ambienti umili».
874. hagan...antes: «el tiempo que será después y el que fue antes», il futuro e il passato. 881. en el sembrar: emendo la lettura delle stampe antiche «en sembrar», come fanno tutti gli editori moderni, per ottenere la misura regolare del verso. 882. daca: «Lo mismo que da acá, o dame acá» (Autoridades); usato abitualmente in frammenti rustici. 891. Y al cabo, que se siembre: la lettura delle stampe antiche («y al cabo al cabo se siembre») presenta un verso di dodici sillabe, conservato dagli editori moderni. Emendo per ottenere una misura regolare; altro emendamento possibile è: «Y al cabo, ya se siembre o no se siembre». 893. ganéis la palmatoria: al ragazzo che arrivava per primo a scuola veniva consegnata la bacchetta o «palmatoria» usata per punire gli altri; in senso generale è «arrivare prima degli altri»; numerosi esempi in Lope. 896. Bártulo: Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), famoso giurista italiano, è riferimento abituale in Lope: vedi esempi nella mia edizione per Prolope. 904. no se reducir: si veda nota al v. 681. 909-24. Questa tirata di Lope contro la stampa si spiega con i problemi che aveva avuto per poter pubblicare direttamente i propri testi teatrali, e per i costanti episodi di pirateria riguardanti l’edizione delle sue commedie. 909. de imprimir: emendo, come tutti gli editori moderni, la lettura «del imprimir» delle stampe antiche, per ottenere la regolare misura del verso. 910. jerga: López Estrada spiega «jerigonza, lenguaje difícil de entender, de oficio y de pícaros», citando Corominas, che tuttavia sottolinea come si tratti di accezione tarda. Interpreto invece, segui-
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PP. 580-586
914. Cutemberga: forma spagnolizzata per Gutenberg, che nel 1440 perfezionò la stampa a caratteri mobili. 930. Manca il verso con rima in -ado, necessario per completare l’ottava. 931. Jerónimo... Agustino: San Gerolamo (347 ca. - 420 ca.) revisionò i Vangeli e tradusse in latino dall’ebraico l’Antico Testamento, che venne adottato dalla chiesa cattolica con il nome di Vulgata. Sant’Agostino (354 - 430), è autore delle Confessioni, oltre a varie opere filosofico-teologiche, che lo fecero assurgere a prototipo di intellettuale cristiano. Vengono indicati per antonomasia come dotti e affidabili uomini di lettere e studiosi. 934. vistas: «es propio de los que tratan casamiento», Covarrubias, p. 1520b; si può intendere come «corteggiamento», «visite prematrimoniali». 943. López Estrada crede che i vv. 94345, 999-1000, 1111-12, 1319-26, 1337, 134044, 1347-52, attribuiti nelle stampe antiche genericamente a «Alcalde», si riferiscano a Esteban, ed aggiunge l’indicazione in tutti i luoghi menzionati. Ma nelle scene relative appaiono anche, indicati correttamente, gli interventi di Esteban, per cui è logico che «Alcalde» si riferisca a un altro personaggio, ed esattamente ad Alonso, così definito nell’elenco iniziale, accanto a Esteban, e che ritorna ai vv. 529-93. Accettano questa congettura López Estrada nella sua seconda edizione e Blecua. I due «alcaldes» appaiono insieme anche nella scena finale, vv. 2389-2456. 956. Pardiez: come al solito connota il linguaggio rustico, cfr. vv. 217, 838. 958. quistión: cfr. nota al v. 437. Entrambasaguas e Castro spiegano il termine come «tormento».
PP. 586-600
FUENTE OVEJUNA
NOTE
960. hiciérades pariente: Castro spiega «juntar, reunir»; seguito da Entrambasaguas: «acercarle a sí». Le forme verbali in -ades, -edes, appaiono nella commedia aurea, spesso per connotare il linguaggio rustico od arcaizzante.
disimulado, Ortuño...»). L’emendamento non mi pare necessario.
961. liebre: R. E. Barbera, An Instance of Medieval Iconography in «Fuente Ovejuna», in «Romance Notes», X, 1968, pp. 160-162, indica che liebre è un simbolo medioevale dell’organo sessuale femminile: l’allusione sarebbe dunque diretta e brutale. 963. par Dios: fa parte del linguaggio rustico; Entrambasaguas regolarizza «por Dios». 967. Reñilda: si veda nota al v. 526. 977-78. La citazione della Politica di Aristotele (384 - 322 a.C.) ha valore antonomastico. 995. cuando que: «puesto que». 996. alimpia: con protesi di a, che dà sapore rustico al frammento. 999-1000. esas... crea: si sono tentati vari emendamenti per dare coerenza al passaggio: correggo «les honran» delle edizioni antiche in «deshonran», come tutti gli editori (Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Castro, Entrambasaguas, López Estrada e McGrady). Obras talora è stato emendato in «otras» (Entrambasaguas e Castro), ma il cambiamento mi sembra poco adeguato, poiché rompe l’opposizione parole-opere. 1027. quieren: Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Castro, Entrambasaguas e López Estrada, correggono «quieres». Il passaggio è ambiguo; se ne veda un’analisi in Blecua. 1038. beneficio: con antifrasi «tajo, herida» («ferita»). 1052-53. Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Castro ed Entrambasaguas attribuiscono questi due versi a Ortuño, probabilmente perché il Commendatore dirige a questo personaggio i vv. 1054-61 («Yo he
1063-65. fiarse...contado: gioco di parole tra fiarse («spingersi» e «fidarsi») y pagar de contado, «pagare immediatamente». 1077. anda por los aires: «Hacer diligencias para alguna cosa con grande presteza y celeridad» (Autoridades). 1091-96. Un commento a questi versi in P. N. Dunn, Materia la mujer, el hombre forma: Notes on the Development of a Lopean Topos, in Homenaje a W L. Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 189-200. Forse vi si può vedere una reminiscenza de La Celestina (ed. M. Criado de Val - D. G. Trotter, Madrid, CSIC, 1965, p. 34): «En que ella es imperfecta, por el cual defecto dessea y apetece a ti... ¿No has leydo el filosopho do dice: assí como la materia apetece a la forma, assí la muger al varón?». Così pensa H. Hoock, Lope de Vega’s «Fuente Ovejuna» als Kunstwerk, Würzburg, Universität, 1963, p. 205. 1092. filósofo: il filosofo per antonomasia è ovviamente Aristotele. López Estrada emenda il v. 1092 (dove le stampe antiche leggono «porque el filósofo dice») in «y el filósofo lo dice». Accetto l’interpretazione di Blecua, che dà a «por que» il senso di «por quienes». 1121-22. I «castelli» ed i «leoni» appaiono nella bandiera di Castiglia; mentre su quella d’Aragona figurano le «barras». 1136. apriesa: «aprisa». Forma abbastanza corrente nel teatro del Siglo de Oro; spesso per connotare un linguaggio rustico o arcaizante. Ritorna infra, v. 1989. 1138. hayas miedo: si veda nota al v. 606. 1155. jara: «Saeta» (Autoridades). 1169. garrotillo: generica malattia della gola in Autoridades; oggi «difterite». 1171. voto al sol: si veda nota al v. 187. 1172. apero: «Lo [...] que se previene para las labores de las tierras», Autorida-
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NOTE
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des: Mengo tiene la fionda insieme ai suoi arnesi da contadino.
precedenti, per dare carattere rustico al frammento.
1173. crujidero: «El ruido de las cuerdas al saltar la piedra de la honda», spiega López Estrada.
1226. soceso: forma rustica, con vacillazione vocalica: si veda nota al v. 349.
1174. casco: «cabeza»; come i termini anteriori connota il linguaggio rustico di Mengo.
PP. 600-610
1227. Per l’omissione dell’indicazione dell’accusativo di persona si veda nota al v. 120. 1228. agora: si veda nota al v. 103.
1175. Sábalo: confusione comica tra il nome dell’imperatore romano Eliogabalo (204-222), famoso per la follia e gli stravizi, e «sábalo», pesce di fiume.
1230. [a]: omettono le stampe antiche. Si può pensare a una fusione di a con la terminazione di «labradora»; restituisco come tutti gli editori: si veda nota al v. 637.
1179. Pero Galván: dopo la correzione di Laurencia, Mengo sbaglia di nuovo la pronuncia di Eliogabalo, che confonde con alcuni eroi delle ballate popolari spagnole. Inesplicable la lettura di Hartzenbusch, che cambia «Pero Galvan» in «Pelicálvalo»; seguito da Menéndez y Pelayo. Come detto proverbiale «No me conoziera Galván» è registrato da Correas, p. 663a, e ricordato spesso in testi letterari del Siglo de Oro: vedi le mie note all’edizione Prolope.
1237. le atad: si veda nota al v. 681.
1181. cativa: «mala» (Corominas). 1214. guardalla: assimilazione frequente nel Siglo de Oro; in questo caso non è determinata da esigenze metriche. Ritorna infra, vv. 1390, 1635. Sull’uso dell’assimilazione in Lope cfr. note di Marín-Rugg a El Galán de la Membrilla, nota al v. 163. 1215. quitalde: si veda nota al v. 526. 1216. voto al sol: si veda nota al v. 187. 1216. emberrincho: fa parte del vocabolario rustico: cfr. Luis Vélez de Guevara, La montañesa de Asturias, ed. M. G. Profeti, Verona, Clued, 1976, p. 135, nota al v. 998. 1217. cáñamo me descincho: cáñamo «Metaphóricamente se toma por las cosas que se hacen de cáñamo, como la honda» (Autoridades); descincho: «Soltar las cinchas a una caballería» (Enciclopedia del Idioma): usato, come analoghi termini
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1247. llevalde: si veda nota al v. 526. 1248. le atad y le desnudad: si veda nota al v. 681. 1251. azotalde: si veda nota al v. 526. 1271. bagaje: «Equipaje militar de un ejército en marcha» (Enciclopedia del Idioma). Si intenda: Giacinta servirà come prostituta al servizio dei soldati. 1300. para en uno: si veda nota al v. 738. 1308. recebida: «recibida»: si veda nota al v. 526. 1318. didascalia. Escóndese: chi si nasconde è Laurencia, giacché Frondoso appare nella scena seguente con Esteban e il Regidor (vedi vv. 1353, 1360, ecc.). Nella scena devono apparire Juan Rojo, che potrebbe essere il «Regidor» menzionato (e López Estrada aggiunge l’indicazione «Juan Rojo» alla didascalia); effettivamente si sa che Juan è zio di Laurencia (si veda v. 772), e nel v. 1315 la stessa protagonista indica che Esteban entra accompagnato da suo zio. Inoltre gli affettuosi vv. 1355-60, dove il Regidor ricorda di avere allevato Frondoso, non possono essere pronunciati da Cuadrado (si veda nota alla lista iniziale), ma devono essere attribuiti a Juan. E nella prima scena del secondo atto, vv. 1389-90, Cuadrado viene indicato come «Regidor 1». Probabilmente i due «regidores» entrano in scena insieme, accanto ai
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FUENTE OVEJUNA
NOTE
due «alcaldes», Esteban e Alonso (questi designato genericamente come «Alcalde»). Poiché non si può giungere ad una distribuzione del dialogo che superi tutti questi dubbi, preferisco non alterare le indicazioni consegnate dalle stampe antiche, e mi limito a aggiungere «Juan» solo davanti ai vv. 1355-60.
1473. didascalia. Castro vedeva in «alcalde» una menzione di Juan Rojo, che in effetti appare in scena (vv. 1539 e segg.); Anibal considerava melior la lettura della seconda stampa antica, che tuttavia si presenta come tentativo di correzione della lacunosa didascalia della prima stampa. Sicuramente «y alcalde» si riferisce a Alonso: si veda nota al v. 943.
1327. ya [a] los: restituisco, come tutti gli editori, la fusione de a con «ya»: si veda nota al v. 637. 1333. Santiago: patrono della Spagna, e protettore della sua guerra di «riconquista» contro gli invasori arabi; che ora dunque legittima il «bando» dei Re Cattolici.
1479-80. trovar...trovado: la figura retorica della redditio si ripete nella commedia: si veda nota ai vv. 198-200. 1492. Il v. manca nella prima stampa; supplisco dalla seconda, come consiglia Anibal ed effettua López Estrada.
1344. palo: è la «vara» del Sindaco, simbolo del suo potere.
1494. melecina: per antonomasia «clistere» (Autoridades).
1346. ansí: alternava con «así» nel Siglo de Oro (cfr. vv. 104, 1524); è la forma preferita da Lope: cfr. El Galán de la Membrilla, ed. Marín-Rugg, p. 224, nota al v. 21.
1505-13. Le stampe antiche attribuiscono a Mengo sia i vv. 505-11 che i vv. 151213. Per sanare la lettura Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Castro, Entrambasaguas, López Estrada e McGrady attribuiscono i vv. 1512-13 a Frondoso, anche se la maledizione non è molto consona al profilo del personaggio. Più logica l’argomentazione di Blecua, che attribuisce a Barrildo i vv. 1505-11 spiegando: «la copla estaría cantada por Barrildo... o por los Músicos, lo que explicaría mejor el error (Musi-Men)»; è l’indicazione che ho seguito nella mia seconda edizione e in quella per Prolope.
1390. acetallo: per l’assimilazione si veda nota al v. 1214. 1396. agora: si veda nota al v. 103. 1436. maravedís: «moneda antigua española» (Autoridades). 1451-73. Cfr. Rades, Crónica, f. 79r: «Llegaron estos dos capitanes a Ciudad Real donde el Maestre don Rodrigo Téllez estaba, y pelearon la gente de los unos con la de los otros a la entrada y por las calles, que no es pueblo de fortaleza ni castillo, sino solamente cercado de una ruin cerca. Todos pelearon valerosamente, y de ambas partes murieron muchos hombres, mas como los dichos dos capitanes habían llevado mucha gente, y los de la ciudad eran con ellos, vencieron, y echaron fuera al Maestre con los suyos.» 1461. vitoria: come il successivo vitoriosos (v. 1464) presenta una consueta riduzione del nesso consonantico: si veda v. 817. 1470. Verso regolare di undici sillabe, poiché termina per sdrucciola.
1515. seta: «secta», con riduzione del nesso consonantico: si veda nota al v. 817. Riunisco vari passi di Lope nella ed. Prolope. Il fenomeno si ripete infra, v. 1990. 1532. poniéndolo en el pecho: «lo» si riferisce al «verso» (v. 1528). 1545. la echad: si veda nota al v. 681. 1547. para en uno son: si veda nota al v. 738. 1548-71. Si veda il bello studio di questa canción dovuto a López Estrada, La canción... Entrambasaguas non conserva le
2327
NOTE
FUENTE OVEJUNA
interessanti forme arcaiche «ascondes» (v. 1556) e «intricadas» (v. 1563).
exequiae, que en rigor habíamos de decir exequias», Covarrubias, p. 1320b.
1549. niña en cabellos: secondo Covarrubias, p. 380b, la «niña en cabello» es «la doncella, porque en muchas partes traen a las doncellas en cabello, sin toca, cofia o cobertura ninguna en la cabeza hasta que se casan».
1682. en tanto que Fernando, aquel que humilla: Hartzenbusch e Menéndez y Pelayo correggono «En tanto que Fernando al suelo humilla»; ritengo preferibile conservare la lettura delle stampe antiche, come fanno Castro e Entrambasaguas, che spiega: «Frase anfibológica: Mientras Fernando esté dedicado a vencer enemigos, será mejor otro medio». Blecua interviene: «En tanto que Fernando, aquel que humilla, / ha tantos enemigos».
1558. linces deseos: il sintagma è stato esaminado da López Estrada, La canción..., che sottolinea, p. 466: «no es común en la lengua literaria, y menos en la tradicional. El uso del sustantivo en funciones de adjetivo no es frecuente, y es curioso que la expresión se emplee en la misma seguidilla en que se usa el arcaico y popular ascondes» (v. 1556). È possibile tuttavia indicare una notevole quantità di luoghi analoghi in Lope, dove «lince» è apposizione di «ojos»; che ho riuniti nelle note alla mia edizione per Prolope.
PP. 624-638
1683-85. en medio...medio: isorima perfettamente tollerata nel Siglo de Oro, giacché i termini identici hanno un diverso significato. 1686-87. voto/voto; si noti la redditio (si veda nota ai 198-200). Come si vede la gravità del frammento è sottolineata dalle figure retoriche impiegate.
1563. intricadas: forma etimologicamente corretta che non è rara nel Siglo de Oro ed appare frequentemente in Lope, come ho indicato nelle note alla mia edizione per Prolope.
1687. desamparar: «abandonar o ausentarse de algún lugar» (Autoridades).
1567. la dice: per il laismo vedi nota al v. 352.
1710. se compasan: «misurare con precisione» (Enciclopedia del Idioma).
1581. prendelde, atalde: per la metatesi si veda nota al v. 526.
1717. voto/voces: tento di rendere il gioco eufonico con «votare/vociare».
1633. quitalde: si veda nota al v. 526.
1739. la compre: probabilmente il plurale «compren» delle stampe antiche nasce per attrazione di «entregan» del v. precedente: correggo come Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo e López Estrada.
1634. norabuena: «en hora buena»: fa parte delle forme caratteristiche del linguaggio rustico, qui con antifrasi ironica. 1635. dalle: si veda nota al v. 1214. 1647-48. cardenales...Roma: versione di un consueto gioco tra le due accezioni di cardenal: «livido» e «dignità ecclesiastica». 1653. atabales: tamburi militari (Autoridades); giocosamente sono le natiche di Mengo, diventate rosse, a forza di frustate, come fette («ruedas», v. 1652) di salmone. 1666. obsequias: «Las honras que se hacen a los difuntos, del nombre latino
2328
1706. vais: forma etimologica del congiuntivo: «vayáis». 1707. puesto que: si veda nota al v. 452.
1758-59. dolor...dolores: ancora una redditio: si veda nota ai vv. 198-200. 1761. Fuente Ovejuna: vengono proposte due etimologie del nome: la prima lo fa derivare da «Fons Mellaria», e quindi la sua forma corretta sarebbe Fuente Abejuna (da abeja, «ape»); la seconda, di origine popolare, che qui Lope sostiene per bocca di Laurencia, fa derivare il toponimo da oveja («pecora»).
PP. 638-648
FUENTE OVEJUNA
NOTE
1765-69. Tigres...arrojen: luogo comune che ricorre in molti passi di Lope, che ho censito nella edizione Prolope. Si veda anche, per le fonti del luogo, Herrero García, La fauna en Lope de Vega, pp. 275-278.
1849. Cides ni Rodamontes: il primo accenno si riferisce a Rodrigo Díaz de Vivar, protagonista del poema medioevale Cantar de mio Cid, che fonda la letteratura spagnola; Rodamontes è «Rodomonte», personaggio dell’Orlando Furioso di Ariosto.
1767. Per l’omissione dell’a dell’accusativo di persona si veda nota al v. 121. 1770. nacistes: la forma etimologica -tes era corrente nel secolo XVII, alternando con quella analogica -teis, che prevalse più tardi: vedi esempi nella mia edizione per Prolope. 1772. gallinas: «galline», comparazione tipica per indicare la vigliaccheria in spagnolo; sostituisco con il corrispondente italiano «conigli». 1781. hilanderas: come il precedente v. 1774 allude probabilmente al mito di Ercole che serve per tre anni la regina Onfale, ridotto a un completo asservimento femminile, filando la lana con una conocchia: si veda McGrady, p. 124. 1785. solimanes y colores: «belletti», perché il «solimán» (sublimato corrosivo) si usava per la preparazione dei cosmetici. 1792. sin mujeres: dal momento che sono proprio gli uomini ad essere deboli come donne. 1805. inormes: forma antiquata e rustica di «enormes», cioè «fuori della norma». In Lope «enorme»/ «inorme» è usato di preferenza come aggettivo: vedi vari esempi nella mia edizione per Prolope. 1806-07. orden.. sin orden: per la redditio si veda nota ai vv. 198-200. 1808. L’appello al pueblo («popolo», poiché il paese di Fuente Ovejuna viene identificato come «villa») si reitera in questa parte finale della commedia: vedi vv. 1881, 2223, ecc. 1835. cabo...escuadra: «Oficial en la milicia, inferior a capitán y alférez», Covarrubias, p. 383b. Le donne si attribuiscono anche gli altri gradi: quello di alfiere a Pasquala e quello di capitano a Laurencia.
1849. didascalia. Le stampe antiche leggono «Cimbrano»; che emendo in «Cimbranos», seguendo la lettura dell’elenco iniziale e dei luoghi dove il personaggio è presente. 1852. Interpreto: «Da questa mia pena, che fama può venirne alla tua nobiltà?» La punteggiatura, ed il senso, cambia nelle varie edizioni moderne. 1853. Colgalde: si veda nota al v. 526. 1856. interrompen: forma popolare, in luogo di «interrumpen», influenzada da «romper». Castro e Entrambasaguas restituiscono la forma colta «interrumpen», senza preoccuparsi della consonanza con il v. 1857. 1864. Desatalde: si veda nota al v. 526. 1874. rastrillo: «la compuerta formada como una reja... que se hecha en las puertas de las plazas de armas para defender la entrada», Autoridades. Si può tradurre con «cancello, grata, saracinesca, serranda». 1875. defendamos: la rima richiede la lettura della prima stampa antica; la seconda corrompe: «defendemos». 1885. malos cristianos: quindi il Commendatore ed i suoi servi sono condannati come «cattivi cristiani», oltre che come «traditori», rispetto ai Re Cattolici. 1892. lo que: lettura di tutta la tradizione; anche se Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Castro ed Entrambasaguas preferiscono leggere «Los»; ma migliore la soluzione di López Estrada, che accetto: «Lo dejo así, en una serie de frases interrumpidas». 1893. ¡en él beban su sangre es bien que esperes!: Seguo parzialmente la punteggiatura di Blecua e McGrady; gli altri editori
2329
NOTE
FUENTE OVEJUNA
danno: «¡En él beban su sangre! ¿Es bien que esperes?»
ta incolto; ho raccolto numerose citazioni nella edizione per Prolope.
1903. marquesotes: come segnala A. Zamora Vicente, notas a L. de Vega, La dama boba, Madrid, Clásicos Castellanos núm. 159, 1963, p. 209: «La palabra encerraba un valor despectivo: “presuntuoso, elegantón, vestido a lo marqués”»; ho fornito numerosi luoghi di Lope nella edizione per Prolope.
2065. rabel: metafora rustica per natiche, con allusione alla parte posteriore dello strumento; si veda nota al v. 286.
1971. acumula: «Imputar o achacar a alguno lo que no ha hecho» (Autoridades). 1979. pero: forma corrente nel Siglo de Oro, anche in dipendenza da «no solo»: vedi le ricche note di Van Dam, nella sua edizione de El Castigo sin venganza, pp. 302-303. 1989. apriesa: si veda nota al v. 1136. 1988. mesa su barba: mesar è «arrancar los cabellos o barbas» (Enciclopedia del idioma); come insulto e disonore. Nella Crónica de Rades, f. 79v, si sottolinea in effetti che i contadini di Fuente Ovejuna «le arrancaron las barbas y cabellos con grande crueldad».
PP. 650-664
2066. respingo: dato il suo carattere di poeta non dotto, la copla di Mengo abbonda di forme rustiche, come respingo, usato da Lope de Vega in circostanze analoghe. 2067. pringo: cfr. M. Herrero García, Comentarios a algunos textos de los siglos XVI y XVII, in «Revista de Filología Española», XII, 1925, pp. 36-42 y 296-297. Qui ha il senso di «prepararsi ad assaggiare il buon governo dei Re Cattolici», ma con allusione alle frustate ricevute da Mengo e alla terribile tortura del «pringar», che consisteva nel versare sul malcapitato lardo bollente (Autoridades).
1990. efeto: per la riduzione dei nessi consonantici si veda nota al v. 817.
2068-69. cristiánigos...tiránigos: cfr. Spitzer, A central Theme ..., p. 286, nota 12: «The formations in -igo belong to a pattern familiar in burlesque popular poetry.» Si veda in effetto R. Menéndez Pidal, Sufijos átonos en español, in «Bausteine zur rom. Philologie», Halle, 1905, p. 400, che cita una copla asturiana.
2010-11. justo...justa: per la redditio si veda nota ai vv. 198-200.
2072. didascalia. armas: si tratta dello scudo dei Re Cattolici.
2043-44. años/tiranos: Frondoso ripete il ritornello passando dalla rima alla assonanza: a questo si può riferire la venia che domanda per possibili irregolarità metriche (vv. 2035-36). Blecua e McGrady pensano che tale irregolarità consista nel fatto che la copla di Frondoso ha otto versi, quelle di Barrildo e Mengo sette.
2074. mostrá: imperativo apocopato usato come forma rustica: si veda nota al v. 612.
2054. gigantes y enanos: come violazioni della norma.
2099-2000. ahora-agora: si veda nota al v. 103. Il v. 2099 è irregolare, anche se si considera «ahora» come bisillabo; Hartzenbusch interviene leggendo: «Sí, sí Pues yo quiero ser»; lettura che Menéndez y Pelayo segue.
2056. Nelle stampe antiche appare solo il v. 2056, seguito da «etc.» Trascrivo il ritornello per intero.
2114. cagajón: «Estiércol de las mulas, caballos y burros» (Autoridades); l’espressione forte sottolinea il tono rustico della scena.
2060. donado: «El lego», Covarrubias, p. 726b. In Lope appare spesso come apposizione di «poeta», ad indicare un poe-
2114. didascalia. Si noti che il «Regidor» è già presente in scena, dato che gli sono attribuiti i vv. 2073 e 2076, che non posso-
2330
PP. 664-676
FUENTE OVEJUNA
NOTE
no riferirsi a Juan Rojo nella sua qualità di Regidor (si veda nota al v. 1318 didascalia e alla lista iniziale), giacché il personaggio appare con il suo nome proprio.
ne, come questo di Laurencia; essa sottolinea la propria preoccupazione per Frondoso, e come sia combattuta tra il desiderio di vederlo in salvo, e quindi lontano, e di sentirselo accanto, con grave rischio per l’amato.
2118. Echá: forma apocopata dell’imperativo: si veda nota al v. 612. 2126. didascalia. salen: la seconda stampa legge «sale» e López Estrada accetta la lettura, che sembrava melior anche a Anibal. Tuttavia il verbo si può accordare al plurale con «el Maestre y un soldado», oppure al singolare con «el Maestre»: la prassi del secolo XVII comprende entrambe le forme. 2128. Infelice: come «felice», v. 2173, era forma abbastanza corrente nel Siglo de Oro; cfr. le note di Van Dam a El Castigo sin venganza, p. 375. 2146. pleitear: «contender judicialmente sobre alguna cosa» (Autoridades). 2148. lo que él le entregó: Hartzenbusch e Menéndez y Pelayo correggono: «lo que se entregó en sus manos»; Entrambasaguas e Castro accettano la lettura «él le entregó» delle edizioni antiche, e interpretano él come «el mismo pueblo de Fuente Ovejuna». López Estrada intende «lo que él [Rey] entregó a él, en sus manos [de este]». Seguono questa lettura Ruiz Ramón e McGrady. 2152. se reportará: seguo l’emendamento di López Estrada (il soggetto è «mi enojo»); la lettura «me reportará», data dalle stampe antiche, viene accettata da Hartzenbusch, Menéndez y Pelayo, Entrambasaguas e Castro. 2161. y importa: y + i- era corrente nel secolo XVII, anche se Covarrubias, p. 737a, avverte: «[e] vale por letra y copulativa... y con algún primor usamos della cuando la dicción que se le sigue empieza en i, como “María e Inés”». 2163-76. Il sonetto, prova di bravura per gli attori e come tale apprezzato dagli spettatori, è spesso nella commedia aurea il luogo della riflessione e dell’introspezio-
2173. felice: si veda nota al v. 2128. 2178. ¿Cómo estar...?: si potrebbe qui supporre una fusione della a con la e iniziale di estar, il che spiegherebbe la mancanza di preposizione: vedi nota al v. 637. Non intervengo, essendo dubbio il fenomeno. 2191-92. Diversa la punteggiatura scelta da Dixon e McGrady. 2192. recebida: vedi nota al v. 526. 2212. Per completare la redondilla manca il verso terminante in -ando. 2226. mancuerda: «Tormento consistente en atar al supuesto reo con ligaduras que se iban apretando hasta que confesase o peligrase su vida» (Enciclopedia del Idioma). 2252. Fuente Ovejunica: il diminuitivo connota bene il linguaggio creativo e affettivo del personaggio del gracioso. 2264. diacitrón: «La corteza de la cidra confitada y cubierta» (Autoridades). Ho raccolto alcune menzioni di Lope nella mia edizione per Prolope. 2266. Mancano le prime cinque sillabe del verso; si può congetturare che Mengo ripeta i suoi «ay». 2274. A vez por vuelta las cuela: McGrady spiega: «bebe una vez por cada vuelta que le dieron en el potro». 2277. hay: con doppio senso può significare «ce n’è» e «oi!». Traduco «Eh, eh». 2280. punta: «Metaphóricamente se llama el sabor que va tirando a agrio en alguna cosa: como el del vino cuando se comienza a avinagrar» (Autoridades); ho raccolto vari luoghi di Lope nella mia edizione per Prolope.
2331
NOTE
IL CAVALIERE DI OLMEDO
2281. arromadizo: «Contraer romadizo» (Enciclopedia del Idioma); cioè «raffreddarsi».
strazgo» di Calatrava fu amministrato dai Re Cattolici dal 1487.
2282. que vea: le stampe antiche danno «que lea, que este es mejor». Hartzenbusch corregge «es aloque; este es mejor», seguito da Menéndez y Pelayo. Castro preferisce «que beba», e lo segue Entrambasaguas. López Estrada congettura: «Puede pensarse en una broma de Frondoso pasándole la botella por delante, o leer “que [v]ea que este es mejor”». Accetto il suo emendamento, poiché una grafia «bea», corrente nel Siglo de Oro, si può facilmente confondere con «lea». Anche McGrady accetta «que vea»; Blecua propone «que le acueste[s] es mejor»; Dixon «que le acuesten es mejor». 2284. Ovejunica: vedi nota al v. 2252. 2299. le tuerza: «no tuerza» leggono alcuni esemplari della prima edizione (Parigi, Vaticana, Casanatense). Per il senso le due letture sono entrambi ammissibili: «Vostra Maestà cambi il suo viaggio» («le tuerza»); oppure «non si allontani dai suoi propositi» («no tuerza»). Ma poiché in «le» si può identificare una correzione fatta in corso di stampa, la reputo più attendibile, d’accordo con tutti gli editori. 2323. fiel: in questo caso si interpreti come «asse della bilancia»; il consiglio di Fernán Gómez non fu equilibrato, ma «injusto». 2325. recebir: vedi nota al v. 526. 2334. dándoles: cioè: «dando ai mori», come interpreta López Estrada. 2337-40. La rima non è perfetta: -ados: -aros. 2343. recebida: vedi nota al v. 526. 2347-48. Ester...Jerjes: una donna eroica dell’Antico Testamento e un guerriero famoso come Serse, per antonomasia. 2359. el cargo en vuestro poder: come sottolinea McGrady in effetti il «mae-
2332
PP. 676-694
2388. les di: vedi nota al v. 681. 2395. agora: vedi nota al v. 103. 2424. la querían: per il «laísmo» vedi nota al v. 352. 2425. Nerón: malvagio per antonomasia. 2435. polvos de arrayán y murta: «En medicina sirve esta planta con su raíz, hoja y fruto para grandes remedios». Murta è «el arrayán pequeño» (Covarrubias, pp. 219b-220a). 2440. habemos: «hemos», forma corrente nel Siglo de Oro. 2455. discreto senado: formula tipica con cui l’autore si congedava del pubblico; una campionatura nella mia edizione Prolope. M ARIA GRAZIA PROFETI
Il cavaliere di Olmedo Nota introduttiva 1 Interessanti osservazioni sulla fortuna dell’opera si possono trovare in F. Rico, «Introducción» a: Lope de Vega, El caballero de Olmedo, Madrid, Cátedra, 19877, pp. 76-83, e in M. G. Profeti, «Introducción» a: Lope de Vega, Fuente Ovejuna – El caballero de Olmedo, Madrid, Biblioteca Nueva, 2002, p. 90.
Lo esclude ad esempio F. Rico («Introducción», cit., p. 48), mentre M. G. Profeti («Introducción», cit., p. 65) afferma che la paternità di Lope non si può escludere drasticamente, e riproduce il testo nella versione della Séptima parte (pp. 66-68).
2
Su questo tema è di fondamentale importanza il saggio di M. Socrate, «El caballero de Olmedo» nella seconda epoca di Lope, in «Studi di letteratura spagnola», Roma, 1965, pp. 95-173.
3
PP. 696-706 4
IL CAVALIERE DI OLMEDO
F. Rico, «Introducción», cit., pp. 18-26.
Sull’importanza di queste tre décimas pronunciate da don Rodrigo, e sul parallelo che stabiliscono con le tre décimas pronunciate da don Alonso in apertura dell’opera, vedi le osservazioni pertinenti di M. G. Profeti, «Introducción», cit., p. 83.
5
L’opposizione, fortemente semantizzata, fra Olmedo e Medina, è uno dei molti tratti spaziali rilevanti dal punto di vista semantico che presenta l’opera, e che la critica non ha mancato di rilevare. Cito in particolare M. G. Profeti, «Introducción», cit., pp. 76-90 (con interessanti osservazioni anche su altri elementi significativi come il vestiario), e G. Greco, Il linguaggio artistico-spaziale in «El caballero de Olmedo» di Lope de Vega, in «Studi Ispanici», 1981, pp. 47-80.
6
7 M. Vitse, Éléments pour une théorie du théâtre espagnol du XVIIe siècle, Toulouse, France-Ibérie Recherche, 1988, pp. 382385.
Di speciale interesse il raffronto su questi temi con Romeo and Juliet di Shakespeare, condotto da M. Locatelli, Las fallas del tiempo en «El Caballero de Olmedo» de Lope de Vega y en «Romeo and Juliet» de William Shakespeare, in Estaba el jardín en flor... Homenaje a Stefano Arata, Toulouse, PUM («Criticón», 87-88-89), 2003, pp. 425-439.
8
9
F. Rico, «Introducción», cit., pp. 27-29.
La prima e la più illustre tra le interpretazioni «moralistiche» del finale tragico di don Alonso è quella di A. A. Parker, contenuta in un suo famosissimo saggio del 1959, rivisto nel 1970 e pubblicato in versione spagnola ancora rivista con il titolo El teatro español del siglo de oro: método de análisis e interpretación, in: Lope de Vega: el teatro, ed. A. Sánchez Romeralo, Madrid, Taurus, 1989, vol. I, pp. 27-61. Il primo a metterla in questione in modo autorevole, e a notare opportunamente le grandi differenze tra El Caballero de Olmedo e la 10
NOTE
Tragicomedia de Calisto y Melibea, è stato M. Bataillon, nel suo studio La Célestine selon Fernando de Rojas, Paris, Didier, 1961, pp. 237-250 (tradotto in spagnolo in Lope de Vega: el teatro, cit., vol. II, pp. 101117). Vedi anche la recente revisione del problema da parte di I. Arellano, Estructura dramática y responsabilidad. De nuevo sobre la interpretación de «El caballero de Olmedo» de Lope de Vega (Notas para una síntesis), in: En torno al teatro del Siglo de Oro. XV Jornadas de teatro del Siglo de Oro, eds. I. Pardo Molina, A. Serrano, Almería, Instituto de Estudios Almerienses, 2001, pp. 95-113. 11 Il primo studioso a richiamare l’attenzione su don Rodrigo come vero agente della tragedia è stato I. Arellano, nel suo citato Estructura dramática y responsabilidad (pp. 105-106), la cui analisi condivido pienamente, così come anche la sua difesa della qualità essenzialmente tragica del Caballero de Olmedo. 12 F. Ruiz Ramón, Calderón nuestro contemporáneo, Madrid, Castalia, 2000, pp. 33-41.
FAUSTA ANTONUCCI Note al testo 4. Don Alonso usa un vocabolario filosofico per affermare che l’amore esiste soltanto dove c’è corrispondenza, equiparando il favore (manifestazione di interesse amoroso, generalmente dispensata dalla donna) alla forma, che nella concezione aristotelica è condizione necessaria per l’esistenza della materia. D’accordo con il tono di questi versi, che riecheggiano molti motivi del neoplatonismo amoroso, il dualismo aristotelico viene utilizzato senza riferimento al luogo comune misogino della donna che, come la materia, desidera l’uomo (cioè la forma) perché senza di questi sarebbe incompleta. 10. Nell’originale, voluntades, che sta per «desideri amorosi»; la volontà infat-
2333
NOTE
IL CAVALIERE DI OLMEDO
ti era considerata una delle tre potenze dell’anima, quella appunto che ha per oggetto il «bene conosciuto». Gli esseri viventi perfetti indicano le forme di vita cosidetta «superiore», dalle quali si escludono per esempio gli insetti, che venivano definiti animales imperfectos (cfr. Autoridades, s.v. insecto).
73. Con questa affermazione don Alonso mette in chiaro che il suo amore punta al matrimonio, non alla seduzione, e quindi a rispettare l’onore di donna Inés.
14. Versi che riecheggiano la teoria neoplatonica dell’amore, nella sua formulazione ficiniana: lo spirito viene qui ad essere una realtà intermedia tra corpo e anima, partecipe di entrambi, capace di trasmigrare dagli occhi dell’amata a quelli dell’amante, e di qui all’anima di questi, dove accendono il fuoco dell’amore. 18. Nell’originale, con poca diferencia: basta all’innamorato notare una piccola differenza fra lo sguardo altero (v. 15) e lo sguardo dolcemente mutato (v. 16) per credersi già corrisposto. 26. L’Amore mitologico aveva nella sua faretra due tipi di frecce, di oro, per infondere amore, di piombo, per infondere ripulsa. 33. Non è del tutto chiaro perché Fabia chieda se don Alonso la ritiene un cane da punta; forse pensa che il cavaliere forestiero voglia farle stanare qualche preda femminile di poco conto, da «cacciare» senza troppi scrupoli (e avrà impiegato la metafora perché la caccia era effettivamente una delle attività prevalenti del nobile, quando non era impegnato nella guerra). 40. madre, qui e per tutta la commedia, è termine che indica rispetto verso una persona anziana; propria, nell’originale, è forma colta di propia, che rispecchierebbe l’effettiva pronuncia, come rivela la rima con copia. 49. Traduco con velo e saio i termini tocas (veli che coprivano tutta la testa e venivano usati dalle vedove e dalle donne anziane) e monjil (vestito di lana nera accollato, anch’esso tipico delle vedove e delle vecchie).
2334
PP. 706-712
75. Il romance che inizia con questo verso è raccolto anche, con alcune varianti, nella Primavera y flor de los mejores romances (Madrid, 1621). Se si concorda con i convincenti argomenti addotti da Rico (nella «Introducción» alla sua edizione, p. 62 nota 48), il romance incluso in questa raccolta è stato con ogni probabilità estratto dalla commedia, che doveva quindi essere stata già composta e rappresentata. 76. La feria de Medina era, nel Quattrocento e ancora per tutto il Cinquecento, uno degli appuntamenti festivi e commerciali più importanti di tutta la Castiglia. Le scarse testimonianze storiche al riguardo parlano di due appuntamenti annuali, a maggio e ad ottobre. Questa menzione serve a collocare l’inizio della vicenda in un contesto noto agli spettatori, e nel pieno della stagione primaverile, ma non ha la pretesa di fissare un reticolo cronologico preciso nel quale inquadrare la vicenda. Basti considerare che al v. 709 Inés parlerà dei «fiori d’aprile» e che al v. 1305 don Alonso parlerà della festa della Croce di Maggio (3 del mese) che si avvicina. 82. I capelli sciolti sarebbero tanti lacciuoli (liga, nell’originale) o reti, con allusione agli strumenti per la cattura al volo degli uccelli (qui, le anime degli innamorati). 90. Le donne che sapevano di avere belle mani amavano esibirle con movimenti aggraziati che ricordavano quelli della scherma. La ferita cui si allude in questi versi è, ovviamente, la ferita d’amore; ma era una speciale abilità dei bravi schermidori graffiare appena il contendente, per segnarlo ma senza fare uscire troppo sangue. 91-94. Nella traduzione si cerca di rendere, con la paronomasia punte-appunti,
PP. 712-718
IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTE
l’assai più ricco tessuto di doppi sensi dell’originale: è normale che le bianche mani di Inés giochino con le sue valonas esquinadas (colletti lunghi e appuntiti di pizzo) perché è normale che i polsi de papel (di carta, perché bianchi) stiano en esquinas (cioè, agli angoli delle strade, dove si affiggevano cartelli di vari tipi).
meter en capilla equivalesse a «condannare a morte».
95-96. Per questi due versi è stato del tutto impossibile rendere il gioco di parole dell’originale basato sul doppio senso di caja: «tamburo» (che serve appunto per accompagnare i bandi di reclutamento nell’esercito) e «scatola dove si tengono i dolci». 106. La cifra, o chiave, del segreto, espressa «in un’altra lingua», sarebbe la sottana francese, che spiega l’ampiezza della gonna sovrapposta (basquiña). 107. Nell’originale, chinelas: scarpe senza tacco, che si legavano alla caviglia con dei nastri. La scarpa è un elemento molto presente nelle descrizioni della bellezza femminile nel teatro dell’epoca. 121. Inés viene paragonata all’aspide, tipo velenosissimo di vipera, probabilmente per il veleno che distilla la sua bellezza. Inoltre si diceva dell’aspide che potesse rendersi sordo per resistere agli incantatori di serpenti. 141. Era credenza antica che l’unicorno, animale favoloso, purificasse le acque velenose con l’immergervi il corno.
179-182. Lo schiavo che don Alonso promette a Fabia indica se stesso, che le sarà soggetto nella gratitudine eterna; la catena (d’oro) è, ne La Celestina (opera cui consapevolmente Lope allude in molti punti di questa sua tragicommedia), il regalo che Calisto dà alla mezzana quando questa gli porta la notizia dell’assenso di Melibea al primo appuntamento. Nell’originale non è chiaro se l’apposizione «de malcasadas envidia» si riferisca alla catena o alle tocas di Fabia; interpreto però che si riferisca a queste ultime, perché erano l’emblema della vedovanza e una malmaritata sicuramente invidia una vedova. 187. La fama dei medici all’epoca non era delle migliori; e l’aggettivo diestro dell’originale, che abbiamo reso con «abile», è ambiguo (può voler dire sia «capace» sia «furbo, imbroglione»). Si diceva infatti che il chirurgo, per farsi pagare di più o al contrario per vendicarsi se non veniva pagato a sufficienza, aggravasse apposta le ferite del paziente. 196. Fabia si riferisce qui sicuramente alle preparazioni magiche cui deve sottoporre il biglietto, e di cui si accennerà più avanti. Per questo ho scelto di considerare questo verso come un aparte.
143. Il basilisco, altro animale favoloso, si credeva che avesse il potere di uccidere con lo sguardo. Quindi, con paradosso concettoso, Inés, come il basilisco, produce veleno mortifero con lo sguardo, ma poi, come l’unicorno, lo annulla immergendo la mano cristallina nell’acqua.
206. In questi versi Fabia gioca con il doppio senso della parola catena, non solo «gioiello», ma anche propriamente «catena» (di prigione). Questa allusione a una possibile conclusione sfortunata della sua ambasciata serve sicuramente a richiamare l’attenzione di don Alonso sui rischi cui la vecchia sta andando incontro, piuttosto che sul suo interesse per il gioiello promesso.
158. Uno dei primi esempi di ironia tragica disseminati nell’opera, che alludono alla fine infelice del cavaliere. I condannati a morte trascorrevano l’ultima notte in preghiera in una cappella; di qui che
207. Credo che anche questa domanda di Tello vada intesa come un commento maligno fatto tra sé e sé (aparte), alludendo a un memorial («memoria di processo») riferibile a precedenti condanne di Fabia.
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NOTE
IL CAVALIERE DI OLMEDO
212. Questa promessa di Fabia a Tello è una chiarissima allusione al primo atto de La Celestina, quando la mezzana, per conquistare alla propria causa Pármeno, il servo leale di Calisto, gli promette di fargli avere Areúsa, una giovane prostituta protetta di Celestina.
giuro a Plutone di Celestina alla fine del terzo atto della Tragicomedia de Calisto y Melibea. Tuttavia, Inés appare già innamorata di don Alonso (vv. 219-43), prima che Fabia abbia messo in opera le sue magie.
216. La convinzione che l’inclinazione amorosa fosse determinata dalle stelle era diffusissima all’epoca di Lope. 226. La forma ansí per así era ancora assai diffusa nello spagnolo del Seicento. 247. Come osserva Rico, la forma con suffisso (Fabiana) era sentita come più consona al castigliano della forma semplice (Fabia); lo stesso valeva per le coppie analoghe, come Julia/Juliana, Emilia/Emiliana… 294. La constatazione di Fabia (che crea un gioco di parole con il tarde del verso precedente, che vuol dire «pomeriggio») indica la sua fiducia nella riuscita della seduzione di donna Inés, che sarà già avvenuta quando il padre rientrerà da fuori. Per questo, ho ritenuto di considerare questa frase come un aparte. 334. Nell’originale, gente de hopalandas (hopalanda era una specie di veste talare usata dagli studenti). 337. Questi versi, a partire dal 315, rielaborano due luoghi famosi della Tragicomedia de Calisto y Melibea: l’esortazione di Celestina a Melibea sull’opportunità di godere della bellezza finché si è giovani (atto IV) e la rievocazione della propria fortunata giovinezza da parte di Celestina (atto IX). 348. La canfora si utilizzava per gli unguenti, il sublimato, preparato corrosivo, per creme e maschere facciali. 362. Fabia allude qui a un’altra delle abilità tipiche della mezzana (e anche di Celestina), quella di «rifare le verginità». 396. Questa invocazione di Fabia al Diavolo che dovrebbe aiutarla a infondere amore nell’animo di Inés, richiama lo scon-
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PP. 718-744
509. La «colonna» è metafora della gamba, sostenuta alla base dal piccolo piede, calzato dallo scarpino. 512. Enojos, nell’originale, vuol dire letteralmente «offese»: lo intendo nel senso che gli occhi di Inés sono talmente belli da offendere l’Amore, oppure da essere le sue «armi offensive» per eccellenza. L’uso della parola è comunque determinato dal desiderio di giocare con la paronomasia ojos-enojos. 514. Spoglie, in questo contesto, indica «i trofei, le ricchezze che il vinto offre al vincitore in segno di resa». 530. L’interpretazione dell’originale è controversa; credo che Inés voglia riferirsi al «primo amore» (noi sappiamo dal dialogo precedente con la sorella che lei non si è mai innamorata di altri prima d’ora), cui nessuno sfugge perché specialmente forte. 543. Probabilmente Tello allude all’abitudine del sagrestano di marcare il ritmo dei canti ecclesiastici battendo con una bacchetta sul leggio del coro. 566. Nell’originale, romance, usato con il valore generico di «composizione poetica» (di fatto, si trattava di un sonetto). 570. Scherzo di Tello, basato sul fatto che gli stuzzicadenti si chiamano in spagnolo anche palillos, diminutivo di palo («bastone»). 601. Era convinzione superstiziosa che i denti degli impiccati servissero alle streghe per le loro pozioni magiche; di fatto, nel settimo atto della Tragicomedia de Calisto y Melibea, quando Celestina ricorda a Pármeno i propri trascorsi in compagnia di Claudina, defunta madre del ragazzo, parla proprio di quando andavano entrambe a cavare i denti agli impiccati.
PP. 746-772
IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTE
622. Cioè, la stessa fine dell’impiccato, che prima di morire saliva su una scala verso il patibolo.
salamandra potesse attraversare il fuoco senza bruciarsi.
662. didascalia. Il vestito de noche, per le uscite serali e notturne, indicava che i personaggi dovevano indossare un mantello non nero, ma di colore più vivace, generalmente rosso, ornato da passamanerie dorate. 782. «Vostro» nel senso sia di «vostro familiare», sia «al vostro servizio». 786. Perché una richiesta di matrimonio, quando interessa una famiglia nobile, implica una attenta considerazione degli interessi in gioco, e la stipula di precisi accordi matrimoniali. 854. In realtà, nel secondo atto il re dirà di aver apprezzato le arti cavalleresche di don Alonso durante le feste per il matrimonio di sua sorella. Tra l’altro, il re don Juan II celebrò il proprio matrimonio non a Valladolid, bensì proprio a Medina, nel 1418. 862. In questi versi Fabia inanella ben tre paragoni che sono altrettanti esempi di ironia tragica: quello con Ettore, la cui infelice fine nel duello con Achille è narrata nell’Iliade; con Achille, che a sua volta venne ucciso a tradimento dopo la conquista di Troia; con Adone, bellissimo giovane che venne ucciso da un cinghiale inviato da Marte, geloso di lui per l’amore di Venere. 874. Cioè, torneranno sulla loro decisione annullando i patti stabiliti. 900. Il verso sembrerebbe indicare che dall’inizio dell’amore fra don Alonso e donna Inés sono passati tre giorni. 911. Il paragone con il leone deriva dalla credenza che questo animale soffrisse spesso di febbri quartane (con cadenza ogni quattro giorni). 915. I bestiari medievali avevano diffuso la nozione (del tutto fantastica) che la
923. Nell’originale, letteralmente, «per potersi raffreddare», con riferimento alla febbre o fuoco d’amore. Leandro attraversava tutte le notti lo stretto dei Dardanelli per riunirsi con la sua amante, Ero, sacerdotessa di Afrodite, che viveva in una torre sull’altra sponda dello stretto. Si tratta di una delle tante storie di amore tragico trasmesse dall’antichità classica (ed ennesimo caso di ironia tragica): una notte di tempesta, Leandro morì affogato e il suo cadavere venne gettato dal mare sulla spiaggia dove lo attendeva Ero, che, nel vedere il corpo morto dell’amante, si gettò dall’alto della sua torre per accompagnarlo nella morte. Nell’originale, ai vv. 521-22, c’è un gioco paronomastico molto diffuso tra ver e beber (basato sul fatto che la v e la b in spagnolo hanno identica pronuncia). 963. Negli spettacoli dei saltimbanchi, la maschera di Arlecchino faceva smorfie e gesti buffi in cima a una scala appoggiata a uno dei lati della corda dove si esibiva il funambolo. 968. L’invocazione a San Paolo è motivata dalla conosciutissima vicenda della sua caduta da cavallo sul cammino per Damasco, a seguito della quale si convertì al cristianesimo. 996. L’originale ha dueño, al maschile, che è il termine con il quale l’innamorato cortese si rivolge alla sua amata nella poesia cancioneril, imitando l’uso trovadoresco di rivolgersi alla dama con il vocativo maschile midons. 999. Primo verso di una strofetta popolarissima all’epoca, e più volte citata nel teatro e nella poesia aurei, il cui secondo verso viene menzionato al v. 1011. 1005. Tello ha esplicitato nella battuta precedente il riferimento intertestuale alla Tragicomedia de Calisto y Melibea usando per don Alonso e donna Inés i nomi dei due protagonisti dell’opera di Rojas. La
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NOTE
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domestica risponde identificando Tello con quello dei due servi di Calisto che fin dall’inizio si mostra sleale con il suo padrone e complice di Celestina: probabilmente per questo Tello la taccia di falso testimonio (cioè, bugiarda), perché – come effettivamente mostrerà lo sviluppo dell’opera – il suo comportamento non è assimilabile a quello di Sempronio.
più avanti si dice che è stato don Alonso a comporre la glossa (v. anche la domanda di Inés al v. 1109).
1017. In questo punto del testo mancano almeno due versi, quelli necessari a completare la redondilla con le rime -eses e -arde. 1027. Nel mito, il Sole usciva a illuminare la terra guidando un carro di fuoco tirato da cavalli; l’allusione vuol quindi dire che ancora è notte, poiché il sole sta solo preparando i suoi cavalli, ma non li ha ancora fatti uscire dalla stalla. 1059. La storiellina di Tello è adattamento di una frase arguta di Antipatro di Cirene trasmessa da Cicerone nel V libro delle Tusculanae Disputationes e poi ripreso da molti altri autori. 1065. Era topico l’esempio della farfalla che, attirata dalla luce, finiva bruciata: era spesso usato come metafora dell’amante che, noncurante delle conseguenze letali del suo amore, cerca solo di avvicinarsi all’essere amato. La Fenice, animale mitologico, dal fuoco traeva invece al tempo stesso morte e vita: si diceva che, dopo aver vissuto secoli, desse fuoco al proprio nido per poi rinascere dalle sue stesse ceneri. 1075. Traduco impropriamente con «cardi», per ragioni di metrica, l’originale rábanos, che significa «rafani», «ramolacci». L’intervento di Tello, con la menzione di un ortaggio assai volgare, si contrappone al registro elevato delle parole di don Alonso. 1099. Questi versi di Tello sembrano ironici: il comportamento di don Alonso, infatti, sembra tutto fuorché discreto, «accorto» (al contrario, è fuori di sé per l’amore); e Tello non è un poeta, visto che poco
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PP. 774-786
1103. La glossa si componeva costruendo delle strofe di senso compiuto in numero pari a quello dei versi dell’estribo («strofetta» o «ritornello») o «tema» della glossa (qui, sono i vv. 1104-08): ogni strofa della glossa doveva concludersi, nell’ordine dato, con uno dei versi dell’estribo. Questa struttura fa pensare in effetti al responso, ossia alle giaculatorie che si recitavano in coro al termine delle preghiere nell’ufficio dei defunti; di qui, il gioco di parole di Tello (ed ennesimo esempio di ironia tragica), perché don Alonso è un morto vivo, che non avrebbe ancora bisogno di un responso. 1108. La quintilla che costituisce il «tema» della glossa era assai conosciuta; era stata già glossata nella Flor de romances (Zaragoza, 1578) e ritorna in altri manoscritti poetici successivi. 1122. Questa prima strofa gira intorno al concetto parallelistico basato sulle due coppie relazionali prato: fiori = cielo: stelle, assai usato anche da Calderón. Poiché a Inés si deve la straordinaria fioritura della vallata (lei è la sua primavera, come dice il v. 1119) – e quindi il baratto proposto dal cielo, che cede le sue stelle in cambio di quei fiori – si potrà dire con proprietà la nota frase idiomatica ver el cielo en el suelo (v. 1120) quando si vedrà Inés nella vallata. 1127. Un’altra iperbole poetica molto diffusa è questa della bella donna che con il suo passo fa fiorire i campi. 1166. Inés, per modestia, taccia di menzogneri i versi che ha appena ascoltato, e per questo li attribuisce a Tello (il servo aveva, fra i suoi difetti topici, anche quello della facilità a mentire); don Alonso al contrario ne rivendica la paternità e la sincerità. 1234. Nella traduzione si perde il gioco paronomastico dell’originale tra mujer e
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IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTE
mudanza: non ci vuol molto a passare dalla prima alla seconda, proprio come non ci vuol molto a passare dal fare al dire (è infatti il contrario che, come si sa, è assai più difficile, visto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare).
preta Profeti, che la battuta di don Alonso voglia dire: «com’è possibile che il giorno sia spuntato se Inés, che è il sole, sta andando a letto adesso?» (si consideri che in spagnolo il verbo acostarse può voler dire sia «tramontare» sia «andare a coricarsi»).
1254. Cioè, stipulando il matrimonio fra donna Inés e don Rodrigo.
1362. La chimera era un mostro mitologico composto da parti di diversi animali; secondo alcune rappresentazioni sputava fuoco dalle fauci.
1272. La Chiesa poteva aiutare infatti la donna che si vedeva costretta a contrarre matrimonio contro la propria volontà, accogliendola in un convento come depositada, in attesa della sentenza del giudice ecclesiastico, che era tenuto ad ascoltare la volontà dell’interessata. 1296. Le parole di Inés suonano ironiche a chi le ascolta, ma forse non a chi le pronuncia; quelle di Tello sono invece formulate espressamente con intenzione ironica. 1305. La festività del Ritrovamento della Santa Croce, il 3 maggio. Vedi quanto già detto in merito nella nota al v. 76. 1312. Il re è Juan II (1405-1454) che ereditò il trono di Castiglia ad appena un anno, alla morte del padre Enrico. Il connestabile cui si fa riferimento al verso successivo è don Álvaro de Luna, potentissimo favorito del re ed esempio delle sorti incerte della Fortuna, essendo caduto in disgrazia e quindi giustiziato nel 1453. 1325. Il lamento rivolto all’alba che viene a interrompere l’incontro fra gli amanti è motivo poetico di antica tradizione, che dà vita, nella lirica amorosa trovadorica, a un genere specifico, l’alba o aubade («albata»). 1332. In un contesto che, come si è detto, ricrea il genere poetico dell’alba, Tello svolge il ruolo che in questo tipo di componimenti spettava alla sentinella, che avvisa gli amanti che ormai è giorno fatto. Don Alonso, la cui percezione del tempo è alterata dall’amore, crede di trovarsi ancora vicino al tramonto; Tello gli obietta che, se lui rallenta, il sole va di fretta ed è già spuntato. È anche plausibile, come inter-
1413. Tutte le battute di Fabia in questo dialogo hanno un doppio senso: per don Pedro, ignaro, sono interpretabili in chiave religiosa, mentre hanno anche un significato riposto che allude alla storia d’amore umano fra Inés e il cavaliere di Olmedo. 1431. Nell’originale, sémitas è latinismo per sendas, «sentieri». 1443. Nell’originale, silicio, ortografia corrente per la corretta cilicio. 1461. La citazione corretta sarebbe Domine, ad adiuvandum me festina («Signore, accorri in mio aiuto»); si tratta del primo verso del Salmo 69, adottato – sembra da San Benedetto – come inizio della liturgia delle Ore in risposta al verso dello stesso Salmo Domine, in adjutorium meum intende («Signore, vieni in mio soccorso»). 1475. Nell’originale, puesto que ha valore concessivo, equivalente all’odierno aunque. 1487. Martín Peláez è in effetti il nome di uno dei compagni d’arme del Cid Campeador, famoso eroe del medioevo castigliano, le cui gesta sono evocate nel Cantar de Mio Cid e in molti romances epici. Il nome usato da Tello si attaglia specialmente bene alla topica vigliaccheria del servo: infatti, come tramandavano molti romances e una commedia di Tirso de Molina intitolata significativamente El cobarde más valiente («Il vigliacco più coraggioso») prima dell’incontro con il Cid Martín Peláez era noto per la sua scarsa inclinazione alle imprese militari.
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NOTE
IL CAVALIERE DI OLMEDO
1485. Praticamente tutti gli editori moderni hanno letto «Señor» come facente parte del verso successivo, e di conseguenza hanno visto un errore (la mancanza di due sillabe metriche) in questo verso, errore che hanno cercato di sanare per congettura. Se invece si suppone che sia questo, sia i vv. 1486, 1487, 1489, siano versos partidos (cioè, ripartiti fra i due interlocutori) non c’è alcun bisogno di emendare.
salire al trono aragonese, che si conclusero positivamente con il famoso Accordo di Caspe (1412) fra rappresentanti dei regni di Valencia, Aragón e Cataluña, e con la partecipazione determinante di Vicente Ferrer.
1491. Le risposte di Tello infilano una serie di impertinenze: a La Coruña non c’era all’epoca nessuna università, così come non esiste un ordine «per dire i vespri». In spagnolo, l’espressione evoca un gioco di parole con «estar en vísperas de ordenarse» («stare sul punto di prendere gli ordini»). È ben curioso che don Pedro si faccia abbindolare in questo modo senza mostrare la minima reazione alle grossolane bugie di Tello: questo potrebbe dimostrare la sua assoluta ignoranza culturale. 1513. All’epoca le lettere si pagavano alla ricezione. 1545. jugatoribus paternus. Un bell’esempio di latino maccheronico, nel quale Fabia mescola un aggettivo al nominativo singolare (paternus) con una parola inventata, all’ablativo o dativo plurale, forse formata sul castigliano jugar o jugador (visto che fino adesso si è parlato di feste con giochi cavallereschi). 1562. L’ordine di Alcántara era uno dei tre ordini militari esistenti in Spagna all’epoca di Juan II; l’abito distintivo era caratterizzato, prima del 1411, da un cappuccio, sostituito poi da una croce verde (il cambiamento al quale si riferisce il re in questi versi fu in realtà chiesto al papa dall’Infante Fernando de Antequera, zio del re). 1572. Non è fondamentale stabilire quali siano con esattezza queste «faccende dell’Infante» in un passo che è pieno di anacronismi storici; forse Lope allude alle manovre dell’Infante don Fernando per
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1583. Vicente Ferrer (1350 -1419), frate valenzano dell’ordine dei domenicani, poi santificato dalla Chiesa, e oggi patrono di Valencia. Dopo aver insegnato in alcune università e agito attivamente a favore della soluzione dello Scisma d’Occidente, Vicente Ferrer si dedicò anima e corpo alla predicazione itinerante. Molti fra i suoi sermoni ebbero come bersaglio gli ebrei, contro i quali adoperò argomenti di sconcertante semplicismo razzista, che però fecero molta presa sul popolo, al punto che alcuni storici lo considerano il responsabile del pogrom antiebraico di Valencia del 1391. 1591. I segni distintivi che dovevano individuare ebrei e mori furono in realtà decretati dalla madre di Juan II, la regina reggente, nel 1412: gli ebrei avrebbero dovuto portare un tabarro (una mantellina a maniche corte di stoffa rozza, usata specialmente dai contadini) con un segno rosso, e i mori un berretto verde con una mezzaluna chiara. 1595. Nell’originale non è chiaro se «los que su nobleza infaman» sono i cristiani, che infamano la propria nobiltà mescolandosi con ebrei e mori, oppure ebrei e mori che infamano la nobiltà del cristiano avvicinandoglisi troppo. Propendo per quest’ultima spiegazione, ma comunque ho scelto una resa italiana che mantiene l’ambiguità. 1599. Nell’originale, letteralmente, «concede un abito», cioè l’appartenenza a uno dei tre ordini militari (Alcántara, Santiago, Calatrava), che comportava anche il beneficio di una encomienda (v. 1609), cioè di rendite e proprietà terriere di pertinenza dell’Ordine.
PP. 810-822
IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTE
1602. Un altro anacronismo storico di questa scena, che si svolge a Valladolid; in questa città nessuna delle sorelle del re celebrò il suo matrimonio.
giro l’estasi amorosa di don Alonso mentre legge la lettera. Le stazioni sono le varie tappe della via Crucis, oppure le soste di preghiera lungo un determinato itinerario di chiese e cappelle che si seguiva durante la Settimana Santa.
1610. Questo romancillo viene riutilizzato da Lope, con alcune varianti, nella sua Dorotea (III, 4). 1617. Perché l’innamorato assente continua a provare desiderio ma non vede più l’essere amato. 1637. Qualche critico ha notato l’anacronismo di questo riferimento alle Indie (il continente americano) in una vicenda che si svolge prima della scoperta dell’America. Tuttavia, il teatro spagnolo del Siglo de Oro è pieno di questi anacronismi, che rientrano appieno nella peculiare concezione della rievocazione storica dei drammaturghi dell’epoca. 1649. Le perle dei suoi occhi sono evidente metafora delle lacrime, come conferma il v. 1650. 1659. Nell’originale si gioca con la dilogia, intraducibile in italiano, fra partir («dividere») e partir («partire»), con ovvio riferimento alla partenza che divide gli amanti. 1679. Agli studenti era vietato portare colletti inamidati e preziosi (di pizzo o con gorgiera); tuttavia, come segnala Profeti, un proverbio assai diffuso all’epoca alludeva al colletto come a uno dei due accessori di vestiario, insieme ai guanti, che più caratterizzavano la figura dello studente e il suo desiderio di mostrarsi elegante: «La gala del estudiante, en cuello y guante» (Correas, Vocabulario, p. 188a). 1703. Nell’originale, alfaquí: «dottore o maestro della legge tra i musulmani». 1705. Il nome del senatore romano Catone detto il censore, conservatore severo e grande fautore della guerra contro Cartagine, indicava per antonomasia l’uomo anziano, serio e dai costumi irreprensibili. 1708. Così come nel v. 1688, Tello usa un vocabolario religioso per prendere in
1734. La sciarpa (banda, nell’originale) era un regalo assai usuale che le dame facevano ai loro cavalieri, e che questi poi esibivano durante le giostre e i tornei. 1740. Tello gioca astutamente con le parole, per chiedere al suo padrone il regalo che si doveva a chi portava buone notizie. 1742. Poiché i vestiti dei nobili erano molto più ricchi e vistosi di quelli dei servi, era assai apprezzato da questi ultimi riceverne uno in regalo. Già nella Tragicomedia de Calisto y Melibea, quando Sempronio promette a Calisto di fargli avere Melibea (primo atto), Calisto lo ricompensa con un giubbetto di broccato. 1783. La scena che don Alonso racconta a Tello si impernia sul confronto topico fra il rapace e l’uccellino canoro, emblema del prevalere della forza sulla delicatezza e grazia, e si ambienta in un classico contesto di locus amoenus (il giardino con fiori, acque correnti e canto di uccelli) dove però le piante menzionate hanno tutte valore simbolico. Alla retama, per esempio («ginestra»), si associa correntemente il sapore amaro delle sue radici e dei suoi rami, mentre il fiore era considerato simbolico di «speranza degli sciocchi, disperazione degli accorti» (come riporta il Diccionario de Autoridades, s.v. retama); il mandorlo nel quale si nasconde il falco è simbolo della caducità della bellezza (perché la fioritura precoce del mandorlo lo espone alle gelate tardive); il gelsomino dal quale osserva la scena la cardellina è simbolo di purezza. 1785. Mi sembra chiarissimo che con «questi avvisi / dell’anima» don Alonso si sta riferendo alla scena appena descritta; mentre i «sogni», quelli che gli hanno reso inquieta la notte (v. 1758), non li ha raccon-
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NOTE
IL CAVALIERE DI OLMEDO
tati. Anche più avanti (v. 1796), il sintagma «sogni e presagi» riflette questo binomio che agita l’animo di don Alonso.
secondo un proverbio, questo cavallo corre su tutti i tipi di terreno (El castaño oscuro, corre por lo blando y por lo duro). M. Socrate, adducendo l’incipit di un sonetto di B. Leonardo de Argensola contro i sodomiti, ricorda che bayo allude con ogni probabilità all’omosessuale; e questa connotazione metaforica del colore del mantello equino chiarisce ulteriormente i termini della battuta di Tello.
1797. Perché la divinazione per mezzo di sogni e auspici era condannata dalla Chiesa come una delle forme di magia. 1814. Nell’originale, suertes indica innanzitutto quelle specifiche mosse della corrida nelle quali il torero (in questo caso, i cavalieri coinvolti) passa davanti al toro provocandolo e sfuggendogli prima che l’animale possa reagire aggredendolo. Si tratta di una mossa difficile che può riuscire bene, in modo elegante, o male, se non si sfugge in tempo all’assalto del toro. Tuttavia, la parola evoca anche il significato di «fortuna», sinonimo cioè del dicha pronunciato da don Fernando. Lo stesso doppio senso possibile si ritrova ai vv. 1823-24. 1843. Nell’originale, rejón, lancia corta che serve, nella corrida, per ferire il toro alla base del collo. 1923. Tre potenti maghe del mito classico. 1939. Cioè il diavolo (nell’originale, invece che di zoccoli si parla di zampe di gallo, un’altra delle possibili iconografie della deformità diabolica). 1958. Orlando qui è citato come esempio antonomastico dell’innamorato capace, per amore, delle più incredibili follie. 1990. La replica di Tello è maggiormente comprensibile in spagnolo, dove antojos vuol dire sia «occhiali» sia «paraocchi», quelli appunto che portano i cavalli. 1991. Il lacchè aveva infatti fra i suoi compiti quello di seguire il padrone nelle sue uscite e di curarne la cavalcatura. 1992. Le parole di Tello, benché difficili da decifrare nel loro significato puntuale, nascondono sicuramente un doppio senso osceno, che gioca sulla metaforicità sessuale dei termini cavallo-cavalcare. Attribuirsi le doti del castagno può equivalere a una vanteria di virilità efficiente;
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PP. 824-844
1995. Il senso di questo passo non è del tutto chiaro. Seguo l’interpretazione proposta da Rico e Profeti: los refrescos (cioè, tornare a fare di nuovo qualcosa, in questo caso, tornare alla corrida) potrebbero causare un ne nos inducas (cioè, potrebbero finire per produrre il danno che prima si è evitato; dalle parole del Padre Nostro: ne nos inducas in tentationem). 1997. Cioè, un toro. Il collegamento con San Luca deriva dall’identificazione tradizionale fra questo evangelista e il toro che nell’Apocalisse, IV, 7 si trova accanto al trono di Dio. 2001. Nell’originale, sumiller, il cortigiano incaricato di vestire e spogliare il re. 2013. Cioè, sul didietro, che verrà messo allo scoperto dallo strappo nei pantaloni che, secondo Fabia, Tello rischia per colpa di una cornata. 2054. Allusione a un famosissimo romance viejo: «Mira Nero de Tarpeya / a Roma cómo se ardía; / gritos dan niños y viejos / y él de nada se dolía» («Guarda Nerone dall’alto della rupe Tarpea / Roma come sta bruciando; / vecchi e bambini gridavano / e lui rimaneva impassibile»). 2062. Essendo le perle abusatissima metafora per indicare i denti, i versi significano che Inés sorride, o ride addirittura, nel vedere la disgrazia di don Rodrigo. 2065. Cioè, invidioso della fortuna di don Alonso. 2070. Il sorriso di Apollo (dio del sole) è metafora per l’alba.
PP. 844-886
IL CAVALIERE DI OLMEDO
NOTE
2075. La gelosia era già presentata come una chimera ai vv. 1361-62. Ora questi versi ricordano il titolo di una famosa tragedia di Calderón de la Barca, El mayor monstruo, los celos. Nessuno degli editori moderni emenda questo verso, che nell’originale suona come «¿Quién sabe que no son monstruos?».
metterebbe in discussione l’onore di lei e, di conseguenza, il proprio, offendendolo.
2121. Il sole è Inés, mentre Leonor è una stella, che brilla di luce riflessa. 2178. Questa glossa utilizza come strofa di riferimento una famosa copla antigua, ricordata anche da Cervantes nella dedica al suo Persiles e più volte dallo stesso Lope in altre sue commedie. 2179. Perché l’anima dell’amante vive più nell’essere amato che nel proprio corpo. È un luogo comune della riflessione poetica sull’amore, e delle innumerevoli variazioni sul tema della separazione degli amanti. Di ascendenza petrarchesca, elaborato innumerevoli volte in seguito, anche dallo stesso Lope nei suoi sonetti, è il motivo della compresenza di contrari (partire-restare; vita-morte; dolore-gioia) che caratterizza l’amante che si allontana dall’essere amato. 2181. Il verbo immaginare e il sostantivo immaginazione sono parole chiave di questa tirata di don Alonso, nella quale si esprime bene l’ossessione propria del malinconico, che «vede nero» (la malinconia era considerata il frutto di uno squilibrio degli umori corporei con prevalenza dell’atrabile o umor nero), fantasticando e immaginando eventi negativi. Si osservi la frequenza sintomatica con la quale ricorre, in questi versi e anche successivamente (vv. 2274, 2347, 2351, 2528) la parola tristeza: oltre al suo significato letterale, si tenga conto anche che nel gergo della malavita indicava la condanna a morte. 2239. Il nome cui allude don Alonso è quello di sposo; non è lecito infatti al marito provare gelosia della moglie, perché con questo sentimento automaticamente
2322. Cioè, sui diavoli, essendo Acheronte uno dei più noti fiumi dell’Ade nella mitologia classica, e confine dell’Inferno nella concezione cristiana dell’aldilà manifesta ad esempio nella Divina Commedia. 2331. Credo che le parole di don Fernando non siano una risposta a quanto detto da don Rodrigo, bensì riprendano quanto detto al v. 2329: la maggior vendetta è disprezzare la persona che prima si amava (cioè, disprezzare Inés per il suo comportamento). Per questo don Rodrigo risponde di non riuscire a farlo. 2515. Si sottindende, la mano del re. Da queste parole di don Pedro si deduce che la scena si svolge in un palazzo di Medina destinato a corte temporanea del re. 2524. Nell’originale, alcaide: responsabile, delegato dal re, della difesa di una città. 2631. Allusione ai torbidi che funestarono il regno di Juan II, dovuti principalmente alle ambizioni contrastanti del connestabile Álvaro de Luna e degli Infanti di Aragona. 2651. Allude ovviamente al rapporto fra la Croce e la passione di Cristo, ma anche alla morte (passione) di don Alonso, inmediatamente successiva alle feste per la Croce di Maggio. 2665. Vuol dire che metà della notte è trascorsa; per questo si presenta la notte come una donna colta nel profondo del sonno, «senza veli» (perché andando a letto le donne si toglievano cuffie, veli ed acconciature). 2679. La luna e le stelle. 2711. Manca almeno un verso, come appare evidente dall’assenza della necessaria assonanza -é-o dopo questo verso. 2714. Cioè, di farsi suora. FAUSTA ANTONUCCI
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NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
Non è vendetta il castigo Nota introduttiva 1 È oggi conservato presso la Biblioteca Ticknor di Boston; una sua copia fotostatica si trova alla Biblioteca Nacional di Madrid [R-33774].
Per una bibliografia sulla commedia aggiornata e commentata rimando a L. de Vega, El castigo sin venganza, ed. A. García Reidy, Barcelona, Crítica, 2004, pp. 48-65. 2
M. M. Bandello, Le tre parti delle Novelle, 1554; che passa a un rifacimento in francese di P. Boisteau e F. de Belleforest, Histoires tragiques, 7 voll., 1564, 1582, poi tradotto in spagnolo: Historias trágicas ejemplares, sacadas de las obras de Bandello veronés, Salamanca, por P. Lasso, a costa de J. de Millis Godínez, 1589; con successive edizioni nel 1596 e 1603. Se ne veda la descrizione in C. H. Leighton, La fuente de la «Quinta de Florencia», in «Nueva Revista de Filología Hispánica», X, 1956, p. 1, nota 3; e A. Alonso, Lope de Vega y sus fuentes, in «Thesaurus», VIII, 1952, pp. 1-24. 3
Ho illustrato brevemente la struttura della commedia in El último Lope, in La década de oro, Actas de las XIX jornadas de teatro clásico, ed. F. B. Pedraza Jiménez y R. González Cañal, Almagro, Universidad de Castilla-La Mancha, 1996, pp. 11-39. 4
A. D’Agostino, Un peccato di fantasia: lettura del «Castigo sin venganza» di Lope de Vega, in «Quaderni di letterature iberiche e iberoamericane», 3, 1985, pp. 27-59.
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6 M. Pagnini, Per una semiologia del teatro classico, in «Strumenti critici», 12, 1970, p. 126. 7 D’Agostino, Un peccato di fantasia..., cit., p. 58. 8 Vedi le paronomasie dei vv. 251, 2771; e le rime gusto/justo: vv. 2178-79, 2684-87, 2771-75, gusto/injusto: vv. 102-03; gustodisgusto: vv. 129-32, 668-71, 1822-24; justo/ disgusto: vv. 251-52; gusto/disgusto/justo: vv.
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PP. 893-896
234-38, 1700-04. E vedi l’analisi di B. W. Wardropper, Fuente Ovejuna; «el gusto» and «lo justo», in «Studies in Philology», LIII, 1956, pp. 159-171. D’Agostino, Un peccato di fantasia..., cit., p. 43. Vedi sulle labbra di Federico pensamiento(s) ai vv. 241, 294, 982, 1399, 1446, 1514, 1797, 1805, ecc.; su quelle di Cassandra ai vv. 1071, 1485, 1545, 1561, 1590, 1832, ecc.; imposible ai vv. 987, 992, 1513, 1797, 1810, 1914, ecc. (Federico); 374, 1555, 1559, 1566, 1820, (Cassandra), ecc.
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10 La negazione è tanto forte che ha spinto a porre il testo in relazione con il mito di Fedra; anche se a mio avviso le relazioni con l’Ippolito di Seneca non possono essere dirette, mentre Dixon parla addirittura di «riscrittura»: V. Dixon - I. Torres, «La madrastra enamorada»: ¿Una tragedia de Séneca refundida por Lope de Vega?, in «Revista Canadiense de Estudios Hispánicos», XIX, 1994, pp. 39-60. Ma le differenze tra il testo di Lope e quello di Seneca mi sembrano ben più forti delle somiglianze. D’altro canto la funzione della «negazione» in rapporto all’interdetto dell’incesto appare profondamente connaturata anche a la Phèdre di Racine: F. Orlando, Lettura freudiana della «Phèdre», Torino, Einaudi, 1971.
D’Agostino, Un peccato di fantasia..., cit., p. 44: «La questione politica... viene chiaramente impostata sull’opposizione “figlio legittimo” vs. “figlio naturale”, generalizzabile, per estrazione dei radicali dei due aggettivi, in “legge” vs. “natura”».
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12 Vedi M. G. Profeti, «Un soliloquio he de hacer o de decir un soneto»: declamazione lirica e straniamento comico nella commedia aurea, in Nell’officina di Lope, Firenze, Alinea, 1999, pp. 137-153; dove si potrà rintracciare una bibliografia sul sonetto nelle commedie di Lope.
J. M. Cossío, El mote «sin mí, sin vos y sin Dios» glosado por Lope de Vega, in «Revista de Filología Española», XX, 1933, pp.
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PP. 897-899
NON È VENDETTA IL CASTIGO
397-400; R. Lapesa, Poesía de Cancionero y poesía italianizante, in De la edad media a nuestros días, Madrid, Gredos, 1967, pp. 145-171. Si noti che nel testo affiora una meta citazione, con il richiamo ad una seconda glossa popolare nei secoli XVI e XVII: recuperare questa serie di allusioni doveva essere molto stimolante per gli spettatori contemporanei. L. de Vega, El castigo sin venganza, ed. C. F. A. Van Dam, Groninga, P. Noordhoff, 1928.
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Quello di Tiberio sembra provenire da Svetonio; quello di Messalla da Plinio. Per i molti «raccontini» presenti nella commedia, cfr. D. McGrady, Sentido y función de los cuentecillos en el «Castigo sin venganza» de Lope, in «Bulletin Hispanique», LXXXV, 1983, pp. 45-64.
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M. A. Van Antwerp, Fearful Symmetry: The Poetic World of Lope’s «El castigo sin venganza», in «Bulletin of Hispanic Studies», LVIII, 1981, pp. 207-16.
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A sinistra appaiono i personaggi, e a destra, in corrispondenza di alcuni di essi, gli attori: vedi infra le note al testo.
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«Per stampare libri di commedie, novelle, o altri di questo tipo». Vedi la documentazione in J. Moll, Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla: 1625-1635, in «Boletín de la Real Academia», LIV, 1974, p. 98.
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«Questa commedia è stata messa in scena a Madrid solo un giorno, per cause che a Vostra Grazia interessano poco. Lasciò tutti, allora, tanto desiderosi di vederla che li ho voluti accontentare stampandola. La sua storia è stata scritta in lingua latina, francese, tedesca, toscana e spagnola: allora in prosa, ora in versi. Vostra Grazia la legga come mia, perché non è stampata a Siviglia, i cui librai, pensando solo al guadagno, scambiano i nomi dei poeti[...] Avvertendo che è scritta alla maniera spagnola, non secondo l’antico modo greco e la severità latina, rifuggendo dalle ombre, i
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NOTE
nunzi ed i cori, perché il gusto può mutare i precetti, come l’uso cambia le fogge del vestire ed il tempo i costumi», L. de Vega, El castigo sin venganza, Barcelona, P. Lacavalleria, 1634 (riprodotta fac-simile in L. de Vega, La Circe con otras rimas y prosas, Madrid, Colección Tesoro de Biblioteca Nueva, 1935). J. M. Díez Borque, Edición crítica de L. de Vega, El castigo sin venganza, Madrid, Espasa Calpe, 1987, pp. 10-16.
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21 J. M. Rozas, Lope de Vega y Felipe IV en el «ciclo de senectute», Badajoz - Cáceres, Universidad de Extremadura, 1982; Texto y contexto en el «Castigo sin venganza», in A.V., El castigo sin venganza, ed. R. Domenech, Madrid, Cátedra, 1987, pp. 165-190.
E d’altro canto non erano mancate nel frattempo alcune rappresentazioni a corte, una dovuta alla compagnia di Manuel de Vallejo il 3 febbraio 1633, ed una della compagnia di J. Martínez il 6 settembre del 1635, dopo quindi la morte del commediografo: N. D. Shergold - J. E. Varey, Some palace performances of seventeenthcentury Plays, in «Bulletin of Hispanic Studies», XL, 1963, p. 200.
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23 «...prese dai suoi brogliacci ed originali[...] tutte sono di diversi autori, ed anche se vanno sotto il suo nome non sono sue»: Parte XXI verdadera de las comedias del Fénix de España..., Madrid, viuda de A. Martín - D. Logroño, 1635, ff. 91r-113v: vedi una descrizione e gli esemplari relativi in M. G. Profeti, La collezione «Diferentes autores», Kassel, Edition Reichenberger, 1988, pp. 202-203.
Oltre all’edizione Van Dam, vedi quella di A. D. Kossoff (Madrid, Castalia, 1970) e la lista delle edizioni presente nelle citate di J. M. Díez Borque e A. García Reidy. Ho controllato sia la copia fotostatica del ms. autografo, presente alla Nacional; sia la stampa suelta nell’esemplare conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze [1157.24]; fornisco alcune letture che di-
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NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
PP. 899-906
vergono dalle edizioni correnti, come si vede può vedere infra nelle note al testo.
difficoltà di tradurre un termine in buona parte lessicalizzato.
Doce comedias las más grandiosas, Lisbona, P. Craesbeek - J. Leite Pereira, 1647.
La dedica presente nella suelta, che ho citato parzialmente nella Nota introduttiva, si può vedere nella ed. Díez Borque, pp. 109-110, seguita dal Prólogo, pp. 111-112.
25
L. de Vega, Castigo, non vendetta, Milano, Bur, 1965.
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L. de Vega, Non è vendetta il castigo, edizione e traduzione a cura di M. G. Profeti, in Teatro del «Siglo de Oro», I vol. a cura di M. Socrate, Milano, Garzanti, 1989, pp. 944-950.
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M ARIA GRAZIA PROFETI Note al testo * La titolatura del ms. autografo recita: «El castigo sin venganza / Tragedia / [Firma di Lope] /En M[adri]d a 1. de agosto de 1631». Alla lista dei personaggi è stato aggiunto in altra grafia un elenco incompleto degli attori che dovevano rappresentarli: «El Duque de Ferrara Autor / El conde Federico Arias [...] El marqués Gonzaga Salas /Casandra Autora / Aurora Ber[nar]da /Lucrecia Geronima / Batín Salinas / Cintia M. de Caballos [...]». Segue una seconda firma di Lope e le consuete invocazioni: «Jhs, M[arí]a, Joseph, Cristo». Il capocomico («autor») era César Vallejo, e sua moglie, indicata come «autora», era la bravissima e bella María de Riquelme, che morirà a solo 23 anni il 6 agosto 1634. Sulla loro messa in scena del Castigo si veda V. Dixon, Manuel Vallejo. Un actor se prepara: un comediante del Siglo de Oro ante un texto (El castigo sin venganza), in Actor y técnica de representación del teatro clásico español, London, Tamesis, 1989, pp. 55-74. personaggi. Batín è il gracioso, il cui tradizionale carattere buffo nel Castigo è meno marcato, virando verso la riflessione sentenziosa. Il nome stesso indica lo status del personaggio; nel nostro caso Batín potrebbe tradursi «giacchino» o «vestaglietta». Conservo la dizione spagnola, data la
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La didascalia iniziale indica che il duca di Ferrara è vestito con abiti adatti ad una ronda notturna, il che fornisce agli spettatori il «tempo» della rappresentazione, mentre già al v. 3 viene specificato chi sia il personaggio e dove si svolga l’azione. 16. encomienda: nel senso generico di «insegna». 18-20. Lope allude polemicamente ai seguaci di Góngora, poeti preziosi chiamati «gongorini», che usavano immagini e metafore brillanti e a volte stravaganti, neologismi e costruzioni tese a rinnovare la dizione poetica. Un’altra allusione ai vv. 53-54. 19. seta: «secta», con riduzione del nesso consonantico. 37. azar: qui «estorbo», noia: vedi Covarrubias, p. 262a. 38. sufrillo: per «sufrirlo», con assimilazione. 41. guarda la cara: «occultarsi, nascondersi», vedi Autoridades. 50. bienes gananciales: beni acquistati o singolarmente dal marito, o dalla moglie, o da entrambi durante la società coniugale; Lope irride così il linguaggio legale, dal momento che il termine è applicato qui ai proventi illeciti del mercimonio. 53. cultidiablesco: ancora un termine di fantasia, composto alla maniera di quelli gongorini. 63. majuelos: la vite appena piantata, vedi Autoridades. 67. azúcar de retama: la «retama» è la ginestra, dai semi oscuri: da qui la allusione alla pelle scura della dama.
PP. 906-920
NON È VENDETTA IL CASTIGO
71. cabizbajo rumiador: «rumina a testa bassa». 82. didascalia. en alto: si riferisce alla balconata superiore del palcoscenico. 92. ansí: forma più antiquata per «así». Appare anche ai vv. 1038, 1906, 2706, 2723. 94. agora: forma più arcaica, che nei Secoli d’Oro alternava con ahora; ritorna ai vv. 235, 321, 551, 726, 1250, 1582, 1739, 1746, 1942, 2171, 2191, 2270, 2576, 2736. 133. Il verso è attribuito a Febo nella Parte XXI, al duca nell’autografo e nella suelta. Seguo la lettura della Parte, come Kossof, per il senso. 135. escuché: lettura necessaria per la rima con il v. 134; curiosamente Díez Borque legge «escuche».
NOTE
233. didascalia. Le indicazioni sceniche di Lope sono estremamente sintetiche. Qui non annota nemmemo l’uscita del duca e dei suoi accompagnatori; le successive parole di Batín, con l’allusione ai «quattro salici» indicano che il paesaggio è cambiato, e che i personaggi si trovano in aperta campagna. 234-339. Dopo le redondillas, metro adatto al dialogo brillante del duca con i suoi servi (solo i vv. 197-205, che l’attrice recita fuori scena, hanno il taglio lirico del madrigale), il cambiamento di tono è affidato anche al metro scelto, la silva, elevato veicolo della meditazione esistenziale di Federico. 241. pensamientos: vedi Nota introduttiva, nota 9.
178-79. autor / de comedias: come si è visto il capocomico di una compagnia.
251. gusto/justo: vedi Nota introduttiva, nota 8.
195. Menzione dell’attrice italiana Isabella Andreini (1592-1604), che con il marito Francesco Andreini fece parte della compagnia dei «Gelosi», recitando in Italia e in Francia; conosciuta anche per i suoi scritti: la favola pastorale Mirtilla (1588), le Rime (1601) e le Lettere (1607). Lope la ricorda come scrittrice anche nelle Bizarrías de Belisa, ed. E. García Santo Tomás, Madrid, Cátedra, 2004, p. 145, vv. 1618-22: «...las canciones sonorosas / de la Isabela Andreína / representanta famosa / pues hoy estiman sus versos / París, Nápoles y Roma» («le canzoni armoniose / di Isabella Andreini / attrice famosa: oggi / stimano i suoi versi / Parigi, Napoli e Roma»).
261-90. La novelletta di Batín serve da riflessione sui cambiamenti di indole, obbedendo ad una tendenza di Lope all’introduzione di raccontini, spesso moraleggianti, di tipo tradizionale e folklorico: cfr. M. Chevalier, Comedias de Lope que incluyen cuentos folklóricos o cuentecillos tradicionales, in Folklore y Literatura, Barcelona, Crítica, 1978, pp. 161-165; D. McGrady, Sentido y función de los cuentecillos en «El castigo sin venganza» de Lope, in «Bulletin hispanique», LXXXV, 1983, pp. 45-64. Da rilevare anche la descrizione dei cavalli, altra passione di Lope: vedi M. Herrero García, La fauna en Lope de Vega, in «Fénix», I, 1935, pp. 34-42.
208. [A] acostarme: risolvo la sinalefe. 214-25. Lope ripropone la sua teoria della commedia, su cui aveva riflettuto nel 1609 con l’Arte nuevo de hacer comedias; impressionante la bibliografia sul tema, per la quale rimando a L. de Vega, Arte nuevo de hacer comedias en este tiempo, ed. políglota, ed. F. Pedraza, Festival de teatro clásico de Almagro, 2009.
273-90. picador/picadores/pícaros: Lope gioca con la paronomasia (picador è «domatore di cavalli»; pícaro: «servo, furfante»); cerco di supplire il gioco con l’opposizione «cavalieri/fanti». 288. tilde: il segno grafico che in spagnolo viene inserito sulla n per darle il valore fonico di gn. Sostituisco in italiano con «accento».
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NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
PP. 920-946
301. «medio lengua» legge il ms., che va sanato con le stampe. Assurdo il tentativo di conservazione di Kossof: media lengua come «apodo que se da al que pronuncia imperfectamente lo que habla» è registrato in Autoridades; e nel caso specifico di «balbettamento infantile» è attestato da M. de Caravajal, Navidades de Madrid y noches entretenidas, Madrid, D. García MorrásG. Rodríguez, 1663, f. 95vb.
lo vedeva Kossof; la parte più interessante è costituita dai seguenti vv. 450-67, dove traspare nelle parole di Batín l’auspicio di Lope di essersi guadagnato una giusta fama.
302. tiniéndole: «teniéndole», con vacillazione della protonica.
543. el arena: ancora possibile nel sec. XVII l’articolo maschile davanti ad a- atona.
303. que le tome la barba: tirare la barba si considerava grave affronto.
554. las dad: «dadlas»; l’anteposizione del pronome è ancora possibile nel sec. XVII.
312. algún león: il futuro figlio del duca, che Federico sarà costretto a «tenere in braccio» (traduco con «accudire»), appare quale pericoloso leone. 333. llamad la gente: Lope non sempre introduce la marca dell’accusativo di persona. 352. livianas: «leggere»; Batín gioca con il doppio senso «di poco peso» e «frivole, incostanti». 362. corriérades: forma arcaica per «corrierais». 386-87. Il riferimento alle «ruote» del cocchio, che si sono bloccate, introduce il richiamo alla «ruota» della Fortuna. 409. dejaldes: «dejadles», con metatesi corrente. 416-17. Batín si informa di quale sia il tipo di «tratamiento» che spetti a Lucrecia; la persona del verbo da usare era rigidamente codificata nei Secoli d’Oro. 430. malilla: jolly, matta del gioco delle carte; quindi un servo buono per ogni uso. 431. entre doncellas y dueñas: le prime sono le servette giovani, le seconde serve di una certa età, che sovrintendevano il servizo. 433-45. Il gioco di botta e risposta tra il gracioso e la servetta su «Lucrezia» e «Tarquinio» non mi pare tanto raffinato come
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534. Sul feticismo del piede vedi A. D. Kossof, El pie desnudo: Cervantes y Lope, in Homenaje a W. L. Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 381-386.
561-72. Per l’uso dei miti di Ganimede, Fetonte ed Icaro vedi Nota introduttiva. 569. tusón: è il «toson d’oro», ordine cavalleresco borgognone: vedi Covarrubias, p. 1497. 640. azar: «azahar», in questo luogo «zagara»; le immagini floreali si ripetono nel passaggio, attribuite a Batín: si vedano supra quelle sul giglio. 651. didascalia: ancora una volta Lope omette l’indicazione dell’uscita dei personaggi. 695. afición: alcuni editori sostituiscono con «aflición»; ma la lettura del ms. è perfettamente logica: Aurora afferma che il suo consiglio rimedierà la delusione (engaño) di Federico e verrà incontro all’affetto (afición) che il duca ha per lui. 700-35. Aurora effettua questo racconto della felice infanzia passata con Federico nell’elegante metro delle «liras», che dà al ricordo un rilievo poetico. 705. Curiosamente una parte degli editori inserisce «a» dopo «rindió». 709-11. Allusione al Labirinto di Creta ed al filo di Arianna, a cui viene equiparato lo stesso duca, che conduce Aurora a rivedere la luce.
PP. 948-976
NON È VENDETTA IL CASTIGO
729. España... Flandes: termini di riferimento politico, la prima come nazione egemone, le seconde come ricco territorio. 762. albricias: la mancia o regalo che si dava a chi per primo portava una buona notizia. Ritorna al v. 1678. 795. concetos: «conceptos», con riduzione del nesso consonantico. 808. güerta: forma più arcaica per «huerta»; così modernizzano le stampe. 819. efeto : «efecto», con riduzione del nesso consonantico. Ritorna ai vv. 1451, 1828, 2058, 2569. 841. himineo: «himeneo» («sposalizio»), con vacillazione della protonica. 879. tiniendo: «teniendo», con vacillazione della protonica: vedi v. 302. 881. preceto: «precepto», con riduzione del nesso consonantico. 889. Il duca evidentemente pronuncia il verso tra sé. 897. se cumplieron: il soggetto è «deseos», che regge il saluto del marchese. 906. galán: Aurora si riferisce ai raffinati complimenti anteriori; ma il termine si può applicare anche all’aspetto elegante del marchese. 914. mantener: le feste cavalleresche avevano un loro organizzatore («mantenedor»: vedi Autoridades); il marchese si impegna a sostenere l’eccellenza di Aurora, che elegge a sua dama. 920-21. Era detto proverbiale che lo sposo facesse o dicesse una sciocchezza durante la prima intervista con la futura sposa: si veda ad esempio F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego, ed. M. G. Profeti, Madrid, Crítica, 1998, p. 19, vv. 385-90. Gli editori della commedia non rilevano questo senso: vedi Díez Borque. 929 sgg. Ci si è basati su questi versi per datare La vida es sueño di Calderón de la Barca, anche se i concetti espressi sono topici, come pareva anche a Díez Borque.
NOTE
940-57. Visione di un «mondo alla rovescia», di una percezione irrazionale, come rileva Díez Borque, che sottolinea la «modernità» di Lope in questo dubbio della realtà, retto da una «necia fantasía». 941. mordelle: «morderle», con assimilazione. 947. está impreso: i sermoni avevano una grande risonanza estetica, emotiva e spettacolare (come sottolinea Díez Borque), e dovevano quindi vantare anche una originalità al momento in cui venivano pronunciati; si potevano successivamente raccogliere in volume e pubblicare. 993. didascalia: Il ms. indica che inizia il «2. Acto de El Castigo sin venganza», segue la firma di Lope ed un elenco dei personaggi che parlano nell’atto: vedi edizione Díez Borque, p. 171. Appare poi l’invocazione «Jhs, M[aría], Joseph, Cristo», che precede la dizione «Acto segundo». 1022. ripios: «los fragmentos que quedan de los materiales deshechos y quebrados», Autoridades; qui «fessure nella parete». 1043. lugar: nel senso di «stato», passando dal celibato allo stato matrimoniale. 1054. alhaja: «adorno de una casa u de las personas», Autoridades; quindi «mobile, oggetto». 1114-95. Il colloquio tra il duca e Federico assume un tono elevato attraverso l’uso delle terzine. 1145. magistrado: «consejo o tribunal», Autoridades. 1146. sobredora: nel senso metaforico di «compensa, allevia» («metafóricamente vale disculpar y abonar ... alguna acción o palabra mal dicha», Autoridades). 1181-83. La ripetizione di una parola si ammetteva in rima quando aveva senso diverso: qui la prima è voce del verbo fraguar («forgiare»); la seconda il sostantivo («fucina»).
2349
NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
1187. Tiempla: oggi «templa». Si ripete al v. 1288. 1192. y impertinente: nel. sec. XVII non era ancora cogente la sostituzione, per ragioni eufoniche, di «y» con «e» davanti a parola iniziante per i-. Si ripete al v. 1194. 1203. apelación: «remedio», Autoridades. 1262. en los ojos le doy: «dar en los ojos» è «disgustar, enfadar», Autoridades. 1264-67. Nuovo gioco tra il nome della dama e l’«aurora» che precede il giorno. 1300. Cassandra considererebbe Federico come «grande», cui spettava il titolo di «Eccellenza»; il giovane non potrebbe dunque più «umiliarsi». 1316. Fénix: come l’araba fenice Federico si brucia nel suo stesso fuoco (d’amore), augurandosi di poter rinascere dalle proprie fiamme. 1351. cifra: «compendio», Enciclopedia del Idioma. 1360. jaez: «adorno de cintas... para los caballos», Autoridades. 1364. barba: «barbada» secondo Kossof, cioè «cadenilla o hierro corvo que ... se pone a los caballos», Autoridades. 1383. Argel: per antonomasia prigione, dato che ad Algeri si trovavano quelle dei cristiani in attesa di essere riscattati dalla schiavitù. Inutile tentare, come fa Kossof, di giustificare l’anacronismo, prassi assestata e normale del teatro dei Secoli d’Oro. 1407. «le» legge il ms.; alcuni editori moderni (per esempio Van Dam) correggono in «me». 1458-78. Riappare l’allusione a Fetonte, che ardisce guidare il carro del padre (v. 562), unita al mito di Icaro (figlio di Dedalo, tenta di fuggire dal Labirinto di Creta, con delle ali fabbricate dal padre, ma si avvicina troppo al sole, che scioglie la cera che teneva insieme le penne), e a quello di Bellerofonte (che tenta di salire fino all’Olimpo cavalcando il cavallo alato Pegaso,
2350
PP. 976-1010
ma viene precipitato da Zeus). Come prototipo dell’inganno si menziona Sinone, coadiutore del tranello del Cavallo di Troia; Giasone infine è campione di ardimento nella prima navigazione degli Argonauti. 1481. u: è lettura del ms.; normalizzano le stampe, che danno «o». 1494-97. All’anteriore rassegna mitologica, rispondono le allusioni di Cassandra: Venere incapricciata del fauno, e Selene che si innamora dell’addormentato Endimione. 1520-27. Díez Borque sottolinea l’espressività della costruzione anaforica ed antitetica del passaggio. 1542. escuros: «oscuros». 1560. le: «lo». 1603. nombre: «título», Enciclopedia del Idioma. 1669. esperar: implica le due accezioni di «aspettare» e «sperare» con uno spessore di senso che non può essere reso in italiano. 1670-75. La fermezza dell’amante viene asseverata con il richiamo all’assedio di Troia, durato dieci anni, ai sette anni che Giacobbe serve Labano per meritare in sposa Rachele, ai «secoli immortali» del supplizio di Tantalo, condannato a soffrire una sete ed una fame terribili, pur essendo circondato da delizie e immerso nell’acqua. L’episodio biblico di Giacobbe è molto citato nel Secolo d’Oro, unendo il tema dell’amore costante ad una ambientazione pastorale: E. Glaser, El patriarca Jacob: amante ejemplar en el teatro del «Siglo de Oro» español, in «Bulletin Hispanique», LVIII, 1956, pp. 5-22. 1682-708. Come al solito l’entrata in scena del duca è sottolineata da un cambiamento di metrica; ora la silva, metro nobile ed alto. 1718. esposa: «manette», oltre che «sposa», gioco che tento di rendere con «legame».
PP. 1010-1020
NON È VENDETTA IL CASTIGO
1721-22. Evidentemente Aurora fa questa riflessione «tra sé». 1731. idolatraran en: costruzione non infrequente in Lope, anche se non mancano casi di «idolatrar a». 1735-40. Complessa costruzione metaforico-astronomica: la sciarpa di Aurora, quasi coda di una cometa, si sposta dal sole (Aurora stessa, sola nella grazia e nella bellezza, come due pianeti che la adornano) fino a toccare, in eclisse, la costellazione del Drago (il marchese Gonzaga). 1743-44. Allusione al giudizio di Paride ed alla «mela della discordia»; ora si tratta di una «sciarpa della discordia». 1750. conforman: «concordar... corresponder» (Autoridades). 1759. el suyo: con ellissi allude al becco del gallo, che anticipa los picos della cresta del gallo antagonista. 1762. Barbaroja era il nome di un famoso corsaro turco: il gallo è quindi «turco», avendo i bargigli rossi; la cresta diventa il suo turbante. 1764. noturna: «nocturna», con riduzione non infrequente del nesso consonantico. 1775. arancel de galanes: arancel «metafóricamente se toma por regla y norma» (Autoridades); qui si tratta di norme adatte agli innamorati (galanes): come dovrebbe essere Federico. 1783. cuidado: «passione amorosa». 1787. bachiller: «el que habla mucho, fuera de propósito y sin fundamento», Autoridades. 1792. te informa: «infórmate»: vedi nota al v. 554. 1797-810. Il sonetto è il luogo dell’introspezione e della riflessione nella commedia dei Secoli d’Oro: cfr. P. N. Dunn, Some uses of sonnets in the plays of Lope de Vega, in «Bulletin of Hispanic Studies», XXXIV, 1957, pp. 213-222. E vedi Nota introduttiva, nota 12.
NOTE
1811. Cassandra riflette «tra sé» in questo lungo soliloquio, parallelo rispetto al sonetto precedente. I due personaggi riprenderanno il dialogo al v. 1862. 1833-35. Alcune edizioni moderne (per esempio quella di Díez Borque e di Reidy) danno ai due versi un senso interrogativo. 1859. desnuda... espada: molte le risonanze della metafora: in primis il richiamo alla poesia mistica (R. Menéndez Pidal, «El castigo sin venganza»: un oscuro problema de honor, in El Padre Las Casas y Vitoria con otros temas de los siglos XVI y XVII, Madrid, Espasa Calpe, 1958) e quella araba (A. Castro, Por los fueros de nuestro teatro clásico: «El castigo sin venganza» de Lope de Vega, in «La Unión HispanoAmericana», III, 36, 1918, p. 15). Ed anche il riferimento al castigo che il desiderio riprovevole implica: si veda il v. 1571 nel precedente soliloquio di Cassandra. L’immagine è stata analizzata da D. M. Gitliz, La estructura lírica de la comedia de Lope de Vega, Valencia, Hispanófila, 1980, pp. 185-202 (195-197). 1891. Eróstrato: l’episodio si riferisce a Erisistrato, medico ed anatomista. Nel ms. Lope vacilla nella dizione, correggendosi due volte; ciò indica che non sempre lavorava consultando manuali (come quello di Ravisius Textor: vedi nota al v. 2213), e che spesso citava a memoria. L’episodio deriva da Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri novem, ed era ovviamente molto opportuno un suo utilizzo nella commedia: Lope pensava prima di farlo menzionare da Batín ai vv. 1315-18, poi lo cancellò, come si vede nel ms., per sfruttarlo – molto più adeguatamente – come stimolo alla confessione di Federico. Per l’uso del tema cfr. R. L. Kennedy, The Theme of «Stratonice» in the Drama of the Spanish Península, in «PMLA», IV, 1940, pp. 1010-32; F. P. Casa, The Dramatic Craftmanship of Moreto, Cambridge Mass, 1966, cap. III.
2351
NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
1892. Hipócrates y Galeno: riferimenti consueti a celebri medici: vedi M. G. Profeti, Malattie e medici nel teatro dei Secoli d’Oro, a cura di S. Monti, Verona, Cierre Grafica, 2012, pp. 107-146 1916. Per questa complessa glosa vedi Nota introduttiva, nota 13. 1956. barbarismo: «necedad, absurdo o locura», Enciclopedia del Idioma. 1961. habemos: «hemos», ritorna al v. 2265. 1998. Dubbia la lettura: «mataré» o «mataría»: vedi Díez Borque, p. 222. 2026-30. Cassati nell’autografo da una mano diversa da quella di Lope; omettono la Parte e la suelta. 2030. didascalia. Alla fine dell’atto nel ms. appare la dizione: «Laus Deo et M[aría] V[irgini]. / Fin de la 2a Jornada». Segue la firma di Lope. Al f. seguente: «3 Acto del castigo sin venganza», seguito dalla firma di Lope, e dall’elenco dei personaggi del terzo atto: vedi edizione Díez Borque, p. 227. Prima dell’atto terzo appare l’invocazione «Jhs, M[aría], Joseph, Cristo», che precede la dizione «Acto tercero». 2039. Está atento: è la formula con cui lo spettatore veniva avvertito dell’inizio di una relación, cioè di un largo passaggio in cui l’autore riassumeva fatti già avvenuti (alcuni dei quali parzialmente conosciuti agli spettatori). L’inizio della relación di Aurora, dopo l’allusione al «falso» Ulisse, è caratterizzato da grande concentrazione: ho dovuto sciogliere in italiano molti dei suoi riferimenti sintetici. 2042. Ulises: Ulisse viene citato come esempio di doppiezza e di inganno, sulla linea di Orazio e Virgilio. 2058. efeto: con riduzione del nesso consonantico: vedi nota al v. 819. 2069. vidros: «vidrios». 2087. gentiles...cafres... lobos marinos: i pagani e i selvaggi dell’Africa del sud, vestiti di pelli di «lupi marini» costituiscono
2352
PP. 1020-1040
i termini di paragone per l’azione scellerata di Federico e Cassandra. 2092. alinde: «superficie bruñida o brillante», Enciclopedia del Idioma. 2098. vitorioso: «victorioso», con consueta riduzione del nesso consonantico. 2108. infelice: con e paragogica, in assonanza. 2126. Aquiles: ennesimo riferimento classico per antonomasia. 2136. le: per «lo», con leismo. 2138-39. Cassandra appare dunque quale malvagia incantatrice («Circe»), e destinata a essere uccisa come Medusa. 2143. Il ms. recita «Apenas de Mantua», lapsus di Lope poiché il duca sta ritornando a Ferrara, sanato nella suelta e nella Parte. Varie edizioni moderne conservano. 2159-60. timbres: «Insignia que se coloca encima de un escudo de armas», Enciclopedia del Idioma. 2206. Tiberio: aneddoto che si riferisce non all’imperatore Tiberio (14-37 d. C.), ma a Tiberio Claudio (41-54 d. C.), secondo quanto racconta Svetonio in De viris illustribus. 2213. Messalla: Messalla Corvino; episodio che appare nella Officina di Ravisius Testor, compendio che Lope usa ripetutamente, fino a ironizzare in un sonetto delle Rimas de Tomé de Burguillos (ed. di M. Cuiñas Gómez, Madrid, Cátedra, 2008, p. 425): «Si yo en mi vida vi la Poliantea / rudo villano me convierta en rana» («Se in vita mia vidi la Poliantea / rozzo villano mi trasformi in rana»). Sul tema vedi V. Infantes, De «Officinas» y «Polianteas»: los diccionarios secretos del Siglo de Oro, in Homenaje a Eugenio Asensio, Madrid, Gredos, 1988, pp. 243-257; S. López Poza, Florilegios: polyantheas: repertorios de sentencias y lugares comunes. Aproximación bibliográfica, in «Criticón», 49, 1990, pp. 6176; I. Lerner, Misceláneas y polianteas del
PP. 1040-1060
NON È VENDETTA IL CASTIGO
Siglo de Oro español, in Actas del Congreso internacional sobre Humanismo y Renacimiento, León, Universidad de León, 1998, vol. II, pp. 71-82. 2226. clines: forma corrente nel sec. XVII per «crines». 2227. Galeno: per antonomasia «medico». 2237. albéitar: «el que cura las enfermedades de las bestias»: Autoridades; quindi «veterinario». 2237-40. I baschi non riuscivano a parlare un castigliano corretto: si sbagliavano nell’accordo delle persone verbali, del maschile e del femminile, e storpiavano i termini. Anche Cervantes presenta nel Don Chisciotte uno scudiero basco, sulla scorta di un tipo buffonesco, ampiamente diffuso dagli intermezzi comici teatrali. Si veda, per le caratteristiche del linguaggio deformato e per una bibliografia di base, L. Vélez de Guevara, El amor en vizcaíno, Introducción, texto crítico y notas di M. G. Profeti, Verona, Università, 1977. 2257-59. Cassandra sussurra i versi al solo Federico, ed egli le risponde nella stessa maniera fino al v. 2288: Lope sottintende spesso l’indicazione che una battuta deve essere pronunciata tra sé, o detta a parte ad un solo personaggio. Successivamente Cassandra e Federico vengono sorpresi in questo tête-à-tête dall’arrivo del corteo ducale, cosicchè anche i versi 2291-92 di Cassandra, resa quasi cieca dalla gelosia e dall’ira, sono indirizzati al solo Federico (lo segnalo inserendoli tra parentesi). Accortosi del sopraggiungere del duca, Federico tenta di dare un senso plausibile alle parole di Cassandra. Gli editori non sembrano capire questo movimento scenico e tentano letture poco convincenti. 2289-340. Come al solito con l’arrivo del duca il metro cambia: Lope adotta ora le nobili terzine. 2305. le: con leismo, per «lo».
NOTE
2315. perfeto: con riduzione del nesso consonantico. 2321. Trajano: l’imperatore Traiano, di origine spagnola, viene lodato da Plinio come giusto e clemente, oltre che come valoroso guerriero. 2324. le: con leismo, per «lo». 2353-55. Saul-Davide: si veda Samuele, I, 18,6-7. 2376 sgg. Kossof cita come fonte una favola di Esopo, diffusa nella Spagna del tempo. 2381. estrado, o tarima (v. 2387): una specie di predella con tappeti e cuscini, di origine araba, su cui si sedevano le donne quando ricevevano visite. 2391. Lope si serve talora di citazioni latine con intenzioni comiche. Per l’uso nel suo tempo cfr. A. Torres Alcalá, «Verbi gratia»: las escrituras macarrónicas en España, Madrid, J. Porrúa Turanzas, 1984. 2396. barbas: vedi supra: nota al v. 1364. 2409. Héctor: Batín si riferisce naturalmente all’eroe troiano, ucciso da Achille; per antonomasia guerriero valoroso. 2419. Si noti l’ironia tragica di queste dichiarazioni di Batín; e di tutto il successivo intervento del duca. 2420. la: «le», con laismo. 2434. vitorias: «victorias», con riduzione del nesso consonantico; ritorna al v. 2465. 2448. Camáldula: L’ordine dei camaldolesi (dal primo cenobio allocato a Camaldoli) fu fondato in Italia da S. Romualdo nel 1012. 2457-58. Difficile rendere il bisticcio in italiano: il duca preferisce riposare («descansar») leggendo le petizioni, invece di tralasciarle («descansar con ellas»). 2471. Il ms. legge «le»; probabile lapsus calami di Lope. 2511. Dopo l’accenno biblico dei vv. 2353-55, si riprende il damma padre-figlio
2353
NOTE
NON È VENDETTA IL CASTIGO
che è alla base dell’episodio di Assalonne, ribelle a Davide e violatore del suo talamo: in esso si riverbera così il rapporto tra il duca e Federico. Il ricordo biblico ritorna ai vv. 2520-21: il duca è meno colpevole di Davide, infatti non ha goduto Betsabea, né ordinato la morte del marito Urias. 2569. efeto: con riduzione del nesso consonantico: vedi nota al v. 819. 2582. «su sangre Aurora» nel ms., «su sangre yo» nelle edizioni, seguite da Van Dam. Credo con Kossof che il ms. sia perfettamente plausibile, ed in tal senso traduco. 2571. en satisfación: con riduzione della doppia; «come discolpa del mio comportamento anteriore». 2592. estuvistes: «estuvisteis». 2595 sgg. Tutta la scena è fortemente anfibologica (si vedano ad esempio i vv. 2656-61), impregnata in quell’ironia tragica che la critica ha frequentemente rilevato: cfr. C. K. Thompson, Unstable Irony in Lope de Vega’s «El castigo sin venganza»: in «Studies in Philology», LXXVIII, 1981, pp. 224-240. 2678. Il verso del duca è detto «tra sé». 2684-87. Per la rima gusto-justo vedi nota al v. 251. 2738-59. Ovviamente tutto il frammento del duca è detto tra sé: Lope non si cura di annotarlo. 2791. quizó: da un verbo quizar, inventato burlescamente da Batín. Tento di rendere il gioco in italiano. 2837. vara: insegna della giustizia, in questo caso divina. 2849. Il titolo della commedia soleva ripetersi varie volte durante il testo, e la ripetizione si intensificava nel congedo. 2884. Lope omette la a dell’accusativo di persona: vedi nota al v. 333. 2892-94. Artaserse III di Persia uccise fratelli e parenti per assicurarsi il trono;
2354
PP. 1062-1092
Dario III uccise il fratello che aveva congiurato contro di lui; Manlio Torquato sentenziò a morte il figlio che aveva rotto un divieto; e Lucio Giunio Bruto fece uccidere i figli che avevano participato a una congiura contro i Tarquini: il consueto apparato erudito, tutto proveniente da Ravisius Textor, si dispiega a giustificare il cruento «atto di giustizia». 2939. le: «lo», con leismo. 2953. Lope omette la «a» dell’accusativo di persona: vedi nota al v. 333. 2970. César: consueto richiamo dotto; «valoroso» per antonomasia. 2971. Lope non annota l’uscita di scena di Federico. 2986-87, 2996. matalde: «matadle», con metatesi. 2997. Dopo questa battuta, Federico rientra tra le quinte inseguito dal marchese; la morte avviene fuori scena ed è annunciata dal marchese che rientra dopo il v. 3008. Lope come al solito non si preoccupa di segnalare il movimento scenico, che si può solo intuire; dopo il v. 3011 i cadaveri vengono «scoperti» agli occhi del pubblico, il che abitualmente si faceva aprendo una tenda che chiudeva il fondo del palcoscenico. Noterò che questa parte finale è molto cancellata e rielaborata nel ms. 3011-12, 3018-19. La rappresentazione aurea di solito terminava con l’ennesima citazione del titolo della pièce, e con l’appello diretto agli spettatori (senado, v. 3018). Viene qui richiamata poi la fonte italiana e la volontà di adattamento alla scena spagnola. Il ms. termina con una consueta formula: «Laus Deo et M[aría] V[irgini]. En Madrid, primo de Agosto de 1631». Segue la firma: «Frey Lope Félix de Vega Carpio». Nel foglio seguente appare il permesso necessario per la rappresentazione (aprobación), firmato da Pedro de Vargas Machuca, che recita: «Este trágico suceso del Duque de Ferrara está escrito con la ver-
PP. 1097-1101
TIRSO DE MOLINA
dad, y con el debido decoro a su persona y a las introducidas. Es ejemplar y raro caso. Puede representarse. Madrid, 9 de mayo 1632. Pedro de Vargas Machuca» («Questo tragico avvenimento del duca di Ferrara è scritto veridicamente, e con il decoro dovuto alla sua persona, come alle altre messe in scena. È caso esemplare e mirabile. Se ne permette la rappresentazione»). M ARIA GRAZIA PROFETI
TIRSO DE MOLINA
La vita e le opere 1 Le schede relative a questo dibattito critico possono vedersi nella mia introduzione a Teatro del siglo de Oro. II. Tirso de Molina, Milano, Garzanti, 1990, pp. XXIII-XL, 5-8, 365-370, 661-663. Da essa desumo alcune delle pagine seguenti, relative all’analisi del teatro di Tirso.
Il corpus di Tirso si sta pubblicando a cura dell’Instituto de Estudios Tirsianos, dell’Università di Navarra, che ha promosso una serie di commedie in edizioni singole e la Cuarta parte a cura di B. Oteiza, 1999-2003 (si raccomanda per la bibliografia tirsiana qui presente). 2
Dedica della Segunda parte de las comedias de Tirso de Molina, Madrid, Imprenta del Reino, 1635: «Dedico, di queste dodici commedie, quattro, che sono mie, a mio nome, e a nome dei loro autori le altre otto che restano (che non so per quale infortunio loro, essendo figlie di così illustri padri, le hanno esposte alla mia porta)». Un riassunto delle diverse posizioni critiche al riguardo può vedersi in L. Iscla Rovira, Contribución al esclareciento bibliográfico de la «Segunda parte» de Tirso de Molina, in «Segismundo», 27-32, 1978-80, pp. 14550, poi in Hipólito de Vergara autor de «La reina de los Reyes» de Tirso de Molina, Madrid, CSIC, 1975.
3
NOTE
A. Zamora Vicente, Presencia de los clásicos, Buenos Aires, Austral, 1951, pp. 6970; B. de los Ríos, Introducción, in Obras dramáticas de Tirso de Molina, Madrid, Aguilar, 1969 (3), vol. I, p. 47.
4
5 Altra prova di questa letterarietà, di questo mestiere teatrale, mi pare l’indulgere di Tirso all’autoplagio: giochi di parole o intere scene che avevano avuto successo vengono puntualmente riciclate: G. E. Wade, Tirso’s Self-plagiarism in Plot, in «Hispanic Review», IV, 1936, pp. 55-65; E. H. Templin, Another Instance of Tirso’s Self-plagiarism, in «Hispanic Review», V, 1937, pp. 176-180. 6 Per la prosa di Tirso cfr. A. Nougué, L’oeuvre en prose de Tirso de Molina, Paris, Centre de Recerches de l’Institut d’Etudes Hispaniques, 1962. 7 Sul valore consolatorio e non eversivo di simili meccanismi vedi A. Hermenegildo, El gracioso borracho: estudio sobre la función lúdica en «La villana de la sagra» de Tirso de Molina, in «Bulletin Hispanique», XC, 1988, pp. 283-299. 8 M. del Pilar Palomo, Señales de fijación espacial en la comedia de enredo tirsista, in La comedia de capa y espada, «Cuadernos de teatro clásico», I, 1988, pp. 105-119.
Alcuni interventi critici recenti si devono al gruppo GRISO dell’Università di Navarra; segnalo: El ingenio cómico de Tirso de Molina, ed. I. Arellano, B. Oteiza, M. Zugasti, Pamplona, Universidad de Navarra, 1998; Varia lección de Tirso de Molina, a cura di I. Arellano y B. Oteiza, Madrid, Casa de Velázquez-Instituto de Estudios Tirsianos, 1999; Tirso de Molina: textos e intertextos, a cura di L. Dolfi e E. Galar, Navarra, Instituto de Estudios Tirsianos, 2001; I. Arellano, Arquitectura del ingenio. Estudios sobre el teatro de Tirso de Molina, Navarra, Instituto de Estudios Tirsianos, 2001; El sustento de los discretos. La dramaturgia áulica de Tirso de Molina, a cura di E. Galar y B. Oteiza, Navarra, Institu9
2355
NOTE
IL TIMIDO A PALAZZO
to de Estudios Tirsianos, 2003; F. Béziat, El silencio en el teatro de Tirso de Molina, Navarra, Instituto de Estudios Tirsianos, 2003.
ne-Università di Firenze, Firenze, Alinea, 1999, pp. 137-151.
M ARIA GRAZIA PROFETI
Il timido a Palazzo
7 E per le quali si vedano le pagine di M. Frenk, «El vergonzoso en palacio»: duplicaciones y multiplicaciones, in «Nueva Revista de Filología Hispánica», XLII, 1994, pp. 77-86.
Redondo, Las diversas caras y estrategias del poder, cit.
8
Nota introduttiva «Vi fu uno storico pedante, il quale criticò il fatto che il poeta avesse trasformato in pastore il duca di Coimbra don Pedro, che invece era morto nella guerra che gli aveva mosso il re don Alonso senza che gli fosse succeduto nessun erede, offendendo in tal modo la casa di Avero e il granduca, le cui figlie aveva dipinto a tal punto disinvolte da fare dell’immunità del suo giardino, contro le leggi della loro onestà, teatro del loro scarso pudore» (Tirso de Molina, Cigarrales de Toledo, ed. L. Vázquez Fernández, Madrid, Clásicos Castalia, 1996, I, p. 224).
PP. 1105-1130
GIULIA POGGI
1
«Il ragazzo timido a palazzo ce l’ha portato il diavolo».
2
F. Beziat, El silencio en el teatro de Tirso de Molina, Instituto de Estudios Tirsianos, Madrid-Pamplona, Universidad de Navarra (Revista Estudios), 2004, pp. 249-276. 3
A. Redondo, Entre Magdalena y Narciso; dos personajes femeninos trangresores en «El vergonzoso en palacio» de Tirso de Molina, in Morada de la palabra. Homenaje a Luce y Mercedes López Baralt, ed. W. Mejías López, Puerto Rico, Universidad, 2002, II, pp. 1354-1366.
4
Letteralmente: «Sotto il saio c’è qualcosa».
5
Redondo, Las diversas caras y estrategias del poder en el «Vergonzoso en palacio» de Tirso de Molina, in Répresentation, écriture et pouvoir en Espagne à l’époque de Philippe III (1598-1621), M. G. Profeti-A. Redondo (eds), Publications de la Sorbon-
6
2356
Note al testo 10. Allusione a Numa Pompilio, il re grazie alla cui proverbiale religiosità, la nascente Roma godé un periodo di lunga pace. 120. La traduzione non rende il bisticcio fondato sulla duplice accezione del termine toca: ornamento femminile per il capo, ma anche cuffia di tela garzata, attraverso cui si versava acqua nella bocca del torturato. Il passo, velatamente licenzioso, riecheggia una leggenda attribuita dai bestiari medievali alla donnola e un popolare proverbio, («La comadreja pare por la boca y empréñase por la oreja»: «La donnola partorisce dalla bocca e concepisce dall’orecchio», cfr. Correas, p. 415). 170 ss. Tarso esprime i suoi mutati sentimenti nei confronti di Melisa nei toni del sayagués, il linguaggio rustico impiegato dai pastori nel teatro cinquecentesco e caratterizzato da fenomeni quali il rotacismo, l’aspirazione dei fonemi iniziali e le forme verbali apocopate (cfr. la monografia di J. Lihani, El lenguaje de Lucas Fernández. Estudio del dialecto sayagués, Bogotá, Instituto Caro y Cuervo, 1973). Neologismi come quillotro e quillotrar (da «aquel otro»: letteralmente «quell’altra cosa») stanno a indicare sia, come in questo caso, gli effetti indefinibili dell’amore (e infatti ritornano, come recente acquisizione da parte del finto pastore Vasco invaghito di Melisa, ai vv. 2571-72) sia, come nella scena dei paesani che catturano Mireno e Tarso,
PP. 1130-1150
IL TIMIDO A PALAZZO
NOTE
nella più generica accezione di «imbroglio, intrallazzo» (vv. 568 e 736).
Avero (città portoghese che fu capitale del distretto omonimo) e dintorni, essa fu scritta, presumibilmente, in seguito a un viaggio compiuto dall’autore in Galizia fra il 1608 e il 1611. La successiva allusione alla coppia mitologica Eco-Narciso introduce il tema del narcisismo, connotante, nel secondo e nel terzo atto, il personaggio Serafina; in particolare, per la ripresa del mito e, in ordine all’economia drammatica del testo, i suoi risvolti psicologici, cfr. i vv. 1912-16 e 3066-69.
185. L’espressione musas de alquiler va letta come storpiatura della più corrente mulas de alquiler («mule d’affitto», tradizionalmente assai scomode per viaggiare) a suggerire una comica commistione fra le velleità poetiche di Tarso e il suo referente, rustico e quotidiano. 210-12. La risposta di Mireno ricalca i luoghi comuni misogini come quello relativo alla volubilità delle donne (ma si perde in traduzione, il rapporto allitterante stabilito fra mudable, «mutevole e incostante» e mudas, «belletti»). Più avanti, ai vv. 24244, il tema dell’incostanza di Melisa verrà connotato dall’immagine del doppiere da taverna (attratta, a sua volta, dal modismo a dos luces, indicante ambiguità; cfr. s.v. luz, Autoridades) e quello del tradimento dall’allusione al «pelo rubio» (vv. 235-36) che, per una credenza fra superstiziosa e devozionale, si attribuiva a Giuda. 269-70. Riecheggiando il proverbiale detto «So el sayal hay al» (per il cui significato, registrato da Correas, p. 751, v. supra l’Introduzione) Tarso introduce il tema del sayal, variamente ripreso nell’arco della commedia, sia in contrappunto a quello delle calzas (cfr. v. 533), sia come simbolo visibile della doppia identità di Mireno e del suo cammino verso la finale agnizione. Il sayal era un tessuto di lana a trama rozza con cui veniva cucito il sayo, casacca larga e senza maniche che, insieme a un particolare tipo di calzature (le abarcas cui si fa riferimento al v. 2879) e alla zamarra (ampio mantello di pelli di capra e pecora), connotava nel teatro cinque-seicentesco l’abbigliamento dei personaggi rustici. 273. Il riferimento al Miño, fiume che, nato in Spagna, attraversa il Portogallo settentrionale per poi sfociare nell’Atlantico, ribadisce le coordinate geografiche della commedia che, come altre di Tirso, può definirsi di confine: ambientata ad
286. È da supporre che a questo punto Melissa facesse un gesto con le mani, per indicare una croce su cui effettuare lo sbrigativo giuramento. 330-32. L’affermazione di Mireno, il cui linguaggio riflette ancora la falsa condizione di pastore, è modulata sulla dinamica del gioco della barra, rustico giavellotto in legno, che i concorrenti dovevano lanciare il più lontano possibile (da cui l’espressione tirar la barra, indicante uno sforzo portato all’eccesso: cfr. Autoridades s.v. barra). 447-50 In linea con l’attitudine dissacratoria dei versi precedenti, Vasco gioca sull’affinità semantica cena/colación, metaforico invito all’aldilà la prima (che ricorda il cupo finale del Burlador de Sevilla) e reale abitudine alimentare la seconda, consistente in un frugale pasto con cui la Chiesa permetteva di interrompere l’usanza del digiuno; cfr. s.v. colación Autoridades. 477. L’ennesima insinuazione sull’incostanza di Melisa è affidata qui a un termine indumentario (arrequive, trina ornamentale di orli e sottane), applicato dal maldestro Tarso alla tecnica dell’abbellimento musicale, e cioè la variazione, più o meno estemporanea, su una melodia di base («trillo» nelle sonate per organo). 484. Il bisticcio scatologico suscitato dall’esclamazione di Vasco (traducibile parzialmente, vista l’ambiguità che conserva, nel testo, il termine estrellado: «stellato» come il cielo in cui dimorano i santi,
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NOTE
IL TIMIDO A PALAZZO
ma anche «scocciato» come le uova cui la tortilla del v. 485 fa esplicito riferimento) introduce il tema della paura e delle sue fisiologiche conseguenze, qui interpretato da Vasco e, per la transitività del capo di vestiario oggetto, nell’arco della commedia di numerose, grasse allusioni, dal gracioso Tarso.
simbolo rivestiva nella vita giurisdizionale e amministrativa del tempo. Il rollo era un semplice monumento di granito e calcina di forma circolare, su cui venivano scolpite le insegne del paese, e attorno a cui i notabili della comunità si riunivano per consultarsi in merito a questioni giuridiche e civili; serviva anche per effettuare torture e condanne capitali (da cui l’espressione «irse al rollo» usata al v. 582 in senso figurato).
533. Con il termine abigarradas si allude alla moda, d’importazione francese, delle calzas bragas, grazie alla quale, sul finire del Cinquecento, le calze lunghe e attillate di cui si rivestivano paggi e cavalieri vennero arricchite, nella parte superiore, da bragoni di seta rigonfi e complicati da pieghe e spicchi che si allacciavano al corsetto mediante cordicelle di seta terminanti in punte d’acciaio (agujetas). Il comico sbalordimento di Tarso nei confronti di queste calzas abigarradas (o bigarradas, cioè screziate di mille e dissonanti colori) e il suo prolungato disagio nell’indossarle ribadisce il contrasto fra città e campagna come sottofondo ideologico della commedia e delinea un’alternanza di stoffe e indumenti (alla sfarzosità della calzas si oppone la rozzezza e semplicità del sayo) simbolica dei conflitti che la animano. 541. Il re David era uno fra i personaggi biblici più ricordati negli autos (sacre rappresentazioni di un atto, promosse in occasione di festività liturgiche). Lo si raffigurava mentre suonava la cetra o danzante dinanzi all’arca. Da notare anche l’allusione ironica e velatamente anticlericale al Parce mihi intonato dal prete che suona, all’orecchio di Tarso, non come l’inizio di un noto inno liturgico, ma come la spia di furbizie e privilegi ecclesiastici 561. Con il termine palillo Doristo allude alla vara, ossia alla verga in legno che impugnavano anticamente gli alcaldes, rustici sindaci che amministravano la giustizia. 578. L’insistenza con cui il sindaco e i suoi compaesani nominano il cippo (rollo nel testo) rivela l’importanza che questo
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PP. 1152-1172
719-720. Tarso/Brito si riferisce qui alla possibilità che al momento della cresima (o confermazione) il vescovo aveva di cambiare il nome di battesimo. Analogo riferimento alla cerimonia della cresima ai vv. 2579-80. 734-35. Si perde, nel tradurre, il gioco semico e allitterante fra gatos («gatti» ma anche, in senso traslato, «ladri»), mojigatos («gatte morte») e gatada (mossa della lepre per sfuggire ai cacciatori). 756. Tarso esprime il suo rammarico con un’espressione stralciata da un noto passo biblico (Esodo, 16, 3) indicante rimpianto per un’abbondanza perduta: la stessa sommaria cultura biblica lo indurrà, ai vv. 771-74, a temere la fine di un Giuda (il fantoccio che, durante le funzioni della Settimana Santa, veniva appeso nelle chiese, a ricordo del suicidio del delatore di Cristo) e ad invocare ironicamente, ai vv. 974-75, la pazienza di Erode. 831-36. Viene qui introdotto (e sarà ripreso al v. 892 e ai vv. 2053-54), un luogo comune dell’epoca, secondo cui, per il loro carattere tenero e sentimentale, i portoghesi sarebbero stati un popolo facile all’innamoramento (era ricorrente paragonarli a sostanze zuccherose o passibili di liquefazione). Occorre inoltre ricordare che, mentre Tirso scriveva questa commedia ambientata in una zona di confine, il Portogallo stava vivendo la sua stagione di annessione alla Spagna (ma nel 1640 avrebbe riacquistato l’indipendenza, grazie alla casa di Braganza cui si allude
PP. 1174-1210
IL TIMIDO A PALAZZO
NOTE
nel testo); da qui le incrociate dinastie attribuite ai suoi nobili protagonisti e l’affermazione secondo cui le due figlie del duca avrebbero avuto la palma «de la hermosura de España» (vv. 791-93). A proposito del carattere sentimentale dei portoghesi e del loro antagonismo politico con gli spagnoli, cfr. M. Herrero García, Ideas de los españoles del siglo XVII, Madrid, Gredos, 1966, pp. 134-179.
confronto con le scene precedenti, sempre interpretate a tre voci, la sequenza DENIOLARISO-DORISTO; correggo in tal senso.
844. Invaghitasi del sole, la ninfa Clizia si consumò d’una gelosia che neppure la punizione della sua rivale riuscì a far cessare: gli dei la trasformarono perciò in girasole condannandola a seguire, in eterno, il cammino del suo amato. 853-54. La traduzione non rende del tutto il doppio significato del termine blanca indicante sia la bellezza di Serafina già connotata di candore ai vv. 904-07, sia la sua ingenuità (blanca nel senso di «sciocca» in contrapposizione a discreta, ossia «saggia, avveduta»). 956-58. L’autore riprende, qui come in altre commedie, le corrispondenze fisse e facilmente decodificabili assegnate ai colori nel teatro aureo: mentre il bianco significava innocenza (come al v. 952) e il nero lutto, l’amore e la gelosia era simboleggiati, rispettivamente, dal color oro e dal turchino. Il binomio verrà riproposto, sempre da Antonio, ai vv. 2175-77. Sulla ricorrenza del motivo dei colori nell’opera tirsiana cfr. G. Poggi, El color de los celos: un topos lírico en el teatro de Góngora, Lope de Vega y Tirso de Molina, in La pasión de los celos en el teatro del siglo de oro (Actas del III Curso sobre teoría y práctica del teatro organizado por el Aula Biblioteca Mira de Amescua y el Centro de Formación Continua, Granada, 8-11 nov.), eds. R. Morales Raya y M. González Dengra, Granada, Universidad, 2007, pp. 301-315. 1085-90. La successione delle battute (in Oteiza DORISTO-LARISO-DORISTO) presenta, a mio parere, una sfasatura di senso: più probabile, anche in base a un
1161-62. Sia Oteiza che gli altri editori (Castro[b], Ayala, Rull Fernández, Florit Durán, Hesse) interpretano i due versi come consequenziali («Hacerle quiero llamar. / – ¡ah doña Juana! – Teneos /...»), intendendo che Madalena, operando un’interruzione anomala nel suo monologo, chiami veramente donna Juana. In realtà la princeps («Hacerle quiero llamar / a doña Juana. Teneos /...») suggerisce piuttosto che ella si interroghi su un’ipotesi che poi non osa mettere in pratica. Tanto più che la comparsa successiva di donna Juana non costituisce la risposta a una chiamata, ma un espediente – tutto teatrale – attraverso cui Tirso fa coincidere l’azione della commedia con il desiderio inespresso della sua più audace protagonista. 1408. Correggo il verso che Oteiza e altri editori moderni leggono, sulla base della princeps, «el tiempo, amor y dinero». 1413-1414. È evidente il parallelismo stabilito dal tremebondo Tarso fra la figlia del duca e il vecchio profeta Abacuc mandato dal Signore a sfamare Daniele nella fossa dei leoni (Daniele, 14, 32) e non, come commenta Castro(b) fuorviato da un’errata della princeps che gli altri editori moderni (eccetto Florit Durán) perpetuano («siendo la ira del duque»), quello che, nell’omonimo libro della Bibbia, profetizzò la cattività di Babilonia.. 1421-28. Scherzosa allusione all’espaldarazo, il colpo piatto che si calava con la spada sulla spalla dell’aspirante cavaliere e che qui Tarso, con la consueta attitudine alla dissacrazione, collega alle paventate pespuntadas, le nerbate somministrate con una frusta dalla doppia cucitura (pespunte) ai condannati che venivano condotti al patibolo a dorso d’asino lungo un tragitto prestabilito: da qui la comica designazione di caballeros a lo asnal.
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NOTE
IL TIMIDO A PALAZZO
1435. La colorita espressione di Tarso, coniata su un detto popolare riferito al giovane contadino che, volendo allontanarsi dal paese per vedere il mondo, finisce per ritornarvi subito (come chi va alla fiera a comprare novillos), ribadisce le sue origini rustiche e la sua inesperienza dell’abito cortigiano (cfr. l’espressione «irse por novillos», in Correas, p. 979 e s.v. novillo Covarrubias(b): «ir por novillo»). Inesperienza che susciterà le allusioni scatologiche dei versi seguenti culminanti, ai vv. 1456-1460, nella metafora del presidente e delle sue funzioni di tramite amministrativo.
P. Restrepo-Gautier, La imaginación emblemática en el drama de Tirso de Molina, Newark-Delaware, Juan de Cuesta, 2001, p. 38 ss.).
1859-92. Le argomentazioni di Serafina sullo specifico teatrale verranno riprese da Tirso nell’epilogo in prosa che nei Cigarrales segue il testo della commedia: in ambedue i casi suonano come una difesa delle teorie pochi anni prima esposte da Lope de Vega nell’Arte nuevo de hacer comedias (1609). 1932-34. Avendo Giove ordinato a Venere di disfarsi del dispettoso Cupido, la dea lo nascose nei boschi di Cipro, isola a lei consacrata. 2033-36. Impossibile rendere in italiano il bisticcio affidato al doppio significato di niña («bambina», ma anche «pupilla») e capote (manto rustico con il cappuccio ma anche, metaforicamente, «espressione corrucciata, cipiglio»). 2066-67. Come ai vv. 210-12 la donna è connotata dalla sua topica mutevolezza (qui sottolineata dall’allitterazione mujer/ mudanza); il concetto viene ribadito dal duplice significato del termine mudanza («mutamento» e «movimento di danza») cui si allude ai vv. 2094-95. 2072-73. Già oggetto di un emblema di Alciato (poi ripreso da Covarrubias(b)) il motivo del mandorlo che fiorisce troppo presto per sfiorire subito dopo sta a significare qui, come in altre commedie di Tirso, la vita effimera delle false speranze (cfr.
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PP. 1212-1262
2093. Il ritornello di quella che doveva essere una canzonetta popolare del tempo (cfr. Correas, p. 116: «Baila Perantón, pues hacen el son») connota volutamente l’ambientazione paesana di queste nozze, confermata pochi versi dopo dall’allusione all’usanza rustica di foderare bicchieri, brocche e bisacce con un bagno di pece. 2150-54. Allusione, come già segnalò Castro(b), a Timoteo, la cui musica si dice rapisse a tal punto Alessandro Magno bambino da indurlo ad armarsi come se l’aspettasse un’imminente battaglia. L’aneddoto è presente anche nel Cortegiano di Castiglione, che Tirso poteva aver letto attraverso la traduzione di Boscán. 2210. In Oteiza (e nella princeps) «tengo pide que me diestre»; più probabile, visto che destrar non compare in Autoridades, adiestre. 2228-40. Come già notato da Oteiza, Rull Fernández e Florit Durán, Mireno esemplifica la sua disillusione amorosa su una favola esopica («L’asino che portava la statua di un dio») rielaborata da Alciato e trasmessa alla letteratura aurea (vi alludono sia Mateo Alemán nel Guzmán de Alfarache, seconda parte, III, 5, che Quevedo in una delle sue satire in versi contro il matrimonio). L’emblema in questione (il XXXV della prima edizione dell’Emblematum libellus di Alciato, Parigi 1531) reca un motto («Non tibi sed religioni») cui sembra ispirarsi il paragone che Mireno svolge, sia in questo monologo che nel successivo posto a chiusura del secondo atto (vv. 2265-94), tra se stesso e colui che pensa sia il vero oggetto della devozione di Madalena (cfr. a tale proposito P. Restrepo-Gautier. La imaginación emblemática, cit., pp. 36-38. e G. Poggi, Mireno e l’asino (Vergonzoso, II, 1094-1184) in por tal variedad tiene belleza. Omaggio a M.G. Profeti, a
PP. 1274-1312
IL TIMIDO A PALAZZO
NOTE
cura di A. Gallo e K. Vaiopoulos, Firenze, Alinea, 2012, pp. 293-304.
2707-08 Si tratta di un detto proverbiale («Al mozo vergonzoso el diablo le llevó a palacio»; «Il ragazzo timido a palazzo ce l’ha portato il diavolo», cfr. Covarrubias(b), s.v. vergüenzas da cui trae vita il titolo della commedia e che già Celestina, nell’omonima tragicommedia di Fernando de Rojas, riecheggiava rivolgendosi al giovane Parmeno in procinto di essere iniziato al sesso da Areúsa (atto VII).
2384 ss. Come si osserva nella discussione che segue la commedia nei Cigarrales, la storia narrata da Lauro è in parte vera, in parte romanzata. Morto effettivamente, dopo soli cinque anni di regno, nel 1438, il re don Duarte lasciò la reggenza al fratello Pedro e alla vedova Eleonora, sorella del re di Spagna; tuttavia, nonostante le lotte e le interne rivalità, il duca di Coimbra non fu esiliato; morì invece, ad Albufeira, nel 1449, lottando contro le truppe di Alfonso V. 2543 ss. La comparsa di Bato riconduce il lacrimoso bucolismo dei due finti pastori al suo versante realistico: qui la nota di colore è introdotta dall’accenno al rustico copricapo femminile (la cofia de pinos del v. 2551) e al rudimentale sistema di conteggio consistente nel quantificare il denaro tramite tacche incise su un bastone di legno. Generica anche la misura di denaro (veintén) che indica monete di un valore approssimativo. 2571 ss. Come nella coppia TarsoMireno, anche in quella Vasco-Ruy, la distanza fra servo e padrone è marcata dal modo più disinvolto in cui il primo affronta i valori della tradizione consacrata: qui assistiamo a una divertente sovrapposizione fra il rude complimento di Melissa e il piccolo schiaffo con cui, al momento della Cresima, il vescovo imprime il carattere al neosoldato di Cristo. 2644. Protagonista di un racconto delle Mille e una notte che si diffuse in occidente a partire dalla metà del secolo XIII, la schiava cristiana Teodora, o più comunemente donzella Teodora, riuscì a salvare il proprio padrone rispondendo ai quesiti cui la sottoposero tre saggi: divenne perciò, nella mitologia popolare, un prototipo di saggezza e dedizione femminili. Alla sua figura si ispirò Lope de Vega nella commedia La doncella Teodor, composta fra il 1610 e il 1612.
2849-53. Ossia, in linea con quanto già affermato precedentemente, l’amante non intende il gergo muto degli occhi, astruso come 1’algarabía, lo spagnolo contaminato da termini e inflessioni arabe che si parlava sull’altra sponda del Mediterraneo (dall’arabo garbi; cfr. s.v. Autoridades). 2901-904. L’allusione, che può rendersi in maniera solo approssimativa, è modulata sull’ambiguità del termine corto («corto», ma anche «timido, goffo») parola chiave, in tutto questo terzo atto, per indicare 1’irresolutezza di Mireno; qui va riferita al gioco dei birilli, il cui punteggio si misura sul tiro con cui il giocatore mira la fila da colpire. 2911. Emendo il verso che Oteiza legge, sulla base della princeps, come ipometrico («¿Qué hacéis aquí? – Venía»). 2924-27. Evidente il riferimento al Giuseppe biblico che si distinse per sapere interpretare i sogni dei suoi compagni di prigionia e del Faraone (Genesi, 40, 41) e che, come conferma la pronta risposta di Mireno, fu tentato e ingiustamente accusato dalla moglie di Putifarre (Genesi, 39, 7 ss.). A quest’ultimo episodio si ispirerà Calderón nella commedia a sfondo religioso El José de las mujeres. 2964. È la frase che, con altra trascendenza di significati, pronuncerà Sigismondo nel celebre dramma di Pedro Calderón de la Barca La vida es sueño (II, v. 2187). 2992. Traduco interpretando l’espressione che, stralciata da un proverbio («Como a tres con un zapato, que el prime-
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NOTE
DON GIL DALLE CALZE VERDI PP. 1328-1389
ro se levanta, primero se le calza»: «Come tre con una sola scarpa, che il primo che si sveglia la calza»), Tarso applica, con la sua logica spicciola, alle vicende del padrone (Correas, p. 172). 3216-17. L’incostanza dei francesi (che Tirso rimarca, con espressioni molto simili a questa, in Los lagos de San Vicente) era un luogo comune del tempo e si inscriveva nella rivalità degli spagnoli per i confinanti di cui parla M. Herrero García, Ideas de los españoles del siglo XVII, cit., pp. 385-417. 3420-23. Nel linguaggio ammiccante dei due innamorati, il borrón è la frase con cui Maddalena vorrebbe sviare, al suo finto risveglio, le speranze di Mireno; tutta la scena è allusiva di una scrittura più metaforica che reale, giacché la plana tracciata da Maddalena altro non è che il suo sogno dialogato di poco prima. Dalla sovrapposizione sogno-scrittura discende, inoltre, l’infittirsi del gioco corto/largo che, qui propiziato dall’azione specifica del cortar la pluma (appuntare la penna), si connette alla simbologia del volo già precedentemente introdotta. 3533. Non ha corrispondenze, in italiano, il facile scherzo ricavato dal nesso fra il falso nome di Tarso (Brito) e cabrito (capretto) sinonimo, nei lazzi sul matrimonio ricorrenti nel teatro aureo, di «cornuto»; un’analoga metafora si trova, ad apertura di commedia, ai vv. 84-88. 3596-97. Tutte le edizioni recano, come la princeps: «Tengo ya franca la puerta»: emendo il verso da un probabile scambio vocalico. 3643. Allusione scherzosa al famoso «Colegio trilingüe» di Salamanca, dove si insegnava latino, greco ed ebraico. 3696-701. La battuta appare come una risposta alla goffa metafora amorosa di Melissa: se, come lei, è un ferro che va dietro alla calamita Tarso, Vasco rischia di essere scoperto e quindi impiccato perché peso falso, ossia, in senso figurato, terzo
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incomodo fra i due; cfr. Correas, p. 875, il modismo «coger en pesos falsos», ossia cogliere in flagrante qualcuno (in questo caso la moglie adultera). 3944-45. La diffidente risposta di Tarso va ascritta al duplice significato del termine cruzado che indica sia una moneta portoghese d’argento (così detta perché coniata in occasione delle crociate), sia lo sfregio sulla faccia fatto a qualcuno nel volto con la spada (da cui l’espressione cruzar la cara: cfr. Autoridades. s.v. cara). GIULIA POGGI
Don Gil dalle calze verdi Nota introduttiva 1 Luis de Góngora, Sonetos completos, cit. infra, nota ai vv. 1-20 («Llegué a Valladolid; registré luego»): «La lisonja hallé y la ceremonia / con luto, idolatrados los caciques / amor sin fe, interés con sus virotes» («La lusinga trovai e la cerimonia / a lutto, i capi idolatrati / amore falso, coi suoi dardi interesse», n. 104, vv. 10-11; il corsivo di questa, e di tutte le altre citazioni, è mio). 2 Si veda in particolare, D. Donahue, The Androgynus Double and its Parodic Function in «Don Gil de las calzas verdes», in Tirso de Molina, Vida y obra. Actas del I Simposio Internacional sobre Tirso, ed. M. Solá Solé, L. Vázquez Fernández, Washington 1984, Madrid, Revista Estudios, 1984, pp. 175-182 e, più in generale, sulla disposizione che assumono i personaggi nella commedia, N. Ly, Descripción del estatuto de los personajes en «Don Gil de las calzas verdes», «Criticón», 24, 1983, pp. 69-104.
Pronunciato da Gerarda ne La Dorotea di Lope de Vega (II, 1), il detto è registrato s.v. verde da Autoridades.
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4 V. A. Chamberlein, Symbolic Green: a Time-Honored Characterizing Device in Spanish Literature, «Hispania», 51, Mar-
PP. 1393-1412 DON GIL DALLE CALZE VERDI
zo 1968, 51, pp. 29-37 e G. Morley, Color Symbolism in Tirso de Molina, «Romanic Review», VIII, 1917, pp. 77-81. «¿Quién te me enojó Isabel, / que con lágrimas te tiene? / Yo hago voto solene / que pueden doblar por él»; «Chi ti ha fatto tanto arrabbiare, Isabel, / da indurti a versare lacrime?/ Io ti giuro solennemente / che per lui suoneranno a morto le campane».
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Per cui cfr. i vv. 2898-99 e relativa nota.
Sul ruolo giocato dalla huerta del duca di Lerma nella Madrid del XVII secolo, e sulla sua presenza in questa e altre commedie di Tirso (e di Lope de Vega) cfr. S. Arata, Proyección escenográfica de la Huerta del duque de Lerma en Madrid, cit. infra, nota al v. 604. 7
8 Per le quali si veda infra la nota relativa ai vv. 3067-68.
GIULIA POGGI Note al testo 1-20. La menzione dei luoghi caratteristici di Valladolid (compresi i giardini in cui sembra si fossero svolte le festa di accoglienza per la novella sposa di Filippo III, Margherita d’Austria) fissa una delle due coordinate urbane (l’altra è Madrid) entro cui è contenuta l’azione della commedia. Il confronto fra le due città (la prima delle quali evocata, al v. 10, con l’antico nome di Pincia) viene sintetizzato da quello dei due fiumi che lo attraversano: l’Esgueva, fiume-fogna di Valladolid oggetto di varie satire a sfondo scatologico (fra cui la letrilla: «¿Qué lleva el Señor Esgueva?» che tante polemiche costò a Góngora) e il Manzanares di Madrid, la cui esigua corrente, vista in confronto alla sontuosità delle sue arcate (ojos del testo in dialettica con lágrima) aveva ispirato un sonetto burlesco dello stesso Góngora («Duélete de esa puente, Manzanares», Sonetos completos, ed. B. Ciplijauskaité, Madrid, Castalia, 1985, n. 101). Intraducibile il bisticcio semantico
NOTE
correr/correrse del v. 18 fondato sul duplice significato del verbo («scorrere» e «vergognarsi»). Sul ruolo svolto da Valladolid, sede della corte durante i primi anni sei anni del secolo, cfr. B. Bennassar, Valladolid au siècle d’or, Paris, Mouton, 1967. 65-67. Come riporta Zamora Vicente, si racconta che il Puente Mayor di Valladolid fu fatto costruire dalla contessa Eilo durante l’assenza del marito Pedro Ansúrez; al suo ritorno costui, trovandolo troppo stretto, volle ampliarlo (da qui l’allusione di un ponte costruito a medias, ossia «a metà»). 81-84. L’incrocio fra caduta metaforica e reale è propiziato dall’uso del chapín, una calzatura dalla suola alta, che le donne adottavano sia per difendersi dalle immondizie della strada che per aumentare la loro altezza. 194-95. Nel testo: «enviaba en su lugar / un don Gil de no sé qué». Si tratta, come si specificherà oltre nel biglietto spedito dal padre di don Martín a quello di donna Inés, di don Gil de Albornoz, il pretendente di donna Inés che assume una falsa identità per sfuggire a donna Juana. Secondo G. E. Wade (La «comicidad» de «Don Gil de las calzas verdes» de Tirso de Molina, «Revista de Archivos, Bibliotecas, Museos», 76, 1973, pp. 475-486) il cognome ammiccherebbe al casato di un arcivescovo di Toledo, il cui scudo nobiliare era, non a caso, attraversato da una banda verde. 203. Accolgo l’emendamento di Arellano (nella princeps e in Zamora Vicente: «el oro que en dos diamantes»). 243. Effettivamente, come attesta Zamora Vicente, Vallecas era una località di panificatori e l’uso di vendere il pane alla vicina Madrid è confermato da alcuni passi di un’altra commedia di Tirso (La villana de Vallecas). 249. Il richiamo a Merlino, ossia il mago e il profeta presente a più riprese nei
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NOTE
DON GIL DALLE CALZE VERDI PP. 1414-1428
romanzi di cavalleria e nell’Orlando furioso di Ariosto, sta a indicare, qui come in altri luoghi di Tirso (cfr., per esempio, ne El vergonzoso en palacio, la battuta in cui Tarso definisce le sue calzas «obra… digna de un Merlín», v. 694) ogni sorta di incantesimo e di evento inspiegabile. 251-53. La sfida che Caramanchel lancia a un invisibile bodegonero («taverniere», «oste») va intesa come spia della sua mancanza di denaro; anche se l’assenza di indicazioni sceniche permette di formulare solo congetture, possiamo immaginare che egli pronunci la frase fuori dal bodegón che non gli ha voluto far credito e che si trova nei pressi del Ponte di Segovia. 255-58. Nel testo gioco di parole tra hola (formula di saluto del registro familiare) e olla (pentola), tipico dello stile scherzoso e degli equivoci linguistici del gracioso. Sulla sua ricorrenza in altre commedie (di Tirso e non) cfr. B. Kinter, Figur des Gracioso in Spanischen Theater des 17. Jahrhunderts, München, W. Fink Verlag, 1978, p. 52. 271-72. La menzione del protagonista del primo romanzo picaresco (il Lazarillo de Tormes, che uscì anonimo nel 1554) e della trafila di padroni che segnarono la sua esperienza vitale apre la lunga tirata in cui Caramanchel, sulla falsariga delle rassegne satiriche già presenti nelle letrillas di Góngora e di Quevedo, elenca i tipi più caratteristici della società urbana del tempo: il medico ignorante, l’avvocato azzimato e presuntuoso, il prete avaro, lo spiantato opportunista, il marito ingenuo e cornificato. 285. Nel testo «me acogí con Cañamar», ossia «me la svignai» secondo un’espressione già utilizzata da Quevedo in una jácara pubblicata nel 1613 (F. de Quevedo, Poesía original completa, ed. J. M. Blecua, Barcelona, Planeta, 1981, n. 849: «Ya está guardando la trena») e attestata, ma con segno negativo («acogerse sin Cañamar = huir sin rastro»), da Alonso, p. 7.
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303-06. Sia la menzione dell’aqua vitis (il vino, ma anche, metaforicamente «acqua di vita») che la scelta del vocabolo egrotos (adattamento volgare di aegroti) per indicare gli infermi, testimoniano il disinvolto uso che Caramanchel fa del latino secondo una costante della fantasia verbale cui ricorre il gracioso; cfr. anche al v. 370 la menzione del quodlibeto che, registrato s. v. da Autoridades come «tratado de questiones propuestas al arbitrio del autor», rimanda al latino quodlibetum. 321. Nel testo «yo la maza y él la mona», verso forgiato sull’espressione «la maza y la mona» attraverso cui si indicano due persone che vanno sempre insieme (cfr. Autoridades s.v. maza. ossia, il peso che si legava a una zampa delle scimmie per impedire loro di fuggire). 405. Nel testo «Dios te la depare buena», espressione spiegata da Correas (p. 234), con un cuentecillo relativo, appunto, a un medico ignorante. 455-70. Da notare lo stravolgimento in chiave alimentare del liturgico Agnus Dei applicato, non ai peccati (come recita la formula liturgica «Agnus Dei qui tollis peccata mundi...»), ma al salario del servo comprensivo di ración y quitación, ossia la quota che si ottiene togliendo il vitto. Da qui il gioco (intraducibile) dei vv. 469-70 attraverso cui Caramanchel indica come, facendo la cresta sulla biada del ronzino, tenesse per sé la ración lasciando al ronzino la quitación (ossia la parte che toglieva). 501. Sia la battuta di Caramanchel sulla lunga attesa dei questuanti che si recavano alla corte per ottenere favori, che la definizione di Madrid come mare magnum cui ricorre donna Inés per convincere il padre a non darle uno sposo di Valladolid (vv. 687-88) ricalcano metafore frequenti nella letteratura aurea (ad esse ricorrono, per esempio, le protagoniste de Las harpías en Madrid di Alonso Castillo Solórzano).
PP. 1428-1444 DON GIL DALLE CALZE VERDI
513. Alla domanda di donna Juana sul suo luogo di nascita Caramanchel risponde: «Nací en el de Abajo» giocando sull’effettivo toponimo («Caramanchel Bajo») di una località che costituisce a tuttoggi un quartiere di Madrid. 519. Il cognome mancante di donna Juana/don Gil va letto in contrapposizione a quello (de Albornoz) che don Andrés Guzmán inventa per l’altro falso don Gil (in realtà don Martín) nella lettera a don Pedro (v. supra 194-95). 604. Allusione evidente al complesso residenziale che il duca di Lerma, favorito del re Filippo III, fece costruire ai primi del seicento nei pressi della centrale Carrera de San Jerónimo e alla fastosa huerta che, sul modello delle sue residenze di Lerma e di Valladolid, vi fece installare. Sull’importanza di questa huerta (ai cui pioppi e alberi da frutto fa esplicito riferimento donna Inés ai vv. 757-61) nella politica mondana inaugurata dal duca di Lerma (gli stessi reali venivano invitati a trascorrervi ore piacevoli), e sul ruolo che essa occupa in varie commedie coeve (fra cui, di Tirso de Molina, Marta la piadosa) cfr. S. Arata, Proyección escenográfica de la huerta del duque de Lerma en Madrid, in Textos, géneros, temas. Investigaciones sobre el teatro del Siglo de Oro y su pervivencia, Pisa, ETS, 2002, pp. 211-231. 608. Accolgo la lezione di Arellano (in Zamora Vicente: «y deteniendo el sol a su jornada»). 692-93. Presente anche nel Vergonzoso en palacio (vv. 841-48) la contrapposizione fra i due tipi di innamoramento ricalca un modismo cortese già commentato da D. Ynduráin, Enamorarse de oídas, in Serta philologica ofrecida a Lázaro Carreter, Madrid, Cátedra, 1983, II, pp. 589-605. L’espressione viene ripresa nel resoconto inventato che fa nel II atto donna Juana a donna Inés («Enamoróse de oídas / don Miguel de ti…», vv. 1352-53).
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699-701. L’associazione del nome Gil a un contesto rustico (confermata dalla successiva allusione al villancico, strofetta di tradizione popolare, e a particolari quali il cayado e il pellico, il bastone la zimarra tipici del pastore) è frequente nel teatro e nella lirica del tempo: da qui che Inés si identifichi, al v. 713, con la sua controparte femminile (Teresa). Cfr. a tale proposito N. Ly, Descripción del estatuto de los personajes en «Don Gil de las calzas verdes» de Tirso de Molina, «Criticón», 24, 1983, pp. 71-103. 726. Ha qui inizio lo sbalordimento di Caramanchel e il suo superstizioso timore di avere come padrone un familiar, ossia il demonio venuto sulla terra per indurlo in tentazione; disseminati lungo tutta la commedia i suoi tremori culmineranno in una delle scene finali in cui egli tenterà, in attitudine di esorcista, di cacciarlo dalla supposta anima in pena di don Gil (vv. 3250-52). 720. In italiano nel testo. 731-38. La serie di battute che inanella Caramanchel in presenza del neo-padrone non può essere resa in italiano se non in maniera approssimativa. La prima perché riprende in senso materiale il modismo figurato (beber el viento, letteralmente: «bere il vento»; in senso traslato: «non stare più nella pelle») già adottato da donna Juana per indicare il suo (falso) innamoramento nei confronti di donna Inés («Barato es el licor mas no borracho», alla lettera: «il vento è un liquore a buon mercato che però non ubriaca»); la seconda perché gioca in maniera maliziosa sulla dubbia prestazione sessuale che promette l’aspetto femmineo di don Gil attraverso il confronto fra due giochi di carte: il chilindrón (la combinazione delle tre figure) e il capadillo (gioco che consiste nell’eliminazione degli otto e dei nove dal mazzo che in tal modo risulterebbe capado, ossia «castrato»). Sulle figure del gioco, presenti in tutta la letteratura aurea, cfr. il volume di J. P. Étienvre
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NOTE
DON GIL DALLE CALZE VERDI PP. 1444-1474
Márgenes literarios del juego. Una poética del naipe, London, Tamesis, 1990. 744. La prima delle due canzoni che i musicisti cantano nella huerta segue lo schema dell’albada, canto attraverso cui l’innamorato si separa dall’amata alle prime ore dell’alba. Per un suo dettagliato commento cfr. la nota al testo in Tirso de Molina, Poesías líricas, ed. de Ernesto Jareño, Madrid, Castalia, 1969, n. 12, p. 52. 786. Alla domanda di donna Inés se il falso don Gil sia un cazolero, ossia un fabbricatore di casseruole, quest’ultimo risponde a tono: Valladolid era, in effetti, centro di lavorazione dell’alluminio e degli oggetti con esso prodotti. Più improbabile mi sembra l’ipotesi, avanzata da Zamora Vicente, secondo cui il termine deriverebbe da un’errata trascrizione di Cazallas, cognome di un eretico vallisoletano (Agustín de Cazallas, mandato al rogo dall’Inquisizione nel 1559). Tuttavia è lo stesso Zamora Vicente a riportare un passo del Quijote (II, 27) a sostegno della prima tesi, suffragata anche dalla presenza di questo tipo di mano d’opera a Valladolid (cfr. la seconda parte del volume di B. Bennassar, Valladolid au siècle d’or, cit., in particolare cap. 2). 811-17. La tirata di Caramanchel a favore del finto nome del suo padrone attinge sia alla semantica musicale (la prima e il bordón designano la corda più alta e la più bassa della chitarra) che a quella vegetale (peregil, «prezzemolo», torongil, «melissa») e tessile (il cenogil è una sorta di laccio con cui si legavano al polpaccio le calze, spesso confezionate con una tela sottile come il cambrì). 819. Effettivamente, come annota Zamora Vicente, esiste ancora nel centro di Valladolid la Calle de Teresa Gil, l’infanta portoghese che fondò a Toro il convento di Santo Spirito dove fu sepolta. 825. Alla possibilità che dava il Sacramento della Cresima (o Confermazione)
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di cambiare il nome di battesimo alludono anche i due protagonisti maschili del Vergonzoso en palacio (vv. 731-33: «Gentiles cascos, por Dios! / Sin ser obispos los dos / nos habemos confirmado»). 864-901. La seconda canzone cantata dai musicisti è una delle più antiche aventi come protagonista una molinera («mugnaia»). Da qui l’assimilazione folclorica del mulino con l’amore e l’accezione ambigua del termine moler cui rimanda il ritornello («Molinero sois amor/…») che, presente anche in Correas, p. 527 si ritrova, con variazioni, in altre opere di Tirso (Zamora Vicente indica, per esempio, la versione che il drammaturgo ne dà ne El sótano y el torno: «Tornerico sois Amor /y sois torneador»). Per un suo commento dettagliato cfr. Tirso de Molina, Poesías líricas, cit., n. 43, pp. 78-80 e, per il significato che assume all’interno della commedia, W. R. Blue, The Function of the Molinera in «Don Gil de las calzas verdes», in «Bulletin of the Comediantes», 25, 1973, pp. 14-18. 1060. Nella princeps e in Zamora Vicente (che tuttavia ne registra in nota l’incongruenza con le convenzioni del tempo): «que a su madre ha persuadido». Emendo, seguendo Arellano, con padre. 1017. Protagonista di un’omonima commedia di Cervantes (1615), Pedro de Urdemalas è un personaggio folclorico famoso per la sua capacità di burlare e imbrogliare. Lo si ritrova in molti proverbi registrati da Correas e in altri contesti drammatici di Tirso (fra cui La villana de Vallecas). 1174-78. L’idea che la varietà, in quanto intrinseca alla natura, equivalga alla bellezza era un topos che, prendendo spunto da un verso del poeta quattrocentesco Serafino Aquilano («E per tal varïar natura è bella»), ricorre spesso nei secoli d’oro. Molto probabile che Tirso, seguace delle nuove teorie sul teatro di Lope de Vega, l’abbia mutuato dal trattato del 1609 di quest’ultimo (cfr. i vv. 178-80 dell’Arte
PP. 1478-1532 DON GIL DALLE CALZE VERDI
nuevo de hacer comedias: «que aquesta variedad deleita mucho: / buen ejemplo nos da naturaleza / que por tal variedad tiene belleza»). 1226-27. Nel testo «Que te hago voto solene / que pueden doblar por él», frammento di una canzone tradizionale, assai nota al tempo (la si ritrova in altre commedie dello stesso Tirso) in cui uno spasimante assicura la donna che la vendicherà procurando la morte (suggerita dal verbo doblar, ossia il rintocco a morto delle campane) a chi la fa soffrire. 1260-62. Donna Juana chiede a donna Inés di favorirla in vista di ciò che potrà ottenere attraverso di lei, allo stesso modo in cui la legge vecchia (il Vecchio Testamento) ha valore in quanto si invera nella nuova (il Vangelo). 1279-83. Qui Tirso svolge l’idea di origine umanistica e presente in vari trattati (come La civil conversazione di Stefano Guazzo, del 1574), secondo cui la conversazione serve a scacciare la malinconia. 1396-97. Il colore verde, che costituisce un leitmotiv di tutta la commedia, favorisce in questo caso la metafora floreale, propiziata dal collegamento tra aprile e i giardini reali di Aranjuez, già famosi al tempo per il loro rigoglio e la loro ricchissima architettura. 1499. Il Mesón de Paredes esiste tuttora, come annota Zamora Vicente, a confermare l’ambientazione urbana della commedia già connotata da precisi riferimenti come il Prado, la huerta del duca di Lerma, il Ponte di Segovia e la porta di Guadalajara (vv. 1616-17). 1588-89. Per indicare il suo avveduto comportamento nei confronti dell’infuriato avversario don Martín contrappone due dei temperamenti contemplati, sulla base di un’antica distinzione ippocratea, dai trattati medici del tempo (collerici, flemmatici, sanguigni e malinconici). Il fatto che nel primo atto (v. 926-27) don
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Juan fosse stato tacciato di malinconico da donna Inés non contraddice la sua «colera loca», visto che, secondo una tradizione rinascimentale, i malinconici sarebbero stati spesso vittime di furie improvvise. 1654. L’allusione al Potosí, località montuosa boliviana che sarebbe divenuta celebre per le sue miniere d’oro, ricalca un luogo comune del teatro aureo: la si ritrova, per indicare la ricchezza per antonomasia, in Lope de Vega, Cervantes, Góngora. 1680. La credenza secondo cui Sant’Antonio da Padova aiutasse a ritrovare le cose perse riflette la religiosità superstiziosa di Caramanchel. 1705. Malizioso gioco di parole tra il nome posticcio dietro a cui si nasconde Juana e la sua propensione per don Gil, a ragione considerato da Caramanchel un uomo senza virilità (per la derivazione di vira dal latino vis, cfr. s. v. Autoridades). 1729. Nel testo corito, nome con cui si designavano al tempo gli abitanti delle Asturie, particolarmente adattabili, sembra, a ogni tipo di occupazione che offriva la vita della capitale. Cfr. a tale proposito (e sull’incerta etimologa del termine, che alcuni vogliono derivasse da cuero) il cap. VI di M. Herrero García, Ideas de los españoles del siglo XVII, Madrid, Gredos, 1968. 1812. Emendo come Arellano (in Zamora Vicente en la posta; nella princeps: a la posta). 1952. Accolgo l’emendamento di Arellano. In Zamora Vicente los halles; nella princeps: que los halles (con conseguente ipermetricità). 1999-2000. Intraducibile il gioco di parole tra verde e bianco propiziato dal doppio significato del termine blanco (colore e, allo stesso tempo, «scopo», «bersaglio»). 2025. Si tratta, secondo Zamora Vicente, di un riferimento al negromante che, già presente nell’Orlando Innamorato di Boiardo, sarà un personaggio ricorrente negli incantesimi del Furioso. Esiste tut-
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DON GIL DALLE CALZE VERDI PP. 1534-1556
tavia, come nota Arellano, un Malgesí negromante dei libri di cavalleria.
tagonista dell’omonima tragicommedia di Fernando de Rojas (La Celestina, 1499).
2030-33. La battuta di Osorio ribadisce l’analogia fra il colore verde e la speranza, svolta anche nel terzo atto.
2258-59. L’intrecciarsi di un’espressione antifrastica («No es barro», per indicare una cosa ingiustamente disprezzata, cfr. Autoridades s.v. barro) e un sintagma (plata quebrada) che, ancora una volta legato al denaro, sottolinea il valore del frammento rispetto al tutto (cfr. Autoridades, s.v. quebrado), commenta la lettura sparsa che Caramanchel fa del biglietto, il cui testo (con l’eccezione del termine noche) verrà restituito da donna Inés (vv. 2270-79).
2069-70. Ripresa del proverbio «Más es el ruido que las nueces», registrato da Correas, p. 495. 2194-97. Sia il Carmen che la Victoria erano le chiese di due conventi situati nel centro di Madrid. La prima, tuttora esistente, era stata fondata dai Carmelitani calzati (ne parla Tirso ne El caballero de Gracia); la seconda (distrutta nel 1836) fu così chiamata dal nome del suo fondatore, fray Juan de la Victoria e viene spesso citata come luogo di appuntamenti amorosi segreti. Ambedue le chiese (e si noti la ripresa della rima gloria/Victoria) comparivano già in uno dei sonetti satirici attribuiti («Con poca luz y menos disciplina») con cui Góngora rispondeva ai detrattori delle sue Soledades: «Gastando pues, en tanto la memoria / ajena invidia más que propria cera / por el Carmen la lleva a la Victoria» (Sonetos completos, cit., n. XX). 2204-05. Attraverso l’espressione «darse un verde» (ossia, in senso figurato, «prendersi uno svago») si intensifica il gioco sul colore che dà vita alla commedia e che verrà ripreso in senso osceno ai vv. 2224-25 («que aunque es lampiño el don Gil / en obras y en nombre es verde»). Per l’accezione in chiave lasciva di verde cfr. Autoridades s.v. 2208. Ennesimo riferimento finanziario nel lessico adottato da Caramachel, il «dinero de Valencia» sta a indicare una moneta di poco valore, destinata, come gli spiccioli, a spendersi facilmente (cfr. Covarrubias[b] s.v. dinero: «Por el reino de Valencia es moneda menuda. Vale lo que en Castilla tres blancas»). 2212. Probabile riferimento a La hija de Celestina, il romanzo di Jerónimo Salas Barbadillo che, pubblicato nel 1612, si ispirò al personaggio della mezzana pro-
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2281-315. La reazione indignata di donna Inés introduce il campo semantico del gusto (gusto, disgusto, empalagar, apetito, sobras, plato que sirvió a otra mesa) che, confermato dal proverbio formulato a metà da Caramanchel ai vv. 2290-91 («no es la miel para la boca del asno», Correas p. 565) culmina nel riferimento finale alla pimienta (forse associata agli inglesi in quanto importatori di spezie) dei vv. 2305-08; i versi seguenti giocano sulla topica impossibilità del gracioso di trattenere segreti, il cui potere lassativo è paragonato a quello di un rabarbaro. Al v. 2305 il paragone ironico fra la rivale e la matrona romana Lucrezia (che, sposa di Collatino, si uccise davanti a lui per il disonore di essere stata violentata da Sesto Tarquinio) ricalca un topos relativo a una delle due figure esemplari della castità (l’altra è Porzia) evocate nel teatro aureo. 2327. Presente in varie opere letterarie dell’epoca, Alcorcón era una località nei pressi di Madrid nota la tempo per le sue manifatture di ceramica. 2379-80. A proposito della proverbiale cortedad (timidezza, ma anche ottusità) dei biscaglini, qui particolarmente comica in quanto rapportata alla maliziosa disinvoltura di donna Juana/don Gil, cfr. M. Herrero García, Ideas de los españoles, cit., cap. IX (in particolare pp. 258-257 in cui si citano, oltre al celebre passo di Quijote, I, 8-9, varie storielle in proposito).
PP. 1560-1580 DON GIL DALLE CALZE VERDI
2429-32. Donna Juana/don Gil adatta a donna Inés una variante della filastrocca sul nome Francisca («cinco efes tienes / sin ser Francisca: / fea, floja, flaca / fácil y fría») trasmessa dai Refraneros a vari repertori del tempo. La sua popolarità è attestata dalla frequenza con cui appare tanto nella picaresca (in particolare nel Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, I parte, III, 2) come nel teatro (García Santo Tomás) e nella poesia satirica di Quevedo (Arellano). Per rendere il gioco in italiano traduco fea (letteralmente «brutta») con «fosca». 2470. All’origine del sintagma «pluma al viento» connotante la leggerezza muliebre sta, come annota García Santo Tomás, il proverbio «Palabras y plumas el viento se los lleva», Correas, p. 616. 2480. Ossia il sultano turco, qui citato in ragione della sua poligamia. 2626-28 Ritorna la formula (raciones y quitaciones) relativa al salario dei criados su cui Caramanchel aveva giocato ai vv. 463-64. 2630. Rendo con una perifrasi («che di ohé mi stordisca») il verbo holear, burlesca derivazione verbale della formula di richiamo (hola) su cui già Caramanchel aveva scherzato nel primo atto (vv. 254-60). 2634. Il nome di Valdés non è casuale, ma ammicca a quel Pedro de Valdés che, noto attore e impresario teatrale del tempo, aveva messo in scena nell’estate del 1615 Don Gil de las calzas verdes nel Mesón de la fruta di Toledo. Sposato con l’attrice Jerónima de Burgos (che aveva, nonostante la sua notevole stazza, interpretato la parte dello sfuggente protagonista della commedia), fu oggetto di chiacchiere e strali satirici da parte dei contemporanei. A proposito del sonetto che, insieme ad altri sugli attori, gli dedicò Góngora («Sabe el cielo, Valdés, si me ha pesado», Sonetos completos, cit., n. XXII) cfr. M. G. Profeti, Lope, Góngora e gli attori in Da Góngora
NOTE
a Góngora, ed. G. Poggi, Pisa, ETS, 1997, pp. 119-131. 2638-39. Rielaborazione umoristica del detto «El caballito de Bamba, que ni come, ni bebe, ni anda»; («Il cavallino di Bamba, che non mangia, non dorme, né trotta») attraverso cui si vuole indicare una bestia sfiancata dalla fatica (ossia, in questo caso, gli inutili spostamenti attraverso cui Caramanchel insegue il fantomatico don Gil). 2649. L’associazione del nome di donna Elvira a quello di donna Urraca riflette la diffusa conoscenza che si aveva al tempo dell’epica castigliana attraverso i romances. In particolare quelli del ciclo relativo all’assedio di Zamora narrano come Elvira e Urraca, le due infantas, figlie di Fernando I, ereditassero alla sua morte le città di Toro e di Zamora. 2697-98. La comica incertezza di Caramanchel riguardo al sesso del suo padrone richiama la punizione della frusta cui venivano destinati nella Spagna seicentesca gli omosessuali. 2718-19. Donna Inés qui si fa interprete dell’idea neoplatonica, diffusa in Spagna attraverso la conoscenza dei Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, secondo cui l’amore nascerebbe dall’affinità di caratteri. 2738. Il protagonista di un libro di cavalleria (Libro del Conde Partinuplés) che, tradotto dalla versione originale francese nel 1513, incontrò larga diffusione in Spagna, viene evocato da Caramanchel per significare la confusione in cui l’hanno gettato i continui travestimenti di donna Juan/don Gil. Caramanchel insomma, non riesce a fissare una volta per tutte l’identità del suo padrone alla stregua del conte Partinuplés che, vittima di un incantesimo dell’imperatrice Rosaura, ha con lei incontri notturni che non gli permettono di vederla né di distinguerne il sesso. Al motivo dell’«amante invisibile» e alla figura di Partinuplés (oggetto di un’omonima commedia di Ana Caro pubblicata nel 1653, an-
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DANNATO PERCHÉ INCREDULO
che se verosimilmente data alle scene entro i primi trenta anni del secolo) si ispirarono anche altri drammaturghi, fra cui lo stesso Tirso in Amar por señas (cfr. a tale proposito M. A. Buchanan, Partinuplés de Bles. An episode in Tirso’s «Amar por señas»; Lope’s «Viuda valenciana», «Modern Language Notes», 21, 1906, pp. 3-8). 2814. Nel testo «Guzmana sangre he heredado», con riferimento a un patronimico (Guzmán) connotante alcune delle famiglie più nobili del tempo (fra cui quella del Conde-Duque de Olivares, don Gaspar de Guzmán). 2950. Nel testo «que en cuerpo y sin alma voy», gioco di parole che non trova corrispondenze in italiano in quanto basato sulla scomposizione del sintagma «en cuerpo y alma» («anima e corpo») e sull’espressione «andar en cuerpo» (con vestiti da casa). 3014. In Zamora Vicente, che si attiene alla princeps, il verso («Vendrá. – Tenlo por cierto») risulta ipometrico. Accolgo l’emendamento di Arellano. 3019-21. Gioco sul termine paso nella duplice accezione di «passo aperto in una strada» e breve composizione teatrale alle origini del teatro spagnolo (ne fu autore, come ricorda Cervantes nell’introduzione alla sua raccolta Ocho comedias y ocho entremeses del 1615, Lope de Rueda). 3067-68. Nel testo «casas a la malicia», ossia il tipo di costruzioni adottate dagli abitanti di Madrid per evitare di ottemperare a un’ordinanza emanata dalla corte che li costringeva a ospitarvi i suoi funzionari (per cui cfr. J. del Corral, Las composiciones de aposento y las casas a la malicia, Madrid, Serie Estudios, 1982). Ad esse allude anche Góngora in uno dei suoi sonetti satirici contro Madrid (cfr. «Grandes más que elefantes y que abadas»: «casas y pechos, todo a la malicia /…», Sonetos completos, cit., n. 99, v. 12). 3094. Come annota Zamora Vicente, il verso con cui don Martín sigla ogni ottava
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PP. 1584-1623
del suo lamento («que nunca falta un Gil que me persiga») e da cui la commedia trae il suo titolo costituisce la ripresa di un ritornello registrato da Correas («Nunca nos ha de faltar un don Gil que nos persiga», p. 599) e da Covarrubias(b), s.v. Gil («Que nunca falta un Gil que nos persiga») per indicare che, eliminato uno scocciatore, c’è sempre un altro pronto a sostituirlo. L’espressione ricorre anche nel Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán (II parte, I, 1; II parte, III, 3) e nel Marcos de Obregón di Vicente Espinel (I, 17). 3255. Nel testo «hospital de las bubas» ossia l’ospizio fatto costruire a Madrid nel 1552 da Antón Martín per la cura dei malati da infezioni veneree. 3256. Sia il primo termine (abernuncio, metatesi di «abrenuncio», la rinuncia pronunciata durante il rito del Battesimo) che la seconda invocazione (arriedro vayas, volgarizzazione di «vade retro») riaffermano la volontà da parte del superstizioso, e ancora tremebondo Caramanchel, di esorcizzare il potere di un presunto demonio. GIULIA POGGI
Dannato perché incredulo Nota introduttiva Su San Panuzio e le varianti della leggenda medievale cfr. Menéndez Pidal, El condenado por desconfiado de Tirso de Molina, Madrid, 1902, poi in «Estudios literarios», Madrid, Espasa-Calpe, 1968, pp. 9-67 e Ferreyra Liendo, El Condenado por desconfiado: análisis teológico y literario del drama, in «Revista de la Universidad Nacional de Córdoba», X, 1969, pp. 923-946. L’uso di questa fonte monastica costituisce uno degli argomenti di Rodríguez López Vázquez, Andrés de Claramonte y la autoría de El condenado por desconfiado, in «Cauce», 6, 1983, pp. 135-175, per l’attribuzione del Condenado ad Andrés de Claramonte.
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PP. 1623-1636
DANNATO PERCHÉ INCREDULO
L. A. Schökel, introduzione a Giobbe, La Bibbia, Roma, Marietti, 1980, vol. 2.
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Cfr. per esempio San Juan de la Cruz, Subida del Monte Carmelo, lib. 2, cap. 11: «Da Dios licencia al demonio para que ciegue y engañe a muchos, mereciéndolo sus pecados y atrevimientos, y puede y sale con ello el demonio, creyéndole ellos y teniéndole por buen espíritu» («Dio dà licenza al demonio perché accechi ed inganni molti, che lo meritano per i propri peccati e la protervia; il demonio può dunque intervenire e i molti gli credono e lo scambiano per spirito buono»).
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4 Cfr. l’introduzione all’edizione Teatro del siglo de oro: Lope de Vega, Tirso de Molina, Calderón de la Barca, a cura di M. Socrate, M. G. Profeti, C. Samonà, Milano, Garzanti, 1991, p. IX.
Mi riferisco a un passaggio tipicamente barocco che segnò tanta letteratura, ossia la spiegazione del racconto testamentario su basi assertive, senza aperture antidogmatiche e narrative. È il discrimine per poter parlare della fede che, donata e assoluta, non deve porsi domande. La fede, diversamente dal mito, non ha spiegazioni, varianti né narrazione o ragione: esiste e basta. 5
6 Cfr. proprio la differente impostazione tra la lettera di Paolo ai Galati (5, 6 e 5, 22) e quella di Giacomo (2, 14-26) nel Nuovo Testamento. 7 Morón Arroyo, C., (ed.), El condenado por desconfiado, Madrid, Cátedra, 2000, pp. 14-15. Nella prima edizione del 1987 lo stesso autore, in collaborazione con Rolena Adorno, ha una posizione differente, peraltro completamente taciuta nell’ultima che risulta data come prima, nonostante sia non solo per il medesimo editore ma anche nella stessa collana e con l’identico numero d’uscita. 8 Così ha definitivamente dimostrato L. Vázquez, Tirso de Molina nació en 1579, in «Estudios», XXXII-XXXV, 1981, pp. 19-36.
NOTE
9 Cfr. J. H. Elliott, La Spagna e il suo mondo (1500-1700), Torino, Einaudi, 1996, pp. 246-247. 10 Cfr. A. González Palencia, Quevedo, Tirso y las comedias ante la Junta de Reformación, Madrid, 1946, p. 83, citato in Socrate, Profeti, Samonà, cit., p. XXXI. 11 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. di E. Filippini, introd. di C. Cases, nota di P. Pullega, Torino, Einaudi, 2000. 12 Cfr. P. G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, il Mulino, 2011, p. 198.
GIOVANNI CARA Note al testo sottotitolo. Cito da Profeti: 1991, p. 934: «Nelle stampe più antiche delle commedie auree l’indicazione del nome del capocomico che aveva curato la prima messa in scena era tanto di rigore quanto l’identificazione del commediografo che l’aveva scritta. Roque de Figueroa il 1 settembre 1623 faceva ancora parte della compagnia di Domingo Balbín; dal 1624 appare con compagnia propria alle feste del Corpus Domini di Murcia». L’autrice rimanda a H. E. Bergman, Luis Quiñones de Benavente y sus entremeses, Madrid, Castalia, 1965, pp. 481-484. didascalia. Metro d’esordio, la silva – successione libera di endecasillabi e settenari privi d’ingabbiatura rimica – nella tradizione aurea è fortemente connotata ed ha alle spalle l’avanguardia secentesca di Góngora che, con le Soledades, suscitò un vero e proprio vespaio di polemiche. Selva esistenziale, legata per di più all’ascesi, quindi erranza, solitudine e pellegrinaggio, nonché intrico metrico, divenne appunto labirinto di segni sui segni per significare il passo del personaggio e il passo metrico – il piede – dell’autore. Suppongo che uno spettatore colto del tempo, dinanzi a simile esordio, s’aspettasse una complicanza certo teatrale, ma anche narrativa.
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NOTE
DANNATO PERCHÉ INCREDULO
Su Paolo homo viator, ebreo di frontiera per eccellenza, torno in seguito. 50. La terminologia è araldica e l’immagine è quella di un blasone a sfondo verde su cui insistono i gheroni, le linee interne che dividono il campo, color argento. 70. Lo spagnolo divertir conserva il senso etimologico latino di di-vertere, deviare, sviare. 72. Morón Arroyo: 1987 e 2000 legge humilmente, costringendo a una forte cesura tra 7a e 8a. Preferisco humildemente, come Profeti: 1991. didascalia. Cito ancora Profeti: 1991, p. 934: «Paolo si immerge in preghiera e elévase, cioè va “in estasi”. Tuttavia all’inizio [...] si sottolinea che egli rientra in scena: si può dunque supporre che si verifichi un movimento scenico che rende in maniera visiva il suo raccoglimento». Il nome del gracioso Pedrisco sembra doppiamente connotato: il riduttivo buffo in –isco si adatta al ruolo e alla vigliaccheria del personaggio, come si vedrà quando le cose per il suo padrone si metteranno male: tutt’altro che pietra il gracioso è pietrisco; d’altro canto qui vengono affiancati due capostipiti, Pietro e Paolo, che dalla tradizione vengono contrapposti nella controversia sul comportamento degli ebrei convertiti, più morbida la posizione di Paolo e severa quella di Pietro. Nel momento in cui Paolo cadrà in disgrazia, Pedrisco pare echeggiare ironicamente la negazione di Cristo (vv. 2915 ss.). 120. Metto tra virgolette tutta la breve invocazione di Pedrisco al prosciutto, ma solo i primi versi sono un controcanto a un romance viejo, ossia un antico componimento anonimo in ottonari: ¿Dónde estás, señora mía, / que no te pena mi mal? / De mis pequeñas heridas / compasiones solías tomar, / agora de las mortales / no tienes ningún pesar. Las mortales (v. 130) concorda con hambres e tale riferimento sintattico poteva funzionare bene, per lo spet-
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PP. 1638-1646
tatore, proprio grazie all’eco del romance. Anche l’interpretazione agora de los mortales, scelta dall’edizione on line di Nicolás González Ruiz, sembra coerente. 147. L’enemigo fuerte è il demonio. In italiano si perde la dilogia dello spagnolo sueño (sonno, sogno). 153. Traduco il racconto del sogno con il presente narrativo (avrei potuto usare anche l’imperfetto) per restituire il ritmo incalzante che hanno le parole di Paolo; il passato remoto in spagnolo ha sfumature e connotazioni diverse rispetto all’italiano. 165-6. Nella traduzione si perde il gioco derecha-derecho, destra-diritto. 167-70. el fiscal de las almas, avvocato giustiziere, è il demonio; el Justicia mayor del cielo è l’arcangelo Michele, condottiero degli angeli del bene contro gli angeli del male. Siamo insomma di fronte a un tribunale e l’intera vicenda è un lodo giudiziario. Corrente è l’iconografia di San Michele con la bilancia. didascalia. Il monologo del demonio è densissimo ed è la chiave teologica del testo. Il Condenado è radicato nella scrittura biblica ed è attento agli impercettibili movimenti della teologia, che cerca di suturare affidando al demonio un’azione ottenuta tramite licenza divina (vv. 229-30) mentre ribadisce l’importanza dello scatto personale nelle scelte etiche: qui consiste la delicatezza d’un tema come il libero arbitrio. Tutto ciò in apertura di rappresentazione, perché il demonio parla come terzo personaggio dopo Paolo e Pedrisco, momento critico in cui il demonio è sullo stesso piano di Dio nel contendere un’anima. Più che in qualunque altro momento della pièce, nelle parole del demonio, emblematicamente, si concentra un coacervo di questioni delicate che insieme assumono e irradiano il senso del tormento di Paolo. Davanti all’eremita incredulo ci sono le colonne d’Ercole di qualunque credente: il peccato originale riflesso nelle scelte
PP. 1646-1652
DANNATO PERCHÉ INCREDULO
da fare volta per volta. I ricordi evocano le origini dell’umanità e Paolo, simbolicamente, si porta dietro le radici dell’Uomo e le deviazioni di ciascun uomo: il demonio, con la tentazione sul passato mondano di Paolo (vv. 203-04), dilata, per concessione divina (vv. 229-32), i tormenti dell’eremita, come Cristo nel deserto. Paolo, come i progenitori, vuole sapere, e il segno forte è quello dell’albero della conoscenza del bene e del male: la superbia. Questo è un nodo teologico passato inavvertito ma che fa della pièce, dal punto di vista dottrinale, un testo coerente, una macchina ad orologeria; incredulità e superbia sono peccati adiacenti che partecipano della medesima follia: l’uomo che dubita del riscatto di Dio (Tommaso) e l’uomo che, addirittura, dialoga con Dio alla pari e ne discute le scelte, ciò che solo Cristo può fare. Così nei vv. 207-12, che sono un compendio, un castone della diatriba fra cattolici e protestanti, si snoda l’autentico radicale rovello del Condenado: fino a quale limite il santo è tale e da quale momento il peccatore, pentito, è graziato? Emblema, castone: uso appositamente la terminologia iconografica perché il teatro barocco – spesso finzione al quadrato – è qui che vive, dentro una sequenza effimera di movimenti e gesti disposti anche come immagini e quadri, narrazione figurativa e disposizione in scena che evoca sensi simmetrici e sovrasemiotici che – pensiamo solo all’uso della musica – per noi sono perduti e possiamo solo ricostruire. Possiamo quindi rievocare il quadro in movimento che prevede il demonio a un lato, sull’alto di una roccia, e Paolo che, al centro del palco, ha appena terminato di raccontare il sogno della morte e del giudizio. Intanto: il sogno è significativamente luogo liminare tra vita e morte, sicché Paolo riferisce la sua esperienza metafisica ai bordi del baratro, tra la scelta nell’aldiquà e il desiderio dell’aldilà; il sogno è uno stato di contatto tra il giorno e la notte, fra la vita e la morte. Ed è impossibile non pensare al brano evangelico delle
NOTE
tentazioni di Cristo (Mt, 4, 1-11; Mc, 1, 1213; Lc, 4, 1-13), sequenza programmatica per infiniti racconti e pochissime rappresentazioni pittoriche proprio perché – mi pare – tocca il punto debole della cristianità così timorosa dell’esperienza errante degli ebrei. I quaranta giorni di Cristo nel deserto, che rievocano i quarant’anni degli ebrei nel deserto dell’Esodo, divengono nel Condenado dieci anni, un terzo di vita del protagonista che ha, secondo me significativamente, circa trent’anni, come il messia quando sale sulla croce. L’eremita ha dunque almeno tre prerogative del Cristo: la fede, l’ascesi e l’erranza; tutt’e tre vengono dall’autore smantellate. I pilastri dell’imitatio Christi, così come veniva propagandata, vacillano in Paolo. 295-304. Nella traduzione di questa breve sequenza ho tradito il testo originale che, molto denso, sembra raccogliere allusioni metateatrali e ammiccamenti al pubblico, normali per il teatro d’epoca e per un pubblico reso avveduto ed esperto da una costante frequentazione. La prima allusione, buffa, mi pare trovarsi nello slittamento all’interno della medesima area semantica (bocca): da un segno tipico di Pedrisco, che concerne il cibo, ad uno più consono al personaggio di Paolo; dalla bocca che ingurgita per addomesticare la fame al bacio umile ed evangelico dei piedi si evoca un gesto attoriale da commedia dell’arte; ma la parola pies non è innocua e può alludere anche al piede metrico. Certo, da sola, questa impressione non basterebbe; subito dopo, però, Paolo allude al viaggio verso Napoli come a una jornada. Il termine può riferirsi tanto alla terminologia militare («spedizione») così vicina al lessico teologico della militia Christi, quanto – la riforma di Lope con l’Arte nuevo incombe – proprio all’Atto a cui, nella contemporaneità della rappresentazione, il pubblico sta assistendo. Il terzo movimento che sembra confermare questa ipotesi consiste nel v. 303, di sapore gongorino: sabrá un paso peregrino; l’esordio delle So-
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NOTE
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ledades, in silvas, ancora una volta echeggia in questo verso (Pasos de un peregrino son errantes) e fa pensare alla doppia significazione concettista di paso – identica all’italiano «passo» – come cammino e come metrica. In più, saber ricongiunge i due mondi di Pedrisco e Paolo («assaporare» e «sapere»). Insomma, personaggi e voce diventano un impasto indistinguibile in un teatro raffinato da circa un cinquantennio di corrales. 311. «Durante la loro vita di santità Paolo e Pedrisco si rivolgono l’un l’altro con la formula di cortesia Usted [...] e più tardi [...] si daranno invece del tu durante la vita di brigantaggio e di peccato»: cfr. Profeti: 1991, p. 934. 451. Si tratta di un altro ironico riferimento ai romances della tradizione anonima che ha come protagonisti i vertici di un drammatico triangolo: Montesinos consegna a Belerma il cuore dell’amato Durandarte, morto in battaglia per mano dei mori. 499. hojarasca è termine canagliesco che significa «spada» e si addice al registro di Galvano. 583 ss. Il dialogo tra Enrico e Celia pare incongruo; perché Celia chiede di essere accompagnata presso la Porta del Mare, dove sappiamo che il demonio ha indirizzato Paolo? Celia, in realtà, innesca un artificio puramente scenico dopo avere placato la rabbia di Enrico, invitandolo a una gita fuori porta. didascalia. Pedrisco, da gracioso, spalla buffa dell’attore principale, entra in scena connotato e riconoscibile, a favore di pubblico, per sottolineare i contrasti. 681. In tutte le edizioni consultate il verso è un settenario e non ha completamento in una battuta successiva. D’altro canto la risposta di Lidora è congruente e consequenziale e non pare di doversi sanare l’assenza di alcun verso. È vero anche che tutta la sequenza è in endecasillabi
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PP. 1654-1688
sciolti e, con questo verso, anche se è un unicum, potremmo pensare semplicemente a una silva. Morón Arroyo: 1987, nel prospetto metrico (pp. 15-16) parla per i vv. 624-723 di endecasillabi sueltos e non considera la presenza di un settenario. Il problema si può semplicemente risolvere parlando, appunto, di silva: eppure sembra strano il caso di una silva fatta d’un centinaio di endecasillabi e un unico settenario. Nella traduzione, per non rompere il ritmo, ho preferito mantenere la misura dell’endecasillabo. 699. La battuta di Pedrisco è ambigua: poiché richiama una celebre poesia di Teresa d’Avila, che si dice tenesse con sé in punto di morte (Nada te turbe, nada te espante / quien a Dios teme nada le pasa), dovrebbe essere rivolta a Paolo e non essere un’invocazione a Dio. Pedrisco è un gracioso, certo; tuttavia invitare Dio a non temere niente pare – nel sistema ideologico della pièce – francamente troppo. Interpreto la frase come contrappunto a Paolo, dato che già poco prima Pedrisco l’aveva esortato a tacere e ascoltare: ora, con le parole di una mistica, gli dice di non avere paura, accusando sottilmente l’eremita di sfiducia nella tolleranza e nella misericordia di Dio. Lascio comunque ambigua anche la traduzione. 718. Per l’andamento del dialogo sarebbe più logico emendare la seconda parte del verso: No soy hombre oppure volgere la frase ad interrogativa, come ho optato per la traduzione. 773. Ho cercato di rendere il termine barato, che appartiene al lessico del gioco. Si tratta di una sorta di percentuale che il vincitore elargiva volontariamente o a forza; è un’usanza che tutt’ora si conserva nelle sale da gioco per chiamare la fortuna. 827. Il lessico concettista sulla bocca di Enrico suona ironico e quasi stride. Il suo racconto, d’altro canto, si fa sempre più incalzante ed è venato di un sarcasmo dolente, verso la fine, quando pensa al
PP. 1694-1780
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padre, quasi che abbia perfetta coscienza dell’orrore delle sue scelte, mentre comincia a profilarsi la distanza rispetto a Paolo. Nella traduzione ho preferito l’uso del presente narrativo per i momenti in cui i ricordi si fanno enfatici e più vividi. 932. Nella tradizione evangelica Giuda è il tesoriere della compagine al seguito di Cristo e, al denaro, è legata la sua morte. 1037. blanca è moneta di scarso valore. 1188. Il teatro d’epoca prevedeva la citazione anche esplicita che oggi chiameremmo plagio e invece funzionava allora come ammiccamento al pubblico: i versi in corsivo nel testo spagnolo sono «plagiati» dal Remedio en la desdicha di Lope de Vega. Anche questo è uno stratagemma teatrale e una forma comunicativa di spettacolo che si faceva forte della tecnica retorica dell’eco: quella che oggi definiamo – mutatis mutandis – del «tormentone». 1207. Il verso è monco. Scelgo di non colmare la lacuna con alcuna congettura. Nella traduzione completo la metrica. 1251. Hartzenbusch(b) e Morón Arroyo leggono ¿Qué aguarda tu valor ya?; Profeti osserva, giustamente, che la «lettura della princeps è ammissibile con dieresi» (p. 935). Tuttavia, per quanto ammettendo la dieresi, il verso è, per così dire, stonato e l’accento in 6a genera una fastidiosa chiusura in tronca. Mi pare congrua la congettura di Nicolás González Ruiz: ¿Qué aguardas, Enrico, ya? 1267-1270. I versi formano una redondilla e spezzano il ritmo delle quintillas. Alcuni editori, come Hartzenbusch(b) e Morón Arroyo, emendano aggiungendo un verso. Ma, come osserva Profeti, la polimetria e l’alternanza metrica sono tratti fondanti del teatro aureo. 1341. Si tratta di un motto, divenuto proverbiale, per alludere alla protezione indiscutibile di Cesare. 1347. Il secondo emistichio del verso, in molte edizioni, è attribuito a otro.
NOTE
didascalia. Si può ipotizzare che Enrico abbia incalzato i nemici in fuga e sia uscito con loro di scena per un istante. 1360-61. L’immagine virgiliana di Enea in fuga che porta sulle spalle suo padre in fuga verso la salvezza è un emblema della pietas filiale. 1431. Allusione al peccato di superbia: Fetonte, figlio di Apollo, chiese al padre di poter guidare il suo carro; disubbidendo alle raccomandazioni di Apollo, spaventato dallo zodiaco e perduta la rotta, precipitò quasi incendiando la terra e poi salì troppo in alto, tanto da contrariare gli astri e venire punito per la sua tracotanza. 1460. Forzo nella traduzione le parole di Pedrisco per rendere l’ammiccamento al pubblico, tipico del gesto teatrale barocco, spesso consapevole e autoironico. 1566. Le piaghe della crocefissione nelle mani, nei piedi e nel costato. 1643. Per completare la décina manca un verso con rima in –ós, che preferisco non emendare, come invece fanno Hartzenbusch(b) e Morón Arroyo. 2086. Danzar sin son: allude al penzolare dalla forca. 2122. Ancora un esempio di testo lacunoso: mancano la rima in -ego del v. 2123, il primo verso della redondilla con rima in -án e il primo emistichio del verso Tu dicha es llana. 2180. Come dice Profeti, p. 935, «nello spagnolo del tempo alcaide / alcalde può indicare il capo carceriere o la massima autorità cittadina. Qui si fa ovviamente riferimento alla prima delle due accezioni». 2207-08. La pronuncia non distingue tra yerro (errore) e hierro (ferro) e la grafia dell’epoca neppure (hierro in entrambi i casi), sicché inevitabilmente nella traduzione si perde la dilogia, che ho tentato di restituire almeno parzialmente con la rima.
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NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
2252. Per Morón Arroyo manca un verso dopo il 2252 della presente edizione. 2308. Per Morón Arroyo manca un verso dopo il 2308 della presente edizione. 2472-73. I versi evocano sinteticamente e quasi alla lettera (tan larga esperanza) la vicenda del Burlador de Sevilla, il quale rimanda continuamente il momento del pentimento (¡Tan largo me lo fiáis!: «così tanto tempo mi concedete!») e finisce condannato agli inferi. 2606. Amaltea è la nutrice di Zeus e in alcune versioni è una capra: il che ben si attaglia al tema del pastore e della natura e al metro del romancillo. Verso la fine si riprende dunque il tema dell’erranza e del pastore d’anime, in contrapposizione con la stanzialità della città, sentina di vizi. (2754) didascalia. L’apariencia faceva parte della scenotecnica del corral e serviva per sollevare i personaggi dal palco. 2955. Cfr. Mt, XXV, 41. 2984. Il riferimento è all’Ars bene moriendi di Belarmino del 1620, anche se con tutta probabilità ci si riferisce qui alla sua traduzione spagnola del 1624. Belarmino è stato utilizzato per la datazione dell’opera e per l’attribuzione a Tirso o Claramonte; se di Claramonte, il testo teatrale sarebbe dei primissimi del Seicento e poi rimaneggiato. Ribadito che non è qui precipuo affrontare le questioni ecdotiche, è invece vero che, ancora una volta, emerge la natura complessa e lacunosa con cui il teatro del Seicento ispanico è giunto a noi. GIOVANNI CARA
L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra Nota introduttiva Ripropongo, aggiornate ed ampliate, alcune considerazioni che formulai come presentazione del Teatro di Tirso de Molina, Milano, Garzanti, 1991, pp. 365-370. 1
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PP. 1784-1836
V. Said Armesto, La leyenda de don Juan, Madrid, Espasa Calpe, 1946; R. Menéndez Pidal, Sobre los orígenes del «Convidado de piedra», in Estudios literarios, Madrid, Espasa Calpe, 1968, pp. 67-88.
2
3 Il testo si rappresenta «addirittura prima di arrivare alla stampa», come pare meravigliarsi Luciano Mariti, in S. CarandiniL. Mariti, Don Giovanni o l’estrema avventura del teatro. «Il nuovo risarcito convitato di pietra», di Giovan Battista Andreini, Roma, Bulzoni, 2003, p. 71; ma come si sa la stampa tarda dei testi teatrali spagnoli è prassi abituale. F. e R. Labarre, Datation des pièces de Tirso de Molina d’après leur versification, in Siglos dorados. Homenaje a Augustín Redondo, Madrid, Castalia, 2004, I, p. 688, datano la commedia tra il 1619-20, vedendo nella critica ai privados un riflesso della caduta del duca di Lerma e dell’arresto di Rodrigo Calderón (16181619); e nella descrizione di Lisbona un eco del viaggio di Filippo III in Portogallo (1619).
T. de Molina, Obras dramáticas completas, edición crítica por B. de los Ríos, Madrid, Aguilar, 1969, vol. I: La ninfa del cielo (pp. 911-971); La dama del Olivar (pp. 1155-1218); Santa Juana (pp. 723-906); Madrid, Aguilar, 1962, vol. II: Averígüelo Vargas (pp. 1023-1085); Madrid, Aguilar, 1962, vol. III: Escarmientos para el cuerdo (pp. 217-260).
4
«Che Dio lo paghi per me /e poi me lo richieda. / Dio lo avallerà per me...»: L. de Vega, La fianza satisfecha, in Obras de Lope de Vega, vol. XII, ed. M. Menéndez y Pelayo, BAE, vol. 187, Madrid, Atlas, 1965, p. 109b. La commedia sarebbe del 1612-15: S. Griswold Morley - C. Bruerton, Cronología de las comedias de Lope de Vega, Madrid, Gredos, 1968, pp. 466-467.
5
«Entra Leonardo con la faccia da defunto. / – Hai paura?/ – Paura? Vai dove vuoi!»: L. de Vega, El marqués de las Navas, in Obras de Lope de Vega, vol. XXVIII, ed. M. Menéndez y Pelayo, BAE, vol. 233,
6
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L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
Madrid, Atlas, 1970, pp. 187b-189a. Della commedia conserviamo il ms. autografo, datato 22 aprile 1624: cfr. Morley - Bruerton, Cronología..., cit., pp. 68, 97. «Per Dio, che morto! / E che chiacchierone!»: Vega, El marqués de las Navas, cit., pp. 189b-191b.
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«Si apre una tenda ed appare un altare con una statua di marmo, che raffigura un uomo con il suo mantello capitolare ed una lampada accesa./ – Paurosa statua, aspetta; / non ti serviranno incantesimi / contro il mio valore!/[...] Marmo, ombra, gelo, orrore, / che dai laghi dello Stige / vieni a esser della Morte / un ruffiano funesto, / che vuoi da me? cosa vuoi?»: A. Mira de Amescua, El negro del mejor amo, ed. J. L. Suárez-A. Muñoz Palomares, in Teatro completo, vol. X, Granada, Universidad, 2010, pp. 593595. La princeps è del 1631. 8
«Si vede un sepolcro di pietra, dove starà in ginocchio il Re, anch’esso di pietra, sotto un baldacchino nero. / – Nelle vene / appena mi resta sangue, /vedendo raffigurato / chi a uno stato così misero / ci ha ridotto... / Vivaddio, vo’ vendicarmi /sul vostro eterno alabastro,/ come il toro, che distrugge /la cappa di chi l’offende!... / Tiranno e barbaro re, / dammi il mio onore e i miei beni, / o vivaddio ti farò / in tanti pezzetti e parti / quanti dolori ci hai dato, /quanti beni ci hai levato»: L. de Vega, Dineros son calidad, Nueva Edición Académica, ed. E. Cotarelo y Mori, Madrid, Rivadeneira, 1930, vol. XII, p. 50. La commedia fu rappresentata, forse a corte, nel settembre del 1623 (cfr. Morley-Bruerton, Cronología, cit., pp. 446-447), ed ebbe una certa fortuna nel Seicento, attestata da varie rifusioni.
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«Anche se sei /il demonio; non ho paura / io di demoni di pietra»: L. de Vega, Dineros son calidad, cit., p. 53.
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«Sul pavimento ci sarà l’oste coperto da un drappo funebre, e con una candela. / – Che vostra grazia mi scusi, /signor oste
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NOTE
che frattanto / il signor Céspedes cena; / ed un momento mi presti/ questa luce, che prometto /dopo cena di ridargliela. / Perbacco, fa proprio quello / che gli dico; non ho visto / mai morto così obbediente; / vivaddio che ora ho bisogno / di tutto quanto il coraggio /del mio cuore valoroso»: L. Vélez de Guevara, El Hércules de Ocaña, in Ocho comedias desconocidas, tomadas de un libro antiguo de comedias, ed. A. Schaeffer, Leipzig, F. A. Brockhaus, 1887, vol. II, pp. 244-247. «– Ringrazia, o temerario / quelli che stanno arrivando./ – Caso strano! / Viene gente dal villaggio, / e al suo posto, educato, / ritorna il signor defunto»: Ivi, p. 249. 12
13 C. Feal Deibe, En nombre de don Juan, Philadelphia, J. Benjamins Publishing, 1984; A. Egido, Sobre la demonología de los burladores (de Tirso a Zorrilla), in El mito de don Juan, «Cuadernos de teatro clásico», 2, 1988, pp. 37-54.
Solo sull’inganno si concentra L. Dolfi, «El burlador de Sevilla»: una técnica de engaño, in De «La Celestina» a «La vida es sueño», ed. G. Vega, Valladolid, Olmedo clásico, 2000, pp. 83-95. 14
Feal Deibe, En nombre de don Juan, cit., p. 28. 15
Su questo controverso viaggio e i resoconti che se ne fecero vedi J. Sanz Hermida, Un viaje conflictivo: relaciones de sucesos para la «Jornada del Rey N. S. Don Felipe III deste nombre, al Reyno de Portugal» (1619), in «Península», 2003, pp. 289-319.
16
17 Si veda il v. 296, e la nota al v. 504; P. Guenon, Crimen y castigo en «El burlador de Sevilla», in Homenaje a Tirso, Madrid, «Estudios», 1981, pp. 381-92.
Egido, Sobre la demonología..., cit., p. 37. Le bibliografie sistematiche su Tirso e il Burlador sono una quantità imponente; mi limito a segnalare: E. W. Hesse, Catálogo bibliográfico de Tirso de Molina, in Tirso de Molina. Ensayos sobre la biografía y la obra, Madrid, Estudios, 1949; V. G. Williamsen-
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NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
W. Poesse, An Annotaded Bibliography of Tirso de Molina, 1627-1977, Columbia, University of Missouri Press, 1979; e i successivi aggiornamenti sulla rivista «Estudios». Bibliografie specifiche sul Burlador: D. Rogers, Tirso de Molina. El burlador de Sevilla, London, Tamesis, 1977; P. Menarini, Quante volte don Giovanni? Il catalogo di don Giovanni da Tirso al romanticismo, Bologna, Atesa, 1984; P. Brunel, Dictionnaire de Don Juan, Paris, Laffont, 1999. M. del Pilar Palomo, La lexicalización de un mito, in El mito de don Juan, «Cuadernos de teatro clásico», cit., pp. 17-24.
19
Vedi il confronto puntuale di L. Dolfi, Tirso e Cicognini: due don Giovanni a confronto, in La festa teatrale ispanica, Atti del convegno, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1995, pp. 129-162; L. Dolfi, Il «Convitato di pietra» di Cicognini e la sua fonte spagnola, in «Studi secenteschi», XXXVII, 1996, pp. 135-155.
20
A. M. Crinò, Documenti inediti sulla vita e l’opera di Jacopo e Giacinto Andrea Cicognini, in «Studi secenteschi», II, 1961, pp. 255-286; vedi, per alcune precisazioni sul carteggio, M. G. Profeti, Jacopo Cicognini e Lope de Vega: «attinenze strettissime»?, in Materiali, Variazioni, invenzioni, Firenze, Alinea, 1996, p. 25, nota 14.
21
Si veda il citato Carandini-Mariti, Don Giovanni o l’estrema avventura del teatro.
22
23 G. Macchia, Vita, avventure e morte di don Giovanni, Torino, Einaudi, 1978; ovviamente da aggiornare con le più recenti indagini. Segnalo anche R. Raffaelli, Don Giovanni tra antropologia e filologia, Rimini, Guaraldi, 2006.
Ricordo E. Balmás, Il mito di don Giovanni nel Seicento francese, Roma, Lucarini, 1986; con qualche plateale errore per quanto riguarda il coté spagnolo, come a p. 7, quando si dà per «anonima» l’edizione del 1630. Vedi anche J. Rousset, Il mito di don Giovanni, Parma, Pratiche, 1978.
24
2378
PP. 1840-1841
25 M. Molho, Mitologías. Don Juan. Segismundo, Madrid, Siglo XXI, 1993.
M. G. Profeti, Nell’officina di Lope, Firenze, Alinea, 1999, pp. 11-41.
26
La stampa si conserva in un unicum, presso la Biblioteca Nacional di Madrid, con la collocazione R-23136.
27
J. Moll, Diez años sin licencias de imprimir comedias y novelas en los Reinos de Castilla: 1625-1634, in «Boletín de la Real Academia Española» LIV, 1974, pp. 97103.
28
M. G. Profeti, La collezione «Diferentes Autores», Kassel, Reichenberger, 1988; vedi qui, pp. 6-9, in specie p. 9, nota 29.
29
30 D. W. Cruickshank, The first edition of El burlador de Sevilla, in «Hispanic Review», 49, 1981, pp. 443-467.
Ricordo una delle prime di esse, a mo’ d’esempio, senza luogo ed anno di stampa, conservata presso la Biblioteca Vaticana [R.G. Lett. Est. IV. 299, interno 7]: si tratta di 16 ff. non numerati, segnati 2+2 A-D, che si dovrebbe allo stesso stampatore Simón Fajardo, Sevilla, 1632?: cfr. T. de Molina, El burlador de Sevilla y convidado de piedra, ed. W. F. Hunter, Pamplona, Griso, 2008-2010, p. xli. In essa il Burlador è attribuito a Tirso; alcuni luoghi della princeps sono emendati, non sempre felicemente, ed altri tagliati (per esempio i vv. 525-36, 1516-23, 1681-1702, 1821-35).
31
Si tratta de El mejor de los mejores libros que han salido de comedias nuevas, Madrid, M. de Quiñones, 1653 (vedi M. G. Profeti, «Comedias nuevas escogidas»: presenze a Parigi, in «Quaderni di lingue e letterature», 3-4, 1978-79, pp. 427-429, dove do ragione degli anteriori censimenti bibliografici); e della dubbia Sexta parte de comedias nuevas escogidas de los mejores ingenios, Zaragoza, P. Lanaja, 1654 (e Madrid, 1649): M. G. Profeti, Un enigma bibliográfico: la «Parte VI de Comedias Nuevas Escogidas», in «Annali della Facoltà di Economia e
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PP. 1841-1842
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
Commercio di Verona», 1976, pp. 5-18; ed ora D. W. Cruickshank, The problem of the «Sexta parte de comedias escogidas», in «Acal», 3, 2010, pp. 87-113. Si veda l’edizione a suo nome dovuta a A. Rodríguez López Vázquez, Kassel, Reichenberger, 1987; poi insieme a Deste agua no beberé, Madrid, Cátedra, 2008, dove confluisce (pp. 17-18) l’informazione che nell’agosto del 1617 Tan largo me lo fiáis viene messa in scena dalla compagnia di Jerónimo Sánchez, secondo un documento rintracciato da A. García Gómez, Aporte documental al debate acerca de la prioridad de «El burlador de Sevilla» y «Tan largo me lo fiáis»: el cartapacio de comedias de Jerónimo Sánchez, in Edad de Oro: Actas del VII Congreso de la AISO, ed. A. Close, Madrid, Vervuert, 2006, pp. 281-286. Tuttavia non possiamo identificare con sicurezza il testo in esso menzionato, come invece non pare dubitare A. D’Agostino nella sua edizione-traduzione di Tirso de Molina, Don Giovanni. Il beffatore di Siviglia, Milano, Bur, 2011. Per la discussione relativa alla paternità di Tan largo... vedi X. A. Fernández, Precisiones diferenciales entre «El burlador» y el «Tan largo», in Homenaje a Tirso, Madrid, Estudios, 1981, pp. 393-406; L. Vázquez, Andrés de Claramonte, La Merced, Tirso de Molina y «El burlador de Sevilla», in «Estudios», 151, 1985, pp. 397-430; L. Vázquez, Documentos toledanos y madrileños de Claramonte y reafirmación de Tirso como autor de «El burlador de Sevilla y convidado de piedra», in «Estudios», XXXXII, 153, 1986, pp. 53-130.
33
34 F. Rico, Nota previa, in T. de Molina, El burlador..., cit. ed. Hunter, p. VII.
Ricordo solo quelle di X. A. Fernández: T. de Molina, El burlador de Sevilla y convidado de piedra, Madrid, Alhambra, 1982, e di L. Vázquez, Madrid, Estudios, 1989. Si tenga anche conto dell’introduzione di L. Dolfi alla traduzione T. de Molina, L’ingannatore di Siviglia, Torino,
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NOTE
Einaudi, 1998, pp. XXX-XXXIII, che analizza le somiglianza con altre opere tirsiane. Altre edizioni si devono a J. Casalduero, Madrid, Cátedra, 1987 (11. ed.) e A. Rodríguez López Vázquez, Madrid, Cátedra, 2010 (18. ed.). Per quanto si riferisce alla ultima edizione del Burlador, dovuta a W. F. Hunter (vedi nota 28), va sottolineato che essa non appare del tutto affidabile per la scarsa precisione ecdotica e bibliografica: darò come esempio la mancata annotazione in bibliografia dell’intervento di A. Rodríguez López Vázquez, citato a p. VII; o la registrazione in bibliografia (e non nelle Siglas) della suelta della Vaticana. 36
Vedi supra, nota 33.
In effetti, dato il peculiare carattere del testo, le note sono quasi esclusivamente incentrate su problemi ecdotici. Me ne scuso con il lettore, che così potrà tuttavia toccare con mano le difficoltà che i testi teatrali dei Secoli d’Oro possono ingenerare.
37
38 Si veda lo schema metrico offerto da Luis Vázquez, ed. cit., pp. 87-88.
T. de Molina, Il seduttore di Siviglia e convitato di pietra, in Teatro, Traduzione di G. Marone, Torino, Utet, 1984 (prima ed. 1938); L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, Traduzione di A. Gasparetti, Milano, BUR, 1956; L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, in Teatro, Traduzione di R. Paoli, Milano, Garzanti, 1991; L’ingannatore di Siviglia, trad. L. Dolfi, cit.
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Vedi nota 33. Noterò che lo studioso preferisce come titolo Don Giovanni. Il beffatore di Siviglia; burlar tuttavia ha in spagnolo un forte valore che rimanda all’«inganno», più che alla beffa, come sottolinea la stessa definizione che il Diccionario de Autoridades dà di burla: «La acción que se hace con alguno, o la palabra que se le dice, con la cual se le procura engañar». E certo la «beffa» non si merita come risultato la dannazione eterna. 40
M ARIA GRAZIA PROFETI
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NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
Note al testo Utilizzo le seguenti sigle: DC: Doce comedias nuevas de Lope de Vega Carpio y otros autores. Segunda parte, Barcelona, por Gerónimo Margarit, año de 1630. Vat.: T. de Molina, El burlador de Sevilla, suelta s.l.s.a, 16 ff. n.n., segnati 2+2 A-D: conservata presso la Biblioteca Vaticana [R.G. Lett. Est. IV. 299, interno 7]. personaggi. In DC Batricio figura come Patricio, lettura ovviamente da emendare; come sono da integrare le presenze di Doña Ana e Aminta. Alcuni editori moderni aggiungono varie indicazioni di guardie, servi, musicisti e cantori, pastori e pescatori, informazioni che di solito i commediografi omettevano, fidando nell’intelligenza delle compagnie teatrali. D’Agostino traduce Catalinón con «Cacarello», dal momento che Catalina non è solo il nome corrispondente a «Caterina», ma indica anche l’escremento umano (Autoridades). E allusioni alla paura costituzionale del personaggio appaiono varie volte nel testo. Gasparetti e Dolfi traducono «Caterinone»; Paoli «Coniglione». Preferisco tuttavia mantenere la dizione spagnola. Ugualmente mantengo Ripio, letteralmente «calcinaccio», o «pleonasmo»; che D’Agostino traduce «Vanvera» e Paoli «Trombetta». 5-8. DC presenta un’interpunzione poco curata: ad esempio non figura qui l’interrogazione che ovviamente tutti gli editori integrano. 25. prended in DC; sanato per la rima con il verso 28 in tutte le edizioni. 27-28. I versi sono attribuiti in DC a «D. Juan»; evidente errata che tutti gli editori sanano.
PP. 1846-1864
48. Manca in DC l’indicazione del movimento di scena, da supplire. 72. baste: in DC basta; tutti gli editori emendano per la rima (con engañaste). 123. «en el hombre –Murio? –Es» in DC; variamente sanato dai vari editori per il senso. 154. del honor in DC; da emendare per il senso (conserva Vázquez). 171. Frase interrogativa per il senso. 172. Vázquez inserisce un secondo no; Casalduero legge que no; ma per la regolare misura del v. basta l’iato «No /importan». 204-06. en calma / en pena in DC, con lezioni dubbie. La prima può essere salvata interpretando calma con riferimento alle bonacce della navigazione (alcuni editori sostituiscono en vela); quasi unanimente viene sostituito en pena del v. 206 con en vela, per ottenere la rima con Isabela del v. 203. 213. Quieres di DC rende il verso ipermetro; di solito viene emendato ricorrendo alla contrazione Quies. 214. Alcuni editori inseriscono un primo ya dopo Prosigue; la misura regolare del v. può tuttavia ottenersi con la scansione dell’unico ya come bisillabo. 234-35. lavandriz e fregatrizando sono invenzioni dell’autore; per analoghi luoghi di Tirso vedi Vázquez. 239-42. Gioco tra «dare» e «prendere», abbastanza consueto nella commedia aurea, dove le dame vengono talora dipinte come desiderose di regali ed interessate al denaro.
31. Il gioco tra «corto» e «largo» ritorna varie volte in Tirso: cfr. Vázquez.
280. soldos in DC, che Vázquez conserva e giudica un cultismo per sólidos; ma il senso non regge. Emendo con tutti gli editori.
37. prendelde: prendedle, metatesi abbastanza frequente nella commedia aurea. Ritorna infra, v. 41 (matalde), 100 (sacalda), etc.
281. y del in DC; Vázquez tenta di conservare, agendo sulla punteggiatura, ma la corruzione di ya in y è tutt’altro che inusi-
2380
PP. 1866-1880
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
tata. Hunter legge huían, rifiutando il presente storico. 317. honor in DC, talora emendato in amor; si può interpretare come «se è stata un’astuzia per non perdere il suo onore?» 322-25. Riferimento alla leggenda narrata da Ovidio (Metamorfosi, IX, 306-321), e raccolta da Correas e Covarrubias (p. 583): la dea Giunone trasforma Galinzia in donnola, avendo essa diffuso la notizia che Alcmena aveva partorito un figlio da Giove; perciò è condannata ad essere fecondata dall’orecchio e a partorire dalla bocca. Per una lettura del passo cfr. G. Poggi, La comadreja de Tirso, in Siglos dorados. Homenaje a A. Redondo, Madrid, Castalia, 2004, pp. 1149-1155; con ampi riferimenti bibliografici, e la possibile allusione alla tortura della toca. 328. Detto proverbiale che figura in Correas e Covarrubias, p. 327a. 375 sgg. Questo intervento di Tisbea è stato ampiamente commentato, e riconnesso alle «egloghe piscatorie»; si veda la estesa bibliografia ed una analisi in I. Ravasivi, I «romances» di Tisbea e la tradizione piscatoria: modelli lirici e modelli drammatici, in Studi sul «Romancero nuevo», a cura di P. Pintacuda, Lecce, Pensa, 2011, pp. 177-196. 356. Vázquez inserisce innecessariamente ya dopo hay. 421-22. Vázquez, con una punteggiatura stravagante, cerca di salvare la lettura o tortolillas di DC al v. 422. 438. «de todo en gracias todas» in DC, che Vázquez tenta di mantenere; ma che è chiaramente risultato di una falsa lettura da parte del cajista. 447. «pues con ramos verdes» in DC; alcuni editori propongono «pues con los ramos»; Hunter dà «pues que»; preferibile l’inserimento di ya, correlato al v. 451.
NOTE
473. «tratando enredos» in DC; in rapporto al v. 474 (tuyas) si deve leggere «tratando en redes». 481. al cebo in DC; da sanare con tutti gli editori. 490. Metafora sui cento occhi di Argo, che per volere di Giunone ornano le penne del pavone: Ovidio, Metamorfosi, I, 583750. 495-98. Gioco sul doppio senso di gavia: «vela di gabbia» e «gabbia». 504. Riferimento all’eroe troiano Enea che salvò il padre Anchise dall’incendio della città, portandolo sulle spalle. L’allusione all’incendio di Troia ritorna ai vv. 613-16, 991-92, 1614, 2134; a Enea ai vv. 900-01. 517. Cananea: varie le ipotesi dei commentatori; per Casalduero allusione alla donna di Canan citata dal Vangelo di Matteo come esempio di perseveranza (Mt, XV, 22-28); Vázquez rimanda a un proverbio raccolto da Correas; Dolfi alle nozze di Cana con il loro vino abbondante. 530. «vino...encendido» vino di colore scuro (Enciclopedia del Idioma), rancido; che gioca con l’anteriore allusione alla «fucina”. Poco soddisfacenti altre interpretazioni. 533. abernuncio: deformazione con metatesi della formula giuridica abrenuntio (cfr. Autoridades), con cui si rinunciava ad un diritto. 537-38. «A señor; elado está: / Señor, si està muerto» in DC; corretto variamente dagli editori. Intervengo solo sul v. 537, per la rima con il v. 540 e la regolare misura del 538. 547. aguja: gioco consueto in Tirso tra «ago», strumento del sarto, e l’ago della bussola: cfr. Vázquez. 549-50. Tifi è il pilota della nave Argo, su cui Giasone parte alla conquista del Vello d’Oro, solcando per la prima volta il mare.
2381
NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
PP. 1880-1900
562. otra parte: allusione all’ano, da cui potrebbe uscire il «fiato».
734. saetías: «embarcación de vela latina de un solo puente» (Autoridades).
598-99. «para venir soñoliento / y más de tanto tormento» in DC, che va emendato per il senso, sulla base di una lettura che appare in Tan largo me lo fiáis. Vázquez tenta di mantenere il dettato di DC; Hunter legge a más.
740. Si tratta delle fortezze di San Giuliano e Cascais, costruite sulla foce del Tago a difesa di Lisbona.
601-04. Il mare viene equiparato a un «supplizio» (tormento); per cui don Giovanni sembra parlare sotto la costrizione delle «corde» della tortura. 613-16. È ancora il cavallo di Troia, a cui si riferisce l’accenno al fuoco: vedi nota al v. 504. 652. «pise el fuego, el ayre, el viento» in DC, che Vázquez conserva; sano con tutti gli editori per il senso; Hunter dà una propria correzione: «escale el viento». 676. Alcuni editori leggono «a ellos les»; ma il verso è perfettamente regolare. 685. «hermosa cazadora» in DC; sano con vari editori (cfr. Casalduero), mentre Vázquez e Hunter mantengono. 689. DC omette; il verso può essere supplito da Tan largo me lo fiáis («los pescadores prevén»); Vázquez lascia la lacuna; Hunter propone «a los amigos prevén». 692. rajas y palos: hacerse rajas è fare una cosa in fretta (Autoridades); sull’accezione propria di raja («assicella») Anfriso cita i palos, cioè le bastonate. 697. I commentatori rilevano l’incongruenza storica, visto che Giovanni I, re del Portogallo dal 1385 al 1433, regna vari decenni dopo la morte di Alfonso XI (1453). 705. cielo in DC, per attrazione del precedente Dios; Vázquez mantiene; emendo con gli altri editori per il senso. 731. cuarto: un quarto di giro. Hunter emenda «puerto». 732. «esta» in DC: Vázquez mantiene; emendo con gli altri editori.
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744-46. Riferimento al convento dei Jerónimos: San Gerolamo eremita viene raffigurato con un leone al suo fianco, e con una pietra in mano con cui si colpisce il petto per penitenza. 753. Iobregas: la forma castigliana è «Jabregas»; si tratta di un convento francescano fondato nel 1508. 756-57. «cuando contarlas quisiera» in DC: Vázquez mantiene; emendo con gli altri editori per il senso: Apelle è ovviamente il celebre pittore ritrattista di Alessandro Magno. 768. Misericordia: la confraternita fu fondata nel 1498 dalla regina Leonor; Tirso gioca con il nome del monastero, auspicando che la Spagna sia dotata di questa virtù. 779. Olivelas: monastero cistercense. 807. fanegas: «medida de granos y otras semillas» (Autoridades); «staia». 820. Ulisibona: secondo una falsa etimologia attestata da Covarrubias, p. 1204b. 823-25. Narra la leggenda che Cristo avrebbe preso parte alla battaglia di Ourique combattuta nel 1139 contro i mori; ed in ricordo delle sue piaghe lo stemma del Portogallo esibisce cinque scudi azzurri. 826. Tarazana: l’arsenale di Lisbona: vedi Covarrubias, p. 242b, alla voce «atarazana». 840. a el llegar: per «al llegar» «quando giungono»; Vázquez legge «a él llegar». 847. Sierra de Estrella: alta 1991 metri, situata a nord ovest di Salamanca. 873. DC attribuisce per errore la seconda parte del verso a «D. Die.»; emendano tutti gli editori.
PP. 1900-1924
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
875. Manca almeno un verso, assonante in e-a; talora supplito ope ingenii con «Dadme, gran Señor, licencia», che tuttavia non conviene perfettamente dal punto di vista dell’assonanza. 880-83. Catalinón: vedi nota all’elenco dei personaggi. 900-901. Enea è ora prototipo dei fedifraghi, ingannatore di Didone, regina di Cartagine. 904. «con», lezione di DC, viene talora sostituita innecessariamente da «en». 949. esquiva: imperfetta la rima con «vida», che ha indotto vari editori a modificazioni e tentativi di sistemazione, registrati in Vázquez. Preferisco non alterare. 969. «que su fuego» in DC; Vázquez mantiene; sano per il senso: «disgraziato chi brucia per amore». 991-92. Troya-Troyas: vedi nota al v. 504. 1006. «abrasados» in DC; solo Vázquez non sana. 1045. didascalia. de barba: nelle indicazioni sceniche indica che l’attore appare come vecchio. 1051. Per la regolare misura del verso tutti gli editori introducono «es». 1071. Tutti gli editori introducono «mi» prima di «gran»; ma la regolare misura del v. si può ottenere leggendo «yo» con iato. Hunter storpia «qué quieres mandar», ottenendo un verso di 12 piedi. 1082. Analogamente al v. 1071 vari editori inseriscono «mi» prima di «gran»; anche qui la misura regolare dell’endecasillabo si può ottenere leggendo con iato «heroicas». 1107. Vat. e vari editori moderni inseriscono «también» per ottenere una regolare misura del v.; seguo l’emendamento di Vázquez, più adeguato per il senso. 1116. DC legge «después de la verdad»; emendano tutti gli editori tranne Vázquez.
NOTE
1125. Quindi Alfonso XI è il primo in generosità e benevolenza. 1130-33. Allusione al «Veni vidi vici» di Cesare. 1148-51. Stravagante la punteggiatura di Vázquez. 1154. «dixera» in DC; per la rima con il verso 1150 tutti gli editori leggono «diré». 1152-55. Secondo la burlesca interpretazione di Catalinón il Duca Ottavio non può richiamare il segno zoodiacale del Sagittario, non essendo colui che ha «colpito» Isabella (in effetto è «inocente»); ma quello del Capricorno, con allusione alle sue «corna». 1169. deseara: DC legge «deseaba», da sanare per ottenere la rima con il v. 1166. 1183-85. Molti gli interventi su questi versi, che mi sembrano al contrario perfettamente coerenti: don Giovanni deve congedarsi dal duca Ottavio (congedo che è «scortese»), per parlare con Mota. 1196-97. Nei consueti giochi di Catalinón l’osteria dei «Pajarillos» non è «taverna», ma «tabernacolo». 1197. didascalia. DC omette la menzione del servo del marchese della Mota, che parlerà al v. 1288. 1213-17. Vejel: Vejer de la Frontera, cittadina vicina a Cadice, allude alla «vejez», vecchiaia, in questi giochi sul tempo che insidia e distrugge le donne: si vedano i vv. 1220-23, 1225-28, 1232-33. Nella traduzione creo un toponimo allusivo: «Vecchietta». 1226. Manca in DC il verso che rimi in «-ores»; gli editori lo suppliscono di solito da Tan largo me lo fiáis: «Por un río de sudores», che ha una sua logica, dal momento che sudare era considerato unico rimedio per la sifilide (il «mal francese»). 1227. DC legge «recente», forma che può essere mantenuta; alcuni editori regolarizzano in «reciente».
2383
NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
PP. 1924-1942
1230. del Candilejo: «del lanternino»: strada di Siviglia; ma anche allusione alla donna mal ridotta.
1353. Manca in DC. Tan largo me lo fiáis dà «pagando tantos pecados», che alcuni editori accettano.
1232-33. Ormai la donna non è più un genere di lusso (come la trota), ed è ridotta al volgare «stoccafisso».
1366. Vari editori, tra cui Vázquez, aggiungono «más» dopo «quien», a mio avviso innecessariamente. Hunter e D’Agostino leggono «hace y no dice», il secondo con una ampia spiegazione.
1238-39. È la madre, brutta come una scimmia della Colombia (dove si trova Tolú), esperta nel fare la mezzana come la Celestina, dell’omonima opera spagnola, che insegna alle figlie il «mestiere» (alluso ironicamente con la degna «dotrina»). 1243. Gioco abbastanza scontato tra il nome della donna e la «blanca», moneta di basso valore: la poveretta si è innamorata («ha un santo per il quale digiuna») e non esercita più la professione. 1248-49. no desecha ripio: «non disprezza occasione»; ma in senso letterale ripio è «calcinaccio»; da qui l’allusione all’albañil («albañir»): muratore. 1250. perro muerto: fare un brutto tiro; di solito godere di una prostituta senza pagarla; ritorna ai vv. 1525, 1550. 1256-57. Allusione all’ambiente delle cortigiane. 1258-59. terrero è il corteggiamento effettuato passeggiando davanti alla casa di una dama; con il termine gioca Mota che si dice innamorato «morto e sepolto» (enterrado) per una fanciulla. 1282-85. aguardando: per evitare la ripetizione alcuni editori sostituiscono con «esperando»; ma non si tratta di ripetizioni inusitate nei testi del tempo. 1286-88. Catalinón si rivolge al servo di Mota, che è stato presente in scena senza parlare. 1292. Verso ipermetro, che non si sana neppure con l’omissione dei uno dei due richiami «Ce», presenti in DC. 1336. Leonorilla è la servetta della dama, dueñas sono le serventi più vecchie.
2384
1373. «tíger» per «tigre» in DC, difficilior che mantengo. 1388. Don Giovanni pronuncia il verso «a parte», per ricordare agli spettatori che sta trasmettendo a Mota una informazione falsa. 1394. «recaudo» in DC, da sanare per la rima con il v. 1397. 1400. «Dame esos brazos» in DC, da sanare in quanto ipermetro, e alla luce del v. 1405. Vari gli interventi degli editori; conservativo quello di Vázquez. 1410. I cavalieri indossavano abiti adeguati alle loro uscite notturne (vedi didascalia successiva al v. 1485). 1416-17. Ovviamente Catalinón pronuncia la sua battuta a parte; come la successiva dei vv. 1460-62. 1485. didascalia. de noche: vestito con abiti adatti ad una ronda notturna. 1488-89. Questi due versi di Mota appaiono sciolti dalle redondillas in cui è scritto il passo; Vázquez li trascrive come intervento canoro, con rima gocé-amanecer. La soluzione non convince, e molti editori li sopprimono. Nel dubbio li conservo. 1494. DC legge «pu de»: ben visibile è lo spazio centrale dove si sarebbe dovuta stampare la «e». 1504. Allusione alla presenza di prostitute portoghesi nella famigerata «calle Sierpes» (v. 511). 1510. «anda enbuelto en portugués» in DC, che Vázquez mantiene. Correggo con gli altri editori, in vista del v. 1513, dove si allude a «Eva».
PP. 1944-1960
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
1521-23 «ventana» in DC, «vendida» in Vázquez; accetto «vertida» di altri vari editori: Catalinón dice che la cera (ossia gli escrementi) gli erano stati buttati (versati) addosso, secondo la consueta inclinazione alla scatologia del personaggio. 1525. perro: vedi nota al v. 1250. 1538. «Beatris» in DC; che può essere mantenuto. 1540. cantimplora: recipiente dove si raffreddava l’acqua. 1541. Gradas: le gradinate che permettono l’accesso alla cattedrale di Siviglia, ritrovo di dame e cavalieri. 1542-43. Il v. 1543 è eccedente, e sono state studiate varie sistemazioni; nessuna pienamente convincente, per cui mantengo. 1547-48. I due versi giocano con la terminologia taurina: echar la capa al toro è muovere la cappa per ingannare il toro; in questo caso è stato Mota a prestare il suo mantello a don Giovanni. 1548. Dopo il v. Don Juan e Catalinón devono uscire; DC non registra il movimento; Hunter integra. 1550. perro: vedi nota al v. 1250. 1552. In DC manca il verso che chiude la redondilla. Tan largo me lo fiáis inserisce «Todo este mundo es errar», cantato dai musici. 1567. barbacana: fortificazione delle muraglie. 1581-82. Il senso è oscuro, ma nessuno degli editori lo rileva. Marone, p. 258, traduce: «Questo è un salasso che aumenta il mio coraggio»; Gasparetti, p. 59: «Bada che questo sangue che hai sparso accresce il mio furore»; Paoli, p. 519: «Furia e coraggio / maggiori mi sento»; Dolfi, p. 83: «Con l’ira /aumenta il mio coraggio»; D’Agostino, p. 231: «Il gelo nel cuore /hai accresciuto e il furore». Tento una interpretazione.
NOTE
1603-06. Passaggio lacunoso o comunque corrotto. Già Vat. tenta un emendamento che restauri la misura del v. 1606: «porque yo me quiero ir solo»; molti editori moderni aggiungono una «ya» finale, che sana la misura e la rima col v. 1603. Forse si potrebbe ipotizzare per il v. 1605 «águila que me alcance a mí», che restaurerebbe la rima, a costo di una rottura della misura dell’ottosillabo. Vázquez al v. 1605 ipotizza «Vosotros os p[erdéis lance]». 1614. Troya: vedi nota al v. 504. 1622. Per errore la seconda parte del v. è attribuita a «d. Gon.» in DC; sana Vat. e tutti i moderni editori. 1636-37. «Gran señor, vuestra Alteza / a mí me manda prender? / – Levalde luego y ponelde» in DC, con perdita della assonanza. Accetto una delle varie sistemazioni proposte. 1658-59. Dubbia la punteggiatura, variamente assestata nelle diverse edizioni. 1673. «sirve» in DC; che corregge nella strofa seguente. 1687-93. Passaggio lacunoso e metricamente scorretto. Preferisco tuttavia non apportare ulteriori sistemazioni, dopo i molteplici tentativi che si sono effettuati, ricorrendo talora a Tan largo. Gaseno sottolinea al v. 1688 la ricchezza del solfeggio, che può essere pari a quello che in chiesa accompagna il «Kyrie eleison». 1689. «tirres» in DC, per «tirios, rojos» (cfr. Vázquez). 1728. Guadalquivides de vino: vino in abbondanza, a fiumi, come il Guadalquivir, con gioco che deforma il nome del fiume inserendovi l’allusione alle vides, cioè alle «viti». 1731. «cardes» legge DC, che può facilmente essere sanato: lardar è «ungere con il grasso». Vázquez mantiene «cardar» che interpreta come «pelare, spennare».
2385
NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
1760. «y ignorancia perdonad» in DC, che può agevolmente essere sanato seguendo la rima e il senso. 1762-64. Giochi di parole su «corrido», «toro», «cornado»: il primo termine fa perno sul doppio significato («vergognoso, mortificato», e «abbattuto come un toro»), che rimanda al v. 1761; da qui il «cornado» del v. 1766: «cornificato». 1784. almagrar: «segnare le pecore con cinabro per riconoscerle come proprie»; Paoli rimanda al Franciosini (1638) che annota «allegoricamente trattar con una donna, e cavarsi i gusti con essa, e poi abbandonarla». 1790. «relox y cuidado» in DC, da emendare per il senso, oltre che per la rima con il v. 1793, dove DC dà chiaramente «desconcertados» (ma Vázquez legge «desconcertado»). 1823. Sodoma: luogo di eccessi sessuali contro natura, naturalmente. 1831. corrido: vedi vv. 1762-64. Stravagante la punteggiatura di Vázquez. 1832. estó: apocope di «estoy». 1833. culebra: «serpe»; ovviamente in senso figurato: «inganno» come registra Autoridades. 1922. Manca almeno un verso del romance, esattamente quello non assonante. 1940. DC omette l’uscita di Gaseno. 1945. Le nozze che aspettano don Giovanni a Lebrija, luogo del suo esilio, dovrebbero essere quelle riparatrici con Isabella. 1965. Sevilla: quindi don Giovanni manifesta l’intenzione di contravvenire all’esilio a cui il re l’ha condannato. 1975-80. Elenco burlesco di impossibili stupri di abitanti selvaggi di luoghi impervi (caramanto è il libico; Hunter legge «garamanta»); che culmina con l’allusione al sarto, che è stata letta come malizioso riferimento alla loro effeminatezza. La
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PP. 1962-1986
«blanca niña» è personaggio del romancero, prototipo della sposa apparentemente costumata, ma incline all’adulterio: si veda la recente edizione-traduzione di G. Di Stefano - E. di Pastena, Romancero, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 128-131. D’Agostino traduce con «Biancaneve», ma a parte l’anacronismo mi pare che il riferimento alla trasgressione si perda del tutto. 1983. cabrillas: nome popolare delle Pleiadi. 1991. Aminta: l’omissione della «a» dell’accusativo di persona, talora supplita dagli editori moderni, è perfettamente in linea con la prassi aurea, che prevede la sinalefe: «a Aminta». 1997. «obras mías» in DC, facilior da emendare. 2001-03. Emilias... Lucrecias: esempi di fedeltà e pudicizia; Emilia è la moglie di Scipione l’Africano; Lucrezia, moglie di Collatino, si uccide dopo la violenza subita da Sesto Tarquinio. 2036. Nuova allusione al «Veni, vidi, vici»: vedi vv. 1130-33. 2040. «mormure el Rey» in DC, per attrazione del v. seguente, da emendare per il senso. 2070-71. Don Giovanni dice tra sé l’ultima battuta, come riserva mentale che determinerà la sua fine. 2079. oro de Tíbar: veniva considerato particolarmente pregiato l’oro proveniente da questa località africana. 2091. prenda: il più prezioso dei beni è naturalmente l’onore. 2103. Poco chiaro il senso del verso, sottoposto più volte a tentivi di emendamenti, il più ripetuto dei quali è «en grave temporal riesgo se corre». Vázquez vi ravvisa un detto proverbiale, analogo a «La furiosa borrasca pronto pasa»; mantengo dunque la lettura di DC.
PP. 1986-2004
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
2107. DC omette «ahora»; la lacuna è colmata per ragioni metriche in tutte le edizioni, fin da Vat. 2132 sgg. Il lamento di Tisbea ripresenta figure consuete: l’accenno del v. 2134 all’incendio di Troia (vedi nota al v. 504); o al tradimento di Giasone nei riguardi di Medea (la spedizione degli argonauti viene ricordata anche ai vv. 549-50). Il passaggio è particolarmente corrotto, forse per l’abbondare dei riferimenti dotti, o per il metro complesso. 2139. «halló carrera» in DC; da correggere per la regolare rima in «camino». 2152. «victoriosa» in DC, da sanare per il senso. 2162. Europa: ancora una immagine classica, che accomuna Isabella a Europa rapita da Giove sotto forma di toro. 2163. «A Sevilla» è assente in DC; il suo inserimento è necessario per la regolare misura del verso e la rima. 2179 «el tierno» in DC, da sanare per il senso. Il riferimento alla vipera che insidia il piede della fanciulla fa parte dell’immaginario classico, molto presente in Spagna nei Secoli d’Oro. 2189. cuento: non rima con il v. 2187; lo mantengo tuttavia per il senso. Talora si è emendato in «tuerto» (tra gli altri Vázquez e Hunter); D’Agostino legge «Es cierto?». 2190. «fura» in DC, ovviamente da sanare: «fuera» (come già corregge Vat.) 2193. Varie speculazioni sono state effettuate dagli editori su questo verso; credo che il suo significato sia che Tisbea è accompagnata dal padre, oltre che da Anfriso. 2195. «No ay vengança q a mi mal tanto le quadre» in DC, verso ipermetro, che tutti gli editori correggono. 2198. «todo enmaletado está» in DC. emmalletado, in Autoridades è «enredado, o encajado uno en otro» (vedi anche Enciclopedia del Idioma: «trabar dos piezas»);
NOTE
qui conveniente per il senso. Mantengo dunque, come Hunter. 2206. «emprestiste» in DC, che va corretto per il senso, anche se Vázquez tenta di mantenere. 2210. Evidentemente don Giovanni dà uno schiaffo a Catalinón; l’indicazione scenica viene omessa. 2213. «tantos disparates juntos» in DC, che va corretto per la rima con il v. 2215. 2214. Manca il v. che completi la quintilla. Hunter ipotizza: «¿Qué es “tanto disparate”?». 2245. Tirare la barba era grave offesa; anche qui manca la didascalia relativa al gesto effettuato da don Giovanni. 2266. «si empieza» in DC, che andrebbe corretto per la rima con il v. 2263; Vázquez propone «si enfrena», non del tutto convincente. Si potrebbe anche suggerire «ordena»; ma nel dubbio – con vari altri editori – non intervengo. 2300. Catalinón: ritorna l’allusione al senso del nome come «codardo»: cfr. nota ai vv. 880-83. 2311. «Quien te tiene, quien te tiene» in DC; ovviamente la lezione va emendata sia per la rima con il v. 2314, sia per il parallelo con il v. 2310. 2337. Que: quasi tutti gli editori danno al relativo un valore esclamativo; interpreto invece: «[es posible] que...» 2343. Letteralmente: «vi giuro che sto puzzando»; come al solito Catalinón dice che se l’è fatta addosso dalla paura. 2346. arrabal: «se toma jocosamente por la parte posterior o las asentaderas» (Autoridades): Catalinón continua così con le sue allusioni burlesche agli escrementi. 2362. «sino se reside allí» in DC; lezione priva di senso, che tutti gli editori tranne Vázquez emendano, interpretandola come un riferimento al ben conosciuto episodio biblico dell’ubriachezza di Noè.
2387
NOTE
L’INGANNATORE DI SIVIGLIA E IL CONVITATO DI PIETRA
PP. 2004-2040
2363. «dadnos de beber» in DC, lettura nata probabilmente per attrazione con il v. seguente; da emendare per la rima con il v. 2366.
2634. «débil caña» in DC, variamente emendado dagli editori, tranne Hunter. Vázquez propone «carne»; preferisco «cárcel» per il senso.
2396. «ya no es» in DC, da emendare per la assonanza in ó; alcuni editori (tra cui Hunter) emendano «no es hoy»; D’Agostino legge «Aquesa ya no es, señor»; scelgo «no es, no», come Vázquez.
2636-38. «Sin falta. Fiambres...engañado a tantas» in DC, che ha provocato una serie di interventi, che Vázquez respinge parzialmente. Va ovviamente restituita l’assonanza al v. 2638; e plausibile anche l’errore di copia al v. 2636: il passo è piuttosto corrotto.
2404. lastó: significa pagare per un altro, riservandosi un diritto di indennizzo (Autoridades). 2416: vedi nota al v. 2300. 2480. Il re pensa probabilmente che Isabela sia addolorata per la perdita di un marito nobile, e nomina don Giovanni conte di Lebrija. 2507. «por su satisfaccion y por su abono» in DC: il verso non è ipermetro, come afferma Vázquez, ma certo ridondante, anche in rapporto al seguente; elimino il secondo possessivo (Vázquez e D’Agostino intervengono sul primo); Hunter conserva. 2524. cubrid vuestra cabeza: i Grandi di Spagna potevano stare con il cappello in testa alla presenza del re; questi estende il privilegio al duca Ottavio. 2535. «sabes» in DC per attrazione con il v. 2527; ma il soggetto è «mundo»: emendo di conseguenza. 2592. cristiana vieja: dopo l’espulsione dal territorio nazionale dei discendenti degli ebrei (1492) e degli arabi (1609) era titolo di merito la purezza della propria ascendenza; molteplici le testimonianze al riguardo nel teatro. 2595. Manca il verso che rimi con il 2593. 2613. «teneys» in DC; da emendare per la rima con il v. 2615. 2632. Isabella ha dunque un incarnato bianco (di latte) e rosso (come il sangue), secondo abituali metafore.
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2647. «llaman» in DC, da correggere per il senso. 2671. Verso ipometro in DC, che si è soliti sanare con la ripetizione. Hunter lascia la lacuna. 2692. Manca almeno il v. assonante. 2699. «guinen» in DC, con evidente perdita di senso, che gli editori emendano; Vázquez conserva. La tavola è quindi tutta nera, come neri sono gli abitanti della Guinea. 2704. bayeticas de Flandes: i tessuti fiamminghi erano considerati di pregio. 2705. Il verso è regolare in una scansione con dieresi; inutile la inclusione di «ya» o «tú», effettuata da vari editori. 2728. «abrasa» in DC, da emendare per l’assonanza. Hunter ipotizza l’espunzione di vari versi. 2734. sastre: considerare i sarti ladri è luogo comune della letteratura aurea. 2748. Manca almeno il v. assonante. 2773. San Agnus Dei: invocazione stravagante di Catalinón, che confonde il riferimento a Cristo, «Agnello di Dio», con un santo. 2798. «verdad» in DC, da emendare per l’assonanza. 2806. Manca almeno il v. assonante. 2816. Manca almeno il v. assonante. 2830. Le due cose più preziose sono la vita e l’onore (vedi v. 2091).
PP. 2040-2050
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
2842. «le mate» in DC, da emendare per il senso (già Vat. dà «te mate»). M ARIA GRAZIA PROFETI
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
NOTE
altre molte che non mi ricordo. Ma quella che più stimo e tengo in maggior conto fu ed è una chiamata La confusa, che, sia detto con buona pace di quante commedie di cappa e spada sono state fin ora messe in scena, può ben avere un posto di spicco tra le migliori». Avrà Cervantes consegnato questa seconda commedia e riscosso la seconda rata? In caso di inadempienza il documento stabilisce che Cervantes non solo restituisca i 40 ducati, ma ne aggiunga altri 10 a titolo di indennizzo. Il contratto fu scoperto da C. Pérez Pastor, e pubblicato da F. Rodríguez Marín, in «La Ilustración Española e Americana», 8 maggio 1913, pp. 291-295.
4
La vita e il teatro M. de Cervantes, Don Quijote de la Mancha, Edición del IV Centenario, Madrid, Real Academia Española, 2004, II Parte, Prólogo al lector, p. 543: «la más alta ocasión que vieron los siglos pasados, los presentes, ni esperan ver los venideros».
1
«Si videro sulle scene di Madrid rappresentate Le prigioni di Algeri, che io composi, La distruzione di Numancia e La battaglia navale, dove ebbi il coraggio di ridurre le commedia a tre atti, dai cinque che avevano; mostrai, o per meglio dire fui il primo che introducesse sulla scena le immaginazioni ed i pensieri nascosti dell’anima, proponendo sul teatro figure allegoriche con generale e compiaciuto applauso da parte degli ascoltatori; composi in questo tempo fino a venti o trenta commedie, e tutte si recitarono senza che si facesse loro offerta di cetrioli o altri oggetti da tirare»: M. de Cervantes, Teatro completo, Edición, introducción y notas de F. Sevilla Arroyo y A. Rey Hazas, Barcelona, Planeta, 1987, Prólogo, pp. 9-10. Le successive citazioni di piezas teatrali di Cervantes si riferiscono a questa edizione.
2
M. de Cervantes, Viaje del Parnaso, Edición de V. Gaos, in Poesías completas, I, Madrid, Castalia, 1990, pp. 182-183: «Sì, dissi, [di commedie ne ho composte] molte; e se non fossero mie, mi sembrerebbero degne di lode, come lo sono state La vita ad Algeri, La Numanzia, La gran Turquesca, La battaglia navale, La Gerusalemme, L’Amaranta o quella del Maggio, Il bosco d’amore, L’Unica, e La valorosa Arsinda; ed
3
Stefano Arata ha identificato in un manoscritto conservato presso la Biblioteca de Palacio una delle commedie «giovanili» di Cervantes: «La conquista de Jerusalén», Cervantes y la generación teatral de 1580, in «Criticón», 54, 1992, pp. 9-112, poi in S. Arata, Textos, géneros, temas. Investigaciones sobre el teatro del Siglo de Oro y su pervivencia, ed. F. Antonucci, L. Arata, M. del V. Ojeda, Pisa, ETS, 2002, pp. 31-139.
5
Vedi F. Ynduráin, Studio preliminare a M. de Cervantes, Obras dramáticas, BAE 156, 1962, p. XIII: tre atti presenta già la Comedia Florisea, di F. de Avendaño, stampata nel 1552; e figure allegoriche utilizza per esempio Alonso de la Vega in La duquesa de la Rosa, anteriore al 1566. Si è detto che Cervantes si vanta non tanto di aver messo in scena figure allegoriche, ma di aver personificato le «passioni secrete dell’anima»: E. C. Riley, The «pensamientos escondidos» and «figuras morales» of Cervantes, in Homenaje a W. L. Fichter, Madrid, Castalia, 1971, pp. 623-631. 6
7 Vedi il prologo di Sevilla Arroyo-Rey Hazas alla cit. ed. del Teatro completo, p. XIV: l’unica commedia che sembra aver avuto successo è La Confusa, che nel 1627 era ancora nel repertorio di Juan Acacio: V. Esquerdo Sivera, Acerca de «La Confu-
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NOTE
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
sa» de Cervantes, in Cervantes. Su obra y su mundo, dir. M. Criado de Val, Madrid, Edi 6, 1981, pp. 243-247. Anche la Bizarra Arsinda riscuote una certa eco, visto che nel 1637 è ancora menzionata da Matos Fragoso: A. Cotarelo y Valledor, Obras perdidas de Cervantes que no se han perdido, in «Boletín de la Real Academia Española», XXVII, 1948, pp. 62-63. J. M. Asensio y Toledo, Nuevos documentos para ilustrar la vida de Miguel de Cervantes, Sevilla, 1864, pp. 26-29. I disposti del contratto sono interessanti: se alla prova del palcoscenico le commedie non risultassero come le migliori dei suoi contemporanei, Cervantes non verrà pagato («si aviendo representado cada comedia paresciere que no es una de las mejores que se han representado en España no seais obligado de me pagar por la tal comedia cosa alguna»), clausola come si vede abbastanza umiliante; non viene menzionato nessun titolo, né fissato un termine di tempo. Sembra quindi che si tratti di commedie ancora da comporre; non sappiamo se il contratto divenne mai operante. Canavaggio riduce sensibilmente il periodo di tempo tra il primo gruppo di testi cervantini e le Ocho comedias: J. Canavaggio, Cervantes dramaturge. Un thèatre à naitre, Paris, PUF, 1977, pp. 11-32: vi si troverà un’analisi della cronologia del teatro di Cervantes.
8
M. de Cervantes, Prólogo a Ocho comedias..., cit., p. 8: «Al tempo di questo celebre spagnolo tutti gli attrezzi di un capocomico si chiudevano in un baule, e si riassumevano in quattro pellicciotti bianchi guarniti di cuoio dorato, in quattro barbe e parrucche e quattro bastoni, più o meno[...] Non c’erano a quel tempo macchine sceniche, né sfide di mori e cristiani a piedi o a cavallo, né c’erano attori che uscivano o sembravano uscire dal centro della terra attraverso botole nel palcoscenico. Il palco lo componevano quattro panche in quadrato, e quattro o sei tavole sopra, cosí che si sollevava da terra quattro
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PP. 2050-2052
palmi. E non scendevano certo nubi dal cielo trasportando angeli o anime. L’arredo scenico era una coperta vecchia tirata con due corde da una parte all’altra, che costituiva quello che chiamano spogliatoio, dietro la quale stavano i musici, cantando senza chitarra qualche vecchia ballata». 10 Ivi, p. 10: «... Dovetti occuparmi di altro, lasciai la penna e le commedie, e dopo venne il prodigio della natura, il gran Lope de Vega, e si impadronì del regno comico. Asservì e pose sotto la sua giurisdizione tutti gli attori; riempì il mondo delle sue commedie, felici e ben tracciate, e tante che supera i diecimila quaderni ciò che ha scritto, e tutte – il che è una delle maggiori cose che possano dirsi – le ha viste in scena; o ha sentito dire, almeno, che sono state messe in scena; e se alcuni – e ce ne sono molti – sono voluti entrare a prendere parte e gloria dai loro lavori, tutti insieme non arrivano, in quello che hanno scritto, alla metà di quello che egli solo ha composto». 11 Ivi, pp. 10-11: «Ma non per questo, poiché non a tutti lo concede Dio, devono disprezzarsi i lavori del Dottor Ramón, che furono i più dopo quelli del gran Lope; si stimino le trame artificiose in grado sommo del licenciado (laureato) Miguel Sánchez; la gravità del dottor Mira de Amescua, onore singolare della nostra nazione, la sagacia e le innumerevoli concettosità del canonico Tárrega; la soavità e dolcezza di don Guillén de Castro, la acutezza di Aguilar, l’ostentazione, la turba, la grandezza, il fasto, delle commedie di Luis Vélez de Guevara, e quelle che ora sta componendo l’acuto intelletto di don Antonio de Galarza, e quelle che promettono Le truffe d’amore di Gaspar de Ávila, che tutti questi ed alcuni altri hanno aiutato a portare avanti questa grandiosa costruzione al grande Lope». 12 Ivi, p. 12: «Non trovai nemmeno un capocomico che me le domandasse, anche se sapevano che io le avevo composte, e così le misi via in un baule, e le consacrai
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MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
e condannai a perpetuo silenzio. In quel frattempo mi disse un libraio che me le avrebbe comprate, se un capocomico di vaglia non gli avesse detto che dalla mia prosa si poteva aspettarsi molto, ma dal verso nulla; e se devo proprio essere sincero, mi amareggiò sentirlo e dissi tra me: “O io son molto mutato, o i tempi son molto migliorati; mentre invece succede sempre il contrario, visto che si lodano sempre i tempi andati”. Tornai a scorrere le mie commedie, e alcuni entremeses che avevo messo via con le commedie, e vidi che non erano così cattive né così cattivi che non meritassero di uscire dalle tenebre del giudizio di quel capocomico alla luce di altri meno scrupolosi e più saggi. Mi stancai, e le vendetti al libraio, che le ha stampate come qui ti si offrono...». Dello stesso tenore le dichiarazioni che appaiono nella Adjunta al Viaje del Parnaso, in bocca all’alter ego Pancracio, al quale i capocomici rifiutano le commedie, e l’unica che si rappresenta viene respinta dal pubblico: «la achacaron que era larga en los razonamientos, no muy pura en los versos y desmayada en la invención», ed. cit., p. 182 («le rimproverarono di essere prolissa nelle argomentazioni, non pura nei versi e debole nella trama»). 13 Rare e giustificabili le eccezioni: il poco prolifico Alarcón, anche lui un emarginato del teatro, ne riunisce otto nella sua Primera parte, Madrid, Alonso Pérez, 1622; né fa testo una parte stravagante, come le Cuatro comedias de diversos autores, Córdoba, F. de Cea, 1613, che raccoglie tre commedie di Lope con una della gloria locale Góngora: M. G. Profeti, La collezione «Diferentes Autores», Kassel, Reichenberger, 1988, p. 8, nota 23.
Uno dei pochi che si sia occupato di questo aspetto è J. Varey, El teatro en la época de Cervantes, in AA.VV., Lecciones cervantinas, Zaragoza, Caja de Ahorros y Monte de Piedad, 1984, pp. 17-28.
14
NOTE
Cervantes ne è cosciente, tanto che alla fine del Rufián dichoso una nota avverte «Hase de advertir que todas las figuras de mujer desta comedia las pueden hacer solas dos mujeres», ed. cit., p. 371: «si avverta che tutte le parti di donna di questa commedia le possono fare solo due donne».
15
Cfr. S. Zimic, Cervantes frente a Lope y a la comedia nueva (Observaciones sobre «La entretenida»), in «Anales Cervantinos», XV, 1976, pp. 19-120.
16
«Collaborò in qualche modo alla regia della commedia»: A. de la Granja, El actor y la elocuencia de lo espectacular, in AA.VV., Actor y técnica de representación del teatro clásico español, London, Tamesis, 1989, p. 109 nota.
17
La casa de los celos, p. 144 (didascalia successiva al v. 1260): «Malgesì, vestito come dirò, esce dalla bocca della serpe»; p. 144, didascalia successiva al v. 1282: «Entra in scena il Timore, vestito come dirò, con una tunichetta scura, legata in vita con delle serpi»; p. 155 (didascalia successiva al v. 1638): «Appare Angelica, e va dietro di lei Orlando; si mette nella macchina di scena e sparisce; e quando la macchina fa il giro appare la Cattiva Fama come dirò, con una tunichetta nera, una tromba nera in mano, e ali nere e capelli neri». 19 Los baños de Argel, p. 269, didascalia successiva al v. 2564: «Qui deve apparire il corteo nuziale, in questa maniera: Alima con un velo davanti alla faccia, in luogo di Zara; la portano in una portantina sulle spalle, con musiche e fiaccole accese, chitarre e gridi di grande allegria, cantando i canti che consegnerò». 20 In effetti Varey sottolinea che La casa de los celos «revela una fuerte influencia de los recibimientos regios, las entradas y los desfiles. Parece ser una comedia destinada a representarse en un teatro palaciego, teatro que todavía no se había creado en la época que escribía el dramaturgo»: («rivela una forte influenza dei ricevimenti rega18
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NOTE
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
li, le entrate e le sfilate. Sembra una commedia destinata a essere messa in scena in un teatro di palazzo, teatro che ancora non era stato creato nell’epoca in cui scriveva il drammaturgo»): Varey, El teatro en la época de Cervantes, cit., p. 27. Ma oggi ne sappiamo di più circa il teatro che si svolgeva non solo a corte, ma anche presso i palazzi dei nobili: T. Ferrer, La práctica escénica cortesana: de la época del Emperador a la de Felipe III, London, Tamesis Books, 1991; Nobleza y espectáculo teatral, Valencia, UNED, 1993. Quello che non è documentato è che Cervantes abbia mai avuto accesso a queste feste nobiliari. «Sembra confondere l’arte del drammaturgo con quella del romanziere», Varey, El teatro en la época de Cervantes, cit., p. 24.
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El gallardo español, ed. cit., p. 34: «Entra in scena a questo punto Buitrago, un soldato, con la spada senza guaina, o legata con una cimosa, tirelle di corda; insomma in brutte condizioni. Reca una tavoletta con richieste di elemosine per le anime del purgatorio, per le quali fa la questua. E questo di elemosinare per le anime è cosa vera, io l’ho visto; e la ragione per la quale elemosinava si dice più avanti». Si noti che le dizioni propongono molti problemi interpretativi, e sono state oggetto di varie congetture, che potranno vedersi nella ed. cit., nota; scelgo nella traduzione quella a mio avviso più plausibile, cioè «o liada». Noterò che molto stravaganti rispetto alle didascalie del tempo sono dizioni come «un soldado», dove ci si aspetterebbe solo l’indicazione funzionale «soldado»; o «pedía», dove ci si aspetterebbe «pide», in rapporto al presente della rappresentazione. Altre dizioni inusitate nelle didascalie delle Ocho comedias: il chiamare il palcoscenico «teatro» (op. cit., p. 584), mentre abitualmente viene indicato con il termine tablado (teatro è invece l’impalcatura che si erge alle spalle del palcoscenico); l’usare costantemente nella Entretenida «entrar»
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PP. 2054-2055
per «apparire in scena» (la dizione corrente è salir). 23 Si veda la pittura del perfetto attore che effettua in Pedro de Urdemalas, pp. 712713; e la si confronti con la sintetica presentazione dell’Arte nuevo. 24 M. de Cervantes, Don Quijote..., ed. cit., Prima parte, cap. XLVIII, p. 495: «Mentre la commedia dovrebbe essere, come pare a Cicerone, specchio della vita umana, esempio di costumi e immagine della verità, quelle che ora si mettono in scena sono specchi di sciocchezze, esempi di stupidaggini e immagini di lascivia». 25 El rufián dichoso, cit., pp. 325-326, vv. 1209-1312.
Molti gli interventi critici sulla teoria drammatica in Cervantes, e sulle evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni del Don Quijote e le successive modificazioni nella prassi e nella teoria delle Ocho comedias. Vedi ad esempio B.W. Wardropper, Cervantes Theory of the Drama, in «Modern Philology», LII, 1955, pp. 217-221.
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27 Tuttavia la commedia è posteriore al 1696, data in cui si pubblicò la sua fonte, la Historia de la provincia de Santiago de Méjico, del frate Agustín Dávila Padilla. 28 Un’altra tesi ipotizza l’esistenza di tre commedie del cosiddetto «primo periodo» rifuse in un secondo tempo: La gran Turquesca avrebbe dato origine alla Gran sultana, La confusa sarebbe stata rifusa nel Laberinto de amor, e El bosque amoroso si sarebbe cambiato ne La casa de los celos: Cotarelo y Valledor, Obras perdidas de Cervantes..., cit., pp. 61-77.
Cotarelo y Valledor, El teatro de Cervantes, cit., p. 49.
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30 «In questo senso, Cervantes è ancora un drammaturgo del sec. XVI; non è giunto, nelle Prigioni di Algeri, all’altezza del drammaturgo che sa assicurare che tutte le linee drammatiche portino inesorabilmente verso il centro della sua opera: la sua commedia è più centrifuga che centri-
PP. 2056-2066
LA SPASSOSA
NOTE
peta»: Varey, El teatro en la época de Cervantes, cit., p. 24.
fazione di C. Samonà, Milano, Garzanti, 1989, pp. 958-984).
Tra le più recenti ricordo quelle di J. González Maestro, La escena imaginaria. Poética del teatro de Cervantes, Madrid, Iberoamericana, 2000; A. Ruffinatto, Cervantes, Roma, Carocci, 2002, pp. 21-27; M. Alcalá Galán, «Dios te dé salud y a mi paciencia»: teoría del teatro en Cervantes, in La media semana del jardincito. Cervantes y la reescritura de los códigos, ed. J. M. Martín Morán, Padova, Unipress, 2002, pp. 255-275.
2 Sulla preponderanza del ruolo dei servi (e sulla debolezza di quello dei padroni) in questa commedia continuamente ammiccante, sia pure in maniera ambigua e asistematica, all’Arte nuevo si sofferma a lungo S. Zimic: Cervantes frente a Lope y a la Comedia nueva. Observaciones sobre la «Entretenida», in «Anales Cervantinos», XV, 1976, pp. 19-120.
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Interessante sarebbe anche un’analisi degli entremeses di Cervantes, che presentano gli stessi problemi teatrali dei testi maggiori: per esempio la scelta di utilizzare la prosa per sei degli otto testi raccolti denuncia il medesimo atteggiamento di retroguardia che più volte affiora nelle commedie. E non a caso E. Asensio, Itinerario del entremés desde Lope de Rueda a Quiñones de Benavente, Madrid, Gredos, 1965, pp. 98-110, vi ha visto un’assunzione di tecniche narrative, con l’incorporazione di elementi descrittivi nel dialogo.
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M ARIA GRAZIA PROFETI
La spassosa Nota introduttiva «Si avverta che abbia cotale argomento / solo un’azione, attenti a che fabula / in nessuna maniera sia episodica…» : sono i vv. 181-183 de El arte nuevo de hacer comedias en este tiempo, che – ora e a seguire – cito, in spagnolo, dall’edizione di J. de José Prades (Madrid, CSIC, 1971), mentre per la versione italiana mi riferisco alla traduzione a cura di Maria Grazia Profeti: L. de Vega, Nuova arte di far commedie in questi tempi, traduzione in versi e note di M. G. Profeti, Napoli, Liguori, 1999 (prima in L. de Vega, Teatro, a cura di M. Socrate, pre-
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3 Sulla complessa semantica del termine che dà il titolo alla commedia («divertimento», ma anche «pausa», «intrattenimento», «sfizio»; «resquemor y travesura» la definisce Zimic in Cervantes frente a Lope, pp. 29-30), cfr. E. J. Kartchner, Empty Words: Promises and Deception in «La Entretenida», in «Bulletin of the Comediants», 56, 2, 2004, pp. 327-345.
Sull’uso provocatorio del sonetto nella Entretenida cfr. le osservazioni di J. B. Avalle-Arce, On «La Entretenida» de Cervantes, in «Modern Language Notes», LXXIV, 1959, pp. 418-421.
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Secondo Zimic (Cervantes frente a Lope, p. 85) anche il nome di uno dei due spasimanti, don Antonio, ricalcherebbe il tipo del galán ricorrente nelle commedie lopiane e addirittura alluderebbe allo pseudonimo (Antonio Flórez) con cui il Fénix firmò, nel 1614, il prologo delle Rimas Sacras.
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6 J. Canavaggio (Cervantès dramaturge. Un théâtre à naître, Paris, Presses Univ. de France, 1977) abbina l’Entretenida a Pedro de Urdemalas e colloca ambedue le commedie attorno al 1610, e dunque fra la prima e la seconda parte del Quijote; a questa datazione si attiene anche S. Zimic, El teatro de Cervantes, Madrid, Castalia, 1992, pp. 221-262. 7 Parlata rustica artificiosa che nel teatro dei secoli d’oro si attribuiva a personaggi rozzi e campagnoli.
È interessante notare come al turpiloquio dello scudiero Muñoz («¡Oxte,
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2393
NOTE
LA SPASSOSA
puto!», v. 2664) e alle sue imprecazioni a sfondo blasfemo («¡Válgate Satanás, qué bien lo enredas!», v. 887; «¡Que no me vuelva yo moro…!», v. 1649) corrisponda la sua decisione di accompagnare Marcela fino alla porta della chiesa senza entrare ad ascoltare la lunga predica di un frate. È questo, secondo Zimic, un tratto realistico del personaggio (Cervantes frente a Lope, pp. 41-42) che, lungi dal caratterizzarlo come ridicolo, ne fa l’interprete di un costume «maschile» che sopravvive ancora oggi.
obra, su mundo. Actas del I congreso internacional sobre Cervantes, dir. de M. Criado del Val, Madrid, EDI-6, 1981 pp. 108-110.
Questa è la definizione che, rifacendosi a un celebre passo del Machiavelli, Enrico Testa dà del corpus novellistico analizzato nel volume Simulazione di parlato (Fenomeni dell’oralità nelle novelle del Quattro-Cinquecento), Firenze, Accademia della Crusca, 1991, p. 87. Esiste una singolare convergenza fra lo stile «parlato» di questi narratori (molti dei quali, come Bandello, Aretino, Sermini, senz’altro noti a Cervantes) e quello dell’Entretenida (cfr. in particolare il capitolo II, dedicato alle interiezioni e agli insulti).
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«Le figure retoriche consiglio, / come ripetizioni o anadiplosi, / … / Sempre il parlare equivoco ha goduto, / … / gran favore nel volgo…».
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GIULIA POGGI Note al testo 6. Nelle traduzioni di La Cecilia e De Cesare la dittologia pa y vereda, insolita e di difficile interpretazione (gli stessi Schevill-Bonilla, p. 229, parlano di «significato sconosciuto»), è stata resa come «filare sempre dritto»; la si ritrova nel Viaje del Parnaso, IV, vv. 178-80 (ed. de E. L. Rivers, Madrid, Espasa Calpe, 1991, p. 119; in nota n. 42 l’editore ammette esplicitamente che «non è stato possibile spiegare la frase con pa y vereda»). Sulle sue diverse possibili interpretazioni si legga González Calvo, Notas sobre léxico cervantino, in Cervantes. Su
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PP. 2067-2090
61-62. La nobile stirpe evocata, con tutta probabilità un’invenzione dell’autore, si inscrive nel contesto ironico che sottende la battuta di Cristina, riecheggiando, altresì, il lignaggio, storico in quel caso, dei Cachopines de Laredo menzionati nel Don Chisciotte (I, XVIII) (cfr. Sevilla-Rey, p. 671, n. 14). 204. Sinón: Personaggio dell’epica postomerica, personificazione della perfidia greca, persuase con menzogne i troiani a ricevere nelle loro mura il cavallo di legno in cui erano celati i guerrieri greci (cfr. Eneide, II, vv. 309-30 e vv. 430-35). Torna in Pedro de Urdemalas (in Obra completa. III..., cit., p. 836 e in El gallardo español (ivi, p. 80). 217-18. Il riferimento alla «astrologia giudiziaria», così chiamata per la facoltà di leggere il giudizio del cielo sulle vicende terrene (Autoridades, s.v.), torna ai vv. 1895-902. Cervantes, che si riferisce a questa disciplina in vari luoghi della sua opera (cfr., per esempio, Don Chisciotte, I, XXVII; II, VIII e XXV), sembra riconoscerne il valore scientifico, pur condannandone gli usi impropri e triviali, come attesta anche la battuta che segue di don Francisco. Sulla visione tardo-rinascimentale e barocca della pseudo-scienza astrologica si vedano, tra gli altri, E. Garin, Le elezioni e il problema dell’astrologia, in «Umanesimo e Esoterismo. Archivio di Filosofia», 1960, pp. 17-35 e G. Poggi, Astrologia e letteratura nella Spagna del Secolo d’Oro, in «Studi ispanici», 1977, pp. 9-44. 245-58. Primo di una serie di sonetti che punteggiano la commedia, costituisce una variazione in chiave drammatica del mito di Icaro (il figlio di Dedalo che, sfiorando il sole con le sue ali di cera, rovinò nel mare a cui poi venne dato il suo nome), frequentemente evocato nella lirica petrarchista del tempo (all’analogia fra il volo di
PP. 2092-2112
LA SPASSOSA
NOTE
Icaro e l’audacia amorosa si ispirano, fra gli altri, Garcilaso e Góngora). Nuovamente recitato da don Antonio, il secondo sonetto, di tematica cancioneril, si calibra sul gioco tra assenza e morte (I, vv. 539-52). Ai tre sonetti d’ispirazione parodica, compresi nel secondo atto, il primo interrotto (vv. 1168-93), il secondo caudato (vv. 126985) e il terzo de cabo roto (vv. 1803-16), fa seguito quello che apre il terzo atto (vv. 1817-30). Il motivo dell’insolita – nel teatro cervantino – profusione di questo metro è da ricercarsi, a detta di Avalle-Arce, nel perseguimento di un effetto parodico ai danni della commedia lopesca, ottenuto, appunto, mediante una deformazione degli elementi fondanti il modello, unita a un’esagerazione grottesca delle sue principali caratteristiche formali (cfr. On «La Entretenida» of Cervantes, in «Modern Language Notes», LXXIV, 1959, p. 419; si veda anche Zimic, Cervantes frente a Lope, cit., p. 60 e ss.). Avalle-Arce ha, altresì, rilevato la grande somiglianza tra il sonetto, già menzionato, in cui don Antonio lamenta l’assenza dell’amata Marcela, ed alcune ottave reali inserite nella Galatea, dove, con espressioni quasi identiche, Cervantes esprime analoghe considerazioni sulla lontananza dell’amato bene. Sul tema si veda anche L. K. Delano, The Sonnet in the Golden Age Drama of Spain, in «Hispania», número especial 1934, pp. 19-34.
tà di torri, edifici o alberi delle navi; cfr. Autoridades, s.v. Helena) che qui, riconnettendosi al lessico marinaresco, sta a significare, in senso ironico, la salvezza dalla tempesta amorosa di Cardenio. La metafora marittima ricorre in vari autori del Secolo d’Oro (si vedano, ad esempio, di B. Gracián, El Criticón, ed. S. Alonso, Madrid, Cátedra, 1990, III 5, p. 652 e, di Luis de Góngora, il romance «Aunque entiendo poco griego», vv. 211-16, in Romances, ed. A. Carreño, Madrid, Cátedra, 1985).
270. Sui poteri afrodisiaci della cotogna toledana e sul relativo proverbio ricordato da Cervantes, si veda il commento in Díaz Larios, p. 64, n. 38. L’aver mangiato proprio tale frutto fu la causa della fissazione in cui incorse il protagonista di una delle «novelle esemplari» di Cervantes: il Licenciado Vidriera (Novelas ejemplares. II, ed. de H. Sieber, Madrid, Cátedra, 1998, p. 52). 292. Riferimento ai fuochi di Santelmo (una manifestazione luminosa di elettricità sotto forma di piccola fiamma che, in caso di temporali, può apparire sulle estremi-
420-22. Muñoz elenca qui tre simboli esotici caratteristici del territorio americano, fra cui la pietra «bezoar» (una concrezione che si forma nelle viscere dei ruminanti considerata efficace come antidoto contro i veleni), sulle cui proprietà si diffusero molto i cronisti delle Indie (cfr. Covarrubias, s.v.). Si ritrova al v. 866 dello stesso atto. 443. bayeta: flanella di lana morbida usata per abiti e mantillas (Autoridades, s.v.). 473. catalnicas: piccole femmine di pappagallo (Covarrubias, s.v. Catalina); torna al v. 853 e v. 858. 503-07. Cervantes ricorda qui due casi, l’uno biblico e l’altro pagano, di amore incestuoso. Il primo (vv. 503-04) è quello di Ammone, figlio del re David, che violentò la sorellastra Tamar fingendosi malato (Samuele, II 13); sulla vicenda Tirso de Molina scrisse il dramma La venganza de Tamar. Il secondo esempio citato (vv. 505-07) è l’amore colpevole di Mirra, o Smirna, per il padre Cinira, re di Cipro, da cui nacque Adone (Ovidio, Metamorfosi, 10, 298 e ss.). 607-08. Il riferimento al primitivismo linguistico del guineo e del bozal (termine allusivo delle labbra carnose – bezos – tipiche dei neri e da lì esteso, all’epoca, a significare la persona di colore in generale, cfr. Covarrubias, s.v.) ricalca un topico della letteratura drammatica del tempo. Per maggiori notizie sulla figura del nero,
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NOTE
LA SPASSOSA
si veda B. Fra Molinero, La imagen de los negros en el teatro del Siglo de Oro, Madrid, Siglo XXI de España Editores, 1995.
732-37. L’autore gioca sull’equivoco relativo all’identità di Marcela: don Ambrosio non si riferisce alla sorella di don Antonio, come invece crede Cristina, bensì all’altra Marcela, di cui Antonio è innamorato e che effettivamente ha un padre, come apparirà nel III atto (v. 2771).
637-640. La traduzione può rendere solo parzialmente il testo, giocato sul termine riza, che è impiegato qui dilogicamente col significato di «rifiuti lasciati dai cavalli nella mangiatoia» e – nella locuzione hacer riza – con quello di «far strage», «distruggere» (cfr. Covarrubias, s.v.). 658. È la prima citazione italiana della commedia (vedi anche il toscano, III, v. 2278) e vale «molto ricco» (per l’interpretazione del passo e la possibile identificazione del marqués de Marinán, rimando a Díaz Larios, p. 76, n. 67 e a Lewis de Galanes, El soneto «Vuela mi estrecha y débil esperanza»: texto, contexto y entramado intertextual, in «Nueva Revista de Filología Hispánica», XXXVIII, 1990, p. 690, n. 26). Un’espressione quasi identica si trova in Gracián (Criticón, II 3, ed. cit., p. 349; per un commento nel contesto della visione graciana dell’Italia, si veda E. Mele, Dinare, e più dinare, in «Revista de Filología Española», VIII, 1921, pp. 283-285). L’espressione ricorre anche, come indicato in Schevill-Bonilla (p. 233), in un intermezzo di Quiñones de Benavente. 697-99. I versi compongono una redondilla incompleta; la traduzione accoglie la congettura di Schevill-Bonilla. 708-11. È la prima occorrenza del linguaggio del gioco delle carte. La dialettica che il testo stabilisce fra encontrar e encuentro rimanda al significato di quest’ultimo termine come «uscita di due carte uguali» (Autoridades, s.v.); altri termini appartenenti al campo semantico del gioco, in particolare di carte, compaiono nel III atto (per una rassegna completa di tali ricorrenze lessicali ne La entretenida e, in generale, nelle opere di Cervantes rimando a J.-P. Étienvre, Márgenes literarios del juego. Una poética del naipe. Siglos XVIXVIII, London, Tamesis, 1990, pp. 50-53).
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PP. 2114-2130
771. rufo è un termine del linguaggio della malavita (germanía) che indica il magnaccia (Dicc. R.A.E., s.v.). 830. Ha qui inizio la descrizione del finto naufragio, la cui comicità consiste nel ricalcare aspetti topici di quella che può essere considerata un’antipoetica della conquista (sul tema cfr., per esempio, B. Pastor, Discurso narrativo de la conquista de América, La Habana, Ediciones Casa de las Américas, 1983, spec. pp. 237-337 e M. Grantz (coord.), Notas y comentarios sobre Álvar Núñez Cabeza de Vaca, México, C.N.C.A.-Grijalbo, 1993). Sul naufragio come elemento costitutivo dei racconti di viaggio, si veda, tra gli altri, V. Martinetto, Naufragi, prigionie, erranze. Poetiche dell’eroismo nel Nuovo Mondo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, spec. pp. 23-64, «Infortuni e naufragi». 844. Come rileva anche Díaz Larios (p. 82, n. 85), Cervantes si riferisce all’itinerario religioso romano anche nella novella esemplare, già citata, El licenciado Vidriera (cfr. Novelas ejemplares. II, ed. cit., p. 49; in nota 25 l’editore precisa che le «sette chiese» erano «San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano, San Sebastiano, Santa Maria Maggiore, San Lorenzo e Santa Croce») e nel Persiles (IV, VI). Per maggiori notizie si rimanda a Schevill-Bonilla, pp. 234-235. 888. È la prima di una serie di allusioni a santuari spagnoli e, in particolare, madrileni: il Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe in provincia di Cáceres, rinomato centro di pellegrinaggio, cui Cervantes si riferisce anche nel Persiles (III, II); il santuario di Nuestra Señora de la Caridad a Illescas, in provincia di Toledo (I, v.
PP. 2132-2156
LA SPASSOSA
NOTE
889); Nuestra Señora de los Atochales o de Atocha (I, v. 890), San Ginés (I, v. 893), San Jerónimo el Real (III, v. 1880) e San Sebastián (III, v. 2608), tutte situate a Madrid; e, infine, Santa Cruz presso Toledo (III, v. 1993 e v. 2052).
Lope, in «Revista de Filología Española», XIII, 1926, pp. 60-61; si veda anche Zimic, Cervantes frente a Lope, cit., p. 35 e ss.).
933. L’imprecazione, di cui in spagnolo esistono più varianti – Pese a mí, pesia a mí, pesiatal, ecc. – (cfr. Díaz Larios, p. 85, n. 98), è caratteristica del linguaggio di servitori, contadini e, in generale, gente di basso rango; si ritrova, tra l’altro, ne La Hora de todos y la Fortuna con seso di F. de Quevedo (ed. L. Schwartz, Madrid, Castalia, 2009, cuadro XXXI). 944. È la prima delle tre allusioni bibliche presenti nella commedia: «Poi il sommo sacerdote gli disse: – Per il Dio vivente, ti scongiuro di dirci se tu sei il Messia, il Cristo, il Figlio di Dio –. Gesù rispose: – Tu l’hai detto.» (Mt, 26, 63-64). 974-75. Il gioco di parole sui termini puntos e puntadas, che nella traduzione può rendersi solo parzialmente, rimanda al campo semantico del cucito, introdotto già nella didascalia dalla menzione del «cuscino» da ricamo (almohadilla) recato in mano da Dorotea. 996-1050. Il verso dà l’avvio a una lunga invettiva – insolita nel teatro spagnolo dei secoli d’oro – che la servetta Cristina pronuncia contro la padrona Marcela. Come altri hanno già messo in luce (cfr. soprattutto J. Casalduero, Parodia de una cuestión de amor y queja de las fregonas, in Estudios sobre el teatro español, Madrid, Gredos, 1972, IIIª ed., pp. 88-95), lo sproloquio di Cristina riecheggia la filippica antipadronale intonata da Areúsa nel IX atto della Celestina di Fernando de Rojas (ed. D. S. Severin, Madrid, Cátedra, 1995, p. 226 e ss.). Analoghi richiami a questo passo sono stati rilevati da J. F. Montesinos in un divertente dialogo tra due servette contenuto nel terzo atto de El galán escarmentado di Lope de Vega (cfr. Dos reminiscencias de «La Celestina» en comedias de
1153. de rumbo: espressione coniata su di un termine indicante, nel lessico della malavita, «inganno», «trappola» (cfr. Alonso, p. 687). 1155. L’espressione originale, tener barreno, ha valore dilogico – indica «vanità», «presunzione», ma anche lo strumento usato per forare, il trapano (Dicc. R.A.E., s.v. barreno) – ed è allusiva all’ambito della sessualità, ciò che si inscrive nel gioco di parole iniziato al v. 1144 e dilatato lungo tutto l’ambiguo dialogo, a sfondo erotico appunto, tra Cristina e Torrente. 1159. Sta per ubriacone: borgoñarse in spagnolo vale «comportarsi come gli abitanti della Borgogna», rinomati, all’epoca, per la loro spavalderia e la tendenza all’ubriachezza (Autoridades, s.v. borgoñarse). La ragione di tale valenza è da ricercarsi nella convinzione, presso la Spagna secentesca, della inveterata passione dei francesi in generale per Bacco (Herrero García(b), pp. 405-06), per cui, assieme a borgoñón, anche termini quali gascón (v. 1156), gabacho e Pierres – che indicano i francesi, appunto – diventano sinonimi di «ubriaco», come attestano numerosi proverbi (cfr. Refranero, p. 279) e opere letterarie contemporanee (si vedano, ad esempio, Gracián, Criticón, ed. cit., I 7, p. 158 e il romance di Quevedo «Los borrachos», in Poemas escogidos, ed. J. M. Blecua, Madrid, Castalia, 1982, pp. 251-252). 1264. L’assimilazione di Quiñones a un capretto racchiude, attraverso l’implicito riferimento all’attributo distintivo dell’animale, un’allusione al fatto che il paggio, nei propositi di Ocaña, venga beffato e che sia pertanto «cornuto». 1321. Continua il disguido sull’identità di Marcela Osorio, amata da don Ambrosio e da don Antonio e confusa con l’omonima sorella del secondo.
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NOTE
LA SPASSOSA
1342. L’espressione figurata «descornado se ha la flor» (cfr. Correas, p. 910) rimanda al già citato campo semantico delle carte.
giurisdizione comprendente l’Alto Perú (del quale fa parte Potosí, cui più volte si allude nella commedia), il Tucumán, il Paraguay e la provincia peruviana di Puno.
1418-19. Si intrecciano termini appartenenti all’ambito semantico della tortura come apretar la cuerda (espressione indicativa dei tratti di corda con cui si costringeva il reo a confessare) e descoserse (cantare), già apparso in analogo contesto al v. 1151 dello stesso atto. Cervantes si avvale spesso di questo tipo di equivoci (cfr., per esempio, l’episodio della liberazione dei galeotti, Don Chisciotte, I, XXII) per esprimere la sua posizione nei confronti della giustizia e dei suoi abusi.
1699-700. Probabile riferimento al proverbio «Al escarabajo, sus hijos le parecen granos de oro fino»; «Ogni scimmia trova belli i suoi scimmiotti» (cfr. Correas, p. 57).
1487 ss. Il monologo di don Ambrosio è scandito da tre allusioni ad altrettanti personaggi mitologici con cui egli si identifica: la dea Cerere in cerca della figlia rapita, Sisifo e la sua eterna fatica (v. 1557), Argo vigilante con i suoi cento occhi (v. 1561). 1601. Si noti l’accezione negativa che viene attribuita alla curiosità (cfr. anche v. 1573), pulsione che ispira l’andamento narrativo della lunga novella del Curioso impertinente, intercalata nel Don Chisciotte (I, XXXIII, XXXIV e XXXV). 1617. L’inizio della battuta va letto come ripresa della precedente: se prima la battuta onomatopeica di Dorotea mimava un freddo reale, ora Torrente depreca quello amoroso del padrone, come confermano anche i versi successivi. 1636. ostugo: voce del linguaggio rustico, di origine latina, che vale «briciola», «minuzzolo» (Dicc. R.A.E., s.v.). Sull’etimologia del vocabolo e le distinte interpretazioni degli editori di Cervantes si veda González Calvo, Notas sobre léxico cervantino, cit., pp. 110-111. Si ritrova due volte nel Don Chisciotte (II, IX e LIV). 1656. Charcas è l’antico nome della città di Sucre, capoluogo del dipartimento di Chiquisaca e capitale legale della Bolivia. Anticamente corrispondeva ad una estesa
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PP. 2158-2194
1713. buzaque: voce gergale di origine araba che vale ubriaco (cfr. Alonso, s.v. buz); tuttavia, tra gli editori di Cervantes si registrano interpretazioni diverse (per un’analisi dei vari punti di vista si veda González Calvo, Notas sobre léxico cervantino, cit., pp. 112-113). 1816. L’originale sopil è allusivo sia alle umili faccende della serva che alla sua leggerezza. Da notare l’effetto comico prodotto dalla desinenza burlesca (cfr. anche fregonil, II, v. 1176 e III, v. 2075; pajil, III, v. 2072) e la singolare convergenza fra il termine spagnolo, derivato da sopa («minestra», «zuppa»), e quello italiano «sciacquina» o «sciacquetta». 1837-38. È la seconda allusione biblica della commedia, rievocante il celebre salmo 137 (5-6): «Se dimentico te, Gerusalemme, si paralizzi la mia mano; / la mia lingua si incolli al palato / se non sei il mio continuo pensiero». 1880. Il riferimento alla chiesa madrilena suggerisce l’ambientazione della commedia nella capitale spagnola, che sembra trovare conferma anche in I, v. 893 e III, vv. 2049-53. 1937. cedacillo y habas: si tratta di due strumenti tradizionalmente impiegati da maghe e fattucchiere, che si ritrovano in coppia rovesciata ne El rufián dichoso (in Obra completa. III..., cit., p. 382; cfr. anche Autoridades dove «adivinar por tela de cedazo» e «echar las habas» indicano, appunto, l’esercizio del sortilegio amoroso). Il particolare costituisce un ulteriore punto di contatto fra il teatro cervantino e la letteratura celestinesca (si veda soprattutto
PP. 2196-2218
LA SPASSOSA
NOTE
La Dorotea in cui il personaggio di Gerarda – chiara derivazione della mezzana di Fernando de Rojas – invita la protagonista a ricorrere a simili arti per risolvere le sue pene d’amore; cfr. ed. de E. S. Morby, Madrid, Castalia, 1968, IIª ed., p. 77, n. 40). Il riferimento a questa pratica è contenuto anche nel Persiles, II, viii.
de Filología Española», XIII, 1926, pp. 280-283), della «contesa delle due ghirlande». Al proposito sottolinea Montesinos, rifacendosi al classico studio di P. Rajna (Una questione d’amore, in Raccolta di studii critici dedicata ad Alessandro d’Ancona, Firenze, Barbera, 1901, pp. 551-568), che del motivo esistono numerose varianti, per cui possono differire – come nel caso della nostra commedia – la procedura e la tipologia degli oggetti che la dama offre agli spasimanti. Sull’argomento interviene anche J. P. Wickersham Crawford, che ravvisa nell’Amphitrion di Joan de Timoneda la vera fonte della variante parodica cervantina della «questione d’amore» di matrice cortese (Again the Cuestión de Amor, in «Hispanic Review», I, 1933, pp. 319-322).
1975-76. Larvato rimando al passo evangelico in cui l’incredulo Tommaso pretende di toccar con mano il corpo di Cristo apparso ai discepoli: «Se non vedo il segno dei chiodi nelle sue mani, se non tocco col dito il segno dei chiodi e se non tocco con mano il suo fianco, io non crederò» (cfr. Gv, 20, 24-29). 1993-97. Il riferimento è a Nuestra Señora de la Cruz, convento di religiose francescane (il «ricco capitan dei miserelli» è appunto San Francesco d’Assisi) situato nei pressi di Toledo (cfr. Sevilla-Rey, p. 736, n. 13). 2057. Si tratta di due forme minori o brevi del teatro spagnolo del Secolo d’Oro che fungevano da corollario alla commedia o all’auto sacramentale: «l’entremés, breve farsa dialogata, con personaggi in certa misura topici […], che mette in scena una burla, o presenta una serie di macchiette o di situazioni ridicole; il baile, intermezzo cantato e ballato […] più breve dell’entremés, ma che subisce anch’esso una evoluzione verso una commistione di forme entremesili […]» (M. G. Profeti, Introduzione allo studio del teatro spagnolo, Firenze, La casa Usher, 1994, p. 223). 2177. cuartos ha valore dilogico: indica un quarto di moneta e un quartino di vino. 2199. Il passo rievoca con toni evidentemente parodici (cfr. J. Casalduero, Parodia de una cuestión de amor, cit., pp. 181-187) un motivo amoroso di origini boccacciane, presente in tutta la letteratura europea: si tratta, per dirla con parole di Montesinos (Una cuestión de amor en comedias antiguas españolas, in «Revista
2219. Il riferimento alla mosquetería – cioè il pubblico in piedi che assisteva agli spettacoli in fondo alla platea dei corrales (cortili) secenteschi – rimanda alla particolare disposizione degli spettatori nei teatri del tempo, per la quale si veda Profeti, Introduzione al teatro spagnolo, cit., p. 141. Allusioni ai mosqueteros sono contenute anche ne La gran sultana (in Obra completa. III..., cit., p. 563) e in Pedro de Urdemalas (ivi, p. 880). 2227. Barrabás, ovvero il delinquente liberato da Pilato al posto di Cristo (Barabba), qui è impiegato nel senso traslato di «monello», «scavezzacollo». 2234. Ha qui inizio l’intermezzo messo in scena dai servitori della casa, che si estende fino al v. 2526 e che costituisce quasi una pièce a sé stante, tanto che Maldonado de Guevara ne propone un’edizione separata (cfr. El entremés de «La Entretenida», in «Anales Cervantinos», VII, 1958, pp. 317-336). 2278. Vedi nota al v. 658. 2310. Danza popolare dal ritmo ternario e dall’andamento vivace, la seguidilla veniva spesso censurata per gli ammiccamenti erotici contenuti nella sua gestualità.
2399
NOTE
LA SPASSOSA
2318. Inizia così un canto tradizionale spagnolo, presente anche nella novella de El celoso extremeño (Cervantes, Novelas ejemplares. II, ed. cit., p. 125).
366; si veda anche, della stessa, «Sacar la nariz del brazo»: un remedio autoplástico, in «Rilce. Revista de Filología Hispánica», 29, 2013, pp. 155-169).
2378. La propensione al vino e all’ubriachezza, così come il cattivo odore, evocati nel testo, sono due delle molte qualità negative che si attribuivano ai galiziani nella Spagna dell’epoca cervantina; i versi in questione della Entretenida sono indicati da Herrero García(b) (p. 207) come i più rappresentativi di questo cristallizzato topico.
2455. Inizia qui il gioco di parole sul termine colar, inteso nel duplice senso di «scolare» e di «affondare», e dunque rivelatore dell’equivoco che ha provocato lo spavento generale: il presunto sangue di Ocaña non è altro che l’amato vino fuoriuscito da un otre celato nel suo petto (è evidente l’analogia con una delle scene madri del primo Don Chisciotte, I, XXXV).
2402. Il verso allude al noto romance tradizionale: «Mira Nero de Tarpeya / a Roma cómo se ardía...» (cfr. Romancero, ed. P. Díaz Más, estudio preliminar S. G. Armistead, Barcelona, Crítica, 1994, num. 101).
2495-96. La contrapposizione tra farsa e tragedia – una delle tante allusioni antilopiane contenute nella Entretenida – si ritrova anche nel Laberinto de amor e in Pedro de Urdemalas (in Obra completa. III..., cit., p. 578 e p. 678).
2408. Il ferimento simulato da Ocaña ricorda il finto suicidio di Basilio nell’episodio chisciottesco delle nozze di Camacho (II, XXI).
2524. L’avarizia è un altro dei difetti che caratterizzano il ritratto morale dei galiziani nella Spagna cinque-secentesca (cfr. Herrero García(b), p. 203, dove si cita il testo cervantino: III, vv. 708-11).
2451. Il verso – «¡Que tengo de ir a Turpia!» – è commentato nel significato di «pasar algo muy molesto» da González Calvo (Notas sobre léxico cervantino, cit., pp. 113-115), che si rifà a J. E. Gillet, (Tres notas cervantinas, in «Revista de Filología Española», XII, 1925, pp. 66-68), secondo il quale Turpia sarebbe metatesi di Trupia, ossia Tropea, dove era presente una guarnigione spagnola (cfr. Díaz Larios, p. 132, n. 49). Più plausibile appare, però, la recente lettura proposta da Selena Simonatti che si riallaccia alla (apparentemente) tragica «perdita» del naso da parte di Torrente: la città di Tropea cui allude il personaggio era, all’epoca, assai famosa per la pratica dell’ars mirabilis della chirurgia plastica, soprattutto nasale, secondo una tecnica molto innovativa di autoplastica per cui il nuovo naso veniva ricavato da un lembo di carne tratto dal braccio (cfr. S. Simonatti, «Ir a Turpia»: un viaje reparador en «La entretenida» de Miguel de Cervantes, in «Anales Cervantinos», 42, 2010, pp. 359-
2400
PP. 2220-2232
2535. Vengono qui toccate alcune idee sul matrimonio che Cervantes esprime a più riprese nella sua opera; cfr., per esempio, per quanto riguarda il contrarre matrimonio con una donna brutta, il passo de La fuerza de la sangre in cui Rodolfo si ribella alla madre, invocando il «dovuto diletto» che, secondo il Concilio di Trento, gli sposi si possono e si devono dare (cfr. Cervantes, Novelas ejemplares. II, ed. cit., p. 91). Sulla discussione del Concilio tridentino circa il doppio fine del matrimonio, la procreazione e il mutuo diletto che si danno gli sposi, cfr. Catechesis ex decreto Concilii Tridentini ad Parochos, Pii V. P. M. et deinde Clementi XIII iussu editus... Augustae Taurinorum, Marietti, 1891, pp. 316-317. 2540-41. I versi sembrano riprendere quasi letteralmente il dettato del canone conciliare: «fidelitas... qua mutuo vir uxori, et uxor viro se ita abstringit, ut alter
PP. 2234-2264
LA SPASSOSA
NOTE
alteri sui corporis podestatem tradat, sanctumque illud coniugii foedus numquam se violaturum policetur» (cfr. Catechesis ex decreto, p. 317).
2690. Ha inizio qui uno scambio di battute volutamente equivocate, di grande effetto comico: per sottrarsi alla verifica sui luoghi toccati nel suo fantomatico viaggio nelle Indie, Torrente non solo continua a giocare sui termini fingendo di non capire le domande (tipico il bisticcio sul verbo alijar (alleggerire), dietro a cui si legge la sostituzione comica con ahijar – affiliare –), ma ricostruisce secondo i suoi parametri i toponimi della conquista, ben nota ai due indiani (per l’esatta localizzazione geografica di Bermuda, Bahama, Golfo de las Yeguas, ecc., cfr. Díaz Larios, p. 141, n. 73 e p. 141, n. 75 e n. 76).
2544. L’immagine ritorna, con connotazioni simili, nel Don Chisciotte (I, XXXIII) e, precisamente, nella già citata novella del Curioso impertinente («il divino sacramento del matrimonio fu istituito in virtù di un legame così forte che solo la morte può spezzare»); nell’episodio di Basilio e Quiteria (II, XIX): «[il matrimonio] è un legame che [...] diventa un nodo gordiano, e non c’è modo di spezzarlo, a meno che non sia la falce della morte a farlo»; e infine nella già citata Fuerza de la sangre: «[...] quello del matrimonio è un legame che solo la morte può spezzare [...]»; per maggiori notizie sulla tematica matrimoniale in Cervantes si leggano, tra gli altri, M. Bataillon, Cervantès et le «mariage chretien», in «Bulletin Hispanique», 49, 1947, 2, pp. 129-144 e A. Martinengo, Las Novelas ejemplares y el Concilio Tridentino (dos desenlaces matrimoniales en oposición), in Atti della V Giornata cervantina (Venezia, 24-25 novembre 1995), a cura di C. Romero Muñoz, D. Pini, A. Cancellier, Padova, Unipress, 1998, pp. 37-51. 2564. Torna il già accennato gioco di parole sul verbo colar (cfr. supra), qui usato con valore di participio passato e come uno dei nomi della spada del Cid (Colada). 2608. Cfr. nota al v. 888 del I atto. 2652. L’espressione figurata «¿mondo yo, por dicha, níspolas?» sta a indicare il risentimento di chi si sente escluso. Ricorre – come nota Schevill-Bonilla (p. 544) – anche nella Dorotea di Lope e in una jácara di Quevedo, ed è riportata fra i proverbi di Correas (p. 822). 2671-73. Il gioco di parole, costruito sul sintagma martas cebollinas (per cebellinas), costituisce una delle prevaricazioni idiomatiche di Sancho nella seconda parte del Don Chisciotte (cfr. xiv e liii).
2724. Si tratta di città andaluse note per la produzione di vino (cfr. Díaz Larios, p. 142, n. 77). 2809-10. L’espressione «echar el resto» ripropone il lessico del gioco delle carte. 2832. Personificazione di un’espressione familiare indicante uno scambio lezioso di convenevoli tra due persone. Per la sua etimologia dal latino maccaronico (tichi michi) cfr. J. Corominas, Diccionario crítico etimológico de la lengua castellana, Berna, Francke, 1954, IV vol., s.v. tú. 2842. L’espressione «quince y falta puedo darle» è tratta dal lessico del gioco della pelota per indicare il vantaggio schiacciante di un giocatore sull’avversario (cfr. Correas, p. 662 e pp. 1050-1051). 2851. Mi gozo está en el pozo: con un’analoga espressione («nuestro gozo en el pozo») si apre il lungo lamento di Pleberio verso la fine de La Celestina (ed. cit., XXI, p. 336 e ss.). 3051-52. Analogo accostamento fra disperazione e peccato lo si ritrova ne La gran sultana («Es la desesperación / pecado tan malo y feo, / que ninguno según creo / le hace comparación» – «La disperazione è un peccato talmente brutto e malvagio che a mio avviso non ha uguali»), in Obra completa. III..., cit., p. 533; si veda anche la nota
2401
NOTE
LA SPASSOSA
P. 2266
3, dove si rimanda ad altri luoghi dell’opera di Cervantes).
3054. Allude al proverbio «tal vendrá que tal querrá» (Correas, p. 763). FEDERICA CAPPELLI
2402
Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note
A Abab, Héctor 2312 Abacuc 2359 Abele 1627 Acacio, Juan 2389 Achille 2337, 2353 Achille Tazio di Alessandria 2290 Acquaviva, Giulio 2047 Acutis, Cesare 2284 Adone 1405, 2337, 2395 Adorno, Rolena 1629, 2276, 2371 Afrodite 2310, 2337 Agostino, santo 1627, 2324 Ágreda y Vargas, Diego de 2290 Aguilar, Francisco 2051-52, 2303, 2390 Alarcón, Juan Ruiz de XXXVI, 2286 Alba, duca di (Antonio de Toledo y Beamonte) 6 Albinio, Martín Gabriel 2290 Alcalá Galán, Mercedes 2393 Alciato, Andrea 1108, 2360 Alcmena 2381
Alemán, Mateo 25, 2360, 2369-70 Alessandro Magno 2360, 2382 Alfonso V 516 Alfonso XI 2306, 2382-83 Alfonso de Cartagena 896 Allen, John J. 2279 Alonso, Amado 2344 Alonso, Dámaso 19-20, 34, 36, 2284, 2291, 2293 Alonso, Santos 2395 Alonso Hernández, José Luis 2273, 2364, 2397-98 Amaltea 2376 Ambrosi, Paola 2294 Ameyden, Teodoro 279 Ammone 2395 Amyot, Jacques 2290 Anchise 2381 Andreini, Francesco 2347 Andreini, Giovan Battista 1840 Andreini, Isabella 2347 Angelica 2391 Anibal, Claude E. 2273, 2312, 2315, 2319, 2327, 2331 2405
INDICI
Ansúrez, Pedro, duca di Coimbra 1105-06, 2356, 2361, 2363 Antioco 896 Antipatro di Cirene 2338 Antonio da Padova, santo 1151, 2367 Antonucci, Fausta 689, 2282, 2290, 2301, 2389 Apelle 2382 Apollo 2342, 2375 Aquilano, Serafino 2366 Aranda, Emanuel de XXXV, 2287 Aranda, Maria 2299, 2300 Arata, Laura 2389 Arata, Stefano 2363, 2365, 2389 Arellano, Ignacio 1396, 2273-74, 2288, 2302, 2313, 2333, 2355, 2363, 2365-70 Aretino, Pietro 2394 Argensola, Bartolomé Leonardo de 2342 Argo 2381, 2398 Arguijo, Juan de 25, 2291 Arianna 2348 Ariosto, Ludovico XXII, 5, 2329, 2364 Aristotele 36, 519, 698, 701-02, 2325 Arjona, Jaime Homero 2315, 2317 Armistead, Samuel G. 2400 Arnscheidt, Gero 2288 Arroniz, Othón 2279 Artaserse III di Persia 2354 Artigas, Miguel 2302 Asenjo Barbieri, Francisco 2293 Asensio, Eugenio 2393 2406
Asensio y Toledo, José María 2390 Assalonne 2354 Avalle-Arce, Juan Bautista 2292, 2393, 2395 Avellaneda, Alonso Fernández 2048 Avendaño, Francisco de 2389 Avila, Francisco de 29-30, 1099, 2288, 2292 Ávila, Gaspar de 2051-52, 2390 Ayala, Francisco 2273, 2359 Ayala, Juan de 2277, 2281, 2313 B Baccio del Bianco, Luigi XV-XVI Bacco 2397 Baczynska, Beata 2288 Baiocchi, David 2057, 2071-72 Balbín, Domingo 278, 2371 Balbuena, Bernardo de 896 Balmás, Enea 2378 Bances Candamo, Francisco Antonio de XIX-XX, XXVIII, XXX, XXXVI, 14, 2282, 2284 Bandello, Matteo Maria 893-94, 2344, 2394 Báñez, Domingo 1623 Bañón Hernández, Antonio Miguel 2308-09, 2311 Baquero Escudero, Ana Luisa 2290 Barabba 2399 Barbera, Raymond E. 2325 Barella, Julia 2287
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Baret, Eugène 279, 897 Barrau, Henriette Catharina 279, 2299, 2302-03, 2305-06, 2309-10, 2312 Bartolo da Sassoferrato 2324 Bataillon, Marcel 2285, 2333, 2401 Béguin, Claude 2287 Belarmino, Roberto 1629, 2376 Belisario XXXV Belleforest, François de 2344 Bellerofonte 895, 2350 Belmonte Bermúdez, Luis XVIII Beltrami, Pietro G. 2371 Benedetto, santo 2339 Benjamin, Walter 514, 1632, 2371 Bennassar, Bartolomé 2279, 2363, 2366 Bergman, Hannah E. 2371 Bernardo del Carpio 11, 2306 Betsabea 2354 Béziat, Florence 1109, 2356 Blecua, Alberto 2273, 2288, 232425, 2327-30, 2332 Blecua, José Manuel 2293-94, 2364, 2397 Blue, William R. 2366 Boer, Harm den 2288 Boiardo, Matteo Maria 2367 Boisteau, Pierre 2344 Bolaños Donoso, Piedad 2302 Bonilla, Adolfo 2071, 2277, 2286, 2394, 2396, 2401 Boscán, Juan 2360 Bravo Villasante, Carmen 2283 Brecht, Bertold 514 Brockhaus, Fredrich Arnold 2377
Brown, Jonathan 2281 Bruerton, Courtney 10, 511, 2289, 2293, 2299, 2301, 2305-07, 2312, 2376-77 Brunel, Pierre 2378 Bruto, Lucio Giunio 2354 Buchanan, Milton Alexander 2298, 2370 Buontalenti, Bernardo XIII Burgos, Jerónima de 6, 17, 32, 2293, 2369 Burguillos, Tomé de v. Vega Carpio Lope de Burton, Richard 696 C Cabrera de Córdoba, Luis XII, 2280 Caino 1627 Caldera, Ermanno 2302 Calderón, Rodrigo 2376 Calderón de la Barca, Pedro XV-XVI, XVIII, XXVXXVIII, XXXV-XXXVI, 8, 13-14, 279, 1625, 1841, 2052, 2281, 2284, 2286-87, 2338, 2343, 2349, 2361 Calvo, Florencia 2281, 2299 Calvo, Javier Huerta 2282, 2288 Calvo Serraller, Francisco 2281 Camarero, Manuel 2274 Camões, Luís de 25 Canavaggio, Jean 2055, 2390, 2393 Cancellier, Antonella 2401 2407
INDICI
Canonica de Rochemonteix, Elvezio 2290 Cappelli, Federica 2057, 2071 Cara, Giovanni 1619 Carabella, Ezio 1397 Carandini, Silvia 2376, 2378 Caravajal, Mariana de 2348 Carballo Picazo, Alfredo 2316 Cardenal Iracheta, Manuel 2315 Cárdenas, Lorenzo de 523, 2315 Carducho, Vicente XIII, 2281 Cariclea 2295 Carilla, Emilio 2290 Carlo V 2306 Carlo Magno 701 Caro, Ana 2369 Carreño, Antonio 2395 Cartesio (René Descartes) VIII Casa, Frank Paul 2300-01, 2351 Casalduero, Joaquín 513, 515, 2273, 2314-15, 2318-19, 2379-82, 2397, 2399 Cascales, Francisco XIX, 2282, 2285 Case, Thomas E. 2289, 2292 Casella, Mario 2316 Cases, Cesare 2371 Castillo Solórzano, Alonso de XXXVI, 2364 Castro, Américo XXVII, 2274, 2279, 2284, 2288, 2318-19, 2321-25, 2327-29, 2331-32, 2351, 2359-60 Castro, Guillén de 25, 2051, 2291, 2390 Catone il Censore 2341 Cazallas, Agustín de 2366 2408
Cea, Francisco de 2391 Cerere 2398 Cervantes Saavedra, Andrea de 2048 Cervantes Saavedra, Isabel 2048 Cervantes Saavedra, Maddalena de 2048 Cervantes Saavedra, Miguel de XVIII, XXXI-XXXII, 7, 11, 14, 25, 1624-25, 1632, 2047-56, 2059-73, 2274, 2277, 2286, 2343, 2353, 2366-67, 2370, 2389-2402 Cervantes Saavedra, Rodrigo de 2047 Cesare, Gaio Giulio 2383 Chamberlein, Vernon A. 2362 Chaves Montoya, María Teresa 2280-81 Chevalier, Máxime 2347 Cicerone, Marco Tullio XXXIII, 36, 2300, 2338, 2392 Cicognini, Giacinto Andrea 1840 Cid Campeador (Rodrigo Díaz, conte de Vivar) 2311, 2339, 2401 Cinira 2395 Ciplijauskaité, Birute 2363 Circe 897, 2352 Cirillo Sirri, Teresa 2286 Claramonte, Andrés de 1628-29, 1841, 2277, 2370, 2376 Clizia, ninfa 2359 Close, Anthony 2379 Coccio, Francesco Angelo 2290 Coello, Pedro XXXVI, 1396 Collard, Andrée 36, 2294
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Collatino, Lucio Tarquinio 2368, 2386 Combet, Luis 2274 Cormellas, Sebastián de 279-80, 2291, 2302 Corneille, Pierre XXXV Cornejo, Manuel 270, 2299, 2300, 2305, 2308 Corominas, Joan 2274, 2323-24, 2326, 2401 Corral, José del 2370 Correas, Gonzalo 2274, 2310-11, 2326, 2341, 2356-57, 2360, 2362, 2364, 2366, 2368-70, 2381, 2398, 2401-02 Corsi, Mario 1397 Cossío, José María 2344 Cotarelo y Mori, Emilio 8, 279, 2285, 2287-88, 2302-03, 2305, 2377 Cotarelo y Valledor, Armando 2390, 2392 Covarrubias Horozco, Sebastián de 511, 2274, 2305, 231113, 2319-20, 2324, 2328-32, 2346, 2348, 2360-61, 2368, 2370, 2381-82, 2395-96 Craesbeek, Pedro 2346 Crespo Matellán, Salvador 2282 Criado de Val, Manuel 2325, 2390, 2394 Crinò, Anna Maria 2378 Crisostomo, Giovanni 36 Cristoforo, santo 2308 Croce, Alda 2291 Cruickshank, Don William 1841, 2321, 2378-79
Cubillo de Aragón, Álvaro XVIII, XXXVI Cucuccio, Giuseppe 2316 Cuesta, Juan de la 2048, 2360 Cueva, Beltrán de la 2317 Cueva, Juan de la XXX, XXXIII, 11, 2054, 2285, 2292 Cuiñas Gómez, Macarena 2352 Cupido 2360 D D’Agostino, Alfonso 1842, 2274, 2344, 2379-80, 2384-88 Da Ponte, Lorenzo 1840 Daniele 2359 Dario III 2354 David 2358, 2395 Davide 2353-54 Dávila Padilla, Agustín 2392 Davis, Charles 2291 De Cesare, Giovanni Battista 2072, 2394 De Salvo, Mimma 2290 Dedalo 2350, 2394 Del Hierro, Francisco de 2273 Del Hoyo, Arturo 2285, 2290 Del Valle Ojeda, María 2389 Delano, Lucile K. 2395 Deleito y Piñuela, José 2282 Desportes, Philippe 36 Di Pastena, Enrico 2288 Di Stefano, Giuseppe 2386 Diamante, Juan Bautista XXXVI Diana 895 Díaz de Mendoza, Fernando 280 2409
INDICI
Díaz Larios, Luis F. 2071, 2274, 2395-97, 2400-01 Díaz Más, Paloma 2400 Didone 1839, 2383 Díez Borque, José María 899, 2274, 2279, 2285, 2288, 2291, 2301, 2345-47, 234952 Dionigi Aeropagita 36 Dixon, Victor 523, 2274, 2315-16, 2319, 2331-32, 2344, 2346 Dolfi, Laura 1842, 2275, 2355, 2377-81, 2385 Dolores Salazar Bermúdez, María de los 2286, 2292 Domenech, Ricardo 2345 Don Giovanni XXXV Donahue, Darcy 2362 Dostoevskij, Fëdor 1632 Duarte (Edoardo) I del Portogallo 2361 Dunn, Peter N. 2325, 2351 E Eco, ninfa 2357 Eco, Umberto 1624 Egido, Aurora 1840, 2281, 2291, 2310, 2377 Eleonora d’Aragona 2361 Eliodoro di Emesa 19, 2290, 2295 Eliogabalo 2326 Elliot, John Huxtable 2279, 2281, 2371 Emilia Tertia 2386 Encina, Juan del 2310 Endimione 895, 2350 2410
Enea 2375, 2381, 2383 Enrico IV di Castiglia 516 Entrambasaguas, Joaquín de 2275, 2319, 2321-25, 232729, 2331-32 Erasmo da Rotterdam 1625, 1628 Ercole 2329 Erisistrato 2351 Erode 2358 Esopo 2353 Espinel, Vicente 2315, 2370 Ester 2332 Étienvre, Jean-Pierre 2365, 2396 Ettore 2337 Euripide 36 Ezquerdo Sivera, Vicenta 2389 F Fajardo Simón 1841, 2378 Farré Vidal, Judith 2288 Feal Deibe, Carlos 1839, 2377 Fedra 2344 Fernández, Juan 30 Fernández, Lucas 2310 Fernández, Xavier A. 2379 Fernando I 2369 Fernando de Antequera 2340 Ferrarin, A. Radamés 2316 Ferrer, Jusepe 2291 Ferrer, Juan XXIX, 2285 Ferrer, Teresa XII, 2280, 2302, 2392 Ferrer, Vicente 693, 2340 Ferrer Valls, Teresa 2302 Ferreyra Liendo, Miguel Angel 2370
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Fetonte 895, 2348, 2350, 2375 Ficino, Marsilio 36 Figueroa, Roque de 1845, 2371 Filippini, Enrico 2371 Filippo II 899, 2048 Filippo III 1111, 1395, 1840, 2363, 2365, 2376 Filippo IV XXXI, 898-99, 1630, 2292 Flecniakoska, Jean Luis 2279 Florit Durán, Francisco 2359-60 Folengo, Teofilo 36 Fontana, Giulio Cesare XII Fra Molinero, Baltasar 2396 Francesco d’Assisi, santo 278, 2399 Franchi, Franco (Francesco Benenato) XX Franciosini, Lorenzo 2386 Francisco Xavier, santo 1097-98 Franco de Rojas, Ana 2048 Frenk, Margit 2356 Freud, Sigmund XVIII Froldi, Rinaldo 2289 G Gabriele, arcangelo 2307 Gabriele, santo 1097, 1629 Galar, Eva 2355 Galarza, Antonio de 2051-52, 2390 Galeno 2352-53 Galilei, Galileo VIII Galinzia 2381 Gallo, Antonella 2361
Ganassa, Zan (Alberto Naselli) 11 Ganimede 895, 2348 Gaos, Vicente 2389 García de Enterría, María Cruz 2287 García Gómez, Ángel María 2379 García Lorca, Federico 515 García Lorenzo, Luciano 2284, 2291, 2300-01, 2303 García Morrás, Domingo 2281, 2348 García Pavón, Francisco 512, 2314 García Reidy, Alejandro 2277, 2344-45 García Santo Tomás, Enrique 2275, 2290, 2347, 2369 García Soriano, Justo 32, 37, 2288, 2293 Garin, Eugenio 2394 Gasparetti, Antonio 899, 1842, 2275, 2316, 2379-80, 2385 Gerolamo (Geronimo), santo 272, 2304, 2324 Giacobbe 2350 Giacomo, santo 2371 Giacomo da Lentini 2296 Giasone 895, 2350, 2381, 2387 Gil, Teresa 2366 Gillet, Joseph Eugene 2400 Giobbe 1623 Giovanni I 2382 Giove 2360, 2381, 2387 Gitliz, David M. 2284, 2351 Giuda 2357-58, 2375 Giunone 2381 2411
INDICI
Giuseppe 2361 Glaser, Edward 2350 Glenn, Richard F. 2285 Godínez, Felipe VIII, XXVIII, XXXVI, 2284 Goldoni, Carlo 1840, 2287 Gómez de Guzmán, Fernán 511, 2318 Góngora, Luis de VIII, XVIII, XXVII-XXVIII, XXXVI, 7, 19, 21, 34-35, 1385, 1625, 1633, 2291, 2295-96, 2346, 2362-64, 2367-71, 2391, 2395 González, Ximena 2299 González Calvo, José Manuel 2394, 2398, 2400 González Cañal, Rafael 2299, 2344 González de Salas, José Antonio 2285 González de Villarroel, Diego 2315 González Dengra, Miguel 2359 González Maestro, Jesús 2393 González Palencia, Ángel 2286, 2288, 2292, 2371 González Ruiz, Nicolás 2275, 2372, 2375 Gordonio, Bernardo de 2300 Gozzi, Carlo 2287 Gracián, Baltasar VIII, XXIX, 14, 2285, 2290, 2395-97 Gramsci, Antonio 1624 Granja, Agustín de la 2053, 2282, 2391 Grantz, Margo 2396 2412
Grassa, Bernardo XXXI Greco, Gilberto 2333 Grilli, Giuseppe 2288 Griswold Morley, Sylvanus 2312, 2376 Guardo, Juana de 6 Guazzo, Stefano 2367 Guenon, Pierre 2377 Guerrieri Crocetti, Camillo 2316 Guevara, Antonio de 2318 Gutenberg, Johann 519, 2324 H Haro, Luis de XV Hartzenbusch, Juan Eugenio 37, 280, 2275, 2303, 2305, 2309, 2319, 2321-23, 232532, 2375 Heliche, marchese di (Ramiro Felipe Núñez de Guzmán) XVI Hermenegildo, Alfredo 2355 Hernández Valcárcel, Carmen 2290 Herrera, Hernando de 25 Herrero, Javier 2314, 2319 Herrero García, Miguel 2275, 2283-84, 2320-21, 2329-30, 2347, 2359, 2362, 2367-68, 2397, 2400 Hesse, Everett W. 2275, 2299, 2301, 2320, 2359, 2377 Hoock, Helga 2325 Huerta Calvo, Javier 2282 Hunter, William F. 1841, 2276, 2378-79, 2381-88
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Hurtado de Mendoza, Antonio XIII, 2280 I Ibsen, Henrik 1632 Icaro 35, 895, 2348, 2350, 2394-95 Ignazio di Loyola, santo 1097 Ilchester, Lord 523 Infantes, Victor 523, 2319 Ingrassia, Ciccio (Francesco) XX Iscla Rovira, Luis 2355 Isidro, santo 1097 J Jammes, Robert 2274 Jareño, Ernesto 2366 José Prades, Juana de 2283, 2393 Juan de Austria 2306 Juan de la Cruz, santo 2371 Juan II di Castiglia 693-94, 2337, 2339-40, 2343 Juana la Beltraneja 516, 2317 Juanelo Turrión 2298 K Kafka, Franz 1632 Kartchner, Eric J. 2393 Kennedy, Ruth Lee 2351 Kinter, Barbara 2364 Kirschner, Teresa J. 514, 2315 Kossoff, A. David 2276, 2345, 2347-48, 2350, 2353-54 Koyré, Alexandre 2279
L La Barrera y Leirado, Cayetano Alberto 2287, 2291, 2293 La Cecilia, Giovanni 1397, 2072, 2394 La Granja, Agustín de 2282 Labano 2350 Labarre, Françoise 2376 Labarre, Roland 2376 Lacavalleria, Pedro 2345 Lanaia, Pedro 2378 Lanot, Jean-Raymond 2290 Lapesa, Rafael 2345 Laplana Gil, José Enrique 2277 Lasso, Pedro 2344 Latino, Juan 24, 2297 Lázaro Carreter, Fernando 2288, 2299, 2365 Leandro 2337 Leighton, Charles H. 2344 Leite Pereira, Juan 2346 Lemos, conte di (Pedro Fernandez de Castro) XXXV, 30, 2048, 2287 León, Jorge 280, 2303-08, 2312, 2353 León Ebreo 2296 Leonor 2382 Lerma, duca di (Francisco Gómez Sandoval y Rojas) 1112, 1390, 1393, 1395, 2363, 2365, 2367, 2376 Lerner, Isaías 2352 Lewis de Galanes, Adriana 2396 Lihani, John 2356 Liñán de Riaza, Pedro 25, 2291 2413
INDICI
Linguet, Simon Nicolas Henri 279 Lipsio, Giusto 2306 Llorens, Vicente 2285, 2302 Llovet, Enrique 2303 Locatelli, Milena 2333 Logroño, Diego 2345 Londero, Renata 2279 López, Andrés 1097 López, Manuel 1396 López Bascuñana, Isabel 2282 López Estrada, Francisco 513-14, 2276, 2290, 2312, 2314-17, 2319-20, 2322-29, 2331-32 López Pacheco, Diego, marchese di Villena 2317 López Pinciano, Alonso 2300 López Poza, Sagrario 2352 López Vázquez, Alfredo Rodríguez 2277, 2370, 2379 Lotti, Cosimo XIII Luca, santo 2342 Lucas de Ávila, Francisco 1099 Lucía, Ricardo 280 Lucrezia, matrona 2368, 2386 Luján, Micaela de (Camila Luncinda) 6 Luna, Álvaro de 2339, 2343 Lutero, Martin 1623, 1625, 162728 Luzán, Ignacio de 279 Luzi, Mario 1632-33 Ly, Nadine 2362, 2365 2414
M Macchia, Giovanni 2378 Machiavelli, Niccolò 2394 Madrigal, José A. 514, 2284, 2315 Maestre, Rafael 2281 Maldonado, Felipe R. C. 2274 Maldonado de Guevara, Francisco 2399 Malpica, marchese di (Francisco de Ribera Barroso) 6 Manrique, Jorge 694, 896 Manrique, Rodrigo 694 Maravall, José Antonio VII, 2279, 2285 Marchese di Sarria 6 Marcia Leonarda v. Nevares, Marta de Margarit, Gerónimo 1841, 2380 Margherita d’Austria 2363 Mariana d’Austria, regina di Spagna XV Marín, Diego 37, 2276, 2314, 2317, 2326-27 Mariti, Luciano 2376, 2378 Marone, Gherardo 1115, 1397, 1842, 2276, 2379, 2385 Marquerie, Alfredo 2303 Marte 2337 Martín, Alonso 2275, 2293, 2302, 2312, 2345 Martín, Antón 2370 Martin Abad, Julián 2287 Martín de Balboa, Alonso 37, 522 Martín Morán, José Manuel 2393 Martinengo, Alessandro 2401 Martinetto, Vittoria 2396
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Martínez Berbel, Juan Antonio 2290 Martínez Kliser, Luis 2277 Matos Fragoso, Juan de 2390 Matteo 2381 Mazzocchi, Giuseppe 2279 McCrary, William C. 2276, 2314, 2320 McCredy, Warren T. 2287 McGrady, Donald 2276, 2322, 2325, 2327, 2329-32, 2345, 2347 McKendrik, Melveena 2283, 2301 Medea 2387 Medici, Ferdinando II dei XV Medusa 897, 2352 Mejías López, William 2356 Melani, Raffaello 2316 Mele, Eugenio 2396 Mena, Fernando de 2290 Menarini, Piero 2378 Mendoza, Íñigo López de 2306 Menéndez Pidal, Ramon 1835, 2294, 2330, 2351, 2370, 23 76 Menéndez y Pelayo, Marcelino 8, 10, 278, 512-13, 515, 2276, 2288, 2313, 2319, 2321-23, 2325-32, 2376 Meregalli, Franco 2072 Messalla Corvino 2345, 2352 Mey, Aurelio 2291 Michele, arcangelo 2372 Michele, santo 2298, 2372 Millis Godínez, Juan de 2344 Mir-Andreu, Maite 2274
Mira de Amescua, Antonio XXVIII, XXXVI, 1836, 2284, 2287, 2359, 2377, 2390 Mirra (Smirna) 2395 Moir, Duncan W. 511, 2282, 2313 Molho, Maurice 2378 Molière (Jean-Baptiste Poquelin) 1840 Molina, Luis de 1623 Moll, Jaime 523, 2286-87, 2289, 2292, 2302, 2316, 2345, 2378 Monroy, Cristóbal de 511, 2276 Montalbán, Juan Pérez de VIII, XVIII, XXIII, XXVXXVI, XXVIII-XXIX, XXXII, XXXVI, 5, 7, 2052, 2282-86, 2288 Montesinos,[Férnandez] José 2283, 2374, 2397, 2399 Monti, Silvia 2289, 2352 Morales Raya, Remedios 2359 Morby, Edwin S. 2399 Moreto, Agustín XXI, XXXVI Moretti, Frey 1115, 1396 Morley, Sylvanus Griswold 10, 511, 2289, 2293, 2299, 2301, 2305-07, 2312, 2363, 237677 Morón Arroyo, Ciriaco 1628-29, 2276, 2371-72, 2374-76 Moya García, Cristina 2315 Mozart, Wolfgang Amadeus 1840 Muñoz Palomares, Antonio 2377 Murcia de la Llana, Francisco 2315 2415
INDICI
N Narciso 2357 Navarro Durán, Rosa 37 Nerone 2332, 2342 Nevares, Marta de 6, 12, 34, 36 Newels, Margarete 2282 Newton, Isaac IX Niccolò III d’Este 893 Noè 2387 Nougué, André 2355 Numa Pompilio 2356 Núñez de Castro, Alonso XV, 2281 O O, María de la 30 Ochoa, Eugenio 279 Oleza, Juan 2289 Olimpia 1839 Oliva, César 2300 Olivares, conte duca di (Gaspar de Guzmán) XV, 1630, 2370 Oliviero (Oliveros) 2298 Onfale, regina 2329 Orazio XXXIII, 2352 Orellana, Francisco de 37, 2303 Oreste 2297 Orlando, Francesco 2342, 2391 Orozco Díaz, Emilio 2279, 2291 Ortiz de Villena, José 899 Osorio, Elena 5, 2062 Osorio, Pedro 1835 Osorio, Rodrigo 2050, 2054-55 2416
Oteiza, Blanca 1115, 2276, 2355, 2359-61 Ottaiano, Marco 2057, 2071-72 Ovidio 2306, 2381, 2395 Oyuela, Calixto 280 P Paba, Antonina 2287 Pacheco, Juan 2317 Pacuvio, Giulio 2316 Pagnini, Marcello 2344 Palau, Francisco 899 Panuzio, santo 1623, 2327 Paoli, Roberto 1842, 2277, 237980, 2385-86 Paolo II 2317 Paolo, santo 2337, 2371 Pardo Molina, Irene 2333 Paride 2351 Parisina Malatesta 893 Parker, Alexander A. 513, 2314, 2333 Pastor, Beatriz 2396 Pavolini, Corrado 2316 Pedraza Jiménez, Felipe B. 2288, 2301, 2344, 2347 Pedro I il Crudele (o il Giustiziere) 2306 Peláez, Martín 2339 Pellicer de Salas, Joseph XVIII, 899 Pemán, José María 2301 Perales, Liz 2303 Pérez, Alonso 37, 522, 2286, 2291, 2293, 2302, 2312, 2391
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Pérez, Joseph 2279 Pérez de Guzmán, Hernán (Fernando) 2313 Pérez Pastor, Cristobal 2389 Petrarca, Francesco 25, 2067 Pico della Mirandola, Giovanni 36 Pierce, Charles Sanders 2284 Pigmalione 2310 Pilade 2297 Pilar Palomo, María del 1840, 2355, 2378 Pilato, Ponzio 2399 Piña, Juan de 31 Pinedo, Baltasar de XVI, XXIII, 30-32 Pini, Donatella 2401 Pintacuda, Paolo 2381 Pio II 2317 Platone 36 Plinio il Vecchio 2306, 2345, 2353 Plotino 36 Poesse, Walter 2378 Poggi, Giulia 1103, 1115, 1383, 1396-97, 2057, 2071, 235960, 2369, 2381, 2394 Poggi Nuccio, Ida 1383, 1397 Porcar, Juan 278 Porqueras Mayo, Alberto 228586, 2288 Porres, Gaspar de 2049 Porrúa Turanzas, José 2353 Porzia 2368 Povoledo, Elena 2281 Presotto, Marco 32, 36-37, 280, 2288, 2293-94, 2302-03 Pring Mill, Robert D. F. 513, 2314
Profeti, Maria Grazia VII, 15, 509, 702, 891, 1115, 1631, 1833, 2277, 2279-91, 2293, 2299, 2301-02, 2310, 2315, 2326, 2332-33, 2339, 234142, 2344-46, 2349, 2352-53, 2356, 2369, 2371-72, 237475, 2378, 2391, 2393, 2399 Pullega, Paolo 2371 Pushkin, Aleksandr Sergeevič 1840 Putifarre 2361 Q Quevedo, Francisco de VII-VIII, XVIII, XXXVI, 7, 2299, 2306, 2320, 2322, 2360, 2364, 2369, 2397, 2401 Quiñones, María de 1396, 2378 Quintiliano, Marco Fabio 2310 R Rachele 2350 Racine, Jean XXXV, 2344 Rades y Andrada, Francisco de 511, 2277, 2313, 2316-18, 2320-22, 2327, 2330 Raffaelli, Renato 2378 Rajna, Pio 2399 Ramírez de Arellano, Luis 32 Ramón, Alonso 2051, 2390 Ravasini, Ines 2381 Ravisius Textor, Joannes 2351-52, 2354 2417
INDICI
Redondo, Augustín 1111-12, 2356, 2376, 2381 Rennert, Hugo Albert 2288 Restori, Antonio XXXIV, 2287 Restrepo-Gautier, Pedro 2360 Rey Azas, Antonio 2071, 2277, 2389, 2394, 2399 Reyes Cano, José María 2285 Reynolds, John J. 2285 Ribbans, Geoffrey V. 513, 2314 Rich Greer, Margaret 2281 Rico, Francisco 696, 698, 702, 1841, 2323, 2332-34, 2336, 2342, 2379 Riley, Edward C. 2389 Ríos, Blanca de los 1097, 2355, 2376 Ripoll, Laila 280 Riquelme, María de 2346 Riquer y Palau, José María 2303 Rivers, Elias L. 2315, 2394 Roaten, Darnell 2314-15 Robles Pazos, José 2312 Robortello, Francesco 10 Rodríguez, Bernardo 2071, 2277, 2286 Rodríguez, Gregorio 2348 Rodríguez Cuadros, Evangelina 2280, 2285 Rodríguez Marín, Francisco 2389 Rogai, Silvia 2315 Rogers, Daniel 2378 Rojas, Augustin de X, XXXVI, 2280, 2337 Rojas, Fernando de 698, 2361, 2368, 2397, 2399 2418
Rojas Zorrilla, Francisco de 2052, 2287, 2290, 2349 Rolando 2298 Romanos, Melchora 2299 Romera Navarro, Miguel 2279 Romero Muñoz, Carlos 2401 Romualdo, santo 2353 Rousset, Jean 2378 Rozas, Juan Manuel 2280, 2345 Ruano de la Haza, José María 2279, 2309 Rueda, Lope de XXX, XXXII, 11, 2050-51, 2370 Ruffinatto, Aldo 2393 Rugg, Evelyn 2276, 2317, 2326-27 Ruiz, Miguel 692 Ruiz Morcuende, Federico 2288 Ruiz Ramón, Francisco 702, 2052, 2331, 2333 Rull Fernández, Enrique 2277, 2359-60 S Saba Sardi, Francesco 2316 Sabbatini, Nicola 2281 Said Armesto, Victor 1835, 2376 Sáínz de Robles, Federico Carlos 279, 2302-03, 2305 Salas Barbadillo, Jerónimo 2368 Salazar, Catalina de 2048 Salcedo, Lucía de 6 Salomon, Noël 2312, 2318 Salvá y Mallén, Pedro 2287 Salvador Miguel, Nicasio 2315 Salvini, Maso 1397
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Samonà, Carmelo 1115, 1624, 1631, 2284, 2371, 2393 Samuele 2353, 2395 Sánchez, Jerónimo 2379 Sánchez, Luis 1115, 2313 Sánchez, Miguel 2051-52, 2390 Sánchez de Badajoz, Diego XXX Sánchez Escribano, Federico 2285-86, 2315 Sánchez Mariana, Manuel 2286 Sánchez Romeralo, Antonio 2333 Sande, Manuel 1841 Sanz Hermida, Jacobo 2377 Sarduy, Severo XX, 2282 Sarrió Rubio, Pilar 2302 Saul 2353 Schaeffer, Adolf 2377 Schevill, Rudolph 34, 37, 2071, 2277, 2286, 2293, 2394, 2396, 2401 Schökel, Luis Alonso 2371 Schröeder, Juan Germán 280 Schutz, D. C. 279, 2303 Schwartz, Lia 2397 Scipione l’Africano 2386 Segre, Cesare 2286 Selene 2350 Senabre, Ricardo 2291 Seneca, Lucio Anneo 36, 696, 2344 Serés, Guillermo 2288 Serlio, Sebastiano 2281 Sermini, Gentile 2394 Serralta, Fréderic 271, 2282, 2299-2301 Serrano, Antonio 2333 Serse 2332
Sessa, duca di (Luis Fernández Córdoba y de Aragón) 6, 24, 28, 31-32, 898, 2293 Sesto Tarquinio 2368, 2386 Severin, Dorothy Sherman 2397 Sevilla Arroyo, Florencio 2071, 2277, 2378, 2389, 2394, 2399 Shakespeare, William 2333 Shergold, Norman D. 2281, 2345 Sieber, Harry de 2395 Sierra Martínez, Fermín 2288 Sileri, Manuela 2301, 2305 Simonatti, Selena 2400 Sinón 2394 Sinone 2350 Sirera, José Luis 2288 Sisifo 2398 Sobejano, Gonzalo 2314 Socrate, Mario 1115, 1631, 2332, 2342, 2346, 2371, 2393 Solá Solé, Joseph M. 2362 Solís, Antonio de XXXVI Spitzer, Leo 513-14, 517, 2277, 2314-15, 2317, 2319, 2330 Stein, Louise K. 2281 Suárez de Figueroa, Cristóbal XIX, XXIX, 896, 1635, 2282, 2285 Suárez García, José Luis 2285, 2377 Svetonio Tranquillo, Gaio 2345, 2352 T Tamar 2395 2419
INDICI
Tantalo 2350 Tárrega, Francisco Agustín 205152, 2390 Tasso, Torquato 25 Teijeiro, Miguel Angel 2290 Téllez, Juana 1097 Téllez Girón, Pedro 2320 Téllez Girón, Rodrigo 2316, 2327 Templin, Ernst H. 2355 Tenschert, Joachim 514, 2315 Tentori Montalto, Francesco 523, 2316 Teogene 2295 Teresa d’Avila, santa 1097, 2374 Testa, Enrico 2394 Thompson, Currie K. 2354 Tiberio 2352 Tiberio Claudio 2345, 2352 Tietz, Manfred 2288 Tifi 2381 Timoneda, Juan de XXX-XXXI, 2305, 2399 Timoteo 236o Tirso de Molina (Gabriel Téllez) XVIII, XXIV, XXVIII, XXXVI, 700, 1097-1101, 1105-15, 1385-97, 1621-33, 1835-43, 2273-78, 2283-86, 2312, 2339, 2355-68, 237071, 2376-82, 2395 Tommaso, santo 1623, 1627-28, 2373, 2399 Torquato, Tito Manlio 2354 Torres, Isabel 2344 Torres Alcalá, Antonio 2353 Torres Naharro, Bartolomé de XXXIII, 2286 2420
Totò (Antonio De Curtis) XX Traiano, Marco Ulpio Nerva 2353 Trigueros, Cándido María 279, 2302 Trillo, Antonia 6 Trotter, Douglas G. 2325 Trovato, Rosario 15, 2288 Turnèbe, Adrien 36 U Ulisse 2305, 2352, 2382 Urbano VIII 1098 Urbina, Isabel de 5 Urias 2354 Urzáiz Tortajada, Héctor 2287, 2289 Usátegui, Luis de 8 V Vaiopoulos, Katerina 2293, 2300, 2361 Valbuena Briones, Ángel Julian 273, 2300 Valdés, Alfonso de 1625 Valdés, Juan de 1625 Valdés, Pedro de 18, 1385, 1395, 2369 Valerio Massimo 2351 Vallejo, César 2346 Vallejo, Manuel de 2345 Van Antwerp, Margaret A. 2345 Van Beysterveldt, Antonie Adrianus 2284
INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Van Dam, Cornelis Frans Adolf 897, 2278, 2322, 2330-31, 2345, 2350, 2354 Varey, John E. XIII, XV, 2054, 2280-81, 2291, 2345, 239193 Vargas Machuca, Pedro de 235455 Vázquez Fernández, Luis 1097, 1841, 2356, 2362, 2379 Vega, Alonso de la 2389 Vega, Garcilaso de la 25, 2296, 2298, 2395 Vega Carpio, Antonia Clara 7 Vega Carpio, Feliciana 6-7 Vega Carpio, Lope de IX, XIII, XVI, XVIII, XXI, XXXI, 5-14, 16-37, 265-81, 51023, 690-703, 892-99, 1105, 1394, 1836, 2051, 2054, 2061, 2273-82, 2285, 228794, 2296, 2298-2303, 2310, 2312-18, 2320-23, 2329-30, 2332-33, 2344-47, 2351, 2354, 2360-63, 2366-67, 2375-77, 2389-90, 2393, 2397 Vega Carpio, Lope Félix de 6-7 Vega Carpio, Marcela de 6-7 Vega García Luengos, Germán 2289, 2299, 2300 Vélez, Juan XXXVI Vélez de Guevara, Luis XVIII, XXII, XXVIII, XXXVI, 25, 1837, 2051-52, 2286, 2326, 2353, 2377, 2390 Venere 895, 2337, 2350, 2360
Vergara, Luis de 30 Verges, Pedro 13 Vian, Cesco (Francesco) 2316 Victoria, Juan de la 2368 Villalba, Juana de XXIII, 32 Villalobos y Benavides, Diego de 2301 Villamediana, Juan de Tassis y Peralta, conte di XII-XIII Villegas, Esteban Manuel 2285 Vireno XXII Virgilio 25, 2352 Virués, Cristóbal de XXXIII Vitse, Marc 697 Vittorini, Elio 2290, 2300, 2333 Vivero, Juan de 692 W Wade, Gerald E. 2355, 2363 Walde Moheno, Lillian von der 2299-2301 Wardropper, Bruce W. 514, 231415, 2319, 2344, 2392 Weber de Kurlat, Frida 10, 2284, 2289 Wickersham Crawford, James Pyle 2399 Wilder, Thornton 2283 Williamsen, Vern G. 2377 Winther, Susanne 2287 Y Ynduráin, Domingo 2365 Ynduráin, Francisco 2389 2421
INDICI
Z Zabaleta, Juan de XXVIII Zachariae, Justus Friedrich Wilhelm 279 Zafra, Rafael 2274, 2313 Zamora Vicente, Alonso 1396, 2278, 2293, 2322, 2330,
2422
2355, 2363, 2365-67, 236970 Zayas, Dean 280 Zayas, María de XXXVI Zeus 2350, 2376 Zimic, Stanislav 2391, 2393-95, 2397 Zugasti, Miguel 2355
Indice dei nomi citati nelle commedie
A Abacuc 1211 Abele 1607 Achille 763, 1035, 1575, 2207 Adamo 139, 1233, 1803, 1943 Adone 495, 763, 1481 Agostino, santo 585 Alemán, Mateo 187 Alessandro Magno 1259 Alfonso V 531, 565, 653, 1279, 1367, 2361 Alfonso XI 1917, 1961 Alfonso Enríquez, re 1897 Amaltea, ninfa 1807 Ammone 2107 Anchise 1725, 1877 Anzures, Pedro (Pero), duca di Coimbra 1403 Antioco 1021 Antonio da Padova, santo 1509, 2003 Apelle, pittore 1893 Apollo 339, 843, 2115
Argo, gigante 1411 Arguijo, Juan de 187 Aristotele 115, 587, 1235 Artaserse III di Persia 1085 Assalonne 1061 Avicenna 1419 B Bacco 1447 Bartolo da Sassoferrato 583 Belarmino, Roberto 1831 Bellerofonte 995 Bernardo (Bernardo del Carpio) 327 Betsabea 1061 Bruto, Lucio Giunio 1085 C Camões, Luís de 187 Carlo V 329 Castro, Guillén de 187 Catone il Censore 817, 2117 2423
INDICI
Cervantes Saavedra, Miguel de 187 Cesare, Gaio Giulio 337, 1089, 1723, 1919 Cicerone 111, 339 Cid Campeador (Rodrigo Díaz de Vivar) 327, 491, 645, 803, 2079 Circe 169, 253, 835, 1037 Clizia, ninfa 1175 Cristoforo, santo 363 D Daniele 1211 Dario III 1085 David 1051, 1061, 1155 Didone 1903 Don Chisciotte 189 Duarte I 1277
F Ferrer, Vicente 809 Fetonte 939, 995, 1729 Francesco, santo 1739 G Galeno 1021, 1417, 1419 Germano, santo 1059 Geronimo, santo 307 Giasone 995, 1881 Giorgio, santo 423, 2037 Giovanni II 1215 Giove 87, 939 Giuda 1133, 1169, 1379, 1695 Giuseppe 1309 Gutenberg, Johann 583 H Herrera, Hernando de 187
E I Eco, ninfa 1137 Elena di Troia 251, 943 Elena, santa 1591 Eliodoro di Emesa 59 Eliogabalo 601 Emilia Tertia 1981 Endimione 997 Enea 1725, 1877, 1903 Enrico IV di Castiglia 531 Erode 1183 Erostrato 1021 Ester 681 Ettore 763, 1053, 1749, 1915, 2207 2424
Icaro 995 Ippocrate 709, 1021, 1417 J Juan de Austria 329 Juana la Beltraneja 533 Juanelo Turrión (Giannello Torrione) 259 L Labano 1007
INDICE DEI NOMI CITATI NELLE COMMEDIE
Latino, Juan 173 Lazarillo de Tormes 1415 Leandro 769 Liñán de Riaza, Pedro 187 Lipsio, Giusto 337 Luca, santo 839 Lucano 335 Lucrezia, matrona 1981, 1553 Luigi, Duca di Ferrara 1057 Luque, Juan de 187 M Maddalena 1739 Maometto 431, 459 Marco Tullio, figlio di Cicerone 111 Marte 337, 339, 2185 Matteo 1739 Medea 835, 1989 Medusa 1037 Mendoza, Ignigo de 337 Messalla Corvino 1041 Michele, santo 217, 307, 659 Mirra 2107
Oliviero (Oliveros) 213 Omero 1663 Orazio 335 Oreste 153 Orlando 837 Ovidio 1663, 1665 P Pacheco, Juan 531 Pandora 253 Pannunzio, santo 2003 Paolo II 531 Paolo, santo 771 Paride 1011 Pastrana, duca di 187 Peláez, Martín 803 Pelagio, santo 1591 Petrarca, Francesco 187 Pigmalione 443 Pilade 153 Pio II 531 Platone 79, 115, 245, 551, 2213 Plinio il Vecchio 335 Porzia 359, 1233 Prete Gianni 1961
N R Narciso 1137, 1243, 1319, 1481 Nathan 1061 Nerone 685, 843, 2225 Nettuno 1893 Noè 2005 Numa Pompilio 1119 O Ochoa, Juan de 187
Rasis (Rhazes o Al-Razi) (Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al-Razi) 1419 S Salomone 1423 Sansone 1259 Saul 1051 2425
INDICI
Seneca, Lucio Anneo 359 Senofonte 339 Serse 681 Sessa, duca di 173 Sinone 995, 2089 Sisifo 2171 Susanna, santa 1591
Torquato, Tito Manlio 1085 Traiano, Marco Ulpio Nerva 1049
T
V Valdés, Pedro de 1573 Vega, Garcilaso de la 187, 231 Vega Carpio, Lope de 187 Vélez, Luis 187 Venere 761, 943, 997, 1051, 1405 Virgilio 187
Tamar 2107 Tantalo 1007 Tasso, Torquato 187 Tiberio Claudio 1041 Tifi 1881
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U Ulisse 315, 1031, 1359, 1897 Uria 1061
BIOGRAFIE DEI CURATORI
Maria Grazia Profeti
Maria Grazia Profeti si è occupata di teatro barocco con monografie, testi critici, bibliografie (Lope de Vega, Pedro Calderón de la Barca, Tirso de Molina, Luis Vélez de Guevara, Juan Pérez de Montalbán, Francisco Rojas Zorrilla, Agustín Moreto, ed altri), dell’opera poetica di Francisco de Quevedo, della generazione del ’27 (Federico García Lorca, Luis Buñuel), di rapporti interculturali (la commedia barocca spagnola nell’Italia del Seicento), di scrittura sulla moda. Il 2 giugno 1985 è stata nominata Commendatore della Repubblica Italiana dal presidente Sandro Pertini. Ha ricevuto nel febbraio 1999 il «Premio nacional de bibliografía» della Biblioteca Nacional di Madrid, per l’opera Bibliografía delle opere non drammatiche a stampa di Lope de Vega.
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Hanno collaborato
Fausta Antonucci è professore ordinario di Letteratura spagnola all’Università Roma Tre. È autrice di monografie e saggi su diversi aspetti della letteratura spagnola e ispanoamericana, ma si è dedicata specialmente allo studio del teatro del Siglo de Oro, ambito nel quale ha pubblicato numerose edizioni di testi di Lope de Vega (Peribáñez e il commendatore di Ocaña, Il cane dell’ortolano, una raccolta di loas) e di Pedro Calderón de la Barca (La dama duende, El verdadero Dios Pan, La vida es sueño). Si interessa inoltre delle varie forme di scambio e circolazione di testi teatrali fra la Spagna e l’Italia nel Seicento; è appassionata di traduzione letteraria, che ha praticato sia con testi di autori argentini moderni (Borges, Quiroga, Bioy Casares) sia con testi di autori spagnoli del Siglo de Oro (José de Acosta, Pedro Calderón, Lope de Vega). David Baiocchi, laureato in Lettere, ha conseguito il titolo di master di II livello in Traduzione letteraria presso l’Università di Siena. Vive e lavora in Toscana. Federica Cappelli è ricercatrice di Letteratura spagnola presso il dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell’Università di Pisa. Specialista del Siglo de Oro, si è occupata, in particolare, di teatro barocco e dell’opera di Francisco de Quevedo e Baltasar Gracián, pubblicando edizioni (Cuatro milagros de amor di Mira de Amescua) e numerosi studi critici. Negli ultimi anni si è dedicata anche alla traduzione letteraria sia di testi secenteschi (ha tradotto integralmente la Vida del escudero Marcos de Obregón di Vicente Espinel) sia di opere più recenti, con un 2430
riguardo particolare per la narrativa breve dell’esilio repubblicano spagnolo (Una farfalla sull’orlo dell’abisso. Racconti dall’esilio repubblicano spagnolo; R.J. Sender, Racconti di frontiera). Giovanni Cara lavora come ricercatore presso l’Università di Padova. Si è occupato, con articoli e monografie, della letteratura burlesca del Seicento, di Cervantes, della poetica concettista e della tradizione romanzesca ispanica. Tra i suoi lavori, quello sul «Vejamen» (Roma, Bulzoni, 2001), su Cervantes, (Padova Cleup, 2010), sul romanzo cavalleresco, con A. Bognolo e S. Neri (Roma, Bulzoni, 2014). Si occupa inoltre di romanzo spagnolo modernista e contemporaneo. Marco Ottaiano svolge attività di ricerca presso l’Università «L’Orientale» di Napoli dove insegna Analisi e traduzione del testo letterario spagnolo, e collabora come docente di Lingua e traduzione spagnola presso l’Università Suor Orsola Benincasa. Nel 2011 ha ideato il Corso Specialistico in Traduzione Letteraria per l’Editoria presso l’Istituto Cervantes di Napoli che dirige tuttora. Nel 2013 ha pubblicato il saggio Madrid, romanzo urbano. Topografie letterarie nella «novela» spagnola contemporanea (Tullio Pironti). Ha tradotto, fra le altre cose, l’opera in versi La spassosa di Miguel de Cervantes, San Manuel Bueno, martire di Miguel de Unamuno, il poema Orazione per Marilyn Monroe di Ernesto Cardenal, il romanzo Grondante sangue di Rafael Reig. Ha pubblicato studi critici sul romanzo spagnolo del Novecento, sulla teoria della traduzione e sulla narrativa e il teatro ispanoamericano contemporaneo apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei. Collabora con le riviste «Achab», «Tradurre» e «Testo a Fronte». Giulia Poggi, ordinario di Letteratura spagnola presso il dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell’Università di Pisa, si è occupata prevalentemente di letteratura del Secolo d’Oro. In particolare ha studiato la lirica di Góngora di cui ha curato la versione italiana integrale dei sonetti (Roma, Ed. Salerno, 2007) e a cui ha dedicato vari saggi (quindici dei quali raccolti in Gli occhi del pavone, Firenze, Alinea, 2009). Ha inoltre pubblicato saggi su Cervantes, Calderón de la Barca, Tirso de Molina e Gracián, autore di cui ha tradotto l’Agudeza y arte de ingenio (Palermo, Aestetica, 1986) e l’Oráculo manual (in corso di stam2431
pa per Adelphi). Sul versante moderno ha studiato la narrativa breve di Borges e Silvina Ocampo. Ida Poggi Nuccio, laureata in Lettere, ha insegnato nelle Scuole medie superiori e inferiori di Pisa e di Firenze. Ha tradotto i capitoli in versi del Siglo Pitagórico di Antonio Enríquez Gómez (Pisa, ETS, 2011). Rosario Trovato, oltre a corsi e manuali di Lingua spagnola, ha pubblicato vari articoli sulla letteratura spagnola e ispanoamericana (Gonzalo Torrente Ballester, Ana Rossetti, J.L. Borges, ecc.), ma si è principalmente occupato di traduzioni, pubblicando varie opere dei più noti autori spagnoli (Góngora, Lope de Vega, Bécquer, Unamuno, Rosalía de Castro, Pardo Bazán) e antologie di poeti spagnoli e ispanoamericani contemporanei (Antonio Carvajal, Mar García Lozano, Octavio Paz, Francisco Castaño, Elena Martín Vivaldi). Per aver contribuito alla diffusione della letteratura spagnola in Italia, il 19 maggio 2014 è stato nominato accademico della Academia de Buenas Letras di Granata. Katerina Vaiopoulos è ricercatrice di Letteratura spagnola presso il dipartimento di Lingue e letterature straniere dell’Università degli Studi di Udine. Ha pubblicato saggi su Lope de Vega, Cervantes, Quevedo, Rojas Zorrilla, Antonio Coello e Agustín Moreto. Ha partecipato a numerosi congressi, corsi e incontri internazionali. Ha ottenuto nel 2009 il «Premio Internacional de Investigación Científica y Crítica Miguel de Cervantes» con la monografia De la novela a la comedia: las «Novelas ejemplares» de Cervantes en el teatro del Siglo de Oro. Si dedica al teatro, alla narrativa e alla lirica satirica del Secolo d’Oro e alla ricezione delle opere drammatiche auree spagnole in Italia. Si occupa anche di rapporti interculturali e traduzione, di romanzi epistolari e rapporti fra i generi letterari.
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