La sublime scuola italiana: Poeti, Volume 9: Il morgante maggiore, volume 1 [Reprint 2021 ed.] 9783112447260, 9783112447253


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La sublime scuola italiana: Poeti, Volume 9: Il morgante maggiore, volume 1 [Reprint 2021 ed.]
 9783112447260, 9783112447253

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LA

SUBLIME SCUOLA ITALIANA OVVERO

L E PIÙ E C C E L L E N T I

OPERE

BI PETRARCA, ARIOSTO, DANTE, T. T A S S O , P U L C I , T A S S O N I , SANNAZARO, CHIABRERA, BURCHIELLO. MACCHIAVELLI, BOCCACCIO, CASA, V AH CHI, SPERONE, SPERONI, LOLLIO, COZZI, MARTINELLI, ALGAROTTI. ,,C'osi vidi adunar la bella Scuola „Del bel Paese là , ove 'l Si suona. Dante Jnf. C. 4. e. C. 33.

EDIZIONE s1 A G O S T I N O DE' V A L E N T I . POE TI V O L U M E IX. BERLINO E STRALSUND A PRESSO

AMADEO AUGUSTO

^tnccciv.

LANGE

IL

M O R C A N T E MAGGIORE DI

MESSER LUIGI PULCL

E D I Z I O N E DI

A G O S T I N O de' V A L E N T I .

V O L U M E

B E R L I N O PRESSO

E

L

S T R A L S U N D A

AMADEO AUGUSTO M D C C C IV.

LANGE.

DELLA VITA

MESSpR LUiGI PULCI.

venne al mondo i n

Fi-

renze l'anno 1432. a' dì 15. d' Agosto. Esso trae 1' origine sua d' una delte più nobili famiglie, che abbia avuto là città di Firenze, in tutto estinta, fuorché il nome di Castel Pulci, Villa del Marchese Riccardi,

cinque miglia di-

stante da Firenze per la parte di Livorno.

D i essa nobilissima stirpe can-

IV

tò il Verino de illustr. urbis

Florent,

Lib. 5. v. 118. Pulcia

G ali orum s oboles

descendit

in urbem* Clara quidem bello*

sacris nec in-

h ospita Musis.



Ebbe il Pulci due fratelli, uno di nome Bernardo,

celebre per le sue

Poesie Pastorali,

stampate per la pri-

ma volta l'anno i454> e per la traduzione della Bucolica di Virgilio, onde egli Ìu

il

primo traduttor

toscano.

D'esso Bernardo dice Crescimbeni nel Voi. 2. Part. 2. Lib. 3. C. 156. de' Gom. che questo Poeta si scostò molto dall' infelice gusto

di comporre

de' suoi

tempi, e che dalle sue Poesie ben si ravvisa, ch'egli ebbe parte alla riforma del poetar Toscano, fatta da Lorenzo de' Medici.

La sua moglie, chiamata

V

Antonia, anche essa~insigne fu in poesia, talché in quel tempo ben si poteva dire esser la casa de' Pulci la residenza delle Muse; essendovi tre fratelli, e la moglie d* uno di essi, tutti rinomati per la lode del verseggiare: Con ragione per eagion di questa famiglia disse di Firenze il Verino nel Lib. 2. V. 241. de illustrabione Urbis Fiorenti, Carminibus patriis notissima Pulcìa proles* Qui non hane urbem Musarum diedi amicam, Si tres producat fratres domus una poetas — Questa onesta matrona esercitò il suo talento in comporre Sacre Rappresentazioni, genere di poesia adattatissimo alla pudicizia e gravità matronale. Anche il Landino sopra il Cant. 16.

VI

del Paradiso di Dante parla di questa nobilissima schiatta, ed altresì i l G a murrini T o m . 5 Gant. 19. delle genealogie delle famiglie Toscane, etc. L ' altro fratello di Pulci fu Luca, che nella Volgar Poesia ebbe il pregio d' essere i l primo,

che

componesse

Pistole, nelle quali, oitre gli altri modi cappricciossi di

poetare che"vi si

ravvisano, diede un saggio dell* imitazione della Poesia di Pohfemo, che a' nostri

dì è stata ingegnosamente ri-

messa i n campo

Ma assai più di fa-

ma gli apportò i l Ciiiffo Calvaneo, poem a , per la pulita della favella citato nel Vocabolario della Grusca. L u i g i prese per moglie Lucrezia di Uberto degli Albi/i, onde ebbe due figliuoli, Ruberto, ajacopo.

Strinse gran-

VII

de amicizia cogli uomini più celebri de' suoi tempi. Angelo Poliziano, o Lorenzo il Magnifico, gran mecenate de'letterati, furono suoi amici più intimi, stimolarono, ed in parte ajutarono a comporre il Poema Eroico - Comico del Morgante Maggiore.

Vili

ALCUNE LETTERARIE NOTIZIE CONCERNENTI IL

MORGANTE

MAGGIORE

E L' O P E R E D I L U I G I P U L C I ,

Ivuigi Pulri si diede a battere una nuova strada per la poesia, alla quale poi molti dei suoi compatriotti s' appigliarono. Accolse esso nel suo versificare dai Romanzi Spagnuoli le strane avventure, che in quel tempo attorno andarono di Carlo Magno e d' Urlando, e così si fece padre

IX

della Poesia Epica-Comica Romanzevole, nella quale di poi Ariosto dimostrò 1' intera forza del ricchissimo suo poetico ingegno. Riportarono gli Spagnuoli questa maniera di favoleggiare prima dai Saraceni, e dipoi intessa ed intrecciata fu colle istorie di Carlo Magno, e di suoi Paladini* L' eroe del Morgante Maggiore ò Orlando. Per il tradimento d' un ministro, detto G a n o , si vede sforzato d' abbandonar la Corte di Carlo Magno. P a r t e , e cercando venture, scorrendo va strani paesi. In fine entro un deserto capita ad una badia molestata sino allora da tre Giganti. Orlando la libera da questi Importuni, ne •uccide d u e , ed il terzo converte alla Religione Cristiana, donde il Poema ha il n o m e Morgante Maggiore, che

X.

armato con un battaglio da campana vince ed abbatte altri minori giganti e mostri.

Torna finalmente Orlando al

la patria onde a Gano riesce il colpo di trailo nella rete del Re Marsilio in Roncisvalle,

ove dopo

la

strage di

20000 Cristiani il Conte si muore d* afflizione d' animo. Par d' esser lo scopo del Poeta a dimostrare fin dove

possa andare la

malvagità d' un ministro, che facendo abuso della fiducia, che il suo Principe ha posto in lui, riduce all' ultimo esterminio lo stato.

Del resto questo

Poema si distingue per ottime dottrine, per la sua purità della lingua, e per una particolar

naività di espressioni.

Il Poeta vi rappresenta i suoi eroi quasi sempre in una situazione grottesca, ed il punto di vista col quale egli si

XI

da a considerare i loro fatti, è sempre comico e burlesco, e li va raccontando con un umore sì faceto, che diletta in modo particolare il carattere italiano.

Lo stile è per la maggior parte

composto

di tutti i modi proverbia-

li, che son propri ai Fiorentini, e può dirsi esso Poema in verità un tesoro di tanti proverbi

e

vocaboli

fiorentini,

che senza il Pulci si sarebbero del tutto perduti, e che in Italia si chiamano i riboboli

dell' Arno.

Chi per al-

tro vorrebbe informarsi più di questo Poema, legga ciò che ne ha detto il Crescimbeni nel Voi. 2. Part. 2. Libr. 3. num. X X X V I I I . de' Comentari alla sua storia della Volgar Poesia, e poi quel giudizio, Gravina nel

che ne ha formato il

Libr. 2. n. XIX. a car.

194. della Ragion Poetica.

XII

Di questo Poema ne comparse la prima edizione in Firenze incirca 1' anno 148S. in 4. a questa ne seguì quella del i4g4. ed u n altra di Camin da Trino 1' anno 1554. Quantunque siano rare queste edizioni, pur quella di Firenze del 1732 è molto migliore, la di cui ristampa senza dubbio è stata fatta di quella rarissima edizione Fiorentina del Sermartelli del 1574. nella quale si trova la più vera lezione, dove quasi in tutte le altre edizioni è molto travisata e mancante, così che appena il proprio Autore vi ravviserebb e il testo suo. Ne iu fatta anche una buona edizione a Londra 1768. col ritratto dell' Autore, e che si trova in Parigi appresso Marcello Prault, Per allontanare il Pufci da se il sospetto d' irreligione, di cui f u rim-

XIII

proverato, compose il C r e d o , opera in versi, comparsa in Firenze in 4. Compose in oltre O d e , Canzoni, e Sonetti in lingua volgare, alcune delle quali, come alquanto licensiosette, furono proibite. Rime in Firenze in 4. ed una Frottola in Firenze in 4. Il Driadeo, pure in Firenze in 4. Cinelli pretende esser questo poemetto di L u c a Pulci. Confessione, nella quale prega la Beatiss.

Vergine Maria, che interceda

per lui, con un Capitolo sopra Populc

incus,

ed

un altro Capitolo, e Sonetti alla Croce, e a Gesù Cris t o , in Firenze 1597.



Oltre queste opere, ci è la Beca, ed anche una

XIV

Novella a Madonna Ippolita, fig liuola del D u c a di Calavria. ta in Firenze nel

Stampa-

1 5 4 7 . in 8. Che la

Bftca veramente sia di Luigi Pulci ce n' assicura Benedetto Varchi nell' Ercolano a, c. 292. della edizione del 1 7 3 0 .

IL

MORGANTE MAGGIORE DI

MESSER LUIGI PULCI. A R G O M E N T O . Rivendo Carlo Magno Imperadorè C o ' Paladini in festa e in allegria. Orlando conerà Gatto traditore S'adirà . e parte verso Pagania. Giunse a un deserto, e dal bestiai furore Di tre giganti, salva una badia. Che due n'uccide, e con Morgante elegge Di buon sozio e d'amico usar la legge.

C A N T O

PRIMO.

Xn principio era il Verbo appresso à Dio, Eci era Iddio il Verbo, e il Verbo lui; Quest' era nel principio . al parer mio, E nulla si può far sanza costui: Però giusto Signor, benigno e pio. Mandami solo un degli Angeli tui, Cile m'accompagni, e rechimi a memoria Una iamoia antica « degna storia. A s

4

M o r c a n t e - M a g g i o he.

E tu Vergine, figlia e m a d r e , e sposa D i quel Signor, che ti dette la chiave D e l cielo, e dell' abisso e d'ogni cosa. Quel dì che Gabriel t u o ti disse ave j P e r c h è tu se' de' tuo* servi pietosa, C o n dolce rime, e stil grato e soave Ajuta i versi mìci benigiiameiìte/ E ' n s m o al line allumina la mente. E r a nel t e m p o q u a n d o Filomena Colla ^orejla si lamenta e plora, C h e si-ricorda di sua antica pena, E pe'boschelti le ninfe innamora, E Febo il cario temperato mena, Che '1 suo.Fetoiite l'ammaestra a n c o r i } E d appariva appunto all' orrizzonte, T a l che T i t o n si graffiava la f r o n t e : Quand' io varai la mia barchetta, prima P e r ubbidir chi sempre ubbidir del.be L a mente, e faticarsi in prosa e in rima, E del mio Carlo l m p e r a d o t m ' inefebbe ; Che so quanti la penili ha posto ih cima< C h e tutti la sua gloria prevarrebbe : E stata questa istoria, a quel eh' i' veggio» D i Carlo male intesi, e scritta peggio. Diceva già L e o n a r d o Aretino, C h e s' egli avessi avuto scrittoi' degno* C o m ' egli ebb« u n O r m a n n o il suo Pipino^ C h ' avessi diligenzia avuto e ingegno; Sarebbe Carlo Magno un u o m divino, P e r ò eh* egli ebbe gran vittorie e regno* E fece per la Chiesa e per la Fede Certo assai più che n o n si dice o cred».

G a n ì o

PHIMO.

Guardisi ancora a San Liberadore, Quella badia là presso Manopello Giù nell* Ah la ruzzi fatta per suo onore« Dove fu la battaglia e '1 gran ilagello D ' un Ke Pagari, che Carlo Imperadot* Uccise, e tanto del suo popol fello; E vedesi tante o$sa, e tanti il «anno, Che tutte in Giusaffà poi si vedranno. Ma il mondo cieco e ignorante non prezza I_e sue virtù com' io vorrei vedere J E tu, Fiorenza, della sua grandezza Possiedi, e sempre potrai possedere Ogni costume, ed ogni gentilezza. Che si potessi acquistare o avere Col senno, col tesoro, o colla lancia P a i nobil sangue e venuto di Francia. Dodici paladini aveva i » corte Carlo, e '1 più savio e famoso era Orlando. Gan, traditor, lo condusse alla morte In Koncisvalle, un trattato ordinando} Laddove il corno sonò tanto forte Dopo la dolorosa f o t t a , quando Nella sua commedia Dante qui dice, E mettelo con Carlo in ciel felice. Era per Pasqua quella di Natale, Carlo la corte avca tutta in Parigi, Orlando, com' io dico, il principale Evvi, il Danese, Astolfo, e Ansuigi; Fannosi feste , e cose trionfale, E molto celebravan San Dionigi: Angiolin di Bajona, e Ulivieri V'era venuto, e '1 gentil Berlinghieri.

6

M O R G A N TE

MAGGIORE.

Eravi Avolio, ed Avmo, ed Ottone Di Normandia, Riccardo paladino, E '1 savio Namo, e '1 vecchio Sai amone, Gualtier da Monlione, e Baldovino, Ch' era fìglixiol del tristo Gannellone ; T r o p p o lieto era il figliuol di Pipino, Tanto che spesso d' allegrezza geme, Veggendo tutti i paladini insieme. M a la fortuna attenta sta nascosa P e r guastar sempre ciascun nostro effetto: Mentre che Carlo cosi si riposa. Orlando governava in fatto e in detto L a corte, e Carlo M a g n o , ed ogni cosa. Gan per invidia scoppia il maladetto, E cominciava un dì con Carlo a dire : : Abbiam noi sempre Orlando ad u b b i d i r e ? Io ho creduto mille volte dirti : Orlando ha in se troppa presunzione. Noi Siam qui Conti, i\e, Duchi a servirti, E Namo, Ottone, U g g i e r i , e Salamoile, Per onorarli o g n u n , per u b b i d i r t i ; Che costui abbi ogni reputazione, Noi sofferem, ma Siam deliberati D a un fanciul non esser governati. T u cominciasti insino in Aspramonte A dargli a intender che fussi gagliardo, E facessi gran cose a quella fonte. M a se non fussi stato il buon Gherardo, l o so che la vittoria era d' Almonte : M a egli ebbe sempre 1' occhio allo stendardo Che si voleva quel dì coronarlo : Questo ('• colui eh' ha meritato Carlo.

CANTO

Plinio,

Se ti r i c o r d a già, sendo in G u a s c o g n a , O l i a n d o e' vi venne l a gente di S p a g n a , 11 p o p o l de' C r i s t i a n i avea v e r g o g n a , •Se n o n m o s t r a v a ì a s u a i o r z a m a g n a : Il v e r c o u v i e n p u r d i r , q u a n d o e* b i s o g n a : S a p p i e h ' o g n u n o , Imperzulor, si l a g n a : O u a n t ' io p e r m e , ripasserò que" m o n t i , C h ' i o passai 'n q u i c o n s e s s a n t a d u o C ó n t i . l a t u a g r a n d e z z a d i s p e n s a r si v u o l e , E f a r c h e < l a s c n n abbi l a sua p a r t e ; I_a c o r t e tutta q u a n t a se ne d u o l e : T u c r e d i c h e costui sia t o r s e M a r t e ? O r l a n d o u n g i o r n o u d ì queste p a r o l e . C h e si sedeva soletto ni d i s p a r t e ; D i s p i a c q t i e g l i di Gan quel c h e d i c e v a . M a m o l t o p i ù elle C a r l o gli c r e d e v a . E v o l l e colla spada xiccider G a n o ; M a U l i v i e r i in q u e l m e z z o si m i s e , E D u r l i n d a n a gli trasse di m a n o , E così il m e ' c h e seppe gli divise. O r l a n d o ti sdegnò c o n C a r l o M a n o , E poco nien che quivi non l ' u c c i s e ; E dipartissi di P a r i g i solo, E s c o p p i a , e ' m p a z z a di sdegno e di c u o i o . A d E r m e l l i n a , m o g l i e del D a n e s e , T o l s e C o r t a n a , e poi t o l s e K o n d e l l o , E ' n v e r s o B r a v a il suo c a m m i n p o i p r e s e , Alda la bella, come vide quello, P e r a b b r a c c i a r l o le b r a c c i a distese. O r l a n d o che i s m a r r i t o a v e a il c e r v e l l o , C o n i ' ella d i s s e : b e n v e n g a il m i o O r l a n d o Gli volle in s u l l a testa dar c o l b r a n d e .

8

MORGANXE

MAGGIORE.

Come colui che la furia consiglia, E ' gli pareva a Gan dar veramente j Alda labella si fe' meraviglia, Orlando si ravvide prestamente : E la sua sposa pigliava la briglia, E scese del cavai subitamente ; E d ogni cosa narrava a costei, E ripososii alcun giorno con lei. P o i si parti portato dal furore, E terminò passare in Pagania; E mentre che cavalca, il traditore D i Gan sempre ricorda per la via ; E cavalcando d' uno in altro errore. I n un deserto trova una badia In luoghi oscuri, e paesi lontani, Ch'era a' cohfìn tra Cristiani e Pagani, L ' Abate si chiamava Chiaramonte, Era del sangue disceso d- Angrante; D i sopra alia badia v'era un gran monteji D o v e abitava alt un fiero gigante, D e ' quali uno avea nome Passamonte, L ' a l t r o Alabastro, e *1 terzo era Morgantc s Con certe frombe gittavan da alto, E d ognidì facevan qualche assalto. I monachetti non potieno uscire D e l monistero, o per legne o per acque; Orlando picchia, e' n o n volieno aprire Fin che all' Abate alla fine pur p i a c q u e : Entrato d e n t r o , comminciava a dire, Come colui che di Maria già nacque, Adora, ed era Cristian battezzato, E come egli era alla badia arrivato.

CANTO

PRIMO.

Disse 1" Abate ; il beri venuto sia, D i quel eh", io h o , volentier ti d a r e m o . P o i che tu credi al figliuol di M a r i a ; E la cagion, cavaliev, ti diremo, Acciò che n o n l'imputi a villania P e r c h è all'entrar resistenza f a c e m o , E n o n ti volle aprir quel m o n a c h e t t o i Cosi intervian chi vive con sospetto. Q u a n d o ci venni al principio abitare Queste montagne, benché sieno otcure f C o m e t u vedi, p u r si p o t e a stare Sanza s o s p e t t o , e h ' eli' eran sicure, Sol dalle iiere t'avevi a g u a r d a r e : F e r n o c i spesso di b r u t t e paure ; O r ci bisogna, se vogliamo starci. Dalle bestie dimestiche guardarci. Queste ci fan piuttosto star? a s e g n o ! Sonci appariti tre fieri giganti, N o n so di qual paese, o di qual regno, M a m o l t o son feroci tutti quanti : L a forza e '1 malvoler, giunt' allo'ngegno, Sai che p u ò il t u t t o , e noi n o n siam bastanti) Questi perturbane sì l'orazion nostra, C h e n o n so più che f a r , s'altri n o i mostra. Gli antichi padri nostri nel deserto; Se le lor opre sante erano e giuste, D e l b e n servir da D i o n'avean b u o n merto» N e c r e d e r , sol vivessin di locuste: Piovea dal ciel la m a n n a , questo è certo ; M a qui convien che spesso assaggi e guste Sassi, che p k i v o n d i . s o p r a quel m o n t e . Che gettano Alabastro e P a s s j m o n t e .

io

MOKGANXE

MAGGIORE.

E '1 terzo, ch'è Morgante, assai più fiero, Isveglie e pinj, i faggi, e Cerri e gli oppi, E gettagli infin qui, questo è pur vero ; Non posso far, che d'ira non iscoppi. Mentre che parlan così in cimitero, Un sasso par che Kondel quasi sgroppi, Che da' giganti giù venne da alto, Tanto eh' e' prese sotto il tetto un salto. Tirati dentro, cavalier, per D i o , Disse l'Abate, che la manna casca. Bispose Orlando: caro Abate mio. Costui non vuoj che *1 mio cavai più pasca, Vepgo che lo guarrebbe del restio ; Quel sasso par che di buon braccio nasca, Bispose il santo padre: io non t'inganno, Credo che il monte un giorno gitteranno. Orlando governar fece Rondello E ordinar per se da colezione, Poi disse: Abate, io voglio andare a quello, Che dette al mio cavai con quel cantone. Disse l'Abate : come car fratello Consigli trotti sanza passione ; Io ti sconforto, B a r o n , di tal gita, Ch' io so che tu vi lascerai la vita. Quel Passamonte porta in man tre dardi, Chi frombe, chi baston, chi mazzafrusti ; Sai che' ¡giganti più di noi gagliardi Sol) per ragion, che son anco più giusti: E pur se vuoi andar, fa che ti guardi, Che questi son villan molto robusti, Kispose Orlando: io lo vedrò per certo, lid avviassi a pie su pel deserto.

CANTO

PRIMO.

Disse l'Abate col segnarlo in fronte i Va' che da Dio e me sia benedetto. Oliando, poi che salito ebbe il monte. Si dirizzò, come l'Abate detto Gli aveva, dove sta quel Passamente; Il quale Orlando vepgendo soletto, Molto lo'squadra di ilrieto e davaMte, Poi domandò,- »e star volea per fante. E promettavi di farlo godere'. Orlando disse : pazzo Saracino, 10 vengo a te, come è di Dio volere, Per darti morte, e non per ragazzino; A' monaci suoi fatto hai dispiacere: IS'on può più comportarti, can mastino. Questo gigante armar si corse a furia. Quinto sentì eh' e' gli diceva ingiuria. E ritornato ove aspettava Orlando, 11 qual non s'era partito da bomba; Subito venne la corda girando, E lascia un sasso andar fuor della fromba, Che in sulla testa giugnea rotolando Al Conte Orlando, e l'elmetto rimbomba: E cadde per la pena tramortito, Ma più che morto par, tanto è stordito. Passamonte pensò che fussi morto. E disse: io voglio andarmi a disarmare; Questo poltron per chi m'aveva scorto? Ma Cristo i tuoi non suole abbandonare. Massime Orlando, e h ' egli arebbe il torto. Mentre il'Gigante l'arme va a spogliare, Orlando in questo tempo si risente, E rivocava e la forza, e la mf.ntr.

12

MORGANTE

MAQGIOUE.

E ' gridò forte ; gigante, ove vai P B e n ti pensasti d'avermi ammazzato ! Volgiti a drietp, che s'alie non hai, U o n puoi da me fuggir, can rinegato; A tradimento ingiuriato m' hai. Donde il Gigante allor maravigliato,. S i volse a drieto e riteneva il passcu P o i si chinò pei; tor di terra un casso. Orlando avea Cortana ignuda in ' m a n o } Trasse alla testa, e Cortana tagliava: P e r mezzo il teschio parti del Pagano, K Passamonte morto rovinava, E nel cadere, il superbo e villano, Pivotamente Macon bestemmiava: M a mentre eh? bestemmia il crudo e acerbp, Orlando ringraziava il Padre e '1 V e r b o . D i c e n d o : quanta grazia oggi m ' ha* datai Sempre ti sono, o Signor mio, t e n u t o ; P e r te conosco la vita salvata, P e r ò che dal gigante era abbattuto : Ogni cosa a ragion fai misurata, N o n vai nostro poter sanza il tuo a j u t o ; Priegoti sopra me tenga la mano, T a n t o che ^ i c o r ritorni a Carlo M a n o . P o i ch'ebbe questo detto, s?n' andoe. T a n t o che t i uova Alabastro più basso, Che si sforzava, quando e' lo trpvoe, D i svegliar d'una ripa fuori un masso. Orlando, com* e' giunse a quel, gridoe : Che pensi t u , ghiotton, gittai quel sasso? Quando Alabastro questo grido intende, Subitamente la sua fromba prende.

CANTO

PRIMO.

E trasse d' una pietra molto grossa, Tanto eh' Orlartelo bisognò sthermisst} Che se 1* avessi giunto la percossa, Non bisognava il Medico venisse. Orlando adoperò poi la sua possa. Nel pettignon tutta la spada Ulisse; E morto cadde questo badalone, E non dimenticò però Macone; Morgante aveva al suo modo un palagio Fatto di frasche, e di schegge $ è di terra) Quivi, secondo l u i , si posa ad agio* Quivi la notte si rinchiuda e serra. Orlando picchia, e daragli disagio, Perchè il gigante dal sonno si sferra; Vennegli aprir come una cosa matta, Ch' un' aspra visione aveva fatta; E'gli parsa, eli'un feroce serpente L'avea assalito,.e chiamar Macomettoj Ma Macometto non valea niente, Ond' e' chiamava Gesù benedetto; E liberato l'avea finalmente. Venne alla p o r t a , ed ebbe còsi dettò: Chi bussa qui ? pur sempre borbottando« Tu'l saprai t o s t o , gli rispose Orlando: Vengo per farti, come a' tuo* fratelli^ Far de' peccati tuoi la penitenzia; Da' monaci mandato cattivelli, Come stato è divina providenzia, Pel mal ch'avete fatto a torto a quelli^ E dato in ciel cosi questa sentenzia: Sappi, che freddo già più ch'un pilastro Lasciato h o Passamonte e'1 tuo Alabastro«

I4

MORGASTE

M A G G I O BE.

Disse Morgante: o gfntil cavaliere. P e r lo tuo D i o , non mi dir villania 1 Di grazia il nome tuo vorrei sapere. Se se' Cristian, deh ! dillo in cortesi». Rispose Orlando : di cotal mestiere Contenterotti per la fede mia. Adoro Cristo, eh' è Signor verace, E puoi tu a d o r a r l o , se ti piace. Rispose il Saracin con umil v o c e : Io ho fatta una strana visione, Che m'assaliva un serpente feroce, Non mi valeva per chiamar M a c o n « ; Onde al tuo D i o , che fu confitto in erose, Rivolsi-presto la mia intenzione: E* mi soccorse, e fui libero e sano, E son disposto al tutto esser Cristiano. Rispose Orlando : Baron giusto e pio, Se questo buon voler terrai nel core, I./ anima tua ara quel vero Dio, Che ci può sol gradir d'eterno onore; E s'tu v o r r a i , sarai compagno mio, E amerotti con perfetto amore: GÌ* Idoli vostri son bugiardi e vani, Il vero Dio è lo Dio de' Cristiani. Venne questo Signor sanza peccato Nella sua madre vergine pulzella ; Se conoscessi quel Signor beato, Sanza'l qual non risplende sole o steli», Aresti già Macoli tuo rinegato, E la sua fede iniqua ingiusta e fella : Battezzati al mio Dio di l>uon talento. Morgante gli rispose : io son contento.

CASTO

PRIMO.

E corse Orlando 6ubito abbracciare} Orlando gran carezze gli facea, E disse : alla badia ti vo' menare. M o r g a n t e : andianvi p r e s t o , risponde». Co' monaci la piace si vuol fare. Della qual cosa Orlando in se godea. D i c e n d o : fratel mio divoto e buono, 10 vo* che chiegga all' Abate perdono. D a poi che D i o ralluminato t ' h a , lid accettato per la sua umillade, Vuoisi che tu ancor usi umiltà. Disse M o r g a n t e : per la tua bontade, P o i che il tuo D i o mio sempre ornai sarà. Dimmi del nome tuo la veritade: Poi di me dispor puoi al tuo comando. Oiid' e' gli disse, c o m ' egli era Orlando. Disse il gigante: Gesù benedetto. Per mille volte ringraziato s i a ; Sentilo t ' h o n o m a r , B a r o n perfetta* Ter tutti i tempi della vita m i a : . E c o m ' io dissi, sempre mai- soggetto. Esser ti vo' per la tua gagliardia. Insieme molte cose ragionaro, £ 'nverso la badia poi s" inviaro. E fer la via da que' giganti m o r t i ; Orlando con Morgante si ragiona: Della l o r morte vo* che ti conforti, E poi che piace a D i o , a me perdona; A' monaci avean fatto mille torti, E la nostra scrittura aperta suona: 11 ben r e m u n e r a t o , e'1 mal punito, E mai non ha questo Signor fallito.

IS

MORGANTE

MAGGIORE.

Però eh' egli aitia la giustizia tanto, Che vuol che sempre il suo giudicio mord» Ognun, eh' abbi peccato t a n t o , o quanto; E còsi il ben ristorar si ricorda, E non saria sanza giustizia santo: Adunque al suo voler presto t' accordi, Che debbe ognun voler quel che vuol questo» Ed accordarsi volentieri e presto^ E sonsi i nostri dottori accordati. Pigliando tutti una conclusione, Che que* che son nel ciel glorificati» S'avessin nel pensitr compassione De' miseri p a r e n t i , che dannati Son nello inferno in gran conf usione ; L a l o r feliciti nulla sarebbe ; E vedi che qui ingiusto Iddio parebbe. M a egli hanno posto in Gesù ferma Spiti«» E tanto pare a lor, quanto a lui p a r e ; Affermali, ciò eh'- le' f a , che facci bene, E eh' e' non possi in nissun modo errare* Se padre o m a d i e è nell" eterne pelle. Di questo non si po9son conturbare; Che quel che piace a D i o , sol piace à loro, Questo s' osserva nell' eterno coro. Al savio suol bastar poche parole» Disse M o r g a n t e , tu il potrai vedere. De' miei fratelli, Orlando, se mi duole) E s* io m'accorderò di Dio al volére, Cortie tu di' che in ciel servar si suole: M o r t i co' m o r t i , or pensiam di godere; Io vo J tagliar le mani a tutti quanti, E porterolle a que' monaci santi.

CAÌÌTO

PRIMO.

Acciò eh' ognun sia pia sicuro e certo» C o m ' e' son m o r t i , e non abbin paura Andar soletti p e r questo deserto; E perchè veggàn la mia mente pura A quel S i g n o r , che m* h a i il suo regno aperto, E tratto f u o r di tenebre si oscura. E poi tagliò le mani a' duo fratelli, E lasciagli alle fiere ed agli uccelli* Alla b a d i a insieme se ne vanno, Ove 1* Abate assai dubbioso aspetta; I monaci che '1 fatto ancor non sanno, Correvano all' Abate tutti in fretta* Dicendo paurosi e pien d' affanno: V o l e t e voi costui drento si m e t t a ? Quando 1' Abate vedeva il gigante; Si turbò tutto nel p r i m o sembiante. Orlando che turbato cosi il vede. Gli disse p r e s t o : A b a t e , datti pace, Questi è C r i s t i a n o , e in Cristo nostro crede, E rmegato ha il suo M a c o n fallace. M o r g a n t e i m o n c h e r i n mostrò per fede, Come i giganti ciascun morto g i a c e ; Donde 1' Abate ringraziava Iddio, D i c e n d o : or m' h a i contento, Signor m i o . E risguardava è squadrava Morgante, La sua grandezza e una v o l t a , e d u e ; E poi gli disse: famoso gigante, Sappi eh' io non mi maraviglio piue. Che tu svegliessi e gitassi le piante, Quando- io r i g u a r d o or le fattezze tue : T u sarai or perfetto , e vero amico A C r i s t o , quanto tu gli eri nimico»

l'odi

Voi. /X

B

M O R G A N TE

MAGGIORE.

U n nostro Aposto], Saul già chiamato, Perseguì molto la Fede di Cristo ; U n giorno poi dallo spirto inlìammato: P e r c h è p u r mi persegui? disse C r i s t o ; E* si ravvide allor del suo p e c c a t o : Andò poi predicando sempre Cristo, E fatto è or della fede una t r o m b a , La qua] per tutto risuona e r i m b o m b a . Così farai tu a n c o r , Morgante mio, E chi s' e m e n d a , è scritto nel Vangelo, C h e maggior festa fa d' un solo Iddio, C h e di novantanove altri su m cielo : lo ti conforto eh* ogni, tuo disio Rivolga a quel Signor con giusto zelo, Che tu sarai felice in sempiterno, C h ' - e r i perduto e dannato all' inferno. E grande onore a Morgante faceva L ' A b a t e , et molti dì si son posati: Un g i o r n o , come ad O r l a n d o piaceva, A spasso in qua e in là si sono andati; l . ' Abate in una sua camera aveva Molte a r m a d u r e e certi archi appiccati, Morgante gliene piacque un che ne vede. Onde e' sei cinse b e n c h ' o p r a r noi crede. Avea quel luogo d' acque carestia, Orlando disse come buon fratello : M o r g a n t e , vo' che di piacerti sia Andar per 1' a c q u a ; o n d ' e' rispose a q u e l l o ; Comanda ciò che v u o i , che fattò sia; E posesi in ¡spalla un gran tinello, Ed avviossi là verso una fonte, Dove solea ber sempre appiè del monte.

C a n t o

PRIMO.

G i u n t o alla fonte, sente un gran fracasso Di s u b i t o venir per la foresta. U n a saetta cavò del turcasso, P o s e l a a l l ' a r c o ed alzava l a t e s t a ; E c c o apparire u n a gran gregge al passo Di p o r c i , e v a n n o con m o l t a tempesta, E a r r i v o r n o alla fontana a p p u n t o . Donde il gigante è da l o r sopraggiunto« M o r g a n t e alla ventura a un saetta. Appunto nell' o r e c c h i o lo' n c a r n a v a ; Dail' altro l a t o passò l a verretta, Onde il cinghiai giù m o r t o g a m b e t t a v a : Un altro, quasi p e r farne vendetta, Addosso al g r a n gigante irato andava ; E p e r c h è e' giunse t r o p p o tosto al v a r c o . Non fu M o r g a n t e a t e m p o a t r a r c o l l ' a r c o . Vedendosi v e n u t o il porco a dosso, Gli dette in sulla testa un gran punzone, P e r m o d o c h e gl'infranse insino all'osso, Ii m o r t o allato a q u e l l ' altro lo pone : Gli altri p o r c i , v e g g e n d o q u e l percosso, Si misson tutti in f u g a p e l v a l l o n e ; M o r g a n t e si levò il l i n e i l o in c o l l o , C h ' e r a pien d ' a c q u a , e n o n si m u o v e un c r o l l o . D a l l ' una spalla il t i n e l l o avea posto, D a l l ' altra i p o r c i , e spacciava ii t e r r e n o ; E t o r n a a l l a b a d i a cli'è p u r discosto, C h ' una g o c c i o l a d ' a c q u a n o n va in seno. O r l a n d o c h e ' l vedea t o r n a r sì tosto C o ' p o r c i m o r t i , e con quel vaso p i e n o ; M a r a v i g l i o s s i c h e sia tanto forte, Così 1' A b a t e , e spalancali le p o r t e . B 2

20

MORGAKXE

MAGGIORE,

I monaci veggendo l'acqua fresca, Si rallegrorno, ma più de' cinghiali ; C h ' ogni animai si rallegra dell' esca, E posono a dormire i breviali : Ognun s'affanna, e non par che gl'incresca, Acciò che questa carne non s'insali, l i che poi secca snppessi di vieto, l i le digiune si restorno a drieto. E ferno a scoppia corpo per un tratto, E scuffiali, che parien dell' acqua u s c i t i ; T a n t o che '1 cane sen doleva e '1 gatto. Che gli ossi rimanean troppo puliti. ]-'Abate , poi che molto onore ha fatto A tutti, un d'i dopo questi conviti, Dette a Morgante un destrier molto b e l l o , Che lungo tempo tenuto avea quello. Morgante in su'n un prato il cavai m e n a , E vuol che corra e che facci ogni pruova< E pensa chn di ferro abbi la schiena, O forse non credeva schiacciar l ' u o s a ; Questo cavai s'accoscia per la pena. E scoppia, e'ii sulla terra si ritruova. D i e t a Morgante : lieva su , rozzone ; E va pur punzecchiando collo sprone. M a finalmente convien eh* egli smonte, E disse: io soa pur leggier come penna, Ed è scoppiato; che ne di' tu, C o l i t e ? l\ispose O r l a n d o . un arbore d'antenna M i par piuttosto , e la gaggia la froMe ; Lascialo andar, che la fortuna accenna. Che meco appiede ne venga Morgante. Ed io cosi v e r r ò , disse il gigante.

CANTO

PRIMO.

Quando sarà mestier, tu mi vedrai Corri' io mi proverrò nella battaglia. Orlando disse: io credo tu farai C o m e buon cavalier, se Dio mi vaglia. E d anco me dormir non mirerai, Di questo tuo cavai non te ne caglia, Vorrebbesi portarlo in qualche bosco, M a il modo uè la via non ci conosco. Disse il gigante : io il porterò ben i o . D a poi che portar me non ha voluto, P e r render ben per mal, come fa Dio ; M a vo' ch'a porlo addosso mi dia a j u t o . Orlando gli dicea : Morgante mio, S'al mio consiglio ti sarai attenuto, Questo cavai tu non vel porteresti, Che ti farà come tu a lui facesti. G u a r d a che non facesse la vendetta, Come fece già Nesso così morto, N o n so se la sua istoria hai inteso o letta, E' ti farà scoppiar, datti conforto. Disse M o r g a n t e : ajuta ch'io mei metta Addosso, e poi vedrai s'io ve lo p o r t o ; Io porterei, Orlando mio gentile, Colle campane là quel c a m p a n i l e . Disse l'Abate : i l campanjl v'è bene. M a le campane voi l'avete rotte, Dicea Morgante : e' ne porton le pene Color che morti son là in quelle g r o t t e ; E levossi il cavallo in sulle schiene, E disse : guarda s'io sento di gotte, Orlando, nelle gambe, o s' io io posso; E fe duo' salti col cavallo addosso.

¡¿2

MORGANTE

MAGGIORE.

E r a M o r e a n t e come una montagna, Se Iacea questo, non è maraviglia : M a pure Morgante con seco si lagna, Perchè p u r «ra di sua famiglia. T e m e n z a avea non pigliassi magagna; U n ' altra volta cosmi «consiglia : t'osalo ancor, noi portare al deserto. Disse Morgante: il porterò per certo. E portollo, e gittollo in luqgo strano; E tornò alla badia subitamente. Diceva Orlando : or che più dimoriano ? M o r g a n t e , qui non fai ciani noi niente; E prese un giorno l'Abate per m a n o , E disse a quel m o l t o discretamente, Che vuol partir dalla sua Reverenzia, E domandava e p e r d o n o , e licenzia. E degl' onor ricevuti da questi Qualche volta potendo ara b u o n merito, E dice: io intendo ristorare e presto I persi giorni del t e m p o p r e t e r i t o ; E ' son più d'i che licenzia arei chiesto, Benigno p a d r e , se n o n eh' io mi perito : N o n so mostrarvi quel che drento sento. T a n t o vi veggo del mio star contento. l o m e ne p o r t o per sempre nel core L'Abate, la badia, questo deserto, T a n t o v'ho posto in piccol t e m p o a m o r e ; Rendavi su nel ciel per me b u o n merto Quel vero D i o , quell' eterno Signore, Che vi serba il suo regno, al fine a p e r t o ; N o i aspettiam vostra benedizione, Rnccomandiamci alle vostre orazione.

C a n t o

PRIMO.

Q u a n d o 1' Abate il Conte Orlando intese, Rinlenerl nel cor per la dolcezza, T a n t o iervor nel petto se gli accese, E disse: cavalier, se a tua prodezza N o n sono stato benigno e cortese, C o m e conviensi alla gran gentilezza, C h e so, che ciò eh' i' h o fatto, è stato poco I n c o l p a la ignbranzia nostra, e il loco. N o i ti p o t r e m o di messe onorare. D i prediche, di laude e paternostri, P i u t t o s t o che da cena o desinare, O d'altri convenévol che da chiostri: T u m ' h a i di te sì fatto innamorare P e r mille alte eccellenzie che tu mostri, C h ' io me ne v e n g o , ove tu a n d r a i , con teca E d'altra parte tu resti qui meco. T a n t o t h ' a questo par contradizione, M a so che t u se' savio, e 'ntendi e gusti, E intendi il mio parlar per discriziohe: D e ' benefici t u o i pietosi e giusti R e n d a il Signore a te numerazione, D a cui m a n d a t o in queste selve f u s t i : P e r le virtù del qual liberi siamo, E grazie a * lui e a te noi ne rendiamo. T u ci h a i salvato l'anima e la vita. T a n t a perturbazion già que' giganti Ci d e t t o n , c h e ' l a strada era smarrita D a ritrovar Gesù cogli altri santi; P e r ò t r o p p o ci duol la tua partita, E sconsolati restiam tutti q u a n t i : N e ritener possianti i mesi, e gli anni, C h e tu n o n se' da vestir questi panni.

24

MORGASTE

MAGGIORE.

M a da portar la lancia e l ' a r m a d u r a , E puossi meritar e o a essa come Con questa c a p p a ; e leggi la S c r i t t u r a ; Questo gigante al ciel drizzò le some P e r tua v i r t ù : va in pace a tua ventura C h i tu ti sia, ch'io non ricerco il n o m e ; M a dirò sempre, s'io son domandato, Q i ' un angiol qui da Dio fussi mandato. Se c' è armadura o cosa che tu voglia, Vattene in zambra e pigliane tu stessi, E c u o p n a questo gigante la scoglia. Rispose Orlando : se armndura avessi, P r i m a che noi uscissiip della soglia, Che questo mio compagno difendessi; Questo accetto io, e sarammi piacere. Disse 1' A b a t e : venite a vedere. E in certa cameretta entrali sono, Che d'armadure vecchie era c o p i o s a ; D i c e 1' A b a t e : tutte ve le dono, ftlorgante va rovistando ogni cosa, M a solo un certo sbergo gli fu b u o n o , C h ' avea tutta maglia rugginosa ; M a r a v i g l i a s i che lo cuopra appunto, Che mai più gnun forse glien' era aggiunto, Questo f u d'un gigante smisurato, C h ' alla badia fu morto per antico Dal gran Milon d'. Angrante eh' arrivato V ' e r a , s' appunto questa istoria dico ; Ed era nelle mura istoriato, Come e' fu morto questo grar» nimico, Che fece alla badia già lunga guerra : E M i l o n v* è com' e' 1* abbatte in terra.

C A N T O

PIIIMO.

V e g g e n d o questa Istoria il Conte Orlando, Fva suo cor disse: o D i o che sai sol t u l i o , C o m e venne M i l o n qui capitando, Che lia questo gigante qui distrutto ? E lesse certe letter lagrimando, C h e n o n ' p o t è tener più il viso asciutto. Corri' io dirò nella seguente i s t o r i a ; Di mal vi guardi il K e dell' alta gloria.

20

M O R G A N T E

M /

ÙGIOKE,

IL

MORGANTE MAGGIORE DI

MESSER LUIGI PULCI. A R G O M E N T O . Ad Orlando e a Morgante il Padre Abate Dà '/ bttoti viaggio, e la b eri edizione ; Trovati 'ti un bosco vivande incantate Entro urt palagio, e san presi al boccone: Morgante a suon di molte battagliate, Un demonio aggavigna, e in tomba il pone; Di Manjredonio Re nel campo giostra Orlando, e Lieti etto a terra prostra.

CANTO

SECONDO.

o giusto, o santo, o eterno m o n a r c a , O s o m m o G i o v e per noi crociiis&o, C h e chiudesti la porta ove si varca P e r ire al f o n d o dello scuro a b i s s o ; T u che al principio movesti mia b a r c a , T u sia il nocchiere intento sempre e fisso Alla tua stella, e la tua calamita, C h e questa istoria sia per te finita.

CANTO

SECONDO.

L ' A b a t e q u a n d o vide l a g r i m a r e O r l a n d o , e d i v e n t a r le ciglia rosse, E p e r p i e t à le l u c i ì m b a m b o l a r e ; E* d o m a n d a v a , p e r c h è questo f o s s e : E p o i c h e vide O r l a n d o ¡.Mir c h e t a r e , A n c o r p i ù o l t r e l'e p a r o l e m o s s e : N o n so se a m m i r a z i o n l o r s e t ' h a v i n t o Di quel c h e in questa camera è dipinto. I o f u i della g r a n gesta n a t u r a l e , C r e d o e h ' io sia n i p o t e , o c o n s o b r i n o D i quel R i n a l d o u o m t a n t o p r i n c i p a l e . C h e f u nel m o n d o sì gran paladino ; B e n c h é il m i o p a d r e n o n f u m a d o r n a l e , P e r c h ' e' n o n p i a c q u e all' alto D i o divino, Ansuigi c h i a m o s s i in p i a n o , e in m o n t e , E '1 n o m e m i o d i r i t t o a C h i a u a m o n t e . C o s ì ' c i fussi il fìgliuol di M i l o n e , C h e f u f r a t e l del m i o p a d r e p e r f e t t o : D e h , d i m m i il n o m e t u o , gentil B a r o n e , Se cosi piace a Gesù b e n e d e t t o . O r l a n d o s' ac.cendea d' affezione, B a g n a n d o t u t t o di l a g r i m e il p e t t o . P o i disse: A b a t e m i o c a r o p a r e n t e , S a p p i e h ' O r l a n d o t u o t ' è qui presente. P e r tenerézza c o r s o n o abbracciarsi, O g n u n p i a n g e v a di supercliio a m o r e , C h e n o n p o t e v a ad u n tratto sfogarsi, E p e r dolcezza t r a b o c c a nel c o r e : L ' Abate n o n p o t e a tante) saziarsi D ' a b b r a c c i a r q u e s t o , q u a n t o è il suo f e r v o r e . D i c e v a O r l a n d o : tjual g r j z i a o v e n t u r a Fa e h ' io vi t r u o v i m questa p a r t e s c u r a ?

28

MORGAKTE

MAGGIORE,

nitemi nn p o c o , caro padre mio, Perchè cagion voi vi facesti frate, E non prendesti la lancia com' io, E tante gente che di noi son n a t e ? l ' e r c h ' e' fu volontà cosi di Dio, Rispose presto ad Orlando 1' Abat?, Che. ci dimostra per diverse strade TDonde si va di nella sua citlade. Chi colla spada, chi eoi pastorale. Poi la natura fa diversi ingegni, E però son diverse queste scale ; Basta che in porto $alvo si pervegni, E tanto il primo , quanto il sezzo vale. T u l l i siam peregrin per molti regni : A Roma tutti andar vogliamo , Orlando, M a per molti sentiev n' andiam cercando. Così sempre s' affanna il c o r p o , e 1' ombra Per quel peccato dell' antico pome ; Io sto col libro in man qui il giorno e l ' o m b r a ; T u colla spada tua tra 1' elsa, e '1 pome C a v a l c h i , e spesso sudi al sole, e all' o m b r a ; M a di tornare a bomba è il fin del pome. Dico che ognun qui s'affatica, e spera Di ritornarsi alla sua antica spera. Morgante avea con loro insieme pianto, Sentendo queste cose ragionare, E pur cercava d' armadure, e 'ntanto Un gran cappel d' acciajo usa trovare, Che rugginoso si dormia in un canto. Orlando, quando gliel vide provare, Diss*e: Morgante tu pari un bel f u n g o ; M a il gambo a quel cappello è troppo lungo.

CANTO

SECONDO.

Una spadaccia ancor Morgante truova, Cinsela, e poi S G I I ' andava soletto L ì dove rotta una campana cova, Ch' era caduta j e stava sotto un tetto ; E spiccane uu battaglio a tutta pruovai E ad Orlando il mostrava in effetto : Di questo che di' t u , Signor d' Angrante ? D i c o eh' è t a l , qual conviensi a Morgante. Disse il gigante : cùn questo battaglio, Che vedi come è grave, e lungo e grosso. Non credi tu eh' io schiacciassi un sonaglio, 10 vo' schiacciare il f e r r o , e tritar l'osso ; Parmi mill' anni or d' esser al berzaglio. Orlando a Chiaramonte ha còsi mosso : Or vi vorrei p r e g a r , mio santo Abate, Che di trovar Ventuia c ' insegnate. Qualche battaglia, qualche torniamentó T r o v a r v o r r e m m o , se piacessi a D i o . Disse 1' Abate : io ne son ben contento, E credo satisfare al tuo disio; Sappi che qua verso Levante sento, Che in una gran città parente mio. Un R e Pagan vi fa drento dimoro, 11 qual si fa chiamar R e Caradoroi Ed ha una sua figlia molto bella, O n e s t a , savia, nobile e gentile, E non è uom che la muova di sella, E ciascun cavalier reputa vile ; S'ella non fussi Safacina quella, Non fu mai donna Unto signorile : Dintorno alla Città sopra a' confini Sono accampati molti Saracmi.

3o

M o

RG A S T E

M A G G I O R E .

E d evvi un R e di molta gagliardia, Manfl'edonio appellato dalla pente; Costili si m u o r per la dama Giulia, E fa gran c o s e , come A m o r consente. E d ha con seco tutta P a g a n i a , P e r acqtiistar questa donna piacente: D i c o n che v' e di paesi lontani Cento quaranta migliaja di Pagani. E - quel R e C a r a d o r n* ha f o r s e ottanta D i gente s a r a c i n a , ardita e f o r t e , E M a n f r e d o n i o ogni giorno si vanta D ' aver questa donzella, o d' aver m o r t e ; E d or t r a b o c c h i , ed or bombarde pianta^ Ognidì corre insino in sulle porte. Il Conte O r l a n d o , quando questo intese, N o n d o m a n d a r quanto disio 1* accese. E d o p o molte cose ragionate, D i n u o v o la licenzia ridomanda, D i c e n d o nuovamente al santo Abate, C h ' alle sue orazion si ivi eTommanda ; C h e vuol trovarsi fra le genti armate, In quel paese l à , ov' e' lo m a n d a , C h e li lassassi andar colla tua p a c e . D i s s e 1* A b a t e : sia c o m e a voi piace. Contento son , se tanto v* è m p i a c e r e ; V o i avete a p p a r a l a la magione, S a r ò sempre f i d a t o , e b u o n ostiere, C i ò che c' è , è del (ìgliuol di M i l o n e , M a non bisogna Ira noi p r o i f e r e r e , A tutti do la mia benedizione. Cos'i da C h i a r a m o n t e lacrimando S i dipartiruo M o r g a n t e ed O r l a n d o .

CANTO

SECONDO.

P e r lo deserto vanno alla ventura, L' u n o era a p i e d e , e l'altro era a cavallo« Cavalcon p e r la selva, e per pianura, Sanza t r o v a r ricetto , o intervallo : Cominciava a venir la notte oscura, Morgante p a r e a lieto sanza fallo, E con O r l a n d o ridendo dicia: E' p a r eli' io vegga appresso un* osteria. E* n questo ragionando h a n n o veduto Un bel palagio in mezzo del deserto: O r l a n d o , p o i e h ' a questo fu venuto, D i s m o n t a , p e r c h è 1' uscio vide a p e r t o ; Quivi n o n è chi r i s p o n d a al saluto. Vanitone in sala p e r esser più c e r t o ; Le mense riccamente son parate, E tutte le vivande accomodate. Le camere erari tutte ornate e belle. Istoriate c o n sottil lavoro, E letti m o l t o ricchi erano in "quelle, Coperti tutti quanti a drappi d' o r o : I palchi e r a n o azzurri pieri di stelle, Ornati sì , c h e valieno un t e s o r o ! Le porte eran di b r o n z o , e qual d'argento,. E m o l t o vario e Cieto è il pavimento. Dicea M o r g a n t e : n o n è qui persona A g u a r d a r questo sì r i c c o palagio? Orlando : questa stanza mi p a r buona, N o i ci staremo u n giorno con grand* agio. O r l a n d o nella mente sua ragiona : O qualche Saracin m o l t o malvagio V o r r à , c h e qualche t r a p p o l a ci scocchi. Per pigliarci al b o c c o n come i r a n o c c h i .

32

MORGAKTE

M A G G JOHII,

O v e r a m e n t e e* c' è sotto s l t r o i n g a n n o ; Questo non p a r che sia conveniente. Disse M o r g a n t e : questo è p o c o d a n n o , E cominciava a ragionar col dente, D i c e n d o : all' oste r i m a r r à il m a l a n n o ; M a n g i a m pur m o l l o ben p e r al presente. Quel c h e ci resta fareni p o i f a r d e l l o , Ch* io p o r t e r e i , q u a n d ' io r u b o , u n castello. Ri:,pose Orlando : questa medicina F o r s e p o t r e b b e il P a l a g i o p u r g a r e . H a n n o c e r c a l o insino alla cucina, N e c u o c o , nè vasallo usau trovare : A d u n q u e o g n u n o alla mensa c a m m i n a , C o m i n c i a l i le mascella a d b p e r a r e ; C h ' un giorno g i i avien rilangìato in t o g n ó , T a l c h e di vettovaglia era bisogno. Quivi è vivande di molte r a g i o n i . Pavoni, e starne, c leprette, e fagiani, C e r v i , e c o n i g l i , e di grassi capponi, E vino ed ;H qua p e r b e r e e per m a n i . M o r g a n t e b a d i g l i a v a a gran b o c c o n i , l i l u r n o al b e r e i n f e r m i , al m a n g i a r i a n i ; E poi c h e sono stati a l o r diletto, S i rìposorno entro a un r i c c o letto. C o m ' e' fu l ' a l b a , ciascun si l e v a v a , E credonsene andar come e r m e l l i n i , N e p e r f a r conto 1' oste si c h i a m a v a , C h e lo volsan p a g a r di bagattini ; M o r g a n t e in qua e in là p e r casa andava, E non r l t r u o v a dell' uscio i c o n f i n i : Diceva Orlando : s a r e m o noi mezzi D i v i n , t h e 1' uscio n o n ti r a c c a p e z z i ?

CANTO

»SECONDO.

Questa è , s' io non m' inganno, pur la sala, Ma le vivande e le mense sparite Veggo che FOII; quivi eri pur la scala: Qui son gente stanotte comparite, Che come noi aranno latto gala: I.e cose che avanzorrio ove son ite ? E' 11 questo error un gran pezzo soggiornano, Dovunque e" vanno, in sulla sala tornano. N o n riconoscon uscio ne finestra; D i n a Mercante: ove siam noi entrati? jNoi smaltiremo, O r l a n d o , la minestra, Che noi ci siam rinchiusi e Sviluppati, Come fa il bruco su per la ginestra. Rispose Orlando: anzi ci siam murati. Disse Morgante : a voler il ver dirli, Questa mi pare una stanza da spirti. Questo palagio, O r l a n d o , sia incantato, Come far si soleva anticamente. Orlando njille volte s' è segnato, K non poteva a se ritrar la mente; Fra se dicendo; areinol noi sognato? Morgante dello scotto non si pente, E disse: io so eh' al mangiate era desto, O r 11011 mi curo s' egli è sogno il resto. Basta che le vivande non sognai, £ s' elle fussin ben di Satanasso ; Arrechimene pure innanzi assai. I re giorni in questo error s' andorno a spassa, Sanza trovare ond' egli usossin mai; E '1 terzo giorno scesi giù da basso, 'N una loggia arrivorno per ventura. Donde un suono esce d' una sepoltura. Poeti Fot. IX. C

34

MORGANTE

MAGGIORE,

E dice : cavalieri, errati siete, Voi non potresti di qui mai partire, Se meco prima non v' azzufferete ; Venite questa lapida a scoprire, Se non che qui in eterno vi starete. Perchè Morgante cominciò a dire : Non senti t u , Orlando, in quella tomba Quelle parole che colui rimbomba: Io voglio andar a scoprir quello avello. L à dove e' par che quella voce s' oda, Ed escane Cngnazzo e Fatterello, O I.ibicocco col suo Malacoda; E finalmente s' accostava a quello, Però che Orlando questa impresa loda, E disse : scuopri, se vi fussi dentro Quanti ne piovon mai dal ciel nel centro. AUor Morgante la pietra su alza, Ed ecco un diavol più eli' un carbon nero. Che della tomba fuor subito balza In un carcame di morto assai fiero, C h ' avea la carne secca, ignuda e scalza. Diceva Orlando: e' sia pur la dovero, Questo è il diavol, eli' io '1 conosco in faccia, E finalmente addosso se gli caccia. Questo diavol con lui s' abbraccioe. Ognuno scuote, e Morgante diceva: Aspetta, Orlando, eh' io t' ajuteroe. Orlando ajuto da lui non voleva: Pure il diavol tanto lo sforzoe, C h ' Orlando ginochion quasi cndeva; Poi si riebbe, e con lui si rappicca: Allor Morgante più oltre si ficca.

CANTO

SECONDO.

E gli parea mill' anni d' appiccare I.a zuffa ; e come Orlando cosi vide. Comincia il gran battaglio a scaricare, E disse : a questo modo si divicfe. Ma quel demon lo iacea disperare; Però che i denti digrignava, e ride. Morgante il prese alle gavigne istretto* £ misel nella tomba a suo dispetto. Come e' fu d r e n t o , gridò : non serrare, Che se tu serri, mai non uscirai, Diceva O r l a n d o : che dobbiam noi f a i » ? F,' gli rispose: tu lo sentirai: Convienti quel gigante battezzare, P o i a tua posta andar te ne potrai : Fallo cristiano , e come e' sarà latto, Al tuo cammin ne va sicuro e ratto. Se t u mi lasci questa tomba aperta, N o n vi iarò più noja o increscimento ; Ciò eh' io ti dico abbi per cosa certa. Orlando disse : di ciò son contento. Benché tua villania questo non merta, Ma p e r partirmi di q u i , ci consento: Poi tolse 1' acqua e battezzò il gigante, E d uscì f u o r con Rondello e Morgante, E come e' f u f u o r del palagio uscito, Sentì drento alle mura un gran romore, Onde e' si volse, e '1 palagio è s p a n t o : Allor conobbe più certo 1' errore, i3on si rivede nè mura, nè il sito. Dicea Morgante : e' mi darebbe il cuore C h e noi potrer.-.mo or nell' inferno andare, £ far tutti i diavoli sbucare. G a

36

MORGANTE

MAGGIORE.

Se si potessi entrar di qralche loco, Che nel m o n d o è certe b u c h e , si dice, D o n d e e' si v a , che di f u o r gittan f u o c o , E non so chi v'andò per Euridice ; Io sti ìerei tutt* i diavol poco : N o i ne trarremmo 1' anima infelice, E tagliere! la coda a quel Minosse, Se come questo ogni diavol fosse. E pelerò la barba a quel Cal'on, E leverò ci e 1 ! a sedia P l u t o n e , U n sorso mi vo' far di Flegeto'n, E inghiottir quel Flegias *n un b o c c o n e . T e s i l o , Aletto , Megera e Eriton, E Cerbero ammazzar con un p u n z o n e , E Belzebù farò fuggir più via C h ' un dromedario non andre' ir» Soria. N o n si potrebbe trovar qualche b u c a ? T u vi vedresti; il più bello spuleazo, P u r che questo, battaglio vi conduca, E mettimi a' diavoli poi in mezzo. Rispose O r l a n d o : e' non vi si manuca, Morgante m i o , noi vi faremo lezzo, E iiell' entrar ci potremo anco c u o c e r e ; D u n q u e 1* andata sarebbe per nuocere. Q u a n d o tu p u o i , Morgante , ir p e r la piana. N o n cercar mai ne 1' e r t a , ne la scesa, O di cacciare il capo in buca o in tana : Andiam p u r per la via nostra distesa, E cosi ragionando una fontana T r o v o r o n dove due fan gran contesa; E r o n corrjer con lettere mandati, E come ipicci si son bastonati.

CANTO

SECONDO.

O r l a n d o com* e' giunse gli d o m a n d a : D i t e m i 11)1 p o c o p e r c h è v' azzufate ? V o i m i p a r e t e c o r n e r ; c h i vi m a n d a ? O che i m b a s c i a t e o lettere p o r t a t e ? V e n i t e voi di F r a n c i a , o di q u a ] banda ? L a s c i a t e un p o c o star le bastonate. D i t e m i a n c o r se voi siete C r i s t i a n i , S e D i o vi 6alvi i bastoni e le m a n i . R i s p o s e 1' u n di l o r o : io son C r i s t i a n o . E p o c o t e m p o è e h ' io venni abitare A u n Castel c h i a m a t o M o n t a l b a n o ; R i n a l d o , il m i o S i g n o r , mi fa cercare D* u n suo c u g i n o , e '1 traditor di Gano L o seguita per far m a l e a r r i v a r e ; M a n d a costui c h e tu vedi cercando D i q u e s t o suo c u g i n , eh' h a n o m e O r l a n d o A questa fonte a caso ci t r o v a m m o , E c o m ' egli è de' nostri pari usanza D i d o m a n d a r 1' u n 1' a l t r o , d o m a n d a m m o C h e l e t t e r e o i m b a s c i a t a h a i d' i m p o r t a n z a E c o m e s t r a c c h i , uu p o c o ci p o s a m m o ; C o s t u i m i dice che Gan di M a g a n z a P e r f a r m o r i r O r l a n d o lo m a n d a v a , E c h e p e r P a g a n i a di l u i c e r c a v a . E p e r c h ' i o presi l a p a r t e d' Orlando» A l z ò l a m a z z a sanza dir n i e n t e ; C o s i si venne l a zuffa a p p i c c a n d o . O r l a n d o q u a n d o le p a r o l e sente, D i c e v a : o D i o , a te m i r a c c o m a n d o ! D a questo t r a d i t o r e e fvodolente l o p u r n o n t r u o v o , o v u n q u e i' m i dilegui, L u o g o c h e '1 traditor non mi p e r s e g u i .

38

MORGANTE

MAGGIORE.

Quando Morgante vede il suo Signore, Che si doleva e contro a Gano sbuffa; Tanto gli venne sdegno e pietà al core, C h e per la gola il corrier tosto c i u f f i : Cioè quel i h e mandava il traditore ; E nella fonte sott' acqua lo tuffa, Calpesta e p i g i a , e per ira si sfoga, T a n f o che tutto lo' nfranse ed affoga, Orlando disse a quell' altro corriere: Io son colui per chi tu se' m a n d a t o ; D i ' a Rinaldo che in questo sentiere, Come tu v e d i , il cugino hai trovato : Io son O r l a n d o , e poi eh' egli è in piacere D i Carlo , vo pel mondo disperate. Quando il corrier sentì eh' Orlando è questo, Maravigliossi e inginocchiossi presto. Dimmi a Carlo , diceva ancora Orlando, Che si consigli col suo Gnno a m i c o , Ed io pel mondo vo peregrinando Come s' io fussi qualche suo n i m i c o ; Digli dove t r o v a t o , e come e quando T u m' hai qui s o l o , e povero e m e n d i c o : E quel eh' 1' h o f a t t o , c o r r i e r , per costui. Credo che' 1 sappi ognun salvo che lui. Che non sa quel che beneficio sia, Non si ricorda eh' io sia suo nipote, O eh' in sua corte in Francia stessi o stia, Basta che Gan ciò che vuol con lui puote ; T a n t o eh' io me ne vo in Pagania, P u r come vpglion le volubil rote : E di' eh 3 i' ho sol con meco un gigante, C h ' è battezzato, appellato Morgante.

CANTO

S,'ECO'NDO,

Il e a vai che tu vedi, e questa spada, Altro n o n h o , se non questa armadura; E eh' io non so io stesso ov" io mi vad«| O dove ancor mi guidi la ventura: Ma inverso Barberia tengo la strada ; Andrò dove mi porta mia sciagura, P o i eh' e' consente a cercar la mia m o r t e ; E che mai più n o n tornerò in sua corte. D i m m i a Rinaldo m i o , figliuol d* Amone, Che la mia compagnia che io lasciai, Gli raccomando con affezione; C h ' io penso in Pagania morire ornai: Saluta A s t o l f o , N a m o , e Salamone, E Berlinghier che sempre molto amaij A Uiivier di' che la sua sorella Gli r a c c o m a n d o , e mia sposa Alda bella. Dimmi al Danese , caro imbasciadore, Che in Francia a questi tempi non m ' aspetti r E di' eh' i' h o Cortana e '1 corridore, Acciò che forse di ciò ignun sospetti} Della mia sopravvesti il suo colore Vedi come è dipinta a Macometti : Che si ricordi del suo caro Orlando, Che va pel m o n d o sperso or tapinando* D i m m i il tuo nome o r , se t* è in piacimento, Ond* e' rispose: questo è ben dovere. O Signor mio.' chiamar mi f o Chimento: Cristo ti muti di si stran pensiere, Che t u a risposta mi dà gran t o r m e n t o , Questo n o n è quel che '1 Signor mio chiere: I o v o g l i o , Orlando m i o , mi perdoniate, E «he alquante parole m* ascoltiate.

4o

MOROANTE

MAGGIORE.

Quand' io da Montalban feci partita, I o fui a P a r i g i , d^nd' io vengo adesso: L a corte parè una cosa smarrita, L o 'mperador non pareva più desso : V e d o v o il r e g n o , e la gente stordita: G l i orecchi debbon cornarvi qui spesso, C h ' ognun ragiona della vostra fama, E '1 popol tutto ad un grido vi chiama. Il mio Signor con gran disio v* aspetta, Parigi e Francia ogni cosa si duole. Or vi vo' dire una mia novelletta, C h e spesso la ragion 1* esemplo vuole. U n tratto a passo anco la formichetta Andò pel m o n d o , come far si : u o l e , E t r o v ò in fine un teschio di cavallo, E semplicetta cominciò a cercallo; Quand' ella giunse ove il cervello stava, Questa gli parve una stan?a si bella, Che nel suo cor tutta si rallegrava; E dicea seco questa meschmella: Qualche Signor per certo ci abitava; M a lilialmente cercando ogni cella, N o n vi trovava da mangiar niente, E di sua impresa alla line si pente. E ritornossi nel suo bucolmo. Perdonimi s' io f a l l o ; chi m' ascolta Intenda il mio volgar col suo I a l i n o : I o vo' che a me crediate questa volta, E ritorniate al vostro car cugino, Se non eh' ogni speranza gli sia tolta} Disse che mai a lui 110:1 ritornassi, Se meco in Francia non vi rimenassi.

C A N T O

SECONDO.

II grande a m o r mi sforza a quel eli' i ' di R i c o n o s c e t e e gli amici, e' parenti, I . ' andar cosi pel m o n d o è pure o s t i c o . O r l a n d o u d e n d o 1 suo' ragionamenti, Dis^e : C h i m e n t o , tu se' b u o n o a m i c o , E gittò f u o r molti sospir dolenti, E da c o s t u i al fin s' a c c o m m i a t a v a , Sanza altro dir, c h e piangendo 11' andava. O r l a n d o p o i elle p a r l i da C h i m e n t o , T u t t o quel g i o r n o seco h a s o s p i r a t o ; C o s i il messaggio ne va mal contento, N 0 1 1 sa c o m e a R i n a l d o sia tornato. M o r g a n t e ne va appiè di b u o n talento C o n quel battaglio e h ' è d u r o e g r a n a t o ; E in su ' n un p o g g i o le P a g a n e schiere Di Manfredon cominciano a vedere. P a d i g l i o n i , trabacche^ e p e n u o n c e l l i , E sentono stormenti oltramisura, N a c c h e r e , e c o r n i , e t r o m b e , e tamburelli, E c a v a l i e r coperti d ' a r m a t u r a V e d e a n c o g l i elmi rilucenti e b e l l i ; O r l a n d o guarda i n v e r s o la p i a n u r a , E vede tanti P a g a n i attendati, C o m e ? A b a t e gli avea numerati. D i q u e s t o m o l t o sene rallegroe C o s ì M o r g a n t e , e p o i che '1 p o g g i o scese, D i n a n z i a M a r i i r e d o n s' a p p r e s t n t o e , C h ' era gentil, m a g n a n i m o e cortese : E di M o r g a n t e si m a r a v i g l i e ; 1 1 C o n t e O r l a n d o p e r la briglia prese, E disse : b e n v e n u t o sia, b a r o n e ; D i s m o n t a , e p o i v e r r a i ne) p a d i g l i o n e .

43

Moiigante

Maggiore,

Orlando lascia a Morgante R o n J e l l o , E va nel padiglion col Re Pagano; l ì Manfredon così diceva a quello: Chi tu sia Saracino o Cristiano, T i tratterò come gentil fratello ; E perchè il tuo venir non sia qui invano» Soldo darolti, se t' è in piacimento, Tanto che tu sarai, Baron, contento. Rispose alle parole gr;;te Orlando: Preso m'avete col vostro parlare, Soldo niente da voi non domando. Se non vedete l'arme adoperare ; E cosi molte cose ragionando, Disse il Pagano : io vi vo' ragguagliar« Di quel che forse per voi non sapete, Che cavalier discreti mi parete. Io vi dirò la mia disavventura, S ' alcun rimedio sapessi trovarmi: Io ardo tutto per la mia sciagura D'una fanciulla, e non so più che f a r m i ; Due volte abbiam provato l'armadura. Ogni volta ha potuto superarmi; Si che da lui vituperato sono, E messo ho la speranza in abbandono. Egli è ben vero eh' i' ho qui tanta gente, Che mi darebbe il cuor di superarla; M a noli farebbe onor ccrtanamente, Che colla lancia intendo d'acquistarla: S ' alcun Vii voi sarà tanto potente, C h ' a corpo a corpo credessi atterrarla, Pvicomperollo ciò eh' i' ho nel mondo ; Che basta a me sol lei, poi son giocondo.

CANTO

SECONDO.

Orlando disse : noi ci proverremo. Ognun ci a d o p e r ò tutta sua possa ; E credo pure al lìn noi vinceremo, Se femmina sarà di carne e d'ossa. Disse il P a g a n o : ogni cosa diremo ; Prima che la fanciulla facci mossa, Manda in sul campo sempre un suo fratello, Molto gagliardo e gentil damigello, E per nome si chiama I.ionetto, Ed è lìgliuol del gran Re Caradoro, E non adora alcun più Macometto, Che sia sì forte per più mio martoro ; E la sorella eh' io v' ho prima detto, Per cui sol ardo, mi disstruggo e moro» Gentile, onesta, anzi c r r d a e villana, Sappi che chiamata è Meridiana. E veramente è come ella si chiama, Perchè di mezzodì par proprio u n sole. Io innamorai di questa gentil dama. Non per vista, per atti o per parole ; Ma per le sue virtù eli' udi' per fama, O ver che '1 mio destin pur così vuole ; E da quel giorno in qua ch'Amor m'accese, Per lei son fatto e gentile e cortese. Or vo' pregarvi, famosi Baroni, Che '1 nome mi diciate in corteiìa. Orlando disse con grati sermoni: Io vel dirò, perchè in piacer vi sia. Benché farvi vorremo maggior doni, P u r negar questo sare' villania ; Più tempo h o fatto in Levante dimoro, E son chiamato da ciascun, Brunoro.

44

MORGANTE

MAGGIORE.

E questo m i o compagno eh* è gigante, V e d e r potrete quanto è valoroso, Fassi chiamare il f e r o c e M o r g a n t e , E d è piùclie n o n mostra p o d e r o s o : I n M a c o m e t t o crede e T r e v i g a n t e . 11 R e sentendol, m o l t o grazioso Rispose : per mia iè che voi sarete D a m e trattati c o m e voi v o r r e t e . E quanto può M a n f r e d o n gli o n o r a v a , E nel suo padighon sempre gli tenne, E molte cose c o n l o r ' r a g i o n a v a : M a lilialmente un dì per caso avvenne, C h e I . i o n e t t o quel c a m p o assaltava, E 'nverso ¡1 padighon, c o m e e' suol, v e n n e ; E M m f r e d o n chiamava c o n un c o r n o Alla battaglia per più beffe e s c o r n o . E c o m i n c i ò per m o d o a m u o v e r guerra. C h e molta gente faceva fuggire; P a r e a quando alle p e c o r e si serra 11 lupo, onde il p a s t o r si fa sentire : E qual ferisce, e qual t r a b o c c a in terra, E m o l t i il dì ne faGeva morire ; E chi fuggir n o n p u ò , ne va p r i g i o n e . Onde fuggivan tutti al padiglione. 11 C o n t e O l i a n d o udì c h e I . i o n e t t o Aveva il c a m p o in t a l m o d o assalito, C h ' ognun l'uggia dinanzi al g i o v i n e t t o . S u b i t o sopra R o n d e l fu salito, l i disse: Vienne, M o r g a n t e , i o t ' a s p e t t o ; D i L i o n e t t o n o n hai tu sentito ? T u vedrai or. di M a c o n la possanza, E del t u o Cristo in c h i t u hai speranza.

CANTO

SECONDO.

Dicea Morgante : io n o n h o mai veduto Provare O r l a n d o , io lo vedrò pur o r a ; Ringrazio Iddio che mi sarò abbattuto. Orlando sprona il suo cavallo allora, E sparì via c o m ' u n o strai p e n n u t o ; Perchè M o r g a n t e s'avviava ancora, E col battaglio si venne assettando, E guarda p u r quel che faceva Orlando. O r l a n d o nella pressa si mettea, E p u r - M o r g a n t e guarda dove e' vada, E sempre drieto a Rondel gli tenea, Dove vedeva e' pigliassi la strada; E Lionetto in quel tempo giugnea, Ch' aveva m man sanguinosa la spada: Orlando il vide, e la lancia abbassava, Ma L i o n e t t o u n ' altra ne pigliava. Volse il cavallo, e 'nverso Orlando abba'ssa, E vannosi a ferir con gran furore, E 1' una e 1' altra lancia si fracassa; Ma Lionetto usci del corridore, E Rondel via come in suo nome passa: Morgante guata drieto al suo Signore, E dice : O r l a n d o è p u r Baron perfetto, E Cristo è v e l o , e falso è Macometto, Ma L i o n e t t o p u r si rilevo«, E sopra il suo cavallo è rimontato, E Macometto a gran voce chiamoe. Dicendo : traditor eh' i' h o adorato A t o r t o sempre, io ti rinegheroe, Poi e h ' a tal p u n t o tu m' hai abbandonato; I.' anima mia più n o n ti raccomando, C h e n o n are' quel colpo fatto Orlando.

46

MORGANTE

MAGGIORE.

P o i si rivolse ail Orlando, dicendo: N o t a che e' fu del mio destriere il fallo. Orlando li rispose sorridendo: E ' si vorre' co' buffetti ammazallo. Disse M o r g a n t e : cos'i non la i n t e n d o ; O r che tu se' rimontato a cavallo. M i par clie sia tuo debito, Pagano, D i riprovarsi colle spade in mano. Rispose T.ionett«: ad ogni m o d o V o ' che col brando terminiam la zuffa. Disse Morgante: per Dio, eh' io la l o d o , Che tu vedrai che '1 cavai non fé' truffa. O r tu Signor, a cui servir sol godo, P e r cui la terra e l'aria si rabbuffa Guardaci e salva, e 'nsino al line insegna. T a n t o eh' io canti questa storia degna.

CANTO

TERZO.

47

I L

MORGANTE MAGGIORE DI

MESSER LUIGI PULCI. A R G O M E N T O . Lionello ucciso, il Paladino Orlando Rovescia dall' arcion Meridiana: Torna un messo a Parigi rapportando Ch' Orlando è vivo e sano in carne umana: Di lui Rinaldo e Ulivier cercando Pan con Dodorie, e giunti per la piana Do-v era de' giganti il concistoro, Rinaldo ammaza il Saracin Brunoro•

C A N T O

TERZO.

Ó padre giusto, ineomprensibil D i o , Illumina il mio cor perfettamente, SI che si mondi del peccato rio ; E pur s' io sono stato negligente, T u se' pur finalmente il Signor mio. T u se' salute dell' umana gente: T u se' colui che '1 mio legno movesti, E inlino al porto ajutar mi dicesti.

48

M O U GANTE

M A G G I O R E .

O r l a n d o gli rispose ; egli è d o v e r e , E con le spade si son disfidati; E L i o n e t t o d i ' uvea gran potere, M o l t i pensieri aveva esaminati. P e r f a r e al C o n t e O r l a n d o dispiacere, E p e r c h è tutti non v t n g b i n f a l l a t i ; Alzava c o n due man la spada f o l t e . P e r dare al suo c a v a i , se p u ò , la m o r t e . O r l a n d o vide il P a g a n o adirato, P e n s ò v o l t r e il c o l p o r i p a r a r e ; M a 11011 potè c h e , ' 1 b r a n d o è giù - c a l a t o I n sulla g r o p p a , e R o n d e l f é ' c a s c a r e ; T a n t o d i ' O r l a n d o si trovò in sul p r a t o , E disse : I d d i o n o n si potè guardare D a ' t r u d i l o r : p e r ò chi p u ò g u a r d a r s i ? M a la v e r g o g n a qua n o n debbe usarsi. P o i f r a se disse: ove se' V e g b a n t i n o ? M a n o n disse si pian, che '1 suo n i m i c o N o n intendessi ben cn-iesto Ialino ; E si pensò di dirlo al padre antico. O r l a n d o s' a c c o r g e » do! S a r a c i n o , E d i s s e : se più oltre a costui d i c o , I n d u b b i o son, se mi c o n o s c e s c o r t o 1 1 m e ' sarà eh* e' resti al c a m p ò m o r t o . I..a gente f u dintorno al C o n t e O r l a n d o C o n l a n c e , spade, con dardi e spuntoni, E lui soletto s' ajula col b r a n d o : A quale il b r a c c i o tagliava, e* f a l d o n i , A c h i l a g l i a v a s b e r g o , a chi p o t a n d o V e n i a le mani, e caseorio ì m o n c o n i . A clii c a c c i a v a di c a p o hi m o s c a , A c c i o c c h ' ognun la sua virtù e nosca.

CANTO

TERZO.

Morgante vide in sì fatto travaglio Il Conte Orlando, e là n' andava tosto, E cominciò a sciorinare il battaglio, E fa veder più lucciole eh' Agosto; I Saracin di lui fanno un berzaglio Di dardi e lance, ma gettan discosto, Tanto che quando dov' è il Conte venne, Un istrice coperto par di penne. Era a cavallo Orlando risalito, E già di Lionetto ricercava, M a Lionetto, com* e' 1' ha scolpito, Inverso la città si ritornava, E per paura 1' aveva fuggito : Orlando forte Rondello spronava, E tanto e tante in su' fianchi lo punte. Che Lionetto alla porta raggiunse. Volgiti indrieto, ond' è tanta paura, Gridò, P a g a n o ? e colui pur fuggiva, Perchè e' temeva della sua sciagura: Orlando colla spada 1' assaliva, E non potè fuggir drento alle mura II giovinetto, eh' Oliando il feriva Irato, con tal furia e tal tempesta Che gli spiccò dall' imbusto la testa. Nel campo si tornò poi che 1' ha morto. Trovò Morgante che nella press* e r a ; Ebbe di Lionetto assai conforto, E ritomossi inverso la bandiera. Il caso presto alla dama fu porto, Che luce più eh' ogni celeste spera; Graffi ossi il volto, e straccia i c apei d'or«, Sì che fé' pianper tutto il concistoro. Poeti Voi. IX. D

5o

MORGANTE

MAGGIORE.

Il vecchio padre dicea : iìgliuol mio, Chi mi t' ha morto ? e gran pianto face»J O Macometto, tu se' falso Iddio, N o n te ne 'ncresce di sua morte rea? Che pensi tu P che enor più ti face' io, O eh' io t' adori nella tua Moschea? Meridiana in così fatto pianto Fece trovar tutte sue arme intanto. Vennono arnesi perfetti e gambiere Subito innanzi a questa damigella D i tutta botta; lo sbergo e 1* amiere, E la corazza provata tra anch' ella: Elmetto e guanti, bracciali e gorgier». Mai non si vide armadura sì bella, E spada che giammai non fece fallo} E cosi armata saltò in sul cavallo. Gente non volle che l'accompagnasse U n o Scudiere appiè sol colla lancia; E così par che in sul campo n'andasse, Se l'autor delle storia non ciancia: E come giunse, un bel corno sonasse, Cli* avea d'avorio com'era la guancia. Orlando disse a Manfredonio : io t o r n a Alla battaglia, p e r d i ' io odo il corno. Morgante presto assettava Rondello, Orlando verso la dama ne già, Che vendicar voleva il suo fratello. Morgante sempre alla staffa seguiaj Meridiana, come vide quello, Presto s'accorse che Brunoro sia: Orlando giunse, e diegli un bel saluto« Disse la dama: tu 6ie il mal venuto.

CANTO

TERZO.

SÌ se' collii eh' h a morto Tionetto, C h ' era la gloria e 1' onor di Levante; Per mille volte lo Iddio Marometto T i scorifonda, Appellino e Trevigante : Sappi ch* a quel famoso giovinetto Non fu mai al mondo, o sarà simigliatiti» Orlando disse con parlare accorto: 10 son colui che Lionetto ha morto. Disse la Dama: non far più parole, Prendi del campo, io ne farò vendetta;. O Macometto crude], non ti duole Che spento sia il valor della tua setta? Che mai tal cavalier vedrà più '1 sole. Né rifarà così natura in fretta, E rivolto il destrier suo lacrimando. Cosi dall' altra parte fece Orlando. Poi colle lance insieme si scontrornoi 11 colpo della Dama fu possente, Quando al principio Paste s'appicorno. Tanto ch* Orlando del colpo si sente. L e lance al vento in più pezzi voloruo, E Bondel passa furiosamente Col suo Signor, che tutto si scontorse Pel grave colpo che colei gli porse. Orlando feri lei di furia pieno, Giunse al cimier che in suli' elmetto ave a] E cadde col pennacchio In sul terreno; L'elmo g]i uscì, la treccia si vedea, Che raggia come stelle per sereno j Anzi pareva di Venere Iddea, Anzi di quella eh' è fatta un alloro, Anzi parean d'argento, anzi pur d'oro. D 3

5%

MORGANTE

MAGGIORE.

Orlando rise .e guardava Morgante, E disse: andiaipie ornai per la più piana; Io credea p u r qualche Earon prestante Pugnassi qui per Ja Dama sovrana: P e r vagheggiar non venimmo in Levante. Ebbe vergogna assai Meridiana, Sanz' altro dir colla sua chioma sciolta» Collo scudiere alla terra die volta. Manfredon disse, com' e' vide Orlandoi Dimmi Baronj com" andò la battaglia? Orlando gli rispose sogghignando: Venne una dònna coperta di maglia, E perchè l'elnvo gli venni cavando. Su per le spalle la treccia sparpaglia; Com' io conobbi eh' eli' era la Dama, Partito son per salvar la sua fama. Lasciamo Orlando star col Saracino, E ritorniamo in Francia a Carlo Mano. Carlo si stava, pur molto tapino, Così il Danese, e lieto era sol Gano, Poi che non y' è più Orlando Paladino; Ma sopra tutti il Sir di Montalbano, Astolfo, Avmo,-Avolio e Ulivieri Piangevan questo, e cosi Berlinghi««. Chimento un giorno, il messaggio, è ternato, E inginoichiossi innanzi alla corona, Dicendo : Carlo, tu sia il ben trovato, Di cui tanto il gran nome e '1 pregio tuona, Rinaldo che lo vide addolorato, pisse: novella non debbi aver buona, Donde il messaggio disse lacrimando: Io ho trovato il tuo cugino Orlando.

CANTO

TERZO.

E mentre che più oltre volea dire. Sì fatta tenerezza gli abbondavi, Ch* e* non potè le parole finire. Quando i Baroni intorno riguardava, Ch' Orlando ricordò nel suo partire ; E tramortito in terra si posava: Perchè ciascun allor giudica scorto, Che '1 Conte Orlando dovessi esser morte, Dicea Rinaldo : caro cugin mio, Poi che tu se' di questa vita uscito Sanza te, lasso, che sarei più io P Ed Ulivier piangea tutto smarrito. Carlo pregava umilemente Iddio Pel suo nipote tutto sbigottito, E maladia quel di che di sua corte E* si parti, eh' a Gai» non die la morte. Piangeva il savio Namo di Baviera, E Salamon ne facea gran lamento; Bastò quel pianto per insino a sera, Ch' ognun pareva fuor del sentimento, E Gan fingea con simulata cera; Ma risentito alla fine Chimento, Levossi e confortò costor, pregando Che non piangessin come morto Orlando, Dicendo : Orlando sta di buona voglia, E tutti per sua parte salutoe, Io '1 trovai nel deserto di Girfoglia, Ch' ad una fonte per caso arrivoej Dove un altro corrier mi die gran doglia« Ma nella fonte annegato restoe : Che lo mandava qui Gan traditore. Per far morire il Roman Senatore,

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MORGÀNTE

MAGGIORI,

Gridò Kinaldo : questo rinnegato Distrugge pur il sangue di Chiarmonte, Come tu vuoi, mio impazzato. Gan gli rispose con ardita fronte, E disse : io son migliore in ogni lato Di te Rinaldo, e del cugin tuo Conte. Rinaldo disse : per la gola menti. Che mai non pensi se non tradimenti. E volle colla spada dare a Gano : Gan si fuggi, eh' appunto il conosceva; Bernardo da Pontier suo capitano Irato verso Rinaldo diceva: Kinaldo, tu se' uom troppo villano; Allor Rinaldo addossa gli correva, E '1 capo dalle spalle gli spiccava, E tutti i Màganzesi minacciava. I Maganzesi veggendò il furore, Di subito la sala sgomberorno ; Carlo gridava: questo è troppo errore; Rinaldo mette «ozzopra ogni giorno L a corte nostra, e fammi poco onore. I Paladini in questo mezzo entrorno, E tutti quanti confortar Rinaldo, GÌL' avessi pazienza, e stessi saldo. Rinaldo dicea p u r : questo fellone Non vo' che facci mai più tradimento} O Carlo, o Carlo, questo Ganellone Vedrai eh* un dì ti farà malcontento; Carlo rispose: Rinaldo d' Amone, Tempo è d" adoperar sì fatto unguento, A qualche line ogni cosa comporto; Disse Rinaldo, eh' Orlando sia morto.

C A N T O T E R Z O. A questo fine il comporti t u , Carlo, E che distrugga t e , la corte e '1 regno: Io voglio il mio cugino ire a trovarlo» E Ulivier dicea: teco ne vegno. Dodon prego eh' e' dovessi menarlo. Dicendo : fammi di tal grazia degno ; Disse R i n a l d o : tu credi eh' io andassi Che '1 mio Dodon con meco non menassi? Chiamò Guicciardo, Alardo e Ricciardetto Fate che Montalban sia ben guardato, Tanto eh' io truovi il cugin mio perfetto ( Ognun sia presto là rappresentato ; Ch' i' h o de' traditor sempre sospetto, E Gan fu traditor prima che n a t o ; Non vi fidate se non di voi stesso, E Malagigi getti 1* arte spesso. R i n a l d o , il suo Dodone e Ulivieri Da Carlo Imperador s' accommiatornog E nel partirsi questi cavalieri T r e sopravveste verde si cacciorno. Che in una lista rossa due cervieri V* e r a , e con esse pel cammino entrorno» Era quest* arme d' un gran Saracino Disceso della schiatta di Mambrino. Cosi vanno costoro alla v e n t u r a ; Usciron della Francia incontanente, Passoron della Spagna ogni pianura. T r a Mezzodì ne vanno e tra Ponente. Lasciangli andar che Cristo sia lor cura, E tratterem d' un Saracin possente, Che inverso Barberia facea dimoro. Era gigante, e chiamato Brunorot

56

MORGANTE

MAGGIORE,

O ver cugin carnale, o ver fratello Del gran Morgante eh' avea seco Orlando, E Passamonte, e Alabastro, quello Ch' Orlando uccise nel deserto , quando Il santo Abate riconobbe, e fello Contento, il parentado ritrovando; B r u n o r , per far de' suoi fratei • vendetta. D i liarbena a' è mosto con gran fretta. Con forse trentamila ben armati, E tutti quanti usati a guerreggiare : Alla badia ne vengon difilato, Per far 1' Abate e* monaci sbucare; E tanto sono a stracca cavalcati, Che cominciorno le mura a guardare : E giunti alla badia, ,drentro v' entraro, Che contro a lor non vi fu alcun riparo« Il domine messer, lo nostro Abate L a prima cosa missono in prigione. Disse Brunoro : colle scorregiate Uccider si vorrà que;-to ghiottone: Ma pur per ora in prigion lo cacciate, ÌUserberollo 9. maggior punizione: Cagion è stato principale e mastro, Che Passamonte è morto e Alabastro. Rinaldo in questo tempo alla badia Con Ulivieri e Dodone arrivava, Vide de Saracin la compagnia, È del s i g n o r , chi fusse, domandava. Brunor rispose'con gran cortesia: Io son dess* i o , e se ciò non vi g r a v a . Ditemi ancor chi voi, cavalier, siete; Disse Rinaldo : voi lo' ntenderete.

C a n t o

TERZO.

Noi siam là de' paesi del Soldano Pur ravulieri erranti e di ventura, Per la ragion com' Ercol combattano. Abbiamo avuto assai disaventura; Questo ci avvenne, perchè il torto avano, E la ragion pur ebbe sua misura: Nostri compagni alcun n' è stato morto. Che noi supplendo, difendeano il torto. Disse Brunoro': io mi fo maraviglia, Che voi campassi, e per Dio mi vergogno, A dirvi quel che la mente bisbiglia, Voi siete armati in visione e in sogno; Se voi volete colla mia famiglia Mangiar, che forse n' avete bisogno, Dismonterete, e onore vi sia fatto, E fate buono scotto per un tratto. Disse R i n a l d o : da mangiare e bere Accetto ; il Re chiamava un Saracino, Disse : costor son gente da godeie, E vanno combattendo il pane e *1 vino, E carne quando ne possono avere ; Non debbe bisognar dar loro u n c i n o ; O por la s c a l a , ove aggiungon con mano» Dice che son cavalier del Soldano. Se l a ragione aspetta che costoro L ' a j u t i n o , in prigion seti' andrà tosto, S* avessi più avvocati, argento o oro, O carte o testimon, che fichi Agosto, Dicea fra se sorridendo Brunoro ; A Ercol s' agguagliò quel ciuffa '1 mosto, O cavalier di gatta , o qualcli' araldo : Ed ogni cosa intendeva Rinaldo.

58

MORGANTE

MAGGIORE,

T r u o v a colà che faecin colezione, Se v' è religuia, arcarne o catriosso R i m a s o , o piedi o capi di cappone, E dà p u r broda e macco all' u o m ch'è grosso ; Vedrai c o m ' egli scuffia quel ghiottone. Che debbe come il can rodere ogni osso: Assettagli a mangiare in qualche luogo, E lascia i porci poi pescar nel t r u o g o . Rinaldo facea vista n o n udire* E non gustar quel che diceva quello, N o n si voleva al Pagano scoprire I'er nessun m o d o , e fa del buffoncello; Ecco di molta broda comparire I n un p a j u o l , come si fa al porcello. E d ossa, dove i cani impazzi r e b b o n o , E in GiusafTa n o n si ritroverebbono, Rinaldo cominciava a piluccare, E trassesi di testa allor 1* elmetto ; M a Ulivier n o n sei volle cavare, Cosi D o d o n che stavon con sospetto: Berchè B r u n o r veggendogli imbeccare. P e r la visiera guardava a diletto, E commandava a un di sua famiglia, Ch* a' lor destrier si traessi la briglia. E fece dar lor biada e r o b a assai. D i c e n d o : questi pagheran lo scotto, O 1' arme lascieran con molti guai; N o n mangeran cosi a bertolotto. Dicea Rinaldo : alla b a r b a 1' arai ; E cominciò a mangiar c o m ' u n arlotto s M a quel sergente a chi f u comandato* Avea il cavai di D o d o n governato.

CANTO

TERZO.

P o i governò dopo quel Vegliantino, C h ' avea con seco menato il Marchese, Poi sene va a Bajardo il Saracino ; E come il braccio alla greppia distese. Bajardo l o c i u f f i come uri mastino, E' n sulla spalla all' omero lo prese, Che lo schiacciò come e' fussi una canna, T a l che con bocca ne spicca una spanna. Subito cadde quel famiglio in t e r r a , E poi per grande spasimo m o r i o ; Disse Rinaldo : appiccata è la guerra, I.o scotto pagherai t u , mi cred' io ; Vedi che spesso il disegno altrui erra. Quando B r u n o r questo caso sentio. Disse : mai vidi il più lieto cavallo, Io vo' che tu mei doni sanza fallo, Binaldo fece Albanese messere, Bisse : quest' orzo mi par del verace 1 , Brunor diceva con un suo scudiere: Questo cavai si v o r r à , che mi piace. Rinaldo torna e ripensi a sedere, E rimangiò com' un lupo rapace; Un Saracin che ancor lui fame avea, Allato a lui a mangiar si ponea. R i n a l d o 1' ebbe alla fine in dispetto» Però c h e diluviava a maraviglia, E cadegli la broda giù pel petto ; Guardò più v o l t e , e torceva le ciglia. Poi disse: S a r a c i n , per Macometto, Che tu se* porco', o bestia che '1 somiglia Io ti p r o m e t t o , s'tu non te ne vai, t a r ò tal giuoco che tu piangerai.

6o

MORGANTB

MAGGIORE

Disse il P a g a n : t u d e b b ' esser u n m a t t o . P o i che di casa mia mi vuoi cacciare. Disse Rinaldo : tu vedrai beli' atto. Il Saracin non sene vuole andare, E nel p a j u o l si tuffava allo i m b r a t t o . Rinaldo n o n potè più comportare, I l guanto si mettea nella mail destra. T a l che gli fece smaltir la minestra. Che gli appiccò in sul capo una s o r b a . Che come e' fussi una noce lo schiaccia, N o n bisognò che con man vi si f e r b a ; E m o r t o nel p a j u o l quasi l o caccia, T a n t o che tutt dello I m p e r a d o r e ? Disse la donna graziosa e bella: Degno di g l o r i a , e di pregiò e d* o n o r e ; E certo, chi di sue laude favella, Al mio p a r e r , non p u ò pigliare errore. N o n minuisce già la sua presenzia L a f a m a , il grido e la magniiìcenzia. Carlo la fece cavalcar d.ivante, E poi appr-isio il D u c a B o r g o g n o n e ; Ecco apparir col battaglio Morgante, Carlo guardava questo compagnone, E disse: mai non vidi u n tal gigante! Ebbe ci sua grandezza ammirazione. Morgante ginocchio» lo superava, E cosi Carlo la man gli toccava. Verso il palazzo C a d o s' invio?. P i ù che- mai fussi in sua vila contento ; G a n , come Orlando v i d e , si pensoc. C h e questo fus^i il suo disfacimento; E come disperato a se chiamoe Magagna , e fece un altro tradimento. Dicendo : poi che questa gente pazza Entrata è d r e n t e , soccoriam la pia;-za.

CANTO

DECIMO.

G r i d i a m che C a r l o tradimento h a fatto, E e h ' egli h a dato Parigi a' P a g a n i , E c o m e alcun di l o r v' è contrafatto. C h e p a r e O r l a n d o e gli altri capitani; E tutto il popol sollevò in u n tratto. C o r s e alla piazza con armate mani : 11 p o p o l parigin dava favore A Gan, c h i a m a n d o C a r l o traditore. N o n f i conosce a n c o r per molti Orland® 0 gli altri, perchè 1' elmo avieno in t e s t a ; 1 Maganzesi la piazza pigliando, F u la n o v e l l a a C a r l o manifesta, C h e tutto il popol si veniva a r m a n d o : P a r v e g h segno di cattiva festa. R i n a l d o presto correva alle sbarre C o ' S a r a c i n e h ' avean le scimitarre. F u m o in u n tratto le sbarre tagliate, E in ogni parte ove Gan fe' serraglio. M e r i d i a n a è tra sue gente armate, E f e ' gran cose in si fatto t r a v a g l i o : O r l a n d o corse coli' altre brigate, Giunse Morgante e diguazza il b a t t a g l i o ; E Ulivieri innanzi alla sua d a m a D a v a gran colpi per acquistar f a m a . R i n a l d o in mezzo di que' Maganzesi Q u a n t o poteva Frusberta menava, T a g l i a n d o a chi b n i c c i a l i , a chi arnesi, E molti morti in terra ne c a c c i a v a ; M o l t i ne f u r feriti e m o l t i presi : Ecco il M a g a g n a che quivi a r r i v a v a , R i n a l d o al capo u n g r a n colpo gli mena, E fessel c o m e tinca p e r ischiena.

2O8

MORGANTE

MAGGIORE,

M a poi che fu conosciuto Rinaldo E gli altri, ognun per paura fuggia. O i e lo vedieno infunato e caldo; T o s t o la piazza sgomberar lacia, Dicendo : ov' è quel traditor ribaldo Gan da Pontier? ma fuggia tuttavia. N o n si lido dì star drento alle mura, P e r d i ' egli avea di Rinaldo paura. Cosi f u presto cessato il furore, E conosciuti i nostri buon guerrieri, Ognun gli abbraccia con molto fervore, T u t t o il popol gli vide volentieri; Ognun si scusa collo 'mperadore. Nessun si vede di que' da Pontieri: E con gran festa e piacere e sollazzo Tutti n' andorno a smontare al palazzo. E r a venuto intanto Alda la bella. P e r rivedere Orlando il suo m a n t o ; Rinaldo una corona ricca e bella Donava a questa, ov' era stabilito U n bel rubin elle vulea due castella; Aide la bella col viso pulito Gran festa fé' del marito e di quello, E d' Ulivieri ii suo caro fratello. P o i che furono ilquanto riposati, Queste parole Rinaldo dicia : O Carlo, io non ci veggo, b e n d i ' io guati, Uggieri o Nanio, o i' altra B a r o n i a : C h e 11' hai tu f a t t o , hai gli tu sotterrati, O son prigioni amimi in pagania ? Carlo a Rinaldo subito lia risposto: Tutti son vivi, e qui gli vedrai tosto.

CANTO

DECIMO.

E raccontò com' andata è la guerra, E ciò eh* è stato dopo il suo partire; Come il He Erminio» Montalban serra, E i suoi Baron minaccia far morire, E come Astolfo è drento nella terra, E Ricciardetto suo eh' ha tanto ardire: Parve a Rinaldo e gli altri il caso strano De' paladini, e si di Montalbano. Diceva Orlando: presto i paladini Si bisogna Rinaldo riscattare; Io vo' elle '1 campo là de' Saracini Domani a spasso andiamo a vicitare, Che trentamiglia son presso a' confini. Meridiana cominciò a parlare: Io vo' venir, se la domanda è degna, E '1 mio Morgante vo' che meco vegna. Cosi Faburro, e cosi il buon Marchese Vedremo un poco come il campo sta, Diceva Orlando; e '1 partito si prese, Ognun presto a portar 1' arme si f a ; Cosi coperti di piaslra e d' arnese Usciron tutti fuor della città Quella mattina il cominciare il giorno, E 'nverso Montalban la via pigliorno. Eran qualche otto leghe cavalcati, Quando ailor si scoperse »1 padiglione D* Erminion, dove stavan legati Berlingliier nostro, e Nanno e .Salamone, E '1 buon Danese, e gli altri ¡sventurati; E se non fusti t h e il Re Ermimone Sentito avea come Orlando venia, Tutti impi(' io vi dovessi m o r t o restar s o l o : E cosi insieme congiurati sjnno D i m e t t e r s i alla m o r t e in a b b a n d o n o .

CANTO

UNDÉCIMO.

E stanno alla veletta per vedere Qualunque uscissi f u o r della cittade; Cosi l ' e r i g i eh' era lo scudiere, Aveva gli occhi per tutte le strade : Ognuno in punto teneva il destriere, Ognun guardava come il brando radei Diceva Orlando a 'l'erigi: sarai Sul campanile e cenno ci l.M'ai, Ma fa' che bene in ogni parte guardi. Acciò che error per nulla non pigliassi: Se tu vedessi apparire stendardi, 0 che alle forche nessun s' accostassi, Subito il di', che noi non fussin tardi, Che '1 manigoldo intanto lo 'mpiccassi; Ma, a mio 1 parer, sanza dimostrazione £>' ingegnerà mandarlo Ganello;ie. Gan la mattina per tempo è levato, E ciò che fa di bisogno ordinava» Insino al manigoldo ha ritrovato; Non domandar coiti' e' sollecitava: 1 paladini ognun molto ha pregato, Ma Carlo chi lo priega minacciava, Perch' ostinato e r i farlo morire, Tanto che pochi voltati contraddire. Avea molto pregato 1' Ammirante, Che con I r m i n i o n si fe' Cristiano; Questo era quel famoso Lionfante, Che prese Astolfo presso a Montalbano: Meridiana pregava e Morgante, Ma tutto il lor pregare era al fin vano. Gan da Pontieri in sulla sala è giunto, Dicendo a ' C à r l o : ogni cosa è già in punto. Poeti Voi. IX. R

258

M O R O ANTE

MAGGIORE.

E taglia a chi pregava le parole, Dicendo: o Imperador, sanza giustizia Ogni cittì le bar'oe scuopre al sole: P e r non punire i tristi e lor malizia. Vedi che T r o j a e Roma sene duole, E sane' essa ogni regno precipizia; L a tua sentenzia debbe aver effetto, E non mutar quel eh' una volta liai d e t t « Carlo rispose : Gan, sia tua la cura, Fa' che la giustizia abbi suo dovere ; Quel che bisogna a tutto ben procura. Gan gli rispose: e' ila fatto, Imperieré, D i questo sta colla mente sicura; Se Astolfo prima volessi vedere C h ' io '1 meni via, il trarrò di prigione^ P e r isfogarti a tiia consolazione; Rispose Carlo: fatelo venire. Astolfo innanzi à Carlo fu menato. Carlo comincia ¿ratamente a dire, P o i eh' a suo pie se gli fu inginocchiatati Com' hai tu avuto, Astolfo, tanto ardire, Con quel ribaldo tristo scellerato Venire a corte, e già circa tre mesi Mettere in preda tutti i miei paesi? Perch' io avevo Rinaldo sbandito, Quand' io pensai tu mi fussi fedele; A Montalban con lui ti se' fuggito, E fatto un uom micidiale e crudele; Del tuo peccato è tempo sia punito, E dopo il dolce poi si gusta il fiele: Della tua morte e di tue opre ladre Non me ne incresce, ma sol del tuo padre.

CANTO

UNDECÌMO.

Otton fuor di Parigi doloroso 5 ' era fuggito per non veder, solò Afflitto vecchio misero angoscioso, Morir si tristamente il suo figliuolo. Astolfo allor col viso lacrimoso Rispose con sospiri e con gran duolo', E disse umilemente : o Imperadore, l o mi t' accuso e chiamo peccatore. 'Io non posso negar che la c o r o n i Non abbi offesa assai col mio cugino; Ma se per te mai cosa giusta ò buona Ho fatto, mentre io fui tuo paladino Per lunghi tempi, Carlo, or mi perdona Per quel Gesue che perdonò a LunginoJ Pel padre mio tuo servo, e caro amico, Se mai piacciuto t' k pel tempo antico. Pel tuo caro nipote e degnò Conte, Per quel eh' io feci già teco in Ispagna» S' io meritai mai nulla in Aspramente^ Per la corona tua famosa e magna: E pur se morir debbo con tant' onte, — Quel traditor eh* è pien d' ogni magagna^ Più eh' altro Giuda, o che Sinon di T r o j a , Per le sue nian non consentir eh' io muoja, Carlo diceva: quésto a che t' importa? Gan da Póiltier gli volse dar col guantoj M a '1 Duca Namo di