Ricerche non scientifiche su Sören Kierkegaard


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Ricerche non scientifiche su Sören Kierkegaard

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FRANCA

CASTAGNINO

RICERCHE NON SCIENTIFICHE SU SÒREN KIERKEGAARD

C ADMO EDITORE

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OPUSCOLI FILOSOFICI a cura di Antimo Negri

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©  1977 Cadmo editore s.r.l. largo dell'Olgiata 15 00123 Roma

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FRANCA  CASTAGNINO

RICERCHE NON  SCIENTIFICHE SU SÒREN KIERKEGAARD

Prefazione diAntimo Negri

CADMO  EDITORE

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PREFAZIONE Ho dovuto vincere la resistenza di Franca Castagnino perché figurasse in copertina il nome di lei come dell'autrice di questo lavoro. La Castagnino non si sente  autrice, bensì  edi­ trice di queste  Ricerche: dette, nel titolo originale da lei fornito e conservato, dopo la mia premessa, al di fuori di ogni convenzione editoriale, «non scientifiche», nel ricordo evidente di una fondamentale opera di Kierkegaard: la  Postilla  con­ clusiva non­scientifica alle  «Briciole di filosofia». Perché se ne sente editrice e non autrice? Perché, ritengo, è, ormai, al di là di ogni boria  dei  dotti, di ogni concessione all'erudiziene di tipo accademico. D'altra parte, ha letto troppo i classici e la Bibbia, troppo Kierkegaard e soprattutto troppo Hamann, per non concedersi questa che non è una civetteria bensì una scelta contro l'esercizio storiografico alessandrino. E, in tutto ciò, agisce già il sentimento profondo che la «sfortuna di Kierkegaard» è proprio quella di essere stato, particolarmente in Italia, assoggettato ad un tale esercizio. Devo ricordare che la stessa Castagnino ha svolto, qualche anno f a , questo esercizio. Accenno a  Gli  studi  italiani  su Kierkegaard.  1906­1966 (Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1972), allestito per conto del Centro di ricerche della storiografia filosofica. Un buon lavoro; uno dei tanti buoni lavori con i quali si esibisce orgogliosamente I'«anche io san pittore!» in filosofia e, quasi certamente, si fa carriera universitaria. Ma che cosa, ora, pensa la Castagnino di questo suo lavoro? Uscita fuori dell'officina della gente di mestiere, trova che è una delle «tante opere mute che disperdono il senso di ogni comunicazione» (p. 17): una «composizione seria» (p. 17) anche, se si vuole, ma assolutamente incapace di «comunicare». Aggiunge la Castagnino: «Si rende necessario un travestimento comico di una composizione seria»; e, in nota: «Loderanno questa ma leggeranno quello». C'è dell'autocritica feroce in quello che qui si dice; ma l'autocritica è, contemporaneamente, critica sferzante nei confronti di quanti hanno costruito, da critici e da storici della filosofia, il grande monumento della «sfortuna di Kierkegaard». No, cara Castagnino! Anche io sono un povero uomo di mestiere della filosofia, costretto a vivere i giorni più miserabili del lavoro intellettuale diviso, in un luogo accademico

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che fu il paradiso  c?e//'Antikierkegaard per eccellenza (Hegel) e la dimora rifiutata di un fratello spirituale di Kierkegaard (Nietzsche); e, tuttavia, non Le farò assolutamente il torto di leggere la sua «composizione seria» e di non lodare il «travestimento comico» di essa. Il segno di questa mia disponibilità lo trovi proprio nel calore con il quale sono state accolte in questa collana che non becca un quattrino dal CNR le Sue Ricerche  non­scientifiche, di cui si avverte tutta l'energia appassionatamente polemica nei confronti di una «serietà scientifica» con la quale si costruiscono muraglie contro l'intendimento di una «comunicazione». Cercherò, ora, di spiegare un poco allettare ciò che è finito col restare ancora implicito in ciò che finora ha detto. All'inizio dell'ultima parte del suo lavoro, la Castagnino cita I Re, X, 6-7. Vale la pena leggere: «È dunque vero quello che avevo sentito dire nel mio Paese di te e della tua sapienza! Non volevo credere a chi me ne parlava, prima di essere venuta a vedere con i miei stessi occhi. Ma ora conosco che non me ne avevano annunciata neppure la metà: la tua sapienza, le tue opere sorpassano la fama che avevo udito». La citazione può essere utilizzata per comprendere il gesto originale (anche stilisticamente tale) della lettura di Kierkegaard qui proposta dalla Castagnino. La quale è passata, per così dire, attraverso l'inferno ed il purgatorio del «sentito dire», di quel «sentito dire» particolarmente di casa nostra di cui si da conto ne  Gli studi  italiani  su  Kierkegaard ricordati. La «sapienza» e le «opere» di Kierkegaard «sorpassano la fama», il «sentito dire» documentato nel dotto lavoro bibliografico cui la Castagnino mostra di non credere più. Nessun momento di questa «fama» o di questo «sentito dire» le ha permesso di guadagnare il volto vero di Kierkegaard. Spiega, in via di conclusione, la Castagnino: «Per comprendere che cosa ha detto Kierkegaard, basta non dichiarare abrogato uno iota o un omicron della Legge e riconoscere con amore l'eternità della Parola. Per comprendere che cosa è stato detto su Kierkegaard, bisogna non perdere tempo e diventare eruditi per comprendere una complessata letteratura europea. Per comprendere che cosa è stato detto in realtà di Kierkegaard, basta interessarsi in piccola misura della letteratura italiana che ha discusso sugli argomenti kierkegaardiani messi in luce dalla cultura europea. Si può obiettare a ragione che gli studi italiani sono una cosa meschina. Ma proprio per questo loro carattere possono essere significativi. La comprensione comica è sempre la conclusiva. Plauto insegna infatti che soltanto nell'ultimo atto la com-

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media giunge al paradosso e non resta altro da dire che la verità» (p. 103}. E, leggendo, non si spiega soltanto il «travestimento comico» di una «composizione seria» di cui si parlava; si comprende soprattutto il senso della stessa «comprensione comica» tentata in questo libro senza farsi più distrarre minimamente dalla «serietà scientifica» della letteratura critica kierkegaardiana che ha impedito ed impedisce di andare a vedere con ipropri occhi Kierkegaard e la sua «sapienza». Deve essere, allora, precisato il senso della citazione da I Re, X, 6-7. «Non volevo credere a chi me ne parlava, prima di essere venuta a vedere con i miei stessi occhi». La Castagnino non ha voluto più credere alla letteratura critica su Kierkegaard. «prima di essere venuta a vedere con i suoi stessi occhi». Quando «è venuta a vedere con i suoi stessi occhi», si è accorta di tutta la manchevolezza, se non di tutta la menzogna, di quella letteratura. Ho tentato di illustrare altrove  (Storia  della filo­ sofia ed attività storiografica, Roma, Armando, 1972, soprattutto ultimo capitolo, pp. 181-segg. ) la carica anticonformistica e liberatoria dell 'autopsia storiografica; e di tale autopsia scorgo, ora, uno degli esempi più suggestivi in queste  Ricer­ che non scientifiche della Castagnino. Sono ricerche che continueranno a tenerla fuori dall'ambiente dei dotti schifati da Nietzsche, ma proprio per questo a mantenerla fedele ad una testimonianza umana e cristiana, lontana dai sentieri battuti dagli storici di professione e dai kierkegaardisti accecati dalla presunzione dello specialismo erudito, lungo i quali si sciupa scientificamente e  politicamente la  sapienza di Kierkegaard. A questo punto, si chiarisce fino in fondo la «non-scientificità» di questo studio. La Castagnino, liberatasi da tutte le pastoie di una letteratura praticamente  attuale su Kierkegaard, può accostarglisi nel modo più congeniale. Conviene ancora leggere direttamente: « 'Politica e scienza sono due false vie per il Cristianesimo'. Con quest'espressione Kierkegaard intendeva dire che il Cristianesimo non deve sen'irsi della scienza e della politica, perché la Verità non entra nel mondo trionfalmente», (p. 53). Sapienza cristiana o addirittura biblica, quella di Kierkegaard è sapienza  non­scientifica ed impolitica. Sono indotto, nell'occasione, a ricordare ancora una volta il plotiniano Non si guarda nel sole senza avere gli occhi solari; voglio dire, in altri termini, che non è possibile accostarsi scientificamente (tanto per scrivere un libro con l'attitudine dello storico della filosofìa come lavoratore intellettuale diviso) e  politicamente (indulgendo ai modi e ai tempi del-

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la politica culturale) ad una sapienza  non­scientifica ed  im­ politica. La Castagnino non viene a patti su questo punto; e mi  ha  imposto il suo libro così com 'è: un libro non puhblicabile in una collana  scientificamente  e  politicamente seria. Ma non è, poi, proprio per questo che io l'ho accolto? Devo dire, però, che le Ricerche non­scientifiche della Castagnino meritavano tutta la mia attenzione di uomo di cultura attento a non isterilire l'attività storiografica in un mestiere che  uccide, facendolo inerte e parziale, il suo oggetto di indagine. Stavolta, l'oggetto di indagine è la sapienza di cui si è detto, di un filosofo irriducibile, in forza del suo immenso e complesso amore per la Verità (con la lettera maiuscola', proprio come vuole la Castagnino), aliunidimensionalità dì un pensatore più o meno  ufficialmente (cioè, ancora una fólta, scientificamente e politicamente) tale. Ricorda la Castagnino che «nella  Postilla, Kierkegaard compiangeva Hamann perché era stato ridotto ad. un paragrafo della Storia della Filosofìa da Michelet» (p. 54). Ad un siffatto paragrafo non viene ridotto, qui. Kierkegaard. Bene! Non poteva e non doveva essere ridotto ad un siffatto paragrafo. La ragione posso addurla con la stessa Castagnino: « 'Quel singolo ', che nel segreto ha amato Dio e si è consumato di zelo per lui, per poco non fu un poeta, per poco non fu un filosofo, per poco non fu un teologo; ma, nella terra divisa fra queste tribù, non c'è porzione per chi ha la sua eredità nella sapienza del cuore e serve nessun altro dio fuorché Uno solo» (p. 94). La Castagnino mira a cogliere il tutto e non la parte: /'eredità di Kierkegaard non è riducibile a quella di un filosofo=filosofo, di un poetapoeta, di un teologo= teologo. È riducibile così - vorrei aggiungere - solo per chi abita «nella terra divisa fra queste tribù»: ed in questa terra abitano anche coloro che riducono Kierkegaard ad un paragrafo della storia della filosofia: gente  scientifica e  politica. In quanto alla Castagnino. vuole uscirne fuori; anzi, ne è fuori. Dice di Kierkegaard: «Non scrisse per ricevere onore e guadagno perché la verità non è utilità, scrisse per essere utile agii altri; e se scrisse col cuore angosciato non fu per rattristarci» (p. 94). Potrei dire della Castagnino: «Non  pubblicò ecc ». Giudichi, ora, il lettore, la sincerità e il valore di questo libro così diverso su Kierkegaard. Antifemministicamente concludo: è il libro uscito dalla testa di una donna speculativamente meridionale, anzi «calavrese». Antimo Negri

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UN DONO DIMINER VA UN VOLTO UMANO Ricerche non scientifiche sulla sfortuna di Sören Kierkegaard raccolte da Ruth e Balkis edite da Franca  Castagnino

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A­Q  ! Tu hai distinto perché sei Sapienza.  ­  Essi confusero per uguagliarti. E separò:  la  luce dalle tenebre  ­  le acque  dalle acque ­  le  acque dall'asciutto  ­  le  erbe  e  le  piante  secondo  la  loro  specie  ­  gli alberi che danno frutto secondo la loro specie e che hanno in  sé la loro  semenza  ­ la luce  del giorno dalle  luci  della notte  ­  gli esseri viventi del cielo secondo la loro specie ­ gli  animali  della terra secondo la loro specie. Tu hai distinto perché  sei  Sapienza.  E  ­  tutto  —  era  molto buono. Essi confusero per uguagliarti. E si servirono di mattoni in vece di pietre, di bitume in luogo di calce e costruirono  un segno di  unione per  sé  e  la  loro  concor­ dia fu nel volere il male. A­Q  !  Tu  hai  unito  con  Amore  perché  sei  la  Vita.  ­  Essi hanno separato per uguagliarti e  hanno covato l'odio  e  genera­ to la morte. Il Padre è stato negato, il  Figlio crocifisso,  lo  Spirito del­ la Sapienza bestemmiato: Ecce homo!

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«Or  dunque,  ordina  che  si  raduni davanti  a  me,  sul  monte  Carmelo, tutto  Israele,  insieme  ai  quattrocen­ tocinquanta  profeti  della  dea  Ascera, che  mangiano alla tavola di Gezabele» I Re,  18,  19.

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AD  U N   A MICO   SENZA   A MICI Habe  ich  meine  Ubertretungen  nach Menschenweise  zugedeckt,  daft  ich heimlich  meine  Missetat  verbag? Habe  ich  mir  grauen  lassen  vor  der groften  Menge  und  hat  die  Vera­ chtung  der  Freundschaften  mich abgeschreckt,  daft ich  stille blieb  und nicht zur Tur ausging? Giobbe, 31,33­34

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Sqfocle, Antigone, 523. No. Amico, la libertà è nella Verità perché la Verità è lo Spirito della libertà; la menzogna è sintomo di schiavitù. Per la diplomazia politica, ci sono situazioni che è opportuno ignora­ re, documenti che si possono alterare, giudizi che è necessario tacere.  Quando si rende testimonianza  alla Verità,  l'opportu­ nità è una regola della malizia, l'arbitrio è figlio della follia e il silenzio è un fenomeno dell'aridità e dello squallore della Mor­ te, perché la Parola è il Corpo della Vita e lo spirito muto non è forma infinitamente eloquente di una comunicazione profonda ed arcana:  è presenza del Nulla. Come si definisce il principio divino della Sapienza? «Non puoi  comprendere  la  Sapienza  di  Dio,  perché  non  ha  origine dalla  natura  umana».  In  questo  giudizio  non  è  nascosto  un sottile nonsenso. Non si può chiudere il vento nel proprio pu­ gno o mettere un bavaglio al tuono nella tempesta. Non è pos­ sibile costringere  lo  Spirito  della  Verità,  metterlo  alle  strette, come se fosse un uomo, e imporgli le proprie decisioni. Nessun ricercatore, fosse anche il più abile, che ha scrutato con la sua intelligenza le vie della Sapienza (Baruc, 3, 31), può competere con Lei per insegnarLe il modo di comportarsi. Sotto lo stesso cielo si verificano fenomeni opposti e a nessuno è concesso di mutare i decreti perpetui: se c'è il giorno non è notte,  se c'è la notte non è giorno; quando vola l'aquila di  Giove  si  nasconde la nottola di Minerva. Non possiamo nulla con la nostra follia. Noi siamo polvere di una stella spenta e diveniamo luce attra­ verso la P a s s i o n e dell'Amore.  Svegliati.  Il Dio  dell'Amo­ re  scioglierà le tue catene. Alla voce di una Sirena che dice la Verità, non riempire di cera i tuoi orecchi: non ti darà al freddo della notte, nelle mani di chi ti vuole morto. E se avvertirai un'armonia nel suo canto, non legarti all'albero maestro per  ascoltare con curiosità.  Non c'è  nulla di nuovo da dire,  la Sapienza è l'Antico  dei giorni. Quale ingiustizia hai trovato in Dio per allontanarti da Lui e barattarlo con idoli impotenti, per gloriarti di essere anno ver rato tra coloro che discendono mell'abisso?  Tu  corri  a  piede nudo per terre aride e scoscese e non si calma il tuo ardore.  Hai sete ma non di acqua, hai fame ma non di pane e le carrube dei

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porci non saziano il tuo ventre, sicché per te è sempre giorno di amarezza.  Tutte le stelle del cielo non bastano per colmare  un cuore che è vuoto perché non fa la volontà di Dio. Non hai vo­ luto arrossire,  così il ribelle  ti è sembrato più giusto dell'infe­ dele, ma gli dei stranieri ai quali presti servizio sono un tranello per la tua vita e  tutta  la  potenza  dei  maghi  del  nostro  secolo scientifico  non  servirà  a guarirti  dal morso  velenoso  del  ser­ pente. All'uomo è concesso di darsi la morte e  non  la  vita,  sol­ tanto  la  Parola  di  Dio  può  comandare  all'una  e  all'altra (Sapienza, 16,  13­14). Ma poiché  il s e m e  i r r e p r e n s i ­ b i l e ,  libero da ogni  stirpe di  oppressori,  è stato ugualmente distribuito sulle zolle della terra,  lo spirito di un servo  del  Si­ gnore non sa dubitare della Sua misericordia.  Siamo così mise­ re  creature,  che,  spesso,  troviamo  nella  nostra  stessa  insuffi­ cienza una ragione sufficiente per essere grati  al Padre.  Ma la potenza  viene  a  noi  dal  divino,  come  nell'acqua  della  vasca, detta in  ebraico  Betesdà.  E  spesso  si  serve  degli  elementi  più poveri della nostra natura per  operare  il  miracolo.  Una  volta, impastò della terra con la Sua saliva e fece un collirio per il cie­ co  nato.  Nel  deserto  della  tua  schiavitù,  fissa  lo  sguardo  sul Serpente di Mosè (Numeri, 21, 4­5) e non temere. Nel sole del­ l'eternità,  una lacrima d'amore non ha la fragilità di una stilla di rugiada.  «Fino alla gelosia  Iddio  ama l'anima che  fece abi­ tare in te» (Giacomo, 4, 5). Non è necessario farsi violenza per accettare l'evidenza dei principi semplici della vita e ragionare con mente  equilibrata. C'è una sapienza terrena fatta di invidia e di disordini e c'è una sapienza  che  viene  dall'alto,  feconda  di  buoni  frutti;  d'altra parte il buon senso non si  accorda con la vanità,  perché la ra­ gione aiuta ad amare la Verità e a scartare le opinioni erronee, né il lume dell'intelletto procede  di  pari  passo  con  la  presun­ zione, perché la Verità non è raggiungibile oggettivamente ma è data  da  PARACLETO. Col Cristianesimo anche i Gentili hanno conosciuto il mo­ do  di  un'indagine  diretta  a  rintracciare  la  Verità  oltre  le apparenze e hanno appreso  che io  spirito della  ricerca  è  nella disposizione dell'animo, la sofia è nel timore di  Dio,  l'intelli­ genza nell'evitare il male. Ma, poiché un Dio Crocifisso non va a  genio  allo  spirito  del  mondo,  non  può  essere  Dio.  E  tutti quelli che si vergognano della Verità, si creano immagini false per abbandonare la retta via. Ogni professione di vera religione è  presa  per  superstizione  e  relegata  nell'«oscurantismo»  me­

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dievale, il culto è ridotto a una farsa e, per il trionfo, non si è trovato  veicolo  più  sicuro  della  non­partecipazione.  I  critici moderni  hanno  sperimentato,  i  critici  contemporanei  hanno brevettato la validità scientifica del giudizio politico o ipocriti­ co del governatore romano della Giudea. Crocifiggere la Verità o infischiarsene comodamente è ciò che più importa, si abbia­ no le mani lavate o sporche.  Il culto di Scientifico impone,  co­ me condizione per la sapienza,  di essere àSid^opov . Seguimi nel  discorso,  sarò  più  chiara  adoperando  il  tuo linguaggio. Il processo di autoaffermazione della sapienza del  secolo nei  confronti  della  Verità,  assomiglia  al  comportamento  di Lady Macbeth che, con il suo continuo lavarsi le mani,  mani­ festa,  fra gli altri artifici  di  difesa della propria coscienza,  la volontà di annullare l'omicidio commesso. Ma il processo non va poi così lontano come si potrebbe credere, ciò che allo spiri­ to  del  mondo  interessa  è  di  sopprimere  totalmente  la  Verità. Così il Principe del mondo si è servito delle antinomie della fi­ losofia,  regolando nel tempo l'intensità e la  durata  della  loro azione, come il professor Cerletti si è servito degli elettrodi per provocare, mediante il passaggio di correnti elettriche continue attraverso  il  cervello  dei  suoi  pazienti,  eccessi  convulsi  di  tipo epilettico.  Non gli  è bastato  descrivere il Cristianesimo  come una forma  di  psicosi  maniaco­depressiva e  l'ascetica  come  e­ spressione  di  malinconia  evolutiva  con  effetti  sintomatici  di schizofrenia,  il Principe di questo mondo  ha  anche  trovato  il metodo di cura per eliminare un ricordo storico insopportabile, regolando dall'inconscio la condotta umana con un vero e pro­ prio  arresto  della memoria,  finché  l'intero  avvenimento  non fosse stato completamente spazzato  via da ogni mente.  I  sog­ getti sottoposti al trattamento hanno preso infatti non soltanto ad evitare di  nominare il Cristo,  ma addirittura non riescono a pensarlo. Questa terapia ha indotto il necessario effetto di eva­ sione dal conflitto, che deriva da due visioni incompatibili del­ l'io in una delle quali il soggetto è ostile, mentre nell'altra è uno spirito  nobile.  Nella  ricostruzione  della  propria  immagine  il soggetto  lascia che la  seconda visione  scacci la  prima  e  l'ostili­ tà, che permane in lui, viene proiettata come critica distruttiva su quelli che odia.  Cambiando la scena in modo da attribuire agli altri la meschinità e l'ostinazione che egli possiede oltre mi­ sura, riesce ad evadere dal conflitto personale e vive l'allucina­ zione tranquilla e placida di chi descrive i mali del  mondo come se non lo riguardassero,  mentre si crede di essere Dio.  Questa

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forma  di  psicopatia non  si  differenzia molto  dalle altre  appa­ rentemente più terrificanti in quanto è implicata in molti casi di delirio  di  persecuzione.  Quando  si  incontrano,  ad  esempio, studiosi interessati ad uno stesso campo di indagine,  ciascuno crede che l'altro cerchi di  defraudarlo,  perché ciascuno  nutre per suo conto profonda ostilità; e, in quanto si assomigliano,  si scelgono l'uno come persecutore dell'altro, incapaci come sono di  riconoscere le proprie colpe. Ma poiché «nessuno ha amore più grande di Colui che sa­ crifica la propria vita per i suoi amici» (Giovanni 15,  13), spes­ so,  nella storia del pensiero,  è data l'occasione di  assistere  alla rivelazione di un talento creativo nelle cui parole si sente la vo­ ce del vento che spira dove vuole, ma non si sa né donde venga, né dove vada (Giovanni 3, 8). Allora, se non si vive ai margini dell'esistenza  come  «piccoli  uomini»  che  vogliono  apparire grandi con l'attribuire a se stessi le caratteristiche proprie  del­ l'altro,  ancora  una  volta  si  diviene  direttamente  o  indiretta­ mente consapevoli di essere deficienti e di essere oppressi da un sentimento di colpa.  E non  c'è  altro  modo  di uscire  da questa situazione penosa:  o riconoscersi  debitori  insolventi  di  fronte  a Dio (Luca 7, 41­43), o tornare ad un livello precedente di adat­ tamento,  nell'espressione  infantile  della  storia  del  pensiero umano,  in  uno  stato  di  «regressione ipnotica». Ma il  Signore ha un disegno e lo compie.  Il  destino della sapienza di questo mondo è  simile alla  tragedia di  un  vecchio adultero e privo di senno:  agisce nell'ombra e andrà nelle tene­ bre.  E  questi  Boni,  seminatori  di  ingiustizia  e  di  lotta,  che hanno per legge l'invidia e il contrasto,  e che formano una lun­ ga e numerosa catena,  perché la morte impedisce loro di essere duraturi, si distruggono a vicenda per la loro insipienza. E non ottengono la perfezione mediante il divenire. Sono i corruttori e  non  i  ricercatori  della  Verità;  una  masnada  di  libertini  che non  si  sono cibati di  scienza né di  sapienza;  ladri  constretti  a rubare per la penuria di pane nei loro  banchetti.  E  poiché  non hanno armi per combattere contro il Padrone della Torre,  si servono  della  pelle  di  capra  per  apparire  invulnerabili  come Santi gloriosi, e si fanno potenti per il timore che incute ai loro nemici il volto  terrifico  della Gorgone,  impresso  sul dorso  del loro  mantello. Quale  rapporto  si  può  allora  stabilire  tra  un  ladro  e  un guardiano  della  Verità,  tra  una  mummia  e  un  profeta  del­ l'Amore?  Il  servo  del  vero  Dio  non  è  un  seguace  filosofico  e non dipende da nessuno; il suo giudizio, come il suo pensiero,

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non ha padre e non ha madre nel sangue e nella carne,  è senza antenati,  se ne ignora la provenienza e però rimane in eterno. La Verità ha in sé la ragione della sua esistenza e non ha biso­ gno di contraddire il falso per affermarsi;  è la menzogna che per  esistere  ha  bisogno  del  termine  da  negare,  come  l'ombra che per esserci necessita del corpo. E Iddio ha previsto il bene che può ricavare da un simile male  che porta danni  peggiori  della morte. Nella terra della dea che tu onori e che unisce nel suo nome dottrine diverse e straniere, dove ogni giorno si seminano frutti incapaci di dare alimento e che non giovano a coloro che ad es­ si si affidano, si offrono molte felici contingenze, per conclu­ dere sull'efficacia del duplice servizio reso alla Divinità. Ma il silenzio, che impedisce di ragionare,  non fa cogliere il signifi­ cato di queste evenienze e pertanto si rende necessario un tra­ vestimento comico di una composizione  seria l .  Colgo  l'occa­ sione da una di queste opere mute  che  disperdono  il  senso  di ogni comunicazione2, per radunare di fronte a te i tuoi alleati, quelli dei quali ti fidi, quelli che odi, quelli che ami e quelli di cui non ti importa niente. Giudica tu stesso. Chi dice di più, chi nascondendosi in un angolo afferma:  «Qui è Dio», o l'ultimo, che,  riparandosi  al sicuro,  dal punto  più  alto grida:  «Io  sono un  uomo»? Poiché secondo la sapienza umana, l'unità e la giustizia si esprimono con un giudizio,  è possibile individuare nell'arte di uno scrittore, come afferma Hamann in qualche luogo,  molte azioni dal significato teatrale. Nomina sunt odiosa. Ciò che il tuo delicato odorato avvertirà fastidioso, e il tuo raffinato  gusto  troverà  sgradito,  la  luce  del  tuo  senno  giudi­ cherà indiscutibile e la virtù del tuo cuore riscontrerà efficace, se permetterai agli elementi veramente umani della tua natura di prendere le difese del giusto. Non  è  un'apologià  di  Kierkegaard.  Ogni  apologià è  sem­ pre alieni ingenti. Al pari di chi vendemmia ho riempito il mio tino per bere in  abbondanza  e  celebrare  sulla  dolcezza  dell'arpa,  senza

(1) Loderanno questa ma leggeranno quello. (2)  F.  Castagnino, Gli studi italiani su Kierkegaard 1906-1966,  edizioni  del­ l'Ateneo, 1972.

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umane reticenze 3, le lodi del mio Signore che,  con  la sua po­ tenza,  desterà  l'aurora. Prendi  anche tu la coppa mai vuota  di  vino  drogato  con l'«oppio dei popoli»,  stipula una volta per  sempre  un  atto  di divorzio con le fornicazioni, cingi il diadema della Grazia e se­ gui la luce dell'alba che cresce fino a giorno perfetto. Questo richiamo non è,  come ti può sembrare,  effetto  di esaltazione o di entusiasmo,  ma un invito  consapevole  a  sop­ portare l'ignominia di  chi  offre  un  sacrificio  di  lode  al  vero Dio,  che rende atto alle sole opere infinite. E non usare il metro del sapiente del secolo per giudicare un atto di testimonianza, crederesti sia un frutto della supersti­ zione. La Redenzione non è una proposta stimolante di un gio­ co d'azzardo e il discorso sull'aldilà non si formula nei termini di una scommessa, come se il Cristianesimo fosse uno scherzo da prete. È  passato  come  un  estraneo  sulla  terra  e  come  un  vian­ dante vi ha soggiornato solo una notte: era veramente il Figlio di Dio.  Fossi anche certa della mia dannazione,  continuerei  a gridarlo  pur  nella  disperazione. Hai  ancora  bisogno  di  prove?  Interroga  la  tua  scienza, troverai mille dottrine contro una sola Verità. Ma sei libero di restare o di tornare. La legge dell'Amore è la libertà; e non c'è gioia più grande del pensiero che non sei tu che chiedi la felicità, ma è la felicità che chiama te. È  v i c i ­ n o  a  t e  C o l u i  c h e  c e r c h i  c o n  l e  p a r o l e d e l l a  t u a  b o c c a . Se vuoi restare scegli pure il migliore dei figli della tua dea, collocalo sul trono e combatti per la  sua causa,  ma non ti  sal­ verà. Se vuoi tornare prendi la tua falce, arroventala, battila col martello,  fanne  una  spada e  spuntala:  il  soldato  della  Vita non è l'angelo della Morte. Guarda.  Partono gli  ospiti  benefattori:  i  sodomiti  non  li ricevono, gli Egiziani li tengono prigionieri; raccogli le tue co­ se.  Andiamo,  è giunto il nostro esodo. Il mio nome significa Libera e Vera.  Io sono Redenta. (3)  «Wir mòchten gern dem  Kritikus gefallen:  Nur  nicht  dem  Kritikus  vor  al­ len.  Warum?  Dem  Kritikus  vor  allen  wird  auch  kein  Sinngedicht  gefallen» (Lessing, Sinngedichte, Ebendieselberì).  ­E  non  voglio  portare  riguardo  ad  al­ cuno, né lodare la persona di nessuno, in quanto non so quando d'un subito, mi toglierebbe di mezzo il mio Fattore (Elia, in Giobbe,  32, 21­22).

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A  MINERVA  PALLADE  ATENA

Natura abhorret vacuum (Rabelais, Gargantua,  1533,1, 5)

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πορυνη "CHav  S'ó  Satptwv  àvSpl  xaxà

Tòv  vouv  s'pXa'l's  7rpàyrov  ,£i  àor:ì[jiévo