Lettere di Giovanni 8839408436, 9788839408433

L'importanza teologica delle lettere di Giovanni sta nelle riflessioni che vi sono articolate intorno al mistero de

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Italian Pages 544/538 [538] Year 2013

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Lettere di Giovanni
 8839408436, 9788839408433

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LETTERE DI GIOVANNI Hans-Josef Klauck

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

978 88 3 94 0843 3

Titolo originale dell'opera: Hans-Josef Klauck Der erste ]ohannesbrief Der zweite und dritte ]ohannesbrief (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Cristina Esposto © Neukirchener Verlag, Neukirchen-VIuyn 1991 e 1992 © Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 1991 e 199:z © Paideia Editrice, Brescia 20 1 3

PREMESSA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Il commento alle lettere di Giovanni che qui si pubblica è uscito in prima edizione tedesca negli anni 1991 ( I Gv. ) e 1992 (2 e 3 Gv. ). Per l'edizio­ ne italiana le due parti dell'opera sono state riunite in un unico volume. Nonostante il tempo trascorso confido che questo commento possa fare ancora il suo servizio, se non altro per i brevi excursus che costellano il testo, dedicati alla storia dell'esegesi e degli effetti. Negli anni che ci separano dall'edizione tedesca è successo qualcosa anche nell'esegesi delle lettere di Giovanni, ma la tesi che di nuovo si tro­ va a essere sostenuta dell'anteriorità delle lettere rispetto al vangelo, allo­ ra come oggi non posso condividerla, così come mi pare eccessivo vedere negli avversari unicamente dei meri giudeocristiani interessati come sem­ pre esclusivamente alla questione del messia. Delle convenzioni della tecnica epistolare mi sono in anni vicini larga­ mente occupato in un'opera ora edita anche in italiano: La lettera anti­ ca e il Nuovo Testamento. Guida al contesto e all'esegesi (Paideia, Bre­ scia 201 1 , spec. pp. 3 0-5 6), ma non potrei non richiamare l'attenzione su un'imponente quanto impressionante impresa dedicata alla letteratura giovannea, edita di recente da Urban C. von Wahlde: The Gospels and Letters offohn (Eerdmans Criticai Commentary), 3 voll., Grand Rapids, Mich. 20 1 0, dove il commento alle lettere occupa il volume terzo. Per sa­ pere se il postulato che vi si sostiene di tre diverse edizioni del vangelo possa imporsi, non resta che attendere. A quanto si vede, il dibattito è in pieno svolgimento, e che il consenso che momentaneamente si è rag­ giunto venga sempre di nuovo rimesso in questione è nella natura del­ l'esegesi di ricerca. Questa versione italiana non può che rendermi molto felice, e non pos­ so che essere grato a Cristina Esposto per la grande fatica che si è sobbar­ cata. Paideia, che tanti meriti ha da tempo acquisito nell'ambito dell'ese­ gesi biblica, e qui in particolare il suo direttore, Marco Scarpat, ha reso possibile l'edizione italiana. A loro va la mia riconoscenza più sincera. Chicago, febbraio 201 2.

Hans-Josef Klauck

INDICE DEL VOLUME

7 I3

Premessa all'edizione italiana Abbreviazioni e bibliografia PRIMA LETTERA

DI

GIOVANNI

29 29 32 36 38 40 45 49 so 59 65

Introduzione I . La tradizione testuale 2. Attestazioni e canonizzazione 3 . Lingua e stile 4· Critica letteraria 5 . La struttura 6. Il genere 7. Occasione della lettera 8 . La questione degli avversari 9· La questione dell'autore IO. Luogo e tempo

69

A. Prologo. Parola di vita ( I ,I-4)

98

B. Corpo della lettera. Introduzione alla realtà dell'amore ( I ,5-5,1 2)

98 98 99 105 122 133 134 143 148 153 I 54 162

1.

Comunione e conoscenza di Dio ( I ,j-2, I7) 1 . Vivere nella luce ( I ,5-2,2) a) Dio è luce (I,j) b) Remissione dei peccati ( I ,6-IO) c) Gesù intercessore (2,I-2) 2. Osservare i comandamenti ( 2,3-I I ) a) I criteri della conoscenza ( 2,3-6) b) Il comandamento antico e nuovo ( 2,7-8) c) Odiare e amare il fratello ( 2,9- I I ) 3 · Certezza della fede e dovere morale ( 2,1 2-I7) a) L'autore si rivolge ai lettori ( 2, 1 2-I4) b) Monito a guardarsi dall'amore per il mondo (2,Ij-I7)

IO

I72 I72 I73 I83 I88 I92 I95 I 99 20I 207 2I4 2I9 23 1 23 2 23 8 246 255 259 259 260 272 278 280 286 289 304 309 3 19 3 20 3 29 3 50 3 57 358 3 60 36I 364 374 38I

INDICE DEL VOLUME

L'istanza dell'ultima ora ( 2,I 8-3 ,24) 1. Il criterio della professione di fede nel figlio ( 2,I 8-27) a) L'anticristo e lo scisma giovanneo ( 2, I 8-I9) b) Conoscenza di fede ad opera dello Spirito (2,20-2 I ) c) Disputa sulla professione d i fede battesimale ( 2,22-23 ) d) La tradizione di fede originaria ( 2,24-25 ) e) Il solo maestro (2,26-27) 2. Attesa della salvezza e impeccabilità dei figli di Dio ( 2,28-3 ,IO) a) Il ritorno di Cristo ( 2,28-29) b) Figliolanza da Dio nel presente e nel futuro ( 3 , I -3 ) c) Peccato e conoscenza di Cristo (3 ,4-6) d) Figli di Dio - figli del diavolo (3 ,7-Io) 3 · Esercizio del comandamento dell'amore ( 3 , 1 I-24) a) Il cuore dell'annuncio ( 3 , 1 I-1 2) b) Missione di vita ( 3 , I 3 -I7) c) Il giudizio del cuore ( 3 , I 8-22) d) L'unico comandamento ( 3 ,23 -24) m . Fede e amore al banco di prova (4, I - 5 , 1 2 ) i . Dove gli spiriti si distinguono (4,I -6) a) La cristologia come caso esemplare (4,I-3 ) b) Successo e insuccesso come caso esemplare (4,4-6) 2. Il cantico dell'amore (4,7-2I ) a) L'origine dell'amore (4,7- Io) b) La risposta all'amore (4, 1 1-12) c) L'esperienza dell'amore (4, I 3 - I 6) d) Il futuro dell'amore (4, I 7- I 8 ) e) La prassi dell'amore (4,I9-2 I ) 3 · Testimonianza per la fede ( 5 ,I-1 2) a) La vittoria della fede ( 5 , I - 5 ) b) I tre testimoni ( 5,6-8) c) La testimonianza di Dio ( 5,9- 1 2) n.

C. Epilogo. Vita eterna ( 5 , I 3 -2I ) 1 . Conclusione della lettera: vita eterna ( 5 , I 3 ) 2. Poscritto: con franchezza e fiducia ( 5 , I 3 -2 1 ) a ) Esaudimento della preghiera ( 5, 1 4- I 5 ) b) Il peccato per la morte ( 5, I 6-17) c) Conoscenza di fede ( 5 ,I 8-2o) d) Ultimo monito ( 5,2 1 )

INDICE DEL VOLUME

390 390 392 393

Riepilogo 1. Storia dell'esegesi e degli effetti 2. La prima di Giovanni nella liturgia 3· Prospettive teologiche SECONDA E TERZA LETTERA DI GIOVANNI

399 399 399 40I 405 408 4IO 4I3

Introduzione I. Attestazioni e canonizzazione a) Le prime attestazioni b) L'ingresso nel canone 2. Struttura e genere 3 . Confronto letterario 4· La questione dell'autore 5 · Tempo e luogo d'origine Seconda lettera di Giovanni

4I5 433 437 437 442 447 455 462 462 466

1 . Prescritto della lettera ( I-3 ) 2. Proemio della lettera (4) 3 · Corpo della lettera ( 5-1 1 ) a) Richiesta: il comandamento originario ( 5-6) b) Informazione: la comparsa di «falsi maestri» (7) c) Monito: la minaccia del «progresso » (8-9 ) d) Consegna: il rapporto con i «deviazionisti » ( IO-I I ) 4· Chiusa della lettera ( 1 2-I 3 ) a) La visita progettata ( 1 2) b) Saluto conclusivo (I 3 ) Terza lettera di Giovanni

470 473 474 477 48I 48I 494 so8 512

I . Prescritto della lettera ( I ) 2. Proemio della lettera ( 2-4) a) Augurio di benessere (2) b) Manifestazione di gioia (3-4) 3· Corpo della lettera ( 5 - 1 2) a) Richiesta: ospitalità ai missionari itineranti ( 5-8) b) Informazione: le ostilità di Diotrefe (9-IO) c) Monito: invitati a imitare ( I I ) d ) Raccomandazione: tre testimoni per Demetrio ( 1 2)

II

12

5 20 5 20 5 24

INDICE DEL VOLUME

4· Chiusa della lettera ( 1 3 - 1 5 ) a) La visita progettata ( 1 3-14) b) Saluti conclusivi ( r 5)

5 29

Riepilogo

533 538

Indice analitico Indice dei passi discussi

91 300 3 13 342 386 417 422 49 1 503

Excursus I. La forma con «noi» 2. Il linguaggio dell'immanenza nella prima di Giovanni 3 · L'amore fraterno 4· Il comma giovanneo 5 · Procattolicesimo nella prima di Giovanni? 6 . Il presbitero 7. La «signora eletta» 8. L'ospitalità 9· Diotrefe

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA

I.

ABBREVIAZIONI

Per le abbreviazioni e sigle di riviste, collane, miscellanee, scritti del primo giudai­ smo ecc. si rinvia al repertorio di S.M. Schwertner, Internationales Abkurzungs­ verzeichnis {Ur Theologie und Grenzgebiete, 2.., iiberarbeitete und erweiterte Aufla­ ge, Berlin - New York 1992. (IATG) . Si elencano qui le sigle non comprese o diverse da quelle dell'elenco di S.M. Schwertner: Bauer-Aiand

W. Bauer, Griechisch-deutsches Worterbuch zu den Schriften des Neuen Testaments und frUhchristlichen Literatur, ed. K. e B. Aland,

BbETh BDR EWNT

Berlin 61988 Beitrage zur biblischen Exegese und Theologie, Frankfurt a.M. Blass, F. - Debrunner, A. - Rehkopf, F., Grammatik des neutestamentli­

chen Griechisch. Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament 1-3, Stuttgart 1980-83

JStNT(.S) joumal for the Study of the New Testament (Supplement Series), Sheffield 1 978 s. Neot Neotestamentica, Pretoria 1967 s. Nag Hammadi Codex NHC NHSt Nag Hammadi Studies, Leiden Novum Testamentum et Orbis Antiquis, Freiburg, Schw. - GOttingen NTOA ÙTK Okumenischer Taschenbuchkommentar, Giitersloh-Wiirzburg Semeia ( .S ) Semeia/Semeia Supplements, Missoula 1974 s. SNTIJ A/B Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt, serie A / serie B, Linz 1976 ss. e 1978 ss. Le abbreviazioni di testi antichi sono di norma quelle impiegate in Balz, H. - Schnei­ der, G. (edd.), Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, 2. volumi, Brescia 19951998.

BIBLIOGRAFIA I commenti alle lettere di Giovanni sono citati col solo nome dell'autore e del nu­ mero di pagina. La bibliografia relativa alle singole pericopi e sezioni è citata con il nome dell'autore seguito da asterisco ('•). Le opere citate con titolo abbreviato (per es. Bultmann, Analyse, 1 1 6 s.) sono elencate nella bibliografia generale ai §§ 3 e 4·

1.

Commenti alle lettere di Giovanni fino al I8oo

Agostino, Aurelio ( 3 5 4-430), In epistolam ]oannis ad Parthos tractatus X, PL 3 5, 197 7-2.068; cit. in Saint Augustin, Commentaire de la Première Épitre de S. ]ean, ed. P. Agaesse (SC 7 5 ), • 1 9 84; cf. anche Gott ist die Liebe. Die

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA Predigten des hl. Augustinus uber den I. Johannesbrief (Zeugen des Wortes 5 / 6) tr. F. Hofmann, Freiburg 193 8; Predigten des heiligen Augustinus uber den ersten ]ohannesbrief (Augustinus heute 5 ), tr. H.M. Biedermann, Wiirz­ burg 1986. Alexander, Natalis, In Epistolam I. Sancti ]oannis Apostoli commentarius lit­ teralis et moralis, in Id., Commentarius litteralis et moralis in omnes episto­ las S. Pauli Apostoli et in VII epistolas catholicas m, Paris 1 747, 1 3 3 - 1 8 3 . -, In Epistolam II./III. Sancti ]oannis Apostoli commentarius litteralis et mo­ ralis, in Id., Commentarius, cit., 1 84- 1 9 5 . Alulfo di Tournai ( t 1 144), Expositio super epistolam I/III B . Ioannis Apos­ toli, PL 79, 1 39 1 - 1 398 (ricavata delle opere di Gregorio Magno). Beda Venerabilis (672-735), In Epistolam I ]ohannis, CChr.SL 12 1 , 2 84-3 28; cf. Bede the Venerable, The Commentary on the Seven Catholic Epistles (CistSS 8 2 ), tr. D. Hurst, 1985, 1 59-229. -, In Epistolam II/III ]ohannis, in CChr.SL 1 2 1 , 3 29-3 34; cf. Bede the Vener­ able, The Commentary, cit., 23 1 -239. Bengel, J.A. ( 1 687- 1 752), In Epistolam primam]ohannis, in Id., Gnomon No­ vi Testamenti, Stuttgart 81887, 1003-102.6. -, In Epistolam secundam/tertiam Johannis, in Id., Gnomon, cit., ro2.6-1029. Brentano, D. von, Der erste Brief des Apostels Johannes, in Id., Die heilige Schrift des Neuen Testaments 3 , Wien '1796, 305-3 30. -, Der zweyte/dritte Brief des Apostels ]ohannes, in Id., Die heilige Schrift, cit., 33 1-338. Calmet, A. ( 1 672.- 1757), In primam B.]oannis Apostoli epistolam, in Id., Com­ mentarius literalis in omnes libros N. T. 4, Wiirzburg 1788, 63 2-680. -, In secundam/tertiam B. ]oannis Apostoli epistolam, in Id., Commentarius, cit., 680-697. Calvino, G. ( 1 5 09- 1 5 64), Commentarius in Iohannis Apostolis Epistolam, in Id., Opera Exegetica et Homiletica 3 3 , ed. E. Reuss - A. Erichson (=Opera ornnia 5 5 [CR 8 3 ]), Braunschweig 1 896, 293-376; cf. Johannes Calvins Auslegung der Heiligen Schrift in deutscher Ubersetzung, 1 4· Ebriierbrief und katholische Briefe, Neukirchen/ Vluyn s.d., 319-406, tr. G. Kind); Cal­ vin's Commentaries. The Gospel according St fohn II-2I and The First Epistle of]ohn, Grand Rapids 1974, 2 27-3 1 5 (tr. T.H.L. Parker). Cassiodoro (ca. 4 8 5 - 5 80), Complexiones canonicarum epistularum septem, PL 70, 13 69-1376 (r-3 Gv.). Clemente Alessandrino (t prima del 2 1 5 ), Adumbrationes in epistola ]ohannis prima, GCS 17\ 209- 2 1 4 . -, Adumbrationes in epistola]ohannis secunda, in GCS, cit., 2 1 5 . Cramer, J.A. (ed.), Catenae Graecorum Patrum in Novum Testamentum, 8 . Catena in epistolas catholicas ... , Oxford 1 840 (rist. Hildesheim 1 967), 1051 5 2 (r-3 Gv.). Didimo Alessandrino (ca. 3 1 3-398), In epistolas canonicas brevis enarratio (NTA IV/r), ed. F. Zoepfl 1 9 1 4, 37-8 8 (proveniente probabilmente da Epifa­ nio Scolastico VI sec.). Dionigi Cartusiano ( I 402- I47I ), Enarratio in epistolam primam Beati ]oan­ nis, in Opera omnia 1 4, Montreuil 1901, 1 - 56. -, Enarratio in epistolam secundam/tertiam Beati ]oannis, in Opera omnia 14, cit., 57-64. ,

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA Dionigi bar Salibi (t 117r), In primam Iohannis, tr. l. Sedlacek, CSCO n/ror,

I20-I27. -,In secundam/tertiam Iohannis, in esco, cit., I28-rp.. Ps.-Ecumenio (ca. 995), ]oannis Apostoli prior epistola catholica, PG rr9, 617-684. -,}oannis Apostoli posterior/tertia epistola catholica, in PG 119, 683-704. Estius, W. (r542-r6r3), In Epistolam primam B. ]oannis Apostoli commenta­ rius, in Id., In omnes D. Pauli epistolas, item in catholicas commentarii 3, Paris r89r, 658-768. -, In Epistolam secundam et tertiam B. ]oannis Apostoli commentarius, in Id., In omnes D. Pauli epistolas, cit., 769-788 (di P. Bartolomeo, che completò il commento da r Gv. 5,7 alla fine). Ps.-Ilario di Arles (690/708), Tractatus in septem epistolas canonicas, CChr.SL ro8B, I09-I2I (r-3 Gv.). Lallemant, P., Erstes Sendschreiben des heiligen Apostels Johannes, in Id., Mo­ ralische, lehr- und geistreiche Gedanken uber die sieben katholischen Send­ schreiben, tr. J. Steur, Augsburg 1784, r9r-266. -, Zweyte/drittes Sendschreiben des heiligen Apostels]ohannes, in Id., Morali­ sche, cit., 267-280. Lange, J., Exegesis Epistolarum S. Ioannis, Halle 1713. Lapide, Cornelio a (r567-r637), Commentarius in primam Sancti }oannis epis­ tolam, in Id., Commentario in Scripturam Sacram, 20. In Epistolas Canoni­ cas, ed. A. Crampon, Paris r879, 496-628. -, Commentarius in secundam/tertiam Sancti ]oannis epistolam, in Id., Com­ mentario, cit., 629-647. Lorino, G. (r559-I6J4), In Catholicas Tres B. Ioannis, Leiden 1I62I. Lutero, M., Vorlesung uber den I. ]ohannesbrief, IJ27, ed. G. Koffmane in WA 20, 592-807 (v. anche WA 48, 314-323; 36, 416-417); cf. Calwer Luther­ Ausgabe 9 (Siebenstem-Taschenbuch ru), Miinchen-Hamburg 1968, II022I (tr. R. Widmann); D. Martin Luther Epistei-Auslegung 5, edd. H. Giin­ ther - E. Volk, Gottingen 1983, 255-378. Martino di Le6n (t u2r), Expositio in Ep. I B.]oannis, PL 209, 253-298. Nicola di Gorran (ca. r2ro-r295), In septem epistolas canonicas, in S. Tho­ mae Aquinatis opera omnia 7, ed. R. Busa, Stuttgart 1980, 386-397 (r-3 Gv.). Nicolò di Lira (ca. r270-I349), Postilla super epistolam ]ohannis apostoli et evangelisti primam, in Id., Postilla super totam Bibliam 4, Strassburg 1492 (rist. Frankfurt 1971) (senza indicazione dei numeri di pagina). Paterio, In Epistolam S. Ioannis primam/tertiam, PL 79, I099-1106 (v. sopra, Alulfo). Rosenmiiller, G., Scholia in epistolam Ioannis primam, in Id., Scholia in No­ vum Testamentum 5, Niimberg 31790, 462-519. -, Scholia in epistolam Ioannis secundam/tertiam, in Id., Scholia, cit., 520-53r. Salmeron, A. (I5I5-r585), Disputationes in primam B. Ioannis epistolam ca­ nonicam, in Id., Disputationes in Epistolas Canonicas et Apocalypsim 4 (Opera omnia r6), Koln r6o4, 143-326. -,Disputatio unica in secundam/tertiam B. Ioannis epistolam canonicam, in Id., Disputationes, cit., 327-336. Scozzese, Anonimo (vn sec.), Commentarius in epistolas catholicas, CChr.SL ro8B, 39-47 (r-3 Gv.).

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA

16

Semler, J.S., Paraphrasis in Primam Ioannis epistolam, Riga I792. Socinus, F. (=Fausto Sozzini, I537-I6o4), Commentarius in epistolam Iohan­ nis apostoli primam, Rak6w I6I4. [Strabone Valafrido (xn sec.),] Glossa ordinaria: Epistola I B. foannis, PL 114, 693 704. Teofilatto (t 1108), Expositio in Epistolam I S. foannis, PG 126, 9-84 (dipen­ dente dallo Ps.-Ecumenio, v. sopra). -

2. Commenti dal I8oo Alexander, Neil, The Epistles of fohn (TBC), I962. Alexander, W., The Epistles of St. fohn. Twenty-one Discourses With Greek Text, Comparative Versions, and Notes Chiefly Exegetical, New York I90I. Asmussen, H., Wahrheit und Liebe. Eine Einfuhrung in die fohannesbriefe (UBC 22), 3I957· Balz, H., Die fohannesbriefe, in H. Balz - W. Schrage, Die «Katholischen» Brie­ fe (NTD IO), "''I973, I50-216. Barker, C.j., The fohannine Epistles (A Lutterworth Comrnentary), London I948. Baumgarten, 0., Die fohannes-Briefe (SNT 4), 3I920, I85-228. Baur, W., I., 2. und 3· fohannesbrief (Stuttgarter Kleiner Komrnentar. NT I7), Stuttgart I99 1. Belser, J.E., Die Briefe des heiligen fohannes, Freiburg I9o6. Bisping, A., Die drei Briefe fohannis, in Id., Erkliirung der sieben katholischen Briefe (Exegetisches Handbuch zum NT 8), Miinster I87I, 275-394. Bonnard, P., Les Épitres johanniques (CNT[N] IJC), I983. Bonsirven, J., Épitre de Saint fean (VSal 9), �I954· Boor, W. de, Die Briefe des fohannes (Wuppertaler Studienbibel), Wuppertal I974· Braun, F.M., Les Épitres de Saint fean, in D. Mollat - F.M. Braun, L'Évangile et les Épitres de Saint fean (SBU]), I953, I99-24I. Braune, K., Die drei Briefe des Apostels fohannes (lHBW I5), I865. Brooke, A.E., A Criticai and Exegetical Commentary on the fohannine Epistles, I9I2 [(rist. I98o (ICC)]. Brown, R.E., The Epistles of fohn (AncB 30), I982. Bruce, F.F., The Epistles of fohn, London I970. Briickner, B., Die Briefe fohannis, 5I863, 346-4I8 (riv. da de Wette, v. sotto). Biichsel, F., Die fohannesbriefe (ThHK), I933· Bultmann, R., Die drei fohannesbriefe (KEK 14), 8/1I969. Calmes, T., Première Épitre de fean, in Id., Épitres Catholiques. Apocalypse, Pa­ ris I907, 86-92. -, Deuxième/troisième Épitre de fean, in Id., Épitres Catholiques, cit., 93-Ioo. Camerlynck, A., Epistola I. S. Ioannis, in Id., Commentarius in Epistolas Ca­ tholicas (Commentarii Brugenses in S. Scripturam), Bruges 5I909, I76-238. -, Epistola 11/111. S. Ioannis, in Id., Commentarius, cit., 239-254. Candlish, R.S., First Epistle of fohn, Edinburgh 3I877 (rist. Grand Rapids I979). Chaine, J., Première Épitre de Saint fean, in Id., Les Épitres Catholiques (EtB), 1I939. 97-240. ·

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA

17

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INTRODUZIONE

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Attestazione. Tre testimonianze, relativamente sicure, consentono di concludere che la prima lettera di Giovanni era nota e fu utilizzata al più tardi nel I 50 d.C., forse già da prima: 1 . Policarpo di Smirne, che in questo periodo ( I 5 6 o I 67) patisce il martirio, scrive alla comunità di Filippi: «Poiché chiunque non confessi che Gesù Cristo è venuto nel­ la carne è un anticristo» (Phil. ?, I ). Egli ha attinto ciò da I Gv. 4,2-3, forse insieme a 2 G v. 7? ma quest'ultimo non necessariamente. Se ci si attiene tuttavia al rapporto letterario, sostenere il riuso indipendente di una parola d'ordine nota dalla tradizione orale non è una spiegazione esa ustiva . 2. Tra il I SO e il I 6o, nel Dialogo con Trifone l'apologeta Giustino osserva che « . . . così anche noi siamo chiamati figli di Dio da colui che Dio ha generato per noi, ossia Cristo» ( I 23,9), che è simile so­ prattutto a I Gv. 3 , I -2. Diventano pertanto rilevanti altre possibili al­ lusioni in Apol. 3 2,7 s. 3 · Eusebio riferisce che Papia avrebbe «fatto uso» anche «di testimonianze della prima lettera di Giovanni» (Hist. Ecci. 3,39,17). Le proposte di datazione per Papia si muovono tra il Ioo/no fino al I 40. Resta da considerare, come altra lieve incertezza, l'incon­ gruenza di questo dato con la notizia di Eusebio. Per il resto la testimonianza di altri testi antichi non ha in assoluto alcun valore probante. Le presunte allusioni si limitano a un concetto o ad alcu­ ne parole sulle quali potrebbe aver probabilmente influito anche un am­ biente tradizionale comune. Ciò vale per Did. Io,s s.; I I ,?; I Clem. 27,I; 49, r . 5 ; 50,3; 6o,I; 2 Clem. 3 , I ; 6,9; Ign. Eph. I I ,I; I 5,3; I 8,2; Sm. ?, I; "' Herm., mand. 3 , I ; 9,5,7; I 3 ,3,4 s.; 6,2; sim. 9,24,4; vis. I,I,8 e Barn. 5,9n; 1 2,10; 14,5. Altre testimonianze, come la Lettera a Diogneto (cf. 1 0,2 s.; 1 1,4), sono per la datazione tanto controverse che se ne ricava ben po­ co. Pare invece attinente la ripresa del prologo epistolare di I Gv. I,I-4 in Ep. Ap. 2 (più diffusamente v. sotto, a I Gv. I , l ), se è attendibile la data­ zione dell ' Epistula Apostolorum al I 50 ca. Con Ireneo, vescovo di Lione originario dell'Asia Minore, s'inizia at­ torno al I So a muoversi su un terreno decisamente sicuro. Ireneo ripor­ ta estese e precise citazioni riconoscibili di I Gv. 2, I 8-22 (in Haer. 3 , r6,5) e d i I Gv. 4 , I - 3 ; 5 , I (in Haer. 3 , I 6,8) e inoltre forse anche remi­ niscenze di I Gv. 4,6 (in Haer. I ,9. 5 ) e di I Gv. I , I -4 (in Haer. 5 , I , I ) . Il commento alle singole pericopi fornisce più avanti altri esempi della storia degli effetti di I G v. nell'antichità in Tertulliano, Cipriano, Cle­ mente di Alessandria, Origene e in testi gnostici. 1 Così Hamack, Textkritik, 5 5 8; di diverso parere (nient'altro che libera parafrasi di I Gv. 4,2.-3 ) Metzger•, 6r s. 2 Cf. Loewenich •, 3 4 s., contro Dietze, 59 5 s. Informazioni più circostanziate su tutti i passi menzionati e su alcuni altri in Klauck•, 19·:Z. I .

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PRIMA LETI'ERA DI GIOVANNI

Ingresso nel canone. Nel II secolo l'uso non comporta ancora auto­ maticamente la canonizzazione. In Ireneo, ad esempio, c'è ancora una distinzione di grado: a suo parere le lettere cattoliche non servono «a rafforzare il coro dei primi testimoni» ; esse «non hanno ancora chiara­ mente ottenuto un riconoscimento e un'importanza così universale da poter essere utilizzate come indiscussa autorità canonica nella contro­ versia con gli eretici» . ' Nella questione del canone sono di particolare importanza aspetti come l'elencazione nei cataloghi, l'esclusività, la compiutezza, l'equiparazione all'A. T., la distinzione rispetto ad altri pro­ dotti letterari. E sotto questo riguardo I Gv. riserva subito sorprese. Il canone Muratori è il più antico elenco di testi canonici. Alla sua base sta un testo greco probabilmente redatto a Roma nel 200 (secondo un'al­ tra ipotesi, poco verisimile, non prima del 400 in Oriente). Nella parte che riguarda il vangelo di Giovanni il canone Muratori, per confermar­ ne l'autenticità, ai righi 26-34 si occupa della prima lettera e porta come esempio una citazione libera e abbreviata di I Gv. 1 , 1 -4: «Di che stu­ pirsi dunque se Giovanni menziona in modo così coerente questi aspetti particolari anche nelle sue lettere, dicendo di se stesso: 'Quel che abbia­ mo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie e toccato con le nostre mani, lo abbiamo scritto per voi'. In tal modo egli professa di essere non solo un testimone oculare e aurale, ma anche scrittore di tutti i fatti straordinari del Signore nel loro ordine» . 1 Una delle forze propulsive che determinarono la formazione del ca­ none fu, com'è noto, la volontà di prendere le distanze da Marcione, il quale accoglieva soltanto una versione depurata di Luca e Paolo, e dai montanisti. Al riguardo è istruttivo che un montanista di spicco della se­ conda generazione, tale Temisone, abbia osato «scrivere una lettera cat­ tolica (xcx-8oÀtx"Ìjv btta'toÀljv) imitando l'apostolo» ) Non è possibile sta­ bilire chi fosse l'apostolo, se Paolo, Pietro o Giovanni, ma > (2, 20.27), ma anche dalla polemica di 2, 19.26 e dalla ripetuta apostrofe di­ retta > in 6d/Ioc, «verità •• in 6e/8d, «peccato, peccare» in 8b/9ac/Iob. Il collegamento con il proemio epistolare è fornito da xotvwvlcx in 6b/7c e Myoc; in Iod, mentre quello con l'enunciazione del tema da «tenebre» in 6c e «luce» in 7ab. L'antitesi fondamentale di luce e tenebre si sposta nell'antitesi di verità e menzogna. 2. Le diverse teorie delle fonti (v. sopra, introduzione, 4) sono state appli­ cate anche a I ,6- Io. Per Bultmann il testo originario comprenderebbe anzi­ tutto i vv. sd-Io con l'eccezione di 7de e 9d che sarebbero opera dell'auto­ re. 1 In un secondo momento egli individua in 7de l'intervento della reda­ zione ecclesiastica 2. e ripartisce l'attribuzione del v. 9 tra l'autore (9abc) e 9a b

r Analyse, ro6-ro8. Redaktion, 3 9 1 s. Anche Grayston, so considera 7de un'aggiunta.

2.

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la redazione (9d), 1 eliminandolo dunque dalle fonti ipotetiche; ma così fa­ cendo, come a ragione osserva Bra un, 2. ne compromette sensibilmente la ri­ cercata costruzione stilistica. O'Neill esclude soltanto 7d e legge così 7ce: «abbiamo comunione con lui [Dio], e [Dio] ci purifica da ogni peccato » as­ segnando il testo di I ,6- I o, così modificato, all'ipotetica ammonizione giu­ daica.3 Nauck mantiene intatto il testo dei vv. 6- I o, attribuendolo tuttavia alla fonte assieme a 2,4-n e 2,29-3 , I 0. 4 Tutto ciò non convince affatto. È sufficiente supporre che nelle parole d'ordine l'autore concentri i punti nodali di una teologia controversa e ne discuta autonomamente, pur richiamandosi all'insegnamento della tradi­ zione (ad es. in 7de). Utile è il rinvio di Nauck a possibili modelli stilistici.5 Le antitesi, la struttura seriale e lo stile condizionale ricordano le forme del linguaggio giuridico veterotestamentario e giudaico, lo stile condizionale solo per la forma richiama il diritto casuistico, mentre l'atteggiamento di fondo può dirsi piuttosto apodittico. Non mancano punti di contatto stili­ stici con la regola della setta di Qurnran. 3. La storia delle religioni e delle tradizioni. Qualche affinità con la regola della setta riguarda anche il contenuto. Il punto massimo di convergenza si ha a) nel complesso di formule che riguardano l'ingresso nella comunione e il suo rinnovamento annuale in I QS I , I 6-3 , I 2 e b) nella catechesi dei due spiriti in IQS 3 , I 3 -4,2.6, dove s'incontra il dualismo di luce e tenebre e verità e menzogna in connessione col cammino della vita. Sui paralleli veri e propri si tornerà nel commento. Qui si può anticipare che i testi di Qum­ ran presi in considerazione ruotano attorno al tema dell'iniziazione. Le condizioni fondamentali sono quelle di essere accolti nel vincolo di comu­ nione e di rimanere in esso. Nella parenesi penitenziale e battesimale pro­ tocristiana è possibile ripercorrere il complesso di motivi legato alla luce e alle tenebre, al cammino della vita, alla purificazione, alla remissione dei peccati e alla professione di fede. 6 Sotto questo aspetto, riguardo a I Gv. I , 6-Io Nauck giunge alla conclusione che «le antitesi sono d a intendere co­ me reditus ad baptismum » .7 L'autore attinge materiale dalla catechesi bat­ tesimale che era di grande effetto emotivo sui destinatari che si erano con­ vertiti e avevano ricevuto il battesimo da adulti. Egli vuole far rivivere ciò che era « dal principio » , ossia gli insegnamenti ricevuti dai destinatari al mo­ mento della loro conversione al cristianesimo. La fede degli inizi deve dar buona prova di sé di fronte a nuove sfide. 6a-c. Pur riconoscendo nelle parole d'ordine dei versetti in questione le posizioni teologiche degli avversari di cui l'autore si occupa in chiave polemica, è tuttavia da osservare come questi non prenda le distanze. .2. Literar-Analyse, 1 1 3 . 3 Puzzle, 8-14. 4 Tradition, 1 9-16. 1 Bultman � 7 s. 5 Op1 cit.. , 16-3 6. 6 Cf. l'ampia documentazione in op. cit., 4 1 -64. 7 Op. cit., 65. Ripresa da Brown, 141-14 5; Chmiel, Lumière, 114 s.; di diverso parere Braun, Qumran I, 305.

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Non dice: se loro dicono così, bensì adotta la prima persona plurale che riguarda anche e soprattutto il resto della comunità. 1 Né parla per ipo­ tetiche dell'irrealtà, quindi come se questo caso non potesse darsi. Idee del genere suscitano reazioni violente in seno alla comunità e possono essere sempre causa di nuove fratture, perché hanno origine dalla radi­ calizzazione di determinate convinzioni che sono alla base della teolo­ gia giovannea. Avere comunione con Dio - questo è il contenuto della prima tesi - è un anche un desiderio dell'autore. La scuola giovannea vi­ ve in tale comunione ( r ,3e). È la comunione, ereditata dai depositari del­ la tradizione, che l'autore auspica per i destinatari in r,3d. Se dunque oggetto della discussione non è l'idea di comunione in sé come elemen­ to caratterizzante dell'idea d'immanenza, la polemica vera e propria si ha in primo luogo in 6c. Si pone il caso di chi, pur sostenendo di vivere in comunione con Dio, al tempo stesso conduce tuttavia una vita alla quale si addice l'espressione «camminare nelle tenebre» . L'uso di 1tEpmcxniv per indicare una determinata condotta d i vita proviene dal linguaggio biblico. 1tEpmcx-.eiv prende questo significato come resa del­ l'ebr. hlk (per es. Prov. 8,20: «cammino sulle vie della giustizia»). Nell'uso figurato veterotestamentario di luce e tenebre è già delineata, come si è vi­ sto, l'idea del cammino della vita, spesso unita all'immagine della via che si percorre, come in r QS 3,20 s.: « . . . tutti i figli della giustizia camminano sulle vie della luce . . . i figli dell'empietà . . . camminano sulle vie delle tene­ bre». :t Nel N.T., oltre al corpus paolino ( 3 3 occorrenze su 9 5 ), sono so­ prattutto le lettere di Giovanni ad aver fatto propria questa espressività metaforica ( ro attestazioni). Nel vangelo la situazione è un po' diversa. La maggior parte delle 17 occorrenze è usata in senso proprio. Sono tuttavia da escludere i quattro passi in cui si parla di camminare nelle tenebre (8, 12) o nella luce ( 1 2,3 5 ), di giorno ( n ,9) o di notte ( n ,ro, e cf. Apoc. 2.! , 24). In tal modo si indicano i progetti di vita alternativi che si distinguono per la loro vicinanza o lontananza da Gesù luce del mondo. 6d. La principale in 6d chiama «menzogna » il divario tra la pretesa - comunione con Dio - e il comportamento - camminare nelle tenebre. La forma verbale manca nel vangelo, ma in Gv. 8,44 il diavolo è espli­ citamente definito mentitore che dice il falso e non ha in sé alcuna veri­ tà. Mentire vuoi dire ben più che dare una versione non vera della realI Scott, 78 amplifica il significato del noi: «Giovanni s'identifica qui umilmente con loro». Si dovrebbe parlare piuttosto di noi omiletico (Haas, Handbook, 3 3 : « il 'noi' del predi­ catore•). :t Cf. xQS 3 , 3 . 9 s.; Hen. aeth. 9 2.,4 s.: il giusto •camminerà nella luce eterna e il peccato sarà cancellato per sempre nelle tenebre»; Test. Neph. :z.,xo: «nelle tenebre non potete fa­ re le opere della luce» .

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tà. La menzogna è l'antitesi concreta della rivelazione e della sua verità. Chi col proprio comportamento smentisce la fede di cui va molto fiero si pone nella sfera del male che diviene la forza determinante nella sua esistenza. Simile in rQS è la raccomandazione a non entrare nella co­ munione con l'atteggiamento sbagliato, senza essere interiormente di­ sposti alla conversione, cf. rQS 3 , 3 : . e negli scritti di Qumran,3 dove l'idea di verità è potenziata dalla cornice dualistica che la circonda. r :z.o occorrenze nelle lettere di Giovanni, 2.5 nel vangelo su un totale di 109 nel N.T. Tra la bibliografia cf. F. Biichsel, Der Begriff der Wahrheit in dem Evangelium und den Briefen des ]ohannes (BFCh 1 5/3 ), 1 9 1 1 ; S. Aalen, «Truth», a Key Word in St. ]ohn's Gospel: StEv :z. ( 1 964) 3-2.4; de la Potterie, Vérité, spec. 479-53 5; H. Hiibner, EWNT 1, I J S-145; Schnackenburg, ]oh 11, 2.65-:z.S x. Buon compendio e confronto con teorie mo­ derne della verità che si fondano su principi di corrispondenza, evidenza, coerenza e con­ senso in E. Arens, Zur Struktur theologischer Wahrheit. Oberlegungen aus wahrheits­ theoretischer, biblischer und fundamentaltheologischer Sicht: ZThK 1 1 2. ( 1 990) 1-17. 2. Test. Ben. 10, 3 : «Fate la verità, ognuno con il suo prossimo. E rispettate la legge del Si­ gnore e i suoi comandamenti» . 3 xQS 8,1-3 : i membri del consiglio devono essere perfetti «in tutto ciò che è rivelato dalla

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Al posto della torà il pensiero giovanneo mette Cristo ( Gv. r,r7), il quale si presenta agli uomini come incarnazione personale della verità ( Gv. 14,6). Secondo la famosa definizione di Bultmann, la verità designa in Giovanni « la realtà di Dio che si rivela e si fa evento in lui [se. in Cristo] » .1 Nell'ambito della storia delle religioni si è molto discusso sul­ l'origine di questa formulazione dall'ellenismo e dalla gnosi, sulla sua af­ finità con Heidegger e sulle sue implicazioni sistematiche. Contro que­ sta posizione si è sostenuto che per comprendere il concetto di verità in Giovanni «è necessario partire dal principio che Gesù Cristo è la verità in persona » .2. Questa contraddizione non è insormontabile. In I Gv. la centralità cristologica personale del vangelo riemerge con affermazioni dirette su Dio. Per l'autore della lettera è inoltre importante che la mo­ rale cristiana sia radicata nella verità rivelata da Cristo. La conoscenza della verità deve determinare il comportamento concreto. 7ab. L'antitesi al camminare nelle tenebre di 6c è il camminare nella luce di 7a. Il passaggio è anticipato in Gv. 3 , 2 1 (v. sopra), con la diffe­ renza che lì l'attenzione va alla decisione di fede che si fa un'unica volta (Épx_ta-8tXt, cf. 6,4 5 ), mentre qui è sul vivere nella fede (mpmtXn'iv). 7b for­ nisce una giustificazione teologica. Dio è luce ( 5d), Dio è nella luce (7b) - la differenza non è così netta come a prima vista parrebbe. L'autore della lettera ama rielaborare in forma nuova un materiale linguistico fat­ to di stereotipi, tanto più quando utilizza tlvtXt ed tlvtXt Èv (formula d'im­ manenza).3 In 7b trova in ogni caso conferma la constatazione che in 5d non c'è solo l'intenzione di definire la natura di Dio. Il camminare nella luce di 7a è il motivo che spinge a dire subito anche di Dio che egli «è nella luce» .4 L'autore completa l'interpretazione parenetica fondata su immagini veterotestamentarie e sul v. 5· Nel contenuto della motiva­ zione è evidente l'affinità con Lev. 1 9,2: «siate santi, perché io, vostro Dio, sono santo» (cf. Mt. 5,48). legge per mettere i n atto fedeltà (= fare la verità), equità, giustizia, amore misericordioso e umiltà nella condotta, ciascuno con il suo prossimo, per dimostrare fedeltà (= verità) » . 1 R . Bultmann, Theologie des Neuen Testaments (UTB 630), 71977, 3 7 1 . 1 Arens, Struktur (sopra, p. 1 0 9 n . 1 ), 1 1 , che s i ricollega a de l a Potterie. 3 La catena in Cramer, 108 s. risolveva il presunto problema rinviando alla reversibilità propria delle affermazioni d'immanenza. 4 Il cambiamento di ru:pm(luiv in �:lv(lt non ha l'importanza che gli attribuiscono Belser, 22 ( «quanto a Dio, non si può parlare di una trasformazione, bensì di un essere immu­ tabile» ); Chaine, 147; Gaugler, 63, malgrado la non trascurabile antichità di questa in­ terpretazione che si può far risalire fino a Beda, 286 passando per Bengel, 1005. Con­ trario a tale esegesi era già Estius, il quale perspicacemente osserva che «verum eam an­ notationem parum solidam esse » (667).

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III

7c. Sorprende che nella principale costituita da 7c si dica che se cam­ miniamo nella luce > (Lev. 1 6 , 3 0; è evidente l'affinità lessicale con I Gv. 1 ,7e). Il cristianesimo delle origini ha ricavato da qui una cate­ goria funzionale all'interpretazione della morte salvifica di Gesù in croce. Si è davanti a due aspetti: da una parte al!J-IX, anche di per sé, è simbolo di morte violenta ( Gen. 4,10; Mt. 23,3 5 ); dall'altra in antiche formule con­ fessionali, anche a prescindere dal modello rituale, la morte di Gesù era stata interpretata come espiazione dei peccati ( I Cor. 1 5,3; Rom. s,8). A 1 Per la critica testuale v. sopra, p. 105 n. I. Agostino, 1 2.4 e Calvino, 304 leggono «l'uno con l'altro•, intendendo però la comunione tra uomo e Dio; così anche Hodges•, 53; Hiiring, 2. 3 . 2 Troppo vaghi i confini posti d a Bultmann, 2.6: «la comunione con l'umanità in genera­ le•, ma anche Marshall, I I I : «tutta la compagnia del popolo di Dio » . 3 A dire d i Baumgarten, 1 94 sotto questo aspetto I Gv. rivelerebbe l'influenza esterna di una o diverse «cerimonie cultuali» proprie dei «riti misterici gnostici» . Egli pensa pre­ sumibilmente al battesimo di sangue del taurobolio. Ma l'ipotesi non regge per ragioni cronologiche, cf. R. Duthoy, The Taurobolium. lts Evolution and Terminology (EPRO ro), 1969. Wettstein n, 7I4 suggerisce il confronto con Athen. I 3 (6o2.c): l'Attica viene purificata dalle conseguenze di un crimine con sangue umano.

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questo processo partecipa il linguaggio cultuale sacrificale nel cristianesimo giudaico prepaolino, come documenta Rom. 3 ,2 5 . 1 Nel vangelo di Giovanni il teologumeno della remissione dei peccati mediante il sangue di Gesù non è formulato con grande precisione. Su cinque passi in cui si menziona il sangue di Gesù, quattro ricorrono nel­ le parole eucaristiche (6,53-56). Restano 19,34 - dal costato trafitto del crocifisso > non è certo singolare bensì è definito da 7ttZalJç, il che rende irri­ levante il cambiamento di numero.

Le difficoltà che non mancano mai di presentarsi alla lettura di questo passo derivano dall'affermazione in 3 ,9 che i cristiani sono senza pecca­ to. Di questo si tratterà a parte. Ci si trova di fronte a un altro problema quando si esamini il rapporto fra la proposizione condizionale di 7a e l'affermazione di 7de. Camminare nella luce è il presupposto per otte­ nere la remissione dei peccati? Ciò sarebbe non solo in contraddizione con la dottrina della giustificazione di Paolo, ma creerebbe notevoli di­ scordanze all'interno del testo. Una soteriologia su due livelli in cui si susseguono «giustificazione» (che avviene un'unica volta) e «santifica­ zione» (che si ripete e continua) 3 non porta lontano. In questo caso è in­ vece di momentaneo aiuto la distinzione fra principio reale e principio di conoscenza: camminando nella luce si può riconoscere che la purifi­ cazione da ogni peccato si è realmente compiuta grazie al sangue di Ge­ sù, e certamente con l'intervento Dio (cf. «suo figlio» in 7d). La chiave per comprendere il problema sta nel concetto di koinonia che è il cuore del v. 7· Nella luce cammina soltanto chi rimane nella comunione con gli altri credenti. La comunità è tuttavia anche l'unico luogo in cui può compiersi la re missione dei peccati ( Cv. 20,23 ). Camminare nella luce e purificazione dal peccato non stanno necessariamente in rapporto causa­ le, ma possono trovare una connessione dinamica nell'orizzonte genera­ le della comunità. Poiché per I Gv. l'amore fraterno rappresenta il co­ mandamento più importante e la sua violazione il peccato capitale, si può 1

Belser, 11. Ad esempio Stott, 8 1 ; cf. la rassegna di Bonsirven, 9 2. s. Si veda inoltre sotto la storia degli effetti in appendice al v. 10. 3 Westcott, 2. 1 . :z.

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pensare che i peccati non siano conseguenza della trasgressione dello spi­ rito dell'amore che dovrebbe regnare nella comunità secondo l'esempio di Gesù ( Gv. 1 3 , 1 4- 1 5 ).' Ciò non farebbe che rafforzare il sospetto che anche la remissione dei peccati sia legata alla comunità. Nel nostro pas­ so non si dice chiaramente come e quando la purifìcazione avvenga. So­ lo il v. 9 offre informazioni più precise. 8ab. La seconda parola d'ordine «non abbiamo peccato» è molto gio­ vannea nella formulazione. L'espressione «aver peccato» ricorre quattro volte nel vangelo ( Gv. 9, 4 1 ; 1 5,22.24; 19,u ). In I Cv. 1,8-10 è messa volutamente accanto al verbo «peccare» (in 1ob). La forma verbale riguarda piuttosto l'azione, con il sostantivo indica una condizione che può essere oggettivata a prescindere dal sog­ getto. Il pericolo insito in una frase come 8b potrebbe essere dato proprio da questa tendenza oggettivizzante. In essa il peccato non è più consi­ derato come forza che determina l'esistenza, che il soggetto agente tra­ sforma in azione, bensì è visto soltanto come destino sovraindividuale. In sé 8b non rivendica implicitamente l'effettiva mancanza di peccato nel senso di un ideale di perfezione totale, ma è senz'altro ammissibile con comportamenti peccaminosi da parte dei singoli, purché vi sia la volontà di essere sostanzialmente liberi dal coinvolgimento nella realtà del mondo che comporta anche la continua sollecitazione a peccare. In questa prospettiva gli entusiasti di Corinto, in polemica con Paolo sul­ l'onda dell'esaltazione spirituale, sostenevano che i peccati esteriori non toccano il cuore della persona, che sessualità e cibo vanno esenti dal giu­ dizio morale ( I Cor. 6,1 3 . 1 8; 8,8) e che al vero pneumatico tutto è per­ messo ( I Cor. 6, 1 2; 1 0,23 ). Questa ricerca di conferme nella condotta concreta determina più avanti l'affermarsi di una tendenza specifica al­ l'interno della gnosi. Nel Vangelo di Filippo si dice che > (Lev. 1 6, 1 5 LXX: tÀcta't�pwv), la lastra d'oro che ricopre l'arca dell'alleanza. In Lev. 1 2,7 È�tÀaanctt ricorre accanto a xct.Sctpte:t (cf. I Gv. 1,7), in Lev. 4,20 accanto ad &.cpe:.S�ae:'tctt (cf. I Gv. 1 ,9). Nella storia delle religioni il sacrificio espiatorio serve a placare l'ira di potenze ultraterrene che sono ritenute imprevedibili e ostili. L'intenzione è quella di prevenirne l'azione punitiva con atti di sottomissione e rinuncia. Se necessario si ricorre a misure estreme che contemplano anche il sacrifi­ cio umano. 1 Una visione siffatta della divinità risulta inaccettabile a una co­ scienza illuminata. Per i LXX si è pertanto pensato a una valenza particola­ re di !Maxe:a.Sctt che non implichi risonanze o sfumature del genere. Quan­ do Dio è soggetto del verbo, come spesso accade, esso assume semplicemen­ te il significato di «perdonare>> . La purificazione compiuta dal sacerdote non mirerebbe alla riconciliazione con Dio ma avrebbe il solo intento di la­ vare l'uomo dalla sua colpa. Una volta purificato, questi può nuovamente presentarsi a Dio. 2 Ma questa tesi, come la critica ha potuto mostrare, non va sostenuta rigorosamente, perché s'incontrano anche casi in cui la purifi1 Cf. Plut. Fab. Max. 1 8,3: quando una grave calamità colpisce la città, si celebrano tut­ ti i riti che sembrano adatti a placare le divinità (11:pòc:; D rxat-�-oUc;). In questa situazione è anche ammissibile seppellire viva una vestale e spingere un'altra al suicidio. 2 Cf. Dodd• . In inglese è possibile distinguere tra «espiazione• (accettabile) e •propizia­ zione• (inaccettabile); cf. Thomton• . Già in Paulus, Ii5-167 c'è il tentativo di eliminare con sttumenti filologici il concetto di espiazione dall'A.T. e dal N.T. Così egli rende 1 Gv. 2,2: Dio è pura misericordia e perdono (p. 1 66). ..

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GESÙ INTERCESSORE

cazione è rivolta a Dio secondo l'intenzione, e perché il contesto non di ra­ do menziona l'ira di Dio. • Un passo avanti si ha con il profondamente elle­ nizzato Quarto libro dei Maccabei, dove alla morte del martire si attribui­ sce il potere di cancellare il peccato. Nella sua preghiera d'intercessione, in punto di morte Eleazaro rivolge a Dio le parole: «Sii misericordioso (tÀewç) col tuo popolo. Fa' che la nostra punizione sia sufficiente per loro. Fa' che il mio sangue serva per un sacrificio di purificazione•• (4 Macc. 6,28 s.). Dei pii che hanno subito il martirio, 4 Macc. 1 7,21 s. dice guardando indietro: «essi sono una sorta di riscatto per i peccati del popolo. Grazie al sangue ver­ sato da ciascuno di questi pii e grazie alla loro morte in espiazione ({Àaa-tl}­ ptou -8avci:-tou) la divina provvidenza ha salvato Israele, afflitto in passato da gravi sofferenze» . Ci si avvale di modelli concettuali e linguistici di tipo cul­ tuale per interpretare un evento in gran parte personale: il dono ubbidiente della vita da parte di chi resta fedele alla legge divenendo così benedizione per il suo popolo.1 Così ha stabilito Dio nella riconciliazione, a lui spetta dunque l'iniziativa. Si delinea qui il percorso in virtù del quale l'antica ri­ flessione cristologica può includere il sacrificio espiatorio fra i modelli er­ meneutici adottati per la morte di Gesù sulla croce.

In 2a l'autore utilizza una formula cristologica più antica che all'incir­ ca recitava: «Cristo è l'espiazione dei nostri peccati» . È usata con la for­ mula sacrificate ( ((Cristo si è immolato per noi•• ) .3 La scelta dell'astratto «espiazione» come predicato di Cristo è analoga, ad esempio, a I Cor. 1,30: egli è diventato per noi ((giustificazione, santificazione e redenzio­ ne•• . L'autore della lettera ha mantenuto l'astratto perché questo eleva a definitiva e universale l'enunciazione della formula (cf. il neutro o al­ l'inizio del versetto). Per il contenuto il modello può essere rintracciato in Rom. 3,2 5, vicino a una tradizione prepaolina proveniente dal giudeo­ cristianesimo ellenistico: «Dio lo ha messo come luogo di espiazione {lÀaa-r�ptov) nel suo sangue per rimettere i peccath• . L'immagine ha co­ me sfondo ideativo il giorno solenne dell'espiazione di Lev. 1 6, che sul Golgota ha trovato la sua realizzazione escatologica. 4 La figura del pa­ raclito si colloca senz'altro in questo contesto. Si è visto che in Filone e nella lettera agli Ebrei l'intercessione presso Dio è legata all'azione del sommo sacerdote che ottiene la remissione dei peccanti mediante il sacri­ ficio espiatorio. Nel testo una linea diretta collega 1,7 a 2,2 attraverso 1 ,9cd. Dio ope­ ra in Gesù Cristo e compie la purificazione dal peccato alla quale l'uo1

Cf. Hill, Words (sopra, p. 82 n. 3 ), 23·48, spec. 24 s. 1 Cf. K. Grayston, 'IÀaaxEa-8cxl and Related Words in the LXX: NTS 27 ( 1 9 8 1 ) 640656: 650-6 5 2; H.J. Klauck, 4· Makkabiierbuch USHRZ m/6), 1989, 670-672. 3 Cf. Wengst, 63 s. 4 Cf. già Orig. Hom. in Lev. 9,5 e Brown, 220 s.

I GV. 2, 1 -2

131

mo da solo non potrebbe mai arrivare, nel rispetto della libertà umana che si realizza nell'obbedienza al figlio suo fatto uomo. Ciò trova con­ ferma in I Gv. 4,10, seconda e ultima occorrenza di [À.aa(J.oc; nel N.T.: Dio «ha mandato suo figlio come espiazione dei nostri peccati» . Se qui l'espiazione è connessa alla missione di Gesù, se ne deduce che senza dubbio la massima importanza è data alla morte sulla croce, ma anche che l'umanità di Gesù è coinvolta nell'evento della purificazione. Ac­ canto al titolo di figlio in 1,7 e 4, 1 0, in 2.,10 fa la sua comparsa l'essere presso il Padre di Gesù paraclito. Il figlio non è un sacrificio che si offre a un Dio irato per evitare che faccia di peggio. Dio stesso ha percorso con lui la strada che gli ha riservato. 1 Si è di fronte a un duplice parados­ so: Dio è riconciliato, ma è egli stesso che riconcilia, e Cristo agisce da sommo sacerdote che offre il sacrificio, ma egli stesso è al contempo l'offerta sacrificale. Il linguaggio cultuale, che in ogni caso a fatica è in grado di cogliere il significato, risulta quindi distrutto in se stesso. Esso libera lo sguardo su un evento in cui si realizza veramente l'amore di Dio per gli uomini. Le parole sull'espiazione del v. 2. si spingono più avanti rispetto all'immagine del paradito del v. I . Gesù è in cielo come paradito solo per noi, ossia per i cristiani quando cadono in peccato (diversamente vale Gv. 1 6,2.6: «non vi dico che pregherò il Padre per voi » ). Dalla sua morte espiatrice sulla terra, in virtù della sua permanente efficacia so­ teriologia, trae beneficio il mondo intero che in Giovanni è il mondo dell'uomo, l'umanità ( 2.c). Dinanzi a questo passo si resta sorpresi, anzitutto perché si è abituati a vedere il cosmo in Giovanni soltanto come entità decisamente negati­ va.1 Il mondo non vuole riconoscere il rivelatore ( Gv. I , I o ) , odia Gesù (7,7) e i suoi discepoli ( I 5,1 8 ), non può ricevere lo spirito di verità (14, 17), è sottomesso al dominio del maligno ( 1 4,30). S'incontra una svalutazione simile del cosmo nel dualismo dell'apocalittica e nella mi­ stica di età ellenistica ostile al mondo (cf. Corp. Herm. 6,4: «questo co­ smo è la totalità del male>> ). Questa è tuttavia una visione molto ridut­ tiva, come mostra il semplice computo delle occorrenze. 3 Nella prima metà del vangelo prevalgono le affermazioni positive: Gesù toglie i pec2.bc.

1

Cf. Gaugler, 92 s. Si vedano i problemi che con il versetto ha Baumgarten, 196. 3 Cf. N.H. Cassem, A Grammatica/ and Contextual Inventory of the Use of XOCJf'O> . 6 Ma come si deve concepire di fatto l'azione di Gesù come intercessore? La risposta di Gregorio di Nazianzo è che sicuramente « Gesù non si pro­ stra dinanzi al Padre né cade ai suoi piedi come un servo . . . , ma ne ottiene l'indulgenza in virtù di quanto ha sofferto come uomo» .? Il figlio mette la sua umanità, che lo ha condotto sulla croce e alla morte, nella comunione 1 Si veda al riguardo l'amplificazione in Filone, Spec. Leg. 1,97, di un'affermazione ve­ terotestamentaria come Lev. 16,17 (espiazione per tutto Israele): « i sacerdoti degli altri popoli di solito pregano e offrono sacrifici soltanto per i loro congiunti, amici e concit­ tadini, mentre il sommo sacerdote giudeo innalza la preghiera di supplica e di ringra­ ziamento non solo per tutta l'umanità, ma anche per gli elementi naturali . . . » (tr. secon­ do I. Heinemann, Werke n, 3 7 s.). z. Così Bonnard, 3 6; diversamente Schnackenburg, 93: «senza panicolare malignità» . 3 Agostino, 1 3 2.; Manino di Lione 2.5 8 b. Lapide, 534 mantiene una prospettiva univer­ sale dalla quale tuttavia esclude prudentemente gli scomunicati. 4 In 3 10 egli parla di phreneticorum deliria. Critico si mostra al riguardo, da una pro­ spettiva luterana, Sander, ror: «Calvino s'infervora inutilmente . . . » . 5 Asmussen, 40. 6 Rothe, 4 8 . 7 Orat. JO,I4.

I GV. 2, 1 -2

133

pasquale con il Padre, 1 che Apoc. 5,6 rappresenta con l'immagine dell'agnel­ lo immolato sul trono di Dio. Il problema che ha impegnato la riflessione teologica, della causa, della natura e della modalità dell'azione di Gesù come intercessore, trova ri­ sposta soltanto nella consonanza di 2, I e 2,2. Tra l'intercessione al tro­ no di Dio in cielo e la passione e morte espiatrici dell'Incarnato, l'inter­ dipendenza è insopprimibile. L'atto salvifico che libera dal peso del pec­ cato resta sempre attuale e si estende nel tempo postpasquale, perché il Risorto, anche nella sua natura celeste, reca sul corpo i segni della mor­ te di croce ( Gv. 20,27). Ciò non può non avere effetti sull'immagine di Dio. Questa si discosta dalla figura del giudice severo che punisce i pec­ cati senza pietà, e mette in risalto gli aspetti di bontà misericordiosa e di amore che sono propri della definizione di Dio come padre. Grazie al­ l'intervento di Gesù Cristo a nostro favore nel passato e nel presente, la remissione dei peccati diviene possibile anche per il futuro, e in questo sta la speranza che è stata fissata non soltanto per la comunità ma an­ che per il mondo. 2. OSSERVARE I COMANDAMENTI ( 2 , 3 - 1 1 )

La nuova pericope di 2,3 -n costituisce da più punti di vista un paralle­ lo della prima parte di 1,5-2,2..2 Ancora una volta compaiono tre paro­ le d'ordine, nel discorso diretto di 4b e in forma abbreviata nelle infini­ tive di 6b e 9b. Cambia la formula introduttiva. Invece di «quando di­ ciamo» abbiamo ora «chi dice» (o ì..Éywv). L'allocutivo in 7a corrispon­ de a 2, Ia, ma è diversamente collocato, non alla fine, bensì al centro della discussione del tema. La conseguenza dell'affinità strutturale sul piano del contenuto è che la rivendicazione generale legata alla tesi ini­ ziale di 1 , 5 « Dio è luce» è oggetto di ulteriore esplicazione. La questio­ ne della comunione con Dio si muta grazie a una nuova trasformazione nella questione della conoscenza di Dio. Il presupposto del comanda­ mento dell'amore in 2, 7- I I ha a che vedere con quanto si è detto dei pec­ cati e della loro remissione nella pericope precedente. 1 Ps.-Ilario I IO si spinge addirittura alla definizione: propitiatio, id est corporis nostri astensione in divinitati. Cf. Beda, 2.89. Diisterdieck 1, I j 8: «poiché si è fatto uomo, il fi­ glio condivide con noi una compassione fraterna vera e propria . . . , con una modalità, questa, che non appartiene al Padre in quanto tale,. (corsivo nel testo). 2. Cf. Haupt, Brief, 5 3 · 57; sull'articolazione si veda Malatesta, Interiority, 1 19 s. a dif­ ferenza di Brown, 2.4 7.

a) I criteri della conoscenza ( 2.,3 -6) J. Alfaro, Cognitio Dei et Christi in I Jo: VD 3 9 ( 1 9 6 1 ) 82-9 1 ; cf. SelTeol 1 ( 1962) 1 27- 1 3 0 (sunto); M.E. Boismard, La connaissance de Dieu dans I'Alliance nouvel­ /e, d'après la Première Lettre de Saint ]ean: RB 5 6 ( 1 949) 3 65-3 9 1 . 3a b c 4a b c d e sa b c d 6a b c d e

E in questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «l'ho conosciuto» e (tuttavia) non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo, e in lui non c'è la verità. I Chi invece osserva la sua parola, veramente in lui l'amore di Dio è giunto a pienezza. In questo conosciamo di essere in lui. 1 Chi dice di rimanere in lui, deve, come egli ha camminato, [così] 3 anch'egli camminare.

I. èv 'tOU'tq.J ricorre quattro volte, in 3 a/ se, in cui lo si è reso con «in questo», e in 4e/sb dove significa «in questo (uomo) » . Il contrasto semantico nel­ l'identica struttura sintattica è un indizio che le due unità sono state colle­ gate, vale a dire una cornice tematica in 3abc/ scd e la duplice discussione delle parole d'ordine in 4a-sb e 6a-e. Il collegamento tra il v. 3 e il v. 4 è da­ to dalle parole chiave «conoscere» e «osservare i comandamenti» . Il nesso con il v. 6 sta nell' �Xù'tci> ÈatJ.E" della proposizione finale di sd che anticipa l'èv IXÙ'tci> tJ.évttv di 6b. Ciò non significa tuttavia che si deve congiungere diret­ tamente scd con il v. 6, come se il v. 6 fornisse un altro dei criteri di cono­ scenza richiesti da scd. 4 Su ciò incide molto l'inclusione del v. 3, che fa di scd un sommario provvisorio. 2. I punti di contatto tra 2,4 e 1 ,6 sono molto stretti: I

K omette

èv -rouT e integra -rou .Se:ou (da sb): «e non è (presente) la verità di Dio». 2. lf e parte dei mss. latini integrano qui: «Se in lui siamo giunti a pienezza » . La struttu­ ra del v. 3 è un'imitazione di sb. 3 oU..wc; è ben attestato da K, dalla koinè e da altri; manca in A 8 e nella Vulgata. Più che di omissione si tratta forse di un'integrazione posteriore (cf. Smalley, 42; di diverso parere Brune, 3 9 ), ma è difficile stabilir!o. 4 Cf. la resa di William, 22: •questa è la prova grazie a cui siamo sicuri di essere in lui: chiunque afferma di dimorare in lui. . . »; così pure Bruce, 5 2; Chaine, 1 56.

1 ,6 2,4 Se diciamo: Chi dice: «abbiamo comunione con lui» «l'ho conosciuto » e (tuttavia) camminiamo e (tuuavia) non osserva i suoi nelle tenebre comandamenti mentiamo è un bugiardo e non facciamo la verità. e in lui non c'è la verità. In 1,7 e 2,5 segue la posizione antitetica positiva, che tuttavia è di tenore molto diverso. La frase conclusiva in 2,4e ha inoltre un parallelo quasi let­ terale in 1 ,8d. 3· La pertinenza di a.Ù'tOV in 3 b.4b, a.Ù'tOU in 3C·4c. sa e Èv a.Ù'tcjJ in sd.6b è oggetto di discussione. Il punto di riferimento più vicino sarebbe «Gesù Cri­ sto» in 2, 1 e (l' a.Ù'to� di 2,2a dipende da questo). L'uso dei pronomi in tutta la pericope riguarderebbe dunque Cristo. 1 La conoscenza di Cristo, il co­ mandamento di Cristo e il rimanere in Cristo sarebbero le condizioni fon­ damentali. L'opposizione interna di a.Ù'tov ecc. al passo in questione e di Èxeiv� in 6d impediscono di accogliere un'ipotesi simile. I Cv. usa Èxei� in senso per così dire idiomatico per Cristo. 1 a.Ù't'� dovrebbe quindi indi­ care qualcun altro. Circa i «suoi comandamenti » in 3c/4c è da notare che in 3,23 e 4,21 con molta probabilità, in 2 Cv. 4 espressamente, Dio figura come donatore del comandamento dell'amore. Ciò va oltre il vangelo, do­ ve il comandamento è di Gesù (Cv. 1 3 ,34; 1 5 , 1 2; cf. 1 4,1 5.21; x s ,x o), ben­ ché da un diverso punto di vista anche Gesù segua il comandamento del Pa­ dre che lo porta a donare la propria vita (cf. xo, 1 8; 1 2,49-50; 14,3 x; 1 5 ,10). Si dovrà fare qui attenzione, come sempre, all'azione congiunta di Padre e Figlio, senza necessariamente attribuire una funzione precisa ai pronomi in 2,3-6.3 Nei periodi in parte paralleli di 1 ,6-7, inoltre, a.Ù't'o� e a.Ù't'ou ripren­ dono o -8e� di 1 , 5d. Già si è accennato come 2,3-1 1 non sia da leggere come prosecuzione immediata di 2,1-2 ma come ripresa della pericope di 1,5-2,2 in generale. Da tutto ciò risulta che il tema di 2,3-6 è chiaramente Dio 4 e che solo in 6d, con Èxeivoc;, si considera la mediazione cristologica. 3a. Il v. 3 sviluppa per sommi capi una teoria teologica della cono­ scenza e dell'azione. L'idea centrale è ytvwaxetv, conoscere, che in 3a è al presente (cf. se) e in 3 b al perfetto (cf. 4b), il che indica una diversa pregnanza semantica. L'introduzione con «in questo sappiamo» ha un tono convenzionale. In I Gv. ricorre otto volte.5 La presenza di questa I

Così Neander, 5 8 s.; Calmes, 72.; Lauck, 479; Painter, Opponents, 5 8 . Cf. ad esempio 3 · 3 · 5 ·7· 1 6. Quanto a l vangelo cf. spec. Gv. 2.,2.1; 3,30; 7,1 1 ; 19,2. 1 . Si veda Iambl. Vit. Pyth. 8 8 e 2.55: i pitagorici non menzionano mai il nome di Pitagora, ma dopo la sua morte lo chiamano «quello (ÈXEivo e «in lui>> in 1 5c cf. in particolare 2,5 b e le altre formule d'immanenza, per 1tCX­ payE"t'CXL in 17a cf. z.,8c, per �ÉvEtv in 1 7c cf. 2,6b. 1 4g (con lieve slittamento semantico).

Con la promessa salvifìca di 2, 1 2- 1 4 e l'appello parenetico di 2, I 5 - 1 7, 2, I 2- I 7 fa temporaneamente rallentare il ritmo dell'argomentazione av­ viata in 1 , 5 . Con le altre riflessioni sull'atto della scrittura in 2, 1 -2, I Gv. 2, 1 2-14 condivide la leggera propensione alla digressione. a) L'autore si rivolge ai lettori ( 2, 1 2- 1 4 ) J.E. Bruns, A Note on fohn I 6,33 and fohn 2,IJ·J4: JBL 86 ( 1976) 4 5 1-4 5 3 ; S . de Giacinto, « a voi, giovani, che siete forti» (I Giov. 2, 14): BeO 2 ( 1960) 8 1-85; Klauck, Zur rhetorischen Analyse, 214-2 1 6; l. de la Potterie, La connaissance de Dieu dans le dualisme eschatologique d'après l ]n, ll,I2-14, in Au Service de la Pa­ role de Dieu (Fs A.M. Cha rue ), Gembloux 1969, 77-99; B. Noack, On l fohn Il. 12-14: NTS 6 ( 1959-60) 236-241; C. Spicq, La piace ou le role des jeunes dans cer­ tains communautés néotestamentaires: RB 76 ( 1 969) 508-5 27; D.F. Watson, I fohn 2.I2-I4 as Distributio, Conduplicatio, and Expolitio. A Rhetorical Understanding: JStNT 3 5 ( 1 989) 97-I Io; H. Weder, Neutestamentliche Hermeneutik (Ziircher Grundrisse zur Bibel), Ziirich 1986, 3 24 s.; H.H. Wendt, Die Beziehung unseres er­ sten ]ohannesbriefes auf den zweiten: ZNW 21 ( 1 922) 140-146. • • •

1 2a b 13a b

Scrivo a voi, figli: vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome. Scrivo a voi, padri: avete conosciuto «colui che è fin dal principio>> .

1

Calvino, 3 1 8. Bultmann, 36: i vv 1 5-17 sono opera della redazione ecclesiastica; O'Neill, Puzzle, :z.o: i vv 1 2-13 sono di un redattore cristiano, il v. 1 7bc è una glossa dettata da motivi reli­ giosi; Oke•, 349: i vv x:z.-1 3 vanno posti tra 1,10 e 2,1 , mentre i vv 14-17 fungono per­ fettamente da conclusione dopo 5,21 (l'indicazione dei versetti segue la nostra numera­ zione; Oke• sposta il nostro v. 14ab al v. 1 3 con la traduzione inglese e il textus recep­ tus che vi soggiace). 2

.

.

.

.

I GV. 2, 1 2- 1 4 c

d 14a

b c

d e f g h

155

Scrivo a voi, giovani: avete sconfitto il maligno. • Ho scritto a voi,1 figli: avete conosciuto il Padre. Ho scritto a voi, padri: avete conosciuto «colui che è fin da principio» .3 Ho scritto a voi giovani: siate forti, e la parola di Dio dimora in voi, e avete sconfitto il maligno.

r . Il passo mostra una struttura molto rigorosa. In due sequenze l'autore si rivolge, nell'ordine, ai figli ('texvlcx in ua, 7tcxtòlcx in 14a senza diverso signi­ ficato),4 ai padri e ai giovani. La prima triade è introdotta per tre volte dal­ la forma al presente ypci:tpw Up.iv, la seconda dalla forma al passato eypcx�rx �iv (aoristo).5 Il contenuto delle affermazioni rivolte alle singole categorie si sviluppa in parte parallelamente. Identica, alla lettera, è l'assicurazione rivolta ai padri in 1 3 b e 1 4d. Più distanti l'uno dall'altro ub (perdono dei peccati) e 14b (conoscenza del Padre),6 ma anche qui, con Èyvwxrx'te in 14b si ha un allineamento rispetto a 1 3 b/14d. Alla fine in 1 4h si riprende integral­ mente la vittoria sul maligno di 1 3 d. In 14fg s'inseriscono altre due afferma­ zioni, così che grazie soltanto all'estensione il terzo membro della seconda triade appare più fortemente rilevato (intensificazione).7 2.. Nonostante la limpidezza formale il passo presenta alcuni punti proble­ matici: come si spiega il cambiamento da ypci:tpw a eyprx�rx ( 2. . 1 ) ? A che cosa si riferiscono le tre indicazioni relative all'età (2.2 ) ? Che cosa significa l' o·tt che ricorre sei volte, che nella traduzione fornita sopra si è reso con i due punti (2.3 ) ? 2. 1 . L ' eypa.�rx della seconda triade è stato oggetto di numerosi tentativi di spiegazione: l'autore - così un'opinione diffusa nell'esegesi meno recente

r

� presenta invece -ro ( « il male » ) . I l testo d i maggioranza uniforma solo 1 4 a a i vv. 1 2.- 1 3 e legge "(ptltp e «dal principio» ricapitolano per sommi capi la sequenza di 2,3 -5 e 2,7. Tut­ tavia in 2, 7 ti1t' tipx.i)c; costituisce in modo inequivocabile un momento preciso «della storia della chiesa » . In questa prospettiva s'inserisce I 3 b se lo s'interpreta nel senso che si arriva alla conoscenza di Dio ( 2,3 -5) at­ traverso la conoscenza di Cristo (cf. Gv. I4,9); conoscere Cristo signi­ fica però percepirlo nella sua dimensione terrena con tutto ciò che egli ha di persona incarnato nel suo esserci «fin dal principio» . Il concetto di preesistenza nel prologo del vangelo, che l'autore dà per noto ai suoi destinatari, può costituire il contesto. L'accento è tuttavia spostato sulla tradizione di Gesù e sulla sua predicazione. I 3cd. I «giovani» di I3C non li si deve immaginare come nella lingua d'uso troppo giovani. Tra gli spartani Plutarco distingue tre classi d'età: vecchi, fanciulli e giovani. Definisce questi ultimi i vtav iaxo,, in quanto uomini nel fiore degli anni che formano il gruppo preposto al servizio militare nella città stato.1 La particolare attitudine dei vttxv iaxo' all'arte della guerra potrebbe costituire un nesso ideale con l'immagine della vit­ toria sul maligno che viene attribuita loro in I 3d. Sotto questo aspetto entrano in questione anche i giochi olimpici, in cui i giovani gareggia­ vano per vincere, come in generale tutto ciò che è stato definito l'ideale di vita agonistico dei greci. Stando alle concordanze e alle statistiche, «vincere >> è un termine pre­ diletto da I Gv. (sei occorrenze su 28, e in aggiunta a queste «vittoria » in 5 ,4; nel vangelo cf. I 6,3 3 ) e soprattutto dall'Apocalisse ( I 7 occorrenze), I Marshall, 140 n. 27 accarezza l'idea che il testo originario fosse addirittura a\rròv a1t' àpx�; ciò semplificherebbe l'esegesi, ma resta mera speculazione. 2. Cf. Plut. Laud. lps. ( 544e) e lnst. Lac. (23 8a-b). Spicq•, 5 1o-5 1 2 colloca la fascia d'età fra 17 e i 40 anni sottolineando tuttavia che importanza primaria era data alla posizione sociale, non all'età. A detta di G. Sacco, Sui "WavlaxoL nell'età ellenistica: RFIC 107 (1979) 29-49: 43 (con documentazione), vEavlaxoL può anche voler dire semplicemente •solda­ ti». Troppo fantasiosa è l'interpretazione di E. Peterson, Die Einholung des Kyrios: ZSTh 7 (1930) 682-702: 694 n. 5 (sulla scorta di PPetr n, 45 Mitteis-Wilcken 1/2 nr. 1, dove alla col. 111 l. 22 si menzionano [o! ci1t )ò -rou 'YIJ!l.vaalou VEaviaxoL nel contesto di una pro­ cessione, ci si chiede se 1 Gv. 2, 1 3 non presupponga forse un'associazione giovanile [sul modello di quelle di cittadini]). =

1 60

L'AUTORE SI RIVOLGE AI LETTORI

a dimostrazione della provenienza diretta del motivo dal linguaggio dua­ listico dell'apocalittica giudaica. Questa immagina autentiche scene di battaglia della guerra apocalittica da cui i figli della luce escono vinci­ tori sui figli delle tenebre ( rQM). Nella sua immagine del mondo c'è un nemico di Dio, nella versione cristiana un nemico di Cristo. Nel vange­ lo di Giovanni questi è chiamato «principe di questo mondo» ( I 2,3 r ; q, 30; r 6, n ), «diavolo» (6,70; 8,44; I 3 ,2; cf. I Gv. 3,8. Io) oppure «sata­ na » ( I 3,27).' Compare qui in I 3d come incarnazione personale del ma­ ligno per eccellenza (cf. I Gv. 3 , 1 2; 5,19). Se si riconosce il riflesso di 1 2b su I,6-2,2 (tema del peccato) e di I 3 b su 2,3 -7, è naturale vedere in­ sieme I 3d e 2,9- I r. 2 La vittoria sul maligno conseguita dalle schiere cri­ stiane come chiesa combattente è la vittoria sull'odio tra fratelli. Essa impone la prassi dell'amore. 14. Sul singolare passaggio da «scrivo» a «vi ho scritto» e sulla ripe­ tizione della triade figli, padri, giovani si è già detto quanto basta nella nota al testo. La variazione nella ripresa rafforza l'affermazione genera­ le che ha il suo fulcro in I4e-h. La conoscenza del Padre si sposa molto bene sul piano figurato con l'allocutivo «figli» . Nella ripresa di 1 3 b, qd trasforma di nuovo il processo strettamente teologico della cono­ scenza nella sua versione cristologica attribuendolo ai «padri nella fe­ de» . La vittoria dei giovani è preceduta in qfg da una duplice motiva­ zione: essi ottengono la vittoria in virtù della loro forza, e questa è da ricondurre all'immanenza della parola di Dio dentro di loro. Certamen­ te il termine «giovani» di per sé richiama associazioni come «vigoroso» e «forte» (cf. I Cron. I 2,28; I Macc. 2,66), ma è ovvio che qui la forza non si riferisce alla condizione fisica o psichica. Più pertinente al conte­ sto è Is. 40,30 s. in cui la forza dei giovani deriva ugualmente da Dio: «i giovani faticano e si stancano, i guerrieri inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano sempre forza » . La forza consi­ ste nella forza della fede ( I Gv. 5,4), e proprio grazie alla forza della lo­ ro fede i cristiani possono essere metaforicamente chiamati giovani. La constatazione della continua immanenza della parola di Dio che sola in­ fonde la forza necessaria nella lotta con il maligno, in qg fa emergere molto chiaramente in quale misura le promesse rivolte ai singoli gruppi tendenzialmente valgano sempre per tutti i credenti. L'autore ha già for­ nito in I,Iod lo sfondo negativo di I4g. 1 Per una visione complessiva cf. J.C. Coetzee, Christ and the Prince of This World in the Gospel and the Epistles of St. fohn: Neot 2. ( 1 968) 104- 1 2. 1 . 2. Cf. Wengst, 87.

I

GV. 2, 1 2- 1 4

I6I

Storia degli effetti. Il tentativo di circoscrivere le indicazioni relative ai de­ stinatari a fasce d'età ben definite conduce oggi a interpretazioni che riguar­ dano più gli orientamenti pastorali e morali dei loro autori che il testo. Si identificano i «figli» con fanciulli 1 per ricavarne la riprova tutt'altro che sicura del battesimo dei bambini nel Nuovo Testamento.� La severità del­ l'esortazione ai giovani sembra ad alcuni appropriata, perché la giovinezza è particolarmente vulnerabile alle tentazioni e ai pericoli della sfera sessua­ le.3 Il gesuita Cornelio a Lapide sostiene che l'apostolo raccomanda l'istitu­ zione di scuole per la formazione generale della gioventù cristiana (un auspi­ cio che il suo ordine ha realizzato in modo esemplare con numerosi licei), mentre a dire di Josef Konn egli « doveva aver praticato la cura pastorale dei giovani sicuramente con particolare dedizione». 4 Si percepisce per così di­ re nostalgia dell'esegesi della chiesa antica, ancorché le si pongano dei li­ miti. Questa concepisce infatti le fasce d'età come allegoria dei passi che il cristiano compie nel suo cammino verso una perfezione sempre più alta, ripartendo i credenti nelle rispettive classi. 5 Più fedele al testo rimane pro­ babilmente Agostino quando, come si è visto, rinunciando a simili classifi­ cazioni vedeva nelle tre categorie il riferimento all'unica e sola comunità di credenti: fìlii sunt, patres sunt, iuvenes sunt. . . In fìliis nativitas, in patribus antiquitas, in iuvenibus fortitudo. 6

L'amore fraterno che l'autore esige dai suoi destinatari (2,10) rappresen­ ta per lui anche la vera ragione che lo ha spinto a scrivere (cf. 2 Gv. I2). I vv. 1 2-14 danno una visione dell'atto di scrivere come momento comu­ nicativo che scaturisce da un atteggiamento di premurosa sollecitudine. Contro ogni pòssibile dubbio si invoca la certezza della fede comune che poggia sulla garanzia della redenzione già avvenuta. Tradotto in imma­ gine: non si combatte per vincere ma perché si è già conseguita la vitto­ ria e perché si è esaltati da questa. In una lingua astratta i versetti of­ frono la garanzia della remissione dei peccati, della conoscenza di Dio e di Cristo e dell'immanenza della parola di Dio. L'autore mostra inol­ tre familiarità con la consuetudine di rivolgersi distintamente ai singoli gruppi all'interno della comunità (tradizione del codice domestico) ma in realtà non lo fa in modo significativo. Ha sempre ben presente la co­ munità dei credenti poiché rispetta ciascuno di loro come individuo la cui fede è autonoma e responsabile. r

Maurice, 108. :t Wolf, 57· 3 Findlay, 1 87 s.; Belser, 46. 4 Lapide, 542. s.; Konn, 6o. 5 Cf. Orig. Hom. in Num. 9,9: . . . quas loannes . . . distinctione mystica comprehendit .. In quibus utique non corporales aetates, sed animae profectuum differentias ponit; Ambr. Expl. Psalm. 43,3 5 (:z.6:z., 1 7- 1 9 CSEL 64); Hier. Ep. 14o,:z.o; Dionigi bar Salibi 1 2.2; Cramer, Catenae, 1 1 3-1 1 5 . 6 Agostino, 1 64/1 66. .

b) Monito a guardarsi dall'amore per il mondo ( 2 , 1 5 - 1 7 ) P. Joiion, I ]ean 2, 16: 'Ìj CÌÀa'çow:tot 'tou �lou. «La présumption des richesses» : RSR

:z.8 ( 1 9 3 8 ) 479-4 8 1 ; ]. de Keulenaer, De I ]oannis Il, IJ-I7: CMech 2. 1 ( 19 3 2. ) 1 89 s.; H.J. Klauck, In der Welt - aus der Welt (r]oh 2, IJ-I7). Beobachtungen zur Am­ bivalenz des johanneischen Kosmosbegriffs: FS 7 1 ( 1989) 5 8-68 (versione breve in inglese: ThD 3 7 [ 1990] 2.09-2.14);. N. Lazure, La convoitise de la chair en l ]ean, II, r 6: RB 76 ( 1 969) 1 6 1-2.05; J.F. Procopé, Augustine, Plotinus and Saint ]ohn's Three «Concupiscences», in E.A. Livingstone (ed.), Studia Patristica xvn, Oxford 1 9 8 2., 1 3 00-1 305. 1 5a b c 1 6a b

c d 1 7a b c

Non amate il mondo né ciò (-.a) che è nel mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre 1 non è in lui. Poiché tutto quello che (-.ò) è nel mondo - la bramosia della carne e la bramosia degli occhi e l'arroganza della ricchezza non è dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa e la sua 1 bramosia. Ma chi fa la volontà di Dio, rimane in eterno.3

Sono da esaminare anzitutto i termini ricorrenti. A xoav-oç, che è la parola più importante (6 occorrenze), segue int-8\J(J-ttx ( 3 x). Il polo antitetico è dato dalla menzione di Dio o del Padre (3 x). Ciascuno dei tre versetti contiene al suo interno una variante dell'antitesi fondamentale di mondo e Dio. Nel v. 1 5 l'antitesi è tra l'amore per il mondo e l'amore per il Padre, in r 6cd an­ cora, in forma chiastica, tra «del Padre» e «del mondo», e infine nel v. 17 tra «il mondo . . . e la sua bramosia» e il fare la volontà di Dio, in connessio­ ne con l'antinomia di passare o rimanere in eterno. Il termine mondo viene precisato in r sa da «ciò che è nel mondo>> (plurale -.a), in r 6a dall'espres­ sione equivalente «tutto ciò che è nel mondo» (singolare -.6 con il nav ge­ neralizzante). r 6b specifica il significato di «tutto ciò» con una parentesi co­ stituita da tre elementi. Per i vv. 1 2-14 sopra ci si è rifatti alla tradizione protocristiana del codice domestico. Analogamente la triade di 1 6b si rifà al genere del catalogo di peccati (cf. in particolare Gal. s , r 9-2 1 : le opere della carne), pur rielaborando liberamente il modello, restringendo l'elenco e puntando sulla sostanza del contenuto. La riduzione ha come effetto la ge­ neralizzazione e la radicalizzazione del concetto di peccato. È tuttavia ancoA C e altri testimoni hanno «l'amore di Dio» sulla scorta di 2.,5. 2. otthou manca in A P 33 e in altri manoscritti; cf. Metzger, Commentary, 710. 3 L'aggiunta •come anche egli (Dio) stesso rimane in eterno» in alcuni manoscritti latini e in altri (cf. Thiele, VL 2.6/r, 2.83) è priva di valore critico, contro Hamack, Textkritik 5 6 1 s. 1

,

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ra riconoscibile la dipendenza da tradizioni parenetiche protocristiane, la quale spiega probabilmente l'affinità con Giac. 4,1-17 (cf. anche la funzione della bramosia in Giac. 1,14 s.). Dalla sequenza delle espressioni «nel mon­ do» in 1 5a- 1 6a e di «del mondo» in 1 6d emerge la tesi di fondo, in ap­ parenza paradossale, per cui ciò che è nel mondo è al di fuori del mondo. 15ab. Alla promessa salvifica dei vv. 1 2- 1 4 fa seguito nel v. 1 5 l'ammo­ nizione, senza dubbio in forma di divieto. Fin dove si spinge questa proi­ bizione ? Implica una rinuncia di principio al mondo? Esorta i cristiani a ritirarsi volontariamente in una sorta di ghetto? Il problema non si ri­ solve riconducendo - in linea con la critica dell'epoca e della società nel mondo antico - al quadro generale dei costumi la situazione per più aspetti negativa del mondo pagano, in particolare la vita dissoluta e le atrocità della corte imperiale. Il richiamo è piuttosto alla «società paga­ na . . . contemporanea con la sua sensualità, la sua superficialità e presun­ zione, il suo materialismo ed egoismo » . 1 Nel nostro testo il mondo rap­ presenta soltanto la sfera d'azione del male (cf. 1 4h) e va considerato co­ me nemico di Dio. Inevitabilmente il concetto di kosmos è contestual­ mente affine alle tenebre dei vv. 9- 1 1 . Nel mondo regna l'oscurità che ostacola il cammino e offusca la vista. È un mondo senza amore, domi­ nato dall'odio, al quale è possibile donare, paradossalmente, come Cri­ sto, l'amore riservato ai fratelli ( 2, 10), a meno che non si sia disposti a perdere la propria salvezza. A questa visione del mondo si contrappone dunque l'altra, più posi­ tiva, di cui si è parlato poco prima nel testo: la morte di Gesù è morte d'espiazione per la salvezza del mondo intero. Rispetto a «tutto ciò che è nel mondo» e «del mondo » di 2,1 6, l'espressione «il mondo intero» di 2,2 fornisce un criterio di differenziazione. Il mondo intero come desti­ natario dell'evento salvifico - per cui il mondo non è ancora descritto in modo esaustivo. Il mondo esiste anche come antitesi di Dio. 2,1 6 spie­ ga come e perché ciò sia avvenuto. ISC-I6b. Prima di passare alla triade di 1 6b è necessario spiegare an­ cora la formula d'immanenza in 1 5c. La maggior parte dei commenta­ tori interpreta «l'amore del Padre» come il nostro amore per il Padre, .. richiamandosi al nostro amore per il mondo di cui si parla poco prima. A un esame più approfondito, l'argomentazione perde molta della sua forza. Perché l'autore non dice chiaramente: «che non ha (t'X,EL) l'amore 1

Così Dodd, 42; Nei! Alexander, 62 s.; Grayston, 75· Cf. ad esempio Bonnard, so; diversa la posizione di Schunack, 42; conciliante quella di Smalley, 8 3 . 2.

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per il (7tpòc; -.òv) Padre? » L'amore del Padre presuppone semplicemente l'immagine più naturale del padre come origine dell'amore. La stessa in­ terpretazione vale per il genitivo nell'espressione «la volontà di Dio�� in 1 7b. Inoltre è difficile poter tradurre con la sua malvagità è la causa dei peccati e delle trasgressioni ( 1 QS 1 1 ,9.1 2), è contrapposta a Dio ( 1 QM 4,3 ). Nel N.T. sarx forma una coppia antitetica con pneuma in quanto dono di Dio. Nell'introdurre il suo lungo catalogo di peccati e virtù, in Gal. 5,17 Paolo scrive che la sarx ha desideri (Èm.SutJ-Ei) contrari al pneuma (cf. Rom. 1 3 ,14). Altre due attestazioni di sarx nel vangelo di Giovanni sono ugualmente ca­ ratterizzate dalla contrapposizione di spirito e carne ( Gv. 3 ,6; 6,63; cf. 1 , 1 3 ) . In questi passi l a connotazione peccaminosa non è i n primo piano. Qui si tratta di ciò che definisce l'uomo nella sua umanità quando viene a mancar­ gli il pneuma divino.

3· Agostino spiegava la «bramosia degli occhi» con la curiosità noci­ va che alimenta il circo e il teatro, i culti pagani, la magia e la stregone­ ria.3 I modelli biblici guardano in altra direzione. Da una parte si po­ trebbe circoscrivere la bramosia alla seduzione che avviene attraverso lo 1

Plut. Suav. Viv. Epic. 14 ( 1 096c). Se ne veda il contributo con identico titolo in ZNW 48 ( 1 957) 2.37-2.5 3 . Inadeguate le interpretazioni alternative proposte da Lazure"', 161 s., a ragione criticate da Schnak­ kenburg, 3 37· 3 Agostino, 1 76: ipsa in spectaculis, in theatris, in sacramentis diaboli, in magicis arti­ bus, in malefìciis ipsa est curiositas. Sull'origine del termine cf. Procopé'", 1 3 04 s. :z.

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sguardo concupiscente. 1 Questa valenza ha come fondamento l'interpre­ tazione corrispondente di « bramosia della carne» che non coincide con quella di Giovanni. Dall'altra la si potrebbe interpretare come avidità, avarizia e desiderio di avere sempre di più (cf. Ecci. 4,8; Sir. 1 4,9: l'oc­ chio dell'avido).1 Un'indicazione è fornita dal contesto. In I Gv. 2., n si è parlato poco prima in termini metaforici degli occhi accecati dalle te­ nebre (cf. il piano metaforico del discorso nel racconto della guarigione del cieco in Gv. 9 ). Occhi concupiscenti guardano unicamente alla di­ mensione terrena e sono dunque lontani dalla luce che sola consente di vedere veramente. 4· CÌÀ(X�ove:l(X. Il vanaglorioso o spaccone, l' CÌÀcX�wv, è un personaggio tipico della commedia antica. Teofrasto fornisce un ritratto pungente delle sue qualità: «se ne sta al porto a raccontare a stranieri di aver investito ingenti somme di danaro nei traffici per mare . . . Nello stesso istante manda il ser­ vo in banca, pur avendo sul conto una dracma soltanto . . . Al tempo dell'ul­ tima carestia si è procurato più di cinque talenti per i concittadini bisogno­ si, perché proprio non può dire di no . . . Vive in una casa in affitto, ma a chi non lo sa dice che è la casa di suo pa dre e che dovre bbe venderla presto perché è troppo piccola per i suoi incontri d'affari e per la merce» .3 Colpi­ sce in questo ritratto l'insistenza sulla ricchezza che non si possiede e sulla finta generosità. Polibio usa le stesse parole di I Gv. 2, 1 6 quando prefigu­ ra il declino di una condizione fiorente a causa delle ambizioni di potere e della pretenziosa ostentazione dei propri beni (l] 1te:pt 'tO� �lo�J�; CÌÀ(X�ove:l(X).'� �loc;, il cui primo significato è vita terrena, «biologica », e che in Giovanni è distinto dal bene salvifico della �w�, nel nostro passo indica, come attesta anche I Gv. 3 , 1 7, i mezzi di sussistenza (Mc. 1 2,44 ), la ricchezza, i beni materiali, il benessere. Interessanti sono al riguardo le domande che gli empi si pongono in Sap. 5,8: «a che cosa ci è servita la nostra superbia? Quale beneficio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia (CÌÀ(X�ove:l(X) ? » . Filone critica i contemporanei arroganti e superbi ( ìm' CÌÀ(X�ove:l� rpuaw!Lévwv) a cui piace la vita (�loc;) nel lusso se possono disporre dei beni materiali ne­ cessari. Uno di questi non ha accolto molto bene i moniti rivoltigli in buo­ na fede da un anziano (1tpe:a�U't1Jc;) e amico paterno.5 Implicito in CÌÀ(X�ove:l(X è un movimento diretto all'esterno, un dare consapevolmente spettacolo dil Gen. 39,7 (la moglie di Potifarre getta gli occhi su Giuseppe); Mt. 5,:z.8; � Pt. :z., 14; fra i testi di Qumran, 1 QS 1,6 («occhi lussuriosi » ); CD :z., 1 6; 1 QpHab 5,7 ( « si prostitui­ scono dietro i loro occhi» ); cf. Bra un, Qumran I, 2.94 s. 1 Sulla lussuria e l'avidità come vizi capitali nei moniti di tradizione giudaica e cristiana in forma di catalogo cf. E. Reinrnuth, Geist und Gesetz. Studien zu Voraussetzungen und Inhalt der paulinischen Pariinese (ThA 44), 1985, 12.-47· 3 Theophr. Char. 2.3,1 S-5·9· Cf. Spicq, Notes I, 64-66. 4 Polyb. 6,57,6. 5 Spec. Leg. 2.,1 8 s. Cf. Virt. 1 6 1 s. e 1 72.: l' à.Àa�ove:la è un vizio dell'anima; l' à;),a�wv non si considera (per citare Pindaro) «né uomo né semidio, ma dio in tutto e per tutto » .

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nanzi allo sguardo altrui; l' liì.. a�ovela presuppone un pubblico. I Una imma­ gine dell'ostentazione della ricchezza nella società romana la si può vedere nella geniale descrizione che Petronio fa della cena di Trirnalcione, ricco par­ venu.1

Benché formalmente rivolta alla comunità, la triade di 1 6b ha qualcosa a che vedere con gli avversari dell'autore e sta forse qui la sua unità, come Brown e Wengst suppongono indipendentemente l'uno dall'altro? Sulla base di 3 , 1 7 Wengst intende tutte e tre le espressioni in senso ma­ teriale, come forme di cupidigia e avarizia. Il male principale sarebbe il desiderio di essere e di possedere di più che rende vana la prassi dell'arno­ re fraterno) Brown parte dalla familiarità che i dissidenti hanno con il mondo in 4, 1 . 5 e in 2 Gv. 7, giustificandone il fervore missionario per esso, che comporta tuttavia la rinuncia di sé, e inserendo tutta la triade nel quadro del dualismo giovanneo. Scevra da implicazioni connesse col piacere, questa descriverebbe l'esistenza nel mondo al di fuori della ri­ velazione di Cristo.4 È vero che «l'arroganza della ricchezza » allude in connessione con 3 , 1 7 ai mali della società in seno alla comunità, con­ trari allo spirito dell'amore che dovrebbe regnare in essa. A ragione si de­ ve inoltre contestare l'idea che il testo di Giovanni sia interessato esclu­ sivamente al peccato sessuale e al piacere dei sensi; Èm.SlJ(Jola vuole piut­ tosto indicare, in senso lato, la condizione di totale abbandono in cui vive l'uomo. Sembra difficile arrivare a un'interpretazione unitaria più precisa. Per la spiegazione che si è data, come in precedenza per 2,1 214, si deve in generale riconoscere che vi è una certa discrepanza tra la forma espressiva tradizionale (allusione al catalogo di vizi) e la reale in­ tenzione dell'autore. x6cd. Dopo la triade di x 6b in cui si precisa più chiaramente la di­ mensione dell'essere nel mondo, segue in x 6cd un'antitesi che contiene un tipico stilema giovanneo: elvaL Èx (cf. per es. Gv. 3 ,6; 8,23 ). Con el­ vaL Èx (essere da) la lingua peculiare di Giovanni definisce l'origine e la natura di un fenomeno che rientra nel quadro concettuale del dualismo dato da cielo, Spirito, Padre - al di sopra - di contro a terra, carne, diavo­ lo - al di sotto (cf. Gv. 8,44). Indicare l'origine significa al tempo stesso definire le qualità sostanziali e il modo d'agire, cf. Gv. 3,3 1 : «chi è dal­ la terra è della terra e parla della terra (ossia di ciò che è terreno) » . Nella I Ciò vale come obiezione a joiion• che sulla scorta di Le. 1 2, 1 9 e Giac. 4, 1 6 interpreta IÌÀa�ovd�:� 'toii �1ou come eccesso di fiducia nella sicurezza procurata dalla ricchezza. 2. Petron. Satyricon 27-78. 3 Wengst, 95-97. 4 Brown, 3 23-3 26, già preceduto da Wurm, Irrlehrer, 1 1 6-1 2 1 .

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lingua di Giovanni essere dal Padre equivale a essere generati da Dio ( Gv. 1,1 3 ), a rinascere da acqua e Spirito ( Gv. 3 , 5 ) . In altre parole: chi è dal Padre si è lasciato afferrare dall'amore che il Padre ha manifestato al mondo inviando suo figlio, facendosi così uomo nuovo. Il mondo è chiu­ so all'amore. Proprio in virtù di questo deplorevole rifiuto esso diventa una forza antitetica soggiogata al male e avversa a Dio. L'amore di Dio (cf. I se) funge da catalizzatore. In reazione a esso si delinea in maniera netta il significato che l'essere assume da questo punto in avanti, ossia che ciò che è nel mondo è fuori del mondo. Le strutture fondanti dell'esisten­ za umana nella loro dimensione mondana impediscono all'annuncio sal­ vifico di Dio di entrare e, attraverso di esso, di rinnovarsi, in quanto esse sono parte del cosmo che è avversario di Dio. Naturalmente si è qui mol­ to lontani dal dualismo metafisico ostile al mondo tipico della gnosi. I7. Il mondo transeunte e la bramosia che come si è fin qui visto ne ca­ ratterizza la distanza da Dio non sono visti come spunti di riflessione sulla sostanziale caducità di tutto ciò che esiste o viene creato, né tanto meno come occasione per discutere della brevità della vita come fa Sene­ ca. 1 Una linea si snoda da 2,8: le tenebre passano (7tapa:yE'tat, cf. 1 Cor. 7,3 1 ) attraverso 2,I 7 fino ad arrivare a 2, I 8 . L'ultima ora è già qui. Il mondo ha un limite temporale, ma definito sul piano escatologico, e ciò significa in definitiva che il suo tempo è già trascorso. L'autore vuole dire ai suoi lettori che essi stanno vivendo l'ultimo atto del dramma apo­ calittico, che solo dà forma anche alla promessa del rimanere (cf. Gv. 8,3 5; 1 2,34). Essa si estende in un futuro escatologico che ha già avuto inizio nel presente nella comunità di coloro che credono e amano. A ga­ rantirlo è il «rimanere in noi•• della parola di Dio ( 14g), alla quale si conforma il nostro agire sulla base di una più naturale e profonda sin­ tonia. Fare la volontà di Dio presuppone i concetti espressi in 2,3-I I : os­ servare i comandamenti, camminare come Gesù (cf. Gv. 4,34; 6,3 8 ), amare i fratelli. Storia degli effetti. I . L'ambivalenza della concezione del mondo in Giovan­ ni si ripropone in forme diverse in Agostino, nella cui opera I Gv. 2, 1 6 ri­ corre assai spesso. Agostino si vede costretto a combattere su due fronti con­ tro pelagiani e manichei. Ai pelagiani rimprovera di lodare la bramosia cor De brevitate vitae 1 , 1 : «la maggior parte dei mortali lamenta l'avarizia della natura, che siamo generati per breve spazio di tempo, che questo periodo di tempo che ci è stato dato scorre via tanto rapidamente e in maniera travolgente . . . (Lapide, 548 cita Seneca a proposito del v. 1 7). Cf. anche GR 1 (Lidz. r 6,2.5-2.7): «non amate oro e argento né i beni di questo mondo; perché questo mondo finisce e passa, e i suoi beni e le sue opere andranno perduti» . »

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me qualcosa che è voluto e creato da Dio, perché solo essa consente loro di godere della libertà morale. Contro questa posizione Agostino insiste fino all'esaurimento sulla lettera del testo: la bramosia non è dal Padre, ossia dal Dio creatore, ma ha origine dal mondo (senzadio); in quanto concupiscen­ tia, in altre parole, essa è un accidente della natura peccatrice e come tale non è voluta da Dio. I Con ciò si pone tuttavia, come vede molto chiara­ mente Agostino stesso, l'altro problema, quello di dare una definizione del­ la bramosia in opposizione al dualismo avverso al mondo proprio dei ma­ nichei. Qui Agostino insiste sul fatto che il mondo è e rimane creazione di Dio, tentando in qualche modo di distinguere sul piano lessicale «cielo e ter­ ra » (il mondo come creazione di Dio) dal mundus (il mondo dominato dal diavolo). Egli riconosce che la bellezza del creato ha una sua importanza (consideratio pulchritudinis), criticando la bramosia per la sua inclinazione verso le false attrattive sensuali offerte dal mondo (commotio libidinis).2. Il problema è se è possibile arrivare a un'interpretazione del concetto di mon­ do tale da conciliare creazione, soteriologia e morale. Non è un'impresa fa­ cile, ed è Agostino a riconoscerlo quando a uno dei suoi avversari raccoman­ da: pugna igitur cum apostolo Ioanne, non mecum.3 2. L'interpretazione tradizionale di I Gv. 2, 1 6 segue una linea costante. Generalmente si mettono in parallelo la triade al centro del versetto e i tre peccati capitali: lussuria, avarizia e superbia (voluptas, avaritia, superbia). 4 Proseguendo su questa linea, la triade è messa in rapporto con le tre tenta­ zioni di Cristo, talora anche col peccato originale del paradiso. s I rimedi consigliati sono anzitutto le opere buone, in primo luogo la triade costituita da digiuno, elemosina e preghiera. Un rimedio ancora più efficace è offerto dalle tre raccomandazioni del vangelo che hanno assunto forma istituzio­ nale nei tre voti monastici di castità, povertà e ubbidienza. 6 3 . Giovanni di Schoonhoven, priore del monastero agostiniano di Groe­ nendaal e rappresentate di spicco della devotio moderna, è autore del trat­ tato De contemptu huius mundi,? che può fungere da modello di tutto un I Cf. (in forma antologica) Contra lulianum 3,45; 4,6 (725.739 PL 44); Opus imperfec­ tum 2,3 1 ( 1 85, 1 4 s. CSEL 8 5 , 1 ); Contra duas epistulas Pelagianorum 2,2 (461,16-2.1 CSEL 6o). In generale Dideberg, Augustin, 175-1 89. 2 Cf. Contra lulianum 4,64.73; 6,3 (768 s.n5 .8:z.2 PL 44). 3 Opus imperfectum 3 ,209 ( 503,12. s. CSEL 85/1). 4 Così, ad esempio, anche B. Hliring, Das Gesetz Christi. Moraltheologie - dargestellt {Ur Priester und Laien, Freiburg 1956, 3 8 2 s. Cf. anche R. Volkl, Christ und Welt nach dem Neuen Testament, Wiirzburg 1961, 41 0. Fra i commenti cf. Schnappinger, 453; Calmet, 646 (che si ricollega a Pitagora e a Filone). 5 Bisping, 3 1 7; Mayer, 86; Moody, 4 5 · 6 ln linea generale cf. Tommaso d'Aquino, S . th. 1-11 q . 108, a . 3 , ad 4 ; a. 4 , respondeo. 7 A. Gruijs, ]ean de Schoonhoven (I356-I43 2). Son interprétation de l Jean 2,IJ «N'ai­ mez pas ce monde, ni ce qui est dans ce monde». De contemptu huius mundi 1 -4, Nij­ megen 1967; il testo è nel vol. 1 e il commento nel vol. 3 ·

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genere letterario. Una ricca tradizione manoscritta attesta la sua diffusione nell'originale in latino e in traduzione. Una versione breve fu stampata nel corso di tutto il XIX secolo e annoverata fra le opere di Bonaventura. Il te­ sto inizia e finisce con I Cv. 2, 1 5 , e ognuno dei setti passi in cui si suggerisce un motivo per rinunciare al mondo si conclude con la citazione di I Cv. 2, 1 5 . Esaminato più da vicino, il testo mostra che il termine mondo non è usa­ to in senso ontologico ma morale. Si chiede di dire no al mondo perché con le sue inutili occupazioni e i suoi divertimenti equivoci esso è di ostacolo alla presenza di Dio. Sulla base di tali premesse l'autore non conosce nep­ pure una ricetta che consenta di vivere felicemente nel mondo. Il suo consi­ glio è in generale di abbandonarlo per vivere in solitudine claustrale. 4· L'esortazione di Friedrich Nietzsche ad amare il mondo fa da (intenzio­ nale) contrappunto a I Cv. 2,1 5 : 1 «la sua eternità, viva in eterno e per sem­ pre». 1 Potrebbe sorprendere la citazione, come ultimo esempio di questa se­ rie, del canto di Zarathustra che Gusta v Mahler inserì nel quarto movimento della terza sinfonia sostenuto da una melodia toccante e che affida alla vo­ ce di contralto. Ricorrono qui i temi fondamentali del nostro passo: la bra­ mosia o il piacere (con il dolore come sua ombra ineludibile),3 il mondo, la caducità, l'eternità. L'unica differenza è che l'eternità non ha più origine da Dio ma è vista nella dimensione temporale come eterno ritorno a cui dolore e piacere - che sono radicati nella struttura profonda del mondo aspirano ardentemente: Uomo sii attento! Che dice la mezzanotte profonda ? «lo dormivo, dormivo -, da un sonno profondo mi sono risvegliata: profondo è il mondo, e più profondo che nei pensieri del giorno. Profondo è il suo dolore -, piacere - più profondo ancora di sofferenza: dice il dolore: perisci! Ma ogni piacere vuole eternità -, - vuole profonda profonda eternità! » .4 1 Cosa che, tra l'altro, Biichsel, 3 3 rimprovera anche alla cultura protestante di fine se­ colo: «l'esortazione sarebbe stata contestata e attenuata, se non addirittura rovesciata: amate il mondo» . Gli orientamenti in merito in Baumgarten, 199 s. 2. Also sprach Zarathustra, in Kritische Gesamtausgabe vrfr, Berlin 1968, 398. 3 Ibidem: «Avete mai detto sì a un solo piacere? Amici miei, allora dite di sì anche a tut­ ta la sofferenza» (tr. M. Montinari). 4 Op. cit., 400 (tr. M. Montinari). Per la citazione di Nietzsche ringrazio il dr. Rainer Bucher. In una lettera del 29 settembre 1989 N. Walter di Jena osserva: «sono assoluta­ mente certo che la sua citazione è un rifacimento al contrario di r Gv. 2,1 5 del tutto in­ tenzionale. Citazioni bibliche del genere mettono davvero paura al figlio di un pastore protestante (di vecchio stampo) · · · " ·

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La visione negativa del mondo che emerge dai vv. 1 5 - 1 7 è indubbiamen­ te frutto delle grandi difficoltà che l'autore e la sua o le sue comunità hanno sperimentato con il proprio ambiente, ma questa da sola non può essere una spiegazione sufficiente. La profonda tensione insita nel con­ cetto giovanneo di mondo non può essere risolta facilmente ma va man­ tenuta sul piano teologico. L'autore della lettera non parla del mondo come di qualcosa che è dato per sempre. Per lui il mondo non esiste a prescindere dalla sua storia, abbraccia la storia dell'uomo e di Dio. Alla storia di Dio appartiene il nuovo atto d'amore dell'invio e della morte di croce di suo figlio, che apre al mondo un nuovo futuro. Proprio della storia dell'uomo è il rifiuto del Rivelatore a causa del quale il mondo si chiude a Dio e alla sua legge, ossia ciò che fa della bramosia in senso lato il fondamento della sua condotta. In un mondo come questo in cui domina l'empietà e le relazioni umane sono prive d'amore, per chi ha fede non c'è più posto proprio perché pratica l'amore. Anzi, i credenti de­ vono stare attenti a non fare propria, senza pensarci, la condotta di que­ sto mondo abbandonando l'amore che è il fondamento della loro vita. Perciò l'autore esorta a non lasciarsi coinvolgere dal mondo nell'ora escatologica, nel momento in cui s'incontrano l'azione di Dio e la resi­ stenza dell'uomo ( 2, 1 8 ). Se c'è ancora speranza per il mondo, questa non è venuta meno senza la croce né è finita sulla croce. Il desiderio è quello di un mondo cristiano in cui non esistono conflitti, desiderio che resta pericolosa illusione. Se in conflitto con il mondo, l'amore conduce alla sofferenza, assumendo, anche nel corso della vita del credente, la forma fondamentale della croce.

II L'ISTANZA DELL'ULT IMA ORA

( 2, 1 8- 3 , 2 4 )

La seconda sezione maggiore compresa tra 2,1 8 e 3 ,24 si occupa all'ini­ zio, in termini molto più concreti rispetto alla prima parte, dei fatti ac­ caduti nelle comunità trasferendoli in una prospettiva escatologica ( 2, 1 8-27). Se i punti della discussione avevano in origine una definizione soprattutto morale, ora acquistano in aggiunta la dimensione cristologi­ ca centrale che consente di guardare alla parusia ( 2,28-3 , 3 ) . Proseguen­ do, vengono nuovamente in primo piano, assieme alla tesi originale del­ l'assenza di peccato nei figli di Dio, le richieste in forma parenetica, per cui osservazioni di carattere strutturale inducono a considerare 2,283,10 come sezione maggiore (v. sotto), alla fine della quale ricorre la pa­ rola chiave dell'amore fraterno. Viene così indicato il tema principale di 3 , n-24 al quale subentra, a complemento di 3,1 8-24, il concetto, affine a 2,28-3,3, della pace del cuore e della franchezza dinanzi a Dio. Con la menzione dello spirito in 3 ,24 si passa alla sezione seguente che ha ini­ zio in 4,1-3 con la regola , «figlio della perdizione•> , > allude a l rito del battesimo e al dono dello spirito che vi è connesso. Il rito dell'iniziazio­ ne cristiana è messo indirettamente in parallelo col battesimo di Gesù e la sua unzione a «Cristo» . Non è affatto sicuro che nella comunità gio­ vannea il rito del battesimo, all'inizio o alla fine, prevedesse già una ve­ ra e propria unzione. 1 « Crisma » potrebbe essere piuttosto - come 'X.Ptttv in 2 Cor. 1 , 2 1 - un'allusione figurata a ciò che per il modo di vedere del credente avviene nel battesimo con acqua. Il «crisma >> del v. 27 che «ri­ mane>> e che «insegna » ricorda l'opera dello «spirito della verità >> , del paraclito, in Gv. 1 4, 1 7 e 1 4,26. Con «crisma >> s'intende infine lo spiri­ to come dono del battesimo, 1 specialmente nella sua funzione di maestro interiore dei credenti. Una definizione alternativa di «crisma » - insegna­ mento, parola di Dio, contenuto del vangelo o professione battesimale - non è opportuna.3 Anche l'intenzione esplicita di garantire l'oggetti­ vità della tradizione cristiana, accentuando l'insistenza sulle esperienze spirituali che sfuggono al controllo,4 la rende inaccettabile. Storia degli effetti. 1. È probabile che la prima menzione di un'unzione ri­ tuale vera e propria successivamente al battesimo si debba a Tertulliano.5 Nelle sue catechesi Cirillo di Gerusalemme espone la dottrina dell'unzione ('X.fltcr(J.IX) rifacendosi a I Gv. 2,20-28. L'unzione ha luogo dopo il battesimo e fa del battezzato un vero cristiano ( Catech. Myst. 3,1-7). Non è da tra­ scurare, come già in Tertulliano, il gioco di parole con crisma, cristo, cri­ stiani. 6 Oltre all'unzione postbattesimale è nota anche quella prebattesir

Brown, 348 lo ritiene «molto probabile» ; cf. il quadro generale di Prete•, 207-223. Agostino, 1 94: unctio spiritalis ipse Spiritus Sanctus est. 3 Ps.-Ilarius, 1 1 2: «unctionem», id est doctrinam. La questione è ridiscussa da R. Reit­ zenstein, Die hellenistischen Mysterienreligionen nach ihren Grundgedanken und Wir­ kungen, Leipzig 3 1927, 396 s. Esageratamente sottile de la Potterie•, 1 3 6-142. Nauck, Tradition, 94 critica il rinvio a lgn. Eph. 17,1 ( « non lasciatevi ungere dal cattivo odore del principe di questo mondo»). 4 Così Dodd, 63 s . Cf. anche Semler, 1 62: «crisma » spetta solo ai doctores; esso indica la legitima auctoritas docendi. 5 Bapt. 7, 1 : « usciti dal fonte battesimale, riceviamo l'unzione benedetta . . . unde christi dic­ ti a chrismate 6 In Catech. Myst. 3,5 l'effetto dell'unzione è x.xù'La& l.Picrt&.xvo1, in 3 , 1 addirittura 'XP'­ a't"oÌ 8È 'Y&'YOV> iniziale indica pertanto «aver parte allo Spirito santo >> . Importante è inol­ tre la norma che « in mancanza di olio o di mirra, anche l'acqua è sufficien­ te per funzione (XPi'aw) e per la consacrazione con il sigillo••, I perché da questa disposizione si riconosce la centralità del battesimo con acqua, che l'unzione con olio assunse metaforicamente e più tardi anche nella liturgia. Nell'istituzione del sacramento della cresima l'unzione con olio si accom­ pagna all'imposizione delle mani di Aui 8,17-19 e 1 9,6, che prevale nella chiesa occidentale." Non è dunque possibile che 1 Gv. 2,20 concepisca già la cresima come sacramento del dono dello spirito,3 né si può facilmente af­ fermare che il rito in questione sia stato creato partendo del linguaggio fi­ gurato di questo passo." Il testo non è che un momento di un'evoluzione complessa che vede coinvolta anche la gnosi. 2. Sulla grande importanza che l'unzione assume nella gnosi come vero e proprio rituale e insieme per la riflessione teologica, non c'è da aver dub­ bi.5 Negli Atti di Tommaso s'incontra un'unzione con olio che precede il battesimo, la quale pare prevalente rispetto al battesimo con acqua. 6 I naas­ seni, secondo Ippolito, si considerano unti «con crisma ineffabile>> / Celso cita un detto degli iniziandi cristiani: «Sono unto col bianco crisma dell'al­ bero della vita », a proposito del quale Origene afferma di non averne sen­ tito parlare neppure dai seguaci di sette gnostiche. 8 Il Vangelo di Filippo menziona cinque sacramenti e l'unzione figura al secondo posto: « Il Signo­ re ha operato ogni cosa in un mistero: un battesimo e un'unzione (XPta(.Lcx) e un'eucaristia e una redenzione e una camera nuziale>> (Ev. Phil. 68). L'elen­ co presuppone una gerarchia: «l'unzione è superiore al battesimo, perché grazie all'unzione (XPta(.Lcx) siamo stati chiamati cristiani (XPta't'tcxvac;) » (9 5 ).9 I Const. Ap. 7,2.2.,2. s. Altre attestazioni delle due forme (prima e dopo il battesimo) in PGL 444 s. v. �À111ov c 2.-3; 889 s.v. p.Upov c 3; I 5 2.9 s.v. XPiapt.& c 2. e I 5 3 3 s. s.v. 'X.PlW B 9· :t Cf. B. Neunheuser, HDG 1IV/.t., 2.9-3 3 . 3 Così Mayer, 9 8 ; Camerlynck, n s . In Baur, Briefe, 3 2.0, questo argomento funge da supporto alla datazione tarda di I Gv. 4 Così Liicke, 2.87; Luthardt, 2.39. 5 Cf. W. Bousset, Hauptprobleme der Gnosis (FRLANT IO), 1 907, 2.96-305; K. Rudolph, Die Mandiier, 11. Der Kult (FRLANT 75), 1961, I 5 5- 1 74 (per influenza del cristianesi­ mo, nei mandei l'unzione con olio subentra a una più antica «unzione» con acqua al battesimo); H.G. Gaffron, Studien zum koptischen Philippusevangelium unter besonde­ rer Beriicksichtigung der Sakramente, diss. theol. Bonn 1969, 140- 1 7 1 . 6 Specialmente Act. Thom. 2. 7 (in associazione con una epiclesi dello Spirito). V. inoltre Act. Thom. 67. 1 2. I . I 3 2.. 1 57. 7 Re(. 5,7, 1 9; 9,2.2.: 'X.P tclp.€vot CÌÀaÀf.tl 'X.PlC1fL11'"'· 8 Cels. 6,2.7. Cf. anche Iren. Haer. I,n,3-5 (l'unzione con olio consente tra l'altro al­ l'anima dei morti di risorgere); Od. Sal. 3 6,3; P.S. 1 1 2.: sphragis, baptisma e chrisma. 9 Cf. Ev. Ver. 36,1 6-2.6: . . . l'unzione è la misericordia del Padre . . . perfetti sono coloro che sono stati unti da lui . . . » . Preghiera dell'unzione con olio in Exp. Val. 40,I -2.9. •

I GV. 2,20- 2 1

Con questo caso s i è già di fronte anche alla storia degli effetti dei testi gio­ vannei, come dimostra il richiamo ai passi del vangelo in cui si parla del paraclito in H.A. 96,3 5 -97,3: « . . . lo spirito di verità che il Padre ha manda­ to. Egli insegnerà loro riguardo a ogni cosa e li ungerà con l'unzione ('X.flt­ a!Lt1) di vita eterna . . . » . Nello gnostico all'unzione è connessa la consapevo­ lezza della propria superiorità; essa lo pone su un piano superiore rispetto alla massa dei battezzati. Ciò conduce a un'altra questione che fin qui si è lasciata di proposito da parte: l'uso di «crisma » si deve soltanto a contrapposizione polemica ? Con questa etichetta gli avversari dell'autore rivendicavano a sé il pos­ sesso esclusivo dello Spirito? 1 I testi invitano alla cautela. Di «crisma» si parla soltanto positivamente; esso appare come qualcosa che appar­ tiene indiscutibilmente a tutti i credenti e dunque anche a chi nel frat­ tempo ha cercato la propria strada. Questi portano con sé quest'eredità facendola confluire nel grande fiume della tradizione gnostica. Scopo del­ l'autore della lettera non è di sottrarre il «crisma » agli avversari e di pre­ servarlo per i propri seguaci; piuttosto egli deve spiegare come la prete­ sa condivisione dello Spirito possa avere conseguenze tanto diverse, e al riguardo la linea è definita dal v. 19: loro non sono dei nostri; il loro «cri­ sma» non è vero «crisma» bensì, come si dice in 21d, menzogna. 2oa. In 2oa è il « Santo» a donare il «crisma » . L'origine veterotesta­ mentaria 2. fa pensare subito a Dio, ma nel contesto della tradizione pro­ tocristiana 3 appare plausibile anche un'interpretazione cristologica. Il confronto all'interno dell'opera di Giovanni non conduce a risultati del tutto sicuri. 4 Rimane il contesto del passo. Dal momento che t1Ù-roc; in 2 5 b e (i1t' e1ù-rou in 27b si riferiscono principalmente a Cristo e poiché a prevalere è in generale un indirizzo cristologico, è preferibile intendere anche «del Santo» in 2oa come affermazione che riguarda Cristo. 2ob-2 1 . Cristo, il Signore risorto, dona lo spirito nel battesimo ed è questa l'origine della fede cristiana. otÒtln 1ttivnc; privo d'oggetto in 2ob 1

Così intendono Wengst, Hiiresie, 48 s.; Schunack, 46; Grayston, 83 s. Cf. la denominazione di Dio come •santo d'Israele» in Is. 1,4; Salm. 71 ,2.2., e il titolo •il Santo» in Ab. 3,3; Sir. 2.3,9; cf. inoltre l'appellativo di Dio in Gv. 1 7, 1 1 . 3 Cf. •il santo di Dio» i n Mc. 1,2.4; Gv. 6,69, come del pari Atti 3, 14; Apoc. 3,7. 4 In Gv. 14,1 6.2.6 Dio invia il paraclito; in 1 5,2.6; 1 6,7 è Gesù a inviarlo. I passi in cui si menziona esplicitamente il pneuma in I Gv. 3,2.4; 4,1 3 non sono ugualmente molto chiari. Haupt, Brief, 108 individua uno stretto rapporto fra XPit&v e ày&cil:e:&v (Gv. 17,17. 1 9 ; cf. Es. 40, 1 3 ). Diisterdieck 1 , 3 5 3 s.; Morris, 1 2.64 non escludono la possibilità di identificare il «Santo,. con lo Spirito. 2.

188

DISPUTA SULLA PROFESSIONE D I FEDE BATTESIMALE

significa «voi tutti siete consapevoli» (cf. Ger. 3 1,3 4), non va dunque interpretato in senso restrittivo come «sapete (ciò) » , ossia di «possede­ re il crisma» . La conoscenza acquista contenuto soltanto al v. 21 col con­ cetto di verità. L'importanza di sapere comporta un'ulteriore assimila­ zione dei credenti a Cristo che il vangelo ci presenta come colui che sa per eccellenza. 1 L'autore si trova ad affrontare il problema che egli stesso si è creato di che cosa si debba ancora scrivere in generale a coloro che sanno, che so­ no in possesso della verità. Nel v. 21 e nuovamente ai vv. 26 e 27 egli riflette quindi sui presupposti della sua interazione con la comunità. In questo rimane fedele alla sua linea. Pur facendo parte dei depositari della tradizione, non si limita ad assumere un'autorità dottrinale formale ma fa in modo che il suo monito sia unito a ciò che egli si aspetta dal suo gruppo quanto a conoscenza di fede. Il sapere di questo è il segno di un radicamento profondo nella verità conforme all'origine e all'essenza. Per loro vale il detto di Gv. 1 8,37: «chiunque è dalla verità ascolta la mia voce» (cf. I Gv. 3 , 1 9; 4,5), cosa che stando al 2 1 d per la menzogna non vale per definizione. La frattura tra i destinatari della lettera e i dissiden­ ti, del cui errore cristologico si parla subito dopo (v. 22), è profonda e ir­ reparabile come quella che separa verità e menzogna. L'autore rispetta la fede dei suoi destinatari in quanto dono dello Spiri­ to e lo fa perché ne è profondamente convinto, non per mera tattica. Egli non si alleggerisce affatto il compito che si è prefisso quando a tutti i credenti indistintamente riconosce il dono permanente dello Spi­ rito che porta alla verità. Fanno eccezione i dissidenti: nella sua ottica questi non erano veri credenti nel senso che si è illustrato. c) Disputa sulla professione di fede battesimale ( 2,22-23 ) H. Hanse, « Gott haben» in der Antike und im frUhen Christentum. Eine religions­ und begriffsgeschichtliche Untersuchung (RVV 2.7), 1 939, 1 04- 108. 2.2.a b c

Chi è il mentitore se non colui che nega che Gesù è il Cristo? ..

Gv. 7,2.9; 8, 14; 1 3,3 ; 1 6,30; 1 8,4; 19,2.8 . .. In 2.2.c il greco presenta la negazione oùx che nella traduzione è omessa. Si potrebbe rendere in questo modo: « se non colui che mentendo (afferma): 'Gesù non è il Cri­ sto' »; a ragione Brune, 6o osserva che «l'affermazione del mentitore, benché sia marcata come negazione, si fa notare per la sua autonomia, in sintonia con il genio greco,.. 1

• • •

I GV. 2,22-2 3 d e 2.3a b c d

Questi è l'anticristo, colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque neghi il Figlio non ha nemmeno il Padre. Chiunque confessa il Figlio ha anche il Padre. 1

Nei vv. 22-23 l'antitesi fondamentale è: negare (3 volte) di contro a con­ fessare. Come soggetto sono indicati «il mentitore» (22a) e «l'anticristo» (ud). Negare e confessare hanno a che vedere con i titoli di sovranità Cri­ sto ( uc) e figlio di Dio ( 23c). In ue l'autore presuppone anche un rappor­ to con l'immagine di Dio e lo chiarisce nella quartina del v. 23 costruita in parallelo . .. La costruzione del v. 22 è analoga a quella di I Gv. 5,5: «chi è il vincitore . . . se non chi crede che Gesù è il figlio di Dio ? » . Una quartina simile al v. 23 ricorre in 5 , 1 2. 22a. Del diavolo il vangelo di Giovanni afferma in 8,44 che « in lui non vi è verità >> e che egli « dice la menzogna>> (cf. 21d), per poi giunge­ re alla definizione: «perché è un mentitore>> . Qui « mentitore>> 3 in 22a e «anticristo>> in 22d stanno sullo stesso piano, ma in accezione colletti­ va: chiunque mette in dubbio la professione di fede in Cristo attira su di sé questo giudizio ed è annoverato nella schiera degli anticristi. Gv. 8,44 contribuisce a definire il profilo mitologico. L'autore attribuisce tratti diabolici ai suoi avversari reali o potenziali. 22b. In Gv. 1 ,20 si dice del Battista: > possiedono in verità una dimensione futura che tuttavia si può raggiun­ gere con l'idea di compimento (2 Cor. 1 ,20). In virtù di questo slittamen­ to la vita eterna in 25c va concepita semplicemente come bene salvifico futuro? 3 A ciò si oppone I Gv. 5 , 1 1 : «e questa è la testimonianza: Dio ci ha dato la vita eterna >> (cf. 3 , 14). Predomina la concezione del presen­ te propria del vangelo di Giovanni, ma il concetto di «promessa » - che manca nel vangelo - unitamente alla previsione di 2,28 e 3,1-2 mette al centro dell'attenzione anche ciò che è in sospeso, che manca alla realiz­ zazione perfetta della salvezza presente. A detta dei vv. 20-2 1 il dono dello Spirito offre a tutti i credenti la mi­ glior difesa dalla minaccia dell'eresia. Al v. 24 la tradizione riprende que­ sta funzione difensiva. Si ha così un duplice baluardo la cui solidità non è tuttavia al di sopra di ogni dubbio. Infatti spirito e tradizione posso­ no, come l'esperienza insegna, trovarsi in competizione. L'autore della lettera si è evidentemente ispirato al modello del paraclito nei discorsi di commiato del vangelo di Giovanni in cui questo contrasto si dissolve in un'unità maggiore. Il paraclito annuncia il futuro senza perdere il le­ game con il passato (cf. Gv. 1 6, 1 3 - 1 5 ) . Il paraclito garantisce la possi­ bilità di manifestare, nella pienezza di spirito, ciò che da sempre era nelle intenzioni, ma che prima, in una nuova situazione, era stato for­ mulato in risposta a nuove provocazioni. Altri tentativi protocristiani di affrontare una situazione dal punto di vista teologico affidano, all'inter­ no di questo processo, all'ufficio ecclesiale il ruolo chiave di garante del­ la tradizione e della dottrina. Quale sia la posizione dell'autore al riguar­ do, è detto in 2,2 7. 1

Cf. Balz, 178; contrario Weiss, 7 1 ; conciliante Bi.ichsel, 4 1 . A eccezione d i 10,28; 1 2,25. In 6,40 la dimensione futura è dovuta principalmente a rie· laborazione. 3 Cf. Thi.ising, 87 che in tal senso intende il futuro p.ewi-n: di 24e. Marshall, 1 6 1 pensa piuttosto alla dimensione presente. 2

e) Il solo maestro ( 2,26-27) J. Bonsirven, Individualisme chrétien chez Saint fean: NRTh 62 ( 1 9 3 5 ) 449-476; G.M. Burge, The Anointed Community. The Holy Spirit in the fohannine Tradi­ tion, Grand Rapids 1987, 1 74 s.; P. Couture, The Teaching Function in the Church of I fohn (l fohn 2,20.27). A Contribution to fohannine Ecclesiology and Ecu­ menics, Rom 1968, 43-5 5; Klauck, Gemeinde ohne Amt; Sanchez Mielgo, Perspecti­ vas; Pastor, Communidad, s r-54· Per altra bibliografia v. sopra, a 2,2.0- 2 1 .

c d e

f g h

Questo vi ho scritto riguardo a coloro che vi ingannano. I E voi, il « il crisma» :z. che avete ricevuto da lui . . . nmane m vo1. E non avete bisogno che qualcuno vi ammaestri, ma come il suo 3 «crisma » 4 vi insegna ogni cosa, ed è veritiero e non vi è menzogna -, e così, come vi ha insegnato, rimanete s in lui!

sintassi di 27e-i, pur non essendo «irrimediabilmente infelice», 6 certo non è molto lineare. Nell'ipotesi che in 27e con w in 28a, &:1t' cxù-rou e cxù-rou in 28d e è� cxù-rou in 29e? Se s'intende il (J.Éve-re Èv cxù-rtj> di 27i in senso cristolo­ gico, anche 28a sarà interpretato in riferimento al rimanere in Cristo. La «sua parusia» in 28d indica il ritorno di Cristo come giudice universale. L'attributo «giusto» in 29b dovrebbe dunque valere anche per Cristo, co­ me in 2,1 (diversamente 1,9) e in 3,7, dove èxeivoç (cf. 2,6) si riferisce sicu­ ramente a Cristo. Ciò non concorda tuttavia con «generato da lui» in 29e. L'idea di una progenie di Cristo non sembra percorribile. In altri passi (3, 9 ; 4,7;5,1.4. 1 8 ) il discorso di una progenie di Dio è troppo esclusivo. La li­ nea argomentativa inoltre finisce per assimilare i credenti in quanto figli di Dio al figlio di Dio giusto, in ragione del fatto che essi fanno la giustizia. Soluzioni estreme, quali riferire ambedue i versetti a Dio e ritenere che il v. 2.8 riguardi la parusia di Dio nel giudizio,3 oppure intendere tutto in senso cristologico spingendosi fino a una progenie da Cristo,4 non vengono pre• Il greco dice cì1t' aù-tou che conterrebbe forse anche l'immagine dell'allontanarsi con ver­ gogna da lui. Per problemi legati alla traduzione, difficilmente si può paragonare a que­ sto il testo di Sir. 2. 1 ,2.2. a!ax��aE'tott à.1tÒ 1tpoaw1tou.

2.l.a Vulgata ha l'imperativo e così anche Vicent Cernuda •, 87, benché la proposizione condizionale introduttiva sia più in sintonia con una semplice dichiarativa; cf. Schnak­ kenburg, 1 67. 3 Weiss, 76; Moody, 58 s. (che si richiama a

Test. Iud. 2.2,2); Grayston, 95· 64, poi Rothe, 90 s . ; Schwertschlager, rJoh, 36 . Segue questa linea anche la ricezione del passo in Iust. Dia/. 12.3,9 (cf. Loewenich, Jo­ hannes-Verstiindinis, 46) e Ambr. De fide 4, 1 1, 1 54 (21 1,1 1 2.- 1 2.0 CSEL 78). 4 Così nell'esegesi più antica Lorinus,

202

IL RITORNO DI CRISTO

se in seria considerazione. La questione può consistere soltanto nel fatto di supporre il cambiamento di soggetto tra il v. 28 e il v. 29 e d'intendere, co­ me nell'A.T., l'attributo «giusto>> di 29b peculiare di Dio,' oppure conser­ vare integralmente la prospettiva cristologica e fare eccezione soltanto per il v. 29e. '- La seconda soluzione è preferibile. L'innegabile durezza si deve al fatto che l'autore dispone di una serie limitata di espressioni fisse, per non dire frasi fatte, che funzionano anche indipendentemente dal contesto. Tra queste anche la «progenie>> che per lui ha sempre Dio come autore. Egli può quindi consentirsi una certa trascuratezza stilistica senza timore d'essere fra­ inteso. A ciò si aggiunge sicuramente la possibilità per lui di attribuire a Cristo molte delle espressioni che riguardano Dio come «giusto>> o «santo>>, ma in ogni caso soltanto una parte, non tutte indistintamente.

Passando per il v. 27, dal quale riprende l'imperativo «rimanete in lui>>, il v. 28 richiama addirittura il v. 1 8 (cf. gli appellativi 7tCXtÒtcx e nx­ vicx, così come il xcxi vuv in 1 8d). Per il contenuto ciò significa che l'indi­ cazione temporale « ultima ora >> del v. 1 8 vale anche per il v. 28. Si par­ la di una nuova e ultima tappa che nell'ambito di un'ora escatologica è successiva all'azione dell'anticristo e ne segna la fine, a partire dalla ma­ nifestazione di Gesù Cristo come giudice potente, l'evento escatologico per eccellenza. Questo evento presenta una doppia dimensione, 1 . una cristologica e 2. una antropologica. Quella cristologica è legata alle espressioni «diventare visibile » in 28b e «parusia >> in 28d, quella antro­ pologica a «fiducia » in 28c e a «siamo svergognati>> in 28d. Si dovreb­ be pensare a un gioco di parole tra 7tcxpoucrtcx e 7tcxppT)crtcx per distinguere i due livelli nel loro intreccio. 1. Il verbo cpave:poucr-8cxt, «diventare visibile» , ricorre cinque volte in 2, 28-J ,IO con differente stratificazione temporale. In due casi ( s b/8d) es­ so indica l'evento Cristo al passato in generale. In 28b questo è orienta­ to al futuro in chiave escatologica, e così pure in 3 be, con l'unica diffe­ renza che qui non si parla soltanto del ritorno di Cristo ma anche del compimento ancora in fieri della nostra attuale figliolanza divina. 28d offre l'unica occorrenza giovannea di 7tapouaicx (su 24 del N.T. ). La va­ lenza tecnica del termine è evidente già dalla sua etimologia ( «esserci», «ora>>, da cui forse > (Èao[J.e-8a. in 2c e 2f). Al­ l'essere nella forma presente pertiene la figliolanza divina, all'essere nel fu­ turo la somiglianza con Dio e la sua visione. Nel punto di convergenza tra l'essere figli di Dio e il somigliare a lui, o meglio la visione di Dio, si collo­ ca l'essere immutabile di Dio (xa.-8Wç Èa'ttv, 2h). L'istanza mediatrice fra la condizione presente e futura dei credenti è data dalla speranza che ha ef­ fetto sulla condotta cristiana attuale, la quale a sua volta sarà improntata sull'essere di Gesù Cristo (xa.-8wc; Èxet'tloc; . . . Èa'ttv, 3c), sulla figura del figlio di Dio come amore del Padre fatto uomo. 2. In 2e, invece di ((se si manifesterà >> (ossia ciò che saremo un giorno), si potrebbe tradurre anche «se egli sarà manifesto» . Il versetto parlerebbe dunque di Cristo e del suo ritorno (non certo della venuta di Dio). L'argo-

1 Come spesso accade, una parte considerevole dei manoscritti ha qui e in Id «a voi », ma

le forme verbali concordano con la lezione «a noi » . x11Ì ècrp.év, per errore o a causa della costruzione diffici­ le che è semplificata da alcuni manoscritti latini che adottano la traduzione et simus di IC anche per la frase con rV(1 di r b; cf. Smalley, 1 3 8 . Per una visione generale della tra­ dizione e di altre varianti v. Aland, Text und Textwert r/I, 144-146. 3 Synge• adotta una diversa interpunzione e traduce: «ora siamo figli di Dio, ed egli non è stato ancora rivelato. Ciò che saremo lo sapremo quando . . . (molto inverisimile). 2.

U testo d i maggioranza omette

»

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FIGLIOLANZA DA DIO NEL PRESENTE E NEL FUTURO

mento più probante a supporto di una simile interpretazione è il richiamo alla parusia in èàv tpocvtpw.Sfl di 2,28b. �ocvtpouv non è tuttavia usato in I Gv. sempre allo stesso modo (cf. 2, 19e! ). In 3 , 5 b e 3,8d esso ha certo valenza cri­ stologica, ma qui non indica la parusia bensì l'incarnazione. Sarebbe quin­ di preferibile definire il significato dei singoli passi nel testo, perché tutto fa pensare che l' èàv �ocvtpw.Sii di 2e non sia che la ripetizione dell' ou1tw È�ocvE­ pw.SYj di :z.b, per cui entrambi riguardano l'essere dei cristiani nel futuro. 3 · La traduzione ( 2 volte). L'iniquità (2 volte) al v. 4 è asso­ ciata al peccato. Nella frase di 4c, che suona come una definizione, colpi­ sce l'uso dell'articolo, non «peccato è iniquità» , ma «il peccato è l'iniqui­ tà» come se àvo!J.LIX fosse qualcosa di noto di un certo tipo. 4· Peccato (�!Xp'tt!X ) e iniquità (cìvo(J-L!X) sono due termini che possono essere usati senz'altro come sinonimi, ad esempio in Sal. S I ( so),s LXX: «riconosco la mia colpa (cìvo(J-L�X), e il mio peccato (&.!J.�Xp'tL!X) mi sta sem­ pre dinanzi>> .3 In base a questo presupposto il v. 4 conterrebbe una sem­ plice tautologia. Ma a ciò si oppone il testo del versetto stesso. Il pecca­ to avrà almeno una qualità nuova per il fatto d'essere posto sullo stesso piano dell'iniquità. Dal punto di vista puramente testuale l'impressione è addirittura che si voglia arrivare a un'intensificazione: il peccato non è così innocuo come sembra; vuol dire ben più di quanto alcuni voglio­ no riconoscere; esso equivale all'iniquità. Il problema è allora che cosa significhi esattamente cìvo(J-LIX, perché qui può esservi un crescendo nella peccaminosità. 1

� e pochi altri manoscritti hanno «e sappiamo» .

:t � e il testo d i maggioranza leggono « i nostri peccati » . 3 Cf. Sal. p ., 1 citato in Rom. 4,7; Ger. 3 1,34 citato in Ebr. 10, 1 7; Es. 34,9; utile rasse­ gna sulla terminologia in Wade, Impeccability, 1 5 7-201.

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PECCATO E CONOSCENZA D I CRI STO

àvo!J-tGt. La spiegazione secondo cui l'autore vorrebbe dire che ogni pec­ cato materiale equivale anche formalmente alla violazione di una nor­ ma di legge, non soddisfa.' Tanto meno si fa un passo avanti definendo strettamente giudeocristiana la prospettiva dell'autore che contestereb­ be una posizione antinomistica contraria alla torà. 2. I Gv. non offre al­ cun appiglio in tal senso. Circoscrivere a priori il nomos che viene vio­ lato nell'atto dell' àvo!J-tGt al grande comandamento dell'amore,3 sul pia­ no lessicale non è ammissibile perché al riguardo negli scritti giovannei non si non usa mai VO!J-O fa pensare piuttosto il contrario. 2. Nel cap. I si parlerebbe soltanto di singoli e specifici peccati, nel cap. 3 dell'abitudine a commettere peccati che non si addice a un cristiano. Ciò troverebbe parziale conferma in parte nelle forme al presente in 3,6.9 che in­ dicano un'azione continua/ in parte nel 1toLEtv di 9ab.J Uno slittamento se­ mantico di tale portata non può fondarsi su sottigliezze linguistiche. 3· Da questa alla posizione seguente, che prevede peccati di diversa qua­ lità, il passo in avanti è minimo. Una certa attinenza, benché poco rilevan­ te, ha il riferimento nel testo al termine à:vo!Lta. nell'accezione particolare di peccato escatologico in 3,4. La teoria cattolica classica si fonda piuttosto su 5,I6- I 7 e ritiene che nel cap. I l'autore della lettera parli soltanto dei pec­ cati veniali che vengono perdonati, mentre nel cap. 3 dei peccati mortali che un cristiano non dovrà commettere.4 Agostino, per il quale il divario tra il cap. I e il cap. 3 è molto forte,5 ne ha dato un'altra interpretazione, pari­ menti autorevole, quando dopo lunga discussione nel suo commento defi­ nisce il non peccare come essere privi di colpe rispetto al comandamento dell'amore.6 4· È da considerarsi «paolina >> la soluzione del tipo di quella proposta da Bultmann: la possibilità di non peccare «è da intendere dunque come la pos­ sibilità di non peccare che il credente ha ricevuto come dono irrevocabile dell' à:yci1tlJ di Dio, possibilità che resta poi sempre da attuare» .? In termini I

Perkins, 40. Stott, 130 s. 1 3 9 s.; Ross, 1 8 3 . 1 8 5; cf. anche Galtier», 144. In disaccordo Kubo • . 3 Inman», 1 4 1 s. 4 Estius, 704; Natalis Alexander, 152- s.; Lallemant, 223. Con una visione tipicamente riduttiva, Belser, 78: peccati sessuali. Segalla " , 3 3 7 s., circoscrive il peccato di 3 ,9 al­ l'eresia degli avversari; Vitrano" individua la differenza nella disponibilità o nella man­ canza di aiuto di 2,1 . s . . est enim non parva quaestio, afferma in 246. 6 250. 26o; in proposito Dideberg, Augustin, 107-1 24, il quale sviluppa un rapporto di­ verso con il testo, al di fuori del commento. L'interpretazione di Agostino trova il con­ senso anche di Whitacre, Polemic, 1 3 7. 7 Bultmann, 58. Dello stesso parere Nauck, 98-1 22, che mette a confronto r Gv. e Pao­ lo tra loro e con Qumran, evidenziando un intreccio inscindibile di momenti dinamici e statici in rapporto al peccato e all'impeccabilità. Eichholz, Erwahlung, 19-28, adotta come chiave ermeneutica il luterano simul iustus et peccator. Posset, Christology, 232243, fa invece osservare opportunamente che riguardo a 3,9 Lutero afferma il contrario: «non stant simul peccare et nasci ex deo» (707); v. sotto. 2

.

I GV. 3 , 7 - 1 0

22 7

paolini «non fa peccato» in 9b vorrebbe dire che il credente è libero dalla tentazione del peccato, «non può peccare» in 9d collocherebbe l'azione nel futuro: rimarrà così anche in futuro, il non peccare può continuare, perché Dio non revoca il dono della nuova vita. 1 Se 9d sembra dire non posse pec­ care, in realtà il significato è solo un posse non peccare o meglio il supera­ mento attivo del non posse non peccare, della tentazione del peccato. Pur sembrando soddisfacente in termini teologici, questa soluzione pone tutta­ via limitazioni al testo di 3 ,9. 5· Un altro spunto argomentativo è fornito dall'escatologia ... Per l'attesa giudaica il tempo messianico sarà un tempo esente da peccato (Test. Lev. I 8, 9). Dio crea per gli uomini una natura nuova e giusta «affinché non pec­ chino in eterno » (Iub. 5,12). Inoltre «agli eletti verrà data la sapienza, e vi­ vranno tutti e non peccheranno più, né trascurando il proprio dovere né per arroganza, . . . e non peccheranno più» (Hen. aeth. 5,8 s.). Se si guarda a I Gv., il materiale elaborato nel cap. I avrebbe il suo contesto d'uso nella ca­ techesi battesimale. In questo momento, all'inizio dell'esistenza cristiana, il peccato e il perdono dei peccati erano un tema molto importante. La stessa tematica affiora nel cap. 3 in un contesto dai toni apocalittici. Ci si trova nell'ultima ora. La manifestazione del nostro essere cristiani prospettata in 3,2. è imminente nella sua totale pienezza. L'impeccabilità escatologica può far parte già, in una dimensione prolettica, del presente del credente. La posizione scettica del cap. I e quella entusiastica del cap. 3 definiscono due punti capitali di un percorso evolutivo. 6. Qualche ragion d'essere ha l'ipotesi che l'autore sia impegnato a discu­ tere le posizioni dei suoi avversari. Si cerca per lo più di dimostrare questa tesi mediante testi gnostici, ma lascia sorpresi quanto sia difficile trovare paralleli alla lettera. I passi addotti di Ireneo parlano dell'equivalenza con la concreta condotta morale. Lo gnostico va esente da peccato perché per lui i parametri tradizionali non hanno più valore.3 Ciò è solo in minima parte paragonabile a I Gv., e più col cap. I che col cap. 3 · Più simile è un te­ sto come Ogd. Enn. 62,3 3 -63,I4: «e chi non sarà generato da Dio dall'ini­ zio necessita di un insegnamento generale e introduttivo. Egli non sarà in grado di leggere ciò che è scritto in questo libro, anche se la sua coscienza è pura perché non fa nulla di turpe e non lo accetta. Piuttosto, egli arriva al­ la via dell'immortalità con un cammino lento e graduale. E giunge alla co­ noscenza dell'ogdoade che rivela l'enneade» .4 L'impeccabilità viene vista 59· 2. Cf. de la Potterie•, 201-208. Haer 1,6,3 s.: •perciò anche quelli che tra loro hanno raggiunto la perfezione as-

1 Cf. Schunack, 3 Iren.

soluta fanno tutto ciò che è proibito, senza timore . . . »; 25,4: •affermano che le opere buone e cattive esistono solo dal punto vista umano . . . » . Cf. in generale Sen. Ep. 72,6: •il saggio non può avere ricadute [una volta avuta ragione della malattia dello spirito] né può ammalarsi ancora una volta »; lgn. Eph. 8,2; 1 4,2. XI, 3 7 1 . Su una diversa traduzione più vicina al testo Gv. 3,9 si basa Wengst, Hiiresie, 46.

4 Secondo J. Brashler e altri, NHSt

di

r

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FIGLI DI DIO - FIGLI DEL DIAVOLO

qui non come fine ma come presupposto della crescita graduale nella perfe­ zione. Sono evidenti alcuni aspetti comuni. Non ci si può limitare semplice­ mente a porre fra virgolette i vv. 6 e 9 di I Cv. 3 come se fossero soltanto gli slogans degli avversari che l'autore della lettera non condivide affatto, ma che, al contrario, contesta con forza! Rispetto ai capp. 1-2 e a 4,20 man­ cano qui gli indizi di carattere linguistico (formule introduttive, ecc.) che non si possono integrare neppure dal contesto di 3,1- 10. Si deve partire dal pre­ supposto che l'autore stesso condivide la posizione illustrata in 3 ,6.9.

Forse la soluzione più proficua consiste nell'adottare congiuntamente le soluzioni 4, 5 e 6. In 3,9 l'autore prende posizione contro i suoi avver­ sari. Non può consentire che soltanto loro - quantomeno in teoria - sia­ no cristiani perfetti, mentre il resto della comunità sia una schiera di no­ ti peccatori. Egli condivide in parte il loro ideale di perfezione. Gli av­ versari hanno tuttavia una visione troppo statica dell'impeccabilità, che non è quella di un processo dinamico, in evoluzione. Per loro la perfezio­ ne cristiana è data una volta per tutte con il battesimo. Nessuno se ne può più allontanare e il cammino verso una perfezione ancor maggiore non ha più senso. Questa è una conseguenza logica, ma non ha alcun riscon­ tro pratico né realistico né, se si vuole, pastorale. Ma l'autore ragiona in questo modo, ossia sul piano pratico, realistico e pastorale, prendendo in seria considerazione l'elemento storico. Egli sa che i cristiani percorro­ no un tratto di strada sul quale può succedere qualcosa. Sotto questo ri­ guardo è da constatare l'insufficienza degli avversari sia rispetto alla sto­ deità dell'opera salvifica di Gesù Cristo, sia dinanzi alle condizioni sto­ riche della vita cristiana. Si può obiettare che la discussione finisce per diventare cavillosa quan­ do entrambe le parti potevano condividere le tesi fondamentali alla let­ tera. Sicuramente per l'autore non è sempre facile enucleare in termini chiari le differenze che avverte e che ritiene importanti. Ciò dipende dal comune fondamento nella tradizione. Autore e avversari si riconoscono nel vangelo di Giovanni e nella teologia giovannea. Oltre a questo è da riconoscere che la precisione nell'argomentazione e nell'espressione ta­ lora lasciano a desiderare. L'uniformità espressiva e lo stile assertivo apodittico non di rado nascondono punti deboli e lacune nell'argomen­ tazione. Se tutti i tentativi di soluzione non soddisfano, si deve lasciare la contraddizione così com'è e intenderla in questo modo: anche la vita cristiana non è esente da contrasto e tensione. In questa tensione si ri­ flette soltanto la contraddittorietà dell'essere cristiani. 1

Così Swadling• .

I GV. 3 ,7- 1 0

22 9

Storia degli effetti. La controversia su come si debba intendere I Gv. 3 ,6-9, nella storia della teologia non si è mai placata del tutto, come si è già visto sopra con l'esempio di Agostino.' I Padri orientali hanno adottato una so­ luzione più «mistica » . Massimo Confessore (vii secolo) inizia la sua esege­ si di 3,9 affermando che si dovrebbero distinguere due forme di progenie da Dio. Egli assegna al primo livello la grazia e la fede, ma l'assimilazione interiore del pneuma non ha ancora portato alla trasformazione della vo­ lontà, rimane ancora la propensione a peccare. Determinante per il secon­ do livello è la conoscenza superiore (È7ttyvwatc;) accompagnata dalla trasfor­ mazione dell'intelletto e della volontà grazie allo spirito, la quale esclude la possibilità di peccare ancora. Si giunge così alla divinizzazione dell'uomo. 2. Per quanto pertiene all'esegesi, l'impeccabilità viene qui interpretata alla luce della somiglianza con Dio in 3,2 e al tempo stesso si tien ferma la ri­ serva escatologica qui salvaguardata. In Occidente Gerolamo venne a tro­ varsi implicato in due controversie riguardo all'interpretazione del passo. Nel 393 egli lavorò alla sua opera contro Gioviniano il quale aveva affer­ mato che i battezzati non potevano più essere traviati dal diavolo, fondan­ dosi su I Gv. 3 ,9 o su 5 , 1 8 . Gerolamo ribatté in termini più puntuali con I Gv. 1 ,8-2,2, in realtà senza risolvere la contraddizione interna.3 Sostanzial­ mente identico fu il suo atteggiamento nel 4 1 5 d.C. con Pelagio,4 il quale aveva combinato Rom. 6,7 con I Gv. 3 ,9 in un originale linguaggio simbo­ lico: « un morto in genere non commette peccato. Così anche: . . . [segue la citazione di I Gv. 3,9]. Infatti chi è appeso alla croce, dove tutte le mem­ bra sono bloccate dal dolore, non può più peccare>> .5 In un'altra occasione il concilio di Trento respinse per ragioni dottrinali l'idea secondo cui chi è stato giustificato una volta non può più peccare (DS 1 5 73 : «si quis homi­ nem semel iustificatum dixerit amplius peccare non posse . . . an. s. >> ) . Ioa-c. L'aspra polemica prosegue col v. 10. L'autore della lettera ha ripreso e ampliato il titolo estremamente duro di « figli del diavolo» dal­ lo stesso passo del vangelo che riguardava il v. 8, vale a dire da Cv. 8,44 in cui Gesù rimprovera i giudei che cercano di ucciderlo: voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Que1 I passi di Ten., Pud. 19,10-28 che riguardano questo tema sono già stati esaminati in relazione a 1,8-10 (v. sopra). Per la storia dell'esegesi v. Zahn ., 3 0-43, e per accenni al­ le correnti perfezionistiche in età moderna 34 s.; Gaugler, 173 s. 2. Quaestiones ad Thalassium 6 ( 28oc-28 1 b PG 90); cf. Cramer, Catenae, 1 24-1 27; in proposito de la Potterie• , 197 s. 3 Adv. lov. 2,1-2 ( 2 8 1 d-284d PL 2 3 ) . Nel 4 1 2 recepito da Agostino (De peccatorum me­ ritis et remissione 3 , 1 3 ) in chiave antipelagiana ( 140,1-25 CSEL 6o). 4 Pelag. 1 , 1 3 ( 505a-d PL 23). In uno scritto il cui intento era di chiarire le contraddi­ zioni della Bibbia, nel settimo secolo Giuliano di Toledo, Antikeimenon 2,80.82 (703 b-c; 704a-b PL 96) si fonda interamente su Agostino e Gerolamo. 5 Pelagio In Rom. 6,7 ( 1 1 3 9 PLS 1 ) .

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FIGLI DI DIO - FIGLI DEL DIAVOLO

sto biasimo viene utilizzato per i conflitti interni alla comunità. L'auto­ re delinea un modello che per la forma è antitetico: Dio come padre e i cristiani come figli di Dio - il diavolo come padre e i secessionisti come figli del diavolo. L'antitesi non è portata avanti sino in fondo, e ciò non certo per caso ma per scelta meditata. Manca il corrispettivo di «gene­ rato da Dio » . L'autore non spinge l'analogia al punto di affermare che i peccatori sono generati dal diavolo. L'interpretazione - condivisa dal­ la maggior parte degli esegeti a partire da Agostino 1 - è questa: il dia­ volo non può creare qualcosa di nuovo. Egli non ha alcun potere crea­ tivo, generativo. Il suo è piuttosto un potere che distrugge. Le creature del diavolo non sono originali bensì parte del mondo vecchio, decaden­ te. Al tempo stesso è quindi necessario mettere un limite a una semplice dottrina della predestinazione. Nonostante il linguaggio dualistico e for­ temente mitologico, non si deve avere l'impressione che la natura uma­ na è a tal punto condizionata dal diavolo che gli uomini sarebbero co­ stretti a peccare. Peccato sono le loro stesse azioni. Per questo l'autore cerca in qualche modo di vincolare il fenomeno del diabolico nella sto­ ria a precisi comportamenti umani (così di nuovo in 10bc e più esplici­ tamente al v. 1 2). Storia degli effetti. Le sottili sfumature del testo che non usano la figura re­ torica > . In ossequio a que­ ste indicazioni si considerano unità minori i vv. I I - I 2, I 3 - I 7, I 8-22 e 2324. I vv. I I - 1 2 e i vv. 23-24 fungono da inclusione delle due pericopi cen­ trali che sono più o meno della stessa estensione. I La suddivisione non dovrebbe contemplare anche di I 6a o «in questo conosceremo» di I9a e l'allocutivo «dilet­ ti » in 2Ia? L' èv 'tOU't(jl di I 9a non si riferisce tuttavia a quanto segue ma alla parte precedente, per cui non funge da contrassegno articolatorio. 2 Nel v. I 6 si potrebbe individuare una cesura, ma non è strettamente neces­ sario, dal momento che una linea continua percorre il testo da morte e vita (l;w�) del v. I 4, passando per l'omicida e la vita (l;w�) eterna del v. I 5 fino alla vita terrena (ljiux.�) del v. I 6 e ai beni terreni (�toc;) del v. I 7. L'allocuti­ vo > o «diletti» l'autore preferisce l'allocu­ tivo fratelli, il più comune nella letteratura epistolare neotestamentaria e per molti versi senza'altro il più adatto al contesto.3 In ube Abele non è stato presentato con il nome proprio, ma come «suo fratello>> . «Fratello>> o «fratelli» è la parola guida dei versetti seguenti ( qc, I 5a, I 6d, I?b). Sul piano della comunicazione, in I 3a l'autore rende chiaro ai suoi destinatari che ciò li riguarda di persona. In I 4C soprattutto, con «i fratelli>> senz'altra indicazione aggiuntiva si designano con termine tecnico i cristiani giovan­ nei (cf. «gli amici» in 3 Gv. I 5 ). Intorno alla figura del fratello si dispongono coppie antitetiche: comuni­ tà (i cui si rivolge l'autore) e mondo in I 3ab, sul piano dell'azio­ ne «amare» ( 14c) e «non amare>> ( I4d) od odiare ( I 5a), l'omicida in I 5 bd e la missione della propria vita in I 6bd. Le due serie di coppie antitetiche si possono ricondurre all'opposizione fondamentale di morte e vita che in 14b è indicata esplicitamente (cf. I4e, I 5d). Il termine che indica la vita si presenta distinto in vita eterna ("çw�), vita terrena (ljlu'X,�, I 6bd) e beni (�loc;, 17a). Le linee si sovrappongono al punto che per la "çw� si può chiedere di rinunciare a �loc; e a 4ux� e che il venir meno al dono della propria vita porti alla morte. I3. La vicenda di Caino e Abele è stata delineata in termini tanto tra­ sparenti da consentire già di per se stessa una visione d'insieme del rap­ porto tra mondo e comunità. Seguono Abele, il giusto, i cristiani che si 1 Wohlenberg, Glossen, 7 4 7 s. vuole riferire (.1-Évouac:tv a 1 6a ( «rimanendo in lui [se. Cri­ sto], abbiamo conosciuto l'amore»); cf. Brooke, 94: •ingegnoso, più che convincente» . 2.

Per i l futuro !J.E:Vti propende J.B. Bauer, Uw> . Il significato proprio di (U'ttx�at­ vw è «passare da un luogo all'altro>> (Mt. 1 2,9), trasferirsi. Chi è ammes­ so nella comunità dei «fratelli>> ( 1 4c), ha dietro di sé un mutamento di luogo, dal luogo della morte a quello della vita, intendendo la morte co­ me caduta nella sfera negativa del mondo, la vita come bene eterno. Morte e vita. Simile in parte a questa metaforizza zione della vita e della mor­ te è Philo Fug. 5 5 : «alcuni vivi sono già morti e alcuni morti sono vivi. In­ fatti i cattivi, anche se vivono fino in tarda età, sono morti, poiché non hanno una vita virtuosa. I buoni, invece, vivono anche dopo che si è compiu­ ta per sempre la separazione dalla comunione col corpo, partecipe del deI Cf. Biichsel, 5 s; Schnackenburg, 196; contrariamente all'opinione generale, tuttavia, una persecuzione sistematica dei cristiani sotto Domiziano non ha riscontro storico an· che quando s'intenda circoscriverla all'Asia Minore. 1 Cf. Segovia, Love Relationships, 5 3 ·

stino di immortalità » ; cf. op. cit. 5 8 : la virtù è vita, la malvagità è morte; connesso con l'idea di spazio è 78: «la fuga verso l'essere della vita eterna non è la fuga da essa verso la morte? » . La differenza sta nell'antropologia di stampo dualistico e nell'orientamento moralizzante. In Gv. 5,24 la fede era il punto di svolta decisivo che rendeva possibile il passaggio a una nuova, solida, pienezza di vita nel contesto dell'esca­ tologia al presente propria del vangelo, in una prospettiva terrena e temporale. In I Gv. è l'amore per i fratelli. Il passo del vangelo può es­ sere inteso nel senso che la decisione di fede è tanto straordinaria che una volta presa vale per sempre in cielo e in terra e non la si può né ri­ vedere né perdere. Al contrario, l'autore afferma che la fede deve essere alla base della condotta di vita in un più ampio arco di tempo e di cam­ mino. Il nome per la fede che quotidianamente e costantemente si concre­ ta nella condotta di vita, è amore. 14de. Il passaggio dalla morte alla vita è al perfetto, l'amore per i fra­ telli al presente. Ugualmente al presente è l'immagine antitetica in 1 4de, il rimanere nella morte che fa da pendant alla mancanza d'amore. Nei commenti al passo si discute se l'amore sia la causa reale o il fondamen­ to conoscitivo dell'avere la vita, se, in altre parole, 14c si riferisce a 14b (il nostro mettere in pratica l'amore come condizione per passare alla vita ) oppure a 1 4a (in virtù dell'amore per i fratelli sappiamo della no­ stra nuova condizione che ci è donata indipendentemente da ciò). A prescindere del tutto dalla questione di quanto le categorie possano in generale avere una causa reale e un fondamento conoscitivo, la risposta dipende dalla definizione del rapporto tra fede e amore, compito che le pericopi che seguono impongono sempre più risolutamente. Chi in vir­ tù dell'amore è fedele al primato e all'ordine dato dalla fede considere­ rà la prassi dell'amore fraterno non solo il presupposto necessario e suf­ ficiente per entrare nella vita, ma anche un'anticipazione della nuova vi­ ta che risplende nella realtà della comunità. Al passaggio dalla morte alla vita corrisponde necessariamente l'insegnamento della nuova pras­ si della convivenza contrassegnata dall'amore reciproco. L'amore si re­ alizza nel rapporto. Vivere significa stare in relazione, e la mancanza di relazione equivale alla morte.

1 5 a-e. Nella struttura profonda del testo (v. sopra), non amare equi­ vale a odiare e a morire. Che il sentimento di odio porti con sé un oscu­ ro istinto omicida e che talora conduca all'omicidio (cf. Deut. 1 9, 1 1 ), è un'ovvietà psicologica nota anche agli antichi. Test. Gad 4,6 ne forni­ sce una formulazione teologica: «come l'amore vorrebbe far vivere per-

MISSIONE DI VITA fino i morti e vorrebbe richiamare indietro coloro che sono stati condan­ nati a morte, così l'odio vorrebbe ammazzare chi è vivo e non vorrebbe che vivessero coloro che hanno commesso un piccolo peccato» (tr. P. Sacchi). Anche la prima antitesi del discorso della montagna si fonda su questo: l'ira nei confronti del fratello rientra già nella proibizione di uc­ cidere del decalogo (Mt. 5 , 2 1 -22). 1 « Omicida » :z. in I 5 bd è ripreso da Gv. 8,44 in cui è attributo del diavolo. Il v. 1 2 ha già illustrato questo con­ cetto con l'esempio di Caino. Quanto al sapere dei destinatari cui si ri­ volge I se, non è necessario ricorrere a principi giuridici che come Gen. 6,9 prevedono la pena di morte per l'omicidio. Ciò che in I 5 de si dice in proposito, si fonda in effetti ancora sulle tradizioni di fede che non so­ no fissate nel vangelo di Giovanni. In un'altra traduzione molto diffusa, I sde potrebbe creare difficoltà: «che nessun omicida ha la vita eterna che dimora in lui » 3 (per la costruzione cf. Cv. 5,3 8 ). L'aveva quanto me­ no in forma provvisoria e temporanea per poi perderla nuovamente ? In termini giovannei questa sarebbe una contraddizione interna. Basta sem­ plicemente stabilire una duplice contrapposizione rispetto a chi crede e ama. Questi, come è detto in Gv. 5,24, ha la vita eterna, e questa vita dimora in lui, o meglio egli dimora nella vita. Chi odia non ha la vita eterna, non ha alcuna « dimora » e non ha nulla che rimane, fatta eccezio­ ne, se guardiamo a I4e, per la caduta terribile nella morte. I 6a-b. « L'odio uccide, l'amore si lascia morire per noi » : 4 in queste parole il nesso del v. I 5 col v. I 6 trova una definizione precisa. L'autore adotta con accortezza la forma al passato: «abbiamo conosciuto» e usa «amore» in senso assoluto, senza attributi o specificazioni. Egli vede l'amore nella sua essenza,S e ciò è possibile solo se si ha come modello il dono della vita di Gesù dettato dall'amore, e quindi se ne assumono le caratteristiche e si pone così il fondamento della prassi cristiana del­ l'amore. Gesù (Èxe:i'voc; in I 6b) ha dato la vita « per noi » . In un'ottica di storia della tradizione questa affermazione si fonda sul repertorio di formule protocristiano in cui l' ump soteriologico è largamente attestato. Sotto l'aspetto sistematico si tratta della proesistenza di Gesù, dell'esse­ re per gli altri, che caratterizza e costituisce la sua natura. C'è una parti­ colare affinità con le formule di abnegazione della letteratura epistolare, 6

1 86 a proposito del v. 1 5 : «eco dell'insegnamento di GesÙ » . Per il greco classico cf. Euripide, Iph. Taur. 3 89, del resto molto raro: cf. Liddell-Scott, 141; più frequente nei Padri, ma per Gv. v. PLG 1 40. 3 Così ad esempio Schneider, 1 57, e p. 1 5 8 per problemi d'interpretazione. 4 Windisch, 1 2.5. 5 Bengel, 1 0 1 3 : «amoris naturam». 1 Cf. Smith,

:z.

24 3 con una differenza. 1 6b non usa (7ttXpa)ò�oovcu, «consegnare » , ma -r�­ -8ÉvtX�, letteralmente « deporre» (così Gv. 1 3 ,4 a proposito delle vesti di Gesù) oppure « mettere» , o, per il cristianesimo delle origini, Giac. 2,I 5 s.: «se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi ma non date loro il necessario per il corpo, a che serve?••. ll rimprovero per la scar­ sità degli interventi a favore dei bisognosi diviene da questo punto di vista un espediente efficace per discreditare gli avversari; cf. Ignazio riguardo ai sostenitori di dottrine deviazioniste (he:poòo�ouv'ta.ç): ). Chi vi riconosce un ac­ cenno inatteso ai depositari della tradizione tenderà a fare lo stesso an­ che qui in 6a-e. Non è così facile trovare una risposta chiara. L'autore vuole spiegare il successo palese degli avversari e la sconfitta totale del resto della co­ munità. Egli interpreta il rifiuto del mondo esterno come segno di ele­ zione da parte di Dio per il proprio gruppo ristretto - uno dei modi pre­ diletti per superare i conflitti che presenta però i suoi rischi e tende a una mentalità settaria. Adottando il noi dei depositari della tradizione, vale la condizione posta da 2,27. L'autore rivendica al suo gruppo anche se non ancora direttamente il diritto gerarchico d'impartire direttive. In caso di accordo, si tratta piuttosto di accettare la teologia giovannea nella forma specifica in cui è stata già sostenuta dall'autore e dalla sua scuola e nella forma in cui ora è nuovamente formulata. Non si devono legittimare disposizioni disciplinari, bensì la parola profetica che ispira­ ta da Dio continua a rendere vive le tradizioni originarie. L'ammonizione del v. 6 ad ascoltare i depositari della tradizione ha un corrispettivo fun­ zionale nella finalità del prologo di creare comunione fra i destinatari e il gruppo dei testimoni. Si fanno chiari saldi nessi tematici che collegano la confessione allargata del v. 2 e le forme alla prima plurale del v. 6 con I,1-4. Nel caso di 6a-e è quindi preferibile pensare a un noi esclusivo. Storia degli effetti. Il «noi» del v. 6, inteso come «noi>> dei depositari dell'au­ torità gerarchica, 1 nell'esegesi cattolica è stato proiettato sulla domanda che emerge dal v. x : a chi spetta il compito di verificare gli spiriti? La risposta classica, come quella data da jean de Lorin nel xvn secolo, è: unum opor­ tet in Ecclesia summum Iudicem questionum, de fide, moribusque. Is est sine dubio Pontifex Romanus. 1 Riconoscere ai semplici fedeli il diritto di mettere alla prova gli spiriti annullerebbe la gerarchia. 3 Il criterio median­ te il quale essi possono riconoscere di avere lo spirito giusto si limita alla do­ cilità nei confronti del magistero ecclesiastico." Al riguardo l'esegesi protezione: il noi indica non soltanto i testimoni oculari e i primi annunciatori di I,1-4, bensì •tutti coloro che sono al servizio della predicazione», ma non la comunità nel suo insie­ me; più conciliante Ruckstuhl, 6 1 ; Dodd, 100: «la chiesa nella sua totalità, che parla at­ traverso i suoi maestri responsabili i quali incarnano la tradizione apostolica autentica». 1 De Ambroggi, 2.58: «S. Giovanni parla in nome della gerarchia ecclesiastica e del suo magistero» . :t Lorinus 98. 3 Così, testualmente, Bonsirven, 1 89. 4 Op. cit., 196; Lallemant, 2.40.

27 6

SUCCESSO E INSUCCESSO COME CASO ESEMPLARE

stante si mostra talvolta critica, ad esempio Baumgarten che a proposito del v. 6 sostiene che qui si avrebbe «chiaramente a che fare con la concezione pressoché definitiva della chiesa cattolica » e che in una determinata pratica di queste parole riconosce «la fonte di ogni presunzione spirituale e gerar­ chica» . 1 Sulla base dell'esegesi più appropriata del discernimento degli spi­ riti come compito, altri autori giungono al rifiuto di principio di qualsiasi rivendicazione di primato avanzata dal pontefice romano ... Anche queste posizioni si spingono oltre la lettera del testo. Senza dubbio l'esame degli spiriti è una questione che riguarda tutti i destinatari, singolarmente e co­ me comunità nel suo insieme. Ma non riguarda soltanto la confessione, che l'autore e la sua scuola hanno trasformato appunto nella finalità della pro­ va. La costituzione della tradizione e della confessione interagisce con la verifica e il giudizio ispirati, ma non si esaurisce semplicemente in ciò.

6f. 6f funge da conclusione non soltanto dei vv. s-6 ma del testo di 4,1-6 nel suo complesso con i due criteri di discernimento, i quali svilup­ pano un unico tema in modi diversi (v. sopra ). L'effetto prodotto dalla molteplicità degli spiriti, demoniaci e divini, è stato chiarito. I fenomeni dello spirito appartengono per la loro origine a due livelli opposti, che più in alto sono rappresentati dallo spirito della verità e dallo spirito del­ l'inganno. Nei discorsi di commiato « spirito della verità » è sinonimo del paraclito che il Padre invia ai discepoli come rappresentante di Gesù che fa ritorno al Padre ( Gv. 1 4, 1 6-q). Si attribuiranno quindi le com­ ponenti teologiche del concetto di spirito in I Gv. 4,1-6 alla figura del paraclito nel vangelo, la cui missione consiste nell'insegnamento, nella trasmissione e nell'interpretazione della tradizione di Gesù, e inoltre an­ che nel discernimento e nel giudizio ( Gv. 1 6, n ). Comprensibilmente l'autore non può utilizzare di nuovo il termine «paraclito» perché in 2, 1 lo aveva riservato a Gesù in quanto intercessore celeste. Egli indica in­ vece col termine crisma lo spirito in funzione di maestro, e lo spirito con funzione di discernimento con quello di pneuma. I due spiriti. L'urto di spirito e antispirito, spirito della verità e spirito del­ l'inganno in I Gv. ha un parallelo spesso notato nella Regola della settq. di Qumran.3 Nella lunga catechesi di 1 QS J , 1 3 -4,26 si dice: > che le forze del male inculcano negli uomini (A.]. 5 5,8 ). Il discernimento degli spiriti implica la capacità di riconoscere e distin­ guere lo spirito della verità e lo spirito dell'inganno come grandi forze 1 •Spirito dell'errore» anche in Test. Rub. 3,2; Test. Sim. 3,1; Test. Iud. 14,8; Test. Zab. 9,8 ecc.; un'eco ancora in Henn. Mand. 6,2 1: «due angeli stanno accanto all'uomo, l'an­ gelo della giustizia e l'angelo della malvagità » . 2 Il contrasto tra verità e giustizia s'incontra anche i n Trae. Trip. 109,37 s.; Eug. 77,8 s.; Apoc. Pt. 77,24-26.

IL CANTICO DELL'AMORE

ispiratrici. Solo così è possibile trovare la propria collocazione nella di­ visione tra un mondo che si chiude a Dio e cede al dominio dello spiri­ to dell'inganno, e una comunità che rimane fedele alla parola dell'annun­ cio originario e ai suoi depositari, facendo così spazio all'azione dello spirito della verità. Anche i depositari della tradizione devono sperimen­ tare con dolore che la loro parola è rifiutata. L'autore della lettera, che è uno di loro, riconduce il successo apparente degli altri alle loro parole conformi al mondo, e il fallimento reale, visibile, implicito in ciò, a un discorso coerente con la confessione. Dio, che è il più forte, dona la forza della fede che ha la meglio sulla propaganda degli avversari. 2. IL CANTICO DELL'AMORE (4, 7 - 2 1 )

La pericope seguente, più corposa, dell'ultima parte si estende da 4,7 a 4,2r . Normalmente il titolo «cantico dell'amore» è riservato a I Cor. 1 3, ma anche nel canone veterotestamentario c'è uno scritto chiamato «Cantico dei cantici» , che contiene una raccolta di inni all'amore. Con­ siderando che I Gv. 4,7-21 è imperniato sul tema dell'amore, che ha già un suo peso anche soltanto statisticamente,' è ragionevole prendere a prestito il titolo dall'Antico Testamento e dall'esegesi paolina e appli­ carlo al nostro passo. Nella prospettiva di I Gv. l'autore della lettera, dopo 2,7-n e 3,n17 (oltre al doppio comandamento di 3 ,23 ), torna dunque a parlare per la terza volta dell'amore. Ciascuno di questi interventi risulta più esteso del precedente. Lunghe parti constano di ripetizioni. Tutto ciò che pre­ cede viene integrato nella sostanza. Al tempo stesso ogni nuovo inter­ vento consiste anche di un particolare accento, perché all'ampliamento del tema si accompagnano una profondità e un'apertura di pensiero sempre maggiori. L'intento generale è preannunciato in 4,8c in una su­ bordinata, e in linea di principio viene ricondotto al centro come prin­ cipale in 4,1 6d: «Dio è amore» . Talvolta si avverte l'assenza di un collegamento fra 4,1-6 e 4,7-21,'­ ma ciò si lascia vedere da sé quando si consideri che funzione di 3 ,2324 è d'introdurre all'ultima parte. Il duplice comandamento della fede e dell'amore necessita d'essere approfondito in entrambi i suoi elementi 1 12 volte il sostantivo «amore», 1 5 il verbo «amare» e con questo per 2 volte l'allocuti­ vo «diletti» . Sulle testimonianze di à:yci1tl) al di fuori del cristianesimo e sulla sua impor­ tanza anche per la definizione di a,;opy� (amore familiare), ipwç (amore erotico) e cptÀta (amore amicale) cf. in breve (con bibl.) Spicq, Notes 1, 1 5-30; O. Wischmeyer, Vorkom­ men u. Bedeutung von Agape in der ausserchristlichen Antike: ZNW 69 ( 1978) 2 1 1-38. 2. Bonsirven, 198 sottolinea che «non è possibile individuare né raccordi né nessi» .

2 79

I GV. 4 ,7- 2 1

costitutivi. Ciò avviene per la fede in 4,I -6, per l'amore in 4,7-21, per tutte e due insieme, ancora una volta in 5 , I - 5 . 4 , I 3 C torna inoltre a par­ lare del pneuma e 4,I 5ab della confessione (e così pure I 6ab, forse, del noi testimoni), per cui fra le due pericopi c'è anche un rapporto diretto. Articolazione della pericope. Ancora una volta è da registrare la sorpren­ dente varietà di proposte contrastanti riguardo alla suddivisione della peri­ cope in unità minori. 1 Le forme allocutive di 7a e I I a sono soltanto d'aiu­ to immediato. Anche Èv 'tOU't(j) in I 3 a e I 7a può valere come confine strut­ turale, pur ricorrendo Èv 'tOU't(j) anche in 9a e Ioa e, soprattutto, non essen­ do chiaro per I 7a se Èv 'tOU't(j) si riferisca a quanto precede o a quanto se­ gue. I punti veramente difficili si trovano infatti ai vv I 3 e I 7. Il v. I 3 è un tipico versetto di raccordo al pari di 3 ,24cde, dove ricorrono gli stessi ele­ menti essenziali: 3,24cde 4, I 3 E in questo conosciamo In questo conosciamo che rimane in noi, che rimaniamo in lui ed egli in noi, dallo spirito che ci ha dato. poiché ci ha dato dal suo spirito. Si sarebbe allora tentati di vedere in 4, I 3 la conclusione dell'unità preceden­ te in analogia con 3,24.1 Per la frase con il doppio éht, tuttavia, Èv -.oU..(j) do­ vrebbe rinviare a quanto segue, il che fa sembrare più sensata una sezione prima del v. I 3 · Il v. I 6 viene spesso suddiviso in modo tale che con «Dio è amore» in I 6d abbia già inizio l'unità seguente,3 suddivisione che appare conveniente, specialmente se Èv -.oU..(j) in I7a segna un momento retrospet­ tivo. Determinante per la suddivisione qui proposta è che le formule d'im­ manenza reciproche in I 3 b e I 6fg formano un'inclusione attorno all'unità dei vv I 3 -I6 (qualora si preferisse considerare invece il v. I 3 in rapporto ai vv I I- I 2, questo argomento sarebbe da modificare nel senso che le for­ mule d'immanenza del v. I 3 e del v. I 6 costituiscono ciascuna una breve unità). Nel v. I 9 l'affinità contenutistica con il v. I I suggerisce di vedere qui l'inizio dell'ultima unità minore. .

.

.

In quanto

segue si è cercato di enucleare con l'introduzione dei sottotito­ li determinati aspetti tematici dell'amore che si riflettono in primo luo­ go nelle rispettive pericopi: l'origine dell'amore (4,7- Io), la risposta del­ l'amore (4, 1 I - 1 2), l'esperienza dell'amore (4, I 3 - I 6), il futuro dell'amo­ re (4, I 7- I 8 ), la prassi dell'amore (4, I 9-21 ). 1 Rassegna approfondita in Brown, 545-546; v. anche D.M. Scholer, I fohn 4:7-Z I : RExp 87 ( 1 990) 309-3 14: 3 10 s. 2. Così Malatesta, Epistles, 3 6 s.; Thiising. 140; Bonnard, 9 5 · 3 Ad esempio Schneider, 1 68; Williams, 49 s . ; a l contrario, con una cesura tra i l v . 1 6 e il v. 17, Ross, 2.05; Michl, 2.39 s.

a) L'origine dell'amore (4,7- 10) A. Boutry, Quiconque aime est né de Dieu (I ]ean 4,7) : BVC 8 1 ( 1 968) 66-70; R. Canning, The Unity of Love for God and Neighbour: Aug ( L ) 3 7 ( 1 987) 3 8 - 1 2. 1 ; C. Charlier, L 'amour en esprit (l ]ean 4·7-IJ): BVC 10 ( 1 9 5 5 ) 57-72.; Chmiel, Lumiè­ re, 1 5 6- 2. 1 2; D. Dideberg, Esprit Saint et charité. L 'exégèse augustinienne de I ]n 4,8 et I6: NRTh 97 ( 1 975) 97-109. 2.2.9-2.50; M. de Jonge, To Love as God Loves (l fohn 4,7), in Idem, Jesus . Inspiring and Disturbing Presence, Nashville 1974, n o1 2.7; E. Schweizer, Zum religionsgeschichtlichen Hintergrund der «Sendungsfor­ mel» Gal. 4,4{. Rom 8,3{. ]oh J,I6{. I ]oh 4,9: ZNW 5 7 ( 1 966) 1 99-21 0. Si veda anche la bibliografia a 4, 1 3 - 1 6.

7a b

c d e 8a b

c 9a b

c

1oa b c

d

Diletti, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio, e chiunque ama/ è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, 1 perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio tra noi, che Dio ha mandato il suo unico figlio nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui. In questo consiste l'amore: 3 non che noi abbiamo amato Dio,4 ma che egli ha amato noi e ha mandato il figlio suo in espiazione per i nostri peccati.

Nonostante, o proprio a causa della sua monotonia, lo stile del passo pre­ senta addirittura qualità ritmiche e poetiche. In 7a c'è assonanza tra l'apo­ strofe CÌT!11tl)'tOL e l'esortazione CÌT!11tW(.J.EV; CÌÀÀ�Àouc; continua l'allitterazio­ ne della vocale iniziale; CÌTcX1tl) in 7b.8c e CÌT!11twv in 7c.8a danno ai primi due versetti una singolare ridondanza sonora. 7b e 8c, disposti chiasticamen­ te, racchiudono un'antitesi costituita dalle frasi parallele in 7ce e in 8ab.5 Anche i vv. 9 e 10 presentano un'architettura parallela. Nella protasi han­ no Èv 'tOU'tq.l e CÌTcX1tl), nell'apodosi segue una formula d'invio in missione in 9b/1 0d con una direzione e una finalità specifici. In 1obc s'inserisce una cop­ pia di frasi antitetiche che costruisce l'opposizione TJ(.J.Eiç/i](.J.cic; vs. !1Ù't/x,/-8E6v 1

A integra 'tÒv -8t6v. Invece dell'aoristo A legge un presente (come in 7e), �. v• hanno il perfetto. 3 � legge «l'amore di Dio». 4 Assieme a B hanno il perfetto pc , contro la stragrande maggioranza dei testimoni che presentano l'aoristo. 5 Bultmann, Analyse, 1 1 7, attribuisce alla Vorlage 7cde e 8abc (con riserve); nel com­ mento (70) si limita a 7cd e a Sab; considera aggiunta redazionale «come espiazione per i nostri peccati» in 1od (Redaktion, 3 9 3 ). O'Neill, Puzz/e, s o mantiene i vv. 7-8 nella ver­ sione originaria dello scritto e omette i vv. 9-1 1 . 2.

I GV. 4,7- 1 0

tutta intorno a l verbo «amare». Èv 'tOU'tq> introduttivo ai vv . 9a e I O si rife­ risce a quanto segue. Il passaggio dal perfetto (9b) all'aoristo ( I od) all'inter­ no della formula d'invio rimane una variazione stilistica priva di valenza se­ mantica. 7· L'esortazione ad amare gli uni gli altri coincide nella lettera al co­ mandamento dell'amore reciproco in 3,1 1 e alla sua ripetizione in 3 ,23 . Spiegheremo ora perché in 3 ,23 è stato possibile dire «il suo (di Dio) co­ mandamento» . L'amore ha la sua origine in Dio e la sua natura è con­ formata a questa origine. Se si aggiunge ·h4 dove in ultimo si dice che i destinatari sono da Dio, con una sorta di sillogismo se ne può dedurre quanto segue: i destinatari devono a Dio la loro nuova origine come cre­ denti; l'amore è ricondotto a Dio in quanto punto d'origine; di conse­ guenza il credente è al contempo colui che ama. Il profondo intreccio fra i due diversi topoi che è molto difficile rielaborare sul piano concettuale è evidente dalla ripetuta combinazione in 7de dei due noti versetti, os­ sia la progenie di Dio (cf. 2,29; 3 ,9 ) e la conoscenza di Dio (cf. 4,6). La progenie di Dio è espressa nella forma al passato. Essa precede nella real­ tà e nel tempo - così si dovrebbe dire - la prassi dell'amore. Quest'ulti­ ma funge da segno di riconoscimento mediante il quale è possibile ac­ certare la propria origine. In 7e si parla della conoscenza di Dio al pre­ sente, poiché tale conoscenza ha valore di segno permanente della co­ munione fra chi ama e il Dio dell'amore. Conoscere Dio è il comple­ mento dell'essere amati da Dio. In 2,4-5 la conoscenza di Dio aveva co­ me condizione la fedeltà ai suoi comandamenti la cui molteplicità pre­ ludeva già tuttavia all'unico comandamento dell'amore. 8. Nell'antitesi del v. 8 si dice, nella forma al passato, che chi non ama non ha conosciuto Dio. L'atto della conoscenza non si è ancora realiz­ zato o è già fallito, come risulta dalla mancanza dell'amore. Nell'affer­ mazione conclusiva ricorre per la prima volta il detto pregnante che Dio è amore. Se si guarda solo alla struttura della frase ciò ha anzitutto a che vedere col problema della conoscenza. Conoscere significa sempre anche essere giusti nei confronti dell'oggetto della conoscenza, soprattutto quando il processo conoscitivo ha luogo nella sfera personale. Nel mo­ dello opposto la cui natura è definita dall'amore, una conoscenza che non aderisce alla verità di questo amore fallisce inevitabilmente. Per il soggetto che conosce, l'amore ha una funzione di introduzione alla co­ noscenza. Nel contesto più circoscritto dei vv. 7-8 la frase, dal tono de­ finitorio, «Dio è amore» riprende l'altra motivazione di 7b «poiché l'amore è da Dio » . Ambedue hanno lo stesso valore di «Dio è amore» e «l'amore è da Dio», come nel cap. I risultavano allo stesso modo equi-

L'ORIGINE DELL'AMORE

valenti le due affermazioni «Dio è luce» ( r ,sd) e «egli è luce» ( r ,7b). Queste possibili variazioni sono un avvertimento a non dare peso ec­ cessivo a frasi del tipo «Dio è . . . » . La tesi centrale adeguato al contesto è l'ultimo appellativo di questo tipo in tutta la lettera (a eccezione di «figli» in 5,2 I ). n h e nh contengo­ no il comandamento dell'amore reciproco che funge da leitmotiv. Con la visione di Dio in na (cf. I4a.2.og) e la sua permanenza in noi vengono in­ trodotti altri concetti generali. Non sono riconoscibili indizi di rielabora­ zione di un modello. 1 Anche l'ipotesi secondo cui la menzione della visio­ ne di Dio spetterebbe al v. 2.0 e sia finita qui per errore,'" non ha molta consistenza.

«Se così Dio ci ha amati» (v. ua) continua la meditazione su Gv. 3,16 ( «Dio ha tanto amato il mondo . . . » ) iniziata con il v. 9· Ma a dif­ ferenza di Gv. 3 , 1 6 qui non segue una frase con wan.3 Non è quindi af­ fatto sicuro che ou-tw� debba essere inteso anche qui nel senso di «così tanto» , «così spropositatamente» , « in modo tanto eccessivo» . Può vo­ ler dire anche e più semplicemente •• a questo modo >> , «con questa dimo­ strazione d'amore» .4 Nel trascurabile «così» sta infatti l'invio di Gesù dei vv. 9-10, la sua vita terrena e la sua morte che la fede intende come sacrificio d'amore dell'unico figlio per mezzo di Dio. Come conseguen­ za ci si sarebbe aspettati in verità: dunque anche noi dobbiamo amare Dio per ricambiare un simile amore. Ma la risposta all'amore appare un po' diversa. L'amore di Dio non si esaurisce nella persona del Padre e del Figlio, ma si estende al di fuori donandosi al mondo e all'uomo. Chi si trova entro il campo di forza dell'amore riceve anche questo impulso a mettersi in cammino: verso gli altri, verso i fratelli. Sul piano teo-logi­ co, ma non senza rapporto con l'evento Cristo, viene simulato il processo conclusivo che in I Gv. 3 , 1 6 è già avvenuto una volta sul piano cristo1 1.

1

Bultmann, 73 n. 5, ritira ciò che aveva osservato al riguardo in Idem, Analyse, 1 1 7. Cf. Shutt•; Houlden, 1 1 4; in disaccordo Moore•. 3 Biichsel, 7 0 adduce a confronto un passo di Flavio Giuseppe Ant. 8,173: «si vorrebbe lodare Dio che ha amato tanto (oU..w.; ) questa terra e i suoi abitanti da (wa't'E) farti re» (la costruzione è la stessa di Gv. 3,I6). 4 L'argomentazione di Spicq• , 3 67-369 è l'esatto contrario: non «a questo modo», ma •in misura tanto eccessiva» ; di diverso parere Diisterdieck n, 298 s. z.

288

LA RISPOSTA ALL'AMORE

logico. Poiché Cristo ha dato la sua vita per noi - così vi si dice -, an­ che noi dobbiamo dare la nostra vita non direttamente per lui, ma per i fratelli nella comunità dei credenti (cf. Gv. I 3 , I 4; I Gv. 2,6). I 2a-c. Il v. I 2 fornisce una prima risposta, ripresa nuovamente al v. 20, alla domanda del perché il nostro amore reciproco non sia rivolto direttamente a Dio ma prenda la «via indiretta » dei fratelli - sempre che si possa parlare in generale di «via indiretta » di fronte al movimento ge­ nerale dell'amore nella sua unitarietà. Il v. I 2, nel contesto e in rappor­ to a Gv. I , I 8 , ha inoltre la funzione di consolidare la necessità della me­ diazione cristologica per sperimentare l'amore intenzionale di Dio e per la risposta dell'uomo all'amore. La ragione sta nel fatto che per l'espe­ rienza veterotestamentaria e giudaica I sulla terra non si dà visione di­ retta di Dio. 2 I Gv. 3 ,2 l'avrebbe riservata a una fase di perfezionamen­ to, come una delle poche promesse salvifiche che non si sono ancora rea­ lizzate nel presente. Possiamo vedere Dio così com'egli è soltanto alla parusia, quando è chiaro che diventeremo definitivamente figli di Dio. Applicare questo concetto al nuovo contesto vorrebbe dire: soltanto al­ lora vedremo anche l'amore puro. Nell'esegesi di 3 ,2 si è già fatta os­ servare una serie di affermazioni nel vangelo di Giovanni che ha inizio alla fine del prologo in I , I 8 : nessuno ha mai visto Dio, solo l'unico figlio l'ha fatto conoscere (cf. 5,37; 6,46).3 Con questa tesi all'evangelista in­ teressa soprattutto garantire l'esclusività dell'azione rivelatrice di Gesù, probabilmente in competizione con la dottrina giudaica secondo la qua­ le quantomeno Mosè ed Elia avevano avuto il privilegio di una visione diretta di Dio. Soltanto Gesù può parlare di Dio per esperienza perso­ nale. Di questo topos la lettera fa un uso diverso. Con esso dà una rispo­ sta negativa a qualsiasi tentativo di voler vedere Dio direttamente o in­ direttamente, sia per Gesù Cristo sia per i fratelli. Che questa fosse una aspirazione dei suoi avversari o corrispondesse alla loro convinzione I Cf. Es. 3 3,2.0; Deut. 4, 1 2.; Philo Post. 168: «è proprio impossibile che il Dio che è sia percepito da una creatura »; Ios. Be/l. 7,346. Per altra documentazione e bibliografia v. sopra, p. 2I I e n. 1 . 2 Van der Horst• pensa a un gioco d i parole con .9e6c; e .9eàa&t come possibile etimolo­ gia di -Be6c; in età precristiana. Il passaggio da .9eàa.9cu del v. I 2 a bpàv del v. 20 e in altri passi affini non è, diversamente da quanto avviene in I,Icd, significativo. Probabilmente la scelta di .9etia.9c:tt si spiega in prospettiva del v. 14; qui per ragioni interne non poteva esserci una forma verbale diversa, come illustrerà il commento. 3 Nell'ambito della storia delle religioni cf. R. Bultmann, Untersuchungen zum ]ohannes­ evangelium B, in Idem, Exegetica. Aufsatze zur Erforschung des Neuen Testaments, Tii­ bingen I967, I 74-I 97; Strecker, 238 s.; per il materiale giovanneo v. Theobald, Fleisch­ werdung, 3 62-3 7 1 .

I GV. 4 , 1 3 - 1 6

rientra nella sfera delle possibilità. Rispetto a ciò l'autore rinvia a Gesù Cristo, il quale incarna l'amore di Dio fatto uomo (cf. Gv. 14,9 ), e alla comunione dei figli di Dio. La formula d'immanenza in 1 2c assume in questo caso una connotazione inconfondibilmente ecclesiologica. Una comunità siffatta, e solo questa, può essere certa della permanenza di Dio al suo interno. ud. Nell'esegesi del v. 1 2.d si ripropone l'annosa discussione se «suo amore» indichi il nostro amore per Dio o l'amore di Dio per noi. r La prima ipotesi non pare qui affatto plausibile. Chiedersi se intendere amo­ re di Dio non sia molto più ovvio è un problema che ha già creato qual­ che difficoltà nell'esegesi di 2,5 b: com'è possibile affermare che l'amore proprio di Dio trovi il suo compimento? Ciò introduce un elemento di sviluppo nel concetto di Dio minandone l'unitarietà ? A commento di 2, 5 si è già osservato che l'amore di Dio, che è orientato a noi, trova il suo compimento nel sacrificio della vita da parte di suo figlio e che rag­ giunge il suo scopo nei credenti quando questi si lascino coinvolgere in questa dinamica fino a offrire la propria vita per gli altri. I due versetti si trovano intercalati fra la pericope sull'origine dell'amo­ re di 4,7- 10 e quella tematicamente affine sull'esperienza dell'amore di 4,1 3 - 1 6. Nella struttura generale del cantico dell'amore essi sono molto simili al discorso sulla prassi dell'amore in 4,19-2 I . La dinamica del­ l'amore che ci fa suoi procedendo da Dio esige una risposta, e questa de­ v'essere data nella prassi. Solo dove i credenti mettono in pratica l'amo­ re fraterno nella comunione, l'amore di Dio trova una dimora permanen­ te giungendo a quel compimento per il quale la risposta dell'uomo è in­ dispensabile.

c) L 'esperienza dell'amore (4, 1 3 - 1 6) J.C. Coetzee, The Holy Spirit in I fohn: Neot 1 3 ( 1 979) 43-67: s s -61; A. Dalbesio, Alcuni aspetti esperienziali della 7tta'ttc; e dell' à:y,bTj in IGv: Laur. 29 ( 1988) 3-34; A. Feuillet, «Dieu est amour» : EeV 8 1 ( 1 97 1 ) 5 3 7-548; J.H. Greenlee, A Misinter­ preted Nomen Sacrum in 1'9: HThR 5 1 ( 1958) 1 87; E. Jiingel, Gott ist Liebe. Zur Unterscheidung von Glaube und Liebe, in Festschrift fur Emst Fuchs, Tiibingen 1973, 193-202; E. Malatesta, T�v à:ya7tTj'll tv (sic) €xet o &:òc; iv lJ[J.ÌV. A Note on I fohn 4:16a, in The New Testament Age n (Fs B. Reicke), Macon 1984, 301-3 1 1 ; E. Schiitz, Die Vorgeschichte der johanneischen Forme/: o -8eòc; à:yli'ltTj ia'tlv, diss. theol. Kiel, Gottingen 1 9 1 7. Si veda anche la bibliografia a 4,7- 10. 1

Come documenta Brown,

s:z. I .

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L'ESPERIENZA DELL'AMORE

In questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi, che egli ci ha dato del suo Spirito. E noi - noi abbiamo visto e testimoniato che il Padre ha inviato il figlio come salvatore del mondo. Chi confessa che Gesù I è il figlio di Dio Dio rimane in lui ed egli in Dio. 1 c 1 6a E noi - noi abbiamo conosciuto, b e abbiamo creduto 3 l'amore, c che Dio 4 ha in noi. d Dio è amore, e e chi rimane nell'amore, f rimane in Dio g e Dio rimane in lui. 1. In accordo con la suddivisione proposta (v. sopra), la pericope presenta tre formule d'immanenza, all'inizio in 1 3 b, nel mezzo in 1 5c e alla fine in 1 6efg. 5 La loro particolarità è che tutte e tre mostrano una forma di reci­ procità e sono costruite con il verbo (LÉVEtv. Vi si può ravvisare un'intensifi­ cazione in quanto alla fine in 1 6efg (LÉVEtv ricorre ben tre volte. Un'amplifi­ cazione analoga investe anche la tesi «Dio è amore» in 1 6d. Al patrimonio tradizionale 14c aggiunge una formula d'invio (cf. 9d. 10d) e 1 5 b una for­ mula confessionale (cf. 2b). Un altro tratto interessante sarebbe il paralleli­ smo di 1 4ab e r 6ab: a ciascun enfatico «e noi>> in funzione d'introduzione corrispondono due forme verbali, con un'eccezione al perfetto. Nell'esegesi del passo ci si dovrebbe porre subito il problema se questo aspetto possa far pensare alla distinzione di tre gruppi di « noi » . 2 . I l v . 1 3 d i per sé è una ripetizione quasi letterale d i 3 ,24cde. A pre­ scindere da cambiamenti di tempo semanticamente poco significativi (òÉòw­ xEv in 1 3c invece di ÉÒwxEV in 24e), ci sono due differenze: la formula d'im­ manenza in 3,24d non esprime reciprocità (diversamente da subito sopra, in 24b) e in 24c si dice sì ma in dipendenza da «conosciamo••, non come in 1 3 c da ÒÉÒwxEv. L'introduzione convenzionale « in questo cono­ sciamo» dev'essere riferita a quanto segue: riconosciamo la nostra imma­ nenza con Dio (prima frase con O'tt come contenuto della conoscenza) nel do­ no dello spirito (seconda frase con o'tt come criterio della conoscenza). 13a b c 14a b c 1 sa b

I

B integra «Cristo», senza dubbio per analogia con 4,2. P9 legge b &� (oppure e1Ù'roc;) èv ClÙ'rlj'l è:a-ttv. 3 A cambia al presente la forma al perfetto. 4 A detta di Greenlee," stando a p9 si deve ricostruire qui la lezione Xpta't�. s Bultmann, Analyse, I I 8 assegna I 6efg alla fonte, ma non torna su questo punto nel commento; O'Neill, Puzzle, 50 s., vorrebbe riconoscere in I 3C-I 6c la mano del glossato­ re; un sospetto simile per 1 3a-I6c si trova già in Loisy, 566. :1.

I GV. 4 , 1 3 - 1 6

13. Poco prima ( ubc) il dimorare di Dio in mezzo a noi è stato messo in relazione con la prassi dell'amore reciproco da parte nostra. Il v. 1 3 sviluppa ulteriormente l'idea d'immanenza con l'integrazione di un altro elemento, il nostro rimanere in Dio, attribuendo così a questo al tempo stesso una dimensione più individuale che prevale nei vv. 1 5 e 1 6. Il genitivo partitivo «del suo spirito » si comprende alla luce di Gv. 3,34: al suo inviato, che dice la sua parola, Dio dà lo spirito in quantità. Solo Cristo è il portatore dello spirito per antonomasia. Con ciò non si dice che i credenti ricevano in proporzione soltanto una minima parte dello spirito • o che in conformità alla dottrina paolina dei carismi si dovreb­ be pensare ai molteplici e diversi doni dello spirito. 2 Lo spirito rimane spirito di Dio e investe per intero soltanto Cristo. Ciò che Dio dà di que­ sto spirito a tutti i credenti si fonda nondimeno sulla rivelazione e la ma­ nifestazione che egli dà di sé (non da ultimo perché egli stesso è spirito, cf. Gv. 4,24). Poiché anche l'amore appartiene alla natura di Dio e nel contesto si preferisce parlare di questo, è d'obbligo pensare a Rom. 5,5: «l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito san­ to che egli ci ha dato » . È tuttavia da tener conto anche dell'aggiunta di Rom. 5,6: Cristo è morto per noi empi peccatori. Non per nulla in I Gv. 4, 14- 1 5 ricorrono più avanti formule della tradizione di fede protocri­ stiana che individuano l'atto d'amore di Dio nell'evento Cristo. Nella prospettiva dei discorsi di commiato del vangelo, lo spirito prolunga nel presente della fede l'invio di Gesù che rimane, una volta per tutte e in maniera irripetibile la dimostrazione dell'amore di Dio per eccellenza. Lo spirito appare quindi nel v. 1 3 , malgrado il contesto, non solo come portatore dell'amore divino ma, in linea con il doppio comandamento di 3,23, anche come portatore della fede,3 la quale sola apre la via alla vita divina e alla realtà dell'amore. I versetti seguenti parlano dell'espe­ rienza dell'amore di Dio in Gesù, suo figlio, della sua testimonianza e del­ la confessione di fede. 14ab. «Abbiamo visto e testimoniato» in 14ab fa di nuovo risuonare le note che dal prologo della lettera abbiamo ancora all'orecchio. «Ciò che abbiamo visto» ( 1 ,1d) - dicevano di se stessi i depositari della tradi­ zione - «lo testimoniamo» ( 1 ,2c). La frase è un'aggiunta del vangelo di Giovanni riguardo al discepolo diletto in 1 9,3 5 : «chi ha visto ne dà te­ stimonianza » . I Gv. 4, 1 4 adotta quindi lo stesso noi esclusivo che il pro­ logo della lettera riservava ai testimoni oculari e ai membri della scuola 1

Cf. l'obiezione di Baumganen, 2r4: «O tutto oppure niente, ma mai in parte». Da ultimo in Estius 732 ( «de varietate charismatum» ); Chaine, 205. 3 Cf. soprattutto de la Potterie, Vérité, 297-306. 2

L'ESPERIENZA DELL'AMORE

giovannea e che forse fa furtivamente capolino anche in 4,6 (v. sopra) ? Contro la limitazione del noi a i testimoni oculari s i può obiettare che il prologo della lettera stabiliva una differenza tra «vedere » e «contem­ plare» . Solo il vedere si riferisce al fatto storico che di per sé non dice ancora molto. Il contemplare rinvia a una visione più profonda alla qua­ le giunge soltanto l'occhio dei discepoli che hanno fede. Qui, in 1 4a, s'in­ contra «contemplare» , non «vedere» . A parte questo, del prologo rima­ ne soltanto il testimoniare che è piuttosto atemporale. Mancano le affer­ mazioni significative sull'udire con le proprie orecchie e sul toccare con le proprie mani. In I4C l'oggetto indiretto del testimoniare e, indiretta­ mente, anche del contemplare, è un frammento del patrimonio formula­ re protocristiano. Qualsiasi credente potrebbe ripetere questo riepilogo retrospettivo dell'evento salvifico cristologico, e ciò ovviamente vale an­ che per la confessione del v. I 5 . 16ab. Si giunge così a l v. 1 6ab, dove del gruppo del noi si dice di nuo­ vo che esso ha conosciuto e creduto. Ciò non presuppone - così si do­ vrebbe intendere - un'ulteriore delimitazione, qui è necessario usare il noi comunicativo ed esso deve comprendere la comunità intera. Ma pro­ prio in questo caso la prudenza è opportuna. Sorprende la forma al per­ fetto, e in Gv. 6,69 a nome degli apostoli Pietro dice: « e noi abbiamo creduto e abbiamo riconosciuto » .

Forma col «noi» . I modelli interpretativi proposti sono questi: a ) a l v. 14 e al v. 1 6 ( ! ) il noi si riferisce esclusivamente alla cerchia giovannea dei te­ stimoni, ossia agli apostoli; 1 b) il noi del v. 14 e del v. 1 6 è da intendersi come noi comunicativo e riguarda la totalità dei cristiani giovannei; 1 c) il noi indica nel v. 1 4 i testimoni oculari e i depositari della tradizione del prologo della lettera, mentre nel v. 1 6 tutti i credenti senza distinzione.3 Il passaggio dal noi comunicativo della comunità nella sua totalità (v. 1 3 ) al noi esclusivo della scuola (v. 14) e, di nuovo, al noi comunicativo (v. 16) appare certo difficile, ma non impossibile se si considerano le peculiarità sti­ listiche di I Gv. Tra il v. 1 3 e il q basta la ripresa di xa.l TJ(J-E�c; a segnalare nel testo il cambiamento di referente, e tra il v. 1 4 e il v. I 6 il cambiamento è sufficientemente anticipato e giustificato sul piano del contenuto dal v. 1 5 .

A fare da sfondo all'interpretazione è la pericope su Tommaso di Gv. 20, 24-29. 4 Qui s'incontra qualcuno che non ha visto, al quale in via ecceI

De Ambroggi, 2.63; Rhote, 149. 1 5 1 s.; Wolf, 2. 1 3 . 2. 1 5 . Bruce, I I 1; Brown, 5 2. 2. s.; Marshall, 2.2.0 s . Smith, 192. pensa (in via ipotetica) a un •noi editoriale• . 3 Bisping, 3 5 3; Diisterdieck n , 3 I I-3 1 3 ; Schnackenburg, 2.42.. 2.44; Wengst, 1 87. 190. 4 Cf. il rimando in Brooke, 1 2.2.. 1

I GV. 4 , I J - I 6

29 3

zionale s i concede questa possibilità ancora una volta, ma che alla fine deve sentirsi dire: «Beati quelli che pur non vedendo hanno creduto» (v. 29). Ancora attuale è chiedersi se i primi testimoni non hanno qual­ cosa di determinante in più rispetto ai cristiani successivi e se ciò com­ porta uno svantaggio ingiustificato per chi è nato dopo. Il prologo della lettera con la sua distinzione fra depositari della tradizione e comunità suscita proprio queste obiezioni. I vv. 1 4- I 6 offrono implicitamente una risposta al riguardo. Nel v. I4 a parlare sono ancora una volta i depo­ sitari della tradizione, ma la dimensione propriamente storica è intenzio­ nalmente ridotta. Già per i primi testimoni è importante non il vedere ma il contemplare con gli occhi della fede, è importante la testimonian­ za continua. Tutti gli elementi fondamentali sono entrati a far parte della tradizione di fede protocristiana, di qui la formula d'invio di J4C. I destinatari non hanno alcuno svantaggio se si trovano soltanto in que­ sta continuità, e lo sono se pronunciano la confessione del v. I 5 (anche a Tommaso in 20,28 rimase per ultima la confessione). Nella seconda frase con noi al v. I 6 i destinatari si trovano in effetti al livello dei de­ positari della tradizione. Contemplare e testimoniare si trasformano in conoscere e credere. Il prologo della lettera e i vv. I4- I 6 così si integra­ no. Nel prologo l'autore ha fissato per iscritto il collegamento storico con la tradizione di Gesù nel suo nucleo essenziale, il che fu necessario in vista delle sfide poste dal pericolo di una teologia astorica a cui gli av­ versari aderivano sempre più. Qui l'autore intraprende su un altro pia­ no teologico una relativizzazione per lui, a quanto sembra, altrettanto fondamentale. Il collegamento storico è indispensabile, ma non è tutto. I fatti storici restano morti se non sono interpretati con la fede. L'avvi­ cinamento a Gesù nella fede è possibile anche per i posteri. Ciò peraltro concorda, ed è un'ulteriore conferma, con la posizione dell'autore sulla questione del ministero (v. a 2,27). La priorità storica non diventa prio­ rità strutturale. Se nel prologo della lettera i depositari della tradizione vengono prima degli altri credenti, ciò non ne legittima la rivendicazio­ ne di un primato sulla comunità. L'unico servizio da rendere è di man­ tenere salda la confessione pronunciata da tutta la comunità. 14a.c. Dopo aver definito l'impostazione della pericope nel suo com­ plesso, è il momento di tornare su alcune importanti singole constata­ zioni. Nel cantico dell'amore «abbiamo contemplato» in 14a è in con­ trasto con «nessuno ha mai visto Dio » in I 2a. Si può contemplare sol­ tanto ciò che è divenuto visibile in Dio. L'amore di Dio è divenuto visi­ bile in Gesù Cristo. Il contemplare del v. 14 presuppone la riserva del v. I 2. Gesù Cristo viene contemplato, ed è una questione di fede perce-

2 94

L'ESPERIENZA DELL'AMORE

pire in lui Dio che si rivela. La formula d'invio di 1 4c, la terza dopo 9b e 1 0d, si serve del piuttosto raro titolo cristologico di « salvatore (aw-rljp) del mondo» . La forma verbale corrispondente ricorre nel vangelo in Gv. 3 , x 6- x 7, passo quindi che costituiva già il fondamento dei vv. 9- 1 0: « af­ finché il mondo sia salvato (aw-8fl) per mezzo di lui » . aw't"ljp. I LXX usano aw't"�l? come predicato di Dio senza alcun particolare consolidamento terminologico, I e così anche Filone, il quale tuttavia tende alla psicologia (cf. Ali. 3 ,27 : Dio come salvatore dell'anima, e così pure Con(. 93: > (così il testo di KD IV/2, 8 5 8). Ma a detta di Barth ciò avviene soltanto a condi­ zione che per principio «i due termini» abbiano «lo stesso contenuto>> (ibid. ), solo così l'inversione è al sicuro da fraintendimenti. Coerentemente alla sua impostazione dialettica, questa certezza conduce Barth a separare in sostanza l'amore cristiano dall'amore umano, perché il primo non ha nulla a che vedere con « le forme di questi altri, neppure con la più grande e pura di esse» (op. cit., 834). Al contrario, ci si dovrebbe chiedere se una frase come «Dio è amore» in assenza di precomprensione da parte dell'uo­ mo, senza una conoscenza intuitiva di che cosa sia effettivamente l'amore, non si perda inascoltata nel vuoto. Di Dio in quanto amore parliamo in 1

Bultmann, 7 1 .

L'ESPERIENZA DELL'AMORE certa misura sempre in analogia con le esperienze che gli uomini fanno con l'amore. Compito della teologia è fare attenzione che un'utile analogia non si ribalti subdolamente in identità. La frase che quindi ne consegue, « l'amo­ re è Dio », in questo quadro concettuale analogo vorrebbe in effetti dire che non è più indispensabile che l'amore si realizzi tra gli uomini e che abbia­ mo attribuito il nome di Dio a un concentrato di queste esperienze. 1 Le nostre potrebbero sembrare soltanto finzioni accompagnate da possi­ bilità e timori in astratto. Non è così. Anche Ludwig Feuerbach, al quale si deve una delle armi più potenti dell'arsenale dell'ateismo teoretico, nella sua Essenza del cristianesimo ( 1 84 1 ) viene fuori con queste parole: «Dio è l'amore. Questa frase è il culmine del cristianesimo>> . :t Ma egli interpreta quest'affermazione fondamentale, in cui di soppiatto ha introdotto l'artico­ lo davanti ad amore,3 in modo tale che l'amore sia il soggetto e Dio il predi­ cato, > (448); è ammesso soltanto il timoroso rispetto che deriva «dall'ammirazione per la maestà e la santità divine» (449), non dalla paura. Nella storia dell'esegesi e della devozione, in cui non si può ne­ gare qualche dubbio, Pfister si distingue per affermare che l'annuncio cri­ stiano non desta nuove paure, ma anzi rielabora un'angoscia che già esiste 1

Fug. 9,3; 14,2 ( I I46,23-30; I I 5 5, 1 6-2o CChr.SL 2); Scorp. 1 2,4·5 - I I ( 1 092,27-1094, 1 5 ). z. H. C. Ballenstedt, Philo und Johannes oder neue philosophisch-kritische Untersuchung des Logos beym Johannes nach dem Philo, nebst einer Erkliirung und Uebersetzung des ersten Briefes Johannes aus der geweiheten Sprachen des Hierophanten, Braunschweig 1 802, 168. 1 80 s. 3 Anche Agostino associa questo salmo a I Gv. 4, 1 8; per i testi corrispondenti cf. Dide­ berg, Augustin, 1 90-20 1 . 4 S i muovono su questa linea, per esempio, Cramer, Catenae, 1 3 5- 1 3 7 (che s i basa su Massimo Confessore); Salmeron, 297; Estius, 73 5 s.; Vrede, 1 7 1 . s I numeri di pagina che seguono rinviano a O . Pfìster, Das Christentum und die Angst ( 1 944), Olten 11975·

mirando a sconfìggerla. Questo potrebbe essere indicato come problema per il presente. Nessuno vorrà un cristianesimo privo di paure, ma I Gv. 4,r 8 consente di annunciare un cristianesimo senza angoscia, invece di pronun­ ciarsi sull'efficacia pedagogica della paura e sul suo uso moderato. Anche in questa breve rassegna non si può tacere dell'arguzia di cui Bengel dà prova nel suo inimitabile stile aforistico. Egli distingue quattro atteggiamenti dei quali soltanto l'ultimo, agli occhi dell'autore di I Gv., sarebbe stato giustifi­ cato come comportamento cristiano: senza paura e senza amore; con pau­ ra, ma senza amore; con paura e con amore; senza paura, ma con amore. I I veri figli di Dio vivono senza paura. Per loro il giorno del giudizio non significa castigo ma, se si ripensa a 3 ,2, diventare simili a Dio e vedere

direttamente Dio. Questo nesso trasversale è legittimo perché si chiama in causa l'affinità che già c'è con Cristo come fondamento della somi­ glianza promessa con Dio in r 7c. Il giudizio divino rimane senza dub­ bio l'orizzonte ultimo della nostra responsabilità e della nostra azione. È alla nostra portata. Il futuro dell'amore nella sua compiutezza consi­ ste nella possibilità per coloro che sono amati da Dio - noi siamo que­ sto e nient'altro - di guardare a questo orizzonte con serenità e fiducia. e) La prassi delramore (4, 19-2 I ) 19a b 2oa b c

d e

f g h 21a b c

I

Noi amiamo,1 perché egli 3 per primo 4 ci ha amati. Se qualcuno dice: «amo Dio» e odia suo fratello, è un mentitore. Infatti chi non ama suo fratello, che ha visto non può amare Dio s che non ha visto. E questo comandamento abbiamo da lui, 6 che chi ama Dio, ami anche suo fratello.

Bengel, 1 0 1 6. �ecc. integ�ano -.òv -8Eov, V Byz. aù-tov, cf. Metzger, Commentary, 7 14. 3 A lat. hanno come soggetto b &� in luogo di aù-toc;. 4 7tpw-.oc; viene spesso modificato nell'avverbiale 7tpw-.ov, «anzitutto» o «prima » . 5 Il testo d i maggioranza h a qui, con A , l a domanda retorica: «come (11:wc;) può egli ama­ re Dio»; rassegna in Aland, Text und Textwert 1/ 1, 1 57 s. 6 Invece di «da lui» A legge «da Dio», corretto nella sostanza. 1

3 10

LA PRAS S I DELL'AMORE

1 . «Amare>> ricorre sette volte e il suo opposto è «odiare» in 2oc che peral­ tro equivale a « non amare». Nei vv . 20-21 oggetto di «amare» sono alter­ nativamente Dio e il fratello. Con questi elementi sono costruite le tre coppie di frasi in parte antitetiche, in parte parallele: amare Dio e odiare il fratello in 2obc; non amare il fratello e non amare Dio in 2oe-h (con l'ul­ teriore antitesi di «avere visto» e « non avere visto » ) e infine, per così dire in funzione di soluzione, amare Dio e amare il fratello in 2 1 be. 2. In 1 9a si discute se sia preferibile intendere IÌ:yiX7tW!JoEV come esortazio­ ne a cui pare far pensare anche la lezione con oòv in A: «amiamoci dun­ que», «perciò amiamoci» . Ma il verbo in 19a è preceduto da un �l'EL> in 1df e 2.b; «vittoria » in 4c al quale si riferisce «vincere il mondo» in 4bd e sb; in 4d (unica attestazione del sostantivo nella letteratura giovan­ nea, Apocalisse esclusa) dal quale dipende «credere» in u e se. Resta quin1

xcxt

2.

è dato tra altri da� A e dal testo di maggioranza; è omesso da B. osserviamo (TIJPW!J.t'Y) i suoi comandamenti• in analogia

3

Sulla lezione «la vostra fede» fornisce abbondante materiale Aland, Text und Textwerl

� K L P Byz. leggono: « l'uso linguistico corrente.

•••

l/I, I 59·

4 8É è in� e in B (in posizione diversa); manca nel testo di maggioranza.

al­

I GV.

5,1-5

3 21

di escluso i l tema dell'osservanza dei comandamenti di Dio in 2d e 3 bc. È subito evidente che I. in quanto istanze dominanti dell'intera pericope amo­ re e fede sono ancora una volta reciprocamente intrecciati, ma con la preva­ lenza della fede, che 2. con la progenie di Dio e l'osservanza dei comanda­ menti ricompaiono inoltre i concetti chiave dei capp. 2-3 , e infine che 3 · la sfera semantica della vittoria introduce una nuova sfumatura. Tra gli espedienti linguistici e stilistici noti sono usati: gli inizi di frase al participio con 1tlic; o in ud (cf. 3,4a, ecc.) oppure 1rliv 'to in 4a; 1 formule definitorie in 3 a e 4c introdotte da «questo è» e così pure una costruzione tipica in 2a in cui Èv 'tOu'tcp non si riferisce al v. I 1 bensì più avanti alla pro­ posizione con O't!Xv in 2c, 3 che qui regge la subordinata, anch'essa comune, con Mv. In analogia a 2,3 la proposizione con o'tt in 2b fornisce dunque il contenuto della conoscenza e la proposizione con O't!Xv in 2cd la ragione della conoscenza ( 2d non può essere sicuramente interpretata come princi­ pale indipendente, bensì è coordinata alla subordinata).

Iah.c. Il v. I inizia nello stile delle frasi antitetiche del cap. 3 , ma que­ sta volta è solo la parte positiva a essere sviluppa ta. Il corrispettivo nega­ tivo c'è già, per così dire, in 2,22-23,4 dove ricorre in forma di negazio­ ne anche la confessione «Gesù è il Cristo» (2,22c) citata da I b. Il v. 5 use­ rà invece l'altro tipo di frase, > non sono «altro che ombre, imitazioni e copie della prima amicizia verso i geni­ tori e dei fratelli per i fratelli che la natura ha inculcato nei bambini » . Si de­ lineano qui i punti di convergenza fra l'etica familiare che riguarda il fra­ tello e l'etica dell'amore amicale, che possono essere utilizzati per interpreta­ re l'amore fraterno tra i credenti della comunità giovannea. 2. Il v. 2 ha sempre opposto grande resistenza all'esegesi. Più precisa­ mente, il problema è che qui l'amore per Dio dovrebbe allo stesso tem­ po fornire il criterio di riconoscimento per la prassi dell'amore frater­ no, mentre 4,20 presuppone piuttosto il contrario e 2,3 indica nell'osser­ vanza dei comandamenti il criterio di conoscenza, non solo per l'amore per Dio ma anche per la conoscenza di Dio. Il motivo e l'oggetto della conoscenza sono stati qui semplicemente scambiati, per trascuratezza se non addirittura per distrazione? " Il desiderio di evitare il sospetto evi­ dente di un circolo vizioso ha dato luogo a interventi nel testo che con lie­ vi aggiustamenti arrivano al risultato seguente: in questo riconosciamo che amiamo Dio, se amiamo i suoi figli,3 dunque il contrario di quello che c'è nel testo. Altri esegeti interpretano alla luce del v. 1 : dalla nor­ ma generale qui fissata e dalla sua concreta applicazione sappiamo che dobbiamo amare i figli di Dio quando amiamo Dio. 4 Se ci si attiene all'interpretazione ovvia sul piano puramente linguisti­ co, per cui effettivamente 2b fornisce ciò che si conosce, ossia l'amore fraterno, e 2cd la base della conoscenza, ossia l'amore per Dio e l'osser­ vanza dei comandamenti (più in breve), ci si dovrebbe anzitutto chiede­ re che cosa ci sarebbe di tanto terribile in un ragionamento circolare. Non è forse possibile che l'interpretazione prudente di Bultmann colga il cuore del problema: «si formerebbe per così dire un circolo, incom­ prensibile a uno spettatore esterno, comprensibile invece a chi sta den1

Cf. in particolare Frat. Am. 20 (49oe) e Betz, op. cit., 260. Cf. la critica perspicace ma anche eccessiva di Baumgarten, 216, il quale lamenta «lo stile giocoso e leggero dell'autore», poiché questi si limita a rovesciare «il rapporto logi­ co fra le due entità » volendo cogliere «nell'amore di Dio che non è visibile né soggetto a controllo,. )'«amore fraterno che invece è sempre considerato per la sua esperibilità ». 3 Riportata da Diisterdieck 11, 3 3 5 s.; Holzmann, 3 54 4 Così Marshall, 227 s., il quale riconosce apertamente che •così Giovanni afferma ciò che ci si attenderebbe da lui»; Kohler, I 65 s. discute la soluzione esegetica che si fonda 2.

·

sul

v. I .

LA VITIORIA DELLA FEDE

tro il circolo come soggetto-oggetto dell'amore» ? 1 Certamente non lo si può dimostrare a nessuno, esterno né tanto meno avversario, ma la di­ mostrazione non è neppure lo scopo di questa singolare logica della fe­ de che presuppone nei destinatari la conoscenza approfondita della teo­ logia giovannea e che vuole rafforzarne la fede in un momento in cui la stabilità interna è in discussione. Non ci si deve tuttavia accontentare di questo, perché il testo stesso compie un passo avanti quando nella frase che segue definisce il nostro amore per Dio un fare, ossia l'applicazione concreta dei comandamenti di Dio. Nella loro molteplicità i comanda­ menti convergono nell'unico comandamento dell'amore fraterno che dà la sua impronta alla condotta generale dei credenti. Anche qui, come pri­ ma, si potrebbe avvertire una tautologia: l'amore fraterno ( 2b) è rico­ noscibile dalla realizzazione del comandamento dell'amore per i fratelli (2d). Da una parte vale quanto sopra si è detto in merito al sospetto del circolo vizioso: circoli viziosi e tautologie non sarebbero così terribili quando si parla dell'atto di fede. Gli strumenti espressivi linguistici cozzano contro un limite. Dall'altra l'amore fraterno, che in 2b e 2d è visto da due prospettive, assume anche una sfumatura particolare per il fatto che l'affermazione centrale di 2c riconosce un criterio di cono­ scenza nel nostro amore per Dio. Si spiega così, in particolare, da dove il nostro amore per i fratelli riceva stimoli e la possibilità di realizzarsi, perché, ad esempio, in caso di estrema necessità possa diventare sacrifi­ cio della vita per gli altri in analogia col dono della vita da parte di Ge­ sù ( 3 , 1 6).1 Nel testo, come in vario modo sottolinea la letteratura ese­ getica, si pone in effetti una doppia delimitazione: soggetto dell'amore per i fratelli sono solo coloro che amano Dio di per sé e, quando si con­ sideri il v. r, si riconoscono in Gesù Cristo, in altre parole i cristiani, e oggetto del loro amore sono soltanto i figli di Dio, ossia i membri della stessa comunità salvifica. Non si deve vedere in questo una critica nei confronti dell'amore umano nella sua dimensione meramente naturale e filantropica, la cui validità o meno non è qui in generale oggetto di di­ scussione) È piuttosto un'allusione ai secessionisti.4 I tentativi di porre dei limiti nei loro confronti hanno fatto sì che il movimento circolare dell'amore avvenisse nella sfera chiusa di una comunità (per la questione 1 Bultmann, 8 1 ; cf. Moody, 103 : •l'amore è un circolo perfetto che procede in entrambe le direzioni » . 1 Cf. Thiising, 164. In una nota a margine del manoscritto Hans Weder fa osservare che «l'amore fraterno è ambiguo proprio in quanto è un'opera» . 3 Cf. ad esempio Hauck, 143: «qualcosa d i ben diverso dalla semplice umanità terrena•. 4 Brown, 538. 5 66 s. la interpreta esclusivamente nell'ottica della polemica contro gli av­

versan.

I GV. S , I - S

di quanto questo atteggiamento sia da considerarsi o meno programma­ tico si veda l'excursus 3 ) . 3ah. Nel v . 3 s i intenderà «l'amore di Dio » come «nostro amore per Dio». Così mostrano nel contesto 4,2o; 5,1de e soprattutto 5,2c ( > ( 3 66). L'esegesi di Calvino di I Cv. 5,9- 1 2 cade quindi Ebeling, Dogmatik n (sopra, p. 299 n. 2), 1 39. K.G. Steck, 1. Sonntag nach Epiphanias, in Idem, Predigtmeditationen. Aus vier Jahr­ zebnten fur das Kirchenjabr ausgewiiblt, Miinchen 1983, 48-5 5: 5 2. 1

2

LA TESTIMONIANZA DI DIO

interamente sotto il segno del testimonium internum spiritus sancti. Per lui il testo non dice «che Dio parla apertamente, ma che ognuno dei credenti sente dentro di sé Dio come causa della propria fede » ( 3 67). Per la posizio­ ne cattolica ci si richiama spesso 1 alla costituzione dogmatica De fide del concilio Vaticano 1, in cui tuttavia il nostro testo non è citato ma tutt'al più rappresenta l'orizzonte più lontano: crediamo «non perché abbiamo intui­ to l'intrinseca verità delle cose con la luce naturale della ragione, ma per l'au­ torità dello stesso Dio che le rivela, che non può ingannare né essere ingan­ nato» (DS 3008 ). Si discute inoltre la pretesa assoluta di verità riassunta in modo incisivo dall'antitesi del v. 1 2. Calvino giunge ad affermare che si potrebbe anche assomigliare a un angelo in ogni altro aspetto della vita, ma la nostra santità sarebbe diabolica finché non si riconosca Cristo, e fa l'esempio dei sostenitori del papato che si nascondono dietro la maschera della santità (sanctimoniae larva, 3 67). Dopo molte critiche e osservazioni egli finisce tuttavia col riconoscere che Dio avrebbe modi d'agire nascosti e straordinari. Su ciò non si dovrebbe speculare, bensì mantenersi sulla retta via della salvezza che egli ci ha indicato ( 3 69).2.

Gli ultimi versetti del corpo centrale di I Gv. riprendono temi dei verset­ ti iniziali di r , r -4 chiudendo così il cerchio. La predicazione dei testi­ moni del prologo della lettera, che ha come contenuto la parola di vita e che vuole portare alla comunione con Dio, è sussunta nella testimo­ nianza di Dio stesso attraverso la quale egli ha testimoniato Gesù come figlio suo. Al tempo stesso questa testimonianza di Dio per le nuove ge­ nerazioni non è più in discussione, a differenza di quanto avviene nelle tradizioni della comunità giovannea e nella loro attuazione nella parola della predicazione. La fede ha ragione della distanza storica tra l'evento fondante e la ricezione attuale. Non è una fede cieca, perché chi è chia­ mato a credere ha dinanzi agli occhi la testimonianza dell'azione di Dio in Gesù e a questa può guardare. Ma non è neppure una fede artificio­ sa, perché rispetto allo stato piuttosto precario della testimonianza com­ misuratamente alle possibilità mondane di verifica essa resta una sfida e un rischio. L'autore della lettera affronta il rapporto di fede e storia, e lo fa per una comunità che egli vuole rafforzare nella scelta di fede pre­ sa da lungo tempo ma sottoposta a nuove minacce, insistendo sull'im­ possibilità di evitare una presa di posizione di fronte alla sfida della te­ stimonianza di Dio. Così von Steck, op. cit., so, e de Ambroggi, 27 1 . Tra gli interpreti protestanti moderni Baumgarten, 220, ad loc , considera questa pre­ tesa di assolutezza temporanea e non vincolante. Steck, op. cit., 5 3 si avvale del dato se­ condo cui il testo «non avrebbe come scopo una trattazione universale della religione e della salvezza »; mirerebbe a ricordare •a lettori » cristiani «ciò che li ha portati alla fede e li ha riuniti in comunità» . 1

2.

.

c

EPILOGO VI TA ETERNA

( 5 , 1 3 -2 1 ) Al prologo, all'inizio della lettera in 1,1-4, corrisponde alla fine un epi­ logo. Come il primo guardava al prologo del vangelo di Gv. 1 , 1 - 1 8, così il secondo sembra avere come modello la pericope conclusiva del vangelo. I Gv. 5 , 1 2 è molto simile a Gv. 20,3 1 , in origine il versetto con­ clusivo del vangelo. Pur in assenza di un contenuto affine, per struttura I Gv. 5,14-21 rappresenta un analogo del capitolo aggiuntivo di Gv. 21, che è un'aggiunta redazionale all'opera dell'evangelista. Questa consi­ derazione solleva di necessità il problema dell'origine e del significato compositivo di I Gv. 5,14-2 1 . A ciò che al riguardo si è già accennato nell'introduzione (4) e a quanto ancora resta da dire nell'esegesi pun­ tuale di questa parte, potrebbe fare da premessa la tesi secondo cui la conclusione effettiva di I Gv. è costituita da 5 , 1 3 . I Gv. 5,14-21 costi­ tuisce un'appendice o un poscritto/ probabilmente opera di una secon­ da mano più recente.

La dizione giovannea della pericope di 5,14-21 non deve essere messa in dubbio. Oltre ai temi principali della lettera nel suo complesso, ad esempio l'esaudimento della preghiera, la problematica del peccato e la certezza della fede, ricompaiono anche termini chiave del v. 1 3 (il sapere di IJb in 5·1 5a. l 8a. l9a.20a; la vita di qc in 5,r 6d.2of; il figlio di Dio di I J d in 5,2obe). 2. Queste sono le ragioni che fanno propendere per l'unità com­ positiva. L'articolazione piuttosto labile, e in qualche modo anomala dopo il v. 1 3 , delle diverse argomentazioni nei vv. 14-21 sarebbe dunque da ri­ condurre alla natura di appendice.3 Ma a un esame più approfondito è tuttavia da mettere in luce una varietà di toni che fa riflettere. La soluzione più semplice pare essere in più di un caso quella di rinunciare alla difficile armonizzazione col testo principale e di presupporre una situazione diver­ sa e un altro autore 4 (che lo stesso autore abbia completato la sua opera sue5, 14-2 1 .

1

«Appendice» (per i vv. 14·17), tra gli altri in Windisch, 1 34; «poscritto» (per i vv. 142.1) in Dodd, 1 34; «nota aggiuntiva» in Feuillet, Etude, 3 22. Schwenschlager, r ]oh, 43, è tra i pochi che circoscrivono la chiusa della lettera a 5,1 8-2 1 . 2. Brown, 63 1 . 3 Cf. Mayer, 204: «Il vecchio premuroso e loquace non può separarsi tanto presto dai suoi lettori» . 4 Tra altri con Bultmann, Redaktion, 3 8 3-388; Wengst, 2 1 6; in disaccordo, ad esempio, con Nauck, Tradition, 1 3 3 - 146; Strecker, 293; Vouga, 78.

358

CONCLUSIONE DELLA LEITERA: VITA ETERNA

cessivamente, non lo si può ovviamente escludere in maniera assoluta, ma si veda più avanti). Una posizione unitaria si ha sull'affinità con il vangelo. Nell'ipotesi che questa somiglianza non sia dovuta al caso e che inoltre I Gv. sia da consi­ derarsi posteriore al vangelo nella sua forma originaria, una possibile spie­ gazione sarebbe che l'autore della lettera abbia strutturato così tutto il te­ sto fino all'appendice poiché coerentemente voleva mantenere l'affinità con il modello del vangelo, cap. 2 1 incluso. Ma sopra ci si è già chiesti se l'au­ tore della lettera sapeva che Gv. 21 fosse lo strato cronologicamente più recente dello scritto evangelico; in ogni caso egli non condivide la prospet­ tiva teologica di questo capitolo. È pertanto più plausibile attribuire l'ap­ pendice della lettera e del vangelo a un gruppo comune di editori del cor­ pus degli scritti giovannei, oppure ritenere che l'epilogo della lettera risalga a una fase cronologicamente posteriore e che sia un'imitazione consapevo­ le dell'attuale chiusa del vangelo. I . CONCLUSIONE DELLA LETTERA: VITA ETERNA

13a b c d

( 5,1 3 )

Questo v i h o scritto, affinché sappiate che avete vita eterna, (a voi, a) coloro che credono nel nome del figlio di Dio. I

1 . Tratti contestuali. 1 3cd riprende versetti ricorrenti nel cap. 5 e già con­ densati in 5, 10- 1 2. «Vita » ricorre nei vv. 1 1- 1 2 quattro volte, una volta con l'attributo «eterna »; di «figlio di Dio» si parlava in 5·5·9-IO. I I . I 2 e di «credere» in 5 , 1 . 5 . 10. Di qui non è tuttavia possibile concludere che 'taU..a in 1 3 a rinvii a 5,1- 1 2 1 o a 5 ,6-1 2.3 Piuttosto «questo vi ho scritto» in 1 3a riguarda tutta la lettera.4 C'è un nesso fra 1 3 a e l'identica formula di 2,26a (l'ultima espressione con « io» prima di 5 , 1 3 ) . Da 2,26 è possibile inoltre descrivere un arco che passando per 2,1 3 -14 e 2,1 giunge fino a «e questo scriviamo» in 1 ,4. Un tratto comune attraversa quindi il corpo della lettera. 2. Testi paralleli. Dal momento che l'autore della lettera ha dinanzi agli occhi Gv. 2o,p, probabilmente nella versione attuale, iniziamo dal con­ fronto imprescindibile col versetto conclusivo del vangelo (per l'analisi del contenuto si veda il commento):

I Il testo di maggioranza legge il v. 1 3 in questo modo: «questo ho scritto a voi che cre­ dete nel nome del figlio di Dio, affinché sappiate che avete vita eterna e affinché crediate nel nome del figlio di Dio"; si crea così un legame diretto fra 'toic; x1anooucnv (che in A diventa oi ma'teoovnc;) e Up.iv e una più stretta affinità con Gv. 2.0,3 1; più in particolare cf. Aland, Text und Textwert 1/1, 166-176. 2. Brooke, 142; Biichsel, 8 5 . 3 Huther, 2.57; Bisping, 3 70 s . 4 Chaine, 217; Westcott, 1 88.

Gv. 20,3 I a) Ma questo è stato scritto b) affìnché crediate c) che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio, d) e affinché, come quelli che credono,

I Gv. 5,I3 Questo vi ho scritto affìnché sappiate che

(v. sotto) (v. sotto) voi avete vita eterna, e) abbiate vita - (voi come) coloro che credono nel nome del figlio di Dio. nel suo nome In 5,I e 5,5 sono riprese alla lettera formule confessionali del tipo «Gesù è il Cristo», «Gesù è il figlio di Dio» alle quali allude Gv. 20,J IC. L'espres­ sione participiale conclusiva di I Gv. 5,I3d, linguisticamente ardua, in cui il dativo 'toi'c; 1ttanoouaw si riallaccia a U(J.iv in I 3a, ha un parallelo quasi let­ terale nel prologo giovanneo ( Gv. I , ud: -.oic; ma-.eoouatv dc; 'tÒ OVO!J.CX cxù-tov). ·

13ab. Nelle prime due righe è possibile cogliere il diverso orientamen­ to della chiusa del vangelo e della lettera, percepibile al di là di ogni al­ tro parallelo letterale e significativo per l'esegesi: Gv. 20,3 1a ha un pas­ sivo impersonale ( «è stato scritto» ), in I Gv. 5 , I 3 a prende la parola l'au­ tore in prima persona. A detta di Gv. 20,3 1 b il vangelo vuole condurre i lettori alla fede, e anche rafforzarli e mantenerli nella fede, mentre se­ condo I Gv. 5,I 3 b scopo della lettera è di comunicare ai destinatari un sapere o di volerlo ricordare meglio. Per questo in I Gv. 5,I3d si ri­ prende il ma'tEUetv di Gv. 20,3 I assieme al titolo di sovranità di figlio di Dio di 20,3 IC, pur a costo di un'asperità grammaticale. Lo scopo non è più di ottenere la vita mediante la fede ma di sapere di possedere la vita eterna sulla base della fede che già esiste. Ancor più del vangelo, che in definitiva fu scritto anche per chi già membro nutriva tradizioni di orien­ tamento sufficientemente missionario, la lettera serve a confermare la co­ munione di fede. È rivolta a coloro che da tempo vivono nella koinonia di I Gv. I,3 ma che in una situazione di crisi hanno bisogno di sentirselo dire ancora. Per dare rilievo a questo aspetto, la figura individuale del­ l'autore esce dalla cerchia dei depositari della tradizione e dei teologi di I G v . I ,4 e mette sul piatto della bilancia il peso della sua personalità. A guidarlo è la speranza che i fondamenti della fede che egli presupp in I 5a è ripreso nella principale di I 5d da «Sappia­ mo>> . Un'altra proposizione con O'tt in 1 5e parla dell' > .2 Nell'A.T. toccare (a7tna.Sat) significa (( peccare>> . Così Satana esorta Dio a ((toccare>> la carne e le ossa di Giobbe, ossia a col1

Così Rothe, 198; Wengst, 2 2 1 ; Schunack, 104; di diverso avviso Brown, 619 s. Test. Iud. 3,10 (!1-� &tJ;aa&l fJ.E solo come v./. ); cf. Test. Ben. 3,3 s.; 6,1 : difesa contro Beliar; Test. Dan 5,3-5; inoltre Nauck, Tradition, 140. 1

CONOSCENZA DI FEDE

pirlo con la malattia.1 Il maligno ha la meglio sull'uomo :z. dove si arriva al peccato per la morte, ma sul credente non ha alcun potere, così come nel vangelo il principe di questo mondo non aveva potere su Gesù ( 14, 30), se si riconosce che l'impotenza del maligno si manifesta nell'evento della croce. 19. La prima parte del breve v. 1 9 ( 1 9b) rimanda a 1 8b, la seconda ( 1 9c) a 1 8f. Come nel corpo della lettera, l'essere da Dio ( 3 ,10), oltre alla progenie di Dio ( 2,29;3,9), funge da segno di riconoscimento del­ l'esistenza di fede. Il confronto sarà soprattutto con 4,6a: «siamo da Dio», tanto più se del contesto si considerano anche 4,4a, «voi siete da Dio», e 4,7cd: «chiunque ama è generato da Dio». L'antitesi si trova in 4,5 : «essi sono dal mondo» . Anche dopo 19b segue in 1 9c un'afferma­ zione contraria sul mondo di cui si dice che «giace nel maligno» , senza dubbio nella sua totalità. A partire da 1 8f sono molti gli elementi che fanno propendere per il maschile. Si parla del male come persona, non come sfera di potere. Un neutro sarebbe stato senza dubbio più lineare (cf. il modo di dire « stare in cattive acque» ), ma anche la lezione perso­ nale è ammissibile. Essa afferma che il mondo è fondato sul maligno,3 che gli è sottomesso, che è in suo potere. 4 Un'obiezione viene certamen­ te naturale quando si pensi a 2,2: Gesù ha espiato i peccati di tutto il mondo. Che lì si dica oì..oç o xoap.oç, mentre qui o xoap.oç oì..oç, difficilmen­ te si può spiegare come differenza rilevante. 5 Una divergenza simile, do­ vuta forse all'intervento di una mano posteriore, non è insormontabile. Nell'apertura problematica del concetto giovanneo di cosmo c'è posto per entrambi gli aspetti, il mondo intero come destinatario dell'azione salvifica di Dio e come regno del maligno distinto dalla comunità che sa d'essere separata da questo mondo. 2oab. In un terzo e ultimo affondo il v. 20 mette in risalto la compo­ nente cristologica della struttura fondamentale della conoscenza di fede che nei vv. 1 8- 1 9 ha un'impostazione rigidamente teologica (forse a ec­ cezione di 1 8de). Per la prima volta nell'appendice, in 2ob si usa un til Giob. 2,5 LXX; cf. Gen. 26, 1 1 ; Sal. 105 ( 1 04),1 5; Zacc. 2,8 (LXX 2, 1 2); Od. Sal. I J ,6: «perché tremenda è la fine del peccatore, ma nulla di tutto ciò toccherà il giusto». :z. Baker, 85 ha un'interessante osservazione, «la metafora è quella di un lottatore che è capace di tener testa all'avversario », che tuttavia difficilmente può trovare conferma. 3 Liddeli-Scott, 934 s.v. V,3 cita Soph. Oed. Col. 247 s.: «noi sventurati siamo nelle vo­ stre mani (xEt(.Lt&z) come nelle mani di un dio». 4 Eccessivo Belser, 131: «il mondo giace tra le braccia o nel grembo del diavolo e lì dorme spensierato» . 5 Come tentano Westcott, 195; Law, Tests, 410.

I GV.

5 , 1 8-20

3 79

tolo di sovranità, ed è quello del v. 1 3 , il titolo di figlio di Dio. Lo sguar­ do va anzitutto alla venuta storica del figlio e alle sue conseguenze per i credenti per poi soffermarsi su una delle conseguenze più importanti, os­ sia sulla comunione di vita permanente con il Padre e con il Figlio resa possibile nella fede. Per esprimere questo concetto 2oe si serve del lin­ guaggio ormai noto dell'immanenza. 2oc.d. Per la venuta del figlio di Dio I Gv. predilige di norma rpavtpouv, «apparire» ( 3 , 5 .8; anche 1,2). 2ob usa invece ljxw che nel linguaggio sa­ crale e cultuale può indicare la venuta della divinità agli uomini • e nei LXX è talora usato per la venuta di Dio alla fine dei tempi (Is. 3 5,4: «egli stesso verrà e vi salverà » ) . La ragione della scelta di ljxw è data probabil­ mente da Gv. 8,42: «perché io sono proceduto e vengo da Dio ( ljxw) » . I l termine òttivota in 2oc, qui tradotto con «discernimento » e che nella letteratura giovannea compare soltanto in questo passo, comporta pro­ priamente una valenza intellettualistica, nel senso di pensare, facoltà del pensiero, riflessione!· Ricorre spesso in Filone (cento volte circa), spesso anche in Flavio Giuseppe (oltre cento volte) e in Test. XII. I LXX usano òttivota oltre a XIXflÒta come variante traduttoria per cuore, inteso come centro della persona (per il significato di conoscenza, discernimen­ to cf. Prov. 1 3 , 1 5; Dan. 9,22). Il predicato di Dio, «il verace» in 2od, è anch'esso noto dai LXX) Ha il suo contesto d'uso nella destituzione po­ lemica del Dio d'Israele, il solo Dio verace, vero, autentico e realmente esistente, a opera dei falsi e nulli idoli del mondo (cf. I Tess. r,9). Non può sfuggire il richiamo a Gv. 1 7,3: «questa è la vita eterna, che conosca­ no te, il solo vero (tÌÀ1j-8tvov) Dio, e chi tu hai mandato, Gesù Cristo» . In detti figurati tÌÀ1j-8tv6ç può essere usato anche come attributo cristologi­ co (Gv. I ,9; 6,3 2; 1 5 , 1 ), e in Apoc. 3 ·7·14; 19,I I si riferisce a Cristo. La venuta del figlio di Dio ha come fine la conoscenza di Dio, poiché nell'incontro con Gesù avviene l'esperienza di Dio: questa è la dinami­ ca fondamentale dell'incarnazione nel pensiero giovanneo. Tra la venu­ ta e la conoscenza compare in 2oc, in posizione intermedia, la capacità di conoscere. Evidentemente òttivota è qui affine al concetto di yvwatç, la conoscenza stessa, e ci si può chiedere ancora se il sostantivo yvwatç è stato evitato di proposito 4 perché sembrava necessario distinguersi da determinate forme di conoscenza. Documentazione in J. Schneider, ThWNT n, 92.9. Cf. j. Behm, ThWNT IV, 961-965; M. Lattke, EWNT I, 743 -745. 3 Is. 6 5 , 1 6; I Esd. 8,86; 3 Macc. :z., n; 6,1 8 ; inoltre Philo Leg. Gai. 3 66; 4 Brown, 62.4. 1

2.

I

Clem. 43 ,6.

CONOSCENZA DI FEDE

2oe. Il lettore sa già da 2,3 - 5 che la conoscenza di Dio è ben più di un sapere intellettuale o addirittura segreto. Il v. 2oe trasferisce ora la cono­ scenza in un contesto vitale immediato. Essa giunge a compimento nel­ la comunione dell'immanenza. I Il nostro essere nel verace di 2oe è l'an­ titesi del mondo che giace nel maligno di I9C. Problemi d'interpretazio­ ne pone l'accostamento libero da vincoli di «nel verace•• (ossia Dio) e « in suo figlio Gesù Cristo>> , Si è dinanzi a una variante della doppia im­ manenza (cf. Gv. I 7,2 I ), da intendersi così: siamo in Dio essendo in Cri­ sto. 1 La comunione con Gesù Cristo, figlio e strumento della rivelazione, ci conduce alla comunione con Dio padre. Il prologo della lettera, gram­ maticalmente più lineare ma d'impostazione analoga, diceva questo, ma soltanto per i depositari della tradizione: «la nostra è comunione con il Padre e con il figlio suo Gesù Cristo» ( I ,3de). Il figlio, che è egli stesso verità e vita, ci ha aperto la strada al vero Dio (Gv. I4,6). 2of. 2of tira le somme con una formula definitoria, portando la rifles· sione cristologica al punto più alto. La diatriba degli esegeti su 2of, se parli di Dio o di Cristo (v. sopra), ruota in sostanza intorno al proble­ ma se il predicato di Cristo come «Dio verace» - il predicato di «vita eterna » che vi è appaiato non pone da I,2d alcuna difficoltà - sia con­ forme o meno alla teologia giovannea. La risposta può essere in realtà soltanto questa: anche una formula tanto pregnante rientra nella linea della definizione della cristologia nella letteratura giovannea. I presup­ posti si trovano soprattutto nei passi di cornice del vangelo, nel prolo· go di Gv. I,I in cui si dice che il logos è egli stesso -8Eoç, ossia della stes­ sa natura di Dio padre (cf. anche I , I 8 ) e nella confessione di Tommaso: « Mio Signore e mio Dio» in 20,28. L'esitazione degli interpreti di fron· te non solo a questo passo ma anche ai precedenti dimostra che le affer­ mazioni che riguardano Dio e Cristo in I Gv. non si possono distinguere sempre con precisione. Anche ciò mette a nudo qualcosa di più profon­ do: in Gesù Cristo è presente Dio stesso con la sua verità e la sua vita, e i predicati divini usati per Gesù servono a fissare per sempre questo fat· to nella sua realtà. Storia degli effetti. Il credo di Nicea dice di Cristo: «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero» (DS I 2 5 ) . L'ultima delle tre affermazioni potrebbe essere stata ispirata, al pari della seconda (v. a I Gv. I , 5 ), dalla letteratura giovannea, più precisamente da I Gv. 5,20. Nei Padri orientali e occidenta· Cf. ad loc. Malatesta, Interiority, J 2 I - J 2 J . Nestle-Aiand'6 ha accolto in apparato la congettura ovnç di Hamack, Textkritik, 5 3 8 s. Il significato è in tal modo correttamente definito, anche se un'integrazione testuale non è necessaria. I

1

I GV.

5,21

l i è riconoscibile un'interpretazione cristologica di questo versetto nel mo­ mento in cui hanno inizio le dispute sull'arianesimo. Esso funge da riscon­ tro principale della divinità del Figlio nelle prediche di Atanasio contro gli ariani, 1 nello scritto antiariano di Ambrogio indirizzato all'imperatore Gra­ ziano, 1 nella disputa di Agostino con il vescovo ariano Massimino 3 e in altri trattati affini.4 Il valore probatorio del passo non dovrebbe tuttavia es­ sere sopravvalutato, anche a prescindere dai dubbi linguistici che perman­ gono (v. sopra). Come sottolineano autori moderni, si potrebbe infatti ec­ cedere facilmente in dimostrazioni, insistendo sull'identità a scapito dell'in­ dividualità della persona del figlio. 5 In tre passaggi i vv. 1 8-20 espongono i fondamenti delle cognizioni di

fede che l'autore condivide con i lettori. All'inizio, al v. 1 8, ricorrono la progenie di Dio, l'impeccabilità e la conferma mediante il figlio di Dio. Al v. 19, in un intermezzo più breve, segue l'essere da Dio. Si ha poi, al v. 20, la conoscenza di Dio alla quale si giunge mediante Dio che si fa uo­ mo in Gesù Cristo. Il maligno compare come avversario soltanto in un ruolo subordinato. Tiene il mondo saldamente sotto controllo, ma non ha potere sui credenti. L'essere da Dio e la conoscenza di Dio trovano il loro punto di fuga e di quiete nella doppia immanenza col Padre e il Fi­ glio di 2oe. La linea di sviluppo cristologica giunge al suo culmine quan­ do l'acclamazione di Tommaso: « Mio Signore e mio Dio » di Gv. 20,28 è riformulata in 2of nello stile formale della confessione. A conclusione della lettera e dell'appendice questi pochi versetti forniscono una picco­ la summa della teologia giovannea, contenente tutto ciò che pare irrinun­ ciabile. d) Ultimo monito ( 5,21 ) M.J. Edwa rd s, Martyrdom and the First Epistle of fohn: NT 3 1 ( 1 989) 1 64 - 1 71; J. Hills, «Little children, keep yourselves {rom idols»: I fohn 5:2 r Reconsidered: CBQ 5 1 ( 1989) 2.85-3 10; J.L. Ska, «Petits enfants, prenez garde aux idoles». I ]n J,2I : NRTh 1 0 1 ( 1 979) 860-874; E. Stegema nn, «Kindlein, hutet euch vor den Got1

Athanas. Contra Arianos 4,2.6 ( so8c PG 2.6). De Fide x,x7, 1 1 7 ( 50,73 s. CSEL 78): verum loannes fìlium dei et verum deum dicit. 3 Aug. Contra Maximinum 1,5 (748 PL 42.); 2, 1 4,3 (772); 23,5 (8oo); Collatio cum Ma­ ximino 14 (721 ibid.); Contra sermonem A rianorum x (683 ibid.). 4 Faustino De fide contra Arianos 2,1 1 s. De trinitate 26 s. ( 3 25 s. CChr.SL 69); Ps.­ Vigilio Contra Varimadum Arianum 1,25·34·65 s. ( 3 7,8 s.; 45, 1 3 - 1 6; 74,8 s.; 76,48 CChr.SL 90). 5 Diisterdieck n, 4 5 1 : «e così alla fine l'esegesi apparentemente onodossa potrebbe sem­ brare vera eterodossia »; Salvoni,., 57: « una formulazione con sfumatura monarchiana ». 1 Ambr.

=

ULTIMO MONITO

terbildern!». Erwagungen zum Schluss des r. ]ohannesbriefes: ThZ 41 ( 19 8 5 ) 284294; j.N. Suggit, I ]ohn 5:2 1 : 't'txvla, ipuÀci�a't't ÉaU't'à ci1tÒ 't'wv tÌÒwÀwv: JThS n.s. 36 ( 1 9 8 5 ) 3 8 6-390; Taeger, ]ohannesapoka/ypse, 1 9 5 - 1 99 .

21

Figli, guardatevi 1 dagli idoli! ,.

L'allocutivo «figli » riprende la formula abituale che il corpo della lettera usa per stabilire un contatto (2,1.I 2.28; 3,7. I 8; 4,4), mentre . 1

:z.

INTRODUZIONE

40 1

Cassiodoro intorno al 540. Poiché Clemente non cita mai 3 Cv. in tut­ ta la sua opera, non si può pensare che la conoscesse. Dagli scritti di Tertulliano è impossibile ricavare testimonianze per 2 e 3 Cv. ' Per Ci­ priano di Cartagine la situazione è un po' più complicata. Benché egli parli sempre soltanto della lettera di Giovanni, ciò non esclude a priori la conoscenza di altre lettere, poiché in epistula sua significa per lui «in una delle sue lettere» .1 Avendo svolto un ruolo di primo piano nel con­ cilio di Cartagine del 2 5 6, non poteva neppure essergli sfuggito che in quella circostanza Aurelio di Cullabi aveva discusso di 2 Cv. ro- r r . 3 Eppure Cipriano non fa uso né di 2 Cv. né di 3 Cv. Che non lo faccia neppure nei Testimonia, in un passo che è in piena sintonia con 2 Cv. ro- u , resta un mistero che si può spiegare soltanto con la critica delle fonti, a meno che Cipriano non abbia voluto fare a meno di 2 Cv. Ireneo, Clemente e il concilio di Cartagine quantomeno attestano 2 Cv. per la fine del n secolo e per il III. Mancano sempre riferimenti espliciti a 3 Gv. simili a quelli citati. Si trovano solo nel IV secolo nel­ l'Ambrosiaster in relazione all'identificazione del Gaio di Rom. 1 6,23 con il Gaio di 3 Cv.4 e in Gerolamo.s b) L'ingresso nel canone Probabilmente intorno al 200 d.C., il più antico elenco canonico, il ca­ none Muratori, 6 si interessa anche alle lettere di Giovanni. Purtroppo la terribile ortografia del copista rende quasi incomprensibile il passo fi­ nale ai righi 68 s. Vi si dice: epistola sane iude et superscrictio iohannis duas in catholica habentur. A seconda che ai righi 68 s. si corregga su­ perscrictio in superscriptae, integrando duae epistulae oppure che si legga superscripti e lo si riferisca a iohannis, si ha la traduzione: «inol­ tre una lettera di Giuda e due con la soprascritta 'di Giovanni' tenute (in onore) nella chiesa cattolica>>, oppure: « . . . due lettere del Giovanni sopra nominato» (cf. II. 9· 1 5 .27).7 A dire di Leipoldt• I , 2.3 5 l'assenza di 2. Gv. è casuale. L'ipotesi è di Schepens• . Su un altro esempio, quello di Didimo il Cieco la cui opera esegetica presenta per le lettere di Giovanni differenze tra i frammenti in greco e la tradizione latina, cf. Ehnnan•, 7· 3 V. sotto, p. 460 n. 3 · 4 V. sotto, p . 4 7 2. n. 3 · 5 V. sotto, pp. 5 0 1 n . 4· 504 n . 1 . 6 Testo i n Zahn• n , s-8; Preuschen\ 2.7-3 5 ; trad. i n Hennecke-Schneemelchers I , 2. 8 s. 7 ln catholicam ecclesiam recepi, poco sopra alla l. 66, corrobora la lettura «tenuta in onore nella chiesa cattolica» e non «annoverata fra le lettere cattoliche». La citazione seguente della Sapienza di Salomone è unita da et, non da ut. È autonoma e non deve far luce, come supponeva Diisterdieck n, 464 con una conclusione per analogia, sull'ori­ gine oscura delle lettere brevi di Giovanni. 1

1

4 02

S ECONDA E TERZA LETTERA DI GIOVANNI

Katz * voleva risolvere il problema di che cosa vi sia dietro le due lettere, I Gv., di cui si era parlato prima (cf. ll. 28-3 1 ) in connessione con 2 Gv. op­ pure 2-3 Gv., mediante una congettura ingegnosa ma azzardata. ll testo dovrebbe essere duae sin catholica, nell'originale greco òoo aùv xcx-t)oÀtxfl, il che vuol dire altre due lettere che si aggiungono alla lettera cattolica più lun­ ga, ossia a I Gv. Secondo questa ipotesi il canone Muratori sarebbe la più antica testimonianza di un accoglimento nel canone di 2 e 3 Gv. ancora non del tutto sicuro. Ma in questo periodo in generale catholica può essere interpretato come abbreviazione tecnica per I Gv. ? Ci si deve accontentare di una testimonianza più sicura per 2 Gv. e rinunciare all'argomentazione fondata su troppe congetture a sostegno di 3 Gv. 1

Pare che in qualche periodo e in determinati gruppi circolasse una composizione di I Gv. e 2 Gv. senza 3 Gv., tanto che 2 Gv. e 3 Gv. non costituirono sempre una coppia «inseparabile)) . :. La prudenza è in ogni caso d'obbligo alla luce dell'ipotesi secondo cui 3 Gv. sarebbe stata tradotta in latino da una mano diversa da quella di I e 2 Gv.3 In effetti accade che le versioni latine di 3 Gv., nonostante il periodo cui risale il manoscritto in questione, presentino in traduzione tracce di un lessico più antico che per I e 2 Gv. si trovano soltanto in vecchi testimoni lati­ ni privi di 3 Gv. Ciò non implica di necessità una traduzione speciale per 3 Gv. , ma forse una collocazione cronologica più recente nella tra­ dizione testuale. 4 A dire di Eusebio, Origene ha incluso 2 e 3 Gv. nel suo canone soltan­ to con riserva: «Giovanni avrebbe potuto scrivere anche una seconda e una terza lettera, ma in generale queste non sono considerate autenti­ che)) (Hist. Ecci. 6,25,10). Eusebio stesso è consapevole che le due let­ tere brevi sono discusse; le include nel suo canone, ma tra gli antilego­ mena, «che, nonostante questo, sono tuttavia tenute in considerazione dei più)).s Riguardo all'autore, Gerolamo applica una distinzione im­ portante per la questione del canone (v. sotto, § 4, ed excursus 6), quan­ do nel De viris illustribus scrive che 2 e 3 Gv. sarebbero opera del pre­ sbitero non dell'evangelista Giovanni (9, 1 8 ) . Questa distinzione è pre­ sente - quanto alla sua contestata autenticità - nella conclusione di un sinodo romano del 3 8 2, che tra i 27 libri noti del N.T. annovera Ioan­ nis apostoli epistula una, alterius loannis presbiteri epistulae duae. 6 Cf. Lieu\ 2.3. z. Zahn" 1, 2. 1 2.; cf. anche Ziegenaus•, 1 74. 3 Così Manson•. 4 Thiele, VL 2.6/1, 9 1 • si limita a constatare che "3 Gv. non fornisce materiale sufficien­ te a ipotizzare l'unità originaria della traduzione latina», ma in generale propende per un'unica traduzione iniziale in latino delle sette lettere cattoliche (op. cit., 97• ). s Hist. Ecci. 3,2.4, 1 7; 25,3; più sicuro Dem. Ev. 3,5,88. 6 Soltanto nella versione più antica; cf. Dobschiitz", 6; Turner•, 5 59· 1

INTRODUZIONE

Difficoltà permangono in ogni caso. L'elenco canonico del 3 60 ca. del codice di Cheltenham presenta la particolarità che nell'enumerazio­ ne delle tre lettere di Giovanni e delle due di Pietro segue ogni volta nella riga successiva una sola. Qui si esprime il disappunto dello scriba risentito per il numero, a suo parere, troppo alto delle lettere cattoliche nella sua edizione.' Al riguardo Anfilochio di !conio (t dopo il 394) in un componimento in versi si chiede se esistessero veramente sette lette­ re cattoliche oppure soltanto tre ... In un'omelia su Mt. 2 1 ,23 un autore ignoto di scuola antiochena afferma che I Gv. farebbe parte degli scrit­ ti riconosciuti dalla chiesa (ÈxxÀlJata�o!LÉvwv), mentre i Padri escludono 2 e 3 Gv. dal canone (thtoxavovttouat).3 Per parte sua intorno al 3 50 Cirillo di Gerusalemme nella sua cateche­ si fissa a sette, senza esitazione, il numero delle lettere cattoliche.4 Il ca­ ta logo dei libri biblici nel codice Claromontano elenca tre lettere di Gio­ vanni. I più importanti manoscritti della Bibbia del IV e v secolo le con­ tengono.s Verso il 4oo, con la lettera pasquale 3 9 di Atanasio e i sinodi di Ippona e di Cartagine, anche 2 e 3 Gv. giungono al termine della lo­ ro odissea. Non secondario si è rivelato il numero delle lettere cattoli­ che che nel tempo ha raggiunto il numero simbolico di sette, rappresen­ tando così la metà del più ampio corpo paolino con I4 scritti. Gli sviluppi particolari del canone nella chiesa copta ed etiopica non riguar­ dano le lettere brevi di Giovanni. Diversa è la situazione nella chiesa siria­ ca. I nestoriani nel canone della Peshitta si limitano solo a tre lettere catto­ liche e non accolgono più 2 e 3 Gv. La versione filosseniana del 508 e così anche quella successiva di Tommaso di Harkel del 6 1 6 contengono 2 e 3 Gv. , ma la loro influenza è limitata all'area della chiesa monofìsita della Si­ ria occidentale. 6 Anche Cosma Indicopleuste ( «viaggiatore delle Indie» ) segue il nesto­ rianesimo e la scuola teologica nella Nisibi siriaca. Nella sua Topographia christiana, scritta intorno al 5 so ad Alessandria, a riguardo delle lettere cat­ toliche egli afferma che queste erano da tempo contestate. Per I e 3 Gv , nonostante i pareri discordanti, egli riconosce l'esistenza di un unico auto­ re e conclude con il monito a basarsi sugli scritti universalmente ricono­ sciuti, non su quelli dubbi.7 .

.. n, 145; Preuschen .. , 37· 1 Cf. Metzger .. , 23 1 s.; testo in Zahn :�. /ambi ad Seleucum 3 10-3 1 5; cf. Metzger .. , 2 1 2. 3 Ps.-Chrys. In qua potestate 6 (424 PG s 6); altre informazioni in Lieu .., 1 5-17. 4 Catech. 4,3 6; cf. Zahn .. n , 1 79. 5 Più precisamente il Sinaitico, l'Alessandrino e il Vaticano. Il codice riscritto di Efrem è lacunoso, riporta soltanto 3 Gv. 3 - 1 5 . Nel Cantabrigense è conservato soltanto il fram­ mento di una versione latina di 3 Gv. con i vv. 1 1- 1 5 e una subscriptio. 6 Cf. Siker.. . 7 7,68-70 ( 1 29-1 3 3 SC 1 97); cf. Ziegenhaus .. , 62.

4 04

S ECONDA E TERZA LETI'ERA DI GIOVANNI

Non è affatto scontato che alla fine 2 Gv. e soprattutto 3 Gv. siano en­ trate a far parte del canone stabilmente. Ciò fu possibile soltanto al­ l'ombra dell'autorità dell'apostolo Giovanni in quanto presunto autore del vangelo, largamente recepito, e della prima lettera. I dubbi critici, talora limitati alla soluzione provvisoria della doppia paternità, furono accantonati. Nonostante la ricezione recente di 3 Gv., dev'esserci stata una connessione storicamente più profonda tra 2 Gv. e 3 Gv. Anche 3 Gv. approdò agli onori del canone soltanto con 2 Gv. e agganciata in tal modo alle più importanti testimonianze della scuola giovannea. Nell'età della riforma parvero divampare ancora una volta le controversie di un tempo. Dubbi sull'autenticità e sul vincolo inscindibile di 2 e 3 Cv. furono sollevati nuovamente da Erasmo, dal Caietano e da Brenz. I Anche Lutero fa distinzioni a proposito di 2 /3 Cv. 1 Ma in questo caso non si tratta perlopiù dell'appartenenza in linea di principio al canone, ma del grado di autorità nell'ambito del canone esistente. Su questo terreno si muove anche il De canonicis libris libellus di Karlstadt del I po.l Da un punto di vista storico, in lui e in altri critici agisce sempre la convinzione che il presbitero Giovanni non sia l'autore delle lettere brevi dell'apostolo. Con la promulgazione del decreto De libris sacris dell'8 aprile 1 546 il con­ cilio di Trento fissò il canone del Nuovo Testamento per la chiesa cattolica nel numero tradizionale di 2. 7 libri, fra i quali tutte e tre le lettere di Gio­ vanni (DS 1 503 : «loannis Apostoli tres»). Negli ultimi duecento/trecent'anni la teologia non ha mai cercato di mo­ dificare il canone neotestamentario in maniera sostanziale. La ricerca storica ripercorrerà la storia intricata dell'origine del canone indivi­ duandovi alcuni momenti che hanno contribuito alla sua formazione, ma per la sua funzione il canone è parte della struttura fondamentale della chiesa (delle chiese) nel suo sviluppo storico. Prescindere da ciò signifi­ cherebbe ignorare che la realizzazione della fede avviene nel tempo e nella storia.4 Restano divergenze marginali che rappresentano un com­ pito ecumenico. Si ignora perlopiù che ciò non riguarda soltanto i libri deuterocanonici dell'A. T. ma anche le lettere brevi di Giovanni, perché una comunità ecclesiastica geograficamente molto distante come quella della Siria orientale non rientra nel nostro orizzonte e non fa parte del­ l'attività ecumenica. La questione fondamentale è tuttavia posta. Ciò che conta veramente è poter usare gli scritti e la loro utilità. Quanto la Leipoldt .. n, 16. 3 6 s. u.S. Op. cit., 70 s. 3 Op. cit., 109 s.; Ziegenaus, :z.os s. 4 Metzger .. , :z. 7 5: «in poche parole, il canone non può essere rifatto per la semplice gione che non si può rifare la storia» . I

2.

ra·

INTRODUZIONE

loro testimonianza è vicina agli eventi di Cristo delle origini? Qual è il loro potenziale esplicativo? Hanno la stessa autorità dei libri del N.T. che non furono mai contestati in quanto fondamenti originari della fe­ de? Il risultato della discussione sul canone va considerato uno stimolo a mettere nella giusta prospettiva mediante l'interpretazione il contenu­ to teologico delle lettere brevi di Giovanni e ciò che esse annunciano al cristianesimo d'oggi. 2.

STRUTIURA E GENERE

D.E. Aune, The New Testament and Its Literary Environment (Library of Early Christianity 8), Philadelphia 1987, 1 5 8-225; K. Berger, Hellenistische Gattungen in Neuen Testament, in ANRW n/25,2 ( 1 984), I03 I-1432. 1 8 J I - 1 8 8 5 : 1 3 26- 1 3 63; P. Cugusi, Evoluzione e forme dell'epistolografia latina nella tarda repubblica e nei primi due secoli dell'impero con cenni sull'epistolografia preciceroniana, Roma 1983; W.G. Doty, Letters in Primitive Christianity (Guides to Biblica! Scholarship. New Testament Series), Philadelphia ' 1979; du Rand, Structure of 2 ]ohn; Idem, Structure of 3 ]ohn; Exler, Form; Floor, Analysis; Funk, Presence; H.J. Klauck, Zur rhetorischen Analyse der ]ohannesbriefe: ZNW 8 1 ( 1990) 205-224: 2 1 6-224; Kos­ kenniemi, Studien; Lieu, Epistles, 3 7-5 1; Malherbe, Theorists; R.M.G. Nikisch, Brief (Sammlung Metzler 26o), Stuttgart 1 991; Olsson, Analyses; Schnider-Stenger, Stu­ dien; Stowers, Letter Writing; Taatz, Brie{e; Watson, Analysis of 2 ]ohn; Idem, Ana­ lysis of 3 ]ohn; White, Form; Idem (ed.), Studies in Ancient Letter Writing Semeia 11 ( 198 1 ); Idem, New Testament Epistolary Literature in the Framework of Ancient Epistolography, in ANRW n/25,2 ( 1 984), 173o- 1 7 5 6; Idem, Light; Idem, Ancient Greek Letters, in D.E. Aune (ed.), Greco-Roman Literature and the New Testa­ ment. Selected Forms and Genres (SBibSt 2.1 ) 1988, 8 5-105; Witkowski, Epistulae. =

La struttura delle due lettere minori di Giovanni sta in rapporto inscin­ dibile con la loro natura epistolare. 2 e 3 Gv. sono sempre state consi­ derate un modello di adattamento del formulario epistolare ellenistico nel cristianesimo delle origini. La brevità dei due scritti contribuisce si­ curamente alla convenzionalità del loro stile. Solo da un confronto si­ stematico emerge la libertà con cui 2/3 Gv. si rapportano al formulario epistolare, i punti su cui esse mettono accenti originali introducendo variazioni negli elementi precostituiti. Gli elementi propri del genere e della struttura epistolari sono illustrati nella sinossi testuale ripiegata in fondo al libro. •

Struttura della lettera. 1 . Prescritto. In 2 Gv. 1 - 3 i tre elementi costitu­ tivi di un prescritto formale costituiscono l'ossatura, con ampliamenti r La tavola è il frutto di diuruma assiduità con le lettere antiche, l'epistolografia antica e gli srudi più recenti sull'argomento; per questioni di strutrura in particolare, meno per il genere, cf. anche du Rand•; Olsson•; Floor•.

4 06

S ECONDA E TERZA LETTERA DI GIOVANNI

nell'indirizzo e nella salutatio, sintatticamente autonoma - eredità del­ l'inizio epistolare bipartito tipico del Vicino Oriente. In 3 Gv. I il pre­ scritto consiste unicamente di superscriptio e adscriptio leggermente più ampia, manca la salutatio. 2. Proemio. In 2 Gv. 4 e in 3 Gv. 3-4 s'incontrano manifestazioni di gioia in funzione di proemio. Soltanto 3 Gv. presenta in aggiunta an­ che auguri di benessere. 3 . Corpo. In entrambi i casi il corpo inizia con una richiesta epistola­ re che esorta all'amore reciproco ( 2 Gv. s-6) oppure a concedere ospi­ talità (3 Gv. s-8). A questa si aggiungono informazioni sulla comparsa di eretici (2 Gv. 7) oppure sulle ostilità di Diotrefe (2 Gv. 9-Io). Dopo moniti inframmezzati in 2 Gv. 8-9 e in 3 Gv. I I si giunge a ciò che co­ stituisce la peculiarità delle due lettere. In 2 Gv. IO-I I è il divieto di accogliere in casa eretici o di salutarli; in 3 Gv. I 2 la raccomandazione di Demetrio, al quale si deve continuare a garantire l'ospitalità. 4· Conclusione. Il breve pezzo conclusivo non è da suddividere ulte­ riormente perché a) in quanto raccordo tra il corpo epistolare e i saluti conclusivi 2 Gv. I 2 par. 3 Gv. I 3- I 4 con la riflessione sul processo co­ municativo e sulla prospettiva di una possibile visita corrisponde al proe­ mio di 2 Gv. 4 par. 3 Gv. 2-4, mentre b) il saluto conclusivo in senso proprio di 2 Gv. I 3 par. 3 Gv. I 5 costituisce, con il rispettivo prescrit­ to, la cornice esterna del testo nel suo insieme. Tipo epistolare. Rifacendosi alle teorie elaborate dagli studiosi del gene­ re epistolare nella tarda antichità, lo Ps.-Demetrio individua 2I diversi tipi di lettera, mentre lo Ps.-Libanio li portò a 4 1 . La definizione di que­ sto repertorio che meglio corrisponde a 2 Gv. è quella di « lettera pare­ netica», tra le cui finalità rientrano l'esortazione a fare il bene e dare con­ sigli o dissuadere. 1 Altre tendenze, come le attenzioni amichevoli ai de­ stinatari nella cornice, il rimprovero e la critica al v. 7 e la richiesta dei vv. s-6, non sono così accentuate da presupporre necessariamente una contaminazione con altri tipi di lettera (lettera amichevole, di minaccia, di richiesta).,. 3 Gv. prende i tratti della lettera di raccomandazione in virtù dell'esortazione di Demetrio al v. I 2 e dei fratelli in viaggio ai vv. s-8, anche se la lettera nel suo complesso non può essere ascritta unicaI Ps.-Libanio 'E7ttO"'tOÀt!J-GtÌOt xapax�c; 5·52 (in Malherbe. , 68. 74): 7tGtpGttV&'ttxi}. Simile a questa è la lettera simbuleutica dello Ps.-Demetrio Tu7tot È7tta'toÀtxol I I (Malherbe", 36); cf. Stowers", 96; sui tipi epistolari in generale v. anche Cugusi", I05- I J 5 . :. Anche Watson, Analysis of 2 ]ohn, I07 s . classifica 2 Gv. come lettera parenetica e si limita a rilevare la presenza di tratti certi propri di altri tipi di lettera.

INTRODUZIONE

mente a questo tipo. 1 Le raccomandazioni possono tuttavia essere disse­ minate in lettere dettate da altri scopi, oppure combinarsi con altre ri­ chieste pur restando una caratteristica dominante del testo.1 Da sotto­ lineare sono soprattutto il biasimo di Diotrefe e l'elogio di Gaio, per cui può entrare in gioco anche il tipo di lettera di encomio e di lode, ed even­ tualmente anche di quella di biasimo.3 Stabilire se gli elementi dell'ami­ cizia, della richiesta e dell'ammonizione debbano rientrare tutti nella de­ finizione del tipo epistolare è un atto discrezionale.4 Forme miste sono peraltro ammesse espressamente dall'epistolografia; 5 nella prassi sono più la regola che l'eccezione. 6 Analisi retorica. Nei suoi contributi su 2 e 3 Gv. ricchi di molto materiale

Watson • vorrebbe integrare epistolografia e analisi retorica, combinazione che manca nell'antichità. Watson giunge all'articolazione che segue: 3 Gv.

2 Gv.

I 2 3 4

exordium na"atio probatio peroratio

v. 4 (vv. I -3 ) v. 5

VV .

6-I

v. 1 2 (v. I 3 )

vv. 2-4 (v. I ) vv. 5-6 VV 7-I 2 vv. I 3 -I 4 (v. I 5 ) .

proposito soltanto qualche osservazione/ Il doppio exordium, al quale oltre al proemium si aggiunge in un secondo momento anche il prescritto epistolare, al pari della doppia peroratio che comprende, oltre all'annuncio della visita, anche i saluti finali, indica che le caratteristiche distintive della cornice epistolare contrastano con l'ordine desunto dal discorso. Anche Watson• sostiene che l'auspicio convenzionale della visita in 2 Gv. I 2 par. 3 Gv. I 3 -1 4 non può costituire una peroratio vera e propria. 8 Il corpo del­ la lettera appare suddiviso nella breve na"atio e in una più lunga proba­ tio. Sorprende che la richiesta epistolare rientri ancora nella na"atio, e di­ stinguerle significa a mio parere dissolvere gli elementi che hanno in comu­ ne. Integrare analisi retorica e analisi epistolare porta a sostenere la tesi seIn

Per una discussione più approfondita e la bibliografia corrispondente v. sotto, a 3 Gv. 12.; inoltre cf. ancora Cugusi ., 40 s. 99 s. 1 1 1-1 14. 2 Stowers•, 1 5 5 : « passi commendatizi in altri ripi di lettere o in 'lettere miste' non erano rari» . 3 In Ps.-Demetrio 3 e 1 0 e Ps.-Libanio 5 3 e 7 7 (Malherbe•, 32.. 3 6. 74· 78); cf. Stowers•, 77-90: « lettere di encomio e di biasimo» . 4 Cf. Watson, Analysis of 3 }ohn, 482.: «presenta caratteristiche proprie di diversi tipi di lettera comprese quella amichevole, di richiesta, di consiglio o parenetica, commendati­ zia, di encomio, d'incoraggiamento, di biasimo e di accusa» . 5 Ps.-Libanio 4 5 e 92. (Malherbe•, 72.. 8o). 6 Cf. White, Light, 197. 7 Un esame approfondito in Klauck•; per le linee essenziali cf. anche C.j. Classen, Pau­ lus und die antike Rhetorik: ZNW 82. ( 199 1 ) 1-3 3 , spec. 5 s. 32.. 8 Analysis of 2 }ohn, I I 8; Analysis of 3 john, 499· l

4 08

S ECONDA E TERZA LETTERA DI GIOVANNI

condo cui la sezione di 2 Gv. 4-5 / 3 Gv. 2-6 classificata come «esordio del corpo» sia in realtà una combinazione di exordium e narratio. 1 Colpisce che la probatio non venga affatto articolata, o lo sia soltanto in modo ina­ deguato. Indicatori sintattici come l'imperativo di 2 Gv. 8 oppure il vocati­ vo in 3 Gv. I I non vengono presi in considerazione. Dopotutto non è per caso che i retori antichi non hanno trasferito la dis­ positio oratoria nell'epistolografia e che gli epistolografi hanno fatto un uso moderato di queste categorie retoriche. Questo atteggiamento po­ trebbe essere stato dettato dalla percezione delle peculiarità del genere epistolare e dal rispetto della sua indole, che solo parzialmente pare pre­ starsi a rielaborazione retorica. Il margine consentito dall'avverbio «par­ zialmente» dovrebbe tuttavia essere sfruttato interamente. 2. 3 . CONFRONTO LETTERARIO

Artus, Seconde épitre, 3 3 s.; Bresky, Verhaltnis, 3 1 -4 7; Lieu, Epistles, 2 1 7-2.29; Mar­ ty, Contribution, 2.02.-2.04; Polhill, Analysis; E. Richard, ]esus. One and Many. The Christological Concept of New Testament Authors, Wilmington 1 988, 2 2 2-23 1 .

Per le due lettere brevi di Giovanni le possibilità di confrontare i testi tra loro e con altre produzioni scritte di scuola giovannea 3 sono molto limitate. A causa dell'estrema brevità esse non offrono un'adeguata ba­ se statistica in grado di corroborare un'ipotesi di ampio respiro.4 Fatta questa riserva, tutti i risultati in qualche modo si equivalgono. La sinossi testuale (v. il pieghevole) mette in luce in 2 Gv. e 3 Gv. una sorprendente conformità nella struttura, nell'uso delle convenzioni epi­ stolari e nella forma del corpo della lettera. Una simile conformità non può più essere attribuirla soltanto alla lunghezza del foglio di papiro e alle norme del genere epistolare; da questo punto di vista i due scritti pre­ sentano troppe singole peculiarità in comune. In mancanza di un auto­ re unico, una delle due dev'essere l'imitazione letteraria dell'altra. E d'al­ tronde di questa imitazione non si può dire che sia servile, dal momen­ to che, per esempio, le lievi differenze nella visita auspicata in 2 Gv. 1 2 par. 3 Gv. 1 3 - 1 4 sono casuali e potrebbero essere piuttosto i l risultato della libertà che l'autore stesso dà mostra di prendersi rispetto al reper­ torio formulare di cui dispone. Le differenze ineriscono al lessico; sono dovute in parte ai diversi tipi di lettera (v. sotto, § 2 ) . Analysis of 2 fohn, 1 1 8; Analysis of 3 fohn, 493 · Per quanto attiene alla stilisrica possono essere d'orientamento i contributi di Watson• 3 Sulla quale si veda sopra, pp. 62. s. con bibliografia. in particolare. 4 Nonostante i prospetti estremamente accurati di Lieu•; cf. anche Richard•, 227-230; Chaine, 23 2-23 5; Brown, 7 5 5 s. 1

:t

INTRODUZIONE

Rispetto alla sua brevità 3 Gv. contiene un numero sorprendente di termi­ ni particolari. È7ttòéxea.Sa.t, iptÀo7tpw'tEUw e ipÀua.pÉw sono tre hapax legome­ na neotestamentari, e forse lo è anche x�Àa.tJ.oc; nel significato di «cannuc­ cia per scrivere». In questa categoria 2 Gv. presenta solo xap'tlJc;, a meno che non si consideri anche xupta. ai vv. 1 . 5 tra i significati particolari. Esempio unico di un termine non giovanneo ma che ricorda Paolo, è quello di ek­ klesia (tre volte in 3 Gv. 6.9. Io), inoltre 7tpo7tÉtJ.7tw, à.�lwc;, au"epyoc;, tJ.ttJ.Éo­ fl.llt, anche Uhtxoc; e �É"oc; e così pure, in quanto termini propri dell'augurio di benessere in 3 Gv. 2., euxotJ.a.t, eùoòooo8a.t e ùyta.t'JEt'J. La maggior parte dei termini non giovannei rientra in un ambito semantico ecclesiologico e missionario che risponde a una preoccupazione di 3 Gv. Sul rapporto tra 2 Gv. e I Gv. Schleiermacher fece notare che a quanto pare « la seconda lettera di Giovanni è costituita di espressioni desunte dalla prima, e ciò comporta qui e là la ripresa degli aspetti più proble­ matici» . x Un caso a parte è rappresentato soprattutto dai vv. IO-I 1 . Per il resto sono possibili numerosi confronti con altri testi. 1 Proprio nelle peculiarità linguistiche si avverte ancora l'impronta dello stile di Giovan­ ni. Negli studi s'ipotizzano come sempre sottili differenze di contenuto in presenza di una scelta linguistica apparentemente identica, special­ mente per quanto riguarda l'escatologia e il concetto di verità.3 Valu­ tare tali differenze è però tutt'altro che semplice ed esse non sono così profonde come quelle tra I Gv. e il vangelo di Giovanni (v. per i singoli casi l'esegesi dei passi controversi). Le peculiarità che si sono potute osservate nel lessico riguardano nel complesso anche 3 Gv. Oltre alle affinità con 2 Gv., s'incontrano sol­ tanto pochi altri punti di contatto con la letteratura giovannea, più pre­ cisamente due: 3 Gv. ne

Chi fa il bene

d e f I 2c

è da Dio. Chi fa il male non ha visto Dio. E anche noi rendiamo testimonianza,

d

e sat

I Gv. 3,Iobc: chi non pratica la giu­ stizia non è da Dio (cf. 4,6) I Gv. 3,6cd: chi pecca non lo ha visto. Gv. I9,3 s: e chi ha visto, ne dà te­ stimonianza e la sua testimonianza è vera, ed egli sa che dice il vero . . .

x F. Schleiermacher, Einleitung ins neue Testament, ed. G. Wolde, Berlin I 845 (Fried­ rich Schleiermacher's literarischer Nachlass 3 Sammtliche Werke I/8 ), 399 · 1 Si veda al riguardo l'elenco di Klauck, johannesbriefe (EdF), I I 1 s. 3 Cf. Wengst, 230 s.; Bergmeier, Verfasserproblem; Idem, Glaube als Gabe, :z.oo-:z.o3 . =

SECONDA E TERZA LETTERA D I GIOVANNI

4 10 e

che la nostra testimonianza Gv. 21 ,24: questo è il discepolo, che è vera. rende testimonianza . . . e sappiamo che la sua testimonianza è vera.

Che fra questi testi ci sia qualche rapporto, non v'è dubbio. Essi hanno una origine comune oppure sono uno l'imitazione dell'altro. Se si considera inoltre 2 Gv. un anello di congiunzione, per forma e contenuto anche 3 Gv. è saldamente ancorato al corpus degli scritti giovannei, più di quanto ci si aspetti dall'enucleazione delle sue peculiarità. Una delle differenze che vie­ ne avvertita è quella fra 3 Gv. 4 dove il presbitero si rallegra che > e l'autore di I Gv. che si rivolge ai de­ stinatari chiamandoli « figlioli» ('t'txvla). Sul piano strettamente grammati­ cale, in un caso c'è il vocativo nell'altro no. 't'Éxva rientra nel metaforismo fa­ miliare di 2 Gv., dove a due comunità locali ci si rivolge come fossero don­ ne e i cui membri sono chiamati 't'Éxva (2 Gv. 1 .4-5 · 1 3 ). È da pensare che l'armonizzazione delle due lettere minori possa aver influito grandemente e che inoltre l'autore possa aver intrattenuto rapporti diversi, più stretti, con i destinatari della prima lettera rispetto a quelli di 2 e 3 Gv. 4·

LA

QUESTIONE DELL'AUTORE

Bonsack, Presbyteros; F.F. Bruce, St fohn at Ephesus: BJRL 6o ( 1 978) 3 3 9-361; R.H. Charles, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn 1 (ICC), 1920, XXXIV-XXXVI I; C. Clemen, Beitrage zum geschichtlichen Verstiindnis der fohannesbriefe: ZNW 6 ( 1 905 ) 271-28 1 : 278-28 1; W.C. Coenen, Ueber Ver­ fasser und Empfanger des 2. und 3 · fohannes-Briefes: ZWTh 1 5 ( 1 872) 264-271; Hengel, Question; E. Hirsch, Studien zum vierten Evangelium (fext/Literarkritik/ Entstehungsgeschichte) (BHfh n), 1936, 177 s.; Kortner, Papias, 1 99-201; E. Ruck­ stuhl - P. Dschulnigg, Stilkritik und Verfasserfrage im fohannesevangelium. Die jo­ hanneischen Sprachmerkmale auf dem Hintergrund des Neuen Testaments und des zeitgenossischen hellenistischen Schrifttums (NTOA 1 7), 199 1 , 44-54.

L'autore di 2/3 Gv. non dice il suo nome nel prescritto ma si nasconde dietro la qualifica di o itpEcr�unpoc;, «l'anziano » (v. excursus 6). La ricer­ ca del presbitero delle due lettere minori di Giovanni si è sempre stret­ tamente intrecciata alla diatriba sull'origine del corpus letterario gio­ vanneo in generale, Apocalisse compresa. Charles • fornisce un chiaro profilo del problema con una precisa proposta di soluzione. Egli distin­ gue a) da una parte l'apostolo Giovanni del gruppo dei dodici, che mo­ rì martire prima del 70 a.C. e che proprio per questo non entra in di­ scussione come autore; b) dall'altra il presbitero Giovanni, verisimilmen­ te allievo dell'apostolo Giovanni, che a Efeso scrisse il vangelo e le tre let­ tere; c) dall'altra ancora il profeta Giovanni, un giudeocristiano palesti­ nese che emigrò in Asia Minore e compose l'Apocalisse a Patmos. A voler essere rigorosi si dovrebbe aggiungere anche d) Giovanni Battista per-

INTRODUZIONE

41 1

ché, considerato il ruolo della sua figura e della cerchia dei suoi disce­

poli nella storia della tradizione della letteratura giovannea, non è af­ fatto da escludere che egli fosse allora «l'eroe eponimo» di un gruppo cri­ stiano anteriore alla cerchia giovannea. 1 Fra i dati esterni figura anche una notizia più volte attestata secondo la qua­ le l'apostolo ed evangelista Giovanni sarebbe morto prima, al tempo del­ l'imperatore Traiano, in età molto avanzata. 1 Questo dato sembrò costi­ tuire una felice corrispondenza con il mittente indicato come «l'anziano>> in 2/3 Gv. In Dionigi di Alessandria il nome del presbitero ricorre nel pun­ to in cui si affronta la questione dell'autore dell'Apocalisse di Giovanni, ma dal testo di Eusebio, Hist. Ecci. 7,25 , 1 1 non risulta che Dionigi volesse attribuire al presbitero anche l'Apocalisse oltre a 2/3 Gv. È solo Eusebio a provocare questo cortocircuito in 3,3 9,6, dove si assegnano precisamente all'apostolo e al presbitero le due tombe di Giovanni a Efeso menzionate da Dionigi - una per l'apostolo (e presbitero), l'altra per l'autore dell'Apo­ calisse (7,25,1 6), senza tuttavia menzionare nel passo, a proposito del pre­ sbitero, che quest'ultimo avrebbe composto anche 2/3 Gv. oltre all' Apoca­ lisse) La tesi si è imposta nella sua versione più celebre: il presbitero auto­ re di 2/3 Gv. sarebbe diverso dall'autore del vangelo e della prima lettera.4 La teoria della successione, che può fondarsi sulla testimonianza dubbia di Const. Ap. 7,46,7, volle trovare una mediazione: l'apostolo Giovanni nel­ la carica di vescovo anziano e metropolita avrebbe designato il presbitero Giovanni a Efeso come suo successore a vescovo. 5 Per gli scritti giovannei si prospetta così addirittura l'ipotesi di un'edizione come opera collettiva.6 Altri si videro invece costretti a mettere sostanzialmente in dubbio l'esisten­ za del presbitero. Si tratterebbe soltanto di un mito della ricerca, costruito sulla base dell'indicazione del mittente di 2/3 Gv. con l'aggiunta del nome proprio in modo da risolvere alcune questioni legate alla paternità delle opere di Giovanni.7 1

Bonsack •, 6 1 . Al. Quis Div. Sa/v. 42,2; Eus. Hist. Ecc/. 3,23,6; Iren. Haer. 3,3,4. 3 Sulle due tombe v. anche Hier. Vir. 11/. 9 ( 1 3 ,2o-22 TU 14/1 ); sulla faccenda d. l'ipo­ tesi di B. Kotting, Peregrinatio religiosa. Wa/lfahrten in der Antike und des Pilgerwesen in der alten Kirche (FVK 3 3-3 5 ), 173 s.: a Efeso ci sono due monumenti in memoria dell'apostolo Giovanni, la sua tomba fuori della città e un altro memoriale nella sua ca­ sa d'origine. 4 Così ad esempio Ebrard, 40o-420; Schleiermacher, Einleitung (sopra, p. 409 n. 1 ), 398; altra documentazione riguardo anche all'Apocalisse in Charles• . 5 Cf. Belser, 1 3 7; Bruce-, 3 5 6; Streeter, Epistles, 88. 97· 6 Cf. l'idea originale di D.L. Sayers, Unpopular Opinions, London 1 946, 26, di dare al vangelo di Giovanni il titolo di «Memorie di Gesù Cristo, di Giovanni Bar-Zebedeo; edi­ to dal rev. Giovanni l'Anziano, vicario di Santa Fede, Efeso» (cit. in Bruce•, 346 n. 3 ) . 7 Plummer, 172-175; Zahn, Apostel, 1 5 2. 1 Cl.

412

SECONDA E TERZA LETIERA D I GIOVANNI

Un consenso critico, in alcuni casi a prescindere dalla questione del presbitero, sembrò manifestarsi talvolta su una posizione come quella sostenuta da Dodd nel suo commento: le tre lettere di Giovanni sono opera di un unico autore che però non coincide con l'evangelista. Ma questo consenso ebbe vita breve. Non solo si distinguono L Gv. da una parte e 2/3 Gv. dall'altra, ma si disgiungono anche 2 Gv. e 3 Gv. Non di rado emerge il sospetto che si tratti di un'opera di finzione per cui l'au­ tore della lettera farebbe la parte del presbitero e fingerebbe cose che non corrisponderebbero alla reale situazione compositiva. Ecco alcuni mo­ menti della discussione: Già Clemen,. attribuisce 2 Gv. e 3 Gv. ad autori diversi; 3 Gv. è un'imitazio­ ne di 2 Gv. 1 Secondo Hirsch•, un revisore di L Gv. fu anche autore di 2/3 Gv.; il suo scopo era tuttavia lo stesso del redattore del vangelo e dell'au­ tore principale di L Gv. : introdurre il vangelo di Giovanni nell'uso eccle­ siale microasiatico indicandone l'autore nell'apostolo Giovanni di Efeso.1 Bultmann ravvisa in 2 Gv. un'opera d'invenzione più recente, fondata su 3 Gv. e L Gv. 3 Per Wengst e Strecker è sufficiente un autore per 2/3 Gv. Questi sarebbe in ogni caso diverso da quello di L Gv. (il quale a sua volta non è quello del vangelo).4 Kortner• postula che intento delle due lettere brevi fosse di voler dare al lettore l'impressione di essere state composte dal presbi­ tero Giovanni noto da Papia. Hengel • sostiene invece che il presbitero Gio­ vanni menzionato da Papia - che non è lo stesso apostolo Giovanni - sa­ rebbe l'unico vero autore del vangelo e delle tre lettere.

Qui si distingue l'autore di L Gv. dall'evangelista Giovanni e dalla redazione dei vangeli.5 Gli indizi testuali non sono sufficienti per soste­ nere un'ulteriore distinzione fra l'autore di I Gv. e il presbitero di 2/3 Gv. , mentre vi sono ragioni valide per considerare plausibile l'ipotesi di una composizione unitaria. All'idea dell'opera di finzione si oppone sempre la tesi di Haenchen: una simile operazione sarebbe stata fatta in maniera molto maldestra oppure sarebbe rimasta incompleta. 6 L'atten­ dibilità di questa ipotesi è da appurare anche alla luce delle circostanze 1 Un po' bizzarra è la tesi di Coenen•: intorno alla metà del n secolo, con l'indirizw di 3 Gv. un autore anonimo vorrebbe dare l'impressione di scrivere al Gaio di Corinto (Rom. 1 6,23, ecc.). 2 Hirsch•, 177: i nomi di Diotrefe e Demetrio di 3 Gv. potrebbero «essere allusioni alla memoria ancora viva di figure di età domizianea • o anche •invenzioni di tipo narrativo• . 3 Bultmann, 103; lo seguono Schunack, 1 0 8 s.; Heise, Bleiben, 1 70. 4 Cf. Wengst, 230 s.; Strecker, 22-28; Richard• (bibl. al S 3) ipotizza tre diversi autori per .r-3 Gv. 5 V. anche sopra, pp. 59-65. Di diverso parere ancora Ruckstuhi-Dschulnigg• . 6 Haenchen, Literatur, 300.

INTRODUZIONE

della composizione e, infine, soprattutto nell'esegesi dei due scritti, poi­ ché in definitiva è importante stabilire se a trame vantaggio è la com­ prensione del testo oppure no. Per una più precisa individuazione stori­ ca dell'autore delle tre lettere di Giovanni che in 2/3 Gv. si fa chiamare «presbitero » , mancano strumenti. La figura del presbitero Giovanni nel­ la tradizione della chiesa antica appare gravata da troppe incertezze per­ ché una ricostruzione che poggi interamente su di essa possa essere rite­ nuta pienamente attendibile. 5.

TEMPO E LUOGO D'ORIGINE

Beutler, Krise; Klauck, ]ohannesbriefe (EdF), 1 5 5- 1 66; Lieu, Epistles, 1 25-1 65; B. O lss on, The History of the Johannine Movement, in L. Hartman - B. Olsson, Aspects on the ]ohannine Literature (CB.NT 1 8 ), 1987, 2.7-43; P.W. Schmiedel, The Johannine Writings, London 1908, 2.16 s.; Strecker, Anfiinge (e il commento, passim); Wendt, Zum 2./3 . ]oh; Idem, Johannesbriefe, 3-7.

Anche nell'ipotesi di una paternità unica di I-3 Gv. sarebbe in teoria pos­ sibile pensare che l'origine dei tre scritti sia dovuta a situazioni molto di­ verse per i tempi, e per il contenuto diversamente strutturate. In realtà sciogliendo la questione dell'autore si risolve anche il problema della de­ terminazione della successione cronologica, del contesto d'uso, del luo­ go e del tempo. Per altre ipotesi non c'è più molto margine, tutto conver­ ge verso la tesi che le tre lettere presuppongono in sostanza la stessa si­ tuazione comunitaria del vangelo non ancora chiaramente conflittuale, e che furono scritte in un arco di tempo relativamente breve per risolvere lo scisma interno alla comunità di Giovanni. Se si cerca di collocare 2/3 Gv. nella situazione dello scisma giovanneo nota da I Gv., è subito evidente come i due scritti risultino di fatto com­ prensibili soprattutto alla luce di tali circostanze. Sotto questo aspetto è da distinguere fra un centro urbano più grande, che è l'orizzonte di I Gv., e le comunità locali e domestiche sparse nella regione alle quali 2 Gv. e 3 Gv. rivolgono la loro attenzione. La lontananza geografica ri­ spetto a I Gv. risulta chiara dalla visita annunciata e auspicata alla fine delle due lettere minori. La grande dipendenza di 2 Gv. da I Gv., che tocca anche il lessico, è dovuta alla coincidenza, dal punto di vista del­ l'autore, tra la situazione di pericolo riflessa dalla lettera principale e i preoccupanti cambiamenti in atto in un'altra comunità più distante. Nonostante la diversa prospettiva temporale di 2 Gv. 7 rispetto a I Gv. 4,2, le controversie cristologiche sono le stesse. Gli pseudoprofeti che se­ condo I Gv. 4,1 escono nel mondo, ossia fuor di metafora i missionari itineranti della parte avversa, sono all'origine del rigido divieto di ospi-

4 14

SECONDA E TERZA LETTERA DI GIOVANNI

talità e di saluto di 2 Gv. I O- I I . Strutture consolidate e stabili vengono distrutte dallo scisma, 3 Gv. affronta questo cambiamento. Le reazioni sorprendenti di Diotrefe in 3 Gv. 9-Io sono la sua reazione al pericolo che minaccia il legame fra le comunità giovannee nel complesso. 3 Cv., dal canto suo, non vuole approfondire la rottura ma salvare il salvabile attraverso la persona di Gaio. Nell'analisi puntuale nel corso del com­ mento questo accenno dimostrerà la sua potenzialità. La successione cronologica. Il quadro dei rapporti cronologici delle let­ tere minori tra loro, rispetto a I Gv. e al vangelo di Giovanni non può prescindere dalle opzioni adottate nella questione dell'autore. Chi per esempio consideri 2 Gv. una finzione costruita sulla base di 3 Gv., deve anche spostare più in avanti 2 Cv. Nei primissimi studi sull'argomento, Schmiedel"" e Wendt"" elaborarono so­ luzioni indipendenti. Secondo Schmiedel"" 2 e 3 Gv. furono pubblicate in un primo tempo dai discepoli con il nome del presbitero Giovanni, capo della scuola giovannea. In tempi più recenti, la stessa cerchia compose I Gv. e il vangelo, pubblicando tuttavia questi testi come opera dell 'ap ostolo Giovan­ ni. Wendt"" colloca 2 Gv. all'inizio. 3 Gv. (con un'allusione a 2 Gv. al v. 9) è posteriore, poiché si limita a illustrare e a dimostrare le idee di I Gv. rias­ sunte in 2 Gv. , dove l' !ypa� di 2, 1 4 rimanda a 2 Gv. Di recente Strecker"" ha identificato in 2 e 3 Gv. documenti autentici scritti dal presbitero, il fon­ datore della scuola giovannea, che inviò prima 2 Gv. e poi 3 Gv. dopo il ri­ fiuto della lettera da parte di Diotrefe. Altri esponenti della scuola compo­ sero poi I Gv. e il vangelo. Il problema più spinoso è sicuramente l'impresa immane di dimostrare che in 2 Gv. 7 ci si riferisca a una parusia di Gesù Cristo nella carne (v. sotto, ad loc. ).

Se, come qui si va sostenendo, un autore che non è lo stesso evangelista ha scritto le tre lettere, vale per tutte ciò che si è detto per I Cv. : esse sono state composte dopo che l'evangelista aveva concluso la sua atti­ vità, nella fase finale della redazione del vangelo, poco prima dell'edi­ zione definitiva. Sulla loro cronologia interna non si può dire di più, poi­ ché le differenze di forma e di contenuto si devono più a situazioni geo­ grafiche e locali. Anche per la cronologia I Gv. funse forse da testo di riferimento al quale seguirono 2 Gv. e 3 Gv. come discussione di casi concreti, 2 Gv. nella speranza di evitare proprio in quel momento l'esten­ dersi dello scisma, e un po' prima di 3 Gv. che si trova già a dover contra­ stare le prime reazioni indesiderate. 1 La risposta alla questione del luo­ go e del tempo è dunque quella data per la prima lettera di Giovanni: a Efeso, intorno al Ioo/I Io.,_ 1

Similmente Brown, 30-3 2..

2.

Più approfonditamente cf. Klauck •, 1 6 3 - 1 66.

SECONDA LETTERA DI GIOVANNI

Per quanto attiene alla struttura del breve testo, ci si attiene qui nella so­ stanza allo schema della lettera (è sempre da tenere sott'occhio il pie­ ghevole). Prescritto, proemio, corpo e chiusa bipartita sono chiaramen­ te distinguibili. Una delle questioni sostanziali poste da 2 Cv. è, proprio all'inizio, quella del mittente, «il presbitero» , e del destinatario, « una si­ gnora eletta » . Queste sono le indicazioni più importanti di cui tener con­ to nella comprensione della lettera nel suo insieme, e per questo i primi due excursus sono dedicati a questi due aspetti. I . PRESCRITIO DELLA LETIERA

( 1 -3 ) 1

de la Potterie, Vérité, 5 3 9-5 5 2. 63 7-663 ; J.C.T. Otto, Ueber den apostolischen Se­ gensgruss 'X,cXptç ùtJ.iv xa.Ì tlp�VlJ u nd 'X,cXptç ÉÀe:oç tlp�vl): JDTh 1 2 ( 1 867) 678-697.

1a b c

2a b

3a b c

d

L'anziano a (una) eletta signora e ai suoi figli,

che io amo nella verità, - e non solo io,

ma anche tutti quelli che hanno conosciuto la verità per la verità che rimane in noi, 1 e sarà con noi per sempre. Saranno con noi grazia, misericordia, pace da parte di Dio Padre e di Gesù Cristo, il figlio del Padre,3 in verità e amore.

1 Un titolo diverso della lettera (in parte soltanto come subscriptio) è riportato da Ti­ schendorf n, 3 4 5 ; Thiele, VL 2.6/1, 3 8 5 . lwavvou 13 è una soprascritta che ricorre forse in �· 8' 048; come esempio di inscriptio articolata basti ricordare 'tou li:ylou 'tou .Sr.oÀoyou è'JttcrtoÀ� 13 in L (cf. Grunewald, ANTT 6, 1 p ). 1 Anziché (J-Évouaa.v, A 048 leggono Èvotxoiiaa.v ( «che . . . dimora» ; difeso da Ebrard, 42.1 s.), 3 3 e altri semplicemente o�a.v ( •che ... è » ). Per «in noi» - e così pure per «con noi• in 2.b e 3a - diversi mss. offrono tutti o in parte «in voi» e «con voi», senza dubbio ade­ guamento posteriore alla forma più corrente di saluto della letteratura epistolare neote­ stamentaria; cf. Smalley, 3 14. 3 Dei titoli cristologici esistono diverse varianti, ad esempio •figlio di Dio» invece di «fi­ glio del Padre» in 1 8 8 1 oppure xuplou prima di 'll)aOu in �·, ecc. e nel testo di maggio­ ranza (ma non in A B); per la documentazione cf. Aland, Text und Textwert 1/1, 176 s.

PRESCRITIO DELLA LETIERA 1 . L'ossatura dei vv. 1-3 è costituita dalle tre componenti che normalmente concorrono a un prescritto epistolare codificato, come nei prescritti delle lettere paoline. Qui come là queste formule fisse si arricchiscono di altro ma­ teriale, ma un confronto tra 2 Gv. 1-3 e l'apertura delle lettere paoline fa emergere subito le peculiarità intrinseche pur nella condivisione di tratti for­ mali comuni. A differenza di Paolo, indicando il mittente al nominativo l'au­ tore di 2 Gv. rinuncia a precisarne meglio l'identità. Dopo aver menziona­ to i destinatari al dativo, con la proposizione relativa egli viola per la pri­ ma volta lo schema fisso e lo fa fino a 2b. Questa infrazione estende la cer­ chia del mittente oltre Ia, con il noi comunicativo ( « in noi» 2a; > (Apoc. 1 2, 1 7), con le nozze dell'agnello, la città ce­ leste ( 2 1,2.9 s.) e Babilonia, la grande prostituta in Apoc. 17- 1 8 . • L'impron­ ta apocalittica è evidente anche nel Pastore di Erma quando al veggente appare una vecchia che egli chiama «signora » e che gli viene indicata come la chiesa (Herm., vis. 1,2,2 s.; 2,4, 1, ecc.). Molto importante per il confron­ to con 2 Gv. è I Pt. 1 , 1 : «Pietro . . . agli eletti che vivono come forestieri di­ spersi» assieme a I Pt. 5,1 3 : «vi saluta la coeletta ( auve:xÀEX't�) in Babilo­ nia ». Il rapporto tra l'eletta come comunità locale (in Babilonia, ossia a Ro­ ma) in 5 , 1 3 e gli eletti nell'allocuzione è affine a quello tra la «sorella elet­ ta» di 2 Gv. 1 3 e la signora eletta di 2 Gv. Ia. Quanto al corpus paolino basti citare 2 Cor. 1 1 ,2 (la comunità come casta vergine); Gal. 4,25 s. ( « la Gerusalemme di lassù come nostra madre, ecc. » ); Ef. 5,22-27. 2. Sul piano esegetico non è così facile stabilire se anche nel vangelo di Giovanni la ma­ dre di Gesù venga ad assumere lo stesso valore simbolico di incarnazione della chiesa; nel caso di 2 Gv. non si dovrebbe quindi dare troppo peso a tale significato, quando fosse possibile (ma cf. Gv. 3,29). 3-3 - Il dizionario di Bauer-Aland ( 93 1 ) adduce per xupia ÈxxÀlJata due testimonianze letterarie e una epigrafica.3 Le prime sono Aristoph. Ach. 19 e Demetrio Faleceo in un'opera sulla costituzione degli Ateniesi (FGH 228 F 4 ) . La stessa formula ricorre in un'iscrizione ateniese del I I I sec. a.C. 4 Al­ trove è attestata anche lj n:oÀt .4 La familiarità con i testi giovannei risulta ancor più netta in un passo succes­ sivo in cui si cita esplicitamente Gv. 8,3 2 come 'Mroc;. 5 1 Una componente didascalica è sicuramente presente, ma non in senso tanto esclusivo come vorrebbe Bergmeier, Verfasserproblem, 97 s.; cf. al contrario Schnackenburg, Be­ griff, 2 5 5 . 1 Riguardo a «non solo . . . ma » cf. L Gv. 2,2; 5,6; Gv. 1 1,52; 17,20 e così pure Rom. 1 6, 4: " · · · e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le chiese dei gentili ». 3 Cf. L Tim. 4.3 : «per i credenti e per quanti sono giunti alla conoscenza della verità (Èn:tyvwxoal ��v ciÀlj-8e1av) » . 4 Ev. Phil. 1 10,77,1 5 s. 5 Ev. Phil. 1 23 ,84,7-9; per l'espressione cf. Ev. Thom. 78,47,2 s.; Ev. Ver. 17,17.

430

PRESCRITIO DELLA LETIERA

La vita nella verità che si attua fra i credenti ha la sua fondamen­ tale ragion d'essere nella verità che essi hanno ricevuto come dono di­ vino. èv lJ(J-LV può anche voler dire in sostanza che questa verità rimane tra noi, ma probabilmente il significato è un altro. L'idea che subentra in aggiunta col v. 2 è che la verità è interiorizzata ed è integrata in due complessi teologici più generali. È interiorizzata, ossia il suo cammino porta all'interno, nel cuore di chi dall'esterno s'interessa dei fratelli cri­ stiani con atteggiamento più premuroso. È integrata, ciò significa che è ancorata al linguaggio dell'immanenza in 2a e all'idea di paraclito in 2b. 2.

Il nostro rimanere nella paro�a di Gesù è in Gv. 8,3 1-3 2 il presupposto della conoscenza della verità che rende liberi, che si può esprimere anche in forma reciproca: il rimanere della parola di Dio in noi ci dona la vittoria (I Gv. 2, 14); il crisma che rimane in noi ci istruisce ( I Gv. 2,27) perché tutti sappiamo la verità (I Gv. 2,20-2 1 ). E anche la verità rimane in noi e ci por­ ta all'amore, come Gesù che di se stesso ha detto «io sono la verità » (Gv. 14,6) rimane in noi mediante la sua parola (Gv. 1 5,7) e ci guida all'amore ( 1 5,9- 1 2). Già il crisma, l'essere stati unti di I Gv. 2,27, è innegabilmente affine al paraclito in funzione di maestro dei discorsi di commiato. La sua prima affermazione riguarda lo spirito della verità al quale il Padre coman­ derà di «rimanere con voi per sempre» ( Gv. 14, 1 6; per e:l� -ròv alwva cf. an­ che I Gv. 2,17c). Applicando queste parole alla verità si riesce a inquadrar­ ne meglio la dimensione pneumatologica ed escatologica. In quanto dono di Dio, mediante lo spirito essa viene calata nell'interiorità dell'uomo e conti­ nua a vivere con lui per tutto il tempo della vita terrena, finché la comunio­ ne presente con Dio, già vissuta nella fede e nell'amore, non si trasforma in visione celeste ( I Gv. 3 ,2). Ja. Con la ripresa di (J-t-B' i)(J-WV er:r-rat di 2b si spiegano in parte le dif­ ferenze del saluto iniziale di 3a rispetto all'usuale salutatio paolina, 1 che è priva di verbo, ma che va sciolta in questo modo: « la grazia sia con voi e la pace . . . » . Qui l'augurio è invece costituito da una frase sen­ za dubbio espressa al futuro, dunque nel tempo dell'attesa, ma il futuro acquisisce anche forza di presente nel contesto del linguaggio dell'im­ manenza. La comunità dei credenti può star certa che grazia, misericor­ dia e pace, la quintessenza di tutti i doni salvifici, sono donati da Dio per sempre e che al pari della verità anch'essi la guideranno attraverso un futuro aperto. 1 Nella sua critica estremamente perspicace dello stile del saluto, riflettendo sull'affinità con le lettere paoline Baumgarten, 226 afferma che •soprattutto la proposizione ottativa del v. 3 la cui struttura addensa anche reminiscenze paoline fa pensare ai fiori secchi di un erbario» .

2

GV. 1 - 3

43 1

Sotto questo aspetto potrebbe essere di qualche interesse che nel vangelo di Giovanni grazia ( 1 , J 4. 1 6-17) e pace ( 1 4,27; 1 6,3 3 ; 20,19.21 .26) con l'even­ to dell'incarnazione e risurrezione di Gesù sono già trasferite ai discepoli. Anche le lettere pastorali utilizzano la triade di xliptc;, ÉÀe:oç ed e:!p�vlJ invece del binomio xliptc; ed e:!p�vlJ. 1 Non è certo un caso che x�Zptc; ed ÉÀe:oc; nel gre­ co dell'A.T. sono due diversi traducenti dell'unico termine hsd. Il binomio veterotestamentario e giudaico costituito da grazia o miseri�ordia e pace fa dunque da sfondo al nostro saluto (cf. ad es. la benedizione di Aronne in Num. 6,24-26; in una lettera Bar. syr. 78,2). Nella lettera ai Galati Paolo passa da «grazia e pace» del prescritto ( Gal. 1,3 ) al «pace e misericordia» della chiusa ( Gal. 6,1 6; x!iptc; in aggiunta in 6,1 8). L'affinità tra i diversi termini che tentano di scandagliare la profondità dell'unica azione salvifica di Dio è una caratteristica distintiva della Bibbia, quando ad esempio si con­ fronti la definizione di xliptc; ed ÉÀe:oç in Aristotele o nella stoa, dove x!iptc; è inteso come favore che presuppone il ringraziamento, mentre ÉÀe:oç come af­ fetto che facilmente è messo in cattiva luce. :z. Riferite a Dio esse cambiano qualità; possono essere integrate nel movimento dell'amore che si dona. 3bc.d. 3 bc fissa l'origine del dono salvifico nel suo triplice sviluppo nell'evento di rivelazione che ha inizio da Dio padre e che ha assunto la sua forma esperita nella storia in Gesù Cristo, il figlio di Dio. in 1 8c, «molti anticristi» in 1 8d e «que­ sto è l'anticristo» in 22d. In I Gv. non s'incontra «seduttore» (7tÀavoc; o 7tÀa­ vot), bensì «seduzione» (7tÀavYj) e «ingannare» (7tÀcxvciv, 2,26; inoltre 1,8; 3,7). La radice della parola 1 appartiene alla tradizione di natura mitica del­ l'avversario escatologico di Dio (cf. 2 Tess. 2,1 1 ), per il quale la tradizione giovannea ha coniato il termine «anticristo» (cf. a I Gv. 2, 1 8 ). Il sostanti­ vo 1tÀavoc; sostituisce in 2 Gv. 7 il termine «pseudoprofeta» di I Gv. 4,1, anche il quale ha una sua collocazione fissa in questo contesto (cf. Mc. 13, 22 con 13,6; Apoc. 19,20). 7a. Nel v. 7 l'autore attacca direttamente i suoi avversari teologici no­ ti anche da I Gv. La loro presenza minaccia l'unità di fede e amore nel­ la comunità, unità che si realizza nella verità; perciò era necessario intro­ durre prima i vv. 4-6 e aggiungere il v. 7 con 1' 8-rt causale. «Usciti nel mondo» evoca diversi orizzonti di senso. Richiama il punto di partenza di I Gv. 2, 19a: sono usciti da noi, dalla comunità, e ciò rafforza la di­ mensione missionaria di È�ÉpX,t:a-8cx, in 4,1d, che deve ancora essere men­ zionata: uscendo nel mondo (cf. Mc. 1 6, 1 5 ), essi continuano a portare il loro annuncio in altri luoghi, anche in quelli dove vive la comunità dei destinatari. Qui sta la differenza rispetto a I Gv. : in un caso il dissenso nasce all'interno della comunità, mentre nell'altro minaccia di estender­ si a una comunità più lontana dal punto di vista geografico. Come in I Gv., la scelta lessicale determina anche qui un altro effetto che a ragione si potrebbe definire caricaturale o parodistico. Gesù stesso è uscito (È�­ �À-8ov) dal Padre ed è venuto nel mondo ( Gv. 1 6,28; cf. 8,42; 1 8,37). Il vangelo gli contrappone la figura di Giuda che sta dalla parte dell'avver­ sario ( 6,7o; 1 3 ,2.27) ed esce nella notte della mancanza di fede ( 1 3,30). Le lettere di Giovanni attribuiscono questo aspetto agli avversari che uscendo, ossia con la loro azione di propaganda nel mondo, mistificano l'evento salvifico cristologico guadagnandosi così la definizione implici­ ta nel nome di anticristo: «contro Cristo>> . 7bc. Come può la comunità riconoscere gli eretici come tali, distin­ guerli dagli altri nunzi missionari di retta fede? In I Gv. svolge questa funzione la confessione pubblica in Gesù Cristo, il figlio di Dio venuto 1

Cf. O. B&her, EWNT m, 2.33-2.3 8.

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INFORMAZIONE: LA COMPARSA DI « FALSI MAESTRI »

nella carne (2,23; 4,2-3 . 1 5 ). Così anche qui: il segno di riconoscimento è la confessione cristologica fondamentale la cui forma è l'opposto del­ la versione mistificata di quei «seduttori >> . Questi non sembrano condi­ videre una spiegazione che l'autore aggiunge alla confessione in Gesù Cristo, ossia il suo venire nella carne. Del possibile significato di questa integrazione per la cristologia degli avversari e dell'autore si è discusso commentando I Gv. 4,2-3 (v. ad loc. ). Qui ci si concentra sulla questione fondamentale che impone anche di stabilire se le considerazioni fatte su I Gv. 4,2-3 possono in generale applicarsi a questo passo. Presenta qual­ che difficoltà l'interpretazione del presente «che viene» in 2 Gv. 7 c (a dif­ ferenza del perfetto «venuto» in I Gv. 4,2c). I piani temporali sono nel­ l'ordine i seguenti: I . Futuro. Il participio presente può acquisire talvolta significato di futuro. Si dovrebbe dunque tradurre: «che Gesù Cristo verrà nella carne>> ; in di­ scussione sarebbe la sua venuta nella carne alla parusia. 1 Per un'attesa di tal genere ci si rifà a passi della Lettera di Barnaba: «sperate, dice ella (la co­ noscenza), in colui che si manifesterà a voi nella carne ('t'Òv Èv crapxt (JoÉÀÀo.,_ 't'ex qltzve:poua.Sat), Gesù» (Barn. 6,9 ), oppure, poco più avanti: «poiché egli si manifesterà nella carne e dimorerà in noi» (Barn. 6, 14). In secondo luogo compare una reinterpretazione fondata su una sorta di concezione d'imma­ nenza (il significato non può essere « tra noi» per via della « dimora del no­ stro cuore» in 6,1 5 ). Non è molto chiaro se l'attenzione della Lettera di Barnaba sia rivolta qui soprattutto alla parusia, oppure se - tutte e due le volte parla un profeta d'Israele - partendo da un punto fittizio nel passato non annunci piuttosto, come in una visione profetica, il Gesù terreno e la sua venuta. 2. Il discorso più esplicito sulla parusia in Barn. 7,9 menziona la carne, ma guardando in generale alla sorte trascorsa di patimenti. La ten­ denza a considerare la parusia di Cristo nella carne sarebbe molto rara nel­ l'opera giovannea e non soltanto qui (che a detta di Fil. 3,20 s. ecc. questa avverrà nella doxa 3 può fungere da argomentazione ulteriore). Per darle una collocazione si deve ricorrere a ipotesi di più ampio respiro: 4 in quan­ to autore cronologicamente più anziano della scuola giovannea, il presbite­ m sarebbe fautore di un'escatologia fortemente apocalittica che più avanti venne messa in discussione. Egli predicherebbe il chiliasmo (cf. forse Barn. 1 5 ,4 s.),5 l'interregno messianico che comporta la venuta di Gesù nella carI

Gore, :z.:z.6: «può soltanto riferirsi alla venuta futura, finale di Cristo»; E. Schwartz, Apo­ 1 907, J41.-371.: 368 e n. 3; Idem, Sohne Zebe­

rien im vierten Evangelium I, NGWG.PH diii (sopra, p. 4 1 7 n. 3 ), :z.65. :z.7:z..

2. Cf. Schnackenburg, 3 1 3 n. x; Vouga, 83; a proposito di Barn. 6,9 come topos dell'in­ carnazione e non della parusia, v. anche K. Wengst, Tradition und Theologie des Barnabasbriefes (AKG 41.), 1971, 1.7 s. 3 Bultmann, 107; Balz, 1.07. 4 Per quanto segue cf. Strecker, Anfange, 3 5; per la discussione, Beutler, Krise, 91. s. 5 Caute oppure apertamente contrarie le posizioni di K. Lohmann, Drohung und Ver-

2 GV.

7

44 5

ne. Una simile predatazione di 2 Gv. presenta troppi svantaggi. Alla luce del testo, i rapporti di dipendenza si spiegano meglio perlopiù al contrario come ad esempio sopra per i vv . s-6. 2. Presente. Se ci si attiene strettamente alla forma grammaticale sareb­ be necessario fare in modo che la venuta di Gesù sia al presente. Questa sa­ rebbe tutt'al più concepibile mediante l'idea di immanenza, di ecclesiologia e dei sacramenti, ogni volta in unione con l'incarnazione. 1 Gesù viene ai credenti nello spirito (Gv. 14,1 8.23 ), agisce poi nella comunità nella sua for­ ma terrena, visibile, è realmente presente con la sua carne nell'eucaristia ( Gv. 6,5 1c-s 8 ; cf. forse anche la sua venuta nell'acqua e sangue in I Gv. 5 , 6). Nell'impossibilità di elaborare un'altra soluzione, sarebbe tuttavia pre­ feribile l'interpretazione fondata sulla parusia. 3 · Passato. La maggior parte degli autori interpreta 2 Gv. 7 più o meno nel senso di I Gv. 4,2, come se la proposizione fosse mantenuta al passato. Escludendo l'ipotesi di imprecisioni se non anche di errori nel greco :z. o di una semplice figura stilistica,3 il presente è inteso in senso generale o atem­ porale: 4 sottolinea il valore permanente dell'incarnazione,s l'impossibilità di rinunciarvi e la dimensione atemporale e in certa misura l'azione nel pre­ sente,6 la ragione dottrinale di una simile confessione. 7 Per far sì che ciò risulti in qualche modo plausibile, si deve tuttavia ricorrere a un altro stru­ mento interpretativo. Una situazione simile sarebbe più facilmente ricono­ scibile se Èp'X,O(L&voc; non fosse già divenuto titolo fisso, ormai indiscusso, del messia che viene, dunque di Gesù, il quale scioglie questa attesa e quindi rimane colui che viene (cf. Mal. 3 , 1 ) . 8 Ed è questo l'aspetto che s'incontra nel vangelo di Giovanni, soprattutto in 1 2, 1 3 : «Benedetto colui che viene (b Èpl,O(Lt:voc;) nel nome del Signore» , come anche nella confessione di Mar­ ta in 1 1,27: «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio che viene (Èp'X,O(Levoc;) nel mon­ do», e in materiali battesimali ( 1 , 1 5 .27; 3,3 1; cf. anche 6,14). Su questa heissung. Exegetische Untersuchungen zur Eschatologie bei den Apostolischen Viitern (BZNW 5 5 ), 23 2 s. (anche 1 9 5-24 1 su altri passi e in generale); E. Ferguson, Was Bar­ naba a Chiliast? An Example of Hellenistic Number Symbolism in Barnabas and Cle­ ment of Alexandria, in Greeks, Romans, and Christians (Fs A.]. Malherbe), Minneapo­ lis 1990, 1 5 7- 1 67 (ulteriore bibliografia). 1 È l'ipotesi di Thiising, 193; in senso sacramentale anche Vouga, Schoo/, 376: �esprime la cristologia del movimento come iniziazione sacramentale». :z. Dodd, 146: •non a suo agio con le finezze della lingua greca >>; Hengel, Question, r 86: •una svista linguistica• . 3 Cf. Watson, Analysis of 2 fohn, 1 22: •esempio di evento passato descritto a l presente per risultare maggiormente incisivi,. . 4 Lenski, 5 66: «atemporale». Intemporale è anche Ign. Sm. 5,2: !'-� o11.oÀoywv a&tòv aapxo�pov. 5 Smalley, 3 29 s. 6 Hoskyns, 672: «la continuità dell'incarnazione nell'esperienza e nella liturgia della chiesa » . 7 Windisch, 139: «formulazione dottrinale»; cf. anche Bonnard, 1 24 n . r : «presente storico•; Henle , 1 5 3 : è negata la possibilità dell'incarnazione. s Cf. Brown, 670. ..

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INFORMAZIONE: LA COMPARSA DI « FALSI MAESTRI »

base può nascere un'espressione formulare come quella di 2 Gv. 7c. Se si considera la posizione predicativa, la mancanza di articolo non costituisce un ostacolo insormontabile. 7d. Lo stico conclusivo, meno definitorio rispetto ad altri, vede nei molti seduttori di 7a un unico seduttore degli ultimi tempi e l'anticristo.

Seduttore e anticristo non designano due figure distinte come in Apoc. 1 3 (la bestia dal mare è l'anticristo e quella dalla terra è il suo ministro di propaganda ), ma l'avversario della fine dei tempi in assoluto, l'anti­ cristo , è a l contempo il seduttore. Anche in I Gv. 2.,22. egli ha un doppio nome, « bugiardo» e «anticristo» , genericamente al singolare: bugiardo e anticristo è chiunque nega il Padre e il Figlio. Non ci si deve più aspet­ tare - così l'autore - la venuta dell'anticristo, perché egli è già presente dappertutto nei molti seduttori. Lo si potrebbe definire una forma di escatologia realizzata. In realtà il percorso segue un'altra direzione. Il potenziale delle attese apocalittiche viene attivato per indicare le espe­ rienze individuali con il presente: con la comparsa dei seduttori si com­ piono in esso quegli eventi terribili che erano annunciati per la fine dei tempi. Non parlando più qui di pseudoprofeti e rinunciando a segni e a miracoli, che di norma accompagnano la comparsa dei falsi messia e pro­ feti in quanto strumenti di propaganda (Mc. 1 3 ,2.2.; Apoc. 1 3 , 1 3 s.), l'au­ tore presenta a maggior ragione i suoi avversari come maestri 1 che al pa­ ri di lui combattono con l'arma della parola. Storia degli effetti. Non si può sempre stabilire con certezza se un autore che riprende la formula confessionale di 7c si richiami a 2 Gv. 7 oppure a I Gv. 4,2-3, tanto più se la tradizione testuale veterolatina riporta anche in 2 Gv. 7c la forma al passato di I Gv. 4,2: in carne venisse, così recita qui la chiusa di 2 Gv. 7c. 1 Un mezzo chiaro per decidere è sempre la mitizzazio­

ne di 7d, che non di rado avviene a scapito del plurale nel testo originale che meglio si attaglia a 7a.3 La facilità con cui si traspone 7c al passato di­ mostra che l'idea di un'interpretazione legata alla parusia era stata accan­ tonata. Ireneo resta fedele alla visione che Gesù Cristo «verrà nella stessa carne in cui ha patito, a rivelare la sua gloria », ma non stabilisce alcun rap­ porto con 2 Gv., pur citando alla lettera 2 Gv. 7-8 (con venisse in 7c) e I Gv. 4, 1 -3 poco prima nello stesso paragrafo.4 Anche a Tertulliano non vie­ ne in mente di dimostrare la parusia di Gesù nella «stessa carne» sulla base Lieu, Epistles, 8o. 2. Cf. Thiele, VL 26/1, 390. Come esempio si veda Ps.-Agostino Speculum 2 (3 1 5,7 s. CSEL 1 2): . . . qui non confi­ tentur iesum christum dominum nostrum in carne venisse. hii fa/laces et antichristi sunt; anche Priscilliano Tractatus 1,37 ( 3 1 ,4-6 CSEL 1 8). 4 lren. Haer. 3,16,8; cf. Loewenich, ]ohannes-Verstiindnis, 1 28 s. x

3

2 GV.

8-9

447

di questo passo. r Indizi di un'interpretazione fondata sulla parusia sono da rintracciare nella tradizione delle catene.1 Un riflesso immediato se ne ha nello Pseudo-Ecumenio, a detta del quale il testo dice «che viene» , non «ve­ nuto>> ; l'autore della lettera vorrebbe dunque dire che gli avversari avreb­ bero negato la seconda venuta del Signore nella carne, ma - e con questo si riallaccia all'interpretazione dominante del testo - chi nega la seconda ve­ nuta nega anche la prima, l'incarnazione ( 692c).

L'autore giunge al nocciolo della questione per un tragitto più lungo. Egli vede in atto una vera e propria antimissione che fa affiorare all'esterno il conflitto intorno alla cristologia scoppiato all'interno della comunità. L'autore vuole avvertire la comunità dei destinatari dell'arrivo di que­ sta ondata, affinché metta per tempo al sicuro il proprio patrimonio teo­ logico. Egli attribuisce molta importanza all'incarnazione di Gesù Cri­ sto: tutto il contenuto reale dell'annuncio, la sua concretezza, la conside­ razione della verità umana, e ciò vuoi dire della creazione e della storia, e non da ultimo anche la giustificazione del comandamento dell'amore, presuppongono l'accettazione e il superamento delle condizioni di vita presenti. La gravità del conflitto che scuote le fondamenta lo porta a uti­ lizzare modelli esplicativi di tipo apocalittico, che sul piano linguistico con il neologismo «anticristo» si attagliano alla cristologia. c) Monito: la minaccia del «progresso» ( 8-9 ) H. Hanse, « Gott haben» in der Antike und im frUhen Christentum. Eine religions­ und begriffsgeschichtliche Untersuchung (RW 27), 1939, 104- 108; A.J. Malherbe, Through the Eye of the Needle. «The Doctrine of Christ» : RestQ 6 ( 1962) 1 2-18; G.A.J. Ross, The Indispensableness of]esus: Exp. VII/9 ( 1 9 10) 1 87-192; Taeger, ]o­ hannesapokalypse, 1 82-1 8 5; Wendland, Truth, 3 10. 3 19-322. Sa b c d

9a 1

Badate a voi,3 affinché non perdiate quello che avete [abbiamo ?] ottenuto,'� ma per ricevere piena ricompensa. Chiunque va oltre s

Cf. Tertullian. Carn. 1 6,1; 24,4 (902,6-10; 9 1 6,25-3 2 CChr.SL 2). Catenae 146 nell'hypothesis di 2 Gv.: !l.lJ Eln& -rljv 1t> di 9b di contro a «ri­ manere nell'insegnamento di Cristo» in 9d, e «non avere Dio» di 9c di contro ad «avere il Padre e il Figlio» di 9e. È interessante il confronto di­ retto fra questo passo e il testo I Gv. 2,2 3 : 7 -

1

Braune, 141 (con documentazione); così anche Marshall, 72; Lewis, 1 30: «Giovanni e colleghi maestri» ; Metzger, Commentary, 721: «noi, apostoli e maestri». 2 Brown, 671 ; Lieu, Epistles, 89. 3 Liicke, 457; 4 A. Hamack, Das « Wir» in der johanneischen Schriften (SPAW.PH), 1923, 96-1 1 3 : 97; Schneider, 1 8 3 . s Schnackenburg, 3 14· 6 Berger, Formgeschichte, 1 86. 7 Attribuendo questa affinità al nucleo fondamentale di 2 Gv. 9 (senza «andare oltre» e •insegnamento di Cristo» ), Bultrnann, Analyse, 1 2 1 . 1 23 la riconduce alla fonte con detti antitetici sottostante a 1 Gv. i suoi

I Gv. 2 Gv. , Chiunque Chiunque va oltre J l. l. 3 b e non rimane nell'insegnarinnega il Figlio mento di Cristo, c non ha Dio. b non ha il Padre. Chi confessa il Figlio d Chi rimane nell'insegnac mento, d ha anche il Padre. e questi ha sia il Padre sia il Figlio. Il confronto è importante anche perché I Gv. 2,23 segue a breve distanza dalla prima introduzione della tematica dell'anticristo in 2,1 8 che prosegue immediatamente in 2,22de: «questi è l'anticristo, colui che rinnega il Padre e il Figlio» (al v. 8 la fedeltà alla lingua giovannea del vangelo e della pri­ ma lettera è meno evidente, ma v. i commenti a Gv. 6,27-29). 93

Sa.bc. L'imperativo «badate a voi» oppure «guardatevh> ha il tono apocalittico del v. 7· Nell'apocalisse sinottica Gesù ammonisce i disce­ poli: « badate (�ÀÉ1tne:) che nessuno v'inganni (7tÀtxvl}an) » (Mc. 1 3,5); « ma voi badate a voi stessi (�ÀÉ1tne: . . . Étxu't'o� ) » ( 1 3 ,9), e conclude il suo monito a guardarsi dai falsi cristi e dagli pseudoprofeti che ingannano servendosi di segni e prodigi con: «ma voi state attenti» ( 1 3 ,2 3 ). Il bi­ nomio > (con Éypcxljilic; !J.OL inizia il corpo alla l. 5 ) . 2.. Alla tesi secondo cui nel nostro caso l'augurio di benessere sostitui­ rebbe la salutatio che manca e perciò farebbe parte del prescritto, si oppo­ ne l'introduzione con «diletto>> in 2.a, che in analogia con sa e r ra presup­ pone una cesura più profonda tra il v. r e il v. 2. (v. sopra, p. 469 n. 3 ). I.

PRESCRITIO DELLA LETIERA

S. Bartina, Un papiro copto de 95•97· u

b

3

(I) 1

]on I-2 (PPalau Riv. lnv. 20):

StPapy 6 ( r 967)

L'anziano a Gaio, il diletto, che io amo in verità.

r . Di tutti i prescritti epistolari nel N.T., compresi Atti 1 5,2.3 e Giac. r,r (con xcxlpEtv), il prescritto di 3 Gv., con le due parti iniziali in ra, è il più vicino al modello del tipo ideale di prescritto epistolare in età ellenistica­ romana. La superscriptio è costituita dalla semplice indicazione del mitten­ te al nominativo (come in 2 Gv. ra senza tuttavia nome proprio, bensì sol­ tanto con quello simbolico « l'anziano >> ). L'adscriptio contiene il nome del destinatario al dativo con l'attributo specifico àycx7tlJ't6c;, che per la forma può essere confrontato con attributi simili molto comuni nelle lettere su pa­ piro: «lppolito al suo amatissimo (iptÀ'ta't(j)) Acusilao molti saluti»; ,_ «Teo­ ne al suo onoratissimo ('tt(J.LW'ta't(j)) Tiranno molti saluti».3 àycx7tlJ't0ç viene ripreso subito dopo da àycx1rw con èyw in rilievo in r h, più avanti nella let­ tera dall'appellativo «diletto>> in 2.a. sa. r ra, mentre èv tÌÀlJ.fJEtCf. alla fine di rb anticipa 3cd.4c.8c. I 2b. 2.. Sorprende l'assenza di salutatio. Fra le innumerevoli lettere private conservate su papiro, quasi nessuna rinuncia allo stereotipato xcxlpEtv. 4 Può essere omessa, in realtà, solo in lettere commerciali e, più di rado, nella cor­ rispondenza ufficiale o semiufficiale, dove il prescritto talvolta è di struttu-

Diversi titoli sono premessi al testo nei mss., come nel caso di 2 Gv.; ad esempio 'Iwciv­ in C V; lma't"oÀ� y 't"Ou à.ylou cÌ1toa't"oÀou 'Iwcivvou in L. ,_ PTebt 408,1-3 (3 d.C.) in White, Light, 1 14; cf. POxy 2.91.148o; PRyl 2.2.9-2.31 (op. cit. 1 19-12.3); v. sopra, p. 469 n. 6. 3 POxy 2.92.,1 s. (2.5 d.C. ca.) in White, Light, 1 1 8; si tratta in questo caso di una lettera commendatizia. Cf. anche POxy 2.99. 1 2.95; PMich 475· Un uso cristiano già in PLond 417,1 s. (346 d.C.): •al mio signore e diletto (à.ya1tTj't"> di 3a viene ripreso in 4a da > . Non sol­ tanto si corrispondono È'X.GlfllJ" e 'X.IXpà.v É'X,w, ma anche l'intensificazione con «molto>> e «più grande>> . Il versetto conclusivo funge da refrain in 3d: «co­ me tu cammini in verità» e in 4c: «i miei figli camminano nella verità >> . Il passo avanti sta nell'estensione del soggetto da «tu» a «miei figli » . L'uso va­ riabile dell'articolo in «verità » non mostra particolare significato; «verità >> con l'articolo ricorre anche in 3c. Nel contesto più generale la proposizio­ ne con x�X.Swç in 3d è da ricollegare alla proposizione con x�X.S wç di 2d/ e la testimonianza dei fratelli «della tua verità >> di 3c anticipa 6a in cui essi danno testimonianza «del tuo amore». Il nesso di verità e amore (2 Gv. 3d; cf. anche I Pt. 1 ,22) si dovrà ricavare dall'esegesi. 3a-d. Tutte e tre le epistole di Giovanni comportano ad apertura di lettera una manifestazione di gioia (oltre a 2 Gv. 4 cf. anche I Gv. 1 , 4). In 3 G v . la gioia è direttamente motivata dal benessere spirituale di Gaio constatato poco prima (raccordo con «infatti>> ). In che cosa que­ sto consista ancora e dove lo si possa leggere, è detto nei versetti seguen­ ti che consentono di gettare lo sguardo in una dimensione del comples­ so evento comunicativo di cui la lettera fa parte. I fratelli vengono dal­ l'anziano a riferire su Gaio. Poiché funzione del proemio è di anticipare i temi principali del corpo più o meno velatamente, una conclusione ov­ via che trova conferma anche nel parallelismo lessicale è questa: a esse­ re chiamati in causa sono gli stessi fratelli e la stessa situazione descrit­ ta nei vv. s-8.3 Fratelli itineranti, di ritorno da un viaggio alla comuni­ tà d'origine, raccontano delle esperienze vissute con Gaio - e con Dio­ trefe, ma questo emerge soltanto più avanti. Il racconto prende la forma linguistica solenne del dare testimonianza della verità. L'analoga veri­ tà testimoniata da Gaio in 3c è strettamente affine al suo elogio in 6a, senza che verità e amore diventino per questo sinonimi.4 L'amore si con1 Per la costruzione d. BDR, S 4 1 6 n. s: in greco classico à.xoOO! con accusativo e parti­ cipio indica l'«udire indirettamente di una cosa certa» . 2. Cf. d u Rand, Structure of 3 fohn, 1 23 . 3 Contro Harnack, 3 · Johannesbrief, 9 : «l fratelli del v . 3 non hanno nulla a che vedere con quelli del v. p . 4 Cf. de la Potterie*, 656.

479

cretizza nell'accoglienza ospitale dei fratelli. Per verità s'intende in so­ stanza l'atteggiamento di fede interiore da parte di Gaio. Egli ha fatto spazio alla verità di Dio nel suo cuore e può quindi, com'è detto in 3d, condurre la sua vita nello spazio di questa verità, può dimostrare amo­ re per i fratelli. L'espressione «camminare in verità » è già stata discussa a proposito di 2 Gv. 4· L'accento si sposta qui dall'ortodossia, che resta un presup­ posto inconfutabile, all'ortoprassia. In discussione non è la retta fede di Gaio, 1 bensì il suo modo esemplare di praticare l'amore alla luce della fede (cf. I Gv. 3 , 1 8 ) . Questo è al tempo stesso segno di riconoscimento del suo benessere spirituale, come risulta dal parallelismo di 2d e 3d. Per quanto attiene alla sintassi è molto più difficile stabilire il valore della proposizione con x.a:8wc; di 3d rispetto a 2d. Le interpretazioni sono di­ verse: ha lo scopo di mostrare come l'autore sottolinei la testimonianza dei fratelli di 3c e che egli può confermare il cammino di Gaio anche in virtù di conoscenze e convinzioni personali; :z. mostra la convergenza di testimonianza soggettiva e verità oggettiva,3 oppure è una spiegazione epesegetica di 3c (xtx-8wc; è quindi usato come wc; o 1twc;). 4 In quest'ulti­ ma prospettiva, la testimonianza resa alla verità da parte di Gaio consi­ ste nel suo camminare sempre nella verità e negli esempi che lo dimostra­ no. Il risalto dato a au, «tu» in 3d può stare in rapporto col aou preceden­ te di 3c (anche in 2d.6a) e può essere considerato una peculiarità stilisti­ ca (cf. l' èy w di 1 b). Ma già anche questo, ancora una volta in accordo con la finalità tipica del proemio, contiene un accenno a un altro esempio nella parte centrale dello scritto. Quanto si dice dell'amore di Gaio ri­ guarda lui e lui solo. Non è lo stesso per Diotrefe nei vv. 9-10.5 Il suo comportamento esula dalla categoria del camminare in verità - inteso come prassi dell'amore, non come presenza o mancanza di ortodossia. 4a-c. La struttura del v. 4 è simile a quella di Gv. 1 5, 1 3 : «Nessuno ha un amore più grande di questo, che (tvtx) qualcuno dia la sua vita per i suoi amici» . Nel v. 4 l'autore estende quanto detto fin qui dal caso par­ ticolare di Gaio alla comunità dei credenti. La gioia più grande in 4a ri­ chiama la gioia perfetta di 2 Gv. 1 2f e I Gv. I ,4b (cf. Gv. I s , u ; 1 6,24). Compare sempre in termini generali (neutro plurale -rou-rwv) quando fer Pregiudizievolmente messa in secondo piano da Bergmeier, Verfasserproblem, 96: «l fra­ telli testimoniano dinanzi alla comunità il cristianesimo autentico di Gaio». :z. Belser, 1 54; Bultmann, 9 7 · 3 Weiss, 1 86. 4 Briickner, 4 1 6; Plummer, 145 . BDR, S 453 n. 4 segnala con un punto interrogativo l'ipo­ tesi di attribuire a xa.Swç la funzione d'introdurre un discorso indiietto. 5 Cf. Bengel, 1028.

MANIFESTAZIONE DI GIOIA

de e amore pervadono integralmente la vita e la animano (e secondo I Cv. 1,3-4 di qui scaturisce la comunione, la koinonia). In 4b col verbo per «sentire» si allude alla venuta e alla testimonianza resa dai fratelli; diversamente da 6a (aoristo), il verbo non va necessariamente riferito a un caso particolare (participio presente in 3 bc). Gaio appartiene a un'al­ tra cerchia di persone che l'autore in 4c non esita a raggruppare come suoi «figli» . Questa metafora include virtualmente tutti i credenti del gruppo delle comunità giovannee. La base esperienziale di cui qualsiasi figura non può mancare fornisce a Plutarco l'occasione per osservare che «non c'è quindi padre che vedendo come i figli si cimentano nell'elo­ quenza, accumulino ricchezze o ricoprano cariche, non si rallegri come quando li vede presi da amore reciproco (wc; qaÀouna.c; ciÀÀ �Àouc;) » . • Pao­ lo usa lo stesso linguaggio figurato quando parla del successo della pro­ pria fatica missionaria. I convertiti per opera sua sono suoi figli che egli «ha testimoniato in Gesù Cristo mediante il vangelo » .:z. È preferibile non contrapporre a questo concetto l'origine dei credenti da Dio come fon­ damento della loro figliolanza divina nel pensiero giovanneo ( Cv. 1,13 ; I Cv. 3,9, ecc. ),3 perché ciò renderebbe quasi del tutto impossibile il gio­ co di parole metaforico. Cionondimeno in 3 Gv. il metaforismo familia­ re non è da interpretare in senso troppo stretto, come fosse di necessità il risultato della conversione di Gaio o del suo battesimo ottenuti dal­ l'autore della lettera.4 È sufficiente tener conto dell'aura di rispetto e di grande stima che circondava l'anziano e che gli consentiva di chiamare così i credenti che si muovevano nella sfera d'irraggiamento della sua persona.5 «Miei figli» : qui si riflette l'atteggiamento di profonda premu­ ra, la consapevolezza della propria responsabilità e anche la differenza nell'esperienza di fede e di vita tra l'autore e i suoi destinatari. 6 La manifestazione di gioia rafforzata dalla doppia ripetizione è la carat­ teristica distintiva dei vv. 3 -4 in quanto elementi del proemio. Gaio è motivo di gioia e così anche tutti coloro che come lui vivono la loro vi­ ta alla luce delle convinzioni giovannee fondamentali. Ciò avviene sol1 Plut. Frat. Am. 5 { 48 oc ) ; cf. H.j. Klauck, On Brotherly Love in Plutarch and in 4 Mac­ cabees, in Greek, Romans and Christians {Fs Malherbe), Philadelphia 1 990, 144-1 56. :z. I Cor. 4,14 s.; cf. 4,17; Film. I O. Non a sproposito Lapide, 64 1 confronta questo passo con Sen. Ep. 34,1 s. 3 Così, tuttavia, Brown, 707. 4 lpotesi presa in esame ad esempio da Windisch, 1 4 1 ; Smalley, 348; Stecker, 3 59· 5 Si vedano Perkins, 94; Wengst, 2.46; Schunack, 1 1 9: «la sua autorità patema tra fra­

telli e amici» . 6 Sul rapporto, spesso discusso, fra 1:à ÈtJ.IÌ 'ttxva i n 3 Gv. 4c e l'allocutivo con 'tExvla in I Gv., v. sopra, p. 4 10.

3 GV. 5 -8

tanto in chi trasforma la verità della fede che ha approfondito e interio­ rizzato in cammino che da questa trae ispirazione. Questi rappresenta­ no una famiglia di fede che l'autore guarda pieno d'orgoglio. Che nel frattempo vi siano purtroppo stati violenti dissidi familiari, lo si può soltanto intuire dai vv. 3-4. Prima viene la gioia suscitata dai fratelli che tornano a casa, poi il dolore. 3·

CORPO

DELLA LE'ITERA ( 5 - 1 2)

Costituito dai vv. 5 - 1 2, il corpo della lettera si articola in due parti gra­ zie ai due « diletto >> al vocativo ai vv. 5 e I 1 . Significativo è anche che ol­ tre a Gaio, al quale è dedicata gran parte dei vv. 5-8, siano introdotti altri personaggi: Diotrefe ai vv. 9-Io, Demetrio al v. I 2 (la lunghezza inferiore non può essere un caso). I vv. 5-8 contengono elementi di richie­ sta epistolare, il v. I 2 di lettera commendatizia. Il v. I I presenta una parenesi generale che collega i due casi concreti dei vv. 9-Io e del v. I2 con questi. Nei vv. 9-Io si distinguono diversi strumenti di comunica­ zione che risentono delle conseguenze negative del conflitto: una lettera inutile di chi è rimasto, una visita annunciata e così pure lo sdegno dei fratelli che non sono stati accolti quando riferivano oralmente notizie relativamente al tempo trascorso. Tutte queste osservazioni risultereb­ bero più chiare suddividendo il testo in quattro parti: a) i vv. 5-8 con la richiesta, b) i vv. 9-Io con il riflesso di una comunicazione distorta, c) il v. I I con un monito e d) il v. 1 2 con la raccomandazione (sarebbe pos­ sibile anche una suddivisione in due sezioni principali, ossia i vv. 5-Io e i vv. I I- 1 2, a loro volta in altre due pericopi, i vv. 5-8 e i vv. 9-Io nella prima metà, il v. I I e il v. I 2 nella seconda).' a) Richiesta: ospitalità ai missionari itineranti ( 5-8) D.R. Hall, Fellow- Workers with Gospel: ET 8 5 ( 1 974) 1 1 9- 1 20; B. Olsson, Kring­ resande broder, in Context (Fs P.J. Borgen, Relieff 24), Trondheim 1 987, 1 5 3 - 1 66; de la Potterie, Vérité, 867-904 (al v. 8). s a Diletto, ti comporti fedelmente b in qualsiasi cosa tu faccia .. per i fratelli c - e questo (per) a forestieri 3 r Nel tentativo di rintracciare una qualche struttura, Funk, Presence, 1 09 s. stravolge l'af­ finità col modulo epistolare paolino di parusia e parenesi apostoliche; critico Smalley, 343; per il resto v. sopra, introduzione, 2. 1 Invece del cong. aor. in A pc c'è il cong. pres. (non rilevante per l'aspetto temporale). 3 P e il testo di maggioranza leggono «e ai forestieri», vedendo dunque in questi un se·

482

RICHIESTA: OSPITALITÀ AI MISSIONARI ITINERANTI

6a b c

7a b Sa b c

che hanno reso testimonianza del tuo amore 1 davanti alla farai bene a [comunità; a far continuare loro il viaggio :z. (in modo) degno di Dio. Infatti sono partiti per «il nome»,3 senza ricevere nulla dai gentili. 4 Noi, dunque, dobbiamo sostenere costoro, 5 così da diventare cooperatori (con) della verità. 6

1 . In 6bc compare una formula epistolare tipica che, nonostante la densità molto alta di occorrenze in lettere su papiro, nel N.T. ricorre soltanto qui: xaì-wc; 7tOLlJaELç, più raramente e:ù 7tOLlJaELc;, « farai bene a», al futuro, perlo­ più, come in questo caso, seguito da participio aoristo 7 e inoltre anche da infinito o da un verbo di forma finita, 8 sempre in unione con 7tOLe:i'v anche con variazioni temporali. La forma normale con 7toL ljae:Lc; al futuro equivale a una forma cortese di richiesta.9 Semplificato, xaÀwc; 7tOL lj ae:Lç può essere tradotto con « per favore» , in questo caso dunque: « fate continuare loro (ai fratelli) il viaggio, per favore, in modo degno di Dio» . Le occorrenze sono documentate per più di un secolo, dalla corrispondenza di Zenone (111 sec. a.C.) fino alla famosa lettera del piccolo Teone al padre (1-11 sec. d.C.). In una delle lettere dell'archivio di Zenone si dice: «Giunti che qui furono, Aristone e la sorella riferirono d'essere stati trattati molto bene da te sotto ogni aspetto. Fai bene a non comportarti con noi da estraneo » , I o e la-

condo gruppo oltre ai fratelli; documentazione in Aland, Text und Textwert 1/ x , 191 s. De Wette, 281 sospettava che 'toirto fosse una glossa. I 614 630 e altri integrano dal v. 3 : «della tua verità e dell'amore» . :z. In greco costruzione participiale che non può essere resa nella traduzione. Non ricono­ scendo la formula epistolare in 6b (v. sopra), C confonde il participio e il verbo coniu­ gato: 1to1�aGtç > . «Costoro>> rimanda direttamente a 7b; i fratelli sono così indicati perché rifiutarono l'aiuto dei gentili. Se. Con il auve:pyo�, «cooperatore>> di Se ci s'imbatte di nuovo in uno dei termini preferiti da Paolo, il quale peraltro se ne serve in costruzioni r

Cf. ad esempio Massi, 1 69 s. Chapman, Setting, 3 5 8 s. 3 Così Passow n/2, 2 1 3 7 s.v. nb. 4 Xenoph. An. 1 , 1 ,7: Ciro offre protezione ai fuggitivi; Strabone 14,2,5: i benestanti aiu­ tano i bisognosi secondo l'uso antico; Ios. Ap. 1,247: il sostentamento mediante gli ali­ menti fomiti dalla terra. 2

49 0

RICHIESTA: OSPITALITÀ AI MISSIONARI ITINERANTI

diverse, col genitivo ( 1 Cor. 3,9: «siamo collaboratori di Dio » ) o con preposizione ( Co/. 4,1 1 : «cooperatori nella (El> si con­ trappone, nella figura di Diotrefe, la comunità singola che «respinge dal suo interno l'episcopato monarchico>> per esprimere la propria superiorità; Diotrefe è dunque ( 2 I ; nel testo in spaziato). Al riguardo Haenchen, con parole tanto stringa­ te quanto felici, fa osservare che l'organizzazione missionaria provinciale «è un'invenzione nella quale ha creduto quello straordinario narratore di Harnack» . Io Una componente significativa di questa immagine non è af­ fatto nuova. La tendenza principale dell'esegesi cattolica è stata sempre quella di vedere in Diotrefe il vescovo locale designato dall'apostolo Gio­ vanni. Ciò spiegherebbe anche l'intervento moderato dell'apostolo che non voleva certo mettere in cattiva luce la carica di vescovo in quanto tale a cau­ sa di un detentore indegno. n In autori non cattolici, dall'età della riforma per gli stessi motivi Diotrefe è stato talvolta deriso come primo papa. u Egli continua a essere considerato vescovo o anziano della comunità I3 per­ ché spesso questa posizione è il termine di confronto con le lettere di Ignazio,

Drumwright, Problem Passages, 64. Wolf, 3 40. 3 Schlatter, 1 26. 4 Reischl, 1 1 3 3 . 5 Lauck, 5 57· 6 Belser, 1 59. 7 Stott, 23 1 . 8 Love, 29. 9 Smalley, 3 5 6. Io Haenchen•, 290. Cf. anche Kriiger, Hypothese, e la recensione di A. Hilgenfeld: ZWTh 41 ( 1 898) 3 1 6-3 20. Di nuovo sulla scia di Hamack, Donfried, Authority, 3 28. I I Cf. Bresky, Verhiiltnis, 18. 20; de Ambroggi, 287; Belser, 1 5 7-1 59; Lauck, 5 56; Reuss, 128. 1 30; v. già Dionigi bar Salibi, 1 28: caput ecclesiae. Analogamente anche E. Gaug­ ler, Die Bedeutung der Kirche in den johanneischen Schriften, diss. theol. Bem 1925, 75, il quale si limita a scagliarsi contro l'abuso dell'episcopato. u. Lange, 8 5 5 : primus quasi novi testamenti papa; Lewis, 1 3 8: «piccolo papa» ; anche Wabst", 19. I 3 Streeter, Epistles, 85; Barker, xo6; Haering, 83. I

2.

5 06

EXCURSUS 9

ritenute perlopiù contemporanee. Con la dovuta cautela è possibile servirsi a scopi euristici anche di altre forme di ordinamento cronologicamente po­ steriori per spiegare una fase più antica, ed entro questi limiti il confronto ha una sua ragion d'essere. Elementi di un'ipotesi nella prospettiva di una storia dell'ordinamento come quella di Harnack sono presenti anche quan­ do il conflitto tra Diotrefe e l'anziano è interpretato come scontro tra mini­ stero e spirito, come contrasto fra l'ideale profetico di un gruppo di predica­ tori itineranti e la comunità locale con la sua guida istituzionalizzata. 1 2. Nel suo studio fondamentale sull'ortodossia e l'eresia nel cristianesi­ mo delle origini Bauer• annovera Diotrefe tra gli eretici come uno dei loro capi. L'anziano interviene contro di lui in quanto araldo dell'ortodossia (97). Già Wendt, prima di Bauer, aveva incluso Diotrefe tra gli eretici gno­ stici di I Cv. e 2 Cv. 2 Anche questa non è una novità. Una parte dell'ese­ gesi tendeva da tempo a vedere in Diotrefe un eretico gnostico, talvolta an­ che di provenienza giudeocristiana. Beda e la glossa ordinaria lo definirono «eresiarca ».3 n presunto vantaggio di una simile interpretazione è che in tal modo si riesce a evitare una spiacevole controversia tra capi ortodossi della chiesa. Si può più facilmente parlar male del Diotrefe eretico e sci­ smatico che di un vescovo rivestito della carica. Lo sfondo del conflitto è da individuare nel riferimento allo scisma giovanneo. Oltre a ciò quasi tut­ to depone contro questa ipotesi quando si pensi a quale sia di norma l'at­ teggiamento di I e 2 Gv. nei confronti degli avversari: sono degli anticristi, figli del diavolo; non si deve rivolgere loro neppure il saluto, e questa po­ sizione in 3 Gv. dovrebbe avvertirsi ancor più. La lettera riprende invece chiaramente la polemica e degli eretici tace. 3 · Con abile colpo di mano Kasemann• rovescia la tesi di Bauer. In lui Diotrefe recita la parte dell'ortodosso e il presbitero assume il ruolo del­ l'eretico. Paradossalmente Diotrefe torna a essere, come nell'esegesi cattoli­ ca, «il vescovo monarchico>> ( 1 73 s.), ma per il resto l'ipotesi è nuova e giu­ stificata forse dalla dissoluzione dell'autorità formale dello scritto a opera dell'esegesi critica del xx secolo. L'autore della lettera, che è anche quello del vangelo di Giovanni, era un presbitero di tendenze gnostiche sottoposto a Diotrefe. Perciò il suo vescovo lo «scomunicò in quanto eretico>> ( 1 74). In 3 Gv. egli dunque confida la propria pena a un compagno di fede. Questa ipotesi ha conosciuto il suo breve momento di gloria 4 che non è necessaCosì Kragerud•; Campenhausen• . Wendt, Zum 2./3 . ]oh, 23 s.; Idem, Johannesbriefe, 27. Posizione mantenuta da R . Le­ conte, DBS IV, 8 I I s.; D.W. Riddle, The Later Books of the New Testament. A Point of View and a Prospect: JR I 3 ( I 9 3 3 ) 50-7I : 66. 3 Beda, 3 3 3 ; Glossa 706b; così anche Dionigi il Cenosino 62; Nicola di Gorran; Rosen­ miiller, 529; il glossatore di Estio, 786; cf. ancora Pastor•, 64: «potenziale eresiarca ». A detta di Storr, Zweck (sopra, p. 496 n. 2), 22, Diotrefe era uno dei sostenitori del «par­ tito dell'apostolo Giovanni» . 4 Ripreso in sostanza da Heise, Bleiben, I 70; solo con modifiche significative (il presbi­ tero è un chiliasta) da Strecker, 3 66 s.; anche Vouga, 1 6-19, è in pane concorde. r

2

DI OTREFE

507

rio ripercorrere in tutti i suoi aspetti, da attribuirsi principalmente allo sba­ lordimento che dovette suscitare. La principale obiezione di natura esegeti­ ca è che in 3 Gv. non si parla in alcun modo di scomunica del presbitero da parte di Diotrefe. Vengono scomunicati, semmai, al v. 10 i membri del­ la comunità che vogliono prestare aiuto. I fratelli non sono accolti, il che è già una differenza, e nei confronti del presbitero ci si limita per il momento al rifiuto e a parole scortesi. L'elemento di verità che è possibile trarne è già stato evidenziato nell'esegesi di 1od: la diffamazione fa pensare ai sospetti che Diotrefe nutre nei confronti del gruppo dell'anziano, sospetti in sostan­ za ingiustificati, non del tutto incomprensibili alla luce della situazione. Le tre principali posizioni si possono combinare, come in un mosaico, in un altro modello, nuove sfumature di colore arricchiscono qui e là il qua­ dro. 1 Vien solo da interrogarsi sull'utilità di tentativi di armonizzare in un quadro generale diversi fattori che paiono anche meritevoli d'attenzione. Se si considera la particolare situazione venutasi a creare con lo scisma giovanneo di I Gv. 2, 19, Diotrefe non fece in realtà nulla di speciale. Scelse semplicemente la via più sicura applicando il principio di 2 Gv. 10 - divieto di ospitare in casa gli inviati dei dissidenti - a qualsiasi mis­ sionario itinerante da rieducare. Egli sapeva che nel centro urbano si era prodotta una frattura all'interno della comunità riguardo a questioni cristologiche. Ma come doveva la sua comunità valutare l'orientamen­ to dei missionari itineranti ? Forse era già troppo tardi chiedere un suo intervento circostanziato sull'argomento. Il veleno dello scisma si era or­ mai diffuso. Diotrefe deve giustificare la sua posizione radicale contro la protesta degli inviati e di una parte della sua comunità. Si arriva così a quel che l'autore definisce diffamazione a male parole. Diotrefe tende a interpretare lo scisma come conseguenza spiacevole ma inevitabile del­ la teologia giovannea che aveva ignorato gli aspetti relativi alla questio­ ne del ministero. Per l'autore di I Gv. 2,20-24 (v. ad loc. ) il baluardo a difesa della confessione erano il dono dello spirito a tutti i credenti e la tradizione delle origini, non l'autorità del ministero. Lo spirito resta l'unico maestro ( 2,27), Gesù è l'unico pastore delle sue pecore. In que­ sto periodo, alla fine del primo secolo, tale posizione non è più un fatto ovvio ma è una sfida consapevole nei confronti delle strutture organiz­ zative che si stanno consolidando, per lo sviluppo delle quali il rifiuto dell'eresia è fondamentale. Anche la comunità giovannea non poté sot­ trarsi a lungo a questa necessità. Il capitolo aggiuntivo di Gv. 21 segna­ la la disponibilità, nella forma del primato pastorale di Pietro, ad accor Cf. ad esempio Taeger•: Diotrefe è l'anziano giovanneo di tendenze conservatrici; in nome della tradizione egli si oppone ai novatori, al presbitero che con la serie dei suoi successi si assicura un ruolo direttivo che va oltre la singola comunità.

so8

MONITO: INVITATI A IMITARE

gliere le linee di sviluppo della grande chiesa. I redattori del vangelo non s'interessano della posizione dell'autore della lettera, il purista resta ed è fedele a un'immagine ideale, in astratto in I Gv. 2,20.27, in concreto qui in 3 Gv. (tuttavia anch'egli si vedeva già costretto in 2 Gv. a pren­ dere provvedimenti contro i dissidenti, pur senza ricorrere a categorie di servizio ma rivolgendosi alla comunità locale nel suo insieme). La sua posizione integralista ha come conseguenza il conflitto con Diotrefe, il quale probabilmente aveva conosciuto in una comunità non giovannea altri modelli che a suo giudizio funzionavano meglio e che ben si confa­ cevano alla sua posizione già definita di capofamiglia. In una comunità che preferiva forse affidarsi alla sua mano autorevole, Diotrefe s'impo­ ne come autorità suprema. Egli rappresenta in sostanza la posizione dei redattori di Gv. 2I, la mette in pratica, lo fa in modo duro, brutale, senza riguardo e con successo. I Il futuro gli ha dato ragione. Senza una guida sicura non si poteva affrontare efficacemente il problema dell'eresia, in particolare della gnosi nascente. Il gruppo che faceva capo al presbitero con i suoi ideali venne disperso tra i due fronti. Gli scritti di Giovanni vennero salvati e con essi il patrimonio della teologia giovannea. c) Monito: invitati a imitare ( n ) T. Horvath, 3 ]n ua b c

d e f

u b.

An Early Ecumenica/ Creed?: ET 8 5 ( I973/74) 3 3 9 s.

Diletto, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene, è da Dio. Chi z. fa il male non ha visto Dio.

x. Il v. I I è in generale un appello parenetico formulato secondo l'uso lin­ guistico giovanneo in ud e uf e adattato al contesto mediante l'apostrofe e l'imperativo in I 1a. È il contesto, in cui il versetto funge da raccordo tra il discorso su Diotrefe ai vv. 9-10 e la raccomandazione a Demetrio nel v. 1 2, che ne determina la concretizzazione anche per il contenuto. Il nucleo originario depurato degli elementi giovannei potrebbe essere costituito da un aforisma morale oppure da una sentenza sapienziale.3 L'autore potreb­ be aver quindi fatto suo il suggerimento di un manuale di stile di abbellire la lettera per mezzo di proverbi a effetto, perché in quanto patrimonio co­ mune il proverbio è qualcosa che unisce autore e destinatari.4

I Brown, 738: «col suo rude senso pratico Diotrefe potrebbe aver preservato più effica­ cemente del presbitero la tradizione giovannea dalla contaminazione dei secessionisti». 3 Chaine, 2.57; Kysar, I 4 5· z. L 1 8 5 2. pc aggiungono Bé, «ma»; cf. Gv. 5,2.9. 4 Dem. De Elocutione 2. 3 2. (tra gli altri in Malherbe, Theorists, 1 8): « La bellezza di una

3 GV.

II

2.. La struttura del v. I I è costituita da una doppia antitesi: «il male» di ua vs. «il bene» di u b; nell'ordine inverso «chi fa il bene» di uc vs. «chi fa il male» di I I e. In forma schematica: 'tO XIXXOV \

O

,

à:rcx-8o-1tOtWV

vs.

vs.

O XIXXo-1tOLWV. '

-

Le antitesi non sono insistite. In I rab l'imperativo è usato una sola volta, nella protasi, e dev'essere integrato nell'apodosi con l'abbandono della ne­ gazione. Il corrispettivo preciso di «è da Dio•• in I I d sarebbe > e Gv. 1 4,9 : «chi ha vi­ sto me ha visto il Padre» (ÉwptXxEv come I I f). Per chi commette peccato non è ancora possibile vedere Gesù Cristo ( 1 Gv. 3 ,6). ? Vedere Gesù e quindi Dio avviene infine nell'esperienza di tutti coloro che sono nel bisogno e neces­ sitano di aiuto. 8 Ma l'affermazione stringata di n f può sostenere questa 1

Cf. Berger, Formgeschichte, 287. 2. Wengst, 2 5 1 . Gv. 1 , 1 8; 5,37; 6,46; I Gv. 4,1 2.20; cf. M . Theobald, Die Fleischwerdung des Logos. Studien zum Verhiiltnis des ]ohannesprologs zum Corpus des Evangeliums und zu I ]oh (NTA n.s. 20), I988, 3 62-3 7 1 . 4 Cf. Haas, Handbook, I 5 6 : n versetto non vuole implicare i l contrario, ossia che chi fa il bene può vedere Dio». 5 Così Meagher• (cf. bibl. al v. 1 2), 203 s. 2I5 s. 6 In questa direzione Lieu, Epistles, I I 6. 7 Brown, 72I; in questo senso cf. ad esempio D. jackman, The Message of ]ohn's Let­ ters. Living in the Love of God (The Bible Speaks Today), Leicester I988, 200. 8 Il che non significa, contrariamente a quanto afferma Horvath •, che si dovrebbe con­ trapporre la massima alla cristologia. 3

..

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RACCOMANDAZIONE: TRE TESTIMONI PER DEMETRIO

intricata costruzione? È probabile che l'uso linguistico non sia tanto preci­ so come pare a un primo sguardo. I Cv. 3 ,6 potrebbe fungere da ponte: «chiunque pecca non lo (Gesù) ha visto e non lo ha conosciuto» . Vedere è un'altra modalità della conoscenza. Se lo si trasferisce a Dio la visione di­ venta un'esplicitazione della conoscenza di Dio e della comunione con lui. Ma ciò è quanto afferma anche I Cv., che i credenti hanno conosciuto Dio ( 2,3 ) e sono in comunione con lui ( 1,3 ) perché sono da Dio. In altre parole, a chi fa il male viene negata la comunione con Dio, l'essere nell'amore di Dio ( I Cv. 4, 1 6).

Per rafforzare l'appello rivolto a Gaio l'autore utilizza una massima di valore generale aggiungendovi brevi considerazioni attinte dall'univer­ so ideativo della prima, grande lettera. Anche se Diotrefe non è uno dei sostenitori della cristologia deviazionista, la fede è in definitiva in peri­ colo perché l'amore non viene rispettato. Questa situazione non può più andare avanti. Gaio deve schierarsi subito dalla parte giusta, evitando di uniformare la propria condotta a quella di Diotrefe, ma guardando a Demetrio che ha la fiducia del presbitero e di cui è probabilmente il rap­ presentante locale. d) Raccomandazione: tre testimoni per Demetrio ( 1 2 ) J. Beutler, Martyria. Traditionsgeschichtliche Untersuchungen zum Zeugnisthema bei ]ohannes (FfS ro), 1972., 2.2.0 s. 2.3 r s.; de la Potterie, Vérité, 899-2.02.; J.C. Meagher, Five Gospels. An Account of How the Good News Came to Be, Min­ neapolis 1983, 2.01 -2.2.8: «The Gospel fo Demetrios»; A.A. Trites, The New Testa­ ment Concept of Witness (MSSNTS 3 r ), 1 2.5 . Sulla lettera commendatizia: H.M. Cotton, Greek and Latin Epistolary Formu­ lae. Some Light on Cicero's Letter Writing: AJP 105 ( 1984) 409-42.5; C.W. Keyes, The Greek Letter of Introduction: AJP 56 ( 19 3 5 ) 2.8-44; C.H. Kim, Form and Struc­ ture of the Familiar Greek Letter of Recommendation (SBLDS 4), 1972.; R. Reck,

Kommunikation und Gemeindeaufbau. Eine Studie zu Entstehung, Leben und Wachstum paulinischer Gemeinden in den Kommunikationsstrukturen der Antike

(SBB 2.2.), 199 1 , I I 2.- I I 6.

r 2.a b c

d

e

Su Demetrio è stata resa testimonianza da parte di tutti e dalla verità stessa. I E anche noi rendiamo testimonianza, e tu saj/ che la nostra testimonianza è vera.

I P7 4• e A • (forse) leggono •dalla stessa comunità (Èxx):l)alc:&)»; C aggiunge tutte e due le lezioni. 1 K L P e altri hanno, col testo di maggioranza, «voi sapete» ; r8 3 5 e un gruppo di altri mss. in minuscola «sappiamo» (in analogia con Gv. 21,2.4); talora ricorre anche «io so» (errore di scrittura? Influsso di Gv. 5,3:z.?); v. Aland, Text und Textwert r/r, 196 s.

3 GV. 1 2

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1 . Sulla base del v. 1 2. si ritiene spesso che 3 Gv. appartenga al genere della lettera commendatizia. Un argomento valido in tal senso può essere la rac­ comandazione ai fratelli in viaggio ai vv. 5-8 (cf. la lettera di raccomanda­ zione POslo 5 5 ,7-9: «farai bene, fratello, a raccomandare questi come fac­ cio io>> ). Nel manuale dello Ps.-Demetrio la lettera commendatizia è la se­ conda di 2. 1 tipi (È7tLa'toÀ� aua'tiZ'tLx�) e l'autore fornisce questo modello: «il latore della presente è stato messo alla prova da te ed è da noi apprezzato in considerazione della fiducia (7tta'ttv) che gode. Agirai bene (xtZÀwc; 7toLTj­ ae:tc;) se lo riterrai degno di ospitalità sia per il mio bene e il suo sia per il tuo. Non sarai deluso se avrai fiducia in lui qualsiasi cosa tu desideri, in parole o azioni di natura confidenziale. Perciò anche tu lo elogerai presso altri quando vedrai quanto possa essere utile sotto ogni aspetto».1 Una lettera di raccomandazione vera e propria, scritta in latino e risalente al n sec. d.C., dopo il prescritto esordisce: «già una volta ti ho precedentemente raccoman­ dato il mio amico Teone, e adesso di nuovo, signore, ti prego di protegger­ lo come se fossi io stesso a farlo. Egli è davvero degno della tua considera­ zione . . . » (POxy 3 2.,4- 10). Nel N.T. questo concetto ricorre in 2 Cor. 3,1 (per la sostanza in Atti 9,2.; 2.2.,5; 1 8,2.7). Sono temi fissi a) il risalto dato alle capacità personali del raccomandato, il quale spesso consegna la lette­ ra; b) la spiegazione del suo particolare rapporto con l'autore della lettera; c) il richiamo al legarne di amicizia tra quest'ultimo e il destinatario; d) la richiesta rivolta al destinatario di accogliere cordialmente il forestiero in no­ me di questa amicizia e di trasferire su di lui i sentimenti che egli nutre per l'autore della lettera. Nella nostra lettera di raccomandazione il JLcxp-rupe:i:v iniziale di 3 Gv. 1 2. svolge tuttavia, a quanto pare, un'altra funzione: il rac­ comandato confermerà più avanti all'autore della lettera l'amicizia che il de­ stinatario gli ha dimostrato nello scritto. 2 Prendendo a modello l'autore del­ la lettera e confrontando lettere di raccomandazione in tutto conformi al ge­ nere,3 si deve prendere atto che 3 Gv. , malgrado il v. 1 2. e i vv. 5-8, non può essere una semplice lettera di raccomandazione.4 Ma non è questa l'ultima parola. Le raccomandazioni possono essere inserite anche in lettere che hanno scopi diversi, 5 come nella seconda parte del testo di POxy 74 3 , 3 3-3 5 (n sec. a.C.): « Assistilo per qualsiasi cosa di cui possa aver bisogno, perché sarà gentile verso di te come lo è nei miei confronti» (cf. Rom. 1 6,1 s.). 2.. La triplice testimonianza definisce la struttura del versetto. Al primo JLczpwpe:i:v in 1 2.a sono associati «tutti» e la «verità stessa» come testimoni. ll secondo JLtzp'tupe:i:v in 1 2.c ha per soggetto « noi» e in 1 2.e è rafforzato dal so­ stantivo JL1Zp'tupt1Z. In 1 2.c la sintassi da passiva diventa attiva. Ad à.)..�-8e:tcx in 1

Ps.-Demetrio TU1to1 Èn:&a-t"oÀ&xol 2 (in Mahlerbe, Theorists, 32). POslo 5 5 , 1 3 ; POxy 1064, 1 2; 1 424,17; PFlor 173,7 s (in Kim •, 217 s. 220. 229). 3 V. anche PMich 6; PMert 72; l'antologia di testi in Kim\ 1 5 6-238 e Keyes", 32-38. 4 Così insiste (troppo) Lieu, Epistles, 1 19. 5 Cf. sopra, introduzione, 2 con p. 407 n. 2. 2

5 14

RACCOMANDAZIONE: TRE TESTIMONI PER DEMETRIO

1 2.b si aggiunge in 1 2.e ciì..Yj-1)1)> ). Tuttavia compare anche in prossimità della chiusa in Gal. 6, 1 6: «Pace su di loro e misericordia e su tutto l'Israele di Dio» e in Ef. 6,2.3 : «Pace ai fratelli» prima dell'augurio di grazia, in Pt. s,I4 come ultima pa­ rola dopo i saluti: «Pace a voi tutti che siete in Cristo» . Poiché il modello di 3 Gv. è evidentemente il formulario epistolare ellenistico, l'augurio di pa­ ce in I sa dovrebbe essere considerato un'alternativa all' Eppwao formulare «arrivederci», «stammi bene» - come chiusa d'uso più comune. 4 2.. Il secondo elemento è il saluto che una terza persona rivolge ai desti­ natari in r sb come in 2 Gv. I 3 (per gli esempi v. ad loc. ), solo che questa volta sono gli amici a farlo. Il concetto ritorna per un altro gruppo in I se. 3. Il terzo elemento è costituito dalla trasmissione di saluti: a persone del suo ambiente il destinatario deve portare i saluti di chi scrive.5 In altre let­ tere neotestamentarie questo tipo di saluto è fatto alla seconda persona plu­ rale (ripetutamente in Rom. 1 6). Per le altre due componenti oltre all'im­ perativo - 'toùc; �tÀouc; e xa't' OVO(Joa - gli elementi di confronto sono molti. Nella raccomandazione di portare i saluti in luogo del sostantivo «amici » ricorre, perlopiù con lo stesso significato, il participio del verbo qaÀei:v, a ini1

«Fratelli» invece di amici in A 3 3 8 1 . «Fratelli» i n 630 1 505 pc; «i tuoi amici» i n V (per errata comprensione della natura di «amici» come titolo, v. il commento). 3 S'incontrano alla fine !'«amen» liturgico in L 614 al, e in � A B diverse versioni di subscriptio, la più semplice 'lw> ( 1 5,14- 1 5 ). Alla luce di ciò ci si deve chiedere se l'uso di «amici » non sia in questo caso una designazione che i credenti giovannei rivendicano per se stessi. :z. Questa denominazione collettiva è molto frequente nell'antichità. L'esempio migliore sono le scuole filosofiche: i pitagorici e gli epicurei si definivano