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Italian Pages 497 [614] Year 2014
«Poiché non esiste città che non sia una comunità e non c'è comunità che non sussista in vista di un certo bene, è indubbio che tutte vanno in cerca di un qualche bene, ma soprattutto lo perseguirà la comunità che, per essere so vrana fra tutte e comprensiva di tutte, cercherà il bene che sovrasta tutti gli altri. Si tratta di quella che noi chiamiamo
�Biblioteche �lRoma E.CC. Valle Aurelia
città o comunità politica.» Le prime righe della Politica di Aristotele testimoniano del suo tentativo di fondare l'ana lisi politica sui valori etici. Tutto il libro è, in effetti, una ri
Inventario n. ·
flessione attenta sulle forme di governo della Grecia clas sica. «Aristotele pensa alla democrazia» sostiene Richard Kraut, «come a un sistema che miri alla libertà, e non so lamente all'uguaglianza», e un aspetto della libertà della quale i democratici devono tener conto consiste nell'equa suddivisione del potere («vale a dire: governare ed essere
ESTITUIRO' QUESTO LIBRO ENTRO I
governati a propria volta»). Ma un altro aspetto è per Ari stotele ancora più interessante: la libertà di vivere la pro pria vita così come uno la sceglie. D'altra parte, nel celebre epitaffio per i morti di Atene nella Guerra del Pelopon neso, il Pericle di Tucidide, lodando la propria città, dice: «Quanto al termine con cui definiamo usualmente questo nostro sistema, esso si chiama demokratzà, ma i diritti di li bertà sono garantiti a tutti, per esempio in tribunale». Go verno del popolo, quindi, ma con diritti aperti anche a chi del popolo non è parte. È una definizione che introduce la parola «con grande circospezione», perché, scrive Luciano Canfora, «Pericle e i suoi ascoltatori sapevano benissimo che, nel linguaggio politico corrente in Atene, demokratzà era una paroìa usata dai nemici del sistema politico demo cratico» con valore decisamente negativo. Da qui, un di battito su pregi e difetti della democrazia che è centrale nel V e nel IV secolo e ancora nel mondo moderno. La Politi ca di Aristotele nasce come «guida completa per capi po litici e per cittadini attivi», ma ben presto il lettore si ac corge che ad Aristotele non interessa una semplice analisi scientifica delle forme di governo, bensì la domanda, già posta nell'Etica Nicomachea: «Qual è il sommo bene per l'uomo?». È appunto di competenza dello studio della po litica affrontare tale problema etico. La democrazia non è, neppure oggi, la forma più diffusa di governo, ed è stata ancora più rara e fragile in passato. La Fondazione Valla dedica alla nuova grande serie della «Democrazia in Grecia» cinque volumi, dei quali questo è il primo. Essa costituirà la più vasta antologia del pen siero greco sulle forme di governo dalle origini all'età elle nistica. Curata dai_maggiori esperti internazionali del cam po, la collezione costituirà un contributo fondamentale alla storia della civiltà politica dell'Occidente.
NON SOTTOLINEARE
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Richard Kraut è professore di «Humanities» alla North western University. Ha studiato l'etica e la politica nel pen siero di Socrate, Platone e Aristotele in Socrates and the State (1984), Aristotle on the Human Good (1989), Arùto tle: Politica! Phzlosophy (2002), How to Read Plato (2008). Ha curato il Cambridge Companion to Plato (1992), Pla to's Republic: Critica! Essays (1997), e la Blackwell Guide to Aristotle's Nicomachean Ethics (2006). Ha esaminato in modo originale il problema del bene in What is Good and Why: T he Ethics o/ Well-Being (2007).
Luciano Canfora è professore emerito dell'Università di Bari. Ha studiato e pubblicato su Tucidide, gli storici del la rivoluzione romana, la democrazia e la guerra civile ate niese, Giulio Cesare; su problemi di storia e storiografia, i modi di conservazione e trasmissione del sapere, cultu ra e storia contemporanea e la sopravvivenza dell'antico. Il suo interesse per i problemi della democrazia è testi moniato fra gli altri da La democrazia. Storia di un'ideolo gia (2004), L'occhio di Zeus. Disavventure della democra zia (2006), La crisi dell'utopia (2014). Trevor J. Saunders è stato professore di greco all'Univer sità di Newcastle upon Tyne. Traduttore e commentato re di Platone e studioso in particolare delle Leggi, il suo libro più celebre è Plato's Pena! Code: Tradition, Contro versy, and Reform in Greek Penology ( l99 l). Richard Robinson ha insegnato alla Cornell University e a Oriel College, Oxford. Ha pubblicato fra l'altro Plato's Earlier Dialectic (195 32), Essays in Greek Philosophy (1969), An Atheist's Values ( l964) e Travellers in Time: Seven Epic Stories o/ Early Exploration (1986). Tristano Gargiulo è ricercatore nel Dipartimento di filo logia, letteratura, linguistica dell'Università di Cagliari. Si è occupato di teatro e lirica greca, e di epicureismo gre co e romano; predilige lo studio di testi papiracei. Per questa collana ha tradotto le Storie di Alessandro Magno
di Curzio Rufo (2 voli., 1998 e 2000), e curato i testi e la traduzione dei primi due volumi del Romanzo di Alessan dro (2007 e 2012). Roberto Radice insegna all'Università Cattolica di Mila no. Ha curato la traduzione della Fisica di Aristotele, della Repubblica di Platone e delle Enneadi di Plotino; è auto
re del Lessico di Platone, di Plotino, di Aristotele, e degli Stoici. Ha studiato il Giudaismo alessandrino, lo Stoici smo e l'allegoria greca del periodo imperiale. In sopracoperta: Ritratto di Aristotele, particolare di una stele funeraria greca Parigi, Louvre/© 2014 White Images/Scala, Firenze
LA DEMOCRAZIA IN GRECIA a cura di Piero Boitani con la revisione generale di Tristano Gargiulo Piano del!'opera Volume I ARISTOTELE
Politica LIBRI I-IV
introduzioni di Luciano Canfora e Richard Kraut, traduzione di Roberto Radice e Tristano Gargiulo, commento di Trevor J. Saunders e Richard Robinson Volume li ARISTOTELE
Politica LIBRI V-VIII
traduzione di Roberto Radice e Tristano Gargiulo, commento di David Keyt e Richard Kraut Volume lii ARISTOTELE
Costituzione degli Ateniesi introduzione e commento di Peter J. Rhodes, traduzione di Andrea Zambrini PSEUDO-SENOFONTE
Costituzione degli Ateniesi introduzione, traduzione e commento di Giuseppe Serra Volume IV Democrazia: la nascita, il consolidamento, i consensi introduzione, traduzione e commento di Donato Loscalzo Volume V Democrazia: la crisi e le reazioni introduzione, tr'1duzione e commento di Donato Loscalzo
ARISTOTELE
POLITICA Volume! (Libri I-IV) Introduzioni di Luciano Canfora e Richard Kraut Traduzione di Roberto Radice e Tristano Gargiulo Commento di Trevor J. Saunders e Richard Robinson
FONDAZIONE LORENZO VALLA ARNOLDO MONDADORI EDITORE
Questo volume è stato pubblicato grazie alla collaborazione della Fondazione Cariplo
Le introduzioni di Richard Kraut e i commenti di Trevor]. Saunders e Richard Robinson sono stati tradotti da Roberto Radice e Tristano Gargiulo
Il commento ai Libri I-II è tratto da.>
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che ci sarebbe piaciuto Aristotele difendesse. Ma è pur sempre un'importante intuizione.
7. Il Teorema della Giuria di Condorcet Nel 1785, il Marchese di Condorcet pubblicò un Saggio sull'appli cazione del!'analisi alla probabilità delle decisioni prese a maggio ranza, nel quale affermava che, se vengono soddisfatte determinate condizioni, è più probabile che sia corretta l'opinione di un grup po di votanti rispetto a quella di un singolo individuo; inoltre, più numeroso è il gruppo, più alta è la probabilità che l'opinione sia corretta. Le condizioni di cui parla Condorcet sono che ciascun individuo ha il cinquanta per cento di probabilità di essere corret to, ciascuno prende una decisione indipendente, e la questione su cui verte la decisione presa ha una risposta obiettivamente corret ta. Il teorema è intuitivamente ovvio. Un singolo votante ha solo il cinquanta per cento di probabilità di votare correttamente; ma, se ciascuno di cento votanti ha il cinquanta per cento di probabili tà· di essere corretto, e tutti convergono sulla stessa scelta indipen dentemente, allora sarebbe estremamente improbabile che possa no sbagliare tutti 1•
È da notare, però, che, se i votanti sono in sé tali che ciascuno di loro abbia più probabilità di sbagliare, allora una scelta fatta da un gran numero di persone simili avrebbe molte più probabilità di essere sbagliata rispetto a quella fatta solamente da un singolo in dividuo. In effetti, a queste condizioni, il fatto che un'opzione sia favorita da un votante funge da controindicatore per· la sua cor rettezza. Una scelta compiuta da un solo votante può avere meno probabilità di essere quella giusta, ma solo in piccola misura; in vece un'opzione per la quale vi siano molti controindicatori indi pendenti, per ciò stesso, sarà molto più probabilmente sbagliata. Ci sono alcune interessanti somiglianze e differenze tra il «Teo rema della Giuria» di Condorcet, così come è conosciuto, e l'argo mento di Aristotele sulla saggezza collettiva dei molti. Entrambi sono ragionamenti che non intendono semplicemente delegare la respon-
1 Si possono trovare discussioni recenti in Austen-Smith - Banks; Estlund 1994 e List - Goodin.
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RICHARD KRAUT
sabilità delle decisioni a un vasto gruppo, ma piuttosto assegnarla a un vasto gruppo composto da un determinato genere di individui. Il «Teorema della Giuria» vale solo per complessi di individui, cia scuno dei quali ha più probabilità di essere corretto che non il con trario, così come l'argomento di Aristotele si applica solo a individui che sono moralmente rispettabili e bene informati. Entrambi gli ar gomenti ipotizzano che i membri di un gruppo esteso non stiano me ramente replicando o imitando le tendenze di una parte del gruppo; ciò implica che i giudizi, che ciascun individuo formula, siano for mulati indipendentemente dai giudizi degli altri (Aristotele non fa esplicitamente questa affermazione, ma essa si può considerare uno dei suoi presupposti inespressi). L'argomentazione di Aristotele, di versamente da quella di Condorcet, sostiene che, anche se un indivi duo giudica meglio di ciascun membro del gruppo numeroso quan do vengono messi a confronto a uno a uno, i molti nel loro insieme possono essere più saggi rispetto al singolo. Entrambi intendono mo strare che il governo dei molti ha un valore strumentale: le decisioni hanno maggiore probabilità di essere corrette quando sono prese de mocraticamente rispetto a quando sono prese da un solo individuo1• Ma forse la differenza più significativa sta nel fatto che, come abbiamo visto, l'argomento di Aristotele - e, quindi,Ja sua conclu sione - presenta molte restrizioni e limitazioni. Egli intende mo strare che, in un dato contesto - quello della valutazione dei candi dati per le cariche o della valutazione delle accuse mosse contro di loro -, un gruppo di persone che conoscono i fatti e li condivido no possono prendere una decisione migliore (hanno più probabi lità di essere corrette) rispetto a un individuo che pure sia miglior giudice di loro quando i confronti vengano fatti singolarmente. O, per essere più precisi: dal fatto che un cittadino sia superiore, non si deve dedurre che lui stesso, e non il gruppo di individui inferio ri, debba prendere certe decisioni. Tale deduzione è falsa, poiché la conoscenza a cui può giungere un gruppo, se ben combinato, può essere più grande rispetto alla conoscenza raggiungibile da un individuo. Conoscenze di un certo tipo possono essere accumula te, allo stesso modo in cui la somma di ricchezze di un gruppo può
1 Ved. Estlund 2008 per un recente tentativo di mostrare che la legittimità della de mocrazia si fonda in parte sulla sua tendenza a prendere buone decisioni. Un ap proccio piuttosto diverso, che fonda la giustificazione della democrazia soprattut to nel suo incarnare un equilibrato incremento del profitto, è offerto da Christiano.
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I,
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NOTA AL TESTO
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TESTO E TRADUZIONE
API�TOTEAOY� TATIOAITIKA
ARISTOTELE POLITICA
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POLITICA I,
12 52 a-b
7
eventualmente per la possibilità di esprimere una qualche valuta zione tecnica.su ciascuno dei ruoli menzionati4•
25 .Jnsomma, se uno osservasse le cose nel loro sviluppo nàtu
rale, anche in questa occasione, come in altre, ne avrebbe una vi sione più corretta. In primo luogo bisogna mettere insieme quegli esseri che non possono esistere l'uno senza l'altro, come ad esem pio la femmina e il Il).aschio al fine della riproduzione (e questo non in dipendenza di una scelta individuale, perché il lasciare dopo di
sé qualcun altro simile a sé è una disposizione della natura, valida tanto per l'uomo quanto per tutti gli altri viventi, animali o vegetali che siano) o chi da natui:� è fatto per comandare e chi per obbedi re, se vuol sopravvivere� In effetti, l'essere che per le sue doti intel lettuali è capace di pre�eaere le situazioni ha per natura il coman do e per natura ha il predominio; invece, chi per forza fisica regge la fatica soggiace al comando ed è schiavo per natura: ecco allora che la medesima condizione dà vantaggio tanto al padrone quanto allo schiavo6. La donna e lo schiavo sono dunque diversi per na- u52 b tura, perché la natura non opera come i coltellai di Delfi, cioè non lavora al risparmio, ma, se genera una cosa, è per quell'unico impiego e così ciascuno strumento ottiene il miglior risultato, se serve non a molte opere ma a una sola.
È pur vero, però, che fra i po-
poli barbari la donna e lo schiavo hanno il medesimo ruolo, perché manca loro il naturale principio del potere, e così il loro modo di stare insieme è quello di una schiava con uno schiavo. Proprio da qui proviene ciò che dicono i poeti: «è naturale che i Greci abbiano potere sui barbari», come se barbaro e schiavo fossero per natura la stessa cosa7• In ogni caso, da queste due comunità nasce la prima forma di famiglia, e certamente non sbagliava Esiodo quando nei suoi versi diceva: «prima di ogni altra cosa, una famiglia, una donna e un bue [da aggiogare ali' aratro», dove, fra gente povera, il bue sta al posto del servo. Pertanto, la co munità predisposta da natura per i bisogni quotidiani è il consorzio
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1252 b-1253
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POLITICA I,
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«senza famiglia, né leggi, né casa»; e chi è tale per natura sarà anche litigioso, senza legami, com�, una pedina isolata sul tavoliere)11, oppure è al di sopra dell'umano.;Per ciò è chiaro che l'uomo è un animale adatto a vivere in uno sta to più di tutte le api e di ogni animale del gregge. Del resto, come andiamo dicendo, la natura non fa nulla invano. L'essere umano è l'unico vivente ad avere la parola e, se la voce, in quanto espressio ne di dolore e di piacere, appartiene anche agli altri animali (per ché nel loro caso sino a tal punto e non oltre si è spinta la natu ra, cioè fino a provvederli della sensazione di dolore e di piacere e della possibilità di comunicarla ad altri), la parola è in grado di manifestare l'utile e il dannoso e, di conseguenza, anche il giusto e l'ingiusto. E ciò, a paragone con gli altri animali, è un carattere pe culiare dell'uomo, il quale è il solo ad avere percezione di ciò che è buono e cattivo, giusto e ingiusto, e di altro ancora; è proprio la
condivisione di tali valori che dà origine al nucleo familiare e alla citt
�'buest'ultima, per natura, viene prima della famiglia e pri
ma di ciascun individuo, perché è ptir necessario che l'intero pre ceda la parte. Così, se togliessimo l'intero, non ci sarebbe più né il piede né la mano, se non equivocando sui termini: ad esempio, fa cendo riferimento a una mano di pietra, la quale� comunque, sa rebbe una mano priva della vita. E, siccome ogni cosa si definisce sulla base dell'azione e della funzione, qualora essa vada a perdere sia l'una sia laltra non si può dire che sia la stessa di prima, ma so lo che ha lo stesso nome.'
È dunque evidente che la città è un'isti
tuzione naturale e che precede l'individuo; se, infatti, l'individuo isolato non basta a sé - come capita a ogni altra parte rispetto al tutto-, chi non ha modo di associarsi agli altri, oppure non ha bi sogno di far parte di una città E�r il fatto di essere autosufficiente, questi è o una bestia o un dio13• In conseguenza di ciò, per ognuno c'è un naturale impulso a un tal-genere di vita comunitaria, e cer tamente a chi per primo l'ha istituita va il merito dei beni più pre ziosi. In tal senso, se l'uomo, nella sua piena realizzazione, è il mi gliore degli animali, quando è avulso dalla legge e dalla giustizia è
1253 a-b
IlOAITIKON A,
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POLITICA I,
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esiste la condizione di schiavo e di libero, mentre secondo natura non c'è nessuna differenza. Per �le motivo essa va contro giusti zia: è infatti un atto di violenza 18• -
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419. Siccome i beni fanno parte della famiglia e l'arte di procu-
rarseli è una parte dell'amministrazione familiare (senza il neces sario, infatti, non si può né vivere né vivere bene), come nelle arti specifiche sono necessari strumenti particolari se si vuole portare a termine l'opera, così deve valere per l'amministrazione familiare. Degli strumenti, alcuni sono inanimati, altri animati (per esempio, il nocchiero si serve tanto di un mezzo inanimato, il timone, quan
to di uno animato, l'ufficiale di prua, giacché nel campo delle arti l'inserviente è incluso nella categoria degli strumenti); analogamen te, anche i beni sono strumenti per vivere, e la proprietà è la somma degli strumenti, nella quale lo schiavo è un bene.an_irriato e chiun que sia al servizio di un, ajtro è come uno strumento, che viene pri ma degli altri strumenti.
� verità, se ciascuno strumento sapesse,
in risposta a un ordine �per una sorta di presentimento, portare a
termine l'opera che gli tocca- come, a quanto si dice, facevano le statue di Dedalo e i tripodi di Efesto, che, secondo il poeta, da so li entravano nell'assemblea divina-, se allo stesso modo le spole e i plettri tessessero e suonassero da sé, né gli architetti dovrebbero far ricorso ai muratori né i padroni agli schiavi20} Nel parlare co 1254 mune, dunque, gli strumenti sono mezzi di prod�Zione, invece la proprietà è un oggetto d'uso perché, se da una spola si cava qual cosa di diverso rispetto all'uso che se ne fa, da un abito o da un let to si trae vantaggio solo per l'uso; e poi, essendoci una differenza di specie fra la produzione e l'azione, e avendo ambedue bisogno
di strumenti, è necessario che anche questi rivelino un'identica dif ferenza. Poiché la vita è un'azione, e non _gna p_roduzione, anche lo schiavo è un
��to in vista dell'azion6�i:iTa proprietà si dice co
me si dice Ta parte:-0ra, quest'ultima non 5c:;'lo è parte di qualc9s'al tro, ma appartiene completamente a quest'altra cosa. Lo stesso va le per i beni di proprietà: perciò il padrone è solamente padrone dello schiavo, ma non appartiene allo schiavo, mentre lo schiavo non è solo schiavo di un padrone, ma è sua assoluta proprietà. Di
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1254 a-b
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POLITICA I, 1254 a-b
17
quale natura sia lo schiavo e quale sia la sua funzione, risulta sen za dubbio da ciò: chi, pur essendo uomo, per sua natura non è pa drone di sé stesso, ma dipende da un altro, questi è naturalmente schiavo; ed è un uomo di altri chi, pur umano, è oggetto di pro prietà, una proprietà che è uno strumento a sé stante per l'azione22
r 523. Si deve successivamente considerare se in natura esista,
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.
non esista, un individuo del genere sopra descritto, e se sia giusto e anche la cosa migliore essere schiavo di qualcuno, oppure no, e se anzi l'intera istituzione della schiavitù sia contraria a natura. In ve rità, questo compito non è così difficile se si valuti! sulla base della ragione e si trae insegnamento da come vanno le cose. Esercitare il comando ed esserne soggetti non è solamente una delle condizio ni necessarie, ma anche una di quelle utili, tant'è vero che fin dal primo momento, dalla nascita, alcuni segni distinguono le attitudi
� E poi i generi del comando e
ni a essere comandati e a comandar
della subordinazione sono non pochi, anche se vale sempre la re
gola che il miglior comando è quello che si esercita sui migliori su bordinati - come quello sull'uomo rispetto a quello sulla bestia-, in quanto lopera migliore è compiuta dai migliori e, allorché uno
dà ordini e un altro li esegue, c'è sempre un'opera che viene da lo ro compiuta24. Del resto, quando si mette insieme qualcosa di uni tario e di comune a partire da una pluralità di elementi continui o discontinui, in ogni caso, emerge una parte dominante e una do minata; e quello che emerge dalla natura nel suo complesso vale pure per gli esseri viventi; anzi, perfino nelle cose inanimate si tro va un principio dominante, basti pensare all'armonia. Ma questo forse è un argomento che va al di là della nostra ricerca. L'anima le è fondamentalmente costituito di anima e corpo, di cui l'una è per natura la parte direttiva, laltro è quella che si lascia dirigere. Tuttavia, la conformità a natura di un essere va colta negli indivi dui che meglio realizzano la loro natura e non in quelli che l'han no in forma alterata; e quindi si guarderà all'uomo con le migliori disposizioni quanto al corpo e all'anima, perché in esso la relazio ne di cui parliamo apparirà con ogni evidenza. Certo, se si mirasse
ai malvagi o a quelli che hanno comportamenti viziosi, il più del- 1254 b
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plice utilizzo: sia l'uno che l'altro hanno a che vedere con l'ogget to per quello che è, ma non alla stessa maniera, perché in una cir costanza fanno un uso proprio della cosa, nell'altra improprio: per esempio, una calzatura può essere indossata o barattata con un di verso oggetto. Invero, ambedue sono modi di usare una calzatura, perché chi la dà a uno che ne ha bisogno, in cambio di denaro o di cibo, si serve di una calzatura in quanto calzatura, ma non nell'uso che le compete, considerando che una calzatura non è prodotta per essere oggetto di scambio. Lo stesso vale per gli altri beni, per ognuno dei quali esiste la possibilità di baratto: essa nasce dal fat to naturale che ci sono uomini che hanno più del necessario e altri che ne hanno meno.
È dunque evidente che il piccolo commercio
non è per natura parte della crematistica, perché lo scambio si è imposto necessariamente al punto in cui c'era per loro il suffìcien te50. Indubbiamente, nella prima forma di società (cioè nella fami glia) non c'è traccia di questa attività, che invece si incontra nelle comunità più numerose: ciò avviene perché tra i componenti del la famiglia ogni bene è in comune, mentre gli altri, in quanto in dipendenti, dispongono sì di abbondanti risorse, ma di genere di verso, di modo che sono costretti a scambiarle in ragione dei loro bisogni, come, peraltro, ancor oggi fanno molti popoli barbari tra mite il baratto. Ma si tratta pur sempre di cose utili barattate con cose utili e nulla più: ad esempio, vino in cambio di grano e altri beni dello stesso genere51. Tale scambio non è contro natura (poi ché serve a colmare eventuali lacune dell'autosufficienza alimen tare che, notoriamente, è conforme a natura) e non è neppure una specie della crematistica, anche se quest'ultima, com'è logico, de riva da esso. In effetti, allorché si è fatto ricorso a fonti sempre più. remote per importare le risorse di cui c'era necessità ed esportare quelle che erano in abbondanza, si impose l'uso della moneta: non tutti i beni naturali e necessari, infatti, sono facili da trasportare, e quindi, per agevolare gli scambi, la gente convenne di accettare un bene da dare e da prendere, che, essendo di per sé stesso nel nove ro delle cose utili, fosse praticamente disponibile ai bisogni della vita: ad esempio, il ferro e l'argento ed eventualmente qualche al-
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tro metallo, in origine identificato solo dalla grandezza e dal peso, ma alla fine anche dall'imposizione di un'impronta, che rendesse inutile la sua misurazione, perché l'impronta era posta proprio per indicare la quantità52. Ecco allora che, con l'avvento della mone-· 1257 b ta, dal baratto dei beni di sopravvivenza derivò un'altra forma di arte dell'acquisto, il piccolo commercio, che in un primo momento forse era alla buona, ma poi con la pratica divenne più sofisticato nel rintracciare i modi e le fonti per realizzare sempre maggiori guadagni nei giri d'affari. Per tale motivo appare che la crematistica si occupa soprattutto del denaro e che la sua funzione consiste nel riuscire a prevedere quali siano le fonti più promettenti di profitto, essendo essa produttrice di ricchezza e di beni. Proprio per il fatto che sia la crematistica sia il commercio condividono questo obiettivo, spesso si fa coincidere la ricchezza con la massa di denaro53. È pur vero, però, che a volte la moneta sembra essere una realtà inconsistente del tutto convenzionale, senza rapporto alcuno con la natura, perché, se quelli che la usano ne cambiano il valore, essa perde ogni efficacia e utilità nell'acquisto dei beni necessari, e così spesso accade che uno ricco di denaro manchi del cibo ne cessario. Certo è ben strana quella ricchezza che fa morire di fame chi ne dispone in abbondanza, come quel Mida che, vittima della sua insaziabilità, secondo il mito impetrò che tutto quanto gli mettevano davanti diventasse oro54. Per questo sono nel giusto quelli che vanno in cerca di un altro genere di ricchezza e di un altro modo di procurarsela, perché, effettivamente, esistono una crematistica e una ricchezza di carattere differente - e mi riferisco all'ammi nistrazione della casa -, conforme a natura, mentre il commercio non è produttore di ricchezza in senso proprio, ma solo per via di scambio. Questa pratica risulta avere per oggetto il denaro, perché appunto il denaro è fondamento e limite dello scambio55. E il genere di ricchezza che viene da una siffatta crematistica non tollera alcun limite. Essa non ha un confine definitivo, in quanto il fine è nient'altro che acquisire beni e una ricchezza di tal specie: in ciò è simile alla medicina, che non smette mai di perseguire la salute,
come fa ciascuna arte che non desiste mai dal suo scopo (vuole in-
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ne generica di ciascuna di queste forme di crematistica: esaminarle nei particolari sarebbe certo di aiuto dal punto di vista operativo, ma dilungarsi su di esse risulterebbe pesante. Tra i lavori, i più pro fessionali sono quelli che meno concedono al caso, i meno quali ficati quelli che più logorano il corpo, i più servili quelli in cui lo sfruttamento del fisico è più massiccio, i più vili quelli dove si ri chiede solo un minimo di virtù. Siccome su questi temi già alcuni hanno scritto (ad esempio Carete di Paro e Apollodoro di Lemno 1259 sull'agricoltura da semina e arborea, e così altri su altri argomenti del genere), chi fosse interessato consulti queste opere. Merite rebbero anche di essere raccolte le occasionali mformazioni su come ad alcuni sia capitato di arricchirsi. Queste andrebbero tutte a vantaggio degli estimatori della ctematistica67• Si prenda, ad esempio, il comportamento di Talete di Mileto, che si basa senz'altro su un'idea tratta dalla crematistica, ma che è stato messo in conto alla sua sapienza e può assumere una portata universale. Si racconta che a Talete rinfacciassero, a motivo della sua indigenza, l'inutilità della filosofia; egli allora, prevedendo, attraverso lo studio delle stelle, che ci sarebbe stata una straordinaria produzione di olive, in pieno inverno investì quel poco di cui disponeva per accaparrar-
si tutti i frantoi di Mileto e di Chio, a un prezzo molto basso, poiché nessun altro offerente si faceva avanti. Al momento giusto, un gran numero di agricoltori, tutti insieme e da un momento all'altro, si misero in cerca dei frantoi ed egli poté darli in affitto imponendo il prezzo che voleva. Ammassata una considerevole fortuna, poté dimostrare quanto sarebbe facile per i filosofi arricchirsi, se solo lo volessero: però non è di questo che si danno pena. Si dice che in tal modo Talete offrisse una dimostrazione di sapienza ma, come affermavamo, il fatto di procurarsi una posizione di monopolio è un principio generale della crematistica. Perciò anche certe città usano questo metodo quando si trovano in ristrettezze eco nomiche: si creano un monopolio sul mercato. In Sicilia un tale, che aveva a propria disposizione del denaro, fece incetta di tutto il ferro delle fonderie, dopo di che, quando giunsero dai mercati i compratori, si trovò ad essere l'unico fornitore sulla piazza e, sen-
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«il silenzio dà decoro a una donna». Poiché il fanciullo non è ancora formato, certamente anche la sua virtù non vale per quello che lui stesso si trova ad essere, ma vale in relazione al suo fine e alla sua guida, esattamente come avviene
nel rapporto fra lo schiavo e il padrone. Abbiamo stabilito che lo schiavo serve ai bisogni di prima necessità, e pertanto è chiaro che ha bisogno di poca virtù, quel tanto che gli permetta di non tra scurare i suoi compiti per intemperanza o per inettitudine77• Però, ammesso che sia vero quanto si è appena detto, qualcuno potrebbe sollevare il seguente problema: anche l'artigiano, considerando che spesso non è all'altezza della sua opera per intemperanza, dovrà es sere provvisto di virtù, oppure il suo è tutto un altro caso? Ora, lo schiavo vive insieme al padrone, mentre l'artigiano ne è piuttosto lontano, e la virtù gli compete solo nella misura in cui ha un rapporto di dipendenza dal padrone. Un operaio specializzato, infatti, 1260 b partecipa di un rapporto di servitù circoscritto, mentre lo schiavo è uno di quelli che sono quel che sono per natura, diversamente dai calzolai e dagli altri artigiani. È allora evidente che per uno schiavo la causa della sua specifica virtù deve essere il padrone, e non (colui) che l'addestra alle sue mansioni. Perciò sbaglia chi non fornisce agli schiavi una ragione e pretende di comandare e basta: in verità, si devono ammonire gli schiavi ancor più dei bambini78• Diamo per definiti questi punti. Nella sezione dedicata alle co stituzioni ci faremo obbligo di trattare dell'uomo, della donna, dei figli e del padre, delle loro rispettive virtù e della convivenza re ciproca, di quello che è buono e di quello che non lo è, del modo in cui si deve perseguire il bene ed evitare il male. Dal momento
che che ogni singola famiglia è una parte della città, che questi di cui abbiamo parlato sono gli elementi della famiglia, e che la vir tù della parte va considerata in rapporto a quella del tutto, è ne cessario educare i bambini e le donne guardando alla costituzione, se è vero che fa qualche differenza per la moralità di uno stato (il fatto che) le donne e i bambini siano moralmente sani. E non può non fare differenza, visto che la metà dei liberi cittadini sono don-
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ne, mentre dai bambini provengono quelli che condivideranno la responsabilità della città79• Ora, dopo aver fissato questi concetti mentre degli altri temi si dovrà discutere altrove-, riteniamo con clusi gli argomenti in esame, e diamo inizio a una nuova trattazio ne, in primo luogo considerando le tesi di chi si è occupato della costituzione migliore80.
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nostra opinione su ciò che è meglio a questo proposito38• Sempre nelle Leggi si omette di indicare quali dovrebbero essere le differenze fra chi comanda e chi obbedisce. Egli dice, infatti: come I' orclito viene da una lana diversa da quella della trama, così sarà per i governanti rispetto ai governati39• E siccome si concede che l'intera sostanza può crescere addirittura fino al quintuplo, perché non concedere un qualche aumento anche per il possesso della terra? Bisogna stare attenti che la divisione delle case non rechi danno al bilancio familiare, perché, se a ciascun cittadino egli assegna due case distinte, non è facile amministrarle tutte e due40• La struttura politica nel suo insieme non pretende di essere né una democrazia, né un'oligarchia, ma una via di mezzo che va sotto il nome di «politia», poiché è costituita da cittadini armati. E se questa viene istituita per essere la costituzione più condivisibile dalle città, forse non si sbaglia, ma se si ha la pretesa che sia la migliore dopo la prima, certo si cade in errore, perché forse non mancherà-chi mostri preferenze per quella degli Spartani, o per qualche altra ancor più aristocratica. Per alcuni la migliore costituzione è quella che deve risultare dalla fusione di tutte le costituzioni, e proprio per tale motivo plaudono a quella degli Spartani (per qualcuno viene, infatti, da una forma di oligarchia, monarchia e democrazia: l'istituzione dei re sarebbe espressione della monarchia, il potere degli anziani dell'oligarchia, mentre lesercizio della democrazia starebbe nel potere degli efori, in quanto essi erano di estrazione popolare; c'è però chi considera leforato come una forma di tirannide, mentre ascrive alla democrazia le mense comuni e tutto il modo di vivere quotidiano). Tuttavia, sempre nelle Leggi si sostiene che la miglior forma di governo deve venire dall'unione di democrazia e tirannide, le quali di per sé non possono in nessun modo porsi come modello di costituzione o, semmai, come le peggiori fra tutte quelle che esistono. Pertanto, migliore è la posizione di chi mette insieme più costituzioni, perché effettivamente quella che nasce dalla fusione di molte altre è la più valida41• Detto ciò, non risulta affatto che la costituzione di cui trattiamo abbia qualcosa di monarchico, ma piuttosto elementi oligarchici e democratici, con propensione
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verso l'oligarchia. Questo appare dalla maniera in cui, tanto nell'oli garchia quanto nella democrazia, si assegnano le cariche, cioè traen do a sorte fra un gruppo selezionato di persone: solo che nell'oli garchia l'obbligo di costituire le assemblee, esprimere le cariche e assumersi qualche altro incarico politico tocca ai cittadini più fa coltosi, mentre gli altri ne sono esentati; come pure è proprio dell'oli garchia il tentativo di dare il potere al maggior numero possibile di ricchi e di attribuite ai più facoltosi di questi le cariche più eleva te. Anche l'elezione del Consiglio è realizzata su un modello oligar chico: di fatto tutti sono tenuti a votare, ma scegliendo i candidati fra quelli della prima classe di censo, poi di seguito e nello stesso numero fra quelli della seconda e infine della terza. Senonché, non tutti erano costretti a scegliere fra gli appartenenti alla terza e quar ta classe, e solo i membri della prima e della seconda avevano l' ob bligo di scegliere i rappresentanti della quarta. Infine afferma che da queste scelte deve conseguire lo stesso numero di eletti per cia scuna classe di censo. Il risultato è che i cittadini della classe a mag gior reddito saranno più numerosi e migliori, per il motivo che al cuni del ceto popolare non voteranno perché non ne hanno l'obbligo42• Ora, il fatto che una tale costituzione non deve com porsi di uno statuto democratico e di uno monarchico risulta chia ramente da quanto si è detto e da quanto si aggiungerà in seguito, allorché l'attenzione sarà rivolta verso una tale forma politica. Tut tavia, anche l'elezione delle cariche a partire da una rosa di candi dati già selezionati non va esente da pericoli, perché, se un nume ro anche esiguo di cittadini decidesse di c�alizzarsi, le scelte elettorali sarebbero ogni volta influenzate dalla loro volontà. Così dunque è organizzata la costituzione esposta nelle Leggi43• 744. Ci sono però anche altre costituzioni, alcune di comuni cit tadini, altre di filosofi e di uomini politici, tutte più simili di que ste due a quelle oggi in vigore nelle città, perché nessun altro si è inventato la novità della comunione dei figli e delle donne, nonché delle mense comuni delle donne, ma certamente queste costituzio ni prendono le mosse da problemi più necessari. In verità, alcuni sono dell'idea che il problema principale sia quello di una buona
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legislazione sulla proprietà dei beni, perché ritengono che proprio da ciò scaturisca la totalità delle rivolte. Per questo, Falea di Cal cedone fu il primo a introdurre una s�ffatta normativa, sostenen do che le proprietà dei cittadini devono essere uguali. Egli pensava che un tale provvedimento non sarebbe stato difficile da attuare 1.166 h
al momento della fondazione delle città, mentre sarebbe stato molto più laborioso a fondazione avvenuta. Pensava anche, però, che si sarebbe potuta raggiungere molto presto una perequazione, se solo i ricchi avessero dato la dote alle figlie senza mai pretenderla, e i poveri l'avessero ricevuta senza darla a loro volta. Nelle Leggi Platone riteneva che si dovesse lasciare libertà in tale campo, ma che nessuno dei cittadini potesse accumulare beni cinque volte su periori alla porzione minima, come anche prima si diceva45. Non deve sfuggire, a chi legifera in questo senso, quello che oggi si di mentica: chi regola l'ammontare delle ricchezze è bene che rego-
li contestualmente anche il numero dei figli, perché, se quest'ultimo supera la disponibilità di quelle, non c'è altra via che abrogare la legge. Ma, anche a prescindere da questa abolizione, è insensato che un gran numero di cittadini da ricchi divengano poveri: è difficile poi impedire che costoro divengano sovversivi46• Il livellamento dei beni ha pertanto un non trascurabile effetto sulla con vivenza politica, che alcuni degli antichi, a quanto risulta, avevano capito: ad esempio, Solone nelle sue leggi. Ma anche presso altre legislazioni si trova una norma che vieta di acquistare terre a proprio piacimento; e, allo stesso modo, le leggi impediscono di vendere la proprietà, come succede a Locri, dove è legalmente proibita la vendita se non si dimostra di essere incorsi in una manifesta disgrazia, ed è pure prescritto che si conservino i lotti di terra originari (I' abolizione di questa norma a Leucade rese la costituzione troppo favorevole al popolo, perché a quel punto non accadeva più che si accedesse alle cariche sulla base di un censo prestabilito)47• Ma è anche possibile che, pur mantenendosi il livellamento delle proprietà, queste siano esagerate, così da favorire una vita di lussi, oppure siano troppo esigue, al punto da costringere a una vita di stenti. Allora, come è evidente, non basta che il legislatore garan-
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tisca l'uguaglianza dei beni, ma bisogna che fissi una via di mezzo. Però, se anche qualcuno riuscisse a fissare la via di mezzo impo nendola a tutti, non ne trarrebbe alcun vantaggio, perché si devo no ricondurre ad equilibrio i desideri piuttosto che le ricchezze, e ciò non è possibile se non quando i cittadini siano adeguatamente formati dalle leggi. Ma forse Falea obietterebbe che proprio que sto intendeva dire, giacché ritiene che nelle città devono essere in equilibrio ambedue le cose: la proprietà e l'educazione. Resta pe rò da precisare a quale educazione faccia riferimento, perché non sarà per nulla utile che ce ne sia una sola e identica, quando essa, pur unica e identica, sarà tale da formare persone propense ali' ec cesso di ricchezze o di onori, o di ambedue insieme. Inoltre, si han no disordini quando ci sia uno squilibrio non solo delle ricchezze, ma anche delle onorificenze, se pure per motivi opposti: quelli del popolo insorgono perché i beni sono distribuiti in maniera ineguale, quelli di rango superiore se gli onori sono distribuiti in maniera uguale: di qui il verso «in un solo onore tanto il valente quanto il dappoco»48• Peraltro, gli uomini commettono ingiustizie non solo quando man cano del necessario (e, in tal caso, Falea pensa che il rimedio stia nel livellamento dei beni, il quale per lo meno eliminerebbe i furti causati dal freddo e dalla fame), ma altresì per trarne piacere e non rimanere con desideri insoddisfatti, in quanto, se uno si spinge
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desiderare qualcosa che va oltre lo stretto necessario, per porvi ri medio commetterà qualcosa di ingiusto. In verità, non esiste solo questo movente, ma si può anche non avere desideri e voler gode re di piaceri che non comportano dolori. Nei tre casi prospettati, quale sarebbe il rimedio? Nel primo, risorse modeste e il lavoro; nel secondo, la temperanza; e nel terzo, per chi vuol trarre moti vo di gioia da sé stesso, la ri �erca della cura in nient'altro risiede se non nella filosofia; gli altri piaceri hanno infatti bisogno degli uo mini. È vero, però, che le più gravi ingiustizie non si compiono sul la spinta delle necessità, ma dell'eccesso: non si diventa tiranni per -salvarsi dal freddo. Ecco perché ci si merita grandi onori quando
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POLITICA Il,
I 267 b
9I
sempre di più, oltre ogni limite. È la natura stessa del desiderio a essere senza misura, e i più vivono proprio per colmare questa mi sura. Di conseguenza, come principio di tali costituzioni, piuttosto che equiparare le ricchezze, bisogna mettere i più dotati per natu ra nelle condizioni di non voler prevaricare, e i meno capaci nelle condizioni di non poterlo fare, e ciò si ottiene quando questi, pur essendo in stato di inferiorità, non siano vessati51• Neppure l'espres sione «livellamento delle ricchezze», usata da Falea, è appropria ta. Egli applica il livellamento solo alla proprietà terriera, mentre la ricchezza consiste anche di schiavi, di bestiame, di monete, cioè di tutto l'apparato dei cosiddetti beni mobili. Pertanto, o si va in cerca di un livellament, ovvero di un certo ordine equilibrato, fra tutti questi beni, o si lascia totale libertà su di essi52• Dalla sua co stituzione risulta che Falea opera per allestire una città di piccole dimensioni, se è vero che tutti gli artigiani devono essere addetti al servizio pubblico, senza entrare a far parte del computo comples sivo della cittadinanza. Ma se tali devono essere gli addetti al servi zio pubblico, almeno lo siano come a Epidamno e come Diofanto ai suoi tempi aveva stabilito per Atene. Da queste considerazioni forse ci si può fare un'idea di quanto si dica di giusto o di sbaglia to nella costituzione di Falea53• 854• lppodamo di Mileto, figlio di Eurifonte, ideò il piano rego latore delle città e disegnò le strade del Pireo. Nel suo modo di vi vere era piuttosto eccentrico a causa della sua vanità, al punto che la sua condotta appariva a molti stravagante per la massa dei ca pelli e per la magnificenza dei loro ornamenti, e anche per un abi to a buon mercato e caldo, che indossava non solo d'inverno ma anche nel pieno dell'estate, dandosi arie d'essere esperto in tutti i campi della natura. Egli fu il primo fra i non politici di professio ne che prese a trattare della migliore costituzione55• Progettò una città che contava diecimila abitanti, distinta in tre parti: una com posta di artigiani, una di contadini e la terza di difensori in armi. Anche il territorio lo divise in tre, una zona sacra, una destinata all'uso pubblico e una all'uso privato. Dalla zona sacra si ricavava no
i beni per le rituali onoranze degli dèi, da quella pubblica i mez-
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ITOAITIKQN
B,
1267 b-1268
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POLITICA III,
1281 b-1282
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è proprio impossibile (perché allora il discorso avrebbe valore anche per gli animali selvaggi: per quanto - mi sia lecito dirlo! - che cosa distingue alcune persone dalle bestie?); nulla vieta, tuttavia, che quanto si è appena affermato sia vero per qualche maggioranza. Le nostre osservazioni contribuiscono a risolvere il problema prima sollevato e anche un altro ad esso collegato: su che cosa hanno autorità i liberi cittadini e la maggibranza, tenuto conto che essi non sono né ricchi, né mostrano di avere una particolare virtù? La loro condivisione delle cariche più elevate non dà sicurezza (perché, a causa della mancanza di equità e di senno, in alcuni casi, fatalmente, fanno scelte inique e in altri decisamente errate), ma escluderli dal potere e non coinvolgerli potrebbe essere pericoloso (perché, quando la gran parte dei cittadini è disprezzata e povera, necessa riamente ci si trova con una città piena di gente ostile). Non resta che renderli partecipi delle deliberazioni e dei giudizi, come del resto disposero Solone e altri legislatori, che li ammisero alla scelta dei magistrati e alla valutazione del rendiconto dei governanti, ma non all'esercizio delle cariche individualmente. Fintanto che sono tutti insieme, infatti, hanno una corretta percezione delle cose, e poi, assimilandosi ai migliori, finiscono col giovare alla città come un alimento non puro mescolato a uno puro rende il risultato complessivo più proficuo di una piccola quantità di quello puro. Invece ciascuno di loro, preso isolatamente, sarebbe impreparato a giudicare. Tuttavia, un tale ordinamento della città pone un primo problema: sembrerebbe che sia competenza dello stesso uomo, che sa come curare e guarire un paziente dalla malattia da cui è affetto - e cioè del medico-, formulare un giudizio su chi ha ben attuato una terapia. Questo dovrebbe valere per ogni altra profes- 1282 a sione e arte, di modo che sia un medico a valutare i medici, e così un determinato esperto a valutare i suoi colleghi. È vero però che medico potrebbe essere sia chi pratica l'arte medica, sia chi dirige, sia, in terzo luogo, chi ha una formazione medica (si può dire che tali figure professionali siano presenti in tutte le arti); e noi riconosciamo la capacità di giudicare tanto a chi è solo un cono scitore, quanto a chi è un vero esperto. Sembra che nelle elezio-
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POLITICA III,
1282 b-128 3
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171
si finirebbe per far corrispondere a ciascun genere di superiorità foss'an'che nell'ambito del colore, della statura e di qualsiasi bene
- un sovrappiù di diritti politici. Non è questo un evidente errore? Lo attestano dei casi tratti da altre scienze e abilità: ad esempio, in un
gruppo di flautisti, tutti della stessa bravura, non si devono cer
tamente affidare gli strumenti di particolare pregio a quelli di più nobili origini (questo .infatti non migliorerà le loro prestazioni); si dovrà piuttosto equiparare l'eccellenza dello strumento ali' ec cellenza dell'esecutore. E, se quanto detto non fa abbastanza lu ce sull'argomento, queste ulteriori considerazioni aggiungeranno chiarezza. Poniamo che qualcuno mostri una superiorità nel suo nare il flauto, ma sia di molto inferiore per quanto concerne la no biltà delle origini e la bellezza; anche se queste qualità (la nobiltà e la bellezza) fossero entrambe di più alto valore rispetto all'abili tà dell'auleta e in proporzione sovrastassero l'arte del flautista più di quanto costui superi i suoi concorrenti nel suonare lo strumen to, ciò non toglie che proprio a lui dovrebbero essere affidati i flau-
ti di miglior fattura. Perché, se è in gioco l'eccellenza dell'esecu- 128; zione, la ricchezza e la nobiltà in nulla contribuiscono ad essa. Se si accettasse questa logica, ogni bene dovrebbe essere confrontabile con ogni altro. Se una certa statura fosse criterio di superiorità, allora la statura dovrebbe esserlo in generale, anche in compe tizione con la ricchezza e la libertà. In tal modo, se uno si distingue per l'altezza più che un altro per la virtù, (quantunque) in assoluto quest'ultima conti più della prima, tutto dovrebbe commisurarsi con tutto, perché, se un certo valore può essere superiore ad un altro, allora nulla esclude che possa venire considerato equivalente. Ma, poiché questo è impossibile, è senz'altro ragionevole che le cariche politiche non si mettano in palio sulla base di una qualsiasi differenza (ad esempio, se alcuni sono lenti e altri veloci, non per questo gli uni devono avere più diritti e gli altri meno, salvo che non si tratti di gare atletiche dove si premiano proprio le differenze di tal genere), bensì solo di quelle che risultano elementi es senziali della città: su queste necessariamente si dovrà fare la com petizione. Pertanto è giusto che nell'agone politico si contendano
a
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1283 a-b
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POLITICA III,
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trattate non è in discussione il modo di scegliere chi deve coman dare (perché esse si distinguono l'una dall'altra proprio per la na tura di questi governanti: l'una si affida ai ricchi, l'altra a uomini di specchiata virtù, e analogamente fa ciascuna delle altre), ma noi sia mo in cerca di una soluzione per il caso in cui tutti i contendenti si presentino insieme nello stesso momento. E se fosse troppo esiguo il numero dei virtuosi, quale modalità di scelta seguiremo? Si do vrà guardare solo al loro numero per vedere se con esso sono in gra do di dirigere la città, oppure valutare se sono abbastanza da costi tuire l'intero stato? A questo punto sorge un problema che riguarda tutti quelli che scendono in lizza per le cariche politiche. Si può infatti ritenere che manchi ogni legittimità a quelli che pre tendono il comando in nome della ricchezza o delle nobili origini, perché senza dubbio, nel caso in cui si trovi uno che è più ricco di tutti loro, certamente questi avrebbe il medesimo diritto di coman dare lui solo su tutti; e così dicasi di un uomo che si distingua per nobiltà sugli altri che sono in competizione in nome della loro con dizione di uomini liberi. Ma forse la situazione si riproporrebbe an che nell'ambito delle aristocrazie per quanto concerne la virtù, per ché, se ci fosse un solo uomo che superasse tutti i galantuomini che appartengono alla classe di governo, a questo, in forza dello stesso criterio di giustizia, dovrebbe toccare il potere.D'altra parte, se an che ammettiamo che la massa dei cittadini deve avere il potere per ché è più forte della minoranza, e se poi uno o più d'uno - ma non ancora in maggioranza - fossero più forti degli altri, costoro, e non la massa, dovrebbero avere il potere. Tutto ciò sembra mettere in chiaro che nessuna di tali formule, secondo le quali qualcuno pre tende di governare sugli altri, che a lui devono obbedire, è corret ta. Infatti, anche a quelli che esigono il potere politico in nome del la loro virtù o, analogamente, della loro ricchezza, la maggioranza dei cittadini potrebbe rivolgere questa giusta osservazione: nulla impedisce che la massa dei cittadini sia migliore dei pochi e più ric ca, quando sia considerata non in riferimento ai singoli, ma nel suo complesso. In tal modo, si può anche rispondere al problema po sto da alcuni che si chiedono se, nel suo sforzo di perfezionamen-
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POLITICA III,
1283 b-1284
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177
to delle leggi, il legislatore deve mirare all'interesse degli uomini migliori o dei più numerosi, quando si dia il caso sopra esposto? Bisogna intendere il giusto in termini di equità; e il giusto in termi ni di equità risponde all'utile dell'intera città e della collettività dei cittadini. Cittadino è, comunemente, colui che può comandare ed essere comandato, con regole diverse a seconda delle costituzioni, us4 a ma, nella migliore di esse, è chi può e vuole essere comandato e co mandare in vista di una vita virtuosa. Se poi si trova un solo uomo, o più d'uno- purché non siano in numero tale da riempire una città-, che si distinguano per l'eccellenza della virtù, al punto che la virtù e la rilevanza politica di lui solo (se si tratta di una persona sola) o di essi (se sono più d'uno) non siano neppure da mettere a confronto con quelle di tutti gli altri, allora non si potrebbe più con siderarli alla stregua di una parte qualsiasi della città, perché faremmo un torto a metterli alla pari degli altri, tenuto conto della loro virtù e del loro peso politico così fuori dall'ordinario: un individuo di tal fatta è come
un
dio fra gli uomini. Da questo si vede che la
legge riguarda gli uguali per nascita e capacità, mentre per uomini di questa levatura non c'è legge: sono essi stessi la legge. E sarebbe ridicolo che qualcuno si mettesse a legiferare sul loro conto: verrebbe da rispondere quello che, secondo Antistene, dissero i leoni alle lepri quando pretendevano che tutti fossero su un piano di parità. Del resto, è proprio per questo motivo che le città democratiche istituirono l'ostracismo: esse, prefiggendosi in particolare di imporre l'uguaglianza a tutti, ostracizzano e allontanano dalla città per un
certo periodo chiunque sembri acquistare troppo potere grazie
alla sua ricchezza o popolarità, oppure per un'altra forma di peso politico. Del resto, perfino nella mitologia si racconta che gli Argonauti lasciarono indietro Ercole per un motivo analogo: Argo non volle portarlo con sé insieme con gli altri, perché era troppo superiore al resto dell'equipaggio. Non meritano dunque un assenso in condizionato quelli che condannano la tirannide e il consiglio che Periandro diede a Trasibulo (si racconta infatti che Periandro non disse una parola al messo incaricato di raccogliere il suo consiglio, ma si limitò a recidere le spighe che eccedevano in altezza così da
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POLITICA IV,
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Molti di quelli che pretendono di istituire costituzioni aristocrati che cadono in errore, non solo assegnando eccessivo potere ai ric chi, ma anche ingannando il popolo. Col tempo, fatalmente, da fal si beni vengono autentici mali, in quanto lo strapotere dei ricchi è più rovinoso per la costituzione di quello del popolo. r 310•
Gli espedienti con i quali nelle costituzioni si agisce contro
il popolo traendolo in inganno sono cinque di numero e hanno co me oggetto: l'assemblea, l'assegnazione delle cariche, l'amministra zione della giustizia, l'armamento e l'educazione fisica. Per quanto riguarda l'assemblea, se ne concede l'accesso a tutti, ma ai ricchi che non vi prendono parte si dà una multa, o esclusivamente a lo ro o per loro di particolare entità. Per quanto concerne l'assegna zione delle cariche, chi gode di un buon censo non può rifiutarle con giuramento, mentre i poveri sì. Riguardo ali' amministrazione della giustizia, ai ricchi tocca un'ammenda se non fanno i giudici, ai poveri nessuna ammenda o, per lo meno, se si guarda alle leg gi di Caronda, ai primi tocca una multa cospicua, ai secondi una lieve. In certe città, tutti quelli che sono iscritti a registro posso no partecipare alle assemblee e ali' amministrazione della giustizia, ma se, dopo la registrazione, non si presentano alle une o ali' altra, incappano in gravi sanzioni, comminate affinché, per timore di in corrervi, evitino di iscriversi e, in assenza di registrazione, rinun cino ad esercitare la loro attività nei tribunali e nell'assemblea. La situazione non cambia: neppure nel caso della normativa sul pos
sesso delle armi e sull'esercizio fisico. I poveri possono anche non possederle; se invece non lo fanno i ricchi, incorrono in una san zione. Così avvi.ene per chi trascura l'esercizio fisico. Un'ammenda per i ricchi, nessuna per i poveri, di modo che i primi, per timore della pena, partecipino agli allenamenti, mentre gli altri, che non hanno di questi timori, li disertino. Questi appunto sono gli stra tagemmi legislativi che vanno a vantaggio dell'oligarchia; nelle de mocrazie si trovano espedienti di senso opposto. Qui si assegna un contributo in denaro ai poveri che assicurano la loro presenza al le assemblee e nei tribunali, e invece ai ricchi che non presenziano non si dà alcuna pena. È dunque indubitabile che, se si vuole fare
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POLITICA IV,
1297 b-1298
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menti, sopportava di sottostare al governo di altri. Abbiamo dun que spiegato per quale motivo ci siano molti tipi di costituzione e perché, oltre a quelle che di solito si nominano, ne esistano altre (la democrazia infatti non è una di numero, e ciò vale anche per le altre forme politiche); inoltre, in che cosa specificatamente differi scano, perché siano così e, ancora, quale meriti per lo più il nome di costituzione per eccellenza; infine, delle altre costituzioni, si è considerato quale sia adatta a certi cittadini e quale ad altri. 14 li. Anche il tema successivo riguarderà le costituzioni, sia in
senso generale sia con riferimento a ciascuna in particolare, pren dendo come punto di partenza quello che si adatta ad esse: tutte le costituzioni hanno tre componenti, del cui vantaggio, caso per ca so, il buon legislatore deve occuparsi, perché è proprio dalla loro buona disposizione che dipende necessariamente la buona dispo sizione della costituzione, mentre dalle specifiche differenze deri vano le differenze fra costituzione e costituzione. Una di queste tre parti è il potere deliberativo sui pubblici affari, l'altra concerne le 1298 cariche di governo (e cioè quali è bene che siano, su quali ambiti abbiano giurisdizione e in che modo debbano essere eletti i re sponsabili) e la terza corrisponde alla funzione giudiziaria. Il potere deliberativo decide della guerra e della pace, della stipula e della rottura delle alleanze militari, delle leggi, delle condanne capitali, o alla pena dell'esilio o della confisca dei beni e, infine, ha competenza sulla nomina e sul rendiconto per la valutazione dei pubblici ufficiali. È necessario che tutte queste decisioni o siano affidate a tutti i cittadini, oppure solo ad alcuni (per esempio, a un unico ufficio o a più uffici, oppure certe decisioni a uno e certe a un altro), o anche certe a tutti e certe a qualcuno in particolare. Che tutti decidano su ogni cosa è un principio democratico, perché proprio tale tipo di uguaglianza è quello che il popolo rivendica. Tuttavia, è pur vero che questo «tutti» si realizza in molti modi: ad esempio, può essere uno per volta piuttosto che tutti insieme in una volta (come succede nella costituzione di Telecle di Mileto; e anche in altre co stituzioni tutti quelli che sono in carica in un dato momento prendono decisioni in riunioni plenarie, ma tutti accedono alle cariche
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te questo sarà un ordinamento oligarchico. Si ha una costituzione aristocratica quando alcuni cittadini decidono in alcuni campi: ad esempio, è la totalità dei cittadini a scegliere la guerra o la pace e a valutare i magistrati mentre solo i pubblici funzionari eletti e non estratti a sorte prendono decisioni in altri casi. Ma qualora alcuni di loro siano eletti e altri estratti a sorte, o direttamente o da un grup po selezionato (ma c'è anche il caso in cui eletti e sorteggiati deci dono insieme), ci saranno aspetti propri di un regime aristocratico e altri di un regime costituzionale. Così si distingue il potere deli berativo secondo le costituzioni, ciascuna delle quali si conduce nei modi specifici che abbiamo illustrato. Alla democrazia che ai nostri giorni si considera la massima espressione della democrazia (vale a dire quella in cui il popolo dispone anche della sovranità sulle leg gi), allo scopo di favorire la qualità delle decisioni, giova assumere i provvedimenti che nei regimi oligarchici si adottano nei tribuna li, dove si commina un'ammenda per costringere i giudici designa ti a compiere il loro dovere; mentre nelle democrazie si preferisce assegnare una sovvenzione ai poveri. La medesima riforma si può applicare anche all'assemblea (infatti saranno senz'altro migliori le decisioni che vengono prese in comune da tutti, dal popolo insie me alle persone importanti e da queste ultime insieme alla massa).
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nativa, che la funzione consultiva sia concessa a tutti, ma che a de cidere siano solo gli uomini del governo. Bisogna fare il contrario di quello che succede nei regimi costituzionali: alla maggioranza è dovuto il potere di respingere un provvedimento, ma non di farlo approvare; in tal caso, esso sia di nuovo demandato ai funzionari di governo. Nei regimi costituzionali si fa l'opposto: un piccolo grup po ha il potere di respingere una legge, ma non di sancirla, perché poi l'iniziativa torna sempre alla maggioranza. Così abbiamo fissato i limiti della funzione deliberativa e sovrana della costituzione. 1
512• Segue a ciò la distinzione fra le cariche. In verità, anche
questo settore della costituzione presenta molte differenze sµ]la ba se del numero dei posti di governo, dei loro ambiti di potere e del la durata (alcuni sono istituiti per durare solo sei mesi o ancor me no, altri un anno, e altri ancora più a lungo). E poi le cariche non devono avere alcuna scadenza o possono durare molti anni? Op pure è possibile che non siano né in un modo né nell'altro, bensì ricoperte dagli stessi titolari per più di una volta? O non sarà me glio che la stessa persona non abbia lo stesso incarico due volte, ma lo assuma una volta sola? Infine, riguardo alla selezione dei gover nanti, bisogna sapere di quali classi devono essere espressione, da chi sono eletti, e in quale modo. Per ciascuna di queste cariche bi sogna determinare in quanti modi può compiersi e poi quale di es se può adattarsi con successo a certe costituzioni piuttosto che al tre. Non è neppure facile determinare quali funzioni meritano il nome di cariche pubbliche. Una comunità politica ha bisogno di un gran numero di funzionari, per cui (non) a tutti i cittadini elet ti o sorteggiati spetta il titolo di magistrati: in primo luogo, non toc ca ai sacerdoti (il cui ruolo va considerato di natura diversa rispet to a quello delle cariche politiche); ma neppure spetta ai coreghi e a quelli che sono scelti come araldi e ambasciatori. Alcuni incaric chi sono di carattere politico, come quelli che guidano tutta la cit tadinanza in una certa azione (così fa, ad esempio, lo stratega con i soldati), o interessano solo una parte diessa, come chi dirige le don ne e i bambini. Altri sono di carattere amministrativo (sovente an che chi è preposto alla distribuzione del grano viene eletto), o di li-
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re di quali materie si debbano occupare più uffici di carattere loca le, e di quali invece un unico ufficio titolare per tutto il territorio: ad esempio, è bene che un ispettore del mercato si occupi del buon ordine in una piazza, mentre un altro si occupa del buon ordine in un altro luogo, o uno stesso ispettore basta per tutti? E poi le cari che si devono distinguere in base alle funzioni o in base agli uomi ni? Ad esempio, il responsabile del decoro sarà uno solo, o ce ne vuole uno apposito per i bambini e un altro per le donne? Inoltre, se si fa riferimento alle costituzioni, la tipologia dei poteri cambia in ciascuna di esse, oppure no? In democrazia, oligarchia, aristo crazia e monarchia le supreme cariche saranno sempre le stesse an che se non sono espressione di cittadini di pari livello né di analo ga estrazione, bensì di persone che variano al variare delle forme di governo (così, ad esempio, nelle aristocrazie è rappresentata la gen te colta, nelle oligarchie quella ricca, nelle democrazie i liberi citta dini)? Oppure capiterà che ci siano anche certe cariche che si ade guano alle medesime differenze dei poteri, perché in talune condizioni conviene che siano le stesse e in altre che si differenzi� no (dato che in qualche luogo dovrebbero essere di grandi dim�n sioni e in altri di piccole)? Esistono tuttavia cariche che sono tipi che di certe costituzioni: ad esempio, i probuli, che non sono una carica democratica. Il Consiglio invece è qualcosa di popolare, per ché deve pur esserci un organismo che s'incarichi di preparare le risoluzioni del popolo il quale, altrimenti, sarebbe continuamente occupato. Tale organismo, quando fosse composto da pochi mem bri, avrebbe carattere oligarchico; tuttavia è necessario che i pro buli siano pochi di numero, e dunque sono proprio espressione di un'oligarchia. Per questo, dove ambedue le cariche sono in funzio ne, i probuli si oppongono ai membri del Consiglio, perché i primi sono di tendenza oligarchica e i secondi democratica. Certo, anche il potere del Consiglio va perso in quei regimi democratici in cui il 1300 popolo si riunisce per occuparsi di ogni cosa. Tale evento di solito si realizza quando ci sono sufficienti risorse per garantire ai parte cipanti all'assemblea un'indennità: avendo tempo a disposizione, si riuniscono spesso e decidono di persona su tutto. Invece, il sovrin-
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