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Italian Pages 128 [130] Year 2008
l'edizione, settembre 2008
© copyri ght 2008 by Ca rocci e d ito re S.p.A., Roma Fi n ito d i sta m pa re nel sette m b re 2008 da E u ro l it, Ro m a
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Elisa Paganini
la vaghezza
Carocci editore
Ringraziamenti Sono stata molto aiutata nella stesura di questo libro da amici e col leghi che si sono prestati a leggere totalmente o parzialmente qualche versione precedente del testo. Sono riconoscente a Paolo Casalegno, Andrea Bonomi, Andrea Bottani, Andrea Iacona, Carla Pizzoccaro, Clotilde Calabi, Luca Barlassina, Paola Cantù e Sebastiano Moruzzi. Ho cercato di tener conto il più possibile dei suggerimenti e delle obiezioni di tutti compatibilmente con le mie convinzioni e le mie competenze. I miei debiti di gratitudine non tolgono ovviamente nulla alla mia responsabilità riguardo all'intero libro.
Indice I ntrod uzione
7
El e n co dei simboli p ri n cipa li usati n el testo 9
1.
C h e cos'è l a vaghezza?
11
1.1.
Il fenomeno della vaghezza
1.2.
I casi "sulla linea di confine"
1.3·
Il sorite
1.4·
Il problema filosofico della vaghezza
1·5·
Predicati vaghi e vaghezza
1.6.
Quando il problema non è la vaghezza
1.7.
Il nichilismo
2.
Le teorie sema ntiche
2.1.
11 14
15
23
25
34
La semantica classica e la semantica non classica
34
2.2. Le teorie dei gradi di verità 2.3.
20
22
Il supervalutazionismo
46
2.4. La teoria probabilistica
54
38
3.
Le teorie e piste m iche
63
3.1.
I limiti conoscitivi
3.2.
La teoria epistemica standard
3.3.
Il contestualismo
63 63
71
3.4. La teoria epistemica antirealista
78
5
4.
La vaghezza di ordine superiore
4.1. La vaghezza della vaghezza
83
83
4.2. Vaghezza semantica e vaghezza di ordine superiore
87
4.3. Le teorie epistemiche e la vaghezza di ordine superiore
5.
La vaghezza ontologica
5.1.
Che cosa significa "vaghezza ontologica"?
5.2. Esistenza indeterminata
103
5.3. Oggetti con confini sfumati
110
5.4. Identità indeterminata degli oggetti 5.5.
113
La vaghezza ontologica apre nuove prospettive
Bibliografia
6
103
104
125
123
96
Introduzione Il problema filosofico della vaghezza trae origine da un fenomeno che tutti possono riconoscere e che può ricondursi all'incapacità di rispondere a domande come queste: quando esattamente una perso na smette di essere un bambino ? Quanti soldi ha il meno povero fra i poveri ? Quanti capelli ha il più capelluto fra i calvi ? Non si riesce a rispondere a queste domande perché si ritiene comunemente che non ci sia un istante in cui una persona smette di essere un bambi no, che non ci sia una quantità massima di denaro che rende le perso ne povere, che non ci sia un più grande numero di capelli che rende calvi. Queste osservazioni, insieme ad altre considerazioni ritenute scontate, generano un paradosso noto come " sorite " e proprio il paradosso origina il problema filosofico della vaghezza. Per un filo sofo, un paradosso è la manifestazione evidente di un errore e richie de di mettere in discussione un' assunzione considerata scontata e inattaccabile. Ma qual è i' assunzione che dobbiamo abbandonare nel caso specifico e qual è la teoria corretta della vaghezza ? I filosofi hanno avanzato molte proposte: alcuni ritengono che dobbiamo riconsiderare le regole che stabiliscono il funzionamento del linguag gio , altri che dobbiamo adottare un atteggiamento modesto nei confronti delle nostre capacità di comprendere lo stesso linguaggio, altri ancora che dobb iamo ripensare al mondo extramentale ed extralinguistico. Ciascuna di queste opzioni è difficile da accettare perché richiede di abbandonare alcune tesi ritenute i ndiscutibili che sono sostituite con altre meno scontate per il senso comune. È opportuno quindi considerare con onestà intellettuale le diverse alternative teoriche che sono state proposte: per ciascuna occorre valutare quale tipo di riforma propone e fino a che punto risolve il problema filosofico sotto esame. Sebbene ad una prima considera zione si può ritenere che con opportuni accorgimenti si possa arri vare ad una soluzione soddisfacente del sori te e della vaghezza di ordine superiore (che, come si mostrerà, sono i principali problemi filosofici della vaghezza) , la vaghezza resta attualmente un grande enigma. Se si osserva inoltre che i problemi sollevati dalla vaghezza 7
hanno importanti ripercussioni in molti ambiti della filosofia contemporanea, dalla filosofia del linguaggio all'epistemologia e alla metafisica, non ci si stupirà che sempre più studiosi si occupino di vaghezza. Nel dibattito sulla vaghezza si dà spesso per scontato che le teorie semantiche e le teorie epistemiche siano le uniche alternative sensa te aperte al filosofo che si occupa del tema in esame. La ragione di questa convinzione è che tali teorie affrontano i problemi centrali della vaghezza (cioè il sorite e la vaghezza di ordine superiore) anche se in modi per molti versi insoddisfacenti . Qui si sosterrà che tali teorie hanno ingiustamente screditato la vaghezza ontologica: la si è accusata di essere incomprensibile e sono stati proposti argomenti per dimostrare che è incoerente e inaccettabile; si mostrerà invece che le accuse sono infondate e gli argomenti contro la vaghezza onto logica non sono conclusivi. Sebbene non esistano teorie che, rico noscendo plausibilità alla vaghezza ontologica, offrono una soluzio ne nuova e soddisfacente ai problemi centrali della vaghezza (cioè il sorite e la vaghezza di ordine superiore) , tuttavia l' ipotesi che la vaghezza sia ontologica non può essere esclusa e può aprire nuove prospettive nel dibattito sulla vaghezza.
8
Elenco dei simboli principali usati nel testo *
Simbolo utilizzato talvolta per evidenziare che una certa parola è usata con un significato insolito < " minore di " > " maggiore di " x,y Variabili per individui -7 Simbolo logico dell'implicazione: si legge " se . . . allora . . . " V Quantificatore universale: si legge " per ogni . . . " :t:"diverso da" v Simbolo logico della disgiunzione: si legge " oppure " Simbolo logico della negazione: s i legge " non s i dà il caso che " " minore o uguale a" Simbolo logico della congiunzione: si legge " e" Simbolo logico della doppia implicazione: si legge " se e solo se" ::I Quantificatore esistenziale: si legge " per qualche . . . " o " esi ste almeno un . . . " © Simbolo utilizzato talvolta in luogo di un connettivo logi co qualunque [A ] " il grado di verità di A" P (A) " il grado di probabilità di A" � " maggiore o uguale a" Det " Determinatamente" rl Virgolette ad angolo di Quine
9
1. Che cos'è la vaghezza? Nella prima parte di questo capitolo verrà introdotto il tema filoso fico della vaghezza. Nella seconda parte verrà presentata la risposta più estrema a questo tema filosofico: il nichilismo. Si comprenderà così quanto devastante possa diventare il problema filosofico della vaghezza: il nichilismo mette infatti in discussione non solo la possi bilità di comprendere il linguaggio ma anche la stessa esistenza del linguaggio.
1.1. Il fe n o m e n o d el l a va gh ezza Supponiamo di essere messi di fronte a due uomini la cui altezza differisce di un solo millimetro. Qualunque parlante competente sarebbe incline a ritenere che se uno è basso, lo è anche l'altro e se uno non è basso, non lo è neanche l'altro. Siamo infatti disposti ad ammettere che un millimetro non fa la differenza fra un uomo basso e uno che non lo è. Supponiamo ora di essere messi di fronte a una serie di 1 . 001 uomi ni così costituita: il primo è alto un metro, l'ultimo è alto due metri e fra ciascuno e il successivo c'è un millimetro di differenza. L'uomo alto un metro è sicuramente basso. Ma se l'uomo alto un metro è basso, allora l'uomo alto un metro e un millimetro è basso, e se l'uo mo alto un metro e un millimetro è basso, allora l 'uomo alto un metro e due millimetri è basso. Ma qual è l'ultimo uomo basso della serie ? Ciò che comunemente viene riconosciuto di fronte a una serie del genere è che non c'è un confine preciso all'estensione del predi cato " essere basso " . A questo punto è utile introdurre alcune nozioni d i base; i n partico lare può essere utile definire che cos'è un predicato e che cos'è l'estensione di un predicato. Un predicato è un'espressione sempli ce o complessa che, se applicata a un termine singolare con l'oppor tuna coniugazione, produce un enunciato. Termini singolari sono o nomi propri come "Valentino Rossi", " Giulio Cesare" , " il Po ", " l' Europa" , o descrizioni definite e cioè espressioni che possono fungere da soggetto grammaticale e sono precedute da un articolo determinativo singolare come " il cane di Maria " , " la ragazza con 11
l'orecchino di perla", "la signora che indossa l'abito verde". Esempi di predicati sono, oltre a " essere basso", anche " correre", " mangiare la pesca col coltello e la forchetta", " essere molto più simpatico della maggior parte delle persone ", " essere stato minacciato dalle invasio ni barbariche". Per rendersi conto che questi sono esempi di predi cati, basta semplicemente applicarli a un termine singolare introdu cendo l'opportuna coniugazione e controllare che si ottenga un enunciato (si veda ad esempio " il cane di Maria corre", "Valentino Rossi mangia la pesca col coltello e la forchetta " o " L'Europa è stata minacciata dalle invasioni barbariche") . Consideriamo ora che cos'è l'estensione di un predicato. L'estensione di un predicato è l'insieme di oggetti (o persone) a cui il predicato si applica veridicamente; ad esempio l'estensione del predicato " essere rosso" è l'insieme delle cose che sono rosse. Ora, si riconosce che un predicato è vago quan do non si riescono a stabilire i confini della sua estensione; o, per dirlo in altri termini, non c'è un numero esatto di oggetti (o perso ne) a cui il predicato si applica chiaramente. L'assenza di confini o la presenza di confini sfumati nell' estensione di un predicato è la caratteristica che permette di riconoscere tale predi cato come vago. Dato un qualsiasi predicato, se riusciamo a costruire una serie di oggetti (o persone) tale che il predicato chiaramente si applichi al primo oggetto, chiaramente non si applichi all'ultimo e tale che fra ciascun oggetto e il successivo ci sia una differenza talmente piccola che non autorizza l'applicazione all'uno e non all'altro del predicato, allora possiamo concludere che il predicato è vago. Ed è vago perché non c'è un confine all'estensione del predicato o, per dirlo in altri termini, perché non siamo in grado di delimitare chiaramente l'insieme degli oggetti a cui il predicato si applica veridicamente. Oltre a " essere basso " , altri esempi di predicati vaghi sono " essere alto " , " essere calvo " , " essere rosso " , " essere mucchi o " , " essere bam bino " , " essere girino " . Vale la pena di considerare alcuni di questi predicati per rendersi conto che sono vaghi. Supponiamo ad esempio di avere di fronte a noi una persona priva di capelli: sarem mo disposti a dire che quella persona è calva, inoltre saremmo sicu ramente disposti ad affermare che un capello non fa la differenza fra una persona calva e una che non lo è; se avessimo quindi di fronte a 12
noi una serie di persone tale che la prima è priva di capelli, l'ultima è decisamente capelluta e fra ciascuna e la successiva c'è la differenza di un solo capello non sapremmo individuare l'ultima persona calva e la prima che non lo è . Quindi non sapremmo trovare un confine all' estensione del predicato " essere calvo " e potremmo riconoscere che il predicato è vago. Immaginiamo ora un insieme di 100 .000 chicchi di grano disposti a formare un mucchio; supponiamo poi di togliere un chicco di grano alla volta dal mucchio. Alla fine ci troveremo senza chicchi di grano e senza mucchio. Ma nessuno saprebbe dire qual è l'ultimo istante in cui abbiamo a che fare con un mucchio o il primo istante in cui non c'è più un mucchio. Riconosciamo cosÌ che il predicato " essere mucchio " è vago. Oppure consideriamo una serie di macchie colorate, la prima chia ramente rossa, l'ultima chiaramente arancione e tale che fra ciascuna e la successiva non sia percepibile alcuna differenza (o, per dirlo altri menti, tale che le macchie adiacenti siano percettivamente indistin guibili) , certamente non sapremmo trovare un confine all'estensio ne del predicato " essere rosso " e questo ci dimostrerebbe che tale predicato è vago. Infine consideriamo la vita di un essere umano, quando nasce è indubbiamente un bambino e a quarant'anni evidentemente non è più un bambino. Ma se suddividessimo una vita in intervalli scandi ti dai battiti cardiaci, non saremmo disposti a ritenere che un solo battito cardiaco riesca a trasformare un bambino in un adolescente o in un essere maturo, non saremmo cioè disposti ad affermare che un battito cardiaco sia in grado di segnare il confine fra essere bambino e non esserlo più. Il predicato " essere bambino" è quindi vago. Un predicato è vago quando possiamo immaginare una serie di oggetti (o persone) tale che in essa non c'è un confine all'estensione del predicato. A questo punto varrebbe la pena di chiedersi quali predicati non sono vaghi. Questa è una questione piuttosto diffici le, non è infatti facile trovare esempi di predicati non vaghi. Gli esempi meno controversi di predicati non vaghi sono alcuni predi cati utilizzati in matematica come " essere numero primo" , " esserf; numero pari " o " essere minore di 289 ". 13
1.2. I casi "sulla linea d i confine" In base alla definizione appe na fornita di predicato vago, un predicato è tale quando non è possi bile individua re i confini della sua estensioQe. Questa definizione è strettamente connessa a un'altra definizione di predicato vago: un predicato è vago quando dà luogo a casi borderline (che letteralmen te significa " sulla linea di confine " ) . L'idea è che per ciascun predi cato vago ci sono oggetti (o persone) cui non è chiaro se il predicato vago si applica o non si applica. L'estensione di un predicato è l'in sieme degli oggetti (o delle persone) a cui il predicato si applica veri dicamente, la contro-estensione di un predicato è l'insieme degli oggetti (o delle persone) a cui si applica veridicamente la negazione del predicato. I casi borderline sono chiamati cosÌ perché idealmente si trovano " sulla linea di confine" fra l'estensione e la contro-esten sione del predicato, ma non è chiaro che facciano parte dell' estensio ne, né che facciano parte della contro-estensione. Ci sono persone di cui non è chiaro che siano basse, ma non è chiaro neanche che non siano basse; persone di cui non è chiaro che siano ancora bambini, ma non è chiaro neanche che non siano più bambini; macchie colo rate di cui non è chiaro che siano rosse e di cui non è chiaro neanche che non siano rosse ecc. Si instaura quindi una stretta connessione fra la presenza di casi border linee l'assenza di confini (o la presenza di confini sfumati). L'idea che presiede questa connessione è che se non c'è un confine netto fra le persone basse e le persone non basse, allora ci sono casi borderline fra le persone basse e le persone non basse: ossia persone di cui non è chiaro che sono basse e di cui non è chiaro che non sono basse. Abbiamo caratterizzato i casi borderline come quei casi (oggetti o persone) di cui non è chiaro che cadono nell'estensione del predicato e di cui non è chiaro che cadono nella contro-estensione del predica to. È bene tener distinta questa caratterizzazione (nei termini di ciò che non è chiaro) da una diversa caratterizzazione dei casi borderline, che chiameremo casi borderline*, cioè quei casi (oggetti o persone) che chiaramente non rientrano né nell' estensione né nella contro-estensio ne del predicato. Questa seconda caratterizzazione è infatti incompa tibile con la definizione di vaghezza precedentemente fornita. Supponiamo ad esempio di introdurre un predicato artificiale per i 14
numeri naturali (si tratta di una modifica ad un esempio di Fine, 1975) , il predicato " grazioso*", e di avere le seguenti regole che defi niscono tale predicato: • n è grazioso* se e solo se n1 5. Ovviamente tutti i numeri da o a 1 2 sono nell' estensione di " grazio so* ", tutti i numeri da 15 all'infinito sono nella contro-estensione di " grazioso* ", i numeri 1 3 , 14 e 15 non rientrano né nell'estensione né nella contro-estensione del predicato e sono pertanto casi borderline*. Tuttavia non possiamo dire che " grazioso* " abbia confini sfumati o non abbia confini: ovviamente fra 12 e 13 c'è il confine fra l'estensio ne del predicato e i casi borderline*, e fra 1 5 e 16 c'è il confine fra i casi borderline* e la contro-estensione del predicato . Per questo predicato non c'è un unico confine fra l'estensione e la contro-esten sione del predicato, ma ci sono comunque confini che delimitano sia l'estensione che la contro-estensione. Questo fa sì che il predicato "grazioso* " non sia vago. È opportuno tener presente che l'assenza di confini netti è una carat teristica facilmente riscontrabile da qualunque parlante competente di una qualsiasi lingua naturale. Questa caratteristica non viene percepita come una difficoltà: tutti noi utilizziamo continuamente i predicati vaghi, li applichiamo senza difficoltà ad alcuni oggetti (o persone) nel parlare quotidiano e non abbiamo difficoltà a capire enunciati che contengono tali predicati. Il fenomeno della vaghezza (ossia l'assenza di confini netti) non deve essere inteso come una difficoltà pratica. La vaghezza è un problema filosofico e, per riusci re a capire perché la vaghezza sia un problema filosofico, occorre innanzi tutto considerare il sorite (che coinvolge appunto i predicati vaghi) .
1.3. Il sorite Il sorite è un paradosso. Un paradosso è un partico lare tipo di argomento . Consideriamo innanzi tutto che cos'è un argomento e poi che cos'è un paradosso. Un argomento è un ragio namento che conduce a una tesi, detta conclusione. Un argomento è solitamente costituito da alcune premesse (ossia asserzioni ritenu te vere) e fa uso di regole di inferenza (regole che ci permettono di 15
dedurre la conclusione a partire dalle premesse) . Ad esempio si consideri i l seguente argomento: (Pl) Ci sono trentacinque gradi (P2) Se ci sono trentacinque gradi, allora fa caldo Quindi, (C) Fa caldo. In questo caso l'argomento è costituito dalle due premesse (Pl) e (P2) e dalla conclusione (C) . L'argomento è comunemente ritenu to valido; un argomento è classicamente valido quando non si può dare il caso che le premesse siano vere, ma la conclusione sia falsa; o, per dirlo altrimenti, ogniqualvolta le premesse sono vere anche la conclusione è vera. La validità di un argomento dipende quindi da un nesso fra premesse e conclusione. Tale nesso è ciò che le regole ritenute valide si propongono di esprimere. La regola che viene usata nell' argomento esemplificato è il cosiddetto modus ponens che può essere schematicamente espresso nel modo seguente: da un enuncia to A e da un enunciato di tipo rSe A allora Bl segue la conclusione B. Il modus ponens è comunemente considerato una delle regole fonda mentali dell'inferenza logicamente valida. Consideriamo ora che cos'è un paradosso. Un paradosso è un argo mento che adotta premesse che sembrano indiscutibilmente vere e, attraverso regole di inferenza riconosciute come valide, permette di inferire una conclusione che appare inaccettabile. Il paradosso che ci interessa è il cosiddetto " sorite" (chiamato così fin dall'antichità) , formulato per la prima volta da Eubulide di Mileto, un filosofo greco contemporaneo di Aristotele. Il paradosso deriva il suo nome dal greco soras (che s ignifica " mucchio " ) e in effetti il predicato " essere un mucchio" è un predicato vago . Il " sorite " è quindi il " paradosso del mucchio " o " l'argomento del mucchio ". Per introdurre il paradosso prendiamo in considerazione il predica to vago " essere calvo ". Supponiamo di essere messi di fronte a una serie di 100 . 0 0 1 persone: la prima è priva di capelli, fra ciascuna e la successiva c'è un solo capello di differenza e la distribuzione dei capelli sulla testa di ognuno è uniforme (cioè i capelli di ciascuno non si concentrano in un'unica regione ristretta della testa) . Si rico nosce comunemente che una persona priva di capelli sia calva e che 16
un solo capello non possa fare la differenza fra chi è calvo e chi non lo è. Sulla base delle intuizioni dei parlanti, sono quindi accettate le seguenti premesse: [Pl] la persona priva di capelli è calva [P2.1 ] se la persona priva di capelli è calva, allora la persona con l capello è calva [P2.2] se la persona con 1 capello è calva, allora la persona con 2 capelli è calva [ P2.3] se la persona con 2 capelli è calva, allora la persona con 3 capelli è calva [P2.99998] se la persona con 99.997 capelli è calva, allora la persona con 99.998 capelli è calva [P2.99999] se la persona con 99.998 capelli è calva, allora la persona con 99.999 capelli è calva [ P2 . 1 00000] se la persona con 9 9 . 9 9 9 capelli è calva, allora la persona con 100.000 capelli è calva. Attraverso 100.000 applicazioni del modus ponens possiamo quindi arrivare a stabilire la seguente conclusione: [C] la persona con 100.000 capelli è calva. Per rendersi conto che la regola utilizzata è il modusponens soffermia moci sulle prime due premesse [Pl] e [ P2.1] ; da queste due premes se segue per modus ponens: [P2.1 +] la persona con 1 capello è calva. Da [P2.1 + ] e [P2.2] , per modus ponens segue: [P2.2+] la persona con 2 capelli è calva. E così via per 100.000 volte, fino ad arrivare alla conclusione che sembra del tutto inaccettabile. E tuttavia le premesse sembrano scontate e la regola di inferenza (ossia il modus ponens) è considerata valida. Il paradosso può essere formulato in un modo leggermente diverso. Si possono assumere le seguenti premesse: [Pl] la persona priva di capelli è calva [P2] per ogni numero x, se la persona con x capelli è calva, allora la persona con X+l capelli è calva. Da queste premesse segue la conclusione: [C] la persona con 100.000 capelli è calva. 17
Vale la pena di chiedersi se effettivamente da [Pl] e [P2] segue [e] e quali regole occorre utilizzare per effettuare l'inferenza. Osservia mo innanzi tutto che da un qualunque enunciato della forma " per ogni numero x , ...x . . . " si può correttamente inferire ciascuno degli enunciati " . . . o... ", " ... 1... ", " . . . 2 . . . " e così via. La regola che codifica questo tipo di inferenza si chiama (per una ragione che risulte rà chiara fra poco) " eliminazione del quantificatore universale " . Applicando tale regola a [ P2] s i ottiene [P2.1] " se l a persona con o capelli è calva, allora la persona con 1 capello è calva" . E da [ P l] e [P2. 1] , per modus ponens si ottiene [ P2.1+] " la persona con 1 capel lo è calva" . Poi da [ P2] per eliminazione del quantificatore univer sale si ottiene [P2.2] . E da [P2.1+] e [P2.2] , per modusponens si ottie ne [ P2.2+] . E così via. Per ottenere la conclusione [e] a partire da [ P l] e [P2] , occorrono ripetute applicazioni della regola di elimi nazione del quantificatore universale e della regola del modus ponens.
Vale ora la pena di interrogarsi sulla differenza fra [ P2] da una parte e [P2. 1 ] - [ P2.100000] dall'altra. [ P2] può essere inteso come un modo per riassumere in un unico enunciato il contenuto di [ P2. 1 ] [P2 . 1 00 000] ? Di fatto i l contenuto d i [P2] non è semplicemente equivalente alla congiunzione di [ P2. 1 ] - [ P2.100000], ma va ben al di là di tale congiunzione. Per rendersene conto, basta osservare che da [ P l] e [ P2] si possono derivare conclusioni che non si possono derivare da [ Pl] , [P2. 1 ] - [ P 2 . 1 00000] , come ad esempio [e2] " la persona con 200.000 capelli è calva" o [e3] "la persona con 500.000 capelli è calva". Tuttavia la differenza fra [ P2] da una parte e [ P2. 1 ] [ P2.100000] dall' altra non è rilevante per i l sorite: per generare i l sori te è infatti sufficiente la conclusione paradossale [C] . Quindi, anche se con una certa approssimazione, nell'analisi del sori te [ P2] può essere considerato come equivalente alla congiunzione di [ P 2. 1 ] [P2.100000] . Fino ad ora abbiamo preso in considerazione due formulazioni del sorite. A questo punto è utile introdurre alcune notazioni logiche che ci permettono di tradurre queste due formulazioni del sorite e che saranno ricorrenti nel libro. Per tradurre la prima formulazione del paradosso ci servono la lette18
ra"P " con cui traduciamo il predicato"essere calvo "; i termini"ao "a, " ' "al " , ... , "a100000 " che useremo come noml: "ao ",e l°1 nome d eIla persona priva di capelli, "a, " è il nome della persona con 1 capello, e così via fino a '\00000" che è il nome della persona con 100.000 capel li; e il cosiddetto connettivo dell'implicazione "� " ("se . . . allora . . . " ) A questo punto possiamo tradurre [Pll , [P2. 1 ] -[P2.1 00000] nel modo seguente: Pao
Pao �Pal
Pal �Pa2 Pal �Pa3 < P2·3> ",
.
.
Pa99 999 �PalOOOOO La conclusione viene quindi espressa nel modo seguente: Pa100000 Passiamo ora alla seconda formulazione del paradosso. Il simbolismo logico di cui a partire da Frege ci si serve abitualmente per tradur re enunciati che, come [P2] , contengono la parola"ogni" (o la paro la "tutti " ) include la variabile "x " - un termine che non denota un' entità fissata una volta per tutte, ma alla quale può essere assegna ta di volta in volta come valore una qualunque delle entità apparte nenti a un certo dominio - e il simbolo"'\l'' detto"quantificatore universale" . Consideriamo ad esempio l'enunciato "ogni numero naturale è diverso dal suo successore" . Se scegliamo come dominio della varia bile "x " l'insieme dei numeri naturali possiamo tradurre questo enunciato scrivendo"'\Ix (x :l;X+l)" che si può leggere così"per ogni (numero) x, x è diverso da x più uno " . Riconsideriamo adesso [P2] per ogni numero x, se la persona con x capelli è calva, allora la persona con X+l capelli è calva. Si può introdurre la traduzione seguente di [P2] : '\Ix (Pax �PaX+l ) . Si noti che qui"ax " non è il nome di una persona determinata e fissata una volta per tutte, ma, a seconda del numero che assegniamo alla variabile x, designa l'individuo con quel numero di capelli . 19
Analogamente, per ogni assegnazione di un numero alla variabile x, "aX+I " designa la persona che ha quel numero di capelli più uno. Inoltre, se vogliamo che sia un modo di esprimere per mezzo di un unico enunciato ciò che è espresso collettivamente dagli enun ciati -, dobbiamo assumere che il dominio della variabile x non sia costituito dall'intero insieme dei numeri natura li, ma sia limitato invece ai numeri da o a 99.999. In questo modo, il parallelo fra le due formulazioni del paradosso viene mantenuto. C'è differenza fra da una parte e - dall'altra. E nello stesso tempo appare come un modo per sintetizzare il contenuto di -.
(§)
Il sorite
L'argomento può assumere le due forme seguenti.
Pao Pao �Pal Pal �Pa2
Pao Vx (Pax�Pax+)
Pa99999 �Palooooo Palooooo
Palooooo
1.4. Il p robl ema filosofico d e l l a vaghezza Il problema filoso fico della vaghezza è strettamente connesso al sorite. Il sori te, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, è un argomento che fa uso di alcune premesse e di regole di inferenza ritenute valide. Le premesse sono giustificate dal modo in cui riconosciamo la vaghez za dei predicati (da quello che abbiamo chiamato il fenomeno della vaghezza) . Le regole di inferenza utilizzate sono le regole fonda mentali dell'inferenza logica. Il problema che si pone al filosofo è di evitare il paradosso senza dover rinnegare il fenomeno che lo ha generato o le regole di inferenza utilizzate. 20
Il problema filosofico non è un problema pratico: non dobbiamo risolvere il paradosso per riuscire a capire il significato dei predicati vaghi e per poterli utilizzare in modo adeguato. T.uttayia lo stesso paradosso soritico caratterizza alcuni argomenti di carattere morale detti " a pendenza sdrucciolevole" (o slippery slope). Consideriamo un esempio: se si accettano le due premesse seguenti (PI) è immorale abortire 200 giorni dopo il concepimento ( P2) se è immorale abortire x giorni dopo il concepimento, è immorale abortire anche X-l giorni dopo il concepimento da queste premesse segue chiaramente: (C) è immorale abortire il primo giorno dopo il concepimento. Consideriamo un altro esempio: se si accettano le due premesse seguenti (PI *) una persona che mangia, un solo grammo di grassi al gior no non Ingrassa (P2 * ) se una persona non ingrassa, non ingrassa neanche se mangia ul1..lgrammo di grassi in più al giorno da queste premesse segue chiaramente: (C*) una persona che mangia un chilo di grassi al giorno non Ingrassa. Questi esempi dimostrano che, se la vaghezza non sembra intaccare la nostra capacità di comprendere e usare il linguaggio, certamente ha a che fare con i ragionamenti che presiedono alle nostre azioni e alle nostre valutazioni. C'è una ragione fondamentale per cui biso gna diffidare dei ragionamenti precedenti: essi infatti hanno la stes sa struttura del sorite che è chiaramente paradossale. Tutte e due gli argomenti fanno riferimento infatti a un predicato vago. Il primo argomento si fonda sulla vaghezza del predicato " essere vivente " . E d è proprio perché neanche un biologo potrebbe stabilire il momento preciso in cui un essere diventa vivente, che non si può stabilire con esattezza quando è immorale abortire e quando non lo è. Allo stesso modo, il paradosso del secondo argomento si fonda sulla vaghezza di " ingrassare": non c'è un confine netto fra le varia zioni nelle dimensioni corporee che è corretto assumere fisiologica mente e quelle che impediscono il corretto funzionamento del . . propno organtsmo. 21
Il problema filosofico è quindi il seguente: c'è un modo di risolvere il paradosso soritico e tuttavia rendere conto del fenomeno della vaghezza? Questo problema ha importanti risvolti etici e pratici.
1.5. Predicati vaghi e vaghezza Fino ad ora, abbiamo preso in considerazione i predicati vaghi. Si potrebbe ritenere che solo i predicati possano essere vaghi; di fatto non è così, molte espressioni del linguaggio possono essere vaghe: nomi, descrizioni, aggettivi, avverbi ecc. Consideriamo i nomi propri: ad esempio " Monte Bianco " o "Valen tino Rossi " sono nomi vaghi perché non sono netti i confini della loro estensione (cfr. Varzi, 2001 , pp. 13 6-40 ) . Consideriamo ad esempio il nome " Monte Bianco ". Supponiamo di trovarci in cima al Monte Bianco, e di scendere a piedi verso Courmayeur. Ad ogni passo ci chiediamo "Siamo ancora sul Monte Bianco ? " e all'inizio possiamo rispondere sicuramente " Sì " , quando saremo al centro di Courmayeur potremo rispondere sicuramente " N o " , ma non siamo in grado di stabilire qual è l'ultimo passo che è sul suolo del Monte Bianco e qual è il primo passo che è al di fuori del suolo del Monte Bianco. Neppure se ci facessimo aiutare da geografi professionisti riusciremmo a dare risposte precise e a trovare un confine netto all' e stensione di " Monte Bianco". Non andrebbe meglio se considerassimo l'estensione di "Valentino Rossi " (o di qualsiasi altro nome proprio di persona) . Come è noto, qualsiasi essere vivente è costituito di cellule che si rinnovano conti nuamente; per ogni istante è praticamente impossibile delimitare con esattezza il numero di cellule che lo costituiscono. Supponiamo che Valentino Rossi mangi una caramella. Quando le molecole che costituiscono la caramella fanno parte di Valentino Rossi ? Quando la mette in bocca ? Quando la ingerisce ? Quando inizia la digestio ne ? Quando finisce la digestione ? I confini sfumati non riguardano solo l'estensione nello spazio, ma anche l'estensione nel tempo degli esseri viventi e degli eventi. Dato un qualsiasi essere vivente, non è possibile - neanche per i biologi stabilirne con esattezza i confini temporali. Infatti non è possibile rispondere alle domande: qual è l'istante in cui inizia la vita ? E qual 22
è l'istante
in cui finisce ? Se non è possibile stabilire con precisione i confini temporali di un essere vivente, non è facile neanche stabilire i confini temporali degli eventi storici. Se consideriamo ad esempio una guerra, è difficile indicare i suoi confini temporali. Infatti proviamo a considerare: quando inizia una guerra ? Quando viene dichiarata dal paese aggressore o da un gruppo di persone ? Quando viene utilizzata per la prima volta un' arma ? Quando per la prima volta viene uccisa una persona ? Qualsiasi risposta sembra inadegua ta. E lo stesso succede se ci chiediamo: quando finisce una guerra ? Quando smettono le ostilità ? Quando una delle due parti dichiara di arrendersi ? Quando viene firmato un trattato di pace ? Ancora una volta tutte le risposte sembrano inadeguate. Quindi l'evento a cui si riferisce la descrizione " la Seconda guerra mondiale " non ha un confine netto, cosÌ come non lo hanno gli eventi a cui si riferiscono le descrizioni " la caduta dell'Impero romano ", "i moti rivoluziona ri del 1820-21 " ecc. Ma vaghi non sono solo i nomi e le descrizioni, sono vaghi anche aggettivi come " grande" , " grosso" , " grasso " , " simpatico " , " diver tente", " noioso " ecc. E sono vaghi anche avverbi come " molto " , " spesso " , " raramente ", " cordialmente " , " gentilmente " , " frettolo samente" ecc. La vaghezza riguarda gran parte del linguaggio e non soltanto i predi cati. Quando un enunciato contiene una qualunque espressione vaga, allora l'intero enunciato è vago. La ragione per cui verranno trattati prevalentemente i predicati è che i principali problemi filosofici sembrano poter essere affrontati attraverso l'analisi dei predicati.
1.6. Quando il problema non è la vaghezza È opportuno distin guere la vaghezza da altre caratteristiche del linguaggio con cui è spesso confusa. Occorre innanzi tutto distinguere fra vaghezza e genericità. Si considerino gli enunciati seguenti: " Qual cuno ha detto qualcosa", " Qualche film viene proiettato in una qual che sala cinematografica", " Un uomo è entrato in una casa". Tutti questi enunciati sono vaghi nel senso filosofico del termine, ma spes-
1.6.1. Va gh ezza e ge n e ricità
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so quando si dice che sono vaghi si fa riferimento alla loro generici tà. La genericità di questi enunciati dipende dal fatto che sono resi veri da situazioni molto disparate fra loro. Questa caratteristica non li rende però vaghi nel senso filosofico del termine. Sono vaghi se non c'è un confine netto fra le situazioni che li rendono veri e le situazioni che li rendono falsi. Un enunciato può essere vago senza essere generico (ad esempio " P ierino Pierini è calvo " assumendo che Pierino Pierini sia un caso borderline di calvizie) e - almeno in linea di principio - può essere generico senza essere vago e per questa ragione la genericità va distinta dalla vaghezza. Ci sono parole che sono ambigue perché hanno diversi significati. Ad esempio "tasso", è il nome di un anima le, e di una pianta, e designa anche un rapporto numerico fra la misu razione di due fenomeni. Oppure " asse"; è una tavola di legno o una retta nei grafici dei matematici o ancora un'unità dell'antica moneta romana. Si ritiene comunemente che la vaghezza vada distinta dall' ambiguità, perché una parola è ambigua se ha diversi significati nettamente distinti fra loro e appresi separatamente: in effetti una persona può essere a conoscenza di uno dei significati di una parola ambigua e non di un altro. Queste caratteristiche dei termini ambi gui non sono caratteristiche distintive dei termini vaghi . In effetti " essere calvo " è vago ma non è ambiguo nel senso precedentemente preso in considerazione.
1.6.2. Vaghezza e ambiguità
Si può pensare che il feno meno della vaghezza dipenda in gran parte da aspetti contestuali. Ad esempio si può immaginare una persona che non è alta per essere un giocatore di baseball ma è alta per essere un professore universitario. Si potrebbe quindi concludere che la vaghezza di " essere alto" dipen de dal fatto che diversi contesti (cioè diverse situazioni valutative) fanno assumere diverse estensioni a tale predicato. Come vedremo, ci sono filosofi per i quali la dipendenza contestuale ha un ruolo essen ziale nello spiegare la vaghezza. Tuttavia, vale la pena di tener presen te che per quanto si specifichi il contesto rilevante, il fenomeno della vaghezza non scompare. Ad esempio, se pensiamo ad una serie di
1.6.3. Vagh ezza e di pendenza contestua le
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persone fra cui c'è una differenza di un solo millimetro, la prima è alta due metri e l'ultima è alta un metro, allora è difficile individuare anche l'ultima persona "alta per essere un giocatore di baseball ".
1.7. Il n i c h i l i s m o È opportuno ripetere ciò che fa emergere il problema filosofico della vaghezza. Da una parte, se ci affidiamo al modo in cui riconosciamo la vaghezza dei predicati, dobbiamo accettare come corrette alcune assunzioni. Dall' altra parte, se appli chiamo a queste assunzioni semplici regole logiche, otteniamo conclusioni paradossali. Per alcuni filosofi, le conclusioni paradossali sono correttamente dedotte dalle premesse. Il ragionamento soritico è pertanto corretto e dimostra che il modo in cui pensiamo i termini vaghi è essenzial mente incoerente e quindi non siamo in grado di descrivere la real �à exi:raITngulsdèa. Il sorite quindi dimostra che la realtà extralingui stica non è come noi la pensiamo e ne parliamo e che i termini vaghi non hanno estensione. Questo modo estremo di affrontare il problema fi losofico della vaghezza è stato adottato fra gli altri da Eubulide di Megara, colui che - come abbiamo già visto - ha formulato per primo il sorite. Eubulide, come tutti i filosofi megarici, era un convinto sostenitore dell' ontologia eleatica. In base all' ontologia eleatica, la molteplicità e il movimento non esistono, contrariamente a quanto noi comu nemente crediamo. E, per Eubulide, il sorite dimostra che la realtà non è molteplice e variegata come noi pensiamo! la realtà è invece, unitaria e immutabile. Il sorite dimostra a suo avviso che, qualunque criterio noi adottiamo, non riusciamo a distinguere nettamente oggetti e proprietà e da questa constatazione dobbiamo concludere che la realtà non presenta differenze al suo interno. L'intento di offrire un' ontologia alternativa a quella del senso comu ne non è il motivo per cui i filosofi contemporanei hanno incomin ciato a occuparsi del problema (anche se l'eventualità di un' ontolo gia alternativa viene presa in considerazione da alcuni filosofi, come vedremo) . La vaghezza e il sorite sono stati oggetto di attento studio da parte dei filosofi del linguaggio (a partire dalla fine del XIX seco lo) e la ragione è facilmente comprensibile: se non c'è modo di bloc25
care il sorite, non c'è modo di assegnare un'estensione ai termini vaghi. Poiché la maggior parte dei termini del linguaggio è vaga, allo ra la maggior parte dei termini linguistici non ha estensione; viene quindi meno la stessa funzione del linguaggio e diventa irrilevante qualsiasi pratica linguistica e la stessa filosofia del linguaggio. I filosofi nichilisti (la denominazione è stata introdotta da William son, 1994) ritengono che il sorite sia un ragionamento corretto; iriol� tre credono che il sorite dimostri che i termini vaghi sono privi di estensione. Tuttavia insistono che questo risultato non intacchi la possibilità della pratica linguistica e della filosofia del linguaggio: per questi filosofi è infatti essenziale distinguere fra termini vaghi e termini non vaghi; il sorite dimostra ai loro occhi che i termini vaghi sono privi di estensione, mentre i termini non vaghi hanno esten sione. E, a loro avviso, un linguaggio costituito da termini non vaghi è pienamente accettabile e analizzabile dalla filosofia del linguaggio. Si tratta ora di considerare quali sono le ragioni che hanno spinto alcuni filosofi ad adottare questa posizione e fino a che punto sia sostenibile. Per Gottlob Frege, l'inizia tore della filosofia analitica del linguaggio, il linguaggio naturale (ossia il linguaggio come viene pensato e parlato comunemente) non può subire un trattamento logico. Il sorite è una fallacia argomenta t!va perché sottopone all' analisi logica il linguaggio naturale che no n può essere analizzato logicamente (Frege, 1965, pp. 475-594; Frege, 1986, pp. 221-9)· Per Frege, un enunciato che contiene un predicato vago è privo di significato. Il significato di un enunciato è per questo autore - il suo valore di verità (il vero o il falso). E un enunciato che contiene un predicato vago non ha significato, non è quindi né vero né falso. Ma come è possibile che un enunciato che contiene un predicato vago non sia né vero né falso ? Per il principio di composizionalità, il significato di un enunciato è ottenuto componendo il significato delle espressioni che lo costituiscono. E se i predicati vaghi non hanno significato, gli enunciati che contengono un predicato vago non hanno significato e non sono quindi né veri né falsi. 1.7.1. L' i l l ogicità del l i n guaggio n atura l e
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Ma perché un predicato vago non ha significato per Frege ? Un predicato ha significato se denota un concetto. Frege (1986, p. 268) afferma che il principio del terzo escluso deve regolare il funziona mento di qualsiasi concetto: per ogni concetto F e per ogni oggetto a o vale "a cade sotto il concetto F " o vale "a non cade sotto il concet to F". Per Frege, i predicati vaghi non possono designare un concet to che rispetti il principio del terzo escluso: se un predicato vago desi gnasse un concetto P, ci sarebbe un oggetto b tale che sarebbe indeterminato sia " b cade sotto il concetto P" sia " b non cade sotto il concetto P " . Quindi per Frege i predicati vaghi non hanno signi ficato, e non denotano un concetto. Frege scrive che « la fallacia conosciuta come Acervus [o "Sorite" ] poggia sulla circostanza che viene trattato come concetto qualcosa (ad esempio, il mucchio) che per la sua imperfetta delimitazione non può venir riconosciuto come tale in logica» (ibid.). Consideriamo ora perché, a parere di Frege, gli enunciati vaghi non possono subire un trattamento logico. L'autore afferma che la logi ca non si occupa semplicemente della relazione fra i pensieri che costituiscono un ragionamento, ma tende alla verità; infatti abbia mo visto che le regole di inferenza ci permettono di stabilire la veri tà della conclusione a partire dalla verità delle premesse. Ora, poiché gli enunciati vaghi non sono né veri né falsi, non possono essere utilizzati in inferenze logiche e non possono pertanto essere oggetto di trattamento logico. L' idea che il linguaggio naturale, a causa della vaghezza, non sia suscettibile di analisi logica è stata sostenuta anche da altri filosofi quali Russell (1923) eQuine (198 1 ) . I l significato d i u n termi ne linguistico può essere definito come il contributo che quel termi ne dà per determinare le condizioni di verità dell' enunciato di cui è parte. Ma come va inteso questo contributo ? Anche se con una certa approssimazione, si può dire che fino alla metà degli anni settanta del Novecento nella filosofia del linguaggio si sono delineati � ue diver si modi di intendere il significato dei termini linguistici. In base a un primo modo, il significato di un termine è ciò che un 1.7.2. L' i n coerenza d e l linguaggio naturale
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parlante competente afferra mentalmente ed è ciò che gli permette di stabilire la sua estensione. Questa impostazione ha origine in Frege, ed è stata poi sviluppata (pur con differenze considerevoli) dai n��positivisti e dai filosofi inglesi negli anni trenta e quaranta. I n base all' altro modo di intendere il significato, l'estensione dei termini di sostanza (come " acqua" , " argilla" , "oro " ecc. ) , di genere e specie naturale (come " olmo " , " faggio ", " rododendro " , " tigre", " leone" ecc.) non dipende dal contenuto mentale che associamo a questi termini. In base a questa seconda impostazione, il significato di un termine linguistico di sostanza, specie e genere naturale, è la sua estensione. Ci sono leggi di natura che permettono di delimita re le sostanze chimiche, i generi e le specie naturali indipendente mente da quello che noi ne pensiamo. Ed è proprio perché ci so n� tali leggi di natura, oltre a fatti contingenti relativi all'uso del linguaggio, che i termini di sostanza, genere e specie naturale hanno estensione. Questa seconda tesi è stata avanzata da Kripke ( 1972) e Putnam (1975) . Il sorite è stato interpretato da Unger ( 1979) e Wheeler (1979) come un argomento contro il primo modo di intendere il significato e a sostegno del secondo modo di intendere il significato dei termini linguistici. Per loro, ciò che i parlanti competenti associano memal mente ai termini vaghi è del tutto incoerente e quindi i termini linguistici, il cui significato è definito dai contenuti mentali che vi sono associati, non possono avere significato. Tutte le parole il cui significato dipende dai contenuti mentali che vi associamo sono prive di estensione: non ci sono case, lampadari, sedie, ricchi, pove ri e neanche, almeno per Wheeler, persone ed esseri viventi. I l mondo non può essere come noi l o pensiamo. La posizione di questi filosofi è indubbiamente estrema. È però importante ricostruire i passaggi del loro ragionamento. Essi infatti hanno avuto il pregio di aver messo in luce quanto possa essere deva stante il sotite. Innanzitutto essi prendono l'avvio dalla tesi che vogliono confuta re. Assumono cioè che ciò di cui parliamo è determinato da ciò che abbiamo in mente; supponiamo ad esempio che ciò che pensiamo ci permetta di determinare l'estensione del predicato " essere 28
mucchio". Qualunque parlante competente accetterebbe le seguen ti premesse (riguardo ai mucchi) : (PI) 100.000 granelli di sabbia (opportunamente disposti) forma no un mucchio (P2) per qualsiasi numero n di granelli di sabbia, se n granelli di sabbia formano un mucchio, anche n-l granelli di sabbia forma no un mucchio. Per rifiutare la premessa (P2), scrive Unger (1979, p. 130), occorre rebbe un miracolo nella comprensione concettuale. È talmente lontano dalla nostra comprensione che un solo granello di sabbia possa fare la differenza fra ciò che è un mucchio e ciò che non lo è, che ci vorrebbe un miracolo per farci comprendere come ciò sia possibile. Ora, da (Pl) e (P2) segue: (Cl) 1 granello di sabbia forma un mucchio (Cl) è in pieno contrasto con quanto qualunque parlante accettereb be, ossia: (P3) 1 granello di sabbia non forma un mucchio. Inoltre qualunque parlante competente riconoscerebbe anche: (P 4) per qualsiasi numero n di granelli di sabbia, se n granelli di sabbia non formano un mucchio, anche n+l granelli di sabbia non formano un mucchio. Infatti, per rifiutare (P 4) ci vorrebbe un miracolo nella comprensio ne concettuale. E, d'altra parte, da (P3) e (P 4) segue: (C2) 100.000 granelli di sabbia non formano un mucchio. Il problema non è semplicemente che (C2) è la negazione di (Pl) e che (P3) è la negazione di (Cl). I l problema è che se la nostra comprensione concettuale del predicato essere mucchio" autorizza l'accettazione di (Pl), (P2) , (P3) e (P4), ne segue che di qualunque numero di granelli di sabbia opportunamente disposto compreso fra 1 e 100.000 è corretto affermare sia che forma un mucchio sia che non lo forma. L'incoerenza è globale e i nostri strumenti concettuali si rivelano del tutto inadeguati a compiere una qualunque ripartizio ne nella realtà extralinguistica. La stessa conclusione vale ovviamente per tutti i predicati vaghi: quindi, se ci affidiamo al modo in cui comprendiamo tali predicati «
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dobbiamo dire, ad esempio, che ciascun uomo è ricco e non è ricco, è povero e non è povero, è calvo e non è calvo, è alto e non è alto ecc. E di qualsiasi oggetto dobbiamo dire che è una sedia e non è una sedia, che è un tavolo e non è un tavolo, che è uno spazzolino da denti e non è uno spazzolino da denti, che è un uomo e non è un uomo ecc. Per i nichilisti, la nostra comprensione concettuale del predicato "formare un mucchio" autorizza l'adozione di (Pl ) , (P2) , (P3) e (P 4) che sono incoerenti e pertanto il predicato "formare un mucchio " è privo di estensione. Tuttavia anche la comprensione concettuale del predicato "non formare un mucchio " autorizza l'adozione di (Pl ) , (P2) , (P3) e (P4) ; utilizzando l o stesso tipo d i ragionamento, s i potreb be pertanto concludere che, per i nichilisti, sia il predicato "formare un mucchio " sia il predicato "non formare un mucchio " siano privi di estensione. Quindi si potrebbe credere di dover concludere che sia i predicati vaghi che le loro negazioni siano privi di estensione. Questo non è però il ragionamento che fanno i nichilisti. Per loro, la nostra comprensione concettuale dei predicati vaghi è contradditto ria. Tuttavia - secondo loro - noi dobbiamo prendere le distanze dal modo in cui comprendiamo i predicati vaghi: dobbiamo renderci conto che, se ci affidiamo alla nostra comprensione concettuale dei predicati vaghi, non riusciamo a ripartire la realtà extralinguistica. Dobbiamo pertanto riformare il modo in cui applichiamo i predicati vaghi: essi non hanno estensione, ma le loro negazioni di fatto hanno estensione, si applicano veridicamente a tutti gli oggetti della r�aftà. Occorre cioè concludere che, contrariamente a quello che noi pensia mo, nulla è una sedia, nulla è un tavolo, nessuno è calvo, nessuno è capelluto e nulla è una persona o un essere vivente (per l'applicazione della soluzione nichilista al sorite cfr. PAR. 2.1). Tuttavia, sia Unger sia Wheeler ritengono che, oltre ai predicati vaghi, ci siano anche predicati non vaghi. Se i predicati vaghi non hanno esten sione, i predicati non vaghi hanno estensione. I predicati non vaghi sono ad esempio i predicati di sostanza, di specie e genere naturale. Di fatto, questa seconda parte del loro argomento sembra la più debole. Innanzitutto, come ha osservato Rolf (1984) , il problema che sorge è il seguente: come facciamo a riconoscere quali sono i termi30
ni non vaghi che hanno un' estensione ? Gli strumenti a nostra dispo sizione sono strumenti empirici che si basano sul modo in cui comprendiamo e riconosciamo le leggi di natura. E il nostro modo di comprendere tali leggi di natura non è diverso dal modo in cui comprendiamo qualsiasi altro predicato. Non sembra che ci siano strumenti per riuscire a stabilire quindi quali siano i predicati che hanno un'estensione. Per rendere conto della difficoltà di individuare i predicati che hanno un'estensione precisa, Williamson (1994, p. 170) considera il predicato " contiene un elettrone " applicato a regioni con limiti spazio-temporali leggermente diverse fra loro. La difficoltà di appli care questo predicato, anche per i fisici, evidenzia la difficoltà di rico noscere i predicati che hanno un'estensione p recisa. Dobbiamo quindi concludere che, se la posizione di Unger e Wheeler è corret ta, il funzionamento del linguaggio resta al di là di qualsiasi comprenSiOne umana. L'argomento più forte contro la distinzione fra predicati cosiddetti vaghi che non hanno estensione e predicati precisi che hanno un'e stensione è stato proposto da Sorensen (198 5 ) . Egli prende l'avvio dalla constatazione che il predicato "essere vago" è esso stesso vago. Per rendercene conto occorre considerare una serie di predicati, il primo vago e l'ultimo non vago, e tali che fra ciascuno e il successi vo ci sia una differenza talmente piccola che non autorizza ad affer mare che, se uno è vago, il successivo non lo è. La serie di predicati che egli considera è la seguente (sono predicati da applicarsi a nume ri naturali) : "è piccolo o è minore di 1 " " è piccolo o è minore di 2 " " "è piccolo o è minore di 3 "è piccolo o è minore di 99.999 " "è piccolo o è minore di 100.000 " . Ora, il primo predicato è vago così come è vago " essere piccolo" , infatti il secondo disgiunto ( " minore di l'' ) h a un'estensione preci sa, cioè il numero o, quindi la vaghezza del primo predicato dipen de dalla vaghezza di "essere piccolo". L'ultimo predicato non è vago, 31
infatti " minore di 100.000 " non è vago e sebbene " essere piccolo " sia vago, qualunque numero sia piccolo è sicuramente minore di 1 0 0 . 0 0 0 . Ma qual è l'ultimo predicato vago della serie ? Non c'è un confine netto. Quindi il predicato " essere vago " è esso stesso vago. Ma se si accetta l'argomento di Unger e Wheeler in base al quale i termini vaghi non hanno estensione, allora poiché anche il predica to " essere non vago " e il predicato " essere vago " sono vaghi (non si può infatti tracciare un confine netto che delimiti la loro estensione) , occorre concludere che i termini vaghi e anche i termini non vaghi siano privi di estensione. L'argomento di Unger e Wheeler si ritorce contro se stesso. I nichi listi infatti non mettono in discussione l'esistenza di predicati vaghi e di predicati non vaghi, essi sostengono semplicemente che i primi sono privi di estensione, mentre i secondi hanno estensione. La vaghezza di " essere vago " (nota anche come vaghezza di ordine supe riore) costringe il nichilista a concludere che non ci sono predicati vaghi; la vaghezza di " non essere vago " costringe il nichilista a rico noscere che non ci sono predicati non vaghi; ma se non ci sono né predicati vaghi né predicati non vaghi, allora non ci sono predicati. Ma ci sono parole ? C'è un confine netto fra le parole e i suoni indi stinti ? Se non c'è tale confine, non ci sono neanche le parole e il linguaggio. Quindi l'intero linguaggio è privo di estensione e addi rittura inesistente: una conclusione chiaramente paradossale che ha spinto la maggior parte dei filosofi a rifiutare il nichilismo. Il sorite emerge così con tutta la sua forza devastante: se il sorite è un argomento valido, allora non solo i termini vaghi non hanno esten sione, ma occorre addirittura concludere che il linguaggio non esiste. Una conclusione chiaramente paradossale. 1.7.3. L'incoerenza inevita bile del linguaggio: i predicati osservazionali
Si potrebbe credere di poter uscire dal paradosso soritico negando l'esi stenza dei predicati vaghi. Il primo a mettere in guardia da questa semplicistica e ingenua soluzione è stato Dummett (1975). Egli scri ve che «la vaghezza è una caratteristica indispensabile del linguaggio» (ivi, p. lU) ; per rendersene conto, occorre soffermarsi sui cosiddetti predicati osservazionali. I predicati osservazionali sono quei predica32
ti che si riferiscono al contenuto delle nostre osservazioni (e forse potremmo dire in generale al contenuto di tutte le nostre osservazio ni attuali o possibili) . Graff Fara ( 2001 ) definisce nel modo seguen te i predicati osservazionali: «Un predicato è osservazionale nel caso che la sua applicabilità a un oggetto (dato un contesto di valutazio ne fissato) dipenda solo dal modo in cui l'oggetto appare» (ivi, p. 907 ) . Gli esempi che fa Dummett riguardano i predicati di colo), , . , re come e rosso , e arancIOne ecc. Supponiamo che ci sia una serie di macchie colorate, la prima chia ramente rossa, l'ultima chiaramente non rossa (ad esempio arancio ne) e tale che ciascuna macchia sia percettivamente indiscriminabi le da quella adiacente. Il nostro uso dei predicati di colore ci impone la seguente regola: se due macchie colorate sono percettivamente indiscriminabili quando sono osservate contemporaneamente, allo ra devono avere lo stesso colore. Non sembra infatti comprensibile che due macchie colorate abbiano due colori diversi se non è percet tivamente riconoscibile la differenza mettendole l'una accanto all'al tra. Se tutto ciò che conta per l'applicabilità dei predicati di colore a un oggetto è come l'oggetto appare, allora non è concepibile che due oggetti appaiano nello stesso modo in un certo istante e siano appli cati loro predicati di colore diversi. Non sembra affatto sostenibile che ci sia una regola, indipendentemente dalla nostra comprensio ne di tali predicati e dal modo in cui li applichiamo, che stabilisce confini netti per i predicati osservazionali. Dummett ha avuto il merito di mostrare che non ci si può sbarazza re facilmente della vaghezza e del sorite. La vaghezza è una caratteri stica inevitabile del linguaggio e i predicati osservazionali ne sono una prova. Se si crede che la vaghezza sia una caratteristica inevita bile del linguaggio e che i predicati vaghi abbiano un' estensione, allora bisogna concludere che nel ragionamento soritico c'è un erro re. Nei prossimi capitoli (CAP. 2 e CAP. 3) analizzeremo le teorie che sono state avanzate per risolvere il sorite da una parte e per rendere conto del fenomeno della vaghezza dall' altra. "
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2. le teorie se mantiche Nel capitolo precedente abbiamo constatato che il fenomeno della vaghezza è aH' origine del paradosso noto come sorite. Inoltre abbia mo preso in esame la posizione più estrema che è stata assunta nei confronti del sorite, il nichilismo. Per i nichilisti i predicati vaghi sono privi di estensione; abbiamo però visto che la posizione dei nichilisti si ritorce contro se stessa: occorre concludere che non esistono termini linguistici vaghi e neanche lo stesso linguaggio. In questo capitolo vengono prese in co nsiderazione alcune teorie filosofiche che rifiutano la conclusioni estreme a cui giungono i nichilisti. Per rendere conto della vaghezza, queste teorie ritengono che la vaghezza sia una caratteristica del significato dei predicati vaghi. E, per le teorie semantiche che prenderemo in considerazio ne, è proprio la riflessione sul significato dei termini vaghi che conduce ad abbandonare un'assunzione semantica fondamentale della logica classica: la bivalenza. Il modo in cui questa assunzione viene messa in discussione cambia da teoria a teoria, a seconda del diverso modo in cui viene definito il significato dei predicati vaghi.
2.1. la sema ntica classica e la sema ntica non classica Il prin cipio di bivalenza è un principio cardine della logica classica. In base al principio di bivalenza, un qualsiasi enunciato P è o vero o falso. Quin di in base al principio di bivalenza, se P non è vero, allora P è falso; se invece P non è falso, allora P è vero. A tale principio è stato attribuito un ruolo fondamentale da Frege, Russell, Hilbert e dagli altri creatori della logica classica ai fini della giustificazione dei principi logici. Il più noto fra questi è il cosiddetto " principio del terzo escluso", secondo il quale è vero qualsiasi enunciato del tipo rp oppure non pl che si scrive in forme logiche rpv-,pl. La giustificazione di questo prin cipio è: affinché rPv-,Pl sia vero, bisogna che sia vero P oppure r-, pl; ma, se P non è vero, per il principio di bivalenza P è falso, e quin di è vera la sua negazione, cioè appunto r-,pl; quindi uno dei due disgiunti è vero per forza. Consideriamo ora come la logica valuta un argomento. Un argo34
mento è valido se e solo se tutte le regole utilizzate in esso sono vali de. E, classicamente, una regola di inferenza è valida se e solo se conserva la verità. Un regola conserva la verità se e solo se, applicata a premesse vere, conduce a una conclusione vera. Da quest'ultima definizione possiamo trarre il seguente principio: (V) se tutte le premesse di un argomento sono vere e le regole di inferenza utilizzate conservano la verità, allora la conclusione a cui si perviene è vera. Di conseguenza: (V*) se la conclusione di un argomento non è vera, o non tutte le premesse sono vere oppure qualcuna delle regole di inferenza non conserva la verità. Consideriamo ora il sori te alla luce del principio di bivalenza e del principio (V* ) . C'è un argomento in base al quale, se non vogliamo assumere la posizione del nichilista (che adotta la logica classica) , dobbiamo arrivare ad escludere ciò che nel primo capitolo è stato chia mato " il fenomeno della vaghezza". Dobbiamo cioè concludere, contro ogni evidenza a nostra disposizione, che deve esserci per forza un numero ben definito n di capelli tale che chi ha n capelli è calvo e chi ne ha n+ 1 non è calvo. Questa argomentazione, decisamente ripu gnante per chi consideri seriamente il " fenomeno della vaghezza", ha portato i sostenitori delle teorie semantiche a rifiutare la bivalenza. Il ragionamento che porta ad escludere il " fenomeno della vaghezza" è il seguente. Sia ao , al , . . . , an una serie soritica tale che ao e an cadono rispettivamente nell' estensione e nella contro-estensione del predicato p ( " essere calvo") e tale che, per ogni ax con o $; x < n, ax +l ha esattamente un capello più di ax ' Consideriamo il ragionamento, illustrato nel capitolo precedente, che, a partire dalle premesse Pao Pa --7Pa o . Pa 1 --7Pa2 Pa 2 --7Pa =
3
Pan-l --7Pan arriva alla conclusione PaTI 35
attraverso ripetute applicazioni del modus ponens. Nel caso che stia mo considerando, la conclusione non è vera, perché per ipote si a appartiene alla contro-estensione di P, il che vuole dire che n è falso e dunque, appunto, non vero. Quindi, per il principio (V* ) , o non tutte le premesse , -, sono vere oppu re nel ragionamento che conduce a si è usata qualche regola che non conserva la verità. Ma questa seconda alternativa sembra da escludersi, perché l'unica regola impiegata è il modus ponens che conserva la verità. Non resta allora che ammettere che non tutte le premesse , -, sono vere. Quale dobbiamo consi derare falsa ? Il nichilista negherebbe la verità di < P l > , ma è una mossa che alla maggior parte dei filosofi appare assai poco attraente per le ragioni considerate nel precedente capitolo. Esclusa questa mossa, non resta che supporre che, per qualche x, sia non vera, e quindi falsa, la premessa . Supponiamo in particolare che non sia vero "se la persona con 125 capelli è calva, allora la persona con 126 capelli è calva" che in termini formali si esprime: < P2.126> Pa1 2 5 � Pa1 26 ' Se questa premessa non è vera, allora è falsa. E un'implicazione è falsa quando l 'antecedente è vero e il conseguente è falso. Quindi se è falsa, allora è vero: * Pa1 2 5 A-, Pa1 26 che si legge nel modo seguente: "la persona con 125 capelli è calva e la persona con 126 capelli non è calva" . I n questo modo si deve concludere che un solo capello fa la differenza fra una persona calva e una che non lo è e si è arrivati cosÌ a negare la correttezza del "feno meno della vaghezza" . N e l primo capitolo abbiamo visto che il sorit e p u ò assumere due forme. La seconda forma è la seguente: Pao \Ix (Pax � Pax + l ) da queste premesse, applicando ripetutamente l'eliminazione del quantificatore universale e il modus ponens, si ottiene la conclusione che, come si è notato, è falsa e pertanto non vera. Quindi per il principio (V* ) o le regole adottate non conservano la verità o una delle premesse non è vera. Non sembra possibile sostenere che le
regole adottate, cioè l'eliminazione del quantificatore universale e il modus ponens, non conservino la verità. Quindi si deve concludere che una delle premesse o < P2> non sia vera. Solo i nichilisti assumono che non sia vera, agli altri non resta altra alternativa che sostenere che non sia vera. Se non è vera, sembra possibile inferire che è falsa; ed è pertanto vera: -,T;fx (Pax -?Pax + l) Nella logica classica è equivalente a * .3x (Pax /\-,Pax+l ) che si legge " esiste almeno un numero di capelli x tale che la persona che ha quel numero di capelli è calva e la persona con un capello in più non è calva" . Si è arrivati quindi alla stessa conclusione già presa in considerazione: un capello fa la differenza fra i calvi e i non calvi. E se un capello fa la differenza fra un calvo e un non calvo, allora si esclude il " f.:nomeno della vaghezza". C'è modo di contestare la correttezza di questo ragionamento i cui passaggi possono sembrare assolutamente plausibili ? Riesaminando il ragionamento con attenzione, ci si accorge che, ad un certo punto, si dà per scontato che un qualsiasi enunciato non vero debba essere per forza falso (nello specifico, nella prima forma dell' argomento e nella seconda forma dell'argomento) . Come abbiamo visto all'inizio, questa assunzione è dettata dal principio di bivalenza. Alcuni filosofi hanno creduto di ravvisare proprio nella rinuncia al prin cipio di bivalenza la chiave per risolvere i problemi generati dal sorit� : Questi autori ammettono che il modusponens conserva la verità e quin di, data l'ovvia falsità della conclusione , ammettono anche che non tutte le premesse - siano vere. Tuttavia considerano un errore inferire, come abbiamo fatto nel ragionamento presentato sopra, dalla constatazione che qualche premessa non è vera, che qualche premessa è falsa. La loro idea è che quelle tra le premesse - che non sono vere non siano necessariamente false. Se nessuna delle premesse della forma PaX-?PaX è falsa, non siamo obbligati a dire che +1 c'è un x ben definito tale che Pax è vero e PaX+1 è falso, cioè che c'è un numero di capelli ben definito che discrimina tra calvizie e non calvizie. Le teorie semantiche nascono quindi dall'esigenza di rendere conto del "fenomeno della vaghezza" risolvendo contemporaneamente il sorite. 37
È sempre bene tener presente che il sori te assume due forme. Il banco di prova di ogni teoria semantica è proprio la valutazione che
dà di - da una parte e di dall'altra e del modo in cui la stessa teoria combina questa valutazione con la spiegazione del " fenomeno della vaghezza" . Come vedremo, l'abbandono del principio di bivalenza può essere applicato all'analisi dei predicati vaghi in modi diversi. Nei paragrafi seguenti verranno prese in consi derazione tre teorie e ciascuna verrà valutata sulla base del modo in cui valuta - da una parte e dall'altra. Sebbene l'obiettivo sia considerare le teorie semantiche della vaghez za alla luce del problema filosofico così come è stato esposto, è inte ressante tener presente i due seguenti aspetti nell' analisi delle teorie che rifiutano la bivalenza. (i) Come abbiamo ricordato, il principio di bivalenza è stato invo cato dai fondatori della logica classica per giustificare principi logici come quello del terzo escluso. Che succede di tali principi logici se la bivalenza è abbandonata ? Dipende dall'approccio che si sceglie. Vedremo che alcuni autori, insieme con la bivalenza, abbandonano effettivamente anche il terzo escluso; altri, invece, riescono a preser vare il terzo escluso e altri principi della logica classica dandone una giustificazione indipendente dalla bivalenza. (ii) Se si adotta il principio di bivalenza, risulta naturale dire che una regola di inferenza è valida se e solo se conserva la verità. Se però si modifica il quadro ammettendo l'esistenza di enunciati né veri né falsi, si può essere indotti a ritenere che la conservazione della verità, pur restando condizione necessaria della validità di una regola, non sia più in generale sufficiente, e che, nel ridefinire la validità, si debba considerare esplicitamente anche il caso in cui le premesse non sono né vere né false. Per ogni teoria semantica sarà quindi necessario ride finire la nozione di validità.
2.2. Le teo rie d e i gra d i d i ve rità Le teorie dei gradi di verità utilizzano le logiche plurivalenti. I sostenitori delle logiche pluriva lenti rifiutano la bivalenza, rifiutano cioè l'idea che un qualsiasi enunciato del linguaggio sia o vero o falso: essi affermano che ci sono enunciati che non sono né veri né falsi. Essi inoltre ritengono che gli
enunciati che non sono né veri né falsi assumano un valore di verità intermedio fra la verità e la falsità (cfr. Rescher, 1969 ) . Useremo i' espressione " grado di verità" per riferirci al vero, al falso e ai valori di verità intermedi. Per riuscire a intendere le ragioni che hanno spinto alcuni filosofi ad adottare le logiche plurivalenti per gli enunciati vaghi, supponia mo che ci venga chiesto se è corretto affermare " una persona di diciassette anni è un adulto " o "una ragazza di un metro e sessanta cinque centimetri è alta". È abbastanza naturale rispondere "È vero fino a un certo punto ", " C'è un certo grado di verità in un enuncia to del genere" . Queste risposte sono dettate dalla seguente intuizio ne: i predicati vaghi si possono applicare con diversi gradi a diffe renti oggetti . Ad esempio ci saranno persone chiaramente alte, persone chiaramente non-alte e poi ci saranno persone che hanno un grado di altezza intermedio e che non sono né alte né non-alte. Queste ultime persone sono normalmente definite " casi borderline" . E quando, con un enunciato, si applica un predicato vago a un caso borderline, i' enunciato ha un valore di verità intermedio fra la verità e la falsità, i' enunciato assume cioè un certo grado di verità diverso dalla piena verità e dalla piena falsità. Ci sono poi alcune differenze fra i sostenitori delle logiche pluriva lenti. Alcuni sostengono che occorre sostituire ai due valori di verità classici, tre valori di verità (vero, falso e indefiniro) e questi sono i sostenitori di una logica trivalente (ad esempio Halldén, 1949 e Tye, 1994) . Altri ritengono invece che i valori di verità compresi fra il vero e il falso siano molteplici, addirittura infiniti, che ci sia cioè una gradualità nel passaggio dal vero al falso (ad esempio Machina, 1976) . Nel caso in cui si assumano infiniti gradi di verità, la conven zione che generalmente si usa è quella di utilizzare l per la verità, o per la falsità e gli infiniti numeri razionali fra o e l per simboleggiare i gradi di verità intermedi. A questo punto è importante interrogarsi sul ruolo dei connettivi. I connettivi sono i seguenti operatori logici che permettono di ottene re enunciati composti a partire da enunciati atomici: " -, " che si legge " non", " J\ " che si legge " e " , " v " che si legge " oppure " , " -7 " che si legge " se . . . allora . . . ", " � " che si legge " se e solo se " . Abbiamo già 39
avuto modo di utilizzare alcuni di questi connettivi, ma non ci siamo ancora soffermati sulla loro funzione semantica. Nella logica classi ca, i connettivi sono operatori vero-funzionali. Un connettivo logi co è vero-funzionale quando c'è una regola che permette di stabilire il valore di verità di un qualsiasi enunciato composto da tale connet tivo, a partire dai valori di verità degli enunciati che lo compongono. Nella logica classica, le tavole di verità permettono di stabilire il valo re di verità di un qualunque enunciato a partire dal valore di verità degli enunciati che lo compongono. Le tavole di verità della logica classica sono le seguenti: p
-,P
P Q
V F
F V
V V V F F V F F
PvQ V F F F
V V V F
V F V V
V F F V
Per chi non ha familiarità con le tavole di verità, nella prima colonna di sinistra sono elencati i possibili valori di verità che può assumere l'enunciato P, cioè il vero (simboleggiato da V) e il falso (simboleggia to da F) , nella seconda colonna sono elencati i valori di verità che assu r me non p1 a seconda del valore di verità che assume P. Nella terza colonna (staccata dalle prime due), sono elencate le possibili combi nazioni dei valori di verità degli enunciati P e Q, nella quarta, quinta, sesta e settima colonna sono elencati rispettivamente i valori di verità l r;p che assumono l a congmnzlone e Q , l a d·Isw· unzlOne r;p o Ql, l'·Im· · r plicazione se P allora ci, e il bicondizionale P se e solo se ci a secon da delle possibili combinazioni dei valori di verità di P e Q. I sostenitori delle logiche plurivalenti ritengono che i connettivi logi ci siano vero-funzionali, e inoltre accettano le regole vero-funzionali della logica classica quando gli enunciati componenti assumono i valo ri di verità classici (vero o falso). Tuttavia non c'è accordo fra i soste nitori delle logiche plurivalenti sulle regole da adottare quando i gradi di verità degli enunciati componenti sono intermedi. L'opzione più comune per coloro che scelgono di lavorare con infiniti gradi di veri.
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tà consiste nell' adottare le regole vero-funzionali introdotte da Luka siewicz negli anni trenta del Novecento per una logica a infiniti valo ri. Le regole sono le seguenti (dove [P] è il grado di verità di P) : (A) [-.P] l- [P] . In base a questa regola c'è una proporzione fra la verità di un enun ciato e quella della sua negazione. Quanto più vero sarà un enuncia to, tanto meno vera sarà la sua negazione e viceversa. Si prendano ad esempio due enunciati S e R, se [S ] 0.9 e [R] 0 . 2, allora il grado di verità della negazione di S sarà [-,s] 0.1 e il grado di verità della negazione di R sarà [-,R] 0.8. (B) [P/\Q] min { [ P] , [Q] } . Il grado di verità di una congiunzione è equivalente al grado di veri tà del suo congiunto meno vero (o più falso ) . L'idea che sta alla base di ciò è una generalizzazione dell'idea in base alla quale si fissa il valo re di verità di una congiunzione nella logica classica. Nella logica classica, una congiunzione è falsa se almeno uno dei due congiunti è falso (non importa se l'altro è vero o no) , e per Lukasiewicz una congiunzione assume il grado di verità più basso fra quello dei due congiunti. Sarà quindi evidente al lettore che se [S] = 0.9 e [R] 0.2, allora [RAS] 0.2. (C) [PvQ] max { [P] , [Q] } . I l grado di verità d i una disgiunzione è equivalente al grado di verità del suo disgiunto più vero ( o meno falso) . Anche in questo caso l'idea di fondo è una generalizzazione dell'idea in base alla quale si fissa il valore di verità della disgiunzione nella logica classica. Nella logica classica, una disgiunzione è vera se almeno uno dei due disgiunti è vero (non importa se l'altro è falso o no) , e per Lukasie wicz una disgiunzione assume il grado di verità più alto fra quello dei due disgiunti. Sarà quindi evidente al lettare che se [ 5 ] 0 . 9 e [R] 0.2, allora [Rv S] 0.9. se [Q] 2 [P] (D) [ P-7Q] 1 1 - ( [P] - [ Q] ) se [Q] < [P] . Un condizionale è vero se il grado di verità del conseguente è maggio re o uguale a quello dell'antecedente. Se invece l'antecedente di un condizionale è più vero del conseguente, il condizionale non può esse� re vero al grado 1 ; quindi al condizionale deve essere assegnato un =
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grado di verità minore di 1 . L'idea che sta alla base di ciò è ancora una generalizzazione dell'idea in base alla quale si fissa il valore di verità di un condizionale nella logica bivalente: diciamo comunemente che un condizionale, il cui antecedente è vero e il cui conseguente è falso, non può essere vero perché il condizionale non può condurre dalla verità dell' antecedente alla falsità del conseguente. Analogamente un condi zionale non può condurre da un grado maggiore a un grado minore di verità. Maggiore è il grado di verità perso nel passaggio dall' antece dente al conseguente, minore sarà il grado di verità dell'intero condi zionale. Sarà quindi evidente al lettore che se [S] 0.9 e [ R] 0. 2, allora [S---1 R ] 1-(0.9-0.2) 1-(0.7) 0.3 e [R---1 S ] 1 . Vale l a pena d i osservare che una conseguenza inevitabile delle teorie dei gradi di verità è 1'abbandono di alcuni principi della logica classi ca, come ad esempio il terzo escluso. Infatti non è sempre vero un enunciato della forma rpv-,p1. Supponiamo che l'enunciato P assu ma il seguente grado di verità: [ P] 0. 5, allora [ Pv-,P] 0. 5. Vale inoltre la pena osservare che le contraddizioni della logica classica (come ad esempio enunciati della forma rp,,-,p1) non sono se �pre false nella logica plurivalente. Ad esempio, se [P] = 0. 5, allora [P,,-,P] 0. 5 . I l logico plurivalente è pienamente consapevole di queste conseguenze della sua teoria e non le considera un limite o un difet to, ma la conseguenza inevitabile dell' abbandono della bivalenza. =
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Si tratta a questo punto di chiedersi come le logiche plurivalenti affrontino il sori te. Come abbiamo visto nel paragrafo 2.1, le teorie semantiche della vaghezza si propongo no (F) da una parte di rendere conto del " fenomeno della vaghezza" attraverso il rifiuto della bivalenza e (S) d'altra parte di valutare il sorite sulla base di un'opportuna nozione di validità. Partiamo dal punto (F) . Consideriamo una serie soritica di 100.001 persone, la prima priva di capelli e l'ultima con 100.000 capelli. Assu miamo che " ao ", . . . ," a1 00000 " siano nomi delle persone della serie soritica e P sia il predicato " essere calvo " . Non ci si deve aspettare che i teorici dei gradi di verità forniscano regole per attribuire i gradi di verità agli enunciati, anzi essi sottolineano che i gradi di verità sono " idealizzazioni " . Tuttavia, ci sono restrizioni intuitivamente natura2.2.1. Le teorie dei gradi di verità e il sorite
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li che regolano qualsiasi attribuzione di gradi di verità. Ad esempio, se un individuo b ha un numero di capelli maggiore del numero di capelli di un individuo c, allora l'enunciato " b è calvo " avrà un grado di verità minore o uguale a " c è calvo " . Inoltre, se l'individuo f ha un solo capello più dell'individuo e, non si darà mai il caso che " e è calvo " sia vero (abbia grado di verità l ) e l'enunciato ''i è calvo " sia falso (abbia grado di verità o) e neppure il caso che " e è calvo " sia quasi vero (per esempio perché ha grado di verità 0 . 8 ) e che "f è calvo " sia quasi falso (per esempio perché ha grado di verità 0 . 2 ) . Supponiamo che gli enunciati che attribuiscono i l predicato " essere calvo " a ciascuno degli individui ao , . . . ,a 1 00000 assumano i gradi di verità scritti sotto di loro nel modo seguente: Pa9 000 Pa9001 0.22 0 . 21
Pa100,OOO o
Riconsideriamo le premesse del sorite senza la quantificazione universale. Le prime premesse saranno chiaramente vere (assume ranno quindi grado di verità l ) : [Pao ] l [Pao -7Pa1 ] 1 [Pa1 -7PaJ 1 . Consideriamo ora: " Pa 1 2 -7Pa1 2/ che s i legge "se la persona con 125 capelli è calva, allora la p ersona con 126 capelli è calva" ; in questo caso, il conseguente ha un grado di verità minore dell'antecedente (infatti [Pa 2 5 ] 0.97 e [ Pa 1 26 ] 0.96), quindi il grado di verità del 1 condizionale verrà calcolato nel modo seguente: [Pa1 2 5 -7Pa1 2 6 ] t (0.97 - 0.96) 1 - (0.01) 0.99. Il condizionale è quindi quasi vero (ha un grado di verità vicino a l ) . Ed è questa la ragione principale per cui alcuni filosofi hanno adot tato le logiche plurivalenti per affrontare il sorite: le logiche pluriva lenti permettono infatti di affermare che le premesse dell' argomen to, sebbene non siano tutte completamente vere, sono o vere o quasi vere. Le premesse quindi non sono tutte completamente vere, ma nessuna è falsa! Consideriamo ora la premessa del sorite (che contiene il quan=
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tificatore universale) . L'enunciato può essere inteso come la congiunzione di -. In base alle regole vero-funzionali, il grado di verità di una congiunzione è equivalente al minore fra i gradi di verità dei congiunti. Abbiamo constatato che ciascuna delle premesse - è o vera o quasi vera, la premessa sarà pertanto quasi vera. Abbiamo cosi preso in considerazione il punto (F) : le teorie dei gradi di verità permettono di rendere conto del " fenomeno della vaghez za" , non si deve infatti assumere che un solo capello possa fare la differenza fra un calvo e un non calvo, la differenza di un solo capel lo può solo fare la differenza fra persone che hanno gradi di calvizie leggermente diversi. E le premesse del sorite, sebbene non siano tutte vere, sono tutte o vere o quasi vere, in questo modo si rende conto dell'apparente plausibilità di tali premesse. Consideriamo ora il punto ( S ) : dobbiamo cioè interrogarci sulla validità della regola del modus ponens e dell' eliminazione del quanti ficatore universale per poter valutare il sori te. In base alla definizio ne classica di validità, una regola è valida se e solo se ogniqualvolta sono vere le premesse è vera anche la conclusione. Tuttavia, nel caso del sorite, non tutte le premesse sono vere. Cosa succede se appli chiamo il modus ponens a premesse che non sono vere ? Quello che si constata è che c'è una progressiva perdita di verità dalle premesse alla conclusione. Per rendercene conto, consideriamo le seguenti premesse: [Pa 1 2 5 ] 0.97 [ PaI 25 �PaI 2 6 ] 1 - (0 · 97 0.96) 1 - (0.01) 0·99. Se applichiamo ora il modus ponens a queste premesse, otteniamo: [ Pa12 6 ] 0.96. Questa osservazione ci fa comprendere che se analizziamo il sorite sulla base delle regole vero-funzionali di Lukasiewicz, c'è una progressiva perdita di verità dalle premesse alla conclusione. Si impone quindi la seguente domanda: qual è la definizione di validi tà corretta quando la logica non è classica? C'è chi (come Tye, 1994) ritiene che una regola di inferenza sia valida se e solo se conserva la verità. Se si adotta questa impostazione allora la regola del modus ponens cosÌ come la regola di eliminazione del quantificatore univer=
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sale sono sicuramente valide e il sorite è un argomento valido. Tutta via c'è una differenza fondamentale fra chi adotta questa definizio ne in una logica bivalente e chi la adotta in una logica plurivalente. Il logico bivalente (come abbiamo visto nel PAR. 2.1) è costretto ad affermare che almeno una premessa dell' argomento è falsa. Il logico plurivalente afferma invece che almeno una delle premesse non è vera, ma non afferma che almeno una premessa è falsa. C'è invece chi (come Machina, 1976) ritiene che una regola di infe renza sia valida se e solo se la conclusione ha un grado di verità non inferiore alla meno vera delle premesse. t-a conclusione non deve essere cioè più falsa di alcuna delle premesse. E in questo caso il modus ponens non è una regola di inferenza valida (infatti abbiamo appena constatato che il modus ponens, applicato a premesse che non sono completamente vere, conduce a una conclusione più falsa di ciascuna delle premesse) . Se si adotta questa definizione di validi tà, occorre concludere che nel sorite si adotta una regola di inferen za non valida e quindi che l'argomento non è valido. Fin qui abbiamo analizzato perché le logiche plurivalenti sono attraenti per un filosofo che si occupa di vaghezza e del sorite. Esse infatti hanno il pregio di spiegare l'errore del paradosso rendendo conto anche della plausibilità dell' argomento. Come abbiamo visto, rendono conto del " fenomeno della vaghezza" - l'aspetto che abbia mo chiamato (F) assumendo che le premesse sono o vere o quasi vere, e che per questa ragione tendiamo ad accettarle acriticamente. Inoltre si può fornire una spiegazione della ragione per cui il sorite porti a una conclusione completamente falsa: perché il modus ponens, applicato a premesse che non sono completamente vere, conduce a una progressiva perdita di verità. -
2.2.2. Le teorie dei gra d i di ve rità e le regole vero-funzionali Con sideriamo ora i limiti delle teorie dei gradi di verità. Le diverse logi che, che vengono assunte dai sostenitori delle teorie dei gradi di veri tà, fanno tutte appello a regole vero-funzionali per stabilire il grado di verità degli enunciati composti con i connettivi logiCi. Le regole vero-funzionali possono essere molto diverse fra loro, ma qualunque regola si adotti, si deve accettare che il grado di verità dell' enunciato
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composto da un qualsiasi connettivo è stabilito unicamente dal grado di verità degli enunciati che lo compongono. Il supervalutazionismo e la teoria probabilistica si fondano proprio sulla critica delle regole vero-funzionali per i connettivi logid. Li critica alle regole vero-funzionali può avere la seguente struttura. Assumiamo che gli enunciati P e R abbiano lo stesso grado di verità e inoltre che ci siano regole vero-funzionali per il connettivo logico ©. Quali che siano le regole vero-funzionali adottate, P©P e P©R devono assumere lo stesso grado di verità. Se invece si riesce a dimo strare che le nostre intuizioni linguistiche ci impongono di associare a P©P un grado di verità diverso dal valore che associamo a P©R, allora le regole vero-funzionali non sono adeguate. I n questo caso, le regole vero-funzionali non rispecchiamo il modo in cui attribuia mo un grado di verità agli enunciati composti con i connettivi logi ci e occorre una teoria che fornisca una spiegazione alternativa e che non tratti i connettivi logici in modo vero-funzionale. Come avremo modo di constatare nei prossimi paragrafi, questa è di fatto la strategia adottata dai sostenitori del supervalutazionismo e dai sostenitori della teoria probabilistica. Per riuscire a intendere le loro rispettive critiche alle regole vero-funzionali, occorre innan zitutto considerare la giustificazione che essi forniscono per abban donare la bivalenza.
2.3. Il s u p e rva l utazion ismo La prima formulazione del super valutazionismo risale a van Fraassen (1966) che la propose per trat tare enunciati che contengono termini singolari senza riferimento e il paradosso del mentito re. Il primo trattamento della vaghezza che oggi possiamo chiamare supervalutazionista è stato proposto da Mehlberg (1958), mentre la prima formulazione rigorosa del super valutazionismo per affrontare la vaghezza è in Fine (1975) ; inoltre fra i sostenitori del supervalutazionismo vale la pena di menzionare McGee e McLaughlin (1994) , Keefe (2000) e Varzi (2007) . Un predicato si applica o non si applica ad un particolare oggetto sulla base di regole che specificano il suo funzionamento. L'idea che sta alla base del supervalutazionismo è che, nel caso d e i predicati vaghi, tali regole non sono specificate a sufficienza; quindi ci sono 46
oggetti a cui il predicato si applica, oggetti a cui il predicato non si applica e oggetti per i quali le regole non stabiliscono se il predicato vi si applica o no. Questi ultimi oggetti sono classificati come borderline, ma la ragione che li rende tali è completamente diversa da quella addotta dai teorici dei gradi di verità. Per i sostenitori del supervaluta zionismo, un caso borderline è un oggetto tale che le regole che stabi liscono il funzionamento del predicato vago non prescrivono se il predicato vi si applica o no; per i sostenitori delle teorie. dei gradi di verità un caso borderline è un oggetto a cui il predicato vago si applica ad un certo grado. Di conseguenza, per i sostenitori del supervaluta zionismo, un enunciato che attribuisce un predicato vago a un caso borderline è privo di un valore di verità (incorre in una lacuna nei valo ri di verità); mentre per un sostenitore della teoria dei gradi di verità, un enunciato che attribuisce un predicato vago a un caso borderline assu me un grado di verità intermedio fra la verità e la falsità. Per i supervalutazionisti quindi un caso borderline può essere interpre tato come un difetto semantico: la sottospecificazione delle regole che stabiliscono il funzionament � dei predicati vaghi non autorizza né i' applicazione del predicato né i' applicazione della negazione del predi cato al caso borderline. E proprio perché le regole che stabiliscono il funzionamento di un predicato non autorizzano né i' applicazione del predicato né l'applicazione della negazione del predicato al caso borderline, i' enunciato con cui si attribuisce il predicato vago al C;lSO borderline non è né vero né falso, non assume cioè un valore di verità. Tuttavia, per un supervalutazionista, il difetto semantico che carat� terizza i predicati vaghi (ossia la sorrospecificazione delle regole che stabiliscono il funzionamento dei predicati vaghi) può essere colma to - almeno in linea di principio - da una scelta arbitraria, che viene chiamata " precisazione" del predicato. Una precisazione del predi cato stabilisce, per ogni oggetto della serie soritica, se il predicato vago vi si applica o non vi si applica. Una precisazione è " ammissibile" quando colma i difetti semantici del predicato vago in considerazio ne (perché stabilisce se il predicato si applica o no ai casi borderline), ma non è "ammissibile" quando sovverte le regole sotto specificate di partenza ( ad esempio se stabilisce che il predicato si applica a un oggetto che cade chiaramente nella contro-estensione del predica47
to). Consideriamo di nuovo la serie soritica di 100.001 persone, la prima chiaramente calva, l'ultima non calva e tale che fra ciascuna persona e la successiva ci sia un solo capello di differenza. Se assumia mo che la persona con 347 capelli e la persona con 348 capelli siano casi borderline di " essere calvo ", una precisazione ammissibile richie de di applicare il predicato " essere calvo " a tutte le persone che hanno 347 capelli o meno di 347 capelli e richiede di applicare la negazione del predicato (ossia " non essere calvo " ) a tutte le persone con 348 capelli o più di 348 capelli. Se inoltre assumiamo che la persona con 1 .863 capell i e la persona con 1 .864 capelli siano casi borderline di " essere calvo ", un'altra precisazione ammissibile richie de invece di applicare il predicato " essere calvo " a tutte le persone che hanno 1.863 capelli o meno di 1 . 863 capelli e richiede di applica re la negazione del predicato (ossia " non essere calvo " ) a tutte le persone con 1 . 864 capelli o più di 1 . 864 capelli. Sono ovviamente ammissibili tantissime precisazioni. Fissata una precisazione, ogni enunciato che contiene uno o più predicati vaghi assume uno dei due valori di verità classici (vero o falso) . È infatti bene tener presen te che quando si parla di " precisazione", non si intende una precisa zione di un singolo predicato vago contenuto nell' enunciato complesso, ma si intende una precisazione di tutti i predicati vaghi contenuti nell'enunciato complesso in considerazione. Tuttavia, per un supervalutazionista, quando consideriamo il valo re di verità che assume un enunciato come " la persona con 387 capel li è calva" non ci interessa quello che avviene all'interno di una singo la precisazione, ma siamo interessati a ciò che avviene in tutte le precisazioni ammissibili. Il supervalutazionista ritiene che la nOStra nozione di verità corrisponda a ciò che egli chiama " superverità": un ,:?unciato è supervero se è vero per tutte le precisazioni ammissibili, è superf�lso se è falso per tutte le precisazioni ammissibili, non è..né supervero né superfalso negli altri casi. Si capisce quindi la ragione del nome " supervalutazionismo " in quanto, per stabilire il valore di verità di un enunciato, non dobbiamo semplicemente valutario in una precisazione ammissibile, ma dobbiamo supervalutarlo: dobbia mo cioè tener presente le valutazioni che assume in tutte le precisa zioni ammissibili.
Per un supervalutazionista, quando valutiamo un enunciato, pren diamo in considerazione tutte le precisazioni ammissibili e stabilia mo in questo modo se un enunciato è supervero, superfalso o nessu no dei due. Se il supervalutazionista ha ragione riguardo al modo in cui stabiliamo il valore di verità degli enunciati vaghi, allora effetti vamente le regole vero-funzionali non sembrano adatte a stabilire i valori di verità degli enunciati composti con i connettivi logici. Per intendere l'argomento del supervalutazionista contro i teorici dei gradi di verità, occorre ricostruire alcune intuizioni che il supervalutazionista dà per scontate. Per lui, ad esempio, i predicati " essere rosso " e "essere arancione " sono fra loro incompatibili: nulla può essere sia rosso sia arancione. Quindi qualunque precisazione non farà mai in modo che uno stesso oggetto possa cadere sia nell' estensione di "essere rosso" sia nell' estensione di "essere arancione". Per semplificare la nostra esposi zione, possiamo inoltre restringere la nostra attenzione alla palla a che è proprio un caso borderline sia del predicato " essere rosso ", sia del predicato " essere arancione" ed è tale che in ogni precisazione cade o nell' estensione del predicato " essere rosso" o nell' estensione del predi cato "essere arancione" . Supponiamo inoltre che "Ra" sia l'enunciato " la palla a è rossa" e "Aa" sia l'enunciato "la palla a è arancione" (dove R è il predicato "essere rosso " e A è il predicato "essere arancione"). Consideriamo ora le due congiunzioni (1 ) Ra"Ra e (2) RaAAa e i due diversi approcci: quello di un sostenitore della teoria dei gradi di verità e quello di un teorico supervalutazionista. Per un sosteni tore delle logiche plurivalenti, se " Ra " e "Aa" hanno lo stesso grado di verità (che nello specifico è 0.5), le due congiunzioni devono avere lo stesso grado di verità. E invece, se noi ragioniamo come propone il supervalutazionista, allora (2) sarà superfalso, mentre (1) non sarà· né supervero né superfalso. Infatti qualunque precisazione di tali predicati si adotti, non permetterà mai che uno stesso oggetto (per esempio la palla a) sia rosso e arancione. L'enunciato (2) è pertanto superfalso, anche se nessuno dei congiunti è superfalso. Ma una diversa sorte spetta all' enunciato (1); infatti in questo caso il valore di verità della congiunzione è lo stesso dell'enunciato " Ra" . Se l'enun2 .3.1. Superva l utazion ismo e critica d e l l e regol e ve ro-funzionali
49
ciato " la palla a è rossa" non è vero in tutte le precisazioni né falso in tutte le precisazioni, anche la congiunzione (1 ) non sarà vera in tutte le precisazioni e non sarà falsa in tutte le precisazioni. È ora utile considerare attentamente se per un supervalutazionisrai connettivi logici siano vero-funzionali. Finché ci soffermiamo su una singola precisazione, allora possiamo dire che all'interno della preci sazione i connettivi logici sono vero-funzionali: infatti in ogni precis- è falsa. Di conseguenza la congiunzione di tutte le premesse - è superfalsa (cioè sarà falsa in tutte le precisazioni) e la stessa sorte tocca alla premessa per un supervalutazionista. Se è superfalsa, allora per un supervalutazionista è supervera la sua negazione, e quindi è superve ra anche: * 3x (PaxA-.., P aX + l ) . Il supervalutazionista sottolinea che la superverità di * 52
non ci costringe ad assumere un confine definito nell' estensione del predicato vago P; infatti la superverità di * è compatibile col fatto che nessuna fra - sia superfalsa. Abbiamo così preso in considerazione come il teorico supervaluta zionista rende conto del " fenomeno della vaghezza" , che abbiamo chiamato (F) . Il supervalutazionista esclude la superverità di tutte le premesse del sorite. Tuttavia escludere la superverità di tutte le premesse non vuoI dire, per un supervalutazionista, accettare che c'è almeno una premessa superfalsa. Se consideriamo il sorite nella formulazione , -, allora nessuna premessa è super falsa, alcune premesse fra - non saranno né supervere né superfalse. Questa assunzione riflette il fatto che non c'è un confi ne definito fra le entità che cadono sotto un predicato vago e le enti tà che non cadono sotto di esso. Se consideriamo invece il sorite nella formulazione , , allora dobbiamo riconoscere che è superfalsa, ma la superfalsità di è compatibile col fatto che non c'è un confine netto fra gli oggetti che cadono sotto un predica to vago e gli oggetti che non cadono sotto di esso. Consideriamo ora il punto (S) . Come valutare il sorite alla luce del supervalutazionismo ? Che cosa dire di regole come il modus ponens e l'eliminazione del quantificatore universale ? La nozione di validi tà è oggetto di discussione fra i sostenitori del supervalutazioni smo. In base alla definizione che per prima si è imposta fra i super valutazionisti, un argomento è valido se e solo se ogniqualvolta le premesse sono vere in tutte le precisazioni anche la conclusione è vera in tutte le precisazioni . Quindi se l' argomento è valido in questo senso e se la conclusione è falsa in tutte le precisazioni come nel caso del sori te - allora in ciascuna precisazione è falsa almeno una delle premesse, o, per dirlo in altri termini, non tutte le premesse sono superver�. Il sorite è perciò un argomento valido per il supervalutazionista e le regole adottate (modus ponens ed elimina zione del quantificatore universale) sono da ritenersi valide; occor re semplicemente rendersi conto che non tutte le premesse sono supervere. Il supervalutazionismo è una teoria logica sofisticata ed elegante. Alcuni filosofi non sono però convinti che il supervalutazionismo 53
rispecchi il modo in cui comunemente attribuiamo un valore di veri tà agli enunciati vaghi. In particolare sono perplessi dalla superveri tà di *. Per rendersi conto della peiplessità, supponiamo che un supervalutazionista ci dica: " C'è una somma di denaro che rende le persone ricche, ma basta sottrarre un solo centesimo a quel la somma di denaro perché non renda più le persone ricche " . Di fronte a questa affermazione, un po' increduli, possiamo ribattere: " E a quanto ammonta questa somma di denaro ? " . Il supervaluta zionista replicherà: " Ho detto che esiste una somma di denaro con quella proprietà, ma ovviamente non mi impegno ad affermare riguardo a una specifica somma di denaro che ha quella proprietà" . Potremmo provare a ribattere: " Vuoi forse dire che esiste una somma di denaro del genere, ma non sai qual è ? " . Il supervalutazio nista risponderebbe: " No, io so per certo che esiste una somma di denaro che ha quella proprietà e so per certo che riguardo a nessuna specifica somma di denaro si può affermare che ha quella proprietà" . Il lettore può provare a saggiare l e sue intuizioni al riguardo.
2.4. La teoria pro b a b i l istica È stato Lewis (1970) a introdurre la teoria probabilistica per affrontare la vaghezza, teoria che è stata poi sviluppata da Kamp (1975) e più recentemente da Edgington (1992 e 1997) . I sostenitori della teoria probabilistica ritengono che, quando si introducono predicati vaghi, è opportuno parlare di gradi di verità degli enunciati. Ad esempio " Mario, che guadagna 3 .450 euro al mese, è ricco " è più vero di " Maria, che guadagna 1 . 200 euro al mese, è ricca". Non occorre dire che un enunciato sia vero e l'al tro sia falso, possono essere entrambi veri a un certo grado, ma il grado di verità del primo è maggiore del grado di verità del secondo. I gradi di verità che secondo questo approccio gli enunciati possono assumere sono infiniti e da questo punto di vista la teoria probabili stica è in sintonia con alcune teorie dei gradi di verità e si differenzia dal supervalutazionismo. Tuttavia, i sostenitori della teoria probabilistica ritengono che le regole per i connettivi logici non possano essere vero-funzionali e si differenziano per questo dai teorici dei gradi di verità esaminati nel paragrafo 2.2. Per i fautori della teoria probabilistica il grado di veri54
tà degli enunciati composti con i connettivi logici è calcolato con regole probabilistiche. 2.4.1. La teoria p roba bilistica e l a critica delle re g ole ve ro-fu nzion a l i
Le ragioni che presiedono all' adozione della teoria probabilistica fanno appello alle intuizioni dei parlanti. Supponiamo che ci siano tre palle a, b e c, e consideriamo i due seguenti predicati: R è il predi cato " essere rosso ", P il predicato " essere piccolo ". Diciamo a l teorico dei gradi d i verità (considerato nel PAR. 2.2) che i seguenti enunciati assumono i seguenti gradi di verità: [ Pa ] 0 . 5 [Ra] 1 =
=
[Rb] [Re]
=
=
0.5 0.5
[ Pb] [Pc]
=
=
0.5
o
Consideriamo ora il grado di verità che assumono le seguenti congiunzioni per un sostenitore delle regole vero-funzionali fornite da Lukasiewicz: [Ra"Pa]
=
[Rb"Pb]
= 0.5.
L'enunciato " La palla a è rossa e piccola" h a l o stesso grado d i verità di " La palla b è rossa e piccola" e tuttavia se ci venisse chiesto " Porta mi una palla rossa e piccola" e avessimo a disposizione solo a e b, a ci sembrerebbe un candidato migliore di b. Le regole vero-funzionali per la congiunzione sono quindi in contrasto con le nostre intuizioni. Si considerino ora le seguenti disgiunzioni: [RbvPb]
=
[RcvPc]
=
0.5.
L'enunciato " La palla b è rossa o piccola" h a l o stesso grado d i verità di " La palla c è rossa o piccola" e tuttavia, se ci fosse chiesto " Porca mi una palla rossa o piccola " e avessimo a disposizione solo b e c, b ci sembrerebbe un candidato migliore di c. Anche le regole vero funzionali per la disgiunzione sono quindi in contrasto con le nostre intuizioni. Se dicessimo a un sostenitore del supervalutazionismo che " Ra " è supervero, " P c " è superfalso e " Pa " , " Rb " , " Pb " e " Rc" sono né superveri né superfalsi, sarebbe costretto a sostenere che le congiun zioni e le disgiunzioni precedentemente analizzate sono né superve re né superfalse, quindi non riuscirebbe a rendere conto della nostra diversa reazione nei confronti dei precedenti enunciati, in quanto 55
non è sensibile al problema di attribuire un grado di verità agli enun ciati. La teoria probabilistica si pone quindi come alternativa al supervalutazio nismo. Tuttavia è bene tener presente che si pone come alternativa anche alla teoria dei gradi di verità: se una teoria dei g radi di verità assume che un en unciato possa essere più o meno vero, la teoria probabilistica assume che un enunciato possa essere più o meno probabile e che il grado di probabilità di un enunciato composto non sia stabilito sulla base di regole vero-funzionali. L'idea su cui è imperniata la teoria della probabilità è che ad un enunciato deve essere associato, in prima battuta, un certo insieme e, in secon-o da battuta, deve essere associato a questo insieme un numero che costituisce la probabilità dell' enunciato. Ora, la teoria della probabi lità deve stabilire un'interpretazione plausibile dell'insieme a cui è associato ciascun enunciato. Una possibile interpretazione è quella di associare a ciascun enunciato un insieme di mondi possibili. Ad esem pio all'enunciato " Fra un mese verrà firmato un accordo di pace fra palestinesi e israeliani " viene associato un insieme di mondi possibili che hanno una storia fino ad oggi in tutto e per tutto identica a quel la del mondo attuale e che si differenziano da domani in poi. La probabilità dell' enunciato viene stabilita dalla proporzione fra il numero di mondi possibili in cui è vero e il numero dei mondi possi bili in cui è falso. Nel caso di enunciati che contengono predicati vaghi, l'insieme che viene associato agli enunciati è un po' diverso. L'idea di partenza è la stessa adottata dai supervalutazionisti: a un enunciato vago è asso ciato un insieme di precisazioni ammissibili. Se l'enunciato è vero in tutte le precisazioni ammissibili, allora è supervero; se è falso in tutte le precisazioni ammissibili, allora è superfalso. Consideriamo il caso in cui l'enunciato sia vero in alcune precisazioni ammissibili e falso in altre. Per un supervalutazionista, come si è visto, l'enuncia to non è né supervero né superfalso e non ha pertanto un valore di verità. Per un sostenitore della teoria probabilistica, invece, l'enun ciato ha un grado di probabilità che è stabilito dalla proporzione fra le precisazioni in cui è vero e le precisazioni in cui è falso.
2.4.2. La teoria probabil istica n on è una teoria vero-funzionale
56
Si tratta a questo punto di analizzare come la teoria probabilistica renda conto del grado di probabilità degli enunciati vaghi composti con i connettivi logici. Supponiamo che i gradi di probabilità degli enunciati precedentemente considerati siano i seguenti: p (Ra) 1 P (Pa) 0 . 5 P ( Rb) 0 · 5 P (Pb) 0 · 5 P (Re) 0 · 5 P ( Pc) o Consideriamo ora la congiunzione. Nel caso in cui le probabilità dei due congiunti siano fra loro indipendenti, la regola è la seguente: (a) p(AAB) p(A) X p(B ) . Si consideri ora la probabilità della seguente congiunzione: p(RaI\Pa) . Si deve tener presente che, in questo caso, la probabilità che la palla a sia piccola non è condizionata dalla probabilità che la palla sia rossa. Quindi la probabilità che la palla a sia rossa e piccola è p(RaI\Pa) 1 X 0.5 0 . 5 . L'idea può essere graficamente espressa nel modo seguen te assumendo che ciascuna linea orizzontale in grassetto rappresenti l'insieme delle precisazioni in cui un enunciato è vero: =
=
=
=
=
=
=
=
=
��:: llll
-+-
..... --
-t
----
La probabilità che la palla a sia rossa è 1 , cioè è rossa per tutte le preci sazioni; la probabilità che la palla a sia piccola è 0 . 5 , cioè è piccola per la metà delle precisazioni; la probabilità che la palla a sia rossa e piccola è quindi 0 . 5 . Consideriamo ora la probabilità che l a palla b sia rossa e piccola. Anche in questo caso la probabilità che la palla b sia piccola non è condizionata dalla probabilità che la palla sia rossa. Quindi p(RbI\Pb) 0.5 X 0.5 0.25. Si nota pertanto che la probabilità che la palla b sia rossa e piccola è più bassa della probabilità che la palla a sia rossa e piccola. L'idea può essere graficamente espressa nel modo =
=
57
seguente; la probabilità che la palla b sia rossa è solo 0 . 5 , cosi come la probabilità che sia piccola è 0 . 5 , ma la probabilità che la palla b sia rossa e piccola sarà più bassa della probabilità di ciascuno dei due congiunti: RbAPb
:�_!------
Si consideri ora la seguente regola per la disgiunzione: (b) p(AvB) p(A) + p(B) - p(MB ) . Posto che p(MB) sia calcolabile tramite (a) - posto cioè che p(A) sia indipendente da p ( B ) -, (b) ci permette di calcolare p (Av B ) . Ad esempio, la probabilità delle seguenti disgiunzioni sarà così calcola ta: p(RbvPb) 0 . 5 + 0 . 5 0 . 2 5 0 . 7 5 e p(RcvPc) 0 . 5 + o - o 0 . 5 . La probabilità che la palla b sia rossa e piccola è più alta della proba bilità che la palla c sia rossa o piccola. Ancora una volta si può avere un'immagine grafica delle due diverse probabilità. Nel caso di " Rbv Pb" le probabilità che valga la disgiunzione sonç> maggiori delle probabilità che valga ciascuno dei disgiunti : =
=
-
=
=
=
RbvPb
: 1;-Nel caso di " RcvPè', poiché non ci sono precisazioni in cui la palla c sia piccola, tutte le precisazioni che contano per la probabilità della disgiunzione sono quelle in cui è rossa. 58
Sembra quindi che la teoria probabilistica ci offra un' opportunità migliore per interpretare i connettivi logici. Sembra cioè che, valutan do gli enunciati composti secondo le regole probabilistiche, si ottenga no risultati conformi alle intuizioni descritte nel paragrafo 2.4- 1 . Tuttavia, se ci fermiamo a questi esempi, possiamo avere l'impressione che l'approccio probabilistico alla vaghezza si limiti a sostituire le rego le vero-funzionali di Lukasiewicz con altre regole altrettanto vero funzionali. Una tale impressione sarebbe però sbagliata. Come si è detto, la regola vero-funzionale (a) si applica solo nel caso in cui il grado di probabilità dei congiunti sia reciprocamente indipendente e non c'è una regola applicabile nel caso in cui i gradi di probabilità dei congiun ti siano rispettivamente condizionati. E la regola (b), che presuppone p(AI\B) , non è applicabile in modo vero-funzionale quando non è computabile in modo vero funzionale P (AAB) � Supponiamo ad esem pio che ci siano due palle d ed e, e la palla d sia un po' meno rossa della palla e, quindi p(Rd) 0.4 e p(Re) 0 . 5 . Ovviamente le precisazioni in cui d è rossa sono incluse nell'insieme delle precisazioni in cui e è rossa. Ne consegue che il grado di probabilità che la palla d e la palla e siano rosse è il seguente: p(RdI\Re) o.{, mentre il grado di probabilità che la palla do la palla e siano rosse è il seguente: p(RdvRe) 0 . 5 . =
=
=
=
RdvRe Re
-- I.a.,
Rd
-- I,a,.
111-
..,....
---
....
-1
---
Rdl\Re
59
N on ci sono quindi regole vero-funzionali che stabiliscono il grado di probabilità degli enunciati complessi. Fino ad adesso abbiamo analizzato solo congiunzione e disgiunzio ne. Come trattare l'implicazione ? L'implicazione materiale IJ\ � Bl viene generalmente considerata equivalente a r-,(AA-,B)l. Conside riamo ad esempio p(Re�Rd) p (-, (ReA-, Rd) ) =0 . 9 . =
Re Rd
Anche il grado di probabilità di un'implicazione non è stabilito con regole vero-funzionali. Prima di considerare il sorite, vale la pena di sottolineare che la teoria probabilistica assume lo stesso atteggiamento dei supervalutazioni � sti nei confronti dei principi della logica classica: infatti qualunque esempio del terzo escluso è vero in ciascuna precisazione ed è pertan to supervero e, poiché in ogni precisazione vale la bivalenza, in 0KIl i precisazione valgono i principi della logica classica. Per valutare la teoria probabilistica, occorre ora considerare il trattamento che essa offre del sorite. Come abbiamo visto nei paragrafi 2 . 1 , 2.2.1 e 2 . 3 . 2 , le teorie semantiche della vaghezza si propongono (F) da una parte di rendere conto del " fenomeno della vaghezza" attraverso il rifiuto della bivalenza e (S) d'altra parte di valutare la validità del sori te. Prendiamo in considerazione il punto (F). E consideriamo innanzi tutto il sorite nella forma , -. In questo caso �a teoria probabilistica riproduce la soluzione della teoria dei gradi di verità: tutte le premesse sono o vere o quasi vere, Non c'è alcuna premessa falsa. La teoria probabilistica offre quindi il modo di riap2.4.3. La teo ri a prob a b i l i stica e il so rite
60
propriarsi della soluzione del sorite avanzata dai teorici dei gradi di verità senza dover assumere le regole vero-funzionali per i connetti vi logici. I sosten I tori della teoria probabilistica si differenziano però dai soste nitori dei gradi di verità se consideriamo le premesse nella forma , . In questo caso, il sostenitore della teoria probabilistica è costretto ad affermare che è superfalso e * è super yero, come sostiene il supervalutazionista. Consideriamo le ragioni dt questa posizione. Abbiamo già notato che può essere consi derata come la congiunzione di -, ovviamente ciascu na fra - ha un alto grado di probabilità (è cioè quasi vera) , ma non c'è alcuna probabilità che siano vere tutte insieme: non c'è alcuna precisazione in cui le premesse - sono tutte vere. Quindi non c'è alcuna precisazione in cui è vero. E è pertanto superfalso, cioè non ha alcuna probabilità di essere vero. Inoltre in ogni precisazione c'è un confine definito all' estensio ne dei predicati vaghi e pertanto è supervero: * ::Ix (Pax /\-,Pax + l ) . Consideriamo ora il punto (S) . Il sorite è un argomento valido per i sostenitori di una teoria probabilistica? Per un sostenitore della teoria probabilistica (Edgington, 1997) , una regola di inferenza è valida se e s.olo se il grado di probabile falsità della conclusione non è maggiore c;kUa somma dei gradi di probabile falsità delle premesse. Data questa definizione di validità, il modus ponens risulta essere valido . Per rendersene conto occorre tener presente che, nella teoria probabilisti ca, la regola per la negazione è analoga a quella proposta da Lukasie wicz, cioè: p( -,A) l-p(A) . Si consideri ora l'inferenza da " Pau " e " Pa1 2 � Pa' 2/ a " Pa, 2 / , dove p(Pa, 2 ) 0 · 9 7 , p(Pa1 2 5 �Pa' 26 ) d.99 5 e p ( Pa1 26 ) = 0 9 6 ; in questo caso il grado di probabile falsità della prima premessa è p( -,Pa, 2 5 ) 0 . 0 3 , mentre il grado di probabile falsi tà della seconda premessa è p( -,(Pa' 2 � Pa' 26 » 0 . 0 1 e la somma dei 5 gradi di probabile falsità delle due premesse è 0 . 04 che è appunto il grado di probabile falsità della conclusione, infatti p( -,Pa1 26 ) 0.04. Poiché il modus ponens è una regola valida in base a questa definizio ne, occorre concludere che il sorite è un argomento valido. Occorre solo riconoscere che poiché la conclusione del sorite ha grado di =
=
=
.
=
=
=
61
probabilità o e grado di probabile falsità l , allora non tutte le premes se hanno grado di probabilità l e la somma dei gradi di probabile fals.i tà delle premesse è 1 . Per uno studioso che s i occupa d i vaghezza, la teoria probabilistica non è molto più attraente del supervalutazionismo. Abbiamo già visto la perplessità che suscita l'accettazione di * per i non supervalutazionisti e la stessa perplessità sorge per coloro che non abbracciano la teoria probabilistica. È proprio questa perplessità a spingere uno dei sostenitori della teoria probabilistica (Hans Kamp) ad abbandonarla e a sostituirla con una teoria epistemica, come si vedrà nel prossimo capitolo.
62
3. Le teorie epistemich e Per una teoria epistemica, la vaghezza è la manifestazione di alcuni limiti conoscitivi di noi esseri umani. Ma che cosa non conoscia �o ? E perché non lo conosciamo ? I n questo capitolo verranno analizzate le risposte che sono state date a queste domande dalle diverse teorie epistemiche.
3.1. I l i m iti co n oscitivi I sostenitori di una teoria episrerniça.�i possono distinguere in realisti e antirealisti. I sostenitori di una teoria, epistemica realista (cioè i sostenitori della teoria epistemica standard e i sostenitori del contestualismo) ritengono che il valore di verità di certi enunciati con predicati vaghi non sia conoscibile da alcqn ess.e.r� umano. E, per questa ragione, così come non siamo in grado di stabi lire con la semplice osservazione quante persone ci sono in uno stadio affollato, allo stesso modo non siamo in grado di stabilire il valore di verità di certi enunciati che contengono predicati vaghi. Tale limite non dipende da cattiva volontà o da disattenzione, ma dipende proprio da caratteristiche sttutturali delle nostre capacità conoscitive. I sostenitori di una teoria epistemica antirealista rifiutano invece ch.� gl i enunciati del linguaggio possano avere un valore di verità che non possiamo arrivare a stabilire; tesi cardine di qualunque teoria antirea lista è che, se un asserto è vero, allora è possibile conoscere in linea di principio che è vero e se un asserto è falso, allora è possibile cono scere in linea di principio che è falso. Tuttavia noi non sappiamo tutto ciò che possiamo arrivare a sapere in linea di principio e, in base a una teoria epistemica antirealista, la vaghezza evidenzia un divario fra ciò che conosciamo di fatto riguardo al valore di verità di certi enunciati del linguaggio e ciò che possiamo arrivare a sapere in linea di principio. 3.2. La teoria e piste m i ca sta n d a rd La teoria epistemica stan dard è stata storicamente la prima teoria epistemica della vaghezza e ha avuto un'ampia diffusione, a tal punto che spesso si ritiene erro neamente che sia l'unica teoria epistemica della vaghezza. Le origini
della teoria epistemica standard risalgono agli �toici:. e, in tempi più recenti, è stata sostenuta da Cargile (1969) , Camp bell (1974) , Soren sen (1988 e 2001) e Williamson (1994) . È stato soprattutto il libro di Williamson a rendere la teoria molto � ota fra i filosofi del linguaggio contemporanei. In base alla teoria epistemica standard, la vaghezza è la manifesta zione di un divario fra il valore di verità di alcuni enunciati del linguaggio e ciò che possiamo verificare al riguardo . Tesi fonda mentale dei sostenitori della teoria epistemica standard è che l'esten sione dei predicati vaghi ha confini netti; un capello fa la differen.za fra chi è calvo e chi non lo è, un millimetro fa la differenza fr, - . Le acceJ tiamo perché di fatto non le valutiamo tutte nello stesso contesto e noi siamo psicologicamente ed epistemicamente predisposti ad adottare, per ciascuna di esse, un contesto che la renda vera. Ma che cosa succederebbe se potessimo valutare tutte le premesse nello stesso contesto ? Sebbene per noi esseri umani sia psicologica mente ed epistemicamente impossibile fare una cosa del genere, la domanda si impone. Infatti se consideriamo il sori te nella forma , , e consideriamo in particolare, dobbiamo valutàre · in �n sol� 20 ntesto. Si è già detto che può essere intesa c� me la c o ngi"Unzione di -, quindi la valutazione di 76
richiede che vengano valutate in un unico contesto . Ciò che tutti i contestualisti sostengono è che < P2. 1 > non possono essere tutte vere i n u n solo contesto e per questa ragione bisogna riconoscere che non può essere vera in alcun contesto. M a perché in ogni contesto non è vera ? A questa domanda non è stata fornita una risposta uniforme da parte dei contestualisti,. C'è chi (come Raffman e Shapiro) sostiene che in ogni contesto ci sono oggetti che cadono nell' estensione del predicato, oggetti che cado no nella contro-estensione e oggetti per cui il predicato è indefinito. Per questi fìlosofi un contesto non può mai arrivare a fare in modo che estensione e contro-estensione di un predicato esauriscano l'in sieme degli oggetti di una serie sori tica. C'è chi invece (come Graff Fara) sostiene che ogni contesto è una " precisazione " nell'accezione supervalutazionista: c'è un confine netto fra l'estensione e la contro estensione dei predicati vaghi . La differenza è significativa. Nel primo caso, dobbiamo assumere che la premessa < P2> non è vera in ciascun contesto, ma non siamo costretti ad accettare: * 3x (Pax I\-,PaX + l ). Nel secondo caso, invece, dobbiamo riconoscere che è falso e che * è vero. Ricapitoliamo quali sono le ragioni dei nostri limiti conoscitivi per il contestualista. Il contestualismo ha infatti il pregio di fornire una spiegazione del perché noi accettiamo le premesse del sorite anche se non sono tutte vere. Noi accettiamo le premesse , perché non le valutiamo (e non siamo neanche in grado di valutarie) tutte in un unico contesto e siamo predisposti per ciascu na di esse a valutaria in un contesto in cui è vera. E noi tendiamo ad accettare le premesse < P l > e perché non riconosciamo che ci richiede di valutare - in un unico contesto. È opportuno ricapitolare ciò che accomuna il contestualismo alla teoria epistemica standard: i sostenitori di entrambe le teorie sono disposti a riconoscere che almeno una delle premesse della forma - non è vera, ma noi esseri umani non siamo in grado di sapere quale o quali non siano vere; inoltré i sostenitori di entram be le teorie sono disposti a riconoscere che l'universale non è vero e tuttavia' noi non siamo in grado di riconoscere immediata: 77
mente che non è vero. Sebbene le assunzioni dei sostenitori di ciascu
�; dell� due teorie siano molto diverse, tutti sono concordi nell' ac
cettare che la vaghezza sia la manifestazione di un divario fra il valo re di verità di certi enunciati e ciò che noi esseri umani possiamo verificare. Questa caratteristica comune a tali teorie le rende teorie epistemiche realiste. La teoria epistemica antirealista, come avremo modo di constatare, prende l'avvio proprio dal rifiuto di questa tesi: per i sostenitori di tale teoria non è possibile che ci sia un divario fia il valore di verità di certi enunciati e ciò che noi esseri umani possia mo verificare.
3.4. La teo ria epistemica a nt i real ista I sostenitori della teoria epistemica antirealista sono quei filosofi che hanno proposto di utilizzare la logica intuizionista per affrontare il sorite. La prima formulazione rigorosa di tale logica risale a Heyting, che si è ispirato alla filosofia della matematica - nota come intuizionismo - elabora ta da B rouwer. La logica intuizionista è stata applicata in diversi ambiti, anche molto lontani dalla matematica, e la vaghezza è uno di tali ambiti. Il primo filosofo che ha proposto di affrontare il sori te con la logica intuizionista è stato Putnam (1983). La proposta di Putnam è stata inizialmente criticata da Read e Wright (198 5 ) , ma Putnam (1985) ha mostrato che le critiche erano infondate. In un secondo momento, lo stesso Wright (2001 e 2003) ha sostenuto che la logica intuizionista è adeguata per affrontare il sori te. Il sostenitore della teoria epistemica antirealista prende l'avvio da una tesi in evidente contrasto con una tesi che contraddistingue la teoria epistemica standard e il contestualismo. Per i sostenitori di una teoria epistemica realista la vaghezza è la manifestazione di un divario fra il valore di verità di certi enunciati del linguaggio e ciò che noi esseri umani possiamo verificare al riguardo. Per il sosten I tore di una teoria epistemica antirealista invece tale divario è impos sibile: tesi centrale è che, dato un qualunque asserto A, se A è vero, allora è possibile verificare in linea di principio che A è vero. Questa tesi - che ha avuto storicamente un notevole peso per ogni sosteni tore di una teoria antirealista - viene anche chiamata " vin.,coto de�� ' evidenza" , sottolineando in questo modo che la verità di un 78
asserto è vincolata all' evidenza che di essa si può avere in linea di pnncipio. Se da una parte per un sostenitore della teoria epistemica antireali sta non ci può essere divario fra il valore di verità di un qualunque enunciato e ciò che noi possiamo sapere in linea di principio al riguardo, d'altra parte egli è pronto a riconoscere l'eventualità di un divario fra ciò che sappiamo di fatto e ciò ch e possiamo arrivare a l " sapere in linea di principio. La vaghezza è -- p er i te o ri èo a ntfreali � sta:·:: Li m-anìfesriiiiorie di questo secondo tipo di divario. Per un fautore della teoria epistemica antirealista, quando non riusciamo ad attribuire un valore di verità ad un qualche enunciato, dobbiamo astenerci da qualsiasi giudizio perché non sappiamo ciò che possia mo arrivare a sapere in linea di principio. È proprio questo atteggia mento di sospensione del giudizio che viene proposto dai sostenito ri di una teoria antirealista nei confronti della premessa del sorite * 3x(Pax!\-,Pax ) e che è supportato e regolato dalla logi ca intuizionista. Per intendere la teoria epistemica antirealista occorre innanzi tutto analizzare la giustificazione fornita a sostegno del vincolo dell' eviden za; infatti il vincolo dell' evidenza è proprio ciò che distingue gli anti realisti dai sostenitori delle altre teorie epistemiche. In secondo luogo è utile una presentazione sommaria del modo in cui la logica intuizio nista affronta il sorite. Infine vale la pena menzionare quali sono le ragioni di perplessità che spingono la maggior parte dei filosofi a rifiu tare la teoria antirealista. 3.4.1. La teoria e p iste m ica a nti rea l i sta e il v i n co l o d e l l ' evidenza Il vincolo dell' evidenza (VE) può essere così espresso: (VE) per ogni asserto P, se P è yerQ, allQra è possibik sapere che �. U n asserto è ciò che viene asserito con un enunciato. L'asserto è ciò che può essere oggetto di conoscenza e ciò che è suscettibile di un valore di verità. Per quali asserti è corretto il vincolo dell' evidenza ? C'è chi, come Putnam (1983 ) , intende sostenere la tesi del vincolo dell' evidenza in generale. C'è chi invece, come Wright (2001 ) , intende sostenere questa tesi per una classe limitata di enunciati, fra cui quelli che
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contengono predicati vaghi. L'argomento di Wright a sostegno del vincolo dell'evidenza per gli enunciati che contengono il predicato vago " essere rosso " è il seguente (Wright, 200 1 , p. 72 ) : È u n a ca ratteristica d e l concetto ord i n a rio di
col o re che i col o ri sia n o trasparenti in co n d i
zion i opportu n e d i oss e rvazione: c h e se u n a s u p e rfic i e è rossa, [ ... 1 a p pa ri rà com e ta l e q u a n d o è osservata i n co n d izioni opportu ne; mutatis muta ndis se n o n è rossa. Le p roprie
tà d i col o re h a n n o a che fare con i l modo i n c u i l e cose appaiono visiva m ente [ ... 1. Perta n t o , i n b a s e a l nostro m o d o d i pensare ai co lori
[ ... 1 i l vincolo d e l l 'evi d e nza è i n evita b i l e .
Per un sostenitore della teoria epistemica antirealista, così come per il contestualista, i predicati vaghi sono " predicati osservazionali": la loro estensione dipende essenzialmente dal modo in cui le cose app aiono. Tuttavia, come si è visto, il contestualista è disposto ad acc e ttare che l'apparenza di un oggetto , anche nelle condizioni migliori, sia condizionata dal contesto in cui è inserito l'osservatore e il contesto è definito anche da aspetti che l'osservatore non cono sce direttamente: ad esempio, la sua particolare costituzione psico fisica, il tipo di esperimento a cui è sottoposto ecc. ; mentre il soste nitore della teoria epistemica antirealista non sembra disposto ad accettare che fattori di cui il soggetto non può avere conoscenza diretta possano influire sull' estensione di un predicato osservaziona le. Ed è per questa ragione che il contestualista rifiuta il vincolo dell' evidenza, mentre l'antirealista lo accetta. I! sostenitore della teoria epistemica standard e il contestualista evidentemente non accettano il vincolo dell' evidenza e rifi utano quindi qualunque argomento del sostenitore della teoria epistemica antirealista fin dall'inizio. Sebbene il vincolo dell' evidenza sia molto controverso, rende il linguaggio vago alla portata della comprensio ne del parlante comune. Non ci sono verità inaccessibili; tutto ciò che conta per stabilire l'estensione dei predicati vaghi è riconoscibi le da un qualunque parlante competente. 1_a logica intuizionista sostituisce la nozione classica di " verità" con quella di "giustificazione". Infatti per un sostenitore della logica das3 . 4 . 2 . La teoria e piste m i ca a ntire a l ista e l a l ogica i ntuizion ista
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sica il significato di un asserto è stabilito dalle sue condizioni di veri tà, mentre per un sostenitore dell' antirealismo il significato di un asserto viene dato dalla giustificazione che di esso si può fornire. I! calcolo logico, cioè l'insieme delle regole che permette di passare da premesse a conclusioni, è regolato nella logica classica in modo che si possa passare da premesse vere a conclusioni vere, è regolato invece nella logica intuizionista in modo che si possa passare da premesse giustificate a conclusioni giustificate. U n asserto è giustificato se si possiede di fatto una prova di esso. E gli asserti composti con i connettivi o i quantificatori sono definiti sulla base della prova o giustificazione che si può fornire di asserti sempli ci. Ad esempio: A ' . . da una prova • una prova de Il a congIUnzIOne rfV'\ B1 e CostitUIta di A e da una prova di B; • una prova della disgiunzione rAvB1 è costituita da una prova di A o da una prova di B; • una prova della negazione r-,Al è costituita da una prova che non ci sono prove di A; • una prova dell'implicazione IJ\�Bl è un metodo per trasformare qualsiasi prova di A in una prova di B; . l e r:::J...J X p x1 e una prova d'I r,p a1 per un • una prova de Il' eSIstenzIa ' qualche termine a denotante un oggetto dell'universo di discorso. Date queste definizioni, risulterà chiaro perché il logico intuizioni sta rifiuta il principio del terzo escluso. Infatti se non possediamo una giustificazione né di un asserto P né della sua negazione r-, pl , allora non siamo giustificati ad asserire rpv-,pl. Questo tuttavia non vuoi dire che siamo giustificati ad asserire la negazione del terzo escluso, infatti r-, ( Pv-,p ) l è contraddittorio sia per un logico classi co che per un intuizionista. L'intuizionista pertanto pur rifiutando r-,(Pv-,p )l e accettando r-,-, ( Pv-, p )l, non si impegna ad asserire in . . ognt CIrcostanza r.pv-, p:l . Consideriamo ora come un intuizionista valuta un argomento . Quando un argomento porta a una conclusione che non è giustifica ta, ma è anzi giustificata la sua negazione, allora bisogna concludere �he una delle premesse non è giustificata. Questo è appunto ciò che si verifica nel caso del sorite la cui conclusione non è giustificata, ma .
,
.
,
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è giustificata la sua negazione. Ne dobbiamo concludere che una delle premesse non è giustificata. Se consideriamo il sorite nella forma < P l > , , allora dobbiamo concludere che non ha giustificazione. E l'intuizionista quindi conclude -,Vx (Pax �PaX + l ) . Tuttavia per un intuizionista non vale l'equivalenza fra e * :3x(Pax /\-,PaX+l ) . Se da una parte siamo quindi giustificati ad asserire , d'altra parte non siamo giustificati ad asserire *. E infatti per l'intuizionista noi non possiamo fornire una prova di *, non è mai possibile provare che ci sono due oggetti la cui differenza è trascurabile, ma sono tali che uno cade nell' e stensione di un predicato vago mentre l'altro cade nella contro-esten sione dello stesso predicato. La logica intuizionista permette quindi di ottenere un risultato interessante per chi si occupa di vaghezza: non ci si deve impegnare ad asserire o a negare *. Il calcolo logico intuizionista, come si è mostrato, è fondato sulla nozione di " giustificazione " , che sostituisce la nozione classica di " verità " . Ed è proprio la legittimità di una tale sostituzione che è messa in dubbio dalla maggior parte dei filosofi che non accettano la logica intuizionista. Per giustificare e rendere plausibile questa sostituzione, i logici intuizionisti hanno avanzato argomenti " revi sionisti" , cioè argomenti che si propongono di dimostrare che occor re riformare o revisionare la logica classica. È tuttora oggetto di discussione se tali argomenti siano appropriati e conclusivi. Resta quindi un problema aperto se la logica intuizionista sia adatta ad affrontare il sorite e la vaghezza.
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4 . La va ghezza di ordine superiore Sebbene le teorie semantiche ed epistemiche della vaghezza siano fra loro molto diverse, tutte assumono che se un predicato è vago, allora dà luogo a casi borderline. Il problema che si pone è il seguente: è possibile tracciare un confine fra i casi (o oggetti) non borderline e i casi borderline? Per i sostenitori di queste teorie la risposta è: no. E questa risposta genera la vaghezza di ordine superiore. In questo capi tolo ci occuperemo delle ragioni che fanno emergere la vaghezza di ordine superiore e dei diversi trattamenti che ne vengono forniti da parte delle teorie semantiche ed epistemiche.
4.1. La vaghezza della vaghezza La vaghezza di ordine superio re contraddistingue qualunque teoria della vaghezza. Ogniqualvol ta si fornisce una definizione di vaghezza, occorre riconoscere che la vaghezza caratterizza anche la definizione che ne è stata fornita. Ed emerge cosl la vaghezza di ordine superiore che può essere definita anche come la vaghezza di " vago " . Come si è visto nel paragrafo 1 . 7 . 2 , la vaghezza di ordine superiore costringe il nichilista a ritenere che l'intero li nguaggio sia incoerente e privo di estensione; una conclusione chiaramente paradossale che ha spinto la maggior parte dei filosofi a rifiutare il nichilismo. Nei prossimi paragrafi prendere mo in esame quali sono le ragioni che generano la vaghezza di ordi ne superiore in base alle teorie semantiche ed epistemiche e quali sono i trattamenti teorici che ne vengono forniti. 4.1.1. La vaghezza d i ordine superiore: teorie semantiche ed epistem iche
Sebbene le teorie semantiche e le teorie epistemiche siano fra loro molto diverse, c'è un aspetto teorico che le accomuna: i sostenitori di entrambe le teorie accettano che un predicato vago dia luogo a casi borderline. Abbiamo constatato che il modo in cui sono intesi i casi borderline da parte dei sostenitori di una teoria semantica è molto diverso dal modo in cui sono intesi i casi borderline da parte dei soste nitori della teoria epistemica. Abbiamo cioè rilevato che per un sostenitore di una teoria semantica un caso borderline di un predica-
to vago P è un oggetto a per cui non è stabilito se il predicato P vi si applica o meno , quindi è un caso che permette di affermare che l'enunciato " Pa" ha un valore di verità diverso dal vero e dal falso o non ha un valore di verità. Abbiamo invece constatato che per un sostenitore della teoria epistemica, un caso borderline è un oggetto a di cui non sappiamo (e per alcuni non possiamo neanche sapere) se il predicato P vi si applica o no, quindi è un caso che non ci permet te di conoscere qual è il valore di verità dell'enunciato " Pa". Se noi consideriamo una serie soritica disposta sulla seguente riga, ad esempio una serie di persone, la prima chiaramente calva, l'ultima chiaramente non calva e tale che fra ciascuna e la successiva ci sia la differenza di un solo capello, si potrebbe credere che la serie dia luogo alla tripartizione della figura 1 . FI G U RA
1 B O R D E R LI N E
C A LV I
N O N CALVI
C'è una terminologia standard per rendere conto di questa riparti zione. Si introduce il termine " determinatamente" e la ripartizione viene così intesa: ci sono persone " determinatamente calve", ci sono persone " determinatamente non calve " e poi ci sono persone che sono " né determinatamente calve né determinatamente non calve" , si tratta dei cosiddetti casi borderline. L a situazione può essere rappresentata come nella figura 2. FIG U RA 2
N É D ET E R M I N ATA M E NT E C A LV I
N É D ET E R M I N ATAM E N T E N O N CALVI
D ETE R M I N ATA M E N T E C A LV I
D ET E R M I N ATA M E NT E N O N C A LV I
I
84
I
Ovviamente il termine " determinatamente" ha un significato molto diverso per i sostenitori di una teoria semantica e i sostenitori di una teoria epistemica a seconda del significato che attribuiscono a "caso borderline" . Ad esempio per un sostenitore della teoria epistemica "determinatamente" significa "è noto che" o "sappiamo che" o " è possibile conoscere che " , mentre p e r un sostenitore della teoria semantica significa "è vero che" o "è vero al grado 1 che" o "è super vero che". Quello che ci interessa per il momento è però come l'ope ratore "determinatamente" ci permetta di caratterizzare i casi border line. Per dirlo altrimenti, il problema che si pone è il seguente: come intendere l'estensione del predicato " essere non determinatamente calvo " ? Una prima ipotesi può essere rappresentata come in figura 3 . FIG U RA 3 D ET E R M I N ATA M E NT E CALV I
D ETE R M I N ATA M E NT E N O N C A LV I
t
N O N D ET E R M I NATA M E NTE C A LV I
Come probabilmente il lettore avrà già rilevato da solo, qui c'è una difficoltà. Se i sostenitori di una teoria semantica o epistemica ammettono che non è possibile che la differenza di un solo capello discrimini fra un essere umano determinatamente calvo e uno deter minatamente non calvo, essi sembrano dover affermare che la diffe renza di un solo capello discrimina fra un essere umano determina tamente calvo e uno non determinatamente calvo. Ma questa è una conclusione assolutamente inaccettabile ! Quali potrebbero essere le ragioni per sostenere contemporaneamente che un capello non discrimina fra un essere umano determinatamente calvo e uno deter minatamene non calvo, ma discrimina fra un essere umano determi natamente calvo e uno non determinatamente calvo ? Il sostenitore di una teoria semantica o epistemica deve a questo punto introdur85
re casi border-borderline. Egli sembra dover ammettere che un capel lo non può neanche discriminare fra una persona determinatamen te calva e una non determinatamente calva. Egli deve quindi propor re una situazione come quella raffigurata nella figura 4; ci sono persone determinatamente determinatamente calve, ci sono persone determinatamente non determinatamente calve e poi ci sono perso ne che non possono essere qualificate in alcuno dei due modi. FI G U RA 4 D ET E R M I N ATA M E N T E
D ET E R M I N ATA M E NT E
D ET E R M I NATA M E N T E CALVI
D ET E R M I N ATAM E N T E N O N CALVI
I
,
«::: D E T E R M I N ATAM E N T E N O N D ETE R M I NATA M E N TE CALVI
Come emerge dalla figura 4, ci sono persone che non sono né deter minatamente determinatamente calve né determinatamente non determinatamente calve. Queste persone sono casi border-borderline o casi di vaghezza di secondo ordine (se si assume che i casi borderli ne siano casi di vaghezza di primo ordine) . È cosÌ emersa la vaghezza di ordine superiore per le teorie semantiche ed epistemiche. Lo stesso ragionamento che ci ha portato ad assumere l'esistenza di casi border-borderline ci deve condurre anche ad assumere l'esisten za di casi border-border-borderline, border-border-border-borderline, border-border-border-border-borderline ecc. Ma come possiamo caratterizzare la vaghezza di ordine superiore ? Una prima ipotesi è la seguente. Occorre innanzi tutto riconoscere per qualunque serie soritica (dove " Det" significa " determinatamente"): (1) ---, .3 x ( Det Pax1\ Det ---, P aX + l ) . Se assumiamo che " P " esprima la proprietà " essere calvo " e " a1 ", . . . ," a100.000 " denotino gli esseri umani disposti in una serie.sori tica, allora ciò che (1) asserisce è che non esiste un essere umano che 86
è determinatamente calvo, seguito nella serie soritica da un essere umano che determinatamente non è calvo. Ma si deve accettare anche: (2 ) -,3x ( Det Det Pax /\ Det -,Det PaX+l ) . E allo stesso modo si dovrà accettare anche: (3) -,3x ( Det Det Det Pax /\ Det -,Det Det Pax ) (4) -,3x ( Det Det Det Det Pax /\ Det -,Det Det Det PaX+l ) . E cosÌ via all'infinito; per ogni numero naturale n � O deve valere: (N) -,3x (Det Detn Pax /\ Det -,Detn PaX+l ) (qui e di seguito " Detn " i ndica la sequenza di n occorrenze di "D et ") . A partire da questo tipo di ragionamento, si può ritenere che la vaghezza di ordine superiore sia caratterizzata dall'insieme infinito degli enunciati che si conformano allo schema (N). In realtà, questa definizione può essere accettata se " determinatamente" è inteso in senso epistemico, ma non può essere accettata se è inteso in senso semantico. È ora opportuno considerare separatamente le due interpretazioni dell' operatore " determinatamente ".
4.2. Vaghezza sema ntica e vaghezza d i ord i n e superiore Per una qualunque teoria semantica, l'operatore " determinatamente " significa " è vero " o " è vero al grado l '' o " è supervero " . I noltre qualunque teoria semantica della vaghezza è caratterizzata dall'ab bandono della bivalenza, cioè dell'assunzione che qualunque asser to sia o vero o falso. Quando un asserto non è né vero né falso, assu me uno stato semantico diverso dalla verità e dalla falsità. Per un sostenitore della teoria semantica, un caso borderline di un predica to vago P è un oggetto a di cui non è determinato che il predicato P vi si applichi o meno, quindi è un caso che permette di affermare che l'asserto " Pa" non è né vero né falso (possiamo quindi affermare "Non Determinatamente Pa" e " Non Determinatamente non Pa" ) e che " Determinatamente Pa" è falso. Un caso border-borderline dello stesso predicato vago P è un oggetto b distinto da a di cui non è determinato che il predicato P vi si applichi o che sia un caso borderline, quindi è un caso che permette di affermare che " Deter87
minatamente Pb" è indeterminato, mentre l'asserto " Non determi natamente determinatamente Pb " è vero. Un caso border-border borderline è un oggetto c distinto da a e b, di cui non è determinato che il predicato P vi si applichi o che sia un caso border-borderline, quindi è un caso che permette di affermare che " Non determinata mente determinatamente Pc" è indeterminato. Quindi gli oggetti a, b e c hanno uno stato semantico distinto e incompatibile. È bene tener presente che se "determinatamente" è inteso in senso semantico, allora ciascuno degli infiniti enunciati della forma (N) richiede l'esistenza di almeno un oggetto nella serie soritica che ha un grado di indeterminatezza distinto e incompatibile rispetto a quello richiesto da qualunque altro enunciato della forma (N) . Tenendo conto di queste considerazioni, è facile seguire il ragionamento con cui Graff Fara (2003) dimostra che è impossibile che tutti gli infini ti enunciati della forma (N) siano veri. La ragione intuitiva di questa dimostrazione è piuttosto semplice. Dobbiamo tener presente che: • una serie soritica è costituita da un insieme finito di oggetti (o persone) ; • ciascuno degli infiniti enunciati della forma (N) richiede l'esi stenza di un oggetto (o di una persona) con un grado di indetermi natezza nell' applicazione del predicato vago diverso e incompatibile da quello richiesto da qualsiasi altro enunciato della forma (N). Mfinché tutti gli enunciati della forma (N) siano veri, ci dovrebbe ro essere infiniti oggetti con diversi gradi di indeterminatezza in una serie di oggetti finita: una situazione chiaramente impossibile ! L'ar gomento porta quindi alla conclusione che non tutti gli infiniti enunciati della forma (N) possono essere veri per qualsiasi serie sori tica. Ma se escludiamo che gli infiniti enunciati della forma (N) siano tutti veri, dobbiamo concludere che la vaghezza di ordine superiore sia assurda e quindi vada abbandonata ? No, questa non è una conclusione che possiamo trarre. Ci sono due alternative che vanno tenute presenti: 1 . Se almeno uno degli en unciati della forma ( N ) è falso, allora possiamo dedurre che la vaghezza ha un limite: per un qualche numero naturale n, c'è un confine fra le persone determinatamenten 88
calve e le persone che non sono determinatamenten calve (abbrevia mo con " Determinatamenten" n ripetizioni dell'operatore " Deter minatamente" ) ; e per un qualche numero naturale n, c'è un confine fra le persone determinatamenten alte e le persone che non sono determinatamenten alte ecc. 2. Si può dare il caso che nessuno degli infiniti enunciati della forma (N) sia falso, ma che non siano per questo tutti veri: ce ne saranno molti (anzi infiniti) che non sono né veri né falsi (o hanno un grado di verità intermedio fra il vero o il falso, o incorrono in una lacuna nei valori di verità) . In questo caso la vaghezza di ordine infinitamen te superiore non è esclusa. Tuttavia la vaghezza di ordine infinita mente superiore non può essere definita dagli infiniti enunciati della forma (N). Prendiamo ora in considerazione le due alternative appena presentate. Se uno qualunque degli enunciati della forma (N) è falso, allora occorre concludere che esiste un confine nell' estensione dei predicati vaghi. I filosofi che accetta no senza riserve l'esistenza di confini nell' estensione dei predicati vaghi sono i sostenitori di una teoria epistemica. Tuttavia, come abbiamo avuto modo di constatare, ci sono alcune differenze fra loro. I sostenitori della teoria epistemica standard ritengono che, se inter pretiamo l'operatore " determinatamente " in termini semantici (se cioè assumiamo che " determinatamente " significhi "è vero " o " è supervero " o " è vero al grado l " ) , allora tutti gli enunciati della forma (N) sono falsi, a partire dal caso in cui n o. Per i sostenitori della teoria epistemica standard, ogniqualvolta " Determinatamente " è inteso in senso semantico, allora è vero (1 * ) 3x ( Det Pax/\ Det -.PaX + l ) . Se P è il predicato " essere calvo" , allora un solo capello discrimina fra un essere umano determinatamente calvo e uno che determinata mente non lo è, cioè un solo capello discrimina fra un essere umano di cui è vero (o vero al grado l o supervero) che è calvo e un essere umano di cui è vero (o vero al grado 1 o supervero) che non è calvo. I sostenitori della teoria epistemica standard rifiutano del tutto la 4.2.1. La va ghezza sema ntica ha un l i m ite
=
89
vaghezza intesa in senso semantico e quindi anche la vaghezza di ordine superiore se è intesa in senso semantico (come vedremo, accettano invece la vaghezza di ordine superiore se intesa in senso epistemico) . Alcuni sostenitori di una teoria contestualista sono invece disposti ad accettare che ci sia vaghezza di ordine superiore intesa in senso semantico, ma ritengono anche che ci sia un limite alla vaghezza di ordine superiore. Il sostenitore del contestualismo che ha difeso più esplicitamente questa tesi è Soames (2003) . Egli accetta che i predi cati vaghi incorrano in un certo grado di vaghezza semantica di ordi ne superiore, ma ritiene anche che l'estensione dei predicati vaghi abbia un confine. Per Soames, come per tutti i sostenitori di una teoria epistemica del linguaggio, è opportuno distinguere fra le regole che stabiliscono il funzionamento del linguaggio e il modo in cui noi conosciamo il linguaggio. E, a parere di Soames, se noi riflettiamo sul modo in cui si evolve il linguaggio, abbiamo ragione di ritenere che le regole che presiedono al funzionamento dei predicati vaghi siano parzialmen te definite: le regole forniscono condizioni sufficienti per l'applica zione del predicato vago, condizioni sufficienti per l'applicazione della negazione dello stesso predicato, ma non ci sono condizioni che siano individualmente sufficienti e congiuntamente necessarie per l'applicazione (o l'applicazione della negazione) del predicato in " questione. Da queste osservazioni sembra che si possa dedurre che una qualsiasi serie soritica sia raffigurata dalla figura 2 : per il predica to vago " essere calvo " , ci sono persone tali che le regole del linguag gio stabiliscono che sono calvi, ci sono persone per cui le regole del linguaggio stabiliscono che non sono calvi, e ci possono essere perso ne per cui resta indeterminato se sono calvi o no. Tuttavia Soames osserva che la vaghezza contraddistingue anche le regole del linguag gio: ci sono regole che chiaramente definiscono il funzionamento del linguaggio, regole che chiaramente non definiscono il funzionamen to del linguaggio e regole di cui è indeterminato se definiscono il linguaggio o no. Una serie soritica può essere pertanto sottoposta alla ripartizione riportata in figura 5. 90
F I G U RA 5
N É D ET E R M I NATA M E NT E CALVI NÉ D ET E R M I NATA M E NTE NON CALVI
D ETE R M I NATA M E NT E CALVI
� I REGIONE 1
D ETE R M I NATAM E N T E N O N CALVI I
I R EG I O N E 2
R EG I O N E 3
R EG I O N E 4
1 /
R EG I O N E 5
La regione 1 è costituita da persone tali che sono calve per qualunque regola che chiaramente definisce il linguaggio. La regione 2 è costi tuita da persone tali che sono calve sulla base di regole di cui non è chiaro se definiscono il linguaggio o no. La regione 3 è costituita da oggetti tali che le regole del linguaggio non stabiliscono né che sono calve né che non lo sono. Le regioni 4 e 5 rispecchiano le regioni 2 e 1 con la sola differenza che " non calvi " sostituisce " calvi " . Come è evidente dall'immagine, ciascuna regione ha confini netti e tuttavia i parlanti non sono in grado di riconoscerli. Di fronte a questa caratterizzazione della vaghezza di ordine superio re è interessante porsi le seguenti domande: perché per Soames non c'è regresso all'infinito della vaghezza di ordine superiore ? Come è possibile postulare l'esistenza di casi borderline senza dover accettare anche casi border-borderline, border-border-borderline ecc. ? Per rispondere occorre chiedersi qual è la ragione che ci costringe a postulare l'esistenza di casi borderline per i diversi teorici della vaghezza. Per un sostenitore di una qualunque teoria se manti ca, l'esistenza di casi semanticamente borderline permette di spiegare la nostra incapacità di trovare un confine fra l'estensione e la contro estensione di un predicato vago. Poiché noi non siamo in grado di trovare un confine neanche fra l'estensione di un predicato vago e i casi borderline, occorre postulare l'esistenza di casi border-borderline e cosÌ via. Per un sostenitore di una teoria epistemica invece l'esisten za di casi semanticamente borderline non spiega la nostra incapacità di trovare un confine, ma è semplicemente in sintonia con le regole del linguaggio. Per Soames, da una parte le regole del linguaggio 91
sono parzialmente definite e dall'altra ci sono regole di cui non è determinato se definiscano il linguaggio o no: a suo avviso questa è tutta l'indeterminatezza che caratterizza il linguaggio e per questa ragione l'indeterminatezza ha un limite ben definito. 4.2.2. La vagh ezza sema ntica di ordine infi n ita mente superi ore Un sostenitore di una teoria semantica ritiene che nessuno, di fronte a una serie soritica, riesce a trovare un confine all'estensione di un predicato vago perché di fatto non c'è un confine o, per lo meno, ci sono confi ni sfumati. Il fatto che non ci siano confini o, per lo meno, che ci siano confini sfumati è garantito dal fatto che nessuno degli infiniti enunciati della forma (N) sia falso. 0, per dirlo in altri termini, l'as senza di confini o la presenza di confini sfumati è garantita dal fatto che nessuno degli enunciati della forma (N*) per ogni n � O sia vero: (N*) ::Jx ( Det Detn PaX1\ Det ---, D etn PaX + l ) . .... E utile fare attenzione al tipo di indeterminatezza che caratterizza una serie soritica quando un enunciato della forma (N*) è falso - ed è pertanto vero uno della forma (N) - e quale tipo di indetermina tezza caratterizza la serie soritica quando ci sono infiniti enunciati della forma (N*) - e della forma (N) - indeterminati. Consideriamo innanzitutto una serie soritica che rende vero: ( 1 ) ---,::J x ( Det Pax1\ Det ---, P aX + l ) . Tale enunciato è reso vero dalla serie soritica rappresentata nella figura 6.
F I G U RA 6 N O N D ET E R M I NATA M E N T E C A LVI
D ET E R M I N ATA M E N T E C A LVI D ETE R M I N ATAM E NT E NON C A LVI
a
b
c
d
N O N D E TE R M I N ATA M E NT E N O N C A LVI
92
e
f
g
h
Per rendersene conto, basta pensare che a e b, c e d, e e f, g e h siano coppie di successori nella serie soritica. Se noi eliminiamo il quantifi catore esistenziale e sostituiamo il primo e il secondo membto di ciascu na coppia rispettivamente a ax e aX + I in ( 1 ) , otteniamo sempre un enun ciato vero (perché almeno uno dei congiunti è falso) . Ad esempio se sostituiamo a e b a ax e aX+l in (1) otteniamo -,(Det PaADet -,Pb) , se assumiamo inoltre che P sia il predicato " essere calvo", allora sappiamo che il primo congiunto è vero, il secondo è falso, quindi la negazione della congiunzione è vera. Inoltre se sostituiamo c e d a ax e aX+l in ( 1 ) otteniamo -,(Det Pc/\Det -,Pd) , e quindi sappiamo che il primo congiunto è indeterminato, il secondo è falso, quindi la negazione della congiunzione è vera. E così per tutte le altre sostituzioni (il lettore è invitato a provare). Può essere utile anche considerare una serie soritica che rende vero: (2 ) -,:Jx ( Det Det Pax /\ Det -,Det PaX+l ) . Tale enunciato è reso vero ad esempio dalla serie soritica presentata in figura 7 (dove " DET" abbrevia " determinatamente " ) . FIG U RA 7 N O N OH O H
CALV I
O H N O N O ET
O ET O H
CALVI
O E T O ET NON C A LVI
a
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CALVI
b
c
d
e
f
g
h
CALVI
Per verificare che tale serie soritica rende vero ( 2 ) , può essere utile pensare che a e b, c e d, e e f, g e h siano coppie di successori nella 93
serie soririca e provare a fare le opportune sostituzioni nell' esisten ziale (2) . A questo punto il lettore ha gli strumenti per immaginare possibili ripartizioni che rendono veri i diversi enunciati della forma (N) . Però, come è stato illustrato nel paragrafo 4.1.2, non tutti gli enunciati della forma (N) possono essere veri, perché una serie soritica è costituita da un insieme finito di oggetti (o persone) e la verità di ciascuno degli infiniti enunciati della forma (N) richiede l'esistenza di almeno un oggetto (o persona) che abbia un grado di indeterminatezza nell'appli cazione del predicato vago distinto dal grado di indeterminatezza richiesto dagli altri enunciati della forma (N). Se però si vuole mante nere che nessuno degli enunciati della forma (N) sia falso, come dobbiamo pensare alla serie soritica ? Dobbiamo pensare che per un qualche numero naturale r (che può variare per ciascuna serie soriti ca) deve valere la seguente condizione: per ogni n, dove n � r, gli infi niti enunciati che assumono la seguente forma sono indeterminati: (N) -,.3x (Det Detn Pax /\ Det -,Detn PaX+l ) . Ma come dobbiamo immaginare una serie soritica che rende indeterminati tutti gli infiniti enunciati della forma (N) , per ogni n, dove n � r? Si può immaginare una serie soririca in cui a e b, c e d siano coppie di successori e tale che, per ogni numero n di iterazioni dell' o peratore " Det", dove n � r, vale per gli oggetti a e d la caratterizzazio ne rappresentata in figura 8 . FI G U RA 8 D E l D ET n
\
CALVI
D E l N O N D El n
Q
Q
a
b
o
o
CALVI
I
d
Ma come caratterizzare gli oggetti b e c ? La difficoltà di caratterizza re b e c è che qualunque definizione rilevante per valutare gli enun ciati della forma (N) in cui n � r sarà essa stessa indeterminata (e mai vera) . Consideriamo ora b (lo stesso varrà per c) . Ad esempio 94
possiamo provare a dire che per ogni numero n di iterazioni dell'o peratore " Det" , dove n 2: r, .. Det Detn Pb" .. Det .. Detn Pb. Ma questa definizione è essa stessa indeterminata e indeterminatamen te indeterminata e indeterminatamente indeterminatamente inde terminata e cosÌ via all'infinito. E non si può neanche affermare che è infinitamente indeterminato che .. Det Detn Pb" .. Det -,Det" Pb per ogni numero n di iterazioni dell'operatore " Det " , dove n 2: r, perché anche questa affermazione è indeterminata e infinitamente indeterminata e infinitamente indeterminato che è infinitamente indeterminata e cosÌ via. Questo risultato è sorprendente. Ed è oggetto di discussione se le teorie semantiche lo possano accettare e ne possano rendere conto o se questo risultato mini alla base la stessa esistenza di una teoria semantica. Ci sono sostenitori della teoria semantica per i quali il risultato è pienamente accettabile e dimostra che la vaghezza non è solo una caratteristica del linguaggio che viene descritto dalla teoria filosofi ca, ma anche una caratteristica del linguaggio che viene utilizzato per esprimere la teoria filosofica. Rosanna Keefe, sostenitrice della teoria semantica supervalutazionista, scrive (Keefe, 2000, p. 203 ) : Le co n d iz i o n i d i verità fo rn ite d a l s u pe rva l u taz i o n i s m o n o n sta b i l i ra n n o d eterm i n ata
m e nte o i l va l o re d i verità p e r q u a l s i a s i [en u n ciato) p o c h e l ' e n u n c iato è p rivo d i va l o r e d i verità . I n fatti l ' i n d eterm i n atezza ri g u a rd o a l l ' a d e m p i m ento d e l l e co n d i z io n i d i verità i m p l i ca c h e n o i n o n d o b b i a m o con c l u d e re c h e p è vero, m a n o n d o b b i a m o n e a n c h e co n c l u d e re c h e p n o n è n é vero n é fa lso co m e fa re m m o se i nvece l e co n d i z i o n i d i
ve rità ( d eterm i nata m e nte) n o n fossero a d e m p i ute. L o stato sema ntico d i p (se è ve ro,
fa lso o p rivo d i va l o re d i verità) ri m a n e n o n sta b i l ito. E i confi n i n etti fra l e p re d icazio n i ve re e i casi b o rd e rl i n e d i " [essere] a lto" s o n o evita ti.
Ci sono tuttavia ragioni per essere perplessi di fronte a queste affer mazioni riguardo alla vaghezza di ordine superiore. Una prima ragione è che gli infiniti enunciati della forma (N) sono stati intro dotti per definire la vaghezza di ordine infinitamente superiore; quando si dimostra che questi infiniti enunciati non possono essere tutti veri, resta il problema di definire che cos'è la vaghezza di ordi95
ne infinitamente superiore. Questa è una difficoltà di importanza vitale per qualunque teoria semantica che deve fornire una spiegazio ne convincente e coerente della vaghezza di ordine infinitamente superiore per poter giustificare la sua plausibilità.
4.3. Le teorie epistem iche e la vagh ezza d i o rd i ne su periore Consideriamo la teoria epistemica standard. In base a tale teoria il predicato vago " essere calvo " ha un' estensione netta e un solo capel lo discrimina fra una persona calva e una che non lo è. Infatti la bivalenza non è mai messa in discussione da tale teoria neanche quando si tratta di introdurre la vaghezza di ordine superiore. Se noi quindi disponiamo una serie di persone su una linea in modo tale che la prima sia priva di capelli, l'ultima sia capelluta e fra ciascuna e la successiva ci sia la differenza di un solo capello, si realizzerà una situazione come quella presentata in figura 9 . FIG U RA 9 C A LV I
N O N C A LVI
Tuttavia nessun parlante competente sarebbe in grado di ricono scere tale confine e la teoria epistemica standard sostiene che questa nostra incapacità è determinata dal margine d'errore che contrad distingue ogni nostra conoscenza (cfr. PAR. 3.2.2). La nostra cono scenza degli oggetti nella serie appena considerata sarà cosÌ riparti ta: ci saranno persone di cui sappiamo che sono calve, persone di cui sappiamo che non sono calve e persone di cui non sappiamo se sono calve o no. La situazione può essere raffigurata come in figu ra 1 0 . Consideriamo ora la persona a nella figura 1 0 : una persona di cui è vero che è calva, ma di cui noi non sappiamo se è calva o non lo è. Se ora consideriamo l'operatore " determinatamente" in senso episte mico, cioè come equivalente a "è noto che" o " sappiamo che" o " è 96
F I G U RA lO N O N C A LVI
CALVI
SAPP IAM O C H E N O N
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N O N SAPPIAMO
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possibile conoscere che " , allora dobbiamo concludere della persona a in relazione al predicato P "essere calvo ": (A) Pa e non Det Pa. È molto importante tener presente che, per un sostenitore della teoria epistemica, (A) è vero anche se nessuno di noi può affermare coerentemente - ad esempio - " Mario è calvo ma noi non lo sappia mo " . È infatti essenziale tener distinte le giustificazioni che un parlante ha per fare certe asserzioni e le condizioni di verità di tali asserzioni. In base alla teoria epistemica ci sono verità inconoscibili e tuttavia non è possibile fare un esempio di un asserto vero e inco noscibile. È inoltre opportuno confrontare l'operatore " determinatamente" inteso in senso epistemico con lo stesso operatore inteso in senso semantico . L'enunciato (A) , che può essere vero per una teoria epistemica, non può invece essere vero per una teoria semantica quale che sia l'oggetto a. In base a una teoria semantica ogniqualvol ta " Pa" è vero, " non Det Pa" è falso, e ogniqualvolta " non Det Pa" è vero, " Pa " è indeterminato o falso ( ma non vero) . Non si darà quindi mai il caso che entrambi i congiunti siano veri. La differenza può essere formulata nel modo seguente: mentre per un sostenitore di una teoria semantica, un oggetto che cade nell'estensione di un predicato non può essere borderline, per un sostenitore della teoria epistemica è invece possibile che un oggetto cada nell'estensione di un predicato e sia tuttavia borderline (dato il diverso significato che attribuisce al caso borderline) . Questa differenza, come avremo 97
modo di vedere, è essenziale per spiegare il diverso trattamento della vaghezza di ordine superiore fornito da teorie semantiche da una parte ed epistemiche dall'altra. Riconsideriamo ora la situazione rappresentata nella figura l O . Così come non siamo in grado di sapere dove cade il confine fra gli esseri umani calvi e gli esseri umani non calvi, per il sostenitore della teoria epistemica non siamo neanche in grado di sapere dove cade il confi ne fra gli esseri umani di cui sappiamo che sono calvi e gli esseri umani di cui non sappiamo se sono calvi o no. La situazione può essere raffigurata come in figura 1 1 . FI G U RA
11 N O N CALVI
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SAPE R E S E SONO
O NO
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Consideriamo ora gli oggetti a e b nella figura 1 1 . Se P è il predicato " essere calvo " allora i seguenti enunciati sono veri: (B) Det Pa e non Det Det Pa (C) non Det Pb e non Det non Det Pb. Per un sostenitore della teoria semantica tali enunciati sono invece inaccettabili per qualunque oggetto a e b. La differenza può essere espressa nel modo seguente: mentre per la teoria semantica, un oggetto che cade nell'estensione di un predicato non può essere un 98
caso borderline, un caso borderline non può essere un caso border borderline, e un caso border-borderline non può essere border-border borderline ecc.; per una teoria epistemica invece, un oggetto che cade nell' estensione di un predicato può essere un caso borderline, l'esse re borderline è compatibile con 1'essere border-borderline e 1'essere border-borderline è compatibile con 1'essere border-border-borderline ecc. Naturalmente quanto precede ha senso solo a condizione che il fautore di una teoria epistemica abbia qualche buona ragione per sostenere che, in certi casi, si può sapere qualcosa senza sapere di saperlo. Questa è una tesi per nulla scontata. Parecchi filosofi hanno infatti sostenuto la validità del cosiddetto principio KK (qui la lette ra k è l'iniziale della parola inglese know che significa " sapere " ) . Il principio KK è il seguente: ( KK) se sappiamo che A, allora sappiamo di sapere che A. Ad esempio, questo principio è parte integrante del sistema di logi ca epistemica formulato in Hintikka (1962) , un testo classico sull' ar gomento. E Hintikka (ivi, pp. 107-8) ricorda che la validità del prin cipio è stata data per scontata da una lunga serie di illustri pensatori che vanno da Platone ad Aristotele, da San Tommaso d'Aquino a Locke, da Schopenhauer a Prichard e Richard Taylor. Tuttavia, nonostante questa tradizione in favore di KK, un'ingegno sa confutazione dello stesso KK in forma di reductio ad absurdum è stata proposta da Williamson (1994) . L'argomento di Williamson può essere ricostruito nel modo seguente: egli assume il principio KK, ne deriva una contraddizione e dimostra in questo modo che il principio non è accettabile. Ricostruiamo ora i passaggi del suo argo mento: supponiamo che gli oggetti a e b raffigurati nella figura 11 siano successori nella serie soritica e quindi che siano veri i seguenti enunciati: (1) sappiamo che a è calvo (2) non sappiamo che b è calvo. Da ( 1 ) per il principio KK segue che: (3) sappiamo di sapere che a è calvo. Inoltre, per il principio del margine d'errore (cfr. PAR. 3.2.2): (4) se sappiamo che a è calvo, allora b (successore di a) è calvo. 99
N oi inoltre conosciamo il principio del margine d'errore quindi (5) sappiamo che (se sappiamo che a è calvo, b - successore di a è calvo) . Ora, se x s a che (se A , allora B ) , x s a che (A) e x conosce l a regola modus ponens, allora x può tranquillamente dedurre di sapere che B; noi, conoscendo la regola modus ponens, da (3) e (4) deduciamo (6) sappiamo che b è calvo. Ma (6) contraddice evidentemente (2) . Per il sostenitore della teoria epistemica questo argomento è quindi una reductio ad absurdum del principio KK. Occorre cioè ammettere che, almeno in alcuni casi, sappiamo ma non sappiamo di sapere. Una volta rifiutato il principio KK, il sostenitore della teoria episte mica standard può tranquillamente rendere conto della vaghezza di ordine infinitamente superiore. Egli cioè è disposto ad accettare che tutti gli infiniti enunciati della forma (N) siano veri. Ad esempio, una situazione che rende vero: (1 ) -,:3x (Det Pax1\ Det -,Pax + l ) è rappresentata nella figura 10. In essa infatti non esiste una persona di cui sappiamo che è calva seguita da una persona di cui sappiamo che non è calva. Se invece consideriamo la figura 1 1 , abbiamo la rappresentazione di una situazione che rende vero: (2) -,:3x ( Det Det Pax1\ Det -,Det PaX + l ) . In essa infatti non c'è una persona di cui sappiamo di sapere che è calva seguita da una persona di cui sappiamo di non sapere che è calva. Ma gli enunciati della forma (N) sono infiniti e per di più, come è chiaro dalla figura 12, le persone di cui sappiamo di sapere che sono calve sono necessariamente meno delle persone di cui sappiamo che sono calve (altrimenti non è rispettato il principio del margine d'errore) . Inoltre le persone di cui sappiamo di sapere di sape re che sono calve, sono necessariamente meno delle persone di cui sappiamo di sapere che sono calve. E man mano che iteriamo l'ope ratore di conoscenza, l'ambito della nostra conoscenza diminuisce. Supponiamo che a e b siano i primi due oggetti di una serie soritica. Di a sappiamo di sapere r-volte (dove r è il numero delle iterazioni della nostra conoscenza) che è calvo, mentre di b non sappiamo di 100
sapere r-volte che è calvo, in termini un po' più formali possiamo SCrIvere: Det Deer Pa Non Det Detr Pb. E tuttavia di a e di b non sappiamo di sapere (o di non sapere) r+ 1 volte che sono calvi, in termini formali: Non Det Detr+! Pa Non Det non Detr+ 1 Pb. La situazione può essere raffigurata nel modo seguente come in figu ra 12. F I G U RA 12 N O N CALV I
CALV I
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S A P P I A M O DI S A P E R E R-VO lT E C H E
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N O N SA P P I A M O D I S AP E R E R-VO lT E C H E S O N O C A LVI
N O N S A P P I A M O DI S A P E R E O N O N SAP E R E R + I - V O lT E C H E SO N O CALVI
Consideriamo ora i seguenti enunciati della forma (N): (N-R) -,3x ( Det Deer Pax/\ Det -,Detr PaX+l ) (N-R+1) -,3x (Det Detr+ 1 Pax/\ Det -,Detr+! PaX l ) . + L'enunciato (N-R) è chiaramente vero: esiste una persona di cui sappiamo di sapere r-volte che è calvo (di fatto a) , ma non è seguita (nella serie soritica) da una persona di cui sappiamo di non sapere r volte che è calvo (b infatti non soddisfa questa descrizione) . L'enunciato (N-R+1) è altrettanto vero nella situazione raffigurata nella figura 1 2 , perché il primo congiunto non è soddisfatto da alcun 101
oggetto: non esiste un oggetto di cui sappiamo di sapere c+ 1 volte che è calvo, seguito da un oggetto di cui sappiamo di non sapere r+1 volte che è calvo semplicemente perché non esiste un oggetto di cui sappiamo di sapere r+1 volte che è calvo. Tutti gli infiniti enunciati della forma (N) possono essere pertanto veri per un sosten itore della teoria epistemica standard in una qualunque serie soritica. C'è però una difficoltà. Le persone di cui sappiamo che sono calve sono inevitabilmente di più delle persone di cui sappiamo di sapere che sono calve, e le persone di cui sappia mo di sapere che sono calve sono inevitabilmente di più delle perso ne di cui sappiamo di sapere di sapere che sono calve ecc. Per qual siasi persona, anche quella priva di capelli, c'è un qualche numero n di iterazioni dell'operatore di conoscenza tale che non sappiamo di sapere n volte che è calva. Quindi man mano che si itera l'operatore di conoscenza, si ascende sempre di più verso l'ignoranza: l'ignoran za riguarda tutta la nostra conoscenza ad un certo livello. Sebbene la teoria epistemica non incorra nell'incoerenza, per alcuni filosofi è ripugnante l'ignoranza a cui la teoria ci costringe riguardo alle nostre stesse capacità conoscitive. La vaghezza di ordine superiore ci ha posto di fronte a una situazio ne molto difficile: da una parte le teorie semantiche non sono in grado di fornire una definizione di vaghezza di ordine superiore e dall' altra le teorie epistemiche salvano la vaghezza di ordine infini tamente superiore al costo di accettare un certo grado di ignoranza inevitabile non solo sul linguaggio, ma anche sulle nostre capacità conoscitive.
102
5. La vaghezza ontologica Per i sostenitori della vaghezza ontologica, la vaghezza non riguarda solo il nostro linguaggio o le nostre capacità conoscitive, ma anche il mondo . Questa tesi ha trovato , fra i filosofi, più detrattori che sostenitori. Scopo di questo capitolo è mostrare che le accuse dei detrattori si sono rivelate infondate e che la vaghezza ontologica apre nuove prospettive al dibattito. Forse il lettore si aspetta che vengano qui presentate teorie ontologi che che si contrappongono alle teorie semantiche ed epistemiche e che offrono un diverso trattamento del sorite e della vaghezza di ordine superiore. Purtroppo, allo stato attuale degli studi, ciò non è possibile: non esiste una teoria ontologica che fornisca soluzioni innovative al riguardo. Esiste tuttavia un modo di interpretare la vaghezza che le teorie epistemiche e semantiche hanno tradizionalmente criticato: si trat ta dell'idea che ci sia vaghezza nel mondo indipendentemente dal nostro linguaggio, dalla nostra conoscenza e dal nostro pensiero. Si mostrerà qui che questa ipotesi non può essere respinta.
5.1. Che cosa sign ifica "vagh ezza ontologica"? Molti filosofi hanno ritenuto che la sola ipotesi che ci sia vaghezza ontologica sia incomprensibile e incoerente. In particolare, i sostenitori di una teoria semantica ritengono che la vaghezza sia nelle regole che stabi liscono il funzionamento del linguaggio e non nella realtà extralingui stica, mentre i sostenitori di una teoria epistemica della vaghezza (ma, ad esempio, non Sorensen, 2001) ritengono che la vaghezza riguardi le nostre capacità conoscitive e non la realtà extralinguistica. Che cosa pensano invece coloro che difendono la vaghezza ontolo gica ? Una tesi condivisa è che la vaghezza non riguarda solo il linguaggio e il pensiero, ma anche la realtà del mondo. È infatti importante sottolineare che i sostenitori della vaghezza ontologica non ritengono che la vaghezza riguardi solo la realtà extralinguisti ca, ma ritengono che la vaghezza sia una caratteristica oltre che del mondo anche del linguaggio e del pensiero. Di fatto, la maggior 103
parte dei sostenitori della vaghezza ontologica si contrappone ai difensori delle teorie semantiche della vaghezza in quanto ritiene che la vaghezza non riguardi solo le regole che governano il funziona mento del linguaggio, ma anche la realtà extralinguistica. Ma che cosa significa che c'è vaghezza nella realtà extralinguistica? In effetti tre tesi diverse sono state sostenute al riguardo e precisamente: • è indeterminato il numero degli oggetti esistenti; • ci sono oggetti che hanno confini sfumati; • ci sono oggetti vaghi che danno luogo a identità indeterminata. Queste tre tesi non sono fra loro incompatibili ed è possibile soste nerne una, due o tutte e tre. È quindi opportuno considerarle sepa ratamente e cosÌ verrà fatto nei paragrafi seguenti. E per ciascuna tesi, verranno esaminati gli argomenti di coloro che prendono l'avvio dal rifiuto della vaghezza ontologica o di coloro che si propongono di screditare la vaghezza ontologica. Verranno poi considerate le obiezioni e le critiche a tali argomenti da parte dei difensori della vaghezza ontologica.
5.2. Esistenza i n d eterm inata Perché si arriva ad affermare che il numero degli oggetti esistenti nel mondo è indeterminato ? Per rendercene conto è utile considerare gli esseri viventi. Dal punto di vista biologico ciò che individua un essere vivente e lo distingue dal resto del mondo sono meccanismi di autoregolamentazione. Concentriamoci ora sull' origine della vita di un qualsiasi essere viven te (sia esso un organismo vegetale o animale) . Non è possibile stabi lire l'istante preciso in cui ha inizio la vita di quell' organismo. Ci sono quindi istanti di tempo in cui è indeterminato se quello specifico organismo vive o no, e in cui è quindi indeterminato se esiste o no. Se ampliamo la nostra attenzione a tutti gli esseri viventi, siamo costretti a riconoscere che è indeterminato quanti essi siano. E poiché gli esseri viventi sono parte degli oggetti del mondo, dobbiamo concludere che è indeterminato quanti siano gli oggetti del mondo. Si sono cosÌ presentate in modo informale le ragioni che possono spingere chiunque ad affermare che è indeterminato quanti oggetti esistano. Tuttavia questa descrizione informale non è sufficiente a fornire una definizione di vaghezza ontologica. Ci sono infatti tre 104
interpretazioni di questa prima presentazione informale dell' esisten za indeterminata degli oggetti e solo una di queste rende conto della vaghezza ontologica. In base alla prima interpretazione, l'indeterminatezza va intesa in senso epistemico. Si supponga che ci sia di fatto un istante infinitesi male in cui la vita biologica inizia e, pertanto, ad ogni istante sia perfet tamente determinato il numero di esseri viventi (e di oggetti) esisten ti (questo è ciò che direbbe un sostenitore di una teoria epistemica standard della vaghezza) . In questa ipotesi, il problema è che noi non sappiamo quando inizia esattamente una vita biologica e, addirittura, non siamo neanche in grado di saperlo. Solo un essere onnisciente potrebbe sapere qual è l'istante in cui la vita biologica di un essere vivente inizia e quindi potrebbe sapere quanti esseri viventi esistono in una qualsiasi regione spazio-temporale; a noi esseri umani è preclusa tale conoscenza. Se si adotta questa interpretazione è evidente che non si assume alcuna vaghezza ontologica: il predicato " essere vivente" ha un'estensione netta; l'indeterminatezza e quindi la vaghezza della vita e dell' esistenza dipende solo dai nostri limiti conoscitivi. Consideriamo ora l'interpretazione semantica dell' esistenza indeter minata. In base a questa interpretazione, le regole del linguaggio che definiscono il funzionamento del predicato " essere vivente" sono sottospecificate o lasciano aperta la possibilità che un predicato vago si applichi a diversi gradi. E l'applicazione del predicato " essere viven te" dipende unicamente dalle regole del linguaggio che si sono stori camente imposte. Quindi, in base a questa interpretazione, quando diciamo ad esempio che è indeterminato se c'è un altro essere viven te nel corpo di una femmina di mammifero, stiamo dicendo che le regole che stabiliscono il funzionamento del linguaggio non sono sufficientemente specificate per stabilire i confini dell' estensione del predicato " essere vivente" . Anche in questo caso, l'interpretazione che si è fornita dell'indeterminatezza non rende conto di alcuna vaghezza ontologica: il mondo è quello che è e le regole del nostro linguaggio non riescono a fare assumere ai predicati vaghi un' esten sione con confini netti nella realtà extralinguistica. Che cosa pensa invece chi crede nella vaghezza ontologica ? Per un filosofo di questo orientamento, se noi consideriamo ad esempio la 10 5
storia di un organismo vegetale, dobbiamo accettare che in certi momenti è oggettivamente indeterminato se quell'organismo ha iniziato ad esistere o no. L' indeterminatezza non dipende dalle nostre capacità conoscitive e non dipende neanche dalle regole del nostro linguaggio, ma dipende da com'è oggettivamente il mondo. Si è cosÌ arrivati a presentare l'indeterminatezza ontologica dell' esi stenza. Ci sono filosofi che rifiutano la vaghezza ontologica e riten gono incomprensibile 1'assunzione che resistenza degli oggetti possa essere ontologicamente indeterminata. Per altri filosofi l'indetermi natezza ontologica dell' esistenza è non solo comprensibile, ma anche perfettamente accettabile. Si tratta ora di considerare gli argomenti dei sostenitori di ciascuna posiZIOne. Per Lewis ( 1 9 8 6 ) è incomprensibile che possa essere indeterminato quanti oggetti esistono e pertanto - a suo avviso - è incomprensibile la stes sa vaghezza ontologica. Egli scrive: «Il solo resoconto comprensibile della vaghezza la colloca nel nostro pensiero e nel nostro linguag gio» (ivi, p. 21 2) . È interessante osservare che a partire da questa assunzione egli si propone di dimostrare (ivi, pp. 211-3) che dobbia mo riformare completamente il modo di intendere gli oggetti del mondo. In altre parole, per Lewis il rifiuto della vaghezza ontologi ca comporta il rifiuto della concezione ordinaria degli oggetti. Per intendere il tipo di riforma che propone Lewis, è opportuno rica pitolare quali sono le caratteristiche che il senso comune attribuisce agli oggetti. Gli oggetti che noi comunemente crediamo siano esistenti nel mondo sono costituiti di elementi; ad esempio la sedia su cui sono seduta è formata da elementi disposti nello spazio: lo schienale, il sedile, l'asta che la sostiene, la raggi era a cui sono connes se le rotelle, le rotelle. Questi elementi a loro volta sono costituiti da elementi più piccoli e si può credere che procedendo nella scompo sizione si arrivi ad elementi non ulteriormente scomponi bili o si può credere invece che la scomposizione possa procedere all'infinito; è essenziale osservare che gli oggetti del mondo con confini spaziali sono costituiti da elementi (al limite, sono costituiti da se stessi) . 5.2.1. Se l ' esistenza i n d eterm i n ata è i n co m p re n s i b i l e. . .
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Oltre che elementi spaziali, la maggior parte degli oggetti che credia mo esistenti hanno anche estensione temporale: iniziano ad esiste re, esistono in diversi istanti di tempo e cambiano la loto costituzio ne nel tempo; ad esempio il ciclamino sul mio balcone in aprile aveva perso tutti i fiori e da settembre continua a produrre nuovi fiori . Quindi gli oggetti che hanno confini e sono sottoposti a genesi e corruzione sono costituiti da elementi e la loro esistenza dipende dalla particolare disposizione e dalle relazioni reciproche degli elementi che di volta in volta li costituiscono. In base all'opinione comune non si dà il caso che, qualunque siano gli elementi presi in considerazione, questi costituiscano un oggetto: ad esempio non crediamo che esista un oggetto costituito dal mio piede sinistro, dalla foglia più grande del mio ciclamino e dalla Madonnina del Duomo di M ilano. Non crediamo che ci sia un oggetto di questi tipo semplicemente perché gli elementi in questio ne non intrattengono fra loro relazioni che gli permettono di costi tuire un oggetto. Oppure, supponiamo che la mia sedia sia frantu mata in tanti pezzi ciascuno non più grande di un millimetro e che i pezzi siano sparpagliati in giro per il mondo, questi elementi non costituirebbero più un oggetto. Anche in questo caso diremmo che le relazioni reciproche fra gli elementi in considerazione non permet terebbero loro di costituire un oggetto. Questa convinzione - che è comunemente condivisa dal senso comune - è la tesi della " composizione me reo logica ristretta" che può essere cosÌ formulata: CO M P OS I Z I O N E R I ST R ETTA :
ci s o n o e l e m e nti che costituiscono un oggetto e d e l e m e nti
che non costitu i sco n o a l c u n oggetto.
Ora, per Lewis, il rifiuto della vaghezza ontologica ci costringe ad abbandonare la concezione ordinaria degli oggetti, cioè il rifiuto della vaghezza ontologica ci costringe ad abbandonare la tesi della " compo sizione ristretta". Ricostruiamo i passaggi del suo argomento. Chiun que accetti che ci sia composizione ristretta deve accettare che ci siano criteri che stabiliscono quando certi elementi costituiscono un ogget to e quando non lo costituiscono. Quali che siano questi criteri, devo107
no permettere di affermare che in certi casi avviene la composizione di un oggetto e che in altri casi la composizione di un oggetto non avviene. Ad esempio si possono chiaramente immaginare due situazio ni: una in cui ci sono elementi che costituiscono la mia sedia e un'altra in cui gli stessi elementi non più grandi di un millimetro sono sparpa gliati in giro per il mondo e quindi non costituiscono più la mia sedia. Si può inoltre immaginare che, con una strumentazione molto sofisti cata, venga staccato uno alla volta ciascuno di questi elementi piccolis simi dalla mia sedia. Si ha quindi una serie di situazioni molto simili fra loro, la prima in cui alcuni elementi costituiscono la mia sedia, l'ul tima in cui non ci sono elementi che la costituiscono, ma non c'è un' ul tima situazione in cui alcuni elementi costituiscono la mia sedia o una prima in cui non ci sono elementi che la costituiscono. Quest'ultima osservazione può essere chiamata la "vaghezza della composizione" e può essere così formulata: VAG H E Z Z A D E LLA CO M PO S I Z I O N E :
c ' è u n a serie d i s i t u a zi o n i ta l e c h e la d iffe re n z a fra
c i a s c u n a situa z i o n e e q u e l l a s uccessiva è m i n i m a , n e l l a p ri m a certi e l e me nti co m p o n g o n o u n o ggetto. n e l l ' u lt i m a n o n avvi e n e i nvece a l c u n a co m po s i z i o n e , m a n o n c ' è u n ' u lt i m a situ a z i o n e i n c u i avviene la com posizi o n e e / o u n a p r i m a situ a z i o n e i n c u i n o n avvie n e .
La tesi della vaghezza della composizione è in evidente contrasto con l'esclusione di qualsiasi vaghezza nell' esistenza. In effetti, se si può immaginare una serie di eventi (o situazioni) tale che non c'è un'ul tima situazione in cui avviene la composizione e non c'è una prima in cui non avviene la composizione, si deve dedurre che ci sono situa zioni in cui è indeterminato se avviene o non avviene la composizio ne di un oggetto. E se in una certa situazione è indeterminato se avviene o non avviene la composizione di un oggetto, allora in quel la situazione è indeterminato se esiste o non esiste un oggetto composto da tali elementi. Si arriva cosÌ ad affermare proprio ciò che Lewis vuole escludere: cioè l'indeterminatezza dell' esistenza. �a soluzione che propone Lewis è quella di abbandonare la tesi della "composizione ristretta" e di adottare invece la tesi della " composi zione non ristretta" , che può essere così formulata: 108
C O M P O S I Z I O N E N O N R I STRETTA:
dati n e l e m e nti q u a l s i a s i . q u esti e l e m e nti costitu isco n o
u n oggetto.
Per Lewis, quali che siano gli elementi in considerazione, comunque siano disposti e qualunque siano le loro relazioni reciproche, questi elementi costituiscono un oggetto. Ad esempio, c'è un oggetto costi tuito dal mio piede sinistro, dalla foglia più grande del mio ciclami no e dalla Madonnina del Duomo di Milano. Se si accetta l'argomen to di Lewis, allora il rifiuto della vaghezza ontologica comporta una riforma drastica della concezione ordinaria degli oggetti . D'altra parte, se si vuole mantenere la concezione ordinaria degli oggetti, occorre anche accettare la vaghezza ontologica. Pertanto, il sosteni tore della vaghezza ontologica innanzitutto rifiuta la " composizio ne non ristretta" e accetta la " composizione ristretta" . Egli parte dall'assunzione che non è vero che dati n elementi qualsiasi, questi costituiscono un oggetto; al contrario alcuni elementi non costitui scono un oggetto. Egli inoltre accetta che la " composizione ristret ta" comporti la "vaghezza della composizione ". Supponiamo ad esempio che esista un gatto chiamato Mizzi. Per un sostenitore della vaghezza ontologica, Mizzi esiste indipendentemente dalle regole del linguaggio e dai nostri pensieri e la sua esistenza ha confini temporali sfumati indipendentemente dalle regole del linguag gio e dai nostri pensieri. Non c'è pertanto un ultimo istante infinitesi male in cui Mizzi non era ancora esistente e un primo istante infinite si male in cui Mizzi ha iniziato a esistere; ci sono stati degli istanti in cui è stato ontologicamente indeterminato se Mizzi era esistente o no. n primo filosofo che ha difeso l'idea che sia indeterminato il nume ro di oggetti esistenti è stato van Inwagen (1990) e la plausibilità di tale tesi è stata sostenuta più recentemente da Koslicki ( 2003) . Co storo ritengono di poter parlare in senso traslato (o metalinguistico) di " oggetti vaghi " . Bisogna però fare molta attenzione a quello che dicono quando parlano di oggetti vaghi. Non sostengono che esista no oggetti di cui è indeterminato se esistano o non esistano, infatti questa affermazione è paradossale perché si sostiene contemporanea5.2.2. I n d ifesa dell'esistenza i n d eterm i n ata
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mente ( 1 ) che certi oggetti esistano e (2) che è indeterminato se quegli stessi oggetti esistano, e le due affermazioni sono incompati bili. Quando parlano di oggetti vaghi sostengono che ci sono elemen ti di cui è indeterminato se costituiscano o no un oggetto. Questi filosofi parlano quindi di " oggetti vaghi " in un senso un po' particolare. È utile però tener presente questa nozione di oggetto vago per poterla confrontare con quella proposta da altri filosofi (come ad esempio Tye) che considereremo nel prossimo paragrafo.
5.3. Oggetti co n co nfi n i sfu m ati Perché affermare che ci sono oggetti con confini sfumati ? Supponiamo che ci sia una nube nel cielo azzurro. Da lontano la nube sembra avere confini netti. Ma non li ha. La nube è composta di un vasto numero di goccioline d'acqua. Nella parte centrale della nube la concentrazione di goccioline è molto alta, ma man mano che ci si allontana dal nucleo centrale le goccioline si diradano. Quali sono i confini della nube? La nube non ha confini netti. Questa affermazione può essere interpretata sia in senso epistemico (ci sono confini netti della nube che noi non conosciamo e non possiamo arrivare a conoscere) , sia in senso semantico (le regole che stabiliscono il funzionamento della descrizione definita " la nube nel cielo blu " non sono sufficientemente specificate da delimitare un unico oggetto) sia infine in senso ontologico (la nube è un oggetto del mondo i cui confini sono indefiniti indipendentemente dalle nostre capacità epistemiche e dalle regole del nostro linguaggio) . C'è u n argomento - noto come " problema dei molti " - che è. stato utilizzato per dimostrare che non esistono oggetti con confini sfuma ti in senso ontologico. Per renderci conto dell' argomento, riconside riamo la nube nel cielo blu che abbiamo appena presentato. L'argo mento assume la seguente premessa: se la nube ha confini sfumati, allora i confini della nube possono essere tracciati in molti modi diversi, tutti ugualmente accettabili. Ci sono pertanto molti aggre gati di goccioline che sono candidati ugualmente adatti ad essere la nube, ed è del tutto arbitrario selezionare un particolare aggregato e affermare che quello è la nube. Ma se molti aggregati di goccioline sono tutti candidati ad essere l a nube, allora non c'è una nube nel cielo ma ce ne sono molte, contrariamente alla nostra ipotesi iniziale. 110
Ripercorriamo i passaggi dell' argomento. Il '' problema dei molti" ha le seguenti premesse: Pl) c'è una e una sola nube nel cielo P2) la nube è costituita da un aggregato di goccioline P3) ci sono molti aggregati di goccioline che sono ugualmente adatti a costituire la nube. La conclusione che si trae da P2) e da P3) è: C) ci sono molte nubi nel cielo che ovviamente contraddice la premessa Pl) . L'argomento porta a una contraddizione ed è quindi considerato una reductio ad absurdum: la contraddizione a cui si perviene riduce all' assurdo almeno una delle premesse, che deve essere abbandona ta. Ma qual è o quali sono le premesse da abbandonare ? Il "proble ma dei molti " è stato formulato per la prima volta da Unger (1980) che lo risolve adottando il nichilismo. Vedremo che però ci sono altre soluzioni che possono essere proposte. Lewis (1993) ritiene che la composizione mereologica non ristretta possa essere una soluzio ne al problema dei molti. Tye (1990, 1996 e 2000) ritiene invece che il problema si dissolva se si assume che ci sono oggetti con confini ontologicamente sfumati. 5.3.1. Il problema dei molti . il n ichilismo e la com posizione non ristretta
Il problema dei molti impone che almeno una delle premesse dell' ar gomento sia abbandonata, ma quale o quali sono da abbandonare ? Unger (1980 ) , l'ideatore di questo argomento, conclude che non ci sono nubi e, come non ci sono nubi, non c'è nessun altro oggetto composto. Il nichilista Unger rifiuta pertanto sia P1) che C) ; egli sostiene che non ci sono nubi nel cielo contrariamente a quello che � oi crediamo : infatti le nostre credenze riguardo alle nubi sono contraddittorie come mostra l'argomento. Lewis (1993) accetta la conclusione C) e rifiuta P1) : a suo avviso ci sono infatti molti oggetti che sono candidati ugualmente adatti ad essere la nube di cui parliamo. Per lui infatti tutti gli aggregati di goccioline sono di fatto oggetti esistenti e la nostra intuizione che c'è solo una nube nel cielo deve essere spiegata come una indecisione semantica: le regole che governano il nostro linguaggio non stabiliIII
ss:� mo quale dei molti aggregati è il riferimento della descrizione defi nita " la nube nel cielo blu ". 5.3.2. I l problema d e i m o lti e i l rea l is m o fuzzy i Quale o quali premes se rifiuta il sostenitore della vaghezza 6ntòlogica ? Tye (1996) , rifiu ta le premesse P2) e P3) . Ma cosa significa rifiutare le premesse P2) e P3) ? Per Tye quando parliamo del monte Everest, non ci sono tanti oggetti che sono candidati ugualmente adatti ad essere il monte Everest, ma l'oggetto è uno solo anche se i suoi confini sono sfuma ti. E quando parliamo della nube nel cielo, non ci sono tanti oggetti ch e sono candidati ugualmente adatti ad essere la nube nel cielo, ma c'è un solo oggetto nel cielo con confini sfumati. Rifiutare la premes sa P2) quindi significa rifiutare che ci sia un preciso aggregato di goccioline che costituisce la nube. La nube non è costituita da un preciso aggregato di goccioline, m � da un aggregato impreciso di goccioline ci sono goccioline riguardo alle quali non c'è un fatto dirimente riguardo alla loro appartenenza o meno alla nube. E proprio perché la nube non è costituita da un preciso insieme di goccioline, non si può assumere che ci siano molti candidati ad esse re la nube nel cielo. È pertanto falsa anche la premessa P3) . S i potrebbe credere che l a logica plurivalente sia adatta a rendere conto della vaghezza antologica e non mancano del resto filosofi che argomentano a favore della vaghezza antologica utilizzando la logica plurivalente o la teoria probabilistica (ad esempio Edgington, 2000 ) . Per tali filosofi, ci sono goccioline di cui è vero al grado 1 che sono parte della nube, ci sono goccioline di cui è vero al grado 0.9 che sono parte della nube ecc. Ma in questo modo l'aggregato che costi tuisce la nube sarebbe precisamente descritto da una logica pluriva lente. Tye ritiene invece che la logica plurivalente non riesca a rende re conto della natura intrinsecamente imprecisa dell' aggregato che costituisce la nube. A parere di Tye, la logica plurivalente non è pertanto adeguata a rendere conto della vaghezza antologica. Prima di concludere può essere utile ricapitolare che cos'è un ogget to vago per un sostenitore dell' esistenza indeterminata (come valJ Inwagen) e che cos'è un oggetto vago per un sostenitore degli ogget ti con confini sfumati (come Tye) . Van Inwagen parla di " oggetto
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vago " in senso traslato (o metalinguistico) quando è indeterminato se certi elementi costituiscono un oggetto; Tye parla di " oggetto vago " quando un oggetto ha confini spaziali sfumati. È importante notare che entrambi interpretano in senso ontologico l'espressione linguistica " oggetto vago ", ma le definizioni che ne forniscono sono molto diverse.
5.4. Id entità i n d eterm i n ata degli oggetti La nozione di iden tità indeterminata e i problemi ad essa connessi sono stati presenta ti per la prima volta da Hobbes (1972. 11 corpo, scritto nel 1655) che fa esplicito riferimento alla ",nave di Teseo " di cui scrive Plutarco ( Vite parallele) . Teseo fu un eroe ateniese che navigò fino a Creta, con l'aiuto di Arianna riuscì a raggiungere e uccidere il Minotauro, salvò alcuni ateniesi tenuti prigionieri e li riportò sani e salvi fino ad Atene. In suo onore gli ateniesi conservarono la nave con cui compì questa impresa e, ogni anno, la facevano navigare in una parata in suo onore. La nave era costituita da assi di legno e negli anni si dovet tero sostituire di volta in volta le assi che erano marcite per poter consentire alla nave di navigare il giorno della parata. Per ogni asse che veniva sostituita, se ne fabbricava un' altra identica e dello stesso materiale. E ovviamente dopo ciascuna di queste riparazioni si rite neva di avere a che fare ancora con la stessa nave. A questo punto il lettore attento avrà rilevato che la situazione descritta ha un carattere soritico: così come si ritiene che un capello non faccia la differenza fra una persona calva e una che non lo è e che un millimetro non faccia la differenza fra una persona alta e una che non lo è, allo stesso modo si ritiene che la sostituzione di poche assi non possa fare la differenza fra una nave e una diversa nave. Si tende quindi ad accettare: (A) la sostituzione di poche assi non modifica l'identità della nave. Facciamo ora un'ipotesi che esula dal racconto di Plutarco. Suppo niamo che gradualmente nel corso degli anni si sia proceduto a queste piccole riparazioni fino a quando tutte le assi della nave sono state sostituite. Si avrebbe ancora a che fare con la stessa nave ? La risposta è difficile. Da una parte, se accettiamo la tesi (A) , allora sembra che dobbiamo accettare di avere ancora a che fare con la 113
stessa nave, a condizione che siano state sostituite poche assi alla volta. D'altra parte, la risposta non sembra completamente soddisfa cente. Immaginiamo infatti, come ha proposto Hobbes ( 1972, Il corpo, X L 7 , p. 1 8 5 ) , che le assi di volta in volta sostituite siano state conservate e poi siano state ricomposte nella loro disposizione origi naria. E immaginiamo inoltre che un anno, durante la parata, ci siano due navi: la nave con tutte le assi sostituite e la nave costituita con le assi originarie. Quale delle due è la nave di Teseo ? Non sembra esserci una risposta definitiva. Se chiamiamo a la nave di Teseo al momento della sua spedizione a Creta, b la nave dopo la sostituzione di tutte le assi e c la nave costituita con le assi originarie ricomposte, allora dobbiamo concludere che è indeterminato se a b ed è indeterminato se a c. La nave di Teseo è un esempio di identità indeterminata di un ogget to al passare del tempo. Ma ci sono anche esempi di identità inde terminata che coinvolgono oggetti in una situazione istantanea. Un esempio classico al riguardo è tratto da Quine (1960, p. 1 26) . Pren diamo in considerazione situazioni in cui abbiamo a che fare con una montagna e altre in cui abbiamo a che fare con due montagne : Le due situazioni sono schematicamente raffigurate qui sotto. =
=
FIG U RA 13
A
B
Si possono immaginare però situazioni diverse in cui l'avvallamento fra le due cime della figura 13B sia man mano meno profondo fino a quando ci si trova in una situazione in cui è indeterminato se si abbia 114
a che fare con una o due montagne. La situazione può essere schema ticamente raffigurata come in figura 14. FIG U RA 14
Supponiamo inoltre che sul lato destro si trovi Gigi che chiama la montagna che ha di fronte a e sul lato sinistro si trovi Lilli che chia ma la montagna che ha di fronte b, si può concludere allora che è indeterminato se a b. Questi esempi, cosÌ come i moltissimi esempi che si trovano in lette ratura per rendere conto dell'identità indeterminata, possono essere interpretati in molti modi. È a questo punto importante distingue re fra identità ontologicamente indeterminata e altri tipi di identità indeterminata. Inizieremo a considerare due interpretazioni di iden tità indeterminata che non presuppongono l'esistenza di oggetti vaghi nel mondo e quindi non vanno annoverati fra i casi di identi tà ontologicamente indeterminata. Innanzitutto l'indeterminatezza dell'identità può essere interpreta ta come un'indeterminatezza epistemica. Supponiamo, ad esempio, che gli storici dell' arte abbiano ragione di sospettare, senza però avere prove conclusive, che il pittore che si firma Pinco Pallino sia lo stes so pittore che si firma Pinco Pallone. Si può quindi affermare " È indeterminato se Pinco Pallino è Pinco Pallone" ma quando faccia mo questa affermazione non mettiamo in discussione che l'enun ciato di identità " Pinco Pallino Pinco Pallone" abbia un ben preci so valore di verità (che sia cioè vero o falso ) , riconosciamo solo di non avere conoscenze adeguate per stabilire il valore di verità dell' e nunciato. Come abbiamo già avuto modo di constatare, non manca no filosofi ( ad esempio i sostenitori della teoria epistemica stan=
=
11 5
dard) che interpreterebbero in questo modo anche gli esempi prece dentemente analizzati. Per questi filosofi c'è un istante preciso in cui una nave inizia ad esistere e uno in cui smette di esistere e c'è un confine spaziale preciso per ogni montagna, e quindi ai loro occhi gli esempi precedenti dimostrano che noi non conosciamo o non siamo in grado di conoscere tali confini e non sappiamo se abbiamo a che fare con uno o due oggetti (o addirittura con tre, come nel caso della nave di Teseo) . Tuttavia se questa è l'interpretazione degli esempi precedenti, l'indeterminatezza dell'identità in considerazione non ha nulla a che fare con l'esistenza di oggetti vaghi. Resta quindi da stabilire di che tipo di indeterminatezza si tratta quando si ha a che fare con oggetti vaghi. Un'altra interpretazione di identità indeterminata che esclude gli oggetti vaghi è semantica. Supponiamo che Marco abbia molti amici, fra cui Luisa. Può essere corretto affermare " È indeterminato se Luisa è la migliore amica di Marco " e l'imbarazzo dipende dal significato della parola " amica" che non è completamente specifica to. La parola " amica" di per sé lascia spazio a diversi criteri sociali e individuali di applicazione. Quindi quando diciamo " È indetermi nato se Luisa è la migliore amica di Marco " non ci aspettiamo che l'enunciato " Luisa la migliore amica di Marco " abbia un ben preci so valore di verità, ma ci aspettiamo che ci siano criteri variabili di applicazione della parola "amica" che fanno assumere all'enunciato di identità diversi valori di verità. Non mancano filosofi che hanno interpretato gli esempi precedenti sulla stessa linea di questo esem pio (ad esempio i supervalutazionisti): per questi filosofi, i predicati " essere nave" e " essere montagna" sono semanticamente indeter minati, lasciano spazio a diverse precisazioni ed è per questo che le identità precedenti sono indeterminate; infatti, ai loro occhi, le descrizioni definite " la montagna a " e " la montagna b" costruite a partire da un predicato vago non riescono a riferirsi a un oggetto particolare. Questa interpretazione dell'identità indeterminata non presuppone alcuna vaghezza ontologica ed è compatibile ad esempio con l'ipotesi che la tesi della composizione mereologica non ristret ta sia corretta e che l'unica indeterminatezza dipenda dalle regole che stabiliscono il funzionamento del nostro linguaggio. =
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Le interpretazioni epistemica e semantica dell'identità indetermi nata ci fanno comprendere che è sbagliato assumere l'implicazione seguente: 1*) se c'è identità indeterminata, allora ci sono oggetti vaghi. Infatti le interpretazioni precedenti ci fanno intendere che ci possono essere identità indeterminate senza dover assumere che ci siano ogget ti vaghi. 1*) però è un' assunzione che nessun sostenitore della vaghez za ontologica vorrebbe fare. Come abbiamo avuto modo di consta tare, il sostenitore della vaghezza ontologica non vuole negare che esistano casi di indeterminatezza (o di vaghezza) che dipendono dalle nostre capacità conoscitive o dalle regole del linguaggio, vuole invece sostenere che la vaghezza riguarda anche gli oggetti del mondo indi pendentemente dalle nostre capacità conoscitive e dalle regole del linguaggio. Ma affinché l'identità indeterminata diventi rilevante per il sostenitore della vaghezza ontologica, egli deve ritenere che l'esi stenza di oggetti vaghi sia una condizione necessaria dell'identità ontologicamente indeterminata. Si tratta a questo punto di capire perché un sostenitore della vaghezza ontologica dovrebbe assumere: PI] se c'è identità ontologicamente indeterminata, allora ci sono oggetti vaghi. Anche se è difficile da credere, una difesa esplicita di questa tesi cosÌ centrale nell' ampio dibattito sull'identità indeterminata è difficile da trovare. Cerchiamo quindi di mettere a fuoco quali possono essere le ragioni di chi vuole sostenere questa tesi, senza preoccuparci di chi l'abbia effettivamente sostenuta. Supponiamo che i nomi propri abbiano " riferimento diretto " come sostiene Kripke (1972) , cioè supponiamo che ciascun nome proprio si riferisca a uno e un solo oggetto indipendentemente da ciò che i parlanti pensano quando usano tale nome. Se si accetta questa ipote si, molto nota fra i filosofi del linguaggio, allora si deve riconoscere che il riferimento di un nome proprio non può dipendere da regole che sono sottospecificate. I nomi propri cosÌ caratterizzati non sono vaghi in senso semantico. Supponiamo ora che due nomi propri siano coinvolti in un enuncia to di identità indeterminato, e supponiamo inoltre che l'indetermi natezza non sia epistemica (non dipende da ignoranza sul mondo o l17
sul linguaggio) , allora l'indeterminatezza dell'identità deve dipende re dalla natura antologica degli oggetti coinvolti. Ma ci sono casi di identità antologicamente indeterminata ? Ci sono ragioni per credere che alcuni casi di identità indeterminata non possano dipendere da ragioni epistemiche o semantiche e possano pertanto dipendere solo da ragioni antologiche ? Se possiamo fare questa assunzione, allora possiamo assumere: P2] c'è identità antologicamente indeterminata. Da Pl] e P2] possiamo trarre, utilizzando il modus ponens, la conclu sione seguente: Cl ci sono oggetti vaghi. L'argomento appena presentato di fatto non è stato sostenuto da alcun filosofo, ma sembra essere il presupposto dell'intero dibattito sull'identità indeterminata. Evans (1978) ne dà una presentazione sommaria per poi metterlo in discussione. Evans (1978) e Salmon ( 1 9 8 1 ) - indipendentemente l'uno dall'altro concepiscono un argomento per dimostrare che non ci può essere identità indeterminata che dipenda dalle caratteristiche antologi che degli oggetti coinvolti (essi quindi si propongono di dimostrare che P2] è sicuramente falso). L'argomento utilizza il " Principio di indiscernibilità degli identici" , che va distinto dal " Principio d i identità degli indiscernibili". In base al Principio di identità degli indiscernibili se due oggetti hanno le stesse proprietà allora sono identici. In base invece al Principio di indiscernibilità degli identici, se due oggetti sono identici, allora hanno le stesse proprietà. Tanto il principio di indiscernibilità degli identici quanto il principio di identità degli indiscernibili sono spes so chiamati " legge di Leibniz " , perché Leibniz li ha sostenuti entrambi. In termini formali il principio di indiscernibilità degli identici viene scritto nel modo seguente: (PInId) ( 'd x) ( 'dy) ( 'd P) [ (x =y) � (Px�Py) ] . In base alla contrapposta di ( PInId) , logicamente equivalente a (PInId) , che viene anche chiamata " Principio di diversità dei discerni bili", se un oggetto ha una qualunque proprietà P che un altro non ha, 5.4.1. L'identità o ntologica m e nte i n d eterm inata è i m poss i b i l e
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allora i due oggetti non sono identici. In termini formali il Principio di diversità dei discernibili può essere espresso nel modo seguente: (C l n l d* ) (Vx) (Vy) (VP) [ (PX!\-.Py) �-.(x y) ] . Consideriamo ora l'argomento che s i propone d i dimostrare che l'identità ontologicamente indeterminata è impossibile. L'ipotesi che si vuole confutare è che l'identità ontologicamente indetermina ta non dipenda da caratteristiche ep istemiche o semantiche, ma dipenda dalla natura stessa degli oggetti coinvolti; l'ipotesi da confu tare è dunque che l'identità ontologicamente indeterminata sia una relazione particolare che sussiste fra oggetti del mondo. Con questo argomento ci si propone di dimostrare che l'indetermi natezza dell'identità è insostenibile e si assume pertanto quello che si vuole confutare, cioè: 1. è indeterminato che a sia identico a b. Da questa assunzione si può dedurre che l'oggetto a ha la proprietà di essere indeterminatamente identico a b e questa deduzione si chiama " astrazIOne " : 2. l'oggetto a ha la proprietà di essere indeterminatamente iden tic� a b. D'altra parte, si assume normalmente che ogni oggetto è determi natamente identico a se stesso, quindi non è indeterminato che b sia identico a se stesso, cioè: 3. non è indeterminato che b sia identico a b. Dall' assunzione 3 si può dedurre per astrazione che: 4. l'oggetto b ha la proprietà di non essere indeterminatamente identico a b. Da 2 e 4, per i l Principio di diversità dei discernibili si può chiara mente dedurre: 5. non si dà il caso che a sia identico a b. Si è quindi costretti a concludere che gli oggetti a e b, fra cui si supponeva sussistesse una relazione di identità indeterminata, sono invece non identici e quindi diversi. Alcuni filosofi ( fra cui Evans) ritengono che sia opportuno usare anche la seguente regola: dall' as sunzione "si dà il caso che qualcosa occorre", si deve dedurre "deter minatamente si dà il caso che quel qualcosa occorre " e dall'assun zione " non si dà il caso che qualcos'altro occorre" , si deve dedurre =
.
11 9
" determinatamente non si dà il caso che quel qualcos'altro occor re" . In base a questa regola da 5 si può dedurre: 6. determinatamente non si dà il caso che a sia identico a b. 6 è in evidente contrasto con 1 . L'identità che in base a 1 è indetermi nata, è determinatamente falsa in base a 6. La conclusione di questo argomento è che è impossibile che ci siano identità ontologicamente indeterminate. Cioè l'argomento è una confutazione della premessa 1 . 5.4.2. O ggetti va g hi senza identità ontolo g icamente indeterm inata L'ar gomento di Evans e Salmon dimostra che non c'è e non ci può essere identità ontologicamente indeterminata, dimostra cioè che P2] è falso. E quindi occorre assumere che: Non-P2] non c'è (e non ci può essere) identità ontologicamente indeterminata. Molti filosofi che hanno voluto difendere la vaghezza ontologica si sono proposti di dimostrare che la premessa P2] è vera (e Non-P2] è falsa) e, quindi, che nell'argomento di Evans e Salmon c'è un erro re. Fra i filosofi che hanno criticato l'argomento di Evans e Salmon per dimostrare la plausibilità e la coerenza dell'identità ontologica mente indeterminata vale la pena di menzionare van I nwagen ( 1 9 90 ) , Parsons ( 2000 ) , Edgington ( 2000 ) , Keefe ( 2000 ) , Lowe (2005) . Gli argomenti di questi filosofi sono tecnicamente molto raffinati. L'analisi di tali argomenti prescinde però dagli intenti introduttivi del presente saggio. C'è però un'altra osservazione che può fare il sostenitore della vaghezza ontologica. Innanzitutto osserva che Non-P2] insieme a Pl] se c'è identità ontologicamente indeterminata, allora ci sono oggetti vaghi non ci permette di trarre alcuna conclusione né sull' esistenza degli oggetti vaghi né sulla loro non esistenza. Affinché Non-P2] sia una sfida per il sostenitore della vaghezza ontologica, si deve assumere la conversa di Pl ] , cioè: Conv-Pl] se ci sono oggetti vaghi, allora c'è (o ci può essere) iden tità ontologicamente indeterminata. r Sulla base della regola modus tollens da premesse della forma se A, allo-
120
ra B1 e rnon B1 segue rnon A1 e quindi da Conv-Ptl e Non-P2] segue per modus tollens: C] non ci sono oggetti vaghi. Ora, si può sostenere che Conv-P1] è falso, in quanto si può conce pire che ci siano oggetti vaghi nel mondo senza dover accettare che siano coinvolti in identità ontologicamente indeterminate. In questo modo l'impossibilità di identità ontologicamente indeter minate non mette in discussione l' esistenza di oggetti vaghi e la vaghezza ontologica in generale. Questa strategia filosofica, che quasi tutti sono pronti a riconoscere, è stata perseguita da pochi filosofi: l'unico vero difensore è Tye (1990 ) , ma il primo che l'ha proposta è stato Sainsbury (1989) . Per renderei conto degli argomen ti a sostegno della tesi che possiamo indicare con lo slogan " oggetti vaghi senza identità indeterminata" , vale la pena di riconsiderare gli esempi della nave di Teseo e delle montagne. Incominciamo dalla nave di Teseo. Nell' esempio che abbiamo preso in considerazione abbiamo chiamato a la nave di Teseo al momento della spedizione a Creta, b la nave a cui sono state progressivamente sostituite tutte le assi e c la nave costituita dalle assi originarie raccol te e ricomposte. Consideriamo ora l'affermazione in base alla quale è indeterminato che a b. L'indeterminatezza dell'identità, per esse re ontologica, deve dipendere dalla costituzione stessa degli oggetti coinvolti . Nel caso specifico si assume che gli oggetti a e b siano oggetti con confini temporali sfumati (come il gatto Mizzi dell' e sempio nel PAR. 5.2.2). Mfinché l'indeterminatezza dell'identità fra a e b sia ontologica, si assume comunemente che l'oggetto a - per la sua costituzione ontologica - abbia una qualche proprietà che l'og getto b - per la sua costituzione ontologica - possiede solo indeter minatamente (o viceversa che l'oggetto b - per la sua costituzione ontologica - abbia una qualche proprietà che l'oggetto a per la sua costituzione ontologica - possiede solo indeterminatamente) . Ad esempio è indeterminato che b abbia navigato fino a Creta, ma non è indeterminato che a abbia navigato fino a Creta. Quindi b ha una proprietà (la proprietà di aver indeterminatamente navigato fino a Creta) che a non ha. Per il Principio di diversità dei discernibili occorre concludere che le due navi non sono identiche. E lo stesso =
-
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tipo di argomento lo si può riprodurre riguardo all'affermazione che è indeterminato che a c. L'argomento ha la seguente struttura. Ci sono tre premesse: 1. è indeterminato che a sia identico a b 2. l'oggetto a ha la proprietà di non avere indeterminatamente navigato fino a Creta 3. l'oggetto b ha la proprietà di avere indeterminatamente naviga to fino a Creta. Da 2 e 3, per il Principio di diversità dei discernibili si può chiara mente dedurre: 4. non si dà il caso che a sia identico a b. Se poi si applica la regola di introduzione dell' operatore " determina tamente" si ottiene: 5. determinatamente non si dà il caso che a sia identico a b. È importante rendersi conto della differenza fra questo argomento e l'argomento di Evans e Salmon presentato nel paragrafo 5.4.1. In questo caso ci sono tre premesse (sono quelle contrassegnate con i numeri 1 , 2 , 3) e la conclusione ci costringe ad abbandonare la prima premessa ma non le altre due. Quindi la conclusione ci costringe ad escludere che ci sia identità indeterminata, ma non che gli oggetti abbiano confini temporali sfumati (sono infatti i confini temporali sfumati che permet tono di attribuire indeterminatamente certe proprietà agli oggetti) . Nel caso dell' argomento di Evans e Salmon invece ci sono due premesse (sono quelle contrassegnate con i numeri 1 e 3 nel PA R. 5 . 4 . 1 ) , e la conclusione dell'argomento ci costringe ad abbandonare la prima premessa e a conservare l'altra (quella contrassegnata con il numero 3 nel PAR. 5 .4.1). In questo caso viene semplicemente salvata l'assunzio ne che ogni oggetto è identico a se stesso e l'argomento non ci permet te quindi di fare alcuna considerazione sulla compatibilità fra identità determinata e vaghezza degli oggetti. Che cosa mostra questa confutazione dell'identità antologicamente indeterminata fra la nave chiamata a e la nave chiamata b? Mostra semplicemente che l'identità è una relazione antologica assoluta e che non si presta a indeterminatezza; questo però non impedisce agli oggetti del mondo di avere confini temporali sfumati e quindi non impedisce la vaghezza antologica. =
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Consideriamo ora di nuovo l'esempio di identità indeterminata fra montagne (FI G . 14) . Supponiamo che sulla cima di destra ci siano albe ri, mentre la cima di sinistra sia spoglia. Supponiamo inoltre che a sia il nome che si dà alla montagna che si vede sul lato destro e b sia il nome della montagna che si vede sul lato sinistro. Supponiamo anche che a e b siano oggetti vaghi con confini spaziali sfumati. La situazione può essere schematicamente raffigurata come nella figura 1 5 . FIG U RA 15
Consideriamo ora l'affermazione in base alla quale è indeterminato che a b. Per poterla fare assumiamo anche a proposito di b che sia indeterminato che ha alberi , mentre a proposito di a che non sia indeterminato che ha alberi. Per il Principio di diversità dei discerni bili gli oggetti a e b non sono identici e la loro identità non è pertan to indeterminata. L'esistenza di oggetti con confini spaziali sfumati non sembra una condizione sufficiente per l'eventuale sussistenza di identità indeter minate fra tali oggetti. E quindi anche se l'identità ontologicamente indeterminata è impossibile, ciò non preclude la vaghezza ontologica. =
5.5. La va gh ezza ontolo gi ca a p re n u ove p rosp ettive Che conclusioni trarre ? Gli argomenti che sono stati proposti per confu tare od osteggiare la vaghezza ontologica non sono affatto conclusi vi perché ci sono gli strumenti per poterli confutare. Quindi, non c'è alcun argomento che dimostri l'impossibilità o l'implausibilità della vaghezza ontologica. Certo, non c'è neanche un argomento che 123
dimostri la sua effettiva sussistenza. Di fronte a questa constatazio ne il filosofo deve fare una scelta. Da una parte può rifiutarsi di accettare che la vaghezza possa essere anche ontologica. Se questa è l'assunzione che fa, allora può accon tentarsi di una teoria semantica o una teoria epistemica della vaghez za. Qualunque teoria adotti (fra le due alternative) , deve comunque trovare una risposta convincente al sorite e al problema della vaghez za di ordine superiore. D'altra parte, se riconosce la plausibilità della vaghezza ontologica, allora non può accontentarsi delle teorie semantiche o epistemiche esistenti, ma deve attuare una revisione di tali teorie per rendere conto dei casi di vaghezza ontologica. Il tipo di revisione che è opportuno operare è ancora in gran parte inesplorato.
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Bibliografia Letture co nsigliate
Capitolo 1 Per avere un panorama del dibattito sulla vaghezza sono utili strumenti: l'introdu zione a K E E F E , S M I T H ( 1 997), R . M. S A I N S B U RY, T. W I L L I A M S O N , Sorites, in B. Hale, C . Wright (eds. ) , A Companion to the Philosophy ofLanguage, Blackwell , Oxford 1997, pp. 458-84, e il capitolo 2 di R. M . S A I N S B U RY , Paradoxes, I I ed. , Cambridge University Press, Cambridge 1995; testi critici approfonditi e dettaglia ti sono WI L L I A M S O N (1994) e K E E F E ( 2000). Le principali raccolte di scritti sulla vaghezza sono K E E F E , S M I T H ( 1 997) e D. G RA F F F A R A , T. W I L L I A M S O N (eds. ) , Vagueness, Ashgate, A1dershot 2002; l a p i ù recente è J . C . B EA L L (ed. ) , Liars and Heaps, Clarendon Press, Oxford 2005. Utili strumenti web sono le voci (periodi camente aggiornate) D . HYDE, Sorites Paradox, in E. N . Zalta (ed . ) , The Stanford
Encyc/opedia ofPhifosophy, U R L < http:// p lato . sta nford .ed u / a rc h ives/fa I l 2 o o 5/entries/ so rites- p a ra d ox/> 2005 e R . A . S O R E N S E N , Vagueness, i n E. N. Zalta (ed . ) , The Stanford Encyc/opedia ofPhifosophy, U R L http://plato.sta nford . e d u / a rch ives/fa I l2 o o3/ e ntries/va g u e n ess/ 2003. In rete c'è anche un'utile bibliografia sulla vaghezza con =
=
link ai testi accessibili in rete, a cura di J. Needle, purtroppo non costantemente aggiornata ( http://www. btinternet . co m / -j u sti n .need leI ) .
Capitolo
2
Fra i sostenitori delle logiche plurivalenti vale la pena di l eggere T Y E ( 1 994) e M A C H I N A (1976) . F I N E (1975) è la prima formulazione rigorosa del supervalutazio nismo e il punto di riferimento di tutti i suoi sostenitori. Per intendere la teoria probabiliscica si vedano KAM P (1975) e E D G I N GT O N (1992 e 1997) .
Capitolo 3 La migliore esposizione e difesa della teoria epistemica standard è W I L L I A M S O N (1994). Per ripercorrere l e ragioni che hanno spinto Kamp a d adottare il contestua lismo si veda KAM P (1981) e per una esposizione rigorosa dello stesso contestuali smo si veda S O A M E S (1999, cap. 7). Un argomento a difesa della correttezza della logica intuizionista per affrontare il sorite si trova in W R I G H T (2001) .
Capitolo 4 Buone letture sulla vaghezza di ordine superiore (anche se richiedono competenza e attenzione) sono: S O RE N S E N (1985) che ha suscitato un vivace dibattito, M . S A I N S B U RY , Is there Higher-order Vagueness?, in " Philosophical Quarterly", 41, 1991, pp. 167-82, i l capitolo 8 di WILLIAM S O N (1994), G RA F F F A RA (2003) e S O A M E S (2003). 12 5
Capitolo 5 I testi classici in cui si propone di screditare la vaghezza ontologica sono E VA N S (1978) , S A L M O N (1981), U N G E R (1980) e L E W I S (1986) e più recentemente T . S I D E R , Four-dimensionalism, Clarendon P ress, Oxford 200 1 . Per i ntendere la portata dell'argomento di EVA N S (1978) è utile D. LEWI S , Vague Identity: Evans Misunder stood, in "Analysis ", 48, 1 988, pp. 128-3°, ristampato in Keefe, Smith (1997), pp. 31820. Fra i sostenitori della vaghezza ontologica vale la pena di leggere VAN I NWAG E N (1990) , T Y E ( 1990, 1996 e 2000), P A R S O N S ( 2000), E D G I N G T O N (2000) e L O W E (2005). Per il lettore italiano, è sicuramente interessante leggere V A R Z I ( 2001, cap. 6) che in modo brillante rifiuta la vaghezza ontologica e A . B O TTAN I , Oggetti vaghi e identità vaghe, in V. Fano, M. Stanzione, G. Tarozzi (a cura di), Prospettive della logica e dellafilosofia della scienza. Atti delsesto convegno triennale, Rubettino, Cosen za 2001, pp. 379-91, che difende l'argomento di Evans e Salmon da alcune critiche. Riferime nti b i b l i o g rafici
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