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Italian Pages 157 [205] Year 2021
ÙÂVARAKÍՒ÷A
SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ CON IL COMMENTO DI
GAU‡APÅDA
Tra i sei dar©ana brahmanici – le dottrine ortodosse conformi ai Veda che espongono la conoscenza della Realtà secondo diverse angolazioni – il Såµkhya è uno fra i più antichi. Si ritiene fondato dal saggio Kapila, vissuto prima del VI secolo a. C., la cui origine divina viene celebrata da numerose leggende La più antica e accreditata interpretazione del termine såµkhya è quella di una ‘indagine conoscitiva’, una profonda ‘investigazione speculativa’ basata sulla logica inferenziale e condotta allo scopo di pervenire a un’analisi sistematica e completa e alla conseguente possibilità di elencazione dei princìpi costitutivi dell’essere nella sua integralità. Nella generale visione indù l’essere, a seconda del proprio contenuto mentale, si trasferisce lungo una serie indefinita di differenti condizioni di esistenza dove svolge la rispettiva esperienza attraverso una ininterrotta concatenazione di morti e successive rinascite. Tale sequenza di esistenzeesperienze limitative induce a concepire la necessità di affrancarsene e l’obiettivo di tutti i dar©ana è la emancipazione dell’essere dall’asservimento al destino trasmigratorio attraverso la comprensione del processo universale, quindi della natura del mondo e della condizione individuale.
Il Såµkhya predica la discriminazione (viveka) tra lo spirito-coscienza e la sostanza-materia, tra il conoscitore e il conosciuto, tra il Puru\a e la Prak®ti, e la conoscenza che prospetta consiste nella comprensione della distinzione di natura tra il manifestato che è l’effetto visibile, il non-manifestato che ne è la causa invisibile e il loro conoscitore, distinto da entrambi; la liberazione (mok\a) consiste nel recupero della propria natura di pura consapevolezza da parte del puru\a. La prima opera scritta sul Såµkhya è lo Sa\†itantra attribuito, non senza incertezza, a Pañca©ikha, ma la compilazione definita del dar©ana è costituita proprio dal testo noto come Såµkhyakårikå¢, “Le strofe del Såµkhya” che costitui sce una spiegazione dell’opera citata ed è tradizionalmente attribuito a Ù©varak®\ãa, un filosofo indiano vissuto in epoca incerta fra il I e il V secolo d.C. Tra i diversi commenti che il testo ha avuto nel tempo, quello attribuito a Gauƒapåda – il promulgatore della dottrina della non-generazione (ajåtivåda) – dilucida con sistematicità ogni ©loka, soffermandosi in special modo sia su questioni di carattere prettamente filosofico-metafisico, che sulle elencazioni di entità, proprietà, attributi e gradazioni che nei versi vengono solo citate.
Såµkhyakårikå
–––––––– 6 –––––––– Testi della Conoscenza Tradizionale
© 2016 Kevalasa√gha Tutti i diritti riservati
Stampato a Rieti da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA Via Poggio Mirteto, 4 02100 Rieti
Il presente volume è stato composto con il carattere “Adri”
ÙÂVARAKÍ≥÷A
SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ CON IL COMMENTO DI
GAU‡APÅDA
Traduzione dal Sanscrito, presentazione e note a cura di
Kevalasa√gha
«Superiore è [il mezzo … derivante] dalla chiara conoscenza del manifestato, dell’Immanifesto e del [loro] conoscitore» «Otenuta la separazione dal corpo, quando vi è la totale cessazione dell’atività da parte del Pradhåna, in quanto ha raggiunto lo scopo, [il Puru\a] consegue l’assolutezza che è ambedue le cose: unica e definitiva» Såµkhyakårikå: 2, 68
INDICE
Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10 Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . »
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Såµkhyakårikå¢ con il Commento di Gauƒapåda Invocazione augurale di Gauƒapåda . . . . . . pag. 37
«Le strofe del Såµkhya» . . . . . . . . . . »
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Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 135 Testo sanscrito
. . . . . . . . . . . . . . . » 163
AVVERTENZE Al testo italiano Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti: – tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, le fonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti ai Versi, ulteriori chiarimenti al concetto espresso. – tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sottintese, fonti di citazioni o di passi presenti nel Commento e non menzionati. – tra virgolete basse « » le citazioni tratte da fonti scritturali rintracciate o meno, i Versi distinti da quello in esame. – tra virgolete alte “ ” le parti dei Versi esaminate nel Commento, termini di particolare rilievo. – tra virgolete semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli, locuzioni esemplifcative, frasi in discorso diretto e asserzioni dottrinali di importanza rilevante. – in corsivo i termini sanscriti traslitterati, a eccezione di nomi propri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dottrinario; sono resi con parole unite da trattino termini non perfettamente traducibili alla lettera con un solo vocabolo. – nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi o in quella radicale se si tratta di verbi. Tuttavia, qualora sia preferibile ai fni della comprensione, i primi possono trovarsi nella forma declinata, i secondi in quella coniugata.
Avvertenze
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Inoltre: – il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale, mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolo se indica rispettivamente una Forma divina o un oggetto. – l’inserimento dei termini Obiezione e Risposta, sottintesi nel Commento, è nostro ed è ridotto al minimo indispensabile per una agevole comprensione. – si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen te nell’uso corrente. – per le parole sanscrite è stata adottata la divisione sillabica. – eventuali diferenze tra passi e/o fonti scritturali sono impu tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.
Al testo sanscrito – Le citazioni da fonti scritturali note o meno sono state ripor tate tra virgolete alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale. – La traslitterazione segue i criteri comunemente adottati man tenendo l'unione delle parole come nel testo originale devanågarı e la divisione sillabica. – Conformemente all’originale, l’anusvåra è stato traslitterato come µ e non trasformato nella corrispondente nasale pronunciata.
FONTI Per la traduzione delle Såµkhyakårikå¢ con il Commento di Gauƒapåda e delle altre opere citate è stato consultato il testo sanscrito originale in devanågarı delle seguenti edizioni: – Te SÅÆKHYAKÅRIKÅ with the Commentary of Gauƒapådåcårya, Te ORIENTAL BOOK AGENCY, Poona, 1933 – BENARES SANSKRIT SERIES, Nº 9, Te Såµkhyakårikå¢ with the Commentary of Gauƒapåda, Dr. Braj B. Das & Co, BENARES PRINTING PRESS, Benares, 1883 – Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit, SAMATA BOOKS, Madras, 1982 – Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit, by Sri Vani Vilas Press, Srirangam, 1910
PRESENTAZIONE Il Såµkhya è uno dei dar©ana più antichi. I sei dar©ana brahmanici sono le dottrine ortodosse, cioè visioni flosofche conformi ai Veda che espongono la conoscenza della Realtà secondo diverse angolazioni. Il termine dar©ana – da d®©: vedere – signifca letteralmente ‘punto di vista’ o ‘prospettiva’ in quanto la loro comprensione della Realtà avviene da differenti visuali; la conoscenza che prospettano si articola su diversi livelli e l’insegnamento corrispondente va dal ritualismo della P¥rva Mımåµså alla metafsica delle Upani\ad formanti l’Advaita Vedånta. Si ritiene che il dar©ana Såµkhya sia stato fondato dal saggio Kapila, vissuto prima del VI secolo a. C., la cui origine divina viene celebrata da numerose leggende. Tradizionalmente egli è considerato uno dei fgli di Brahmå e, secondo il Bhågavata Puråãa (3.21.25), un avatåra parziale di Vi\~u, venuto all’esistenza come fglio di Kardama Prajåpati e Devahuti; secondo altri fu una incarnazione del deva Agni. Per alcuni studiosi la sua fgura non è storicamente documentata, mentre per altri si tratta di un personaggio realmente esistito prima della venuta del Buddha e anche di molti ®\i delle Upani\ad, il quale viene annoverato, assieme ad alcuni suoi discepoli, come uno degli esponenti del passato più degni di venerazione e addirittura meritevoli di giornalieri omaggi propiziatori, sebbene la sua visione non fosse sempre in accordo con l’ortodossia vedico-brahmanica. Lo stesso Âa√kara, il grande advaitin codifcatore del Vedånta Advaita, ritiene che il celebre passo della Âvetå©vatara Upani\ad (5.2) si
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Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda
riferisca al Kapila promulgatore della visione Såµkhya per quanto nel suo commento al Brahmas¥tra (2.1.1) dissenta dal suo punto di vista. Kapila viene citato anche in testi della Sm®ti, in particolare nella Bhagavadgıtå, dove viene elogiato come ‘perfetto tra i perfetti’ (Bha. Gı. 10.26); Vyåsa, nel suo commento allo Yogas¥tra di Pa†añjali (1.25), gli rende omaggio con il defnirlo ‘saggio primordiale’ (ådividvan) e nella stessa Såµkhyakårikå (69) si fa menzione di Kapila come ‘sommo veggente’ (paramar\i). La conferma della sua esistenza si ha invece da un passo del Baudhåyanadharmas¥tra (2.11.30) in cui si dice che un fglio di Prahlåda di nome Kapila, istituì in passato la pratica della completa rinuncia (saµnyåsa). Si tramanda che Egli venne all’esistenza perfettamente provvisto di “virtù, conoscenza, distacco e divino potere” e, non ultima, di illimitata compassione. Si narra altresì che il Buddha stesso, il quale fu della compassione un eccelso esempio, fosse stato ispirato dalla sua visione flosofca. Non è noto, invece, se Kapila abbia impartito solo un insegnamento verbale o anche in forma scritta. Il nucleo della sua concezione – come per altre visioni flosofche indiane e non – sta nella constatazione di incompiutezza della ordinaria esistenza e nella conoscenza per affrancarsi da tale condizione, conoscenza che, secondo la tradizione (passo citato dello Yogas¥trabhå\ya), impartì Egli stesso ad Åsuri. Il Såµkhya rappresenta una pietra miliare nel contesto flosofco indiano, in quanto ha posto le basi concettuali anche per alcune visioni successive. Il dar©ana presenta sia elementi comuni ad altre scuole sia fattori originali e ad esso si deve l’introduzione di termini e di concetti – come quelli di Prak®ti, Puru\a, Pradhåna, guãa, ecc. – che verranno adottati anche da altri dar©ana, con signifcato talvolta analogo, talaltra diferente.
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Il termine såµkhya può avere diverse origini.Una ipotesi prende in esame la radice verbale khyå: ‘nominare’, ‘defnire’ e, per estensione, ‘conoscere’, che, con l’aggiunta del prefsso sam: ‘complessivamente’, ‘perfettamente’ – mutato, per sostantivazione astratta, in såm – assume il signifcato di ‘conoscenza completa’. Secondo altri deriva dalla forma verbale composita saµkhya: ‘enumerazione’, nel senso di una teoria che dia conto dei princìpi del cosmo esponendoli nella loro formazione progressiva. La più antica e accreditata interpretazione del termine è quella di una ‘indagine conoscitiva’, una profonda ‘investigazione speculativa’ basata sulla logica inferenziale e condotta allo scopo di pervenire a un’analisi sistematica e completa e alla conseguente possibilità di elencazione dei princìpi costitutivi dell’essere nella sua integralità, in quanto spiega il perché e il come di qualsiasi esperienza e conoscenza, di qualsiasi fenomeno, ecc., fno alla esperienza integrale del divenire. In questa accezione, cioè come sinonimo di conoscenza in contrapposizione alla mera disciplina ascetica (yoga), viene più volte citato nella Bhagavadgıtå e ugualmente in altri testi della Sm®ti e della Âruti come metodo investigativo flosofco. Tutte le scuole ortodosse ed eterodosse concordano nella constatazione della esperienza dolorosa insita nella esistenza e nella ciclicità di questa: la condizione esistenziale, il divenire circolare (saµsåra) che sottende la trasmigrazione (la “ruota dell’esistenza”, bhåvacakra), in sostanza la stessa esistenza formale costituisce una limitazione per l’essere, un condizionamento destinato a ingenerare soferenza, e lo scopo dell’esistere sta nel trascendere tale condizione integrandola come possibilità insita in una consapevolezza superiore. La peregrinazione esistenziale è un efetto dell’ignoranza della propria natura e come tale può essere arrestata solo dalla conoscenza delle cause che la determinano.
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Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda
La condizione di esistenza di ogni essere è determinata dal suo stato di coscienza, e il reiterarsi della prima in modalità similari è dovuto alla mancata soluzione dei contenuti del secondo, che premono per concretizzare situazioni espressive. «Qale che sia il contenuto mentale, di quello si diviene sostanziati. Qesto è l’eterno mistero» Maitrı Upani\ad: 6.34.3 L’essere, a seconda del proprio contenuto mentale – quindi in funzione del proprio agire, sentire ed essere – contenuto proiettivo-empirico che alimenta l’energia del suo veicolo sottile, si trasferisce, consciamente o meno, lungo una serie indefnita di diferenti condizioni di esistenza dove svolge la rispettiva esperienza attraverso una ininterrotta concatenazione di morti e successive rinascite. Tale sequenza di esistenze-esperienze limitative induce l’essere intellettualmente e spiritualmente maturo a concepire la necessità di afrancarsene e l’obiettivo di tutti i dar©ana è la emancipazione dell’essere dall’asservimento al destino trasmigratorio attraverso la comprensione del processo universale, quindi della natura del mondo e della condizione individuale. «Dal tormento dovuto al triplice dolore [sorge] l’istanza di conoscenza in relazione al mezzo per rimuovere tale [sofferenza]» Såµkhyakårikå: 1 Il mezzo è la conoscenza discriminante, capace di operare una separazione, un vero e proprio distacco dalla manifestazione che, pertanto, è necessario comprendere nella sua struttura e anche nel processo causale che la genera, mantiene e
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riassorbe. Il nocciolo della questione è appunto la comprensione della distinzione di natura tra il manifestato, che è l’effetto visibile, il non-manifestato, che ne è la causa invisibile, e il loro conoscitore, distinto da entrambi. Per il Såµkhya, come per altri dar©ana, la cessazione della soferenza si ha perciò. «.dalla chiara conoscenza del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore» Såµkhyakårikå: 2 Il Såµkhya predica dunque, ai fni della liberazione, la discriminazione (viveka) tra lo spirito-coscienza e la sostanzamateria, tra il conoscitore e il conosciuto, e si fonda su alcuni princìpi-base, tra loro interrelati, che ne sanciscono la sostanziale diferenza rispetto ad altre teorie flosofche contemporanee o anteriori. Fattori peculiari al Såµkhya sono: in primo luogo il superamento delle riduttive categorie postulate da un lato dal realismo logico del Nyåya di Gautama, il dar©ana dedicato alla comprensione del metodo cognitivo, e dall’altro dal pluralismo atomistico del Vai©e\ika di Ka~åda, la dottrina distintiva analitica della totalità universale; quindi la attribuzione alla mente individuale della capacità di discriminare e di approdare alla conoscenza e, attraverso questa, di pervenire alla trascendenza della condizione contingente costrittiva e confittuale; il principio evolutivo, che si sostituisce alla nozione della creazione universale. Il mondo non è efetto di un atto creativo sul nulla, ma lo sviluppo progressivo a partire da una diade principiale eternamente esistente – il Puru\a e la Prak®ti, rispettivamente il soggetto e l’oggetto della esperienza, necessari per ogni forma di conoscenza. La interazione tra i due princìpi, a livello universale, dà luogo alla manifestazione dell’universo e tale dualismo si propaga attraverso i vari piani del manifestato fno all’ente indi-
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Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda
viduato, nel quale si esprime come la polarità cognitiva tra il soggetto e l’oggetto. Poi, ancora, un principio di continuità nell’ambito della manifestazione, dal quale discendono la legge di causalità, il processo della trasformazione (pari~åma) progressiva da cui si irradia la manifestazione attraverso la produzione dei princìpi costitutivi, ossia le essenze principiali, i tatva – lett. ‘quiddità’ – e, viceversa, il riassorbimento, e il satkåryavåda, la “dottrina della (pre-) esistenza dell’efetto [nella causa]”. Tutto ciò implica che la produzione degli enti e il loro riassorbimento avviene in seno ad una entità unitaria che ne è il sostrato causale, per cui non vi è nulla, nell’efetto, che non sia già esistente, in altra modalità formale ma non sostanziale, nella causa. Confutando la comune opinione secondo cui è reale la percezione di molteplicità degli enti e la loro natura di diferenziazione, quindi la realtà singola di ogni ente-individuo, il Såµkhya prospetta uno sfondo di continuità che sottende una unità reale e trascendente, mentre la diferenziazione è solo apparente. Tale base della realtà oggettiva è costituita da un principio (tatva) sostanziale di carattere universale, la Prak®ti, che è il sostrato unitario della totalità. Dunque tutto discende dalla Prak®ti la quale costituisce la causa sostanziale unica, la molteplicità essendo dovuta a una sua successiva trasformazione. L’ente oggetto di percezione, il manifestato nella sua integralità composita, non è un non-esistente, appunto in quanto percepito, ma un prodoto: la sua causa (kåraãa) non può essere il vuoto-nulla, ma deve essere una entità esistente nella quale anch’esso esiste già come efetto (kårya) allo stato potenziale. Nel Såµkhya l’efetto non è altro che la causa stessa trasformata, ovvero percepita sotto una diversa modalità determinata dai parametri dimensionali, per cui conserva la sua
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natura e, laddove quello è singolarmente individuato, essa, suscettibile di produrre più efetti nella diversifcazione dimensionale, quindi nel tempo e nello spazio, è unitaria e onnicomprensiva. In defnitiva, se l’effetto, il manifestato, è percepito, esso è reale in un dato grado, e reale in grado maggiore deve essere la sua causa: per quanto non sia percepita direttamente, essa viene inferita dai suoi efetti. La Prak®ti non è sostanza materiale – questa si manifesta solo a livello del piano fsico formale ultimo – né va identifcata con la natura materiale sede di qualità e caratteristiche quantifcabili che sono oggetto di percezione, ma è la sua dimora causale; non ha forma ma è entità implasmata, quindi informale e, pertanto, invisibile, per cui viene pensata come una entità non-sviluppata e non-percettibile e assimilata allo stato nonmanifestato per eccellenza, da cui il nome Immanifestoavyakta. Come causa sostanziale la Prak®ti è più della somma dei singoli possibili efetti, attuali e non, che riassume, comprende e trascende, come l’unità è più della somma delle indefnite parti-frazioni in cui può suddividersi. Da ciò discende l’importante e già citato principio secondo cui l’efetto (kårya) è virtualmente esistente (sat) nella causa; ‘nulla viene dal nulla e, parimenti, nulla ritorna al nulla’, ma tutto proviene da una causa sostanziale unica, grazie alla induzione operata da una causa efciente, e in essa si riassorbe al cessare dello sviluppo manifestante. L’efetto appartiene allo stato manifestato; questo è una condizione riduttiva in quanto ogni effetto non manifesta che una serie di qualità, quella suscettibile di esprimersi in quel dato contesto qualitativo. Invece la causa, cioè la Prak®ti, rappresenta lo stato non-manifestato ed è perciò la condizione preesistenziale onnicomprensiva. Secondo il satkåryavåda l’efetto esiste allo stato potenziale, latente, virtuale nella causa per vari motivi: innanzitutto
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ciò che prima è non-esistente non può diventare esistente; poi qualsiasi ente prodotto è non-diferente dalla sostanza-causa, per cui il prodotto, ancorché non-manifestato, preesiste alla forma come sostanza; infne vi è il fatto che la capacità di produrre appartiene a ciò che la possiede per natura. Così l’efetto ha la stessa natura sostanziale della causa ma, allorché viene prodotto, acquista nuove e diverse proprietà, dovute alla sua determinazione come effetto, proprietà che appunto lo defniscono e individuano come tale. «Per l’assenza di produzione del non-esistente, per la [necessità di] acquisizione della sostanza, per la non-esistenza della possibilità di originarsi di tutto, perché la produzione [di un efetto] è possibile [solo] da parte di ciò che possiede la [relativa] capacità e per la natura [dell’efetto analoga a quella] della causa, [si conclude che] l’efetto è esistente nella causa» Såµkhyakårikå: 9 Ciò implica la permanenza di una relazione causale nell’ambito di tutto il manifestato, tale che dalla constatazione dell’efetto molteplice si può inferire una causa unica, ossia risalire dalla molteplicità diferenziata del manifestato alla unità indiferenziata dell’Immanifesto. Il concetto di causalità secondo l’ottica tradizionale non contempla solo il senso orizzontale, secondo una catena causa-efetto ininterrotta sul medesimo piano, ma anche quello verticale: la causa non è soltanto la provenienza, l’origine degli enti-efetto, ma anche, e soprattutto, la sede, la sostanza, il sostrato logico e ontologico, il sostegno costante e la stessa natura. In tal modo permane una condizione di dipendenza dell’efetto dalla causa e, nell’ambito del processo manifestante, il suo emergere e riassorbirsi in quella che è sempre presente.
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La Prak®ti è sostanzialmente passiva ma non materia inerte in quanto contiene una potenzialità; non produce attività da sé, ma è energia allo stato virtuale, mera e illimitata potenzialità, ricettacolo di indefnita possibilità. Essa è il principio polare sostanziale, la sostanza-natura originaria (m¥laprak®ti), primigenia, unica e indiferenziata e quindi non-percepibile, l’Ente non-consapevole e autoesistente, ma anche il tatva primevo e unitario la cui presenza è necessaria e indispensabile per la produzione dell’efetto molteplice che è l’universo; è quindi il Produtore universale – da cui il nome Prak®ti – ovvero: Ciò che presenta il mondo composito e ordinatamente organizzato, da cui la denominazione alternativa di Pradhåna. La molteplicità oggettiva, delimitata da spazio e tempo, lascia intuire l’unità sostanziale da cui si sviluppa l’intera manifestazione e che, a manifestazione efettuata, si rivela attraverso una relazione di continuità esistenziale, ovvero di assenza di distinzione sostanziale, tra tutti gli enti, a qualunque regno appartengano; e ciò non solo nel piano orizzontale del manifestato, sede della forma, ma anche – come accennato – nel senso verticale della provenienza progressiva dal principio sostanziale prak®tico. Qesta potenzialità insita nella Prak®ti trova attuazione in virtù di due fattori: il primo è la costituzione stessa della Prak®ti, il secondo è la necessaria presenza di un Principio cosciente che, appunto, la attivi. Se, pertanto, la Prak®ti, pur non-percepibile, viene stabilita con certezza attraverso l’inferenza (anumåna) – uno dei tre mezzi conoscitivi ammessi dal Såµkhya oltre alla percezione sensoriale (pratyak\a) e alla voce attendibile (åptavacana) – donde proviene l’impulso iniziale che ne porta in atto la potenzialità? In altre parole, se la Prak®ti è priva di consapevolezza e quindi di una volontà, quale principio è responsabile indiretto del processo manifestante operato direttamente dalla Prak®ti?
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Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda
Come accennato, per spiegare questo il Såµkhya contrappone alla Prak®ti, sostanza-causa sostanziale, il Puru\a, quale principio di coscienza-causa efciente, predicando un realismo dualistico e stabilendo così un dualismo ontologico principiale. Così da un lato vi è il Puru\a quale principio attivo e vivifcatore, dall’altro la Prak®ti quale sostanza universale passiva, plasmabile e attivabile; l’uno assimilabile simbolicamente al polo o fattore maschile, l’altra a quello femminile; l’uno defnibile come “spirito cosciente” – da cui il nome – l’altra come “sostanza incosciente”. È opportuno ribadire che la ‘sostanza prak®tica’ è immateriale, in quanto la materialità come qualità emerge solo con la produzione degli elementi grossolani. D’altra parte, per quanto la Prak®ti, l’Immanifesto unico, venga inferita dalla struttura organizzata dell’efetto-molteplice (il mondo), il Puru\a non può essere inferito sulla stessa base perché, avendo la natura del soggetto conscio ma nonagente, si cadrebbe in una regressione senza fne. Esso viene invece intuito come l’Ente stesso, attivata dal quale e per il fne del quale, la Prak®ti pone in atto la sua capacità produttiva, cioè opera la produzione del molteplice mondo dei tatva. Infatti si è detto che la Prak®ti è di per sé non-agente, ma diviene agente – nel senso che produce la manifestazione – quando ativata dal Puru\a e, in defnitiva, a favore di questo. «Essa. agisce senza scopo [per sé stessa], ma per il vantaggio di quello che è di per sé privo degli attributi principiali» Såµkhyakårikå: 60 Si dice, infatti, che mentre la Prak®ti-Pradhåna è ‘produttore’ e gli enti individuali e universali sono il ‘prodotto’, il Puru\a non è né l’uno né l’altro.
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«La sostanza originaria è non-prodotta, i sette [tatva] sono sia prodotti che produttori, mentre i sedici [altri tattva] costituiscono una modifcazione (prodotto); il Puru\a non è né produttore né prodotto» Såµkhyakårikå: 3 Inoltre la Prak®ti, essendo la causa, non può avere a sua volta una causa, quindi non ha origine, è incausata; pertanto non può nemmeno cessare ed è quindi eterna; per un principio di corrispondenza polare anche il Puru\a, privo di inizio e di termine, è eterno. «Sappi che la Prak®ti e lo stesso Puru\a sono entrambi senza inizio, e sappi che le modifcazioni e le stesse qualità hanno origine dalla Prak®ti» Bhagavadgıtå: 13.19 Dunque per il dar©ana Såµkhya la diade Puru\a-Prak®ti, e la dualità che rappresenta, costituisce la realtà ultima, di là dalla dimensionalità universale ma supporto di quella. Tale dualità (dvaita) è in sé irriducibile e reale, e i suoi fattori polari, pur reciprocamente incommensurabili in quanto di natura diametralmente opposta, rappresentano entrambi entità infnite e permanenti. Per quanto riguarda la costituzione, Kapila aferma che la Prak®ti è sostanziata dei tre guãa: essi non sono entità a sé – solo Prak®ti è sostanza – ma qualità (da cui il nome), o meglio i princìpi qualitativi, ossia gli atributi principiali quali stati allotropici della sostanza unitaria primordiale. Essi sono il satva, il rajas e il tamas. «I guãa sono essenziati [rispettivamente] di piacere, dolore e ofuscamento e svolgono [rispettivamente] la funzione di illuminare, sospingere all’attività e limitare [.] Si
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Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda
vuole che il satva sia leggero e luminoso, il rajas stimolante e mobile e il tamas stesso pesante e oscurante» Såµkhyakårikå: 12-13 È grazie all’azione dei gu~a che da un iniziale omogeneo indistinto, per natura immobile e immutabile, si perviene all’eterogeneo diferenziato, mobile e mutevole, cioè alla totalità composita, diversifcata e diveniente. Infatti i guãa riassumono le proprietà essenziali dell’equilibrio (satva) del dinamismo (rajas) e della staticità (tamas). Anche la constatazione che qualsiasi oggetto-ente può essere sperimentato in modo piacevole, doloroso o illusorio depone a favore di una comune origine a monte della diferenziazione qualitativa nei guãa che annetta in sé la totalità formale manifestabile (vai©var¥pya). Il nome satva deriva dal participio presente sat che signifca esistente, reale, stabile ed esprime uno stato di quiete, di luminosità, di serena stabilità; il rajas proviene dalla radice rañj che vuol dire colorare, ed esprime l’attività, il movimento e, per conseguenza, la mancanza di stabile quiete, quindi la soferenza; il tamas dalla radice verbale tam che signifca svanire, perire, perdersi, per cui esprime inerzia, staticità, indiferenza, oscurità e obnubilamento mentale. La Prak®ti è la potenzialità in cui i guãa giacciono in equilibrio, per cui è detta avere due possibili stati, quello della quiescenza non-esprimentesi e quello della attività espressiva, cioè rispettivamente della non-manifestazione e della manifestazione produttiva. Finché i guãa si trovano in uno stato di reciproco equilibrio proporzionato, rimangono inattivi, indistinti, virtualmente esistenti ma inespressi in quanto giacenti in una sorta di mutua identità (såmya): la Sostanza non si manifesta, non avvia la produzione dei tatva. Fin quando essi sono non-separati, sono non-agenti, mentre dalla loro separa-
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zione si ha anche la loro capacità di azione. Qando la Prak®ti viene attivata dal Puru\a con la sua sola presenza, essa dà luogo ai diversi princìpi-tatva che formano la manifestazione. Qando, a seguito di quella che si defnisce analogamente a una “scossa” (k\obha), come nello Âivaismo, tale equilibrioidentità viene a rompersi, allora, generandosi, da tale squilibrio indotto, una instabilità, si ha una simultanea diferenziazione-emergenza dei guãa (vai\amya) che si attivano e, attraverso la loro azione e interazione, portano alla manifestazione universale. Dunque i guãa esistono come tali ed agiscono e interagiscono solo nel movimento-attività, da cui la necessaria conseguenza della trasformazione continua (pari~åma) che è ancora un concetto basilare del Såµkhya. Dunque per il Såµkhya la venuta all’essere della manifestazione (udbhåva) rappresenta lo sviluppo interattivo dei guãa in seno alla Prak®ti che resta immodifcata nella sua natura, dalla attivazione iniziale indiretta ad opera del Puru\a fno alla produzione successiva dei tatva quali fattori costitutivi nei vari piani fno agli enti ultimi. La distruzione è invece il riassorbimento (anudbhåva), il ritorno di ogni ente-efetto nell’ente-causa di provenienza, quindi di ogni piano di esistenza in quello superiore. Tra le due, venuta all’essere e distruzione, vi è la trasformazione (åvirbhåva) che porta ogni prodotto prak®tico a mutare passando da una forma-esistenza all’altra (tirobhåva) segnando una sorta di complessa metamorfosi interna alla sostanza prak®tica. Per quanto riguarda la natura dell’impulso trasformante all’interno del processo di produzione dell’efetto, il Såµkhya contempla una componente materiale (causa interna), legata alla natura sostanziale, ed una componente efciente (causa esterna): dalla loro combinazione (sahakåritva), cioè dalla loro azione simultanea, è determinato il cambiamento di stato, ovvero l’assunzione di una data forma, la quale individua l’ente-
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efetto; ciò presuppone tre elementi coefcienti: la dimensione spaziale (de©a), quella temporale (kåla) e la cosiddetta forma costituente (åkåra). In altri termini, perché l’ente venga a manifestarsi attraverso una trasformazione da uno stato precedente della sostanza prak®tica, occorre la coincidenza di un fattore spazio, di un fattore tempo e di un fattore forma: il loro insieme costituisce quella possibilità che, venendo ad attuarsi, consente la produzione-emergenza dell’ente. Per il citato principio di continuità la manifestazione è la espansione progressiva verso il basso sia della polarità inerente alla diade principiale – polarità cognitiva che, come detto, si ritrova in ogni entità – sia dell’azione reciproca dei guãa. Ogni ente, ogni stato ed ogni atto nel cosmo è sostanziato dai guãa e caratterizzato, diremo individuato, proprio dalla proporzione della loro mescolanza: essi non sono mai isolati, non agiscono singolarmente, ma solo combinati in proporzione variabile e tale mescolanza stabilisce non solo le proprietà esterne e percepibili dell’ente, ma anche quelle interne e, conseguentemente, il suo stesso corso esistenziale. Qesto vale anche nella produzione dei tatva, le essenze principiali o princìpi costitutivi che defniscono i vari piani dell’essere. Dalla interazione tra il Puru\a e la Prak®ti emerge il primo tatva che è la buddhi o mahat, ossia l’intelletto, la sfera più vicina al centro autocosciente del puru\a. Dall’intelletto emerge l’ahaµkåra, il fattore egoico, il senso dell’io quale soggetto della conoscenza, dell’azione e della esperienza individuale che esso elabora attraverso l’ulteriore tatva che è il manas, la mente sensoriale-razionale, e svolge tramite i cinque jñånendriya, le facoltà di conoscenza-percezione, e i cinque karmendriya, le funzioni relative agli organi di azione. Infne, troviamo i tanmåtra, corrispondenti alle essenze sottili o qualità essenziali degli elementi sottili, e in certo grado identifcate con loro, e i mahåbh¥ta, gli elementi grossolani.
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Dal tatva originario che è la Prak®ti o Pradhåna, grazie all’attività indotta dalla presenza del Puru\a, discendono altri 23 tatva che, insieme alla diade principiale, assommano a 25. Nelle dottrine Âaiva analoghe categorie vengono fatte discendere da quelle principiali di Âiva e della Âakti. Anche per il Såµkhya, analogamente al Vedånta Advaita, l’organo fsico corporeo è una concretizzazione, una sorta di materializzazione della rispettiva funzione, come questa, a sua volta, lo è del tattva inerente. Dato il loro processo di formazione, i tatva contengono i guãa, per cui la varietà di colorazione da questi determinata si riscontra a partire dalla buddhi all’ahaµkåra fn nei restanti fattori, mostrando in ognuno tre modalità secondo la loro prevalenza relativa. Pur essendo unici sia la Prak®ti che il Puru\a, mentre quella mantiene la sua natura di unitarietà da cui si sviluppa progressivamente l’universo composito e molteplice, l’altro possiede una natura unitaria solo in modo virtuale, in quanto si presenta come la molteplicità dei puru\a individuati. Per Kapila vi sono tanti puru\a quanti sono gli esseri viventi, i jıva; questo perché le esperienze dei singoli puru\a sono diferenti in contenuto, spazialità e temporalità e trovano una loro integrazione totale, ancorché virtuale, solo in un Puru\a universale. Così il Puru\a-principio consapevole, autoesistente, infnito e non-agente, pur essendo unico, si rifette nei diversi puru\a-jıva; questi, per quanto infnitesimi, mantengono la natura di conoscitore di fronte al conosciuto, di soggetto sperimentatore in rapporto all’oggetto sperimentato, a qualunque piano appartenga. Infatti, mentre il Puru\a, con la sua sola presenza, attiva per induzione la Prak®ti ponendola in condizione di dar luogo alla progressiva manifestazione dei vari princìpi-tatva, dalla buddhi ai mahåbh¥ta, generando così tanto gli enti quanto i
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piani di esistenza che formano il mondo fenomenico, d’altra parte esso, tramite i suoi rifessi individuati, vi si identifca obliando apparentemente la propria natura indipendente di coscienza. Sono questi puru\a individuati che, identifcandosi con i prodoti prak®tici che formano i loro veicoli e con le si tuazioni fenomeniche contingenti, vengono per così dire ad essere imprigionati nel piano della manifestazione sperimen tando una condizione di schiavitù (bandha) atraverso la sog gezione a un divenire trasformante senza termine. Solo cono scendo il meccanismo con cui la Prak®ti manifesta la totalità ci si può astrarre dal suo potere imprigionante, cioè consegui re la liberazione (mok\a). Per questo, all’inizio del testo, si aferma che la soluzione della soferenza legata alla esistenza può avvenire solo grazie alla discriminazione del soggeto conoscitore dall’oggeto co nosciuto. È stato deto che, per logica, un principio cosciente deve essere ammesso perché qualsiasi entità ordinatamente strut turata presuppone una entità conscia per lo scopo della quale esiste. Ugualmente qualsiasi esperienza riferibile ai guãa comporta l’ammissione di un soggetto sperimentatore co sciente. Così la Prak®ti, in tuti i suoi piani e anche come Im manifesto, viene a costituire un oggeto di fruizione in rap porto al Puru\a che costituisce il soggeto fruitore; inoltre, la sostanza primordiale, allorché è ativata, diviene capace di mutare davanti al soggeto per cui si dice che è una entità che ‘agisce’ – cioè si trasforma attraverso l’azione reciproca dei guãa – ai fni di un altro (parårtha). Il Såµkhya esprime dunque una concezione teleologica della potenzialità prak®tica: la stessa Prak®ti, pur priva di con sapevolezza, produce atività ed entità oggetive al duplice scopo della esperienza del divenire da parte del soggeto e del la emancipazione di quest’ultimo dalla relazione identifcante con l’oggeto.
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Mentre non si può stabilire un inizio temporale per l’esi stenza del puru\a, si può invece considerare che l’esperienza samsarica individuale avviene in concomitanza con la for mazione della buddhi e che, pertanto, l’essere cosciente accu mula identificazioni lungo successive nascite. Si è deto che la conoscenza prospetata dal Såµkhya con siste nella comprensione della distinzione di natura tra il ma nifestato che è l’efeto visibile, il non-manifestato che ne è la causa invisibile e il loro conoscitore, distinto da entrambi; la liberazione (mok\a) consiste invece nel recupero della propria natura di pura consapevolezza da parte del puru\a. Poiché il Puru\a, pur identificandosi con la Prak®ti atra verso i rifessi-jıva, mantiene la sua natura, la condizione di schiavitù cui sembra sotostare il puru\a individuato è appa rente, per cui lo è anche la sua liberazione. Ora, se il conosci tore-puru\a non è realmente asservito alla Prak®ti, chi è che trasmigra? I veicoli, che sono prak®tici; è quindi la Prak®ti stessa che si muove, si trasforma ossia evolve internamente. Del resto tute le condizioni oggeto di conoscenza, fisiche, psichiche, ecc. appartengono come tali solo alla Prak®ti. «Il dissolubile (il corpo sotile). [pressoché] permanen te. trasmigra senza esperire [ma] pervaso dai modi della esistenza» Såµkhyakårikå: 40 Come nel Vedånta Advaita, anche nel Såµkhya il corpo sotile è il veicolo del puru\a che trasmigra, in quanto riceta colo delle tendenze latenti e quindi latore di un carico karmi co quale seme di successivi sviluppi formali-esperienziali. È dunque la stessa Prak®ti che, prima con il suo aspeto ta masico e rajasico ‘imprigiona’ il puru\a, quindi con quello sat tvico lo ‘libera’.
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Pertanto per il Såµkhya la Prak®ti, con il suo processo di trasformazione-manifestazione, assolve lo scopo di svelarsi al puru\a e il puru\a, grazie alla conoscenza discriminante, raggiunge quello di isolarsi dalla Prak®ti per ristabilirsi nella propria natura di coscienza. «Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti che, appena avverte: ‘sono stata vista’, non si presenta più alla visione del Puru\a» Såµkhyakårikå: 61 Anche per il Såµkhya la Prak®ti, quale Immanifesto, costituisce qualcosa di inaferrabile direttamente la cui natura è tale che, una volta compresa nella sua essenza, cessa per così dire di prodursi nelle proprie possibilità manifestanti. D’altra parte, la conoscenza che discrimina il puru\a dalla Prak®ti non è qualcosa che si verifca solo dopo la morte – passaggio di stato che appartiene al piano prak®tico efettuale – ma uno stato di consapevolezza che si può attingere e rendere stabile anche in vita: «Così: dall’esercizio continuo concernente i tatva. sorge la conoscenza che, essendo priva di contraddizione, è perfettamente pura e assoluta» Såµkhyakårikå: 64 Come una ruota di vasaio che, in forza dell’impulso impressole, continua a girare anche dopo svolta la sua funzione, così il corpo del puru\a liberato permane nella sua attività vitale fno all’esaurimento del karman; poi, alla morte fsica, i costituenti tornano alla Prak®ti che non può più determinare attività imprigionante per tale puru\a. Qando, realizzata la conoscenza, il puru\a individuato, avente la medesima natura del Puru\a, si è distaccato dalla
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Prak®ti, questa cessa altresì di manifestare e manifestarsi e il puru\a stesso rientra per così dire nella propria natura: tale separazione e stabilizzazione del puru\a in sé, ovvero il suo isolamento (kaivalya) dal manifestato e dal manifestanteImmanifesto, è lo stadio più elevato conseguibile per il Såµkhya, oltre il quale non è possibile andare. «Grazie a ciò, il Puru\a, come un osservatore [distaccato], afatto fermo, in sé stabilito. Uno spettatore stabile: così è l’osservatore unico. Ottenuta la separazione dal corpo, quando vi è la totale cessazione dell’attività da parte del Pradhåna, in quanto ha raggiunto lo scopo, [il Puru\a] consegue l’assolutezza che è ambedue le cose: unica e defnitiva» Såµkhyakårikå: 65-68 Alcune interpretazioni del Såµkhya sono state adottate anche da diverse scuole buddhiste, nonché da correnti sia Vai≤ãava che Âaiva. Come accennato all’inizio, parte della terminologia propria del Såµkhya è in comune con altri dar©ana o altre correnti flosofche, talora mantenendo una similitudine di signifcato, talaltra evolvendo verso sensi più sottili. Ad esempio la Prak®ti, anteriormente allo k\obha iniziale, si identifca con l’Immanifesto, mentre nel Vedånta l’avyakta, in quanto unità indistinta, è l’Essere universale, dunque la stessa Unità indiferenziata ma qualifcata ed emersa in virtù di måyå che attraverso la måyå stessa contiene e proietta in sé la molteplicità universale. Ancora la Prak®ti, da causa di natura sostanziale nel Såµkhya, diviene nelle dottrine Âaiva la ©akti di uno ©uddhatatva mentre nel Vedånta Advaita (Âve. 4.10) viene assimilata alla stessa måyå, considerata una apparenza del Brahman, perdendo così la natura di sostanza e assumendo quella di possibilità.
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Il Puru\a, da parte sua, da principio cosciente polare del Såµkhya diviene il principio unitario del dar©ana Yoga corrispondente in certo modo all’Essere qualifcato universale (Ù©vara, Brahman saguãa) mentre, nel Vedånta Advaita si identifica con lo stesso Brahman nirguãa, il Senza-secondo. Il Såµkhya, come accennato, fornisce alcuni concetti-base al dar©ana Yoga ma, mentre per il Såµkhya permane una eterna e irresolubile contrapposizione tra lo spirito-puru\a e la materia o sostanza-Prak®ti, nel dar©ana Yoga tale dualismo viene integrato e la diade principiale Puru\a-Prak®ti viene sintetizzata in Ù©vara, il Signore, dalla cui natura di unità qualifcata tutto promana. Il dar©ana Vedånta Advaita, poi, basato sulla compilazione delle Upani\ad e codifcato prima da parte di Gauƒapåda, con la dottrina della non-generazione, e quindi da Âa√kara, con i suoi commentari alla Triplice Scienza (prasthånatraya) comprendente Upani\ad principali, Bhagavadgıtå e Brahmas¥tra, trascende anche tale unità qualifcata e aferma il Brahman nirguãa, nella sua natura di Non-dualità (advaita), come il Sostrato metafsico ultimo e indipendente da tutto, la realtà assoluta sullo schermo della quale le immagini non solo della dualità-molteplicità fenomenica universale ma persino della unità principiale non sono che semplici sovrapposizioni proiettate attraverso la possibilità di måyå. Pertanto, come accade per altri dar©ana, anche il Såµkhya si rivela inadeguato a fornire una spiegazione defnitiva e comprensiva dell’esistente e del trascendente, in quanto limitato nella sua ottica a particolari aspetti del processo universale, ma resta tuttavia valido come prospettiva parziale che trova completa soluzione nella visione metafsica Advaita. La prima opera scritta sul Såµkhya è lo ≥a≤†itantra attribuito, non senza incertezza, a Pañca©ikha e citato nell’ultimo verso del presente testo; neanche il Såµkhyas¥tra, commentato, fra gli altri, da Vijñånabhik\u, può essere attribuito a
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Kapila. La compilazione defnita del dar©ana Saµkhya è co stituita proprio dal testo noto come Såµkhyakårikå¢, “Le strofe del Såµkhya”– o, secondo altre redazioni, Såµkhyakå rikå, “La tratazione esplicativa del Såµkhya” – che costitui sce una spiegazione dell’opera citata ed è tradizionalmente atribuito a Ù©varak®\ãa, un flosofo indiano vissuto in epoca incerta fra il I e il V secolo d. C.; data la sua importanza, l’opera fu tradota in cinese già nel VI secolo d.C. Tra i diversi commenti che il testo ha avuto nel tempo, viene qui presentato quello atribuito a Gauƒapåda, promul gatore della dotrina della non-generazione (ajåtivåda) e au tore della celebre Kårikå alla Må~ƒ¥kya Upani\ad, il quale redasse commenti anche di testi sia della Sm®ti (Uttaragıtå) sia di opere non appartenenti all’Advaita. Egli dilucida con sistematicità ogni ©loka, sofermandosi in special modo sia su questioni di caratere pretamente flosofco-metafsico, che sulle elencazioni di entità, proprietà, atributi e gradazioni che nei versi vengono solo citate. La sua è ovviamente una letura non-dualistica che in un certo senso adota la metodologia propria del Såµkhya prendendo ato della sua opera di analisi del manifestato per predisporre a quella che è la pura conce zione Advaita, quindi per integrare la manifestazione e com prenderla come espressione di possibilità. Ciò si può notare in particolare laddove il termine puru\a viene riferito indife rentemente all’essere cosciente individuale o allo Spirito su premo, l’Essere cosciente metauniversale, cioè al supremo åtman. Del resto, come nell’Advaita, anche per il Såµkhya il fne dell’essere è la liberazione dal divenire esistenziale tra smigratorio e questa completa emancipazione, onde essere tale, deve coincidere con il raggiunto stato di assolutezza (kaivalya) da parte del puru\a, assolutezza ‘unica e defnitiva’ che, come natura propria che ogni puru\a deve svelare in sé distaccandosi dalla contingenza prak®tica, è la medesima, im mutabile ed eterna natura del Puru\a-åtman.
Ù©varak®≤ãa
SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ « Le Strofe del Såµkhya »
CON IL COMMENTO DI
GAU‡APÅDA
Omaggio a Ga~e©a Sia reso omaggio a Kapila, a quegli dal quale, per compassione verso il mondo immerso nell’oceano della ignoranza, è stata allestita, al fne di traversarlo, la zattera costituita dal Såµkhya. Per il bene dei discepoli io esporrò chiaramente e in sintesi la Scritura, consistente in un breve trattato, unitamente alle prove di evidenza, alle conclusioni e alle motivazioni.
1. Dal tormento dovuto al triplice dolore [sorge] l’istanza di conoscenza in relazione al mezzo per rimuovere tale [soferenza]. Se [si obieta che tale istanza di conoscenza] è inutile in quanto [sifato mezzo] è già conosciuto, [si risponde] no, perché [della rimozione del dolore atraverso tale mezzo già osservato] non vi è persistenza [né] in modo assoluto né in modo defnitivo. “(Dal tormento dovuto) al triplice dolore.”: si stila [ora] una introduzione a questa strofa. In questo contesto il venerabile di nome Kapila (il codifcatore del dar©ana Såµkhya) era fglio di Brahmå: infatti [dalla Sm®ti si apprende]: «Sanaka, Sananda e, per terzo, Sanåtana, [quindi] Åsuri e lo stesso Kapila e, poi, ancora Voƒhu e Pañca©ikha: questi fgli di Brahmå sono celebrati come i sette grandi Saggi (mahar\i)». A Kapila vennero unitamente la virtù (dharma), la conoscenza (jñåna), il distacco (vairågya) e il divino potere (ai©varya). Così, non appena venne all’esistenza, vedendo il mondo immerso nella cieca tenebra [dell’ignoranza], in quanto asservito all’ininterrotto divenire ciclico esistenziale (saµsåra), pieno di compassione espose al bråhmaãa Åsuri, che apparteneva alla sua stessa stirpe e aveva maturato una istanza di conoscenza, questa scienza dei venticinque tatva, grazie alla conoscenza della quale si invera la distruzione della soferenza: «Il (devoto) conoscitore dei venticinque tatva, qualunque sia lo stadio di vita in cui si trova, che sia un discepolo dalla chioma intrecciata, un asceta dalla testa rasata oppure un mendicante, viene liberato; su ciò non vi è dubbio». Egli disse questo: “Dal tormento dovuto al triplice dolore [sorge] l’istanza di conoscenza.”. In questo contesto il tripli-
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ce dolore (du¢khatraya) comprende quello di natura individuale, quello di natura elementale e quello di natura divina. Tra loro quello di natura individuale (ådhyåtmika) è duplice: corporeo e mentale; quello corporeo è prodotto da uno squilibrio nell’aria [racchiusa nei visceri], nella bile e nella linfa, [e può manifestarsi] come stato febbrile, dissenteria o altro; quello mentale deriva dalla separazione da ciò che è piacevole e dal contatto con ciò che è spiacevole, ecc. Qello di natura elementale (ådhibhautika) ha causa in un quadruplice insieme di esseri (bh¥ta) e si genera a contatto con esseri che nascono [rispettivamente] da un embrione, da un uovo, dalla umidità o da un germoglio, ovvero da esseri umani, animali domestici, animali selvatici, uccelli, serpenti, insetti volanti, pulci, pidocchi, predatori marini, coccodrilli ed esseri immobili (piante, ecc.)1. Qello di natura divina (ådhidaivika) si riferisce a quello proprio [causato da parte] degli dèi o è [detto] divino in quanto proviene dal cielo; esso sorge appunto in relazione a ciò ed è determinato da [esperienze sensorie dolorose, come quelle prodotte da eccessivi] caldo e freddo, [da agenti naturali come] vento, fulmini, ecc.2 Tale è il modo in cui “Dal tormento dovuto al triplice dolore” è prodotta “l’istanza di conoscenza.”. In relazione a che cosa? “.in relazione al mezzo per rimuovere tale [soferenza]”. Qi ci si riferisce a quello che è il mezzo (hetu) capace di rimuovere tale triplice dolore. Obiezione: “Se [si obietta che tale istanza di conoscenza] è inutile in quanto [sifatto mezzo] è già conosciuto.”. Qalora si obiettasse che tale istanza di conoscenza in relazione al mezzo in grado di rimuovere il triplice dolore è priva di utilità (apårthå), in quanto il mezzo [in questione] è già conosciuto. In merito a ciò si constata che per quello [che è il dolore] di
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natura individuale, per quanto di duplice specie, vi è [per quello corporeo] la cura dettata dalla scienza della medicina, con pozioni dal sapore acidulo, amaro o pungente, ecc., [mentre per quello psichico] l’accostamento al piacevole e l’allontanamento da ciò che è spiacevole; così è [conosciuto] il mezzo idoneo per [rimuovere] quello di natura individuale. [Anche] per quello di natura elementale [in quanto dovuto a fenomeni naturali, ecc.] si osserva che vi è ciò che è in grado di rimuoverlo, come il mettersi al riparo e così via. Risposta: Se pensi questo, cioè che tale [istanza di conoscenza] è inutile dal momento che [il mezzo per rimuovere il triplice dolore] è già conosciuto, [la risposta è] “no, perché [della rimozione del dolore attraverso tale mezzo già osservato] non vi è persistenza [né] in modo assoluto né in modo defnitivo”. Poiché attraverso il mezzo [ordinariamente] constatato la rimozione [della esperienza del dolore] non avviene “[né] in modo totale”, cioè incondizionato, “né in modo defnitivo”, cioè per sempre, perciò l’istanza di conoscenza (jijñåså), la ferma volontà di conoscere relativa al mezzo in grado di rimuovere [l’esperienza del dolore] in modo totale e defnitivo, deve essere concepita in relazione ad altro. Obiezione: Qalora si dovesse concepire una istanza di conoscenza in relazione ad altro ancora rispetto al [mezzo ordinario] già noto, anche riguardo a tale [possibilità si risponderà]: nient’affatto, perché il mezzo in grado di rimuovere [completamente] il triplice dolore viene appreso tramite la tradizione vedica. La tradizione vedica (anu©rava) comporta il ripetuto ascolto di quanto è tramandato dalla Âruti; ciò che appartiene ad essa è [detto] appreso tramite la tradizione vedica (ånu©ravika), come [si comprende] dalla Âruti: «Abbiamo libato il soma, siamo divenuti immortali, abbiamo raggiunto
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la luce e abbiamo conosciuto i deva. Ordunque, il nemico sarà nei nostri confronti impotente: quale danno [potrà mai infiggere] un mortale all’immortale?» (Íg Veda: 8.48.3, Atharva©ira Upani≤ad: 3). Un tempo, tra i deva come Indra e gli altri sorse la questione: ‘In che modo, noi, divenimmo immortali?’. Avendo indagato [su ciò, conclusero]: ‘Poiché abbiamo libato il soma, grazie a questo siamo divenuti immortali, ci siamo resi liberi dalla morte’. Tale è il senso. E inoltre [sempre per aver libato il soma], ‘Abbiamo raggiunto la luce, cioè siamo pervenuti alla luce, abbiamo guadagnato il cielo (svarga) e abbiamo [anche] conosciuto i deva, cioè abbiamo acquisito la conoscenza [che è propria solo] degli esseri divini. E così, adesso, nei nostri confronti, il nemico sarà come impotente: il nemico, l’avversario ora sarà certamente per noi del tutto inofensivo. Qale danno [potrà mai infiggere] un mortale all’immortale? Cioè: quale danno, come una malattia o una offesa fsica, potrà mai il mortale procurare all’immortale?’. Vi è dell’altro: nel Veda si apprende che il frutto defnitivo [lo si consegue anche] attraverso il sacrifcio animale: «Colui che sacrifca mediante l’A©vamedha conquisterà tutti i mondi, sconfggerà la morte, si porterà al di là dell’errore e supererà persino [il grave demerito che comporta] la uccisione di un bråhmaãa». Così, poiché il [mezzo] totale e defnitivo risulta già esposto nel Veda, [si sostiene] che la istanza di conoscenza [nei suoi riguardi] è affatto inutile. Risposta: No, [infatti] viene detto: 2. Il [mezzo per rimuovere il triplice dolore] rivelato dalla tradizione vedica è come quello [stesso già] conosciuto: infati esso è congiunto con l’impurità, l’esauribilità e la [relativa] prevalenza. Superiore [rispeto ad esso] è [il mezzo] opposto a ciò, [in quanto derivante] dalla chiara conoscenza del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore.
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“Il [mezzo per rimuovere il triplice dolore] rivelato dalla tradizione vedica è come quello [stesso già] conosciuto”: [l’espressione] “come quello [stesso già] conosciuto” (d®\†avat) [signifca]: è analogo a quello ordinariamente noto3. Obiezione: Perché quello che è “il [mezzo] rivelato dalla tradizione vedica” è come quello [stesso già] conosciuto? Risposta: Perché “è congiunto con l’impurità, l’esauribilità e la [relativa] prevalenza”. Infatti l’uccisione di animali è congiunta con l’impurità e, in tal senso, è stato detto: «Seicento animali debbono essere sacrifcati al mezzodì, secondo l’asserzione dell’A©vamedha, meno tre animali». Ora, sebbene tale dovere religioso (dharma) venga ingiunto sia dalla Âruti che dalla Sm®ti, tuttavia esso è congiunto con l’impurità per via della [sua] natura di combinazione [di fattori eterogenei]. Analogamente [è detto]: «Di era in era molte migliaia di Indra e di deva vengono soverchiate dal tempo (kåla), mentre il tempo è insuperabile», per cui, dalla distruzione cui sono soggetti Indra e gli altri [deva, si conclude che il mezzo suddetto] è destinato a esaurirsi4. Similmente, la prevalenza [relativa] (ati©aya) è una particolarità (vi©e\a) e [il mezzo in esame] è congiunto con essa in quanto, dalla constatazione di una qualità costituita da una particolarità, sorge la soferenza in rapporto a un altro [ente che non ne è dotato]. Così anche il [mezzo] rivelato dalla tradizione vedica è [limitato] come quello [ordinariamente] osservato. Si deve ora stabilire questo: qual è, allora, il [mezzo] ‘superiore’ ? “Superiore [rispetto ad esso] è [il mezzo] opposto a ciò”: superiore (©reyån), dunque maggiormente degno di essere celebrato, è quello opposto ai due [mezzi anzidetti], cioè a quello osservato [ordinariamente] e a quello rivelato in conformi-
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tà alla Âruti, in quanto non congiunto con l’impurità, l’esauribilità e la [relativa] prevalenza. E come [viene ottenuto]? Si dice: “.dalla chiara conoscenza del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore”. A tale riguardo il manifestato (vyakta) consiste nel mahat e gli altri [tatva] – cioè: l’intelletto superiore (buddhi), il senso dell’io (ahaµkåra), i cinque elementi sottili (tanmåtra)5 gli undici sensi (indriya)6 e i cinque elementi grossolani (mahåbh¥ta) – l’Immanifesto (avyakta) è il Pradhåna e il conoscitore (jña) è il Puru\a7. Così questi venticinque tatva vengono recitati [riassuntivamente] come: il manifestato, l’Immanifesto e il conoscitore. Dalla loro chiara conoscenza (vijñåna) [deriva] il [mezzo] superiore ed [in proposito] è stato detto: «Il (devoto) conoscitore dei venticinque tatva.». Qal è, dunque, la distinzione tra il manifestato, l’Immanifesto e il [loro] conoscitore? Si dice: 3. La sostanza-natura originaria è non-prodota, i sete [tatva] quali il mahat e gli altri sono sia prodoti che produtori, mentre gli [altri] sedici costituiscono una modifcazione (prodoto); il Puru\a non è né produtore né prodoto. La sostanza-natura originaria è il Pradhåna in quanto è l’origine dei sette [fattori] varianti e invarianti; e poiché essa è sia la sostanza-natura (prak®ti) che l’origine (m¥la), è [detta] sostanza-natura originaria (m¥laprak®ti). È “non-prodotta” (avik®ti) in quanto non sorge da [alcun] altro [ente], per cui la sostanza (prak®ti) non costituisce una modifcazione (vikåra) di qualcosa [di altro da sé]. “.i sette [tatva] quali il mahat e gli altri sono sia prodotti che produttori”. Il mahat è l’intelletto superiore (buddhi); l’in-
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telleto superiore e gli altri sono sete in quanto comprendono l’intelleto superiore, il senso dell’io e le cinque qualità sotili (tanmåtra). Qesti sete [tattva] sono sia produtori (prak®ti) che prodoti (vik®ti), vale a dire: la buddhi sorge dal Pradhåna, per cui è un prodoto in quanto modifcazione (vikåra) del Pradhåna; quella stessa [buddhi] dà origine al senso dell’io, per cui è produtore. Il senso dell’io sorge dall’intelleto, quin di è un prodoto, mentre è produtore in quanto dà origine al le cinque qualità sotili. La qualità sotile del suono (©abda) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodotto, mentre da quel la viene ad essere lo spazio (åkå©a), per cui è produtore8. Si milmente la qualità sotile del tato (spar©a) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine all’aria (vayu), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile dell’ol fato sorge dal senso dell’io, per cui è un prodotto, ed essa dà così origine alla terra (p®thivı), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile della forma (r¥pa)9 sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine al fuoco (tejas), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile del gusto (rasa) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine all’acqua (åp), per cui è [anche] produtore. Così “i sete [tattva] quali il mahat e gli altri sono sia prodoti che produtori, (mentre) gli [altri] sedici costituiscono una modif cazione” (vikåra, e quindi sono solo un prodoto). Essi sono: i cinque organi di percezione (buddhındriya), i cinque organi di azione (karmendriya), la mente (manas) come undicesimo e i cinque elementi grossolani (mahåbh¥ta). Qesta serie di sedi ci [fatori] è anch’essa un prodoto, in quanto la modifcazio ne (vikåra) costituisce un prodoto (vik®ti). [Invece] “il Puru\a non è né produtore né prodoto”. Così, in relazione a queste tre categorie (padårtha) [che riassumono i venticinque tattva soto i nomi] del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore, grazie a quali e a quanti mezzi di conoscenza validi (pramåãa), ovvero mediante quale
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o da quale mezzo di evidenza conoscitiva si ha la [loro] perfetta conoscenza? Qi, nel piano empirico, l’oggetto conoscibile viene accertato attraverso il mezzo di evidenza conoscitiva [appropriato], come il riso [viene valutato] mediante talune misure di capacità, ecc. e il sandalo con la bilancina. Pertanto [ora] si deve esporre [qual è] il mezzo di conoscenza valido. 4. La percezione, l’inferenza e la voce atendibile, poiché comprendono qualsiasi [altro] mezzo di conoscenza valido, sono il triplice mezzo di conoscenza approvato: infati l’acquisizione del conoscibile si ha grazie al mezzo di conoscenza [suddeto]. La percezione [viene defnita] come [la rispettiva funzione di organi quali]: l’orecchio, la pelle, l’occhio, la lingua e il naso, cioè i cinque organi di percezione (buddhındriya), [mentre] il suono, il tatto, la forma, il sapore e l’odore sono rispettivamente [gli oggetti] di questi stessi cinque [sensi]; l’orecchio percepisce il suono, la pelle il tatto, l’occhio la forma, la lingua il gusto e il naso l’odore. Qesto è il mezzo di conoscenza valido (pramåãa) che viene defnito come percezione [degli oggetti, cioè la facoltà che permette di distinguerli, d®\†a: ‘il visto’, ‘il percepito’]. Ora, l’oggetto che non viene aferrato né attraverso la percezione sensoriale diretta (pratyak\a) né attraverso l’inferenza (anumåna), può essere còlto attraverso la voce attendibile (åptavacana), come Indra [viene appreso] quale sovrano dei deva, o i Kuru a settentrione o, ancora, le Apsaras nel cielo, ecc. Qello che non può essere appreso tramite la percezione sensoriale diretta o l’inferenza, viene dunque appreso solo attraverso la voce attendibile, ed è stato anche detto: «La tradizione scritturale (ågama), invero, è voce attendibile, ed appartiene al saggio per via della eliminazione del difetto [da parte di lui]. Colui la cui imperfezione è stata distrutta non
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pronuncerà [mai] un’asserzione fallace perché non ne ha motivo. Intento alla propria [giusta] azione, quegli che è totalmente privo di attaccamento e avversione sarà sempre onorato da coloro a lui simili: egli deve essere conosciuto come uno che è degno di fede». In questi [tre] mezzi di conoscenza validi sono compresi tutti i mezzi di conoscenza. Jaimini10 [considera invece] sei mezzi di conoscenza validi. Qali sono tali mezzi di conoscenza? I sei mezzi di conoscenza validi sono: ipotesi fondata, inclusione, non-esistenza, ideazione, consuetudine e analogia11. Al riguardo, l’ipotesi fondata (arthåpati) è di due specie: [ha origine da] percezione diretta o ascolto. Per quanto concerne la percezione diretta: se l’esistenza reale dell’åtman è ammessa secondo un punto di vista, allora deve essere ammessa anche secondo un [qualsiasi] altro punto di vista. Per quanto riguarda l’ascolto: ‘[si è udito che] di giorno Devadatta non mangia, eppure viene visto essere grasso: da ciò si desume che mangia di notte’. L’inclusione (sambhava) è [defnita] come: in un prastha (unità di peso) sono inclusi quattro kuƒava (frazioni). La non-esistenza (abhåva) viene defnita [di quattro tipi]: antecedente (pråg), reciproca (itaretara), assoluta (atyanta) e non-esistenza totale (sarvåbhåva). La non-esistenza precedente (prågabhåva) è, per esempio, [quando si considera un tale] Devadatta [prima] nella fanciullezza, [poi] nella giovinezza, ecc. (ossia in tempi nei quali egli non esiste come tale nel periodo precedente); la non-esistenza reciproca o relativa (itaretaråbhåva) è quando, ad esempio, in relazione a un vaso vi è non-esistenza di un tessuto [e viceversa]; la non-esistenza assoluta (atyantåbhåva) è come per le corna di un asino, il fglio di una donna sterile o una foritura nel cielo; la nonesistenza totale (sarvåbhåva) è quella che consegue alla distruzione, come per una stofa che sia andata bruciata; ancora [in generale], dalla constatazione del grano secco si comprende la non-esistenza della pioggia. Così la non-esistenza è
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molteplice. L’ideazione (pratibhå, proiezione immaginativa) è [definita] come: ‘Qel territorio, sito a meridione del Vindhya e a setentrione del Sahya, che si estende dalla terra al mare, è incantevole’: quando si è asserito in tal modo [sorge l’idea che] in quel territorio vi siano [tante] piacevoli qualità. [Così si può dire che] l’ideazione consegue a [quelle che sono] e spressioni verbali. La consuetudine (aitihya) è [definita] come ciò che chiun que dice solo seguendo il proprio modo abituale di esprimersi, per esempio: ‘in ogni va†a (Ficus Indica) dimora una yak\i~ı’. L’analogia (upamåna) è [quando si aferma] per esempio: ‘un gayal (specie bovina, Bos Gavaeus) è come un bue’, oppu re :‘uno stagno è come un oceano’. Qesti sei mezzi validi di conoscenza sono contenuti nei tre quali la percezione e gli altri (cioè l’inferenza e la voce at tendibile). Tra loro l’ipotesi fondata rientra nella inferenza, mentre l’inclusione, la non-esistenza, l’ideazione, la consuetu dine e l’analogia rientrano nella voce atendibile. Pertanto [i saggi] affermano che, poiché rientrano per intero nei tre [e lencati e questi, dunque], “poiché comprendono qualsiasi [al tro] mezzo di conoscenza valido, sono il triplice mezzo di co noscenza approvato”. È quindi sotinteso da parte della sen tenza che attraverso tale triplice mezzo di conoscenza valido si ha l’acquisizione di [qualsiasi altro eventuale] mezzo di co noscenza efficace. “.infati l’acquisizione del conoscibile si ha grazie al mez zo di conoscenza [suddeto]”. Il conoscibile (prameya) è rap presentato dal Pradhåna, dall’intelleto, dal senso dell’io, dai cinque princìpi o elementi sotili, dagli undici sensi, dai cin que elementi grossolani e dal Puru\a. Qesti venticinque tattva costituiscono quelli che vengo no definiti [riassuntivamente come] ‘il manifestato, l’Imma nifesto e il [loro] conoscitore’: in relazione a ciò, una parte può essere compresa con la percezione direta, una parte con
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l’inferenza e una parte con la testimonianza autorevole se condo la tradizione (ågama). Così è stato enunciato il triplice mezzo di conoscenza valido. Qual è la sua caratteristica? Si afferma: 5. Il percepito consiste nell’accertamento di tuti gli oggeti; l’inferenza, defnita triplice, è preceduta dal suo segno caratte ristico e da ciò che è caraterizzato; mentre la voce atendibile è la rivelazione udita autorevole. “Il percepito” (d®\†a), vale a dire [l’insieme degli oggetti conosciuto attraverso] la percezione diretta (pratyak\a) “con siste nell’accertamento” (adhyavasåya) [operato] in relazione a “tutti gli oggetti”, cioè in relazione agli oggetti [di percezio ne], come il suono e gli altri lo sono per [facoltà sensoriali co me] l’udito, ecc. “L’inferenza” (anumåna) è “defnita triplice.”, in quanto può basarsi su qualcosa di precedente (p¥rva), può inerire qualcosa di restante (©e\a) o fondarsi sulla comune constata zione (såmånyato d®\†a). Quella basata su qualcosa di prece dente, per la quale, dunque, vi è un dato antecedente [e ac quisito, viene descritta] come [quando si dice]: ‘all’addensarsi delle nubi segue la pioggia’. Quella inerente a qualcosa di re stante [viene descritta] come: ‘accertato che anche una sola parte di acqua proveniente dal mare è salata, [si inferisce] la natura salata anche per la restante [parte]’. La comune con statazione è: ‘assunta la percezione del loro spostarsi da una regione celeste a un’altra regione celeste, [si inferisce che] la luna e gli astri sono dotati di moto [proprio]’, come accade, per esempio, per [un tale di nome] Caitra; notando che un tale di nome Caitra si è spostato da un luogo a un altro luogo, diciamo: ‘questi è dotato di movimento’; tal quale è in rela zione alla luna e agli astri.
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Similmente, dalla constatazione [in un dato luogo] di un mango forito, [inferiamo che anche] altrove le piante di mango saranno forite: questo si acquisisce attraverso la comune constatazione. Qesta è, appunto, la comune constatazione. Inoltre “è preceduta dal suo segno caratteristico e da ciò che è caratterizzato”. [In alcuni casi] l’inferenza è preceduta dal suo segno caratteristico (li§ga), quando ciò che ne è caratterizzato viene inferito appunto attraverso il segno caratteristico, come da un bastone [si inferisce che deve esserci] un asceta itinerante; mentre [in altri l’inferenza] è preceduta dall’oggetto caratterizzato (li§gin), quando il segno caratteristico viene inferito attraverso l’oggetto caratterizzato, come vedendo un asceta itinerante [si inferisce]: ‘ecco il suo bastone a tre punte’12. “.e la voce attendibile è la rivelazione udita autorevole”. Sono autorevoli (åpta) i maestri come i bråhmaãa e gli altri [simili] e la rivelazione udita (©ruti) è il Veda, mentre la rivelazione udita è autorevole quando è sia una conoscenza acquisita mediante l’ascolto che autorevole [per natura o provenienza]. Qanto esposto rappresenta “la voce attendibile” (åptavacanam). Così è stato enunciato il triplice mezzo idoneo. A tale riguardo, che cosa si può conseguire e con quale mezzo? Si dice: 6. Invero, la dimostrazione [della esistenza] delle cose ultrasensibili [si ha] dalla inferenza basata sulla comune constatazione, mentre ciò che non è dimostrato nemmeno tramite tale [mezzo] né mediante la percezione direta viene acquisito grazie alla [autorevolezza della] Scritura tradizionale. La prova [della esistenza] “delle cose ultrasensibili”, cioè delle entità che trascendono i sensi, “[si ha] dalla inferenza basata sulla comune constatazione”: sia il Pradhåna che il Pu-
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ru\a, ambedue al di là [della portata] dei sensi, vengono provati attraverso una inferenza basata sulla comune constatazione (såmånyato d®\†a), perché il segno caratteristico, qual è il mahat e il resto, è contraddistinto dai tre attributi principiali (guãa) e questo, consistente dei tre guãa, è l’efettoprodotto di quello che è il Pradhåna. E poiché ciò che non possiede consapevolezza (cioè il Pradhåna) appare [come se fosse] dotato di consapevolezza, deve esserci un ente che presiede a ciò pur essendo altro e distinto da esso, cioè il Puru\a. Il manifestato (vyakta) viene provato attraverso la percezione diretta (parok\a) “mentre ciò che non è dimostrato nemmeno tramite tale [inferenza] né mediante la percezione diretta viene acquisito grazie alla [autorevolezza della] Scrittura tradizionale” (ågama); per esempio [l’esistenza di] Indra quale sovrano dei deva, [quella concernente] i Kuru a settentrione e [quella concernente] le Apsaras in cielo: orbene ciò viene acquisito in quanto conosciuto indirettamente attraverso la voce attendibile [relativa alla Scrittura tradizionale]. Obiezione: A tale riguardo qualcuno dice: ‘né il Pradhåna né il Puru\a viene percepito e ciò che non viene percepito nella ordinaria esistenza non esiste [afatto]; perciò neanche i due (il Puru\a e la Prak®ti) esistono, come [non venendo percepiti] non esistono né una seconda testa né un terzo braccio’. Risposta: A ciò si replica: in otto casi non si verifca la percezione di entità che pure sono esistenti, vale a dire: 7. [La mancata percezione può aversi] a causa di eccessiva distanza o per la [eccessiva] vicinanza, per l’insufcienza dei sensi, per la distrazione della mente, a motivo della sotigliezza, a causa di un impedimento, a causa della soppressione e per la confusione con cose simili.
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Qi è constatata la mancanza della percezione di oggetti esistenti “a causa di eccessiva distanza” (atidura), come [sarebbe, ad esempio] nel caso di Caitra, Maitra e Vi≤~umitra, qualora dimorassero in un altro luogo; “per la [eccessiva] vicinanza” (.såmıpya), come [avviene] per la mancata percezione del medicamento da parte dell’occhio [sul quale viene versato]; “per l’insufcienza dei sensi” (indriyaghåta), come da parte di un sordo o un cieco non vi è percezione [rispettivamente] del suono e del colore; “per la distrazione della mente” (mano ’vasthåna), come quegli la cui mente è agitata non potrebbe aferrare neanche ciò che [gli] venisse detto chiaramente; “a motivo della sottigliezza” (sauk≤mya), come non vengono percepite le particelle di fumo, del calore, dell’acqua e della nebbia quando sono disperse in alto nel cielo; “a causa di un impedimento” (vyavadhåna), come non viene percepito un oggetto quando è celato [alla vista per esempio] da un muro; “a causa della soppressione” (abhibhåva), come quando corpi celesti come gli astri e altri non vengono percepiti in quanto eclissati ovvero oscurati dallo splendore del sole; “e per la confusione con cose simili” (samånåbhihåra), come non vengono percepiti [distintamente] un fagiolo gettato tra [altri] fagioli, un fore di loto o uno di amla gettati in mezzo ad altri fori di loto o di amla, o un piccione in uno stormo di piccioni, in quanto [sono tutti oggetti] frammischiati con oggetti simili. Ecco dunque ciò che si comprende: per quale motivo vi è la mancata percezione di questi due, ovvero del Pradhåna e del Puru\a? E attraverso che cosa [invece] si ha la [loro] percezione? 8. Per via della sotigliezza si ha la sua (della Prak®ti) nonpercezione e non per la [sua] non-esistenza. La sua percezione si ha atraverso l’efeto e tale efeto, a cominciare dal mahat, [può essere] sia diforme dalla Prak®ti che conforme.
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“Per via della sottigliezza si ha la sua non-percezione”, vale a dire [la mancata percezione diretta] del Pradhåna: il Pradhåna non viene percepito a motivo della sua sottigliezza, come le particelle di fumo, calore, acqua e nebbia, pur esistendo in alto, nello spazio, non vengono percepite [singolarmente a motivo della loro natura estremamente sottile]. In che modo, allora, si avrà la sua percezione? “La sua percezione si ha attraverso l’efetto”. Constatando l'efetto (kårya), si inferisce la causa (kåraãa) [considerando]: ‘questo è l’efetto del quale il Pradhåna è la causa’. Il suo effetto è costituito proprio dall’intelletto (mahat, buddhi), dal senso dell’io, dalle loro cinque qualità sottili (i tanmåtra), dagli undici sensi (v. nota 6) e dai cinque elementi grossolani, “e tale efetto [può essere] sia diforme dalla Prak®ti.” – la Prak®ti è il Pradhåna e la diformità (vir¥pa) da quello è una dissimiglianza dalla Prak®ti – “.sia conforme”, laddove la conformità (sar¥pa) consiste in una natura omogenea. Ciò è come quando, anche nel piano empirico, [si osserva che] il fglio può essere sia come il padre, cioè somigliante, sia non somigliante. Più avanti esporremo la causa per cui possono aversi la simiglianza e la dissimiglianza. Ma qui vi è questo [dubbio]: l’efetto, qual è l’intelletto, ecc., è esistente [già] nella causa, o, piuttosto, è non-esistente [in essa]? Qesto dubbio scaturisce dalle posizioni discordi dei [vari] maestri. Poiché qui, nel dar©ana Såµkhya, l’efetto è [considerato] esistente [nella causa], mentre per i buddhisti e gli altri l’effetto è non-esistente [nella causa], vi è una [evidente] contraddittorietà: se fosse esistente (sat), non può essere non-esistente; se fosse non-esistente (asat), allora non può essere esistente13. A tale riguardo [l’Autore] dice:
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9. Per l’assenza di produzione del non-esistente, per la [necessità di] acquisizione della sostanza, per la non-esistenza della possibilità di originarsi di tuto, perché la produzione [di un efeto] è possibile [solo] da parte di ciò che possiede la [relativa] capacità (cause efciente e strumentale) e per la natura [dell’efeto analoga a quella] della causa, [si conclude che] l’efeto è esistente [nella causa]. “Per l’assenza di produzione del non-esistente.” (asadakaraãåt). Il non-esistente non è reale, per cui del non-esistente non vi è causa: pertanto l’efetto è [necessariamente] esistente [nella causa e prima del suo manifestarsi come tale]. Anche qui, nel piano empirico, [si constata] che non vi è produzione (karaãa) del non-esistente, come, ad esempio, la venuta all’essere dell’olio di sesamo da un terreno sabbioso. Perciò la produzione è [solo] in relazione all’esistente, per cui il manifestato (vyakta) è [già esistente] nel Pradhåna anteriormente alla [sua] venuta all’esistenza [manifesta]. Ma vi è dell’altro. “.per la [necessità di] acquisizione della sostanza”. La ‘sostanza’ è la ‘causa sostanziale’ (upådåna): dunque, [l’efetto è esistente nella causa] per la [necessità di] acquisizione di quella. Anche qui, nel piano empirico, [si osserva che] quegli, che intende ottenere qualcosa, agisce per acquisire la sostanza di tale cosa, come colui che vuole produrre la cagliata si munirà di latte e non di acqua. Perciò l’efetto è esistente [nella causa]. E inoltre “.per la non-esistenza della possibilità di originarsi di tutto”. Non vi è possibilità [di originarsi] di qualsiasi cosa in qualunque condizione [quale sua causa], come [non vi è possibilità di originarsi] dell’oro nell’argento o altro [come propria causa] o di erba in suolo polveroso. Perciò, per la non-esistenza della possibilità di originarsi di tutto [in qualsiasi condizione causale], l’efetto deve essere
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esistente [già nella sua causa]. E inoltre, “.perché la produzione [di un efetto] è possibile [solo] da parte di un ente che possiede la [relativa] capacità” (causa strumentale ed efciente): ad esempio, qui [nel piano della comune esperienza, si constata che] sia il vasaio, il quale è colui che possiede la capacità (©akta, ed è quindi la causa efciente], sia, altresì, anche gli attrezzi accessori, quali l’argilla, il bastone, la ruota, i cenci, la corda, l’acqua, ecc., i quali [gli] forniscono la capacità (©akya) stessa (e sono dunque la causa strumentale), fanno venire all’esistenza il vaso dal pezzo di argilla. Perciò l’efetto è esistente [nella causa]. E inoltre, “.per la natura [dell’efetto analoga a quella] della causa, [si conclude che] l’efetto è esistente [nella causa]”. Infatti, quello, che è la caratteristica distintiva (lak≤aãa) in relazione alla causa, è la caratteristica distintiva anche in relazione all’efetto, come [è dato constatare che] l’orzo [proviene] dall’orzo, e il riso dal riso. Qalora l’efetto fosse non-esistente [nella causa], allora i cereali nobili [come il riso e gli altri] potrebbero [provenire] da qualsiasi granaglia. [Poiché tali cereali] non provengono [da ciò], pertanto l’efetto deve essere esistente [già nella causa]. Così, grazie a cinque argomentazioni, [è stato provato che] ‘il dissolubile’ (li√ga), consistente nell’intelletto e nelle altre [funzioni-tatva], è [già esistente] nel Pradhåna. Perciò la [loro] venuta all’essere si ha da ciò che è un esistente e non da un non-esistente. È stato detto che [l’efetto] può essere sia diforme dalla Prak®ti sia conforme [ad essa]. In che modo [sia questo] viene ora enunciato. 10. Il manifestato (vyakta) è causato, non-eterno, non-pervadente, dotato di atività, molteplice, fondato [in altro da sé], dissolubile [in quanto originato], composito, dipendente da altro. L’Immanifesto (avyakta) è l’opposto.
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“Il manifestato”, cioè l’efetto consistente nel mahat e negli altri [tatva] “è causato” (hetumat). È [detto] ‘causato’ ciò per il quale vi è una causa. La causa (hetu) è la causa sostanziale (upådåna), mentre [termini come] causa generica (kåraãa) e causa efciente (nimita) sono [in questa disamina praticamente] sinonimi [di causa sostanziale]14. Il Pradhåna è la causa [sostanziale] del manifestato; dunque l’Immanifesto è la causa [sostanziale di tutto il manifestato] fno agli elementi [grossolani]. Il principio-tatva che è l’intelletto (mahat o buddhi) è causato [direttamente] dal Pradhåna, il senso dell’io (ahaµkåra) è causato dall’intelletto, le cinque qualità (tanmåtra) e gli undici organi sensoriali (cinque di percezione, cinque di azione più la mente quale organo o senso interno) sono causati dal senso dell’io, lo spazio (åkå©a) è causato dalla qualità del suono (©abda), l’aria (våyu) è causata dalla qualità del contatto (spar©a), il fuoco è causato dalla qualità della forma (r¥pa), l’acqua (åpas) è causata dalla qualità del sapore (rasa) e la terra (p®thivı) è causata dalla qualità dell’odore (gandha). In questo modo è causato il manifestato [dal mahat] fno agli elementi [grossolani]15. Ma vi è dell’altro. [Il manifestato] è “non-eterno” (anitya), perchè viene ad essere da altro, come il vaso che viene ad essere dal pugno di argilla ed è anch’esso non-eterno (quindi limitato temporalmente). Inoltre è anche “non-pervadente” (avyåpi), cioè non è onnipresente: laddove sia il Pradhåna che il Puru\a sono onnipresenti (sarvagata), non è così il manifestato (che è quindi limitato anche spazialmente). E ancora, [il manifestato] è “dotato di attività” (sakriya), infatti trasmigra lungo il divenire ciclico e trasmigra avendo preso come supporto (con l’identifcarvisi) il corpo sottile unitamente alle tredici facoltà (le cinque di percezione, le cinque di azione più l’intelletto, il senso dell’io e la mente); per cui [si
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dice che] è dotato di attività16 e, inoltre, è “molteplice” (aneka) in quanto è [ciò che comprende] l’intelletto, il senso dell’io, le cinque qualità (elementi sottili), le undici facoltà sensoriali e i cinque elementi grossolani. Ancora, è “fondato [in altro da sé]” (å©rita), in quanto [ogni successivo ente che lo costituisce] è fondato nella sua propria rispettiva causa: l’intelletto è fondato [direttamente] nel Pradhåna, il senso dell’io è fondato nell’intelletto, le undici facoltà sensoriali e le cinque qualità sottili sono fondate nel senso dell’io e i cinque elementi grossolani sono fondati nei cinque elementi sottili [attraverso la quintuplicazione]. Inoltre è “dissolubile” (li√ga) [essendo stato originato], in quanto congiunto con la dissoluzione (layayukta)17: [infatti] al tempo della dissoluzione i cinque elementi grossolani si dissolvono (riassorbono) nelle cinque qualità sottili, queste, insieme con gli undici sensi, [si riassorbono] nel senso dell’io, questo [si riassorbe] nell’intelletto e questo, infne, va a dissolversi nel Pradhåna18. Allo stesso modo è “composito” (såvayava), dove le parti sono: il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore; [esso sussiste soltanto] unitamente a loro. Infne, è “dipendente da altro” (paratantra), in quanto [ogni suo successivo ente costitutivo] non sorge ad essere da sé stesso: l’intelletto dipende dal Pradhåna, il senso dell’io dipende dall’intelletto, le qualità e i sensi dipendono dal senso dell’io e i cinque elementi grossolani dipendono dagli elementi sottili. In questo modo il manifestato è stato spiegato come dipendente da altro, cioè interamente asservito a un altro ente. Ora spiegheremo l’Immanifesto. Esso è “l’opposto” (viparıta) [del manifestato]. L’Immanifesto è del tutto opposto a questi attributi quali sono stati enunciati. È stato detto che il manifestato è causato: invero, non vi è nulla [analogo a una causa sostanziale] al di là del Pradhåna;
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[così], poiché non vi è una venuta all’essere per il Pradhåna, perciò l’Immanifesto è privo di una causa (ahetumat). Similmente, il manifestato è anche non-eterno, ma l’Immanifesto, non dovendo essere prodotto (generato) [da alcun altro ente], è eterno (nitya); infatti non viene all’esistenza da qualche altro ente, come [invece avviene per] gli elementi, per cui il Pradhåna è eterno. Inoltre il manifestato è non-pervadente, mentre il Pradhåna è pervadente (vyåpi) a motivo della [sua] natura di onnipresenza [nell’ambito universale]. Il manifestato è dotato di attività, mentre l’Immanifesto è nonagente (akriya) proprio in virtù della [sua] natura di onnipresenza. Similmente il manifestato è molteplice, mentre il Pradhåna è unico (eka) in quanto costituisce la [sua] causa: infatti il Pradhåna è la causa unica dei tre mondi, per cui il Pradhåna [stesso] è unico. Allo stesso modo il manifestato è fondato [in altro da sé], ma l’Immanifesto non è fondato [in altro da sé] (anå©rita) non avendo natura di efetto: infatti non esiste alcun ente, al di là del Pradhåna, del quale il Pradhåna stesso sia l’efetto. Ugualmente il manifestato è distruttibile, mentre l’Immanifesto è indistruttibile (ali√ga). [Infatti il manifestato, cioè] l’intelletto con gli altri [tatva], è distruttibile in quanto al tempo della dissoluzione [questi efetti] si riassorbono completamente l’uno nell’altro, ma non [fa] così il Pradhåna, per cui il Pradhåna è indistruttibile. Similmente, il manifestato è composito, mentre l’Immanifesto è non-composito (niravayava); infatti nel Pradhåna non sussistono [entità oggettive distinte come] il suono (©abda), il contatto (spar©a), la forma (r¥pa), il sapore (rasa) e l’odore (gandha). Infne il manifestato è dipendente da altro, mentre l’Immanifesto è autoindipendente (svatantra), in quanto sussiste di per sé19. In questi termini è stata esposta la diferenza sostanziale tra il manifestato e l’Immanifesto. Ora si procede ad esporre la [loro] sostanziale afnità.
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La natura propria [del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore] viene [così] asserita: 11. Il manifestato è essenziato dei tre princìpi qualitativi (guãa), è privo di discriminazione, oggetivo, identico per tuti, privo di consapevolezza, produtivo. Così è [anche] il Pradhåna. Il Puru\a è sia opposto ad esso, sia afne. “Il manifestato è essenziato dei tre princìpi qualitativi” (triguãa) e i suoi tre princìpi qualitativi (guãa) sono il satva, il rajas e il tamas. Il manifestato è “privo di discriminazione” (avivekin); al suo riguardo non vi è discriminazione, cioè non può operarsi una discriminazione nei termini: ‘questo è il manifestato, questi sono i princìpi qualitativi’, come [quando si dice]: ‘questo è un bue, questo è un cavallo’. Qelli che sono i princìpi qualitativi sono il manifestato, e quello che è il manifestato è i princìpi qualitativi20. Similmente, il manifestato è “oggettivo” (vi\aya), vale a dire che è esperibile [come oggetto], in quanto costituisce oggetto [di esperienza] per tutti i puru\a 21 . Allo stesso modo, il manifestato è “identico per tutti” (såmånya), in quanto è uguale per tutti come lo è una prostituta. Il manifestato è “privo di consapevolezza” (acetana), vale a dire che non ha consapevolezza di piacere, dolore e di stati di ofuscamento mentale. Similmente, il manifestato è “produttivo” (prasavadharmi), in quanto il senso dell’io è prodotto dall’intelletto, da quello sono prodotte le cinque qualità sottili e le undici facoltà sensoriali e dalle qualità sottili [da cui i cinque elementi sottili, provengono] i cinque elementi grossolani. Così, fnendo con la natura produttiva, sono state esposte queste proprietà consustanziali al manifestato.
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Dunque l’Immanifesto è [da un lato anche] conforme ad esse: come è il manifestato, così è il Pradhåna. Al riguardo, il manifestato è essenziato dei tre attributi principiali, e l’Immanifesto, l’efetto del quale è appunto l’intelletto, ecc., è anch’esso essenziato dei tre attributi principiali. Qi, ciò di cui è essenziata la causa, di quello è essenziato l’efetto, come un tessuto fatto di fbre nere è anch’esso nero. Così, [poiché] il manifestato è privo di discriminazione, anche l’Immanifesto non si distingue dai guãa. Non si può procedere a discriminare così: ‘altro sono i guãa e altro è il Pradhåna’, pertanto [si deve concludere che anche] il Pradhåna è privo di discriminazione. Ugualmente, [se] è oggettivo il manifestato, anche il Pradhåna è oggettivo, dato che costituisce oggetto [di esperienza, ecc.] per tutti i puru\a. Allo stesso modo, [se] il manifestato è identico per tutti, [lo è] anche il Pradhåna, essendo uguale per tutti. Così, [se] il manifestato è privo di consapevolezza, anche il Pradhåna non è consapevole del piacere, del dolore e degli stati di ofuscamento mentale. In che modo si inferisce [ciò]? Invero, come da un pugno di argilla privo di consapevolezza viene prodotto un vaso parimenti privo di consapevolezza, così è stato spiegato anche il Pradhåna (quale causa conforme al manifestato quale efetto). Adesso si spiega questo, cioè [in che modo] “Il Puru\a è sia opposto a ciò, sia afne”. Il Puman (puµs, cioè il puru\a) [da un certo punto di vista] è opposto (viparıta) in rapporto a entrambi, sia al manifestato che all’Immanifesto (il Pradhåna), vale a dire: laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono essenziati dei tre guãa, il Puru\a è privo di attributi principiali (aguãa); laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono privi di discriminazione, il Puru\a è discriminante (vivekı); similmente, laddove tanto il manifestato quanto l’Immanifesto hanno natura oggettiva, il
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Puru\a non ha natura oggettiva (avi\aya)22; e allo stesso modo, laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono identici per tutti, il Puru\a non è identico per tutti (asåmånya)23; e ancora, laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono privi di consapevolezza, il Puru\a è consapevole (cetana): [Esso] è consapevole del piacere, del dolore e degli stati di offuscamento mentale, cioè li conosce perfettamente [come oggetto], per cui il Puru\a è consapevole. Inoltre, laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono produttivi, il Puru\a è improduttivo (aprasavadharmı): infatti dal Puru\a nulla viene prodotto. Per questo il Puman viene detto opposto a loro (al manifestato e all’Immanifesto). Nella precedente strofa è stato spiegato che il Pradhåna è privo di causa, e ugualmente è il Puman; mentre il manifestato è causato e impermanente, ecc., l’Immanifesto gli è opposto (essendo incausato e permanente). Dunque il manifestato è causato, mentre il Pradhåna è incausato: e, allo stesso modo, il Puman è [anch’esso] incausato, non essendo originato [da alcunché di distinto]. Il manifestato è impermanente (non-eterno), mentre il Pradhåna è eterno: ugualmente, anche il Puman è eterno24. Il manifestato è non-pervadente mentre il Pradhåna è pervadente, ugualmente, anche il Puman è pervadente, essendo onnipresente. Il manifestato è dotato di attività mentre il Pradhåna è non-agente, ugualmente anche il Puman è nonagente, ancora in virtù della [sua] natura di onnipresenza. Il manifestato è molteplice mentre l’Immanifesto è unico, ugualmente anche il Puman è unico. Il manifestato è fondato [in altro da sé] mentre l’Immanifesto non è fondato [in altro da sé], ugualmente anche il Puman non è fondato [in altro da sé]. Il manifestato è distruttibile mentre il Pradhåna è indistruttibile, ugualmente anche il Puman è indistruttibile, dal momento che non si riassorbe in alcunché. Il manifestato è composito mentre l’Immanifesto è privo di parti, ugualmente
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anche il Puman è privo di parti, infati nel Puru\a non esisto no parti come il suono e le altre [qualità sotili, ecc.]. E inol tre, il manifestato è dipendente da altro mentre l’Immanifesto è autoindipendente, ugualmente anche il Puman è autoindi pendente, vale a dire che sussiste di per sé soltanto. Così è stata spiegata la natura di sostanziale afnità del l’Immanifesto e del Puru\a [annunciata] nella strofa prece dente25; invece, nella strofa che comincia con: “Il manifestato è essenziato dei tre atributi principiali, è privo di discrimina zione.”, ecc., viene spiegata sia la sostanziale afnità di natu ra del manifestato rispeto al Pradhåna, sia la [sua] sostanzia le difformità di natura rispeto al Puru\a. Colà è stato deto che sia il manifestato che l’Immanifesto sono essenziati dei tre guãa. Al riguardo, quali sono tali guãa? Onde mostrarne la natura propria, [il testo] dice questo: 12. I princìpi qualitativi (guãa) sono essenziati [rispetiva mente] di piacere, dolore e ofuscamento e svolgono [rispetiva mente] la funzione di illuminare, sospingere all’atività e limi tare. [Essi si presentano come] reciprocamente soverchiantisi, fondantisi, generantisi, accoppiantisi ed agenti. “I princìpi qualitativi”, vale a dire il [guãa] satva, il rajas e il tamas, “sono” l’uno essenziato “di piacere”, l’altro essenzia to “di dolore” e l’altro ancora essenziato “di offuscamento”. Tra loro il [guãa] satva è essenziato di gioia (prıti); la gioia è la serenità (sukha) e di quella è essenziato. Il [guãa] rajas è essenziato di dolore (aprıti), e il dolore è la sofferenza (du¢kha). Il [guãa] tamas è essenziato di offuscamento (vi≤å da) e l’offuscamento consiste nella confusione mentale (mo ha). In maniera simile, “.svolgono [rispetivamente] la fun zione di illuminare, sospingere all’atività e limitare”.
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Il termine, che è [reso con] ‘svolgere una funzione’ (artha), è espressivo di una intrinseca capacità (såmarthya), per cui [dire che] ‘il satva svolge la funzione di illuminare’ signifca che possiede la capacità di illuminare26; il rajas svolge la funzione [cioè possiede la capacità] di sospingere all’attività; il tamas svolge la funzione di limitare, vale a dire che ha la capacità di mantenere [qualcosa] in una condizione di stasi. Così i guãa hanno [rispettivamente] le prerogative di [determinare] serena quiete, attività e inerzia. Allo stesso modo, “[Essi si presentano come] reciprocamente soverchiantisi, fondantisi, generantisi, accoppiantisi ed agenti”, ossia essi sono defniti in quanto: reciprocamente si soverchiano, reciprocamente si fondano, reciprocamente si generano, reciprocamente si accoppiano e reciprocamente agiscono. [L’espressione] “reciprocamente soverchiantisi” (anyo ’nyabhibhavå¢) signifca che si soverchiano l’un l’altro, ossia che [nel corso del tempo, ecc.] si manifestano nelle [loro rispettive] nature di gioia, dolore, ecc. [prevalendo ora l’una ora l’altra]. Così, quando risulta prevalente il satva, allora, avendo soverchiato il rajas e il tamas, esso si manifesta attraverso le proprie qualità in quanto di per sé essenziato dello splendore della gioia; quando [prevale] il rajas, allora [essendo soverchiati] il satva e il tamas, [esso si manifesta] nella propria natura di attività caratterizzata dalla soferenza-agitazione; quando [è prevalente] il tamas, allora [essendo soverchiati] il satva e il rajas, [quello si manifesta] attraverso la propria natura di oscurità-apatia. Poi i guãa si fondano l’uno sull’altro come due atomi [che si combinino], si generano l’un l’altro come un pezzo di argilla genera un vaso [e viceversa]27 e si accoppiano l’uno con l’altro: come un uomo e una donna si accoppiano vicendevolmente, così [fanno] i guãa. È stato detto: «Il satva [crea] accoppiamento con il rajas, il rajas [crea] accoppiamento con il satva e il tamas viene detto accoppiarsi con entrambi, il sa-
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tva e il rajas» (Devıbhågavata: 3.8), vale a dire che [i guãa] si combinano l’uno con l’altro, per cui sono anche “reciprocamente agenti”, cioè agiscono l’uno sull’altro, come [si apprende] dall’afermazione: «..sono i guãa che agiscono sui guãa» (Bha. Gı. 3.28). Come una donna di bell’aspetto e disponibile è sia fonte di piacere per tutti che, sempre lei, è causa di soferenza per le mogli ed è ancora lei che ingenera annebbiamento in coloro che ne sono innamorati, così il satva è causa dell’attività del rajas e del tamas. Come un re che sia costantemente impegnato nel salvaguardare il popolo e nel combattere i disonesti fa sorgere la gratitudine nei buoni e l’inquietudine nei malvagi, così il rajas induce l’attività sia del satva che del tamas. Come le nuvole, coprendo il cielo, arrecano ristoro al mondo, quelle [stesse], facendo piovere, sollecitano il lavoro dei contadini e l’angustia negli amanti separati, così i guãa svolgono azioni reciproche [e contemporaneamente opposte]. Vi è dell’altro. 13. Si vuole che il satva sia leggero e luminoso, il rajas stimolante e mobile e il tamas stesso pesante e oscurante; inoltre la [loro] funzione si svolge con uno scopo, al pari [di quella] di una lampada. “(Si vuole che) il satva sia leggero e luminoso”: quando il satva è prevalente, allora le membra diventano leggere, l’intelletto diviene luminoso e si ha la chiarezza dei sensi. “.il rajas stimolante e mobile”. È ‘stimolante’ (upa≤†ambhaka) in quanto stimola, incita all’agire: come un toro, alla vista di un [altro] toro, diviene eccitato e stimolato ad agire, così agisce la funzione del rajas. E, similmente, il rajas è considerato anche mobile, per cui si diviene di animo instabile e mutevole quando vi è la funzione del rajas [a prevalere].
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“.il tamas stesso pesante e oscurante”. Qando il tamas diviene prevalente, allora le membra diventano pesanti e i sensi velati e incapaci [di avere chiara percezione] degli oggetti [rispettivi]. Obiezione: A tale riguardo si chiede: se i guãa si contraddicono reciprocamente, allora quale fnalità potranno raggiungere e in che modo? Risposta: [A ciò si risponde:] “.inoltre la [loro] funzione si svolge con uno scopo, al pari [di quella] di una lampada”. [L’espressione] ‘al pari [di quella] di una lampada’ (pradıpavat) signifca: in modo simile a una lampada. Si vuole, dunque, che la [loro] funzione (v®ti) si svolga in quanto determinata da uno scopo (artha). Come una lampada rende visibili gli oggetti grazie alla combinazione di [fattori come] olio, fuoco e stoppino, che sono afatto distinti l’uno dall’altro, così il satva, il rajas e il tamas, che pure si contraddicono reciprocamente, assolvono uno scopo [unico]. Obiezione: Qi si presenta un’altra domanda. Il manifestato, e quindi anche il Pradhåna, è stato spiegato nei termini: «.essenziato dei tre attributi principiali, è privo di discriminazione, oggettivo.», ecc. (Såµ. Kå. 11). A tale riguardo, in che modo si può comprendere che il Pradhåna, e dunque anche [il manifestato, cioè] l’intelletto, ecc., è percepibile in quanto “essenziato dei tre guãa, privo di discriminazione, ecc.”? Risposta: A ciò si replica: 14. [Il manifestato] viene realizzato in quanto privo di discriminazione, ecc. per la sua natura essenziata dei tre guãa. Anche l’Immanifesto (il Pradhåna) viene realizzato [così] per-
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ché l’efeto [che costituisce] è consustanziale alla causa, per via della inesistenza del suo contrario. Qesta natura [del manifestato], in relazione al mahat e agli altri [tatva], è [realizzata in quanto] priva di discriminazione, ecc. a causa della sua natura essenziata dei tre guãa; ma questa [natura] non viene realizzata in relazione all’Immanifesto (il Pradhåna) e, in merito a ciò, si dice: “.per via della inesistenza del suo contrario” (tadviparyayåbhåvåt). La inesistenza del contrario è la non-esistenza (abhåva) di ciò che è contrario (viparyaya) a quello: l’Immanifesto viene dimostrato appunto attraverso tale [constatazione]. Ciò è proprio come il caso in cui dove vi sono fbre vi è un tessuto, mentre non si ha che altro sono le fbre e altro è il tessuto. Perché? “.per via della inesistenza del contrario”. È in questo modo che l’Immanifesto diviene [per così dire] manifestato. [Così, seppure] il Pradhåna è remoto e il manifestato immediatamente presente (in quanto direttamente percepibile negli effetti), quegli stesso, che vede il manifestato, vede [indirettamente] anche il Pradhåna “.per via della inesistenza del suo contrario”. E così viene dimostrato [anche] il Pradhåna, perché l’efetto è [sempre] essenziato delle qualità della causa. [Anche] nella comune esperienza si constata che, come è consustanziata la causa, così è consustanziato l’efetto, come quando un tessuto nero [può provenire] solo da fbre nere. Ugualmente, il distruttibile [cioè il manifestato] è privo di discriminazione, oggettivo, identico per tutti, privo di consapevolezza, produttivo e, come è consustanziato il distruttibile (il manifestato), così è dimostrato che deve essere consustanziato anche l’Immanifesto (il Pradhåna). [Con ciò] è stabilito che la non-discriminazione e le altre [caratteristiche sussistono] nel manifestato a causa della [sua]
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natura essenziata dei tre guãa; ugualmente l’Immanifesto è dimostrato in virtù della inesistenza di ciò che è contrario a quello, perché l’effetto è [sempre] consustanziato delle qualità della causa. Obiezione: [A ciò qualcuno replica:] Qesto è falso. Nella comune esperienza [si aferma che] non esiste ciò che non viene percepito [direttamente]. Risposta: [Qesto] non si dovrebbe dire, dal momento che non si ha percezione dell’odore di una pietra sebbene questa esista. Allo stesso modo anche il Pradhåna ha esistenza per quanto non venga percepito. 15. [Si deve concludere che: il Pradhåna esiste come causa] in virtù della limitatezza delle distinzioni [degli enti], per la concordanza [di cause ed efeti] e per la efetiva atività determinata dalla capacità, [poi] per la separazione dell’efeto dalla causa e per la non-separazione in rapporto alla onniformità. [Si deve concludere che] «Il Pradhåna – questo è il soggetto della frase che si deve connettere [dal verso seguente] – esiste come causa.» (Såµ. Kå. 16) “in virtù della limitatezza delle distinzioni [degli enti]”. Nel piano empirico dove c’è un soggetto agente, là è constatata la sua limitatezza (parimåãa), come un vasaio, con pezzi di argilla di piccole dimensioni, modella vasi anch’essi di piccole dimensioni. E così è anche il mahat (l’intelletto): il mahat con gli altri [tatva], che è distruttibile, nelle sue distinzioni [in senso dell’io, ecc.] è l’efetto limitato del Pradhåna; l’intelletto, il senso dell’io, le cinque qualità (gli elementi sottili), gli undici sensi e i cinque elementi grossolani: così, in virtù della limitatezza delle distinzioni, il Pradhåna [che è illimitato] esiste in quanto è la causa che produce il manifestato, il quale è limitato. Se non vi fosse
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il Pradhåna, allora questo [mondo percepibile], che è il manifestato, sarebbe anch’esso illimitato mentre, dalla [constatazione della] limitatezza delle distinzioni, [si desume che] il Pradhåna, dal quale il manifestato è sorto ad essere, esiste. Similmente [il Pradhåna viene desunto] “per la concordanza [di cause ed efetti]” (samanvaya). Qi, nel piano empirico, si constata l’ordinaria esperienza secondo cui, vedendo un giovane osservare i voti, sorge subito [il pensiero]: ‘i suoi genitori sono bråhmaãa’. Così, vedendo questo distruttibile, consistente nell’intelletto e negli altri [princìpi], essenziato dei tre guãa, concepiamo che deve necessariamente esistere una causa per ciò. Dunque, che il Pradhåna esiste, [lo si desume anche] per la concordanza [di cause ed efetti]. In maniera simile, [l’esistenza del Pradhåna si evince anche] “.per la efettiva attività determinata dalla capacità” (©aktita¢ prav®te¢). Qi [nel piano empirico si constata che] si impegnerà proprio in quella cosa colui che possiede capacità in essa, come un vasaio, dotato della capacità di modellare un vaso, fa giusto un vaso e non già un tessuto o un carro. Così il Pradhåna deve essere la causa. Perché? “.per la separazione dell’efetto dalla causa” (kåraãakåryavibhågåt). La causa (kåraãa) è ciò che produce (karoti) [qualcosa], l’efetto (kårya) è ciò che viene prodotto (kriyate). Dunque vi è una separazione (vibhåga) della causa e dell’effetto. Mentre il vaso [che è l’efetto] è atto a contenere liquidi come il latte, il miele, l’acqua, non è così per il pezzo di argilla [che ne è la causa materiale]. Oppure: mentre il pezzo di argilla può produrre il vaso, non è così per il vaso [che non può produrre] il pezzo di argilla. Così, osservando il distruttibile, dunque l’intelletto con gli altri [princìpi], si inferisce: ‘deve esistere, separata [da ciò], la sua causa, dalla cui separazione [è venuto ad essere] questo manifestato’.
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Infne [il Pradhåna viene desunto] anche “per la nonseparazione in rapporto alla onniformità”. La totalità (vi©va) è l’universo (jagat), la sua forma (r¥pa) è la manifestazione. La natura la cui forma è la totalità è la onniformità (vai©var¥pya). Dalla non-separazione (avibhåga) da tale [natura di onniformità, si desume che] deve esistere il Pradhåna, dal quale non vi è una separazione progressiva dei cinque elementi grossolani del triplice mondo quali la terra e gli altri, per i cui i tre mondi sono comunque contenuti [potenzialmente e sostanzialmente] negli elementi grossolani. [Infatti] al tempo della dissoluzione universale questi cinque elementi grossolani – la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lo spazio – procedono, nell’ordine [inverso a quello] della manifestazione (s®≤†i), nelle loro matrici [che sono i cinque elementi sottili] trasformantisi; gli elementi sottili e gli undici sensi [si riassorbono] nel senso dell’io, il senso dell’io nell’intelletto e l’intelletto nel Pradhåna. Allo stesso modo i tre mondi, al tempo della dissoluzione universale, vanno a riassorbirsi nella Prak®ti [venendo a trovarsi in rapporto ad essa] in assenza di separazione. Da tale assenza di separazione, come per il latte e il burro, del manifestato e dell’Immanifesto, [si deduce] che vi è l’Immanifesto come causa [del manifestato]. E di conseguenza. 16. Il Pradhåna esiste come causa in quanto si sviluppa atraverso i tre atributi principiali nella [loro] combinazione grazie alla trasformazione [dei guãa] in virtù della specifca qualifcazione inerente singolarmente a ciascun atributo principiale, al pari dell’acqua. “Il Pradhåna”, [che è appena stato] chiaramente spiegato, “esiste come causa in quanto si sviluppa” come il distruttibile, consistente nell’intelletto e negli altri [princìpi], “attraverso i
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tre attributi principiali”, cioè con l’essere essenziato dei tre guãa – è ‘essenziato dei tre guãa’ (triguãa) quello nel quale esistono i guãa satva, rajas e tamas – e, dunque, “nella [loro] combinazione” (samudaya); come i tre fussi del Gange che nascono dalla [regione chiamata] Testa di Rudra generano un corso d’acqua unico, così l’Immanifesto-Pradhåna, [pur essendo] essenziato dei tre guãa, genera il manifestato che è unitario; ovvero, come [diverse] fbre intessute insieme generano una [unica] stofa, così l’Immanifesto, attraverso la combinazione dei guãa, genera [il manifestato, che è in sé unitario, pur comprendendo una molteplicità composita con] l’intelletto e gli altri [princìpi]. Così, attraverso i guãa, e nella loro combinazione, [il Pradhåna] si sviluppa come il manifestato. Obiezione: Poiché il manifestato [proviene] dal Pradhåna, il quale è unico, pertanto deve venire ad essere [anch’esso] in una natura unica [e non composita, ma ciò non è osservato]. Risposta: Qesto non è un difetto, [perché il Pradhåna origina il manifestato tramite i guãa] “grazie alla [loro] trasformazione in virtù della specifca qualifcazione inerente singolarmente a ciascun attributo principiale, al pari dell’acqua”. [Per esempio] i tre mondi, sorti ad essere dal Pradhåna unico, non si presentano secondo una natura identica: i deva si identifcano con la felicità, gli esseri umani con la soferenza e gli animali con l’ottenebrazione mentale. Il manifestato si è sviluppato dal Pradhåna unico [attraverso i guãa] “grazie alla trasformazione [dei guãa] in virtù delle specifche qualifcazioni inerenti singolarmente a ciascun attributo principiale, al pari dell’acqua”. [Infatti l’espressione] “.singolarmente a ciascun.” (pratiprati) signifca ‘secondo le rispettive [qualità di ogni guãa]’; [la specifcazione] “.inerente (singolarmente a ciascun) attributo principiale” [sta a indicare] che è intrinsecamente propria di ciascun guãa, e tale è la specifca quali-
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fcazione (vi©e≤a). Dunque il manifestato si sviluppa [dall’Immanifesto-Pradhåna] grazie alla trasformazione [dei guãa] in virtù delle specifche qualifcazioni inerenti singolarmente a ciascun attributo principiale manifestando con ordine [di volta in volta e successivamente] la specifca qualifcazione propria di ogni guãa 28. Come l’acqua caduta dal cielo ha un unico sapore ma, a causa del contatto con molteplici cose, si diferenzia secondo i loro propri rispettivi sapori, così i tre mondi sviluppatisi dall’unico Pradhåna non si presentano di una natura unica: tra i deva è prevalente il satva, mentre il rajas e il tamas sono inattivi, per cui essi (i deva) sperimentano una beatitudine superiore; negli esseri umani è prevalente il rajas, mentre il satva e il tamas sono inattivi, per cui essi sono oltremodo soggetti alla soferenza; tra gli animali è prevalente il tamas, mentre il satva e il rajas sono inattivi, per cui essi sono alquanto ottenebrati. Così, con questi due versi, si comprende la natura di esistenza del Pradhåna. Qindi [il testo], allo scopo di dimostrare la reale esistenza del Puru\a, dice in seguito: 17. Per il motivo che un ente composito esiste in funzione di un altro [ente], per via della [necessità di una] natura opposta ai tre princìpi qualitativi, ecc., per via della [necessaria] funzione di un ente che presiede [alle atività dell’aggregato], per la [necessità della] funzione di fruitore e per l’atività fnalizzata alla [realizzazione della] assolutezza, [si conclude che] vi è il Puru\a. È stato detto che la liberazione si consegue grazie a una conoscenza che discrimina il manifestato, l’Immanifesto e il conoscitore. A tale riguardo, subito dopo [la trattazione concernente] il manifestato, l’Immanifesto è stato compreso grazie a cinque ragioni. Anche il Puru\a è sottile, al pari dell’Im-
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manifesto, mentre adesso si procede a trattare la [dimostrazione della] sua (del Puru\a) natura di esistenza reale (astitva), la quale viene [solo] inferita. [A tal uopo si aferma:] “.vi è il Puru\a”. Perché? “Per il motivo che un ente composito esiste in funzione di un altro [ente]”. Si inferisce questo, ossia che l’aggregato costituito dall’intelletto e dagli altri [tatva], è in funzione del Puru\a perché esso è privo di consapevolezza (acetana) come lo è un giaciglio. Ad esempio, un giaciglio è un ente composito costituito singolarmente da un tappeto foreale, uno sgabello per i piedi, una coperta e un cuscino ed esiste in un funzione di un altro [ente] e non già di per sé: infatti le parti del giaciglio non posseggono [singolarmente] alcuna fnalità funzionale reciproca. Qindi si desume che vi è un uomo il quale dorme su tale giaciglio e in funzione del quale il giaciglio stesso [nella sua integralità composita] sussiste. Così [anche] questo corpo è un ente composto dai cinque elementi grossolani che esiste in funzione di altro. Dunque vi è il Puru\a per il quale questo corpo, che è l’oggetto di fruizione (bhogya) la cui natura è di aggregato costituito da enti fruibili quali l’intelletto e gli altri [tatva], è sorto ad essere. Inoltre l’åtman deve esistere “per via della [necessità di una] natura opposta ai tre princìpi qualitativi, ecc.”. In una strofa precedente è stato detto che «(Il manifestato) è essenziato dei tre princìpi qualitativi, è privo di discriminazione, oggettivo.», ecc. (Såµ. Kå. 11). [Dunque il Puru\a deve esistere] per via [della necessità] di una natura opposta a quella; per questo è stato detto [anche]: “L’essere cosciente (il Puru\a) è sia opposto ad esso, sia afne” (ib.). “.per via della [necessaria] funzione di un ente che presiede [alle attività dell’aggregato].” (adhi\†håt®).
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Come un carro trainato da cavalli in grado di saltare, galoppare e correre svolge la [sua] funzione [solo] quando è governato da un cocchiere, così il corpo [svolge le sue funzioni solo] grazie alla funzione di un ente che presiede (adhi\†håna). E, in tal senso, nello ≥a≤†itantra viene detto: «Il Pradhåna è attivo in quanto il Puru\a vi sovrintende». Ancora per un motivo l’åtman deve esistere, cioè “.per la [necessità della] funzione di fruitore” (bhokt®) [quale si deduce], per esempio, per un alimento, che diviene gustoso allorquando è insaporito con uno dei sei gusti come il dolce, l’acre, il salato, il piccante, l’amaro e l’aspro; così, poiché il distruttibile, consistente nell’intelletto e negli altri [tatva], non ha natura di fruitore, deve esserci [come fruitore] un åtman per il quale questo corpo rappresenta l’oggetto di fruizione. E, quindi, “.e per l’attività fnalizzata alla [realizzazione della] assolutezza”. L’assolutezza (kaivalya, dunque la liberazione) è la natura dell’Assoluto (kevala) e l’attività [di ognuno] è motivata da tale [obiettivo], per cui da tale attività, essendo fnalizzata alla propria liberazione, si desume immediatamente che deve esserci un åtman, in quanto chiunque, che sia saggio o non saggio, intende porre fne al divenire esistenziale trasmigratorio. Così, da [tutte] queste ragioni [si conclude che] deve esserci un åtman afatto distinto dal corpo. Ordunque [ci si potrebbe chiedere]: vi è un solo ente a presiedere la totalità dei corpi fungendo da åtman in guisa del flo che sostiene le perle di una collana, o, piuttosto, vi sono molti åtman che dirigono singolarmente i rispettivi corpi? A ciò si replica: 18. Dal fato che nascita, morte e organi sono singolarmente regolati [per ogni individuo] e dalla [constatazione della] atività non simultanea, è stabilito che vi è una molteplicità di puru\a (jıva) e [ciò si desume] anche dalla stessa diversità insita nella terna dei princìpi qualitativi.
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Sia la nascita (janma), che la morte (maraãa) e anche gli organi (karaãa) [formano l’insieme di] “.nascita, morte e organi”. “Dal fatto che” essi “sono singolarmente regolati [per ogni individuo]” (pratiniyama), vale a dire: poiché sono singolarmente regolati per ciascuno separatamente (pratyeka). Infatti, se l’åtman [individuato, dunque il jıva-puru\a] fosse uno soltanto, ne consegue che, alla nascita di uno, tutti dovrebbero parimenti nascere, alla morte di uno, anche tutti [gli altri] dovrebbero morire e, quand’anche per uno [solo] vi fosse un’afezione degli organi consistente per esempio nell’esser sordo, nel diventar cieco, nel perdere la parola, nel perdere un arto o nello zoppicare, anche tutti [gli altri] dovrebbero divenire sordi, ciechi, muti, mutilati e zoppi. Ma così non avviene, per cui, “Dal fatto che nascita, morte e organi sono singolarmente regolati [per ogni individuo]”, viene provata la natura di molteplicità dei puru\a (jıva)29. Poi [ciò viene provato] anche “dalla [constatazione della] attività non simultanea” (ayugapatprav®te¢). [Una cosa, in relazione alla sua percezione da parte di una molteplicità di soggetti percipienti] è simultanea quando [avviene] in un medesimo tempo, non è simultanea quando il [suo] verifcarsi non avviene simultaneamente [per tutti]. Poiché non si constata l’impegno simultaneo [di tutti] per esempio negli atti di culto, ecc., ma alcuni sono impegnati negli atti di culto, altri sono intenti al vizio, altri [sono impegnati] nel distacco e altri ancora nella conoscenza, perciò, anche dalla [constatazione della loro diversifcata] attività non simultanea, è provato che [i puru\a-jıva] sono molteplici. E inoltre [ciò viene stabilito] “anche dalla stessa diversità insita nella terna dei princìpi qualitativi” (traigu~yaviparyayåccaiva). La molteplicità dei puru\a è provata anche dalla diversità di natura dei tre guãa. Per esempio, nella comune esperienza, a seconda della nascita, quegli che ha natura sattvica sarà felice, un altro, di natura rajasica, sarà infelice e un
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altro ancora, di natura tamasica, sarà otenebrato. Così la molteplicità [dei puru\a-jıva] è provata [anche] dalla diversità insita nella terna dei guãa. [Ora il testo] afferma che il Puru\a è non-agente (akart®). 19. E da tale sostanziale diferenza [dal manifestato e dal l’Immanifesto], è stabilito che al Puru\a compete la natura di testimone, l’assolutezza, l’indiferenza, la natura di veggente e la natura non-agente. [Affermando che] il Puru\a è privo di atributi, è discrimi nante, è il fruitore, ecc. si è asserita la totale distinzione del Puru\a e dei guãa; pertanto del Puru\a [stesso] risulta stabilita la natura di testimone (såk\itva) nei confronti del sattva, del rajas e del tamas che costituiscono gli agenti in quanto esso è posto a capo in rapporto alla molteplicità [dei guãa, ecc.]. Sol tanto i guãa si impegnano nell’atività come agenti, mentre il testimone né dà inizio all’azione né pone fine all’agire30. E inoltre [solo al Puru\a compete] “l’assolutezza” (kaiva lya), cioè la natura di un ente assoluto, vale a dire distinto (a nya); per cui ‘assoluto’ (kevala) [significa in effeti] ‘distinto dai tre guãa’31. La “neutralità” (mådhyasthya, let. ‘lo stare nel mezzo’) è una natura di impassibilità. Il Puru\a è impassibile al pari di un monaco itinerante (parivråjaka). Come un monaco itine rante, per quanto si trovi tra gli abitanti di un villaggio impe gnati per esempio nell’atività agricola, resta isolato, indiffe rente, [così] anche il Puru\a, benché si trovi tra questi guãa allorché svolgono le loro azioni, non produce alcuna atività. Perciò [al Puru\a appartengono anche] “...la natura di veggen te e la natura non-agente”. Poiché è indifferente, pertanto il Puru\a è il veggente (dra\†®) e, per lo stesso motivo, anche nonagente (akart®) in rapporto alle loro atività. I tre guãa, cioè il sattva, il rajas e il tamas, producono atività atraverso la loro
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natura di agenti dell’azione, ma non il Puru\a. E così è stata stabilita la natura del Puru\a 32 . Obiezione: Dal momento che il Puru\a è non-agente, in che modo può pervenire a una determinazione quale: ‘compirò ciò che è giusto, non compirò ciò che non è giusto’? Da ciò [ossia considerando in tal modo, ne consegue che il Puru\a] diverrebbe agente, mentre [si è detto che] il Puru\a è nonagente. Così in entrambi i casi si avrebbe un difetto. Risposta: In merito a ciò si dice: 20. Il distrutibile, che è privo di consapevolezza, in virtù di tale contato con quello (con il Puru\a), [diviene] come se fosse consapevole e, allo stesso modo, [il Puru\a per quanto] indiferente, diviene come se fosse agente allorquando si ha la funzione agente dei guãa. Al riguardo, il Puru\a è di per sé dotato di consapevolezza (cetanavat) e “Il distruttibile”, consistente nell’intelletto e negli altri [tatva], congiunto con tale splendore di consapevolezza, diviene “come se fosse consapevole”. Come nel piano empirico un vaso [diviene] freddo a contatto del freddo e caldo a contatto del calore, così “Il distruttibile”, consistente nell’intelletto e negli altri [tatva], “.in virtù del contatto con quello”, cioè grazie al contatto con il Puru\a, diviene “come se fosse consapevole”. Perciò sono i guãa che pervengono alla determinazione e non il Puru\a 33 . Seppure nella comune esperienza si è soliti considerare che il Puru\a agisce, cammina, ecc., tuttavia il Puru\a stesso resta afatto non-agente. Come mai [avviene questo]? Perché “.diviene come se fosse agente allorquando si ha la funzione agente dei guãa”. Allorquando si verifca la funzione agente dei guãa, il Puru\a diviene come se fosse agente,
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e non già [realmente] agente. A tale proposito vi è un esempio: come si considera che quegli che, pur non essendo un ladro, viene preso per ladro allorché va accompagnandosi con dei ladri, così, mentre gli agenti sono i tre guãa, il Puru\a, sebbene sia non-agente, quando è congiunto con loro diviene [come se fosse] agente, in virtù del contatto con ciò che è agente34. Così è stata chiaramente spiegata la totale distinzione di manifestato, Immanifesto e conoscitore, totale distinzione grazie alla [comprensione della] quale si ha il conseguimento della liberazione. Ordunque, qual è la causa dell’associazione del Puru\a con il Pradhåna? Si dice: 21. Il congiungimento del Puru\a [con il Pradhåna] ha per scopo la conoscenza, similmente [quello] del Pradhåna [con il Puru\a] ha per scopo l’isolamento e per entrambi è simile a [ciò che è la unione tra] uno zoppo e un cieco. Il processo manifestante è prodoto da ciò. “Il congiungimento (saµyoga) del Puru\a” insieme con il Pradhåna “ha per scopo la conoscenza” (percezione, dar©ana), per cui il Puru\a [quando è unito al Pradhåna] percepisce la Prak®ti, cioè l’efetto, a cominciare dall’intelletto fno agli elementi grossolani, ecc. (comprendendo quindi anche gli entiforma, gli eventi, ecc.). A tal fne, vi è anche il congiungimento “del Pradhåna” con il Puru\a, che “ha per scopo l’isolamento” [del Puru\a]. E tale congiungimento [reciproco] “per entrambi” lo si deve considerare “simile a [ciò che è la unione tra] uno zoppo e un cieco”. Una volta uno zoppo e un cieco stavano entrambi viaggiando [insieme ad altri] quando, nella foresta, la carovana venne assalita con grande eferatezza. Per la sventura
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causata dai ladri, [lo zoppo e il cieco] abbandonati dai [rispettivi] compagni, presero a vagare a caso [ognuno da sé], errando qua e là. Nel loro rispettivo procedere fnirono per incontrarsi e, in seguito, nutrendo fducia nelle reciproche asserzioni, ebbero ad unirsi per poter camminare e vedere: lo zoppo venne issato dal cieco sulle sue spalle e in tal modo il cieco poté procedere lungo il cammino visto dallo zoppo sollevato sul [proprio] corpo, mentre lo zoppo [poté spostarsi in quanto] montato sulle spalle del cieco. Ugualmente nel Puru\a vi è la capacità di percezione, come per lo zoppo, ma non la [capacità di] azione; mentre nel Pradhåna vi è la capacità di azione, come per il cieco, ma non la capacità di percezione. E, come sarebbe avvenuta la separazione dei due, lo zoppo e il cieco, una volta che avessero conseguito il proprio scopo, cioè allorquando avessero raggiunto il luogo desiderato, così anche il Pradhåna, una volta determinata la liberazione del Puru\a, cessa di agire, mentre, da parte sua, il Puru\a, percepito il Pradhåna, consegue l’isolamento, per cui si verifcherà la separazione dei due allorquando avessero raggiunto il proprio scopo35. Vi è dell’altro: “Il processo manifestante è prodotto da ciò”: il processo manifestante (sarga) è provocato da questo, ossia la manifestazione (s®\†i) è prodotta da tale congiungimento [del Puru\a con il Pradhåna]. Come dal congiungimento dell’uomo con la donna si ha la venuta all’essere del fglio, così dal congiungimento del Puru\a con il Pradhåna si ha la venuta all’essere della manifestazione. Adesso, allo scopo di prospettare tutte le distinzioni, [il testo] dice: 22. Dalla Prak®ti [discende] l’intelleto, da cui il senso dell’io, e da quello l’insieme composto da sedici [parti], ancora da cinque [parti provenienti] da tale [insieme] di sedici [parti, provengono a loro volta] i cinque elementi [grossolani].
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Prak®ti, Pradhåna, Brahman (saguãa), Immanifesto (avyakta), ‘Qello dalla natura molteplice’, måyå: sono sinonimi36. Dalla Prak®ti priva di caratteristiche distintive (ali√ga) viene ad essere direttamente l’intelletto; l’intelletto è la buddhi, la quale può [sia] essere asurica, [sia manifestarsi come] cognizione, percezione e conoscenza37; essa sorge da quelli che sono [più avanti (v. 23) defniti come] sinonimi della coscienza (prajñå). E da quello, dall’intelletto, viene ad essere il senso dell’io (ahaµkåra). I sinonimi del senso dell’io sono: ‘origine degli elementi’, ‘prodotto soggetto a modifcazione’ (vaik®ta), ‘il luminoso’ e ‘identifcazione’. Da lui [proviene] l’insieme di sedici [parti], cioè dal senso dell’io viene ad essere l’insieme di sedici [parti, ovvero l’ente] la cui natura propria è di sedici [costituenti], che sono: i cinque elementi sottili38 – l’elemento sottile suono, l’elemento sottile contatto, l’elemento sottile forma, l’elemento sottile sapore e l’elemento sottile odore – e quindi gli undici sensi – l’orecchio, la pelle, gli occhi, la lingua e il naso, che sono i cinque organi di percezione – e la parola, le mani, i piedi, gli organi di generazione e gli organi di escrezione, che sono i cinque organi di azione – più la mente come undicesimo, la quale sostanzia entrambi [i gruppi]. Qesto insieme di sedici [parti] viene ad essere dal senso dell’io. E inoltre, “.da cinque [parti. provengono a loro volta] i cinque elementi [grossolani]”, cioè: “da cinque [parti provenienti] da tale” insieme “di sedici [parti]”, cioè dagli elementi sottili, invero vengono ad essere direttamente “i cinque elementi” grossolani39. Qanto detto [signifca]: dall’elemento sottile ‘suono’ [discende] lo spazio [quale elemento grossolano], dall’elemento sottile ‘contatto’ [discende] l’aria [.], dall’elemento sottile ‘forma’ il fuoco, dall’elemento sottile ‘sapore’ l’acqua, dall’elemento sottile ‘odore’ la terra. È in questo modo che dai cinque [tanmåtra], che sono di natura infnitesima (paramå~u),
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vengono ad essere i cinque elementi grossolani [oggetto dei sensi]. È stato detto che la liberazione [è determinata] dalla conoscenza discriminante del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore. In relazione a ciò è stata spiegata la diferenziazione [del manifestato] nei ventitré [tatva] che cominciano dall’intelletto e terminano con gli elementi [grossolani]. Anche l’Immanifesto è stato spiegato [nel verso che recita]: «.in virtù della limitatezza delle distinzioni [degli enti]», ecc. (Såµ. Kå. 15) e, infne, lo stesso Puru\a è stato spiegato attraverso le argomentazioni che iniziano da: «Per il motivo che un ente composito esiste in funzione di un altro [ente].», ecc. (Såµ. Kå. 17). In tal modo, questi [enti trattati] costituiscono i venticinque tatva. Colui, il quale conosce la terna dei mondi in quanto da loro sostanziata, per costui si ha la realizzazione della [pura] esistenza, cioè la realtà [suprema, dunque la liberazione], in accordo con quanto è stato detto [in precedenza]: «Il devoto, conoscitore dei venticinque tatva, qualunque sia lo stadio di vita (in cui si trova), che sia un discepolo dalla chioma intrecciata, un asceta dalla testa rasata oppure un mendicante, viene liberato; su ciò non vi è dubbio». Dunque questi, elencati come [segue]: la Prak®ti, il Puru\a, l’intelletto, il senso dell’io, i cinque elementi sottili, gli undici organi e i cinque elementi grossolani, costituiscono i venticinque tatva. Al riguardo è stato detto che l’intelletto viene ad essere dalla Prak®ti; qual è la sua specifcità? [L’Autore] dice questo: 23. L’intelleto (buddhi) è determinazione, virtù, conoscenza, distacco e potere: questa è la [sua] natura caraterizzata dal satva; quella caraterizzata dal tamas è del tuto opposta a questa.
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“L’intelletto è determinazione” (adhyavasåya) e la determinazione consiste nella risolutezza (adhyavasåna). Come [è la cognizione secondo cui] nel seme è contenuto il germoglio, che sicuramente si produrrà in futuro, tal quale è la determinazione. [Qando si fa un’afermazione come:] ‘questo è un vaso, questo [altro] è un tessuto’, tale essendo [la propria certa cognizione], questa è ciò che si defnisce intelletto (buddhi), e tale intelletto è ottuplice [nella gradazione] in funzione della diferenziazione tra la [sua natura] caratterizzata dal satva e [quella] caratterizzata dal tamas. Al riguardo, la natura sattvica della buddhi è quadruplice e consiste in: virtù, conoscenza, distacco e potere. In questo contesto si defnisce virtù (dharma) ciò che è la compassione, la generosità e le astinenze e osservanze [contemplate nel dar©ana Yoga]. A tale proposito, astinenze (yama) e osservanze (niyama) sono chiaramente indicate nell’opera di Patañjali: «Le osservanze sono: la non-violenza, la veridicità, l’astenersi dal furto, la continenza, l’assenza di avidità» (Yo. S¥. 2.30), «Le osservanze sono: la purezza (corporea e mentale), l’appagamento, l’austerità, lo studio di sé e la dedizione al Signore» (Yo. S¥. 2.32). [Anche termini come:] “.conoscenza” (jñåna), illuminazione (prakå©a), apparenza manifesta (bhåna) sono [tutti] sinonimi e, inoltre, anch’essa è duplice: esterna e interna. Tra loro quella esterna consiste nei Veda accompagnati dalle sei scienze ausiliarie (vedå√ga) quali la pronuncia, il rituale, la grammatica, l’etimologia tradizionale, la metrica e l’astronomia, e [unitamente a queste cose] anche i Puråãa, [i dar©ana quali] il Nyåya e la [P¥rva-] Mımåµså e i Dharma©åstra40. Qella interna è la conoscenza della Prak®ti e del Puru\a: la Prak®ti consiste nella condizione di equilibrio (såmyåvasthå) di satva, rajas e tamas, mentre il Puru\a è [in sé] perfetto, privo di attributi, [totalmente] pervasivo e consapevole. Ciò signifca che tramite la conoscenza esterna si hanno l’ammirazione generale e l’apprezzamento da parte di tutti,
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mentre grazie alla conoscenza interiore si ha la liberazione. Tale è il senso. Anche il non-attaccamento (vairågya) è duplice: esteriore e interiore. Qello esteriore è la totale assenza di sete verso gli oggetti visti, che per colui che si è distaccato completamente deriva dalla constatazione del difetto insito nell’acquisizione [dei beni], nella [fatica per la loro] salvaguardia, nella [soferenza dovuta alla loro inevitabile] distruzione, nell’attaccamento [che condiziona] e nella violenza. Il non-attaccamento interiore è quello che sorge per colui che, distaccatosi in quanto considera qui anche il Pradhåna [intero, cioè l’universo, ecc.] simile a sogno o a un incantesimo, aspira [solo] alla liberazione. Il “potere” (ai©varya) è la condizione propria di Ù©vara (il Signore) e anch’esso possiede una ottuplice qualità: la [possibilità di assumere una] dimensione infnitesima, la [possibilità di assumere una] dimensione enorme, la [possibilità di assumere una] enorme pesantezza o [una infnita] leggerezza, l’ottenimento [di tutto ciò che si vuole], la perfetta volontà, il potere [su tutto], la forza di soggiogare [chiunque] e la capacità di trovarsi dove si desidera. La “dimensione infnitesima” (a~imå) è la condizione di esistenza delle dimensioni dell’atomo: divenuti [così estremamente] piccoli, si può andare dovunque per il mondo. La “dimensione enorme” è quando, divenuti immensi, ci si trova dovunque [allo stesso tempo]. La “[infnita] leggerezza” (laghimå) si ha quando, attraverso tale [infnita] leggerezza si può stare persino sulle sommità dei fori come se si fosse parti dei flamenti delle foriture dei loti. L’ “ottenimento” (pråpti) è quando si ottiene la cosa concepita qualunque sia la situazione contingente in cui si trova. La “perfetta volontà” (prakåmya): per colui che ha una perfetta volontà, ciò che egli vuole, quello stesso porta a com-
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pimento. Avendo acquisito la natura di [colui che esercita il] potere (ı©itva), si governa persino sul triplice mondo. La “forza di soggiogare [chiunque]” (vå©itva) [fa sì che colui che la possiede] diviene in grado di sottomettere [chiunque altro]. La “capacità di trovarsi ove si vuole” (yatrakåmåvasåyitva) è quando ci si può muovere, sedersi in un dato luogo o vagare, secondo la propria volontà, lì stesso dove se ne ha desiderio, da [quella che è la condizione di] Brahmå fno a uno stelo di erba. Qeste sono le quattro nature sattviche della buddhi: quando il rajas e il tamas sono soverchiati dal satva, allora l’essere umano ottiene quelle qualità dell’intelletto che cominciano con il dharma, ecc.41 E inoltre, “quella caratterizzata dal tamas è del tutto opposta a questa”, cioè: la condizione-natura dell’intelletto allorché è caratterizzato dal [prevalere del] tamas è afatto opposta a questa [caratterizzata] dal dharma e dalle altre [qualità positive]. A tale riguardo, l’adharma è del tutto opposto al dharma, e ugualmente è per quanto riguarda la mancanza di conoscenza (ajñåna), la mancanza di distacco (avairågya) e la mancanza di potere (anai©varya). Dunque l’intelletto presenta otto modalità, derivanti dalle rispettive nature del satva e del tamas, e viene ad essere dall’Immanifesto che è essenziato dei tre guãa. Ora che è stata così enunciata la natura dell’intelletto, si espone la natura del senso dell’io. 24. Il senso dell’io (ahaµkåra) è la identifcazione [di sé con il veicolo psicofsico]. Da tale [identifcazione] procede una duplice manifestazione: sia l’insieme costituito dagli undici [sensi] sia, pure, quello costituito dai cinque tanmåtra. “.sia l’insieme costituito dagli undici.” (ekåda©aka©ca gaãa¢) – si tratta degli undici sensi – “.sia”, allo stesso modo, l’insieme qual è “quello costituito dai cinque tanmåtra”, cioè
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formato dai cinque [fattori percettivi sottili], ossia formato dal tanmåtra del suono, dal tanmåtra del contatto, dal tanmåtra della forma, dal tanmåtra del sapore e dal tanmåtra dell’odore. Qal è la natura della manifestazione [che procede dal senso dell’io]? Qesto espone [adesso l’Autore]. 25. La endecade [dei sensi], che è permeata di satva, procede sviluppandosi dal senso dell’io totalmente modifcato. Da tale principio degli elementi [qual è il senso dell’io viene ad essere la pentade che formano] i tanmåtra sostanziati di tamas. [Pertanto] ambedue [derivano] dal luminoso. Qando il rajas e il tamas che sussistono nel senso dell’io sono soverchiati dal satva, allora il senso dell’io è [defnito come] sostanziato dal satva, e di tale [senso dell’io] dagli antichi maestri è stata coniata la defnizione di ‘totalmente modifcato’ (vaik®ta). Da quello, cioè “.dal senso dell’io totalmente modifcato” sorge ad essere “La endecade”, cioè l’insieme dei sensi. Pertanto i sensi sono perfettamente puri e [per loro natura] sostanziati di satva e, quindi, perfettamente in grado [di avere la percezione] dei rispettivi oggetti. Per questo si aferma: “La endecade [dei sensi], che è permeata di satva.”. E inoltre, “Da tale principio degli elementi [qual è il senso dell’io viene ad essere la pentade che formano] i tanmåtra sostanziati di tamas.”. Qando il satva e il rajas che sussistono nel senso dell’io sono soverchiati dal tamas, allora si dice che il senso dell’io è [come se fosse interamente] permeato di tamas. Per lui, gli antichi maestri hanno coniato la defnizione di ‘principio degli elementi’ (bh¥tådi). Da quello, dal senso dell’io che è il principio degli elementi, sorge ad essere il quintuplice insieme dei tanmåtra. [Poiché] lo stato di princi-
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pio degli elementi vede una prevalenza del tamas, pertanto viene detto tamasico42. Da tale principio degli elementi [viene ad essere] l’insieme dei cinque tanmåtra. E inoltre “.ambedue [derivano] dal luminoso”. Qando il satva e il tamas vengono entrambi soverchiati dal rajas, allora, poiché quello, il senso dell’io, è [detto anche] ‘il luminoso’, ne scaturisce la defnizione [data nel verso], cioè: “[Pertanto] ambedue [derivano] dal luminoso” (il senso dell’io), dove con [il termine] ‘ambedue’ (ubhaya) [si intende] sia l’insieme degli undici [sensi], sia [l’insieme] dei cinque tanmåtra. Qesto senso dell’io, quando è [prevalentemente] sattvico, è soggetto a modifcarsi e, una volta divenuto modifcato [assumendo la qualità dei guãa], genera gli undici sensi allorché ricorre all’associazione con il senso dell’io [quando è] luminoso. [Infatti] quando è sattvico non produce attività, per cui esso diviene capace di far sorgere i sensi [solo] allorquando è congiunto con il [suo aspetto in quanto] risplendente43. Similmente, il senso dell’io, quando è [prevalentemente] tamasico, e quindi allorché viene defnito come il principio degli elementi, a causa della sua condizione di inattività (passività), fa venire all’essere i tanmåtra allorché diviene congiunto con il senso dell’io quando è luminoso, in virtù della sua natura agente. Per questo è stato detto: “.ambedue [derivano] dal luminoso”44. È in questo modo che gli undici sensi e i cinque tanmåtra vengono prodotti da parte dell’io luminoso45. È stato detto che la endecade è sattvica. Qal è la defnizione di tale [insieme di organi sensoriali e qualità sensorieelementali] che viene ad essere dal senso dell’io permeato di satva allorché si è completamente modifcato? [L’Autore] dice: 26. Dicono che quelli caraterizzati [esteriormente dai rispetivi organi fsici] come la vista, l’udito, l’olfato, il gusto e il
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tato sono gli organi di percezione, [e che] la parola, le mani, i piedi, gli organi di generazione e gli organi di escrezione sono gli organi di azione. Qelli che cominciano con la vista (cak\us) e terminano con il tatto (spar©ana) vengono detti ‘organi di percezione’ (buddhındriya). Ciò attraverso cui si ha la percezione tattile è il tatto, e la pelle è l’organo sensoriale [corrispondente]; ora, è noto che ciò che esprime tale [facoltà] viene defnito con il termine ‘tatto’ (spar©ana), per cui questo [insieme di organi di percezione] viene recitato come “quelli caratterizzati [esteriormente dai rispettivi organi fsici] come (la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e) il tatto.” (.spar©akåni). I cinque organi di percezione percepiscono, cioè aferrano i cinque [rispettivi] oggetti che sono: il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore. Dicono che “la parola, le mani, i piedi, gli organi di generazione e gli organi di escrezione sono gli organi di azione”. [Sono detti] ‘organi di azione’ (karmendriya) perché svolgono una [determinata e propria specifca] attività. Tra loro la parola pronuncia, le mani producono una molteplice varietà di atti, i piedi [permettono] l’andare e il venire, l’organo di escrezione produce la emissione, l’organo di generazione il piacere e la generazione di una creatura. Si è spiegato così che, in base alla distinzione tra gli organi di percezione e gli organi di azione, gli organi assommano a dieci. La mente è l’undicesimo. Di che cosa è sostanziata? Qal è la sua natura? Ciò viene [ora] enunciato. 27. Qi la mente ha la natura di entrambi ed è sia capace di esprimere coordinazione sia [essa stessa un] organo in virtù della omogeneità di natura [con gli altri organi], mentre la molteplicità [dei sensi] e le distinzioni esteriori [oggetuali] sono dovute a una speciale qualifcazione nella trasformazione dei guãa.
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“Qi”, nel contesto della classe dei sensi, “la mente ha la natura di entrambi”, cioè: in relazione agli organi di percezione è come un organo di percezione, in relazione agli organi di azione è come un organo di azione. Perché? [Perché] provvede alla funzione sia degli organi di percezione che degli organi di azione. Per questo [si aferma che] “la mente ha la natura di entrambi”; poiché promuove [la loro attività, si dice che] è “capace di esprimere coordinazione” (saµkalpaka) e, inoltre, è anche un organo, “in virtù della omogeneità di natura” (sådharmya), perché la sua natura ha le medesime proprietà [di quella degli altri organi]. Gli organi di percezione e gli organi di azione, sorgendo insieme con la mente dal senso dell’io allorché è sattvico, assumono la medesima natura della mente e, proprio in virtù di tale omogeneità di natura, [si dice che] anche la mente è un organo. Così questi undici organi vengono ad essere dal senso dell’io quando, sostanziato dal satva, si modifca totalmente. A tale riguardo, qual è la funzione propria della mente? La [sua] funzione è quella di coordinare (saµkalpa), mentre le funzioni degli organi di percezione sono [quelle di percepire] il suono e gli altri [oggetti] e [quelle] degli organi di azione sono [di produrre] la parola e le altre [attività corporee]. Obiezione: Dunque, questi diferenti sensi capaci di percepire diferenti oggetti sono stati creati dal Signore o, piuttosto, [sono venuti ad essere] per loro stessa natura? [Tale domanda si presenta] sia perché tanto il Pradhåna, che l’intelletto e il senso dell’io sono di per sé privi di consapevolezza, sia, anche, perché da parte sua il Puru\a è non-agente. Risposta: Al riguardo è stato detto: per i seguaci del Såµkhya vi è una data causa che consiste precipuamente nella
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natura propria (svabhåva) e, a tale proposito, si aferma che “la molteplicità [dei sensi] e le distinzioni esteriori [oggettuali] sono dovute a una speciale qualifcazione nella trasformazione dei guãa”. Qesti undici sensi [hanno per oggetto rispettivamente]: il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore per i cinque [organi di percezione], la parola, la prensione, la deambulazione, la evacuazione e il godimento sessuale per i cinque [organi di azione] e il pensiero coordinatore per la mente. Qesti sono gli oggetti [rispettivi] dei diferenti organi, dovuti a una speciale trasformazione dei guãa. La trasformazione (pari~åma) dei guãa è un dato mutamento in relazione ai princìpi qualitativi; la molteplicità [dei sensi] e le distinzioni esteriori [oggettuali] sono dovute a una loro speciale qualifcazione. Dunque, questa molteplicità non deriva dal Signore, né dal senso dell’io, né dall’intelletto, né dal Pradhåna, né dal Puru\a ma è prodotta dalla natura propria [di tali enti] attraverso una trasformazione dei guãa. Obiezione: [Essa] non proviene [dalla trasformazione dei guãa] a causa della natura priva di consapevolezza dei guãa. Risposta: [Invece essa] proviene proprio [dai guãa trasformati] come qui stesso verrà detto: «Come la funzione del latte, che è privo di consapevolezza, consiste nel determinare la crescita del vitello, allo stesso modo la funzione del Pradhåna è fnalizzata alla perfetta liberazione del Puru\a» (Såµ. Kå. 57). In questo modo i guãa, pur privi di consapevolezza, agiscono mediante il diventare gli undici sensi; e sempre da loro è prodotta anche la stessa speciale qualifcazione, attraverso cui, per esempio, la vista è collocata nell’appropriata sede, in alto, per poter percepire, così l’olfatto, così l’orecchio, così la lingua [sono tutti collocati] nella propria rispettiva sede al f-
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ne di cogliere il proprio oggetto. Ugualmente, anche gli organi di azione, capaci di svolgere le rispettive funzioni secondo la modalità [di ciascuno], sono collocati ciascuno nella propria sede, in funzione della rispettiva natura, sempre dalla speciale qualifcazione inerente alla trasformazione dei guãa; viceversa, non è così per quanto riguarda i loro oggetti, perché in un’altra Scrittura è stato detto: «.sono i guãa che agiscono sui guãa» (Bha. Gı. 3.28), cioè: quella, che è la funzione dei guãa, ha per oggetto solamente i guãa stessi, e gli oggetti esterni conoscibili sono anch’essi prodotti soltanto dai guãa; tale è l’oggetto, la causa del quale è il Pradhåna46. Ora si espone qual è la funzione di ogni singolo senso. 28. Si vuole che la funzione dei cinque [organi di percezione] nei confronti del suono e degli altri [oggeti] sia la sola percezione, mentre [quella] dei cinque [organi di azione] consiste [singolarmente e rispetivamente] nel parlare, nel prendere, nel camminare, nell’evacuare e nel godere. Il termine “sola” (måtra) sta a signifcare una specifca qualifcazione (vi©e≤a), per cui comporta la esclusione di ciò che non qualifca specifcamente [il tale e tale organo], come la specifcazione [nella frase comune]: ‘si accetta solo l’elemosina, e non altro’. Così gli occhi [esplicano la loro funzione] solo nella [percezione della] forma [di un oggetto] e non, per esempio, nel [percepire il] sapore o altro. Ugualmente è anche per i restanti sensi. Pertanto, come è la forma per la vista, [così] è il sapore per la lingua, l’odore per il naso, il suono per l’orecchio e il tatto per la pelle. In questo modo è stata esposta la funzione degli organi di conoscenza. [Ora] si recita la funzione degli organi di azione. Per la voce è il parlare, per le mani è il prendere, per i piedi il camminare, per gli organi di escrezione l’espellere i resi-
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dui impuri del cibo ingerito, per gli organi di procreazione il piacere e la generazione dei fgli. [Nel verso] è sottintesa sia la funzione che gli oggetti [rispettivi]. Adesso viene esposta [la funzione] dell’intelletto, del senso dell’io e della mente. 29. La funzione della terna corrisponde alla propria intrinseca natura [di ognuno] e questa stessa non è comune [a tuti], mentre la funzione comune agli organi consiste nei cinque sof vitali quali il pråãa e gli altri. Le condizioni caratteristiche di ognuno sono comprese in quella che è la ‘propria natura intrinseca’ (svålak\a~ya). È stato detto che la caratteristica della buddhi è la determinazione: quella stessa è anche la funzione della buddhi. Similmente il senso dell’io è la identifcazione, cioè la sua caratteristica è [la tendenza a] identifcarsi [con qualcosa], per cui anche la sua funzione è quella della identifcazione [di sé con il veicolo individuato e la sua condizione contingente]. È stata anche enunciata la caratteristica [della mente asserendo] che la mente esprime coordinazione, per cui la coordinazione stessa è la funzione della mente. “La funzione della terna corrisponde alla propria intrinseca natura” dell’intelletto, del senso dell’io e della mente, “(e questa stessa) non è comune [a tutti]” (asåmånya); neanche tale funzione degli organi di conoscenza, quale è stata precedentemente esposta, è comune [a tutti, al pari della rispettiva natura]47. Adesso viene [invece] enunciata quella funzione che è comune (såmånya). La funzione organica comune è quella funzione degli organi che agisce in modo comune [per tutti]. I sof vitali (våyu) sono cinque, cioè il pråãa e gli altri; ora, i cinque sof vitali – cioè: il pråãa, l’apåna, il samåna, il vyåna e l’udåna – costituiscono la funzione comune a tutti gli organi. Infatti il sofo vitale defnito pråãa è compreso all’interno
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della regione tra il naso e la bocca e la sua attività di movimento oscillatorio appartiene anche ai tredici [sensi]: infatti, fn tanto che vi è il pråãa, vi è la percezione di sé [da parte dei singoli organi]. Anche il pråãa, infatti, come [fa] un uccello nella gabbia, induce movimento-attività [vitale] in tutto [l’apparato organico]. Così viene detto pråãa (lett. ‘colui che si muove verso l’alto’) per via del suo procedere verso l’alto (sofo ascendente). Similmente, l’apåna [è così chiamato] per via del suo procedere verso il basso (sofo discendente). Anche quello che è il suo movimento rappresenta una funzione comune per l’organismo [intero]. Ugualmente il samåna agisce nella regione mediana [del corpo] e tale sofo vitale è detto samåna perché distribuisce equamente il cibo, ecc. [ai vari distretti organici]. Al riguardo, [anche] quello che è il suo alterno muoversi rappresenta una funzione organica comune. In modo simile l’udåna [è così chiamato] per via del [suo] potere di innalzare, [per la sua capacità] di trarre fuori, di condurre in alto, ed è compreso tra la regione dell’ombelico e la testa. Anche in relazione all’udåna, quello che è il suo movimento alterno rappresenta una funzione comune a tutti gli organi. Infne quello, dal quale viene operata la pervasione del corpo e che si ripartisce al suo interno avendolo pervaso al pari dello spazio, è il vyåna. Al riguardo [anche] quello che è il suo alterno muoversi costituisce una funzione comune alla intera compagine organica. Così questi cinque sof vitali sono stati spiegati come una funzione comune per tutti gli organi, il che signifca che [essendo] una funzione comune agli organi [lo] è anche in rapporto ai tredici sensi48. 30. Invero, in relazione al visibile, la funzione della quaterna avviene in simultaneità, mentre [la funzione] di quella viene indicata [anche] come [svolgentesi] gradualmente. Ugualmente, anche in relazione all’invisibile la funzione della terna è preceduta da quella.
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“(Invero, in relazione al visibile, la funzione) della quaterna avviene in simultaneità.”. Qando si verifca la congiunzione dell’intelletto, del senso dell’io e della mente con ciascun singolo organo si ha la ‘quaterna’ (catu\†aya). “. in relazione al visibile, la funzione della quaterna”, [funzione che si esplica] nell’accertamento di ogni oggetto, “avviene in simultaneità” (yugapat), in questo modo: l’intelletto, il senso dell’io e la mente, insieme con la [facoltà della] vista, percepiscono una data forma in un medesimo tempo per cui [si dice con certezza, per esempio] ‘questo è un palo’. [Così] intelletto, senso dell’io, mente e lingua colgono un sapore simultaneamente; intelletto, senso dell’io, mente e olfatto colgono simultaneamente un odore; lo stesso avviene anche per la pelle e l’udito. E inoltre: “[la funzione] di quella viene indicata [anche] come [svolgentesi] gradualmente.”, cioè: la funzione “di quella”, della quaterna, avviene anche ‘gradualmente’ (krama©as). Ciò è come quando qualcuno, trovandosi a camminare lungo una strada e vedendo qualcosa da lontano viene a trovarsi nel dubbio: ‘quello potrebbe essere un palo oppure un uomo’; in seguito egli nota là [sull’oggetto] un particolare caratteristico, per esempio un uccello ivi posatosi, al che, sussistendo ancora il dubbio concepito da parte della sua mente, l’intelletto, operando una discriminazione, [aferma]: ‘questo è un palo’, quindi anche il senso dell’io fnisce per accertare [la natura dell’oggetto, e conferma]: ‘è certamente un palo’. Così viene constatata la funzione graduale di intelletto, senso dell’io, mente e vista. Come [avviene] in rapporto a una forma, così si deve comprendere [che avviene] anche in relazione al suono e agli altri [oggetti percepibili]. [La espressione] “in relazione al visibile” (d®\†e) [signifca] ‘in relazione all’oggetto visibile’ [cioè direttamente percepibile dai sensi]. E inoltre, “Ugualmente anche in relazione all’invisibile la funzione della terna è preceduta da quella”. “In relazione al-
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l’invisibile”, cioè in relazione a un tempo che deve ancora venire o che è già trascorso, “la funzione della terna”, cioè di intelletto, senso dell’io e mente, “è preceduta da quella” della vista nei riguardi della forma, è preceduta da quella della pelle nei riguardi del tatto, è preceduta da quella dell’olfatto nei riguardi dell’odore, è preceduta da quella del gusto nei riguardi del sapore, è preceduta da quella dell’udito nei riguardi del suono49. Dunque, la funzione di intelletto, senso dell’io e mente in relazione a un tempo futuro, che sarà, e passato, avviene gradualmente in quanto è preceduta da quella [del singolo organo sensoriale], mentre in relazione al presente avviene sia simultaneamente che gradualmente. E inoltre. 31. [L’intelleto e gli altri princìpi interiori] compiono la propria rispetiva funzione [allorché è] causata da un impulso reciproco. La sola causa è proprio il fne del Puru\a: [pur non essendo impulsato] da nessun [ente] un organo produce atività. [L’espressione] “la propria rispettiva” (svåµ svåm) [signifca] ‘in ordine successivo’. L’intelletto, il senso dell’io e la mente [compiono] “la propria rispettiva funzione [allorché è] causata da un impulso reciproco”, cioè entrano in attività prontamente in virtù di uno stimolo. Il senso dell’io e gli altri [princìpi] derivanti dall’intelletto “compiono (la propria rispettiva funzione.)” per portare a compimento il fne del Puru\a; l’intelletto, dopo aver percepito l’impulso del senso dell’io, opera la propria funzione verso il proprio rispettivo oggetto. Se [si chiede]: ‘con quale fnalità [agiscono i sensi]?’ [si risponde] “La sola causa è proprio il fne del Puru\a”. Afnché si compia il fne del Puru\a: ecco a quale scopo si ha la funzione dei princìpi costitutivi. Pertanto [si dice che] questi sensi rivelano il fne del Puru\a.
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Obiezione: Ma se essi sono privi di consapevolezza, in che modo possono svolgere [ciascuno] la propria funzione? Risposta: “.[pur non essendo impulsato] da nessun [ente] un organo produce attività”. Il senso dell’enunciato è che ‘soltanto il fne del Puru\a, unico, induce l’attività [di guãa, organi, ecc.]’; da nessun [ente], sia esso il Signore o un [altro] essere cosciente, un senso può essere reso consapevole perché agisca. Ora si espongono quanti sono [i princìpi della individualità come] l’intelletto e gli altri50. 32. La compagine organica è fata di tredici [organi sensoriali] e la sua [funzione] è caraterizzata da [ati come] aferrare, mantenere e rivelare, mentre il suo oggeto è decuplice, consistendo in ciò che si deve prendere, ciò che si deve mantenere e ciò che si deve rivelare. “La compagine organica” (karaãa), consistente nell’intelletto e negli altri [tatva], deve essere conosciuta in quanto “è fatta di tredici [organi sensoriali]”: i cinque organi di conoscenza, come la vista e gli altri, i cinque organi di azione, come la parola e gli altri, e l’intelletto, il senso dell’io e la mente; così la compagine organica consta di tredici [facoltà]. Come agisce? [L’Autore] aferma questo: “la sua [funzione] è caratterizzata da [atti come] aferrare, mantenere e rivelare”. Al riguardo gli organi di azione svolgono l’aferrare e il mantenere e gli organi di conoscenza il rivelare. Di quante specie è il suo oggetto? “.e il suo oggetto è decuplice”. Il suo oggetto, ossia quanto deve essere operato da parte della compagine organica [inerente all’azione], è decuplice (da©adhå), ha dieci modalità e precisamente quelle denominate: suono, contatto, forma, sa-
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pore e odore e quelle denominate: parlare, aferrare, camminare, evacuare e godere; questo è il decuplice oggetto. Gli organi di azione prendono e mantengono quanto è rivelato dagli organi di percezione. E inoltre. 33. L’organo interno è triplice, l’esterno è decuplice ed è defnito oggeto per la terna. Nel tempo presente [svolge la sua funzione] l’esterno, [mentre] nel triplice tempo [svolge la sua funzione] l’organo interno. “L’organo interno” (anta¢karaãa), cioè l’intelletto, il senso dell’io e la mente, “è triplice” in virtù della distinzione nel mahat e negli altri [princìpi]; “l’esterno è decuplice”: i cinque organi di percezione [più] i cinque organi di azione, per cui questo organo [che è rivolto verso il mondo] esterno è decuplice. In relazione a ciò “.è defnito oggetto per la terna”. [Infatti] l’udito ode soltanto il suono presente, non quello passato né quello futuro; anche la vista vede [solo] la forma presente, non quella passata né quella futura; la pelle [percepisce] il contatto [con un oggetto] presente, la lingua [.] il sapore presente, l’olfatto [.] un odore presente e non già passato né futuro. Ugualmente è [anche] per gli organi di azione: la parola emette un suono presente, non futuro né passato; le mani aferrano un vaso presente, non futuro né passato; i piedi camminano lungo una strada presente, non passata e neppure futura; gli organi di escrezione e di generazione producono rispettivamente emissione e piacere al presente e non nel passato o nel futuro. In questo senso è stato detto che “Nel tempo presente [svolge la sua funzione] l’esterno”. Viceversa “.nel triplice tempo [svolge la sua funzione] l’organo interno”. L’intelletto, il senso dell’io e la mente hanno per oggetto il triplice tempo. [Infatti] l’intelletto conosce il vaso presente, ma anche quello passato e quello
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futuro; il senso dell’io crea identifcazione al presente, ma anche nel passato e nel futuro; allo stesso modo la mente opera un coordinamento nel presente, ma anche nel passato e nel futuro; in questo modo l’organo interno [svolge la sua funzione] nei tre momenti temporali51. Adesso si enuncia questo: quanti organi colgono un oggetto specifco e quali uno non specifco. 34. Gli organi di percezione: di loro cinque sono gli oggeti specifci e non-specifci. La parola ha come oggeto il [solo] suono, ma i rimanenti hanno cinque oggeti. “Gli organi di percezione.”: essi colgono [rispettivamente] un oggetto specifco. Gli organi di percezione degli esseri umani (månu\a) rivelano [ciascuno] un oggetto specifco, come il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore, congiunti, questi, con piacere, dolore e ofuscamento mentale; quelli dei deva rivelano oggetti non-specifci. Similmente, tra gli organi di azione, “La parola ha come oggetto il [solo] suono”: la parola, sia dei deva che degli esseri umani, pronuncia versi, ecc. Perciò, per i deva e per gli esseri umani la parola rappresenta una uguale facoltà organica. Anche “.i rimanenti”, cioè, escludendo la parola, quelli defniti come le mani, i piedi, gli organi di escrezione e i genitali, “hanno cinque oggetti”. I cinque oggetti sono il suono e gli altri, in rapporto ai quali essi (i restanti organi) sono detti essere di quintuplice oggettività (pañcavi\aya). [Infatti], nelle mani sussistono [contemporaneamente] il suono, il tatto, la forma, il sapore e l’odore; il piede calca il terreno che è caratterizzato dai cinque [oggetti] quali il suono e gli altri; l’organo di escrezione efettua l’espulsione di quanto è formato dai cinque [elementi-oggetti]; in maniera simile, l’organo di procreazione genera il piacere attraverso il seme che è anch’esso caratterizzato dai cinque [elementi-oggetti].
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35. Poiché l’intelleto, insieme con l’intero organo interno, si assorbe in ogni oggeto, pertanto il triplice organo [interno] è il guardiano dell’accesso, i restanti [organi] sono gli accessi. [L’espressione] “.l’intelletto, insieme con l’organo interno” signifca: ‘l’intelletto associato con il senso dell’io e con la mente’. Poiché [esso, in tale condizione] “si assorbe in ogni oggetto”, ossia lo comprende, cioè può aferrare il suono e gli altri [oggetti] anche nei tre momenti temporali, “pertanto il triplice organo interno è il guardiano dell’accesso” (dvårin), [mentre] “i restanti“ organi – [tale parola] è la [sottintesa] continuazione sentenza – “sono gli accessi” (dvåra)52. E inoltre. 36. Qesti [organi], simili a lampade, l’uno sostanzialmente diferente dall’altro, sono qualifcazioni dei guãa; avendo rivelato l’intero oggeto del Puru\a, [lo] ofrono all’intelleto. “Qesti”, gli organi che sono stati enunciati, “consistenti in specifche distinzioni dei guãa.”. Come sono qualifcati? [Sono] “.simili a lampade” (pradıpakalpa), in quanto rivelano gli oggetti al pari di lampade; “l’uno sostanzialmente differente dall’altro”, non similari [tra loro]; vale a dire che hanno oggetti distinti53, “sono qualifcazioni dei guãa”, cioè sono stati generati dai princìpi qualitativi. Dunque, gli organi di percezione, gli organi di azione, il senso dell’io e la mente, [tutti] questi “avendo rivelato” ciascuno il proprio rispettivo oggetto, quindi [avendo tutti insieme rivelato l’intero oggetto] del Puru\a, “[lo] ofrono all’intelletto”, vale a dire che operano la [sua] collocazione nell’intelletto: [questo] perché il Puru\a apprende l’intera oggettività, consistente nel piacere, ecc., proprio in quanto stabilita nell’intelletto54.
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E vi è dell’altro. 37. Poichè la buddhi porta a compimento la totalità quale oggeto di fruizione per il Puru\a, è sempre essa che, ancora, distingue chiaramente la sotile diferenza tra il Pradhåna e il Puru\a. La “totalità” (sarva) è quella che rientra nella sfera di tutti i sensi nei tre tempi; l’“oggetto di fruizione” (pratyupabhoga) rappresenta [tutto] ciò che singolarmente viene ad essere sperimentato. “Poiché la buddhi”, insieme con l’organo interno [nel modo in cui è stato detto nel verso 35], attraverso gli organi di percezione e gli organi di azione di deva, esseri umani e animali, “porta a compimento”, cioè porta a completamento [la totalità quale oggetto di fruizione per il Puru\a], perciò “è sempre essa stessa che (ancora) distingue chiaramente la sottile diferenza tra il Pradhåna e il Puru\a”, cioè opera la netta separazione tra l’oggetto del Pradhåna e quello del Puru\a, vale a dire [evidenzia] la loro assoluta distinzione. [Qi con l’aggettivo] ‘sottile’ [si intende] ciò che non è ottenibile attraverso discipline ascetiche per le quali non si è qualifcati. ‘Qesta [quale è stata descritta] è la Prak®ti, consistente nella condizione di equilibrio (såmyåvasthå) di satva, rajas e tamas; questo [.] è l’intelletto e questo il senso dell’io; questi sono i cinque elementi sottili, gli undici sensi e i cinque elementi grossolani; quest’altro è il Puru\a, afatto distinto da [tutti] loro’: così accerta l’intelletto, dall’assenso al quale discende l’emancipazione55. In precedenza è stato detto che gli oggetti sono sia specifci che non-specifci. Ora [il testo] mostra quali sono tali oggetti. 38. Le essenze sotili sono non-specifche. Da quelle cinque [provengono] i cinque elementi [grossolani]: questi sono noti come specifci, pacifcati, molesti e oscuranti.
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Le cinque ‘essenze sottili’ (tanmåtra) che vengono all’esistenza – l’essenza sottile del suono, l’essenza sottile del contatto, l’essenza sottile della forma, l’essenza sottile del sapore e l’essenza sottile dell’odore – provengono dal senso dell’io; queste vengono dette “non-specifche” (avi©e≤a). Esse appartengono ai deva, sono contraddistinte dal piacere e sono altresì esenti sia dalla soferenza che dalla obnubilazione. “Da quelle cinque” essenze sottili [attraverso gli elementi sottili] provengono “i cinque elementi” grossolani che sono conosciuti come: la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lo spazio; “questi sono noti come specifci” (vi©e≤a). Dalla essenza sottile dell’odore [viene ad essere] la terra [quale elemento grossolano], dalla essenza sottile del sapore [viene ad essere] l’acqua, dalla essenza sottile del contatto [.] l’aria, dalla essenza sottile della forma il fuoco, dalla essenza sottile del suono lo spazio: così sono venuti ad essere questi elementi grossolani [come precipitazione degli elementi sottili e, questi, come condensazione delle rispettive essenze sottili]. Qesti [elementi grossolani], [considerati] specifci, costituiscono oggetto [di percezione sensoriale] per gli esseri umani56. Sono [detti anche] “pacifcati” (©ånta), cioè contraddistinti dalla piacevolezza (sulak\aãa), ma anche “molesti” (ghora), ossia caratterizzati dalla [capacità di arrecare] soferenza, e “oscuranti” (m¥ƒha), in quanto generatori di confusione mentale. Ad esempio lo spazio, per qualcuno che esca all’esterno di un ambiente angusto, è pacifcato in quanto apportatore di piacere; [ma] quello stesso, per colui che, percorrendo una strada, abbia sbagliato [direzione uscendo] dal sentiero nella foresta, è ofuscatore in quanto ha [il potere di indurre in lui] una certa confusione circa l’orientamento; ugualmente l’aria è pacifcata [cioè piacevole] per quegli che abbia soferto l’arsura per via del calore del sole, ma molesta per quegli che sia infreddolito, ed estremamente ofuscante qualora si presenti co-
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me vento che solleva polvere e sabbia. Così si deve considerare [anche] per il fuoco e gli altri57. Ordunque vi sono gli altri [oggetti] specifci. 39. I sotili, generati da padre e da madre, insieme con gli elementi prodoti, costituiscono i triplici [oggeti] specifci. Tra loro i sotili sono stabili, quelli generati da padre e madre cessano di essere. “I sottili” sono le essenze sottili (tanmåtra). I sottili sono quelli da cui è composto il corpo sottile, caratterizzato dall’intelletto e dagli altri [tatva], il quale esiste con continuità e quindi trasmigra58. Similmente, “quelli nati da padre e madre” (måtåpit®ja) si aggregano a formare il corpo grossolano quando, compiendosi nel tempo opportuno l’accoppiamento del padre con la madre, creano [dapprima] l’aggregato del corpo sottile dentro al grembo materno attraverso la mescolanza del sangue e del seme, poi quel corpo sottile viene alimentato attraverso il cordone ombelicale con le varie essenze di ciò che è stato mangiato e bevuto dalla madre. Così, il corpo che ha cominciato a prendere forma attraverso i tre [costituenti] specifci quali i sottili (le essenze e quindi gli elementi sottili) e quelli nati da padre e madre insieme con gli elementi grossolani, [comincia a differenziarsi presentando] la schiena, l’addome, le gambe, il posteriore, il petto, la testa e le altre [parti] analoghe, [divenendo altresì] inguainato da sei componenti derivanti dai cinque elementi [grossolani], cioè dal sangue, dalla massa muscolare, dai tendini, dal seme, dalle ossa e dal midollo; [poi] lo spazio [è necessario] in virtù della separazione delle parti estese, l’aria [è necessaria] per l’accrescimento, il fuoco per la digestione [del cibo ingerito], l’acqua per l’articolazione [delle membra], la terra per [formare una struttura di] sostegno. Una volta che è dotato di tutte le parti [elen-
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cate], esce all’esterno del grembo materno. Così questi [costituenti] specifci sono di tre specie. A questo punto [l’Autore risponde alle domande]: quali sono quelli permanenti? Qali quelli impermanenti? “Tra loro i sottili sono stabili”. Tra loro i sottili, denominati essenze sottili, sono stabili, permanenti (nitya). Il corpo [sottile], che ha preso forma grazie a loro, in forza del proprio agire (karman) trasmigra in condizioni di nascita come quelle di animali domestici, animali selvatici, uccelli, rettili ed esseri privi di movimento (i vegetali). [Oppure], in virtù del retto comportamento (dharma), [si troverà a fare esperienza] nei mondi di Indra e degli altri [deva]. Così questo corpo sottile [relativamente] permanente trasmigra fn quando non sorge la conoscenza (jñåna): una volta che è sorta la conoscenza, il saggio, abbandonato il corpo, consegue la liberazione (mok\a). Perciò questi [costituenti] sottili sono permanenti59. [Invece] “.quelli generati da padre e madre cessano di essere”. Qelli (i costituenti corporei) generati da padre e madre cessano di essere qui stesso al momento del distacco dalla energia vitale (pråãa) quando è stato completamente abbandonato il corpo sottile. Al tempo della morte il corpo [grossolano] generato da padre e madre cessa di essere qui stesso e si riassorbe interamente nella terra e negli altri [elementi grossolani] secondo l’essenza [rispettiva di ogni componente]. In che modo [il corpo sottile] trasmigra? Al riguardo [l’Autore] aferma: 40. Il dissolubile (li√ga, il corpo sotile) formatosi al principio [della manifestazione], non-ataccato, [pressoché] permanente, costituito dall’intelleto e dagli altri [tatva] fno ai sotili (le essenze sotili), trasmigra senza esperire [ma] pervaso dai modi della esistenza.
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Qando i mondi non erano [ancora] sorti e si andava ma nifestando il Pradhåna con gli altri [enti che ne discendono], allora veniva all’esistenza il corpo sotile. Inoltre, è “nonataccato” (asakta), cioè non congiunto con le condizioni di nascita di animali né con le condizioni di esistenza di deva o di esseri umani. A causa della [sua] natura sotile non è ataccato ad alcunché per cui, potendosi spostare dappertuto senza essere ostacolato, trasmigra, ossia vaga per ogni dove, a cominciare dalle regioni montuose, ecc. È “[pressoché] permanente” (niyata), ossia eterno (essen do un rifesso, benché indireto, della Coscienza suprema). Fin quando non sorge la conoscenza, fno ad allora trasmigra (saµsarati)60. Ed esso è “costituito dall’intelleto e dagli altri [tattva] fno ai sotili (le essenze sotili, tanmåtra)”. L’intellet to e gli altri [tattva, unendosi] formano quello (l’individuo) al quale appartengono l’intelletto, il senso dell’io e la mente, più le cinque essenze sotili; [mentre l’espressione] “fno ai sotili” (s¥k≤maparyanta) [signifca] ‘comprendendo anche le essenze sotili’61; così trasmigra persino nei tre mondi al pari di una formica imprigionata su uno stecco. “.senza esperire” (nirupabhoga), cioè privo di [qualsiasi efetiva] fruizione in quanto tale corpo sotile diviene in gra do di sperimentare [solo] grazie all’acquisire le proprietà di azione atraverso lo sviluppo esteriore generato dal padre e dalla madre (cioè la corporeità fsica)62. Tale è il signifcato. “.pervaso dai modi della esistenza”: più avanti (v. 43) e nunceremo i ‘modi della esistenza’ (bhåva), quali il [compor tamento conforme al] dharma, ecc., per cui “pervaso.” (adhi våsitam) [signifca] saturato da loro. “.dissolubile” (li√ga): [il veicolo sotile è così denominato in quanto] al tempo della dissoluzione universale (pralaya), esso, composto dall’intelleto e dagli altri [tattva] fno a quelli [che sono gli elementi] sotili, accompagnato dalle facoltà sensoriali, si dissolve nel Pradhåna; non [più] costreto alla
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peregrinazione esistenziale, continua ad esistere [per così dire allo stato potenziale nella Prak®ti] fno al tempo di una [nuo va] manifestazione universale: esso, vincolato dal legaccio dell’obnubilamento [proprio] della Prak®ti, sussiste incapace di [qualsiasi] atività come quella di trasferirsi lungo il dive nire esistenziale e altre; poi, al tempo di una [nuova] mani festazione universale, riprende a trasmigrare. Per questo il [corpo] sotile è [deto] ‘dissolubile’63. Qal è lo scopo per il quale l’insieme organico costituito di tredici sensi trasmigra? A questa domanda [l’Autore] risponde così: 41. Come una rafgurazione [non esiste] senza un sostrato, [o] un’ombra senza un palo, ecc., tal quale non esiste senza i [costituenti] non-specifici il dissolubile [se] privo di un sostrato. “Come una rafgurazione” non esiste “senza un sostrato”, per esempio un muro, o “un’ombra” non esiste “senza un pa lo, ecc.”, come un piolo, ecc., cioè non può aversi a prescinde re da loro. Dicendo “ecc.” (ådi) si intende [anche un’altra tipo logia di esempi, in cui un ente coesiste con la proprietà che lo contraddistingue e ne esprime la natura]: come non vi è ac qua senza fresco né fresco senza acqua e, allo stesso modo, il fuoco senza calore, l’aria senza contato, lo spazio senza e stensione o la terra senza odore. Atraverso questa esemplif cazione [si comprende che il dissolubile] “non esiste senza i [costituenti] non-specifci”, cioè privo delle essenze sotili che sono non-specifche64. Dunque, gli elementi [grossolani] ven gono deti essere ‘specifci’ e il corpo [grossolano o fsicodenso] è formato dai cinque elementi [grossolani]. Ora, senza il corpo [fsico] fato di [costituenti] specifci, dove potrebbe situarsi la sede del dissolubile (il corpo sotile)? Dove altro dimorerebbe quello stesso [corpo sotile] che ha abbandonato un corpo [fsico]?
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Esso è “privo di un sostrato” (nira©raya), vale a dire che l’insieme organico consistente dei tredici sensi è il dissolubile privo di sostrato65. Qal è il suo scopo? Si dice questo: 42. Motivato dal fne del Puru\a, questo dissolubile (il corpo sotile), grazie all’aderenza a causa ed efeto, in virtù della unione con la potenzialità della Prak®ti, sussiste manifestandosi variamente come [sul palcoscenico fa] un atore. Il fne del Puru\a (la liberazione) è ciò che deve essere realizzato: a tal fne il Pradhåna produce attività. E tale [fne del Puru\a] è di due specie: quello che consiste nella percezione del suono e degli altri [oggetti] e quello che consiste nella percezione della diferenza che intercorre tra il Puru\a stesso e i guãa [della Prak®ti]. La percezione del suono, ecc. è l’ottenimento della fruizione dell’odore e degli altri [oggetti] nei mondi di Brahmå e negli altri; la percezione della diferenza tra il Puru\a e i guãa è la liberazione. Per questo viene detto che questo corpo sottile produce attività essendo motivato dal [conseguimento del] fne del Puru\a. “.grazie all’aderenza a causa ed efetto”. La causa (nimita) è per esempio il dharma, ecc., mentre l’efetto (naimittika) è per esempio il dirigersi in condizioni superiori [di esistenza], ecc., e di ciò parleremo solo più avanti. [L’espressione] “grazie all’aderenza” (prasa√gena) signifca ‘essendo strettamente connesso’. “.in virtù della unione con la potenzialità della Prak®ti” cioè del Pradhåna. Come un sovrano, nel suo proprio regno, qualunque cosa intenda fare, quella stessa pone in atto in virtù del [suo] potere, allo stesso modo “in virtù della unione (yoga) con la potenzialità” (vibhutva) della Prak®ti che è dappertutto, “grazie all’aderenza a causa ed efetto. sussiste ma-
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nifestandosi variamente.” (vyavati\†hate), cioè crea la condizione di esistenza per il dissolubile (il corpo sottile) manifestantesi variamente nell’assumere ogni singolo corpo [grossolano]. Dunque, il dissolubile, cioè il corpo composto dalle essenze sottili, che sono [come] particelle infnitesime di natura sottile (quindi non percepibili), accompagnato dall’insieme organico costituito dai tredici sensi, sussiste manifestandosi variamente nelle condizioni di nascita come essere umano, deva o animale. Come [si manifesta.]? “.come [sul palcoscenico fa] un attore”. Come un attore (na†a) che, entrato inizialmente sul palco in date vesti, e mostratosi dapprima come un deva, successivamente ne esce e [con altre vesti appare] quindi un uomo, poi ancora [vi rientra come] un bufone, così il dissolubile, penetrando all’interno del ventre [materno] grazie all’aderenza a causa ed efetto, diviene [ora] un elefante, [ora] una donna, [ora] un uomo [e così via]66. È stato detto che il dissolubile trasmigra in quanto pervaso (vale a dire assorbito o impregnato) dai modi della esistenza. Qali sono tali modi della esistenza? [L’Autore] aferma: 43. I modi della esistenza, consistenti nella virtù, ecc., sono innati, naturali e prodoti. Essi sono constatati in quanto dimoranti nel senso, mentre l’embrione e gli altri [enti sono constatati in quanto] dimoranti nell’efeto. “I modi della esistenza” (bhåva) sono ritenuti essere di tre specie: “innati, naturali e prodotti”67. Tra loro, quelli ‘innati’ (o ‘di per sé assolutamente perfetti’, såµsiddhika) sono come i quattro aspetti dell’essere che si manifestarono tutti insieme per Kapila allorché veniva all’esi-
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stenza al tempo della manifestazione originaria e cioè: virtù, conoscenza, distacco e potere. Qelli ‘naturali’ (pråk®tika) vengono così enunciati: Sanaka, Sanandana, Sanåtana e Sanatkumåra erano i quattro fgli di Brahmå; questi [succitati] aspetti dell’essere vennero a manifestarsi tutti e quattro insieme per i loro corpi [perennemente] sedicenni formatisi in virtù [della legge] di causa ed efetto, per cui questi [a loro appartenenti] sono [ritenuti essere] quelli naturali. Similmente, per quanto riguarda quelli ‘prodotti’ (vaik®tika), per esempio, la conoscenza, per noi e altri [esseri simili], sorge in quanto ha causa nella forma [corporea] del maestro; dalla conoscenza [discende] il distacco, dal distacco la virtù e dalla virtù il potere. Ora, anche la forma [corporea] del maestro è un prodotto [della Prak®ti], per cui questi modi della esistenza vengono detti ‘prodotti’. Il dissolubile [corpo sottile] trasmigra essendo da loro pervaso68. Qesti quattro modi della esistenza sono impregnati di satva. Qelli impregnati di tamas sono gli opposti; a tale riguardo è stato spiegato: «.questa è la [sua] natura caratterizzata dal satva; quella caratterizzata dal tamas è del tutto opposta a questa» (Såµ. Kå. 23). Così [in totale i modi della esistenza] sono otto: virtù, conoscenza, distacco, potere, mancanza di virtù, ignoranza, attaccamento e assenza di potere. Dove si trovano gli otto modi della esistenza? “Essi sono constatati in quanto dimoranti nel senso”. Il senso (karaãa) è l’intelletto (buddhi): in quello dimorano. [Infatti] è stato detto: «L’intelletto è determinazione, virtù, conoscenza.» (Såµ. Kå. 23)69. L’efetto è il corpo fsico (deha); l’embrione e gli altri [enti], che sono stati defniti come ‘generati da una matrice’, di-
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morano in quello. Qando avviene l’unione del seme con il sangue, allora l’embrione e gli altri, cioè i vari stadi da quello embrionale iniziale fno al feto, vengono a prodursi attraverso uno sviluppo successivo (viv®ddhi); quindi si susseguono le fasi dell’infanzia, della giovinezza e della vecchiaia, ecc. come prodotti della essenza del cibo e delle bevande [ingeriti]. Per questo sono detti ‘dimoranti nell’efetto’ (kåryå©rayin), in quanto vengono generati come prodotti della fruizione di oggetti come il cibo, ecc. Riguardo a quanto è stato detto [prima]: «.grazie all’aderenza a causa ed efetto» (Såµ. Kå. 42), si aferma: 44. Con il dharma [si ha] un procedere verso l’alto, un procedere verso il basso si verifca [invece] con l’adharma; con la conoscenza si ha l’emancipazione, mentre dal [suo] contrario è imposto il legame. “Con il dharma [si ha] un procedere verso l’alto”. Applicando lo strumento del dharma ci si porta verso l’alto. [L’espressione] ‘verso l’alto’ (¥rdhvam) comprende otto regioni, e precisamente: quella di Brahmå, quella di Prajåpati, quella di Soma, quella di Indra, quella dei Gandharva, quella degli Yak\a, quella dei Råk\asa e quella dei Pi©åca; là va il corpo sottile70. In [forme quali quelle di] animali domestici, animali selvatici, uccelli, rettili ed esseri immobili [si rinasce quando si è operato] con lo strumento che è l’adharma. Inoltre “con la conoscenza si ha l’emancipazione”, laddove la conoscenza (jñåna) signifca la conoscenza dei venticinque tatva. Con tale strumento si ha l’emancipazione, cioè la liberazione; allora il corpo sottile cessa di esistere: [quello stato] viene detto ‘supremo åtman’. “.dal [suo] contrario è imposto il legame”. Lo strumento è l’ignoranza (ajñåna) e quello stesso legame (bandha) è un
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prodotto (naimitika) che può essere relativo alla Prak®ti, concernente i suoi derivati (vaikåriko) o associato ai rituali (dåk\i~ika): ciò verrà esposto più avanti. E questo è [il senso ultimo di] quanto è stato afermato: «Qegli che è vincolato dal triplice legame, cioè sia da quello relativo alla Prak®ti, sia, ugualmente, da quello relativo ai suoi derivati, sia da quello relativo ai rituali, non può essere liberato da alcun altro [strumento]». Così [si comprende che] vi è qualche altro mezzo: 45. Dal non-ataccamento [si ha] il dissolvimento della Prak®ti, dall’ataccamento appassionato deriva la trasmigrazione; dal potere [si ha] l’assenza di impedimenti, dal contrario [si ha] l’opposto. Per esempio, per qualcuno può esservi il non-attaccamento (vairågya) ma non la conoscenza dei princìpi: [proprio] da quello, “Dal non-attaccamento”, preceduto [però] dalla conoscenza, “[si ha] il dissolvimento della Prak®ti” (prak®tilaya): una volta morto, [quegli che ha solo il non-attaccamento] si dissolve negli otto princìpi produttivi (prak®ti), cioè nel Pradhåna, nell’intelletto, nel senso dell’io e nei [cinque] princìpi [che sono le essenze] sottili (tanmåtra), [ma per lui] non vi è liberazione, per cui deve ancora trasmigrare 71. L’attaccamento appassionato (råjasaråga) è [quando si pensa] così: ‘io compio i [prescritti] riti sacrifcali e [durante il loro svolgimento] ofro doni rituali, per cui sia qui che nell’altro mondo godrò la felicità, tanto umana che divina’. Da questo, cioè “dall’attaccamento appassionato deriva la trasmigrazione”. Similmente, “dal potere [si ha] l’assenza di impedimenti” (avighåta). Si è detto [nel Commento al verso 23] che questo potere consiste di otto specifcità, come [la capacità di] assumere una dimensione infnitesima, ecc. Da questo strumento che è il potere discende l’efetto consistente nell’assenza di
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impedimenti. Tale potere, dalla condizione di Brahmå in poi, non verrà ostacolato [da alcunché]. E vi è dell’altro: “.dal contrario [si ha] l’opposto”. L’opposto dell’assenza di impedimento consiste nell’essere ostacolati: a causa della mancanza di potere, si viene ostacolati in ogni circostanza. Così è stato spiegato l’efetto, consistente di sedici parti, insieme con le [varie e rispettive] cause. Si espone adesso qual è la sua natura. 46. Qesta è la manifestazione del contenuto conoscitivo, denominata: opposizione, incapacità, contentamento e conseguimento. A causa del divario tra i princìpi qualitativi, dovuto alla [loro] sostanziale diferenza, in efeti le sue varietà [si presentano] in cinquanta modalità. Poiché la distinzione dell’efetto e della causa come assommante a sedici [parti, v. 22] è già stata spiegata, [ora] si enuncia “Qesta” che “è la manifestazione del contenuto conoscitivo” (pratyayasarga). Il ‘contenuto conoscitivo’ (pratyaya) corrisponde all’intelletto (buddhi), [ciò] essendo stato enunciato [nei termini]: «L’intelletto è determinazione, virtù, conoscenza.», ecc. (Såµ. Kå. 23), e tale manifestazione del contenuto conoscitivo si suddivide quadruplicemente per via della distinzione in “opposizione, incapacità, contentamento e conseguimento”72. Tra questi la ‘opposizione’ (viparyaya) è rappresenta dal dubbio (saµ©aya) ovvero dall’ignoranza (ajñåna), come quando, alla vista di una sagoma eretta, a qualcuno sorge il dubbio: ‘quello potrebbe essere un tronco oppure un uomo’. La ‘incapacità’ (a©akti), invece, è quando, per esempio, pur avendo distinto chiaramente quel medesimo tronco, egli non è capace di rimuovere il dubbio: questa è l’incapacità. Ugualmente la terza denominazione è ‘contentamento’ (tu\†i). Qando [qualcuno] non intende conoscere quello stes-
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so tronco né dubitare [al riguardo pensando]: ‘che cosa importa?’, questo è il contentamento. La quarta denominazione è ‘conseguimento’ (siddhi), e si ha quando colui, i cui sensi sono pacifcati, nota un rampicante o un uccello posato sulla sagoma eretta: allora per lui si ha il conseguimento [della conoscenza certa nei termini]: ‘questo è un tronco’. Così, per via del “divario tra i princìpi qualitativi, dovuto alla [loro] sostanziale diferenza, invero le sue varietà”, [cioè le diverse forme] della manifestazione del contenuto conoscitivo, “[si presentano] in cinquanta modalità”. Qesto stesso divario (vimarda) consiste proprio nella totale diferenza di natura (vai\amya) [che sussiste] tra i guãa, cioè tra il satva, il rajas e il tamas, ed è tramite esso che le varietà della manifestazione del contenuto conoscitivo diventano cinquanta, in quanto talora predomina il satva, mentre il rajas e il tamas restano inerti, talora [predomina] il rajas [per cui.], talora il tamas [con le gradazioni intermedie che ne discendono]73. Vengono ora enunciate le [succitate] varietà [relative alla manifestazione del contenuto conoscitivo]. 47. Le distinzioni dell’impedimento sono cinque; l’incapacità, a causa della inadeguatezza dei sensi, consta di ventoto distinzioni; il contentamento è di nove [specie]; il conseguimento è di oto specie 74. “Le distinzioni dell’impedimento sono cinque”: annebbiamento (tamas), ofuscamento mentale (moha), grande confusione mentale (mahåmoha), oscurità (tåmi©ra) e cieca tenebra (andhatåmi©ra). Poco più avanti sarà esposta la natura molteplice di queste distinzioni. Invece le distinzioni della incapacità sono ventotto “a causa della inadeguatezza dei sensi” (karaãavaikalya). Esporremo [poi] anche loro.
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Similmente, “il contentamento è di nove specie”. Le conoscenze caratterizzate dal rajas ineriscono all’¥rdhvasrotas 75. In maniera simile, “il conseguimento è di otto specie”: [anche] in questo caso le conoscenze caratterizzate dal satva ineriscono [peculiarmente] all’¥rdhvasrotas. Ciò [l’Autore] esporrà afatto ordinatamente. A tale riguardo vengono [ora] enunciate le distinzioni dell’impedimento [nell’ordine elencato nel Commento]: 48. La distinzione dell’annebbiamento è di oto specie e anche quella dell’ofuscamento mentale; di dieci specie è la grande confusione mentale. L’oscurità è di dicioto specie e così è la cieca tenebra. Innanzitutto “La distinzione dell’annebbiamento è di otto specie”. La dissoluzione totale [dell’universo, pralaya] si distingue totalmente [dal resto] a causa della ignoranza (ajñåna). Colui che si riassorbe negli otto [princìpi] prak®tici, cioè nel Pradhåna, nell’intelletto, nel senso dell’io e nei cinque tanmåtra, ritiene che lui stesso [come principio cosciente o puru\a] stia dissolvendosi in loro, per cui [crede]: ‘io sono liberato’; questa è la varietà dell’annebbiamento [impregnata] di tamas. Una [analoga] varietà si ha [anche] per l’ofuscamento mentale ottuplice, vale a dire che anch’essa è di otto specie. Laddove vi è il divino potere dalle otto qualità (v. 23 e Commento), a motivo dell’attaccamento ad esso, deva come Indra e gli altri non conseguirono la liberazione; poi, alla distruzione di tali [poteri], essi presero di nuovo a trasmigrare. Qesto è l’ottuplice ofuscamento mentale. “Di dieci specie è la grande confusione mentale”. Il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore: questi cinque oggetti caratterizzati dal piacere appartengono ai deva; questi stessi cinque oggetti, quali il suono e gli altri, appartengono anche
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agli esseri umani. Così la grande confusione mentale [dovuta alla loro percezione fuorviante] inerisce a questi dieci [oggetti]. “L’oscurità è di diciotto specie”: il divino potere, che è ottuplice, e i dieci oggetti visibili (percepibili dagli esseri umani) e [solo] udibili (in quanto percepibili soltanto dai deva). [Gli esseri, divini e umani] si rallegrano per la [loro] acquisizione e il [loro] possesso, mentre si rattristano per la [loro] perdita: questa alternanza relativamente a tali diciotto specie è l’oscurità. Come l’oscurità consiste nel divino potere, che ha otto qualità, e nei dieci oggetti visibili e udibili (relativi alla percezione umana e divina rispettivamente), “così è” anche “la cieca tenebra” in quanto la [sua] varietà è ancora di diciotto specie. Invero, quando quegli stesso muore durante il godimento che si ha al pieno possesso degli oggetti, ovvero decade dal divino potere dalle otto qualità, allora si manifesta per lui una grande soferenza: tale è la cieca tenebra. Così le cinque varietà del contenuto conoscitivo, a cominciare dall’annebbiamento, sono state singolarmente suddivise fno ad arrivare a sessantadue varietà. Si recitano [ora] le varietà della incapacità. 49. Le carenze degli undici sensi, insieme con le carenze dell’intelleto, sono indicate come incapacità. Le carenze dell’intelleto sono diciassete, [e derivano] dall’impedimento del contentamento e del conseguimento. Così [da quanto si legge nel verso] si è indicato che le varietà della incapacità, dovute alla inadeguatezza dei sensi, sono [in tutto] ventotto. Al riguardo “Le carenze degli undici sensi.” sono: la sordità, la cecità, la paralisi delle membra, l’alterazione del gusto, la perdita dell’olfatto, la perdita della parola, la mutilazione degli arti, la deambulazione menomata, l’incapacità a emettere i fuidi corporei e la demenza.
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“.insieme con le carenze dell’intelletto, sono indicate come incapacità”, cioè [le carenze degli undici sensi che] sono [enumerate] unitamente a quelle che sono le carenze dell’intelletto, divengono le ventotto varietà della incapacità. “Le carenze dell’intelletto sono diciassette.”. Qeste diciassette carenze [sono classifcate] secondo l’inverso delle varietà del contentamento e delle varietà del conseguimento. Le varietà del contentamento sono nove, le varietà del conseguimento sono otto; quelle che sono le undici carenze [dei sensi vanno considerate] insieme con gli opposti [di quelle anzidette], per cui la incapacità ha ventotto espressioni. “.[e derivano] dall’impedimento del contentamento e del conseguimento”: la successione [della formazione] di tali varietà deve essere certamente compresa. A tale riguardo si espone il contentamento in quanto di nove tipi. 50. Qelli interni a sé stessi sono quatro, defniti come: la Prak®ti, gli strumenti, il tempo e la sorte; quelli esterni, [derivanti] dal ritiro dalla oggetività, sono cinque. [Così] i contentamenti vengono indicati come nove. “Qelli interni a sé stessi sono quattro” [tipi di] contentamenti – [l’aggettivo] ‘interni a sé’ (ådhyåtmika) [signifca che] la [loro] esistenza è all’interno di sé stessi – ed essi sono “defniti come: la Prak®ti, gli strumenti, il tempo e la sorte”. Tra loro, [ecco] quelli defniti come la Prak®ti. Ad esempio, qualcuno potrebbe conoscere la Prak®ti e la sua natura, sia in quanto dotata dei princìpi qualitativi sia in quanto priva dei princìpi qualitativi; pertanto, conoscendo chiaramente un solo principio (tatva) con il suo efetto, egli è appagato [di ciò]: per lui non vi è liberazione. Qesto è quello defnito come [relativo alla] Prak®ti. [Ecco] quello denominato come ‘strumenti’ (upådåna). Qando qualcuno, non conoscendo afatto i princìpi, opera
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comunque l’acquisizione degli strumenti [pensando]: ‘la liberazione [sarà conseguita] tramite i tre [strumenti] come il bastone, la ciotola e l’intensa aspirazione a conoscere’: neanche per lui può esservi liberazione. Qesto è quello [dei contentamenti] denominato ‘gli strumenti’. Simile è il [contentamento denominato] ‘tempo’ (kåla). [Per quegli che vi aderisce, sorge il pensiero] ‘nel tempo la liberazione avverrà [comunque]; a che scopo la concentrazione continua sui [vari] princìpi? ’, per cui egli è appagato [di ciò]: neanche per lui vi è liberazione. In modo analogo è la [forma di contentamento] denominata ‘sorte’ (bhågya) [e si ha quando si pensa]: ‘solo per buona sorte si verifcherà la liberazione’. Qesta è la [forma] chiamata ‘sorte’. Così il contentamento è di quattro forme. Inoltre, “quelli esterni, [derivanti] dal ritiro dalla oggettività, sono cinque”, cioè: le forme di contentamento [legate a fattori] esteriori sono cinque [e dipendono] dal ritiro [di sé stessi] dalla oggettività perché, da parte di colui che si è ritirato da [oggetti di percezione quali] suono, contatto, forma, sapore e odore, vi è la constatazione di [come essi cagionino diverse forme di soferenza dovute a] guadagno, perdita, distruzione, attaccamento e violenza. A causa [della idea] della [propria] prosperità, si devono efettuare la cura del bestiame, il commercio, l’accettazione di doni e il rendere servigi vari: questo, che è il guadagno, è [dunque fonte di] soferenza. Poi vi è il dolore [che si sperimenta] alla esigenza di salvaguardare quanto è stato acquisito mentre, quando viene ad esaurirsi il godimento [di ciò], si ha la soferenza dovuta alla [sua] distruzione. Similmente, una volta creatosi l’attaccamento nei confronti del godimento degli oggetti, non può esservi pacifcazione per i sensi: questo è il difetto dell’attaccamento. Ugualmente [si può erroneamente credere che] senza uccidere esseri viventi [in sacrifci animali] non può aversi la fruizione [delle cose desiderate]: questo è il difetto della violenza.
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Così, dalla constatazione dei difetti insiti nell’acquisizione, ecc., e quindi dal ritiro dalla quintuplice oggettività, si hanno le cinque forme di contentamento. In questo modo, dalla distinzione tra quelle interne a sé stessi e quelle esterne, si hanno nove forme di contentamento. I loro nomi vengono così enunciati in un’altra Scrittura: ‘l’acqua in quanto sostanza (ambhas), l’acqua in quanto instabile (salila), l’acqua come torrente vorticoso (ogha), l’acqua come pioggia (v®\†i), l’acqua sotterranea o scorsa via (s®tama, sutama), l’acqua in quanto estesa fno all’altra sponda (påra), l’acqua facile da governare (sunetra), l’acqua come entità sacra (nårika) e l’acqua quale essenza liquida senza superiore (anutamamåmbhasikam)’76. I contrari di queste forme di contentamento, in virtù della distinzione tra le [rispettive] incapacità, costituiscono le imperfezioni dell’intelletto, nel senso che le manchevolezze in relazione all’intelletto sono: l’opposto dell’acqua in quanto sostanza, l’opposto dell’acqua in quanto instabile, l’opposto dell’acqua in quanto torrente vorticoso, ecc. che, in ragione della [loro] natura del tutto opposta, sono le carenze dell’intelletto. Si descrive ora il conseguimento [nella sua integralità]. 51. La rifessione, l’istruzione orale, lo studio, la triplice eliminazione della soferenza, l’acquisizione di amici e la generosità: sono gli oto conseguimenti. Il precedente [gruppo di impedimenti, incapacità e contentamenti] sono la triplice picca per il conseguimento. “La rifessione” (¥ha) è quando qualcuno di continuo rifette così: ‘qual è, qui (in questa esistenza terrena), la verità? che cosa c’è al di là [di tale esistenza]? qual è il sommo Bene? compiendo che cosa sarò quegli che ha raggiunto il [proprio] fne?’. Per colui che così ragiona sorge la conoscenza: ‘il Puru\a è afatto distinto dal Pradhåna, distinto [dal Pradhåna] è
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l’intelletto e altro [da questo] è il senso dell’io, distinti [da loro] sono i princìpi sottili, i sensi e i cinque elementi grossolani’. In tal modo sorge la conoscenza della Realtà grazie a cui si invera la liberazione. Qesta [consapevolezza] è il primo conseguimento (siddhi), quello chiamato ‘rifessione’. Similmente, dalla conoscenza derivante dalla istruzione orale si ha la conoscenza avente per oggetto il Pradhåna, il Puru\a, l’intelletto, il senso dell’io, i princìpi sottili, i sensi e i cinque elementi grossolani, da questa [si ha] la liberazione: questo è il conseguimento chiamato ‘istruzione orale’ (©abda). Dallo ‘studio’ (adhyayana), cioè dallo studio di Scritture come i Veda e altre, ottenendo [con ciò] la conoscenza dei venticinque tatva, si consegue la liberazione, e questo è il terzo conseguimento. Poi vi è “la triplice eliminazione della soferenza” (du¢khavighåtatraya). Avvicinandosi ed entrando in contatto con un istruttore spirituale (guru) al fne di eliminare il triplice dolore dovuto a fattori interni, a fattori esterni naturali e a fattori divini, da tale istruzione si consegue la liberazione. Qesto è il quarto conseguimento e, in virtù della distinzione relativa al triplice dolore, deve essere considerato esso stesso come triplice, per cui si hanno [fn qui] sei conseguimenti. Similmente è “l’acquisizione di amici” (suh®tpråpti). Ad esempio, qualcuno consegue la liberazione ottenendo la conoscenza da un amico: questo è il settimo conseguimento. [Infne] vi è “la generosità” (dåna). Ad esempio, prendendosi cura degli asceti venerabili con il procurar loro alloggio, medicamenti, bastoni a tre punte, ciotole, ecc. e cibo, vesti, ecc., ottenuta da loro la conoscenza, si consegue la liberazione. Qesto è l’ottavo conseguimento. Di questi [stessi] otto conseguimenti, in un’altra Scrittura viene [così] espressa la loro denominazione: luminoso (tåra), brillante (sutåra), luce della luce (tåratåra), perfetta felicità o esaltazione gioiosa (pramoda), perfettamente allietato (pramu-
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dita), ciò che allieta perfettamente (pramodamåna), ciò che dispensa beatitudine (ramyaka), ciò che è in eterno perfettamente allietato (sadåpramudita)77. Si deve comprendere che quelli che sono i [rispettivi] opposti, cioè le imperfezioni dell’intelletto dovute al contrario di questi [conseguimenti], devono includersi nella incapacità, come l’assenza di luminosità, il non brillare, il non essere luce della luce, ecc. Le diverse forme di incapacità sono state enunciate come ventotto: esse sono le imperfezioni degli undici sensi unitamente alle imperfezioni dell’intelletto. Tra loro, nove sono i contrari dei contentamenti e otto i contrari dei conseguimenti, per cui queste imperfezioni dell’intelletto assommano a diciassette; le [undici] imperfezioni dei sensi [prese] insieme con queste formano le ventotto diverse forme di incapacità enunciate in precedenza. In questo modo sono state giusto completate la esposizione e la descrizione dell’impedimento, della incapacità, del contentamento e del conseguimento. Ma vi è dell’altro. “Il precedente [gruppo di impedimenti, incapacità e contentamenti] sono la triplice picca per il conseguimento”. Qelli che sono l’impedimento, l’incapacità e il contentamento, i quali precedono il conseguimento, sono [come] una picca per il conseguimento stesso; dalla sua distinzione [si desume che] anch’essa è triplice. Come un elefante, controllato per mezzo della picca, viene dominato, così chiunque al mondo, venendo tenuto sotto controllo da impedimento, incapacità e contentamento, procede nell’ignoranza. Perciò, il conseguimento deve essere onorato abbandonando del tutto questi [ostacoli, perché] dal conseguimento ottenuto sorge la conoscenza della realtà, da questa la liberazione.
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Dunque, è stato detto: «Il dissolubile. (trasmigra senza esperire [ma]) pervaso dai modi della esistenza» (Såµ. Kå. 40). Al riguardo, gli otto modi della esistenza, come la virtù e gli altri, sono stati enunciati quali trasformazioni dell’intelletto [ulteriormente] trasformate in impedimento, incapacità, contentamento e conseguimento: tale è la manifestazione del contenuto conoscitivo denominata ‘modo della esistenza’ (bhåva). È stato anche detto che il dissolubile (il corpo sottile) rappresenta la creazione degli elementi sottili che ha termine con le quattordici specie di esseri. In proposito, stante che il conseguimento del fne [supremo] del Puru\a [si realizza] grazie a una sola creazione, a che scopo una doppia creazione? A ciò [l’Autore] replica: 52. Senza i modi della esistenza non c’è corpo sotile, né, senza corpo sotile, vi è origine per i modi della esistenza. Pertanto la creazione si sviluppa in modo duplice: [quella] denominata ‘corpo sotile’ e [quella] denominata ‘modi della esistenza’. “Senza i modi della esistenza”, che sono la manifestazione del contenuto cognitivo, “non c'è corpo sottile”, ossia [non si ha] la creazione degli elementi sottili, perché l’ottenimento di ogni successivo corpo è determinato dagli invisibili semi attivi [prodottisi] in consecutive esistenze precedenti; “né, senza corpo sottile”, cioè [senza] la creazione degli elementi sottili, “vi è origine per i modi della esistenza”, perché la virtù e gli altri [modi della esistenza] si possono attuare [solo] per mezzo del corpo grossolano e sottile 78. Inoltre, dato che la creazione è priva di inizio, la dipendenza reciproca [di corpo sottile e modi di esistenza] è come [il rapporto che vige tra] il seme e il germoglio, per cui [ammettendola] non si incorre in alcuna incongruenza; questo perché singoli enti individuati, pur essendo in funzione delle rispettive classi [di generazione e appartenenza], non dipendono [necessariamente] l’uno dal-
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l’altro79. “Pertanto la creazione si sviluppa in modo duplice: [quella] denominata ‘corpo sottile’ e [quella] denominata ‘modo della esistenza’”. Vi è ancora dell’altro. 53. Otuplice manifestazione è quella divina, la nascita [in forma] animale si presenta quintuplice mentre quella umana è di una sola specie. In sintesi questa è la triplice creazione. In tale contesto, è di otto forme (prakåra) “quella divina” (daiva): [la forma] relativa a Brahmå, quella relativa a Prajåpati, quella relativa a Soma, quella relativa a Indra, quella relativa ai Gandharva, quella relativa agli Yak\a, quella relativa ai Råk\asa e quella relativa ai Pi©åca 80. Animali domestici, animali selvatici, volatili, rettili e serpenti ed esseri immobili: così è la quintuplice [creazione] concernente gli animali. La nascita [in forma] umana è solamente una. Così [le forme che hanno] gli esseri sono quattordici. Anche nei tre mondi (le sfere di esistenza succitate) vi è la [pervasione da parte della] terna dei guãa. Si espone ora qual è quello che prevale e dove. 54. In alto sovrabbonda di satva, in basso la creazione sovrabbonda di tamas, nel mezzo sovrabbonda di rajas. [È così] da Brahmå fno agli enti inerti. “In alto.”, nelle otto regioni dei deva, [la creazione] “sovrabbonda di satva”, cioè vi è prevalenza del satva, predominio del satva, superiorità del satva, per quanto sono presenti colà anche il rajas e il tamas; “in basso (la creazione) sovrabbonda di tamas”: dagli animali domestici fno agli enti inerti la intera creazione è pervasa dalla prevalenza del tamas, per quanto anche colà sono presenti il satva e il rajas.
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“.nel mezzo”, cioè nel mondo umano, è predominante il rajas, ma anche lì esistono il satva e il tamas. Per questo gli esseri umani sono notevolmente soferenti. [L’espressione] “da Brahmå fno agli enti inerti” signifca: ‘da Brahmå fno agli esseri immobili’. Così [vi sono]: la creazione indipendente dagli elementi, la creazione del dissolubile (il corpo sottile), la creazione dei modi della esistenza, la creazione degli elementi, [creazioni] che [considerate nel loro insieme] danno origine a esseri divini, esseri umani e animali; questa è la creazione prodotta dal Pradhåna, che consiste di sedici diverse modalità81. 55. Colà il Puru\a, il quale è consapevole, esperisce la soferenza causata dalla vecchiaia e dalla morte, fno alla totale cessazione del corpo sotile: è da quello che [si genera] il dolore, atraverso la sua propria natura. “Colà.”, cioè in quelle nascite in forma di deva, esseri umani e animali, “il Puru\a, il quale è consapevole” (cetana), cioè dotato della coscienza (caitanya), “esperisce la soferenza causata” sia “dalla vecchiaia” che, anche, “dalla morte”, [mentre tale soferenza non la esperiscono] né il Pradhåna, né l’intelletto, né il senso dell’io, né gli elementi sottili o i sensi e nemmeno gli elementi grossolani. Per quanto tempo il Puru\a sperimenta la soferenza? [L’Autore così lo] spiega: “.fno alla totale cessazione del corpo sottile”. Qello che è l’intelletto, ecc., essendo entrato nel corpo sottile, lì [stesso] diviene manifesto ed esso non cessa fn quando vi è il corpo di trasmigrazione (il corpo sottile): fno ad allora, in breve, il Puru\a sperimenta il dolore prodotto dall’invecchiamento e dalla mortalità nelle tre condizioni di esistenza, fno alla totale cessazione del corpo sottile, cioè fnché non si ha la defnitiva soluzione del corpo sottile. Alla cessazione del corpo sottile si avrà la liberazione e, quan-
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do è conseguita la liberazione, non esiste più [alcuna forma di] soferenza; e, ancora, grazie a che cosa [il corpo sottile] cessa di esistere? Qando vi sarà la conoscenza delle venticinque categorie, consistente nella percezione separata del Puru\a e della esistenza (satva), [tale che si possa riconoscere appieno]: ‘questo è il Pradhåna, questo è l’intelletto, questo è il senso dell’io, questi sono i cinque elementi, e il Puru\a è altro e del tutto distinto da loro’. Così dalla conoscenza si ha la cessazione del corpo sottile, da questa la liberazione82. Per la Prak®ti, qual è la causa in relazione all’impegno [manifestante]? Si dice: 56. È così: questo impegno profuso nell’opera della Prak®ti, [che si esprime nella manifestazione della totalità] dall’intelleto fno ai diferenti elementi, ha lo scopo della totale liberazione di ogni singolo puru\a, per cui è [compiuto] per il fne di un altro, per quanto è [visto] come se fosse per il proprio fne. [L’espressione] “È così: questo.” (itye\a¢) è [impiegata] sia per descrivere [riassuntivamente un argomento] sia per esprimere la [sua] completa conclusione. “.nell’opera della Prak®ti” signifca: nell’attività [svolta da parte] della Prak®ti; dunque: “(questo) impegno” (årambha) nell’attività esplicata da parte della Prak®ti “[che si esprime nella manifestazione della totalità] dall’intelletto fno ai diferenti elementi.” – [come detto] l’intelletto [deriva] dalla Prak®ti, il senso dell’io [.] dall’intelletto, da lui gli elementi sottili e gli undici sensi e dagli elementi sottili i cinque elementi grossolani. Dunque, “È così: questo impegno. ha lo scopo della totale liberazione di ogni singolo puru\a”, cioè è fnalizzato alla completa emancipazione e [viene svolto] nei confronti di ogni
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singolo puru\a, tra coloro che hanno assunto una condizione di dèi, esseri umani o animali. In che modo? “(.questo) impegno. è [compiuto] per il fne di un altro (parårtha) per quanto è [visto] come se fosse per il proprio fne (svårtha iva)”. Come qualcuno, tralasciando il proprio scopo, compie delle attività per un amico, così è il Pradhåna. In questo caso il Puru\a non rende nulla come controparte al Pradhåna, per cui è [solo] “come se fosse per il proprio fne” [del Pradhåna], e non già [realmente] per il proprio fne, mentre “è [compiuto]” soltanto “per il fne di un altro”. Il fne è la percezione degli oggetti quali il suono e gli altri e la comprensione della sostanziale distinzione tra il Puru\a e i guãa: nei tre mondi, infatti, i Puru\a debbono [dapprima] volgersi verso gli oggetti come il suono, ecc. [onde espletare le dovute esperienze] e, dopo, [votarsi solo] alla liberazione. Così è l’azione del Pradhåna e, in tal senso, è stato detto: «Il Pradhåna è come un recipiente: portato a compimento lo scopo del Puru\a, cessa di esistere». Obiezione: Al riguardo [si può obiettare che] il Pradhåna è privo di consapevolezza, mentre il Puru\a è consapevole. Come potrebbe aversi [da parte del Pradhåna inconsapevole] un agire come [quello di] un ente dotato di consapevolezza [ed esprimibile nei termini]: ‘io devo congiungere il Puru\a con oggetti come il suono, ecc. nei tre mondi e, dopo, devo operare la [sua] liberazione’? Risposta: Vero, ma sia l’attività, che la non-attività, viene constatata anche per enti inconsapevoli, per cui [l’Autore] dice: 57. Come la funzione del late, che è privo di consapevolezza, consiste nel determinare la crescita del vitello, allo stesso modo la funzione del Pradhåna è fnalizzata alla perfeta liberazione del Puru\a.
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Come l’erba, ecc. mangiata dalla mucca e trasformatasi in forma di latte determina “la crescita del vitello” e, una volta che il vitello è cresciuto, cessa di agire, così l’attività di un [ente] non-consapevole, qual è, appunto, il Pradhåna, “è fnalizzata alla perfetta liberazione del Puru\a”. E inoltre, 58. Come chiunque al mondo si impegna nelle atività al fne di estinguere il desiderio, tal quale il manifestato si impegna allo scopo della perfeta liberazione del Puru\a. “Come chiunque al mondo”, quando vi è il desiderio verso una cosa ambita, “si impegna nelle attività al fne di estinguere” quello, in attività quali l’andare e il venire, mentre cessa di agire una volta compiuto ciò che era da farsi, allo stesso modo il Pradhåna, “allo scopo della perfetta liberazione del Puru\a”, cioè una volta compiuto il fne del Puru\a, anch’esso duplice in quanto consistente sia nella fruizione di oggetti quali il suono e gli altri sia nella comprensione della sostanziale distinzione del Puru\a dai guãa, cessa di agire. E vi è dell’altro. 59. Come una danzatrice, dopo essersi esibita sul palco, cessa di danzare, così la Prak®ti, dopo aver rivelato sé stessa al Puru\a, cessa defnitivamente di agire. “Come una danzatrice, dopo essersi esibita sul palco” rappresentando vicende sia dal sapore sentimentale, ecc. che di carattere tradizionale, accompagnate da canti e musiche, assolto il proprio compito “cessa di danzare, così” anche “la Prak®ti, dopo aver rivelato sé stessa al Puru\a” attraverso la diferenziazione in [tatva quali] intelletto, senso dell’io, elementi sottili, sensi ed elementi grossolani, “cessa defnitivamente di agire”83.
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[L’Autore] espone ora in che modo, ovvero quale è la causa che determina la cessazione di attività [da parte della Prak®ti]. 60. Servendosi di molteplici mezzi, [la Prak®ti] è benefatrice nei confronti dell’essere conscio (il Puru\a), che non [la] ricambia di favori; essa, dotata dei princìpi qualitativi, agisce senza scopo [per sé stessa], ma per il vantaggio di quello che è di per sé privo dei princìpi qualitativi. “Servendosi di molteplici mezzi” la Prak®ti “è benefattrice nei confronti dell’essere conscio”, cioè del Puru\a, “che non [la] ricambia di favori”. In che modo? Assumendo le forme esistenziali di dèi, uomini e animali, divenendo essenziata di piacere, dolore e illusione, per mezzo delle forme degli oggetti quali il suono e gli altri. Così, dopo aver rivelato sé stessa con molteplici mezzi [in un modo esprimibile, ad esempio, come]: ‘io (Prak®ti) sono distinta [da te], tu (Puru\a) sei altro [da me]’, cessa di agire. Qindi essa “.agisce”, cioè opera “senza scopo [per sé stessa, apårthaka], ma per il vantaggio di quello” (il Puru\a) il quale è eterno, come quegli che agisce per il bene di un qualsiasi altro [essere] mentre non ricerca benefcio per sé stesso. In questo senso [si dice che] la Prak®ti si attiva, si adopera per il fne del Puru\a ma senza scopo per sé stessa84. In precedenza è stato asserito: «.dopo aver rivelato sé stessa (al Puru\a), cessa defnitivamente di agire» (Såµ. Kå. 59): ora, una volta che ha cessato di agire, che cosa fa [la Prak®ti]? Così dice [l’Autore]: 61. Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti – questa è la mia convinzione – che, appena [avverte] ‘sono stata vista’, non si presenta più alla visione del puru\a.
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Al mondo “Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti”: così “è la mia convinzione”, attraverso cui [si comprende che essa] è [operante] in funzione dello scopo di un altro; la [mia] convinzione si è formata [proprio] così. Perché? [Perché] “.appena [avverte]” io “sono stata vista” dal tale puru\a, “non si presenta più alla visione” di questo essere cosciente, vale a dire che esce dalla portata della visione [intellettuale] del puru\a. È a tale proposito che la si descrive come [ciò rispetto a cui non vi è nulla di] ‘più sfuggente’ (sukumåratara)85. Alcuni afermano che il Signore (Ù©vara) è la causa [del corso esistenziale degli enti]: «Qesta creatura ignorante è impotente nei riguardi della propria gioia e soferenza: [essa] andrà al paradiso o all’inferno condottavi soltanto dal Signore» (Ma. Bhå. 3.30.88). Altri sostengono che [solo] la natura propria [di ogni ente] è la causa: ‘Per quale [causa] il cigno è bianco e per quale [altra] il pavone variopinto? Solo per la propria natura [di ciascuno di loro]’. Al riguardo i maestri del Såµkhya si domandano: poiché Ù©vara 86 possiede una natura priva dei princìpi qualitativi (i guãa), come possono, le creature, nascere dotate dei princìpi qualitativi? Ovvero: come [possono, le creature caratterizzate dai guãa, discendere] dal Puru\a, che è afatto privo dei guãa? Perciò [la natura dotata dei guãa] appartiene alla Prak®ti. Come da fli bianchi si ha un tessuto ancora bianco, e da [fli] neri uno anch’esso nero, così si comprende che dal Pradhåna dotato dei tre guãa sono sorti all’esistenza i mondi caratterizzati dai tre guãa. Ora Ù©vara (Brahman) è privo dei princìpi qualitativi, per cui è illogico che la venuta all’esistenza dei mondi dotati di tali princìpi qualitativi avvenga da Qello. Con ciò è stato spiegato [anche che non è ragionevole concepire] il Puru\a [come causa degli enti, dei mondi, ecc. e del loro corso esistenziale].
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Similmente, per alcuni la causa è costituita dal tempo (kåla) in quanto, appunto, è stato detto: «Il tempo matura gli esseri, il tempo riassorbe l’universo, il tempo veglia quando [gli altri] sono addormentati: invero, il tempo è difcile da oltrepassare». In efetti, tre sono le categorie: il manifestato, l’Immanifesto e il Puru\a; per cui il tempo è incluso in loro, in quanto esso è [una dimensione che concerne] il manifestato. Poiché è ciò che produce la totalità, lo stesso Pradhåna deve essere pure la causa del tempo, per cui anche la natura propria [di ogni ente] viene riassorbita colà stesso (nel Pradhåna). Pertanto la causa [della esistenza dei princìpi qualitativi] non può essere il tempo, e neppure la natura propria [dell’ente], perciò soltanto la Prak®ti costituisce la causa, né vi è un’altra causa diferente dalla Prak®ti. [Dunque la Prak®ti, non appena avverte: ‘sono stata vista’] “.non si” espone “più alla visione del puru\a”: quindi “non vi è nulla”, cioè una causa come [secondo altri potrebbe essere] Ù©vara, ecc., che sia “più sfuggente”, più elusiva “della Prak®ti: questa è la mia convinzione”87. E, ugualmente, qualora si sostenga quanto è ordinariamente fssato come opinione comune, secondo cui il puru\a è liberato e il puru\a trasmigra, [l’Autore] replica: 62. Per questo [motivo] non è legato, né si libera e neppure trasmigra alcuno: [solo] la Prak®ti, con le [sue] molteplici condizioni, trasmigra, viene a legarsi e si libera. “Per questo” motivo il Puru\a “non è legato, né si libera e neppure trasmigra”88, per la ragione che soltanto “la Prak®ti, con le sue molteplici condizioni”, ossia relativamente alle condizioni di esistenza divine, umane e animali [ecc.], e quindi sotto forma propria di intelletto, senso dell’io, elementi sottili, sensi ed elementi [grossolani], “viene a legarsi, si libera e trasmigra”89.
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Obiezione: Dunque, [essendo il Puru\a] afatto libero per sua propria natura ed essendo esso onnipervadente, come può trasmigrare? Infatti la peregrinazione esistenziale (saµsåra) ha lo scopo di ottenere quanto non è stato [fnora] ottenuto. Risposta: [In realtà] si pronunciano impropriamente afermazioni come: ‘il Puru\a è schiavo’, ‘il Puru\a si libera’ e ‘il Puru\a trasmigra’, proprio perché [per il Puru\a] non si dà una [reale] natura trasmigrante (saµsåritva). Dalla [realizzazione della] conoscenza concernente la totale distinzione tra il Puru\a e l’esistenza90, si svela pienamente la reale natura del Puru\a e, quando essa è divenuta del tutto evidente, il Puru\a è perfettamente stabilito nella propria natura, assoluto, puro e libero91. Obiezione: A questo punto [si può osservare che], se per il Puru\a non esiste schiavitù, di conseguenza non vi è nemmeno la liberazione. Risposta: A ciò si replica: è soltanto la Prak®ti che lega o libera sé stessa. Laddove continua a esistere il corpo sottile, costituito dagli elementi sottili e associato con il triplice senso [interno: intelletto, senso dell’io e mente], esso si vincola attraverso il triplice legame [già menzionato], infatti è stato detto: «Qegli che è vincolato dal triplice legame, cioè sia da quello relativo alla Prak®ti, sia, ugualmente, da quello relativo ai suoi derivati, sia da quello relativo ai rituali, non può essere liberato da alcun altro [strumento]». È tale corpo sottile ad essere congiunto con il dharma e l’adharma, mentre è la Prak®ti che lo lega, ed è ancora la Prak®ti [nella veste del veicolo sottile, con il suo fardello di våsanå-saµskåra] che si libera o che trasmigra92. In che modo [si ha] ciò?
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63. Invero la Prak®ti lega sé stessa atraverso sé stessa proprio atraverso sete forme; ed essa stessa, volgendosi al fne del Puru\a, si libera totalmente atraverso una [sola] forma. “.attraverso sette forme”; queste sette vengono [così] enunciate: virtù, distacco, potere, assenza di virtù, ignoranza, assenza di distacco e assenza di potere. Qeste sono le sette forme della Prak®ti. Per loro mezzo “la Prak®ti lega sé stessa”, si [vincola] “attraverso sé stessa”, soltanto da sé93. Qella medesima Prak®ti, [come pensando:] ‘lo scopo del Puru\a, il [supremo] fne del Puru\a (puru\årtha) deve essere compiuto’, “si libera totalmente”, [cioè libera totalmente] sé stessa “attraverso una [sola] forma”: la conoscenza94. Come sorge tale conoscenza? 64. Così: dall’esercizio continuo concernente i tatva [realizzando la consapevolezza]: ‘[io] non esisto [come reale individualità], [questo corpo] non è mio, io non [sono questo]’, senza tralasciare alcunché, sorge la conoscenza che, essendo priva di contraddizione, è perfetamente pura e assoluta. “Così: dall’esercizio continuo (abhyåsa) concernente” la riflessione sui venticinque “tatva” nell’ordine che è stato espresso [per esempio nei termini]: ‘questa è la Prak®ti, questo è il Puru\a, questi sono i cinque elementi sottili, [questi sono] i sensi, [questi altri sono] gli elementi [grossolani]’, “sorge la conoscenza” del Puru\a [come consapevolezza]: “[io] non esisto [come reale individualità]”, ovvero ‘io non sono affatto’, “[questo corpo] non è mio”, cioè ‘il corpo non mi appartiene’, quindi ‘altro sono io, altro è il corpo’, “io non [sono questo], senza tralasciare alcunché”, [dove l’espressione] ‘senza tralasciare alcunché’ (apari©e\am) include il rendersi privi [di qualsiasi possibilità identifcante, persino quella nei confronti] del senso dell’io.
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[Tale conoscenza] “essendo priva di contraddizione, è perfettamente pura”. La contraddizione (viparyaya) implica il dubbio (saµ©aya), per cui [l’espressione] ‘essendo priva di contraddizione’ signifca: ‘essendo libera dal dubbio’. Essa è perfettamente pura, quindi “assoluta” (kevala), ed essa è il solo mezzo di liberazione, non ve n’è un altro. [Dunque, attraverso tale esercizio, ecc.] “sorge la conoscenza”, cioè si manifesta pienamente per il Puru\a la conoscenza dei venticinque tatva. Che cosa fa il Puru\a quando vi è la conoscenza? 65. Grazie a ciò, il Puru\a, come un osservatore [distaccato] afato fermo, in sé stabilito, vede la Prak®ti come colei la cui produtività si è estinta, come colei che, in virtù [del compimento] dello scopo, ha abbandonato le sete forme. “Grazie a ciò”, mediante la conoscenza pura e assoluta, “il Puru\a, come un osservatore” (prek\aka), cioè in maniera uguale a uno spettatore, “afatto fermo, in sé stabilito”: [l’espressione ‘afatto fermo’ (avasthita) signifca] come al teatro uno spettatore guarda la danzatrice [restando] afatto fermo [al proprio posto, mentre] ‘in sé stabilito’ (svastha) [signifca] che dimora stabilmente in sé stesso (svasmiµsti\†hati), stabilito nella propria condizione naturale (svasthånasthita). Come [vede] costituita la Prak®ti? “.come colei la cui produttività si è estinta” (niv®taprasava), in quanto ha cessato [di produrre] efetti come l’intelletto e il senso dell’io, “come colei che, in virtù [del compimento] dello scopo, ha abbandonato le sette forme”, per via dell’avvenuta cessazione di entrambe le fnalità del Puru\a (la conoscenza della distinzione tra sé e la Prak®ti e la liberazione). Dunque [il Puru\a] vede la Prak®ti in quanto ha abbandonato quelle sette forme, cioè le sette forme come la virtù e le altre, con le quali lega sé stessa.
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66. Uno spetatore stabile: così è l’osservatore unico (il Puru\a). [Qando la Prak®ti avverte] ‘io sono stata vista’, si ritira [in sé, anch’essa] unica. Sebbene sussista un contato tra loro due, non vi è fnalità [alcuna] per la creazione. “Uno spettatore stabile: così.”: come uno spettatore stabile (ra√gastha), così, ugualmente “è l’osservatore unico” (upek\aka eka), il Puru\a, assoluto e puro. [Da parte sua, la Prak®ti, realizzando:] da lui “sono stata vista”, diviene ritirata [in sé stessa] e priva di attività 95. È “unica”, cioè una soltanto, in quanto costituisce la causa primaria persino del triplice mondo; non vi è una seconda Prak®ti, per via della diferenza nella forma di esistenza quando vi è diferenza nella natura96. Così, sebbene [la Prak®ti] sia inattiva, tra il Puru\a e la Prak®ti vi è contatto a motivo della [loro] onnipervasività, ma la creazione non è prodotta da tale contatto. “Sebbene sussista un contatto tra loro due”, cioè: poiché la Prak®ti e il Puru\a sono onnipresenti, pur essendovi un contatto [tra loro], non vi è più fnalità nei riguardi della creazione, perché la manifestazione ha raggiunto lo scopo. La fnalità della Prak®ti è duplice: la percezione di oggetti quali il suono e gli altri e la comprensione della distinzione tra il Puru\a e i princìpi qualitativi. Poiché lo scopo è raggiunto in ambedue, per la creazione non esiste più fnalità, come [potrebbe essere] una ulteriore creazione. Come, anche dopo la resa del denaro, tra creditore e debitore sussiste ancora un rapporto per quanto esente da interesse, ma non vi è più alcuna relazione che abbia uno scopo, così anche per il Puru\a e la Prak®ti [pur sussistendo il loro rapporto] non vi è più alcuna fnalità. Obiezione: Se al sorgere della conoscenza si ha, per il Puru\a, la liberazione, perché per me non si verifca? Risposta: A ciò [l’Autore] risponde:
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67. All’avvento dell’autentica conoscenza, quando per la virtù e le altre [forme] si ha l’otenimento di una [condizione di] non-causalità, [lo yogin] resta stabilmente incarnato in forza dei semi ativi come il movimento della ruota [di un vasaio perdura anche dopo che sia cessata la spinta]. Seppur vi sia l’autentica conoscenza (samyagjñåna), cioè la conoscenza dei venticinque princìpi, tuttavia lo yogin “resta stabilmente incarnato in forza dei semi attivi”97. Come [che cosa]? “.come il movimento della ruota [di un vasaio perdura anche dopo che sia cessata la spinta]”, cioè in modo uguale alla rotazione di una ruota. Come un vasaio, dopo avere impresso il movimento alla ruota, modella un vaso avendo posto sulla ruota un pezzo di argilla e, dopo averlo fatto, [mette via la ruota, mentre essa] continua a girare in forza dell’impulso attivo [impressole], così “All’avvento della conoscenza”, per colui per il quale l’autentica conoscenza è sorta, “quando per la virtù e le altre [forme] si ha l’ottenimento di una [condizione di] non-causalità”, in quanto le sette forme [della creazione citate in precedenza, v. 63 e commento], che costituiscono dei legami, vengono bruciate dall’autentica conoscenza.98 Come i semi bruciati dal fuoco non sono [più] in grado di germogliare, così queste [sette forme], quali la virtù e le altre, non sono [più] in grado di determinare un legame. Tuttavia, “quando per la virtù e le altre [forme] si ha l’ottenimento di una [condizione di] non-causalità, [lo yogin] resta stabilmente incarnato in forza dei semi attivi”. Obiezione: Perché non si ha la distruzione, a opera della conoscenza, del dharma e dell’adharma relativi alla vita presente? Risposta: Proprio perché hanno natura di presenza in atto. Il [loro] riassorbimento avverrà in un momento successivo.
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Invero la conoscenza brucia il karman non ancora accumulato, mentre ciò che viene compiuto con il corpo attuale, anche quello andrà a dissolversi, a condizione che [il puru\a] abbia operato i rituali prescritti. Al decadimento del corpo [grossolano e sottile], dalla distruzione dei semi attivi si avrà la liberazione99. Qale qualifcazione si ha in riferimento ad essa? Si dice: 68. Otenuta la separazione dal corpo, quando vi è la totale cessazione dell’atività da parte del Pradhåna, in quanto ha raggiunto lo scopo, [il Puru\a] consegue l’assolutezza che è ambedue le cose: unica e defnitiva. Dalla distruzione dei semi attivi generati dal dharma e dall’adharma, “Ottenuta la separazione dal corpo, quando vi è la (totale) cessazione dell’attività da parte del Pradhåna in quanto ha raggiunto lo scopo”, [il Puru\a consegue] “l’assolutezza” (kaivalya), che è “unica” (ekåntika), cioè incondizionata (ava©ya), e “defnitiva” (åtyantika), cioè non impedita da alcunché (anantarhita). Da questa identità con l’Assoluto (kevalabhåva) si ha la liberazione. Dunque “è ambedue le cose: unica e defnitiva”: così è qualifcata l’assolutezza che [il Puru\a] consegue100. 69. Qesta conoscenza segreta, che è il fne [supremo] del Puru\a, nella quale vengono considerate la venuta in esistenza, la continuazione in esistenza e la dissoluzione fnale degli esseri, è stata [così] enunciata in maniera completa dal sommo Veggente [Kapila]. La liberazione è il fne [supremo] per il Puru\a: “Qesta (conoscenza) segreta”, occulta, conoscenza “nella quale ven-
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gono considerate la venuta in esistenza, la continuazione in esistenza e la dissoluzione fnale”, cioè vengono indagate la manifestazione e la trasformazione delle condizioni “degli esseri” quali entità soggette a modifcazione – [nel senso che] dalla investigazione nei loro riguardi deriva la perfetta conoscenza consistente nell’autentico discernimento in relazione alle venticinque categorie – “.è stata enunciata in maniera completa dal sommo Veggente”, è stata esaurientemente esposta dal venerabile saggio Kapila: «Il Såµkhya, invero, mezzo per la totale emancipazione dal divenire esistenziale trasmigratorio, è stato pronunciato dal saggio silenzioso Kapila; e qui, in questa [sua esposizione], vi è una settantina di strofe con il commento composto da Gauƒapåda». 70. Il saggio silenzioso [Kapila] per compassione donò questa dotrina, eccelso mezzo di purifcazione, ad Åsuri e, a sua volta, Åsuri [la ofrì] a Pañca©ikha, dal quale fu ampiamente sviluppata. 71. E questa [stessa dotrina], pervenuta atraverso la catena ininterrota dei discepoli, è stata sintetizzata in strofe da Ù©varak®\ãa, dalla eccelsa mente, allo scopo di conoscerne in maniera chiara e autentica l’essenza ultima. 72. Qelli che sono gli argomenti nella setantina [di strofe] sono certamente gli [stessi] argomenti dell’intero ≥a≤†itantra, escluse le narrazioni storiche e anche le dispute con diferenti dotrine. Qi si concludono queste strofe sul Såµkhya accompagnate dal commento di Gauƒapåda *
NOTE Tradizionalmente gli esseri viventi vengono raggruppati in quattro categorie a seconda della forma di nascita. Così si hanno quattro specie di esseri: quelli che nascono da un embrione (garbhaja), quelli che provengono da un uovo (a~ƒaja), quelli che si formano dalla umidità (jalaja) e quelli che si sviluppano da un seme vegetale (udbhijja). 1
Anche questa triplice ripartizione delle cause contingenti del dolore segue la Tradizione. 2
Il mezzo cui si riferisce l’ipotetico oppositore, per quanto rivelato dalle Scritture, è di ordine rituale, per cui inerisce all’agire, quindi alla condizione contingente e al piano di relazione. È dunque di natura duale, cioè della medesima natura della esperienza del dolore, e proprio per questo non è in grado di eliminarlo in maniera completa e defnitiva. 3
I princìpi reggenti della manifestazione, i deva quali princìpi secondi, sono promanazioni del Principio primo, l’Essere qualifcato, e destinati perciò, al pari di questo, a dissolversi al termine del ciclo universale, quando cioè la manifestazione ha portato a completo sviluppo ogni potenzialità insita nella qualifcazione iniziale. 4
La parola tanmåtra, lett. ‘misura di ciò’, designa propriamente la qualità sostanziale particolare. In questo contesto indica sia le qualità sottili generali (come il suono, ecc.) che, per estensione, gli elementi sottili (s¥k\mabh¥ta, come lo spazio, ecc.) da quelle generati come loro condensazione o precipitazione; pertanto non si riferisce solo a quelle proprietà che costituiscono oggetto per i sensi (tatva) ma anche alle essenze da cui derivano. 5
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Nei sensi o organi sensoriali (indriya) sono inclusi i cinque organi di percezione, i cinque organi di azione e la mente che li coordina ed è detta organo interno (anta¢karaãa). 6
Gauƒapåda, promulgatore della dottrina della Non-generazione (ajåtivåda), e quindi perfettamente inserito nella visione Advaita, interpreta la Scrittura Såµkhya alla luce della Non-dualità, per cui non traccia alcuna distinzione tra il Puru\a unico – equivalente, con le dovute considerazioni, all’åtman o al Brahman non-duale – e i vari puru\a, cioè i diversi jıva, i rifessi individuati e infnitesimi dell’åtman, se non in particolari contesti dove tale specifcazione si rende necessaria. Del resto, dalla prospettiva non-duale, ogni singolo puru\a-jıva non è che il Puru\a-åtman non-duale, dacché la natura di Qello è unica e la distinzione, apparente, vige fn quando vi è la soggezione alla måyå e quindi a una errata conoscenza che proietta la idea-percezione di molteplicità. 7
Nella teoria Såµkhya, come in altre scuole, l’elemento sottile, (s¥k≤mabh¥ta) dal quale proviene, per quintuplicazione il corrispondente elemento grossolano (sth¥labh¥ta), deriva direttamente dalla qualità sotile (tanmåtra), che rappresenta il contenuto di percezione relativo ad esso e si genera come modifcazione del senso dell’io. Si tratta in fondo della visione generale indù, nella quale ogni piano proviene da quello superiore, più sottile, come un efetto dalla causa; in altre parole, ne costituisce una sorta di ‘precipitazione’ contingente e limitata quanto a possibilità espressiva, ecc. che si efettua a livello o piano inferiore. 8
Il termine r¥pa, lett. ‘natura’, in relazione alle percezioni sensorie designa la forma dell’oggetto, ciò grazie a cui viene percepito, individuato, distinto e compreso. 9
Jaimini è il nome del saggio celebrato come il codifcatore della P¥rva Mımåµså, il dar©ana che tratta della conoscenza del rituale quale mezzo per la liberazione dal divenire. 10
I ‘mezzi di conoscenza validi’ (pramåãa) in generale sono quegli strumenti conoscitivi che rappresentano evidenze incontro11
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vertibili, quindi fonti di conoscenza afdabili, indiscutibili e valevoli per tutti. Ogni prospettiva flosofca li concepisce in maniera leggermente diversa secondo la propria visione. Qesta duplice visuale sulla inferenza si basa sulla conseguenzialità dei fattori e, quindi, sul loro rapporto. Qando un dato A caratterizza un dato B, quest’ultimo viene desunto anche dalla sola presenza di A: quando c’è fumo, deve esserci il fuoco. Ma è anche vero il contrario, cioè che il dato caratterizzante A deve essere rilevato anche constatando il dato B: è vero anche che, se c’è il fuoco, da qualche parte ci sarà del fumo. In sostanza l’inferenza crea un rapporto tra il visto e il non-visto attraverso la reciproca caratterizzazione. 12
I Buddhisti di diverse scuole ritengono che l’efetto non abbia esistenza nella causa per vari motivi, diferenti a seconda della visione: per gli idealisti seguaci del Vijñånavåda l’oggetto corrisponde solo alla percezione-proiezione dell’oggetto, per cui la sua esistenza è la stessa della sua immagine, dunque solo virtuale; i materialisti fautori del Sarvåstivåda pensano che l’esistenza del dato avvenga solo nell’istante della sua percezione, non esistendo esso né prima né dopo in quanto pura proiezione immaginativa; i nichilisti sostenitori del Vainå©ikavåda o Â¥nyavåda negano che anche la percezione abbia esistenza, trattandosi solo di una proiezione irreale di un dato parimenti irreale, per cui non afrontano nemmeno la questione del sostrato di tale immagine. 13
Qi Gauƒapåda intende prendere in esame il solo aspetto causato di tali enti, a prescindere dalle distinzioni in seno alla causa stessa. 14
Così l’elemento grossolano ha la propria causa in quello sottile attraverso la quintuplicazione, mentre l’elemento sottile ha come causa la qualità (tanmåtra) inerente, questa è prodotta dal senso dell’io e questo, a sua volta, dall’intelletto mentre solo quest’ultimo discende direttamente dal Pradhåna. La causalità intesa in questo modo genera una concatenazione tra i vari piani di esistenza e fa sì che in ogni prodotto sia presente la natura della causa prima prak®tica. 15
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Qi si intende che a trasmigrare, nel senso di trasferirsi successivamente in diverse condizioni di esistenza ove svolgere la rispettiva esperienza, è il veicolo che, come tale, appartiene alla Prak®ti. 16
Il termine li√ga signifca ‘segno caratteristico’ e, per logica conseguenza, anche ‘ciò che è caratterizzato’, che presenta una particolarità o singolarità grazie alla quale, appunto, viene defnito e individuato. In base alle regole della ‘etimologia tradizionale’ (nirukti) il termine li√ga – lett. ‘ciò che va a scomparire’ – assume anche il senso di ‘dissolubile’, distruttibile in quanto ‘congiunto con la distruttibilità’, ovvero destinato, per natura, alla dissoluzione. Dunque, per la nirukti, ‘ciò che è defnibile è distruttibile’; in altre parole: ogni qualità determina una limitazione. Gauƒapåda impiega entrambi i sensi: come ‘dissolubile’, però, si riferisce principalmente al corpo sottile. Del resto il veicolo sottile è un prodotto della Prak®ti per cui l’estensione del termine anche a questa non comporta incongruità. 17
Qalsiasi dottrina indù contempla i cicli temporali cosmici (kalpa), ossia la venuta in essere della manifestazione come creazione e distruzione periodiche dell’universo. In realtà si tratta di una proiezione (vik\epa), e quindi di un’apparente ‘emissione’ (sarga), e di un altrettanto apparente ‘riassorbimento’ (laya). Ogni manifestazione porta in espressione i semi attivi (saµskåra) contenuti nel Principio, e provenienti da un ciclo precedente, fno alla loro completa attuazione. Esaurita la loro espressione universale, l’intero universo ritorna alla sostanza primordiale, in questo caso la Prak®ti o il Pradhåna; tale è la visione Såµkhya. Il Vedånta Advaita aggiunge che anche la stessa sostanzialità del mondo è apparenza in quanto ‘modifcazione apparente’ (vivarta) di una possibilità qualifcata apparentemente emersa, per virtù di måyå, su un Sostrato Inqualifcato eternamente autoidentico: il Brahman. 18
Nella visione Såµkhya il Puru\a e la Prak®ti-Pradhåna costituiscono due entità reali e distinte, infnite ed eternamente esistenti su piani o sfere indipendenti. Puru\a e Prak®ti-Pradhåna sono ambedue svatantra, autoindipendenti, ma, mentre il Puru\a, come si 19
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vedrà, è svårtha, cioè ‘agisce’ per così dire per sé stesso, la Prak®tiPradhåna è parårtha, cioè svolge la propria funzione per un altro, cioè per il Puru\a. La ‘azione’ del Puru\a non-agente si riferisce in realtà alla sua facoltà di percezione-conoscenza, mentre quella del Pradhåna alla sua capacità produttiva e trasformante. In tal senso non sono princìpi esattamente paritetici, ma sottendono una certa diferenza sostanziale, peraltro non evidenziata nel Såµkhya. La manifestazione si identifca con i guãa in quanto, come si vedrà, esprime la loro azione-interazione reciproca. Inoltre anche per il Såµkhya la manifestazione è lo sviluppo di una qualifcazione principiale (vi©e\a) e rappresenta quindi una espressione dei guãa, con i quali mantiene una identità di natura. Ciò vale anche per il Vedånta Advaita, con la diferenza che questa qualifcazione emerge come atuazione di una mera possibilità. 20
Nel commentare questa strofa Gauƒapåda, con il termine puru\a, si riferisce chiaramente ai jıva. D’altra parte il Puru\a per così dire fa esperienza oggettuale del Pradhåna nell’ordine universale. 21
Il Puru\a, qui nel senso equivalente all’åtman, è il Soggetto per defnizione rispetto a cui la totalità, potenziale e attuale, è oggetto, per cui esso stesso non può divenire oggetto neanche per sé stesso. Qesto vale anche per i puru\a individuati. 22
Il Pradhåna è ‘identico per tutti’ (såmånya) in quanto oggetto dotato di quelle qualità-attributi che rappresentano per ogni conoscitore un analogo contenuto di conoscenza-esperienza. Viceversa per il Puru\a, essendo il Soggetto privo di qualità-attributi e unico, la questione della natura identica per tutti logicamente non si pone, dal momento che i vari puru\a non sono se non il Puru\a unico, che in essi si rifette, per cui le distinzioni riguardano gli aspetti prak®tici-veicolari. 23
Nel dualismo realistico del Såµkhya la natura eterna si riferisce al perdurare in esistenza relativamente al ciclo cosmico; è quindi una eternità relativa. La visione Såµkhya si ferma infatti alla diade Puru\a-Prak®ti: essa è già una modifcazione della qualifca24
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zione principiale; solo oltre quest’ultima è l’Assoluto inqualifcato del Vedånta Advaita, il Brahman nirguãa, la vera realtà eterna. Tale qualifcazione principiale, corrispondente al Brahman saguãa o, in un certo qual modo, all’Ù©vara del dar©ana Yoga, è invece eterna relativamente alla eternità dell’Essere qualifcato il quale, appunto, comprende in sé le dimensioni tempo-spazio-causali con il loro indefnito sviluppo che, pertanto, trascende integralmente. Si riferisce allo ©loka 10 in cui il Puru\a viene detto essere di natura opposta a quella del manifestato e quindi, implicitamente, afne al Pradhåna per quanto riguarda alcune proprietà. 25
Tale capacità (såmarthya) è indicativa di una potenzialità che può attuarsi o meno a seconda delle condizioni contingenti che sono via via maggiormente determinanti quanto più si procede verso il ‘basso’ cioè verso il piano ultimo della manifestazione formale efettuale. 26
La ‘reciproca generazione’ dei guãa va intesa nel senso che dalla loro commistione in proporzioni variabili emergono nuove combinazioni di qualità, come, appunto, quelle che producono gli elementi, prima sottili poi grossolani. 27
Si rammenta la sequenza di generazione dell’universo secondo la dottrina tradizionale, comune a molte scuole: vi©e≤a, guãa, s¥k≤mabh¥ta, sth¥labh¥ta, jagat. A questa serie il Vedånta antepone lo ©akya, la ‘possibilità’, cioè la capacità del Brahman di apparire in modo diforme mentre pone, come sostrato ultimo e privo di qualsiasi rapporto con checchessia, il Brahman. 28
Qi è necessaria una precisazione. Si è detto che il Såµkhya considera la diade Puru\a-Prak®ti come la realtà ultima e indissolubile e, più avanti, che lo scopo della esistenza manifesta è prima la esperienza della Prak®ti da parte del Puru\a, poi l’isolamento del Puru\a dalla Prak®ti. È chiaro che il Puru\a in questione non si limita all’aspetto individuato del puru\a-jıva, per quanto anche questo debba isolarsi dalla propria veicolarità e contingenza prak®tica, ma si riferisce anche a quello unico, universale. Se si parla di diade, però, è evidente che non si è nella realtà ultima – Qello è senza29
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secondo – per cui si deve rammentare che ci si trova ancora nel piano della determinazione e, in particolare, di una ‘seconda’ determinazione a partire dall’Assoluto metafsico, l’Essere nonqualifcato o privo di attributi, laddove la ‘prima’ è quella grazie a cui emerge – o sembra emergere – l’Essere qualifcato, quello con attributi, sia pur allo stato potenziale-unitario e quindi inespresso. Dunque il Puru\a del Såµkhya, fn quando è unito con la Prak®ti, è questo Essere, ma in un piano ontologico in cui è già dualmente determinato, per cui non rappresenta l’Essere qualifcato universale, prima determinazione dell’Assoluto metafsico, ma una sua successiva determinazione-delimitazione. Viceversa, quando si libera dal vincolo della Prak®ti, si rivela essere Qello, per quanto nella attestazione Såµkhya ciò rimanga inespresso esplicitamente. Tuttavia non vi è contraddizione, perché la natura del Puru\a è sempre la medesima, ma la sua condizione apparente dipende dal grado di consapevolezza dell’essere e, pertanto, della sua identifcazione con il veicolo-mezzo espressivo delle qualità. È evidente con ciò che, laddove vi è identifcazione profonda con l’apparato veicolare individuato, sintesi della Prak®ti, la condizione apparente del Puru\a è in tutto analoga a quella del jıva quale rifesso dell’åtman e, di conseguenza, quanti sono i corpi-veicoli, tanti sono i puru\a rifessi. Qando poi l’attività reciproca dei guãa giunge a termine, il rifesso puru\a-jıva si libera dalla identifcazione al veicolo e quindi alla Prak®ti e si ritrova ad essere il Puru\a-åtman unico. Tale aspetto, nella formulazione canonica del dar©ana Såµkhya, resta però inespresso e solo implicitamente inteso, in quanto la liberazione viene defnita semplicemente come la separazione del Puru\a dalla Prak®ti, anche a livello individuale. In quest’ultimo caso si tratta evidentemente di una liberazione relativa, dato che il seme stesso della condizione individuata non è ancora risolto. L’impegnarsi nell’attività da parte dei guãa sta a signifcare il loro naturale processo interattivo di trasformazione e non un agire consapevole fnalizzato, ma piuttosto un produrre causato. 30
Anche qui l’assolutezza è intesa solo come ‘isolamento’ del Puru\a – e quindi dei puru\a – dai guãa, e non in quanto assoluta non-dualità. 31
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Il processo di mutamento dei guãa (v. Yogas¥tra) esprime lo sviluppo dei semi ativi (saµskåra) e l’atuazione di date possibilità. È il moto-apparenza che si presenta di fronte al Puru\a testimone immobile. È ovvio inoltre che il puru\a infnitesimo possiede la me desima natura del Puru\a infnito, come il jıva mantiene quella del l’åtman: la luce, limitata, che fltra da una fnestra è la stessa, illimi tata, che si percepisce fuori, all’aperto. L’impedimento oscurante è l’ambiente chiuso, prak®tico, che deve essere risolto o quantomeno disgiunto dal puru\a-åtman. 32
La ‘determinazione ad agire’ da parte dei guãa va ovviamente intesa in senso fgurato. I guãa sono atributi, ognuno dei quali esplica una data qualità complessa e questa può esprimersi, appun to, solo se applicata a un veicolo che sia vitalizzato dalla coscienza del puru\a, o meglio sorreta da quello. È dunque il complesso vei colare che, pervaso dalla consapevolezza del puru\a, può manifesta re le qualità proprie dei guãa permetendo a questi ultimi di agire e interagire. D’altra parte è proprio il loro ‘processo di mutamento’ descrito nello Yoga che mantiene la identifcazione della coscienza allo stato veicolare. 33
La identifcazione del Puru\a al veicolo crea l’apparenza della azione da parte sua; la disidentifcazione dal veicolo e dalla sua in tera sfera prak®tica determina l’afrancamento dai legami della loro natura. 34
La ‘percezione del Pradhåna’ da parte del Puru\a signifca la integrale comprensione del processo manifestante e imprigionante. Una volta avvenuta, il Puru\a si afranca spontaneamente dall’asso ciazione con la Prak®ti. 35
Qesta precisazione di Gauƒapåda è importante; essa è pro ferita dal punto di vista della Non-dualità (advaita) e, quindi, della Non-generazione (ajåti). Per il Såµkhya la Prak®ti è la sostanza pri mordiale, concreta, sensibile, oggetiva che costituisce una unità qualifcata ma inespressa, per cui contiene in seme uno sviluppo in defnito. È la materia plastica per eccellenza e per defnizione, da 36
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cui il nome. Il termine prak®ti – dalla radice k®: creare, fare, produrre, con l’aggiunta del sufsso pra: prima, avanti, anteriormente ma anche: perfettamente, completamente – indica dunque ‘ciò che viene plasmato’, modellato all’inizio della manifestazione; dunque la sostanza oggettiva, passiva su cui viene esercitato l’atto creativo. Anche nella visione Advaita Vedånta si contempla un identico principio unitario, ma la sua natura non è sostanziale bensì apparente. Al posto di una ‘sostanza’ vi è una ‘immagine’, una ‘apparenza’, una ‘proiezione sovrapposta’, ovvero il manifestarsi di qualcosa sotto altro aspetto. Per questo Gauƒapåda identifca la Prak®ti del Såµkhya con la måyå del Vedånta. Tale equivalenza è legittima, ma solo in questa direzione e non è reversibile, perché non è ragionevole considerare la måyå nella sua integralità, cioè a partire dalla stessa infnita possibilità, come identica alla Prak®ti, in quanto questa rappresenta un aspetto ulteriore, secondario, prodotto e successivo rispetto a quella; in una parola, un suo efeto. La måyå-causa determina la Prak®ti-efetto e questa è quella quanto alla produtività, ma non in riferimento alla natura essenziale, cioè la visione alterata dovuta alla non-conoscenza. Del resto, nella infnita possibilità di måyå paiono emergere non solo il vi©e≤a, la qualifcazione principiale tra infnite possibili, ma anche lo stesso Brahman saguãa e, a valle di questo, sia il Puru\a che la Prak®ti. Laddove il Såµkhya predica la ‘trasformazione’ (pari~åma) della causa nell’efetto, cioè del Pradhåna o Prak®ti nel mondo manifesto (jagat), il Vedånta parla di una ‘modifcazione apparente’ (vivarta), qual è quella dell’Essere qualifcato, il Brahman saguãa o conattributi, che si manifesta nel dispiegamento universale ancora attraverso quel giuoco-potere di måyå grazie a cui esso stesso è emerso dall’Inqualifcato. Anch’esso, però, è un ente non-reale in assoluto, dato che rappresenta una prima determinazione, in seno alla infnita possibilità, del Brahman nirguãa o senza-attributi, l’Essere non-qualifcato, il quale è il solo Ente reale. Perciò anche la qualifcazione, in quanto attuazione di una possibilità, emerge, ancora come apparenza, per virtù di måyå. Così, per quanto vi sia questa distinzione, al vertice della molteplicità manifesta vi è comunque una unità. Nel Såµkhya è una unità relativa e contrapposta a un’altra unità, quella, appunto, della Prak®ti contrapposta al
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Puru\a (v. nota 29); nel Vedånta è una unità primaria, correlativa, se così si può dire, di altre infnite unità equivalenti e quindi, proprio per questo, non-reale in assoluto. Va considerato, poi, che appunto in quanto unità, priva dunque di un rapporto conoscitivo soggettooggetto, non presenta caratteristiche esperibili o defnibili, per cui dal punto di vista empirico è assimilabile a un ‘vuoto’, appunto lo ©¥nya di alcune correnti del Buddhismo e di altre scuole similari. Qi l’aggettivo ‘asurico’ indica una condizione di oscurità e si riferisce alla mancanza della luce intellettuale e spirituale; una intelligenza asurica propende per il negativo, l’oscuro, il letargico, quindi il passivo-inerte, in una parola: il tamasico. 37
Qi le qualità percettive, oggetto dei sensi, vengono trattate come elementi sottili in quanto, come fatori percetivi sotili, ne condividono la natura e la specie. Si è già detto che dal fattore sottile o tanmåtra segue la funzione e da questa l’organo fsico. 38
I cinque elementi grossolani provengono dai cinque elementi sottili per ‘quintuplicazione’. Si veda, in proposito, l’opera Pañcıkaraãa di Âa√kara che tratta appunto di questo processo e della sua comprensione ai fni del distacco del jıva dai veicoli. 39
I Puråãa sono i Testi antichi per eccellenza e appartenenti, come tutti gli altri qui elencati, alla Sm®ti, la Tradizione rammentata di ordine umano, e comprendenti una vasta gamma di Scritture. La P¥rva Mımåµså, codifcata da Jaimini, è la Indagine anteriore e riguarda la ritualistica vedica; i Dharma©åstra sono le Scritture riguardanti il dharma, il dovere inteso nella sua più ampia accezione religiosa, etica, ecc. e consistono principalmente nel Månavadharma©åstra o Manusm®ti, il Codice di Manu, il primo Legislatore dell’attuale ciclo umano, e nello Yåjñavalkyadharma©åstra. Il Nyåya è il dar©ana relativo alla Logica codifcato da Gautama. 40
Per quanto alcuni individui si dedichino allo Yoga per acquisire i ‘poteri’, le siddhi descritte restano tuttavia sempre precluse all’io proprio perché esso stesso rappresenta una condizione sovrapposta limitante e autoriduttiva. L’acquisizione delle siddhi presup41
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pone il completo superamento dell’autoidentifcazione egoica, mentale e corporea ma esse, considerate sotto l’aspetto di possibilità di esperienza, sia pure superiore a quella ordinaria, costituiscono ancora delle condizioni soggette alla dualità e rappresentano, perciò, ostacoli alla realizzazione della Coscienza puru\ica scevra da ogni limitazione. D’altronde, per arrivare all’isolamento del Puru\a è necessario trascendere integralmente la terna dei guãa e non solo una loro parte allo scopo di incrementarne un’altra. L’essere principio degli elementi per il senso dell’io implica che in esso, che è l’ente origine, vi sia prevalenza del guãa tamas, appunto perché tende a determinarsi ulteriormente, nell’ente originato, dando luogo a qualcosa di maggiormente denso, cioè le qualità sottili e quindi i corrispondenti elementi. Si rammenta che nella visione Såµkhya, come in altri dar©ana, la genesi degli enti e in generale la diferenziazione degli stati di esistenza e quindi di coscienza, procede dal più sottile verso il più grossolano per quello che si potrebbe defnire una sorta di progressiva condensazione, quindi una riduzione del grado di libertà quale quella implicata nel processo di attuazione di un efetto dalla causa, e che l’ente originato resta comunque sempre compreso nell’ente originatore nel quale si riassorbe al compimento del proprio ciclo espressivo. L’efetto, pertanto, pur essendo la causa trasformata, è meno della causa stessa, in quanto questa contiene potenzialmente e simultaneamente la intera possibilità efettuale. 42
Qi Gauƒapåda si attiene al linguaggio dei s¥tra. Il satva, si è visto, esprime quiete, stabilità, trasparenza; ciò implica che un senso dell’io sattvico non è necessitato a determinarsi in quanto esprime uno stato coscienziale riposante in sé stesso. Viceversa, onde dar luogo alle funzioni dei sensi, deve acquisire una certa capacità di irradiazione, ciò che è peculiarmente propria del rajas. Per questo si dice che esso è in grado di produrre i sensi quando diviene ‘risplendente’, cioè caratterizzato dal guãa della attività radiante-luminosa. Ogni ente, essendo sostanziato qualitativamente dai tre guãa, può farne emergere l’uno o l’altro a seconda della condizione e con la rispettiva risultanza. 43
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I tanmåtra sono gli oggetti dei sensi, per cui come entità oggettuali, sia pur di natura sottile, emergono attraverso la interazione del senso dell’io, quando è in stato tamasico, con la condizione rajasica. 44
Lo ©loka defnisce l’io in quattro modalità: permeato dal satva (såtvika), totalmente modifcato (vaik®ta), principio degli elementi (bh¥tådi) e luminoso (taijasa). Tali denominazioni, con le corrispondenti azioni, sono date in relazione alla prevalenza e alla mescolanza dei guãa nell’io. L’ordine seguito da Gauƒapåda nel suo commento rispecchia quello dello ©loka; per una maggiore chiarezza, è opportuno riassumere quanto detto. Qando nell’io il rajas e il tamas sono soprafatti dal satva, l’io stesso, quasi completamente permeato dal satva, viene detto såtvika ed è considerato come il produttore degli undici sensi, cioè le cinque facoltà di percezione, le cinque facoltà di azione e la mente. È a questo punto che viene defnito vaik®ta, ‘totalmente modifcato’. Infatti da un lato la pervasione da parte del guãa satva prelude a quella degli altri, che in certo senso porta con sé; dall’altro l’io, formandosi, emerge naturalmente sostanziato dal satva, cioè si presenta inizialmente con una prevalenza di satva, in quanto proviene dalla buddhi che è sattvica. Pertanto i sensi, prodotti direttamente dall’io, sono anch’essi sattvici, cioè puri, e in grado per questo di esplicare ciascuno la propria funzione specifca senza alcun impedimento. Una volta emerso, l’io acquisisce, o mostra, anche gli altri guãa, che comunque al satva sono associati per quanto allo stato potenziale, e va a modifcarsi come spiegato. L’espressione ‘totalmente modifcato’ implica che l’io, modifcandosi, deve necessariamente prodursi in altri tatva, vale a dire che per sua stessa natura di prodotto prak®tico recante i guãa, e da loro peculiarmente caratterizzato, è totalmente modifcabile, cioè in grado di produrre enti del tutto distinti da lui stesso. Vaik®ta signifca perciò ‘suscettibile di trasformarsi e di prodursi determinando la venuta all’essere di ulteriori tatva ben defniti’. Qando il satva e il rajas sono soprafatti dal tamas, l’io divenuto tamasico dà luogo ai cinque tanmåtra o qualità sottili, per cui viene detto bh¥tådi, principio degli elementi, in quanto dai cinque tanmåtra provengono i cinque elementi sottili 45
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e da questi, per la citata quintuplicazione, i cinque elementi grossolani. Tuttavia entrambe le produzioni, quindi entrambe le forme qualitative dell’io, vale a dire la vaik®ta-såtvika e la vaik®ta-bh¥tådi, derivano logicamente dalla sua forma quale vaik®ta-taijasa, cioè di luminoso, radiante. Infatti, solo quando il satva e il tamas sono soprafatti dal rajas l’io, divenuto appunto luminoso, in grado di irradiare, si determina in una azione, quella, appunto, della produzione dei suddetti enti. Riassumendo: lo stato sattvico associato allo stato rajasico dà luogo alle undici facoltà anzidette; lo stato tamasico associato allo stato rajasico dà luogo ai cinque tanmåtra e ai loro derivati. Va comunque considerato che tali condizioni non sono isolate le une dalle altre, ma si compenetrano in quanto i guãa agiscono sempre in commistione e la prevalenza dell’uno sugli altri rappresenta una fase sostanziale non necessariamente temporale, per quanto, a produzione avvenuta, la condizione contingente dell’io nella esperienza, nell’azione, ecc., venga governata anche temporalmente dalle proprietà dei guãa che di volta in volta emergono. La ‘speciale qualifcazione nella trasformazione dei guãa’ (guãapari~åmavi©e\a) indica una data modalità in quello che è lo spontaneo sviluppo, la naturale espressione degli attributi principiali. Si è già detto che essi provengono da una qualifcazione primordiale e, come efetto che a sua volta diviene causa, contengono in nuce un successivo sviluppo. Poiché questo è complesso, nel senso che dai guãa provengono sia gli enti semplici sia, mano mano, gli enti compositi, una data loro modifcazione – quella che, appunto, dà luogo alla diferenziazione oggettuale – viene detta ‘speciale’ (vi©e\a) in quanto si tratta dell’ultima modifcazione a livello manifesto. Qando l’ente oggettivo esterno è formato, la sua distanza dai princìpi dai quali deriva è massima per cui si può dire che, mentre gli attributi interagiscono creando le caratteristiche che distingueranno gli enti a livello appunto di qualità, con la loro giustapposizione nelle rispettive sfere, ecc., gli enti oggettivi rappresentano comunque la massima cristallizzazione o fssazione dei guãa stessi; perciò la frase: “non è così per quanto riguarda i loro oggetti” signifca che la loro collocazione nell’ambito esistenziale risente di una 46
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moltitudine di fattori progressivamente modifcati fno all’aspetto ‘concreto’ fnale, quello che, appunto, è oggetto dei sensi, e non dipendono direttamente dai guãa stessi, ancorché modifcati. È bene ricordare che la dimensionalità è anch’essa una proiezione e che qualunque sia la ‘distanza’ esistenziale di un ente dal principio, essa viene sempre ad annullarsi al riassorbimento fnale. La natura intrinseca di un ente (svålak\a~ya) è sia ciò che lo caratterizza sia ciò che ne esprime la funzione. Tra enti simili può aversi un rapporto di uguaglianza o di diferenza. Nella uguaglianza si ha un fattore o condizione comune (såmånya), il contrario nella diferenza e, a seconda della propria sfera di attività funzionale, gli organi-facoltà possono esprimere sia azioni comuni a tutti che singolarmente diverse per ciascuno. 47
Gli undici già menzionati più l’intelletto e il senso dell’io. Sono tutti considerati ‘sensi’, ovvero facoltà in quanto, come tatva, non sono che produzioni della Prak®ti e, quindi, semplici enti-veicoli. 48
La terna di intelletto, senso dell’io e mente entra in azione sulla base del dato mnemonico il cui contenuto empirico è stato fornito in passato dal singolo senso o, in relazione al futuro, dalla proiezione immaginativa relativa al tale senso. 49
Il fne del Puru\a rappresenta la causa della trasformazione del Pradhåna. Ora, dire che ‘la causa è il fne’ signifca che lo scopo dell’azione organica non è un movente nel senso ordinario, utilitaristico del termine, ma il motivo, l’impulso attivatore qual è la ragione originaria del suo stesso essere in atto. Per esempio, la inconsapevole gravità fa muovere gli oggetti facendoli tendere verso il basso, che rappresenta il loro luogo di destinazione, diremo di pacifcazione del loro moto attuale o potenziale, in quanto in esso ogni movimento cessa; dunque la gravità stessa, pur priva di consapevolezza, induce moto-attività in enti parimenti privi di consapevolezza fno a far loro raggiungere lo stato di quiete: la estinzione del loro moto – che è dunque il fne – si presenta così come lo scopo messo in atto dalla gravità. In sintesi, il fne (anta) di un atto 50
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espressivo determina il moto-attività in quanto causa all’origine (hetu), e questo anche in assenza della consapevolezza. È solo in base all’ordinario pensare che, in analogia al comportamento dell’individuo, anch’esso impulsato da entità prive di consapevolezza, si assegnano arbitrariamente ruoli e nature che non sussistono, laddove l’universale equilibrio esprime la legge causale cui nulla, nell’ambito della manifestazione, cioè del causato, può sottrarsi. Qesto perché gli organi di percezione e di azione sono un efetto della terna di mente, intelletto e senso dell’io che, pertanto, come causa, gode di un grado di libertà maggiore a livello dimensionale. 51
Gli ‘accessi’ sono le porte attraverso cui i dati esteriori empirici, appartenenti al piano fsico-grossolano, entrano per così dire nel mentale, integralmente inteso, cioè nella sfera sottile individuale, apportando un contenuto di esperienza e conoscenza empirica. Qando il triplice mentale si richiude in sé stesso, come durante la meditazione profonda, ecc., nessun dato esterno può entrare e il mentale rifulge di luce propria grazie ai contenuti proiettivi come nel sogno, oppure riposa in uno stato di unità indiferenziata e priva di qualsiasi proiettività come nel sonno profondo. 52
Qi è possibile anche un’altra lettura: “hanno per oggetto i [diversi] guãa” (guãavi\aya). Anche in riferimento alle qualità degli oggetti il senso ultimo non cambia. 53
La mente rappresenta il mezzo, nel più completo senso del termine, tra la coscienza del Puru\a e il piano della manifestazione oggettuale, cui è connessa attraverso l’insieme dei sensi. 54
L’intelletto superiore (buddhi) è il solo mezzo in grado di discernere e di operare fattivamente la separazione tra il Pradhåna e il Puru\a. Qesto perché, pur compreso nelle facoltà dell’individuo, ha una natura sovraindividuale e pertanto universale. La mente percepisce e proietta forme, cioè rappresenta creando concetti, la buddhi coglie la essenza che racchiudono; l’una opera con immagi55
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ni, anche dinamiche, l’altra svela una consapevolezza. Operata la discriminazione, l’aderire consapevolmente ad essa comporta l’af francamento dai vincoli della Prak®ti, e quindi la emancipazione del Puru\a. Ogni elemento sotile è una sorta di coagulazione energetica della corrispondente essenza sotile, ed ogni elemento grossolano, atraverso il processo di quintuplicazione, è la materializzazione – con la debita atenzione da prestare a questo termine – del corri spondente elemento sotile. Dal tanmåtra allo sth¥labh¥ta l’ente presenta una maggiore fssazione, solidifcazione, una vera e pro pria cristallizzazione, quindi una maggiore massività con la una conseguente riduzione del grado di espressione in quanto avvici nato a un aspeto più tamasico. Infati l’efeto rappresenta una limitazione della causa, dal momento che questa contiene poten zialmente la indefnita quantità efetuale. 56
Qesto perché in ogni elemento sono presenti i guãa in varia mescolanza con i loro efeti combinati. 57
Si dice che il corpo sotile ‘esiste con continuità’ (ti\†hati) in quanto la sua esistenza sotostà a quella, discontinua, del corpo grossolano, del quale è causa. Così il suo perdurare si estende al di là di quello corporeo e, efetuandosi in un ulteriore veicolo grosso lano al fne di espletare semi karmici irrisolti, si dice che ‘trasmi gra’ (saµsarati). Il termine “trasmigrazione” – per la verità impro prio – designa la peregrinazione esistenziale, ovvero il venire a tro varsi, senza soluzione di continuità, da parte dell’autocoscienza (il jıva o puru\a), in successive condizioni di esistenza, causalmente concatenate, allo scopo di portare in sviluppo i semi ativi (saµskå ra). È dunque il jıva-puru\a che viene a trovarsi in determinate con dizioni di essere e che atira a sé, condensandolo energeticamente atorno al proprio centro di autocoscienza, il veicolo, prima sotile quindi grossolano. Dunque non si trata di un trasferimento nello spazio e nel tempo a livello solo fsico, ma del concretizzare la con dizione di esistenza, regolata dagli opportuni parametri dimensio nali spazio-tempo-causali e formali, idonea all’atuazione del proprio carico inerziale (karman). Esaurito, o risolto, questo, l’autocoscien 58
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za puntiforme (jıva-puru\a), priva di una inerzialità veicolare espressione di un carico proiettivo-identifcativo, arresta il proprio moto estrovertente e, nella visione Såµkhya, si isola dalla Prak®ti mentre, in quella Vedånta Advaita, si risolve nella Coscienza infnita (Puru\a-åtman). Anche qui, come in precedenza, la natura viene defnita permanente o eterna in relazione alla individuazione e al ciclo universale e non in assoluto, la sola eternità assoluta essendo quella del Brahman-Puru\a. La permanenza dell’ente sottile – dal tanmåtra al puru\a individuato – è tale rispetto alla impermanenza dell’ente grossolano. La riduzione dimensionale concerne anche i piani di esistenza-espressione, per cui lo stesso piano sottile è non solo causa di quello grossolano ma anche la sua sede trascendente. 59
Si dice che a trasmigrare sia l’intero veicolo sottile – dunque il puru\a accompagnato dal triplice organo interno più le essenze sottili (tanmåtra) – perché tale compagine rappresenta il contenuto energetico condensato costituito dalla polarità dell’autocoscienza e delle impressioni latenti (våsanå) che la impregnano; sono queste che determinano la stessa inerzia, assimilabile a una sorta di energia potenziale, del puru\a, il quale, per così dire, ha assunto quella forma. In realtà è il centro di autocoscienza, il jıva-puru\a, che, mantenendo la propria identifcazione con tale veicolo, ne subisce il moto attuale e potenziale. Qando tale potenzialità viene ad esaurirsi per efettuazione o soluzione coscienziale, l’intero veicolo sottile si risolve lasciando il puru\a libero da identifcazioni di qualsiasi sorta e in grado, quindi, di realizzarsi come Puru\a. Del resto la trasmigrazione assolve lo scopo di espletare esperienza e questa può essere fatta solo da un centro cosciente veicolato; dato che il corpo sottile è solo un veicolo, è evidente che a trasmigrare – nel senso di esperire date condizioni di esistenza – è il puru\a quale rifesso di coscienza, ossia il jıva. È proprio fn quando sussiste un veicolo sottile, dunque, che riassume un impulso estrovertente, che il puru\a trasmigra sospinto, e diremo anzi trascinato, da quegli stessi contenuti che lo impregnano. Ciò viene spiegato più chiaramente nei versi seguenti. 60
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Pertanto le essenze sotili che accompagnano il puru\a, es sendo causa degli elementi sotili e, quindi, di quelli grossolani, so no le entità che determineranno la nuova condizione di esistenza per il puru\a stesso atraverso la efetuazione della loro potenziali tà. Fin quando questa sussiste è parimenti ativa e determinantesi in condizioni ed entità dimensionali costituite, vale a dire in situa zioni di esperienze identificate e, quindi, di imprigionamento. 61
L’esperienza può avvenire solo quando il veicolo è completo, dunque fino ai costituenti del corpo fisico-denso. 62
Qui Gauƒapåda sotintende il fato che, se l’identificazione del jıva-puru\a non è stata totalmente risolta, al termine del ciclo esso permane allo stato potenziale in seno a quello che, in altri dar©ana, viene definito Ù©vara stesso, il Signore dell’universo o, in termini filosofici, l’Essere qualificato universale, dal quale riemergerà per esaurire lo sviluppo dei propri guãa. Ciò vale, evidentemente, sia nel piano individuale che in quello universale; si dice infati che Prajåpati proieta una nuova manifestazione per portare ad espres sione i contenuti irrisolti di quella precedente. Invece, attraverso la conoscenza, il jıva-puru\a, disidentificatosi da qualsiasi potenzialità, qui stesso – cioè trascendendo integralmente qualsiasi dimensio nalità spazio-tempo-causale – si autorisolve nel Puru\a insieme a tuto lo sviluppo universale e unitamente a tute le possibilità (måyå), in quanto ha realizzato la propria identità con il supremo Puru\a. 63
Qui Gauƒapåda fa risaltare un aspeto poco evidente: non so lo un ente esistente deve essere considerato efeto e, come enteefeto, deve avere un ente-causa dal quale proviene, sia pur situato in una diversa dimensionalità per cui può anche risultare al di là della ordinaria percezione, ma ogni ente-efeto, che sia individuato – e definito – da certi atributi-qualità, deve coesistere unitamente a questi; vale a dire che proprietà caraterizzanti ed ente carateriz zato sono due aspeti polari della medesima entità causata. 64
Il corpo grossolano ha il sotile come sostrato, mentre il corpo sotile, al di là dei tanmåtra che comunque appartengono anch’essi 65
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al piano sottile-energetico, ha il solo sostrato causale dell’autocoscienza, quando questa è colorata dalle impressioni accumulate. Per questo è detto ‘privo di sostegno’, in quanto, risolti i nodi proiettivi delle våsanå, l’autocoscienza perde limitazione e conformazione. Si dice, infatti, che la Coscienza, di per sé infnita, assume apparentemente una condizione fnita prendendo limitazioni fttizie e manifestandosi come mente. Fin quando vi è un contenuto potenziale di impressioni latenti (våsanå) da portare in espressione, il centro autocosciente del puru\a sperimenta passivamente la ‘aderenza a causa ed efetto’, ossia è soggetto al determinismo causale in quanto come rifesso di coscienza si trova identifcato ai veicoli ed alla loro condizione contingente, cosa che ne determina il peregrinare nel divenire ciclico (saµsåra) secondo le ‘traiettorie’ esistenziali stabilite o ‘tracciate’ dalle energie sottili nei campi o mondi di esperienza (loka). 66
Come apparirà chiaro più avanti, i ‘modi della esistenza’ (bhåva) sono le modalità in cui può esprimersi il puru\a individuato a seconda della propria qualifcazione coscienziale. Qindi sintetizzano la condotta dell’essere in accordo con le qualità che manifesta. 67
Si può dire che i modi della esistenza riassumono quelle qualità che, come contenuti irrisolti, rappresentano impulsi per ulteriori identifcazioni ed esistenze. Del resto, come si vedrà, tali modi sono anch’essi espressione dei guãa e, quindi, aspetti prak®tici. 68
Le impressioni latenti (våsanå) si determinano come semi attivi (saµskåra) di successive identifcazioni e venute in esistenza individuata. Esse, consustanziate dei guãa, appartengono alla Prak®ti e dimorano nella mente, in particolare a livello della coscienza cristallizzata (cita) quale ricettacolo di proiezioni mnemoniche. Così il successivo divenire dell’essere dipende dal grado di soluzione del mentale. 69
Brahmå è il deva che esprime l’aspetto creatore della trim¥rti; Prajåpati è il Signore delle creature, Soma è la divinità lunare, simbolo anche dell’am®ta, il nettare d’immortalità; Indra è il sovra70
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no dei deva. I Gandharva sono una famiglia di divinità dimoranti nel cielo considerate i musici celesti ma anche i custodi del divino nettare che è il soma. Gli Yak\a sono esseri semidivini di natura benigna, Råk\asa e Pi©åca esseri semidivini di natura maligna. Il dharma, dunque la conformità al Principio esplicata con l’osservanza religiosa, la virtù morale, la correttezza etica, ecc. apre l’accesso a tali sfere superiori. Il dissolvimento della Prak®ti comporta la soluzione del legame che essa esercita sul puru\a. Se il non-attaccamento non è preceduto, ossia anticipato dalla conoscenza, cioè provvisto della piena consapevolezza della realtà delle cose, al distacco dal corpo fsico si viene trascinati dalla inerzialità di quello sottile, carico di contenuti subconsci, e si continua ad accedere a condizioni di esistenza manifesta per portare in atto tali potenzialità. La conoscenza, invece, le risolve integralmente e il distacco dal corpo grossolano coincide con la completa emancipazione del puru\a dal piano prak®tico, per quanto a livello coscienziale tale disidentifcazione avviene già in concomitanza con la realizzazione della Conoscenza. 71
Nella visione Såµkhya e in altre la mente, l’organo interno nella sua integralità, è una modifcazione dell’autocoscienza; a sua volta, il contenuto di conoscenza (pratyaya) lo è dell’intelletto. Poiché una modifcazione mantiene sempre la natura della sostanza, il contenuto conoscitivo è l’intelletto stesso che ha assunto quella data forma, il contenuto della conoscenza è la forma apparentemente assunta dalla coscienza. 72
In relazione ai guãa abbiamo quattro casi per ciascuno, e precisamente: per ogni guãa prevalente, i restanti possono trovarsi in due posizioni di prevalenza relativa, una di parità e una di assenza o mera virtualità inespressa. Così abbiamo un totale di 12 stati allotropici combinati. Moltiplicati per i quattro ‘modi della esistenza’, ai quali possono inerire, si ha un totale di 48 possibilità. Aggiungendo a queste lo stato di parità di tutti i guãa e quello in cui sono tutti virtualmente inespressi o attualmente assenti o inerti, si arriva a un totale di 50 possibilità. 73
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Ecco ora la descrizione delle 50 distinzioni del contenuto conoscitivo analizzate sistematicamente e ordinatamente. Da qui in poi, le Såµkhyakårikå¢ procedono a una dettagliata elencazione di stati, condizioni, possibilità nelle loro forme pure e in quelle combinate, in relazione ai guãa e alle loro mescolanze variabili, con esame delle gradazioni e delle conseguenze. Tutte cose che Gauƒapåda disamina e spiega metodicamente. Tale mole di aspetti numerici non deve sgomentare il lettore: in fondo il Såµkhya è in sé una ‘enumerazione’ e la quantità analitica è la sua peculiare espressione. 74
Il termine ¥rdhvasrotas designa colui che ha rivolto verso l’alto (¥rdhvam) il fusso (srota) della energia vitale, in particolare di quella parte che si esprime come vitalità sessuale; è dunque equivalente all’¥rdhvaretas, “colui che ha rivolto in alto il seme”, e indica generalmente lo yogin dedito al brahmacarya. 75
Qeste denominazioni alludono a un particolare adattamento del testo a opera di altri commentatori; in particolare si riferisce alla versione in cinese stilata da Paramårtha. 76
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Si tratta ancora di denominazioni alternative. V. nota precedente.
Così si ha la sequenza: impressioni latenti (våsanå) accumulate tramite esperienza identifcata, semi attivi (saµskåra), princìpi ed elementi sottili (tanmåtra e s¥k\mabh¥ta) e corpo sottile (li√ga©arıra) quale veicolo di trasmigrazione per il rifesso puru\a il quale può dar luogo a ulteriori veicoli grossolani (sth¥la©arıra) ai quali si riferiscono, in relazione all’intero composto veicolare incentrato sul puru\a, le possibilità relative ai modi della esistenza (bhåva). 78
Mentre il rapporto causa-effetto è una proiezione, un apparente sdoppiamento di un qualcosa che mantiene la sua natura di unità – dato che l’efetto è una modifcazione della causa che resta sempre contenuta in quella – il rapporto tra diversi effetti non sussiste nel piano efettuale, cioè tra loro, ma solo in quello causale, unico per tutti, dove la loro distinzione scompare. 79
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La frase: “l’ottenimento di ogni successivo corpo è determinato dagli invisibili semi attivi [prodottisi] in consecutive esistenze precedenti” esprime il determinismo causale, la legge del karman. Il termine karman designa l’azione, in particolare quella efettuata con l’identifcazione al soggetto agente e compiuta per il frutto. Tale azione identifcata genera semi attivi (saµskåra) che, formando impressioni latenti (våsanå) a livello sottile, determinano la creazione di ulteriori veicoli sottili a cui il puru\a si identifca e con i quali trasmigra in date condizioni di esistenza per espletare le potenzialità che essi racchiudono. Il moto trasmigratorio è l’efetto di tale causa. Eliminata la causa, cesserà anche l’efetto. Per quanto riguarda tali forme divine si torni alla nota 70. La condizione di esistenza umana risulta così mediana tra le condizioni superumane o divine e quelle subumane di animali e vegetali. Solo comprendendo la distinzione tra il Puru\a e la Prak®ti è possibile trascendere la limitatezza di qualsiasi condizione esistenziale e accedere alla liberazione. 80
La creazione indipendente dagli elementi (abhautikasarga) e quella del dissolubile (li√gasarga) danno due modalità; quella dei modi della esistenza (bhåvasarga) ne aggiunge quattro, quella degli elementi (bh¥tasarga), considerando sia i sottili che i grossolani, ne aggiunge altre dieci, per un totale di sedici. 81
Ovviamente si tratta di una conoscenza catartica, quale può seguire solo a una efettiva presa di consapevolezza, e non soltanto di una cognizione concettuale. Occorre cioè realizzare la natura degli enti succitati nel proprio essere consapevole sì da operare il distacco dalle forme sovrapposte e svelare la identità con la loro essenza. 82
La ‘cessazione dell’attività’ da parte della Prak®ti nei confronti del Puru\a non indica una estinzione in quanto tale, ma il giungere a termine della sua azione identifcante nei riguardi della consapevolezza. In altre parole, la Prak®ti, una volta rivelatasi al Puru\a, ossia allorché questo ha conosciuto e compreso la sua natura e fun83
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zione, non può più condizionare il Puru\a stesso attraverso la identifcazione con i suoi enti oggettivi. La Prak®ti, dotata di attributi ma priva di consapevolezza, sembra agire per il raggiungimento dello scopo da parte del Puru\a, il quale è privo di attributi ma dotato di consapevolezza. Qesta particolare modalità espressiva e concettuale ha la propria ragion d’essere nel simbolismo relativo alla natura del rapporto soggettooggetto. 84
È evidente, qui, come la Prak®ti invocata dal Såµkhya si identifchi perfettamente con la måyå del Vedånta. Anche la måyå, infatti, non appena riconosciuta nella sua natura, si dilegua istantaneamente al cospetto del conoscitore unitamente ai suoi efetti quali la diferenziazione degli enti, la imposizione del legame, ecc. 85
Qi il termine Ù©vara si riferisce evidentemente al Puru\a; in un contesto Advaita Vedånta si riferirebbe all’åtman supremo, il Brahman privo di attributi (nirguãa). 86
L’asserzione della Prak®ti come ‘elusiva’ risponde alla impossibilità di defnire o descrivere quello che, come rileva Gauƒapåda, è la stessa måyå. Prak®ti e måyå si equivalgono, sono due nomi per due aspetti diversi di una medesima cosa. Anche nel Vedånta la måyå è detta indescrivibile, indefnibile, inindagabile, impercettibile: come la si osserva, scompare alla vista e, non appena la si comprende, si rivela essere una mera possibilità, per cui essa, da una prospettiva reale, né è né non-è. Lo stesso termine qui impiegato: subhogyatara, evidenzia quella che si potrebbe defnire da un lato la ‘disponibilità’ della måyå-Prak®ti ad assumere qualsiasi conformazione, ad accondiscendere a qualunque identifcazione proiettando entità e condizioni, dall’altro la ‘capacità’ di celarsi alla indagine conoscitiva e alla stessa percepibilità: sono i due poteri della måyå considerati nel Vedånta, il potere proiettivo (vik\epa©akti) e il potere velante (åvaraãa©akti): velando la Realtà, si può sovrapporvi qualsiasi sorta di apparenza, e il corso esistenziale della forma contenuta in questa non tocca il Sostrato reale su cui si proietta. 87
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Il verso ricorda il noto ©loka di Gauƒapåda della sua kårikå alla Må~ƒ¥kya Upani\ad: «Non vi è distruzione né venuta all’essere, né alcuno che sia in schiavitù e nemmeno uno che segua una disciplina, né alcuno che aspiri alla liberazione e, invero, nemmeno un liberato: questa è la suprema verità» (Gau. Kå. 2.32). Dire che a trasmigrare è la Prak®ti signifca che solo al suo interno si ha la trasformazione, come normale processo di mutamento dei guãa, delle condizioni alle quali i puru\a si identifcano e, in forza di tale identifcazione, assumono via via ulteriori veicoli, prima sottili poi grossolani, per svolgere indefnite esperienze. 88
Un ipotetico oppositore potrebbe obiettare: ‘come può, la Prak®ti priva di consapevolezza, legarsi, sperimentare e concepire la necessità e quindi la istanza di liberarsi?’ In efetti, la suggestiva espressione del verso intende evidenziare che il Puru\a – e anche qui è evidente la sua natura identica all’åtman del Vedånta – data la sua natura non può realmente trasmigrare né essere schiavo o liberato. L’Autore, perciò, intende dire che quello che sembra assumere diferenti condizioni e quindi trasmigrare è ancora qualcosa che fa parte della måyå, quindi della immensa possibilità di apparenza inconsistente a cui appartengono i vari veicoli individuali, gli stessi mondi, gli enti ivi racchiusi con le loro indefnite condizioni di esistenza, esperienza, ecc. 89
Qi il termine ‘esistenza’ (satva) si riferisce alla Prak®ti nella sua integralità, comprendendo sia l’Immanifesto che il manifestato. 90
Qi Gauƒapåda sembra alludere a un s¥tra di Pa†añjali: «Allora per il veggente si ha la condizione di stato nella propria natura» (Yogas¥tra 1.3). 91
Si è detto che il veicolo sottile rappresenta una energia che, in virtù della sua potenzialità, sospinge il puru\a-jıva ad esso identifcato a migrare in diverse e successive condizioni di esistenza al fne di portare a sviluppo i semi karmici che reca. Poichè il corpo sottile fa parte della Prak®ti, si dice che è questa a trasmigrare, ecc. In realtà è il puru\a-jıva che, come un rifesso del sole sull’acqua, 92
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sembra muoversi in concomitanza con il movimento dell’acqua, dunque dei veicoli prak®tici, mentre nella sua natura di Puru\aåtman è sempre immobile e immutabile. Risolta l’identifcazione con il veicolo, questo non sussiste più autonomamente e il puru\ajıva, prosciolto da tale apparente legame, si realizza come il Puru\aåtman conseguendo la liberazione. Sono i ‘modi della esistenza’ descritti nel commento ai versi 1 e 43 – ossia: virtù, conoscenza, distacco e potere con i loro opposti – a eccezione della conoscenza: essa, infatti, è il solo fattore di liberazione per il puru\a. 93
I ‘modi della esistenza’, meno la conoscenza, con i loro opposti, prima fra tutti l’ignoranza, sono le forme leganti della måyåPrak®ti. La conoscenza è la forma che libera, cioè risolve il legame o rapporto Puru\a-Prak®ti. È come dire: la måyå lega la måyå attraverso la måyå e si libera ancora attraverso la måyå. Trasmigrazione, schiavitù e liberazione sono concetti e condizioni che appartengono alla måyå, non hanno alcuna esistenza nella realtà. Solo la conoscenza risolve l’immagine della måyå, con le sue indefnite possibilità, permettendo al Puru\a di ristabilirsi nella propria reale natura che non è mai perduta o alterata, ma solo apparentemente obliata. 94
È chiaramente una espressione simbolica. La Prak®ti inconsapevole non può avvertire di essere stata vista; piuttosto è il puru\a che, operando la comprensione della Prak®ti, vede dissolversi la sua attività, per cui è come se questa, portata, per così dire, allo scoperto, rientrasse in sé stessa in una condizione di quiete, di nonproiettività. 95
Se vi fosse una diferenza nella natura, vi sarebbe diferenza [anche] nella generazione (m¥rtibhede jåtibhedåt). In sostanza, qualora vi fossero più Prak®ti, si avrebbero di conseguenza più manifestazioni allo stesso tempo, con leggi proprie e, pertanto, eventualmente diverse e, di conseguenza, condizioni anche contrastanti; ciò determinerebbe uno squilibrio generale con il risultato della incom96
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patibilità reciproca e della impossibilità di coesistenza e, in defnitiva, della inevitabile distruzione totale. Ma questo non è osservato. D’altra parte, mentre più efetti – ovvero un efetto che si manifesta in modo dinamico e mutevole presentandosi in indefnite modalità – possono sorgere da una medesima causa, più cause non possono dare un solo efetto. La corporeità grossolana è precipitazione o condensazione di quella sottile quando la sua potenzialità spinge per concretizzarsi anche sul piano fsico. Stante la causa, non può non aversi l’efetto. Si è già detto che l’esistenza del veicolo sottile denuncia la presenza di contenuti irrisolti che premono per emergere e indirizzare il puru\a in date condizioni di esperienza. Qi il termine ©arıra, di norma usato al neutro per ‘corpo’, ‘corporeità’, veicolo individuato soprattutto a livello fsico-denso, è impiegato al maschile come aggettivo sostantivato, per cui signifca: ‘corporeo’, ‘colui che è dotato di corpo’, ‘incarnato’. 97
La conoscenza non elimina l’efetto concretizzato o maturato – per quanto annulli la identifcazione con esso con la conseguente autolimitazione – perché questo è una condizione già prodotta; è in grado, invece, di risolvere la causa e quindi, in assenza di questa, di impedire il sorgere di un qualsiasi ulteriore efetto. 98
Si allude al triplice karman. Vi è un karman accumulato in passato (sañcita), ma non ancora maturato, che può essere risolto dalla conoscenza, per cui non darà efetto. Vi è un eventuale karman che potrà accumularsi in futuro (ågamin), ma viene anch’esso eliminato dalla conoscenza insieme al suo potenziale efetto. Vi è infne un karman maturato (prårabdha), per esempio nel corpo attuale e nella condizione esistenziale presente, il quale, pur avendone rimossa la causa, resta fno a esaurimento della propria inerzialità. Qando ciò si verifca, il veicolo sottile si risolve qui stesso e cessa di costituire un legame tra l’autocoscienza e il veicolo grossolano, per cui l’autocoscienza stessa, priva di contenuti e libera da identifcazioni e sovrapposizioni limitanti, attuali e potenziali, si risolve nella Coscienza totale puru\ica. 99
Note
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«L’assolutezza (kaivalya) segue al riassorbimento dei guãa allorché sono divenuti privi di fnalità per il Puru\a.» (Yogas¥tra 4.34). Qando la conoscenza ha risolto ed eliminato le sette formecausa di legame, la triplice soferenza è estirpata per sempre e l’obiettivo indicato all’inizio è fnalmente raggiunto. 100
TESTO SANSCRITO
ŸrımadıŸvarakÿ≤~apra~itå¢
såµkhyakårikå¢ gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
Ÿrıga~eŸåya nåma¢ kapilåya namastasmai yenåvidyodådhau jagati magne | kåru~yåtsåµkhyamayau nauriva vihitå pratara~åya || alpagranthaµ spa≤†aµ pramåãasiddhåntahetubhiryuktam | Ÿåstraµ Ÿi≤yahitåya samåsato ’haµ pravak≤yåmi ||
du¢khatrayåbhighåtåjjijñåså tadbhighåtake hetau | dÿ≤†e så ’pårthå cennaikåntåtyantato ’bhåvåt || 1 || du¢khatrayeti | asyå åryyåyå upodghåta¢ kriyate | iha bhagavånbrahmasuta¢ kapilo nåma¢ | tadyathå –“sanakaŸca sanandaŸca tÿtıyaŸca sanåtana¢ | åsuri¢ kapilaiŸcaiva voƒhu¢ pañcaŸikhastathå | ityete brahma~a¢ putrå¢ sapta proktå mahar\aya¢” kapilasya sahotpannåni dharmo jñånaµ vairågyamaiŸvaryaµ ceti | evaµ sotpanna¢ sannandhe tamasi majjajjagadålokya saµsårapåramparye√a satkåru~yo jijñåsamånåyå ’’surisagotråya bråhma~åyedaµ pañcaviµŸatitatvånåµ jñånamuktavån | yasya jñånåddu¢khak≤ayo bhavati || “pañcaviµŸatitatvajño yatra tatråŸrame vaset | ja†ı mu~ƒı Ÿikhı våpi mucyate nåtra saµŸaya¢” tadidamåhu¢ – du¢khatra-
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såµkhyakårikå¢
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yåbhighåtåjjijñåseti | tatra du¢khatrayam – ådhyåtmikamådhibhautikamådhidaivikaµ ceti | tatrådhyåtmikaµ dvividham – Ÿårıraµ månasaµ ceti | Ÿårıraµ våtapitaŸle≤maviparyayakÿtaµ jvaråtısårådi | månasaµ priyaviyogåpriyasayogådi | ådhibhautikaµ caturvidhabh¥tagråmanimitaµ manu≤yapaŸumÿgapak≤isarısÿpadaµŸakay¥kåmatku~amatsyamakaragråhasthåvarebhyo jaråyujå~ƒajasvedajodbhijjebhya¢ sakåŸådupajåyate | ådhidaivikam – devånåmidaµ daivaµ diva¢ prabhavatıti vå daivam | tadadhikÿtya yadupajåyate – Ÿıto≤~avåtavar≤åŸanipåtådikam | evaµ yathå du¢khatrayåbhighåtåjjijñåså kåryå | kva – tadabhighåtake hetau | tasya du¢khatrayasyåbhighåtako yo ’sau hetustatreti | dÿ≤†e så ’pårthå cet | dÿ≤†e hetau du¢khatrayåbhighåtake så jijñåså ’pårthå cedyadi | tatrådhyåtmikasya dvividhasyåpyåyurvedaŸåstrakriyayå priyasamågamåpriyaparihåraka†utiktaka≤åyådi kvåthådibhirdÿ≤†a evådhyåtmikopåya¢ | ådhibhautikasya raksådinå ’bhighåtako dÿ≤†a¢ | dÿ≤†e så ’pårthå cedevaµ manyase – na | ekåntåtyantato ’bhåvåt | yata ekåntato ’vaŸyamatyantato ’nityaµ dÿ≤†ena hetunå ’bhighåto na bhavati | tasmådanyatraikåntåtyantåbhighåtake hetau jijñåså vividi≤å kåryeti || yadi dÿ≤†ådanyatra jijñåså kåryå tato ’pi naiva | yata ånuŸråviko heturdu¢khatrayåbhighåtaka¢ | anuŸr¥yata ityanuŸrava¢ | tatra bhava ånuŸråvika¢ | sa cågamåtsiddha¢ | yathå – “apåma somamamÿtå abh¥måganma jyotiravidåma devån | kinn¥namasmåntÿ~avadaråti¢ kimu dh¥rtiramÿtamartyasya” (atharvaŸira upani\ad 3) || kadåcidindrådınåµ devånåµ kalpa åsıt | kathaµ vayamamÿtå abh¥meti vicårya yasmådvayamapåma somaµ tasmådamÿtå abh¥ma amarå bh¥tavanta ityartha¢ | kiñcåganma jyotirgatavanto labdhavanto jyoti¢ svargamiti | avidåma devåndivyånviditavanta¢ | evaµ ca kinn¥namasmåntÿ~avadaråti¢ | n¥naµ niŸcitaµ kimaråti¢ Ÿatrurasmåntÿ~avatkarteti | kimu dh¥rtiramÿtamartyasya dh¥rtirjarå hiµså vå kiµ kari≤yatyamÿtamartyasya | anyacca vede Ÿr¥yate åtyantikaµ phalaµ paŸuvadhena – “sarvåµllokåñjayati mÿtyuµ tarati påpmånaµ tarati brahmahatyåµ tarati yo so ’Ÿvamedhena yajate” iti | ekåntåtyantike evaµ vedokta apårtheva jijñåså – iti na | ucyate – dÿ≤†avadånuŸravika¢ sa hyaviŸuddhik≤ayåtiŸayayukta¢ | tadviparıta¢ Ÿreyånvyaktåvyaktajñavijñånåt || 2 ||
3
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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dÿ≤†avadånuŸråvika iti | dÿ≤†ena tulyo dÿ≤†avat | yo ’såvånuŸråvika¢ kasmåtsa dÿ≤†avadyasmåt – avi©uddhik≤ayåti©ayayukta¢ • avi©uddhiyukta¢ pa©ughåtåt • tathå coktam – “≤a†©atåni niyujyante pa©¥nåµ madyame ’hani • a©vamedhasya vacanåd¥nåni pa©ubhistribhi¢” yadyapi ©rutism®tivihito dharmastathåpi mi©rıbhåvådavi©uddhiyukta iti • yathå – “bah¥nındrasahasrå~i devånåµ ca yuge yuge • kålena samatıtåni kålo hi duratikrama¢” evamindrådina©åtk≤ayayukta¢ • tathå ’ti©ayo vi©e≤astena yukta¢ • vi©e≤agu~adar©anåditarasya du¢khaµ syåditi • evamånu©raviko ’pi heturd®≤†avat • kastarhi ©reyån – iti codyate – tadviparıta¢ ©reyån • tåbhyåµ d®≤†ånu©ravikåbhyåµ viparıta¢ ©reyånpra©asyatara iti • avi©uddhik≤ayåti©ayåyuktatvåt • ca kathamityåha – vyaktåvyaktajñavijñånåt • tatra vyaktaµ mahadådi – buddhirahaµkåra¢ pañcatanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tåni • avyaktaµ pradhånam • jña¢ puru≤a¢ • evametåni pañcaviµ©atistatvåni vyaktåvyaktajñå¢ kathyante • etadvijñånåcchreya iti • uktaµ ca – “pañcaviµ©atitatvajña” ityådi •• atha vyaktåvyaktajnånåµ ko vi©e≤a ityucyate – m¥laprak®tiravik®tirmahadådyå¢ prak®tivik®taya¢ sapta • ≤oƒa©akastu vikåro na prak®tirna vik®ti¢ puru≤a¢ •• 3 •• m¥laprak®ti¢ pradhånam • prak®tivik®tisaptakasya m¥labh¥tatvåt • m¥laµ ca så prak®ti©ca m¥laprak®ti¢ • avik®tiranyasmånnotpadyate tena prak®ti¢ kasyacidvikåro na bhavati •• mahadådyå¢ prak®tivik®taya¢ sapta • mahånbuddhi¢ • buddhyådyå¢ sapta – buddhirahaµkåra¢ pañca tanmåtrå~i • etå¢ sapta prak®tivik®taya¢ • tadyathå • pradhånådbuddhirutpadyate tena vik®ti¢ pradhånasya vikåra iti • saivåhaµkåramutpådayatyata¢ prak®ti¢ • ahaµkåro ’pi buddherutpadyata iti vik®ti¢ • sa ca pañca tanmåtrå~yutpådayatıti prak®ti¢ • tatra ©abdatanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tasmådåkå©amutpadyata iti prak®ti¢ • tathå spar©atanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevaµ våyumutpådayatıti prak®ti¢ • gandhatanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevaµ p®thivımutpådayatıti prak®ti¢ • r¥patanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevaµ teja utpådayatıti prak®ti¢ • rasatanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevamåpa utpådayatıti prak®ti¢ • evaµ mahadådyå¢ sapta prak®tayo vik®taya©ca •• ≤oƒaka©ca vikåra¢ • pa-
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såµkhyakårikå¢
3
ñca buddhındriyå~i pañca karmendriyå~yekåda©aµ mana¢ pañca mahåbh¥tåni • e≤a ≤oƒa©ako gu~o vik®tireva • vikåro vik®ti¢ • na prak®tirna vik®ti¢ puru≤a¢ •• evame≤åµ vyaktåvyaktajnånåµ trayå~åµ padårthånåµ kai¢ kiyadbhi¢ pramå~ai¢ • kena kasya vå pramå~ena siddhirbhavati • iha loke prameyavastu pramå~ena sådhyate • yathå – prasthådibhirvrıhaya¢ tulayå candanåni • tasmåtpramå~amabhidheyam – d®≤†amanumånamåptavacanaµ ca sarvapramå~asiddhatvåt • trividhaµ pramå~ami≤†aµ prameyasiddhi¢ pramå~åddhi •• 4 •• d®≤†aµ yathå – ©rotraµ tvakcak≤urjihvå ghrå~amiti pañca buddhındriyå~i • ©abdaspar©ar¥parasagandhå e≤åµ pañcånåµ pañcaiva vi≤ayå yathåsaµkhyam • ©abdaµ ©rotraµ g®h~åti • tvakspar©aµ cak≤¥ r¥paµ jihvå rasaµ ghrå~aµ gandhamiti • etadd®≤†amityucyeta pramå~am •• pratyak≤e~ånumånena vå yo ’rtho na g®hyate sa åptavacanådgråhya¢ • yathå indro devaråja¢ • utarå¢ kurava¢ svarge ’psarasa ityådi • pratyak≤ånumånågråhyamathåptavacanådg®hyeta • api coktam – “ågamo hyåptavacanamåptaµ do≤ak≤ayådvidu¢ • k≤ı~ado≤o ’n®taµ våkyaµ na br¥yåddhetvasambhavåt •• svakarma~yabhiyukto ya¢ sa§gadve≤avivarjita¢ • p¥jitastadvidhairnityamåpto jñeya¢ sa tåd®©a¢” •• ete≤u pramå~e≤u sarvapramå~åni siddhåni bhavanti • ≤a†pramå~åni jaimini¢ • atha kåni tåni pramå~åni • arthåpati¢ sambhavo ’bhåva¢ pratibhå aitihyamupamånaµ ceti ≤a†pramå~åni • tatrårthåpattirdvividhå – d®≤†å ©rutå ca • tatra d®≤†å – ekasminpak≤e åtmabhåvo g®hıta©cedanyasminnapyåtmabhåvo g®hyata eva • ©rutå yathå – divå devadato na bhu§kte atha ca pıto d®©yate ’to ’vagamyate råtrau bhu§kta iti • sambhavo yathå – prastha ityukte catvåra¢ kuƒavåh sambhåvyante • abhåvo nåma prågitaretaråtyantasarvåbhåvalak≤a~a¢ • prågabhåvo yathå – devadata¢ kaumarayauvanådi≤u • itaretaråbhåva¢ – pa†e gha†åbhåva¢ • atyantåbhåva¢ – kharavi≤å~avandhyåsutakhapu≤pavaditi • sarvåbhåva¢ pradhvaµsåbhåva¢ – dagdhapa†avaditi • yathå – ©u≤kadhånyadar©anådv®≤†erabhåvo gamyate • evamabhåvo ’nekadhå • pratibhå yathå – “dak≤i~ena ca vindhyasya sahyasya ca yadutaram • p®thivyåmåsamudråyåµ sa prade©o manorama¢” evamukte tasminprade©e ©obhanå gu~å¢ santıti pratibhotpadyate • prati-
6
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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bhånvåsamjñånamiti • aitihyaµ yathå – bravıti loko yathåtra va†e yak≤i~ı pravasatıtyeva aitihyam • upamånaµ yathå – gauriva gavaya¢ • samudra iva taƒåga¢ • etåni ≤a†pramå~åni tri≤u d®≤†ådi≤vantarbh¥tåni • tatrånumåne tåvadarthåpatirantarbh¥tå • sambhåvåbhåvapratibhaitihyopamå©cåptavacane •• tasmåtri≤veva sarvapramå~asiddhatvåtrividhaµ pramå~ami≤†aµ tadåha • tena trividhena pramå~ena pramå~asiddhirbhavatıti våkya©e≤a¢ •• prameyasiddhi¢ pramå~åddhi • prameyam – pradhånaµ buddhirhaµkår¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañca mahåbh¥tåni puru≤a iti • etåni pañcaviµ©atistatvåni vyaktåvyaktajnå ityucyante • tatra kiñcitpratyak≤e~a sådhyaµ kiñcidanumånena kiñcidågameneti trividhaµ pramå~amuktam •• tasya kiµ lak≤a~ametadåha – prativi≤ayådhyavasåyo d®≤†aµ trividhamanumånamåkhyåtam • talli§gali§gip¥rvakamåpta©rutiråptavacanaµ ca •• 5 •• prativi≤aye≤u ©rotrådınåµ ©abdådivi≤aye≤vadhyavasåyo d®≤†aµ pratyak≤amityartha¢ •• trividhamanumånamåkhyåtam • p¥rvavacche≤avatsåmånyato d®≤†aµ ceti • p¥rvamasyåstıti p¥rvavadyathå – meghonnartyå v®≤†iµ sådhayati p¥rvavadd®≤†atvåt • ©e≤avadyathå – samudrådekaµ jalapalaµ lava~amåsådya ©e≤ayåpyasti lava~abhåva iti • såmånyato d®≤†am – de©ådde©åntaraµ pråptaµ d®≤†aµ gatimaccandratårakaµ caitravat • yathå caitranåmånaµ de©ådde©åntaraµ pråptamavalokya gatimånayamiti • tadvaccandratårakamiti • tathå pu≤pitåmradar©anådanyatra pu≤pitå åmrå iti såmånyato d®≤†ena sådhayati • etatsåmånyato d®≤†am •• kiñca talli§gali§gip¥rvikamiti • tadanumånaµ li§gap¥rvakaµ yatra li§gena li§gyanumıyate yathå • da~ƒena yati • li§gip¥rvakaµ ca yatra li§ginå li§gamanumıyate • yathå – d®≤†vå yatimasyedaµ trida~ƒamiti •• åpta©rutiråptavacanaµ ca • åptå åcåryå brahmådaya¢ • ©rutirveda¢ • åptå©ca ©ruti©cå ’’pta©ruti¢ • taduktamåptavacanamiti •• evaµ trividhaµ pramå~amuktaµ tatra kena pramå~ena kiµ sådhyamucyate – såmånyatastu d®≤†ådatındriyå~åµ prasiddhiranumånåt • tasmådapi cåsiddhaµ parok≤amåptågamåtsiddham •• 6 •• såmånyatod®≤†ådanumånådatındriyå~åµ • indriyå~yatıtya vartamånånåµ siddhi¢ • pradhånapuru≤åvatındriyau såmånyatod®-
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såµkhyakårikå¢
6
≤†ånumånena sådhyete • yasmånmahadådi li§gaµ trigu~am • yasyedaµ trigu~aµ kåryaµ tatpradhånamiti • yata©cåcetanaµ cetanamivåbhåti • ato ’nyo ’dhi≤†håtå puru≤a iti • vyaktaµ pratyak≤asådhya • tasmådapi cåsiddhaµ parok≤amåptågamåtsiddham • yathå – indro devaråja¢ • utarå¢ kurava¢ • svarge ’psarasa iti parok≤amåptavacanåtsiddham •• atra ka©cidåha – pradhånaµ puru≤o vå nopalabhyate • yacca nopalabhyate loke tannåsti • tasmåtåvapi na sta¢ • yathå – dvitıyaµ ©ira¢ t®tıyo båhuriti • taducyate – atra satåmapyarthånåma≤†adhopalabdhirna bhavati • tadyathå – atid¥råtsåmıpyådindriyaghåtånmano ’navasthånåt • sauk≤myådvyavadhånådabhibhavåtsamånåbhihåråcca •• 7 •• iha satåmapyarthånåmatid¥rådanupalabdhird®≤†å • yathå – de©åntarasthånåµ caitramaitravi≤~umitrå~åm •• samıpyåt • yathå – cak≤u≤o ’ñjanånupalabdhi¢ •• indriyåbhighåtåt • yathå – badhiråndhayo¢ ©abdar¥pånupalabdhi¢ •• mano ’navasthånåt • yathå – vyagracita¢ samyakkathitamapi nåvadhårayati •• sauk≤myåt • yathå – dh¥mo≤majalanıhåraparamå~avo gaganagatå nopalabhyante •• vyavadhånåt • yathå – kuƒyena pihitaµ vastu nopalabhyate || abhibhavåt • yathå – s¥ryatejasåbhibh¥tå graha~ak≤atratårakådayo nopalabhyante •• samånåbhihåråt • yathå – mudgarå©au mudga¢ k≤ipta¢ kuvalayåmalakamadhye kuvalayåmalake k≤ipte kapotamadhye kapoto nopalabhyante • samånadravyamadhyåh®tatvåt • evama≤†adhå ’nupalabdhi¢ satåmarthånåmiha d®≤†å •• evaµ cåsti kimabhyupagamyate pradhånapuru≤ayorapyetayorvå ’nupalabdhi¢ kena hetunå kena copalabdhistaducyate – sauk≤myåttadanupalabdhirnåbhåvåtkåryatastadupalabdhi¢ • mahadådi tacca kåryaµ prak®tivir¥paµ sar¥paµ ca •• 8 •• sauk≤myåtadanupalabdhi¢ • pradhånasyetyartha¢ • pradhånaµ sauk≤myånnopalabhyate • yathå – åkå©e dh¥mo≤majalanıhåraparamå~ava¢ santo ’pi nopalabhyante • kathaµ tarhi tadupalabdhi¢ •• kåryatastadupalabdhi¢ • kåryaµ d®≤†vå kåra~amanumıyate • asti pradhånaµ kåra~aµ yasyedaµ kåryam • buddhirahaµkårapañcatanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tånyeva tatkå-
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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ryam •• tacca kåryaµ prak®tivir¥pam • prak®ti¢ pradhånaµ tasya vir¥paµ prak®terasad®©am • sar¥paµ ca • samånar¥paµ ca • yathå – loke ’pi pitustulya iva putro bhavatyatulya©ca • yena hetunå tulyamatulyaµ tadupari≤†ådvak≤yåma¢ •• yadidaµ mahadådi kåryaµ tatkiµ pradhåne sadutåhosvidasat – åcåryavipratipaterayaµ saµ©aya¢ • yato ’tra såµkhyadar©ane satkåryaµ bauddhådınåmasatkåryam • yadi sat – asanna bhavati • athåsat – sanna bhavatıti viprati≤edhastatråha – asadakara~ådupådånagraha~åtsarvasambhavåbhåvåt • ©aktasya ©akyakara~åtkåra~abhåvåcca satkåryam •• 9 •• asadakåra~åt • na sadasat • asato ’kåra~aµ tasmåtsatkåryam • iha loke ’satkara~aµ nåsti • yathå – sikatåbhyastailotpati¢ • tasmåtsata¢ kara~ådasti prågutpate¢ pradhåne vyaktam • ata¢ satkåryam •• kiµ cånyat • upådånagraha~åt • upådånaµ kåra~aµ tasya graha~åt • iha loke yo yenårthı sa tadupådånagraha~aµ karoti – dadhyarthı k≤ırasya na tu jalasya • tasmåtsatkåryam •• ita©ca sarvasambhavåbhåvåt • sarvasya sarvatra sambhavo nåsti • yathå – suvar~asya rajatådau t®~ap嵩usikatåsu • tasmåtsarvasambhavåbhåvåtsatkåryam •• ita©ca ©aktasya ©akyakara~åt • iha kulåla¢ ©akto m®dda~ƒacakracıvararajjunırådikara~opakara~aµ vå ©akyameva gha†aµ m®tpi~ƒådutpådayati • tasmåtsatkåryam • ita©ca kåra~abhåvåcca satkåryam • kåra~aµ yallak≤a~aµ tallak≤a~ameva kåryamapi • yathå – yavebhyo yavå¢ • vrıhibhyo vrıhaya¢ • yadå ’satkåryaµ syåtata¢ kodravebhya¢ ©ålaya¢ syu¢ • na ca santıti tasmåtsatkåryam • evaµ pañcabhirhetubhi¢ pradhåne mahadådi li§gamasti • tasmåtsata utpatirnåsata iti •• prak®tivir¥paµ sar¥paµ ca yaduktaµ tatkathamityucyate – hetumadanityamavyapi sakriyamanekamå©ritaµ li§gam • såvayavaµ paratantraµ vyaktaµ viparıtamavyaktam •• 10 •• vyaktaµ mahadådikåryaµ hetumaditi • heturasyåstıti hetumat • upådånaµ hetu¢ kåra~aµ nimitamiti paryåyå¢ • vyaktasya pradhånaµ heturasti | ato hetumavyaktaµ bh¥taparyantam • hetumadbuddhitatvaµ pradhånena hetumånahaµkåro buddhyå pañca
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såµkhyakårikå¢
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tanmåtrå~yekåde©endriyå~i hetumantyahaµkåre~a • åkå©aµ ©abdatanmåtre~a hetumat • våyu¢ spar©atanmåtre~a hetumån • tejo r¥patanmåtre~a hetumat • åpo rasatanmåtre~a hetumatya¢ • p®thivı gandhatanmåtre~a hetumatı • evaµ bh¥taparyantaµ vyaktaµ hetumat •• kiµ cånyat • anityam • yasmådanyasmådutpadyate yathå – m®tpi~ƒådutpadyate gha†a¢ sa cånitya •• kiµ cåvyåpi • asarvagamityartha¢ • yathå pradhånapuru≤au sarvagatau naivaµ vyaktam •• kiµ cånyat • sakriyam • saµsårakåle saµsarati • trayoda©avidhena kara~ena saµyuktaµ s¥k≤maµ ©arıramå©ritya saµsarati • tasmåtsakriyam •• kiµ cånyat • anekam • buddhirahaµkåra¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tåni ceti •• kiµ cånyadå©ritam • svakåraãamå©rayate • pradhanå©ritå buddhi¢ • buddhimå©rito ’haµkåra¢ • ahaµkårå©ritåni ekåda©endriyå~i pañca tanmåtrå~i • pañcatanmåtrå©ritåni pañcamahåbh¥tånıti •• kiµ ca li√gam • layayuktam • layakåle pañca mahåbh¥tåni tanmåtre\u lıyante • tånyekåda©endriyi¢ sahåhaµkåre sa ca buddhau så ca pradhåne layaµ yåtıti •• tathå såvayavam • avayavå¢ ©abdaspar©arasar¥pagandhå¢ • tai¢ saha •• kiµ ca paratantram • nåtmana¢ prabhavati • yathå – pradhånatantrå buddhi¢ • buddhitantro ’haµkåra¢ • ahaµkåratantrå~i tanmåtrå~ındriyå~i ca • tanmåtratantrå~i pañcamahåbh¥tåni ca • evaµ paratantraµ paråyataµ vyåkhyåtaµ vyaktam •• atho ’vyakta vyåkhyåsyåma¢ • viparıtamavyaktam • etaireva guãairyathoktairviparıtamavyaktam • hetumadvyaktamuktam • nahi pradhånåtparaµ kiµcidasti • yata¢ pradhånasyånutpati¢ • tasmådahetumadavyaktam •• tathå cånityaµ ca vyaktaµ nityamavyaktamanutpadyamånatvåt • na hi bh¥tånıva kuta©cidutpadyata iti nityaµ pradhånam •• kiµ ca • avyåpi vyaktam • vyåpi pradhånaµ sarvagatatvåt •• sakriyaµ vyaktamakriyamavyaktaµ sarvagatatvådeva •• tathå ’nekaµ vyaktam ekaµ pradhånaµ kåraãatvåt • trayå~åµ lokånåµ pradhånamekaµ kåraãaµ tasmådekaµ pradhånam •• tathå ’’©ritaµ vyaktam • anå©ritamavyaktamakåryatvåt • na hi pradhånåsti kiµcitparaµ yasya pradhånaµ kåryaµ syåt •• tathå vyaktaµ li√gam • ali√gamavyaktam • mahadådi li√gaµ pralayakåle parasparaµ pralıyate • naivaµ pradhånaµ tasmådali√gaµ pradhånam •• tathå såvayavaµ vyaktam • niravayavamavyaktam • nahi ©abdaspar©arasar¥pagandhå¢ pradhåne santi •• tathå paratantraµ vyaktam • svatantramavyaktam • prabhavatyåtmana¢ •• e-
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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vaµ vyaktåvyaktayorvaidharmyamuktaµ sådharmyamucyate • yaduktaµ svar¥paµ ca – triguãamaviveki vi\aya¢ såmånyamacetanaµ prasavadharmi • vyaktaµ tathå pradhånaµ tadviparıtastathå ca pumån •• 11 •• triguãaµ vyaktam • satvarajastamåµsi trayo gu~å yasyeti •• aviveki vyaktam • na viveko ’syåstıti • idaµ vyaktamime gu~å iti na vivekaµ kartuµ yåti • ayaµ gaurayama©va iti yathå • ye gu~åstadvyaktaµ yadvyaktaµ te ca gu~å iti •• tathå vi\ayo vyaktam • bhojyamityartha¢ • sarvapuru\å~åµ vi\ayabh¥tatvåt •• tathå såmånyaµ vyaktam • m¥lyadåsıvatsarvasådhåraãatvåt •• acetanaµ vyaktam • sukhadu¢khamohånna cetayatıtyartha¢ •• tathå prasavadharmi vyaktam • tadyathå – buddherahaµkåra¢ pras¥yate tasmåtpañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i ca pras¥yante • tanmåtrebhya¢ pañca mahåbh¥tåni •• evamete vyaktadharmå¢ prasavadharmåntå uktå¢ • evamebhiravyaktaµ sar¥paµ yathå vyaktaµ tathå pradhånamiti • tatra triguãaµ vyaktamavyaktamapi triguãaµ yasyaitanmahadådi kåryaµ triguãam • iha yadåtmakaµ kåraãaµ tadåtmakaµ kåryam • yathå k®≤ãatantuk®ta¢ k®≤ãa eva pa†o bhavati •• tathå ’viveki vyaktaµ pradhånamapi guãairna bhidyate • anye gu~å anyatpradhånamevaµ vivektuµ na yåti tadaviveki pradhånam •• tathå vi\ayo vyaktaµ pradhånamapi sarvapuru≤avi\ayabh¥tatvådvi\aya iti • tathå såmånyaµ vyaktaµ pradhånamapi sarvasådhåraãatvåt • tathå ’cetanaµ vyaktaµ pradhånamapi sukhadu¢khamohånna cetayatıti kathamanumıyate – iha hyacetanånm®tpi~ƒådacetano gha†a utpadyate •• evaµ pradhånamapi vyåkhyåtam • idånıµ tadviparıtastathå ca pumånityetadvyåkhyåyate • tadviparıtaståbhyåµ vyaktåvyaktåbhyåµ viparıta¢ pumån • tadyathå – “triguãaµ vyaktamavyaktaµ ca triguãa¢ puru≤a • aviveki vyaktamavyaktaµ ca vivekı puru\a¢ • tathå vi\ayo vyaktamavyaktaµ cåvi\aya puru\a¢ • tathå såmånyaµ vyaktamavyaktaµ cåsåmånya¢ puru\a¢ • acetanaµ vyaktamavyaktaµ ca cetana¢ puru\a¢ • sukhadu¢khamohåncetayati saµjñånıte tasmåccetana¢ puru\a¢ •• sarvadharmi vyaktaµ pradhånaµ cåprasavadharmı puru\a • nahi puru\åtkiñcit pras¥yate • tasmåduktaµ tadviparıta¢ pumåniti •• taduktaµ tathå ca pumåniti • tatp¥rvåsyåmåryåyåµ pradhånamahetumadya-
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såµkhyakårikå¢
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thå vyåkhyåtaµ tathå ca pumån • tadyathå hetumadanityamityådi vyaktaµ tadviparıtamavyaktam •• tatra hetumadvyaktaµ • ahetumatpradhånaµ tathå ca pumånahetumånanutpådyatvåt •• anityaµ vyaktaµ nityaµ pradhånaµ tathå ca nitya¢ pumån •• avyåpi vyaktaµ vyåpi pradhånaµ tathå ca vyåpi pumån • sarvagatatvåt •• sakriyaµ vyaktamakriyaµ pradhånaµ tathå ca pumånakriya¢ sarvagatatvåt •• anekaµ vyaktamekamavyaktaµ tathå pumånapyeka¢ •• å©ritaµ vyaktamanå©ritamavyaktaµ tathå ca pumånanå©rita¢ •• li√gaµ vyaktamali√gaµ pradhånaµ tathå ca pumånapyali√ga¢ • na kvacillıyata iti •• såvayavaµ vyaktaµ nirasvayavamavyaktaµ tathå ca pumånniravayava¢ • nahi puru\e ©abdådayo ’vayavå¢ santi •• kiµ ca paratantraµ vyaktaµ svatantramavyaktaµ tathå ca pumånapi svatantra • åtmana¢ prabhavatıtyartha¢ •• evametadavyaktapuru\ayo¢ sådharmyaµ vyåkhyåtaµ p¥rvasyåmåryåyåm • vyaktapradhånayo sådharmyaµ puru\asya vaidharmyaµ ca triguãamavivekıtyådi prak®tåryåyåµ vyåkhyåtam •• tatra yaduktaµ triguãamiti vyaktamavyaktaµ ca tatke te gu~å iti tatsvar¥papratipådanåyedamåha – prıtyaprıtivi\ådåtmakå¢ prakå©åprav®ttiniyamårthå¢ • anyo ’nyåbhibhavå©rayajananamithunav®ttaya©ca gu~å¢ •• 12 •• prıtyåtmakå aprıtyåtmakå vi\ådåtmakå©ca gu~å¢ – satvarajastamåµsıtyartha¢ • tatra prıtyåtmakaµ satvaµ prıti¢ sukhaµ tadåtmakamiti • aprıtyåtmakaµ raja¢ • aprıtirdu¢kham • vi\ådåtmakaµ tamo vi\ådo moha¢ •• tathå prakå©aprav®tiniyamårthå¢ • artha©abda¢ såmarthyavåcı prakå©årthaµ satvaµ prakå©asamarthamityartha¢ • prav®tyarthaµ raja¢ • niyamårthaµ tama¢ sthitau samarthamityartha¢ • prakå©akriyåsthiti©ılå gu~å iti •• tathå – anyo ’nyåbhibhavå©rayajananamithunav®taya©ca • anyo ’nyåbhibhavå¢ • anyo ’nyå©rayå¢ • anyo ’nyajananå¢ • anyo ’nyamithunå¢ • anyo ’nyav®taya©ca te tathoktå¢ • anyo ’nyåbhibhavå iti • anyo ’nyaµ parasparamabhibhavantıti prıtyaprıtyådibhirdharmairåvirbhavanti • yathå – yadå satvamutka†aµ bhavati • tadå rajastaması abhibh¥ya svaguãai¢ prıtiprakå©åtmanå ’vati\†hate • yadå raja¢ tadå satvataması aprıtiprav®tidharmeãa • yadå tama¢ tadå satvarajası vi\ådasthityåtmakena iti • tathå ’anyo ’nyå©rayå©ca dvya~ukava-
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
175
dgu~å¢ • anyo ’nyajananå¢ • yathå m®tpi~ƒo gha†aµ janayati • tathå ’nyo ’nyamithunå©ca • yathå strıpuµsåvanyo ’nyamithunau tathå gu~å¢ • uktaµ ca – “rajaso mithunaµ satvaµ satvasya mithunaµ raja¢ • ubhayo¢ satvarajasormithunaµ tama ucyate ••” (devıbhagavatam 3.8) •• parasparasahåyå ityartha¢ • anyo ’nyav®taya©ca • parasparaµ vartante • “gu~å gu~e\u vartante” iti vacanåt (bha. gı. 3.28) • yathå sur¥på su©ılå strı sarvasukhahetu¢ sapatnınåµ saiva du¢khahetu¢ saiva rågi~åµ mohaµ janayati • evaµ satvaµ rajastamasorv®tihetu¢ • yathå råjå sadodyukta¢ prajåpålane du\†anigrahe ©i\†ånåµ sukhamutpådayati du\†ånåµ du¢khaµ mohaµ ca • evaµ raja satvatamasorv®tiµ janayati • tathå tama¢ svar¥pe~åvara~åtmakena satvarajasorv®tiµ janayati • yathå medhå¢ khamåv®tya jagata¢ sukhamutpådayanti • te v®≤†yå kar\akå~åµ kar\aõdyogaµ janayanti • virahi~åµ moham • evaµ anyo ’nyav®tayo gu~å¢ •• kiµ cånyat – sattvaµ laghu praka©akami\†amupa\†ambhakaµ calaµ ca raja¢ • guru varaãakameva tama¢ pradıpavaccårthavato v®tti¢ •• 13 •• satvaµ laghu prakå©akaµ ca • yadå satvamutka†aµ bhavati tadå lagh¥nya√gåni buddhiprakå©aka©ca prasannatendriyå~åµ bhavati •• upa\†ambhakaµ calaµ ca raja¢ • upa\†ambhåtıtyupa\†ambhakamudyotakam • yathå v®\o v®\adar©ana utka†amupa\†ambhaµ karotyevaµ rajov®ti¢ • tathå raja©ca calaµ d®\†aµ rajov®ti©calacito bhavati •• guru varaãakameva tama¢ • yadå tama utka†aµ bhavati tadå gur¥~ya√gånyåv®tånındriyå~i bhavanti svårthåsamarthåni •• atråha – yadi gu~å¢ parasparaµ viruddhå¢ svamatenaiva kamarthaµ ni\pådayanti tarhi katham – pradıpavaccårthato v®ti¢ • pradıpena tulyaµ pradıpavat • arthata¢ sådhanå v®tiri\†å • yathå pradıpa¢ parasparaviruddhatailågnivartisaµyogådarthapraka©åñjanayatyevaµ satvarajastamåµsi parasparaviruddhånyarthaµ ni\pådayanti •• antara pra©no bhavati – “triguãamaviveki vi\aya¢” ityådi pradhånaµ vyaktaµ ca vyåkhyåtam • tatra pradhånam • upalabhyamånaµ mahadådi ca triguãåvivekyådıti ca kathamavagamyate • tatråha – avivekyådi¢ siddha¢ traigu~yåttadviparyayåbhåvåt • kåraãagu~åtmakatvåtkåryasyåvyaktamapi siddham •• 14 ••
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såµkhyakårikå¢
14
yo ’yamavivekyådirguãa¢ sa traigu~yånmahadådåvavyakte nåyaµ siddhyati • atrocyate – tadviparyayåbhåvåt • tasya viparyaya¢ tasyåbhåva¢ tadviparyayåbhåva¢ • tasmåtsiddhamavyaktam • yathå – yatraiva tantavastatraiva pa†a¢ • anye tantavo ’nya¢ pa†o na • kuta¢ – tadviparyayåbhåvåt • evaµ vyaktåvyaktasaµpanno bhavati • d¥raµ pradhånamåsannaµ vyaktam • yo vyaktaµ pa©yati sa pradhånamapi pa©yati • tadviparyayåbhåvåt •• ita©cåvyaktaµ siddham – kåraãagu~åtmakatvåtkåryasya • loke yadåtmakaµ kåraãaµ tadåtmaka kåryamiti • tathå – k®\~ebhya¢ tantubhya¢ k®\~a eva pa†o bhavati • evaµ mahadådi li√gamaviveki • vi\aya¢ såmånyamacetanaµ prasavadharmi • yadåtmakaµ li√gaµ tadåtmakamavyaktmapi siddham •• traigu~yådavivekyådirvyakte siddha • tadviparyayåbhåvådevaµ kåraãagu~åtmakatvåtkåryasyåvyaktamapi siddham – ityetanmithyå • loke yannopalabhyate tannåsti – iti na våcyaµ sato ’pi på\åãagandhåderanupalambhåt • evaµ pradhånamapyasti kiµ tu nopalabhyate •• bhedånåµ parimå~åtsamanvayåcchaktita¢ prav®tte©ca • kåraãakåryavibhågådavibhågådvai©var¥pyasya •• 15 •• kåraãamastyavyaktamiti kriyåkårakasambhandha • bhedånåµ parimå~åt • loke yatra kartåsti tasya parimåãaµ d®\†am • yathå – kulåla¢ parimitairm®tpi~ƒai¢ parimitåneva gha†ånkaroti • evaµ mahadapi • mahadådi li√gaµ parimitaµ bhedata¢ pradhånakåryam • ekå buddhi¢ eko ’haµkåra¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i panca mahåbh¥tåni • ityevaµ bhedånåµ parimå~ådasti pradhånaµ kåraãaµ yadvyaktaµ parimitamutpådayati • yadi pradhånaµ na syåtadå ni\parimåãamidaµ vyaktamapi syåt • parimå~åcca bhedånåmasti pradhånaµ yasmådvyaktamutpannam •• tathå samanvayåt • iha loke prasiddhird®\†å yathå – vratadhåriãaµ ba†uµ d®\†vå samanvayati • n¥namasya pitarau bråhma~åviti • evamidaµ triguãaµ mahadådili√gaµ d®≤†vå sådhayåmo ’sya yatkåraãaµ bhavi\yatıti • ata¢ samanvayådasti pradhånam •• tathå ©aktita¢ prav®te©ca • iha yo yasmiñchakta¢ sa tasminnevårthe pravarteta • yathå – kulålo gha†asya kara~e samartho gha†ameva karoti na pa†aµ rathaµ vå •• tathå ’sti pradhånaµ kåraãaµ kuta¢ • kåraãakåryavibhågåt • karotıti kåraãam • kriyata iti kåryam • kåraãasya kå-
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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ryasya ca vibhåga¢ • yathå gha†o dadhimadh¥dakapayasåµ dhåra~e samartho ma tathå m®tpi~ƒa • m®tpi~ƒo vå gha†aµ ni\pådayati • na caivaµ gha†o m®tpi~ƒam • evaµ mahadådili√gaµ d®≤†vånumıyate – asti vibhaktaµ tatkåraãaµ yasya vibhåga idaµ vyaktamiti •• ita©cåvibhågådvai©var¥pyasya • vi©vaµ jagat • tasya r¥paµ vyakti¢ • vi©var¥pasya bhåvo vai©var¥pyam • tasyåvibhågådasti pradhånam • yasmåtrailokyasya pañcånåµ p®thivyådınåµ mahåbh¥tånåµ parasparaµ vibhågo nåsti • mahåbh¥te\vantarbh¥tåstrayo lokå iti • p®thivyåpastejovåyuråkå©amityetåni pañca mahåbh¥tåni pralayakåle s®\†ikrame~aivåvibhågaµ yånti tanmåtre\u pari~åmi\u • tanmåtrå~yekåda©endriyå~i cåhaµkåre ’haµkåro buddhau buddhi¢ pradhåne • evaµ trayo lokå¢ pralayakåle prak®tåvavibhågaµ gacchanti • tasmådavibhågåtk\ıradadhivadvyaktåvyaktayorastyavyaktaµ kåraãam •• ata©ca – kåraãamastyavyaktaµ pravartate triguãata¢ samudayåcca • pari~åmata¢ salilavatpratipratigu~å©rayavi©e\åt •• 16 •• avyaktaµ prakhyåtaµ kåraãamasti yasmånmahadådi li√gaµ pravartate •• triguãata¢ trigu~åt • satvarajastamogu~å¢ yasmiµstatriguãam • tatkimukta bhavati – satvarajastamasåµ såmyåvasthå pradhånam •• tathå samudayåt • yathå ga√gåsrotasi trı~i rudram¥rdhani patitåni ekaµ sroto janayantyevaµ triguãamavyaktamekaµ vyaktaµ janayati • yathå vå tantava samuditå¢ pa†aµ janayanti • evamavyaktaµ guãasamudayånmahadådi janayatıti triguãata¢ samudayåcca vyaktaµ jagatpravartate •• yasmådekasmåtpradhånådvyaktaµ tasmådekar¥peãa bhavitavyam – nai\a do\a¢ pari~åmata¢ salilavatpratipratigu~å©rayavi©e\åt • ekasmåtpradhånåtrayo lokå¢ samutpannå¢ tulyabhåvå na bhavanti • devå¢ sukhena yuktå¢ • manu\yå du¢khena tiryañco mohena • ekasmåtpradhånåtprav®taµ vyaktaµ pratipratigu~å©rayavi©e\åtpari~åmata¢ salilavadbhavati • pratipratıti vıpså • gu~ånåmå©rayo gu~å©raya¢ • tadvi©e\a¢ taµ gu~å©rayavi©e\aµ pratinidhåya pratipratigu~å©rayavi©e\aµ pari~åmåtpravartate vyaktam • yathå – åkå©ådekarasaµ salilaµ patitaµ nånår¥påtsaµ©le\ådbhidyate tatadrasåntarai¢ • evamekasmåtpradhånåtprav®tåstrayo lokå naikasvabhåvå bhavanti • deve\u satvamutka†aµ rajastaması udåsıne tena te ’tyantasukhina¢ • manu\ye-
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såµkhyakårikå¢
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\u raja utka†aµ bhavati • satvataması udåsıne • tena te ’tyantadu¢khina¢ • tiryak\u tama utka†aµ bhavati • satvarajası udåsıne tena te ’tyantam¥ƒhå¢ •• evamåryådvayena pradhånasyåstitvamabhyupagamyate • ita©cotaraµ puru\åstitvapratipådanårthamåha – saµghåtaparårthatvåttrigu~ådiviparyayådadhi\†hånåt • puru\o ’sti bhokt®bhåvåtkaivalyårthaµ prav®tte©ca •• 17 •• yaduktaµ vyaktåvyaktajñavijñånånmok\a¢ pråpyata iti • tatra vyaktådanantaramavyaktaµ pañcabhi¢ kåraãairadhigatam • avyaktavatpuru\o ’pi s¥k\ma¢ • tasyådhunå ’numitåstitvaµ pratikriyate • asti puru\a • kasmåt – saµghåtaparårthatvåt • yo ’yaµ mahadådisaµghåta¢ sa puru\årtha¢ • ityanumıyate • acetanatvåtparya√kavat • yathå parya√ka¢ pratyekaµ gatrotpalakapådapı†hat¥lıpracchådanapa†opadhånasaµghåta¢ parårtho nahi svårtha¢ • parya√kasya nahi kiñcidapi gatrotpalådyavayavånåµ parasparaµ k®tyamasti • ato ’vagamyate • asti puru\o ya¢ parya√ke ©ete yasyårthaµ parya√ka¢ • tatparårthamidaµ ©arıraµ pañcånåµ mahåbh¥tånåµ saµghåto vartate • asti puru\o yasyedaµ bhogyaµ ©arıraµ bhogyamahadådisaµghåtar¥paµ samutpannamiti •• ita©cåtmåsti – trigu~ådiviparyayåt • yaduktaµ p¥rvasyåmåryåyåµ “triguãamaviveki vi\aya” ityådi tasmådviparyayåt • yenoktaµ “tadviparıtastathå ca pumån” •• adhi\†hånåt • yathedaµ la√ganaplavanadhavanasamarthaira©vairyukto ratha¢ sårathinådhi\†hita¢ pravartate tathå ’’tmådhi\†hånåccharıramiti • tathå coktaµ \a\†itantre – “puru\ådhi\†hitaµ pradhånaµ pravartate” •• ato ’styåtmå – bhokt®tvåt • yathå madhuråmlalavaãaka†utiktaka\åya\aƒrasopab®µhitasya saµyuktasyånnasya sådhyate • evaµ mahadådili√gasya bhokt®tvåbhåvådasti sa åtmå yasyedaµ bhogyaµ ©ariramiti •• ita©ca – kaivalyårthaµ prav®te©ca • kevalasya bhåva¢ kaivalyam • tannimitaµ yå ca prav®tistasyå¢ svakaivalyårthaµ prav®te¢ sakå©ådanumıyate • astyåtmeti • yata¢ sarvo vidvånavidv嵩ca saµsårak\ayamicchati • evamebhirhetubhirastyåtmå ©arırådvyatirikta¢ •• atha sa kimeka¢ sarva©arıre ’dhi\†håtå ma~irasanåtmakas¥travat • åhosvidbahava åtmåna¢ prati©arıramadhi\†håtåra ityatrocyate – jananamaraãakaraãånåµ pratiniyamådayugapatprav®tte©ca • puru\abahutvaµ siddhaµ traigu~yaviparyayåccaiva •• 18 ••
20
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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janma ca maraãaµ ca kara~åni ca janmamaraãakara~åni • te\åµ pratiniyamåt • pratyekaniyamådityartha¢ • yadyeka evåtmå syåtata ekasya janmani sarva eva jåyerannekasya mara~e sarve ’pi mriyerannekasya karaãavaikalye bådhiryåndhatvam¥katvaku~itvakhañjatvalak\a~e sarve ’pi badhiråndham¥kaku~ikhañjå¢ syu¢ • na caivaµ bhavati tasmåjanmamaraãakara~ånåµ pratiniyamåtpuru\abahutvaµ siddham •• ita©ca – ayugapatprav®te©ca • yugapadekakålaµ na yugapadayugapatpravartanam • yasmådayugapaddharmådi\u prav®tird®©yate • eke dharme prav®tå¢ • anye ’dharme • vairågye ’nye jñåne ’nye prav®tå¢ • tasmådayugapatprav®te©ca bahava iti siddham •• kiµ cånyat – traigu~yaviparyayåccaiva • triguãabhåvaviparyayåcca puru\abahutvaµ siddham • yathå såmånye janmani eka såtvika¢ sukhı • anyo rajaso du¢khı • anyastamaso mohavån • evaµ traigu~yaviparyayådbahutvaµ siddhamiti •• akartå puru\a ityetaducyate – tasmåcca viparyåsåtsiddhaµ såk\itvamasya puru\asya • kaivalyaµ mådhyasthyaµ dra\†®tvamakart®bhåva©ca •• 19 •• nirguãa¢ puru\o vivekı bhoktetyådigu~ånåµ puru\asya yo viparyåsa ukta¢ tasmåt – satvarajastama¢su kart®bh¥te\u såk\itvaµ siddhaµ puru\asyeti • yo ’yamadhik®to bahutvaµ prati • gu~å eva kartåra¢ pravartante såk\ı nåpi pravartate nåpi nivartata iti •• kiµ cånyat – kaivalyam • kevalabhåva¢ kaivalyamanyatvamityartha¢ • trigu~ebhya¢ kevalo ’nya¢ •• mådhyasthaµ madhyasthabhåva¢ • parivråjakavanmadyastha¢ puru\a¢ • yathå ka©citparivråjako gråmıne\u kar\a~årthe\u prav®te\u kevalo madhyastha¢ puru\o ’pye\u gu~€\u vartamåne\u na pravartate •• tasmåddra\†®tvamakart®bhåva©ca • yasmånmadhyasthastasmåddra\†å tasmådakartå puru\aste\åµ karmå~åm iti • satvarajastamåµsi trayo gu~å¢ karmakart®bhåvena pravartante na puru\a¢ • evaµ puru\asyåstitvaµ ca siddham •• yasmådakartå puru\astatkathamadhyavasåyaµ karoti dharmaµ kari\yåmyadharmaµ na kari\yåmıti • ata¢ kartå bhavati – na ca kartå puru\a • evamubhayathå do\a¢ syåditi • ata ucyate – tasmåttatsaµyogådacetanaµ cetanåvadiva li√gam • guãakart®tve ca tathå karteva bhavatyudåsına¢ •• 20 ••
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såµkhyakårikå¢
20
iha puru\a©cetanåvån • tena cetanåvabhåsasaµyuktaµ mahadådi li√gaµ cetanåvadiva bhavati • yathå loke gha†a¢ ©ıtasaµyukta¢ ©ıta u\ãasaµyukta u\ãa evaµ mahadådi li√gaµ tasya saµyogåtpuru\asaµyogåccetanåvadiva bhavati • tasmådgu~å adhyavasåyaµ kurvanti na puru\a •• yadyapi loke puru\a¢ kartå gantetyådi prayujyate tathå ’pyakartå puru\a¢ • katham – guãakart®tve ca tathå karteva bhavatyudåsına¢ • gu~ånåµ kart®tve satyudåsıno ’pi puru\a¢ karteva bhavati • atra d®\†ånto bhavati – yathå ’caura©caurai¢ saha g®hıta©caura ityavagamyate • evaµ trayo gu~å¢ kartåstai¢ saµyukta¢ puru\o ’kartå ’pi kartå bhavati • kart®saµyogåt • evaµ vyaktåvyaktajñånåµ vibhågo vikhyåta¢ • yadvibhågånmok\apråptiriti •• athaitayo¢ pradhånapuru\ayo¢ kiµ hetu¢ saµghåta¢ • ucyate – puru\asya dar©anårthaµ kaivalyårthaµ tathå pradhånasya • pa√gvandhavadubhayorapi saµyogastatk®ta¢ sarga¢ •• 21 •• puru\asya pradhånena saha saµyogo dar©anårtham • prak®tiµ mahadådikåryaµ bh¥tådiparyantaµ puru\a¢ pa©yati •• etadarthaµ pradhånasyåpi puru\eãa saµyoga¢ kaivalyårtham •• na ca saµyoga¢ pa√gvandhavadubhayorapi dra\†avya¢ • yathå – eka¢ pa√gureka©cåndha¢ • etau dvåvapi gacchantau • mahatå såmarthyenå†avyåµ sårthasya stenak®tådupaplavåt • svabandhuparityaktau daivådita©ceta©ca ceratu¢ • svagatyå ca tau saµyogamupayåtau • punastayo¢ svavacasorvi©vastatvena saµyogo gamårthaµ dar©anårthaµ ca bhavati • andhena pa√gu¢ svaskandhamåropita evaµ ©arırår¥ƒhapa√gudar©itena mårge~åndho yåti pa√gu©cåndhaskandhår¥ƒha¢ • evaµ puru\e dar©ana©aktirasti pa√guvanna kriyå • pradhåne kriyå©aktirastyandhavanna dar©ana©akti¢ • yathå vå ’nayo¢ pa√gvandhayo¢ k®tårthayorvibhågo bhavi\yatıpsitasthånapråptayo¢ • evaµ pradhånamapi puru\asya mok\aµ k®två nivartate puru\o ’pi pradhånaµ d®\†vå kaivalyaµ gacchati • tayo¢ k®tårthayorvibhågo bhavi\yati •• kiµ cånyat • tatk®ta¢ sarga¢ • tena saµyogena k®tastatk®ta¢ sarga¢ s®\†i¢ • yathå strıpuru\asaµyogåtsutotpatistathå pradhånapuru\asaµyogåtsargasyotpati¢ •• idånıµ sarvavibhågadar©anårthamåha – prak®termahåntato ’haµkåra¢ tasmådgaãa©ca \oƒa©aka¢ • tasmådapi \oƒa©akåtpañcabhya¢ pañca bh¥tåni •• 22 ••
23
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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prak®ti¢ pradhånaµ brahmåvyaktaµ bahudhåtmakaµ måyeti paryåyå • ali√gasya prak®te¢ sakå©ånmahånutpadyate • mahånbuddhi¢ • åsurı mati¢ khyåtirjñånamiti prajñåparyåyairutpadyate •• tasmåcca mahato ’haµkåra utpadyate • ahaµkåro bh¥tådi vaik®ta¢ taijaso ’bhimåna iti paryåyå¢ •• tasmådgaãa©ca ≤oƒa©aka¢ • tasmådahaµkåråt≤oƒa©aka¢ ≤oƒa©asvar¥po gaãa utpadyate • sa yathå – pañcatanmåtrå~i • ©abdatanmåtraµ spar©atanmåtraµ r¥patanmåtraµ rasatanmåtraµ gandhatanmåtramiti • tata ekåda©endriyå~i • ©rotraµ tvakcak\u\ı jihvå ghråãamiti pañca buddhındriyå~i • våkpå~ipådapåy¥pasthå¢ pañca karmendriyå~i • ubhayåtmakamekåda©am mana¢ • e\a ≤oƒa©o gaõo ’haµkårådutpadyate •• kiµ ca pañcabhya¢ pañca bh¥tåni • tasmåt\oƒa©akådga~åtpañcabhyastanmåtrebhya¢ sakå©åtpañca vai mahåbh¥tånyutpadyante • yaduktam – ©abdatanmåtrådåkå©aµ spar©atanmåtrådvåy¥ r¥patanmåtråteja¢ rasatanmåtrådåpo gandhatanmåtråtp®thivı • evaµ pañcabhya¢ paramå~ubhya¢ pañca mahåbh¥tånyutpadyante •• yaduktaµ vyaktåvyaktajñavijñånånmok\a iti tatra mahadådibh¥tåntaµ trayoviµ©atibhedaµ vyåkhyåtam • avyaktamapi “bhedånåµ parimå~åt” ityådinå vyåkhyåtam • puru\o ’pi “saµghåtaparårthatvåt” ityådibhirhetubhirvyåkhyåta¢ • evametåni pañcaviµ©atitatvåni • yastaistrailokyaµvyåptaµ jånåti • tasya bhåvo ’stitvaµ tatvam • yathoktam – “pañcaviµ©atitatvajño yatra kutrå©rame rata¢ • ja†ı mu~ƒı ©ikhı våpi mucyate nåtra saµ©aya¢ ••” tåni yathå – prak®ti¢ puru\o buddhirahaµkåra¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tåni • ityetåni pancaviµ©atitatvåni • tatroktaµ prak®termahånutpadyate • tasya kiµ lak\aãametadåha – adhyavasåyo buddhirdharmo jñånaµ viråga ai©varyam • såttvikametadr¥paµ tåmasamasmådviparyastam •• 23 •• adhyavasåyo buddhilak\aãam • adhyavasånamadhyavasåya¢ • yathå bıje bhavi\yadv®tiko ’√kurastadvadadhyavasåya • ayaµ gha†o ’yaµ pa†a ityevaµ sati yå så buddhiriti lak\yate •• så ca buddhira\†å√gikå såtvikatåmasar¥pabhedåt • tatra buddhe¢ såtvikaµ r¥paµ caturvidhaµ bhavati – dharmo jñånaµ vairågyamai©varyaµ ceti • atra dharmo nåma dayådånayamaniyamalak\aãa¢ • tatra yamå niyamå©ca påtañjale ’bhihitå¢ • “ahiµsåsatyåsteyabrahmaca-
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såµkhyakårikå¢
23
ryåparigrahå yam墔 (yo. s¥. 2.30) – “©aucasanto≤atapa¢svådhyåye©varapra~idhånåni niyam墔 (yo. s¥. 2.32) • jñånaµ prakå©o ’vagamo bhånamiti paryåyå¢ • tacca dvividham – båhyamabhyantaraµ ceti • tatra båhyaµ nåma vedå¢ ©ik\åkalpavyåkaraãaniruktacchandojyoti\åkhyå\aƒa√gasahitå¢ • purå~åni nyåyamımåµsådharma©åstrå~i ceti • abhyantaraµ prak®tipuru\ajñånam • iyaµ prak®ti¢ satvarajastamasåµ såmyåvasthå • ayaµ puru\a siddho nirguõo vyåpı cetana iti • tatra båhyajñånena lokapaktirlokånuråga ityartha¢ • åbhyantareãa jñånena mok\a ityartha¢ • vairågyamapi dvividhaµ båhyamåbhyantaraµ ca • båhyaµ d®\†avi\ayavait®\~yaµ • arjanarak\aãak\ayasa√gahiµsådo\adar©anådviraktasya • åbhyantaram – pradhånamapyatra svapnendrajalasad®©amiti viraktasya mok\epsoryadutpadyate tadåbhyantaraµ vairågyam • ai©varyamı©varabhåva¢ • taccå\†aguãan – a~imå mahimå garimå laghimå pråpti¢ pråkåmyamı©itvaµ va©itvaµ yatrakåmavåsayitvaµ ceti • aõorbhåvo ’~imå s¥k\mo bh¥två jagati vicaratıti • mahimå mahånbh¥två vicaratıti • laghimå m®~ålıt¥låvayavådapi laghutayå pu\pakesarågre\vapi ti\†hati • pråptirabhimataµ vastu yatratatråvasthitaµ pråpnoti • pråkåmyaµ prakåmato yadevecchati tadeva vidadhåti • ı©itvaµ prabhutayå trailokyamapı\†e • va©itvaµ sarvaµ va©ıbhavati • yatrakåmåvasåyitvaµ brahmådi\†ambhaparyantaµ yatra kåmastatraivåsya svecchayå sthånåsanavihårånåcaratıti • catvåri etåni buddhe¢ såtvikåni r¥på~i • yadå satvena rajastamasyabhibh¥te tadå pumånbuddhigu~åndharmådınåpnoti •• kiµ cånyatåmasamasmådviparyastam • asmåddharmåderviparıtaµ tåmasaµ buddhir¥pam • tatra dharmådviparıto ’dharma¢ • evamajñånamavairågyamanai©varyamiti • evaµ såtvikaiståmasai¢ svar¥paira\†å√gå buddhistrigu~ådavyaktådutpadyate •• evaµbuddhilak\aãamuktam • ahaµkåralak\aãamucyate – abhimåno ’haµkårastasmåddvividha¢ pravartate sarga¢ • ekåda©aka©ca gaãastanmåtra¢ pañcaka©caiva •• 24 •• ekåda©aka©ca gaãa¢ • ekåda©endriyå~i • tathå tanmåtro gaãa¢ pañcaka¢ pañcalak\aõopeta¢ • ©abdatanmåtraspar©atanmåtrar¥patanmåtrarasatanmåtragandhatanmåtralak\aõopeta¢ •• kiµ lak\a~åtsarga ityetadåha –
26
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
183
såttvika ekåda©aka¢ pravartate vaik®tådahaµkåråt • bh¥tådestanmåtra¢ sa tåmasa¢ taijasådubhayam •• 25 •• satvenåbhibh¥te yadå rajastamasyahaµkåre bhavatastadå so ’haµkåra¢ såtvika¢ • tasya ca p¥rvåcåryai¢ saµjñå k®tå vaik®ta iti • tasmådvaik®tådahaµkårådekåda©aka indriyagaãa utpadyate • tasmåtsåtvikåni vi©uddhånındriyå~i svavi\ayasamarthåni • tasmåducyate – “såtvika ekåda©aka¢” iti • kiµ cånyat • bh¥tådestanmåtra¢ sa tåmasa¢ • tamaså ’bhibh¥te satvarajasyahaµkåre yadå bhavata¢ so ’haµkåratåmasa ucyate • tasya p¥rvåcåryak®tå saµjñå bh¥tådi¢ • tasmådbh¥tåderahaµkåråtanmåtra¢ pañcako gaãa utpadyate • bh¥tånåmådibh¥tastamobahulastenokta¢ sa tåmasa iti • tasmådbh¥tåde¢ pañcatanmåtrako gaãa •• kiµ ca taijasådubhayam • yadå rajasåbhibh¥te satvataması bhavatastadå tasmåtso ’haµkårastaijasa iti saµjñåµ labhate • tasmåtaijasådubhayamutpadyate • ubhayamiti ekåda©o gaãa¢ • tanmåtra¢ pañcaka¢ • yo ’yaµ såtviko ’haµkåro vaik®tiko vaik®to bh¥tvaikåda©endriyå~yutpådayati sa taijasamahaµkåraµ sahåyaµ g®h~åti • såtviko ni\kriya¢ sa taijasayukta indriyotpatau samartha¢ • tathå tåmaso ’haµkåro bh¥tådisaµjñito ni\kriyatvåtaijasenåhaµkåreãa kriyåvatå yuktastanmåtrå~yutpådayati • tenoktam – taijasådubhayamiti • evaµ taijasenåhaµkåre~endriyå~yekåda©a pañcatanmåtrå~i k®tåni bhavanti •• såtvika ekåda©aka ityukta¢ • yo vaik®tåtsåtvikådahaµkårådutpadyate tasya kå saµjñetyåha – buddhındriyå~i cak\u¢©rotraghråãarasanaspar©anakåni • våkpå~ipådapåy¥pasthånkarmendriyå~yåhu¢ •• 26 •• cak\urådıni spar©anaparyantåni buddhındriyå~yucyante • sp®©yate ’nena iti spar©anaµ tvagindriyam • tadvåcı siddha¢ spar©ana©abdo ’sti tenedaµ pa†hyate spar©anakånıti • ©abdaspar©ar¥parasagandhånpañca vi\ayånbudhyante ’vagacchantıti pañcabuddhındriyå~i •• våkpå~ipådapåy¥pasthånkarmendriyå~yåhu¢ • karma kurvantıti karmendriyå~i • tatra vågvadati hastau nånåvyåparaµ kurvata¢ pådau gamanågamanaµ påyurutsargaµ karotyupastha ånandaµ prajotpatyå •• evaµ buddhındriyakarmendriyabhedena da©a
184
såµkhyakårikå¢
26
indriyå~i vyåkhyåtåni • mana ekåda©aµ kimåtmakaµ kiµsvar¥paµ ceti taducyate – ubhayåtmakamatra mana¢ saµkalpakamindriyaµ ca sådharmyåt • guãapari~åmavi©e\ånnånåtvaµ båhyabhedå©ca •• 27 •• atrendriyavarge mana ubhayåtmakam • buddhındriye\u buddhındriyavatkarmendriye\u karmendriyavat • kasmåt • buddhındriyå~åµ prav®tiµ kalpayati karmendriyå~åµ ca • tasmådubhayåtmakaµ mana¢ • saµkalpayatıti saµkalpakam •• kiµ cånyat • indriyaµ ca sådharmyåt • samånadharmabhåvåt • såtvikåhaµkårådbuddhındriyå~i karmendriyå~i manaså sahotpadyamånåni manasa¢ sådharmyaµ prati • tasmåtsådharmyånmano ’pındriyam • evametånyekåda©endriyå~i såtvikådvaik®tådahaµkårådutpannåni • tatra manasa¢ kå v®tiriti • saµkalpo v®ti¢ • buddhındriyå~åµ ©abdådayo v®taya¢ karmendriyå~åµ ca vacanådaya¢ •• athaitånındriyå~i bhinnåni bhinnårthagråhakå~i kimı©vareãa uta svabhåvena k®tåni yata¢ pradhånabuddhyahaµkårå acetanå¢ puru\o ’pyakartetyatråha – iha såµkhyånåµ svabhåvo nåma ka©citkåraãamasti • atrocyate – guãapari~åmavi©e\ånnånåtvaµ båhyabhedå©ca • imånyekåda©endriyå~i ©abdaspar©ar¥parasagandhå¢ pañcånåµ vacanådånavihareõotsargånandå©ca pañcanåµ saµkalpa©ca manasa¢ • evemete bhinnånåmevendriyå~åmarthå¢ • guãapari~åmavi©e\åt – gu~ånåµ pari~åmo guãapari~åma¢ • tasya vi©e\ådindriyå~åµ nånåtvaµ båhyabhedå©ca • athaitannånåtvaµ ne©vareãa • nåhaµkåreãa na buddhyå na pradhånena na puru\eãa svabhåvåtk®taguãapariãåmeneti • guãånåmacetanatvånna pravartate • pravartata eva • kathaµ vak\yatıhaiva – “vatsaviv®ddhinimitaµ k\ırasya yathå prav®tirajñasya • puru\asya vimok\årthaµ tathå prav®ti¢ pradhånasya” evamacetanå gu~å¢ ekåda©endriyabhåvena pravartante • vi©e\å api tatk®tå eva • yenoccai¢ prade©e cak\uravalokanåya sthitaµ tathå ghråãaµ tathå ©rotraµ tathå jihvå svade©e svårthagraha~åya • evaµ karmendriyå~yapi yathåyathaµ svårthasamarthåni svade©åvasthitåni svabhåvato guãapariãåmavi©e\ådeva na tadarthå api • yata uktaµ ©åstråntare “gu~å gu~e\u vartante” • gu~ånåµ yå v®ti¢ så guãavi\ayå eveti båhyårthå vijñeyå guãak®tå evetyartha¢ pradhånaµ yasya kåraãamiti •• athendriyasya kasya kå v®tirityucyate –
29
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
185
©abdådi\u pañcånåmålocanamåtrami\yate v®tti¢ • vacanådånaviharaõotsargånandå©ca pañcånåm •• 28 •• måtra©abdo vi©e\årtha¢ • avi©e\avyåv®tyartha¢ • yathå bhik\åmåtraµ labhyate nånyo vi©e\a iti • tathå cak\¥ r¥pamåtre na rasådi\u • evaµ ©e\å~yapi • tadyathå cak\u\o r¥paµ jihvåyå rasa¢ ghråãasya gandha¢ ©rotrasya ©abda¢ tvaca¢ spar©a¢ • evame\åµ buddhındriyå~åµ v®ti¢ kathitå •• karmendriyå~åµ v®ti¢ kathyate – vacanådånaviharaõotsargånandå©ca pañcånåm • karmendriyå~åmityartha¢ • våco vacanaµ hastayorådånaµ pådayorviharaãaµ påyorbhuktasyåhårasya pariãatamalotsarga upasthasyånanda¢ sutotpati¢ • vi\ayå v®tiriti sambandha¢ •• adhunå buddhyahaµkåramanasåmucyate – svålak\a~yaµ v®ttistrayasya sai\å bhavatyasåmånyå • såmånyakaraãav®tti¢ prå~ådyå våyava¢ pañca •• 29 •• svalak\aãasvabhåvå svålak\aãyå • adhyavasåyo buddhiriti lak\aãamuktaµ saiva buddhiv®ti¢ • tathå ’bhimåno ’haµkåra ityabhimånalak\aõo ’bhimånav®ti©ca • saµkalpakaµ mana iti lak\aãamuktaµ tena saµkalpa eva manaso v®ti¢ • trayasya buddhyahaµkåramanasåµ svålak\a~yå v®ti¢ •• asåmånyå • yå prågabhihitå buddhındriyå~åµ ca v®ti¢ så ’pyasåmånyaiveti •• idånıµ såmånyå v®tiråkhyåyate • såmånyakaraãav®ti¢ såmånyena kara~ånåµ v®ti¢ • prå~ådyå våyava¢ pañca • prå~åpånasamånodånavyånå iti pañca våyava¢ sarvendriyå~åµ såmånyå v®ti¢ • yata¢ pråõo nåma våyurmukhanåsikåntargocara¢ tasya yatspandanaµ karma tatrayodaŸavidhasyåpi såmånyå v®ti¢ • sati prå~e yasmåtkara~ånåmåtmalåbha iti • pråõo ’pi pañjara©akunivatsarvasya calanaµ karotıti • pråãanåtpråãa ityucyate • tathå ’pånayanådapåna¢ • tatra yatspandanaµ tadapi såmånav®tirindriyasya • tathå samåno madhyade©avartı ya åhårådınåµ samaµ nayanåtsamåno våyu¢ • tatra yatspandanaµ tatsåmånyakaraãav®ti¢ • tathå ¥rdhvåroha~ådutkar\ådunnayanådvå udåno nåbhide©amastakåntargocara¢ • tatrodåne yatspandanaµ tatsarvendriyå~åµ såmånyå v®ti¢ • kiµ ca • ©arıravyåtirabhyantaravibhåga©ca yena kriyate ’sau ©arıravyåptyå åkå©avadvyåna¢ • tatra yatspandanaµ tatkaraãajålasya såmånyå v®-
186
såµkhyakårikå¢
29
tiriti • evamete pañca våyava¢ såmånyakaraãav®tiriti vyåkhyåtå¢ • trayoda©avidhasyåpi karaãasåmånyå v®tirityartha¢ •• yugapaccatu\†ayasya tu v®tti¢ krama©a©ca tasya nirdi\†å • d®\†e tathå ’pyad®\†e trayasya tatp¥rvikå v®tti¢ •• 30 •• yugapaccatu\†ayasya • buddhyahaµkåramanasåmekaikendriyasambandhe sati catu\†ayaµ bhavati • catu\†ayasya d®\†e prativi\ayådhyavasåye yugapadv®ti¢ • buddhyahaµkåramana©cak\¥µ\i yugapadekakålaµ r¥paµ pa©yanti sthå~urayamiti • buddhyahaµkåramanojihvå yugapadrasaµ g®hãanti buddhyahaµkåramanoghråh~åni yugapadgandhaµ g®hãanti • tathå våk©rotre api •• kiµ ca krama©a©ca tasya nirdi\†å • tasyeti catu\†ayasya krama©a©ca v®tirbhavati • yathå ka©citpathi gacchand¥rådeva d®\†vå sthå~urayaµ puru\o veti saµ©aye sati tatropar¥ƒhaµ talli√gaµ pa©yati ©akuniµ vå • tatastasya manaså saµkalpite saµ©aye • vyavacchedabh¥tå buddhirbhavati sthå~urayamiti • ato ’haµkåra©ca ni©cayårtha¢ sthå~ureveti • evaµ buddhyahaµkåramana©cak\u\åµ krama©o v®tird®\†å • yathå r¥pe tathå ©abdådi\vapi boddhavyå • d®\†e d®\†avi\aye •• kiµ cånyat • tathå ’pyad®\†e trayasya tatp¥rvikå v®ti¢ • ad®\†e ’någate ’tıte ca kåle buddhyahaµkåramanasåµ r¥pe cak\u¢p¥rvikå trayasya v®ti¢ • spar©e tvakp¥rvikå gandhe ghråãap¥rvikå rase rasanap¥rvikå ©åbde ©ravaãap¥rvikå • buddhyahaµkåramanasåmanågate bhavi\yati kåle ’tıte ca tatp¥rvikå krama©o v®ti¢ • vartamåne yugapatkrama©a©ceti •• kiµ ca – svåµ svåµ pratipadyante parasparåk¥tahetukåµ v®ttim • puru\årtha eva heturna kenacitkåryate karaãam •• 31 •• svåµ svåmiti vıpså • buddhyahaµkåramanåµsi svåµ svåµ v®tiµ parasparåk¥tahetukåµ “åk¥tådarasambhrama” iti • pratipadyante puru\årthakara~åya buddherahaµkårådaya¢ • buddhirahaµkåråk¥taµ jñåtvå svasvavi\ayaµ pratipadyate •• kimarthamiti cet – puru\årtha eva hetu¢ • puru\årtha¢ kartavya ityevamarthaµ gu~ånåµ prav®ti¢ • tasmådetåni kara~åni puru\årthaµ prakå©ayanti • yadyacetanånıti kathaµ svayaµ pravartante – na kenacitkåryate karaãam • puru\årtha evaika¢ kårayatıti våkyårtha¢ • na ke-
33
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
187
nacidı©vareãa puru\eãa vå kåryate prabodhyate karaãam •• buddhyådi katividhaµ tadityucyate – karaãaµ trayoda©avidhaµ tadåharaãadhåraãaprakå©akam • kåryaµ ca tasya da©adhå ’’håryaµ dhåryaµ prakå©yaµ ca •• 32 •• karaãaµ mahadådi trayoda©avidhaµ boddhavyam • pañca buddhındriyå~i cak\urådıni pañca karmendriyå~i vågådıni buddhyahaµkåramanåµsi ceti trayoda©avidhaµ karaãam •• tatkiµ karotıtyetadåha – tadåharaãadhåraãaprakå©akam • tatråharaãaµ dhåraãaµ ca karmendriyå~i kurvanti prakå©aµ buddhındriyå~i •• katividhaµ kåryaµ tasyeti taducyate • kåryaµ ca tasya da©adhå • tasya karaãasya kåryaµ kartavyaµ da©adhå da©aprakåram • ©abdaspar©ar¥parasagandhåkhyaµ vacanådånavihåraõotsargånandåkhyametadda©avidhaµ kåryam • buddhındriyai¢ prakå©itaµ karmendriyå~yåharanti dhårayanti ceti •• kiµ ca – anta¢karaãaµ trividhaµ da©adhå båhyaµ trayasya vi\ayåkhyam • såmpratakålaµ båhyaµ trikålamåbhyantaraµ karaãam •• 33 •• anta¢karaãamiti buddhyahaµkåranåµsi trividhaµ mahadådibhedåt • da©adhå båhyaµ ca • buddhındriyå~i pañca karmendriyå~i pañca • da©avidhametatkaraãaµ båhyam •• tatra trayasya vi\ayåkhyam • ©rotraµ vartamånameva ©abdaµ ©®õoti nåtıtaµ na ca bhavi\yantam • cak\urapi vartamånaµ r¥paµ pa©yati nåtıtaµ nå ’någatam • tvagvartamånaµ spar©aµ jihvå vartamånaµ rasaµ nåsikå vartamånaµ gandhaµ nåtıtånågataµ cetyevaµ karmendriyå~i – vågvartamånaµ ©abdamuccårayati nåtıtaµ nå ’någataµ ca • på~ı vartamånaµ gha†amådadåte nåtıtamanågataµ ca • pådau vartamånaµ panthånaµ viharato nåtıtaµ nåpyanågatam • påyurupasthau ca vartamånåvutsargånandau kuruto nåtıtau nå ’någatau • evaµ båhyaµ karaãaµ såmpratakålamuktam •• trikålamåbhyantaraµ karaãam • buddhyahaµkåramanåµsi trikålavi\ayå~i buddhirvartamånaµ gha†aµ budhyate ’tıtamanågataµ ceti • ahaµkåro vartamåne ’bhimånaµ karotyatıte ’någate ca • tathå mano vartamåne saµkalpaµ kurute ’tıte ’någate ca • evaµ trikålamåbhyantaraµ karaãamiti •• idånımindriyå~i kati savi©e\aµ vi\ayaµ g®h~anti • kåni nirvi©e\amiti • taducyate –
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såµkhyakårikå¢
34
buddhındriyå~i te\åµ pañca vi©e\åvi©e\avi\ayå~i • vågbhavati ©abdavi\ayå ©e\å~i tu pañcavi\ayå~i •• 34 •• buddhındriyå~i • tåni savi©e\aµ vi\ayaµ g®hãanti • savi©e\avi\ayaµ månu\å~åµ ©abdaspar©ar¥parasagandhånsukhadu¢khamohayuktånbuddhındriyå~i prakå©ayanti • devånåµ nirvi©e\ånvi\ayånprakå©ayanti •• tathå karmendriyå~åµ madhye vågbhavati ©abdavi\ayå • devånåµ månu\å~åµ ca vågbhavati ©lokådınuccårayati • tasmåddevånåµ månu\å~åµ ca vågindriyaµ tulyam •• ©e\å~yapi vågvyatiriktåni på~ipådapåy¥pasthasaµjñitåni pañcavi\ayå~i • pañca vi\ayå¢ ©abdådayo ye\åµ tåni pañcavi\ayå~i • ©abdaspar©ar¥parasagandhå¢ påãau santi • pañca©abdådilak\a~åyåµ bhuvi pådo viharati • påyvindriyaµ pañcakøptamutsargaµ karoti • tathopasthendriyaµ pañcalak\aãaµ ©ukramånandayati •• sånta¢karaãå buddhi¢ sarvaµ vi\ayamavagåhate yasmåt • tasmåttrividhaµ karaãaµ dvåri dvårå~i ©e\å~i •• 35 •• sånta¢kara~å buddhi¢ • ahaµkåramana¢sahitetyartha¢ • yasmåtsarvaµ vi\ayamavagåhate g®h~åti • tri\vapi kåle\u ©abdådıng®h~åti • tasmåtrividhaµ karaãaµ dvåri • dvårå~i ©e\å~i • kara~ånıti våkya©e\a¢ •• kiµ cånyat – ete pradıpakalpå¢ parasparavilak\a~å guãavi©e\å¢ • k®tsnaµ puru\asyårthaµ prakå©ya buddhau prayacchanti •• 36 •• yåni kara~å~yuktåni • ete guãavi©e\å¢ kiµvi©i\†å¢ pradıpakalpå¢ pradıpavadvi\ayaprakå©akå¢ •• parasparavilak\a~å¢ • asad®©å¢ • bhinnavi\ayå ityartha¢ •• guãavi©e\å¢ • gu~ebhyo jåtå¢ •• k®tsnaµ puru\asyårtham • buddhındriyå~i karmendriyå~yahaµkåro mana©caitåni svaµ svamarthaµ puru\asya prakå©ya buddhau prayacchanti • buddhisthaµ kurvantıtyartha¢ • yato buddhisthaµ sarvaµ vi\ayasukhådikaµ puru\a upalabhyate •• kiµ cånyat – sarvaµ pratyupabhogaµ yasmåtpuru\asya sådhayati buddhi¢ • saiva ca vi©ina\†i puna¢ pradhånapuru\åntaraµ s¥k\mam •• 37 •• sarvendriyagataµ tri\vapi kåle\u sarvam • pratyupabhogamupabhogaµ prati • devamanu\yatiryagbuddhındriyakarmendriyadvå-
39
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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reãa sånta¢kara~å buddhi¢ sådhayati sampådayati yasmåtasmåtsaiva ca vi©ina\†i pradhånapuru\ayorvi\ayavibhågaµ karoti • pradhånapuru\åntaraµ nånåtvamityartha¢ •• s¥k\mamityanadhik®tatapa©caraãairapråpyam • iyaµ prak®ti¢ satvarajastamasåµ såmyåvasthå • iyaµ buddhirayamahaµkåra¢ • etåni pañcatanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañca mahåbh¥tånyayamanya¢ puru\a ebhyo vyatirikta¢ • ityevaµ bodhayati buddhiryasyåvåyådapavargo bhavati •• p¥rvamuktaµ vi©e\åvi©e\avi\ayå~i tatke vi\ayå¢ tåndar©ayati – tanmåtrå~yavi©e\å¢ tebhyo bh¥tåni pañca pañcabhya¢ • ete sm®tå vi©e\å¢ ©åntå ghorå©ca m¥ƒhå©ca •• 38 •• yåni pañca tanmåtrå~yahaµkårådutpadyante tåni – ©abdatanmåtraµ spar©atanmåtraµ r¥patanmåtraµ rasatanmåtraµ gandhatanmåtraµ – etånyavi©e\å ucyante • devånåmete sukhalak\a~å vi\ayå du¢khamoharahitå¢ •• tebhya¢ pañcabhya¢ tanmåtrebhya¢ pañca mahåbh¥tåni p®thivyaptejovåyvåkå©asaµjñåni yånyutpadyanta ete sm®tå vi©e\å¢ • gandhatanmåtråtp®thivı rasatanmåtrådåpa¢ spar©atanmåtrådvåy¥ r¥patanmåtråteja¢ ©abdatanmåtrådåkå©amityevamutpannånyetåni mahåbh¥tåni •• ete vi©e\å månu\å~åµ vi\ayå¢ • ©åntå¢ sulak\a~å¢ • ghorå du¢khalak\a~å¢ • m¥ƒhå mohajanakå¢ • yathåkå©aµ kasyacidanavakå©ådantarg®hådernirgatasya sukhåtmakaµ ©åntaµ bhavati • tadeva panthånaµ gacchato vanamårgådbhra\†asya di√mohånm¥ƒhaµ bhavati • evaµ våyurgharmårtasya ©ånto bhavati • ©ıtårtasya ghora¢ • dh¥lı©arkaråvimi©ro ’tivånm¥ƒha iti • evaµ teja¢prabh®ti\u dra\†avyam •• athånye vi©e\å¢ – s¥k\må måtåpit®jå¢ saha prabh¥taistridhå vi©e\å¢ syu¢ • s¥k\måste\åµ niyatå måtåpit®jå nivartante •• 39 •• s¥k\må¢ tanmåtrå~ı • yatsaµg®hıtaµ s¥k\ma©arıraµ mahadådili√gaµ sadå ti\†hati saµsarati ca te s¥k\må¢ •• tathå måtåpit®jå¢ sth¥la©arıropacåyakå ®tukåle måtåpit®saµyoge ©o~ita©ukrami©rıbhåvenodarånta¢ s¥k\ma©arırasyopacayaµ kurvanti • tats¥k\ma©arıraµ punarmåtura©itapıtanånåvidharasena nåbhınibandhenåpyåyate •• tathå prårabdhaµ ©arıraµ s¥k\mairmåtåpit®jai©ca saha ma-
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såµkhyakårikå¢
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håbh¥tai¢ tridhå vi©e\ai¢ p®\†odaraja√ghåka†yura¢©ira¢ prabh®ti\å†kau©ikaµ påñcabhautikaµ rudhiramåµsasnåyu©ukråsthimajjåsaµbh®taµ – åkå©o ’vakå©adånåt • våyurvardhanåteja¢ påkådåpa¢ saµgrahåtp®thivı dhåra~åt samaståvayavopetaµ måturudarådbahirbhavati • evamete trividhå vi©e\å¢ syu¢ •• atråha – ke nityå¢ ke vå ’nityå¢ – s¥k\måste\åµ niyatå • s¥k\måstanmåtrasaµjñakåste\åµ madhye niyatå nityå¢ • tairårabdhaµ ©arıraµ karmava≤åtpa©um®gapak\isarıs®pasthåvarajåti\u saµsarati • dharmava©ådindrådiloke\u • evametanniyataµ s¥k\ma©arıraµ saµsarati na yåvajjñånamutpadyate • utpanne jñåne vidvåñcharıraµ tyaktvå mok\aµ gacchati • tasmådete vi©e\å¢ s¥k\må nityå iti •• måtåpit®jå nivartante • tats¥k\ma©arıraµ parityajya ihaiva pråãatyågavelåyåµ måtåpit®jå nivartante • maraãakåle måtåpit®jaµ ©arıramihaiva niv®tya bh¥myådi\u pralıyate yathåtatvam •• s¥k\maµ ca kathaµ saµsarati tadåha – p¥rvotpannamasaktaµ niyataµ mahadådis¥k\maparyantam • saµsarati nirupabhogaµ bhåvairadhivåsitaµ li√gam •• 40 •• yadå lokå anutpannå¢ pradhånådisarge tadå s¥k\ma©arıramutpannamiti • kiµ cånyat • asaktam • na saµyuktaµ tiryagyonidevamånu\asthåne\u • s¥k\matvåtkutracidasaktaµ parvatådi\vapratihataprasaraµ saµsarati gacchati •• niyataµ nityam • yåvanna jñånamutpadyate tåvatsaµsarati •• tacca mahadådis¥k\maparyantam • mahånådau yasya tanmahadådi buddhirahaµkåro mana iti pañca tanmåtrå~i • s¥k\maparyantaµ tanmåtraparyantaµ saµsarati ©¥lagrahapipılikåvatrınapi lokån •• nirupabhogam • bhogarahitam • tats¥k\ma©arıraµ pit®måt®jena båhyenopacayena kriyådharmagraha~ådbhoge\u samarthaµ bhavatıtyartha¢ •• bhåvairadhivåsitam • purastådbhåvåndharmådınvak\yåma¢ tairadhivåsitamuparañjitam •• li√gamiti • pralayakåle mahadådis¥k\maparyantaµ karaõopetaµ pradhåne lıyate • asaµsaraãayuktaµ sadåsargakålamatra vartate • prak®timohabandhanabaddhaµ satsaµsara~ådikriyåsvasamarthamiti • puna¢ sargakåle saµsarati tasmålli√gaµ s¥k\mam •• kiµ prayojanena trayoda©avidhaµ karaãa saµsaratıtyevaµ codite satyåha – citraµ yathå©rayam®te sthå~vådibhyo yathå vinå chåyå • tadvadvinå ’vi©e\airna ti\†hati nirå©rayaµ li√gam •• 41 ••
43
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
191
citraµ yathå kuƒyå©rayam®te na ti\†hati sthå~vådibhya¢ kılakådibhyo vinå chåyå na ti\†hati tairvinå na bhavati • ådigraha~ådyathå ©aityaµ vinå nåpo bhavanti ©aityaµ vå ’dbhirvinå • agniru\ãaµ vinå våyu¢ spar©aµ vinå ’’kå©amavåka©aµ vinå p®thivı gandhaµ vinå tadvat • etena d®\†åntena nyåyena vinå ’vi©e\airavi©e\aistanmåtrairvinå na ti\†hati • atha vi©e\abh¥tånyucyante ©arıraµ pañcabh¥tamayaµ vai©e\i~å ©arıreãa vinå kvå li√gasthånaµ ceti • kva ekadehamujjhati tadevånyamå©rayati •• nirå©rayam • å©rayarahitaµ li√gaµ trayoda©avidhaµ karaãamityartha¢ •• kimarthaµ taducyate – puru\årthahetukamidaµ nimittanaimittikaprasa√gena • prak®tervibhutvayogånna†avadvyavati\†hate li√gam •• 42 •• puru\årtha¢ kartavya iti pradhånaµ pravartate • sa ca dvividha¢ – ©abdådyupalabdhilak\aõo guãapuru\åntaropalabdhilak\aãa©ca • ©abdådyupalabdhirbrahmådiloke\u gandhådibhogåvåpti • guãapuru\åntaropalabdhirmok\a iti • tasmåduktaµ puru\årthahetukamidaµ s¥k\maµ ©arıraµ pravartata iti •• nimitanaimitikaprasa√gena • nimitaµ dharmådi naimitikam¥rdhvagamanådi purastådeva vak\yåma¢ • prasa√gena prasaktyå •• prak®te¢ pradhånasya vibhutvayogåt • yathå råjå svarå\†re vibhutvådyadyadicchati tatatkarotıti tathå prak®te¢ sarvatra vibhutvayogånnimitanaimitikaprasa√gena vyavati\†hate p®thakp®thagdehadhåra~e li√gasya vyavasthåµ karoti •• li√gaµ s¥k\mai¢ paramå~ubhistanmåtrairupacitaµ ©arıraµ trayoda©avidhakaraõopetaµ månu\adevatiryagyoni\u vyavati\†hate • katham • na†avat • yathå na†a¢ pa†åntareãa pravi©ya devo bh¥två nirgacchati punarmånu\a¢ punarvid¥\aka evaµ li√gaµ nimitanaimitikaprasa√genodarånta¢ pravi©ya hastı strı pumånbhavati •• bhåvairadhivåsitaµ li√gaµ saµsaratıtyuktaµ tatke bhåvå ityåha – såµsiddhikå©ca bhåvå¢ pråk®tikå vaik®tikå©ca dharmådyå¢ • d®\†å¢ kara~å©rayiãa¢ kåryå©rayiãa©ca kalalådyå¢ •• 43 •• bhåvåstrividhå©cintyante – såµsiddhikå¢ pråk®tå vaik®tå©ca • tatra såµsiddhikå yathå bhagavata¢ kapilasyådisarga utpadyamå-
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såµkhyakårikå¢
43
nasya catvåro bhåvå¢ sahotpannå¢ – dharmo jñånaµ vairågyaµ ai©varyamiti • pråk®tå kathyante – brahmaãa©catvåra¢ putrå¢ sanakasanandasanåtanasanatkumårå babh¥vu¢ • te\åmutpannakåryakåra~ånåµ ©arırå~åµ \oƒa©avar\å~åmete bhåvå©catvåra¢ samutpannå¢ tasmådete pråk®tå¢ • tathå vaik®tå yathå – åcåryam¥rti nimitaµ k®två ’smadådınåµ jñånamutpadyate • jñånådvairågyaµ vairågyåddharmo dharmådai©varyamiti • åcåryam¥rtirapi vik®tiriti tasmådvaik®tå ete bhåvå ucyante • yairadhivåsitaµ li√gaµ saµsarati • ete catvåro bhåvå¢ såtvikå¢ • tåmaså viparıtå¢ “såtvikametadr¥paµ tåmasamasmådviparyastam” ityatra vyåkhyåtå¢ • evama\†au – dharmo jñånaµ vairågyaµ ai©varyamadharmo ’jñånanavairågyamanai©varyamiti •• a\†au bhåvå¢ kva vartante – d®\†å¢ kara~å©rayiãa¢ • buddhi¢ karaãaµ tadå©rayiãa¢ • etaduktam – “adhyavasåyo buddhirdharmo jñånam” iti •• kåryaµ dehastadå©rayå¢ kalalådyå¢ • ye måt®jå ityukå¢ • ©ukra©o~itasaµyoge viv®ddhihetukå¢ kalalådyå budbudamåµsape©ıprabh®taya • tathå kaumårayauvanasthaviratvådayo bhåvå¢ • annapånarasanimitå¢ ni\padyante • ata¢ kåryå©rayiãa ucyante ’nnådivi\ayabhoganimitå jåyante •• nimitanaimitakaprasa√geneti yaduktamatrocyate – dharmeãa gamanam¥rdhvaµ gamanamadhastådbhavatyadharmeãa • jñånena cåpavargo viparyayådi\yate bandha¢ •• 44 •• dharmeãa gamanam¥rdhvam • dharmaµ nimitaµ k®tvordhvamupayåti • ¥rdhvamitya\†au sthånåni g®hyante • tadyathå – bråhmaµ pråjåpatyaµ saumyaµ aindraµ gåndharvaµ yåk\aµ råk\asaµ pai©åcamiti • tats¥k\ma©arıraµ gacchati • pa©um®gapak\isarıs®pasthåvarånte\vadharmo nimitam •• kiµ ca jñånena cåpavarga¢ • apavarga¢ ca pañcaviµ©atitatvajñånam • tena nimitenåpavargo mok\a¢ • tata¢ s¥k\ma©arıraµ nivartate paramåtmocyate •• viparyayådi\yate bandha¢ • ajñånaµ nimitam • sa caiva naimitika¢ pråk®to vaikåriko dåk\i~ika©ca bandha iti vak\yati puraståt • yadidamuktam – “pråk®tena ca bandhena tathå vaikårikeãa ca • dåk\i~ena t®tıyena baddho nånyena mucyate” tathå ’nyadapi nimitam – vairågyåtprak®tilaya¢ saµsåro bhavati råjasådrågåt • ai©varyådavighåto viparyayåttadviparyåsa¢ •• 45 ••
47
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
193
yathå kasyacidvairågyamasti na tatvajñånam • tasmådajñånap¥rvådvairågyåtprak®tilaya¢ • m®to ’\†åsu prak®ti\u pradhånabuddhyahaµkåratanmåtre\u lıyate na mok\a¢ • tato bh¥yo ’pi saµsarati •• tathå so ’yaµ råjaso råga¢ – yajåmi • dak\i~åµ dadåmi yenåmu\miµlloke ’tra yaddivyaµ månu\aµ sukhamanubhavåmi – etasmådråjasådrågåtsaµsåro bhavati •• tathå ai©varyådavighåta¢ • etadai©varyama\†aguãama~imådiyuktam • tasmådai©varyanimitådavighåto naimitiko bhavati • bråhmådi\u sthå~e\vai©varyaµ na vihanyeta •• kiµ cånyat • viparyayådviparyåya¢ • tasyåvighåtasya viparyåso vighåto bhavati • anai©varyåtsarvatra vihanyate •• e\a nimitai¢ saha naimitika¢ \oƒa©avidho vyåkhyåta¢ • sa kimåtmaka ityucyate – e\a pratyayasargo viparyayå©aktitu\†isiddhyåkhya¢ • guãavai\amyavimardåttasya bhedåstu pañcå©åt •• 46 •• yathå e\a \oƒa©avidho nimitanaimitikabheda¢ vyåkhyåta e\a pratyayasarga ucyate • pratyayo buddhirityuktå “adhyavasåyo buddhirdharmo jñånam” ityådi •• sa ca pratyayasarga©caturdhå bhidyate – viparyayå©aktitu\†isiddhyåkhyabhedåt • tatra saµ©ayo ’jñånaµ viparyaya¢ • yathå kasyacitsthå~urdar©ane sthå~urayaµ puru\o veti saµ©aya¢ • a©aktiryathå – tameva sthå~uµ samyagd®\†vå saµ©ayaµ chetuµ na ©aknotıtya©akti¢ • evaµ t®tıyastu\†yåkhyo yathå – tameva sthå~uµ jñåtuµ saµ©ayituµ vå necchati kimanenåsmåkamitye\å tu\†i¢ • caturtha¢ siddhyåkhyo yathå – ananditendriya¢ sthå~umår¥ƒhaµ valliµ pa©yati ©akuniµ vå • tasya siddhirbhavati sthå~urayamiti •• evamasya caturvidhasya pratyayasargasya guãavai\amyavimardena tasya bhedåstu pañcå©at • yo ’yaµ satvarajastamogu~ånåµ vai\amyo vimarda¢ tena tasya pratyayasargasya pañcå©adbhedå bhavanti • tathå kvåpi satvamutka†aµ bhavati rajastaması udåsıne kvåpi raja¢ kvåpi tama iti •• bhedå¢ kathyante – pañca viparyayabhedå bhavantya©akti©ca karaãavaikalyåt • a\†åviµ©atibhedå tu\†irnavadhå ’\†adhå siddhi¢ •• 47 •• pañca viparyayabhedå¢ • te tathå – tamo moho mahåmoha¢ tåmi©ro andhatåmi©ra iti • e\åµ bhedånåµ nånåtvaµ vak\yate ’na-
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såµkhyakårikå¢
47
ntarameveti •• a©aktestva\†åviµ©atirbhedå bhavanti karaãavaikalyåt • tånapi vak\yåma¢ •• tathå ca tu\†irnavadhå • ¥rdhvasrotasi råjasåni jñånåni •• tathå ’\†avidhå siddhi¢ • såtvikåni jñånåni tatraivordhvasrotasi • etatkrameãaiva vak\yati •• tatra viparyayabhedå ucyante – bhedastamaso ’\†avidho mohasya ca da©avidho mahåmoha¢ • tåmisro ’\†åda©adhå tathå bhavatyandhatåmisra¢ •• 48 •• tamasaståvada\†adhå bheda¢ • pralayo ’jñånådvibhajyate • so ’\†åsu prak®ti\u lıyate • pradhånabuddhyahaµkårapañcatanmåtråsu • tatra lıyamåtmånaµ manyate mukto ’hamiti tamobheda e\a¢ •• a\†avidhasya mohasya bhedo ’\†avidha evetyartha¢ • yatrå\†aguãamai©varyaµ tatra sa√gådindrådayo devå na mok\aµ pråpnuvanti • puna©ca tatk\aye saµsarantye\o ’\†avidho moha iti •• da©avidho mahåmoha¢ • ©abdaspar©ar¥parasagandhå devånåmete pañca vi\ayå¢ sukhalak\a~å månu\å~åmapyeta eva ©abdådaya¢ pañca vi\ayå¢ • evamete\u da©asu mahåmoha iti •• tåmisro ’\†åda©adhå • a\†avidhamaiŸvaryaµ d®\†ånu©ravikå vi\ayå da©a • ete\åma\†åda©ånåµ sampadamanunandanti vipadaµ nånumodantye\o ’\†åda©avidho vikalpaståmisra¢ •• yathå tåmisrama\†aguãamai©varyaµ d®\†ånu©ravikå da©a vi\ayå¢ tathå ’ndhatåmisro ’pya\†åda©abheda eva • kiµ tu vi\ayasampatau sambhogakåle ya eva mriyate • a\†aguãai©varyådvå bhra©yate tatastasya mahaddu¢khamutpadyate so ’ndhatåmisra iti • evaµ viparyayabhedåstama¢prabh®taya¢ pañca pratyekaµ bhidyamånå dvi\a\†ibhedå¢ saµv®tå iti •• a©aktibhedå¢ kathyante – ekåda©endriyavadhå¢ saha buddhivadhaira©aktiruddi\†å • saptada©a vadhå buddherviparyayåttu\†isiddhınåm •• 49 •• bhavantya©akte©ca karaãavaikalyåda\†åviµ©atibhedå¢ • ityuddi\†am • tatra ekåda©endriyavadhå¢ – bådhiryamandhatå prasuptirupajihvakå ghråãapåko m¥katå ku~itvaµ khåjyaµ gudåvarta¢ klaibyamunmåda iti •• saha buddhivadhaira©aktiruddi\†å • ye buddhivadhaistai¢ sahå©aktera\†åviµ©atibhedå bhavanti •• saptada©a vadhå buddhe¢ • saptada©a vadhåste tu\†ibhedåsiddhibhedavaiparı-
51
gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
195
tyena • tu\†ibhedå nava siddhibhedå a\†au ye te viparıtai¢ saha ekåda©a vadhå¢ • evama\†åviµ©ativikalpå a©aktiriti •• viparyayåtu\†isiddhınåmeva bhedakramo dra\†avya • tatra tu\†irnavadhå kathyate •• ådhyåtmikå©catasra¢ prak®tyupådånakålabhågyåkhyå¢ • båhyå vi\ayoparamåtpañca nava tu\†ayo ’bhihitå¢ •• 50 •• ådhyåtmikå©catasra¢ tu\†aya¢ • adhyåtmani bhavå ådhyåtmikå¢ • tå©ca prak®tyupådånakålabhågyåkhyå¢ • tatra prak®tyåkhyå¢ – yathå ka©citprak®tiµ veti tasyå¢ saguãatvanirguãatvaµ ca tena tatvaµ tatkåryaµ vijñåyaiva kevalaµ tu\†astasya nåsti mok\a¢ – e\å prak®tyåkhyå • upådånåkhyå – yathå ka©cidavijñåyaiva tatvånyupådånagrahaãaµ karoti • trida~ƒakama~ƒaluvividi≤åbhya¢ mok\a iti • tasyåpi nåsti mok\a iti • e\å upådånåkhyå • tathå kålåkhyå – kålena mok\o bhavi\yatıti kiµ tatvåbhyåsena • itye\å kålåkhyå tu\†istasya nåsti mok\a iti • tathå bhågyåkhyå – bhågyenaiva mok\o bhavi\yatıti bhågyåkhyå • caturdhå tu\†iriti •• båhyå vi\ayoparamåcca pañca • båhyåstu\†aya¢ pañca vi\ayoparamåt • ©abdaspar©ar¥parasagandhebhya uparato ’rjanarak\aãak\ayasa√gahiµsådar©anåt • v®ddhinimitaµ på©upålyavå~ijyapratigrahasevå¢ kåryå¢ • etadarjanaµ du¢kham • arjitånåµ rak\a~e du¢kham • upabhogåtk\ıyata iti k\ayadu¢kham • tathå vi\ayopabhogasa√ge k®te nåstındriyå~åmupa©ama iti sa√gado\a • tathå nå ’nupahatya bh¥tånyupabhoga iti hiµsådo\a¢ • evamarjanådido\adar©anåtpañcavi\ayoparamåtpañca tu\†aya¢ •• evamådhyåtmikabåhyabhedånnava tu\†aya¢ • tåsåµ nåmåni ©åstråntare proktåni – ambha¢ salilamogho v®\†i¢ sutama¢ påraµ sunetraµ nårıkamanutamåmbhasikamiti • åsåµ tu\†ınåµ viparıtå a©aktibhedådbuddhivadhå bhavanti • tadyathå – anambho ’salilo ’nogha ityådivaiparıtyådbuddhivadhå iti •• siddhirucyate – ¥ha¢ ©abdo ’dhyayanaµ du¢khavighåtåstraya¢ suh®tpråpti • dånaµ ca siddhayo ’\†au siddhe¢ p¥rvo ’√ku©astrividha¢ •• 51 •• ¥ho yathå ka©cinnityam¥hate – kimiha satyaµ kiµ paraµ kiµ nai¢©reyasaµ kiµ k®två k®tårtha¢ syåm – iti cintayato jñånamutpadyate pradhånådanya eva puru\a iti • anyå buddhi¢ • anyo
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såµkhyakårikå¢
51
’haµkåra¢ • anyåni tanmåtrå~ındriyå~i pañca mahåbh¥tånıtyevaµ tatvajñånamutpadyate yena mok\o bhavati • e\å uhåkhyå prathamå siddhi¢ •• tathå ©abdajñånåtpradhånapuru\abuddhyahaµkåratanmåtrendriyapañcamahåbh¥tavi\ayaµ jñånaµ bhavati • tato mok\a itye\å ©abdåkhyå siddhi¢ •• adhyayanådvedådi©astrådhyayanåtpañcaviµ©atitatvajñånaµ pråpya mok\aµ yåti • itye\å t®tıyå siddhi¢ •• du¢khavighåtatrayam • ådhyåtmikådhibhautikådhidaivikadu¢khatrayavighåtåya guruµ samupagamya tata upade©ånmok\aµ yåti • e\å caturthı siddhi¢ • e\aiva du¢khatrayabhedåtridhå kalpanıyå • iti \a†siddhaya¢ •• tathå suh®tpråpti¢ • yathå ka©citsuh®jjñånamadhigamya mok\aµ gacchati • e\å saptamı siddhi¢ •• dånam • yathå ka©cidbhagavatåµ pratyå©rayau\adhitrida~ƒaku~ƒikådınåµ gråsåcchådanådınåµ ca dånenopak®tya • tebhyo jñånamavåpya mok\aµ yåti • e\å ’\†amı siddhi¢ •• åsåma\†ånåµ siddhınåµ ©åstråntare saµjña¢ k®tå¢ – tåraµ sutåraµ tåratåraµ pramodaµ pramuditaµ pramodamånaµ ramyakaµ sadåpramuditamiti • åsåµ viparyayådbuddhervadhå ye viparıtåsta a©aktau nik\iptå¢ • yathå – atåramasutåramatåratåram – ityådi dra\†avyam •• a©aktibhedå ’\†åviµ©atiruktå¢ • te – sahabuddhivadhairekåda©endriyavadhå iti • tatra tu\†iviparyayå nava siddhınåµ viparyayå ’\†au – evamete saptada©a buddhivadhå¢ • etaı¢ sahendriyavadhå¢ • a\†åviµ©atira©aktibhedå¢ pa©cåtkathitå iti viparyayå©aktitu\†isiddhınåmevodde©o nirde©a©ca k®ta iti •• kiµ cånyat • siddhe¢ p¥rvo ’√ku©astrividha¢ • siddhe¢ p¥rvå yå viparyayå©aktitu\†ayastå eva siddhera√ku©a¢ • tadbhedådeva trividha¢ • yathå hastı g®hıtå√ku©ena va©o bhavatyevaµ viparyayå©aktitu\†ibhirg®hıto loko ’jñånaµ pråpnoti • tasmådetå¢ parityajya siddhi¢ sevyå • sasiddhestatvajñånamutpadyate • tasmånmok\a iti •• atha yaduktaµ “bhåvairadhivåsitaµ li√gam” • tatra bhåvå dharmådayo ’\†åvuktå buddhipariãamå¢ • viparyayå©aktitu\†isiddhipari~atå¢ • sa bhåvåkhya¢ pratyayasarga¢ • li√gaµ ca tanmåtrasarga©caturda©abh¥taparyanta ukta¢ • tatraikenaiva sargeãa puru\årthasiddhau kimubhayavidhasarge~etyata åha – na vinå bhåvairli√gaµ na li√gena bhåvanirv®tti¢ • li√gåkhyo bhåvåkhyastasmåddvividha¢ pravartate sarga¢ •• 52 •• bhåvaispratyayasargairvinå li√gaµ na tanmåtrasargo na p¥rvap¥rvasaµskåråd®\†akåritatvådutarotaradehalambhasya •• li√gena
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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tanmåtrasargeãa ca vinå bhåvanirv®tirna • sth¥las¥k\madehasådhyatvåddharmåde¢ • anåditvåcca sargasya bıjå√kuravadanyonyå©rayo na do\åya tatajjåtıyåpek\itatve ’pi tatadvyaktınåµ parasparånapek\itatvåt • tasmådbhåvåkhyo li√gåkhya©ca dvividha¢ • pravartate sarga iti •• kiµ cånyat • a\†avikalpo daivastairyagyona©ca pañcadhå bhavati • månu\a©caikavidha¢ samåsato ’yaµ tridhå sarga¢ •• 53 •• tatra daivama\†aprakåram – bråhmaµ pråjåpatyaµ saumyamaindraµ gåndharvaµ yåk\aµ råk\asaµ pai©åcamiti • pa©um®gapak\isarıs®pasthåvarå~i bh¥tåni • evaµ pañcavidhastaira©ca • månu\ayonirekaiva • iti caturda©a bh¥tåni •• tri\vapi loke\u guãatrayamasti • tatra kasminkimadhikamityucyate – ¥rdhvaµ sattvavi©ålastamovi©åla©ca m¥lata¢ sarga¢ • madhye rajiovi©ålo brahmådistambaparyanta¢ •• 54 •• ¥rdhvamiti • a\†asu devasthåne\u satvavi©åla • satvaviståra¢ satvotka†a ¥rdhvasatva iti • tatråpi rajastaması sta¢ •• tamovi©ålo m¥lata¢ • pa©vådi\u sthåvarånte\u sarva¢ sargastamasådhikyena vyåpta¢ • tatråpi satvarajası sta¢ •• madhye månu\e raja utka†am • tatråpi satvataması vidyete • tasmåddu¢khapråyå manu\yå¢ •• evaµ brahmådistambaparyanto brahmådisthåvarånta ityartha¢ • evamabhautika¢ sargo li√gasargo bhåvasargo bh¥tasargo daivamånu\atairyagyonå¢ • itye\a pradhånak®ta¢ \oƒa©avidha¢ sarga¢ •• tatra jaråmaraãak®taµ du¢khaµ pråpnoti cetana¢ puru\a¢ • li√gasyåviniv®tte¢ tasmåddu¢khaµ svabhåvena •• 55 •• tatreti • te\u devamånu\atiryagyoni\u jaråk®taµ maraãak®taµ caiva du¢khaµ cetana¢ caitanyavånpuru\a pråpnoti • na pradhånaµ na buddhirnåhaµkåro natanmåtrånındriyå~i mahåbh¥tåni ca •• kiyantaµ kålaµ puru\o du¢khaµ pråpnotıti tadvivinakti – li√gasyåviniv®te¢ • yatanmahadådi li√ga©arıre~åvi©ya tatra vyaktıbhavati tadyåvanna nivartate saµsåra©arıramiti tåvatsaµk\epeãa tri\u sthåne\u puru\o jaråmaraãak®taµ du¢khaµ pråpnoti li√gasyåviniv®terli√gasya viniv®tiµ yåvat • li√ganiv®tau mok\a¢ • mok\a-
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såµkhyakårikå¢
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pråptau nåsti du¢khamiti • tatpuna¢ kena nivartate yadå pañcaviµ©atitatvajñånaµ syåtsatvapuru\ånyatåkhyåtilak\aãam – idaµ pradhånaµ iyaµ buddhirayamahaµkåra¢ • imåni pañca mahåbh¥tåni yebhyo ’nya¢ puru\o visad®©a iti • evaµ jñånålli√ganiv®tistato mok\a iti •• prak®te¢ kiµ nimita årambha ityucyate – itye\a¢ prak®tik®tau mahadådivi©e\abh¥taparyanta¢ • pratipuru\avimok\årthaµ svårtha iva parårtha årambha¢ •• 56 •• itye\a¢ parisamåptau nirde©e ca • prak®tik®tau prak®tikara~e • prak®tikriyåyåµ ya årambho mahadådivi©e\abh¥taparyanta¢ – prak®termahån • mahato ’haµkåra¢ • tasmåtanmåtrå~yekåda©endriyå~i tanmåtrebhyo pañca mahåbh¥tåni • itye\a¢ •• pratipuru\avimok\årtham • puru\aµ puru\aµ prati • devamanu\yatiryagbhåvaµ gatånåµ vimok\årthamårambha •• katham – svårtha iva parårtha årambha¢ • yathå ka©citsvårthaµ tyaktvå mitrakåryå~i karotyevaµ pradhånam • puru\o ’tra pradhånasya na kiñcitpratyupakåraµ karoti • svårtha iva na ca svårtha¢ • parårtha eva • artha¢ ©abdådivi\ayopalabdhirguãapuru\åntaropalabdhi©ca • tri\u loke\u ©abdådivi\ayai¢ puru\å yojayitavyå¢ • ante mok\eãa – iti pradhånasya prav®ti¢ • tathå coktam – kumbhavatpradhånaµ puru\årthaµ k®två nivartata iti •• atrocyate – acetanaµ pradhånaµ cetana¢ puru\a iti • ‘mayå tri\u loke\u ©abdådibhirvi\ayai¢ puru\o yojyo ’nte mok\a¢ kartavya¢’ iti kathaµ cetanavatprav®ti • satyam • kintvacetanånåmapi prav®tird®\†å niv®ti©ca yasmådityåha – vatsaviv®ddhinimittaµ k\ırasya yathå prav®ttirajñasya • puru\avimok\animittaµ tathå prav®tti¢ pradhånasya •• 57 •• yathå t®~ådikaµ gavå bhak\itaµ k\ırabhåvena pariãamya vatsaviv®ddhiµ karoti • pu\†e ca vatse nivartate • evaµ puru\avimok\animitaµ pradhånamityajñasya prav®tiriti •• kiµ ca – autsukyaniv®ttyarthaµ yathå kriyåsu pravartate loka¢ • puru\asya vimok\årthaµ pravartate tadvadvyaktam •• 58 •• yathå loka i\†autsukye sati tasya niv®tyarthaµ kriyåsu pravartate gamanågamanakriyåsu k®takåryo nivartate • tathå puru\asya
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gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢
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vimok\årthaµ ©abdådivi\ayopabhogalak\aãaµ guãapuru\åntaropalabdhilak\aãaµ ca dvividhamapi puru\årthaµ k®två pradhånaµ nivartate •• kiµ cånyat – ra√gasya dar©ayitvå nivartate nartakı yathå n®tyåt • puru\asya tathå ’’tmånaµ prakå©ya vinivartate prak®ti¢ •• 59 •• yathå nartakı ©®√garådirasairitihåsådibhåvai©ca nibaddhagıtavåditrav®tåni ra√gasya dar©ayitvå k®takåryå n®tyånnivartate tathå prak®tirapi puru\asyåtmånaµ prakå©ya buddhyahaµkåratanmåtrendriyamahåbh¥tabhedena nivartate •• kathaµ ko vå ’syå nivartako hetustadåha – nånåvidhairupåyairupakåri~yanupakåriãa¢ puµsa¢ • guãavatyaguãasya satastasyårthamapårthakaµ carati •• 60 •• nånåvidhairupåyai¢ prak®ti¢ puru\asyopakåri~ı • anupakåriãa¢ puµsa¢ • katham – devamånu\atiryagbhåvena sukhadu¢khamohåtmakabhåvena ©abdådivi\ayabhåvena •• evaµ nånåvidhairupåyairåtmånaµ prakå©ya • ahamanyå tvamanya iti • nivartate • ato nityasya tasyårthamapårthaµ carati kurute • yathå ka©citparopakårı sarvasyopakurute • nåtmana¢ pratyupakåramıhate • evaµ prak®ti¢ puru\årthaµ carati karotyapårthakam •• pa©cåduktam – åtmånaµ prakå©ya nivartate • niv®tå ca kiµ karotıtyåha – prak®te¢ sukumårataraµ na kiñcidastıti me matirbhavati • yå d®\†åsmıti punarna dar©anamupaiti puru\asya •• 61 •• loke prak®te¢ sukumårataraµ na kiñcidastıtyevaµ me matirbhavati yena parårtha evaµ matirutpannå • kasmåt – ahamanena puru\eãa d®\†åsmıtyasya puµsa¢ punardar©anaµ nopaiti • puru\asyådar©anamupayatıtyartha¢ • tatra sukumårataraµ varãayati • kecidı©varaµ kåraãaµ bruvate – “ajño janturanı©o ’yamåtmana¢ sukhadu¢khayo¢ • ı©varaprerito gacchetsvargaµ narakameva vå ••” (ma. bhå. 3.30.88) •• apare svabhåvakåraãakå bruvate – kena ©uklık®tå haµså may¥rå¢ kena citritå¢ svabhåvenaiveti • atra såµkhyåcåryå åhu¢ • nirguãatvådı©varasya kathaµ sagu~å¢ prajå¢ jåyeran •
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kathaµ vå puru\ånnirgu~ådeva • tasmåtprak®teryujyate • yathå ©uklebhyastantubhya ©ukla eva pa†o bhavati • k®\~ebhya¢ k®\ãa eveti • evaµ trigu~åtpradhånåtrayo lokåstrigu~å¢ samutpannå iti gamyate • nirguãa ı©vara¢ • sagu~ånåµ lokånåµ tasmådutpatirayukteti • anena puru\o vyåkhyåta¢ • tathå ke\åµcitkåla¢ kåraãamiti • uktaµ ca – “kåla¢ pacati bh¥tåni kåla¢ saµharate jagat • kåla¢ supte\u jågarti kålo hi duratikrama¢” • vyaktåvyaktapuru\å¢ traya¢ padårthå¢ • tena kålo ’ntarbh¥to ’sti • sa hi vyakta¢ • sarvakart®tvåtkålasyåpi pradhånameva kåraãam • svabhåvo ’pyatraiva lına¢ • tasmåtkålo na kåraãaµ • nåpi svabhåva iti • tasmåtprak®tireva kåraãaµ na prak®te¢ kåraãåntaramastıti •• na punardar©anamupayåti puru\asya • ata¢ prak®te¢ sukumårataraµ subhogyataraµ na kiñcidı©varådikåraãamastıti me matirbhavati •• tathå ca loke r¥ƒhaµ puru\o mukta¢ puru\a¢ saµsaratıti codite åha – tasmånna badhyate nåpi mucyate nåpi saµsarati ka©cit • saµsarati badhyate mucyate ca nånå©rayå prak®ti¢ •• 62 •• tasmåtkåra~åtpuru\o na badhyate nåpi mucyate nåpi saµsarati yasmåtkåra~åtprak®tireva nånå©rayå daivamånu\atiryagyonyå©rayå buddhyahaµkåratanmåtrendriyabh¥tasvar¥peãa badhyate mucyate saµsarati ceti •• atha mukta eva svabhåvåtsa sarvagata©ca kathaµ saµsarati – apråptapråpa~årthaµ saµsaraãamiti • tena puru\o badhyate puru\o mucyate puru\a¢ saµsaratıti vyapadi©yate yena saµsåritvaµ na vidyate • satvapuru\åntarajñånåtatvaµ puru\asyåbhivyajyate • tadabhivyaktau kevala¢ ©uddho mukta¢ svar¥paprati\†ha¢ puru\a iti •• atra yadi puru\asya bandho nåsti tato mok\o ’pi nåsti • atrocyate – prak®tirevåtmånaµ badhnåti mocayati ca • yatra s¥k\ma©arıraµ tanmåtrakaµ trividhakaraõopetaµ tatrividhena bandhena badhyate • uktaµ ca – “pråk®tena ca bandhena tathå vaikårikeãa ca • dåk\i~ena t®tıyena baddho nånyena mucyate” tats¥k\maµ ©arıraµ dharmådharmasaµyuktam •• prak®ti©ca badhyate prak®ti©ca mucyate saµsaratıti kathaµ tat – ucyate – r¥pai¢ saptabhireva tu badhnåtyåtmånamåtmanå prak®ti¢ • saiva ca puru\årthaµ prati vimocayatyekar¥peãa •• 63 ••
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r¥pai¢ saptabhireva • etåni sapta procyante • dharmo vairågyamai©varyamadharmo ’jñånamavairågyamanai©varyametåni prak®te¢ sapta r¥på~i • tairåtmånaµ svaµ badhnåti prak®tiråtmanå svenaiva • saiva prak®ti¢ puru\asyårtha¢ puru\årtha¢ kartavya iti vimocayatyåtmånamekar¥peãa jñånena •• kathaµ tajjñånamutpadyate – evaµ tattvåbhyåsånnåsmi na me nåhamityapari©e\am • aviparyayådvi©uddhaµ kevalamutpadyate jñånam •• 64 •• evamuktakrameãa pañcaviµ©atitatvålocanåbhyåsåt • iyaµ prak®ti¢ • ayaµ puru\a¢ • etåni pañcatanmåtrendriyamahåbh¥tånıti puru\asya jñånamutpadyate – nåsmi nåhameva bhavåmi • na me mama ©arıraµ tat • yato ’hamanya¢ ©arıramanyat • nåhamityapari©e\aµ • ahaµkårarahitamapari©e\am •• aviparyayådvi©uddham • viparyaya¢ saµ©aya¢ • aviparyayådasaµ©ayåt • vi©uddhaµ kevalaµ tadeva nånyadastıti mok\akåraãamutpadyate ’bhivyajyate jñånaµ pañcaviµ©atitatvajñånaµ puru\asyeti •• jñåne puru\a¢ kiµ karoti – tena niv®ttaprasavåmarthava©åtsaptar¥paviniv®ttåm • prak®tiµ pa©yati puru\a¢ prek\akavadavasthita¢ svastha¢ •• 65 •• tena vi©uddhena kevalajñånena puru\a¢ prak®tiµ pa©yati • prek\akavat prek\akeãa tulyam • avasthita¢ svastha¢ • yathå ra√gaprek\ako ’vasthito nartakı pa©yati • svastha¢ • svasmiµsti\†hati svastha¢ • svasthånasthita¢ •• kathaµ bh¥tåµ prak®tim – niv®taprasavåm • niv®tabuddhyahaµkårakåryåm • arthava©åtsaptar¥paviniv®tåm • nivartitobhayapuru\aprayojanava©åt • yai¢ saptamı r¥pairdharmådibhiråtmånaµ badhnåti tebhya¢ saptabhyo r¥pebhyo viniv®tåµ prak®tiµ pa©yati •• ra√gastha ityupek\aka eko d®\†åhamityuparamatyekå • sati saµyoge ’pi tayo¢ prayojanaµ nåsti sargasya •• 66 •• ra√gastha iti • yathå ra√gastha ityevamupek\aka eka¢ kevala¢ ©uddha¢ puru\a • tenåhaµ d®\†eti k®två uparatå niv®tå • ekå ekaiva prak®ti¢ trilokyasyåpi pradhånakåraãabh¥tå • na dvitıyå prak®-
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tirasti • m¥rtibhede jåtibhedåt •• evaµ prak®tipuru\ayorniv®tåvapi vyåpakatvåtsaµyogo ’sti na tu saµyogak®ta¢ sarga¢ • sati saµyoge ’pi tayo¢ • prak®tipuru\ayo¢ sarvagatatvåtsatyapi saµyoge prayojanaµ nåsti sargasya ©®\†e©caritårthatvåt • prak®terdvividhaµ prayojanam – ©abdådivi\ayopalabdhirguãapuru\åntaropalabdhi©ca • ubhayatråpi caritårthatvåtsargasya nåsti prayojanaµ ya¢ puna¢ sarga iti • yathå dånagrahaãanimita utamar~ådhamarãayordravyavi©uddhau satyapi saµyoge na ka©cidarthasambandho bhavati • evaµ prak®tipuru\ayorapi nåsti prayojanamiti •• yadi puru\asyotpanne jñåne mok\o bhavati tato mama kasmånna bhavati – ityata ucyate – samyagjñånådhigamåddharmådınåmakåraãapråptau • ti\†hati saµskårava©åccakrabhramavaddh®ta©arıra¢ •• 67 •• yadyapi pañcaviµ©atitatvajñånaµ samyagjñånaµ bhavati tathåpi saµskårava©åddh®ta©arıro yogı ti\†hati katham – cakrabhramavat • cakrabhramaãaµ tulyam • yathå kulåla©cakraµ bhramayitvå gha†aµ karoti m®tpi~ƒaµ cakramåropya puna¢ k®två gha†aµ paryåmuñcati • cakraµ bhramatyeva saµskårava©åt • evaµ samyagjñånådhigamådutpannasamyagjñånasya dharmådınåmakåraãapråptau • etåni saptar¥på~i bandhanabh¥tåni samyagjñånena dagdhåni • yathå någninå dagdhåni bıjåni prarohaãasamarthåni evametåni dharmådıni bandhanåni na samarthåni • dharmådınåmakåraãapråptau saµskårava©åddh®ta©arırasti\†hati • jñånådvartamånadharmådharmak\aya¢ kasmånna bhavati vartamånatvådeva • k\a~åntare k\ayamapyeti • jñånaµ tvanågatakarma dahati • vartamåna©arıreãa ca yatkaroti tadapıti • vihitånu\†hånakara~åditi • saµskårak\ayåccharırapåte mok\a¢ •• sa kiµvi©i\†o bhavatıtyucyate – pråpte ©arırabhede caritårthatvåtpradhånaviniv®ttau • ekåntikamåtyantikamubhayaµ kaivalyamåpnoti •• 68 •• dharmådharmajanitasaµskårak\ayåtpråpte ©arırabhede caritårthatvåtpradhånasya niv®tau ekåntikamava©yamåtyantikamanantarhitaµ kaivalyam • kevalabhåvånmok\a¢ • ubhayamaikåntikåtyantikamityevaµvi©i\†aµ kaivalyamåpnoti ••
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puru\årthajñånamidaµ guhyaµ paramar\i~å samåkhyåtam • sthityutpattipralayå©cintyante yatra bh¥tånåm •• 69 •• puru\årtho mok\a¢ • tadarthamidaµ guhyaµ rahasyaµ paramar\i~å ©rıkapilar\i~å samåkhyåtaµ samyaguktam • yatra jñåne bh¥tånåµ vaikårikå~åµ sthityutpatipralayå avasthånåvirbhåvatirobhåvå©cintyante vicåryante • ye\åµ vicåråtsamyakpañcaviµ©atitatvavivecanåtmikå sampadyate saµvitiriti •• “såµkhyaµ kapilamuninå proktaµ saµsåravimuktikåraãaµ hi • yatraitå¢ saptatiråryå bhå\yaµ cåtra gauƒapådak®tam” •• etatpavitramagryaµ muniråsuraye ’nukampayå pradadau • åsurirapi pañca©ikhåya tena ca bahudhå k®taµ tantram •• 70 •• ©i\yaparamparayå ’’gatamı©varak®\~ena caitadåryåbhi¢ • saµk\iptamåryamatinå samyagvijñåya siddhåntam •• 71 •• saptatyåµ kila ye ’rthåste ’rthå¢ k®tsnasya \a\†hitantrasya • åkhyåyikåvirahitå paravådavivarjitå©cåpi •• 72 •• samåptå imå¢ sagauƒapådabhå\yå¢ såµkhyakårikå¢ ••
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_________________________________________________ Finito di stampare nel mese di Aprile 2016 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA Via Poggio Mirteto, 4 – 02100 Rieti