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Italian Pages 2352 [2364] Year 2016
ARISTOTELE ORGANON CATEGORIE - DE lNTERPRETATlONE - ANAUTJCl PRIMI ANAUTlCT SECONDI - TOPICI - CONFt;TAZTONJ SOFlSTTCHE
Testo greco a fronte
Coordinamento generale di Maurizio Migliori Saggi introduttivi, traduzioni, note e apparati di Marina Bemardini, Milena Bontempi, Arianna Fermani, Roberto Medda e Lucia Palpacelli
rRS, BOMPIANI \:!V IL PENSIERO OCCIDENTALE
. TSBN. 9,78-88.-452-8164-8
© 2016 Rizzali Libri S.p.A. I Bompiani, Milano Realizzazione editoriale: Alberto Bellanti - Milano Tedizione Tl Pensiero Occidentale giugno 2016
SOMMARIO INTRODUZIONE GENERALE
VII
di Maurizio Migliori CATEGORIE
3
a cura di Marina Beroardini Saggio introduttivo Testo
5
53
DE INTERPRETATIONE
159
a cura di Lucia Palpacelli Saggio introduttivo Testo
161 207
ANALITICI PRIMI
273
a cura di Milena Bontempi Saggio introduttivo Testo
275 369
ANALITICI SECONDI
793
a cura di Roberto Medda Saggio introduttivo Testo
795 839
TOPICI
1079
a cura di Arianna F ermani Saggio introduttivo Testo
1081 1165
CONFUTAZIONI SOFISTICHE
1645
a cura di Arianna Permani Saggio introduttivo Testo
1647 1683
APPARATI
1827
UNA VERSIONE E UNO STUDIO DELL'0RGANON DI ARISTOTELE NUOVI ED UTILI PER TUTTI COLORO CHE AMANO IL PENSIERO ANTICO
di Maurizio Migliori
I.
ALCUNE PREMESSE
Il lettore consapevole, vedendo questa nuova traduzione di tutte le opere dell'Organon di Aristotele, si pone probabilmente una domanda: che cosa giustifica, sul piano formale-editoriale come su quello storico-filosofico, un simile sforzo? Certo siamo di fronte ad un testo estremamente importante per la storia del pensiero occidentale ma, a fronte di tante edizioni, che hanno anche attualizzato molto la proposta aristotelica con l'apporto di eminenti studiosi di logica contemporanea, la domanda appare più che legittima. La risposta non può che essere articolata secondo due assi paralleli, che riguardano 1) la natura di questa particolarissima raccolta di scritti aristotelici e 2) le novità che questo lavoro presenta. Partiamo da quest'ultimo punto, limitandoci agli aspetti "funzionali" e rinviando le questioni di merito alle conclusioni.
1. Note di metodo Un primo dato di novità è costituito dal taglio di questo lavoro, che tenta di offrire una lettura complessiva dell'Organon basata su uno studio analitico "autonomo ma coordinato" delle singole opere. Questa è stata la scelta fatta originariamente con il mio compianto maestro, il prof. Giovanni Reale, che ha voluto fortemente questo volume: ogni opera è affrontata singolarmente da uno/a studioso/a, ma il lavoro è stato molto intrecciato e teso verso un risultato unitario (che qui cercheremo di presentare). Trattandosi infatti di una raccolta di testi anche molto diversi tra loro è difficile affrontarli con un unico sguardo onnicomprensivo (non fosse altro che per ragioni di capacità, tempo e fatica), ma nello stesso tempo è impossibile capirli prendendoli uno ad uno e separandoli del tutto (per le ragioni anche testuali che saranno in seguito addotte).
X
MAURIZIO MIGLIORI
Per questo si è scelto un metodo che garantisse sia l'approfondito studio dei singoli testi sia l'intreccio tra le diverse esperienze di traduzione e di commento, in modo da avere un prodotto, per quanto possibile, omogeneo. In questo modo si è anche riusciti ad evitare un errore comune sia all'antichità sia ai giorni nostri, di lasciarsi influenzare dalla struttura (a suo modo ordinata) dell'Organon e di leggere queste opere in una sequenza sistematica, in cui il testo che precede condiziona quello che viene dopo, mentre il procedimento contrario è considerato inammissibile. Ciò è sempre rovinoso nel caso di Aristotele e, in questo specifico settore "logico" lo è doppiamente, per ragioni che avremo presto occasione di chiarire. L'intreccio tra i vari lavori è stato reso possibile in forza di due dati. Il primo è che si sono inizialmente condivise alcune idee di fondo, che potremmo così sintetizzare: - si tratta di fare un lavoro di storia della filosofia antica molto legato al testo, attento alle questioni filologiche ma senza perdersi in esse; gli strumenti filologici sono necessari sempre, ma solo per la loro (evidente) utilità; - lo scavo del testo va condotto in un approfondito dibattito con la letteratura critica, che però viene assunta solo come strumento per capire meglio il testo e non diviene mai fine a se stessa; - il fine è una lettura adeguata della singola opera che porti ad una interpretazione filosoficamente unitaria dell'intero Organon; - occorre ricostruire il pensiero di Aristotele nella sua specificità senza farsi condizionare aprioristicamente dal dibattito in corso o dalle mode culturali del momento. Il secondo dato che ha agevolato l'intreccio tra i vari studi è l'uso di strumenti adeguati. Abbiamo dato importanza, anche a vantaggio del lettore, al Glossario e all'Indice ragionato dei concetti\ che hanno "costretto" tutti a misurarsi con il lavoro degli altri e a tenerne conto nel proprio. Ma soprattutto si sono utiliz1 Si tratta di strumenti obiettivamente preziosi. Per questo il lettore troverà, nel testo delle traduzioni, segnalate con "* + corsivo" le parole che poi si ritrovano nell'indice dei concetti.
INTRODUZIONE GENERALE
XI
zati i nuovi strumenti tecnologici. Ci si è serviti di un sito comune, in cui porre i risultati parziali, c'è stato un costante scambio di mail e testi, e infine riunioni periodiche via skype. Alla fine si è anche organizzato un convegno2 , cui hanno partecipato tutti gli studiosi impegnati nel lavoro, per permettere di verificare i risultati parziali in un dibattito pubblico. Un altro elemento di novità è costituito dalla natura dell' équipe che ha affrontato questo lavoro. Si tratta di un gruppo di giovani studiosi con pratiche, storie e situazioni diverse3 , nessuno dei quali è un "logico" nel senso tecnico del termine. Si tratta solo di storici della filosofia impegnati a fare il loro specifico lavoro su questi testi, che non sono affatto tutti "logici" nel senso che noi diamo a questa parola. Come si vedrà in seguito, anche gli Analitici, che hanno certamente contribuito alla nascita di questa branca della filosofia, non possono essere affrontati con strumenti esclusivamente logici perché in essi la logica non è ancora funzionante come la sarà in seguito proprio per effetto di questa "nascita". Uno dei rischi maggiori nello studio tradizionale dell'Organon è infatti proprio quello di sovrapporre al testo le domande e gli atteggiamenti mentali della logica contemporanea, perdendo di vista il quadro filosofico che solo consente di capire queste opere. Ma forse, per capire meglio, anche se in prima approssimazione, 2 Il convegno, dal titolo Tra "probabilità" e "verità". Modelli di spiegazione e percorsi di attraversamento dell'Organon, si è svolto nell'Università di Macerata il 7/8 maggio 2015. Le relazioni sono state tenute dai cinque studiosi impegnati in questo volume, con una relazione introduttiva della prof.ssa Cristina Rossitto; hanno partecipato al dibattito anche le prof.sse E. Cattanei e L. Napolitano e come discussant Fr. Alesse (CNR), S. Biumana (Università di Padova), P.R. Camacho Garcia (Pontificia Università Antonianum), e Fr. Eustacchi, M. Fedeli, M. La Matina, E. Sorichetti e il sottoscritto (tutti dell'Università di Macerata). 3 Le diversità sono di varia natura: c'è una diversità connessa alla formazione avvenuta in tre università, Cagliari, Macerata e Verona; c'è una diversità di produzione (solo tre hanno già una produzione scientifica, peraltro cospicua), connessa a storie che cronologicamente si collocano sparpagliate nell'arco di un ventennio, con conseguenze per la situazione personale (se tutti sono dottori in ricerca, solo una è incardinata e ricercatrice confermata, mentre gli altri non hanno ancora un rapporto stabile con l'Università) e per il rapporto con gli studi aristotelici (che in alcuni casi sono già molto consolidati).
XII
MAURIZIO MIGLIORI
tale scelta, può essere utile ricordare una vecchia storia, quella con cui Kuhn4 racconta una svolta decisiva nel suo percorso teorico. Giovane studioso di fisica teorica a Harvard, nel 1947 si avvicinò ad Aristotele per approfondire il passaggio epocale dall'aristotelismo alla fisica newtoniana, rimanendo colpito da un dato: «nello studio di discipline che non fossero la fisica, Aristotele era stato un osservatore acuto e realistico. Nello studio della biologia e della politica inoltre la sua interpretazione era stata sovente sia accurata che profonda. Come era possibile che queste sue peculiari doti gli fossero mancate quando aveva studiato il moto?... Più lo leggevo e più le mie idee divenivano confuse. Aristotele poteva naturalmente aver torto - ed io non avevo dubbi che lo avesse - ma non si poteva pensare che i suoi errori fossero così clamorosi>>. Finalmente in (uÀT], hyle)26 dell'opera; 2. I concetti sono espressi con la densità propria di Aristotele, e gli argomenti vengono presentati con la concisione abituale (òetvO'tT]ç 'CO>V Èv0UµT]µmo>V, deinotes ton enthymematon) dello Stagirita, ciò che veniva indicato come la «forma>> (etòoc;, eidos) 27 dell'opera. Oltre a ciò, Simplicio28 aggiunge, come ulteriore giustificazione dell'autenticità dello scritto, che i discepoli più seri (É'tcx'ìpot, hetairoi) di Aristotele, identificati nei primi Peripatetici, accettarono l'opera come autentica; altri commentatori fanno esplicitamente riferimento a Teofrasto e a Eudemo di Rodi. 3. Se~ondo Simplici~, Aristotele cita l'opera in ~tri luoghi del Corpus 29 , e cioè in tutti i casi in cui si fa riferimento alle «dieci categorie», una denominazione che avrebbe permesso al Filosofo di evitare la confusione con l'opera di Archita (in realtà Pseudo· Archita); 4. L'intera filosofia di Aristotele, e in particolare la sua logica, risulterebbero "acefale" . se si eliminassero le Categorie come opera da collocare all'inizio del percorso di formazione logica; 5. I discepoli di Aristotele avrebb~ro scritto, a loro volta, dei trattati Sulle categorie emulando il maestro.
Gli antichi rilevavano, tuttavia, dei nodi problematici nel momento in cui il nostro scritto era messo in relazione con altre opere dello Stagirita. Tre erano le divergenze messe in risalto30 : pori.o, In Cat. 12,34-13,5; Ammonio, In Cat. 13,20-14,2; David, In Cat. 133,927; Olimpiodoro, In Cat. 22,38-24,20. Questi testi sono analizzati in L.M. de Rijk, The Authenticity of Aristotle's Categories, «Mnemosyne» 4 (1951), pp. 129-159, in particolare pp. 129-139. 26 Cfr. David, In Porph. Isag. 82,20ss. 27 Cfr. David, In Porph. Isag. 82,20ss. 28 Cfr. Simplicio, In Cat. 18,14. 29 Cfr. Simplicio, In Cat. 18,9-14. 30 Tali divergenze vengono riportate e spiegate nelle testimonianze di Olimpiodoro, In Cat. 22,38-24,9 e del cod. Urbinas 35,33a30-b25.
SAGGIO INTRODUTrtvO ALLE CATEGORIE
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--1. L'assenza, in Cat. lal-15, in sede di presentazione degli omonimi; dei sinonimi e dei derivati, della trattazione dei polionimi (rroÀuowuµo.:, polyonyma) e degli eteronimi (è-reprovuµo.:, heteronyma), ché sarebbero, secondo alcuni, presenti nella Fisica o nella Retorica; di fatto, però, solamente il termine rroÀurovuµov figura in :un'opera aristotelica, cioè in Storia degli animali I 2, 489a2; 2. Iri C.at. 14, 15al3, la generazione e la corruzione vengono cons_iderate come forme di movimento (rivri~, nella Metafisica assume il significato di , intesa come causa che determina ed elemento costitutivo del sinolo. Pur riconoscendo tale discordanza, altri studiosi hanno comunque affermato l'autenticità delle Categorie, sostenendo che la dottrina in esso contenuta non contrasta con quella del settimo libro della Metafisica35 • Altri ancora, invece, hanno sosteC.-H. Chen, Aristotle's Concept ofprimary substance in Books Z and H of the Metaphysics, «Phronesis» 2 (1957), pp. 46-59; R. Boehm, Das Grundlegende und das Wesentliche. Zu Aristoteles' Abhandlung "Uber das Sein und das Seiende" (Metaphysik Z), Nijhoff, Den Haag 1965; A.R. Lacey, oùo-ia and Form in Aristotle, «Phronesis» 10 (1965), pp. 54-69; S. Mansion, Notes sur la doctrine des Catégories dans les Topiques, .in G.E.L. Owen (ed.), Aristotle on Dialectic: The Topiques, Clarendon Press, Oxford 1968, pp. 189-201; B. Dumoulin, J;ousia dans les Catégories d'Aristote, in P. Aubenque (ed.), Concepts et Catégories dans la pensée antique, Librairie philosophique J. Vrin, Paris 1980, pp. 23-32. 35 Cfr., ad esempio, J. Husik, The Autenticity of Aristotle's Categories, «TheJournal of Philosophy>> 36 (1939), pp. 427-431; W.n Ross, The Autenticity of Arìstotle's Categories, «The Journal of Philosophy>> 36 (1939), pp. 431-433; L.M. de Rijk, The Autenticity ofAristotle's Categories, «Mnemosyne» 4 (1951), pp. 129-159; J. Owens, Aristotle on Categories, «The Review of Metaphysics» 14 (1960-1961), pp. 73-90; J. Lesher, Aristotle on Form. Substance and Universals: a Dilemma, «Phronesis» 6 (1971), pp. 169-178; G. Reale, La polivocità della concezione aristotelica della sostanza, in AA. VV., Scrit-
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MARINA BERNARDINI
nuto un'evoluzione dèlla concezione aristotelica della sostanza da una fase giovanile e anti-platonica - rappresentata dalle Categorie, in cui Aristotele, sotto l'influenza di Speusippo e ancorato a una posizione nominalista, avrebbe assegnato il primato all'indi" viduo - a una fase più matura e platonizzante, rappresentata da Metafisica VJl, in cui egli, questa volta sotto l'influenza di Senocrate, avrebbe assegnato il primato all'eidos36 • ti in onore di Carlo Giacon, Antenore, Padova 1972, pp. 17-40. Ross, Aristotele... , p. 279, n. 30, a favore dell'autenticità delle Categorie, attribuisce l'adozione dell'arido stile dogmatico dell'opera, che, a suo avviso, si riscontra anche in altre opere dell'Organon, quali il De Interpretatione e gli Analitici Primi, al fatto che 55 (1973), pp. 119-190. A favore di un'evoluzione tra Categorie e Metafisica VII, ma meno caratterizzata in senso fìlosoc fico, è anche M. Prede, Substance in Aristotle's Metaphysics, in A. Gotthelf (ed.), Aristotle on Nature and Living Things. Philosophical and Historical Studies, Mathesis Publications Inc. and Bristol Classica! Press, Pittsburgh-Btistol 1985, pp. 17-26; G. Brakas, Aristotle's Concept o/ the Universal («Studien und Materialien zur Geschichte der Philosophie», 26), Hildesheim, ZiirichNew York 1988; E. Berti, Profilo di Aristotele, Edizioni Studium, Roma 1979, p. 74; M. Prede, Essays in Ancient Philosophy, Clarendon Press, Oxford 1987, pp. 25-28; D.A. Graham, Aristotle's Two Systems, Clarendon Press, Oxford 1987, pp. 20-56; M. Purth, Substance, Form and Psyche: an Aristotelian Metaphysics, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 9-66, 185; 227267; M.L. Gill, Aristòtle on Substance: The Paradox o/ Unity, Princeton University Press, Princeton 1989, pp. 27-32; F.A. Lewis, Substance and Predication in Aristotle, Cambridge University Press, Cambridge 1991, pp. 3-84; Th. Scaltsas, Substances and Universals in Aristotle's Metaphysics, Cornell University Press, Ithaca 1994, pp. 126-129, 148-223; Ch. Pietsch, Prinzipienfindung bei Aristoteles. Methoden underkenntnis-theoretische Grundlagen, Teubner, Stuttgart 1992, p. 45; L. Spellman, Substance and Separation in Aristotle, Cambridge University Press, Cambridge 1995, pp. 40-62; C.H. Chen, Aristotle's Theory of Substance in the Categoriae as the Link between the Socratic-Platonic Dialectic and bis own Theory o/ Substance in Books "Z' and ·"H' o/ the Metaphysics, in Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia, Sansoni, Firenze 1960, pp. 35-40; R.M. Dancy, On some o/Aristotle'sfirst Thoughts about Substance, «Philosophical Review» 84 (1975), pp. 338-373; R.M. Dancy, On some o/Aristotle's second Thoughts about Substance: Matter, «Philosophical RevieW>> 87 (1978), pp. 372-413; E.D. Harter, Aristotle on Primary OITIA,
SAGGIO INTRODUTTIVO ALLE CATEGORIE
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Agli argomenti contro l'autenticità basati su discordanze contenutistiche si aggiungono quelli che risultano da studi sui rimandi intertestuali, sul lessico, sulla forma e sullo stile dell'autore. In primo luogo, nessun passo delle Categorie rinvia esplicitamente a un altro testo del Corpus Aristotelicum e, viceversa, nessun passo di questa opera è oggetto di rinvio in altri testi. Si tratta di una· caratteristica che appartiene alle opere che, pur essendo state integrate nel Corpus, sono state dichiarate apocrife37. Tuttavia, mentre è evidente, almeno a livello testuale (non considerando il livello contenutistico), che nelle Categorie non ci sono rimandi ad altri scritti aristotelici, non è escluso che alcuni rife" rimenti al nostro testo possano essere presenti in altre opere. È sì vero che Aristotele non accenna mai esplicitamente alle Categorie, ma è altrettanto vero che usa il termine KCH€"(opim, singolarmente oppure all'interno di espressioni quali -rà yév11 -r&v Ka't€"(Opiéòv (ta ghene ton kategorion, «i generi delle categorie») 38 e 'tÙ crxfiµa-ra 'tf1ç Ka'tc"(Optaç (ta schemata tes kategorias, «gli schemi della categoria»)39, per riferirsi alle distinzioni presentate in questo scritto. In secondo luogo, da uno studio sul lessico e sullo stile delle Categorie comparati a quelli usati in altre opere aristoteliche, soprattutto nei Topici, emergono quattro particolarità: «Archiv fiir Geschichte der Philosophie» 57 (1975), pp. 1-20; J.A. Driscoll, "Eide" in Aristotle's Earlier and Later Theories of Substance, in D.J. O'Meara (ed.), Studies in Aristotle, Catholic University of America Press, Washington DC 1981, pp. 129-159; D.J. Devereux, The Primacy of OUSIA: Aristotle's debt to Plato, in D.J. O'Meara (ed.), Platonic Investigations, Catholic University of America Press, Washington DC 1985, pp. 219-246; D.J. Devereux, Inherence and Primary Substance in Aristotle's Categories, «Ancient Philosophy>> 12 (1992), pp. 113-131. . 37 Ilcpì KOcrµou (De Munda), Ilepì 1tVcUµa.wç (De Spintu), Ilepì wroµa:trov (De Coloribus), u>. Cfr. Indice ragionato dei concetti. Su tale scelta cfr. Saggio introduttivo alle Categorie, supra, pp. 23-24 n. 50. 9 Il termine greco m:éòcnç (ptosis) è utilizzato da Aristotele in senso ampio, per indicare qualsiasi tipo di variazione delle parole ottenuta attraverso la modificazione della terminazione, come per la declinazione del nome, la coniugazione dei verbi, la formazione degli aggettivi e degli avverbi (cfr. Top. II 9, 114a37-38). 10 A differenza dell'omonimia e della sinonimia, che rendono esplicite connessioni ontologiche, la "derivazione" è stata, per lo più, considerata un rapporto puramente linguistico tra termini in cui l'uno deriva dall'altro.
CATEGORIE 1, la4-15
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Volendo, infatti, I esporre che cos'è* l'essere animale per ciascuno dei due, si attribuirà a ciascuno una definizione propria'~. Si dicono "sinonime* 006 , poi, le realtà il cui nome è comune e la definizione dell'essenza corrispondente al nome è la stessa; così, ad esempio, "animale" è sia l'essere umano sia il bue: ciascuno di essi, .infatti, viene chiamato "animale" con un nome comune, e la definizione I dell'essenza è la stessa. Vol~ndo, infatti, esporre che cos'è l'essere animale per ciascuno dei due, si attribuirà la stessa defìnizione7• Si dicono "derivate*" 8 , infine, le realtà che vengono nominate in base a un certo termine da cui, però, differiscono nella desinenza* 9 : il "grammatico", ad esempio, da "grammatica" e 1il "coraggioso" da "coraggio*" 10 • Questa considerazione, tuttavia, non esaurisce quanto riportato nel testo aristotelico. Anche nel caso dei paronimi, «il nome [.. .] viene posto a confronto non già con un contenuto mentale, ma con la sostanza stessa della cosa designata. Si tratta di quella prospettiva realistica, propria della filosofia antica e in particolare del pensiero di Platone e di Aristotele, secondo cui il piano del linguaggio rimanda a quello del pensiero e questo, a sua volta, al piano della realtà» (Pesce, Aristotele. Le categorie... , p. 19). «Questa affinità linguistica tra aggettivo e sostantivo ha, come è noto, un posto importantissimo nella genesi della dottrina platonica delle idee e della partecipazione. Benché la soluzione aristotelica sia diversa, essa è egualmente realistica» (Pesce, Aristotele. Le categorie.. ., p. 21 n. 9). Come spiega H. Kahn, Questions and Cafegories, ed: by H. Hiz, vol. I, Dordrecht-Boston 1978, p. 273, i derivati costituiscono un tipo di relazione che implica quattro elementi: due realtà A e B, cui corrispondono due nomi A e B, tali che l'uno, B, abbia un nome simile a quello di A, da cui differisce, tuttavia, per la desinenza morfologica. Sul pia. no linguistico, i derivati hanno una radice comune, ma differiscono nella desinenza; sul piano ontologico, il grammatico, cioè l'uomo che conosce la scienza della grammatica, viene detto tale perché gli può essere attribuita la conoscenza della-grammatica; in altre parole, deriva il suo nome dalla scienza che possiede. I derivati, quindi, esprimono l'inerenza di una certa caratteristica a una sostanza. Secondo N. Kretzmann - A. Kenny - J. Pinborg (eds.), The Cambridge History o/Later Medieval Philosophy. From the Rediscoveryo/Aristotle tothe Disintegration o/Scholastiàsm (1100-1600), Cambridge University Press, Cambridge 1982, tr. it. di P. Fiorini, La logica nel Medioevo, Jaca Book, Milano 1999, p. 41, possono essere intesi come«[...] derivati dalle corrispondenti forme astratte: "bianco" da "bianchezza", "grammatico" da "grammaticalità", "giusto" da "giustizia" e così via». Sui derivati cfr. anche Cat. 7, 6bll14; Cat. 8, 10a27-10bll; Cat. 9, llbl0-11; Etica Eudemia III, 1028a35-36.
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ARISTOTELE
2. Téòv ÀEyoµévow 'tcX µÈv KCX"CcX cruµJtÀoichv ÀÉyE'tm, 'tcX òè &vcu cruµJtÀoKflç. 'tÙ µÈv o'Ùv Kct'tà cruµJtÀoKfiv, .ofov av8pro7toç 'tpéxn, av8prortoç Vl,Ki?:, 'tÙ ÒÈ UVEU cruµJtÀoKflç, ofov &v8pro7toç, ~ouç, 'tPÉXEt, vu µév Ecr'tt, Ka8' U1tOKttµévou ÒÈ oùòevòç €v nvt µ'h cbç µépoç ÀÉyE'tm, - èv U1tOKttµÉvq> oÈ Àéyro
o
11 2. Il capitolo può essere suddiviso in due parti. Nella prima (Cat. la16-19) si distinguono le realtà che si dicono con connessione (ad esempio, l'essere umano corre, l'essere umano vince) da quelle che si dicono senza connessione (ad esempio, uomo, bue, corre, vince). Nella seconda parte (Cat. la20-b9) si procede alla divisione degli enti in quattro gruppi: (1) quelli che si dicono di un soggetto, ma non sono in un soggetto - con «in un soggetto» si intende ciò che, inerendo a qualcosa, non però come una. sua parte, non può sussistere separatamente da ciò in cui è; (2) quelli che sono in un soggetto, ma non si dicono di nessun soggetto; (3) quelli che si dicono di un soggetto e sono in un soggetto; (4) quelli che non si dicono di un soggetto e non sono in un soggetto. 12 Si traduce con «ciò che si dice» il greco -rà ÀeyoµÉva (ta legomena), che sin dall'antichità ha suscitato un ampio dibattito: ci si chiede, infatti, se debba intendersi come riferita alle realtà significate o alle espressioni significanti. Simplicio (In Cat. 41,6-15) complessifica ulteriormente il quadro delle possibili interpretazioni dei ÀeyoµÉva, affermando che essi potrebbero essere letti in quattro sensi diversi: 1) come i fatti (7tpayµma, pragmata) su cui vertono i discorsi, in quanto espressi dalle parole; 2) come le nozioni (vofìµma, noemata) che riguardano le cose, i concetti che fanno riferimento a delle realtà; 3) come le espressioni (Àél;tç, lexis) significanti; 4) come qualsiasi tipo di espressione, anche quelle senza significato, le. quali, pur non avendo un corrispet- · tivo nella realtà, cionondimeno, possono essere proferite. Seguendo l'autorità di Alessandro di Afrodisia, Simplicio (In Cat. 10,8-9;41,21-28) si pone a favore dell'interpretazione dei Àeyoµéva intesi non come le realtà significate, ma come le espressioni considerate precisamente nella loro proprietà fondamentale di significare la realtà. Si è optato, in questa traduzione, per «ciò che si dice», da un lato, per mantenere la differenziazione con -rà ov-ra (ta onta, gli enti) di cui si parlerà nella seconda parte del capitolo e, dall'altro, per non separare troppo nettamente i livelli ontologico, logico e linguistk:o, presenti e intrecciati nel testo. Su quest'ultimo punto cfr. Saggio introduttivo alle Categorie, pp. 47-52; M. Migliori, Introduzione generale, pp. XXVIII-XXXIII, e L. Palpacelli, Saggio introduttivo al De Interpretatione, pp. 181-188, contenuti in questo volume.
CATEGORIE 2, la16-24
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[Dirsi di un soggetto ed essere in un soggetto] 11
2. Tra ciò che si dice12 , c'è ciò che si dice con connessione*13 , e ciò che si dice senza connessione14: si dicono con connessione, ad esempio, "l'essere umano corre", "l'essere umano vince"; si dicono, invece, senza connessione, ad esempio, "essere umano", "bue'',. "corre", "vince"15 . I (1) Alcuni enti16 si dicono di un soggetto*17 , ma non sono in nessun soggetto: "essere umano", ad esempio, si dice di un soggetto, cioè di un certo essere umano, ma non è in nessun soggetto18. (2) Altri enti, poi, sono in un soggetto, ma non si dicono di nessun soggetto -dico "in un soggetto" ciò che, inerendo a qualcosa, non però come una sua parte*, I non può sussistere separata13 Si traduce con «connessione» il termine greco cruµnA.oicfi (symploke), già usato da Platone nel Sofista (261D-263B), che non indica un qualsiasi tipo di unione, di congiunzione o di composizione tra parole, ma precisamente quella connessione che permette di poter attribuire verità o falsità all'enunciato costituito. Cfr. Cat. 4, 2a5-10; De Int. 1, 16a12-16. 14 Le realtà dette senza connessione sono quelle che saranno poi divise nelle dieci categorie (cfr. Cat. 4, lb25-27). 15 Come si evince dagli esetnpi, i nomi e verbi, presi in se stessi, quando non siano congiunti, sono delle semplici nozioni che prescindono dal vero e dal falso. Perché si dia un enunciato suscettibile di verità o di falsità, deve esserci una connessione tra un nome e un vèrbo. 16 Si traduce con «enti» il greco 'tÙ ovi;o: (ta onta, letteralmente «le cose che sono»). 17 Si traduce con «soggetto» il greco unOKEiµEvov (hypokeimenon), letteralmente «ciò che sta sotto». Cfr. Saggio introduttivo alle Categorie, pp. 42-43. rs Il primo gruppo comprende gli enti che si dicono del soggetto, di cui sono predicati essenziali: appartengono, cioè, alla sua essenza e possono essere usati per darne la definizione. Essere umano, ad esempio, si dice di un soggetto, cioè di un certo essere umano, di un individuo, poiché ogni essere umano appartiene essenzialmente alla specie umana. Tali enti non sono in un soggetto perché non si esauriscono in esso: essere umano, ad esempio, non si esaurisce in un singolo essere umano, ma si predica di più soggetti, cioè di tutti gli uomini, ed è pertanto separabile dal soggetto di cui si predica. Rientrano in questo primo gruppo, che comprende quegli enti che, in quanto non sono in un soggetto, sono sostanza e, in quanto si dicono di un soggetto, sono predicati cotnuni (in quanto si dicono di più soggetti), i generi e le specie, che, come vedremo, sono chiamati da Aristotele «sostanze seconde» (cfr. Cat. 5, 2a14-19).
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3. ''O'tav ihepov Ka0' hépou Ka't:T}yoplì-tat roç Ka0' U1t0Ketµévou, ocra Ka'tcX '!OD Ka't:T\'YOpouµÉVO'\.l ÀÉyE'tat, nana KaÌ 19 L'«essere in» indica il caso di qualcosa che è presente, o inerente, in un soggetto, non però come una sua parte, e che non potrebbe esistere separatamente da ciò in cui è. Per questa inseparabilità dal sostrato e per l'impossibilità di sussistere al di là di esso, l'«essere in», come risulta dagli esempi, si dà nel caso delle determinazioni accidentali. Cfr. An. Post. I 22, 83a24-28. 20 Una certa dottrina grammaticale appartiene al secondo gruppo di enti in quanto è in un soggetto, cioè nell'anima, poiché non potrebbe essere separata da questa senza cessare di esistere, ma non si dice di nessun soggetto, perché non è un predicato coniune, ma una particolarizzazione della scienza. 21 La scienza appartiene al terzo gruppo di enti in quanto è in un sostrato, cioè nell'anima, poiché non potrebbe esistere una scienza se non ci fosse un soggetto a supportarla, e si dice di un altro soggetto, ad esempio della grammatica, poiché quest'ultima è una particolarizzazione della scienza e la scienza è un predicato comune. 22 Il qua~to gruppo, che comprende gli enti che né si dicono di un soggetto né sono in un soggetto, è quello in cui rientrano le sostanze particolari, dette «prime» (cfr. Cat. 5, 2all-14), come; ad esempio, un certo essere umano o un certo cavallo. Esse non sono predicabili e, perciò, non possono essere propriamente denominate «categorie», che in greco vuol dire, appunto, «predicati». R. Bodéiis, Aristote, Les Catégories, Les Belles Lettres, Paris
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mente da ciò in cui è 19 -: una certa grammatica, ad esempio, è in un soggetto, cioè nell'anima'", ma non si dice di nessun soggetto; e un certo bianco* è in un soggetto, cioè nel corpo - ogni colore, infatti, è in un corpo-, ma non si dice di nessun soggetto20 • (3) Altri enti ancora si dicono di un soggetto Il e sono in un soggetto: la scienza*, ad esempio, è in un soggetto, cioè nell'anima, e si dice di un soggetto, cioè della grammatica21 • (4) Altri enti, infine, non sono in un soggetto e non si dicono di un soggetto, come, ad esempio, un certo essere umano o un certo I cavallo: nessuno di questi, infatti, è in un soggetto né si dice di alcun soggetto22 • In generale*, gli individui e ciò che è uno di numero non si dicono di nessun soggetto; tuttavia, niente impedisce che alcuni di essi siano in un soggetto: una certa grammatica, infatti, è in un soggetto. I
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[La predicazione tra generi e specie] 23
3. Quando qualcosa si predica* di qualcos'altro come di un soggetto, tutto 'ciò che si dice del predicato* si dirà anche del sog2001, p. 4, n. 3, sottolinea che tali realtà hanno la particolarità di poter essere designate attraverso dei nomi propri, come, ad esempio, Socrate o Bucefalo, qualora si tratti di un essere umano o di un animale domestico. Aristotele, tuttavia, non cita, tra gli esempi, d~ nomi propri, probabilmente perché non esistono davvero dei nomi per ciascun individuo, ma essi sono esclusivamente convenzionali e.attribuiti per scelta (cfr. Metafisica VII 10, 1035b2-3). 23 3. Quando un predicato si dice di un soggetto, tutto ciò che si dice del predicato si dice anche del soggetto: animale, ad esempio, si dice di essere umano, ed essere umano, a sua volta, si dice di un certo essere umano; anche animale, allora, si dirà di un certo essere umano; di fatto, un certo essere umano è sia un essere umano sia un animale. Nei rapporti che inc tercorrono tra il genere, le specie e le. differenze, possono presentarsi due casi: 1) se i generi sono diversi e non subordinati l'uno all'altro, anche le differenze specifiche sono diverse: animale e scienza, ad esempio, sono due generi completamente diversi e non sono l'uno il sottogenere dell'altro, perciò le differenze di animale (terrestre, volatile, acquatico e bipede) non possono in alcun modo essere differenze anche della scienza; 2) se, invece, i generi sono subordinati l'uno all'altro, può çapitare che le differenze spe.cifiche sjano le stesse: in questo caso, infatti, il genere superiore si predica del sottogenere, di modo che le differenze del predicato risulteranno essere differenze anche del soggetto. -
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essere umano; un certo essere umano, infatti, è un essere umano, cosicché sia il nome sia la definizione si predicheranno del soggetto49. Delle realtà che sono in un soggetto, invece, nella maggior parte dei e.asi né il nome né la definizione I.si predicano del soggetto50 • In alcuni casi, tuttavia, nulla impedisce che il nome si predichi del soggetto, mentre resta impossibile che se ne predichi la definizione51 . Il bianco, ad esempio, pur essendo in un soggetto, cioè nel corpo, si predica del soggetto - un corpo, infatti, si dice bianco -, ma la definizione di bianco non si predicherà mai çlel corpo52 • Tutte le altre reaità o I si dicono delle sostanze prime come di soggetti o sono in esse come in soggetti. Ciò risulta evidente dai casi particolari* presi in considerazione. "Animale", ad esempio, sì predica dell'essere umano, quindi, anche dì un certo essere umano: se, infatti, non si predicasse di nessun Il essere umano, non si predicherebbe neppure dell'essere umano in generale. A sua volta, il colore è nel corpo, quindi anche in un certo corpo: se, infatti, non fosse in nessun corpo individuale*, non sarebbe neppure nel corpo in generale. Di conseguenza, tutte le realtà o si dicono delle sostanze prime come di soggetti I o sono in esse come· in soggetti, Se, dunque, non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero le altre realtà. Tutte le altre realtà, infatti, o si dicono di queste come di soggetti o sono in esse come in soggetti; per cui, se non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero le altre realtà53 • p. 37, n. 5). Il primato degli individui sostanziali, di cui si dicono i generi e le specie e cui ineriscono gli elementi appartenenti alle altre categorie, fa di tali individui la condizione di tutto ciò che esiste al di fuori di essi, almeno di tutto ciò che esiste all'interno del mondo naturale sensibile. Infatti, come ricorda Bodéiis, Aristate, Les Catégories... , p. 91, n. 2, questa dottrina di Aristotele sarebbe limitata alle sole sostanze sensibili corruttibili. I corpi celesti imperituri e inalterabili, fuorché passibili di accrescimento e diminuzione (cfr. De Caelo, I 3), formano, infatti, probabilmente un genere a sé stante, che non può essere enumerato tra le sostanze qui considerate: L'esistenza delle sostanze incorporee separate non viene affatto qui esaminata, dal momento che, all'interno del solo mondo naturale sensibile e corruttibile, il primato assoluto è detenuto dall'individuo sostanziale sensibile.
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54 Viene introdotta qui un'ulteriore distinzione interna alle sostanze seconde. Il genere e la specie non sono, infatti, sostanza nel medesimo grado: la specie è considerata più sostanza del genere, e ciò viene provato con due argomenti di seguito spiegati. 55 Il primo argomento (Cat. 5, 2b7-14) per cui la specie è più sostanza rispetto al genere è di tipo gnoseologico, che discende, cioè, da una considerazione dal punto di vista della nozione e della definizione. Ciò può essere spiegato in termini di comprensione e di estensione. La specie ha ampia comprensione ma scarsa estensione: la nozione di essere umano comprende molte qualità, ma riferibili, appunto, solo agli esseri umani; il genere, al contrario, ha ampia estensione ma scarsa comprensione: la nozione di essere vivente è attribuibile a molti esseri, tra cui l'essere umano, ed è; perciò, più «Comune», cioè attribuibile a un numero maggiore di individui. Tanto maggio-
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Delle sostanze seconde, la specie è più* sostanza del genere54 perché è più vicina alla sostànza prima. Dovendo, infatti, spiegare che cosa sia la sostanza prima, lo si spiegherebbe in maniera più chiara e I più appropriata indicando la specie piuttosto che il genere. Ad esempio, si spiegherebbe in maniera più chiara un certo essere umano indicando che è un essere umano piuttosto che un animale - il primo termine, infatti, è più proprio di un certo essere umano, mentre il secondo è più comune55 -; e, dovendo spiegare un certo albero, si darà una spiegazione più chiara indicando che è un albero piuttosto che una pianta56 • I Inoltre, le sostanze prime per questo sono dette sostanze in senso principale: perché. fungono da soggetto di tutte le altre realtà e perché tutte le altre realtà si predicano di esse o sono in esse; ora, come le sostanze prime stanno a tutte le altre realtà, così anche Ila specie al genere. Essa, infatti, funge da soggetto nei confronti del genere: m~nfre, infatti, i generi si predicano delle specie, le specie non si predicano, per converso, del genere57 • Di conseguenza, per tali ragioni, la specie è più sostanza del.genere. Delle specie che non costituiscono. dei generi, invece, nessuna è più sostanza dell'altra. In effetti indicando, in riferimento ad un certo essere umano, che è un essere umano, non si darà affatto una spiegazione più appropriata I di quella che si darà di un certo cavallo dicendo che è un cavallo. Allo stesso modo, anche tra le sostanze prime nessuna sarà più sostanza dell'altra: un certo essere uman9, infatti, non è affatto più sostanza di un certo bue. re è la comprensione tanto minore è l'estensione e viceversa. Come evidenzia Bodéi.is, Aristate, Les Catégories... ,,p. 9, n. 2, in questo passo, gli aggettivi «proprio» e «comune» devono essere intesi in senso relativo; la specie e il genere, infatti, sono, in senso assoluto, entrambi comuni perché si dicono di molteplici soggetti, e nessuno dei due è «proprio». 56 Le piante sono presentate come generi anche in Metafisica VII 2, 1028b9 e Metafisica VIII 1, 1042a9-10; in Top .. VI 5, 143a26-28 la pianta e l'albero sono considerati rispettivamente come genere e sottogenere. 57 Il secondo argomento (Cat. 5, 2b15-22) per cui la specie è più sostan. za rispetto al genere viene presentato dal punto di vista della predicazione: là specie ha nei confronti del genere la stessa funzione che ha la sostanza prima rispetto alle sostanze seconde in generale, quella di essere il soggetto del «dirsi di».
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62 Cfr. Top. II, 109a14-15 e in Top. IV 2, 122b16-17, in cui si ilh.istra la tesi secondo la quale le differenze non indicano l'essenza (ti fon, ti esti), ma qualcosa di qualificato in un certo modo (noi6v n, poion ti). 63 Cfr. Cat. 5, 2b7-14, pp. 70-71en.50. 64 La tesi per cui a una certa quantità nulla è contrario è esposta in Cat. 6, 5b10-14.
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come la sostanza prima, ma essere umano e animale si dicono di molti soggetti. Non è, però, in senso assoluto*, come nel caso di "bianco", che indicano una certa qualità: "bianco'', infatti, non indica nient'altro che una certa qualità, mentre Iil genere e la specie definiscono una certa qualità riguardo alla sostanza, poiché indicano una sostanza di una certa qualità62 • Con il genere, però, si dà una definizione più ampia che con la specie: chi dice "animale", infatti, include un maggior numero di càsi di chi dice "essere umano"63 • Appartiene alle sostanze anche il non avere dei contrari*. I Che cosa, infatti, potrebbe essere contrario alla sostanza prima? A un certo essere umano, ad esempio, nulla è contrario, e neppure all'essere umano o all'animale. Questa, tuttavia, non è una caratteristica peculiare* della sostanza, ma appartiene a molte altre cose, come, ad esempio, alla quantità: a "di due cubiti", infattì, nulla è I contrario, né a "dieci" né ad alcuna cosa di tal genere64 , a meno che non si dica che "molto" è contrario a "poco" o "grande" a "piccolo"65 • Nessuna delle quantità determinate, però, è contraria a un'altra. · Sembra poi che la sostanza non ammetta il più* e il meno*. Non dico che una sostanza non è più sostanza rispetto a un'altra - I si è già detto, infatti, che questo si verifica66 -, ma che ogni sostanza non si dice ciò che è di più o di meno: se questa sostanza, ad esempio, è un essere umano, non sarà un essere umano di più o di meno né rispetto a se stesso né rispetto a un altro; un essere umano, irtfatti, non è tale di più di un altro come Il il bianco è l'uno più bianco dell'altro, e il bello* l'uno più bello dell'altro. D'altra parte, una cosa si dice più o meno anche di se stessa: il corpo che è bianco, ad esempio, si dice adesso più bianco di prima, e quello che è caldo I si dice più o meno caldo. La sostanza, invece, non lo si dice affatto: né un essere umano si dice, infatti, ora più essere umano di prima, né nessun'altra realtà 65 In Cat. 6, 5b14-6all si dimostra come le coppie molto/poco e grande/ piccolo non siano quantità, ma dei relativi. 66 In Cat. 5, 2b7-22 è stato già dimostrato come la specie sia più sostanza rispetto al genere.
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ÒEv, - EÌ yàp µT]ÒEvÒç 'téòv & (cfr. M. Zanatta, Aristotele, Dell'interpretazione, introduzione, traduzione e commento, BUR, Milano 1992, p. 190). Del resto, il duplice versan-
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·L'espressione ·"non è sano" e "non è malato" invece non li chiamo verbi: infatti aggiungono il significato del tempo e sono sempre in relazione a qualcosa, ma c'è una differenza per la quale non si è stabilito un nome. Ma sia un verbo indeterminato*, I perché è presente allo stesso modo in qualsiasi cosa sia che esista sia che non esista 19• Allo stesso modo anche il "fu sano" o "sarà sano" non sono verbi, ma forme verbali*: la forma verbale differisce dal verbo, perché questo aggiunge il significato del tempo presente, mentre le forme verbali degli altri tempi20 • Pertanto questi verbi detti per se stessi sono nomi e I signifìcano qualcosa - infatti colui che li pronuncia vi pone il pensiero e colui che ascolta vi si ferma - ma non indicano ~cora se tale cosa è o non è: infatti,l'essere o il non essere non sono segno della realtà, neanche qualora tu dica l'essere in se stesso21 • Infatti, in se stesso non significa nulla22 , ma aggiunge il significato in una certa connessione che non è concepibile I senza gli elementi che la costituiscono23 • te linguistico-ontologico del verbo conferma l'intreccio tra questi due piani che percorre il De int. (cfr. Paragrafo 3.1, p. 181). 19 Il negativo è indefìnito. L'indefìnitezza riguarda il verbo in se stesso. Comunque, il verbo svolge la sua funzione sia se si sta parlando di un ente reale. sia se si sta parlando di un ente non reale. Cfr. Cat. 10, 13b27-35. 20 Ad Aristotele interessa di più il tempo rispetto al modo e all'azione del verbo, perché ci troviamo a un livello aurorale. di formazione della logica. A questo livello, dato il rapporto stretto tra realtà ontologica e dato linguistico, il tempo è capace di determinare il vero e il falso (sul tema del rapporto tra piano ontologico e linguistico rispetto al vero e al falso; cfr. Saggio introduttivo al De interpretatione, Paragrafo 3.1, pp. 181-188). . 21 Cfr. su questo passo W. Ax, Zum isolierten pfìµa in Aristoteles De In" terpretatione 16b19-25, .
DE IN1ERPRETATIONE 14, 24bl-9
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Dunque, se per quanto riguarda l'opinione, le cose stanno così e le affermazioni e le negazioni pronunciate sono simboli di quelle che si trovano nell'animam, è chiaro che anche all'affermazione è contraria la negazione che riguarda la stessa cosa intesa in senso universale: per esempio, all'affermazione che ogni bene è bene o I che ogni uomo è buono quella che dice che niente è bene o che nessuno è buono; si oppongono, invece, in modo contraddittorio "non ogni bene è bene" o "non ogni uomo è buono". È evidente anche che non è possibile che un'opinione e una contraddizione vere siano contrarie a un'opinione e a una contraddizione vere. Infatti, è contrario ciò che riguarda cose opposte; e rispetto ad esse è possibile che la stessa persona dica il vero, ma non è possibile che i contrari siano allo stesso tempo in relazione alla stessa cosa. 111 Aristotele fa di nuovo (cfr. anche De int. 14, 23a32-33) riferimento alla connessione tra pensiero (ciò che si trova nell'anima) e parola pronunciata, che è simbolo del pensiero, di cui ha trattato nel primo capitolo (cfr. De int.
1, 16a3-4).
5
ANALITICI PRIMI Saggio introduttivo, traduzione e note di Milena Bontempi
SAGGIO INTRODUTTNO AGLI ANALITICI PRIMI
A mio fratello Alberto Se ci fosse quiete e immobilità, ci sarebbe silenzio; ed essendoci silenzio e niente muovendosi, niente potrebbe essere udito. Se quindi un qualche cosa è per essere udito, occorre che ci sia in precedenza percussione e movimento. Così che, poiché appunto tutte le note risultano quando risulta una certa percussione, ed è impraticabile che risulti percussione non risultando prima movimento... è necessario che alcune siano più acute: .. e altre più gravi... E sappiamo anche quali delle note siano consonanti, e quali dissonanti; e quelle consonanti fanno da entrambe una sola fusione (mian krasin), quelle dissonanti no.
(Sectio Canonis, trad. it. di F. Acerbi)
i. GLI ANALJTICI PRIMI E LA NASCITA DELLA LOGICA FORMALE 1.1. La novità degli AnaliticiPrimi . Gli Analitici Primi sono l'opera dell'Organon che ha esercitato l'influenza più decisiva sulla storia della logica post-aristotelica: quella che, nell'ambito della ricerca logica, ha determinato la problematica essenziale su cui si ·sono cimentati i pensatori successivi1. Secondo pressoché tutti coloro che se rie occupano e se ne sono occupati nell'ottica dello sviluppo della logica come disciplina, An. Pr. sono il primo testo di logica formale. Da quest'angolatura, si sottolinea come esso inauguri un campo e un metodo d'indagine nuovi, gettando almeno le basi per costituirlo come sapere autonomo, o comurique dotato di termini, oggetti e regole propri: fino ad intendere che il suo scopo e senso principali consistano, appunto, nell'istituzione di una disciplina. . In realtà, che Aristotele in An. Pr. mirasse alla definizione di un sistema deduttivo, o addirittura alla costituzione di una .. 1 J.M: Bochenski, La lOgicaformale. Dai Presocratici a Leibniz, ed. it. a c. di A. Conte, Einaudi, Torino 1972 (ed. orig. Formale Logik, Freiburg-Miin-
chen 19703), pp.13-14.
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MILENA BONTEMPI
scienza logica dedotta da assiomi ed elevata a sapere autonomo, è un punto molto discusso e discutibile. Il dato, però, che la prospettiva delle storie della logica mette in evidenza, e che va tenuto in considerazione, è che An. Pr. segnano uno scarto rispetto all'atteggiamento che il pensiero greco aveva avuto fìno ad allora nei confronti del discorso e della sua normatività interna. Nelle prassi sia dei filosofi precedenti (da Zenone a Platone), sia delle ricerche scientifiche del tempo, in primis le matematiche (e soprattutto la geometria), si riscontrano l'uso consapevole e anche la formulazione di quelle che i logici chiamerebbero "regole d'inferenza valide". Inoltre, non va dimenticato il bagaglio di competenze derivanti all'uomo greco dal vivere, di fatto, entro una "comunità della parola" in cui vari contesti e varie situazioni, non solo istituzionali o squisitamente politici (l'assemblea o il tribunale, momenti significativi e frequenti nell'esperienza di ogni cittadino, ma anche, ad es., i simposi), erano l'occasione per assistere o prender parte a dispute e discussioni pubbliche. Le più famose, anche perché traumatiche per le potenzialità non sempre rassicuranti che il discorso (logos) vi manifestava, furono gli agoni che videro protagonisti i sofisti, e, non da ultimo, il dialogo socratico, agli occhi del suo ideatore una modalità diversa e peculiare di muoversi su questo stesso terreno. Sempre per l'individuazione e l'uso consapevoli di "regole d'inferenza valide", non va poi sottovalutato il contributo della retorica, come pratica e come riflessione sui meccanismi di persuasione attraverso il linguaggio. Non solo scritti teorici su quest'arte comparvero fìn dal V secolo: essa fu anche un indubbio stimolo all'indagine sull'argomentazione come "oggetto" meritevole in sé di attenzione specifica. Secondo Platone, la centralità nella retorica della finalità persuasiva la portava a mescolare indifferentemente ragionamento corretto e ragionamento capzioso (cioè fondato su meri giochi linguistici), che invece il filosofo dedito alla verità è tenuto a distinguere, pena una generalizzata sfiducia nel discorso e nel ragionamento quali vie capaci di orientare rispetto alla realtà. Da parte dei filosofi, ove ammessa in una qualche funzione e contesto, la retorica si vedrà di conseguenza assegnato un campo d'indagine e di utilizzo peculiare e diverso dalla dia-
SAGGIO INTRODUTTIVO AGLI ANALITICI PRIMI
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lettica e dalla "logica" (usiamo per ora questo termine, su cui però dovremo tornare). Proprio perché, dal suo punto di vista, ha dato finalmente compiuta definizione della retorica, Aristotele rivendica di essere il primo ad averne fatto un'arte, a cui dedica una specifica trattazione (intitolata appunto Retorica). Detto questo, però, egli stesso in An. Pr. evidenzia che «vengono in essere mediante le summenzionate figure [del sillogismo] non solo i sillogismi dialettici e quelli dimostrativi, ma anche quelli retorici e in generale qualsiasi convinzione maturata in un certo ambito disciplinare, qualunque esso sia» (II 23, 68b9-12, corsivo mio). Egli così ammette che la retorica, lungi dall'essere il regno dell'emotività, o della psicologia individuale o sociale, è una prassi in cui l'uso e la formulazione delle "regole d'inferenza valide" sono ben presenti, e che fornisce quindi materiale per arricchire le giuste competenze in materia2 • Sottolineando lo scarto che An. Pr. segnano rispetto al passato, dunque, non si vuole negare che esistesse già Un bagaglio di èòmpetenze e teorizzazioni. Ma la "logica" non è solo l'uso di argomenti corretti e la riflessione su di essi: è, dice Martha Kneale in esordio ad una famosa storia della logica, riflessione sui principi della validità3 . È innanzitutto in questo che gli An. Pr. segnano l'atto di nascita ài qualcosa di nuovo e diventano un testo basilare del pensiero occidentale. Essi quantomeno tentano di trattare in maniera esaustiva e organizzata, non frammentaria né disarticolata, e con un approccio teorico-astratto (cioè svincolato da tratti di occasionalità e da casi/schemi concreti) il tema del sylloghismos: seppur in via provvisoria, tutta da chiarire, diciamo che essi assumono a tema ciò che risulta "logicamente" necessario in quanto tale. Dunque, An. Pr. sono una novità entro la riflessione greca sul discorso perché qui Aristotele assume ad oggetto di una specifica indagine ciò che dipende e risulta dalla forma e dalla strut2 Per indicazioni più approfondite sul nesso fra il tema di An. Pr. e l'orizzonte problematico della Retorica, si veda più avanti, § 3.2. 3 W.C. Kneale e M. Kneale, Storia della logica, ed. it. a c. di A. Conte, Einaudi, Torino 1972 (ed. orig. Tbe Development of Logie, Clarendon Press, Oxford 1962), p. 5.
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tura del discorso: ciò che - appunto - è "logicamente" necessario. Di più, a questo scopo egli scompone il discorso in quelli che, da questo punto di vista della "necessità logica'', ne costituiscono gli elementi rilevanti. Il risultato è che il linguaggio in cui si presentano le argomentazioni è ricondotto a formule in cui tale scomposizione salti subito agli occhi, e in cui gli elementi "logicamente" rilevanti siano espressamente assunti. Formule che presentano una certa distanza dal linguaggio ordinario, e che dispongono i termini del discorso secondo modalità e scherni indipendenti dai contenuti ogni volta in oggetto. Ciò evidenzia una prospettiva diversa da quella degli stessi Topici: non solo per l'oggetto d'indagine4, quanto per l'approccio al problema generale dell'inferenza. Anche i Top. sono un'indagine strutturata sull'argomentazione e sul ragionamento corretti e, anzi, tengono in considerazione forse anche più tipi. di inferenza rispetto ad An. Pr. 5 . Tuttavia, nei Top. l'uso e la formulazione di regole d'inferenza sono sempre leg.ati a contenuti, seppure il più possibile generali: mentre in An. Pr. i contenuti concreti paiono cadere in secondo· piano, a vantaggio della forma dell'argomentazione6. Per intenderci, è qui che viene introdotto 4 Top., come vedremo, non si occupa del sylloghismos in generale, ma di un tipo di sillogismo, quello dialettico, contrapposto a quello scientifico oggetto di An. Post. 5 Lo evidenzia la gran parte delle stori1= della logica: mentre An. Pr. restringe il suo interesse ad un tipo privilegiato ed anche piuttosto angusto di inferenza, in Top. si hanno tracce di un interesse aristotelico molto più esteso; vi si trattano forme di ragionamento diverse dalla sillogistica e si parla, ad es., di predicati disgiuntivi o relativi (cfr. in particolare Kneale e Kneale, Storia della logica cit., pp. 49-57; E. Kapp, Der Ursprung der Logik bei den Griechen, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1965 (ed. orig. inglese: Greek Foundations of traditional Logie, Columbia University Press, New York 1942), pp. 15-19. 6 Cfr. Crubellier, Arist. Pr. An., p. 19. Si è sostenuto spesso che questa differenza fra le due opere rimonti a ragioni cronologiche: Top. sarebbe un'impresa giovanile, che ancora non avrebbe raggiunto la raffinatezza disciplinare di An. Pr. È una linea interpretativa che oggi non incontra più molto consenso tra gli studiosi, come si vedrà più avanti (cfr. § 2.2). I motivi della differenza fra i due testi sono piuttosto di ordine "sistematieo", cioè legati alle finalità specifiche dell'uno e dell'altro trattato.
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l'uso di procedere sostituendo i termini concreti con lettere (A, B; C. ..)7. Anche sul ruolo "logico" delle lettere la discussione è accesa, e bisogna essere prudenti nell'assimilarlo a quello ad esse conferìto nella logica successiva. Ma questo elemento, unito agli altri già detti, segna un indubbio scarto rispetto alle ricerche precedenti e anche rispetto alle altre opere dell'Organon 8: emergono un ambito e un metodo d'indagine inediti, che giustificano ampiàlnente il fatto che le storie della logica, a buon diritto dalla loro prospettiva, assumano An. Pr. come il primo testo di logica formale della cultura occidentale. - - Che poi delineare qualcosa come una logica formale fosse l'intenzione di Aristotele è tutt'altra faccenda. Né la nozione di "ldgica" né quella di "formalità" (col senso che -il termine ha nell'espressione "logica formale") gli sono chiaramente attribuibilL Loghike (techne o episteme) è locuzione assente dai suoi scritti, mentre l'aggettivo loghikos vi caratterizza per lo più una ricerca o un procedimento come "dialettici"9 • Negli stessiAn. Pr. ricorre la locuzione «discussioni e ricerche» (logoi te kai skepseis) per riferirsi ai due ambiti distinti della discussione dialettica e dell'indagine scientifìca10 • Solo i commentatori tardi, in particolare Alessandro di Afrodisia, utilizzeranno tali espressioni in riferimento all'ambito di interessi coperto dai testi raccolti nell'Organon: ma sappiamo bene che quell'unificazione non fu di Arist9tele; ed è anzi complicato capire se i suoi testi, anche singolar7 -Ptobabilmentè mutuando una prassi già consolidata in geometria: cfr. M. Prede, Stoic vs. Aristotelian Syllogistic, «Archiv fur Geschichte der Philosophie» 56 (1974), pp. 1-32, in particolare p. 19. 8 Compreso il De int., che pure è stato considerato, non solo tradizionalmente, come una trattazione "analitica" delle proposizioni, e in ciò come anch'esso parte del progetto di_una logica formale: su questa concezione di De- tnt. in seno agli studi orientàti a ricostruire un presunto concetto di logica formale in Aristotele, centratà sugli Analitici, cfr. le osservazioni critiche di W. Leszl, Aristotle's logica! Works and his Conception of Logie, «Topoi» 23 (2004), pp. 71-100, in particolare pp. 74-76. - - 9 Sull'inadeguatezza di questi termini per rendere il concetto di "logica" eventualmente ascrivibile ad Aristotele, anche nel caso di Top. I 14, cfr. ancora Leszl, Aristotle's logica! Works ... cit., pp. 71-72 e nota 2, p. 96. 10 I 13, 32b20; 27, 43a42-43.
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mente presi, sottendano uria qualche nozione unitaria di "logica", tanto più se questa è intesa come un campo distinto della filosofia (quale diventa, ad es., nel sistema stoico). Quanto a "formale", nella locuzione "logica formale" l'aggettivo indica l'astrazione dai contenuti, per concentrarsi sugli aspetti appunto formali di proposizioni e ragionamenti: nulla a che vedere, quindi, volendo riferirsi al linguaggio stesso di Aristotele, con ciò che egli chiama "forma", che, viceversa, è quanto di più sostanziale e ricco di contenuto si possa pensare. Su ciò si potrebbe aprire un lungo discorso, sia rispetto alla maturazione storica di questa terminologia, sia rispetto alle ìn:forinazioni che altri testi aristotelici forniscono a riguardo. Ma la questione di fondo è il nesso, in Aristotele, fra la realtà e il linguaggio, qui considerato nelle sue (o in alcune sue) qualità strutturali o formali: e da questo punto di vista basta dire che gli An. Pr. mostrano lo stesso realismo epistemologico tipico in generale del pensiero aristotelico. Questa è la ragione filosofica per cui Aristotele e i Peripatetici non furono mai formalisti: gli aspetti formali del linguaggio focalizzati e catalogati in questo testo sono i rapporti predicativi fra termini e le loro tipologie o variazioni possibili; ma i rapporti predicativi fra termini corrispondono a rapporti reali fra enti o cose, da quelle più universali a quelle individuali o singolari, come si spiega a chiare lettere in An. Pr. I 27 11 • La questione e la chiave non sono mai date dalla forma esteriore in quanto tale, né quindi l'impostazione formale della ricerca sfocia nel tentativo di elaborare un linguaggio formale preciso 12 • Comunque, se l'approccio caratterizzante più tardi la logica formale ha la propria indubbia origine in An. Pr., nel leggere questi come opera non possiamo non considerare l'eventualità che gli scostamenti semantici segnalati, per certi aspetti necessari, producano delle distorsioni, o almeno degli sbilanciamenti, rispetto agli intenti dell'autore. La situazione complessiva del testo, da Su questo luogo ritorniamo comunque più avanti, pp. 325-326. Sulla differenza fra l'approccio formale e quello formalistico, e sull'impossibilità di riferire quest'ultimo ad Aristotele e ai suoi successori, si vedranno ancorale osservazioni diJ I:,ukasiewicz,Arzstotle's Syllogisticfrom the Standpoint of Modern formai Logie, Clarendon Press, Oxford 1957, 2nd Ed., pp. 12-19. 11
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questo lato, è stata ben illustrata da Miche! Crubellier nel suo recente lavoro sugli An. Pr.: l'opera - egli sostiene - mette in luce «nozioni centrali per la filosofia della logica - a partire da quella di forma logica, ma anche il metadiscorso, la quantificazione, le modalità - ma non le tematizza, o comunque dà solo poche indicazioni a riguardo»13 • Perciò dall'Antichità ai giorni nostri, più forse di quanto accada normalmente ad un'opera filosofica, i tentativi di spiegare e commentare An. Pr. si sono sostituiti al testo, «sistematizzandolo, perfezionando e completando certe parti mentre altre erano trascurate»14 • 1.2. Come introdurre agli Analitici Primi? Ora, le vie tendenzialmente adottate dagli studiosi per presentare gli An. Pr. sono due: 1. Quella che s'ispira alle storie della logica, le quali ricostru-
iscono la concezione aristotelica della "logica" basandosi soprattutto sul testo più somigliante a quanto poi si è inteso con logica o con logica formale, ovvero appunto gli An. Pr. In tal caso il loro contenuto è letto ed esposto per ricostruire il sistema inferenziale o deduttivo aristotelico, con le sue regole e/o leggi e/o assiomi costitutivi, espliciti o impliciti. È una via legittima, che, tra l'altro, è oggi percorsa con un alto grado di consapevolezza storica. Essa raccoglie da un lato l'insegnamento di Lukasiewicz - che restituiva alla sillogistica aristotelica lo statuto di riflessione logica di tutto. rispetto; non riducibile alla versione distorta datane nelle presentazioni secondo i canoni della logica classica moderna e dall'altro quello di quanti, a partire dagli anni '70 del secolo scorso, hanno rilevato i limiti anche dell'applicazione ad Aristotele di criteri .e approcci della logica contemporanea. Questi ultimi hanno cercato sì a loro volta di ricostruirne la sillogistica come "sistema logico" sensato e, possibilmente, completo, ma con una riflessione attenta alla valenza di termini e nozioni nel testo aristotelico, in quanto capace - in linea di principio - di for13
Crubellier, Arist. Pr. An., p. 7.
14
Ibid.
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nire da sé i criteri per la propria comprensione. Questo modo di presentare gli An. Pr. è appunto legittimo e fruttuoso anche storiograficamente. Esso però si focalizza quasi esclusivamente sulla prima parte del I libro (capp. 1-25), quella in cui Aristotele, come vedremo, sviluppa la teoria del sillogismo. Molte presentazioni contemporanee si limitano così· a ricostruire e commentare questi e pochi altri capitoli che, per quanto basilari e decisivi, restano però una parte, e neanche la più consistente, dell'opera chiamata
Analitici Primi. · Dovendola introdurre invece nella sua interezza, ma soprattutto volendo introdurre alla sua lettura, preferiamo assumere un'altra impostazione. 2. Quella che cerca di circostanziare l'indagine svolta nell'opera enucleando che cosa fa del suo oggetto - il sillogismo - un problema per cui l'autore ha ritenuto di dover condurre un esame attento e dettagliato, e quali aspetti di tale problema o, eventualmente, quali istanze filosofiche generali, richiedono ad Aristotele di trattarlo nel modo proprio di An. Pr.: cioè, secondo quell'approccio formale o, meglio, analitico, che contraddistingue quest'opera rispetto ad altre che pure si occupano dello stesso oggetto. In altri termini, ci si chiederà anzitutto che cos'è un sillogismo e, in secondo luogo, quali domande ha posto tale oggetto nei contesti in cui si è presentato e quali di queste domande in particolare sono prese in carico dalla ricerca di An. Pr. In tal modo speriamo di fornire al lettore chiavi utili per rapportarsi al testo il più possibile nella sua interezza. E magari di rendergli l'impresa - quella dell'autore che a suo tempo si è messo a scriverlo e quella sua di lettore che oggi si appresta a leggerlo - in qualche modo coinvolgente: il che sarebbe già un risultato, visto che di rado un testo filosofico raggiunge il livello di astrattezza logica frammista ad oscurità linguistico-sintattica di varie parti di An. Pr. E ancor più di rado richiede al lettore tanta disponibilità a restare ai passaggi analitici (intendo qui l'espressione in senso lato), senza correre subito alle sintesi o mettersi alla ricerca del 'messaggio' dell'opera. Del resto, è dei passaggi analitici che è fatta e sostanziata la via
SAGGIO IN'I'RODUTTIVO AGLI ANALITICI PRIMI
28.3
del sapere. E, stando a quanto Aristotele afferma qui, il metodo da lui delineato per costruire i sillogismi è la via dei saperi in generale (46a3-4), quando e per quegli aspetti in cui questi procedono argomentativamente. Questa via rion è l'tinica fonte dei saperi, per Aristotele: ma dove il sapere è.attinto in questo modo, e per tutto ciò che è attingibile in questo modo - voglio dire: per tutto ciò che si può provare col logos, cioè per ragionamento o discorsivamente (e, in ambito scientifico, dimostrativamente) - la via, l'unica, è quella da lui "scoperta" qui tramite lo studio del sillogismo15. O, meglio, è questa l'unica via comune a tutte le arti, a tutti i saperi e, di più, a tutte le pratiche discorsive capaci di costituire, per il modo stesso in cui si producono, una base affidabile per gli individui, producendovi un convincimento effettivo. Non è molto, in verità, se teniamo conto del fatto eh~ la sostanza e rilevanza di ciascun sapere stanno, per Aristotele, non in ciò che esso ha in comune con gli altri, ma piuttosto in ciò che gli è proprio, sia nell'oggetto sia nel metodo. Che il sillogismo sia quest'unica via comune e vincolante non è tesi pacifìca né scontata nel suo signifìcato, come vedremo. Ad ogni modo, è questo il messaggio, scarno, di An. Pr.: un messaggio· o contenuto che, dunque, non fa che rinviare ai passaggi analitici e richiede di tenersi a quelli e a tutti quelli, uno per uno, éome alla sostanza della questione. Ché, se il logos ci interessa come via per il sapere, non possiamo tollerare in esso buchi o lacune: questo l'aveva in fondo insegnato Parmenide. Aristotele forse direbbe una cosa un po' diversa: se il logos ci interessa come via per il sapere, di esso non possiamo trascurare nulla, nemmeno i suoi buchi e le sue lacune, perché anch'essi, in quanto sono e si presentano al pensiero, sono per essere pensati e dicono positivamente qualcosa della realtà.
15 L'efficacia probatoria del discorso, del resto, è un nucleo problematico rilevante per comprendere l'impostazione complessiva della ricerca condotta inAn. Pr.: vi torniamo più avanti (§J.2).
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1.3. La sillogistica dei manuali di logica classica e la sillogistica di Aristotele 1.3.1. Sul sillogismo: un avvertenza terminologica 1
Proprio perché l'intento è quello di introdurre alla lettura dell'opera, prima di procedere nella sua presentazione è bene fornire alcune informazioni basilari, che, almeno ci pare, dovrebbero facilitare il lettore nell'accedere al testo e alle discussioni che esso ha aperto e continua ad aprire. Il tema di An. Pr. è il sillogismo, vocabolo che è il calco del greco sylloghismos. Esso proprio grazie a quest'opera diventa termine tecnico della tradizione :filosofi.ca, e nello specifico della logica. Ma il senso che Aristotele gli ascrive nel farne oggetto della ricerca condotta qui non corrisponde al significato che la parola assumerà nella tradizione, quindi anche a quello del vocabolo "sillogismo", che ne è figlio. Da questo lato tradurre con "sillogismo" può essere fuorviante. Tuttavia anche il termine "deduzione'', scelto da molti traduttori contemporanei, almeno in italiano presenta ambiguità e può produrre fraintendimenti, su cui torneremo. Perciò preferiamo continuare a rendere sylloghismos con "sillogismo". Questo, se non altro, a differenza di "deduzione" non è così frequente nel linguaggio corrente, come non lo era sylloghismos - e anzi lo era ancor meno - nel greco contemporaneo ad Aristotele. Nella lingua quotidiana odierna il termine rinvia abbastanza direttamente - e spesso non con benevolenza - a contesti ed usi "professionalmente" filosofi.ci, che il parlante comune non pretende di aver chiari. Il lettore di generica formazione filosofica, d'altro canto, tenderà ad aspettarsi che un vocabolo così legato al ragionamento stringente, vista la problematicità e la crucialità del tema per l'indagine :filosofi.ca, sia definito secondo le coordinate peculiari al pensiero del singolo autore. E se lo aspetterà soprattutto per l'autore reputato il padre della "teoria del sillogismo", il primo ad aver fatto di questa nozione un concetto di pregnanza e rilevanza :filosofi.che basilari. Una conoscenza, questa, che si può presumere in ogni medio studente di :filosofi.a (soprat-
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tutto se è uno di quelli che decide di cimentarsi direttamente col testo di An. Pr.). Insomma, su questi due livelli di lettura, quello della lingua corrente e quello della lingua filosofica in senso lato, il rischio di precomprensioni indebite trasmesse col termine "sillogismo" forse non è troppo alto, né l'eventuale preconcetto così rigido da non essere scalfìbile con la lettura del testo. Chi invece, a parlar di sillogismo, si aspetta subito Barbara, Celarent e gli altri schemi inferenziali catalogati come sillogismi (categorici) nei manuali, è soprattutto il lettore di formazione logica: a lui chiediamo di sospendere per un attimo il giudizio. È qui che quegli schemi sono per la prima volta riconosciuti e ordinati: questo non è in discussione, anche se, come noto, i nomi con cui essi sono identificati nei manuali di logica classica sono un'invenzione medievale (v. § seg.). Ma che il termine "sillogismo" in An. Pr. indichi uno schema inferenziale rientrante in uno di quei "modi" ed in che senso questi siano eventualmente sylloghismoi, è un'altra questione16 . Per ora, ad ogni buon conto, teniamo "sillogismo" come termine non già riempito di un significato definito, e che ci serve solo per riferirci all'oggetto di questa trattazione: che cosa sia questo "oggetto" per l'Aristotele di An. Pr. è un dato da ricostruirsi a partire dal testo. Bisogna però sgombrare subito il campo da alcune distorsioni, ancor oggi spesso favorite dalle presentazioni dei manuali.
13.2. Formulario tradizionale e formulario aristotelico: precisazioni e abbreviazioni di base A prescindere dal fatto che gli schemi inferenziali del tipo
Barbara, Celarent etc., siano o no per Aristotele i sillogismi, il modo in cui egli presenta, circostanzia ed intende proprio quegli schemi non corrisponde alla versione in cui li ha recepiti, tradotti 16 I commematori antichi li chiameranno tropoi, i latini modi, e la tradizione in genere appunto modi sillogistici: ma anche questa parola, nel suo uso tecnico, di fatto non può considerarsi aristotelica. In An. Pr. si parla di "modo" in un senso avvicinabile a questo solo in due passaggi, peraltro cursoriamente: I 26, 42b30 (dove il termine è ptosis, sul cui uso in tale accezione cfr. Bonitz, Index, p. 659 a 22) e 43a10 (dove il termine è tropos, ma il testo in tale passaggio è incerto: cfr. Smith, Arist. Pr. An., p. 149).
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e inglobati il sistema tradizionale della logie.a classica. Chlarire questo punto, pur per sommi capi, è importante per accordarci su alcune coordinate di fondo e semplificare l'accesso al testo. Si dice spesso, nei contributi di storia della logica, che la logica classica - quella logica formale di cui Kant afferma che non ha storia e non ha conosciuto sviluppi da Aristotele ai giorni suoi tratta i modi validi del sillogismo aristotelico come regole d'inferenza. Ecco l'esempio tipico di sillogismo aristotelico riportato nei manuali di logica classica (e ancora oggi in molti manuali di storia della filosofi.a, che lo riferiscono direttamente ad Aristotele!): Tuttì gli uominì sono mortali Socrate è uomo (quindi) Socrate è mortale Si ha qui una combinazione di tre proposizioni: le prime due sono le premesse e la terza la conclusione. Un argomento con tre proposizioni enunciative di questo tipo, cioè con dµe premesse in forma predicativa aventi un termine comune e una terza proposizione riguardante il rapporto fra gli altri due termini, è ciò che la logica tradizionale chiama sillogismo. Quello ora indicato è peraltro un esempio di sillogismo valido, dove dire che si tratta di un sillogismo valido significa che le premesse sono vere, e quindi anche la conclusione è vera. Se, seguendo la prassi inaugurata questa sì da Aristotele in An. Pr., si passa alla scrittura contenente non più termini concreti, ma lettere, si ottiene la regola: Tutti i B sono A
CèE CèA Questo schema definisce una regola d'inferenza, per cui dire che il sillogismo è valido significa che, se le lettere A B C sono sostituite da termini concreti tali da rendere entrambe le premesse proposizioni vere, allora la conclusione "C è N' deve a sua volta essere vera17 • 17 G. Patzig, Aristotle's Theory o/ the Syllogism. A logico-philosophical Study o/ Book A o/ the Prior Analytics, trad. ingl. di J. Barnes, D. Riedel,
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Ora, è chiaro da tempo agli studiosi che Uil sillogismo così inteso non rende ragione della nozione aristotelica di sillogismo: quel famoso esempio con Socrate non è affatto paradigmatico del sillogismo aristotelico, e d'altronde non si tratta di un esempio tratto dai testi di Aristotele18 . Anzitutto, esso contiene un termine singolare - Socrate - e questo, se non lo esclude del tutto dall'ambito della sillogistica (come voleva Lukasiewicz), ne fa però un caso-limite, non tanto problematico, quanto poco significativo rispetto al campo del sillogismo per il tipo di questioni che Aristotele sembra legare a questa nozione. Per ora diciamo semplicemente che i termini a cui Aristotele è interessato parlando di sillogismo sono soprattutto termini generali19, e che, d'altra parte, gli asserti pertinenti il sillogismo sono tendenzialmente predicazioni generali, ovvero o universali, o particolari20 • Ad es., "ogni uomo è mortale" è una proposizione universale, e "qualche uomo è bianco" è particolare. A queste vanno aggiunte le negative: ad es., rispettivamente "nessun uomo è alato" e "qualche uomo non è bianco". Abbiamo quindi 4 tipi di proposizione. I logici medievali inaugurarono la consuetudine di indicare queste diverse tipologie nei seguenti modi: a· per l'universale affermativa
i per la particolare affermativa e per l'universale negativa
o per la particolare negativa21 • Dordrecht 1968 (ed. orig. Die aristotelische Syllogistik. Logisch-philologische _Untersuchungen uber _das Buch A der 'Ersten Analytiken', 2. verb. Aufl., Vandenhoeck & Ruprecht, Géittingen 1963), p. 3. 18 Il primo ad usarlo fu probabihnente un esponente della scuola peripatetica, secondo quanto risulta da Sesto Empirico (Hyp. Pyrrh. II 164). 19 Su questo punto torniamo più avanti, pp. 325-326. 20 A queste dovremmo aggiungere quelle indefinite, cioè prive di quantificazione, ma possiamo per semplicità trascurarle perché esse per Aristotele, a_tfini del sillogismo, valgono come particolari: v. ad es. An. Pr. I 4, 26a28-30; per Ulteriori indicazioni, v. la voce INDEFINITO nell'Indice dei concetti. 21 Le prime due corrispondono alla prima e alla seconda vocale del verbo latino a/firmo; le ultime alla prima e alla seconda vocale del latino nego.
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Avvalendosi delle lettere per indicare i termini, le espressioni predicative venivano pertanto abbreviate attraverso tali simboli, posti tra le due lettere ad indicare il tipo di predicazione che le collega: ad es. AaB sta per "ogni A è B". Adotteremo anche noi queste abbreviazioni, perché aiutano a snellire il testo e non producono di per sé fraintendimenti. Lo faremo però, come ormai tutti gli studiosi, in modo tale da esprimere non la formula canonica della proposizione copulativa, ma piuttosto la formula privilegiata nel testo aristotelico, che inverte l'ordine dei due termini. Infatti, il modo in cui prevalentemente Aristotele presenta le proposizioni quando si tratta di sillogismo è particolare e comporta appunto l'inversione dei termini rispetto all'ordine in cui li si trova usando la copula: forse per evidenziare che la questione sta nel fatto che un termine viene o meno predicato, e in che misura, di un altro. In luogo di "ogni B è N', in An. Pr. si trova soprattutto "A inerisce (hyparchei) ad ogni B". Formule alternative meno frequenti, ma trattate come equivalenti a questa, sono "A è predicato di ogni B", "A è detto di ogni B", oppure anche "A consegue (hepetai, akolouthei) ad ogni B". Al di là del vocabolario usato per esprimere la predicazione (su cui torneremo 22), quello che importa notare è che i due termini A e B vengono a trovarsi in ordine inverso rispetto alle formulazioni corrispondenti costruite con l'utilizzo di "è" e "non è". Ne segue che il termine di cui, con tali espressioni, si dice che viene predicato di un altro, dal punto di vista grammaticale viène a trovarsi in posizione di soggetto; di contro, quello che nell'espressione in forma copulativa sarebbe il soggetto funge qui grammaticalmente da predicato. È chiaro però che concettual.:. mente il primo termine è il predicato o conseguente, mentre il secondo, quello preceduto dalla quantifìcazione, è il soggetto: lo stesso Stagirita li indica così23 • Attenersi a quest'ordine nella presentazione delle premesse e Si veda in particolare pp. 321-325. Cfr. ad es., per "soggetto" (hypokeimenon), I 1, 24b29; 27, 43b23; 28, 43b40. Per "predicato" (to ketegoroumenon), v. soprattutto I 1, 24b16 (si veda inoltre la voce PREDICARE nell'Indice dei concetti). · 22 23
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della conclusione, pur abbreviate con a, i, e ed o alla maniera medievale, ha indubbi vantaggi: da un lato ci consente di restare più vicini al testo (che appunto di norma presenta le proposizioni in questo modo); dall'altro,· questa disposizione evidenzia la posizione mediatrice del termine medio, di per sé perfettamente nei casi in I :figura, e imperfettamente (cioè, richiedendo l'applicazione di operazioni che vedremo) negli altri casi. Uno dei motivi che hanno spinto lo Stagirita a privilegiare tale disposizione potrebbe essere proprio la chiarezza con cui essa (cioè le formule del tipo "A inerisce a B" o "A è predicato di B") rende anche graficamente la funzione del medio. Allora, nella presente introduzione e nelle note esplicative al testo, secondo una prassi comune ai comnientatori contemporanei, adotteremo i segni a, i, e, o per indicare il tipo di proposizione (ulliversale affermativa, particolare affermativa· etc.), e disporremo i termini nell'ordine più coerente al testo, cioè col predicato in prima posizione e il soggetto in seconda. Per chiarezza, schematizziamo qui di seguito l'abbreviazione dei quattro tipi di proposizione secondo la disposizione aristotelica e secondo quella d~lla logica tradizionale. Noi dunque useremo le formule contenute nella colonna centrale:· le rileviamo in grassetto. TlPO DI PROPOSIZIONE
ESPREsSIONE ARISTOTELICA
ESPRESSIONE TRADIZIONALE
1. universale affermativa
A inerisce ad ogni B = AaB
OgniB èA=BaA
2. partitOlare affermativa
A inerisce a qualche B = Ai'B
Qualche B è A= BiA
3. universale negativa
A non ineriSce a nessun B = AeB
Nessun B è A= BeA
4. particolare negativa
A non ineriSce a qualche B = AoB Qualche B non è A = BoA
. A seconda della modalità espressiva privilegiata, anche la presentazione di premesse e conclusione in una combinazione sillogistica risuka diversa. Riprendiamo la regola d'inferenza indicata poco fa e "correggiamola" così che contenga solo proposizioni generali. Otteniamo le due presentazioni seguenti: come si vede,
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in quella a sinistra, che adotta l'ordine delle formule proposizionalì preferite da Aristotele, la posizione mediàttice del termine medio rispetto aglì altri due termini (glì estremi) salta subito agli occhi. Si tratta infatti di un sillogismo cosiddetto in Barbara, in prima :figura. DISPOSIZIONE ARISTOTELICA
DISPOSIZIONE 1RADIZIONALE
AaB,BaC:AaC
BaA,CaB:CaA
Le prime due proposizioni, separate dalla virg~la, sono le premesse; l'ultima, preceduta dai due punti, è la conclusione24 • Si vede bene come lo .schema sia costituito di tre termini (A, B, C) e due premesse. Queste hanno un termine in comune {in questo caso: B), mentre la conclusione è il rapporto predicativo che congiunge i restanti due termini contenuti nelle premesse, qui A e C. Il termine che le premesse hanno in comune è il termine medio, gli altri due sono gli estremi: Aristotele chiama estremo maggiore quello contenuto nella prima premessa, estremo minore quello nella seconda. Nella tradizione si affermerà anche la consuetudine di denominare la prima e la seconda premessa come maggiore e minore, prassi che però non si riscontra in An. Pr. Si noti che l'estremo maggiore è il termin: les ambigui"tés de l'expression de l' inhérence, in B. Cassin (éd.), Vocabulaire européen des philosophies. Dictionnaire des intraduisibles, Le Robert - Seuil, Paris 2004, pp. 1005-1006. 87 Così traduceva Tricot. 88 Colli, Zanatta, Smith, Striker, Jenkinson, e anche qui A. Permani per i Topici; Mignucci nella vecchia trad. di An. Pr. rendeva con "inerire", ma in quella di An. Post., pubblicata postuma, opta per "appartenere" (in Logi· ca cit., p. 79, egli afferma che Aristotele «rappresenta il legame fra soggetto e
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tiene a B" può leggersi come "A è proprietà di B'', oppure come ''A è parte o membro di B". Questo secondo caso è però la relazione diametralmente opposta a quella che vuol essere descritta da Aristotele (per cui, come visto, è semmai di B che si dice che è parte di A) e tale ambiguità nel caso degli Analitici, soprattutto ad una prima visione del testo, a nostro parere costringe il lettore ad un eccessivo sforzo di concentrazione per riuscire a seguire i passaggi argomentativi. Ma anche posto che questi tenga sempre a mente che "appartenere" vale "essere proprietà di", come si può intendere hyparchein toi come più ampio di "essere predicato di" in senso forte? Lo si capisce se si rende, ad es., "la medesima scienza inerisce ad entrambi i contrari", non se si rende "la medesima scienza appartiene a (=è proprietà di) entrambi i contrari"89 . 1.3. "Termine" (horos) è nozione funzionale all'analisi che si sta svolgendo: questa si concentra sul rapporto di predicazione come tale e si riferisce ai contenuti solo in astratto, cioè in quanto si tratta degli "estremi" legati dal rapporto. Importante, riguardo ai contenuti, è la posizione che essi occupano e il fatto che, nell'ambito di rapporti diversi, occorrano o no gli stessi termini: sono questi aspetti ad essere messi in risalto con l'uso delle lettere al posto di termini concreti (A, B, C. .. introdotte già dal cap. 2). Detto questo, conviene subito chiarire che i termini delle proposizioni corrispondono a enti o cose. Ciò è asserito solo in una fase avanzata del testo, ma a chiare lettere e in modo non problematico. «Di tutte le cose che sono», declama Aristotele in I 27 (43a25), alcune (scil. le categorie) sono tali da esser predicate di altre, mentre null'altro ne è predicato; altre, cioè le realtà singole e sensibili, sono tali per cui altre cose ne sono predicate, mentre esse non sono predicate di altro; ci sono poi le realtà intermepredicato sistematicamente con il termine unapxi::w che, con qualche riluttanza, ci siamo decisi a rendere con 'appartenere', in ciò uniformandoci ad una tradizione consolidata» e in nota aggiunge «Un'altra possibilità potrebbe essete... 'convenire' o qualcosa di simile»). 89 In altri termini, come spiega Crubellier, l'espressione "A appartiene a B" è troppo "engagée" ontologicamente, perché porta a interrogarsi sul tipo di proprietà di cui si tratta (essenziale o accidentale etc.): Crubellier, Arist. Pr. An., p. 365.
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die (ta metaxy) ché sia sono predicate di altre, sia altre sono predicate di esse, ed «è soprattutto su queste che vertono discussioni e ricerche» (43a42-43). Così, come accennato, il sillogismo può arrivare a riguardare anche termini individuali, cioè come caso-limite che può stare alla fine di una prova, ma che non può servire a provare alcunché. Il singolare è comunque considerato quale parte di un termine generale, coincidente con una realtà singola90: non sono gli eventi singolari e le loro concatenazioni ad interessare la sillogistica aristotelica, che risulta insomtna radicata nell'ontologia ed epistemologia dello Stagirita, e coerente con esse91 • 90 In altre parole, i termini singolari sono relati a concetti o nozioni generali nello stesso modo in cui i termini generali sono relati tra loro, cioè per la relazione parte-intero: v. quanto precisato sulla predicazione universale al p.to preceden.te, con le osservazioni alla nota 79; per l'approfondimento delle implicazioni di ciò nei termini del dibattito logico contemporaneo, v. ancora Mignucci, Aristotle's Theory of Predication cit., pp. 10-13. 91 Si noti anche, a 43bl-10, il richiamo alla catalogazione dei predicabili di Top. Per dare l'idea di che cosa possa voler dire vedere la logica di Aristotele centrata sulla predicazione come radicata nella sua ontologia (per cui la proposizione sillogistica esprime rapporti reali fra enti), è utile il raffronto con altri modelli già antichi (pur posteriori ad Aristotele). Il modello stoico, in particolare, privilegerà la frase verbale (nome + verbo), dove il "soggetto" ha solo una funzione completiva per definire la coniugazione del verbo e la declinazione del nome. Si è detto allora che il soggetto stoico è una sorta di «flessione del verbo, mentre, in Aristotele, la forma-soggetto è l'onoma stesso e non un caso del nome ... L'ontologia stoica è un'"ontologia" s.enza essere, percepisce il mondo come successione di eventi in cerca di soggetti e non come una giustapposizione di enti stabili in ·attesa di attributi» (P. Aubenque, Herméneutique et ontologie. Remarques sur le Peri hermeneias d'Aristote, in A. Sinaceur (éd.), Penser avec Aristate, Erès, Toulouse 1991, pp. 93105, in partic. p. 103). Gli Stoici svilupperanno da qui anche tutt'altra concezione del sillogismo, rispetto a quella aristotelica e poi peripatetica. Si usa anche distinguere la sillogistica aristotelica da quella stoica parlando per l'una di logica terministica (centrata sulle relazioni fra termini) e per l'altra di logica proposizionale (centrata sulle relazioni fra proposizioni). Si è mostrato, però, come i logici antichi non leggessero così la contrapposizione fra le rispettive concezioni del sillogismo (la disputa fra Peripatetici e Stoici fu molto accesa), e come anzi questo modo d'intendere la differenza fra i due sistemi non consenta di cogliere i reali oggetti del contendere: cfr. M. Frede, Stoic vs. Aristotelian Svlloàstic cit. Ouesto studio evidenzia l'altro asoetto della aue-
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2. La spiegazione della DEF, corrispondente al p.to [b] del brano riportato all'inizio (p. 319), precisa che si ha sillogismo se gli assunti sono ciò che determina interamente la necessità del risultato. Per tutti i sillogismi vale che non occorre introdurre altri termini (quindi altre premesse) perché la necessità del risultato venga ad esserci (ghenesthai). Dunque, se c'è sillogismo, l'insieme delle premesse assunte è sempre completo, cioè sufficiente a determinare la necessità della conclusione: l'argomento nella sua interezza, cioè l'insieme di premesse e cònclusione, è sempre, in termini moderni, un argomento di per sé valido. A [b] seguono poi i p.ti [e] e [d] in cui, tra i sillogismi così definiti, si distinguono quelli perfetti (teleioi) e quelli imperfetti (ateleis): ma la perfezione del sillogismo non va confusa con la completezza dell'argomento di cui al p.to [b], la quale riguarda tutti i sillogismi92 • Per tutti vale [b], cioè che non occorrono altri dati perché la necessità del risultato sia. Oltre a ciò, il sillogismo perfetto non richiede null'altro perché la necessità del risultato si manifesti (phanenai) [e]: cioè, in questi casi gli assunti o le premesse così come sono, oltre che a determinare oggettivamente, bastano anche a rendere visibile o manifestare la necessità del risultato (per i sillogismi imperfetti si parlerà anche di sillogismo non manifesto: 33a31). [d] Viceversa, sono stione, quello epistemologico oltre che ontologico: «In realtil,, ci sono buone ragioni per ritenere che entrambi i sistemi fossero organizzati per assolvere alle esigenze di una teoria della prova», ma c'è disaccordo «sui tipi di proposizione che possono essere provati o che possono servire da punti di partenza per una prova. Aristotele pensa che debbano essere proposizioni categoriche universali... Gli Stoici, invece, pensano che la verità di proposizioni singolari sia un oggetto adeguato della conoscenza e che quindi le prove possano avere conclusioni e premesse singolari>> (ivi, p. 24). 92 Lo ha precisato giustamente G. Striker, Perfection and Reduction in Aristotle's Prior Analytics, in M. Frede - G. Striker (eds.), Rationality in Greek Thoùght, Clarendon Press, Oxford 1996, pp. 203-220, in partic. pp. 207-208, sottolineando come la resa di teleios con "completo" anziché con "perfetto", proposta da alcuni studiosi, possa essere fuorviante da tale punto di vista. Rende con "completo" Smith, Arist. Pr. An., sulla scorta di}. Corcotan, Aristotle's natural Deduction System cit., pp. 91-94; cfr., più di recente, T. Smiley, Aristotle's Completeness Proof, «Ancient Philosophy» 14 (1994), pp. 2538, in partic. p. 26.
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sillogismi imperfetti quelli in cui la necessità di un certo risultato sussiste sì interamente in ragione delle premesse, ma, perché essa si manifesti, pur senza aggiungere altri termini, bisogna integrare nel discorso anche le implicazioni di cui le premesse, prese ognuna singolarmente, sono portatrici («cose che sono sì necessarie in ragione dei termini dati di base, ma che non sono espressamente assunte con le premesse»). Che cosa possa essere necessario in ragione di una singola premessa, o, altrimenti detto, che inferenze siano possibili a partire da una sola premessa, sarà spiegato poco dopo, ovvero nei capp. 2-3, dove si enunciano e si dimostrano le cosiddette "regole" di conversione (ad es., se A non inerisce a nessun B, è necessario anche che B non inerisca a nessun A). Non possiamo entrare nei dettagli di questo punto, né spiegare in che modo e in che misura con esse siano provati i modi sillogistici93 • Quello che interessa qui è solo evidenziare che il riferimento a questo tipo di inferenze è già presente nel brano iniziale contenente la DEF. 3.3.2. Necessità logica e necessità sillogistica
Se ora torniamo alla DEF [a], possiamo mettere in luce un ulteriore punto in essa presente. Vi si dice che si ha sillogismo quando dagli assunti risulta qualcosa di diverso da essi. Interrogarsi sul sillogismo è chiedersi se e quando ciò che è posto o dato in premessa sta a fondamento di qualcosa di diverso o ulteriore. Che il punto sia signifìcativo si vede combinando questo dato con . quanto visto nel § prec. In particolare, possiamo sottolineare le seguenti avvertenze rispetto all'impostazione dell'indagine sul sillogismo e al modo in cui essa è condotta: 93 Si dovrebbe inoltre aprire il dibattito sulla differenza fra prova diretta e prova per impossibile, sulla necessità o meno della seconda per la tenuta del ragionamento aristotelico e sul ruolo della prova per ekthesis (che noi abbiamo reso con ex-posizione): dibattito decisivo per una valutazione delle pretese sistematiche o meno della sillogistica aristotelica, ma che qui possiamo solo menzionare. Alcuni approfondimenti e riferimenti si trovano comunque nelle note alla traduzione; v. anche Indice dei concetti, voce SILLOGISMO --+ SILLOGISMO PERFETTO vs IMPERFETTO.
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I. La nozione di sillogismo non è ristretta agli argomenti a due premesse, ma è comunque ristretta a quelli in cui le premesse sono almeno due. Sia per il risultato sillogistico nella DEF [a], sia per quanto implicato dalle singole premesse [d], si parla di cose necessarie mediante o in ragione di ciò che è dato: in entrambi i casi si tratta di rapporti logici necessari tra asserti (inferenze valide), chiaramente riconosciuti come tali da Aristotele (lo conferma il modo in cui egli dimostra le regole di conversione in I 2-3 e I 13). Tuttavia, egli parla di "sillogismo" solo nel primo caso. Né, nella trattazione a seguire, egli considera "sillogismo" la deduzione di un asserto (ad es. AaB) dalla negazione del suo contraddittorio (non-(AoB)). Qual è la differenza fra i due casi? Già a questo punto del discorso Aristotele pare considerare due asserti accoppiati secondo conversione (ad es. "A non inerisce a nessun B" e "B non inerisce a nessun A:.'), se non forse come identici, per lo meno come relativi alla stessa cosa. Al di là del problema se due proposizioni di cui una è la conversa dell'altra siano o no pienamente equivalenti94 , il punto è che esse collegano gli stessi due termini95 : invece, vi è sillogismo quando ciò che risulta è proprio un rapporto predicativo che leghi due termini non già collegati 94 «Le osservazioni dello stesso Aristotele circa l'identità o non-identità delle proposizioni logicamente equivalenti non sono coerenti. In II 5, 58a2729 egli sostiene che BeA ed AeB siano 'la stessa premessa', ma in II 1, 53al2 e II 8, 50a10-12 [sic: si tratta invece di 7, 59a10-12] egli insiste sul fatto che una premessa risultante da conversione non è la stessa cosa della premessa originaria, ed anche la sua lista dei modi tratta AeB e BeA, AzB e BzA, come differenti. Ora, si potrebbe dire che, pur non avendo la stessa forma linguistica, queste proposizioni esprimono la medesima relazione fra termini - 'e' e 'i' stanno per relazioni simmetriche. Ciò non vale per AaB e BiA, ma si può pensare che AzB, equivalente a BiA, ponga qualcosa che è già dato a partire da AaB (v. Top. VIII 13, 163a4-5)» Striker, Arist. Pr. An., p. 80. 95 Sarebbero due modi diversi per significare il medesimo stato di cose, secondo H. Barreau, Le syllogisme aristotélicien est-ll une implication?, «Revue Philosophique de Louvain» 110 (2012), pp. 605-629, in particolare p. 610. Altri dicono, più letteralmente, che esse esprimono la stessa relazione fra termini: v. Striker, Arist. Pr. An., p. 80; cfr. anche Prede, Stoic vs. Aristotelian Syllogistic cit., pp. 20-21.
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l'uno all'altro nelle proposizioni assunte in premessa. Esso ha ad oggetto un altro rapporto rispetto a quelli oggetto delle premesse. Ad es., se in premessa c'è un rapporto AB, in conclusione deve trovarsi un rapporto AC o CB, ma non un rapporto AB o BA. Oppure, se in premessa ci sono un rapporto AB e un rapporto CD, perché la DEF sia soddisfatta e si possa parlare di sillogismo, bisogna che in conclusione non si abbia né un rapporto AB o BA, né un rapporto CD o DC, ma un qualche altro rapporto. A questo si lega quanto più volte ribadito da Aristotele, cioè che a partire da un'unica premessa non è possibile che si determini un risultato necessario 96: in effetti, come ricavare da una premessa relativa al rapporto tra B e C un nesso predicativo che coinvolga un termine diverso da B o da C, senza ricorrere a termini ulteriori a quelli :figuranti in essa? In definitiva, l'indicazione della DEF [a] per cui in caso di sillogismo il risultato è qualcosa di diverso dagli assunti va presa sul serio. Quando parla di sillogismo Aristotele consapevolmente restringe il campo a quelle inferenze o deduzioni in cui la conclusione concerne il rapporto predicativo fra due termini diversi da quelli già legati predicativamente nelle singole premesse. Ciò per Aristotele vale di per sé come ragione per escludere che si possa parlare di sillogismo quando il demonstrandum è assunto fra le premesse ("p, quindi p" o "p e q, quindi q"), cioè nei casi di petitio principii 97 : i quali, in sé, sono argomenti deduttivamente validi (per capirci: dato p, è formalmente corretto inferire o dedurre p). In generale sono esclusi «gli argomenti deduttivi monolemmatici o a una sola premessa»98 • Se trattando il sillogismo in generale, come detto (v. § 1.3.3), 96 In più luoghi si asserisce che non è possibile avere in premessa una cosa sola: per avere un risultato necessario occorrono almeno due cose, «nulla risulta di necessità per il fatto che si è assunta di una cosa ad un'altra (sylloghismos allou kat'allou) se non è stato assunto un medio che stia in un certo rapporto predicativo e con l'una e con l'altra cosa: infatti, se il sillogismo in senso assoluto è a partire da 139
Cfr. Barnes, Proof and the Syllogism cit., p. 31.
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premesse, il sillogismo relativo a questa cosa qui è a partire dalle premesse relative a questa cosa qui, e il sillogismo concernente questa cosa qui in rapporto a quella cosa lì è mediante le premesse concernenti questa cosa qui in rapporto a quella cosa lì (. .. ) va assunto un medio fra i due il quale collegherà le predicazioni [scil.: quelle corrispondenti alle due premesse aventi un termine comune], se ci dev'essere un sillogismo concernente il rapporto di questo a quello (I 23, 41a2-13).
Qui Aristotele sta dicendo che:
a. sono necessarie almeno due premesse; b. è necessario che esse contengano i due termini di cui si compone l'asserto conclusivo voluto (gli estremi); c. è necessario che esse contengano un termine comune, riferito predicativamente a ognuno dei due estremi, e quindi che siano premesse riconducibili ad una delle 3 figure. Ma aggiunge anche che:
d. le premesse devono avere ad oggetto il rapporto di questo a quello, punto che corrisponde al passaggio per cui, date le tre figure, si va ad esaminare ogni possibile accoppiamento di premesse aventi un termine comune, per individuare quali danno in effetti luogo a sillogismo (i cosiddetti modi sillogistici). Non basta che ci sia un termine in comune; questo dev'essere in uha posizione tale, rispetto agli estremi, da dire effettivamente qualcosa sulla loro relazione. Per capirsi, se ho una coppia di premesse universali negative in I fig. (AeB, BeC), i dati che ho a disposizione sono che B non è per nulla contenuto in A e che C non è per nulla contenuto in B: da qui non è possibile ricavare alcunché di definito quanto alla questione se e in che misura sia contenuto in A (ovvero se e in che misura A sia predicato di C). B non è un medio che colleghi i rapporti predicativi espressi nelle premesse. In questa ricerca, la determinazione dei "buchi", cioè dei casi in cui un termine medio non compone i due intervalli in un ulteriore rapporto, è altrettanto importante quanto la determinazione dei casi in cui invece ciò accade. E nell'indagine
e
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sulle figure condotta in An. Pr. l'esame delle combinazioni che non danno alcun risultato necessario occupa, in effetti, moltissimo spazio. Superata la sezione sulle figure, o sulle coppie di premesse con un termine comune, il resto dell'indagine, come visto, vuole per la gran parte mostrare che ogni sillogismo viene in essere mediante le figure. Per le forme di argomentazione complesse, in cui la conclusione è raggiunta a partire da un quadro di assunzioni più articolato (concatenazioni di più argomenti, sorite, conclusioni basate su ipotesi140), si tratta in fondo di mostrare che in tutti i casi è presente almeno un passaggio riconducibile alle figure. Così si esaurisce la parte teorica, esplicitamente incompleta, se almeno per i sillogismi sulla base di un'ipotesi si afferma espressamente che andrebbero studiati oltre. Nella parte pratica Aristotele mostra come la definizione dei medi e delle coppie sillogistiche effettuata nella parte teorica fornisca uno schema che, partendo dai termini (soggetto e predicato) del problema dato, consente di orientarsi tra le premesse disponibili per individuare quelle capaci di fondarlo o confutarlo: schema la tradizione lo chiamerà il pons asinorum - che descrive la via o il metodo comune a tutti i saperi, a tutte le arti e alla stessa filosofia, l'unica via che in ciascuno di essi vada praticata per evitare percorsi di ricerca fallimentari in partenza se non del tutto fuorvianti (v. I 30). Qui si colloca la polemica con la diairesi platonica (v. I 31), sillogismo «senza forza>> (asthenes) perché di fatto non supportato dalla tematizzazione del termine medio e dalla riflessione sulla sua natura. Segue la parte dedicata all'analisi nelle figure dei sillogismi già esistenti: vi si mosti-a come individuare i rapporti predicativi, le premesse e quindi il medio nelle argomentazioni concretamente formulate nel linguaggio ordinario. Verso la fine dell'opera, ricordata la "tesi generalissima", Aristotele spiega persino che l'induzione è anch'essa un sillogismo che viene in essere mediante le figure: dico "persino" perché l'induzione è espressamente descritta come un sillogismo che ha ad oggetto «ciò che non ha medio»; essa però in qualche modo 140
Su questi tipi di argomento si rimanda alle note a I 23 e I 25.
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(cioè con qualche compromesso sull'individuazione del medio) risulta imperniata su una struttura di rapporti che sono gli stessi delle figure 141 • Visto così il testo, pur ribadendo a più riprese la "tesi generalissima", non sembra davvero riportare (né voler riportare) tutto lo spazio dell'argomentazione ad una formula risolutiva. Ricondurre alle figure, piuttosto, consiste nel mostrare che in tutti i casi, da quelli semplici a quelli complessi a quelli "spuri" (come l'induzione), è sempre facendo leva su un medio fra due termini nel senso e nei modi chiariti che si ottiene la conclusione e che l'argomentazione è efficace, probante, conclusiva. O è comunque facendo riferimento ad esso che se ne coglie e se ne misura la forza argomentativa. Da quest'angolatura, Aristotele qui non pare proporsi la costrmion.e di un sistema dell'argomentazione o della deduzione, e nemmeno di un sistema del sillogismo 142 : sotto questo aspetto, anzi, la trattazione si presenta per vari lati, contenutistici e formali, come un programma di ricerca aperto (nel senso detto al § 3.2). Ciò in cui essa vuole invece essere esaustiva e sistematica (e per cui alla fine risulta in effetti definire un sistema sillogistico completo, almeno per gli argomenti a due premesse143) è nella tràttazione di ciò che è medio, e medio che collega due diversi intervalli, nell'ambito dei rapporti di predicazione. Dunque, quando parla di sillogismo Aristotele non parla per ciò stesso di un argomento a due premesse: non dobbiamo cercare questo schema ovunque si parli di sillogismo, né stupirci se varie dimostrazioni di An. Post. o di altri scritti aristotelici hanno poco a che fare con questa forma. An. Pr. non si occupano di un certo tipo di argomentazione, ma dell'argomentazione in generale in quanto essa matura una conclusione: si occupano di quando in generale c'è o non c'è sillogismo, e l'argomentazione come tale è (!ffÌ.cace; probatoria. Su questo punto, cfr. Crubellier, The Programme... cit., pp. 129-131. Che questo non fosse l'intento di Aristotele lo ha a nostro parere efficacemente mostrato Striker, Per/ection and Reduction ... cit. 143 Cfr. ancora Striker, Perfection and Reduction ... cit., pp. 212-213. 141
142
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Perché dunque tale indagine rappresenta un passaggio preliminare necessario alla scienza dimostrativa? ... è l'esperienza a fornire i principi in ciascun ambito: voglio dire, ad esempio, che è l'esperienza in ambito astronomico a fornire i principi della scien2a astronomica (infatti la scoperta delle dimostrazioni astronomiche è avvenuta così, e cioè dopo che sono stati acquisiti in misura adeguata i fenomeni), e così stanno le cose in qualsiasi altra arte e scienza. Quindi, quando vengano assunti per ciascuna realtà i termini inerenti, ecco che a quel punto tocca a noi esser pronti a mettere in luce le dimostrazioni. Infatti, se nella raccolta delle informazioni non si sarà tralasciato nulla di ciò che davvero è inerente alle realtà in oggetto, noi [scil: noi che siamo competenti sul sillogismo in generale] saremo nelle condizioni, per tutto ciò di cui è possibile dimostrazione, di trovare tale dimostrazione e di dimostrare questa cosa, e d'altra parte, per ciò di cui per natura non è possibile dimostrazione, di rendere manifesta tale impossibilità (I 30, 46a17-27).
Non ogni sillogismo è una dimostrazione perché non tutto ciò che costituisce il risultato necessario di dati assunti è una verità scientifica. Tuttavia, non si capisce che cos'è una dimostrazione, e soprattutto non si capisce se, quando e in ragione di che cosa una verità scientifica rientri fra quanto è dimostrabile e sia poi effettivamente stata dimostrata come tale, cioè sia un asserto davvero fondato su pregresse verità scientifiche (cfr. An. Post. I 1), se prima non si capisce che cos'è il sillogismo: o meglio, se non si capisce quando c'è il sillogismo, il momento conclusivo o la conclusione - momento o parte dell'argomentazione, tanto dialettica quanto scientifica. Dobbiamo dunque capire quando in generale, che si tratti di dimostrarla (apodelknynai) o più "umilmente" di provarla (deiknynai), una proposizione è agganciata a certe premesse come loro risultato necessario, al di là. del fatto che tali premesse siano verità scientifiche oppure no - o, meglio, a giustificazione anche poi del fatto che tali premesse, nel caso di una verità che si vuole scientifica, debbano proprio essere un certo tipo di premesse, tali da soddisfare i requisiti discussi nei primi capitoli di An. Post. Per questo occorreva un'indagine sulla natura e sulle possibilità del termine medio: per distinguere ciò che è dimostra-
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bile da ciò che invece non lo è perché è un asserto immediato, un rapporto predicativo fra termini privo di medio (ameson), istanza decisiva di tutta la prima parte di An. Post.; per non dire del fatto - cui possiamo solo fare cenno - che nel contesto del discorso e della dimostrazione scientifica il medio fra due premesse corrisponde in senso forte al perché certe cose stanno come stanno. Se fosse così, cioè se An. Pr. sono un sistema del medio che vuol determinare il campo di quanto non si può non dire entro un contesto discorsivo dato - quanto ammesso in una· discussione dialettica, ma anche l'insieme di nozioni, definizioni e principi propri ad ogni disciplina e ad ogni sapere ~, ne risulterebbe una logica rispondente ad una concezione non sistematica del reale, e gli An. Pr. sarebbero la teoria sistematica di una logica non sistematica. Una logica non autofondantesi e, anzi, piena di buchi, di sentieri interrotti, la cui prestazione consiste sì, come nella frase appena citata, «per tutto ciò di cui è possibile dimostrazione», nel «trovare tale dimostrazione e dimostrare questa cosa»: ma anche e in pari grado, «per ciò di cui per natura non è possibile dimostrazione», nel «rendere manifesta tale impossibilità». È una logica in cui gran parte del lavoro consiste nel dire "questo è indimostrabile" o "qui non c'è medio". Non perché, allora, siamo ridotti al silenzio, come se si potesse dire solo ciò che non si può non dire entro un determinato orizzonte linguistico-concettuale. Anzi, le cose che è importante dire stanno all'inizio e alla fine del processo: se non del tutto fuori; quanto meno al limite, del sylloghizesthai.
3.5. Breve excursus sulle dispute circa la natura della necessità sillogistica in An. Pr. e sù alcune scelte di traduzione La lettura del sillogismo aristotelico che diede il grande logico Lukasiewicz a metà del secolo scorso ebbe il merito indiscusso di restituire ad An. Pr. la potenza di una ricerca logica di tutto rispetto non riducibile alla sistematizzazione moderna della sillogistica categorica. La sua interpretazione, però, oggi non è più accolta dalla gran parte degli studiosi. Per Lukasiewicz Aristotele intendeva i propri sillogismi (a due premesse) come leggi logi-
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MILENA BONTEMPI
che, assiomi o teoremi dedotti dagli assiomi. In questa prospettiva, con "sillogismo" lo Stagirita avrebbe inteso l'intera proposizione complessa che comprende le premesse come antecedente e la conclusione come conseguente: ad es., "se AaB e BaC, allora AaC" (in Barbara). Tale proposizione è trascrivibile in termini di calcolo proposizionale, usando & per indicare la congiunzione e ~ per l'implicazione: AaB & BaC ~ AaC. I sillogismi dimostrati nella parte sillogistica (I 4-22) sarebbero quindi l'enunciazione di altrettante leggi o verità logiche, dedotte dagli assiomi (verità logiche di per sé evidenti) assunti, eventuahnente in modo implicito, nel procedimento aristotelico (fra i quali anche il principio d'identità: si ricorderà a questo proposito quanto detto sopra circa la petitio principii). Ma, come rilevava con un certo imbarazzo Patzig (che si era posto, almeno inizialmente, sulla scia. di Lukasiewicz), nell'impostazione aristotelica il fuoco non cade sull'individuazione del nesso necessario tra premesse e conclusione: la necessità di cui Aristotele parla è semmai la necessità che qualifica l'asserto conclusivo, una volta date certe premesse. Piuttosto che ritenere, però, che ciò sia frutto di una formulazione ancora immatura del tema della necessità logica (era questo l'approccio adottato da Patzig nella prima edizione del suo Aristotle's Theory of the Syllogism), conviene invece ammettere come hanno mostrato diversi studi successivi - che la prospettiva in cui Aristotele si pone non è quella di chi vuole arrivare alla determinazione di leggi logiche, quindi alla deduzione da assiomi di proposizioni esprimenti l'implicazione formale della conclusione rispetto alle premesse. Con implicazione formale secondo la definizione russelliana - si ricorderà - s'intende appunto che il nesso fra l'antecedente e il conseguente è necessario, e ciò nel senso che esso vale universalmente per tutti i termini sostituibili alle lettere comprese nella formula (lettere intese quindi come variabili) 144 • 144 La necessità corrisponderebbe, così, alla validità universale di tale nesso proposizionale per tutti i termini sostituibili alle lettere; «the sign for necessity is, in modem terms, a universal quanti.fìer ranging over syllogistic
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Ma negli An. Pr. l'attenzione di Aristotele - dicevamo - non è tanto orientata sulla necessità del nesso fra premesse e conclusione, quanto sul carattere necessario di un asserto date certe premesse. Più che come segno di una teorizzazione ancora aurorale, questo elemento va assunto quale indice del fatto che «la sua linea d'attacco è diversa»145 rispetto a quella che imposta in genere le ricerche logiche contemporanee, e che s'incentra sui concetti di validità e di validità universale. La questione che si pone Aristotele· è piuttosto quella di individuare i casi in cui il discorso è per se stesso produttivo di conoscenza e convinzione146: i casi in cui è possibile reperire nel discorso come tale prova della conclusione, nel senso che, dato quel discorso, cioè il tipo di rapporti fra termini· espressi con esso, non può non presentarsi e non può non essere ammesso quel determinato asserto che è, quindi, la conclusione o il risultato necessario del discorso medesimo, ciò che viene mostrato (deiknytai). Nella ricerca attuale sugli An. Pr. molti preferiscono perciò accostare la sillogistica aristotelica alla deduzione naturale, piuttosto che ad un sistema assiomatico 147• Ciò si adatta del resto meglio al dato testuale per cui, come abbiamo visto, la nozione di sillogismo focalizza il momento conclusivo (come enunciazione del contenuto della conclusione o come atto di porre o trarre la conclusione) prima che l'argomentazione nella sua interezza (premesse+ conclusione). Nell'ambito di queste posizioni, si tende allora a sottolineare come i sillogismi si distinguano fra loro, sia inbase al tipo di asserto ottenuto in conclusione (universale o particolare, affermativo o negativo, assertorio necessario o possiterm-triples (A, B, C)» (Patzig, Aristotle's Theory of the Syllogism cit., p. 27). Apporre un quantificatore universale al gruppo dei termini contenuti in una proposizione significa, ad es. per Barbara, formulare il sillogismo nei termini Pei: cui "per tutti i valori di A, B e C, se AaB e BaC, allora AaC". 145 Mignucci, Logica cit., p. 75. 146 Cfr. Corcoran, Aristotle's natural Deduction System cit., p. 92. 147 S'intende di norma la deduzione naturale nel senso di Gentzen: il testo di riferimento per questo :filone è Corcoran, Aristotle's natural Deduction System cit.; v. anche T. Smiley, What is a Syllogism?, , SqlOV Òè · 7tCXV'tÌ àv0pÙ:l7tq:> un:apxet.
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"medio" ciò di cui i due termini sono i predicati, con "estremi" i predicati, con "estremo maggiore'' quello più distante dal medio e con ~'estremo minore" quello più vicino89• Il medio è posto I al di fuori degli estremi, in ultima posizione. Ora, anche nell'ambito di questa :figura non viene ad esserci sillogismo perfetto, ma sarà possibile sillogismo, sia quando i termini si rapportano al medio universalmente, sia quando vi si rapportano non universalmente. · Dunque, se i termini sono in rapporti universali, quando P e R ineriscono ad ogni S, di necessità per cui P inerirà a qualche R: infatti, dato che il rapporto positivo si converte, I S inerirà a qualche R; di conseguenza, dato che P inerisce ad ogni S è S a qualche R, è necessario che P inerisca a qualche R, giacché viene ad esserci un sillogismo mediante la prima :figura. Peraltro, è possibile produrne la dimostrazione anche mediante l'impossibile e con l'ex-posizione*: infatti, se tutti e due i termini ineriscono ad ogni S, preso uno degli S- ad esempio l N - a questo inerir~nno sia P, sia R; di conseguenza P inerirà a qualche R 90 • Anche quaÌora R inerisca ad ogni S e P a nessuno, di necessità ci sarà un sillogismo per cui P non inerirà a qualche un singolo termine concreto q~alsiasi appartenente ad S, ed incluso sia in P
s!a in R: la prova consiste nell'esibire un tale termine, per rendere visibile la connessione degli estremi; infatti, se invece s'intende N in base alla sua mera descrizione formale, cioè come termine appartenente ad S al quale ineriscono sia P sia R, si ha una coppia di premesse (PaN e RaN) formalmente identica a quella di partenza, della quale dovevamo dimostrare il risultato necessari_() (è la lettura già di Alessandro di Afrodisia, In An. pr. pp. 99, 19-100, 26, ripresà, eventualmente con alcune varianti, da vari interpreti moderni: cfr. Ross, Arist. Pr., p. 311; Maier, Syll. Ar., p. 89; Striker, Arist. Pr. An., p. 104); (b) altri hanno cercato una spiegazione che resti sul piano della logica, senza spostarsi su quello intuitivo o psicologico: essi ritengono, in breve, che il ragionamento aristotelico·presupponga la legge o regola per cui 'se P inerisèe a qualche R, esiste un termine N tale per cui P e R ineriscono ad ogni N' (per una possibile giusti:ficàzione di tale regola entro l'impostazione aristotelica, v. Smith, Arist. Pr. An., p. XXV; cfr. inoltre Patzig, Aristotle's Theory ... cit., § 31; Mignucci, Arist. An. pr., p. 244); proprio nel caso di Darapti rimane però molto dif:ficile capire chiaramente come con ciò si possa eludere l'obiezione di Alessandro. Sullà resa con "ex-posizione", v. nota alla voce corrispondente nell'Indice dei concetti.
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ARISTOTELE
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91 Enunciazione e prova di Felapton. Posti PeS .e RaS, con la conversione della minore si ha la coppia in I fìg. PeS, SzR, per cui si ottiene, in base al cap. 4, PoR (v. Ferio). Si accenna alla prova per impossibile, che sarebbe: posta in ipotesi PaR, la sua combinazione con la minore dà la coppia in I figura PaR, RaS, per cui si ottiene, in base al cap. 4, PaS (v. Barbara); ma PaS è impossibile stante la maggiore PeS. 92 Non c'è sillogismo con la coppia PaS, ReS, infatti:.(a) con "animale inerisce ad ogni uomo" e "cavallo non inerisce a nessun uomo", P R sarebbe universale affermativo, dacché "animale inerisce ad ogni cavallo"; (b) viceversa, con "animale inerisce ad ogni uomo" e "inanimato non inerisce a nessun uomo", P R sarebbe universale negativo, dacché "animale non inerisce a nessun inanimato". 93 Non c'è sillogismo con la coppia PeS, ReS, infatti: (a) con "animale non inerisce a nessun inanimato" e "cavallo non inerisce a nessun inanimato", P R sarebbe universale affermativo, dacché "animale inerisce ad ogni cavallo";
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R, poiché la dimostrazione si effettuerà come prima, con la conversione della premessa R S. Peraltro, come nel caso precedente, lo si potrebbe provare anche mediante I l'impossibile91 • Invece, no]} ci sarà sillogismo qualora R non inerisca a nessun S e P inerisca ad ogni . Si vedano i termini: (a) animale/cavallo/uomo per l'inerenza dell'estremo maggiore al minore; (b) animale/ inanimato/uomo per la non-inerenza dell'estremo maggiore al minore 92 • Né ci sarà sillogismo quando i due non siano detti di nessun S. Si vedano i termini: (a) animale/cavallo/inanimato per l'inerenza dell'estremo maggiore al minore; I (b) uomo/ cavallo/inanimato per la non-inerenza dell'estremo maggiore al minore (il termine medio è "inanimato") 93 • Dunque, se i termini sono in rapporti universali, è chiaro quando ci sarà e quando non ci sarà sillogismo anche in questa figura. Infatti, quando i termini sono predicati entrambi positivamente, ci sarà un sillogismo per èui l'estremo maggiore inerisce a qualcosa del minore; quando invece sono predicati entrambi privativamente, non Il ci sarà . Poi, quando uno è predicato privativamente e l'altro affermativamente, qualora sia il maggiore ad essere predicato privativamente e l'altro lo sia affermativamente, ci sarà un sillogismo per cui l'estremo maggiore non inerisce a qualcosa del minore; nel caso inverso non ci sarà sillogismo. I Invece, se uno si rapporta al medio universalmente e l'altro parzialmente94 , dove tutti e due siano predicati positivamente è necessario che venga ad esserci sillogismo, a prescindere da quale dei due vi si rapporti universalmente 95 • Infatti, se R inerisce ad ogni S e P a qualche S, è necessario che P inerisca a qualche R. In effetti, dato che il rapporto affermativo si converte, S inerirà I a qualche P; di conseguenza, dato che R ineriSce ad ogni S e S a qualche P, anche R inerirà a qualche P; sic(b) viceversa, con "uomo non inerisce a nessun inanimato" e "cavallo non inerisce a nessun inanimato", P R sarebbe universale negativo, dacché "uomo non inerisce a nessun cavallo". 94 Si passa ora alle coppie di premesse in III fig. di cui una è universale e una particolare. 95 Enunciazione di Disamis e Datisi.
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113 Per i sillogismi universali in II fìg. (Cesare e Camestres), cfr. I 5, 27a514. Quanto ai sillogismi particolari: a) per la prova per impossibile di Baroco, v. I 5, 27a36-b 1; b) la prova di Festino era stata svolta per conversione e-riconduzione ad un sillogismo particolare in I fìg. (I 5, 27a32-36); provandolo per impossibile, invece, si procede tramite un sillogismo universale in I fìg. (posta in ipotesi NaX, la sua combinazione con la maggiore dà in I fìg. (Celarent) MeN, NaX: MeX; ma MeX è impossibile stante la minore, MzX). Usiamo per comodità del lettore le lettere impiegate da Aristotele per la II fìg. nel cap. 5, e da noi riprese nella Tabella a p. 368; si noti però che da questo cap. in avanti Aristotele usa A, B, C per tutte le figure. 114 Si trattava infatti di sillogismi perfetti: v. I 4, 26a17 ss. 115 Prova per impossibile di Darii: posta in ipotesi AeC, la sua combinazione con la maggiore dà in II figura (Camestres) AaB, AeC: BeC; ma BeC è impossibile stante la minore BiC. 116 Prova per impossibile di Feria: posta in ipotesi AaC, la sua combinazione con la maggiore dà in II figura (Cesare) AeB, AaC: BeC; ma BeC è impossibile stante la minore BiC.
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chiaramente sono perfezionati mediante quelli, anche se non tutti allo stesso modo: quelli universali con la conversione del rapporto privativo, I ciascuno dei due particolari mediante la riduzione all'impossibile113 • Quanto ai sillogismi particolari in prima figura, essi sono portati ad effetto da sé stessi114 , ma è possibile anche provarli mediante la seconda figura con la riduzione all'itnpossibile (ad esempio, se A inerisce ad ogni Be B a qualche C, che A inerisce a qualche C perché, se non inerisce a nessun ed I inerisce ad ogni B, B non inerirà a nessun C, cosa che sappiamo mediante la seconda figura 115 • La dimostrazione si effettuerà allo stesso modo anche nel caso del privativo. Infatti, se A non inerisce a nessun B e B inerisce a qualche C, A non inerirà a qualche C perché, se inerisce ad ogni e non inerisce a nessun B, B non inerirà a nessun C; e questa, come si è visto, è la I figura di mezzo 116). Di conseguenza, dato che i sillogismi nella figura di· mezzo si riconducono tutti ai sillogismi universali in prima figura, e dato che quelli particolari in prima figura si riconducono a quelli nella figura di mezzo, è chiaro che anche i sillogismi particolari sono riconducibili a quelli universali in prima figura. Per quanto riguarda i I sillogismi in terza figura, poi, quando i termini sono in rapporti universali, essi sono portati ad effetto giusto mediante quei sillogismi117• Invece, quando si~no assunti termini in rapporti particolari, mediante i sillogismi particolari in prima figura 118: ma questi si riconducono a quelli 1tétpxet, men' OÙOEVÌ -.0 r 'tÒ B èvÒfxE'tm· 'CÒ yàp r ùnò 'tÒ A fo-.iv. cOO"O:U'troç 8è 1mì d npòç -.0 r 'tE8Ei11 'tÒ O"'tEp11tt1C6v· Et yàp 'tÒ A µ118EvÌ 'ttP r ÈVÒÉXE'tm, oùòè 'tÒ r oÙÒEVÌ 'Cql A èrxropéì· 'tÒ 8è A 1tO:V'tÌ -.0 B ùmxpxa, IDO"'t' oÙÒEVÌ -.0 B 'tÒ r èvòf.xE'tat" ytVE'tat yàp 'tÒ 1tpOO'tOV crxiìµa naÀtv. OÙK apa oùòè 'tÒ B 't0T· àvncr-tpÉcpEt yàp òµoiroç. El ÒÈ ii Ka'tTlYOPtK'Ìl np6-ta0iç fo-ttv àvayxaia, oÙK fo'tm -cò cruµnÉpacrµa àvayKa'ìov. Ù1tO:PXÉ'tffi yàp 'tÒ A 1tO:V"CÌ -.0 B èç àvayKTlç, -.0 8è r µ11ÒEVÌ ùnapxf.-.ro µ6vov. àv-ttcr-tpacpÉv'tOç o-Ùv 'tOU Ò''tEPTl'ttKOU -.ò np&'tOV yivE'Cm crxflµa· ÒÉÒEtlC"CO:t o' èv -.0 npam:p O'Ct µìi àva.y1Ca.ia.ç OUO"llç •flç npÒç 'tÒ µE'ìçov O"'tEPTl'ttKTlç oÙÒÈ 'tÒ 0uµnÉpa0µa Ecr'tm àv r ÈvÒÉXE'tCXt, KCXÌ 'tÒ A 'tq'> B OÙK à.vayKcxtov· où yàp à.vayKY\ Òtnouv 'tt Ka0EUÒEtv 1ì èyp11yopÉvm. Òµotffiç ÒÈ KCXÌ òtà 'tOOV tuazione che è data per non impossibile: «è possibile» alla 1. 6 non va inteso come possibilità stretta, nel senso di I 13, 32a15 ss., ma come segno meramente di non necessità) e "animale di necessità inerisce ad ogni cavallo", anche buono non inerisce a qualche animale (cioè, qualche animale non è buono), ma non di necessità (v. le analoghe prove per esposizione di termini nei capp. 9-10 e note ad loc.). «Oppure, se si ritenesse che ciò non può darsi, va posto invece un termine come "vegliare" o "dormire">>: sembra che in Aristotele «sia insorto qualche dubbio circa la possibilità che tutti gli animali siano buoni (. ..) quindi egli precisa che 'buono' potrebbe essere sosùtuito da qualche termine che possa chiaramente essere vero di tutù gli animali» (Striker, Arist. Pr. An., p. 124). 157 Si passa ora alle coppie in III fìg. in cui una delle premesse è particolare. Si enunciano qui DatisiNXN e DisamisXNN. 158 Prova di DisamisXNN: posti AixC, BaNC, con la conversione della maggiore si ha in lfìg. BaNC, CixA: BiNA (DarizNXN: v. I 9, 30a37-30bl); la cond. si converte in AiNB.
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Dunque, abbiamo stabilito quando la conclusione è necessaria se i termini si rapportano al medio universalmente. Invece, nel caso in cui l'uno vi si rapporti universalmente e l'altro parzialmente, se entrambi sono predicati positivamente, quando è il rapporto universale a presentarsi necessario anche la conclusione sarà necessaria157 • I La dimostrazione è la stessa di prima, giacché anche il rapporto positivo particolare si converte. Dunque, se B necessariamente inerisce ad ogni C e A è sotto C, B necessariamente inerisce a qualche A. Ma se B inerisce a qualche A necessariamente, anche A inerisce a qualche B necessariamente, giacché il rapporto si converte158 • Lo stesso si dica anche nel caso in cui I fosse necessario A C, purché universale, giacché B è sotto C159• Invece, se è il rapporto particolare ad essere necessario, la conclusione non sarà necessaria. Infatti, poniamo che sia particolare e necessario B C, e che A inerisce ad ogni C, ma non di necessità. Dunque, con la conversione del rapporto B C si viene ad avere la prima figura, con la I premessa universale non necessaria e quella particolare necessaria. Ma abbiamo visto che, quando le premesse si trovano in simili rapporti, la conclusione non è necessaria, sicché non lo sarà nemmeno in questo caso. Inoltre, lo si chiarisce anche a partire da termini concreti. Infatti, poniamo che A sia "veglia", B "bipede", e che C stia per "animale". Dunque, che B inerisca a qualche C è necessario, che A inerisca a I C è possibile, e che A inerisca a B non è necessario: in effetti, non bisogna necessariamente che un qualche bipede dorma o che un qualche bipede sia sveglio 160 • Lo si proverà nello stesso modo e 159 Prova di DatiszNXN: posti AaNC, BixC, con la conversione della minore si ha in I fìg. AaNC, CixB: AiNB (DarizNXN, come sopra). 160 31b20-31: si hanno due prove del fatto che la conci. non è in modalità necessaria con la coppia AaxC, BiNC (cioè le stesse premesse di prima, ma ora è la particolare ad essere necessaria). 1. Per conversione (31b24-27): con la conversione della minore, si ha in I fìg. AaxC, CiNB, di cui si è provato che la conci. non è in modalità necessaria (v. I 9, 30a35-37; 30b 2-6). 2. Per termini concreti (31b27-31): se i dati sono "lo stato di veglia inerisce ad ogni animale" (cioè, tutti gli animali sono svegli, situazione che è data per non impossibile) e "bipede di necessità inerisce a qualche animale", lo stato di veglia inerisèe a qualche bipede (scil.: qualche bipede è sveglio), ma non di necessità.
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a{rtffiv opmv ònx0ftcrc'tat icaÌ ci 'tÒ A I' Etll f:v µÉpE_t 'te icaÌ àvayica'ìov. Eì ò' oµèv icm11yopticòç oòè o'tEpat c1cr1v ai 1tpo'tacrnç f.v 'tép i:mapxnv, 'tou
161 Per provare che la coppia AiNC, BaxC non dà una concL in modalità necessaria si dovrà procedere nei due modi del caso precedente, ovvero: I. con la conversione della maggiore e conseguente produzione di una coppia in I fig. del medesimo tipo; IL con gli stessi termini concreti (ma verosimilmente impiegandoli in un ordine diverso: v. Striker, Arist. Pr. An., p. 124). 162 Enunciazione di FerisonNXN (la prova sarà, come nei casi prece., per conversione della minore: si ha FerioNXN, provato a I 9, 30a37-30b2). 163 La concl. non è in modalità necessaria con le coppie: (a) AexC, BiNC; (b) AoNC, BaxC; (e) A?~C, BaNC. Dove è possibile, cioè per (a), si procederà per conversione (della minore) come nei casi prece. (questo il senso della frase: «per il resto ripeteremo quanto detto nei casi precedenti»). Per (b) e (c), che corrispondono a schemi in Bocardo, non si può procedere per conversione (cfr. I 6, 28b21) e si userà solo la prova per termini indicata subito dopo (v. nota seg.). 164 Le prove per termini concreti relative alle coppie di cui alla nota prec. sono le seguenti, nell'ordine del testo: per (c), se i dati sono "lo stato di veglia non inerisce a qualche uomo" e "animale di necessità inerisce ad ogni uomo", lo stato di veglia non inerisce a qualche animale, ma non di neces-
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con gli stessi termini, poi, anche nel caso in cui ad essere particolare e necessario sia il rapporto A C161 • Invece, se gli estremi sono predicati l'uno positivamente e l'altro p}:ivativamente, quando il rapporto universale è privativo e necessario anche la I conclusione sarà necessaria: infatti, se A non può inerire a nessun C e B inerisce a qualche C, A necessariamente non inerisce a qualche B 162 • Di contro, quando ad essere posto come necessario è il rapporto affermativo, universale o particolare, oppure quello privativo particolare, la conclusione non sarà necessaria. In effetti, per il resto ripeteremo quanto detto I nei casi precedenti163 • Quanto invece ai termini, si vedano: quando il rapporto positivo necessario è universale, veglia/animale/uomo (il termine medio è "uomo"); Il quando il rapporto positivo necessario è particolare, veglia/animale/bianco (infatti, che animale inerisca a qualcosa di bianco è necessario, che lo stato di veglia non inerisca a nulla di bianco è possibile, e che lo stato di veglia non inerisca a qualche animale non è necessario); quando è necessario il rapporto privativo particolare, I bipede/in moVimento/animale (il termine medio è "animale") 164 • [Considerazioni generali sui sillogismi nelle figure con premesse in forma di inerenza e/o necessarie]165 12. È manifesto dunque che non c'è sillogismo avente ad oggetto l'inerire là dove non siano in forma di inerenza entrambe le premesse, mentre ci sono sillogismi aventi ad oggetto l'inerire sità; per (a), se i dati sono "lo stato di veglia non inerisce a nulla di bianco" e· "animale di necessità inerisce a qualcosa di bianco", lo stato di veglia non inerisce a qualche animale, ma non di necessità; per (b), se i dati sono "bipede di necessità non inerisce a qualche animale" e "essere in movimento inerisèe ad ogni animale", bipede non inerisce a qualcosa che è in movimento, ma non di necessità. - 165 I, 12. Si dichiara manifesto che: (1) si ha concl. in forma di inerenza solo se sono tali entrambe le premesse, mentre la concl. può essere in modalità necessaria anche quando una sola delle due premesse è in modalità necessaria; (2) in tutti i casi, almeno una delle premesse dev'essere dello stesso tipo della concl.; (3) senza premesse in forma di necessità o di inerenza, la concl. non può essere né in forma di necessità né in forma di inerenza.
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8' cXVCXYKCXto1) ecrn KCÙ Til necessaria. Sicché è chiaro anche che la conclusione non può essere né necessaria né in forma di inerenza là dove non si sia assunta, vuoi una premessa necessaria, vuoi·una premessa in forma di inerenza. I
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[Quando c'è sillogismo. Indicazioni preliminari sul "possihile"J167
13. Dunque, del necessario, di c()me venga in essere e della differenza che lo separa da ciò che è in forma di inerenza si è forse; parlato a sufficienza; dopo ciò dobbiamo trattare del possibile, e diquando, come e mediante quali c'è sillogismo168. Dico "può" e "il possibile" di ciò che non è necessario ni ne ricavano che il cap. sia stato scritto prima delle sezioni segg. sulle proposizioni possibili: Smith, Arist. Pr. An., p. 124; Striker, Arist. Pr. An., p. 126). 167 I,13. Si determina il significato di "possibile", precisando che: 1) con "possibile" s'intende ciò che non è necessario e, quando si pone che inerisce, non si ha perciò nulla di impossibile (mentre solo per omonimia si dice "possibile" ciò che è necessario); 2)le premesse possibili in questo senso stretto si convertono ciascuna con la premessa che afferma la possibilità opposta; 3) il possibile in senso stretto comprende: (a) ciò che è per lo più o per natura, ma non è necessario sempre o senza soluzione di continuità; (b) l'indeterminato, cioè ciò che può essere in un modo come in un altro, o che avviene per caso. L'indeterminato può essere oggetto di sillogismo, ma non diconoscenza scientifica o di sillogismo dimostrativo; il possibile naturale è oggetto di conoscenza scientifica e sillogismo dimostrativo. Si precisa infine che nel caso (a), che un'affermazione si converta nell'opposta significa che le cose non necessariamente stanno così come detto, nel caso (b) che possono stare indifferentemente in un modo o nel contrario. Si puntualizza il senso di ''A può inerire ad ogni B", tenuto conto che "A può inerire a B" significa vuoi che A può inerire a ciò di cui è detto B, vuoi che A può inerire a ciò di cui può essere detto B. 168 Il piano della sillogistica modale, aperto nel cap. 8, va completato con l'esame dei casi in cui si dà sillogismo quando le premesse sono, una o en-
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µEVOV, o'Ù µft OV'!Oç ÙvayKç ÈÀÉyoµcv. òµo{o:>ç 8è imì cl 'tÒ µÈv A Èv8éxc-cat µf\ÒcvÌ 'tql B, -cò 8È B nav-cì 'tql f, O'tt 'tÒ A Èv8éxem1 µri8cvÌ 'tql r· 'tÒ yàp Ka8' o-Ù 'tÒ B èv8éXc'tat, -cò A µli Èv8éxrn8m, w\h' ~v -cò µri8èv ànoÀctncw 'tOOV unò 'tÒ B Èv8cxoµévo:>v. O'taV 8è 'tÒ A 1tUV'tÌ 'tql B Èv:_ 8éxri-cm, -cò òè B Èv8éxri-cm µriòcvì -cép r, 8tà µÈv -céòv dÀf\µµévo:>v npo'tacrco:>v · o'ÒÒcÌç y{vc'tat cruÀÀoy1crµ6ç, àv'ttcr'tpàtfìç B r Ka'tà 'tÒ Èvòéxrnem y{vt'tat ò au-còç ocrncp npo'tcpov. ÈncÌ yàp Èv8éxc'tat 'tÒ B µri8cvÌ -cép f unapXctV, Èv8ÉXc'tat KaÌ naviì unapxc1v· 'tOU'tO 8' ci'.pf\'tat npo'tcpov. fficr-c' d 'tÒ µÈv B 1tO.V'tÌ 'tql r, 'tÒ 8' A 7tUV'tÌ 'tql B, naÀtv ò a'Ò>tÒç ytvc-cat cruÀÀoytcrµ6ç. òµoto:>ç 8È KaÌ cl npòç ൠcrxfiµcx:n O'tCXV µèv èv8Éxccr0m À.aµp&vcocrtv àµcp6'tepm cx:i npo'tacretç, oùòdç fo-cm cruÀ.Àoyicrµ6ç, ou-re x:m11yoptKffiv ou'te cr-cepT]'ttKéòv 'tt0eµÉvcov, OU'te Ka06ì..ou ou-re Kmà µÉpoç· o'tav òè i) µèv ùnapxeiv i) ò' èv8Éxccr0m cr11µaivn, -cflç µèv Kmcx:cpmtKflç ùnapxeiv cr11µmvoucr11ç oùòÉno-c' fo'tm, -cflç òè O"'tep11nKflç 'tflç Ka06ì..ou àd. 'tÒV CX:Ù'tÒV òè 'tp01tOV KCX:Ì O'tav i) µèv èç avayKT]ç i) ò' èvòÉxecr0m ÀaµpavT]'tcx:t -c&v npo-caO"eCOV. Òel òè Kcx:Ì ev 'tOU'totç À.aµpavnv 'tÒ èv wl:ç cruµnepacrµcx:crtv èvòex6µcvov èbcrnep èv 'tol:ç np6-cepov.
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25 Cfr. quanto affermato all'inizio del cap. Questa sintesi non è priva di problemi (cfr. Mignucci, Arist. An. pr., p. 358), soprattutto perché si distingue fra due casi per cui invece, nelle rispettive trattazioni, si era provata comunque una conci. possibile non in senso stretto, mentre qui si dice che il primo presenta una conci. possibile, senza specifiche (cfr. I 15, 34b19-27 con I 16, 36a8-17). Ciò potrebbe suggerire che per Aristotele ci sia differenza fra l'inerenza possibile in senso lato (che non esclude ma nemmeno comporta la necessità) e l'inerenza generica (che come tale indica anche una possibilità): cfr. Ebert - Nortmann, Arist. An. pr., p. 609. 251 L'affermazione tra quadre è palesemente falsa: nel cap. si è sostenuta e provata l'esistenza anche di sillogismi perfetti. Come segnala Ross (Arist. Pr., ad loc.), l'espressione è simile ad altre poste in chiusura di altri capp. (ad es. I 19, 39al-3): è probabilmente stata riportata qui da un copista non troppo attento. 252 I,17. Si enuncia in sintesi quando c'è e quando non c'è sillogismo con premesse in II fig. di cui una o entrambe siano in forma di possibilità, affermando che: se entrambe sono possibili non c'è mai sillogismo; se sono una possibile e l'altra necessaria o in forma di inerenza, c'è sillogismo se è necessaria o in forma di inerenza la negativa universale. Si prova che una premessa negativa universale non si converte nei tennini (ne sono date tre prove). Si passa quindi all'esame delle premesse in II fig., dove entrambe siano possibili, stabilendo che non c'è mai sillogismo: la prova per conversione e quella per
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Dunque, in base a quanto abbiamo detto è manifesto che, quando i rapporti fra i termini sono gli stessi, I viene ad esserci e non viene ad esserci sillogismo , tanto che si tratti di inerenze quanto che si tratti di inerenze necessarie, senonché, come abbiamo visto, se la premessa privativa è posta come riguardante un'inerenza, oggetto del sillogismo è una possibilità, mentre, se la premessa privativa è posta come riguardante una necessità, oggetto del sillogismo è il poter non inerire come anche il non inerire 250 • [È poi evidente che i sillogismi sono tutti imperfetti I e che vengono perfezionati mediante le figure anzidette] 251 •
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[Quando c'è sillogismo. Conversione delle negative possibili: con due premesse possibili in II figura non ci sono sillogismi]252 17. Nella seconda fi.gura253, quando entrambe le premesse assumano una possibilità non ci sarà alcun sillogismo, siano esse poste come positive o privative, come universali o particolari. Invece, quando una indica un'inerenza e l'altra una possibilità, I se ad indicare un'inerenza è la premessa affermativa non ci sarà mai sillogismo, mentre ci sarà sempre sillogismo se Sm Èv 'tép umxpXEtV, KO:Ì o-Ùwç; tl Ka'tO: 8è r 1tCXV'tÌ f.v8éxrn0m. àvncr'tpacpÉvwç o-Ùv wG ' cP OÈ tÒ B av0pro1toç, Èq>' cP OÈ tò r KuKvoç. tò oii ÀcuKòv KuKVcp µi:v €ç àvayK11ç ù1t&pxn, àv8pro1tcp o' ÉvOÉXEtat µ11ocvi· KO:l av0pro7toç oùoevì KUKWfl €ç àvayK11ç. ott µÈv o'Ùv tou €voÉxrn0m ouK fott O"UÀÀoywµoç, q>O:VEpov· tÒ yàp Éç àvayKllç OÙK nv ÈVOExoµEVOV. CxÀÀÙ µiJv OUOÈ tOU àvayKàloU· tÒ yàp àvayKO:loV fi Éç àµq>otÉprov àvayKairov fi ÈK tT\ç crtEpllttKT\ç cruvÉj)mVEV. Ett OÈ KO:l ÉYXOJPEl tOUtOJV KetµÉvrov tÒ B ti{.> r Ù1tapXEtv · oùoi:v yàp KOJÀUEt tÒ µÈv r Ù1tÒ tÒ B dvm, tÒ OÈ A tip µÈv B 1t0'.Vtl ÉvoÉxrn8m, ti{.> OÈ r Éç àvayK'l'lç Ù1tapxnv, otov d tò µi:v r ctTJ Éyp11yop6ç, tò oi: B sipov, tÒ o' Écp' cP tÒ A KlVTJO"tç. ti{.> µÈv yàp Èyp11yop6tt Éç àv&yKTJç KlVTJO"tç, çcpcp OÈ 1t0'.Vtl ÉVOÉXEtat· KO:l 1tUV tÒ Éypriyopòç sif.>ov. cpo:vc.pòv o-ùv oùoi: tou µ'Ì"J u7t&pxnv, tl'.1tcp outroç ex6vtrov àvayKTJ Ù1tÙ:PXEtv. oÙOÈ Ù'Ì"J t&v àvtt-
ott
278 38al5-26: enunciazione e prove di CesareNPXIP e CamestresPNXJY In entrambi i casi (solo il primo è svolto qui nel dettaglio, ma per il secondo si rimanda a questo) con la conversione nei termini della premessa necessaria si ha uno schema in CelarentNPXIP (provato in I 16, 36a8-17); nel secondo caso bisognerà inoltre convertire la conci. Che la conci. sia di questo tipo è poi confermato per impossibile, cioè, per CesareNPX/P, ponendo in ipotesi BixC (v. 1. 22) e combinandola con la maggiore (si ha FerioNXN, v. I 9, 30bl-2; si ottiene cioè AoNC, impossibile stante la minore); ma così è provata una conci. del tipo BexC, e non già BePC, per i motivi detti in I 16, 36a8-17 (v. nota 239, p. 486). Nel caso di CamestresPNXIP la riduzione all'impossibile procederà ponendo in ipotesi BixC, convertita in CixB (per cui si ha di nuovo Fe-
rioNXN).
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a qualche C; il dato di base, però, I era che può inerire ad ogni . Lo si proverà nello stesso modo anche nel caso in cui il rapporto privativo fosse posto con riferimento a C278 • Si prenda poi il caso·· inverso in cui ad essere necessario è il rapporto positivo, mentre l'altro è possibile, e cioè poniamo che A può non inerire a nessun B, mentre di necessità inerisce ad ogni C. Dunque, se i termini si trovano in tali rapporti non ci sarà alcun sillogismo, I giacché risulta che B di necessità non inerisca a C279• Infatti, poniamo che A sia "bianco", che B stia per "uomo" e e per "cigno": ebbene, bianco di necessità inerisce a cigno, mentre può non inerire a nessun uomo; e uomo di necessità non inerisce a nessun cigno. Dunque, manifestamente non è llii sillogismo che ha ad oggetto una possibilità, I giacché, come si è detto, ciò che è di necessità non è possibile280 • Tuttavia, non sarà nemffieno un sillogismo che ha ad oggetto una necessità, giacché, come si è detto, un rapporto in forma di necessità risulta, o a partire da due premesse entrambe necessarie, o da due premesse di cui sia necessaria quella privativa281 • Inoltre, date tali premesse è· anche ammissibile che B inerisca a C: infatti, nulla impedisce che C sia sotto Be che, d'altra parte, I A possa inerire ad ogni B e di necessità inerisca a e, come nel caso in cui e fosse "sveglio", B "animale" e A stesse per "movimento". Infatti, movimento di necessità inerisce a sveglio, Il mentre può inerire ad ogni animale; e tutto ciò che è sveglio è un animale. Quindi, manifestamente non è neanche un sillogismo che ha ad oggetto una non-inerenza se, stando così i termini, necessariamente inerisce . Né 279 Dicendo non "di necessità risulta", ma solo "risulta" (symbainei) BeNC si sta affermando che "accade, si presenta il caso che". Si sta infatti introducendo una prova per esposizione di termini atta a smentire che in questo caso ci sia sillogismo. 280 Per la distinzione fra necessario e possibile il rimando. è sempre a I 13, 32a18-20. 281 Forse il rimando è a I 10, dove si è stabilito che in Il fìg., con una premessa necessaria e una in forma di inerenza, una conci. in modalità necessaria risulta solo se sono necessarie entrambe le premesse o lo è quella negativa (Ross, Arist. Pr., p. 360): nei termini generali in cui la pone qui, però, Aristotele in realtà non ha mai stabilito tale regola.
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KctµÉvrov Kamcpacrerov, rocr-r' oÙOeÌç fo-rm O"UAAoytaµ6ç, Òµoiroç OÈ onx0ncre'tat KUÌ &.vcii:mA.tv 't'e0efo11ç 't'lìç KU't'UcpanKiìç. 'Eàv o' Òµowcrxf)µoveç Jlcriv ai npo't'acretç, mep'll't'tKIDV µÈv oùcr&v &.eì yive't'at cruA.A.oytaµÒç àvncr't'pacpefo11ç 't'fjç Ka-rà 't'Ò èvoéxw0m npo't'acreroç Ka0anep èv w'ìç np6't'epov. eiA.f)cp0co yàp 't'Ò A -r0 µÈv B èl; &.vayK11ç µl) u7tapxnv, 't'ij) OÈ r èvoéxw0at µ'Ì) umipxeiv· àvncr't'pacpetaéòv o'Ùv 't'IDV 1tp0't'UO"e0)V 'tÒ µÈv B 1'0 A oÙOeVÌ U1tapxet; 't'Ò OÈ A 1tO:V'tÌ 't0 r èvùéxe't'at· yive't'at 81) 't'Ò npéò'tÒV crxlìµ~-. - KCXV d 1tpÒç 1'0 r 't'e0ei11 't'Ò O"'t'eP'll't'tKOV, fficrau~roç. èàv OÈ KU't''llyoptKO:Ì 't'e0&crtv, oÙK fomt cruA.A.oyicrµ6ç. · wu µÈv yàp µ'Ì) unapxnv fì wu èl; àvaYK11ç µ'Ì) u1tapxeiv cpa:vepÒv on oÙK Ea't'at òià 't'Ò µl) dA.iìcp0m , I giacché solo in riferimento all'ultimo termine non produce una conclusione, ma produce una conclusione in riferimento a tutti gli altri: ad esempio, se D è aggiunto ad A B C, sono aggiunte immediatamente anche due conclusioni, quella in riferimento ad A e quella in riferimento a B. E così via per gli altri termini aggiunti. Lo stesso vale anche nel caso in cui si inserisca in mezzo, giacché esso non produrrà sillogismo solo in riferimento ad un termine361 • I Di conseguenza, le conclusioni saranno ben più numerose sia dei termini, sia delle premesse. un termine, questo può inserirsi all'inizio e alla :fine, oppure nel mezzo della sequenza; ad ogni modo, l'aggiunta di un termine comporta l'aggiunta di una premessa, in quanto esso va a combinarsi con uno dei termini già presenti. Quindi, sia i termini sia le premesse aumentano di 1, sicché se prima erano pari diventano dispari e viceversa. L'inserimento di un termine inoltre comporta anche l'aumento del numero delle conclusioni, giacché ogni termine aggiunto porterà a nuove conclusioni in rapporto a ciascuno degli altri termini già presenti, tranne quello cui esso è direttamente collegato nella nuova premessa. Ad es., aggiungere un tennine D ad una coppia di premesse A B e B C, significa combinarlo con uno dei termini già presenti e quindi aggiungere ad es. la premessa C D; in questo modo avremo la concl. A C (da A B + B C), cui si aggiungono la conci. B D (da B C + CD) e la concl. AD (da AB+ B D), ovvero una nuova conclusione o sillogismo per ciascuno dei termini già presenti, tranne C.
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26. 'End ò' éxoµev nepÌ c1v oi cruÀÀoyicrµoi, KaÌ nofov f.v EKUO"'tt:p crxftµan KCCÌ nocraxroç ÒetKVU'tat, cpavepÒv nµ'ìv Ècr'tÌ KCCÌ 1tOtoV npo~Àl\µCC xaì..rnòv 1mì 1totOV eUC1tl.XeiPl\'tOV" 'tÒ µÈv yàp EV 1tÀefo lì Èv 'tép µforp crxfiµcxn. OU'tffiç o' oùoaµ&ç cruA.Àoyicrµ6ç. LilìÀOV OÈ KCXÌ On On:Otcx 'tavEpÒv o-Ùv èç au'trov µÈv 'tOU'tCOV 'téòv èm~ÀÉ 'JfECOV oùòdç yivE'tm auÀÀoyurµ6ç, àvayKTl 8' Et 'tÒ B icaì 'tÒ Z ÈVCIV'tta, 'tCIÙ'tOV 'ttVt dvm 'tÒ B 'tWV icaì 'tÒV O'UÀÀoytcrµòv yiyvw0ai ùià 'tOU'trov. cruµ~aivEt Ù'Ì] 'totç ou'troç èntO"Konoucrt 1tpOO'Ent~ÀÉn:EtV aÀÀllV ÒÙÒV 'tllEt yà.p 'tÒ ()'tEP'fl'tllCOV. èà.v o' EV µÉpEt 6 cruÀÀ.oyicrµ6ç, O'tCXV µÈv 'tÒ ()'tEp'fl'ttKÒV 1tpÒç 'tcp µeiçovt \
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trambi a Feria); 5) i sillogismi in II riconducibili alla III (Festino!Ferison); 6) i sillogismi in III riconducibili alla II (Felapton e Ferison entrambi a Festino). Il cap. si chiude con considerazioni sui casi particolari di Baroco e Bocardo. · 502 Questo cap. chiude la sezione sull'analisi nelle :figg. dei sillogismi già esistenti. Avendo chiarito nei capp. prece. come si individuano le premesse e i termini che le compongono nel linguaggio ordinario, Aristotele si pone qui la questione se, quando il problema in oggetto è di quelli che si possono provare in più :figure (v. sopra, I 26), un sillogismo già analizzato in una :fig. sia analizzabile anche in un'altra. Egli esamina in astratto i casi in cui in generale un modo in una :fig. può, con la conversione, trasformarsi o analizzarsi in un modo in altra :fig. con la medesima conci.: il cap. prende così un tono teorico che ha indotto alcuni a considerarlo un nuovo e diverso tentativo di assiomatizzazione della sillogistica, rispetto all'impostazione dei capp. 4-22 (su questo punto torniamo a p. 628, nota 525). 503 Caso in cui il sillogismo si presenta in Celarent (I :fig.): invertendo l'ordine dei termini della maggiore per conversione, si hanno le due premesse disposte in II :fig., con la stessa conci. (in Cesare).
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logismo può essere ricondotto ad un'altra502 : ad esempio, il sillogismo privativo nella prima figura si può ricondurre alla seconda, o quello nella figura di mezzo alla prima. Ciò non è possibile però in tutti i casi, ma solo in alcuni, come verrà chiarito in quanto segue. Infatti, se I A non inerisce a nessun B e B inerisce ad ogni C, A non inerisce a nessun C. Così, dunque, si tratta della prima figura, ma, qualora il rapporto privativo si converta, si ha la figura di mezzo (infatti, B non inerisce a nessun A e inerisce ad ogni C) 503 • Lo stesso vale anche nel caso in cui il sillogismo non sia universale, ma particolare, ad esempio se A non inerisce a nessun B e I B inerisce a qualche C: con la conversione del rapporto privativo si ha infatti la figura di mezzo504 • Tra i sillogismi nella seconda figura, quelli universali sono riconducibili alla prima, mentre solo uno dei due particolari lo è. Infatti, poniamo A non inerente a nessun B e inerente ad ogni C. I Dunque, con la conversione del rapporto privativo si ha la prima figura (infatti, B non inerirà a nessun A e A inerirà ad ogni C) 505 . Invece, qualora il rapporto positivo sia con riferimento a B e quello privativo con riferimento a C, va posto come primo termine C. Questo infatti non inerisce a nessun A, mentre A inerisce ad ogni B, sicché C non inerisce a nessun B. Pertanto anche B non inerirà a I nessun C, giacché il rapporto privativo si converte5°6 • Invece, nel caso in cui il sillogismo sia particolare, esso è riconducibile alla prima figura quando il rapporto privativo è 504 Caso in cui il sillogismo si presenta in Ferio (I fìg.): invertendo l'ordine dei termini della maggiore per conversione, si hanno le due premesse disposte in II fìg., con la stessa conci. (in Festino). 505 Caso in cui il sillogismo si presenta in Cesare (II fìg.): invertendo l'ordine dei termini della maggiore per conversione, si hanno le due premesse disposte in I fìg., con la stessa concl. (in Celarent). 506 Caso in cui il sillogismo si presenta in Camestres (II fìg.): invertendo fordine dei termini della negativa per conversione, si hanno le due premesse disposte in I fìg., con la stessa conci. (in Celarent). Si tenga conto, come segnala Aristotele nel testo, che in questo caso per ordinare le due premesse in I fig, bisogna ribaltarne l'ordine (per cui l'estremo maggiore diventa Ce B il minore); quindi, dalla coppia CeA, AaB, si ha la conclusione CeB, la quale si converte in BeC (che è la stessa conclusione del sillogismo in Camestres da cui siamo partiti).
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aKpq:>, àvax8ficrc'tm dç -rò rtpéihov, otov d 'tÒ A µ'f1Òcvì 'tcp B, 'tcp òè r nvi· cXV'tlCT'tpacpÉvwç yàp wG CT'tcp'f1'tlKOU 'tÒ rtp&'tOV fo'tm crxfiµa · 'tÒ µèv yàp B oÙÒcvÌ 'tcp A, 'tÒ òè A nvì 'tip f. chav òè 'tÒ KC:X't'f1"{0plKOV, OÙK àvaÀ:u8ficrc'tal, ofov cl 'tÒ A 'tip µèv B 7t, ad esempio se A inerisce ad ogni B, ma nòn ad ogni C: infatti A B non ammette conversione, e anche fatta la conversione non c'è sillogismo508 • I sillogismi nella terza figura, dal canto loro, non sono tutti analizzabili nella prima, mentre tutti quelli nella prima sono analizzabili nella I terza509 • Infatti, poniamo che A inerisce ad ogni B e B a qualche C. Dunque, dal momento che il rapporto positivo particolare si converte, C inerirà a qualche B: d'altra parte si era detto che A inerisce ad ogni B, sicché si viene ad avere la terza figura510 • Lo stesso vale anche in caso di sillogismo privativo: infatti il rapporto positivo particolare si converte, sicché I A non inerirà a nessun B e C inerirà a qualche B511 • Il Solo uno dei sillogismi nell'ultima figura non si analizza nella prima, ovvero quando sia posto il rapporto privativo non universale512; tutti gli altri, invece, si analizzano . Infatti, poniamo che A e B sono predicati positivamente di ogni C: dunque C per conversione I si rapporterà all'uno e all'altro parzialmente; pertanto C inerisce a qualche B. Si ha quindi la prima figura, se A inerisce ad ogni C e C a qualche B513 • Lo stesso discorso vale anche se A inerisce ad ogni C e B a qualche C, perché C per conversione si rapporterà a B514 • Invece, qualora Binene dei termini della minore per conversione, si hanno le due premesse disposte in III fìg., con la stessa concl. (in Datisi). 511 Caso in cui il sillogismo si presenta in Feria (I fìg.): invertendo l'ordine dei termini della minore per conversione, si hahno le due premesse disposte in III fìg., con la stessa concl. (in Ferison). 512 Cioè in Bocardo. 513 Caso in cui il sillogismo si presenta in Darapti (III fìg.): invertendo l'ordine dei termini della minore per conversione, si hanno le due premesse disposte in I fìg., con la stessa concl. (in Darzi). 514 Il caso in cui il sillogismo si presenta in Datisi (III fìg.) è analogo al
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ò CCÒ'tÒç 'A6yoç· àvncr'tpÉ B ùncipl;Et 'tÒ r, iò òè A oÙÒEVÌ 'tcp r, rocr't' fowt µfoov 'tÒ r. òµo1@; ÒÈ K'.CXÌ EÌ 'tÒ µÈv O"'tEPT\'ttKÒV Ka86'Aou, 'tÒ ÒÈ Ka'tT\"(OptKÒV èv µÉpEt. 'tÒ µÈv yàp A oÙÒEVÌ 'tcp r, 'tÒ ÒÈ r nvì 'tOOV B ùrccipl;Et. èàv ò' èv µÉpEt 'Aricp8n 'tÒ O"'ttPT\'ttKOV, OÙK fo'tm àvci'Aucrtç, ofov EÌ 'tÒ µÈv B rcanì 'tcp r, 'tÒ ÒÈ A nvì µi) ùrccipxn· àvncr'tpacpÉvwç yàp wù B [' àµ5 19• -·- . Tra i sillogismi nella seconda :figura, poi, uno dei due si analizza nella terza e l'altro no520 , giacché il sillogismo si analizza quando il rapporto universale è privativo. Infatti, se sono gli stessi che non si analizzavano neanche nella prima, Il e questi, tra i sfilogismi ricondotti alla prima figura, sono i soli che sono ottenuti mediante l'impossibile525 . risultato è provata per impossibile in forza di un sillogismo in I fìg. In sostanza, «13aroco e Bocardo, così come non sono riducibili l'uno all'altro, non sono riducibili alla prima fìgura. A questa essi sono riducibili solo mediante la riduzione all'impossibile» (Mignucci, Arist. An. pr., p. 506). I sillogismi in Baroco e Bocardo, quindi, non sono riconducibili alla I fìg. nel senso che le premesse non sono modifìcabili in modo da confìgurare una coppia in I fìg. Essi, però, si riconducono alla I fìg. nel senso che possono essere provati mediante la I :fìg. (per impossibile). Emergono da qui due significati diversi dell'espressione "ricondurre a" (v. anche Indice dei concetti). Il primo è quello usato in questa terza parte dell'opera, dove si tratta di svolgere nelle figure i sillogismi già fatti (ed in part., in questo cap., di stabilire quando un sillogismo già analizzato in fìg. possa riformularsi anche in una :fì.g. diversa): si parla anche, in tal caso, di «analisi/analizzare nelle fìgure». Il secondo è quello usato nella parte teorica (in partic. I 7) quando si tratta di provare che c'è sillogismo data l)lla coppia di premesse in una certa forma, dove un sillogismo in una :fìg. si riconduce ad un sillogismo in un'altra nel senso che è provato ricorrendo ad esso. Questo passaggio al termine del cap,, pertanto, mal si attaglia alla tesi, sostenuta da Patzig (Aristotle's Theory... cit., pp. 46-47) in linea con tendenze interpretative già antiche, per cui l'indagine del presente cap. sarebbe un tentativo di dare alla teoria del sillogismo un'assiomatizzazione diversa da quella del cap. 7, riconducente tutto alla sola I fìg.: su questo punto, dr. estesamente Striker, Perfection and Reduction... cit., pp. 208-212.
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TI&ç µÈv o'Ùv Oct 'tOÙç O"UÀÀoyrnµoùç àvaynv, KaÌ on àvaÀUc'tCXl 'tà oxftµa'ta cìç aÀÀTJÀa, A, KaÌ 'tÒ E Èv 'tij'> A Ecr'tat. Òµoiroç oè KaÌ EÌ O:'tEpTj'tlKÒç ò O'UAAoytcrµ6ç. Èn:Ì 8è 'tOU OEU'tÉpou crxf\µawç 'tÒ un:Ò 'tÒ cruµn:Épacrµa µ6vov fo'tm cruÀÀoyicracrSm, oiov d -rò A 'tip B µ118evi, 'tcp 8è r n:aV'tl. cruµn:Épacrµa O'tl ou8evì 'tip r 'tÒ B. d 8li 'tÒ il un:ò -rò f fo-ri, cpavepòv on oux un:apxe1 au'tij) 'tÒ B· wl:ç 8' un:ò -rò A on oux un:apxn, ou ofìA.ov 8tà wu cruÀAoytcrµou. Kahot oux un:apxn 'tij'> E, d fonv un:Ò 'tÒ A. à.ÀÀà 'tÒ µèv -rip f µ11oevì un:apxnv 'tÒ B 8tà -rou cruÀAoytcrµou ÒÉÒEtTC'tal, 'tÒ oè 'tij'> A µli un:apxnv àvan:68eiK'tOV elATjn:'tat, rocr-r' ou 81à 'tÒV O'UAAoy1crµòv cruµ~aivet 'tÒ B 'tij'> E µli un:apxeiv. Èn:Ì oè 'tIDV Èv µÉpet -r&v µèv un:o 'tÒ cruµn:épacrµa ouTC fo'tm 'tÒ àvayKatov (ou yàp yive'tat 6 To symperasma di norma indica l'asserto conclusivo, ma qui e alle li. 19, 25, 35, 41 sta invece per il termine conclusivo, quello che sta alla :fine, quindi l'estremo minore (come si vede poi dagli esempi). 7 Si va ora a provare per la I fì.g. quanto appena àffermato sui sillogismi universali in generale. S'inizia con una concl. AB universale affermativa, ottenuta con C come medio. Si ha cioè, in Barbara, AaC, CaB: AaB. Ora: (1) data la conclusione AaB, dove cioè B è contenuto in A, un termine D contenuto in B (cioè che sta sotto il termine conclusivo, o estremo minore) sarà a sua volta contenuto in A: in sostanza, se si conclude che A è predicato di B, A è necessariamente predicato anche di tutti i termini che sono contenuti in o subordinati a B, e ad es., sè si è mostrato che ogni uomo è mortale, si ha
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vato che A non inerisce a nessun B, è necessario che anche B non inerisca a nessun A, ma questo è un dato ulteriore al precedente. Invece, se A non inerisce a qualche B, non è necessario che anche B non inerisca a qualche A, perché potrebbe inerire ad ogni A. I Dunque, questa .è la spiegazione comune a tutti i sillogismi, che siano universali o particolari. Sui sillogismi universali, però, si può dire anche altro. Infatti, il medesimo sillogismo concerne tutte le realtà o che sono sotto il medio, o che sono sotto il termine conclusivo, a condizione che le si sia poste le une nel medio e le altre nel termine conclusivo 6 • Ad esempio, se AB è I la conclusione ottenuta mediante C, è necessario che A si dica di tutti quanti i termini che sono sotto B o sotto C: infatti, se D è in B come in un intero, e B è in A, anche D sarà in A; dall'altro lato, se E è in C come in un intero e C è in A, anche E sarà in N. Lo stesso vale anche se il sillogismo è privativo 8. I Quanto alla seconda figura, invece, è possibile trarre a conclusione esclusivamente ciò che è sotto il termine conclusivo. Si prenda il caso in cui A non inerisce a nessun B e inerisce ad ogni C: la conclusione è che B non inerisce a nessun C9. Ora, è manifesto che, se D è sotto C, B non inerisce ad esso, mentre che esso non inerisca ai termini che sono sotto A non è chiaro grazie al sillogismo. I Però B non inerisce ad E, se questo è sotto A: tuttavia, il fatto che B non inerisca a nessun C è in effetti provato mediante il sillogismo, mentre che esso non inerisca ad A è assunto di fatto senza dimostrazione, sicché non è a causa del sillogismo che risulta il non inerire di B ad E. Invece, per quanto riguarda i sillogismi particolari, I non c'è un risultato necessario concernente le realtà che come risultato anche che ogni re, ci ogni schiavo, è mortale (traggo l'esempio da Crubellier, Arist. Pr. An., p. 314); (2) un termine E contenuto in C (cioè che sta sotto il medio), data la maggiore AaC, è a sua volta contenuto in A (questa seconda tesi è più problematica: v. la nota alla fine del cap.). 8 Si ha, in Celarent, AeC, CaB: AeB. Come nel caso precedente, (1) data la conci., A non sarà detto di un termine D contenuto in B (sotto l'estremo minore); 2) data la maggiore, A non sarà detto di un termine E subordinato a C. 9 L'esempio è in Cesare; vari commentatori, a partire da Waitz, segnalano che applicare il ragionamento a Camèstres è problematico.
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cru.À.À.oy1crµ6ç, o'tav au'tTJ À.TJ µÈv unapxn, Àa~11 µnòevì unapxnv, ci> ÒÈ µTi unapxet, 15 Si passa ora alla seconda tesi del capitolo, quella per cui è possibile conclusione vera a partire da premesse false. La spiegazione logica di tale impossibilità in generale, del tipo di quella fornita per la prima tesi (v. nota precedente), sarà però svolta solo al termine dell'esame dei casi uno per uno, cioè in chiusura del cap. 4. Quello che si va a fare in quanto segue è invece mostrare in quali e in quanti modi, figura per figura, è possibile che si venga ad avere una conclusione vera a partire da premesse false: le presenti enunciazioni generali riguardano i sillogismi universali in I fig., e verranno provate una ad una nei passaggi successivi; nell'ultima parte del cap. ci si occuperà invece dei sillogismi particolari, sempre in I fig. Nel cap. 3 saranno poi studiati caso per caso i modi in II fì.g., e nel cap. 4 quelli in III. In queste prime battute si introduce una distinzione che è decisiva ai fìni di tale indagine, anche se la sua spiegazione si trova solo qualche riga più avanti. Si tratta della distinzione fra proposizioni interamente false (hole pseude) e proposizioni non interamente false (dette anche, nel seguito, parzialmente false: epi ti); si parlerà altresì di proposizioni interamente vere (mentre il riferimento a proposizioni parzialmente vere si può trovare eventualmente in passaggi dubbi dal lato testuale). L'unica ad essere espressamente definita è la prima tipologia di proposizioni: una proposizione è interamente falsa se è vera la contraria (v. infra, 54a4-6). Una proposizione è invece parzialmente falsa «se non è vera la contraria, ma solo la contraddittoria»: tale definizione non è data espressamente da Aristotele, ma «si ricava per implicazione: se una premessa universale è falsa, allora la contraddittoria è vera in ogni caso, ma se non è totalmente falsa, anche la contraria è falsa» (M. Mariani, Presentazione a N.
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Al contrario, a partire da premesse false è possibile trarre a conclusione una verità, sia quando sono false entrambe, sia quando lo è una sola (se però si assume interamente falsa, non sarà una delle due premesse a caso, ma la seconda; invece, se è assunta non interamente falsa, è I indifferente di quale delle due premesse si tratti) 15 • Infatti16 , poniamo che A è inerente a C nella sua interezza, ma che non inerisce a nessun B e che B a sua volta non inerisce a C. Ciò è possibile: ad esempio, animale non inerisce a nessuna pietra e pietra non inerisce a nessun uomo. Dunque, qualora venga assunto che A inerisce ad ogni Be B inerisce ad ogni C, A inerirà ad ogni C, sicché la conclusione ottenuta a partire da due premesse entrambe false sarà vera, I dato che ogni uomo è animale 17• Lo stesso vale anche per la conelusione privativa. Infatti, è possibile che A e B non ineriscano a nessun C e nondimeno A inerisca ad ogni B, come nell'eventualità in cui, assunti gli stessi termini di prima, si ponga quale medio "uomo": infatti, né animale né uomo ineriscono ad alcuna pietra, e però animale inerisce ad ogni uomo. Quindi, qualora I si assuma che non inerisce a nulla di quello a cui in realtà inerisce, e che t
tÒ µévrnt B >ttvÌ >tip r, ofov >tÒ yévoç >t
tiì Ùtmpop~ · >tÒ yàp çipov nav>tì àv0pronq:i KaÌ 1ttTJç >tfìç ù' hépaç àì..TJ0ouç, Kaì >tfìç µÈv àì..TJ8ouç >tfìç 0' ÈV µÉpet 'lf€UÙOUç, KaÌ aµ, KCX.Ì 'tÒ KCX.ÀÒV 'ttVÌ µeyaÀq> ùnapxeiv. Éàv o.\Sv ÀTJcpSiì 'tÒ A 1tCX.V'tÌ 'tép B KaÌ 'tÒ B 'ttVÌ 'tip r, l) µÈv A B np6'tcx.crtç Éni n 'lfeUÒÌ"]ç fo'tat, i\ oÈ B r ÙÀT]8fiç, KCX.Ì 'tÒ cruµnÉpcx.crµcx. ÙÀT]8Éç. oµoiroç OÈ KCX.Ì CT'tep11rnciìç oucrriç 'tfìç A B 1tpO'tcXCTeCùç. oi yàp CX.Ù'tOÌ opot foovmt 1mì cDCTCX.U'tCùç KetµeVOt npòç 'tÌ"]V àn68eiçtv. ITaÀtv ei Ti µÈv A B ÙÀT]8Ì"]ç Ti oÈ B r \jff.UÒ{jç, àA.ri0èç E µÈv 1tCX.V'tÌ µÉÀavt OÈ nvi, KUKVoç OÈ oùoi:.vì µÉÀCX.Vt. rocr't' d ÀT]cp0i:.i11 1tCX.V'tÌ 'tcp B 'tÒ A KCX.Ì 'tÒ B nvì 'téfl r, ÙÀT]8Èç Ecr'tat 'tÒ cruµnÉpaaµa 'fleUOouç ovwç 'tOU B r. oµoiroç OÈ imì. cr'ti:.prinKflç Àaµ~avoµÉVT]ç 'tfìç A B npo'tacrEroç. hxropi:.'ì yàp 'tÒ A 'tip µÈv B µT]Òi:.vì 'tép ÒÈ r nvì µÌ"] unapxi:.tv, 'tÒ µÉv'tot B µrioi:.vì 'tép f, ofov 'tÒ yÉvoç 'tép èç aÀÀou yÉvouç i:.l'.On KaÌ 'tép cruµ~f.~TJKO'tt w'ìç aÙ'tOU i:.l'.Owt · 'tÒ yàp çcpov Ùpt8µcp µÈv oùoi:.vì un&pxn ÀeuKép OÈ 'ttvl, 6 o' Ùpt8µòç oùoi:.vì Ài:.uKcp · èàv o.\Sv µfoov 'te01ì àpt8µ6ç, KaÌ ÀT]cp01ì 'tÒ µÈv A µT]Of.VÌ 'tcp B, 'tÒ OÈ B 'ttVÌ 'tcp r, 'tÒ A 'ttVÌ 'tip r oùx ùn&pçi:.1, oni:.p ~v ÙÀT]0Éç · KaÌ Ti µÈv A B np6mcrtç
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mine, e venisse assunto che A inerisce a B nella sua interezza e B inerisce a qualche C, la premessa A B sarà interamente falsa, la premessa B C vera, e la conclusione vera. Lo stesso vale anche in caso di premessa A B privativa: infatti, è possibile che A inerisca a B nella sua interezza e non inerisca a qualche C, e nondimeno I B inerisca a qualche C: ad esempio, animale inerisce ad ogni uomo e non consegue a qualcosa di bianco, ma uomo inerisce a qualcosa di bianco; di conseguenza, posto "uomo" come termine medio, là dove venisse assunto che A non inerisce a nessun B e B inerisce a qualche C, la conclusione sarà vera nonostante la premessa AB sia interamente falsa. I La conclusione può esser vera anche in caso di premessa A B parzialmente falsa. Infatti, nulla impedisce che A inerisca a qualche B e a qualche C, e poi B inerisca a qualche C: ad esempio, animale inerisce a qualcosa di bello e a qualcosa di grande, e anche bello inerisce a qualcosa di grande. Dunque, qualora venga assunto che A inerisce ad ogni B e B a qualche C, li la premessa AB sarà parzialmente falsa, la premessa B C vera, e la conclusione vera. Lo stesso vale anche in caso di premessa AB privativa: infatti, per la dimostrazione i termini saranno gli stessi e saranno dati allo stesso modo. Nel caso inverso, cioè se A B I è vera e B C falsa, la conclusione può esser vera. Infatti, nulla impedisce che A inerisca a B nella sua interezza e inerisca a qualche C, e poi B non inerisca a nessun C: ad esempio, animale inerisce ad ogni cigno e a qualcosa di nero, ma cigno non inerisce a nulla di nero. Di conseguenza, là dove venisse assunto che A inerisce ad ogni B e B a qualche C, I la conclusione sarà vera pur essendo B C falso. Lo stesso vale anche quando è assunta la premessa A B privativa. Infatti, è possibile che A non inerisca a nessun Be non inerisca a qualche C, e nondimeno B non inerisca a nessun C. Si pensi al genere rispetto alla specie di un altro genere e rispetto all'accidente delle sue proprie specie: in effetti, animale I non inerisce a nessun numero e inerisce a qualcosa di bianco, ma numero non inerisce a nulla di bianco; dunque, qualora sia posto "numero" come termine medio, e venga assunto che A non inerisce a nessun B e B inerisce a qualche C, A non inerirà a qualche C, e questo effettivamente è vero, come detto; e la premessa A B sarà vera, B C falsa. La conclusione
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ÙÀ:ri0fiç, 8È B r "\j/tu8ftç. 1mì Et e1tt 'tt 'lfeU8nç A B, "\jfeu8nç OÈ KUÌ B r, fomt 'tÒ 0uµm~pa0µa ÙÀ.T)0É.ç ..où8Èv yàp KOlÀ.Uet 'tÒ A -r:ép B nvì KaÌ 'tép r nvì unapxetV é.Ka-r:épcp, -r:Ò OÈ B µT)OevÌ -r:ép f, ofov d èvav-r:iov -r:Ò B -r:ép f, aµcpro 8È cruµ~e~T)KO-r:a 'tép aù-r:ép yévet · -r:Ò yàp s0ov nvÌ À.eUKép KaÌ 'ttVÌ µÉÀ.aVt U1tcXpXEt, À.tuKÒV 8' OÙ8eVÌ µÉÀ.aVt. èàv o'Ùv À.T)cp0'fì 'tÒ A nav-r:Ì -r:ép B KaÌ 'tÒ B 'ttVÌ 'tép r, ÙÀ.T)0Èç fo-r:m -r:ò 0uµnépa0µa. KaÌ 0-r:i::p11nKflç ÙÈ À.aµ~avo µÉvT)ç -r:lìc; A B cbcrau-r:roç. oi yàp aù-r:oì opot KaÌ cbcmu'tmç -r:i::Sftcronm npòç -r:Tjv àn68i::tçw. KaÌ àµcpo'tÉprov 8È "\jftu8éòv oùcréòv fomt 'tÒ 0uµnépa0µa ÙÀ.T)0éç · èyxrope'ì yàp -r:ò A -r:ép µÈv B µT)OEVÌ -r:0 OÈ r nvì Uicapxnv, 'tÒ µévwt B µT)8evÌ -r:ép r, ofov 'tÒ yévoç 'tép èç aÀ.À.ou yévouç EÌ'.Oet K B Ka.Ì 'téj> r 1taV'tÌ unapxnv, 'tÒ µÉV'tOl B µri8cvÌ 'tip r,. ofov. 'tÒ yévoç 'tOtç µ'Ìl U1t' aÀÀflÀCX. c'LOCO"tv. 'tÒ yà,p séj>ov KCX.Ì l1t1tq:l 1tCX.V'tÌ Ka.Ì àv0pO:mq:i, KCX.Ì où8dç av0pffi7tOç Ynnoç. Éàv o'Ùv Àflcpen 'téj> µÈv na.v'tì 'téj> 8è µri8cvì ùnapxnv, ii µÈv oÀri 'JfcUÙÌ'Jç fo'ta.t ii 8' oÀfl àJ..ri0-ftç, Ka.Ì 'tÒ cruµnépa.crµa àJ..ri0èç
32 Questo passaggio è soppresso da Ross (e con lui in genere dai commentatori successivi) perché i casi indicati non vengono esaminati come tali nel seguito, e inoltre le espressioni "assolutamente vera" e "parzialmente vera" non ricorrono mai altrove nei capp, 2-4: la seconda espressione, peraltro, sarebbe equivalente a «parzialmente falsa», sicché il passaggio risulterebbe una ripetizione rispetto a quanto indicato alle ll. 5-7. Ross propone inoltre l'esprmzione di holes alla 1. 6, perché in· tal modo l'eventualità indicata da Aristotele (una premessa vera e una falsa) comprende tutte le situazioni esaminate nel corso del capitolo. Una strenua difesa dell'autenticità del brano, ed in particolare dell'espressione oè r µTlÒtvt, aµcpco µÈv ai 1tpO'tacrnç È1t{ n "\jfEUOe'ìç, 't:Ò oè cruµ7t€pacrµa. aA.110€ç. 6µ01.coç OÈ KCXÌ µmX'te0etaT]ç 'tfìç avcpòv oÈ icaì faì 'trov èv µ€pn cruA.A.oywµ&v · oùOÈv yàp KCOÀ:un 't:Ò A 'téì> µÈv B TCCXV't:Ì 'tép 8è r 'tlVÌ Ù1tapxnv,
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36 Si passa ora a provare, sempre nel consueto modo, che la conclusione in Camestres e in Cesare può essere vera con una premessa parzialmente falsa e una interamente vera: in questa dimostrazione (il. 55b23-38), primà vie' ne considerato il caso in cui la premessa parzialmente falsa è quella negativa; e in un secondo momento il caso in cui la premessa parzialmente falsa è ii:t' vece quella affermativa. Si noti che "scambiare di posto la privativa" (allell 55b30, 56a4) significa porre come negativa la maggiore anziché la minore o viceversa, ovvero passare a considerare una combinazione in Cesare anziché in Camestres o viceversa. . 37 Qui Aristotele trascura di menzionare il caso in Cesare accanto a quello in Camestres: v. Filopono, In An. Pr., p. 405, 7-8. .. 38 Si passa ota a provare, sempre nel consueto modo, che la conclusione in Camestres e in Cesare può essere vera con due premesse parzialmente false.
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quale è posto il rapporto privativo. Ancora36 , anche nel caso in cui una premessa sia parzialmente falsa e l'altra interamente vera. È possibile infatti che A I inerisca a: qualche B e ad ogni C, e nondimeno B non inerisca a nessun C: ad esempio, animale inerisce a qualcosa di bianco ed inerisce ad ogni corvo, e bianco non inerisce a nessun corvo. Dunque, qualora venga assunto che A non inerisce a nessun B e inerisce a C pella sua interezza, la premessa A B sarà parzialmente falsa, A C interarriente vera, e la conclusione vera. I E lo stesso vale anche ~-e il rapporto privativo è scambiato di posto, perché la dimo~trazione si.effettua mediante gli stessi termini. Ancora, anche riel caso in la premessa affeririativa sia parzialmente falsa e quella privativa interamente vera. Infatti, nulla impedisce che A inerisca a qualche B e non inerisca ì{C nella sua interezza, e che Ba sua volta non inerisca a nessun C: ~d e~empio, animale irierisce a qualcosa di bianco e non ineri~td I a nessuna pece, e anche bianco non inerisce a nessuna: pece. Di conseguenza, qualora venga assunto che A inerisce a B nella sua interezza e non inerisce a nessun C, la premessa AB sarà parZialmente falsa, A C interamente vera, e la conclusione sarà vera37• Ailfora38 , è possibile che la conclusione sia vera anche nel caso in cui entrambe le premesse siano parzialmente false. Infatti, è possibile che A I inerisca sia a qualche B sia a qualche C, ma B non inerisca a nessun C: ad esempio, animale inerisce sia li a: qualcosa di bianco. sia a qualcosa di nero, ma bianco non inerisce a nulla di nero. Dunque, qualora venga assunto che A inerisce ad ogni Be non inerisce a nessun C, ambedue le premesse saranno parziàlmente false, ma la conclusione sarà vera. Lo stesso vale anche sela premessa privativa è scambiata di posto, mediante gli stessi termini: I ·..... È poi manifesto che le cose stanno così anche per i sillogismi particolari39• Infatti, nulla impedisce che A inerisca ad ogni Be a
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39 Si passa da qui a considerare i sillogismi particolari: nel caso della II fig.:sitratta quindi delle combinazioni in Festino e in Baroco. L'analisi si svolge nel modo consueto (si confrontino le note a II 2, 53b26·54b16) e procede provando che la conci. può essere vera, in Festino e poi in Baroco, nell'or-
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KaÌ -r:Ò B -r:ép r nvì µTj unapxttv, oiov çqiov nav-r:ì àv8pcùncp ÀtUKcp ÙÈ 'ttVt, av8pomoç ÙÈ 'ttVÌ ÀeUKcp OÙX Ùnapsct. f.àv o'Ùv -r:cSil -r:Ò A -r:ép µèv B µTjÙcvÌ Ùnapxctv -r:ép ùè f nvì ùnapxnv, ii µèv Ka86Àou np6mcrn; oÀTJ 'lfCUÙTJç, ii ù' èv µÉpct ÙÀTJ8fiç, KaÌ -r:Ò c:rnµnÉpacrµa à.Àti8Éç. còc:m{moç ùè Ka.Ì Km:acpanKlìç Àaµ~avoµÉvTJç -r:fiç A B · èyxropct yàp -r:ò A -rép µèv B µTjÙcVÌ -r:ép ùè r nvì µl) ùnapxctv, Ka.Ì 'tÒ B -r:ép r nvì µl) ùnapxttv, oiov -rò çqiov oùùcvì àv6xcp, ÀcuKép ùè nvi, Kaì -rò a'l'uxov oùx ùnapsn nvì ÀcuKép. èàv o'Ùv -rc8n -rò A 'téj) µèv B nmi-rì -rép ùè r nvì µl) ùnapxnv, ii µèv A B np6-racnç, ii Ka.86Àou, oÀTJ \jicuùfiç, ii òè A r ÙÀTJ8fiç, Ka.Ì -rò auµnÉpaaµa ÙÀTJ8Éç. Ka.Ì 'tf\ç µèv Ka86Àou ÙÀTJ8ouç 'tc8ciariç, 'tfjç ù' Èv µÉptt 'lfcuùouç. oùùèv yàp KffiÀUct 'tÒ A µfi'tc 'tcp B µfi'tc -réj) r µTjÙcvÌ enca8m, 'tÒ µÉvWt B nvì 'tcp r µl) ùn&pxnv, otov çcpov oÙÙcVÌ àpt8µéj) oùa'. 4'1'uxcp, Ka.Ì o àpt8µòç nvì à'lflixcp oùx f1tc'tat. Mxv o'Ùv 'tc8n -rò A 'téj) µèv B µTJÙcvÌ 'tcp ùè r nvi, -r:ò µèv cruµnÉpacrµa fomt ÙÀTJ8èç KaÌ ii Ka86Àou np6-rwnç, ii ù' Èv µÉpn 'lfcuùfiç. Ka.Ì KawcpanKlìç ùè 'tfjç Ka.86Àou n8cµÉVTJç còaau'tffiç. f.yxropct yàp 'tÒ A KUÌ -réj) B KUÌ -r:éj) r oÀcp Ùnapxcw, -rò µÉvwt B nvì -rép r µl) lfnrn8m, oiov -r:ò yÉvoç -réj) ei'.òet KUÌ -ri1 Ùtacpop~ · 'tÒ yàp çcpov 1tavcpÒV ÙÈ KaÌ O'tt ÈS Ùµcpo-r:ÉpffiV "\jfcUÒffiV fo-rm -rò cmµnÉpaaµa ÙÀTJ8Éç, e1nep ÈvÙÉXEW.t -r:ò A K:a.Ì -rép B Ka.Ì -rép r oÀcp Ùnapxctv, 'tÒ µÉvwt B nvì -réj) r µ~ rnca8m. ÀTJcp8Évwç yàp wu A -rép µèv B µTjÙCVÌ -r:éj) ùè r 'ttVÌ
rom'
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dine: 1. con una premessa interamente falsa e l'altra vera (56a5-18); 2. con.la premessa universale vera e la particolare falsa (56a18-32); 3. con due premesse entrambe interamente false (56a32-b3).
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qualche C, e Ba sua volta non inerisca a qualche C: ad esempio, animale inerisce ad ogni uomo e a qualcosa di bianco, ma uomo non inerirà a qualcosa di bianco. Dunque, qualora venga posto ~he A non inerisce a nessun B e I inerisce a qualche C, la premessa universale sarà interamente falsa, quella particolare vera, e la conclusione vera. Lo stesso vale anche quando è assunta la premessa A B affermativa. Infatti, è possibile che A non inerisca a nessun B e non inerisca a qualche C, e B a sua volta non inerisca a qualche C: ad esempio, animale non inerisce a nessun essere inanimato e I inerisce a qualcosa di bianco, e anche essere inanimato non inerirà a qualcosa di bianco. Dunque, qualora venga posto che A inerisce ad ogni .B e non inerisce a qualche C, la p~emessa A B, cioè quella universale, sarà interamente falsa, la premessa A C vera, e la conclusione vera. Ancora, anche quando è posta la premessa universale vera e la premessa particolare falsa. Infatti, nulla I impedisce che A non consegua né a nessun B né a nessun C, e nondimeno B non inerisca a qualche C: ad esempio, animale non inerisce né a nessun numero né a nessun essere inanimato, e numero non con~egue a qualche essere inanimato. Dunque, qualora venga posto èheA non inerisce a nessun Be inerisce a qualche C, la conclusione e la premessa universale saranno vere, mentre la premessa particolare sarà I falsa. E lo stesso vale anche quando è posta la premessa universale affermativa. Infatti, è possibile che A inerisé:~ !à B nella sua interezza e a C nella sua interezza, e nondimeno B non consegua a qualche C. Si pensi al genere rispetto alla spede. e. alla differenza: in effetti, animale consegue ad ogni uomo e. consegue a pedestre nella sua interezza, ma uomo non consegue ad ogni pedestre. Di conseguenza, qualora venga assunto che !\.' Iinerisce a B nella sua interezza e non inerisce a qualche C, la premessa universale sarà vera, quella particolare falsa, e la conclusione vera: ;;/In'fìne, è manifesto che anche a partire da premesse entrambe fli}se è possibile che la conclusione sia vera, poiché è effettivarrìente possibile che A inerisca sia a B sia a C nella loro interezza, ~:.nondimeno B non consegua a qualche C. I Infatti, una volta assunto che A non inerisce a nessun B e inerisce a qualche C, le
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unapxnv, cxi µÈv 1tpO'tacrw; àµq>O'tepm 'lfEUOEtç, 'tÒ OÈ cruµnépacrµa àÀ:r18éç. oµoicoç OÈ 1mì K OÈ r 1tCXV'tl €necr9m, KCXÌ 'tÒ B nvì 'ti?> r µfi unapxnv, oiov çqiov €nwTflµn µÈv oùoeµiç: &:v9pamcp OÈ 1tCX.V'tl Ene'tat, ii o' €1ttcr'tfiµTJ où 1tCXV'tl &v9promp. èàv o-Ùv ÀTJcp9ft 'tÒ A 'ti?> µÈv B oÀcp unapxeiv, 'ti?> oÈ f nvì µfi €necr9m, a.i µÈv npo'tacretç 'lfCUOEtç, 'tÒ oÈ cruµnépa.crµa àÀ.ri9éç.
4. "Ecr'tm OÈ Km EV 'tCJ) ecrxa'tcp crxfiµan Oià 'lfEUÒ&v 5
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ÙÀTJ9éç, 1mÌ Ùµa'ttKflç oucrnç. èyxcopci yàp 'tÒ µÈv B µnùi::vì 't B µ'Ì'j umipxnv, olov 'tÒ µÉÀ.av oùùi::vì KUKVCfl, ç B oùx umipçn. KaÌ 'tÒ µÈv cruµ7tÉ.pacrµa àÀ.n8É.ç, aì ÙÈ 7tpo'tacrnç 'lfeuùi::l:ç. Kaì ti è1ti n éKmÉpa 'lftuÙfiç, fowt 'tÒ cruµ7tÉ.pacrµa ÙÀ.T\8Éç. oÙÙÈv yàp KCOÀ.Uet KaÌ 'tÒ A KaÌ 'tÒ B 'ttvÌ 't(j) r imapxnv, KaÌ 'tÒ A nvì 't. èàv o'Ùv 'te8'fì 'tÒ A KaÌ 'tÒ B 1tUV'tÌ 't µ'h U7tapxetv, KaÌ 'tÒ A nvì 'téi) B Ù7tapxttv, ofov KU'KVq> 7tav'tÌ çéi)ov, µÉÀav 8' ou8evÌ KUKVq>, KaÌ 'tÒ µÉÀav Ù7tapxet nvì çcPq>. mcr't' av P..11cp0ft 'tÒ A 1mì 'tÒ B nav'tÌ 'téi) r Ù7tapxttv, 1Ì µÈv B r OÀTj à.ÀTJ0ftç, 1Ì 8È A r OÀTj 'lfCUÒfjç, KaÌ 'tÒ cruµnÉpacrµa à.ÀT)0Éç. oµotroç 8È KaÌ 'tftç A r À.Tjcp0etcrT)ç à.ÀT)0ouç. 81à yà.p 'tWV a'Ìnffiv oprov 1Ì à.7t68et/;1ç. n&A.w tflç µÈv oÀTJç à.ÀTJ0ouç oucrTJç, tflç 8' èni n 'lfeU8ouç. èrx(l)pet yà.p 'tÒ µÈv B nanì 'téi) r Ù7tapxttv, 'tÒ 8È A nvi, Kaì 'tÒ A nvì 'téi) B, ofov 81.nouv µÈv 7tav'tÌ à.v0pro7tq>, 1caÀÒv 8' ou 7taV'tt, imì 'tÒ KaÀòv nvì 8ino81 fotapxtt. èà.v o-Ùv ATJcp0ft Kaì 'tÒ A Kaì 'tÒ B oÀcp 1:0 r Ù7tapxttv, ii µÈv B r oÀ.TJ à.ÀTJ8ftç, ii 8~ A r èni 't1 'lfeU8ftç, 'tÒ 8è cruµ7tÉpacrµa Ò:ÀT)8Éç. oµotroç ÒÈ KaÌ 'tftç µÈv A r à.ÀT)0ouç tflç OÈ B r èni n 'lfeU8ouç Àaµf3avoµÉvT)ç · µe'ta'te0ÉV't(l)V yà.p 'tWV a-Ò'tffiv oprov fo'tm 1Ì àn68et/;tç. KaÌ 'tftç µÈv cr'tepTJnKftç tflç ÒÈ KamcpanKftç ou(JT)ç. èneì yà.p èrxropi:'ì 'tÒ µÈv B oÀq> 'téi) T ÙKapxttv, 'tÒ 8è A nvi, KaÌ O'tav OU't(l)ç Exrocrtv, ou nav'tÌ 'téi) B 'tÒ A, èàv o-Ùv À.Tjcp0ft 'tÒ µÈv B oÀq> 'téi) r ùnapxttv, 'tÒ 8è A µT)Òi:vi, ~ µÈv cr'tepTJnJC'Ìl È.7tt n 'lftu8ftç, Ti 8' hépa oÀTJ ÙÀTJ°'hi; KaÌ 'tÒ cruµnÉpacrµa. naÀiv èn;eì 8É8etlC'tCX1 on 'tOU µÈv A µTj8evÌ. ùnapxovwç 'téi) r, 'tOU 8è B 't1Vt, È."fX{l}pet 'tÒ A nvì. 'téi) :B µ'h U7tapxetv, cpavepÒv on KaÌ 'tftç µÈv A r OÀTjç ÙÀTj0ouç OU(JTjç, tflç 8È B r è7tt 't1 'lfEU8oùç, èyx(l)pet 'tÒ cruµnÉpacrµa 46 Aristotele passa ora a provare che, prima in Darapti (57a10-15, 15-18) e poi in Felaptòn (57a18-23, 23-28), si può ottenere conclusione vera con la magc giare parzialmente falsa e la minore interamente vera, e viceversa con la maggiore interamente vera e la minore parzialmente falsa. · 47 «poiché si è già provato»: il riferimento non è chiaro. Che si sia già provato che A può non inerire a qualche B quando A non inerisce a nessun C e B a qualche e, è un riferimento più probabilmente a 57al-5 che non alla prova di Felapton in I 6, 28a26-30: in questo secondo caso, infatti, si prova che, date tali premesse, A deve netessariamente non inerire a qualche B, e non, come invece è asserito qui, che A può n:on inerire a qualche B. In 57al-5 Aristate-
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zione saranno gli stessi Il [nero-cigno-inanimato]. Ma lo stesso varrebbe anche se fossero assunte entrambe le premesse affermative. Infatti, nulla impedisce che B consegua ad ogni C, che a C nella sua interezza non inerisca A, e poi A inerisca a qualche B: ad esempiD; animale inerisce ad ogni cigno, nero I non inerisce a nessun cigno, e nero inerisce a qualche animale. Di conseguenza, qualora venga assunto che A e B ineriscono ad ogni C; la premessa B C sarà interamente vera, A C interamente falsa, e la conclusione vera. Lo stesso vale anche quando è assunta la premessa A C vera: la dimostrazione si svolge infatti mediante gli stessi termini. ,. Altro caso: quando una· premessa è interamente I vera e l'altra parzialmente falsa. Infatti46 , è possibile che B inerisca ad ogni C, A a qualche C, e poi A a qualche B: ad esempio, bipede inerisce ad ogni uomo, bello non· inerisce ad ogni uomo, e bello irierisce a qualche bipede. Dunque, qualora venga assunto che A e B ineriscono a C nella sua interezza, la premessa B C sarà interamente vera, I A C parZi.alfilente ·falsa, ma la conclusione vera. Lo stesso vale anche se sono assunte la premessa A C vera e la premessa B C parzialmente falsa: infatti, scambiati di posto gli stessi termini , si avrà la dimostrazione. Ed anche quando una premessa è privativa e l'altra affermativa. Infatti, dato che è possibile che B inerisca a C hella sua interezza e A I a qualche C, e che, quando i rapporti fra i termini sono questi, A non inerisca ad ogni B, qualora dunque vénga assunto che B inerisce a C nella sua interezza e A non inerisce a nessun e, la premessa privativa sarà parzialmente falsa, l'altra interamente vera e così la conclusione. Viceversa, poiché si è gfa provato che, quando A non inerisce a nessun C e B inerisce a qualche C, è possibile che A I non inerisca a qualche B, è manife~to che la conclusione può esser vera: anche quando è interamente vera la premessa A C ed è parzialmente falsa B C 47 • Infatti, qualora Ie·presenta un esempio per cui le premesse hanno la stessa forma e gli stessi-"valori di verità" considerati in questo caso, e A inerisce a qualche B: «se intendiamo quest'ultima in quanto conclusione strettamente particolare ('ad alcuni e non ad altri'), l'esempio può servire» anche in questo caso (Smith, .tlrist, Pr. An., p. 189).
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dvm à/..:118Éç. F.àv ràp A:r1cp8ft 'tÒ µÈv A µTjÒcvÌ 'tép f, 'tÒ 8È B nav'ti, ii µÈv A f oÀTJ ÙATJ8fiç, 1Ì 8È B f F.ni n 'lfcuòfiç. avcpòv ÒÈ KCXÌ E1tÌ 'tOOV EV µéptt cruÀÀO"{lO"µ&v on mxv'troç fo'tm 81à \jfcu8&v ÙÀTJ8éç. oi ràp aU'tOÌ opot ÀTj1t'tÉot KaÌ omv Ka86A.ou q, in base ai nessi illustrati al p.to 1, avremmo tale sequenza: se •q ___. 'P e •P ___. q (v. r al pt.o 1), allora •q ---> q (se "B non è grande" ---> "A non è bianco" e "A non è bianco" ---> "B è grande", allora "B non è grande" ---> "B è grande"). L'osservazione finale «risulterebbe che, se B non è grande, è grande, come se fosse mediante tre termini» si riferisce al fatto che al p.to 3 si tratta di trasporre le proposizioni in oggetto secondo lo schema delineato al p.to 1: dunque, in quest'ultimo passaggio «ci sono solo due termini, A e B, ma il risultato è lo stesso che se ce ne fossero' tre -'-- poiché B è preso due volte - e ci si servisse del sillogismo ipotetico ABC indicato alle 11. 6-9» (Tricot, Org. III, p. 233). Va fatto presente, riguardo àll'argomento per assurdo proposto qui da Aristotele, che la sua validità logica è stata decisamente messa in discussione da Lukasiewicz (Aristotle's Syllogistic cit., p. 49): una difesa dell'argomento viene tentata da Smith (Smith, Arist. Pr. An., pp. 190-191), spostando il fuoco del ragionamento aristotelico dàl tema della consequenzialità logica a quello della spiegazione e della causalità (il punto sarebbe rilevare l'assurdità di dire che p e 'fJ siano la spiegazione di q: nell'es. aristotelico, si arriverebbe a dire che la ragione per cui B è grande è che B non è grande, ovvero che •q spiega q) . . , 50 II, 5. Tema del cap. è la prova circolare in I fig. Si fornisce anzitutto ia definizione di prova circolare, o reciproca: questa consiste nel provare una delle due premesse di un precedente sillogismo mediante la conclusione e l'inversa dell'altra premessa. Si afferma in generale che è possibile prova circolare di tutte le proposizioni coinvolte solo se si tratta di termini che si convertono gli uni con gli altri. Si passa quindi a trattare in dettaglio i sillogismi in I :figura. Se si tratta di termini A B C che si convertono tutti l'uno con 1'altro, in Barbara è possibile prova circolare per tutte le proposizioni coinvolte, comprese le inverse delle premesse e della conclusione.
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E1Epav À.a.B6v1a n:p61ac:nv cruµn:Epavacr0m 1i\v À.omf)v, ~v ÈÀ.aµBavEv Èv Smépcp cruÀ.À.oytcrµ B un:&pxet, À.aBcòv 1ò µèv A 1 B [KaÌ 1ò A 1 OEt OE'ìçm un:&pxov, EÌ À.a~Ol 1ò A KCX'tà 'tOU ~V cruµn:Épacrµa, 1ò oè B KCX1Cx 'tOU A un:&pxciv. n:p61cpov o, ÈÀ.fj-
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71 Nel caso di Baroco (58b29-33), per provare circolarmente la particolare si potrà procedere semplicemente assumendo l'inversa della maggiore (BaA). Aristotele mostra poi (58b33-38) che nel caso di Festino (AeB, AiC: BoC) bisogna invece ricorrere ad un espediente analogo a quello già impiegato per provare circolarmente la minore in Celarent (v. II 5, 58a21-35 e nota ad loc.) e in Ferio (v. II 5, 58b6-12). Per capirci, si seguirà un procedimento di questo tipo: (Box --> Aix), ma BoC (che è la concl. del sillogismo iniziale), quindi AiC (che corrisponde alla minore del sillogismo iniziale). 72 Il, 7. Il tema del capitolo è la prova circolare in III figura. Nei sillogismi in III figura non è mai possibile prova circolare di una premessa universale. Invece, quando una delle due premesse è particolare, è possibile provare con questo procedimento la minore particolare in Datisi (ma con l'assunzione aggiuntiva della sua conversa), la maggiore particolare in Disamis e la minore particolare in Bocardo; invece, per provare la minore particolare in Ferison, il rovesciamento della premessa maggiore andrà operato in modo diver· so, come già fatto in precedenza. Il capitolo si chiude con un brano di dubbia autenticità contenente osservazioni conclusive a carattere generale sulla pro· va circolare nelle tre figure. 73 Aristotele prosegue nell'indagine relativa alla prova circolare, aperta nel cap. 5: completato l'esame di quando è possibile prova circolare in I e in
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messa A C> potrà essere provata così come si faceva nel caso dei sillogismi universali, qualora venga assunto che A inerisce a qualcosa di ciò a cui B non inerisce in parte71 • [Prova circolare o reciproca: III fìgura]72
7. Poi73 , per quanto riguarda la terza figura, I non è possibile prova reciproca quando siano assunte entrambe le premesse universali: infatti, il rapporto universale viene provato mediante rapporti universali, Il ma la conclusione in questa :figura è sempre particolare, sicché manifestamente in generale per questa figura non è possibile provare una premessa universale74 • Invece, qualora una premessa sia universale e l'altra particolare, a volte è possibile e a volte no. Dunque75, quando vengano assunte entrambe le premesse I positive e il rapporto universale sia riferito all'estremo minore, è possibile , mentre non è possibile quando è riferito all'altro estremo. Infatti, poniamo che A inerisce ad ogni C e B inerisce a qualche C: conclusione A B. Dunque, qualora venga assunto che C inerisce ad ogni A, ecco provato che C inerisce a qualche B, mentre ancora non è provato che B inerisce a qualche C. I Nondimeno, se C inerisce a qualche B, è necessario che anche B inerisca a qualche C. Ma "questo inerisce a quello" e "quello inerisce a questo" non sono la stessa Il:fig. (rispettivamente cap. 5 e cap. 6), qui egli avvia l'esame di quando è possibile prova circolare in m figura. . . 74 In terza figura si hanno solo conclusioni particolari. Di conseguenza, iri questa figura una premessa universale, quale che sia, non può mai essere provata mediante la conclusione, per il semplice fatto che quest'ultima è particolare, e le conclusioni universali si ottengono solo a partire da premesse tutte universali (cfr. I 24, 4lb23-27): si confronti anche quanto affermato riguardo a Darii e Feria in I figura (supra, II 5, 58a36-41). Ciò esclude a priori che si possa avere qualsivoglia prova circolare nei casi in ID figura in cui entrambe le premesse sono universali, cioè nei sillogismi in Darapti e in Fe-
lapton. 75 Atistotele passa ora ad esaminare i sillogismi in III fig. in cui una delle premesse è particolare (quindi in Datisi, Disamis, Ferison e Bocardo): egli considera innanzitutto i due sillogismi affermativi, per occuparsi in un secondo momento di quelli negativi.
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103 60a35-bl: esame del rovesciamento della conclusione nel contrario, dato un sillogismo in Festino; nessuna delle due premesse viene eliminata. 104 60bl-4: esame del rovesciamento della conclusione nell'opposto, dato un sillogismo in Festino. 105 Cioè nel caso di un sillogismo in Baroco anziché in Festino. 106 II, 10. Il tema del capitolo è il procedimento di rovesciamento applicato ai sillogismi in III fi.g. Si afferma in generale che, in tutti i casi, col rovesciamento della conclusione nel contrario non si elimina nessuna delle due premesse, mentre si eliminano entrambe col rovesciamento della conclusione nel suo opposto. Riguardo ai sillogismi affermativi, sia con due pr=esse universali sia con una premessa universale e una particolare, si mostra che, • nell'ordine: 1. rovesciata la conclusione nel contrario, non si ottiene alcuna coppia di premesse che dia luogo a sillogismo, né in combinazione con la maggiore per eliminare la minore (ovvero in II fi.g.), né in combinazione con la minore per eliminare la maggiore (ovvero in I fi.g.); 2. rovesciata la conclusione nell'opposto: 2.1. se le due premesse sono universali, si ottiene la contraria della maggiore (mediante la I fi.g.) e la contraria della minore (mediante la II fi.g.); 2.2. se una premessa è universale e una particolare, si ottiene l'opposta della maggiore (mediante la I fi.g.) e l'opposta della minore (mediante la II fi.g.). Riguardo ai sillogismi negativi (prima è analizzato quello con due premesse universali, poi quelli con una premessa universale e una partico-
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nel contrario non viene eliminata nessuna delle due premesse, come anche nella prima .figura; I di contro, col rovesciamento nell'opposto vengono eliminate entrambe. Infatti, poniamo per dato che A non inerisce a nessun Be inerisce a qualche C: conclusione B C. Dunque, qualora venga posto che B inerisce a qualche C, fermo AB, la conclusione sarà che A non inerisce a qualche e, ma l'assunto iniziale non è eliminato, perché è possibile che A inerisca a qualche C sì e a qualche C no. I Viceversa, se B inerisce a qualche Ce A inerisce a qualche C, non c'è sillogismo: in effetti nessuno dei due assunti è universale. Il Quindi A B non viene eliminato 103 • Invece, qualora sia rovesciata nell'opposto, vengono eliminate entrambe . Infatti, se B inerisce ad ogni C e A non inerisce a nessun B, A non inerirà a nessun C, ma prima ineriva a qualche C. Viceversa, se B inerisce ad ogni Ce A inerisce a qualche C, A inerirà a qualche B104 • I La dimostraziane sarà poi la stessa anche nel caso in cui il rapporto universale è positivo 105. · [Il rovesciamento: III :6.gura]1°6 10. Poi 107, riguardo alla terza figura, quando la conclusione venga rovesciata nel contrario, nessuna delle premesse viene eliminata, per nessuno dei sillogismi ; invece, quando nell'opposto, vengono eliminate lare), si mostra che: 1. rovesciata la conclusione nel contrario, non si ottiene l'eliminazione di nessuna delle due premesse; 2. rovesciata la conclusione nell'opposto: 2.1. se le due premesse sono universali, si ottiene la contraria della maggiore (mediante la I fìg.) e la contraria della minore (mediante la Il fìg.); 2.2. se una premessa è universale e unà particolare, si ottiene l'opposta della maggiore (mediante la I fìg.) e l'opposta della minore (mediante la II fig.). Il capitolo si chiude con una sintesi dei risultati raggiunti circa il procedimento di rovesciamento nelle tre figure. 107 Aristotele prosegue nell'indagine relativa al procedimento di rovesciamento, aperta nel cap. 8: completato l'esame della sua applicazione ai sillogismi in I e in II fìg. (rispettivamente nei capp. 8 e 9), egli avvia ora quello relativo alla III figura. Per l'intelligenza del testo, si dovrà tenere a mente la distinzione, precisata nel cap. 8, tra rovesciamento della conclusione nel contrario o nell'opposto.
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però è manifestamente falso (essendo manifestamente vero AeB). Invece, nel caso del rovesciamento, la situazione è simile ma diversa. Abbiamo un sillogismo fatto con due premesse espressamente ammesse dagli interlocutori, ovvero, per restare all'esempio, AeB e BaC (entrambe in quanto assunti), conci. AeC. Rovesciata AeC nell'opposto AiC, otteniamo l'eliminazione della maggiore (espressamente assunta) perché, ferma la minore, si viene ad avere la sua contraddittoria, esattamente però con lo stesso sillogismo della riduzione all'impossibile, cioè AiC, BaC: AzB. La differenza è che AzB qui contraddice uno degli assunti espressamente dati in partenza, mentre nel caso della riduzione all'impossibile esso contraddice qualcosa che non è stato ammesso in partenza, ma che è manifestamente vero per gli interlocutori. 127 Cioè, è una proposizione che è stata espressamente assunta, ovvero che si è data in partenza come vera: l'ipotesi, invece, è posta in seno al procedimento non in quanto assunto (preso per vero), ma in quanto ciò che è in discussione (v. sopra, nota 125). 128 «Aristotele lascia qui in sospeso la questione se la riduzione all'impossibile richieda l'assunzione del contraddittorio o del contrario della tesi da provare. Egli si limita a rilevare come con le stesse assunzioni che permettono la conversione di un sillogismo [sci!.: il rovesciamento, nota di M. Bontempi] è possibile effettuare corrispondenti riduzioni all'impossibile» (Mignucci, Arist. An. pr., p. 636). Che la riduzione all'impossibile richieda di porre sempre il contraddittorio e non il contrario (come invece poteva essere per il rovesciamento) verrà rimarcato e dimostrato in quanto segue. Si noti che nel corso del cap. Aristotele mostra di sottintendere la distinzione fra "opposto" e "contrario" così come essa veniva posta nel cap. 8 in relazione al rovesciamento (v. II 8, 59b6-11 e nota ad !oc.), ovvero: con "opposti" s'intendono gli opposti in senso stretto, ossia i contraddittori; ma con "contrari" s'intendono non solo "a ogni"/"a nessun", ma anche "a qualche"/"non a qualche"
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I rapporti fra i termini sono però gli stessi nei due casi, e identico è il modo in cui si assumono le premesse. Ad esempio, se A inerisce ad ogni B e C è il termine medio, qualora sia posto in ipotesi che A non inerisce ad ogni, oppure che non inerisce a nessun B, e che inerisce ad ogni e (cosa, quest'ultima, che si era detto esser vera127), è necessario che CI o non inerisca a nessun o non inerisca ad ogni B. Ma questo è impossibile, quindi quanto posto in ipotesi è falso: allora è vero il suo opposto. Lo stesso vale anche per le altre :figure, perché tutti i casi che ammettono rovesciamento ammettono anche il sillogismo mediante l'impossibile128 • Dunque, tutti i problemi vengono provati mediante I l'impossibile in tutte le :figure, ad eccezione di quello universale positivo, che viene provato v o crnÀÀoywµ6ç, ii ÒÈ µiav µÈv -w{nrov, µfov ÒÈ ri)v àv·dcpmnv cruµni::pacrµawç. KaÌ €v8a µÈv oÙK àvayKTJ yvroptµov dvm 'tÒ cruµn:Épacrµa, OÙÒÈ n:poun:oÀaµ!)avctV roç fonv lì OU · ev8a ÒÈ àvayKTJ roç OÙK fonv. Òta n:pCÙ'tCfl CTX~µan yÉV'l"l'tat, 'tÒ ClÀtl8Èç fomt ÈV 'tép µfocp lì -cép foxa-cq>, -cò µèv a'tcp'l"lnKòv Èv 't4'> µfocp, -cò 8è KCC't'l"l"fOpn:òv Èv -cii> foxa-ccp. o-ccxv 8' Èv -cii> µfocp 6 154 Aristotele aveva osservato all'inizio di II 8 - tematizzando il rapporto fra il procedimento di rovesciamento e quello per impossibile - che per ridurre all'impossibile è necessario aver espressamente assunto in premessa solo una proposizione (quella da combinare con l'ipotesi per ottenere l'impossibile), mentre non c'è bisogno di essersi prima detti d'accordo sulla falsità o impossibilità del risultato ottenuto, perché questa, o la verità del contraddittorio, sono manifeste (61a21-25). Ciò detto, è vero anche però che, di fatto, pure nel sillogismo mediante l'impossibile le proposizioni assunte (cioè che giocano nel ragionamento in quanto ritenute vere) sono comunque due: quella affiancata all'ipotesi per formare una coppia sillogistica con risultato falso, e la proposizione contraddittoria a tale risultato, Precisare ora questo punto consente ad Aristotele di mettere in evidenza il rapporto di differenza, ma anche di inseparabilità (cfr. 63b20-21), che le prove o sillogismi per impossibile nelle figure (oggetto dei capp. prece.: 11-13) intrattengono con le prove dirette nelle figure. Dunque, se in una dimostrazione diretta (nelle figure) si parte dalle premesse accordate come vere, nella dimostrazione per impossibile una di queste è data in partenza, mentre l'altra entra in gioco alla fine, in quanto, ponendo l'ipotesi, si ottiene la sua contraddittoria. Sta di fatto però che quest'ultima, perché l'argomento funzioni, dev'essere manifestamente (o notoriamente: si noti il termine gnorimon, a 64b35) falsa, ovvero dev'essere già ritenuta falsa (per prohypolambanein come "credere o ritenere previamente", si veda Smith, Arist. Pr. An., p. 201): la sua falsità (o la verità della contraddittoria, come si diceva al cap. 8) è presupposta al ragionamento, per quanto non sia ciò che viene anticipatamente richiesto di riconoscere come tale. La riduzione all'impossibile ha dunque a sua volta due premesse, seppur fatte giocare in un modo diverso rispetto a quello in cui esse giocano nella dimostrazione diretta. Ciò che Aristotele s'impegnerà a provare in questo capito-
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dice d'accordo. Solo che l'una le assume come quelle a partire da cui viene ad esserci il sillogismo; l'altra, invece, assume solo una delle due tra quelle , mentre l'altra premessa che assume è la contraddittoria della conclusione. I Inoltre, là non è necessario né che la conclusione sia nota, né che la si ritenga previamente vera o non vera; qui, invece, è necessario che la si ritenga previamente non vera. Che la conclusione sia un'affermazione o una negazione non fa alcuna differenza: il quadro è lo stesso in entrambi i casi154 • Ogni conclusione ottenuta direttamente può essere provata anche mediante l'impossibile, I e ogni conclusione ottenuta mediante l'impossibile può essere provata anche direttamente, e ciò mediante gli stessi termini [ma non nell'ambito delle stesse :fìgure155]. Infatti, quando il sillogismo è nella figura di mezzo, la conlo è che, di più, tali due premesse sono le stesse due che vengono assunte per provare la medesima conclusione in una dimostrazione diretta. Sulla distinzione fra sillogismo diretto e sillogismo mediante l'impossibile, cfr. I 23 e 44; sul fatto che la medesima conclusione possa essere provata sia in un modo sia nell'altro mediante le stesse assunzioni e gli stessi termini, cfr. I 29. 155 Questa frase è presente nell'edizione Aldina, ma Ross ne propone giustamente l'espunzione perché essa non si trova nei manoscritti, né risulta pertinente al contesto: in effetti non si tratta qui di mostrare che i sillogismi diretti «risultano in una figura diversa da quella dei corrispondenti procedimenti di riduzione all'impossibile, ma soltanto che ambedue le argomentazioni utilizzano gli stessi termini» (Mignucci, Arist. An. pr., p. 648). 156 Qui e in tutta la trattazione a seguire s'intende che il punto di partenza sia un sillogismo o una conclusione provata mediante l'impossibile con una delle figure (cioè uno dei casi illustrati e provati nei capp. 11-13): di questo si va ad illustrare come e in che fìg. la prova sia effettuabile anche direttamente. Si ricorderà che nel caso dei sillogismi mediante l'impossibile la figura del sillogismo corrisponde a quella del sillogismo per cui si arriva ad un risultato falso, posta l'ipotesi contraddittoria alla conclusione voluta. In tal modo risulta vera quest'ultima: quello che Aristotele va spiegando ora è in che fìgg. e in che modi, viceversa, tale «conclusione vera» sia ottenibile altresì direttamente essa stessa (e non la sua opposta) quale risultato necessario delle medesime premesse.
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S'intende "provato mediante l'impossibile": v. nota prec. Aristotele va
qui a considerare innanzitutto i casi in cui una concl. era provata per impossibile mediante la I fìg. 158 Prova per impossibile in Darii di AeB (cfr. II 11, 61b19 ss.): CaA (assunto), AzB (ipotesi), CzB (risultato che è falso in quanto è assunto CeB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Camestres (II :6.g.) con la medesima conclusione, infatti CaA, CeB: AeB. 159 Prova per impossibile in Barbara di AoB (cfr. II 11, 61b33 ss.): CaA (assunto), AaB (ipotesi), CaB (risultato che è falso in quanto è assunto CoB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Baroco (II fi.g.) con la medesima conclusione, infatti CaA, CoB: AoB. Del resto, AoB era provato per impossibile anche in Celarent (ibid.), assumendo quindi CA negativo: CeA (assunto), AaB (ipotesi), CeB (risultato che è falso in quanto è assunto CtB). I due
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elusione vera si avrà nella prima figura, per tutti i I tipi di problema. Infine, quando il sillogismo B Kaì 'tò A nav'tì. 'tql r. OU'tro yàp fomt 'tÒ àòUvmov. 'tOU'tO ÒÈ 'tÒ 1tpéihov crxftµa. còcrau'troç ÒÈ KaÌ ci eJtÌ nvòç i) àn6òciçiç · Ti µèv yàp ùJt60rntç µT]òcvì 'tql B 'tÒ A ùnapxciv, c'LÀTJ1t'tm òè -rò r 'tlVÌ 'tql B KaÌ 'tÒ A 1tCXV'tÌ 'tql r. et ÒÈ O"'tcpT]'ttKÒç 6 cruÀ~ 161 Aristotele passa ora a considerare i casi in cui una conclusione veniva provata per impossibile mediante la Il fìg. 162 Prova per impossibile in Baroco di AaB (cfr. Il 12, 62a23 ss.): AaC (as· sunto), AoB (ipotesi), CoB (risultato che è falso in quanto è assunto CaB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Barbara (I fig.) con la medesima concl., infatti AaC, CaB: AaB. 163 Prova per impossibile in Camestres di AzB (cfr. Il 12, 62a32 ss.): AaC (assunto), AeB (ipotesi), CeB (risultato che è falso in quanto è assunto GB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Darii (I fìg.) con la medesima concl., infatti AaC, CiB: AiB. 164 Prova per impossibile in Festino di AeB, dove quindi il sillogismo/conclusione è privativo (cfr. II 12, 62a37 ss.): AeC (assunto), AiB (ipotesi), CoB (risultato che è falso in quanto è assunto CaB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Celarent (I fìg.) con la medesima conci., infatti AeC, CaB:AeB.
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Daccapo, poniamo per provato nella :figura di mezzo161 che A inerisce ad ogni B. Dunque, come abbiamo visto, l'ipotesi è "A non inerisce ad ogni B", mentre sono assunti "A inerisce ad ogni C" e "C inerisce ad ogni B": è così, infatti, che si ha l'impossibile. Ma si tratta della prima :figura, se A inerisce ad ogni Ce C inerisce ad ogni B162 • Lo stesso vale I anche, poi, se è stato provato che A inerisce a qualche B: infatti, come abbiamo visto, l'ipotesi è "A non inerisce a nessun B", mentre sono assunti "A inerisce ad ogni C" e "C inerisce a qualche B"163 • Poi, se il sillogismo è privativo l'ipotesi è, come visto, "A inerisce a qualche B", mentre sono assunti "A non inerisce a nessun C" e "C inerisce ad ogni B", sicché si viene ad avere la prima I :fìgura164 • Poi, lo stesso vale anche se il sillogismo non è universale e si è provato, di contro, che A non inerisce a qualche B. Infatti, come abbiamo visto, l'ipotesi è "A inerisce ad ogni B", mentre sono assunti ''A non inerisce a nessun C" e "C inerisce a qualche B": così in effetti si ha la prima :fìgura165 • I Daccapo, poniamo per provato nella terza :fìgura166 che A inerisce ad ogni B. Dunque, come abbiamo visto, l'ipotesi è ''A non inerisce ad ogni B", Il mentre sono assunti "C inerisce ad ogni B" e "A inerisce ad ogni C": è così, infatti, che si ha l'impossibile. Ma si tratta della prima :fìgura167• Lo stesso vale anche, poi, se la dimostrazione è particolare: infatti, come visto, l'ipotesi è "A non inerisce a nessun B", mentre sono assunti I "C inerisce a qualche B" e "A inerisce ad ogni C" 168 . Poi, se il sillogismo è priva165 Prova per impossibile in Cesare di AoB (cfr. II 12, 62a40 ss.): AeC (assunto), AaB (ipotesi), CeB (risultato che è falso in quanto è assunto CzB). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Feria (I fìg.) con la medesima concl., infatti AeC, CzB: AoB. 166 Aristotele passa ora a considerare i casi in cui una conclusione veniva provata per impossibile mediante la m fìg. 167 Prova per impossibile in Bocardo di AaB (cfr. II 13, 62b5 ss.): AoB (ipotesi), CaB (assunto), AoC (risultato che è falso in quanto è assunto AaC). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Barbara (I :fig.) con la medesima conci., infatti AaC, CaB: AaB. 168 Prova per impossibile in Peri.son di AzB (cfr. II 13, 62bll ss.): AeB (ipotesi), CzB (assunto), AoC (risultato che è falso in quanto è assunto AaC). I due assunti costituiscono una coppia di premesse in Darii (I fìg.) con la medesima èoncl., infatti AaC, CzB: AzB.
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À.oyicrµ6ç, un69ecnç µÈv 'tÒ A 'ttvÌ 'te$ B umipxnv, etÀ:r11t'to:t ÒÈ 'tÒ r 'te$ µÈv A µ118evi, 't 8È B µTJÒcvi, iì 'tép µÈv 1tUV'tt, 'ti{> 8È µ~ 1tUV'tt, KaÌ 1tUAlV 'tOU'tO UV'tl.O"'tpÉ'lfCXt Ka.'tà toùç opouç. òµoiroç 8è Ka.Ì rnì 'tOU 'tphou axftµmoç. OOO"'tc cpa.vcpòv òaax&ç 'te
180 Il rapporto di "scienza" e "medicina", negli es. prece., è un rapporto di intero a parte: per cui la premessa "nessuna medicina è di valore" è sostituibile con la particolare "qualche scienza non è di valore". Si tratta dei due termini «subordinati al medio» in quanto, in II fig., il medio è ciò che viene predicato di entrambi: ovvero, s'intende con ciò indicare i due estremi, che sono poi il soggetto e il predicato della conci.
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siano o in un rapporto d'identità, o in un rapporto di intero a parte180 • Altrimenti è impossibile, perché le premesse non sarebbero in alcun modo né contrarie né opposte. I Poi, nella terza figura, a partire da premesse opposte non è mai possibile sillogismo affermativo, per il motivo detto già in riferimento alla prima fìgura 181; è invece possibile sillogismo negativo, sia stanti i termini in rapporti universali, sia stanti i termini in rapporti non universali. Infatti, poniamo che B e C stiano per "scienza" e A per "medicina". I Dunque, se si dovesse assumere che ogni medicina è scienza e nessuna medicina è scienza, si sarebbe assunto che B inerisce ad ogni A e C non inerisce a nessun A, sicché qualche scienza non è scienza. Ma le cose stanno così anche là dove venga assunta la premessa B A non universale: infatti, se qualche medicina è scienza e, ancora, nessuna medicina è scienza, risulta che I qualche scienza non è scienza. Però, assunti i termini in rapporti universali, le premesse sono contrarie, mentre, se in uno dei due casi il rapporto è particolare, le premesse sono opposte. - Da una parte, può essere che uno stia assumendo gli opposti in quel modo in cui abbiamo detto che uno può assumere che ogni scienza è di valore I e poi che non lo è nessuna, o che non lo è qualcuna: è una cosa che è bene mettere a fuoco e di cùi, per la verità, di solito ci accorgiamo. Dall'altra, è però possibile che uno dei due opposti sia una conclusione tratta in virtù di altre domande poste dall'interrogante, oppure è possibile assumere due premesse opposte nel modo che abbiamo spiegato nei Topicz182 • Ora, dato che le antitetiche rispetto alle affermative sono tre, i modi in cui si possono assumere gli opposti risultano essere sei: a ogni/a nessun; a ogni/non ad ogni; I a qualche/a nessun; e in più ciò a termini rovesciati Il (ad esempio, "A inerisce ad ogni B e non inerisce a nessun C' o "A inerisce ad ogni C e non ineriSce a nessun B"; oppure ''A inerisce ad ogni B e non inerisce ad ogni C" o ancora questa a termini rovesciati). Lo stesso vale anche per la terza figura. È manifesto di conseguenza 181
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Cfr. 63b33-35. Cfr. Top. VIII 1.
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KaÌ Èv 1t0tolç crxf)µaow ÈYOÉXE'tm· ùià 'tWV àvnKEtµÉvrov npo'tcXCTE©V ycvfo0m cruÀ.À.oyicrµ6v. cxvE.pÒV OÈ KCXÌ on ÈK "\j/EUOWV µèv fo·nv ÙÀ.T)0èç CTUÀ.À.oyiaacr0m, Ka0anEp ElpT)'tm 7tpO'tEpov, ÈK oè 'tWV àvnKEtµÉvrov oÙK Ecr'tlV · àcì yàp èva.v'tfoç 6 cruÀ.À.oyicrµòç yivE'tm t0 npayµcxn, OtoV d. fonv àya0ov, µ'Ìj Elvm àya06v, TJ d. s0ov, µ'Ì] sipov, Otà 'tÒ è/; ÙV'tHpcXCTE©ç ctvm 'tÒV CTUÀ.À.oytaµÒV KaÌ WÙç Ù7tOKElµÉvouç Opoùç TJ 'tOÙç CXU'tOÙç ctvm TJ 'tÒV µÈv OÀoV 'tÒV oè µÉpoç. ÙfìÀ.ov oè 1mÌ on èv totç napaÀ.oyiaµotç oÙÙÈv KroÀuEl yivw0m tfìç ùno0focroç àv'tt, e non il modo 196). E se lo facesse, farebbe quello che abbiamo detto, cioè farebbe conversioni mediante tre termini197 • Allo stesso modo, se uno I assumesse "B inerisce a C" quando ''A inerisce a C" è non chiaro tanto quanto quello 198 , ancora non quello che in origine doveva provare, ma non ne sta dando dimostrazione. Ma, qualora A e B siano la stessa cosa, vuoi perché si convertono l'uno con l'altro, vuoi perché A consegue a B, ecco che, per lo stesso motivo di prima, egli postula ciò che in origine doveva provare. Infatti, lo abbiamo ben detto a che cosa equivale "postulare quello che in origine si doveva provare": provare per mezzo di se stesso I ciò che non è chiaro da se stesso. Allora, "postulare quello che in origine si doveva provare" è provare per mezzo di se stesso ciò che non è chiaro da se stesso: ciò corrisponde al non provare , quando 199 nella misura in cui quello che viene provato e quello per mezzo di cui lo si prova sono altrettanto non chiari, vuoi perché identici ineriscono allo stesso 200 , vuoi perché lo stesso inerisce a identici201 • I Se è così, "postulare quello che in origine si non chiara, con il metodo della prova circolare (cfr. la discussione della prova circolare in Barbara, nel cap. II 5; l'espressione conclusiva «farebbe conversioni mediante tre termini»; a dire il vero piuttosto difficile, dovrebbe comunque essere un riferimento alla prova circolare in Barbara, possibile per tutte le proposizioni coinvolte là dove tutti e tre i termini si convertano l'uno con l'altro). Ma così facendo, di fatto palesiamo che l'assunto AaB, essendo B eC la stessa cosa, sostanzialmente coincide con quello da provare, AaC, o coIJlUOque è tra le cose che per natura sono provate per mezzo di esso: il termimedio è praticamente indiscernibile dal soggetto della conclusione (Crubellier, Arist. Pr. An., p. 338). Cioè a dire: con l'assunzione di AaB si è postulato quello che si doveva provare. . . .. 198 Ar;istotele considera cioè la stessa situazione di prima, solo che in questo caso è la minore (BaC) ad essere non chiara: l'andamento dell'argomentazione è lo stesso del caso precedente. 199 Si confronti l'inizio del cap., in particolare 64b28-34, dove si affermava.che la petizione di principio è uno di quei casi in cui non si prova quello che si doveva provare, ma tale situazione si veriiìca in molti modi diversi. zoo Cfr. il caso considerato alle righe 65al0-19. 201 Cfr. il caso considerato alle righe 65a19-25.
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àpxfl aÌ'tElcr9at, f.v ÒÈ KCt'tllYOPlKép cruÀÀoyicrµép ev 'tcp 'tphcp Kt>Àa-r-rrn0m napayyÉÀÀoµEv cX1t0KptvoµÉvouç, au-roÙç È1ttXEtpouv-raç 7tttpacr0at Àav0avctv. 'tOU'tO Ò' fo-rm np&-rov, eàv -rà auµnEpaaµma µli npoauÀÀoyiçrov-rm àÀÀ' EÌÀriµµÉvrov -r&v àvayKatrov &8riÀa fl, E'tt 8è av µli -rà auvcyyuç Èpro-rç:, àÀÀ' on µaÀw-ra &µrna. otov Ecr't(I) 8fov auµncpatvm0at -rò A Kmà 'tOU z. µfoa B r li E.
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220 Si noti che qui le lettere stanno ad indicare proposizioni, cioè conclusione e premesse, e non termini. 221 II, 19. Vengono fomite indicazioni su come difendere la propria tesi dall'attacco dell'avversario, e su come procedere invece quando si deve attaccare la tesi altrui. Nel primo caso, nel rispondere alle domande di un interlocutore bisogna soprattutto evitare di concedere due volte lo stesso termine e, in generale, tenere d'occhio il termine medio. Nel secondo caso, al contrario, bisogna procedere interrogando l'avversario in un modo e in un ordine tali da tenere i passaggi e i termini medi il più possibile nascosti. 222 Katasylloghizesthai, fare un sillogismo o trarre una conclusione contro (alcuni rendono con "controsillogismo": ad es. Mignucci), pare essere uno hapax legomenon: non compare altrove in Aristotele, né è attestato in altri autori classici. Il capitolo nel suo complesso riguarda tecniche e strategie da adot· tare nella discussione, al fine: a) di difendere la propria tesi dagli attacchi dell'interlocutore quando ci si trova nella posizione di chi risponde, senza lasciare che l'interlocutore ci induca a distogliere l'attenzione dai passaggi rilevanti (cioè dalle conseguenze implicate via via dalle risposte date e soprattutto dal termine medio); b) di attaccare la tesi altrui inducendo viceversa l'interlocutore, anche con accorgimenti dissimulatori, a dare le risposte utili ad
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messe, e ad esempio si viene ad avere C mediante A e B, e questi due a loro volta mediante DE F e G, allora sarà falsa una dì queste cose che stanno al di sopra , e da questa dipenderà la falsità del discorso, dal momento che A e B sono ottenute per mezzo di quelle22°. Quindi è da una di quelle che risulta la conclusione, cioè la falsità. I [Indicazioni per la difesa o l'attacco di una tesi in una discussione]221
19. Per evitare che sia tratta la conclusione avversaria222 , quando E, Kannm et -.ò B -rii> r, Kaì ou'tro -rà Àornci. Kuv òt' f.vòç µfoou yivn-rm ò c:rnÀÀoytcrµ6ç; èmò 'tOU µfoou &pxrn0m. µaÀtcr'tCX yàp av OU'tCO Àav0civot 'tÒV ànoKptv6µevov.
20. 'EnEÌ ò' ìfxoµEV TCO'tE KCXÌ mnç EXOV'tCOV 'tOOV opcov ylVE'tm cruÀÀoytcrµ6ç, cpcxvepòv KcxÌ n6-r' fo-rm K, è universale (ad esempio, se l'altro sostenesse che dei contrari non c'è una stessa scienza, dicendo che di tutti gli opposti c'è una sola scienza). In tal modo si ha necessariamente la prima figura, perché il termine che è universale rispetto a quello proposto all'inizio diventa termine medio. Invece, nei casi in cui si obietti parzialmente, relativamente al termine rispetto al quale il termine di cui è detta I la premessa è universale, dicendo ad esempio che del conoscibile e dell'inconoscibile non c'è una stessa scienza: infatti "i contrari" è universale rispetto a questi. E si viene ad avere la terza figura, perché il termine assunto come parziale, cioè il conoscibile e l'inconoscibile, diventa termine medio. In effetti, sono le premesse a partire dalle qualì è possibile trarre la conclusione contraria quelle da cui partiamo anche quando cerchiamo di formulare obiezioni. Per questo I è solo a partire da tali figure che solleviamo obiezioni: infatti solo in queste si hanno i sillogismi opposti, dato che, come visto, mediante la seconda :figura non è possibile trarre conclusioni in forma affermativa. Inoltre l'obiezione mediante la figura di mezzo richiederebbe eventualmente un discorso più lungo, come nel caso in cui, ad esempio, non venisse concesso che A inerisce a B perché ad esso non consegue C. Ciò infatti risulta chiaro per mezzo di altre I pr~esse: l'obiezione, però, non va indirizzata ad altro e bisogna anzi aver subito chiara l'altra premessa. [Perciò questa è la sola figura a pa_rtire dalla quale anche il segno non è possibile]_ Bisogna poi esaminare gli altri tipi di obiezione, qualì le obiezioni a partire dal contrario o dal simile e quelle secondo opi-
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wu 1tpcO'tOU 1ì 't'Ì'\V Effiç i-Ò µf.v i-ì Kmà. nvòi; K e «predicazioni accidentali>> (cfr. An. Post. I 19, 81b23-29; 22, 83al-23). Si possono fornire due esempi, rispettivàmente «Socrate è bianco» e OÈ B µTjOEVt, '!fEUOEtç; µÈv aµ µdçovt frKpq>. (ÀÉyro 8' oh:i::l:ov µfoov 81' oi> y{vi::-i;m -i;fìç; àvncpacri::roç; ò cruÀ.Àoytcrµ6ç;.) unapxé-i;ro yàp -i;Ò A -i;ép B 8tà µfoou -i;ou f. ÈnEÌ. o'Ùv &vayicri -i;'Ì"]v r B icmacpanK'Ì"]v Àaµ~avecr0m cruÀ.Àoyicrµou ytvoµÉvou, òfìÀov O'tt &eì aU'tTJ fo-i;m Ò'.ÀT]0{iç · o'Ò yàp àvncr-i;pÉcpEW.l. ii ÒÈ A r 'JfEUO{jç;. 'taU'tT]ç; yàp àvn~ cr-i;pi::cpoµévriç; f.vav-i;foç; y{vi::mt ò cruÀÀoytcrµ6ç;. òµo{roç; ÙÈ mì ci èç aÀÀT]ç; O'UCi'tOtXtaç; ÀT]cp0dri 'tÒ µfoov, oiov 'tÒ A'd icaì Èv -i;ép A oÀq> fon icaì icmà -i;ou B KCX'tT]yÒpEt'tat nav-i;6ç; · àvayKT] yàp -i;'Ì"]v µÈv A B np6-i;acriv µÉvetv, -i;'Ì"]v 8' É'tÉpav &vncr'tpÉcpecr0m, rocr0' ii µÈv &i::ì Ò'.ÀT]0{iç;, ii ò' àeì \jftuò{iç;. Kaì crxi::òòv f1 yi:: -i;otaU'tTJ àna'tT\ ii aù-i;{j fon tft Otà wu oixdou µfoou. èàv ÒÈ µ'Ì"] òià -i;ou oixi::fou µfoou y{vri'tat ò cruÀÀoytcrµ6ç;, O'tav µÈv unò 'tÒ A 'tÒ µfoov, tcp òÈ B µriòi::vì imapxn, àvayKTJ 'JfEuoi::'iç; dvm àµcpo-i;épaç. ÀT]n'tÉat yàp Èvav-i;iroç; ìì ffiç; lfxoucrtv ai npo-i;acrnç;, ci µD.Àn cruÀÀoytcrµÒç; foi::cr0m · ou-i;ro ÙÈ Àaµ~avoµÉvrov àµ~o" 'tepat yivov'tat 'JfEUÒEtç;. oiov ci 'tÒ µÈv A oÀq> 'tcp A U1t6:p.xn, 'tÒ ÒÈ A µT]ÒEVÌ 'tWV B. àvncr't"pacpÉV'troV yàp 'tOU't(J)V cruÀÀoyicrµ6ç; -i;' fo-i;m Kaì ai npo-i;acrnç; àµcp6-i;i::pm 'Jfeu: òi::'iç;. O'taV ÒÈ µ'Ì"] unò 'tÒ A 'tÒ µfoov, ofov 'tÒ A, Ti
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186 I, 17. Qualora l'inerenza sia universale affermativa, ma non indivisibile, e il sillogismo con conclusione falsa si produca in virtù del medio appro, priato, sarà falsa solo la premessa maggiore. Lo stesso vale se il medio è tratto da un'altra serie predicativa. Se invece si assume un medio tale che AaD e DeB, con conclusione falsa AeB, si potrà costruire un sillogismo decettìvoin Celarent con entrambe le premesse false; nel caso in cui il medio sia tale che AeD e DeB, il sillogismo sarà ricavabile solo con una premessa maggiore vera e minore falsa. Si può costruire un sillogismo decettivo iri seconda figura se è falsa una sola delle premesse, ma non entrambe. Nel caso in cui il sillogismo decettivo abbia conclusione universale affermativa in prima figura e il medio sia appropriato, le premesse non possono essère entrambe false, ma lo" deve essere solo la maggiore. Se il medio è tratto da un'altra serie predìcativa ed
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[rerrore sillogistico nelle inerenze non indivisibili] 186
lt Nelle cose che ineriscono non indivisibihnente187, quando si produce il sillogismo del falso in forza del medio appropriato, non è possibile che entrambe le premesse siano I false, ma è possibile che lo sia soltanto quella premessa relativa all'estremo maggiore. (Intendo con "medio appropriato" quello in forza di cui si produce il sillogismo della contraddittoria.) Infatti si ponga che A inerisca a B in forza del medio C. Ora, poiché è necessario che la proposizione CB sia assunta come affermativa, nel caso in cui si produca il sillogismo, è chiaro che questa sarà sempre vera: infatti I non si converte. AC è, invece, falsa: infatti, il sillogismo contrario si produce nel caso in cui questa sia convertita. Allo stesso modo anche se il medio sia assunto da un'altra serie, per esempio D, se poi questo sia in A come in un tutto e si predichi di ogni B, infatti è necessario che la premessa DB permanga e I l'altra si converta, cosicché la prima sarà sempre vera e quest'ultima sempre falsa. E questo tipo di errore è all'incirca proprio quello che si ha in forza del medio appropriato 188 • Qualora il sillogismo si produca non in forza del medio appropriato, quando il medio sia sotto A e non inerisca a nessun B, è necessario che entrambe le premesse siano false. I Infatti le premesse vanno assunte contratiamente a come stanno, se si vorrà che ci sia un sillogismo; ma, così assunte, risultano entrambe false. Per esempio, se A inerisce a D come a un tutto, D non inerisce ad alcuno dei B: infatti, qualora queste premesse siano convertite, vi sarà un sillogismo e le premesse saranno entrambe I false. Quando il medio non sta è tale che AaD, sarà falsa la premessa minore; se, invece, è vero AeD, la preIl!essa maggiore sarà sempre falsa, la minore vera o falsa. 187 Con la maggior parte degli editori moderni si espunge lì µlj ùnapxoumv delle righe 80b17-18. ·188 Ora Aristotele tratta dei sillogismi decettivi, quindi con conclusione contraria alla vera, e osserva che se si mantiene la stessa :figura sillogistica e lo stesso medio, la conclusione potrà essere dedotta solo con un sillogismo con premessa maggiore falsa e premessa minore vera. Per esempio, il sillogismo decettivo relativo a Barbara (AaC, CaB: AaB) sarà solo Celarent (AeC, CaB: AeB). Analogo il caso in cui il medio sia tratto da un'altra predicativa (AeD, DaB: AeB).
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µÈv A LÌ à1':ri8'Ì'\ç fo'ta:t, ii OÈ LÌ B 'Jfeuofiç. iJ µÈv yàp A Li àÀ:ri8fiç, on oÙK ~v èv 'tcp A 'tÒ LÌ, Ti OÈ LÌ B 'Jfeuofiç, on d ~v à1':ri8fiç, Kav 'tÒ cruµrcÉpacrµa ~v à1':ri8éç · à).J,,' ~v 'JfeUOoç. LÌià òf. 1:013 µfoou crxfiµmoç yivoµÉvriç 'tf\ç àrca'tT)ç, àµcpo'tÉpaç µÈv oÙK èvòéxnm 'JfeUÒe'ìç dvm 'tàç rcpo'tacreiç oÀ.aç (o'tav yàp 'ÌÌ 'tÒ B imò 'tÒ A, oùoÈv èvòéxnm 'tcp µÈv TCO:V'tÌ 't(i> ÒÈ µ'f\OeVÌ i:mapxnv, Ka8arcep ÈÀ.ÉX8T\ KO:Ì rcpo'tEpov), 't'Ì'jv É't"Épav 8' ènrope'ì, KaÌ 6rco1:Épav E'tUXEV. eÌ yà,p 'Cò r Kaì 't(i> A Kaì 't(i> B imapxn, èàv J..ricp8n 'tcp µf.v A urcapxnv 't(i> of. B µ'Ì'\ urcapxnv, ii µÈv r A àJ..ri8Tiç fowi, Ti o' É't"Épa 'JfEUÒfiç. rcaÀ.iv o' d 't(i> µÈv B À.'f\cp8ei11 'tÒ r urcapxov, 't(i> OÈ A µT)Oev{, ii µÈv r B àJ..118'Ì'\ç Ecr'ta:t, ii ò' È'tÉpa 'Jfeuòfiç. 'Eàv µÈv o'Ùv O"'tEPT\'tlKÒç 'ÌÌ 'tf\ç àrca'tT\ç 6 cruÀ.À.oyicrµ6ç, ElPT\'ta:t TCO'tE KO:Ì oià 'tlV(J)V Ecr'ta:t Ti U1tcX'CT\. èàv ÒÈ KO:'tCXcpO:'tlKoç, o'tav µÈv oià 'tou oixdou µfoou, àouvmov àµcpo'tÉpaç dvm 'JfEUOe'ìç. àvayKT) yàp 't'Ì'jv r B µÉveiv, Elrcep Ecr'tm cruÀ.À.oyicrµ6ç, Ka8arcep èJ..éx811 KO:Ì rcp61:epov. IDO"'tE Ti A r àeì Ecr'tal 'JfEUÒfjç· O:U'tT\ yap fonv ii UV'ttO"'tpecpoµévri. oµoiroç ÒÈ KO:Ì d èç aÀ.ÀT\ç O"UO"WlXtaç À.aµ~cXVOl'tO 'CÒ µfoov, WCJrcep èJ..éx8T\ KaÌ èrcì 'tf\ç cr'tep'f\nKf\ç àrca'tY\S · àvayKT\ yàp 't'Ì'\V µÈv LÌ B µÉvnv, 't'Ì'\V o' A LÌ àvncr'tpÉcpecr8m, 1mì ·~ àrccX'tT\ Ti aÙ't'Ì'j 1:'fì rcpo'tepov. owv ÒÈ µ'Ì'\ òtà wu oÌKefou, èàv µÈv 'ÌÌ 'tÒ LÌ urtò 'tÒ A, O:U't'rJ µÈv Ecr'ta:t àJ..ri8fiç, Ti È'T:Épa ÒÈ
189 Nuovo caso di sillogismo decettivo: sempre a partire da Barbara, si assume un medio non appropriato D, tale per cui A inerisce interamente a De D non inerisce a B (quindi AaD e DeB). Tuttavia, per avere un sillogismo in prima figura con conclusione AeB, non si potrà di nuovo avere che Celarent (AeC, CaB: AeB): da ciò consegue che entrambe le premesse devono essere false. Se invece A non inerisce al medio D né questo a B (AeD e DeB), si avrà un sillogismo decettivo solo in virtù della verità della premessa maggiore e della falsità della minore. l90 An. Post. I 16, 80a28-30. 191 Nella seconda figura il sillogismo decettivo con conclusione AeB si
ANALITICI SECONDI I 17, 8lal-25
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sotto A, per esempio D, li la premessa AD sarà vera, DB falsa. Infatti AD è vera, perché D non è - si diceva - in A, DB falsa, perché se fosse vera, anche la conclusione sarebbe vera, ma si è detto che è falsa 189• I Se l'errore si produce in forza della :figura intermedia, non è possibile che entrambe le premesse siano completamente false (infatti quando B stia sotto A, non è possibile che qualcosa inerisca a tutto di un termine e a nulla dell'altro, come si è detto anche prima) 190 , ma è possibile che lo sia una delle due, e una qualunque di esse. Se infatti I C inerisce sia ad A sia a B, qualora si assuma che inerisca ad A e non inerisca a B, la premessa CA sarà vera, l'altra falsa. Daccapo, se si assume che C inerisce a B e a nessun A, CB sarà vera, l'altra falsa 191 • I Ebbene, qualora il sillogismo dell'errore sia privativo, si è detto quando e in forza di quali cose sia l'errore; qualora sia affermativo, quando sia in forza di un medio appropriato, è impossibile che siano entrambe false. Infatti è necessario che CB permanga, se davvero vi sarà un sillogismo, come si è detto anche prima. Di conseguenza AC I sarà sempre falsa: infatti essa è la premessa convertita. Allo stesso modo anche se si prendesse il medio dall'altra serie, come si è detto anche a proposito dell'errore privativo. Infatti è necessario che DB permanga e AD si converta, e l'errore è lo stesso in cui si incorreva prima192 • Quando invece non sia in forza di un medio appropriato, qualora I D sia produce in Cesare (CeA, CaB: AeB) o in Camestres (CeA, CaB: AeB). Ne deriva che una qualunque delle due premesse può essere falsa, ma non entrambe, perché la conclusione del sillogismo sarebbe vera, mentre si è posto che è falsa: è evidente che la falsità di entrambe convertirebbe un sillogismo con conclusione falsa in Cesare in uno con conclusione vera in Camestres e viceversa. Aristotele fornisce due esempi: se CaA e CaB sono vere, in Camfstres si avrà la premessa maggiore vera e la minore falsa; in Cesare si avrà la premessa maggiore falsa e la minore vera. 192 Dopo l'analisi dei sillogismi decettivi con conclusione universale negativa, Arisotele ora passa a occuparsi di quelli còn conclusione universale affermativa. Questo può avvenire solo in prima figura e solo in Barbara (AaC, CaB: AaB): rispetto al corrispondente di prima figura Celarent la premessa maggiore sarà sempre falsa, la minore vera. Sulla scorta di 80b26-32, si estende il caso all'assunzione del medio da un'altra systoichia.
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Post. I 4, 73b5-10. Si introduce il problema dei prossimi capitoli: è possibile avere serie predicative infinite all'interno di una dimostrazione? La risposta aristotelica è negativa. Si prospettano qui due diverse serie: C, B, F, E ... in cui C non inerisce ad altro, B inerisce in modo immediato a C (BaC), F a B (FaB) e così via; A, H, G, B... in cui, al contrario, nulla si predica di per sé di A, ma A si predica immediatamente di H (AaH), H si predica immediatamente di G (HaG), e 205 An.
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Le cose stanno così, perché c'è ciò che si predica d'altro non per accidente e ci sono poi alcune cose tali che si predicano I per sé. Intendo con "per accidente" il caso in cui talvolta diciamo che quel bianco, per esempio, è uomo, il che non è lo stesso che dire anche che l'uomo è bianco: infatti l'uomo è bianco non essendo qualcos'altro, ma il bianco è uomo, perché è capitato all'uomo di essere bianco205 • I Si ponga C tale che questo non inerisca ancora ad altro, mentre B. inerisce a questo primariamente, e non vi sia qualcos'altro di intermedio. E daccapo, E inerisce a F allo stesso modo, e questo a B. È necessario che questa serie si fermi oppure è possibile che proceda all'infinito? E ancora, se nulla si predica per sé di A, mentre A inerisce a H I primariamente e a niente di intermedio precedente, e H a G, e questo a B, è necessario che si fermi anche questa serie o anche questa è possibile che proceda all'infinito? Tale domanda differisce dalla precedente, poiché l'una è se sia possibile procedere all'infinito verso l'alto, cominciando dà una cosa tale che non inerisce a nessun altro, ma qualcos'altro inerisce a questo; l'altra domanda, invece, consiste nell'indagare se sia possibile I procedere all'infinito verso il basso cominciando da una cosa Il tale che questa si predica di altro, ma nulla s! predica di questa206 • È possibile, inoltre, che i termini intemedi siano infiniti, sebbene gli estremi siano definiti? Dico, se, per esempio, A inerisce a Ce il medio tra questi sia B e tra B I e A ve ne siano altri, e altri anéora tra questi ultimi, è possibile anche che questi procedano all'infinito, o è impossibile? Esaminare questo è lo stesso che indagare se le dimostrazioni proseguono all'infinito, se c'è dimos_trazione di ogni .cosa, o se i termini si limitano reciprocamente207• Allo stesso modo mi riferisco anche. ai sillogismi e alle premesse· I negativi, per esempio se A non inerisce a nessun B, o non così via. La prima serie, dunque, procede verso l'alto, verso ciò che è più universale; la seconda verso il basso, verso ciò che è particolare. •207 Ter~o problema: posti dei limiti definiti alla dimostrazione A e C, tali che AaC, e un medio B, tale da formate AaB e BaC, è possibile trovare infiniti teri:nini ulteriori tra A e B?
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npro'tcp, ìì i:'.cnm n µc-rcxl;ù éfi npo'tÉpcp oùx 'Ònapxci (otov ci 'tcp H, 'tcp B unapxcl 1tCXV't{), KCXÌ 1tcXÀ.lV 'tOU'tO'U E'tl aÀ.Àcp 1tpO'tÉpq:>, otov d 'téi'> e, 'téi'> H 1tCXV'tÌ unapxcl. K òè 'tÒ B, oÙOEVÌ 'tÒ A. 'tOU µÈv 'tOtVUV B r, KaÌ &.eì 'tOU É'T:Épou Otacr'tfiµmoç;, avayKTj f3ao{çnv dç aµrna. Ka'tTjyoptKÒV yàp wuw 'tÒ Oiacr'tTjµa. 'tÒ o' e'tepov ofìÀ.ov on ei aÀ.À.> e nemmeno la definizione può essere proposta in questa forma, sotto l'ammissione - intrat: tenuta in questo contesto dialettico - che le definizioni possano essere conclusioni di dimostrazioni: cosìJ. Barnes, Aristotle, Posterior... , p. 217. Prosdelousin alla linea 92b34 è stato tradotto con «mostrano in aggiunta>>, ossia l~ definizioni non mostrano il significato di un nome, oltre a non mostrare l'esi; stenza di ciò che si definisce, come argomentato prima a proposito della definizione di cerchio. ., 55 Qui il verbo gnonai deve significare «conoscere dimostrativamente}> per poter rendere accettabile il senso della frase. Cfr. P. Pellegrin, Aristate, Seconds... , p. 405, n. 15. · 56 II, 8. Con la fine dell'indagine dialettica si deve stabilire quali dd punti emersi siano validi e quali no, in cosa consista la definizione e se sia possibile averne dimostrazione oppure no. Conoscere il che cos'è è lo stesso che conoscere la causa del se è; la causa è 1) lo stesso definiendum o 2) qual'. cos'altro; se è 2) qualcos'altro a) può entrare a far parte di una dimostrazione oppure b) non farlo; se 2a) può essere il medio di una dimostrazione, questa dovrà essere in Barbara, perché una definizione è una proposizione universa' le affermativa. Si è già rilevato che non è possibile dimostrare un che cos'è in virtù di quello di un altro, ma che si avrà un sillogismo generale. Si ribadisce poi che è necessario sapere che un qualcosa esista per poter sapere che cos'è; così come bisogna conoscere che è per poter sapere perché è; d'altra patte, se si sa che qualcosa è per accidente, non si potrà cercare in nessun modo il che cos'è. Talvolta però si conosce il che è perché si conosce qualcosa in relazione al che cos'è. Precisamente, se si risponde al se è mediante l'uso del medio cor'
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Inoltre nessuna dimostrazione dimostrerebbe che questo nome rende chiara questa cosa qui, e pertanto neppure le definizioni mostrano in aggiunta ciò54 . I A partire da queste considerazioni sembra dunque che de:finizione e sillogismo non siano la stessa cosa e che sillogismo e definizione non siano della stessa cosa; oltre ciò, che la definizione non dimostri né provi niente, e che non sia possibile conoscere55 il che cos'è né grazie alla definizione né grazie alla dimostrazione. Il
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[In che modo la definizione può essere in relazione con una dimostrazione] 56
8. Ancora, bisogna indagare quale di queste cose si è detta bene e quale non bene, e che cos'è la definizione, e, a propo$ito del che cos'è, se vi è in qualche modo dimostrazione e definizi9tJ.e, oppure non vi è affatto 57 . Dal momento che, come abbiamo detto58 , conoscere che cos'è e conoscere la causa del se è, sono la stessa cosa I (e vi è una ragione di ciò59 : la causa è qualiètto, si conosce anche il perché, in quanto il medio sarà il definiens dell'ogg~tto in esame; se il medio invece non esprime la causa, si conoscerà solo il clie. Si deve concludere che 1) la definizione può essere resa nota; 2) non c'è un sillogismo o una dimostrazione che abbia per conclusione una definizione; 3) per ciò di cui la causa è qualcos'altro, là definizione si manifesta in una dimostrazione e non vi è dimostrazione di essa. ' 57 Con questa formulazione si può considerare conclusa la parte dialetti.ca, iniziata col capitolo II 3, dell'argomento che mira a negare che la defiriiziohe possa essere dimostrata; in II 8-10 Aristotele tratta la questione dal punto di vista scientifico. Sul senso di questi capitoli dr. Saggio introduttivo agli Analitici Secondi, § 3.2. ' " 58 An. Post. II 2, 90a14-32. 59 È difficile comprendere a cosa vada attribuito «di ciò» (toutou). Naturalmente si sarebbe portati a ritenere che ciò che è espresso tra parentesi sia la ragione dell'identificazione tra conoscere il che cos'è e il perché, ma è stata me5so in discussione che ciò che è espresso nella parentesi sia effettivamente la ragione di questa identificazione. J. Bames, Aristotle, Posterior. .. , p. 217 modifica la punteggiatura del testo di Ross e traduce «the account of the fact tlrat something is is the explanation»; O. Goldin, Explaining an Eclipse. AriStotle's Posterior Analytics 2.1-10, The University of Michigan Press, Ann Arbor 1996, pp. 109-110 pensa che si giustifichi la possibilità di dimostrare una éldmi.zione; M. Mignucci, Aristotele, Analitici secondi... , p. 267 ritiene invece
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Una continuità, quella tra l'ambito dialettico e quello retorico, che si situa anche nel solco di una tradizione, spesso trascurata o sottovalutata dalla critica, e che testimonia ulteriormente103 quanto la "logica" aristotelica fosse diversa da quello che noi, oggi, intendiamo con questa disciplina. I topoi, infatti, hanno una valenza anche retorica e giudiziaria, come risulterà immediatamente evidente con i Topica di Cicerone104 • Come è noto, infatti, nei processi pubblici e privati non era ammesso l'avvocato e tale divieto determinò il ricorso al logografo, ovvero allo scrittore di discorsi a pagamento. Questa prassi, già ben consolidata in epoca aristotelica, in realtà, condiziona anche l'andamento del discorso e «il taglio delle difese: non vi è, in effetti, tra le parti, nonostante l'incrociarsi dei discorsi principali e delle repliche, una vera e propria discussione su un piano razionale, delle contrapposte argomentazioni, ma soltanto una giustapposizione delle stesse, delle prove, in senso retorico (e cioè delle pisteis), e dei topoi adoperati... La decisione si esauriva nella votazione e non era corredata da motivazione: i giurati non avevano nessuna libertà di articolare la sentenza, pur nell'ambito delle impostazioni delle parti, dato che erano chiamati soltanto a scegliere fra i due diversi progetti di decisione formulati rispettivamente dall'accusatore... e dall'imputato ... I logografi, ed eventualmente le parti che componessero di per sé i loro discorsi, cercavano di persuadere i giudici non mediante una valutazione razionale delle prove di fatto e dei dati normativi, bensì con l'impiego di ogni sorta di topoi - e spesso di trucchi - retorici»105 •
Sulla questione cfr. Introduzione generale, pp. XI ss. Per l'approfondimento della questione si rimanda a B. Riposati, Studi sui ''Topica" di Cicerone, Vita e Pensiero, Milano 1947. «Cicero's Topica ... is the fìrst work on the topics after Aristotle that has come down to us» (GreenPedersen, The tradition ... , p. 39). 105 M. Bretone, M. Talamanca, Il diritto in Grecia e a Roma, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 27. 103
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2.5. Cronologia Nessuno oggi si permette l'illusione che sia possibile accertare una cronologia relativa definitivamente valida; ci soho soltanto soluzioni possibili o impossibili. Per la comprensione del pensiero aristotelico, la questione della cronologia delle sue opere ha relativamente poca importanza106•
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un dibattito molto articolato, di cui non si può dar conto in questa sede e che è possibile ripercorrere solo in modo estremamente sommario. Rispetto a tale questione, però, forse ancora di più che rispetto agli altri elementi di ricostruzioni che si è cercato di delineare mediante lo status quaestionis, si deve dire che ci troviamo di fronte ad un altissimo margine di congetturalità107• Infatti il tentativo di datare l'opera, anche se solo mediante una cronologia relativa, risulta il più delle volte caratterizzato da elementi altamente aleatori. Infatti, come è stato scritto, «chi si accinge nel tentativo di determinare la cronologia relativa delle opere di Aristotele è continuamente costretto ad assumere Diiring, Aristotele... , p. 667. É. De Strycker, Concepts-clés et terminologie dans !es livres ii à vii dès 'Topiques', in Owen, Aristotle on Dialectic... , pp. 141-163, pp. 141-142: «Cés considérations sont assurément d'un grand poids et peuvent en principe suf:6.re à trancher la question de date. Pourtant, à force de souligner le caractère platonicien ou académique de ces six livres, on :6.nit par en donner une irnage quelque peu trompeuse. En fait, quand on les lit en entier, on ne peut qu'etre frappé par ce qu'ils ont de typiquement aristotélicien. Voici clone ce que fa présente communication voudrait mettre en lumière: encore que, dans le livres ii à vii des Topiques, Aristote se serve fréquemment de matériaux platoniciens et qu'il ne paraisse pas encore disposer de certaines doctrines qu'il exposera dans des oeuvres de date plus récente, il n'est moins vrai que, dès ce moment, il envisage une série de problèmes fondamentaux sous un point de vue qui diffère de celui de Platon et qui restera défi.nitivement le sien. Bon nombre de concepts et de distinctions qui constituent I'armature de sa pensée sont déja parfaitement élaborés et la terminologie est, dans son ensemble, celles des grands traités classiques. Autrement dit, cette partie de son oeuvre ne semble pas représenter, aux points de vue de l'orientation philoso' phique générale et de l'emploi de la langue technique, un stade de tatonnement et d'hésitation entre le platonisme et l'aristotélisme: elle est nettement aristotélicienne». 106 107
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come base di prova quella che è la proposizione ancora tutta da dimostrare»108 • Più in generale, poi, si tratta di premettere ali'esame degli studi su tale questione una riflessione di carattere generale: «si tratta cioè della domanda sul senso di tali ricostruzioni, molte delle quali pure estremamente accurate e documentate, e sull'effettivo peso che esse vengono ad assumere ai fini di una maggiore comprensione dell'opera aristotelica. Ci sembra, cioè, che se la prospettiva "unitaria" sul pensiero aristotelico ha, come crediamo, un suo fondamento e una sua plausibilità, la discussione sulla cronologia delle opere venga a perdere gran parte del suo rilievo»109• L'unico dato certo che possediamo, in questo senso, e che in parte complessifìca il quadro, è il fatto che, come si è visto 110 , ci sono riferimenti incrociati tra i Topici e gli Analitici, nel senso che, negli Analitici Primi si citano i Topici, sia in quest'ultima opera si citano gli Analitici, confermando quella situazione di "fluidità" ~ cui si accennava all'inizio111 , situazione che, da un lato, è tipica delle leziorii orali e che, dall'altro, attesta il fatto che si tratta di materiale didattico che Aristotele e la sua équipe avevano costantemente sotto mano. During stesso 112 , non a caso, rileva molto .giustamente come, tra le opere aristoteliche, «pochissime... ci si presentano in una forma compiutamente e nitidamente elaborata; tutto ciò mostra che egli rivedeva incessantemente i suoi scritti». A questo rilevo di carattere generale va aggiunto il fatto che, «quando indichiamo un singolo trattato dell'Organon come più antico di un altro, si tratta ... sempre, con verosimiglianza, di di~tanze di tempo relativamente brevi»113 • . ·Volendo comunque riportare, seppur in modo estremamente sintetico, i principall tentativi di datazione dell'opera, si può con-
sia
Dùring, Aristotele... , p. 55. Permani, Saggio introduttivo, Aristotele, Le tre Etiche... , p. CXII. 11 Cfr. pp. 1104 ss. . · 111 Cfr. pp. 1098 ss. . .. 112 Diiring, Aristotele... , p. 44. 113 Diiring, Aristotele... , pp. 68-69. 108
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stare come gli studiosi abbiano fornito interpretazioni molto eterogenee e, in alcuni casi, opposte. I Topici, infatti, vengono considerati per lo più come uno "scritto giovanile", ovvero, in generale, come una delle prime opere in assoluto di Aristotele114 e, nello specifico, come una delle prime opere dell'Organon 115. C'è chi, in questo senso, ha affermato come «i Topici, non ancora attraversati da preoccupazioni puramente dottrinarie e sistematiche, preferiscono spesso l'esemplifìcazione all'enunciazione teorica»116• In questo modello interpretativo rientra la lettura di Solmsen, secondo cui «il meglio della logica di Aristoteleviene più tardi»117• A favore di una contemporaneità dell'orizzonte "topico" e di quello "analitico" si esprime Diiring, quando afferma che «nel 114 A proposito dei Topici è stato scritto che «come è notissimo, appartengono ad un periodo piuttosto antico e sono stati scritti in ambiente accademico» (Viano, La logica ... , p. 139). 115 «On a number of occasions we have seen that the text of the Topics, as we have it now, breathes the atmosphere of the last stage of Platonism. The book appears to have been ·written while Aristotle was stili a member of the Academy» (L. Elders, The 'Topics' and the Platonic Theory o/ Principles o/ Being, in Owen Aristotle on Dialectic p. 136). >.
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sarla, ad esempio, von Fritz, che ritiene di poter delineare una cronologia dei singoli libri dell'opera, considerando l'ottavo libro come il più antico dei Topici. Si tratta di una posizione che non solo, come ha osservato Diiring, non trova nessun fondamento testuale125 , ma che si scontra con altre posizioni che procedono addirittura nella direzione contraria 126 • Ad avviso di alcuni studiosi, infatti, si può affermare Topici II-VII sono i libri più antichi dell'opera. In realtà la questione, che su basi testuali risulta difficilmente dirimibile, è stata invece fatta oggetto di un vasto dibattito, in cui sono state percorse tutte le vie possibili, e in cui ci si è spinti anche oltre, ritenendo di poter ricostruire una cronologia precisa - in termini di libri e addirittura di paragrafi - delle opere dell'Organon. Tale successione sarebbe scandita, ad avviso di alcuni, in tre momenti fondamentali: 1. Categorie; Topici II-VII 1-2; 2. Topici L VII 3-5 e VIJL- Confutazioni; Analitici Secondi (in una prima redazione, diversa da quella che leggiamo oggi);
3. Analitici Primi 127. Tale distinzione in tre fasi poggia, in realtà, come molti altri tentativi di ricostruzione di questo tipo 128 , su elementi molto 125 «La cosa è però del tutto impossibile: lingua, stile, ordinamento della materia rivelano il lavoro di una mano esperta» (Diiring, Aristotele... , p. 70). 126 Tra questi Colli, Aristotele, Topici... , pp. 995: «il libro Vill è stato composto, rispetto alle altre parti dei Topici, in epoca posteriore. Questa tesi è già stata formulata ... da Maier... e Solmsen non ha trovato nulla da obiet· tarvi». 127 Il De interpretatione, altra opera dell'Organon, viene esclusa da que· sta ricostruzione perché si ritiene che la sua collocazione all'interno dell'Or· ganon sia assai più ardua. 128 Secondo Diiring, Aristotele... , pp. 68-71, le posizioni sulla cronolo' gia dei Topici possono riassumersi in questo modo: antichità dei libri II. VII rispetto ai libri I-VIII, che trova sostanziale accordo fra gli studiosi; divergenze dell'ulteriore retrodatazione dei libri III-VI rispetto ai libri II e VII e sul periodo di composizione di alcune parti del libro VII. «On s'accorde assez généralment aujo.urd'hui à dater la rédaction des livres ii à vii des Topiques du temps où Aristote était membre de l'Academie. On fait valer en ce sens divers arguments: l'absence de la théorie du syllogisme, le nombre élevé d'exemples de défìnitions empruntés à l'einsegnement de
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incerti129• Alla congetturalità di tali tentativi di datazione va contrapposto quanto già affermato in sede di esame della questione dell'unità: si assiste, in antitesi rispetto ad ipotesi a vario titolo evoluzionistiche130, ad una compresenza delle riflessioni "topiche" e di quelle "analitiche": «secondo Solmsen l'evoluzione del pensiero logico di Aristotele mostra che la topica, ancora intrisa di platonismo, viene annullata dall'analitica... il che viene però messo in crisi da svariati contenuti dei Topici, che richiamano gli Analitici e di cui Solmsen prende atto, risolvendo il problema con la congettura che vi siano nei Topici svariate aggiunte, apportate da Aristotele Platon ou des disciples immediats, l'emplòi occasionnel du terme de 'participation' pour désigner le rapport entre un indivu et son espèce ou entre une espèce et son genre, enfìn la concordance entre certaines doctrines logiques contenues dans ces livres et celles qu'on peut trouver dans les dialogues de Platon ou dans les Divisiones aristotelicae>> (De Strycker, Conceptsclés... , p. 141).. 129 > (p. 126). 162 Sul nesso tra dialettica e :filosofi.a in Aristotele, cfr. Rossitto, Studi... , pp. 26 ss. 163 «A differenza della scienza, la dialettica non ha questa rigorosa distinzione in generi distinti l'uno dall'altro: essa infatti è com.une a tutte le scienze e serve come discussione preliminare dei principi indimostrabili» (Viano, La logica ... , p. 164). , 164 Tra questi, fondamentale è il saggio di Enrico Berti, Philosophie, Dialectique et Sophistique dans Metaph. [ 2, in Berti, Nuovi studi... , pp. 283-297.
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ARIANNA PERMANI
4.2.1. I rapporti tra dialettica e retorica · Aristotele teorizza, a proposito della dialettica e della retorica, due forme di razionalità diverse dalla scienza165.
Che rapporto c'è tra la dialettica e la retorica? Un rapporto strettissimo, come attesta il semplice fatto che la Retorica inizia con la notissima affermazione: La retorica è speculare alla dialettica: entrambe, infatti, vertono su argomenti che, essendo comuni, è dato a tutti, in un certo modo, di conoscere e che non appartengono ad una scienza determinata ('H PT\Wpticfi fonv ÙV'ttcr'tpo> (Diiring, Aristotele..,, pp. 28-29).
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ARIANNA FERMANJ
vista»), ovvero di una delle movenze più tipiche di quest'opera179 nonché una delle più icastiche espressioni dell'approccio multifocale180, a distanza di pochissime righe viene ripetuto molte volte che la sofistica costituisce una sapienza solo "apparente". Tale apparenza, però, caratterizza evidentemente anche l'eristica, che è a suo modo, stando a quanto si legge nel passo ricordato poco fa 181 , "speculare" alla sofistica: eristici sono, infine, quei ragionamenti che argomentano o sembrano argomentare a partire da proposizioni che "sembrano" fondate sulle opinioni condivise ma, che, in realtà, non lo fanno.
La trama dei rapporti che legano dialettica, sofistica e filosofia, in realtà, viene disegnata anche nel noto passo di Metafisica IV 2, 1004b17-26: i Dialettici e i Sofisti esteriormente hanno il medesimo aspetto del :filosofo [infatti la sofistica è una sapienza solo apparente, ed i Dialettici discutono di tutte le cose (8tcxÀÉyovw:1 n:EpÌ àmiv'trov), e a tutte le cose è comune l'essere] e discutono di queste nozioni, evidentemente, perché esse sono effettivamente oggetto proprio della :filosofia. La dialettica e la sofistica si rivolgono a quel medesimo genere di oggetti a cui si rivolge la :filosofia; ma la :filosofia differisce dalla prima per il modo di speculare e la seconda per la scelta di vita (wu ~iou 'tft n:pompÉc:rni). La dialettica investiga (ii OtcxÀEK'tllCÌ] 7i:Etpcxcm1CÌ]) quelle cose che, invece, la :filosofia conosce veramente (ii qn.Àocrocpicx yvropicrnicfi); la sofistica è conoscenza in apparenza, ma non in realtà (ii oè crocprnnidi cpmvoµÉVT]) 182.
179 . 43 Si traduce con ~appartenere" il greco yparchein (su cfr. Glossario e Jn: dice ragionato dei concetti), secondo uno dei signifìcati generali e specifici (in quanto propri anche del lessico tecnico aristotelico) del verbo: cfr. Alexander of Aphrodisias, On Arz"stotle Topics ... , p. 209: «huparkhein: hold of; be present in; belong to». 44 Qui e sotto si traduce con "attribuire'', oltre che con "predicare", ilgre: co KO:TI)yopéco, che signifìca «'affermare', 'predicare', 'imputare'» (S. Maso, Lingua Philosophica Graeca. Dizionario di greco filosofico, Mimesis, Milano: Udine 2010, p. 87), visto che "predicare" significa propriamente «attribuite un predicato ad un soggetto» (G. Devoto - G.C. Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1990, 19923, p. 1461). ·
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teristiche, è evidente. Infatti, una volta che si è in grado di argomentare che qualcosa è identico e che qualcosa è diverso, allo stesso modo saremo in grado di avere argomenti in abbondanza fl.Oche per le definizioni; infatti, se si è dimostrato che la realtà in questione non è identica , avremo distrutto la definizione stessa. Tuttavia, per quello che abbiamo detto I finora, non vale il contrario: infatti, per costruire la definizione, non basta dire che una realtà è identica ad un'altra42 , mentre per distruggerla è sufficiente mostrare che questa identità non si dà. (2) Caratteristica peculiare, inoltre, è ciò che, se da un lato non indica l'essenza , dall'altro appartiene a quella sola realtà ed instaura con essa un rapporto di convertibilità*. Per esempio: la caratteristica peculiare I dell'essere umano consiste nel fatto di "essere capace di apprendere la grammatica"; se, infatti, è un "essere umano", è capace di apprendere la>grammatica, e se è capace di apprendere la grammatica, è un essere umano. Nessuno, infatti, chiama 'caratteristica peculiare' dò che può appartenere*43 anche ad un'altra realtà, come ad esempio non si dice che il dormire costituisca la 'caratteristica peculiare' dell'essere umano, neppure nel caso in cui essa venga ad appartenere solo a lui. Se, poi, I anche in qualcuno di questi casi si parlasse di 'caratteristica peculiare', non lo si farebbe "in assoluto", ma "in relazione a determinata circostanza" o "rispetto a qualcos'altro"; infatti, talvolta capita che il fatto di stare a destra c.ostituisca una 'caratteristica peculiare' in senso temporale, e,"che il fatto di essere bipede costituisca, rispetto a qualcos'altro, una 'caratteristica peculiare', come per esempio capita nel caso dell'essere umano rispetto a un cavallo e a un cane. Che, poi, nulla di ciò che instaura un rapporto di convertibilità con la realtà in questione possa appartenere anche ad un'altra realtà, è chiaro. Infatti, se c'è qualcosa che dorme, non è I necessario che Si tratti di un essere umano . .,; -~ (3) Genere, poi, è ciò che, nell'ambito dell'essenza, viene attri~Ùl~q44 a più realtà che differiscono per specie. Per "attribuzione ii~U'ambito dell'essenza" intendiamo tutti quegli elementi che è opportuno che uno fornisca nel momento in cui viene interro-
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Pertanto, come abbiamo detto prima54 , occorre fare una divisione a grandi linee55 , e bisogna aggiungere a queste le altre questioni che sono più adatte ad esse, chiamandole "riguardanti la definizione" e "riguardanti il genere". Peraltro, per quanto riguarda le ·cose che sono state dette, si può quasi56 dire che esse sono state aggiunte I a ciascuno .
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[ridentico e le sue articolazioni]57
7. Dunque, in primo luogo dobbiamo distinguere in quanti modi si dice l'identico*58 • A grandi linee possiamo dire che sembrerebbe che l'identico si divida in tre . Infatti siamo soliti59 dire l'identico (1) o secondo il numero o (2) secondo la specie o (3) secondo il genere. (1) Sono "identiche per numero" quelle realtà che hanno più nomi, ma che ne indicano una I sola: ad esempio l'abito e il vestito 60 • (2) "Identiche per specie" sono invece quelle realtà che, pur essendo molte, non hanno alcuna differenza rispetto alla specie, come ad esempio un essere umano è identico ad un essere umano, un cavallo a un cavallo; infatti tutte le realtà di questo tipo, che rientrano nell'ambito di una sola specie, si dicono identiche; allo stesso modo sono "identiche fìnizione; 2) quando l'identità viene stabilita mediante la caratteristica peculiare; 3) quando l'identità viene stabilita per mezzo dell'accidente. Una prova della verità di ciò che è stato detto sta nel fatto che, quando si dice qualcosa e non si viene compresi, si cambia il nome della realtà indicata facendo riferimento ali'accidente. 58 Sul tema dell'identico cfr. Metafisica V 9, 1017b27-1018all. «È interessante notare il motivo per cui, secondo Aristotele, la dialettica si occupa di questi temi, cioè delle nozioni di identico, diverso, simile, dissimile, e di altre come queste. È noto, infatti, che queste nozioni sono, per Aristotele, comuni a tutti i generi, e si applicano ad ogni cosa, a tutto l'essere, alla totalità>> (Rossitto, Studi sulla dialettica ... , pp. 41-42). Sull'applicazione di queste nozioni a tutta la realtà cfr. Metafisica V 9, 1018a5-6, 10-12, 15-16; 10, 1018 a37-37; 13, 1054 b18-19. 59 Anche in questo caso va segnalato l'utilizzo della prima persona plurale (dro9a.µzv), che attesta, isieme ad altri elementi, l'ambito originariamente orale del discorso. . 60 Si tratta di un esempio frequente in Aristotele. Cfr., ad esempio, Fisica 12, 185b20 e Metafisica IV 4, 1006b25.
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[I problemi e le loro articolazioni]1 1. Tra i problemi, poi, alcuni sono universali* e altri I particolari*. Sono universali, ad esempio, problemi del tipo "ogni piacere è un bene e nessun piacere è un bene"; al contrario sono particolari problemi come, ad esempio "qualche piacere Il è un bene e qualche piacere non è un bene". Rispetto ad entrambi i generi di problemi, inoltre, ciò che costruisce e ciò che demolisce un problema universale è comune ad entrambi; infatti, avendo mostrato che una determinata caratteristica appartiene ad "ogni" realtà, avremo anche mostrato che appartiene a "qualcuna" di esse; allo stesso modo, I se mostreremo che non appartiene a "nessuna" di esse, avremo mostrato che non appartiene a "tutte". Si deve, perciò, parlare innanzitutto di ciò che demolisce una universale, sia (1) per il fatto che è comune (la) tanto ai problemi universali quanto (lb) a quelli particolari, sia (2) per il fatto che le tesi sostenute dagli avversari consistono di più in un'affermazione che in una negazione, I e coloro che le discutono le demoliscono*2 • D'altro canto convertire' la caratteristica che appartiene a una qualche realtà mediante l'accidente è difficilissimo; infatti l'appartenere "per un qualche aspetto specifico" e "non in assoluto" è possibile per i soli accidenti. Infatti, nel caso della definizione, della caratteristica peculiare e del genere, è necessario che la conversione ci sia. Ad esempio, se a qualche animale appartiene il fatto di essere "terrestre I bipede", per chi sèono dai problemi, errori che sono di due tipi: 1) o consistono nel fatto di dire il falso; 2) o nel trasgredire il comune modo di dire le cose. .• 2 Si traduce in questo modo il verbo àva0ll'.ruasz1v (su cui cfr. Glossario). «Nei Topici àva0ll'.euasz1v esprime un attacco contro la tesi, e KatacrKzuasztv unadifesa della tesi» (Colli, in Aristotele, Topici... , p, 956). 3 Sui diversi sensi del "convertire/convertirsi" (àvncrtpécpztv) dr. Analitici Primi, I, 2, 25 a 1. Sulla nozione di "conversione" e sulle sue articolazioni, dr. -Indice ragionato dei concetti.
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33 In greco c'è solo il termine ~8oç, che significa "carattere". In questo caso specifico si è ritenuto opportuno, per ragioni di chiarezza, aggiungere anche l'aggettivo "morale". 34 Cfr. Etica Nicomachea II, 8, 1108bllss. 35 Si tratta di un modello che trova piena conferma nelle Etiche cfr. Etica Eudemia II, 5 passim; Etica Eudemia III, 7, 1234b6-7; Etica Nicomachea Il,2 passim; Etica Nicomachea II, 9 passim; Grande Etica I 8 ss. passim.
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amici e del male agli amici", oppure "far del bene ai nemici e far del male ai nemici". In terzo luogo, poi, (3) può capitare che un'unica caratteristica sia riferita ad entrambe le realtà contrarie (e anche questo accade in due modi, come ad esempio "far del bene agli amici e far del bene ai nemici", oppure "far del male agli amici e far del male ai nemici"). Il Dunque, tra le combinazioni che abbiamo appena detto, le prime due non danno origine a una contrarietà. Infatti "far del bene agli amici" non è contrario a "far del male ai nemici"; infatti I entrambe le affermazioni indicano qualcosa di desiderabile ed esprimono lo stesso carattere morale33. E neppure sono contrari "far del male agli amici" e "far del bene ai nemici", dato che entrambe queste combinazioni indicano, al contrario, qualcosa che va evitato ed esprimono uno stesso carattere . E una cosa da evitare non risulta certamente contraria rispetto ad un'altra cosa da evitare, a meno che l'una si dica per eccesso e l'altra per difetto34 . Infatti l'eccesso, come pure il difetto, sembrano far parte di ciò che va evitato35 • Invece tutte le altre quattro combinazioni danno origine ad una contrarietà. Infatti I "far del bene agli amici" è contrario a "far del male agli amici"; queste combinazioni esprimono, in effetti, caratteri contrari el'una esprime qualcosa di desiderabile, mentre l'altra qualcosa da evitare. E lo stesso si dica per gli altri casi; per ciascuna combinazione, poi, un esempio è desiderabile e un altro è da evitare, e l'uno esprime un carattere virtuoso e l'altro vizioso. Dunque, da quello che abbiamo detto, risulta chiaro che per la stessa affermazione si può presentare I più di un'affermazione contraria; infatti "far del bene agli amici" è contrario tanto a "far del bene ai nemici" quanto a "far del male agli amici", e lo stesso vale per ciascuno degli altri casi in cui i contrari risulteranno due. Quindi, tra le due affermazioni contiaiie, occorre assumere quella che è utile per attaccare la tesi. I ... Se, poi, si dà qualcosa di contrario all'accidente, si tratta di esaminare se esso appartiene alla realtà stessa a cui l'accidente è stato detto appartenere. Infatti, se quest'ultima viappartiene, non potrà appartenervi quell'altra; infatti è impossibile che alla stessa realtà appartengano contemporaneamente caratteristiche contrarie.
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Interessante elemento di imprecisione del discorso, segnale della natura non originariamente scritta del discorso stesso.
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bili l'una in vista dell'altra: infatti le due, prese insieme, non sono affatto preferibili ad una sola, così come il risanare e I la salute non sono affatto preferibili alla salute, poiché noi scegliamo il risanare in vista della salute). Oltre a ciò, niente impedisce che realtà non buone non siano da preferire a realtà buone, come ad esempio che la felicità insieme a qualche realtà non buona siano da preferire a giustizia e coraggio. Analogamente, le stesse realtà sono preferibili se "accompagnate a piacere" piuttosto che "senza piacere", e sono preferibili "senza dolore", piuttosto che "accompagnate a dolore". I Ogni realtà, poi, è preferibile nel momento opportuno*, quando essa ha un'importanza maggiore, come ad esempio l'assenza di dolore è preferibile in vecchiaia che non in gioventù; infatti in vecchiaia è più importante . Nello stesso senso anche la saggezza è preferibile in vecchiaia: nessuno, infatti, sceglie come capi i giovani, poiché si ritiene che essi non siano saggi. I Per il coraggio, invece, è vero il contrario, dato che in gioventù è richiesto maggiormente un comportamento improntato al coraggio. E lo stesso vale anche per la temperanza: infatti i giovani sono turbati dai desideri più che gli anziani. Come pure è preferibile ciò che, in tutte le circostanze, o in quasi tutte10 , è I più utile, come, ad esempio, giustizia e temperanza sono preferibili al coraggio; infatti giustizia e temperanza sono sempre utili, mentre il coraggio lo è solo in determinate circostanze. Allo stesso modo, fra due realtà, quella che, una volta posseduta da tutti, non ci fa più avere bisogno di altro, è preferibile all'altra realtà che, una volta posseduta, ci fa ancora avere bisogno di altro, come ad esempio nel caso della giustizia e del coraggio: infatti, una volta Stabilito che tutti Il siamo giusti, non c'è affatto bisogno del coraggio, mentre se invece fossimo tutti coraggiosi, ci sarà ancora bisogno della giustizia. E poi bisogna partire dalla corruzione e dalla perdita, dalla generazione e dall'acquisto, e dai loro contrari. Infatti le realtà i cui modi di corruzione sono I maggiormente da evitare risultano più desiderabili. E lo stesso vale per la perdita e per i contrari: infatti la realtà la cui perdita è maggiormente da evitare risulta
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CX.V'tloV Cj>EUK'tO'tEpov' cx.il'tÒ cx.ipE'tcO'tEpov. btì ÒÈ 'tOOV yF:VÉcrEmv Kcx.Ì 'tOOV ATt'lfEIDV àvancx.A.w · ffiv yà.p cx.i ATt'lfEtç Kcx.Ì cx.i ys~ vfoEtç cx.ipE'tcO'tEpcx.t, KaÌ cx.{l'tà. cx.ipE'tcO'tEpo:. 'AA.A.oç 'tonoi;, 'tÒ Èyy{l'tEpov 'tÙycx.0ou j3D..'ttov Kd.Ì ·cx.ipE'tcO'tEpov, lCCX.Ì 'tÒ ÒµOtO'tEpov 'tclycx.0ép, oiov Ti òiKcx.tOO"UVÌ'J ÒtKcx.iou. Kcx.Ì 'tÒ 'tép j3EA.'tfovt cx.i>wu òµot6'tEpov, Ka0anEp 'tÒv Afov'tcx. wu 'OòucroÉroç cpcx.crì · ~EA't{ro 'ttvÈç dvm, 5t6n òµoto'tEpoç 'tcp AxùJ..è'ì. (evamcnç WU'tOU on o'ÒK ÙAT}0Éç; oùÒÈv yà.p lCCOAUEt µTi j3ÉA'ttO"'tOç ò AxtAAEUç, 'tCX.U'tTI òµoto'tEpov dvm 'tÒv Afo~'tcx., 'tou È'.cÉpou ovwç µÈv àycx.0oi5 µ~ òµofou ÒÉ.) O"K01tEtV OÈ 1mì Et btì 'tà. YEAOtO'tEpa EtT] oµotov, Ka0anEp Ò 1tl01"]Koç 'tID àv0pronro, 'tOU t1t1tOU µJi OV'tOç Òµofou; où yàp KaA.A.iov ò ni0T}Koç, òµ~t6'tepo~ oÈ 'tép àv0pcbnqi. ·mx~ A.tv btì Ouotv, El 'tÒ µÈv 'tcp j3EA'ttovt 'tÒ oÈ 'tép XEtpovt 0µ016'tEpov, EtT] av j3ÉA'ttoV 'tÒ 'tép j3EA'tloVt òµoto'tEpov. (EXEL OÈ Ko;Ì 'tOU'tO EVO"'tCXO"tV. o'ÒÒÈv yàp KCOAUEt 'tÒ µÈv 'tcp j3EA'tiovi i\pɵo; oµot0v etvm, 'tÒ ÒÈ 'tcp XElpovt crq>oÒpo;, olov Et Ò µÈv Afoç 'tép Ax1A.A.E'ì fipɵcx., ò ò' 'OoucrcrEùç 'tép Nfowpt crcpoòpa. xcx.Ì EÌ 'tÒ µÈv 'tcp j3EA'tloVt Èn;Ì 'tÙ xdpro oµotov EtT], 'tÒ OÈ 'tcp XEtpOVt È1tÌ 'tà j3EA'ttCO, Kcx.0anEp t1t1tOç ovcp Kaì ni0T]Koç àv0pronq>.) 'AA.A.oç, 'tÒ. rntq>CX.VÉV tOOV EÌpT\µÉvrov ÈvtoU; IO:~ fatti, se si verifica una discordanza, ciò che viene presentato come gene_.: re, in realtà non lo è dato che, se fosse genere, sia i generi superiori sia esso stesso costituirebbero degli attributi che fanno parte dell'essenza di quella
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infatti l'indivisibilità non cpstituisce il genere delle linee che a,mmettono una divisione e queste non differiscono, quanto alla specie, dalle linee indivisibili. Infatti .tutte le linee non si differenziano le une dalle altre per la specie. [Alcuni schemi su genere e specie] 11 2. E poi si può anche prendere in esame la questione se per la I specie stabilita si dia un altro genere che non contenga il genere fissato né che sia subordinato ad esso. Per es~pio, questo si verifica se uno pone la scienza come il genere della giustizia12; infatti anche la virtù è genere e nessuno dei due g~eri contiene l'altro. Di conseguenza la scienza non sarà genere della giustizia. Infatti sembra che, nel caso in cui una specie ~a subordinata a due generi, uno di questi debba essere contenuto I nell'altro. Una soluzione di questo tipo, tuttavia, può dare origine a una difficoltà; intatti, ad alcuni sembra che la saggezza costituisca una virtù, mentre ad altri che essa sia una scienza e che nessuno dei due generi sia contenuto uno nell'altro. D'altra realtà. Si possono p~i esaminare le definizioni dei generi, verificando se esse si adattano alla specie e alle realtà che partecipano della specie. Infatti è necessario che le definizioni dei generi siano attribuite alle specie e alle realtà che partecipano delle specie. Bisogna poi vedere se è stata posta la'differenZ?- come genere, come pure se è stata posta la differenza all'interno del genere, visto che non risulta che la differenza partecipi del genere. Tutto ciò .èhe partecipa del genere, infatti, è o una specie o una realtà individuale. Si pùò poi esaminare se il genere è stato posto entro la specie, visto che il genere deve essere più esteso della specie e non il contrario. Si deve poi esaminare se la differenza è stata posta all'interno della specie, tenendo conto .del fatto che l'estensione della differenza è sempre pari o maggiore rispetto a quella della specie. Inoltre va esaminato il fatto se è stato posto il genere all'interno della differenza e se il genere viene presentato come una diffe're.nza. Tutti gli schemi di questo tipo sono connessi tra di loro: il genere, infatti, deve essere più esteso della differenza e non deve partecipare di essa. Inoltre, se alla specie posta non viene attribuita nessuna delle differenze del genere, neppure il genere sarà attribuito a quella stessa specie. Infine, se la specie non può essere separata dal genere posto o dalla differenza, nessuna di tali nozioni costituirà più un genere o una differenza. · · .. 12 Ad avviso di alcuni si tratta di un riferimento polemico nei confronti di Platone, Protagora 333 B-334 A.
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9 U1t0 1tCX.V'tffiV YE crunropEt'ta.t 'ttlV n, ,t:crny cbV1tEp KCXÌ 'tÒ etOoç KCX'tTl"(OpEt'ta.t · Ka'tCXO'KEUaçov'tt O', gÌ. JC yÉVEt, µfi OV'tOç ÈvO.V'ttoU 'tép yévet · Et yà.p 'tÒ èvtxV'ttoV èv 'tOU'tq>, oflA.ov O'tt Ka.Ì 'tÒ 1tpoia:iµEVOV. E'tt ' ' , ' ...... ' , , .. ' ? ' '·' et' 'tO' a.va µecrov ev 'tq> etp11µevcp yevet · EV q> ya.p w' ava µfoov' Ka.Ì 'tÙ UK:pa. nù:A. tV &v èva.v'ttoV 'tt 'téì> yévet, CJ'K01tElV ei KaÌ 'tÒ Èv Èva.V'ttq>· àv yèx.p TI• Of)Af>v on Ka.Ì 'tÒ 1tpOJCetµEVov èv 'téi'> 1tpoKstµÉvq>. IlaA.tv è1tÌ 'téòv 1t'trocrerov Ka.Ì è1tÌ 'téòv crucrwixrov, el òµoiroç ÉAtµov 1tpÒç 'tÒ &:ya86v · ÉKa'tepov yàp ÉKa.'tÉ.pou 1tOt1l'ttK6v. d o'Ùv ÉctttvTi -fiòovfi o1tep àya86v, KaÌ 'tÒ Tiòù o1tep CÒq:>ÉAtµov fo'tm · ò11A.ov yàp on àya8òu &v eY11 1tOt1l'ttKov, É1tetòft Ti Tiòovfi àya.86v. rocrau'tcoç ÒÈ KaÌ foì 'trov yevfoecov KaÌ q:>Soprov • ofov ei 'tÒ OÌKOÒOµElV Évepye'ìv, 'tÒ cpKOÒOµTlKÉvat ÉvllP"f1lKÉVat, KCXÌ EÌ 'tÒ µav8avetv avaµtµvfj8eipecr8m, KaÌ 'tÒ Òta.A.eA.ucr8m Éq:>8&p8at KCX.Ì i\ òt6:A.umç q:>Sop6: ne;. KaÌ É1tÌ 'tIDV YevYTl'ttKIDV ÒÈ KaÌ q:>Sap'ttKIDV rocmutcoç, KaÌ É1tÌ 'tIDV Òuvaµerov KaÌ xpficrecov, KaÌ o~coç Ka8' 01tOtaVOUV ÒµotO'tTl'tSapnKÒv ÒtaAU'ttKov, Kaì 'tÒ q:>8dpecr8m òiaA.uecr8m· Ka.Ì d 'tÒ yevvmiKÒv 1tOt1l'ttKOV, KaÌ 'tÒ y{yvecr8m 1tOte'ìcr8m KaÌ Ti yÉvecrtç 1tot11aiç. Òµo{coç ÒÈ KCX:Ì É1tÌ 'tIDV Òuv6:µecov KÉvaKa Kct.Ì 'tÒv ot6.j3oÀov · ou'te yàp ò npoatpouµevoç .Xòuvm&v qé, oi50' ò ouv6.µevoç µ'Ì'\ npompouµevoç Bé, 8t6.j3oì..oç il cpéval;, aÀÀ' ò aµcpro 'tCXU'tCX ex;rov. OOO"'t' ou 0e'tÉoV dç Ev yévoç &ll' , ' , ' , . etç aµq>O'tepa. 'ta' etp11µeva. "En Èvto'tE àvanaÀtV 'tÒ µÈv yévoç roç Ota.cpopàv 't'Ì'\V 8è Otaq>opàv d:iç yÉvoç àno8t86a.cnv, ofov 't'ÌlV EK1tÀTl/;tv ùnepj3oA.'hv 0auµacn6't'Tl't0ç KCXÌ 't'Ì'\V 1ttO"'ttV O"q>OOpO't'Tl'tCX ùnoÀ{i'lfE©ç. oU'tE yàp,, unepj3oA.Ti ou0' ,, ocpoop6't'Tlç yévoç, &,Uà Otaq>opa'. OOKEt yàp ,, EK1tÀT1/;tç 0cx.uµa.ot6't'Tlç etva.t unepj36.Mouoa. KaÌ ii nfonç un6À11'1ftç ocpoòpa, roo'te yévoç ii 0auµaot6't'Tlç mì ,, U1tOÀTl'!ftç, ,, 8' unepj3oA.i\ KaÌ ,, O"q>OOpO't'Tl 'tt fon KCl'tll"fOpe'ìa0m OOKEt · À.une'ì~ mi 'te yà.p 6 òpyiç6µevoç x:cxì imoi.cxµ~avet ò~tyrope'ìO"Sat. i\ cxÙ'tfj OÈ O"KÉ\jftç KClÌ È1tÌ 'tOU etoouç 1tpÒç aÀ.À.o 'tt O"U"{:Kptvovn. d yà.p 'tÒ µaì..ì..ov il 'tÒ oµo{roc; OOKOUV dva.t èv. 't~ anooo0évn yf:vet µfi fonv èv 'tip yf:vet, Of\ì..ov on oùoè. 'tò àTtooo0èv dooç ttll àv èv 'tifi yf:vet. Avmpouvn µè.v o-Ùv 1m0anep eip11'tm XPllO"'tÉov. x:macrx:euaçovn oé, d µè.v èmoéxe'ta.t 'tÒ µO:À.À.ov 'tO 'te aTto~ oo0è.v yf:voç KcxÌ 'tÒ etooç, où XPftatµoç o 'tOnoç · oùòèv yàp KroÀ.uet à.µcpo'tÉprov èmoexoµf:vrov µfi dvm 0a'tepov Ocx'tÉpou yÉvoc; · 'to 'te yà.p x:cxÀÒv x:cxì 'tÒ À.eux:òv èmoéxe'tcxt 'tÒ µaA.~ Àov' KClÌ oÙOÉ'tepov OÙOe'tÉpou yf:voc;. Ti oè. 'tOOV yevéòv KClÌ 'troV elùéòv npòc; aU11À.Cl ·cr'6yx:ptcrtc; XPftatµoc; · ofov ei. oµoiroc; 'toBe
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stesso modo quiete e movimento; quindi, se la quiete è una realtà migliore, bisognava porre lanima entro questo genere. Inoltre si deve condurre lindagine partendo dal "più" e dal "meno", e chi si propone di demolire la tesi deve vedere se il genere ammette un "più" mentre la specie I - sia considerata in "8e stessa" sia considerata "rispetto- a dò che trae da essa il suo la ·virtù ainmette un nome" ~·non l'ammette. Ad esempio; ~più", anche la giustizia e l'individuo giusto devono ammetterlo, e infatti Un individuo si dice "più" ·giusto di un altro. Quando dunque il genere fornito ammetta un "più" mentre la specie no, né considerata di per se stessa né rispetto a ciò che ricava da essa il suo nome, la nozione indicata come genere non potrà I costituire effettivamene un genere. . D'altro canto, se ciò che sembra essere "più" o "nella stessa misura" un genere, non è effettivamente un genere, è evidente Che il termine indicato non è più tale. Lo schema è quindi utile soprattutto in quei casi in cui parecchie nozioni si presentano come dei predicati immanenti all'essenza della specie e quando non è stato precisato né siamo in grado di- dire I quale di essa costituisca un genere. Per esempio, tanto il "dolore" quanto il fatto di "credere di non essere tenuti in considerazione" sembrano costituire dei predicati immanenti all'essenza dell'ira; intatti ehi si adira prova dolore, come pure crede di essere tenuto iii scarsa considerazione. Lo stesso metodo si applica anche alla specie, se la si mette in relazione a qualche altra specie; infatti quando la specie, che sembra essere contenuta nel genere stabilito "più" o "nella stessa misura" della specie I proposta, non risulti poi essere contenuta in esso, evidentemente neppure la specie proposta potrà essere contenuta nel genere. - Chi, dunque, vuole attaccare una tesi dovrà fare come si è detto. Al contrario, per chi vuole consolidare una tesi, lo schema non è utile, nel caso in cui sia il genere Il fornito sia la specie ammettono un "di più". Niente, infatti, impedisce che una delle nozioni non sia genere dell'altra, pur ammettendo entrambe un 1'di più": in realtà sia il bello sia il bianco ammettono un "di più" e nessuna delle due nozioni è genere dell'altra. Al contrario, il paragone dei generi e I delle specie tra di essi risulta essere utile.
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Ka.Ì -roÒE yÉvoç, Et 0a-rEpov yévoç, Ka.Ì 0a-rEpov. òµoicoç _ÒÈ Ka.Ì EÌ -rò ~'t'tOV, Ka.Ì -rò µiiA.A.ov · ofov Et -riìç È."(Kpmda.ç µiiA.A.ov ii òUva.µiç 'lì ii à.pEt'Ìl yévoç, ii ò' àpE't'Ìl yévoç, KaÌ ii òuvaµiç. -rà. ò' m'mì 1mì Ènì wU- Etoouç &pµ6an A.éyEa0m · EÌ yàp Òµoicoç -roÒE iea.Ì -r6òe wil 1tpoKnµÉvou dòoç; Et 0&-repov Etòoç, Ka.Ì 'tÒ A.ot1t6v · Ka.Ì EÌ -rò ~nov ÒoKouv d~ Mç Èmi, Ka.Ì tÒ µiiA.A.ov. "fai 1tpÒç 'tÒ KCI'tCIGKEUUSEtv 1tapxei, oùK &v ei11 KaA.&ç Ketµevov tot.OV 1tUpÒç 't'Ò Èv éfl 1tpc0't'Cfl \jJUX'Ì) 1tÉcpUK€V dvm. Ka't'ov Èntcr'tftµTtç Òcicnicòv où KÉXPT\'tat -cij> aù-cép nA.t::ovaictç òvcSµ:att, EtT\ à.v ica'tà -cou-co icaì..&ç ànoScòoµÉVov wu àv8pronou 'tò tStov. "Enct't' àvacrKeu&çov-ca µèv d 'tOtou-c6v n ànoÒÉÒroiccy èv -cép i.Sicp o n&.crtv imapxn. àxpc'ìov yàp fo-cm -cò µ~ xcopiçov àn6 nvcov · 'tÒ S' èv -co'i:ç UHotç A.cy6µcvov xcop~~ çctV Òct, ica86.ncp- 1mì 'tÒ f,v 'tQtç opotç. OUKOUV Ecr'tat lCaAfOc; ict::{µzyov -cò 'tòtov. olov rnt::Ì o 0cìç Èmcr'tftµliç ì'.òwv un6ÀT\'lfl.V qµE-canctcrwv unò ·Myou ev o'Ùcrav wiou-ccp ~tvì KÉXPT\'t àì..ì..' àn6 nvoç xcopiçovn · fo'tm yàp. iccxì..&~
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tile fra tutti i corpi" (in questo caso, infatti, chi parla, ripete due volte il telJllin:e "corpo") e, (2) in secondo luogo, qu~do si sostituisca ad un termine la sua definizione, come nel caso in cui Il uno stabilisca che la caratteristica peculiare della terra sta nel fatto di essere "la sostanza che, tra tutti i corpi, è la più portata verso il basso per natura", sostituendo in seguito al termine ~corpi", l'espressione "sostanze dotate di queste caratteristiche". Infatti, "corpo" e "sostanza dotata di queste caratteristiche", significano una sola e medesima cosa e, in questo caso, chi parla I avrà ripetuto due volte il termine "sostanza". Quindi, in nessuno dei due esempi che abbiamo appena fatto, la caratteristica peculiare viene individuata in modo corretto. Al contrario, chi vuole consolidare la tesi deve fare attenzione chelo stesso termine non sia stato usato più di una volta: in questo caso, allora, la carattei;istica peculiare risulterà stabilita· correttamente. Per esempio, poiché colui che ha detto che la· caratteristica peculiare dell'essére umano è quella di costituire un essere vivente capace di acctogliere la scienza non ha usato più volte lo stesso nome, da questo punto di vista la caratteristica peculiare sarà attribuita I correttamente. Chi, poi, vuole demolire la tesi vedrà se l'interlocutore abbia introdotto nell'espressione che costituisce la caratteristica peculiare un termine che costituisca un attributo universale. Infatti un elemento che non è in grado di distinguere una realtà da nessun'altra è inutile; al contrario l'espressione che costituisce la caratteristica peculiare deve distinguere e separare una realtà , così come accade per le definizioni. Quindi, nel caso che abbiamo detto, la caratteristica peculiare I non risulterà essere stata individuata in modo corretto. Chi, per esempio, abbia posto come caratteristica peculiare del sapere "una" opinione che non può essere scalzata da nessun argomento, costituendo un'unità, si è servito, per individuare la caratteristica peculiare, di un termine, quale l'"uno", che costituisce un attributo universale, e quindi la caratteristica peculiare del sapere non risulterà essere individuata in modo corretto. Al contrario, chi vuole consolidare la tesi, dovrà fare attenzione al fatto che non sia stato usato nessun attributo universale, e che piuttosto ogni caratteristica indi-
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viduata distingua l'oggetto in questione da almeno qualcos'altro: così la caratteristica peculiare I risulterà, in questo senso, stabilita in modo corretto. Ad esempio, se uno ha detto che la caratteri~tica peculiare dell'animale consiste nel fatto di "avere un'anima", non si è servito di nessun attributo comune, e, di conseguenza, il fatto di avere un'anima risulterà stabilito correttamente come una delle caratteristiche peculiari dell'animale. In seguito, chi vuole demolire la tesi dovrà far attenzione se l'interlocutore ha fornito parecchie caratteristiche peculiari della stessa realtà, senza però precisare che sono parecchie. In questo caso la caratteristica specifica I non risulterà stabilita in modo corretto. Infatti, come a proposito delle definizioni non si deve aggiungere nient'altro al discorso che esprime l'essenza, così, anche nel caso delle caratteristiche peculiari, al discorso che individua quanto è stato detto come una caratteristica peculiare, non si deve aggiungere nient'altro: infatti l'aggiunta risulta essere inutile. Ad esempio, chi abbia affermato che la caratteristica peculiare del fuoco consiste nel fatto di essere il più sottile I e il più leggero fra i corpi, ha stabilito "più di una" caratteristica peculiare (ciascuna di queste due caratteristiche, infatti, è attribuita solo al fuoco) e, di conseguenza, il fatto di essere il più sottile e il più leggero tra i corpi non risulterà stabilita correttamente come caratteristica peculiare del fuoco. Al contrario, chi vuole consolidate la tesi· dovrà fare attenzione al fatto che non siano stati fornite parecchie caratteristiche peculiari della stessa realtà, ma una sola. Infatti la caratteristica peculiare del fuoco, da questo punto di vista, sarà stabilita in modo corr-etto. I Chi, ad esempio, ha affermato come caratteristica peculiare di ciò che è fluido il fatto di essere un corpo a cui può essere data qualsiasi forma, nell'individuare la caratteristica peculiare ha individuato una caratteristica ma non "più di una" e, di conseguenza, da questo punto di vista, la caratteristica peculiare di ciò che è fluido risulterà stabilita correttamente.
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3. "fatett' àvav ainép òµoiroç &yvmcr'tov fon, 'tÒ ÒÉ n 'téòv au'tou ìScr'tepov · oiSKouv èmì yvrop1µ0rrepov. rocr't' ou yivt'tm ùl.à. 'tOU'tci:>v µ&M6v n µa0el:v, ofov· èneì ò e1naç çcpou lòtov oùofov ~ç _eiò6ç fonv èiv0pronoç nvì npocrKÉXPT\'tat 'téòv 'tOU'tOU, oÙK &v Ett\ KaÀ&ç xdµevov 'tÒ lòwv. Ka'tUO'Ktl)açov'ta ùf: eì µft'te aÙ'tcp µft'te 'téòv au'tou µ11òevì KÉXPT\'tat · fo'tm yà.p KaÀ.roç icmà. 'toU'to Ketµevov 'tÒ lòtov. ofov èneì ò 0eìç çcpou lòwv 'tÒ ÈK 'J!Uxlì.ç KaÌ crroµmoç O'UyKetµevov OU'tE cx.ùtép o'Ì)'te 'téòv a\)iou oÙÒEVÌ 1tp00'KÉXPT\'tat, ElT\ &v KàÀ.éòç Katà. 'tOU'tO ànoÒEÒOµÉvov 'tÒ 'tou çcpou lòtov. 10 V,3. Chi vuole demolire una tesi deve fare attenzione se l'avversario; per. individuare la caratteristica peculiare, si è. servito della nozione stessa della realtà in questione oppure di una delle sue specie sottostanti. Infatti, iil questo caso, la caratteristica peculiare non Viene individuata in modo corretto. Intatti la caratteristica peculiare viene individuata proprio allo scopo di conoscere una determinata realtà, mentre se si fa ricorso ad una delle specie sottostanti alla realtà in esame, che per natura è ancora meno chiara rispetto ad essa, di certo non si conoscerà tale realtà in misura maggiore. Si devono anche esaminare le caratteristiche che rendono o che non rendono più nota la realtà in questione. Chi vuole demolire la.tesi osserverà se l'avversario ha utì~ lizzato. una qualche nozione che sia o contrapposta o simultanea o posteriore rispetto alla realtà esaminata: in questo caso la caratteristica peculiare non, sarà stabilita correttamente, visto che in nessuno· dei ·casi si rende più chiaici ciò che è indicato dalla nozione in questione.' Al contrario, chi vuole consolidare una una tesi, verificherà che tutto questo non si dia. Chi vuole demolir~ la tesi, inoltre, deve controllare che l'avversario abbia stabilito come caratte, ristica peculiare una caratteristica che non consegue sempre alla realtà presa in esame. E poi, chi vuole demolire la tesi, osserverà se l'avversario abbia fo'. dicato uria caratteristica peculiare per quello che si verifica in qud momen~ to preciso, senza però aggiungere questa precisaziOne. In seguito, chi vuole demolire la tesi, vedrà se linterlocutore ha fornito una caratteristica peculia: re con caratteristiche tali che la sua appartenenza alla realtà in questione non si manifesti se non attraverso la sensazione. Infatti, tutto ciò che cade sotto l'ambito della sensazione diventa ignot~ se si esce dall'ambito della sensazione stessa. Inoltre, chi vuole demolire la tesi deve osservare se l'interlocutore ha fornito la sua definizione come una caratteristica peculiare della realtà in questione e, in questo caso, la caratteristica peculiare non sarà stata for-
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[Schemi relativi alla cara,tteristic.a peculiar.e] 10 3. Chi vuole demolire la tesi, inoltre, deve fare attenzione se l'avversario, per individuare la caratteristica peculiare di una realtà, si è servitù della nozione stessa della realtà in questione, oppure di una delle specie sottostanti: in questo caso la caratteristica peculiare Il non risulterà individuata in modo corretto. Infatti, è per conoscere una determinata realtà che si cerca di individuare la caratteristica peculiare. D'altro canto la nozione della ·realtà in questione è ignota nella stessa misura della realtà stessa, mentre una delle specie sottoposte alla natura della realtà in questione è posteriore, per natura, alla nozione di quella realtà, e dunque risulta ancora meno chiara di questa. Ne deriva che, tramite questi strumenti, non si raggiungerà una conoscenza maggiore, Chi, ad esempio, abbia individuato come caratteristica peculiare dell'animale il fatto di essere una sostanza I che ha tra le sue specie l'essere umano, si è servito di. una delle specie sottostanti alla no~ione dl. animale; pertanto la caratteristica peculiare nò:O riulterà stabilita in modo corretto. Al contrario, chi vuole eonsolidare la tesi verificherà che non sia stata usata né la nozione siess.a della realtà in questione, né alcuna delle nozioni sottostanti alla nozione della realtà: in questo caso la caratteristica peculiare risulterà, sotto questo aspetto, individuata correttamente. Chi, ad esempio, ha individuato come caratteristica peculiare dell'animale il fatto di essere composto di anima e di corpo, non ha utilizzato né la nozione stessa di animale I né alcuna delle specie subordinate a quelle di animale; quindi la caratteristica peculiare dell'animale risulterà stabilita correttamente sotto questo aspetto. nita in modo corretto. Infatti la caratteristica peculiare non deve esprimere l'essenza di una determinata realtà. Inoltre, chi vuole demolire la tesi, dovrà fare attenzione se l'avversario ha individuato la caratteristica peculiare senza porla all'interno dell'essenza della realtà in questione. Infatti è necessario, a proposito delle caratteristiche peculiari esattamente come a proposito delle definizioni, che prima di tutto sia fornito il genere e poi che siano aggiunte le altre caratteristiche, e poi che la realtà in esame venga distinta dalle altri!, Quando, ncll'individuare una caratteristica peculiare, non si segue questo. metodo, non si procede in modo corretto.
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Tòv a:inòv òè -rp61tov Ka.Ì È1tÌ -rrov lf)..;)..©v O'KE1t'tÉov fo-rì '[;OOV µi\ 1tOtOUV'tOOV Tl 1tQtOUV'tOOV yvroptµonEpov, àva.O'KEUclSOV'tC:C µèv d nvt 1tpoaKÉXPTJ't~t Tl àvnKEtµÉvq> Tl oA.roç aµa ~TI· µ&A.ta-r' àv-riKEt-rm" -r(j> àv-riKEtµÉvqi 1tpOO'KÉXP1l'ta.t 'tOU àya.0o13; OÙK &v ElTJ 'toU àya0ou Ka.Afi>ç Ù1tOÒEÒoµÉvov 'tÒ tòtov. Ku tòtov µ'Ì'\ ò.J..n0c'6c'tat icmà. 'tou µépouç, 11 ci 'tÒ 'tOU µépouç µ'Ì'\ À.Éyc'tat icmà. wu cr-6µnavwç· où yà.p fomt tòtov 'tÒ icctµcvov tòtov dvm. cruµj3a{vci ò' Èn' Èvtrov 'tOU'tO ytvccr0m · Ò.1tOÒOt'fl yà.p av nç ÈnÌ. 'tOOV oµotoµcpiòv totov Èvto'tc µèv ÈnÌ. 'tÒ cruµnav j3Mvaç, Èvto'tc ò' È1tÌ. 'tÒ icmà. µépoç À.cyoµcvov aÙ'tÒç au'tÒV Èntcnftcraç. fo'tat O' oùòé'tcpov òp0&ç Ù1toÒcÒoµévov. ofov ÈnÌ. µèv 'tOU cr-6µnavwç, È1tCÌ O éfaaç 0a/...a't'triç totOV 'tÒ 1tÀ.clcr'tOV UÒ©p aÀ.µupÒV oµotoµcpouç µÉv nvoç e0Tj1Cc 'tÒ lOtoV, 'tOtoU'tOV O' 'tO'U 'tOU EtpllµÉvou Kd.'t fonv totov 'tÒ ~É/..'ttO''tOV, 1mÌ 'tOU KClKOU W Etll lOtoV 'tÒ XetptO''tOV. '
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tuirà una caratteristica peculiare della realtà indicata da un caso del nome connesso al secondo dei casi che abbiamo detto. Ad esempio; poiché, il fatto di "essere in modo bello" non costituisce una caratteristica peculiare del fatto di "essere in modo giusto'', allora neppure il fatto di "essere ciò che è bello" costituirà una caratteristica peculiare di "essere ciò che è giusto". Al contrario, chi vuole consolidare la tesi, verificherà che la nozione indicata da un caso grammaticale sia una caratteristica peculiare della realtà indicata da un corrispettivo caso del termine: infatti anche la nozione indicata da un caso I connesso al primo di questi casi dei termini costituirà una caratteristica peculiare della realtà indicata da un caso del termine connesso al secondo dei casi che abbiamo detto. Ad esempio, poiché il fatto di essere "terrestre e bipede" costituisce una caratteristica peculiare dell'essere umano, allora anche ciò che "appartiene a" ciò che è "terrestre e bipede" costituirà una caratteristica peculiare di ciò che "appartiene" all'essere umano. Rispetto ai casi dei termini, poi, bisogna indagare non soltanto sui termini indicati, ma anche su quelli opposti ad essi, come si è detto negli schemi precedenti. Chi vuole demolire la tesi vedrà, dunque, I se la nozione indicata dal caso del termine opposto non costituisca una caratteristica peculiare della realtà indicata da un parallelo caso del termine del primo di altri due teqnini opposti: in questo caso neppure la nozione indicata dal caso parallelo del secondo termine opposto costituirà una caratteristica peculiare della realtà indicata dal caso parallelo del secondo tra gli altri due termini opposti. Ad esempio, poiché "il fatto di essere buono" non costituisce una caratteristica peculiare di ciò che è giusto, neppure "il fatto di essere cattivo" sarà una caratteristica peculiare di ciò che è ingiusto. Chi, invece, vuole consolidare la tesi, verificherà che l'opposto della caratteristica peculiare fornita costituisca una caratteristica peculiare della realtà opposta a quella indicata: infatti, il caso dell'altro opposto costituirà la caratteristica peculiare I del caso dell'altro opposto. Ad esempio, poiché "il fatto di essere qualcosa di ottimo" costituisce {ina caratteristica peculiare di "ciò che è buono", anche "il fatto di essere qualcosa di pessimo" costituirà una caratteristica peculiare "di ciò che è cattivo".
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"fotEt't' àlC 'tIDV oµo{roç ÉX,OV'tOlV, Ò.VCXO'KEUcXSOV'tCX µèv d 'tÒ oµo{roç EX,OV 'toU oµo{roç EX,OV'tOç µTi fonv Iòtov. oÙÒÈ yà.p 'tÒ oµo{roç f.x,ov 'toU oµo{coç EX,OV'tOç fo'tat tOtoV. ofov É7tEÌ oµo{roç EX,Et o oìx:oò6µoç npòç 'tÒ 7tOtEtv oìricxv x:aì· o ìmpòç 7tpÒç 'tÒ 7tOtEtV uyfamv, OUK fon OÈ ìmpou totOV 'tÒ 7tOtEÌV uyfaiw; oùic &v Etfl oìicoo6µou tòwv 'tÒ 7tOtEtv oiic{av. icmacrKEuaçov'tct ÒÈ EÌ 'tÒ oµo{roç f.x,ov 'tOU oµo{roç f.x,ov'toç ÈO'nv totoV · lCCXÌ yèip 'tÒ oµo{roç f.X,ov 'tOU oµo{roç f.x,ovwç Ecr'tat totov. ofov É7tEÌ oµo{roç ,, .,ta'tpoç '· 'tE 7tpoç ' ' 'UytEtaç , . Etvm ';" " EX,Et 'tO' 7tOtT1nKoç lCCXt' yuµVCXO''t'Tlç 7tpÒç 'tÒ 7tOtT1nKÒç EÙE/;taç, fon è)' totoV yuµVCXO''tOU 'tÒ 7tOt1,n~ icòv dvm EÙE/;foç, et'Tl &v tòtov ìmpou 'tÒ 1tOtT1nicòv dva.i uytdaç. "E7tEt't' f.ic 'téòv còcra{nroç Èx,ov'trov, à.vaO'lCeuaçov'ta µÈv Et 'tÒ còcrau'troç f.x,ov 'tou rocrau'troç f.x,ovwç µTi fonv towv · oùoÈ yà.p 'tÒ còcrau'troç ex,ov wu còcrau'troç EX,OV'toç fo'tm 1otov. EÌ o' ÈO''tÌ wu còcrcxu'troç f.x,ovwç 'tÒ. còcrau'troç f.x,ov totov, 'tOU'tÒ'U oÙK Ecr'tat tòtov o'Ù KEtmt dvm tòtov. ofov È7tEÌ còcrau'troç ExEt cpp6VT1crtç 7tpÒç 'tÒ KCXÀÒv iccxì 'tÒ aìcrx,p6v, 'tql É7ttcrifiµri ÉKa-
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Poi bisogna prendere in considerazione le realtà che si comportano in modo simile. Chi vuole demolire la tesi dovrà fare attenzione se ciò che si comporta in modo simile alla caratteristica peculiare fornita non sia, in effetti, una caratteristica peculiare di ciò che si comporta in modo simile al soggetto: infatti, allÒra, l'altra realtà che si comporta in modo simile non costituirà pili una caratteristica peculiare di ciò che si corp.porta I in modo simile. Ad esempio, poiché l'architetto sta, rispetto al costruire case, in rapporto simile a quello in cui il medico sta rjspetto alla salute, e poiché d'altro canto il fatto di procurare la salute non costituisce una caratteristica peculiare del medico, allora Il il costruire case non potrà costituire una caratteristica pecu1iare dell'architetto. Chi, al .contrario, vuole consolidare la tesi, d~e vedere se ciò che si comporta in modo simile alla caratteristica peculiare fornita costituìsce una caratteristica peculiare di Ciò che si comporta in :modo simile al soggetto: in questo caso, iillatti, anche l'altra realtà che si comporta in :modo simile costi~ tuirà una caratteristica peculiare di ciò che si comporta in modò simile. Ad esempio, poiché il medico sta, I rispetto "al fatto di essere colui che dà la salute" in un rapporto simile a quello in cui l'allenatore degli atleti sta rispetto "al fatto di essere coluì che dà il Vigore fisico"; e poiché, d'altra patte, "il fatto di essere colui che dà il vigore fisico" costituìsce una caratteristica peculiare dell'allenatore degli atleti, allora "il fatto di essere coluì che produce la salute" risulterà essere la caratteristica peculiare del medico. Poi si devono esaminare i termini legati da "rapporti rispettivamente uguali". Chi vuole demolire la tesi, allora, osserverà se la caratteristica fornita non costituìsca una caratteristica peculiare della realtà in questione, in quanto è legata ad una determinata realtà secondo un certo rapporto: in questo caso, I infatti, la stessa caratteristica non risulterà propria della stessa realtà, neppure in quanto essa sia legata a qualcos'altro secondo lo stesso rapporto. D'altro canto, se la caratteristica in questione costituisce la caratteristica peculiare della realtà in quanto è legata ad un qualcosa seco~do un certo rapporto, non potrà.più costituire una caratteristica peculiare della stessa realtà, dal momento che è legato a qualche altra realtà da uno stesso rapporto. Ad esempio,
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'tÉpou aù't&v eivm, oÙK Eov, OUÒ' èiv "COU av8pro1tOV cp8eipecr8at d'rt tÒtOV 'CÒ cp0eipecr8m séf>ov. 'CÒV CXÙ'CÒV ÒÈ 'Cp01tOV Afl1t'CÉoV Ècr'CÌ lCCXÌ ÈlC 'COU yivecr0m npòç 'CÒ etvm lCCXÌ cp0eipecr8m, lCCXÌ ÈK 'COU cp8ei~ pecr0m npòç 'tÒ dvm x:cxì npòç 'CÒ yivecr8m, Kcx8anep etpTJ'Cm vilv ÈK 'COU dvm npòç 'tÒ yivecr0m KaÌ cp0eipecr8m. KcxmO"Keu&:çov'tcx -ÒÈ ei 'COU ica'tà. 'tÒ dvm 'te'tayµÉvou ÈO"'tÌ tò Km' au-cÒ 't8'tayµÉvov tòwv · 1mÌ yà.p "COU lCa'Cà. 'CÒ yivea8m A.eyoµÉvou Ecr'tm 'CÒ Ka'tà. 'CÒ yivecr8at A.ey6µevov tòtov, KO'tO:'tOV · q>0a.~ pév'toç yàp 'tOU 1tUpÒç Ecr'tm 'tt 'tOOV crcoµÙ:'tCOV o KOUq>O'ta.'tOV
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ha individuato questa caratteristica peculiare riferendolo anche a ciò che "non è". (Infatti l'aria può sussistere anche quando non sussiste l'animale che per natura, è costituito in modo tale da poter respirare l'aria; d'altro canto non è c~mente possibile che qualcosa respiri, se non c'è 11'animale; pertanto, ciò la cui natura consiste nel poter essere respirato non risulterà essere una caratteristica peculiare dell'aria, quando non ci sarà più l'animale, ovvero ciò che è costituito in modo tale da poter respirare). Quindi, concludendo, il fatto di "essere respirabile" non potrà costituire una caratteristica peculiare dell'aria. Chi, invece, vuole consolidare la tesi verificherà che l'interlocutore, fornendo la caratteristica peculiare "in potenza", li la metta in relazione (1) o con ciò che è, (2) oppure anche con ciò che non è, nel caso in cui, però, la potenza fornita possa appartendere a ciò che non è: in questo caso, la caratteristica che si è sostenuto non costituire una caratteristica peculiare, non risulterà essere tale. Chi, ad esempio, abbia fornito come caratteristica peculiare "di ciò che è" il fatto di I "essere capace di patire" o "di fare", ha stabilito la caratteristica peculiare in potenza mettendola in relazione con "ciò che è" (infatti "ciò che è", nel caso in cui esista, sarà anche capace di patire o di fare qualcosa). Pertanto, il fatto di essere ciò che è capace di patire o di fare risulterà una caratteristica peculiare di ciò che è. Chi intende demolire la tesi, inoltre, osserverà se l'interlocutore ha posto la caratteristica peculiare in forma superlativa: I infatti ciò che è stabilito come caratteristica peculiare non risulterà essere tale. Quando, infatti,.si fornisce la caratteristica peculiare in questo modo, accade. che di dò a cui si attribuisce in modo vero l'espressione della caratteristica peculiare non si attribuisca in modo vero il nome della realtà in questione. Infatti, una volta che venga meno la realtà in questione, l'espressione della caratteristica peculiare continuerà a sussistere nello stesso modo, appartenendo in forma superlativa ad una qualche realtà. Ad esempio si dovrà stare attenti al fatto che uno abbia stabilito come caratteristica peculiare del fuoco il fatto di essere "il corpo più leggero di qualsiasi altro": infatti una volta che I venga meno il fuoco vi sarà qualche altro corpo che risulterà "più leggero di
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èhcr-r' O'ÒlEO''tU'tU 'tft Épµ'J'\VEl~ KEXpfìcr0m~ ÉnEtOÌ'\ 'tOU yvropfom xac PW U1t00lOO'tat 6 optcrµ6ç), OEU'tEpov o' EÌ ènì 1tAUOV Etprpce 'tÒV Myov 'tOU ofov1:0ç. n&v yà.p 'tÒ npocricdµevov Èv 'téj> optcrµéj> 1tEpfapyov. naÀ.tv o' ÉKU'tEpov 'tOOV Eìp11µÉvrov EÌç 1tÀ.etOl µÉp'll OtElÀ.111t'tat. 2. Eiç µÈv o'Ùv 'tonoç 'tOU àcraq>éòç, EÌ 6µc.Ovuµ6v Éa'ti nvt ' ' ~ " , ' ' ' ' 'tO EtP'llµEvov, OtoV O'tt 11e "{EVEO'tç CX."{CO"f' T' l Etç OUO'taV Ka.t' ''O'tt 'Te\ U"{tEta. cruµµE'tpia 0Epµé.òv KClÌ 'lfUxprov. oµc.Ovuµoç yà.p ii àyroYÌ'\ ica.ì ii cruµµE'tpfo. èio11À.ov o'Ùv 6n61:Epov ~ouÀ.E'ta.t À.É~ "{Etv 'tOOV 011À.ouµÉvrov unò 'tOU MEovaxéòç À.E"{oµÉvou. oµoiroç oè iea.Ì EÌ 'tOU ÒptçoµÉvou 1tÀ.Eova.xéòç À.EyoµÉvou µÌ'\ OtEÀ.Ò:>V ei1tEV" èio11À.ov yà.p ònotÉpou 'tÒV opov U1tOOÉOCOKEV, ÈvOÉXE'tCX:l 'te cruico Optcrµéj> cX1tOOo0Év; cruÀÀoy1crµòv no1iìam · d yàp KCX'tÒ. µ118Éva. 'trov 'tponrov ÌKa.vroç e1p11'tm, òiìÀov on oÙK liv ÒlptcrµÉvoç e111 KCX'tÒ. 'tponov. 'AÀÀoç, d KCX'tÒ. µe'ta. 19• (2) Un altro modo è se si usa ciò che deve essere definito. Questo, d'altra parte, I se non si usa lo stesso nome di ciò che deve essere definito, sfugge, come ad esempio se si definisce Il il sole "astro del giorno". Infatti chi usa "giorno" usa anche "sole". Per chiarire ciò occorre sostituire il termine con la defì· nizione, come ad esempio "il giorno è passaggio del sole sulla terra"; infatti è evidente che chi dice "il passaggio del sole sulla I i:erra" dice anche "sole", perciò usa "sole" chi usa "del giorno". (3) E ancora, v dnel:v eiç fo'tt 't61t0ç 'tÒ µÌl oièrnpo'tÉpO)\! KaÌ yvroptµ(J)'tÉprov 1tE1tOtTl0'0at 'tÒV A6yov, µÉpll o' aÙ'tO'U ià EtpllµÉva. OEU'tEpoç oè El év yÉvEt 'tOU 1tpayµawç ovwç µTi lCEl'tcXt èv yÉvEt. év éX.nacrt oÈ 'tÒ wiouwv · oÙ ÒEt yap, Ka:0cl1tEp oùò, Èn:Ì 'tIDV O''OÀ.À.a:f3&v. oùòevì yà.p 'tIDV O''tOt:x;EtO)V èl; éf>v auyKet'ta:t Tt auÀ.À.a:f3Ìl cruvrowµ6ç; fonv. "En d µÌl ElPTlKE 'tÒV 'tp01tOV -riìç; O''OV0foeroç;. où yà.p a:iha:pKEç; 1tpÒç; 'tÒ yvropfoa:t 'tÒ EÌ1tEtV ÈK 'tOU'tffiV. OÙ yà.p 'tÒ ÈK 'tOU'tffiV ci."A.A.à. 'tÒ ou-rroç; ÈK 'tOU'tffiV EKclO''tQ'\) 'tIDV O'UV0É'tffiV Ti OÙO'ta, Ka:0anep È1t' oÌKtaç; · OÙ yap, èiv Ò1tffiO'OUV XPOV
V0ecrtç, Ko:0a1tep et crapKO: opis6µevoç iì OO''tOUV 'titv 1tUpÒç KO:Ì yf\ç KO:Ì ÙÉpoç et1te cruv0ecrtv. ou yà.p cl1t0XPT\ 'tÒ cruv8ecrtv et1telv' à').}..à. KO:Ì n:ofo ne; 1tpoçcStoptcr'tfov · ou yà.p o7trocrouv GUV'te8Év'trov 'tOU'trov cràpl; y{ve'tm, ÙÀÀ' OÙ'trocrì µèv O'UV'te0Év'troV crapl;, O'Ù'trocrì cS' OO''tOUV. Eol.Ke cS' O'Ì:>O' etvm 'tÒ 1to:pamxv cruv0foet 'tO:U'tÒv ouOÉ'tepov 't&v etpl1µÉvrov · cruv8foei µÈv yàp 1tacrn cSuiA.umç èvo:v'tfov, 'téòv 8' EÌPT\µÉvrov OUOe'tÉpq> o'ÒOÉV. E'tt ei oµo{roç m8o:vòv 1tUV 'tÒ cruv0t'tOV cruv0ecrtv etvm iì µT}OÉv, 'tOOV OÈ çq,rov €JCO:O''t0V cruv8e'tOV ov µTi EUKEV imapxeiv 'tclVO:V'tta, roptcr'tm oÈ oià. 0mÉpou, cSf\'A.ov on oux roptcr'tm. ei cSÈ µil, 1tA.efouç 'tau o:uwu cruµj3ilat'tm opmµoùç dvm · 'tt yàp µo'tepo: 1tÉq>UKe ytveo-0m Èv o:u'tép; wtouwç o' Tiìc; vuxf\c; opoç, d fonv "ouafo È1tl.O"TilµT}ç OEK'tl.Klt". oµo{roç yà.p Ko:Ì àyvofoç ÈO"'tÌ OEKnKfl. . L'.iet OÈ KO:Ì èà.v µTi n:pòç OÀOV exn ne; èmxetpetV 'tÒ\i opiaµòv Òtà. 'tÒ µTi yvroptµov etvm 'tÒ OÀO\i, 1tpÒç 'tÙ>V µep&v n èmxeipt'ìv, èà.v Tì yvc&piµov KO:Ì µTi Ko:À&ç Ù1tOOEOoµÉvov q>O:tVT}'Cm · 'tOU yà.p µÉpouç àvmpe8Év'toç KO:Ì o 1tUç opù::rµÒç
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corpo, sarà necessario considerare se egli non abbia precisato di quale composto si tratti. Questo può avvenire quando uno, definendo il tessuto carnoso oppure le ossa, dica che si tratta di un composto di fuoco, terra ed aria. Infatti non basta dire che la realtà in questione è un composto, ma bisogna anche precisare che I caratteristiche abbia questo composto; il tessuto carnoso, infatti, non deriva dal fatto che siano state messe insieme queste parti a caso. Si deve dire, piuttosto, che quando le parti risultano entrare in un composto di un certo tipo, allora sorge il tessuto carnoso, e che quando esse risultano disposte in un certo altro modo, allora sorgono le ossa. D'altro canto sembra che nessuna delle due realtà che abbiamo detto debba assolutamente essere identificata con un composto: infatti ad ogni composto si contrappone una disgregazione, mentre nessuna delle due realtà che abbiamo detto possiede un contrario. Inoltre quando si ammette come ugualmente probabile l'affermare che ogni realtà composta I costituisce una sintesi, oppure che nessuna realtà composta lo è, e quando si consideri che nessun animale, pur essendo composto, è una sintesi, allora risulta che neppure alcun'altra realtà composta potrà costituire una sintesi. Poi, quando due caratteristiche contrarie appartengono ad una realtà nella stessa misura e l'avversario abbia definito qualcosa per mezzo di una delle due, è evidente che non c'è stata definizione. In caso contrario, sarebbe opportuno che vi fossero parecchie definizioni della stessa realtà. Effettivamente, che cosa ha detto di più I colui che ha definito per mezzo dell'altra, dato che entrambe le caratteristiche si presentano naturalmente nella stessa realtà nella stessa misura? Di questo tipo risulta essere anche Il la definizione dell'anima, quando si dice che essa è "la sostanza che può accogliere la scienza": l'anima, infatti, può accogliere la scienza tanto quanto può accogliere l'ignoranza. Inoltre, quando uno non sia in grado di attaccare la definizione nella sua totalità, dal momento che l'espressione complessiva non risulta chiara, sarà necessario I attaccare una delle parti della definizione ogni volta che tale parte sia chiara e sembri non essere stata formulata correttamente. Infatti, una volta demolita una parte, viene meno anche l'intera definizione. Poi, riguardo a
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10 Cfr. Analitici Secondi II 13; Metafisica VII 17. Questo riferimento, seppur implicito, agli Analitici Secondi, costinrisce un'altra importante indicazione di tipo cronologico. Per un esame della questione della datazione delle opere dell'Organon cfr. Saggio introduttivo ai Topici, pp. 1110 ss. 11 Cfr. Categorie 11, 14a20. 12 Cfr. Top. I 15, 107b28.
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zione è chiara. Inoltre, con quali elementi si debba consolidare la definizione, è stato già detto con più precisione I altrove10 ; tuttavia, per questa indagine, saranno utili questi schemi. Infatti si devono considerare i contrari e gli altri termini opposti ad essi, esaminando la definizione sia nel suo complesso sia nelle sue parti. In realtà, se la definizione opposta a quella indicata si applica alla realtà opposta a quella stabilita, anche la definizione formulata si applicherà necessariamente alla realtà stabilita. D'altro canto, poiché, I dei contrari, si danno parecchie connessioni, occorrerà assumere, tra le connessioni contrarie a quella fornita, quella che potrà risultare massimamente evidente. Quindi bisogna prendere m·esame la questione della definizione sia nel suo complesso, come abbiamo già visto, sia nelle sue parti, come invece faremo ora. In primo luogo si deve verificare che il genere fornito sia stato fornito correttamente. Infatti, quando la realtà contraria a quella proposta sia contenuta nel genere contrario a quello fornito, mentre al contrario la realtà proposta non è contenuta in tale genere contrario, I evidentemente la realtà in questione risulterà contenuta nel genere fornito, dal momento che due generi contrari sono necessariamente contenuti o nello stesso genere o in generi contrari11 • E inoltre sosteniamo che, di due realtà contrarie si predicano anche differenze contrarie, così come accade nel caso del bianco e del nero 12: infatti il primo viene detto essere "ciò che disperde il flusso della visione", Il mentre il secondo è "ciò che comprime il flusso della visione". Pertanto, se della realtà contraria a quella proposta si predicano le differenze contrarie a quelle fornite, allora della realtà proposta si predicheranno le differenze specifiche fornite. E allora, dato che sia il genere sia le differenze sono state fornite correttamente, è chiaro che quella fornita risulterà essere la definizione. Tuttavia, quando due realtà I contrarie non sono contenute nello stesso genere, non si può dire necessario che esse si predichino di differenze contrarie. Certo, niente impedisce la stessa differenza si dica di entrambe le realtà, pur appartenendo esse a generi contrari, come per esempio accade nel caso della giustizia e dell'ingiustizia; infatti la prima rappresenta una virtù dell'anima, mentre la seconda un vizio dell'anima, e quindi la locuzione "dell'anima" I è attribuita ad entrambe le
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17 VIII, 4. Il compito di chi risponde correttamente procede parallelamente al compito di chi interroga in modo corretto. Mentre chi interroga deve condurre l'avversario a dare risposte più assurde rispetto a quelle che derivano dalla tesi, chi risponde deve far apparire l'assurdo e il paradossale non come elementi che derivano da un suo errore, ma dalla tesi stessa. 18 VIII, 5. Si tratta di precisare, cosa che non è mai stata fatta prima, quali siano i fini e quale debba essere il comportamento di coloro che discutono. Infatti coloro che insegnano o imparano non tendono allo stesso scopo di coloro che discutono in modo agonistico. A proposito dei dibattiti dialettici, inoltre, finora nessuno ha stabilto chiaramente come devono comportarsi coloro che discutono non per un fine agonistico ma per una prova e per un'indagine. Visto che non è stato tramandato nulla sull'argomento, si pi:overà a dire qualcosa, stabilendo che è necessario che chi risponde difenda il discorso, dopo aver stabilito una tesi che risulterà 1) o fondata sull'opinione condivisa; 2) o non fondata sull'opinione condivisa; 3) o né l'una né l'altra
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dialetticamente. In questo modo risulta chiaro che chi interroga non dovrà pretendere l'assenso dell'interlocutore così come deve pretenderlo da chi insegna. I [I modi di rispondere]17
4. Sulla forma da dare all'interrogazione e sul modo in cui ordinare gli argomenti, abbiamo parlato a sufficienza. Per quanto riguarda, invece, il modo di rispondere, innanzitutto occorre precisare quale sia il compito di chi risponde correttamente, esattamente come quello di chi interroga altrettanto correttamente. Ora, chi interroga deve dirigere il discorso in modo tale da far trarre esplicitamente a chi risponde le conseguenze I più assurde tra quelle che derivano necessariamente dalla tesi; d'altro canto, chi risponde deve far apparire l'assurdo o il paradossale come elementi che discendono non già da un errore a lui imputabile, ma dalla tesi stessa. In realtà, il porre da principio una tesi che non si deve stabilire è un errore che è certamente diverso dal non difendere in modo adeguato ciò che è stato posto come tesi. I
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'5. Inoltre, finora nessuno19 ha precisato quali siano i :fini e quale debba essere il comportamento di coloro che discutono per esercitarsi e per mettere alla prova una tesi. (Infatti, coloro che insegnano o imparano non tendono allo stesso scopo di coloro che discutono in modo agonistico, né questi ultimi hanno lo stesso :fine di coloro che discutono insieme mirando ad un'indagine. In questo modo chi impara deve sempre concedere ciò che gli sembra vero, poiché nessuno, certamente, tenta di insegnare I il falso; al contrario, quando due persone discutono avendo un fine agonistico, chi interroga deve apparire, con ogni mezzo a cosa; 4) o non fondata sull'opinione in assoluto; 5) non fondata sull'opinione condivisa rispetto ad un elemento specifico. Il rispondere correttamente e il dare o non dare l'assenso a ciò che viene domandato dovranno seguire la stessa regola. Segue l'esame specifico dei diversi casi. 19 Anche in questo caso, come in Con/ So/ 34, 184blss., Aristotele evidenzia con orgoglio la novità di questo tipo di indagine.
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te espressione di quella flessibilità metodologica che costituisce una delle costanti del metodo aristotelico. 4 Cfr. Top. VIII 11, 162a9-ll. Cfr. anche An. Pr. II 2. 41 Si rende qui in questo modo il greco logikos (cfr. Glossario e Indice ragionato dei concettz}. Più in generale si deve ricordare l'importanza del suffisso -ikos. «Nel V secolo i Sofisti (e forse anche Socrate) fanno dei termini ottenuti con questo suffisso uno strumento di definizione scientifica: -ikos esprime una componente dinamico-disposizionale, assumendo funzione modale. Il corrispondente aggettivo indica chi pratica un'azione o chi o ciò che possiede una determinata capacità: chi possiede la capacità di governare è archikòs, chi quella di discutere è dialektikòs» (Centrone, Prima lezione... , p. 25).
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sto avviene in diversi casi, come per esempio quandol'argomentazione appare medica senza esserlo davvero, o appare I geometrica, senza esserlo o, senza esserlo, appare dialettica, sia che la conclusione risulti falsa sia che essa risulti vera. (4) In quarto luogo, l'argomentazione si dice falsa se conclude da premesse false. In questo caso, infatti, la conclusione sarà talvolta falsa e talvolta, invece, vera: infatti, come si è detto anche precedentemente40, una conclusione falsa sarà sempre dedotta da premesse false, mentre una conclusione vera potrà I anche non derivare da premesse vere. ·Quindi, il fatto che l'argomentazionè falsa dipende da chi la sviluppa, piuttosto che all'argomentazione stessa. O, per meglio dire, chi sviluppa l'argomentazione non sarà neppure sempre responsabile, ma solo.nel caso in cui l'~bbia condotta senza accorgersi della sua falsità. Infatti noi preferiamo, senza dubbio, un'argomentazione per se stessa falsa a molte argomentazioni vere, quando essa, partendo da premesse che "sembrano" massimamente accettabili, demolisca I una qualche proposizfone vera.· Se, infatti, un'argomentazione ha per natura queste caratteristiche, essa verrà a dimostrare altre proposizioni vere: infatti è necessario che una delle premesse stabilite non sussista in assoluto e, di conseguenza, l'argomentazione dimostra la verità della proposizione contrapposta a tale premessa. Però, quando l'argomentazione, pur fondandosi su premesse false ed estremamente sciocche, deduca una conclusione vera, essa risulterà peggiore di molte altre argomentazioni che deducono conclusioni false. Però, anche un'argomentazione che deduca una conclusione falsa potrà essere fondata su premesse false ed estremamente sciocche. I In questo modo risulta evidente che (1) la prima indagine deve riguardare l'argomentazione per se stessa, considerando se deduce una conclusione, che la seconda (2) deve assodare se la conclusione è vera oppure è falsa e che (3) la terza deve esaminare da quali premesse l'argomentazione si sviluppa. Infatti se essa discende sì da premesse false, ma fondate sull'opinione condivisa, allora è dialettica41; se, al contrario, si sviluppa a partire da premesse vere ma non fondate sull'opinione condivisa, allora si tratta di un'argomentazione di scarso valore; se, poi, le premesse risultano sia false sia molto lontane dall'opinione condivisa, sarà evidente che
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Cfr. Conf Sof cap. 4 ss. «La definizione del sofista... si rifà a quella distillata nel corso del Sofista pia.tonico» (Fait, Aristotele, Confutazioni Sofistiche... , ad loc.). · 14 La sofistica è una capacità (&6va.µtç), come la dialettica. Cfr. Topici i 12 13
3, 101b5-10.
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32 L'espressione· j3ouÀ.ecr8m Mx.j3filv µe 'to'Ùç 1tOÀ.eµf.ouç, infatti, può significare sia "volere che io catturi i nemici", sia "volere che io sia catturato dai nemici". 33 Cfr. Platone, Eutidemo 300 B-C. 34 Il termine greco ÙE'toç può significare "aquila", "frontone" oppure un tipo di pesce. 35 Il termine greco id>rov ha parecchi significati, tra cui "cane", "sfrontatezza, "audacia", la "costellazione del cane", "cane marino" o "pesce spada";.
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colui che è ammalato, mentre è sano non chi ora è ammalato, ma l'ammalato, ammalato non però ora, ma precedentemente. I A2) Poi, per quanto riguarda l'ambiguità; possiamo ricordare affermazioni di questo tipo: >. Come pure: «il maggiore è uguale». Infatti una realtà I maggiore di un'altra è uguale a se stessa e anche superiore a quella. In effetti lo stesso discorso non sempre risulterà avere lo stesso significato, a seconda che sia diviso o congiunto. Ad esempio: «lo ti resi schiavo, essendo tu libero»36 , e ancora «di cinquanta uomini il divino Achille ne lasciò cento». Il A5) Quanto poi all'accentazione; non è facile tenerne conto nelle discussioni dialettiche non scritte; mentre è più facile farlo in quelle scritte o nelle poesie. Ad esempio ci sono alcuni che correggono lo stesso Omero, difendendolo da coloro che lo accusano di aver fatto questa affermazione priva di senso: I «ne [où] imputridisce alla pioggia>>; infatti risolvono la difficoltà pronunciando il "né" [ou] in modo più acuto. E, ancora, risolvono la difficoltà relativa al sogno di Agamennone, sostenendo che non fu Zeus stesso a dire: «gli concediamo che venga esaudita la sua preghiera>>, ma che fu il sogno che, per ordine di Zeus, glielo concesse. Sono queste, dunque, le questioni connesse all'accentazione. I A6) Per quanto, poi, riguarda,· le argomentazioni connesse al modo di dire le cose, esse si danno quando ciò che non è lo stesso viene espresso allo stesso modo, come per esempio ciò che è "maschile" viene espresso con un "femminile'', o il "femminile" con il "maschile", o il neutro con uno degli altri due, oppure la "qualità" con la "quantità" o la "quantità" con la "qualità", o !'"agire" con il "patire", o I. "st~to" con f"agire", e così via, secondo la distinzione delle altre che abbiamo già fatto. I Infatti è possibile indicare una realtà che non fa parte dell'agire come se ne facesse parte; per esempio lo "stàre in salute", quanto al modo di dire le cose, costituisce un'espressione identica al "tagliare" o al "costruire", ma uno indica una qualità e un certa condizione, mentre gli altri un "agire". Lo stesso vale anche per gli altri casi. I Quindi, le confutazioni connesse al· fatto di parlare hanno queste caratteristiche, mentre B) dei ragionamenti sbagliati che "non" sono connessi al fatto di parlare ci sono sette specie:
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5. 01. µÈv o'Ùv na.pà 'tÒ cruµf3ef3T1KÒç na.pa.A.oytcrµo{ eicrtv O'tCX.V oµo{roç O'tl.OUV èì.1;iro0n 'téi> 1tpÙ:yµa._'tl. Ka.Ì 'téi> cruµ37
Si traduce con "petizione di principio", su cui si rimanda all'Indice ra-
gionato dei concetti, l'espressione greca i:ò 7tapà i:Ò i:ò bi àPX[ì. 38 5. a) I ragionamenti sbagliati che dipendono dall'accidente si hanno quando si sostiene che una stessa caratteristica appartiene in modo simile sia alla realtà in questione sia all'accidente. Infatti, poiché la stessa realtà ha molti accidenti, non è necessario che a tutti quanti appartengano le stesse caratteristiche. b) I ragionamenti sbagliati che dipendono dal fatto che una cosa si dica "in assoluto" o solo "in un certo senso" e secondo un significato non fondamentale, invece, si hanno quando ciò che viene detto solo in un certo senso viene assunto come assoluto, ad esempio come se ciò che "non è qualcosa" viene assunto come ciò che "non è in assoluto". Lo stesso vale se qualcosa si dice "limitatamene a un certo aspetto" o "in assoluto". Oppure, se due predicati contrari si dicono limitatamente a un certo aspetto, si può dire che due predicati contrari appartengono contemporaneamente allo stesso soggetto. Questo ragionamento sbagliato, in alcuni casi è facile da smascherare, mentre in altri passa inosservato, ovvero ogni volta che un predicato si dice "rispetto ad un ambito limitato", mentre lo si fa valere "in assoluto" e nei casi in cui non è facile capire quale dei due predicati sia da considerare come attributo in un senso fondamentale. c) I ragionamenti sbagliati derivanti dal fatto che non si è precisato che cos'è il sillogismo e che cos'è la confutazione derivano dal fatto che c'è un difetto nella definizione. Infatti la confutazione la contraddizione della stessa ed unica realtà e non del nome, e non facendo ricorso ad un termine sinonimo, ma proprio allo stesso nome. Inoltre la confutazione deve derivare da ciò che è stato stabilito e va condotta secondo lo stesso punto di vista, secondo lo stesso rapporto, allo stesso modo e nello stesso tempo. Alcuni, invece, trascurando alcuni di questi elementi, confutano solo in apparenza. e) I ragionamenti sbagliati che si fondano su una petizione di principio si danno in tanti modi quanti quelli in cui è possibile richiedere ciò che è stato posto all'inizio, e "sembrano" confutare, invece che farlo effettivamente, perché non sanno cogliere con esattezza ciò che è identico e ciò che è diverso; d) La confutazione connessa alla "conseguenza" ha una validità solo apparente, perché si crede che il rapporto tra il primo termine e la conseguenza sia convertibile: infatti, quando da una realtà ne discende necessariamente un'altra, si ritiene che dalla seconda derivi necessaria-
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Bl) la prima dipende dall'accidente*; B2) la seconda dal fatto di essere detta ''in assoluto", oppure "non in assoluto" ma "per un certo aspetto'', o "in un certo luogo'1, o "in un certo tempo", o "in una certa relazione"; B3) la terza è connessa all"'ignoranza della confutazione"; B4) la quarta è I quella connessa alla "conseguenza"; B5)la quinta si fonda su una petizione di principio37*; B6) la sesta sorge dal fatto di "assumere come causa ciò che non lo è"; B7)la settima è la "riduzione di molte domande ad una sola". [Le confutazioni non connesse al fatto di parlare]38
5. Bl) I ragionamenti sbagliati che dipendono dall'"accidente" si presentano quando si sostiene che una stessa carattemente anche la prima. Da qui nascono anche le opinioni ingannevoli prodotte dalla sensazione. L'assunzione erronea del conseguente all'interno del discorso, inoltre, avviene anche all'interno dei discorsi retorici: come ad esempio, volendo dimostrare che uno è un adultero, si assume il conseguente, e cioè il fatto che l'individuo in questione ami vestire in modo elegante oppure giri di notte (anche se, in realtà, ci sono molti individui che, pur avendo queste caratteristiche, non sono adulteri). Lo stesso vale per le argomentazioni sillogistiche, come nel caso dell'argomento di Melisso, in base a cui il tutto non ha un principio, e dunque è infinito. Ma questa conclusione non è necessaria, visto che, posto che tutto ciò che è stato generato abbia un principio, da ciò non deriva che ciò che ha un principio debba essere stato generato, così come dal fatto che chi ha la febbre è caldo non si può dedurre necessariamente che chi è caldo abbia la febbre; f) Il ragionamento sbagliato che consiste nell'assumere come causa ciò che non lo è si ha quando nel discorso viene assunta una proposizione che non è causa del ragionamento in questione. Tale tipo di ragionamento sbagliato si ha nei ragionamenti che conducono all'impossibile. In questo caso è necessario demolire una delle premesse. Tali argomentazioni non sono del tutto prive di andamento sillogistico, ma non possiedono tale andamento nella conclusione. Tale ragionamento sbagliato, inoltre, sfugge anche a coloro che interrogano. g) I ragionamenti sbagliati che riducono due domande d una sola, invece, si danno quando non ci si accorge che le proposizioni sono più di una e viene fornita una sola risposta, invece che molte. Alcune volte è facile, mentre altre è difficile accorgersi che, in realtà, le domande sono molte. Se ci si trova in una situazione di questo tipò o non si risponde affatto (e quindi ci si arrende), oppure si risponde e si dà l'impressione di essete stati confutati.
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Per quanto riguarda i discorsi che riducono più domande ad una sola, bisogna distinguere vari casi. Innanzitutto, se c'è una sola risposta, allora c'è una sola domanda, e quindi non bisogna affermare o negare né "più cose di una" né "una di molte", ma "una di una"; quando invece qualcosa appartiene a una cosa ma non a un'altra, oppure più cose si dicono di più cose, siccome è anche possibile che appartengano entrambe a entrambe, o, al contrario, che non vi appartengano, bisogna stare attenti. Questi discorsi ricadono anche nell'ambito di altre forme di soluzione; infatti sia "entrambe le cose", sia "tutte quante le cose", hanno più di un -significato.
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bisogna mettere in chiaro questo e bisogna dire se quell'aggiunta è stata fatta non perché la si ritenesse opportuna, ma solo in quanto era utile per il discorso, mentre l'altro non l'ha utilizzata perché fosse utile I al discorso. .
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[Discorsi che riducono più domande ad una sola]168
30. Per quanto riguarda, poi, i discorsi che riducono più domande ad uila sola, bisogna subito, :6.n dall'inizio, fare delle distinzioni. Infatti, quando c'è una sola risposta, c'è una sola domanda. Per cui non bisogna affermare o negare né "più cose di una" né "una di molte", ma "una di una". E come nel caso Il degli omonimi, 1) una volta qualcosa appartiene ad entrambi, 2) una volta non appartiene a nessuno dei due cosiv o µfi cruÀÀoym0EÌç Àoyoç E'lrfi811c; fo-r{v, ÉCÌ.V D ÀtaV aòol;a. lì 'JIEUÒiì 'tà. Àfiµµma" ÉVtÒ'tE Ò' OÙK al;wc; KCX'tacppovE1'.cr0a.t. éha.v µèv yà.p ÉÀÀdn:n 'tt 'tOOV 'tOtoU'tffiV Épro'tTjµa't©V m:pÌ U O Àoyoç KCXÌ Òt' U, (KaÌ] µfi 1tpOçÀaj3ffiV 'touw KaÌ µfi cruÀÀoyrn6.µEvoç E.ùfi811c; o cruÀÀoytcrµ6ç · éha.v ÒÈ 'tOOV el;ro0ev, OÙK EÙKmacppOVT]'tOç oÙÒaµroç, ÙÀÀ' ò µèv Myoç ÉntEtK'fiç, oò' Éponrov iiPffiniKEV où KaÀroç. "Ecrn òé, rocrnE.p ÀuE.tV Ò'tÈ µÈv npòç 'tÒv Àoyov o-rÈ ÒÈ npòç -ròv Ép©'trov'ta Ka.Ì ~v Épro-r11crw o'tÈ òè npòç oùòÉ'tE.pov wu-rrov - òµo{roç Ka.Ì Ép©'tav fon KaÌ cruÀÀoy{çrn0m ica.ì npòç -rfiv 0fotv Ka.Ì npòç 'tÒv ànoicptvoµE.vov KaÌ npòç 'tÒv :x;p6vov, éhav TI n4fovoç XPOVOU ÒE.OµÉVT] i] Ì\.umç (lì] 'tOU na.povwç Katpou 'tOU Òta.ÀEXBiìvm npòç ~V Ì\,UO"tV.
34. 'EK n6crrov µèv o'Ùv KaÌ no{rov y{vov-rm 'tote; ÒtaÀtyoµÉCfr. Top. VIII 10, 16la9. Si è visto 1) a partire da quante e quali cose hanno origine i ragio~ namenti sbagliati; 2) come è possibile mostrare che l'avversario dica il falso e far sì che dica cose paradossali; 3) da che cosa deriva il sillogismo, come bisogna porre le domande e qual è il loro ordine; 4) a che cosa sono utili discorsi di questo tipo; 5) come si debba rispondere e come si debbano risolvere le argomentazioni e i ragionamenti sbagliati. Bisogna tornare all'inizio, ricordare quello che è stato detto, e concludere. Ci si era proposti di scoprire quale fosse la capacità di creare sillogismi su iln ·problema proposto, a partire da opinioni condivise. Questa è, infatti, la caratteristica specifica della dialettica e della tecnica investigativa. Ma poiché, a causa della sua vicinanza rispetto alla sofistica, bisogna non solo essere in grado di condurre un esame, ma anche "sembrar" farlo, allora bisogna anche saper difendere una tesi mediante le opinioni massimamente condivise. E si è indicato: 1) riguardo a quante cose; 2) a partire da quante premesse si potrà esercitare taale capacità; 3) da dove si potranno trarre t!!li premesse in abbondanza; 4) il modo in cui si deve porre le domande e come le si deve mettere in ordine; 5) le risposte e le soluzioni dei sillogismi. Si è dunque raggiunto perfettamente l'obiettivo proposto. Bisogna però anche ricordare che cosa è accaduto in questa ricerca. In tutte le scoperte, infatti, quello che è stato precedentemente scoperto da altri viene un po' alla volta fatto progredire dai successori e le scoperte iniziac 178
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o a un'eliminazione, ma nùn rivela mediante l'eliminazione o la divisione di quali domande vada risolta e se la soluzione si verifichi in seguito all::i. conclusione o a qualcun'altra delle domande. Talvolta, pertanto, il discorso che non sviluppa un sillogismo è sciocco, I qualora. le proposizioni siano troppo paradossali o false; talvolta, invece, non merita di essere disprezzato. Infatti, nel caso in cui m!Ulclii qualcuna delle domande su cui è incentrata l'argomen~azione e da cui essa dipende, il sillogismo che non le assume in aggiunta né argomenta, è sciocco. Quando invece manca una delle. domande estrinseche, l'argomentazione non va affatto disprezzata con leggerezza I ma, come argomentazione, è corretta, mentre è colui che fa le domande a non averle poste correttamente. D'altra parte, allo stesso modo in cui è possibile dare la soluzione l) talvolta al discorso; 2) talvolta a chi pone la domanda e 3) talvolta alla domanda stessa e, altre volte ancora, 4) a nessuna di queste due cose178 , così è possibile sia porre la domanda sia costruire sillogismi contro la tesi, contro chi risponde e contro il tempo, I quando la soluzione richiede di più tempo di quanto se ne abbia a disposizione per la discussione. [Riflessioni conclusive]179
34. Dunque, : 1) a partire da quante e quali cose hanno origine, per coloro che discutono, i ragionamenti sbali, se da un lato apportano un piccolo incremento, dall'altro, però, sono più utili delrincremento successivo, visto che il principio è la cosa più importante e, una volta trovato il principio, è piuttosto facile aggiungere tutto il resto. Questo è avvenuto anche nei discorsi retorici e, più in generale, in tutte le altre tecniche. Nel caso della retorica, dopo i primi sono venuti, nell'ordine, Tisia, Trasimaco, Teodoro e poi altri che hanno apportato contributi parziali. Quindi non stupisce che tale tecnica abbia una certa estensione. Al contrario, della ricerca che abbiamo condotto, prima non c'erà assolutamente nulla. Chi faceva discorsi eristici facendosi pagare, infatti, aveva una formazione simile a quella di Gorgia e il loro apprendimento era veloce ma senza tecnica, infatti ritenevano di insegnare fornendo non la tecnica, ma ciò che deriva dalla tecnica stessa. E mentre nel campo della retorica erano già state elaborate, sin dai tempi antichi, molte teorie, rispetto alla sillogistica, prima di queste ricerche e di questi esercizi, non c'era assolutamente nulla. Infine, dato che si
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tratta, per l'appunto, di una rcerca che è ancora all'inizio, se qualcuno ha da affiancare ad essa altre ricerche cresciute grazie alla tra.dizione, tale aggiunta sarà ben accetta. Infine, a tutti coloro che hanno ascoltato queste lezioni, rimane il compito di essere, da un lato grati per le scoperte e, dall'altro, comprensivi per le lacune della ricerca. 180 Si tratta di indicazioni programmatiche e di una ricapitolazione del lavoro svolto, espressi con una chiarezza magistrale, che testimoniano ulterior-
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gliati; 2) come potremo mostrare che l'avversario dice il falso e potremo far sì che egli dica cose paradossali; 3) da che cosa deriva I il sillogismo e come bisogna porre le domande e qual è. il loro ordine; 4) a che cosa sono utili tutti i discorsi di questo tipo; 5) come si debba rispondere e, in particolare, come si debbano risolvere le argomentazioni e i ragionamenti sbagliati. Su tutte queste cose basti quelli che abbiamo detto. Resta solo, dopo aver ricordato lo scopo che ci siamo proposti all'inizio, dire I brevemente qualcosa su di esso e concludere la nostra riflessione180 • Dunque, ci eravamo proposti di scoprire una certa capacità di creare sillogismi su un problema proposto, a partire da quelle tealtà che si danno come opinioni condivise; questa, infatti, è la funzione specifica della dialettica in quanto tale e della Il tecnica investigativa. Ma poiché, a causa della sua vicinanza rispetto alla sofistica, bisogna non solo essere in grado di condurre dialetticamente un esame, ma anche "sembrare" farlo, per questo non abbiamo posto come compito della ricerca solo quello che si è detto, cioè il fatto di I essere in grado di sviluppare un discorso, ma anche quello di difendere la tesi mediante le opinioni massimamente condivise. E di questo abbiamo anche spiegato la ragione181 , poiché era anche per questo che Socrate domandaya ma non rispondeva; infatti ammetteva di non sapere. E in quello che è stato già detto si è indicato sia riguardo "a quante cose" sia a partire da quante premesse si eserciterà tale capacità e I da dove si potranno trarre tali premesse in abbondanza; e il modo in cui bisogna porre le domande e come si deve metterle in ordine, le risposte e le soluzioni relative ai sillogismi. E sono state anche date indicazioni su tutte quelle altre cose che fanno parte allo stesso modo dei discorsi. E poi abbiamo passato in rassegna i ragionamenti sbagliati, come I abbiamo detto anche prima182 • Quindi è chiaro che abbiamo raggiunto perfettamente l'obiettivo che ci siamo proposti; d'altra parte, però, non dobmente, non solo !'"unità interna" dell'opera, ma anche la perfetta unità tra i Topici e le Confutazioni Sofistiche. l8l Cfr. Con/ Sof I, 165a19-27. 182 Cfr. Con/ Sof 183a27.
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SILLOGISMO
2219
come in un intero (AaB o AeB) e l'estremo minore è nel medio come in un intero (BaC), c'è necessariamente un sillogismo perfetto degli estremi106 e la necessità del risultato (rispettivamente AaC e AeC) si spiega semplicemente richiamando la definizione di "essere predicato di ogni" e "non essere predicato di nessun" (si veda la voce Dr OGNI): lo stesso vale quando la premessa maggiore, affermativa o negativa, è universale, e quella minore. affermativa particolare (o indefinita), dove cioè l'estremo minore è sotto il medio107 (I 4, 25b32-26a2, 26a17-30); con due premesse in forma di inerenza in I figura non c'è sillogismo in altri casi oltre a questi (I .4, passim); tutti i sillogismi con. due premesse in forma di inerenza in I figura sono perfetti, perché tutti sono portati ad effetto (epitelountai) mediante gli assunti iniziali (I 4, 26b29-30); in II figura (con due premesse in forma di inerenza) non ci sono sillogismi perfetti e tuttavia è possibile sillogismo (per l'espressione "sillogismo possibile e sillogismo perfetto'', v. anche I 24, 41b33), ossia per alcune coppie di premesse viene sì ad esserci sillogismo, ma non perfetto, perché la necessità (del :risultato) è portata ad effetto (epiteleitai) non solo a partire dagli assunti iniziali, ma anche da altro: una volta chiarito quando c'è sillogismo (provando la necessità del risultato per conversione delle premesse e/o per impossibile108) e quando non c'.è (per esposizione di termini concreti), è chiaro che tutti i sillogisi:ni in II figura sono imperfetti perché tutti sono portati ad effetto (epitelountai) con l'assunzione aggiuntiva di cose che, o sono necessariamente implicate nei termini, o sono poste in qualità di ipotesi, come quando li si prova mediante l'impossibile (l 5,27a1~2, 27a15-18, 28a4-7 e cap. 5, passim); in m figura (con due premesse in forma di inerenza) non ci sono sillogismi • perfetti e tuttavia è possibile sillogismo: una volta chiarito quando c'è ~illogismo (provando la necessità del risultato per conversione delle premesse e/o per impossibile e per ex-posizione109) e quando l06 Si vedano, rispettivamente, Barbara e Celarent. 107 Si ved~o, rispettivamente, Darii e Feria. 108 La prova per impossibile è menzionata per Cesare e Camestres come ulteriore possibilità accanto alla prova diretta, cioè che procede per conversione delle·premesse 'e conseguente produzione della I figura (27a14-15); invece per Baroco la prova diretta è impraticabile (perché la conversione delle premesse non produce la I fìg.). e si dà solo la prova per impossibile (27a36-27bl). 109 La prova per impossibile è menzionata per Darapti (28a23: cfr. 7, 29a3639), .Felapton (28a30), Disamis e DatiSi (28bl4-15) come ulteriore possibilità accanto alla prova diretta, mentre per Bocardo la prova diretta è impraticabile (v.
2220
INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
non c'è (per esposizione di termini concreti), è chiaro che tutti i sillogismi in III figura sono imperfetti perché tutti sono perfezionati (teleiountai) con l'assunzione aggiuntiva di cose (I 6; 28a15-16, 29a14-16, e cap. 6, passim); tutti i sillogismi imperfetti (con due premesse in forma di inerenza nelle tre figure) sono perfezionati (teleiountai) mediante la I figura, perché tutti sono ottenuti (perainontai) o direttamente, o mediante l'impossibile e in entrambi i casi si viene ad avere la I figura: 1. in quelli perfezionati (teleioumenon) direttamente perché erano ottenuti (eperainonto) con la conversione e questa produce la I fig., 2. in quelli provati (deiknymenon) mediante l'impossibile perché il sillogismo che si produce una volta posto il falso si produce mediante la I figura (I 7, 29a3039); i sillogismi in II fig. sono perfezionati (teleiountaz) mediante quelli universali in I figura, per conversione della premessa negativa nel caso dei sillogismi universali e per riduzione all'impossibile nel caso di quelli particolari: ciò prova che essi sono riconducibili ai sillogismi universali in I fig. (I 7, 29b2-6: si veda anche la voce RICONDURRE); i sillogismi particolari in I fig. sono portati ad effetto per sé stessi (epitelountai di'hauton), ma è possibile anche provarli per riduzione all'impossibile mediante la II fig. ed è in questo secondo senso che risultano riconducibili ai sillogismi universali in I fìg. (I 7, 29b6-8 e ss;); i sillogismi in III figura con due premesse universali sono portati ad effetto (epitelountai) mediante i sillogismi universali in I fìg., quindi anch'essi sono riconducibili a questi ultimi (I 7, 29b19-21), mentre que1J.i con u1la premessa particolare sono portati ad effetto mediante i sillogismi particolari in I fig, ed è per questa via che essi risultano riconducibili a quelli universali in I fìg. (I 7, 29b21-24); in I fig. con due premesse universali affermative possibili, si ha sillogismo perfettò per cui il maggiore può inerire universalmente al minore, e questo è manifesto in base alla definizione di "può inerire ad ogni" (si veda la voce Dr OGNI): lo stesso vale se la maggiore è negativa, in base alla definizione di "può non inerire a nessun" (I 14, 32b38-33a5; cfr. anche, per i particolari, 33a23-27), mentre in altri accoppiamenti di premesse possibili, o non c'è sillogismo, oppure viene sì ad esserci sillogismo, ma non perfetto, o non manifesto (phaneros, 33a31), perché la necessità del risultato è ottenuta a partire dalla conversione (I 14, 33al7-20; dr. anche 33b18-21); in I figura, con la maggiore nota prec.) e la prova si ha per impossibile (28b15-20), ma si fa riferimento anche alla prova per ex-posizione (28b20-21).
SILLOGISMO
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possibile e la minore in forma di inerenza si hanno solo sillogismi perfetti, mentre con la maggiore in forma di inerenza e la minore possibile si hanno solo sillogismi imperfetti, perché la prova non è a partire dalle premesse assunte (I 15, passim; v. in particolare 33b25-29, 33-39, 34al-5, 35a34, 40); analogamente, in I fig. con una premessa necessaria e una possibile, se è necessaria la minore si hanno solo sillogismi perfetti, perché portati ad effetto (epiteleitai) subito mediante le premesse di partenza, mentre se è necessaria la maggiore si hanno sillogismi imperfetti (I 16, passim; v. in particolare 35b25, 35b40~36al, 5-7, 19-20); in II fig., con una premessa possibile e una necessaria, si hanno solo sillogismi imperfetti, perfezionati (teleiountai) mediante le figure (I 19, 39al-3 ); con una premessa possibile e una in forma di inerenza o necessaria in .m figura, dei sillogismi dimostrati con la conversione di una premessa si dice che sono provati in quanto ottenuti o perfezionati (perainontai, teleiousthai) mediante la I fig., di modo che è necessario che avvenga in concomitanza a queste premesse ciò che è necessario avvenga in concomitanza a quelle in I fig. (I 21, 39b28-30; I 22, 40b6-8); dei sillogismi con premesse di modalità miste in III figura, si dice che sono tutti sillogismi imperfetti e perfezionati (telez"ountai) mediante la I figura (I 22, 40b15-16); per coppie di premesse che non danno sillogismo se sono entrambe in forma di inerenza, mentre sono sillogistiche se almeno una è nella modalità del possibile, si dice che a partire in sé dalle premesse assunte non si ha un risultato necessario, ma con la conversione (complementare) c'è sillogismo (I 14, 33a5-12; 15, 35a3 ss.; 18, 37b29-35, 38a4-6; 19, 38b6-13, 31-35; 20, 39a24-25, 39a38-b2); terminato lo studio dei sillogismi che vengono in essere nelle tre figure con tutti i tipi e le modalità di premesse, è chiaro che tutti i sillogismi nelle tre figure sono perfezionati o portati ad effetto mediante la I figura (I 23, 40b17-20, blb3-5); non solo i sillogismi nelle figure, ma tutti i sillogìsmi sono perfezionati o portati ad effetto mediante la I fig. e riconducibili a quelli universali in I fig., giacché i sillogismi si dividono in sillogismi diretti e sillogismi sulla base di un'ipotesi e, una volta provato che entrambi vengono in essere mediante una delle tre figure, è chiaro che l'essere perfezionato mediante la I fig. vale per ogni sillogismo e ogni dimostrazione (I 23, passim; v. in particolare 40b20-29, 41bl-5): prova del fatto che tutti i sillogismi diretti vengono in essere mediante una delle tre figure e quindi sono tutti ottenuti mediante la I (I 23, 40b30-4 la20: si veda qui sopra la voce SILLOGISMO DIRETTO), e prova del fatto che tutti i sillogismi
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
sulla base di un'ipotesi vengono in essere mediante una delle tre figure e quindi sono perfezionati o portati ad effetto mediante la I fig. (I 23, 41a22-bl: si vedano qui sotto le voci SILLOGISMO SULLA BASE DI UN'IPOTESI e SILLOGISMO PER RIDUZIONE ALL'IMPOSSIBILE). SIILOGISMO PER RIDUZIONE All'IMPOSSIBILE, O MEDIANTE L'IMPOS-
(6 dç; 't:Ò &òUvawv [&nay6µcvoç;] cruÀÀoytcrµ6ç;, 6 foèx, wu &òuvawu cruÀÀoyicrµ6ç;)
SIBILE
Analitici Primi Oggetto del sillogismo mediante l'impossibile è l'opposto contraddittorio dell'ipotesi prodotta (I 15, 34b30-3 l); i sillogismi per riduzione all'impossibile fanno parte dei sillogismi in base ad un'ipotesi (I 23, 40b23-26: si veda qui sotto la voce SILLOGISMO SULLA BASE DI UN'IPOTESI) e sono quelli in cui una tesi viene provata nel momento in cui, a partire dall'ipotesi ad essa contraddittoria, si trae una conclusione impossibile o falsa, sicché essi constano di due momenti, cioè (1) un sillogismo diretto, nella misura in cui, posta la contraddittoria tra le premesse, è tratta a conclusione una proposizione impossibile o falsa, (2) una prova sulla base di un'ipotesi, nella misura in cui si giunge ad una certa conclusione in ragione del momento (1), ovvero del fatto che a causa della contraddittoria risulta una falsità, e in effetti il significato di "trarre una conclusione (sylloghisasthai) mediante l'impossibile" sarebbe provare qualcosa di impossibile a causa dell'ipotesi di partenza (I 23, 4 la22-34: si veda anche la voce INCOMMENSURABILE): in quanto nei sillogismi per riduzione all'impossibile è presente un sillogismo diretto - cioè quello il cui oggetto è il falso - e tutti i sillogismi diretti sono ottenuti mediante le tre figure, anche i sillogismi mediante l'impossibile vengono in essere mediante le tre figure e di conseguenza sono anch'essi perfezionati mediante la I fig. e sono riconducibili ai sillogismi universali in I fig. (I 23, 40b27-29, 41a32-36, 41bl-5); il sillogismo mediante l'impossibile è provato quando è posta la contraddittoria della conclusione da provare e accanto viene assunta un'altra premessa, e ciò avviene in tutte le figure (Il 11, 6la18-21); esame di quanti tipi di problema sono provati mediante l'impossibile figura per figura e in quali modi, dove la figura del sillogismo per impossibile coincide con la figura del sillogismo diretto per cui si prova un che di falso o impossibile: in tutti i casi risulta che ciò che va posto in ipotesi è l'opposto (contraddittorio) e non il contrario della conclusione (II 11-13), e questo perché; se una proposizione è falsa, non è né necessario né comunemente accettato
'l;'i
SILLOGISMO
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che quella contraria sia vera, sicché ponendo in ipotesi il contrario si può anche avere sillogismo e ottenere un risultato impossibile, per cui l'ipotesi sarebbe falsa, ma non viene provato quello che si era stabilito (Il 11-13,passùn; in partic. 62all-19; cfr. anche 61b6); tutti i tipi di problema possono essere provati mediante l'impossibile in tutte le figure, tranne quello universale positivo, chelo può essere solo nella II e nellà III, non nella I (Il 11, 61a34-37 e ss.; 12, 62a20-23 e ss.); i sillogismi mediante l'impossibile si differenziano da altri sillogismi sulla base di un'ipotesi perché. qui si concorda sulla conclusione in quanto la falsità di ciò che risulta dall'ipotesi è manifesta, anche senza un accordo preliminare (I 44, 50a35-38); il sillogismo mediante l'impossibile si differenzia dal rovesciamento perché si fa una riduzione all'impossibile non in quanto prima ci si è detti d'accordo sull'opposto del risultato, ma perché è manifesto che esso è vero, e tuttavia i rapporti fra i termini e il modo di assumere le premesse sono identici in caso di rovescimeno o di sillogismo per impossibile, in tutte le figure, perché tutti i casi che ammettono rovesciamento ammettono anche sillogismo per impossibile (II 11, 6la21-33: si veda anche la voce ROVESCIAMENTO); quando si vuole produrre un sillogismo e si cercano le premesse, la via di ricerca da seguire è la stessa e vanno prese in considerazione le stesse cose, che si voglia costruire un sillogismo mediante l'impossibile o un sillogismo diretto, perché ciò che è provato direttamente con gli stessi termini può essere tratto a conclusione anche mediante l'impossibile e viceversa, ovvero le due dimostrazioni sono entrambe a partire dagli stessi termini e si tratta comunque di individuare un termine comune, diverso dai due che compongono il problema, termine che, nel caso del sillogismo per impossibile, sarà contenuto nella proposizione falsa oggetto del sillogismo diretto presente in esso: in effetti ciò che distingue sillogismo diretto e sillogismo per riduzione all'impossibile è che nel primo le due premesse sono poste secondo verità, mentre nel secondo una è posta in modo falso (I 29, 45a23-15); mentre la prova diretta parte da tesi su cui ci si dice d'accordo, la dimostrazione per riduzione all'impossibile pone ciò che s'intende eliminare riducendolo a qualcosa che siamo d'accordo essere una falsità, ma entrambe le dimostrazioni assumono due prem~sse su cui ci si dice d'accordo, solo che la dimostrazione mediante l'impossibile assume solo una delle due tra quelle a partire da cui si produce il sillogismo, mentre l'altra premessa che assume è la contraddittoria della conclusione (II 14, 62b29"35); mentre nella prova diretta non è necessario né che la conclusione sia nota, né che
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
la si ritenga previamente vera o non vera, in quella per riduzione all'impossibile è necessario che la si ritenga previamente non vera (Il 14, 62b35-37); posto chemediantei medesimi termini ogni conclusione ottenuta direttamente può essere provata anche mediante l'impossibile e viceversa, sicché i due procedimenti non sono separabili l'uno dall'altro, si studia in dettaglio in quale figura la stessa proposizione è provata per impossibile e in quale direttamente (Il 14, 62b38-63b21); quando si tratta di analizzare nelle figure i sillogismi già esistenti (si veda la voce ANALISI, ANALIZZARE), ciò non è fattibile per i sillogismi mediante l'impossibile o, meglio, lo si può fare per la parte consistente in un sillogismo diretto (la riduzione all'impossibile come tale), ma non per l' ali:ro passaggio (cioè quello in cui si conclude ad una. tesi in ragione delle conseguenze impossibili derivanti dall'ipotesi opposta), giacché questo passaggio è fatto in base ad un'ipotesi (I 44, 50a29-32); "non è da questo che risulta il falso" in quanto espressione usata in contrapposizione ad un sillogismo per riduzione all'impossibile (Il 17). Si veda inoltre la voce IMPOSSIBILE -+ (l'vIEDIANTE L')lMPOSSIBILE; IPOTESI. SrrioGISMO RETORICO (crnlÀoytcrµòç
p'J1't"OptK6ç) ~Analitici Primi I sillogismi retorici, e ogni convinzione maturata in qualsiasi disciplina, vengono in essere mediante le tre :figure, così come quelli dialettici e quelli dimostrativi (II 23, 68b9~14). (cruÀÀoytcrµÒç È1ttO"'t1)µovtK6ç) !,\,l Topici Il filosofo si darà da fare perché gli assiomi siano il più possibile noti e vicini all'affermazione iniziale, perché da queste premesse derivano i sillogismi scientifici (VIII, 1, 155b10ss.); SILLOGISMO SCIENTIFICO
(cruÀÀoytcrµÒç crocptcrnK6ç) ~ Confutazioni Sofistiche Esame del "sillogismo sò:fistico" e della "confutazione sofistica" (8 passim); sono "sillogismi sofistici" quelli che confutano non attenendosi all'oggetto e che non dimostrano l'ignoranza dell'interlocutore (8, 169b23ss.). SILLOGISMO SOFISTICO
SILLOGISMO SULLA BASE DI UN'IPOTESI (o
È( uno0focroç cruÀÀo-
ytcrµoç)
Analitici· Primi Sillogismi e dimostrazioni nella loro· totalità si dividono in sillogismi che provano una certa proposizione predicativa direttamente, e sillogismi che la provano in base ad un'i-
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SIMBOLO - SIMILE
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potesi, e provare mediante l'impossibile fa ·parte del provare sUlla base di un'ipotesi (I 23, 40b23-26): sia i sillogismi per riduzione all'impossibile sia gli altri sillogismi in base ad un'ipotesi vengono in essere e sono ottenuti mediante.le _figure - e di conseguenza sono perfezionati mediante la I fi.g. e sono riconducibili ai sillogismi universali in I fig. - perché, oltre al passaggio dipendente dall'ipotesi, contiengono anche un sillogi~mo. diretto riferito ad una proposizionè. sostitutiva a·quclla da provare (f23, "4ta22-41bl); i sillogismi sUlla base di un'ipotesi non sono analizzabili nelle figure (si veda la voce ANALISI, ANALIZiARE), se riPn per la parte eventualmente consistente in un sillogismo diretto (I 44). Si vedano anche le voci lP01ESI; SILLOGISMO PER RIDUZIONE ALL'IMPOSSIBILE; dr. SILLOGISMO DIRETIO. SILLOGISMI SULLA BASE DI UN'IPOTESI DIVERSI DAI SILLOGISMI PER IMPOSSIBILE liil
(aÀ.À.ot Eç imo8foeroç O"UÀ.À.oytcrµ6t)
Anali"tici Primi Si veda la voce IPOTESI.
SIMBOLO (cruµ~oÀ.ov)
De interpretatione I suoni sono i simboli delle ~ezioni dell' a~ nima i segni scritti sono i simboli dei suoni (1, 16a3-4); nessuno dei nomi è per natura, se non quando si sia costituito come simbolo; infatti, anche i suoni inarticolati indicano qualcosa, come quelli delle bestie, ma nessuno di questi è un nome (2, 16a26-29); le affermazioni e le negazioni pronunciate sono simboli di quelle che si trovano nell' anima (14, 24bl-2); 1:1'1
e
~
Confutazioni Sofistiche Dal momento che non è possibile discutere portandosi dietro le cose, e che, al posto delle cose, ci serviamo dei nomi utilizzandoli come simboli, riteniamo che quello che vale per i nomi valga anche per le cose, proprio fanno con i sassolini quelli che fanno i calcoli. Ma non è la stessa cosa: infatti i nomi sono di numero finito così come la quantità dei discorsi, mentre le realtà sono infinite per numero (l,_ 165a6ss.). SIMILE (oµowç)
Categorie "Simile" rientra tra i relativi: si dice, infatti; "simile" a qualcosa (7, 6b9-10; 7, 6b20-23); essendo un relativo, ammette il più e il meno: si dice, infatti, più o meno "simile'~ (7, 6b19-21); caratteristica peculiare della qualità è che, in base ad essa, si dicono il simile i!m:l
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
e il dissimile: una realtà, infatti, si dice "simile" a un'altra solamente per il fatto che è di una certa qualità (8, lla15-19); la disposizione, ad esempio, che è una qualità, si dice "simile", e lo stesso vale per il bianco (6, 6a29-34). SIMMETRIA (cruµµe-rpfo) ~ TOpici La bellezza sembra consistere in una certa simmetria delle niembra (ID 1, 116b21ss.); esame della disposizione, dello stato abituale e della simmetria; queste nozioni, infatti, non possono sussistere se non in quelle a cui vengono riferite (IV 4, 125a35ss.).
SINGOLARE: SINGOLO:
si veda la voce PARTICOLARE/PARZIALE/SINGOLARE..
si veda la voce PARTICOLARE/INDIVIDUALE/SINGOLO.
SINONIMO ( cruvrovu µoç) ~
Categorie Si dicono "sinonime" le realtà il cui nome è comune
e la definizione dell'essenza corrispondente a quel nome è la stessa: sono sinonime, ad esempio, l'essere umano e il bue (1, la6-12); appartiene alle sostanze e alle differenze il fatto. che da esse tutte le realtà si dicano con dei sinonimi (5, 3a33-b9).
TOpici Le realtà che, sulla base di un unico nome, ricevono un'unica definizione, sono sinonime (VI 10, 148a20-25); la specie e le realtà in essa contenute sono sinonime (VII 4, 154a18ss.); se il bianco usato in entrambe le espressioni fosse stato sinonimo, la definizione doveva rimanere la stessa (I 15, 107b4-5); le realtà sinonime possono essere messe a confronto, dato che le si possono dite o in "modo simile" o "una più dell'altra" (I 15, 107b17-18); tutti.i generi si predicano delle specie in forma sinonimica (Il 2, 109b6); il genere e la specie sbno sinonimi (IV 3, 123a28-29); il genere si predica di tutte le specie in modo sinonimico (IV 6, 127b5ss.); la vita è un termine sinonimo e viene sempre impiegata per significare una sola specie di cose (VI 10, 148a3 lss.); poiché talvolta l'omonimia rimane nascosta, colui che interroga dovrà servirsi in questo caso delle realtà omonime come se si trattasse di realtà sinonime (VI 10, 148a37ss.); rapporti tra sinonimia e omonimia (VI 10 passim); l'intero non è sinonimo rispetto ad una delle due parti, come accade nel caso delle sillabe: infatti la sillaba non è sinonima· rispetto a nessuna delle lettere che la compongono (VI 10, 150b19ss.); le probabilità di ottenere l'assenso sono maggiori, sia
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STh1METRIA - SOFISTICA
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quando si tratti di oggetti sinonimi, sia quando un nome venga scambiato con un discorso dello stesso significato (VTII 13, 162b36ss.); ~ Confutazioni Sofistiche La confutazione è la contraddizione della stessa e unita realtà, non di un nome ma di una realtà, e non facendo ricorso ad un termine sinonimo, ma proprio allo stesso nome (5, 167a23~24).
SOFISMA (cr6cptcrµa) il'il Topici Il sofisma è un sillogismo eristico (VIII 11, 162al5); esame del rapporto tra sofisma e dimostrazione CVIII 11 passim). SOFISTA. (crocptcrTf)c;) "&.·De interpretatione Intendo come contrapposte l'affermazione e la negazione delle stesse cose in relazione alle stesse cose, non per omonimia e secondo tutte le altre condizioni che definiamo a causa delle seccanti difficoltà poste dai sofisti (6, 17a34-3 7). Analitici Secondi I sofisti affermano che conoscere consiste nel possesso della conoscenza (I 6, 74b23-24).
l§
~ Topici La tesi consiste in una questione su cui noi abbiamo una op.lnione contraria rispetto a quello che si pensa comunementè, corpe per esempio il fatto che non tutto ciò che è, o è diventato oppure è eterno, come dicono i Sofisti (I 11, 104b19ss.); esame della defìniZione del sofista, del calunniatore o ladro, come colui che è capace di rubare di nascosto cose altrui (II 5, 126a30ss.); · ~ Confutazioni Sofistiche Il sofista è uno che ricava vantaggi dal fatto di possedere una sapienza apparente e non reale (1, 165a21ss.); chi, rispetto ali' oggetto in questione, esamina le caratteristiche comuni, è un dialettico, chi invece lo fa solo "apparentemente" è un sofista (11, 171b4-6).
SOFISTICA, SOFIS'i1CO (crocptcrnicfi, crocptcrnK6c;) ~ Analitici Secondi Conoscere scientificamente in modo sofistico equivale a conoscere accidentalmente (I 2, 71b9-10; I 5, 74a28-29) BI: Topici 110
Il modo sofistico di discutere consiste nel portare
il discorso ad un punto tale da offrire facili spunti di attacco (II 5, lllb3 lss.). uo Si veda anche la voce CONFUTAZIONE SOFISTICA.
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
Confutazioni Sofistiche La sofistica è una sapienza che appare tale ma che in realtà non lo è (1, 165a21); è necessario che coloro che vogliono essere sofisti cerchino cli impadronirsi del genere dei ragionamenti che abbiamo detto; in effetti il possesso di una capacità come questa fa apparire sapiente, ed è appunto questo ciò che essi intendono fare (1, 165a28ss.); il modo in cui Brisone otteneva la quadratura del cerchio è sofistico (11, 171b15-16); coloro che hanno l'obiettivo cli vincere sono considerati "uomini litigiosi" e "amanti della disputa", mentre coloro che hanno l'obiettivo cli diventare famosi per ricavarci del denaro sono considerati sofisti (11, 171b25ss.); la sofisticà è la capacità cli ricavare denaro da una sapienza apparente (11, 171b2729); gli amanti della disputa e i sofisti mirano ad 'una dimostrazione apparente e utilizzano le stesse argomentazioni, anche se non per gli stessi scopi (11, 17lb25-30); esame dei rapporti tra sofistica ed eristica (11 passim); la stessa argomentazione sarà "sofistica" ed "eristica", ma non dallo stesso punto di vista (11, 17lb31-32); uno schema adatto per mostrare che l'interlocutore dice qualcosa cli falso è quello sofistico, e consiste nel fatto di spingere l'interlocutore verso discorsi sui quali si posseggono molti argomenti (11, 172b25ss.); ciò che produce la più netta impressione cli essere stati confutati, è il trucco più sofistico cli tutti coloro che interrogano (15, 174b8-9); esposizione cli vari trucchi· sofistici (15 passim); a causa della vicinanza della dialettica rispetto alla sofistica, bisogna non solo essere in grado di condurre dialetticamente un esame, ma anche "sembrare" farlo (34, 183bl). Ili
SOGGETTO ( unoKciµevov) !13 Categorie Alcuni enti si dicono cli un soggetto, ma non sono in un soggetto (2, la20-22); altri sono in un soggetto, ma non, si dicono cli nessun soggetto (2, la23-29); altri ancora si dicono cli un soggettò e sono in un soggetto (2, la29-b3 ); altri, infine, si dicono cli uil soggetto e non sono in un soggetto (2, lb3-6); si intende con "in un soggetto" ciò che, appartenendo a qualcosa, non però come una sua parte, non può sussistere separatamente da ciò in cui è (2, la24-25; 5, 3a31-32); gli individui e tutto ciò che è uno cli numero non si dicono cli nessun soggetto; nulla, tuttavia, impedisce che alcuni cli essi siano in un soggetto (2, lb6-9); quando una realtà si dice cli un soggetto, tutto ciò che si dice del predicato si dirà anche del soggetto (3, lbl0-15; 5, 3b4-5); nel caso cli uno o più sottogeneri subordinati allo stesso genere, può capitare che le differenze specifiche siano le stesse; in questo caso, infatti, il genere superiore si predica del sottogenere, cli modo che
SOGGETIO
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le differenze del predicato risulteranno essere differenze anche del soggetto (3, lb20-24); la sostanza prima non si dice di nessun soggetto né è in nessun soggetto (5, 2all-14; 2a36-37); delle realtà che si dicono di un soggetto, è necessario die sia il nome sia la definizione si predichino del soggetto (5, 2a19-27); delle realtà che sono in un soggetto accade per lo più che né il nome né la definizione di esse si predichino del soggetto; in riferimento ad alcune di esse, tuttavia, nulla impedisce che il nome si predichi del soggetto, mentre resta impossibile che ne venga predicata la definizione (5, 2a27-34; 3a15-17); tutte le altre realtà o si dicono delle sostanze prime come di soggetti o sono in esse come in soggetti (5, 2a34-b6); le sostanze prime fungono da soggetto di tutte le altre realtà (5; 2b15-17); nello stesso rapporto in cui le sostanz.e prime stannù nei confronti di tutte le altre realtà, la specie sta nei confronti del genere; essa, infatti, funge da soggetto nei confronti del genere (5, 2b17-20); carattere comune a ogni sostanza è il non essere in nessun soggetto: la sostanza prima non si dice di un soggetto né è in un soggetto; le sostanze seconde non sono in un soggetto (5, 3a7-15); delle sostanze seconde sia il nome sia la definizione si predicano del soggetto (5, 3al 7-20); la sostanza non potrebbe essere annoverata tra le realtà che sono in un soggetto; tale carattere, tuttavia, non è esclusivo della sostanza: anche la differenza, infatti, non è in un soggetto (5, 3a20-25); le parti delle sostanze sono nelle sostanze intere come in soggetti (5, 3a29-32); nel caso delle sostanze seconde, il soggetto non è uno come nel caso della sostanza prima, ma "essere umano" e "animale" si dicono di molte realtà (5, 3bl3-18).
De interpretatione Il verbo è segno di ciò che è in relazione, per esempio di ciò che è in relazione ad un soggetto (3, 16b9-10); l'essere come soggetto nelle proposizioni modali (12, 21b26ss.; 22a8ss.),
lì
Analitici Primi Diciamo " ... è predicato di ogni... " quando non è possibile assumere nulla del soggetto di cui non sarà detto l'altro termine (I 1, 24b28-30); nella ricerca delle premesse utili a produrre un sillogismo, quando il soggetto di cui bisogna individuare i predicati è corripreso sotto qualcosa, fra i predicati da assumere vanno selezionati quelli ad esso· peculiari, e non quelli che sono o non sono predicati della realtà universale sotto la quale quel soggetto è compreso (I 27, 43b22-27); nella ricerca delle premesse, quando cercare i soggetti dei quali il predicato del problema è detto (I 28, 43b40). i1'
if:!1 Analitici Secondi Il soggetto, in assoluto, è iina realtà detenninata (Il 2, 90a12-13); è una certa realtà prima cui si riferiscono le predicazioni (122, 83b28-31); la scienza che non si dice di un soggetto
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
è più esatta e anteriore rispetto a quella che si dice di un soggetto (I 27, 87a33-34). J;ii Topici :Cintermedio, in un caso, costituisce una negazione degli estremi e, in un altro, si configura come soggetto· degli stessi (IV 3, 123bllss.); chi vuole demolire la tesi osserverà se l'avvèrsario abbia posto il soggetto come caratteristica peculiare di ciò che si dice all'interno del soggetto (V 4 132b19-20); il soggetto non potrà costituire una caratteristica peculiare di una caratteristica contenuta in esso (V 4 132b24ss.).
(À:ucriç) trii Topiçi La soluzione non si dà demolendo una premessa qualsiasi, neppure nel caso in cui questa sia falsa (VIII 10, 160b24ss.); la soluzione complessiva è compiuta da colui che demolisce la premessa da cui deriva l'errore (VIII 10, 160b34-35); dall'esercizio dialettico si dovrà cercare di ottenere (1) o un sillogismo su un qualche argomento, (2) o una soluzione, (3) o una proposizione, (4) o una obiezione, (5) oppure la precisazione della correttezza o meno del modo di interrogare, sia essa (5a) dell'interlocutore sia (5b) di un altro individuo, e inoltre (6) l'individuazione delle ragioni di tale correttezza o scorrettezza (VIII 14, 164a16ss.); le soluzioni sono proprio le obiezioni fatte alle confutazioni (9, 170b4-5).
SOLUZIONE
~ Confutazioni Sofistiche Come diciamo che a volte si devono preferire sillogismi basati sull'opinione condivisa piuttosto che sulla verità, così bisognerà talvolta trovare delle soluzioni fondate sull'opinione condivisa piuttosto che sulla verità (2, 165b3-4); che alcuni discorsi "sembrano" confutazioni ma in realtà non lo sono, allo stesso modo ci sono alcuni discorsi che "sembrano" soluzioni ma in realtà non lo sono (17, 176a19ss.); è possibile sia porre la domanda sia costruire sillogismi contro la tesi, contro chi risponde e contro il tempo, quando la soluzione richiede di più tempo di quanto se ne abbia a disposizione per la discussione (33, 183a23ss.); la soluzione dei discorsi che si costruiscono col medesimo schema è la stessa, mentre questa soluzione non si adatterà a tutti i discorsi né a tutti i modi in cui le questioni possono essere domandate, ma essa vale contro chi interroga e non contro il discorso (20, 177b31ss.).
(oµoi6-rriç) ~ Topici Esame delle nozioni di somiglianza e dissomiglianza (I 17 passim); l'indagine di ciò che è simile è utile (1) per i ragionamenti SOMIGLIANZA
SOLUZIONE - SOSTANZA
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induttivi, (2) per i sillogismi che procedono da un'ipotesi e (3) per la formulazione delle definizioni (I 18, 108b7ss.); chi interroga stabilisce per .lo più la premessa universale o attraverso l'induzione o attraverso la somiglianza (VIII 8, 160a37ss.); la metafora, mediante la somiglianza, in qualche modo .rende evidente ciò che indica (VI 2; 140a9-10); tutti coloro che producono delle metafore lo fanno tenendo conto di urta certa somiglianza (VI 2, 140a10~11); bisogna esaminare se si può stabilire, tra le realtà in questione, una comparazione secondo il più e il meno, oppure secondo somiglianza, come per ef)empio "voce bianca" e "mantello bianco", e "sapore intenso" e "voce intensa" (I 15, 107b13ss.). li. Confutazioni Sofistiche
Il "non essere qualcosa" non è la stessa cosa del "non essete in senso assoluto", eppure sembrano la stessa cosa a causa della somiglianza dei modo di dire le cose (5, 167a4ss.); l'errore nasce a:· causa della somiglianza dello stesso modo -di dire le cose (7, 169a29-30); l'errore deriva dalla somiglianza e la somiglianza, . a sua volta, dal modo di dire le cose (7, 169bl-2). SORTE
(tum 111)
Topici La virtù è preferibile alla sorte (infatti la prima è, in sé, causa dei beni, mentre la seconda hè solo per accidens) (ill 1, 116blss.); ciò che è "in sé" causa del male deve essere maggiormente evitato rispetto a·ciò che ne è causa solo "accidentalmente", come ad esempio nel caso del vizio e della sorte. Il primo, infatti, è "in sé" un male, · mentre la sorte lo è "per accidente" (ll 1, 116 b4-6).
[I
SOSTANZA
(oùcria)
Categorie È la principale delle dieci categorie (4; lb25-26), i cui esempi sono: "essere umano" e "cavallo" (4, lb27c28); allo studio e all'analisi di questa categoria è interamente dedicato il capitolo 5, in cui sono trattate le seguenti questioni: presentazione della sostanza prima (5,2allcl4}; presentazione delle sostanze seconde (5, 2al4cl9); predicazione del nome e della definizione mriferimento alle cose che si dicono di un soggetto e alle cose che sono in un soggetto (5, 2al934); pr.edicazione del nome e della definizionein r.iferimento alle cose che si dicono di un soggetto (5, 2al9-27); predicazione del nome e della definizione in riferimento alle cose che sono in un soggetto (5, 2a27-34); precisazione dei rapporti che intercorrono tra le sostanze !'li
m Per il termine 'tUX11 si veda anche la voce CASO.
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INDICE RAGIONATO DEI CONCETTI
prime e le sostanze seconde da un lato, e tra le sostanze prime e le altre categorie dall'altro (5, 2a27-2b6); gradi di sostanzialità della sostanz~ seconda: la specie è più sostanza del genere (5, 2b7-22); la specie è più vicina alla sostanza prima (5, 2b7-14); la specie funge da soggetto al genere (5, 2b15-22); pari grado di sostanzialità delle sostanze dello stesso livello (5, 2b22-28); ancora sui rapporti tra sostanze prime e seconde e sul primato della categoria della sostanza (5, 2b29-3a6); prima caratteristica della sostanza: carattere comune a ogni sostanza è il non essere in nessun soggetto (5, 3a7-3b9); seconda caratteristiea: la sostanza è "questa realtà qui" (5, 3b10-23); terza caratteristica: la sostanza non ha contrari (5, 3b24-32); quarta caratteristica: la sostanza non ammette il più e il meno (5, 3b33-4a9); quinta caratteristica: la sostanza ammette i contrari, restando la stessa e una di numero (5, 4a10-4bl9); la sostanza è capace di ricevere i contriiri, ma mai nello stesso tempo (6, 6al-4); trattazione della seguente aporia: se nessuna sostanza faccia parte dei relativi o se questo sia possibile per qualche sostanza seconda (7, 8a13-b24).
Analitici Secondi Sarebbe impossibile definire una sostanza di cui si predicassero infinite cose (I 22, 83b8), i termini che significano la sostanza di qualcosa significano di essa proprio ciò che realmente è o il tipo di cosa che è (I 22, 83a24-25); la definizione fa conoscer:e una qualche sostanza (II 3, 90b16). 91
~ Topici . È una delle dieci categorie: le categorie sono dieci di numero, ovvero (1) sostanza, (2) quantità, (3) qualità, (4) relazione, (5) dove, (6) quando, (7) giacere, (8) avere, (9) agire, (10) patire (I 9, 103b21ss.); chi indica "il che cos'è" di qualcosa, indica talvolta la sostanza, talvolta la quantità, talvolta la qualità, talvolta una delle altre categorie (I 9, 103b25-26); quando qualcuno, prendendo come esempio l'essere umano, dice che ciò che ha davanti è un 'essere umano' o un 'animale', esprime il che cos'è e indica la sostanza (I 9, 103b2931); il bianco non è una sostanza ma una qualità (N 1, 120b38-39); "corpo~' e "sostanza dotata di queste caratteristiche", significano una sola :e medesima cosa e, in questo caso, chi parla avrà ripetuto due volte il termine "sostanza" (V 2, 130blss.); se non ha definito mediante le differenze specifiche della realtà in questione, o se ha detto qualcosa che non può essere assolutamente differenza di nulla, come ad esempio "l'animale" o· "la sostanza?', è chiaro che la definizione non si dà (VI 2, 143a30ss.); bisogna vedere se è stata posta come differenza di sostanza il fatto di "essere in qualche luogo"; infatti non sembra che una sostanza si differenzi da un'altra per il fatto di
SOTTRAZIONE - SPECIE
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"essere in qualche luogo (VI 6, 144b31ss.); la sostanza di ogni realtà composta non consiste in un'accozzaglia casuale di parti; ma in una specifica unione di parti; come avviene per la casa (infatti, quando le parti sono state messe insieme a caso, la casa non si dà) (23 VI 13, 150a23ss.). ~ Confutaiioni Sofistiche Da ciò che è uno e dalla sostanza sembrano dover conseguire soprattutto "questa realtà qui" e l"'essere" (7, 169a35-36). SOITRAZIONE ( Ùfi (antistrophe): conversione; rovesciamento àvnq>avm (antiphanai): contraddire
GLOSSARIO à.v'tiq>amç (antiphasis): contraddizione; alternativa contraddittoria; contraddittorietà; la proposizione contraddittoria àl;iroµa (axioma): assioma àopHnoç (aoristos) indeterminato ànayroyfi (apagoghe): riduzione; abduzione !ili ànayroyTi eiç 'tÒ àòUvawv (apagoghe eis to adynaton) o eiç àòUvmov (eis adynaton): riduzione all'impossibile tfu1l ànayeiv (apaghein): ridurre oo ànayew eiç; 1:ò àòUvawv (apaghein eis to adynaton) O eiç àùuvmov (eis adynaton): ridurre all'impossibile ànapvefo0m (aparneisthai): negare ànmucr0m (apatasthai): ingannarsi, essere tratti in inganno, cadere in errore, sbagliarsi ii Ù7tcX'tTJ (apate): errore; inganno à.neipia (apeiria): inesperienza aneipoç (apeiros): illimitato, infinito anÀéòç (haplos): in assoluto, in sen. so assoluto; semplicemente; in generale àno~oÀfi (apobole): perdita ànoÙetKVuvm (apodeiknynai): dimostrare "11 ànoÙetK'ttKOç (apodeiktikos): dimostrativo 12' Ù1toÙetK'toç (apodeiktos) dimostrabile i! àn6Ùe11;1ç (apodeixis): dimostrazione àno8t86vm (apodidonai): attribuire; esprimere3 ànoKpiveiv (apokrinein): rispondere à.1t6P'llµa (aporema): difficoltà; aporia4 ànopia (aporia): aporia àJtocr'tepetv (aposterein): negare à.1t6q>avmç (apophansis): enunciazione ànoq>amç (apophasis): negazione !Xl ànoq>anKoç (apophatikos): negativo
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GLOSSARIO
àpe'tfi (arete): virtù àp10µ6c; (arithmos): numero àpµ6tte1v ·(harmottein): accordarsi5 àpxft (arche): principio; inizio l7lll èç, àpxfìc; (ex arches): dapprincipio, all'inizio !!i tò éç, àpxfìc; (to ex arches) o èv àpxfì aitélcr0m (en archei aiteisthai): quello che in origine bisognava provare · àcruµµe'tpoc;. (asymmetros): incommensurabile à'teÀftc; (ateles): imperfetto !in àteÀ'Ì]ç cruÀÀoymµ6c; (ateles sylloghismos): sillogismo imperfetto atoµoc; (atomos): individuale; indivisibile ~ [tà.] atoµa ([tal atoma): gli individui awnoc; (atopos): assurdo, strano auç,11crtc; (auxesis): aumento, accrescimento à0évw: (ta lephthenta), 'tà. EÌÀT]µµÉva (ta eilemmena): gli assunti À.ÉyEcr0m Ka'ta (leghesthai kata): dirsi di 17 ÀruKoç (leukos): bianco À.EUKO'tT]ç (leukotes): bianchezza, il bianco ft..é1;1ç (lexis): modo di dire !.liJ Kmà. 'tTJV ÀÉ/;tv (kata ten lexin): sul pia. no linguistico À.fì'Jftç (lepsis): acquisto; assunzione À.oyuc6ç (loghikos): logico; dialettico ;m À.oytKéòç (loghikos): da un punto di vista generale18 À.oytcrµ6ç (loghismos): calcolo À.oytcr'ttKoç (loghistikos): razionale, calcolatore À.oyoç (logos): discorso; énunciato; ragionamento; definizione, formula definitoria; argomentazione; ragione; discussione19 lll À.Oyoç omÀEK'ttKoç (logos dialektikos): ragionamento dialettico À.unéicr0m (lypeisthaz"): provare dolore À.U1tT] (lype): dolore À.umç (lysis): soluzione
µ (M)
µé0oùoç (methodos): metodo; ambito disciplinare µEiçrov (meizon): maggiore iil'!I ['tÒ] µélçov lXK:pov ([to] meizon akron): 0'] estremo maggiore µi;'ìl;tç (meixis): mescolanza µtiffi