La Vita di Sant'Alessio: Edizione secondo il codice Trivulziano 93 9783110914139, 9783484523357, 3484523352

The only complete extant version of the life of Saint Alexius by the Milanese author Bonvesin da la Riva is to be found

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Italian Pages 104 [108] Year 2006

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Table of contents :
Introduzione
1. Bonvesin narratore
2. Bonvesin traduttore
3. Bonvesin e Pietro da Barsegapè
4. I miracoli di Sant’Alessio
5. Le edizioni moderne della Vita di Sant’Alessio
6. Il codice Trivulziano 93
7. La lingua del copista come varietà composita
8. Il polimorfismo nella morfologia verbale
9. Morfologia e sintassi del pronome soggetto
10. La forma metrica del testo tràdito
11. Abitudini scrittone del copista
La Vita latina
De vita sancti Alexii
La Vita di Sant’Alessio di Bonvesin da la Riva (codice Trivulziano 93, cc. 16r-30v)
Commento
Bibliografia
1. Sigle delle opere volgari di Bonvesin da la Riva
2. Edizioni
3. Studi
Glossario
Abbreviazioni
Indice delle voci e delle forme
Indice dei nomi
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La Vita di Sant'Alessio: Edizione secondo il codice Trivulziano 93
 9783110914139, 9783484523357, 3484523352

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BEIHEFTE ZUR ZEITSCHRIFT FÜR ROMANISCHE PHILOLOGIE BEGRÜNDET VON GUSTAV GRÖBER HERAUSGEGEBEN VON GÜNTER HOLTUS

Band 335

RAYMUND WILHELM

Bonvesin da la Riva La Vita di Sant'Alessio Edizione secondo il codice Trivulziano 93

MAX NIEMEYER VERLAG T Ü B I N G E N 2006

Gedruckt mit Unterstützung der Geschwister Boehringer Ingelheim Stiftung für Geisteswissenschaften in Ingelheim am Rhein Abbildungen mit freundlicher Genehmigung der Biblioteca Trivulziana, Mailand

Bibliografische Information der Deutschen Bibliothek Die Deutsche Bibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.ddb.de abrufbar. ISBN 13: 9783-484-52335-7 ISBN 10: 3-484-52335-2

ISSN 0084-5396

© Max Niemeyer Verlag, Tübingen 2006 Ein Unternehmen der K. G. Saur Verlag GmbH, München http://www.niemeyer. de Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Gedruckt auf alterungsbeständigem Papier. Satz: Büro Heimburger, Mössingen Druck: AZ Druck und Datentechnik G m b H , Kempten Einband: Norbert Klotz, Jettingen-Scheppach

Premessa

II giovane che nella prima notte di matrimonio fugge la sua nobile sposa, e lascia dietro di se famiglia, onori e richezze; l'uomo mature che, dopo anni e anni di penitenza nel deserto, torna come pezzente nella casa paterna, dove vive sconosciuto e maltrattato dai servi, senza farsi mai riconoscere dal padre ne dalla madre, ne dalla sposa che lo piange ogni giorno; il vecchio, l'uomo invecchiato prematuratamente per le continue privazioni, che prima di morire fissa la storia della sua vita per iscritto, diventando scrittore, biografo di se stesso: Yiter di Sant'Alessio ci viene presentato, nei numerosi racconti che circolano su di lui per tutto il medioevo, in latino e nelle lingue volgari, come un'esperienza estrema e quasi «scandalosa» di ascesi, dove il sacrificio di se non si traduce solo in una povertä scelta volontariamente, ma in un radicale isolamento dagli altri, in una solitudine che e rinuncia deliberata ad ogni forma di comunitä umana, rinuncia ad ogni comunicazione immediata: dal rifiuto dinanzi all'atto sessuale fino al manifestarsi solo post mortem in quella forma mediata per eccellenza che e la scrittura. Si offre qui alia lettura la Vita di Sant'Alessio in antico lombardo che e stata composta da Bonvesin da la Riva negli ultimi decenni del Duecento. L'edizione si basa sull'unico manoscritto che contiene il testo per intero, il codice Trivulziano 93 databile alia fine del XIV secolo. La Vita di Sant'Alessio bonvesiniana non si puo certo dire inedita. Ma le edizioni precedenti, quella di Gianfranco Contini e quella di Adnan G ö l t e n , ritraducono il testo trädito nella veste del piü antico codice Berlinese, riconvertendolo cosi nella presunta forma linguistica dell'originale. II risultato di una tale ricostruzione, che mira innanzitutto a fornire un testo metricamente ineccepibile, e pero altamente ipotetico e risulta quindi, almeno per lo storico della lingua, poco servibile. A differenza della tradizione ecdotica di stampo continiano, il presente lavoro propone, per la prima volta, un'edizione interpretativa di questo importante testimone del lombardo antico. Con il rispetto piü scrupoloso possibile delle lezioni del manoscritto non si vuole preconizzare pero l'edizione «diplomatica», che sembra en vogue attualmente, specie in edizioni di testi non letterari. Si deve sempre tener conto del fatto invece che ogni lettura, ogni trascrizione di un manoscritto presuppone, inevitabilmente, la sua comprensione: l'edizione di un testo medievale e necessariamente un'operazione ermeneutica. II corredo interpretativo di Introduzione, Commento e Glossario che qui accompagna l'edizione, se da un lato vuole facilitare l'accesso al poema bonvesiniano, dall'altro giustifica le decisioni editoriali, in quanto esplicita la nostra comprensione del testo. L'edizione presenta quindi il poema bonvesiniano,

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non nella sua forma «originale», che non ci e dato di conoscere, bensi in una veste autentica, cioe nella forma in cui fu trascritto, letto e recitato alia fine del Trecento lombardo. Se si tratta di un testo che rimane ancora quasi tutto da scoprire, non c'e nessun dubbio che ci troviamo qui di fronte a uno dei primi grandi poemi narrativi in un volgare italiano. Ringrazio gli amici e colleghi che hanno accompagnato l'elaborazione di questo studio, in primo luogo Silvia Albesano e Stephen Dörr, che sono sempre stati generosi di aiuti, di consigli e di stimoli, nonche Giulia Pelillo e Tino Licht, che mi hanno aiutato a risolvere non pochi dubbi durante la redazione finale. Mi e stato inoltre di grande utilitä poter discutere lavori preparativi all'edizione del Sant'Alessio bonvesiniano con i colleghi di Pavia, di Roma e di Heidelberg. Heidelberg, dicembre 2005

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Raymund Wilhelm

Indice

Introduzione 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

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Bonvesin narratore Bonvesin traduttore Bonvesin e Pietro da Barsegape I miracoli di Sant'Alessio Le edizioni moderne della Vita di Sant'Alessio II codice Trivulziano 93 La lingua del copista come varietä composita II polimorfismo nella morfologia verbale Morfologia e sintassi del pronome soggetto La forma metrica del testo tradito Abitudini scrittorie del copista

1 2 6 8 11 14 17 19 23 28 32

La Vita latina

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De vita sancti Alexii

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La Vita di Sant'Alessio di Bonvesin da la Riva (codice Trivulziano 93, cc. 16r-30v)

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Commento

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Bibliografia 1. 2. 3.

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Sigle delle opere volgari di Bonvesin da la Riva Edizioni Studi

75 75 76

Glossario

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Abbreviazioni Indice delle voci e delle forme Indice dei nomi

82 83 97

VII

Introduzione

1. Bonvesin narratore II magister e doctor grammatice Bonvesin da la Riva (ante 1250-1313/1315) e il maggiore poeta lombardo del Duecento. La sua opera in volgare milanese consta di poco meno di diecimila versi. I poemi di Bonvesin hanno perlopiü un carattere religioso e didattico; essi sono da collocare presumibilmente tra gli anni settanta e ottanta del ΧΙΠ secolo. 1 La loro importanza capitale per la nascente tradizione linguistica e letteraria della Lombardia e indubbia. Ε tanto piü sorprendente constatare pero che vaste zone dell'opera bonvesiniana rimangono tuttora pressoche inesplorate. Se Bonvesin per il suo Libro delle tre scritture (S I, II, III) ha una certa rilevanza nella discussione sui possibili modelli della Commedia dantesca, 2 colpisce il fatto che proprio le sue opere narrative abbiano incontrato finora cosi poco interesse da parte degli studiosi. 3 Eppure nei suoi poemi agiografici Bonvesin da la Riva da prova di una straordinaria bravura in quanto narratore. Questo vale in primo luogo per i dieci grandi miracoli contenuti nel Vulgare de elymosinis (Β), nelle Landes de Virgine Maria (L) e nelle Rationes quare Virgo tenetur diligere peccatores (M), dove troviamo dei racconti cosi calibrati nel rapido susseguirsi di scene dipinte con efficacia come il De pirrata, il De milite qui amisit bona sua, quem diabolus voluit occidere ο il De patre cuiusdam sancti Donati. Questi racconti, veri capolavori dell'incipiente arte narrativa in volgare, reggono senz'altro il confronto con i ben piü fortunati Milagros de Nuestra Senora di Gonzalo de Berceo. L'efficacia narrativa di Bonvesin da la Riva si manifesta pure in un testo per molti versi simile, la Vita beati Alexii, che qui ci interessa in modo particolare. Π poema su Sant'Alessio e - oltre al racconto biblico su Giobbe che viene rielaborato sotto forma di una «vita de san lob» (Ο 33) - l'unico contributo del poeta milanese al tipo agiografico della vita dei santi, genere molto diffuso del resto proprio nella letteratura volgare della Lombardia medievale. La trasposizione in antico milanese della leggenda di Sant'Alessio costituisce il testo narrativo di gran lunga piü esteso di Bonvesin e nel contempo la prova forse piü matura della sua ars narrandi. Questo componimento si affianca cosi a versioni ben piü famose della leggenda, come la Vie de Saint Alexis oitanica dell'XI secolo e il marchigiano Ritmo su Sant'Alessio della fine del ΧΠ ο inizio del ΧΠΙ secolo.

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Cf. Contini(1960I,668). Cf. Rossi ( 2 1987,498-500); Stefanini (1991); Cerroni (2000). ' Si puo ricordare qui la veduta d' insieme, a dire il vero poco precisa, di Jacobs (1991,64-68).

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Sul valore letterario dell'opera bonvesiniana vige da tempo un giudizio chiaramente negativo, che sembra solidamente ancorato soprattutto nell'italianistica tedesca. Giä Immanuel Bekker, che con l'edizione del manoscritto Berlinese segna l'inizio della Bonvesin-Philologie in ambito tedesco, deplora la mancanza di pregi artistici e di vigore intellettuale nei poemi da lui editi.4 In modo simile Rodolfo Renier (1901, 9) qualifica la Vita di Sant'Alessio bonvesiniana come un «rozzo, ma in certi punti efficace, componimento». Non meno drastiche sono, in tempi piü recenti, le affermazioni che si leggono nella Italienische Literaturgeschichte curata da Volker Kapp, dove si parla delle «künstlerisch wenig anspruchvollen Werken» del nostro, che con un tale giudizio viene accomunato a Giacomino da Verona.5 Se valutazioni decisamente piü positive su Bonvesin sono state formulate invece nell'ambito della filologia italiana, soprattutto per cio che riguarda i suoi contrasti, come la Disputatio rosae cum viola analizzata da Maria Corti,6 rimane comunque il fatto che i poemi narrativi del poeta milanese sono generalmente trascurati. Ci troviamo qui di fronte ad una delle lacune piü sorprendenti della storiografia della letteratura italiana delle origini. Non c'e dubbio infatti che una lettura attenta dei suoi racconti agiografici ci puö portare a riconoscere in Bonvesin da la Riva il primo grande narratore in un volgare italiano, alcuni decenni prima del Novellino.

2. Bonvesin traduttore Ε stato giustamente sottolineato che «quäle autore in volgare Bonvesin e eminentemente un traduttore» (Contini 19601,667). II caso piü esplicito in questo senso e quello dei Disticha Catonis, diffusissima opera didattica che Bonvesin rende in volgare milanese «a utilta de multi», come egli stesso dichiara nella quartina di apertura: «Eo Bonvesin dra Riva / qui voi vulgarezar // Ii amaistrament de Cato, / ki i vol odir cuintar» (V ls.).7 Inoltre si puö ricordare che almeno una volta, nel contrasto dei mesi, Bonvesin e volgarizzatore di se stesso, se e vero che la versione latina dei Carmina de mensibus precede la lombarda.8 Dubbia invece e l'attribuzione a Bonvesin dei racconti in prosa

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Secondo Bekker (1850, 322) i poemi bonvesiniani sono stati composti «ohne viel Kunst, mit noch weniger Geist», ma essi sarebbero comunque «für damalige Sitte und Denkart, und vornehmlich als testo di lingua, beachtenswerth». Stillers (1992, 40). - Un giudizio analogo viene espresso dall'editore della Vita scolastica sulla produzione latina dell'autore: «Ars et ingenium Bonvicini non magni sunt aestimanda» (Vidmanovä-Schmidtovä 1969, XXIII). Corti (1973/1978); e cf. Orlandi (1978); Zambon (1993). Nel manoscritto Β (Bergamo, Biblioteca Civica, cod. s. IV. 36), datato 1469, che e l'unico a contenere i versi in questione, si legge perö: «E fratre bon uesino da riua cilo noy uol uolgarizare // Eli amistramenti del cato chi Ii uole aldir cuytare» (Beretta 2000, 3); per i diversi tentativi di «ricostruzione» delle opere bonvesiniane cf. § 5. - Segnalo, nelle citazioni tratte dalle opere di Bonvesin, il limite dell'emistichio (/) e del verso (//). Cosi Contini (1960 I, 667); Orlandi (1978, 103; 110). Per Rossi ( 2 1987, 495) e invece piü probabile «che la traduzione latina del contrasto dei mesi [...] sia posteriore alia redazione lombarda». Bisogna ammettere perö che alio stato attuale delle nostre conoscenze sulla cronologia interna dell'opera bonvesiniana gli argomenti a favore dell'uno ο dell'altro punto di vista sono piuttosto deboli.

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latina inseriti nei distici della sua Vita scolastica che, se fossero autentici, ci fornirebbero gli antecedenti piü immediati delle tre grandi narrazioni, il De castellano, il De pirrata e il De Maria Egyptiaca, con cui si apre la silloge dei miracoli volgari delle Laudes de Virgine Maria.9 Per la Vita di Sant'Alessio si e potuto individuare da tempo la fonte principale: Bonvesin traduce la Vita latina, che circolava in un gran numero di copie a partire, soprattutto, dall'XI secolo e che viene citata dagli studiosi perlopiü nella versione pubblicata dai Bollandisti nel 1725.10 Come vedremo meglio in seguito, la ricerca sulle diverse versioni della Vita in prosa latina condotta da Sprissler (1966) ci permette di ascrivere la fonte di Bonvesin al gruppo II (o tipo A) dei quattro gruppi in cui si articola la tradizione della Vita." Ε facile notare infatti che nel caso dell'-A/esiio Bonvesin traduce in modo sorprendentemente fedele la sua fonte. II confronto del poema lombardo con il testo latino si presta cosi ad uno studio comparato, specie a livello sintattico, come si e giä potuto dimostrare in particolare per l'uso dei tempi verbali (cf. Wilhelm 2004). In molti casi e proprio il costante confronto con il latino che ci permette una valutazione adeguata della lingua e delle tecniche compositive del narratore milanese. Del confronto con il testo latino ci possiamo avvalere anche per l'analisi ravvicinata di specifici procedimenti a livello testuale. Prendiamo come esempio un modulo di collegamento di fräse che proporrei di chiamare «progressione a scalinata». Questa struttura transfrastica viene riprodotta in modo caricaturale, e severamente condannata, da Bono Giamboni in un passo degno di nota del suo Fiore di rettorica: Ε dee colui che vuole bene il fatto narrare non solamente tacere il fatto che gli fa danno, ma quello che non gli fa ne danno ne prode. Ε che la parola ch'ä detto una volta non la ridica piü poscia in questo modo: «Nell'ora della cena venne in Roma Martino; poscia che nell'ora della cena fu Martino in Roma giunto, cenö a grand'agio; a grand'agio cenato, mise un guato; messo il guato, rapio la femina, onde e nato molto male». Perche non solamente del fatto, ma delle parole che sono di soperchio si dee guardare colui che favella. (Giamboni, Fiore di rettorica, ed. Speroni 1994, 65)

II Giamboni censura qui un tipo di progressione narrativa che, in quanto basato sulla ripetizione di parole, contravviene alia brevitas. Non si tratta pero, come suggerisce il retore, di una ripetizione inerte, di una semplice ridondanza, bensi di uno specifico procedimento di strutturazione del testo narrativo, in cui in ogni frase viene esplicitamente assunto come base dello sviluppo narrativo ulteriore il punto d'approdo della frase precedente, in forma schematica: 'base, > sviluppo, = base, > sviluppo, = base 3 > sviluppo 3 ' ecc. Ε vero che questo modo di coesione tesuale non e del tutto sconosciuto alle narrazioni in lingua latina, specie all'agiografia medievale in prosa. Comunque non c'e dubbio che la progressione a scalinata qui descritta costituisce un tratto particolar-

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Cf. Contini (19601,667); Rossi ( 2 1987,497), che tendono ad attribuire a Bonvesin gli exempla prosastici della Vita scolastica, e d'altra parte Vidmanovä-Schmidtovä (1969, XXIII); Orlandi (1978, 125) che Ii considerano invece delle aggiunte posteriori. 10 Cf. Renier (1901, 9); Contini (1941, X U , LXX n. 78); Stella (1994, 168). " Cf. La Vita latina qui sotto.

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mente caratteristico dei testi narrativi in volgare, soprattutto se questi assumono un tono «popolare». Ε solo nelle lingue volgari si e elaborata una struttura sintattica ben riconoscibile, quasi uno stereotipo formale, in cui molto spesso si manifesta questo tipo di progressione, ma che e stranamente assente dal brano citato di Bono Giamboni: la temporale anteposta introdotta da quando. La frase con quando riassume quanto narrato in precedenza e introduce cosi una nuova tappa nella progressione narrativa. Questo tipo di frase, che caratteristicamente riveste una rematicitä bassa, serve a suddividere la narrazione in piccole porzioni testuali. Anche se la «quand-Sstz» e stata descritta finora soprattutto per narrazioni in versi in antico francese,12 questo modulo narrativo non e certo limitato alia lingua poetica: esso svolge invece una funzione centrale per la strutturazione del testo anche nei volgarizzamenti in prosa, per esempio nelle numerose versioni della Legenda aurea in francese e in occitanico. Vedremo qui di seguito che la frase introdotta da quando costituisce un elemento centrale della tecnica narrativa di Bonvesin da la Riva. La specifica funzione transfrastica di questo modulo appare particolarmente chiara in confronto al suo modello latino.13 In una delle sue forme piü caratteristiche il costrutto con quando riprende all'inizio di strofa il materiale lessicale dei versi precedenti, prevalentemente il verbo ο un altro elemento centrale, come un'indicazione di luogo: In seno et in sciencia et in bontä cresceva [...] Quando fo cresudo Alexio, una sposa g' e data (vv. 35; 37) [...] a quela eclexia grande onde el fideva portado, zo fu a santo Bonefacio onde el fo govemado. A quela santa gexia quando eli Γ äveno portado, per sete di grande oficio illo' fo celebrato. (vv. 503-506) In terra de Laudocia privadamente el e fuzido. Quando el fo in Laudocia, el prende a navegä (vv. 180s.) [...] e un vento rabioxo al porto de Roma ä volto la nave a regoloxo. [...] Ε quando al porto de Roma Alexio fo vegnudo, [...] (vv. 185s.; 189)14

Al costrutto con quando corrispondono nel testo latino delle soluzioni sintattiche diverse. Cosi abbiamo nella fonte, per i quattro brani citati: «Cum autem ad tempus adolescentiae accessisset [...]» (Vita, § 12), «Et illic per septem dies [...]» (§ 93), «ibique navem ascendens [...]» (§ 31), «Ut autem ipse homo Dei Alexius se illuc venisse prospexit [...]» (§ 33). Nel testo latino la temporale anteposta, introdotta perlopiü da cum, pur essendo abbastanza comune non ha la frequenza che acquista nel testo volgare, e soprattutto non sembra svolgere una funzione rilevante nella strutturazione del testo. II collegamento di frase e affidato invece in primo luogo a congiunzioni come et, autem e simili. Inoltre va notato che la caratteristica ridondanza che contraddistingue la struttura a scalinata e presente in misura molto minore nella fonte. Invece delle 12 13 14

Cf. Stempel (1964, 141-151); Blumenthal (1986,47). Sviluppo qui quanto accennato in un'altra ottica in Wilhelm (2004, 477s.) La Vita di Sant'Alessio έ citata, con la sola indicazione dei rispettivi versi, secondo l'edizione che segue.

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ripetizioni lessicali si privilegiano qui riprese anaforiche con avverbi, come i diversi illic, illuc e ibi negli esempi citati. La funzione strutturante della frase introdotta da quando e particolarmente ovvia nei casi in cui il costrutto serve come segnale di chiusura del discorso di un personaggio, riportato in forma diretta ο indiretta. Cosi troviamo due volte l'emistichio «Ε quando el ave zo dito» a chiudere un discorso di Alessio (vv. 53a; 59a), cui nel testo latino corrispondono espressioni che indicano semplicemente la successione temporale come deinde (§ 15) e post haec (§ 16). Nella stessa funzione si puö avere anche un verbo dell'ascoltare, come al v. 280a, «Quando zo intexe lo populo», che in questo caso segue piü da vicino il testo latino che ha «Qua voce audita» (§ 47). II carattere formulare di questi elementi e confermato dai puntuali riscontri in altri testi narrativi di Bonvesin. Cosi troviamo nel solo De Maria Egyptiaca a due riprese «Quand have zo digio» (L 345, 357), poco piü in lä «Quand have inteso» (L 361) ecc.15 Ε significativo il fatto che Bonvesin si serva proprio nei momenti strutturalmente precari delle sue narrazioni, come nella chiusura del discorso di un personaggio, di elementi ricorrenti e altamente stereotipati. Giä questi pochi esempi ci permettono di riconoscere una netta differenza fra la Vita e il suo volgarizzamento per cio che riguarda le strutture transfrastiche. Se nel testo latino il raccordo di frase e spesso affidato ad avverbi di luogo (illuc, ibi ecc.) ο di tempo (deinde, tunc ecc.) e a congiunzioni come il frequente autem, mentre la temporale anteposta ha un peso molto minore in questa specifica funzione, il volgare generalizza proprio quest'ultimo tipo e in modo particolare il costrutto con quando, che si trova nel solo Sant'Alessio di Bonvesin ben 23 volte. Se e vero, poi, che anche Bonvesin conosce altre forme di collegamento, come il gerundio anteposto ο l'attacco di frase con illora, non c'e dubbio pero che la «quand-Satz» acquista qui un ruolo centrale, giä a livello quantitativo, nell'organizzazione testuale, assumendo il carattere di un elemento formulare. Vediamo l'attacco della terza parte del racconto, quando l'attenzione del narratore si sposta da Edessa, dove abbiamo seguito Alessio, di nuovo al luogo di partenza, Roma. Nel testo latino basta un breve accenno ai fatti raccontati prima introdotto da post: «Post cuius discessionem facta est Romae inquisitio magna [...]» (Vita, § 19). Bonvesin invece combina il raccordo temporale della fonte con la frase introdotta da quando, tipica del suo narrare: «Pose la partida d' Alexio, / quando lo so padre ave odudo // che so fio e fuzido / e che so fio e perdudo, // la cerca el fa far grande [...]» (vv. 85-87). L'espansione non serve solo a conferire un particolare pathos al dettato piuttosto secco della fonte, ma introduce inoltre un elemento strutturale altamente caratteristico della narrazione in lingua volgare. La grande vicinanza al testo latino non limita cosi la libertä del volgarizzatore nell'elaborazione di moduli narrativi spiccatamente volgari. Si veda ancora la resa di «Quorum aliqui dum venissent Edissam» (§ 20) con «De queli alguangi in Edessa / quando fon arivati» (v. 103), dove Bonvesin imita persino l'ordine delle parole del 15

Cito il codice Berlinese secondo la trascrizione di Gökfen (1996), indicando solo la sigla convenzionale del testo in questione e il rispettivo verso; non riproduco i segni prosodici, come punti espuntivi e dieresi, introdotti dall'editore moderno.

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suo modello, ma nello stesso tempo si serve della subordinata introdotta da dum per inserire anche qui il costrutto con quando. In sostanza l'esempio della «quand- Satz» ci dimostra la notevole abilitä del nostro volgarizzatore. Bonvesin da la Riva riesce infatti con grande disinvoltura a conciliare la fedeltä alia sua fonte e l'introduzione di una specifica tecnica narrativa del volgare, conferendo cosi una chiara impronta personale alia Vita tradizionale. Vedremo ora che gli interventi del volgarizzatore riguardano anche il piano del contenuto, e in modo particolare la presentazione e rinterpretazione dei fatti narrati. Ε si potra constatare che un ruolo non secondario e svolto qui anche dalle puntuali allusioni alia produzione coeva in lingua volgare.

3. Bonvesin e Pietro da B a r s e g a p e Accanto a Bonvesin da la Riva e noto un altro autore in volgare attivo nella Milano della seconda metä del Duecento: Pietro da Barsegape. Di Pietro ci e tramandato un Sermone di poco meno di 2400 versi, una lunga parafrasi rimata di episodi biblici, che si sofferma in modo particolare sulla vita di Gesü (vv. 406-2106). II testo, che nella sua parte finale e datato al 1274,16 e conservato in un manoscritto braidense (AD ΧΙΠ 48) del XIV secolo. 17 Nel Sermone come noi lo conosciamo, non solo e incorporato un intero brano del Libro di Uguccione da Lodi, ma esso contiene anche un certo numero di versi provenienti dal De scriptum rubra (S II) di Bonvesin da la Riva. Se nel primo caso, per Uguccione, sembra accertato ormai che il «plagio» e da attribuire non all'autore ma al suo copista (cf. Polimeni 2004, 26), per la ripresa dei versi bonvesiniani invece e piü probabile una dipendenza diretta del Sermone da S II, cosicche l'interpolazione ci permette di supporre per il Libro de lie tre scritture una datazione ante 1274.' 8 Sembra pero essere sfuggito finora all'attenzione degli studiosi che ci sono anche alcuni punti di contatto fra il Sermone di Pietro da Barsegape e la Vita di Sant'Alessio di Bonvesin da la Riva. Si possono notare infatti alcune espressioni abbastanza caratteristiche che ricorrono nei due testi e che non si lasciano spiegare come coincidenze casuali. Consideriamo subito i due passi piü significativi, che riguardano l'uno l'infanzia, l'altro la morte del santo:

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Cf. i vv. 2435-2438: «In mille duxento setanta e quatro / questo libro si fo fato / et de iunio si era lo prumer di / quando questo dito se feni». Cito il Sermone dalla trascrizione semidiplomatica di Salvioni (1891), che correggo qui perö alia luce di Romano (1995, 78 n. 5): Salvioni 6ksexanta,fenir. Su Pietro da Barsegape cf. Salvioni (1891); Keller ( 2 1934-1935); Romano (1995); Polimeni (2004). Cosi Romano (1995, 98), che precisa in questo modo la valutazione piü prudente di Contini (1941, XLIV n. 2) e Contini (19601, 667).

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Ε Ί fantin creseua in seno e in bonta (Sermone, 719) Si lo porton al monumento Lo sancto pretioso unguento (Sermone, 1762/1767)

Lo fantineto Alexio [...] In seno et in sciencia / et in bontä cresceva (Vita di Sant'Alessio, 33/35) Odore suavissimo / insiva de quel monimento, come el fosse pien de specie / e de precioso unguento (Vita di Sant'Alessio, 515s.)

Le tre marie porton un unguento Ε si sen andon al monumento (Sermone, 1796s.)

Se nel caso di S II ci troviamo di fronte alla ripresa di versi interi, la cui direzione, da Bonvesin a Pietro, ci e indicata chiaramente dal metro, qui abbiamo a che fare con allusioni piü raffinate, che con ogni probabilitä sono da attribuire a Bonvesin da la Riva. Nel primo esempio citato, Bonvesin adotta l'espressione di Pietro creseva in seno e in bontä, spostando perö il verbo in rima e aggiungendo al senno e alla bonta, quasi per emulare il suo modello, anche la scienza. La rima monumento/unguento, d'altra parte, che ricorre due volte nel Sermone, e di per se certo meno significativa, tant'e vero che Maria Elisabetta Romano (1995, 104) ne ha potuto far risalire la tradizione fino alla Passion de Clermont-Ferrand del X secolo. Soprattutto l'aggettivazione (precioso) sembra indicare perö anche qui un influsso diretto. Vale la pena di osservare piü da vicino il modo in cui il poeta riesce a conciliare il suo modello latino con l'allusione al componimento in volgare. Come al solito Bonvesin traduce abbastanza fedelmente anche l'ultimo paragrafo del racconto latino: a «De ipso quoque monumento ita suavissimus odor flagravit, ut omnibus esset aromatibus plenum» (Vita, § 94) corrisponde «Odore suavissimo / insiva de quel monimento, // come el fosse pien de specie». Bonvesin aggiunge perö, in primo luogo per completare la quartina, l'emistichio «e de precioso unguento», che gli e stato suggerito dal Barsegape, e che funge da espansione del pien de specie che da solo sarebbe forse troppo debole per rendere l'espressione omnibus aromatibus plenum. Si puö notare inoltre che il pretioso unguento ha un significato ben piü specifico nel testo del Barsegape, dove designa le spezie portate alla tomba di Gesü dalle tre Marie, fatto che di nuovo conferma la nostra ipotesi. Anche dal punto di vista del contenuto non ci possono essere dubbi sulla direzione del prestito: se l'allusione da parte di Bonvesin alia vita di Gesü narrata da Pietro conferisce un ulteriore piano di lettura alla Vita di Sant'Alessio, in quanto sottolinea la imitatio Christi da parte del santo, la direzione opposta, l'equiparazione della vita di Gesü ad un santo pur famoso nel medioevo lombardo come Alessio, sarebbe ovviamente fuori luogo. La reminiscenza dell'infanzia e del seppellimento di Gesü apre in questo modo un'ulteriore dimensione di senso al nostro testo. L'allusione puntuale e mirata della Vita di Sant'Alessio ad un'opera contemporanea come il Sermone, che quindi non ha niente a che fare con i plagi grossolani in cui potevano incorrere Pietro ο il suo copista, e da valutare come prova ulteriore dell'arte consapevole e sicura del narratore Bonvesin da la Riva. Lungi dall'essere un «rozzo» rimatore che operi «ohne viel Kunst», come vuole un vecchio pregiudizio (cf. § 1.), 7

Bonvesin riesce a introdurre nella sua traduzione pur molto fedele della Vita latina una serie di segnali lessicali che instaurano un preciso rapporto intertestuale con un componimento coevo, arricchendo in questo modo la sua narrazione di un ulteriore piano di significato. II riferimento a Pietro da Barsegape ci fomisce perö anche un elemento prezioso per la datazione del nostra poema. Se in genere la maggiore maturitä stilistica, soprattutto se paragonato al Libro delle tre scritture, suggerisce una datazione piuttosto tarda del Sant'Alessio, le citazioni tratte dal Barsegape ci permettono di ascriverlo sicuramente a una data post 1274. Si aggiunge cosi un altro dato alia cronologia interna, finora quasi completamente ignota, delle opere volgari di Bonvesin da la Riva.

4 . 1 miracoli di Sant'Alessio Uno degli elementi strutturalmente piü rilevanti dell'arte narrativa di Bonvesin da la Riva e il miracolo. L'irrompere inopinato del divino nella vita quotidiana degli uomini costituisce spesso una svolta decisiva, se non risolutiva, nei racconti del poeta milanese. Ε facile notare, proprio nelle grandi narrazioni bonvesiniane, come il miracolo anticipi, in questo modo, il fatto inaudito e sconcertante, la «unerhörte Begebenheit» della novellistica. A differenza della novella la miracolistica rimane perö indissolubilmente legata all'intento didattico, specie in un autore divulgativo come Bonvesin. L'intervento divino, che spesso protegge ο premia il buono e punisce il cattivo, permette infatti di costruire dei racconti edificanti, degli exempla, che riducono le innumerevoli possibilitä dell'agire umano alia semplice alternativa fra azioni meritevoli, e quindi da imitare, e azioni riprovevoli, che si devono evitare. Se Bonvesin si inserisce nella tradizione miracolistica soprattutto con i racconti contenuti nel Vulgare de elymosinis, nelle Laudes de Virgine Maria e nelle Rationes quare Virgo tenetur diligere peccatores, vediamo ora che anche il poema su Sant'Alessio dedica un'attenzione particolare alia presenza dell'operare divino nel mondo degli uomini.19 La Vita di Sant'Alessio, giä nella fonte latina, e scandita da avvenimenti miracolosi che accompagnano Yiter esemplare del santo: dalla sua nascita da una madre creduta sterile, all'intervento della Vergine che provoca la fuga da Edessa, all'agire del vento che inaspettatamente riporta la sua nave a Roma, alia voce celeste che svela la presenza del santo, fino alia rapida serie dei miracoli post mortem: il viso del morto che luce «velut lampadem», la sua strana ostinazione per cui lascia lo scritto che contiene la narrazione della sua vita solo al papa, le guarigioni e infine il buon profumo che emana dalla sua tomba. Si puo notare perö che Bonvesin, pur attenendosi scrupolosamente ai fatti contenuti nella Vita latina, da un rilievo particolare proprio agli episodi miracolosi, che talvolta elabora, con minimi ma efficaci interventi, in forma di piccoli racconti autonomi, cosi che la sua Vita di Sant'Alessio sembra avvicinarsi a tratti ad un florilegio di miracoli. 19

Fra gli studi sul miracolo cf. Dierkens (1995); Vauchez (1999,39-55); sulle raccolte di miracoli nelle lingue romanze cf. Spangenberg (1987); Segre (1999/2001), dove non si fa nessun cenno perö a Bonvesin da la Riva.

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Prendiamo l'esempio forse piü significativo, l'episodio dell'icona di Edessa. La Vita latina si limita a registrare i fatti: Postea vero volens Deus revelare causam ipsius, imago, quae in honore sanctae Dei genitricis Mariae ibidem erat, paramonario ecclesiae dixit: «Fac introire hominem Dei, quia dignus est regno caelorum, et spiritus Dei requiescit super eum, nam et oratio eius sicut incensum in conspectu Dei ascendet». Exiensque paramonarius quaesivit eum et non cognovit, et reversus intro, coepit imprecari omnipotentis Dei clementiam, ut ostenderet eum illi. Iterum ipsa imago ait: «Ille qui sedet foris in ostio, ipse est». Tunc paramonarius festinus egressus cognovit eum et procidens ad pedes eius rogavit eum, ut in ecclesiam intraret. Quod factum dum cunctis innotesceret et isdem homo Dei Alexius ab omnibus venerari coepisset, humanam fugiens gloriam occulte exiit de civitate Edissa [...]. (Vita, §§ 2 7 - 3 1 )

Qui non si fa nessuna menzione del carattere straordinario dell'accaduto, ne di un eventuale stupore ο timore del sagrestano davanti all'immagine che gli impartisce degli ordini. All'anonimo narratore basta evidenziare la logica interna dell'intervento divino: «volens Deus revelare causam ipsius, imago... dixit». La Vita ci confronta cosi con un mondo in cui il miracoloso, l'intervento dell'agire divino, non sembra avere niente di sorprendente, in cui il fatto che Ticona della Vergine possa prendere la parola e immischiarsi nella vita degli uomini appare, ai testimoni diretti come al narratore, un evento perfettamente «naturale». Mol to diverso e qui l'atteggiamento di Bonvesin. Dopo aver spiegato, come faceva giä la fonte, la motivazione dell'agire divino («De si ä voluto // che so splendo debia esse / in manifesto veduto. II Deo vole che santo Alexio / debia esse cognosuto.»; vv. 146-148), il poeta introduce una fräse che riassume e qualifica esplicitamente, quasi un titolo ο una rubrica, il nuovo episodio: «Per lu uno tal miracolo / in quel di fo mostrado» (v. 149). In questo modo si segnala il passaggio dagli avvenimenti terreni e «naturali» - la fuga di Alessio nella notte del suo matrimonio, il fallito tentativo della sua famiglia di ritrovarlo ecc. - aH'irrompere del divino. Mentre la Vita, inoltre, si limita ad un'enunciazione oggettiva («imago... dixit»), Bonvesin assume decisamente la prospettiva del sagrestano e ci dipinge l'essere umano che in un momento eccezionale della sua vita e confrontato direttamente e concretamente con l'aldilä: «uno di che Ί segrestan / in la gexia era andado...» (v. 150). Di conseguenza dopo le parole della «ymagine de la Regina», che Bonvesin traduce con notevole fedeltä, egli ci presenta la reazione emotiva dell'uomo di fronte all'inaspettato: «Lo segrestan illora, / stremito incontanente, // si va circando quel homo...» (vv. 157s.). Ed e da sottolineare che l'emistichio stremito incontanente qui non e certo un riempitivo, anzi il verbo stremire, 'spaventarsi', ricorre quasi regolarmente per indicare il terrore dell'uomo che entra in contatto con il mondo divino. Basta rinviare al miracolo De sancto Bonifacio, dove si dice della madre del santo: «vezando ella stremisce, // vezando cotal miraculo / tuta se rebaldisce» (B 595s.). 20 Anche la propagazione ulteriore dell'accaduto e dipinta in modo sensibilmente diverso nei due testi: nella Vita, laddove si legge «Quod factum dum cunctis innotesceret...», e posto in primo piano il contenuto delle parole rivelate, cioe il fatto che si diffonde la fama della santitä di Alessio. Bonvesin, pur non trascurando quest'aspetto

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E c f . L 318; L 453 ecc.

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(«e' fo tenuto per santo / per piace e per contrade»; v. 172), insiste perö nuovamente sul carattere inaudito dell'intervento divino stesso, qualificandolo esplicitamente come tale: «le nove de questo miracolo / per tuto fon palezade» (v. 170). Con la doppia menzione del termine tecnico miracolo (al v. 149 e al v. 170) il narratore volgare introduce una duplice delimitazione, quasi una cornice, nella quale sono isolati e separati dal corso naturale dell'agire umano gli avvenimenti miracolosi. Se quello dell'icona della Vergine e certo l'episodio miracoloso formalmente piü elaborato della Vita di Sant'Alessio, si puö constatare lungo tutto il racconto che anche altri avvenimenti vengono qualificati come miracolosi, con termini come segno (v. 274) - e si noti che il verso «uno tale segno per Alexio / devene in quela fiata», oltre ad essere strutturalmente molto simile nel primo emistichio al v. 149, ha anche la stessa funzione di annunciare un episodio miracoloso meraveia grande (v. 340), grandi miraculi (v. 478) - che in questo caso traduce «tanta mirabilia» della Vita (§ 90) - , fino all'allocuzione diretta agli ascoltatori, quasi espressione di uno stupore non piü controllabile: «odi miracolo divin!» (v. 331), emistichio che riassume perfettamente l'atteggiamento di Bonvesin di fronte all'agire divino, e che in forma simile («oi miracol divin») ricorre anche in altra occasione (Β 863).21 Vale la pena soffermarsi ancora su un altro episodio, il cui carattere miracoloso e indicato in forma piü sottile: il brano iniziale del nostro poema, che narra la nascita del santo e che sta in stretto rapporto con un breve passo del Vulgare de elymosinis. Questo primo miracolo, che nella Vita latina occupa ben dieci paragrafi e che nel Sant'Alessio viene sviluppato in sette strofe (vv. 1-28), e trattato in modo molto piü succinto e schematico nei versi 429-444 di Β come racconto autonomo. Nel Vulgare de elymosinis l'episodio interessa infatti in primo luogo per il suo contenuto didattico, esso costituisce uno dei numerosi exempla sul dare elemosine. Questo aspetto e giä largamente presente nella Vita latina: Et ideo immensas cotidie largiebantur elemosinas, orationibus quoque atque obsecrationibus insistentes Dominum, ut daret eis filium, qui succederet eis. Quorum Deus secundum bonitatem suam contritionem aspiciens, reoordatus operum ipsorum, exaudivit eos et concessit eis filium, quem vocaverunt Alexium. (Vita, §§ 8s.)

Sullo stretto legame, per non dire il rapporto di causalitä, fra le buone opere di Eufumian e l'intervento divino insiste anche Bonvesin nel Vulgare de elymosinis: Perzö le soe bone ovre ke le soe demandaxon

da Deo fon tanto amae no ghe fon da Deo vedhae. (B 435s.)

Deo vidhe le soe lemosine, Deo vidhe lo ben k' el feva, e ghe de de soa dona fiol dond el godheva. (B 439s.)

Possiamo constatare di nuovo perö che la Vita latina si limita a motivare l'intervento divino, a spiegame la logica interna, mentre Bonvesin sottolinea con particolare enfasi il carattere straordinario dell'accaduto: non solo troviamo qui la qualiiica esplicita di

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Per la terminologia variabile del miracoloso nel latino medievale (miraculum, mirabile, signum ecc.) cf. Vauchez (1999, 10; 42).

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«divin miraculo» (Β 441), ma l'agire divino viene anche definito come innaturale ο sovrannaturale: «fiol de soa dona / ie de contra natura» (B 442). 22 Se nella Vita di Sant'Alessio la nascita di Alessio non e esplicitamente qualificata come miracolosa, viene perö anche qui ripresa e approfondita la riflessione sul suo carattere sovrannaturale. II concetto e introdotto una prima volta al v. 13: «Agles soa moie / sterela era per natura», e con una tipica glossa da volgarizzatore si insiste nel verso successivo: «de ley nasce non podeva / alcuna creatura». La strofa seguente ribadisce il concetto, sostituendo perö alla natura la ragione come istanza che regola ciö che succede normalmente: «Ave no podeven fioli / secondo raxon» (v. 17). Preparato in questo modo, e dopo il rimando al carattere di ricompensa di un tale intervento («A le fine Criste / i so pregi volse intende, // da le so gran elimosine / el no se vose defende»; vv. 21s.), viene enunciato il miracolo stesso: «El ge de contra natura / heredes complacente» (v. 23). 23 Si noti anche qui che Bonvesin traduce fedelmente i fatti stessi, aggiungendo perö delle valutazioni atte a sottolinearne il carattere meraviglioso. Cosi la sequenza per natura (v. 13) - secondo raxon (v. 17) - contra natura (v. 23), che manca nel testo latino, corrisponde senza dubbio ad una strategia testuale consapevole. Per di piü l'espressione el ge de contra natura (v. 23a) e l'unico emistichio - oltre a Eufiimian de Roma, che nei due racconti sta in apertura del testo (Ρ 1; Β 429, dove si legge perö Eufimian) - a trovarsi in forma identica nel Sant'Alessio e nel raccontino di B. Si tratta di una ripresa calcolata, e dal momento che la Vita di Sant'Alessio e un testo ben piü elaborato, e probabile che la direzione della ripresa vada da Β a P. In questo modo verrebbe confermata del resto anche la data piuttosto tarda del nostro poema rispetto agli altri vulgaria (cf. § 3.). Ciö che piü importa qui e perö il dato strutturale: il rimando al testo anteriore, proprio in apertura della narrazione piü estesa di Bonvesin, serve infatti a qualificare giä il primo episodio, quello della nascita di Alessio, come un divin miracolo, inserendo cosi sin dall'inizio la vita del santo in quel mondo del miracoloso che e particolarmente caro al narratore milanese.

5. Le edizioni moderne della Vita di Sant'Alessio Nei paragrafi precedenti si sono potute indicare solo alcune possibili direzioni di riflessione che rimangono da approfondire in vista di una seria valutazione, che fino ad oggi non e mai stata affrontata, del narratore Bonvesin da la Riva. Sui motivi dello stato tutt'altro che soddisfacente delle ricerche sul poeta milanese, si possono formulare molteplici ipotesi. Un peso non secondario ha senz'altro la posizione geograficamente e linguisticamente «eccentrica» dell'opera bonvesiniana: i suoi testi rimangono necessariamente marginal! di fronte alla piü prestigiosa tradizione linguistico-letteraria

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Sülle discussioni, nel XIII secolo, sul carattere contra natura oppure supra natura del miracolo cf. Vauchez (1999, 52). Ε curioso che il copista del codice Trivulziano inciampi proprio qui in un errore, ripetendo nel secondo emistichio il sintagma che qui ci interessa; egli scrive infatti: «El ge de contra natura / heredes con da natura». Cf. § 10. 11

toscana. 24 Non meno decisivo e pero il fatto che non disponiamo finora di un'edizione adeguata dei suoi volgari: mancano edizioni commentate che facilitino l'accesso ad un'opera spesso di difficile comprensione e, non da ultimo, mancano edizioni che presentino un testo linguisticamente sicuro ed affidabile, tale da poter servire come base per ulteriori ricerche storico-linguistiche e letterarie. Quest'ultimo punto, la mancanza di edizioni linguisticamente soddisfacenti, potrebbe magari sorprendere, visto che disponiamo non solo della prestigiosa edizione delle opere di Bonvesin a cura di Gianfranco Contini, ma anche dell'ambiziosa ritrascrizione di (quasi) tutto il corpus bonvesiniano preparata da Adnan Gökgen.25 Come si presenta quindi l'attuale situazione editoriale dei volgari di Bonvesin da la Riva? In primo luogo e da constatare che, se da un lato resta fondamentale l'edizione curata da Contini nel 1941, dall'altro lato lo stesso Contini, a distanza di vent'anni, aveva proposto alcune opere bonvesiniane in una veste notevolmente mutata. 26 1 «ripensamenti» del grande filologo (Stella 1994,166) sono spesso stati commentati; tuttavia ai fini del nostro discorso si devono comunque ricordare i seguenti punti. Nell'edizione romana del 1941 Contini intraprende una profonda normalizzazione dei testi traditi. Quest'operazione normalizzante consiste in due tappe. Per i testi (circa la metä del corpus intero) tramandati dal piü autorevole codice Berlinese, databile alia fine del Due ο all'inizio del Trecento, 27 Contini, in base a una complessa ipotesi metrico-dialettologica, espunge vocali atone, soprattutto finali, ο anche sillabe intere per ricostruire la forma metrica, che si presume sempre regolare, dell'alessandrino usato generalmente nelle opere volgari di Bonvesin. 28 Per i restanti testi invece, conservati perlopiu in due manoscritti Ambrosiani del XV secolo e molto lontani dalla regolaritä metrica lpotizzata, 29 gli interventi sono ben piü drastici: questi testi vengono corretti infatti alia luce della stessa norma congetturale che Contini aveva estrapolato dal manoscritto Berlinese. Ne conseguono interventi costanti e spesso profondi nella lezione tradita. I principi editoriali dei Poeti del Duecento d'altra parte si caratterizzano per una ben maggiore prudenza: nell'edizione parziale del 1960 Contini si limita a segnare tramite un puntino espuntivo le vocali e/o le consonanti che per ragioni metriche devono cadere. Ε ovvio pero che questa nuova prassi e applicabile solo a un «buon» manoscritto come il Berlinese che anche attraverso una grafia spesso arcaizzante lascia intravedere la presunta realtä fonetica. La prassi editoriale dei Poeti del Duecento e 24

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Cf. in forma particolarmente esplicita Coletti (1993, XI): «mentre i dialetti ligure ο lombardo ο romanesco continuano ancor oggi a condizionare e diversificare negli italiani regionali la lingua parlata nazionale, i volgari deH'Anonimo ο di Bonvesin ο della Vila di Cola sono dialettali ed estemi (se non estranei) alia lingua letteraria nazionale sin dai tempi del De Vulgari Eloquentia». Contini (1941); Gok?en (1996) e Gökeen (2001). Contini (19601, 667-712). II manoscritto della Öffentliche Wissenschaftliche Bibliothek di Berlino e segnato Ital. qu. 26. - Per le datazioni divergenti di Mussafia e Contini cf. Stella (1994, 165). I fondamenti dialettologici di un tale restauro linguistico sono discussi, sulla scia di Salvioni (1911), in Contini (1935). Si tratta dei codici Ambrosiano T. 10 sup. e Ambrosiano N. 95 sup., cui si aggiungono due manoscritti ancora trecenteschi: il Trivulziano 93 e il Toledano Capitolare 10-28.

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conseguentemente stata estesa a tutti i testi del Berlinese da Adnan Gök^en nel 1996, ed era giä stata applicata da Silvia Isella Brusamolino (1979) nella sua edizione di tre frammenti scoperti nei fogli di guardia di un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, cui e stato attribuito il titolo convenzionale De cruce (U). Per i testi bonvesiniani non contenuti nel manoscritto Berlinese l'inserzione di puntini espuntivi non basta pero a ricostituire dei testi metricamente regolari. Per questo motivo un'edizione recente come quella delle Expositiones Catonis, che deve fare i conti con due pessimi manoscritti quattrocenteschi, 30 toma senz'altro alia prassi editoriale dell'edizione del 1941, ottenendo perö in questo modo dei risultati altamente problematici. 31 Non meno discutibile e il procedimento che sta alia base del secondo volume dell'edizione di Adnan G ö l t e n (2001). Per i testi non contenuti nel manoscritto Berlinese Gokgen fornisce, infatti, una trascrizione diplomatica dei singoli testimoni, cui aggiunge un testo «ricostruito». In questo modo Gökgen non intende rendere leggibili i testi nella forma in cui ci sono tramandati, ma li riconverte senz'altro nella veste del manoscritto piü antico.32 Dobbiamo constatare quindi che il problema dell'edizione dei testi bonvesiniani rimane tuttora aperto soprattutto per quella metä del corpus che ci e conservato solo da testimoni piü recenti. Questo vale in particolar modo per la Vita di Sant'Alessio. L'autorevole manoscritto Berlinese ci tramanda solo un frammento del poema (i primi 112 versi), mentre il testo intero e contenuto in un codice della Biblioteca Trivulziana (Triv 93) databile alia fine del Trecento, che lo presenta in una forma linguistica notevolmente diversa dagli usi del Berlinese. 33 Del Sant'Alessio bonvesiniano esistono tre edizioni moderne. Nel 1924 Carlo Guido Mor ha pubblicato una trascrizione semi-diplomatica del testo Trivulziano, che per il gran numero di errori e perö pressoche inservibile. 34 Nell'edizione romana di Contini invece il testo intero e corretto in vista dell'ipotesi metrico-dialettale desunta dal manoscritto Berlinese. Ne risulta una trasformazione profonda delle lezioni tramandate dal codice. 35 Nell'edizione di Gök?en infine troviamo, nel primo volume, i primi 112 versi del Sant'Alessio, secondo il manoscritto Berlinese con alcune varianti di Triv 93 in nota, mentre tutta la seconda parte, corrispondente ai versi 113-524, e trascritta, nel secondo volume, dal codice Trivulziano e ricostruita nella lingua del Berlinese. Arriviamo cosi alia situazione paradossale che il poema di Bonvesin, che ci e tramandato per intero in Triv 93, nell'edizione di Gök^en appare in forma di due

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II codice s. IV. 36 della Biblioteca Civica di Bergamo e il codice 1029 del Civico Museo Correr di Venezia. Sull'edizione di Beretta (2000) cf. Wilhelm (2003). Cf. Wilhelm (2005b). Secondo Contini (1941, XXXIV) il manoscritto Triv 93, se da un lato «abbonda in trivializzazioni dei piü van tipi», dall'altro lato «dialettalizza fortemente». Sorprendente il giudizio di Contini (1941, XIII) che qualifica l'edizione Mor «quasi sempre sufficiente». Cf. Contini (1941, 290-311). - L'edizione di Diehl e Stefanini (1987, 336-357) si limita a riprodurre il testo di Contini, amputandolo perö delle indispensabili note critiche che presentano le lezioni del manoscritto.

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frammenti, divisi per di piü su due volumi.36 In sostanza possiamo concludere che del Sant'Alessio bonvesiniano contenuto nel manoscritto Trivulziano non esiste un'edizione moderna completa dopo il lavoro poco affidabile di Mor. La presente edizione propone il testo della Vita di Sant'Alessio nella forma in cui si legge nel codice Trivulziano 93. In primo piano starä qui l'interesse storico-linguistico. Cercheremo di rendere comprensibile il testo come fu trascritto - e in certa misura «riscritto» - dal copista di Triv 93. A differenza delle edizioni di Contini e di Gökfen non si proverä quindi a riscostruire 1'«originale» ideato da Bonvesin nel tardo Duecento. La Vita di Sant'Alessio trivulziana sarä considerata invece in quanto testimonianza particolarmente preziosa del volgare lombardo del tardo Trecento. In questo modo si vuole prendere sul serio quel filtro che costituisce, inevitabilmente, il copista che, con tutti i suoi limiti di comprensione e di attenzione, si trova comunque infinitamente piü vicino di noi, nel tempo e per mentalitä, al componimento originale.

6. II codice Trivulziano 93 II nostra codice puo essere considerate «una di quelle miscellanee di testi religiosi latini e volgari» che, come ha sottolineato Luigi Banfi (1973/1992, 46), «ci permettono di cogliere dal i particolari aspetti della sensibilitä religiosa popolare del tardo medio evo».37 Per questo motivo vale la pena attribuire la piü grande attenzione sia alia fattura materiale che al contenuto di questo testimone finora poco studiato. Per la qualitä della carta, il codice Triv 93 si divide nettamente in due parti di dimensioni disuguali. Nella prima parte (cc. 1-8) e impiegata come filigrana la rosa, ossia il fiore a cinque petali, databile alia Milano della prima metä del secolo XV. Tutto il restante codice invece (cc. 9-61) e scritto su una carta diversa, che ha come marca le forbici e con cio un tipo di filigrana finora non registrato dai manuali. 38 Anche per il contenuto le due parti, ο meglio i due codicetti, si distinguono in modo rilevante. Le carte 1 - 8 tramandano un Calendario Agostiniano, cioe un elenco delle festivitä liturgiche, di probabile provenienza monastica, forse attribuibile, con il Porro (1884, 258), «agli antichi Agostiniani di Monza». II secondo codicetto invece contiene innanzitutto tre importanti narrazioni agiografiche: una Passio sancti Calixti pape et martiris in prosa latina (cc. 9r-14r) e due componimenti in volgare: la Vita di Sant'Alessio di Bonvesin da la Riva (cc. 16r-30v) e una delle numerose versioni della Vita di Santa Margarita (cc. 32r-56v). 39 Seguono ancora due brevi testi in latino: un'Epistola di papa Leone III e un'Orazione di Sant'Agostino, tutte e due apocrife (cc.

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Cf„ rispettivamente, Gokgen (1996, 205-210) e Gökgen (2001, 3-28). Cf. in generale gli studi dello stesso autore sul codice Trotti 502 della Biblioteca Ambrosiana: Banfi (1971-1973/1992); Banfi (1973/1992); Banfi (1996). Desumo queste informazioni dalle descrizioni fomite da Porro (1884, 258) e da Santoro (1965, 15). Per la sua edizione critica Wiese (1890) non si e potuto avvalere del nostro codice; in seguito egli ha fornito l'elenco delle variant! di Triv 93 (Wiese 1892), che contiene perö numerose sviste. - Sarebbe auspicabile un'edizione interpretativa di questo importante testimone.

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57r-60v), e due brevissimi componimenti in volgare: una Parafrasi dzWAve Maria e un'Orazione a Santa Caterina (c. 61r-61 v).4" Nonostante riunisca prosa latina e versi volgari, lunghe narrazioni e preghiere molto piü brevi, questo secondo codicetto, che proporrei di chiamare Triv 93 B, presenta una notevole omogeneitä e un disegno compositivo chiaramente percepibile. Predomina il culto dei santi, con i martin Callisto, Margherita e Caterina, cui si accosta, come uno dei modelli piü estremi di ascesi, la vita di Sant'Alessio. Se San Callisto sembra essere una figura meno presente nel periodo che qui ci interessa, Alessio, Margherita e Caterina contano senz'altro fra i santi piü popolari del tardo medioevo. 41 Non e poi certo un caso se i testi dedicati ai papi Callisto e Leone e lo scritto attribuito a un padre della chiesa quale Sant'Agostino sono redatti in latino, mentre i santi laici, Alessio e le due vergini, hanno diritto al volgare. La parafrasi, inline, presenta quel costante alternarsi fra latino e volgare che e abbastanza comune in componimenti religiosi dell'epoca e che si addice particolarmente ad un testo generalmente noto come V Avemaria.*2 A livello formale si aggiunga che a delimitare le grandi narrazioni agiografiche, fra la vita di San Callisto e la vita di Sant'Alessio, come pure fra il Sant'Alessio e la vita di Santa Margherita, 1'amanuense ha lasciato una carta bianca (la 15 e la 31), come per segnalare meglio le grandi articolazioni del volume da lui composto. Sia per gli aspetti materiali (la qualitä della carta, la scrittura), sia per considerazioni contenutistiche (il carattere monastico di un testo destinato all'uso «interno» da un lato, e dall'altro la destinazione all'edificazione di un pubblico piü vasto) mi pare si imponga una netta bipartizione del codice in questione. Ε altamente probabile infatti che il Calendario Agostiniano (le carte 1 - 8 dell'attuale codice Trivulziano 93) sia stato riunito solo in un secondo tempo al codicetto miscellaneo che offre una scelta abbastanza significativa della piü popolare letteratura agiografica del medioevo lombardo. Si aggiunga che in questa seconda parte del codice possiamo distinguere due scritture diverse: la Passio sancti Calixti appartiene ad una mano, e tutto il resto, dal Sant'Alessio in poi, ad una seconda mano. II nostra manoscritto e quindi «composto di due Codicetti se si ha riguardo alia carta, e di tre se si voglia considerare la scrittura», come annota giä il Porro (1884, 258). II codicetto Triv 93 B, corrispondente alle carte da 9 a 61 dell'attuale codice Trivulziano 93, nasce quindi da un disegno abbastanza coerente: esso riunisce materiale devoto circolante all'epoca. Sembra lecito assimilarlo per questo aspetto al mano-

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La Parafrasi dclV Avemaria e la Preghiera a Santa Caterina sono state trascritte da Salvioni (1891,491s.) in appendice alia sua edizione del Sermone di Pietro da Barsegap£. 41 Cf. le rispettive Schede in BAI II 2003, dove si registrano, per i secoli XIII-XV e limitatamente ai testi in volgare, 25 entrate per Caterina di Alessandria (ib., 128-140), 18 per Alessio di Edessa (ib., 30-38), 14 per Margherita di Antiochia (ib., 466-475) contro solo tre testi per Papa Callisto I (ib., 125s.). - Ε si noti anche che le feste di Sant'Alessio e di Santa Margherita (17 e 20 luglio) si celebrano in giomi ravvicinati, cost che le loro vite si trovano spesso accostate, come nella Leggenda aurea, dove occupano i capitoli XCIII (De sancta Margarita; pp. 400-403) e XCIV (De sancto Alexio\ 403-406). 4 - L'Avemaria e addirittura, assieme al Pater e al Credo, una di quelle preghiere che i laici dovevano conoscere a memoria e che recitavano durante l'ufficio; cf. Schmitt (2001, 97-126).

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scritto Trotti 502 studiato da Luigi Banfi (1973/1992, 48s.), e considerarlo «uno di quegli zibaldoni che venivano messi insieme dai frati itineranti raccogliendo qua e la materiale di varia provenienza e di varia destinazione» e che fungevano da «strumenti preziosi per lo svolgimento del loro apostolato presso i fedeli». L'accostamento di testi latini e volgari, di vite di santi e di preghiere si rivela infatti altamente funzionale come prontuario per un frate che vi attinge «di volta in volta, e a seconda della necessitä, le preghiere e le sequenze latine per le funzioni liturgiche» e «le leggende da recitare per intrattenere, edificandola nello stesso tempo, la folia dei fedeli nei giorni festivi» (ib., 49). Se il codice Trivulziano 93 Β proviene quindi senz'altro da un ambiente clericale, forse monastico, esso prevede comunque, tramite una recita in contesti liturgici ο piü facilmente para-liturgici, una fruizione dei testi da parte di un pubblico possibilmente vasto che include anche degli analfabeti. Ε si noti che questa forma di fruizione «semiorale» riveste un carattere fortemente tradizionale, ma non ancora marginale, nel TreQuattrocento, un'epoca in cui si stanno sviluppando giä nuove e diverse tipologie di lettura privata in ambiente cittadino e borghese. 43 Rimane da chiarire il problema della datazione del nostro codice. Da tempo si oppongono i due punti di vista del Porro (1884, 258), che attribuisce il codice Trivulziano 93 senz'altro al «sec. XV», e del Salvioni (1891, 489), che lo fa risalire invece «alia seconda metä del sec. XIV». Mentre filologi come Wiese (1892, 230s.), Renier (1901, 8) e Contini (1941, X) hanno confermato la datazione di Salvioni, 44 Caterina Santoro (1965, 15) ritorna alia vecchia opinione di Porro, basandosi presumibilmente sulla filigrana. Per risolvere questo vecchio dissenso, che, a quanto pare, non e mai stato discusso esplicitamente, dobbiamo innanzitutto tener presente il carattere composito del nostro codice: se la prima parte (Triv 93 A) si lascia attribuire chiaramente al Quattrocento milanese ο comunque lombardo giä in base alia marca della carta, questo fatto non deve pregiudicare, ovviamente, la datazione del codicetto Triv 93 B, proveniente anch'esso da Milano ο dintorni e riunito solo in un secondo tempo al Calendario Agostiniano. Ε vero che la minuscola gotica del nostro codice non e troppo dissimile da scritture che troviamo in area lombarda ancora fino alia metä del Quattrocento; il carattere linguistico dei testi volgari di Triv 93 Β parla perö piuttosto a favore della datazione proposta a suo tempo dal Salvioni. Ritengo quindi come data piü probabile del nostro manoscritto la fine del Trecento, trovandomi in questo concorde anche con i compilatori della Biblioteca Agiografica Italiana (BAI II, 2003, 37), che ascrivono la parte per noi piü rilevante del codice Triv 93 al «sec. XIV ex.».45

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Sulle diverse forme di ricezione dei testi religiosi nel Tre-Quattrocento lombardo cf. Wilhelm (2005a). In tempi piü recenti cf. anche, sulle tracce evidentemente di Salvioni e Contini, Diehl/Stefanini (1987, 6); Stella (1994, 165 n. 6), e appena piü prudente (ib., 167 η. 11); Gökgen (2001, IX). La numerazione delle carte (da 1 a 61) come pure la legatura in pergamena sono evidentemente moderne; modemi sono poi anche i titoli dei poemi volgari a c. 16r e a c. 32r.

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7. La lingua del copista come varietä composita L'interesse primario della nostra edizione della Vita di Sant'Alessio

e incentrato sul

testo nel m o d o in cui esso f u inteso dal copista della fine del Trecento. Questo non significa p e r ö che ci limitiamo ad u n a trascrizione diplomatica. L'edizione c o m e e concepita qui ha lo scopo di comprendere, e di rendere comprensibile, il testo tramandato. L ' e d i z i o n e del testo si basa perciö necessariamente su un'analisi grammaticale: u n o dei compiti principali del filologo e quello di riconoscere e di evidenziare nel testo edito, fra la variabilitä di f o r m e presenti nel manoscritto, le opposizioni grammatic a l m e n t e rilevanti. Ε qui si rivolgerä una particolare attenzione alia m o r f o l o g i a e alia sintassi, ambiti finora p o c o studiati p e r l ' a n t i c o milanese, visto che l ' u n i c o contributo specifico, p e r ciö che riguarda la morfologia, consiste in un saggio di A d o l f o Mussafia che data al 1868. 46 Di g r a n d e aiuto per la c o m p r e n s i o n e del nostra testo e ovviamente il c o n f r o n t o con le altre opere di Bonvesin da la Riva e soprattutto c o n i 112 versi del Sant'Alessio

nella

f o r m a in cui sono tramandati dal codice Berlinese. U n ' i s t a n z a di controllo non m e n o importante si rivela p e r ö l'altro p o e m a agiografico, la Vita di Santa Margarita, Triv 9 3 segue i m m e d i a t a m e n t e la Vita di Sant'Alessio

scritta dalla stessa m a n o : in molti casi gli usi linguistici del Sant'Alessio proprio alia luce di esempi simili contenuti nella Santa

che in

bonvesiniana e che e stata trasi chiariscono

Margarita.

L'analisi grammaticale che qui si propone, evidentemente, non ha c o m e oggetto la «lingua di Bonvesin da la Riva» (che non ci e direttamente accessibile), bensi l ' u s o linguistico d e l l ' a n o n i m o copista, con tutto quello che comporta di oscillante, di c o m posito, di mescidato. Di fronte ai costanti interventi normalizzanti che caratterizzano ancora oggi gran parte delle edizioni di testi medievali, soprattutto se sono di carattere letterario, e da ribadire che le lingue naturali - eccezion fatta, entro certi limiti, per le m o d e r n e lingue standardizzate - sono necessariamente eterogenee e pertanto segnate d a un alto tasso di polimorfismo. II p o l i m o r f i s m o essenziale delle lingue naturali e particolarmente tangibile nelle nascenti lingue letterarie del m e d i o e v o r o m a n z o . Cos! anche la tradizione scritta del volgare milanese non e certamente mai stata «dialettalmente autentica», c o m e postulava Contini per la lingua di Bonvesin. 4 7 L a scripta milanese si basa certo sul dialetto parlato, m a nello stesso t e m p o e in una misura per noi difficilmente districabile, attinge voci, f o r m e e costrutti dal latino e dalle prestigiose tradizioni scritte volgari, c o m e in p r i m o luogo il f r a n c e s e e, piü tardi, il toscano. Ridurre, in u n ' e d i z i o n e moderna, il polimorfismo che inevitabilmente c o n s e g u e d a una tale situazione plurilingue non solo sarebbe problematico, in quanto basato su decisioni in larga misura arbitrarie, m a a n c h e p r o f o n d a m e n t e a-storico, in q u a n t o tradirebbe quella particolare flessibilitä ed

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In ambito lessicale disponiamo oltre al vecchio lavoro di Seifert (1886) del glossario di Mam (1977). Contini (1960 I, 670) infatti riconosceva nella «lingua bonvesiniana qualcosa di dialettalmente autentico e locale, solo in senso stilistico e magari lessicale»; sulle «grosse differenze» fra «il volgare di Bonvesin e il dialetto milanese» insiste invece opportunamente Glauco Sanga (1990, 14 n. 3).

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elasticitä dello strumento linguistico che e una delle caratteristiche piü spiccate delle nostre tradizioni scrittorie di tutto il medioevo. Se prendiamo sul serio infatti il concetto di scripta come e stato elaborato soprattutto negli studi sull'antico francese, e se teniamo conto del divario fra scripta e dialetto parlato, la descrizione della lingua del copista acquista un interesse fondamentale. Ε non si deve certo limitare la scriptologie, come e successo qualche volta in passato, a questioni di grafia. Quello che piü importa attualmente, e questo vale in modo particolare per la storia degli antichi volgari italiani, e uno studio sistematico delle varietä scritte del medioevo, uno studio che riguardi ovviamente tutti i livelli linguistici e che includa in particolare la morfologia e la sintassi.48 Ε ovvio che in una tale prospettiva le possibili alterazioni del testo primitivo introdotte dallo scriba non possono essere considerate accidenti fortuiti da eliminare in sede ecdotica; al contrario esse costituiscono spesso delle tracce preziose di un cambiamento linguistico avvenuto fra la stesura del testo originale e la trascrizione posteriore. In un contesto certamente diverso Cesare Segre (1991/1998, 47) ha insistito sul fatto che se il copista «si allontana dalla lettera del testo, non e solo per distrazione ο errore, ma, piü spesso, per realizzare, volontariamente ο inconsciamente, il proprio sistema.» Ε Segre aggiunge: «La trascrizione viene cosi a produrre un diasistema, ο sistema di compromesso, con mescolanze di forme e, soprattutto, interferenze», e il compito del filologo sta quindi nell'individuazione della «stratigrafia dei vari diasistemi proliferati sul testo» (ib.). L'interesse storico-linguistico della storia della tradizione di un testo cosi concepita e capitale. Si apre qui un vasto campo di ricerca dove 1'ecdotica dovrä necessariamente collaborare con la sociolinguistica e la linguistica variazionale. II concetto di «diasistema» (che Segre deriva da Uriel Weinreich) rimanda infatti ad una mescolanza di lingue, e questa non costituisce solo il risultato fortuito del lavoro successivo dei vari copisti: «molte volte la Sprachmischung e originaria, risultato di situazioni cultural! che vanno rispettate» (ib.). Di fronte a una prassi ecdotica che, specie nel caso delle edizioni dell'opera di Bonvesin da la Riva, finora e sempre stata diretta alia ricostruzione di un testo originale, si deve ribadire qui che lo storico della lingua, ovviamente, si poträ basare solo sulle forme effettivamente attestate e non su ricostruzioni congetturali. Per lo storico della lingua infatti «una lingua ricostruita [...] e un remake inutilizzabile» (Varvaro 1997, 39). In questa prospettiva la concezione della tradizione di un testo come stratigrafia di diasistemi, proposta da Segre, potrebbe rivelarsi uno strumento estremamente proficuo per una considerazione storico-linguistica dei testi medievali. La filologia testuale, la ecdotica, si poträ rivelare cosi un fondamento imprescindibile per la storia della lin-

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Sul concetto di «scripta» cf. Goebl/Wüest (2001); Völker (2003, 9-79). - Ben poco sappiamo finora sulla scripta milanese; cf. Petracco Sicardi (1989); Poliraeni (2003/2004). - Sulla scripta settentrionale in una dimensione geografica piü ampia cf., fra gli altri studi dello stesso autore, Videsott (2005).

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gua, e soprattutto per una storia della lingua che si evolve sempre di piü in direzione di una 'storia delle varietä linguistiche'. 49

8. II polimorfismo nella morfologia verbale Anche se e contraddistinta da un'alta dose di variabilitä interna, la lingua impiegata dal copista costituisce pur sempre un insieme regolato di forme e di costrutti. Con il termine «polimorfismo» si indica il fatto che nella varietä documentata nel nostra manoscritto in molti casi non c'e un rapporto biunivoco fra forme e funzioni, nel senso che una data forma puö assumere diverse funzioni, e viceversa una singola funzione puö essere rappresentata da forme concorrenti. Ma cio non significa ovviamente che il rapporto fra forme e funzioni sia completamente libero ο casuale. II polimorfismo, se e appannaggio quasi inevitabile delle varietä non standardizzate, e comunque sempre circoscritto e limitato, perche solo a patto di sottostare a determinate regolaritä, condivise almeno in parte da scrivente e lettore, la varieta impiegata risulta comprensibile. Compito dell'analisi grammaticale, che qui verrä solo abbozzata per alcuni ambiti cruciali del volgare lombardo, sarä quindi non quello di estrapolare un rigido sistema normativo, che mal si concilierebbe con una realtä linguistica sempre variabile, bensi di determinare i limiti entro i quali si realizza questa variabilitä. Vediamo alcuni esempi tratti dalla morfologia verbale. Ε particolarmente istruttivo a questo proposito il sistema dell'infinito. Contini (1941, XXXIV) constata che il nostra manoscritto, in confronto al Berlinese, «dialettalizza fortemente nel far cadere di norma -r dopo accento», cosicche troviamo nel nostro testo numerosi infiniti del tipo ornd, vede, perveni ecc. Dato che questo tipo era raro nel Berlinese possiamo senz'altro parlare di una piü grande vicinanza della lingua attestata da Triv 93 al moderno dialetto milanese. Si deve precisare perö che questa «dialettalizzazione» della lingua di Triv 93, a differenza di quanto suggerisce Contini, e tutt'altro che sistematica. Basta considerare la concorrenza di forme diverse nelle quattro classi di verbi che si distinguono generalmente per il dialetto moderno. 50 Per la prima coniugazione (il tipo parld del milanese moderno) troviamo nel nostro testo, accanto alle numerose forme in -d (da amaistrd a visitd), l'esito quasi altrettanto numeroso in -ar ο -are 0acuytar, cerchare ecc.). In modo simile ad ave e vede si affiancano godere e taxere per la seconda classe. Per la quarta classe (il tipo dormi) le forme fi, permagni e perveni sono minoritarie rispetto ad aparire e dire, odire e sofrire. Solo per i verbi che all'infinito escono in consonante (la terza classe, il tipo scriv dell'odiemo dialetto) la caduta della r si puo dire, come del resto giä nel Berlinese,51 la regola: qui le forme comprendere, piangere, vivere sono effettivemante rare rispetto agli infiniti del tipo cognosce, core, defende, leze, mete, move ecc.

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Per questo indirizzo di studi cf. il volume curato da Wesch et al. (2002) dal titolo programmatico Sprachgeschichte als Varietätengeschichte. Cf. Nicoli (1983, 292); Beretta (1980, 127s.). Cf. Mussafia(1868, 32).

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Nel complesso possiamo parlare di una Iieve preponderanza del tipo «dialettale» rispetto alle forme etimologizzanti. Invece di ridurre, come fa Contini, l'inventario dell'infinito ad una rigida «norma», ad una «regola» su cui misurare le eccezioni, si deve prendere atto invece della sostanziale variabilitä interna del registro linguistico impiegato. Confluiscono qui spinte diverse e in parte contrastanti, provenienti dal dialetto e dal latino, dalla incipiente koine regionale e in parte giä dal toscano letterario, che si condensano in uno strumento senz'altro effimero, ma non per questo meno efficace e meno adatto agli scopi comunicativi di chi scrive e di chi ascolta ο legge. Ε si aggiunga che il doppio esito in alcuni casi e attestato anche per lo stesso verbo, cosi abbiamo anda e andare, ave e avere, esse e eser, come per sottolineare la libertä dello scrivente che in ogni momento puö scegliere fra l'una e l'altra forma. II sistema dell'infinito costituisce certamente un caso di polimorfismo piuttosto semplice, in quanto presenta delle possibilitä di scelta ridotte, che per di piü riguardano solo il livello strettamente morfologico senza implicare una differenza funzionale. Un ambito ben piü problematico del sistema verbale del lombardo antico e costituito invece, come si sa, dal sistema dei tempi e in particolare dalle forme del passato remoto. 52 In primo luogo si puö constatare che le forme del perfetto tendono, in moltissimi casi, a confondersi con quelle del presente. Prendiamo la terza persona singolare del verbo dire. Troviamo nella Vita di Sant'Alessio undici occorrenze di forme corrispondenti a 'dice'/'disse': otto volte dixe, due volte dise e una volta disse. I contesti non ci permettono di attribuire queste forme a due funzioni chiaramente distinte (presente/perfetto), visto che nella maggioranza dei casi sono interscambiabili fra di loro. Ε si aggiunga che anche a livello fonetico e difficile stabilire una netta distinzione fra dixe, dise e disse: nei manoscritti infatti tanto quanto e possono stare sia per la s sorda sia per la s sonora ([s] e [z]). Secondo Mussafia (1868, 16s.), che basa la sua analisi sul codice Berlinese, il suono [s] puö essere rappresentato da , , e , il suono [z] invece da , ed eventualmente . Nel manoscritto Triv 93, in particolare nella Vita di Santa Margarita, la sta perö anche per [z]: vedi solo cossa ('cosa') (Marg., v. 257), cassa ('casa') (Marg., v. 263), rasson {Marg., v. 542) di fronte a raxon {Marg., v. 603) e reson {Marg., v. 314), il frequente piasse {Marg., vv. 114, 130, 132, 135 ecc.) di fronte a piaxe {Marg., vv. 247, 401, 780) e piasere {Marg., vv. 239, 683) ecc. Ε ovvio quindi che le tre varianti grafiche , , non rimandano a realtä fonetiche chiaramente distinte. Ε potremmo concludere che dixe, dise e disse sono funzionalmente indifferenti nella varietä di lingua qui impiegata. 53 Ci sono dei casi perö in cui l'alternanza fra dixe e dise non risulta del tutto casuale. In linea di principio sembra plausibile supporre che uno scriba medievale associ, giä a livello visivo, la forma dixe con il perfetto latino DIXIT, e che la interpret! quindi

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Ciö che segue si basa essenzialmente su Wilhelm (2004, 4 6 9 - 4 7 2 ) . Ricordo che se Mussafia (1868, 29) identifica, per le opere di Bonvesin contenute nel manoscritto Berlinese, dixe e disse come forme del perfetto, Keller ( 2 1934—1935, 20), d'altra parte, crede di poter distinguere, nella lingua di Pietro da Barsegape, fra il presente dix, dixe e il perfetto dise.

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come passato remoto. Troviamo infatti nei miracoli bonvesiniani, dove nel manoscritto Berlinese domina largamente la forma dise su dixe, almeno in un caso (nel De patre cuiusdam sancti Donati) una sapiente contrapposizione delle due forme, che sembra segnalare una netta differenziazione funzionale: «Dixe lo segnor a la baira: / » (B 813s.). Se dixe puö essere inteso qui sia come perfetto sia come presente (il presente e il tempo narrativo di gran lunga piü frequente in Bonvesin), la seconda forma, dise, per lo specifico contesto in cui si trova, puö essere solo un presente. L'altemanza grafica sembra corrispondere piü che una semplice variatio ad un'opposizione funzionale fra un tempo narrativo e un presente, che e riferito qui ad un fatto futuro e ipotetico. Concludiamo quindi che l'opposizione dixe/dise, se e neutralizzata nella maggioranza dei casi, puö essere attualizzata in alcuni contesti, come una sorta di preziosismo formale che non trova pero, probabilmente, nessun riscontro a livello fonetico. Difficile da valutare e la forma disse, che e piuttosto rara nei testi bonvesiniani, ma che e attestata nel verso 57 del Sant'Alessio addirittura dai due testimoni e che sembra percio particolarmente autorevole. Visto che la forma verbale disse regge qui un discorso diretto, e impossibile decidere se si tratta di un perfetto ο di un presente. Ε questa esitazione sembra tanto piü motivata se si considera che nella Vita di Santa Margarita, delle 21 occorrenze della forma disse (la Margarita trivulziana non conosce ne dixe ne dise), almeno cinque sono sicuramente da intendersi come presenti. 54 Di fronte ad un comportamento grafico cosi flessibile come l'abbiamo visto qui per il caso dixe, dise e disse risultano tanto piü sorprendenti gli interventi normalizzanti di Contini nella sua edizione del Sant'Alessio. Contini, nel caso della forma dixe attestata dal nostra codice, non interviene infatti solo sulla vocale finale, che sopprime per motivi metrici, ma corregge anche a varie riprese la consonante stessa: cosi la forma del manoscritto nel testo critico appare quattro volte come dix (vv. 130, 303, 319, 32 l ) e quattro volte come dis(v\. 152, 153, 169, 342), senza che questa differenziazione sia chiaramente motivata a livello sintattico. Se l'altemanza fra dixe, dise e disse e un fatto puramente grafico, come mi sembra di dover concludere, e se solo in ran casi viene riattualizzata l'opposizione fra dixe e dise, l'editore non puo che conservare le divergenti grafie del manoscritto, considerandole, se non altro, caratteristici esempi di polimorfismo a livello grafico. Una valutazione molto cauta richiedono anche le forme della prima coniugazione. Nell'edizione continiana del nostra poema si trovano due perfetti di terza persona del tipo canto: portd (v. 70) e andd (v. 363), cui si puö affiancare la prima persona porte (v. 407). Si noti perö che nessuna di queste tre forme e attestata dal codice Triv 93. Se la prima forma, , si trova effettivamente nel piü antico testimone Berlinese, il manoscritto Trivulziano da invece chiaramente : 55 possiamo quindi ipotizzare

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Cf. «[Crista] che Γ omo disse / che Ί povol di zudey olcisse» (Marg., vv. 203s.); «segondo che disse la reson» (Marg., v. 314); «segondo che la scriptura disse» (Marg., v. 519) ecc. Mentre qui ha visto bene Mor (1924,440), la Variante non e rilevata stranamente ne da Contini, ne da Göksen.

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un perfetto del tipo cantä, ampiamente attestato in area lombarda, e leggere porta.56 Per la seconda forma menzionata, andd, il manoscritto ha in realtä , da leggere ande, forma del passato remoto dei verbi in -are attestata, come e noto, anche per il milanese (cf. Rohlfs 1968, § 569). La forma porte infine costituisce pure un emendamento di Contini, nel manoscritto abbiamo qui , da leggere con buona probabilitä portö, che e una forma del perfetto di prima persona attestata qualche volta in area settentrionale. 57 Possiamo concludere quindi che il perfetto del tipo cantd manca completamente ηelVAlessio bonvesiniano come ci e tramandato dal codice Trivulziano. Ε si aggiunga che nello stesso codice Triv 93, nella Vita di Santa Margarita, troviamo accanto al perfetto in -o, ben documentato (12 occorrenze), un uso frequente del perfetto in -ä, -an. Nella Margarita il perfetto in -an e in alcuni casi anche garantito dalla rima, come negli esempi seguenti: «Li mesageri la salutän, / e Γ un di loro la prisse per la man» (Marg., vv. 107s.); «Apresso po' si la picän / e per le brace e per man» (Marg., vv. 390s.). L'ipotesi di un perfetto del tipo cantä ne\VAlessio trivulziano e quindi corroborate dal confronto con l'altro grande poema trascritto dalla stessa mano. Di particolare interesse si rivela qui il rapporto fra grafia e funzione grammaticale. Ε vero che l'esistenza di un perfetto in -äJ-än nella lingua impiegata dal nostro copista e chiaramente documentata. Fuori di rima perö queste forme coincidono graficamente con il presente, cosi che possiamo alcune volte esitare nel nostro testo fra buta e buta (v. 410), fra mostra e /nostra (v. 412) ecc. II copista medievale effettivamente non dispone dei mezzi grafici necessari per rappresentare un'opposizione prosodica (canta/canta) funzionalmente rilevante.58 II quadro si complica ulteriormente se si considerano alcune forme dell'imperfetto. Cosi troviamo nel codice Berlinese, al verso 19, all'interno di una lunga serie di imperfetti, la forma tornavano·, il Trivulziano invece ci da , da leggere sicuramente tornän: piü che di un passato remoto si tratterä qui pero di una forma ridotta dell'imperfetto. 59 Simile e poi il caso di al verso 245, da leggere Ιανάηο e da intendersi pure come un imperfetto, come ha visto bene Contini, che perö corregge qui in lavavan. L'imperfetto del tipo tornän e documentato anche nel manoscritto Berlinese, per esempio nella forma in Β 991, che Contini e Gök^en correggono in portava, ma che dovremmo leggere piuttosto portä. Quasi a metä strada fra la forma

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Per il passato remoto del tipo guardd, scusd cf. Rohlfs (1968, § 569). Mussafia (1868,22) da, per il Berlinese, solo l'esito -o (apiliö ecc.) nella prima coniugazione. In Pietro da Barsegape troviamo, secondo Keller (21934^1935,22), «meistens ό» (dementego ecc.) «und fast so häufig ά» (monstrd ecc.). Ne\VElucidario in antico milanese, che e conservato in un manoscritto del Quattrocento, troviamo, come attesta Degli Innocenti (1984, 75), per il perfetto della terza singolare «alia I coniugazione -a e, meno frequente, -ό». Cf. Rohlfs (1968, § 569), che da forme come andd per 'andai' fra l'altro per il bolognese. La stessa problematica e presente anche in testi toscani, cf. Castellani (2000,327); per alcuni «probabili perfetti della prima coniugazione in -a/-äno» nel Novellino cf. anche Conte (2001, 298). Per l'imperfetto del tipo ndda 'andava', incontrd 'incontrava' nell'Italia settentrionale cf. Rohlfs (1968, §551). 22

piena e la forma ridotta troviamo nel nostra testo al verso 403 la forma cridav' (nel manoscritto ). I casi qui discussi possono illustrare diverse modalitä di quella complessa interrelazione di forme e funzioni che e caratteristica delle tradizioni scritte dei volgari medievali. Se la coincidenza a livello morfologico e sintattico dei tempi presente e passato remoto porterä nei secoli successivi al completo abbandono del perfetto semplice nei dialetti lombardi, l'occasionale sovrapposizione, a livello grafico, di presente e imperfetto del tipo (lavano/lavano) non avrä serie conseguenze per il sistema verbale lombardo, perche presente e imperfetto rimangono comunque sempre funzionalmente distinti.60 Questi rilievi puntuali sono un'ulteriore conferma del fatto che sarebbe erroneo, almeno dal punto di vista storico-linguistico, voler ridurre il ricco polimorfismo presente nel nostra manoscritto ad una forma linguistica normalizzata. II compito del filologo, nel caso del Sant'Alessio trivulziano, puo essere solo quello di documentare i reali usi linguistici e di valutarli, dove possibile, nella prospettiva piü ampia della storia linguistica dei dialetti lombardi. In modo particolare l'edizione e il suo corredo interpretative servono cosi anche a raccogliere un inventario di forme in vista di una futura grammatica storica della scripta milanese dei primi secoli.

9. Morfologia e sintassi del pronome soggetto Non si vuole fomire qui una descrizione completa della lingua impiegata nel codice Trivulziano 93. Le indicazioni morfologiche piü indispensabili per la comprensione del nostra testo si trovano comunque nel Glossario, su singoli problemi sintattici informano le note del Commento. Qui saranno solo discussi alcuni casi isolati che possono spiegare meglio il metodo che sta alia base della presente edizione. In modo particolare voirei sottolineare lo stretto rapporto fra la riflessione grammaticale e le decisioni che si devono prendere continuamente in sede ecdotica. Un tratto tipologicamente rilevante dei dialetti lombardi oltre alia perdita del perfetto semplice e, almeno nelle varietä odieme, l'espressione obbligatoria del pronome soggetto e la comparsa di una duplice serie di pronomi soggetto: quelli liberi e quelli clitici. Sull'origine del tipo Iii al canta, con caratteristica riduplicazione pronominale, esiste una ricca bibliografia, e abbondano soprattutto i lavori di ispirazione generativista.61 Un interesse particolare spetta in questo contesto ai volgari medievali, nei quali si delineano giä le prime spinte di uno sviluppo plurisecolare che porterä alia nota diversificazione, aH'interno delle lingue romanze, fra lingue a soggetto nullo come l'italiano (tipo CANTAT > canta) e lingue a soggetto non nullo come il francese (tipo CANTAT > il chante). Si e visto da tempo che il fenomeno che qui ci interessa nasce con ogni probabilita nelle subordinate. Ε nelle subordinate, infatti, che si impone per

60 61

Per l'uso dei tempi verbali nel nostro testo cf. Wilhelm (2004,472-^184). Cf. Poletto (1999); Heap (2000); Cabredo Hofherr (2004). - In prospettiva storica resta fondamentale Spiess (1956).

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primo l'ordine di parole soggetto- verbo - oggetto (SVO), ed e qui che si generalizza, in mancanza di un soggetto nominale, l'espressione regolare del soggetto pronominale davanti al verbo.62 Le considerazioni in merito, condotte spesso su un numero elevato di varieta diverse e caratterizzate da un alto livello teorico, non hanno perö finora tenuto sufficientemente conto di un problema essenziale che rischia di falsificare notevolmente ogni modellizzazione dell'uso pronominale nelle lingue medievali: mi riferisco al fatto che l'espressione ο meno del pronome soggetto nei nostri testi, e questo vale in modo particolare per le subordinate introdotte da che, dipende in larga misura dalle decisioni dell'editore. Prendiamo un esempio semplice. II primo emistichio dei versi 386 e 391 del nostra testo e quasi identico: leggiamo nel manoscritto: e . Contini, seguito come al solito da Gökfen, da perö due soluzioni sintatticamente diverse: «k' eo te devess cognosce» nel primo caso, «ke te devess cognosce» nel secondo. Come si giustifica questa differenziazione? In base a quale criterio possiamo decidere, per citare un altro caso, se l'espressione del manoscritto (v. 116) e da leggere chefenisca, senzapronome soggetto, ο ch'e'fenisca, con pronome soggetto? La problematica e stata intravista qualche volta giä in passato, senza che se ne sia potuto dare una soluzione soddisfacente.63 Essa si rivela fondamentale perö per ogni riflessione sull'uso del pronome soggetto nelle varieta medievali. Ci troviamo qui di fronte ad un quesito che puö essere risolto solo in una stretta collaborazione fra sintassi storica e ecdotica. Cerchero qui di indicare quattro regole in base alle quali l'editore del Sant'Alessio trivulziano puö decidere fra il tipo chefenisca e il tipo ch'e' fenisca. In linea di principio e da sottolineare il fatto che l'espressione del soggetto nelle subordinate costituisce per il nostra manoscritto giä il caso piü normale: in 78% delle subordinate infatti il soggetto e espresso chiaramente da un nome (28%) ο da un pronome (50%). Si tratterä quindi in primo luogo di determinare sotto quali condizioni una lettura del tipo ch' e 'fenisca e legittima nel 22% di subordinate apparentemente senza soggetto espresso.64 Partiamo da un rilievo morfologico. Nella lingua impiegata dal nostro copista possiamo giä distinguere, almeno per la prima persona e per la terza persona del maschile, fra una forma clitica e una forma libera del pronome soggetto. Per la prima persona si constata un'opposizione fra e' e eo («lialmente e' farö», v. 133, di fronte a «et eo in mia vegieza / sovravivo poxe ti ch' e morto», v. 392) - la forma mi in funzione di soggetto non si trova ancora nel nostro testo65 - , e in modo simile si oppongono el e lu per la terza persona («Lu no voyando vana gloria, / el e da Ii partido», v. 179). Anche se le ri62 63

M 65

Cf. Vanelli/Renzi/Benincä (1985); Vanelli (1987). Cf. Renzi (1992, 87): «La grafia antica non distingueva chiaramente questi casi tra di loro, cosicche la scelta tra perche e perch' e' spetta in sostanza all'editore modemo del testo. Ε possibile che la lezione giusta sia quella con il pronome.» Riassumo qui quanto argomentato in forma piü circostanziata in Wilhelm (2007). Cf. perö il tipo mi gramo, documentato nel Glossario, che corrisponde all'italiano misero me; un passo ulteriore in direzione di un mi (e le) soggetto e documentato nei vv. 1912s. del Sermone di Pietro da Barsegape: «sempre staremo, mi e Ιέ, / in la marce del patre meo»; cf. Keller ( 2 1934-1935, 17).

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spettive forme della terza persona plurale (eli, ei ecc. di fronte a loro) sembrano meno chiaramente differenziate dal punto di vista sintattico, il nostra manoscritto costituisce comunque una testimonianza particolarmente preziosa dell'incipiente distinzione fra due serie di pronomi soggetto, una atona e clitica e una tonica e libera.66 In base all'indubbia presenza di un pronome proclitico e' < EGO nel nostra manoscritto,67 l'interpretazione di come ch'e' e legittima in tutti i casi in cui precede immediatamente il verbo e i suoi eventuali altri clitici. Cosi possiamo senz'altro leggere «ch' e' fenisca» al v. 116, mentre nel v. 209 «Fa insi che inde Ί to albergo / sia recevuto» il non puo contenere un pronome e', perche fra la congiunzione e il verbo si trova un elemento tonico (un complemento). Ε si noti che l'interpretazione ch'e'fenisca non comporta una «aggiunta» del pronome soggetto: sciogliendo in ch' e' si introduce solo una separazione di parole, ossia si rende visibile un'elisione operata dal copista. Quanto detto si lascia riassumere in forma schematica nelle due regole seguenti: 1. + X + verbo > che 2. + verbo (1a pers. sing.) > ch'e' La prima regola riguarda otto subordinate introdotte da che. In quattro casi il verbo e alia prima persona singolare (vv. 209; 383; 384; 435s.), in tre casi alia terza persona plurale (vv. 94; 118; 174) e in un solo caso alia terza persona singolare (v. 346). Un commento merita il v. 209 che si presta in modo particolare ad illustrare il divario fra due tipi di edizione profondamente diversi: da un lato la ricostruzione di un presunto originale duecentesco, che si basa non da ultimo su considerazioni metriche, e dall'altro una prassi ecdotica che cerca in primo luogo di evidenziare la struttura grammaticale che sta alia base del testo tradito. Nel manoscritto troviamo: ; nell'edizione continiana invece il verso suona: «Fa' si k' il to albergo / eo sia recevudho», di tutt'evidenza il pronome eo e stato introdotto per rimediare aH'ipometria del secondo emistichio. Gökfen, come al solito, accetta la proposta («[eo] sia...»). Ciö che per noi conta pero e il fatto che il copista qui non ha messo il pronome. Alia luce di esempi consimili («che ancora t' avese vedudo», v. 383; «che ancora t' avese trovato», v. 384; «si che sovenza fiata // planzese la doia grande», vv. 435s.), il verso 209, senza l'espressione del pronome soggetto, risulta pienamente accettabile. Nella concezione ecdotica che guida il presente lavoro non e ammissibile alterare la struttura grammaticale del testo tradito per pure ragioni metriche (cf. § 10). La seconda regola ci permette di evidenziare in 13 casi il pronome clitico e' (< EGO) contenuto nella forma del manoscritto. Anche qui le soluzioni proposte da Contini (e accettate perlopiü da Gök9en) sembrano poco coerenti. In sette casi infatti Contini legge il pronome - «k' eo sia» (v. 115), «k' eo finisca» (v. 116), «k' eo ho acomenzao» (v. 116), «k' eo no savrö» (v. 136; corretto da ), «k' eo ho sentio» (v. 66 61

Cf. Vanelli (1987, 177); e cf. la discussione in Wilhelm (2007, §§ 4.3.-4.4.). Oltre al caso giä citato del v. 133 cf. e' son povero pelegrin (v. 203a); don e' te voio pregare (v. 203b); al quale e'o servito (v. 321b); tuto questo e'ovezuto (v. 328a); donde e'te 'nfazo acorto (v. 328b); da lagremare e piangere / e' no pord sofrire (v. 395).

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323), «k' eo te devess cognosce» (ν. 386), «k' eo ho aspegiao» (v. 449) nei restanti sei casi invece egli propone una forma senza soggetto espresso - «ke sia pasto» (v. 206), «k' aspegiava» (v. 390), «ke te devess cognosce» (ν. 391), «ke vadha» (v. 405), «ke voi vedhe» (v. 406), «ke porte» (v. 407; manoscritto: ). L'alternanza fra queste due serie di soluzioni non sembra giustificata dal punto di vista sintattico. Alia luce del tipo di subordinata largamente dominante del nostra testo, che segue l'ordine di parole SV(O), sembrapreferibile leggere in tutti questi casi ch'e'sia, ch'e' fenisca ecc. Alle decisioni impressionistiche e a volte dettate da considerazioni metriche che troviamo nelle edizioni di Contini e Gökgen si sostituisce in questo modo una prassi ecdotica che si basa su controllabili criteri di ordine sintattico. Passiamo alia terza persona singolare maschile. II nostra manoscritto presenta nove subordinate in cui un verbo alla terza persona e preceduto da che. Contini legge qui sempre ke, supponendo che il pronome soggetto non sia espresso: «ke ge mostra» (v. 160; manoscritto: ), «quel ke queria» (v. 164), «ke cur» (v. 220; manoscritto: ), «ke lu atantasse» (v. 252), «ke foss perdudho» (v. 257), «ke ge mostrass» (v. 294), «ke no savea» (v. 304), «ke la debia lassar» (v. 354), «ke 'n dia» (v. 524). Qui si cercherä di dimostrare invece che ηeW'Alessio trivulziano quello che abbiamo detto per la prima persona vale anche per la terza. Stabiliamo come terza regola: 3. + verbo (3a pers. sing, masch.) > ch'e' Ε vera che e' < i m , a differenza di e' < EGO, non e chiaramente documentato nel nostra testo. Anche se al v. 172a e plausibile leggere un pronome soggetto di terza singolare («e' fo tenuto»), quest'interpretazione non e perö obbligatoria. Contini infatti sembra vedere qui la congiunzione («e fo tenuo»), Attestazioni univoche per e' = el si trovano perö in altri testi dell'epoca. In primo luogo si puö citare un passo del Trattato dei mesi (T) di Bonvesin, che e conservato in un codice Toledano grosso modo contemporaneo a Triv 93,68 e dove si legge al v. 193: «pur ben mangiar e beuer / e comandare e uore», e nel testo critico (Contini e Gökjen): «... e comandar el vore». Nessun dubbio lascia anche un verso della Vita di Santa Margherita del codice Triv 93, dove il verso 669 puo solo essere interpretato come «lä onde e' fasiva». L'esistenza del pronome proclitico di terza persona e', chiaramente documentato nel codice Toledano e nello stesso Trivulziano, ci induce a ammettere questa forma anche per il Sant'Alessio bonvesiniano. Espressioni come (v. 257) e cchel fose> (v. 426) sono quindi da considerare sintatticamente equivalenti, anche se il secondo tipo, di gran lunga piü frequente, segnala in modo piü esplicito il pronome soggetto. Possiamo parlare di un polimorfismo a livello morfologico, che prevede accanto alla forma piena (et) una forma ridotta del pronome (e'). Nei due casi citati si leggerä «ch' el fose» e «ch' e' fose». Di conseguenza le nove subordinate in cui il verbo alla

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Secondo Contini (1947, 167) il codice Toledano Capitolare 10-28 έ «forse ancora trecentesco». - II testo έ stato trascritto da Lidforss (1872/1968), Contini (1947) e Gökgen (2001); un testo critico si trova in Contini (1941) e in Gök^en (2001).

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terza persona singolare e preceduto da che e che Contini (seguito da Gökgen) legge senza soggetto espresso possono essere corrette. Meno sicura, ma comunque plausibile, e la forma ridotta e' per il pronome soggetto di terza persona plurale. Se manca una testimonianza ineccepibile nel nostro testo, la forma e' non ha comunque niente di soprendente di fronte alla grande proliferazione di variant! come eli, ei, ai, il ecc. L'argomento decisivo a favore di una forma e' di terza plurale proviene qui dal confronto fra i due manoscritti. Troviamo infatti, nei primi 112 versi, due passi in cui alla forma del Berlinese corrisponde in Triv 93: «per k' illi no havevan heredex» vi. «per che non avevan rexe» (v. 16), «k' illi deblan fora andar» vs. «che debien fora andare» (v. 90). Sembra legittimo, in questo caso, basarsi sulla lezione inequivocabile del codice Berlinese per l'analisi sintattica del Trivulziano, e leggere rispettivamente «per ch' e' non avevan rexe» e «ch' e' debien fora andare». Le regolaritä descritte per la prima e la terza persona del singolare si estendono cosi anche alla terza plurale, in forma schematica: 4. + verbo (3a pers. plur. masch.) > ch'e' Oltre ai due casi discussi questa regola ci permette di riconoscere il pronome soggetto anche nel v. 356a, che si leggerä «avvegna ch' e' sean peccatori». L'esistenza di un clitico soggetto che si usa per piü persone del verbo e un fenomeno abbastanza diffuso nei dialetti settentrionali. Lorenzo Renzi e Laura Vanelli (1983) hanno elaborato una complessa casistica di forme uguali ο diverse dei pronomi che si basa su una trentina di varietä. I due autori constatano fra l'altro che «la 1. persona non ha in nessuna varietä con pronome clitico soggetto una forma autonoma e differente» (ib., 132). Questo rilievo sembra confermare la nostra ipotesi di una forma e' del clitico soggetto non solo per la prima persona, per cui e attestata chiaramente, ma anche per altre persone, qui la terza singolare e plurale, in contesti adeguati. L'ipotesi della fusione, a livello grafico, del pronome soggetto e' con la congiunzione ο il pronome relativo che ci permette di interpretare in 25 casi la forma del manoscritto come ch' e'. In questo modo delle 179 subordinate del nostro testo solo 14 sono senza un soggetto esplicitato in forma nominale ο pronominale, secondo lo specchietto seguente: soggetto nominale

soggetto pronominale

numero

50

percentuale

28%

soggetto pronominale contenuto in che

soggetto esplicito

totale

90

25

14

50%

14%

subordinate 179

Se la nostra interpretazione e giusta, 115 delle 179 subordinate (64%) presentano un soggetto pronominale, e in solo Γ8% delle occorrenze l'espressione del soggetto e affidata esclusivamente alla desinenza verbale. Nel Sant'Alessio trivulziano saremmo quindi giä abbastanza vicini all'obbligatorietä del pronome soggetto. Ε comunque da sottolineare che in 25 casi e l'editore moderno che deve decidere, in base a indicazioni contestuali, se leggere il pronome soggetto ο meno. Se ogni decisione in questo campo lascia un margine di dubbio, e comunque indispensabile decidere per una soluzione ο 27

l'altra. Qui, a differenza delle edizioni precedenti, si e cercato di motivare la decisione fra che e ch' e' sul piano sintattico. La filologia testuale si fonda inevitabilmente su considerazioni grammaticali.

10. La forma metrica del testo trädito La filologia tradizionale attribuisce un peso preponderante a considerazioni metriche. Questo vale in particolare per le edizioni delle opere di Bonvesin da la Riva. Cosi Carlo Salvioni (1911, 367) esprime un punto di vista largamente condiviso quando si dichiara convinto «che un testo critico molto deve avvantaggiarsi di quanto puo per avventura rivelarci l'attento esame della rima e del metro ne' testi tradizionali», e il Salvioni arriva alia conclusione, che segna fino ad oggi le discussioni filologiche intorno al maggiore poeta lombardo del medioevo, che «la caduta delle vocali finali aveva luogo in Bonvesin nella misura in cui ha luogo oggidi», non senza specificare subito quale sia la base di una tale convinzione: «E il metro che ce lo dice» (ib., 375). Ε noto inoltre che il saggio di Salvioni (1911), insieme al suo ideale prolungamento in Contini (1935), costituisce il fondamento dell'edizione continiana delle opere di Bonvesin. Infatti Contini (1941, XXI) indica chiaramente l'«accertata bontä sillabica del doppio senario [sic per 'settenario'] e la precisione della rima» come fondamento della sua ricostruzione. Ε sulla scia di Salvioni e Contini, filologi e storici della lingua hanno cercato fino ad oggi di conciliare la realtä dei manoscritti con la forma metrica deH'alessandrino. Ne consegue, come abbiamo visto (cf. § 5.), che nella discussione filologica si continua a privilegiare la fonetica, che e pero per definizione il piano per noi meno accessibile delle scriptae antiche. Nel presente lavoro invece si e scelto un percorso in un certo senso inverso: la riflessione ecdotica parte qui da un'analisi morfologica e sintattica e ricorre alia metrica solo in un secondo tempo, come ad un'istanza di controllo. La metrica ci puo senz'altro aiutare, entro certi limiti, a riconoscere ed eventualmente emendare singole sviste del copista, ma non sembra ammissibile voler correggere l'intero testo trasponendolo in una forma metrica regolare, che il testo trädito evidentemente non conosce ο non rispetta. Cerchiamo innanzitutto di descrivere la struttura metrica quale si delinea nella Vita di Sant'Alessio del codice Triv 93. In primo luogo si constata che il copista segnala chiaramente l'unitä «verso», andando a capo e inserendo una lettera maiuscola per ogni inizio di verso, ma non indica in modo altrettanto esplicito l'unitä «strofa». Mentre il testo della Santa Margarita trivulziana e suddiviso in strofe di dodici versi tramite l'inserzione di lettere di dimensione piü grande, nel Sant'Alessio l'amanuense introduce delle grandi iniziali rosse, oltre che all'inizio del testo, solo al v. 141 e al v. 441, indicando in questo modo due importanti articolazioni dal punto di vista del contenuto, ma senza evidenziare ulteriormente la suddivisione del poema in unitä strofiche. Ciononostante la struttura della strofa e chiaramente riconoscibile. I versi si raggruppano in quartine, perlopiu monorime. In alcuni casi si introduce qualche assonanza, come cavaler/De (vv. 1-2), aveva/seda (vv. 5-6) ecc.

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II tipo di verso si puo descrivere come verso lungo diviso in due emistichi, di cui ciascuno conta di solito da sette a otto sillabe, con frequenti escursioni verso il basso e, soprattutto, verso l'alto. Se non si scende mai sotto le sei sillabe, le punte massime sono raggiunte con emistichi di 11 («che Ii homeni se volesen partire», v. 497b) ο addirittura 13 sillabe («la quale de la caxa de Γ imperado», v. 38a). Questi sono perö casi isolati. Da un'analisi di tutto il poema risulta che, salvo errore, il 54% degli emistichi sono settenari, il 33% ottonari, il 9% novenari e il 2% senari. Queste cifre ci permettono giä di trarre due conclusioni. Da un lato riconosciamo facilmente quello che possiamo chiamare la misura base della forma metrica qui usata: predomina chiaramente l'emistichio di sette ο otto sillabe, che raggiunge quasi il 90% delle occorrenze. Dall'altro lato e ovvio perö che un intervento normalizzante che volesse ridurre tutti gli emistichi alia misura del settenario comporterebbe delle correzioni a quasi un emistichio su due, vale a dire che si dovrebbe intervenire pressappoco su ogni verso. Vediamo un esempio abbastanza rappresentativo, la strofa 42: Lo segrestran illora, quan tosto el 1' ave trovato, a Ii pe de santo Alexio el fo humiliato. Ch' el vada con sego dolcemente si Γ ä pregado. Con gran devocion in la gexia si Γ ä menado. (vv. 165-168)

L'imperfezione della rima (-ato/-ado) e solo grafica, perche nella realizzazione fonetica Γ occlusive intervocalica e sicuramente sonorizzata e forse giä caduta del tutto. La suddivisione del verso in due emistichi e sensibile sia a livello ritmico sia, e direi soprattutto, a livello sintattico: si puö notare fra l'altro come la subordinata riempia giusto la misura deU'emistichio in v. 165b e in v. 167a, e come nelle frasi con il verbo in ultima posizione il primo emistichio sia costituito da un complemento anticipato nel v. 166 e nel v. 168. Per i singoli emistichi si contano qui da un minimo di sei (v. 167a) ad un massimo di nove sillabe (vv. 167b e 168b). Possiamo concludere quindi che la struttura metrica del nostra testo, se non corrisponde alle esigenze di regolarita a cui ci ha abituato la tradizione della poesia colta, possiede senza dubbio una sua fisionomia propria che dimostra un'innegabile coerenza interna. Guardiamo come Contini ricostruisce questa strofa secondo la tradizionale ipotesi di un rigoroso rispetto, da parte di Bonvesin, dell'alessandrino inteso come doppio settenario: Lo segrestran illora, quam tost el Γ av trovao, Ai pe de sanct Alexio el fo humili'ao Ε k' el vadha consego dolzment si Γ ä pregao, Con gran devotion in gesia 1' ä menao. (vv. 165-168; ed. Contini 1941)

Senza voler commentare qui tutti gli interventi operati da Contini, che si limitano perlopiü al livello fonetico, sono da notare comunque gli elementi seguenti. Non pone problemi l'inserzione della dieresi al v. 166b e al v. 168a. Nel v. 165b e nel v. 167b basta sopprimere le vocali atone (ave > av, dolcemente > dolzment) per raggiungere dei settenari regolari. L'intervento al v. 166a (a li pe > ai pe) riguarda invece giä il livello morfologico, mentre la proposta per il v. 168b, dove si eliminano l'articolo la e la particella si, interviene sulla sintassi. Soprattutto l'emendamento in la gexia > in gesia e problematico. Sappiamo troppo poco sulla sintassi dell'articolo determinativo nel lom-

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bardo antico per poter alterare, in base ad un'ipotesi metrica, le strutture documentate.69 Puramente congetturale e inoltre l'aggiunta della congiunzione e all'inizio del v. 167. II quesito di fondo che qui si pone e quello della metrica irregolare, dell'anisosillabismo, nel medioevo italiano. L'esistenza di una «tradizione anisosillabica» ο «giullaresca», che proprio per la sua piü grande flessibilitä dimostra una «relativa autoctonia, rispetto a quella di gusto oltramontano» e stata ribadita dallo stesso Contini (1961/1986, 176). Ε Contini rimanda qui alia dimensione ritmica, opponendo al «rigore francese», che si basa su «una lingua ormai non piü accentuativa», l'«elasticitä italiana», che si puö avvalere di una lingua «fonologicamente accentuativa» (ib., 182). Che cosa ci vieta quindi di attribuire Γ opera di Bonvesin da la Riva alla corrente «giullaresca», cioe alla tradizione anisosillabica della metrica del Duecento italiano, invece di inserirla, a prezzo di costanti e non di rado profondi interventi nei testi träditi, nella tradizione colta del verso isosillabico? La filologia tradizionale attribuisce le irregolaritä metriche nelle opere di Bonvesin agli interventi dei copisti. Afferma ancora Contini (1961/1986, 176s.): «Se il rigidissimo Bonvesin da la Riva fosse noto soltanto dall'Ambrosiano N. 95 sup. [...], otterrebbe un buon punteggio per licenziositä ». L'assioma dell'isosillabismo di Bonvesin meriterebbe una discussione ben piü dettagliata, che qui non si puö affrontare. Vorrei sottolineare perö due punti. (1) Persino il testo conservato nel manoscritto Berlinese richiede interventi importanti, che riguardano almeno un verso su due, per raggiungere quella forma metrica regolare che si presume per il testo originale del «rigidissimo Bonvesin da la Riva».70 (2) Anche se l'anisosillabismo puö in parte essere attribuito al copista, esso e da conservare, almeno nel tipo di edizione che si e scelto qui, perche fa parte, evidentemente, della forma linguistica del testimone. Prendiamo l'esempio riportato da Contini: se il copista del codice Ambrosiano N. 95 sup. nella prima metä del Quattrocento traspone il De die iudicii, il De quinquaginta curialitatibus ad mensam e il De scriptum rubra in una forma metrica tendenzialmente «giullaresca», quest'operazione costituisce un fatto culturale di primario interesse, che un editore modemo deve evidenziare e valutare nel suo contesto storico, invece di sacrificarlo per un'ipotetica ricostruzione del testo «originale». Se la forma metrica del testo trädito va quindi conservata, questa stessa struttura metrica ci permette perö di riconoscere in non pochi casi delle sviste dello scriba. Poco c'e da aggiungere sul conteggio delle sillabe: possiamo semplicemente constatare che qui, come in numerosi altri testi coevi, il verso dimostra una certa flessibilitä. Sembra comunque preferibile, anche per evitare emistichi fin troppo esuberanti, sopprimere l'aggettivo santo al v. 274 e al v. 361, dove esso rappresenta un'ovvia aggiunta meccanica da parte del copista. Criteri abbastanza sicuri in sede ecdotica ci forniscono inoltre sia l'unitä del verso, sia l'unitä della strofa. Mi spiego con un caso ovvio. Abbiamo visto che nel mano69

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Sull'articolo cf. Kabatek (2002) in prospettiva romanza, e Renzi (2004) per il toscano antico; manca uno studio specifico sull'articolo nel lombardo antico. Sülle «troppo frequenti ipermetrie del Berlinese» e sulla notevole distanza fra la «scripta documentata» e la «lingua ipotizzata» da Contini insiste Stella (1994, 165).

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scritto i singoli versi sono rigorosamente divisi con un accapo. Una sola volta capita al copista di separare erroneamente un verso, andando a capo dopo la cesura e leggendo (v. 61). Con tutt'evidenza l'unita del verso qui deve essere ripristinata. Meno facilmente emendabili sono le contaminazioni fra due versi contigui, che si verificano soprattutto fra l'ultimo verso di una strofa e il primo verso della strofa successiva, che spesso dimostrano una struttura parallela. Cosi troviamo nel manoscritto ai vv. 144 e 145: (v. 262) ecc. Nello stesso modo e indicata una volta anche la forma verbale e: (v. 390). Anche se la barra obliqua viene impiegata in modo solo saltuario, si tratta comunque di un accorgimento che contribuisce in alcuni punti a rendere piü facilmente leggibile il nostra testo. Abbiamo visto che il copista va a capo ad ogni nuovo verso (cf. § 7). In alcuni casi perö non riesce a far stare il verso intero in una riga sola, cosi che deve spostare l'ultima parola, ο parte di quella, nella riga successiva. In questo modo le parole odudo del v. 85 e vezudo del v. 87 stanno, precedute da due barre dritte (II), alia fine della riga successiva. Sono relegati nella riga successiva anche bon (v. 176), fiata (v. 274), stian (v. 303, da cri-stian), nente (v. 405, da inconte-nente), lorosa (v. 438, da do-lorosa), gava (v. 477, da pur-gava), partire (v. 498), gato (v. 502, da congre-gato) e campion (519). Ε plausibile supporre che il copista abbia introdotto un numero relativamente alto di abbreviazioni - troviamo un segno di abbreviazione mediamente in tre versi su quattro - soprattutto per non dover spezzare il verso. Si puo infatti notare che le abbreviazioni diventano piü numerose a fine verso, quando lo spazio disponibile comincia a mancare. Inoltre non sarä un caso che nell'altro grande poema volgare trascritto dal nostra copista, la Vita di Santa Margarita, che e composta in versi piü brevi, tendenzialmente novenari, la frequenza delle abbreviazioni e molto piü bassa. Per non appesantire inutilmente il testo e l'apparato a pie' di pagina, nell'edizione ho sciolto le abbreviazioni senza indicarle volta per volta. Potra risultare utile percio fomirne qui l'elenco completo. Si indicano con un asterisco (*) i casi in cui il segno di

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abbreviazione e omesso. Con una m si indicano le maiuscole. Se la parola ricorre due volte nello stesso verso, con (a) e (b) si indicano il primo e secondo emistichio. Con (2) si segnala che il fenomeno si verifica due volte nel rispettivo verso. ä = am

campion 520; intrambi 41

ä = an

abandonata 444, 448; admirando 465; alguangi 103; andä 312; andare 90; angustiosa 51, 132; anni 144, 211, 247, 267, 382, 423, 425; anno 146; avanza 455; bandon 74, 519; cantada 273; cercando 102; circando 158, 163; crezando 97; digando 282; domanda 223; domandati 104; grande 67, 68, 74, 84, 87, 154, 174, 178, 308; grandemente 142; inanze 235; mandati 102; pianzando 398; pianzeva 457; pianziti 422; planzando 126; possanza 8; pregando 292; qua« 165,451; quando 85,103,409; spantegati 101; suspirando 126; zezunando 82

e = em

sempre 155

e = en

acomenzado 116; aconzamente 486; amaramente 457, 461; comandamento 489; co/nplimento 95; comprendere 426; conveniente 308; cortexemente 358; desavezudamente 344; despresiamento 74; dolcemente 167; gra^demente 142, 512; incontanente 306; incresimento 496; mirabelmente 40,334; munimeMto 93; omnipotente 159; pentore 66; placente 160, 283; potente 2; prende 47; pr