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Italian Pages 106 Year 1977
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FRANCA
CASTAGNINO
RICERCHE NON SCIENTIFICHE SU SÒREN KIERKEGAARD
C ADMO EDITORE
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OPUSCOLI FILOSOFICI a cura di Antimo Negri
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© 1977 Cadmo editore s.r.l. largo dell'Olgiata 15 00123 Roma
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FRANCA CASTAGNINO
RICERCHE NON SCIENTIFICHE SU SÒREN KIERKEGAARD
Prefazione diAntimo Negri
CADMO EDITORE
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PREFAZIONE Ho dovuto vincere la resistenza di Franca Castagnino perché figurasse in copertina il nome di lei come dell'autrice di questo lavoro. La Castagnino non si sente autrice, bensì edi trice di queste Ricerche: dette, nel titolo originale da lei fornito e conservato, dopo la mia premessa, al di fuori di ogni convenzione editoriale, «non scientifiche», nel ricordo evidente di una fondamentale opera di Kierkegaard: la Postilla con clusiva nonscientifica alle «Briciole di filosofia». Perché se ne sente editrice e non autrice? Perché, ritengo, è, ormai, al di là di ogni boria dei dotti, di ogni concessione all'erudiziene di tipo accademico. D'altra parte, ha letto troppo i classici e la Bibbia, troppo Kierkegaard e soprattutto troppo Hamann, per non concedersi questa che non è una civetteria bensì una scelta contro l'esercizio storiografico alessandrino. E, in tutto ciò, agisce già il sentimento profondo che la «sfortuna di Kierkegaard» è proprio quella di essere stato, particolarmente in Italia, assoggettato ad un tale esercizio. Devo ricordare che la stessa Castagnino ha svolto, qualche anno f a , questo esercizio. Accenno a Gli studi italiani su Kierkegaard. 19061966 (Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1972), allestito per conto del Centro di ricerche della storiografia filosofica. Un buon lavoro; uno dei tanti buoni lavori con i quali si esibisce orgogliosamente I'«anche io san pittore!» in filosofia e, quasi certamente, si fa carriera universitaria. Ma che cosa, ora, pensa la Castagnino di questo suo lavoro? Uscita fuori dell'officina della gente di mestiere, trova che è una delle «tante opere mute che disperdono il senso di ogni comunicazione» (p. 17): una «composizione seria» (p. 17) anche, se si vuole, ma assolutamente incapace di «comunicare». Aggiunge la Castagnino: «Si rende necessario un travestimento comico di una composizione seria»; e, in nota: «Loderanno questa ma leggeranno quello». C'è dell'autocritica feroce in quello che qui si dice; ma l'autocritica è, contemporaneamente, critica sferzante nei confronti di quanti hanno costruito, da critici e da storici della filosofia, il grande monumento della «sfortuna di Kierkegaard». No, cara Castagnino! Anche io sono un povero uomo di mestiere della filosofia, costretto a vivere i giorni più miserabili del lavoro intellettuale diviso, in un luogo accademico
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che fu il paradiso c?e//'Antikierkegaard per eccellenza (Hegel) e la dimora rifiutata di un fratello spirituale di Kierkegaard (Nietzsche); e, tuttavia, non Le farò assolutamente il torto di leggere la sua «composizione seria» e di non lodare il «travestimento comico» di essa. Il segno di questa mia disponibilità lo trovi proprio nel calore con il quale sono state accolte in questa collana che non becca un quattrino dal CNR le Sue Ricerche nonscientifiche, di cui si avverte tutta l'energia appassionatamente polemica nei confronti di una «serietà scientifica» con la quale si costruiscono muraglie contro l'intendimento di una «comunicazione». Cercherò, ora, di spiegare un poco allettare ciò che è finito col restare ancora implicito in ciò che finora ha detto. All'inizio dell'ultima parte del suo lavoro, la Castagnino cita I Re, X, 6-7. Vale la pena leggere: «È dunque vero quello che avevo sentito dire nel mio Paese di te e della tua sapienza! Non volevo credere a chi me ne parlava, prima di essere venuta a vedere con i miei stessi occhi. Ma ora conosco che non me ne avevano annunciata neppure la metà: la tua sapienza, le tue opere sorpassano la fama che avevo udito». La citazione può essere utilizzata per comprendere il gesto originale (anche stilisticamente tale) della lettura di Kierkegaard qui proposta dalla Castagnino. La quale è passata, per così dire, attraverso l'inferno ed il purgatorio del «sentito dire», di quel «sentito dire» particolarmente di casa nostra di cui si da conto ne Gli studi italiani su Kierkegaard ricordati. La «sapienza» e le «opere» di Kierkegaard «sorpassano la fama», il «sentito dire» documentato nel dotto lavoro bibliografico cui la Castagnino mostra di non credere più. Nessun momento di questa «fama» o di questo «sentito dire» le ha permesso di guadagnare il volto vero di Kierkegaard. Spiega, in via di conclusione, la Castagnino: «Per comprendere che cosa ha detto Kierkegaard, basta non dichiarare abrogato uno iota o un omicron della Legge e riconoscere con amore l'eternità della Parola. Per comprendere che cosa è stato detto su Kierkegaard, bisogna non perdere tempo e diventare eruditi per comprendere una complessata letteratura europea. Per comprendere che cosa è stato detto in realtà di Kierkegaard, basta interessarsi in piccola misura della letteratura italiana che ha discusso sugli argomenti kierkegaardiani messi in luce dalla cultura europea. Si può obiettare a ragione che gli studi italiani sono una cosa meschina. Ma proprio per questo loro carattere possono essere significativi. La comprensione comica è sempre la conclusiva. Plauto insegna infatti che soltanto nell'ultimo atto la com-
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media giunge al paradosso e non resta altro da dire che la verità» (p. 103}. E, leggendo, non si spiega soltanto il «travestimento comico» di una «composizione seria» di cui si parlava; si comprende soprattutto il senso della stessa «comprensione comica» tentata in questo libro senza farsi più distrarre minimamente dalla «serietà scientifica» della letteratura critica kierkegaardiana che ha impedito ed impedisce di andare a vedere con ipropri occhi Kierkegaard e la sua «sapienza». Deve essere, allora, precisato il senso della citazione da I Re, X, 6-7. «Non volevo credere a chi me ne parlava, prima di essere venuta a vedere con i miei stessi occhi». La Castagnino non ha voluto più credere alla letteratura critica su Kierkegaard. «prima di essere venuta a vedere con i suoi stessi occhi». Quando «è venuta a vedere con i suoi stessi occhi», si è accorta di tutta la manchevolezza, se non di tutta la menzogna, di quella letteratura. Ho tentato di illustrare altrove (Storia della filo sofia ed attività storiografica, Roma, Armando, 1972, soprattutto ultimo capitolo, pp. 181-segg. ) la carica anticonformistica e liberatoria dell 'autopsia storiografica; e di tale autopsia scorgo, ora, uno degli esempi più suggestivi in queste Ricer che non scientifiche della Castagnino. Sono ricerche che continueranno a tenerla fuori dall'ambiente dei dotti schifati da Nietzsche, ma proprio per questo a mantenerla fedele ad una testimonianza umana e cristiana, lontana dai sentieri battuti dagli storici di professione e dai kierkegaardisti accecati dalla presunzione dello specialismo erudito, lungo i quali si sciupa scientificamente e politicamente la sapienza di Kierkegaard. A questo punto, si chiarisce fino in fondo la «non-scientificità» di questo studio. La Castagnino, liberatasi da tutte le pastoie di una letteratura praticamente attuale su Kierkegaard, può accostarglisi nel modo più congeniale. Conviene ancora leggere direttamente: « 'Politica e scienza sono due false vie per il Cristianesimo'. Con quest'espressione Kierkegaard intendeva dire che il Cristianesimo non deve sen'irsi della scienza e della politica, perché la Verità non entra nel mondo trionfalmente», (p. 53). Sapienza cristiana o addirittura biblica, quella di Kierkegaard è sapienza nonscientifica ed impolitica. Sono indotto, nell'occasione, a ricordare ancora una volta il plotiniano Non si guarda nel sole senza avere gli occhi solari; voglio dire, in altri termini, che non è possibile accostarsi scientificamente (tanto per scrivere un libro con l'attitudine dello storico della filosofìa come lavoratore intellettuale diviso) e politicamente (indulgendo ai modi e ai tempi del-
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la politica culturale) ad una sapienza nonscientifica ed im politica. La Castagnino non viene a patti su questo punto; e mi ha imposto il suo libro così com 'è: un libro non puhblicabile in una collana scientificamente e politicamente seria. Ma non è, poi, proprio per questo che io l'ho accolto? Devo dire, però, che le Ricerche nonscientifiche della Castagnino meritavano tutta la mia attenzione di uomo di cultura attento a non isterilire l'attività storiografica in un mestiere che uccide, facendolo inerte e parziale, il suo oggetto di indagine. Stavolta, l'oggetto di indagine è la sapienza di cui si è detto, di un filosofo irriducibile, in forza del suo immenso e complesso amore per la Verità (con la lettera maiuscola', proprio come vuole la Castagnino), aliunidimensionalità dì un pensatore più o meno ufficialmente (cioè, ancora una fólta, scientificamente e politicamente) tale. Ricorda la Castagnino che «nella Postilla, Kierkegaard compiangeva Hamann perché era stato ridotto ad. un paragrafo della Storia della Filosofìa da Michelet» (p. 54). Ad un siffatto paragrafo non viene ridotto, qui. Kierkegaard. Bene! Non poteva e non doveva essere ridotto ad un siffatto paragrafo. La ragione posso addurla con la stessa Castagnino: « 'Quel singolo ', che nel segreto ha amato Dio e si è consumato di zelo per lui, per poco non fu un poeta, per poco non fu un filosofo, per poco non fu un teologo; ma, nella terra divisa fra queste tribù, non c'è porzione per chi ha la sua eredità nella sapienza del cuore e serve nessun altro dio fuorché Uno solo» (p. 94). La Castagnino mira a cogliere il tutto e non la parte: /'eredità di Kierkegaard non è riducibile a quella di un filosofo=filosofo, di un poetapoeta, di un teologo= teologo. È riducibile così - vorrei aggiungere - solo per chi abita «nella terra divisa fra queste tribù»: ed in questa terra abitano anche coloro che riducono Kierkegaard ad un paragrafo della storia della filosofia: gente scientifica e politica. In quanto alla Castagnino. vuole uscirne fuori; anzi, ne è fuori. Dice di Kierkegaard: «Non scrisse per ricevere onore e guadagno perché la verità non è utilità, scrisse per essere utile agii altri; e se scrisse col cuore angosciato non fu per rattristarci» (p. 94). Potrei dire della Castagnino: «Non pubblicò ecc ». Giudichi, ora, il lettore, la sincerità e il valore di questo libro così diverso su Kierkegaard. Antifemministicamente concludo: è il libro uscito dalla testa di una donna speculativamente meridionale, anzi «calavrese». Antimo Negri
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UN DONO DIMINER VA UN VOLTO UMANO Ricerche non scientifiche sulla sfortuna di Sören Kierkegaard raccolte da Ruth e Balkis edite da Franca Castagnino
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AQ ! Tu hai distinto perché sei Sapienza. Essi confusero per uguagliarti. E separò: la luce dalle tenebre le acque dalle acque le acque dall'asciutto le erbe e le piante secondo la loro specie gli alberi che danno frutto secondo la loro specie e che hanno in sé la loro semenza la luce del giorno dalle luci della notte gli esseri viventi del cielo secondo la loro specie gli animali della terra secondo la loro specie. Tu hai distinto perché sei Sapienza. E tutto — era molto buono. Essi confusero per uguagliarti. E si servirono di mattoni in vece di pietre, di bitume in luogo di calce e costruirono un segno di unione per sé e la loro concor dia fu nel volere il male. AQ ! Tu hai unito con Amore perché sei la Vita. Essi hanno separato per uguagliarti e hanno covato l'odio e genera to la morte. Il Padre è stato negato, il Figlio crocifisso, lo Spirito del la Sapienza bestemmiato: Ecce homo!
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«Or dunque, ordina che si raduni davanti a me, sul monte Carmelo, tutto Israele, insieme ai quattrocen tocinquanta profeti della dea Ascera, che mangiano alla tavola di Gezabele» I Re, 18, 19.
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AD U N A MICO SENZA A MICI Habe ich meine Ubertretungen nach Menschenweise zugedeckt, daft ich heimlich meine Missetat verbag? Habe ich mir grauen lassen vor der groften Menge und hat die Vera chtung der Freundschaften mich abgeschreckt, daft ich stille blieb und nicht zur Tur ausging? Giobbe, 31,3334
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Sqfocle, Antigone, 523. No. Amico, la libertà è nella Verità perché la Verità è lo Spirito della libertà; la menzogna è sintomo di schiavitù. Per la diplomazia politica, ci sono situazioni che è opportuno ignora re, documenti che si possono alterare, giudizi che è necessario tacere. Quando si rende testimonianza alla Verità, l'opportu nità è una regola della malizia, l'arbitrio è figlio della follia e il silenzio è un fenomeno dell'aridità e dello squallore della Mor te, perché la Parola è il Corpo della Vita e lo spirito muto non è forma infinitamente eloquente di una comunicazione profonda ed arcana: è presenza del Nulla. Come si definisce il principio divino della Sapienza? «Non puoi comprendere la Sapienza di Dio, perché non ha origine dalla natura umana». In questo giudizio non è nascosto un sottile nonsenso. Non si può chiudere il vento nel proprio pu gno o mettere un bavaglio al tuono nella tempesta. Non è pos sibile costringere lo Spirito della Verità, metterlo alle strette, come se fosse un uomo, e imporgli le proprie decisioni. Nessun ricercatore, fosse anche il più abile, che ha scrutato con la sua intelligenza le vie della Sapienza (Baruc, 3, 31), può competere con Lei per insegnarLe il modo di comportarsi. Sotto lo stesso cielo si verificano fenomeni opposti e a nessuno è concesso di mutare i decreti perpetui: se c'è il giorno non è notte, se c'è la notte non è giorno; quando vola l'aquila di Giove si nasconde la nottola di Minerva. Non possiamo nulla con la nostra follia. Noi siamo polvere di una stella spenta e diveniamo luce attra verso la P a s s i o n e dell'Amore. Svegliati. Il Dio dell'Amo re scioglierà le tue catene. Alla voce di una Sirena che dice la Verità, non riempire di cera i tuoi orecchi: non ti darà al freddo della notte, nelle mani di chi ti vuole morto. E se avvertirai un'armonia nel suo canto, non legarti all'albero maestro per ascoltare con curiosità. Non c'è nulla di nuovo da dire, la Sapienza è l'Antico dei giorni. Quale ingiustizia hai trovato in Dio per allontanarti da Lui e barattarlo con idoli impotenti, per gloriarti di essere anno ver rato tra coloro che discendono mell'abisso? Tu corri a piede nudo per terre aride e scoscese e non si calma il tuo ardore. Hai sete ma non di acqua, hai fame ma non di pane e le carrube dei
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porci non saziano il tuo ventre, sicché per te è sempre giorno di amarezza. Tutte le stelle del cielo non bastano per colmare un cuore che è vuoto perché non fa la volontà di Dio. Non hai vo luto arrossire, così il ribelle ti è sembrato più giusto dell'infe dele, ma gli dei stranieri ai quali presti servizio sono un tranello per la tua vita e tutta la potenza dei maghi del nostro secolo scientifico non servirà a guarirti dal morso velenoso del ser pente. All'uomo è concesso di darsi la morte e non la vita, sol tanto la Parola di Dio può comandare all'una e all'altra (Sapienza, 16, 1314). Ma poiché il s e m e i r r e p r e n s i b i l e , libero da ogni stirpe di oppressori, è stato ugualmente distribuito sulle zolle della terra, lo spirito di un servo del Si gnore non sa dubitare della Sua misericordia. Siamo così mise re creature, che, spesso, troviamo nella nostra stessa insuffi cienza una ragione sufficiente per essere grati al Padre. Ma la potenza viene a noi dal divino, come nell'acqua della vasca, detta in ebraico Betesdà. E spesso si serve degli elementi più poveri della nostra natura per operare il miracolo. Una volta, impastò della terra con la Sua saliva e fece un collirio per il cie co nato. Nel deserto della tua schiavitù, fissa lo sguardo sul Serpente di Mosè (Numeri, 21, 45) e non temere. Nel sole del l'eternità, una lacrima d'amore non ha la fragilità di una stilla di rugiada. «Fino alla gelosia Iddio ama l'anima che fece abi tare in te» (Giacomo, 4, 5). Non è necessario farsi violenza per accettare l'evidenza dei principi semplici della vita e ragionare con mente equilibrata. C'è una sapienza terrena fatta di invidia e di disordini e c'è una sapienza che viene dall'alto, feconda di buoni frutti; d'altra parte il buon senso non si accorda con la vanità, perché la ra gione aiuta ad amare la Verità e a scartare le opinioni erronee, né il lume dell'intelletto procede di pari passo con la presun zione, perché la Verità non è raggiungibile oggettivamente ma è data da PARACLETO. Col Cristianesimo anche i Gentili hanno conosciuto il mo do di un'indagine diretta a rintracciare la Verità oltre le apparenze e hanno appreso che io spirito della ricerca è nella disposizione dell'animo, la sofia è nel timore di Dio, l'intelli genza nell'evitare il male. Ma, poiché un Dio Crocifisso non va a genio allo spirito del mondo, non può essere Dio. E tutti quelli che si vergognano della Verità, si creano immagini false per abbandonare la retta via. Ogni professione di vera religione è presa per superstizione e relegata nell'«oscurantismo» me
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dievale, il culto è ridotto a una farsa e, per il trionfo, non si è trovato veicolo più sicuro della nonpartecipazione. I critici moderni hanno sperimentato, i critici contemporanei hanno brevettato la validità scientifica del giudizio politico o ipocriti co del governatore romano della Giudea. Crocifiggere la Verità o infischiarsene comodamente è ciò che più importa, si abbia no le mani lavate o sporche. Il culto di Scientifico impone, co me condizione per la sapienza, di essere àSid^opov . Seguimi nel discorso, sarò più chiara adoperando il tuo linguaggio. Il processo di autoaffermazione della sapienza del secolo nei confronti della Verità, assomiglia al comportamento di Lady Macbeth che, con il suo continuo lavarsi le mani, mani festa, fra gli altri artifici di difesa della propria coscienza, la volontà di annullare l'omicidio commesso. Ma il processo non va poi così lontano come si potrebbe credere, ciò che allo spiri to del mondo interessa è di sopprimere totalmente la Verità. Così il Principe del mondo si è servito delle antinomie della fi losofia, regolando nel tempo l'intensità e la durata della loro azione, come il professor Cerletti si è servito degli elettrodi per provocare, mediante il passaggio di correnti elettriche continue attraverso il cervello dei suoi pazienti, eccessi convulsi di tipo epilettico. Non gli è bastato descrivere il Cristianesimo come una forma di psicosi maniacodepressiva e l'ascetica come e spressione di malinconia evolutiva con effetti sintomatici di schizofrenia, il Principe di questo mondo ha anche trovato il metodo di cura per eliminare un ricordo storico insopportabile, regolando dall'inconscio la condotta umana con un vero e pro prio arresto della memoria, finché l'intero avvenimento non fosse stato completamente spazzato via da ogni mente. I sog getti sottoposti al trattamento hanno preso infatti non soltanto ad evitare di nominare il Cristo, ma addirittura non riescono a pensarlo. Questa terapia ha indotto il necessario effetto di eva sione dal conflitto, che deriva da due visioni incompatibili del l'io in una delle quali il soggetto è ostile, mentre nell'altra è uno spirito nobile. Nella ricostruzione della propria immagine il soggetto lascia che la seconda visione scacci la prima e l'ostili tà, che permane in lui, viene proiettata come critica distruttiva su quelli che odia. Cambiando la scena in modo da attribuire agli altri la meschinità e l'ostinazione che egli possiede oltre mi sura, riesce ad evadere dal conflitto personale e vive l'allucina zione tranquilla e placida di chi descrive i mali del mondo come se non lo riguardassero, mentre si crede di essere Dio. Questa
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forma di psicopatia non si differenzia molto dalle altre appa rentemente più terrificanti in quanto è implicata in molti casi di delirio di persecuzione. Quando si incontrano, ad esempio, studiosi interessati ad uno stesso campo di indagine, ciascuno crede che l'altro cerchi di defraudarlo, perché ciascuno nutre per suo conto profonda ostilità; e, in quanto si assomigliano, si scelgono l'uno come persecutore dell'altro, incapaci come sono di riconoscere le proprie colpe. Ma poiché «nessuno ha amore più grande di Colui che sa crifica la propria vita per i suoi amici» (Giovanni 15, 13), spes so, nella storia del pensiero, è data l'occasione di assistere alla rivelazione di un talento creativo nelle cui parole si sente la vo ce del vento che spira dove vuole, ma non si sa né donde venga, né dove vada (Giovanni 3, 8). Allora, se non si vive ai margini dell'esistenza come «piccoli uomini» che vogliono apparire grandi con l'attribuire a se stessi le caratteristiche proprie del l'altro, ancora una volta si diviene direttamente o indiretta mente consapevoli di essere deficienti e di essere oppressi da un sentimento di colpa. E non c'è altro modo di uscire da questa situazione penosa: o riconoscersi debitori insolventi di fronte a Dio (Luca 7, 4143), o tornare ad un livello precedente di adat tamento, nell'espressione infantile della storia del pensiero umano, in uno stato di «regressione ipnotica». Ma il Signore ha un disegno e lo compie. Il destino della sapienza di questo mondo è simile alla tragedia di un vecchio adultero e privo di senno: agisce nell'ombra e andrà nelle tene bre. E questi Boni, seminatori di ingiustizia e di lotta, che hanno per legge l'invidia e il contrasto, e che formano una lun ga e numerosa catena, perché la morte impedisce loro di essere duraturi, si distruggono a vicenda per la loro insipienza. E non ottengono la perfezione mediante il divenire. Sono i corruttori e non i ricercatori della Verità; una masnada di libertini che non si sono cibati di scienza né di sapienza; ladri constretti a rubare per la penuria di pane nei loro banchetti. E poiché non hanno armi per combattere contro il Padrone della Torre, si servono della pelle di capra per apparire invulnerabili come Santi gloriosi, e si fanno potenti per il timore che incute ai loro nemici il volto terrifico della Gorgone, impresso sul dorso del loro mantello. Quale rapporto si può allora stabilire tra un ladro e un guardiano della Verità, tra una mummia e un profeta del l'Amore? Il servo del vero Dio non è un seguace filosofico e non dipende da nessuno; il suo giudizio, come il suo pensiero,
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non ha padre e non ha madre nel sangue e nella carne, è senza antenati, se ne ignora la provenienza e però rimane in eterno. La Verità ha in sé la ragione della sua esistenza e non ha biso gno di contraddire il falso per affermarsi; è la menzogna che per esistere ha bisogno del termine da negare, come l'ombra che per esserci necessita del corpo. E Iddio ha previsto il bene che può ricavare da un simile male che porta danni peggiori della morte. Nella terra della dea che tu onori e che unisce nel suo nome dottrine diverse e straniere, dove ogni giorno si seminano frutti incapaci di dare alimento e che non giovano a coloro che ad es si si affidano, si offrono molte felici contingenze, per conclu dere sull'efficacia del duplice servizio reso alla Divinità. Ma il silenzio, che impedisce di ragionare, non fa cogliere il signifi cato di queste evenienze e pertanto si rende necessario un tra vestimento comico di una composizione seria l . Colgo l'occa sione da una di queste opere mute che disperdono il senso di ogni comunicazione2, per radunare di fronte a te i tuoi alleati, quelli dei quali ti fidi, quelli che odi, quelli che ami e quelli di cui non ti importa niente. Giudica tu stesso. Chi dice di più, chi nascondendosi in un angolo afferma: «Qui è Dio», o l'ultimo, che, riparandosi al sicuro, dal punto più alto grida: «Io sono un uomo»? Poiché secondo la sapienza umana, l'unità e la giustizia si esprimono con un giudizio, è possibile individuare nell'arte di uno scrittore, come afferma Hamann in qualche luogo, molte azioni dal significato teatrale. Nomina sunt odiosa. Ciò che il tuo delicato odorato avvertirà fastidioso, e il tuo raffinato gusto troverà sgradito, la luce del tuo senno giudi cherà indiscutibile e la virtù del tuo cuore riscontrerà efficace, se permetterai agli elementi veramente umani della tua natura di prendere le difese del giusto. Non è un'apologià di Kierkegaard. Ogni apologià è sem pre alieni ingenti. Al pari di chi vendemmia ho riempito il mio tino per bere in abbondanza e celebrare sulla dolcezza dell'arpa, senza
(1) Loderanno questa ma leggeranno quello. (2) F. Castagnino, Gli studi italiani su Kierkegaard 1906-1966, edizioni del l'Ateneo, 1972.
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umane reticenze 3, le lodi del mio Signore che, con la sua po tenza, desterà l'aurora. Prendi anche tu la coppa mai vuota di vino drogato con l'«oppio dei popoli», stipula una volta per sempre un atto di divorzio con le fornicazioni, cingi il diadema della Grazia e se gui la luce dell'alba che cresce fino a giorno perfetto. Questo richiamo non è, come ti può sembrare, effetto di esaltazione o di entusiasmo, ma un invito consapevole a sop portare l'ignominia di chi offre un sacrificio di lode al vero Dio, che rende atto alle sole opere infinite. E non usare il metro del sapiente del secolo per giudicare un atto di testimonianza, crederesti sia un frutto della supersti zione. La Redenzione non è una proposta stimolante di un gio co d'azzardo e il discorso sull'aldilà non si formula nei termini di una scommessa, come se il Cristianesimo fosse uno scherzo da prete. È passato come un estraneo sulla terra e come un vian dante vi ha soggiornato solo una notte: era veramente il Figlio di Dio. Fossi anche certa della mia dannazione, continuerei a gridarlo pur nella disperazione. Hai ancora bisogno di prove? Interroga la tua scienza, troverai mille dottrine contro una sola Verità. Ma sei libero di restare o di tornare. La legge dell'Amore è la libertà; e non c'è gioia più grande del pensiero che non sei tu che chiedi la felicità, ma è la felicità che chiama te. È v i c i n o a t e C o l u i c h e c e r c h i c o n l e p a r o l e d e l l a t u a b o c c a . Se vuoi restare scegli pure il migliore dei figli della tua dea, collocalo sul trono e combatti per la sua causa, ma non ti sal verà. Se vuoi tornare prendi la tua falce, arroventala, battila col martello, fanne una spada e spuntala: il soldato della Vita non è l'angelo della Morte. Guarda. Partono gli ospiti benefattori: i sodomiti non li ricevono, gli Egiziani li tengono prigionieri; raccogli le tue co se. Andiamo, è giunto il nostro esodo. Il mio nome significa Libera e Vera. Io sono Redenta. (3) «Wir mòchten gern dem Kritikus gefallen: Nur nicht dem Kritikus vor al len. Warum? Dem Kritikus vor allen wird auch kein Sinngedicht gefallen» (Lessing, Sinngedichte, Ebendieselberì). E non voglio portare riguardo ad al cuno, né lodare la persona di nessuno, in quanto non so quando d'un subito, mi toglierebbe di mezzo il mio Fattore (Elia, in Giobbe, 32, 2122).
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A MINERVA PALLADE ATENA
Natura abhorret vacuum (Rabelais, Gargantua, 1533,1, 5)
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