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Italian Pages 848 [864] Year 2017
NICETA CONIATA
GRANDEZZA E CATASTROFE DI BISANZIO (Narrazione cronologica) Volume I (Libri 1:v11n a cura di Anna Pontani Introduzione di Guglielmo Cavallo_ Testo critico e Nota al testo diJan-Louis van Dieten
FONDAZIONE LORENZO VALLA I MONDADORI
Questo volume è stato pubblicato grazie alla collaborazione della Fondazione Cariplo
ISBN 978-88-04-66451-2
. ; Nicetae Choniatae Historia voi. I ... Hrsg. von ]an-LOù&jjàir D!ete'fi;Berlin-Neu1York:197f (ed. Lorenzo Val/a) © Walter de Gruyter GmbH Ber/in-Boston. 4-llrjghts reserved ©'"fondazione Lorenzo Vai/a 2617 I edizione novembre 2017 .
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A librimondadori.it anobii.com
INDICE
IX
Premessa
XVII
Introduzione
LIX
Nota al testo
XCIII CXXXIII CXXXVII CXLVII
Bibliografia Sommario dei libri I-VIII Cartine Tavole genealogiche
TESTO E TRADUZIONE 3 7 15
Sigla Proemio Libro I
103
Libro II
155
Libro III
211
Libro IV
26 3
Libro V
315 363
Libro VI
415
Libro VIII
465
COMMENTO
Libro VII
PREMESSA
Nel panorama della cultura bizantina, l'opera storica di Niceta Co niata si segnala per tre motivi precipui: anzitutto, per l'uso di una lingua e di uno stile molto complessi e a tratti artificiosi, che mise ro in difficoltà gli stessi lettori bizantini, se è vero che nella prima età paleologa ne fu realizzata una metafrasi in un greco più facil mente comprensibile, non alieno da evidenti volgarismi. In secon do luogo, la Narrazione cronologica, che inizia con l'ascesa al trono di Giovanni II Comneno (agosto III8), è l'unica fonte contempo ranea per il periodo dal II76 al I207-1208, che abbraccia la fine del regno di Manuele I, il regno di Alessio II e quello di Androni co I Comneni, l'intera vicenda della dinastia degli Angeli, la pre sa di Costantinopoli del I204 e gli avvenimenti successivi con l'in staurarsi dell'impero latino d'Oriente, fino agli albori dell'impero di Nicea (il racconto, infatti, si arresta, incompiuto, con le rivol te dei Bizantini contro gli occupanti latini, per altro verso ignote). Nello spazio storico di questi novant'anni, Niceta è fonte preci pua per l'Islamisierung dell'Asia Minore a opera dei Turchi (Sel giuchidi di !conio, Danishmenditi di Melitene), così come per le vicende dei Balcani, dalle loro popolazioni nomadi (Cumani, Pe ceneghi) alle dinastie di Ungheria e di Serbia, fino al secondo im pero bulgaro, che si affermò durante il regno di Isacco II. Niceta, poi, è fonte essenziale e spesso unica (insieme, in parte, a Giovan ni Cinnamo) per alcuni momenti cruciali della storia occidentale, come la seconda, la terza e la quarta crociata, i rapporti fra Bisan zio e l'Italia (la Sicilia normanna, Venezia, gli stati crociati), la con quista di Costantinopoli nel I 204 e l'instaurarsi dell'impero latino. In terzo luogo, il testo della Narrazione cronologica, pur trasmes so da un numero insolitamente alto di testimoni (ben trentadue, laddove assai esili sono le tradizioni manoscritte di grandi storici di
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ANNA PONTANI
poco anteriori o coevi come Michele Psello, Anna Comnena, Gio vanni Cinnamo), ci è giunto in una forma assai eterogenea e pecu liare, riconducibile al lungo lavorio dell'autore nel corso degli anni. Ciò dà in parte ragione del disordine espositivo che si avverte un po' in tutta l'opera (dovuto pure al fatto che Niceta organizza gli argo menti tenendo conto non solo della successione cronologica, ma an che dell'affinità tematica e talora della contiguità geografica dei fatti narrati), ma grava soprattutto nella parte finale, quella che racconta la caduta di Costantinopoli e gli avvenimenti subito successivi, cioè le pagine che più hanno interessato e interessano lettori e studiosi. Molto schematicamente, seguendo la complessa ricostruzio ne dell'editore van Dieten (ved. qui di seguito la sua Nota al testo) si può dire che una prima parte, dal libro I a XVI 19 (pp. 1-535, 2 v.D.), fu scritta ante 1203; una seconda, da XVI 20 a XIX 27 (pp. 535, 3-646, 11 v.D.), è a sua volta composta da due tranches relative a periodi distinti, che narrano l'una i fatti della conquista di Costan tinopoli (1203-1204), l'altra alcuni avvenimenti dei primissimi anni dopo la conquista (1205-1208). Le tre fasi redazionali ebbero alme no cinque diverse fasi di elaborazione (dalla b[revior], che originaria mente si arrestava al 1203, allaa[ucta], che è quella finale), riflesse in codici variamente contaminati; emblematico il caso del Parisinus gr. 1778, sec. XIII, che nasce come codice della redazione b, ma poi di venta - grazie ad aggiornamenti, riscritture, aggiunte, rasure et sim. testimone primario anche della redazione a. Ma soprattutto le va rie redazioni sono legate a vicende biografiche drammatiche: il testo dei codici LO, che continuava l'originaria redazione b e circolò in sieme all'opera teologica Panoplia dogmatica, fu scritto dopo la ca duta, nell'esilio di Selimbria fino al 1206 e poi a Nicea all'inizio del 1207; la revisione della redazione b (che arriva fino a XIX 14; 2 p. 614, 10 v.D.), che fu intrapresa nei mesi successivi, fu bruscamente interrotta; infine, una volta deposta ogni speranza di riprendere la propria carriera di funzionario alla corte di Teodoro I Lascaris a Ni cea, l'anziano Niceta rimaneggiò tutto quanto il racconto senza avere più riguardi per il mondo circostante, libero di esprimere in termini netti il suo pensiero di condanna morale e politica dei responsabi li greci della catastrofe dell'impero: da questo lavoro derivano i co dici superstiti della redazione a, la più completa (le pp. 647-55 v.D., contenenti il cosiddetto de statuis, o de signis, scritto a Costantino poli nel 1206, circolarono solo dopo la morte dell'autore come ap pendice autonoma di tale redazione). -
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PREMESSA
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Non è questo il luogo per discutere dell'intelligente ricostru zione, in parte difforme dà quella di van Dieten, offerta da Alicia J. Simpson1: essa identifica un contesto «di corte» (quello di Ales sio III) per l'originaria redazione b (databile dunque non prima del ll96-1l97) e sposta la redazione attestata nei codici LO (inte sa come un «sommario» anziché come un'esposizione dettagliata dei fatti posteriori alla caduta, redatta dietro esplicita commissione dell'arcivescovo di Salonicco Costantino Mesopotamita) a un'età più avanzata, da estendere fino al l 2 lo-l 2l5. Pur affascinante, que sta ricostruzione deve ancora misurarsi con alcuni problemi, qua li il rapporto con la Panoplia dogmatica (scritta contestualmente alla redazione LO, e sicuramente bisognosa di una ricca bibliote ca che difficilmente si può immaginare a Selimbria) e l'incertezza che il Mesopotamita possessore del codice L sia proprio l'arcive scovo cui Niceta scrive l'epistola 4 (e del quale parla nella Narrazio ne cronologica, peraltro in termini poco lusinghieri, a XIV 6, 5-7). La presente edizione comprende dooque, oltre alla citata Nota al testo, una caratterizzazione in chiave letteraria della Xeovi-xi] �irjyr}Utç di Niceta a opera di Guglielmo Cavallo, che aggiorna a suo modo quella proposta, con diversa angolazione, da A.P. Kazh dan nel 1994 (Niceta Coniata, I, pp. IX-LV); il testo greco dell'edi zione van Dieten (CFHB XIII, 1975), emendato con i suoi Corri genda, ma mantenuto per metodo anche nei casi in cui sembravano imporsi ripensamenti e modifiche; un apparato critico estremamen te selettivo, che dà conto in modo asistematico di alcune varianti lessicali e redazionali, considerate significative per il lettore inte ressato alla lingua e allo stile di Niceta nella loro fase genetica; un apparato delle fonti ampliato grazie a Lese/rUchte e segnalazioni, ma soprattutto tramite l'apporto del TLG online, di cui peraltro in questa sede non sono state esaurite tutte le potenzialità. Il commento2, poi, non può né vuole dare ragione di tutto lo sfondo storico dell'epoca considerata3, e compendia i risultati rag giunti dalla medievistica occidentale e dalla bizantinistica riguardo
1 Be/ore andA/ter, pp. 189-221. Per ragioni di spazio rimando ad altra sede la recen sione (preannunciata in Niceta Coniata, III, p. XIII) a Simpson, Niketas. 2 Nel commento si mettono a frutto alcune delle analisi cli Riccardo Maisano, esege ta di Niceta nella prima edizione del volume I apparsa per la Fondazione Lorenzo Valla nel 1994. Altre mie osservazioni sono apparse in N. Zorzi, La storia di Niceta Coniata: libri I-VIII, Venezia 2012, volume del quale il tacere è bello. 3 Un buono strumento cli partenza è oggi il manuale Mondo bizantino.
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ANNA PONTANI
alle complesse e spesso incerte questioni di cui Niceta dà conto nel suo stile altamente idiosincratico. Se nel commento verranno per lo più tralasciati gli aspetti strettamente letterari di Niceta, non si vo gliono con ciò in alcun modo negare le sue qualità di scrittore, la potenza della sua ironia o la forza della sua immaginazione, che si traducono in una consapevolezza quasi moderna della complessi tà e contraddittorietà della natura umana e dei tragici avvenimen ti che da essa sono determinati. Si è preferito però dare ragione, tramite una puntuale indagine delle fonti, della caratura «classici stica» dell'opera di Niceta, e del suo modo di assimilare e combi nare la letteratura precedente, che è forse una delle cifre più carat teristiche del suo talento di scrittore. Il caso davvero particolare di Niceta potrà così forse iniziare a contribuire a quella ricerca sul le pratiche di citazione a Bisanzio che è fiorita in occasione e a la tere dell'edizione critica del testo di Anna Comnena curata da A. Kambylis e D.R. Reinsch (CFHB XLh-2, 2001)1, e che deve anco ra sfociare nello studio complessivo auspicato da Rudolf Pfeiffer nel lontano 1922; ma sarà appunto solo un inizio, ché non sarà qui possibile distinguere Zitate, Anspielungen, Reminiszenzen né indi care la loro provenienza dai testi originali degli autori o da florile gi, gnomologi e raccolte varie. Infine, la traduzione italiana: essa seonta in parte l'inadegua tezza delle precedenti (quella latina di Wolf e quella moderna te desca di Grabler si basano su un testo diverso; quella inglese di Magoulias, condotta su van Dieten, è purtroppo inservibile per le infinite mende che la inficiano, come mostrò lo stesso van Dieten
1 Cfr. almeno le recensioni di Maria Tziatzi-Papagianni, «BZ» XCVI 2003, pp. 764-74 e C.M. Mazzucchi, «Aevum» LXXVII 2003, pp . 495-502. Ved. in particolare i contri buti sul tema di D.R. Reinsch, Die Zitate in der Alexias Anna Komnenes, «l:uµµetxi:a» XII r998, pp. 63-74; Id., «Zum E> (I 1, 5). 1 La figura di Manuele Comneno emerge contraddittoria dalle pa gine di Niceta, alle quali è proprio questo «sentimento complesso e poco limpido, ma vivo e penetrante» che conferisce pathos2. Certo, egli ne ammira la generosità, lardore, lo spirito di sacrificio, sin ceramente riecheggiando la retorica ufficiale al servizio della cele brazione del sovrano3• Manuele è fiero, amante del rischio, sem.
1
2
Cfr. Teognide, 2 I 3 sgg.; ved. nota 30 a I I, 5. Lamma, A/druda, p. 62 nt. 6 (rist. in Id., Oriente e Occidente, p. 385 nt. 2).
3 Fondamentali, per tutta la parte della narrazione di Niceta dedicata a Manuele, anche
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GUGLIELMO CAVALLO
pre pronto a gettarsi nel furore delle battaglie, impassibile di fronte alle situazioni più difficili, ma sa essere anche mite e misericordio so. Ancora nell'ora della morte, quando, spogliato delle sontuose vesti imperiali,· fattosi monaco, egli giace coperto da un cencio lo goro ed è arruolato per il «condottiero celeste», Niceta ne esalta il «corpo da eroe». Accanto alla sua tomba, la grande pietra rossa, su cui era stato deposto Cristo, dopo essere stato schiodato dalla croce - preziosa reliquia che Manuele aveva portato via da Efeso e collocato a Costantinopoli - continua a gridare «con voce alta e chiara le imprese e le lotte di colui che taceva nel sepolcro» (VIII 7, 4 e 6). Tuttavia molte sono le ombre che, nei sette libri dedicati a Manuele, Niceta getta sulla sua figura. Le virtù presto si affievo liscono o si dimostrano caduche. Manuele tradisce i legami di pa rentela e si macchia di incesto, è dissoluto, crede nella divinazione e negli astrologi cialtroni fino a rendersi ridicolo, è egoista e inflig ge punizioni dando credito a false accuse, compie errori diploma tici nel trattare con il nemico, in un momento drammatico come quello della sconfitta di Miriocefalo perde nervi e coraggio, pro muove nell'amministrazione civile barbari ignoranti ponendoli al di sopra di 'Pwµai:m istruiti, pratica una politica finanziaria rapa ce e dispendiosa, inclina a dogmi in contrasto con lortodossia. Di Manuele, campione del nuovo sistema di governo dei Comneni, Niceta disapprova soprattutto la tendenza dispotica1• Il suo carat tere dominante sembra l'eccesso: eccesso nel dominio, nell'auda cia, nella sessualità, nello sperpero, nella guerra, nel cerimoniale, nell'edilizia, nell'arredo urbano, persino nelle questioni di teologia. Ne risulta un ritratto in chiaroscuro, nel quale le ombre sembrano prevalere sui tratti luminosi; non ci si sottrae all'impressione che nel regno di Manuele si fossero annidati i germi che produssero la futura catastrofe di Bisanzio. Niceta reagisce alle celebrazioni uf ficiali della figura e della �aoLÀ.Ei.a di Manuele, e rifiuta un'imma gine dei Comneni fasciata di sole luci: nel regno di Manuele vede un'inclinazione alla tirannia che la sua educazione classica e la sua indole liberale non gli consentono di condividere. Ma la figura di Manuele, come è restituita da Niceta, ha influito in maniera deter minante sulla ricostruzione che dell'imperatore ha fatto la moder-
in confronto con altre fonti, le pagine di Magdalino, Empire, specialmente pp. 477-88. 1 Magdalino, Kaiserkritik, pp. 326-46. Ved. in particolare V 7, r con note 64-5 e VIII 6, 1-2 con nota 38.
INTRODUZIONE
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na storiografia; solo assai di recente ne è stata avviata una rivalu tazione, togliendo a Niceta la centralità e il rilievo che, come fonte precipua, ha avuto in molti studi. Tra i successori di Manuele, la figura che ·più coinvolge Niceta è quella di Andronico Comneno1: figura fosca, inquietante, passio nale, tragica, dannata. Andronico è ipocrita, un istrione che versa false lacrime, mugola come un cane e lecca i piedi per raggiungere i suoi fini, è infido e spergiuro, sfrenato nei rapporti intimi, laido nella sua sensualità senile, mette in atto un'usurpazione occulta e sanguinaria facendo soffocare e poi tagliare a pezzi il piccolo Ales sio II, è malvagio e instaura un inesorabile regime di terrore, ucci de gli uomini come bestie avvelenandoli, bruciandoli e impalando li, o li acceca e ne storpia le membra, è schizofrenico e tirannico. Per soddisfare la sua ambizione usa il veleno e la spada, l'intrigo e la violenza, la perfidia e la crudeltà: nell'animo di Andronico - è stato scritto - vi è qualcosa di Cesare Borgia2• Ma di questa figura malefica Niceta subisce il fascino perverso. In un ritratto che resta in prevalenza negativo, la vita avventurosa di Andronico, oscillante tra abisso e cresta dell'onda, lo. attrae: egli ne sottolinea il carattere ardito e perspicace, e ne fa - in accordo con l'imitazione omerica, tanto praticata nel XII secolo - un «uomo dalle mille risorse, for nito d'ogni sorta d'inganni» (IX 2, 4), dunque un nuovo Odisseo3: analogia sottolineata da aggettivi omerici quali :n:oÀ:ui:go:n:c&ta'tOç, :n:oì.:U µrii: t ç, che indicano la versatilità e l'accortezza, o :n:oÀ:uµ�x.avoç, che ne richiama le astuzie, o i:aÀ.acrLcpgcov, che ne ritrae la costanza, o :n:oì.:U:n:ì..ayx'tOç, con allusione alla vita errante. Ma v'è di più: Ni ceta non tralascia aspetti virtuosi di Andronico nella gestione del potere, come la severa energia contro i funzionari prepotenti e cor rotti, la generosità verso i deboli e i questuanti, la riduzione della pressione fiscale, la p olitica in favore delle province, l'attività edi lizia. Nel cogliere in Andronico la coesistenza del bene accanto al male, Niceta lo paragona al serpente che con il suo morso uccide, ma che con le sue carni fornisce l'antidoto che risana, o alla rosa che cresce tra le spine4•
1 Tinnefeld, Kaiserkritik, pp. 174-7. 2 Diehl, Figures by;;zntines, II, p. 93. 3 Agnès Basilikopoulou, '.Avé!e6vixoç o Koµvrrvòç xaì 'OéJvaaevç, «EEBS» XXXVII 1969-1970, pp. 251-9; R. Saxey, «The Homeric Metamorphoses of Andronikos I Komnenos», in Niketas Choniates, pp. 121-43. 4 Sugli aspetti contraddittori con cui Niceta presenta la figura di Andronico Comne-
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GUGLIELMO CAVALLO
Niceta è impietoso e sarcastico con la dinastia degli Angeli. Isac co II Angelo - egli riconosce - all'inizio del suo regno risarcisce quanti Andronico aveva perseguitato e privato dei beni, è munifi co verso chiese e monasteri, e il suo regno è visto «come il passag gio dall'inverno alla primavera o dalla tempesta a una quiete sicu ra» dopo l'iniqua usurpazione di Andronico e gli anni crudeli che ne erano stati diretta conseguenza (XII 1-2, 1). Ma, dopo quel pri mo momento di sollievo, Niceta sembra condividere il giudizio del le fonti occidentali su Isacco II: un imbelle, «che non aveva dor mito su uno scudo o sostenuto la fuliggine dell'elmo e sopportato la bruttura della corazza», dedito com'era, invece, alle «fumisterie libresche» (XII 3, 4). Isacco era irascibile, nevrotico, presuntuoso, ingrato, torpido, «pilotava l'impero con troppa debolezza» CXIV 2, 12) giacché era incapace di ferme decisioni, soggiaceva all'adu lazione e alle false profezie, indulgeva alla crapula e a piaceri frivo li: «se la spassava magnificamente ogni giorno, facendosi allestire una mensa sibaritica e gustando gli intingoli più raffinati, ammon ticchiando i pani e rendendo il banchetto un cespuglio di anima li selvatici, una sfilata di pesci, un mare colore del vino. Di certo, a giorni alterni si concedeva al piacere dei bagni, fiutava essenze profumate e si aspergeva delle loro gocce, si agghindava e ornava di vesti fuori del comune a somiglianza di un tempio. Quell'este ta era vanitoso come un pavone e non indossava due volte la stessa tunica: ogni giorno emergeva dalla reggia come uno sposo dal let to nuziale, come il sole dal mare bellissimo» (XIV 7, ! ) . Quanto ad Alessio III Angelo, Niceta riconosce che egli «non inchiodava occhi, seminando l'oscurità, né potava come viti le estre mità del corpo, facendosi cuoco di uomini. Né, finché egli vestì la porpora dal cupo colore, alcuna donna vestì di nero per la perdi ta del marito che la nera morte aveva ricoperto» CXVI 22, 9). Ma il giudizio complessivo è ancora più sprezzante di quello sul fratello Isacco: dinanzi all'irruzione dei Latini e all'incendio che devasta Costantinopoli, Alessio si dimostra inetto, si copre di vergogna e di disonore; vile e attaccato alla vita si dà alla fuga; né miglior prova di sé aveva dato nell'amministrazione dello stato, mostrandosi ne-
no ved. ultimamente Kaldellis, «Parac;lox», pp. 75-99: 93-6, e Anna Pantani, in Ni ceta Coniata, II, p. 663 note 43-5 a Xl�3. r.
.INTRODUZIONE
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ghittoso e fiacco, e nella politica estera, condotta in mqdo appros simativo e irresponsabile. Da Manuele agli imperatori che regnarono fino alla caduta di Costantinopoli nelle mani dei Latini, sembra che Niceta amplifi chi sempre più i loro lati negativi per dimostrare la sua tesi di fon do: Bisanzio fu punita da Dio e soffrì per colpa di imperatori mol li, deboli, dediti ai piaceri che trascinarono il popolo nella rovina. Tutta la storia di Niceta è costruita come un preludio alla catastro fe, temuta e attesa, e che alla fine irrompe come estrema sventura ed estrema catarsi perché voluta dalla Provvidenza. In questo «libro dei viventi» di Niceta rientrano anche le figu re minori, rese talora con ritratti balenanti e squarci brevissimi, che tuttavia scavano nelle intenzioni, nei sentimenti, nelle pulsioni e nei desideri più profondi. Il ritratto di Anna Comnena, divora ta dall'ambizione, è disegnato con tratti che l'ironico registro del la sessualità rende indelebili: Anna, che aveva sposato Niceforo Briennio, sarebbe giunta al vertice dell'impero se «la consueta pi grizia e scarsa determinazione a prendere il potere non avessero fat to desistere Briennio dall'impresa, costringendolo a restare al suo posto [ ...]; per cui si dice che la kaisarissa Anna, furente per l'in dolenza del marito, come in preda a grandi sofferenze si torturava e rimproverava molto la natura, muovendole l'accusa non picco la d'avere fatto a lei il sesso diviso e incavato, a Briennio invece il membro che si allunga e diventa sferico» (I 3, 1). Costantino, l'ar meno che osa insultare l'imperatore Giovanni II, balza vivo in tut ta la sua tracotanza: «comparendo più volte dinanzi alla fortezza e ritto in armi sul colle, [ ...] parlando in greco inondava di insulti l'imperatore, lanciando - quello sboccato - parole sconce e di di leggio all'indirizzo della moglie e delle figlie» (I 10, 3).. La malva gia ambiguità di Giovanni Camatero, logoteta del dromo al tempo di Manuele I, è concentrata in poche parole di rara efficacia reto rica: «abile nell'imbastire inganni, dotato di lingua biforcuta come quella del serpente sibilante e origine dei mali», egli tradisce i sa cri vincoli dell'amicizia «celando sotto il velo di una buona azione i suoi malvagi disegni e spalmando con il miele dell'affetto il bor do del bicchiere contenente il veleno» (IV 5, 3). Il versetto 12 del Salmo 17 che dice «faceva delle tenebre il suo nascondiglio» viene riferito alla tetra figura del protosebasto Alessio: «quando si gode va le gioie della notte, fugava la tenebra notturna con luce artifi ciale, mentre, quando il sole si levava a oriente sulla linea dell'oriz-
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GUGLIELMO CAVAf.J...O
zonte, egli, cercando il letto come le fiere, schermava la luce con tappeti e drappi purpurei» (IX 5, 2). Nel ritratto del favorito di Isacco II - identificato con Costantino Mesopotamita - si coniu gano avarizia e ghiottoneria: egli >, in History as Literature in Byzantium. Papers /rom the Fortieth Spring Symposium ofByzantine Studies, University of Birmingham (Aprii 2007), ed.
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INTRODUZIONE
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poso come Cecaumeno -il quale dichiara di essere «privo di cul tura» (aµoq?oç [. . ] Myov)1, pur avendo studiato i rudimenti della retorica, almeno fino ai primi progymnasmata2 -leggeva e consi gliava di leggere libri di storia3• Nell'opera di Niceta vi sono brani che hanno una forte carica narrativa, nei quali il ritmo del racconto almeno in superficie risul ta semplice e piano. Così gli episodi che scandiscono la rappresen tazione della spilorceria di Giovanni da Putza, responsabile mas simo delle finanze pubbliche al tempo di Manuele I, rivelano un gusto dell'introspezione psicologica e del dettaglio propri del gran de narratore, che ne consente una ricezione immediata: Giovanni fissa con curiosità coloro che gli si presentano per scoprire se han no denaro nel petto e carpirglielo, fa vendere al mercato i cibi che riceve in regalo, si ingozza avidamente di brodo e di verdura per strada, ma insieme badando ai centesimi di resto che gli deve la ven ditrice, fa fermare il suo pomposo corteo per raccogliere un inutile ferro di cavallo. Niceta gioca con la maniacale avidità di Giovan ni, capace di ricevere più volte in regalo e di rivendere i medesimi pesci, sicché i pesci si potevano considerare ormai «pescatori veri e propri che facevano ciò che avevano subito, calando la loro gros sezza come amo, mettendoci il grasso come esca e tirando giù, per così dire, i passanti verso la loro dimora» (II 6, 4). L'episodio dell'illecita relazione di Andronico Comneno, il fu turo usurpatore dell'impero, con Eudocia, sua consanguinea,·è un racconto d'amore e d'avventura. Quando viene scoperto sotto una tenda avvinto alla donna, Andronico balza con la spada sguainata e sbaraglia quanti stanno in agguato: poi messo in carcere dall'im peratore, si nasconde in un cunicolo e fa credere d'esser fuggito, ricompare quasi fantasma alla.moglie legittima a sua volta messa in ceppi, si unisce a lei e la mette incinta, quindi fugge. Tutto il bloc co narrativo ha un ritmo incalzante, a tratti spezzato da digressio.
by RuthJ. Macrides, Farnham 2010, pp. 25-53: 42-50, dove tuttavia non è presa iri
particolare considerazione la storia di Niceta.
Cecaumeno, Raccomandazioni e consigli di un galantuomo, a cura di Maria Dora SQadaro, Alessandria 1998, p. 228. 2 E quanto ricava da un'analisi della sua opera Charlotte Rouecbé, «The Rhetoric of Kekaumenos», iri Rhetoric in Byzantium. Papers /rom the Thirty-fi/th Spring Sympo sium o/Byzantine Studies, Exeter College, University o/ Oxford (March 2001), ed. by ElizabethJeffreys, Aldershof2001, pp. 23-37. lprogymnasmata erano brevi testi-mo dello su cui si esercitavano gli allievi che iniziavano gli studi di retorica. 3 Cecaumeno, Raccomandazioni e consigli cit., p. 88.
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ni sui sentimenti dell'imperatore Manuele, turbato dai comporta menti di Andronico, o sulle inutili ricerche del fuggiasco, nascosto nel cunicolo. Niceta tiene il lettore con il fiato sospeso. Lo stesso ritmo avventuroso ritorna quando Andronico è rimesso in prigio ne, e ancora una volta fugge ricorrendo a mille astuzie, viene ripre so, riesce ancora a fuggire ingannando i suoi carcerieri, dileguan dosi e lasciando al suo posto un bastone avvolto in un mantello e sormontato da un berretto (IV 3, 1-10 ) . L'episodio del Turco (in Niceta è detto Agareno) che si propo ne di spiccare il volo dalla torre dell'Ippodromo, in occasione de gli spettacoli cui assistono Manuele Comneno e il sultano Yakub Arslan, ha un'atmosfera immobile e incantata. La folla è tutta pro tesa in silenzio verso l'uomo che, ritto sulla torre dell'Ippodromo e con le vesti rigonfie e ondeggianti al vento, saggia l'aria per lan ciarsi nel vuoto credendo, come un nuovo Icaro, di poter volare: l'interesse del lettore è tenuto desto dalle lente sequenze del rac conto, finché il corpo dell'Agareno si schianta al suolo lacerando l'incantesimo (IV 7, 7). Racconti di magia sono invece quelli delle imprese demonia che di Sclero Seth e di Michele Sicidita. Respinto da una fanciul la, Sclero Seth le fa avere una pesca, che la riempie di un furore afrodisiaco (V 8, 1-2 ) . E Michele Sicidita fa venire le allucinazio ni a un ignaro barcaiolo, che perciò vede sul suo carico di cera miche un «serpente color del sangue, con la cresta fiammeggian te»: nel tentativo di ucciderlo in realtà riduce in· pezzi le stoviglie a colpi di remo (V 8, 3). All'interno della storia di Niceta, l'intreccio delle vicende di Eufrosina, l'imperatrice che muove le fila del regno di Alessio III, è quasi un romanzo. Uomini di corte e di famiglia invidiosi e fru strati, decaduti dalla loro potenza primitiva, quasi lucciole cui ces sa lo splendore al sorger del sole, riferiscono al sovrano l'insistente voce che Eufrosina compia atti spudorati ·e contamini con adulte ri il letto imperiale. Alessio s'infuria, si vendica, fa sbranare e de capitare l'amante di Eufrosina, ne insulta e calpesta la testa getta tagli davanti ai piedi: scena macabra, che doveva impressionare i lettori. Fremente d'ira, Alessio allontana Eufrosina dalla mensa im periale. A nulla valgono le suppliche di lei rivolte all'imperatore e ai suoi favoriti perché non si dia credito alle cahmnie. Privata de gli ornamenti imperiali e vestita come le donne di umile condizio ne, cacciata dal Palazzo e fatta salire su una barca, la donna viene
INTRODUZIONE
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segregata in un monastero. Ma dopo sei mesi, grazie ai molti che intercedono in suo favore presso l'imperatore, Eufrosina viene ri chiamata al Palazzo, perdonata, e riacquista più potere di prima seducendo Alessio con moine e carezze che lo rendono pienamen te suo CXV 13, 8-18). Narrando storie come queste Niceta è certo mosso dal desiderio di interrompere il succedersi, che può talora riuscire monotono, di eventi bellici, trasferimenti di eserciti, atti di governo, discorsi e allocuzioni politiche, considerazioni sui disegni divini, per abbandonarsi al gusto del narrare e dare ai destinatari della sua opera il piacere della lettura. In questa stessa prospettiva, sul piano stilistico-retorico Nice ta attenua le difficoltà della sua lingua alta, impastata di citazioni classiche e bibliche, mediante il ricorso ad aneddoti o a confron ti che trattano situazioni della vita quotidiana talora scendendo in dettagli concreti, naturalistici e scurrili, come per facilitare i letto ri meno avvertiti del suo testo. Gli Sciti devastano le regioni della Tracia «più radicalmente d'uno sciame di cavallette» (I 5, 1); i ri gori della stagione invernale scagliano «i fiocchi di neve come pie tre e le gelate come dardi» (I 14, 1); Isacco Comneno «strepitava invano [. ..] e batteva a vuoto le ali come un uccellino irretito» (II 1, 3); i Persiani cascano «l'uno sull'altro come spighe», o sono «spre muti di sangue, [ .. ] pigiati dai lancieri come acini» (II 8, 8); Gio vanni Camatero, goloso di fave verdi, le assalta «con impeto mag giore di uno sciacallo» (IV 5, IO); gli eserciti si agitano «come un serpente che si muove facendo fremere le squame» (VI I' I 4); i Ro mani sono trucidati «come greggi di pecore chiuse negli ovili» (VII 1, 17); Maria Comnena, colpita dalla sventura, si mostra «pietosa più d'un avvoltoio, afflitta più dei serpenti, dolente più d'un alcio ne» (V 7, 5); l'imperatore sfugge ai barbari «come da una trappola per donnole» (VII 1, 22); tra i turpi cortigiani di Alessio II «alcuni, come api, spesso scioglievano l'ala verso le province e ammassavano le ricchezze come miele; altri, come capre, bramavano il germoglio del regno e desideravano incessantemente di coglierlo; altri anco ra, imitando le scrofe, s'ingrassavano con le più sordide entrate [ . ] dandosi come maiali a porcherie d'ogni sorta» (IX 2, 7); i giudici venali «guatano la mensa imperiale come gli avvoltoi le carogne» (XI 5, 2); Andronico pensa di distruggere i nemici «come i caccia tori i porci selvatici», e porta al suo seguito meretrici e concubine «come un gallo le sue galline da cortile, un capro che guida il greg ge le sue capre» (XI 1, 8 e 2, 1); Isacco II ribolle di ira «come una .
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pentola» CXII 7, 2). Spesso questi confronti e molti altri riposano su reminiscenze del Salterio e di Omero, che erano il primo fonda mento dell'istruzione a Bisanzio e perciò erano nella mente di tut ti. In questi richiami al mondo circostante spicca il ricorso «insi stente, per non dire ossessivo» agli animali, specchio deformante di quei vizi umani che nutrono il desolato racconto del teatro del potere messo in scena da Niceta 1• Quali che siano stati il grado di cultura o le abitudini intellet tuali dei lettori o le maniere di lettura, la storia di Niceta incontrò immediato favore: lo testimonia il numero di codici che ne assicu rò la diffusione subito dopo la sua tormentata stesura, nei seco li XIII-XIV; numero alto per l'epoca e segno di un interesse per la storia contemporanea come non si ritrova per opere dello stes so genere. Il primo ambito nel quale il testo fu conosciuto sembra essere stato quello dei dotti della corte imperiale, cui lo stesso Ni ceta apparteneva. Di uno dei manoscritti più antichi, ora conser vato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, si è voluto ri conoscere il possessor� in Costantino Mesopotamita, il puer senex che fu il potente favorito di Isacco II e che divenne arcivescovo di Tessalonica. Si tratta in ogni caso di un esemplare che la scrittu ra mostra prodotto non oltre il secondo decennio del secolo XIII, e perciò forse quando Niceta era ancora in vita2• La parafrasi "di vulgativa" che della storia di Niceta fu fatta ne consoliderà ulte riormente il successo3•
1 Bossina, Bestia, p. 37, cui va affiancato ultimamente, Littlewood, «Vegetai and Ani mai lmagery>>, pp. 223-58, dove sono le immagini ricordate qui e nelle pagine pre cedenti, insieme ad altre ancora. 2 Si tratta del codice Laurentianus IX 24 , il quale reca di Niceta principalmente la Panoplia dogmatica, mentre della Na"azione cronologica tramanda solo la cosiddet ta Aì..watç, vale a dire l'aggiornamento sui fatti della crociata e sugli eventi imme diatamente successivi alla presa di Costantinopoli. L'identificazione tra il pcissessore del codice di Firenze - ivi indicato a f. 38 5r come i:oii 0i;ooaÀOVL%'l!\; Mi;oo:rmi:a µl i;ou - e il Costantino Mesopotamita di cui nella storia di Niceta, si deve a R. Wal ther nella ree. all'edizione di van Dieten, «Gnomon» L 1978, pp. 536-40: 539. Si tratta di un'ipotesi suggestiva ma che rimane del tutto incerta. In ogni caso, la tra dizionale attribuzione del codice Laurenziano alla fine del secolo XIII deve essere anticipata all'inizio dello stesso. Sembra dunque - circostanza su cui riflettere - che l'ultima parte della storia (da XVI 19, 2 alla fine) si sia diffusa subito dopo la sua composizione e a sé stante. 3 van Dieten, Bemerkungen, pp. 37-77; edizione critica dei libri I-VIII in Davis. 0
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XLIX
5. Il teatro di Niceta Bisanzio è un mondo di spettacolo e di esibizione. La storia di Ni ceta, che è il riflesso di quel mondo, mette in scena gli eventi con la forza di un'azione drammatica grandiosa e coinvolgente1• Non a caso più volte vi ricorrono termini come itéaµa, O'ljnç, OQaµa, i quali indicano tutti lo «spettacolo», quel che si offre alla vista, qua si cibo per gli occhi, implicando - come precisano talora aggettivi mirati che quei termini accompagnano - una partecipazione emo tiva di itemai., gli spettatori di un teatro. Spettacolo sono i trionfi. Nel 1133, il giorno in cui Giovan ni II celebra la sua vittoria su Unni e Turchi, dalla parte orientale della città fino al Grande Palazzo le strade risplendono di drap pi intessuti di porpora e d'oro, e immagini di Cristo e dei santi si mostrano agli astanti effigiate sui sacri veli. Impalcature di legno consentono a tutti la vista e accrescono il fasto dell'apparato. Su un carro intarsiato d'argento e trainato da «quattro cavalli dalla bella criniera, più bianchi della neve» è collocata l'icona della Ma dre di Dio, l'invincibile, mentre l'imperatore procede a piedi alla testa del corteo tenendo in mano una croce (I 8, 5). Altrettanto spettacolare il trionfo del I I 5 I celebrato da Manuele I per la sua vittoria su Serbi e Ungheresi. Il corteo, reso il più lungo possibi le facendo sfilare i prigionieri a gruppi fra loro intervallati, avan za in processione per le strade della città nell'assetto più splendi do: he accrescono lo sfarzo i vinti, catturati in guerra, rivestiti di magnifici abiti, fatti loro indossare perché il itéaµa della vittoria imperiale risultasse più insigne e vistoso. Sintesi di questi trionfi per splendore e imponenza è quello inscenato nel I I 67 dallo stes so Manuele I per la vittoria riportata da Andronico Contostefa no ancora sugli Ungheresi: «i cittadini, affluendo chi da una parte chi dall'altra verso quel corteo come una corrente che scende giù dall'alto, svuotarono le piazze, le case, le chiese, le officine e ogni altra parte dell'ampia città»; l'immagine della Madre di Dio è issa ta su una quadriga dorata; l'imperatore glorioso e magnifico avan za su un superbo cavallo. Al suo seguito è Contostefano, il genera le vittorioso, in onore del quale si cantano inni che ne celebrano il valore (VI I, I 7). La sapiente orchestrazione di queste cerimonie
1
Ved. ultimamente Katsaros, «AQaµai;L'KÒ oi;mxei:o», pp. 281-316: 310-5.
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rispondeva all'esigenza di immergere lo spettatore in un'atmosfe ra che dava spazio alle emozioni e ne catturava i sensi, e che Nice ta restituisce facendo rivivere nella sfilata trionfale la folla osan nante, le stoffe di porpora, gli ori dei dignitari, i vessilli al vento, le immagini sacre, i nemici sottomessi. L'ordine, la i:a�Lç, nell'ap parato, nel fasto, nello svolgimento di queste cerimonie a Bisanzio non era soltanto espressione di un rituale elaborato o pura osten tazione, ma - come ogni cerimonia imperiale o ufficiatura liturgi ca - rivestiva un significato profondo, poiché voleva rispecchia re sulla terra l'ordine del mondo celeste1, mentre le stesse parate trionfali dovevano essere segno manifesto del favore divino accor dato al sovrano e a Bisanzio. Spettacolo sono i tornei, come quello combattuto tra Romani: e Latini «con lance prive di ferro» (IV 4, 2) nella pianura di Antio chia dopo che nel I I 5 9 Manuele I era entrato solennemente nella città: episodio altrimenti interessante giacché nell'intrattenimen to del torneo si rispecchia e si glorifica, smussato e nobilitato dal gioco, l'impegno militare della vita aristocratica2. L'aria freme per corsa dall'impeto dei cavalli. Gli stendardi garriscono al vento. En trambe le parti si scontrano con impeto armeggiando e schivando i colpi. Allora «si poteva vedere uno buttato giù a capofitto con la testa e le spalle per terra, uno, da un'altra parte, sbalzato giù dal la sella, un altro a faccia avanti, un altro supino, un altro volgere le spalle e darsi a una fuga precipitosa. Uno sbiancava di paura te mendo il nemico che lanciava giavellotti, e si seppelliva tutto die tro il suo scudo; l'altro si rinfrancava vedendo che l'avversario se ne stava acquattato» (IV 4, 5). Niceta sa dare più risalto scenografi co all'evento intrecciando i momenti dello scontro con dettagli co loristici, talvolta frivoli: la veste di Manuele è fermata sulla spalla e ricade armoniosamente lasciando libera la mano per impugnare lo scudo; il suo cavallo ha i finimenti bordati d'oro, fa fremere la bella criniera e scalpita; i suoi compagni vestono anch'essi con eleganza; Rinaldo di Chatillon, il rivale, monta «un cavallo più bianco della neve», indossa una tunica lunga fino ai piedi e ha in testa un berret. to floscio con ricami in oro. Sembrava che Ares, il dio della guerra, si unisse ad Afrodite, la dea della bellezza e della grazia (IV 4, 3- 5).
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Kazhdan-Constable, People, p. 158. Cfr. Kazhdan-Epstein, Change, p. 109.
INTRODUZIONE
LI
Spettacolo sono le crudeltà. Accecamenti, mutilazioni, torture, soffocamenti, supplizi còn il fuoco, con i sassi, con il ferro, scempi di cadaveri si susseguono a ritmo incalzante. Costantino Macroduca e Andronico Duca, accusati di tradimento, sono lapidati dalla folla, sepolti sotto un cumulo di pietre alto come una collina, poi appesi a una forca ancora vivi e martoriati (X 4, 8-9). Atroce e lacrimevo le nella sua puntigliosa messa in scena è il supplizio di Marnalo, il ragazzo «di primo pelo, con ie guance coronate di lanugine» con dotto al rogo quasi vittima sacrificale per dare spettacolo agli occhi malefici di Andronico Comneno e riempire di pianto quelli degli spettatori. Nudo e legato con funi, Marnalo viene spinto con perti che aguzze verso il rogo: il ragazzo cerca di balzare fuori dal fuoco sbattendo dolorosamente contro le pertiche, finché spossato giace supino e viene divorato dalle fiamme (X 7, 6). Questo cupo spet tacolo si svolge nell'Ippodromo, vero palcoscenico di quella che è stata chiamata «la scenografia della punizione», ereditata dall'im pero romano e che a Bisanzio continuò ad avere una straordinaria fortuna1• Raccapriccianti e orrende le sevizie che segnano i momen ti del supplizio di Andronico privato del trono. Gravato di catene e «con i piedi offesi da ceppi» viene esposto al pubblico ludibrio: lo si prende a schiaffi, a pugni, a calci, gli si strappa con violenza la barba, gli si cavano i denti, gli si mozza la mano destra. «Spettaco lo pietoso, che avrebbe strappato fiumi di lacrime agli occhi di chi avesse umanità», Andronico viene orbato di un occhio, issato su un cammello rognoso e trascinato, vestito di uno straccio, in uno sguaiato trionfo di infamia. «Alcuni lo colpivano in testa con delle mazze, altri gli imbrattavano le narici con escrementi di bue, altri con delle spugne gli versavano sulla faccia lordura di ventri bovini e umani. Altri inveivano lanciando turpi ingiurie contro sua madre e l'altro suo genitore. Alcuni trapassavano i suoi fianchi con spiedi. Altri più spudorati gli gettavano pietre e lo chiamavano cane rab bioso. Una meretrice dissoluta afferrò da una cucina un vaso pie nò d'acqua calda e lo svuotò sulle sue guance. Non c'era nessuno che non maltrattasse Andronico». Alla fine, massacrato negli orga ni genitali e torturato da spade conficcategli in tutto il corpo, An dronico spira tra sofferenze atroci. Il cadavere viene prima appeso
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Maltese, ·«Storia dello spettacolo», pp. 269-84: 276-83 (rist. in Id., Dimensioni bi
zantine, I, Alessandria 1995, pp. 5-23: 13-21).
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tra due colonne e offerto all'oltraggio della folla, e quindi «gettato come la carogna d'una bestia sotto una volta dell'Ippodromo» CXI 8, 7-10 e 14)1. Al tempo di Alessio III Angelo, le milizie imperia li ammazzano come un animale da macello l'usurpatore Giovanni Crasso; ne portano la testa mozzata all'imperatore e la issano poi sulla pubblica piazza ancora grondante sangue, con la bocca atteg giata in un ghigno orrendo e gli occhi chiusi; infine la sua carcassa viene gettata in pasto a cani e a uccelli CXVI 12, 3-4). Senza dub bio, Niceta è awerso ai supplizi e agli scempi del corpo, eppure ne dà descrizioni ai limiti del compiacimento morboso: non tralascia dettagli crudeli, scabrosi, cruenti, ripugnanti, come se volesse tra sformare il lettore in uno spettatore. Spettacolo sono le catastrofi naturali, su cui Niceta riversa la sua pietà. Straripando di notte all'improvviso, come se si fossero aperte le cataratte del cielo, il torrente Melas travolge gli Aleman ni accampati in territorio bizantino trascinando cose e uomini. «Lo spettacolo era pietoso, dawero lacrimevole: gente che cadeva sen za guerra, uccisi senza chi li inseguisse. Né la ritta, quasi gigante sca statura, né la destra insaziabile di combattimento li aiutavano a sfuggire alla sciagura: cadevano come fili d'erba, erano trascina ti via come paglia secca, come un leggero fiocco di lana: per dir la con i salmi, quel fiume portò via le voci di costoro che gridava no forte in barbari accenti e intonavano alle vette e alle colline, a valle delle quali erano travolti, una melodia terribile e insieme sel vaggia» (II 7, 11). Spettacolo sono le guerre, le battaglie, i saccheggi, le devasta zioni di città e di territori. Nel tentativo di espugnare nel 1149 la rocca di Corfù, occupata dai Normanni, i Bizantini salgono su una scala di legno instabile, poggiata su imbarcazioni per com battere. «Quella visione atterriva dawero l'occhio che la osser vava. Gli uni infatti, sollevando gli scudi sulla testa per sicurezza, awicinatisi con la spada sguainata a quelli che combattevano dal castello, lottavano con impeto; gli altri si servivano di ogni cosa per scagliarla contro di essi e lanciavano sassi grandi come una mano.» Spettacolo pietoso a vedersi per occhi compassionevoli, la scala si spezzò, e tutti caddero giù a capofitto e morirono «tra-
1 Su questo episodio ved. Anna Pontani, Henry De Groux, il pittore di Andronico (Con una figura), «RHM» XLV 2003, pp. 219-39.
INTRODUnONE
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sportati dal flusso e riflusso delle onde, sbattuti contro gli scogli e il ponte delle navi, sepolti dalle pietre che cadevano dall'alto» (III 5, 7). Oì:x:tQO't> (App. XIX 14, 3r-4, p. 660, 42-6 p. 614 v.D., appar. b 7-ro); sfnoti al riguardo che R è già terminato con la fine del libro sul la conquista, e M non ha più trascritto la frase di congedo. M in que sto punto passa alla redazione a, e per la precisione lo fa sulla base di un modello, dal quale prende le mosse anche C, e che risale allo stese so P (ved. van Dieten, «Einleitung», pp. LXIV-LXV). Oltre ai mano scritti D e F della redazioneb, anche i codici K (f. r9ov) e N (f. 184) delle epitomi hanno la fine ora descritta (non l'ha invece il codice U, che si interrompe con Ei:v la variante OXLU'tQaq:>ei:v, che troviamo anche in Senofonte, Oec. 4,2,e in Teofrasto,Caus. Plant. II 7,4 e allude al passo del Cantico dei cantici 1,5 sg.: «bruna sono ma bella .. . non state a guardare se sono bruna, perché il sole mi ha guar data di lato» (abitualmente tradotto «mi ha abbronzata»; µÉAULVU ELµL
Èyro xat xaA.Tj ... µ'Ì] j3AÉ'ljl'IJ'tÉ µe éYtL Èyoo elµL µeµeA.avroµÉV'I), oi:L :n:a QÉj3A.e'ljlÉ µe o t]A.Loç). Al copista di P il termine OXLU'tQaq:>ei:v apparve sospetto,e lo sostituì con OXLayQaq:>ei:v, «disegnare ombreggiando»,e, poiché aveva una conoscenza della Bibbia minore di Niceta, non riuscì a farsene niente nemmeno di :n:aQÉj3Ae'ljlav, e lo çambiò così in :n:aQÉ j3A.a'ljlav. In V la parola che suona strana è µÉO'l)ç, «medio», al posto della quale Pb hanno A.euxf)ç, «bianco»: io ritengo µÉO'l)ç, «medio»,un errore di copiatura in V da spiegare in termini psicologici, per il fatto che il copista nello scrivere la frase da &.vax;roQiìiV, «pur essendo lungi da»,aveva in mente il risultato finale del colore della pelle,che era un colore intermedio tra n�ro e bianco. In II 4,4,40-4 (=pp. 53,51-4 v.D.) si legge in Vb e,per il senso,an che nella parafrasi in greco volgare (B),quanto segue: «L'imperatore,av-
NOTA AL TESTO
LXXXIX
vicinatosi alla cinta muraria di lconio e circondate le mura con l'esercito, dopo aver concesso alle truppe giovani e ('tE) di scagliare dardi con tro gli spalti e (xat) di violate i sepolcri ricettacoli di cadaveri, andò via di lì e tornò indietro». p(nonché Amg) dopo èvu�QL�EL V' «Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae» «A.Cl» «Antiquité Classique>> Byzantinisches Archiv BA Berliner Byzantinistische Arbeiten BBA «BBGG» > A. Kazhdan, «Terminology of Warfare in the History of Niketas Choniates: Contingents and Battle», in Eµ:n:oÀeµo Bv�dvno, pp. 75-91 (rist. in Kazdan, Nikita Choniat, pp. 472-89). Kazhdan-Constable, People A.P. Kazhdan-G. Constable, People and Power in Byzantium. An Introduction to Modern Byi.antine Studies, Washington, D.C., 1982. Kazhdan-Epstein, Change A.P. KaZhdan-Ann Wharton Epstein, Change in By;.antine Culture in the Eleventh and Twel/th Centuries, Berkdey-Los Angdes-London 1985. Kazhdan-Franklin, Studies A.P. Kazhdan-S. Franklin, Studies on Byzantine Literature o/ the Eleventh and Twel/th Centuries, Cambridge 1984. Kazhdan-Ronchey, Aristocrazia A.P. Kazhdan-Silvia Ronchey, !}aristocrazia bizantina dal principio dell'XI alla fine del XII secolo, P alermo 1997 (19992). Khoury, Polémique A.-T h. Khoury, Polémique byzantine contre l'Islam (VIJI•-XIII• s.), Leiden 1972. Kislinger, «Being and Well-Being in By zantium» E. Kislinger, «Being and Well-Being in By zantium: T he Case of Beverages», in Materia! Culture, pp. 147-54. Kislinger, Demenna E. Kislinger, Demenna und die byzantinische Seidenproduktion, «BSl» LIV 1993, pp. 43-52. Kislinger, «Giorgio di Antiochia» E. Kislinger, «Giorgio di Antiochia e la politica marittima tra Normanni e Bisanzio», in Giorgio di Antiochia, pp. 47-63. Kittd, Lessico Grande lessico del Nuovo Testamento. Fondato da G. Kittd, con tinuato da G. Friedrich. Edizione italiana a cura di F. Montagnini, G. Scarpat e O. Soffritti, I-XV, Brescia 1965-1988. Koder, «T halassokratia» J. Koder, «Aspekte der Thalassokratia der By zantiner in der Agliis», in Griechenlandund das Meer, pp. lOI-9
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NARRAZIONE CRONOLOGICA I, I
I7
brati e aiuta non poco i futuri governanti a un impeccabile eserci zio del potere. Alessio, quando ascoltava queste cose, consapevo le dell'affetto materno, talvolta simulando di applicare la mente ad altri affari incalzanti da presso, fingeva di non badare affatto alle sue parole; talaltra, invece, prendendo in esame la proposta, assi curava che non avrebbe trascurato la sua richiesta. A volte, infine, irritato, diceva press'a poco così: «Moglie, compagna del mio let to e del mio regno, vuoi smetterla di darmi suggerimenti a favore di tua figlia e di adoperarti a dissolvere l'armonia e l'ordine lode
vole, come se Dio ti avesse fatto impazzire? Va' a farti benedire! O piuttosto, vieni qui, riflettiamo insieme e vediamo chi fra tutti
coloro che in precedenza regnarono sui Romani, avendo un figlio adatto al governo, lo trascurò e gli preferì il genero. Anche se qual che volta accadde una cosa del genere, quella che è una singolari tà, moglie mia, non la considereremo come legge19! Tutto il popolo
dei Romani riderebbe sonoramente alle mie spalle e mi si riterreb be uscito di senno se io, dopo essermi impadronito del potere in modo non encomiabile, ma col sangue di familiari e con sistemi re pugnanti alle leggi dei cristiarii2°, dovendo lasciare un successore, respingessi quello che è nato dai miei lombi e insediassi il "Mace done"» (chiamava così Briennio perché era originario di Orestia de: questa è una delle più prospere e potenti città della Macedo nia)21. Alessio, che con asprezza diceva queste cose all'imperatrice Irene e tuttavia poi faceva come chi non dice affatto di no, porta va in giro la moglie, sempre facendo la parte di chi stava rifletten do. Quest'uomo ID.fatti era simulatore quant'altri mai, considerava cosa sempre prudente l'accortezza e generalmente non si mostra va loquace sul da farsi. 1, 2.
Avvicinandosi la fine della sua vita, egli giaceva agonizzan-
{!uitµl�ELV- �&ç;: cf. Lucian. Anach. 22 20-1. 1tQÒç; j3auLÀElav àè\taM.031. 13rJtov: cf. Io. Scyl., p. 80, 73-4 (inde Cedren. II, p. 138, 20); XV 3, 2, 44 �aÀ' - àyaih'!v: cf. Karathanasis 29 35-6. et è\é 11:oi;e - T]yriuoµeita: cf. 'fumvayooyti I 2 36. :>1.am.tQÒV yeÀUoç;: cf. supra 4 20.
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XPONIKH òIHrID:U:
3tVÉCOV 'tà À.OL01ha ev 'toiç x.mà 'tTJV I µovi]v 'tCÌIV Mayycivcov ì..a.µrtQO'tawLç ot x.o6oµ�µamv, ò 6è rtaiç 'Iwcivvripòv rtmÉQa ÒQeì>v 't'fl 'tEÀ.E'U't'fl 3tÀ.TJOLcitovta x.aì. 'tTJV µT]'tÉQa EL6Ò>ç àrtoO'tÉQ youoav x.aì. 't'fl à6EÀ.ç �bTJ Èv i: à.oqmÀEL xa{}Eoi:ooç. à.ì..ì.à . xaì. i:o'tç Èx yÉvouç xaì. OLXELÙ>oEwç aùi: :n:gooEyyi toum xai:à i:ò à.vciì.. o yov :n:goocpEQOµEvoç &gµobiouç Èxcioi:cp à.:n:ÉvEµE i:àç i:Lµciç. i: yE µi]v 'Ioaaxi
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24
XPONIKH �IHI'm:Il:
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30
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35
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24-5. µév- EÌlitciQU- Èitlx.1'.rrmç om. H b i;àç ovyyeviJJv: x.aì. x.ai;à x.fjc'ìoç aùi;qi ovvaqy&eì.ç wç µL� i;iJJv Èx.elvou ovy yeviiJV :JtQOO:JtÀ.axeì.ç H b 33-5. fatò- etxov-co: i;fjç tiiJV IlEQCJiiJV c'ìuvaatelaç àitaUayetarrç, ote Bmµoiivc'ìoç i;fjç Èç Ila1'.atatlvriv itoQElaç etxew PH Bekk. -·
NARRAZIONE CRONOWGICA I,
2-3
25
dere a grandi passi, ovvero non facendone più lunghi della gamba, finì per avere un potere più duraturo. In seguito fu messo a fianco
di questo un altro Gregorio, di cognome Camatero37• Quest'uomo dotto, ma di stirpe non illustre, nient'affatto altolocata, che fu as sunto dall'imperatore Alessio e inquadrato fra i segretari38, si mise a svolazzare per le province e, per il fatto che accumulava gran
di ricchezze con l'imposizione a esse di tributi, desiderò legarsi di parentela con l'imperatore. Unitosi quindi in matrimonio con una consanguinea di quest'ultimo39, fu nominato logoteta dei sekreta40• 2, 2.
Ma presso questo imperatore ad avere più potere di tut
ti e a godere della più alta autorità era Giovanni Axuch41• Questi era persiano di stirpe42• Quando la città di Nicea, capoluogo della Bitinia, fu conquistata dagli eserciti occidentali in marcia verso la Palestina, fu catturato anche lui e fu offerto in dono all'imperato re Alessio43• Essendo coetaneo dell'imperatore Giovanni, fu scel to come suo compagno di giochi e fu stimato come il più caro dei domestici e dei cubiculari. Quando Giovanni salì al trono, la sua autorità superò ogni esempio precedente44; fu insignito della cari ca di gran domestico45, così che molti illustri personaggi della fa miglia imperiale, se per caso l'incontravano, scendevano da cavallo e gli facevano la riverenza. Le mani di quest'uomo non solo erano addestrate alla guerra, ma anche rapide e alacri a fare del bene in caso di necessità. Pertanto la nobiltà del suo animo e la sua libera lità mettevano in ombra il fatto che la sua stirpe non era tale, e ren devano Axuch amabile a tutti. 3,
I.
L'imperatore non aveva ancora finito un anno esatto di re
gno, che fu ordito contro di lui un complotto - in che modo non si è in grado di dire - da parte dei suoi parenti, che lo odiavano
27. àµqieitO'tiii:o: cf. Horn. Il. Il JI 5 28. i;dhXL�uicmwv: cf. Horn. Od. XIII 106; Greg. Ant. Laudatio patr. Bas. Camat., p. 665 Loukaki; IX 2, 7, 78 43. l(ELQEç itoÀeµov: cf. Ps. 17, 3 5 -
26
XPONIKH �IHI'lil:Il:
oµµa OL È:n:LQQLJttOUVt Jtavtofoncp xaì. JtOL'X.LÀ.mç è �µam V OÙOLUV ti'jç 'X.aLOUQLOOlJç xa{}' EVO 6oµov OUVEL À.eyµÉVT]V o j3amì..e'Ùç 'Iwv o:n:ì..ciy xvcov xcogouom ì..u:n:Etv d.-6-civma ijµEllov».
43. 'tÒ-
à:n:wµoaaw: YQ· TÌ]v =tt' aIµa otxetwatv à:n:wµoaaw Amg
NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
3
29
sowertito: infatti i parenti si sono scoperti nemici, gli estranei ami ci; per questo bisogna che anche le ricchezze finiscano a coloro che mi sono amici», aveva ordinato che prendesse tutto il gran dome stico. Ma questi, dopo aver ringraziato per l'offerta l'imperatore, che perseguiva somma liberalità, chiese che gli fosse concesso di esporre ciò che gli pareva giusto. Avuto il permesso, disse: «Anche se tua sorella, o imperatore, ha preso l'iniziativa di azioni violente, piene di grande ingiustizia, e proprio con i fatti ha rinnegato il vin colo di parentela, non ha tuttavia perso l'appellativo che a lei deri� va dalla natura, come anche il rapporto. Quindi, poiché resta an cora sorella d'un buon imperatore, pentendosi potrà risvegliare di nuovo quell'affetto che poco fa smarrì per un'aberrazione: la natura le verrà in soccorso. Risparmia dunque, signore, una consanguinea che s'è scontrata con il tuo potere e puniscila con la tua generosità, dato che già riconosce apertamente d'essere inferiore alla tua vir tù. Rendi a lei anche quanto sta qui dinanzi, non come giustamen te dovuto ma come dono spontaneo, poiché lei potrà possederlo a titolo più giusto di me, essendo eredità patema, destinata a passa re alle generazioni future». L'imperatore, persuaso da queste pa role, o per meglio dire preso da vergogna, dà prontamente effetto all'esortazione, dicendo: «Sarei indegno del potere, se tu fossi rite nuto più generoso di me nei confronti della mia famiglia e capace di resistere a una ricchezza grande e a portata di mano». Così ridà tutto alla kaisarissa e fa pace con lei53• 3, 4. Irene, l'imperatrice madre, non risultò in alcun modo coin
volta nel complotto contro il figlio; si dice anzi che, venutane in se guito a conoscenza54, coniò un saggio aforisma: che un imperatore, quando non c'è, bisogna cercarlo, e quando c'è, non bisogna rove sciarlo. Disse anche: «Quali dolori mi avrebbero forgiato gli ucci sori di mio figlio, più aspri certo di quelli che provai nel partorirlo: poiché questi spingevano alla luce il frutto delle mie viscere, men tre quelli, penetrando nel mio seno dai recessi dell'Ade, mi avreb bero arrecato sofferenze senza fine»55•
30
XPONIKH AIHI'filll:
4, 1. 'O &è paoLi\.e'ÌJç i:o'ÌJç IIÉQoaç ÒQ&v :itaQ' o'ÒC>È.v iteµévouç 'tàç :itQÒç 'tÒV EUlJ'tO'U :ita'tÉQU SllVitrptaç %UL :itaµ:iti\.'Y]iteL 'tcOv :itoi\.ewv xmaitÉOV'taç, o:itoom :itEQL Quyl.av xat :ito'taµòv 'tÒv Mal.av&Qov i'.bQllV'tm, foQoç emmcivi:oç eseLoL xa't' a'Ò5
IO
x5
20
25
'tcOv xat Ollµpai\.cìw µcix.mç :itoi\.MxLç ÈxQci't'Y]OE 'tijv 'te Aao&l. xeLav '.)(.ELQwociµevoç 'teL'.)(.EOL :itEQLÉPai\.e xat 'tÒV 'Ai\.mx.aQàv µemvciITT'Y]V eitei:o, oç 'tTJV 'taU't'Y]ç cpQOllQàV È:itE:itLO'tElJ'tO, %UL 'tà i\.omà ltQÒç 'tÒ &éov 'X.U'taO't'Y]Ociµevoç VOO'tOlJ eµvijoai:o. 4, 2. Kat I µLXQOV 'tL 'tcp ButaV'tLCfl Èv&LmQL'ljmç oxrivl.'t'Y]ç yl.vemL :itciALV, 'tcOV ç ex.ov i\.uµai. veoitm 'tÒ avÉi:oLµov UcpOQCÒµevoç. oitev '.)(.QOVLtELV ÙQEL'tO µ0.i\.i\.ov 'tOLç eswitev Mo 'tà xcii\.ALO'ta %a'tOQitoilv EV'teilitev otoµevoç, 'tijv 'tE ' cpui\.axi]v 'trov otxel.wv x.wQ&v, ftv ci>ç 'tà noi\i\à PQapeueL 'tÒ WQaui\.ov, xat 'tTJV etç 'tà :itoi\.ɵLa EQya 'tQLPt'fv 'te xat doxrimv 'tcOv myµci'tWV acpLmaµévwv 'tOU OL%0lJQELV xat ci>ç pacpfl ol.&'Y]QO� 'tOLç EX 'tfjç 'X.UllO't'Y]QO.ç µci'.)(.'Y]ç i.&Qci'>OL :itayLOuµÉVWV. 4, 3. XELQwooµevoç 'toi.vuv &.:itlJEL 'tTJV xmà IIaµcpuÀ.l.av �to:itOÀ.LV. Ù>ç &È &uocii\.w'toç ÈMXEL 'tLç EL VaL &Lei 'tE 'tÒ ÈyxatlTJµevov ev&ov O:itAL'tLxòv xat 'tÒ I &uoéµpoÀ.ov 'tfjç itéoewç xat :ite QL'X.Q'Y]µvov, 'tOLov&e 'tL µrix.civriµa xmà itei:ov µÉ'tELOL. MvaµLv i.:itmxi]v IIax'tLaQi.cp 'tLvt :itaQa&o'ÌJç ÈV'tÉÀ.À.eml. oi. Ollvex.roç 'tfl �wto:itOÀ.EL EvL:it:itciteoitm xa:itL 'tOLç 'tEL'.)(.EOLV acpLÉVm péÀ.e µva, eL &' E:itESÉÀ.itOLEV OL :itOÀ.ɵLOL, cpeuyeLV aµemITTQE:it'tL, µ'Y]6' Ècpemcivm :itQÒç :itoÀ.eµov, :itaQLÉvm 6' ou'tw xat 'tàç µLXQÒV a:itoitev 'tfjç :itOÀ.EWç OlJVE:it't'UyµÉvaç 'X.UL À.O'.)(.µCÒ6eLç a'tQCl:itOuç, o µèv oi'iv xa'tà 'tTJV pamÀ.LXTJV :itaQal.cpamv E:itQç &è� Èm&i.WsLç E:itL :itOÀ.'ÌJ %ClL :itOÀ.ÀciXLç :itQÒç 'tcOv IlEQOcOv eyl.VE'tO exx.eoµévwv 'tfjç �wto:itOÀ.ewç, xmaoocpi.te'tm 'tÒ av'tL:itai\.ov Ò
NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
4,
r.
4
3I
L'imperatore, vedendo che i Persiani non tenevano in nes
sun conto i patti stretti con suo padre56 e con le loro orde faceva no scorrerie contro le città che stavano in Frigia57 e lungo il fiume Meandro, all'inizio della primavera58 fece una spedizione contro di loro; li vinse in ripetuti scontri, s'impadronì di Laodicea59, la cinse di mura e bandì Alpichara60, cui era stato affidato il presidio della città. Quando ebbe sistemato a dovere anche il resto, pensò al ritorno61• 4,
2.
Dopo aver trascorso poco tempo a Bisanzio, partì dalla
reggia e riprese a vivere sotto la tenda62• Egli voleva prevenire le incursioni dei barbari e temeva che l'impreparazione potesse esse re dannosa. Per questo preferiva indugiare con le faccende ester ne, credendo che da ciò si sarebbero ricavati due ottimi vantaggi: la salvaguardia delle sue regioni, per cui generalmente è decisiva la superiorità sul campo, e l'addestramento militare e l'efficienza dei soldati sottratti all'inazione e temprati dal sudore della batta
glia ardente come il ferro è temprato dall'acqua. 4, 3. Fece quindi una spedizione per conquistare Sozopoli in
Panfùia63• Poiché sembrava fosse diffieilmente espugnabile a causa della forte guarnigione insediata n dentro, e per la sua posizione inaccessibile e scoscesa, Giovanni mette opportunamentè in atto un simile stratagemma. Affidate le forze di cavalleria a un certo Pactiario64, gli ordinò di cavalcare in continuazione intorno a So zopoli e di scagliare frecce contro le mura; ma se i nemici avesse ro sferrato un attacco, che fuggisse senza voltarsi, non si mettes se a combattere e raggiungesse invece i sentieri tortuosi e boscosi che stavano poco lontano dalla città. Quello fece secondo le rac comandazioni dell'imperatore, e poiché i Persiani ripetutamen te si riversarono fuori dalla città e li inseguirono per lungo tratto,
4, 8. VOO'l:O\J ȵvi)aai:o: cf. Horn. Il. X 509; Od. m 142; infra m 12, I, 9; VI 3, 19, 262 15-6. Uffi!.TJOLV - i:ayµgoµwv ot µÈv Toiigxm µ� :TtQOOXE'lj1aµEvm i;ò I ÈvébgEu µa O'UV'tOVCÒ'tEQOV oµoii XaÌ. :TtOQQCÒ'tEQOV cmi.oro 'tWV 'Proµai.rov ÈbL(J)'XOV, còç xaì. i;àç è'>uax.rogi.aç a:rtEQLO'XÉ:rt'troç :rtagaè'>gaµEiv· ot è'>' f:A.A.oxwv'tEç 'Pwµaim È:rtEÌ. tlè'>ov a:1tEQtµEgi.µvwç i;oùç
35
IlÉgoaç cmi.oro 'tWV È'X i;ftç ouµµogi.aç aÙi;ci)v Èmovi;aç OVÉ'tq> :rtavi;ì. {lui;ftgt xaì. :rtgòç oùè'>ÈV E'tEQOV aqiogwvi;aç ft i;ò xam Aft'ljmrfrm i:oùç Èxè'>tè'>gcioxovi;aç, aùi;i.xa è'>� µciA.a avacnavi;Eç EÙ'6-ù i;ftç �l;o:rté>A.Eroç i'.Ev'tm. µEi;à j3gaxù è'>È xaì. i;wv qiEuyov i;rov ÈmcngaqiÉvi;rov, Èv µÉOcp ouUriqi'6-Év'tEç ot Toiigxm xaì, µiti:E i:u :TtOAEL :l'tQOOE:l'tEyyi.om è'>uvci.µEVOL, µiti:E è'>taè'>gdvm 'tOÙç omo'6-EV ÈmqiaVÉV'taç i.oX,UOV'tEç, OL µÈV OaY'flVEUOV'tm, ot è'>È xaì, si.qiouç yi.VOV'taL :TtclQEQYOV, OÙ :TtOAAOÌ. è'>È xaì, 't'fi 'tmv i'.:rt:rtrov OQE't'fi è'>taocpl;ovi;m. xaì. o\hroç f]A.ro :TtQÒç 'Proµai.rov �rol;o:rtoA.tç évì. j3ouA.Euµmt i:oii j3aotA.Éroç ooqicp. È'X è'>È i:oiiè'>E 'tÒ qJQOUQLOV :TtaQEÈ i:ò :rtɵ:rti:ov ihoç i:ftç aùi:oii j3amA.Ei.aç �xu•
'6-rov è'>taj3civi:rov i:òv "Icngov xaì. i:à 0g�xcpa µÉQ'fl A.t'ftl;oµÉvrov xaì, i:à Èv :TtOOL V aqiavtl;ovi;rov i:oii 'tWv axgi.è'>rov O'XQLj3ÉuvaµEtç xaì. còç Èvftv o:rtÀ.LOaµEvoç yEvvmomm, où è'>tà i:ò :rtA.ft'6-oç µ6vov 'tWV :TtOAEµi.rov µ'flè'>' 'Ù:Tto:TtiITTOV OXEè'>Òv agt'6-µcp, aA.A.à xaì, è'>tà I i:ò XQdo'6-m µEyaA.auxi.� xaì. oùv x6µ:1tcp i:gaxui:Egov ÈmÉvm i:ò j3cigj3agov, Ei.ç µvitµriv dyov, còç emXE, i:à :rtovri'6-Év i;a ot :1tQO'tEQOV, fivi.xa i:à 'tWv 'Proµai.wv O'Xft:Tt'tQa è'>tEL:TtEV o Koµvrivòç 'AMstoç, oi;E Eì'.xEi:o 0gQ.xri xaì. i:à :1tA.Eicna i:ftç MaxEè'>ovi.aç �Qitµroi:o.
NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
4-5
Pactiario ebbe modo di ingannare l'avversario tendendogli
33 un
ag
guato nelle strettoie. Infatti in una delle loro sortite i Turchi, non avendo sospetto dell'insidia, inseguirono i Romani con maggiore accanimento e si spinsero allo stesso tempo più lontano del solito, tanto che attraversarono incautamente anche i mali passi. I Roma ni che stavano in agguato, quando videro che i Persiani senza darsi pensiero andavano dietro alla loro compagnia a briglia sciolta sen za badare ad altro che a catturare i fuggiaschi, immediatamente si levarono e s'avventarono diritto su Sozopoli. Dopo un po', quan do anche i Romani in fuga si voltarono indietro, i Turchi, presi nel mezzo, non potendo avvicinarsi alla città né riuscendo a sfuggire a
quelli spuntati alle loro spalle, alcuni furono catturati, altri furo
no passati a fil di spada, non molti si salvarono grazie alla veloci tà dei loro cavalli. E così con un solo fine stratagemma dell'impe ratore Sozopoli fo conquistata dai Romani. Dopo fu sottomessa la fortezza chiamata Hierakokoryphetis65, e furono soggiogate anche moltissime altre cittadelle e luoghi fortificati,
un
tempo tributari
dei Romani, ma che allora avevano concluso accordi con i Persiani. 5, I. Verso il quinto anno del suo regno66 gli Sciti67 traversaro
no l'Istro68 e devastarono parti della Tracia, distruggendo quello che trovavano dinanzi più radicalmente d'uno sciame di cavallette. Allora l'imperatore fece una spedizione contro di loro dopo aver radunato e armato meglio che poteva le forze romane, ·non solo a causa della moltitudine dei nemici che quasi non potevano contar si, ina anche perché quei barbari erano pieni di superbia e assaliva no con violenza e spavalderia, riportandogli alla mente, com'è natu rale, i suoi precedenti travagli, quando durante il regno di Alessio Comneno era stata occupata la Tracia e devastata la maggior par te della Macedonia69•
35-6. àvÉtcp QUti'jQt: cf. Apost. 12, 63; Nic. Chon. Or. r, p. 5, 2 4; 2, p. ro, rr; V 6, 2, 32; VII 2, 9, 133; XI 7, 3, 43; xv I, 5, 59; 6, 9, 92; XVI I, 5, 74; XIX 8, 5, 70 44. Évì aoaeì. 6Là :n:uÀ.cilv à.vaxÀ.LvoµÉvwv Èx:tclmov'teç EQya :J(.ELQÒç à.v6QELaç 5o
Metxvuov. xaì. �v 'tÒ yLv6µevov 'tOU'to 'tEL:J(.oµa:x.ta 'tLç à.xQLP'Ìlç ÈV µfon :n:e6Lci6L a:x.e6Lao'6eiaa :n:aQà LXU'6cilv, ci>ç auµpatVELV Èx 'tou6e 'tà 'tWv 'Pwµalwv È:n:' Ù'tEÀ.ÉO'tOLç µoyeiv. 5, 5. "Hv o'Ùv 't'l']VLxau'ta 'tÒV 'Iwcivvriv ÒQéi.V aocp6v 'tL :X.Qflµa
'tOLç U:lt' aÌJ'tÒV xa'6LO'tclµEVOV' OV yàQ à.ya'6Òç µOVOV ?GaÌ. 55 :n:OLXLÀ.oç 'tÒ �'6oç È6ELXVU't0 avµpouÀ.oç, ÙÀ.À.à xaì. :ltQOYtOç :n:a
QEL:J(.E :n:ÉQa'tL o:n:6aa O'tQa't'l']Yoiç xaì. 'tciyµaaLV U:ltE'tL'6e't0. 'tÒ 6È a'Ìl xm vòv xaì. :n:OÀ.À.'ÌlV I ÈXELvcp µaQ'tUQOUV 't'ÌlV eiiaépeLaV, o:n:6'tE 'tWv 'Proµatwv ai cpciÀ.ayyeç exaµvov ÈmpQL'60V'tWV 'tWv :n:o À.eµl,wv xaì. auµmm6v'trov :n:aQapoì..c.ò'tEQOV, 't'Ì1V 'tijç '6eoµ�oQoç 60 ELXOVa :n:aQEO'tmòav E:J(.WV, µe't' otµroyijç ȵpÀ.É:n:rov, ÈÀ.EELVOiç
'toiç a:x.�µam '6eQµO'tEQa 'tWv Èvaywvtwv i6QC.Ò'twv xmÉÀ.eLPe 6ci%Qua. xaì. �v ouxouv etç xevòv 6La:n:Qa't't6µevoç ou'twat, à.ì..À.' Èx 'tou µciÀ.a aÌJ'tLxa 't'ÌlV Ès ihjlouç '6wQaxLt6µevoç Mva µLv 'tàç LXU'6Lxàç È'tQO:n:ou'to :n:aQeµpoMç, ci>ç Mwiiafjç :ltQO'tE65 QOV 'tfl 'tWv :J(.ELQmV ÈX'tclOEL 'tàç,AµaÀ.T]XL'tL6aç 'iì..aç ÈVÉXÀ.LVEV. 5, 6. 'AvaÀ.apCÌ>V 6È xaÌ. 'tO'Ùç u:n:aamcrtciç, OL :ltEQLµ�XEOLV
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NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
5
37
sposero in circolo; ci misero sopra una parte non piccola del loro esercito e si servirono dell'artificio come d'una trincea74: aprendo tra i carri molte entrate oblique, quando erano incalzati dai Ro mani e davano le spalle invece che la fronte allo schieramento ne mico, entravano nei carri come dietro un muro ben difeso, e così davano buon esito alla fuga; poi, ripreso fiato, uscendo di nuovo di lì come attraverso porte spalancate, mostravano azioni valoro se. Questo fatto si configurava come un vero e proprio assedio in campo aperto, improvvisato dagli Sciti: per conseguenza le truppe dei Romani si affannavano invano. 5, 5. A quel punto si poté vedere Giovanni disporre per i suoi
un savio espediente; egli infatti si mostrava non solo bravo e ac corto di mente nel dare consigli, ma era anche il primo a eseguire quanto ordinava ai suoi generali75 e all'esercito. Questa, però, era una novità e testimoniava la sua grande devozione: poiché le falan gi dei Romani ·erano stanche sotto la pressione e gli assalti sempre più audaci dei nemici, egli tra i gemiti fissando lo sguardo all'icona della Madre di Dio che aveva con sé, con gesti da suscitar pietà si mise a versare lacrime più calde del sudore della battaglia·. Egli non fece questo invano, ma d'un tratto, protetto da una forza che veni va dall'alto, sbaragliò gli assalti degli Sciti, come un tempo Mosè, alzando le mani, riuscì a piegare le schiere di Amalech76• 5, 6. Presi anche gli armigeri, muniti di scudi giganteschi e asce
taglienti da una sola parte, come un muro indistruttibile si scaglia contro gli Sciti. Dissolto senz'altro il bastione dei carri e venendo così la battaglia allo scontro diretto, i nemici sono travolti e messi in fuga ingloriosa: i Romani, impavidi, li inseguono. Di quella gen
te che vive sui carri ne cadono a migliaia e il loro acc�pamento viene razziato; i prigionieri di guerra risultano in numero persino maggiore, come anche coloro che si consegnano spontaneamente
61-2. -frEQµértEQa - MxQua: cf. Horn. e. g. Od. IV 523 al.; Eur. Tro. 60 5 634. rlrv é!; ihpouç - MvaµLv: cf. Eu. Luc. 24, 49 64-5. wç - ÉVÉ'KÀLVEV: cf. 67-8. 'tELJCOç v i:tva ì..flstv v), 'X.ct'X.OUQyouvi;oç xaì. i:àç o:novoàç ouyx.éovi;oç, oi:Qmel.av exiJQuse, xaì. ouµj3oì..fl ç yevoµévT]ç, xmà 'X.Qci'toç �i:i:iJoaç xaì. i;oui;o i:ò j3ciQj3ctQOV :TCQÒç o:novMç Ù:TCT]yciyei;o, µT]O' d.ì..ì.w . ç oetxwµevov &sté>µax.ov, ola 'X.ct'fru:TCO'X.U:TC'toV aeì. i:ctiç E'X. yeLi:é>vrov clQ'.)(.ctLç. 'X.ctÌ. ì..el.av E'X.Ei'frev eì..cioaç ou oi:a'frµT]'t�V 'X.ctÌ. :nì..eLoi:wv QT]OLv. 7,
5
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3o
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35
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45
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NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
II
65
a questo esercito composito ma non mescolato, con armature dif ferenti, abbandona la sua caparbia resistenza e, lasciata la cinta mu raria esterna, passa nella cerchia interna. 11, 6. Allora per molti giorni si ebbero scontri ravvicinati, sca
ramucce, combattimenti accaniti, duelli fra i migliori, fughe, ritira te, inseguimenti da entrambe le parti. I Romani apparvero sempre superiori, ma i nemici, benché perissero di spada in gran numero, si addormentassero nella morte colpiti da archi, e le mura fossero fatte a pezzi e gettate a terra dalle pietre scagliate dalle macchine da guerra e fossero abbattuti i loro baluardi, tuttavia restavano an cora saldi, essendo in numero infinito: specialmente perché si bat tevano per la loro stessa vita, per i figli, le mogli e i loro beni, che erano molti e d'ogni genere. 11, 7. Forse anche questa città sarebbe stata conquistata, si sa
rebbe piegata all'imperatore, sarebbe stata svuotata di tutti i beni e i Romani, impadronendosene, avrebbero conseguito gloria più co spicua che nelle imprese precedenti, se alcune funeste notizie non lo avessero suo malgrado distolto di lì: esse dicevano che Edessa era stata circondata dai Persiani e rischiava di soccombere, se l'im peratore non l'avesse soccorsa al più presto. Allora avuti da coloro che stringeva d'assedio doni splendidi151, del materiale più pregia to di tutti, nobili cavalli dall'altera cervice, tessuti di seta intessuti d'oro,
un
mirabile tavolo - ma prima di questi aveva ricevuto nel
le sue mani una croce, un oggetto bellissimo e straordinario a ve dersi, scolpita in pietra licnite152, in cui l'arte in modo naturale153 aveva intrecciato linee d'una bellezza che rivaleggiava con l'im magine divina, una vera delizia per gli occhi - allora, dunque, to glie l'assedio e prende la strada che va ad Antiochia. I Saraceni di Sezer affermavano che, tra i doni offerti all'imperatore, un tempo i loro antenati ebbero come bottino la croce di pietra raggiante e
:navtòç-xexÉV(J)'tO: cf. XIX 2, 1, 4 109. i'.:n:nouç ÈQLa'lix;evaç: cf. Horn. 114. òqn'hx;\.µooav, n:éi.oav bÈ yvffiµT]V Èç aùtoùç ÈcpEÀ.'x.UoUVtEç, Èv ù xaì. 'tQLEi:Tjç X.QOVOç x50
ÈSL'XEtO. 12.
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%QatOQcOV xaotyvT)toç 'loacixLOç, ov cptl-cioav E'LQTJ'XE tò ÀÉ-
NARRAZIONE CRONOLOGICA I, II-12
67
il tavolo sontuoso, di stupefacente bellezza, presi allorché avevano catturato Romano Diogene, che allora deteneva il potere sovrano sui Romani, e, saccheggiata la sua tenda imperiale e impadronitisi dell'accampamento, si erano spartiti tutto quello che c'era dentro154• 11,
8. Mentre l'imperatore leva il campo da Sezer, si avventano
sulla retroguardia dei Romani le truppe persiane di Zengi e di al cuni altri illustri principi, che si mostrano molto fiere dei loro cor sieri, veloci quasi come il vento, e sprezzantissime dei Romani per la barbarica e insensata alterigia155• Mancate però le loro speran ze, non solo non fecero nulla di buono, ma, pagando a opera del la giustizia divina il fio per la loro boria e presunzione, persero an che due dei loro capi, che furono fatti prigionieri; questi erano il fi glio dell' atabeg156 e il fratèllo dell' emiro157 Samouch. 11,
9. L'imperatore, quando entrò nella prospera città di An
tioco, guadagnò a sé l'insieme dei cittadini, così che il.suo ingres so fu allestito in gran fretta in modo splendido con immagini sacre e grandissimo ornamento delle strade158• Da Antiochia, accompa gnato da grida d'augurio e fausti voti, si diresse verso i confini del la Cilicia; uscito di lì, prese la strada che porta a BisanziO. Avanzan do in ordine di combattimento e attenendosi alla sua arte militare, mandò una parte dell'esercito contro i Persiani di Iconio159; questi infatti, allorché l'imperatore aveva messo piede in Siria, cogliendo il momento favorevole per l'assalto, si diedero a compiere conti nue scorrerie contro i Romani. Egli, prevalendo sull'orda avversa ria, devastò il territorio nemico, imprigionando uomini e catturan do animali di ogni genere, sia da giogo sia da trasporto. 11, 10.
Queste furono le lotte di Giovanni sul fronte orienta
' le, sostenute in un'unica spedizione; esse, cui fu sufficiente un pe
f I
riodo di tre anni160, si attirarono i commenti favorevoli di tutti161• 12.
Allora passò dalla parte di quest'imperatore anche il fratel
lo Isacco, il sebastocràtore: già si disse in quest'opera che egli lo
68
5
XPONIKH MHI'lllJl:
yeLv cruvciQacrtl'ai ot i:à :7tEQLi:i:à elç 'ri}v i:ijç paCJLì..eiaç xmci 'tTJV t�ç à.vi:toi:aoiaç EV�X.TJCJL v buaxeQai vovi:aç xaì. i:i]v Emì(.ELQTJ CJLV à.nayoQeUovi:aç roç à.m)µV xaì. :itaQ' otç
20
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45
5o
55
60
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1.
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5
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16,
I
5. �:n:ev01dprtovi:oç P b Bekk.
23. 'tQmiµai;oç: :n:À�yµai:oç V
NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
16,
1.
16
85
Posto l'accampamento in un'amplissima forra, lungo la
quale si elevavano al cielo per lungo tratto due cime di monti, che ragione persuade a chiamare Nidi di corvi202, l'imperatore esce per andare a caccia203• Imbattutosi in un cinghiale, conficcò la punta della suà lancia nel petto della bestia. Poiché il cinghiale urtò con impeto maggiore contro la lancia e si prese il ferro tutt'intero nelle viscere, la mano che reggeva la picca si rattrappì, cedette per l'ec cessivo contraccolpo della bestia e, spostata dalla posizione dirit ta, urtò il fodero che pendeva obliquo lungo il fianco dell'impera tore custodendo all'interno frecce avvelenate. Per cui, capovoltasi
la faretra, una delle frecce riversatesi ferì l'imperatore nella pelle che sta in mezzo alle ultime dita della mano. A causa del veleno che si diffonde sempre più, penetra, colpisce le stesse parti vitali, le uccide e le raffredda poco alla volta, dopo un certo tempo la vit tima cessa di vivere. Allora però l'imperatore, non tenendo in nes sun
conto la scalfittura della pelle, la curò con l'applicazione d'una
membrana di pelle, che si chiama ekdorà, staccata dalla suola del le scarpe, tentando così in modo incerto di fermare il liquido san guigno che fuoriusciva dalla ferita204• 16,
2.
Ritornato verso sera, cenò e passò una notte tranquilla; ma
il giorno dopo la ferita cominciò a gonfiarsi e a pulsare: l'imperato re fu preso da forti dolori e rese noto ai medici l'accaduto. Quelli, visto il gonfiore della mano e osservato ciò che era stato applicato per cura, lo rimossero dalla mano in quanto non conforme ai prin cipiterapeutici, e usarono altri farmaci in grado di lenire le infiam mazioni delle ferite. Poiché i medicamenti non sortivano alcun ef fetto, gli Asclepiadi205 si rivolsero alla chirurgia. Inciso dunque il gonfiore, neppure così ci fu una riduzione e rilassamento della parte
16, 9-10. itaQà itÀEuQòv- itAfiyLOç: cf. V 6, 2, 39 30. ot 'Ami.ÀT]mdlìm: cf. Theod. Prodr. Sat. 148 Hiirandner (p. 312, 33-8 Romano)
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53. tijç OXTJVfiç post µÉQoç add. V
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sofferente, anzi il gonfiore aumentava sempre più, il male si diffon deva da un dito all'altro, dal carpo alla palma, poi all'avambraccio
e da questo al braccio: l'imperatore cominciò a perdere la speran za di farcela. Certo, ai medici, che non sapevano proprio che fare,
pareva opportuno amputare la mano dell'imperatore - che per il gonfiore era cresciuta tanto da raggiungere le dimensioni della co scia d'un uomo-, rimedio incerto, a quel punto, per il membro ma
lato; ma l'imperatore, che riteneva la precedente incisione causa di tutto quanto il male, non approvava affatto ciò che dicevano206, e giaceva sofferente, incurante delle dispute sulla terapia. 16, 3. Il giorno gloriosissimo della resurrezione di Cristo par
tecipò ai divini misteri, e adagiatosi per il pranzo, aprì la sua ten da a chiunque volesse eJ]trare a fare petizioni207• Il giorno seguente
per suggerimento del gran domestico Giovanni2°8 si comportò allo stesso modo e, distribuiti ai presenti i cibi apparecchiati, si appar tò deciso a riflettere in merito al suo successore nell'impero. Scop piò allo ra un forte temporale e il vallone, nel quale era accampato, si allagò; il letto dell'imperatore fu trasportato in un posto privo di acqua; egli aveva sulle labbra il vaticinio che dice così: «In luoghi acquosi cadrai contro l'aspettativa», ma gli esperti nelle successioni
e nei cambi degli imperatori dicevano che s'era compiuto anche questo: «Oh come diverrai pasto di orribili corvi!», ora afferman do che lantico detto si riferiva ai ferri neri e stridenti, con i quali
il cauterio era stato accostato alla mano dell'imperatore, ora inter pretando la predizione come allusione al nome dei monti sui quali egli si era accampato209. 16, 4. Poi l'imperatore radunò i parenti, gli amici e quanti ave
vano posizioni elevate e cariche e, presentato il figlio ultimogenito Manuele, disse queste parole210:
54-5. t6:n:mç - :n:écruç: cf. Leon. Sap. Orac. III 7 (PG CVII, col. u32B) 7. Qcitt1 xaì. twv to-Utou vaµcitwv JtÀ'l']oµtwç &.Qfoacrftm, UJÉ" crftm bè xaì. TtyQLfo nomµòv xaì. bm'fl-Qof)om to1ç onì..mç tò 70 av'fl-Lmciµevov, ooov tE JtQOOQÉJtEL to1ç KLÀLSL xaì. OOOV i;otç
È% tijç"AyaQ JtQOOVÉVEU%E, bLaJttÉO'ftm bè %UÌ. ooç OL paoùetç tmv ÒQvt'frwv, et xaì. µÉya toiito etne1v ÈO'tL, JtQÒç Ilaì..mcri:L VTJV a'Òt�V, OJtOU tò tijç �µEtÉQaç q>VOEWç Jtt6°>µa JtEOCÌ>V a� YELQEV 6 XQLO'toç, ènì. mauQoii tàç x.e1Qaç bLeì.ç xaì. µLxQatç 75
QUVLOL xooµov OÀ.ov etç EvWOLV ayayffiv, avapijvm bè %UÌ. dç tò OQOç KUQLOU, xatà tòv 'ljlcXÀÀ.OV'ta, xaì. mijvm Èv tOJtql a ytcp a'Òtoii, µeteì..'fre1v bè JtoÀ.ɵou voµcp xaì. tò xuxì..cp JtoÀÉ· µLOV, OJtEQ ooç ti]v JtcXÀ.m %LPW'tòV ot aÀÀ.Oq>UÀOL ti]v toii K'IJ QLOU OOQÒV JtoÀÀ.cixLç ELÀE boQVXt'l']toV. ÈJtEÌ. bè otç tQOJtOLç
80 tò 'fre1ov èntmatm ouxouv bébextm JtÉQaç tà JtQooboxroµe
va, Ò:V'tLO'tijvm µèv Oì.. wç o'Òx EO'tLV, o'Òb' ÈJtÌ. to1ç ÒQwµÉvmç X.QECÌ>V clV'tELJteL V. tLç yàQ '6-eoii OOq>eMO'ftat
ti JtQocrfte1vm to-Utmç bebuVTjµÉvoç; oq>aÀEQaÌ. µèv yàQ at trov 85
av'frQWJt(J)V ÈJtLVOLm, � bè toii KUQLOU pouì..i] clVEJtLJtOL 'l']tOç te xaì. I àµetciJttwtoç. Èv noì..ì..o1ç b' oomç eux.ciQLO'toç ex.wv bet xvucrftm tcp tà xat' èµè ouµq>EQOV'tWç otxovoµ�oavtL, a xaì UQL'frµòv UJtEQJtÉJtm%E o\JµJtaV'ta, tcp tÉwç av'froµoì..oyovµevoç Èq>' olç èµeyciì..uve toii JtOLTjom µe'fr' �µmv eì..eoç Èn' dxQoa�atç
90 uµ1v xaì. tO">v ÀeyoµÉvwv etb�µom tabe q>'l']µL 16, 6. 'Ex Jtatgòç pamMwç eq>uv, UQX,Tjç yeyÉvt]µm tijç è
xetvou bLcibox.oç, oMèv anepaMµrrv iIYv. etç x.e1gciç µm naga-
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16, 5. «Venni in Siria, o Romani, non con le aspettative che si
vedono realizzate; pensavo di dare prova d'imprese più gloriose di quelle passate, di bagnarmi liberamente nell'Eufrate, di attingere
a sazietà dalla sua corrente, di vedere anche il fiume Tigri e disper dere con le armi i nemici, quanti inclinano per i Cilici e quanti pro pendono per gli Agareni; pensavo anche di volare come i re degli
uccelli
--
se si può fare questa impegnativa affermazione - verso la
stessa Palestina, dove Cristo cadendo risollevò la caduta della no stra natura, stendendo le braccia sulla croce e conducendo a unità il mondo intero in virtù di poche gocce; pensavo di salire sul mon te del Signore, come dice il salmista, e di stare in quel suo luogo
santo; di vendicarmi con la legge di guerra dei nemici che ci cir condano, che presero più volte a mano armata il sepolcro del Si gnore, come gli stranieri l'antica arca. Poiché nei modi che Dio sa, alle mie attese non è stato concesso di compiersi, non è possibile
opporsi del tutto e non bisogna contestare la realtà visibile. Chi è più saggio di Dio? Chi esplorerà la mente del Signore e cambierà
le sue decisioni, avendo il potere di togliere o aggiungere a esse? I pensieri degli uomini sono fallaci, la volontà del Signore, invece, non è finta e non si muta. Mostrandomi grato a Colui che ha di sposto in modo vantaggioso la mia vita in moltissimi, innumerevo li casi, rendendo intanto grazie alla sua misericordia per le gran di cose che Egli fece per noi, a voi ascoltatori e testimoni delle mie parole, dico quanto segue. 16, 6. Nacqui da un padre imperatore, sono stato successore
del suo potere, non ho perso nulla di ciò che egli mi trasmise nel-
6?-9. 1..o1icraa6-aL -T[yQLba: cf. Nic. Chon. Or. 9, p. 94, 12-3
71-2. wç ot �aOLÀEiç tliiv ÒQv['ltwv: cf. Nic. Chon. Or. 9, p. 94, r8; 13, p. 122, 5-6 de im peratore ut aquila 72. El KaÌ. - ÈotL: cf. Horn. Od. XXII 288, unde saepe al. 73-4. o:rwu -XQLotoç: cf. Mich. Chon. Or. IO, I, pp. 167, 29-168, r; Nic. 75. Kooµov-dyayoiv: cf. Ep. Eph. Chon. Or. 9, p. 94, 19-20; 13, p. 122, 6-7 2, 14-6 75-7· dvaf3f]vm - a'Ùtoii: cf. Ps. 23, 3 78. wç - d.1..wcpuÀOL: I Reg. 4, r r 82-4. tlç-6E6UVT]µÉvoç: quod ad sensum attinet cf. Ep. Rom. 2, 33-4 84-6. oqiaÀEQllÌ. -dµEtci:rrtùltoç: quod ad sensum attinet cf. Prou. r9, 2r;uid.ID8, r, 13-6 89. ȵEycil..uve-fiµOiv: cf.Ps. 125, 3 92-3.o'Ù6Èv -:rtaQa6Ébùl'KEV: cf. Eu. Io. 6, 39; 17, 12
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XPONIKH .MHfID:Il:
è>Éè>roxev. EL è>È xa't' e\Jyvroµova xaì. mmòv UJt'l']QÉ't'l']V ÈJtESELQ yaociµ11v 'tÒ JtUQUoXE'frÉv µm 'frEo'frEV 'ttjç �aOLÀ.daç 'tclÀ.UV'tOV, ai..i.m . ç oxo:1teiv xaì. MyeLv aqit'l']µL· xaì. au'tòç è>È avenax.'frroç è>L'l']Y'l']OaLµ'l']V av, OlJX ÈVU�QUVoµevoç, aÀ.À.à 'tÙ JtEQÌ. ÈµÈ 'frau µciOLa 'tOU 'frEoiJ è>L'l'JYOUµEvoç. eroç µE xaÌ. è)uoµ� µax.oµEVOV E�À.E'ljJE, 'tà JtQÒç aµlç µE �è)'I'] JtQOOÉ�À.E'ljJE xaì. �V µaxQÒç ès o'Ù X.Q6voç oqiofraÀ.µoiç oux dè>ov O'tQa'tLàv 'Pw µaLrov IIÉQOUL xaì. "AQa�Eç, 'taU't'l']V E'tQEOav UQ'tL ÈE'UQo XUQLOL xa'fremiJxaµev, a'L xaì. tmm xmà 'tà fiµrov JtQomciyµam. xaì. è>oL11 KuQLoç o 'freòç èµoì. µÈV UJtEQ'l']yEµoveuoav'tL 'to'U 'trov XQLO'tLavrov JtÀ.'l']QÙ>µa'tOç xÀ.TjQOV ÈXEL xaì. µEQLè>a atè>LOV, �V ot JtQUEiç xaì. ElJclQEO'tOL aÙ'tcp aJtoÀ.t'J'ljloV'taL, I uµrov è)' E'tL XQa'taLÙ>Om 'tàç X.ELQaç xaì. ÈvLoXUOaL Xa'tÙ 'tWv 'tOÙç JtoÀ.ɵouç È'frEÀ.6V'tOJ'V È'frvel;Léiç 'to'U u'ljJtmou xaì. 'tO'U U'ljl'l'JÀ.O'U �Qax.tovoç èsaQ'téi'tE 'tÒ xmoQ ofrouµevov xaÌ. TJyEµÒ>v uµiv 'freoofrE'V è>o{}t'JOE'taL µ� è>'l']µO�OQOç xaÌ. �V XÀ.TjOLV 'ljJeuMµevoç tl 'tÒ �'froç avroµaÀ.oç xaÌ. JtEQÌ. 'tQcl JtEtav XEXUç xaì. ox.rov UEÌ. 'tOLç è>aX'tUÀ.OLç 'tÒV xua'frov xaì. 'tWv avaX'tOQOJV µ11è>aµroç UJtOOJtÙ>µEvoç, ooa xaì. ot Èv 'toiç 'tolx.mç è>Là 'ljJ'l']rov xaì. x.Qroµci'trov ELxovLt6µevm, o'tL xaì. q:>LÀ.EL Jtroç 't'fl Xa'tà 'tÒV av'frQroJtOV è>La'frÉoEL OUVè>La'tL'freoofrm 'tà ncivm xaì. eneo'frm· a'te yàQ è>L' aÙ'tÒv UQX,Tj'frEv yev6µeva, xaxuvoµÉvou µÈv 'tOilè>E, xaì. a\J'tà µem�aÀ.À.e'tm, aya'fruvo-
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le mani. Se come un servo ben intenzionato e fedele ho messo a frutto il talento del regno affidatomi da Dio, lascio ad altri di con siderare e dire. lo stesso potrei raccontare i fatti senza enfasi, non per vantarmi, ma per raccontare le meravigliose opere di Dio al mio riguardo. L'Oriente e l'Occidente mi videro combattere, in calzai i popoli di entrambi i continenti211• Nella reggia stetti poco: quasi tutta la mia vita passò in tenda e ho sempre cercato di stare all'aperto. Questa terra, sulla quale ora è il nostro campo, mi vide già due volte, e davanti a quell'esercito romano che da lungo tem po i Persiani e gli Arabi non vedevano con i loro occhi212, davan ti a esso, guidato da Dio e da me come suo vicario, costoro sono appena fuggiti; si sono ritirati a nostro vantaggio da molte città, di cui fino a ora siamo restati padroni, e queste città vivono secon do i nostri comandi. Il Signore Iddio voglia concedere a me, che come capo supremo ho guidato il popolo dei cristiani, quel posto nella vita eterna, che gli uomini miti e bene accetti riceveranno; vo glia raffoi;zare ancora il vostro braccio e rinsaldarlo contro i popoli bellicosi, presso i quali non si invoca affatto il santo nome, superio re a ogni altro, del nostro Dio. Così sarà, se anche voi fate dipen dere il successo dalla destra dell'Altissimo e dal suo sublime brac cio: da Dio vi sarà dato un capo che non divori il suo popolo, che non smentisca il suo appellativo213, che non sia incostante di carat tere, curvo sulla tavola, con il bicchiere sempre in mano e non si stacchi mai dalla reggia, come quelli effigiati sui muri in mosaici e dipinti: in quanto tutto suole in certo modo conformarsi all'uomo e
seguire la sua disposizione; poiché tutte le cose in origine sono
state fatte per lui, se l'uomo è perverso, anch'esse vanno in malo-
93-4· et - tciì..avtov: cf. Eu. Matth. 25, 14-30 96-7. tà - OLT)youµEvoç: cf. Ps. 9, 2 al. 98. tà - µEti'jÀ-l>ov: cf. Plut. Mor. 97e al. 108. ot :rtQQoç: Horn. Il. I 231; infra IX 1, 1, 21 118-22. otL - È:rtav[a mv: cf. Mich. Chon. Ep. 10, pp. 15-22, ex fonte adhuc incognito: uid. Kolovou, «Hell» LI 2001, p. 98 -
92
XPONIKH .MHI'�
µÉVO'U 6é, JtUÌ..LV JtQÒç 't�V ÈvaV'tLaV -VEMEQOV: Ps. 151, 1; cf. I Reg. 16, 1-13 143-4. ofi - aq>OQ�: I Reg. 16, 7-8 146. e:n:t - f3ì..É:n:EL: cf. Ps. 146, 6 151. i:òv :n:11oow:n:oÌ..T]'ljllaç :n:µma, et xaì. i;Tjv aùi;Tjv avitgwn:OL qifoLv exÀ.t]QWoci.µe ita. aÀ.À.mç yàQ OQÉsEOLV aÀ.À.OL 3tQ00:1tci.ox.oµev oMè x.atgoµev ' an:avi;eç òµoit'UµaMv miç a'Ùmiç. et yàQ I wlii;o �v, eì'.x.oµev UV 'K.aÌ. :ltQÒç 'freoli XaÌ. :JtQÒç ÙÀ.À.TJÀ.WV 'tÒ ÙVE:JtÉy'K.À.'l']'tOV Ùlç 'tai:ç a'Ùi;aiç �6ovaiç 'tE xaÌ. yvroµmç Ùvayxaoi;ffiç E:JtLX,aLVOV'tEç. 16, 10. Kaì. i;mv 'ULÉWV µOL yoliv � 6'Uci.ç, et xaì. n:mgòç évòç :ItQOEÀ.TJÀ.'Uitev, etç yvo>µaç 6Laqi6Qo'Uç àn:oµegt�ei;m. xaÀ.oÌ. µèv yàg xaì. àµqio•eQOL xal gwµu oo>µawç xal e'l6o'Uç oeµvo't'l']'tL xal qJQEVWv paitV't'l']'tL 6La:JtQÉ:JtOV'teç· xaÀ.À.LWV M µOL wç µci.À.LO'tCl 6La6EL'K.V'U'taL :ltEQÌ. 'tTJV 'tijç ÙQX,ijç ')(.'UPÉQV'l']OLV ò ÙO'tEQOyevTjç Mavo'Ui)À.. ò µèv yàQ 'loaci.xLoç Ù'K.QOX.OÀ.oç n:oÀ.À.ci.xLç n:agÉup'X.TJ'X.CÌ>ç 'X.aÌ. tteq> dmgÉmwç j3ej3LW'X.CÌ>ç 'X.aÌ. i;à JtQÒç �ttoç o'Ùx 5
E'X.À'U'tOç o'Ùè>' a'X.oÀamoç 'X.aJtÌ. miç è>wgeaiç 'tE 'X.aÌ. è>ancivmç µemè>Lwl;aç µeyaÀOJtQÉJteLav· 'X.aÌ. è>riì..oumv ai'. i:e è>Là xgvot vwv ngòç wùç 'tfJç n6ì..ewç oi.xiJtogaç ovxvaì. è>LaMoeLç 'X.aì. i:ciiv vaéIN on6oovç 'X.aì..ì..tmovç 'X.aÌ. µeytmovç È'X. j3cittgwv èè>etµa 'tO. &ì..ì.à . 'X.aÌ. Ml;riç ÈgamT)ç VJtÈQ dì..ì..ov anavm yeyolveì>ç 'tOU
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'X.a'taÀLJteLV Èv 'toiç EJtEL'ta µÉyLO'tOV ea'U'tOU ovoµa 'tà JtclV'ta i:Lµwµevoç �v. toooui:ov è>È 'X.aì. 'tfJç i:wv oi.'X.dwv I evaxriµoaiJvriç 'X.aÌ. 'tOU ai.è>iJµovoç 'tQOJtO'U Èl;eL'.)(E'tO, Ù>ç 'X.aÌ. 'X.O'UQÙV JtEQLEQYcl· teovµÉVO'U axfJµa UJtÉQQaJt'tm. clQ-
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yoì..oytav è>È 'X.aÌ. oangoì..oytav i:T)v ÈJtÌ. 'X.OLvfJç cX'X.QOcioewç xaì. 'tÒ Èv 1µai:wµoiç 'X.aÌ. è>LaL'tmç UOW'tOV oaa 'X.aÌ. Mµriv 'tLVà j3LOq.JftOQOV 'téIN clVQ'X.'tOQWV aJtEO"clQWOE 'X.aÌ. 'tÒV ȵj3QLt}fJ '.)(U· QQ'X.'tTJQLtwv OWqJQOVLO'tTJV 'X.aÌ. µLµT]i:àç ea'U'tOU wùç UJtÒ '.)(ELQU elvm yÀL'.)(6µevoç Jtéioav àgei:fJç i.Mav µei:LCÌ>V o'Ùx &vteL. oli
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17, 2. �UOLÀ.Euoaç PP' m. alt. nmg KP'NP' Bekk.: tt'Joaç rel. o1µm �UOLÀ.Euaaç· . bEi: yQacpfjvm m. alt. pmg Èv tjj �amì..Etaç CÌQXU tt'Joaç syn. Sath. '
NARRAZIONE CRONOLOGICA I,
r6-17
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re e magnificando la loro parentela imperiale, attribuivano a sé il
potere, considerandosene più degni. 17. Compiutisi questi fatti, l'imperatore Giovanni dopo alcuni
giorni morì, avendo regnato per ventiquattro anni e otto mesi222• Fu un uomo che amministrò benissimo il potere e visse in modo gradito a Dio, di carattere non dissoluto né eccessivo, e perseguì la munificenza nei doni e nelle spese: lo dimostrano le numerose distribuzioni di monete d'oro agli abitanti della capitale e i templi grandissimi e bellissimi che edificò dalle fondamenta. Ma essen do amante della gloria più d'ogni altro, teneva nel massimo con to il fatto di lasdare tra i posteri grandissima fama di sé. Si curava
a tal punto anche del bell'aspetto e del comportamento dignitoso dei suoi, che faceva attenzione al taglio dei capelli e osservava la suola delle scarpe, se era stata cucita bene e secondo la forma del piede che doveva calzarle. Spazzò via dalla reggia come fatale ro vina i pettegolezzi e le parole sconvenienti durante l'udienza pub blica, la sregolatezza nel vestire e nel mangiare; facendo la parte del severo censore e desiderando che i sudditi fossero suoi imita tori, non cessava di perseguire ogni specie di virtù. Tuttavia, pur
facendo così, non si allontanava da atteggiamenti amabili, non era difficile da trattare o inavvicinabile, scuro in volto, arcigno e sem pre in qualche modo collerico; mentre in pubblico si presentava come il ritratto di ogni ottima azione, quando era libero dalle oc cupazioni politiche ed evitava di farsi notare dai più come ogget to di vana ciancia, albergava in sé una nobile eleganza, non trala
sciava il discorso faceto, non tratteneva affatto né soffocava il riso. Poiché deviò di poco dal sommo della continenza e della pruden-
17, 21-2. cruweqiljç 't'ÌJV Òa :rt6À.Lv è;t:n:eµ'ljle, crùv aÙ'tcp C>è xal 'tÒv xaQ'tO'lJÀ.ciQLOv Baot/...ewv 'tÒv Tf;Lv'tf;Lì..ouxriv, e'Ù µèv xal 'tà. xmà. 'tijv vÉav C>LafrtiooV'taç pam/...etav xaì. :rtQooµa/...tooV'taç 'tTJV doÉÀ.eumv xaì. xamoxeuaooµÉvouç Eµ:n:Qoo-frev aÙ'tqi 'tà. dooC>La, µe'teÀ.euooµÉvouç C>è xaì. 'tÒV oepamoxQci'tOQa 'IoaciXLOV 'tÒV ÈXELVO'lJ 'ta'lJ'tomµov. 'tÒV yà.Q aÙ'tOXQcl'tOQa (>foç U:rtÉ'frQa't'tE, µfi:n:coç O'Ù'tOç 'tÒV 'tOU :rta'tQÒç XaL pamÀ.Éooç ÈVCù'tLOaµevoç 'fraVa'tOV XaL 'tTJV ELç 'tÒV abeÀ.cpÒV 'tÒV VEoYtEQOV 'tWv OXfJ:Tt'tQCùV UXTJXOCÌ>ç µe'ta'frEOL V ELç ÈVaV'tLaV µOi:QaV U:TtO XQL'fr'ij xaì. :rtEQL wii 'trov 8/...wv aÙ'tÒç d vm XUQLOç C>LaµLMTJ'6ij, che a:n:ò yevfoewç I ei.ç 'tTJv C>LaC>oxi]v 'tfJç pam/...etaç xaÀ.ouµevoç xaì. xmà. 'tTJv pam/...tC>a :n:6À.Lv 'tO'tE :n:aQCÌ>v xaì. 'tWV avax'tOQOOV ÈV'tÒç aÙÀ.Lf;oµevoç, EV'fra 'tWv XQTJµcl't(l)V at OCùQÉLaL ELOLV a:n:o xetµevm xaì. 'tà. 'trov XQa'tOUV'tOOV yvwQLITTLxà. :rtEQLPì..fiµam. 1, 2. 'O 'Iwcivvrii; 'tOLV'lJV xa'ta'taxfioaç 'tTJV :TtOÀ.LV ELoELOL XaL 'tÒV 'loaci.XLOV ayvW'ta E'fL lJvm 'tWv yevoµÉvoov aLQEL xat 'tU µov'ij 'toii IlaV'tOXQci'tOQOç e'lQyvuOLv; ft 'tÒv pamMa 'IwcivVTJV Eo-xe C>oµfiwQa. xaì. o µèv µe'tà. I 'ti]v xmcioxemv 'tTJV 'tou :Tta'tQÒç avaµa-freì>v 'tEÀ.E'lJ'tijv xaì. 'tTJV mii aC>eÀ.cpoii UVclQQTJOLV 1, 1.
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II REGNO DI MANUELE COMNENO IN SETTE TOMI TOMO PRIMO
1, 1.
Manuele dunque, proclamato imperatore, mandò subito
nella città imperiale il gran domestico di nome Giovanni, di cogno me Axuch, e con lui anche il cartulario Basilio Tzinziluca, per re golare la situazione del nuovo regno, appianare in anticipo le diffi coltà dell'arrivo, predisporre i riti dell'ingresso e occuparsi anche del sebastocràtore Isacco suo consanguineo. Infatti un'ansia agita va
l'imperatore, che costui, sentito della morte dell'imperatore pa
dre e saputo del passaggio del potere al fratello più giovane, deci desse di opporsi e di combattere per essere lui padrone di tutto: si chiamava alla successione del regno per diritto di nascita, perché si trovava in quel momento nella città imperiale e alloggiava all'in terno della reggia, dove sono depositati i cumuli di denaro e le ve sti distintive dei regnanti1. 1, 2.
Giovanni arriva rapidamente in città, coglie Isacco ancora
ignaro dell'accaduto e lo rinchiude nel monastero del Pantokrator
che era stato fondato dall'imperatore Giovanni. Isacco, dopo l'ar resto, quando apprese la morte del padre e gli risuonò all'orecchio
1, 15. XQTJµdi:wv al ow11e'tm: cf. Io. Chrysost. in Matth. (PG LVIII, col. 608); VIII 2, 3, 29; XVI 21, 7, 115; Nic. Chon. Or. 15, p. 150, 3; uid. et Aristoph. Pl. 269
104
XPONIIQ:I .MHI'IU:Il:
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55
5
2, 1. 'Qç è'>È 't'TJV pamì..i.è'> a JtOÀ.Lv ÈJtEcp'fi'cixEL o MavouijÀ., à.oµÉvwç JtaQà 't'ffiv 't'aU't'TJç OLXTJ't'OQO>V JtQOOè'>ÉXE't'm, 't'Oiito µÈv ci>ç 't'TJV Jta't'Qc{>av pamì..Ei.av JtaQELÀ.TJcpC.Òç, 't'OU't'O è'>' O't'L xa'L JtaQà :n:amv à.oJtciotoç �v, ÈJtEÌ. xà.v 't'cp oii:n:w à.xgtproç µEi.Qa;· XL 't'TJV oUVEOLV EoWSE 't'Wv Xa't'aYTJQaOclV't'O>V ÈV 't'OLç JtQciyµa, OL :n:À.Ei.ova, JtOÀ.Eµtx6ç 't'Lç xaì. cpLÀ.oxi.vè'>uvoç xà.v w'Lç è'>Etvo'Lç à.xa't'ci:n:À.TJX't'oç xaì. µEyaì..Ocpgwv è'>ELxwµEvoç xaì. JtQÒç I µcix.aç
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NARRAZIONE CRONOLOGICA II, I-2
107
1, 4. Così Giovanni e Basilio predisposero l'ingresso dell'iin
peratore. Questi, compiuti i sacri riti per il padre e posto il cada vere su una delle navi ormeggiate sul fiume Piramo5, che renden do fertile Mopsuestia6 si unisce al mare, sistemata la situazione di Antiochia come il momento consentiva7, tolto il campo dalla Cili cia, si mise in marcia attraverso la Frigia detta superiore8. Fu allo ra che vennero catturati dai Persiani e condotti da Masud, a quel tempo· signore di !conio, il cugino di Manuele per parte di padre, Andronico Comneno, che in seguito usurpò il trono dei Romani9, e Teodoro Dasiota10, a cui s'era unita in matrimonio Maria, gene rata dal sebastocràtore Andronico fratello di Manuele. Allontana tisi dalla strada seguita dall'esercito per andare a caccia di aniinali selvatici, essi caddero inavvertitamente nelle mani dei nemici: per desiderio di cacciare fiere, incapparono in cacciatori di uomini. In quel momento l'iinperatore, non potendo volgere la niente ad al tre imprese, essendo tutto concentrato in quella in corso e ritenen do svantaggioso distogliersi da essa anche per breve tempo, non si curò della situazione di questi uomini come bisognava e non li dife se come si conviene a un iinperatore. Ma in seguito riuscì a liberar li senza riscatto e a recuperare ai Romani anche la città di Pracana, che si trova vicino a Seleucia ed era stata devastata dai Persiani11• 2, 1.
Quando Manuele giunse nella città iinperiale12, fu accol
to con giubilo dai suoi abitanti, sia perché aveva ereditato il regno paterno, sia perché era gradito a tutti, in quanto, nella sua giovani le immaturità, custodiva un'intelligenza superiore a quella di uomi ni invecchiati nella politica13; si mostrava bellicoso, amante del ri
schio, imperturbabile nelle situazioni difficili, generoso, pronto a precipitarsi là dove si combatteva. Al giovane splendeva in volto Ja· grazia e attraeva il fascino degli occhi ridenti: era alto di statura,
68. llt]QEU'taiç dv!tQc.lm;wv: cf. Eu. Mare. 1, 17 11 8-9. btÉJtQEJtE veaviq:: d. Plat. Parm. 127b -
Philostr. Vit. sopb. I 25, 9 (II, p. 51, 8-9); II 5,
I
9-10. "tqr (II, p. 77, 6-7)
-
ÈnEmiQE'tO: d.
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I.
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NARRAZIONE CRONOLOGICA II,
5-6
II5
tanto della bellezza fisica, quanto si curava di quella interiore e dell'anima. Per questo aborriva le polveri cinerine40, la dipintura degli occhi, l'artefice di quaggiù41, il rosso artificiale, non natura le; lasciando queste cose alle donne prive di senno, si dedicava alle
virtù e di esse si adornava. Aveva l'inflessibilità propria della sua razza e possedeva una mente non duttile42• Per questo l'imperatore
di solito non si curava di lei: era partecipe degli onori, della scorta e degli altri splendidi apparati imperiali, ma nei suoi diritti matri moniali veniva offesa. Infatti Manuele, che era giovane e di tempe ramento erotico, era dedito a una vita dissoluta e alle mollezze, era attaccato a banchetti e baldorie, si comportava come suggeriva la sua fiorente gioventù e gli ispiravano gli amori volgari. Era incon tinente nei rapporti sessuali e montava molte femmine: di nasco
sto infilzò empiamente anche un buco consanguineo. Questo fatto era per lui una macchia che lo disonorava e gli rovesciava addosso oscenità, come una verruca spuntata in un punto del suo bel viso, o un'eruzione di vitiligine43• 6,
I.
A quest'iinperatore stava a cuore anche l'amministrazione
dello stato. Anche lui come suo padre, il precedente imperatore,
nomina curatore e contabile capo delle pubbliche entrate44 Gio vanni da Putza, che era anche protonotario del dromo45, e nomina
Giovanni Agioteodorita curatore intermedio ed esecutore delle sue disposizioni46• Questi stava sempre dinanzi all'imperatore, riceveva
i suoi ordini come fossero decisioni superne; come cancellieri e ora-
5, 4·5. oùxoiiv - uitoy11aµµoùç: cf. Philostr. Ep. 22, 12 (II, p. 236, 16-7) 6. tòv xdtoo{}Ev: d. Greg. Naz. Or. 8, 10 (PG XXXV, col. 8o oC); Mich. Ital. 12. E:ç t'Ì]v x.olt'l]v filìlx.rrto: d. Eur. Med. 265 15. Or. 15, p. 149, 3 - 6 mivlìT)µoL EQootEç: d. Plat. Symp. 18oe 16-7. itoÀÌ..CXiç- f:m{}oQV'liµEvoç: cf. Philostr. Vit. Apoll. V 29 (I, p. 188, 2-3) 6, 2. q>QO'.Vttot'Ì]v x.aì. Àoytot'Ì]v: cf. Athen. IX 401b; Const. Manass. Chron. 2814 -
Lampsidis (2857 Bekker); I 2,
I,
14
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XPONIKH MHI'Hl:Il:
TJ CXUÀ.� EVÉPQL'frEV TJ paoLÀ.ELOç, JtQÒ JtclV'tCOV bÈ 'tcp l:'t'\JJtJtELCÒ't1]
15
20
25
30
35
40
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NARRA7.IONE CRONOLOGICA II,
6
119
ta attingendolo al tesoro imperiale; sembrava essere il migliore de gli uomini, uno che aveva esatta contezza della situazione, mentre proponeva un piano degno di un pirata. Infatti, dando questi con sigli, ingannò l'imperatore con l'entità delle spese e poi lo rasse renò con la modestia dell'esborso. E adesso, a causa di questo di" segno sconsiderato, ovvero di questa taccagneria, i pirati hanno il dominio del mare e le regioni costiere dei Romani sono devastate dalle navi corsare, come i nemici si sarebbero augurati. Pur sapen" do che della spiga è responsabile chi la semina, tale riteniamo an che chi la miete; e se dell'incendio è responsabile chi lo appicca, tale è anche chi, pur potendo spegnerlo, non ha però voluto fare nulla del genere50• 6, 4. Fino a questo momento Giovanni si mostrò contabile de
voto delle pubbliche finanze, amministratore abile e avaro, esatto re parsimonioso, finché fu invincibile il suo potere, indiscutibili le sue azioni arbitrarie e realizzabile la sua volontà. Ma da che vide mutare la sua potenza, scemare la sua influenza e declinare a poco a poco la sua forza, in quanto altri diyen,tavano potenti presso l'im peratore, lo scalzavano e lo rovesciavan;o. dalla sua posizfon� di ec cessivo rilievo, varcò i limiti che si era posto e da transfuga afferra ti con entrambe le mani l'opportunità e il potere (connessi alla sua
carica), si tenne ostinatamente stretto a essi. Così, detto a un suo amico: «Suvvia, arricchiamoci», assunse un atteggiamento del tutto diverso: d'un tratto prese la strada contraria e si dedicò ai guadagni come nessun altro ai suoi tempi. Fissando con un sorriso quelli che lo incontravano, apostrofandoli affabilmente, osservava con grande curiosità se in petto portavano dell'oro. Presa moglie tra le nobili peglette e sfiorite, e chiamato padre di figli, ripartì tra di loro un11: grande ricchezza, sufficiente a vivere tra i piaceri. Essendo som mamente tirchio, taccagno e avido, non lasciava che la ricchezza
54-5. 6etvòç - otxov6µoç: cf. Lys. 1, 7 62. µe'tijQEV - OQta: cf. Prou. 22, 28 7J. yviq>wv xaì. lìuoyQim01:oç: cf. Nic. Chon. Or. 18, p. 189, 16-7
XPONIKH �IHI'mll:
120
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O'UVESclQUOa µo'ì:Qa oµoyEVWv É'tÉQWV È'frvci)v· oLç 'X.UÌ. {hiÀELv ciMioovtm xaì. 8omç dv'frQro:n:ot 'tQÉcpovtaL xaì. 'i:n::n:mç suµf3É(3À'l']Vtm. o bè f3aOLÌ..Euç, còç ELXOç; È'X. to'li 3tUQU'.X.Qftµa btataQU'.X,'frEÌ.ç t�V 'ljl'U'.X,�V tq> aÉÌ..:n:tcp tOU 30 :n:Qciyµatoç OU'X. avft'X.EV oµwç tWv O'UVOLOOVtOJV ÈmµeMµevoç·
7, 2. :n;oì..éµtov V
NARRAZIONE CRONOLOGICA II,
7,
I.
7
129
Ma mentre il sovrano governava così l'impero, una nube
di nemici sollevatasi dalle regioni occidentali con stridore terribile e funesto s'abbatté sui confini dei Romani: intendo la spedizione degli Alemanni e il contingente di altre popolazioni affmi, che si era messo in viaggio con loro, tra cui si annoveravano anche donne che cavalcavano come maschi, in sella non tenevano le gambe uni te, ma stavano spudoratamente a cavalcioni; astate e armate ·aveva no un aspetto di guerrieri e indossavano vesti virili; avevano uno sguardo davvero marziale ed erano più maschie delle Amazzoni64• Tra loro una emergeva come un'altra Pentesilea: era soprannomi nata Piede d'oro dall'oro che, correndo lungo i bordi e le frange65, le screziava la veste. 7, 2. Il motivo proprio della spedizione lo fornivano in apparenza
il cenotafio del Signore e la preparazione di vie diritte, da tortuose e piene d'insidie che erano, per quelli della loro stirpe che voles sero andare direttamente a Gerusalemme. Dicevano anche che in quella marcia non si trascinavano dietro nulla di superfluo, ma por tavano soltanto ciò che era assolutamente necessario ad appianare le vie. Per questo facevano mostra non di pale, scuri e zappe, ma di elmi, corazze e spade e quant'altro serviva a combattere! Che questo fosse ciò che li aveva spinti, essi lo proclamavano e giurava no. E le loro parole non erano false, come si vide dai fatti successivi. 7, 3. Mandarono ambasciatori a chiedere all'imperatore di po
ter passare per il territorio dei Romani come per una terra amica e che lungo la strada fossero loro allestiti dei mercati, dai quali po ter comprare ciò di cui si nutrono gli uomini e quanto si getta ai cavalli66• Sebbene l'imperatore, com'è naturale, fosse al momento confuso nell'animo per il fatto imprevisto, non tralasciò tuttavia di
7, 1-3. vÉcpoç- ÒÀ.Él'.>QtOV: cf. Greg. Naz. Or. 43, 30 (PG XXXVI, col. 536C); Basil. de spiritu sancto 30, 79 (PG XXXII, col. 217A), ex Horn. Il. IV 274 et XXIII 133; idem ap. Nic. Chon. Or. 16, p. 170, 8 12-3. iji:tç - :n:aQOJVoµdl;E'tO: cf. Eust. Comm. Il. I 538 (=I, p. 225, 20-2 ad àQyuQ6:n:El;a), ex schol. Hom. AbT (ex.) AnBa (Erbse) 20-1. ma ... oita:n:tÀ.laç: cf. XIII 6, 1, 7 5, 50
130
XPONIKH AIHI'In:U:
i:mç i:e JtQéo(3em btetì..éxfrri µei:à J'tQOO'l']Vetaç i:à JtQ6mpoQa xaì ènmvetv uneQ(3aÀ.Mvi:roç i:ò bQcbµevov Vl'tE'K.QLVei:o xaì. dyao'fi'm aùi:oùç i:fjç eùoef3oiiç JtQooenoteti:o l'tQo'fi'éoeroç. xà.x i:oii aùi:txa bi] µci.À.a ei:otµci.oao'fi'm i:à l'tQÒç btéÀ.evotv 35
ènriyyéÀ.À.ei:o dqi'fi'ovci. i:e eÙ'tQE:l'tLOeLv xaì ihmµa o1hroç À.a (3etvi;à ffivta LO')(.'UQLtei:o, ci>ç e't'.neQ où bt' Ò.À.À.O'tQLaç, à.Uà btà i;fjç olxetaç :rtaQcbbevov, èiv bcboo'UOL µ6v9v OQ'K.La mmci, roç '6-eoqitÀ.T]ç aùi:otç fi &Loboç Ò.À.f1'6-roç xaì ci>ç à.µax.rii:ì i;à 'Proµatrov OQLU 1':rteQ(3Tjoovi:m.
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7, 4. Taiii;' o'Ùv, ci>ç elxòç �v, xai:amrioaµevoç, ànavi:axu btexnéµnet (3aotÀ.eta btai;ci.yµai:a l'tQoexxeto'6-at i;à twaQl'X.�
i;rov Mmv, xa'fi'' aç ot ès EoJ'tÉQaç O'tQa'tOÌ bteÀ.eUoOV'taL' xaì. i;cp MyOJ 'tÒ EQYOV ÈJ'tfl'K.OÀ.ou'fi'eL. uno(3À.en6µevoç bÈ xaì btev voùiv, µTj nroç èv béQµai:t nQo(3ai;rov À.vxtbetç EQXrovi;m � 45
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50 µOLQUç' J'tCÌQLO'tflOL 'tÒ µ'UQLaVbQOV, 'tÒ nci.yxaÀ.xov J'tEQLÀ.UÀ.El
xaì i:ò qi6vwv, i:ò JtiiQ i;rov òµµci.i:rov c'inavi:aç (3À.énetv xaì w'tç a't'.µamv ènayci.Ueo'6-m ci>ç o'ÙbÈ !'.!avi:toµotç \Jbai;rov ei:eQOL. où i:aiii:a bÈ µ6vov i;fl yeQO'UOL� xai:ayyéÀ.À.et xaì i:otç i;éì..e OL xaì ITTQmeuµamv, à.Uà xaì ooa o èx �txeÀ.taç 'tuQavvoç, 55 woneQ '6-i]Q èvci.À.toç, xai:à i;rov naQa'fi'aÀ.ai;i;trov xroQùiv btanQcit
i:ei:m, 'tTJv aÀ.µflV 'tUJ't'tù>V i:otç ÈQe'tµotç xaì i:atç 'Proµa·i:xa'tç. èvoQµLtoµevoç xroµon&em xaì KeLQWV i:à èv nooì xai;à nolli]y,' i;oii ènaµuvovi:oç ÈQflµLav. xaì bi] i;àç µÈv Jt'UQyo(3ci.Qetç èm-; oxevatet i;fjç noÀ.e�ç xaì i;tfrrimv eÙeQxéa i;i]v OÀ.flV i:oii l'tEQL-
NARRAZIONE CRONOLOGICA II,
7
I3I
occuparsi di ciò che sarebbe tornato utile. Agli ambasciatori dis
se con gentilezza le parole opportune, simulò di lodare oltremo do l'impresa e finse di ammirare la loro pia intenzione. Promise di
far preparare immediatamente loccorrente per il loro passaggio e assicurò che avrebbe fatto allestire le merci in abbondanza e ne avrebbe reso l'acquisto così facile, come se essi passassero non per una terra straniera ma per la propria, se solo avessero tenuto fede
al giuramento di fare la strada davvero per amore di Dio e di var care i confini dei Romani senza combattere. 7, 4. Sistemato ciò come bisognava, manda dappertutto decreti
imperiali: che si espongano i viveri sulle strade per le quali sareb bero passati gli eserciti occidentali; alle parole seguirono i fatti67• Ma l'imperatore per il timore e la preoccupazione che sotto le spo glie di pecore venissero dei lupicini, o sotto laspetto di asini si na scondessero dei leoni, contrariamente al racconto mitico, o unisse ro la pelle del leone a quella della volpe, raduna le forze militari dei Romani e discute in consiglio della situazione generale; considera l'entità degli eserciti che dovranno fare la traversata, fa un elenco della maggior parte della cavalleria, mette in chiaro il numero della
fanteria pesante, mostra quanto è numeroso il reparto appiedato68, si diffonde il loro perfetto armamento e la loro furia sanguinaria, osserva che tutti quanti sprizzano fuoco dagli occhi e si rallegra no
del sangue come gli altri neppure delle aspersioni delle acque.
Al senato, alle autorità e ai militari non annuncia solo queste cose, ma anche quanto l'usurpatore di Sicilia, come un mostro marino,
fa contro le regioni costiere, battendo con i remi lacqua del mare, assalendo i borghi romani e saccheggiando quanto trova sul suo cammino approfittando della grande penuria di difensori69• Allora
restaura le fortificazioni della Città, rende ben difeso l'intero peri-
37· OQXLU mcrtci: cf. Horn. Il. II r24; III 73 etc.; infra XIX r7, 3, 43 44. h lux11lei:ç: cf. Eu. Matth. 7, r5; ad Àux11lei:ç uid. Aesop. Fab. 225 Hausrath; Theocr. j, JS al.; cf. Bossina, Bestia, p. 47 44-5. 0vcp-1l1TfY1iµai;1: cf. Aesop. Fab. 199 Hausrath 46. 't'Ì]V- d.Àwitexu: cf. Zenob. 1, 93 49. itel;ei;a[Qaç: cf. Leo Diac., pp. 134, 2; 140, 1 p. al'.µao1v - B'l:EQOL: cf. Num. 19, 9-2r; Ep. Hebr. 12, 24; I Ep. Pet. 1, 2 56. 't'Ì]V- EQE'l:µoi:ç: cf. Horn. Od. IV 580
132 60
XPONIKH �IHI'filll:
p6ì..ou :rrngtµe'tQOV, TU èìè O'tQa'tLQ xm»vaç -rrov à.vag-rfjom xmà w'Ùç -rwv à.µatVE'tm ilbawç xaì. tl-aì..cioomç tl-éì..rov O'lJVESE'tcitEotl-m xaì. :n:omµòç ouxé't' à.vEx;oµEvoç ELvm ELç cpì..o1o�ov 'tQax;uvE'tm xaì. :n:À.W'tÒç Èx pawu ytVE'tm
xaì·
bLE'X)(;EL'tm elç :n:ì..ciwç. à.µÉÀ.EL xaì. bLUQQLmt6µEvoç :n:vE'llJ µamv elç xuµa µE'tEWQLtE'taL XÒ.V'tEU'frEV U)(;V1']V Ò.JtOJ't'tVroV 1 40
xaì. 't'fi yEt'tOVL XÉQOql uPQLITTilç :n:gooagcioowv :n:6vouç JtUQLMam xaì. at CÒQm JtaQà toutmç oo� xaì. UJt'l']QÉtLè'>eç oef)oav tà àUiJì..cov àvtLJtagéxoumv, dgaç ��· xetttev è'>LeJtOQeUeto. 'f. 7, 12. 'Qç OÈ xaì. etç ti)v JtOÀ.Lv �yytxn ti)v pamì..euouoay; eùttùç ti)v OtQatLàv etç tò àvtLJtégav è'>LaJtoQ'frµeueLv �vayxL wuto ot tfl uJtouQyt� tautu ÈqJe0t11x6teç, àJteLJtovteç :n:1:1.òç. • tò JtÀ.f)tl-oç, èiJtQa'X.tOL ÈJtavéì..uoav. 7, I 3. Oiltcoç tOLV'UV àyaJt'l']tWç toi:ç 'Pcoµatmç rooet tL VOç i OÙQUVLO'U è'>etµatoç àJtmOLO'U tOU Q'l']yÒç etç I ti)v ecpav À�!;�x;
g
NARRAZIONE CRONOLOGICA II,
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I39
scinati via come paglia secca, come un leggero fiocco di lana: per dirla con i salmi, quel fiume portò via le voci di costoro che grida vano forte in barbari accenti e intonavano alle vette e alle colline, a valle delle quali erano travolti, una melodia terribile e insieme sel vaggia, non come le dolci arie flautate dei pastori; così che quanti osservavano ciò che era allora accaduto, avrebbero potuto conclu dere che proprio l'ira divina s'era abbattuta sull'accampamento de
gli Alemanni, se tutti in una volta erano stati inghiottiti dall'acqua tanto che neppure i loro cadaveri poterono essere salvati83• Quel
la notte alcuni s'addormentarono nel sonno della morte, altri pati rono la distruzione e la perdita di ciò che avevano. Il re, oppresso
dal dolore per quanto era successo, un po' abbattuto nel suo or goglio, chiedendosi se anche gli elementi obbedissero ai Romani e quasi cedessero al loro volere, e se le stagioni presso di loro al bi sogno si scambiassero i compiti come ancelle, tolse di lì l'accam pamento e passò oltre84• 7, 12. Quando giunse nei pressi della città imperiale, fu costret
to a trasportare subito l'esercito sulla riva opposta, benché all'ini zio, stando accampato sull'altra riva, all'altezza della località detta di Picridio, con grande orgoglio e alterigia avesse rifiutato la tra versata, dicendo che era a sua discrezione farla o no. Allora tut
ti i rematori, tutti i battelli, tutte le barche da pesca e le navi per il trasporto dei cavalli si misero al lavoro per traghettare gli Aleman ni85. L'imperatore per parte sua mette dei funzionari a registrare la consistenza numerica dell'esercito, con l'ordine di notificargli a ogni imbarco, soldato per soldato, quanti facessero la traversata. Il numero però eccedeva la possibilità di registrazione, per cui gli in caricati di questo servizio, soccombendo alla quantità, ritornarono senza aver concluso nulla86• 7, 13. Così il re, come un nefasto e spaventoso fenomeno cele
ste, passò sulla parte orientale con soddisfazione dei Romani: lo se-
155·6. tàç-cprovàç: cf. Ps. 92, 3, uhi EltfjQav sensu mutato; VI I, II, I37 3. ilitVwcrav - iltlvatov: cf. Ps. I2, 4
I62-
140
XPONIKH àIHrmll:
1s5 &ux�avtoç, ÈcpoµaQ'tfJOavtùJ'V &è 'tOV'tCfl µe'tà �gaxù xaì. ocrm 'tò'Jv
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NARRAZIONE CRONOWGICA
II, 7
141
guivano a breve intervallo i Franchi che facevano la spedizione in sieme con lui87• Allora l'imperatore si prese di nuovo la stessa cura
dei suoi territori, che s'era presa anche prima. Non trascurava però ciò di cui quelli avrebbero dovuto nutrirsi: lungo le strade furono esposte di nuovo le merci da acquistare. Ma nei punti adatti dei po deri e nelle gole i Romani ponevano delle insidie (così aveva deciso
Manuele), çhe uccisero non pochi soldati di questi eserciti. Gli abi tanti delle città per parte loro, chiudendo le porte, non fecero par tecipare gli Alemanni ai loro mercati: sospendendo al muro delle funi, prima tiravano su il prezzo da pagare per ciò che era da ven
dere, poi calando giù quanto volevano, fosse il pane che si vendes se o qualunque altro genere alimentare, comportandosi in modo empio, lasciavano che quelli invocassero la maledizione dell'oc chio che tutto sorveglia, perché non usavano pesi giusti, non ave vano pietà di loro in quanto pellegrini né prendevano l'iniziativa di
pagare loro qualcosa, sebbene essi fossero gente della stessa fede, anzi strappavano loro di bocca il necessario per la sussistenza. Gli abitanti peggiori e quelli che si studiavano di essere disumani non calavano giù neppure il minimo, ma, tirata su la moneta d'oro o attinta quella d'argento, se la mettevano in petto e scomparivano, senza farsi più vedere sugli spalti fra le cortine. Ci fu chi, farcendo la farina con il gesso, rese i cibi velenosi88• 7, 14. Non so bene se, come si diceva, l'imperatore avesse dato
dawero questi ordini: si compirono comunque azioni illegali e ci si comportò da empi. Ma che questo fosse volere dell'imperatore, non era dubbio né si può mettere in ombra con il velo della menzogna: si coniò moneta adulterata e la si offrì ai soldati dell'esercito degli
Itali che volessero vendere qualcosa. Per dirla in breve, non ci fu
198-9. tòv-òljl'fra1.µòv: d. Procop. Gaz. in Prou. 5, 21 (PGLXXXVII, col. 1268A); Theod. Anagnost. fr. pa (p. 132, 7 Hansen) ap. lo. Damasc. Or. de imagin. ID 90, p. 182, 14 Kotter; Sophron. Hierus. Mirac. Cyri et ]o. 32 (PG LXXXVII, col. 3121A oµµa :rtavtÉç ELltELV, O'ÙbÈV U3tfjV tWV bELVWV, O O'ÒX �V a'ÒtÒç Èm tEXVÙlµevoç paQrov xaì. :n:oA.ewv. 8, 7· 'E:n:et6i} 6è xaì. ò :n;oi:aµòç oiii:oç, roç EO'tLV ÒQciV,
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UAAWç :ll:EQUOLµoç, eL µi} XaLVO'tÉQUV UVOL;EL 'tLç :ll:clQ060V, aui:òç Eycò xaì. 'tÒ xai:à 'tOV'tOV eLO'l'jy�ooµm YEVflOOµevov xat ro5
i:oii ELOfly'l'j'frévi:oç n:Qwi:oç xai:ciQ;oµm. Èç òµmx.µtav µtav qiQa;aµevm xaì. i:aiç XEQOÌ. Mvi:eç i:à Mlgai:a 6te;t:rtn:aoCJi.; µe-fra oùv {!tiµu i:oii n:oi:aµtou i:oMe {!etiµai:oç xaì. Eç aùtò ȵ�ciA.roµev µe-&' ÒQµf)ç· xaì. �oei:m, o1:6a oaqiwç, 'tÒ u6mQ à.vaxao-&èv xaì. i:oii xai:' eù'fruroQtav à.vaxon:�oei:m 3tQOQQÉELV
rro roon:eQ Èn:avaoi:Qaqiév, xa'frà xaì. n:ciA.m {!oiiç 'loQ6civetoç tç 'tQ03taLOV 3tQOIJlaLVOµeva elç xA.éoç �µmv aui:rov &.-&civai:oV». 8, 8. Tmaiii:a n:aQaxeA.euociµevoç xaì. i:à o'l']µeia i:f)ç µci)CT]ç
ava6et;aç aui:oç 'tE 'tÒV L3t3tOV ÈIJlfJXE, O'U)(.VÙ µuron:Ll;WV 'tE xaì' èyxeA.euoµevoç roç i:òv n:oi:aµòv µei:à {!tiµ'l']ç 6ta�f1ooµevoç;
NARRAZIONE CRONOWGICA II,
8
149
8, 6. Vendichiamoci finalmente &coloro i cui compatrioti e cor
religionari sono entrati con piedi impuri, come in un luogo pubbli co,
nel luogo santo dove Colui che è coetaneo al Padre e ne condi
vide il trono divenne contubernale dei morti. Noi siamo i potenti h con la spada sguainata, tutti insieme, dobbiamo prenderci cura,
c e
come
della lettiga di Salomone, del sepolcro ricettacolo di Dio e del
la salvezza. Togliamo di mezzo, noi liberi, i discendenti di Agar la schiava, rimuoviamoli, come fossero pietra d'inciampo, dalla stra da che porta a Cristo: essi che i Romani, non so come, quali vitti me designate allevano come lupicini e ingrassano ignobilmente con il proprio sangue, pur dovendo allontanarli con la forza e la ragioc nevolezza d'un uomo saggio dalle loro terre e città, come si allon, tanano le belve dalle greggi. 8, 7. Poiché questo fiume, come si può vedere, non è guada
bile in altro modo che aprendo una nuova via, io stesso suggerirò ciò che si dovrà fare a suo riguardo e per primo metterò in atto il suggerimento. Serrandoci in un'unica schiera, tenendo in mano le lance, gettiamoci a cavallo attraverso la corrente di questo fiume e con
impeto piombiamo nel medesimo punto: l'acqua, lo so per
certo, si ritirerà e si fermerà, cesserà di scorrere nella sua direzione, quasi si fosse volta al contrario, come la corrente del Giordano at traversata un tempo da Israele. Questo fatto, questo disegno pos sano essere cantati dai posteri, non li distrugga il tempo, non li can celli il flusso dell'oblio; possa essere grande lo scherno che ricade sui Persiani, le cui membra cadranno intorno a questo fiume le
vandosi in alti cumuli e offrendosi alla vista come un trofeo a no stra gloria immortale». 8, 8. Fatte tali raccomandazioni e dato il segnale della battaglia,
il re lanciò il cavallo, spronandolo ripetutamente e stimolandolo per
93-4· ot - �oÀoµWvi:etov: cf. Cant. 3, 7-8 95. {}eoc'ìéyµova: cf. XIX 3, 7, 109 95-6. toùç bi tijç"Ayag- ÈÀeu{}egot: cf. Ep. Gal. 4, 22 97. Wtcruç l!Qoox6µµatoç: cf. Is. 8, 14; Ep. Rom. 9, 32 98-9. Ùlç - À'UKLl>ei:ç: cf. 7, 4, 44 no-1. 11.aM - :n:el;euoµevoç: cf. Ios. 3, 7-17 II4. tà 11.ciiÀ a JIE!Joiivtm: cf. Num. 14, 29
150 120
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xaì. ot A.m:itoì. ÒV msaµEVOL xaì. JtUXVÙloavtEç Eaui:oùç. xaì. &.'frg6m ÈsL:it:itat6µevm, còç i:oii :itoi:aµtou :x;evµai:oç i:ò µèv Èç I 't�V XÉQOOV È'lm va:x;{}fjvm i:aiç 'tcOV LJtJtWV '.)(T]Aaiç, 'tÒ aè ì'.>Laxo:itfJvm xaì. i:fJç :itg6ow mfJvm qiogéiç, còç e:'i:itEQ e:lç &.vLà ST]Qéiç UYQOJtOQOiivtaç Jtagà Msav 'tOLS Ilégomç ÈJtELOJtEOELV. ()i;e xaÌ. µ� E'.)(OV 'tÒ pagpagov qJUyfi 'tfrv OW'tf]Qi.av u:itoxM'ljJm yoiiv (buux6µe:vm yàg xai:e:t..aµpavovto, µT]ì'.>È: I i;éòv LJtJtWV aui:o1ç È:itaµuvOvtWV, xliv �OaV WXVJtOì'.>Eç 'KUL,
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NARRAZIONE CRONOLOGICA ill, 2
15 9
do gli Acamani, gli Etoli13 e le zone costiere, navigò verso il golfo di Corinto. Approdato nel porto di Crissa14, si arrischia ad assalire i luoghi interni, poiché non aveva nessun nemico che gli fosse pari. 1, 3. Allora il comandante della flotta, dopo aver diviso in schie
re la parte dell'esercito equipaggiata con armi pesanti e quella arma ta alla leggera, divenuto terragno, lui che sino ad allora era marino, a guisa dei mostri anfibi che in terra e in mare devastano, penetrò nella terra di Cadmo15 e cammin facendo, devastati i villaggi che erano nel mezzo, assafi Tebe dalle sette porte16• Impadronitosi di essa, si comportò crudelmente con la gente del luogo. Infatti la cit tà - diceva un'antica fama - aveva abitanti ricchissimi: sentendosi pungolato a una voglia inappagabile di beni, non conoscendo sa zietà nell'avidità di ricchezza, ma ponendosi come limite della sua brama che tutte le navi o la maggior parte fossero immerse addirit tura fino alla terza cinta17 per il carico dei beni trasportati, oppres se gli artigiani e, facendo di tutto per lo sporco denaro, afflisse con vari maltrattamenti i magnati, i nobili, gli anziani, i dignitari, senza rispettare e risparmiare nessuno, senza aver pudore delle sue spu doratezze, senza preoccuparsi che Adrastea afferrasse il suo pote re18, senza temere la cosiddetta vittoria di Cadmo19• Alla fine, fatti esporrei libri sacri, costrinse ciascuno, che entrava con un peri zoma ai fianchi, a rivelare sotto giuramento i suoi averi20 a colo ro
che lo esaminavano e a uscire con una rinuncia formale a essi.
Così, portato fuori tutto l'oro e tutto l'argento, messe sulle navi le vesti intessute d'oro, non si astenne neppure dai corpi21 di coloro che aveva spennato: presi fra essi quanti si distinguevano per me riti, e scelte fra le donne le più belle ed eleganti, che solevano la varsi nella corrente della bella fonte dircea22, solevano acconciar-
41. dµqi1flooit6µeva: cf. Lucian. Pod. 303 42-3. Moii m:iQEQyov: cf. I 11, 3, 59 43. ern:aituÀQEUÌ. µEQµEQLtoV'ta � 'tÒV N EOXÀ.Éouç 01!µL�
U'tOXÀ.'i'jv &:eì. ÈrtÌ. 0"1JWOLaç OQWµEVOV xaì. &:unvouç vuxmç tauov, 5
'ta xaÌ. 3tQÒç 'tO'Ùç 3t1JV'fravoµÉvouç artOXQLvoµEVOV wç xa'frEU: betv oùx Ècp'I'] MtÀ.'tLcibou 'tÒ 'tQOrtmov. suvexciÀ.EL wLvuv etç
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25 EQaç TJQm·i:xi)v Èvl'>eLxvvµévovç &ì..xi)v xaì, 't'Ò ònì..L'ttxòv oùx �v &yewéç, &llà 'ti)v ÒQµi)v ì..eoV'too6eç xaì. &w nommov. ò yàQ �amì..eumwç 'tqi OV't'L xaì. O'tQa'tTJYLXffi'tawç 3o
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::11
NARRAZIONE CRONOLOGICA ID,
6
l 83
compatrioti, e anche molti che si trovavano lì, insigni per essere di stirpe imperiale e segnalati per dignità, s'intromisero disarmati. Per sedare la rissa e fare da pacieri giunsero i più venerandi fra i Ve neziani: ma non c'era attenzione per le loro parole né si insinuava nel loro animo un qualche rispetto per gli uomini di gran presti gio lì raccoltisi. Ares infuriava terribilmente e, bramoso di versare sangue, incitava moltissimo i soldati con armatura pesante, e più quelli dell'esercito veneziano, non metteva alcun freno né si volge va
indietro. Quanto, infatti, il gran domestico cercava di arresta
re l'impeto dei Romani e di contenere i loro attacchi, tanto più i Veneziani s'inferocivano agitandosi per l'ira e si riversavano fuori dall e navi. Allora egli, visto che il suo tentativo di metter pace non otteneva nulla e che la necessità induceva le stirpi a risolversi con una
battaglia, fece chiamare i soldati della sua guardia, che gli era
no utili in occasione di scaramucce e di cui si serviva per il loro va lore, e li mandò .contro i Veneziani. Fece uscire anche una parte dell'esercito. I Veneziani, dopo una breve resistenza, volte le spal le, fuggirono precipitosamente e loro malgrado furono ricacciati tutti insieme verso le navi, essendo feriti e uccisi. 6,
2.
Tuttavia neppure così quietarono il loro animo barbaro o
deposero le armi dopo la sconfitta, ma saltando e balzando addosso come bestie dure a morire66, si facevano un problema di non aver prevalso sugli stessi Romani. Non potendo combattere più in terra ferma, salgono sulle navi che stanno all'ancora e prendono il largo; approdati in un'isola cinta dalle acque (credo sia questa l'Asteride, che gli antichi dicono situata fra Itaca e la tetrapoli dei Cefalleni), come nemici assalgono le imbarcazioni romane che approdano lì dall'Eubea e, conciato male l'equipaggio, costituito soprattutto da Eubei, alla fine appiccano il fuoco e mandano in fumo le stesse navi.
19. è11miyli.ooç èµalvew: Horn. Il. IX 238; infra IX 2, II, 127 22-3. ave ogµf)ç: cf. Lucian. Alex. 57 25-6. tllòrv - tiiq>EÀEi: cf. Eu. Matth. 27, 24 30-1. -rà. - i:peuyo'IJlQQutov: cf. Horn. Od. I 50; 198; XII 283 39-40. � 'AO'tEQÌ.ç- -re-rga:n;oli.eooç: d. Hom. Od. IV 845; Strab. X 2, 16 I 'tf)ç - 'tE'tQa:n:oli.eooç: cf. Thuc. II 30
llOlltE-
I 84
45
50
XPONIKH òIHI'ID:Il:
6, 3. Tcp xmr.cp C>è tOUtq> xaì. EtEQOV &toJtCOtEQOV bncpÉQovtEç tijv f3acnì..l.C>a v'i'ja x.Ào:n:ocpogoiitmtijoELç xooµoiicrL :n:É:n:Àmç '.)(QUOoiicpém xaì. &ì..ougyoi:ç tci:n:TJOLv, I e:n:ELta C>' aù'tjj E:µf3tf3cioavtEç &vC>gciQLOV f::n:l.tgmtov, XEÀE'.)(QWtci ttva At� '6-1.o:n:a, E'Ùcpfiµouv Ù>ç f3aoLÀÉa 'Pwµal.wv :n:EQLciyovtEç µEtà ì..aµ:n:géiç otEcpaVT)cpogl.aç xaì. :n:go:n:oµ:n:'i'jç, tà. t'i'jç f3aotì..Ei.aç OEµvà. C>m:n:al.tovtEç xaì. xataµwxoiµEvOL tòv dvaxta Mavouij). Ù>ç µij sav'6-i.tovta tijV XOµT)V Ù>ç '6-ÉQOç, aÀÀ' U:n:OµEÀaLVOµE VOV tijv µogcpijv xatà. tijv tOU �oµatoç vuµcpT)V tijv ÀÉyouoaV
«µéì..mvci ELµL xaì. xaì..Tj, otL :n:agéf3ì..E'ljJÉ µE o ilì..Loç».
55
6, 4. 'Aì..ì.'. EL'.)(E µèv &sl.av f:m'6-Ei:vm C>l.xT)v toi:ç f3agf3cigmç Èx toii :n:agautl.xa o f3amÀEuç,C>Ei.oaç C>É,µij f:µ(puì..1.ou XLVTJ'6-Évtoç :n:oì..éµou Elç :n:ì..Ei:ov :n:gox.wgfiCJ'Q tà. dto:n:a, :n:éµ'ljJaç trov f:s ot�' xEl.ou yévouç tLvà.ç &µvT)otl.av 61.C>wm toi:ç BEVEtbr.mç ciJv te 60
65
5
·
Elç aùtòv �voµfixaoL xaì. ciN Elç 'Pwµal.ouç I Ù>ç C>uoµEVE'Lç È'lta" XOUQYTJO'UV, EltEL tà."t'i'jç aµUVT)ç eoiga :n:wç oùx &xl.vC>uva,:n:Qòç· dì..ì..a toii xmgoii QÉ:n:ELV f::n:dyovtoç. :n:ì..ijv EL xaì. tòv xoì..ov aùt'i'jµag xatÉ:n:E'ljJEv, &ì..ì..' ci>ç f:v o:n:oC>t� evauoµa tòv x6tov ÈV� é'6-aÀ:n:E tti 'ljJU'.)(ti, ewç tWv :n:gayµcitwv EVClLMvtwv aùtòv Èsej :n:UQOEUOEV, ci>ç xatà. xmgòv tòv olxEi:ov QTJ'6-fioEtm. 7, 1. TotE yoiiv cptì..tw'6-évtwv a'Ò'6-tç &µcpotégwv twv otQuVT)'6-EtTJ toiito xaì. f:sEÀE'Lv. �iéJ:'� tE oi'iv trov :n:Etgof36ì.. wv ògycivwv tà. f3ciQTJ. trov ì..l '6-wv �cpi.ei:dJ O'lJVE'.)(ÉO'tEQU xaÌ, OL tosotm 3tUQÒ. µatòv aEÌ. 3tEÀcitovtEç
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NARRAZIONE CRONOLOGICA ID,
6,
6-7
18j
3. Aggiungendo a questo danno anche un altro più incon
sueto, rubarono la nave imperiale e, sistematala presso di sé, dap prima addobbarono l'alloggiamento imperiale con veli intessuti d'oro e tappeti purpurei, poi, fatto salire sulla nave un ometto scal tro, un Etiope di pelle nera, lo salutarono imperatore dei Romani muovendo in processione con gran pompa: così mettevano in ridi colo le auguste cerimonie imperiali e si facevano beffe del sire Ma nuele, perché non aveva i capdli biondi come le messi, ma il suo aspetto era scuro, come la sposa del Cantico, che dice:
«Sono nera e bella, perché il sole mi ha guardata».
6, 4. L'imperatore avrebbe potuto subito punire adeguatamente i barbari, ma nel timore che, scoppiata una guerra interna, le diffi
coltà diventassero maggiori, mandò alcuni suoi parenti a concedere ai Veneziani il perdono per le colpe commesse nei suoi confronti e
per il male che, come fossero stati nemici, avevano fatto ai Romani; questo perché vedeva che vendicarsi non era senza rischi, in quan to la situazione del momento spingeva a volgersi ad altri problemi. Ma anche se per il momento ingoiò l'ira, nel suo animo continuò a tenere in caldo lo sdegno come una scintilla sotto la cenere finché, quando le circostanze lo permisero, poté accenderlo, come a tem po opportuno si dirà67• 7,
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Allora dunque, dopo la riconciliazione dei due eserciti, l'im
_peratore condusse le falangi all'assedio e, accerchiata la piazzafor te per mare dove era possibile, come in gara con sé stesso per mo strarsi più energico, fece di tutto se mai avesse potuto trarla dalla sua parte e impadronirsene. Pesanti pietre erano lanciate incessan temente dalle macchine d'artiglieria e gli arcieri, accostando di con48. mbti.mç - i;ditT]