L’azzurro dell’anima. Heidegger e la poesia di Trakl 9788860741097

Già all'inizio degli anni '20 del Novecento, nell'epoca dell'Espressionismo, la poesia di Georg Trak

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Italian Pages 186 Year 2007

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L’azzurro dell’anima. Heidegger e la poesia di Trakl
 9788860741097

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University Press Saggi. Filosofia

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Francesco Gagliardi

L’azzurro dell’anima Heidegger e la poesia di Trakl

Morlacchi Editore

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In copertina: Paul Cézanne, Mont Sainte-Victoire, 1904-1906, 63,5 × 83 cm, Kunsthaus, Zürich.

Prima edizione:

2007

Ristampe

1. 2. 3.

Gagliardi, Francesco L’azzurro dell’anima. Heidegger e la poesia di Trakl / Francesco Gagliardi Morlacchi, 2007. - 22 cm ; 186 p. - 978-88-6074-109-7

Copyright © 2007 by Morlacchi Editore, Perugia. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica, non autorizzata. [email protected] – www.morlacchilibri.com. Progetto grafico del volume: Raffaele Marciano. Stampato nel mese di luglio 2007 da Digital Print-Service, Segrate (MI).

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Indice

Introduzione

Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà”

9

Capitolo primo

La svolta nell’evento: per una Erörterung del poema di Georg Trakl

23

Capitolo secondo

Il cielo azzurro dell’anima: in cammino verso la regione del Sacro

35

Capitolo terzo

La dipartenza come essere-per-la-morte: la figura di Elis

53

Capitolo quarto

La fiamma dello spirito e l’essenza del dolore: la “trasformazione del male”

69

Capitolo quinto

Lo spirito della dipartenza: la Verwesung della vecchia stirpe e l’avvento del “non-nato”

85

Capitolo sesto

La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

109

Capitolo settimo

La Chiamata della Dif-ferenza: mondo e cosa

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Indicazioni bibliografiche

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Indice dei nomi

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«Und das ist der grosse Mittag, da der Mensch auf der Mitte seiner Bahn steht zwischen Thier und übermensch und seinen Weg zum Abende als seine höchste Hoffnung feiert: denn es ist der Weg zu einem neuen Morgen». Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, Von der schenkenden Tugend

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Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà” Introduzione

S

econdo Martin Heidegger, l’età moderna è “il tempo dell’immagine del mondo” (die Zeit des Weltbildes), le cui manifestazioni essenziali sono, nell’ordine indicato all’inizio del saggio intitolato L’epoca dell’immagine del mondo, le seguenti cinque: la moderna scienza matematica della natura; la tecnica meccanica, in quanto frutto dell’essenza della tecnica moderna che si identifica con l’essenza della metafisica moderna; il processo mediante il quale l’arte viene ricondotta entro l’orizzonte dell’estetica; l’agire umano concepito e progettato come Kultur rivolta alla realizzazione dei “valori supremi”; la sdivinizzazione (die Entgötterung), intesa come trasformazione del rapporto a Dio e agli Dèi in “esperienza religiosa vissuta”. Di queste cinque manifestazioni, alla cui base vigono una determinata concezione dell’ente e una determinata interpretazione della verità, la terza e la quinta colpiscono in modo particolare per la loro stretta affinità: come il processo di riconduzione dell’arte entro l’orizzonte dell’estetica (Ästhetik) trasforma l’opera d’arte in oggetto di “esperienza vissuta”, determinando in tal modo l’interpretazione dell’arte in quanto “forma espressiva” della vita dell’uomo, così . Cfr. M. Heidegger, Die Zeit des Weltbildes, in Holzwege, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1957³, pp. 69-104. . «Das Kunstwerk wird zum Gegenstand des Erlebens, und demzufolge gilt die Kunst als Ausdruck des Lebens des Menschen» (ibid., p. 69).

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L’azzurro dell’anima

il processo di sdivinizzazione attraverso il quale l’immagine del mondo si cristianizza, assume cioè l’aspetto di “visione cristiana del mondo” con l’introduzione dei concetti di “infinito”, “incondizionato”, “assoluto”, trasforma il rapporto a Dio e agli Dèi in “esperienza religiosa vissuta”. Gli Dèi e Dio sono ormai fuggiti, e il vuoto da essi lasciato viene riempito sia dalla ricerca storiografica e psicologica sul mito, sia dal persistere di un “atteggiamento cristiano” che risolve il rapporto con Dio nell’ambito della fede soggettivamente vissuta. L’epoca moderna è dunque caratterizzata dall’assenza di Dio, è “tempo di povertà”. Nell’elegia Brot und Wein, Friedrich Hölderlin pone la questione che agli occhi di Heidegger risulta decisiva per la comprensione dell’essenza dell’epoca moderna: und wozu Dichter in dürftiger Zeit?, a che scopo i poeti nel tempo di povertà, nel tempo in cui si è spenta la dÒxa qeoà nella “storia universale”? Secondo la concezione storica di Hölderlin, con l’apparizione e il sacrificio di Cristo è iniziata l’epoca dell’assenza di Dio, ossia la fine del giorno degli Dèi. Il ritrarsi degli Dèi è il tempo della sera, del tramonto che abbandona il mondo al sopraggiungere di una notte che ormai diffonde in ogni dove le sue tenebre. Nel momento culminante di questa notte risuona la sentenza di Nietzsche che, attraverso il grido . «Die Entgötterung ist der Zustand der Entscheidungslosigkeit über den Gott und die Götter. An seiner Heraufführung hat das Christentum den größten Anteil. Aber die Entgötterung schließt die Religiosität so wenig aus, daß vielmehr erst durch sie der Bezug zu den Göttern sich in das religiöse Erleben abwandelt. Ist es dahin gekommen, dann sind die Götter entflohen. Die entstandene Leere wird durch die historische und psychologische Erforschung des Mythos ersetzt» (ibid., p. 70). . Cfr. F. Hölderlin, Tutte le liriche, a cura di Luigi Reitani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, p. 952. . «Mit dem Erscheinen und dem Opfertod Christi ist für die geschichtliche Erfahrung Hölderlins das Ende des Göttertages angebrochen. Es wird Abend» (M. Heidegger, Wozu Dichter?, in Holzwege, cit., pp. 248-295; p. 248). . «Seitdem die „einigen drei“, Herakles, Dionysos und Christus, die Welt verlassen haben, neigt sich der Abend der Weltzeit ihrer Nacht zu. Die Welt-

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Introduzione. Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà”

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dell’uomo pazzo, esclama ne La gaia scienza: Gott ist tot! Dio è morto e rimane morto, il “mondo sovrasensibile” non ha più forza alcuna, non determina più il senso della storia universale. L’interpretazione della sentenza nietzscheana “Dio è morto” – e della stessa sentenza hölderliniana che in Brot und Wein allude agli “Dèi fuggiti” – risulta tuttavia possibile soltanto sulla base di una preliminare delucidazione del nichilismo in quanto determinazione storico-ontologica dell’epoca della metafisica, che per Heidegger è l’epoca della storia dell’essere stesso nel suo ritrarsi in quanto differenza ontologica rispetto alla totalità dell’ente. Alla domanda: “che ne è dell’essere?”, la metafisica risponde: “dell’essere stesso ne è nulla”, poiché essa pensa l’essere come essere dell’ente, come fondamento di ciò che è, non come differenza fra essere-presente ed essente-presente. Ne consegue che, pensato alla luce dell’essenza del nichilismo, ossia alla luce dell’essenza della metafisica occidentale che è “autentico nichilismo”, l’oblio dell’essere è l’oblio della differenza ontologica fra l’essere e l’ente. L’oblio dell’essere, in quanto oblio della Dif-ferenza, rientra tuttavia nell’essenza dell’essere stesso, è destino dell’essere (Geschick des Seins), che Heidegger indica come l’™poc» dell’essere, il suo sottrarsi, in quanto differenza, nella dimensione di un rifiuto nacht breitet ihre Finsternis aus. Das Weltalter ist durch das Wegbleiben des Gottes, durch den „Fehl Gottes“ bestimmt» (ibidem). . Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, ed. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 199912, p. 163: «Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!». Cfr., a tale riguardo, M. Heidegger, Nietzsches Wort “Gott ist tot”, in Holzwege, cit., pp. 193-247; p. 200: «Das Wort „Gott ist tot“ bedeutet: die übersinnliche Welt ist ohne wirkende Kraft. Sie spendet kein Leben. Die Metaphysik, d. h. für Nietzsche die abendländische Philosophie als Platonismus verstanden, ist zu Ende». . Cfr. M. Heidegger, Der Spruch des Anaximander, in Holzwege, cit., pp.­­ 296-343; p. 336: «Die Seinsvergessenheit ist die Vergessenheit des Unterschiedes des Seins zum Seienden».

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(Verweigerung) che allude al carattere segretamente temporale dell’essere stesso. L’essere si sottrae mentre si scopre nell’ente: quando ciò accade, improvvisamente e-viene un mondo storico, le cui epoche sono epoche dell’errore e dell’errare fra gli enti, la cui illuminazione oscura la luce dell’essere, il suo tratto fondamentale costituito dalla ¢l»qeia, nel velamento sottraente di ciò che i greci chiamano l»qh, nascondimento che produce oblio. L’oblio dell’essere, lungi dal costituire una semplice dimenticanza dell’uomo, trova pertanto la sua origine nel rifiuto dell’essere che si mantiene nel nulla della differenza ontologica rispetto all’ente. Dell’essere in quanto tale, per la metafisica occidentale che pensa l’essere come super-ente, come semplice fondamento dell’ente, ne è nulla; ora, poiché ogni “è” dell’ente risiede nell’essere, l’essenza del nichilismo, consistente nel fatto che dell’essere stesso ne è nulla, viene a significare che anche dell’ente nella sua totalità ne è “nulla”. Rigorosamente pensata, l’affermazione di Nietzsche “Dio è morto” risulta possibile soltanto nel compimento della storia della metafisica occidentale, che è il compimento dell’essenza del nichilismo in quanto oblio dell’essere, oblio della differenza fra l’essere e l’ente che, lungi dall’essere una semplice dimenticanza, appartiene alla storia dell’essere stesso, alla sua segreta essenza “epocale” che segna il tempo del suo sottrarsi nel nulla della differenza ontologica10. Il . «Das Sein entzieht sich, indem es sich in das Seiende entbirgt. Dergestalt hält das Sein mit seiner Wahrheit an sich. Dieses Ansichhalten ist die frühe Weise seines Entbergens. Das frühe Zeichen des Ansichhaltens ist die 'A-l»qeia. Indem sie Un-Verborgenheit des Seienden bringt, stiftet sie erst Verborgenheit des Seins. Verbergung aber bleibt im Zuge des an sich haltenden Verweigerns. Wir können dieses lichtende Ansichhalten mit der Wahrheit seines Wesens die ™poc» des Seins nennen. […] Die Epoche des Seins gehört ihm selbst. Sie ist aus der Erfahrung der Vergessenheit des Seins gedacht» (ibid., p. 311). 10. «Die Geschichte des Seins beginnt und zwar notwendig mit der Vergessenheit des Seins. […] Aus dem Geschick des Seins gedacht, bedeutet das

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Introduzione. Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà”

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tempo di povertà, il tempo della morte di Dio e degli Dèi fuggiti, trova dunque la propria origine nel ritrarsi dell’Essere stesso in quanto Dif-ferenza nel velo sottraente della l»qh; il tempo di povertà, l’epoca dell’immagine del mondo preparata dalla metafisica antica e dalla teologia medievale, è diventato nel frattempo così povero da non poter più riconoscere la fuga degli Dèi e la morte di Dio come una “mancanza”. A causa della mancanza di Dio, il mondo storico chiamato Occidente (Abend-Land, terra-della-sera) sta lentamente declinando verso il suo tramonto (Untergang). L’idea del tramonto dell’Occidente, nel senso del declino del mondo storico occidentale, trova in Oswald Spengler un interprete che “troppo rozzamente” desume da Nietzsche la concezione dell’essere come vita – volontà di potenza; Heidegger, all’opposto, interpreta il tramonto come un “andare a fondo” (unter-gehen) verso l’abisso (Abgrund), verso l’assenza di fondamento che caratterizza l’epoca della fuga degli Dèi e della morte di Dio. Soltanto se l’abisso viene riconosciuto e sopportato fino in fondo, risulta possibile capovolgere il mondo ormai pendente sull’abisso, risulta cioè possibile la svolta. La svolta tuttavia si attua soltanto se vi sono uomini capaci di giungere fino in fondo all’abisso. Nell’inno incompiuto Mnemosyne Hölderlin dice: «[…] Nicht vermögen Die Himmlischen alles. Nemlich es reichen Die Sterblichen eh’an den Abgrund. Also wendet es sich Mit diesen. Lang ist Die Zeit, es ereignet sich aber Das Wahre»11 . nihil des Nihilismus, daß es mit dem Sein nichts ist. Das Sein kommt nicht an das Licht seines eigenen Wesens. Im Erscheinen des Seienden als solchen bleibt das Sein selbst aus. Die Wahrheit des Seins entfällt. Sie bleibt vergessen» (M. Heidegger, Nietzsches Wort „Gott ist tot“, ibid., pp. 243-244). 11. F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 1214 (il titolo di questo abbozzo d’inno suona, nell’ed. cit., Das Zeichen).

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Non tutto è possibile ai Celesti. Infatti i mortali pervengono prima all’abisso. Con essi avviene dunque la svolta. Lungo è il tempo, ma il Vero accade. Lungo è il tempo di povertà, lunga è la notte del mondo che lentamente procede verso la mezzanotte, verso l’ora della povertà estrema che dischiude il fondo dell’abisso. Nell’ora dell’estremo pericolo, improvvisamente, il Vero accade, la svolta si compie allorché i mortali ritrovano la propria essenza, che consiste nel raggiungere l’abisso prima dei Celesti12. L’essenza dei mortali si dispiega nell’esser più vicini all’assenza (Abwesen) che non alla presenza (Anwesen) perché, chiamati dall’Essere stesso, essi corrispondono nel loro Esserci (Da-sein) all’essenza epocale dell’essere, al suo e-venire come presenza del presente che si sottrae mentre si scopre nell’ente13. Colui che, fra i mortali, deve prima e diversamente dagli altri raggiungere l’abisso, il poeta, sperimenta in tal modo le tracce che l’abisso stesso indica: le tracce degli Dèi fuggiti. Secondo l’esperienza poetica di Hölderlin è Dioniso, il dio del vino, colui che lascia la traccia agli uomini privi di Dio, avvolti nelle tenebre della notte del mondo: proprio nella vite e nel suo frutto, infatti, il dio del vino custodisce l’essenziale, originaria appartenenza di terra e cielo, in quanto luogo della “festa nuziale” degli uomini e degli dèi14. Pochi sono, tuttavia, quei mortali che, 12. «Mit den Sterblichen wendet es sich aber, wenn sie in ihr eigenes Wesen finden. Dieses beruht darin, daß sie eher als die Himmlischen in den Abgrund reichen» (M. Heidegger, Wozu Dichter?, in Holzwege, cit., p. 250). 13. «Sie [die Sterblichen] bleiben, wenn wir ihr Wesen denken, dem Abwesen näher, weil sie vom Anwesen, wie von altersher das Sein heißt, angegangen sind. Weil aber das Anwesen sich zugleich verbirgt, ist es schon selbst das Abwesen» (ibidem). 14. «Wer von den Sterblichen eher und anders als die anderen in den Abgrund reichen muß, erfährt die Merkmale, die der Abgrund vermerkt. Das sind für den Dichter die Spuren der entflohenen Götter. Diese Spur bringt nach Hölderlins Erfahrung Dionysos, der Weingott, den Gott-losen unter das Finstere ihrer Weltnacht hinab. Denn der Gott der Rebe verwahrt in dieser und in deren Frucht zugleich das wesenhafte Zueinander von Erde und Himmel als der

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Introduzione. Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà”

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al seguito di Dioniso, seguono le tracce degli Dèi fuggiti, indicando ai loro “fratelli mortali” la direzione della svolta15; lungo il cammino al seguito di Dioniso, il poeta del tempo di povertà canta il Sacro (das Heilige), in quanto elemento dell’Etere nel quale soltanto gli Dèi sono Dèi. Il Sacro è la traccia della divinità (Gottheit), la regione di una manifestatività dell’essere che rientra nella struttura epocale dell’essere stesso, nel suo donante sottrarsi come nulla dell’ente, come differenza ontologica fra essere ed ente. L’esperienza poetica di Hölderlin avviene sotto il segno di Dioniso, la cui traccia riconduce i mortali nel dominio della reciproca appartenenza di terra e cielo, divini e mortali, di ciò che il tardo Heidegger indica come das Geviert, il quadrato del mondo; di tale esperienza poetica Heidegger ripercorre le tappe in una serie di scritti che segnano in profondità il suo stesso cammino di pensiero16. Altri poeti, tuttavia, hanno attratto in maniera non episodica la sua attenzione: Rainer Maria Rilke, la cui opera poetica costituisce l’oggetto principale del saggio Wozu Dichter?; Stefan George, al quale Heidegger dedica particolare attenzione nella tarda opera Unterwegs zur Sprache, e soprattutto Georg Trakl, il poeta austriaco morto a ventisette anni nell’ospedale di Cracovia sul fronte austro-russo, nei primi mesi della Grande Guerra, a causa di una dose eccessiva di cocaina. Per ammissione dello stesso Heidegger, già all’inizio degli anni ’20 del Novecento, nell’epoca dell’“espressionismo”, la poesia di Trakl, insieme alla poesia di Hölderlin, costituisce un punto di riferimento lungo il cammino di pensiero che, indirizzato dalStätte des Brautfestes für Menschen und Götter. Nur im Bereich dieser Stätte können noch, wenn irgendwo, Spuren der entflohenen Götter für die gott-losen Menschen zurückbleiben» (ibidem). 15. «Aber sie sind, sagst du, wie des Weingotts heilige Priester, / Welche von Land zu Land zogen in heiliger Nacht» (F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 954). 16. Qui basti ricordare M. Heidegger, Erläuterungen zur Hölderlins Dichtung, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1951².

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L’azzurro dell’anima

la fenomenologia di Husserl, approda nel 1927 a Sein und Zeit, ma che rimane fin da allora attratto dalla tematica “linguaggio e essere”. Alla interpretazione della poesia di Trakl Heidegger dedicherà i primi due saggi nella tarda raccolta intitolata Unterwegs zur Sprache; ciò che determina la sua attenzione per il poeta austriaco è il predominare delle figure della Verwesung, di una de-composizione che accompagna il tramonto dell’anima nell’azzurro della notte spirituale, ossia in quella dimensione che Trakl, seguendo i modelli poetici di Hölderlin e di Novalis, indica come il Sacro (das Heilige), e che per Heidegger allude poeticamente alla differenza ontologica fra l’essere e l’ente. Se per Hölderlin il poeta rintraccia il Sacro al seguito di Dioniso, del dio della vite che custodisce nel suo frutto il “terreno rapporto infinito” che riunisce terra e cielo, divini e mortali nella compagine del Geviert, del quadrato del mondo, per Trakl il poeta incontra il Sacro quando la sua anima, al seguito di Elis, del fanciullo “straniero” precocemente morto nel mattino primordiale, e quindi “non-nato” (Un-geborenes), diviene “un attimo azzurro”, ossia muore nel segno di una “dipartenza” (Abgeschiedenheit) che è riappropriazione, nel tramonto della vecchia stirpe umana decaduta, del “volto dorato” dell’uomo, della sua autentica, obliata essenza di mortale ricondotto al quadrato salvifico del “mondo”. Come nella poesia di Hölderlin, anche nella poesia di Trakl la svolta avviene per la decisione del poeta di pervenire fino all’abisso del nulla dell’ente, di corrispondere cioè alla Chiamata dell’Essere stesso in quanto Dif-ferenza ontologica fra essere-presente ed essente-presente; corrispondere alla chiamata della Dif-ferenza significa tuttavia riconoscere la propria essenziale nullità, il proprio essere-per-la-morte. La morte si configura, pertanto, come “lo scrigno del nulla” e, al tempo stesso, come “il riparo protettivo dell’essere” in quanto Dif-ferenza; nel “tempo di povertà”, all’opposto, non soltanto Dio è morto, ma innanzitutto gli uomini non si sono ancora riappro-

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Introduzione. Pensare e poetare la Dif-ferenza “nel tempo di povertà”

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priati della loro autentica essenza, che è l’essere-per-la-morte in quanto apertura al nulla della Dif-ferenza. Nel tempo di povertà, il senso della morte resta enigmatico, il mistero del dolore resta velato, l’amore non viene appreso17. Rainer Maria Rilke, in un canto dei suoi Sonetti a Orfeo (I. 19), così tratteggia “il tempo di povertà”: «Wandelt sich rasch auch die Welt wie Wolkengestalten, alles Vollendete fällt heim zum Uralten. Über dem Wandel und Gang, weiter und freier, währt noch dein Vor-Gesang, Gott mit der Leier. Nicht sind die Leiden erkannt, nicht ist die Liebe gelernt, und was im Tod uns entfernt, ist nicht entschleiert. Einzig das Lied überm Land heiligt und feiert»18. 17. «Dürftig bleibt die Zeit nicht nur, weil Gott tot ist, sondern weil die Sterblichen sogar ihr eigenes Sterbliches kaum kennen und vermögen. Noch sind die Sterblichen nicht im Eigentum ihres Wesens. Der Tod entzieht sich in das Rätselhafte. Das Geheimnis des Schmerzes bleibt verhüllt. Die Liebe ist nicht gelernt» (M. Heidegger, Wozu Dichter?, in Holzwege, cit., p. 253). 18. «Pur se mutevole il mondo / qual nube si gira / tutto riaffonda compiendosi / nel grembo antico. / Fuor dal mutare e l’andare, / più ampio e libero / sta l’inno tuo primordiale, / Dio della lira. / Sul dolore nulla si sa, / l’amore non l’impariamo / e quel che nella morte ci allontana / non cede il velo. / Unico il canto, sulla terra alto, / consacra e leva» (R.M. Rilke, I sonetti a Orfeo, con testo tedesco a fronte, tr. it. di Rina Sara Virgillito, Garzanti, Cernusco s/N (MI) 2000, pp. 40-41).

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L’azzurro dell’anima

Nel tempo in cui la traccia del Sacro si è fatta irriconoscibile, nel tempo che è così povero proprio perchè manca il non-nascondimento dell’essenza del dolore, della morte e dell’amore, nel tempo dell’estremo sottrarsi dell’Essere nel nulla della Differenza, rimane tuttavia il canto del Dio sacro alla cetra, che conserva per i mortali la traccia del Sacro: i mortali sono, in quanto la Parola, il Linguaggio, è: soltanto il canto, in quanto cor-rispondenza alla Parola della Dif-ferenza, qui, sulla “povera terra”, consacra e onora l’abitare dei mortali19. I mortali abitano sulla terra, sotto il cielo, di fronte ai divini, prendendosi cura delle cose e avendo cura dei propri simili. Il canto dei mortali, che consacra e onora il loro abitare, è melšth tÁj ¢l»qeiaj, cura della verità dell’essere nel suo donante sottrarsi. Nel par. 42 di Sein und Zeit, Heidegger riporta la testimonianza di una “favola antica”, attribuita a Igino, quale “documento pre-ontologico dell’interpretazione ontologico-esistenziale dell’Esserci in quanto Cura (Sorge)”: «Un tempo la Cura, attraversando un fiume, vide del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’e incominciò a plasmarlo. Mentre sta riflettendo su ciò che ha formato, interviene Giove, al quale la Cura chiede di concedere lo spirito per la sua creatura. Giove esaudisce la sua richiesta, ma quando la Cura pretese che alla sua creatura fosse attribuito il proprio nome, Giove glielo vietò e pretese a sua volta che le fosse imposto il suo. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne la Terra e pretese anch’essa che alla creatura fosse attribuito il suo nome, dal momento che le aveva dato una parte del suo corpo. I contendenti presero quindi come giudice Saturno, il quale comunicò ad essi la seguente giusta decisione: “Tu Giove, poiché hai dato lo spirito, dovrai riprenderti lo spirito alla sua morte; tu Terra, poiché hai concesso il corpo, dovrai 19. «Aber die Sterblichen sind. Sie sind, insofern Sprache ist. Noch weilt Gesang über ihrem dürftigen Land. Das Wort des Sängers hält noch die Spur des Heiligen» (M. Heidegger, Wozu Dichter?, in Holzwege, cit., p. 253).

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ricevere il corpo. Ma poiché la Cura ha innanzitutto formato questo essere, lo possieda finchè esso vive. Poiché tuttavia la controversia riguarda il nome, lo si chiami homo, dal momento che è fatto di humus (terra)”»20. Poiché la Cura (die Sorge) lo ha plasmato, l’Esserci umano, in quanto essere-nel-mondo, appartiene (gehört) per tutta la vita, ossia lungo la sua intera vicenda temporale nel mondo, alla Cura. Mentre il nome (homo) gli è conferito sulla base di ciò in cui consiste (humus), il suo “essere originario” è deciso dal tempo (Saturno), il quale assegna alla Cura il dominio sull’Esserci. Che cosa significa per l’Esserci umano essere e rimanere, in quanto essere-nel-mondo, sotto il dominio temporale della Cura? Heidegger richiama a tale proposito l’ultima lettera di Seneca (Ep. 124), nella quale il termine cura viene a significare non soltanto “sforzo angoscioso” (ängstliche Bemühung), ma anche “sollecitudine” (Sorgfalt), “devozione” (Hingabe): «Fra le quattro “nature” esistenti – pianta, animale, uomo, Dio, – le ultime due, le uniche dotate di ragione, si distinguono per il fatto che Dio è immortale, mentre l’uomo è mortale. Ne consegue che, mentre il bene di Dio è compiuto dalla sua natura, il bene dell’uomo è compiuto dalla cura»21. Ciò 20. «Cura cum fluvium transiret, videt cretosum lutum / sustulitque cogitabunda atque coepit fingere. / dum deliberat quid iam fecisset, Jovis intervenit. / rogat eum Cura ut det illi spiritum, et facile impetrat. / cui cum vellet Cura nomen ex sese ipsa imponere, / Jovis prohibuit suumque nomen ei dandum esse dictitat. /dum Cura et Jovis disceptant, Tellus surrexit simul / suumque nomen esse volt cui corpus praebuerit suum. / sumpserunt Saturnum iudicem, is sic aecus iudicat: / „tu Jovis quia spiritum dedisti, in morte spiritum, / tuque Tellus, quia dedisti corpus, corpus recipito, / Cura enim quia prima finxit, teneat quamdiu vixerit. / sed quae nunc de nomine eius vobis controversia est, / homo vocetur, quia videtur esse factus ex humo“» (M. Heidegger, Sein und Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 197915, pp. 197-198). 21. «So schreibt Seneca in seinem letzten Brief (ep. 124): „Unter den vier existierenden Naturen (Baum, Tier, Mensch, Gott) unterscheiden sich die beiden letzten, die allein mit Vernunft begabt sind, dadurch, daß Gott unsterblich, der Mensch sterblich ist. Bei ihnen nun vollendet das Gute des Einen, nämlich

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significa che la perfectio dell’Esserci, il suo pervenire (Werden) a ciò che esso può essere, nel suo esser-libero per il progetto (Entwurf ) che dischiude le più autentiche possibilità, è opera (Leistung) della Cura. Ma il progetto dell’Esserci, a partire dalla svolta nell’evento, si configura come progetto gettato dal getto (Wurf ) dell’essere stesso, che getta l’Esserci nella Cura della Dif-ferenza ontologica fra l’essere-presente e l’essente-presente, che gli destina in altri termini la di-partenza dall’ente semplicemente-presente in vista della riappropriazione dell’autentico Se stesso, della sua natura di mortale appropriato al quadrato del mondo che consente l’e-venire delle cose. Il “luogo” del poema di Georg Trakl si configura, di fronte al vedere e mostrare fenomenologico di Heidegger22, come la Parola della Dif-ferenza, come la di-partenza dell’anima che, “straniera sulla terra”, si pone in cammino verso la regione di una “azzurra sacralità” che prelude alla riappropriazione, da parte della stirpe umana “decaduta” e “decomposta”, della propria autentica, obliata essenza, in quel “tempo di povertà” che il dolore della dipartenza Gottes, seine Natur, bei dem andern, dem Menschen, die Sorge (cura): unius bonum natura perficit, dei scilicet, alterius cura, hominis“» (ibid., p. 199). 22. Per quanto riguarda l’incidenza del “metodo fenomenologico” nel pensiero del tardo Heidegger, cfr. le seguenti osservazioni di FriedrichWilhelm von Herrmann: «[…] Essere e tempo è stato per Heidegger non soltanto un libro che egli, giunto poi con il proprio pensiero ai concetti di evento appropriante [Ereignis], di quadratura [Geviert] e di im-posizione [Ge-stell], avrebbe lasciato dietro a sé, ma è un cammino di pensiero che determina anche i sentieri della sua filosofia successiva e che perciò ognuno deve percorrere, se vuole penetrare con il pensiero nella dimensione fondamentale dell’esserci. […] l’ultimo Heidegger non ha più pensato come prima il metodo fenomenologico e non ha più utilizzato il termine “fenomenologia” come caratterizzazione metodologica del proprio pensiero. Ma questo non perché avrebbe abbandonato definitivamente l’elemento fenomenologico, ma perché egli ormai praticava il vedere e il mostrare fenomenologico» (F.W. von Herrmann, Il concetto di fenomenologia in Heidegger e Husserl, tr. it. di Renato Cristin, il nuovo melangolo, Genova 1997, pp. 70-71).

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redime e consacra nell’oscura eufonia di un “settemplice canto della morte”, nella poetica celebrazione di una Verwesung che risuona, al tempo stesso, come mito dell’assenza e culto dell’attesa dell’“inizio indisvelato”, di ciò che Trakl indica come “terra-della-sera”, “Occidente”23.

23. Per un approfondimento del significato storico-epocale di questa tematica rinvio al mio Occidente. Mito dell’assenza e culto dell’attesa, Bibliotheca, Gaeta 2002.

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Capitolo primo

La svolta nell’evento: per una Erörterung del poema di Georg Trakl

N

el secondo scritto della raccolta Unterwegs zur Sprache, Martin Heidegger si propone di indicare e di osservare (erörtern) il luogo (Ort) che unifica in un unico poema (Gedicht) il dire poetico del grande poeta austriaco Georg Trakl, nato a Salisburgo nel 1887 e morto a Cracovia, sul fronte austro-russo, nel 1914, allo scoppio della Grande Guerra. Il titolo di questo scritto suona: Il linguaggio nella poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl. La Erörterung del luogo ivi tentata procede intenzionalmente al di là degli aspetti storici, biografici, psicoanalitici, sociologici e stilistici, con i quali la nostra epoca è solita ricostruire e interpretare la vicenda personale e artistica di un qualsiasi autore; procede al di là di tutto questo perché, secondo Heidegger, nessuna analisi delle singole poesie di un poeta, nessuna ricostruzione storica, biografica, psicoanalitica, sociologica e stilistica potrà mai offrire la visione di quel Gedicht, da cui, in quanto sorgente (Quell) di ogni dire poetico (Sagen), scaturisce l’onda (Woge) ritmica che alimenta i singoli componimenti poetici. Ma come è possibile localizzare il poema di un poeta se tale sorgente rimane inespressa, se è destinata a restare . M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Günther Neske, Pfullingen 1959, ora Klett-Cotta, Stuttgart 2003 (citato in seguito con UzS); tr. it. di Alberto Caracciolo e Maria Caracciolo Perotti, In cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 1973.

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nella sfera del non-detto, da cui tuttavia fluisce quell’onda che alimenta il dire poetico, e quindi i singoli componimenti poetici? Non si delinea con ciò una evidente struttura circolare secondo la quale il Gedicht, in quanto non-detto che alimenta ogni dire, può venire indicato e osservato soltanto a partire da una spiegazione (Erläuterung) dei singoli componimenti poetici? Il reciproco rimando fra Erörterung e Erläuterung, fra localizzazione del poema e spiegazione delle poesie, si configura come quel circolo ermeneutico nel quale già dimora e dal quale non può mai uscire ogni colloquio del pensiero con la poesia di un poeta, ogni colloquio che miri «a evocare l’essenza del linguaggio, affinché i mortali imparino nuovamente a dimorare nel linguaggio». Emerge da queste parole lo scopo fondamentale che suscita il colloquio fra il pensare (Denken) di Heidegger e il poetare (Dichten) di Trakl: si tratta di evocare (hervorrufen) l’essenza del linguaggio (das Wesen der Sprache) affinché i mortali (die Sterblichen) imparino di nuovo ad abitare nel linguaggio (in der Sprache zu wohnen). Che cosa comporta tuttavia per gli uomini abitare nel linguaggio, dal momento che la sua essenza consiste nell’essere non tanto un’attività espressiva dell’uomo, quanto un Dire originario (Sagen) che significa mostrare, lasciar-apparire, vedere e ascoltare? E ancora, che cosa si mostra in tale originario mostrarsi che reclama il pensiero e la poesia ad un colloquio . «Man sieht leicht, daß eine rechte Erläuterung schon die Erörterung voraussetzt. Nur aus dem Ort des Gedichtes leuchten und klingen die einzelnen Dichtungen. Umgekehrt braucht eine Erörterung des Gedichtes schon einen vor-läufigen Durchgang durch eine erste Erläuterung einzelner Dichtungen» (UzS, p. 38). . M. Heidegger, Il linguaggio nella poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl, in In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 46. . Cfr. M. Heidegger, Der Weg zur Sprache, in UzS, p. 252: «Doch was heißt sagen? Um dies zu erfahren, sind wir an das gehalten, was unsere Sprache selber uns bei diesem Wort zu denken heißt. „Sagan“ heißt: zeigen, erscheinen-, sehen- und hören-lassen».

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mirante alla individuazione del luogo da cui fluisce l’onda del dire poetico? Nel terzo scritto di Unterwegs zur Sprache, che reca il titolo Da un colloquio nell’ascolto del Linguaggio, la risposta a tali questioni viene fornita da Heidegger nel contesto di una riflessione sul linguaggio (Sprache) considerato come «il momento fondamentale nel rapporto ermeneutico dell’essere umano con la Differenza tra Presenza e ciò che può farsi presente». Con le espressioni “riferimento ermeneutico” (hermeneutischer Bezug) e “l’Ermeneutico” (das Hermeneutische), Heidegger non intende più l’ermeneutica secondo la prospettiva, dischiusa da Dilthey, della metodologia delle scienze dello spirito, vale a dire come una disciplina rivolta alla individuazione dei fini, dei metodi e delle regole dell’interpretazione dei testi religiosi e letterari, bensì secondo l’originario significato del verbo greco ˜rmhneÚein nella sua connessione al dio Ermes, messaggero degli dèi che reca un annuncio in quanto è capace di ascoltare un messaggio; tale significato originario dello ˜rmhneÚein si conserverebbe nell’affermazione socratica contenuta nello Jone di Platone (534e), secondo la quale i poeti “sono messaggeri degli dèi”. L’interpretazione della parola dei poeti si configura pertanto, alla luce del significato originario di ˜rmhneÚein, come un esporre (Darlegen) che reca un annuncio (Kunde bringt) in quanto è in grado di ascoltare un messaggio (auf eine Botschaft zu hören vermag). Da ciò consegue che il carattere ermeneutico del linguaggio, in quanto “portare messaggio e annuncio”, si delinea come lo sfondo di quel pensare fenomenologico che già in Sein und Zeit conduce Heidegger a porre la questione dell’essere nei termini di una indagine ermeneutico-fenomenologica, la quale, assumendo la massima della fenomenologia di Husserl: “Verso le cose stesse!”, muove alla ricerca dell’essere (das Gefragte) e del . M. Heidegger, Da un colloquio nell’ascolto del Linguaggio, in In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 107. . Cfr. UzS, pp. 121-122.

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suo senso (das Erfragte) a partire da una interrogazione preliminare dell’essere dell’Esserci (das Befragte), in quanto esistenza che progetta e comprende il proprio essere, l’essere dell’ente difforme dall’Esserci e il senso dell’essere in generale. Una siffatta indagine, in quanto interpretazione fenomenologica che tematizza l’Esserci riguardo alla sua essenza (esistenza) comprendente l’essere, consisterà pertanto nel render-note (kund-geben) le strutture fondamentali dell’Esserci stesso, i modi di essere dell’ente difforme dall’Esserci e il senso dell’essere in generale, senza tuttavia tematizzare esplicitamente l’evento (Ereignis) come tale, ossia il fatto che lo stesso Esserci, in quanto essere-gettato progettante e comprendente-interpretante l’essere e il suo senso, scaturisce, nel suo essere-gettato (geworfen), dal getto (Wurf ) dell’essere stesso; in altri termini, l’impostazione trascendental-orizzontale della questione dell’essere nei termini dell’ontologia fondamentale propria di Essere e tempo, che considera l’ermeneutica fenomenologica come un render-note le strutture dell’Esserci comprendente l’essere entro l’orizzonte . Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., spec. par. 2 e par. 7c : «Das Fragen hat als Fragen nach… sein Gefragtes […]. Zum Fragen gehört außer dem Gefragten ein Befragtes […]. Im Gefragten liegt dann als das eigentlich Intendierte das Erfragte, das, wobei das Fragen ins Ziel kommt» (p. 5). «Der Ausdruck Phänomenologie läßt sich griechish formulieren: lšgein t¦ fainÒmena; lšgein besagt aber ¢pofa…nesqai. Phänomenologie sagt dann: ¢pofa…nesqai t¦ fainÒmena: Das was sich zeigt, so wie es sich von ihm selbst her zeigt, von ihm selbst her sehen lassen. Das ist der formale Sinn der Forschung, die sich den Namen Phänomenologie gibt. So kommt aber nichts anderes zum Ausdruck als die oben formulierte Maxime: „Zu den Sachen selbst!“» (p. 34). Con ciò Heidegger fissa definitivamente il significato della fenomenologia come “lasciarsi mostrare della cosa stessa”. Per un approfondimento del problema del rapporto fra la prospettiva fenomenologica che determina l’elaborazione di Sein und Zeit e quella del tardo Heidegger di Unterwegs zur Sprache, cfr. F.-W. von Herrmann, Sentiero e metodo. Sulla fenomenologia ermeneutica del pensiero della storia dell’essere, tr. it. di Corrado Badocco, il nuovo melangolo, Genova 2003.

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della temporalità (Zeitlichkeit), non lascia ancora trasparire il carattere originariamente rivelativo del riferimento ermeneutico, vale a dire il recare-annuncio (Kunde bringen) comprendente-interpretante il messaggio a partire dal getto-a (Zuwurf ) dell’Essere stesso in quanto Differenza ontologica fra essere e ente: «Quello di cui si trattava e si tratta era ed è di evidenziare l’essere dell’essente: certamente non più alla maniera della metafisica, ma in modo che l’Essere stesso si manifesti. L’Essere stesso – ciò significa: la Presenza di ciò che può farsi presente, vale a dire la Differenza dei due momenti sulla base dell’unità. È questa Differenza che esige l’uomo per la sua propria essenza». In quanto “dimora dell’Essere” (Haus des Seins), il Linguaggio diviene ciò che determina e sorregge il rapporto ermeneutico, vale a dire l’unità del riferimento dell’essere all’Esserci e del rapporto essenziale dell’Esserci all’essere: tale rapporto ermeneutico, che altro non è se non l’originario circolo ermeneutico del comprendere, è l’evento appropriante (Ereignis) che appropria (ereignet) il senso-verità dell’Essere come Differenza e l’Esserci dell’uomo nell’unità di chiamata (getto-a) e di ascolto (gettato-progettante): l’esperienza fenomenologica della provenienza dell’essere-gettato progettante-comprendente-interpretante dell’Esserci dal getto-a della verità dell’essere, «apre e inaugura la via del pensiero della storia dell’essere», quella via che nell’opera postuma dal titolo Beiträge zur Philosophie10, si configura come l’essenziarsi . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 105. Cfr. inoltre M. Heidegger, Brief über den „Humanismus“, in Wegmarken, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1967, p. 173: «Dieser Ruf [vom Sein] kommt als der Wurf, dem die Geworfenheit des Daseins entstammt». . F.-W. von Herrmann, Sentiero e metodo. Sulla fenomenologia ermeneutica del pensiero della storia dell’essere, cit., p. 37. 10. «Der Sprung (der geworfene Entwurf) ist der Vollzug des Entwurfs der Wahrheit des Seyns im Sinne der Einrückung in das Offene, dergestalt, daß der Werfer des Entwurfs als geworfener sich erfährt, d.h. er-eignet durch das Seyn. Die Eröffnung durch den Entwurf ist nur solche, wenn sie als Erfahrung der

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(Wesen) dell’essere in quanto evento, o meglio, come “la svolta nell’evento” (die Kehre im Ereignis), intesa come ri-volgimento (Wider-kehre) dell’esser-gettato del progetto nel suo esser-avvenuto e appropriato da parte dell’Essere in vista dell’essenziarsi della verità dell’essere11. L’Esserci porta a compimento la proGeworfenheit und damit der Zugehörigkeit zum Seyn geschieht. Das ist der wesentliche Unterschied gegenüber aller nur transzendentalen Erkenntnisart hinsichtlich der Bedingungen der Möglichkeit […]» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), 1936-38, Gesamtausgabe, Band 65, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994², p. 239). 11. Cfr. ibid., p. 251: «Das Seyn braucht den Menschen, damit es wese, und der Mensch gehört dem Seyn, auf daß er seine äußerste Bestimmung als Da-sein vollbringe». E ancora: «Die Kehre west zwischen dem Zuruf (dem Zugehörigen) und der Zugehör (des Angerufenen). Kehre ist Wider-kehre. Der Anruf auf den Zu-sprung in die Ereignung ist die große Stille des verborgensten Sichkennens. Von hier nimmt alle Sprache des Da-seins ihren Ursprung und ist deshalb im Wesen das Schweigen […]» (ibid., pp. 407-408). Mentre nel par. 32 di Sein und Zeit il “circolo della comprensione” o “circolo ermeneutico” si struttura secondo un triplice “pre”: la pre-disponibilità (Vor-habe) dell’essergettato dell’Esserci, la pre-visione (Vor-sicht) del progetto gettato dell’Esserci e il pre-afferramento (Vor-griff ), mediante il discorso, del progetto-gettato, vale a dire dell’esistenza gettata dell’Esserci che progetta (comprende) l’essere e il suo senso, nel “pensiero della storia dell’essere” che si attua come “svolta nell’evento”, il “circolo ermeneutico” – la struttura della pre-comprensione – si configura a partire da un ascoltare che, al di là dell’esser-gettato progettante interpretante dell’Esserci che pone la questione dell’essere, corrisponde al richiamo del getto-a (Zuwurf ) proveniente dall’essere stesso: «Nell’ambito del pensiero della storia dell’essere, ogni domanda ottiene (erhält) la sua pre-comprensione, essenzialmente necessaria, a partire dalla promessa (ossia dal getto-a) che, prima di tutto, rende possibile il domandare in quanto tale […]. Nella promessa di ciò-a-cui e di ciò-su-cui viene domandato, il domandare sull’essere in quanto tale ha la sua pre-disponibilità, a cui esso, in quanto domandare, guarda in una pre-visione e in un pre-afferramento. Il trattenersi-già del domandare all’interno della promessa è la struttura del circolo ermeneutico» (F.-W. von Herrmann, Sentiero e metodo. Sulla fenomenologia ermeneutica del pensiero della storia dell’essere, cit., pp. 50-51). Ne deriva che “l’autentico gesto del pensiero” non è il domandare, bensì l’ascoltare il messaggio di ciò che, attraverso il “portare messaggio e annuncio”, giunge a farsi

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pria estrema destinazione come essere-gettato progettante l’essere soltanto perché l’Essere stesso lo usa, reclamandolo per il suo essenziarsi in quanto differenza di essere-presente (Anwesen) e di essente-presente (Anwesendes); ciò comporta un radicale mutamento della via di accesso “alle cose stesse”, ossia l’abbandono del metodo così come è stato inteso dal pensiero metafisico-scientifico-tecnico dell’età moderna a partire da Descartes fino a Nietzsche, metodo che consiste nel prescrivere anticipatamente che cosa deve valere come oggetto e come deve essere indagato l’oggetto assunto come tema di indagine, in favore di ciò che Heidegger chiama, nel ciclo di conferenze dal titolo L’essenza del linguaggio, i sentieri della contrada (die Wege der Gegend): «Diversamente che nel processo presentativo della scienza stanno le cose nell’ambito del pensiero. Qui non esiste né metodo né tema, ma la contrada (Gegend) che così appunto si chiama, perché dischiude e offre (gegnet) ciò che deve essere pensato dal pensiero. Il pensiero si trattiene in quella contrada percorrendone le vie. Qui la via fa parte della contrada»12. Non si tratta più soltanto di rovesciare il rapporto fra metodo e tema per ritornare “alle cose stesse” secondo la prospettiva dischiusa da Husserl e percorsa da Heidegger già in Sein und Zeit, dove il metodo fenomenologico del lasciar-vedere ciò che si mostra in se stesso a partire da se stesso dipende dalla cosa in questione, vale a dire dal senso dell’essere in generale e dalla costituzione d’essere dell’Esserci che comprende l’essere; ora, nel farsi-incontro della contrada che apre al tempo stesso la cosa da pensare e la via che il pensiero deve percorrere, accade sia il domanda sull’essenza. In tal senso il domandare è la pietà (Frömmigkeit) del pensiero, la risposta dell’Esserci alla chiamata dell’essere: «[…] die eigentliche Gebärde des Denkens nicht das Fragen sein kann, sondern das Hören der Zusage dessen sein muß, wobei alles Fragen dann erst anfragt, indem es dem Wesen nachfragt» (UzS, p. 176). 12. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 141.

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getto (Wurf ) dell’essere come appello o richiamo della Differenza (Zwiefalt) sulla base dell’unità, sia l’esser-gettato dell’Esserci come prestare-ascolto e portare-annuncio del messaggio della verità dell’essere in quanto differenza fra essere-presente ed essente-presente. I sentieri della contrada percorsi dal pensiero comprendente-interpretante sono i sentieri dell’essere (genitivus possessivus), che si dischiudono soltanto a partire da quella regione (Gegend) in cui il pensiero già da sempre si trattiene e che «confina da ogni lato con il poetare»13. La caratterizzazione del pensare come un ascoltare la parola del Dichten che, in quanto Dire originario (Sage), dischiude l’essenza del linguaggio come linguaggio dell’essenza, ossia come appello-chiamata dell’Essere che reclama l’essere-uomo alla corrispondenza comprendenteinterpretante, costituisce pertanto lo sfondo ermeneutico essenziale per intendere il difficile cammino di pensiero del tardo Heidegger nel suo tentativo di indicare e osservare «il luogo che unifica il dire poetico di Georg Trakl in un unico poema (Gedicht)»14. La localizzazione di tale luogo, configurandosi come un colloquio del pensiero con la poesia che mira, come si è visto, a evocare l’essenza del linguaggio come linguaggio dell’essenza, nel quale gli uomini, in quanto mortali, già abitano, non intende pertanto prospettare la “visione del mondo” del poeta Trakl, né tanto meno ispezionare l’“officina” della sua produzione artistica15. All’opposto, la Erörterung del poema trakliano tenta13. Ibid., p. 142. 14. Ibid., p. 45. Va tuttavia notato come gli ambiti della poesia e dell’arte, e quindi il problema del rapporto fra “linguaggio ed essere”, fossero presenti ad Heidegger già negli anni precedenti la pubblicazione di Sein und Zeit: «In jener Zeit des Expressionismus waren mir diese Bereiche stets gegenwärtig, mehr jedoch und schon aus meiner Studienzeit vor dem ersten Weltkrieg die Dichtung Hölderlins und Trakls» (UzS, p. 92). Il poetare di Hölderlin e di Trakl accompagna e determina fin dall’inizio l’intero Denkweg heideggeriano. 15. Fra i lavori più recenti dedicati alla vicenda umana ed artistica di Georg Trakl si segnalano il saggio di Ida Porena: La verità dell’immagine.

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ta da Heidegger si propone di rendere problematico, e quindi “pensoso”, l’ascolto dei singoli componimenti poetici in vista della individuazione del luogo da cui scaturisce l’onda ritmica che tutti li alimenta: si può fin da ora indicare tale luogo della poesia di Trakl nella dipartenza (Abgeschiedenheit), intesa come un “oscuro peregrinare dell’anima”, un “silenzioso tramontare” (Untergehen) verso una località (Ortschaft) che il poeta austriaco indica, nella prosa lirica Traum und Umnachtung (Sogno e ottenebramento) come “la veneranda saga dell’azzurra sorgente”: «O, die Seele, die leise das Lied des vergilbten Rohrs sang; feurige Frömmigkeit. Stille sah er und lang in die Sternenaugen der Kröte, befühlte mit erschauernden Händen die Kühle des alten Steins und besprach die ehrwürdige Sage des blauen Quells»16.

L’anima che, pervasa da “fiammeggiante pietà”, ri-dice il Dire originario dell’azzurra sorgente, è l’anima di colui che, tramontando nella notte stellata, tocca con “mani rabbrividenti” la frescura dell’antica pietra, percorrendo e indicando in tal modo ai mortali una via da seguire: la via del ritorno in patria. Se la dipartenza è il luogo (Ort) del poema di Trakl, la località (Ortschaft) che raccoglie in sé il tramontare che la caratterizza, la sua “essenza occulta” (das verborgene Wesen) che “la venerabile saga Una lettura di Georg Trakl, Donzelli editore, Roma 1998, nonché la ricerca di Paola Gheri: Der Wahrheit geben, was der Wahrheit ist. Gli inizi poetici di Georg Trakl, Edizioni ETS, Pisa 1999. 16. «Oh, l’anima che piano ripeteva il canto del canneto ingiallito; ardente pietà. Quieto guardava a lungo negli occhi stellari del rospo, tastava con mani rabbrividenti la frescura dell’antica pietra e recitava la venerabile leggenda dell’azzurra fonte» (Georg Trakl, Opere poetiche, introduzione, testo e versione a cura di Ida Porena, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1963, pp. 254256). Ci discosteremo talvolta dalla traduzione italiana di Ida Porena per uniformarci al particolare contesto ermeneutico-linguistico che sorregge la lettura di Heidegger.

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L’azzurro dell’anima

dell’azzurra sorgente” tacitamente richiama, è la terra-della-sera (Abend-Land), l’Occidente17. A questa località, da cui proviene il richiamo che pro-voca il tramontare nella dipartenza, Trakl sembra alludere nella prosa lirica Offenbarung und Untergang (Rivelazione e tramonto): «In blauen Schauern kam vom Hügel der Nachtwind, die dunkle Klage der Mutter, hinsterbend wieder und ich sah die schwarze Hölle in meinem Herzen; Minute schimmernder Stille. Leise trat aus kalkiger Mauer ein unsägliches Antlitz – ein sterbender Jüngling – die Schönheit eines heimkehrenden Geschlechts. Mondesweiß umfing die Kühle des Steins die wachende Schläfe, verklangen die Schritte der Schatten auf verfallenen Stufen, ein rosiger Reigen im Gärtchen»18.

Il brivido provocato dalla frescura dell’antica pietra diviene ora il brivido del vento notturno che si trasforma in un attimo di scintillante quiete: è l’attimo azzurro (der blaue Augenblick) nel quale l’anima, sfiorata dal suono della quiete che è proprio del Dire originario, si trasfigura, emergendo come un “viso ineffabile”, un “giovinetto morente” che esprime la bellezza di un heimkehrendes Geschlecht, di una stirpe sulla via del ritorno in patria, nella patria chiamata Abendland, Occidente. A questa “terra della sera”, nella quale l’anima, “cosa straniera” sulla terra, lentamente scende attraverso il tramonto della dipartenza che è passaggio attraverso l’azzurro della notte spirituale, appartiene 17. «Die Ortschaft des Ortes, der Trakls Gedicht in sich versammelt, ist das verborgene Wesen der Abgeschiedenheit und heißt „Abendland“» (UzS, p. 77). 18. «Tra brividi azzurri scendeva dal colle il vento notturno, il cupo lamento della madre che nuovamente moriva e vidi il nero inferno nel mio cuore: attimo di scintillante quiete. Lieve emerse dal muro di calce un viso ineffabile, giovanetto morente, bellezza di una stirpe sulla via del ritorno. Bianca di luna la frescura del sasso avvolse la tempia vigilante, si spensero i passi delle ombre su gradini corrosi, una ridda rosata nel giardinetto» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 314-315).

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l’inizio (Anbeginn) di un nuovo “anno cosmico” (Weltjahr), inizio che, in quanto avvento dell’esser-stato (als die Ankunft des Gewesenen), comporta il commiato di ogni “è” (der Abschied von allem “Es ist”)19. La dipartenza dell’anima attraverso l’azzurro della notte spirituale incontro alla terra della sera, che è passaggio all’alba del mattino in essa celato, è quindi, al tempo stesso, distacco dall’Occidente platonico-cristiano, da quell’Occidente che si è soliti identificare con l’Europa e le sue “appendici”. Tale distacco assume nella poesia di Trakl l’aspetto angosciante della Verwesung, di una de-composizione che è innanzitutto de-posizione dell’inautenticità delle figure di un mondo (quello platonico-cristiano-europeo) dominato dall’oblio dell’essere, che è oblio della differenza ontologica fra essere e ente, incapacità di corrispondere all’essenza del linguaggio come “suono della quiete” che annuncia la Differenza fra presenza e presente, fra mondo (Welt) e cose (Dinge)20: di un mondo, quello occiden19. Cfr. UzS, p. 154. 20. «Die Sprache spricht als das Geläut der Stille. Die Stille stillt, indem sie Welt und Dinge in ihr Wesen austrägt. Das Austragen von Welt und Ding in der Weise des Stillens ist das Ereignis des Unter-Schiedes. Die Sprache, das Geläut der Stille, ist, indem sich der Unter-Schied ereignet. Die Sprache west als der sich ereignende Unter-Schied für Welt und Dinge» (ibid., p. 30). Cfr., a proposito del significato che la Verwesung assume nella poesia di Trakl, le osservazioni di Ida Porena nella Introduzione a Georg Trakl, Opere poetiche, cit., p. XXIV: «Le figure evocate da Trakl si muovono come ombre in questa atmosfera azzurrina e bruna, tra luci dorate e freddo splendore d’argento, percorse da brividi di disfacimento, colpite da suoni dolci e oscuri, ombre trascorrenti e incorporee, visioni assorte e spesso disfatte in nera putredine. Questa putredine, questa lebbra che divora e corrode le fronti, i volti, le mani, gli arredi, le statue, i giardini, è anch’essa spirituale, interiore. È la putredine di un mondo non autentico, di un mondo che lentamente si distrugge fino ad annientarsi nella catastrofe». Fra queste ombre si aggira quella dell’Abgeschiedener, del dipartito che, chiamato nel tramonto che è un perdersi (sich verlieren) nell’azzurro della notte spirituale, si mette in cammino (unterwegs) verso la terra della sera che permette e consente l’abitare umano, ossia ciò che nel linguaggio di Sein und Zeit suona come l’“esistenza autentica”.

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L’azzurro dell’anima

tale platonico-cristiano, dominato dallo es ist, dalla “semplice presenza” degli enti intramondani, e tuttavia incapace di corrispondere all’appello della parola che concede la cosa (Es, das Wort, gibt)21.

21. Cfr. ibid., p. 194.

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Capitolo secondo

Il cielo azzurro dell’anima: in cammino verso la regione del Sacro

I

l mondo poetico di Georg Trakl è popolato di figure spesso indicate con l’aggettivo neutro sostantivato: locuzioni come ein Sterbliches (una cosa mortale), ein Dunkles (una cosa oscura), ein Einsames (una cosa solitaria), ein Abgelebtes (una cosa morta), ein Krankes (una cosa malata), ein Menschliches (una cosa umana), ein Bleiches (una cosa pallida), ein Totes (una cosa morta), ein Schweigendes (una cosa silenziosa), ricorrono insistentemente là dove si tratta di evocare l’abbandono silenzioso del “mondo umano” dominato dalla Verwesung, il dolce scivolar-via, in Abend und Untergang, nella sera e nel tramonto, verso il crepuscolo spirituale dell’azzurrità del cielo (in die geistliche Dämmerung der Bläue), come se la dimensione del tramonto serale avesse il potere di mutare il senso e l’immagine delle cose intramondane. Verso la fine della poesia intitolata Frühling der Seele (Primavera dell’anima) risuonano i versi seguenti: «Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden. Geistlich dämmert Bläue über dem verhauenen Wald und es läutet Lange eine dunkle Glocke im Dorf; friedlich Geleit. Stille blüht die Myrthe über den weißen Lidern des Toten». . Cfr. UzS, p. 51. . «Straniera sulla terra è l’anima. Sacro cala il crepuscolo / Azzurro sul bosco sfrondato e a lungo nel villaggio / Rintocca cupa una campana; placida

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L’azzurro dell’anima

L’anima è “cosa straniera” (ein Fremdes) sulla terra, ma non perché il suo destino sia la dimensione dell’eterno, dell’ultraterreno che, secondo la tradizione platonico-cristiana, costituisce il sovrasensibile che si oppone al sensibile; l’anima è “cosa straniera” sulla terra, ma non perché sia incatenata in quel carcere chiamato “corpo”, dal quale dovrebbe quanto prima liberarsi; il suo essere ein Fremdes significa all’opposto, per Heidegger, l’essere in cammino verso un luogo (Ort) che le è pre-riservato, verso quel luogo nel quale essa, in quanto viandante (als ein Wanderndes) potrà sostare e restare. L’anima, straniera sulla terra, segue una voce, un richiamo (Ruf ) appena percettibile sulla via che conduce al suo “proprio” (auf den Weg in sein Eigenes); il “proprio” di cui l’anima è in cerca, il luogo al quale non è ancora potuta pervenire è la terra stessa: «L’anima cerca la terra, non la fugge. Proprio nell’essere in cammino alla ricerca della terra, per potervi poeticamente costruire e dimorare così soltanto salvando la terra come terra, l’anima realizza la propria essenza». L’anima non è un ente semplicemente presente già dotato di una propria essenza, al quale accada, “per errore o per condanna”, di ritrovarsi sulla terra e di non trovare su questa “rifugio e conforto”. La caratterizzazione platonico-cristiana dell’anima copre in realtà il fenomeno originario del suo essere in cammino alla ricerca della terra per potervi “abitare poeticamente”. Ma come si configura tale cammino? Perché Trakl accosta, seguendo uno sconcertante modello costruttivo di tipo paratattico, all’immagine dell’anima straniera sulla terra, l’immagine dell’azzurro (die Bläue) che “spiritualmente imbruna” (geistlich dämmert) sopra il bosco abbattuto? Una strofa della terza parte della poesia Sebastian im Traum (Sebastiano in sogno) offre una indicazione a tale riguardo: scorta. / Quieto il mirto fiorisce sulle palpebre bianche del morto» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 244-245). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 48.

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«O wie stille ein Gang den blauen Fluß hinab Vergessenes sinnend, da im grünen Geäst Die Drossel ein Fremdes in den Untergang rief».

Qui l’anima, ein Fremdes, è chiamata da un uccello (un tordo) entro la dimensione del tramonto; il tramontare dell’anima avviene nella quiete e nel silenzio, ricordando cose obliate, immagini che si inseguono; il tempo in cui l’anima solitaria tramonta scendendo lungo il fiume azzurro è “il tempo dolce dell’amore”. L’ultima strofa di Verklärter Herbst (Autunno trasfigurato) suona: «Es ist der Liebe milde Zeit. Im Kahn den blauen Fluß hinunter Wie schön sich Bild an Bildchen reiht – Das geht in Ruh und Schweigen unter».

L’anima che tramonta nella quiete e nel silenzio della sera procede come una barca lungo un fiume che allude al “crepuscolo spirituale” (geistliche Dämmerung) dell’azzurro della notte, un crepuscolo che, in quanto declinare del sole, non riguarda soltanto il declino del giorno: può riguardare anche il declino dell’anno. L’ultima strofa della poesia Sommersneige (Declino dell’estate) suona: «Der grüne Sommer ist so leise Geworden und es läutet der Schritt Des Fremdlings durch die silberne Nacht.

. «Oh, il quieto andare lungo il fiume azzurro / Ripensando cose dimenticate, quando dai verdi rami / Il tordo chiamava uno straniero nel tramonto» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 166-167). . «È il tempo dolce dell’amore. / In barca, lungo il fiume azzurro / Come soavi s’inseguono le immagini – / E tutto, in silenzio e pace, va in rovina» (ibid., pp. 44-45).

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L’azzurro dell’anima

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Gedächte ein blaues Wild seines Pfads, Des Wohllauts seiner geistlichen Jahre!».

Come il sole del giorno scivola via lentamente (leise) nella sera da cui sorge l’azzurro della notte, così l’estate scivola via lentamente nell’autunno, nella sera dell’anno; in questo scivolar-via perdendosi nell’argentea notte risuona il passo notturno di uno straniero, contrappunto dell’anima straniera sulla terra, chiamato entro il tramonto dal canto di un uccello; sulla via del passo notturno, e quindi “argenteo-lunare”, dello straniero tramontato, si incontra “un azzurro animale” (ein blaues Wild), che il poeta esorta a “serbare memoria” (gedenken) dei sentieri lungo i quali lo straniero pensa cose obliate (Vergessenes sinnt), a serbare memoria dell’eufonia (Wohllaut) degli “anni spirituali” nei quali lo straniero si è ormai inoltrato. Chi è, si chiede Heidegger, questa fiera azzurra? Intanto è manifesto che il suo colore riflette l’azzurro crepuscolare che spiritualmente imbruna apportando la notte. Nella poesia Abendländisches Lied (Canto dell’occidente), Trakl indica la notte con le parole: «O, das sanfte Zyanenbündel der Nacht»; se qui la notte viene evocata come “il tenero fascio di fiordalisi”, nel Gesang des Abgeschiedenen (Canto del dipartito) viene invece indicato «das Wohnen in der beseelten Bläue der Nacht», “l’abitare nell’azzurro animato della notte”, mentre in Unterwegs (In cammino) viene mostrato «das hyazinthene Antlitz der Dämmerung», “il volto giacinteo del crepuscolo”. Il contatto con l’azzurro della notte trasforma infine l’animale in una “timida fiera” (ein scheues Wild)10, in un . «La verde estate è così lieve / Ormai e rintocca il passo / Dello straniero nell’argentea notte. / Oh ricordasse un azzurro animale il suo sentiero, / L’armonia dei suoi anni puri!» (ibid., pp. 270-271). . Cfr. ibid., p. 222. . Ibid., p. 284. . Ibid., p. 156. 10. Cfr. la poesia Kindheit (Infanzia), ibid., p. 160.

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“mite animale” (ein sanftes Tier)11, che nella poesia Verwandlung (Metamorfosi) viene indicato come “un animale blu che si piega di fronte alla morte” (Ein blaues Tier will sich vorm Tod verneigen)12. Il fascio dell’azzurro notturno raccoglie in tal modo la profondità del Sacro (die Tiefe des Heiligen), il quale dona il suo avvento (Ankunft) nell’attimo in cui si mantiene nel suo sottrarsi (Entzug), dona cioè la sua chiarità (Helle) nell’attimo in cui si mantiene nell’oscurità (ins Dunkel); il Sacro così evocato esprime, a ben vedere, la verità dell’essere come ¢l»qeia, come l’evento del dispiegarsi della duplicità di essere-presente e di essente-presente. In quanto chiarità (Helle) che si nasconde nell’oscurità, il Sacro è anche risuonante (hallend): il Sacro è il Dire originario che risuona come suono della quiete13. Ecco perché nella poesia Kindheit si dice che “nel sacro azzurro risuonano passi lucenti” (in heiliger Bläue läuten leuchtende Schritte fort)14, di un risuonare che nella poesia Ruh und Schweigen (Pace e silenzio) diviene uno “sfiorare”: “il Sacro dei fiori azzurri […] sfiora il contemplante” ([…] rührt […] Den Schauenden, das Heilige blauer Blumen)15. L’azzurro così insistentemente evocato da Trakl non è tuttavia, secondo Heidegger, una semplice immagine (Bild) atta ad “esprimere” il senso del Sacro16. L’azzurro (die Bläue) è, in quan11. Cfr. la poesia An den Knaben Elis (Al fanciullo Elis), ibid., p. 146. 12. Ibid., p. 92. 13. «Die ins Dunkel geborgene Helle ist die Bläue. Hell, d. h. hallend, ist ursprünglich der Ton, der aus dem Bergenden der Stille ruft und also sich lichtet. Die Bläue hallt in ihrer Helle, indem sie läutet. In ihrer hallenden Helle leuchtet das Dunkel der Bläue» (UzS, p. 44). 14. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 161. 15. Cfr. ibid., p.172. 16. Significative risultano, a tale proposito, le riflessioni di Wassily Kandinsky contenute nel saggio Über das Geistige in der Kunst, Insbesondere in der Malerei, ed. it. a cura di Elena Pontiggia, Lo spirituale nell’arte, SE, Milano 1989, pp. 63-65: «La profondità la troviamo nel blu […]. La vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde

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to profondità che raccoglie il disperso e che risplende solo nel suo occultarsi come Differenza, il Sacro stesso, di fronte al quale il viso dell’animale, rivolto a rammemorare il sentiero percorso dallo straniero, quel sentiero lungo il quale risuona l’armonia degli anni spirituali, irrigidisce, trasformandosi nel sembiante di una fiera azzurra che si ritrae entro la dimensione della mitezza; a questa metamorfosi (Verwandlung) si accenna nella poesia Nachtlied (Canto notturno): «Des Unbewegten Odem. Ein Tiergesicht Erstarrt vor Bläue, ihrer Heiligkeit. Gewaltig ist das Schweigen im Stein. Die Maske eines nächtlichen Vogels. Sanfter Dreiklang Verklingt in einem. Elai! Dein Antlitz Beugt sich sprachlos über bläuliche Wasser. O! ihr stillen Spiegel der Wahrheit. An des Einsamen elfenbeinerner Schläfe Erscheint der Abglanz gefallener Engel»17.

diviene più intensa e intima. Più il blu è profondo e più richiama l’idea di infinito, suscitando la nostalgia della purezza e del soprannaturale […]. Il blu è il colore tipico del cielo. Se è molto scuro dà un’idea di quiete […]. Da un punto di vista musicale l’azzurro assomiglia a un flauto, il blu a un violoncello o, quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso; nella sua dimensione più scura e solenne ha il suono profondo di un organo». Va ricordato che per Kandinsky «il giallo è il colore tipico della terra», mentre il verde, che nasce dalla fusione di azzurro e giallo, esprime il loro «equilibrio ideale» (ibid., p. 62 e p. 65). 17. «Respiro dell’immoto. Sembiante d’animale / Stupefatto d’azzurro, della sua sacralità. / Potente è il silenzio della pietra. / Maschera d’uccello notturno. Triade soave / Si spegne in unisono. Elai! Il tuo volto / si china muto su acque cilestrine. / Oh, quieti specchi della verità. / All’eburnea tempia del solitario / Sale il riflesso d’angeli caduti» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 126-127).

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Nell’immobilità del respiro notturno un volto d’animale irrigidisce (erstarrt) di fronte alla sacralità dell’azzurro; fissando il Sacro, l’animale entra nella quiete silenziosa della pietra che raccoglie e concentra il dolore, forza pietrificante che placa e acquieta: si tratta, qui come in altri luoghi della poesia di Trakl, del dolore che corrisponde alla chiamata della Differenza fra essere-presente ed essente-presente, e quindi all’esperienza angosciosa della dipartenza dall’ente. Intanto il possente silenzio della pietra, attraverso l’impercettibile movimento della maschera di un uccello notturno e lo spegnersi all’unisono di un triplice accordo sonoro, lascia apparire la silenziosa figura di Elai-Elis, il cui volto, chinandosi muto (sprachlos) su acque azzurrine che richiamano i “quieti specchi della verità”, sembra riprodurre sull’eburnea tempia ciò che tali specchi a loro volta riflettono, vale a dire “il riflesso di angeli caduti”. La solitaria figura della dipartenza, lo straniero che tramonta in pace e silenzio lungo il cammino verso l’azzurro crepuscolare del Sacro, assume il volto e il nome di Elai-Elis. Il significato di questa figura-chiave della poetica trakliana rimane per il momento avvolto nel mistero della sua remota provenienza, di una lontananza che rende tuttavia ancora più urgente la risposta alla domanda: «Chi è la fiera azzurra che il poeta esorta a serbare memoria dello straniero?»18. E ancora, dal momento che lo straniero sembra ormai aver assunto il volto di Elai-Elis, quale rapporto sussiste fra quest’ultimo e la “fiera azzurra” che, di fronte alla sacralità dell’azzurro, depone la sua ferinità per assumere il quieto sembiante della mitezza? Secondo Heidegger, l’animale in questione è l’uomo quale si è configurato nella storia della metafisica occidentale a partire da Platone, quell’animal rationale che lo stesso Nietzsche considera non ancora fest gestellt, non ancora saldamente fissato nel suo autentico essere: è l’uomo contemporaneo (der jetzige Mensch), la cui animalità non è ancora pervenuta al sicuro (ins 18. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 51.

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Feste), nel luogo d’origine della sua essenza velata. È l’uomo che comprende il tempo a partire dallo Jetzt, dall’ora-presente in relazione al quale il futuro è semplicemente il non-ancora-presente, e il passato soltanto il non-più-presente, l’uomo che non è ancora pervenuto all’attimo (Augen-blick) che dischiude il futuro autentico come avvento dell’esser-stato, poiché non è stato ancora sfiorato dall’azzurro crepuscolare del Sacro. La “fiera azzurra” indica in tal modo quei mortali che, memori dei “sentieri lunari” dello straniero, si incamminano verso il luogo d’origine della loro essenza umana tuttora velata, vale a dire verso la regione del Sacro, di fronte al quale l’anima, illuminata dalla sua luce, diviene “un attimo d’azzurro” (ein blauer Augenblick)19. La fiera azzurra indica quei pochi e sconosciuti viandanti, i quali, errando al seguito dello straniero per gli oscuri sentieri che conducono alla porta dolorosa della Differenza, si piegano a quella “morte” che, lungi dal significare la fine della vita terrena biologicamente considerata, indica poeticamente il “tramonto” entro il quale viene chiamato “lo straniero”, che, proprio perché destinato a tale meta, viene nominato da Trakl, nella parte finale della poesia Siebengesang des Todes (Canto a sette della morte) con l’espressione ein Totes (un morto): «Bläulich dämmert der Frühling, unter saugenden Bäumen Wandert ein Dunkles in Abend und Untergang, Lauschend der sanften Klage der Amsel. Schweigend erscheint die Nacht, ein blutendes Wild, Das langsam hinsinkt am Hügel. 19. «Im dichtenden Namen “blaues Wild” ruft Trakl jenes Menschenwesen, dessen Antlitz, d. h. Gegenblick, im Denken an die Schritte des Fremdlings von der Bläue der Nacht er-blickt und so vom Heiligen beschienen wird. Der Name „blaues Wild“ nennt Sterbliche, die des Fremdlings gedenken und mit ihm das Einheimische des Menschenwesens erwandern möchten» (UzS, p. 46). Cfr. anche Kindheit, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 160: «Ein blauer Augenblick ist nur mehr Seele».

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In feuchter Luft schwankt blühendes Apfelgezweig, Löst silbern sich Verschlungenes, Hinsterbend aus nächtigen Augen; fallende Sterne; Sanfter Gesang der Kindheit. Erscheinender stieg der Schläfer den schwarzen Wald hinab, Und es rauschte ein blauer Quell im Grund, Daß jener leise die bleichen Lider aufhob Über sein schneeiges Antlitz; Und es jagte der Mond ein rotes Tier Aus seiner Höhle; Und es starb in Seufzern die dunkle Klage der Frauen. Strahlender hob die Hände zu seinem Stern Der weiße Fremdling; Schweigend verläßt ein Totes das verfallene Haus. O des Menschen verweste Gestalt; gefügt aus kalten Metallen, Nacht und Schrecken versunkener Wälder Und der sengenden Wildnis des Tiers; Windesstille der Seele. Auf schwärzlichem Kahn fuhr jener schimmernde Ströme hinab Purpurner Sterne voll, und es sank Friedlich das ergrünte Gezweig auf ihn, Mohn aus silberner Wolke»20. 20. «Cilestrina incupisce la primavera, sotto avidi alberi / Vaga un Oscuro per la sera e il tramonto / Attento al soave lamento del merlo. / Tacita viene la notte, animale ferito / Che lento s’accascia sul colle. / Nell’aria umida ondeggiano rami fioriti di melo, / Argenteo si scioglie un abbraccio / E muore da occhi notturni; stelle cadenti; / Canto soave d’infanzia. / Apparve il dormiente e discese per il bosco nero / E scrosciava un’azzurra sorgente nel fondo; / E quello alzò piano le pallide palpebre / Sul suo volto di neve; / E la luna scacciò un rosso animale / Dalla sua tana; / E si spense in sospiri il cupo lamento delle donne. / Radioso levò le mani alla sua stella / Il bianco

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All’inizio di questa poesia, nel cui “settemplice canto” risuona “la sacralità della morte” (das Heilige des Todes), compare, avvolto nell’azzurro crepuscolare della primavera, un Oscuro (ein Dunkles) vagante nella sera e nel tramonto (in Abend und Untergang), attento al dolce lamento del merlo (lauschend der sanften Klage der Amsel): l’uccello che chiama lo straniero entro il tramonto si mostra ora come un merlo. Con il tacito apparire della notte, un animale sanguinante (ein blutendes Wild) si accascia lentamente sul colle; ondeggiano rami fioriti, si scioglie argenteo un abbraccio, si ode un canto soave d’infanzia, appare il dormiente (der Schläfer) che discende lungo il bosco nero, mentre nel fondo (im Grund) scroscia un’azzurra sorgente (ein blauer Quell). Quello (jener), il dormiente, solleva piano le pallide palpebre sul suo volto niveo, mentre la luna scaccia dalla sua tana un rosso animale (ein rotes Tier); si spegne in sospiri un cupo lamento di donne, finché il bianco straniero (der weiße Fremdling), un morto (ein Totes), abbandona silenziosamente la casa in rovina (das verfallene Haus). Si mostra quindi, già evocata dalle immagini dell’“animale sanguinante” e del “rosso animale”, la “figura disfatta dell’uomo”, contrappunto negativo del “bianco straniero”, del “morto” che, chiamato dal soave lamento del merlo all’ascolto della “venerabile saga dell’azzurra sorgente”, ha ormai silenziosamente lasciato la casa in rovina, abitata ancora dalla verweste Gestalt des Menschen, da quella fredda e metallica stirpe degenerata, abbandonata al tormento della sua “bruciante ferinità” perché, fa notare Heidegger, «la sua natura selvaggia non è filtrata dalla luce dell’azzurro. L’anistraniero; / Tacendo una morta parvenza lascia la casa in rovina. / Oh, disfatta figura dell’uomo: foggiata di freddi metalli, / Notte e orrore di boschi inabissati / E della ferinità bruciante della bestia. / Bonaccia dell’anima. / Su livida barca quello discese fiumi lucenti, / Folti di stelle purpuree e cadevano / Placidi su lui i rinverditi rami, / Papavero da nube d’argento» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 226-229).

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ma di questa figura umana non sta nel vento del Sacro. Essa è quindi senza cammino»21. Per questa figura umana decomposta che non riesce ancora a liberarsi dal “groviglio di spine” nel quale è avviluppata, “il vento di Dio risuona sempre soltanto su nere mura”22. All’opposto, allorché la “fiera selvaggia” perviene al compimento della sua essenza, la precedente “figura metallica” viene meno, l’uomo antico si trasforma23, ma ciò non può avvenire, non può farsi-evento (er-eignen) finché l’anno e il corso del sole si attardano nella fredda oscurità dell’inverno, finché un’“azzurra fiera” non serbi memoria del sentiero che lo straniero percorre con passo risuonante nell’azzurro spiritualmente crepuscolare della notte. Il crepuscolo spirituale, che prelude all’“eufonia” degli anni spirituali nei quali è entrato, morendo, lo straniero, è cantato da Trakl nella poesia dal titolo Geistliche Dämmerung (Crepuscolo spirituale): «Stille begegnet am Saum des Waldes Ein dunkles Wild; Am Hügel endet leise der Abendwind, Verstummt die Klage der Amsel, Und die sanften Flöten des Herbstes Schweigen im Rohr. Auf schwarzer Wolke Befährst du trunken von Mohn Den nächtigen Weiher, Den Sternenhimmel. 21. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 52. 22. Cfr. la poesia Elis, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 150-151. 23. «Das blaue Wild hat, wo und wann es west, die bisherige Wesensgestalt des Menschen verlassen. Der bisherige Mensch verfällt, insofern er sein Wesen verliert, d. h. er verwest» (UzS, p. 46).

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Immer tönt der Schwester mondene Stimme Durch die geistliche Nacht»24.

Con il lieve morire del vento della sera, di nuovo appare “un oscuro animale”; cessa il richiamo lontano del merlo e tacciono nel canneto i soavi flauti d’autunno. Sopra una nube nera25, il poeta solca, ebbro d’oppio, il “lago notturno” del cielo stellato, le cui acque, dominate dall’azzurro crepuscolare, riflettono la fresca luce proveniente dalla luna, al cui fulgore perfino le stelle impallidiscono. Attraverso l’azzurro del crepuscolo spirituale, dove tutto diventa “lunare”, risuona sempre, come un’eco dei passi dello straniero che cammina nella notte, la “voce lunare” (mondene Stimme) della sorella-anima, che il fratello-poeta, ancora in ascolto nella nera nube-barca, cerca di seguire; la voce lunare della sorella-anima “straniera sulla terra” predispone in tal modo i mortali allo spirito della dipartenza, al viaggio notturno sul lago del cielo stellato: «Quando i mortali nel loro peregrinare seguono ciò che, come straniero, è chiamato entro il tramonto – ora diremo semplicemente: quando seguono lo straniero –, allora giungono essi stessi in terra straniera, e diventano essi pure stranieri e solitari»26. Con il viaggio attraverso il cielo che sovrasta la terra, tuttavia, l’anima che dilegua nel declinante 24. «Quieto s’incontra all’orlo del bosco / Un oscuro animale; / Sul colle muore lieve il vento della sera, / Cessa il lamento del merlo, / E i flauti soavi d’autunno / Tacciono nel canneto. / Su nera nube / Solchi inebriato d’oppio / Lo stagno notturno, / Il cielo stellato. / Sempre suona la voce lunare della sorella / Per la notte sacra» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 218-219). 25. Cfr. le riflessioni di Kandinsky sulla ambivalenza simbolica del colore nero: «E come un nulla senza possibilità, come la morte del nulla dopo che il sole si è spento, come un eterno silenzio senza futuro e senza speranza, risuona dentro di noi il nero. Da un punto di vista musicale si può paragonare a una pausa finale: dopo, qualsiasi prosecuzione appare come l’inizio di un nuovo mondo, perché ciò che con questa pausa si è compiuto è terminato per sempre: il circolo è chiuso» (W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 67). 26. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 54.

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azzurro crepuscolare dell’anno spirituale e che diventa perciò “anima autunnale”, “anima azzurra”, non abbandona al suo destino la terra; all’opposto, essa attinge con il suo peregrinare, ossia esperisce autenticamente (er-fährt), come mostra la poesia Ein Winterabend (Una sera d’inverno), la terra nella sua “fresca linfa”27. Il disporsi del cielo “sopra” la terra prelude in tal modo alla figura del Geviert (quadrato), che costituisce, come si vedrà in seguito, il punto di approdo della Erörterung heideggeriana del poema di Trakl, di una “localizzazione” che deve ancora individuare l’origine, la natura e il significato di quella verweste Welt da cui lo straniero dipartito, con la sorella-anima che diviene “anima azzurra” e “anima autunnale”, si distacca. Nella terza strofa della poesia intitolata Herbstseele (Anima d’autunno), in un’atmosfera pervasa da “angoscia di nero silenzio”, Trakl lascia risuonare i seguenti versi: «Bald entgleitet Fisch und Wild. Blaue Seele, dunkles Wandern Schied uns bald von Lieben, Andern. Abend wechselt Sinn und Bild»28.

I viandanti che seguono lo straniero nel tramonto si vedono presto (bald) separati dai propri simili, dai “cari” che sono ormai divenuti “gli altri”, perché segnati da ciò che in Siebengesang des Todes viene indicata come la “figura corrotta” (verweste Gestalt) dell’uomo. Improntata a tale corruzione (Verwesung), 27. «Durch die Fahrt auf dem nächtigen Sternenweiher, das ist der Himmel über der Erde, er-fährt die Seele die Erde erst als Erde in ihrem „kühlen Saft“» (UzS, p. 49). Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 200-201: «Golden blüht der Baum der Gnaden / Aus der Erde kühlem Saft (Aureo fiorisce il tronco della grazia / Dal fresco succo della terra)». 28. «Dileguano i pesci e l’altre bestie. / Anima azzurra; oscuro vagare / Ci staccò presto dai cari, dagli altri. / Mutano a sera senso e immagine» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 196-197).

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la natura umana (das Geschlecht), tanto nella sua articolazione in stirpi, schiatte e famiglie, quanto nella duplicità dei sessi maschile e femminile, appare “sfatta” e “degradata”, al punto che nella prosa lirica Traum und Umnachtung Trakl allude alla “stirpe dannata” (das verfluchte Geschlecht) inghiottita dalla notte29. Da quale maledizione (Fluch) è stata colpita questa stirpe? La risposta fornita da Heidegger a tale decisiva questione può apparire singolare nel suo reticente tentativo di aggirare, senza mai indicarlo esplicitamente, il problema della relazione incestuosa che Trakl avrebbe intrattenuto con la sorella Grete, e tuttavia risulta coerente con la sua prospettiva fenomenologicoermeneutica, tesa essenzialmente all’ascolto del messaggio proveniente dal Gedicht, dal “luogo poetico” della poesia di Trakl, senza minimamente considerare gli aspetti storici, biografici, sociologici e psicoanalitici che caratterizzano viceversa il modo di procedere di qualsiasi interpretazione “moderna” e “biograficamente” aggiornata della sua produzione poetica30: «La maledizione che colpisce la stirpe in disfacimento consiste nel fatto che questa vecchia stirpe è nella dilacerante discordia dei sessi. Per tale discordia ciascuno dei sessi tende all’erompere sfrenato dell’animalità pura ed egoistica della bestia. Non la duplicità 29. Cfr. ibid., pp. 262-263. Secondo Paola Gheri la Verwesung trakliana, intesa letteralmente come “venir meno dell’essere”, come “perdita della sostanza-essenza” riconduce alla definizione scolastica del peccato come inopia entis: “Verwesung” non esprime un processo di decomposizione biologica, ma, attraverso l’idea della dispersione cellulare, rimanda alla stessa vanificazione della sostanza e della forma individuale di ogni cosa […]. La Verwesung trakliana consegna tutte le forme sensibili, la realtà intera al Nulla […]» (P. Gheri, Der Wahrheit geben, was der Wahrheit ist. Gli inizi poetici di Georg Trakl, cit., p. 28). 30. Clio Pizzingrilli, nella sua Idea di biografia che accompagna la traduzione italiana dell’epistolario di Trakl, considera l’esegesi trakliana compiuta da Heidegger, «più un’operazione di Aufhebung misticizzante che non l’elaborazione di una complessità ontologica» (G. Trakl, Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914, Quodlibet, Macerata 2006, p. 229).

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per sé, ma la discordia è maledizione. Per la cieca animalità cui conduce, la discordia porta la stirpe alla dilacerazione e la getta così nella sfrenatezza della individualizzazione egoistica»31. Così dilacerata (entzweit) e frantumata (zerschlagen), ossia gettata nella cieca sfrenatezza dell’autoaffermazione individuale, “la stirpe decaduta” (das verfallene Geschlecht) ha perduto la capacità (Vermögen) di ritrovare la giusta impronta (der rechte Schlag) della duplicità (das Zwiefache) degenerata nella discordia (in die Zwietracht). La giusta impronta della duplicità può esserci di nuovo soltanto per la stirpe sulla via del ritorno (das heimkehrende Geschlecht), che assume il volto di un “giovinetto morente”, vale a dire «per quella stirpe in cui la dualità si stacca dalla discordia e trapassa nella mitezza di una duplicità che è insieme semplicità o unità»32; per quella stirpe che, abbandonata la discordia della lacerazione egoistica di fratello e sorella, segue i sentieri dello straniero dipartito, entrando così nella “neutra” dimensione della “cosa straniera” (ein Fremdes), di cui la “voce lunare” della sorella, figura-chiave dell’intera lirica trakliana, costituisce la prefigurazione, e che trova il suo compimento, come si vedrà in seguito, negli “occhi lunari” del fanciullo Elis33. 31. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 55. In Sein und Zeit Heidegger afferma che l’essere dell’Esserci, ossia la Cura, in quanto progetto gettato, significa “il nullo esser-fondamento di una nullità”, il che rende l’Esserci, come tale, colpevole. Se la nullità essenziale della Cura costituisce il fondamento della possibilità della nullità dell’Esserci non-autentico nella deiezione (Verfallen), ne consegue che non è la violazione del dovere e della legge morale a rendere colpevole l’Esserci, all’opposto, ogni colpevolezza morale diviene prima di tutto possibile sul fondamento dell’esser-colpevole originario dell’Esserci gettato nella deiezione: «Durch die Moralität kann das ursprüngliche Schuldigsein nicht bestimmt werden, weil sie es für sich selbst schon voraussetzt» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 286) 32. Ibidem. 33. Interpretando la figura archetipica di Elis, alla luce della prospettiva della Tiefenpsychologie junghiana, come espressione dell’intuizione inconscia di una “intatta unità aurorale”, così si esprime Ida Porena: «L’entelechia ori-

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Rispetto allo straniero chiamato ad allontanarsi nell’azzurro della notte spirituale, i discendenti della stirpe in disfacimento rimangono “gli altri”; lo straniero diviene così “quello” (jener), “il dipartito” (der Abgeschiedene), l’altro rispetto agli altri. L’anima al seguito dello straniero, l’anima peregrina che diviene “anima azzurra”, deve a sua volta staccarsi dai propri cari, deve perdersi (sich verlieren) nel tramonto serale che “muta senso e immagine”, che offre cioè «altro da vedere, altro da meditare»34. Il perdersi dello straniero nel tramonto verso l’anno spirituale, sebbene debba passare attraverso ciò che Trakl chiama, nella poesia Helian, “la nera distruzione di novembre”35 che prelude al freddo inverno, non è un precipitare nel vuoto della nientificazione, non è, in altri termini, uno sprofondare “nichilistico”: «Chi si perde, scompare, sì, nella distruzione di novembre, ma non sprofonda in essa. Egli scivola via attraverso questa, verso il crepuscolo spirituale dell’azzurro, verso il vespero, incontro, cioè, alla sera»36. Mutando senso e immagine, la sera trasforma sia il dire (die Sage) della poesia, sia il dire del pensiero, sia il loro colloquio, proprio perché soltanto tramontando lo straniero, il dipartito, si porta all’inizio (in den Beginn) della sua peregrinazione, vale a dire in quel “luogo” nel quale tutte le cose sono raccolte, custodite e conservate per un altro inizio37. Si può ginaria, l’unità uroborica di maschile e femminile è l’impronta archetipica del destino trakliano. L’incesto che essa configura è un incesto mitico su cui si modella la psiche del poeta e dal quale è dominata la sua vita. L’incesto reale vi è contenuto e prefigurato» (I. Porena, La verità dell’immagine. Una lettura di Georg Trakl, cit., p. 44). 34. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 56. 35. «Zur Vesper verliert sich der Fremdling in schwarzer Novemberzerstörung […] (Al vespro si perde lo straniero nel buio sfacelo del novembre […])», G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 130-131. 36. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 56. 37. «Doch wohin geleitet der Abend das dunkle Wandern der blauen Seele? Dorthin, wo alles anders zusammengekommen, geborgen und für einen anderen Aufgang verwahrt ist» (UzS, p. 52).

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a questo punto indicare l’oscuro peregrinare dell’anima azzurra al seguito dello straniero dipartito, ossia il peregrinare della “anima straniera sulla terra” alla ricerca della terra come terra, del “senso” della terra, come “la svolta nell’evento” (die Kehre im Ereignis); tale svolta è la dipartenza (die Abgeschiedenheit), poiché colui che viene chiamato al tramonto nell’azzurro della notte spirituale è il dipartito (der Abgeschiedene). La dipartenza è il punto di confluenza, “la punta della lancia” (Ort), verso il quale i singoli componimenti poetici di Trakl rimandano e dal quale attingono la luce che concede il dispiegarsi di ciò che in essi appare come “ritmo”: «La Erörterung deve, a questo punto, compiere un secondo passo e cercare di investigare il luogo che finora è stato solo indicato, così da portarlo a migliore evidenza»38. La Erörterung compiuta da Heidegger deve, in altri termini, portare dinanzi allo sguardo meditante, che è proprio del vedere e mostrare fenomenologico, la regione lungo la quale si snodano i sentieri che il dipartito è chiamato a percorrere, quei “sentieri lunari dei dipartiti” che prefigurano “le vie nell’evento” (die Wege ins Ereignis).

38. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 56.

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Capitolo terzo

La dipartenza come essere-per-la-morte: la figura di Elis

A

ssumere la dipartenza come luogo del poema di Trakl significa seguire con sguardo meditante i sentieri dello straniero, del dipartito, che si snodano nella sacra regione dell’azzurro della notte spirituale, quei sentieri che nella poesia Gesang des Abgeschiedenen (Canto del dipartito) vengono indicati come “i sentieri lunari dei dipartiti” (die mondenen Pfade der Abgeschiedenen). I dipartiti vengono chiamati da Trakl anche “i morti” (die Toten); nella poesia Psalm (Salmo) compare un folle che è morto (Der Wahnsinnige ist gestorben), uno straniero che viene seppellito (Man begräbt den Fremden) e che nella sua tomba, divenuto ormai un “mago bianco”, gioca con le sue serpi (In seinem Grab spielt der weiße Magier mit seinen Schlangen), la cui malvagità si è stranamente trasformata, a differenza di quanto accade nella poesia Die Verfluchten (I maledetti), dove nel grembo sconvolto di una donna s’impenna pigro un nido di serpi scarlatte. Il dipartito, il morto, è il folle (der Wahnsinnige) la cui follia, lungi dall’essere un fantasticare cose insensate, significa pensare (sinnen) in un modo diverso rispetto agli “altri”, ai “cari” da cui egli prende congedo, significa mettersi in cam. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 286. . Cfr. ibid., pp. 88-91. . «Ein Nest von scharlachfarbnen Schlangen bäumt / Sich träg in ihrem aufgewühlten Schoß» (ibid., p. 188).

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mino (unterwegs) verso un altro luogo, verso quel “suono della quiete” che rende “mite” (sanft) la sua stessa follia. Nella poesia An einen Frühverstorbenen (A un fanciullo morto), la dipartenza dello straniero, di quell’altro (Jener) rispetto agli altri, si manifesta compiutamente nella sua natura di “luogo” destinato a riunire l’intero universo simbolico della lirica trakliana: «O, der schwarze Engel, der leise aus dem Innern des Baums trat, Da wir sanfte Gespielen am Abend waren, Am Rand des bläulichen Brunnens. Ruhig war unser Schritt, die runden Augen in der braunen Kühle [des Herbstes, O, die purpurne Süße der Sterne. Jener aber ging die steinernen Stufen des Mönchsbergs hinab, Ein blaues Lächeln im Antlitz und seltsam verpuppt In seine stillere Kindheit und starb; Und im Garten blieb das silberne Antlitz des Freundes zurück, Lauschend im Laub oder im alten Gestein. Seele sang den Tod, die grüne Verwesung des Fleisches Und es war das Rauschen des Walds, Die inbrünstige Klage des Wildes. Immer klangen von dämmernden Türmen die blauen Glocken [des Abends. Stunde kam, da jener die Schatten in purpurner Sonne sah, Die Schatten der Fäulnis in kahlem Geäst; Abend, da an dämmernder Mauer die Amsel sang, Der Geist des Frühverstorbenen stille im Zimmer erschien. O, das Blut, das aus der Kehle des Tönenden rinnt, Blaue Blume; o die feurige Träne Geweint in die Nacht. Goldene Wolke und Zeit. In einsamer Kammer Lädst du öfter den Toten zu Gast,

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Wandelst in trautem Gespräch unter Ulmen den grünen Fluß [hinab».

Nella prima strofa appaiono due dolci compagni che giocano con passo calmo, gli occhi rotondi, nella bruna frescura dell’autunno sotto la purpurea dolcezza degli astri, sull’orlo dell’azzurra sorgente, accompagnati dall’angelo nero uscito da un tronco incavato. Ma improvvisamente quello (Jener) si stacca dall’amico, scende i gradini pietrosi del Mönchsberg (uno dei colli che sovrastano la città di Salisburgo), stranamente incrisalidato (seltsam verpuppt) nella sua infanzia più quieta, e muore. L’amico rimane solo con il suo viso argenteo, in ascolto nel fogliame o nell’antica pietra; mentre la sua anima canta la morte, il verde decomporsi (die grüne Verwesung) della carne, ossia della “stirpe degenerata”, si ode lo stormire del bosco, l’accorato lamento dell’animale morente e il lontano suono delle azzurre campane serali. Viene l’ora della sera in cui si ode il canto del merlo, l’ora in cui quello (Jener), il dipartito, lo spirito del morto precoce, compare silenziosamente nella stanza e scorge le ombre della decomposizione; il sangue gli scorre dalla gola risuonante, ed . «Oh, l’angelo nero che lieve usciva dall’albero cavo, / Quando giocavamo a sera, noi dolci compagni / Sull’orlo di azzurrina fonte. / Calmo era il nostro passo, gli occhi sgranati nella bruna frescura dell’autunno, / Oh, purpurea dolcezza delle stelle. / Ma lui discese i gradini pietrosi del Mönchsberg, / Un azzurro sorriso sul volto, strana crisalide / Nella sua infanzia più quieta, e morì. / E nel giardino rimase l’argenteo volto dell’amico / Origliante nel verde o tra le antiche pietre. / L’anima cantava la morte, il verde marcire della carne / Ed era il sussurro del bosco, / Il pianto accorato dell’animale. / Sempre giungevano da torri oscurate gli azzurri rintocchi della sera. / Venne l’ora che lui vide le ombre nel sole purpureo, / Le ombre della putredine tra i rami spogli; / Sera, quando sul muro oscurato il merlo cantava, / Quieta apparve nella stanza l’ombra del fanciullo. / Oh, il sangue che stilla dalla gola del Risonante, / Fiore azzurro; oh, lacrima ardente / Versata nella notte. / Nube dorata e tempo. In solitaria stanza / Spesso il morto tu accogli / E vaghi sotto gli olmi in fidente colloquio giù per il verde fiume» (ibid., pp. 214-217).

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L’azzurro dell’anima

è fiore azzurro, lacrima ardente versata nella notte. È il tempo della “nuvola d’oro”; un tu, ossia l’amico-poeta, invita spesso il fanciullo precocemente morto, peregrinando in confidente colloquio sotto gli olmi, lungo il verde fiume. Chi è, si chiede Heidegger, quello che, morendo, trapassa nel mattino, «avvolto in quella fanciullezza che custodisce, in una calma più profonda, tutto quello che – nella sfera selvaggia [dell’umano] – solo arde e devasta»? Chi è il fanciullo precocemente morto, la cui “voce giacintina” (die hyazinthene Stimme), al di là del “ponticello d’ossa”, “racconta sommessa l’obliata leggenda del bosco”, che il viandante al suo seguito, l’amico rimasto in ascolto, si dispone ad accogliere in confidente colloquio? Il fanciullo che precede nella morte il viandante-amico-fratello e che con la sua voce azzurra richiama e pre-dice (vor-sagt) la saga dimenticata, la figura che è passata nel tramonto al di là (über) della “figura corrotta dell’uomo” e che appare ormai come “un delicato cadavere” (Ein zarter Leichnam), assume, nella poesia dal titolo An den Knaben Elis (Al fanciullo Elis), il volto e il nome di Elis: «Elis, wenn die Amsel im schwarzen Wald ruft, Dieses ist dein Untergang. . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 58. . Cfr. la poesia Am Mönchsberg (Sul Mönchsberg), in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 178-179: «[…] Immer folgt dem Wandrer die dunkle Gestalt der Kühle / Über knöchernen Steg, die hyazinthene Stimme des Knaben, / Leise sagend die vergessene Legende des Walds, / Sanfter ein Krankes nun die wilde Klage des Bruders […] (L’oscura parvenza del gelo segue sempre il viandante / Sopra un ponte di ossa, la voce giacintina del fanciullo / Che narra sommessa la perduta leggenda del bosco, / Più quieto ora, quasi malato, il pianto selvaggio del fratello)». . Cfr. la poesia Sebastian in Traum, ibid., p. 162, nonché la terza versione di Passion, ibid., pp. 236-237: «[…] Wieder begegnet der zarte Leichnam / Am Tritonsteich / Schlummernd in seinem hyazinthenen Haar […] ([…] Ancora s’incontra l’esile salma / Allo stagno del tritone / Assopita nella chioma di giacinto […])».

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III. La dipartenza come essere-per-la-morte: la figura di Elis

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Deine Lippen trinken die Kühle des blauen Felsenquells. Laß, wenn deine Stirne leise blutet Uralte Legenden Und dunkle Deutung des Vogelflugs. Du aber gehst mit weichen Schritten in die Nacht, Die voll purpurner Trauben hängt, Und du regst die Arme schöner im Blau. Ein Dornenbusch tönt, Wo deine mondenen Augen sind. O, wie lange bist, Elis, du verstorben. Dein Leib ist eine Hyazinthe, In die ein Mönch die wächsernen Finger taucht. Eine schwarze Höhle ist unser Schweigen, Daraus bisweilen ein sanftes Tier tritt Und langsam die schweren Lider senkt. Auf deine Schläfen tropft schwarzer Tau, Das letzte Gold verfallener Sterne».

Il tramonto di Elis avviene nella sera, quando il merlo, l’uccello che annuncia la morte, chiama dalla nera foresta. Così mo. «Elis, quando il merlo chiama dal bosco nero, / Questo è il tuo tramonto. / Le tue labbra bevono la frescura dell’azzurra sorgente. / Lascia, se la fronte ti sanguina lieve, / leggende più antiche / E l’oscuro significato dei voli. / Pure tu vai con molli passi nella notte / Che pende folta di grappoli purpurei / E più bello muovi le braccia nell’azzurro. / Un roveto risuona / Dove sono i tuoi occhi lunari. / Oh da quanto, Elis, da quanto tu sei morto. / Il tuo corpo è un giacinto / In cui un monaco immerge le ceree dita. / Una caverna nera è il nostro silenzio; / Ne esce talora mite un animale / E lento cala le palpebre pesanti. / Sulle tue tempie stilla rugiada nera, / L’ultimo oro di consunte stelle» (ibid., pp. 146-147).

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rendo, Elis lascia, ossia “sopporta” (duldet), che la sua fronte “sanguini” più antiche saghe e l’oscuro significato del volo degli uccelli, poiché egli percorre ormai con morbidi passi la notte ricca di “grappoli purpurei” e muove “più bello” le sue braccia nell’azzurro. Il corpo di Elis è ormai un “giacinto”, al cui cospetto “il nostro silenzio”, il silenzio dei viandanti-mortali al suo seguito, è una “caverna nera” dalla quale esce “talvolta” (bisweilen), liberatosi dal groviglio di spine che lo avviluppa nella “figura corrotta dell’uomo”, un “mite animale” (ein sanftes Tier), che lentamente accetta la propria morte, mentre dalle tempie di Elis stilla “rugiada nera”, l’ultimo oro di stelle decadute: stilla l’ultima risonanza dell’antica saga che “sanguina” dalla sua fronte. Il tempo di Elis è il tempo della morte, di una morte che non è, tuttavia, la decomposizione “biologica” che giunge alla sera della vita, bensì la trasfigurazione “spirituale” che trapassa nella quiete del mattino primordiale10. La figura di Elis, al pari della figura di Zarathustra, assume così il suo senso autentico soltanto a partire dal tramonto: come il tramonto dello Zarathustra di Nietzsche sta ad indicare il distacco dal “fiume immondo” dell’uomo, il congedo da quell’essere “più spregevole di tutti” che è l’ultimo uomo, la cui unica grandezza consiste nell’essere non uno scopo, bensì un ponte, una transizione e un tramonto verso il superuomo o oltre-uomo (Übermensch)11, così «il tra. Così scrive Trakl a fine maggio-giugno del 1913 in una lettera alla casa editrice Kurt Wolff Verlag di Lipsia, a proposito della corretta composizione della seconda strofa della poesia An den Knaben Elis: «Egregio signore, su Sua richiesta Le comunico subito che il passo in questione nel capoverso è assolutamente giusto. “Laß” ha qui il significato di “dulden”, perciò niente virgola dopo “blutet”» (G. Trakl, Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914, cit., p. 110). Ne consegue che il blutet va inteso transitivamente come “colare”, “versare”, “trasudare”. 10. «Elis ist kein Toter, der im Späten des Abgelebten verwest. Elis ist der Tote, der in die Frühe entwest» (UzS, p. 55). 11. Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nes-

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monto di Elis porta nel mattino primordiale, mattino più antico che non l’invecchiata stirpe in disfacimento, più antico perché più pensoso, più pensoso perché più quieto, più quieto perché per essenza donatore di quiete»12. Nella quiete del mattino primordiale il “corpo giacinteo” di Elis è la manifestazione di una “infanzia più profonda” che, lungi dal mantenere la contrapposizione fra i sessi, raccoglie e custodisce la mite duplicità (die sanfte Zwiefalt) del fanciullo (Jüngling) e di ciò che nella poesia Das Herz (Il cuore), Trakl indica come “l’aurea figura della fanciulla” (Die goldne Gestalt der Jünglingin)13. Nella quiete del mattino primordiale, Elis, il morto-straniero-dipartito, dispiega anticipatamente, ossia pre-figura, l’autentica essenza dell’uomo, portandosi in tal modo nell’inizio (in den Anbeginn) di ciò che non è ancora giunto a maturazione, di ciò che non è stato ancora “partorito”. Quel qualcosa di “più quieto” e perciò “più silenzioso”, che non è ancora giunto a gestazione (Unausgetragene), è chiamato da Trakl das Ungeborene, il non-nato14: «Lo straniero che, morendo, è passato nel mattino è il non nato. I termini “il non nato” e “lo straniero” dicono la stessa cosa»15. Numerosi sono i luoghi della lirica trakliana nei quali compare la figura del non-nato: nella poesia Heiterer Frühling (Primavera serena) “il non nato bada al suo riposo” (Und Ungebornes pflegt der

suno, ed. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 199820, spec. il Prologo di Zarathustra, pp. 3-19. Va sottolineato come lo Zarathustra nietzscheano, al pari dell’anima “straniera sulla terra” di Trakl, si predisponga fin dall’inizio del suo peregrinare alla ricerca del senso della terra: «Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!» (p. 6). 12. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 58. 13. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 290. 14. «Jenes ruhendere und darum stillendere Unausgetragene im Wesen der Sterblichen nennt der Dichter das Ungeborene» (UzS, p. 55). 15. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 59.

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eignen Ruh)16, nella poesia Grodek, scritta pochi giorni prima della morte, Trakl evoca “i nipoti non nati” (Die ungebornen Enkel)17, mentre in un’altra poesia dal titolo Stundenlied (Canto delle ore) si indica “il sentiero del non nato accanto a cupi villaggi” (des Ungeborenen Pfad an finsteren Dörfern)18, come se tale sentiero passasse accanto a coloro che non sono capaci di accoglierlo come ospite. Così badando al suo riposo, fa notare Heidegger, Elis, il non nato, il fanciullo morto perché dipartito, e non perché defunto, vive, e vivendo custodisce e conserva, immerso e avvolto nell’azzurro protettivo della notte spirituale, la fanciullezza più quieta che prelude al futuro risveglio della stirpe umana decaduta; sulle sue bianche palpebre fiorisce il mirto19, simbolo della poesia amorosa che allude alla mite duplicità della stirpe umana sulla via del ritorno alla terra del mattino, alla quiete di un’infanzia più profonda e silenziosa. Il viaggio di Elis, dello straniero dipartito, è un viaggio solitario attraverso il lago azzurro del cielo stellato; tale viaggio si compie su una barca d’oro, che altro non è se non lo stesso cuore di Elis, del folle alla cui “dolce follia” spesso anche l’oro, il vero, si svela20. Il sentiero percorso da Elis si snoda attraverso gli “anni spirituali”, i cui giorni sono interamente rivolti verso il vero inizio (in den wahren Anbeginn) e sono tutti perciò “giusti” (gerecht). L’anno dell’anima di Elis, raccolto nella dimensione del giusto (in das Rechte) che contiene “legge e misura” (Maß und Gesetz)21, è il tempo originario (Urzeit) che raccoglie tutti i giorni della sua 16. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 28. 17. Ibid., p. 324. 18. Ibid., p. 154. 19. Cfr. la poesia Frühling der Seele (Primavera dell’anima), ibid., p. 244. 20. Cfr. la poesia Winkel am Wald (Angolo del bosco), ibid., pp. 42-43: «Auch zeigt sich sanftem Wahnsinn oft das Goldne, Wahre (E spesso a un dolce delirio si svela l’oro, il vero)». 21. Cfr. la poesia Gesang des Abgeschiedenen (Canto del dipartito), ibid., p. 286.

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fanciullezza: è il tempo vero dell’avvento di ciò che è stato, che Trakl annuncia nella poesia dal titolo Elis: 1. «Vollkommen ist die Stille dieses goldenen Tags. Unter alten Eichen Erscheinst du, Elis, ein Ruhender mit runden Augen. Ihre Bläue spiegelt den Schlummer der Liebenden. An deinem Mund Verstummten ihre rosigen Seufzer. Am Abend zog der Fischer die schweren Netze ein. Ein guter Hirt Führt seine Herde am Waldsaum hin. O! wie gerecht sind, Elis, alle deine Tage. Leise sinkt An kahlen Mauern des Ölbaums blaue Stille, Erstirbt eines Greisen dunkler Gesang. Ein goldener Kahn Schaukelt, Elis, dein Herz am einsamen Himmel. 2. Ein sanftes Glockenspiel tönt in Elis’ Brust Am Abend, Da sein Haupt ins schwarze Kissen sinkt. Ein blaues Wild Blutet leise im Dornengestrüpp. Ein brauner Baum steht abgeschieden da; Seine blauen Früchte fielen von ihm.

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Zeichen und Sterne Versinken leise im Abendweiher. Hinter dem Hügel ist es Winter geworden. Blaue Tauben Trinken nachts den eisigen Schweiß, Der von Elis’ kristallener Stirne rinnt. Immer tönt An schwarzen Mauern Gottes einsamer Wind»22.

Il tempo di Elis è il tempo silenzioso del giorno d’oro, nel quale il fanciullo appare in riposo con occhi rotondi, il cui azzurro rispecchia il sonno degli amanti riuniti nella mite duplicità dei sessi. Il tempo di Elis è il tempo degli “anni spirituali”, il tempo nel quale vige “legge e misura”, quella giustizia attestata dal pescatore che ritira alla sera le “reti pesanti” e dal pastore che conduce il suo gregge al pascolo; i giorni di questo tempo sono tutti giusti, e corrispondono al tempo della morte di Elis, al tempo nel quale, mentre scende l’azzurra quiete dell’ulivo, svanisce l’oscuro canto del vecchio, ossia della “disfatta figura 22. «1. Perfetta è la quiete in questo giorno d’oro. / Sotto antiche querce / Tu appari, Elis, immoto, con gli occhi tondi. / Il loro azzurro rispecchia il sopore degli amanti. / Sulla tua bocca / Tacquero i loro rosei sospiri. / A sera trasse il pescatore le pesanti reti. / Un bravo pastore / Guida il suo gregge lungo il bosco. / Oh, come sono giusti, Elis, tutti i giorni tuoi! / Lieve cala / Su mura spoglie l’azzurra quiete dell’ulivo. / Si spegne l’oscuro canto di un vecchio. / Barca dorata / Dondola, Elis, il tuo cuore nel cielo deserto. / 2. Dolce suona un carillon nel petto di Elis / A sera / Quando il suo capo affonda nel cuscino nero. / Un cervo azzurro / Sanguina piano nel groviglio di rovi. / Isolato s’erge un albero bruno; / I suoi frutti azzurri son caduti. / Segni e stelle / Affondano lievi nello stagno a sera. / Dietro il colle è venuto l’inverno. / Azzurre colombe / Bevono a notte il ghiaccio sudore / Che cola dalla cristallina fronte di Elis. / Sempre risuona / Su nere mura il solitario vento di Dio» (ibid., pp. 148-151).

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dell’uomo”; in questo tempo il cuore di Elis è “una barca d’oro” che dondola nel cielo solitario dell’azzurro della notte spirituale, “un soave carillon” che risuona di sera quando il suo capo affonda lieve nel cuscino nero. Che cosa accade al di qua del tempo di Elis? Che cosa accade nel tempo della figura disfatta dell’uomo, la cui “animalità” non è ancora pervasa dall’azzurra luce del Sacro? Un “azzurro animale” sanguina lieve nel groviglio di spine, un “albero bruno”, contrappunto negativo del “dorato albero delle grazie” della poesia Ein Winterabend (Una sera d’inverno), perde i suoi frutti, il cui azzurro marcescente sembra ora assumere la livida tonalità della mortale decomposizione (Verwesung), i segni e le stelle affondano nel lago serale. Al di qua del “tempo primaverile” di Elis è venuto l’inverno: azzurre colombe bevono di notte il “sudore gelato”, senza vita, di Elis, mentre sulla nera muraglia soffia, solitario e inascoltato, il vento di Dio. Come nella poesia Abendland (Occidente), qui Trakl pro-getta con sguardo anticipatore, con “occhio dorato dell’inizio”, il mondo di Elis come l’inizio (Anbeginn) della stirpe non nata, inizio che, in quanto “primo mattino” (frühere Frühe), ha già oltrepassato la fine della stirpe in disfacimento, il cui morire si configura, nella seconda parte della poesia Elis, come “pazienza oscura” di una fine che non è, fa notare Heidegger, l’estinguersi dell’inizio, bensì, all’opposto, paziente attesa della svolta nell’evento della verità dell’essere, svolta della quale il processo della Verwesung, della perdita di senso del mondo delle figure corrotte e dominate dall’essere-per-la-fine, costituisce la dolorosa, necessaria preparazione23. La struttura paratattica, tipica della lirica trakliana, consente addirittura di leggere la poesia Elis a partire dalla fine, ossia di ripercorrere a ritroso, strofa dopo strofa, il processo di 23. «Das Ende ist hier nicht die Folge und das Verklingen des Anbeginns. Das Ende geht, nämlich als das Ende des verwesenden Geschlechtes, dem Anbeginn des ungeborenen Geschlechtes vorauf. Der Anbeginn hat jedoch als die frühere Frühe das Ende schon überholt» (UzS, p. 57).

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una negatività fenomenologica che, muovendo dall’apparire del tempo della “disfatta immagine dell’uomo”, segnata dall’essereper-la-fine, approda al tempo originario della presenza del Sacro, dell’azzurro della notte spirituale che avvolge la figura incorrotta di Elis. Il mattino nel quale, tramontando, è entrato Elis, custodisce pertanto ciò che Heidegger indica come l’originaria, sebbene nascosta, essenza del tempo. A tale nascosta essenza allude la poesia di Trakl intitolata Jahr (Anno): «Dunkle Stille der Kindheit. Unter grünenden Eschen Weidet die Sanftmut bläulichen Blickes; goldene Ruh. Ein Dunkles entzückt der Duft der Veilchen; schwankende Ähren Im Abend, Sonnen und die goldenen Schatten der Schwermut. Balken behaut der Zimmermann; im dämmernden Grund Mahlt die Mühle; im Hasellaub wölbt sich ein purpurner Mund, Männliches rot über schweigende Wasser geneigt. Leise ist der Herbst, der Geist des Waldes; goldene Wolke Folgt dem Einsamen, der schwarze Schatten des Enkels. Neige in steinernem Zimmer; unter alten Zypressen Sind der Tränen nächtige Bilder zum Quell versammelt; Goldenes Auge des Anbeginns, dunkle Geduld des Endes»24.

24. «Scura quiete dell’infanzia. Sotto frassini verdi / Pascola mite uno sguardo azzurrino; pace d’oro. / Un profumo di viole incanta l’Oscuro; spighe ondeggianti / A sera, il sole e le ombre dorate della tristezza. / Travi sgrossa il falegname; nel fondo all’imbrunire / Macina il mulino; s’inarca tra i nocciuoli una bocca purpurea, / Rossa virilità china su acque silenti. / Lieve è l’autunno, spirito del bosco; nube dorata, / L’ombra nera del nipote segue il solitario. / Declino nella stanza di pietra; sotto alti cipressi / Le notturne visioni di pianto hanno formato una fonte. / Occhio dorato del principio, scura pazienza della fine» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 272-273). Heidegger osserva come il mattino (die Frühe) verso cui guarda “l’occhio dorato dell’inizio” custodisca l’ancora velata essenza originaria del tempo: «Diese Frühe verwahrt das immer noch verhüllte ursprüngliche Wesen der Zeit» (UzS, p. 57).

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L’autunnale declinare delle immagini che costellano i versi di questa poesia pervasa dalle “ombre dorate della malinconia” (Schwermut), si raccoglie alla fine in una fonte (zum Quell) nella quale si rispecchia sia “l’occhio dorato dell’inizio” (Goldenes Auge des Anbeginns), sia “l’oscura pazienza della fine” (dunkle Geduld des Endes); è la fonte della “veneranda saga”, di quel Dire originario che custodisce la celata essenza del tempo come “avvento di ciò che è stato” (Ankunft des Gewesenen). Ciò che è stato (das Gewesene) non è il semplice passato (das Vergangene), bensì la raccolta dell’essenziarsi dell’inizio che precede ogni avvento, raccolta che si sottrae e si nasconde nella sua perenne priorità, oltrepassando la fine della stirpe in disfacimento nel progetto dell’avvento dell’Ungeborenes, della stirpe non (ancora) nata25. Ecco perché al compimento della fine della stirpe degenerata, gravata dalla maledizione della discordia26, corrisponde “oscura pazienza”, angosciosa sopportazione (Ertragen), da parte dei mortali al seguito dello straniero dipartito, del distacco che conduce al tramonto nell’azzurro della notte spirituale. Questa “notte silente” dischiude la regione del Sacro, quell’inizio al quale corrisponde un guardare e meditare che è “occhio dorato”, ossia illuminato dalla “barca d’oro”, dal cuore di Elis che può risplendere di luce aurea soltanto perché si rispecchia a sua volta nelle acque azzurre del notturno cielo stellato, nei

25. «Aber die wahre Zeit ist Ankunft des Gewesenen. Dieses ist nicht das Vergangene, sondern die Versammlung des Wesenden, die aller Ankunft voraufgeht, indem sie als solche Versammlung sich in ihr je Früheres zurückbirgt» (UzS, p. 57). 26. Cfr. Traum und Umnachtung, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 254-255: «Am Abend ward zum Greis der Vater; in dunklen Zimmern versteinerte das Antlitz der Mutter und auf dem Knaben lastete der Fluch des entarteten Geschlechts (A sera si fece vecchio il padre; in buie stanze divenne pietra il volto della madre e sul fanciullo gravò la maledizione della stirpe degenere)».

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“silenziosi specchi della verità” che nella poesia Nachtlied riflettono il volto di Elai. All’originaria, nascosta essenza del tempo come avvento di ciò che è stato, come progetto di ciò che è stato gettato all’Esserci dal getto della verità dell’essere, Heidegger oppone la concezione ordinaria del tempo, dominante e determinante da Aristotele in poi, secondo la quale «il tempo – sia esso concepito meccanicamente o dinamicamente, oppure in base alla disintegrazione dell’atomo – è la dimensione del calcolo quantitativo o qualitativo della durata che si svolge nella successione»27. È la concezione del tempo, propria dell’Occidente destinato al tramonto, come “misura del movimento secondo il prima e il poi”, come calcolo della durata che si svolge nella successione degli “ora” (Jetzt). È la concezione del tempo connessa alla dimensione del Verfallen, alla immedesimazione deiettiva nell’ente intramondano, sulla cui base il passato è semplicemente il “non più ora”, il presente è l’“ora attuale”, mentre il futuro è un “non ancora” che è semplice prolungamento dell’“ora” presente, suscettibile di previsione e pianificazione; per questa concezione del tempo non si dà nessun futuro autentico, inteso come avvento (Ankunft) di un destino (Geschick) che concerna l’uomo quanto al suo essere-uomo, quanto alla sua origine (Anbeginn) che è anche la destinazione della propria essenza (Wesen)28. La poesia di Trakl, nella sua “costitutiva astoricità”, canta il destino di una “figura” che custodisce la nascosta verità della stirpe umana degradata, canta la verità di una immagine protetta e conservata nell’integra regione di ciò che salva (das Heilige), in quella regione del Dire originario che risuona di un canto ricco di “infinita armonia”29. Tale figura (Gestalt) assume il volto e il nome di Elis, 27. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 60. 28. Cfr. UzS, p. 80. 29. In una lettera scritta da Vienna il 5 ottobre 1908 alla sorella Hermine, Trakl così esprime l’autentico significato della sua produzione poetica:

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dello “straniero” il cui cuore, “una barca d’oro”, ondeggia nella regione del Sacro, mentre la barca dei mortali, dei seguaci dello straniero che si mettono in cammino per oscuri sentieri verso la terra del mattino, non giunge ancora all’altezza del lago stellato, dei silenziosi specchi della verità: è una barca che affonda (versinkt). Negli ultimi versi della poesia Klage (Lamento), il poeta si rivolge alla “sorella” con le seguenti parole: «Schwester stürmischer Schwermut Sieh ein ängstlicher Kahn versinkt Unter Sternen, Dem schweigenden Antlitz der Nacht»30.

Il cuore del poeta, ossia il cuore dei mortali al seguito di Elis, dello straniero dipartito, è un cuore “angosciato” che sì affonda, ma non nella rovina (im Verfall) e verso il vuoto nulla (in das leere Nichts), bensì nel volto silenzioso della notte e nel suo splendore di stelle; l’affondare dei mortali angosciati nel silenzio della notte spirituale lascia così intendere che la dipartenza non si esaurisce in ciò che Heidegger indica come un semplice stato (Zustand), quello dell’esser-morto (Verstorbensein), nel quale vi«Quando giunsi qui fu come vedere per la prima volta con chiarezza la vita qual è, senza interpretazioni personali, nuda, priva di pregiudizi, quasi percepissi tutte le voci che parla la realtà, spietate, paurosamente percettibili! E d’improvviso ho provato qualcosa di quell’oppressione che abitualmente grava gli uomini e la forza di deriva del destino […]. Passato! Oggi questa visione della realtà è risprofondata nel nulla, è qualcosa di ormai lontano, e ancora più lontana la sua voce, e con orecchi vivificati torno ad ascoltare le melodie dentro di me e il mio occhio alato sogna ancora immagini più belle di ogni realtà. Sono in me, sono nel mio mondo! Tutto il mio meraviglioso mondo ricco di infinita armonia» (G. Trakl, Gli ammutoliti. Lettere 19001914, cit., p. 18). 30. «Sorella di tempestosa tristezza, / Guarda, impaurita una barca affonda / Sotto le stelle, / Volto silenzioso della notte» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 322-323).

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ceversa vive protetto il fanciullo Elis. Alla dipartenza, in quanto luogo del poema di Trakl, appartiene un’intera costellazione di significati, quali “il mattino della fanciullezza più quieta”, “la notte azzurra”, “i sentieri notturni dello straniero”, “il notturno batter d’ali dell’anima”, il “crepuscolo spirituale” come porta d’ingresso verso il tramonto: «La dipartenza riunisce tutte queste realtà coappartenenti, non aggregandole in una successione di momenti, bensì dispiegando ciò che è compreso nella sua originaria unità»31. Poiché Trakl chiama spirituali (geistlich) tutte queste realtà coappartenenti, la dipartenza, in quanto luogo del suo poema, è “spirituale”; si tratta ora di cogliere l’autentico significato di questa parola, e quindi il carattere spirituale (geistlich) della dipartenza, la quale, traendo origine dal Geist del “fanciullo morto”, non è da considerare geistig (spirituale) in senso metafisico.

31. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 61.

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Capitolo quarto

La fiamma dello spirito e l’essenza del dolore: la “trasformazione del male”

L

a dipartenza è “spirituale” (geistlich) perché lo spirito (Geist) del dipartito, del “fanciullo morto”, “apparve silenzioso nella stanza” all’amico rimasto in ascolto della sua voce. Secondo l’uso e il significato antichi di questa parola, “spirituale” (geistlich) indica per Heidegger ciò che è nel senso dello spirito (im Sinne des Geistes), ciò che da esso proviene e ne segue l’essenza (Wesen). “Spirituale”, in origine, non riguarda la sfera del religioso nel senso dell’ecclesiale, non riguarda cioè la chiesa e i suoi sacerdoti, anche se Trakl sembra talvolta collegare tale termine al mondo spirituale che è proprio del cristianesimo, come emerge dalla poesia In Hellbrunn (A Hellbrunn): «Wieder folgend der blauen Klage des Abends Am Hügel hin, am Frühlingsweiher – Als schwebten darüber die Schatten lange Verstorbener, Die Schatten der Kirchenfürsten, edler Frauen – Schon blühen ihre Blumen, die ernsten Veilchen Im Abendgrund, rauscht des blauen Quells Kristallne Woge. So geistlich ergrünen Die Eichen über den vergessenen Pfaden der Toten, Die goldene Wolke über dem Weiher». . Cfr. la poesia An einen Frühverstorbenen (A un fanciullo morto), in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 214-217. . «Seguendo ancora l’azzurro pianto della sera / Verso il colle, lungo lo stagno primaverile – / Quasi vi aleggino antiche ombre di morti, / Ombre di

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Nel parco di Hellbrunn, un castello a poca distanza da Salisburgo, antica residenza dei principi vescovi, il poeta, che canta di nuovo “l’azzurro lamento della sera”, scorge sopra “il lago di primavera”, antiche ombre di morti, ombre che sembrano di vescovi e di nobili dame; ma il poeta che dal fondo della sera ode scrosciare “l’onda cristallina dell’azzurra sorgente”, non pensa affatto, fa notare Heidegger, al “clero” allorché vede le querce “così spiritualmente rinverdire” (so geistlich ergrünen) sopra gli obliati sentieri dei morti: «Pensa al mattino di colui che da lungo tempo è morto, mattino che promette la “primavera dell’anima”». Trakl pensa a Elis, allo spirito del fanciullo morto, il cui canto silenzioso, proveniente dalla terra del mattino (die Frühe), promette all’anima azzurra la sua “primavera” (der Frühling), il suo ritorno a casa (die Heimkehr), in una località (Ortschaft) che è geistlich, e non geistig. Perché Trakl evita sempre la parola geistig quando si tratta di indicare le realtà appartenenti alla dipartenza? Perché non parla di una geistige Dämmerung (crepuscolo spirituale), di un geistiges Lied (canto spirituale) oppure di una geistige Nacht (notte spirituale)? Perché das Geistige ha assunto, nella tradizione onto-teo-logica dell’Occidente platonico-cristiano, il significato di ciò che si contrappone al materiale: «Tale contrapposizione rappresenta la diversità di due sfere e indica, parlando in termini platonico-occidentali, lo hiatus tra il metasensibile (nohtÒn) e il sensibile (a„sqhtÒn)». Ora, lo spirituale (das Geistige) inteso nella sua opposizione al materiale (zum Stofflichen), insieme con tutto il complesso dei suoi derivati – il Raziovescovi, di nobili dame – / Sbocciano già i loro fiori, le severe viole / Dalla terra a sera, scroscia l’onda cristallina / Dell’azzurra fonte. Sacre così rinverdiscono / Le querce sui perduti sentieri dei morti, / La nube d’oro sullo stagno» (ibid., pp. 308-309). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 62. . Cfr. la poesia Die Heimkehr (Il ritorno), in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 300-301. . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 62.

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nale, l’Intellettuale, l’Ideologico e i loro opposti – appartiene alla visione del mondo che è propria alla stirpe in disfacimento, dalla quale si distacca (scheidet sich), si allontana l’“oscuro peregrinare” dell’“anima azzurra” in ascolto del richiamo proveniente dalla regione del Sacro che avvolge e protegge la figura di Elis, del fanciullo precocemente morto. Tale distacco è decisione anticipatrice il proprio essere-per-la-morte, il proprio tramontare nel crepuscolo della sera, nel quale è già tramontato, morendo, lo straniero: è un percorrere i sentieri lunari del dipartito nello spirito della dipartenza, ossia nello spirito del fanciullo morto che chiama dalla regione del Sacro, da una località che non è la regione del metasensibile (das Übersinnliche) metafisicamente inteso. La dipartenza, in quanto annuncio dell’oltrepassamento (Überwindung) della metafisica, è perciò geistlich, spirituale nel senso del Geist del fanciullo Elis, e non più geistig in senso metafisico; la dipartenza è spirituale perché determinata, destinata dallo spirito (vom Geist bestimmt). Che cosa intende Trakl con la parola “spirito”? Alla fine della sua ultima poesia intitolata Grodek, dettata pochi giorni prima della morte, si parla di “un possente dolore” (ein gewaltiger Schmerz) che nutre (nährt) “l’ardente fiamma dello spirito” (die heiße Flamme des Geistes), ossia “i nipoti non nati” (die ungebornen Enkel). Lo spirito è fiamma ardente che sgomenta e sconvolge, è estasi fiammeggiante che illumina e lascia risplendere, ma che può anche distruggere e tutto ridurre “nel biancore della cenere” (in das Weiße der Asche). Così inteso, Geist significa essere adirato, atterrito, . «Das so verstandene Geistige, das inzwischen zum Rationalen, Intellektuellen und Ideologischen geworden ist, gehört samt seinen Gegensätzen zur Weltansicht des verwesenden Geschlechtes. Von diesem scheidet sich aber das „dunkle Wandern“ der „blauen Seele“. Die Dämmerung zur Nacht, in die das Fremde untergeht, kann so wenig wie der Pfad des Fremdlings „geistig“ genannt werden. Die Abgeschiedenheit ist geistlich, vom Geist bestimmt, aber gleichwohl nicht „geistig“ im metaphysischen Sinne» (UzS, p. 59). . Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 324.

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fuori di sé (außer sich), e quindi essere «nella duplice possibilità della mitezza e della distruzione». Ora, mentre la mitezza (das Sanfte) raccoglie e conserva l’estasi fiammeggiante nella quiete dell’amicizia, la distruzione (das Zerstörerische) è l’esito di una sfrenatezza che si consuma nel proprio tumulto, compiendo in tal modo il male, che è sempre il male di uno spirito. Il male e la sua malvagità non sono mai il “sensibile”, il “materiale”, e neppure qualcosa di spirituale nel senso del geistig, di ciò che si contrappone semplicemente al materiale. Il carattere spirituale (geistlich) del male consiste nell’erompere di una forza sconvolgente che, come una fiamma che trascina e acceca, trasporta nella sconnessione del funesto (des Unheilen), minacciando con ciò di bruciare il “raccolto fiorire” della mitezza; lo spirito del male (der Geist des Bösen) consiste, in altri termini, in un rivolgimento che allontana l’uomo dalla sua essenza originaria, dal suo in-abitare la regione del Sacro, per gettarlo nella follia della “grande città”, dove a sera appare la “maschera argentea” dello spirito del male: ciò è quanto emerge dalla poesia An die Verstummten (Agli ammutoliti): «O, der Wahnsinn der großen Stadt, da am Abend An schwarzer Mauer verkrüppelte Bäume starren, Aus silberner Maske der Geist des Bösen schaut; Licht mit magnetischer Geißel die steinerne Nacht verdrängt. O, das versunkene Läuten der Abendglocken. Hure, die in eisigen Schauern ein totes Kindlein gebärt. . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 63. Cfr. anche la prosa lirica di Trakl dal titolo Verwandlung des Bösen, (Metamorfosi del male), in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 204-205: «Flamme ist des Bleichsten Bruder […] (La fiamma è sorella al più pallido […])». . «Das Böse ist geistlich als der in die Verblendung weglodernde Aufruhr des Entsetzenden, das in das Ungesammelte des Unheilen versetzt und das gesammelte Erblühen des Sanften zu versengen droht» (UzS, p. 60).

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Rasend peitscht Gottes Zorn die Stirne des Besessenen, Purpurne Seuche, Hunger, der grüne Augen zerbricht. O, das gräßliche Lachen des Golds. Aber stille blutet in dunkler Höhle stummere Menschheit, Fügt aus harten Metallen das erlösende Haupt»10.

Nella “grande città” abitata dall’uomo “decomposto”, dove lo spirito del male scruta da “argentea maschera”, gli alberi irrigidiscono contorti lungo le nere mura, la luce artificiale allontana la “notte pietrosa”, portatrice dell’autentico dolore, il suono delle campane sprofonda, una prostituta partorisce, tra gelidi sussulti, un bambino già morto, funesto contrappunto di Elis, del non-nato (Ungeborenes) avvolto nell’azzurro protettivo del Sacro, l’ira divina frusta la fronte dell’ossesso, si diffonde un “mostro purpureo”, la fame infrange putrefatti occhi verdi, l’oro che nella regione del Sacro indica lo splendore del vero appare ora, forse trasformato in denaro, in un “riso ripugnante”. Contrapposta alla disfatta figura dell’uomo, foggiata con “freddi metalli”, appare infine, sanguinante in una oscura caverna, una “umanità più muta”, intenta a foggiare con “duri metalli” il capo redentore, pronta ad affidarsi di nuovo alla forza adunante della mitezza, alla sua originaria impronta “spirituale” (geistlich). In qual modo ciò può avvenire? Dal momento che l’essenza dello spirito riposa nel fiammeggiare, esso apre una via e la illumina, mettendo così l’anima in cammino (unterwegs). Nella poesia Die 10. «Oh, follia delle grandi città, quando a sera / Lungo le mura nere rigidi stanno gli alberi contorti / E da maschera argentea scruta lo spettro del male; / Luce discaccia la notte pietrosa con frusta magnetica. / Oh, scampanio affondato nella sera. / Sgualdrina che tra gelidi sussulti genera un bimbo morto. / Rabbiosa l’ira di Dio frusta la fronte dell’ossesso, / Morbo purpureo, fame che verdi occhi infrange. / Oh, l’orrido riso dell’oro. / Ma quieta sanguina nell’oscura tana umanità più muta, / Foggia con duri metalli il capo redentore» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 210-211).

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Nacht (La notte), Trakl indica “un capo impietrito” (ein versteinertes Haupt) che “dà l’assalto al cielo” (stürmt den Himmel), uno “spirito mite” (sanfter Geist) che, tra infiniti tormenti, “conquista Dio”11. La mite fiamma dello spirito, fa notare Heidegger, è la forza che spinge l’anima, “straniera sulla terra”, sulla via del peregrinare verso l’azzurro della notte spirituale che prelude alla “terra del mattino”. In tal senso lo spirito è “l’animatore” (der Beseeler) dell’anima, la quale, a sua volta, custodisce (hütet) lo spirito, lo nutre (nährt), dandogli in prestito la fiamma che è propria della sua essenza, vale a dire l’ardore della malinconia, che nella poesia dal titolo In ein altes Stammbuch (Da un vecchio album di ricordi) Trakl indica come la “mitezza dell’anima solitaria”: «Immer wieder kehrst du Melancholie, O Sanftmut der einsamen Seele. Zu Ende glüht ein goldener Tag. Demutsvoll beugt sich dem Schmerz der Geduldige Tönend von Wohllaut und weichem Wahnsinn. Siehe! es dämmert schon. Wieder kehrt die Nacht und klagt ein Sterbliches Und es leidet ein anderes mit. Schaudernd unter herbstlichen Sternen Neigt sich jährlich tiefer das Haupt12. 11. «Unendliche Qual, / Daß du Gott erjagtest / Sanfter Geist […]» (ibid., p. 304). 12. «Sempre ritorni tu, malinconia, / Dolcezza di un’anima solitaria. / Ardendo si consuma un giorno d’oro. / Umile si piega al dolore il sofferente / Che d’armonie risuona e di follia soave. / Guarda ! Fa scuro ormai. / Torna ancora la notte e geme un mortale / E un altro divide la sua pena. / Rabbrividendo sotto stelle autunnali / Ogni anno di più si china il capo» (ibid., pp. 80-81).

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La malinconica solitudine, mitezza e umiltà dell’anima straniera, che nel crepuscolo del tramonto si piega al dolore della Differenza, ossia alla sopportazione del nulla del proprio essere-per-la-morte che risuona dell’armonia della notte spirituale nella quale è già tramontato, morendo, l’altro, lo straniero-fanciullo di nome Elis, non isola affatto nella dispersione alla quale, secondo Heidegger, viene consegnato il semplice essere-abbandonati; l’ardore malinconico della solitudine, propriamente, «conduce l’anima all’Unico, la raccoglie nell’Uno e, in tal modo, realizzandone l’essenza, la pone in cammino»13. Proprio perché solitaria, l’anima è peregrinante; all’ardente fiamma del suo coraggio viene richiesto di sopportare il peso di ciò che si destina in tale peregrinare, allorché essa muove incontro allo spirito: di sopportare, con la mitezza fiammeggiante che è propria del suo sguardo, il volto dell’azzurro (das Antlitz der Bläue) e di contemplare ciò che da esso riluce14. Quando ciò accade, l’anima diviene “la grande anima” (die große Seele); all’inizio della terza parte della poesia Das Gewitter (Il temporale) risuonano le seguenti parole: «O Schmerz, du flammendes Anschaun Der großen Seele!»15

Il “fiammeggiante contemplare” determina la grandezza dell’anima soltanto perché la rende capace di sopportare il dolore che “strappa via”, dislocandola in tal modo nella sua naturale dimora, vale a dire nella sua essenza peregrinante (wanderndes Wesen). Il destino dell’anima è tutto nel suo essere peregrinan13. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 63. 14. «Als die einsame Seele ist sie die wandernde. Der Glut ihres Gemütes wird zugemutet, die Schwere des Geschickes in die Wanderschaft – und so die Seele dem Geist entgegen – zu tragen» (UzS, p. 61). 15. «Dolore, tu fiammeggiante sguardo / Dell’anima grande!» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 296-297).

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te, nel suo essere in cammino (unterwegs) verso l’azzurro della regione del Sacro, verso la lontananza dell’essenziale, dalla quale soltanto Dio può parlare all’uomo. Lo strappo fiammeggiante del dolore «inscrive l’anima peregrinante nel contesto del turbine che, dando l’assalto al cielo, vorrebbe conquistare Dio»16. L’assalto al cielo della grande anima strappata via dal fiammeggiante dolore dello spirito animatore, si risolve tuttavia nell’accettazione dello sguardo contemplante; lungi dal sopraffare (überwältigen) ciò verso cui lo strappo trascina, il fiammeggiante contemplare lo lascia essere nella sua “occultante luminosità”, vale a dire in quella remota vicinanza, dalla quale soltanto Dio può parlare alla “fiera azzurra”, che con la sua “contemplazione” trasforma la fiamma dell’impeto conquistatore nella mitezza dell’umile accettazione. Ecco perché, fa notare Heidegger, «la contemplazione è, nel dolore, lo strappo in senso inverso, quello in virtù del quale esso dolore raggiunge la sua mitezza e da questa trae il suo potere di disvelamento e di guida»17. Che cosa si mostra allo sguardo contemplante dell’anima illuminata dalla fiamma dello spirito? Che cosa accade nel dolore che fiammeggiando strappa via? Accade l’e-venire (er-eignen) della differenza ontologica, vale a dire l’avvento di ciò che risplende e riluce, di quella “località” in cui ogni essente diviene presente18. Il fiammeggiante contemplare del dolore dell’anima è l’accadere della Dif-ferenza che divide e unisce l’essere-presente e l’essente-presente, ossia di ciò che nella conferenza dal titolo Die Sprache (Il Linguaggio) Heidegger indica come “l’intimità della dif-ferenza di mondo e cosa” (die Innigkeit des Unter-Schiedes für Welt und

16. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 64. 17. Ibidem. 18. «Der Geist ist Flamme. Glühend leuchtet sie. Das Leuchten geschieht im Blick des Anschauens. Solchem Anschauen ereignet sich die Ankunft des Scheinenden, worin alles Wesende anwest» (UzS, p. 62).

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Ding)19, la cesura (der Riß, lo strappo) che chiama mondo e cose nella intimità della loro dif-ferenza, facendo sì che il mondo sia mondo e le cose siano cose. Così inteso, il dolore (der Schmerz) assume nella poesia di Trakl un significato rivelativo dell’autentica essenza del mondo e delle cose; esso, secondo Heidegger, non va concepito antropologicamente, come sensazione fisica o psicologica che produce sofferenza: «Ad ogni pensiero che creda di poter interpretare il dolore sulla base della sensazione, l’essenza del dolore resta necessariamente preclusa»20. L’essenza del dolore è il dolore dello spirito del fanciullo morto, dello spirito animatore che, chiamando l’anima ad “abitare nell’azzurro animato della notte”21, nella regione del Sacro che nasconde la presenza di Dio, la rende “anima grande”. Così dotata di spirito, l’anima diviene ciò che vivifica (das Belebende), al punto che ogni cosa che vive secondo il suo senso viene dominata dal tratto fondamentale che la costituisce nella propria essenza, vale a dire dal dolore. Tutto ciò che vive è schmerzlich, vive nel dolore, poiché soltanto vivendo seelenvoll, pieno di anima, può portare a compimento la destinazione della propria essenza. La forza di tale potere (Vermögen) è in grado di accordare quel reciproco comportamento per il quale ogni vivente appartiene ad un complesso unitario. In conformità di tale “essere in grado di” (taugen), ogni cosa che vive è “in grado di” (tauglich), ossia è “buona” (gut), ma ciò che è buono (das Gute), lo è soltanto nel dolore (schmerzlich)22. Se il male è la fiamma dello spirito che 19. Cfr. ibid., p. 27. 20. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 64. 21. «[…] O das Wohnen in der beseelten Bläue der Nacht […]» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 284). 22. «Nur was seelenvoll lebt, vermag seine Wesensbestimmung zu erfüllen. Kraft dieses Vermögens taugt es zum Einklang des wechselweisen Sichtragens, wodurch alles Lebendige zusammengehört. Gemäß diesem Bezug des Taugens ist alles, was lebt, tauglich, d. h. gut. Aber das Gute ist schmerzlich gut» (UzS, p. 62).

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trascina nella dilacerazione del funesto (in das Ungesammelte des Unheils), il bene è la fiamma dello spirito che, animando e vivificando l’anima, la rende capace di sopportare il dolore della Dif-ferenza, vale a dire la vista della sacralità (Heiligkeit) dell’azzurro della notte spirituale che tutto ricompone nell’unità del “tenero fascio di fiordalisi”23. Così ricomposto nell’insieme unitario in virtù dell’accadere del dolore della Dif-ferenza, tutto ciò che vive nel senso dell’anima, tutto ciò che da essa è “animato”, non soltanto è buono (gut): è anche verace (wahrhaft), proprio perché è soltanto in virtù del dolore della Dif-ferenza che tutto ciò che vive (das Lebende) può scoprire, lasciandolo nel contempo inviolato, ciò che è presente-insieme ad esso (Mitanwesendes) nella sua particolare modalità di essere; può cioè lasciar-lo-essere-vero (wahr-haft)24. Il canto puro del dolore risuona nell’ultima parte della poesia di Trakl intitolata Heiterer Frühling (Primavera serena): «Wie scheint doch alles Werdende so krank! Ein Fieberhauch um einen Weiler kreist; Doch aus Gezweigen winkt ein sanfter Geist Und öffnet das Gemüte weit und bang. Ein blühender Erguß verrinnt sehr sacht Und Ungebornes pflegt der eignen Ruh. Die Liebenden blühn ihren Sternen zu Und süßer fließt ihr Odem durch die Nacht.

23. «[…] O, das sanfte Zyanenbündel der Nacht […]» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 222). 24. «Alles Beseelte ist dem Grundzug der großen Seele entsprechend nicht nur schmerzlich gut, sondern einzig auf diese Weise auch wahrhaft; denn kraft der Gegenwendigkeit des Schmerzes kann das Lebende sein Mitanwesendes in seiner jeweiligen Art verbergend entbergen, wahr-haft sein lassen» (UzS, p. 62).

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So schmerzlich gut und wahrhaft ist, was lebt; Und leise rührt dich an ein alter Stein: Wahrlich! Ich werde immer bei euch sein. O Mund! der durch die Silberweide bebt»25.

L’ultima strofa di questa terza parte della poesia Heiterer Frühling costituisce “il contrappunto liberatore” (der lösende Gegenklang) della prima strofa che inizia con le parole: “Come appare malato tutto ciò che diviene!”. L’alito di febbre che avvolge il casolare, interpretato da Heidegger come turbamento, impedimento, sventura e disperazione (Unheil und Heillose), come l’erompere della sofferenza connessa al decadimento (Verfallen), è soltanto l’apparire (Anschein) nel quale si nasconde e si conserva “il verace” (das Wahrliche), vale a dire il dolore che tutto custodisce, quel dolore che, suscitato dallo “spirito soave” della dipartenza del non-nato (Ungebornes) che bada al suo riposo, apre (öffnet) l’anima all’inquieta vastità di una serenità che riconcilia “gli amanti” sotto il lago stellato del cielo notturno: «Per questo – afferma Heidegger – il dolore non è né l’avverso né l’utile»26, non è cioè nulla che riguardi l’intimità dell’uomo psicologicamente concepita. Nella sua dimensione ontologicamente rivelativa della differenza fra essere ed ente, «il dolore è il dono del vero essere per tutto ciò che è»27, ma il dolore concede l’essenziale di ogni essente, rendendo “buono e verace” tutto ciò che vive, soltanto pietrificandosi, ossia serbandosi nel 25. «Tutto ciò che diviene come sembra malato! / Un alito di febbre avvolge un casolare; / Pure dai rami accenna uno spirito soave / E l’animo dischiude, vasto e inquieto. / Un profluvio di fiori si perde dolcemente / E il nascituro cura il suo riposo. / Gli amanti sbocciano alle loro stelle / E va più dolce il loro fiato per la notte. / Tristemente buono e vero è ciò che vive; / E piano ti sfiora un’antica pietra: / In verità, sempre sarò con voi! / O labbra, che fremete nel salice d’argento!» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 28-29). 26. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 66. 27. Ibidem.

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chiuso della roccia, al cui apparire riluce (leuchtet) la primordiale provenienza (die uralte Herkunft) della quieta fiamma del mattino primigenio, il quale, in quanto inizio (Anbeginn) che tutto precede, si invia a tutto ciò che diviene ed è in cammino, a questo apportando l’avvento mai esauribile della sua essenza28. Con l’evocazione silenziosa (Erschweigen) del dolore che, facendosi “terreno” (erdhaft) nella pietra antica, riguarda (anblickt) i mortali, Trakl lascia che il dolore stesso abbia la parola, che la pietra parli lievemente (leise) con il suo silenzio antico, dicendo ai peregrinanti, ai mortali al seguito dello straniero dipartito nell’azzurro della notte spirituale, nient’altro se non il suo costante dominare (walten) e permanere (währen): “In verità, io sarò sempre presso di voi!”. Alla chiamata del dolore, del suono della quiete che risuona dalla regione del Sacro, ossia della differenza ontologica fra essere ed ente, i mortali peregrinanti dall’“argenteo volto”, che nella poesia An einen Frühverstorbenen rimangono con “l’orecchio teso al fogliame e all’antica pietra” in ascolto del fanciullo morto nel mattino primordiale, rispondono con le parole: “O bocca! Che tremi attraverso l’argenteo salice!”. Il tremito della loro bocca è ˜rmhneÚein, cor-rispondente esporre che reca un annuncio, in quanto è in grado di ascoltare un messaggio29. Quale sia il messaggio che i mortali, riguardati dall’antica pietra che parla del dominio e della perennità del dolore, sono in grado di ascoltare, lo si è già appreso: nel dolore della Dif-ferenza parla la “primavera serena”, vale a dire «la serenità di quel mattino primo, da cui quanto è trae perpetuamente 28. «Im Stein verbirgt sich der Schmerz, der, versteinernd, sich in das Verschlossene des Gesteins verwahrt, in dessen Erscheinen die uralte Herkunft aus der stillen Glut der frühesten Frühe leuchtet, die als vorausgehender Anbeginn auf alles Werdende, Wandernde zukommt und ihm die nie einholbare Ankunft seines Wesens zubringt» (UzS, p. 63). 29. Cfr. ibid., p. 121: «˜rmhneÚein ist jenes Darlegen, das Kunde bringt, insofern es auf eine Botschaft zu hören vermag».

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inizio […]»30; parla, in definitiva, «l’Essere stesso – ciò significa: la Presenza di ciò che può farsi presente, vale a dire la Differenza dei due momenti sulla base dell’unità»31. Il mistero del primo mattino da cui quanto è trae perpetuamente inizio, la Presenza di ciò che è presente, costituisce il dono (die Gunst) del dolore, la cui essenza contrastante (das gegenwendige Wesen) consiste al tempo stesso nello strappar-via (fortreißen) e nello strappo ritraente (zurückreißender Riß), nel trascinare fiammeggiando tanto più lontano quanto più trattiene, contemplando, nell’intimità più profonda di sé32. Tutto ciò appare agli occhi del “pensare abituale” un controsenso: come è possibile che la forza che trascina via nel turbine fiammeggiante sia la stessa forza che trattiene nella contemplazione di ciò che è “verace”? Ora, è proprio questa, secondo Heidegger, la natura contrastante del dolore, del “fiammeggiante contemplare della grande anima”: essere la pura corrispondenza alla sacralità dell’azzurro (die reine Entsprechung zur Heiligkeit der Bläue)33. La sacralità dell’azzurro, il Dire originario in quanto suono della quiete, chiama la “grande anima” a quella corrispondenza che risuona come Kunde bringen, portare annuncio che è risposta alla chiamata della Dif-ferenza, che risplende (leuchtet) al cospetto dell’anima in quanto si ritrae (sich entzieht) nella sua propria profondità (Tiefe). L’occultantesi profondità del Sacro, il suo donante sottrarsi, è l’evento del dolore che strappa via la grande anima, trattenendola al tempo stesso nella propria intimità più profonda: «Il Sacro permane nella sua operante presenza solo continuando questo suo sottrarsi e ri30. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 66. 31. Ibid., p. 105. 32. «Dem gewöhnlichen Vorstellen erscheint das gegenwendige Wesen des Schmerzes, daß er als zurückreißender Riß erst eigentlich fortreißt, leicht als widersinnig. Aber in diesem Anschein verbirgt sich die Wesenseinfalt des Schmerzes. Sie trägt flammend am weitesten, wenn sie anschauend am innigsten an sich hält» (UzS, p. 64). 33. Cfr. ibidem.

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chiamando il contemplare alla docilità [dell’assenso]»34. Nella poesia dal titolo Verklärung (Trasfigurazione), Trakl porta alla parola proprio l’essenza del dolore nel suo segreto rapporto con la sacralità dell’azzurro: «Wenn es Abend wird, Verläßt dich leise ein blaues Antlitz. Ein kleiner Vogel singt im Tamarindenbaum. Ein sanfter Mönch Faltet die erstorbenen Hände. Ein weißer Engel sucht Marien heim. Ein nächtiger Kranz Von Veilchen, Korn und purpurnen Trauben Ist das Jahr des Schauenden. Zu deinen Füßen Öffnen sich die Gräber der Toten, Wenn du die Stirne in die silbernen Hände legst. Stille wohnt An deinem Mund der herbstliche Mond, Trunken von Mohnsaft dunkler Gesang; Blaue Blume, Die leise tönt in vergilbtem Gestein»35. 34. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 67. «Das Heilige währt, wenn es west, je nur so, daß es in diesem Entzug verhält und das Anschauen in das Fügsame verweist» (UzS, pp. 64-65). 35. «Quando si fa sera / Lieve ti lascia un viso azzurro. / Nel tamarindo canta un uccelletto. / Soave un monaco / Giunge le morte mani. / Un angelo bianco visita Maria. / Notturna ghirlanda / Di viole, grano e purpurea vite / È l’anno del veggente. / Ai tuoi piedi / S’aprono le fosse dei morti / Quando poggi la fronte sulle argentee mani. / Tacita posa / Sulla tua bocca la luna autunnale, / Inebriata dall’oscura canzone dell’oppio; / Fiore az-

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IV. La fiamma dello spirito e l’essenza del dolore

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Di fronte all’incanto proveniente da queste parole, che cantano la fonte stessa (Brunnquell) dalla quale scaturisce il poetare di Trakl, qualsiasi aggiunta diviene superflua. L’intero universo simbolico della lirica trakliana converge qui nel “fiore azzurro” (blaue Blume), nel “tenero fascio di fiordalisi” della notte spirituale che lieve (leise) risuona nella “pietra ingiallita”, nel muto dolore che tutto compenetra, annunciando alla “grande anima” la presenza occultantesi del Sacro, il cui favore (Gunst) porta la “trasfigurazione”, la “trasformazione del male” che sembra avvolgere tutto ciò che diviene: «Il canto è qui – fa notare Heidegger – sintesi di lirica, tragedia, epopea. Questa poesia è unica fra tutte, perché in essa l’ampiezza della contemplazione, la profondità del pensiero, la semplicità del dire splendono, per sempre, in ineffabile intensità»36. Il dolore è verace (wahrhaft) soltanto quando serve alla fiamma dello spirito; lo spirito è lo spirito del fanciullo morto nel mattino, del non nato (Ungeborenes) la cui voce risuona silenziosa dalla regione dell’azzurro della notte spirituale. Nell’ultima poesia di Trakl intitolata Grodek, dettata pochi giorni prima della morte, si parla dell’“ardente fiamma dello spirito” nutrita da “un possente dolore” e dei “nipoti non nati” (die ungebornen Enkel). Si tratta ora di indagare ulteriormente il rapporto che sussiste fra l’essenza del dolore e lo spirito del fanciullo morto, del non-nato (Ungeborenes), in vista di una compiuta localizzazione della “regione” verso la quale lo spirito della dipartenza conduce il peregrinare dell’anima “straniera sulla terra”.

zurro / Che lieve suona tra ingiallite pietre» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 232-233). 36. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 67.

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Capitolo quinto

Lo spirito della dipartenza: la Verwesung della vecchia stirpe e l’avvento del “non-nato”

G

rodek è l’ultima poesia dettata da Trakl prima di morire nell’ospedale di Cracovia per una dose eccessiva di cocaina, e prende il nome dalla località nella quale, all’inizio della prima guerra mondiale, si svolsero furiosi combattimenti fra austriaci e russi; risuona, quindi, come una poesia di guerra, anche se, agli occhi di Heidegger, «è infinitamente di più, perché è tutt’altra cosa»: «Am Abend tönen die herbstlichen Wälder Von tödlichen Waffen, die goldnen Ebenen Und blauen Seen, darüber die Sonne Düstrer hinrollt; umfängt die Nacht Sterbende Krieger, die wilde Klage Ihrer zerbrochenen Münder. Doch stille sammelt im Weidengrund Rotes Gewölk, darin ein zürnender Gott wohnt, Das vergossne Blut sich, mondne Kühle; Alle Straßen münden in schwarze Verwesung. Unter goldnem Gezweig der Nacht und Sternen Es schwankt der Schwester Schatten durch den schweigenden Hain, Zu grüßen die Geister der Helden, die blutenden Häupter; Und leise tönen im Rohr die dunklen Flöten des Herbstes. O stolzere Trauer! ihr ehernen Altäre, . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 67.

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Die heiße Flamme des Geistes nährt heute ein gewaltiger Schmerz, Die ungebornen Enkel».

Tutte le strade percorse dalla “disfatta figura dell’uomo composta da freddi metalli”, dalla stirpe degenerata che spinge i suoi figli, ormai “morenti guerrieri”, nell’abbraccio mortale della notte eterna, sembrano sfociare nell’apocalissi di una “nera putrefazione” (schwarze Verwesung), destinata ad inghiottire un mondo storico ormai pervaso dallo spirito del male. Ma nella seconda parte di questa poesia appare al poeta, mentre nel canneto risuonano i cupi flauti d’autunno, l’ombra oscillante della sorella che saluta “gli spiriti” (die Geister) degli eroi caduti. Un “più superbo lutto” pervade ora l’anima del poeta, un “possente dolore” che nutre l’“ardente fiamma dello spirito”, ossia “i nipoti non nati” (Die ungebornen Enkel). Che cosa significa tutto questo? Chi sono i nipoti non nati? Non possono certamente essere i figli non generati dei giovani soldati precocemente morti in guerra, vale a dire i figli dei figli della stirpe degradata e corrotta: «Se si trattasse solo di questo, - fa notare Heidegger - cioè dell’interruzione del processo procreativo delle generazioni, il poeta dovrebbe gioire di una tale fine». In realtà, il più superbo lutto di cui soffre il poeta, il suo possente dolore che nutre l’ardente fiamma dello spirito, altro non è se non il “fiam. «Risuonano a sera i boschi d’autunno / Di armi mortali, le dorate pianure / E i laghi azzurri, su cui più scuro / Rotola il sole; la notte abbraccia / Morenti guerrieri, il selvaggio lamento / Delle loro bocche fracassate. / Ma quiete s’adunano nel folto dei salici / Rosse nubi che abita un adirato dio, / Sangue versato, frescura lunare. / Tutte le strade sfociano in nera putredine. / Sotto le stelle e i rami dorati della notte / Fluttua l’ombra della sorella per il bosco silente / A salutare gli spiriti degli eroi, le fronti sanguinanti; / E nel canneto risuonano piano i cupi flauti d’autunno. / Oh più superbo lutto! Voi bronzei altari, / La calda fiamma dello spirito nutre oggi un possente dolore, / I nipoti non nati» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 324-325). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 67.

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V. Lo spirito della dipartenza

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meggiante contemplare della grande anima”, lo spirito della dipartenza che strappa via dalla Verwesung della stirpe degenerata per contemplare (anschauen) la quiete del non nato (die Ruhe des Ungeborenen), che è chiamato nipote (Enkel) perché non può essere immediato discendente, figlio diretto della stirpe decaduta. Fra la stirpe decaduta e l’Ungeborenes vive un’altra generazione, altra perché, toccata nell’anima dal possente dolore che corrisponde al richiamo della sottraentesi sacralità dell’azzurro, trae la propria origine dal mattino del non nato (aus der Frühe des Ungeborenen), di quel fanciullo morto incontro al quale andarono morendo, salutati dall’ombra oscillante della sorella, “gli spiriti” degli eroi prematuramente caduti. Lo spirito del fanciullo morto, lo spirito di Elis che dal mattino primordiale chiama a raccolta gli spiriti degli eroi caduti in guerra, è il fiammeggiante spirito della di-partenza, il quale, nutrito dal possente dolore della differenza fra il mondo della stirpe decaduta e il mondo dell’Ungeborenes, fa sì che ciò che reca la sua impronta (Schlag) appartenga a ciò che “mette in cammino” (auf den Weg bringt), sia cioè “spirituale” (geistlich). Spirituali divengono pertanto, nel linguaggio di Trakl, il crepuscolo (die Dämmerung), la notte (die Nacht) e gli anni (die Jahre): «Il crepuscolo fa sorgere l’azzurro della notte, lo fa fiammeggiante. La notte fiammeggia in quanto specchio luminoso del lago di stelle. L’anno fiammeggia perché mette sul cammino del sole, delle sue aurore e dei suoi tramonti». Lo spirito del fanciullo morto, dal quale trae risveglio e consegue “lo spirituale” (das Geistliche), . «Die Ungeborenen heißen Enkel, weil sie nicht Söhne sein können, d. h. keine unmittelbaren Nachkommen des verfallenen Geschlechtes. Zwischen ihnen und diesem Geschlecht lebt eine andere Generation. Sie ist anders, weil andersartig gemäß ihrer anderen Wesensherkunft aus der Frühe des Ungeborenen. Der „gewaltige Schmerz“ ist das alles überflammende Anschauen, das in die sich noch entziehende Frühe jenes Toten vorblickt, dem die „Geister“ der früh Gefallenen entgegenstarben» (UzS, pp. 65-66). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 68.

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L’azzurro dell’anima

è lo spirito che fa sì che “un mendicante” appaia come morto in preghiera presso un’antica pietra e che, così destinato alla dipartenza, egli rimanga come “il povero” che morì solitario nello spirito, risalendo “cereo” un sentiero antico. Nello sguardo proveniente dal volto dorato della figura di Elis si riflette e si conserva la notturna fiamma dello spirito della dipartenza, la quale, a sua volta, altro non è se non il fiammeggiante apparire dell’azzurro, che con la sua quieta e silenziosa profondità avvolge la fanciullezza di Elis nel dorato splendore dell’inizio. In tal modo, la dipartenza si essenzia (west) come spirito puro; essa non è la condizione (der Zustand) del fanciullo morto, non è, in altri termini, lo stato del semplice aver-cessato di vivere biologicamente inteso, né, tantomeno, lo spazio indeterminato (der unbestimmte Raum) per la sua dimora; dispiegandosi come spirito puro, come “ardente fiammeggiare”, la dipartenza è la forza adunante (das Versammelnde) che riconduce l’essenza dei mortali nella sua fanciullezza più quieta, custodendo quest’ultima come l’impronta ancora incompiuta che contrassegnerà la futura stirpe umana. Al di là (über) di ogni disfacimento e di ogni decrepitezza riguardanti la vecchia stirpe decaduta, la forza adunante della dipartenza risparmia il non nato per il futuro risorgere dell’impronta dell’uomo dal mattino iniziale, placando nel contempo, in quanto spirito di mitezza, lo spirito del male, il cui insorgere raggiunge il culmine della malvagità là dove esso, erompendo dalla discordia dei sessi, irrompe nella fraternità (in . «Bettler dort am alten Stein / Scheint verstorben im Gebet […]» (G. Trakl, Geistliches Lied (Canto spirituale), in Opere poetiche, cit., p. 18). . «Der Arme, der im Geiste einsam starb, / Steigt wächsern über einen alten Pfad […]» (G. Trakl, Im Dorf (Nel villaggio), ibid., p. 118). . «Die Abgeschiedenheit west als der lautere Geist. Sie ist das in seiner Tiefe ruhende, stiller flammende Scheinen der Bläue, die eine stillere Kindheit in das Goldene des Anbeginns entflammt. Dieser Frühe entgegen blickt das goldene Antlitz der Elisgestalt. In ihrem Gegenblick wahrt sie die nächtliche Flamme des Geistes der Abgeschiedenheit» (UzS, p. 66).

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V. Lo spirito della dipartenza

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das Geschwisterliche) di fratello e sorella come Blutschuld, come quella “colpa di sangue” destinata a segnare indelebilmente la vicenda umana ed artistica del poeta austriaco. Ma anche nella più quieta semplicità della fanciullezza, fa notare Heidegger, si nasconde raccolta la fraterna duplicità dei sessi che è connaturata alla stirpe umana: «Nella dipartenza lo spirito del male non è né distrutto né negato, ma nemmeno lasciato libero e affermato. Il male è trasformato»10. Lo spirito della dipartenza non produce l’annientamento del male attraverso una nichilistica volontà di precipitare nell’indifferenziato, né tantomeno lo lascia libero nella sua sinistra volontà di autoaffermazione; il male non è negato né affermato, bensì trasformato (verwandelt), ma affinché tale trasformazione si compia, l’anima deve ri-volgersi (sich wenden) verso la grandezza della sua essenza, che viene determinata (bestimmt), ossia decisa, dallo spirito della dipartenza, dalla chiamata proveniente da quella remota regione, i cui sentieri lunari risuonano dei passi di Elis, del non-nato che annuncia un altro . «Das Versammelnde der Abgeschiedenheit spart das Ungeborene über das Abgelebte hinweg in ein kommendes Auferstehen des Menschenschlages aus der Frühe. Das Versammelnde stillt als der Geist des Sanften zugleich den Geist des Bösen. Dessen Aufruhr steigt dort in seine äußerste Bösartigkeit, wo er gar aus der Zwietracht der Geschlechter noch ausbricht und in das Geschwisterliche einbricht» (ibid., p. 67). 10. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 68. Secondo Ida Porena, che mostra di seguire l’interpretazione psicanalitica che della poesia di Trakl ha fornito Erich Neumann nello scritto Georg Trakl. Person und Mythos, è invece la “staticità uroborica” dell’Uno indifferenziato il “luogo” che costituisce l’approdo della lirica trakliana: «Se si legge con Neumann l’istinto di morte come anelito di ritorno all’indifferenziato, all’Uroboro, ritorno reso possibile solo dopo la nascita della coscienza, vediamo come nella lirica di Trakl si configuri proprio una simbologia indicativa solo di questo movimento all’indietro, priva dell’altra sua parte, quella salvifica, che fa nascere il moto contrario e positivo di accettazione, di sviluppo verso la vita e la ricerca del Sé» (I. Porena, La verità dell’immagine. Una lettura di Georg Trakl, cit., p. 37).

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inizio: «La dipartenza è l’adunamento grazie al quale l’essere umano viene riaffidato alla quiete della sua fanciullezza e questa agli albori di un altro inizio. In quanto adunamento, la dipartenza ha la natura del luogo (Ort)»11. La dipartenza si rivela essere in tal modo il luogo del poema (Gedicht) che porta al linguaggio le poesie (Dichtungen) di Georg Trakl. Poiché essa dimostra di avere un intrinseco rapporto con il poetare, si tratta ora di comprendere in qual modo tale rapporto (Bezug) predomini, in qual modo cioè la dipartenza possa ricondurre un dire poetico (ein dichtendes Sagen) a se stessa come al suo luogo e da qui determinarlo, tanto più se si considera che il suo carattere fondamentale si è palesemente rivelato, conformemente alla natura di Elis, come “un unico silenzio della quiete” (ein einziges Schweigen der Stille), che non è, tuttavia, un “deserto di morte” (die Ödnis der Abgestorbenheit). Come può dunque la dipartenza dare l’avvio (auf den Weg bringen) alla parola e al canto della poesia? Si rende ora necessario porgere ascolto alla poesia intitolata da Trakl Gesang des Abgeschiedenen (Canto del dipartito): «Voll Harmonien ist der Flug der Vögel. Es haben die grünen [Wälder Am Abend sich zu stilleren Hütten versammelt; Die kristallenen Weiden des Rehs. Dunkles besänftigt das Plätschern des Bachs, die feuchten Schatten Und die Blumen des Sommers, die schön im Winde läuten. Schon dämmert die Stirne dem sinnenden Menschen. Und es leuchtet ein Lämpchen, das Gute, in seinem Herzen Und der Frieden des Mahls; denn geheiligt ist Brot und Wein Von Gottes Händen, und es schaut aus nächtigen Augen Stille dich der Bruder an, daß er ruhe von dorniger Wanderschaft. 11. Ibid., pp. 68-69.

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O das Wohnen in der beseelten Bläue der Nacht. Liebend auch umfängt das Schweigen im Zimmer die Schatten [der Alten, Die purpurnen Martern, Klage eines großen Geschlechts, Das fromm nun hingeht im einsamen Enkel. Denn strahlender immer erwacht aus schwarzen Minuten [des Wahnsinns Der Duldende an versteinerter Schwelle Und es umfängt ihn gewaltig die kühle Bläue und die [leuchtende Neige des Herbstes, Das stille Haus und die Sagen des Waldes, Maß und Gesetz und die mondenen Pfade der Abgeschiedenen»12.

Il canto del dipartito è una ininterrotta armonia che canta il mondo di Elis, “l’eufonia dei suoi anni spirituali”, dominati da “legge e misura”. Lungo i suoi “sentieri lunari” Elis, lo straniero dipartito, misura tutto il distacco (den Abschied) che lo separa dalla stirpe umana finora predominante, dalla vecchia stirpe de-

12. «Tutto armonia è il volo degli uccelli. A sera i verdi boschi / Si sono radunati a più quiete capanne; / I cristallini pascoli del capriolo. / Placa un Oscuro il fruscio del ruscello, l’umide ombre / E i fiori d’estate che soavi risuonano al vento. / Già s’abbuia la fronte all’uomo pensoso. / E un piccolo lume risplende, bontà, nel suo cuore / E la pace del desco; / Consacrato è pane e vino / Dalle mani di Dio e quieto da occhi notturni / Ti guarda il fratello: che abbia riposo dal cammino di spine. / Oh, l’abitare nell’azzurro animato della notte. / Amorevole la tacita stanza accoglie l’ombre degli avi, / I purpurei martirii, lamento di una grande stirpe / Che piamente trapassa nel solitario nipote. / Più radioso sempre si desta da neri attimi di follia / Colui che pazienta sulla soglia impietrata / E potente lo avvolge l’azzurra frescura e il luminoso declino d’autunno, / La casa silente e le saghe del bosco, / Misura e legge e il cammino lunare dei solitari» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 284-287).

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caduta13, la quale assume, nella poesia Sommersneige, il volto di “una fiera azzurra” (ein blaues Tier) che il poeta invita a serbare memoria del sentiero dello straniero dipartito, sul quale risuona, nella notte d’argento, l’armonia dei suoi passi, dei suoi “anni spirituali”. I passi di Elis risuonano dell’armonico volo degli uccelli, delle verdi foreste che di sera si adunano a silenziose capanne, dei cristallini pascoli del capriolo, dello scrosciare del ruscello, di umide ombre e di fiori d’estate dolcemente mossi dal vento. Per chi risuonano i passi di Elis? Per qualcosa di oscuro (Dunkles), per l’oscurantesi fronte dell’uomo meditante che, sostando paziente sulla soglia pietrificata dal dolore della Dif-ferenza, viene avvolto dalla fresca azzurrità della notte e dal lucente declino autunnale: è l’abitare, al seguito dello straniero dipartito, nella regione del Sacro, dove, nella pace della cena, risplende il bene (das Gute) che si irradia dal pane e dal vino consacrati dalla mano di Dio. Il silenzio della stanza che si dischiude al di là della soglia pietrificata dal dolore, abbraccia amorevolmente le ombre della vecchia stirpe umana, ormai umilmente (fromm) incamminata sulla via del ritorno verso il “solitario nipote”, verso il non nato custodito e protetto nella “casa quieta” dove vigono “legge e misura” (Maß und Gesetz), dove si snodano “i sentieri lunari dei dipartiti”. L’uomo meditante è l’amico proteso in ascolto dello straniero dipartito, del fanciullo Elis morto nel mattino, che nella poesia An einen Frühverstorbenen appare come quello (Jener) che “discese i pietrosi gradini del Mönchsberg, un azzurro sorriso sul volto, stranamente avvolto nella crisalide della sua fanciullezza più quieta, e morì”, mentre nel giardino rimase “l’argenteo volto dell’amico” ad ascoltare nel fogliame o nella pietra antica, rimase “la fiera azzurra”, la cui anima, ormai “accorato lamento”, “sussurro nel bosco”, “cantava la morte”, “il verde disfacimento della carne”, quando da 13. «In der Abgeschiedenheit durchmißt der Fremdling den Abschied vom bisherigen Geschlecht. Er ist unterwegs auf einem Pfad» (UzS, p. 67).

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torri crepuscolari risuonavano le azzurre campane della sera. Il volto dell’amico, ormai viandante al seguito del fanciullo morto, diviene così “un volto di morte”, la sua voce è “la voce d’uccello di uno simile al morto”14, che corrisponde (entspricht) alla morte dello straniero, al suo tramonto nell’azzurro della notte e, al tempo stesso, al “verde disfacimento” di quella stirpe dalla quale lo “separò” l’oscuro peregrinare al seguito di Elis15. L’anima dell’amico canta, ossia celebra e custodisce, il canto del dipartito che, nella poesia Abendlied (Canto della sera), risuona come una “oscura eufonia” che “visita l’anima” protesa in ascolto del fanciullo morto16. Quando all’anima dell’amico in ascolto viene incontro risuonando (entgegenklingt) la Saga della dipartenza, quando l’anima riecheggia il canto del dipartito, quando ciò accade (geschieht es), allora, fa notare Heidegger, «lo spirito dello scomparso appare nello splendore del mattino, i cui anni spirituali sono il tempo vero dello straniero e del suo amico»17. Nello splendore del mattino (im Glanz der Frühe), che è il tempo vero (die wahre Zeit) del dipartito e dell’anima al suo seguito, il tempo degli “anni spirituali”, la “nube nera”, simbolo angoscioso del tempo della stirpe degenerata, diventa “dorata”, 14. Cfr. la poesia Der Wanderer (Il viandante), in G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 230: «Folgt dem Knaben ein erstorbenes Antlitz […] Erwacht der blühende Wind, die Vogelstimme des Totengleichen». 15. «Ein Freund lauscht dem Fremdling nach. Also nachlauschend folgt er dem Abgeschiedenen und wird dadurch selbst zum Wanderer, zu einem Fremdling. Die Seele des Freundes lauscht dem Toten nach. Des Freundes Antlitz ist ein „erstorbenes“ […]. Es lauscht, indem es den Tod singt. Darum ist diese singende Stimme „die Vogelstimme des Totengleichen […]. Sie entspricht dem Tod des Fremdlings, seinem Untergang zur Bläue der Nacht. Mit dem Tod des Abgeschiedenen aber singt er zugleich die „grüne Verwesung“ jenes Geschlechtes, von dem ihn das dunkle Wandern „schied“» (UzS, p. 68). 16. «Doch wenn dunkler Wohllaut die Seele heimsucht, / Erscheinst du Weiße in des Freundes herbstlicher Landschaft» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 122). 17. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 70.

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L’azzurro dell’anima

simile «alla “barca d’oro” in cui, trasfigurato, il cuore di Elis oscilla nel cielo solitario»18. Nel tempo vero della nube dorata, l’oscura armonia dei passi di Elis, dello straniero dipartito, visita l’anima dell’amico invitandola ad un “fidente colloquio”, il cui dire altro non è se non il canto dell’errare lungo il fiume, del tramontare nell’azzurro della notte, verso il quale anima (beseelt) lo spirito del fanciullo morto nel mattino. Guardato dal dipartito, l’amico lo riguarda con un guardare che, in quanto risposta all’esser guardato, diviene canto: cantando il canto del dipartito, l’amico diviene fratello (Bruder) dello straniero e raggiunge, errando insieme ad esso, il più quieto soggiorno del primo mattino, può finalmente “abitare nell’azzurro vivente della notte”19. Soltanto allora, soltanto facendosi fratello dello straniero dipartito, l’amico diviene fratello della propria sorella, la cui “voce lunare” risuona sempre nella “notte spirituale”, al seguito dei passi di Elis20. La dipartenza è il luogo del poema di Georg Trakl perché, fa notare Heidegger, «l’eufonia dei passi di luce dello straniero in18. Ibidem. Cfr. l’ultima strofa della poesia An einen Frühverstorbenen, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 216. 19. «Dem heimsuchenden Wohllaut der Schritte des Fremdlings entspricht die Einladung des Freundes zum Gespräch. Dessen Sagen ist das singende Wandern den Fluß hinunter, das Folgen in den Untergang zur Bläue der Nacht, die der Geist des Frühverstorbenen beseelt. In solchem Gespräch schaut der singende Freund den Abgeschiedenen an. Durch sein Anschauen wird er im Gegenblick dem Fremdling zum Bruder. Mit dem Fremdling wandernd gelangt der Bruder zu dem stilleren Aufenthalt in der Frühe. Er kann im „Gesang des Abgeschiedenen“ rufen […]: O das Wohnen in der beseelten Bläue der Nacht» (UzS, p. 69). 20. Cfr. la poesia Geistliche Dämmerung, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., p. 218. «Aber indem der nachlauschende Freund den “Gesang des Abgeschiedenen” singt und so zu dessen Bruder wird, wird der Bruder des Fremdlings durch diesen erst zum Bruder seiner Schwester, deren „mondene Stimme durch die geistliche Nacht tönt“, was die Schlußverse der Dichtung „Geistliche Dämmerung“ […] sagen» (UzS, pp. 69-70).

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fiamma l’oscuro peregrinare di quelli che vanno sulle sue orme, dischiudendolo a un canto che nasce dall’ascolto»21. Tale peregrinare (Wandern), dapprima oscuro perché è soltanto un andare al seguito dello straniero dipartito, conduce tuttavia l’anima dei mortali nella luce dell’azzurro. L’essenza dell’anima, che diviene canto nell’ascolto, è allora soltanto più un unico “fissare lo sguardo” (Vorausschauen) nell’azzurro della notte (in die Bläue der Nacht), la quale nasconde e protegge (birgt) la quiete del primo mattino, il tempo vero degli anni spirituali. Tutto ciò viene detto da Trakl nella poesia intitolata Kindheit (Fanciullezza): «Voll Früchten der Holunder; ruhig wohnte die Kindheit In blauer Höhle. Über vergangenen Pfad, Wo nun bräunlich das wilde Gras saust, Sinnt das stille Geäst; das Rauschen des Laubs Ein gleiches, wenn das blaue Wasser im Felsen tönt. Sanft ist der Amsel Klage. Ein Hirt Folgt sprachlos der Sonne, die vom herbstlichen Hügel rollt. Ein blauer Augenblick ist nur mehr Seele. Am Waldsaum zeigt sich ein scheues Wild und friedlich Ruhn im Grund die alten Glocken und finsteren Weiler. Frömmer kennst du den Sinn der dunklen Jahre, Kühle und Herbst in einsamen Zimmern; Und in Heiliger Bläue läuten leuchtende Schritte fort. Leise klirrt ein offenes Fenster; zu Tränen Rührt der Anblick des verfallenen Friedhofs am Hügel, Erinnerung an erzählte Legenden; doch manchmal erhellt sich die [Seele, Wenn sie frohe Menschen denkt, dunkelgoldene Frühlingstage»22. 21. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., pp. 70-71. 22. «Folto di frutti il sambuco; quieta abitava l’infanzia / Nell’azzurra

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All’ombra di un sambuco carico di frutti, il dolce lamento del merlo invita lo straniero a uscire dall’oscurità della sua fanciullezza, per procedere, attraverso un sentiero antico sul quale riflette “la quieta ramaglia”, verso la luminosa quiete del primo mattino. Al risuonare dei passi lucenti di Elis nel sacro azzurro della notte spirituale, l’anima dell’amico in ascolto diviene soltanto “un attimo azzurro” (ein blauer Augenblick), pura risonanza dell’eufonia degli “anni oscuri” dello spirito della dipartenza. Si realizza in tal modo l’essenza della dipartenza, che diviene il luogo compiuto del poema di Trakl allorché essa si costituisce come raccoglimento della fanciullezza più quieta e insieme come tomba dello straniero, appropriando nel contempo a sé quei mortali che seguono nel tramonto il fanciullo morto, ne ascolta-

grotta. L’antico sentiero / Dove sibila ora bruna gramigna / Ripensano i taciti rami; frusciare di foglie / Come acqua azzurra che tra le rocce suona. / Dolce è il pianto del merlo. Un pastore / Segue tacito il sole che rotola dal colle autunnale. / Un attimo azzurro non è più che anima. / Lungo il bosco si mostra schivo un animale e placide / Riposano sul fondo le vecchie campane e i casolari spenti. / Più puro intendi il senso degli anni oscuri, / Frescura e autunno nelle stanze vuote. / E nel sacro azzurro l’eco di passi lucenti. / Piano stride una finestra aperta; a lacrime / Muove la vista del vecchio cimitero sopra il colle, / Memoria di narrate leggende; pure talvolta l’anima si rischiara / Se pensa umana gaiezza, giorni di primavera scurodorati» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 160-161). Scrive Ida Porena a proposito di questa poesia: «La lirica trakliana, nella staticità del suo ritmo, nella scelta delle aggregazioni linguistiche, parla costantemente di un ritorno all’indifferenziato, all’immobile. Ne è veicolo l’azzurro, in tutta l’ambivalenza delle sue connotazioni, che è un’ambivalenza archetipica (“azzurrità”). Come ho già avuto modo di accennare, da un lato porta con sé una sfumatura livida, vicina al nero della putrefazione, dall’altro si configura come colore di un luogo quieto e incontaminato, colore ineffabile, colore-anima, e presta la sua luce a un mondo che è antecedente anche all’apparire di Elis. Nella sua discesa, nel “ritorno”, Trakl ritrova la staticità uroborica nell’ambito intatto dell’Uno, dell’origine, indivisa e perfetta» (I. Porena, La verità dell’immagine. Una lettura di Georg Trakl, cit., p. 37).

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no il messaggio e portano al linguaggio l’eufonia dei suoi passi23. Il canto dell’anima del poeta, teso all’ascolto dei passi lucenti di Elis, diviene in tal modo ˜rmhneÚein, un esporre (Darlegen) che reca annuncio (Kunde bringt), in quanto è capace di ascoltare un messaggio (eine Botschaft): il messaggio della dipartenza, che altro non è se non il messaggio della Differenza fra essere-presente ed essente-presente. Ne consegue che poetare (Dichten) significa, per Heidegger, «dire ascoltando, ridire cioè quell’eufonia dello spirito della dipartenza, che viene partecipata. Prima di farsi un dire – dire nel senso di esprimere – il poetare è, per la maggior parte del suo tempo, un ascoltare. La dipartenza assume dapprima l’ascoltare entro la propria eufonia, affinché questa penetri di sé il dire che la ridice»24. La chiamata della dipartenza è l’evento che appropria a sé l’ascoltare dell’anima del poeta, pe23. «So vollendet sich das Wesen der Abgeschiedenheit. Sie ist erst dann der vollendete Ort des Gedichtes, wenn sie als Versammlung der stilleren Kindheit und als Grab des Fremdlings zugleich jene zu sich versammelt, die dem Frühverstorbenen in den Untergang folgen, indem sie, ihm nachlauschend, den Wohllaut seines Pfades in die Verlautbarung der gesprochenen Sprache bringen und so die Abgeschiedenen werden. Ihr Singen ist das Dichten» (UzS, p. 70). 24. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 71. Secondo Ida Porena, invece, il verso “un attimo azzurro non è più che anima”, scaturisce da quella “zona archetipica” della staticità uroborica, nella quale il “dipartito” ritrova solo per un attimo la propria totalità psichica intatta in quanto “androginia primordiale”, che si rivela raggiungibile soltanto nell’atto estremo del ricordo, in una dimensione che sembra escludere qualsiasi progettualità intesa, secondo la prospettiva ermeneutica di Heidegger, come “avvento di ciò che è stato”: «La memoria che torna al luogo di questa infanzia è memoria vegetale e acquatica, il soggetto è cancellato: a “ripensare” sono i rami che soli possono rievocare un sentiero su cui la gramigna ha sparso l’oblio e l’acqua di questo oblio è un frusciare di foglie. L’infanzia così ritrovata è l’infanzia che quieta riposa in se stessa, nucleo archetipico della psiche al di fuori del tempo e delle ombre buie di un’infanzia individuale – nel caso di Trakl sicuramente angosciosa – un’entelechia, le cui metà, femminile e maschile, sono indivise, immerse in un’acqua di oblio» (I. Porena, La verità dell’immagine. Una lettura di Georg Trakl, cit., pp. 39-40).

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netrandola del suono della quiete del sacro azzurro della notte spirituale; così penetrata dal getto-a della dipartenza, il vedere e il dire dell’anima fatta-avvenire e appropriata diventa un rivedere e un ri-dire (nach-sagen), diventa poesia (Dichtung), nelle cui parole rimane tuttavia inespresso (ungesprochenes) proprio il luogo (Gedicht) dal quale esse scaturiscono, rimane cioè nascosta e protetta l’essenza del linguaggio come linguaggio dell’essenza: come suono della quiete. Ecco perché il ri-dire del poeta, chiamato entro l’ascolto dallo spirito della dipartenza, diviene “più pio” (frömmer), ossia, fa notare Heidegger, «più docile di fronte all’invito del sentiero sul quale lo straniero, uscendo dall’oscurità della fanciullezza, procede verso il mattino più quieto, più luminoso»25. L’anima azzurra che canta l’autunno e il declino dell’anno, lungi dallo sprofondare nella rovina (im Verfall), viene infiammata dalla fiamma dello spirito del mattino ad “ardente pietà”: è l’anima che, pervasa da feurige Frömmigkeit, nella prosa lirica Traum und Umnachtung, “sommessamente cantava il canto del canneto ingiallito”, “tastava con mani rabbrividenti la frescura dell’antica pietra” e “recitava la veneranda saga dell’azzurra sorgente”26. La Umnachtung di cui parla Trakl in questa prosa lirica non ha nulla a che fare con la pazzia (Irrsinn), né con il semplice “oscuramento dello spirito”; si tratta, all’opposto, della “notte spirituale” che avvolge di un’ombra di morte il fratello-poeta che canta al seguito dello straniero, «di quella morte, di cui morendo il dipartito è mosso verso gli “aurei brividi” del mattino»27. Il senso compiuto della morte, la quale non è mai nulla di “mortale”, emerge dalla poesia di Trakl intitolata Anif, che è il nome di un castello posto su un’isola in mezzo a un lago nei pressi di Salisburgo: 25. Ibidem. 26. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 254-256. 27. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 72.

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«Erinnerung: Möven, gleitend über den dunklen Himmel Männlicher Schwermut. Stille wohnst du im Schatten der herbstlichen Esche, Versunken in des Hügels gerechtes Maß; Immer gehst du den grünen Fluß hinab, Wenn es Abend geworden, Tönende Liebe; friedlich begegnet das dunkle Wild, Ein rosiger Mensch. Trunken von bläulicher Witterung Rührt die Stirne das sterbende Laub Und denkt das ernste Antlitz der Mutter; O, wie alles ins Dunkel hinsinkt; Die gestrengen Zimmer und das alte Gerät Der Väter. Dieses erschüttert die Brust des Fremdlings. O, ihr Zeichen und Sterne. Groß ist die Schuld des Geborenen. Weh, ihr goldenen Schauer Des Todes, Da die Seele kühlere Blüten träumt. Immer schreit im kahlen Gezweig der nächtliche Vogel Über des Mondenen Schritt, Tönt ein eisiger Wind an den Mauern des Dorfs»28.

28. «Ricordo: gabbiani plananti sul cielo buio / Di virile tristezza. / Quieta stai nell’ombra del frassino autunnale / Affondata nella giusta misura del colle; / Sempre discendi lungo il fiume verde, / Quando si fa sera, / Risonante amore; placido avanza l’oscuro animale, / Un uomo rosato. Ebbra di azzurra atmosfera / La fronte tocca le foglie morenti / E ripensa il grave sembiante materno. / Oh, come tutto affonda nel buio; / Le stanze severe e gli antichi arredi / Dei padri. / Questo agita il cuore allo straniero. / Oh, segni e stelle. / Grande è la colpa di chi è nato. Ah, gli aurei brividi / Della morte, / Quando l’anima sogna più fresche fioriture. / Sempre stride tra i rami spogli l’uccello

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Anif è la poesia che canta “gli aurei brividi della morte” che avvolgono l’anima del poeta, dell’amico-fratello dello straniero dipartito, allorché essa, seguendo con lo sguardo i passi di Elis, sogna la fresca fioritura della fanciullezza più quieta, sogna gli aurei brividi del mattino del non nato, al cui cospetto “grande è la colpa del nato”: lo sguardo dell’anima, ora rivolto alla frescura della fanciullezza più quieta, si configura come doloroso distacco dalla vecchia stirpe da lungo tempo nata, la cui colpa consiste nell’aver dimenticato l’inizio della fanciullezza più quieta che essa serba tuttavia ancora in sé, vale a dire nel non aver mai portato alla luce la sua autentica essenza: das Ungeborene29. Di fronte alla colpa di chi è nato, di fronte alla dimenticanza (Vergessenheit) dell’inizio ancora indisvelato, il grido di dolore (Weh) emesso dall’anima non è soltanto il separarsi (das Scheiden) dalla vecchia stirpe degradata, ma anche il decidersi per il distacco (Abschied) che viene reclamato dallo spirito della dipartenza (Abgeschiedenheit); proprio perché reclamato dalla fiamma dello spirito, l’errare dell’anima nella notte della dipartenza è “tormento infinito” (unendliche Qual), ma non perché produca una sofferenza senza fine (eine endlose Pein): «Ciò che è infinito è libero da ogni limite e intristimento inerenti al finito. Il “tormento infinito” è il dolore compiuto, perfetto, pienamente realizzantesi nella propria essenza. Solo in questo andare nella notte spirituale – andare che è perpetuo staccarsi dalla notte non spirituale – si dispiega in libero gioco la semplicità del contrasto notturno / Sui passi della creatura lunare, / Sulle mura del villaggio risuona gelido vento» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 212-213). 29. «Die Nacht, die den singenden Bruder des Fremdlings umnachtet, bleibt die “geistliche Nacht” jenes Todes, den der Abgeschiedene in die „goldenen Schauer“ der Frühe gestorben ist. Diesem Toten nachschauend, schaut der lauschende Freund in die Kühle der stilleren Kindheit hinaus. Solches Schauen bleibt indessen ein Scheiden vom längst geborenen Geschlecht, das die stillere Kindheit als den noch aufbehaltenen Anbeginn vergessen und das Ungeborene nie ausgetragen hat» (UzS, p. 71).

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intrinseco al dolore»30. La semplicità del contrasto intrinseco al dolore che è proprio dello spirito della dipartenza, si dispiega nel puro gioco (ins reine Spiel) di un errare (Wandern) che è, al tempo stesso, prendere congedo dalla notte non spirituale e inoltrarsi nella notte spirituale, nella lontananza della regione del Sacro, dalla quale soltanto Dio può parlare all’uomo. Alla conquista di Dio, all’assalto del cielo viene chiamata non più la prometeica, ormai disfatta, figura dell’uomo composta dai “freddi metalli” della sua volontà di dominio, bensì la mitezza dello spirito che avvolge “un capo impietrito” dal dolore della dipartenza, che è rammemorazione della differenza ontologica fra essere ed ente. Nella poesia Die Nacht (La notte) risuonano le seguenti parole: «Unendliche Qual, Daß du Gott erjagtest Sanfter Geist, Aufseufzend im Wassersturz, In wogenden Föhren»31.

Questa poesia termina con i versi: «Stürmt den Himmel Ein versteinertes Haupt»32, i quali corrispondono ai versi finali della poesia Das Herz (Il cuore):

30. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 72. 31. «Tormento infinito: / L’aver tu inseguito Dio, / Mite spirito / Che gemi nella cascata / Tra gli ondeggianti pini» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 304-305). 32. «Un capo impietrato / Assale il cielo» (ibidem).

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«Die steile Festung. O Herz Hinüberschimmernd in schneeige Kühle»33,

nonché ai versi della seconda strofa della poesia Das Gewitter (Il temporale): «O Schmerz, du flammendes Anschaun Der großen Seele! […] Magnetische Kühle Umschwebt dies stolze Haupt, Glühende Schwermut Eines zürnenden Gottes»34.

Lo “strappo infiammato” dell’assalto conquistatore della “grande anima”, lungi dall’abbattere l’erta fortezza che protegge Dio, lascia (läßt) che sorga dinanzi allo sguardo meditante la veduta del cielo, la cui pura freschezza nasconde (verhüllt) Dio; lo sguardo meditante, che è proprio di un tale procedere (Wandern) e che è destinato a dispiegarsi nel canto, può appartenere soltanto alla fronte di un capo (Haupt) intimamente penetrato dal compiuto dolore della dipartenza. Ecco perché, fa notare Heidegger, il viaggio nella dipartenza, la contemplazione dell’aspetto dell’invisibile e il compiuto dolore si coappartengono: soltanto colui che, paziente, si conforma allo strappo del dolore 33. «L’erta fortezza. / Cuore, / Che scintillando trapassi in nivea frescura» (ibid., pp. 290-291). 34. «Dolore, tu fiammeggiante sguardo / Dell’anima grande / […] Frescura magnetica / Avvolge questo capo superbo, / Ardente tristezza / Di un adirato Dio» (ibid., pp. 296-297). I versi successivi di questa poesia evocano l’angoscia che, “venefica serpe nera”, muore finalmente nella “pietra” del dolore della Differenza, mentre il fuoco purifica la notte squarciata dalla tempesta: «Angst, du giftige Schlange, / Schwarze, stirb im Gestein! / […] Feuer / Läutert zerrissene Nacht» (ibid., p. 296).

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della Differenza, è in grado di seguire la via del ritorno nel mattino primordiale della stirpe umana35. Ciò che unisce le tre poesie dell’ultimo periodo della produzione poetica di Trakl – Das Herz, Die Nacht, Das Gewitter – è lo stesso e unico motivo della dipartenza, della Abgeschiedenheit come distacco dalla vecchia stirpe umana decaduta e insieme ritorno al mattino primordiale della stirpe umana rigenerata nell’Ungeborenes, il cui destino (Schicksal) è conservato, secondo il titolo di una già citata poesia di Trakl, In ein altes Stammbuch (Su un vecchio album): «Immer wieder kehrst du Melancholie, O Sanftmut der einsamen Seele. Zu Ende glüht ein goldener Tag. Demutsvoll beugt sich dem Schmerz der Geduldige Tönend von Wohllaut und weichem Wahnsinn. Siehe! Es dämmert schon. Wieder kehrt die Nacht und klagt ein Sterbliches Und es leidet ein anderes mit. Schaudernd unter herbstlichen Sternen Neigt sich jährlich tiefer das Haupt»36.

35. «Die Wanderung in der Abgeschiedenheit, das Schauen der Anblicke des Unsichtbaren und der vollendete Schmerz gehören zusammen. Seinem Riß fügt sich der Geduldige. Dieser allein vermag der Rückkehr in die früheste Frühe des Geschlechtes zu folgen […]» (UzS, p. 73). 36. «Sempre ritorni tu, malinconia, / Dolcezza di un’anima solitaria. / Ardendo si consuma un giorno d’oro. / Umile si piega al dolore il sofferente / Che d’armonie risuona e di follia soave. / Guarda! Fa scuro ormai. / Torna ancora la notte e geme un mortale / E un altro divide la sua pena. / Rabbrividendo sotto stelle autunnali / Ogni anno di più si china il capo» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 80-81).

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Nell’eufonia di un dire che risuona della malinconica dolcezza dell’anima solitaria di colui che, paziente, si piega al dolore della Differenza, di un dire che risuona del crepuscolo serale che annuncia la notte e, con essa, gli aurei brividi della morte che avvolgono un capo umilmente reclinato, vengono alla luce, fa notare Heidegger, proprio «i tratti luminosi nei quali Dio si nasconde al folle tentativo di conquista»37. Il canto del poeta, la cui fronte “sogna i colori di Dio”, diviene infine soltanto un “sussurro nel pomeriggio”, nel quale, fra metallici suoni di morte, si aggirano ombre orlate di nera putrefazione (Verwesung), le figure della stirpe umana decaduta da cui l’“anima azzurra” prende congedo38. La dipartenza è il luogo (Ort) del poema (Gedicht), la fonte (Quell) dalla quale scaturisce l’onda ritmica che di volta in volta muove il dire poetante a farsi parola. Colui che poeta, diviene poeta soltanto perché segue quel folle che è morto nel mattino e che, dal luogo della dipartenza, chiama con l’eufonia dei suoi passi il fratello-poeta al suo seguito. In tal modo, il volto dell’amico-poeta guarda (blickt) il volto dello straniero, e lo splendore dell’attimo (Augenblick), nel quale i due sguardi si incontrano, muove il dire dell’amico in ascolto; in tale com-movente splendore, che traluce dal luogo del poema, fluttua l’onda che muove al proprio linguaggio (zu seiner Sprache) il dire poetante (das dichtende Sagen)39. Ne consegue che il linguaggio (die Spra37. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 73. 38. Cfr. la poesia In den Nachmittag geflüstert (Sussurrato nel pomeriggio) in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 78-79: «Stirne Gottes Farben träumt, / Spürt des Wahnsinns sanfte Flügel. / Schatten drehen sich am Hügel / Von Verwesung schwarz umsäumt […] (La fronte sogna colori divini, / Sente le morbide ali della pazzia. / Ombre si rigirano sul colle / Orlate di nera putredine)». 39. «Der Dichtende wird erst zum Dichter, insofern er jenem “Wahnsinnigen” folgt, der in die Frühe hinwegstarb und aus der Abgeschiedenheit durch den Wohllaut seiner Schritte den ihm folgenden Bruder ruft. So blickt das Ant-

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che) della poesia di Trakl parla (spricht) soltanto in quanto corrisponde (entspricht) a quell’“essere in cammino” (Unterwegs) lungo il quale si è incamminato, morendo, lo straniero dipartito. Il sentiero sul quale Elis, il non nato, si è incamminato, conduce lontano dalla vecchia stirpe degenerata che ha dimenticato l’inizio indisvelato: «conduce nel tramonto che è passaggio in quel mattino della stirpe non nata, che permane, serbato all’avvento»40. Il linguaggio del poema di Trakl, che trova il suo luogo d’origine nella dipartenza, corrisponde in tal modo, secondo quanto viene evocato dal poeta austriaco nella prosa lirica Offenbarung und Untergang, al ritorno (Heimkehr) della stirpe non nata nel quieto inizio della sua più nascosta essenza; si tratta di un linguaggio che parla, alla maniera dello Zarathustra di Nietzsche, di un oltrepassamento (Übergang), il cui sentiero conduce dal tramonto della vecchia stirpe decaduta al tramontare nella crepuscolare azzurrità del Sacro, di un linguaggio che parla a partire dal passaggio (Überfahrt) sopra e attraverso (über und durch) il lago notturno della notte spirituale. Il linguaggio della poesia di Trakl canta il canto del distaccantesi ritorno, che dalla tarda ora della Verwesung dell’ultimo uomo riconduce nella quiete mattutina dell’inizio ancora indisvelato; canta, in altri termini, la svolta nell’evento (die Kehre im Ereignis)41. Tale svolta si litz des Freundes in das Antlitz des Fremden. Der Glanz dieses „Augenblicks“ rührt das Sagen des Hörenden. Im rührenden Glanz, der aus dem Ort des Gedichtes scheint, wogt jene Woge, die das dichtende Sagen zu seiner Sprache bewegt» (UzS, p. 73). 40. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 73. 41. Nei Beiträge zur Philosophie Heidegger afferma che la svolta originaria nell’evento (die ursprüngliche Kehre im Ereignis), si essenzia (west) fra l’appello pertinente e la pertinenza dell’appellato, vale a dire come contro-svolta (Wider-kehre). Il richiamo dell’essere dell’Esserci, il getto-a che getta l’Esserci nella appropriazione (Ereignung), e quindi lo riconduce a se stesso, risuona come “la grande quiete del più segreto conoscersi”, dalla quale trae origine ogni linguaggio che è, nella sua essenza, un tacere: «Die Kehre west zwischen dem Zuruf (dem Zugehörigen) und der Zugehör (des Angerufenen). Kehre ist

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essenzia (west) come l’essere in cammino (das Unterwegs) sulla via del ritorno a casa (Heimkehr), lungo la quale risuona e riluce l’eufonia degli anni spirituali, del tempo vero dello straniero dipartito: «Il Gesang des Abgeschiedenen canta, secondo quanto dice la poesia Offenbarung und Untergang […] “la bellezza di una stirpe che è sulla via del ritorno”»42. Poiché il linguaggio della poesia di Trakl parla a partire da quel luogo individuato da Heidegger come “l’essere in cammino della dipartenza”, esso parla sempre muovendo sia da ciò che nel distacco viene abbandonato, sia da ciò verso cui nel contempo il distacco destina; ne consegue il suo carattere essenzialmente polisenso (wesenhaft mehrdeutig), di una “ambiguità” così particolare che nulla si può intendere del Dire (Sagen) della poesia di Trakl finchè la si avvicini con l’ottuso proposito di cogliere in essa un significato univoco (eindeutig), tale da soddisfare la logica del “sano intelletto”. Parole come crepuscolo (Dämmerung) e notte (Nacht), tramonto (Untergang) e morte (Tod), follia (Wahnsinn) e fiera (Wild), lago (Weiher) e roccia (Gestein), volo d’uccello (Vogelflug) e barca (Kahn), straniero (Fremdling) e fratello (Bruder), spirito (Geist) e Dio (Gott), come anche le parole che indicano i colori, hanno, fa notare Heidegger, «sempre una molteplicità di significati»43. “Verde” (grün) significa, al tempo stesso, il “disfacimento della carne” e il “rinverdire spirituale delle querce”, “bianco” (weiß) il “pallore della morte” e la “purezza”, nero (schwarz) la “tenebrosa preclusione” e l’“oscura protezione”, “rosso” (rot) la “purpurea carnalità” e la “rosea delicatezza”; “argenteo” (silbern) indica il “pallore della Wider-kehre. Der Anruf auf den Zu-sprung in die Ereignung ist die große Stille des verborgensten Sicherkennens. Von hier nimmt alle Sprache des Da-seins ihren Ursprung und ist deshalb im Wesen das Schweigen […]» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., pp. 407-408). 42. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 74. 43. Ibidem.

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morte” e lo “scintillio delle stelle”, “oro” (Gold) lo “splendore del vero” e il “ripugnante riso dell’oro”. Tale pluralità di significati, che in un primo momento può sembrare mera ambiguità e indeterminata plurivocità, si configura, se considerata a partire dal luogo del poema dal quale scaturisce il dire poetico di Trakl, come una polifonia (der mehrdeutige Ton) che scaturisce da una unità unificante (Versammlung), da una monodia (Einklang) che, in quanto “suono della quiete” (Geläut der Stille), è destinata a rimanere indicibile (unsäglich), Parola per la quale manca la parola, perché l’Essere non può “essere”. Si tratta di una plurivocità che non ha nulla a che fare con l’imprecisione dell’indolente che lascia correre; all’opposto, essa esprime il rigore di colui che lascia-essere, proprio perché si è impegnato e conformato all’accuratezza (Sorgfalt) del “retto contemplare”44. Il rigore del tutto particolare del linguaggio “polifonico” di Trakl, come distingue il suo dire (Sagen) da quello di altri poeti, nei quali la plurivocità dei significati proviene soltanto dall’assenza del “luogo” che unicamente può suscitare l’autentica poesia, così risulta, fa notare Heidegger, «infinitamente superiore anche ad ogni esattezza tecnica che possa essere raggiunta da un concetto la cui univocità sia quella propria della scienza»45. Ma il dire poetico di Trakl non soltanto oltrepassa qualsiasi pretesa concettuale propria della scienza e della sua volontà di risolvere il senso dell’essere entro i confini dell’esattezza tecnica del semplice calcolare. Secondo Heidegger, la “rigorosa monodicità” 44. «Die Dichtung spricht aus einer zweideutigen Zweideutigkeit. Allein, dieses Mehrdeutige des dichterischen Sagens flattert nicht ins unbestimmte Vieldeutige auseinander. Der mehrdeutige Ton des Traklschen Gedichtes kommt aus einer Versammlung, d. h. aus einem Einklang, der, für sich gemeint, stets unsäglich bleibt. Das Mehrdeutige dieses dichtenden Sagens ist nicht das Ungenaue des Lässigen, sondern die Strenge des Lassenden, der sich auf die Sorgfalt des „gerechten Anschauens“ eingelassen hat und diesem sich fügt» (UzS, p. 75). 45. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 75.

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del “linguaggio polifonico” dal quale parla e, nello stesso tempo, tace la dipartenza in quanto luogo del poema di Trakl, lascia infine risuonare la località (die Ortschaft) nella quale si colloca il luogo stesso della poesia di Trakl: lascia risuonare la nascosta località della dipartenza. Il nome di questa località, Occidente, “terra della sera” (Abendland), prelude all’oltrepassamento dell’“essere cristiano”, della “cristianità” e del “cristianesimo”, indica cioè il superamento della prospettiva della fede nella “redenzione cristiana”.

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Capitolo sesto

La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

I

l passaggio (der Übergang) dalla vecchia stirpe decaduta alla figura del non nato, conduce la poesia di Trakl attraverso l’ambito del linguaggio che è proprio del mondo biblico ed ecclesiale; numerosi sono i luoghi nei quali ricorrono immagini desunte dall’esperienza cristiana, che Trakl, figlio di padre protestante e di madre cattolica, nonché profondamente legato alla sua città natale – Salisburgo è una località pervasa, anche soltanto dal punto di vista architettonico, da autentico spirito cattolico – aveva personalmente vissuto negli anni della sua formazione giovanile. La questione se, fin dove e in che senso la poesia di Trakl parli un linguaggio “cristiano”, se il poeta stesso sia da considerare “cristiano”, è destinata tuttavia a rimanere nel vuoto (im Leeren), fintantoché non si sia giunti ad individuare con attenzione il luogo del poema (der Ort des Gedichtes) dal quale scaturisce la sua poesia. Ciò che secondo Heidegger rende problematico un giudizio sul carattere cristiano del poema di Trakl, . Qui è sufficiente indicare le seguenti poesie: Psalm (Salmo), Rosenkranzlieder (Canzoni del rosario), Helian, Hohenburg, Sebastian im Traum (Sebastiano in sogno), Passion (Passione) I e II, Romanze zur Nacht (Romanza notturna), Menschheit (Umanità). Le immagini cristiane più ricorrenti sono la croce, il Calvario, Cristo redentore, la Cena e, soprattutto, il pane e il vino, i simboli evangelici della grande elegia di Hölderlin Brot und Wein.

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è il fatto che proprio nelle due ultime poesie, Klage e Grodek, dettate sul fronte austro-russo pochi giorni prima della morte, non si trovi nessuna invocazione religiosa: «perché il poeta, se è così decisamente cristiano, non invoca qui, nelle sue parole ultime nascenti dall’estremo dell’umana miseria, Dio e Cristo?». Nella poesia Grodek, dominata dal convergere di tutte le strade nell’abisso della schwarze Verwesung, appare, come si è già visto, l’“ombra oscillante della sorella” a salutare (zu grüßen) gli spiriti degli eroi caduti, mentre il canto si conclude non con la fiduciosa attesa della “redenzione cristiana”, bensì con l’invocazione dei “nipoti non nati”, del “volto dorato dell’uomo”, che nell’altra poesia intitolata Klage (Lamento) Trakl vede minacciato dalla “gelida onda dell’eternità”: «Schlaf und Tod, die düstern Adler Umrauschen nachtlang dieses Haupt: Des Menschen goldnes Bildnis Verschlänge die eisige Woge Der Ewigkeit. An schaurigen Riffen Zerschellt der purpurne Leib. Und es klagt die dunkle Stimme Über dem Meer. . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 75. . Nei Beiträge zur Philosophie la “svolta nell’evento”, in quanto insediamento dell’originaria essenza dell’uomo (fondazione dell’Esser-ci), nell’essere, esclude proprio la redenzione (Erlösung), considerata da Heidegger come una “sconfitta” dell’uomo: «Hier geschieht keine Er-lösung, d. h. im Grunde Niederwerfung des Menschen, sondern die Einsetzung des ursprünglicheren Wesens (Da-seinsgründung) in das Seyn selbst:»; si tratta invece del riconoscimento dell’appartenenza dell’uomo all’essere attraverso il Dio, e dell’ammissione che il Dio ha bisogno dell’essere, senza che questo comprometta la sua grandezza: «die Anerkennung der Zugehörigkeit des Menschen in das Seyn durch den Gott, das sich und seiner Größe nichts vergebende Eingeständnis des Gottes, des Seyns zu bedürfen» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., p. 413).

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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Schwester stürmischer Schwermut Sieh ein ängstlicher Kahn versinkt Unter Sternen, Dem schweigenden Antlitz der Nacht».

La “sorella di tempestosa malinconia” appare al fratello-poeta il cui cuore, a differenza del cuore di Elis che oscilla come una barca d’oro nel cielo solitario, affonda come una “barca angosciata” sotto le stelle, tramonta sotto il tacito volto della notte; la sorella appare al poeta sempre nell’ora del tramonto del giorno, oppure nell’autunno, nella stagione del declino dell’anno. Nella poesia Ruh und Schweigen (Pace e silenzio) risuonano le seguenti parole: «Hirten begruben die Sonne im kahlen Wald. Ein Fischer zog In härenem Netz den Mond aus frierendem Weiher. In blauem Kristall Wohnt der bleiche Mensch, die Wang’an seine Sterne gelehnt; Oder er neigt das Haupt in purpurnem Schlaf. Doch immer rührt der schwarze Flug der Vögel Den Schauenden, das Heilige blauer Blumen, Denkt die nahe Stille Vergessenes, erloschene Engel. Wieder nachtet die Stirne in mondenem Gestein; Ein strahlender Jüngling Erscheint die Schwester in Herbst und schwarzer Verwesung». . «Sonno e morte, aquile fosche, / Frusciano a notte intorno a questo capo: / Inghiotta il gelido flutto / Dell’eternità / l’aurea immagine / Dell’uomo. Su orridi scogli / Si schianta il corpo purpureo. / E geme l’oscura voce / Sul mare. / Sorella di tempestosa tristezza, / Guarda, impaurita una barca affonda / Sotto le stelle, / Volto silenzioso della notte» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 322-323). . «Pastori hanno sepolto il sole nel bosco spoglio. / Un pescatore tras-

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È l’ora del tramonto, del passaggio dal giorno alla notte: i pastori hanno sepolto il sole nel bosco spoglio, mentre un pescatore trae con la sua rete la luna dal lago gelato; nell’azzurro cristallo della notte già abita, ormai segnato dal pallore della morte, l’uomo al seguito dello straniero dipartito, l’amico-fratello-poeta che appoggia la guancia alle sue stelle, oppure piega il capo nel sonno purpureo. Ora il volo nero degli uccelli, preannuncio del Sacro dei fiori azzurri, colpisce il contemplante, mentre “la quiete vicina” pensa cose obliate, angeli spenti. Di nuovo la fronte del poeta annotta sulla “pietra lunare”, irrigidita dal dolore della Dif-ferenza fra ciò che la dipartenza abbandona e ciò cui la dipartenza destina; nel declinare della vecchia stirpe degradata, “in autunno e nera putrefazione” (in Herbst und schwarzer Verwesung) appare come “giovinetto radioso” (strahlender Jüngling), prefigurazione dell’“aurea immagine dell’uomo”, della “bellezza di una stirpe sulla via del ritorno”, la sorella. Nella breve, intensa poesia intitolata Neige (Declino), tratta dall’opera postuma, risuonano parole dal medesimo significato: «O geistlich Wiedersehn In altem Herbst. Gelbe Rosen Entblättern am Gartenzaun, Zu dunkler Träne Schmolz ein großer Schmerz, O Schwester! So stille endet der goldne Tag». se / Nella rete di crini la luna dal gelido stagno. / Nell’azzurro cristallo / Sta pallido un uomo, la guancia poggiata alle sue stelle; / O china il capo nel purpureo sonno. / Ma il volo nero degli uccelli sfiora sempre / Il veggente, la santità di fiori azzurri, / La quiete vicina pensa cose obliate, angeli spenti. / Ancora annotta la fronte sul pietrame lunare; / Giovinetto radioso / Appare la sorella in autunno e nera putredine» (ibid., pp. 172-173). . «Oh, sacro rivedersi / Nell’antico autunno. / Rose gialle / Sfioriscono

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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Con il “rivedersi spirituale” nell’antico autunno, spirituale perché segnato dallo spirito della dipartenza cui chiama lo spirito del fanciullo morto nel mattino, il “grande dolore” della Differenza si è ormai sciolto, per il fratello-poeta che al seguito dello straniero dipartito ri-vede nel tramonto la sorella-anima straniera sulla terra, in “oscura lacrima”. Così piano (stille) finisce il giorno d’oro, preannunciando il ritorno del “volto dorato dell’uomo” (des Menschen goldnes Bildnis) che il lamento (Klage) del poeta minacciato da sonno e morte, da “aquile tetre” che frusciano di notte intorno al suo capo, vede inghiottito (verschlungen) dalla “gelida onda dell’eternità” (die eisige Woge der Ewigkeit). Si chiede Heidegger: «Perché qui l’eternità è chiamata “la gelida onda”? È questo un pensiero cristiano? Questa non è nemmeno disperazione cristiana». Nel Lamento di questa poesia, nell’estrema invocazione alla sorella, risuona soltanto l’intima semplicità (die innige Einfalt) di coloro che, nonostante la minaccia della ricusa (Verweigerung), vale a dire dell’estremo sottrarsi del Sacro, rimangono tuttavia in cammino verso la futura fondazione dell’Esser-ci, verso “il volto dorato dell’uomo”. sullo steccato, / In pianto oscuro / Si sciolse un grande dolore, / Sorella! / Così piano finisce il giorno d’oro» (G. Trakl, Poesie, a cura di Ida Porena, Giulio Einaudi editore, Torino 1979, pp. 182-183). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 75. . «Aber was singt diese „Klage“? Klingt in diesem „Schwester… Sieh…“ nicht die innige Einfalt derer, die bei aller Bedrohung durch den äußersten Entzug des Heilen auf der Wanderung bleiben, dem „goldenen Antlitz des Menschen“ entgegen?» (UzS, p. 76). Nei Beiträge zur Philosophie, la svolta nell’evento si configura al tempo stesso come ritiro (Flucht) e avvento (Ankunft), come originaria pienezza del concedersi dell’essere nella ricusa (Verweigerung): come manifestarsi dell’Essere stesso in quanto Differenza fra essere-presente ed essente-presente, Differenza che reclama l’uomo per il suo proprio Esser-ci, che è tale in quanto corrisponde alla parola della Differenza, annunciandola nel messaggio che ad essa la Differenza stessa ha affidato. Ne consegue che il Linguaggio determina il rapporto ermeneutico in quanto

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Poiché corrisponde alla dipartenza in quanto luogo del poema, e poiché la dipartenza risuona come “suono della quiete”, la rigorosa monodicità (der strenge Einklang) del linguaggio polifonico nel quale parla la poesia di Trakl, risuona essenzialmente come un tacere (Schweigen), come un non-detto che sommuove l’onda ritmica del suo dire poetico. Si tratta ora di compiere l’ultimo passo lungo il cammino del vedere e mostrare fenomenologico, di interrogare cioè in direzione della località (Ortschaft) del luogo (Ort) della dipartenza; Heidegger richiama a tale proposito la penultima strofa della poesia Herbstseele, dove si accenna all’“anima azzurra” di quei viandanti che, seguendo il sentiero dello straniero dipartito attraverso la notte spirituale, giungono ad abitare nel notturno “azzurro vivente”. Il distacco dell’anima azzurra al seguito dello straniero dai propri “cari”, dagli “altri”, avviene nella sera (Abend) che muta (wechselt) “senso e immagine” (Sinn und Bild). Ora, poiché la lingua tedesca chiama Land, “terra” nel senso di “regione”, “paese”, il libero ambito che promette e permette l’umano abitare, lo straniero – e l’anima azzurra al suo seguito – che trapassa nella terra (in das Land) di sera (am Abend), ossia attraverso il “crepuscolo spirituale” (geistliche Dämmerung), scende in realtà nella terra di questa sera, nella “terra del tramonto” (Abendland): «La terra nella quale scende il fanciullo morto è la terra di tale sera». “Abendland”, terra-della-sera, “occidente”, è la parola che indica l’essenza rapporto dell’essenza dell’uomo (dell’Esserci) con la Dif-ferenza ontologica, e che l’Esserci risulta con ciò appropriato (ereignet) all’essere (Seyn), istituendosi come fondazione della salvaguardia della Dif-ferenza ontologica che è “suono della quiete” (Geläut der Stille). Così riguardato a partire dalla svolta nell’evento, l’avvenire (das Künftige), ossia la verità dell’essere come ricusa, non ha nulla che fare con “l’eternità vuota e gigantesca”: «Das Künftige aber, die Wahrheit des Seyns als Verweigerung, hat in sich die Gewähr der Größe, nicht der leeren und riesigen Ewigkeit, sondern der kürzesten Bahn» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., p. 406). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 76.

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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occulta (das verborgene Wesen) della dipartenza, la località (die Ortschaft) che raccoglie in sé il poema di Trakl e che risulta, agli occhi di Heidegger, più antica, più iniziale e perciò più promettente dell’Occidente platonico-cristiano, e quindi “europeo”, dal momento che la dipartenza verso tale località, così come viene poetata da Trakl, lungi dall’essere un “abisso di caduta”, un Untergang des Abendlandes secondo la prospettiva meramente biologistica di Oswald Spengler, si configura all’opposto come l’inizio (der Anbeginn) di un imminente “anno del mondo”, come l’altro inizio del pensiero in quanto svolta nell’evento autocelantesi del Geviert, del “quadrato” di cielo e terra, divini e mortali, ancora occultato nel tempo del Gestell dominato dalla “disfatta figura” dell’uomo decaduto. Ecco perché l’Occidente nascosto nella dipartenza, come il lÒgoj-fÚsij di Eraclito, non tramonta, bensì permane, in quanto terra-del-tramonto nella notte spirituale, in attesa dei suoi abitanti. La terra del tramonto (Abendland) è passaggio (Übergang) nel mattino in essa celato, è passaggio nella terra del mattino (Morgenland)10. 10. «Das Land, in das der Frühverstorbene untergeht, ist das Land dieses Abends. Die Ortschaft des Ortes, der Trakls Gedicht in sich versammelt, ist das verborgene Wesen der Abgeschiedenheit und heißt „Abendland“. Dieses Abendland ist älter, nämlich früher und darum versprechender als das platonisch-christliche und gar als das europäisch vorgestellte. Denn die Abgeschiedenheit ist „Anbeginn“ eines steigenden Weltjahres, nicht Abgrund des Verfalls. Das in der Abgeschiedenheit verborgene Abendland geht nicht unter, sondern bleibt, indem es auf seine Bewohner wartet als das Land des Untergangs in die geistliche Nacht. Das Land des Untergangs ist der Übergang in den Anfang der in ihm verborgenen Frühe» (UzS, p. 77). Secondo Oswald Spengler, «il tramonto dell’Occidente […] è un tema filosofico che, se inteso in tutta la sua serietà, implica ogni maggiore problema dell’essere» (O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, ed. it. a cura di Julius Evola, rivista da Furio Jesi, Longanesi & C., Milano 1957, 1978, vol. I, p. 14). L’idea nietzscheana del tramonto dell’Occidente nel senso del mondo storico occidentale, conduce tuttavia Spengler a interpretare

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Non è quindi un caso se due fra le più significative poesie di Trakl nominano espressamente das Abendland, l’Occidente; la prima si intitola proprio Abendland (Occidente), la seconda Abendländisches Lied (Canzone occidentale), nel cui canto risuona “il medesimo” (das Selbe) del Gesang des Abgeschiedenen: «O der Seele nächtlicher Flügelschlag: Hirten gingen wir einst an dämmernden Wäldern hin Und es folgte das rote Wild, die grüne Blume und der [lallende Quell Demutsvoll. O, der uralte Ton des Heimchens, Blut blühend am Opferstein Und der Schrei des einsamen Vogels über der grünen Stille des [Teichs. O, ihr Kreuzzüge und glühenden Martern Des Fleisches, Fallen purpurner Früchte Im Abendgarten, wo vor Zeiten die frommen Jünger gegangen, Kriegsleute nun, erwachend aus Wunden und Sternenträumen. O, das sanfte Zyanenbündel der Nacht. O, ihr Zeiten der Stille und goldener Herbste, Da wir friedliche Mönche die purpurne Traube gekeltert; Und rings erglänzten Hügel und Wald. O, ihr Jagden und Schlösser; Ruh des Abends, tale tramonto come semplice cessazione della vita, ossia dell’essere stesso, risolto entro l’angusto orizzonte della volontà di vivere: «Ogni civiltà ha proprie, originali possibilità di espressione che germinano, si maturano, declinano e poi irrimediabilmente scompaiono» (ibid., p. 40); si tratta di civiltà che, secondo Spengler, «imprimono ciascuna la propria forma all’umanità, loro materia, e che hanno ciascuna una propria idea e delle proprie passioni, una propria vita, un proprio volere e sentire, una propria morte» (ibidem); ne deriva una prospettiva biologistica secondo la quale «”l’umanità” non ha alcuno scopo, alcuna idea, alcun piano, così come non lo ha la specie delle farfalle o quella delle orchidee. “Umanità” è o un concetto zoologico o un vuoto nome» (ibidem).

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Da in seiner Kammer der Mensch Gerechtes sann, In stummen Gebet um Gottes lebendiges Haupt rang. O, die bittere Stunde des Untergangs, Da wir ein steinernes Antlitz in schwarzen Wassern beschaun. Aber strahlend heben die silbernen Lider die Liebenden: Ein Geschlecht. Weihrauch strömt von rosigen Kissen Und der süße Gesang der Auferstandenen»11.

Il primo verso di questa “canzone occidentale” inizia con una esclamazione di meraviglia e termina con due punti che racchiudono in un tutto i versi che seguono, fino al momento in cui viene evocato da un’altra esclamazione di meraviglia il passaggio (Übergang) dall’“ora amara del tramonto” (die bittere Stunde des Untergangs) all’aurora (in den Aufgang), nella quale risuona “il dolce canto dei risorti” (der süße Gesang der Auferstandenen). Proprio al culmine di questo passaggio, prima dei due versi finali, si trovano ancora due punti, seguiti dall’espressione “Ein Geschlecht” (una stirpe), dove lo ein, tipograficamente spazieggiato, risulta essere, fa notare Heidegger, «l’unica parola spazia-

11. «Oh, dell’anima notturno battito d’ali: / Cercammo un tempo, pastori, le ombrose foreste – / Rossi cervi seguivano e il fiore verde e la querula fonte / Umilmente. Oh, l’antichissima voce del grillo, / Sangue fiorito sull’ara / E solitario grido d’uccello sulla quiete verde dello stagno. / Oh, crociate, ardenti martirî / Della carne, cadere di frutti purpurei / A sera nel giardino percorso un tempo da devoti seguaci, / Guerrieri adesso, ridesti da ferite e da stellati sogni. / Oh, i teneri fiordalisi della notte. / Oh, tempi di pace e di dorati autunni / Quando, placidi frati, pigiavamo la vite purpurea; / E splendevano intorno il colle e il bosco. / Oh, cacce e castelli; pace della sera; / Quando nella sua stanza l’uomo soppesava il giusto / E in muta preghiera lottava per il capo vivente di Dio. / Oh, l’ora amara del declino, / Quando contempliamo un volto di pietra nelle acque nere. / Ma radiosi gli amanti levano le argentee palpebre: / Unico sesso. Incenso sgorga da cuscini rosa / E la dolce canzone dei risorti» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 222-225).

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ta che figuri nelle poesie di Trakl»12, quella parola fondamentale che include la “nota fondamentale” (Grundton) a partire dalla quale il poema (das Gedicht) dice, tacendolo, il mistero13. Di quale mistero si tratta? Semplicemente dell’impronta (der Schlag) che, sgorgando dallo spirito della dipartenza, dallo spirito del fanciullo morto nel mattino e dalla profondità del suono della quiete in esso dominante, dalle sue “saghe del bosco”, dalla sua “misura e legge”, dalla “possente frescura dell’azzurro” che avvolge il non nato attraverso “i sentieri lunari dei dipartiti”, ricompone la discordia delle stirpi (die Zwietracht der Geschlechter) in una più mite duplicità (in die sanftere Zwiefalt)14. Come lo ein, nell’espressione “Ein Geschlecht”, non significa “uno” in luogo di “due”, non indica cioè l’uniformità di una piatta uguaglianza, così l’espressione completa “Ein Geschlecht” non indica affatto una condizione biologica da intendere come “unisessualità” o come “indifferenziazione sessuale”: «In essa – fa notare Heidegger – […] si cela quella forza unificante che unisce movendo dall’azzurro della notte spirituale»15, ossia da ciò che verso la metà dello Abendländisches Lied risuona come “das sanfte Zyanenbündel der Nacht”, “il tenero fascio di fiordalisi della notte”. Poiché l’espressione Ein Geschlecht risuona a partire dal canto nel quale viene cantata la terra della sera (das Land des Abends), essa conserva (behält) tutta quella plurivocità di significati che sono propri dell’uomo in quanto “stirpe storica” (geschichtliches Geschlecht), ossia dell’umanità nella sua differenza rispetto ai restanti esseri semplicemente viventi, come le piante e gli animali: le generazioni (die Geschlechter), i ceppi (die Stämme), le schiatte (die Sippen), le famiglie (die Familien), la stessa 12. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 77. 13. «Dieses betonte “Ein Geschlecht” birgt den Grundton, aus dem das Gedicht dieses Dichters das Geheimnis schweigt» (UzS, p. 78). 14. Cfr. ibidem. 15. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 77.

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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duplicità dei sessi (die Zwiefalt der Geschlechter), tutto ciò, in quanto costitutivo della storicità (Geschichtlichkeit) del genere umano, viene in tal modo ricondotto dalla forza unificante che scaturisce dal Sacro azzurro della notte spirituale, alla matrice (Schlag) che sigilla (prägt) la duplicità nella semplicità (in die Einfalt) dell’Ungeborenes, vale a dire entro la mitezza della fanciullezza più quieta. Tale matrice, espressa nell’Ein Geschlecht, può agire in tal senso, in quanto lascia incamminare l’anima lungo la via che conduce alla “primavera azzurra”, che essa, tuttavia, può cantare soltanto tacendola16; nella poesia Im Dunkel (Nell’oscurità), che inizia con il verso: «Es schweigt die Seele den blauen Frühling», «L’anima tace l’azzurra primavera»17, il verbo tacere (schweigen) è usato da Trakl nel significato transitivo, proprio perché la terra della sera, la località della dipartenza, in quanto suono della quiete, può essere cantata dall’anima soltanto con il silenzio. La poesia di Trakl, cantando la terra della sera come località della dipartenza, diviene in tal modo un unico appello all’evento appropriante della giusta impronta, che destina, comanda (spricht) la fiamma dello spirito nella dimensione della mitezza18. L’uso di verbi intransitivi con valore transitivo è tipico della poesia di Trakl: Heidegger ricorda a tale proposito il “blutet” (sanguina) della poesia An den Knaben Elis (la fronte di Elis che “sanguina” antiche saghe), il “sussurra” (rauscht) della poesia Am Mönchsberg (l’azzurra sorgente che “sussurra” il lamento delle donne), e soprattutto la poesia Kaspar Hauser 16. «Der Schlag, der sie [die Zwiefalt der Geschlechter] in die Einfalt des „Einen Geschlechts“ prägt und so die Sippen des Menschengeschlechtes und damit dieses selbst in das Sanfte der stilleren Kindheit zurückbringt, schlägt, indem er die Seele den Weg in den „blauen Frühling“ einschlagen läßt. Ihn singt die Seele, indem sie ihn schweigt» (UzS, pp. 78-79). 17. G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 246-247. 18. «Trakls Dichtung singt das Land des Abends. Sie ist ein einziges Rufen nach dem Ereignis des rechten Schlages, der die Flamme des Geistes ins Sanfte spricht» (UzS, p. 79).

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L’azzurro dell’anima

Lied (Canto di Kaspar Hauser), dove la figura del trovatello dalla misteriosa origine, altrettanto misteriosamente ucciso a Norimberga nel 1833, diviene, agli occhi di Trakl, il non nato dalla testa argentea al quale “Dio parlò una mite fiamma al suo cuore: o uomo!” (Gott sprach eine sanfte Flamme zu seinem Herzen: O Mensch!)19. La parola di Dio che “parla” (spricht), ossia assegna, destina al cuore dell’Ungeborenes una mite fiamma, è in realtà il comando (das Zusprechen) che assegna all’uomo un’essenza più quieta (ein stilleres Wesen), chiamandolo in tal modo alla corrispondenza (in die Entsprechung) cui l’uomo risorge (aufersteht) a partire dall’autentico tramonto nel mattino primordiale. La “terra della sera”, l’“occidente”, custodisce in tal modo l’aurora della resurrezione dell’Ungeborenes, custodisce, risuonando del “dolce canto dei risorti”, il sorgere del mattino dell’Ein Geschlecht20. L’Abendländisches Lied di Trakl, lungi dall’essere il canto del declino e della rovina (Verfall), è il canto del “notturno battito d’ali” dell’anima che, “straniera sulla terra”, è ormai incamminata sulla via del ritorno nella mitezza della fanciullezza più quieta dell’Ungeborenes, ossia dell’Ein Geschlecht, attraverso il tramonto nel “tenero fascio di fiordalisi” della notte spirituale. La stessa cosa canta l’altra grande poesia di Trakl intitolata Abendland (Occidente): 1. «Mond, als träte ein Totes Aus blauer Höhle, Und es fallen der Blüten Viele über den Felsenpfad. Silbern weint ein Krankes 19. Cfr. G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 182-183. 20. «Gottes Sprechen ist das Zusprechen, das dem Menschen ein stilleres Wesen zuweist und ihn durch solchen Zuspruch in die Entsprechung ruft, zu der er aus dem eigentlichen Untergang in die Frühe aufersteht. Das „Abendland“ birgt den Aufgang der Frühe des „Einen Geschlechts“» (UzS, p. 79).

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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Am Abendweiher, Auf schwarzem Kahn Hinüberstarben Liebende. Oder es läuten die Schritte Elis’durch den Hain Den hyazinthenen Wieder verhallend unter Eichen. O des Knaben Gestalt Geformt aus kristallenen Tränen, Nächtigen Schatten. Zackige Blitze erhellen die Schläfe Die immerkühle, Wenn am grünenden Hügel Frühlingsgewitter ertönt. 2. So leise sind die grünen Wälder Unserer Heimat, Die kristallne Woge Hinsterbend an verfallner Mauer Und wir haben im Schlaf geweint; Wandern mit zögernden Schritten An der dornigen Hecke hin Singende im Abendsommer In heiliger Ruh Des fern verstrahlenden Weinbergs; Schatten nun im kühlen Schoß Der Nacht, trauernde Adler. So leise schließt ein mondener Strahl Die purpurnen Male der Schwermut. 3. Ihr großen Städte Steinern aufgebaut In der Ebene! So sprachlos folgt

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L’azzurro dell’anima

Der Heimatlose Mit dunkler Stirne dem Wind, Kahlen Bäumen am Hügel. Ihr weithin dämmernden Ströme! Gewaltig ängstet Schaurige Abendröte Im Sturmgewölk. Ihr sterbenden Völker! Bleiche Woge Zerschellend am Strande der Nacht, Fallende Sterne»21.

Chi è il morto (ein Totes) che al chiaro di luna esce dall’azzurra grotta, il morto sul cui “sentiero pietroso” cadono molti fiori? Chi è il malato (ein Krankes) che “argenteo” piange sul lago di sera, mentre su nera barca “gli amanti” sono ormai trapassati? Riappare in Abendland la figura di Elis, i cui passi, risuonanti nel giacinteo boschetto, producono un’eco che muore sotto le quer21. «1. Luna, quasi morta parvenza avanzasse / Dall’azzurra grotta. / E folti cadono i fiori / Sul sentiero di roccia. / Argenteo piange un che di malato / A sera presso lo stagno, / Su nera barca / Sono morti gli amanti. / Oppure risuonano i passi / Di Elis nel bosco / Di giacinto / E si perdono sotto le querce. / Oh, la figura del fanciullo / Fatta di lacrime cristalline, / D’ombre notturne. / Aguzze saette rischiarano la tempia / Eternamente fresca / Quando, sul colle che rinverdisce, / Risuona primaverile tempesta. / 2. Così silenti sono i verdi boschi / Della nostra patria, / L’onda cristallina / Che muore su mura disfatte. / E piangemmo nel sonno; / Vagando con passi incerti / Lungo la siepe spinosa / Qualcuno canta nella sera d’estate / Nella pace sacra / Del vigneto che riluce lontano; / Ombre ora nel fresco grembo / Della notte, aquile tristi. / Così piano chiude un raggio lunare / Le piaghe purpuree della tristezza. / 3. Grandi città / Edificate in pietra / Nella pianura! / Così, muto, segue / L’esiliato / Con oscura fronte il vento, / Gli alberi spogli sul colle. / Fiumi che vi perdete lontano! / Potente atterrisce a sera / Un rosseggiare sinistro / Tra nubi tempestose. / Popoli morenti! / Pallida onda / Che s’infrange sulla riva della notte, / Stelle cadenti» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 274-277).

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VI. La “località” della dipartenza: la “terra-della-sera”

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ce; riappare la figura del fanciullo morto, formata non più, come la disfatta figura dell’uomo di Siebengesang des Todes, da freddi metalli, bensì da “lacrime cristalline” e da “ombre notturne”. Lampi guizzanti rischiarano la tempia “sempre fresca” di Elis, quando sulla verdeggiante collina risuona la tempesta primaverile. Il tempo che si schiude nella prima parte del trittico Abendland è il tempo di Elis, “il perfetto silenzio del giorno d’oro” che annuncia la terra del mattino. La seconda parte di questo grande trittico porta a compimento quanto viene preannunciato nella prima: la stirpe umana decaduta, che in Elis si è riappropriata della mitezza della duplicità dell’“Ein Geschlecht”, si dischiude ora a un Dire che annuncia le “così lievi” verdi foreste della nostra patria, l’onda cristallina che muore su mura cadenti, il pianto sgorgato nel sonno, il peregrinare con passi esitanti lungo le siepi spinose, qualcuno che canta nella sera d’estate, nella sacra pace del vigneto che riluce lontano, le ombre della notte, un raggio di luna che “così lieve” chiude le piaghe purpuree della tristezza. La parte centrale di Abendland porta a compimento il progetto poetico del tempo-mondo di Elis, porta a destinazione l’ad-veniente progetto di ciò che è stato, costituendo in tal modo il superamento pacificante di ciò che viene cantato nella parte finale, dove si parla del destino che attende la stirpe degradata che ha dimenticato il proprio inizio. Il destino delle grandi città costruite di pietra nella pianura è già segnato; in esse il senzapatria segue ammutito, con fronte oscurata, il vento solitario, gli alberi spogli che, come nella seconda parte della poesia Elis, hanno perduto i loro frutti, i fiumi che si perdono in lontananza, mentre potente atterrisce, fra nubi tempestose, il sinistro rosseggiare del tramonto. È il destino dei “popoli morenti”, sui quali incombe “la pallida onda” che si infrange sulla riva della notte di stelle cadenti, funesto richiamo della “gelida onda dell’eternità” che nella poesia Klage minaccia di inghiottire “il volto dorato dell’uomo”. Nel trittico Abendland, come in tutta

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la poesia dell’ultimo periodo, non vi è più traccia del Verfall, della rovina che sembra ancora avvolgere Helian e Sebastian im Traum, le due figure che nelle rispettive poesie, pervase da una marcata simbologia biblico-ecclesiale, Trakl lascia in uno stato di indecisa ambiguità, oscillante fra la disperazione dello sfacelo e la speranza della redenzione22. Disperazione e speranza della redenzione sono le due prospettive appartenenti alla vecchia stirpe decaduta, che Trakl ha ormai oltrepassato nel nome dell’Ungeborenes, del non nato custodito nell’azzurro crepuscolare del Sacro. Le “grandi città” della stirpe umana decaduta hanno un destino già segnato, diverso da quello annunciato dai passi di Elis che risuonano del “suono della quiete” proveniente dall’“antica saga del bosco”, dalla “verde collina della sera” cui appartiene “misura e legge”23. Il destino (Schicksal) annunciato da Elis è, a ben vedere, ciò che Heidegger indica nel par. 74 di Sein und Zeit, intitolato Die Grundverfassung der Geschichtlichkeit, come l’originario destinarsi (Geschehen) dell’Esserci che ha luogo nella decisione autentica, destinarsi per il quale l’Esserci, libero per il proprio anticipante essere-per-la-morte che sottrae l’esistenza alla dimensione deiettiva dell’inautenticità, si tramanda in una possibilità ereditata e tuttavia scelta24, corrisponde cioè liberamente al getto (Wurf ) dell’essere, progettando il futuro au22. Cfr. Helian e Sebastian im Traum, ibid., pp. 128-137; pp. 162-167. «Wieder erscheint in der Dichtung „Abendland“ die Elisgestalt, während „Helian“ und „Sebastian im Traum“ in den spätesten Dichtungen nicht mehr genannt sind» (UzS, p. 79). 23. «Sie [die „großen Städte“] haben schon ihr Schicksal. Es ist ein anderes als jenes, das „am grünenden Hügel“ gesprochen wird, wo „Frühlingsgewitter ertönt“, am Hügel, dem ein „gerechtes Maß“ eignet […], und der auch der „Abendhügel“ […] heißt» (UzS, p. 80). 24. «Damit [das Schicksal] bezeichnen wir das in der eigentlichen Entschlossenheit liegende ursprüngliche Geschehen des Daseins, in dem es sich frei für den Tod ihm selbst in einer ererbten, aber gleichwohl gewählten Möglichkeit überliefert» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 384).

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tentico come avvento di ciò che è stato (die Ankunft des Gewesenen). Proprio perché dischiude l’autentica storicità (die eigentliche Geschichtlichkeit), riguardata come decisione-destinazione, nell’attimo azzurro dell’anima, per l’avvento di ciò che è stato, il poema di Trakl, fa notare Heidegger, «è storico (geschichtlich), nel senso più alto»25, di una storicità destinante che non ha certamente bisogno di “oggetti storici” per “dare alla verità ciò che è della verità” (der Wahrheit geben, was der Wahrheit ist)26, se per storia (Geschichte) si intende la storiografia (Historie) come mera “rappresentazione del passato”. La “costitutiva astoricità” del poema di Trakl consiste, per Heidegger, in un progetto poetico che, oltrepassando la caotica dispersione delle possibilità che si offrono immediatamente all’esistenza umana decaduta, conduce l’Esserci, libero per la propria morte, al cospetto del suo destino. La poesia di Trakl è storica nel senso più alto perché «canta il destino destinante (Geschick) del segno che, segnando di sé la stirpe umana, la porta alla verità, sempre ancora in serbo, del suo essere, e così la salva»27. Lungi dall’essere una semplice “fantasticheria romantica” (verträumte Romantik), avulsa dal mondo tecnico-economico del moderno Esserci umano massificato e senza radici, la poesia di Trakl, come quella di Hölderlin, esprime il lucido sapere del folle, che altro vede e pensa rispetto 25. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 78. 26. Scrive Trakl a Erhard Buschbeck alla fine del 1911, in una lettera accompagnata da una poesia rielaborata: «Caro Buschbeck, accludo la poesia rielaborata. È tanto migliore della versione originaria, quanto è ora impersonale e ricca all’inverosimile di movimento e immagini. Sono convinto che ti dirà e significherà di più in questa forma e in questo stile universali, che in quelli limitatamente personali della prima stesura. Puoi credermi, non mi riesce semplice, né mi riuscirà mai semplice sottomettermi incondizionatamente al descrittivo, dovrò sempre continuare a correggermi per dare alla verità ciò che è della verità» (G. Trakl, Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914, cit., p. 43). Si tratterebbe della rielaborazione della prima versione, andata perduta, della poesia Klagelied (Canto di lamento). 27. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 78.

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ai “cronisti dell’attualità” che si esauriscono nella cronaca (in der Historie) del presente e che concepiscono il futuro come semplice prolungamento dell’attualità, un futuro che rimane precluso all’avvento di un destino che riguardi l’uomo quanto all’origine della sua autentica essenza28. Di fronte al mondo tecnico-economico della moderna civiltà massificata, abitato da “popoli morenti”, chiusi al “tempo originario” della terra del tramonto, che è il tempo del passaggio alla terra del mattino in essa celato, si staglia il canto della poesia di Trakl, il canto dell’anima che, “cosa straniera sulla terra”, conquista peregrinando (erwandert) la terra come la patria più quieta della stirpe che ad essa fa ritorno29. L’anima, straniera sulla terra, è destinata (geschickt) lungo un sentiero (auf einen Pfad) che non conduce alla rovina (Verfall), bensì al tramonto (Untergang), ad un dolce declinare (unter-gehen) che si piega e conforma al “possente morire” di cui muore anticipatamente (vorstirbt) il non-nato Elis, il fanciullo morto nel mattino. L’amico-fratello che segue nella morte lo straniero dipartito, pernotta (übernachtet), conquistan28. «Verträumte Romantik abseits der technisch-wirtschaftlichen Welt des modernen Massendaseins? Oder – das klare Wissen des „Wahnsinnigen“, der Anderes sieht und sinnt als die Berichterstatter des Aktuellen, die sich in der Historie des Gegenwärtigen erschöpfen, dessen vorgerechnete Zukunft je nur die Verlängerung des Aktuellen ist, eine Zukunft, die ohne Ankunft eines Geschickes bleibt, das den Menschen erst im Anbeginn seines Wesens angeht?» (UzS, p. 80). I medesimi accenti risuonano nella Einführung in die Metaphysik, dove la moderna civiltà euro-occidentale, dominata dalla furia desolata della tecnica scatenata e dalla organizzazione senza radici dell’uomo massificato, viene raffigurata da Heidegger come “oscuramento del mondo” (die Verdüsterung der Welt), “fuga degli dèi” (die Flucht der Götter), “distruzione della terra” (die Zerstörung der Erde), “massificazione dell’uomo” (die Vermassung des Menschen). Cfr. M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Max Niemayer Verlag, Tübingen 19886, pp. 28-29. 29. «Trakls Dichtung singt den Gesang der Seele, die, “ein Fremdes auf Erden”, erst die Erde als die stillere Heimat des heimkehrenden Geschlechtes erwandert» (ibidem).

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do la morte, nella notte spirituale degli anni della dipartenza; il suo cantare al seguito dello straniero dipartito diviene il Gesang einer gefangenen Amsel, il Canto di un merlo prigioniero: «Dunkler Odem im grünen Gezweig. Blaue Blümchen umschweben das Antlitz Des Einsamen, den goldenen Schritt Ersterbend unter dem Ölbaum. Aufflattert mit trunknem Flügel die Nacht. So leise blutet Demut, Tau, der langsam tropft vom blühenden Dorn. Strahlender Arme Erbarmen Umfängt ein brechendes Herz»30.

Il merlo, ricorda Heidegger, è l’uccello che ha chiamato Elis entro il tramonto; il merlo prigioniero è la voce d’uccello (die Vogelstimme) di colui che, simile al fanciullo morto, rimane prigioniero nella solitudine (Einsamkeit) del passo dorato che corrisponde al viaggio della “barca d’oro” sulla quale il cuore di Elis attraversa il lago stellato della “notte azzurra”, indicando così all’anima “straniera sulla terra” la via verso il suo autentico essere. Si alza la notte con ebbro batter d’ali: è il notturno batter d’ali dell’anima solitaria che, umile e paziente, si china, ormai attimo azzurro, al dolore della Differenza, soffrendo la morte stessa di colui che è già morto, e il suo soffrire è un lento sanguinare che stilla da spini ormai fioriti di fiori celesti che circondano il suo viso solitario, mentre la pietà di braccia raggianti avvolge il suo cuore spezzato dal dolore, portandolo al riparo nella regione del 30. «Cupo alitare tra i verdi rami. / Azzurri fiorellini attorniano il viso / Al solitario, il passo dorato / Che muore sotto l’ulivo. / S’alza la notte con ebbro batter d’ali. / Sanguina piano l’umiltà, / Rugiada che lenta stilla da fioriti rovi. / Pietà di braccia radiose / Avvolge un cuore schiantato» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 278-279). Cfr. anche la poesia Der Herbst des Einsamen (L’autunno del solitario), ibid., pp. 194-195.

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Sacro, nel tramonto della terra della sera che è passaggio nel mattino in essa celato. L’anima, ein Fremdes auf Erden, “trasmigra” verso la terra della sera che, essendo dominata dallo spirito della dipartenza, rimane, in conformità di tale spirito, geistlich, “spirituale”31. Sebbene convinto che tutte le formule siano pericolose, dal momento che costringono il detto (das Gesagte) nella estrinsecità di un frettoloso opinare, corrompendo inesorabilmente qualsiasi pensiero autentico, Heidegger, nella speranza che ciò possa costituire l’inizio di una riflessione “paziente e pensosa”, perviene infine a definire il poema di Trakl nei termini seguenti: «Una Erörterung del poema di Trakl ci presenta questo poeta come il poeta della terra della sera ancora indisvelata»32. La sua poesia canta il destino destinante (das Geschick) dell’impronta (des Schlages) che segna (verschlägt) la stirpe umana (das Menschengeschlecht) nella sua essenza ancora riservata, portandola così alla salvezza33. La frase: Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden, si trova nella poesia intitolata Frühling der Seele (Primavera dell’anima): «Aufschrei im Schlaf; durch schwarze Gassen stürzt der Wind, Das Blau des Frühlings winkt durch brechendes Geäst, Purpurner Nachttau und es erlöschen rings die Sterne. Grünlich dämmert der Fluß, silbern die alten Alleen Und die Türme der Stadt. O sanfte Trunkenheit Im gleitenden Kahn und die dunklen Rufe der Amsel In kindlichen Garten. Schon lichtet sich der rosige Flor. 31. «Die Seele wandert auf das Land des Abends zu, das vom Geist der Abgeschiedenheit durchwaltet und, ihm gemäß, „geistlich“ ist» (UzS, p. 81). 32. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 79. Così suona il testo tedesco: «Eine Erörterung seines Gedichtes zeigt uns Georg Trakl als den Dichter des noch verborgenen Abend-Landes» (UzS, p. 81). 33. «Seine Dichtung singt das Geschick des Schlages, der das Menschengeschlecht in sein noch vorbehaltenes Wesen verschlägt, d. h. rettet» (UzS, p. 80).

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Feierlich rauschen die Wasser. O die feuchten Schatten der Au, Das schreitende Tier; Grünendes, Blütengezweig Rührt die kristallene Stirne; schimmernder Schaukelkahn. Leise tönt die Sonne im Rosengewölk am Hügel. Groß ist die Stille des Tannenwalds, die ernsten Schatten am Fluß. Reinheit! Reinheit! Wo sind die furchtbaren Pfade des Todes, Des grauen steinernen Schweigens, die Felsen der Nacht Und die friedlosen Schatten? Strahlender Sonnenabgrund. Schwester, da ich dich fand an einsamer Lichtung Des Waldes und Mittag war und groß das Schweigen des Tiers; Weiße unter wilder Eiche, und es blühte silbern der Dorn. Gewaltiges Sterben und die singende Flamme im Herzen. Dunkler umfließen die Wasser die schönen Spiele der Fische. Stunde der Trauer, schweigender Anblick der Sonne; Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden. Geistlich dämmert Bläue über dem verhauenen Wald und es läutet Lange eine dunkle Glocke im Dorf; friedlich Geleit. Stille blüht die Myrthe über den weißen Lidern des Toten. Leise tönen die Wasser im sinkenden Nachmittag Und es grünet dunkler die Wildnis am Ufer, Freude im [rosigen Wind; Der sanfte Gesang des Bruders am Abendhügel»34. 34. «Grido improvviso nel sonno; il vento irrompe per vicoli neri, / L’azzurro di primavera ammicca tra i rami spezzati, / Rugiada purpurea e si spengono intorno le stelle. / Verde chiarore sul fiume, d’argento gli antichi viali / E le torri della città. Oh, dolce ebbrezza / Nella barca che scorre e il cupo richiamo del merlo / Nei giardini dell’infanzia. Si dirada ormai il velo rosato. / Solenni scrosciano l’acque. Oh, l’umide ombre del prato, / Animale che lento s’avanza; verde ramaglia fiorita / Sfiora la fronte cristallina; scintillio di barca ondeggiante. / Piano risuona il sole sul colle tra le nubi rosa. / Grande è la quiete dell’abetaia, l’ombre severe sul fiume. / Purezza! Purezza! Dove le tremende vie della morte, / Del grigio impietrato silenzio, dove le rupi not-

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Come leggere questo grandioso itinerarium mentis in Sacrum, che costituisce, a ben vedere, il filo conduttore dell’intera Erörterung del poema di Trakl? Heidegger fornisce un’indicazione assai precisa, osservando che la frase: Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden si trova nelle ultime strofe della poesia, introdotte dal verso: Gewaltiges Sterben und die singende Flamme im Herzen, “tremendo morire e una fiamma di canto nel cuore”. Frühling der Seele va dunque letta distinguendo ciò che viene detto prima di questo verso da ciò che viene detto dopo di esso; la prima parte canta il passaggio dell’anima dall’oscurità della notte spirituale all’alba del primo mattino, dove risplende l’azzurro della primavera e il verde chiarore del fiume, sul quale scivola via, al cupo richiamo del merlo, la barca oscillante del cuore di Elis, la cui fronte cristallina è sfiorata da rami fioriti. È la “località” (Ortschaft) nella quale “il roseo velo” si dirada (sich lichtet), è la “solitaria radura” (die einsame Lichtung) nella quale l’anima del fratello-poeta al seguito dello straniero dipartito, alla ricerca della purezza attraverso “i tremendi sentieri della morte” che approdano al silenzio pietrificato dal dolore della Differenza, incontra la sorella-anima, e tale incontro avviene a mezzogiorno, nell’ora del grande meriggio, che per lo Zarathustra di Nietzsche è il momento nel quale l’uomo sta al centro del suo cammino tra l’animale e l’oltre-uomo, lungo la via verso un “nuovo matturne / E l’ombre inquiete? Radioso abisso solare. / Sorella, quando ti trovai nella solitaria radura / Del bosco ed era il meriggio e grande il silenzio degli animali; / Candore sotto querce selvagge e argentea fioriva la spina. / Un morire possente e la fiamma canora nel cuore. / Cupe scorrono l’acque intorno ai bei giuochi dei pesci. / Ora di lutto, taciturno sguardo del sole; / Straniera sulla terra è l’anima. Sacro cala il crepuscolo / Azzurro sul bosco sfrondato e a lungo nel villaggio / Rintocca cupa una campana; placida scorta. / Quieto il mirto fiorisce sulle palpebre bianche del morto. / Lievi risuonano l’acque nel pomeriggio che cade / E verdeggia più scuro a riva l’intrico, gioia nel vento rosato; / Il canto soave del fratello sopra il colle a sera» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 242-245).

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tino”35, e che per Trakl è l’attimo nel quale la “verweste Gestalt des Menschen”, la “sengende Wildnis des Tiers”, si trasfigura, al seguito di Elis, nella mite duplicità dell’Ein Geschlecht: è l’attimo azzurro del “tremendo morire”, della fiamma dello spirito della dipartenza che canta nel cuore spezzato dall’umiltà, ormai avvolto nel tenero fascio di fiordalisi della notte spirituale, protetto dalla sacralità dei fiori che sbocciano argentei nel roveto. Dopodiché, nella parte finale della poesia, il canto si eleva alla pura risonanza dell’eufonia degli anni spirituali che lo straniero dipartito già percorre, e che il fratello, la cui anima inizia ad abitare nella terra della sera, ri-percorre come le “vie nell’evento”, lungo le quali l’azzurro (die Bläue) che spiritualmente imbruna (geistlich dämmert) risuona nel canto soave del fratello sul “colle serale”, dove regnano “misura e legge”, dove si snodano “i sentieri lunari dei dipartiti” che “la svolta nell’evento” dischiude al Dire poetico36.

35. Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 87: «E il grande meriggio è: quando l’uomo sta al centro del suo cammino tra l’animale e il superuomo, e celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino». 36. «Dann folgt der Anstieg des Gesanges in den reinen Widerhall des Wohllauts der geistlichen Jahre, die der Fremdling durchwandert, denen der Bruder folgt, der im Lande des Abends zu wohnen beginnt […]» (UzS, p. 81).

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Capitolo settimo

La Chiamata della Dif-ferenza: mondo e cosa

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a Erörterung del poema di Georg Trakl compiuta da Heidegger ha condotto il vedere e mostrare fenomenologico lungo i sentieri di una contrada (Gegend), dalla quale risuona “la veneranda saga dell’azzurra sorgente”, la silenziosa eufonia di un Dire originario (Sagen) che, in quanto mostrare (Zeigen), addita un cammino poetico che trova nella dipartenza (Abgeschiedenheit) il luogo (Ort) del proprio scaturire e del proprio confluire; la dipartenza, in quanto essere-in-cammino dell’anima straniera sulla terra al seguito dello spirito del fanciullo morto nel mattino, trova a sua volta dislocazione nella terra-della-sera (Abendland), vale a dire in quella località (Ortschaft) che indica il passaggio all’alba del mattino in essa ancora celato. Ne consegue che il linguaggio del poema di Trakl, il linguaggio dell’essere-incammino della dipartenza, risuona come un Dire che scaturisce sia da ciò che nel distacco viene abbandonato, sia da ciò verso cui il distacco destina l’anima “straniera sulla terra”, e proprio per questo alla ricerca della terra come terra, come luogo del compimento della propria essenza, riguardata come poetico dimorare dei mortali nel dominio del Linguaggio. Il linguaggio parla, e l’uomo parla soltanto in quanto corrisponde al linguaggio; il corrispondere dell’uomo è a sua volta un ascoltare, che è possibile soltanto in quanto legato da un vincolo di appartenenza alla Chiamata della quiete della Differenza, che è l’Essere stesso come Presenza di ciò che può farsi presente: come Differenza di mondo e cosa sulla base della loro Unità. È questo l’arduo

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cammino percorso da Heidegger nel primo scritto di Unterwegs zur Sprache intitolato Die Sprache, scritto che precede di circa tre anni il saggio dedicato alla interpretazione della poesia di Trakl. Affermare che “il linguaggio parla” (die Sprache spricht) significa tuttavia mettere in discussione l’originarietà della concezione, elaborata da Aristotele nel De interpretatione, secondo la quale il linguaggio è una attività dell’uomo, una espressione degli stati interiori dell’anima umana, che a loro volta indicano le cose esterne. Ora, se il compito del vedere e mostrare fenomenologico è di portare il linguaggio in quanto linguaggio al linguaggio, proprio perché il linguaggio parla e l’uomo parla soltanto in quanto corrisponde al linguaggio, tale compito dovrà consistere innanzitutto nell’ascoltare il parlare del linguaggio, che parla soltanto nella parola già detta. Di quale parola si tratta? Non certamente di una parola qualsiasi, di una parola che, nel migliore dei casi, si presenta come l’espressione umana di “moti interiori dell’animo” e della “visione del mondo” che li sorregge, come accade sovente anche nell’ambito della poesia. Si tratta di scegliere, afferma Heidegger, una parola pura (ein rein Gesprochenes), un puro detto nel quale la pienezza del dire si configuri come “pienezza iniziante” (anfangende Vollendung): «Parola pura è la poesia», quella poesia la cui purezza consiste . Lo scritto Die Sprache fu in origine una conferenza tenuta il 7 dicembre 1950 a Bühlerhöhe e ripetuta il 14 febbraio 1951 a Stoccarda. Il saggio Die Sprache im Gedicht apparve dapprima con il titolo Georg Trakl. Eine Erörterung seines Gedichtes, in «Merkur», 1953, 61, pp. 226-258. . Cfr. il saggio Der Weg zur Sprache, in UzS, pp. 241-268: «Der Text des Aristoteles enthält das abgeklärt-nüchterne Sagen, das jenes klassische Baugefüge sichtbar macht, worein die Sprache als das Sprechen geborgen bleibt. Die Buchstaben zeigen die Laute. Die Laute zeigen die Erleidnisse in der Seele, welche Erleidnisse die sie be-treffenden Sachen zeigen» (p. 245). . «Wir wagen hierbei etwas Seltsames und möchten es auf die folgende Weise umschreiben: Die Sprache als die Sprache zur Sprache bringen» (ibid., p. 242). . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit. p. 31.

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nel custodire (bergen) il parlare del linguaggio, che parla proprio in quanto resta custodito, perdura (währt), nella parola detta (im Gesprochenen). Il perdurare (währen) del linguaggio, la sua “essenza” (Wesen), risuona come “pienezza iniziante” proprio nella poesia Ein Winterabend (Una sera d’inverno), composta da Georg Trakl: «Wenn der Schnee ans Fenster fällt, Lang die Abendglocke läutet, Vielen ist der Tisch bereitet Und das Haus ist wohlbestellt. Mancher auf der Wanderschaft Kommt ans Tor auf dunklen Pfaden. Golden blüht der Baum der Gnaden Aus der Erde kühlem Saft. Wanderer tritt still herein; Schmerz versteinerte die Schwelle. Da erglänzt in reiner Helle Auf dem Tische Brot und Wein».

Nella lettera a Karl Kraus del 13 dicembre 1913 si trova la prima stesura di questa poesia, dove i due ultimi versi della seconda strofa e la terza strofa suonano:

. «Quando cade la neve alla finestra / Lunga rintocca la campana a sera, / Per molti è pronto il desco / E tutta in ordine è la casa. / Qualcuno dal suo errare / Giunge alla porta per oscure vie. / Aureo fiorisce il tronco della grazia / Dal fresco succo della terra. / Piano entra il viandante; / Dolore ha impietrato la soglia. / Là risplende in pura luce, / Sopra il desco, pane e vino» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 200-201). Questa poesia compare all’ultimo posto nei Vier Lieder für Gesang und Orchester op. 13 di Anton Webern. Nei Sechs Lieder nach Gedichten von Georg Trakl op. 14, compaiono le poesie Die Sonne, Abendland, Nachts e Gesang einer gefangenen Amsel.

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«Seine Wunde voller Gnaden Pflegt der Liebe sanfte Kraft. O! des Menschen bloße Pein. Der mit Engeln stumm gerungen, Langt, von heiligem Schmerz bezwungen, Still nach Gottes Brot und Wein».

Si tratta, al cospetto del vedere e mostrare fenomenologico, di una poesia riuscita – forse della più riuscita fra tutte le poesie di Trakl –, la cui grandezza e bellezza, dovute ad immagini che rendono particolarmente intenso il suo fascino e mirabilmente compiuta la sua “perfezione estetica”, potrebbero addirittura prescindere dalla personalità e dal nome del poeta che ne è autore. Che cosa viene alla parola in questa poesia, il cui contenuto risulta essere sufficientemente chiaro, nonostante che alcuni versi, il terzo e il quarto della seconda strofa e il secondo della terza strofa, suonino, fa notare Heidegger, quantomai “strani” (befremdlich)? Che cosa mostrano i suoi versi al “vedere fenomenologico”? Il linguaggio è linguaggio; il linguaggio parla e, parlando, perviene alla parola detta, nella quale si manifesta l’Essere stesso in quanto Presenza che può farsi presente, in quanto Differenza dei due momenti sulla base dell’unità. La Differenza esige per la sua propria essenza l’uomo, che è uomo in quanto ˜rmhneÚj, messaggero che corrisponde alla parola della Differenza, annunciandola nel messaggio che la Differenza stessa affida al dire poetico. È possibile individuare il rapporto ermeneutico . UzS, p. 17. Così traduce questi versi A. Caracciolo: «La sua ferita piena di grazie / Lenisce la dolce forza dell’amore. / Oh, nuda sofferenza dell’uomo! / Colui che, muto, ha lottato con gli angeli, / Domato dal sacro dolore, tende silenziosamente la mano / Verso il pane e il vino del Signore» (M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit. pp. 31-32). Per quanto concerne la lettera di Trakl a Karl Kraus, cfr. G. Trakl, Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914, cit., pp. 140-141.

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(der hermeneutische Bezug) dell’essenza dell’uomo con la Differenza, proprio nella poesia Ein Winterabend? In qual senso in essa parla il Linguaggio in quanto tale, e non il linguaggio in quanto espressione del particolare “stato d’animo” del poeta Georg Trakl? La poesia in questione “descrive”, a prima vista, una sera d’inverno, illustrando, nella prima strofa, ciò che accade “fuori”: il cadere della neve alla finestra e il risuonare della campana della sera; quel che accade “fuori”, tuttavia, tocca intimamente l’abitare umano, una casa ordinata al cui interno si scorge una tavola apparecchiata. La seconda strofa lascia sorgere repentinamente un contrasto: di fronte ai molti, che sono a proprio agio (heimisch) in casa propria e a tavola, alcuni (Manche) errano sperduti (unheimisch) attraverso oscuri sentieri, forse “malvagi sentieri” (böse Wege), che talvolta conducono alla porta della casa sicura, dove improvvisamente, dalla fresca linfa della terra, fiorisce aureo un misterioso “albero delle grazie”. La terza strofa invita il viandante a passare “silenziosamente”, attraverso la soglia “pietrificata dal dolore”, dal buio di fuori alla luce di dentro, ad entrare nella casa dei “molti” che, nel frattempo, si è trasformata in un tempio sul cui altare risplende il pane e il vino del Signore. Anche così “interpretata”, tuttavia, tale poesia sembra rafforzare l’idea, dominante da millenni, secondo la quale il linguaggio è l’espressione umana dei moti interiori dell’animo e della visione del mondo (Weltansicht) che li guida; con un simile procedimento, fondato sul presupposto del linguaggio come espressione del mondo interiore dell’uomo, si rimane lontani, fa notare Heidegger, «dall’offrire un fondamento adeguato per la Erörterung dell’essenza del linguaggio». Erörtern, “localizzare” il linguaggio, è possibile soltanto se si rimane vincolati a un altro metro (Maß), che si rende manifesto nella proposizione: die Sprache spricht, il linguaggio parla, parlando nel parlare (Sprechen) che risuona nella poesia Ein Winterabend: . M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 33.

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Wenn der Schnee ans Fenster fällt, Lang die Abendglocke läutet.

Il parlare “nomina” la neve che nello svanire del giorno, mentre risuona la campana della sera, batte alla finestra senza far rumore; quando cade la neve, tutto ciò che perdura sembra perdurare più a lungo (länger), e quindi anche la campana, che di solito risuona per un tempo strettamente limitato, “risuona a lungo”. Che cosa avviene con il parlare del linguaggio che nomina (nennt) la sera d’inverno? Lungi dal consistere in un semplice rivestimento, con le parole di una determinata lingua, di oggetti e fatti noti e rappresentabili, quali la neve, la campana, la finestra, il cadere, il risuonare, lungi dal distribuire nomi e utilizzare vocaboli (Wörter), il nominare che è proprio del linguaggio chiama entro la parola (ruft ins Wort). Il nominare chiama in modo tale che il chiamare porta nella vicinanza ciò che viene chiamato, sebbene l’avvicinare non consista nel trasferire, deporre e collocare ciò che viene chiamato (das Gerufene) nell’ambito di ciò che è immediatamente presente (im nächsten Bezirk des Anwesenden). All’opposto, la chiamata (der Ruf ) chiama a sé, portando nella vicinanza la presenza (das Anwesen) del non ancora chiamato: la chiamata, in quanto appello alla vicinanza che avvicina il chiamato, è al tempo stesso appello nella lontananza, nel cui ambito ciò che viene chiamato dimora come l’ancora assente. Il chiamare-presso, che è proprio del linguaggio, chiama pertanto in una vicinanza (in eine Nähe) che non sottrae il chiamato alla lontananza: in quanto chiamare-presso, qui nella presenza, esso è anche chiamare-lontano, là nell’assenza. . Cfr. UzS, p. 21. . «Der Ruf ruft zwar her. So bringt er das Anwesen des vordem Ungerufenen in eine Nähe. Allein, indem der Ruf herruft, hat er dem Gerufenen schon zugerufen. Wohin? In die Ferne, in der Gerufenes weilt als noch Abwesendes» (ibidem).

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La presenza della neve che cade e della campana che risuona è An-wesen, presenziarsi nell’appello della poesia, che in nessun modo lascia cadere le cose nominate “sotto il qui e ora” (unter das jetzt und hier) di ciò che è semplicemente presente: «Quale presenza – si chiede Heidegger – è la più alta, quella di ciò che ci sta fisicamente dinanzi o quella di ciò che è chiamato?»10. La struttura del chiamare, in quanto portare-alla-presenza ciò che serba al tempo stesso l’inviolato carattere dell’assenza, emerge altrettanto decisamente dai due versi finali della prima strofa di Ein Winterabend: Vielen ist der Tisch bereitet Und das Haus ist wohlbestellt.

Sebbene i due versi risuonino come due “proposizioni enunciative” (Aussagesätze) in virtù dell’uso deciso del verbo “ist”, qui non si tratta di constatare qualcosa di “semplicemente presente” (Vorhandenes), non si tratta cioè, come affermato da Trakl nella sua lettera dell’autunno del 1911, di “sottomettersi incondizionatamente” alla descrizione della “realtà oggettiva”, bensì di “dare alla verità ciò che è della verità” (der Wahrheit geben, was der Wahrheit ist). Che cosa esige la verità, se essa non consiste, quanto alla sua essenza originaria, nel descrivere le cose semplicemente presenti, nell’essere cioè adaequatio intellectus et rei? Al di là della “verità empirica”, intesa come adeguazione del pensiero rappresentativo all’oggetto “semplicemente presente”, si dischiude la “verità trascendentale”, che, in quanto “verità fenomenologica”, è l’apertura dell’essere, inteso da Heidegger, nel par. 7 di Sein und Zeit, come il transcendens puro e semplice11, 10. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 34. 11. «Sein ist das transcendens schlechthin. […] Jede Erschließung von Sein als des transcendens ist transzendentale Erkenntnis. Phänomenologische Wahrheit (Erschlossenheit von Sein) ist veritas transcendentalis» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 38).

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che diviene comprensibile a partire dalla trascendenza dell’essere dell’Esserci gettato-progettante-interpretante. Al progetto ermeneutico di Sein und Zeit, inteso come dare-notizia (kundgeben) a se stesso, da parte dell’Esserci, delle strutture fondamentali del proprio essere, dei modi di essere dell’ente difforme dall’Esserci e del senso dell’essere in generale, lo Heidegger della Kehre fa seguire, come si è visto, il riferimento ermeneutico, inteso come portare-notizia (Kunde bringen) nell’ascolto di un messaggio. Ora, alla luce della “svolta nell’evento”, l’˜rmhneÚein è il portare-notizia nell’ascolto di un messaggio inviato a colui che ascolta, e tale messaggio (Botschaft) è il getto-a (Zu-wurf ) dell’“Essere stesso” come l’essere-presente dell’essente-presente (das Anwesen des Anwesenden), vale a dire la Differenza (Zwiefalt) dei due momenti sulla base della loro Unità (Einfalt)12. Ne consegue che l’uomo è (west) come uomo in quanto corrisponde all’appello della Differenza, annunciandola in un messaggio che è la parola della Differenza, ossia il Linguaggio stesso (die Sprache). Il Linguaggio determina pertanto “il riferimento ermeneutico” (der hermeneutische Bezug), inteso come portare-annuncio nell’ascolto di un messaggio; quale messaggio si annuncia nel linguaggio della poesia Ein Winterabend? Si annuncia l’Essere stesso, in quanto Unità della Differenza di essere-presente e di essente-presente, vale a dire di mondo (Welt) e cose (Dinge). La prima strofa della poesia chiama “cose” (Dinge), dice alle cose di venire in un luogo che, chiamato insieme ad esse come luogo del loro avvento (Ankunft), è una presenza salvata e protetta nell’assenza (ist ein ins Abwesen geborgenes Anwesen)13. Verso quale luogo il “nominante chiamare” della poesia dice di pervenire? Il chiamare è in realtà un invito (Einladen) alle cose, affinché esse concernano, riguardino gli uomini in quanto cose: la caduta della neve porta gli uomini sotto il cielo che si oscura 12. Cfr. UzS, p. 122. 13. Cfr. ibid., p. 22.

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nella notte; il suono della campana della sera porta gli uomini come i mortali di fronte al Divino; casa e tavola legano i mortali alla terra. Le cose in tal modo nominate riuniscono presso di sé il cielo e la terra, i mortali e i divini, i quattro che, nel loro reciproco rispecchiarsi, costituiscono un’unità originaria, il quadrato (das Geviert) che le cose, in quanto tali, lasciano trattenere presso di sé14. L’unitario quadrato di cielo e terra, divini e mortali, è la “verità trascendentale”, vale a dire l’inoggettivo dispiegamento della verità dell’essere per l’uomo, la presenza (das Anwesen) di ciò che può farsi presente (des Anwesendes). Heidegger chiama mondo (die Welt) il luogo dell’avvento delle cose, le quali, così nominate dalla poesia, sono chiamate nel loro essere e operare come cose, in un “coseggiare” (dingen) che dispiega (ent-faltet) il mondo, nel quale esse, come cose, dimorano e permangono. Ne consegue che le cose, nel loro “coseggiare”, portano a compimento il mondo; Heidegger si riferisce, a tale proposito, all’antico verbo bern, bären, da cui derivano il verbo gebären (generare) e il sostantivo Gebärde (gesto), per affermare che le cose, “coseggiando” (dingend), generano (gebärden) il mondo15. La prima strofa chiama le cose al loro “coseggiare”, affidandole nel contempo al mondo dal quale esse si manifestano; nominando le cose e insieme il mondo, ossia il quadrato di cielo e terra, divini e mortali, essa nomina anche “i molti”, che appartengono, in quanto “i mortali”, al quadrato del mondo. L’uomo non è, nella sua essenza originaria, un io-sostanza che si presenti nel mondo, né il mondo è un contenitore al cui interno stia l’uomo, alla maniera di un ente semplicemente presente 14. «Die genannten Dinge versammeln, also gerufen, bei sich Himmel und Erde, die Sterblichen und die Göttlichen. Die Vier sind ein ursprünglicheiniges Zueinander. Die Dinge lassen das Geviert der Vier bei sich verweilen» (ibidem). 15. «Die Dinge tragen, indem sie dingen, Welt aus. Unsere alte Sprache nennt das Austragen: bern, bären, daher die Wörter „gebären“ und „Gebärde“. Dingend sind die Dinge Dinge. Dingend gebärden sie Welt» (ibidem).

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dentro un altro ente semplicemente presente; il carattere fondamentale dell’Esserci, quale emerge nel par. 9 di Sein und Zeit, è l’esistenza (Existenz), ossia un aver-da-essere (Zu-sein)16, che è de-sostanzializzato rapportarsi a se stesso, moto di opposizione ontologica all’“esistenza” intesa, secondo l’ontologia tradizionale, come semplice presenza intramondana (Vorhandenheit)17. In quanto aver-da-essere, l’Esserci è sempre la sua possibilità, e proprio per questo può scegliersi, conquistarsi, può perdersi, oppure può conquistarsi solo “apparentemente”. Il suo stesso essersi perduto “per oscuri sentieri” (auf dunklen Pfaden), o il non essersi ancora conquistato, è tuttavia una possibilità (la possibilità del “male”) ontologicamente connessa alla possibilità opposta dell’appropriazione di sé, vale a dire dell’autenticità (Eigentlichkeit). Ne consegue che autenticità e inautenticità si fondano sul fatto che l’Esserci è in generale determinato dall’esser-sempre-mio (Jemeinigkeit), tanto che la stessa inautenticità (Uneigentlichkeit) non significa affatto un “esser-diminuito” o un grado “inferiore” di essere; all’opposto, proprio l’esistenza inautentica, che è l’esistenza dei “molti” della prima strofa della poesia Ein Winterabend, può determinare l’Esserci, secondo la sua più piena concretezza, nella sua operosità e vivacità, nella 16. «Das “ Wesen” dieses Seienden liegt in seinem Zu-sein. Das Was-sein (essentia) dieses Seienden muß, sofern überhaupt davon gesprochen werden kann, aus seinem Sein (existentia) begriffen werden. […] Das „Wesen“ des Daseins liegt in seiner Existenz» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 42). 17. Cfr. a tale proposito le seguenti osservazioni di Walter Schulz: «Heidegger rigorizza l’impostazione cartesiana. Contro la determinazione cartesiana dell’Io come sostanza, egli dichiara: l’Io non è una cosa, non è qualcosa di sostanziale che si presenta nel mondo, come pietre o animali, ma un rapportarsi-a-sé desostanzializzato. Questo moto di opposizione ontologica all’essere “cosale” contraddistingue la determinazione dell’esserci da parte di Heidegger […]. L’esserci è rapportarsi a sé e nulla oltre a ciò» (W. Schulz, Il superamento della metafisica nel pensiero di Heidegger, in Aa.Vv., Heidegger, a cura di Giorgio Penzo, Editrice Morcelliana, Brescia 1990, pp. 53-74; pp. 55-56).

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sua capacità di interessarsi e di godere della vita18. Il primato dell’esistenza sull’essenza e la Jemeinigkeit mostrano come l’analitica dell’Esserci si trovi di fronte alla necessità di tematizzare il fenomeno dell’in-essere (In-sein) in quanto essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein); con l’espressione “in-essere”, Heidegger indica pertanto la costituzione d’essere dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo, inteso come habitare, soggiornare presso il mondo, riguardato a sua volta non già come un ente semplicemente presente, bensì come una totalità di appagatività e di significatività, entro il cui orizzonte si dischiude la “utilizzabilità” (Zuhandenheit) in quanto essere dell’ente difforme dall’Esserci19. Ora, il rapportarsi dell’Esserci al proprio essere-nel-mondo nel modo della “quotidianità media” (die durchschnittliche Alltäglichkeit), ossia nel modo della “inautenticità” in quanto immedesimazione deiettiva nel mondo-ambiente caratterizzata dal prendersi-cura dell’utilizzabile, è il modo della fuga dell’Esserci davanti a se stesso e dell’oblio di sé20. Nel mondo che si dischiu18. «Und weil Dasein wesenhaft je seine Möglichkeit ist, kann dieses Seiende in seinem Sein sich selbst „wählen“, gewinnen, es kann sich verlieren, bzw. nie und nur „scheinbar“ gewinnen. Verloren haben kann es sich nur und noch nicht sich gewonnen haben kann es nur, sofern es seinem Wesen nach mögliches eigentliches, das heißt sich zueigen ist. Die beiden Seinsmodi der Eigentlichkeit und Uneigentlichkeit – diese Ausdrücke sind im strengen Wortsinne terminologisch gewählt – gründen darin, daß Dasein überhaupt durch Jemeinigkeit bestimmt ist. Die Uneigentlichkeit des Daseins bedeutet aber nicht etwa ein „weniger“ Sein oder einen „niedrigeren“ Seinsgrad. Die Uneigentlichkeit kann vielmehr das Dasein nach seiner vollsten Konkretion bestimmen in seiner Geschäftigkeit, Angeregtheit, Interessiertheit, Genußfähigkeit» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., pp. 42-43). 19. Cfr. i parr. 12 e 18 di Sein und Zeit, cit., intitolati, rispettivamente, Die Vorzeichnung des In-der-Welt-seins aus der Orientierung am In-Sein als solchem (pp. 52-59) e Bewandtnis und Bedeutsamkeit; die Weltlichkeit der Welt (pp. 83-89). 20. «Die durchschnittliche Alltäglichkeit des Daseins darf aber nicht als ein bloßer „Aspekt“ genommen werden. Auch in ihr und selbst im Modus der Uneigentlichkeit liegt a priori die Struktur der Existenzialität. Auch in ihr geht

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de come una totalità di appagatività e di significatività, la cosa si mostra all’Esserci nella sua appagatività (Bewandtnis), ossia alla luce di un bewenden lassen (lasciar-appagare) che rimette la cosa al suo esser-mezzo da utilizzare in vista di ciò che, nel commercio (Umgang) con il proprio mondo-ambiente (Umwelt), l’Esserci è chiamato di volta in volta a realizzare21. Che cosa è mutato, nel contesto della Kehre im Ereignis, a proposito del rapporto fra mondo e cosa? Come in Sein und Zeit l’ente intramondano dischiude il suo autentico essere (la Zuhandenheit) soltanto alla luce di una progettata totalità di appagatività e di significatività, ossia alla luce del progetto dell’Esserci in quanto essere-nelmondo, così, nel saggio di Unterwegs zur Sprache intitolato Die Sprache, le cose nominate nella prima strofa della poesia di Trakl Ein Winterabend, condizionano (be-dingen) i mortali visitandoli di volta in volta insieme con il mondo, che rimane il luogo dell’abitare, del soggiornare dell’Esserci; ora tuttavia, “io sono” significa per l’Esserci dominato dalla Cura, che in Sein und Zeit si configura come un “avanti-a-sé-esser-già-in (un mondo)”22, non già abitare, soggiornare presso il mondo come qualcosa che mi è familiare in questo o quel modo, soggiornare in una totalità di appagatività e di significatività al cui interno avviene l’incontro con le cose utilizzabili, bensì: abitare, soggiornare come mortale es dem Dasein in bestimmter Weise um sein Sein, zu dem es sich im Modus der durchschnittlichen Alltäglichkeit verhält und sei es auch nur im Modus der Flucht davor und des Vergessens seiner» (ibid., p. 44). 21. «Bewandtnis ist das Sein des innerweltlichen Seienden, darauf es je schon zunächst freigegeben ist […]. Welche Bewandtnis es mit einem Zuhandenen hat, das ist je aus der Bewandtnisganzheit vorgezeichnet» (ibid., p. 84). 22. Cfr. il par. 41 di Sein und Zeit, intitolato Das Sein des Daseins als Sorge: «Die formal existenziale Ganzheit des ontologischen Strukturganzen des Daseins muß daher in folgender Struktur gefaßt werden: Das Sein des Daseins besagt: Sich-vorweg-schon-sein-in-(der-Welt-) als Sein-bei (innerweltlich begegnendem Seienden). Dieses Sein erfüllt die Bedeutung des Titels Sorge, der rein ontologisch-existenzial gebraucht wird» (ibid., p. 192).

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nel mondo riguardato come quadrato (Geviert) di cielo e terra, divini e mortali, come la compagine (das Gefüge) che esprime la coesione, il “senso” dell’essere che consente alle cose di avvenire. Le cose condizionano i mortali perché sono a loro volta condizionate dal mondo23, ma al mondo, che consente le cose, appartengono da sempre anche i mortali. Ecco perché la seconda strofa di Ein Winterabend si rivolge direttamente ai mortali: Mancher auf der Wanderschaft Kommt ans Tor auf dunklen Pfaden.

È questa una immagine spesso ricorrente nella poesia di Trakl; in Abendlied (Canto della sera), i primi due versi suonano: «Am Abend, wenn wir auf dunklen Pfaden gehn, Erscheinen unsere bleichen Gestalten vor uns»24.

A questi versi iniziali fanno da contrappunto i due versi finali che suonano: «Doch wenn dunkler Wohllaut die Seele heimsucht, Erscheinst du Weiße in des Freundes herbstlicher Landschaft»25.

Anche il primo “quadro” di quel grande polittico che è la prosa lirica Offenbarung und Untergang inizia con le eloquenti parole: «Seltsam sind die nächtigen Pfade des Menschen»26. A sera, 23. «Die Dinge be-dingen die Sterblichen. Dies sagt jetzt: Die Dinge besuchen jeweils die Sterblichen eigens mit Welt» (UzS, p. 22). 24. «Se andiamo a sera per sentieri oscuri / Smorti ci appaiono i nostri volti» (G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 122-123). 25. «Ma quando oscura armonia visita l’anima, / Appari tu, bianca, nel paesaggio autunnale dell’amico» (ibidem). 26. «Strani sono i notturni sentieri dell’uomo» (ibid., pp. 314-315). Si veda anche la terza strofa della terza versione di Passion, dove appare un “az-

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nell’ora del tramonto, qualcuno percorre “oscuri sentieri”; si tratta di sentieri “strani” (seltsam), perché rivelativi della nostra pallida figura (bleiche Gestalt), cui fa tuttavia da contrappunto una “oscura eufonia” (dunkler Wohllaut) che di sera, nell’ora del crepuscolo, visita (heimsucht) l’anima. Chi viene nominato con quel “qualcuno” (Mancher)? Non tutti i mortali, e nemmeno i molti, bensì soltanto “alcuni”, quelli (jene) che, al seguito di Elis, dello straniero dipartito, vagano per gli oscuri sentieri della morte. Soltanto questi mortali, fa notare Heidegger, sono capaci del morire come essere-in-cammino verso la morte27. In Sein und Zeit la morte dell’Esserci è determinata a partire dalla temporalità (Zeitlichkeit) in quanto orizzonte della Cura: l’Esserci, in quanto Cura, è progettante essere-avanti-a-sé, ossia futuro; è progetto-gettato, ossia essere-stato, passato; è esser-presso, ossia presente. Soltanto la morte, tuttavia, come possibilità della pura e semplice impossibilità dell’Esserci, come possibilità più propria, incondizionata, certa e insuperabile, come “imminenza sovrastante specifica”, si rivela essere la possibilità dell’Esserci più caratteristica, non in quanto fatto che riguardi l’uomo come semplice essere vivente suscettibile di venire “attaccato” da essa “dall’esterno”, bensì perché costituisce, in quanto possibilità del nulla dell’Esserci svelato dall’angoscia, l’esito estremo di quel moto di opposizione ontologica alla “semplice presenza”, che contraddistingue il processo della negatività fenomenologica orientato alla determinazione dell’essere dell’Esserci: costituisce, in altri termini, l’esito estremo del movimento nullificanzurro animale” che, occhieggiando fra “alberi crepuscolari”, segue sempre “sentieri più oscuri”, vegliando e mosso da “notturna eufonia”, da “soave follia”: «Denn immer folgt, ein blaues Wild, / Ein Äugendes unter dämmernden Bäumen, / Dieser dunkleren Pfaden / Wachend und bewegt von nächtigem Wohllaut, / Sanftem Wahnsinn;» (ibid., pp. 236-238). 27. «Weder alle Sterblichen sind gerufen, noch die Vielen, sondern nur “Manche”; jene, die auf dunklen Pfaden wandern. Diese Sterblichen vermögen das Sterben als die Wanderschaft zum Tode» (UzS, p. 23).

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te dell’angoscia, la quale, in quanto negazione della vicinanza immediata in cui l’uomo si trova innanzitutto e per lo più con l’ente intramondano e con se stesso, sottrae l’Esserci alla sua “immedesimazione deiettiva” con il mondo dell’intimità quotidiana che predomina nell’“esistenza inautentica” dei “molti”28, per condurlo al cospetto della differenza ontologica fra l’essente e l’essere, il quale, in quanto altro dall’essente, si svela nella sua identità con il nulla. L’essere e il nulla sono lo stesso, ma non perché trovino la loro verità, come avviene nella Scienza della logica di Hegel, nel divenire, bensì perché il senso dell’essere, in quanto differenza ontologica, può disvelarsi soltanto nell’Esserci lanciato e trattenuto dalla “decisione anticipatrice” entro il nulla 28. Sul carattere nullificante proprio della situazione emotiva dell’angoscia, cfr. il par. 40 di Sein und Zeit: «Die Angst dagegen holt das Dasein aus seinem verfallenden Aufgehen in der „Welt“ zurück. Die alltägliche Vertrautheit bricht in sich zusammen» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 189). Per quanto riguarda la definizione esistenziale della morte, cfr. il par. 50 di Sein und Zeit: «Der Tod ist die Möglichkeit der schlechthinnigen Daseinsunmöglichkeit. So enthüllt sich der Tod als die eigenste, unbezügliche, unüberholbare Möglichkeit. Als solche ist er ein ausgezeichneter Bevorstand» (ibid., pp. 250-251). Cfr., a proposito del movimento dell’angoscia di fronte alla morte come movimento della mediazione, le seguenti osservazioni di Walter Schulz: «Il movimento dell’angoscia è un movimento della mediazione. Il suo primo passo è la negazione della vicinanza immediata, in cui l’uomo sta innanzitutto con l’ente e con se stesso. L’angoscia mi estrania da ogni ente, anche da me stesso. Ma a questo primo passo segue il secondo: questa negazione, l’estraniazione, viene essa stessa dal canto suo di nuovo negata. Io vengo ricondotto all’ente e a me. La vicinanza così ottenuta non è però più la vicinanza immediata e naturale dell’inizio, ma una vicinanza mediata, cioè in essa resta conservata la lontananza» (W. Schulz, Il superamento della metafisica nel pensiero di Heidegger, in Heidegger, cit., p. 60). Tutto ciò esprime, a ben vedere, la struttura che sorregge la poesia Ein Winterabend: la lontananza che resta conservata è la lontananza del Geviert, della verità dell’essere che rimane nascosto nel suo essere la mediazione che concede le cose; il movimento dell’angoscia di fronte alla morte, e quindi il dolore del distacco dall’ente “semplicemente presente”, è il “sentiero oscuro” che dischiude la lontananza del mondo che approssima le cose nel loro “coseggiare” come generanti il mondo.

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del proprio essere-per-la-fine (Sein zum Ende) che è la morte29. Ecco perché «nella morte si raccoglie il massimo occultamento dell’Essere»30, si raccoglie cioè il ritrarsi dell’essere nella sua differenza rispetto all’ente. La morte, afferma Heidegger nel saggio Das Ding, compreso in Vorträge und Aufsätze, è “lo scrigno del nulla” e, come tale, “il riparo dell’essere”31: lo “scrigno del nulla”, perché l’essere, per la differenza ontologica, non è mai un ente, è un ni-ente; il “riparo dell’essere”, perché il “non”, la negatività della morte anticipata dall’Esserci, è il velo che nasconde e protegge il senso dell’essere in quanto differenza rispetto all’ente. In quanto riparo dell’essere, “montagna protettiva” (Gebirg) del suo senso, la morte ha già oltrepassato ogni morire inteso come accadimento puramente umano; nel “morire” di quei “pochi” che sono in cammino per oscuri sentieri è in gioco l’essere stesso nel suo getto-a (Zu-wurf ), il quale reclama e appropria l’Esserci dell’uomo al quadrato del mondo che consente le cose, concedendo ad esse quel “coseggiare” (dingen) che condiziona (be-dingt) i “molti”, che dischiude cioè ad essi la via verso il vero “abitare”32. L’uomo, in quanto essere-nel-mondo, è già progetto 29. «”Das reine Sein und das reine Nichts sind also dasselbe”. Dieser Satz Hegels (Wissenschaft der Logik I. Buch, WW III, S. 74) besteht zu Recht. Sein und Nichts gehören zusammen, aber nicht weil sie beide – vom Hegelschen Begriff des Denkens aus gesehen – in ihrer Unbestimmtheit und Unmittelbarkeit übereinkommen, sondern weil das Sein selbst im Wesen endlich ist und sich nur in der Transzendenz des in das Nichts hinausgehaltenen Daseins offenbart» (M. Heidegger, Was ist Metaphysik?, in Wegmarken, cit., p. 17). 30. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 35. 31. «Der Tod birgt als der Schrein des Nichts das Wesende des Seins in sich. Der Tod ist als der Schrein des Nichts das Gebirg des Seins» (M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Günther Neske, Pfullingen 1954, 1959², p. 177). 32. «Im Tod versammelt sich die höchste Verborgenheit des Seins. Der Tod hat jedes Sterben schon überholt. Die „auf der Wanderschaft“ müssen erst Haus und Tisch durch das Dunkel ihrer Pfade erwandern, nicht nur und nicht einmal zuerst für sich, sondern für die Vielen; denn diese meinen, sie seien, wenn sie sich nur in Häusern einrichteten und an Tischen säßen, schon von den Dingen

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gettato nella verità dell’essere, ma ciò accade, innanzitutto e per lo più, nella modalità dell’apertura di una totalità di appagatività e di significatività, entro il cui orizzonte l’essere delle cose si dischiude come utilizzabilità, come se il sistemarsi in una casa e il sedere ad una mensa costituissero di per sé l’autentico abitare presso le cose. Non i molti, ma soltanto alcuni dei mortali, e non tanto per se stessi, quanto proprio per i molti, sono in grado, errando per oscuri sentieri, di dischiudere il mondo in quanto in-oggettivo dispiegamento della verità dell’essere per l’uomo: Golden blüht der Baum der Gnaden Aus der Erde kühlem Saft.

Improvvisamente, i due ultimi versi della seconda strofa nominano qualcosa di totalmente altro rispetto alle cose con le quali i molti intrattengono il tranquillo commercio quotidiano dominato dalla Zuhandenheit: nominano propriamente la svolta nell’evento, in quanto impeto dell’essere che appropria il Ci dell’Esserci, conducendolo al Se stesso autentico e, con ciò, al compimento-salvazione della verità saldamente fondata nell’ente, che trova così la propria “dimora” nell’“aperto nascondimento” del Ci dell’Esserci appropriato al quadrato del mondo che “consente” le cose33. La svolta, in quanto contro-svolta che si essenzia (west) fra l’appello dell’essere e la risposta dell’Esserci, vale a dire come richiamo (Anruf ) a gettarsi nell’appropriazione (Ereignung) di chiamata e ascolto, si manifesta nel dire poetico di Trakl con i due versi che, nominando “l’albero delle grazie”, dicono (heißen) al mondo di venire: «Chiamano il quadrato, be-dingt und seien in das Wohnen gelangt» (UzS, p. 23). 33. «Was ist diese ursprüngliche Kehre im Ereignis? Nur der Anfall des Seyns als Ereignung des Da bringt das Da-sein zu ihm selbst und so zum Vollzug (Bergung) der inständlich gegründeten Wahrheit in das Seiende, das in der gelichteten Verbergung des Da seine Stätte findet» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., p. 407).

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cioè appunto il mondo, a sé, e, ciò facendo, additano al mondo le cose»34. In qual modo ciò avviene? Perché “l’albero delle grazie” è l’unitario quadrato del mondo che consente (gönnt) le cose? Che cosa significa qui “mondo”? La risposta a tali questioni è decisiva per comprendere tanto il cammino di pensiero compiuto da Heidegger, quanto il cammino poetico compiuto da Trakl, cammino quest’ultimo che anticipa, precorre il primo, perché è proprio del pensare e del poetare un rapporto privilegiato, anche se di natura diversa, con il linguaggio35. All’ultima questione Heidegger risponde affermando che la parola “mondo” (Welt) non è più usata in senso metafisico: essa non nomina né l’universo della natura e della storia rappresentato nella sua forma secolarizzata, tipica della metafisica moderna, né il mundus teologicamente rappresentato come ens creatum, tipico della metafisica scolastico-medievale, e nemmeno il kÒsmoj grecamente inteso come la totalità (das Ganze) di ciò che è presente36. Il mondo, che in Sein und Zeit è una totalità di appagatività e di significatività entro il cui orizzonte l’ente viene scoperto nel suo essere-utilizzabile, si configura ora come l’insieme unitario dei prototipi dell’ente: come quadrato di cielo e terra, divini e mortali. Alla prima questione Heidegger risponde affermando 34. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 36. 35. Cfr. UzS, p. 38. 36. «Das Wort „Welt“ ist jetzt nicht mehr im metaphysischen Sinne gebraucht. Es nennt weder das säkularisiert vorgestellte Universum von Natur und Geschichte, noch nennt es die teologisch vorgestellte Schöpfung (mundus), noch meint es lediglich das Ganze des Anwesenden (kÒsmoj)» (ibid., pp. 23-24). L’immagine del kÒsmoj come Geviert, come quadrato di cielo e terra, divini e mortali, sembra tuttavia emergere nel dialogo platonico Gorgia, allorché Platone fa dire a Socrate: «fasˆ d'oƒ sofo…, ð Kall…kleij, kaˆ oÙranÕn kaˆ gÁn kaˆ qeoÝj kaˆ ¢nqrèpouj t¾n koinwn…an sunšcein kaˆ fil…an kaˆ kosmiÒthta kaˆ swfrosÚnhn kaˆ dikaiÒthta, kaˆ tÕ Ólon toàto di¦ taàta kÒsmon kaloàsin, ð ˜ta‹re, oÙk ¢kosm…an oÙd ¢kolas…an» (Platone, Gorgia, 507e-508a, tr. it. a cura di Francesco Adorno, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 150).

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come il mondo si dischiuda poeticamente nell’“aureo fiorire” dell’albero delle grazie (immagine che indica, a ben vedere, il capovolgimento dell’“albero delle conoscenze” progettato agli inizi della modernità da Descartes), proprio perché l’albero, saldamente radicato nella terra, prospera nella fioritura che si apre alla benedizione del cielo: l’ergersi dell’albero nominato dalla poesia abbraccia al tempo stesso l’ebbrezza della fioritura rivolta verso il cielo e la sobrietà che è propria della linfa nutritiva della terra. L’albero delle grazie, nutrito dalla terra e gratificato dal cielo, nasconde nella sua fioritura il frutto che sopravviene benigno (hold) ai mortali come dono gratuito: il Sacro che salva (darettend Heilige). Nel dorato fiorire dell’albero delle grazie predominano (walten) la terra e il cielo, i divini e i mortali: «Il loro unitario quadrato è il mondo»37, afferma Heidegger, e l’albero che ne esprime il senso è “aureo” perché, nel linguaggio poetico di Trakl, l’oro è lo splendore della verità dell’essere nella sua differenza dall’ente, è il colore che penetra della sua luce ogni cosa, accogliendo e custodendo nel suo disvelante splendore tutto ciò che, di volta in volta, perviene alla presenza nella sua natura di cosa che rimanda al mondo. Con il reciproco rimando di mondo e cosa, il linguaggio della poesia si configura al tempo stesso come un chiamare (Rufen) che, nominando le cose, chiama-vicino e rimanda-lontano, e come un dire (Sagen) che, nominando il mondo, chiama-vicino e rimanda-lontano: il chiamare che è proprio della poesia affida il mondo alle cose (l’essere-presente all’essente-presente) e, nel contempo, custodisce le cose nello splendore del mondo (l’essente-presente nell’essere-presente). Nell’˜rmhneÚein del linguaggio poetico, inteso come “esporre che reca un annuncio nell’ascolto di un messaggio”, perviene alla manifestazione l’Essere stesso in quanto presenza del presente, vale a dire l’unitaria Differenza dei due momenti, la quale esige 37. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 36.

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l’essenza dell’uomo in quanto annunciatore del messaggio38; si tratta del messaggio (Botschaft) della Dif-ferenza ontologica, che annuncia sia le cose che “fanno essere” il mondo, sia il mondo che “consente” le cose, concedendo ad esse il loro “coseggiare” (Dingen)39. Il parlare delle prime due strofe parla dicendo alle cose di venire al mondo e al mondo di venire alle cose; i due modi del dire (Heißen) sono distinti (geschieden), ma non separati (getrennt), né, tantomeno, semplicemente accoppiati (gekoppelt), proprio perché mondo e cose non sono due realtà “semplicemente presenti” l’una accanto all’altra. Compenetrandosi a vicenda, “i Due” (die Zwei), mondo e cosa, attraversano un medium (eine Mitte), nel quale essi risultano uniti (einig) e, perciò, intimi (innig). L’intimità (die Innigkeit) si configura pertanto come la mediazione, il frammezzo (das Zwischen) che, lungi dal produrre una “fusione” di mondo e cosa, manifesta all’opposto l’autentico carattere dell’intimità, che può vigere soltanto là dove ciò che è intimo, mondo e cosa, nettamente (rein) si distingue e rimane distinto40: «Nella linea che è a mezzo dei due, nel frammezzo di mondo e cosa, nel loro inter, in questo unter, domina lo stacco»41. Nel medium (Zwischen) di mondo e cosa vige pertanto uno stacco (Schied) che è UnterSchied, Dif-ferenza che, nella sua unicità, sorregge la linea me38. Cfr. UzS, p. 122. 39. «Wie das Rufen, das die Dinge nennt, her- und hin-ruft, so ruft das Sagen, das die Welt nennt, in sich her und hin. Es traut Welt den Dingen zu und birgt zugleich die Dinge in den Glanz von Welt. Diese gönnt den Dingen ihr Wesen. Die Dinge gebärden Welt. Welt gönnt die Dinge» (ibid., p. 24). 40. «Die Innigkeit von Welt und Ding ist keine Verschmelzung. Innigkeit waltet nur, wo das Innige, Welt und Ding, rein sich scheidet und geschieden bleibt» (ibidem). Cfr. quanto scritto da Hölderlin nello schizzo dal titolo Gestalt und Geist (Forma e spirito): «Alles ist innig / Das scheidet / So birgt der Dichter (Tutto è interiore / Questo separa / Così il poeta cela)», F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., pp. 702-703. 41. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 37.

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diana (die Mitte), la mediazione in virtù della quale mondo e cose sono reciprocamente uniti: «L’intimità della dif-ferenza è l’elemento unificante della DiafÒra, di Ciò che differenziando porta e compone»42. È la Differenza unificante dei due momenti l’evento che porta il mondo al suo “mondeggiare” (Welten) e le cose al loro “coseggiare” (Dingen): come il mondo non è mai un ente semplicemente presente, bensì “mondeggia” consentendo le cose, così la cosa non è mai un ente semplicemente presente, bensì “coseggia” generando il mondo. La mediazione della Differenza non è qualcosa che avvenga in un secondo momento, come se si trattasse di congiungere due entità già a loro modo presenti; all’opposto, è la Differenza stessa che, chiamando mondo e cose l’uno verso l’altro, media (ermittelt), in quanto linea mediana, mondo e cose nel loro essenziarsi, vale a dire nel loro essere l’uno per l’altro, la cui unità essa porta a compimento43. La svolta nell’evento, che si essenzia nel recare l’annuncio del messaggio della Dif-ferenza, intende quest’ultima non più come una “distinzione fra oggetti” posta dal pensare rappresentativo proprio della metafisica, e nemmeno come una “relazione constatabile fra mondo e cosa”, destinata in un secondo momento ad essere “trascesa” in una superiore unità; la Differenza è l’evento stesso (Ereignis), che appropria, lascia accadere (ereignet) le cose nel loro “generare” (Gebärden) il mondo, e il mondo nel suo “consentire” (Gönnen) le cose44. Non essendo distinzione né relazione, la Differenza è la dimensione (Dimension) del mondo e delle cose, da intendersi non già di nuovo, alla maniera metafisica, come una regione 42. Ibidem. 43. «Der Unter-Schied vermittelt nicht nachträglich, indem er Welt und Dinge durch eine herzugebrachte Mitte verknüpft. Der Unter-Schied ermittelt als die Mitte erst Welt und Dinge zu ihrem Wesen, d. h. in ihr Zueinander, dessen Einheit er austrägt» (UzS, p. 25). 44. «Der Unter-Schied für Welt und Ding ereignet Dinge in das Gebärden von Welt, ereignet Welt in das Gönnen von Dingen» (ibidem).

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(Bezirk) per sé semplicemente presente, al cui interno questo o quello possa insediarsi: la Differenza, fa notare Heidegger, è la dimensione, in quanto soltanto essa “misura nel loro proprio” (in ihr Eigenes er-mißt) mondo e cosa, dischiudendo con il suo misurare ciò che al tempo stesso allontana e avvicina, separa e rende intimi mondo e cosa. Il dischiudere (Eröffnen) che è proprio della Differenza costituisce in tal modo la misura (das Maß) secondo la quale mondo e cose si appropriano della loro autentica essenza45. Nel nominare della poesia Ein Winterabend, che nelle prime due strofe chiama le cose e il mondo, ciò che è propriamente (eigentlich) chiamato è “der Unter-Schied”, la Dif-ferenza: se nella prima strofa l’invito è rivolto alle cose che, “coseggiando”, generano il mondo, mentre nella seconda è rivolto al mondo che, “mondeggiando”, consente le cose, nella terza, fa notare Heidegger, «l’invito è alla linea frammezzo mondo e cosa: a ciò che fonda e compie l’intimità»46. Ecco perché la terza strofa inizia con un richiamo più deciso: Wanderer tritt still herein;

Dove il viandante entri non viene detto; il suo silenzioso procedere, tuttavia, sembra stagliarsi come l’eco del silenzio che domina la soglia, evocata improvvisamente e sorprendentemente dal verso successivo: Schmerz versteinerte die Schwelle. 45. «Der Unter-Schied ist die Dimension, insofern er Welt und Ding in ihr Eigenes er-mißt. Sein er-messen eröffnet erst das Aus- und Zu-einander von Welt und Ding. Solches Eröffnen ist die Art, nach der hier der Unter-Schied beide durchmißt. Der Unter-Schied vermißt als die Mitte für Welt und Dinge das Maß ihres Wesens» (ibid., pp. 25-26). 46. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 38.

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Questo verso, che nomina il dolore, parla isolato (einsam) nel contesto dell’intera poesia: il dolore è qui evocato nella forma verbale del passato (versteinerte), di un passato che, lungi dall’essere “il semplicemente trascorso non più presente”, si configura come una presenza che è già stata (gewesen): la soglia, in tal modo, è (west) innanzitutto nell’esser-stato del pietrificarsi che è proprio del dolore47. L’immagine della soglia indica l’impalcatura (der Grundbalken) che sorregge interamente la porta, che costituisce cioè il mezzo (die Mitte) attraverso il quale l’esterno e l’interno trapassano l’uno nell’altro. Alla fidatezza della soglia che regge il frammezzo (das Zwischen) si adatta tutto ciò che attraverso di essa esce ed entra, ma questo comporta che la soglia sia qualcosa di durevole, qualcosa di “solido” e “duro”. La soglia, in quanto portatrice del frammezzo, è dura perché il dolore l’ha pietrificata, ma il dolore che è divenuto pietra non si è solidificato nella soglia per “irrigidirsi” in essa; all’opposto, il dolore si essenzia nella soglia permanendo come dolore48. 47. «„…versteinerte…“ Dies Wort ist das einzige im Gedicht, das in der Zeitform der Vergangenheit spricht. Gleichwohl nennt es nicht ein Vergangenes, solches, was nicht mehr anwest. Es nennt Wesendes, das schon gewesen. Im Gewese des Versteinerns west allererst die Schwelle» (UzS, p. 26). 48. «Die Schwelle ist als der Austrag des Zwischen hart, weil Schmerz sie versteinerte. Aber der zu Stein ereignete Schmerz hat sich nicht in die Schwelle verhärtet, um in ihr zu erstarren. Der Schmerz west in der Schwelle ausdauernd als Schmerz» (ibid., pp. 26-27). Cfr., a proposito del dolore come rapporto di identità e nel contempo di radicale differenza fra mondo e cose, le seguenti osservazioni di Umberto Regina: «Il dolore determina uno strappo senza mediazioni possibili. Solo in questa sua radicalità esso può congiungere in assoluta intimità le cose al mondo. Le cose possono sussistere veramente solo se il mondo rappresenta per esse uno strappo radicale e non un’unità onniavvolgente. Il mondo non può cioè essere semplicemente la totalità dell’ente; se così fosse, anzi, le cose non potrebbero inserirsi effettivamente nel mondo». Tutto ciò ben si comprende alla luce della prospettiva heideggeriana secondo la quale nella salvezza della verità dell’ente (del positivo) è chiamato in

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Che cos’è dunque il dolore? Si ricordi l’inizio dell’ultima strofa della poesia Heiterer Frühling: So schmerzlich gut und wahrhaft ist, was lebt;

Tutto ciò che vive, ossia “il divenire” che “appare così malato” (“Wie scheint doch alles Werdende so krank!”), nella sua sofferenza connessa al decadimento (Verfallen), all’essere-gettato (Geworfenheit), all’essere-colpevole (Schuldigsein) e alla morte (Tod), ossia alle figure della negatività fenomenologica di Sein und Zeit, altro non è se non il modo d’apparire nel quale si nasconde “das Wahrliche”, vale a dire il dolore della Differenza di mondo e cosa, la Dif-ferenza come dolore del distacco (Abgeschiedenheit) che tutto compenetra e in tutto permane, come dono del vero essere per tutto ciò che è. Ecco perché il dolore, in quanto carattere fondamentale della “grande anima” e, al tempo stesso, termine corrispettivo alla sacralità dell’azzurro, non è una dimensione antropologicamente concepita «come sensazione che rende sofferenti»49. Il dolore è lo strappo (der Riß) della Differenza che spezza e divide (scheidet), in maniera tale che, al tempo stesso, tutto attrae a sé e raccoglie in sé; il dolore, in causa proprio il non essere della differenza ontologica: «Lo “strappo” che congiunge è lo stacco radicale che sussiste fra positivo e negativo nell’accadere dell’ente (nel vero essere delle cose). La presenza implicita del non essere nel procedere interpretativo di Heidegger è essenziale per rendere possibile il successivo passaggio dalle cose al silenzio, con il quale viene ottenuta l’identificazione fra le cose stesse e la dimensione linguistica. Lo strappo radicale, manifestato dal dolore, diventa silenzio in base alla considerazione che la differenza, che si rivela nello strappo, è tale da non lasciare alcuna commistione fra le cose e il mondo; il mondo e le cose possono essere intimamente uniti perché non vi è nulla del mondo che appartenga alle cose, e nulla delle cose che sia del mondo. In tale radicale differenza viene consentita la quiete assoluta (la costante intimità) nel coappartenersi dei due differenti» (U. Regina, Heidegger. Esistenza e Sacro, Morcelliana, Brescia 1974, pp. 271-272). 49. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 39.

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quanto dipartenza (Abgeschiedenheit) della “grande anima” verso la sacralità dell’azzurro, avvolto nel riparo protettivo dell’essere-per-la-morte che dischiude il nulla dell’ente – il non della differenza ontologica fra essere ed ente – è lo spezzare-strappare (Reißen), è il dividere (Scheiden) che riunisce, è quel trascinare (Ziehen) che, fa notare Heidegger, «diversifica e congiunge ciò che nello stacco è tenuto distinto»50. Il dolore è ciò che connette nello strappare dividente-adunante, è la connessura dello strappo (die Fuge des Risses), ossia la soglia che regge il frammezzo, il punto d’incontro (die Mitte) dei due (mondo e cose) divisi. Il dolore che connette lo strappo della Differenza è la Dif-ferenza stessa51, il centro unificante (die versammelnde Mitte) nella cui Innigkeit l’atto generativo (die Gebärde) della cosa e il potere propiziante (die Gunst) del mondo si compenetrano a vicenda. Il dolore dello spirito della dipartenza, del distacco dalla vecchia stirpe umana, decaduta perché dimentica dell’inizio indisvelato e quindi esistente innanzitutto e per lo più nella modalità inautentica della immedesimazione deiettiva nel “mondo-ambiente” (Umwelt), entro il cui orizzonte l’ente appare nella sua immediata utilizzabilità (Zuhandenheit), si dischiude al vedere e mostrare fenomenologico, appropriato alla “svolta nell’evento”, come “l’intimità della Dif-ferenza tra mondo e cosa” (Die Innigkeit des Unter-Schiedes für Welt und Ding)52. L’intimità qui considerata, lungi dall’esprimere il “centro psicologico” nel quale si annida la sensibilità umana, altro non è se non lo stacco dividente-adunante del dolore della Dif-ferenza, il cui potere “pietrificante” la soglia predomina (west) come l’essere-stato (das Gewese) dal quale avviene (ereignet) il dispiegarsi di mondo e 50. Ibidem. 51. «Der Schmerz ist die Fuge des Risses. Sie ist die Schwelle. Sie trägt das Zwischen aus, die Mitte der zwei in sie Geschiedenen. Der Schmerz fügt den Riß des Unter-Schiedes. Der Schmerz ist der Unter-Schied selber» (UzS, p. 27). 52. Cfr. ibidem.

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cosa nella loro intima separatezza53. Come tutto ciò possa accadere, viene detto nei due ultimi versi della poesia: Da erglänzt in reiner Helle Auf dem Tische Brot und Wein.

Con l’apparizione dei simboli “cristici” del pane e del vino si compie la Verwandlung des Bösen, la trasformazione del male che è Verklärung, trasfigurazione che esprime, come si è già visto, la segreta relazione dell’essenza del dolore con la sacralità dell’azzurro della notte spirituale, nella cui quiete, morendo al seguito di Elis, del fanciullo morto nel mattino, tramonta il viandante che erra “per oscuri sentieri”. La sera, l’ora del tramonto dell’“anima azzurra”, muta senso e immagine; ed è proprio nell’ora della dipartenza, sulla soglia pietrificata dal dolore dividente-adunante, che risplende la pura luce, il cui illuminante congiungere (lichtendes Fügen) de-cide (ent-scheidet) il rischiararsi del mondo nella sua “mondità”, come appropriata quadratura di terra e cielo, divini e mortali: «La cesura della dif-ferenza porta il mondo a quel realizzamento della sua essenza di mondo, che consente le cose»54. Il mondo si dischiude come tale quando una sera d’inverno, nell’ora del tramonto avvolta in una silenziosa nevicata e scandita dal lento risuonare della campana, qualcuno, oltrepassando la semplice “animalità razionale” dei molti che vivono consegnati al proprio mondo-ambiente, procede, al seguito dello straniero dipartito, attraverso gli oscuri sentieri dell’essere-per-la-morte, i quali conducono al nulla della Differenza ontologica fra essere ed ente, ossia all’Essere stesso in quanto Presenza del presente, intimità della Dif-ferenza di 53. «Der Schmerz hat die Schwelle schon in ihr Tragen gefügt. Der UnterSchied west schon als das Gewese, woher sich der Austrag von Welt und Ding ereignet» (ibidem). 54. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 39.

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mondo e cosa. A sera, nell’ora del tramonto, avviene il trapasso dalla “figura corrotta dell’uomo, composta da freddi metalli”, all’“oltre-uomo”, all’essere-mortale capace della morte, la quale, in quanto “scrigno del nulla”, dispiega il segreto dell’Essere stesso in quanto Dif-ferenza ontologica fra essere-presente ed essente-presente55. Con il dischiudersi della Presenza del presente, con il rischiararsi del mondo nel suo “aureo splendore”, anche le cose presenti, il pane e il vino, pervengono al loro “splendore”, rilucono, magnificate, nella semplicità del loro “coseggiare”. In qual modo? Pane e vino, come nella grande elegia di Hölderlin Brot und Wein, risplendono ora in quanto frutti del cielo e della terra, donati dai divini ai mortali56: radunano presso di sé, in 55. «Die Sterblichen sind die Menschen. Sie heißen die Sterblichen, weil sie sterben können. Sterben heißt: den Tod als Tod vermögen. Nur der Mensch stirbt. Das Tier verendet. Es hat den Tod als Tod weder vor sich noch hinter sich. Der Tod ist der Schrein des Nichts, dessen nämlich, was in aller Hinsicht niemals etwas bloß Seiendes ist, was aber gleichwohl west, sogar als das Geheimnis des Seins selbst. Der Tod birgt als der Schrein des Nichts das Wesende des Seins in sich» (M. Heidegger, Das Ding, in Vorträge und Aufsätze, cit., p. 177). Nel saggio intitolato Überwindung der Metaphysik, sempre compreso in Vorträge und Aufsätze, Heidegger afferma che “Mondo”, nel senso della storia dell’essere, significa l’inoggettivo essenziarsi della verità dell’essere per l’uomo, in quanto quest’ultimo è essenzialmente “trans-propriato” (übereignet) all’essere: «Denn “Welt” im seynsgeschichtlichen Sinne (vgl. bereits “Sein und Zeit”) bedeutet die ungegenständliche Wesung der Wahrheit des Seyns für den Menschen, sofern dieser dem Seyn wesenhaft übereignet ist» (ibid., p. 92). Nell’epoca del dominio della volontà di potenza, caratterizzata dall’incondizionata pressione (Andrang) dell’ente verso la consunzione dell’usura, il mondo è diventato non-mondo (Unwelt), in quanto l’ente è abbandonato dalla verità dell’essere, che è (west), ma senza “il proprio predominare” (Walten). Ne consegue il predominare dell’efficacia (Wirkung), e non del mondeggiare del mondo, che si sottrae nella dimensione dell’oblio: «Das Seiende ist wirklich als das Wirkliche. Überall ist Wirkung und nirgends ein Welten der Welt und gleichwohl noch, obzwar vergessen, das Sein» (ibidem). 56. «Brod ist der Erde Frucht, doch ists vom Lichte geseegnet, / Und vom donnernden Gott kommet die Freude des Weins. / Darum denken wir auch

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quanto cose, i quattro prototipi dell’ente a partire dalla semplicità della quadratura57. Le cose evocate dal dire poetico, il pane e il vino, sono “le semplici” (die einfachen), poiché il loro generare (Gebärden) il mondo viene immediatamente “colmato” dal favore (Gunst) del mondo: nel getto (Wurf ) dell’essere all’Esserci trattenuto entro il nulla del proprio essere-per-la-morte, l’essere stesso si dà, in quanto differenza ontologica, come il nulla dell’ente, come mondo che, in quanto mediazione, compagine e coesione dell’ente, lascia essere l’ente, ossia la cosa (das Ding), la quale, nel suo coseggiare (Dingen), riunisce a sua volta presso di sé il quadrato del mondo, l’essere stesso in quanto mediazione che instaura l’ente attraverso la parola poetica. Ecco perché le cose così nominate, il pane e il vino, «trovano il loro appagamento nel far sostare presso di sé il quadrato del mondo»58; considerata alla luce della “svolta nell’evento”, la cosa non si mostra più, come in Sein und Zeit, nella sua Zuhandenheit, entro l’orizzonte del mondo come totalità di appagatività (Bewandtnis) e di significatività (Bedeutsamkeit)59. La Bewandtnis della cosa, il suo rimandare, in quanto mezzo utilizzabile, a qualcos’altro presso cui “si appaga”, all’interno del mondo-ambiente (Umwelt) che circonda l’Esserci quotidiano guidato dalla “circospezione ambientale” (Umsicht)60, si è ora trasformata, in virtù del Dire poetico, nella Genüge, in una appagatività-sufficienza che consiste nel trattenere, nel lasciar-sostare presso di sé il mondo, che si dischiude a sua volta non più come totalità di appagatività e di significatività rispetto a cui l’ente si lascia incontrare nel dabei der Himmlischen, die sonst / Da gewesen und die kehren in richtiger Zeit […]» (F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 956). 57. «Brot und Wein sind die Früchte des Himmels und der Erde, von den Göttlichen den Sterblichen geschenkt. Brot und Wein versammeln bei sich diese Vier aus dem Einfachen der Vierung» (UzS, p. 28). 58. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 40. 59. Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., pp. 83-89. 60. Cfr. ibid., pp. 66-76.

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modo di essere della Bewandtnis, (dell’essere utilizzabile)61, bensì come “inoggettivo dispiegamento della verità dell’essere per l’uomo”, come Geviert di cielo e terra, divini e mortali, che consente (gönnt) le cose in quanto cose62. Il potere donante del mondo (dell’albero delle grazie) si manifesta, nella prima stesura di Ein Winterabend, come “la dolce forza dell’amore” (der Liebe sanfte Kraft) che lenisce (pflegt) la “ferita piena di grazie” (Wunde voller Gnaden) di quei pochi che, nel loro errare, giungono alla porta della Dif-ferenza per gli oscuri sentieri dell’essere-per-la-morte; la dolce forza dell’amore che appropria al quadrato del mondo i mortali espropriati dal mondo-ambiente nel quale, innanzitutto e per lo più, abitano i “molti”, è l’evento di appropriazione (Ereignis) che inanella nel circolo dei Quattro colui che, muto e silenzioso perché “domato” (bezwungen) dalla sacralità del dolore del distacco dall’ente immediatamente presente, può ora tendere la mano verso le cose che silenziosamente adunano la sacralità del quadrato del mondo, nel cui “mondeggiare” il divino si incontra come Dio: verso il pane e il vino del Signore (nach Gottes Brot und Wein). La svolta nell’evento si compie allorché la terza strofa di Ein Winterabend chiama originariamente (ursprünglich) dalla semplicità di un intimo chiamare che chiama silenziosamente l’Essere stesso, vale a dire la Dif-ferenza di essere-presente (Anwesen) e di essente-presente (Anwesende) nella loro intimità (Innigkeit): chiama, ossia reca un annuncio (Kunde bringt), in quanto è in grado di ascoltare un messaggio (Botschaft), quel messaggio che annuncia l’avvento della cosa-mondo e del mondo-cosa nel frammezzo della Dif-ferenza. L’originario chiamare, che chiama l’intimità 61. «Das Worin des sichverweisenden Verstehens als Woraufhin des Begegnenlassens von Seiendem in der Seinsart der Bewandtnis ist das Phänomen der Welt» (ibid., p. 86). 62. «Solche Dinge haben ihr Genüge darin, das Geviert der Welt bei sich weilen zu lassen» (UzS, p. 28).

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di mondo e cosa, è per Heidegger l’essenza del parlare; nella parola della poesia è, avviene (west) il parlare del linguaggio: «Il linguaggio parla. Parla dicendo a quel che chiama, cosa-mondo e mondo-cosa, di venire nel frammezzo della dif-ferenza»63. La svolta nell’evento avviene come getto (Wurf ) dell’essere, che appropria l’Esserci conducendolo al proprium del suo essere-mortale e, con ciò, al compimento-salvazione della verità dell’essere (del mondo) nell’ente (nella cosa), che a sua volta trova il proprio posto nel mondo dischiuso nell’Esserci trattenuto entro il nulla del proprio essere-per-la-morte, vale a dire nel dolore della Dif-ferenza ontologica fra essere ed ente64. Il luogo del poema di Trakl, lo spirito della dipartenza (Abgeschiedenheit) in quanto stacco (Schied) della Dif-ferenza (UnterSchied) di mondo e cosa, è il Dire originario (Sagen) che, come parola della Differenza (genitivus subiectivus) affida (befiehlt an) ciò che chiama, mondo e cosa, ad un comando (Geheiß) che lascia riposare il “coseggiare” della cosa nel “mondeggiare” del mondo: la Differenza espropria (enteignet) la cosa nella quiete del quadrato, ma tale espropriazione (Enteignen), lungi dal sottrarle alcunchè, la solleva all’opposto nel suo proprio (in sein Eigenes), la appropria nel suo “trattenere” il mondo. La Dif-

63. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 40. 64. Nei Beiträge zur Philosophie “la fondazione della verità” (die Gründung der Wahrheit), che è anche “la difesa dell’ultimo Dio” (die Bewahrung des letzten Gottes), richiede propriamente “un consolidamento dell’ente” (eine Beständigung des Seienden) in virtù del quale l’ente, riconquistata la semplicità della sua essenza di “cosa”, possa resistere al “transito” (Vorbeigang) dell’ultimo Dio, possa cioè trattenere presso di sé il quadrato del mondo: «[…] eine Beständigung, in der erst das Seiende je in der Einfachheit seines zurückgewonnenen Wesens (als Werk, Zeug, Ding, Tat, Blick und Wort) dem Vorbeigang standhält, ihn so nicht still legt, sondern als Gang walten läßt» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., p. 413).

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ferenza, portando la cosa nella quiete del quadrato, acquieta la cosa come cosa, espropriandola nel proprium del mondo65. L’Ereignis, in quanto evento appropriante, si realizza (ereignet sich) pertanto come duplice acquietare della Differenza: l’acquietare (Stillen) fa sì che il quadrato del mondo attui la cosa nel suo potere generante e, al tempo stesso, concede alla cosa l’appagamento che consiste nel trattenere il mondo. La parola della Dif-ferenza acquieta in quanto lascia riposare la cosa nella grazia del mondo, acquieta in quanto lascia che il mondo si appaghi nella cosa. Nel duplice acquietare della Differenza si realizza, avviene (ereignet sich) la quiete66. 65. «Der Unter-Schied läßt das Dingen des Dinges im Welten der Welt beruhen. Der Unter-Schied enteignet das Ding in die Ruhe des Gevierts. Solches Enteignen raubt dem Ding nichts. Es enthebt das Ding erst in sein Eigenes: daß es Welt verweilt. In die Ruhe bergen ist das Stillen. Der Unter-Schied stillt das Ding als Ding in die Welt» (UzS, p. 29). 66. «Solches Stillen ereignet sich jedoch nur in der Weise, daß zugleich das Geviert der Welt die Gebärde des Dinges erfüllt, insofern das Stillen dem Ding Genüge gönnt, Welt zu verweilen. Der Unter-Schied stillt zwiefach. Er stillt, indem er die Dinge in der Gunst von Welt beruhen läßt. Er stillt, indem er die Welt im Ding sich begnügen läßt. In dem zwiefachen Stillen des Unter-Schiedes ereignet sich: die Stille» (ibidem). Così commenta U. Regina queste parole di Heidegger, le quali esprimono l’identità di quiete e silenzio: «Nella quiete non vi è nulla di estraneo alla cosa che venga fatto valere come proprio di essa. Nella quiete la cosa può essere veramente se stessa. Ma che relazione sussiste […] fra il non essere, su cui si fonda la differenza radicale di mondo e cose, e il silenzio? La risposta di Heidegger sta nella considerazione che il silenzio non è la pura mancanza di suoni, ma l’ambito entro cui è attesa la parola come portatrice di integrale significazione. Il silenzio è il materiale con cui è fatto il linguaggio perché nel silenzio vi è il compimento (la perfezione) del mondo e delle cose, perché il silenzio è lo stesso non essere che consente l’intimo sussistere delle cose nel mondo […]. Per Heidegger il significare deve essere sempre integrale; il significare della parola non può pertanto sussistere che a partire dall’assenza radicale di qualsiasi rimando semantico. Se la parola è significativa essa ha già tutto in sé per essere significativa; per questo la parola deve avere il silenzio come unica matrice. In tal modo la parola si identifica

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Il manifestarsi dell’Essere stesso in quanto Dif-ferenza di essere-presente ed essente-presente è il Linguaggio in quanto suono della quiete (Geläut der Stille). In quanto quiete, il linguaggio è la calma (die Ruhe) che acquieta, è quel “motore immobile” che, pensato rigorosamente, è sempre più mosso (bewegter) di ogni movimento, e proprio per questo capace di imprimere moto e quiete ad ogni movente. La Dif-ferenza, in quanto “motore immobile”, acquieta al tempo stesso in duplice modo: «portando le cose alla loro essenza di cose e il mondo alla sua essenza di mondo»67. La Dif-ferenza è, a ben vedere, il dispiegarsi della ¢l»qeia in quanto pervenire alla non-latenza (nelle cose) di ciò che permane nella latenza (del mondo), è quell’acquietare per il quale mondo e cosa, la radura (Lichtung) del nascondersi di ciò che è presente e il presente che appartiene alla radura del nascondersi, non sfuggono mai al loro essere intimamente separati. La Differenza è il destino-invio dell’Essere (Seinsgeschick) che acquieta mondo e cose nel loro proprio (in ihr Eigenes), in quanto chiama entrambi nella linea mediana (in die Mitte) della loro intimità, adunandoli nello strappo-stacco (in den Riß) che essa stessa è: tale radunante chiamare è il risuonare (das Läuten), che accade come qualcosa di diverso dal semplice causare (Verursachen) o dalla semplice propagazione (Verbreitung) di un suono68. con la cosa stessa; essa anzi è più reale della stessa cosa (più vera) in quanto porta in sé esplicitamente la propria perfezione semantica. Il silenzio, da cui la parola sgorga, è così per Heidegger l’evidenziarsi concreto della funzione veritativa che il non essere ha nei confronti del positivo imporsi dell’ente» (U. Regina, Heidegger. Esistenza e Sacro, cit., pp. 272-273). 67. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 41. 68. «Dinge und Welt in ihr Eigenes stillend, ruft der Unter-Schied Welt und Ding in die Mitte ihrer Innigkeit. Der Unter-Schied ist das Heißende. Der Unter-Schied versammelt aus sich die Zwei, indem er sie in den Riß ruft, der er selber ist. Das versammelnde Rufen ist das Läuten. Darin geschieht anderes als das bloße Verursachen und die bloße Verbreitung eines Schalls» (UzS, pp. 2930).

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La Dif-ferenza è la chiamata (das Geheiß) che chiama, ossia raccoglie, il mondo (l’albero delle grazie) e le cose (il pane e il vino) nella semplicità del dolore dell’intimità (la soglia pietrificata), facendo pervenire i due, mondo e cose, alla loro essenza: il mondo al suo “mondeggiare” come quadrato di cielo e terra, divini e mortali, e non già, o non soltanto, innanzitutto e per lo più, come totalità di appagatività e di significatività; la cosa al suo “coseggiare” come riunione (thing) che trattiene i Quattro del quadrato nella loro lontana vicinanza, e non già, o non soltanto, innanzitutto e per lo più, come uno strumento utilizzabile: «La dif-ferenza è la Chiamata dalla quale soltanto ogni chiamare è esso stesso chiamato, alla quale pertanto ogni possibile chiamare appartiene»69. La chiamata della Dif-ferenza ha già raccolto in sé ogni autentico chiamare; ogni autentico chiamare, come il chiamare della poesia di Trakl, è un appello raccogliente che risuona come il suono (das Geläut): il linguaggio della poesia Ein Winterabend parla in quanto duplice acquietante risuonare della Dif-ferenza che chiama mondo e cose nella semplicità della loro intimità70. Die Sprache spricht als das Geläut der Stille, il linguaggio parla in quanto suono della quiete; la quiete e il silenzio (Ruh und Schweigen) costituiscono l’intima melodia della poesia di Trakl (e del cammino di pensiero di Heidegger), perché è nella quiete del tramonto e nel silenzio dell’essere-per-la-morte, ossia nell’apertura al nulla della Dif-ferenza, che l’anima, straniera sulla terra, corrisponde al richiamo della sacralità dell’azzurro, della “veneranda saga dell’azzurra sorgente” che, in quanto suono della quiete, porta (austrägt) mondo e cose al proprium della loro 69. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 41. 70. «Das Rufen des Unter-Schiedes ist das zwiefache Stillen. Das gesammelte Heißen, das Geheiß, als welches der Unterschied Welt und Dinge ruft, ist das Geläut der Stille. Die Sprache spricht, indem das Geheiß des Unter-Schiedes Welt und Dinge in die Einfalt ihrer Innigkeit ruft» (UzS, p.30).

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essenza. Il portare a compimento mondo e cose nel modo dell’acquietare è l’evento della Dif-ferenza (das Ereignis des UnterSchiedes): il linguaggio, il suono della quiete, è (west), in quanto la Dif-ferenza, l’Essere stesso (la presenza del presente), si fa evento. Il linguaggio è (west) come farsi-evento della Dif-ferenza di mondo e cose71. Da ciò consegue che il linguaggio, in quanto suono della quiete, non è nulla di “umano”, nulla cioè che riguardi l’uomo come animal rationale; certamente l’uomo, fa notare Heidegger, è nella sua essenza “parlante” (sprächlich), ma tale termine significa, alla luce della “svolta nell’evento”, che l’uomo parla soltanto in quanto è “appropriato” (ereignet) dal parlare che è proprio del linguaggio come suono della quiete. La svolta nell’evento (die Kehre im Ereignis) è il ritorno (Wiederkehr), la contro-svolta (Wider-kehre) dalla definizione metafisica dell’uomo come essere vivente ragionevole che possiede il linguaggio (¥nqrwpoj = zîion lÒgon œcon), al pensiero dell’evento dell’Essere come Dif-ferenza che, in quanto Linguaggio, possiede l’esser-uomo e lo fonda (fÚsij = lÒgoj ¥nqrwpon œcwn)72. Così appropriato dal getto (Wurf ) dell’Essere, l’esser-uomo è portato, attraverso il linguaggio, al suo proprio (in sein Eigenes), affinché rimanga trasferito e consegnato (übereignet) all’essenza del linguaggio in quanto suono della quiete. L’evento di appropriazione avviene quando l’essenza del linguaggio (il suono della quiete) usa (braucht) il parlare dei mortali, per essere dai mortali stessi ascoltato come suono della quiete. Soltanto perché gli uomini appartengono al suono della quiete sono capaci, in quanto mortali, del parlare che si 71. «Die Sprache spricht als das Geläut der Stille. Die Stille stillt, indem sie Welt und Dinge in ihr Wesen austrägt. Das Austragen von Welt und Ding in der Weise des Stillens ist das Ereignis des Unter-Schiedes. Die Sprache, das Geläut der Stille, ist, indem sich der Unter-Schied ereignet. Die Sprache west als der sich ereignende Unter-Schied für Welt und Dinge» (ibidem). 72. Cfr. M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, cit., pp. 133-134.

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attua in suoni73. Il linguaggio, in quanto Dire originario che chiama mondo e cose nella intimità della loro dif-ferenza, ha già da sempre chiamato a sé gli uomini, i quali, in quanto mortali, sono parte del quadrato. Soltanto coloro che possono esperire la morte come morte, vale a dire gli uomini, possono parlare, mentre l’animale, che è incapace di esperire la morte, non può parlare74. Soltanto perché l’uomo è la “fiera azzurra” di una Verwandlung che “si piega di fronte alla morte”, il parlare dei mortali è, sottolinea Heidegger, nominante chiamare (nennendes Rufen), «è invito alle cose e al mondo a farsi presso movendo dalla semplicità 73. «Solches Ereignen ereignet sich, insofern das Wesen der Sprache, das Geläut der Stille, das Sprechen der Sterblichen braucht, um als Geläut der Stille für das Hören der Sterblichen zu verlauten. Nur insofern die Menschen in das Geläut der Stille gehören, vermögen die Sterblichen auf ihre Weise das verlautende Sprechen» (UzS, p. 30). 74. Cfr. Das Wesen der Sprache, ibid., p. 215: «Also an sich haltend, belangt uns die Sprache als die Sage des Weltgeviertes, uns, die wir als die Sterblichen in das Geviert gehören, uns, die wir nur insofern sprechen können, als wir der Sprache entsprechen. Die Sterblichen sind jene, die den Tod als Tod erfahren können. Das Tier vermag dies nicht. Das Tier kann aber auch nicht sprechen. Das Wesensverhältnis zwischen Tod und Sprache blitzt auf, ist aber noch ungedacht». Morte e linguaggio, a ben vedere, costituisce il tema dominante della poesia di Georg Trakl, la cosa stessa che lo sguardo fenomenologico di Heidegger cerca di portare alla manifestatività lungo il cammino di pensiero che da Sein und Zeit approda a Unterwegs zur Sprache: la dipartenza (l’essere-per-la-morte) dell’anima è l’attimo azzurro, il suono della quiete che, in quanto silenzio, costituisce la sorgente (Quell) del potere semantico della parola. La centralità del rapporto fra morte e linguaggio è sottolineata da Ugo Maria Ugazio nel saggio intitolato Il problema della morte nella filosofia di Heidegger, U. Mursia editore, Milano 1976: «La morte per la sua prossimità al linguaggio deve poter riguardare l’essere stesso. L’uomo parla e con questo corrisponde all’appello dell’essere, nello stesso tempo esperisce la morte come morte; esso, poi, […] è il luogo dell’evento, la breccia dell’essere nel mezzo dell’ente. Il parlare e il morire non si aggiungono ad una sostanza umana che li precederebbe, quanto all’esistenza, ma sono essi stessi nella loro effettività l’evento con cui l’essere si invia» (p. 157).

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della dif-ferenza»75. La chiamata pura del parlare mortale si attua pertanto nella parola della poesia: l’autentica poesia non è mai una modalità più elevata del linguaggio quotidiano, non è mai, in altri termini, l’“ornamento” di una “civiltà” pervenuta, secondo la prospettiva organicistico-storicistica di Spengler, al culmine delle proprie potenzialità “produttive” ed “espressive”. Piuttosto, afferma Heidegger, è vero il contrario: il parlare quotidiano dell’Esserci, quale si attua attraverso la chiacchiera (das Gerede), la curiosità (die Neugier) e l’equivoco (die Zweideutigkeit), altro non è se non una poesia “dimenticata” e perciò “logorata”, nella quale soltanto a stento risuona ancora l’autentico chiamare del linguaggio76. Ciò che in Sein und Zeit Heidegger indica come il decadimento (Verfallen) dell’Esserci nell’essere-quotidiano (das alltägliche Sein), altro non è, a ben vedere, se non l’oblio dell’essere in quanto oblio della differenza ontologica fra essere ed ente, l’oblio della verità dell’essere come Dif-ferenza, che getta l’Esserci nella duplice non-verità del nascondimento dell’essere e dell’errore-errare fra gli enti77. 75. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 42. 76. «Das rein Geheißene des sterblichen Sprechens ist das Gesprochene des Gedichtes. Eigentliche Dichtung ist niemals nur eine höhere Weise (Melos) der Alltagssprache. Vielmehr ist umgekehrt das alltägliche Reden ein vergessenes und darum vernutzes Gedicht, aus dem kaum noch ein Rufen erklingt» (UzS, pp. 30-31). 77. Per quanto riguarda il problema del linguaggio in Sein und Zeit, cfr. i parr. 34-38: «Gerede, Neugier und Zweideutigkeit charakterisieren die Weise, in der das Dasein alltäglich sein „Da“, die Erschlossenheit des In-der-Welt-seins ist. Diese Charaktere sind als existenziale Bestimmtheiten am Dasein nicht vorhanden, sie machen dessen Sein mit aus. In ihnen und in ihrem seinsmäßigen Zusammenhang enthüllt sich eine Grundart des Seins der Alltäglichkeit, die wir das Verfallen des Daseins nennen» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 175). Per quanto concerne la connessione fra l’essenza della verità (Das Wesen der Wahrheit) e la non-verità come nascondimento (Die Unwahrheit als die Verbergung) e come errore (Die Un-wahrheit als die Irre), cfr. M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit, in Wegmarken, cit., pp. 73-97.

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La parola pura del parlare dei mortali include non soltanto la poesia pura, ma anche la “prosa pura” (reine Prose), che in quanto tale non è mai “prosaica” (prosaisch), bensì altrettanto “poetica” (dichterisch), e quindi tanto rara (selten) quanto l’autentica poesia. Poesia pura e prosa pura trovano così il proprio fondamento non già nel parlare umano inteso metafisicamente come espressione dell’interiorità dell’uomo, bensì nel riferimento ermeneutico riguardato come rapporto appropriante del parlare dei mortali con il parlare del Linguaggio, come annuncio (Kunde) del messaggio (Botschaft) della Dif-ferenza (Zwiefalt) di mondo e cosa. Dal parlare del linguaggio, in quanto suono della quiete della Dif-ferenza, avviene (ereignet sich) il parlare mortale nel suo “farsi suono” (Verlautbarung); nel risuonare della parola, scritta od orale che sia, la quiete viene infranta78. Contro che cosa si infrange, si chiede Heidegger, il suono della quiete? Come la quiete infranta perviene al risuonare della parola? Come l’acquietare infranto impronta di sé (prägt) il parlare dei mortali che risuona, con il suo potere significante, in versi e proposizioni? A tali questioni Heidegger cerca di rispondere nel saggio dal titolo Das Wort (La parola), dedicato all’interpretazione della poesia di Stefan George intitolata Das Wort: «Wunder von ferne oder traum Bracht ich an meines landes saum Und harrte bis die graue norn Den namen fand in ihrem born – Drauf konnt ichs greifen dicht und stark Nun blüht und glänzt es durch die mark …

78. «Im Verlauten, sei dies Rede oder Schrift, ist die Stille gebrochen» (UzS, p. 31).

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Einst langt ich nach guter fahrt Mit einem kleinod reich und zart Sie suchte lang und gab mir kund: „So schläft hier nichts auf tiefem grund“ Worauf es meiner hand entrann Und nie mein land den schatz gewann … So lernt ich traurig den verzicht: Kein ding sei wo das wort gebricht»79.

Il poeta parla nei versi iniziali di un viaggio compiuto fino al margine estremo della sua terra, vale a dire del luogo sicuro del suo poetare, al cui interno egli immagina “cose meravigliose” e “sogni”, realtà che, per essere rappresentate e comunicate, abbisognano di nomi, che è necessario attingere al margine della marca, dove si trova la fonte dalla quale la grigia norna, l’antica dea del destino, li trae; costei attinge proprio i nomi con i quali il poeta significa e, con ciò, tiene fermo ciò che si presenta alla sua immaginazione. In tal modo, il poeta diviene signore del suo dire e, in virtù del dominio esercitato sulla parola, può far sì che le proprie rappresentazioni fioriscano e risplendano entro i confini della sua marca. Un giorno, tuttavia, il poeta compie un viaggio particolare: giunge ai confini della sua terra portando non più le proprie meraviglie e i propri sogni, bensì un gioiello 79. Ibid., p. 220. La traduzione italiana di A. Caracciolo suona: «Meraviglia di lontano o sogno / Io portai al lembo estremo della mia terra / E attesi fino a che la grigia norna / Il nome trovò nella sua fonte - / Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte / Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca … / Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice / Con un gioiello ricco e fine / Ella cercò a lungo e [alfine] mi annunciò: / “Qui nulla d’eguale dorme sul fondo” / Al che esso sfuggì alla mia mano / E mai più la mia terra ebbe il tesoro… / Così io appresi triste la rinuncia: / Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca» (M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., pp. 173-174).

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ricco e fine, la cui provenienza rimane oscura. La grigia norna, dopo aver evocato a lungo il nome adeguato per tale gioiello, deve infine annunciare (kund geben) al poeta le seguenti parole: qui, sul fondo della sorgente, non giace nulla d’eguale. Al che, il gioiello ricco e fine sfugge dalla mano del poeta, la sua terra non può contenerlo al modo della meraviglia e del sogno. Ora, il poeta apprende triste (traurig) la rinuncia (den Verzicht): di quale rinuncia fa egli esperienza? Che cos’è il gioiello destinato a restare senza nome, e quindi a sottrarsi alla mano del poeta? Si tratta della rinuncia che assente alla triste, dolorosa esperienza della Verweigerung, del sottrarsi della Parola, per la quale la norna non trova la parola. Kein ding sei wo das wort gebricht, nessuna cosa sia dove la parola manca, vale a dire: è la Parola in quanto suono della quiete ciò che concede ad ogni cosa il suo “è”, è l’Essere stesso in quanto Dif-ferenza ciò che chiama mondo e cose verso la linea della loro intimità, ma per la Parola stessa, per l’essenza del linguaggio, la parola non viene concessa80. Il Dire originario (die Sage) che, in quanto indicare (Zeigen), lascia apparire l’essente nel suo es ist (c’è)81, non può essere detto; il lÒgoj, ossia l’Essere stesso in quanto Presenza del presente, rimane sottratto alla parola. L’essere non può essere: se fosse, non sarebbe più essere: sarebbe un ente82. Si manifesta, alla luce della svolta nell’evento, il senso autentico di quanto Heidegger afferma nel par. 44 di Sein und Zeit: l’essere, non l’ente, “si dà” (“gibt es”) soltanto in quanto la verità è, mentre la verità è soltanto in 80. «Der Schatz, den das Land des Dichters nie gewinnt, ist das Wort für das Wesen der Sprache. Das jäh erblickte Walten und Weilen des Wortes, sein Wesendes, möchte ins eigene Wort kommen. Aber das Wort für das Wesen des Wortes wird nicht gewährt» (ibid., p. 236). 81. Per quanto riguarda l’uso dello es ist nella poesia di Trakl, cfr. Psalm e De profundis, in G. Trakl, Opere poetiche, cit., pp. 88-91 e 98-99. 82. «Sein kann nicht sein. Würde es sein, bliebe es nicht mehr Sein, sondern wäre ein Seiendes» (M. Heidegger, Kants These über das Sein, in Wegmarken, cit., p. 306).

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quanto e finchè l’Esserci è83. Soltanto perché l’Esserci è costituito dall’apertura, vale a dire dalla struttura della comprensione, può venire compreso l’essere nel suo senso, nella sua verità che, in quanto verità dell’essere, è l’essere (essenza) della verità come es gibt, come ciò che concede ad ogni ente il suo “es ist”, trattenendosi nel rifiuto (Verweigerung) della Dif-ferenza ontologica. Ne consegue che, pensata alla luce della Kehre, l’espressione: Es gibt Sein va intesa come: Es, das Wort, gibt, essa, la parola, dà: dà, concede lo “è” ad ogni cosa, lascia essere la cosa, non in quanto condizione-fondamento (Bedingung) che fonda e spiega alla maniera del principio di ragion sufficiente, bensì in quanto Bedingnis (“condizione”) che lascia-avvenire (anwesen) la cosa come cosa84. La Parola, che concede ad ogni essente il suo “è”, non è nulla di essente, non è una cosa che “si dà” e, come tale, non può venire nominata85. L’essenza del linguaggio, che è il linguaggio dell’essenza, è quel donante concedere che, mentre lascia essere la cosa nel suo “è”, si trattiene nel rifiuto (Verweigerung) della Dif-ferenza; a tale rifiuto corrisponde la rinuncia del poeta a trovare la parola per la Parola, la rinuncia alla volontà di dominare ciò che si mostra, nel suo “silenzioso risuonare”, come “l’inesauribile forza del semplice”.

83. «Sein – nicht Seiendes – “gibt es” nur, sofern Wahrheit ist. Und sie ist nur, sofern und solange Dasein ist. Sein und Wahrheit „sind“ gleichursprünglich» (M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 230). 84. «Die Bedingung ist der seiende Grund für etwas Seiendes. Die Bedingung begründet und gründet. Sie genügt dem Satz vom Grund. Aber das Wort be-gründet das Ding nicht. Das Wort läßt das Ding als Ding anwesen. Diese Lassen heiße die Bedingnis» (UzS, pp. 232-233). 85. «Vom Wort dürften wir, sachgerecht denkend, dann nie sagen: Es ist, sondern: Es gibt – dies nicht in dem Sinne, daß „es“ Worte gibt, sondern daß das Wort selber gibt. Das Wort: das Gebende […]. In unserer Besinnung ist das „Es gibt“ anders gebraucht; nicht: Es gibt das Wort, sondern: Es, das Wort, gibt…» (ibid., pp. 193-194).

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Alla fine del breve scritto intitolato Der Feldweg (Il sentiero di campagna), Heidegger evoca il notturno risuonare della vecchia campana della chiesa di S. Martino, lungo il cammino del sentiero di campagna che si snoda a partire dal suo paese natale, Meßkirch; con il risuonare dell’ultimo degli undici rintocchi della campana, la quiete che avvolge la contrada diviene ancora più silenziosa, raggiungendo anche coloro che, attraverso due guerre mondiali, sono stati sacrificati prima del tempo. Ora, il semplice è diventato ancora più semplice. Il sempre Medesimo sorprende e libera, mentre il conforto del sentiero di campagna si rende del tutto manifesto. Risuonano allora le domande già poste da Kant nella Dialettica trascendentale della Kritik der reinen Vernunft: Parla l’anima? Parla il mondo? Parla Dio? Tutto parla della rinuncia nel Medesimo. La rinuncia, tuttavia, non toglie. La rinuncia dona, concede l’inesauribile forza del Semplice, proprio perché il conforto del sentiero di campagna rende familiare in una lunga provenienza86. La rinuncia (Verzicht) nel silenzio è la risposta dell’uomo alla Chiamata della Dif-ferenza, alla ricusa (Verweigerung) della Parola che, in quanto suono della quiete, lascia che il mondo, ossia il quadrato di cielo e terra, divini e mortali, “mondeggi” come ciò che concede le cose, lascia che le cose “coseggino” nel loro generare il mondo. La svolta nell’evento è l’evento del linguaggio: dal parlare del linguaggio, in quanto suono della quiete della Dif-ferenza, emerge il parlare dei mortali, il suo farsi suono che chiama mondo e 86. «Die Stille wird mit seinem letzten Schlag noch stiller. Sie reicht bis zu jenen, die durch zwei Welt-Kriege vor der Zeit geopfert sind. Das Einfache ist noch einfacher geworden. Das immer Selbe befremdet und löst. Der Zuspruch des Feldweges ist jetzt ganz deutlich. Spricht die Seele? Spricht die Welt? Spricht Gott? Alles spricht den Verzicht in das Selbe. Der Verzicht nimmt nicht. Der Verzicht gibt. Er gibt die unerschöpfliche Kraft des Einfachen. Der Zuspruch macht heimisch in einer langen Herkunft» (M. Heidegger, Der Feldweg, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1953, 1962³, pp. 6-7).

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cose nell’intimità della loro dif-ferenza. Nel getto appropriante dell’essere all’Esserci avviene il discorso mortale, che risuona come quella melodia, entro il cui dominio il silenzioso parlare del linguaggio, il suono della quiete in quanto Chiamata della Dif-ferenza, riconduce i mortali87. La modalità-melodia (die Weise) secondo la quale i mortali, chiamati dalla Dif-ferenza, a loro volta parlano, è il corrispondere (das Entsprechen). Ciò significa che il parlare dei mortali deve avere prima di tutto ascoltato la Chiamata silenziosa con la quale la quiete della Dif-ferenza chiama mondo e cose nella cesura della sua semplicità; ogni parola del parlare dei mortali parla soltanto a partire da questo ascolto e come questo ascolto: l’ascolto della dimensione del Sacro, che è la dimensione della Dif-ferenza di mondo e cosa88. I mortali parlano in quanto ascoltano: l’ascolto (das Hören) è la corrispondenza (das Entsprechen) allo sconosciuto, silenzioso richiamo della quiete della Dif-ferenza, è la corrispondenza dell’“anima azzurra” al canto dell’uccello che, nell’ora del tramonto, accompagna la dipartenza di Elis verso la terra della sera ancora indisvelata, verso quella “località” (Ortschaft) che dischiude l’esser-mondo del mondo e l’esser-cosa

87. «Das Gefüge des menschlichen Sprechens kann nur die Weise (das Melos) sein, in die das Sprechen der Sprache, das Geläut der Stille des UnterSchiedes, die Sterblichen durch das Geheiß des Unter-Schiedes vereignet» (UzS, p. 31). 88. «Die Weise, nach der die Sterblichen, aus dem Unter-Schied in diesen gerufen, ihrerseits sprechen, ist: das Entsprechen. Das sterbliche Sprechen muß allem zuvor auf das Geheiß gehört haben, als welches die Stille des Unter-Schiedes Welt und Dinge in den Riß seiner Einfalt ruft. Jedes Wort des sterblichen Sprechens spricht aus solchem Gehör und als dieses» (ibid., pp. 31-32). Riguardo al rapporto fra la parola e la dimensione del Sacro è opportuno richiamare i seguenti versi dell’inno di Hölderlin Wie wenn am Feiertage: «Jezt aber tagts! Ich harrt und sah es kommen, / Und was ich sah, das Heilige sei mein Wort» (F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 750).

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della cosa. In tal modo, «l’ascolto prende dalla Chiamata della dif-ferenza ciò che immette nella parola percepibile»89. Il corrispondere si configura pertanto come un parlare che, ascoltando (hörend), accoglie (entnimmt) il proprio detto (sein Gesprochenes) dalla Chiamata della Dif-ferenza; la parola che risuona nel dire dei mortali altro non è se non quel corrispondere che, in quanto ascoltante recepire (hörendes Entnehmen), è al tempo stesso riconoscente rispondere (anerkennendes Entgegnen): «I mortali parlano in quanto cor-rispondono al linguaggio in duplice maniera: recependo e rispondendo»90. La cor-rispondenza della parola dei mortali alla Chiamata della Dif-ferenza, ossia del Linguaggio in quanto suono della quiete, avviene come un “puro ascoltare” che è permanente trattenersi nel silenzioso dominio del suono della quiete, accordarsi (stimmen) al getto (Wurf ) dell’essere che getta l’Esserci nella svolta dell’evento di appropriazione, rendendolo così disponibile alla Chiamata della Dif-ferenza di mondo e cosa. La permanente disponibilità del corrispondere fa sì che l’ascolto del Linguaggio in quanto suono della quiete non si limiti semplicemente a seguire la Chiamata della Dif-ferenza, ma in certo qual modo la prevenga91, secondo quel progetto (Entwurf ) comprendente-interpretante che, in quanto progetto gettato (geworfene Entwurf ), procede dal getto (Wurf ) dell’Essere stesso in quanto Dif-ferenza: «Tale prevenire

89. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 43. 90. Ibidem. 91. «Jedes echte Hören hält mit dem eigenen Sagen an sich. Denn das Hören hält sich in das Gehören zurück, durch das es dem Geläut der Stille vereignet bleibt. Alles Entsprechen ist auf das an sich haltende Zurückhalten gestimmt. Darum muß solchem Zurückhalten daran liegen, hörend für das Geheiß des Unter-Schiedes sich bereit zu halten. Das Zurückhalten aber muß darauf achten, dem Geläut der Stille nicht nur erst nach-, sondern ihm sogar vorzu-hören und darin seinem Geheiß gleichsam zuvorzukommen» (UzS, p. 32).

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determina il modo col quale i mortali corrispondono alla dif-ferenza. Così i mortali dimorano nel parlare del linguaggio»92. I mortali dimorano (wohnen) nel parlare del linguaggio; il parlare del linguaggio chiama la Dif-ferenza, che “espropria” (enteignet) mondo e cose nella semplicità della loro intimità, ma il dimorare dei mortali nel linguaggio, vale a dire il riferimento ermeneutico dell’Esserci alla verità dell’essere, avviene, innanzitutto e per lo più, secondo la modalità del Verfallen, della deiezione in quanto oblio della verità dell’essere a favore dell’imporsi dell’ente. L’inautenticità (Uneigentlichkeit) dell’esistenza quotidiana dell’Esserci, dominata dalla chiacchiera, dalla curiosità e dall’equivoco, altro non è se non la modalità difettiva dell’autenticità (Eigentlichkeit), che va ora pensata alla luce della svolta nell’evento, muovendo cioè dall’appropriare (Eignen) dell’evento di appropriazione, che appropria l’Esserci alla verità dell’essere (Er-eignen-Er-eignis), in quanto Dif-ferenza che chiama mondo e cose nella semplicità della loro intimità. Il linguaggio parla: parlando, lascia che le cose visitino i mortali sempre insieme con il mondo, lascia che il mondo visiti i mortali sempre insieme con le cose. Così da sempre chiamati dal linguaggio, i mortali, innanzitutto e per lo più, rispondono all’appello secondo la modalità dell’essere-nel-mondo riguardato come totalità di appagatività e di significatività, entro il cui orizzonte le cose si dischiudono alla Cura dell’Esserci nel loro essere-utilizzabili. Soltanto alcuni mortali, chiamati dall’Essere stesso lungo il doloroso sentiero della dipartenza (Abgeschiedenheit) che conduce al tramonto dell’essere-per-la-morte93, 92. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 43. 93. L’angoscia, in quanto tacito auto-progettarsi dell’Esserci nel proprium dell’essere-per-la-morte, isola e apre l’Esserci stesso come solus ipse, ri-prendendolo dalla sua immedesimazione deiettiva con il “mondo” dell’intimità quotidiana: «Die Angst vereinzelt und erschließt so das Dasein als “solus ipse”. […] Die Angst […] holt das Dasein aus seinem verfallenden Aufgehen in der “Welt” zurück. Die alltägliche Vertrautheit bricht in sich zusammen» (M. Hei-

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giungono alla porta della Dif-ferenza, al Nulla che dischiude il “mondeggiare” del mondo e il “coseggiare” delle cose, le quali, illuminate dall’aureo fiorire del mondo che consente agli uomini l’autentico abitare sulla terra, sotto il cielo, come mortali, di fronte ai divini, appaiono trasfigurate nella loro autentica essenza. Il risplendere del mondo per l’uomo riappropriato, in quanto mortale, al quadrato salvifico, illumina di nuova luce la tavola dei molti, trasformando il pasto quotidiano, ossia le cose immediatamente utilizzabili, nel pane e nel vino dell’“ultimo Dio”, che la figura di Elis, non esplicitamente nominata e tuttavia chiaramente percepibile sullo sfondo di Ein Winterabend, sembra oscuramente evocare. Il tramonto del vecchio uomo, il suo avviarsi alla sera nell’ora del grande meriggio, prelude, per lo Zarathustra di Nietzsche, all’aurora di una nuova epoca: al mattino dell’“oltre-uomo”94. Il tramonto del vecchio uomo, della stirpe decaduta che ha dimenticato Occidente, la terra-della-sera (Abend-Land) ancora indisvelata che è passaggio all’alba di un nuovo mattino, prelude, nel cammino di pensiero di Heidegger, all’avvento dell’“ultimo Dio”95. Tale cammino di pensiero abbandona il metodo che degger, Sein und Zeit, cit., pp. 188-189). La solitudine (die Einsamkeit) è, come si è visto, la “tonalità emotiva” fondamentale dell’“anima azzurra” nel suo essere “straniera sulla terra”. 94. «”Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva” – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà! - Così parlò Zarathustra» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 88). 95. «Der letzte Gott ist nicht das Ende, sondern der andere Anfang unermeßlicher Möglichkeiten unserer Geschichte» (M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), cit., p. 411). La massima vicinanza dell’ultimo Dio avviene tuttavia (ereignet sich) soltanto allorché l’evento, in quanto esitante rifiutarsi, perviene al grado della ricusa (Verweigerung): «Die größte Nähe des letzten Gottes ereignet sich dann, wenn das Ereignis als das zögernde Sichversagen zur Steigerung in die Verweigerung kommt» (ibidem). La connessione fra la questione dell’ultimo Dio e l’esigenza dell’oltrepassamento della stirpe umana decaduta nell’inautenticità della macchinazione (Machen-

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sottopone il tema al procedimento rappresentativo che è proprio della scienza, per percorrere una via che fa già parte della contrada (Gegend)96. Si tratta della via che conduce alla svolta nell’evento, lungo la quale il linguaggio perviene al linguaggio in quanto suono della quiete: «L’uomo parla in quanto corrisponde al linguaggio. Il corrispondere è ascoltare»97. L’ascoltare (Hören) è tuttavia possibile soltanto in quanto appartenere (Gehören) alla contrada, vale a dire alla Chiamata della quiete che porta mondo e cose nella intimità della Dif-ferenza. Non si tratta, conclude Heidegger alla fine della conferenza Die Sprache, di proporre una nuova concezione del linguaggio. Si tratta soltanto di corrispondere alla Chiamata della Dif-ferenza, di abbandonarsi cioè alla svolta nell’evento che appropria l’esseruomo al dominio della “veneranda saga dell’azzurra sorgente”, la quale mostra ai mortali i segni che indicano mondo e cose nella semplicità della loro intima dif-ferenza. Il Denkweg di Martin Heidegger ritrova così nella parola detta (das Gesprochene) di Georg Trakl, quale risuona nella poesia Ein Winterabend, quell’autentico corrispondere che previene la Chiamata, permanendo nel suo dominio: Wenn der Schnee ans Fenster fällt, Lang die Abendglocke läutet, schaft), tipica della modernità, emerge dal colloquio fra Hans Georg Gadamer e Riccardo Dottori intitolato: L’ultimo Dio. La lezione filosofica del XX secolo, Reset, Milano 2000, p. 138: «Lei pensa forse che la questione del senso dell’essere in Heidegger, che diviene alla fine la questione dell’ultimo dio, vada in questa direzione? Sì, io credo che Heidegger abbia pensato che la rivoluzione industriale diventi per gli uomini alla fine tanto insopportabile da far sì che si sviluppi un nuovo senso di solidarietà tra di loro, e forse porti alla fede in un nuovo dio». 96. «Das Denken hält sich in der Gegend auf, indem es die Wege der Gegend begeht. Hier gehört der Weg in die Gegend» (UzS, p. 179). 97. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 43.

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VII. La Chiamata della Dif-ferenza: mondo e cosa

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Vielen ist der Tisch bereitet Und das Haus ist wohlbestellt. Mancher auf der Wanderschaft Kommt ans Tor auf dunklen Pfaden. Golden blüht der Baum der Gnaden Aus der Erde kühlem Saft. Wanderer tritt still herein; Schmerz versteinerte die Schwelle. Da erglänzt in reiner Helle Auf dem Tische Brot und Wein.

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Indicazioni bibliografiche

Gadamer H.G.-Dottori R., L’ultimo Dio. La lezione filosofica del XX secolo, Reset, Milano 2000. Gagliardi F., Occidente. Mito dell’assenza e culto dell’attesa, Bibliotheca, Gaeta 2002. Heidegger M., Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), 1936-38, Gesamtausgabe, Band 65, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994². Heidegger M., Wegmarken, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1967. Heidegger M., Der Feldweg, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1953, 1962³. Heidegger M., Holzwege, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1957³. Heidegger M., Einführung in die Metaphysik, Max Niemayer Verlag, Tübingen 19886. Heidegger M., Erläuterungen zur Hölderlins Dichtung, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1951². Heidegger M., Sein und Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 197915. Heidegger M., Unterwegs zur Sprache, Günther Neske, Pfullingen 1959; ora Klett-Cotta, Stuttgart 2003; tr. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, In cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 1973. Heidegger M., Vorträge und Aufsätze, Günther Neske, Pfullingen 1954, 1959². Hölderlin F., Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001. Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, ed. it. a cura di Elena Pontiggia, SE, Milano 1989. Nietzsche F., Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, ed. it. a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 199820.

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L’azzurro dell’anima

Nietzsche F., La gaia scienza e Idilli di Messina, ed. it. a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 199912. Platone, Gorgia, ed. it. a cura di F. Adorno, Laterza, Roma-Bari 1997. Porena I., La verità dell’immagine. Una lettura di Georg Trakl, Donzelli Editore, Roma 1998 Gheri P., Der Wahrheit geben, was der Wahrheit ist. Gli inizi poetici di Georg Trakl, Edizioni ETS, Pisa 1999. Regina U., Heidegger. Esistenza e Sacro, Morcelliana, Brescia 1974. Rilke R.M., I sonetti a Orfeo, con testo a fronte, tr. it. di R.S. Virgillito, Garzanti, Cernusco s/N (MI) 2000. Schulz W., Il superamento della metafisica nel pensiero di Heidegger, in Aa.Vv., Heidegger, a cura di G. Penzo, Editrice Morcelliana, Brescia 1990. Spengler O., Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, ed. it. a cura di J. Evola, rivista da F. Jesi, Longanesi & C., Milano 1957, 1978. Trakl G., Gli ammutoliti, Lettere 1900-1914, a cura di C. Pizzingrilli, Quodlibet, Macerata 2006. Trakl G., Opere poetiche, introduzione, testo e versione a cura di I. Porena, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1963. Trakl G., Poesie, ed. it. a cura di I. Porena, Giulio Einaudi editore, Torino 1979. Ugazio U.M., Il problema della morte nella filosofia di Heidegger, U. Mursia editore, Milano 1976. von Herrmann F.-W., Il concetto di fenomenologia in Heidegger e Husserl, tr. it. di R. Cristin, il nuovo melangolo, Genova 1997. von Herrmann F.-W., Sentiero e metodo. Sulla fenomenologia ermeneutica del pensiero della storia dell’essere, tr. it. di C. Badocco, il nuovo melangolo, Genova 2003.

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Indice dei nomi

Adorno F., 150, 182. Aristotele, 66, 134. Badocco C., 26, 182. Buschbeck E., 125. Caracciolo A., 23, 136, 170, 181. Caracciolo Perotti M., 23, 181. Colli G., 11, 59, 181, 182. Cristin R., 20, 182. Descartes R., 29, 151. Dilthey W., 25. Dottori R., 178, 181. Eraclito, 115. Evola J., 115, 182. Gadamer H.G., 178, 181. George S., 15, 169. Gheri P., 31, 48, 181. Hegel G.W.F., 147. Heidegger M., passim Hölderlin F., 10, 13, 14-16, 30, 109, 125, 152, 159, 160, 174, 181. Husserl E. 16, 20, 25, 29. Igino, 18. Jesi F., 115, 182. Kandinsky W., 39. 40, 46, 181. Kant I., 173. Kraus K., 135, 136. Montinari M., 11, 59, 181, 182. Neumann E., 89.

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L’azzurro dell’anima

Nietzsche F., 7, 10-13, 29, 41, 58, 105, 130, 131, 177, 181, 182. Novalis, 16. Penzo G., 142, 182. Pizzingrilli C., 48, 182. Platone, 25, 41, 150, 182. Pontiggia E., 39, 181. Porena I., 30, 31, 33, 49, 50, 89, 96, 97, 113, 182. Regina U., 155, 156, 163, 164, 182. Reitani L., 10, 181. Rilke R.M., 15, 17, 182. Schulz W., 142, 147, 182. Seneca, 19. Socrate, 150. Spengler O., 13, 115, 116, 168, 182. Trakl G., passim Trakl H., 66. Ugazio U.M., 167, 182. Virgillito R.S., 17, 182. von Herrmann F.W., 20, 26-28, 182. Webern A., 135.

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