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Italian Pages 122 Year 1982
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DI FILOLOGIA ROMAN IZA
ANGELA
CASELLA
LE FONTI DEL LINGUAGGIO POETICO DI GOZZANO
LA NUOVA
ITALIA
EDITRICE
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https://archive.org/details/lefontidellingua0000case
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PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE È FILOSOFIA DELL’ UNIVERSITÀ DI PAVIA 7 ISTITUTO DI FILOLOGIA ROMANZA
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CASELLA
LE FONTI DEL LINGUAGGIO POETICC DI GOZZANO .
LA NUOVA
ITALIA
EDITRICE
Casella, Angela
Le fonti del linguaggio poetico di Gozzano / Angela Casella. — Firenze : La nuova Italia, 1982. — 116 p ; 24 cm. — (Pubblicazioni della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pavia ; 27). ISBN 88-221-0008-5
1. Gozzano, Guido - Opere poetiche - Linguaggio TT 859412
L’opera è pubblicata su proposta di una commissione
composta dai Professori Cesare Segre —
Direttore dell’Istituto di Filologia romanza —, F. Gavazzeni, D. Isella.
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy © Copyright 1982 by « La Nuova Italia » Editrice, Firenze 12 edizione: aprile 1982
ANGELA
CASELLA
LE FONTI DEL LINGUAGGIO POETICO DI GOZZANO
INDICE
INTRODUZIONE PREMESSA ke
LA « KOINÉ CLASSICHEGGIANTE » DELLA DEL PRIMO NOVECENTO LA TECNICA L’EREDITA
POESIA
DEL COLLAGE STILISTICO FORMALE:
a) la rima b) l’iterazione
L’INVERSIONE
PARNASSIANA,
OVVERO:
LE FARFALLE
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Ai miei genitori
PREMESSA
È stata da più parti segnalata, e talora affrontata in sede d’indagine, la presenza frequente di versi danteschi e petrarcheschi nell’opera di Gozzano: presenza che balza peraltro evidente agli occhi del lettore colto !. L'esigenza di una ricerca improntata a ragioni di organicità e di sistematicità discende dunque sia da motivi di completezza
1 Cfr. R. Roedel, La ragion poetica di G. Gozzano, in Ricerche critiche, Torino, Buratti, 1930; C. Calcaterra, Modi petrarcheschi nell'arte del Gozzano, « Studi petrarcheschi » (1948) I pp. 213-23; C. Calcaterra, Della lingua di G. Gozzano, Bologna, Minerva, 1948; G. Villaroel, I mosaici di G. Gozzano, « L’osservatore politico letterario », III, n. 7 (1957) pp. 58-72; G. Villaroel, I furterelli di G. Gozzano, « Il giornale d’Italia », 6 novembre 1960; F. Matarrese, Dantismo di G. Gozzano, « La gazzetta del Mezzogiorno », 24 febbraio 1959; A. Vallone, Dantismo di Gozzano, in Aspetti della poesia italiana contemporanea, Pisa, Nistri-Lischi, 1960, pp. 172-77 ed ora in Ricerche dantesche, Lecce, Milella, 1967; F. Matarrese, Dante in G. Gozzano, Bari, Ed. del Centro Librario, 1967; G. Contini, Letteratura dell’Italia unita, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 643-56; H.Martin, G. Gozzano, Parigi, Presses Universitaires de France, 1968 ed ora in italiano G. Gozzaro, Milano, Mursia, 1971; M. Guglielminetti, Con Dante attraverso il ‘900, in Petrarca fra Abelardo ed Eloisa e altri saggi di letteratura italiana, Bari, Adriatica, 1969; A. Valentini, G. e la delizia della rima, « Annali della Facoltà di Lettere di Macerata » V-VI (1972-73) pp. 233-70; B. Porcelli, I dantismi nella produzione in versi, in Gozzano, Originalità e plagi, Bologna, Pàtron, 1974, pp. 83-96. La Martin (op. cit., pp. 245-51) è stata la prima a segnalare che, tra le carte gozzaniane prestatele dal fratello del Poeta, si trovavano due quaderni autografi, non datati, su cui erano trascritti rispettivamente versi di Dante e Petrarca. Oggi i due quaderni sono conservati presso il Centro « Guido Gozzano » (Facoltà di Lettere dell’Università di Torino) e quello petrarchesco è stato recentemente pubblicato nel volume M. Guglielminetti - M.Masoero, Petrarca e il Petrarchismo contemporaneo, Torino, G. Giappichelli, 1975, pp. 173-97 (a cura di M. Masoero). Per altre notizie cfr. A. Rocca, Fra le carte di G. Gozzano: materiali autografi per «I Colloqui », in « Studi di filo-
logia italiana » XXXV (1977), pp. 395-471.
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sia, soprattutto, dal tentativo di formulare una teoria convincente della genesi e della finalità di quella presenza. In primo luogo: Dante e Petrarca non sono le sole presenze che è dato rintracciare in Gozzano. Se le citazioni dai Grandi Padri hanno una frequenza ed un significato del tutto particolare — tanto da poter costituire l’oggetto di un’analisi specifica —, va detto che esse si accompagnano ad altre, numerosissime, desunte da autori italiani e stranieri che confluiscono entro il sistema poetico gozzaniano ?: un sistema pet l’appunto caratterizzato dal collage di fonti e di citazioni che presuppongono un costante rinvio all’autorità di altri testi e richiedono la vigile complicità del lettore, perché sia in condizione di captare l’immediatezza del messaggio o l’equivoca ambivalenza dell’allusione. Equivocità a sua volta generatrice di equivoci: come quello nel quale è caduta certa critica, anche recente, che, confondendo metodo e
Il metodo adottato da Gozzano nel trascrivere i due classici è lo stesso da lui seguito nei confronti dei poeti francesi contemporanei (pure essi parzialmente pubblicati nell'Albo dell’officina in G. Gozzano, Opere, Milano, Garzanti, 1948, alle pp. 1242-49) e consiste nel riportare sul quaderno, riga per riga, gli emistichi e i versi (singoli o a gruppi di due o tre) che più lo hanno colpito. Talora questi sono già lievemente modificati in vista di personali utilizzazioni poetiche: ad esempio il celebre verso del Carzoziere CLXVIII, 2 « che secretario antico è fra noi due » è trascritto nel quaderno gozzaniano come comparirà nella poesia. Elogio degli amori ancillari: « che secretaria antica è fra noi due ». Confrontando gli elenchi di questi quaderni con le ricerche condotte da me e dagli studiosi che mi hanno preceduta si impongono alcune constatazioni. Innanzi tutto il numero dei versi trascritti è infinitamente superiore a quelli poi realmente utilizzati, mentre, al contrario, sono frequenti i casi in cui Gozzano utilizza versi di Dante e Petrarca non registrati nei due quaderni (specie ove si tratti di rime-clausole e non di semplici emistichi o versi).
Se infatti si tien conto che di norma i versi dei due poeti antichi sono introdotti nella poesia gozzaniana non isolatamente ma sotto la forma di clausola (composta appunto di due emistichi in rapporto rimico) stupisce nei quaderni l’assenza di cenni o richiami alle rime. La spiegazione ci viene fornita dai manuali danteschi di cui Gozzano si servi per leggere la Divina Commedia (oggi conservati, come tutto ciò che rimane della Biblioteca gozzaniana, presso il citato Centro torinese): La Divina Commedia, novamente annotata da G.L. Passerini, Firenze, Sansoni, 1901, e La Divina Commedia, commentata da Pietro Fraticelli, Firenze, Barbera, 1887. Entrambi i volumi, ma soprattutto il secondo, sono cotredati da accuratissimi e ricchissimi rimarii. E dunque ai quaderni vanno aggiunti questi prontuari per avere un quadro completo del lavoro condotto da Gozzano sul nostro maggior classico. 2 La tavola dei ‘citati’ è, allo stato attuale delle ricerche, imponente. Tra gli autori italiani: S. Francesco, Ariosto, Parini, Foscolo, Mascheroni, Manzoni, Leopardi, Prati, Stecchetti, Carducci, Betteloni, Panzacchi, D’Annunzio, Pascoli, Graf, Bontempelli, Gnoli, Giorgieri, Contri, Pastonchi, De Bosis, Conti, Vallini, De Paoli, Guglielminetti, Gianelli. Tra gli stranieri: Camoès, Wilde, Kipling, Saint-Pierre, Musset, Moréas, De Heredia, Baudelaire, Verlaine, Régnier, Jammes, De Nerval, Coppé, Samain, Laforgue, Le Roy, Rodenbach, Gregh, Maeterlinck, Zola, Verne, Loti.
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tecnica con fine ed esito, ha preteso parlare di « inserti », « raccogliticci », « plagi »,
« furterelli », « prestiti »: in breve, di « parassitismo letterario »}. Si tratta invece di una vera e propria tecnica, ingegnosa e paziente, che decompone e disgrega i testi ricevuti dalla tradizione per restituirne i lacerti come elementi
decorativi: per definire la quale si è opportunamente fatto ricorso ad una terminologia presa a prestito dalla tecnica d’arte, arrivando a parlare di « intarsi » e di « mosaici ». È d’altra parte atteggiamento tipico dell’estetica decadente e liberty il ricondurre la totalità dell’esperienza artistica alla mera eleganza dell’aspetto formale, cosî da ridurre e declassare a funzione decorativa elementi che, in sistemi poetici precedenti, erano funzionali e fondamentali, quando non strutturali: sicché potremmo dire che Gozzano opera, nei confronti della Divina Commedia, non diversamente da chi abbattesse una cattedrale gotica allo scopo di riutilizzare i rosoni o le vetrate. La predilezione mostrata per Dante e Petrarca non può quindi essere disgiunta dall’influenza teorica e specifica dell’estetica preraffaellita: che si era imposta in Italia — ed è il secondo punto — attraverso il manierismo dannunziano ed il gusto tutto archeologico del Vate nei confronti dei Primitivi, di San Francesco ‘, degli Stilnovisti, di Dante e di Petrarca.
3 Si veda ad esempio il caso del Villaroel che nel suo breve saggio I mosaici di G. Gozzano, cit., si sforza di affermare, in linea di principio, che i prestiti gozzaniani « non sono da confondere con i comuni fenomeni di plagio » (p. 58). Tuttavia di fronte alla parodia dantesca quale compare nella poesia L’Ipotesi, commenta stizzito: « A questo punto, non possiamo più condividere lo scherzo. Sono scherzi di cattivo genere, che, giustificati nei momenti in cui l’avvalersi dell’espressione altrui diventa quasi una necessità creativa, perché insostituibile, non si giustificano più nella parodia. Qui potremmo dire di trovarci di fronte ad una vera e propria profanazione dell’arte ... » (p. 70).
Lo stesso Villaroel, alcuni anni dopo, condensando il suo saggio in un articolo di giornale (I furterelli di G. Gozzano, cit.) muta il termine di « mosaici » in « furterelli »: in tal modo intende
forse rendere omaggio alla tradizione scandalistica degli occhielli giornalistici ma certo tradisce le sue piti profonde convinzioni sull’argomento. Tuttavia è con B. Porcelli che si tocca la più totale incomprensione del problema, nel saggio Gozzano e Maeterlinck, ovvero un caso di parassitismo letterario, « Belfagor » (1969) n. 6. Incomprensione che viene ribadita, sebbene in forma attenuata, dal titolo di una sua recente raccolta di saggi (B. Porcelli, Gozzazo, Originalità e plagi, cit.), la quale a sua volta si richiama alla definizione usata da A. Stauble (Sincerità e artificio in Gozzano, Ravenna, Longo, 1972). Titoli che pur esprimendo una volontà conciliativa non sono privi di perduranti ed equivoche perplessità. 4 L’interesse per S. Francesco è espressione di un misticismo estetizzante di marca dannunziana che accompagnerà Gozzano per tutta la vita: si veda, oltre alla lettera all’amico F. Graziani del 5-6-1903 (cfr. G. Gozzano, Poesie e Prose, Milano, Garzanti, 1961, p. 1233), l’articolo Il wmisticismo moderno e la rievocazione del Serafico, pubblicato sulla « Gazzetta del Popolo della Domenica », del 20 agosto 1905, e la sceneggiatura del film S. Francesco, del 1915, non mai realizzato (entrambi ora in Poesie e Prose, cit., pp. 989-99; pp. 1179-1220).
= Le pagine dannunziane, lettura prediletta del giovane Gozzano fino al 1904, si presentavano fitte di citazioni e di riferimenti che rimandavano al passato ed esigevano il rapido aggiornamento di una lettura diretta delle opere cosî segnalate 5. Poteva dunque accadere che molti degli autori sdegnosamente rifiutati « nelle aride aule del liceo »° 6 si ripresentassero preziosi e sublimi se proposti e reinventati da eroi quali Andrea Sperelli o Stelio Èffrena’: artisti, o comunque travagliati da ambizioni d’arte, costoto si proponevano
al giovane poeta torinese non solo come
fratelli in spirito di indiscusso e mondanissimo prestigio, ma come vere e proprie guide poetiche, in grado di assolvere a compiti di iniziazione nei confronti della tradizione. Si ritrovano proprio nelle pagine de Il piacere o de Il fuoco diffuse dissertazioni d’arte, definizioni di canoni e di programmi che rivelano una sorprendente consonanza con la poetica gozzaniana: Altri versi gli vennero alla memoria, altri ancéra, altri ancéra, tumultuariamente. La sua anima si empì tutta d’una musica di rime e di sillabe ritmiche. Egli gioiva; quella spontanea improvvisa agitazion poetica gli dava un inesprimibile diletto. Egli ascoltava in sé medesimo que’ suoni, compiacendosi delle ricche immagini, degli epiteti esatti, delle metafore lucide, delle armonie ricercate, delle squisite combinazioni di iati e di dieresi, di tutte le più sozzli raffinatezze che variavano il suo stile e la sua metrica, di tutti i misteriosi artifizii dell’endecasillabo appresi dagli ammirabili poeti del XIV secolo e in ispecie dal Petrarca. (Il piacere, HRINp 149); Quasi sempre, per incominciare a comporre, egli aveva bisogno d’una intonazione musicale datagli da un altro poeta; ed egli usava prenderla quasi sempre dai verseggiatori antichi di
5 Che Gozzano risalisse dalla pagina dannunziana ai testi citati dal Maestro è cosa nota: ad esempio, l’interesse per gli autori mistici del Trecento è dovuto alle Vergini delle Rocce (cfr. E. Sanguineti, G. Gozzano, Einaudi, Torino, 1966, pp. 77-91), cosî come dal Fuoco deriva la familiarità ch’egli mostra di avere con Gaspara Stampa, il cui volume lo accompagnava nella solitudine di S. Giuliano d’Albaro e gli serviva per indicare riscontri precisi con la poesia della Guglielminetti (cfr. la lettera a lei indirizzata il 5-6-1907, in Lettere d'amore, Garzanti, Milano, 1951). Gozzano infatti cita la poetessa veneziana con espressioni molto simili a quelle usate da Stelio Effrena e dalla Foscarina nei loro vagabondaggi veneziani (cfr. I fuoco, Mondadori, Milano, 1950, vol. 10, II,
pp. 654, 790-92). 6 Cfr. la lettera di Gozzano a Don Graziani, il 5-6-1903, in Poesie e Prose, cit., p. 1233: « Tu conosci la passione che io ho per le lettere; ho molto letto e molto appreso, non nelle aride aule del liceo, ma per conto mio ... ». 7 Accanto a questi, possiamo ricordare anche Giorgio Aurispa, il protagonista del Trionfo della morte, che Gozzano cita in una lettera al De Frenzi del 28-6-1907 (cfr. Poesie e Prose, cit., p. 1255), familiarmente inserendolo e mescolandolo alle vicende della propria vita privata: « Fui a Roma l’anno scorso, due mesi —l’Aprile e il Maggio— solo, anche allora, tutto solo; mi riposavo da Aragno, dinanzi a un sorbetto, o stavo ore ed ore al Pincio, appoggiato al muraglione di Giorgio Aurispa ».
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Toscana. Un emzistichio di Lapo Gianni, del Cavalcanti, di Cino, del Petrarca, di Lorenzo de’ Medici, il ricordo d'un gruppo di rime, la congiunzione di due epiteti, una qualunque concordanza di parole belle e bene sonanti, una qualunque frase numerosa bastava ad aprirgli la vena, 4 dargli, per così dire, il la, una nota che gli servisse di fondamento all’armonia della prima strofa. (Ibiderz, II, I, p. 150).
Egli intendeva
trovare
una forma di Poema
poeti; e intendeva fare una lirica veramente
moderno, moderna
questo
inarrivabile sogno
nel contenuto
ma
di molti
vestita di tutte le
antiche eleganze, profonda e limpida, appassionata e pura, forte e composta. Inoltre vagheggiava un libro d’arte su i Primitivi, su gli artisti che precorrono la Rinascenza, e un libro d'analisi psicologica e letteraria su i poeti del Dugento in gran parte ignorati. (Ibidem, II, II,
p. 160).
Gusti, orientamenti culturali che Gozzano non abbandonerà nemmeno dopo la sconfessione ufficiale del « sogno di Sperelli »?. Poiché il gran rifiuto è tutto moralistico, e non arriva mai a sfiorare l’essenza prima della poesia dannunziana: l’eclettismo preraffaellita e liberty e lo straordinario metodo di lavoro del Gran Fabro e Maestro Vocabulista, miranti ad un’utilizzazione tecnicistica e decorativa della poesia della tradizione. Di Sperelli Gozzano ripudia gli atteggiamenti più velleitari e risibili: ma coltiverà per tutta la vita l’« inarrivabile sogno » di una lirica « moderna nel contenuto ma vestita di tutte le antiche eleganze
».
Con parole? non molto dissimili egli si esprime in una lettera a G. De Frenzi ‘, annunciando e definendo I Colloqui: E ho ideato e tessuto lo schema del mio volume futuro: un idillio in due tempi e un intermezzo, una specie di poema composto di poesie varie, unite fra loro da un nesso ciclico: za cosa accuratissima e ardua nella forma benché romantica leggera e innocente nel contenuto.
8 Cfr. la poesia A Massimo Bontempelli, vv. 14-26: « Mia puerizia, illusa dal ridevole/attificio dei suoni e dagli affanni/di un sogno esasperante e miserevole,//apprestò la cicuta ai miei vent’anni:/amai stolidamente, come il Fabro [D'Annunzio],/le musiche composite e gl’inganni/[....] Or troppo il sole aperto mi commove/tanto fui uso alla penombra esigua/che avvolgon le cortine delle alcove.//Tu mi richiami alla campagna irtigua?/Troppo m’illuse il sogno di Sperelli,/troppo mi piacque nostra vita ambigua ». 9 Vale la pena di ricordare anche la presentazione del poemetto Le Farfalle; cfr. I, 38-42: « Con certo ritiiale/arcadico (per gioco!) e bello stile/ (per gioco!) altosonante, come s’offre/ nova un'essenza in un cristallo arcaico,/queste pagine v'offro ...»; e la lettera ad A. Guglielminetti, il 17-9-1908: « ... un volume epistolare: lettere a voi un po’ arcaiche come quelle che scrivevano gli abati alle dame settecentesche per iniziare ai misteri della Fisica, dell'Astronomia, della Meccanica; ma modernissime nel contenuto, fatte di osservazioni filosofiche nuove e di fantasie curiose e fan-
ciullesche ». 10 Cfr. la lettera del 6-8-1908, in Poesie e Prose, cit., p. 1317.
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Non si deve dunque dimenticare che è per questa via che Gozzano è arrivato ai classici: in omaggio al gusto decadente, mosso da esigenze di carattere tecnico-stilistico ben più che da curiosità personali o da inquietudini spirituali. Se ad un certo punto troviamo la Divina Commedia tra i libri che accompagnano il poeta torinese nei forzati soggiorni liguri, e lo inducono a pazienti annotazioni, non per questo annovereremo il poema dantesco tra i suoi livres de chevet: semmai con i vocabolari e i rimari, tra gli strumenti di lavoro. Del resto la storia dei rapporti direttamente intercorsi tra Gozzano e Dante, ricostruibile attraverso le lettere ed altri documenti, mostra come Dante non sia mai stato, in alcun periodo della formazione intellettuale del poeta, né un idolo né un
modello. Nel tormentato curriculum scolastico che portò uno studente di poca salute e non molta disciplina a mutare in sette anni sette volte istituti e collegi privati ! non mancò certo un incontro scolastico
e mnemonico, e comunque violentemente coatto,
stante la didattica dell’epoca, col ‘padre’ Dante: quel primo incontro « retorico » e « fittizio » appunto rievocato nella poesia Dare (1910), dove un « pedagogo fiacco » impone la « sciattezza del commento » ad una « scolaresca che si tedia ». Tra i tediati fu certamente il giovane Gozzano, se l’eco di atteggiamenti umorali si ritrova in alcune lettere degli anni della maturità, quando il poema dantesco era oggetto di cure e di fatiche. Due sono indirizzate all'amico carissimo Carlo Vallini !°: Figùrati che leggo la Divina Commedia. Si può dire pet la prima volta in vita mia. Ci sono dei bei versi. Quel Dante Alighieri non era mica una bestia. (28 aprile 1907) Da una parte l’abulia e l'impotenza verbale e metrica e dall’altra un’incontentabilità morbosa che mi fa parere una schifosità anche la Divina Commedia. (7 febbraio 1908)
e in un’altra a Francesco Chiesa *: Sono tanto ignorante, illustre Signore! E sconto ora, nelle mie velleità poetiche, l’infingardaggine dello studente ginnasiale e liceale ... Tanto che ho ripreso a commentare Dante accuratissimamente: credo non esista rimedio migliore per un poeta. (7 gennaio 1908)
11 Per le disavventure scolastiche di un allievo tanto negligente, pp. 16-24. 12 Questa lettera, conosciuta e citata da C. Calcaterra nel suo volume poeti, Zanichelli, Bologna, 1944, p. 34, è forse andata perduta: perciò Lettere a C. Vallini, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1971 (a cui rinvio al Vallini che avrò occasione di citare). 13 Pubblicata su « Scena Illustrata », aprile 1956, p. 9.
cfr. H. Martin, op. cit., Corn G. Gozzano e altri è assente dalla raccolta per tutte le altre lettere
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Sono gli anni che vanno da La via del rifugio a I Colloqui (1907/1911): anni di letture intense, dirette all’affinamento dei mezzi espressivi !‘, onde poter rinnovare il successo sorprendentemente lusinghiero che aveva accolto il primo volume di versi. Ed è in questo periodo, nel quadro di un programma ambizioso e quasi di restaurazione — destinato a sfociare nella scelta parnassiana de Le farfalle — che si colloca l'interesse sistematico per il poema dantesco. Alla mediazione, al filtro della poesia di D'Annunzio (e di Pascoli), che permet-
teva d’introdurre dantismi e petrarchismi nelle prime opere, Gozzano sostituisce dunque la pratica dell’analisi in prima persona, dell’utilizzazione diretta delle fonti. È a questo punto urgente rispondere ad una domanda: se sia legittimo accomunare dantismi a petrarchismi senza tener conto dei complessi problemi di tradizione che, all’interno della storia della lirica italiana — e della lingua poetica —, danno all’influenza del Petrarca ben altro rilievo che a quella di Dante. Anticiperemo una risposta affermativa. Certamente non può sfuggirci che le esistenziali inquietudini del Petrarca suscitarono in Gozzano un’adesione psicologica
ed affettiva del tutto assente nei riguardi di Dante, tanto da mettere in moto il processo d’identificazione — benché stravolto dall’ironia — per il quale proprio Petrarca viene eletto a rappresentare la condizione perenne del poeta schiacciato dalle richieste utilitaristiche della società: Non ricco, giunta l’ora di « vender parolette » (il suo Petrarca! ...) e farsi baratto o gazzettiere, Totò scelse l’esilio (...) (Totò Merimeni, vv. 21-23).
Ma è chiaro che l’attenzione nei riguardi del testo petrarchesco si ispira alle stesse fredde ragioni, che abbiamo definite tecnico-stilistiche, e che sono alla base delle attenzioni per il testo dantesco. Sta a provarlo l’esistenza di due quaderni manoscritti, redatti quasi negli stessi anni ‘, dal confronto dei quali si ricava come Gozzano avesse necessità di annotarsi, e con le stesse modalità, Petrarca non meno di Dante, mo14 È lo stesso Gozzano ad affermarlo in alcune sue lettere: a C. Vallini, il 13-7-1907 (cfr. C. Calcaterra, Con G. Gozzano, cit., p. 47 poiché manca dalla raccolta Lettere a C.Vallini, cit.): « Il concetto che ho del mio libro [La via del rifugio] procede in senso inverso alla critica: mai mi è parso tanto tenue! E mai ho cosî rimpianto di non aver serbato il silenzio qualche anno ancora »; ad A.Guglielminetti, il 23-12-1907: « Leggo molto, in questi giorni; quanta bella roba fu scritta in passato, amica mia, e quanto sono ignorante! Non vorrò accingermi a opera definitiva ed organica senza essermi un po’ affinati i mezzi dell’arte, per quanto il troppo ottimista Pastonchi li dichiarasse “già pieni e sicuri” »; e alla stessa, il 24-5-1908: « In questi ultimi tempi ho molto riposato, molto letto, molto meditato ». 15 Se la data di lettura e trascrizione della Divina Commedia si colloca tra il 1907 e il 1908 (come risulta dalle lettere indirizzate a Vallini e Chiesa) quella del Canzoniere è di poco prece-
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strando per i due autori lo stesso interesse che diremmo strumentale. Per la sua funzione ‘ideale’ Petrarca attrae su di sé le prime e più amorevoli attenzioni: ma gli spogli danteschi costituiscono il materiale quantitativamente preponderante. Lo scopo della loro presenza, come cercheremo di dimostrare in seguito, è comunque lo stesso: quello di costituire un vasto repertorio di materiali d’uso. Abbiamo fuggevolmente accennato a Pascoli: amplieremo in seguito il discorso, quando si tratterà di quella che definiamo la ‘koiné classicheggiante’ !9 della poesia del primo novecento e della quale Pascoli, insieme con D'Annunzio,
è certamente
il massimo rappresentante. In questa sede conviene notare come la sua esperienza abbia (insieme con altre: quella dei post-simbolisti francesi, p. es.) agito da correttivo, presso Gozzano, nei confronti di sempre ricorrenti tentazioni al preziosismo: senza tuttavia consentirgli di uscire dal compromesso e dalla contraddizione, ed anzi spingendolo alla sortita finale in direzione conservativa e parnassiana (Le farfalle). È questo preziosismo, cosi persistente e cosî variamente camuffato da assumere le tonalità più diverse, ad aver disorientato molta critica, affrettandola ad operare
distinzioni e periodizzazioni che hanno sostanzialmente opposto ad una prima e negativa fase di preziosismo di marca dannunziana una posteriore rigenerazione dovuta ai classici. È esemplare il caso del Calcaterra, indotto a considerare il Petrarca come il modello di una poesia pura e limpida ad un certo punto rivelatasi a Gozzano, e quindi impostaglisi, in contrapposizione ai barocchismi dannunziani !”:
dente, cir. M. Masoero, G. Gozzazo: quaderno petrarchesco, in Petrarca e il Petrarchismo, cit., p. 173: « La lettura del Canzoniere risale verosimilmente al 1905, come si ricava da una notazione autografa in inchiostro nero presente a p. 90 dell’edizione delle Rimze petrarchesche di cui si serviva Gozzano ». Si tratta dell'importante edizione curata da Giosuè Carducci e da Severino Ferrari (Firenze, Sansoni, 1899); la copia posseduta da Gozzano è conservata presso il Centro Studi “Guido ls Dell’esistenza di una koîné dannunziano-pascoliana ha accennato per primo P.V. Mengaldo in un saggio ormai famoso sulla lingua di Montale e i prestiti dannunziani (cfr. Da D'Annunzio a Montale, in AA.VV., Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Padova, Liviana, 1966) ove mostra come « tutta una serie di elementi lessicali e stilemi dei testi montaliani possa derivare (e in realtà deriverà) meglio che da un prestito singolare di D'Annunzio o di Pascoli, dalla convergenza e conguaglio di un vocabolario poetico che appartiene a pari titolo all’uno e all’altro. Si potrà cosî spiare ... uno dei fatti che vanno considerati fondamentali per la genesi del linguaggio della lirica (e non solo della lirica) novecentesca, cioè appunto il costituirsi di una larga koîné pascoliano-dannunziana che diviene base istituzionale della lingua letteraria contemporanea e punto di partenza per gli arricchimenti e scarti successivi » (p. 203). Da parte nostra non possiamo che confermare l’esistenza di una simile Roiné, ben inteso in rapporto a Gozzano e limitatamente a vocaboli di origine dantesca e petrarchesca o in ogni caso arcaici e classicheggianti. I? C. Calcaterra, Modi petrarcheschi, cit., pp. 222-23.
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Virtuosismo? No: in questo caso il Gozzano assecondava soltanto il compiacimento, che gli dava una lingua poetica a’ suoi occhi perfetta e a un tempo cosi profondamente semplice e tersa, da sembrare quasi parlata. Quell’assecondamento sotto l'aspetto formale era per lui come un’altra prova tangibile che egli stilisticamente si era posto fuori del preziosismo dannunziano, il quale ambiva di porre una patina d’oro sopra qualsiasi parola toccasse, illudendosi che quella patina valesse più del sentimento. Il Petrarca, grande lirico dell’amore, gli aveva insegnato a ritrovare in sé il proprio senso umano e ad un tempo a dominar dall’interno la parola.
Questa tesi è in stretto rapporto con la visione generale del Calcaterra, il quale ignora i prestiti danteschi in quanto privilegia influenze di carattere contenutistico !8 solo in Petrarca rintracciabili. Occorreva al contrario analizzare parallelamente la presenza dei due classici e cercare di spiegarne l’origine in rapporto ai modelli dai quali Gozzano aveva preso le mosse. Per questa via sarebbe apparso chiaro che egli aveva trovato (0 forse ritrovato) Petrarca e Dante non ‘contro’, ma ‘entro’ D’Annunzio: attraverso i suggerimenti teorici dell’estetica dannunziana inneggiante ai primitivi ma ancor più, come vedremo, per diretta imitazione della poesia di D'Annunzio là dove è ricchissima di reperti danteschi e petrarcheschi. Nell’assumere e far propria un’estetica di tipo sostanzialmente classicistico Gozzano poteva avvalersi, oltre che di D'Annunzio ed anche malgrado D'Annunzio, della concreta lezione del Pascoli; quando non del-
Il Porcelli applica la stessa formula a Dante. Cfr., nel suo recente volume Gozzaro, cit., il capitolo I dantismi nella produzione in versi, p. 89: « ... l’incontro con Dante non fu un fatto della giovinezza, bensi della piena maturità artistica del poeta piemontese, posteriore non solo al ripudio del dannunzianesimo, ma anche alla prima edizione della Via del rifugio (aprile 1907). Da questo momento, infatti, Gozzano, desideroso assai probabilmente di liberarsi, ritrovando nuove forme espressive, dalle residue scorie dannunziane che permanevano in quella prima raccolta poetica [...] comincia a leggere sul serio l’autore medievale. Al quale dunque fu conferito, almeno in un primo tempo, l’incarico di maestro di stile, in sostituzione dell’ “altro evangelista” ormai definitivamente ripudiato ». 18 Per le stesse ragioni, ossia per l’assenza di affinità tematiche (simili a quelle che riscontrava tra Gozzano e i tardoromantici ottocenteschi) il Mariani è stato indotto a negare ogni importanza a Dante e a Petrarca. Cfr. G. Mariani, L’eredità ottocentesca di G. e il suo nuovo linguaggio, in Poesia e tecnica nella lirica del Novecento, Padova, Liviana, 1958, p. 34: « Dante e Petrarca rimangono più vezzo intellettuale che effettiva ricerca di un’intima educazione letteraria, cari poeti sfogliati e in qualche parte assimilati sulla terrazza a mare di S. Giuliano d’Albaro o pigramente interrogati nei lunghi pomeriggi estivi in “una dolcezza tenera” tra “il ritmo del torrente” e “il canto lontano dei montanari”, nelle ville di Agliè o di Bertesseno: nulla di estremamente impegnativo né sul piano umano (dove ben altre erano le preferenze di Gozzano) né sul piano culturale ».
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l’esempio di minori e minimi, ma a lui familiari, come il Graf ! o la Guglielminetti 20. Per i Crepuscolari e per lo stesso Gozzano il Pascoli agì di fatto come il modello
19 Arturo Graf, professore di letteratura italiana presso l’Università di Torino per oltre un trentennio (negli anni 1882-1913), fu autorevole conoscitore e studioso del Medio Evo, di Dante e del Petrarca, tanto da non rinnegare queste sue preferenze neppure come poeta in proprio. I contenuti moralistici e confusamente misticheggianti della sua poesia tradiscono infatti profondi legami con gli autori dei primi secoli (si pensi ad un titolo dantesco-petrarchesco come Le rizze della selva), mentre il suo linguaggio poetico, per quanto ambisca al prosastico, è ricco di venature e infiltrazioni auliche. Come professore e come poeta godette di grande autorità e prestigio presso un’intera generazione di giovani letterati quali F. Pastonchi, G. Cena, E. Thovez, M. Bontempelli, G. Gianoli e C. Vallini (si leggano le commosse pagine autobiografiche di C. Calcaterra in Con G. Gozzano, cit., pp. 3-8). Anche Gozzano ebbe occasione di frequentare le sue lezioni universitarie, negli anni 1903-1907, e a questi corsi deve forse la buona conoscenza che, in più occasioni, mostra di avere per i poemi cavallereschi e la civiltà medioevale (si vedano a questo proposito i miei articoli Le Isole NonTrovate, in « Studi novecenteschi » 1976, n. 13-14 e Adamo, chi era?, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di letteratura e filologia, Milano, Il Saggiatore, 1979. Al Graf poeta e alla sua raccolta Le rime della selva (cfr. Mi contraddico?, Sull’orlo, A un insetto, Le rose sono sfiorite, Sull’erba, ecc.) Gozzano è infine debitore di tutta una serie di temi e riflessioni sulla crisi del positivismo ottocentesco e la conseguente esigenza di un ritorno allo spiritualismo (registrate in composizioni come Nemesi, Una risorta, Pioggia d’agosto e poi nelle Farfalle). In rapporto al problema specifico del dantismo, possiamo ritenere che il Graf e l’ambiente accademico torinese abbiano avuto su Gozzano una funzione non trascurabile ma complementare e secondaria. Le pubbliche letture dantesche promosse dalla locale Società di Cultura erano avvenimenti culturali e mondani cosî diffusi e alla moda nella Torino dei primi anni del secolo che anche Gozzano non avrà mancato di parteciparvi. Tuttavia non possiamo credere che esista quel rapporto di causalità tanto diretto e meccanico che propone la Martin, per la quale l’esistenza del quaderno con trascrizioni dalla Divina Commedia è da porre in stretta relazione con il programma dantesco della Società di Cultura di Torino (cfr. H. Martin, op.cit., p. 30, ove viene indicato il ciclo di conferenze tenuto nel 1905 da illustri professori quali I. Del Lungo, D. Mantovani, G. Mazzoni, ecc.) e con i corsi universitari del Graf. A parte il fatto che, secondo la testimonianza del Calcaterra (cfr. Cor G. Gozzano, cit., p. 22), Gozzano seguî, presso l’Università di Torino, alcune lezioni del Graf sul Pulci, il Boiardo e l’Ariosto ma nessuna su Dante, è fondamentale ricordare che corsi e seminari, nonché conferenze e dibattiti, potranno sf avere avuto una funzione di stimolo e di aggiornamento ma non essere stati l’origine e la causa prima di quella fruizione tanto spiccatamente tecnica e non contenutistica che è la caratteristica del dantismo gozzaniano. 20 Come è noto, Dino Mantovani, recensendo le Vergiri Folli di Amalia Guglielminetti (cfr. Una poetessa nuova, « La stampa », 14-5-1907), paragonò la poetessa torinese a Gaspara Stampa, mentre Ada Negri giudicò addirittura trattarsi di un caso di metempsicosi. Lo stesso Gozzano, dopo aver a sua volta insistito su questo parallelo fino a indicare passi e richiami precisi (cfr. la lettera ad A. Guglielminetti del 5-6-1907), aggiustò meglio il tiro in una recensione pubblicata sul numero di settembre del 1907 della « Rassegna Latina » (oggi riportato in Gozzaro recensore, a
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storico di una programmatica opposizione all’estetismo dannunziano: ma sul piano tecnico, e con particolare riferimento a Dante, svolse in effetti una funzione di rinforzo. Forse sotterraneo e mimetizzato, il dantismo pascoliano non è meno massiccio : ed ancor più determinante per Gozzano, dopo la sconfessione di D'Annunzio, in quanto fornito e ribadito da un modello alternativo.
cura di M. Guglielminetti, « Lettere Italiane » (1971) XXIII, n. 3, pp. 418-20), sostenendo che le
affinità delle due poetesse derivavano dall’aver « entrambe attinto ad un maestto unico: il Petrarca ». Ciò faceva sulla scorta di precisazioni fornitegli, nel frattempo, dalla stessa Guglielminetti, in una lettera a lui indirizzata del 7-6-1907: « Anche per me, vedete, sorella di Gaspara —tanto che Ada Negri crede a un caso di metempsicosi— anche per me dovrebbe giungere la bella serenità, la buona guarigione che alla mia antica sorella furono ignote. Ed io le aspetto, sapete. Non vorrei rassomigliare in tutto e per tutto, in vita ed in morte alla infelice amante del conte di Collalto. Voi credete con tutti ch'io l’abbia avuta tanto famigliare, tanto vicina quella povera veneziana. Invece no: la conosco, le voglio bene in qualche suo verso, ma quell’aria di famiglia —diciamo cosf— io l’ho presa da un altro più antico antenato, da messer Francesco Petrarca. Un anno durante le vacanze estive, io ho passato mesi e mesi in campagna sola con lui, ripassando verso per verso tutto il Canzoniere per cercarvi il colore degli occhi di madonna Laura. Ciò che non mi riusci di scoprire. Feci però allora una profonda conoscenza di quel grande tormentato e un po’ di petrarchismo mi si è inculcato nel sangue a mia insaputa ». Da tutta la vicenda a noi preme, in questa sede, sottolineare quanto appunto le « antiche eleganze » fossero esperienza comune a tutti i poeti e le poetesse di quel periodo.
2 Nel corso del lavoro si adottano le seguenti sigle: VR (La via del rifugio), COLL (I colloqui), FARF (Le farfalle); Inf. (Inferno), Purg. (Purgatorio), Par. (Paradiso); Canz. (Petrarca, Canzoniere), TA (Trionfo d'amore), TP (Trionfo della Pudicizia), TM (Trionfo della morte), TF (Trionfo della Fama), TT (Trionfo del Tempo), TE (Trionfo dell’Eternità). Per il testo gozzaniano ci si serve dell’edizione Poesie, Torino, Einaudi, 1973, a cura di E. Sanguineti. I numeri romani rinviano ai testi di La via del rifugio e I collogui secondo la seguente tavola di corrispondenze: La via del rifugio I L’analfabeta Il Le due strade III Il responso IV L'amica di nonna Speranza V I sonetti del ritorno VI La differenza VII Il flo VIII Ora di grazia IX Speranza X L’inganno XI Parabola XII Ignorabimus XIII La morte del cardellino XIV L’intruso XV La forza XVI La medicina XVII Il sogno cattivo XVIII Miecio Horszovski XIX In morte di Giulio Verne XX La bella del re XXI Il giuramento XXII Nemesi XXIII Un rimorso XXIV L’ultima rinunzia XXV
I colloqui I L'ultima infedeltà II Le due strade III Elogio degli amori ancillari IV Il gioco del silenzio V Il buon compagno VI Invernale VII L'assenza VIII Convito IX Alle soglie X Il piu atto XI Salvezza XII Paolo e Virginia XIII La signorina Felicita ovvero La Felicità L’amica dì nonna Speranza XV Cocotte XVI Totò Mersimeni XVII Una risorta XVIII Un'altra risorta XIX L’onesto rifiuto XX Torîno XXI In casa del sopravvissuto XXII Pioggia d’agosto XXIII I colloqui XXIV
XIV
Per i testi dannunziani sì fa riferimento all'edizione dei Classicì Contemporaiei Italiani, Milano, Mondadori, 1950, voll. 10; per quelli pascolianì all'edizione Poesie, Oscar Mondadori, 1968, voll. 4.
1.
LA « KOINE
CLASSICHEGGIANTE » DELLA DEL PRIMO NOVECENTO
POESIA
Appare dunque chiaro che il discorso sul dantismo-petrarchismo gozzaniano deve prender le mosse dal quadro più ampio di una eredità classicheggiante diffusa in tutta la poesia del primo decennio del secolo !, della quale i depositari, e ad un tempo i dispensatori, sono certamente i due massimi.
Si può iniziare lo spoglio indicando con una certa sicurezza una vasta area di dantismi pascoliani e dannunziani: vocaboli e locuzioni adottati e riproposti dai due
1 Si vedano in proposito le ricerche di L. Scorrano, Presenze stilnovistiche e dantesche in S. Corazzini, « L’Alighieri » (1970) n. 1 pp. 62-72 e Dantismo di Moretti, « L’Alighieri » (1971) n. 2 pp. 69-89. Purtroppo lo Scorrano non affronta in alcun modo il problema di possibili mediazioni dannunziane, che sono tuttavia deducibili, nel caso di Corazzini, dalla affermazione contenuta nel primo articolo (p. 63), secondo cui a partire dal 1903-1904 le citazioni di Dante, Guinizelli, Cavalcanti e Cino da Pistoia si attenuano sino a scomparire. È ragionevole interpretare una simile parabola discendente come liberazione dal manierismo preraffaelita dannunziano, anche se occorre provare una simile ipotesi con ricerche documentate. Quanto al dantismo di Moretti, risulta dall’articolo di Scorrano che avvenga il contrario: è del tutto assente nelle poesie di Fraterzità (1905), si annuncia nelle raccolte Poesie scritte col lapis (1910) e Poesie di tutti i giorni (1911) e perdura nei volumi più recenti come Ultima estate (1969)
e Tre anni e un giorno (1971). Se si considerano i rapporti personali ed epistolari intercorsi tra
Moretti e Gozzano (cfr. le pagine autobiografiche di M. Moretti, Il terzo Guido, « Lo smeraldo », sett. 1959, pp. 7-12; Lettere di Gozzano, « Nuova Antologia », ottobre 1959, pp. 171-78) e soprattutto se si tien conto della fama di « piccolo classico » che il « terzo Guido » godette, subito dopo la morte, si è tentati di interpretare il dantismo morettiano come eredità del maestro torinese; anche se non sono da escludersi, per le composizioni degli anni 1907-1911, suggestioni e interferenze reciproche e dialettiche tra i due poeti. Infine, a proposito di influenze petrarchesche in C.Sbarbaro, cfr. il recente articolo di M.
Guglielminetti, Il « petrarchismo » di Sbarbaro, in Petrarca e il petrarchismo, cit., pp. 199-222.
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autori con tale frequenza e ostentazione da essere diventati in breve tempo di uso comune e codificato ?. È il caso di mastro e fabro, come costante attributo di artisti e poeti:
MASTRO Dante, Inf., XXX, 104; XXIV, 16 Petrarca, Canz., CXKXX, 11; LXX, 42 D'ANNUNZIO, Chimera (Epilogo), I, p. 592: «un orafo mastro di Fiorenza »; Intermezzo (Sonetto d’oro), I, p. 245: «astro orafo antico »; Isotteo (Dolce grappolo), I, p. 373: «tinsesi per un mastro in Romania »; Elettra (A uno dei mille), II, p. 388: « mastro d’ascia », ecc. Volumi/che alluminava un mastro fiorentino Suprema quies (1911?), 17
o. FABBRO Dante, Purg., XXVI, 117 (A. Daniello « fabbro del parlar materno ») D'ANNUNZIO, Elettra (Dante), II p. 352: « [Dante] insonne fabbro d’ale »; (La notte di Caprera), II, p. 411: «il fabro d’inni Mameli »; (Centenario di V. Hugo), II, p. 463: « fabro di colossi »; Fuoco, II, p. 623: « fabbri della Bellezza », p. 826: «l’invitto desiderio era il fabbro di tutte le illusioni » amai stolidamente, come il Fabro, [D'Annunzio] le musiche composite e gl’inganni A Massimo Bontempelli (1904), 18-19
e della relativa terminologia di carattere tecnico-artistico:
ALLUMINARE Dante, Purg., XI, 81 PascoLI, Myricae (Campane a sera), I, p. 77: «l’aria allumina vermiglia/boschi di faggi »; Poemi Italici (Paulo Ucello), III, p. 1098: « [luna] che allurzinava nella stanza bruna/il vecchio dipintore addormentato »
2 Tutte le schede sono state organizzate in modo che le citazioni gozzaniane seguano un ordine cronologico. Con queste precisazioni: le poesie delle due raccolte maggiori La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911) conservano le date d’edizione, anche se alcune erano state pubblicate in precedenza; per le Farfalle ho accettato come data il 1914, mentre le Dolci rizze, pubblicate postume nel 1917, le ho poste, anche se impropriamente, per ultime, ad eccezione de La canzone di piccolino (1909) e Dolci rime (1913) di cui si conoscono le date.
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GRAF, Morgana II (Venezia): « È tutto d’oro il mare/ Alluminato e terso ». ... mille volumi che alluminava un mastro fiorentino Suprema quies (1911?), 16-17 i vetri istoriati, i palinsesti alluminati, i codici ammirandi La messaggera senza ulivo (1914), 19-20
ORIFIAMMA Dante, Par., XXXI, 127 D'ANNUNZIO, Fuoco, II, p. 624: « una galera palpitante di orifiamzze »; Poesie Sparse (A se stesso), I, p. 1003: « orifamzza: fiamma » PASCOLI, Canzoni di Re Enzio (Canzone dell’Olifante VIII), III, p. 1225: «su tutti i gonfaloni è l’orifiamma »; Poemi del Risorgimento (Napoleone), III, p. 1273: « appiè dell’olmo, l’orifiamma al vento »
... alluminava un mastro fiorentino d’orifiamme e d’armille in cento nodi Suprema quies (1911?), 17-18
È il caso di ordegno per ‘congegno’: dove la variante fonetica (in luogo di ordigno come in Irf., XVIII, 6), saltuariamente adottata da Gozzano, è la spia più sicura del tramite dannunziano:
ORDEGNO Dante, Ixf., XVIII, 6 D'ANNUNZIO, Maia (Alle Pleiadi e ai Fati), II, p. 1: « [timon] rude ordegno »; Merope (La canzone dei trofei), II, p. 881: «i grandi ordegni/di Dedalo »; Fuoco, II, p. 784: « gli ordegni dell’arte », p. 785: « gli ordegni », p. 833: «un ordegno di tortura »; Forse che sì forse che no, II, p. 927: « ordegni », p. 928: « ordegno », p. 933: « ordegno »; La gloria (II, III), I, p. 394: « ordigno di froda »; Francesca da Rimini (II, III), I, p. 553: « il saettame e gli ordegni »; La fiaccola sotto il moggio (I, II), I, p. 947: « ordegno di motte » GRAF, La morte di Caino, II: « ecco armi forbite/Ecco addestrati ordegni »
dalla potenza degli ordegni indubi I fratelli (1907), 4 Mirabile è la bocca, ordigno armato d’acute lime in gemina ordinanza FARF (Dei bruchi, 44-45) tutti gli ordegni meditati, tutti gli accorgimenti per coperte vie, adatti a propagare la semenza FARF (Della passera dei santi, 89-91)
E l’elenco potrebbe essere allungato con altri esempi di verbi:
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IMMILLA Dante, Par., XXVIII, 93 D'ANNUNZIO, Maia (Preghiera a Erme), II, p. 108: « s'immilla »; Alcyone (IL vento scrive), II, p. 744: « s'immilli » PASCOLI, Myricae (Cuore e Cielo), I, p. 38: « s'immilla »; Odi e Inni (L’Antica Madre), II, p. 847: « s'immilla », ibid. (La porta santa), II, p. 854: « f'immilli » e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto
VR,
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Y| TRASUMANARE Dante, Par., I, 70 D'ANNUNZIO, Intermezzo (L’apoteosi), I, p. 228: « mentre nel sommo Azzutro transumzana/ ..Al visibile spirto de l’Efebo; Merope (La canzone di U. Cagni), II, p. 928: « due volte trasumzanasti,/eroe » GRAF, Medusa III (Mai più): «le luminose anella/Non baceré, transumzanato in lei »; Danaidi (Consigli a un poeta giovane XII): « (Dante) transumzanò suo cuore » Trasumanate già, senza persone,
sorgono tutte... COLPITI
DISCHIOMARE Dante, Inf., XXXII, 100 D'ANNUNZIO, Laudi (Intermezzo), II, p.5: « il pino dischiomato che per l’alto sal viaggia »; Merope (La canzone a Mario Bianco), II, p. 938: «le salse macchie che il libeccio schiorza »; Fuoco, II, p. 848: « Alti cipressi... i più vetusti, portavano il segno della folgore, dischiorzati e senza midolle »
dischiorma l’olmo il pioppo ed il castagno Domani (1904), II, 4 — O yes! Ricerco e aduno senza posa capelli illustri in ordinate carte (...) — Dischiomerò pet voi l’Italia bella! Ketty (1916), 61-72
sostantivi: GUALDANA Dante, Inf., XXII, 5 D'ANNUNZIO, Francesca da Rimini, I, 4, p. 506: « fanno gualdane pet tutte le terre »; I, 4, p. 508:
« Erano da trecento a quattrocento/in gualdana »; I, 4, p. 512: gualdana »; 1, 5, p. 534: « in gualdana »
« perché meglio s’appresti alla
Combattuto ha per voi; fatto gualdana Primavere romaniche, 51
RAFFI
10
Dante, Inf., XXI, 52; XXI, 100; XXII, 147
D'ANNUNZIO, Merope (La canzone dei Dardanelli), II, p. 925: « con alla mano i raffii d’arrembaggio » PASCOLI, Poemi Conviviali (La buona novella II, III), III, p. 1077: « L’avean, col raffio, tratto dall’arena/del circo »
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...i raffi che lo scantio aggancia al pelo od alla veste del passante FARE (Della passera dei santi, 87-88)
e aggettivi: 11 FEMMININO Dante, Inf., IX, 39 (« membra femminine ») D'ANNUNZIO, Poema Paradisiaco (La Napea), I, p. 675: « feminina/forma »; Poesie S parse (La Musa ai bagni), I, p. 947: « le membra femzinine », ibid. (Ottave), p. 950: « querele ferzinine »; Il piacere, pi 40: « grazie femzinine », p. 178: « settembre... ferzizino »; Trionfo della morte, I, p. 711: « fiore... femzinino », p. 788: « scrittura... femzinina », p. 872: « fascino feminino », p. 885: « essere feminino », p. 983: « corpo ferzinino »; La Gioconda (IV, I), I, p. 499: « figura ferzinina »
rideva una blandizie femzzzinina COLL, XIV, 86
J2 REDIMITO Dante; Par., XI, 97 CARDUCCI, Odi Barbare (Nell’ Annuale della fondazione di Roma, 1): « Te redimito di fior purpurei » D'ANNUNZIO, Prizzo Vere (A Firenze), I, p. 25: «le ridenti vergini/di mirto redimzite », ibid. (Suavia), p. 45: « co ’l fronte redimzito/di fiammanti papaveri »; Certo Novo (Canto del sole XI), I, p. 186: « oreade/nova, di maggiorane/redimita le tempie »; Chimera (Due Beatrici), I, p. 452: « vestita/de la tunica verde e redizzita/d’argentei fiori »; Maia (Il cipresso e l’oleandro), II, p. 71: « oleandro ti colsi/per redizzir le mie tempie »; Elettra (Alla memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti), II, p. 363: « Canta, o Verità redizzita/di quercia », ibid. (Per la morte di un distruttore), II, p. 476: « O Verità redimita/di quercia »; Merope (La canzone di M. Bianco), II, p. 943: « Una maschia bellezza redimzita/di sogni avremo »; Le Vergini delle Rocce, II, p. 489: «la fronte redimita a quando a quando s’inclini » pascoLI, Poemi del Risorgimento (Inno a Torino), III, p. 1347: « Gli eroi nel bosco del perenne alloro/erano insieme assisi al sacro fonte/dell’Eridano, e tutti, redizzita/già delle vitte candide la fronte, /diceano l’inno » I Baia nre Lar
craF, Morgana I (La rima): « Tu d’innocenti e nitide corone/Redimisci le pie fronti dei poeti » Redimita di fronde agropungenti ahi! non d’alloro— la mia Musa canta FARF (Dei bruchi, 1)
Si tratta dunque di arcaismi e preziosismi: non tuttavia classificabili come aulicismi 3, e neppure come recuperi personali. Oltre alle singole unità lessicali segnaleremo famiglie di rime-clausole che, tando un’origine dantesca ed una lunga ininterrotta presenza nella lirica sono passate in Gozzano evidentemente per la mediazione dei due maestri
generici pur vanitaliana, contem-
poranei:
3 Sono
invece
da classificare come
aulicismi
o arcaismi generici:
adunare
(‘raccogliere’),
affinare/affinarsi, comentare/comento, raggiare, rotare, signoreggiare, lunghesso, ruina, rezzo/al rezzo, ecc. ecc., poiché sono abituali e frequenti sia nei testi poetici contemporanei a Gozzano, sia
negli autori tardo-romantici e scapigliati dell’Ottocento.
28 — 13 A PARO: CHIARO: AMARO venendo... a paro a paro: chiaro: caro, Dante, Purg., XXIV, 89-93 D'ANNUNZIO, Chimzera (AL poeta G. Cellini), I, p. 595: «in questi di settembre allettamenti/che indugiano pe ’l cielo umido e chiaro,/tesser vorrem di be’ ragionamenti, lungo le vigne camzzinando a paro », ibid. (L’Alunna), p. 498: « e dietro, 4 paro, ...due vecchi »; Elettra (Prato XI), II, p. 513: «a paro: Dagomato: Maro: caro »; Francesca da Rimini (III, I), I, p. 592: « posto quasi 4 paro del davanzale »; Fuoco, II, p. 850: « essi vedevano procedere a paro per l’erba le loro ombre congiunte » PASCOLI, Poemi Conviviali (Il poeta degli Iloti I), III, p. 997: « per la via ti camzzinava a paro/un curvo schiavo », ibid. p. 1002: « E lo schiavo stradò col suo cantore/a paro 4 paro »; Le canzoni di re Enzio (La canzone del Carroccio I), III, p. 1135: -« [i bovi] 4 paro, entrambi/girano poi la macina dei denti/...4 paro, in pace, romperanno il campo »; Poemi del Risorgimento (Inno a Roma, I messaggeri), III, p. 1326: « Ivano a paro avanti le coorti »; Nuovi Poemetti (Gli emigranti nella luna, VI, II), II, p. 458: « paro: chiaro: amaro » Ma fu l’incontro mesto, e non azaro. Proseguimmo tra l’oro delle acace del Valentino camminando a paro. Ella parlava, tenera, loquace, del passato, di sé, della sua pace, del futuro, di me, del giorno chiaro COLE, XI 7-12 or è già molto, camzzzinando a paro per una landa sconsolata... FARF (Corze dal germe, 74-75)
Va qui notato come,
anziché l'originale dantesco
verire 4 paro, Gozzano
adotti
l’estensione analogica cazzzzinare a paro. Oppure: 14 INGOMBRA/SGOMBRA: OMBRA anima... °ngombra: ombra, Petrarca, TE, 64-66 mente ingombra: ombra, Dante, Purg., XXXI, 140-42 ombra: ingombra, Inf., II, 44-46; XXXII, 61-63
ombra:
sgombra, Purg., XXIII, 131-33; Canz., X, 10-12; XXIII, 168-69; XXXVIII 3-6; CXXV, 22-23; CCCXXVII, 1-8, ecc. D'ANNUNZIO, Elettra (Al re Giovine), II, p. 357-58: « notte ingormbra: ombra », ibid. (Per la morte di un capolavoro), II, p. 493: « error che l’ingorzbra: ombra »; Merope (L'ultima canzone), II, p. 953: « notte ingormzbra: aombra: ombra»; Chimera (I gigli), I, p. 551: «un vel li occhi r2'ingombra: ombra »; Fuoco, II, p. 590: « voleva gittare al rogo la sua anizza ingombra pet morir pura »; Il secondo amante di Lucrezia Buti (A Lorenzo Elateo, V), I, p. 1065: « ingombra: ombra » PAscOLI, Myricae (Convivio), I, p. 40: « mensa ingombra: ombra », ibid. (Piano e Monte), I, p. 135: « ombra: ingombra »; Nuovi Poemetti (I due alberi), II, p. 460: « strada ingombra: ombra »;
Poesie Varie (Calendimaggio), IV, p. 1481: « ombra: il gonfalone che ingombra », ibid. (Stella Diana), IV, p. 1402: « ombra: si sgormbra », ibid. (Nel bosco), IV, p. 1386: « sgormbra: ombra » GRAF, Le rime della selva (Idillio): « sgombra: ombra », ibid. (Pace): « ombra: ingombra »
..taciturno:—Tu hai l’anizza ingombra. Tutto è fittizio in noi: e Luce ed Orzbra VR, II, 94-95 L’alta lucerna ingombra... ...ergendosi nell’ombra
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VR, IV, 3-4 ...per le navate ingomzbre passano grige l’orzbre... La basilica notturna (1915), 13-14
splendeva il sole nella valle sgombra (...) la messaggera, disegnando un’ombra La bella preda (1915), 27-30
Qui la clausola gozzaniana anima ingombra: ombra sembra discendere non già da Dante, quanto piuttosto dalla predilezione che D'Annunzio e Pascoli mostrano per questo specifico sistema rimico. Allo stesso modo, talune definizioni dantesche (larghe rote, dritte vie) e petrarchesche (prossimi e lontani, latin sangue gentile), una volta riesumate e rimesse in circolo da
D'Annunzio e Pascoli, vengono abitualmente adottate e divulgate da Gozzano: 15 DRITTE VIE Dante, Inf., XI, 9; Par., XXIX, 129 e Inf., I, 3 (« diritta via ») Petrarca, Ganz., XCI, 7; CXIX, 84 D'ANNUNZIO, Primo Vere (Pellegrinaggio), I, p. 92: « E la strada prolungasi dritta monotona, gialla, ...dritta monotona gialla s’allunga la via »; Maia (L'altro canto), II, p. 230: « nelle vie diritte ove passa/il carro che non ha timone »; La figlia di Iorio, I, p.856 (II, I): « Parla parole dritte », p. 862 (II, I): « Tutte le vie dell’uomo sembran dritte »; Forse che st forse che no, II, p. 1041: « Non gli argini verdi, non le pallide vie diritte » le dritte vie corrusche
di rotaie
COLL, XIV, 178
[Cavolaia] s’aggira stanca per le vie diritte FARF (Della cavolata, 87)
La Serra dritta, gli alberi, le chiese COLL, XIV, 178
Se D’Annunzio adotta generalmente l’aggettivo dritto/diritto ed i relativi sintagmi vie diritte e dritta ... via in senso concreto, non morale (come nel modello dantesco), tuttavia conservando in taluni casi l’accezione originaria, Gozzano li assume sempre e definitivamente in senso realistico. Ancora: 16 PROSSIMI E LONTANI * Petrarca, Canz., CCVII, 72 D'annunzio, Trionfo della morte, I, p. 850: « Si udivano gorgheggi di uccelli prossimzi e lontani », 4 In D'Annunzio è pure molto frequente l’uso di prossizzo, cfr. Trionfo della morte, I, p. 852: «un tugurio prossizzo a quello ch’essi cercavano », p. 904: «I suoi prossimi lo circondarono », p. 912: « la loro agitazione si comunicava ai prossizzi », p. 946: « scogli prossimi », p. 950: « Le benedizioni si spandevano su tutti i prossizzi »; Fuoco, II, p. 588: « Dai Giardini prossizzi scendevano gli effluvii », p. 597: « Stelio sorrise nel notare fin a qual punto i suoi prossimi fossero impregnati della sua essenza », p. 660: « Le voci dei prossimi gli giungevano come di lontano », p. 788: « aveva ... comunicato per contagio il fervore della sua vitalità ai prossizzi ».
3— p. 871: « poteva agitare col suo nome le moltitudini prossizze e lontane »; Più che l’amore (II), I,
p. 1183: « romore... non potevo accorgermi se fosse prossizzo 0 lontano » I greggi, sparsi a picco, in gran tinniti e mugli (...) e prossimi e lontani univan sonnolenti
VR, III, 71-73 da MISERERE DI Dante, Inf., I, 65 Petrarca, Canz., LXII, 12; CCCLXVI, 120 D'ANNUNZIO, Intermezzo (Anna Bolena), I, 242: « Miserere di me, Cristo Gesù »; La figlia di Iorio, I, p. 849 (II, I): « r2Îserere di noi, Signore! », p. 860 (II, III): « MILA Miserere di noi, Vergine santa! ALIGI Miserere di noi, Gesù Cristo! »; p. 910 (III, II): « r7zserere di lei », p. 920 (III, III): « Miserere di lui! Miserere! » Amanti! Miserere, Miserere di questa mia giocosa aridità larvata di chimere!
COLL, XIII, 167-69 18 LARGHE ROTE Dante, Inf., XVII, 98 Ariosto, Orlando Furioso, IV, 24, 8 D'ANNUNZIO, Prizzo Vere (Palude), I, p. 17: « con larghe ruote calan gracchiando i corvi »; A/cyore (Il fanciullo III), II, p. 563: « sparviere/che a sommo del ciel muto/in sue rote feria l’aer di strida » PASCOLI, Odi e Inni (La lodola), III, p. 723: « Vidi sovente in mio cammin /e rofe/nere del falco »; Le canzoni di Re Enzio (Canzone del Paradiso V), III, p. 1182: «a larghe ruote/scesa dal cielo un'aquila »; Poesie Varie (In morte di A. Morri), IV, p. 1380: « su l’ippogrifo tuo stellante al cielo,/ e a rote larghe tra di nubi un velo,/venir come vascello in alto mare » [Vanessa] aleggia in larghe rote VIRSBTASA: E sullo specchio subdolo e deserto soli restammo, in largo volo aperto (...) di larghe rote disegnando il vetro COLL. VII 10-16 ...la Vanessa/in larghe rote lente sulle ajole FARF (Del parnasso, 21-22) [aquila] in larghe rote s’annunciò dall’alto La bella preda (1915), 28
Nell'ultimo esempio, Gozzano attribuisce ai voli di farfalle e Vanesse le larghe rote che già in precedenza D'Annunzio e Pascoli avevano mutuato dal Gerione dantesco e dall’Ippogrifo ariostesco per adattarle ai più modesti voli di uccelli più o meno rapaci (falchi, sparvieri, aquile, corvi). Ma almeno in un caso egli si rivela autonomo e inventivo: quando forza l’espressione ad indicare le ‘ampie rotaie’, tracciate sul ghiaccio dei pattini dei due innamorati sfidanti ogni pericolo (COLL, VII, 10-16). Sotto questo aspetto è ancor più interessante il caso di: 19 LATIN SANGUE
GENTILE
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Petrarca, Canz., CXXVIII, 75 D'ANNUNZIO, Poesie Sparse (Per gli italiani morti in Africa), I, p. 963: « Risplendea, come un aprile, /in lor volto giovenile/i/ latin sangue gentile »; Elettra (Al re giovine), II, p. 358: « vedemmo ancora sul mondo/splendere il latin sangue gentile », ibid. (La promessa), p. 420: « Non invano moriste,/o dolci figli, latin sangue gentile »; Merope (La canzone del sangue), II, p. 863: « Odimi tu, latin sangue gentile », ibid. (La canzone dei trofei), p. 885: « tra le grida gioiose dei messaggi/che gridano il gentil sangue latino », ibid. (La canzone di U. Cagni), p. 932: «È il puro aprile/della tua gloria parve ad altra ebrezza/rifervere nel sangue tuo gentile »; Maia (Alle Pleiadi e ai Fati), II, p. 3: « Di latin sangue sorse la parola »; Elettra (A Roma), II, p. 386: «e il fior del mio sangue
latino »; Alcyone (Ditirambo 1), II, p. 602: « Ecco il fiore del sangue latino »; Maia (Il trivio), II,
p. 235: «le vendette del gerztile/mio sangue », ibid. (Saluto al maestro), p. 334: «tu superstite regio/del gentil sangue »; Alcyone (Il commiato), II, p. 840: « il prisco vige nelle tue figure/gentile sangue »; Fuoco, II, p. 664: « Una furente volontà di lotta si svegliava in quell’agile sangue latino »; Le Vergini delle Rocce, II, p. 433: « latino sangue sparso », p. 532: « sangue latino » PASCOLI, Odi e Inni (Gli eroi del Sempione), II, p. 750: « Latin sangue, gentil sangue errabondo/tu sei qual eri nel tuo giorno: /ancora sai tutte le vie del mondo.../non sai più quella del ritorno », ibid. (Inno secolare a Mazzini VI, II), p. 879: « poi file/lunghe di pastorali e di tiare./E poi v'era ...0 latin sangue gentile! »; Poesie Varie (A Vittorio Emanuele), IV, p. 1457: «Il gentil sangue latino/salì teco a S. Martino » GRAF, Medusa (Dal libro dei ricordi III): « [Madre] acre ardor nel riottoso ingegno/Serbava e rel latin sangue gentile: sottile »
Ketty zufola e fuma. La virile franchezza, l’inurbana tracotanza, attira il mio latin sangue gentile
Ketty (1916), 21-23
con cui Gozzano viene ad indicare la femminilità e fragilità europea di cui si sente portatore, in contrasto con la virile solidità dell’americana Ketty. L’espressione è tratta dalla famosa (e studiatissima a memoria, nelle scuole) Canzone all'Italia del Petrarca: ma è soprattutto una parodia dell’uso politico e nazionalistico che essa
conserva nella poesia di D'Annunzio e Pascoli. Ed è innegabile che l’inventività ironica di Gozzano si coglie solo se si tien conto della stratificazione di plurimi significati, della catena di usi espressionistici che rendono assolutamente indispensabile la conoscenza dell’anello intermedio. Di fronte all’utilizzazione di unità lessicali, clausole-rime e sintagmi del tipo fin qui preso in esame è possibile trarre una prima constatazione:
Gozzano
si muove
con
disinvoltura all’interno del codice poetico del suo tempo, ricco di petrarchismi e dantismi di ogni genere, ed ormai vulgati. Ma è anche possibile affermare che è partendo da qui, da questa piattaforma comune, da questa miniera già scavata e praticata da Pascoli e da D'Annunzio, che egli è risalito alle fonti originarie: attraverso un personale scavo archeologico compiuto dapprima sul Canzoniere, quindi sulla Divina Commedia. Lo documenta un secondo gruppo di schede 5 qui raccolte secondo un criterio certo 5 L'organizzazione stessa di queste schede è diversa: a lato dei testi gozzaniani compaiono hanno come fonti dirette i passi di Dante e Petrarca, mentre in basso sono collocati gli autori che Graf). (e Pascoli operato la mediazione, ossia D'Annunzio,
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più esemplificativo che esaustivo: le quali mostrano a sufficienza, crediamo, come i testi sacri della poesia italiana siano stati rivisitati da Gozzano quasi in gara, oltre che sullo stimolo, dei due maestri contemporanei. 20 prima che sia compiuta la mia favola breve! VR, IV, 66 Però che compita la favola umana, la Vita concilia L'ipotesi (1907), 51 Perché dalla tua favola compianta Stecchetti (1907), 1 cantate al mio piacere//a sua favola bella VR, I, 47-48 Inganno la tristezza/con qualche della favola VR, XXIII, 37-38 la troppo umana favola d'un Dio VR, II, 114 l’immaginosa favola d'un Dio VR, VI, V, 8 diremmo la favola ad uso della consorte ignorante L’ipotesi (1907), 110 confortò la mia pena în sè romzita, e visse quella vita che non vissi. Egli ama e vive /a sua dolce vita; non io che, solo nei miei sogni d’arte, narrai la bella favola compita GOLE. I, 33-37 Di tutto ignari: delle Scienze e dell’Indagine che prostra e della Storia, favola mentita, abitavamo l’isola ronzita senz'altro dove che la terra nostra senz'altro quando che /a mostra vita
anzi ùn sole: et se questo è, /a mia vita, i miei corti riposi e i lunghi affanni son giunti al fine. O dura dipartita, perché lontan m’ài fatto da’ miei danni! La mia favola breve e già compita Canz., CCLIV, 9-13 ma di nostro paese e della vita c’inchiese; e "1 dolce duca incominciava « Mantova », e l'ombra, tutta in sè romzita Purg., VI, 70-72
COLL, XIII, 41-46 D'ANNUNZIO, Intermezzo (Anna Bolena), I, p. 242: « Già diedero al carnefice la vifa/oscura i cinque Adulteri. È compita,/o Bellezza, la tua favola breve! »; Chimera (Parabola), I, p. 554: « La sua favola breve è già compiuta (: fiuta) »; Elettra (La notte di Caprera XXI), II, n. 427: «la favola breve/dell’uom fallace converse in gioia eterna », ibid. (Per la morte di un capolavoro), p. 490: « O puro Eroe, innalzato sopra il tempo/e sopra le favole umzane »; Alcyone (Pioggia nel pineto), II, p. 620: «i freschi pensieri/che l’anima schiude/novella/su la favola bella »; Fuoco, II, p. 584: «Io penso che ogni uomo d’intelletto possa... nella vita creare la propria favola bella », p. 836: « Andrò un'estate su la spiaggia di Pellestrina per comporti questa favola bella nella sabbia d’oro »
Compita la favola breve, alternata a compiuta la favola o a favola breve, è petrarchismo molto frequente in D'Annunzio, cosî come favola umzana, favola bella e bella favola costituiscono una più originale e personale derivazione dannunziana. Nella
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Via del rifugio e in altre poesie del 1907 (L’ipotesi, Stecchetti) Gozzano adotta ripetutamente tutte quante le espressioni suggeritegli da D’Annunzio nonché il vocabolo favola, che di queste costituisce il nucleo centrale o l’ultimo residuo; né gli echi dannunziani cessano di agire su di lui nel caso di un verso come « la troppo umana favola d’un Dio » (VR, II, 114), ove s’incrociano con influenze nietzschiane (Umano troppo umano). Tuttavia è in un secondo momento, nei Colloqui, che Gozzano va oltre (in senso quantitativo, non qualitativo): completando queste stesse espressioni con rime e clausole dantesche e petrarchesche, secondo schemi a mosaico che avremo occasione di analizzare più avanti, nel capitolo dedicato alla tecnica del collage.
Allo stesso modo: 21 Fede ristoratrice d’ogni piaga per l’anima fanciulla che s’appaga VR, II, 138-39 Un maleficio fu dalla tua culla, (...) Fino alla tomba il tuo gelido cuore porterai con la tua sete fanciulla, fanciullo triste che sapesti nulla, ché ben sa nulla chi non sa l’amore COLL, IX, 23-28 No! taci! taci! non mi dir più nulla! (...) Lasciami sola sopra questa culla a piangere quest’azizza fanciulla La culla vuota (1916), 99-103 anima semplicetta che riduce alla nostra stadera l’infinito Ab! Difettivi sillogismi! (1916?), 12-13 Ma la mia Musa non sarà l’attrice annosa che si trucca e pargoleggia, (...) giovine tacerà nella sua reggia, come quella Contessa Castiglione bellissima, di cui si favoleggia COLL, XXIV, 14-19
prima che sia a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, l’anima semplicetta che sa nulla (:trastulla) Purg., XVI, 86-90 non sa come Amor sana, et come ancide, chi non sa come dolce ella sospita Canz., CLIX, 12-13 ben lo sai tu che la sai tutta quanta Inf., XX, 114 OR fortunate! ciascuna era certa della sua sepoltura, ed ancor nulla era per Francia nel letto diserta. L’una vegghiava a studio della culla, e, consolando, usava l’idioma che prima i padri e le madri trastulla; l’altra, traendo alla rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia Par., XV, 118-25 cfr. 96
pascoLI, Canti di Castelvecchio (Il ciocco II), II, p. 562: « dormire! di quest’arizza fanciulla/che non ci vuole, non ci sa morire! /che chiuder gli occhi, e non veder più nulla »; Odi e Inni (Abba), II, p. 797: «lavano/nell’onda azzurra che ti culla/già, l’anima loro fanciulla,/ch’emerge nuda sem: plice libera », ibid. (Inno secolare a Mazzini V, II), II, p. 877: « fanciulla: culla: nulla »; Poemi Italici (Rossini I, I), III, p. 1101: « Piangea la semplice anima fanciulla: /“Sono più grande! Quan-
do tu, smarrito/del mondo immenso, pigolavi in culle” », ibid. (II, III), vol. III, p. 1108: « Ed ora è ancora, l’esile fancizlla,/quella che tu. Tutto le par novello./Ancor non parla: canta; e non sa nulla », ibid. (III, I), vol. III, p. 1109-10: « fanciulla: nulla »; Poesie varie (San Michele), IV, p. 1477: «la cara fanciulletta vita »; Myricae (Il giorno dei morti), I, p. 7: « nulla: fanciulla », ibid., p. 6: «culla: nulla»; Primi Poemetti (Le armi, IV), I, p. 303: « sulla: nulla: fanciulla »; Nuovi poemetti (La lodola), II, p. 354: « fanciulla: nulla », ibid. (Gli emigranti nella luna), II, p. 442: « nulla: betulla: fanciulla »; Canti di Castelvecchio (La poesia V), II, p. 506: « fanciulla: culla », ibid. (La figlia maggiore), II, p. 587: « culla: fanciulla », ibid. (Il poeta solitario), II, p. 602: I iulla »; ecc. ecc. Ila: della Pescara (La contessa d’Amalfi I), II, p. 186: « A quello stupido pargoono
UM leggiare, Rosa non potè tenersi di sorridere », ibid. (Agonia I), II, p. 241:
«Le commiserazioni
delle fanciulle sensibili... finivano in un balbettio pargoleggiante »
anima fanciulla, fanciulletta vita (sino alla famosissima formulazione
teorica del
« poeta fanciullino ») sono espressioni e aggettivi squisitamente pascoliani, dal Pascoli reinventati sulla scorta di un passo del Purgatorio (XVI, 86-90): nella Via del rifugio Gozzano fa subito sua la pascoliana anizza fanciulla: ma, a partire dai Colloqui sino alle composizioni degli ultimi anni (La culla vuota, Ah! Difettivi sillo-
gismi!), le affianca l’originaria anizza semplicetta con il corredo di rime (culla: nulla), sintagmi (che sa nulla; non sa ... chi non sa, ecc.) o verbi (pargoleggiare) che Dante e
Petrarca stessi gli forniscono. 22 fede ristoratrice d’ogni piaga per l’arizza fanciulla che s'appaga VR, II, 138-39 invan proffersi il cuor che ron s'appaga. Amor non mi piagò di quella piaga che mi parve dolcissima in altrui... (...) Non varrà succo d’erbe o l’arte maga? COLL, IX, 18-22 dove l’anima putre e non s'appaga... Chiedi al responso dell’antica 724ga (...) la Natura! Poter chiudere in versi i misteri che svela a chi l’indaga! COLL, XXIII, 26-30 "n suggellò il nettario, con arte maga trasmutò gli stami in multiple sorelle mostruose FARF (Della cavolata, 122-24)
I begli occhi ond’i fui percosso in guisa ch’e’'medesmi porian saldar la piaga, et non già vert d’erbe, o d’arte maga, (...) m’ànno la via sî d’altro amor precisa, ch’un sol dolce penser l’anizza appaga Canz., LKXV, 1-6 e co ’l terzo bevete un suco d’erba Canz., LVIII, 9
D'ANNUNZIO, Chimzera (Al Poeta Andrea Sperelli), I, p. 599: « Veggasi tutto il sangue tuo mal sano/ rompere fuora e fumigat la piaga/incesa ben da la tua stessa mano.//L’Arnimza trista che non fu mai paga/narri ai poeti la tremenda angoscia/durata in btaccio de l'antica Maga »; Poema Paradisiaco
(Pampbila), I, p. 686: « appaga: piaga »; Sogno d’un mattino di primavera, I, p. 13: « coi succhi di quelle radici che le r24ghe infondono nei filtri d'amore »
La puntuale ripresa di un passo del Canzoniere è dovuta, oltre alla suggestione indiretta delle molte maghe e « magalde » dannunziane, sempre intente a raccogliere « erbe » per « suchi » e filtti d’amore, alla lezione specifica dei versi della Chimera: come mostra la locuzione negativa che non s'appaga/l’anima ... non s'appaga (Ani ma ... che non fu mai paga); e il verso « Chiedi al responso dell'antica maga » (», p. $28: «la vita esteriore continuava senza mutamento »; Il piacere; I, p. 220: «_.. per la bella foreste; e tutta la lor profondîtà era penetrata d’un chiarore elisio, d'en’atmosfera senza srufamento>; Trionfo della morte, I, p. 975: « Le fiamme si levano în a'arîa senza mutamento »; Le vergini delle rocce, II,p. 399: «le forme degli esseri familiari si senza mistero e senza svulemento »; Forse de si forse che no, II, p. 1172: « come se FIndigete sorridesse nell’aris dolce senza mutamento. »; La città morta, I, p. 171: «Era la calma perfetta, senza matamento>»; La Gioconda, I,pi 259: « l’aria è dolce, senza mutamento »; Alcyone (Bocca dî Serchio), II, p. 692: « La raduraè vicina. Il sole penetra/fra ì rami. Tutto #remola e >»
Il recupero testuale del passo dantesco è mediato da frequentissime espressioni dannunziane (erie senza mutamento
o senza mutamento), mentre l’endiadi didatti-
camente sinonimica di frenrola e scintilla”, pur suggerita dalle stesse terzine dantesche (attraverso « foresta » e « tremolando »), è omaggio e tributo a D'Annunzio (cfr. Alcyone, II, p. 692): essendo costume del Maestro utilizzare, oltre a vocaboli rari
e peregrini, la loro definizione lemmatica scovata in glossari, vocabolari o commenti È. 27 E l'affanno sottile sos ci lascia tresua; ma pini sì intorbida e si affina ìdeslmente dentro la guaina morbida della veste che le fascia
Oh beata Ungheria se mos si lascia più malmenare! e beata Navarra se s'armasse del monte che la fascia Par., XIX, 142-44
_un avvenire dedito all’ambascia torbîda che ci schianta e che ci sfascia
Pria ch'î'scendessì all’infernale ambascia, I s'appellava în terra il sommo bene
Le non godute (1909), 9-12
Le non godute (1909), 82-83 quale remota ambascia il Tempio oggi ricorda, difeso nella sorda materia che /o fascia?
i
onde vien la letizia che mi fascia Par., XXVI, 133-35
La basilica notturna (1915), 33-36
? Per Fuso frequentissimo in Gozzano di tremolere, tremulo e tremolio, cfr. F. Contorbia, Per uns poesis « dispersa » dî G., « Strumenti Criticì » (1971) n. 16, p.411. è Cir. M_ Prez, D'Amnunzio e Pe amor sensuale delle perola », ne La carne, la morte, e ìl diîzvoalo, Firenze, Sansoni, 1966, pp. 418-19.
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;
vela custodia
39
La mia letizia mi ti tien celato che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato Par., VIII, 52-54
el bombice di sua seta fasciato
FARF (Delle crisalidi, 18)
D'ANNUNZIO, Elettra (Orvieto IS, p. 528: « occupa e turba la tremenda ambascia/dell’artier da Cortona, come un vento./Ruggegli nel gran cor Dante Alighieri; /e però di sî dure carni ei fascia/il Dolore ... »; Alcyone (La tregua), II, p. 556: «il tuo volere ci fasciava i fianchi », ibid. (L’Oleandro), II, p. 679: « districa la soave/nudità della chioma che la fascia »; Fuoco, II, p. 777: «l’otribile pena che la fasciava » i “on
Il vezzo dannunziano di usare in rima e fuori di rima che fascia e che fasciava per ‘avvolgere’, trova un seguito in Gozzano con relativi completamenti danteschi: la clausola che la fascia: non ci lascia e l’intero emistichio di sua seta fasciato. Allo stesso modo: 28 Il piucheumano mesto volto sacerdotale Parabola dei frutti (1904), 5-6
pensando nel bel viso pis che bumano Canz., CXXVII, 46
D'ANNUNZIO, Fuoco, II, p. 643: «un puro spirito d’amote pid che umano », p. 727: « La sua potenza su la scena ... è pid che umana »; La Gioconda, I, p. 271: « una virti che mi pareva pid che
umana » PASCOLI, Poesie Varie (Patuit dea), IV, p. 1390: guardarsi bella »
« Tra il verde appatve pid che cosa umana/a ri-
l’aggettivo dannunziano piucheumano? viene completato dal Nostro con la parafrasi dell’originario verso petrarchesco da cui D'Annunzio l’aveva tratto. Per concludere, possiamo completare l’elenco con una serie di esempi simili, se pure meno appariscenti.
9 A proposito di piucheumano, come dei precedenti transumanare (n. 7) e troppo umano (n. 20), cfr. B. Migliorini, G. D'Annunzio e la lingua italiana, in Saggi sulla lingua del Novecento, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 298-99: « il termine ... è molto anteriore a Nietzsche: Uebermensch fu usato la prima volta da un polemista cattolico del Cinquecento che rimproverava ai luterani il loro amoralismo; Goethe e Herder lo fanno entrare nell’uso tedesco corrente. Ma nella prima metà dell'Ottocento, i traduttori italiani del Faust ancora traducono Uebermensch “più che mortale”, “pit che uomo”, “piti che umana creatura”. Non so se il nome di superuomo sia stato usato proprio per la prima volta dal D'Annunzio nel Trionfo della morte: certo dopo di lui il vocabolo entta nell’uso corrente in quella forma che a noi oggi sembra definitiva ... Prima e dopo il superuomo il D'Annunzio fu condotto, dalla sua brama di scavare in sé medesimo oltre i limiti dell'umano, a cercare nel lessico e a coniare lui stesso termini e locuzioni alludenti a questa ricerca: “[il verso] può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’oltremirabile” (Piacere), “imbestiare può in un certo senso essere un modo di transumanare”
(Vita di Cola), “la mia tolleranza [alla stricnina]
anch'ella transumana” (Libro segreto), “i modi del più vivere e del più sentire” (102) ».
40—
Vocaboli come ammusare, carcere (‘corpo’), smalto, trasmutare, stadera, alto (‘pro-
fondo’), ecc. sono senz'altro degli arcaismi molto frequenti nella poesia dei primi anni del secolo, specialmente in D'Annunzio e Pascoli. Gozzano li assume corredandoli e completandoli in senso dantesco (amzzusare lun Valtro, carcere terreno, smalto: luminoso e alto, mutare e trasmutare, alla nostra stadera, rive alte, ecc.), restituendoli
cioé al loto primitivo impiego e significato: 29 invano! Tita che non sa conforto VR, XIV, 7
O che l’Eroe che ron sa riposi VR, XX, 1 fanciullo triste che sapesti nulla, ché ben sa nulla chi non sa l’amore. COLL, IX, 28-29 Ma il fiore —che sa tutto— non ignora FARF (Della passera dei santi, 59)
cfr. 21
e quel savio gentil, che tutto seppe Inf., VII, 3 Nestor, che tanto seppe e tanto visse TELO
D'ANNUNZIO, Maia (L’annunzio), II, p. 6: «e il piloto che sa i cieli», ibid. (L'incontro d'Ulisse), p. 40: «te che sai mille vie »; Il piacere, I, p.3 (A F.P. Michetti): « alla Bellezza che non sa dolori », ibid., p. 198: « nel luogo che sa i miei ginocchi »; La Gioconda I, p. 277 (II, I): « Ella sa le cose dell’arte »
PASCOLI, Poemi conviviali (L'ultimo viaggio I), ITI, p.954: « Quelli cercava che non sanno il mare » quando nel lento oblio, rapidamente ix vista apparve una ciclista a sommo del pendio VR, III, 5-6 [ali] gelide in vista tanto che vi sembra di vederle squagliare a poco a poco FARF (Del parnasso, 35-36) Vien Mascagni truce in vista La ballata dell’Uno (1914), 45
....@t se qual pria apparve in vista, è tal vita aspra et ria Canz., CCLXII, 6-7 in vista, Par., X, 66; Canz., CCLXXXIV, 8; CCEXXXV-4: CCCXXTP832
pascoLI, Poemi Conviviali (La cetra di Achille INI), III p. 932: « sizzile in vista a vecchio dio ramingo »; Poesie Varie (I due vicini VII), IV, p. 1504: « della in vista,/sotgea la siepe » D'ANNUNZIO, Intermezzo (Godoleva), I, p. 237: « in vista pieno/d’atroce gioia, arse la carne molle »; Elegie (Il viadotto), I, p. 333: « Era il Tirreno în vista, di lungi, una spada raggiante »; Le Vergini delle Rocce, II, p. 482: « fragili in vista », ecc.
51 Certo un mistero altissizzo e più forte VIRSSGLH alle rive del sogno alte e solenni VR, XIX, 8 Viaggia viaggia viaggia viaggia per l’alto mare L'ipotesi (1907), 143-44
Noi pur giugnemmo dentro all’alte fosse IO PARERE
ches127
— È tempo che una fede alta ti scuota COLEEXXIIT15 L’Acherintia s’aggira. Alto è il silenzio FARF (Della testa di morto, 94)
41
Già traluceva a’ begli occhi il mio core, et l'alta fede non più lor molesta Canz., CCCXVII, 5-6
D'ANNUNZIO, La Gioconda, I, p. 252: « alte acque »; Maia (Il Macedone e la Tindaride), II, p. 66: « alti pensieri », ibid. (Preghiera al Cronide), II, p. 87: « alta Innocenza »; Il piacere, I, DE25: « alta passione »; Trionfo della Morte, I, p. 665: «la voluttà è alta », p. 669: « voluttà più alte », p. 706: « alta passione », p. 972: « scherno alto e feroce », ecc.
32 come un antico salto innaturale. Non vero (e bello) come in uno srzalto
a zone quadre apparve il Canavese: Ivrea turrita, i colli di Montalto, (...) e il mio sogno di pace si protese da quel rifugio /urzinoso e alto. COLL, XIV, 174-80 RI un bruco enorme e glabro, verde e giallo, ornato di sette zone oblique turchiniccie. (...) e dalla gaia larva, a smalti chiari, FARF (Della testa di morto, 3-9) ...Il cuore batteva impaziente dell’assalto. Il cielo era di smalto. La bella preda (1915), 21-23
in luogo aperto, lurzinoso e alto, sf che veder si potean tutti quanti. Colà diritto, sopra ’1 verde smalto Inf., IV, 116-18
assalto: alto: smalto, Inf., IX, 50-54; Purg., VIII, 110-14, ecc.
D'ANNUNZIO, Poesie Sparse (Su campidanu III), I, p. 924: « rosolacci tra ’1 fiorente smalto », ibid. (Rime del sonno), I, p. 941: « Cantano elle; e da l’alto/tendono le braccia avanti/e con li occhi di smalto »; Alcyone (Anniversario orfico), II, p. 658: « gridavan l’aquile nell’alto/cielo, brillando il crine delle rupi/qual roggio smalto >»; Terra Vergine (Fiore fiurelle), II, p. 13: «i cocomeri lucidi come di salto », ibid. (Campane), II, p. 26: « foglie ... simili a laminette di smalto »
6) Dafne rincorsa, trasmutata in lauro
COLLESINA35 [Vanessa] col suo lento mutare e trasmutare FARF (Come dal germe, 6) ..lento/trasmutare dei bruchi prigionieri
trasmutare, Inf., XXV, 97-102; Par., V, 88; XVII, 89; XXVII, 34, ecc. ecc. Cosî vid’io la settima zavorra mutare e trasmutare... Int., XXV, 142-43
FARF (Dei bruchi, 90) con arte maga frasmutò gli stami FARF (Della cavolata, 123) Il bruco errava in cerca della terra dove affondare e trasmutarsi in ninfa FARF (Della testa di morto, 5-6)
D'ANNUNZIO, Fuoco, II, p. 645: « Il bucentoro disparve alla vista, frasmutato in una nube purpurea », ibid., p. 621: «un dolore trasmutato nella più efficace energia stimolatrice »; Forse che st forse che no, II, p. 986: «la luce si trasmutava su lei », ibid., p. 1002: «ossa e carni lrasmutate »; Pit che l’amore, I, p. 1161: « M’hai già trasmutata dentro di te »; Il piacere, I, p. 139: « transmutarsi in altre forme d’esistenza »
Me 34 [bruchi] Consapevoli quasi del mistero imminente s'amzzzusano l'un l’altro
sammusa l'una con l’altra formica Purg., XXVI, 35
FARF (Delle crisalidi, 7-8) carDuccI, Rimze Nuove, Davanti a San Guido, vv. 54-55: ammusando i cavalli »
« de le grandi quetce a l’ombra stan/
|
D'ANNUNZIO, A/cyone (Le madri), II, p. 645: « [cavalle] nell’acqua/immerse fino al ventre, /s'ammu-
sano », p. 646: « Taluna/ ...poi guata verso il monte/su cui s’aduna/fumoso il volge e am22usa » PASCOLI, Canti di Castelvecchio (Un ricordo), II, p. 629: « Mio padre palpeggiò l’ammusò con cenno familiare »; Poesie varie (Il ciclope), IV, p. 1403: «Le enormi e vari/... s‘addossano, s'arzzzusano » crAF, Le Danaidi III (Letizia d’aprile): « Musando attenta, incerta [...] la timida
nembo; / poi si ri-
la sua cavalla/che nuvole, con dorsi lucerta »
DO anima semplicetta che riduce alla nostra stadera l’infinito Ab! Difettivi sillogismi! (1916), 12-13
To vo’ saper se l’uom può sodisfarvi ai voti manchi sî con altri beni, ch’alla vostra statera non sien parvi ». Par., IV, 136-38
D'ANNUNZIO, Merope (La canzone dei Dardanelli), II, p. 917:
« Meglio rozza stadera di dogana »; La figlia di Iorio, I, p. 860: « la stadera giusta/e le giuste bilance son di Dio »
36 [anima] tutta l’eternità chiusa nell’io in quest’angusto carcere terreno Ab! Difettivi sillogismi! (1916), 18-19
O felice quel dî che, del ferrero carcere uscendo, lasci rotta et sparta questa mia grave et frale et mortal gonna Canz., CCCXLIX, 9-11 carcer terrestro, Canz., CCCVI, 4 mortale carcer, Canz., CCLXIV, 7-8
D'ANNUNZIO, Fuoco, II, p. 654: « quella dolce arizza sensitiva chiusa nella vecchia carne », p. 738: « il povero cuore giovenile nella prigione del vecchio corpo », p. 796: « Ore senza pari, in cui sembra che /a prigione del corpo sia rotta », ecc. ecc.; Trionfo della morte, I, p. 973: « nella carcere della persona »
Gozzano ha dunque rinnovato gli stinti colori di atcaismi e preziosismi ormai di uso comune, restaurandovi gli smalti originali. Si direbbe anzi che, una volta adottato il linguaggio e il metodo dei due maestri, abbia mirato a gareggiare con essi, sul loro stesso terreno. Naturalmente, tornando alla fonte comune della poesia delle origini, se ne è impadronito per due operazioni distinte e contrastanti: sia per l’uso più tradizionale, e comune a D'Annunzio e Pascoli, della raffinatezza parnassiana (come nel poemetto Le Farfalle), sia per rendere più violento l’impatto !° tra banalità e preziosismi delle composizioni più personali (Colloqui). 10 Per questo atteggiamento, cfr. E. Montale, Gozzano, « Il Verri » (1957) n. 2, ed ora come prefazione al volume: G. Gozzano, Le Poesie, Milano, Garzanti, 1971, p. 9: «.... Infallibile nella
—:43 In quest’ultimo caso la citazione !! con o senza virgolette diviene il canone fonda-
mentale della sua poesia e riguarda, oltre ai classici, gli autori francesi, i contempo-
ranei, i discorsi dei salotti borghesi: cosf che tutti questi elementi, di per sé eterogenei, stravolti e distorti dal contesto in cui erano nati, raggiungono impensati effetti di disgregazione del linguaggio poetico e di dissacrazione dei valori tradizionali.
scelta delle parole (il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosastico) »; e p. 11: «... fondò la sua poesia sull’urto, o “choc”, di una materia psicologicamente povera, frusta, apparentemente adatta ai soli toni minori, con una sostanza verbale ricca, gioiosa, estremamente compiaciuta di sé ». 11 Per comprendere le prodigiose e intricate combinazioni dei pastiches gozzaniani, non va dimenticata la particolare predisposizione di Gozzano nell’impatare a memoria i poeti prediletti. Ne fa fede un amico personale come C. Calcaterta (cfr. Con G. Gozzano, cit., p. 41: «... sapeva a memoria tutto L’Isotteo e la Chimera e Il poema paradisiaco ») e lo conferma la Martin nella sua biografia (cfr. op.cit., p.136: «F.Jammes, del quale Gozzano sapeva a memoria lunghi brani ... »). Ma si desume da molte lettere gozzaniane: a F. Graziani, il 5-6-1903 (cfr. Poesie e Prose, cit., p. 1234): « Ho letto tante volte il Cantico del Sole, che ormai lo so a memoria »; ad A. Guglielminetti il 10-6-1907: « Io dissi, e senza volume, parecchi dei vostri sonetti: ne so, credo, una quindicina a memoria, perfettamente e senza averli studiati »; ad A. Guglielminetti, il 15-1-1908: « Perché volete ch'io vi renda il sonetto? ... potrei rendervi la carta di visita: ma i versi restano: li so a memoria »; ad A. Guglielminetti, il 21-3-1908: « Rieccovi Le seduzioni: molto inutilmente: sono mie ormai: le so a memoria »; a C. Vallini, il 15-1-1908: « Dio mio, come mi cantano nell’orecchio vari tuoi versi dell’ultima tua poesia! —... ma che in fondo è un infinito/desiderio di morire.../tanto insolita mi dia/l’ascoltare l’operetta..— E cosî via, saprei citare a memoria; e in me, cosî poco “par coeur”, è il sintomo più convincente che mi siano piaciuti ». È appena il caso di ricordare che l’affermazione contenuta in quest’ultimo esempio è un atto di civetteria, permettendogli la locuzione francese « par coeur » di confessare non tanto una carenza mnemonica quanto piuttosto una assenza di sentimentalismo. Ancora: ad A. Guglielminetti, il 20-6-1909: « Sai, so già a memoria i tuoi versi nuovi —com’è mio costume involontario per tutte le cose tue »; a F. Chiesa (senza data, pubblicata su « Scena Illustrata », aprile, 1956): « Ho letto, riletto otto dieci volte, ho già logorato un pochino il solido volume pergamenato [Viali d’oro di F. Chiesa], con il vivo piacere che mi danno i sonetti di Calliope, più un senso nuovo, speciale alla lirica vostra, fatto di abbandono e di sostenutezza, di sentimento e di forza. E come di Calliope, cosî di questi viali ho già nel cervello emistichi, strofe, intere poesie, che mi perseguitano la fantasia e l’orecchio con una dolcezza quasi importuna »; a L. Fiumi, il 17-3-1915 (lettera pubblicata su « Misura », luglio-agosto 1946): « Non c'è una pagina del suo volume [Polline] che non abbia uno, due versi degni d'essere ricordati. Ogni poesia sembra composta non di sillabe, ma di note musicali:
e molte già mi sono
nel cervello, mi perseguitano l’orecchio come i polimetri pit belli del libro d’Alcione (sic) ».
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LA TECNICA: DEL COLLAGE
Se in una prima fase Gozzano pesca, mediatamente o immediatamente, nelle vaste
riserve dantesche e petrarchesche a lui fornite dai sacri testi dei poeti antichi e da quelli meno sacri ma quanto utili, dei maestri moderni, il Gozzano più maturo e originale arriva a servirsi di quel materiale in maniera spericolata e francamente impreveduta. Attraverso una divertita e costante decontestualizzazione, cui succede una arbitraria ri-contestualizzazione: unità lessicali, sintagmi, emistichi o interi versi vengono sottoposti — generalmente sotto il segno corrosivo e riduttivo dell'ironia — a veri e propri stravolgimenti semantici.
Il « pensero » d’amore, che nel platonico sistema amoroso medievale è il « secretario » tra il poeta e Amore, si trasforma in Gozzano in una fante boccaccesca: 2 Allor che viene con movelle sue,
Amor mi manda quel dolce pensero
ghermir mi piace l’agile fantesca che secretaria antica è fra noi due. COLL, IV, 1-3
che secretario anticho è fra noi due (...) To, che talor menzogna et talor vero ò ritrovato le parole sue Canz., CLXVIII, 1-6
il belletto « fa mala prova » sulle guance della cocotte come la Natura nel plasmare gli animi: Oimè! Da che non giova il tuo belletto e il cosmetico fa rzala prova l’ultimo amante disertò l’alcova (...) dopo vent’anni, oggi ti ritrova
COLL, XVI, 49-54
Tu senti che mon giova... ...per una vita NUOVA
VR, III, 61-2
ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti. Sempre natura, se fortuna #r0v4 discorde a sè, com’ogni altra semente fuor di sua ragion, fa mala prova Par., VIII, 137-42 poi che di mal oprar tanto ti gi0v4; nido [corte papale] di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva, di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l’ultima prova Canz., CKXXVI, 4-8 non giova: nova, Purg., XXII, 68-73 giova: nova, Purg., XIII, 145-47; Par., IX, 22-24 età... nova: giova, Canz., CXIX, 23-24
I rapis y o ate | la Signorina Felicita vive « sola » la sua « semplice vita », come Arrigo d'Inghilterra:
‘oca 60) semplicità dove tu vivi sola con tuo padre la tua semzplice vita! COLL, XIV, 47-48
Vedete il re della serzplice vita seder là solo, Arrigo d’Inghilterra Purg., VII, 130-31
l’avvocato e la signorina di campagna « fermano il passo » in solaio come Dante e Virgilio nell’aldilà: 40 To risi, tanto che fermzarzzzo il passo, e ridendo pensai questo pensiero: Oimè! La Gloria! un corridoio basso
disse ’l1 maestro mio, ferzzando il passo, « sf che possa salir chi va senz’ala? » E mentre ch’e’ tenendo il viso basso
COLL, XIV, 163-65
Purg., III, 53-55
il poeta si ripropone e consiglia « temperate spese » come quelle del ladro e scialacquatore Stricca: 41 tra sagge cure e ferzperate spese, sia la mia vita piccola e borghese COLTSXIN5255
E io dissi al poeta: « Or fu già mai gente sî vana come la sanese? Certo non la francesca sî d’assai! » Onde l’altro lebbroso, che m’intese, rispuose al detto mio: « Tra’mene Stricca che seppe far le temperate spese Inf., XXIX, 121-26
Ed infine, breve essendo il passo tra parodia e blasfemia, accade pure che la « Vergine prudente », la prima ed unica tra le « vergini sagge », alle quali è rivolta la preghiera che chiude il Canzoniere, si tramuti in una « vergine folle da gli error prudenti »:
42 [Ketty]vergine folle da gli error prudenti Ketty (1916), 13
Vergine saggia, et del ben numero una de le beate vergini prudenti Canz., CCCLXVI, 14-15
A. GUGLIELMINETTI, Le vergini folli (1907) D'ANNUNZIO, I/ piacere, I, p. 239: « Un paliotto, raffigurante la Parabola delle vergini sagge e delle vergini folli »
La latente, segreta e quasi privata ironia di taluni di questi esempi, oltre all’ammirazione, suscita alcuni interrogativi. Gozzano puntava ad un sicuro effetto comico, presupponendo nel lettore la conoscenza delle sue fonti? O siamo di fronte a segreti del mestiere indiscretamente portati alla luce dall’opera del critico? Quei segreti del mestiere, per usare una terminologia dannunziana, da « fabbro » o da « officina » nei quali il critico, come il montaliano poeta-trovarobe, si imbatte a volte per caso? Rispondere non è facile: poiché il rapporto dialettico che unisce il prodotto artistico alla tradizione è problema che, ben oltre Gozzano, acquista connotazioni di generalità nei confronti di tutta la poesia contemporanea e, in generale, della poesia di epoche molto mature o di crisi e di innovazione.
A L’allusività ! è certo una delle componenti pit caratteristiche della elaborazione artistica, per diversa che possa essere la gradualità con la quale si manifesta. A questo
proposito Gozzano presenta un quadro molto vario e sfumato: si passa dalle allusioni aperte ed esibite tra virgolette a casi ambigui e oscuri che, per la loro segretezza, si avvicinano, fino a confordervisi, agli usi ‘utilitaristici’. Operazione del critico, da poter parere difficile e forse oziosa, è separare e catalogare gli uni e gli altri specimini: tanto più doverosa, comunque, quanto più Gozzano mostra di divertirsi a giocare a nascondino con la tradizione, e celarla tra le pieghe del linguaggio corrente senza mai abbandonarla. Spesso ci si trova di fronte a significanti (p. es. buono, crosta, gaietto, pelo; ritogliere, vincere, ecc.) banalissimi all’apparenza e tuttavia in grado di sprigionare una carica espressiva tanto maggiore quanto maggiore è lo sforzo di mimetizzarne la natura archeologica; o, al contrario, quanto più stride la sua denunciata ricercatezza con il resto della catena linguistica in cui è inserita: 43 RITOGLIERE
La Vita si ritolse tutte le sue promesse GOLL,XVIT37
T'anto vince e rifoglie il Tempo avaro giA2 allor che Dio per adornare il cielo la [Laura] s? rifolse: et cosa era da lui Canz., CCCXXXVII, 13-14 Dio, che si tosto al mondo ti rifolse Canz., CCLXX, 99 che sol ne mostrò ’1 ciel, poi sel rifolse Can AGGOI « Ben me la die’, ma tosto la rifolse »
Canin COGEXANI9
La drammatica, dolorosa e leopardiana ? intonazione di questo verso di Totò Meràmeni (COLL, XVII, 37) si potenzia e bene si esprime attraverso un petrarchismo di intensa ed allusiva significazione come « ritogliere ». 44 VINCERE Il fempo che vince non vinca
Tanto vince e ritoglie il ferzpo avaro
VR, XXIV, 21
TT, 142 Quanto è creato, vince et cangia il ferzpo Canz., CXLII, 26
1 Per una trattazione teorica del problema si rinvia alle brevi ma acute pagine di G. Pasquali
sull’Arse allusiva (1942) e ora in Pagine stravaganti, Firenze, Sansoni, 1968, vol. II, pp. 275-82, e soprattutto al recente volume di G.B. Conte intitolato appunto Memoria dei poeti e sistema
letterario, Torino, Einaudi, 1974 (e alla bibliografia specifica in esso contenuta).
2 Cfr. G. Leopardi, A Silvia, vv. 36-40: « O natura, o natura,/Perché non rendi poi/Quel che promeiti allor? perché di tanto/Inganni i figli tuoi? ».
48— Allo stesso modo, nella poesia Ur rizzorso (VR, XXIV, 21), l’implorazione al tempo perché « non vinca » i ricordi di un breve e lontano amore è rivolta non ad una generica divinità ma espressamente a quel « tempo che vince », nel Camzomiere e ancor più nei Trionfi, ogni cosa umana. 45 PERFETTO
(‘maturo’, ‘completo’)
:
di Diana cadde una perfetta pera Il frutteto (1904), 50 Andrai, perfetta [crisalide], dove ti porta l’alba fiorita L’amico delle crisalidi (1909), 45-46 Come dal germe ai suoi perfetti giorni giunga una schiera di Vanesse ... FARF (Come dal germe, 1-2)
perfetto (‘completo, completato’), Purg., XXV, 70; Par., VIII, 101
veggio lei [Laura] giunta a’ suoi perfecti giorni Canz., CXXVII, 28
D'ANNUNZIO, Francesca da Rimini, I, p. 491: « e come il beveraggio è si perfeffo/che gli amanti conduce ad una morte », idid., p. 497: « avanti/che il matrimonio sia perfetto »; Le vergini delle rocce, II, p. 465: «O creatura sovrana, sentendoti perfetta tu senti la necessità della morte »; Eleffra (Nel primo centenario della nascita di V. Hugo), II, p. 456: « venne recando il perfetto/dell’Ellade fiore »
46 RIPOSATO Bellezza riposata dei solai
A cosi riposato, a così bello viver di cittadini, a cosî fida cittadinanza, a cosi dolce ostello Par., XV, 130-32 ch’i°pur non ebbi anchor, non dirò lieta, ma riposata un’hora, Canz., I, 26-27 ché lo spirito lasso non poria mai in più riposafo porto Canz., CXXVI, 23-24 stanco riposo e riposafo affanno TA, IV, 145
COLSEIViS5
D'ANNUNZIO, Poema Paradisiaco (La passeggiata), I, p. 630: « tristezza riposata »
47 INTESO Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta COLL, XIV, 303-304
Povera et nuda vai philosophia, dice la turba al vil guadagno intesa Canz., VII, 10-11
48 PELO ti svegli mutato di fuori, mel volto nel pelo nel nome COLL. 32
Di di in dî vo cangiando il viso e ’/ pelo Canz., CXCV, 1
— 49 49 FIEVOLE ..10 sono la trista ombra di un uomo che divenne fievole
Parlando andava per non parer fievole Int., XXIV, 64
A Massimo Bontempelli (1904), 11-12
50 VIGILIA la vigilia dei giorni foschi e crudi? VR, XI, 6 ...la Vita concilia la breve tanto vigilia dei nostri sensi alla tavola L’ipotesi (1907), 51-52 [bruchi] quale vigilia torpida li attenda FARF (Delle crisalidi, 15)
« O frati », dissi « che per cento milia perigli siete giunti all’occidente, a questa tanto picciola vigilia de’ nostri sensi... Inf., XXVI, 112-15 e lo svegliato ciò che vede aborre, sî nescia è la subita vigilia Par., XXVI, 73-74
51 CROSTA ...Ognuno guadagnò la riva disertando la crosta malsicura
E un de’ tristi della fredda crosta Inf., XXXIII, 109
COLL, VII, 3-4 52 FANTE mime crestaie farti cortigiane
di quella sozza e scapigliata fante [Taide
COLL, TX, 2
cortigiana] Inf., XVIII, 130
D'ANNUNZIO, Intermezzo (Ricordo di Ripetta), I, p. 247: « Lunghi rami di mandorlo la fante/dietro di voi recava »; Isotteo (Il dolce grappolo), I, p. 372: « mentre la fante il busto alto v'allaccia »; Maia (L'incontro d'Ulisse), II, p. 42: « le fanti Hai cinti vermigli », ibid. (Telemaco re dei porcari), II, p. 45: « una florida fante »; ecc. ecc.
La fante di questo verso, pur essendo molto dannunzianamente una ‘fantesca’, acquisisce, attraverso il riferimento a Dante, la connotazione di ‘cortigiana’: condizione che essa ha in comune con le altre componenti del gruppo *. 53 GAIETTO/GAIO Non curante l’affanno e le riprese
dello stuolo gaietto femminile
di quella fera alla gaetta pelle
Inf., I, 42
COLL, VII, 37-38 e dalla gaia larva, a smalti chiari, nasceva nell’autunno la più tetra delle farfalle... FARF (Della testa di morto, 7-9) 3 Per fante, cfr. il mio articolo Mime crestaie fanti cortigiane, « Strumenti Critici » (1975) n. 26, pp. 50-61.
50 — Lettera di A. GUGLIELMINETTI a G. Gozzano, 16-6-1907: « un corso di lezioni dantesche che Mantovani teneva in un elegante istituto privato [...] Il conferenziere mi faceva l’onore di reputarmi [....] una delle poche per cui valesse la pena di risuscitare Dante in mezzo a quel gazetto sciame blasonato » D'ANNUNZIO, Elegie Romane (Sogno d’un mattino di primavera), I, p. 314: « rapidi i leopardi piegano i dotsi gai »
Il rinvio a Dante è qui particolarmente evidente: ma importa notare come la riduzione al grado zero (da gaietto a gaio/a) mantenga all’aggettivo la sua ambivalenza semantica (lieto /allietante, e screziato, di vivaci colori). 54 BUONO come ai tempi del buon Re Carlo Alberto COLEEST2 del buon mercante inteso alla moneta
COLL, XIV, 304 e le compagne di speranze buone COLIMA Essa conforta di speranze buone COLESSINIS37 speranze buone e quali fantasie FARF (Come dal germe, 3) ben questo è certo: che l’amarsi è buono! VR, XIII, 14 orna la terra come il buono artista FARF (Della passera dei santi, 142)
Il Passato è passato. Il buon Sofista mente. Prologo (1914), 5 compiute in versi « buozi » quartine ecco e terzine Dolci Rime (1913), 27-28
Nel tempo che il buon Tito, con l’aiuto Purg., XXI, 82 ...sotto ‘l buono Augusto al tempo delli dei falsi e bugiardi Va 1o72 Poi fui famiglio del buon re Tebaldo Inf., XXII, 52 sotto lo *mperio del buon Barbarossa Purg., XVIII, 119
conforta e ciba di speranza bona
Inf., VIII, 107
chiamando: « Buon Vulcano, aiuta, aiuta! »
Inf., XIV, 57 O buono Apollo, all'ultimo lavoro Par 1043
D'ANNUNZIO, Fiaccola sotto il moggio I, III, vol. I, p. 958: « AI tempo degli Aragonesi,/sotto ?/ buon re Alfonso », ibid., III, IV, p. 1040: « tra le faville il buoro Re Roberto »; L’Allegoria dell’Autunno (Frammento d’un poema obliato), Ap. III, vol. I, p. 1036: « Argàbalo n'è il buono imperadore/... Adergesi com’aquila in ardire », ibid. p. 1037: « e chiama # buono imperadore »; Alcyone
(II fanciullo IV), II, p. 564: «il buon sire tranquillo »; Isotteo (Ballata ottava), I, p. 390: «E il buono Astìoco [re] », ibid. (Trionfo d’Isaotta), p. 431: « Analida e il buono Ivano », ibid. (Epodo III), p. 437: « contra 1: buono Antigono e il re Potro »; Elettra (L’alfiere titanico), II, p. 406: « Ei vede il buono Elia/col piombo in bocca », ibid. (Catalogo dei guerrieri), p. 412: «il buon Savoia mantovano,/e : buon Maestri »; Francesca da Rimini, I, p. 490-91 (I, I): « buon Tristano », ibid., p. 571 (II, IV): « E il buon Cignatta, chi l’ha scavalcato? »; Alcyone (La muta), II, p. 823: «Il buon mastro dell’arte sua si gode »; Maia (Inno alla Delfica), II, p. 279: « per eccitare l’ardote/del buon piloto »; Elettra (La meditazione all'ombra), II, p. 403: « Or è interrotta l’opra del Suor colono »; Alcyone (I camelli), II, p. 638: « il buono/mercatante pisano »; Isotteo (Il dolce grappolo), I, p. 373: « rubini e perle buone »; Chimera (Romanza), I, p. 527: « argento buono »
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Il « buon re Carlo Alberto » non è pleonasticamente ‘buono e gentile d’animo’, come una lettura corrente e facilior vorrebbe, ma come Dante (e D'Annunzio) suggerisce, ‘valido ed efficiente’: connotazione che è indispensabile per evidenziare l’ironia sottesa, urtando una simile qualifica contro i tentennamenti e le incertezze con cui il buon re è passato alla storia. Tutte queste singolari monadi lessicali colpiscono per l’ambivalenza semantica, ma ancor più per i poli entro cui tale ambivalenza si svolge, confermando la tendenza costante a camuffare e a mescolare, non senza snobismo e civetteria, banalità e preziosismi. Ben inteso, esiste pure il versante opposto di vocaboli ostentatamente culti e peregrini: 55 segnando l’amore presago nei loro bei sogni trilustri VR, V, 82
continuando il mio sospir trilustre Canz., CKLV, 14
56 Non ricco, giunta l’ora di « vender parolette »
ruffian, baratti, e simile lordura
(il suo Petrarca...) e farsi baratto o gazzettiere COLL, XVII, 21-22
Inf., XI, 60 57
nel fiato novo dell’antica madre, nella profondità dell’universo
fiato (‘vento’, ‘aria’) Inf., XXXIII, 108; Purg., XXV, 113; Canz., XLII, 9 Dante, 35-36
Tuttavia il caso di semplici unità lessicali è piuttosto raro ed eccezionale: di norma i passi prelevati da Dante e Petrarca sono molto estesi, complessi e intricati.
Accanto a talune espressioni scopertamente allusive (come « vender parolette », e « giovenile errore », ecc.), presentano un particolare interesse quelle citazioni che, attraverso una reazione a catena di rinvii e richiami a rime ed emistichi, dan luogo a labirintici collages di grande virtuosismo: 58 Amore no! Amore no! Non seppi il vero Azzor per cui si ride e piange:
Amore non mi tanse e non mi tange; invan m’offersi alle catene e ai ceppi COLL, IX, 13-16
Fuggendo la pregione ove Arzor m'ebbe (...) dissi: Oimè, il giogo et le catene e i ceppi eran più dolci che l’andare sciolto. Misero me, che tardo il mio mal seppi Canz., LKKXIX, 1-12 Alberga Amor, per cui si ride et piagne Canz., XXVIII, 114 dolse ... dole (:), Canz., CV, 57; TA, 4; 49 valse ... vale (:), Canz., XXIII, 36 condusse ... conduce (:), Canz., CCCLVII, 3 Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende (...) Amor, ch’a nullo amato amar perdona (...)
532 —
Amor condusse noi ad una morte
Inf., V, 100-106
che la vostra miseria z0n mi tange, né fiamma d’esto incendio non m’assale. Donna è gentil nel ciel che si compiange
Inf., II, 92-94
craF, Danaidi III (Consigli ad un poeta giovane): « non mi tange: falange »
Si tratta qui di quattro versi esemplarmente indicativi, alla cui costituzione concorrono due passi del Canzoniere e due della Divina Commedia. La fitta rete di combinazioni linguistiche e di accostamenti concettuali cosi ottenuti viene a sua volta fissata e cementata con alcuni espedienti stilistici che, come vedremo meglio più avanti, servono di solito a Gozzano per creare un ritmo di tono minore: la rima dantesca (fange: piange), originariamente alternata, diviene baciata, mentre mon. mi tange genera e condiziona mon mi tanse, secondo un preciso schema poliptotico suggerito dal Canzoniere. Un simile sfruttamento intensivo dei classici assolve a molteplici funzioni: dal reperimento utilitaristico di rime-clausole (catene e i ceppi: seppi; tange: piange),
alla citazione allusiva di un verso epigrammatico (Azzor, per cui si ride et piagne), sino alla « parodia » di stilemi iterativi
(Amor... Amor... Amor;
tanse ... tange),
senza che sia possibile separare il fitto intrico di tutti questi procedimenti le cui funzioni si corrispondono. Il risultato potrebbe essere sublimante: è invece ironicomelodrammatico proprio per l’eccessiva concentrazione dei recuperi e delle citazioni. A parte tuttavia il tono e il risultato finale, variante da caso a caso e a seconda dei casi più o meno felice, resta il fatto che simili procedimenti complessi di collage sono applicati molto spesso nei Colloqui e nelle Farfalle. Cfr.: 59 Perché la voce è poca, e l’arte prediletta immensa, perché il Tempo —mentre ch'io parlo!— va COLL, XVII, 57-58 Ma già —entre ch'io parlo— i bruchi tutti sono volti in crisalidi... FARF (Delle crisalidi, 60)
ora mentre ch'io parlo il tempo fugge Canz., LVI, 2 Perché la vita è breve, et l’ingegno paventa a l’alta impresa Canz., LXXI, 1-2 in fin che mi fu detto: « Troppo stai in un penser a le cose diverse; e ’l tempo ch'è brevissimo, ben sai » AME IRE E)
Il cuore che ascoltò, più mon s’'acqueta in visioni pallide fugaci, per altre fonti, va per altra meta... O mia Musa dolcissima che taci allo stridìo dei facili seguaci, con altra voce tornerò poeta!
Per tutto ciò la mente non s'acqueta Ganz Clo 12 e ’n te, dolce sospir, l’alma s’acqueta? Canz., CCCXXII, 14 ivi s'acqueta l’alma sbigottita Canz., CXXIX, 6 poeta: queta: meta, Purg., XIV, 140-44
COLL, XXIII, 43-48
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53
con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, ed in sul fonte del mio battesmo prenderò ’1 cappello Par., XXV, 7-9
61 Solo, errando cosî come chi erra senza meta, un po’ triste, a passi stanchi, udivo un passo frettoloso ai fianchi; poi l’ombra apparve, e /4 conobbi in terra... Tremante 4 guisa d’uom ch’aspetta guerra, mi volsi e vidi i suoi capelli: bianchi. COLL, XIX, 1-6
Persequendomi Amor al luogo usato, ristretto in guisa d’uom ch’aspetta guerra che si provede, e i passi intorno serra (...) Volsimi, et vidi un’ombra che da lato stampava il sole, et ricozobbi în terra quella che, se’l giudicio mio non erra, era più degna d’immortale stato. Canz., CX, 2-8
PascoLI, Primi Poemetti (Il Torello), I, p. 204: « erra: terra », ibid. (I due fanciulli), I, p. 268: « guerra: terra: erra »; Nuovi poemetti (Il torcicollo), II, p. 348: «erra: terra: guerra », ibid. (Il pane), II, p. 415: «erra: sotterra: Terra », ibid. (Gli emigranti nella luna, III, 2), II, p. 448: « erra: Terra »; Canti di Castelvecchio (Il ritorno delle bestie), II, p. 586: «erra: terra»; Odi e Inni (Bismarch), II, p. 740: « guerra: serra: terra », ibid. (Al Serchio), II, p. 751: « guerra: terra », ibid. (Pace), II, p. 810: « guerra: terra; terra: guerra », ibid. (Manlio), II, p. 812: « terra: guerra », ibid. (Il ritorno), II, p. 886: « terra: chi erra »; ecc. D'ANNUNZIO, Per gli italiani morti in Africa, I, p. 967: « disserra: guerra: in terra »; Elettra (Per la morte di un distruttore), II, p. 471: «terra: guerra»; Alcyone (L’otre), II, p. 804: « guerra: terra »; Merope (La canzone del sangue), II, p. 857: « guerra: terra: serra », ibid. (La canzone dei trofei), II, p. 877: « terra: guerra: terra », ibid. (La canzone dei Dardanelli), II, p. 922: « guerra: terra: serra »; ecc. 62 —Parla!— seguivo l’odorosa traccia onde ’1 vago desir perde la traccia della tua gonna... Tuttavia rivedo (...) e ’l suo sommo piacer par che li spiaccia quella tua muta corrugata faccia Canz., CLXXVIII, 6-7 che par sogni l’inganno od il congedo Giunto m’àè Amor fra belle et crude braccia (...) e che piacere a me par che le spiaccia et à si egual a le bellezze orgoglio, COLL, XIV, 242-44 che di piacer altrui par che le spiaccia. nel parco dei Marchesi, ove la traccia Canz., CLXXI, 1-8 restava appena dell’età passata! faccia: dispiaccia: traccia, Inf., XV, 29-33 Le Stagioni camuse e senza braccia COLL, XIV, 242-44 «Tutto mi spiace che mi piacque innanzi! Come va’l mondo! or zi diletta et piace COLL, XIV, 253 quel che più mi dispiacque; ... Canz., CCXC, 1-2 et ciò ch’i’vidi dopo lor [occhi] mi spiacque (: piacque) Canz., XXXVII, 40 ciò che pria mi piacea, allor m’increbbe
Inf., XXVII, 82
D'ANNUNZIO, Isotteo (Ballata terza), I, p. 385: « Noi ci mettemmo allora/ su l’odorosa traccia a ri cercare/ne ’1 bosco giovinetto »; Poesie Sparse (Il sogno di Don Giovanni), I, p. 944: « braccia: traccia »; Alcyone (Innanzi l’alba), II, p. 628: « faccia: traccia»; Merope (La canzone dei trofei), II, p. 882: « faccia: braccia: traccia », ecc.; Francesca da Rimini, I, p. 636 (III, V): « Mi A fu a noia i i e spiacque/Tutto ch'altrui piaceva » (AgoRari, Odi e Inni (Nel carcere di Ginevra), II, p. 768: « braccia: faccia: traccia »; Myricae
54 — nia di madre), I, p. 83: « traccia: braccia »; Nuovi poemetti (Gli emigranti nella luna VI, III), II, p. 458: « braccia: traccia », ecc.
63 Giocosa amica, i Tempo vola, invola ogni promessa. Dissipò coi baci le tue parole tenere fugaci... Non quel silenzio. Nel ricordo, sola restò la bocca che non diè parola, la bocca che tacendo disse: Taci! COLAVASISE
Signor’, mirate come ‘/ femzpo vola, (: sòla) Canz., CKXVIII, 97 sf corre il tempo et vola (: sola) Canz., CCCLXVI, 132 so come Arzor saetta e come vola (: sola) e so com’or minaccia ed or percote come ruba per forza e come invola PAS I175272 sola: invola: vola, Canz., CCCXXIII, 51-55 E per esser vissuto di là quando visse Virgilio, assentirei un sole più che non deggio al mio uscir di bando ». Volser Virgilio a me queste parole con viso che, tacendo, disse « Taci »; (: seguaci) ma non può tutto la virtù che vole Purg., XXI, 100-105 e nostra scala infino ad essa varca, onde cosî-dal viso ti s’i2vola (: sola) Par., XXII, 68-69 e ogni fiamma un peccatore irvola (: sola) Inf., XXVI, 42
Essa conforta di speranze buone la giovinezza mia squallida e sola; e l’achenio del cardo che s’îrvola, la selce, l’orbettino, il macaone, (...) hanno tutti per me qualche parola
COLL, XIII, 37-42 D'ANNUNZIO, Alle Pleiadi e ai Fati, II, p. 3: « sola: parola: vola »; Maia (Gli agi), II, p. 26: « sola: s'invola », ecc. PASCOLI, Primi Poemetti (Il vischio), I, p. 200: « voli: t'involi »; Canti di Castelvecchio (La canzone della granata), II, p. 536: « #invola: sola »; Odi e Inni (Chavez), II, p. 796: « s'invola: sola: vola » 64 Seco ti volle nei suoi feudi vasti La colpa seguirà la parte offesa la zia di Francia, perfida in vendetta. in grido, come suol; ma la vendetta Il Vicerè ti fece trarre al porto fia testimonio al ver che la dispensa. dalle sue genti barbare! E lasciasti Tu lascerai ogni cosa diletta lacrimando la terra benedetta, più caramente; e questo è quello strale ogni cosa diletta Par., XVII, 52-56 più caramente, pet la nave errante! COLL, XIV, 87-93
65 Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi rideva una blandizie femminina. Tu civettavi con sottili scherzi, tu volevi piacermi, Signorina: e più d’ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi! COLL, XIV, 85-90
Ver me si fece, e ’l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori. Li occhi di Beatrice, ch’eran ferzzi Par., IX, 14-16 per ch’un si mosse e li altri stetter ferzzi, e venne a lui dicendo: « Che li approda? ».
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« Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto » disse ’l mio maestro
« sicuro già da tutti i vostri scherzi i Inf., XXI, 77-81
66 Lotte brutali d’appetiti avversi (...)
Cosi potess’io ben chiudere in versi i miei pensier’, come nel cor gli chiudo, ch’animo al mondo non fu mai sf crudo ch'i’ non facessi per pietà dolersi. Canz., XCV, 1-4 So io ben ch’a voler chiuder in versi (: fersi
Chiedi al responso dell’antica maga la sola verità buona a sapersi; la Natura! Poter chiudere in versi i misteri che svela a chi l’indaga! COLL, XXIII, 25-30 passo passo tentai chiudere in versi FARF (Come dal germe, 91)
: diversi)
Canz., XXIX, 50
PASCOLI, Myricae (I due fuchi), I, p. 49: « Tu, poeta, nel torbido uriverso/t’affisi, tu per noi lo cogli e chiudi/in lucida parola e dolce verso »
67 ...Ebbro e comzzosso leggo i/ volume senza fine amaro; chino su quelle pagine remote rivivo tempi già vissuti e posso
Fatto m'hai lieto, e cosî mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m'hai 720ss0 com’esser può di dolce seme azzaro » Questo io a lui; ed elli a me: « S’io posso
piangere (ancora!) come uno scolaro...
Par., VIII, 91-94 giù per lo mondo senza fine amaro Par ZSVISO.
Splende nel sogno chiaro
COLL, XIII, 2-7
68 Veramente, però ch’a questo segno molto si mira e poco si discerne dirò perché tal modo fu più degno. La divina bontà, che da sè sperne ogni livore, ardendo in sè, sfavilla sî che dispiega la bellezza eterna
Come una legge senza fine domini le cose nate per se stesse, eferze... Tanto discerne quei che non discerne i segni convenuti dagli uomini VR, II, 133-36
Par., VII, 61-66 Vedea Troia in cenere e in caverne: o Iliòn, come te basso e vile mostrava il segro che lì si discerne! Purg., XII, 61-63 Chiamavi ‘1 cielo e ’ntotno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze ettferne, e l'occhio vostro pur a terra mira; onde vi batte chi tutto discerne Purg., XIV, 149-51
e nel riflesso è prigioniero il raggio di verità che l'occhio non discerne Ab! Difettivi sillogismi! (1914?), 47-48 e l’occhio mal discerne la farfalla
Ben discernea in lor testa bionda ma nella faccia l’occhio si smarria Purg., VIII, 34-35
FARF (Dell’Aurora, 56) Medito a lungo e l’occhio indagatore pur già discerne qualche analogia FARF (Dell’ornitottera, 41-42)
69 non da morbosità polsi riarsi,
né mai più dolce fiamma in due cori arse,
56 — e non il tedioso sentimento che fa le motti lunghe e i sonni scarsi COLL, IV, 15-17
né farà, credo: O me! ma poche notti fur a tanti desir sî brevi e scarse TA, II, 40-42
D'ANNUNZIO, Quattro canzoni di Amaranta, II, p. 1020: « riarsa: scarsa » ... [uomini] divisi e suddivisi a schiere opposte, intesi all’odio e alle percosse: cosi come ci son formiche rosse, cosî come ci son forzziche nere... Schierati al sole o all’ombra della Croce COLL, XIV, 189-92 Come dal germe ai suoi perfetti giorni giunga una schiera di Vanesse FARF (Come dal germe, 1-2) ..«gli alunni [bruchi] ripensando che più non sono e loro schiera bruna FARF (Delle crisalidi, 69-70)
cost per entro loro schiera bruna s’ammusa l’una con l’altra formzica (...) l’una gente s’en va, l’altra s'en vene Purg., XXIV, 34-36
Come li augei che vernan lungo ’1 Nilo, alcuna volta in aere fanno schiera Purg., XXIV, 64-65 Come sotto li scudi per salvarsi volgesi schiera... Purg., XXXII, 19-20
Trattandosi per taluni di questi esempi (cfr. nn. 61, 64, 66, 69) di un’unica fonte
dantesca, potrebbe sembrare illecito parlare di collage: ma è evidente che la fonte è stata utilizzata in modo talmente estensivo da produrre lo stesso effetto di un collage plurimo. Una simile tecnica combinatoria e preziosa, fatta dî ampi prelievi incastonati a mosaico, raggiunge in Gozzano il massimo livello di perfezione (nemmeno in D'Annunzio è riscontrabile un saccheggio tanto massiccio ed ostentato dei classici); per quanto il risultato poetico, come abbiamo accennato, non possa dirsi in ogni caso convincente, specie là dove i passi danteschi sembrano accostati in obbedienza ad un manieristico criterio di borror vacui. Certo non mancano esempi opposti, nei quali la fonte è del tutto irriconoscibile e sembra avere agito quasi inconsciamente: 71 Chio perseguendo mie chimere vare pur t'abbandoni e cerchi altro soggiorno, ch'io pellegrini verso il Mezzogiorno a belle terre tepide lontane COLL, XXI, 61-64
mosse una pellegrina il mio cor vano ch’ogni altra mi parea d’amor men degna. Et lei seguendo su per l’erbe verdi, udî’ dir alta voce di lontano. Canz., LIV, 5-8
vp: Felìcita! 05! Veramente Felìcita!... Felicità L'ipotesi, 18
Ob padre suo veramente Felice! Par., XII, 79
73 ti chiamavo; nei sassi e nelle piante rivedevo la tua bianca figura COLL, XIII, 96-97
talor m’arresto, et pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso (...) I’ l'ho più volte (or chi fia che mil creda?)
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ne l’acqua chiara et sopra l’erba verde veduto viva, et nel tronchon d’un faggio Canz., CKXIX, 28-42
Tuttavia i risultati più alti sono frutto di una sorta di concentrazione o sublimazione di fonti plurime del tutto riassorbite e trasformate: 74 Amor non lega troppo uguali tempre. Scenda l’oblio; immuni da languori si prosegua più forti pel sentiero, buoni compagni ed alleati: serzpre
Onde Morte m’assolve, Azor mi lega Canz., CCCVII, 4 Amor, che m'à legato et tienmi in croce Canz., CCLXXXIV, 5
COLTVICGRETÀ
Molti di quei che /egar vidi amore TP, 4521 E vedessi ove, Azzor, tu mi legasti
TE, 93 l’onde che gli occhi tristi versan sempre? Amor, avegna mi sia tardi accorto, vòl che tra duo contrari mi distempre; et tende lacci in si diverse tempre Canz., LV, 12-15 et fiumi et selve sappian di che tempre sia la mia vita, ch'è celata altrui. Ma pur sî aspre vie né sî selvagge cercar non so ch’Amzor non venga sempre Canz., XXXV, 10-13 tempre: sempre, Canz., XXIII, 62-64; CXIX, 43-45; CCVII, 52-57; CCXLVIII, 31-34; CCCLIX, 34-37 Purg., XXX, 92-94 p’annunzIO, Odi navali (Per la festa navale nelle acque di Genova), I, p. 746: « sempre: Maia (La sirena del mondo), II, p. 14: « sottili tempre: sempre »; Elettra (Per la morte struttore), II, p. 477: «sottili tempre: sempre »; Alcyone (La tregua), II, p. 555: tempre » pascoLI, Poesie Varie (Nelle nozze della Principessa Anna Maria Torlonia), IV, p. 1375: tempre », ibid. (Donando un anellino), IV, p. 1448: « tempre: sempre » GRAF, Rime della selva I (Alla mia ombra):
tempre »; di un di«sempre: « sempre:
« sempre: tempre »
Un verso come « Amor non lega troppo uguali tempre » non è solo il prodotto di alchimie poetiche complesse e raffinatissime, ossia di tutti i procedimenti sin qui illustrati: è anche, e soprattutto, un esito di grazia in cui lo sforzo viene coronato da successo e dà luogo a un verso ‘naturalmente’ lirico, di vitrea e leopardiana purezza. Eppure la via percorsa da Gozzano è la stessa: e si dovrà concludere che il semplice collage di passi celebri, oppure la trasformazione lirica di questi in nuovi ed originali schemi di poesia, non sono tecniche contrapposte quanto stadi e risultati diversi di
un medesimo processo.
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