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CORPUS SCRIPTORUM CHRISTIANORUM ORIENTALIUM EDITUM CONSILIO
UNIVERSITATIS CATHOLICAE AMERICAE ET UNIVERSITATIS CATHOLICAE LOVANIENSIS Vol. 680
SCRIPTORES SYRI TOMUS 264
LA VERSIONE SIRIACA DELLA VITA DI GIOVANNI IL MISERICORDIOSO DI LEONZIO DI NEAPOLIS TRADOTTA DA
GUIDO VENTURINI
LOVANII IN AEDIBUS PEETERS 2020
LA VERSIONE SIRIACA DELLA VITA DI GIOVANNI IL MISERICORDIOSO DI LEONZIO DI NEAPOLIS
CORPUS SCRIPTORUM CHRISTIANORUM ORIENTALIUM EDITUM CONSILIO
UNIVERSITATIS CATHOLICAE AMERICAE ET UNIVERSITATIS CATHOLICAE LOVANIENSIS Vol. 680
SCRIPTORES SYRI TOMUS 264
LA VERSIONE SIRIACA DELLA VITA DI GIOVANNI IL MISERICORDIOSO DI LEONZIO DI NEAPOLIS TRADOTTA DA
GUIDO VENTURINI
LOVANII IN AEDIBUS PEETERS 2020
A catalogue record for this book is available from the Library of Congress.
© 2020 by Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium Tous droits de reproduction, de traduction ou d’adaptation, y compris les microfilms, de ce volume ou d’un autre de cette collection, réservés pour tous pays. ISSN 0070-0452 ISBN 978-90-429-4048-2 eISBN 978-90-429-4050-5 D/2020/0602/40 Éditions Peeters, Bondgenotenlaan 153, B-3000 Louvain
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE BHG BHL BHO CSCO OCA ROC BL BNF
= Bibliotheca Hagiographica Graeca = Bibliotheca Hagiographica Latina = Bibliotheca Hagiographica Orientalis = Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium = Orientalia Christiana Analecta = Revue de l’Orient Chrétien = British Library = Bibliothèque Nationale de France
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SIGLE IMPIEGATE L P M S
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INTRODUZIONE La VitadiGiovanniilMisericordioso, composta in greco dall’autore cipriota Leonzio di Neapolis alla metà del VII secolo, fu tradotta in siriaco da un anonimo redattore, secondo l’opinione di Anton Baumstark, nel corso del secolo successivo1. Il testo della versione siriaca fu edito per la prima volta da Paul Bedjan alla fine dell’Ottocento2, senza traduzione. L’opera di Bedjan presenta, come noto, vari problemi relativi alla metodologia ecdotica: qualsiasi studio di carattere filologico, linguistico o storicodottrinale compiuto sulla base della sua edizione poggia su fondamenta tutt’altro che solide3. Alla fine del secolo scorso, Vincent Déroche portò questa traduzione all’attenzione dei bizantinisti. Lo studioso francese ipotizzò che la versione siriaca riflettesse un’antica forma del testo greco, assai prossima all’originale: egli la considerava un testimone indiretto di un ramo della tradizione indipendente dai principali manoscritti greci4. Nell’affrontare l’analisi della versione siriaca della VitadiGiovanniil Misericordioso, lo studioso è posto di fronte a due compiti tra loro complementari: da un lato il confronto con il testo greco, ai fini della comprensione dei rapporti fra traduzione e originale; dall’altro la fissazione, in una nuova edizione critica, di un testo siriaco affidabile, su cui sia possibile effettuare tale confronto. Pertanto, una nuova edizione tradotta della versione siriaca costituisce non solo un avanzamento degli studi di filologia siriaca, ma anche un utile strumento per coloro che siano interessati alla storia della trasmissione di questo celebre testo agiografico. I risultati del nostro lavoro saranno in parte esposti nella presente introduzione, nella quale elencheremo le differenze tra testo greco e versione siriaca e indagheremo l’origine dei rilevanti adattamenti attestati da quest’ultima. Il BAUMSTARK, GeschichtedersyrischenLiteratur, p. 264. BEDJAN, ActaMartyrum, pp. 303-395. 3 Questa considerazione è vera in particolar modo nel caso della nostra opera, cf. VENTURINI, Nuoveconsiderazioni, pp. 72-73. 4 DÉROCHE, ÉtudessurLéontios, pp. 39-41. L’opinione di Déroche è basata sul testo siriaco riprodotto da Bedjan, che non dà conto in maniera completa, per i brani da lui presi in esame, delle varianti attestate dai manoscritti, cf. VENTURINI, Nuoveconsiderazioni, pp. 78-79. 1 2
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difficile compito di collocare la versione siriaca all’interno della tradizione manoscritta della Vita è stato invece affidato ad uno specifico contributo5. Al termine dell’introduzione, proponiamo al lettore la nostra traduzione della versione siriaca. L’interpretazione in lingua italiana mira ad essere, per quanto possibile, rispettosa della struttura morfosintattica del testo siriaco, in modo tale che le affinità e le differenze con l’originale greco possano essere rilevate anche da eventuali lettori non specialisti di lingua siriaca. Naturalmente, la traduzione italiana non ha potuto non tenere conto anche dell’originale greco, specialmente per quanto concerne la scelta del lessico: per quanto abbiamo cercato di usare coerenza nella resa italiana di uno stesso termine siriaco, vi sono casi in cui la precisa accezione di un vocabolo polisemico è rivelata dal confronto con il greco, che presenta un corrispettivo più preciso. Al fine di rendere più immediato il raffronto tra greco e siriaco, abbiamo collocato, all’inizio di ciascun paragrafo della traduzione, un rimando all’edizione di riferimento del testo greco. Le note di commento alla traduzione italiana sono pensate per fornire al lettore una disamina dei numerosi problemi, prevalentemente di natura ecdotica, relativi alla trasposizione del testo greco in lingua siriaca. 1. SULL’ORIGINE DELLE DIFFORMITÀ TRA
TESTO GRECO E
VERSIONE SIRIACA
Quando si intraprende la lettura della versione siriaca della Vita di GiovanniilMisericordioso, il primo dato che salta agli occhi è la sua brevità rispetto al testo greco. Come aveva già avvertito Déroche, la traduzione «donne l’impression d’un abrégé de la version longue»6. Questa osservazione è senz’altro corretta: la versione siriaca sembra riprodurre, in forma abbreviata, la recensione più completa e ricca di dettagli della VitadiGiovanniilMisericordioso7. Le dimensioni ridotte del testo siriaco sono dovute in gran parte alla soppressione di dettagli originali, delle sezioni retoriche all’inizio e alla fine dei capitoli, di porzioni di testo superflue ai fini della narrazione, di interi episodi presenti nell’originale greco. 5 Il mio contributo è attualmente in corso di pubblicazione sul prossimo numero della rivista Adamantius 25 (2019). 6 DÉROCHE, ÉtudessurLéontios,p. 38. 7 Non vi è invece alcuna relazione diretta tra la versione siriaca ed i vari abrégés dell’opera di Leonzio. Per un elenco sintetico delle recensioni del testo greco, cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero,pp. 14-15.
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Bisogna poi segnalare alcune modifiche inerenti alla struttura dell’opera, con un sovvertimento dell’ordine di certi capitoli. Infine, la versione siriaca attesta un rilevante numero di varianti, riconoscibili come tali in base al senso, di cui è spesso difficile stabilire l’origine8. Intendiamo offrire a questo punto i risultati del nostro lavoro di confronto tra greco e siriaco, che riteniamo possano tornare utili soprattutto a chi volesse dedicarsi allo studio della storia della trasmissione della Vita in greco e in altre lingue antiche9. a) Molti dettagli storici e topografici sono assenti in siriaco10. Manca ogni riferimento ai gruppi di eretici di cui si parla nel testo greco. È assente la sezione finale del capitolo V, che menziona in maniera assai lusinghiera l’imperatore Costantino III Neos (350, 31-36)11. b) Quasi tutte le sezioni retoriche, le apostrofi al lettore, le considerazioni dell’autore sono assenti nella versione siriaca. La prima parte del prologo, quella non narrativa, è ridotta all’osso: manca qualsiasi riferimento al committente dell’opera, alle fonti utilizzate, allo stesso autore. Molti dei riferimenti scritturistici impiegati da Leonzio sono stati soppressi. La maggior parte dei dialoghi sono volti alla terza persona. c) La versione siriaca sopprime i seguenti capitoli del testo greco: XXXIII, XXXIV, XXXVII, XLIX, LVI, più la sezione finale del capitolo LVII. Degno di nota è il fatto che i capitoli XXXIII, XXXVII e XLIX vertano sui rapporti tra il patriarca ed i gruppi di fede anticalcedoniana che infestavano l’Egitto durante il suo episcopato. 8
Non è possibile fornire qui un elenco completo dei passi in cui il testo siriaco diverge in maniera sostanziale dal greco, che sarebbe infinitamente lungo, trattandosi di un testo di traduzione. I brani che presentano le varianti più interessanti verranno analiticamente discussi nelle note di commento alla traduzione italiana. 9 Per il testo greco ci siamo serviti dell’edizione di FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, che riproduce in maniera affidabile la recensione più vicina al testo d’autore. All’edizione esistente abbiamo affiancato la nuova collazione dei manoscritti greci eseguita dal professor Cavallero, che ha gentilmente messo a nostra disposizione il suo lavoro, ed una consultazione diretta dei testimoni per i brani più rilevanti ai fini del nostro studio. 10 Per esempio, la menzione delle chiese di San Mena (345, 123) e di San Metra ad Alessandria (390, 117), del mar Adriatico (380, 5), della città di Tiro (400, 45), delle Ali del Canopo (408, 5), dei nomi di alcuni personaggi secondari, come Damiano (363, 5), Porfiria (400, 31), Teopempto (385, 21), Anastasia (406, 46), Sabino (408, 4), di alcuni ranghi laici ed ecclesiastici, come ἀναγνώστης, διαδότης, ἑβδομάριος, καγκελλάριος, λειτουργός, νοτάριος, della quasi totalità degli epiteti riferiti a Giovanni il Misericordioso. 11 Si tratta di un brano di grande importanza ai fini della datazione dell’opera di Leonzio, cf. DÉROCHE, ÉtudessurLéontios,p. 16; CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero,p. 231, n. 1.
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d) La versione siriaca unifica i capitoli XXX e XXXII del testo greco, posponendo il XXXI12. Lo stesso fenomeno va segnalato per i capitoli XLI e XLIII del testo greco: il contenuto del secondo viene riassunto ed accorpato al finale del primo, mentre l’episodio narrato nel capitolo XLII viene posticipato13. e) La versione siriaca nella sua forma più completa è composta da 48 capitoli, il testo greco da 55. L’esordio e l’epilogo di ciascun capitolo non sempre coincidono nelle due versioni. In siriaco la scansione degli episodi segue una sua logica, che non sempre riflette le intenzioni dell’autore14. f) La versione siriaca presenta un finale del capitolo VIII notevolmente difforme rispetto al testo greco. La sezione retorica in cui l’autore si rivolge ai lettori per giustificare il miracolo dello stagno è sostituita da un epilogo di cui non vi è traccia nella tradizione manoscritta greca15. Un caso analogo è attestato per il finale del capitolo VII: il testo siriaco conserva una chiusa assente nella tradizione greca. g) La versione siriaca presenta un rilevante problema testuale alla giuntura tra i capitoli XIX e XX. Il finale del capitolo XX della versione siriaca è totalmente diverso dal corrispettivo greco (372, 185-190)16. h) La versione siriaca attesta un cospicuo numero di varianti, alcune delle quali hanno un’alta probabilità di riflettere delle lezioni anticamente presenti nel modello greco17. 12 È probabile che questa modifica sia legata all’esigenza di rendere più logica la disposizione dei tre capitoli. Nel testo greco, il racconto della donna che implora di ricevere giustizia (capitolo XXXI) interrompe bruscamente quello dell’uomo richiedente prestito al governatore, già intrapreso al capitolo XXX e concluso solo al capitolo XXXII. Questa disposizione del materiale è originale e viene giustificata dallo stesso autore nel periodo introduttivo del capitolo XXXI, cf. DÉROCHE, ÉtudessurLéontios, p. 70. 13 Al racconto di come Giovanni fece riconciliare tra loro due alti dignitari (capitolo XLI), segue il lungo discorso dell’arcivescovo sull’umiltà (capitolo XLIII), il cui contenuto ben si lega all’episodio appena narrato. Il racconto relativo ai precetti impartiti agli uomini orgogliosi (capitolo XLII) perde così la sua originaria collocazione. 14 Per esempio, la versione siriaca considera l’esordio del capitolo XXIII del testo greco come finale del capitolo XXII, cosa niente affatto illogica. Per la corrispondenza completa dei numeri dei capitoli tra greco e siriaco, cf. infra, p. XXIII-XXIV. 15 Per una disamina dettagliata di questo brano, cf. VENTURINI, Nuoveconsiderazioni, pp. 79-82. 16 Per l’analisi dei brani citati si rimanda al commento della traduzione italiana, cf. infra, p. 37, n. 13. 17 Per esempio, il numero dei poveri presenti ad Alessandria: settemilacinquecento nei testimoni greci (348, 39), ottomilacinquecento in quelli siriaci (cap. I); oppure, il prezzo per cui il doganiere Pietro fu venduto come schiavo: cinquanta nomismi nei testimoni greci (370, 114), trenta in quelli siriaci (cap. XX, 4).
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Volendo considerare le numerose fluttuazioni attestate dalla versione siriaca come innovazioni, c’è da chiedersi in quale momento della tradizione esse si siano prodotte. Per ciascuno degli elementi propri della versione siriaca, si possono avanzare tre diverse ipotesi: che attestino varianti originariamente presenti nel modello greco della traduzione; che siano frutto dell’intervento editoriale del traduttore; che attestino varianti introdotte da uno o più copisti/redattori nel corso della tradizione manoscritta siriaca. Non è facile dare risposte sicure, a causa della frammentarietà della documentazione: i manoscritti superstiti rappresentano lo stato delle cose in determinati luoghi ed epoche, ma non permettono di capire in quale momento della tradizione ciascuna innovazione abbia fatto la sua comparsa. Si badi inoltre che le innovazioni sopra elencate non sono tutte necessariamente frutto dello stesso intervento redazionale: più probabilmente, esse si sono stratificate nel corso della trasmissione dell’opera. La trasposizione in lingua siriaca altro non è che la più rilevante delle modifiche subite dal testo greco. A nostro parere, la gran parte delle fluttuazioni testimoniate della versione siriaca deve essere ascritta ad almeno due diversi interventi redazionali, uno precedente ed uno successivo alla traduzione dal greco al siriaco. Il primo intervento sarebbe occorso durante la trasmissione del testo greco: riteniamo che il modello utilizzato per la traduzione non coincidesse con la recensione che Déroche chiamò version longue, ma fosse un rimaneggiamento di quest’ultima, che già possedeva alcune delle caratteristiche proprie della versione siriaca. L’esistenza di questa recensione sconosciuta della VitadiGiovanniilMisericordioso è indirettamente provata dalla versione latina contenuta nel codice Par.lat. 3820. Per quanto questa traduzione latina, conservata da un unico manoscritto di XIV secolo, attesti una forma della storia fortemente rielaborata, vi si possono riconoscere molte analogie con la versione siriaca, tra cui: il riordino del materiale dei capitoli XXX, XXXI, XXXII e XLI, XLII, XLIII; la particolarissima fisionomia di alcuni episodi, come il finale dei capitoli VIII e XIX; un rilevante numero di innovazioni significative, non attestate dai manoscritti greci; l’assenza (invero tra molti altri, in latino) dei capitoli relativi ai gruppi di eretici ad Alessandria. Il secondo intervento redazionale riconoscibile avrebbe invece avuto luogo in una fase avanzata della trasmissione dell’opera, una volta già tradotta in siriaco. La recensione più lunga e completa della versione siriaca conservata dai manoscritti costituisce a nostro avviso soltanto uno sbiadito riflesso della traduzione originale. Una testimonianza frammentaria della forma più antica della traduzione ci è offerta dal capitolo indipendente, conservato
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in numerosi manoscritti, che contiene la storia di Pietro il Pubblicano. L’esame di questo racconto edificante rivela indirettamente che la versione siriaca della Vita di Giovanni il Misericordioso ha subìto, ad un certo punto della sua trasmissione, un intervento volto ad abbreviare il testo di partenza, nel quale sono andati perduti molti dettagli originali. Le dimensioni relativamente ridotte della versione siriaca, di cui si era già reso conto Déroche, sono in larga parte ascrivibili a questo lavoro di riscrittura. Considerati i radicali rimaneggiamenti subìti sia dal testo della traduzione che dal suo modello greco, non appare necessario attribuire al traduttore le innovazioni sopra elencate. Certamente, nel passaggio da una lingua all’altra, sono state introdotte modifiche alla struttura del periodo, talvolta finalizzate a semplificare l’articolata sintassi del modello, che risente del peculiare stile di Leonzio di Neapolis. Non per questo è lecito ascrivere al traduttore la soppressione di intere frasi, che potrebbero essere state rimosse in seguito. La carenza di elementi ellenizzanti nel lessico non deve essere per forza spiegata con la ricerca, da parte del traduttore, di adeguati corrispettivi culturali: la scomparsa di molti prestiti greci, come si evince dall’esame dei manoscritti, è soprattutto dovuta ad un graduale processo di deterioramento dell’originale. In conclusione, la maggior parte delle fluttuazioni della versione siriaca non è a nostro parere opera del traduttore, bensì frutto di alcuni riconoscibili rimaneggiamenti che hanno allontanato il testo dalla sua forma originale. Considerata la probabile epoca della traduzione, è del resto poco verosimile che il traduttore abbia operato secondo quei criteri di libertà e fedeltà alla lingua di arrivo che erano propri dei secoli precedenti18. Questo quadro offre degli spunti interessanti per lo studio delle traduzioni dal greco. Può accadere, specialmente nel caso di tradizioni testuali complesse, che parte delle difformità di una versione rispetto all’originale non siano opera del traduttore, ma costituiscano delle innovazioni comparse durante trasmissione del testo. Considerata la scarsa aderenza al testo greco, dovuta a ragioni indipendenti dalla volontà del traduttore, risulta assai complicato proporre, per questa traduzione, uno studio della tecnica editoriale del suo autore. Nonostante non tutte le tracce del suo lavoro siano scomparse a causa degli interventi successivi, un’analisi di questo tipo difficilmente perverrebbe a conclusioni certe. 18 Le traduzioni dal greco al siriaco nei secoli VII e VIII erano eseguite con una tecnica definita “a specchio”. Le traduzioni di quest’epoca tendono a riflettere quanto più possibile i dettagli, le strutture grammaticali, la sintassi del modello, cf. BROCK, TowardsaHistory, pp. 12-13.
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2. ALCUNE PRECISAZIONI SULL’EPOCA E
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GLI AMBIENTI DI PRODUZIONE
DELLA VERSIONE SIRIACA
La tradizione manoscritta della Vita di Giovanni il Misericordioso è innegabilmente complessa, sia sul versante greco che su quello siriaco. L’utilizzo di una recensione sconosciuta come modello della traduzione, la tradizione indipendente del racconto relativo a Pietro il Pubblicano, i fenomeni di contaminazione che hanno interessato la “versione corta” del codice BNF syr.234, implicano un’ampia circolazione di manoscritti contenenti diverse forme del testo. Intendiamo a questo punto fornire alcune precisazioni relative all’epoca in cui sono avvenuti gli importanti interventi redazionali di cui abbiamo parlato. Sia la forma più antica (β) che quella più evoluta (α) del testo siriacosono attestate già alla metà del IX secolo19: si tratta di un’epoca persino precedente a quella dei due più autorevoli testimoni dell’originale greco20. Questi dati ci consentono di collocare la traduzione tra la metà del VII secolo, epoca della composizione della VitadiGiovanniilMisericordioso, e la metà del IX secolo. Anton Baumstark, che pure non conosceva tutti i testimoni, propose una datazione all’VIII secolo, che si colloca esattamente a metà tra questi due termini temporali. Una datazione alta è confortata a nostro avviso da alcuni elementi dello stile del traduttore, sopravvissuti qua e là ai radicali interventi di riscrittura. Il rispetto dei costrutti della lingua greca e la riproduzione “a specchio” di alcune locuzioni dell’autore sono in linea con i canoni delle traduzioni di VII-VIII secolo. Nulla sappiamo dell’autore e del luogo di origine della traduzione. Possiamo tuttavia avanzare alcune ipotesi sugli ambienti di produzione e sulle finalità per cui la traduzione è stata eseguita. Sappiamo per certo che quasi tutti i testimoni provengono da ambienti siro-ortodossi. La presenza della biografia di un santo calcedoniano all’interno di collezioni agiografiche redatte in ambito miafisita è giustificata dalla soppressione dei capitoli e dei brani di argomento dottrinale. Nella versione siriaca dellaVitadiGiovanniilMisericordioso non c’è nulla che possa rivelare la totale adesione del patriarca alla dottrina di Calcedonia e la sua convinta ostilità ad ogni tentativo di conciliazione con i miafisiti, tematiche 19 Le due recensioni sono attestate da frammenti che provengono dalla medesima collezione: Sinai syr. 24 e San Pietroburgo N.S., syr. 14. 20 Il codice Ottobonianus gr. 402 risale all’XI secolo e il Vaticanusgr. 1669 al X secolo, cf. DÉROCHE, ÉtudessurLéontios,pp. 44-45.
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che sono esplicite nell’opera di Leonzio21. I capitoli interessati dai tagli in sono il V, il XVI, il XXXIII, il XXXVII e il XLIX (gli ultimi tre sono stati rimossi interamente). Si tratta di capire per quali ragioni ed in quale momento della tradizione siano avvenuti questi tagli. Sulla base dei dati offerti dalla tradizione manoscritta, si possono avanzare due distinte ipotesi. La prima chiama in causa il calo di interesse della letteratura bizantina nei confronti dell’eresia miafisita in seguito alla perdita delle province orientali dell’impero ad opera degli Arabi. Per la VitadiGiovanniilMisericordioso, questa perdita di interesse è testimoniata dall’assenza, nelle recensioni abbreviate del testo greco, del brano relativo agli ἀκέφαλοι del capitolo V (350, 6-9), dell’elenco dei gruppi di eretici interna al capitolo XVI (364, 10-11) e dell’intero capitolo XXXVII, dedicato ai Teodosiani22. A favore di questa ipotesi bisogna poi segnalare che anche la versione latina del codice Par.lat. 3820, strettamente legata alla versione siriaca, è priva dei suddetti capitoli e di ogni riferimento alle tematiche dottrinali23. La seconda ipotesi prevede che i tagli siano stati realizzati per ragioni ideologiche. A favore di questa tesi si possono menzionare gli adattamenti, ben più marcati, subiti dalla versione siriaca della VitadiSimeoneSalos, l’altra importante opera agiografica di Leonzio di Neapolis. Lo studio di Lucas Van Rompay ha messo bene in luce il capovolgimento dei concetti di ortodossia ed eresia, che secondo lo studioso sarebbe avvenuto per mano del traduttore. Nel caso della VitadiSimeone, la versione siriaca interpreta i due termini in maniera diametralmente opposta rispetto a quella dell’autore greco, cosicché lo stesso santo protagonista della storia risulta associato alla fede miafisita24. Non si può escludere che anche la versione siriaca della Vita di Giovanni il Misericordioso possa testimoniare logiche di adattamento di questo tipo, sebbene in forma meno esplicita e percepibile. 21
I gruppi di eretici con i quali il patriarca si confronta dialetticamente sono accomunati dall’ostilità verso la fede calcedoniana. Nel capitolo V della Vita, l’autore definisce gli eretici con termine ἀκέφαλοι, impiegato nell’accezione di “anticalcedoniani”, cf. VAN ROMPAY, TheSyriacVersionofthe“LifeofSymeonSalos”,p. 388, n. 26. 22 DÉROCHE, ÉtudessurLéontios, p. 49. Bisogna sottolineare che, diversamente dalla versione siriaca, gli abrégés del testo greco non sopprimono la totalità dei brani relativi agli eretici. È poco probabile che vi siano delle ragioni ideologiche alla base di tagli così circoscritti. 23 Bisogna tuttavia rilevare che questa traduzione latina opera una selezione del materiale molto più drastica rispetto alla versione siriaca, con la soppressione di una buona metà dei capitoli dell’originale greco. 24 VAN ROMPAY, TheSyriacVersionofthe“LifeofSymeonSalos”,pp. 387-388.
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INTRODUZIONE
Ulteriori elementi a favore sono offerti dal contenuto e dalla provenienza dei manoscritti, quasi tutti redatti in ambito siro-ortodosso. Sebbene questo dato non aiuti a capire da chi e quando siano state introdotte le suddette innovazioni, possiamo almeno conoscere il profilo dei fruitori della traduzione. Evidentemente, una volta depurata da ogni riferimento dottrinale, la VitadiGiovanniilMisericordioso ha potuto entrare a far parte di alcune importanti collezioni agiografiche siro-ortodosse. Non deve sorprendere che la tradizione miafisita si sia “appropriata” della figura del patriarca, strenuo difensore della dottrina di Calcedonia: Giovanni rappresenta il modello del perfetto vescovo, capace di dedicare la propria vita all’aiuto dei poveri e degli oppressi26. Poteva anzi sussistere uno specifico interesse da parte della letteratura miafisita ad appropriarsi della figura di un santo legato ad Alessandria, una città chiave nelle dispute dottrinali di quegli anni. 3. ELENCO DELLE CONCORDANZE TRA
VERSIONE SIRIACA
E TRADIZIONE MANOSCRITTA GRECA
Come abbiamo detto all’inizio di questa introduzione, collocare la versione siriaca all’interno della tradizione manoscritta della VitadiGiovanniilMisericordioso è un compito che esula dagli intenti del presente lavoro. L’unica precisazione che intendiamo fornire al lettore è dedotta “in negativo”: a nostro parere, la versione siriaca non conserva mai la lezione originale quando è discorde dalla tradizione greca. Non riteniamo pertanto che essa possa contribuire al miglioramento del testo greco nei casi in cui presenti una variante isolata. Nondimeno, il testo siriaco sembra confermare la correttezza di molte delle varianti attestate dai manoscritti greci. Forniamo di seguito l’elenco completo delle concordanze tra la versione siriaca e i testimoni greci. 346, 158. ὃταν πέμψῃ αὐτῷ τίποτε O Σ ; om. V Δ 346, 160. ἐν ἐλέει O Σ; om. V Δ ? 346, 176. ἀνθρώπων O Σ (¿þçÚçÂx) ; om. V Δ 346, 186. πρό τοῦ σώμτος O Σ (ĀÙ¾ćãËù); om. V Δ 26
348, 20 (nuova collazione). τῶν ? ; ψυχῶν ὑμῶν V Δ Σ (
ÎÝĀþóæ) ἡμῶν O 348, 21. ὡς λόγον ἀποδώσοντες V Δ Σ; om. O 349, 5. και V Δ Σ; om. O 349, 9. φησιν O Σ; om. V Δ
La VitadiGiovanniilMisericordioso non è l’unico caso di testo agiografico circolante al di là delle frontiere confessionali, cf. BINGGELI, LescollectionsdeVies, pp. 66-67.
XVIII
INTRODUZIONE
350, 5. σώφρων O Σ (¿ćäÚÞÐ) ; om. V ; ἐν ἁγίοις Δ 350, 13. πρᾳείᾳ καὶ ἡσύχῳ O Σ (¿ćäÚêÂ{¿ÑÚæ); πρᾳείᾳ V Δ 350, 20. καὶ εὐφρανθῆναι O Δ Σ (|{üäà{); om. V 351, 40. εἰ Δ Λ Σ (üÚÆæs); ἐν V; deestinO 352, 2. θεωρῶν V Δ Σ ; om. O 352, 93. καὶ εἶπον O Σ ; εἶπον V Δ 352, 11. καὶ λέγει O Σ ; λέγει V Δ 353, 2. ὡς καὶ πᾶσιν. ἐπιτρέπει οὖν αὐτῷ V Δ Σ ; om. O 353, 30. σοι V Δ Σ ; om. O 353, 30. καὶ ἀποθάνεις V ; καὶ ἀποθάνης O ; ἕως οὗ ἀποθάνῃς Δ Σ ? (¿ÚÑÂßÙĀÙsx¿ćäÝ) 353, 44. γέμομεν V Δ Σ ; ἔχομεν O 353, 54. ἐχαλάσαμεν V Δ Σ ; ἐχάλασεν O 354, 49. καὶ τὸ ἥμισυ οὕτως O Δ Σ ; om. V 355, 13-14. τοῦ οἰκονόμου καὶ τοῦ λογοθέτου O Σ (ÎãÎçùs Îà ¿ÔÙÎÅÎà Îà{); τοῦ λογοθέτου καὶ τοῦ οἰκονόμου V Δ; 355, 15. αὐτῷ V Δ Σ ; om. O 355, 16. συνάξεως V Δ Σ ; O: ἁγίας συνάξεως 355, 18. μονογενῆ V Δ Σ ; ἕνα O 355, 23-24. ἱερωσύνη O Δ Σ (ÎæÍÝ); ἁγιωσύνη V 355, 24. λίτρας V Δ Σ ; om. O 355, 24-25. ἐνοικούσης O Δ Σ ({zÁüäïx); ἐνυπαρχούσης V 356, 3-141. Ἰωάννης ὁ ἐλάχιστος κατὰ συγχώρησιν V O ; ὁ ταπεινὸς Ἰωάννης Δ Σ 356, 53. ἔγραψα V Σ ; καὶ ἔγραψα OΔ
357, 45. ἐπὶ αὐτοῦ O Δ Σ ; ἐπὶ αὐτῶν V 357, 55. προσφορά V Δ Σ (¿ÂzÎã) ; προσφορὰ καὶ θυσία O 358, 39. σου V Δ Σ ; om. O ? 358, 41. μοδίων O Σ (¿ÙËã) ; om. VΔ 359, 10-11. τινὲς δέ φασιν καὶ αὐτὸν ? εἶναι V Δ Σ ({{zèÙüãsèÚþæs{) ; om. O 359, 18. καὶ V Δ Σ ; om. O 359, 66. (nuova collazione) περὶ τῶν τῆς ἁγίας ἐκκλησίας O Σ (ÀĀþÙËù ÀËïx èÚáÙs) ; περὶ τῆς ἐκκλησίας V ; περὶ τῆς ἁγίας ἐκκλησίας Δ 3566 ,9 (nuova collazione). περὶ τῶν πτωχῶν μου καὶ ἀδελφῶν O ; περὶ τῶν πτωχῶν καὶ ἀδελφῶν μου V ; περὶ δὲ τῶν ἀδελφῶν μου τῶν ? ? πτωχῶν Δ Σ (¿çÞêãÛ Ðs) 359, 72. μερὶς καὶ κλῆρος O Σ (À{üÙ{ ÀĀçã) ; μερὶς οὐδὲ κλῆρος V Δ Atti, 8:21 361, 37. εἰ μὴ V Δ Σ (¿ćà Îàsx) ; om. O ? 362, 61. μερῶν Ο Δ Σ (¿ÃÅ) ; om. V 362, 64. μοι V Σ ; om. O Δ 363, 1. τούτῳ V Δ Σ (¿æÍà) ; om. O 363, 2. τούτου V Δ Σ ; τοῦτο O 363, 45-46. ποιῶ εἰς αὐτὸν πρᾶγμα ἵνα ξενισθῇ πᾶσα Ἀλεξάνδρεια O Δ Σ ; om. V 364, 5. ἀργόν O Δ Σ (¿Úçäáï) ; om. V 364, 6. ἀλλ’ O Δ Σ ; om. V ? 364, 9. χροιῶν V Δ Σ (¿æÎÅ) ; χρυσίων O 364, 27. κληρικοὺς καὶ λαϊκούς V Δ > Σ (¿ćäïèã{s{üÚáùèã) ; κληρικούς Ο
INTRODUZIONE
366, 10. τῶν κτητόρων O Δ Σ (èã ? ¿çÂy{) ; om. V 366, 19. μηδὲν πέμψαντι ἄξιον τοῦ ναοῦ τοῦ Χριστοῦ V Δ Σ ; om. O 367, 45. σκεπάζεσε καὶ θερμένεσε O Σ (ÛêÞã); θερμαίνῃ V Δ 367, 69. αὐτῶν Δ Σ ; αὐτοῦ V ; αὐτὸν O 368, 40. ὧδε V Δ Σ (¿Ýz) ; om. O 369, 51. ἓν V Δ Σ (ÁËÐx) ; om. O 369, 86. ὁ Χριστός μου O Δ Σ (üäà) ; ὁ Χριστός V 370, 93. χρυσίου V Δ Σ ; om. O 370, 95. παραιτουμένου V Δ Σ (ÛáÝs{) ; παρισταμένου O 370, 106. δοῦλον O Δ Σ (ÁËÃï) ; δούλους V 370, 114. νομισμάτων πεντήκοντα V O ; εἱς νομίσματα τριάκοντα Δ Λ ? Σ (ÁÌçÙxèÙĀà) 370, 116. τίποτε ἐκ O Σ ; om. V ; ἐκ Δ 370, 120. καίπερ V Δ Σ ; καὶ O 370, 131. τὴν τιμήν σου V Δ Σ ? (ßÚäÚÓ) ; τιμὴν τοῦ σώματος σου O 370, 144. ἀλλήλων O Δ Σ (ËÑàËÐ) ; om. V 371, 142. αὐτοὺς ἤρξαντο χαρακτηρίζειν V Δ Σ ; om. O 371, 147. νομίζομεν Δ Σ ; νομίζω O V 371, 151. μὰ τὸν θεόν V Σ (ÀÍà¾Â) ; μὰ τὸν κύριον O ; deestinΔ 371, 106. ἐξελθεῖν V Δ Σ (üðäà) ; om. O 371, 147. ἐν ὀνόματι κυρίου V Δ Σ ; om. O 372, 6. ὅτι O Σ ; om. V Δ 372, 11. ὑπὸ τινoς O Δ Σ (sĀýs ? èÚþæsèã) ; om. V
XIX
372, 13. με ἀπέδυσεν V Σ ; om. O Δ 372, 14-15. μαθητοῦ αὐτοῦ O Δ Σ (zËÚäà); μαθητοῦ V 372, 15. τὸ μικρὸν εὐαγγέλιον V ; τὸ εὐαγγέλιον O Δ Σ 372, 32. ἁγίων V Δ Σ ; om. O 372, 190. Il finale lungo del capitolo XXI, conservato da Δ Λ Σ è a nostro parere originale. οὐ γὰρ ὅτι καὶ μόνον ἐκ τοῦ αὐτοῦ βίου ἱκανὸς ἦν καὶ τὸν μὴ θέλοντα ὠφεληθῆναι οἰκοδομῆσαι, ἀλλὰ καὶ ἐκ τῶν θεαρέστων αὐτοῦ καὶ ἀψευδῶν διηγημάτων. Εἰ τοῦ ἰδίου αἵματος οὐκ ἐφείσαντό τινες τῶν ἀνθρώπων, ἀλλὰ καὶ αὐτὸ ἔδωκαν εἰς τὰς χεῖρας τῶν ἀδελφῶν, μᾶλλον δὲ τοῦ Χριστοῦ, πῶς ἄρα ἡμεῖς μετὰ προθυμίας καὶ ταπεινώσεως ὀφείλομεν κἂν χρήματα διδόναι; ἤγουν τοις πτωχοῖς καὶ πένησιν, ἵνα τὴν ἀντιμισθίαν λάβωμεν παρὰ τοῦ δικαίου μισθαποδότου θεοῦ ἐν ἐκείνῃ τῇ φοβερᾷ καὶ φρικτῇ τῆς ἀνταποδόσεως ἡμέρᾳ, ὥστε οὖν ὁ σπείρων φειδομένως, φειδομένως καὶ θερίσει καὶ ὁ σπείρας ἐν εὐλογίαις, τουτέστιν καὶ μεγαλοψύχως, πολυπλειόνως καὶ θερίσει, τουτέστιν τὰ ἀγαθὰ ἐκεῖνα κληρονομήσει τὰ πᾶσαν διάνοιαν ὑπερβαινοντα. Δ οὐ γὰρ ὅτι καὶ μόνον ἐκ τοῦ αὐτοῦ βίου ἱκανὸς ἦν καὶ τὸν μὴ θέλοντα ὠφεληθῆναι οἰκοδομῆσαι, ἀλλὰ καὶ ἐκ τῶν θεαρέστων αὐτοῦ καὶ ἀψευδῶν διηγημάτων. Εἰ τοῦ ἰδίου αἵματος οὐκ ἐφείσαντό τινες τῶν ἀνθρώπων, ἀλλὰ καὶ αὐτὸ ἔδωκαν εἰς τὰς χεῖρας τῶν ἀδελφῶν,
XX
INTRODUZIONE
μᾶλλον δὲ τοῦ Χριστοῦ, πῶς ἄρα ἡμεῖς μετὰ προθυμίας καὶ ταπεινώσεως ὀφείλομεν κἂν χρήματα διδόναι; V deestinO ? èçðäýx . ÛÐs . ¿ýz èÙx èçÐ ? . ÀÍàs ĀáÐx Îçù À¾ÚÆéx ? . ¿æĄÐ¾ćà
{zĀþóæ {ËÃðý{ ¿ÚÝÎé{
üãx ÍÂÎÐ âÔã ¿ćãÍæ¿ćà .¿ÚäýxÀÎÞáãx ? ? ? èÚÚÐxÀĀã ÎÙüäÆæ{ .
Āþóç ? ? èàèÙ{Íæ¿ćàx .¿ÚæĄÆò¿ÑÚç ? èçðäý{èçÙüùx¿æĄÐsxÀüÚóý ¿ćäÝâÝ{ [...]ÀĀðÂĀà{¿çÙËà üÙĀÙ .¿ÃÓ¿ÃáÂÀ{zuÍÙx > ¿ćã{z¿Æé{À{züÂĀã ? . z{ËÙs ĀÚ À{z z{ĀÙsx . À{z uÍÙ ¿ÞéÎÑÂx ¿ćã{ .ÍàÀ{züêÐ Σ Quocienshylariterlargiorethabundanterpauperibus,habundantetuestra. Et si quando parce, minorantur etuestra.Λ 373, 1. Il capitolo XXIII inizia in O e Σ con la narrazione della storia del monaco, mentre la digressione riguardante i rapporti tra Giovanni e i monaci costituisce la conclusione del capitolo precedente. 373, 11. καὶ νομίσαντες O Δ Σ (ËÝ èÙüÃé) ; om. V 374, 55. τὸ στιχάριν O Σ (Íæ¾ćã) ; om. V Δ 374, 77. αὕτη ἡ καλῶς βραχεῖσά μοι O Σ Δ ; om. V 374, 85. ἔβαλα μετάνοιαν V ; ἔλαβα αὐτήν O Σ (̇zĀáúýs{) ; ἔλαβον αὐτήν Δ
376, 15. καὶ ἐποίησεν εὐθέως σύναξιν τελείαν ἐπάνω αὐτοῦ V Δ Σ (¿çÂÎùuüù{) ; om. O 376, 30. τοῦ ἐνιαυτοῦ O Δ Σ (ÀĀçþÂ) ; om. V 376, 34. τῇ ἁγίᾳ πεντηκοστῇ V Δ Σ ; τοῦ τιμίου σταυροῦ O 376, 44-50. Σ e Δ non presentano come V e O l’erronea inclusione nel finale del capitolo XXIV dell’inizio del capitolo XXV. 377, 46. ὅταν ἀγαθόν τι πράξωμεν V ? Δ Σ (ÀüÚóý èçÙËÃïx Āãs) ; ὁδὸν ἀγαθὴν κτησόμενοι O 377, 59. καθαρόν O Δ Σ (¿ÚÝx) ; om. V 378, 2. αὐτοῖς V Δ Σ ; οὕτως O 378, 14. ἀργυρίου ἀναγλύφου λόγῳ τῆς ὑπηρεσίας αὐτοῦ V Δ Σ (ßÙs ¿óÚáÅ¿ćã¾éx z{Āóàx) ; ἀργύρου τῆς ὑπηρεσίας αὐτοῦ O > 378, 15. βαστάζοντι V Δ Σ ({Íà À{zèÚðÓx) ; om. O 378, 35. ἠσθένησεν O Δ Σ (ÍýËÅ ;(¿æzÎÝἔπαθεν V 379, 40. πρὸς αὐτόν V Δ Σ ; om. O 379, 41-42. τοῖς ἀδελφοῖς τὴν τοιαύτην διάδοσιν; πέπεισο, ἐν ἀστειότητι εἶπόν σοι δοῦναι V Δ Σ ; om. O 379, 49. ἰατροῦ O Δ Σ ; om. V 379, 50. χρόα O Δ Σ (¿æÎÅ{) ; χρεία O 379, 70. τὸ κάλλος καὶ τὸ μέγεθος O Δ Σ (ßÙs{ züòÎý ßÙsx zÎÂ); τὸ μέγεθος καὶ τὸ κάλλος V
INTRODUZIONE
379, 71. ἀνθρώπων V Δ Σ ; ἀνθρώπου O 380, 25-26. εὑρέθη αἴτιος V Δ Σ ; om. O 381, 45. παραμυθήσασθαι V Δ Σ (ÍÚæ{¾ÚÃæx); ἀναμνήσασθαι O 381, 14. παραυτὰ λέγων V Σ ; om. O ; deestin Δ 383, 26. ποιῆσαι V Δ Σ ; om. O 385, 19. οὐ δίκαιον V Δ Σ ; om. O 385, 37. φέρε V Δ Σ ; om. O 386, 33. οὐ V Σ ; om. O ; deestinΔ 386, 38 (nuova collazione). μίμημα Δ Σ ; μήμιμα V ; μή O 387, 5. ἐξῆλθεν καὶ έρχεται O Δ Λ Σ (Às{ züÙx ûÃý{); ἐξέρχεται V 387, 18: τοῦ κελλίου V Δ Σ ; om. O 387, 35. σε V Δ Λ Σ ; με O 389, 83. ἔκαυσεν πάντα τὰ δοθέντα V Δ Σ ; om. O 389, 99. ἐσωφρόνουν V Δ Σ ; ἐκαθέζοντο ἐλευθερίως O 390, 132. καὶ δίδει αὐτῷ κόσσον V Δ Σ ; om. O 390, 135. καὶ λέγει O Σ; λέγων V Δ 390, 150. Ἰωάννῃ O Δ Σ; om. V 390, 155. ἄνδρας V Δ Σ ; ἄνδρας καὶ φρονήσασαι O 391, 158. ἡμῶν O Σ; om. V Δ 391, 159. oὐ V Δ Σ ; om. O 391, 163. κοιμηθέντα ἢ οἶνον πιόντα ἢ δύο ὥρας τῆς νυκτὸς O Σ ; om. V Δ; 391, 179. μετὰ θάνατον V Δ Σ ; om. O 391, 9. τούτοις V Δ Σ ; om. O 392, 1. εἴ ποτε V Δ ; ὅποτε O Σ
XXI
392, 6. ἐλεήμονες V Δ Σ ; ἀμετάδοτοι O 392, 21. εἰς ἐμαυτόν O Σ ; om. V Δ 392, 35. δέκα V Δ Λ Σ; δέκα δέκα O 392, 37. τῇ κλεψοσύνῃ V Δ Σ ; ταῖς κλεψοσύναις Ο 393, 4 (nuova collazione). καθήμενον V Δ Σ ; καθημέραν Ο 393, 7. αὐτοῦ O Δ Σ ; om. V 393, 14. ἤρξαντο λέγειν οἱ τρεῖς τὸ ‘Πάτερ ἡμῶν V Δ Σ ; om. O 393, 16 (nuova collazione): αὐτοῦ O Σ ; om. V Δ 393, 21. οὐδὲν γὰρ ἐποίησεν εἰ μὴ ἵνα μετ’ αὐτοῦ ἔσω εἰς τὴν σύναξιν O ; om. V Δ Σ 394, 14. τὰς τῶν ἁγίων φωνὰς λογιζό? μενος O Δ Σ (
{ÍÚáäàÁxÍïĀã ? ¿þÙËùx); τῶν ἁγίων πάντων V 394, 15 (nuova collazione). ὑμῶν V Σ ; ἡμῶν O Δ 394, 17: ἑαυτοὺς ὠνόμαζον O Δ Σ ; om. V 394, 18. ὅτε V Δ Σ ; om. O 395, 50. πολύ… διελέγετο V Δ Σ ; πολλοί… διελέγοντο O 395, 60. πολλήν V Δ Σ ; οὐ πολλήν O 395, 65. οὐδείς O Δ Σ ; οὐδέν V > 395, 66. συμβοηθήσει O Σ (Ëðæx); συμπαθήσει V Δ 396, 96. ἔξελθε ἔξελθε O Σ ; ἔξελθε VΔ 396, 98. Χριστῷ V Δ Σ ; θεῶ O 397, 7. ἅγιον O Δ Σ ; θεῖον V 397, 10. ἢ V Δ Σ ; om. O 397, 13. μου O Λ Σ ; om. V Δ
XXII
INTRODUZIONE
398, 5. ἀπὸ κάλιγος εἰς πατριάρχην χειροτονηθείς O Δ Σ ; ὡστε ἄφνω πατριάρχην χειροτονηθῆναι V 398, 13. ὑμῖν V Δ Σ ; om. O 398, 13 (nuova collazione). μου V Δ Σ ; om. O 398, 14 (nuova collazione). ὑφ’ ὑμῶν V Δ Σ ; ὑφ’ ἡμῶν O 400, 7 (nuova collazione). ἐν μιᾶ V; om. O Δ Σ 400, 14. τοῦ νεωτεριστοῦ V Σ ; νεωτέρου O Δ 400, 15. τὴν μονάστριαν ἁρπάσαντος > O Δ Σ (ÀĀÙüÙxÍàÍÃçÅx); τὸ ἀπέργιν ποιήσαντος V 400, 20. ἕως V Δ Σ ; ὡς O 400, 20. ἀνέγνων V Δ Σ ; ἀνέγνω O 400, 28. τοῦ καταγέλωτος αὐτῶν V Σ ; τοὺς καταγελῶντας αὐτοῦ Ο ; deestin Δ 400, 31. φήμη V Δ Σ ; φημί O 400, 41. εἴδομεν τὸ παιδίον V Δ Σ ; οἴδαμεν O 400, 46. ἐκεῖσε O Δ Σ ; om. V 401, 10. ὅρκου V Σ ; ῥόγχου O ; ὀργῆς Δ
401, 68 (nuova collazione). καὶ διατοῦτο O Σ ; διατοῦτο V Δ 402, 21. ποτε V Δ Σ ; om. O 402, 24. καὶ τὴν δικαιοσύνην αὐτοῦ O Δ Matteo 6:33 ; om. V Λ Σ 403, 38. παραστάντα V Δ Σ ; om. O 403, 44. προλαβών V Δ Σ ; προβαλών O 404, 5. διαθήκην V Δ Σ (Ûù¾Ù¾Ùx) ; διὰ τήν O 405, 5. αὐτοῦ παραγεναμένου V Σ ; αὐτοῦ γενομένου O ; deestin Δ 406, 15-16. ὅσα ἐὰν δήσητε ἐπὶ τῆς γῆς ἔσται δεδεμένα ἐν τῷ οὐρανῷ O Δ Σ ; om. V 406, 23. συγχωρῇ σοι V Δ Σ ; συγχωρήσει O 406, 31. ὁρκίζω σε O Σ ; ὁρκίζουσα V ; παρακαλοῦσα Δ 406, 50. ἔκνους V Δ Σ (ÀĀÚçý) ; ἔγνω O 407, 84. ἔα V Σ (ÛÞàÛáý) ; ἀντὶ τοῦ O ; καὶ οὐκ ἐᾷς αὐτοὺς ἀναπαῆναι Δ 408, 25. νέῳ ὄντι V Δ Σ ; om. O
XXIII
INTRODUZIONE
4. TABELLA DI CORRISPONDENZA CAPITOLI GRECO-SIRIACO Versione lunga del testo greco (edizione Festugière)
Versione siriaca
Prologo
Prologo
1
1
2
2
3
3
4
4
5
(4)
6
5-6
7
7
8
8
9
9
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10
11
11
12
12
13
13
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16
16
17
17
18
18
19
19
20
20
21
(20)
22
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23
22
24
23-24
25
25
27 [26]
26
28 [27]
27
29 [28]
28
XXIV
INTRODUZIONE
Versione lunga del testo greco (edizione Festugière)
Versione siriaca
30 [29]
29
31 [30]
30
32 [31]
(29 infine)
33 [32]
–
34 [33]
–
35 [34]
31
36 [35]
32
37 [36]
–
38 [37]
33
39 [38]
34
40 [39]
35
41 [40]
36
42 [41]
37
43 [42]
(36 infine)
45 [43]
38
46 [44]
39
47 [45]
40
48 [46]
41
49 [47]
–
50 [48]
42
51 [49]
43
52 [50]
44
56 [51]
–
57 [52]
(44)
58 [53]
(44)
59 [54]
45
60 [55]
46-47-48
STORIA DEL SANTO E BEATO MAR GIOVANNI IL MISERICORDIOSO, ARCIVESCOVO DI ALESSANDRIA, IN CUI VI SONO QUARANTOTTO CAPITOLI. FU SCRITTA DA LEONZIO, VESCOVO DI NEAPOLIS DELL’ISOLA DI CIPRO. [343.5] 1 Mi è sembrato opportuno, fratelli miei e padri miei, presentare la storia di questo santo Mar Giovanni, affinché abbiano giovamento coloro che leggono e ascoltano e affinché glorifichino la santa Trinità1, che purifica e fa splendere i suoi santi, in modo tale che essi risplendano come stelle lucenti per coloro i quali giacciono nell’oscurità e nelle tenebre della morte2. Il nemico dunque della nostra stirpe, colui che ha costantemente in odio le nostre virtù, ha reso gli uomini in quest’epoca tali che, quando ascoltano le storie e i prodigi degli antichi, dicono: “Certamente al tempo degli antichi non erano difficili le azioni buone, invece in questo nostro tempo la carità si è inaridita, come disse l’apostolo divino3, e per questo nessuno è capace di compiere in esso azioni buone come nelle epoche precedenti”. Per questo noi desideriamo raccontare le azioni e i prodigi del santo Mar Giovanni, affinché ciascuno riconosca che in ogni tempo è facile compiacere Dio per chi lo desidera. [345.108] 2 Io una volta giunsi ad Alessandria, per pregare nella chiesa dei santi e vittoriosi Mar Ciro e Mar Giovanni. E un giorno, mentre mi aggiravo per la città, mi sedetti vicino ad uno degli abitanti della città, un uomo umile e santo. E recitavamo discorsi dalle Sacre Scritture, ed ecco un uomo straniero si avvicinò a noi e chiese l’elemosina, ma non si trovò con noi niente da dargli. Ed uno di coloro i quali erano seduti presso di noi aveva un servo salariato, che riceveva da lui tre denari ogni anno ed aveva una moglie e dei figli. E avvenne che, dopo che quello straniero se ne fu andato dal nostro cospetto, il salariato si alzò e lo seguì. E tolse la croce d’argento che era appesa su di lui, e la diede a quello 1 La recensione α presenta un diverso incipit: âÂÎù{ ÀĀÙx{{ ÀĀÐÎÃý ¿þÙËù¿Ð{üà{Áü¾ćà{¿Â¾ćàÀÎÃÚÓ“Gloria e lode e ringraziamento al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo”. Messo a confronto con la versione corta ed il testo greco, l’incipit di α dà la netta impressione di costituire un’innovazione, frutto di una semplificazione del periodo iniziale operata dal redattore. 2 Giobbe 3:5; 28:3; Luca 1:79. 3 Matteo 24:12.
2
PROLOGO
straniero, giurando che non possedeva nient’altro se non quello. E Dio volle e io vidi quel salariato e lo mostrai all’uomo virtuoso, il cui nome era Mena, che sedeva vicino a me, il quale era economo della santa chiesa ai tempi del santo vescovo Giovanni. [346.141] 3 E avvenne che, quando mi vide che mi meravigliavo e che lodavo ciò che aveva fatto il salariato, mi disse: “Non meravigliarti, giacché questa dottrina egli l’ha ereditata da un uomo santo”. E io risposi e gli dissi: “Raccontami, in nome di nostro Signore”. E rispose e mi disse: “Questo salariato ereditò le buone azioni che faceva il suo beato padre, che sempre gli comandava e diceva: “Povero Zaccaria4, sii misericordioso, ed io ti prometto che né durante la mia vita né dopo la mia morte ti mancherà nulla”. E costui conserva il precetto del padre suo fino ad oggi. E Dio gli manda sempre un suo dono5, e non si trova tra le sue mani nemmeno un follis che egli non dia subito ai poveri. E molte volte i suoi familiari sono in ristrettezze a causa delle sue elemosine. E talvolta i compagni lo sentivano dire in esultanza a Dio, quando aveva qualcosa per le mani: “Sì, tu invii e io distribuisco6, e vedremo chi vince. In ogni caso vinci tu, mio Signore, che sei ricco di compassione e di pietà e che sei datore di vita”. E molte volte va da lui un povero che chiede l’elemosina e non si trova presso di lui nulla da dargli, e subito va da uno degli abitanti della città e gli chiede in prestito e dice: “Per la carità di nostro Signore, dammi tre denari ed io ti servirò in cambio di essi finché tu lo vorrai, poiché i miei familiari sono molto affamati”. E li prendeva e li dava al povero, esigendo da lui giuramenti, perché nessuno venisse a conoscenza di ciò che gli aveva dato”. [346.170] 4 E avvenne che, quando quell’uomo virtuoso mi vide che prestavo orecchio alle sue parole con piacere, allo stesso modo in cui uno ascolta le parole del santo Vangelo, mi disse: “Ti meravigli per queste cose, fratello mio? E in che modo se avessi visto il nostro padre, l’arcivescovo Giovanni! Allora ti saresti meravigliato grandemente”. Ed io risposi 4 Il nome del servo Zaccaria è conservato solo dalla versione corta, mentre la recensione α riporta semplicementeü“figlio mio”. 5 Il testo della versione corta si avvicina maggiormente al greco rispetto ad α, in quanto conserva il corrispettivo della frase πέμπει εὐλογίας. Sul significato di “regalo” che il termine εὐλογία assume nel contesto, cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 207, n. 1. > Alcuni 6 Solo la versione corta conserva traccia del greco ναί (èÙsx) e πέμπων (ËA ý). testimoni del ramo α, il cui redattore ha operato qui una metafrasi, presentano subito dopo una correzione grammaticale, introdotta per normalizzare la sintassi.
PROLOGO
3
e dissi: “E che cosa di più eccellente avrei visto rispetto alle cose che ho visto e udito?”. E rispose di nuovo e mi disse: “In verità io ti dico che questo santo Giovanni mi fece presbitero ed economo della santa chiesa, e mi apparvero i prodigi e le grandi azioni che egli fece, che superano la natura degli uomini. E se tu acconsenti a venire con me a casa mia, io ti racconto le cose che i miei occhi videro dei suoi prodigi, e non che un altro mi ha raccontato”. E dopo avermi detto queste cose, io lo presi per mano e lo feci alzare ed andammo a casa sua. E volle per prima cosa allestire per me la tavola per mangiare. Ed io gli dissi: “Non è giusto, o fratello mio, che tralasciamo il cibo spirituale dell’anima e che consumiamo prima il cibo del corpo, ma mangiamo prima il cibo che non si consuma e poi diamo al corpo il suo necessario”. [347.188] 5 E iniziò a raccontarmi la storia del santo Giovanni, ed in tutti i suoi discorsi non giurò mai. E nessuno lo sentì giurare dacché fu consacrato all’ordine del sacerdozio, come anche molti testimoniarono su di lui. Ma, come sa il Signore7, egli mi fornì testimoni per tutte le cose di cui parlò con me per la mia utilità. Allora chiesi la carta e l’inchiostro e incominciai a scrivere.
7 La recensione α riporta:
üã ôáãx ¿çÞÙs “come insegna nostro Signore”. Il redattore potrebbe fare qui riferimento al precetto di Matteo, 18:16 relativo all’affidabilità dei testimoni. Il testo della versione corta ci sembra tuttavia qui più vicino all’originale, in quanto l’espressione¿ÙüãËÙx¿çÞÙspare riflettere la formula di giuramento presente in greco ὡς ἐπὶ κυρίου (347, 191).
CAPITOLO I [347.1] Ed iniziò a parlare e mi disse così: “Dopo che questo santissimo divenne arcivescovo di questa città e sedette sul suo trono, chiamò gli economi della santa chiesa al cospetto di tutto il popolo e disse loro: “Fratelli miei, non è giusto che noi ci preoccupiamo di qualcosa prima che delle cose che sono gradite a Cristo. E ora andate e girate per tutta la città, e fatemi pervenire il numero di tutti i miei padroni”. Ma gli economi non compresero ciò che egli aveva detto loro, e si stupirono ed iniziarono a riflettere tra di loro e a dire: “Chi sono i padroni dell’arcivescovo?”. Allora il beato disse loro: “Coloro i quali voi chiamate poveri e bisognosi sono in verità i miei padroni e i miei padri, giacché essi possono renderci eredi del regno dei cieli”. E gli economi fecero come egli aveva detto loro, e gli fornirono il loro numero. Ed ordinò che venissero sempre date loro dal patrimonio della chiesa1 tutte le cose loro necessarie. Era il loro numero più grande di ottomilacinquecento2.
1
La lezioneÀËïxÁüÅsèãè conservata esclusivamente dalla versione corta. Sebbene il concetto non corrisponda con precisione al greco ἐκ τοῦ οἰκείου αὐτοῦ διαδότου, non si può escludere che la frase costituisca la traduzione di ciò che vi era nel modello greco perduto. Abbiamo pertanto scelto di accoglierla nel testo dell’edizione. 2 Il numero dei poveri presenti in Alessandria è di ottomilacinquecento secondo la versione siriaca e la versione latina di Parigi, settemilacinquecento secondo tutti i testimoni greci.
CAPITOLO II [348.1] E il giorno seguente inviò gli economi e alcuni altri dei suoi ministri, e non lasciò in tutta la città né una misura né una bilancia piccola e grande, e fece in modo che i cittadini vendessero e comprassero1 con una sola misura. E scrisse un decreto e lo affisse nelle piazze della città. E in esso era scritto così: “Da Giovanni, umile e povero e servo dei servi del nostro Signore Gesù Cristo, a tutto il gregge che Cristo affidò nelle nostre mani. Io vi informo, miei cari, che il divino apostolo Paolo comanda e dice, per mezzo della grazia che Cristo ha conferito: ‘sottomettetevi ai vostri capi e ascoltate la loro voce, poiché essi vigilano su di voi e rendono conto delle vostre anime2’. E ho fiducia, fratelli miei, che ora voi prestiate ascolto alle parole di Dio, e che voi accogliate le nostre parole come parole di Dio e non di un uomo. Ed ora io vi chiedo che da questo momento non si veda tra voi questo peccato della variazione delle bilance, poiché la divina Scrittura dice: “Dio odia la bilancia e la bilancia3”. E colui che viene trovato, in seguito a questo comando, a trasgredire le cose che ho ordinato, ogni cosa che egli possiede la avranno i poveri, senza che egli abbia né ricompensa né merito”.
1 Tutti i manoscritti di α riportano il punto diacritico sotto il primo verbo e sopra il secondo, cosicché i loro significati risulterebbero invertiti rispetto al greco. Sebbene sia possibile che questa situazione rifletta in realtà un’innovazione presente nel modello greco della versione siriaca, abbiamo preferito emendare il brano, considerate le frequenti oscillazioni nell’uso dei diacritici e la loro alta predisposizione a subire alterazioni durante il processo di copiatura. 2 Ebrei 13:17. 3 Il testo della recensione α (À¾êã{ À¾êãx) e della versione latina del codice Par.lat. 3820 (mensuraetmensura,pondusetpondus) alludono ai brani di Proverbi 20:10; 20:23, laddove invece il testo greco (στάθμιον μέγα καὶ μικρόν) e la versione siriaca corta (ÁÎï|{ ¿Â¿ćáùĀãx), alludono piuttosto a Deuteronomio 25:13. Considerati i rapporti ecdotici tra la versione siriaca e quella latina, si tratta di stabilire se l’innovazione fosse già presente nel loro modello greco, oppure se si sia generata indipendentemente nel corso della tradizione manoscritta. Propendiamo per la prima delle due ipotesi, dal momento che la versione corta potrebbe qui riprodurre il testo dell’originale greco per altre ragioni: l’innovazioneÀ¾êã{À¾êãxè infatti facilmente reversibile. All’inizio del capitolo già ricorreva il riferimento allo στάθμιον μέγα καὶ μικρόν / ÁÎï|{¿Â¿ćáùĀãx. Il redattore di Π potrebbe aver recuperato da lì questa lezione, per sostituire quella che poteva apparirgli una dittologia. Questo tipo di lavoro redazionale è del resto ampiamente attestato dalla versione corta.
CAPITOLO III [348.34] Fu detto una volta a questo santo che i funzionari della chiesa ricevevano una tangente e che trascuravano molto i doveri della santa chiesa. E subito mandò a chiamare e riunì1 a sé i funzionari, e non rivelò loro le cose che gli erano state dette o li rimproverò, ma raddoppiò loro le prebende che essi ricevevano dalla chiesa. E stabilì per loro il principio che non accettassero la corruzione da nessuno. E disse loro: “La divina Scrittura dice: ‘il fuoco divorerà le case di coloro che accettano la corruzione2’. E diceva a me questo Mena: “Noi davvero vediamo nelle nostre case in seguito a ciò una grande benedizione e molti benefici, al punto che alcuni di noi vollero chiedere al beato di ritirare ciò che egli aveva aggiunto alle loro prebende”.
> che corrisponde a μεταστειλάÈ possibile che soltanto il primo dei due verbi (ËA ý, μενος) sia originale. Il verboÿçÝ, “riunì”, l’unico attestato dal ramo α, potrebbe costituire un’imprecisa parafrasi del primo. La versione corta riporta entrambi i verbi, tra loro coordinati. Si può ipotizzare che ciò sia il frutto della contaminazione tra il ramo α, che presentava l’innovazione, e la fonte indipendente, che ancora conservava la lezione genuina. Abbiamo comunque optato per non espungere il verbo ÿçÝ, in quanto esso è attestato da tutti i manoscritti siriaci. Non possiamo del resto escludere che lo stesso modello greco presentasse delle innovazioni in questo punto. 2 Giobbe 15:34. 1
CAPITOLO IV [349.1] 1 Fu detto ancora a questo santo che molti che erano offesi da altri andavano da lui, e i custodi non li lasciavano entrare presso di lui. E avvenne che, dal giorno in cui egli udì queste cose, ordinava che il mercoledì e il venerdì gli collocassero una sedia e sedeva davanti alla chiesa, ed andava da lui chiunque avesse una qualche questione o causa giudiziaria con il suo vicino, ed egli la risolveva tra di loro. E diceva al cospetto di tutto il popolo: “Se noi miserabili, quandunque vogliamo, ci avviciniamo a Cristo re, a cui è giusto avvicinarsi nella paura e nel tremore, e gli facciamo le nostre richieste, e lui ci dà senza ostacolo, quanto più noi dobbiamo esaudire anche le richieste gli uni degli altri! E si ricorderà il suo discorso vivificante, il quale dice nel santo Vangelo: ‘con la misura con cui misurate, viene misurato a voi’1, ed ancora ciò che è detto secondo la parola del profeta: ‘come tu hai fatto, lo sarà a te’2”. [349.28] 2 E un giorno il santo sedette come suo costume fino all’ora quinta, e non andò da lui nessuno affinché egli risolvesse la sua causa, né nessuno che chiedesse qualcosa. E si alzò, essendo triste e piangendo, e nessuno osando chiedergli la ragione del suo sconforto. E quando entrò in casa e rimase da solo, si avvicinò a lui il saggio Sofronio insieme al suo maestro, i quali erano presso di lui in quei giorni mentre disputavano con gli eretici. E gli dissero: “Qual è la ragione della tua tristezza, o nostro padre spirituale?”. E rispose ad essi con una frase placida e gentile, e disse loro: “Oggi all’umile Giovanni non è stato dato compenso da nessuno, e non ho offerto nulla a Cristo in cambio dei miei peccati”. Ed essi riconobbero subito il suo cruccio, e gli dissero: “Oggi sarebbe stato giusto per te rallegrarti ed esultare e lodare Cristo, che ha ristabilito tramite le tue mani la condizione del suo gregge, al punto che non vi è nessuno che abbia con il suo vicino una controversia giudiziaria. Ed ecco, tu hai reso gli uomini sotto la tua autorità nella forma degli angeli, poiché non vi è sofferenza né controversia tra di loro”. Ed il santo prestò ascolto alle loro parole, e riconobbe che erano vere. E alzò le sue mani3 al cielo e 1
Matteo 7:2. Abdia 15. ? 3 Tutti i manoscritti siriaci riportano z{ËÙs, “le sue mani”, mentre i codici greci attestano concordemente la lezione τὰ ὄμματα, “gli occhi”. È possibile che il modello 2
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CAP. IV
disse: “Io ti ringrazio, mio Signore e mio Dio, di aver ritenuto degno me, peccatore e tapino, di essere chiamato tuo sacerdote e di pascolare le pecore del tuo gregge dotato di ragione”. E subito scacciò da sé la tristezza e fu in grande esultanza.
greco della versione siriaca recasse già in sé l’innovazione. Sfortunatamente, la versione latina di Parigi non può aiutare in questo caso a ricostruire il testo della sua matrice greca, in quanto riassume così l’intera sezione conclusiva del capitolo: superquogratiasagens deoconsolationemrecepit.
CAPITOLO V [350.1] 1 Di nuovo dunque, al tempo di questo santo, i Persiani mossero guerra, ed occuparono e depredarono tutta la Siria. Allora nel nome di questo santo, come in un porto tranquillo, si rifugiavano tutti coloro che riuscivano a sfuggire alla mano dei Persiani, poiché desideravano godere dei suoi aiuti e dei suoi doni. Allora questo uomo divino li riceveva con spirito di accoglienza e li confortava, non come prigionieri, ma come fratelli e congiunti. E subito dunque ordinava che collocassero coloro i quali erano feriti ed infermi nell’ospizio e nel nosocomio che gli appartenevano, e che si prendessero cura di loro e che li curassero, dopo aver stabilito per loro anche i costi, fino a che ognuno di loro non se fosse andato di sua volontà. A coloro che erano in salute e venivano per ricevere l’elemosina, agli uomini dava un carato d’oro ciascuno, mentre alle donne e alle fanciulle, in quanto membri più deboli, due ciascuna. Poiché dunque venivano alcune donne con gioielli ed ornamenti e chiedevano l’elemosina, si avvicinarono e lo informarono coloro ai quali era affidata l’elemosina. [351.20] 2 E rivolse loro una risposta a voce alta, guardandoli in maniera terribile, e disse loro: “Se voi volete essere gli assistenti dell’umile Giovanni, o piuttosto di Cristo, obbedite al comando divino senza investigazione, a quello che disse: ‘a chiunque ti chiede, tu dagli’1. Ma se voi agite furbescamente nei confronti di quelli che vengono per non essere caritatevoli, Dio non ha bisogno di servitori calcolatori, e nemmeno l’umile Giovanni. Se infatti le cose che vengono distribuite fossero mie e fossero nate con me dalla pancia, forse giustamente io conserverei ciò che è mio. Se però le cose distribuite sono di Dio, in ogni modo Dio vuole che in esse sia rispettato il suo rigore. Se dunque per negligenza, cioè per pochezza di fede, voi vi astenete dal dare, poiché temete che la moltitudine delle cose distribuite superi l’ingresso dei beni, io non voglio associarmi alla pochezza della vostra fede. Se infatti il volere di Dio è che io, pur non essendone degno, offra i suoi doni, qualora tutto il mondo si riunisse ad Alessandria desiderando ricevere l’elemosina, i tesori di Cristo non 1
Luca 6:30.
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CAP. V
sarebbero insufficienti, e la santa chiesa non verrebbe impoverita”. E dopo che ebbe rimosso da essi tutta l’ansia e la scarsità di fede che li possedeva, iniziò a dire a coloro che sedevano presso di lui riguardo al dono della misericordia di Dio su di lui.
CAPITOLO VI [351.50] 1 “Quando ero a Cipro, essendo ancora un giovane di circa quindici anni, una notte vidi nel mio sogno una giovane, che nella sua bellezza superava il sole ed era avvenente oltre la cognizione degli uomini, e venne e stette in piedi davanti al mio letto e mi colpì nel mio fianco. Io allora subito mi svegliai e la vidi, e compresi che in realtà non era una donna. E dopo essermi segnato con il segno della croce, le dissi: “Chi sei tu, e come hai osato entrare presso di me mentre io dormo?”. E (lo giuro) come davanti a Dio, portava sulla sua testa una corona intrecciata con rami di ulivo. Allora lei con volto lieto e con un sorriso sulle sue labbra mi disse: “Io sono la prima delle figlie dell’imperatore”. E quando sentii ciò, subito mi inchinai a lei. Ella dunque mi disse: “Se tu mi fai tua amica, io ti introduco al cospetto dell’imperatore. Nessuno ha infatti confidenza davanti a lui come ho io. Io infatti l’ho fatto discendere sulla terra affinché si facesse uomo e salvasse gli uomini”. E dopo che ebbe detto queste cose, scomparve e si dipartì dal mio cospetto. Io dunque, quando tornai in me, compresi la visione e dissi: “Sì, in verità è la Misericordia, e per questo era posta sulla sua testa anche una corona intrecciata di foglie di ulivo. Invero infatti anche la misericordia per gli uomini persuase nostro Signore a vestire la carne e a scambiarsi con gli uomini”. [352.75] 2 Subito allora indossai le mie vesti e, non avendolo rivelato a nessuno dei miei familiari, andai in chiesa, giacché l’alba era ormai prossima. E mentre io andavo, si imbattè in me sulla via uno straniero che era afflitto dal freddo. E tolsi e gli diedi la pelle di capra1 che indossavo. E riflettei dentro di me e dissi: “Ecco, tramite ciò io so se la visione che vidi era veritiera oppure da un demone”. E come la Verità testimonia per me, (giuro) che non raggiunsi la chiesa e all’improvviso mi venne incontro un uomo che vestiva abiti bianchi. E, non appena si imbattè in me, mi diede una borsa in cui vi erano cento denari, e mi disse: “Prendi questi, fratello mio, e amministrali come vuoi”. Io dunque, dopo averla accettata con mia gioia, immediatamente mi volsi indietro per dargliela, 1 I testimoni del ramo α conservano il calco
ÎÚÅsx
ÎÔáã, che riproduce l’hapax leonziano αἰγιόμαλλον (352, 77), “pelle di capra”. I dizionari di siriaco o non attestano il termine
ÎÚÅs, o lo interpretano in maniera errata (ad esempio, SOKOLOF, A Syriac Lexicon, p. 7, lo interpreta come “lana”, associandolo al greco ἔγιον).
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CAP. VI
come se non ne avessi bisogno, e non vidi nessuno. Allora dissi: “Davvero ella non è un fantasma”. E da quel giorno dunque molte volte io davo ai miei fratelli poveri dicendo: “Ora vedrò se Dio manda cento volte tanto, come mi è stato detto2”. E dopo che ebbi molto messo alla prova Dio spesse volte, invero agendo empiamente, tuttavia divenni sicuro per la prova dei fatti e dissi: “Cessa, mia anima miserabile, non tentare Dio, il quale non è tentato dal male!”. E dopo che in questo modo fu data alla mia anima ogni rassicurazione, questi non credenti oggi vogliono volgermi alla non compassione”.
2
Il verbo alla forma passiva attestato nella versione siriaca (Ûàüãss) costituisce senz’altro un’innovazione. L’autore non sta facendo qui riferimento al contenuto della visione di Giovanni, bensì sta alludendo a un brano evangelico, Marco 10:30. Tutti i testimoni siriaci sono concordi su questa lezione, che potrebbe costituire il riflesso di un’innovazione già presente nel modello greco (ἐρρήθην anziché εἶπον). La presenza di questa variante crea un’evidente incongruenza nel racconto, dal momento che a Giovanni non fu mai profetizzata nella visione la centuplicazione dei suoi beni. Il redattore di α ha sentito l’esigenza di apportare dei chiarimenti al brano tramite l’aggiunta di un intero periodo, nel quale si specifica a posteriori il contenuto di quella profezia: “poiché così mi fu detto nella visione: o tu distribuisci e io raccolgo, oppure tu raccogli e io distribuisco, e vedremo chi vince”. La versione corta, che è priva di questa aggiunta, cerca di sanare l’incongruenza in modo diverso. Giovanni, nella riflessione che segue alla donazione del mantello, ricorda e quindi riporta indirettamente le parole della Misericordia, parole che però non sono mai state pronunciate durante l’apparizione: “poiché ella mi disse: per tutto ciò che tu mi dai, io ti darò cento volte”. Il rimaneggiamento operato dal redattore della versione corta è dunque ancora più radicale, poiché presuppone una conoscenza complessiva del capitolo, al fine di operarne una riscrittura totale.
CAPITOLO VII [352.1] Ancora un uomo straniero, quando vide la magnanimità e la molta misericordia di questo santo, volle metterlo alla prova. E andò e indossò abiti poveri e consumati, e venne da lui mentre egli andava a far visita all’ospedale. Questa fu infatti sua abitudine, che due volte o tre alla settimana passava accanto ai poveri e ai bisognosi e li visitava. E quando si presentò davanti a lui quello straniero, disse al santo: “Abbi pietà di me, perché sono un prigioniero!”. Ed il santo disse al suo assistente1: “Dagli sei denari!” E dopo che li ebbe presi quello straniero, andò di nuovo e cambiò i suoi indumenti, e venne nuovamente e si presentò davanti a lui in un altro luogo e si prostrò a lui dicendo: “Abbi pietà di me, mio signore, poiché sono in ristrettezze!”. E di nuovo disse al suo assistente: “Dagli sei denari!”. E dopo che lo straniero li ebbe ricevuti e se ne fu andato, l’assistente si avvicinò e disse al beato a bassa voce: “Per le tue preghiere, mio signore, quello è lo stesso che ricevette i primi denari e quelli di adesso”. L’illustre allora fece finta di non sentire, ed ignorò ciò che gli fu detto. Venne dunque quello straniero e si presentò davanti a lui anche la terza volta, dicendo allo stesso modo: “Abbi pietà di me!”. E avendolo visto l’assistente, colpì il santo nel suo fianco, dicendogli: “È lui quel primo straniero!”. Allora il patriarca rispose e disse all’assistente a voce alta: “Dagli dodici denari, che forse egli è Cristo e vuole mettermi alla prova!”. E così non potè Satana porre una macchia nella misericordia del santo.
1 Traduce il siriaco ¿çäÙÍã, attestato dai manoscritti del ramo α. È assai difficile ricostruire quale vocabolo abbia in origine utilizzato il traduttore per rendere il greco διαδότης, “distributore”. La versione corta attesta in questo capitolo il termine ÎãÎçùs, “economo”, che in altri luoghi è conservato dal ramo α in corrispondenza del greco οἰκονόμος. Mentre διαδότης è sempre reso in α dal termine ¿çäÙÍã, la versione corta attesta in altri capitoli ancheÀĀÚÂo¿æüÂËã, che appaiono piuttosto banalizzazioni di ÎãÎçùs. È possibile che nessuno dei termini attestati dai codici siriaci rispecchi la volontà del traduttore nella resa del greco διαδότης. La versione latina di Parigi lo rende sempre con camerarius.
CAPITOLO VIII [353.1] 1 Ancora, uno dei marinai stranieri aveva perso tutto quello che aveva. E andò presso questo santo, piangendo e pregando che avesse compassione di lui. E ordinò il beato che gli fossero date cinque libbre d’oro. E dopo averle ricevute, il marinaio andò a casa sua e comprò con tutto ciò un carico, e lo mise sulla nave ed uscì da Alessandria. E non essendosi allontanato di molto, un forte vento lo investì, e gettò fuori ogni cosa che era sulla nave, e lui riuscì a salvarsi insieme alla nave. Ed egli ritornò di nuovo dal santo, poiché conosceva l’abbondanza della sua misericordia. E iniziò a supplicare e a dire: “Abbi pietà di me, come Dio ha pietà verso la sua creazione!”. E rispose il santo e gli disse: “Io ti dico la verità, o fratello mio, che se tu non avessi mescolato con l’oro della chiesa quel po’ di oro che era rimasto tra le tue mani, non sarebbe venuta contro di te questa avversità: ciò che era tra le tue mani era infatti esecrabile, e per questo tu hai perso ciò che non era esecrabile insieme a ciò che lo era. [353.14] 2 E comandò di nuovo il beato che gli fossero date dieci libbre d’oro, e gli ordinò di non mescolare con esse nient’altro. E comprò nuovamente un carico e lo pose sulla nave. E dopo che per un giorno viaggiarono per mare, un gran vento avanzò contro di lui e lo scagliò contro la riva della terraferma, e fu distrutta la sua nave e perì ogni cosa che egli aveva in essa, sennonché la sua anima fu salvata per grazia di Dio. E quel marinaio, per la grandezza della sua perdita e della sua disperazione, volle impiccarsi. Ma Dio, che sempre si cura della redenzione degli uomini, rivelò al santo Giovanni la sua vicenda. E gli mandò a dire che venisse da lui senza timore. E andò presso di lui con la cenere posta sulla sua testa con i suoi vestiti lacerati. Quando dunque il beato lo vide in questo stato, si rattristò molto e lo biasimò per aver fatto così su di sé, e gli disse: “Non essere triste: benedetto è Dio, che non soffrirai di nuovo cose come queste in mare finché sei in vita. Ma credi e stai sicuro che questo ti è capitato di nuovo poiché la tua nave fu costruita con mezzi esecrabili”. E subito ordinò che gli fosse data una delle navi della chiesa, carica di ventimila moggi di grano, ed egli la prese ed uscì da Alessandria. [353.36] 3 E giurò a noi il marinaio, dicendo: “Fummo venti giorni e venti notti viaggiando con un vento vigoroso, senza sapere dove andavamo.
CAP. VIII
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Se non che ogni notte il nocchiero vedeva il santo Giovanni insieme a lui che teneva il timone della nave e gli diceva: “Non avere paura, procedete bene”. E dopo venti giorni arrivammo ad un’isola che si trovava nella regione della Britannia, e quando uscimmo sulla terraferma trovammo gli abitanti di quell’isola, presso i quali vi era una grande carestia. E facemmo sapere al capo di quell’isola che trasportavamo grano1. E quando lo sentì, gioì grandemente e ci disse: “Benedetta è la vostra venuta! Se voi volete prendere, vendeteci un moggio di grano per un denario, e se preferite prendete in cambio del vostro carico questo stagno”. E dopo aver ascoltato, scegliemmo di prendere la metà delle quote in oro e la metà in stagno: e così facemmo. [354.53] 4 E avvenne che, quando ritornammo da là per andare ad Alessandria, sostammo nella Pentapoli2”. E scaricò quel marinaio circa cinquanta libbre di quello stagno per venderlo. E lo prese e andò da un suo amico che egli aveva colà e gli disse: “Vuoi comprare dello stagno, fratello mio?”. E lui gli disse: “Sì!”. E pesò lo stagno e glielo diede. E l’uomo che aveva comprato lo stagno volle saggiarlo, se fosse di prima qualità. E ne prese un poco e lo mise nel fuoco, e venne fuori argento buono. E pensò quell’uomo che il marinaio volesse metterlo alla prova. E avvenne che, dopo esser tornato da lui, gli disse: “Che Dio ti perdoni, fratello mio: forse hai visto mai in me falsità, o hai voluto mettermi alla prova con il fatto che mi hai portato argento ed avevi detto che era stagno?”. E dopo aver ascoltato, il marinaio si meravigliò e gli disse: “Viva il Signore! Fino a questo momento io non pensavo che fosse altro che stagno. Se dunque colui che trasformò l’acqua in vino3 trasformò anche questo stagno in argento per mezzo delle preghiere del nostro arcivescovo, non è stata una gran cosa. Se tu vuoi essere persuaso che sia così, vieni, 1 I codici del ramo α presentano da qui fino alla fine del capitolo una serie di innovazioni dovute a fraintendimenti di soggetti e persone verbali. I codici L e M riportano il racconto alla terza persona plurale anziché alla prima plurale, il codice P in parte alla terza singolare, in parte alla prima plurale. Si tratta di innovazioni di facile generazione, data la continua sovrapposizione di discorsi diretti in questa porzione di testo. Lo stesso fenomeno si riscontra indipendentemente in alcuni dei manoscritti greci (i codici O ed E ad esempio riportano ἐχάλασεν). Risulta a nostro avviso indispensabile riportare tutto il discorso alla prima persona plurale. 2 Il codice P conserva qui un verbo alla prima persona plurale (èÚÔã), lezione antica e conforme al greco, in contraddizione con le altre persone verbali del capitolo. Il suo testo è qui preferibile a quello dei codici L ed M (ÎÚÔã), ma non di quello della versione corta (èÙüý), che sembra ricalcare esattamente il verbo greco ἐχαλάσαμεν. 3 Giovanni 2:1-11.
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CAP. VIII
entra nella nave, e vedrai una gran quantità di stagno!”. Egli dunque venne insieme a lui alla nave, e trovò tutto lo stagno che era stato trasformato in argento puro4. E allora gli riferì il marinaio che la nave era della chiesa. E resero gloria a Dio, che compie il volere di coloro che lo temono. [354.79] 5 E avvenne che, quando giunsero ad Alessandria, il marinaio salì dall’arcivescovo Giovanni e gli raccontò ciò che Dio procurò loro nel loro viaggio, e lo pregò che riprendesse da lui ciò che gli aveva dato. Ed il beato non volle prendere niente da lui, ma gli disse: “Figlio mio, ciò che hai ricevuto da noi, è di Dio. E ora vai e ricordati dei poveri, cosicché nostro Signore ti fornisca dei suoi tesori che non periscono”. E l’uomo si congedò da lui, glorificando Dio e lodando il beato. E faceva sempre l’elemosina, e Dio dispensava sempre abbondanza tra le sue mani tutti i giorni della sua vita.
4 I due periodi precedenti sono ripresi integralmente dalla versione corta. Il testo di α, di cui riportiamo di seguito la traduzione, risulta poco logico e non conforme al greco: “Allora quell’uomo estrasse lo stagno e lo mostrò al marinaio, essendo esso diventato tutto quanto argento”. Si tratta di uno dei pochi casi in cui la versione corta conserva un intero brano in forma più estesa e conforme al greco rispetto al ramo α, che al contrario opera qui una radicale semplificazione.
CAPITOLO IX [355.1] 1 Ancora dunque, scendendo una volta il santo Giovanni alla chiesa di domenica, si avvicinò a lui un uomo, la cui casa era stata tutta spogliata dai ladri, fino al suo materasso. Era invero assai ricco quest’uomo, e si vergognava molto, ed informò il santo riguardo al furto che gli era capitato. E si afflisse molto per lui, e chiamò segretamente il suo assistente e gli disse: “Vai, dagli quindici libbre d’oro!”. L’assistente dunque, quando partì per dargliele, si avvicinò all’economo e al logoteta e fece sapere loro ciò che gli era stato ordinato dal patriarca. E per opera di Satana cospirarono tra loro, e non gli diedero se non cinque libbre soltanto1. [355.16] 2 E dopo che il santo fu ritornato dall’ufficio divino, una donna vedova che aveva un unico figlio gli consegnò una lettera, nella quale vi era scritto: “dono alla chiesa di cinque centenaria d’oro”. Quando dunque ricevette questa lettera, dopo aver sciolto la camera di consiglio, chiamò gli amministratori e disse loro: “Quante libbre d’oro avete dato a quell’uomo che venne da me?”. Essi dunque dissero: “Come ci ordinò la tua dignità sacerdotale, mio signore, quindici libbre”. Egli però seppe, per la beatitudine che abitava in lui2 che essi mentirono. E subito mandò a chiamare quell’uomo, e lo fece giurare e gli disse: “Dimmi, quanto hai ricevuto?”. Quello dunque disse: “Mio signore, cinque libbre d’oro”. Allora fece uscire dalle sue mani la lettera che gli era stata data, e la 1 L’interpretazione del brano presenta delle difficoltà, come conferma la situazione dei manoscritti. Il testo greco riporta il verbo (δέδωκαν) alla terza persona plurale, mentre la maggioranza dei codici siriaci (tranne L) lo riportano alla terza singolare. La maggioranza dei codici siriaci interpreta dunque come datore delle libbre l’assistente del patriarca, mentre il codice londinese mantiene come soggetti l’economo ed il logoteta, similmente al greco. La confusione nasce con ogni probabilità dall’interpretazione del pronome αὐτῷ, ambiguo al punto che potrebbe indicare sia l’uomo derubato che l’assistente: i codici del ramo α optano per la prima delle due interpretazioni. La versione siriaca corta risolve la difficoltà evitando di menzionare il logoteta, cosicché l’economo resta l’unico soggetto e l’assistente l’unico destinatario. In conclusione, abbiamo scelto di conservare la terza persona plurale attestata dal codice londinese e di espungere quella che pare essere > un’aggiunta del redattore di α ({zÁüÃÆà), dovuta ad una cattiva interpretazione del pronome Íà/ αὐτῷ. 2 La recensione α riporta a questo punto la frase “ed anche per la visione che gli apparve”. Si tratta senz’altro di un’aggiunta del redattore, incongruente con il contenuto del capitolo.
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CAP. IX
mostrò ad essi e disse loro: “Dio vi chiederà quei dieci centenaria, poiché se voi aveste dato quelle quindici libbre, come disse la mia umiltà, colui che ha portato i cinque centenaria, ne avrebbe portati quindici. E per persuadervi davvero, subito faccio venire colui che è in questione”. [355.35] 3 E subito mandò a chiamare due uomini timorati di Dio e mandò un messaggio alla vedova che gli diede quella lettera: “Vieni subito presso la mia umiltà al battistero, portando con te il dono che Dio mise nel tuo cuore di offrire alla santa chiesa”. Ella dunque subito si levò in fretta ed andò al cospetto del santo, avendo con sé quel dono. E dopo che il santo ebbe ricevuto da lei quel dono, pregò a sufficienza per lei e per suo figlio, e poi iniziò a parlare e le disse: “Sì o no, dimmi: questo soltanto tu avevi da offrire a Dio?”. Avendo intuito che questo ispirato da Cristo era venuto a conoscenza di ciò che lei aveva fatto, ebbe paura e gli disse tremando: “Per le tue sante preghiere, mio signore, e (per quelle) del santo Mar Mena, per me c’era scritto in quella lettera “quindici centenaria”. Ed un’ora prima che io la dessi alla tua signoria, mentre mi trovavo all’ufficio divino, la apersi e la lessi – giacché era scritta da me, tua ancella, con le mie mani – e trovai, (lo giuro) come davanti a Dio, che quei “dieci” erano stati cancellati da essa3. Ed io stupita dissi a me stessa: “Forse non è volere di Dio che io dia se non cinque soltanto”. E dopo che il beato ebbe congedato quella donna e lei se ne fu andata, caddero davanti ai suoi piedi gli amministratori che avevano trasgredito il suo ordine, chiedendo perdono e assicurando con molti giuramenti che non avrebbero fatto di nuovo una cosa del genere e non avrebbero trasgredito il suo comando.
3 Differenza sostanziale tra il testo greco e la versione siriaca: ἀφ’ ἑαυτῶν non può certamente essere interpretato come “cancellati dalla lettera”, ma può significare: “cancellati da soli”, come interpreta A. J. Festugière; oppure: “cancellati (dieci) di loro”, come interpreta P. A. Cavallero, cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 455;CAVALLERO, Vida deJuanellimosnero, p. 249.
CAPITOLO X [356.1] 1 Ancora dunque, avendo visto la magnanimità del santo e la sua mano che era aperta senza misura e che dava a ciascuno costantemente come da una fonte, il patrizio Niceta, per consiglio di uomini empi che diffondevano calunnie, salì presso il santo di Dio e gli disse: “Ecco, l’Impero è in ristrettezze e bisognoso di oro. Ora, anziché dissipare così i doni che ti sono dati, vai e dalli al tesoro dell’imperatore”. Il santo dunque, non essendo rimasto affatto turbato per le cose che furono dette, rispose e gli disse: “Secondo noi non è giusto, o signor patrizio, che le cose che sono state offerte all’imperatore celeste noi le prendiamo e le offriamo all’imperatore terrestre. Ma se anche una cosa del genere ti è sembrata opportuna, credimi, o signore, che l’umile Giovanni non ti dà un nummus1 di esse. Ma ecco, sotto il giaciglio della mia umiltà è posto il tesoro di Cristo, fai come vuoi”. Allora il patrizio fece subito un balzo e si alzò rapidamente in piedi e fece venire alcuni dei suoi servi e dei suoi soldati2, adibiti a fare il trasporto. E si avvicinò al letto del santo e prese tutto ciò che si trovava sotto di esso, e non lasciò che un centenarium soltanto. [356.20] 2 E mentre quei portatori scendevano3, si imbatterono in essi degli altri che salivano da lui, i quali erano stati inviati dall’Africa portando piccoli vasi, e vi era scritto su alcuni di essi “miele di prima qualità”, e su altri “miele di seconda qualità” e gli altri “miele non affumicato”. E quando ritornò il patrizio e vide quei vasi e lesse anche ciò che vi era scritto su di essi, mandò a dire al patriarca Giovanni: “Manda la nostra parte di questo miele come regalo4”. Conosceva infatti il santo, I manoscritti greci attestano il termine νουμίν, che ha il suo corrispettivo nel siriaco ¿ćãÎæ. È possibile che il termine¿Úçã, che indica parimenti una misura monetaria, costituisca un’innovazione (peraltro di facile generazione) introdotta dal redattore di α. 2 ¿Ñáòpuò significare “servitore” ma anche “soldato”, accezione del termine rivelata dal testo greco (στρατιωτῶν). 3 Il testo è stato da noi emendato a partire dal confronto con il greco. La congiunzione coordinante anteposta al secondo participio potrebbe costituire un tentativo di normalizzare sotto il profilo grammaticale un testo non del tutto compreso. 4 Il termine èÙüáù, non attestato altrove secondo il PAYNE SMITH, Thesaurus, p. 3644, riflette forse il termine greco κλῆρος. Una conferma ci potrebbe venire dal testo della versione corta, che presenta il sinonimoÀĀçã, “porzione” (lezione accolta da Bedjan nella sua edizione), e dalla versione latina di Parigi, che conserva l’accusativo portionem. 1
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CAP. X
che non si adirava e non serbava rancore. E quando entrò al cospetto del beato colui che aveva in consegna quei vasi e lo informò che non vi era miele ma oro, subito il verace ed umile pastore inviò al patrizio un vaso, su cui era scritto “miele di prima qualità”. Gli scrisse dunque anche una lettera, in cui vi era scritto così: “Colui che disse ′non ti lascerò e non ti abbandonerò′5 non mente, giacché Dio è veritiero6. Dunque quel Dio che nutre ciascuno, non può impoverirlo un uomo corruttibile. Stai bene”. Ed aveva ordinato il santo a coloro i quali erano stati da lui inviati che aprissero quel vaso davanti al patrizio e che gli dicessero: “Tutti i vasi che hai visto, in tal modo sono pieni di questo miele7”. Avvenne dunque come per provvidenza divina che, mentre egli era seduto a tavola, gli offrirono quel vaso e gli diedero dunque anche la lettera che il santo gli aveva scritto8. E dopo che il patrizio ebbe ricevuto da essi, ordinava subito che svuotassero davanti a lui quel vaso, e quando vide che era pieno di oro si meravigliò9. E iniziarono a parlare quelli che erano stati inviati insieme a quel vaso e gli dissero: “Anche tutti i vasi che hai visto venire insieme ad esso, sono ugualmente pieni come quello”. E quando poi aprì la lettera e lesse “un uomo corruttibile non può impoverire il tesoro di Dio”, si pentì e disse: “Viva il Signore! Nemmeno Niceta impoverisce il tesoro del Signore, poiché anche io sono un uomo debole e peccatore”.
5 Ebrei 13:5. Il frammento sinaitico ed i codici del ramo α invertono l’ordine dei due verbi, in maniera difforme dalla LetteraagliEbrei, oltre che dalla versione siriaca corta, dalla versione latina, dal testo greco. 6 Entrambe le versioni siriache riflettono un archetipo che cercava di rendere più chiaro un periodo sintatticamente difficile. Tale semplificazione del testo poteva risiedere già nel modello greco della traduzione siriaca. Un tentativo di questo genere è ì testimoniato anche dalle recensioni media e corta del testo greco: ἀψευδὴς ὑπάρχει (cf. GELZER, LeontiosVon Neapolis,p. 24). 7 Nella versione siriaca il periodo appare difforme dal corrispettivo greco, che riporta: Ὅλα τὰ ἐθεάσω ἀνερχόμενα χρήματα ἀντὶ μέλιτος γέμουσιν, “tutto quello che hai visto venire è pieno di denaro anziché di miele”. È probabile che l’innovazione risalga al modello greco utilizzato dal traduttore, come sembrerebbe confermare il testo della versione latina di Parigi: “Sciasinomnibusaliisamphorismelhuicsimilecontineri”. 8 La versione siriaca non presenta il corrispettivo del periodo che va da ἀνελθόντων fino a ἔπεμπες (357, 50-52), cosicché la narrazione risulta semplificata. Va rilevato che nella recensione α il soggetto della frase successiva è il patrizio, il medesimo del periodo assente in siriaco. 9 In greco il vaso viene svuotato per iniziativa degli emissari di Giovanni, non per ordine di Niceta, di cui nemmeno si menziona la reazione di stupore. È possibile che nella recensione α il periodo assuma questa forma al fine di mantenere Niceta come unico soggetto, evitando l’anacoluto tipico dello stile di Leonzio.
CAP. X
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[357.60] 3 E lasciò immediatamente il pranzo che era stato preparato, e prese ogni cosa che egli aveva portato via in precedenza ed il vaso che gli era stato inviato, ed inoltre tre centenaria d’oro del suo. E andò e cadde davanti ai santi piedi10 di Giovanni, e non andò con lui nessuno dei suoi soldati. E gli chiedeva con molta umiltà di chiedere per lui a Dio che lo perdonasse, poiché egli aveva agito per consiglio di uomini empi11 e calunniatori, giurando che se anche il santo gli avesse comminato una penitenza, volentieri egli la avrebbe accolta ed osservata. E quando il beato vide il repentino ravvedimento che egli ebbe, si meravigliò12 e non fece alcun rimprovero al patrizio per quell’illecito assalto, ma piuttosto e ancor di più lo confortava con dolci parole. Ed essi saranno legati l’uno all’altro da questa amicizia al punto che (Giovanni) ricevette i suoi figli dalla fonte battesimale13.
10 Il racconto della prostrazione di Niceta davanti a Giovanni è assente nella versione greca dell’episodio. 11 Nei codici greci troviamo ἑτέρων, non κακῶν. L’innovazione testimoniata dalla versione siriaca era probabilmente già presente nel modello greco, giacché la versione latina di Parigi riporta a sua volta: exconsiliomalignorum. 12 Il traduttore siriaco rende sempre esplicito ciò che in greco è implicito: “quando vide…si meravigliò”. Nel suo processo selettivo, la versione corta omette la traduzione del participio θαυμάσαντος, mantenendo unicamente il verbo ÀÏÐ aggiunto dal traduttore siriaco, aumentando così il divario del suo testo con l’originale greco. 13 La versione corta ha conservato il senso originario di questo brano che chiude il capitolo X. Giovanni sarebbe divenuto σύντεκνος (termine tecnico relazionato con il battesimo: “co-padre / che condivide i figli”) di Niceta, cioè padrino di battesimo dei suoi figli. Il passo è reso in una forma alquanto idiomatica, ma perfettamente in linea con il senso del testo greco. Il brano doveva essere irrimediabilmente corrotto già nell’archetipo comune alla recensione α ed al codice sinaitico, forse a causa della caduta di una parola ? (z{ËáÙ) o della mancata comprensione del testo da parte del redattore.
CAPITOLO XI [357.1] 1 Quel Dio che mise alla prova il suo servo Abramo per il beneficio degli uomini1, affinché comprendessero la sua salda fede in Dio e la imitassero, in questo modo mise alla prova una volta anche questo santo Giovanni. E l’occasione della sua prova era la seguente. Dal momento che si erano moltiplicati coloro che erano fuggiti dai Persiani nella città di Alessandria, si era ridotto ciò che egli aveva d’oro e di sostanze a causa dell’abbondanza dell’elemosina che egli elargiva, ed inoltre si verificò quell’anno una grande carestia in Egitto2. Ed il santo mandò a prendere in prestito dieci centenaria e li distribuì. E di nuovo chiese di prendere in prestito3 e non trovò nessuno, poiché coloro che avevano qualcosa lo trattenevano per timore della carestia. Ed era in ristrettezze in tutti i suoi affari ed era molto triste, essendo assiduo nella preghiera e chiedendo sollievo a Dio. E avendo saputo queste cose uno dei ricchi4 della città, la cui prima moglie era morta e che ne aveva presa un’altra5, bramava di diventare diacono della chiesa. E pensò che, a causa della difficoltà del santo, lo avrebbe fatto diacono se lui gli avesse dato dell’oro. [358.25] 2 E gli scrisse un messaggio, poiché non osava parlare con lui di ciò che egli desiderava. E scrisse nel suo messaggio così: “Al nostro 1
Genesi, 22:1. La costruzione del periodo è piuttosto difforme rispetto al greco: la scarsità di risorse nelle mani del patriarca è attribuita “all’abbondanza di elemosine che elargiva”, e solo in secondo luogo alla carestia. Nella versione siriaca non si menziona il fatto che la carestia fosse dovuta alla mancata crescita del Nilo in quell’anno. Il dettaglio è invece conservato dalla versione latina di Parigi: AdhocidemcumcurritfamesualidaquesolitaNiliinfluentiaannoilloultramodumdecurratatotamterribilitergrauauitEgyptum. È possibile che la recensione α rifletta qui uno stadio piuttosto evoluto della traduzione siriaca. 3 Il periodo è assente nel ramo α, dove si dice che Giovanni aveva ricevuto il prestito soltanto una volta: si tratta di una deliberata semplificazione del racconto operata dal redattore. Abbiamo preferito accogliere il testo della versione corta, che presenta il racconto del prestito dei dieci centenaria,attestato dai manoscritti greci e dalla versione latina di Parigi. 4 ? I codici L e M riportano ÀĀçÙËã Ûç èã “tra gli abitanti della città”, mentre il ? codice P riportaÀĀçÙËãèã“della città”. La versione corta, che riportaÁÌÙĀïèã rispecchia il greco οἰκούντων κτητόρων, ragion per cui abbiamo accolto tale lezione. 5 La versione siriaca, in entrambe le sue recensioni, rende il termine δίγαμος tramite una perifrasi, volta a spiegare che l’uomo, dopo aver perso la prima moglie, si era risposato. Tale interpretazione dell’aggettivo δίγαμος è senz’altro corretta, come chiarisce CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 259, n. 4. 2
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padre beato, patriarca Giovanni, vicario di Cristo, richiesta e supplica da Cosma, peccatore e servo dei tuoi servi6. È giunta a me, mio signore, la notizia della povertà che è piombata su di te7, e mi è sembrato ingiusto che io, tuo servo, fossi nell’agiatezza e nella tranquillità e tu nell’indigenza. Ed ecco, il tuo servo possiede duecentomila moggi di grano e centottanta libbre d’oro, e ho fatto voto di darli a Cristo tramite le tue mani, in modo che tu mi faccia, pur non essendone io degno, diacono della santa chiesa, cosicché io presti servizio al santo altare insieme alla tua santità e io sia purificato dai miei peccati. E tu sei consapevole, o buon pastore, che l’apostolo Paolo dice: ‘la necessità scioglie la legge’8”. E avvenne che, quando il santo ricevette questo messaggio, lo mandò a chiamare presso di sé e gli disse: “Sei tu che hai inviato questo messaggio insieme a tuo figlio?”. Ed egli gli disse: “Sì, signore”. [358.50] 3 Allora il beato diede l’ordine e uscirono tutti coloro che erano presso di lui, per non esporlo di fronte alla folla. E quando restarono da soli, il santo iniziò a parlare e disse a quell’uomo: “Fratello mio, questo dono che hai voluto offrire a Dio è molto grande, e questo momento lo necessita, però in esso vi è un difetto. E tu sai che la Scrittura divina comanda: ‘Non offrire una pecora a Dio, per quanto molto grassa e grande, se in essa vi è una macchia’9. Così dunque accadde anche all’offerta di Caino10. Ma ora comunque i poveri miei fratelli e tutti coloro che la santa chiesa alimenta, colui che li nutrì prima che ci fossimo io e te, egli li nutre anche ora, e noi non dobbiamo, a causa di questo dono, trasgredire la legge e il comando di Dio, poiché colui che benedisse i cinque pani nel deserto11 > 6 L’iparchetipo α presentava la frase nella forma seguente: ÁËÃïx ¿ćãÎò èã > ? ßÙËÃïx “dalla bocca del servo dei tuoi servi”, omettendo la menzione del nome di Cosma. Il testo della versione corta rivela che quella che potrebbe apparire come una libertà del traduttore siriaco rappresenta in realtà un’innovazione prodottasi all’interno della tradizione manoscritta siriaca. Il nome proprio ¿ćäéÎù non è stato probabilmente compreso dal redattore di α, che lo ha sostituito con il sostantivo comune ¿ćãÎò, “bocca”, che risulta graficamente assai simile. > ĀÚÔãsx “nella quale tu sei piombato”, mentre il 7 I codici L ed M riportano Íà > codice P riporta ßà ĀÚÔãsx “la quale è piombata su di te” (il manoscritto parigino conserva anche il punto diacritico marcatore della terza persona femminile singolare). Entrambe le costruzioni del verbo sono corrette. Abbiamo optato per accogliere la lezione del codice parigino: come in greco, in esso è la povertà a fungere da soggetto, non il patriarca. 8 Ebrei, 7:12. 9 Levitico, 22:20. 10 Genesi, 4:5. La recensione α semplifica il concetto espresso in greco (τῇ προσφορᾷ τοῦ Καὶν):èÙ¾úà“a Caino”. 11 Giovanni 6:9. La precisazione “nel deserto”, attestata solamente dai manoscritti di α ed assente in greco, potrebbe costituire un’aggiunta del redattore.
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può benedire i dieci moggi che vi sono ora nel granaio della chiesa12. E io ti dico, come è detto negli Atti: non vi è per te né parte né sorte in questo ministero13”. E avvenne che, dopo aver ascoltato queste cose dal santo, se ne andò dal suo cospetto in grande tristezza ed afflitto. [359.74] 4 E subito venne presso il beato un uomo, e gli annunciò di due grandi navi che il beato aveva inviato in Sicilia, che erano giunte portando grano in buona quantità, e gli disse: “Ecco, esse sono nel porto!14”. E quando il beato ascoltò queste cose, cadde e si prostrò davanti a Dio, ringraziando e glorificando e dicendo: “Chiunque domandi a Dio e custodisca i comandi e le leggi della santa chiesa, a lui non mancherà alcun bene. Io ti ringrazio, mio Signore e mio Dio, che non mi hai lasciato vendere la tua grazia per oro”.
È possibile che già il modello greco della versione siriaca riportasse τοῦ ὡρείου τῆς ἐκκλησίας anziché τοῦ ὡρείου μου (codice Vaticano) o τοῦ ὡρείου (codice Ottoboniano). La lezione di α ÀËðÂ, “nella chiesa”, ci appare una semplificazione del testo di Π, da noi accolto:ÀËïxÁ{¾Â, “nel granaio della chiesa”. 13 Atti, 8:21. 14 Tutto il periodo, difforme dal greco sotto il profilo sintattico, sembra aver subìto una rielaborazione nel corso della trasmissione del testo, come fa pensare anche l’annuncio dell’arrivo delle navi, riferito tramite discorso diretto. 12
CAPITOLO XII [359.1] 1 Due dei chierici del beato caddero nel peccato1 e si scontrarono l’uno con l’altro, e il santo, come comanda il canone, li espulse dalla chiesa. Mentre uno di loro riconobbe la sua colpa e fece penitenza2, l’altro invece, poiché era un uomo empio, fu felice per ciò che accadde, giacché trovò un pretesto per non entrare in chiesa, ed anzi perseverava nelle sue azioni malvagie e minacciava il santo e voleva fargli danno. Alcuni dicevano che lui aveva calunniato il beato davanti al patrizio Niceta. E avendo sentito queste cose, questo buon pastore volle mandarlo a chiamare ed assolverlo, perché entrasse in chiesa e per ammonirlo, poiché vedeva il lupo pronto a divorare la pecora. E ricordava la frase che disse l’apostolo Paolo: ‘chi è malato ed io non sono malato con lui?’3. Ed ancora: ‘voi forti portate il carico dei deboli!’4. E Dio volle che tutto il popolo sapesse che il santo non serbava rancore, e si scordò quel diacono. E quando fu domenica ed egli si presentò per celebrare l’Eucarestia, si fermò davanti all’altare e gli venne in mente quel miserabile5, e mandò a dire al diacono che diceva la preghiera che allungasse il suo discorso e che lo ripetesse ancora finché lui non fosse tornato. E finse che la necessità del suo ventre lo avesse chiamato ad uscire fuori, poiché si ricordò di quel precetto di nostro Signore che dice: ‘se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello serba verso di te un qualche rancore, lascia la tua offerta lì davanti all’altare e vai, riconciliati prima con tuo fratello, ed allora vieni e presenta la tua offerta’6. 1 Il verbo âóæ, nella sua accezione di “cadere nel peccato”, era forse impiegato dal traduttore per rendere il participio πταισάντων. Il verbo è conservato soltanto dalla versione corta, dove però assume un altro significato (“sorse una lite”). 2 In siriaco le due azioni risultano invertite rispetto al greco, con l’intento di conferire al discorso una logica consequenziale. Vengono così a cadere nella traduzione gli effetti retorici ricercati da Leonzio di Neapolis, che utilizza qui un hysteronproteron (κατεδέξατο τὸ ἐπιτίμιον καὶ συνέγνω τὸ ἑαυτοῦ πταῖσμα). 3 IICorinzi, 11:29. 4 Romani, 15:1. Le due citazioni bibliche sono collocate nella versione siriaca dopo la decisione di Giovanni di assolvere il chierico. Tale aggiustamento, dettato dall’intento di non interrompere la narrazione, deve forse essere attribuito al lavoro del traduttore. 5 L’intero periodo è assente nella recensione α, il cui testo risulta infatti oscuro e incompleto. L’originario senso del brano ci è restituito dalla versione corta, che non presenta il brusco salto nella narrazione proprio di α. 6 Matteo, 5:23-24.
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CAP. XII
[360.41] 2 E avvenne che, dopo essere uscito, inviò venti uomini7 per cercare quel diacono e farlo venire, poiché si affrettava a strappare la pecora dalla bocca del leone. E volle Dio, il quale compie il volere dei suoi devoti, e lo trovarono rapidamente e lo portarono da lui. E quando il santo lo vide, cadde e si prostrò a lui per terra. E quando il diacono lo vide, si vergognò e tremò di grande paura e cadde davanti ai suoi piedi e lo supplicava di perdonargli la sua offesa. E il beato iniziò a parlare e disse: “Dio perdonerà noi tutti”, e lo guidò ed entrò in chiesa. E poi si presentò il santo con grande gioia e cuore puro, e portò a compimento la sua offerta, e diceva con libertà al Signore8: “Rimetti a noi i nostri debiti ed i nostri peccati, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”9. Ed in seguito a ciò quel diacono10 corresse la sua strada ed espulse da sé le vanità, al punto che fu stimato degno della condizione del presbiterato.
7 Il termine ἑβδομαρίους, che indica gli assistenti settimanali alla messa presso l’altare, ? risulta banalizzato inèÚþæs, “uomini”. 8 La recensione α riporta: “e diceva con libertà di parola la preghiera che insegnò nostro Signore”. Si tratta di una corruttela di facile generazione (segue in effetti un passo del Padre Nostro), svelata dal confronto con il testo greco e la versione siriaca corta. 9 Matteo, 6:12. 10 Al termine ἀναγνώστης, “lettore”, corrispondono i più banali¿çþäþã, “diacono” nel ramo α e¿Ðs, “fratello” in Π. Non si può escludere che nessuna delle due lezioni sia quella originale.
CAPITOLO XIII [361.1] 1 Sorse una volta un’inimicizia tra questo santo ed il patrizio Niceta. Ed era la causa del loro attrito riguardo ai mercati della città, per il fatto che questo patrizio volle che la giurisdizione dei mercati fosse nelle sue mani, per i proventi che egli si aspettava dalla loro attività. Allora il santo Giovanni non lo lasciò fare ciò, a causa della sua misericordia verso i poveri, e si congedarono l’uno dall’altro adirati. Ed era l’ora quinta. E quando furono le ore undici, il beato inviò il protopresbitero1 e molti dei diaconi presso il patrizio Niceta e gli disse così: “Il sole si appresta a tramontare”. E quando Niceta ascoltò ciò, si pentì e pianse, e si alzò e venne presso il santo. E quando il beato lo vide, gli disse: “Benedetta la venuta del figlio obbediente della santa chiesa!” E si inchinarono l’uno all’altro, e poi si sedettero. Ed il magnanimo schiuse le sue labbra e disse: “Io ti dico il vero, o egregio, che se non avessi saputo che per te è cosa dura, per parte mia sarei venuto io presso di te, poiché nostro Signore Gesù Cristo andava in giro nelle città e nei villaggi e faceva visita agli uomini”. [361.42] 2 E si meravigliò il patrizio ed ognuno che si trovava colà per l’abbondanza della sua umiltà, e rispose Niceta e disse: “Io ti dico il vero, o nostro padre spirituale, che da ora io non darò il mio ascolto a coloro che dicono cose vane ed il falso2”. E disse a lui il beato: “Sappi, o figlio caro, che se noi crediamo a tutto ciò che ascoltiamo cadiamo in grandi peccati, tantopiù in questo tempo in cui gli uomini si odiano gli uni gli altri. E infatti molte volte i calunniatori di uomini hanno condotto anche me fuori dalla strada della verità, poiché prestavo orecchio ai loro discorsi e ordinavo che alcuni fossero imprigionati, e che altri fossero mandati a giudizio, ed altri ancora io li degradai dai loro ranghi per consiglio di uomini malvagi. Ed in seguito mi venivano rivelati i fatti, che non erano come avevo ascoltato. E poiché mi capitarono queste cose molte volte, posi ? 1 Entrambe le recensioni della versione siriaca conservano la lezione¿þÚþùÿÙ, resa letterale del greco πρωτοπρεσβυτέρου. 2 Nella versione siriaca lo stile di Leonzio di Neapolis risulta completamente destrutturato: il concetto espresso in greco è reso senza precisione dal testo siriaco. È assai probabile che l’intero capitolo XIII sia stato radicalmente accorciato dall’intervento del redattore di α.
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CAP. XIII
a me stesso la regola di non dare più disposizioni su alcunché, finché non avessi investigato accuratamente e non avessi riunito entrambe le parti. E divenni tale che, quando viene da me uno che mi fornisce informazioni false, io gli commino la punizione che era destinata a capitare all’altro. E da allora nessuno è venuto da me a riferire se non cose vere. E io ti chiedo e ti prego che anche tu operi in questa maniera, poiché molte volte i potenti uccidono coloro che non meritano la morte, quando prestano orecchio a cose che vengono dette loro senza investigazione”. E il patrizio accolse le sue parole con gioia, promettendo di fare come gli diceva.
CAPITOLO XIV [362.1] 1 Aveva dunque questo santo un parente, il cui nome era Giorgio. Ed un giorno avvenne e sorse una discussione tra di lui ed uno dei mercanti della città1, e quel venditore da strapazzo rivolse a Giorgio violenti insulti2. E si afflisse e si crucciò molto del fatto che degli uomini vili3 lo avessero insultato davanti a tutta la folla. E si recò dal suo parente4 Giovanni, piangendo un pianto amaro. E quando il beato lo vide così, gli chiese la causa della sua afflizione. Ed egli non fu in grado di raccontargli, per l’abbondanza del suo sconforto e del suo pianto. E lo informarono coloro che erano con lui di tutto ciò che gli era successo, dicendo: “La tua santità non deve sopportare questo disprezzo, che uomini vili e sciocchi insultino il tuo parente”. [362.19] 2 E dopo che il magnanimo ebbe ascoltato, volle come un buon medico far cessare l’afflizione del suo parente e consolarlo della sua tristezza5, e gli disse: “Osò un tale aprire la sua bocca e discutere con te? Ti dico il vero, figlio mio: oggi stesso io gli faccio un’azione per la quale 1 ? La lezione ¿ùÎý Ûç èã, “dei mercanti”, unica a rispecchiare il greco τῶν καπήλων, è testimoniata da un’aggiunta nel margine del manoscritto L. Nel ramo della tradizione attestato dai codici londinese e mosuliota, tuttavia, la frase è originariamente ? assente. Nei due manoscritti parigini troviamo la più banale varianteÀĀçÙËãÛçÂèã, “dei cittadini”. Sebbene sia possibile che il testo dell’archetipo fosse effettivamente quello ? attestato dai codici parigini, riteniamo che l’originale riportasseÀĀçÙËãx¿ùÎýÛçÂèã, “tra i mercanti della città”, sul modello del greco μετά τινος τῶν τῆς πόλεως καπήλων. Se così non fosse, risulterebbe del tutto insensato il successivo riferimento al mercante > che compare nella versione corta. (¿ÚùÎý{z) 2 La recensione α presenta anche qui un testo povero di dettagli rispetto al greco, mentre la versione corta conserva la menzione sia di Giorgio che del mercante, quest’ultimo definito ¿ÚùÎý, perfetto parallelo del termine ἀγοραῖος, che significa “uomo volgare, della piazza”. Bisogna tuttavia notare che entrambe le recensioni del testo siriaco testimoniano una sintassi difforme dal modello: la diatesi passiva del verbo è resa attiva e non vi è una precisa corrispondenza dell’avverbio χαλεπῶς. 3 Come sappiamo dal testo greco, la lite avviene con un singolo mercante. Il testo di α non è tuttavia privo di logica, né la versione corta offre elementi utili a sanare il brano. Anche in greco, più avanti, si parla genericamente al plurale degli autori dell’oltraggio subìto da Giorgio. 4 I manoscritti del ramo α riportano: èçÐÎÙ ¿þÙËù Îà, “dal santo Giovanni”. La versione corta sembra conservare nel termine ÍÚÂüùuna sbiadita traccia del periodo: μάλιστα διὰ τὸ εἶναι αὐτὸν ἀνέψιον τοῦ πάπα, ἀνέρχεται πρὸς αὐτὸν. 5 Anche nella versione siriaca Giovanni è paragonato ad un medico, ma mancano tutti i dettagli della similitudine presente in greco (l’impiastro, il bisturi, l’incisione).
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CAP. XIV
tutta Alessandria resta sbalordita6”. E quando il beato vide che egli cessò dalla sua afflizione e ridusse la sua tristezza, poiché aveva pensato che subito avrebbe dato l’ordine e si sarebbe vendicato di colui che lo aveva insultato7, gli si avvicinò ed iniziò a baciarlo8 e a dirgli: “Figlio mio, se tu sei parente dell’umile Giovanni, preparati e sii pronto ad accettare derisioni e insulti e flagellazioni da ogni uomo, poiché la vera parentela non è nella carne e nel sangue, ma nella virtù”. E subito convocò il supervisore del mercato e gli ordinò e gli disse di non prendere dall’uomo che aveva ingiuriato il suo parente né il prezzo del negozio, né le imposte, né la capitazione9. E tutti quanti si meravigliarono per la sua longanimità e per la sua pazienza, e compresero che per questo diceva “io faccio a lui un’azione per cui si meraviglia tutta Alessandria”, cioè che gli avrebbe reso un beneficio e non un dispetto.
6 Abbiamo scelto di correggere il testo della recensione α, che riporta: èÙüãxĀãx ? ¿ÙËçêÞàs ÛçÂ
{ÍáÝÍÂ, “per cui si meravigliano tutti gli abitanti di Alessandria”. Tale intervento è suggerito dal raffronto con la versione corta e con il testo greco. Se il testo dell’archetipo fosse quello da noi proposto, esso non rispecchierebbe comunque la struttura sintattica del greco, che presenta una proposizione finale, non una relativa (ἵνα ξενισθῇ πᾶσα Ἀλεξάνδρεια). È possibile che sia sopravvenuta un’innovazione relativamente al tempo verbale. Un indizio potrebbe risiedere nel fatto che alla fine del capitolo, dove ricorre il medesimo periodo, la proposizione relativa non risulta ben costruita (manca il pronome ÍÂ), al punto che il copista del Par.syr. 235 tenta di sanare il passo introducendo una coordinata (èÙüãxĀã{). 7 Il testo siriaco non reca traccia della descrizione dei supplizi che Giorgio immagina per il suo diffamatore, presente in tutti i manoscritti greci, né della spiegazione del termine λογιστής tramite l’incidentale οὕτως γὰρ καλοῦσιν ἐκεῖ τὸν ἐπὶ τῆς ἀγορᾶς, “così infatti chiamano colà colui che presiede al mercato”. 8 La versione siriaca banalizza la descrizione di un gesto ben preciso, tipico del cerimoniale bizantino antecedente a Giustiniano: καταφιλῶν τὸ στῆθος αὐτοῦ, “baciandogli il petto”, cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 567. 9 ÀÎçÐxÁüÅscorrisponde al greco ἐνοίκιον ed indica l’affitto della taverna, che ? era di proprietà della chiesa; ¿ùx|, che significa genericamente “tasse”, rende invece il greco δημόσια, termine che sta qui forse ad indicare un tributo speciale dovuto all’arcivescovo, cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 567; ÀĀÙÏÅ, l’imposta di capitazione, non trova invece corrispondenza nel testo greco. Bisogna notare che l’arcivescovo non aveva l’autorità di riscuotere una simile imposta. La versione corta riporta invece: ¿Ýüý ? ¿ćáúýx, “il resto delle tasse”.
CAPITOLO XV [363.1] Fu riferito a questo santo che uno dei suoi diaconi serbava rancore verso un suo compagno e non voleva riconciliarsi con lui. E dopo che il beato ebbe ascoltato, investigò sul suo nome e sul suo grado1, e disse al suo arcidiacono: “Quando tu vedi costui che viene in chiesa, informami e mostramelo”. E il giorno seguente furono riuniti in chiesa in occasione della messa, e venne anche quel diacono. E quando lo vide l’arcidiacono, lo mostrò al santo. E perciò il beato si presentò e celebrò la messa in quel giorno. E avvenne che, quando il diacono venne a ricevere da lui l’Eucarestia, egli prese la sua mano e gli disse: “Vai, prima riconciliati con tuo fratello, e dopo vieni e ricevi i sacramenti di Dio2, quando tu ne sei degno”. E provò vergogna per la moltitudine dei diaconi e non fu capace di replicare al discorso del beato, e tantomeno in quel momento importante e in quel luogo terribile, e gli promise con giuramenti di fare ciò che gli ordinava, e solo poi egli gli amministrò i divini sacramenti. E da quel giorno nessuno dei chierici o del popolo serbava rancore verso il proprio compagno. E si guardavano bene da ciò, affinché il magnanimo non li smascherasse come aveva fatto con quel diacono.
1 La versione siriaca non menziona il nome del diacono in questione, che l’autore chiama Δαμιανός. 2 I codici greci sono concordi nel riportare Χριστοῦ. L’innovazione potrebbe risalire al modello greco utilizzato dal traduttore, che forse recava già in sé la variante τοῦ θεοῦ.
CAPITOLO XVI [364.1] Aveva questo santo conoscenza delle Sacre Scritture, e non proferiva mai nel suo consiglio un discorso mondano – se non un qualche affare della città e della chiesa – ma sempre storie di uomini santi e questioni delle divine Scritture e problematiche e regole di fede1. E se uno di coloro che sedevano presso di lui si trovava ad introdurre un discorso vano2 o una maldicenza verso qualcuno, si ingegnava il beato finché quello non interrompeva i suoi discorsi, ed il magnanimo iniziava al suo posto un discorso edificante. E se ancora iniziava l’uomo un discorso come questo la volta successiva, ordinava che non gli venisse concesso3 di entrare presso di lui, in modo da arrecare vantaggio agli altri4.
1 La versione siriaca omette l’intero brano in cui sono enumerati i gruppi di fede miafisita presenti in Egitto all’epoca di Giovanni il Misericordioso (Teodosiani, Gaianiti, Barsanufiti). Il brano è assente anche nelle recensioni media e corta del testo greco, dove però risulta chiaro che le discussioni di Giovanni erano finalizzate a controbattere le posizioni degli eretici, cf. GELZER, LeontiosVonNeapolis,p. 36: διὰ τὸ πλῆθος τῶν περιεχόντων τὴν χώραν ἀνωνύμων αἱρετικῶν. Nessun indizio circa l’origine di questa innovazione ci viene dalla versione latina di Parigi, nella quale sono assenti i capitoli XII-XVII. 2 Si scorgono nella versione siriaca le tracce di un processo di riduzione dell’originale, come si evince dal confronto tra il ramo α e la versione corta, che talvolta conserva elementi testuali più antichi. I termini chiave del periodo greco sono tutti presenti in α, ma la sintassi del modello risulta completamente destrutturata e il senso del brano è leggermente difforme rispetto al modello. La versione corta fa menzione del “discorso vano” (¿ćááäã ¿úÙüé), che corrisponde al greco ἀργολογίας (cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 364), mentre i manoscritti di α lo definiscono “estraneo” (¿ÙüÝÎæ¿ćááã), aggettivo senz’altro coerente con il nuovo contesto ma non con il senso originario del brano. La versione siriaca menziona “coloro che siedono” (èÚÂĀÙ), espressione che richiama il termine συνεδρίου, che però è inserito in un contesto differente nel testo greco. Il ramo α conserva il verboËÅ, forse utilizzato in origine dal traduttore per rendere il participio τυγχάνοντος: nel nuovo contesto la presenza di questo verbo risulta alquanto singolare e la sintassi scorre a fatica. 3 La forma passiva del verbo è giustificata in siriaco dall’omissione del destinatario dell’ordine del patriarca, che è invece menzionato dal testo greco: τῷ ἑβδομαρίῳ, “all’uscire della settimana”. 4 La versione corta pare qui attestare una semplificazione dell’originale, ma il senso del brano è conforme al greco e dunque il suo testo è nettamente preferibile a quello conservato dai codici del ramo α, dove il passo è evidentemente corrotto.
CAPITOLO XVII [365.2] Volle nuovamente questo santo fare nel suo consiglio un’occasione di conversazione proficua, e la escogitò tramite questo stratagemma. Sapeva infatti questo beato che è costume degli imperatori che all’esordio, in cui l’imperatore siede sul suo trono e assume il potere e indossa la corona dell’impero, i primi che entrano presso di lui sono quelli che costruiscono i sepolcri, portando con sé frammenti di marmi di ogni colore1, e gli porgono il saluto e gli dicono: “Scegli: con quale tipo di marmo vuoi che costruiamo per te la tomba?”, volendo dire con questo: “Certamente tu sei transeunte e mortale, ma preoccupati della tua anima e guida con timore di Dio l’impero che ti è stato affidato!”. Proprio in quel modo fece anche questo santo, e ordinò che fosse costruita per lui una tomba, e che la sua costruzione non fosse portata a compimento fino al giorno della sua morte, e che i costruttori entrassero presso di lui in ogni grande festività, nel momento in cui tutto il popolo fosse riunito al suo cospetto, e che fossero ornati con vesti ed esultanti, e che dicessero: “La tua tomba non è stata completata, ma ordinaci di terminarla, poiché tu non sai quando la morte ti sorprende, a guisa di un ladro2”. Ed allora, mentre dicevano queste cose, egli proferiva un discorso sulla morte e sulla fine (dei tempi), ed era edificato chiunque si trovasse presso di lui3.
1 Il ramo α riporta ëçÅ âÝ èã, “di ogni sorta”. Il termine ëçÅ è banalizzazione di¿æÎÅ, che in questo contesto assume l’accezione di “colore”, non “tipo”, dal momento che corrisponde al greco χροιῶν. 2 La frase allude ad alcuni passi neotestamentari: Matteo 24:43; Tessalonicesi 5:2; Apocalisse 16:15. 3 La conclusione del capitolo appare irriconoscibile se confrontata al testo greco. Si riconoscono a malapena i due concetti principali espressi dall’autore, cioè l’introduzione da parte del santo di una conversazione spirituale ed il suo valore paradigmatico. Per il resto, la struttura logica ed il significato del periodo conclusivo appaiono distanti dal greco. La sezione conclusiva del capitolo sembra testimoniare, più che una traduzione eseguita liberamente, una forma assai evoluta del testo siriaco.
CAPITOLO XVIII In quel tempo l’illustre e santo Modesto ricostruiva i luoghi santi che i Persiani avevano bruciato a Gerusalemme. E quando udì il santo Giovanni queste cose, volle essergli compagno, e gli mandò mille sacchi pieni di grano e mille sacchi di legumi e mille denari e mille vasi di latte rappreso e mille fiaschi di vino e mille libbre di ferro e mille uomini lavoratori1, e gli scrisse una lettera di questo genere: “Perdonami, o santo servitore di Cristo, ed accetta ciò che ti ho inviato, poiché è piccola cosa per il nostro salvatore Gesù Cristo. E bramavo moltissimo, ma non ho potuto, di venire io stesso da te e di lavorare con le mie mani nella dimora delle chiese di Cristo2. Ed inoltre io ti chiedo di non scrivere affatto il mio nome su ciò che costruisci, ma prega per me che il mio nome sia scritto3 in quel luogo in cui è conferita beatitudine a coloro i cui nomi sono lì scritti4”.
1 La versione corta menziona tutti e sette i doni inviati da Giovanni a Modesto, sia pure enumerati in ordine diverso rispetto al greco e con la variante dei “mille vasi di latte rappreso” in luogo dei “mille colati di pesce secco”. Nei manoscritti del ramo α l’elenco è più breve, poiché non sono menzionati tre dei doni inviati a Modesto. Quanto alla menzione dei “mille vasi di latte rappreso”, non sappiamo se l’innovazione fosse già presente nell’archetipo o se sia stata introdotta dal redattore di Π o da un copista. Sembra di poter escludere che essa fosse già presente nel modello greco: la versione latina di Parigi conserva infatti la menzione dei milleuasaplenasalsispiscibus. 2 Ci pare che nessuna delle due recensioni della versione siriaca possa riflettere l’origi? ? nale senza alterazioni. La versione corta riportaÀĀþÙËùÀĀ ÚÝ{xèÚàÍÂ, “in quei luoghi santi”, che appare come una libera parafrasi del greco ἐν τῷ οἴκῳ τῆς ἁγίας Χριστοῦ τοῦ θεοῦ ἡμῶν ἀναστάσεως, “nella casa della santa resurrezione di Cristo nostro Dio”. Un riflesso del complemento di stato in luogo ἐν τῷ οἴκῳ si può ritrovare nel siriaco¿çÚçÃÂ, “nella dimora”, lezione conservata esclusivamente dal codice L. 3 La recensione α presenta un testo del tutto insoddisfacente e privo di senso: “ed io ti chiedo di non scrivere il mio nome in quel luogo che conferisce beatitudine a coloro i cui nomi lì sono scritti”. La corruttela è spiegabile a nostro avviso chiamando in causa un classico sautdumêmeaumême, generatosi per la doppia occorrenza del termineÛäý nello stesso periodo. La versione corta conserva al contrario il brano nella sua integrità. 4 Il ramo α amplia il concetto espresso dal greco ἐκεῖ με ἀπογράψασθαι ἔνθα ἀληθῶς ἡ ἀπογραφὴ μακάριστος. La versione corta al contrario abbrevia il brano, ma al tempo stesso lo interpreta, per renderlo ancora più chiaro: “prega per me che il mio nome sia scritto nel Libro della Vita”. Tale interpretazione è senz’altro conforme alle intenzioni di Leonzio di Neapolis, che aveva in mente i molteplici luoghi della Bibbia in cui compare la visione apocalittica del Libro della Vita, cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 289, n. 7.
CAPITOLO XIX [366.1] 1 Essendo adornato quest’uomo encomiabile e divino, il patriarca Giovanni, con molte virtù che si addicono al timore di Dio, costui, che in quanto degno fu chiamato a questo grande ufficio, aveva insieme a molte altre anche questa virtù, cioè che dormiva in un letto veramente piccolo e indegno e che utilizzava dei panni ordinari. E quando salì da lui uno dei maggiorenti della città e lo vide che si copriva con una vecchia coperta assai lacerata, andò e gli inviò una coperta da trentasei denari, pregandolo, per mezzo di colui che la portò, di coprirsi con essa, in memoria di colui che l’aveva mandata. Egli dunque, dopo averla accettata per via dei molti giuramenti dell’uomo, si coprì con essa una notte, in modo da avere una scusante. [366.16] 2 Dunque, per tutta quella notte, come narravano i suoi discepoli1, iniziò a biasimare se stesso e a dire2: “Ahi ahi, chi avrebbe detto che l’umile Giovanni sarebbe stato coperto con una veste da trentasei denari e i fratelli di Cristo, i poveri, irrigiditi dal freddo? Quanti infatti vi sono ora nella casa dei poveri3, che digrignano i loro denti per il freddo! Quanti vi sono ora che hanno una sola stuoia, metà di sopra e metà di sotto! Quanti vi sono ora che non possono distendere i loro piedi, ma si piegano come un insetto4, tremando! Quanti vi sono in questi frangenti che dormono senza luce e senza cibo, e sono in una sofferenza doppia, per il freddo e per la mancanza di cibo! Quanti vi sono che bramano le foglie della 1 Nella versione siriaca, al greco κουβικουλάριοι, “ciambellani”, corrisponde il ? “discepoli”. Si tratta probabilmente di un’innovazione prodottasi termine ÁËÚäà, nella tradizione manoscritta. Nella versione siriaca compare più avanti il calcoÁüáùÎÃù (capitolo XXVII, in corrispondenza del greco 379, 79). 2 La frase è assente nel ramo α, il cui testo è qui inaccettabile. Già il precedente editore (cf. BEDJAN, ActaMartyrum, p. 337) aveva sentito l’esigenza di emendare il brano con il contributo del codice Par.syr. 234, che pure egli aveva deciso di scartare. ? 3 ¿çÞêãĀÚÂcorrisponde al greco Καισάρειον, luogo che però è menzionato più avanti (capitolo XXVI) dalla versione siriaca come èÙüêù. Sul termine Καισάρειον, cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 293, n. 2. 4 Il concetto è del tutto simile a quello espresso in greco (ὡς κουβάριν, “come una palla”, cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 366), ma l’immagine è differente. Non è facile stabilire se si tratti di un “equivalente dinamico” utilizzato dal traduttore, oppure di un’innovazione prodottasi nella tradizione manoscritta. Risulta interessante osservare il comportamento delle altre recensioni, in cui si tenta di dare spiegazione all’impossibilità per i poveri di distendere i piedi. Così, la versione siriaca corta riporta ÁüùÎÙ èã ¿ćà|üòx, “per il peso del ferro”, e la versione latina di Parigi propterbreuitatemstrati, “a causa della brevità della coperta”.
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verdura, oppure di intingere il loro pane nella salsa, cose che sono gettate dalla nostra cucina5! Quanti stranieri vi sono in questa città in questo momento che non hanno un alloggio, ma si stendono fuori in piazza, bagnati dalla pioggia! Quanti vi sono che non possiedono due tuniche, ma una soltanto, soffrendo in essa in estate ed in inverno! E tu Giovanni, che ti aspetti di ereditare la gioia eterna, ecco tu bevi vini di varie qualità, ecco tu mangi pesci e cibi di varie qualità! E ora, insieme a tutti questi mali, ecco tu ti copri6 con una coperta da trentasei denari! Davvero infatti vivendo così e passando il tempo con questa rilassatezza, non ti aspetterai quei beni che là sono riservati a coloro che qui sono afflitti, ma sentirai in ogni modo ciò che sentì quel ricco: ‘tu hai ricevuto i tuoi beni nella tua vita, e i poveri i loro mali: ed ecco ora essi sono confortati, e tu soffri’7. Ma Dio è benedetto, l’umile Giovanni non si copre con te di nuovo un’altra notte. Questo è infatti giusto ed accettabile davanti a Dio, che centoquarantaquattro nostri fratelli si coprano, piuttosto che soltanto tu, miserabile!”. Vi erano infatti lì coperte di quelle ordinarie8, vendute quattro per un denario. [367.56] 3 E subito il giorno seguente mandò quella coperta affinché fosse venduta nel mercato. E quando colui che l’aveva inviata vide che essa giaceva nel mercato, subito la riconobbe, ed andò e la comprò per trentasei denari, e di nuovo ritornò e gliela inviò nuovamente, pregandolo di coprirsi con essa. Il beato allora subito la mandò al mercato affinché fosse venduta. E di nuovo quando la vide il suo proprietario per la terza volta, la comprò e gliela inviò nuovamente, scongiurandolo con potenti giuramenti di coprirsi con essa9. E dopo che ciò avvenne per tre volte, il 5 Mentre il ramo α conserva la menzione della cucina (
ÎÙüÆã ĀÚÂ), la versione ? corta conserva menzione dei cuochi (¿éüÚÆÚã). I termini μαγειρείον e μάγειροι sono presenti in greco in due frasi tra loro contigue: è possibile che l’archetipo della versione siriaca li conservasse entrambi. 6 Il verbo θερμαίνῃ (367, 45) non è tradotto, mentre la versione siriaca pare riflettere il verbo σκεπάζεις. > Il siriacoĀæsÛêÞãpotrebbe costituire un’innovazione rispetto a θερμαίνῃ, lezione del codiceVat.gr. 1669, oppure una resa parziale dell’endiadi σκεπάζεις καὶ θερμαίνῃ, presente nell’Ottob.gr. 402. 7 Luca, 16:25. 8 Il termine συρίδια, impiegato dall’autore per definire un preciso tipo di coperte, provenienti dalla Siria o fatte di lana siriana (cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou, p. 575), viene omesso dalle recensioni media e corta del testo greco. Nella versione siriaca tali coperte sono definite “ordinarie”. Il termine è reso in maniera senz’altro adeguata al contesto, ma perde il suo legame con l’area geografica di provenienza. È possibile che il traduttore siriaco non abbia compreso il senso esatto del sostantivo greco συρίδια, limitandosi a tradurlo in maniera coerente al contesto. 9 La versione siriaca ripete per tre volte il racconto della vendita della coperta e del successivo acquisto da parte del suo antico proprietario. Il testo greco descrive i tre
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santo mandò un messaggio a quell’uomo con animo giocoso10, dicendo: “Vedremo chi vince, io o tu, e chi si scoraggia11!” Era infatti quell’uomo tra i molto facoltosi della città, ed il santo Giovanni prendeva sempre da lui tutto ciò che voleva, dicendo dentro di sé: “Se si presenta a qualcuno l’occasione di dare ai poveri, è per lui cosa facile, tramite molti metodi e buona volontà, spogliare i ricchi fino alla piccola veste che è sul loro corpo12, dunque tanto più se sono uomini avari e immisericordiosi. E vi è un doppio guadagno per colui che fa ciò: uno certamente che salva le anime di quelli, e secondo che anche lui raccoglie una non piccola ricompensa da ciò”, portando come esempio quell’azione che avvenne da parte di Epifanio verso Giovanni di Gerusalemme, di come prese da lui il suo argento e lo diede ai poveri. [368.1] 4 Ancora un esempio coerente ed in accordo con questo episodio della sezione precedente raccontava il santo Giovanni, e diceva così: “Avevo infatti un sovrintendente al mio magazzino a Cipro, ed era vergine e pio in tutti i suoi giorni. E per tutto quello che egli dava di buon cuore, tanto più era benedetto e si accresceva ciò che vi era tra le sue mani, e per quello che egli dava con parchezza, diminuiva13”.
passaggi in maniera assai meno prolissa, senza raccontare per tre volte la medesima sequenza di azioni. La versione corta, al fine di semplificare il brano, tralascia il racconto della terza compravendita. 10 Corrisponde al greco: ἀστειευόμενος μετ’ αὐτοῦ, “scherzando con lui” (367, 64). 11 La frase con cui il patriarca lancia la sfida al ricco donatore si presenta in forma diversa nella recensione α: “Vedremo a chi andrà la coperta: a me oppure a te”. Si tratta di una rielaborazione del brano operata dal redattore: abbiamo pertanto accolto il testo della versione corta, assai più fedele all’originale greco. 12 La versione siriaca presenta una perifrasi in corrispondenza con il sostantivo ὑποκάμισον, “camicia”. 13 Ci troviamo di fronte ad una situazione testuale complessa: questo brano non trova corrispondenza nei principali testimoni greci della VitadiGiovanniilMisericordioso. Nell’opera di Leonzio, l’antico servitore del patriarca assume la funzione di narratore dell’episodio contenuto nei capitoli XX e XXI, la StoriadiPietroilPubblicano. In siriaco, al contrario, il servitore diventa protagonista di un brevissimo racconto che lo riguarda, mentre l’episodio relativo a Pietro il Pubblicano non più ha alcun legame con quello del servitore cipriota. Il paragrafo conclusivo del capitolo XIX ci sembra in realtà riflettere una diversa sezione dell’originale greco. Si tratta del finale del capitolo successivo: esso appare, per così dire, incollato all’epilogo del capitolo precedente. Il brano, ispirato a IICorinzi, 9:6 e attestato soltanto dalle recensioni media e corta del testo greco, ha buone probabilità di essere originale, cf. DÉROCHE, ÉtudessurLéontios,p. 51. La versione latina di Parigi presenta la medesima situazione testuale della versione siriaca, il che porta a pensare che l’innovazione fosse già presente nel modello greco comune alle due versioni.
CAPITOLO XX [368.7] 1 Vi era uno dei maggiorenti, ed era molto ricco, il cui nome era Pietro, e non aveva mai compassione verso nessuno. E un giorno dei poveri, mentre sedevano al sole, ricordavano i misericordiosi che facevano loro l’elemosina e pregavano per loro. Ed allora iniziarono a menzionare coloro che non avevano compassione verso di loro e a maledirli, e si ricordarono anche di Pietro, dal momento che non era misericordioso. E domandarono l’uno all’altro se egli avesse mai fatto l’elemosina ad uno di loro, e tra di essi non si trovò nessuno che avesse ricevuto qualcosa da lui. E iniziò a parlare uno di loro e disse: “Che cosa mi date, ed io riceverò da lui l’elemosina?”. E gli promisero di dargli qualcosa. Ed egli subito andò e si presentò alla porta di Pietro, e lo aspettò finché non fosse giunto a casa sua. E per disegno di Dio costui arrivò, e insieme a lui un asino, il quale portava delle pagnotte affinché lui pranzasse. E quando il povero lo vide, iniziò a supplicarlo, chiedendogli l’elemosina1. Pietro allora, quando vide quel povero, si adirò molto, e cercò una pietra per tirarla contro di lui, ma non la trovò. E afferrò una pagnotta di quelle che portava il suo asino e la lanciò contro il povero con grande collera. E il povero la prese e ritornò dai suoi compagni ed iniziò a giurare che l’aveva ricevuta dalla mano di Pietro. [368.30] 2 E due giorni dopo avvenne che il ricco Pietro si ammalò. E vide nel suo sogno che stava in piedi in un’aula di tribunale ed era giudicato per le sue azioni malvagie. E vide degli uomini neri orribili d’aspetto, i quali vennero da lui e radunarono le sue azioni malvagie e le posero sul piatto di una bilancia. E vicino all’altro piatto vide degli uomini belli d’aspetto con dei vestiti bianchi, i quali stavano in piedi e volevano porre qualche buona azione contro quelle malvagie che avevano messo i neri. E non la trovarono, ed erano molto tristi, e dissero l’uno all’altro: “Non vi è qui nulla da mettere su questa bilancia?”. E rispose uno di 1
Il periodo, assente in greco, ha tutta l’apparenza di essere un chiarimento della scena narrata, fornito dal traduttore siriaco. In realtà, se si confronta il testo della VitadiGiovanni con le recensioni della StoriadiPietroilPubblicano che circolano in forma autonoma, si capisce bene che il periodo è generato da un problema testuale. In parte della tradizione manoscritta (e per giunta più volte in maniera indipendente, a causa dell’ambiguità del passo) si vede bene come Pietro diventi da soggetto complemento oggetto, e viceversa il povero.
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loro e disse: “Veramente qui non abbiamo nulla, se non una pagnotta che due giorni fa egli diede a Cristo per una qualche ragione senza il proprio volere”. E presero il pane e lo misero sulla bilancia, e immediatamente si inclinò e fu in equlibrio con l’altro piatto. E iniziarono a parlare quelli vestiti di bianco e dissero: “O Pietro, vai e aggiungi (qualcosa) a questa pagnotta, altrimenti sappi che ti prenderanno quei neri”. E dopo che ebbero detto queste cose, Pietro si risvegliò dal suo sonno, e riconobbe che il sogno che aveva visto era veritiero, poiché tutto ciò che aveva fatto e detto, a partire dalla sua giovinezza e fino a quel giorno, egli aveva visto che quei neri lo avevano portato e messo sulla bilancia. E diceva dentro di sé: “Se una pagnotta, che ho dato a quel povero senza il mio volere, in tal modo mi ha soccorso e salvato da quei neri, quanto più colui che dà di buon cuore ai poveri è preservato dal male!”. E da quel giorno faceva l’elemosina ai poveri. [369.58] 3 E un giorno, mentre usciva dalla chiesa per andare alla dogana – era infatti un pubblicano – si imbattè in lui un marinaio nudo che era sfuggito al mare. E cadde a terra davanti a lui, e lo implorava di dargli una veste da indossare. E quando lo vide, tolse una delle vesti sontuose che indossava e gliela diede e lo fece giurare e disse: “Per nostro Signore, indossala e prega per me!”. E quel povero, dopo essersi allontanato dal suo cospetto, si vergognò di indossarla a causa della sua eleganza, e la diede al mercato perché fosse venduta. E quando Pietro ritornò e vide quella veste appesa nel mercato perché fosse venduta, si afflisse molto. Ed essendo andato a casa sua, non potè mangiare a causa della sua tristezza. E chiuse la sua porta e si sedette, e iniziò a piangere e a lamentarsi e a dire: “Non ho meritato che quel povero si ricordasse di me”. E mentre piangeva e si affliggeva si assopì e si addormentò. E vide nel suo sogno un uomo bello d’aspetto, il cui volto splendeva come il sole e sulla cui testa vi era una croce. E venne e stette al suo cospetto, e indossava la veste che (Pietro) aveva dato a quel marinaio, e gli disse: “Perché piangi e ti lamenti, o Pietro?”. E rispose e disse: “Perché ho dato a un povero di quello che tu hai dato a me, mio Signore, ed egli lo ha disprezzato e non lo ha indossato, e per questo io sono triste”. Allora gli mostrò la veste che indossava e gli disse: “Riconosci questa veste?”. E disse: “Sì, mio Signore”. E gli disse nostro Signore: “Dal momento in cui tu l’hai data a quel povero, io l’ho indossata, ed approvo la tua buona azione, poiché ero nudo e mi hai coperto”. E dopo essersi risvegliato, si meravigliò molto ed iniziò a benedire i poveri, dicendo: “Viva il Signore, se il
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povero assomiglia al mio Signore, io confido e ho fede in Dio che non morirò, se non come uno dei poveri”. [370.89] 4 Allora chiamò il suo servo e gli disse: “Io ho un certo segreto, e desidero svelartelo. E, per Dio che conosce le cose segrete e quelle manifeste, ti giuro che, se lo racconterai a qualcuno, io ti vendo ai barbari”. E tirò fuori e gli diede dieci libbre d’oro, e gli ordinò di comprare con esse un commercio, e gli disse: “Guidami e accompagnami a Gerusalemme, e vendimi a un cristiano che è lì, e prendi il mio prezzo e dallo ai poveri”. E quando il servo udì le parole del suo padrone, rimase molto turbato e si sottrasse a questa cosa. E gli disse il suo padrone: “Se non mi ascolterai e non mi venderai come ti ho detto, io ti vendo ai barbari”. Allora lo prese ed andò a Gerusalemme. E questo servo aveva a Gerusalemme un amico, il cui nome era Zoilo l’argentiere. Ed andò da lui e gli disse: “Vuoi che io ti venda un buon servo che possiedo, il quale era un patrizio nella sua terra?”. E quando il venditore di argento udì dal servo queste cose, si meravigliò molto, poiché egli lo conosceva come servo da molto tempo, anche se non conosceva il suo padrone. E rispose e gli disse: “Non possiedo il denaro per acquistarlo”. Gli disse il servo: “Escogita un modo e compralo, poiché il servo è benedetto e tu sarai benedetto grazie a lui”. E dopo che ebbe ascoltato, il venditore d’argento scese a patti e gli diede come suo prezzo trenta denari. E avvenne che, dopo che quel servo ebbe venduto il suo padrone, lo abbandonò e andò via, dopo aver giurato che non avrebbe rivelato a nessuno la sua storia. E non prese nulla dal suo compenso, ma lo diede ai poveri. [370.119] 5 E questo Pietro vestiva abiti logorati e sudici, e si diede alla servitù, cucinando per il suo padrone, affaticandosi, pulendo e facendo tutti i servizi, nonostante non fosse abituato a fare nulla, e si obbligava ad un digiuno costante. E quando il suo padrone vide che la sua casa era benedetta grazie a lui, si meravigliava per le sue azioni virtuose e rispettava la sua umiltà e la sua obbedienza. E inoltre i servi suoi compagni lo percuotevano e lo disprezzavano e lo chiamavano sciocco e pazzo e senza senno. Ed egli, quando lo tormentavano, si coricava triste, e gli appariva colui che aveva visto nella sua casa, che indossava quella veste e teneva nella sua mano i trenta denari per i quali fu venduto, e gli diceva: “Non scoraggiarti, fratello mio, ma resisti fino all’evento in cui sarà svelata la tua storia”. E un giorno gli disse il suo padrone: “Vuoi tu, o Pietro, che io ti liberi, ed essere da ora come un fratello?”. E lui non acconsentì a ciò.
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[371.138] 6 E in quei giorni vennero alcuni dalla città di questo Pietro, dei cambiavalute che volevano pregare nei luoghi santi, e il padrone di Pietro li invitò da lui perché pranzassero con lui. E mentre mangiavano, iniziarono ad esaminare Pietro, e dissero l’uno all’altro: “Viva il Signore, quest’uomo assomiglia a Pietro, quello che era funzionario presso di noi!”. E lui cercava un modo per nascondere il suo volto da essi, in modo che non lo riconoscessero. E dopo un po’ iniziarono a parlare e dissero all’uomo che li aveva invitati: “Noi riteniamo, o fratello nostro Zoilo, che vi sia presso di te un grosso affare: se non sono state alterate le menti, questo tuo servo è uno dei nobili della nostra regione”. Tuttavia, essi dubitavano ancora della sua condizione, poiché il suo volto era alterato dal costante digiuno e dal servizio del refettorio. E poi uno di essi lo guardò ancora, e parlò e disse: “Per Dio, io giuro che questo è Pietro! E adesso mi alzo e lo prendo2, perché l’imperatore è molto afflitto per la sua storia, dal momento che egli è sparito dalla nostra vista e nessuno seppe che cosa gli sia accaduto”. [371.156] 7 Pietro dunque, stando fuori, udì queste cose. Allora lasciò il piatto che portava e andò alla porta per fuggire. E vi era lì un portiere, che non parlava e non sentiva dalla nascita. E comunicavano con lui con un gesto quando volevano che aprisse per loro la porta e che la chiudesse. E quando il servo di Dio Pietro andò alla porta, avendo premura di fuggire, disse a quel portiere che non parlava e non sentiva: “Io ti dico, nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, aprimi la porta!”. E subito il sordo sentì ed il muto parlò, e rispose e gli disse: “Sì, mio signore!”. E si alzò con trepidazione e gli aprì la porta, ed il servo di Dio uscì e fuggì. Allora quel muto salì dal suo padrone, mentre egli stava a tavola con quelli che aveva invitato, con grande gioia ed esultanza e disse: “Signore, signore!”. E quando lo videro che parlava e strepitava, tutti si meravigliarono e rimasero attoniti. Ed egli disse loro: “Quell’uomo che serviva nel refettorio uscì fuori di corsa. Ma state attenti che non fugga, perché invero egli è un servo di Dio!”. E narrò loro: “Quando venne da me, disse: ‘nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, aprimi la porta!’, e io vidi uscire dalla sua bocca come una lingua di fuoco, e toccò la mia bocca e le mie orecchie, 2 I manoscritti del ramo α riportano i due verbi all’imperativo (“alzati e prendilo!”): in questa versione della storia il cambiavalute si rivolge a Zoilo, invitandolo ad acciuffare Pietro prima che quest’ultimo faccia in tempo a fuggire. Abbiamo emendato il testo sulla base dei codici che attestano la forma indipendente della storia, che si rivela, qui come altrove, più conforme all’originale greco.
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e subito parlai con la mia bocca ed udii con le mie orecchie, come avete visto ora”. E quando i convitati udirono queste cose, subito si alzarono e gli corsero dietro, e non lo trovarono e ritornarono sconfortati. Ed allora il suo padrone si ricordò del discorso del servo che gli vendette Pietro, il quale gli disse che era un patrizio. Ed ebbero paura e furono molto turbati coloro che lo percuotevano e che lo chiamavano “il pazzo”, dal momento che era in grande disonore in quella casa questo santo Pietro. E chiunque vide ed udì questo prodigio, glorificò Dio. [372.185] 8 Dunque ora, fratelli miei, noi che abbiamo udito che molti hanno avuto timore di Dio e hanno reso schiavi se stessi di altri per amore di nostro Signore e per l’attesa del regno dei cieli, non trascuriamo le nostre anime e non consumiamo i giorni delle nostre vite negli ozi corporali – cosicché poi non avremo i benefici degli altri che abbiamo letto ed udito, “il giudizio” e “la vendetta” – ma risvegliamo le menti e gli intelletti e i ragionamenti, e sforziamoci con tutto il nostro vigore di preservare il timore di Dio e le azioni virtuose, ricordiamoci sempre della morte e del giudizio e della vendetta. Gloria a Dio, e su di noi il suo amore in eterno, amen.
CAPITOLO XXI [372.1] 1 Ancora dunque, insieme alle molte virtù che il santo e beato Giovanni possedeva, aveva anche questa nobile cosa, l’amore per le Scritture e lo studio delle vite degli antichi1 padri. E un giorno, leggendo2 la storia di padre Serapione, di come diede il suo mantello in elemosina, e di come in seguito si imbatté in lui un uomo nudo e lui gli diede la sua tunica e rimase nudo e, quando fu interrogato da alcuni su chi lo avesse spogliato, tirò fuori il vangelo che era con lui e disse: “Questo mi ha spogliato!”. Dopo questi fatti egli vendette il vangelo e lo diede in elemosina. E quando lo interrogò il suo discepolo riguardo a quel vangelo, lui gli disse: “Ti dico la verità, figlio mio: quella frase che mi ha detto ‘vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri’3, io l’ho venduta e l’ho data ai poveri, per avere sicurezza e libertà di parola nel giorno del giudizio”. E (leggeva) molte altre cose che aveva fatto padre Serapione4, e si meravigliò molto. [372. 30] 2 Ed allora chiamò gli economi della chiesa, e lesse piangendo5 davanti a loro la storia di padre Serapione, e disse loro: “Quanto è utile, o fratelli miei, la lettura delle Scritture e delle vite dei santi padri! E Dio mi è testimone che prima di oggi io pensavo di fare qualcosa in quanto davo in elemosina ciò che si trovava tra le mie mani, e non sapevo che altri avevano venduto se stessi ed avevano dato ai poveri per amore di Cristo6”. E da quel giorno egli lodava molto l’abito dei monaci ed 1 I manoscritti greci riportano concordemente τῶν ἁγίων πατέρων. Forse nel corso ? ? della trasmissione del testo l’aggettivo¿þÙËùè stato innovato in¿ÚãËù. La versione latina di Parigi riporta solamente il genitivo patrum. 2 La recensione α innova e semplifica il periodo, utilizzando una proposizione principale in luogo di una circostanziale, conservata dalla versione corta. 3 Matteo, 19:21. 4 Nella versione siriaca e nella versione latina di Parigi è assente il racconto della vendita di Serapione come schiavo ad un gruppo di mimi pagani (372, 21-25). Il brano ha una certa importanza nella struttura del capitolo, in quanto subito dopo si dice che Giovanni si meravigliò per il fatto che “alcuni vendettero persino se stessi”. È assai probabile che già il modello greco della versione siriaca fosse privo del suddetto episodio. 5 ¿ÞÂ> ËÝ. Solo la versione corta conserva traccia della frase ὅλος σύνδακρυς ἐγένετο. La versione latina riporta: flevit. 6 La frase¿ÑÚþãxÍÂÎÐôáÐ, attestata dalla versione corta, risulta assente in α. Essa riflette chiaramente il greco ὑπὸ συμπαθείας κινηθέντες, frase anch’essa collocata in chiusura di capitolo. Abbiamo pertanto ritenuto di accoglierla nell’edizione, nonostante
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elargiva doni a quelli che tra loro erano indigenti. E non accoglieva mai il discorso di qualcuno contro un uomo che vestisse l’abito dei monaci, né vero né falso, poiché una volta gli era stato fatto rapporto riguardo ad un monaco, ed egli gli aveva fatto una cosa della quale alla fine si era pentito7.
sia assai probabile, vista la sua difformità dal greco, che essa costituisca il frutto di una rielaborazione. 7 La sezione finale del capitolo, riguardante il rapporto del patriarca con i monaci, costituisce l’inizio del capitolo successivo nel manoscritto Vat.gr. 1669 e nelle recensioni media e corta del testo greco. Il codice Ottob.gr. 402 si comporta qui come la versione siriaca. La scansione dei capitoli del codice O e della versione siriaca (e latina) ci sembra più logica, ma proprio per questo anche di facile generazione.
CAPITOLO XXII [373.9] 1 Andò una volta un giovane monaco ad Alessandria, e vi era con lui una giovane donna, ed egli si aggirava con lei nelle piazze della città e girovagava. E si scandalizzarono1 di loro alcuni, credendo che lei fosse sua moglie. E fecero sapere la sua storia al santo Giovanni e dissero: “Costui ha gettato disonore sull’abito dei monaci”. E ordinò il beato che fossero messi in prigione e che fossero separati l’uno dall’altro. E quel monaco finì in prigione, ritenendo (il patriarca) di aver fatto una cosa buona a quel monaco nel modo in cui aveva ordinato. Ed il monaco apparve in sogno al beato Giovanni, mostrandogli la sua schiena flagellata e putrida2 per le piaghe – era infatti ferito da profonde piaghe – e dicendogli: “Ciò è per te gradevole, o santo? Io ti informo che questa volta hai sbagliato, come un uomo”. E dopo avergli detto queste cose, disparve dal suo cospetto. [373.28] 2 E quando fu mattina, inviò il suo sincello e fece venire quel monaco presso di lui, che a stento poteva camminare per le ferite. Ed entrò al suo cospetto quando non vi era nessuno presso di lui, se non il santo Giovanni ed il suo discepolo Sofronio3. E quando il beato lo vide, rimase in grande stupore e in silenzio, e gli fece cenno di sedersi. E dopo un momento gli ordinò di spogliarsi, in modo da vedere la sua schiena, se era come gli era apparsa nel sogno. Ed egli subito tolse il suo mantello, lo legò sui suoi fianchi, e si spogliò della sua tunica. E per disegno di Dio si sciolse il mantello dai suoi fianchi e videro che era un eunuco4, e non era evidente per il fatto che era ancora giovane. E vide la sua schiena afflitta da grandi piaghe, e mandò a chiamare coloro che gli avevano fatto ciò, e li rimosse dal loro incarico e li privò dell’Eucarestia per tre anni. 1 La variante di α, ÎÆáòs, è qui priva di senso, mentre la lezione attestata da Π, ÎáþÝs, rende perfettamente il senso del participio greco σκανδαλισθέντες. 2 Il participio ¿êã, attestato da Π, rende bene il greco σεσημμένον, “putrefatto”. La variante di α, ëÃêÃã, “lacerata”, si rivela invecefacilior. 3 La versione siriaca conserva la menzione di Mosco e Sofronio, assente nelle recensioni media e corta del testo greco, ma non del loro epiteto di “Eucratadi”. Sul significato del termine Eucratadi, cf. FOLLIERI, DoveequandomorìGiovanniMosco?, pp. 29-32. 4 La versione corta sembra in qualche modo glossare il termine ¿çäÙÍã, chiarendone il significato tramite l’accostamento del calco¿êÝÎæ{s, che riflette il greco εὐνοῦχον. È possibile che il redattore della versione corta, nella sua opera di contaminazione tra due diverse fonti, leggesse nel manoscritto di base il termine più idiomatico, mentre trovasse il calco¿êÝÎæ{snel manoscritto di controllo.
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[374.65] 3 E chiese perdono al monaco, giurando che ciò era avvenuto senza il suo volere, e gli disse: “Anche se tu sei come abbiamo visto, chi veste quest’abito non dovrebbe girovagare nelle città, per non essere motivo di scandalo e di ignominia per coloro che lo vedono”. E quel monaco gli disse con umiltà: “Dio sa, o padre nostro santo, che io non mento in nulla nel mio discorso. Io ero a Gaza da pochi giorni, e ne uscii volendo venire qui a pregare nella chiesa del santo padre Mar Ciro e Mar Giovanni. E mi venne dietro questa donna benedetta, ed iniziò a piangere copiosamente, supplicandomi di fare il cammino con me. E mi disse che era giudea e che voleva diventare cristiana. E io ebbi paura di abbandonarla e di essere giudicato a causa sua. E la presi e la portai con me, ritenendo che il Nemico non infligge agli eunuchi un castigo come questo. E dopo esser giunti alla chiesa del santo padre Ciro e aver pregato, la battezzai lì. Ed andavo in giro con lei nella città per raccogliere una piccola offerta per lei e farla entrare in monastero”. [375.90] 4 E quando il patriarca ascoltò queste cose, rispose e disse a Giovanni e a Sofronio5: “Gloria a Dio! Quanti santi Egli ha, e non sono noti agli uomini!”. Ed allora il beato Giovanni narrò il sogno che vide, e diede a quel monaco cento denari. Ed egli non li accettò da lui, ma gli disse: “No, o padre nostro beato, io non ho bisogno di essi, poiché il monaco, se ha fede, non ne ha bisogno; e se ne ha bisogno, non ha fede”. E da ciò riconobbero ancora che era un servo di Dio. E subito fece la riverenza al santo Giovanni e se ne andò in pace. Ed egli accrebbe da quel giorno il rispetto per i monaci e li teneva presso di sé e li ritemprava, non soltanto quelli buoni e giusti, ma anche quelli di cui si pensava che fossero privi di ciò. E costruì un alloggio esclusivo per loro, e lo chiamò “alloggio dei monaci”.
5 Nella recensione α, Giovanni Mosco è confuso con Giovanni il Misericordioso: la frase non è rivolta dal patriarca a Mosco e a Sofronio, ma sono questi ultimi a parlare. Seguendo questa erronea interpretazione del brano, il codice L volge al plurale il verbo che era in origine al singolare. La corruttela presente nel ramo α è rivelata dal confronto con Π, che riflette con precisione il significato originario del passo.
CAPITOLO XXIII Ancora, una volta vi fu una potente pestilenza in città, e usciva anche questo santo Giovanni al funerale di coloro che morivano. Diceva infatti che molto giovava e recava beneficio uno spettacolo come questo. Molte volte infatti, anche quando l’anima era in procinto di separarsi dal corpo, egli sedeva vicino ad uno che stava morendo e con le sue mani gli chiudeva gli occhi, volendo con ciò avere un ricordo autentico della sua morte. Ordinava dunque che anche le funzioni liturgiche e le commemorazioni fossero fatte con diligenza, senza esitazione, in favore di coloro che morivano.
CAPITOLO XXIV [375.15] 1 Diceva infatti: “Poco tempo fa, un uomo fu portato prigioniero in Persia. E quelli che lo catturarono, insieme agli altri che furono catturati insieme a lui, li rinchiusero in prigione, quella che è chiamata “Oblio”. Allora, alcuni di loro dopo un po’ evasero da là, e fuggirono e giunsero a Cipro: essi erano infatti di lì originari1. Quando dunque li videro i genitori di quello che era rimasto e non era fuggito, li interrogarono riguardo a lui. Essi allora dissero: “Egli è morto, e noi2 con le nostre mani lo abbiamo seppellito”. E si scoprì che non era lui quello su cui erano stati interrogati, ma un altro che gli assomigliava. E dissero loro sia il mese sia il giorno della sua morte. I suoi genitori allora, come per un defunto, facevano le celebrazioni liturgiche in suo favore tre volte all’anno. [375.26] 2 E dopo quattro anni sfuggì anche lui ai Persiani, e scappò via e giunse a Cipro, il suo paese. E avendolo visto i suoi familiari, gioirono grandemente e si meravigliarono di lui3. Ed iniziarono a parlare e gli dissero stupefatti: “Noi abbiamo sentito di te che eri morto, e come per un morto tre volte all’anno facevamo delle celebrazioni liturgiche in tuo onore”. Egli dunque quando sentì ‘tre volte all’anno facevamo delle celebrazioni liturgiche in tuo onore’, chiese loro: “In quale giorno e in quale mese4 voi facevate ciò?”. Ed essi dunque gli dissero: “All’Epifania, nella domenica di Pasqua e alla Pentecoste”. Ed egli giurò loro con terribili giuramenti, dicendo: “In ognuno di questi giorni, ogni anno, veniva 1 La precisazione costituisce un elemento proprio della versione siriaca: vi è l’esigenza di rendere esplicito un elemento che Leonzio di Neapolis dà per scontato, dal momento che il patriarca Giovanni, che racconta questo episodio, è anch’egli originario di Cipro. 2 La versione siriaca si accorda qui al codice Ottob.gr. 402, che riporta: ὅτι «ἀπέθανεν, καὶ ἡμεῖς…». Il verbo ἀπέθανεν è dunque parte della frase pronunciata dai compagni di prigionia, a differenza che nel codice Vat.gr. 1669, dove è il verbo è attribuito al narratore. Quella del codice Ottoboniano è a nostro avviso di una variantefacilior, di natura poligenetica. 3 Nella versione siriaca i familiari dell’uomo creduto morto si rallegrano e si meravigliano per il suo ritorno, prima di narrargli della liturgia che essi celebravano in sua memoria. Questo particolare, invero alquanto scontato, è assente nel testo greco, ma è invece testimoniato dalla versione latina di Parigi: receptusestcunctismirantibuscumgaudio ethonore. 4 È qui la versione corta a conservare il passo nella sua forma integrale, mentre il codice P riporta solamente “in quale giorno” ed il codice L “in quale mese”.
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da me un uomo vestito di abiti bianchi splendenti, e mi scioglieva da quelle catene con cui ero legato, ed io andavo e mi divertivo per tutto il giorno ovunque volessi, e nessuno mi ostacolava né mi diceva alcunché, ed il giorno successivo mi ritrovavo di nuovo legato con quelle catene”. E diceva il santo Giovanni: “Da questa storia noi scopriamo che c’è sollievo per coloro che muoiono grazie alle celebrazioni liturgiche che vi sono.
CAPITOLO XXV [376.44] 1 Molti uomini, avendo visto l’abbondanza delle elemosine e la misericordia del santo Giovanni, vendevano i loro beni e li portavano ai piedi del santo, come è scritto negli Atti1. E un giorno andò da lui un uomo e gli diede sette libbre e mezza d’oro, e gli giurò che in casa sua non era rimasto niente d’oro, e gli chiedeva che pregasse per lui, affinché il Signore proteggesse il figlio unigenito che aveva e riportasse la sua nave, che era in Africa. E il santo ricevette da lui il dono che aveva portato e si meravigliò per la grandezza della sua fede, poiché aveva portato tutto l’oro che possedeva. E pose l’oro che gli aveva offerto sotto l’altare dell’oratorio della sua cella, e celebrò la messa, e pregò per quell’uomo e per suo figlio e per la sua nave. E dopo trenta giorni suo figlio morì, e dopo tre giorni dalla sua morte la sua nave giunse dall’Africa, e vi era su di essa suo fratello. E quando arrivò in prossimità di Alessandria, fece naufragio in mare, ed andò in rovina ogni cosa che era su di essa. E Dio volle e le anime furono salvate, insieme alla nave. E quando queste cose giunsero all’orecchio di quest’uomo, la sua anima raggiunse lo Sheol per il dolore, come dice il profeta2. [377.31] 2 E quando il santo Giovanni sentì queste cose si afflisse molto, e pregava e supplicava Cristo che consolasse il cuore di quell’uomo come volesse e che gli recasse conforto, giacché nei confronti di quell’uomo provava vergogna di mandarlo a chiamare e di parlare con lui e di consolarlo. Ma inviò degli uomini, dicendo: “Non affliggerti, poiché ogni cosa che Dio fa è per un beneficio, anche se noi miserabili non lo capiamo”. E Dio non volle annullare la donazione di quell’uomo, né la fede che egli aveva nel beato Giovanni, anche affinché noi siamo in grado, quando ci capita una sventura, di lodare Dio e affinché non dubitiamo quando facciamo azioni virtuose e non cadiamo poi nelle tentazioni. E quell’uomo vide nel suo sogno uno che assomigliava al santo Giovanni e gli diceva: “Perché sei triste, fratello mio? Non mi avevi chiesto di pregare Dio 1 Atti, 2:45. Nei manoscritti greci O e V, il primo periodo del capitolo è incluso per errore nel finale di quello precedente. La corruttela, facilmente reversibile, era con ogni probabilità già presente nell’archetipo del testo greco. La versione siriaca, la versione latina di Parigi e le recensioni media e corta del testo greco pongono rimedio a tale innovazione. 2 Salmi, 93 (94):17.
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affinché tuo figlio fosse salvato? Ecco, in verità egli è stato salvato. In verità io ti dico che, se egli fosse rimasto in questa vita, sarebbe uscito dal cammino di Dio e non sarebbe stato salvato3. E quanto alla tua nave, di nuovo, non affliggerti, poiché Dio avrebbe sentenziato che naufragasse tutto ciò che vi era su di essa di uomini e sostanze, e per quella buona azione che hai fatto e per la mia intercessione sono salve le anime e la nave. Ed ora alzati e loda Dio, che ti ha salvato la nave e le anime che erano su di essa, e ha salvato tuo figlio e lo ha fatto uscire puro da questo mondo”. [377.61] 3 E quando l’uomo si risvegliò dal suo sonno, trovò il suo cuore consolato dall’angoscia, e se ne andò da lui lo sconforto. E subito si alzò ed indossò la sua tunica ed andò di corsa dal santo Giovanni, e si gettò ai suoi piedi, e lodava Dio. E gli narrò il sogno che vide. E dopo aver ascoltato, il beato disse: “Lode a te, amante dell’uomo, che ascolti la voce dei peccatori!”. E disse all’uomo: “Io ti dico la verità, figlio mio: questo conforto è stato inviato da Dio per la tua retta fede e non per le mie preghiere”. E in ogni momento la mente di questo santo era inclinata all’umiltà.
3 La versione siriaca sembra conservare un riflesso della frase, attestata unicamente dal codice Ottob.gr. 402: καὶ οὐκ ἐσώζετο, “e non sarebbe stato salvato”. Quella che potrebbe sembrare una spiegazione di carattere teologico aggiunta da un copista ha dunque buone probabilità di essere originale.
CAPITOLO XXVI [378.1] 1 Andava dunque una volta questo santo Giovanni a visitare i poveri in quel luogo che è chiamato Cesareo, poiché colà egli aveva costruito per loro delle piccole baracche, apparecchiate con assi di legno e materassi e coperte, e in esse riposavano per tutto l’inverno. Vi era dunque insieme a lui un vescovo, il cui nome era Troilo, amante delle ricchezze ed avaro. Il beato dunque disse al vescovo: “Fai un’azione generosa oggi, o fratello mio Troilo, e fai visita ai poveri fratelli di Cristo”. Qualcuno infatti aveva preavvisato il santo che il sincello del vescovo Troilo portava in quel momento trenta libbre d’oro, e che con ciò egli voleva comprare degli arredi sacri d’argento cesellato per la sua tavola. Il vescovo dunque, avendo udito il discorso che gli aveva rivolto il beato Giovanni, provò pudore di fronte a lui, e subito arse in lui la misericordia per il tempo di un minuto, senza la sua volontà: subito ordinò a colui che portava l’oro di distribuire un denario a ciascuno dei poveri che erano lì radunati. E subito in breve tempo fu consumato e distribuito tutto quell’oro. [378.20] 2 Dunque, dopo essersi ritirati il beato Giovanni ed il vescovo Troilo, il quale aveva fatto l’elemosina senza volerlo, avendo raggiunto la dimora, fu nel tormento ed in grande angoscia per la dissipazione delle sue ricchezze, poiché era nuovamente tornata in lui la brama di argento di cui era prigioniero. E mentre era tormentato da ciò ed era torturato e si pentiva per ciò che era successo senza il suo volere, cadde anche a letto e fu afflitto dalla febbre e da un ingente tremore che si era impossessato di lui. E poco dopo il beato Giovanni lo mandò a chiamare, pregandolo di venire e di sedere con lui a tavola, ma egli rifiutò, dicendo: “Per una qualche ragione ho avuto febbre e tremore, e non è facile per me venire”. E quando l’illustre e nobile Giovanni udì ciò, come per ispirazione divina subito riconobbe la sua causa, cioè che quell’infermità gli era capitata a causa della spesa delle trenta libbre d’oro. Lo conosceva infatti, che era amante del denaro ed avaro. Il santo allora, poiché non potè sopportare che, mentre lui era contento a tavola, quello invece fosse a letto tormentato dalla malattia, subito si alzò e andò da lui, ed iniziò a parlare e gli disse ridendo: “Per carità, o Troilo figlio mio, non penserai nella tua mente che per davvero io ti ho detto di dare quel dono ai fratelli di Cristo: io te l’ho detto per scherzo. Io infatti volevo dare loro questo dono per la
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santa festa, ma poiché il mio servitore non aveva in quel momento quanto bastava, per questo io ti dissi, scherzando con te, di darlo tu. Ma ecco io ti ho portato, in cambio di ciò che tu hai dato, trenta libbre d’oro”. Troilo dunque, quando vide l’oro nelle mani di quel saggio medico e buon pastore Giovanni, subito la sua febbre lo abbandonò e il suo tremore se ne andò da lui e tutte le forze del suo corpo si ristabilirono e il colore del suo volto ritornò in sé, cosicché, pur non volendo, rivelò a tutti che per una ragione di quel tipo gli era capitata l’infermità e l’improvvisa alterazione. [379.55] 3 E dopo che ebbe ricevuto l’oro dalle mani di Giovanni senza opporre alcun rifiuto, il santo gli richiese che gli facesse per iscritto una rinuncia ed una cessione della ricompensa e della remunerazione del dono delle trenta libbre d’oro. Troilo dunque fece ciò con molta gioia, e scrisse con le sue mani così: “Signore Dio, la ricompensa e la remunerazione per le trenta libbre d’oro che ti furono date, dalla a Giovanni, patriarca di questa città degli Alessandrini, poiché io ho ricevuto il mio”. Il santo Giovanni dunque, dopo aver ricevuto questa lettera, prese con sé anche questo vescovo per il pranzo, poiché nel momento in cui aveva ricevuto l’oro, pur non volendo, era diventato bello il suo colorito ed era stato risanato. [379.65] 4 Dio fautore delle virtù1 dunque, volendo istruirlo e portarlo alla compassione verso i bisognosi, mostra in sogno al vescovo quel giorno, mentre dormiva dopo il pasto, di quale ricompensa lo aveva privato l’amore per il denaro. Vedeva infatti una casa splendida, la cui bellezza e la cui grandezza e la cui eccellenza non è capace di fare o di imitare la sapienza e l’arte degli uomini: infatti tutte le sue porte e le sue pareti e le sue colonne erano d’oro2, e sopra la porta esterna era posta una tavoletta3, su cui era scritto così: ‘dimora del riposo eterno del vescovo Troilo’. 1 Degna di nota è la resa dell’epiteto μισθαποδότης, “remuneratore”, riferito a Dio, ? con l’espressioneÀÌÚóýxÁÎðé, “fautore delle virtù”. 2 La versione siriaca presenta una descrizione più dettagliata dell’edificio rispetto al greco. In nessuno dei testimoni greci si parla delle pareti e delle colonne d’oro che ornavano l’edificio. 3 La recensione α riportaÁËпÐÎà{z¿ćäÚé“era posta una targa”, mentre la versione corta ¿ćã¾éx ¿ÐÎà, “tavoletta d’argento”. Nella versione corta e nel testo greco si specifica il materiale di cui è fatta la targa: ξύλινον, “di legno”;¿ćã¾éx, “d’argento”. Un’innovazione deve essersi prodotta a causa della somiglianza tra il participio femminile ¿ćäÚé “collocata”, e il sostantivo ¿ćã¾é “argento”. Non è semplice stabilire quale variante possa aver generato l’altra, in quanto il brano non è del
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“E quindi, dopo aver letto ciò, fui in grande esultanza4. Pensavo infatti che quella casa mi fosse stata donata dall’imperatore. E mentre stavo in piedi ed esaminavo l’inchiostro5, ecco venne un uomo nella foggia di un ciambellano dell’imperatore, cioè un eunuco6, essendovi con lui anche alcuni nobili del seguito7 dell’imperatore. E quando giunse alla porta, disse a quelli che lo seguivano: “Fate scendere questa tavoletta da qui!”. E subito la fecero scendere. E ancora disse loro: “Mettete al suo posto quell’altra, che il Signore di tutto il mondo ha inviato insieme a noi!”. E subito ne fissarono in quel luogo un’altra al suo posto, mentre io li osservavo, su cui era scritto così: ‘Dimora del riposo eterno di Giovanni, patriarca di Alessandria, acquistata per trenta libbre d’oro dal vescovo Troilo’”. [379.89] 5 E dopo aver visto ed ascoltato ciò, egli fu in pena e in molto sconforto. E subito si risvegliò dal suo sonno ed andò rapidamente dal santo e beato Giovanni e gli raccontò tutte le cose che aveva visto e udito nel suo sogno. E avendo tratto da ciò molto giovamento, da allora divenne misericordioso, facendo copiose elemosine in ogni luogo ed emulando in questo il santo Giovanni.
tutto conforme al greco in nessuna delle due recensioni della versione siriaca. Ci sembra plausibile che l’archetipo della traduzione non rispettasse del tutto la struttura del periodo greco, ma presentasse già l’ampliamento: {z ¿ćäÚé, “era collocata”. Il redattore della versione corta potrebbe dunque aver innovato il participio ¿ćäÚé nel sostantivo ¿ćã¾é. Che la recensione α non specifichi il materiale di cui era fatta la targa è forse dovuto al fatto che il termine¿ÐÎà, “tavoletta”, indica già di per sé un supporto di legno. Una situazione del tutto analoga a quella di α è testimoniata dalla forma che il brano assume nella versione latina di Parigi: superscriptiointabuladependebat. 4 L’ultima parte del sogno è narrata, come nel testo greco, direttamente dalla voce di Troilo. Nella versione siriaca il passaggio dal discorso indiretto a quello diretto è più brusco rispetto al greco, in quanto è assente un corrispettivo del verbo incidentale φησίν. 5 La variante di Π,ÀÎÙËÂ, “l’inchiostro”, appare più conforme al greco ἐπιγραφήν rispetto a quella di α,züòÎþÂ, “la sua bellezza”, la quale peraltro è riferita alla casa, il che altera in maniera rilevante il senso originario del brano. 6 Si tratta di una glossa del termineÁüáùÎÃù(che ricalca il greco κουβικουλάριος), aggiunta forse dal redattore di α. Una precisazione di questo tipo ricorreva già al capitolo XXII della versione siriaca (cf. n. 117). ? 7 Il codice M banalizza il termineèÚúêÚòs(che ricalca il greco ὀψικίου) in¿çÂy{, “nobili”. Nella tradizione manoscritta della versione siriaca della VitadiGiovanniilMisericordioso è assai frequente che i termini derivati dal greco siano soggetti ad innovazioni.
CAPITOLO XXVII [380.1] 1 Dio, che mise alla prova Giobbe il giusto con la perdita di tutto ciò che aveva, proprio in tal modo mise alla prova una volta anche questo santo, con la perdita dei beni che possedeva la santa chiesa. Infatti, tutte le navi della chiesa erano in mare mentre facevano il trasporto e venivano ad Alessandria, e si alzò contro di loro un vento violento, e i marinai gettarono in mare ogni cosa che vi era su di esse, e non rimase su di esse assolutamente nulla della mercanzia e dei beni. E su di esse vi era un carico immensamente cospicuo, poiché erano tredici navi che portavano, ciascuna di esse, più di diecimila moggi. Portavano dunque argento e vesti e oggetti di ogni tipo. E alcuni calcolarono che su di esse vi era un carico maggiore di trentaquattro centenaria d’oro. E le navi giunsero vuote ad Alessandria, ed avvenne che, entrando nel porto, fuggirono tutti i marinai e gli ufficiali che vi erano su di esse. Ed avendo il santo udito ciò, mandò a dire loro che non fossero afflitti né dispiaciuti per questo. [380.16] 2 E scrisse loro una lettera, in cui era (scritto) così: “Fratelli miei, Dio ha dato e Dio ha preso, e come a Dio è sembrato opportuno, così è stato: che sia benedetto il nome del Signore! Ma adesso uscite fuori, fratelli miei, e venite a me, e non siate afflitti, poiché ai problemi penserà Dio”. E salì dal beato, se possibile, la metà della città, volendo confortarlo. E fu il beato a consolare loro, dicendo: “Non abbattetevi, figli miei, per ciò che è accaduto. Io vi dico il vero: io tapino sono stato la causa di questa rovina, per via del mio orgoglio, poiché mi sono insuperbito per i doni che distribuivo e poiché ritenevo di fare una cosa virtuosa quando davo le ricchezze altrui. E Dio volle umiliarmi, e per questo ci ha abbandonato e ci è capitata questa cosa. Giacché l’elemosina porta superbia a coloro che non vigilano, ed il castigo rende umili i vanagloriosi. E ora io fui colpa di entrambi i fatti: uno, di esser stato causa della perdita di questo carico, e l’altro, di aver distrutto il dono che fu dato ai poveri, e mi è chiesto conto delle mancanze dei poveri, che sono in ristrettezza”. E a dispetto del fatto che essi vollero venire da lui per consolarlo, fu lui a consolare loro.
CAPITOLO XXVIII [381.1] E non passò molto tempo che Dio diede a questo santo beni doppi, come diede a Giobbe, ed egli pervenne ad un’abbondanza più grande di prima, e incrementò la sua misericordia e i suoi doni. Ed udì di uno dei suoi diaconi che era in miseria ed in grande indigenza. E tirò fuori e gli diede di nascosto due libbre d’oro. E gli disse quel diacono: “Se io ricevo da te quest’oro, come posso io stare al tuo cospetto?”. E rispose il santo e gli disse: “Accetta ciò che ti ho dato, come mi ha ordinato Cristo!”1.
1
L’anacoluto è spiegabile chiamando in causa la caduta di una frase, che nel testo greco costituiva parte del periodo che chiude il capitolo: «Δέξαι γάρ φησιν, ἄδελφε, οὔπω τὸ αἶμά μου ὑπέρ σου ἐξέχεα ὡς ἐνετείλατό μοι ὁ δεσπότης μου καὶ πάντων Χριστός», “Accetta ciò – dice infatti – o fratello, non ho ancora versato il mio sangue per te come mi comandò il Signore mio e di tutti, Cristo”. Il brano ha probabilmente subìto una riduzione nel corso della tradizione manoscritta, che ha dato esito a due frasi scarsamente connesse tra loro.
CAPITOLO XXIX [381.1] 1 Uno degli abitanti della regione aveva una grande villa suburbana1 ed era oppresso dalla tassazione del suo campo, che in quell’anno non gli aveva prodotto nulla dal raccolto, a causa della scarsità delle acque. E andò costui presso uno dei maggiorenti della città, e lo pregò di prestargli cinquanta libbre d’oro, dicendogli che stabiliva pegni doppi nei suoi confronti. E quell’uomo gli promise di fargli prestito. E avvenne che, essendo andato e tornato da lui molte volte affinché gli desse ciò che gli aveva promesso, ed avendolo costui sostenuto con una vana speranza – giacché da un momento all’altro egli riteneva che gli avrebbe dato – e molto affliggendolo i suoi creditori con grandi tormenti, allora corse al porto benedetto, cioè il beato Giovanni, in cui si rifugiava ogni oppresso, e si gettò ai suoi piedi e gli narrò tutta la sua storia. E gli disse il magnanimo: “Sì, figlio mio, se tu vuoi, io darò anche il mantello che indosso”. E subito gli diede tutto ciò che voleva, e quell’uomo pervenne ad un grande sollievo2. [382.3] 2 E quella notte l’uomo che aveva promesso di fargli prestito vide in sogno che stava in chiesa davanti all’altare. E vide molti uomini che portavano delle ostie all’altare, ed ognuno che portava un’ostia, ne riceveva in cambio cento. E vide ancora, ed ecco un’ostia collocata su un trono. Ed iniziò a parlare uno di quelli che stavano in piedi colà e disse a quell’uomo: “Prendi quell’ostia, offrila all’altare, e prendine cento al 1 La frase, attestata in siriaco unicamente da Π, è riflessa dalla versione latina di Parigi, che riporta: uirquidamhabenscasaleualdebonum. È probabile che il modello greco comune alle due traduzioni presentasse l’inizio del capitolo in questa forma. L’intero episodio è assai interessante ai fini della ricostruzione del modello greco utilizzato dal traduttore. 2 Il periodo è attestato esclusivamente dalla versione siriaca, mentre nel testo greco rimane implicito che il prestito sia stato accordato da Giovanni al richiedente. La versione siriaca inserisce a questo punto l’episodio che occupa il capitolo XXXII del testo greco, omettendo per il momento la digressione relativa all’empatia del patriarca verso gli afflitti e l’episodio della vedova (capitolo XXXI in greco), poi recuperati e collocati in successione. La medesima innovazione, invero cospicua e assai singolare, è attestata dalla versione latina di Parigi. Questo riordino del materiale dell’agiografia non ci sembra pertanto essere opera del traduttore, ma piuttosto una caratteristica propria della recensione del testo greco da lui usata come modello. Una situazione testuale del tutto analoga a quella appena descritta è attestata per i capitoli XIX-XX della versione siriaca (cf. supra, p. 37, n. 13).
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CAP. XXIX
suo posto”. Ed egli indugiò ad offrirla. E vide Giovanni che venne alle sue spalle e prese l’ostia che era sul trono e la pose sull’altare, e ne prese cento al suo posto. E avvenne che, quando quell’uomo si risvegliò dal suo sonno, volle sapere l’interpretazione del suo sogno, e non la trovò. E subito mandò a chiamare l’uomo che aveva voluto prendere in prestito da lui, poiché era un suo amico distinto, e gli disse: “Non chiedi di ricevere quell’oro che mi hai richiesto?”. E rispose quell’uomo e disse: “Ti ha preceduto il patriarca Giovanni e ha preso la tua ricompensa, giacché quando vidi che tu mi promettevi di volta in volta e i creditori che mi opprimevano, andai e trovai rifugio in lui, poiché egli è un porto di assistenza, e subito mi diede tutto ciò che volevo”. E quando quell’uomo ascoltò queste cose, ricordò il sogno che aveva visto, e rispose e gli disse: “Hai detto bene ‘ti ha preceduto Giovanni e ha preso la tua ricompensa’: veramente mi ha preceduto questo beato! Guai dunque a colui che può fare qualcosa di buono e lo trascura e lo rimanda senza portarlo a termine!”. Allora gli raccontò il sogno che aveva visto, e chiunque ascoltò glorificò Dio3. [381.15] 3 E con la moltitudine delle virtù di questo beato Giovanni, egli possedeva anche questa proprietà eccellente, che, quando vedeva uno che piangeva ed era triste, immediatamente era mosso a pietà verso di lui, e sospirava con molti lamenti, al punto da sembrare a coloro che osservavano un maestro di afflizione, e gli dava tutto ciò che desiderava.
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Segue a questo punto la sezione conclusiva del capitolo XXX del testo greco, che era stata precedentemente stralciata.
CAPITOLO XXX Un giorno, andando il beato Giovanni alla chiesa del santo padre Ciro e Giovanni martiri nel giorno della loro festività, mentre egli usciva dalla porta della città si imbatté in lui una donna, e si gettò davanti a lui e disse: “Mio signore, fai giustizia tra me e mio genero, il quale mi ha ingiuriato”. E rispose uno di coloro che erano insieme al beato e disse a quella donna: “Quando ritorna, risolve la tua causa”. E quando il santo udì queste cose, disse: “Come sarà accolta la nostra preghiera davanti a Dio, se ignoriamo il problema di questa donna?”. E non se ne andò assolutamente da quel luogo finché non risolse il suo problema.
CAPITOLO XXXI [384.1] 1 Udì una volta il beato Giovanni di un giovane saggio il cui padre era morto e lo aveva lasciato bisognoso e povero, poiché suo padre, avvicinandosi la sua morte, aveva dieci libbre d’oro, e chiamò suo figlio e gli disse: “Figlio mio, queste dieci libbre d’oro sono mie. Ordunque, che cosa desideri: che io lasci a te in eredità quest’oro, o la santa Madre di Dio?”. E quel giovane scelse la Madre di Dio. E avendolo udito suo padre, subito diede l’ordine e quell’oro fu tutto dato ai poveri. E cadde quel giovane, dopo la morte di suo padre, in grande povertà. E non aveva alcuna sostanza, se non per recarsi costantemente alla chiesa della Madre di Dio, di notte e di giorno. E quando ascoltò queste cose il beato, mandò a chiamare il logoteta della città1 e lo informò di questa storia, e gli ordinò che nessuno ne venisse a conoscenza. E gli disse: “Vai e scrivi su vecchi papiri che il padre di questo giovane è della mia famiglia, e poi vai e di’ al giovane queste cose: ‘Sai invero che tu sei parente del patriarca Giovanni? E non è giusto che tu sia in questa indigenza, ma vai e manifestagli la tua condizione. E se ti vergogni, vado io e gli faccio sapere la tua faccenda, poiché è capitato tra le mie mani il documento su cui è scritto che tu sei suo parente’. E vedi che cosa ti dice e fammelo sapere”. [385.29] 2 E andò e fece come gli aveva ordinato, e ritornò da Giovanni e disse: “Sono andato dal giovane e l’ho informato di ciò che ha ordinato la tua magnificenza. E si è riempito di gioia, e mi ha richiesto di rendere nota la sua faccenda davanti a te”. E rispose l’illustre e gli disse: “Vai, digli: ‘Ho raccontato al patriarca la tua faccenda, e mi ha detto: io sono sicuro che un certo mio parente aveva un figlio, tuttavia io non lo conosco nell’aspetto’. Ma fai un favore, e porta da me il giovane e il documento”. E avvenne che, quando lo portò da lui, cominciò a baciarlo2 e a dire: 1 Il termine νομικός, che significa “consigliere legale” oppure “notaio” (cf. FESTUGIÈRE, ViedeSyméonleFou,p. 599; CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 361, n. 3), è reso dalla versione siriaca conÀĀçÙËãx¿LÓsÎÅÎà, “logoteta della città”. Si tratta di un’interpretazione alquanto singolare del sostantivo greco, a meno di non voler supporre che già il modello recasse in sé l’innovazione λογοθέτης. > 2 L’interpretazione del verbo καταφιλεῖν presente ramo α (ûþçã, “baciare”) è senz’altro > corretta. La versione corta riporta in sua vece ûóðã “abbracciare”, che ci pare una variante facilior. Segnaliamo tuttavia che la anche versione latina di Parigi rende il verbo καταφιλεῖν con amplexatusest.
CAP. XXXI
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“Benedetta la venuta del figlio del mio parente3!”. E subito lo rese ricco e gli diede una moglie ad Alessandria e gli costruì una dimora4, e in essa egli fu nell’agiatezza e in grande ricchezza, poiché (il patriarca) aveva voluto fargli sapere che nessuno confida in Dio e lui lo abbandona.
3 Evidentemente la contiguità dei termini¿êçÅüÂxzüÂxha portato alla caduta del primo nel ramo α. L’omissione non si è verificata nella versione corta, che ha sostituito il termine ¿êçÅ üÂx con ÛÃÙüùx. 4 Il testo di α è qui decisamente deteriore rispetto a quello conservato da Π. In α sono infatti cadute le parole Íà ÁüÂ{ ÀĀæs, come rivela il raffronto con il greco: ἐνεγάμισεν ἐν Ἀλεξανδρείᾳ καὶ οἶκον καὶ πάντα ἐχαρίσατο. La versione corta, al contrario, ha soppresso la menzione di Alessandria. Tale indicazione ha probabilmente creato confusione nei redattori delle due recensioni, conducendo all’omissione di Π e alla rielaborazione di α.
CAPITOLO XXXII [385.1] 1 Venne a sapere uno dei furbi della città che questo santo molto si preoccupava dei precetti di nostro Signore Gesù Cristo, colui che disse ‘a chi vuole prendere in prestito da te, non respingerlo’1, e andò dal beato Giovanni e prese in prestito da lui venti libbre d’oro. E, poco tempo dopo, negò di aver ricevuto alcunché. E i funzionari della chiesa vollero metterlo in prigione e confiscare ogni cosa che possedeva. E li trattenne da ciò questo buon pastore, dicendo: “Perdonatelo, o figli miei, in nome di nostro Signore”. Ed essi risposero e gli dissero: “Non è giusto che costui prenda le sostanze dei poveri”. [386.20] 2 E disse loro il beato: “Io vi dico il vero: se voi prendete qualcosa da lui con la violenza, trasgredite due comandamenti e ne rispettate uno. Il primo dunque, che siamo privi di sopportazione e di perdono, e che gli altri ci imitano al punto da non avere sopportazione e perdono verso le offese da loro subite. E il secondo, che trasgrediamo il comando di nostro Signore che dice ‘non richiedere indietro il tuo da colui che lo ha preso da te’2. E noi dobbiamo essere un buon esempio per tutti nella pazienza e nel perdono. E (il Signore) non vuole che in nome dei poveri noi trasgrediamo la parola di Dio, poiché la buona elemosina è quella (fatta) a colui ti chiede, e ancor di più se tu dai a chi non ti chiede. Se uno ti prende la tua tunica con la violenza, e tu sopporti da lui questa cosa, aggiungendogli anche il tuo mantello3, questa azione è divina, che nessuno fa, se non chi è della natura degli angeli. E questa azione è più nobile delle elemosine e dei doni”.
1 2 3
Matteo, 5:42. Luca, 6:30. Matteo, 5:40.
CAPITOLO XXXIII [387.1] 1 Un venerabile monaco anziano udì delle eccelse virtù del santo Giovanni e volle metterlo alla prova, se si scandalizzava affrettatamente e credeva alle parole di coloro che si calunniano gli uni con gli altri prima di investigare accuratamente. E lasciò il suo monastero e venne ad Alessandria: aveva allora sessant’anni. Ed essendo giunto in città, assumeva in essa dei comportamenti vergognosi e pieni di scandalo presso gli uomini, presso Dio invece accettabili e nobili, poiché Dio remunera ciascuno in base al suo cuore. E nel primo giorno in cui entrò ad Alessandria, andò in giro e scrisse i nomi di tutte le prostitute pubblicamente note che vi erano in essa. E svolgeva un lavoro e riceveva il suo salario ogni giorno, ed al tramonto comprava con un follis dei lupini e li mangiava, e prendeva il resto della sua paga ed andava da una di quelle prostitute e glielo dava e le diceva: “Prendi questo e preparati per me questa notte e non fornicare con nessun altro”. E dormiva presso di lei nella sua casa, e la sorvegliava tutta la notte affinché non peccasse, mentre egli stava in uno degli angoli della cella e pregava e si genufletteva per la redenzione dell’anima di quella prostituta fino all’alba. E al sorgere della luce, la faceva giurare che non facesse sapere la sua azione a nessuno, e andava alla sua attività e al suo lavoro. [388.23] 2 E così faceva ogni giorno, andando ogni notte da una di esse, una per una, e le dava il suo salario e la preservava dal peccato, facendo loro giurare che non rivelassero a nessuno la sua azione1. Una di esse però rivelò la sua azione davanti al popolo e disse: “Egli non entra presso di noi per il peccato, ma per preservarci dalla fornicazione”. E il santo pregò, ed un demone la torse in convulsione e la tormentava. E quando il popolo vide ciò che era accaduto, dicevano: “Bene ha agito Dio su di lei, poiché ha mentito2, poiché questo anziano non entra da loro 1 Questo periodo, non attestato da nessuna delle recensioni del testo greco, appare ripetitivo rispetto alla sezione precedente. Con ogni probabilità però il brano non costituisce un’aggiunta del traduttore o di un successivo redattore del testo siriaco, in quanto anche la versione latina di Parigi pare conservare uno sbiadito riflesso della sua presenza nel modello greco: etsicperdiemsequentemlaborans,adaliammeretricempernoctem similiterdeclinabat.Etsicdiebussingulisapudsingulassimiliafacienscircuibat. 2 La recensione α ed il codice Ottob.gr. 402 riportano la frase alla terza persona; la recensione Π, il codice Vat.gr. 1669 e le versioni media e corta del testo greco presentano
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CAP. XXXIII
se non per la fornicazione e la corruzione”. E quando accadde ciò, il resto delle prostitute rimasero sconvolte, e da quel giorno non rivelarono la sua storia a nessuno3. [388.31] 3 E questo santo ogni giorno, quando riceveva il suo salario, diceva a voce alta: “Vai, o padre Vitalio, questa notte dormi presso la tale prostituta, ed ecco anche lei siede e ti aspetta!”. E molti di quelli che sentivano si scandalizzavano e lo vituperavano con le loro parole. Ed egli diceva loro: “Forse che io non ho la carne come gli uomini? Oppure Dio è adirato con i monaci e li lascia bruciare negli appetiti?”. Ed essi gli dicevano: “Prenditi una moglie e cambia la tua veste, affinché non sia bestemmiato il nome di Dio a causa tua. E tu porti il peccato di coloro che ti maledicono e si indignano”. Egli si fingeva infastidito per queste cose, e giurava e diceva: “Viva il Signore! Non vi rispondo! Andatevene dal mio cospetto! Che cosa volete da me? Forse Dio vi ha reso miei giudici? Andatevene, meditate su voi stessi. Infatti, voi non sarete giudicati al posto mio. Uno solo è infatti il giudice, ed uno solo è il giorno del giudizio e della vendetta. Se dunque Dio non avesse voluto, io non sarei entrato ad Alessandria. E voi volete che io ascolti la vostra voce e che prenda per me una moglie, e che cada nella cura della casa e delle spese, e che consumi i miei giorni malamente?”. E diceva queste cose a voce alta, gridando con forza, cosicché molti, intimoriti dalla sua lingua, lo lasciavano in pace. [388.59] 4 E molte volte i funzionari della chiesa resero nota la sua storia davanti a Giovanni, e Dio volle e il suo cuore si indurì e non prestò loro fede, poiché era molto prudente dal giorno in cui accadde ciò che accadde a quel monaco eunuco. E diceva a coloro che calunniavano davanti a lui quell’anziano: “Cessate dalla calunnia e dall’invidia verso i monaci, oppure non sapete ciò che è scritto riguardo al vittorioso imperatore Costantino? Quando fu riunito il santo sinodo a Nicea, molti andarono a invece la seconda persona. La versione latina di Parigi attesta il brano in una forma fortemente rimaneggiata. La tradizione manoscritta è dunque divisa, al punto che è difficile ricostruire la forma originaria del periodo sia per il testo greco che per la versione siriaca. 3 La versione siriaca e la versione latina di Parigi presentano un ordine dei fatti diverso rispetto al greco. Dopo la possessione demoniaca subita dalla prostituta, gli abitanti di Alessandria la accusano di aver mentito, e soltanto alla fine si dice che le altre prostitute ebbero paura di rivelare il segreto del monaco. Nel testo greco quest’ultimo dettaglio risulta invece anticipato. L’innovazione potrebbe risalire al modello greco delle due traduzioni, il cui redattore avrebbe optato per una disposizione del materiale più ordinata e consequenziale rispetto all’originale.
CAP. XXXIII
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diffamare davanti a lui monaci e vescovi, e gli diedero delle lettere, in cui erano scritte queste cose. Ed egli subito riunì tutte le lettere che gli diedero, e le fece bruciare nel fuoco davanti a tutta l’assemblea, e disse: “Se io avessi visto un prete oppure un monaco nel peccato, io mi sarei levato la mia tunica e lo avrei coperto, affinché nessuno lo vedesse”. Così ancora voi avete fatto con il monaco eunuco e avete fatto con me, al punto che ho peccato nel suo caso”. E quando ascoltarono queste cose dal beato, si vergognarono e se ne andarono dal suo cospetto. [389.90] 5 Il santo Vitalio dunque assumeva i comportamenti che abbiamo ricordato, e supplicava Cristo che non considerasse coloro che dubitavano per la sua storia come un peccato. E molte di quelle prostitute assunsero continenza e pudore e si astennero dal vizio. Ed alcune di esse entrarono in monastero, ed alcune altre presero dei mariti con temperanza. E un giorno, essendo uscito questo beato dalla casa della prima prostituta, si imbatté in lui un uomo malvagio, che aveva voluto entrare da lei per fornicare con lei. E quando vide l’anziano che usciva, lo colpì sulla sua guancia e gli disse: “O vecchio empio, fino a quando non cesserai dalle tue azioni nefande?”. E rispose l’anziano e gli disse: “In verità ti dico, o miserabile, che tu sarai colpito da un ceffone, e che tutta Alessandria si riunirà al tuo grido”. [390.114] 6 Aveva dunque questo beato una piccola cella vicino alla porta detta “del Sole”, che era vicino alla chiesa che vi era colà4. E le prostitute lo visitavano, ed egli le ammoniva, e poi sedeva e mangiava insieme a loro. E molti si adiravano e dicevano: “Guardate come amano questo empio anziano!”, non conoscendo il segreto della sua attività. E dopo un po’ di tempo l’anziano benedetto morì e trovò riposo nella sua cella, senza che nessuno si accorgesse di lui. E in quel momento venne presso l’uomo che aveva colpito il beato sulla sua guancia un demone, nella foggia di un etiope spregevole d’aspetto, e lo colpì sulla sua guancia e gli disse: “Ricevi il ceffone che ti ha mandato padre Vitalio!”. E immediatamente cadde davanti a lui, ed iniziò a schiumare e ad urlare. E si radunarono al suo grido tutti gli abitanti di Alessandria, come gli aveva 4 Soltanto i codici del ramo α conservano la menzione della Porta del Sole, la porta orientale di Alessandria. Nessuno dei testimoni della versione siriaca cita per nome la chiesa di San Metra, menzionata subito dopo dall’autore (ἐκκλησίαν τοῦ ἁγίου Μητρᾶ). Per informazioni circa i due luoghi citati, cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 381, n. 2.
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profetizzato in precedenza il magnanimo. Ed in seguito egli cessò e fece un po’ silenzio, ed afferrò le proprie vesti e le stracciò, e corse alla cella del santo, lamentandosi e dicendo: “Io ho peccato, abbi misericordia di me, santo servo di Dio, padre Vitalio!”. E andò dietro di lui tutto il popolo. E dopo aver raggiunto la cella del beato, di nuovo il demone lo gettò a terra, ed iniziò a soffocarlo5. Ed alcuni di quelli che erano giunti colà entrarono nella cella del beato, e lo trovarono piegato sulle sue ginocchia e che consegnava la sua anima a Dio. E trovarono una scritta vergata sul suolo della cella: “Io dico a voi, abitanti di Alessandria: non giudicate nessuno prima che venga nostro Signore, che giudica le cose nascoste e quelle manifeste”. Ed in seguito il demone abbandonò quell’uomo, ed egli si alzò ed iniziò a raccontare loro ciò che aveva fatto all’anziano e ciò che gli aveva detto6. [390.150] 7 Ed informarono di queste cose il beato Giovanni, e subito egli si alzò e venne nel luogo in cui giaceva il corpo del santo con una gran folla di sacerdoti. E quando vide la scritta che era vergata in terra e la lesse, disse: “Per grazia di Dio il misero Giovanni è sfuggito a questo santo, ed altrimenti sarei stato colpito io con lo schiaffo di quest’uomo. E allora si adunarono tutte le prostitute che erano state salvate per mano sua, le monache e quelle che avevano preso dei mariti, portando ceri e torce7 e piangendo e dicendo: “Oggi siamo state private del nostro maestro 5 Íà ûçÐ> üý{. Il testo greco esprime qui un concetto diverso: διέρρηξεν αὐτόν, forse nel senso di “gli lacerò le vesti”, cf. FESTUGIÈRE, Vie de Syméon le Fou, p. 499. Ancora una volta, il testo della versione latina si avvicina molto a quello della versione siriaca, giacché essa riporta: suffocansipsum. 6 Nella versione siriaca l’indemoniato costituisce il soggetto del verboüãs, il santo Vitalio il suo complemento di termine, proprio come nel codice Vat. gr. 1669. Questa interpretazione del brano ci appare poco logica: qui l’autore intende piuttosto ricordare al lettore la profezia pronunciata da Vitalio. L’innovazione è assente nel codice Ottob.gr. 402 e nei testimoni delle recensioni media e corta del testo greco, privi come sono di ogni margine di equivoco (tutti riportano: ὁ ὅσιος εἶπεν). Tale doveva essere il senso del brano anche nel modello greco della versione siriaca, come pare indirettamente testimoniare la versione latina, che lo presenta in forma parafrastica: enarrauit qualiter sanctum dei percusserat, et quaeabeoaudierat. La coincidenza in errore tra la versione siriaca ed il Vat.gr. 1669 non può essere considerata significativa, data l’alta probabilità che vi è qui di confondere i soggetti. 7 Dell’originale dittologia μετὰ κηρῶν καὶ λαμπάδων, il ramo α della versione siriaca ? ? conserva solo il primo termine (¿æÎÙÌù), il ramo Π soltanto il secondo (Áx¾óäà). Quasi sicuramente i due termini erano entrambi presenti nell’originale della versione siriaca. Ci troviamo di fronte ad un ulteriore indizio del fatto che le due recensioni in cui ci è pervenuta la traduzione costituiscano in realtà due diversi abrégés dell’originale siriaco. L. Van Rompay segnala che nella versione siriaca della VitadiSimeoneSalos è
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e della redenzione delle nostre anime”. E raccontarono davanti a tutto il popolo la storia del santo, dicendo: “Non per fornicazione e lascivia egli entrava da noi. E non lo abbiamo mai visto dormire in tutta la notte, ma sempre vegliava in preghiera. E non beveva vino, e non ha mai messo la sua mano su una di noi. E quando il popolo ascoltò queste cose, le rimproveravano, dicendo: “E perché non avete rivelato la sua attività, vedendo voi che a causa sua si scandalizzava tutta la città?”. E li informarono della storia di quella prostituta, di come, quando rivelò la sua attività, ella ebbe un demone: “E noi, a causa di questo fatto che è accaduto, abbiamo avuto paura di rivelare la sua storia”. [391.168] 8 Lo seppellirono dunque con onore e con una grande processione. E fu curato quell’uomo dal corpo del santo, e faceva il memoriale del santo ogni anno. Ed in seguito andò al monastero del santo Vitalio, e abitò nella cella in cui aveva abitato il beato, e stette colà fino al giorno della sua morte con opere gradite a Dio. Il santo Giovanni allora glorificava Dio, che non lo aveva lasciato fare una cattiveria al servo di Dio Vitalio. E molti tra gli abitanti di Alessandria trassero profitto da quel giorno, e apprezzavano i monaci e li onoravano molto, e non giudicavano mai nessuno. Operò dunque Dio sulla tomba del santo Vitalio, dopo la sua morte, numerosi miracoli. E con le sue preghiere noi tutti saremo degni di essergli compagni, amen8.
? ? attestata proprio la dittologia Áx¾óäà{ ¿æÎÙÌúÂ. In quel caso però il testo greco, almeno nella sua forma a noi nota, presenta unicamente il termine κηρίων in corrispondenza della suddetta dittologia, cf. VAN ROMPAY, TheSyriacVersionofthe“Lifeof SymeonSalos”, p. 393, n. 41. 8 La proposizione relativa che chiude il capitolo è attestata in siriaco esclusivamente dalla versione corta. Sebbene non vi possano essere dubbi che la frase sia stata modellata sulla base del greco (che a sua volta riecheggia ICorinzi, 4:5), essa ha tutto l’aspetto di una libera parafrasi del testo d’autore. Pur consapevoli delle alterazioni che il brano ha verosimilmente subìto, abbiamo scelto di accoglierlo nella forma attestata dal manoscritto, che ci è parsa in ogni caso preferibile alla sua soppressione.
CAPITOLO XXXIV [391.5] Un giorno, mentre il santo Giovanni andava in chiesa, si imbatté in lui un povero e gli chiese l’elemosina, e lui ordinò che gli fossero dati dieci folles1. E avendolo il povero udito, rivolse al beato un grande oltraggio, poiché non gli aveva dato tutto ciò che voleva. E si riempirono di collera coloro che insieme al beato, e vollero frustarlo. Ed il beato li rimproverò e disse loro: “Lasciatelo in pace! Ecco infatti, io sono sessant’anni che oltraggio Cristo con le mie azioni malvagie: non è giusto che anche io sopporti da lui una sola offesa?”. Allora ordinò al suo eunuco di aprire il sacco della distribuzione davanti a quel povero e di lasciarlo prendere tutto ciò che voleva.
1 La versione siriaca integra a suo modo la narrazione. In greco il capitolo si apre con un’apostrofe ai lettori, che la versione siriaca sopprime, precisando che il patriarca si stava recando in chiesa. Nel testo greco non si menzionano invece le circostanze in cui avviene l’incontro con il mendicante.
CAPITOLO XXXV [392.1] 1 Questo santo, quando sentiva di un uomo che era misericordioso e faceva l’elemosina ai poveri, lo mandava a chiamare con gioia, dicendogli: “Dimmi, fratello mio, come sei diventato misericordioso? Per tua natura oppure per un’altra ragione?”, poiché questo beato diceva che, per coloro che per loro natura sono misericordiosi e buoni e puri di cuore e piccoli di provvigione, non c’è ricompensa come per coloro che invece per loro natura sono all’opposto di questi, ed esercitano le loro anime e cambiano la loro natura verso il bene con la violenza, come disse nostro Signore nel suo Vangelo: ‘il regno dei cieli è governato con la violenza e i violenti se ne impadroniscono’1. [392, 14] 2 E rispose uno di coloro che erano stati interrogati da lui e disse: “Io una volta ero un cuore duro, e non avevo mai fatto l’elemosina o mostrato compassione verso nessuno. E divenni povero, e si ridusse ciò che vi era tra le mie mani. E meditai in cuor mio e dissi: “Se io fossi stato misericordioso, Dio non mi avrebbe abbandonato”. E subito stabilii verso me stesso che avrei dato ai poveri ogni giorno cinque folles. E quando volevo darli ai poveri, mi fermava Satana, dicendo: “O miserabile, a te questi cinque folles oggi sono sufficienti per il bagno e le verdure”. E subito, come se li strappassi dalla bocca dei miei figli e dal mio cuore, soprassedevo e non davo niente2. E quando vidi la mia mente che mi dominava, dissi al mio servo: “Da’ ogni giorno cinque folles ai poveri e non farmelo sapere”. Allora quel servo cominciò a dare molte volte dieci, e dava persino una moneta d’argento ogni giorno. E quando vide che la benedizione si era accresciuta, dava ogni giorno tre monete d’argento3. E quando vidi la benedizione di Dio sulla mia casa, grazie 1
Matteo, 11:12. Il testo della versione corta appare qui di migliore qualità rispetto a quello di α. I manoscritti di α riportano: ÛÃýÎÐ, “la mia mente”, anziché ὁ σατανᾶς, “Satana”; {Āóà, “per la tua mensa”, anziché εἰς τὸ λάχανον ἢ εἰς τὸ βαλανικόν, “per la verdura o per il bagno”. Inoltre, la recensione α omette la frase “come se li strappassi dalla bocca dei miei figli”, che riflette il greco ὡς ἵνα ἐκ τῆς γούλας τῶν τέκνων μου ἐστέρουν αὐτά. 3 Al termine κεράτιον corrisponde, nei testimoni di α, il siriaco¿óêÝx¿ćáùĀã, “peso/moneta d’argento”, nella versione corta il sostantivo À|{|, “moneta” (dracma, ? shekel, ecc.). Il sostantivo plurale τριμίσια è invece reso in α conÀĀà¿ćáùĀã, “tre 2
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CAP. XXXV
all’elemosina che dava il mio servo, gli dissi: “Figlio mio, abbiamo guadagnato molto dalla donazione di quei cinque folles, ma da oggi danne dieci!”. Allora, quando sentì queste cose, mi disse sorridendo: “Vai, prega per la mia ruberia che, se non ci fosse stata, oggi non ci sarebbe stato pane da mangiare. Ora, se vi è un ladro buono, sono io, perché do sempre l’argento ai poveri”. E, per la fede di quel servo, mi abituai a dare anche io con bontà d’animo ai poveri”. E avendo udito queste cose, il beato Giovanni si meravigliò e disse: “Io dico il vero: ho letto molte storie dei padri, e non ho mai letto nulla di prodigioso come questo”.
pesi”, nella versione corta con ÀĀà{ èÙ{ “e due, e tre (monete)”. La resa del sostantivo τριμίσιον con “tre monete” è forse da imputare ad un’erronea interpretazione del traduttore, che potrebbe non aver compreso il valore di questa unità monetaria, così come avviene per il termine κεράτιον. Risulta più difficile pensare che un’innovazione così grossolana abbia potuto generarsi nella tradizione manoscritta greca. Bisogna tuttavia segnalare che una corruttela del tutto analoga a quella descritta si trova nella versione latina di Parigi, la quale attesta la lezione tresdragmas. All’epoca di Giovanni il Misericordioso, un κεράτιον valeva in Egitto 12 φόλλεις (cf. CAVALLERO, VidadeJuan ellimosnero, p. 141), mentre un τριμίσιον valeva ben 8 κεράτια (e non 3, come si evince invece dalla versione siriaca). È dunque plausibile che il termine τριμίσιον sia stato mal compreso ad un certo punto della tradizione dell’opera, forse a causa della sua relazione con il numero tre (il valore di un tremissis era infatti pari ad un terzo del solidus).
CAPITOLO XXXVI [393.1] 1 Fu riferito a questo santo di uno dei maggiorenti della città che serbava rancore verso un suo compagno, ed egli lo mandò a chiamare presso di lui. E dopo averlo molto ammonito e pregato di riconciliarsi con suo fratello, costui non gli obbedì. E un giorno il santo gli mandò a dire che venisse da lui per un qualche affare della città. E quando arrivò, il beato si presentò e fece una messa nella chiesa che vi era nella sua cella, e non vi era nessuno lì con lui, tranne il suo sincello e quell’uomo. E avvenne che, quando arrivò il momento del ‘Padre Nostro che sei nei cieli’, iniziarono tutti e tre a recitarlo. E quando giunsero a quel luogo che dice ‘perdona a noi i nostri debiti e i nostri peccati, come anche noi perdoniamo i nostri debitori’1, il beato fece cenno al suo sincello che facesse silenzio. E tacque anche lui, e quell’uomo rimase da solo mentre recitava quella frase. Allora il beato si voltò verso di lui e gli disse a voce alta: “Guarda ciò che dici a Dio in questo momento terribile: ‘come io perdono, perdona anche tu’. E avendolo udito quell’uomo, fu sconvolto e cadde davanti ai piedi del santo, e disse: “Ogni cosa che tu mi ordini, mio signore, io la faccio”. E da quel giorno fu in pace con suo fratello. [394.2] 2 E diceva il santo Giovanni: “Se riflettessimo sull’ingenza della potenza di Dio e della sua carità verso di noi, non alzeremmo il nostro sguardo al cielo, ma dovremmo sempre essere in atteggiamento umile, poiché lui ci ha creato dal nulla, e noi lo abbiamo fatto adirare e abbiamo peccato davanti a lui, e lui non ci ha voltato le spalle, ma con il suo prezioso sangue ci ha liberato dalla morte. E noi fino ad oggi pecchiamo davanti a lui, e lui è paziente verso di noi. E quando bestemmiamo il suo nome, lui sopporta magnanimo ed ha misericordia di noi, e profonde le sue virtù su di noi. E colui che vuole andare a uccidere, o a rubare, o a fare altre cose malvagie, lui lo protegge e non lo consegna. E colui che si imbarca in mare, per uccidere e rapire e saccheggiare, lui non permette all’abisso di ingoiarlo, ma sopporta aspettando la sua conversione. È giusto dunque che noi gli rendiamo grazie per i suoi favori verso di noi e che siamo umili davanti a lui.
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Matteo, 6:12.
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CAP. XXXVI
[395.50] 3 Questo santo ricordava sempre la morte, e su di essa sempre discorreva, dicendo: “È sufficiente per l’uomo essere sempre memore della morte. E nessuno può aiutare il suo compagno in quel momento, o nulla può uscire con lui da questo mondo, se non le sue opere. Guai allora a colui che è stato negligente e sprezzante! Come si pente in quel momento, quando vede gli angeli che circondano la sua anima, e inizia a supplicare e a dire: “Lasciatemi un po’ di tempo, in modo che io mi penta!”. Ed essi rispondono e gli dicono: “Tutto questo tempo della tua vita, tu lo hai consumato nella negligenza e nei peccati, e adesso tu chiedi tempo per la conversione?”. Che cosa farà mai, oltrepassando quelle terribili dogane, quando ripetono le sue opere malvagie al suo cospetto? In quale tremore e paura è l’anima in quel momento, quando è giudicata da coloro che non hanno misericordia!”2. [396.90] 4 Di queste cose e di molte cose simili si occupava il beato dentro di sé, piangendo e riportando alla memoria il discorso che padre Ilarione l’eremita diceva nel momento della sua morte, quando diceva alla sua anima così: “O anima mia miserabile, sono per te ottant’anni che servi Cristo, ed ecco, tu hai paura di andare da lui: esci allora, esci! Poiché egli è misericordioso e perdona i peccati”. E diceva il beato Giovanni: “Se quel virtuoso, che ha servito Cristo per ottant’anni e ha fatto rialzare i morti e ha compiuto grandi prodigi, nel momento della sua morte tremò ed ebbe paura, che cosa avremo da fare noi, miseri e peccatori, quando si imbatteranno in noi coloro che non hanno misericordia e ci chiederanno conto delle nostre azioni malvagie?”. E si lamentava e diceva: “Signore, allontanali tu da noi! E, altrimenti, l’uomo non è capace di stare alla loro presenza. E manda i tuoi angeli e soccorrici per mezzo di loro, poiché la strada è piena di paura e di terrore3. [396.120] 5 E ancora diceva: “Se uno di noi, quando vuole andare da una città ad un’altra, prende colui che è esperto della strada per non cadere in una fossa, o in un luogo di animali feroci, e montagne non oltrepassabili, e deserti, e luoghi di predoni, quanto di più noi abbiamo 2 Sull’immagine dei demoni-doganieri, cf. CAVALLERO, Vida de Juan el limosnero, p. 403, n.2. 3 Nella versione siriaca sono assenti le porzioni del capitolo che in greco precedono e seguono questo paragrafo, rispettivamente dedicate dall’autore alla rivelazione apparsa a Simeone Stilita (395, 76 - 396, 89) ed alla metafora del viaggio per mare (396, 104120).
CAP. XXXVI
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bisogno di guide e di tanti supporti per quella strada difficile e lunga!”. E per questo il profeta pregava e diceva: ‘Il tuo dolce spirito mi conduca sulla strada della vita’4.
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Salmi, 142 (143):10.
CAPITOLO XXXVII [393.1] Ancora dunque questo santo, quando sentiva che uno del suo gregge era superbo ed arrogante verso un altro, assolutamente non lo accusava o lo biasimava, ma, quando lo vedeva seduto nel suo concistoro, il beato iniziava in quel momento a parlargli dell’umiltà, affinché quell’uomo fosse ammaestrato e traesse giovamento, non sapendo che egli diceva queste cose riguardo a lui. E molte volte diceva: “Io mi meraviglio, fratelli miei, della mia anima miserabile, di come essa non ricordi l’umiltà che ci mostrò il figlio di Dio sulla terra, ma sia arrogante e superba verso il suo compagno quando è ricca, o avvenente, o istruita, o possiede un potere più grande di suo fratello, e non ricordi quel precetto che insegnò nostro Signore e che dice: ‘Portate dunque il mio giogo su di voi e imparate da me, che sono pacifico e umile nel mio cuore, e troverete riposo per le vostre anime’1. E ancora non ricorda le parole dei santi, uno dei quali dice: ‘Io sono terra e cenere’2. Ed un altro: ‘Io sono un verme e non un uomo’3. E un altro ancora chiama se stesso ‘muto ed esitante nel parlare’4. E Isaia ancora, quando vide la gloria del Signore, disse: ‘Io sono un miserabile e dalle labbra impure, eppure i miei occhi videro il Dio d’Israele!’5. E che cosa sono io, tapino? Non è stata tutta la mia gloria come l’erba secca6? Non avvenne che dal fango fui formato, come fu formata la ceramica7?”. Di tali cose dunque e di molte altre simili a queste parlava il beato Giovanni per il beneficio degli ascoltatori.
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Matteo, 11:29. Siracide, 17:32. Salmi, 22 (23):7 Esodo, 4:10. Isaia, 6:5. Isaia 40:7; IPietro 1:24. Genesi 2:7; Giobbe 10:9.
CAPITOLO XXXVIII [397.3] Gli abitanti di Alessandria avevano l’abitudine, quando veniva letto il santo Vangelo durante la messa, di uscire fuori dalla chiesa e di mettersi a sedere e di conversare l’uno con l’altro. E volle il beato Giovanni levare loro questa abitudine, e andò via anche lui ed uscì dalla chiesa dopo che era stato letto il Vangelo, ed andò a sedersi insieme a loro. E tutti si meravigliarono molto per questo. Ed il beato iniziò a parlare e disse loro: “È giusto che, dove sta il gregge, là vi sia anche il pastore: o entrate e io entro con voi, o sedete qui e anche io siedo con voi. Io vengo in chiesa per voi, altrimenti potevo far messa nella chiesa che vi è nella mia dimora episcopale”. E dopo aver fatto così due e tre volte, tolse loro questa cattiva abitudine.
CAPITOLO XXXIX1 [397.17] E assolutamente non permetteva a nessuno di parlare in chiesa nel momento della messa, e tantomeno sull’altare2. E ordinava che facessero uscire dalla chiesa colui che parlava, al cospetto della moltitudine. E diceva: “Se siete venuti in chiesa per la messa e per la preghiera, concentrate la vostra mente e i vostri pensieri su Dio, supplicandolo per i vostri peccati. È scritto infatti: ‘La casa di Dio sarà chiamata casa di preghiera’3. Voi dunque non rendetela una spelonca di ladri!”.
1 Nel codice P questo capitolo (XXXIX in L e M) costituisce la seconda parte di quello precedente. L’innovazione, considerata l’affinità tematica dei due capitoli, è senz’altro di facile generazione. In tal modo si verifica peraltro il riallineamento tra la numerazione dei capitoli di L e M da un lato e P dall’altro. 2 Dettagli come la messa e l’altare sono del tutto assenti nel testo greco a noi noto dai manoscritti: si tratta forse di innovazioni proprie della recensione dell’opera utilizzata come modello della traduzione. 3 Matteo 21:13. I manoscritti del ramo α riportano “la mia casa” anziché “la casa di Dio”, in maniera difforme dal testo greco. Il redattore di α ha introdotto l’innovazione per restare aderente alla forma del brano evangelico. La citazione scritturistica si interrompe qui, mentre le parole che seguono costituiscono la conclusione del discorso di Giovanni. Nei codici P e M l’ultima frase viene erroneamente considerata parte del brano evangelico citato e viene dunque normalizzata in tal senso.
CAPITOLO XL [397.23] Per questa cosa ancora c’era da meravigliarsi di questo beato: nonostante egli non avesse mai abitato in monastero e nemmeno fosse stato diacono – giacché quando fu scelto e divenne patriarca egli era un laico1, ed aveva anche una moglie da prima – pur con tutte queste cose, egli si elevò ad una tale nobiltà di comportamenti e di opere virtuose che superò con la sua umiltà coloro che erano stati educati in monastero fin dalla loro infanzia.
Sull’ordinazione a patriarca di Giovanni il Misericordioso, cf. CAVALLERO, Vidade Juanellimosnero, p. 211, n.1; VENTURINI, Nuoveconsiderazioni, p. 76. 1
CAPITOLO XLI [398.1] E questo beato volle avere ancora una condivisione con i monaci. E raccolse una moltitudine di monaci e li mise presso di lui in monastero, e diede ad essi ogni loro necessità dai proventi che gli avevano lasciato i suoi padri nella sua regione e disse loro: “Io, certamente dopo Dio, penso alle vostre necessità corporali. Ma anche voi pensate alla salvezza della mia anima, e fatemi posto nelle vostre preghiere e nelle vostre veglie1, affinché io trovi clemenza nel giorno del giudizio”. E rimase quel monastero fino ad oggi a questa congregazione.
1 La recensione α non menziona la veglia notturna, di cui si parla nel testo greco: νυκτερινὴ ἀγρυπνία. Il redattore della versione corta recupera il concetto, innovando però al contempo la struttura del periodo. Il redattore della versione corta recupera in molti casi delle lezioni originali, inserendole liberamente in un contesto innovato dalla sua opera di riscrittura.
CAPITOLO XLII [400.8] 1 Uno dei giovani di Alessandria1 sedusse una monaca, e la prese e fuggì a Costantinopoli. Ed il beato Giovanni lo udì e si afflisse molto e si rattristò, soprattutto per la perdizione di quella monaca. E dopo un po’ di tempo, mentre egli sedeva nella tesoreria della chiesa insieme a degli uomini del clero e facevano un discorso edificante, gli sopraggiunse il ricordo di quell’impudente che aveva rapito la monaca. Ed iniziarono a maledirlo, a causa della perdizione di quella suora e dell’anima di lui. E li fermò il beato e disse: “Non maleditelo, figli miei, altrimenti voi commettete due peccati; uno, che trasgredite il comandamento di colui che disse: ‘Non giudicate e non sarete giudicati’2; e l’altro, che non sapete se fino ad ora essi sono nel peccato. E forse la loro azione malvagia è perdonata, e sono pervenuti al pentimento. [400.24] 2 Infatti, in una delle vite dei padri, io lessi che due monaci uscirono al servizio del monastero, ed ecco che una prostituta chiamò uno di loro mentre attraversava una città, e gli disse: “Salvami, padre, come Cristo salvò la prostituta!”. E subito quel monaco non si preoccupò della maldicenza degli uomini, ma la prese per mano e uscì dalla città, mentre tutti lo guardavano. E uscì fuori in città la voce che il monaco aveva preso per sé la tale prostituta3 come moglie. Quel monaco allora, dopo essere uscito dalla città e quella prostituta insieme a lui, andò a metterla in un cenobio di monache. E mentre erano per strada, la donna trovò un bambino riverso al suolo, e lo prese per crescerlo e perché la cosa fosse per lei un merito. E uno che la conosceva la vide mentre portava il bambino ed andava insieme a quel monaco, e le disse: “Molto bello il figlio di questo monaco che tu porti!”. Ed essendo andato in città, disse ad alcuni: “Ho visto la tale prostituta, e con lei vi era il figlio di quel monaco”. Il monaco dunque mise la prostituta in monastero, e la chiamò con il nome di Pelagia. 1 I codici di α riportano la variante facilior: “uno degli abitanti della città”. È incerto se qui il siriaco riproduca il greco νεωτεριστής (Vat.gr. 1669) o νεώτερος (il resto dei manoscritti). La versione siriaca conserva più avanti l’accezione spregiativa del primo termine, quando definisce il personaggio¿LÓÎés, “intemperante”. 2 Luca, 6:37; Matteo, 7:1. 3 Il nome che Leonzio di Neapolis attribuisce alla prostituta, Porfiria, è taciuto dalla versione siriaca.
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CAP. XLII
[400.43] 3 E quando la sua morte fu vicina, andò da lei e le disse: “Vieni con me alla tua città, poiché colà io ho un affare”. Ed ella non fu capace di rispondergli o di trasgredire il suo comando, e si alzò e andò con lui. E quando giunsero alla città – e con loro il fanciullo che ella aveva trovato sulla strada, il quale aveva sette anni – uscì fuori in città la voce che “è venuta la tale prostituta con suo marito il monaco”. E pochi giorni dopo, il monaco si ammalò di una malattia mortale, e si riunirono presso di lui molti degli abitanti della città per visitarlo. Ed egli disse loro: “Portatemi della brace in un vaso di terracotta!”. E quando gliela portarono, la prese davanti a tutti e la collocò sulla sua veste e disse: “Dio, quello che preservò il cespuglio ed esso non si bruciò, sa che, come questo fuoco non brucia le mie vesti, così anche io, dal giorno in cui sono stato generato, non conosciuto nessuna donna”. E tutti coloro che videro questo miracolo glorificarono Dio, per quanti servi egli possiede che si nascondono. E molti uomini trassero giovamento da ciò, e molte prostitute andarono insieme a Pelagia e stettero insieme a lei in monastero. Il monaco allora, dopo aver detto queste cose, consegnò il suo spirito a nostro Signore. [401.68] 4 E per questo io vi dico: non giudicate frettolosamente nessuno, poiché molte volte noi vediamo il peccato e non vediamo il pentimento che concepisce colui che pecca. E quando noi riteniamo che sia un peccatore, si scopre che egli è un servo prediletto di Dio”. E tutti coloro che ebbero ascoltato si meravigliarono per l’insegnamento del buon pastore e glorificarono Dio.
CAPITOLO XLIII [401.1] 1 Aveva questo santo due servitori calzolai, e lavoravano entrambi l’uno di fianco all’altro. Aveva uno di loro una moglie e molti figli e suo padre e sua madre, e li manteneva, con l’aiuto di Dio, con il lavoro delle sue mani, e si trovava sempre in chiesa in occasione della messa. Quell’altro invece non aveva nessuno, e non era in grado nemmeno di mantenere se stesso, nonostante egli fosse più abile nell’arte del suo collega. E non andava in chiesa, ma lavorava di notte e di giorno, e nemmeno la domenica entrava in chiesa, ed era molto invidioso del suo collega. [401.9] 2 E un giorno, per l’abbondanza della sua invidia, gli disse: “Ti imploro per Dio, dimmi come ti sei arricchito e io mi sono impoverito, sebbene io sia più assiduo nel lavoro e più abile di te1!”. E volle il suo collega farlo andare in chiesa, e gli disse: “Anche io, prima di questo periodo, sono stato povero. Ma da quando vado in chiesa, molte volte trovo denaro sulla strada, e per questo mi sono arricchito. Ma adesso, se vuoi ascoltare la mia voce2 e venire sempre con me in chiesa, prendi la metà di tutto ciò che trovo!”. [402.18] 3 E ciò fece piacere all’uomo, e sempre andava con lui in chiesa, e la benedizione di Dio risiedette sul suo lavoro ed egli si arricchì. Allora gli disse il suo collega: “Hai visto, fratello mio, come ha recato > 1 La recensione α riporta:ËÃïèã¿æsâÔ¿ćàßé¿æs, “sebbene io non cessi mai dal mio lavoro”. La resa del concetto espresso in greco è corretta ma imprecisa, in quanto sopprime il complemento di paragone πλέον σου σχολάζων e dunque un elemento importante del confronto tra i due calzolai, conservato dalla versione corta. Una conferma che il testo di quest’ultima sia in questo caso di qualità migliore rispetto a quello del ramo α ci viene anche dalla versione latina di Parigi, che riporta: qui et peritior et magisintentusoperiassiduelaborabat.Come si vede, oltre al comparativo magisintentus, la versione latina riporta anche peritior, che corrisponde bene al siriaco ¿æs èã{s{ ßçãüÙĀÙ, e che non trova alcuna corrispondenza nei manoscritti greci. 2 La recensione α riporta:ÛáúÂñäý“ascoltare la mia voce”, la versione corta: ÎÝsĀïx, “arricchirti come me”. Si tratta anche qui di un verbo al tempo futuro, seguito da un termine dotato di suffisso di prima persona. Tra le due opzioni, preferiamo conservare il testo di α. Anche la versione latina di Parigi riporta un concetto analogo: meis acquiesce consiliis. Non esiste un corrispettivo di questo concetto nel testo greco, che si limita a dire: ἐὰν θέλεις, “se tu vuoi”.
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CAP. XLIII
guadagno una menzogna alla tua anima e alla tua borsa3! Ti dico la verità: non ho mai trovato niente gettato sulla strada. Ma nostro Signore ha detto: ‘Cercate prima il regno di Dio4, e tutte queste cose vi saranno aggiunte’. Per questo io ti ho detto queste cose, affinché tu avessi cura di andare sempre in chiesa, ed ecco che per grazia di Dio tu hai trovato molti beni”. E il beato Giovanni udì queste cose, e fece venire quella buona guida e lo fece presbitero, dicendo: “Egli fu degno di pervenire a questo rango, in quanto fu un benefattore5”.
3 Sia il ramo α che la versione corta presentano delle cospicue innovazioni rispetto all’originale greco. La versione corta conserva del greco la menzione della borsa e dell’anima (τὴν ψυχήν σου καὶ τὸ βαλάντιν σου), concetti scomparsi in α, che li sostituisce con il termine ßçÑàÎóà, “alla tua attività”. Nella versione corta i due sostantivi vengono reimpiegati in una frase del tutto nuova, la cui costruzione reca ancora con sé alcune tracce della loro funzione originaria, quella di complemento indiretto. 4 Matteo 6:33. Il passo evangelico recita: τὴν βασιλείαν τοῦ θεοῦ καὶ τὴν δικαιοσύνην αὐτοῦ, “il regno di Dio e la sua giustizia”. La versione siriaca conferma la correttezza del testo del codice Vat.gr. 1669, in cui è assente il termine δικαιοσύνην, conservato dall’Ottob. gr. 402 e dalle recensioni media e corta del testo greco. Nonostante si possa ipotizzare un salto per omoteleuto avvenuto nella tradizione manoscritta greca (cf. CAVALLERO, VidadeJuanellimosnero, p. 439, n. 1), ci sembra più probabile che la versione siriaca ed il codice Vat.gr. 1669 conservino il testo d’autore. 5 Da questo periodo in poi le due recensioni del testo siriaco corrono in parallelo: pare che il redattore della versione corta abbia improvvisamente interrotto il suo lavoro di riscrittura. Questa situazione perdura per lo spazio dei prossimi due capitoli, alla fine dei quali il racconto di Π approda a conclusione.
CAPITOLO XLIV [402.6] 1 Ci è noto dalla nostra storia l’affetto e l’amicizia che vi fu tra il santo Giovanni e il patrizio Niceta. E avvenne che, quando i Persiani mossero guerra ai territori dell’Egitto e si avvicinarono anche ad Alessandria, si ricordò il beato del discorso di nostro Signore che è nel Vangelo, il quale dice: ‘Quando vi perseguitano in questa città, fuggite in un’altra’1. Ed il beato si levò e fuggì da Alessandria, ed uscì insieme a lui anche il patrizio Niceta. E quando arrivarono a Cipro, Niceta interrogò Giovanni e gli disse: “Se davvero mi vuoi bene ed hai a cuore il mio onore e la mia quiete, vieni con me alla città dell’impero, in modo che l’imperatore gioisca per la tua vista e benefici delle tue preghiere”. E il beato gli obbedì, avendo visto la sua retta fede. [403.29] 2 E mentre viaggiavano in mare, infuriò su di loro una grande tempesta. E questo Niceta e i suoi dignitari vedevano il beato che camminava nella notte qua e là sulla nave, e i poveri insieme a lui, e ancora mentre le sue mani si stendevano al cielo e pregava e chiedeva salvezza a Dio. E, per la forza delle sue preghiere, Dio li salvò dalla furia del mare. E avvenne che, quando giunsero all’isola di Rodi, il santo Giovanni vide nel suo sogno un eunuco bello d’aspetto e recante nella sua mano lo scettro dell’impero. E si avvicinò a lui, e lo svegliò e gli disse: “Obbedisci, poiché il re dei re mi ha inviato per invitarti presso di lui”. E subito il beato comprese che la sua dipartita da questo mondo era vicina, e pianse, e disse al patrizio Niceta: “Tu, mio signore, mi hai chiamato perché io andassi dall’imperatore terrestre, ed ecco prima il re dei re mi ha invitato presso di lui”. [403.45] 3 Allora gli raccontò la visione che aveva visto. E lui si rallegrò con grande gioia dopo averlo udito, eppure si rammaricò di essere privato della sua presenza. E il beato gli chiese che lo lasciasse ritornare a Cipro, la sua terra. E dopo aver accolto la sua preghiera ed esser stato benedetto da lui, lo mandò a Cipro con grande onore, poiché Dio volle che la sua città non fosse privata di questo vanto.
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Matteo, 10:23.
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CAP. XLIV
[404.1] 4 E quando giunse alla sua città, chiamata Amatunte, chiamò i suoi eunuchi per scrivere il testamento. E portarono la carta e l’inchiostro e si presentarono davanti del beato, ed il santo iniziò a dettarlo, e scrisse così: “Documento del testamento del misero Giovanni. Io ti ringrazio, mio Signore e mio Dio, di avermi prestato attenzione e di aver ascoltato la preghiera che ti avevo rivolto, cioè che non rimanessero al tuo servo nel momento della sua morte se non tre denari2. E affinché credano coloro che ascoltano, io giuro su quella terribile stazione presso cui vado, che non possiedo in questo momento se non questi tre denari. E vi erano nella chiesa di Alessandria, nel giorno in cui in vi entrai, circa ottanta centenaria d’oro3. E passò per le mie mani, dai suoi proventi e dai doni degli uomini, qualcosa di illimitato. E giacché riconobbi che tutto era di Cristo, io ebbi cura di darlo tutto a coloro che sono graditi a nostro Signore. E anche questi tre denari che sono rimasti, che anche questi siano dati a Cristo!”. [405.55] 5 E quando questo beato consegnò la sua anima a Dio, volle Dio mostrare l’onore al quale era pervenuto il suo servo, ed operò un miracolo nel momento della sua sepoltura. Due vescovi nobili e santi giacevano nella tomba in cui volevano seppellirlo. E quando trasportarono il suo venerabile corpo per calarlo in quella tomba, i vescovi si separarono l’uno dall’altro e fecero spazio al corpo del beato al centro, come se fossero in vita, per onorarlo tramite ciò. E vide questo miracolo tutto il popolo che era presente, e glorificò Dio.
Come avviene anche al capitolo XL, al termine monetario τριμίσινcorrisponde nella ? versione siriacaèÙÌçÙxÀĀà, “tre denari”. Come abbiamo già notato, si tratta forse di un errore nella resa di un termine dal significato ignoto al traduttore. 3 La cifra di “40 centeraria” costituisce un’innovazione propria di P e Π ed una prova della contaminazione subita dal testo di Π. Il codice L attesta invece la cifra di “80 centenaria”, conformemente al testo greco, i cui manoscritti sono peraltro tutti concordi nel caso di questa lezione. 2
CAPITOLO XLV [405.1] 1 (Ecco) ancora un altro miracolo che mostrò Dio per mezzo del suo servo Giovanni. Una tra le donne della città del beato, avendo udito che egli era giunto da Rodi e che gli era apparso un angelo che lo aveva informato sulla sua dipartita da questo mondo, si recò da lui con fede vigorosa e si gettò ai suoi piedi, quando non vi era nessuno presso di lui. E scoppiò in lacrime e gli disse: “Abbi pietà di me, mio signore, poiché è stato da me commesso un grande peccato, che nessuno può ascoltare! Ed io ho fede che tu possa perdonarlo, poiché nostro Signore ha detto riguardo a voi sacerdoti: ‘Tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto nel cielo’1. Disse ancora: ‘Se voi perdonerete a qualcuno i suoi peccati, essi saranno perdonati; e se riterrete i peccati di qualcuno, essi saranno ritenuti’2”. [406.18] 2 E il santo si meravigliò per le sue parole, e temette di rifiutare le sue parole e la sua richiesta e di essere ritenuto in quel suo peccato. E rispose con umiltà e le disse: “Se tu sei fiduciosa, o donna, che Dio con la mia intercessione ti perdoni i tuoi peccati, confessami il tuo peccato”. Ed ella disse: “Non può l’orecchio di un uomo ascoltarlo”. E le disse il beato: “Se ti vergogni di rivelare il tuo peccato, vai e scrivilo su foglio e portamelo”. Ed ella rispose e gli disse: “Io farò questa cosa, però tu promettimi che il foglio non sarà aperto e non si saprà ciò che vi è scritto”. E lui glielo promise, e la donna andò e scrisse di suo pugno quel peccato sul foglio, e lo sigillò e lo diede al beato, ed il beato lo ricevette da lei. [406.36] 3 E cinque giorni dopo che ebbe ricevuto il foglio, il beato morì e trovò pace, e non disse niente a nessuno riguardo a quel foglio. E per disposizione di Dio, che vuole mostrare i suoi miracoli per mezzo dei suoi santi, non si trovò lì quella donna al momento della morte del beato. Ed andò il giorno seguente e, avendo udito che il beato era defunto, fu come una pazza. Pensò infatti che quel foglio fosse stato trovato presso di lui, e che fosse stato letto ciò che vi era scritto. E si gettò con fede 1 2
Matteo, 18:18. Giovanni, 20:23.
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CAP. XLV
sulla tomba del santo, e con molto pianto parlava con lui, come un uomo parla con un altro, e gli disse: “Servo di Dio, io non sono stata capace di rivelarti il mio peccato, ed ora lo sono venuti a sapere in molti. Se solo dunque non avessi rivelato a te la mia piaga3! Io pensavo che tu mi guarissi e tenessi nascosta la mia disgrazia ed il mio disonore, ed ecco tu mi hai disonorato! E dopo queste cose io non allontano affatto la mia speranza da te, e continuamente aspetto con lamento e pianto finché non mi fai sapere che cosa ne è stato del foglio che ti ho dato, poiché tu non sei morto, o santo di Dio, ma ti sei addormentato, come è scritto: ‘I giusti vivranno in eterno’4”. [407.76] 4 Ed ella stette tre giorni senza allontanarsi dalla tomba e senza mangiare nulla in questi giorni e senza bere. E Dio non volle negarle la ricompensa per la sua sofferenza e per la sua fede. E la terza notte le apparve manifestamente il santo Giovanni, il quale era uscito dalla tomba, ed insieme a lui quei due vescovi che erano sepolti con lui, uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra, e le disse: “Fino a quando, o donna, disturberai coloro che dormono qui? Cessa, poiché hai bagnato le nostre vesti con le tue lacrime!”. E le diede quel foglio sigillato e le disse: “Riconosci questo foglio? Ma ora prendilo e aprilo, e guarda che cosa c’è scritto!”. E dopo aver detto queste cose, il beato ritornò nella tomba insieme ai suoi compagni, e la donna rimase tenendo il foglio nella sua mano. E vide il suo sigillo, come qualcosa che vi era da prima. E aprì il suo foglio, e trovò cancellato ciò che lei aveva scritto, e sotto di ciò vi era scritto così: “Per la supplica e la sopportazione e la preghiera di Giovanni, mio servo, ecco, io ho perdonato il tuo peccato”.
Al termineÛçÐÎýsoggiace senza dubbio il greco τὸ ἐμὸν τραῦμα, lezione attestata nel codice Ottob. gr. 402, mentre tutti gli altri manoscritti riportano τὸ ἐμὸν πρᾶγμα. La variante è certamente interessante per lo studio dei rapporti tra la versione siriaca ed il testo greco. La lezione πρᾶγμα, che per certi aspetti potrebbe apparire più logica in questo contesto, ci sembra per le stesse ragioni una variante facilior. Va in ogni caso notato che, quale che sia l’innovazione, essa risulta per ragioni grafiche di facile generazione. 4 Sapienza, 5:15. 3
CAPITOLO XLVI [408.1] Ancora dunque, nel giorno in cui morì il beato Giovanni, un venerabile eremita dimorava sulla sponda di Alessandria e vide in sogno il santo Giovanni, che usciva dalla sua dimora con tutti i presbiteri e i diaconi, mentre portavano tutti dei ceri. E vide una giovane, il cui volto era splendido come il sole, e sulla sua testa una corona di rami d’ulivo. E avvenne che, quando Giovanni uscì dalla porta, lei lo prese per mano, come se lui avesse un incarico presso l’imperatore. E quel monaco comprese che il santo Giovanni era morto in quello stesso giorno. Ed in seguito giunsero alcuni da Cipro ad Alessandria, e quel monaco li interrogò circa il giorno della morte del beato1. Ed essi lo informarono che egli era morto in quello stesso giorno in cui lui aveva visto il sogno. E ognuno che ascoltò il sogno di quel monaco si meravigliò, e riconobbero che la giovane che il monaco aveva visto era la stessa che era apparsa al beato nella sua giovinezza, come abbiamo detto in precedenza nel nostro racconto.
1 Nel testo greco (408, 19) si precisa che tale giorno coincideva con la festa di San Mena, che cade l’11 novembre. La versione siriaca indica invece la data della morte del santo solo in chiusura dell’opera (cf. infra).
CAPITOLO XLVII [408.30] E ancora, un venerabile cittadino di Alessandria vide nel suo sogno, nella stessa notte in cui il monaco ebbe la visione, che il beato usciva dalla sua casa ed andava in chiesa, mentre i poveri lo circondavano da ogni parte, portando rami d’ulivo. E grazie a molti eventi si seppe che il beato era pervenuto a grande onore e gloria.
CAPITOLO XLVIII [408.40] Ancora dunque, pochi giorni dopo la morte del beato, vi fu la commemorazione di Ticone operatore di miracoli, nella chiesa del quale vi era la tomba del santo Giovanni. Mentre il popolo era intento negli inni e nei canti mistici, improvvisamente la tomba dell’illustre Giovanni fece sgorgare un unguento molto profumato. E ricevettero di quel dono tutti coloro che erano presenti, e glorificarono il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, che glorifica i suoi santi con una gloria che non passa. A lui gloria e venerazione e magnificenza ed onore nei secoli dei secoli, amen. Avvenne dunque la morte del santo e beato Giovanni il 29 novembre1. La sua preghiera sia con noi. È finita la storia di Giovanni di Alessandria2.
1 L’indicazione è assente nel testo greco, dove risulterebbe del resto superflua: nel capitolo precedente la morte del santo era fissata al giorno di San Mena, l’11 novembre. La data del 29 novembre, indicata peraltro solo dai testimoni di α, è dunque da considerarsi errata. La data della commemorazione del santo potrebbe essere stata spostata per evitare la sovrapposizione con altre festività, come è avvenuto ad esempio nella Chiesa Greca, cf. GELZER, LeontiosVonNeapolis,p. 153. 2 In luogo di questo explicit, il codice P riporta la seguente sottoscrizione: “Finito, con l’aiuto di nostro Signore, colui che dà la forza. Chiunque legga, preghi per il misero Davide, che ha scritto secondo la sua forza”.
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE Genesi 2:7: cap. XXXVII 4:5: cap.XI, 3 22:1: cap. XI, 1 Esodo 4:10: cap. XXXVII Levitico 22:20: cap. XI, 3 Deuteronomio 25:13: cap. II Giobbe 3:5: prol., 1 10:9: cap. XXXVII 15:34: cap. III 28:3: prol., 1 Salmi 22 (23):7: cap. XXXVII 93 (94):17: cap. XXV, 2 142 (143):10: cap. XXXVI, 5 Proverbi 20:10: cap. II 20:23: cap. II
Matteo 5:40: cap. XXXII, 2 5: 42: cap. XXXII, 1 5:23-24: cap. XII, 1 6:12: cap. XXXVI, 1; cap. XII 6:33: cap. XLIII, 3 7:1: cap. XLII, 1 7:2: cap. IV 10:23: cap. XLIV, 1 11:12: cap. XXXV, 1 11:29: cap. XXXVII 18:16: prol. 5 18:18: cap. XLV, 1 19:21: cap. XXI, 1 21:13: cap. XXXIX 24:12: cap. III 24:43: cap. XVII Luca 1:79: cap. III 6:30: cap. V; cap. XXXII, 2 6:37: cap. XLII, 1 16:25: cap. XIX, 2 Giovanni 2:1-11: cap. VIII, 4 6:9: cap. XI, 3 20:23: cap. XLV, 1
Sapienza 5:15: cap. XLV, 3
Atti 2:45: cap. XXV, 1 8:21: cap. XI, 3
Siracide 17:32: cap. XXXVII
Romani 15:1: cap. XII, 1
Isaia 6:5: cap. XXXVII 40:7: cap. XXXVII
IICorinzi 9:6: cap. XIX, 4 11:29: cap. XII, 1
Abdia 15: cap. IV
Tessalonicesi 5:2: cap XVII
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE
Ebrei 7:12: cap. XI, 2 13:5: cap. X, 2 13:17: cap. II
I Pietro 1:24: cap. XXXVII Apocalisse 16:15: cap. X
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INDICE DEI NOMI DI LUOGO E DI PERSONA Abramo 11, 1 Africa 10, 2; 25, 1 (2) Alessandria Tit.; Proe., 2; 5, 2; 8, 1; 8, 2; 8, 4; 8, 5; 11, 1; 14, 2 (2); 22, 1; 25, 1; 26, 3; 26, 4; 27, 1 (2) Amatunte 44, 4 Britannia
8, 3
Ilarione 36, 4 Isaia 37 Israele 37 Leonzio
Tit.
Mena Proe., 3; 3; 9, 3 Modesto 18
Caino 11, 3 Cesareo 26, 1 Cipro 6, 1; 19, 4; 24, 1; 24, 2; Tit. Ciro Proe., 2; 22, 3 (2) Cosma 11, 2 Costantino 33, 4 Costantinopoli 42, 1 Cristo 1; 2 (3); 4, 1; 4, 2 (2); 5, 2 (2); 7; 9, 3; 10, 1; 11, 2 (2); 13, 1; 18 (3); 19, 2; 20, 2; 20, 7 (2); 21, 2; 25, 2; 26, 1; 26, 2; 28
Neapolis Tit. Nicea 33, 4 Niceta 10, 1; 10, 3; 12, 1; 13, 1 (3); 13, 2
Egitto 11,1; 44, 1 Epifanio 19, 3
Rodi
Gaza 22, 3 Gerusalemme 18; 19, 3; 20, 4 (3) Gesù 2; 13, 1; 18; 20, 7 (2) Giobbe 27, 1; 28 Giorgio 14, 1 (2) Giovanni Tit.; Proe., 1 (2); Proe., 2; Proe., 3; Proe., 4 (2); Proe., 5; 2; 4, 2; 5, 2 (2); 8, 2; 8, 3; 8, 5; 9, 1; 10, 1; 10, 2; 10, 4; 11, 1; 11, 2; 13, 1; 14, 1; 14, 2; 18; 19, 1; 19, 2 (3); 19, 3 (2); 19, 4; 21, 1; 22, 1 (2); 22, 2; 22, 3; 22, 4 (3); 23; 24, 2; 25, 1; 25, 2 (3); 25, 3; 26, 1 (2); 26, 2 (4); 26, 3 (3); 26, 4; 26, 5 (2)
Paolo 2; 11, 2; 12, 1 Pelagia 42, 2; 42, 3 Pentapoli 8, 4 Persia 24, 1 Persiani 5, 1 (2); 11, 1; 18; 24, 1; 24, 2 Pietro 20, 1 (5); 20, 2 (3); 20, 3 (2); 20, 5 (2); 20, 6 (5); 20, 7 (4) 44, 2; 45, 1
Serapione 21, 1 (2); 21, 2 Sicilia 11, 4 Siria 5, 1 Sofronio 4, 2; 22, 2; 22, 4 Ticone 48 Troilo 26, 1 (3); 26, 2 (3); 26, 3; 26, 4 (2) Vitalio
33, 3; 33, 5; 33, 6; 33, 6; 33, 8
Zaccaria Proe., 3 Zoilo 20, 4; 20, 6
INDICE GENERALE ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE .
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V
SIGLE IMPIEGATE.
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VII
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Sull’origine delle difformità tra testo greco e versione siriaca . 2. Alcune precisazioni sull’epoca e gli ambienti di produzione della versione siriaca . . . . . . . . . . . . . . 3. Elenco delle concordanze tra versione siriaca e tradizione manoscritta greca . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Tabella di corrispondenza capitoli greco-siriaco . . . . .
IX
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VITA DI GIOVANNI IL MISERICORDIOSO Prologo . . . . . . . . . Capitolo I. . . . . . . . . Capitolo II . . . . . . . . Capitol III . . . . . . . . Capitolo IV . . . . . . . . Capitolo V . . . . . . . . Capitolo VI . . . . . . . . Capitolo VII . . . . . . . . Capitolo VIII . . . . . . . Capitolo IX . . . . . . . . Capitolo X . . . . . . . . Capitolo XI . . . . . . . . Capitolo XII . . . . . . . . Capitolo XIII . . . . . . . Capitolo XIV . . . . . . . Capitolo XV . . . . . . . . Capitolo XVI . . . . . . . Capitolo XVII . . . . . . . Capitolo XVIII . . . . . . . Capitolo XIX . . . . . . . Capitolo XX . . . . . . . . Capitolo XXI . . . . . . . Capitolo XXII . . . . . . .
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x xv XVII XXIII
1 4 5 6 7 9 11 13 14 17 19 22 25 27 29 31 32 33 34 35 38 43 45
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INDICE GENERALE
Capitolo XXIII . . Capitolo XXIV . . Capitolo XXV . . Capitolo XXVI . . Capitolo XXVII. . Capitolo XXVIII . Capitolo XXIX . . Capitolo XXX . . Capitolo XXXI . . Capitolo XXXII. . Capitolo XXXIII . Capitolo XXXIV . Capitolo XXXV . Capitolo XXXVI . Capitolo XXXVII . Capitolo XXXVIII . Capitolo XXXIX . Capitolo XL . . . Capitolo XLI . . Capitolo XLII . . Capitolo XLIII . . Capitolo XLIV . . Capitolo XLV . . Capitolo XLVI . . Capitolo XLVII . . Capitolo XLVIII .
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47 48 50 52 55 56 57 59 60 62 63 68 69 71 74 75 76 77 78 79 81 83 85 87 88 89
Citazioni e allusioni bibliche . . Nomi di luogo e di persona . . .
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INDICI
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PRINTED ON PERMANENT PAPER
• IMPRIME
SUR PAPIER PERMANENT
N.V. PEETERS S.A., WAROTSTRAAT
• GEDRUKT
OP DUURZAAM PAPIER
50, B-3020 HERENT
- ISO 9706