“Mai più sole” contro la violenza sessuale. Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta


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“Mai più sole” contro la violenza sessuale. Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta

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Nadia Maria Filippini

"Mai più sole" contro la violenza sessuale Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta

Indice

Introduzione 1. La vicenda e il contesto 1. 2. 3. 4. 5.

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Stupro e colpevolizzazione La violenza carnale nei codici e nella tradizione giuridica Il femminismo italiano alla metà degli anni Settanta Il contesto veronese Lo spartiacque del delitto del Circeo

19 25 33 44 60

2. «Ogni processo per violenza carnale è un processo politico» 1. L'incontro con il movimento femminista

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2. Rompere il silenzio! 3. L'antecedente del processo per aborto di Padova 4. La mobilitazione delle donne 5. La strategia processuale: l'istruttoria di parte civile 6. Per un processo a porte aperte!

3. La contestazione in Tribunale 1. 2. 3. 4. 5.

La scelta di Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya La ricusazione della Corte La conclusione del processo La risonanza mediatica L'impossibile rientro nel paese

67 73 78 83 85 88

1O1 101 107 115 125 130

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4. «Non è che l'inizio!»: la lotta contro la violenza sulle donne nella seconda metà degli anni Settanta 1. Il proliferare delle manifestazioni 2. Nascita dei centri antiviolenza autogestiti 3. Verso una nuova legge sulla violenza contro le donne

135 136 141 145

Appendice

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Indice dei nomi

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Introduzione

Verona, 1976: una giovane donna vittima di stupro denuncia i suoi aggressori, scelta al tempo molto rara. Non solo: si unisce al movimento femminista, decidendo di fare del suo processo un processo politico, un'occasione di denuncia contro la violenza sulle donne in tutte le sue sfaccettature, a partire da quella perpetrata nelle aule dei tribunali. È la prima volta che in Italia avviene un fatto del genere. Nel panorama di lotta contro la violenza sulle donne che il femminismo ha portato avanti negli anni Settanta, questa iniziativa del movimento delle donne di Verona, al centro del libro, segna un passaggio cruciale, uno snodo che evidenzia da un lato i profondi cambiamenti che avevano investito la soggettività femminile, dall'altro l'abissale distanza che separava questa nuova realtà da istituzioni, codici, norme obsolete, con l'inevitabile apertura di scontri e conflitti profondi. Non è questo l'unico "primato" della vicenda, nel senso etimologico del termine che indica l'affermarsi di scelte inedite sia sul piano soggettivo che su quello collettivo delle forme di mobilitazione. Per la prima volta un coordinamento di gruppi femministi chiede alla Corte di esser presente al processo non solo per solidarietà nei confronti della parte civile, ma sulla base di una comune identità di genere, denunciando lo stupro quale espressione di un potere maschile secolare e di una gerarchia di genere profondamente radicata. Su questo apre un duro braccio di ferro con i giudici, con una mobilitazione che coinvolge migliaia di donne in città e in regione. Ad esser messa sotto accusa è la stessa istituzione giudiziaria, di cui viene svelata la falsa neutralità, la connotazione maschile di codici e procedure, la cultura solidale con lo stupro imperante nelle aule dei tribunali. Per la prima volta in Italia un collegio giudicante viene ricusato con l'accusa di

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maschilismo, per «concordanza oggettiva» di contenuti culturali tra giudici e imputati. Ma è anche vero che, a seguito di questa grande mobilitazione, una sentenza altrettanto inedita riconosce per la prima volta il movimento femminista come soggetto collettivo, accogliendo la richiesta avanzata dalle avvocate di parte civile di un risarcimento a suo favore, destinato a sostenerne iniziative di contrasto alla violenza sessuale. Tutto questo avviene in uno scenario reso pubblico, oltre che dalle manifestazioni di piazza, dalla presenza massiccia dei media: il processo è seguito da tutti i giornali nazionali (e non solo), da riviste, emittenti radiofoniche e perfino dalla televisione che riprende scene dell'udienza, realizzando un lungo documentario sul processo, mandato in onda da Rai 1 in prima serata il 26 ottobre 1976. Contrariamente alla vulgata diffusa, il primo filmato in un processo per stupro non è dunque quello di Latina, realizzato tre anni dopo da un gruppo di sei giovani cineaste, trasmesso da Rai2 il 26 aprile del 1979 con il titolo Processo per stupro.• La correzione storica è doverosa, senza nulla togliere ali' importanza e al valore di questa opera, giustamente riconosciuti anche da vari premi. A risultare pienamente coinvolta in questa mobilitazione è dunque l 'opinione pubblica nazionale e in parte internazionale. Si realizza con ciò uno dei principali obiettivi della mobilitazione femminista: quello di trasformare il dibattimento in un'azione di denuncia pubblica della violenza contro le donne e della vittimizzazione secondaria. 2 A questo proposito va rilevato un significativo cambiamento di strategia da parte del movimento femminista nei confronti dei mass media, che non vengono ignorati o allontanati (come spesso succedeva in precedenza), ma con i quali si apre un confronto, per quanto denso di tensioni e problemi. Il movimento insomma cerca di "usare" i mass media per trasmettere e diffondere i suoi contenuti. In questa prospettiva è dirompente il protagonismo della giovane ragazza che rifiuta di interpretare il ruolo passivo di "oggetto" della violenza sessuale per diventare "soggetto" di un'accusa che trascende i suoi stupratori, spiegando quanto la sua vicenda "personale" sia in realtà "politica". Il ruolo attivo assunto nelle conferenze stampa, la partecipazione a trasmissioni radiofoniche e televisive, rappresentano di per sé una rottura epocale di 1. Cfr., su questo, cap. 4, par 1. 2. Con questo termine s'intende la violenza che le donne subiscono, dopo il reato, nei percorsi giudiziari, nelle rappresentazioni dei media, nel contesto sociale, in tutte quelle situazioni, insomma, in cui diventano vittime una seconda volta.

Introduzione

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comportamenti e modelli femminili tradizionali che impongono alle donne violentate il silenzio della vergogna e l'emarginazione sociale. La sua voce che descrive con parole semplici non la cronaca, ma il vissuto e le ripercussioni della doppia violenza subita (quella dei violentatori e degli uomini delle istituzioni giudiziarie) rappresenta la novità che scardina regole tanto ferree quanto informali, infrangendo muri di silenzio secolare. Ciò che si mostra sulla scena pubblica è una soggettività femminile nuova che trae la sua forza dal rapporto con le altre donne, non solo per contestare la tradizione, ma per affennare scelte e percorsi di libertà femminile originali, diventando così icona della ribellione contro ogni violenza, come Donatella Colasanti (unica sopravvissuta del delitto del Circeo) era diventata - suo malgrado - icona della sofferenza femminile per le violenze subite. 3 L'iniziativa veronese diventa, negli anni successivi, modello di mobilitazione in tutta Italia e anche all'estero: in molte città i processi per stupro vengono accompagnati da analoghe manifestazioni femministe che, seppur in fonne diverse e specifiche, ripropongono l'obiettivo di denuncia della vittimizzazione secondaria, di messa sotto accusa delle istituzioni giudiziarie. Se il delitto del Circeo rappresenta dunque uno "spartiacque" nella storia del femminismo per quanto riguarda la consapevolezza della parzialità dei tribunali come è stato sottolineato4 - , il processo di Verona lo è per ciò che concerne le forme di lotta contro questa realtà e cultura. Il tema della violenza sessuale assume un rilievo centrale nell 'analisi e nel dibattito politico del movimento, accompagnato in molte realtà dalla messa a punto di iniziative a sostegno delle vittime, con la nascita dei primi centri antiviolenza autogestiti. Si coniuga a questo l'avvio del dibattito sulla riforma degli articoli del Codice penale che porterà, dopo un iter alquanto travagliato, al varo della legge 66/ 1996 (Norme contro la violenza sessuale), che trasforma lo stupro da delitto contro la morale e il buoncostume a delitto contro la persona. Si pone, a questo punto un interrogativo storiografico tutt'altro che irrilevante: come mai una vicenda così dirompente, che ha suscitato tanto clamore, percepita e interpretata a suo tempo come uno snodo cruciale nella storia delle donne, è poi scomparsa dalla memoria collettiva e non 3. Come scrive Sara Mascherpa, Il delitto del Circeo. Una storia italiana. Il destino sociale delle vittime e degli aggressori, Roma, Aracne, 20 IO, p. 180. Vedi cap. 1, par. 5. 4. Ibidem.

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ha ricevuto l'attenzione storica che meritava? Le rilevanze della memoria collettiva - lo sappiamo - sono complesse e mutevoli, coniugate ai cambiamenti culturali e politici,5 e il movimento delle donne non fa eccezione. Ma in questo caso si è registrato un vuoto di memoria pure nel campo della ricerca storica: scorrendo i testi sulla storia del femminismo italiano, i riferimenti a questa vicenda sono assai scarsi; in tutti si cita erroneamente il processo di Latina come primo processo per stupro a porte aperte, e primo ad essere ripreso dalle telecamere. E il reiterarsi di questo errore non solo nei media, ma anche nelle pubblicazioni scientifiche, ha evidentemente consolidato una narrazione che, unita all'eco mediatico di questo secondo processo, ha finito per oscurare il primo. 6 L'unica eccezione è un testo del 1998, dedicato alla storia del movimento femminista veneto, che riserva un paragrafo alla vicenda, avvalendosi in particolare degli articoli de «Le operaie della casa», rivista del Comitato triveneto per il salario al lavoro domestico, gruppo che aveva partecipato all'iniziativa.' Anche nelle pubblicazioni più specifiche, dedicate al nesso tra violenza sessuale e politiche del diritto, troviamo solo qualche rapido accenno. 8 La risposta va rintracciata, a mio avviso, in una serie di fattori che hanno a che fare da una parte con lo stato delle ricerche, dall'altra con una gerarchia sia di contesti che di tematiche. La storia del femminismo italiano presenta ancora territori largamente insondati: malgrado gli importanti lavori di ricerca condotti anche 5. Cfr., su questo, tra la vasta bibliografia, il classico volume: L uso pubblico della storia, a cura di Nicola Gallerano, Milano, FrancoAngeli, 1995; e i più recenti: Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibaltito politico italiano dal 1945 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2020; Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Torino, Einaudi, 2021. 1

6. «Si tratta del primo lavoro di documentazione filmica di un processo per stupro», scrive ad esempio Elisa Bellè, L'altra rivoluzione. Dal Sessantotto al femminismo, Torino, Rosenberg & Sellier, 2021, p. 186. Ma anche su Wikipedia si legge che «Fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai» (it.wikipedia.org/wiki/ Processo per stupro). 7. Anna Maria Zanctti, Una ferma utopia sta per fiorire. Le ragazze di ieri: idee e vicende del movimento nel Veneto degli anni Settanta, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 81-85. 8. Ne accenna, ad esempio, a proposito dell'interrogazione parlamentare fatta da Maria Magnani Noya, Laura Elisabetta Bossini, Le proposte di legge in materia di violenza sulla donne, in La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritlo (secoli XV-XXI), a cura di Simona Feci e Laura Schettini, Roma, Viella, 2017, p. 198.

Introduzione

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recentemente,9 molto ancora resta da indagare. Inoltre la direzione delle ricerche storiche e sociali risente ancora di una scarsa articolazione geografica che ha privilegiato alcuni grandi centri (Milano, Roma), a scapito di realtà periferiche, come annota Bellè. 10 Questo rischia di restituire un quadro falsato del movimento italiano, le cui caratteristiche erano invece quelle di essere uno dei più pervasivi tra i paesi occidentali, con dimensioni di massa - come sottolineava Anna Rossi-Doria - e di articolarsi inoltre in modalità, forme di lotta ed esperienze diversificate. 1I «La strada che verrà», che la storica indicava nel 2005 come un percorso su cui avanzare, 12 si rivela dopo diciassette anni ancora in larga parte da esplorare. Un secondo elemento riguarda le gerarchie di rilevanza sottese nella ricostruzione storica, di carattere sia politico che tematico. Come hanno sottolineato recentemente Beatrice Pisa, Antonella Picchio e Giuliana Pincelli, alcune esperienze del femminismo italiano degli anni Settanta sono passate sotto silenzio rispetto ad altre, offuscate dal prevalere negli anni Ottanta-Novanta di correnti femministe di indirizzo diverso, come quella del "pensiero della differenza". Picchio dedica un paragrafo del suo saggio a questo problema della "dimenticanza", a proposito della storia dei gruppi del Salario per il lavoro domestico. 13 Analogamente il testo di Beatrice Pisa sul Movimento di liberazione della donna, nasce dalla volontà di recuperare una storia ormai quasi cancellata. 14 9. Cfr. Bellè, L'altra rivoluzione; Antonella Picchio Forlati, Giuliana Pincelli, Una lotta femminista globale. L'esperienza dei g111ppi per il salario al lavoro domestico di Ferrara e Modena, Milano, FrancoAngeli, 2019; Beatrice Pisa, li Movimento liberazione della donna nel femminismo italiano. La politica, i vissuti, le esperienze (1970-1983), Roma, Aracne, 2017; Stefania Voli, Soggettività dissonanti. Di rivoluzione,femminismi e violenza politica nella memoria di un gruppo di ex-militanti di Lotta Continua, Firenze, Firenze University Press, 2016; Paola Stelliferi, li femminismo a Roma negli anni Settanta. Percorsi, esperienze e memorie dei collettivi di quartiere, Bologna, Bononia University Press, 2015; Fiamma Lussana Il movimento femminista in Italia. Esperienze, storie, memorie, Roma, Carocci, 2012. Segnalo anche la prossima uscita per Viella, in questa collana, del libro Cinquant'anni di Rivolta. Nuovi sguardi sulla storia dei femministi dal lungo '68 a oggi, a

cura di Paola Stelliferi e Stefania Voli. I O. Bcllè, L'altra rivoluzione, p. 16. 11. Anna Rossi-Doria, Ipotesi per una storia che verrà, in li femminismo degli anni Settallla, a cura di Teresa Bertilotti e Anna Scattigno, Roma, Viella, 2005, pp. 2-3; Ead., Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne, Roma, Viclla, 2007. 12. Rossi-Doria, Ipotesi per una storia che verrà. 13. Picchio Forlati, Pincelli, Una lotta femminista globale, p. 42. 14. Pisa, Il Movimento liberazione della donna ne/femminismo italiano.

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Si aggiunga a questo il fatto che il tema stesso della violenza sessuale, dopo l'iniziale fioritura di interesse negli anni Settanta, è rimasto piuttosto a margine delle ricerche storiche in Italia, rispetto ad altri paesi. Per averne un'idea, basta dare un'occhiata ai riferimenti bibliografici del saggio di Simona Feci e Laura Schettini, Storia e uso pubblico della violenza contro le donne. 15 Solo in tempi più recenti esso è statori-assunto come oggetto specifico di ricerca: penso, ad esempio, all'importante convegno organizzato dalla Società italiana delle storiche (Sis) il 27-28 novembre del 2015, che ha portato alla pubblicazione del libro La violenza contro le donne nella storia, 16 al testo di Tiziana Noce sul diritto e i processi penali nell'Ottocento, 17 a quelli di Marco Cavina sulla violenza coniugale 18 e di Cesarina Casanova sulla violenza familiare; 19 al più recente saggio di Laura Schettini,20 ma gli esempi si contano sulle dita delle mani, a fronte di indagini sociologiche e giuridiche assai più numerose. Eppure, la prospettiva storica risulta fondamentale per analizzare le radici della violenza, i modelli di genere che l'hanno alimentata, le norme e le forme di legittimazione che ne hanno consentito il perpetuarsi nel corso del tempo; aspetti essenziali anche ai fini della messa a punto di iniziative di contrasto nella realtà sociale. 21 Su questa emarginazione tematica ritengo abbiano pesato anche resistenze e orientamenti di carattere politico: il timore, serpeggiante in vari gruppi femministi, di ricadere in una lettura vittimistica della storia delle donne22 o di distogliere l'attenzione dal piano degli aspetti culturali e sim15. Simona Feci, Laura Schettini, Storia e uso pubblico della violenza contro le do1111e, in La violenza contro le do1111e nella storia, pp. 7-39. 16. La violenza contro le do11ne 11ella storia. 17. Tiziana Noce, li corpo del reato. Diritto e violenza sessuale nell 'Jtalia del'Otto­ ce11to, San Cesario di Lecce, Manni, 2009. 18. Marco Cavina, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale, Roma-Bari, Laterza, 2011. 19. Cesarina Casanova, Per amore o per/orza. Storia della violenza familiare in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2016. 20. Laura Schettini, La violenza maschile contro le donne, in Storia delle do11ne nel'Italia contemporanea, a cura di Silvia Salvatici, Roma, Carocci, 2022, pp. 135-162. 21. Come ha riconosciuto nel suo preambolo la Risoluzione per l'eliminazione della violenza contro le donne, adottata dell'assemblea generale dell'Onu nel 1993 (Risoluzione 48/104 20-12-1993) www l .intcmo.gov.it/minintcmo/cxport/sitcs/dcfault/it/asscts/ files/ 17/00114_risoluzione_ it.pdf. 22. Luisa Muraro, Stiamo tornando al vittimismo?, www.librcriadcllcdonnc.it/ oldsite/news/articoli/circolo0 11207 .htm. Alcune hanno ipotizzato anche la cancellazione del

Introduzione

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bolici, considerati di maggior rilievo, come osserva Ilaria Boiano. 23 Eppure è stato proprio attraverso le ricerche sulla violenza contro le donne che si sono aperte in campo culturale prospettive di analisi tra le più interessanti per quanto attiene al significato simbolico del corpo femminile, non solo per la famiglia e la comunità, ma per l'intera nazione. Penso, ad esempio, agli studi di Alberto Mario Banti24 o a quelli di Simona La Rocca e altri sugli stupri di guerra. 25 Inoltre la storia della violenza sessuale, se la si guarda dall'altra parte del cannocchiale, quella dell'agency femminile, mette in luce un'altra realtà: una fitta rete di strategie, iniziative, alleanze, forme di lotta che le donne hanno messo a punto nel corso dei secoli per farvi fronte, delineando un ruolo tutt'altro che passivo e un protagonismo rilevante, pur nella cornice consolidata del patriarcato. Si tratta insomma di una storia di forza e non di debolezza, come dimostra anche la vicenda al centro di questo libro. Certo ha pesato anche il fatto che sul tema della violenza contro le donne e sulle iniziative per contrastarla si è consumato, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, uno degli scontri più aspri all 'intemo del femminismo italiano, come vedremo nell'ultimo capitolo, che ha portato a spaccature profonde che pesano ancora a distanza di tempo nella memoria delle protagoniste. 26 Si tratta insomma per molti aspetti di una storia di termine "vittima", a proposito delle donne stuprate o maltrattate, proponendo di sostituirlo con altre espressioni. 23. «La polemica contro la violenza quotidiana dell'uomo distoglie l'attenzione dall'analisi di quella invisibile che le donne hanno subito in tutta la loro vita e che le ha collocate in una posizione di subalternità e dipendenza dagli uomini», scriveva ad esempio Lea Melandri nel 1974 (cit. in Ilaria Boiano, Femminismo e processo penale: il mutamento del discorso giuridico in tema di reati sessuali, in La violenza contro le donne nella storia, p. 242 ed Ead., Femminismo e processo penale. Come può cambiare il discorso giuridico sulla violenza maschile contro le donne, Roma, Ediesse, 2015, pp. 37-39). 24. Alberto Mario Banti, L'onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande guerra, Torino, Einaudi, 2005. 25. Stupri di guerra e violenze di genere, a cura di Simona La Rocca, Roma, Ediesse, 2015. Pionieri in questo campo sono stati: Stéphane Audoin-Rouzeau, L 'enfant de/ 'ennemi, /914-1918. Viol, avortemenl, infanticide penda111 la Grande Guerre, Paris, Aubier, 1995 e Bruna Biancht. Crimini di guerra e colllro l'umanità. Le violenze ai civili sul fronte orienta/e (1914-1919), Milano, Unicopli, 2012. 26. Cfr. su questo, ad esempio: Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nel'idea e nelle vicende di 1111 gruppo di donne, Torino, Rosenberg & Scllier, 1987, cap. 2; il saggio di Beatrice Pisa che riassume le posizioni dello scontro sulla legge di contro la violenza sessuale: Il Movimento di libe-

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divisioni e divisiva, che solo di recente ha cominciato a essere oggetto di una ricostruzione storica più distaccata. Un 'ultima osservazione riguarda la delicata questione del doveroso rispetto della privacy e del diritto all'oblio, che deve essere tanto maggiore in questa materia, e che chiama in causa sensibilità e principi etici prima ancora che giuridici. La recente legislazione ha fissato direttive e regole più stringenti che nel passato, indicando dei precisi confini nella ricerca che non riguardano solo l'accesso alla documentazione d'archivio, ma la stessa utilizzazione di questa e di altre fonti nel racconto storico, con la prescritta cancellazione dei dati sensibili. 27 Si tratta di una questione rilevante sulla quale bisognerebbe aprire un confronto approfondito tra storici, giuristi, legislatori e responsabili ministeriali. In ottemperanza a queste norme, gli elementi identificativi della parte civile e di altri soggetti implicati nel processo sono stati occultati nel testo, il loro volto oscurato nelle immagini e sono stati volutamente evasi alcuni dettagli che potevano renderli riconoscibili; nei riferimenti delle fonti giornalistiche è stato omesso il giorno di pubblicazione. Per queste ragioni ho scelto di indicare la protagonista di questa storia con lo pseudonimo di Alma. Il rischio della cancellazione della vicenda dalla storia è stato il principale motivo che mi ha spinto a intraprendere questa ricerca, nella consapevolezza che il passare del tempo avrebbe fatto venir meno la voce delle protagoniste, essenziale per ricostruire contenuti e aspetti cruciali di questa grande mobilitazione femminista. Un'altra ragione ha a che fare con una motivazione soggettiva. Si è trattato di una specie di viaggio di ritorno nel tempo e nello spazio, nella mia città di origine. Per quanto frammentari, i ricordi di quella mobilitazione erano ancora nitidi in un angolo della memoria. Da tempo desideravo non solo salvarli dall'inesorabile usura del tempo e rielaborarli razione della donna e il primo Centro contro la violenza sulle donne, in La violenza contro le donne nella storia, pp. 184-195, oltre al suo libro li Movimento liberazione della donna nel fernminismo italiano. 27. Segnalo su questo Giulia Barrera, Dirillo ali 'oblio in archivio: un ossimoro solo apparente, in Carte di piombo. Gli archivi desecretati e la ricerca storica, a cura di Simona Greco e Leonardo Mineo, Roma, EdizioniAnai (in corso di stampa); Ead., Diritto all'oblio. Alcune precisazioni, in «Il mondo degli archivi», 3 ottobre 2019, www.ilmondodegliarchivi.org/rubriche/in-italia/770-diritto-all-oblio-alcune-precisazioni.

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Introduzione

nel mio percorso biografico, ma inserirli nel quadro complessivo di una storia che necessitava di essere recuperata e riconsiderata nel più ampio contesto del movimento delle donne degli anni Settanta in Italia. Per ricostruire questa storia ho utilizzato fonti diverse, per la maggior parte inedite, perché diversi erano gli aspetti e le sfaccettature che mi interessava mettere a fuoco. I giornali dell'epoca, le fotografie, alcune trasmissioni radiofoniche e televisive mi hanno permesso di mettere insieme i dettagli della vicenda e di misurare anche l'impatto, le reazioni e il dibattito pubblico che aveva suscitato, cogliendone i registri discorsivi, le forme di rappresentazione filtrate dal linguaggio. Poter accedere al fascicolo processuale è stato essenziale per verificare, al di là dei resoconti mediatici, a volte carenti o distorti, i fatti inerenti al reato e le vicende processuali. Per far luce sul movimento femminista, sugli obiettivi e i contenuti della mobilitazione, sono stati fondamentali gli archivi del movimento delle donne di Verona e di Padova, che conservano articoli, volantini, documenti relativi al processo (una scelta dei quali è stata inserita in Appendice): quello del Circolo della Rosa di Verona, e quello di Lotta Femminista - Gruppo per il salario al lavoro domestico, donato da Maria Rosa dalla Costa alla Biblioteca Civica di Padova. Si tratta di una documentazione preziosa, considerata l'oralità e il carattere informale della pratica femminista, che conferma ancora una volta l'importanza del lavoro di raccolta e catalogazione portato avanti dai Centri di documentazione delle donne, spesso con scarsi mezzi e contributi. Tuttavia il quadro sarebbe rimasto incompleto senza la raccolta di interviste alle protagoniste di questa lotta, le uniche fonti in grado di far luce sugli aspetti della soggettività, delle pratiche, delle relazioni. Ho ripreso, dopo molti anni, a lavorare con le fonti orali, con cui avevo mosso i miei primi passi nella storia, avvalendomi delle indicazioni e delle "buone pratiche" suggerite dall'Associazione italiana di storia orale. 28 Ho raccolto una ventina di interviste semi-strutturate, tra cui figura anche quella dell'avvocato di parte civile, Vincenzo Todesco. Nel citare i loro nomi mi sono attenuta alle loro indicazioni e preferenze (qualcuna ha chiesto di rimanere anonima o di esser citata con un soprannome). Purtroppo la morte di Tina Lagostena Bassi e quella di Maria Magnani Noya ci hanno privato di testimonianze importanti, di cui restano tracce in alcune interviste e memorie autobiografiche. 28. Cfr. su questo, Buone pratiche per la storia orale. Guida sandro Casellato, Firenze, Editpress, 2021.

al'uso,

a cura di Ales-

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Per quanto frammentari e offuscati dal tempo, i racconti di queste testimoni rappresentano tasselli preziosi che vanno a comporre il quadro composito di quello che è stato il vissuto di questa lotta a livello soggettivo, con il suo carico di passioni, emozioni, ideali, speranze, restituendoci l'anima della mobilitazione, i suoi riflessi nei percorsi individuali. Infine un pensiero speciale alla protagonista di questa vicenda. Il libro vuol essere un omaggio al coraggio e alla forza con cui ha saputo rompere un muro di silenzio secolare, aprendo per sé e per le altre donne una strada nuova, alternativa alla vergogna, all'accettazione passiva e al sacrificio personale. Lo ha fatto con la determinazione, lo slancio e la convinzione di fare la cosa giusta e con la speranza di un futuro migliore per tutte le donne.

*** Il mio primo ringraziamento va alle testimoni che hanno restituito con i loro racconti il senso e l'anima della battaglia politica che sta al centro di questo libro. Molte altre sono le persone a cui sono riconoscente, non solo per l'aiuto concreto, ma per l'incoraggiamento che hanno dato alla ricerca. Un pensiero grato va all'ex direttore dell'Archivio di Stato di Verona, Roberto Mazzei, e alla nuova direttrice, Chiara Bianchini; ad Antonella Magaraggia, già presidente del Tribunale di Verona, a Luisa Spencer, del Circolo della Rosa di Verona, al personale della Biblioteca Civica di Padova. Giulia Barrera, sovrintendente archivista per la Calabria, già dell'Ufficio del Responsabile per la protezione dei dati personali del Ministero della Cultura, è stata la mia stella polare nell'intricato percorso sulle norme relative alla protezione dei dati personali. Le fotografie sono state gentilmente fomite dall'Archivio Uliano Lucas, dall'archivio Fadda-Arena, oltre che dalle raccolte private di Francesca Dentamaro e Lucia della Libera. Voglio ricordare inoltre: Cristina Petrucci; Valeria Palumbo e Sonia Orlandi del Rcs media Group; Nadia Olivieri, dell'Istituto veronese della storia della Resistenza; Gabriella Poli, dell'lvres di Verona; Gina Sussa, dell' Aied, e Luisa Filippini, che mi hanno segnalato e aiutato a recuperare alcune fonti inedite. Alessandro Ambroggi mi ha fornito un valido supporto tecnico per l'apparato fotografico e Alberto Scaggiante un indispensabile aiuto alla trascrizione delle testimonianze. A Chiara Santi i miei ringraziamenti per "l'amicizia giuridica". A Gianni Moriani quelli per l'attenta rilettura. Infine, /ast but noi /east, un pensiero speciale alle amiche della Sis: Raffaella Sarti, attuale presidente, Marina Garbellotti, Simona Feci, Paola Stelliferi, Laura

Introduzione

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Schettini, Valentina Catania, che mi hanno incoraggiata, sostenuta e accompagnaè stata il convegno organizzato dalla Sis presso l'Università di Verona, il 22 ottobre 2021, "Per non essere mai più sole. Una pagina storica delle donne di Verona negli anni Settanta". La loro vicinanza mi ha aiutato ad affrontare i piccoli e grandi problemi di questo lavoro, trovando sempre al mio fianco un riferimento fidato e competente. ta in questo percorso la cui prima tappa

1. La vicenda e il contesto

1. Stupro e colpevolizzazione Il fatto ci porta nel cuore della campagna veronese, in una sera di giugno, lungo una stradina di campagna che una giovane studentessa (che chiamerò Alma) percorre, come tante altre volte, di ritorno dalla palestra. Questa volta però ha la sfortuna di incrociare due uomini che la individuano come preda, l'aggrediscono, la violentano e la minacciano affinché non parli. Nei suoi elementi essenziali il fatto ricalca il macabro copione di tanti episodi che si ritrovano negli archivi o nei giornali, a riprova di comportamenti di lunghissima durata. Questo però ha in sé delle caratteristiche di particolare «crudeltà e odiosità» (come riconoscerà la sentenza):• Alma non è sola, ma in compagnia del suo ragazzo, con cui si fenna a chiacchierare ai bordi della strada. D'improvviso tra gli alberi spuntano due uomini a volto semicoperto che si dirigono verso di loro. Lui intuisce subito il pericolo, cerca di difenderla, ma uno dei due uomini ha un'arma di ferro e Io ferisce alla testa, mentre I. Archivio di Stato di Verona (ASVR), Tribunale penale, sentenza n. 81 O, 556/76. Ho ricostruito l'episodio basandomi in particolare sugli interrogatori e le dichiarazioni contenuti nel fascicolo processuale, a cui è acclusa anche una Dichiarazione sottoscritta dalla stessa ragazza che racconta sinteticamente l'accaduto (ASVR, Tribunale penale, Fascicolo processuale, 559/76). Le prime frammentarie notizie erano uscite su «l'Arena» e il «Corriere d'Informazione»: Rapita una [minore1111e] da 3 giovani armati, in «L'Arena», giugno 1976; Bella studentessa rapita e violentata per vendetta politica., in «Corriere d'Informazione», giugno 1976; La studentessa rapita lunedì a [... ]ha raccontato la sua drammatica avventura, in «l'Arena», giugno 1976.

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l'altro si avventa su Alma e la trascina verso un'auto parcheggiata vicino: inutili le grida e le suppliche. Il percorso non è lungo: lo stupro si consuma a qualche chilometro di distanza, in aperta campagna. Verrà soccorsa dai contadini di una fattoria che la trattengono per tutta la notte, visto il suo stato di shock e nel timore che gli aggressori siano ancora nei paraggi. Intanto 1'amico ferito riesce a dare 1'allarme, prima di finire in ospedale. Scattano subito le ricerche: per tutta la notte le pattuglie della polizia perlustrano la zona, istituendo posti di blocco. Vengono vagliate tutte le ipotesi del rapimento: dal gesto di un innamorato respinto, alle motivazioni politiche; viene scartata solo quella del rapimento a scopo di estorsione, in quanto entrambe le famiglie (della ragazza e dell'amico) sono di modeste condizioni. La notizia trova eco non solo nella stampa locale, ma anche in alcuni quotidiani nazionali, per un fatto che viene definito "sconcertante" e inedito nella tranquilla vita di campagna. Il mattino successivo, quando Alma viene riaccompagnata a casa dai contadini che l'avevano accolta, il suo racconto rivela la drammatica realtà di uno squallido e brutale episodio di violenza sessuale. Questo riaccende ancor più la curiosità della stampa: già alla sua prima uscita dalla caserma, la ragazza si trova circondata da giornalisti, fotografi, video operatori. Una delle invitabili conseguenze delle modalità dello stupro è infatti anche quella di esporla a un 'immediata visibilità mediatica. Iniziano gli interrogatori, i sopralluoghi sul luogo dell'agguato, la ricerca dei responsabili. Tutto conferma la versione della ragazza; eppure, nonostante questo, malgrado la presenza di un testimone ferito, le deposizioni dei soccorritori e perfino i riscontri probatori, il sospetto dei carabinieri cala subito sulla deposizione dei fatti di Alma, in un susseguirsi di domande che vanno alla ricerca di contraddizioni, di oscure motivazioni, di una sua accondiscendenza o addirittura complicità con gli aggressori. Comincia fin da subito il processo di colpevolizzazione della vittima, la cosiddetta vittimizzazione secondaria, che si manifesta in domande poco pertinenti, in allusioni e ipotesi strane, in un atteggiamento di distacco, freddezza, sospetto. 2 2. Come è noto, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha recentemente sanzionato l'Italia per il pennanere di questi atteggiamenti in fase inquirente e giudiziaria, a seguito di

un ricorso presentato dal O.i.Re. (Donne in rete contro la violenza), con una sentenza del 27 maggio 2021 (www.direcontrolaviolenza.it/vittimizzazione-secondaria-la-corte-europeadei-diritti-umani-condanna-di-nuovo-litalia/).

La vicenda e il contesto

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Le chiedono se per caso non sia stata lei ad organizzare il tutto, ipotizzando improbabili motivazioni, e soprattutto se era vergine prima dello stupro. Lei stessa lo racconterà alla stampa nel corso del processo: Il maresciallo mi imputava la mia incapacità di azione e faceva delle assurde ipotesi chiedendomi se non era stata una mia scappatella. Oppure se io conoscessi gli stupratori o se avessi organizzato io il tutto per giustificare una mia probabile gravidanza. Cercai di difendermi e provai, dopo una visita dal ginecologo che non ero affatto incinta. Allora il maresciallo disse che potevano esserci altri motivi, come per esempio che io avessi voluto lo stupro per poter lasciare il ragazzo che era con me, mi chiesero come mai non reagii nemmeno durante il coito, mi dissero che se una donna non vuole che avvenga il rapporto sessuale, per costringerla bisognerebbe legarla, insinuando che in fondo avevo voluto io il rapporto. Mi chiesero anche se ero vergine. Questa domanda mi impressionò molto, così come i loro sguardi che sembravano dimostrare chiaramente quali erano i loro valori. 3

Alma è costretta a sottoporsi a una visita ginecologica per provare di non essere incinta. 4 Inoltre deve spiegare come mai non abbia lottato contro i suoi aggressori, perché non si sia difesa e sia rimasta immobile e passiva. Gli inquirenti asseriscono che se una donna non vuole, non può esser violentata, che «per farlo bisognerebbe legarla». Le recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che questa reazione di immobilismo (in assoluto la più comune nei casi di aggressione sessuale) non è solo il frutto di una scelta razionale di ''riduzione del danno", o di "equo scambio", cioè di una rinuncia alla lotta per evitare peggiori conseguenze per la propria incolumità - come alcune femministe sostenevano negli anni Settanta. 5 Si tratta piuttosto di una reazione di shock provocata dal terrore, che comporta una temporanea inibizione del movimento (Ionie immobility), tale da rendere la vittima incapace di muoversi e talvolta anche di parlare. Si riscontra anche in alcuni animali in situazioni di estremo

3. Intervista rilasciata a Giuseppe Miccolis, "Sono ,ma villima, non l'impulata", in «la Repubblica», ottobre 1976. 4. Il certificato medico è allegato al fascicolo processuale. 5. Cfr. Susan Brownmiller, Againsl 011r Wi/1: Men, Women and Rape, London, Martin and Sccker and Warburg, 1975 (trad. it. Contro la nostra volontà, uomini donne e violenza sessuale, Milano, Bompiani, 1976, p. 452 e segg.). Cfr. la rilettura del testo di Susanna Mantioni, Homo mulieris lupus. Susan Brownmil/er e la demistificazione della cultura solidale con lo stupro, in La violenza contro le donne nella storia, pp. 139-152.

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pericolo. Vi fa seguito - in caso di sopravvivenza - un grave stress posttraumatico e una severa depressione. 6 Il sentirsi non creduta, sospettata, messa sotto inchiesta proprio da esponenti di quell'istituzione da cui si aspettava al contrario protezione e difesa è per lei un ulteriore shock; segna soprattutto l'inizio di un processo di autocolpevolizzazione che la porta a interrogarsi sul suo comportamento al momento dello stupro, a dubitare di se stessa, a sentirsi per certi aspetti un po' corresponsabile, come se le domande degli inquirenti avessero insinuato nella sua mente un tarlo: >; inoltre le erano state rivolte «con garbo e pacatezza». Quanto alla decisione di evacuare l'aula, si era resa necessaria «a causa della numerosa ed intollerabile reazione minacciosa delle numerose donne presenti», inoltre i carabinieri e le forze dell'ordine avevano agito «con la massima prudenza e correttezza», nonostante «la decisa e tenace resistenza allo sgombero del pubblico femminile». Alle autorità non risultavano inoltre né feriti, né contusi. Nel corso del dibattimento il Tribunale ha rivolto alla medesima persona offesa, con garbo e pacatezza, di propria iniziativa o su richiesta del pubblico ministero e senza la minima opposizione del difensore della parte civile, le domande rigorosamente necessarie ai fini dell'accertamento delle modalità di esecuzione dei fatti imputati, domande dalle quali non era possibile prescindere tanto più che, contrariamente a quanto riferito dalla stampa, gli imputati sostenevano di aver agito con il consenso della persona offesa, negando, perciò, l'esistenza degli estremi della violenza. È stato comunicato, altresì, che l'ordine di allontanare il pubblico dall'aula di udienza è stato impartito dal presidente del collegio nell'ultima udienza del 18 ottobre 1976, a causa della numerosa ed intollerabile reazione manifestata, anche con espressioni offensive e minacciose ripetutamente scandite dalle numerose donne presenti, dopo la lettura di una ordinanza con cui il Tribunale respingeva una eccezione di pretesa nullità dell'interrogatorio di [ ... ] e rigettava una istanza diretta a conseguire l'ammissione come testi di persone che avrebbero dovuto riferire sulla condizione della donna in Italia. È stato infine precisato che, nonostante la decisa e tenace resistenza allo sgombero del pubblico femminile presente in aula, carabinieri e pubblica sicurezza hanno eseguito la relativa operazione con la massima prudenza e correttezza; né risulta che, nella circostanza, talune delle persone allontanate abbiano riportato lesioni od abbiano, in seguito, esibito all'autorità giudiziaria referti medici relativi a subite lesioni. 83

Queste interrogazioni parlamentari sono assai rilevanti: segnano l'irruzione del tema della violenza contro le donne a livello politico-istituzio83. Cit. Senato delle Repubblica, VII legislatura, Fascicoli delle risposte scritte alle

interrogazioni: elenco cronologico.

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nale, nonché il coinvolgimento in primis delle donne dei partiti. Si avvia così quel confronto con un ampio settore del movimento femminista che si farà via via più intenso, anche se travagliato, allo snodo degli anni Ottanta, dopo la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare e lungo il tortuoso percorso legislativo che porterà al varo della legge contro la violenza sessuale nel febbraio del 1996 (66/ 1996), come vedremo. 84

4. La risonanza mediatica È importante sottolineare il ruolo assunto in questa vicenda dai mass media (su sollecitazione dello stesso Coordinamento femminista), perché rappresenta una novità da molti punti di vista, sia rispetto al rapporto interlocutorio con il movimento, che al ruolo di mediazione di nuovi contenuti nella pubblica opinione. Senza questo schieramento, la vicenda sarebbe rimasta forse circoscritta alla cronaca nera e la sua rilevanza interna ai circuiti femministi. L'impatto mediatico al contrario fu molto forte: gli organi di informazione seppero cogliere e rendere visibile il cambiamento che aveva investito il mondo delle donne; diedero voce a un discorso sulla sessualità e la violenza che muoveva una critica radicale ai modelli di genere e alle istituzioni, stimolando un ampio dibattito nella società civile. La maggior parte degli organi di informazione risulta schierato a favore della battaglia portata avanti dalle femministe di Verona e non solo per un senso di vicinanza nei confronti della giovane donna violentata, ma cogliendone il significato politico. Basta scorrere i titoli dei giornali per rendesi conto di questa "presa di campo" che si esplicita negli articoli con riferimenti a contenuti del tutto nuovi. Certo la condivisione di alcuni obiettivi della mobilitazione femminista, come quello di svolgere il processo a porte aperte, lo stesso scontro con i giudici sul diritto di cronaca, avevano creato le condizioni di un avvicinamento, ma questo era scaturito soprattutto dalla scelta innovativa dei gruppi femministi di aprire un canale di comunicazione diretta con i media - come abbiamo visto -, cercando di sfruttarne il potenziale comunicativo. Le conferenze stampa organizzate nei luoghi scelti dalle donne, le dichiarazioni dirette, non delegate a rappresentanti, le stesse modalità di interlocuzione 84. Cfr. cap. 4, par. 3.

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di gruppo sono tutti elementi di una strategia che punta a cercare un'interlocuzione con i media, senza però piegarsi alle loro regole, anzi puntando a imporre le proprie, con precisi confini e condizioni. Tra queste, il rifiuto di una lettura di mera cronaca dello stupro, l'insistenza sui contenuti politici, la pretesa di una informazione fedele e lispettosa. In molti giornali e trasmissioni tali condizioni risultano effettivamente rispettate; questo viene rimarcato con soddisfazione e come un 'ulteriore vittoria dal Coordinamento a conclusione del processo. 85 Lo sottolineano anche le testimonianze: se vai a guardare un po' i giornali di quel periodo, tutti avevano un atteggiamento di estrema considerazione del movimento delle donne - sottolinea Raffaella -, ricordo che tutti i giornali ci davano una mano, non c'era solo «Noi Donne», «Effe», etc., che erano giornali femministi, ma anche i giornali delle donne come «Amica», erano tutti dalla nostra parte, tolti i giornali di destra. Anche il «Corriere della Sera» era molto attento! C'era una buona disponibilità nei nostri confronti, in quel periodo la stampa ci ha aiutato, diciamo che è stato un periodo illuminato per la stampa, effettivamente era dalla nostra parte. 86 [I rapporti con i media erano] direi buoni, ricordo bene l'intervista in TV, trasmessa integralmente senza essere ritoccata in nessun punto; non c'erano domande a trabocchetto, emergeva quasi solidarietà anche da parte dei giornalisti. 87

Non mancano ovviamente le eccezioni, che sono di due tipi. Da una parte i giornali conservatori che ignorano o criticano la mobilitazione delle donne in nome del "decoro" borghese e della decenza: «Il Gazzettino», ad esempio, giudica «incivile» una manifestazione che «sconvolge un'antica tradizione del Tribunale di Verona[ ... ] A Verona non si era mai assistito ad un fatto del genere», imputando alle femministe la responsabilità di scontri che giudica provocati «in maniera esasperante» e osservando con preoccupazione che il fatto «fa balzare in primo piano quei fermenti che fino a poco tempo fa nella nostra città sembravano non esistere». 88 La sola sottolineatura 85. «I giornalisti li abbiamo ammoniti a non fare articoli scandalistici che nascondessero la sostanza del problema»; cit. in Miccolis, [Alma} acc11sa. Conferenza stampa per annunciare nuove battaglie. 86. Intervista a Raffaella Poldelmengo. 87. Intervista ad Anna Poli. 88. R.S., Le femministe al/011ta11ate con la forza: prima gli insulti, poi un controprocesso, in «Il Gazzettino», ottobre 1976.

La contestazione in Tribunale

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positiva riguarda il fatto che il Tribunale di Verona