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Italian Pages 169 Year 1979
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Agnes Heller
LA FILOSOFIA RADICALE Introduzione e traduzione di Laura Boella
il Saggiatore
© VSA-Verlag, Hamburg 1978 e il Saggiatore, Milano 1979 Titolo originale: Philosophie des linken RadikalismtJs Prima edizione: settembre 1979
Sommario
Inttoduzione di Laura Boella
I. Introduzione: il risveglio dal sonno dogmatico Il. III. IV. V.
Filosofia e bisogno Esperienza quotidiana e filosofia Comunicazione ' Filosofia radicale e bisogno radicale
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Introduzione di Laura Boella
La figura intellettuale di Agnes Heller porta ad espressione meglio di ogni altra il complesso processo di formazione della generazione dei •filosofi dissidenti dell'Est europeo, quelli che, destinati ad essere allevati nel grembo delle istituzioni ufficiali e ad assumere il ruolo di guide ideologiche del socialismo reale, si sono invece scontrati con esperienze storiche decisive - a partire dal '5,6 - e hanno costruito la loro identità teorica proprio su una progressiva delegittimazione del sistema di potere del socialismo reale. Aveva 18 anni, Agnes Heller, quando nel 1947 assiste alle lezioni di un professore sessantenne, alla sua prima esperienza di insegnamento universitario, con un pa~sato misterioso e un'opera perlopiu sconosciuta. Nel '49 solQ uno sparuto gruppetto di studenti osava sfidare la pesante cortina di diffidenza caduta su Gyorgy Lukacs. Agnes Heller ne ricorda soprattutto il metodo illuministico, la capacità di insegnare a pensare e l'affidamento incondizionato alle capacità intellettuali di ognuno in quanto essere dotato di ragione (la ricerca di un vitello anche nella mucca sterile, come dicevano gli studenti), ma anche l'estrema rigidità etica, il carattere ascetico della sua dedizione al lavoro. Poi, nel '56, quelli che una volta erano gli allievi diventano la « corrente », il gruppo compatto dei sostenitor~ del « vero » marxismo contro ogni falsificazione e, aberrazione: « questa corrente si sarebbe dovuta diffondere, avrebbe dovutò definire il volto dell'ideologia e della cultura, e poi tutto avrebbe preso una piega migliore. Cosi eravamo tutti combattenti di una stessa causa, e tutto ciò che facevamo gli sembrava importante e significativo, poiché sosteneva la "giusta causa" ». 1 Il '56 era l'anno in cui Lukacs, parlando al Circolo Petofi, espone il progetto di una nuova filosofia,2 l'anno, per Agnes Heller, dell'incontro e della scoperta, a Berlino, di una comunità di orientai;nenti tra i filosofi critici dell'Est, l'anno soprattutto 'della « concentrazione della storia »,3 del rapido passag, gio, tra il marzo e l'agosto, dalla fiducia in una riforma democratica interna agli
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apparati burocratici di partito alla proclamazione del valore della democrazia per la società nel suo complesso. Con la fine dello stalinismo, si prospetta la possibilità di una nuova filosofia: Lukacs inizia la sua opera di estetica e Agnes Heller, dopo il primo libro su Cernisevski ( scritto tra il '5 3 e il '54), progetta un'opera sull'etica di Aristotele.4 In quest'opera « hegelizzante », Agnes Heller imposta quella che, secondo le sue parole, è la ricerca che ispira la sua attività anche negli anni piu recenti, la « ricerca del mondo perduto dell'eticità»: « Volevo scegliere una tradizione, una storia per i miei ideali ( per la mia utopia socialista). E questa tradizione l'ho trovata nelle città popolate da cittadini adulti, dove non sussisteva alcun divario tra il pensiero quotidiano, da un lato, la politica, la scienza e la filosofia, dall'altro; dove tutti avevano la possibilità di vivere una vita dotata di senso ».5 Scegliere come preistoria del proprio ideale di .s9cietà futura le società in cui esisteva già una Jcivil society relativamente indipendente ( e di conseguenza una democrazia politica) non significava ancora per Agnes Heller dare una risposta al problema della filosofia, cosi come le si era posto dopo la crisi del '56: costruire una filosofia positiva, non nel senso positivistico del termine, bensf come fondazione teorica e razionale della propria speranza, della propria utopia sociale. Il Diamat, il marxismo in generale, costituivano l'orizzonte filosofico da oltrepassa-re: c'erano anche, è vero, i teorici della II Internazionale, gli austromarxisti e infine Storia e coscienza di classe e Marxismo e filosofia. Ma era necessario, dopo l'incontro con una personalità come Kolakowski e l'acquisizione comune__della pluralità dei marxismi, era necessario spingere lo sguardo ai problemi del mondo occidentale, conoscere, attraverso la sociologia critica di Adorno, di Fromm, di Wright Mills, l'esistenza di movimenti reali, di bisogni e di tendenze a cui la filosofia poteva essere chiamata a dar voce. La relativizzazione del marxismo veniva cosi a fare tutt'uno, per Agnes Heller, con la « relativizzazione dell'Est ».6 Mentre la partecipazione alla riforma economica, che coinvolge intorno alla metà degli anni '60, i filosofi e i sociologi della « Scuola di Budapest», si rivela un'illusione rapidamente spazzata via nel periodo successivo all'invasione russa della Cecoslovacchia, i movimenti giovanili di rivolta che scuotono l'Occidente nello stesso periodo diventano il punto di riferimento e il riscontro oggettivo della teoria dei bisogni e dell'idea della rivoluzione delle forme di vita che dovrebbe contrapporsi alla rivoluzione politica di stampo giacobino e bolscevico.7 Intorno all'anno di svolta del '68 la concezione di Agnes Heller si precisa dunque nel senso di una filosofia che intende riflettere sui « punti alti » dello sviluppo ed elabora le alternative del presente ricercando
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i conflitti fondamentali dell'oggi alla luce dello sviluppo globale dell'umanità.8 Questa risposta alla crisi del marxismo all'Est ricerca il « senso » delle scelte pratiche e dei valori storicamente elaborati dagli uomini in una W eltphilosophie: la riscoperta del giovane Marx, i temi del lavoro, dell'estraneazione e dell'essenza umana, diventano i cardini di una concezione della filosofia che, di fronte alla esperienza del marxismo, passato attraverso fallimenti molto pesanti, ma pur sempre ravvivato da tentativi di riforma, intendeva porsi come elaborazione delle alternative del presente dal punto di vista dell'« essere umano». Un'idea di filosofia di questo tipo aveva un diretto rapporto con la critica dello stalinismo con la peculiare posizione della generazione che aveva fatto e vissuto il '56. Uscire dal trauma della rivoluzione fallita (.A.gnes Heller viene cacciata dall'Università, espulsa dal partito nel '59 e costretta ad insegnate in una scuola media, mentre i suoi scritti vengono sottoposti al veto di pubblicazione; e ciononòstante apparteneva ai piu fortunati) e dal buio periodo di repressione che durò fino al '64 significò, tra il '65 e il '68, partecipare al progetto di riforma economica con l'obiettivo di trasformarla in riforma sociale e politica e contemporaneamente elaborare le linee di una critica del Diamat mummificato in nome di un marxismo « autentico», considerato la fondazione ideale dell'utopia socialista. Certo erano gli anni in cui gli allievi, pur uniti dalla comune intenzione della « rinascita del marxismo», si andavano gradualmente differenziando da Lukacs. E il distacco avveniva appunto sul modo di intendere la rinascita del marxismo che negli allievi non doveva piu recare tracce dell'atteggiamento paradossale del maestro, del suo « credere al suo dio [il partito], conoscendo tutte le mostruosità del suo mondo e contrapponendo ad esso un ideale del medesimo mondo, del mondo esistente, ritenendolo piu adeguato ». 9 Questo essere contemporaneamente stalinista e antistalinista di Lukacs lascia negli allievi un unico residuo, la critica del socialismo reale in nome di un marxismo « autentico ».10 Dietro di esso c'èra l'illusione di una prospettiva di trasformazione interna del sistema, di una sua inevitabile democratizzazione, fondata sull'insostenibilità delle condizioni di terrore e di violenza. L'enfasi veniva posta sulla possibilità, conforme all'essenza dell'uomo, di fare la storia con le proprie forze. Non sono leggi astratter universali, che reggono la storia indipendentemente dall'uomo e dalle sue lotte concrete, ma sono queste ultime che determinano in ultima istanza la direzione dello sviluppo sociale. La possibilità di principio dell'uomo di scegliere tra alternative costituisce la garanzia ontologica della libertà, cosi come la critica della società esistente viene metodologicamente fondata sulla categoria di valore marxiana, non piu
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deducibile, della « ricchezza ». Nelle I potesi per una teoria del valore Agnes Heller afferma che il valore è una « categoria socio-ontologica universale»: Marx la identifica con la « ricchezza » e deduce da essa tutti i propri giudizi di valore. 11 In altri termini, ogni valore è deducibile da una categoria ·ontologic~mente primaria, dalla ricchezza in quanto « sviluppo molteplice delle forze essenziali dell'ente generico». Il comunismo, in quanto scelta di valore tendente alla realizzazione del dover essere della comunità,· si realizza dunque nello spazio di possibilità creato da tre fondamentali direttive storiche che rappresentano il processo d'attuazione della «ricchezza» del genere umano: l'arretramento dei limiti naturali, la socializzazione della società e l'avvento del mercato mondiale.12 Nell'ambito di questo schema welthistorisch la stessa ipotesi di una « rivoluzione della vita quotidiana», nonostante il tentativo di concretizzare le altet:native utopiche in forme reali di rapporti interumani, si affida ad un imprecisato riferimento alla contemporanea e necessaria trasformazione delle strutture politiche ed economiche cui viene assegnato il compito di tradurre la « scelta cosciente dei valori » in una direzione di sviluppo sociale. È facile rintracciare qui ~ segni dell'illusione propria del periodo della riforma economica e probabilmente della sopravvalutazione delle capacità riformatrici del sistema kadariano. È vero anche che affermare una sorta di punto di vista « trascendentale » della filosofia, ossia la mancanza di una forza sociale che realizzasse i fini della teoria, valeva indirettamente come critica di tutta la tradizione ideologica del marxismo ufficiale: se la storia la fa l'« uomo », e solo lui, vuol dire che è impossibile legittimare un gruppo o un'élite, come il partito, che si sostituisce alle masse nella guida della società ergendosi a rappresentante della classe operaia, a organo ufficiale della sua volontà in quanto classe egemone. Questa posizione trovava cosi corrispondenza in una società appena uscita dal terrore staliniano e ricattata dalla minaccia di un suo ripristino. Con la stabilizzazione del nucleo dirigente post-staliniano le cose cambiano: il sistema diventa «razionale» e capace di riprodursi, non si fonda piu sul precario equilibrio del terrore, ma su condizioni stabili di organizzazione della vita sociale. Nell'ultimo decennio si prepara infatti in Ungheria quella peculiare forma di consenso e di legittimazione che ha consentito al kadarismo di gestire una repressione «morbida», di rilanciare l'economia, nonostante le forti resistenze di parte della burocrazia, di stipulare un nuovo « contratto sociale » con la popolazione, cui vengono offerti piu beni di consumo e un'ampia autonomia privata in cambio di una totale spoliticizzazione.13 Per Agnes Heller, le cui posizioni teoriche vengono ~fficialmente condannate·
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nel '73 e, insieme a Vajda, Fehér, Maria e Gyorgy Markus, Gyorgy Bence e Janos Kis, viene licenziata dall'Accademia delle Scienze, 14 inizia il periodo in cui matura la drammatica sensazione della difficoltà di fare filosofia in condizioni di isolamento e di totale impedimento di comunicazione intellettuale e di attività politica. Probabilmente è in questo periodo che si rivela sempre piu inadeguata la fondazione ontologico-sociale dei valori teorizzata nelle opere degli anni sessanta. L'intera « Scuola di Budapest » è coinV_olta in una crisi di identità che ne modifica n,otevolmente la fìsionòinia e la composizione: allargandosi oltre la cerchia degli allievi di Lukacs, il gruppo dell'opposizione ungherese incomincia a interrogarsi sul rapporto tra filosofia e scienze sociali e sulle modalità di una nuova critica dell'economia politica che consenta un'analisi strutturale delle società di tipo sovietico. 15 Agnes Heller, forse la piu legata all'eredità lukacsiana, continua a rivendicare uno spazio teorico autonomo per la filosofi.a. Ma tale rivendicazione assume ormai decisamente il significato dell'elaborazione di un progetto utopico, di un'utopia radicale che costituisca una sorta di fondazione ideale della politica. Nel panorama degli scritti di A.gnes Heller degli anni '70, La filosofia radicale ( scritto intorno al '74) assume perciò una posizione particolare propri~ perché rappresenta il tentativo di sostituire alle premesse ontologico-sociali una teoria del fondamento discorsivo della verità e dei valori: la filosofia è sapere vero in quanto tensione tra essere e dovere, che si costituisce attraverso il dialogo razionale e si ricostituisce sempre in conformità alle nostre esperienze storiche e al mutamento dei punti di vista. Il dovere non è quindi piu dedotto dall'essere, consid~rato la base ontologica primaria, bensi viene assunto come criterio valutativo, termine di confronto di « ciò che è piu reale» con l'essere, e come atteggiamento filosofico che si incarna nella demitizzazione, nella defeticizzazione, nella distruzione dei pregiudizi. La filosofia è utopia razionale in seguito a un duplice movimento: quello della «costruzione» dell'essere a partire dal dovere, e quello della « deduzione » del dovere da una realtà che non è considerata esistente, bens{ si identifica con la disposizione utopica dell'uomo dotato di ragione a conoscere e a interrogarsi sui supremi valori della verità e del bene. Funzione della filosofi.a è appunto « condurre l'uomo razionale, mediante il pensiero razionale, alla conoscenza del dovere, di quel Bene e Vero che essa, la filosofi.a, già conosce». Per destinazione naturale la filosofi.a è dunque democratica e il suo destinatario ideale è il giovane nel cui intelletto libero da pregiudizi, o con pregiudizi non ancora ossificati, si possono spargere semi maturi. In un mondo dominato dalla razionalità strumentale, in cui anche il lavoro. intellettuale, tradizionalmente libe-
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ro, è diventato «professione», la filosofia testimonia il bisogno di una razionalità che ha conservato in sé una fondamentale dimensione di valòre. Agnes Heller sa bene che il bisogno di filosofia che lei attribuisce alla nostra epoca deve fare i conti con la crisi delle categorie e delle stesse domande filosofiche sancita dal neopositivismo. Ma ai suoi occhi l' « irrazionalità » della scelta di valore decretata dal pensiero neopositivistico è un'« apparenza necessaria » nel senso di Marx, essendo legata al fatto che in una società che proclama la libera scelta da parte dell'uomo dei propri valori e il loro carattere di creazione umana, la maggioranza degli uomini non ha alcuna possibilità di partecipare alla determinazione dei valori, anzi ne è esclusa. Tuttavia, sarà possibile dare all'agire razionale rispetto ai valori un fondamento reale, in base al quale gli uomini siano messi in condizione di acquisire la coscienza della validità universale dei valori, e di agire in corrispondenza, senza bisogno di una gerarchia fissa e senza garanzia divina, solo allorché la determinazione dei valot:i diventerà causa comune di tutti gli uomini. La « professione di fede per la filosofia » di Agnes Heller è anche certamente un'importante mappa dell'itinerario intellettuale dell'autrice. L'eredità lukacsiana, del Lukacs di Storia e coscienza di classe, e della sua critica del sapere feticistico fondato sull'idolatria dei « fatti », dei « dati », si articola con una teoria complessiva della comunicazione che tende a reinterpretare le analoghe teorie di Habermas e di Apel.16 È questa la novità principale del discorso di Agnes Heller sulla filosofia: appunto l'abbandono del fondamento ontologico-sociale significa la fondazione della verità e dei valori nell'ideale comunità democratica di esseri razionali che pensano autonomamente. Il fatto che il tema dell'Oeffentlichkeit, della costituzione di una sfera pubblica democratica e pluralistica, rappresenti il nucleo delle piu recenti proposte politiche di Agnes Heller,17 non è certo casuale, anzi indica quanto pronunciato sia il suo sforzo di definire e di precisare le linee, anche concrete, di traduzione politica del suo pensiero. Agnes Heller critica tuttavia il criterio di verità adottato da Ap,el è da Habermas. Un consenso completo è irraggiungibile, poiché sarebbe un progresso infinito, fatto di infinite discussioni teoriche e pratiche. Solo la « discussione filosofica», che postula fin dall'inizio un consenso sui valori che devono guidarla, può pervenire a fondare la verità dei valori in quanto possibilità di riferirli non contraddittoriamente all'ideale del Sommo Bene, della libertà, della comunità e della personalità. D'altra parte, il criterio del consenso porterebbe a un'unica verità, mentre la discussione filosofica non esclude per definizione la verità di nessuna delle interpretazioni relative al medesimo valore, ossia si ispira al principio della
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pluralità delle forme di vita che consegue alla possibilità in via di principio di far valere i valori veri tutti insieme. Coloro che mirano a raggiungere il livello della discussione filosofica devono infatti aspirare a formulare i loro valori, che mostrano pur sempre un'affinità con una determinata realtà storico-sociale, in modo che la loro attuazione possa essere pensata unitamente a quella dei valori che hanno invece un'affinità con altre unità sociali. Unica condizione è che, secondo la norma ideale della discussione-di valore, tutti muovano dalla volontà di superare i rapporti di subordinazione e di dominio. E poiché la discussione di valore è una discussione tra idee di valore vere, non può concludersi con la negazione assoluta di un principio da parte di un altro, né risolversi mediante il ricorso all'autorità. La discussione di valore può avvenire solo tra partners che riferiscono i loro valori all'idea di umanità; per questo'ha uil valore utopico rispetto alla società di classe e si rivolge a tutti coloro che vogliono trascenderne il quadro strutturale. L'ideale della discussione filosofica fa dunque parte di un mondo in cui ognuno vuole sapere la verità, dove quindi ognuno partecipa alla discussione, alla scelta e alla determinazione dei valori. Ciò non significa che fine della discussione sia la « realizzazione » dell'idea di valore nel suo contenuto di validità universale. L'idea di valore, come ogni forma di· razionalità rispetto al valore, non qualifica un agire definito in termini di « re,altà », ,di· « realizzazione » ( com'è inveç~ il ca~o della razionalità rispetto al fine, tipica .dell'attività lavorativa, strumentale, fondata sul calcolo dei mezzi per raggiungere un determinato fine), bensf un agire che ha come presupposto un rapporto di valore e di conseguenza si qualifica per l'atto soggettivo di conferma del valore e per il riconoscimento sociale di esso. Questa è la sfera tipica dell;interazione, della comunicazione, in, cui l'agire acquista una razionalità in seguito al suo essere costantemente rivolto ad un valore socialmente riconosciuto. È evidente che in questo modo alcune interpretazioni dell'idea di valore si realizzano, altre si escludono reciprocamente. Ma compito della discussione filosofica è appunto quello di costituire il terreno e lo spazio di possibilità per la realizzazione comune di interpretazioni del tutto diverse. In altri termini, se l'esigenza di validità universale dei valori non può mai riferirsi a un'azione, a una particolare modalità di realizzazione ( è questo il « dilemma della morale » per .Agnes Heller), bensf unicamente al concreto contenuto di significato « affine », ossia collegato a determinati bisogni e interessi storici, la discussione razionale rappresenterà il luogo di verifica della corrispondenza tra il punto di I vista dell'intero sviluppo umano ( il « senso ») e le alternative concrete di azione la cui responsabilità ricade interamente sui singoli. E sarà quindi la condizione democratica ed ugualitaria che caratterizza la discus-
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sione a fare, del primato -conferito ad un'interpretazione o ad un significato del valore rispetto, ad un altro, non un atto autoritario di imposizione, non una scelta di determinati bisogni concreti contro determinati altri, bensf il risultato di un consenso liberamente prestato da esseri in posizione paritaria che valutano in comune le possibilità e le prospettive di una prassi di trasformazione dell'esistente. La filosofia radicale di Agnes Heller e in particolare la sua nuova teoria della comunicazione cerca di fondare un'utopia democratica e pluralistica della convivenza sul valore postulativo, sul contenuto di dover essere di una :filosofia della storia che continua ad articolarsi secondo le categorie del «genere» e dell'essenza umana e fa leva sulla natura dell'uomo come essere razionale .e sulla sua capacità di un agire razionale rispetto al valore. Appunto questo rapporto di fondazione che vuole essere, comè si è detto, alternativo all'ontologia, formula delle domande a cui non mancheranno risposte anche divergenti da quelle di Agnes Heller. La sua fiducia nella filosofia in quanto :filosofia vissuta, forma di vita essa stessa che indica la strada a ogni tentativo di trasformazione del)a vita quotidiana, ci offre il prodotto di un dialogo fecondo con due delle voci piu interessanti del pensiero contemporaneo, Habermas e Ape!, impegnati nella ricerca di una via :filosofica alternativa rispetto al marxismo tradizionale e al neopositivismo. Al tempo stesso, legando la sua proposta di un'« interazione sociale» libera.dal dominio a un concetto illumiilistico di razionalità e alla sua validità universale, Agnes Heller sembra comprimere la rivendicazione della pluralità e della diversità dei bisogni e delle forme di vita: la loro radicalità non sarebbe piu libera di espandersi nella specificità e varietà dei movimenti radicali, ma verrebbe costretta nell'ambito di un criterio armonico e pedagogico di razionalità, fondata sul consenso di un'Oeffentlichkeit che dibatte liberamente.18 Sono questi:' i temi su cui il lettore è chiamato a riflettere per verificare le difficoltà teoriche a cui va incontro il discorso helleriano, ma anche per saggiarne concretamente i significati. Agnes Heller non ha nessuna « paura » di dichiarare la funzione « illuministica » della sua filosofia; al tempo stesso, rifiuta una lettura di tale illuminismo come « maledizione dell'essere un :filosofo all'Est», ossia come un riflesso delle condizioni della società ungherese, che giustificherebbero ancora una figura tradizionale di intellettuale « funzionario dell'umanità »,1 9 sorpassata nelle società occidentali. Facendo nel '77 la difficile scelta di lasciare l'Ungheria per un periodo d'insegnamento in Australia, Agnes Heller si è esposta all'incertezza del ritorno nel suo paese, ma ha anche espresso la sua inclinazione di intellettuale cosmopolita, secondo la tradizione che ha portato spesso molti intellettuali dell'Est a scegliere di vivere in altri paesi. Pensiamo che in questo modo ~pbia deciso di mettere alla prova fino in fondo, vivendola, la sua id~a di filosofia.
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Note
1. Cfr. Agnes Heller racconta Gyorgy Lukacs, « Città Futura», novembre 1977. 2. Cfr. G. Lukacs, Discorso al dibattito filosofico del Circolo Petofi (estratto) (15 giugno 1956), ~· Marxismo e politica culturale, Il Saggiatore, Milano, 1972, pp. 95-105. 3. A. Heller, Morale e rivoluzione, intervista a cura di Laura Boella e Amedeo Vigorelli, Savelli, Roma, 1979, p. 19. · .4. Cfr. A. Heller, Le concezioni etiche di Cernysevski; (il problema dell'egoismo razionale), Szikra, Budapest, 1955; L'etica di A1·istotele, Budapest, 1959; 5. A. Heller, Morale e rivoluzione, p. 35. 6. Ib., p. 32. 7. Cfr. A. Heller, La teoria, la prassi, i bisogni (1971), in appendice a La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano, 1974. ·8. Cfr. F. Fehér - A. Heller • G. Markus - M. Vajda, Premessa alle « Annotazioni sull'ontologia per il compagno Lukacs » (1975), «Aut-Aut», 1.57-158, p. 17: « il compito della filosofia consiste nello strutturare in domande (e risposte) realmente coscienti le alternative del presente, ricercando il luogo dei fondamentali conflitti dell'oggi nello sviluppo globale dell'umanità, svelando il rapporto delle alternative di azione e di sviluppo rispetto ai valori creati storicamente dall'umanità, al fine di chiarificarne il rilievo e il "senso" dal punto di vista dell'intero sviluppo umano ». 9. A. Heller, Der alte Lukacs, p. 2 (Ms). 10. Cfr. M. Rakovski, Le marxisme face aux pays de l'Est, Seuil, Paris; 1977, p. 60. 11. A. Heller, Ipotesi per una teoria marxista del valore, in Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 24. 12. Cfr. ib., pp. 28-32. 13. Per un'analisi del « kadarismo », cfr. M. Vajda, Sistema di potere e società. Il kadarismo è un'alternativa?, di prossima pubblicazione su «Aut-Aut»; F. Fehér, « Kadarism » as the Model State of « Kruschevism », (Ms); M. Haraszti, Il miracolo ungherese. Una società sotto l'influenza del freddo siberiano, piu che del calore mediterraneo. E senza opposizione, inserto n. 75 del «Manifesto», 25 gennaio 1979. 14. Cfr. la Presa di posizione della. Commissione per la politica culturale operante presso il CC del Partito comunista ungherese riguardo alla visione antimarxista di alcunì'cultori di scienze sociali, « Szoziologia », 1, 1973; ora in «Aut-Aut», 140, 1974, pp. 97-110. 15. Mi permetto di rinviare, per questi temi, al mio scritto, Le società di tipo sovietico: struttura economico-sociale, problema delle classi e strategia dell'opposizione nei recenti studi degli intellettuali dissidenti ungheresi, di prossima pubblicazione negli Atti del Convegno organizzato dal «Manifesto» (4-7 gennaio 1979) su: « Società post-rivoluzionarie: l'altro volto della aisi ».
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16. Cfr. J. Habermas, Vorbereitende Bemerkungen zu einer Theorie der kommunikativen Kompetenz, in J. Habermas - N. Luhmann, Theorie der Gesellschaft oder Sozialtechnologie?, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1971; trad. it., Teoria della società o tecnologia sociale, Etas Kompass, Milano, 1973; K.O. Apel, Transformation der Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M., \.1973; trad. it., Comunità e comunicazione, Rosemberg & Sellier, Torino, 1977. 17. Cfr. A. Heller - F. Fehér, Le forme dell'uguaglianza, edizioni «Aut-Aut», Milano, 1978; e Morale e rivoluzione, cit. 18. Cfr. P.A. Rovatti, Il percorso impuro dei bisogni, introduzione a A. H(lller, Istinto e aggressività, Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 10-2; e A. Vigorelli, Filosofia e socialismo in Agnes Heller, introduzione a A. Heller, La teoria, la prassi e i bisogni, Savelli, Roma, 1978, pp. 20-1. 19. Cfr. M. Vajda, Il funzionario dell'umanità, «Aut-Aut», 145-146, 1975.
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Introduzione: il/risveglio dal sonno dogmatico « B certamente una specie cli ingiuria per la filosofia quando la si costringe, essa la cui sovranità dovrebbe essere riconosciuta dappertutto, a difendersi in ogni questione a causa delle conseguenze cui conduce, ed a giustificarsi presso ogni arte ed ogni scienza che da essa prenda -scandalo. Il mio pensiero corre qui ad un re che venga accusato di .alto tradimento verso i suoi sudditi. » David Hume, citato da Marx nella Prefazione alla sua Dissertazione [in appendice a A. Sabetti, SuUa fondazione del materialismo storico, Firenze 1962, 332].
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L'aforisma di Novalis, che la filosofia non deve spiegare la natura, ma se stessa, propone un programma che nessun filosofo avrebbe potuto concepire nei 1200 anni preced~ntL Naturalnie~te anche prima delle rivoluzioni borghesi i filosofi riflettevano sulla natura e sull'essenza della loro sfera: a cominciare da Socrate, il primo filosofo. Fino a questo momento, però, l'autoriflessione della_ filosofia non costituiva un compito primario, impellente, bensi rimaneva subordinato a quello grande, autentico, al vero é proprio compito della costruzione di un mondo. Non è un caso che la riflessione sull'autoconoscenza, il riconoscimento dell'autoriflessione come compito esclusivo della filosofia, emerga contemporaneamente alla professione di fede schilleriana per l'arte sentimentale. Allo stesso modo dell'àrte, la filosofia metteva in questione l'ingenuità. E come per la nuova arte non è piu possibile « cantare come canta l'uccello», cosi anche la filosofia si risveglia dal suo « sonno dogmatico». Ci condurrebbe troppo lontano scrivere le « biografie parallele» dell'arte e della filosofia dall'epoca delle rivoluzioni borghesi. Ciononostante questo parallelismo deve essere messo in evidenza al fine di capire perché la crisi di legittimazione della filosofia moderna non sia deducibile dalla diffusione d~lle « scienze ». La filosofia non si è trovata « sradicata » in seguito all'attacco delle scienze: tuttavia è stata costretta a cedere ad esse, co~ sempre piu cattiva coscienza, proprio come la religione, da Bacone .a Descartes, ha dq_vuto cedere con cattiva coscienza alla filosofia. Ha cominciato a presentarsi nell'involucro delle >. Ovviamente tutte le discussioni vertenti su ideali morali coinvolgono anche l'idea di valore della libertà. Ma cosa significa dire che il valore vero è un valore che ha un rapporto non contraddittorio con un ideale e al tempo stesso non esclude la verità di nessun'altra interpretazione relativa al medesimo valore? Significa solo, come abbiamo visto, la possibilità in via di principio di far valere tutti i valori veri insieme. Il far valere valori veri può infatti essere gravato, nel presente, da contrad\ dizioni. Sappiamo bene che i diversi contenuti di significato delle idee di valore implicano suggerimenti diversi in rapporto all'agire e alla sua strategia, alla forma di vita e alla creazione di teorie. Anzi, valori ugualmente veri possono influenzare nel presente strategie dell'agire e della costituzione di teorie che si contraddicono· e si escludono reciprocamente. Parlare della « verità » di un valore implica però riconoscere il suo diritto alla validità universale, e di fatto ogni valore vero avanza a buon diritto la pretesa alla validità universale. Quest'ultima si colloca tuttavia sul piano del dover essere, non su quello della realizzazione nel presente. Ma se affermiamo che i valori, che nel presente comportano strategie pratiche e teoriche antitetiche, possono essere pensati insieme sul piano del dover essere ( in altri termini, che si debba perseguire con uguale intensità la realizzazione di ogni singola interpre-
La filosofia radicale tazione cli valore), dobbiamo allora ammettere anche la loro verità e la loro uguale pretesa alla validità universale, nonostante la diversità e talvolta persino la contraddittorietà della strategia impiegata per attuarli nel presente. Un valore dunque è vero se può essere reso valido insieme a tutti i valori ugualmente veri, ossia se la re@zzazione comune della loro validità può essere pensata sul piano del dover essere - il piano del « dover fare» e dell'essere proiettato nel futuro: in tal senso, oggi; per esempio, sviluppo rappresenta un valore universalmente valido. Che lo si intenda come sviluppo delle forze produttive, della cultura o dei rapporti umani a un livello superiore, come sviluppo delle comunità: tutte tre le possibilità possono essere insieme, contemporaneamente e in egual misura, valori veri, dal momento che si può immaginare nel futuro una loro realizzazione comune, anche se esse agiscono su diversi centri di gravità, tipi di azione, atteggiamenti e teorie. Ho parlato tli possibilità, non di necessità. Per garantire la loro uguale verità, tali concetti di sviluppo devono infatti essere interpretati in modo che un'interpretazione non escluda le altre. Se, per esempio, intendo lo sviluppo delle forze produttive in lJ'lodo da escludere quello della cultura o della comunità sul piano del dover essere e non sia piu possibile far valere anche solo teoricamente allo stesso tempo tutti e tre i valori, il mio valore non è un valore vero. E non può esserlo perché non può avere un rapporto non contraddittorio con il Sommo Bene, con la libertà: del resto io, con la mia interpretazione della libertà, escludo quelle altrui. Si deve tendere alla creazione di valori veri. Perciò è nostro dovere fare in modo che le nostre interpretazioni cli valore possano essere pensate - senza rinunciare alla loro specificità - insieme a tutte le altre sostenute da persone che riconoscono il nostro valore come valore ,vero, sempre che quest'ultimo .possa ricevere validità solo unitamente alla loro interpretazione cli valore sul piano del dover essere. Perciò chi preferisce lo sviluppo delle comunità deve formularlo in modo da non escludere sul piano del dover essere lo sviluppo delle forze produttive; può solo dire che queste ultime non dovrebbero seguire lo stesso ritmo e direzione di sviluppo avuti finora, bensf orientarsi verso un consolidamento della comunità. Chi invece favorisce lo sviluppo delle forze produttive deve farlo in modo da non escludere con la sua interpretazione lo sviluppo delle comunità; può solo dire che le comunità non dovrebbero avere una struttura che pregiudica le forze produttive dell'umanità, bens{ una in grado di garantire il loro sviluppo. È dunque possibile sotto ogni aspetto una. discussione in cui a valori veri si
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contrappongano valori veri, nonché una in cui i valori di entrambe le parti si elevino al piano dei valori veri. Sappiamo bene che nella dèfinizione dei « valori veri » abbiamo lasciato aperto un problema decisivo, quello della collisione degli ideali di valore. Certamente non tutti gli ideali ne sono toccati. Ma poiché le idee di valore sono il prodotto di una crescita storica, nelle grandi epoche di crisi torniamo sempre ad assistere alla genesi di idee di valore nuove, ossia all'assunzione di determinate interpretazioni al « rango-» di ideale; questa ascesa è tuttavia sempre processuale, tendenziale. Neppure la « libertà » e l' « uguaglianza » sono balzate fuori dalla storia come Atena dalla testa di Zeus. Dobbiamo però tornare a volgerci alla filosofia. Come sappiamo, essa costruisce i suoi ideali universali concreti 1l1 base a giudizi di valore come « questo non è vero, ma quello», « questo non è buono, ma quello». Avendo una struttura utopica, la filosofia rappresenta spesso l'oggettivazione della fondazione della validità. universale di nuovi valori. Veramente non li sceglie dal nulla, bensf da valori esistenti, già formati. Tuttavia fa di questi valòri riferiti a idee delle idee di valore a loro volta. La filosofia è il veicolo dell'elaborazione di nuove idee di valore, della creazione di un nuovo consenso su un'idea di valore. Bisogna 0ra fare due precisazioni. Primo: non ogni filosofia può adempiere questo compito, ma solo quelle formatesi in epoche di trasformazioni storiche. Secondo: l'impresa della filosofia non avrà sempre successo. È noto che gran parte dei filosofi borghesi fino a Kant riconoscono la validità universale dell'utile mirando anzi a identificarlo con il bene. Questo tentativo è fallito già per via selettiva: l'utilità, valore valido per tutta l'epoca borghese, non si è elevato mai al livello di un'idea di valore. Noi non riferiamo altri valori .all'utilità, bensf riferiamo l'utilità stessa ad altre idee di valore: qualcosa è utile alla nazione, alla cultura, all'uomo, allo sviluppo, ecc. Il Sommo Bene della filosofia borghese, la libertà, si è però elevata di fatto al livello di un'idea di valore. Nel caso che all'interno di un'idea di valore si diano due interpretazioni ossia due valori riferiti all'idea - e che sia impossibile attuarle insieme attraverso l'interpretazione, la filosofia deve elevarle al livello di idee, oppure, nella misura in cui mira al superamento della struttura antinomica della società, deve elevarne una per relativizzare l'altra. Nell'attuale interpretazione dell'ideale della «libertà» si danno forse due valori, diametralmente opposti, che devono quindi essere elevati a idee di valore
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dall'odierna filosofia, oppure - nella misura in cui essa tende al superamento dell'antinomia sociale --: deve elevarne una a idea e relativizzare l'altra? Penso che in effetti esistano due valori di questo tipo, diametralmente opposti; l'individualismo e la comunità. È sufficiente rinviare a Nietzsche per mostrare la possibilità di elevare entrambi i valori, insieme, a .idea. Tornerò ancora sulla questione: per ora, a scanso di equivoci, voglio confessare che mi riconosco nell'idea di valore della comunità e perciò relativizzo l'individualismo. Al tempo stesso continuo a considerare la libertà il valore supremo; per questo motivo ho collegato il concetto di « valore supremo » innanzitutto alla libertà. Per me la « comunità » deve essere quindi un'idea di valore, che non entra in contraddizione con la libertà in nessuna interpretazione e in nessun contenuto di significato; di conseguenza non deve neppure contrastare con la libertà della personalità. Pur derivando da tutto ciò che si è detto finora, la libertà della personalità mette tuttavia in rilievo un'interpretazione della libertà che già in quanto tale vale come idea di valore. Il valore che voglio elevare a idea non è dunque la «comunità» in generale, bensi'. la « comunità di uomini liberi». Riferisco la discussione filosofi.ca in quanto valore anche a questa idea da me" intenzionata. Come ho già detto, considero destinatari del mio criterio di valore vero coloro che aspirano a una discussione filosofica, ossia alla discussione tra valori veri, coloro che oggi affermano: « Voglio sapere la verità! ». L'ideale della discussione filosofica di valore fa però parte di un mondo in cui ognuno vuole sapere la verità, dove quindi ognuno partecipa ,alla discussione filosofica, alla scelta e alla determinazione dei valori. In questa prospettiva aderisco apertamente all'ideale comune ad Apel e ad Habermas delle « comunità ideali della comunicazione». È senz'altro chiaro che il mio suggerimento di un criterio attuale di valore vero si differenzia sostanzialmente da quello formulato da Apel e ancor piu da quello di Habermas. Per entrambi, infatti, la verità dei valori - nel discorso pratico come in quello teorico - risiede nel « consenso vero ~>: un valore sarebbe quindi vero se su di esso ci fosse un completo consenso. Di conseguenza, il concetto di valore vero è contra/attuale anche in quanto solo nell'ambito di infinite discussioni teoriche e pratiche può esser posto come progresso infinito. Due sono i motivi per cui non posso aderire a tale posizione. In primo luogo, postulo i valori guida sui quali esiste un consenso ancora prima della discussione; in caso contrario, sarebbe impossibile porre il fine relativo ai valori veri: la comunità della comunicazione deve essere' guidata da' valori perché in generale sia possibile un'argomentazione. In secondo luogo, il consenso non può
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essere per principio, secondo me, criterio della verità dei valori; il « criterio » risiede « solo » nel fatto che essi possono essere riferiti in maniera non contraddittoria a un valore universalmente valido. Anzi, nella determinazione del « valore vero » anche il criterio formale esprime una pref~renza: io mi decido per la pluralità delle forme di vita. II mio criterio mi consente del resto di considerare vero anche questo valore, poiché la « pluralità delle forme di vita >> può essere riferita in maniera non contraddittoria ai valori guida universalmente validi di libertà, comunità e personalftà. La mia obiezione nei confronti della teorfa di Habermas non riguarda il suo essere contra/attuale; essa è infatti un ideale, un ideale filosofico e la sua contrafattualità rappresenta al tempo stesso la sua fondazione. Il mio problema deriva dall'impossibilità di accettarla neppure come ideale. Non scelgo come ideale il consenso totale, né una discussione che renda impossibile la contrapposizione di valori veri. Non voglio che ci sia solo un'interpretazione di Amleto «vera», oppure che ci sia solo una forma di vita «buona». Per questo ho dato una certa definizione del valore «vero», per questo suggerisco il mio criterio delle discussioni filosofiche di valore, le consiglio a tutti quelli che « cercano la verità ». Non pretendo certo di suggerire una sorta di criterio universale « eterno » per la definizione del « valore vero», bensf sostengo che esso non è frutto di un'elaborazione arbitraria. A questo proposito vorrei richiamare quanto è stato detto in precedenza, sintetizzando i tratti comuni degli ideali di «Vero» e di «Bene» in tutte le filosofie. Qui intendo mostrare che sono tutti contenuti nel criterio con cui ho definito il valore vero nelle discussioni attuali. Il Vero è sempre un sapere in cont1.1asto con l'opinione. Il valore vero è un valore scelto che noi riferiamo consapevolmente a valori universalmente validi. Presupposto è che noi « cerchiamo la verità», che quindi mettiamo in questione ciò che è puramente dato, l'opinione, il pregiudizio. Il Vero ci guida nella conoscenza e nell'agire. Anche la funzione del valore vero è tanto teoretica quanto pratica. Valori veri o sistemi di valori veri ci servono per dare ordine alle nostre conoscenze sulla società, sul suo passato e presente. Al tempo stesso, in ogni sfera· di attività riferiamo il nostro agire sociale complessivo a valori veri. Questi ultimi svolgono dunque due funzioni - non separabili del tutto in quanto radicate nella personalità unitaria -: una teorica e una pratica. Il « sapere vero » è la nostra guida fidata nella conscenza e nell'agire. Senza la guida di un valore vero non potrebbe essere garantita la sicurezza della nostra conoscenza e del nostro agire. Non è sempre stato cosf. Dove le comunità « na-
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turali » sono solide e articolate e plasmano l'intera vita dell'uomo, è po~sibile un agire e un giudizio sicuro anche qualora le norme dell'ambiente vengano semplicemente «recepite» e applicate. Ma in una società in cui i sistemi di prescrizioni si frantumano in « ruoli », in cui non c'è nessuna comunità naturale che guidi l'intera vita umana, non esiste nemmeno piu quella sicurezza del1'agire e della conoscenza. Kierkegaard caratterizza in maniera molto pregnante per mezzo dello stadio estetico la personalità a cui manq la guida di vafori autonomi: « Sposati - te ne pentirai; non sposarti - ti pentirai lo stesso; che ti sposi oppure no - ti pentirai di tutte e due le cose; o ti sposi, o non ti sposi ti pentirai di entrambe le scelte ». Aspirare al sapere vero rappresenta una posizione teorica che richiede il superamento della particolarità. Lo stesso si può dire per il valore vero, a, cui si tende quando si « vuole sapere che cos'è la verità! ». Solo il valore vero può daire « ordine » alla nostra personalità e sicurezza al nostro agire. -Ma chi nella ricerca del valore è motivato da questa considerazione non ha superato la particolarità; il valore vero deve essere il motivo primario della ricerca, senza riferimento ai bisogni personali. In caso contrario, l'uomo non giungerà al valore vero, bensf razionalizzerà come vero ogni valore che dà sicurezza al suo agire. Il Bene è sempre un valore che contiene la morale o a livello di premessa o di motivazione. I valori veri sono universalmente validi oppure possono essere riferiti in maniera non contraddittoria a valori universalmente validi: conterranno quindi sempre la morale. L'agire riferito ai valori veri richiede, alla stregua di ogni agire razionale rispetto al valore, il mantenimento continuativo del valore; nel caso di un valore con contenuto morale, questo è rappresentato da un agire .morale. Nella prassi la particolarità deve essere superata nella misura in cui contraddice alla realizzazione del valore. Tanto il Vero quanto il Bene vengono esplicitati con la convinzione. Tanto per il Vero quanto per il Bene assumiamo una responsabilità. La stessa che assumiamo per i nostri valori veri. Si può sempre comprendere razionalmente che il Bene sia un valore. Dobbiamo quindi argomentare razionalmente riguardo ai nostri valori veri. Ciò presuppone, da un lato, che noi ascoltiamo e prendiamo in considerazione i contmargomenti e alla loro luce verifichiamo costantemente se i valori che abbiamo scelto sono effettivamente veri. Dall'altro, implica che noi suggeriamo i nostri valori a ogni essere razionale; e li suggeriamo in quanto valori universalmente validi. I Ma perché dobbiamo consigliarli in quanto universalmente validi? Perché de-
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finiamo vero solo un valore tale da riferirsi in maniera non contraddittoria a un'idea di valoré universalmente valida. Ma anche piu valori possono entrare in questo rapporto con la medesima idea. Questi valori - definizioni, interpretazioni del significato di valori universalmente validi - possono persino essere in contraddizione sul piano dell'essere e richiedere diverse strategie dell'agire. Sul piano del dovere, tuttavia, - e proprio questo riguarda la validità universale - è possibile pensare una loro co11mne attuazìone. Li si può dunque esplicitare tutti conferendo ad essi validità universale. I valori veri vengono fissati da uomini. Ogni uomo che· cerca la verità, che vuole prendere parte alle discussioni filosofiche dirette alla determinazione dei valori veri, deve suggerire valori veri e rispondere del suo suggerimento. Se, in seguito alla scelta di un valore, voglio intraprendere una discussione teorica, posso usare la seguente· formula: « Mi assumo la responsabilità dei valori che mi guidano nella conoscenza e nei miei giudizi. Ho messo alla prova i miei motivi in base a criteri di veridicità e posso affermare con buona coscienza che il valore che guida e costituisce il mio lavoro teorico e i miei giudizi non ha alcuna origine nei miei interessi privati, nei miei desideri, nei miei bisogni ecc., né li razionalizza. Ho compiuto la mia sçelta nell'ambito di valori validi oppure operando un riferimento non contraddittorio a idee di valore valide. Mi assumo la responsabilità anche della corrispondenza alla verità fattuale dei dati e avvenimenti che ho ordinato nella mia teoria, nelle mie valutazioni e nei miei giudizi in conformità ai miei valori in mod~ da trasformarli in fatti della mia teoria. Ho ascoltato, considerato e respinto gli argomenti addotti contro i· miei valori. Perciò convinto avanzo la pretesa alla validità universale della mia verità. Anche voi dovete pensare e giudicare cosf ! ». Se in seguito alla scelta di un valore, intraprendo una discussione pratica, posso usare la seguente formula: « Mi assumo la responsabilità dei valori in base ai quali procedo e che consiglio per l'agire. Ho messo alla prova i miei motivi personali in base ai criteri di veridicità e posso affermare con tranquilla coscienza che il valore guida che consiglio per l'agire e che dirige la mia azione non ha alcuna origine nei miei interessi privati, nei miei desideri, nei miei bisogni ecc., né li razionalizza, bensf l'ho scelto nell'ambito di valori validi e l'ho riferito in maniera non contraddittoria a valori validi. Rispondo del contenuto positivo di questo valore, del fatto che la sua scelta e la decisione di seguirlo è scaturita dalla presa di posizione in favore della categoria di orientamento di valore del Bene contro tutte le altre ed ha quindi carattere imperativo: questo è ciò che deve essere fatto. Riconosco come mio dovere, e me lo assumo, l'ob-
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bedienza incondizionata a questo valore. Ho ascoltato, considerato e respinto gli argomenti addotti contro il mio valore. Quindi con convinzione avanzo la pretesa alla validità universale della mia verità. Anche voi dovete agire e giudicare cosi! ». In questo modo siamo arrivati alla discussione di valore.
IV.
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Solo molto raramente si svolgono discussioni su o tra idee di valore. Nei casi in cui questo avviene le chiameremo « discussioni sui valori ». La stragrande maggioranza delle discussioni ài valore - quelle vere e proprie verte sulla definizione del significato delle idee di valore, ossia sull'interpretazione e sulla convalida dei valori universalmente validi. Le stesse discussioni sui valori devono tornare sempre alla concreta discussione di valore. Qui gioca un ruolo importante il richiamo ai fatti ordinati dai valori cosf come alla situazione e al compito di volta in volta concreto. Uno dice: « Rifiuto la violenza », e l'altro domanda: « La condanni anche in questa situazione, in questo caso? ». Oppure: « Cosa faresti in una tale situazione? ». La risposta potrebbe essere: « La condanno anche in questa situazione e non la eserciterei in nessuna circostanza », oppure: « In questo caso non la condanno e ne farei uso». Un'ulteriore possibilità è: « La condanno anche in questo caso, ma la userei», in altri termini, la persona in questione assume su di sé il dilemma della morale, è pronto a rispondere del fatto che il suo agire non ha' pretesa di validità universale, mentre il suo valore, il suo mondo morale rimane coerente. In questo caso, la responsabilità dell'agire è massima. Questo esempio mostra chiaramente che il ricorso alla concreta discussione di valore in una discussione sui valori ( per quanto riguarda la determinazione del contenuto di significato dei valori in rapporto all'attuazione) non può avere un collegamento teorico con il dilemma della morale. Nella prassi la situazione è tuttavia diversa. Molto spesso il dilemma della morale conduce infatti a un'incoerenza dei valori. E questa specificazione teorica è inevitabile, anzi ,molto rilevante, da un punto di vista prospettico e quindi anche già dall'angolo visuale del presente. Possiamo infatti raffigurarci una società in cui siano veri tutti i valori , che guidano gli uomini, vàlori riferibili coerentemente a idee di. valore; non possiamo però immaginare una società in cui cessi di esistere il dilemma della
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morale, in cui cioè tutte le azioni dirette da valori veri potrebbero elevare una pretesa di validità universale. Le società di classe ci mettono di fronte a conflitti in cui il dilemma della morale quasi «provoca» l'incoerenza dei valori; al contrario, i conflitti della società da noi postulata consentono di' vivere il dilemma della morale tenendo fermo ai nostri valori veri e alla loro realizzazione adeguata alla situazione e al soggetto, certo non senza tensioni, ma neppure con un'esigenza di razionalizzazione. Ancora un'osservazione. Il problema dell'attuazione delle idee di valore finora è stato considerato solo dal punto di vista dei « valori veri », nel caso cioè in cui un valore acquisti validità - in una interpretazione determinata, concreta. Questa è però piuttosto l'eccezione che il caso generale. Espressamente è stata evitata la locuzione « piuttosto l'eccezione che la regola », poiché, laddove si tratta del Bene anche l'eccezione può essere la regola, come accade in questo contesto. Ma per quanto riguarda la ~< media » sociale, si deve pur dire che tra la validità e la convalida dei valori sussiste una contraddizione. Ciò non significa solo che noi, al di là dei valori astratti, realizziamo norme morali concrete, ma anche che abbiamo innumerevoli normative concrete, che non riguardano nessuna norma astratta, per esempio, le regole del decoro, e che il nostro agire, anche di fatto, non viene guidato dalle norme che riconosciamo come vere, bensi dai motivi che Kant definisce come «brame»: di possesso, di onore, di potere. Nella maggior parte delle discussioni non sono in questione i valori veri perché l'interpretazione dei valori è diretta dalla razionalizzazione intersoggettiva o del tutto individuale delle brame. Per questo motivo il sistema dei valori ha un ordine conh·addittorio, non perspicuo e non razionale. Questi valori si muovono al livello dell'« opinione», per usare una terminologia filosofica, sono quindi particolari. Forse ricordiamo ciò che è stato detto sulla ricezione della filosofia da parte della teoria sociale. Anche se quest'ultima - o una qualunque argomentazione connessa, un racconto, una descrizione, un articolo di giornale, un discorso ecc. - non è diretta da valori filosofici, sono sempre dei valori a costituirne il fondamento, ma valori cristallizzati al livello di « opinione », irriflessi, o incoerenti, particolari, frutto di una razionalizzazione. Alla domanda se è possibile la discussione di valore, se si può argomentare in favore dei propri e contro altri valori, io rispondo: si danno discussioni di valore, di fatto, anche nella vita quotidiana, noi argomentiamo pro e contro dei valori; a dire il vero, non a favore di ognuno, né contro ogni valore, cosf come non sÌ:amo neppure costantemente impegnati in discussioni.
Comunicazione Ogni discussione effettiva è limitata nel tempo e nello spazio. La discussione teorica può essere pensata come infinita nel tempo. Non si può immaginare neppure teoricamente il carattere temporalmente infinito della discussione pratica. Rivolgendosi a consigli riguardanti l'azione o all'agire stesso, essa è sottomessa irrevocabilmente alla pressione del tempo. Nella scelta del valore guida dell'azione o della sua interpretazione, dobbiamo arrivare in un determinato spazio di tempo a una decisione, pena l'impossibilità di agire. È un'altra questione se questo spazio temporale può essere radicalmente diverso a seconda dei diversi tipi di agire. La conclusione della discussione teorica è sempre relativa, la si può proseguire in qualsiasi momento. La conclusione della discussione pratica non è relativa, poiché noi agiremo in conformità all'interpretazione del valore uscita «vittoriosa» dall'argomentazione. La discussione sul valore può, si, ripr~ndere, ma trasformandosi da discussione pratica in discussione teorica, Oppure diventando l'argomento di una nuova discussione pratica. Per arrivare a una conclusione della discussione di valore, sussistono le seguenti alternative: a) un partner, influenzato e persuaso dagli ,argomenti dell'altro, accetta H suo valore e adotta H suo punto di vista. b) Un partner accetta il valore dell'altro come verosimile e si decide a « verificarlo ». Ciò è possibile solo in una discussione pratica, mai in una teorica o in una discussione sui valoci. c) Uno dei partner fa appello a un'autorità incontestabile, alla quale si subordina l'altro. d) La discussione si conolude senza essere decisa. Il rapporto tra le persone che intraprendono una discussione di valore può essere simmetrico o asimmetrico. Nel caso di un rapporto simmetrico, le parti si fronteggiano come persone uguali, esseri ugualmente razionali, che nell'argomentazione compiono atti linguistici uguali. Habermas chiama questo rapporto « situazione linguistica ideale ». Ma la· circostanza che uomini uguali, che compiono atti linguistici uguali, si contrappongano gli uni agli altri, in sé non è ancora una garanzia che essi si serviranno nella discussione esclusivamente di argomenti razionali; questa circostanza garantisce soltanto che nessuno dei contraenti ha un potere sociale sul1'altro, che quindi nessuno è in condizione di interrompere la discussione autoritariamente. Ciononostante la discussione può concludersi con un altro ricorso all'autorità: quella di Dio. Se Dio per tutti gli esseri ugualmente razionali rappresenta la suprema fonte dei valori e la suprema garanzia, il rapporto simmetrico non esclude il ricorso al « comandamento divino». Quindi per l'ideale della
La filosofia radicale discussione di valore che abbiamo postulato non basta la « situazione linguistica ideale »; per questo motivo la definiamo al tempo stesso anche come discussione filosofica di valore.
Rapporti di dominio I rapporti di subordinazione e dì dominio sono asimmetrici. Nel corso della discussione non parlano lo stesso linguaggio persone che sono reciprocamente sotto- o sovraordinate all'interno della divisione sociale del lavoro o del sistema di istituzioni e di usi che la codifica. Il suddito non può comandare al re, può solo pregarlo. Nella famiglia autoritaria uomo e donna tra di loro, genitori e figli gli uni rispetto agli altri, non usano gli stessi atti linguistici. Ci sono società in cui i rapporti di subordinazione e di dominio arrivano persino a escludere la discussione di valore. Ma anche se ciò non avviene, sussisterà sempre la possibilità che uno dei partner metta fine alla discussione in forza della sua autorità. Ovviamente non ne consegue che sia assurdo o forzatamente inutile per un subordinato intrattenere una discussione di valore con un superiore. Innanzitutto non. bisogna escludere la possibilità di convincere l'altro. Inoltre insistere nell'argomentazione spesso può indurre a realiz2are valori diversi, spesso anzi molto importanti, come il coraggio, la dignità umana ecc. Non è neppure infrequente che uomini, legati reciprocamente da un rapporto asimmetrico, lo « sospendano » per la durata della discussione di valore. In questi casi si dice: « Parliamo da uomo a uomo » - il che non significa altro se non che in situazioni diverse non ci si parla in questo modo. Questa « sospensione » è tuttavia sempre relativa e al tempo stesso problematica. - Solo il buffone di corte può dire la verità al re. Da questo punto di vista, l'istituzione « buffone di corte» meriterebbe un'analisi particolare. Il fatto che sia diventato un'.istituzione mostra comunque che anche un uomo, superiore a tutti gli altri e quindi privo di rapporti « simmetrici », ha bisogno di un altro che intraprenda con lui una discussione di valore razionale. Quest'altro deve però stare al di là del sistema dei rapporti di subordinazione e di dominio: per questo è un « buffone ». I suoi argomenti non possono essere presi sul serio - non è possibile replicare ad essi in termini autoritari - poiché la sua persona non può essere presa ·sul serio. Naturalmente il re è un esempio estremo. In-società basate su rapporti di subordinazione e di dominio esistono anche rapporti simmetrici: uomini che si tro-
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vano sul medesimo gradino della disuguaglianza sociale hanno tra di loro rapporti simmetrici che tuttavia non possono mai venire generalizzati socialmente. Anche rapporti di dipendenza personale possono essere asimmetrici. Qualora assumano la forma della subordinazione o del dominio, la discussione sarà necessariamente caratterizzata da atti linguistici diversi. Sotto questo aspetto, non c'è nessuna differenza tra il rapporto del signore feudale con il proprio servo della gleba e con quello di un altro e viceversa. Rapporti di dipendenza personale si costituiscono tuttavia non solo. all'interno di relazioni di subordinazione e di dominio, bensi anche nel perseguimento di un fine, nella soluzione di un compito. Possono ess,ere istituzionalizzati, ma anche spontanei. Anche nella famiglia non autoritaria il bambino .piccolo si trova in un rapporto di dipendenza personale rispetto ai genitori per quanto riguarda l' « elevazione » alla socializzazione, al movimento autonomo nella società. Allo stesso modo, se si vuole raggiungere un fine, è possibile scegliersi o riconfermare un rapporto di dipendenza personale: ci si sceglie un capo, un comandante, un incaricato, costituendo cosi la propria dipendenza personale per la durata del contratto. Ci si sceglie, in altri termini, un'autorità relativa. I rapporti di dipendenza personale sono tanto eterogenei che non intendiamo analizzarli dettagliatamente. Ci limitiamo a notare che non si tratta sempre necessariamente di rapporti di subordinazione e di dominio. E ciò accade quando ogni singolo in questo rapporto può prendere parte in posizione paritaria alla discussione di valore teorica e pratica. Al tempo stesso, all'interno di rapporti di dipendenza personale, non tutti dispongono della medesima competenza per partecipare egualitariamente anche alla scelta dei mezzi dell'agire razionale rispetto allo scopo e all'elaborazione della strategia di realizzazione. Pensiamo solo a una fabbrica con una direzione democratica. La democrazia deve venir fuori da una prassi di decisione collettiva dei valori guida della produzione, attuata nel corso di una discussione razionale di valore. La direzione si esprime però nel fatto che la realizzazione dell'obiettivo definito in termini di valore deve avvenire ,in una situazione di autorità relativa. Tutti i membri di . una società dovrebbero decidere nell'ambito di una discussione razionale di valore, quali mezzi materiali devono essere impiegati per la, realizzazione di quali valori. Tuttavia non può mai essere la società intera a decidere il modo e la forma, nonché i mezzi di applicazione. La razionalità rispetto al valore non richiede infatti nessun tipo di sapere specialistico, mentre l'agire neutrale rispetto al fine lo richiede in ogni caso. Basta ricordare il chiaro esempio aristotelico: già per quanto riguarda la tecnologia con cui deve essere costruita una casa, non tutti
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sono ugualmente competenti. Ogni membro di una società è ugualmente competente per decidere :.u::l'abolizione della pena di morte oppure dei penitenziari; l'elaborazione delle questioni giuridiche deve però essere lasciata agli specialisti. Ma se si incarica qualcuno di qualcosa, lo si investe di un'autorità relativa in questa situazione concreta. E ciò significa che, fintanto che egli realizza il valore ~ollettivamente scelto in una discussione razionale di valore, oppure fintarito che quest'ultimo non viene revocato in una nuova discussione, è necessario sottostare all'autorità del ,suo s,apere specialistico. Una società complessa non potrebbe funzionare senza !',autorità relativa dell'agire razionale rispetto 1
ail fine. È possibile immaginare una società in cui siano assenti i rapporti di subordinazione e di dominio, ma è impensabile una società non piu primitiva in cui non esistano rapporti di dipendenza personale. È possibile pensare una società .in cui ogni discussione di valore si fondi su rapporti simmetrici; è impensabile invece una società in cui le discussioni sulla razi~naltà rispetto al fine siano egualmente fondate su rapporti simmetrici: quando si tratta di razionalità rispetto al fine, il sapere specialistico ha sempre il peso maggiore. È un'altra questione la realtà, tanto diffusa nella società borghese, per cui tipi di attività per essenza razionali rispetto al valore funzionano -come se fossero razionali rispetto al fine: ne consegue infatti la correlazione di un ,« sapere specialistico» anche ad attività per le quali sarebbe competente, in quanto egualmente dotato di ragione, ogni uomo colto, a prescindere dalla sua professione. Ci si deve però porre l'obiettivo di mettere in moto una discussione razionale sulla questione· di che cosa rientra necessariamente nel campo della razionalità rispetto al fine e del sapere specialistico e da cui quindi non può essere eliminato il rapporto di dipendenza personale, e che cosa no. Per fare un semplice esempio chiarificatore: quando è l'autorità dell'insegnante di itaHano a decidere quale deve essere l'opinione del suo allievo su un'opera letteraria, il rapporto di dipendenza personale si trasforma in un rapporto di subordinazione e di ·dominio. Quando invece è necessario correggere le frasi grammaticalmente sbagliate oppure i dati errati nel compito dell'allievo, l'insegnante deve procedere autoritariamente: questo caso rientra nel campo della razionalità rispetto al fine. L'allievo non può mettere in discussione se 5 X 5 fa effettivamente 25. In ogni questione non orientata valutativamente deve valere l'autorità del sapere specialistico. - Indubbiamente tutto questo si può concretizzare in maniera cosi chiara e senza conflitti solo sul piano generale. Ma in questa sede dobbiamo accontentarci.
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Il dilemma della\ morale Ci sono solo due tipi di discussioni di valore: quella quotidiana e quella filosofica. Quelle politico~ideologiche, quelle morali e quelle concernenti la forma di vita occupano però nella loro stragrande maggioranza una posizione intermedia tra i due tipi. Esse si elevano dal tipo quotidiano al tipo filosofico, o si abbas-
sano da quello filosofico a quello quotidiano, oppure sono le parti a prendere posto su « piani » diversi. Nella discussione quotidiana di valore non è necessario che i valori in questione vengano scelti o confermati; al contrario, in quella filosofica sono in questione valori scelti o confermati. Non è necessario prendere parte alla prima con valori veri. Chi si impegna in una discussione di questo tipo non si preoccuperà di depurare prima i suoi valori dai motivi particolari-personali; i valori potrebbero anche essere pure realizzazioni di aspirazioni e desideri particolari. Anche in questi ultimi, tuttavia, deve essere presente un ricorso a determinati valori - accettati come veri per via del consenso -; in caso contrario, sarebbe del tutto impossibile una discussione di valore. In una discussione filosofica le parti devono invece prendere posizione in favore di valori veri. - In quella quotidiana sistema e gerarchia dei valori possono anche essere latenti; in quella :filosofica devono essere espliciti. Ogni essere razionale deve mirare a èondurre le sue discussioni di valore al livello di una discussione :filosofica. Questo carattere filosofico richiede perciò da ogni individuo dotato di ragione un'idea regolativa, la cui applicazione pratica significa al tempo stesso l'applicazione teorica della stessa idea. In società fondate su rapporti di subordinazione e di dominio è impossibile generalizzare la discussione filosofica di valore. Per il momento possiamo solo :fissare questa antinomia; torneremo ancora sul problema della sua insolubilità o meno. Il tipo filosofico - come ogni discussione di valore in generale - viene condotto, per quanto riguarda l'applicazione pratica dei valori, sotto la pressione del tempo e dell'azione. Da un pupto di vista teorico, solo in quanto singoli ci troviamo sotto la pressione del tempo; lo stesso non avviene, in via di principio, per la comunità ideale dei partner della discussione, l'umanità. L' « innalzamento » alla discussione filosofica di valore - ossia ogni discussione in cui noi vogliamo fondare l'interpretazione dei nostri valori come valori veri - può avere una conclusione relativa: un partecipante alla discussione convince l'altro che il suo valore, con il quale si è impegnato nella discussione, non
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è vero, e questi dà di conseguenza un nuovo senso al suo valore perché diventi
vero; la discussione può anche finire senza una decisione; in questo caso è fallito il tentativo di elevarla al livello filosofico. Al tempo stesso, anche in queste discussioni di valore, a dire il vero solo in quelle pratiche, è possibile che un partner accetti e sperimenti il valore - l'interpretazione del valore dell'altro come verosimilmente vero. Ciò tuttavia non significa la conclusione, bensi unicamente il rinvio della discussione. Nell' « innalzamento » alla discussione filosofica di valore non si può far ricorso l'lll'autorità. Al centro della discm;sione filosofica non sta la verità dei valori, poiché entrambi i partner riconoscono la verità del valore dell'altro, bensi la gerarchia dei valori, ossia la questione di quale valore vero deve assumere una funzione di guida della nostra prassi e della strategia della nostra azione, di quale strategia di conseguenza deve fondare la costituzione della nostra teoria sociale a teoria della strategia dell'azione. Dato che la decisione in favore di un valore implica sempre l'esclusione dell'altro - egualmente riconosciuto come vero -, ogni discussione filosofica tra valori veri, quando è pratica, produce e riproduce il dilemma della morale. Ove sia puramente teorica, non esprime invece null'altro che la pluralità delle forme di vita, l'irripetibilità delle personalità, l'infinita possibilità della comprensione fraintendente. Alla discussione filosofica partecipa - simbolicamente - ogni essere dotato di ragione che ha vissuto prima di noi. Ma neppure simbolicamente vi prendono parte gli esseri razionali che vengono dopo, come sostiene Habermas. Noi creiamo i nostri valori sulla base di quelli di volta in volta esistenti, oppure li mettiamo in rapporto - benché con un nuovo contenuto - con valori e ideali esistenti, insomma li interpretiamo. Vogliamo che i valori che abbiamo scelto siano validi, anche in futuro, per ognuno. Sappiamo però anche che siamo noi uomini a creare i nostri valori. Né possiamo escludere che - in futuro - qualcuno tenderà ad affermare la validità universale o aspirerà anche ad altri valori. Abbiamo il dovere di postulare che gli uomini del futuro elaboreranno anche altri valori. D'altra parte, non possiamo discutere razionalmente con ciò che non conosciamo: non stiamo infatti fuori della storia. Il nostro sistema di valori contiene valori fondanti e dedotti, collocati in un ordine gerarchico. Non esistono due uomini per i quali si potrebbe affermare una completa identità della totalità dei loro valori, interpretazioni o gerarchie. Se postulassimo il contrario, una discussione di valore anche tra di essi sarebbe impossibile: non avrebbero niente su cui discutere. Come caso limite, potremmo assumere l'esistenza contemporanea di due uo-
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mini nel cui sistema di valori nessun valore assume le sembianze di un qualche valore dell'altro. In questo caso, nemmeno tra di essi sarebbe possi~ile una discussione: non avrebbero nulla con cui discutere. Le discussioni di valore sono possibili se: a le idee di valore sono le stesse, il loro contenuto di significato è tuttavia diverso; b tra i valori ce ne sono alcuni identici, con uguale contenuto di significato; c tra le idee di valore ce ne sono alcune identiche, con contenuto di significato simile; d la differenza del sistema di valori risulta prevalentemente dalla differemia della gerarchia di valori. La possibilità di condurre la discussione filosofica di valore non significa la sua effettiva realizzazione. Premessa indispensabile di ogni discussione effettiva è la volontà di portarla ad effetto dei partner - rappresentanti di valori diversi. Tutti i partner potenziali devono volere questo. Qualora, direttamente o indirettamente, all'argomentazione venga contrapposto un intervento autoritario, una -discussione di valore diventa impossibile. Il punto d'avvio della discussione filosofica di valore è sempre virtuale. La possono precedere discussioni quotidiane in cui gli uomini chiariscono i loro valori, oppure anche discussioni che le oltrepassano. Se ci riferiamo al modello puro, il punto d'avvio è un fattore importante, poiché partedpiamo alla discussione filosofica con i nostri valori veri. Ma fa parte dell'obbligazione contratta in favore dei « valori veri » aver ascoltato e respinto le argomentazioni contro i nostri valori. Perciò è necessario - dal punto di vista del modello puro - che quella filosofica sia preceduta da altre - quotidiane o ulteriori - discussioni di valore. Le discussioni concrete non hanno inizio sul piano filosofico, bensf possono diventare filosofiche quando i contraenti, nel corso delle argomentazioni e controargomentazioni, si elevano reciproca~ente al livello della discussione filosofica. Ciò può avvenire nelle seguenti forme: a un partner della discussione, oppure un gruppo di partner, ravvisa una contraddizione nel sistema di valori dell'altro o degli altri; b un partner della discussione o un gruppo di partner dimostra che l'altro o gli altri attribuiscop.o al medesimo valore in giudizi diversi diversi significati; c un partner prova l'esistenza di una contraddizione o di una discrepanza tra l'applicazione teorica e pratica del valore dell'altro; d un partner dimostra che l'altro fa appello nella teoria a fatti che non esi-
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stono e che non possono venire sostituiti da altri funzionalmente equivalenti avendo riguardo alla coerenza della teoria; e un partner prova che dall'altra parte un avvenimento sociale, un evento, una oggettivazione viene interpretata in base ai valori scelti in modo tale che il malinteso non comporta la comprensione; f un partner dimostra agli altri che tra questi o quei valori espliciti e latenti . sussiste una discrepanza. Non c'è bisogno di dire che - trattandosi di una discussione in senso proprio - tutto ciò è possibile anche all'inverso. Rispetto a coloro che parlano di un'« inanità » della discussione di valore, vorrei osservare che i tipi di argomentazione sopra enunciati esplicano il loro effetto quasi sempre, riuscendo a persuadere in relazione alla disponibilità del destinatario alla discussione filosofica. Un avvenimento realmente accaduto può servire come esempio: Gyorgy Lukacs raccontava di essersi rivolto per lettera a Thomas Mann, durante il processo al comunista ungherese Zoltan Szant6 e ai suoi compagni, per il quale ci si aspettava una dura sentenza, pregandolo di protestare contro questo atto del Terrore. Mann rispose che notoriamente la sua posizione era contraria all'intervento degli scrittori nelle questioni politiche; questo era un processo politico con il quale, in quanto scrittore, non aveva nulla a che fare. Non avrebbe quindi protestato. Lukacs replicò nella sua risposta che Mann poco tempo prima aveva fatto visita a Pilsudski in Polonia, tenendovi delle conferenze; che cos'era questo se non politica? - Stando cosf le cose, intendeva Lukacs, la « comunicazione è interrotta», ma sbagliava. Pochi giorni piu tardi arrivò un telegramma di Thomas Mann con il seguente testo: « Ho telegrafato a Horthy ». Ecco un esempio tipico e particolarmente bello di discussione di valore riuscita. Lukacs aveva dimostrato che tra il valore, professato dal suo partner, e le sue azioni, c'era una discrepanza. Thomas Mann vi rifletté sopra; fece astrazione da tutti i motivi personali, dal sentimento di offesa, dalla vanità del tipo: « quod dixi, dixi », superò immediatamente questa discrepanza in maniera attiva. Non c'è bisogno di dire che una p1'emessa di questa discussione riuscita fu certamente il consenso in rapporto a determinate idee di valore, sebbene i due attribuissero ad esse un diverso significato. Nelle discussioni quotidiane viene messa alla prova la giustezza dei valori in rapporto ad azioni concrete. Nella discussione ulteriore è la verità dei valori giusti a essere sperimentata. In quella filosofica ci si impegna con valori veri. Dobbiamo postulare che il valore del partner, che intraprende con noi una di-
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scussione filosofica, è altrettanto vero, che i valori 'cli entJ.1ambi si riferiscono al medesimo ideale e che perlomeno si può ipotizzare la loro realizzazione comune. Ma in questo modo per la seconda volta ci scontriamo con l'antinomia delle società che si fondano su rapporti di subordinazione e di dominio. In queste ultime non è iq.fatti neppure pensabile che interpretazioni inerenti alla medesima idea .di valore possano acquistare validità insieme: realizzandosi, vengono ad escludersi reciprocamente. In società che si fondano su rapporti di subordinazione e di dominio la discussione filosofica di valore non è generalizzabile. Al tempo stesso, però, ogni essere razionale deve tendere a portare le sue discussioni di valore al livello di una discussione filosofica. Il carattere filosofico di quest'ultima richiede perciò da ogni essere razionale un'idea regolativa. Ancora una volta, vogliamo tenere aperta la questione se questa antinomia si possa sciogliere oppure no. Siamo infatti giunti a uno dei problemi piu gravi della discussione di valore: alla discussione sui valori. Quando a un'idea di valore se ne contrappone un'altra, e la discussione di valore risale quindi alla discussione sui valori, finiscono per contrapporsi due mondi. Epoche storiche tra le quali intercorre un conflitto sociale fondamentale, che si escludono reciprocamente, o le classi che le rappresentano, hanno sempre idee di valore contraddittorie. Mettere in questione la verità di una di queste significa al tempo stesso mettere in questione un'intera epoca storica e le classi o ordinamenti sociali che la rappresentano. Di regola non si può configurare una discussione effettiva, riguardante idee di valore, tra rappresentanti di epoche storiche antitetiche per quanto riguarda le loro idee dominanti. Cristo e il Grande· Inquisitore non si possono persuadere a vicenda. Al massimo questa discussione potrebbe avere come risultato la constatazione da parte dei partecipanti di pensare e agire entrambi in maniera razionale rispetto al valore, ma di poter intendere solo il proprio valore come vero e di non poter quindi venire convinti dalla verità del valore dell'altro. Si tratta però soltanto di un'ovvietà, poiché due valori che si contraddicono e si escludono reciprocamente non possono essere veri contemporaneamente, nello stesso luogo e nello stesso rapporto. O l'uno è vero o l'altro: o - o. Come è stato descritto in maniera indimenticabile da Schiller. Di fronte al re, 'Posa parla con tanta passione della libertà, ma può raggiungere solo un risultato, ed è il massimo: Philip riconosce che il suo antagonista agisce in maniera razionale rispetto al valore e che il suo valore gli « appare » come vero. Ma neppure per un momento il re lo riconoscerà come tale. Se lo facesse, il suo mondo crollerebbe. O - o.
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Tuttavia questa discussione che sembra tanto priva di sbocchi ha un'importanza straordinaria. In effetti al centro delle nostre considerazioni sta l'ideale della discussione filosofica o di tutte le discussioni che si elevano al livello filosofico; abbiamo anche affermato che le discussioni su idee di valore non sono cosf frequenti come generalmente si crede; ma non vogliamo mettere in discussione la rilevanza storica della discussione su idee di valore. I criteri della discussione filosofica non sono applicabili alle discussioni conseguenti a un conflitto di idee di valore, poiché in esse non si contrappongono mai valori rispetto ai quali si potrebbe pensare per il futuro un'attuazione comune. Se si guarda alle discussioni del passato, questa precisazione appare in effetti irrilevante. Nel passato i criteri qui suggeriti non erano quelli del valore vero, ma sempre solo criteri diversi. Ma qualunque cosa siano stati, è chiaro che di due idee di valore solo una poteva essere vera. Riferito al presente, però, il nostro criterio del « valore vero» si può applicare anche in questo caso. Ne] dibattito tra idee di valore consideriamo vera l'idea che può contare sull'impegno di sostenitori disposti a mettere alla prova la verità della loro idea in una discussione filosofica con tutti coloro che riferiscono i loro valori in maniera non contraddittoria alla medesima idea. Se si considera tuttavia l'attuale coriflitto, appare chiaro che solo gli interpreti di un'idea sono. disponibili a una discussione filosofica. Per esempio, le idee di « ineguaglianza » o « individualismo» la escludono. Né ieri né oggi le discussioni su idee di valore cont11addittorie hanno perseguito il fine primario di convincere il partner. Certo, anche questo può essere un obiettivo: si deve presupporre che anche l'altro sia in grado di compiere una nuova scelta di valore. Il vero e proprio destinatario di tali dibattiti è tuttavia il « terzo ». Nella discussione di idee contraddittorie le parti si rivolgono· soprattutto a coloro che non hannò ancora ben chiavi i loro valori, che sono ancora disponibili a una ricezione. La discussione su valori contraddittori si svolge sempre sulla scena del mondo. Le « anime », i ricettori, sono favorevoli alla validità del nuovo valore e alla relativizzazione del vecchio. Il valore « perdente » si separa dalla serie delle idee - ma non necessariamente anche da quella dei valori; tuttavia per il seguito non sarà piu un « valore guida»: per porlo come vero lo si dovrà riferire ad altri valori validi. L'idea di valore in statu nascendi sarà difesa dai suoi promotori con il proprio corpo e nutrita con il proprio sangue fintanto che essa non si innalzi. al livello della validità universale. La nascita di una nuova idea di valore comporta sempre un « diverso rag-
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gruppamento », una mutazione del sistema di valori, che viene resa cosciente e messa all'otdine del giorno dalla discussione insorta intorno alla nuova idea di valore. Basta pensare alla nascita dell'idea dell' « uguaglianza di tutti davanti alla legge». Posto di fronte ad essa, l'Illuminismo ha dovuto rovesciare numerosi vecchi valori ( come per esempio la vendetta o il duello) e fissarne dei nuovi. Da quel momento, i vecchi valori hanno ricevuto un accento negativo, venendosi a trovare in contraddizione con la nuova idea, il sistema giuridico valido universalmente e ugualmenté per tutti. Ab.biamo detto che l'idea nascente è difesa dai suoi propugnatori con il loro corpo e nutrita con il loro sangue. Ciò riguarda - anche se non sempre con tanta enfasi - piu o meno t.utti i valori. Infatti la discussione di valore non si può mai separare dalla prassi sociale e dalla vita dei partecipanti alla discussione, nonché· dalla loro particolarità di uomini interi. Una separazione di questo tipo è sempre una mera astrazione. Anche l'azione è un argomento; Io è anche l'esperienza, l'esperienza vissuta. Se l'esperienza determina in un uomo o in un grupp9 un sentimento di rifiuto ~ nei riguardi dei valori tramandati - un sentimento che qualcosa « non va >> in essi - ciò significa che sono disposti a farsi convincere in una discussione. Qualora uria discussione rimane senza esito, ma ciononostante provoca successivamente in uno dei ,partner una qualche esperienza o sensazione che .qualcosa ha sconvolto la sua fede, la sua fiducia nei propri valori, ciò significa che succefsivamente la discussione potrà condurre a un risultato. Un'esperienza vissuta convincente può essere: ciò che mi succede o mi è successo, e ciò che succede o è successo ad altri. In prigionia Creso geme: « Solone, oh Solone! » - e in questo modo riconosce come persuasiva l'argomentazione esposta da Solone in una discussione risalente a molto prima, ma che allora si era conclusa senza una decisione. Quello che gli stava suc~edendo confermava che la sua interpretazione del valore della «felicità» .non poteva superare la prova, che Solone aveva ragione quando sosteneva che nessuno poteva esser detto felice prima di morire. Nell'ultima scena della tragedia di Schiller, Don Carlos assegna alla libertà delle Fiandre un posto superiore alt'amore nella sua gerarchia di valori. La ristrutturazione di quest'ultima viene motivata da cose accqdute ad altri, fatte da altri: dall'uccisione del re e dal sacrificio di Posa. Sotto il profilo morale non è la stessa cosa se uno ristruttura la sua gerarchia di valori in base alla propria esperienza o a quella di un altro; per quanto riguarda invece la riuscita della discussione di valore, i due casi sono equivalenti.
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La funzione concomitante dell'esperienza, anche immediata, nella scelta di nuovi valori non elimina tuttavia il significato peculiare della discussione. Anche quando la persuasione avviene in un momento successivo sono sempre gli argomenti addotti nel corso della discussione che continuano ad agire. Perciò il gemito di Creso in prigione « Oh Solone, Solone! », non significava altro che: « Nella discussione tra di noi avevi ragione, ora ne sono persuaso! ». Nella discussione quotidiana si ricorre spesso ai motivi particolari dell'altro: « Tu condanni la guerra solo perché sei vile», oppure « La tua vanità non ti consente di capire che hai torto». Nelle discussioni in cui vogliamo sperimentare la verità dei nostri valori giusti, ossia nell'evoluzione della discussione quotidiana a discussione filosofica, non possiamo né dobbiamo mai fare riferimento ai motivi particolari dell'altro. In caso contrario, la discussione decade immediatamènte al livello quotidiano. Si possono, sf, presupporre i motivi particolari dell'altro, ma mai servirsene nel!' argomentazione. Nella discussione filosofica si muove dal fatto che entrambe le parti rispondono della verità del proprio valore. Non è ammesso presupporre una motivazione particolare. Al tempo stesso, tuttavia, né nella discussione quotidiana, né in quella che la oltrepassa si presuppone che i valori al centro del dibattito non siano espressione di interessi particolari o di bisogni sociali reciprocamente contrastanti o che perlomeno mostrino un'affinità con questi.
Si è detto che la discussione filosofica è tale in quanto intercorre tra valori veri. Qualora il valore possa t:ssere dedotto dall'interesse, ne costituisca semplicemente l'espressione, una discussione filosofica si rivela perciò impossibile. Se il valore è deducibile dai bisogni o ne rappresenta semplicemente un'espressione, la discussione filosofica si rivela mera parvenza, che si può svelare;. in questo caso, essa è fondamentalmente impossibile. Se il valore non è deducibile né dagli interessi, né dai bisogni, nia i valori concreti mostrano un'affinità nei confronti di questi ultimi, la discussione filosofica è possibile in via di principio, ma in società, che si fondano sulla' subor. dinazione o sul dominio, può rivestire unicamente il ruolo di un'idea regolativa, non costitutiva, e perciò, in altri termini, non è possibile. Ma la discussione filosofica deve essere. Consideriamo ora il problema dal punto di vista della possibilità di principio. I valori sono fatti sociali primari. Ogni società è un sistema di istituzioni e
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cli usi che presuppone un'articolazione cosciente cli preferenze o svalutazioni espresse mediante categorie di orientamento di valore. Di interessi si può parlare solo nelle società di classe, dove esst st costituiscono nella forma di confiitto di interessi. rBasta ricordare i manoscritti etnologici in cui, sia pure per grandi linee, Marx è riuscito a fissare il momento di origine del conflitto di interessi. L'interesse è quindi un fatto sociale secondario, dal quale non è deducibile uno primario. Il bisogno, allo stesso modo del valore, è un fatto sociale primario. In società senza class1 e al tempo stesso stagnanti il sistema dei bisogni coincide, perlomeno a grandi linee, tendenzialmente, con il sistema dei valori. D'altra parte; in tutte le società di classe finora esistite non sussiste un'identità neppure individuale, tra il sistema dei bisogni dato nelle oggettivazioni sociali e il sistema dei valori. Se fossero identici, sarebbe impossibile la permanente validità universale di determinate idee di valore, né sussisterebbe alcun contrasto tra la validità e l'attuazione dei valori. AI tempo stesso, il valore può diventare anche un bisogno. In breve: il valore non può essere dedotto dal bisogno. La discussione filosofica è perciò possibile in via di principio: La tesi che i valori in quanto fatti sociali non si possono dedurre da interessi o bisogni non significa però che i valori concreti di uomini e gruppi c~ncreti non si possano mettere in rapporto con interessi e bisogni. In ogni società in cui esiste una divisio~e sociale del lavoro, il posto occupato all'interno di quest'ultima determina un'affinità riguardo alla scelta di determinati valori o al rifiuto di altri. Affinità non vuol dire certo determinazione. Caratteristica della società cli classe è appunto l'eterogeneità dei sistemi di valore. E ciò implica la possibilità che si scelga un valore, che si scelgano e si interpretino i propri valori in rin modo per cui la scelta non esprime esattamente il posto occupato nella divisione sociale del lavoro. Al tempo stesso, questa affinità sarà presente in tutte le discussioni che avvengono in una società fondata su rapporti di subordinazione e di dominio. Può accadere che qualcuno riforisca «idealmente» il punto di vista di un'altra unità sociale: i suoi valori esprimeranno cosf in primo luogo un'affinità con tale unità, senza che, per quanto riguarda la divisione sociale del lavoro, egli vi si sia integrato. Per esempio, Marx si pone dal punto di vista della classe operaia. In una società, in cui esistono conflitti di interesse, e i bisogni e la loro soddisfazione si trovano in un rapporto antagonistico, non è possibile una discussione di valore in cui non si manifestino tali contraddizioni. La discussione filosofica riguarda sempre valori· veri.
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Ma nel caso di un confronto di valori, che mostrano un'affinità con interessi contrastanti, è possibile postulare la verità di tutti i valori coinvolti nella discussione? È possibile sostenere la verità di tutti i valori che mostrano un'affinità con i bisogni, ma che, dal lato della loro soddisfazione, si escludono reciprocamente? Ripetiamo dunque: è possibile una discussione filosofica in una società fondata sulla subordinazione e sul dominio? Se la risposta è: « Non è possibile », vuol dire allora che è impossibile trasformare questo mondo'. Perché qualcosa cambi, qualcosa deve essere trasformato. Perché nasca una società che non sia fondata su rapporti di subordinazione e di dominio, ci devono essere uomini in grado di crearla. E possono essere solo uomini che conducono tra di loro, in posizione paritaria, una discussione filosofica: presupposto di un mondo che non si fondi su una divisione del lavoro quasi-naturale, di un mondo in cui l'uomo sia padrone delle proprie condizioni sociali di esistenza, è la partecipazione - sia pure virtuale - di ognuno all'elaborazione deUe idee di valore. La dis~ssione filosofica deve quindi essere attuata. • Innanzitutto viene da chiedersi: idea-guida della discussione filosofica di valore può essere un'unità sociale caratterizzata dall'assenza di «interessi»? L'interesse si. costituisce nell'ambito di. conf1tti di interesse. Esiste un'unità sociale rispetto alla quale nessun'altra può trovarsi in conflitto di interessi? Un'unità di questo tipo esiste: è l'umanità. Se la pensiamo nella sua totalità, l'umanità non ha interessi, poiché non esiste un'unità che potrebbe avere interessi cot:ttrapposti.
I valori riferiti al valore « umanità » non sono quindi espressione di un'affinità con gli interessi. D'altra parte, l'umanità non è una comunità reale, bensi un'idea di valore, la suprema idea di valore dell'unità sociale. Non essendo tuttavia reale, qualtin- · que interpretazione concreta ne venga data - qualunque contenuto di significato le attribuiamo, per quanto la facciamo valere ~ manifesterà sempre un'affinità con un'unità, strato, classe particolare dal punto di vista dell'umanità. Che fare? Sono i nostri valori, quelli che mostrano un'affinità con gli interessi e bisogni di gruppi particolari, a elevar~, in quanto interpretazioni dell'idea di valore, una pretesa di validità universale. Ciò significa che le discussioni di valore contengono un momento ideologico. Anzi, nOn lo si può evitare, firiché esisterà una divisione quasi-naturale del lavoro che costituisce ed esprime i rapporti di subordinazione e di dominio. Al tempo stesso, tuttavia, la discussione filosofica non deve a_vere un'impron-
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ta ideologica. In essa il particolare non deve essere posto come generale. Infatti, porre )a pro.pria interpretazione - il proprio ~uggerimento per l'attuazione dei valori universalmente validi - come l'unica vera, significa escludere che il valore del partner nostro antagonista nella discussione sia altrettanto vero. Nel caso che un valore, che esprime affinità con gli interessi e il sistema di bisogni di un determinato gruppo, si presenti nella discussione come l'universale, il vero, e di conseguenza la nostra interpretazione riceva un'impronta ideologica, diventa impossibile attuare alcun tipo di discussione filosofica.
Ragione e deideologicizzazione Ancora una volta - e di nuovo in un altro contesto - ci troviamo di fronte a un'antinomia. Nelle società fondate su rapporti di subordinazione e di dominio non è possibile una discussione filosofica di valore: tuttavia essa deve essere attuata. D'altra parte, non può essere una semplice idea regolativa, bensf deve diventare costitutiva, pena l'impossìbilità di superare la società fondata su rapporti di subordinazione e di dominio. Ma se richiamiamo alla mente i termini dell'antinomia, sorprende la constatazione che essa è caratterizzata da due « piani » diversi. Sull'uno l'antinomia è insolubile - sull'altro può essere completamente risolta. Ma appunto il suo superamento su quest'altro piano conduce al superamento dell'antinomia stessa. Quali sono questi due piani? Da un· lato in una società fondata su rapporti di subordinazione e di dominio la discussione filosofica di valore non è generalizzabile; tuttavia, in corrispondenza alla norma ideale della filosofia, ogni essere razionale deve partecipare alla discussione filosofica di valore. Dall'altro, in società fondate su rapporti di subordinazione e di dominio, non è possibile una discussione filosofica, la quale tuttavia deve essere posta come idea costitutiva per poter superare questa società. Qui di seguito vorrei fare un tentativo di soluzione pratica di questa antinomia, soluzione ipotizzabile s~lo al secondo livello. · Come si è detto, l'umanità rappresenta l'unità sociale riguardo alla quale sono inconcepibili « conflitti di interesse ». Ne consegue tuttavia che una discussione filosofica è possibile solo tra partner che riferiscono tutti i loro valori all'umanità in quanto l'unità universale_ Nessuna discussione filosofica può invece avvènire tra partner dei quali l'uno \
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considera l'umanità come l'unità suprema, mentre l'altro assegna a un'unità particolare il rango di idea superiore a quella di umanità. La discussione può raggiungere il livello filosofico solo se intercorre tra partner per i quali l'umanità rappresenta incondizionatamente la suprema unità sociale, sebbene ognuno di essi possa esprimere ·i suoi valori niferiti all'umanità e i suggerimenti riguardanti lo sviluppo dell'umanità medesima nella forma di valori concreti, reciprocamente divergenti, e che mostrano un'affinità con la sua propria unità, ceto, classe particolare. In tal senso, sono però necessarie piu d'una condizione. Tra i rappresentanti di valori riferiti all'umanità e che hanno affinità coh concrete unità sociali è possibile una, discussione filosofica solo qualora si possa pensare la realizzazione comune dei valori in questione; e questa possibilità esiste anche se le forme di realizzazione di tali valori si incrociano contraddittoriamente e richiedono strategie diverse. Nel caso che non si potessé neppure concepire la realizzazione comune di valori che hanno un'affinità con due diverse unità sociali, tra le parti non può sorgere alcuna discussione filosofica. Se per esempio A. dice: « La suprema causa dell'umanità è la difesa e lo svi, luppo della cultura europea», mentre B. sostiene che « La causa suprema dell'umanità è lo sviluppo del terzo mondo », le due interpretazioni possono ,anche richiedere nell'immediato strategie diverse di attuazione, e persino contraddirsi. Certo questa contraddizione può depositarsi anche nell'intendimento di valori come quello di « personalità» o di «uguaglianza». Sta di fatto però che si può pensare la realizzazione comune delle due interpretazioni di valore: la difesa e lo sviluppo della cultura europea si può pensare insieme allo sviluppo del terzo mondo. Tra i rappresentanti di queste due interpretazioni è dunque possibile una discussione filosofica di valore. La seconda condizione è che la discussione filosofica è attuabile solo se ad entrambi i partner è ben chiara l'affinità dei loro valori e delle loro interpreta• zioni con una concreta unità sociale, ossia con una classe, un ceto, una nazione, una cultura ecc., se ne acquistano sempre maggiore consapevolezza e quindi non si ingannano sul momento ideologico del lo1·0 valore. Ogni partner della discussione ha il diritto di mettere in evidenza anche le affinità particolari dei valori e delle interpretazioni dell'altro, ma a condizione di fare lo stesso con i propri valori. Il compito di chi partecipa a una discussione risiede dunque in un processo ininterrotto e cosciente di liberazione dai momenti ideologici della propria interpretazione dei valori. L'eliminazione dell'ideologia non può mai essere completa. , Si deve però ar-
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rivare fino a un punto determinato per rendere attuabile la discussione filosofica. Bisogna cioè arrivare a riconoscere che anche i valori del partner sono valori veri, nella misura in cui corrispondono al criterio delineato in precedenza. La terza condizione della discussione filosofica consiste infine nel fatto che gli uomini la accettino come idea regolativa. Essi devonQ cioè riconoscere che tutti gli uomini sono ugualmente esseri razionali e che la discussione filosofica deve essere generalizzata. Devono quindi volere il superamento della società fondata su rapporti di subordinazione e di dominio. Uomini che intendano conservare una società di questo tipo non possono attuare una discussione filosofica né tra di loro né con altri che la pensino diversamente. Uomini che - per tornare alla citazione di Kant - si limitano a conservare quello che è esistito finora e non riconoscono la funzione di guida dell'idea pratica del Sommo Bene né nell'elaborazione teorica né nell'azione, che non accettano l'idea della discussione filosofica di valore, non ne hanno nemmeno bisogno. Costoro possono tranquillamente isolare i fatti dai valori, ossia possono lasciarsi guidare dalle valutazioni quotidiane; possono sostenere tranquillamente che al giudizio di valore non spetta il criterio del « vero », possono proclamare tranquillamente che la scelta di valore è irrazionale, possono accontentarsi dello >? Essa rappresenta l'ideale del « V t?ro » da( punto di vÌ'ittl dell'utopia radicale e la generalizzazione concreta del giudizio di valore « questo non è vero, ma quello » dal punto di vista della filosofia radicale. Essa contiene il concetto generale di «Vero»; vero è, dal punto di vista del nostro ideale, ciò sulla cui verità si accordano gli uomini che pensano· e argomentano razionalmente. Essa contiene il concetto « valore vero » poiché si riferisce all'ideale della discussione filosofica. E questo « vero » - come l'analogo concetto in ogni filosofia - è « il Vero in qi,ianto Bene». Infatti, unitamente al Vero, si costituisce un sistema di diritti e doveri e nella discussione di valori veri si fa valere la giustizia. La costituzione del vero appartiene alla libertà di ogni uomo. Il Vero in quanto Bene non è però ancora il Bene; il Vero è solo un momènto del Sommo Bene. b Apel formula cosi' la morale della fut~ra comunità della comunicazione: « Chi argomenta l'iconosce implicitamente tutte le possibili pretese di tutti i membri della comunità della comunicazione, che possono essere soddisfatte attraverso argomenti razionali ... I bisogni umani sono eticamente rilevanti in quanto « pretese» comunicabili interpersonalmente; devono essere riconosciuti nella misura in cui possono ricevere una giustificazione interpersonale mediante argomenti ». Tuttavia, se qualcuno mi dice: « Ho bisogno di te» - devo rispondergli: « Sono disposto a riconoscere il tuo bisogno nella misura in cui giustifichi la tua pretesa principalmente con argomenti razionali»? No, non posso farlo. Possibili sono solo due risposte: o « Sono qui», oppure « Non sono in grado di soddisfare il tuo ·bisogno ». Una cosa però non posso sicuramente fare: non posso aspettare né tantomeno esigere che questo bisogno venga fondato o ~onvalidato attraverso l'argomentazione. · Se uno mi dice: « Ho bisogno di questo» - devo rispondergli che riconosco il suo bisogno solo se egli lo motiva principalmente con argomenti razionali? No, non posso farlo. Gli -posso dire: o « Ecco, prendilo», oppure « Non sono in condizionè di darti ciò di cui hai bisogno per questa o per quella ragione». Una cosa però sicuramente non posso fare: non posso aspettare né tantomeno esigere che egli motivi il suo bisogno con argomenti razionali. L'argomentazione non spetta a chi si rivolge a me con il suo bisogno; sono invece io a dover argomentare se non posso soddisfarlo. Non è che non si possano motivare i bisogni, ma è chiaro che la loro motivazione nella stragrande maggioranza dei casi avviene nella forma di un ricorso ad altri bisogni. I bisogni, o possono non essere affatto motivati razionalmente,
Filosofia radicale e bisogno radicale
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oppure li si motiva con altri bisogni. Solo in casi molto eccezionali è possibile uscire fuori dell'ambito dei bisogni. La loro totalità non può infatti essere inclusa nell'argomentazione, la quale ha i suoi limiti. Se una comunità di produzione afferma di aver bisogno di una certa macchina, si può esigere una motivazione f!rgomentata. La risposta probabilmente sarà: « Perché essa faciliterebbe il lavoro ·e prolungherebbe il tempo libero » - argomentazione che però torna ad essere un'elencazione di bisogni. Si potrebbe ancora procedere e dire: « Spiegate perché il vostro lavoro deve essere facilitato e perché avete bisogno di piu tempo libero», e la risposta probabilmente sarà: « Perché non vorremmo esaurirci .tanto e preferiremmo occuparci di cose che ci piacerebbero, ma per le quali non abbiamo tempo » - ancora una volta un'enumerazione di bisogni. Il riconoscimento dei bisogni degli altri non può quindi dipendere dalla loro spiegazione razionale o meno. I bisogni degli altri devono essere riconosciuti incondizionatamente. Se non possiamo soddisfarli, siamo noi a doverlo spiegare, se non siamo in grado di soddisfare un bisogno, non possiamo neppure metterlo in discussione. Un mondo in cui si dovessero giustificare tutti i bisogni sarebbe ancora piu degradato moralmente di quello in cui viviamo. L'ideale della comunità della comunicazione non può quindi essere messo Ìn rapporto con quello del Bene, con l'ideale morale del futuro. Non vogliamo una morale che si esaurisca in un sistema di diritti e di doveri. Il nostro ideale non può essere una morale che :nette tra parentesi o trascura tutti i valori morali al di là del dovere. Il nostro ideale non può essere una morale che passa sopra ai valori dei rapporti umani immediati: l'amicizia, la bontà, l'amore e l'amore del prossimo, la compassione, la gratitudine e la generosità. Il no8tro ideale non può essere una morale, per la quale non sia implicito che l'altro, la persona, il bisogno dell'altro, siano per me un valore indiscutibile e incondizionato. Infatti se qualcuno, che amiarno, di