Il sortilegio e la vanità. Céline e Jünger interpreti della modernità 882900099X, 9788829000999

L'accostamento, sotto il profilo formale, di due autori - Louis-Ferdinand Céline ed Ernst Jünger - ha una connotazi

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Italian Pages 264 [265] Year 2020

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Il sortilegio e la vanità. Céline e Jünger interpreti della modernità
 882900099X, 9788829000999

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LINGUE E LETTERATURE CAROCCI

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Riccardo Campa

Il sortilegio e la vanità Céline e Jiinger interpreti della modernità

Carocci editore

••

edizione, maggio 1010 © copyright 1010 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Elisabetta lngarao, Roma Finito di stampare nel maggio 1010 daUa Litografia Varo {Pisa) ISBN 978-88·4j0·0099·0

Riproduzione vietata ai sensi di legge {arr. 17 1 della legge 12. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente c con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione

7

Céline Vaghe eufonie

Il

V iaggio al termine della notte Morte a credito

47

Nord

71

Jiinger La fantasmagoria di Jiinger Heliopolis

93

109

Nelle tempeste d'acciaio Eumeswil L'operaio

l

SI

I ND I C E

Trattato del ribelle

I 90

Sulle scogliere di marmo

200

Il nodo di Gordio

209

ll cuore avventuroso

2I7

Le api di vetro

226

Foglie e pietre

232

Oltre la linea

237

Il problema di Aladino

244

Irradiazioni

2SO

Indice dei nomi

2S9

6

Prefazione

L'accostamento, sotto il profilo formale, di due autori - Louis-Ferdinand Céline ed Ernst Jiinger - ha una connotazione didascalica. Entrambi accre­ ditano all'espressione un significato immaginifico, che transita nel gesto, nell'atto di conseguire un esito moralmente irredimibile e tuttavia provvi­ denziale. Il loro registro espressivo sopravanza la sintassi conoscitiva delle avventure della ragione e delle risoluzioni comportamentali. Il contenu­ to nevralgico delle rispettive opere compendia i disastri della guerra - per usare un'espressione di Francisco de Goya y Lucientes - e le idiosincratiche configurazioni di un tentacolare periodo di contemplazione. In entrambi i testi - con diverse modulazioni concettuali - è presente l' innocenza ferina, una sorta di irresponsabilità concordataria, che stem­ pera i deliqui in prove d'autore, in composizioni sillabiche dall'effetto me­ diatico. L' insolenza e la filantropia si contendono una sorta di precettistica in­ gerenza nell'allucinata congerie degli eventi, descritti come pause sonno­ lenti dell'universo. R. C.

Roma, aprile lOlO

7

Céline

Vaghe eufonie·

L'opera di Louis-Ferdinand Céline si contraddistingue per un costante ri­ ferimento all'ambiguità dell'esperienza piuttosto che a quella delle parole. In questo senso, egli modifica, sulla scorta del modello socratico, le dimen­ sioni del dialogo, che è in realtà un monologo policentrico, assecondato dalla perizia del locutore, de li' io parlante della narrazione. L' incessante conseguenzialità degli eventi descritti o rappresentati non consente, infatti, la confutazione degli stessi. Il ritmo della scrittura presup­ pone una lettura disincantata, la propensione a considerare come inibenti il buon gusto, il pudore o l' imperizia. Lo stile dello scrittore è condiziona­ to dali' imponderabilità dell'esperienza e prima ancora dali'osservazione. La narrazione risente quindi dello stato di necessità insito nell'ordine delle cose. La sua supposta o effettiva particolarità consiste nel rendere percepi­ bili aspetti del convincimento e deli'operato umani che non si armonizzino legalmente con i criteri interprctativi degli stessi. Le temariche della narrazione di Célinc sono improntate a una sorta di compiacimento per tutto quanto l'esorcismo quotidiano riesce a oblitera­ re. E quindi riflettono l'educazione sentimentale, la finzione comunitaria, il conflitto interindividualc c la guerra. La lotta fra l' istinto c la ragione non ottenebra le menti, ma al contrario rende più evidente la strategia che ogni attore sociale pone in essere nell' intento di individuare le traiettorie obbligare e quelle facoltative della condizione umana. Lo sperimcntalismo formale non è altro che uno strumento di coper­ tura, di simulazione dell ' indagine così spietata e dolente che lo scrittore intraprende all' interno della vicenda comunitaria e della apparente quo­ ridianità. Le deviazioni provocate dal caso sono realizzate dagli individui, che interpretano una sorta di paradigmaticità non esigibile sul piano della ' Questo testo è la riproduzione riveduta della lezione tenuta a l' Université Paris­ Sorbonne, nel mese di luglio del 1997, nell'ambito della XIX Conferenza Mediterranea, promossa dal Dowling College di New York.

II

IL SORT I LEGIO E

LA

VA N I TÀ

conoscenza oggettiva. La narrazione assume l'andamento o n divago delle fluttuazioni energetiche, la cui capacità discorsiva ha una presa diretta su un ipotetico lettore-interlocutore. Céline non riconosce, malgrado l'apparenza, al conflitto e quindi alla guerra quel ruolo dirimente delle incomprensioni individuali che una in­ veterata tradizione addebita allo scenario geopolitico del mondo. Egli sem­ bra convincersi che, dietro il paravento della naturalità e del necessarismo, si nasconda un disegno razionale, un calcolo mentale, propensi a legittimare le aberrazioni che si succedono a periodi ricorrenti sulla faccia del pianeta. L' insistenza, la reiterazione diventano pertanto le controfigure del consen­ so-dissenso che ogni proposizione conoscitiva ha in sé implicito. E, tuttavia, l' incalzante argomentazione, che sottende i gesti e gli atti dei personaggi dei romanzi di Céline, è arbitraria e convincente. Lo scrittore è impegnato a di­ mostrare che, all' interno di una struttura narrativa fitta di osservazioni e di controsservazioni, non c'è posto per i distinguo, le figurazioni dilemmatichc della riflessione concettuale. L' asseveratività dei rilievi compiuti dai singoli personaggi influenza in maniera determinante il processo espositivo al pun­ to da rendere qualche volta prevedi bile la trama degli avvenimenti. La natu­ ra non è un quadro di riferimento, non si delinea come l'ambito nel quale le vicende degli individui s' interconnettono fra loro, ma come l'elegia di un'e­ sperienza remota, che affiora continuamente alla consapevolezza operante degli individui impegnati in un presente aperto a tutte le contaminazioni e le deviazioni legalmente rilevanti e rilevabili. L' interesse dello scrittore per gli interstizi degli eventi, per le reazioni liminari degli individui, lo induce a perseguire una linea di condotta stra­ tegica, che comporta una forza modificatrice nella sintassi espressiva e un impegno a rendere manifeste quelle apparenti perversioni del costume nel­ le quali si compendiano il convincimento c la resipiscenza. n fondamen­ to religioso della scrittura di Céline consiste nel renderla il più aderente possibile alle suggestioni e ai pensieri reconditi delle creature. La parola, il periodo, la frase assumono connotazioni enfatiche nella immedesimazione dell'io parlante con i singoli personaggi dei romanzi. n racconto è sempre disciplinato anche quando gli elementi impiegati per dargli rilievo sono di­ sposti in modo disordinato, volutamente disordinato. Le parvenze, infatti, nella narrazione di Céline, sono trasparenti, non celano la maschera o l'effige dci personaggi reali. n suo realismo pertan­ to consiste nel rendere conseguente l'osservazione alla descrizione, nel far corrispondere dinamicamente le parole ai fatti, a quelli che comunque appaiono tali. La finzione scenica non viene disattesa, ma utilizzata con 12.

VAGHE E UFONI E

una strategia dialogica, multilogica, tale da farle perdere le caratteristiche dell' immagine retorica. La discorsività della narrazione limita il grado del­ la confessione allo scambio di impressioni. Quando un personaggio si pro­ pone di mentire o di asserire una sua particolare visione delle cose, ricorre all a testimonianza, si affida ali' affermazione in proprio di quanto gli altri sono tenuti in qualche modo ad accettare. L'opinione non è controverti­ bile perché non ha alcuna validità e quindi non ha alcuna presa su quanti ambirebbero esplicitare la loro influenza. Essa raggiunge al massimo le re­ gioni ombratili dell' insolvenza sociale, della trasgressione, di quei tentativi dell' io irato, che si consente l' « enormità » , cioè le disquisizioni liminari sull'esistenza, come Raskolnikov di Fedor Dostoevskij e prima ancora al­ cuni personaggi del dramma elisabettiano. La differenza fra i personaggi di Céline e quelli della letteratura dram­ matica dell' Ottocento europeo consiste soprattutto nell'assenza di ierati­ cità, nei primi, e nella presenza di conflitti religiosi, nei secondi. Entrambi sono dominati da una vis polemica di natura esistenziale che li accredita alla paradigmaticità dell'esperienza. Ognuno di essi, infatti, sembra impe­ gnato dalla sorte che gli è assegnata a soprintendere più o meno dimessa­ mente alle sfide della coscienza. La didascalicità dei personaggi di Céline s' identifica con la controversia nella quale sono impegnati con l'ambiente nel quale agiscono. Essi non promuovono proseliti perché non ambiscono a decretare interventi risolutivi per le anomalie dell'esistenza. La loro sud­ ditanza rispetto agli eventi è preterintenzionale. Sebbene essi siano prodi­ toriamente perseguiti dalla cattiva sorte, non si arrendono facilmente al de­ stino. Essi perseguono la vanagloria, l' intima soddisfazione di cedere solo in parte alle circostanze dalle quali sono condizionati. I motivi essenziali della condizione umana sono il conflitto e l'eros. I personaggi di Céline si dibattono fra il desiderio di abbandonarsi agli istin­ ti belluini e la volontà di difendersi dagli impulsi devastanti dai quali sento­ no di essere condizionati. La loro azione è una militanza anomala rispetto a tutte le normali accezioni del termine. La furia che ispira i loro gesti tende ad attenuarsi nei frangenti nei quali sono come immischiati da una sorta di follia collettiva, che li abrade come una forza sotterranea, demoniaca. I personaggi di Céline sono pervasi dal timor panico, dalla concezione ancestrale della precarietà dell 'esistenza, da un sentimento della provviso­ rietà che li disorienta. La sensazione di essere in balia degli eventi, di dover aff rontare come i naufraghi i marosi, li induce a considerare i momenti di tregua come degli stati di grazia. Senza volerlo, essi prediligono la quiete, la soporosa condizione dell'ebete, che li apparenti agli abitanti dell' Eden

I L S O RTILEGIO E LA VA N I TÀ

terrestre e li illuda di popolare il primo giorno della creazione. Il racconto si snoda come dalla confessione di un esule, di un sopravvissuto a un disa­ stro naturale, di un emarginato da una società, che persegue fini difficilmen­ te giustificabili con il metro dell'innocenza. I personaggi ambiscono a una conciliazione degli opposti, nella quale risiede il senso allegorico della loro vicenda. Le passioni che ostentano si oppongono a tutto ciò che le riduce di intensità e di suggestione. Il fisico, le anomalie del volto o delle altre parti del corpo non li infastidiscono; anzi, al contrario, ne incentivano le carat­ teristiche e il potenziale affettivo. I genitori, i congiunti, gli amici si presen­ tano con i loro difetti allo sguardo di coloro che agiscono nella trama della narrazione nell' intento di sottovalutarne l'importanza. Il fisico è il viatico della volontà. La religione di Céline s' incentra, nell'ambito di una scrittura scabra ma perspicace, sul principio cristiano dell'individualità, dell' irripeti­ bilità della persona, indipendentemente dai suoi meriti e dai suoi connotati fisici. La genesi dell'umanità è vista nel suo farsi, nella sua primigenia estrin­ secazione. Quando gli individui sono implicati nella trama politica e sociale, l'unico fattore che li disorienta dalla coerenza e dalla lealtà è quel sentimento recondito della specie che s' identifica con la pietà. Sia nel romanzo Viaggio al termine delLa notte, sia nel romanzo Morte a credito, l ' io parlante manifesta una soffusa insofferenza per tutto ciò che è irrecuperabile della condizione umana alla razionalità, alla progettualità sociale. I personaggi dell'uno e dell 'altro romanzo riflettono nei capricci del fato la loro incoerenza, le loro ragioni senza alternative e quindi prive di quegli attributi dilemmatici che le rendono comprensibili e condivisibi­ li. L'universo reale e onirico di Céline è, infatti, statico: non prevede alcun cambiamento di fondo, anche se registra i sommovimenti - quasi sempre fittizi - della superficie. La drammaticità, insita nella narrativa dello scrit­ tore francese, è priva di movimento, di speranza. La salvazione, che può es­ sere immaginata, è quella redentrice della Croce, cioè di una « mutazione genetica » dell'umanità per effetto di un evento sommovitore. La «lesione storica » , che egli descrive, è lo sfondo nel quale le ragioni delle creature si affievoliscono come in un purgatorio dantesco per lasciare il posto, pri­ ma, alla lava vulcanica, all 'eruzione dalle viscere della terra e, poi, alla falsa rassegnazione, all ' ignominiosa inosservanza di qualsiasi norma che attenui l'insofferenza, il disagio di vivere. Gli individui riconoscono nella loro vi­ cenda terrena la presenza di una forza che li sopravanza e che, tuttavia, sen­ za la loro ignavia, la loro indolenza e la loro compromissione intellettuale c morale non riuscirebbe a manifestarsi. Céline rinviene nei suoi personaggi - non si sa quanto consapevolmente - una proditoria consolazione, che è 14

VAGHE EU F O NIE

il corrispettivo

del dubbio, della parafrasi della certezza. li doppio registro della sua scrittura consente di intravedere, nelle regioni più oscure della co­ munità sociale, un percorso sempre meno frequentato e sempre più invo­ cato come salvifico, nel quale il silenzio siderale e l 'eco di una voce nasco­ sta nei secoli dell'uomo sembrano confondersi e rieditarsi reciprocamente. Quando il protagonista del Viaggio al termine della notte si convince d'aver peccato di omissione malgrado la sua spietata introspezione, in un momento nel quale sarebbe stata decisiva la sua denunzia o la sua ribellio­ ne, si affida alla commiserazione altrui, così come la pietas cristiana consi­ glia di fare, impetrando l' indulgenza divina. La remissione dei peccati, per Céline, è insita nello smarrimento delle creature, in quei conati d' insoffe­ renza, nei quali s' illudono di manifestare la loro individualità, mentre in­ vestono soltanto la loro riluttanza ad asseverare, se non la volontà divina, le bizzarrie della fatalità. I personaggi sembrano rincorrersi in una landa de­ serta, spopolata provvidenzialmente da quanti potrebbero soccorrerli. Essi dibattono le cause per le quali agiscono in un modo piuttosto che in un al­ tro e si disperano per l' inanità degli sforzi compiuti per comprenderle e ra­ zionalmente giustificarle. In effetti, la loro immatura spontaneità denunzia l' incoerenza evidente fra quello che fanno e quello che dicono a parziale conforto della curiosità altrui. Nessuno è convinto di agire nella forma do­ vuta, sebbene tutti ne presuppongano l'esistenza. Il buon senso, la misura, la rettitudine sono estrinsecazioni della comunità, alla quale i personag­ gi di Céline riconoscono la legittima detenzione degli strumenti necessari per assicurare la continuità, sia dello stato ferino {la guerra), sia dello stato agnostico {l'affezione per quanto si può testimoniare dopo il disfacimento delle città, delle case, dci luoghi dell' infanzia e della maturità). La morte del personaggio, che interpreta l' inquietudine al livello della dissolutezza, segna il confine fra ciò che si può raccontare c ciò che si deve tacere. E in questa catarsi letteraria lo scrittore anticipa e compendia le strategie del ge­ sto di Samuel Beckett. Nel romanzo Morte a credito il giovane protagonista è funestato da un istinto indagatore che non gli consente di compiere pienamente le sue esperienze, di catalogare quelle dell' infanzia e quelle della maturità secon­ do un ordine delle successioni c delle dissolvenze proprie di coloro che am­ biscono a fare dell'apprendistato un viatico per le imprese nelle quali iden­ tificano la loro storia e la loro ragion d'essere. Egli è sempre sorpreso dalle circostanze a metà del guado, quando è impegnato a svolgere un ruolo che prclude alla stabilità. Alla sua incostanza emotiva fa riscontro la tetragona

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concezione moralistica dei genitori, che vivono analiticamente il loro in­ successo, la loro débacle sociale e individuale. U male, che ottenebra le menti dell'uno e degli altri, è identico: non concede tregua, non ammette ripensamenti, fomenta l'angoscia e la repul­ sione per tutto quanto si delinea come rassicurante. L'aspettativa dei geni­ tori è distonica rispetto alle esperienze che il giovane protagonista è indot­ to a fare. Fra gli uni e l 'altro non s' instaura un'intesa per pudore, per mal­ celato senso della convenienza. Ognuno persevera nel suo ruolo nel pro­ posito di convertirsi in un moralista, in un corrispondente di un'autorità inveterata, che espande la sua efficacia su un popolo inesistente. L'anchilosi dei pensieri s' invertebra nel racconto, nella prosodica rappresentazione di tutte le scene più scabrose, nelle quali è quasi assente o in contumacia colui (cioè il giovane protagonista) sul quale dovrebbero avere effetto. Fra l'espe­ rienza, così come si configura nella descrizione, e l 'esperienza, così come si evince dalla riflessione del giovane protagonista, si erige una barriera, che priva anche il lettore di rendersi partecipe fino in fondo del significato de­ gli accadimenti. L' incresciosa congerie di significati, che l 'osservazione del giovane pro­ tagonista assume nella trama del racconto, induce il lettore a compenetrarsi delle cause che la determina e a distaccarsene, consentendo alla narrazione di rimanere per così dire incontaminata. La scrittura di Céline non ammet­ te tregua e perciò stesso si evolve secondo un processo conoscitivo che non consente la piena e consapevole partecipazione del lettore. In questo modo lo stile - volutamente crudo e inesorabile - assicura al racconto un'auto­ nomia che non può essere scalfita da alcuna ingerenza esterna. Lo stesso scrittore sembra estraniarsene, anche per non identificarsi completamente con i suoi personaggi. Come per Robert Musil dell' Uomo senza qualita, anche per Céline l'autobiografia è in influente ai fini della resa narrativa. La trama dei romanzi di Céline è un'occasione di conforto e di sconforto per i suoi propositi, ma non lo specchio deformante dei suoi pensieri. Se egli si riflettesse nei suoi personaggi, l 'accorgimento tattico per differenziarsene verrebbe meno in funzione di un esibizionismo di scarsa efficacia. Al con­ trario, è ipotizzabile il tentativo da parte dello scrittore di enfatizzare le di­ versità fra sé e l'io parlante della narrazione ndl' intento di scorgervi quelle notazioni infinitesime dei caratteri che suggestionano o influenzano tutti indifferentemente. L'abilità di Céline consiste nel far intendere al lettore la sua compromissione con i protagonisti della sua narrazione nel propo­ sito di surriscaldarne la curiosità (anche voyeuristica) e, contestualmente, di deluderlo per mortificarlo e giustiziarlo come correo di un delitto che in J6

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realtà non è stato commesso. Da qui, forse, il daltonismo di una certa criti­ ca, più propensa a raccogliere e respingere le fluttuazioni moralistiche della scrittura come direttamente addebitabili allo scrittore. La retrospettiva moralisrica concerne la vicenda dei personagg i , non il convincimento di colui che li propone all 'attenzione dei lettori. Se il per­ sonaggio della letteratura non fosse autonomo, tutti i generi letterari sa­ rebbero autobiografici e riguarderebbero la traiettoria domestica di pochi iniziati. Céline, che di stravaganze politiche e sociali può essere anche accu­ sato, non concede molto nei suoi scritti alla compassionevole aneddotica di un'epoca dominata da profondi sommovimenti politici e sociali. Il nazi­ smo, il fascismo, con l'esaltazione della potenza titanica dell'uomo norma­ le, con la propaganda e l'esaltazione della dinamica espansionistica e supe­ romista, sfociano nella persecuzione del « diverso » , nell 'esecrazione delle religioni monoteistiche e nella divinizzazione delle brume, dei folletti, dei crepuscoli antelucani di un'epoca a venire, raccordata con i fantasmi del passato remoto, con gli spasmi del primigenio. Célinc forse non intende appieno l ' infermità del messaggio apocalittico, la fallacia delle suggestioni canore e assembleari, il bradisismo di popoli e paesi, destinati inevitabil­ mente a invocare la caduta degli dei. Egli, però, non si allinea con i profeti del declino dell 'Occidente, con quanti, come Stefan Zweig, che, dalle re­ gioni calde e sensuali dell'emisfero australe, vaticina, con Oswald Splenger, la fine di un 'era e la improbabile comparsa sulla scena rinnovata del mondo del giovanetto nietzchiano, che testimonia gioiosamente la saldatura fra un ciclo e l'altro della storia. La consapevolezza umana di fronte all' irrcfrena­ bile destrezza dei tutori del furore bellico, della perdizione e della rigene­ razione è affidata al caso, che assume le parvenze del caos e, in prospettiva, quelle di una nuova unità di misura, valevole per una geometria meno af­ flittiva di quella che, da Euclide a Riemann, condiziona i pensieri dell'uo­ mo mediterraneo e occidentale. L'apostasia di Célinc s' identifica con il credito da lui concesso a quan­ ti sulla scena apocalittica dell' Europa contemporanea interpretano la ma­ schera del potere dissolutore, il fantasma della tragedia, il mimo di un dramma d'avanguardia, che ha come commento sonoro i vaniloqui gridati alla radio, la circospetta compromissione dell'esattore di coscienze, l'empa­ tia dci reietti, di quell'esercito di irregolari, disposti a correre tutti i rischi possibili pur di affermare la loro indifferenza per le impronte impresse sul pianeta dai passi chiodati nel cuore della notte. Nella trilogia del secondo conflitto mondiale: Da un castello all'altro, Nord, Rigodon, il secondo assume una connotazione didascalica per la forte 17

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carica espressiva, ossessiva e visionaria, della quale è quotato. li « collabora­ zionista » Céline, esule a Copenaghen, affronta in Nord il problema della guerra, della violenza barbarica e della raffinata abiezione, che coinvolgo­ no un numero crescente di persone, desiderose di raggiungere uno stato di eccitazione dal quale ricevere la suggestione necessaria per intendere o per deliberare sulle nuove frontiere del mondo. Céline registra soltanto la fa­ se - per la verità, anche sotto il profilo sintattico, la più esacerbata - nella quale gli animi degli individui si disfanno della loro naturalità per assumere le conformazioni dei simulacri, con i quali si rappresenta la prolusione di una ascetica sociale scompensativa degli assetti dd pianeta. Gli artefici di questa « Virtuale sollevazione evangelica » sono sempre più critici perché sono costretti dalle circostanze a ritenere la disfatta il risultato di un impe­ gno incompiuto, non completamente onorato. Il tradimento è rappresen­ tato - nella propaganda apocalittica dei regimi totalitari - come l'appunta­ mento mancato dell'uomo-dio con il dio-uomo: un appuntamento gene­ tico, qualcosa come una « mutazione » (paradossalmente) programmata, in grado di delineare la nuova carta geopolitica del pianeta. 11 tradimento è un esercizio della mente, che si affida, sia pure a tratti, alla memoria, alla riflessione, nell' intento di decongestionare l' immaginazione di quelle figu­ re simboliche, nelle quali l'esoterismo e il vitalismo rudimentale tendono a una conciliazione. La carica dissolvitrice dd convincimento trova una matrice nevralgica nel parossismo delle formulazioni retoriche e concettuali. A mano a mano che le algebriche concezioni della resistenza culturale e politica alle fara­ oniche illuminazioni congetturali della propaganda di regime diventano speculari, nel senso che al configurarsi delle une fa riscontro la vaghezza delle altre, la disillusione - il disincanto - di quanti stanno a guardare con animo partecipe si fa evidente, ma non trova l'adeguato strumento sceno­ grafico per esprimersi. Nord riflette non soltanto i meccanismi mentali con i quali i protagonisti assistono alla disfatta del regime nazista, ma anche la desolazione nella quale si perpetra un tradimento ideale da parte di tutti coloro che si considerano compromessi con una causa difficilmente soste­ nibile sul piano etico, morale, della semplice civile convivenza. Lo scenario, che affiora dalla narrazione a sostegno di una possibile ricostruzione del mondo, è quello dei puntini di sospensione: essi descrivono quella realtà sottaciuta che esercita un'attrattiva magnetica ad onta di tutte le fustiga­ zioni ideologiche del regime. La realtà, che s' immagina dietro ai puntini di sospensione, è quella della « normalità » , con tutti i suoi limiti e le sue intrinseche contraddizioni. L'aver illuso il prossimo con una propaganda J8

VAGHE EUFO N I E

incemrata sul rifiuto e il superamemo delle contraddizioni naturali ha in­ dotto l' ideologia imperante a farsi ulteriormente carico delle incompren­ sioni e delle contrapposizioni di ordine religioso, etico, politico, che la cul­ tura occidentale cerca con uno slancio particolare di attenuare, sublimare, affinché non sfocino nei conflitti. La delusione, tuttavia, non è soltanto un « atto dovuto » di fronte alla disfatta di un regime, che fa affidamento sull a mobilitazione generale, sul­ lo spirito di corpo, sulla religione coesiva dell 'arcaismo e della modernità. Il totalitarismo, infatti, ha un'ambizione che può suggestionare una perso­ nalità come Céline, dominato al tempo stesso dalla impietosa constatazio­ ne della fragilità dell'uomo e dall'esaltante aspettativa di una folgorazione genetica, che si attui con i mezzi e gli strumenti della socialità. Egli è at­ tratto dalla prospettiva che soltanto un' ideologia, capace di far tendere i muscoli e di attivare tutte le risorse fisiche e psichiche, possa modificare il corso dei tempi giacché riassume il passato e lo proietta nell' immediato av­ venire. Nell'esaltata enunciazione dei fautori del nuovo ordine mondiale, un fenomeno continua a suscitare una profonda attrattiva: la conciliazione dell 'elementare, del primigenio e perfino del barbarico della condizione umana con lo sviluppo tecnologico. Questo, infatti, tende a obliterare la disquisizione e a configurare il codice espressivo come un prontuario lessi­ cale, un elenco di nomi e di formule, con il quale prevedere lo svolgimento degli eventi naturali e sociali. L'artificio tecnologico soddisfa alle esigenze dell'uomo primitivo e di quello avveniristico: i termini della conciliazio­ ne si determinerebbero nell 'ambito di una celebrazione allegorica, di uno spettacolo senza significato, come quelli che attraggono l'immaginazione delle generazioni contemporanee e le lasciano inevitabilmente insoddisfat­ te. L' insoddisfazione e il soccorso tecnologico si compendiano giacché so­ no complementari. L' indulgenza, con la quale Céline apparentemente correda la descrizio­ ne del fallimento di un «progetto genetico » e ultimativo dell'umanità, ha un fondamento etico e fisico, nel senso che le dimensioni del fenomeno to­ talitario si dimostrano essere meno rocciose cd emotivamente più stentoree di quanto non appaiano. Anche l'indulgenza in Céline è un « atto dovuto », una constatazione di fatto, che pregiudica i rapporti individuali, li rende più fragili e più inibenti rispetto a una auspicata salvazione generale. I personaggi di Nord si «liquefanno» al microscopio dello scrittore, che per la verità dimostra una certa insofferenza nel descriverli così prosai­ camente attaccati alla loro misera contingenza. Il romanzo opera, tuttavia, una saldatura fra la congerie di misfatti che una parte dcii 'umanità perpetra 19

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ai danni di un'altra parte senza il sussidio di quelle stesse forze elementari (il sentimento della sopravvivenza), che la propaganda continua macchi­ nalmente a evocare. La congestione dei sentimenti e delle sensazioni, che il romanzo espli­ cita nelle forme criptiche e sedimentarie, seppure a una superficiale lettura dà l'impressione dell' imperizia dell'uomo ad affrontare e realizzare i suoi stessi ideali; da una più attenta esegesi degli effetti che tale congestione comporta si evince uno stato d'animo comprensivo della difeuività del ge­ nere umano e del mondo. Ed è proprio questa difettività che lo salva dal­ la megalomania dei profeti di sventura e dalle angherie della eccitazione sensoria, proditoriamente elaborata in quei falsi laboratori della vicenda umana nei quali i simulacri, i simboli, i segni di una regione lontana dell'e­ sperienza comunitaria si adeguano a confezionare un arcaismo di maniera, contro il quale non è necessario mobilitare le masse, ma più proficuamente le intelligenze individuali. L'entropia dell 'universo si delinea come qualcosa di molto più nobile e accattivante di quella, che un pugno di esaltati può anche preconizzare, ma che non è in grado di assecondare affinché diventi parte del patrimonio co­ noscitivo (organico) dell'umanità. Essa rimane un antefatto logico rispetto alle condizioni interpretative, storicamente elaborate e poste in essere dalla ragione, con la sua patente complicità con il dubbio, con l'approssimazio­ ne e con l'entusiasmo. La scrittura di Céline preconizza un falso disordine affinché il lettore possa comprendere appieno l'influenza della finzione sul convincimento. Questa prospettiva spiega l'utilizzazione da parte dello scrittore francese dd linguaggio colloquiale, che riflette soltanto fìnzionicamente il mecca­ nismo espressivo di un ceto sociale per sua natura mutevole e occasionalc. « Céline » scrive Ernesto Fcrrcro sa bene che l'argot invecchia presto, che un testo di puro gergo è indigesto, e pro­ cede a continui intarsi tra vari registri. Ma la sua vera innovazione sta nelle rotture sin tattiche e semantiche che agitano il periodo, nella dislocazione delle parole, che

vengono anticipate o posticipate nella frase, creando effetti di sorpresa, di strania­ mento, di sospensione, moltiplicando risonanze inedite; da cui quell ' impressione di altalena emotiva che è uno degli obiettivi programmatici di Céline'.

1 . Ernesto Fcrrero, Ciiim, owrro lo scandalo di un saolo. in Louis-Ferdinand Céli nc.

Vi.1ggio al trrminr della notte, Corbaccio, Milano 1 992, p. s62. lO

VAG H E EUFO N I E

L'affidabilità del linguaggio non riguarda appunto l a plausibilità della sua struttura sintattica, morfologica. La elaborazione dello scrittore ha caratte­ ristiche e finalità laboratoriali: serve, in definitiva, per suggestionare il let­ tore e illuderlo d'essere presente al «dileggio» della sorte, all'accadere dei fatti minuti, commentati e rappresentati dagli astanti e dagli interessati con un' immediatezza difficilmente riproducibile con la semplice registrazio­ ne. La « naturalezza » , la « naturalità » sono irripetibili: si possono evocare soltanto con quegli accorgimenti che gli scrittori sono capaci di inventare c utilizzare. « Far passare il linguaggio parlato in letteratura » scrive Céline non è questione di stenografia. Alle frasi, ai periodi, occorre imprimere una cena deformazione, un artificio tale che quando uno legge il libro gli sembri che gli si stia parlando all 'orecchio. Si arriva a questo mediante la trasposizione di ciascu­ na parola che non è mai del tutto quella che ci si aspetta, ma una sorpresina. È quello che accade a un bastone immerso nell 'acqua; perché appaia diritto bisogna spezzarlo un pochettino prima di immergerlo, deformarlo preventivamente, se così si può dire. Un bastone regolarmente diritto, invece, immerso nell'acqua, allo sguardo sembra piegato. Lo stesso vale per il linguaggio - il più vivace dei dialetti, stenografato, risulta sulla pagina piatto, complicato e pesante. Volendo rendere per iscritto l'effetto della spontaneità della vita parlata, bisogna torcere la lingua in puro ritmo, cadenza, parole, cd è una sorta di poesia che produce un grande sor­ tilegio l'impressione, ilfascino, il dinamismo e poi occorre scegliere il proprio soggetto. Non tutto si può trasporre'. -

-

La perizia dello scrittore si configura così come un atto d' imperio, che nel­ la sua efficacia ambisce trovare la propria legittimazione. Era la prima volta che questo stile diretto veniva usato non soltanto nei dialoghi, ma nell ' intera tessitura del racconto, come a sottolineare che l'autore faceva pro­ prio il punto di vista dei reietti, che si abbassava al loro livello, e tuttavia senza mai idealizzarli, senza mai pensare che un ipotetico riscatto potesse passare dalle loro mani: fatto che non gli sarà perdonato dalla sin istra ufficiale'.

Un' impresa, quella di Céline, che nasconde sul piano linguistico quanto si prefigge di rendere esplicito sul piano umorale, che in lui ha i connotati dd piano dei princìpi. L'esaltazione assume le notazioni di un inattingibile 2.. Lettera inviata nel 1947 dalla Danimarca da Cél inc al professore americano Milton Hi ndus. 3· Fcrrero, Ciiin�:, owrro lo sc.md,zlo di un suolo, ci t .. pp. s62.-3.

2. 1

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

regime simbolico per precipitare in forma dolente e compromissoria nella confessione e quindi - almeno in parte - nell'autobiografia. La cifra del racconto in prima persona è appunto un delirio che arriva là dove fallisce la presunta lucidità della ragione, è la lente deformante che consente a Céline di giungere alle verità estreme. "Delirio" è appunto la parola-chiave per capire Céline, ed egli stesso ne è consapevole: "Devo entrare nel delirio, devo rag­ giungere il livello Shakespeare". E a più riprese dirà che le pagine meno riuscite del romanzo sono quelle meno toccate dal delirio, che l'autobiografia deve restare un punto di partenza da trasfigurare liberamente•.

Il sentimento dell'esaltazione è concomitante con quello del tempo. visita­ to con l'allegoria immaginifica di un viaggiatore attento e perspicace come Marcel Proust, che in Alla ricerca del tempoperduto rinviene i ritmi dell'esi­ stenza sociale, perversi e abrasivi, come la polluzione atmosferica e il feno­ meno della fata morgana. Céline, che alcuni critici definiscono il Proust plebeo, in realtà non celebra la memoria come il ricettacolo dei vagiti, dei sogni e dei misfatti dell'umanità, ma come la connessione simbolica e schizofrenica fra il pre­ sente manifesto e i suoi antefatti, le sue postulazioni germinali. Egli è con­ sapevole di quel profondo sommovimento che subisce il tempo nelle re­ gioni recondite dell 'essere, in quelle atmosfere imponderabili nelle quali le successioni e le congruenze si affievoliscono, si confondono e vengono meno. Rimane, a futura memoria, il segno di un percorso energetico che, nelle aree particolarmente instabili degli enti - quali si evincono dall'osser­ vazione della struttura del nucleo atomico - si configura come il simulacro del tempo recondito, di quell'entità di misura degli eventi, utilizzata per illudere l'umanità e consentirle il piacere di osservare l'universo del quale è parte semovente e modificabile. L'oblio, per Céline, non può fronteggiare la memoria: è uno stato d'animo così palese alla sua sensibilità da postu­ larsi come possibile nell'esperienza concreta e generalizzata. Tutti, infatti, possono dimenticarsi di essere o immaginare di non essere in un emisfero senza peso e senza volontà. La scompaginazione, che il testo di Céline subi­ sce sul piano sintattico e lessicale, lascia presagire un'affinità fra lo smarri­ mento del lettore-osservatore del delirio e l'oblio, il crepuscolo semovente dei corpi, degli enti, degli echi, che fanno da corollario al silenzio siderale. 4· lvi, p. s64. 2.2.

Viaggio al termine della notte

Il

caldo e il freddo svuotano le strade. Lo scenario si compone della presen­ za di due interlocutori, che decidono d' inSerire l'uno nei confronti dell'al­ tro, nell' intento di rendere conseguenti i discorsi e le allusioni. La strava­ ganza sintattica asseconda quella concettuale proprio perché si palesa in una realtà priva di contrafforti emotivi, di distrazioni e attrazioni ambien­ tali. Il secolo della velocità si nasconde nei caffè, nei ritrovi surriscaldati, dove si perde il senso dell'orientamento e si incede a vista. Tutti osservano tutto senza che l'osservazione costituisca un motivo di conforto per le ulteriori imprese soggettive. L'opinione assume una inedi­ ta rilevanza, un volume di congetture, che si alterano reciprocamente, per rendere manifesto il disagio che provocano le banalità. Il dialogo si trasfor­ ma immediatamente in catilinaria monologante, in un'accorata disamina contro l'assetto generale delle cose. L'apostasia del locutore è congenere con quella che si osserva in controluce, quando il parapetto delle prospet­ tive edificanti viene meno e si dilapida in un gorgo di controsensi o di non­ sensi, senza alcuna possibilità di ricupero e di confutazione. L'embolia del reale si esplica sotto lo sguardo attento e disincantato del locutore, che non ricorre ad alcuna strategia consolatoria che non sia quella insita nelle parole, nella terapeutica conformazione del periodo. La minaccia della guerra, di una temperie di lutti e di persecuzioni, fa da sfon­ do all' insieme orgiastico della scrittura. Nel canovaccio del narratore è im­ plicito un rifiuto per tutto quanto possa pregiudicare il libero corso delle riflessioni. La guerra è l'orchestrazione del pudore, l'amplificazione dello scrupolo sociale, che attanaglia gli individui ai loro istinti, alle loro neces­ sità elementari e alle loro idiosincrasie. La fanfara, la marcia, l'esibizione di un ordine innecessario fanno da proemio al grande disordine, alla turbati­ va generale, nella quale peraltro le diversificazioni sociali, le individualità sono neglette, non influenzano molto l'esito del conflitto. Le menti si con-

I L S O RT I L E GIO E L A VA N I TÀ

traggono in un punto e allusivamente si compenetrano nel compito di sal­ vare il prestigio, l 'elegia della loro vicenda politica e istituzionale. La guerra tuttavia consente d' intravedere aspetti dell 'umanità che dif­ ficilmente si riuscirebbe a intravedere in uno stato di quiete sociale. Perfi­ no il sodalizio fra soldati, per essere involontario, finisce col proporsi come inevitabile. L'emergenza, per quanto prolungata, infida le considerazioni sulle vicende che gli attori sono chiamati ad assecondare. Una perversa, doppia disposizione delle cose sembra scompaginare gli insiemi oggettua­ li e concettuali nei quali si compendiano le risorse argomentative dei sin­ goli individui: per un verso, l'assurdità del conflitto provoca resistenze e renitenze omologabili nell'ambito della salvaguardia istintuale ; per un al­ tro verso, l' impellenza delle decisioni e degli atti a esse conseguenti riduce l'ambito delle congetture e delle valutazioni. La dimestichezza con l'orrore fa parte della vanità e quindi dell'eroismo degli uomini: sentimenti e sensa­ zioni che soltanto le masse vocianti sanno riscattare dal silenzio incestuoso, dal primigenio della specie. Lo spavento rende logorroici gli uomini depo­ sitari di quei falsi segreti, che si esplicano nelle perlustrazioni, negli assalti e nelle ritirate. I « gridolini abortiti » , come quelli che emette un cane che sogna {per usare una metafora del narratore), risentono dell' intontimento generale, del tonfo delle bombe e delle raffiche dei fucili. Quando non si ha immaginazione, morire è poca cosa, quando se ne ha, morire è troppo. Ecco il m io parere. Non avevo mai capito tante cose in un colpo solo'.

Del resto, la guerra assomma in sé ogni tipo di rappresentazione. La fanta­ sia imitativa si dispone, infatti, a evocare il passato o a surclassare - esaltan­ dolo - il presente. L'estemporaneità della convulsione bellica non ammet­ te successioni, alternative: è un' infermità che ottenebra le menti e le rende retrattili a ogni forma di argomentazione. Perfmo la geografia si modifica sotto l' impulso della sopravvivenza, quando la ricerca di qualcosa indispone il raziocinio, compromesso dall' ir­ reversibilità di ogni gesto in quanto ogni piccolo movimento, nelle zone d'operazione, può essere fatale. 1 . Louis-Ferdinand Céline, VtJyage au bout de la nuit, Éditions Gallimard, Paris 1952., trad. it. Corbaccio, Milano 199 7, p. 2.7.

VIAGGIO AL T E RMI N E D EL L A NOTTE

Di là, dove indicava lui, non c 'era altro che la notte, come ovunque, d'altronde,

una notte enorme che si mangiava la strada a due passi da noi e tanto che dal buio non ci sbucava che un pezzetto di strada grosso come una lingua".

La prodezza individuale non raggiunge quasi mai alcun effetto pratico quando il terrore oscura le cose e rende sconosciute perfino le linee delle colline e le distese dei campi. Il panico poi accresce il sospetto, che pre­ conizza le imboscate, la cattura. Il sortilegio dell'oscurità serve soltanto a confondere le idee e a far apparire la morte come un incidente di percorso, come un appuntamento disatteso da un amico scomparso nel nulla. Il disordine mentale trova un contrafforte emotivo nell'eventualità che si dispieghi come un campo aperto la morte. Gli accidenti sono le affezioni recondite dell'umanità: servono per galvanizzare l'esistenza e, per conver­ so, per vanificarla. Bisognava comunque pur essere da qualche parte attendendo il mattino, da qual­ che parte nella notte. Potevamo mica evitare tutto. Da allora, so cosa devono pro­ vare i conigli selvatici'.

Il risentimento s' impossessa dei pensieri come uno squalo dei resti di un natante. Tutto sembra galleggiare sulle acque dello Stige. E, di profilo e in lontananza, s' intravede Caronte il trasbordatore. L'epopea della distruzio­ ne è semplicemente un'impresa sventata: i sopravvissuti soltanto riescono a rendersi conto degli effetti devastanti della guerra e, paradossalmente, dei benefici che pure ne possono trarre. Da quattro settimane che durava la guerra, eravamo diventati così stanchi, così infelici, che avevo perduto, a forza di fatica, un po' della mia paura per strada. La tortura di essere tormentati giorno e notte da 'sta gente, i graduati, i piccoli soprat­ tutto, più brutali, più meschini e carichi d'odio ancora più del solito, finiva per far esitare i più osti nati a vivere ancora•.

L'ostinazione si profùa come un passo obbligato nella temperie del conflit­ to, nello spasimo di tutte le energie - comprese quelle latenti - che con dif­ ficoltà si arrovellano per affermare un'egemonia contrapposta e contrad­ dittoria. Il risultato è l'annientamento di quelle che con un eufemismo si 2.. lvi, p .

31. 3· lvi, pp. 32.-3.

4· lvi, p. 3 S·

I L S O RT I L E G I O E LA V A NITÀ

definiscono le forze avverse, che nel significato meno recondito sono le forze contrapposte. L'avversità è il motivo conduttore delle dispute, delle liti e perfino delle insolvenze che ogni individuo pretende di dover addebi­ tare alla controparte : a un'entità nemica, ma non necessariamente distoni­ ca rispetto ai suoi stessi interessi. L'esecuzione di un ordine diventa pertan­ to iperattivo, coinvolge un numero di persone sempre meno consapevoli delle cause che lo determinano. L'estraneità diventa così un fattore iniben­ te della lotta, un impulso inteso ad avvalorare il più possibile le ragioni di una parte. La parcellizzazione delle cause che sprigionano i conflitti con­ sente di obnubilare la spinta iniziale, difficilmente omologabile fra quelle edificanti. La guerra non soddisfa alcuna delle ragioni confutabili dall 'or­ dinamento comunitario, ma risponde alle pulsioni inconsce della specie. La morte appare come un'elegia: quasi il riscontro di una sfida che, bene o male, gli uomini si lanciano per sopravvivere a sé stessi. La sfida e quindi la guerra si configurano come le cause del metabolismo naturale. Sebbene gli uomini tendano a definire la guerra come lo scontro che segue all' incomprensione e all' intollerabilità delle presenze in soprannumero ri­ spetto alle risorse, in effetti essa adombra una dinamica artificiale, capace di suggestionare le coscienze e di indurle a perseguire dei risultati ritenuti utili all'equilibrio geopolitico e al progresso della conoscenza. La guerra, intesa come la mobilitazione delle comunità organizzate, illude circa gli esiti che i belligeranti possono reciprocamente conseguire quantomeno sul piano pratico. Di fatto, vari ritrovati tecnologici e altrettante applicazio­ ni pratiche concorrono a rendere conseguenti i meccanismi compensativi delle propensioni sociali in ambiti macroeconomici. La guerra consente ai belligeranti di allargare comunque la sfera della loro azione e di interagire per renderla uniforme almeno in linea potenziale. Ma il traguardo, che si palesa sempre come parzialmente raggiungibile, è quello relativo al vetto­ vagliamento quotidiano. Chi parla dell'avvenire è un cialtrone, è l'adesso che conta. Invocare i posteri, è parlare ai vermi. Nella notte del villaggio in guerra, il maresciall o custodiva gli animali umani per i grandi mattatoi che avevano aperto. Lui è re, il maresciallo! Re della Morte! Maresciallo Cretelle! Sissignore! C 'è niente che ha più potere. Di così potente come lui non c 'è che il maresciallo degli altri, là in faccia1•

5· lvi, p. 45·

2.6

VIAGGIO A L TERMINE D E L L A NOTTE

La ricerca del vitto impegna tutte le risorse inventive degli uomini d'azio­ di quanti confidano di essere in qualche modo sussidiari di sé stessi.

ne,

Il cannone per loro era solo un rumore. È per questo che le guerre possono durare. Anche quelli che la fanno, che ci sono dentro, non se la immaginano mica. Una pallottola in pancia, avrebbero continuato a tirar su vecchie scarpe per via, perché potevano "ancora servire". Come il montone che, sul fianco, in un prato, agonizza e bruca ancora. La maggior parte della gente non muore che all'ultimo momento ; altri cominciano e si prendono vent'anni d'anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra6• E,

per converso, la saggezza si configura come la vigliaccheria, che costitu­ isce soltanto il raffreddamento della sovraeccitazione. Un atteggiamento più remissivo di fronte alla realtà comporta un'attitudine meno esaltante e tuttavia più pratica. Paradossalmente, la guerra si delinea come il momen­ to iniziatico all ' idolatria della velocità, seppure di una velocità senza una direzione determinata. Ed è per questo che suscita i fantasmi e le allegorie delle leggende. Gli Aztechi sventravano abitualmente, a quel che raccontano, nei loro templi del sole, ottantamila fedeli a settimana, per offrirli al dio delle nuvole, che gli mandas­ se la pioggia. Ci sono cose che uno stenta a credere prima di andare in guerra. Ma quando uno c'è, tutto si spiega, e gli Aztechi e il loro disprezzo per il corpo altrui, è lo stesso che doveva avere per le mie povere trippe il nostro generale ... diventato grazie alle promozioni una sorta di dio fatto e finito, anche lui, una specie di pic­ colo sole spaventosamente esigente'.

L' ipertrofica concezione di sé del condottiero si trasforma spesso nell' ipo­ condria del gaudente, che è tanto più accattivante quanto più estempora­ nea. L'arte del comando cede il posto a quella del libertino, che compen­ dia, sia pure approssimativamente, anche quella del mistico. La figura del miles e quella del sacerdos, se si saldano insieme, rendono paradossale ogni atteggiamento, enfatizzato dalle circostanze e dalle necessità oggettive. Quanto magg iore è il distacco dal disagio di vivere tanto più è incompren­ sibile e accattivante insieme il piacere di fruire dei vantaggi del rango, che le personalità investite dei poteri tutori riescono a esaltare. La fiera delle va­ nità assume un rilievo particolare quando è impensabile il tentativo da par6. lvi, pp. 45-6. 7· lvi, pp. 46-7.

2.7

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

te dei semplici mortali di proporsi all'attenzione altrui. La contropartita dell'anonimato è la sconsiderata esternazione di alcune figure paradigma­ tiche. La stravaganza, tuttavia, non agevola l' intesa fra quanti la praticano e quanti la subiscono. Al contrario, essa induce all'osservanza dei rapporti di forza e alla disattenzione quasi completa per gli scompensi che provoca nella comunità castrense nella quale si manifesta. I fantasmi di un' improbabile gloria militare soggiogano le menti dei condottieri (veri o falsi che siano) e generano l' ironia dei sottoposti. Ma è un' ironia senza conseguenze in quanto vincolata alle fasi sempre liminari dell 'esistenza. Alla baraonda, che si determina nelle pieghe del conflitto, fa riscontro il proposito di aderire passivamente agli ordini ricevuti, alle amenità verbali con le quali vengono espressi. La vanità si coniuga spesso con l' intimo desiderio di rallegrarsi di non si sa che cosa, ma pur sempre di qualcosa legato alla quotidianità. In tempo di guerra, invece di ballare nell 'ammezzato, si ballava in cantina. I com­ battenti lo tolleravano e, meglio ancora, gli piaceva. Lo chiedevano appena arrivati e nessuno trovava indecenti questi modi. È il coraggio che in fondo è indecente8•

Se poi si ostenta il coraggio con le medaglie al valore e con gli atteggiamen­ ti propri di coloro che sono scampati a un pericolo grazie alla loro abilità, il successo mondano è quasi inevitabile. La gente comune è talmente disin­ cantata da ritenere il coraggio un accrescitivo dell' incoscienza o comunque di un'attitudine di fronte al pericolo non confacente con quella necessaria per affrontare i rigori della competizione sociale. Le affezioni che il compiacimento dei borghesi genera nei reduci dal fronte sono inautentiche perché avviluppate nel corredo delle loro inibi­ zioni. Il culto per le mostrine e le medaglie altrui può agevolare un' intesa amorosa. Ci capimmo subito, però non completamente, perché gli slanci del cuore mi era­ no diventati completamente indigesti. Preferivo quelli del corpo, semplicemente. Bisogna diffidare moltissimo del cuore, !' avevo imparato e come! In guerra. E non me lo dimenticavo certo9•

8. lvi, p.

59· 9· lvi, pp. 59-60. 2. 8

V I A G G I O A L T E RM I N E D E L L A N O T T E

L'entusiasmo è ambiguo e sfuggente, non consente di aggregarlo a una cau­ sa precisa, sebbene sia da questa determinato. Quando Lola ingaggia una lotta personale con le frittelle, che è indotta ad assaggiare prima di distribu­ irle negli ospedali di Parigi, il cedimento psicologico si palesa come quello di un condottiero che abbia perduto una battaglia e la sua ostinazione a ritornare in forma come quella che i suoi antenati hanno dimostrato nel Mayjlower. Fatto sta che da quel giorno lei assaggiava le frittelle solo con la punta dei den­ ti, che peraltro aveva tutti a posto e carini. 'Sta angoscia d' ingrassare ora arriva a rovinarle ogni piacere. Deperiva. Ebbe in poco tempo una paura delle frittelle pari a quella che io avevo delle granate. Il più delle volte adesso andavamo a fare passeggiate igieniche in lungo e in largo, per colpa delle frittelle, sui viali, sui bou­ levards, ma non entravamo più dal Napolitain, perché i gelati, anche quelli, fanno ingrassare le signore'0•

L'etimologia del male è sempre !' (eccessiva) abbondanza, la quantità di energie in esubero rispetto a quelle necessarie per agire e operare. Mentre i combattenti si contendono l 'indispensabile per fronteggiare le avversità del conflitto, nelle retrovie l'eterno femminino è pervaso dal diritto alla li­ nea, alla gradevolezza delle linee, secondo i codici estetici che hanno presa sul pubblico e lo ammaliano. L' idillio, che s' instaura fra l ' io parlante e la giovane americana Lola, invaghita di quell' « entità cavalleresca » con la quale identifica la Francia, è pretestuoso, inautentico. Non nasce dali' interesse di una donna per un uomo e viceversa, ma dali' infatuazione romantica e didascalica insieme di una rappresentante del Nuovo Mondo in una realtà congestionata dalla disparità delle convinzioni e dalla drammatica esigenza di porvi rimedio o addirittura di porvi fine ricorrendo - legittimandolo - al temporaneo imbarbarimento. A me, quando mi parlavano della Francia, pensavo irresistibilmente alle mie trip­ pe, per forza, ero molto più riservato su quel che riguardava l'entusiasmo. A cia­ scuno il suo terrore. Tuttavia, poiché lei era disponibile in fatto di sesso, l'ascolta­ vo senza mai contraddirla. Ma sul lato spirituale, non la contentavo affatto. Tutto una vibrazione, un irraggiamento, m'avrebbe voluto lei e io, da parte mia, non capivo assolutamente perché avrei dovuto essere in quello stato lì, sublime, vedevo 10. lvi, pp. 61-2..

2.9

I L S O RT I LE G I O E LA VA N I TÀ

al contrario mille ragioni, tutte inconfutabili, per restare d'un umore esattamente contrario".

Le due personalità a confronto non si palesano mai interamente perché la ragione che ne giustifica la frequentazione è più o meno estranea alle solle­ citazioni di ordine conoscitivo e comportamentale. La giovane entusiasta americana non condivide lo scetticismo del suo interlocutore per lo stesso motivo per il quale il suo interlocutore ostenta una generica ma interessa­ ta comprensione. Questi accondiscende alle piccole manie della sua amica pur di attenerne i favori, che si esauriscono negli incontri e negli amples­ si sottratti alle disquisizioni politiche e morali. L'euritmia dell'America a stelle e strisce non può ammettere che l' Europa della memoria e della tra­ dizione cada in deliquio e si disfaccia di tutte quelle risorse che la letteratu­ ra edificante americana considera come il fondamento della rigenerazione storica e sociale. Lei mi tormentava con le cose dell'anima, se ne riempiva la bocca. L'anima è la va­ nità e il piacere del corpo finché uno è in gamba, ma è anche la voglia di uscire dal corpo quand'è malato o le cose girano male. Delle due cose uno si prende quella che funziona meglio sul momento, ecco tutto ! Fin che si può scegliere fra le due, va bene. Ma io non potevo più scegliere, i giochi erano fatti ! Stavo nella mia verità fino in fondo, e poi la mia stessa morte mi seguiva per così dire passo passo. Facevo fatica a pensare ad altro che al mio destino d'assassinato con la condizionale, che tutti d'altronde trovavano assolutamente normale per me". La discesa agli Inferi, che l'io parlante ammette allusivamente di aver com­ piuto, non consente di propendere per una concezione eroica dell'esistenza. E ciò, non tanto per l'istintiva diffidenza per tutto quanto si configuri emen­ dato dalle comuni compromissioni, quanto piuttosto per l' improponibilità di un genere umano che rinunci effettivamente ai suoi difetti di origine. La guerra è l'amplificazione del cosiddetto male necessario, al quale fanno ri­ corso gli eresiarchi e gli irresponsabili per legittimare gli obbrobri commessi dalle varie generazioni nel tempo e nelle varie regioni del pianeta, caratteriz­ zate da diverse condizioni economiche, politiche e istituzionali. L' inveterata riluttanza a glorificare il futuro induce l ' io parlante a con­ fessare il proprio pessimismo anche quando volge lo sguardo al passato. La ricognizione dei fatti che accadono nella realtà non consente eccessive e 11. lvi, p. 62.. 12.. lvi, p. 63.

V I AG G I O A L T E R M I N E D ELLA N O T T E

neppure tanto concrete illusioni. L'io parlante non ammette repliche : con­ fessa il suo convincimento e la sua indisponibilità a rivederne il fondamen­ to per anacronistico o inadeguato che possa apparire ai suoi interlocutori. E, infatti, la confutazione dello stesso da parte della giovane Lola si giusti­ fica con il proposito, presente in ogni condizione storica, di superare gli antagonismi sociali e le discriminazioni individuali in quanto insidiosi per la stessa perpetuazione del genere umano. Questa specie d'agonia differita, lucida, ben portante, durante la quale è impos­ sibile capire altro che non siano le verità assolute, bisogna averla sperimentata per sapere per sempre quel che si dice. La mia conclusione era che i tedeschi potevano arrivare qui, massacrare, saccheggiare, incendiare tutto, l' hotel, le frittelle, Lola, le Tuileries, i ministri, i loro amichetti, la Coupole, il Louvre, i grandi magazzini, piombare sulla città, spararci fulmini e saette, il fuoco dell ' inferno, in questa fiera putrefatta a cui non si poteva davvero aggiungere qualcosa di più sordido e che io, io non avevo però niente da perdere, niente, e tutto da guadagnare'J.

Le mostruosità di queste riflessioni sono presenti alla consapevolezza ope­ rante del narratore, che non le esterna per tema di doversi privare dell' in­ timità di Lola, l'interprete appassionata di un modo d' intendere il mondo plausibile e consolatorio. La follia simulata può consentire l'esonero dal servizio in prima linea. Costringe a vivere in un ospedale, come in un reliquario, ma è sempre un sussidio per chi non senta quei fremiti patriottici che Lola ambisce rin­ venire nell' io parlante della narrazione. Per evitare di essere sopraffatti dali' angoscia, i ricoverati ricorrono indifferentemente alla confessione o al disprezzo nei confronti di coloro ( medici e confidenti) che la sudditanza fisica e morale induce a considerare degli esseri superiori. L'agguato ester­ no s'inasprisce quando gli stessi ammalati - atterriti dalla guerra - non riescono neppure a confessare a se stessi le ragioni per le quali decidono di astenersi dal conflitto. Ed è mortificante per i vigliacchi e i fedifraghi argomentare intorno ali' in congruenza della guerra. Gli altri si aspettano una confessione riparatrice, che induca le autorità all' indulgenza, facendo assegnamento sulla severità dei poteri costituiti, che dal coraggio dei loro adepti traggono la forza per imporsi e legalizzarsi. L'ostinazione degli im­ boscati ha soltanto una via d'uscita: quella della Commissione militare, di

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un organismo cioè deputato a consentire a quanti non si sentono liberi dal­ le compromissioni sociali di « uscire di scena » , di perdersi. l sopravvissuti, come i reduci, ambiscono alla comprensione del mon­ do, forti di un'esperienza storica alla portata di tutti. L'eroismo visto in controluce, quando non è più indispensabile, rende suggestivo il ricordo, anzi le « contrade » del ricordo, quegli squarci di vita vissuta nei quali si riflette ancora il desiderio di affermarsi. La testimonianza di un'epopea, quale patrimonio comunitario, fa da proscenio allo sproloquio individuale. Ognuno vanta un gesto o un atto difficilmente confutabile e tuttavia prov­ videnzialmente contemplato dalla storia nazionale. La poesia eroica conquista senza colpo ferire quelli che non vanno in guerra e me­ glio ancora quelli che la guerra sta arricchendo spaventosamente'•.

Il risvolto opaco della guerra è proprio il dopo-guerra, quando i sacri prin­ cìpi che l'hanno provocata si trasformano nei pretesti polemici di quanti ambiscono più o meno coscientemente a precostituire le condizioni per i conflitti civili. La separazione dei ceti diventa determinante ai fini della co­ siddetta ricostruzione; e quella tensione morale, che la guerra esalta spes­ so a sproposito, declina per lasciare adito ai disegni e ai calcoli mentali dei gruppi, dei ceti, delle organizzazioni e dei partiti. L' indifferenza generale nasconde, nei periodi della ricostruzione, tutti i progetti di rivendicazione economica che, a titolo personale o di gruppo, si delineano come necessari per la realizzazione di un nuovo ordine sociale. Ma il proemio di ogni ini­ ziativa, intesa ad attivare le risorse della nazione, è implicito nel senso di re­ sponsabilità con il quale si è ingaggiata la lotta a oltranza contro il nemico invasore e violato re del!' integrità territoriale della nazione. Poiché tutto era Teatro bisognava recitare e aveva proprio ragione Branledore; nulla ha l'aria più idiota ed è più irritante, è vero, di uno spettatore inerte salito per caso sulle scene. Quando si è lì sopra, si sa, bisogna prendere il tono, animarsi, recitare, decidersi o sparire. Le donne soprattutto chiedevano spettacolo ed erano impietose, le streghe, con i dilettanti imbambolati. La guerra, indiscutibilmen­ te, porta alle ovaie, sono loro a esigere eroi, e quelli che non lo erano per niente dovevano presentarsi come tali ovvero prepararsi a subire il più ignominioso dei destini'�.

1 4. lvi, p. 93· I S . lvi, pp. 104-s.

V I AG G I O AL T E R M I N E D E L L A N O T T E

Il

primitivismo orgiastico si tramuta in canone rappresentativo di quei « valori » che solitamente la retorica patriottarda rinviene nell' indipen­ denza e nell'onore delle armi. La poesia epica è invocata come una forza re­ dentrice delle perdite di tono della letteratura intimista e di quella sociale. Ma è l'esperienza del rransfuga e dell'esule che può essere assimilata a quella compiuta in guerra. Nella nave, diretta in Africa, la crudeltà degli istinti mette a dura prova la capacità reattiva dei singoli individui, che, come in guerra, si fronteggia­ no senza esclusione di colpi {sia pure eufemisticamente intesi come corol­ lari di un 'ostinazione preconcetta e persecutoria). La vanità raccorda e giu­ stifica tutte le debolezze umane e rende univoco il desiderio di affermarsi ad onta delle manifeste resistenze ambientali e sociali. Anche i cosiddetti corpi coloniali fanno del patriottismo un'arma per assecondare e imporre i loro vizi primari, soprattutto nei confronti dei neri e di quei gruppi uma­ ni considerati emarginati dalla storia e dalla civiltà. La guerra di conquista sullo scenario continentale proietta i suoi effetti devastanti nelle regioni remote dell' impero (francese), in quelle aree caratterizzate da una sorta di ingenua confabulazione con la natura e attraversate da conati d' insofferen­ za fra i militari e i civili dell'amministrazione tutoria. Così, le rare energie che scampavano alla malaria, alla sete, al sole, si consumavano in odi così mordaci, così insistenti, che molti coloni finivano per crepare sul posto, avvelenati di se stessi, come degli scorpioni'6•

L' istinto sprigiona la sua energia appoderatrice in tutte le latitudini e si avva­ le delle occasioni offercegli dalla ragione per affermarsi e condizionare i pen­ sieri e gli atti degli uomini. La narrazione tende a far corrispondere a ogni situazione naturale e istituzionale una particolare propensione dell'uomo a salvaguardare l' istinto, che quasi sempre si configura come il contrario del­ la norma elaborata razionalmente e posta in essere mediante i meccanismi mentali con i quali si elaborano i segni, le convenzioni e le intese. L' inserimento dell'esotismo nel circuito dell'esperienza di un dissen­ ziente - di un uomo che rifugge la guerra in Europa - non è suffragato dal­ la constatazione di un modus vivendi che tenga in debito conto la dignità della persona e che faccia astrazione dei pregiudizi razziali e consuetudi­ nari. L'esotismo, vaticinato in Europa come una forma sedimentaria della struttura arcaica e tribale, in effetti si rivela una categoria conoscitiva di 1 6. lvi, pp. 1 43-4.

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stampo occidentale, evocata per rendere meno increscioso il contrasto fra la concezione idilliaca del mondo e la delusione (da parte degli europei) di non riscontrarla neli 'esperienza. Al contrario, quella tendenza da parte au­ toctona ad ammorbidire le caratteristiche imprenditoriali e predatorie de­ gli europei è considerata da questi ultimi come un incentivo all 'esplosione dei più bassi istinti. Ma è proprio una tale disposizione d'animo che induce i colonialisti a interferire in maniera dogmatica e asseverativa nei costumi degli africani, di quelle popolazioni aduse a non concepire il problema del­ la sopravvivenza in termini di competizione sublimata, sofisticata o simu­ lata. L' Eden terrestre per gli europei è tale se è consentito loro di sfruttare l'operato dei neri d'Africa, degli uomini e delle donne indotti dal bisogno a inserirsi violentemente nel sistema produttivo e speculativo, che provoca i contrasti e i conflitti dell'Occidente. L'ambiente naturale dell'Mrica arcaica congiura contro quello artifi­ ciale degli europei allo scopo di sopravvivergli e in qualche modo di con­ , tenerne l azione abrasiva e appoderatrice. n conflitto che si sprigiona fra i due fronti è compensativo dell' incomprensione artatamente funzionale fra due mentalità, reciprocamente interessate a soprintendere alla realiz­ zazione di un disegno globale, valido per giustificare il dominio politico del pianeta. Tuttavia, lo stupore per tutto quanto accade nel mondo non costituisce materia di conoscenza. L'emisfero coloniale non è propenso a problematicizzare la realtà, ma a suddividerla in due regioni: quella dei do­ minatori bianchi, preoccupati d'arricchirsi il più presto possibile, per ri­ nunciare poi al godimento del ricavato della loro impresa in Europa; quella degli sfruttati di colore, che ambiscono migliorare i loro rapporti con l'am­ ministrazione straniera in maniera da consentirsi un'esistenza più decorosa e più edificante in Africa. Da questo insieme di fattori si evince una sorta di nostalgia per le atmosfere perdute di un continente ospitale e per molti aspetti più vicino al modello del primo giorno della creazione. A Topo, insomma, per quanto minuscolo fosse il luogo, c 'era posto lo S[esso per due sistemi di civiltà, quella del tenente G rappa, piuttosto alla romana, che fru­ stava i sottoposti per cavarci semplicemente un tributo, di cui tratteneva, secondo quanto affermava l 'Alcide, una parte vergognosa e personale, e poi il sistema di Alcide propriamente detto, più complicato, nel quale già si scorgevano i segn i del secondo stadio di civiltà, la nascita di un cliente in ogni fuciliere, quella combi­ nazione commerciai-militare insomma, molto più moderna, più ipocrita, che è la nostra'7•

17. lvi, p. 1 78.

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L' ipocrisia europea si configura come l'atteggiamento del magnate, che non riesce a retribuire con parsimonia ed equità le azioni commendevoli e quelle disdicevoli secondo un criterio moralmente plausibile. L'arbitrio si ammanta di umanitarismo controllato dalla giustizia sommaria, dei verdet­ ti emessi in un contesto sociale e abitudinario diverso da quello nel quale è prevista l ' inflizione della pena. La valutazione dei rapporti fra le persone si esplica mediante il rilievo che assumono i temperamenti, le attitudini as­ sunte dagli individui di fronte ai fatti che accadono quotidianamente. L'esercizio più frequente dei colonialisti è quello di amplificare illuso­ riamente i minuti avvenimenti di ogni giorno. È un esercizio terapeutico, che ha il fine di innervosire le persone che lo praticano o alle quali è rivolto, e che concorre a rendere più incestuoso il rapporto fra gli uomini e la natu­ ra. Il caldo, le mosche, i parassiti fanno parte integrante dell'equilibrio nel quale permangono, come in una trincea, quelle figure emblematiche del missionarismo o dell'esulismo volontario. Esse si consolano affl iggendo il prossimo e travisando i loro trascorsi europei. Alle loro spalle, spesso esse lasciano o un mondo incantato, soffuso di colori, di suoni lievemente ten­ tacolari, o un mondo di macerie, di ribalderie e di soprusi, esplicitamente ostile. La distanza dell'Africa dall' Europa varia a seconda delle atmosfere nelle quali si esplica il ricordo. Una sorta di barriera ideale divide i due con­ tinenti, destinati peraltro a essere l'uno l'amplificazione dell'altro, l'uno lo specchio deformante dell'altro, in tutti i sensi. Le passioni africane sono primordiali perché si presume che quelle europee siano raffi nate o quanto meno condizionate da un milieu culturale, del quale nel cosiddetto emi­ sfero nero si rinvengono soltanto gli aspetti più esaltanti. La nostalgia, che avvolge i pensieri degli esuli, ha una connotazione organica, prossima al rimpianto per qualcosa che l'operosità potrebbe realizzare. Del resto, le confidenze degli esuli sfociano quasi sempre in un atto d'accusa verso qualcuno o qualcosa che li costringe alla fuga. Un demone s' impossessa di loro sul territorio africano e li attanaglia fino a dominarli o a estinguerli. L' idea di una esaltante dannazione s 'impossessa di loro e li rende retrattili a ogni criterio di giudizio che si ispiri ad una unità di misu­ ra, a un modello comportamentale che faccia astrazione degli eccessi e del­ le stravaganze, considerati un' insidia di ogni equilibrio sociale. L' inconti­ nenza europea si confronta con l'astinenza africana fino a rendere evidente la differenza, che s' identifica con l'apparato amministrativo e militare. Le forze in campo assicurano tale differenza e la rendono perentoria quando un moto d'insofferenza si delinea come inevitabile. Perfino i profili delle 35

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persone possono interconnettersi nella memoria per corromperla e viziar­ ne l'efficacia. Nell 'oscurità continuava a parlarmi mentre risalivo nel mio passato con un tono di voce che era come un richiamo sulla soglia degli anni e dei mesi, e poi dei miei giorni, a ch iedermi dove avevo mai potuto incontrarlo quell'essere. Ma non trovai nulla. Non avevo risposte. Ci si può perdere andando a tentoni fra le forme tra­ scorse. È spaventoso quante ce ne sono di cose e persone che non si muovono più nel tuo passato. I vivi che si smarriscono nelle cripte del tempo dormono così bene con i morti che perfino un'ombra già li confonde'8•

La condizione liminare fra la vita e la morte, che si vive nella foresta, de­ vitalizza i ricordi perché potenzia le virtù medianiche, le sensazioni, le pulsioni violente. E, tuttavia, anche per coloro che sono afflitti dalla pres­ sione della natura, la foresta è preferibile alla guerra. L'orgia dei sensi ha anche come terminale la morte, ma è la violenza istintiva che la preconiz­ za e le consegue. Nella guerra s ' intravedono le perversioni della civiltà, della cultura, nelle sue varie estrinsecazioni: le stesse cause scatenanti del conflitto, alla loro radice, sono manifestazioni iperboliche dei sensi, al­ lucinate proiezioni collettive di una potenza germinale in qualche modo assimilabile a quella che si esplica nella foresta. La simbologia fallica dei regimi guerrafondai dimostra non tanto l ' insondabilità del male, quanto piuttosto l' inconscia tentazione delle collettività di ritornare nella giun­ gla e nella foresta per misurarsi con i divieti ancestrali e per vanificarne gli effetti. E, per converso, la incongruenza degli affetti consolidati è tale per­ ché si propone all'osservazione e alla reazione delle persone cosiddette ci­ vilizzate. Alla spregiudicatezza ferma dell 'Africa fa riscontro la risolutezza luciferina dell' Europa: la prima si compendia nelle copulazioni diurne e notturne, nei ditirambici viluppi animaleschi; la seconda s' identifica con la pretesa di contestare alle reazioni elementari un grado di incontinenza che provoca squilibri naturali di notevole entità {come quelli che si veri­ ficano a ogni epoca geologica). L'Africa esalta le virtù sorgive dell'uomo ; l' Europa quelle terapeutiche. Mia madre, dalla Francia, m' incitava a stare attento alla mia salute, come in guer­ ra. Sotto la mannaia, mia madre m'avrebbe gridato perché avevo dimenticato il foulard. Non rinunciava a niente mia madre per cercare di farmi credere che il 18.

lvi, p. 1 9 1 .

V I AG G I O A L T E R M I N E D E LLA NOTTE

mondo era benevolo e che lei aveva fatto bene a concepirmi. È il grande inganno dell ' i ncuria materna, questa Provvidenza presunta'9• In Africa la continuità delle specie si esplica nella sequela delle azioni che adombrano il paradiso perduto; in Europa la catena degli esseri è continua­ mente soggetta al rischio, all'iconoclastia naturalistica. Due scenari - illu­ soriamente e didascalicamente - a confronto : due aspetti dell 'umanità che si confondono nella genesi e conflagrano nella rappresentazione, nei movi­ menti peristaltici della vicenda memorativa e della storia. In Europa, l' indennizzo per la mancata, diretta, adesione alla natura av­ viene per fasi sconnesse, secondo successioni che hanno all'origine una causa naturale. L'evoluzione politica ed economica europea (e, per estensione, di tutti i paesi sviluppati) è il risultato dell'impiego criteriato dei «prodotti » della natura: il legno, il carbone, il gas, il petrolio, l'atomo, il nucleo atomico. Senza queste seducenti interazioni fra l' intelligenza umana e la natura sareb­ be stravagante contrapporre allo scenario originario (africano) quello mo­ dificato (europeo). Eppure rimane confermato il presupposto che senza le « riserve » energetiche della natura, alle quali attingere per attuare il «pro­ gresso » , sarebbe illusorio stabilire una differenza fra i continenti, i paesi, le popolazioni e i gruppi. L'acquisizione di un tale convincimento si riverbera nella norma, nella enunciazione di criteri di condotta che salvaguardino la continuità dell'azione e della coesione collettive.

La legge è il grande Luna Park del dolore. Quando il poveraccio si lascia prendere da quella, lo si seme ancora gridare secoli e secoli dopo'0•

E, tuttavia, essa garantisce, almeno in linea di principio, dall' ingerenza al­ trui negli affari personali. La elaborazione della legge costituisce uno degli eventi più significativi della condizione umana, al punto da indurre gli esuli a riconsiderare in un'ottica più disincantata i vantaggi e gli svantaggi della «civiltà » . L'assenza di regole - o comunque la disattenzione di quelle che trovano la loro legittimazione nel contesto europeo - rende problematica la convivenza in Mrica. L' idea che agli uomini sia consentito di fare tutto in un campo aperto a tutte le istanze emotive e razionali è fallace. L' insicurez­ za si delinea come l'alternativa della libertà. A tutti è consentito di fare tut­ to secondo il principio motore della foresta, che è l'emiciclo degli incontri, l'angoscioso laboratorio della natura. Alla persecutività della norma europea 19. lvi, p. 1 9 S ·

20. lvi, pp. 1 9 6 - 7.

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fa riscontro l'apologetica della conflittualità istintiva africana. Lo scenario africano non ha e non dà tregua: la sua dinamica è contrassegnata dal me­ tabolismo naturale che è sinonimo del necessarismo istintivo. Nessuno può sottrarsi alla ferrigna concezione dell'esistenza senza compromettere la sua stessa individualità. L'Europa, invece, genera altri risentimenti e altre riserve mentali, ma a partire dal presupposto che l' individuo non è in sintonia con la natura, che il suo posto nella scala zoologica è moralmente deviato o mo­ dificato rispetto agli altri esseri ed enti della realtà. Il fatto che egli non am­ metta la guerra, che non consideri il conflitto come il fondamento della sua sopravvivenza, denota la congruenza della sua posizione fra il sensismo e il razionalismo, fra la compromissione con la natura e l'impegno a modificar­ la, almeno per quanto attiene alle esigenze del genere umano. L'etica, la mo­ rale sono quindi gli strumenti con i quali l'umanità si sottrae al necessarismo naturalistico e instaura con la natura un rapporto impreziosito dal proposito di nobilitarlo ulteriormente fino a identificarlo con l' impegno da parte di ogni singola creatura di continuare e perfezionare la creazione secondo i per­ scrutabili disegni divini. Le religioni monoteiste, infatti, affidano all'uomo la legislazione del mondo giacché il Redentore è uomo e Dio e, in quanto interprete dei disegni di Dio, testatore della storia umana. L'abbandono alle tensioni della foresta non soddisfa le aspettative del­ la libertà in quanto non hanno alcuna garanzia. L'assenza di ogni remora è fonte di preoccupazione e causa d' inquietudine. Il fatto che ognuno possa disattendere le regole per le quali si sente ingiustamente perseguitato nella società europea non comporta la liberazione dai condizionamenti mentali che le pongono in essere e le rendono operanti. La foresta dimostra che la completa assenza di regole implica l'afflizione per i soprassalti e le reazioni inconsulte. Nella foresta, la condotta umana tende a modificarsi estempo­ raneamente e comunque in dipendenza del pericolo incombente. Lo sta­ to d'animo del reprobo, che in Europa elude tutte le alternative legali per immaginare un punto di fuga nell'empireo del primigenio, nella giungla o nella foresta ne intravede paradossalmente soltanto una: quella che gli con­ sente di ritornare in Europa. Egli si illude così d'inveire contro il destino ci­ nico e baro e di assicurare al suo pensiero, per quanto stravagante, un certo credito nel dibattito ideologico che contraddistingue la cosiddetta società civile, quella società che al suo interno tollera forme di trasgressione consi­ derate illegali nella sfera istituzionale. Il regno della legalità, contrapposto peraltro alla corruzione europea, è il mondo nuovo. L'America degli utopisti s' incarica di coniugare le aspira­ zioni dell'uomo moderno, proclive al compromesso e meno sensibile alla

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scala gerarchica dei valori tradizionali, e le caratteristiche di un organismo in grande, capace di modificare nella sua stessa funzione rappresentativa la foresta nella metropoli, di sublimare gli spazi aperti dell'Africa nei cir­ cuiti delle strade e delle piazze delle città. L'America si configura come il peristilio della foresta e il luogo nel quale si applica una rigorosa etica com­ portamentale, che serve appunto a garantire a tutti l' illusorietà della libera determinazione. I condizionamenti della giovane America sono talmente poco consolidati nella tradizione da non apparire come tali e da indurre a pensare quanti vi operano di essere approdati in un emisfero mobile, ela­ stico, dove ognuno, con la propria abilità, può realizzare un suo ambito operativo e decisionale, in grado di influenzare gli altri soltanto in linea competitiva. L'America suggerisce l' idea che ogni individuo ha lo spazio necessario affinché la sua concezione del mondo non incida su quella del suo simile, sebbene sia presumibile che la influenzi modellisticamente, cioè comparando continuamente le forme più rispondenti alle aspettative di un sempre maggior numero di fruitori. La sua immagine, tuttavia, non s' iden­ tifica con la giovinezza, come vorrebbe una fallace pubblicità. L'esaltazione dell ' imprudenza, considerata un prerequisito dell' imprenditorialità, non è un inno alla vita: al contrario, è un modo efferato per ammettere, in pie­ no progresso tecnologico, che il senso dell'esistenza è nella sua sconfitta. Il successo economico e sociale prelude al definitivo fallimento della persona che, indulgendo oltre misura alle sue debolezze, finisce con l'auto fustigarsi. In America, la fustigazione precede la condanna. Il giudizio morale è con­ seguente all' insuccesso, alla perdita di prestigio. Del resto, la giovinezza è troppo esaltata per essere vera. Ed è presumibile che, dietro il paravento del giovanilismo, si nasconda una sorta di maturità che rifiuta gli irreprensibili canoni del tradizionale comportamento europeo. Forse è anche l'età che sopraggiunge, traditora, e ci annuncia iJ peggio. Non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita, ecco. Tutta la gioventù è già andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verità. E dove andar fuori, ve lo chiedo, q uando uno non ha più dentro una quantità sufficiente di delirio ? La verità è un 'a­ gonia che non finisce mai. La verità di questo mondo è la morte. Bisogna scegliere, morire o mentire,'.

E, nel frattempo, visitare il peristilio dell'aldilà sopportando il supplizio di Tantalo. Mentre per alcuni o per molti il turbinio, il brulichio dell'A2.1. lvi , pp. 2.:1. 5-6.

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merica sono l'espressione della vitalità, per altri, quelli ancora condizio­ nati dalla cultura europea, rappresentano la quintessenza dell'afflizione o del sopruso ( compiuto anonimamente dal sistema sugli individui ) . La più agghiacciante delle situazioni è comunque quella nella quale la creatività è per così dire respinta al mittente. Nelle fabbriche non è richiesto alcun impegno intellettivo particolare; anzi, è necessario accettare la doppia sud­ ditanza, quella economica e quella culturale. La fabbrica si presenta come un ordinamento autonomo, che non ha bisogno di alcun contributo com­ plementare rispetto a quelli già previsti dall'organigramma con il quale si contraddistingue nel mercato. Il pane e il destino furtivo sono gli emblemi dissolutori della trama dell'esistenza. E, tuttavia, sono gli unici elementi che inducono gli umani alla pietà, ad avere un atteggiamento remissivo nei confronti di quanto accade inopinatamente sotto i loro occhi. La vita scorre all ' interno delle parole. Basta guardarsi intorno per ac­ corgersi che le scene della realtà si ripetono o che comunque si possono rappresentare con le stesse parole: Detroit e la periferia di Parigi hanno le stesse caratteristiche, almeno per quanto riguarda le fabbriche, l'aria che si respira, la gente che vi lavora. Fiumane di persone si riversano a ore stabilite e a giorni fissi da una parte all'altra della città inseguendo al tempo stesso la soddisfazione di essere utili e la constatazione di essere in soprannumero. Tossivano tutti nella mia strada. È una cosa che tiene occupati. Per vedere il sole, bisogna salire almeno fino al Sacré-Cceur, a causa del fumo".

La polvere sovrasta ogni cosa e fa da cortina a tutte le case che si affacciano sulla zona industriale. La laconicità, con la quale la gente parla del pulvisco­ lo atmosferico, l'esonera dall 'avere un parere su come migliorare il proprio habitat. Essa ha l ' impressione di dominare la fucina del mondo e di immo­ larsi al demone dell'efficienza. L'anticonformismo è un aspetto della modernità, sebbene si manifesti in un contesto sociale difficilmente distinguibile per epoche e condizioni oggettive. Il malessere di quanti lo attuano, nell' intento di beneficarsene, si esplica con un corredo di controsensi e di omertà, che adombra la comme­ dia e la tragedia, senza tuttavia propendere per l 'una o per l'altra. È il caso del padre di quella ragazza che affida le sue risorse ali' interesse che essa su­ scita presso tutti quelli che l 'abbandonano dopo averla fisicamente e mo­ ralmente compromessa. Il padre conosce la vicenda della figlia nei minimi 2.2. .

lvi. p. 2.70.

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particolari, ma ostenta un distacco dalle complicazioni della stessa per un inveterato bisogno di farsi proteggere dalle finzioni. Forse lui aspettava che gli avvenimenti si precisassero prima di scegliere un con­ tegno. Restava in una sorta di limbo. G li esseri vanno da una commedia all'altra. Nel frattempo il dramma non è ancora pronto, loro non distinguono ancora i con­ torni, la loro parte esatta, allora restano lì, le braccia penzoloni, davanti all'avve­ nimento, gli istinti ripiegati come un parapioggia, brancolando per l ' incoerenza, ridotti a se stessi, cioè a niente. Bestie senza governo''.

L' intrattenimento diventa una forma mimetica del peccato, della patente propensione a ridurre il male a un incidente di percorso : quello obbligato degli esseri senza alcuna prospettiva che non sia la dannazione. La pena che provano gli inetti sembra affine a quella che provano gli incapaci. La letteratura scientifica intorno al miglior modo per eludere la risoluzione di un problema è considerata da quanti la praticano come l 'en­ fiteusi del male necessario. Il fatto che la morte insegua l'umanità e la con­ dizioni nei movimenti e nelle scelte non dimostra l' inutilità delle risorse dei singoli individui nel procrastinarne l'azione. La familiarità con la mor­ te, tuttavia, accresce il desiderio di escluderla dal circuito dei pensieri che esaltano la vita, dalla traiettoria accidentata intrapresa da coloro sui quali s'abbarbica la speranza di sottrarsi al dolore o almeno di sottrarsene per quanto sia possibile. Il dolore è tale, infatti, se è possibile combatterlo o sul piano metafisica (delle credenze religiose) o sul piano fisico (delle concre­ te condizioni individuali e collettive). Il pensiero del dolore - che ispira la letteratura occidentale - è estraneo, almeno nelle sue espressioni declama­ torie, alla narrazione: l'esperienza dell ' io parlante in una sordida periferia di Parigi, fra gente frustrata, condizionata e affetta dei mali che affliggono soprattutto i poveri e i diseredati, non è assolutoria dell'incapacità da parte del genere umano di affrontare i pericoli e le sfide della società contempo­ ranea. Un residuo di pudore antico, di « convenienze ancestrali » , rende difficoltosa la modificazione della mentalità pre-industriale in quella indu­ striale. Le idiosincrasie della povera gente, che spesso sconfinano in aperta trasgressione (com'è la messa in scena di un omicidio allo scopo di liberare una famiglia di modeste condizioni economiche dal peso di una vecchia madre-suocera che rifiuta il ricovero in un ospizio), rappresentano la resi­ stenza di quella parte della società alla quale normalmente si accredita un 2 3 . lvi, pp. 290 - r .

4'

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grado di eroismo commisto con una visione lucida e aggressiva della realtà sociale. L'atmosfera sonnolenta e manierata della periferia rispetto ali' io parlante richiama alla mente le atmosfere di tutte le periferie descritte dal­ la letteratura dell 'Ottocento e del primo Novecento, senza però quell'e­ lemento magnetico che rende queste ultime il riflesso condizionato di un processo di trasformazione epocale. L' io parlante si limita a comparare la povertà delle risorse economiche della gente con le sue delineando una sorta di simbiosi sociale, che è diffi­ cile accettare o contestare, anche sul piano dcii ' immaginazione letteraria. Se una equazione del genere fosse, non soltanto dimostrabile, ma perfino perccpibile, il neccssarismo naruralistico, con il quale l'io narrante sembra continuamente fare i conti, avrebbe un' incontestabile evidenza e condizio­ nerebbe tutto il significato della narrazione. Perché l'efficacia del raccon­ to dell' io parlante abbia credito è quindi necessario ipotizzare un tipo di discernimento ideografico che occasionalmente s' identifica con la cruda constatazione della realtà. L'apparente improponibilità di un universo di dissociati, costretti dalle condizioni economiche e ambientali a sorvegliar­ si, a sfruttarsi reciprocamente nell'esercizio dei piccoli commerci, dei quali si compone l'esperienza quotidiana, è tale perché preventivamente sinto­ nizzata con l'atmosfera mentale dell ' io parlante, che ammette implicita­ mente d 'essere impari alle esigenze del milieu culturale nel quale opera. La sua preparazione scientifica, il suo apprendistato ospedaliero, la sua incisi­ vità ideologica sono sfuocate: il suo vagabondare da un continente all 'al­ tro, la difficoltà di inserirsi in un contesto operativo non conferiscono un grado elevato di credibilità alla sua attività professionale e quindi alle os­ servazioni che ne derivano. La conseguenza diretta del suo stato d'animo è quella di intravedere nelle imprese individuali il fattore che ne statuisce il fallimento. Ed è questa incresciosa e dolente constatazione che autorizza l ' interpretazione del testo da parte dell 'io parlante con il doppio propo­ sito di rinvenirvi un' indicazione didascalica (una confessione polifonica, cioè spiegata da più voci) c una protesta (un 'accorata denunzia, cioè espres­ sa da punti di vista diversificati nella postazione e unificati nella proiezio­ ne) ideologica e sociale. L'angosciosa constatazione da parte di un omici­ da mancato come Robinson di arrivare al fondo di ogni situazione, quan­ do non è più praticabile alcun congegno mentale in rapporto alle risorse, consiste nell' incvitabilità di affidarsi alla neghittosa pietà del prossimo. La scoperta - sempre allo stato liminare - della solidarietà umana sconcerta i protagonisti di un' impresa che pretestuosamente ne prescinde. Con un crescendo sempre meno reticente, ogni individuo, messo di fronte all' ine.p.

V I A G G I O AL TERMINE DELLA NOTTE

vi rabilirà (e quindi ali' impossibilità di modificarne gli effetti), si arrende al dom inio collettivo, si affida al buon cuore universale: diventa involontaria­ mente religioso e osserva, con una certa trepidazione e un certo sussiego, una disciplina affine a quella della mobilitazione militare. La religione panica, alla quale - secondo l ' io parlante della narrazio­ ne - si attiene l 'umanità, ha come fondamento il piacere, che non è qualco­ s a di simile all'edonismo, ma a un sentimento vitale, malinconico, capace di coinvolgere gli esseri in un' impresa senza principio né fine. Il piacere, in­ reso come antidoto del dolore, ne è una parte integrante. La differenza fra l 'uno e l'altro è data dal grado di drammaticità: nel primo è più accentuato in quanto retrospettivo; nel secondo più alleviato in quanto prospettico. Si sfugge al dolore e si rincorre il piacere nella consapevolezza che non sia soccorrevole. Il piacere, infatti, induce alla spregiudicatezza e all' indolen­ za, alle sensazioni opposte e liminari, che fanno da precettistica antisociale e anticomunitaria. Ed è proprio questa antinomia che condiziona tutta la narrazione. L' io parlante registra le voci della realtà senza investigare sulle cause o sui fondamenti della stessa. La ricognizione delle attitudini e del­ le azioni-reazioni soggettive non coincide con quanto esse pretendono di accettare o contestare. Né si può pensare che nelle voci registrate dall' io parlante sia assente la nozione di comunità, di socialità, in quanto tutto il tessuto narrativo non avrebbe senso. Lo « scandalo » che esso provoca è do­ vuto al farro che sottintende una nozione dell ' « essere collettivo» che non si riflette in loto o in parre nel convincimento e nel comportamento sog­ gettivi. L' individualità può perseguire obiettivi che siano distonici, se non addirittura in contrasto, rispetto a quelli della collettività. Ma il contrasto è presupposto come continuo e permanente, come se un'entità si oppones­ se ali ' altra per intima, connaturata divaricazione. E. invece, il contrasto è permanente e continuo, in qualche modo alimentato da quelle stesse forze che lo denunziano e apparentemente lo condannano. In effetti, la calcola­ ta indisponibilità della scrittura a sopperire il peso del contrasto concorre a delegittimare la condanna c a sostenere a contrario la validità del proces­ so coesivo della comunità sociale, anche quando, nelle fasi aberranti della guerra, pretende di disporre dell'esistenza individuale. L'anomalia che l'io parlante riesce a rappresentare riguarda soltanto gli aspetti esteriori, super­ ficiali dell' inadattabilità dell' individuo ai canoni partecipativi a livello so­ ciale, che concorre, più o meno consapevolmente, a determinare. La figura che più si approssima allo stato d'animo dell' io parlante è quella del perseguitato : dagli eventi, dal proprio carattere, dalle sensazioni diffuse nell'habitat nel quale si trova ad agire. Robinson sintetizza la filoso43

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fia del narratore, che ambisce a trasformare uno sfogo o un lamento in una semplice formulazione di principio: Hai l'aria d i dire che non s o nemmeno d i cosa mi lamento eh ? Rispondeva allora lui. Ma sento che devo lamentarmi lo stesso . È così ... Non mi resta che questo ... Te lo dico io . . È la sola cosa che mi permettono... Non sono mica obbligati ad ascoltarmi'�. . .

.

La lamentazione di rito attenua e poi vanifica la causa del dissenso nei con­ fronti di quanti rappresentano i «poteri » costituiti (dalla famiglia al dato­ re di lavoro, allo Stato). Il lento, progressivo reinserimento di uno « strava­ gante » nell'ambito degli ordinamenti consolidati avviene paradossalmen­ te in forma religiosa: la confessione, in stato di contrizione, consente di impetrare il perdono e la riabilitazione. Il ritorno nel nucleo familiare del figliuol prodigo della narrazione contempera le esigenze di un'umanità che si contende il diritto di sopravvivere alle macchinazioni che essa stessa ela­ bora quanto meno per ferirsi, se non addirittura per eliminarsi. Sei un borghese ho finito per concludere (perché per me non c 'era ingiuria peg­ giore all 'epoca) . Non pensi in definitiva che ai soldi ... Quando tornerai a vederci sarai diventato peggio degli altri ! '1

Così conclude, infatti, l'io parlante, rivolto a Robinson, che ormai protesta il suo diritto alla libertà in termini monetari. Vedere e avere le tasche piene di soldi, tuttavia, è un controsenso, giacché il denaro è una deformazione della vista, una patologia del calcolo mentale relativo ai significati e alle fi­ nalità dell'esistenza. Ce n'ha di pietà la gente, per gli invalidi e i ciechi, e si può dire che ha dell 'amore di riserva. L'avevo proprio sentito, molte volte, l'amore di riserva. Ce n 'è moltis­ simo. Non si può dire il contrario. Solo è una disgrazia che resti così carogna con tanto amore di riserva, la gente. Non viene fuori, ecco tutto. È preso dentro, resta dentro, gli serve a niente. Ci crepano dentro, d'amore'6•

L'imperizia dell'espressione non concerne soltanto la sostanza delle cose che effettivamente si possono provare, ma anche la forma (l' « etichetta » , 2.4. lvi, p. 430. 2.5. lvi, p.

433·

2.6. lvi, p . 43 4·

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dice l ' io parlante) con la quale si preparano le effusioni e i contatti reali. Contro questa forma, l' io parlante sentenzia continuamente, ma sempre con minore convinzione. In tutte le relazioni umane l'egemonia della for­ ma consente un margine di libertà che sconfina nel sarcasmo che, nell' io parlante, assume i connotati dell 'edonismo, di un godimento particolare e soggettivo, protetto da una sorta di fanatismo iconoclasta di poca efficacia e tuttavia in grado di assecondare il flusso affabulatorio e ditirambico del racconto. La narrazione si snoda in un monologo scriteriato, frammezzato da considerazioni compromissorie sul modo di comportarsi di Robinson e dello stesso io parlante. L'apprensione per l'atteggiamento di Robinson, che si finge pazzo per sfuggire all'assedio della fidanzata, complice di un delitto e beneficiaria del lascito di un esercizio economico, è autentica e in­ teressata. La natura vagabonda, anarchica, priva di sollecitazioni morali di Robinson, riconosce nel compassato silenzio dell' io parlante una compar­ tecipazione molto più esplicita di quanto non appaia. Egli afferma senza mezzi termini una vocazione stento rea c tuttavia in presa diretta per l' av­ ventura, per l' incertezza c per la provvisorietà. La guerra e l'esperienza che ha realizzato in Africa, in America e in Francia lo inducono a pensare alla tàllibilità di ogni condizione, che implichi una costanza e una continuità. Il proposito di sfuggire a ogni legame si giustifica con la constatazione che la famiglia, il lavoro e le relazioni interindividuali non si confanno con la convinzione che la libertà si possa conciliare con i condizionamenti comu­ nitari e sociali. L'anarchismo di Robinson è tuttavia speculare a ogni ten­ tativo inteso ad armonizzare l' impegno, che ogni persona cerca di stabilire nel suo habitat, con la residua insoddisfazione, quale effetto dei progetti non realizzati. L'ammonimento che Robinson si considera autorizzato a dare al suo interlocutore - l'io parlante della narrazione - è inerente alla non praticabilità delle remo re morali. Ma il suo immoralismo non è conte­ nibile negli ambiti delle normative vigenti giacché fa astrazione dei fattori alienanti conseguenti al senso di colpa. Il suo rifugio nella clinica dei pazzi, diretta ad interim dall ' io parlante della narrazione, costituisce un tentati­ vo di sfuggire al matrimonio piuttosto che al timore di dover rispondere di fronte alla legge di un omicidio premeditato, dal quale però rifiuta di ricavare i benefici che lo hanno determinato. Una commistione di pensie­ ri controversi trova una controffensiva nel silenzio - dolente ma parteci­ pe - del suo interlocutore, sempre sul filo della complicità. La narrazione si interrompe sempre sugli esiti - del resto prevedibi­ li - di tale complicità, che ha un'influenza sempre più devastante sull ' io 4- S

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parlante, che progressivamente perde il controllo di sé e rischia di affidare ali' abulia l 'oblio dei misfatti dei quali vorrebbe essere un osservatore disin­ cantato. La morte di Robinson non costituisce l 'epilogo del dramma, che pa­ rallelamente si svolge nell' intimo dei sopravvissuti: di coloro che annaspa­ no nelle brume esalanti da un'ansa della Senna, da un corso d'acqua che si flette come un virgulto alla flessuosa inconsistenza del paesaggio invernale.

Morte a credito

L' invettiva comporta implicitamente la trasgressione lessicale. La ricerca di una causa che giustifichi l ' imperiosità del male implica una spregiudicatez­ za di natura semantica, non morale. La tentazione di classificare una con­ fessione letteraria con i criteri con i quali si giudica una confessione sociale è forte da parte del lettore di un'opera che non concede molto alle effusio­ ni e alle atmosfere dell' intrattenimento e della confidenza. Fin dalle prime righe, l'io parlante della narrazione rivendica il diritto di irrompere nella penombra sofisticata dei ricordi per modificarne i tratti c le conformazioni nell' intento di renderli, non soltanto più perentori, ma anche più plausibili rispetto alla trama del racconto. Il fatto che una sorta di originaria pruderie abbia privato per un certo periodo di tempo la confessione dell' io parlante di alcuni brani, considerati troppo inquietanti e scabrosi, dimostra che la fi­ ligrana del discorso non è sovraccarica di nozioni complementari o addirit­ tura innecessarie alla comprensione di eventi letterariamente significanti. La strategia dell' io parlante consiste nel rendere perentoria la confes­ sione, nel dare al periodare e all'osservazione che lo caratterizza un empi­ to di occasionalità, che non può ripetersi senza condizionare l'esito della lettura. Il continuo condizionamento dell' interlocutore-lettore da parte dell ' io parlante è dovuto, infatti, al presupposto che il primo non è con­ siderato indifferente ai disegni mentali e agli effetti espressivi del secon­ do. Ed è proprio questa interrelazione di significati fra il lessico impiega­ to dall' io parlante e il lessico che impiegherebbe il lettore-interlocutore, se fosse indotto a manifestare il suo pensiero, che conferisce al racconto una tensione morale non traducibile nei codici di quella corrente. L' ina­ dempienza consuetudinaria di chi parla non si concilia con il conformismo ( presunto o effettivo ) di chi legge. Una linea di separazione fra l'emisfero dell'emissione e quello della ricezione dei significati delle parole consente di presagire o di propiziare il flebile delinearsi di un universo mentale, del quale lo scrittore e il lettore sono partecipi. 47

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La sensazione, infatti, è che l'esistenza sia caratterizzata dal dolore e che il dolore, per quanto sia nobilitato dalla religione, dalla filosofia e dall' ar­ te, non abbia alcuna connotazione edificante se atomizzato nelle sue parti concrete, nelle sue componenti organiche e inorganiche. La comunità es­ senzializzata al massimo, qual è una famiglia ( in questo caso, quella dell' io parlante), si presta a un esame spietato ed esaltante insieme. Il ricordo con­ sente di rinvenire nei recessi più imponderabili dell' intimità di ogni perso­ naggio - la madre, il padre, i cugini, la vecchia zia - le strutture genetiche dell ' intesa e della repulsione, che si manifestano nella vicenda socialmente comunitaria. L' io parlante si avvale di un' implacabile destrezza nel rende­ re comprensibili sia gli scarti di umore, sia le idiosincrasie dei personaggi, ai quali peraltro propende ad accreditare microstorie senza evidenti effetti connotativi. L'universo comunitario si configura come tale malgrado le di­ versità di ognuno dei suoi membri, impegnati a svolgere un ruolo di sud­ ditanza rispetto a un modello ideale, continuamente disatteso e comunque sempre invocato ed evocato come punto di riferimento, guida sintonica di percorsi incrociati e spesso distonici. Il ménage familiare si evince dalla propensione da parte del padre di evidenziare il suo fallimento indirizzando serali malefici alla madre, che cercava un rimedio alla propria precari età rendendosi a tutti i costi utile. La casa diviene così una palestra, un ring, ai cui incontri assiste l ' io parlante, al quale fin dall' infanzia è richiesto di esprimere un parere, di scegliere un partito, di tifare per l 'uno o per l'altro dei contendenti. Lei allora si metteva ad apparecchiare. Le schizzava un piatto per aria. Lui scatta­ va, si precipitava al salvataggio. Il nostro stambugio era così piccolo che urtavamo dappertutto. Non c 'era posto per un matto furioso come lui. Il tavolino carambo­ lava, anche le sedie entravan nel valzer. Era un puriferio spaventoso. I due si scon­ travano. Si rialzavan pieni di lividi. Si ripiegava sui porri all 'olio. Era il momento delle confessioni'.

La neutralità e l' indifferenza sono difficilmente praticabili perché accre­ scono la confusione generata dal conflitto. La contrapposizione delle per­ sonalità e la costrizione delle stesse in un ambito fisico e in un rigido conte­ sto istituzionale sono all 'origine della guerra, che per l'io parlante è la ma­ dre della discordia e della disgregazione-riaggregazione del genere umano. 1 . Louis-Fc:rd inand Célinc:, Mortr a credito, Garzanti, Milano 1 9 9 6., p.

so.

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La signora Méhon, l a bustaia, dalla bottega dirimpetto a noi, s'avvicina per go­ dersi meglio, attraverso le finestre, la scena. È una nostra nemica indefessa, ci odia dal tempo dei tempi. I Perouquière, che vendon libri usati, due negozi più in là del nostro, spalancano senza cerimonie la loro finestra. Non han bisogno di scomo­ darsi. S 'appoggiano alla loro vetrina ... Mia madre sta per buscarne, questo è poco ma sicuro. Da parte mia non parteggio per nessuno. Quanto a urli e buaggine li trovo tutti e due eguali ... Lei picchia meno forte, ma più spesso. Chi dei due vorrei che andasse a morir ammazzato ? Penso ancora il mio babbo,.

Il complesso di Edipo si manifesta alla fine di uno scontro fra rivali, quan­ do la scena si riduce allo squallore delle forze primarie. La sublimazione degli istinti propende per l'elezione degli organi della riproduzione, per la soddisfazione delle pulsioni elementari. Fu sempre tornando dalla campagna ch' io ricevetti i peggiori sgrugnoni. Alle barriere c 'è sempre geme. Mi mettevo a berciare apposta, per farlo imbestialire, quanto più potevo. Facevo accorrer gli astanti, mi rotolavo sotto i tavolincini. Gli prendeva, per colpa mia, una vergogna che non vi dico. Diventava rosso fino alla radice dei capelli. Aveva in orrore che lo si notasse. Avrei voluto che ne schiattasse addirittura. Fuggivamo via come scorreggiatori, curvi sullo strumento feroce'.

L' iran codi a paterna richiama alla mente - nella descrizione dell' io par­ lante - tutte quelle forme di rigetto alle quali egli fa continuo riferimento quando si riferisce a persone o cose che non si armonizzano con l'ambiente circostante. Il vomito è spesso evocato come un atteggiamento di disprezzo nei confronti di qualcosa piuttosto che come un normale movimento an­ tiperistaltico. L'esecrazione di un pensiero, di un gesto o di una situazione genera un moto di ripulsa, che l ' io parlante assimila al rigetto. La funzione che questo esercita nell'organismo assicura un equilibrio con le condizioni circostanti che l 'esperienza dimostra essere necessarie. Il rifiuto di qualco­ sa, che turba il buon andamento psicologico e fisico dei personaggi della descrizione, ha la cadenza di un atto scontato e tuttavia caratterizzato da un grado di sacralità difficilmente acquisibile come tale. In effetti, il vomi­ to adombra il lavacro, la purificazione del corpo e dell' intimità di quan­ ti ne riconoscono l'azione terapeutica. Paradossalmente, quanti ostentano una certa indifferenza per gli accorgimenti, con i quali ogni attore socia­ le s'inserisce e opera nella comunità, assegnano alle loro categoriche valu2. . lvi, p. S•· , . lvi, p. S 7·

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razioni dell'esperienza un'asseveratività contraria a ogni tipo di giudizio critico. L'estremismo dichiarativo si sottrae all'elaborazione concettuale, generando un magmatico movimento iniziatico, del quale i primi adepti sono i lettori disincantati e tuttavia offesi dal frasario sconveniente e fran­ tumato delle sue componenti esoteriche. Per comprendere appieno le si­ tuazioni descritte dall'io parlante è necessario preventivamente presumere che il lettore, grazie al periodare scarno e sintatticamente dissoluto, si sia liberato dai condizionamenti e dalle ipocrisie consolidati e sia disposto ad assumerne altri. Lo scrittore non ritiene, infatti, di debellare la finzione {di chi parla. di chi si atteggia), ma di sostituirla con una maschera più appro­ priata alle circostanze e quindi priva di quella forza accattivante con la qua­ le si propone dalla letteratura classica a quella contemporanea. La masche­ ra dello scrittore si identifica con la scrittura, con la scenografica presenza nella trama del racconto di parole inedite e desuete, secondo un'alchimia che suggestiona le menti e le sottrae per un certo periodo di tempo alla tra­ dizionale coerenza sintattico-grammaticale. Nell'imperiosa compostezza del periodo si stemperano le stravaganze lessicali e assumono spessore e consistenza le elaborazioni concettuali. La riflessione sull ' idillio rusticano e spesso sprezzante fra il padre e la madre è suggestiva: ricca di spunti umoristici, ha soprattutto lo scopo di rendere coerente la normale follia con il tran-tran della quotidianità. I rancori, le ire, le subitanee rassegnazioni fuoriescono da un caleidoscopio domestico, che il giovane io parlante ramme mora quasi con compiaciuta rassegnazio­ ne. Tutto quanto avviene nella sua famiglia è in parte il riflesso condizio­ nato di quanto avviene di fronte, nelle immediate vicinanze. Il significato dell'apprensione per il giudizio altrui è insito nella insistenza con la quale la curiosità ostenta il suo furore demistificatorio. L'alterco manierato pre­ domina nella scena sempre immaginata come apocalittica, liminare per l 'e­ splicazione dei rapporti interindividuali. E, invece, tutto si evolve in quelle regioni sottocutanee nelle quali l'appercezione dei fattori che le determi­ nano è alternata, discontinua, pulsionale. La rappresentazione e la descrizione si compendiano nella accensione evocativa di chi predilige le frasi a effetto alle elucubrazioni computistiche. Le celebrazioni, che inaugurano un evento memorabile, si prestano a ren­ dere compartecipi le figure di secondo piano : esse consentono di indulgere e di esagerare sui metodi interpretativi degli effetti pratici prodotti dalle imprese anonime e collettive.

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mano a mano che parlava, il babbo li colmava d i miraggi col ritmo stesso d d suo

respiro . C 'era aria di magia, in bottega .. . il lume era spento ... Scoddlava a tutti, ..

lui solo, uno spettacolo mille volte stupefacente, quanto quattro dozzine di Espo­ sizioni messe insieme ... Soltanto, non voleva becchi, voglio dire becchi del gaz ... Qualche bugia o moccolo, e stop ! . I piccoli casigliani, nostri amici, portavano ciascuno la sua, di candele, d ' in fondo ai loro soppalchi. Tornavano ogni sera per ascoltare il babbo, e sempre ne volevano sapere di più . •. .

.

..

La comitiva dell'entourage esercita la sua azione coesiva nelle prove a effet­ to che rappresenta per il gusto di eludere il necessarismo quotidiano. An­ che le esagerazioni fanno parte di quella dimensione dell' invidia e dell 'o­ dio sociali che è necessario contendere alle forze disfunsive, dissociative del disinteresse e dell' indifferenza. Il sortilegio della rappresentazione sceni­ ca corrode le asperità dei caratteri e consente alle singole persone di spro­ fondare in un'atmosfera gioiosa e accattivante. I membri di quel consor­ zio umano fatto di famiglie diventano paradigmatici in uno scenario che amplifica, con i tratti somatici, le caratteristiche distintive di un univer­ so apparentemente illusorio e inattingibile. In effetti, la rappresentazione scenica ha una flnalità catartica, anche se il significato della stessa non è completamente presente alla consapevolezza degli spettatori, che si con­ siderano disponibili a farsi osservare dai loro simili come se fossero delle parvenze di altre esistenze, dotate di un' imperscrutabile flnalità e di un' in­ tima correlazione con quanto ci si attende dalla futura liturgia consuetudi­ naria. Quella brigata di mercenari aspira a trasformarsi in un plotone di un esercito regolare, capace di applicare le regole del comportamento sociale con una solerzia inedita. L'aspirazione dei convenuti si esplica nella flducia di riconoscere nei loro reciproci interlocutori un cambiamento del timbro dei discorsi come conseguenza della rinnovata coerenza dei pensieri. L' in­ trinseco rigore espressivo è un effetto di quelle risorse taumaturgiche, che gli spettatori di una rappresentazione scenica si propongono di intravedere nella trama delle loro future estrinsecazioni espressive. Ma la scena che, a spettacolo ultimato, si palesa agli occhi dell' io par­ lante, allora giovinetto in compagnia del padre e della madre, è quella di un brusco cambiamento di fortune economiche. Lo spettacolo teatrale esi­ bisce un tavolinetto Luigi xv, che la famiglia dell' io parlante presta, per l'occasione, all a drammaturgia. Quando il sipario cala sullo spettacolo, gli attori, seduti intorno al tavolo, si accaniscono in un giuoco d'azzardo, che 4 · lvi, p.

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prelude e sancisce il desiderio di modificare da parte di alcuni di loro lo sta­ tus economico e sociale. Soltanto l' irruzione sul palcoscenico della madre dell' io parlante, preoccupata di recuperare il tavolino, riesce a scongiurare inquietanti conseguenze nell'ambito comunitario. Ancora molti anni dopo, mio padre raccontava l'accaduto ... con una mimica impagabile .. . A mia madre piaceva poco quella commedia ... Le ricordava troppe emozioni ... Lui indicava sempre il posto, proprio al centro del tavolincino, il luogo esatto da dove avevamo visto, noialtri, e in pochi minuti, milioni e milioni, e l' in­ tero onore d'una famiglia, castelli inclusi, volarsene in fumo'.

L'effetto di un colpo di scena, l' interferenza medianica del caso e della fortuna agiscono come una condanna nell ' immaginazione dell' io parlan­ te, allora giovanetto, influenzato dal salutare intervento abolizionista del­ la madre e dal contegno caricaturale del padre. Lo spettacolo teatrale può avere in sé la forza per contendere all'atarassia individuale una prospetti­ va sociale, improprio appannaggio dell 'agnosticismo collettivo. La fortuna (machiavellianamente intesa), se invocata per finalità edificanti (per scopi tcrapeutici), sembra protendersi fino alle regioni più remote della consa­ pevolezza sociale. Il repentino mutamento delle condizioni economiche e sociali è il risultato di una traslatio imperii, che il corso normale delle cose non soltanto rende stentoreo, ma soprattutto diluito nel tempo. Il rapido passaggio della titolarità di un bene ne modifica il possesso e lascia presa­ gire l'utilizzazione dello stesso, sollecitata dalla diversa conformazione so­ ciale dei due artefici del cambiamento. Il giuoco e la scena teatrale sono i due soli « luoghi » nei quali sia possibile rendere evidenti quanto meno le conseguenze del verosimile. La bizzarria del caso - l'evenienza - trova nel­ la rappresentazione teatrale e nel giuoco una sua plateale legittimazione. Il debito di gioco, seppure legalmente condannato, è approvato da quanti si inibiscono di fronte a uno spettacolo disgustoso. La presunzione di rin­ venire un accordo temporaneo fra contendenti si trasforma in un patto di acciaio giacché a ratificarne la validità sono coloro che non riconoscono al giuoco alcuna funzione edificante e alla rappresentazione scenica alcun aspetto catartico. La « normalità » - cioè coloro che si attengono alla con­ cretezza dell'esperienza - rifugge da tutto ciò che ottenebra le menti o le invaghisce con una terapia d'urto. S· lvi, p. 7 '·

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Il tramestio degli « attori della vita » , quando si propaga l' incendio fi­ no a intaccare la Comédie-Française, diventa rovinoso di fronte alle fiamme, alla dis�oluzione. Il disordine è il padre della disgregazione. Perfino le ami­ cizie, le affinità, le parentele si dissolvono quasi per lasciare spazio al fuoco vivificatore. L' irruenza delle fiamme rende percepibile l' istinto di conser­ vazione e vanifìca, sia pure entro certi limiti, quegli accorgimenti sentimen­ tali nei quali risiede il genus della convivenza. Non resta nulla sulla terra, tranne il fuoco che ci brucia... Una vampa tremenda che mi muglia dietro le tempie con una spranga che rimescola tutto... lacera l 'angoscia ... Mi divora il fondo della chiorba come una polenta bollente ... con la spranga per mestolo ... Non mi lascerà mai più.f I

sopravvissuti assumono le effigi dei relitti: ognuno si considera fortunato, depositario di un destino che la sorte gli ha conferito in segno di conside­ razione. La complicità, che s'instaura fra quanti riescono a scongiurare un pericolo mortale, raggiunge le forme di un' intesa, sopravanza qualsiasi ap­ prossimato tentativo di conferire consistenza a un accordo. La sopravvivenza sfugge a tutti quegli accorgimenti che l'esistenza comunitaria ritiene neces­ sari. Inopinatamente i sopravvissuti a un disastro scoprono di andare d'ac­ cordo, di modellare le loro reazioni di fronte alla realtà secondo un codice genetico rinnovellato: è come se una mutazione invertisse momentaneamen­ te il corso dei pensieri e delle sensazioni per arricchirle di un'esperienza dif­ ficilmente conseguibile a livelli comunitari. Il male si costituisce a disciplina, non soltanto delle azioni, ma anche delle sensazioni, sottraendole al dominio dell'occasionalità e dell'imperscrutabilità. La confessione - afferma l'io par­ lante - porta disgrazia perché comporta l'ammissione di una causa precisa, di un fatto o un evento dal quale derivano le condizioni nelle quali si agisce normalmente. La confessione implica inoltre che chi la esprime manifesta contestualmente una visione della realtà relativamente immodificabile. L' inconfutabilità dell'esistenza è attenuata tuttavia dal disordine o da quel « calcolato disordine » che è il mercato, l'arengo dei desideri repressi, delle rabbiose ambizioni, degli sgambetti, delle strategie mentali. Nel suo emiciclo si espongono gli animi dei prodi e s' immiseriscono quelli degli inetti secondo una improvvida nomenclatura. La sobrietà della sfida è inau­ tentica: gli allettamenti, per quanto espliciti, sono sempre subdoli, promet­ tono sempre qualcosa che il buon senso consiglierebbe di ritenere inatten6. lvi . p. 7 8.

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dibile. n mercato rende plausibile la rappresentazione del bene e del male necessari. Esso reprime il vagabondaggio e l' inerzia mentale, ma non tollera le apprensioni, gli scrupoli, le resipiscenze. n vangelo del successo esime da ogni tormento, che non sia quello che precede l'indigenza. E, infatti, la re­ trospettiva della ricchezza è l'indigenza. L'antagonismo non si manifesta fra i ricchi e i poveri, ma fra quanti sanno fare buon uso del mercato e quanti vi si affogano. I debiti sono come « un paniere sfondato» , denotano la costanza del fallimento, la riluttanza da parte del concerto sociale di riassorbirli co­ me se fossero degli ematomi in un organismo provato da colpi contundenti. Anche la disponibilità dei più facoltosi è rapsodica; non s' inserisce quasi mai in un disegno globale. L'ordito del piacere è inattendibile, non si rivolge a un gruppo di persone, ma al contrario si rifrange contro sé stesso. Il venditore di merletti, adorni e oggetti di abbellimento è costretto a rap­ presentare il benessere mentre ne soffre la carenza. La legge del venditore ambulante è come contratta nelle asperità delle manie e delle civetterie di quanti si configurano come possibili compratori. L'atmosfera che adombra la compra-vendita è pervasa di falsi entusiasmi. Conoscevo rutti i venditori ambulanti, è l 'ora in cui rientrano coi loro carretti ... Tirano, spingono, han la lingua per terra ... Nessuno ci fa caso. Allora sbottan sen­ za più ritegno in imprecazioni... Stronfiano fra le stanghe ... Ancora una bottarella fino ali 'altra cantonata . .. n faro squarcia la notte .. . n fascio di luce passa sul povero diavolo ... Sulla spiaggia l 'onda risucchia i ciottoli ... s' infrange ... romba ancora ... scroscia ... ritorna.. , muore ...".

Il mare vanifica le ambizioni dell'uomo e le riduce nella trasparenza delle im­ magini che, sul far della sera, immalinconiscono lo sguardo e lo privano di quella forza accattivante con la quale s' immerge nel mercato, nella contrat­ tazione dei beni e delle risorse, utili ai fini di una pretesa presenza comple­ mentare fra gli esseri e le cose del mondo. La ricerca di un punto d'appoggio per argomentare con il prossimo è la falsa sorpresa, il racconto di un nubi­ fragio, di un disastro naturale, che tempra le menti e consente all' immagi­ nazione di prevedere la realtà così come si delinea nell'esperienza concreta. Il fraseggiare della madre e del padre dell' io parlante lascia sottinten­ dere un continuo stato di emergenza, un calcolo delle possibilità di assor­ bimento da parte del consorzio civile delle nuove generazioni pressoché nulle. E un rancore represso nei confronti dell'organizzazione produttiva 7· lvi, pp. 1 0 1 -l .

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che non consente di arrischiare risorse supplecive rispetto a quelle necessa­ rie per mantenere lo statu quo. La diatriba contro i vicini, gli amici, i pro­ pri simili, recitata come una catilinaria dai genitori dell' io parlante, lascia intravedere non un'insoddisfazione, ma un senso di colpa. L' imperizia è addebitabile alla loro inadeguatezza intellettuale e materiale. La debolezza fisica - dovuta peraltro alla parca dieta familiare - costituisce una rernora per ogni tipo di giusta rivendicazione. Il racconto tende a evidenziare le fa­ si della fisicità nella loro interazione con l' intelligenza e gli interessi altrui. L'anima, per noi, era la tremarella. In ogni stanza, la paura di non farcela trasudava dalle pareti. Per lei ogni boccone lo ingozzavamo giù di traverso, soffiavamo i pasti in un baleno, facevamo "gambe in spalla" nelle nostre corse, zigzagavamo come pulci da un quartiere all'altro di Parigi, da Piace Maubert all ' Étoile, col panico del sequestro, la paura della pigione, dell 'uomo del gaz, con l'assillo delle tasse8•

L' irrefrenabilicà dell'indigenza si riflette sui gesti risoluti di chi non riesce a capacitarsi della sorte che gli è toccata. Quanto più è insidioso il bisogno tanto più eccitato è il senso della compromissione. Il bisognoso è sempre in preda al panico e quindi in fuga. Ma il suo raggio d'azione rimane sem­ pre afflittivo: perciò egli rimpiange un ambito della libertà che lo liberi dai morsi della farne, dall' indigenza. La traiettoria che il bisognoso compie nei meandri del commercio al mi­ nuto, nelle imprese a carattere familiare, è piena di insidie e rivelatrice di una trama di idiosincrasie e di veci incrociati, nei quali si riflettono l'ambiguità e la contraddittorietà dei gruppi e dei ceti chiamati a sintonizzarsi con le nuo­ ve spinte economiche e culturali. L'apprendistato di un giovane in cerca di lavoro si trasforma in una processione presso amici e conoscenti nell' inten­ to di ricercarne la disponibilità a convenire sulla opportunità di modificare, sia pure in parte, il sistema della presentazione e della vendica dei prodotti. Una catena di negozi sembra invece destinata a scomparire, non soltanto per l 'impermeabilità dei promotori a modificare le loro attitudini, ma anche per l' intrinseca insolvibilità dei prodotti offerti a una clientela sempre più arcaica e virtuale. n giovane io parlante della narrazione si crova immerso in un universo di operatori economici, che traggono i loro scarsi guadagni dall'andamento inerziale di un mercato di beni legato a un gusto superato. Il giovane io parlante ha la sensazione che il suo avvenire non possa essere assicurato da un sistema di produzione e di vendite in liquidazione. Egli è 8. lvi, p.

134.

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combattuto dal desiderio di corrispondere alle aspettative del padre e della madre e dalla lucida considerazione sugli esiti di un impegno di per sé desti­ nato all' insuccesso. La sua educazione sociale è come contratta nel viluppo delle necessità domestiche, che paradossalmente non si conciliano con quel­ le della società così come si delineano sotto i suoi occhi. Sebbene i genitori si ostinino a condizionare le sue reazioni e a indurlo a verificare le sue risorse nell'ambito delle offerte di lavoro più o meno precarie esistenti nel modesto circuito delle loro conoscenze, la soluzione che essi intravedono per l' avve­ nire del giovane si rivela sempre più inadeguata. Il moralismo, del quale essi si fanno garanti e assertori (hanno sempre onorato i loro debiti !), non trova quasi mai convinte accoglienze e partecipazioni. I gruppi di operatori, che i genitori del giovane io parlante riescono a coinvolgere nelle loro preoccupa­ zioni, sono a loro volta afflitti dali' insolvenza economica e dall' incombente estinzione del mercato. La sopravvivenza di un numero sempre più ridotto di modesti commercianti e artigiani è legata alla attivazione del processo di modernizzazione, che si compie quasi a loro insaputa e comunque senza il loro concorso. Essi hanno la sensazione dell' irreparabilità del loro destino e non fanno molto per contrastarlo, consapevoli peraltro di non possedere gli strumenti adeguati per modificare né in toto né in parte il corso degli even­ ti. L'enigma dell'esistenza consiste nel non sapere come comportarsi, come proporsi al prossimo per essere accettati e utilizzati. Invariabilmente il giova­ ne io parlante cerca di sottrarsi all'esercizio critico, ma non può fare a meno di lagnarsi delle incongruenze alle quali è costretto a dare il suo apporto, sia per necessità, sia per convenienza. L' impari competizione con il mondo, intrapresa dal giovane io parlan­ te, ha un solo aspetto positivo: la consapevolezza di chi lo considera sicu­ ramente perdente e comunque in grado di sopravvivere come galleggiando in un oceano di incentivi, di invenzioni, di strategie promozionali. Il giova­ ne scopre un universo sotterraneo, li minare a quello produttivo, che vive in contumacia o dei resti, dei cascami dei gruppi impegnati a scandagliare, con le energie propulsive, le aspettative e il gusto del pubblico, della stragrande maggioranza del ceto produttivo. Il cambiamento delle propensioni esteti­ che della gente è difficile da prevedere perché si inserisce gradualmente nel costume e perfino nelle manie di quanti lo realizzano. Tant'è vero che sol­ tanto un mandarino cinese, in vacanza a Parigi, è interessato ai lavori di cesel­ latura e agli oggetti che riproducono in miniatura altri oggetti, da esibire co­ me ninnoli, fermagli, estrinsecazioni della curiosità. L'Oriente sembra per­ petuare la tendenza all 'inutilità degli oggetti, che in Occidente assumono connotazioni sempre più pratiche. La serafìca declassificazione del feticciato

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tradizionale si attua mediante l'adesione sempre più consapevole e partecipe ai risultati della tecnica. Il giovane io parlante è convinto che la vendita dei ninnoli e dei pendagli del passato sia riservata ormai a un genere di estima­ tori, le cui caratteristiche più evidenti sono quelle degli affiliati a una setta, a una religione pneumatica, che aborrisca ogni scelta che sia propedeutica alla promozione economica e sociale. Gli oggetti che dichiarano la loro inutilità testimoniano una supremazia espressiva da parte dell'uomo, che nell'Oc­ cidente industrializzato è perfino sconveniente ipotizzare. La serialità nella produzione occidentale s' identifica con la fruizione indifferenziata degli og­ getti che non testimoniano né trasmettono alcun aspetto dell' individualità. L'indifferenza per le evocazioni di stampo tradizionale - per il feticciato - è dovuta al diffuso convincimento che il soddisfacimento estetico è sempre in itinere, che la bellezza è salvaguardata dalla creatività in progress. L'alternativa al progresso tecnologico è estemporaneamente offerta dal mandarino cinese, che affida alla competenza dell'artigianato francese il gu­ sto di perpetuare un desiderio ritenuto anche in Oriente non completamen­ te aderente alle consolidate tradizioni né alle latenti modificazioni del co­ stume. Ma, nella narrazione, l'armonia imitativa dei due emisferi del pianeta viene infranta da una sorta di digressione dei sensi, da una sorta di baldoria e di sortilegio che travolgono le ultime barriere della fedeltà e della coerenza. Il laboratorio, dove lavora il giovane io parlante, si trasforma, alla partenza per l'aggiornamento militare del padrone, in un lupanare, in un luogo dalla scomposta perdizione. L'evento, che ha conseguenze devastanti per l' econo­ mia del laboratorio e dei suoi componenti, assume la paradigmaticità delle depressioni epocali. L' immediata depravazione dei membri della comunità lavorativa (tre persone più la padrona) è conseguente alla convinzione che non sia plausibile una ragionevole sistematica sociale. La precarietà è una af­ fezione dell'anima, che corrode il pensiero e lo rende retrattile a ogni forma di positività. E, infatti, soltanto il giovane io parlante - iniziato fraudolente­ mente all'erotismo pulsionale - si rende responsabile dell'accaduto e non ri­ esce ad assolversi dalla debolezza con la quale affronta le sfide dell'esistenza. Fra il racconto del padrone del laboratorio - indolente, fedifrago, tra­ dito dalla moglie - e il racconto dell ' io parlante s' inserisce tutta una serie di convenzioni consuetudinarie, responsabili dell' incomprensione dei fe­ nomeni che corrompono irrimediabilmente il rapporto confidenziale fra le generazioni. È vero, d'altro canto, che la narrazione è rutta improntata a un doppio registro interpretativo : tutto ciò che afferma l ' io parlante ha una valenza asseverativa che le affermazioni degli altri personaggi non han­ no. Ed è conseguente l' impressione che una « verità » sopravanzi le altre 57

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per il semplice fatto che quella gestisce in proprio l'espressione. Ogni pro­ posizione, compositiva della trama, sfugge ali ' abrasione del dubbio e del sospetto perché inserita in un sistema di argomentazioni preventivamente elaborato: il lessico, i punti di sospensione, l ' immissione accaldata e acce­ lerata dei termini con i quali si rappresentano gli atti e i gesti compiuti dai comprimari del racconto non consentono raffronti e deduzioni interpre­ tative. L' induzione dei termini si giustifica con quella presa di posizione nei confronti della realtà che non ammette mediazioni concettuali. La pra­ tica dell'azione è considerata talmente carica di significati da sconsigliare un'ulteriore esegesi conoscitiva della stessa. Alla fine, i disastri della vita imprenditoriale e sociale diventano oggetto di conversazione: la confidenza porta poi agli scambi ineguali e alle transa­ zioni. È quanto accade al padre dell' io parlante, disfatto fisicamente e mo­ ralmente dall' incidente occorso al figlio, e al suo capufficio, afflitto da un male incombente, da un'ulcera che gli mina il metabolismo e il buon umore. Così vedeva le cose, lui, Lcmprcintc, sempre per via dell'ulcera, piazzata a due dita dal piloro, di quelle proprio perforanti, atrocinc atrocinc ... L'universo, per lui, non era più che un' immensa acidità ... Non gli resta che tentar di trasformarsi da capo a piedi in " bicarbonato"... Si dava da fare, per questo, dalla mattina alla sera, se ne sorbiva a carrettate piene ... Non riusciva a spcngcrc il bruciore ! Aveva come un attizzatoio in fondo all 'esofago che gl' inceneriva le budella ... Presto sarebbe stato tutto buchi . . . Le stelle ci sarebbero passate attraverso insieme ai rutti. La vita gli era diventata impossibile ... Lui c il babbo, al corrente di tutto, si proponcvan degli scambi9•

Ma lo scambio non avviene perché nella narrazione la specularità delle in­ tenzioni non può essere disattesa: dalla compresenza di due modi di af­ frontare lo stesso evento si evince la costante esoterica di una «verità me­ diana » , di un mondo in bilico fra la realtà e l'evenienza. Del resto, la stessa missione in Inghilterra - salvifica, avversata, propi­ ziata e poi inflitta al giovane io parlante è il risultato di alcuni accorgi­ menti tattici di una famiglia che reagisce in modo scomposto alle afflizioni della comunità sociale nella quale è insediata. Essa non si accorge di rice­ vere continuamente degli scossoni dall a realtà, nella quale pensa di agire con il corredo della consolidata tradizione: il perbenismo borghese, come salvacondotto per accreditarsi nel mondo del lavoro, è sempre meno inci­ dente. Né l'esperienza inglese del giovane io parlante si può definire edifi-

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cante: i suoi primi approcci con l'Oltremanica sono contrassegnati dalla stessa iconoclastica trasgressione, che ha appena sperimentato in Francia. Tutto lo scenario che lo circonda, al suo arrivo in Inghilterra, gli camme­ mora quello che ha abbandonato alle sue spalle: l'allegria dei disperati, dei saltimbanchi e degli ubriachi si esplica nell'atmosfera brumosa di un emi­ sfero mobile, che si compone e si scompone sotto il suo sguardo. Il racconto continua a svolgersi diacronicamente: per un verso, è il ri­ sultato di un impegno morale, esaltato fino alla schizofrenia dal padre e dalla madre dell' io parlante; per un altro verso, è la scoperta di ambienti e di mentalità che contrastano con i presupposti dell'educazione familiare. Il dualismo fra il convincimento e l'esperienza pregiudica fin dall' inizio il criterio evocativo del racconto, che è per alcuni aspetti il resoconto del per­ corso, sia pure accidentato, del giovane Holden francese, e che è per altri aspetti la sommaria constatazione di una concatenazione di fattori diffi­ cilmente prevedibili e governabili con le sole risorse dell'onestà e della bo­ nomia. L'educazione sentimentale del giovane io parlante si compie, non soltanto al di fuori della famiglia tradizionale, ma perfino in contrasto con la stessa, sia pure in un contrasto non voluto esplicitamente da chi lo com­ pie ma accettato come inevitabile. Le circostanze assumono un rilievo nel­ la mentalità del giovane io parlante al punto da indurlo a tenerle segrete, a considerarle parte integrante di un proprio personale convincimento, utile in prospettiva per inserirsi con cognizione di causa nella società, che si pri­ va progressivamente di tutti i condizionamenti del passato per introiettar­ ne forse altri e di ondivaga inferenza e intensità. Il giovane io parlante escogita tutti i mezzi di difesa necessari per af­ frontare la {per lui nuova) realtà inglese. Lo spettacolo al quale assiste e al quale partecipa ha un empito liberatorio, è una sorta di sabba satanico, al quale si affiliano personaggi tangenziali alla vita della città. Il verdetto della storia si schianta sui volti e sulle effigi di quanti raggiungono la su­ perficie delle cose, di notte, emergendo dai sottofondi della società. I bar­ chi, i natanti della riva della città rappresentano un esulismo momentaneo per coloro i quali non riescono a inserirsi in un'attività lavorativa continua e gratificante. L'alcolismo, la stravaganza e la trasgressione sono metafore dell'esulismo in patria, prove di forza di uomini e donne destinati a vivere ai margini del sistema produttivo. Essi consumano sempre le stesse cose; nel cibo e nella birra rinvengono una fonte di stabilità. La loro esistenza è immobilizzata dall' imperizia con la quale il processo produttivo si disfa di rutto il potenziale energetico in soprannumero esistente nel mercato. L'af59

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filiazione al popolo della notte si stempera in un rituale che ha come pro­ spettiva le luci dell'alba. Ma anche la pensione del signor Merrywin sembra galleggiare fra i ru­ mori e i frastuoni del porto e della ferrovia. I rumori della città, del porto, ci raggiungevano, echeggiavan nello spazio ... Spe­ cie quelli del fiume giù in basso ... Sembrava che ogni rimorchiatore navigasse nel nostro giardino ... Lo si sentiva ansimare anche dietro casa ... Tornava ancora ... Si riallontanava nella vallata ... Tutti i fischi della ferrovia si srotolavano in tante stelle filanti nei vapori umidi del cielo ... Era un regno fantomatico ... Bisognava stare attenti a non rincasar tardi . C 'era da precipitar giù dallo strapiombo sulla scogliera . . '0• ..

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Il rumore, tuttavia, consente di mantenere il contatto con le cose e di ab­ breviare le distanze fra di esse. La nebbia - un' « enorme bambagia » - at­ tenua i rapporti e li disloca in punti diversi da quelli reali: essa consente paradossalmente ali'esperienza di aggettivarsi (di connotarsi) d' irrealtà. La bruma nasconde le cose forse per farle evocare, per renderle più influenti nella memoria. La gente, infatti, conferisce alle parole un significato che sopravanza l'oggetto del!'esperienza. La lezione d' inglese ha la pratica son­ nolenta del!'esercizio d' individuazione degli oggetti; eppure sembra che la pronunzia degli stessi s' identifichi a tratti con la loro scoperta. A furia di considerare l' inglese una lingua essenziale per la comunicazione multiet­ nica, si diffonde la convinzione che ogni parola evochi, nell' indistinzione mentale degli apprendisti, le cose, le figure, le immagini della loro tradizio­ ne culturale e le accrediti, modificandole, al discorso corrente. Han proprio dei modi buffi gl ' Inglesi, a metà preti e a metà ragazzini ... Non escon mai dall'equivoco... . "

Alla dinamica dell'espressione fa riscontro, infatti, la compiaciuta conget­ turazione della pronunzia, che regola, sregola, infastidisce ed esalta la co­ noscenza linguistica. La letteratura può essere considerata quindi il corri­ spettivo di un' impresa mentale riuscita perché contenuta nella struttura del periodo, nella formulazione dogmatica dell'espressione, del modo di dire. Ed è questa (pretesa) forza di coesione della lingua inglese che con­ sente il viaggio, il vagabondaggio, le peregrinazioni. La funzione evocativa 1 0. u.

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di una lingua deputata all' intesa immediata e alla «praticità » consente ai suoi fruitori di denominare la realtà circostante a partire da un paradigma lontano e perfino inesistente. La pratica, infatti, è il complemento - per giunta approssimato - della teoretica, della conclusione alla quale si per­ viene dopo una adeguata serie di tentativi concreti. L' infelicità assume una connotazione precisa: si riflette nei volti dei genitori del giovane io parlante e rimane come abbarbicata alle riflessioni dello stesso io parlante, che è tentato di darle un credito e di farla finita con le sue speculazioni interiori. Cominciavo a rendermi perfettamente conto che lei, mia madre, avrebbe conti­ nuato a considerarmi un ragazzo privo di viscere, un mostro d 'egoismo, capriccio­ so, un piccolo bruto scervellato ... Avrebbero avuto un bel tentare ... un bel fare ... non c 'era proprio rimedio... Contro le mie funeste inclinazioni, radicate nelle mie carn i, incorreggibili, tutto sarebbe riuscito vano ... Di fronte all 'evidenza lei s'ar­ rendeva e riconosceva che mio padre aveva ragione ... Eran così preoccupati da aver in orrore lo stesso rumor dei miei passi ! Ogni volta che salivo le scale, mio padre metteva un muso così".

La scontrosità del giovane io parlante - che soltanto lo zio Édouard recla­ mizza come laconicità di stampo inglese - non si giustifica con le riflessioni che egli stesso fa sulla disastrosa condizione della sua famiglia, con l' impel­ lenza di trovare un lavoro nel settore del commercio, in quel settore domina­ to, almeno fino allora, dalla facondia e dall'ossequiosità. Ma è proprio que­ sta propensione ad assecondare il prossimo che misura la disciplina di chi s'impegna in un lavoro. E, tuttavia, è naturale che chi non lo trova non deb­ ba ostentare un'aria soddisfatta, che è invece quella con la quale si imbonisce il prossimo. La contraddizione è implicita nel ragionamento: la povera gente non spinge molto in là la propria commiserazione per il prossimo perché nel suo subconscio predilige le persone vincenti, e quelle che hanno successo, anche a costo di « sfondare » le regole della civile convivenza. Il giovane io parlante assume sempre più nell'economia della narra­ zione le caratteristiche di un dissociato. Da una parte, riporta fedelmente le lamentazioni della madre e le sfuriate del padre, e sembra condividerne quanto meno le cause ; dall'altra, soggiace continuamente a tutte le sug­ gestioni degli ambienti e delle atmosfere che a lui sembrano congeniali in quanto popolati e surriscaldati rispettivamente da personaggi occasionali, emarginati, che non vivono con assiduità un'esperienza. Egli continua a 12..

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fare le esperienze dei naufraghi e dei sopravvissuti, come se fossero sempre le ultime. Il suo desiderio di continuità si esaurisce nell' illusoria estranea­ zione, che esperimenta nei luoghi più impensati e con alcuni compagni di baldoria, che sembrano avere il desiderio di erodere il tempo piuttosto che di attualizzarlo. Quando i festini improvvisati si concludono, i giovani gau­ denti spariscono, sono come risucchiati dal vortice, non delle loro passioni, ma dei loro condizionamenti familiari, sociali e perfino etnici. L'insofferenza del giovane io parlante per i rimbrotti sempre più grevi del padre lo spinge a ingaggiare una lotta con lui, a rompere con la famiglia e a rifugiarsi presso lo zio Édouard, che coltiva « invenzioni » , medita brevetti e mantiene i rapporti con i personaggi affiliati al progresso. Courtial des Pereires, manco lui smetteva un momento di produrre, d'immagina­ re, di concepire, risolvere, affermare . . . Il genio gli gonfiava forte la capoccia dalla mattina alla sera ... Né di notte tampoco conosceva riposo ... Doveva tenersi ben aggrappato, fermo, contro il torrente delle idee ... Stare bene in guardia ... Era un tormento senza eguale ... Invece d'assopirsi, come fan tutti, le chimere lo perse­ guitavano, rimuginava altre ubbie, altri nuovi pallini!... Avrebbe perso del tutto il sonno se non si fosse ribellato a tutto il fluire delle trovate, ai propri entusiasmi ... Questo continuo stato d'erezione del suo genio gli era costato più pene, più sforzi veramente sovrumani di tutto il resto della sua opera !...'l.

La partecipazione di una personalità come quella di Courtial des Perei­ res al progresso delle scienze applicate è rassicurante, giacché soddisfa alle esigenze della curiosità e al rigore metodologico della ricerca. La scienza moderna si delinea come un rapporto mai completamente soddisfatto fra le fantasie dell'umanità e le immagini fisioterapiche dello studioso. L' infa­ tuazione di quanti ritengono che il laboratorio del fisico e del chimico na­ sconda le leggi segrete del Caucaso (del mito di Prometeo che regge il mon­ do) non è del tutto fallace. Anche Isaac Newton pensa con qualche appren­ sione ai fondamenti dell'alchimia, ali ' influenza della magia, alla dilem­ maticità dell'universo. Ma a Courtial des Pereires è l 'imprevedibile della tecnica che lo affas cina e lo suggestiona. Anche quando l' « impercettibile avvicinamento di uno dei fusibili allungati » provoca un'esplosione e am­ mazza una giovane donna, che si avventura nell'era dell'automobilismo con un prodigioso antesignano della formula uno, l ' itinerario orgiastico dell' io parlante è profanato dali' incidenza del caso, dall ' incomparabile de­ strezza dell'evenienza. 13. lvi, p.

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Convincersi agevolmente alla prima, sincera occhiata che i l disordine, m a proprio il disordine, amico mio, è la genuina essenza della vita stessa ! Di tutto il suo essere fisico e metafisica !... Tutta la natura ! Una fuga nell ' imponderabile !...'•.

La fascinazione del disordine è anche dovuta a un' in confessabile esigenza di irresponsabilità e quindi di non dipendenza nelle decisioni individua­ li dal necessarismo naturalistico. La libertà, in definitiva, si giustifica nel suo significato assoluto con il disordine dell'universo, con un disordine che non celebra la confusione e il depotenziamento dell' intelligenza umana, ma al contrario la esalta al punto da renderla refrattaria a tutti i significati blasfemi di un ordinamento (morale, religioso, politico) senza ordine (fi­ sico, naturale). Il disordine evidente nasconde l 'armonia del cosmo o co­ munque quella forza coesiva che consente ai corpi celesti di interagire fra loro, generandosi, estinguendosi, sostituendosi. Questa considerazione da parte di Courtial des Pereires è inerente al processo di trasformazione economica. L'avvento della tecnica riduce il campo di applicazione dell'artigianato che, per sua natura, è più vicino alle esigenze della precisione. Paradossalmente, la produzione tecnologica in serie non consente di avere un rapporto affettivo con il sistema della preci­ sione, che è un criterio mentale con il quale ci si prefigge di incidere nella natura e di miniaturizzarla ai fini pratici dell'esistenza. L'ordine delle gran­ dezze soggioga, infatti, la meschina ed enfatica elucubrazione mentale di questo divulgatore-impostore, di quest'uomo con poche qualità e molte infatuazioni: quelle infatuazioni che attirano i « concretisti » , coloro che aspirano a ottenere dalla realtà, dietro il semplice versamento di un mode­ sto peculio, le più strabilianti invenzioni, i congegni più idonei a consenti­ re loro d' inserirsi nella modernità. La «Grande Rivoluzione » è una truffa economica, ma anche un progetto ideale, uno strumento di commozione e fascinazione generali, che gli esattori del benessere e del futuro anticipato ambiscono di quantificare. Mentre il velleitario redattore di manuali si ar­ rabatta per vivere eccitando la fantasia degli iniziati alla grande sfida dell'e­ poca, questi si dimostrano sempre più insoddisfatti dei risultati ottenuti e ostentano l'animosità dei defraudati di una verità. L'esperienza che compie il giovane io parlante replica in un certo senso quella compiuta presso l'altro datore di lavoro e in Inghilterra. Lo scenario che egli riesce a intravedere nel suo inserimento nel mondo del lavoro non lascia adito ad alcuna illusione. Il mondo che egli intuisce dal suo ango1 4 . lvi, p. 3 15.

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lo di osservazione è sempre fraudolento, incapace neppure precariamente di tener fede alle regole del giuoco, sulle quali si presume si fondi la civile convivenza. È vero che le condizioni economiche e sociali del giovane io parlante non sono tali da predisporlo a un ingresso meno angoscioso e de­ primente di quello per il quale si sente destinato, ma è anche vero che in lui non si adombra mai un tentativo di resipiscenza, che rifletta le asperità dell'esistenza e l ' impegno a supcrarle. Egli è come interdetto nella sua promozione sociale da una subdola, informe, condiscendenza per tutto ciò che è compromissorio, illegale. Il circo della vita finisce con l' imporgli, non soltanto le azioni conformi alla imprevedibilità dell'esistenza, ma anche le convinzioni più adeguate a ren­ dere inevitabili la trasgressione e l ' irresponsabilità. Un velleitario inventore e imbonitore di curiosità cosmiche, con la pas­ sione per le corse dei cavalli, rappresenta i due poli opposti della geografia umana: da una parte, il cielo, le nuvole, la leggerezza; dall'altra, la terra, la forza, la velocità. In mezzo a queste due dimensioni dell'essere, egli si rita­ glia uno spazio personale, una sorta di ricovero dagli assalti dei creditori, dei sottoscrittori, di coloro ai quali rivolge le sue spericolate insinuazioni sulla vita degli astri e sulle benefiche influenze sul metabolismo degli uo­ mini di buona volontà e di una semplicità pari alla dabbenaggine. Il risulta­ to è sempre una truffa: di chi offre illusioni e di chi ritiene di acquistarle a buon mercato, mediante un concorso, una semplice ventata di entusiasmo. Quando la situazione precipita, la biografia {anzi, l'agiografia al negati­ vo) di Roger-Marin Courtial dcs Pereires è delineata dalla moglie, che non si vuole arrendere di fronte all'evidenza. La sua ostinazione è quella della piccola borghesia, che intravede i benefici del proprio status e non intende rinunciarvi per l ' incapacità di uno dei suoi accoliti, anche se è suo marito. L'arroganza ferita della signora des Pereires contrasta con il sonnamboli­ co atteggiamento del marito, più proclive alla disfatta e a quell'allegria dei naufraghi con la quale spesso si accompagna. Le vicende giudiziarie dello « scopritore » c del divulgatore della conoscenza scientifica s' intrecciano con le vicissitudini familiari di un uomo che non si fa alcuna illusione per suo conto e che invece continua a venderle agli altri. Egli rappresenta il drammatico intermezzo fra le ambizioni della borghesia emergente, che fa affidamento su una rigida morale pubblica, e le inibizioni dell' intellighen­ zia, sia pure camuffata di magia, che non rinunzia a vaticinare un radioso avvenire per le masse. Courtial des Pereires rassomiglia un po', quanto a ostinazione e improntitudine, al colonnello Buendla di Cent 'anni di soli­ tudine di Gabriel Garda Marquez, con una sostanziale differenza: mentre

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il personaggio dello scrittore colombiano è attratto dalla calamita e inten­ de approfondirne razionalmente le caratteristiche al fine di sottrarre sé e gli altri alle allucinate descrizioni dei venditori di scoperte e di magia, il personaggio di Céline ammette preventivamente a ogni suo esperimento spettacolare la fondatezza delle scoperte scientifiche e le loro caratteristi­ che edificanti. Courtial des Pereires è un divulgatore e come tale fruisce di una sorta di libertà strategica, che va dali' imbonimento alla mistificazione. Quanto alle truffe, che egli sistematicamente ordisce, queste servono sol­ tanto ai fini della sopravvivenza. La divulgazione delle nozioni scientifiche deve sempre stupefare, attrarre i lettori o gli osservatori con un mordente appercettivo, che superi il livello della comprensione razionale. L' aerosta­ to, l'aeroplano sono al tempo stesso opera della ragione e del demonio, il risultato dell' immaginazione e, subliminalmente, della perdizione umana. L' invenzione del concorso «ll perpetuo» risponde a un'esigenza si di­ rebbe epocale. Agli inizi del xx secolo, le aspettative degli uomini comuni nei riguardi degli uomini di scienza sono quelle volgarizzate del Faust go­ ethiano. La communis opinio s' immedesima delle traversie della conoscen­ za per larghe campate, assimila i contenuti della ricerca scientifica sotto forma di progetti o di prodotti, del resto compromettenti per il bilancio individuale, ancora legato al risparmio e ali' accumulazione domestica. A dare un contributo di fattibilità alle imprese mirabolanti è addirittura un prete, il simbolo della parsimonia e della rinunzia agli allettamenti monda­ ni. Egli propone a un' impresa di scellerati di organizzare un altro concorso per galvanizzare le risorse latenti di quanti potrebbero animare una cam­ pagna e una spedizione nei fondali marini alla ricerca dei tesori nascosti o abbandonati dai tempi imme morabili al presente. Non ci voleva molto a immaginare che se l 'avessimo trovata, la campana, per calar­ ci niente niente a seicento metri, rutto sarebbe stato come bere un uovo ! Eravamo tranquilli tranquill i ... Già avevamo a portata di mano tutte le favolose ricchezze dell ' "Armada" !... Bastava chinarsi per prenderle ... Era proprio il caso di dirlo ... A sole tre miglia marine da Lisbona, alla foce del Tago ... giaceva una fortuna co­ lossale !... E tac, raggiungibilissima, un'impresa da principianti ! ... Con un tantino d'audacia, forzando un pochetto la tecnica ... Allora sì che tutto avrebbe preso ben altra piega ! ... Avremmo potuto, sparato sparato, rimettere a galla il tesoro del "Saar Ozimput� sprofondato nel Golfo Persico duemila anni avanti Cristo... Colate e colate di gemme uniche al mondo ! Finimenti inceri ! Smeraldi di magnificenza incredibile !... un miliardetto, a dir poco... '' . I S . lvi, p. 401.

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L' ironia, per fortuna, attenua la disastrosa fuga dell' immaginazione. All ' i­ nizio dell 'era della tecnica, tutte le più incresciose domande dell 'uomo vengono formulate, nell' intento di confutare quella stessa inclinazione alla diffidenza che paradossalmente le giustifica. L'arbitrarietà con la quale si pensa di applicare i risultati della tecnica rappresenta quel campo aperto della fantasia umana, a lungo provata dalla rinunzia perfino al necessario. Il banchetto immaginario del povero è sempre più sgombro di portate di quello del ricco. La sorpresa, con la quale i risultati della scienza e le applicazioni del­ la tecnica si imprimono nella mente dei semplici, ha qualcosa di sconcer­ tante. Sembra che l'apparato iconoclastico, dal quale prende le mosse la riflessione scientifica per contrastarlo, continui a influenzare le menti, a soggiogarle in un modo così scombinato da renderle retrattili a ogni misu­ ra, a ogni criterio di mediazione. Lo sconfinamento nell 'orgiastico, nello spettacolare, è quasi inevitabile. A sentire il prete, l'homo technologicus è in grado di affrontare con pochi rischi le sfide del passato. Tutti i fondali del globo, insomma, rigurgitavano di scrigni inviolati, di galeotti imbottiti di diamanti... Pochi eran gli stretti, le piccole cale, i golfi, le rade o gli estuari che non celassero, sulla carta, qualche portentoso bottino ! ... ricupcrabile con molta facilità, a partir da un centinaio di metri !... Tutti i tesori di Golconda ! Galere ! Fregate ! Caravelle ! Bisquines! Piene fino a schiattare di rubini e di Koh1-Nors ! Di dobloni "triplice effige"... Specie le coste del Messico apparivano, al proposito, una vera indecenza ! . . I conquistadores le avevano, sembra per il nostro governo, letteralmente rinterrate, occluse con i loro lingotti e le pietre preziose ... Se avessimo veramente insistito, e a partire dai milleduecento metri ... i diamanti li avremmo trovati a paiate ! ... Ad esempio, al largo delle Azzorre, per citare un solo caso ... un vapore del secolo scorso, il ·slack Stranger� un cargo misto, un postale del Transvaal, ne conteneva per più di un miliardo ... lui da solo (stando ai calcoli dei più prudenti esperti) ... Giaceva su un fondo roccioso a milletrecentoottantadue metti, e "in falso"! ... Già spaccato in due ... Non restava che da frugar fra le lamiere !...'6• .

La tecnica e l'abilità assicurano - secondo le previsioni del prete - risultati strabilianti, utili ai fini di un rinnovamento del presente. Il raptus dell'ispi­ razione di des Pereires conferisce alla rnegalomania del prete una patina di legalità. E il semplice visionarismo di un religioso di campagna si trasforma in un' impresa epocale. La vanagloria dei « Predoni degli Abissi» si spiega 1 6. lvi, p. 40 2..

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con l'euforia dei semplici che, impersonati dal prete, rifuggono dai picco­ li imrallazzi per progenarne di più ambiziosi e storicamente plausibili. Gli abissi diventano cosl i ricettacoli delle ambizioni fallite, il luogo nel quale i desideri più in confessabili trovano un sollievo, una sconfinata vanificazione. La fine ingloriosa del progetto « Campana profonda » avviene ( sem­ pre, come gli altri) in un'atmosfera felliniana, con un turbinio di carte an­ ziché di piume, come se l' « unità di misura » fosse il consuntivo del disor­ dine e della sregolatezza. Ogni episodio del romanzo ha in sé l'epilogo nella caricatura. Troppo accelerate sono le circostanze nelle quali si delineano le decisioni; troppo imperiosa è la follia, la stoltezza, che presiede all ' infatua­ zione individuale e collettiva. Il sortilegio dell 'empietà fortifica le idee e le rende confacenti alle esigenze della scrittura, del suo ritmo vertiginoso e poi improvvisamente anchilosato dalle vertenze giudiziarie, dall' interven­ to salvifico del buon senso. Il racconto appare diverticolato: per un ver­ so, riflette la progressiva constatazione dell' inventiva priva di scrupoli e di controindicazioni; e per l'altro, riprende il filo conduttore della congruen­ za e della normalità. Eppure il racconto s' inerpica nei recessi mentali della povera gente, di quella che non rinunzia facilmente all' illusione, a una sorta di angosciosa discesa agli Inferi con il proposito di pagarsi l'Olimpo. La religione degli umili è ancora più interessata di quella dei ricchi giacché si basa sul torna­ como delle sofferenze presenti per invemariare fantasticamente i benefici futuri. Perciò ogni prova - la più paradossale e strampalata - che si profili all 'orizzonte come un premio di salvazione trova immediati e innumere­ voli proseliti. Il dramma collettivo - quello delle moltitudini - sonende le rivoluzioni, le crociate religiose, gli assalti ideologici, le barricate. Le mas­ se si muovono all 'insegna di un estimo ideale, di un'attrattiva di difficile realizzazione. Esse non si agitano per poco; la loro irruzione nella storia avviene quasi sempre per consentire a pochi riformatori di affermare le lo­ ro ragioni. La loro partecipazione sociale è per molti aspetti agnostica: si esplica a favore dei sostenitori dell'equità, dell'eguaglianza e della giustizia e, per converso, a favore degli eversori, degli individualisti e dei fondamen­ talisti. Le caratteristiche distintive delle masse si manifestano, sia allo stato di moto, sia allo stato di quiete: la loro conformazione è al tempo stesso concreta e virtuale. Può afiliggere i pensieri e diventare l' incubo dei probi e dei reprobi. La loro vischiosa neutralità è elettrica, magnetica, centrifuga: si surriscalda come un turbine, un tornado, una lava vulcanica, e si espan­ de per ogni dove senza incontrare alcuna resistenza. Per questa ragione, si placa quasi sempre senza che si verifichino episodi emollienti, refrigeranti.

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La sollevazione e la rassegnazione sono fenomeni endogeni, che la storia s' incarica di assimilare ai suoi fini e di interconnettere con le cause respon­ sabili dei mutamenti politici, etici, istituzionali. La calma delle moltitudini s' identifica con la mestizia, con il peristilio dei loschi affari di pochi in no­ me del progresso e dell ' ineluttabilità del confronto, della sfida con gli enti della realtà. La fase successiva all 'ebollizione generale è quella delle scorre­ rie, delle vessazioni, compiute da alcuni ai danni di altri. E, tuttavia, rimane in controluce una larvata immagine della comunità, di un invisibile gigante istituzionale, dal quale tutti si aspettano di ricevere ordini, magari per di­ sattenderli o per confutarli. Nelle fasi incandescenti, le masse intravedono gli apostoli, coloro che sono in grado di profetizzare e di ammiccare al fururo. Nel caso di des Perei­ res, il suo fiuto è tale da sintonizzarsi con le matrici nevralgiche dei gruppi emarginati delle comunità nazionali. Si delinea così una sorta di cachiquismo urbano ed extra-urbano che, a livello umorale, individua la sua fonte di legit­ timazione ( temporanea cd estemporanea ) nelle moltitudini. Ogni volta che progetta di realizzare qualcosa, des Pereires immagina di ordire una congiu­ ra contro l'ordine costituito; e così trova una marea di adepti. L'adesione ai suoi programmi è sempre di natura fluviale, assembleare; e, in quanto tale, è di breve durata. La disillusione è implicita nelle masse, soprattutto quando hanno la sensazione di essere la causa e l'oggetto di una truffa o comunque di una trasgressione al sistema economico, sociale, in vigore. Des Pereires, allora, dispensato da quello zelante afflusso di meschinità ch'è la bassa coltura, avrebbe potuto dedicarsi anima e corpo alle più delicate messe a punto, alle infinite minuzie del suo "gruppo polarizzatore"! ... Avrebbe governato gli effluvi ! Non avrebbe fano altro ! Avrebbe inondato, oppresso il sottosuolo con tutti i torrenti tellurici !... ''.

L' insuccesso organizzativo e « scientifico» dei giovani iniziati alla «Nuova Coltura » è compensato dall 'autogestione dei piccoli neofiri, che si costitu­ iscono in comunità a delinquere. Alla nefasta influenza degli esperimenta­ lismi del visionario dcs Pereires fanno riscontro le risorse appoderative dei ragazzi che, secondo le prospettive dei loro genitori, dovrebbero acquisire le nozioni necessarie per promuovere un tipo di coltivazione tecnologica. L'e­ pilogo dell'esperimento è scontato: il visionario si uccide augurando ai su1 7. lvi, p. 468.

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perstiti « buona fortuna » . U dialogo, che egli intesse con la sorte, è sempre a sorpresa, anche se nella finzione scenica s' identifica con la fatalità. Il necrologio, che snocciola la vedova di fronte alle spoglie di un « UO­ mo senza qualità » , ha un'intrinseca, velata epicità; è un malcelato rim­ pianto per un impostore. La virulenza verbale, che solitamente caratterizza i monologhi e le invettive della signora cles Pereires, si attenua flebilmente dopo l' infausta decisione del marito di togliersi la vita. La frase ricorrente riguarda la dedizione dell'una nei confronti dell'altro, in una vicenda piena di incertezze, di rinunzie e vaghezze. Il marito è evocato in tutte le sue po­ tenzialità afflittive, che nel subconscio della moglie sembrano avere ancora una flebile attrattiva. La buffonesca immagine che la moglie ritrae del ma­ rito, di fronte alle forze dell'ordine, è soltanto apparentemente accusatoria. La declamazione, che essa intesse di sé stessa, è tale perché ha un punto di riferimento, una figura simbolica, alla quale rapportare, con i dolorosi pen­ sieri del presente, il bilancio della propria esistenza. E, seppure non può dichiararsi insoddisfatta, nel bradisismo delle parole, che pronunzia a suf­ fragio della salma, s' intravede a contrario un misto di rancore e nostalgia. Ecco come son vissuta ... Perseguitata giorno e notte ! ... Proprio così ! Una vera vita, la mia, da criminale !. .. Per lui ! Sempre per lui ! ... Chi ce l'avrebbe fatta ? ... Non ho mai dormito, da vent'anni, una sola notte tutt' intera ! ... M ' han tolto tutto, a me !... il sonno, l'appetito, i miei risparmi ! ... Ho delle caldane che non mi reggo più rit­ ta !... Non posso più prendere un omnibus ! Mi si rovescia subito lo stomaco ! ... Se niente niente vo un po' più svelta, anche a piedi, vedo tutte le stelle .. .'8•

Alle brusche ingiunzioni della forza pubblica, quella che finora appare co­ me la signora cles Pereires confessa di essere anche lei - almeno per quanto riguarda il nome - un' invenzione del marito. Mica si chiamava Des Pereires !. .. Né Roger! Né Marin ! Se l'era inventato lui, quel nome lì ! ... Anche questo come tutto il resto ! ... Un'altra delle sue invenzioni ! Una bugia ... Si chiamava Léon ... Léon Charles Punais, come dir Leoncarlo Spuzzana­ so !... Così com' io mi chiamo Honorine Beauregard, Onorina Bellocchio, e non lrene ! Era un altro nome che aveva inventato per me! ... Aveva bisogno di cambiare ogn i cosa, lui !... Ho le prove, di tutto ciò !... Me le porto sempre con me ! ... Ce l ' ho di là, il mio libretto di fam iglia ! ... Corro a prenderlo ... Era nato a Ville-d'Avray nel 1 8 5 2. il 2.4 settembre !...'9• 18. lvi, p. so3. 19. lvi, p. so s.

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L' « inventore » scompare per lasciare il posto alla memoria di un uomo dominato dal demone dell' illusione. I ricordi, che assalgono il giovane io parlante sono tali da renderlo consapevole della svolta che subisce la sua esistenza. Il cielo di Parigi, che rivede dopo due anni di «estraneazione » , è quello delle costellazioni d i des Pereires, d i u n genio dello smarrimento mentale e della divagazione. Nei percorsi immaginari dei corpi celesti si ri­ flette il significato che ognuno è disposto a conferire alle elaborazioni della mente, indipendentemente dalla loro plausibilità. M 'ossessionavan ben bene, i ricordi ... Mica potevo crederci che fosse morto il mio vecchio vicepadreterno . . '0• .

L'apoteosica affermazione del principio tutore dell'esistenza - l'eredità te­ stamentaria ricevuta da des Pereires - assume una consistenza nel fluire dci pensieri, delle immagini, che concorrono a determinare la cognizione del dolore. Il giovane io parlante è smarrito: parla a sé stesso e, quando incontra lo zio Édouard, si autoaccusa. La tragedia, alla quale partecipa, gli suggerisce un auto daft, una « mozione d'ordine » , che interpreta come una vocazio­ ne segreta, resa esplicita dagli avvenimenti. E ribadisce allo zio il desiderio di « andare » , di « arruolarsi » , di rispondere a una « chiamata » , alla quale l 'apprendistato sembra preludere. Lo zio santifica le aspirazioni del nipote, ma non le approva, almeno nell' immediatezza con la quale si manifesta­ no. Egli suggerisce un tempo di riflessione, una parentesi domestica, che consenta al giovane di « collocare » mentalmente i ricordi e di disciplinarli in modo che gli consentano di prendere delle decisioni più coerenti con quanto si prefigge di fare per il resto dell'esistenza. La linea di demarcazio­ ne fra il proemio della maturità e l' impegno civile è rappresentata dall'a­ spettativa - tutt 'altro che esaltante - delineata dallo zio : un'aspettativa che si esplica nelle forme della precarietà e dell'approssimazione, nelle quali si compendiano le « opere e i giorni» di quanti si affacciano all'epoca con­ temporanea e alla sua « meccanica » infatuazione.

10. lvi, p. 5 40.

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L'atmosfera incandescente di una Berlino rarefatta sembra rifrangersi in un accorato rapporto finale, in una confessione a futura memoria, in parte mendace ( da qui i ricorrenti puntini di sospensione), in parte sofferta e ir­ ritata. La prosa disincantata e fraudolenta, con la quale i personaggi sono come esibiti dallo scrittore affinché il lettore se ne appropri e li interroghi o li interpelli per suo conto, si delinea come la denunzia di qualcosa che in­ fluenza la stessa vicenda storica. La refrattarietà da parte dell' io parlante a perseguire un disegno esplicativo degli accadimenti o a inserirli in una tra­ ma concettuale, che li assicuri alla consapevolezza operante, dimostra l ' in­ solvibilità di quanti vi partecipano in rappresentanza di un mondo che si dissolve sotto i loro occhi e si ricompone a brani e stentoreamente nell' in­ tento di suffragare il baluginio quasi istintivo dell' illusione. I personaggi si denunziano come maschere e mandanti del buon senso, che è fallace evocare. L' inutilità delle spiegazioni e la vacuità delle risposte alle implicite domande di quanti si trovano ad agire in un ambito a loro sempre più estraneo rammentano la cripticità della guerra, la belluinità di tutte le sfide che l'umanità celebra al solo scopo di competere con sé stessa nella distruzione dell 'esistente e, in prospettiva, nella ricostruzione dell'e­ sistibile. L'egemonia del male è tuttavia raccordata alla gratuità delle deci­ sioni, che si succedono senza alcun correttivo mentale, capace di rinvenire nel pieno degli accadimenti una sorta di improbabile motivo propulsore, estraneo ai circuiti inventivi ed esplicativi della quotidianità. Le macerie, le parvenze di un'epoca, che si eclissa negli anfratti delle case in rovina, dietro le tende polverose di quel che rimane di un albergo. testimoniano il deli­ rio di una generazione e di un'epoca che, con fatica e accanimento, si sot­ traggono a ogni giudizio e si affidano a quel sentimento del disordine, che ambisce a rinvenire nei fasti e nei nefasti dell'umanità il fìlo conduttore di una storia difficilmente esplicabile con le risorse della ragione e con quelle a essa connesse dell'argomentazione articolata. I periodi del racconto sono 71

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perciò smozzicati, interrotti spesso nella conclusione, quando l' interazione dei fattori che concorrono a delineare un fenomeno s' identifica con la loro intrinseca dissoluzione. I personaggi, che vagolano da un posto all'altro, sono tuttavia consape­ voli di interpretare l'aspetto perverso di un potere a loro in parte estraneo. In dissolvenza, si intravedono i loro caratteri, le loro manie e perfino i loro pudori. Nella realtà, essi sono indotti dalle circostanze a non rinunciare a quel minimo di solidarietà, che però è estranea ai rapporti di parentela o di amicizia. La complicità si esplica nell' intimo di ogni persona, che si tro­ vi ad agire in uno scenario a essa non congeniale, ma che in qualche modo ritiene di aver contribuito a rendere estraneo e perfino insidioso. L'epopea di un viaggio obbligato dalle stravaganze della guerra ha qualcosa di palin­ genetico per gli osservatori di un laboratorio demoniaco, abbandonato al disuso per l'efferatezza dei tempi. Gli spazi vuoti, i baratri, che si aprono improvvidamente sotto i passi felpati dei personaggi, li invaghiscono co­ me fossero i fotogrammi di un film dell'orrore. L'irriguardosa immobilità dell' incoscienza ferina distrugge i baluardi della convenienza e dell 'educa­ zione borghese. Tutti sono esonerati dal compito di essere coerenti. La loro insolvenza convenzionale adombra un'assoluzione di principio, richiama alla mente le parole di un vangelo apocrifo, che però serve a connotare gli atti, i pensieri, le espressioni di un significato destinato probabilmente a in­ seminare quel che resta del mondo. La scena è sempre ombratile, crepusco­ lare, come se fosse fustigata da una mano invisibile che, a periodi ricorren­ ti, alternati, ripristinasse un collegamento, una continuità con il passato. I ricordi, infatti, indeboliscono le risorse degli astanti, ma rimandano a un periodo di tempo del quale s' intravedono, se non gli splendori, certamente i lineamenti, che si auspicano consolatori o salvifici. L'apparenza continua a svolgere una funzione tutt 'altro che mistifi­ cante. Essa condiziona l'eloquio dei parlanti, ma non ne infida il ragiona­ mento e il calcolo mentale. L'interdizione a esprimere le loro congetture, che la trasferta dei protagonisti a Griinwald rende percettibile, e l' incontro degli stessi con il dottor Harras sembrano sintonizzarsi con quell'atmo­ sfera di falso pericolo, di costante delazione, che s'agita intorno ai regi­ mi in sfacelo. Lo « spionismo » , la stentorea codificazione dei gesti e degli atteggiamenti concorrono a surriscaldare il clima di terrore che gli stessi protagonisti fanno fatica ad alimentare. I personaggi si eclissano dietro gli stilemi anchilosati del demone, che lambisce la fantasia dei giovani entusia­ sti del pericolo e della vacuità dell 'esistenza. L' insuccesso dell'attentato al Fiihrer coglie paradossalmente di sorpresa i suoi stessi sostenitori. Nel la7 2.

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boratorio mentale dei protagonisti, nel quale si esplicano la prova di forza, la coerenza c la delazione, s' intravedono i bagliori della resipiscenza stori­ ca, l'ordito di un disegno interiore difficilmente realizzabile e tuttavia sem­ pre più congenere con uno stato di emergenza, divenuto ormai irrefutabile. L'epopea del male è come schermata da una sorta di vis polemica, che su­ scita l'umorismo anche fra coloro che la attuano come una categoria cono­ scitiva in un itinerario orgiastico del piacere eversore. L'ironia inframmezza, atomizza e dissocia i pensieri dissoluti di quanti interagiscono nell'intento di capacitare la coscienza e con essa lajoie de vivre, fonte di curiosità; essi si appagano investigando sui termini, sulle allocuzioni, impiegati per dire o nascondere il pensiero. L'attività tutoria assume pertanto una funzione ese­ getica e concorre a rendere esplicito quanto è ammantato di mistero. II falan­ sterio laboratoriale del dottor Harras ha le connotazioni tipiche dei disastri del mondo: le turbative della ragione sono così sintonizzate fra loro da in­ durre gli stessi protagonisti a professare un moto, prima di sorpresa, e poi di sgomento. La guerra spalanca voragini d' incongruenza e consente ad alcuni personaggi di scandagliare nei recessi della condizione umana come non sa­ rebbe stato loro possibile in tempi di pace e di equilibrio sociale. Il «passaggio » da Griinwald a Moorsburg si delinea come una gita in campagna, assecondata dal sortilegio di una natura refrattaria alle im­ plosioni e alle esplosioni della guerra. Il paesaggio evoca una continuità, che asseconda le inconfessate aspettative messianiche del genere umano. I cartelli indicatori ai crocevia delle strade, il lavoro stagionale, ostentata­ mente riproposto allo sguardo dei viaggiatori da parte di un contadino, riconoscono alla volubilità dell'uomo un posto preminente nel caos, nel­ lo smarrimento mentale, nei quali gravitano i cosiddetti sommovitori di ere. L' ineluttabilità della finzione scenica suggerisce, infatti, ai viaggiatori (ai trasmigratori) di considerarsi delle comparse e di agire in conseguenza. Nell 'euforia dei naufraghi viene in mente, infatti, di inserire il conte Otto von Simmer, che la comitiva è invitata a conoscere sulla strada per Mo­ orsburg, in un balletto, in un 'opera teatrale nella quale la leggerezza e l'abi­ lità siano in grado di liberar! o dalla incontinenza dei sensi. L'austerità del conte von Simmer è accentuata dal suo portamento claudicante e quindi sfiorato dalla gloria bendata durante l'altra guerra, a Verdun. Un personag­ gio disincantato s'inerpica sulle colline della fantasia altrui, nell ' intento di rinvenirvi di rimbalzo la propria legittima identificazione. Il presagio di una realtà, che la rievocazione riesce a vivificare, si stem­ pera nei gesti teatrali di un altro personaggio, come il barone von Leiden, deputato dal timore ancestrale e dall'orgasmo collettivo a esibirsi nel ricor7�

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do, quasi guatando in un pelago di remote suggestioni. I branchi di oche e la foresta di sequoie, che s' intravedono nella curva dell'orizzonte, diagram­ mano uno scenario tentacolare, qualcosa che richiama alla mente la vita bucolica, gli interstizi delle cose e la spettacolarità dell' inedito della crea­ zione. Lo sguardo persevera nella circonferenza retrospettiva, in quell' im­ magine del mondo di ieri, che la precarietà e il pericolo sempre incombente rendono ancora più suggestivo ma complementare a quello dell'aspettati­ va. Lontano si affollano i ricordi, che l'astuzia del presente cerca di ricu­ perare come strumento di dissuasione per ogni possibile tentativo di fuga verso il deliquio e l'apostasia. La confessione è sempre una dichiarazione impropria rispetto alle finalità che s'intendono perseguire: il collaborazio­ nismo, infatti, è una colpa soggetta a una serie di emendamenti, dai quali si evince come una variabile impura dell'attaccamento alla vita e come un sil­ logismo sulle contraddizioni implicite in ogni avventura umana, che abbia come terminale la sua godibilità o l ' insoddisfazione. Le riserve mentali, che gli atteggiamenti fra belligeranti determinano, servono a far riconoscere un fondamento di iniquità anche nelle più sempli­ ci manifestazioni del pensiero e del sentimento. La belligeranza è uno stato di tensione, che può mimetizzarsi in una turpitudine, quale premessa di uno stato di abulia, prossimo ali' insensibilità. Perfino l' idea del complotto al ca­ po del regime finisce col perdere di attrattiva. n fascino sofisticato del potere rimane misterioso se il suo baricentro è inaccessibile. Se tutti possono acce­ dere ai meccanismi di conversione delle energie latenti in energie operanti, l' inesplicabilità del sentimento tribale di aggregazione viene meno. Le asso­ ciazioni comunitarie primitive si evincono dal bisogno e dalla necessità di contemperare le esigenze individuali con la teleologia collettiva. Il tradimen­ to e la punizione si configurano come gli estremi di una figura geometrica, destinata a contenere quella unità di misura nella quale si riflette l' immagine ingigantita del super-io, del gruppo. La denuncia simula l'invenzione: è una sorta di prova letteraria che ambisce a stupefare e a soffocare qualsiasi tenta­ tivo, non soltanto di repulsione, ma perfino di resistenza. Conoscevo Harras, debbo dire, da anni; mai avevo avuto però l ' impressione che ci prendesse sul serio, e nemmeno che si beffasse di noi ... eravamo francesi e basta ... più tardi con tanti e tanti altri ho avuto assai netta la certezza che eravamo dei pagliacci . . . e anche in Francia ogni giorno... e credo per la vita ... '.

1 . Louis·Ferdinand Céline, Nord, Édi rions G allimard, Paris 1 9 6 0, trad. ir. Einaudi, Torino 1 9 7 s . p. 1 2. 2. .

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L' inconsistenza del convincimento non pregiudica tuttavia l' asseveratività decisionale del dottor Harras. Anzi, quanto più enfatica è la sua allusività a eventi e fatti accaduti o che potranno acc adere tanto più e sp li c i ta è la sua dilemmaticità. Il personaggio delle s s , che interpreta il dottor Harras, non sprigiona la ferinità dei reprobi e dei fanatici del regime, ma denunzia la contenuta consapevolezza di operare in un sistema del quale non si co­ nosce bene il funzionamento. L'inquietudine registra fasi d'insofferenza, che soltanto la perspicacia del collega francese ( l ' io parlante del libro) è in grado di captare e di rendere transitoriamente esplicita nelle ridondanze della dialogazione. Ma è proprio la ridondanza a indurre a divagare, a strabiliare e quindi a tradire. Quando Harras confessa all' io parlante del romanzo che anche i tedeschi possiedono l' « arma segreta » non commette un illecito, ma al contrario nel suo amor proprio manifesta un moto di soddisfazione, che ovviamente si accredita al potenziale inventivo di un popolo, distratto sur­ rettiziamente dalla mania di grandezza, aberrato da una religione panica nel culto della fisicità dell 'essere. La scienza del microcosmo, che inaugura la contemporanea concezione della natura, modifica le interazioni concet­ tuali e in un certo senso le abilita a svolgere compiti non necessariamente connessi con i risultati della riflessione laboratoriale. La bottega del Faust sembra arricchirsi di un ritrovato finora impensabile, capace di modificare, con il convincimento, il modo d'essere del genere umano nelle sue estrin­ secazioni più coerenti e conseguenziali. Per questa ragione, ogni ritrovato tecnologico di ampia portata influisce paradigmaticamente sulle coordina­ te mentali di quanti si dedicano alla scienza, alla ricerca delle relazioni che intercorrono fra fattori non ancora perfettamente conosciuti. La rappre­ sentazione del primigenio, che si esplica negli acceleratori atomici, depo­ tenzia l ' inventiva umana fino al punto da renderla refrattaria a ogni forma di applicazione che possa compromettere la vita (così come si manifesta finora) del pianeta. L'irrefrenabilità della potenza energetica compendia il bene e il male in una sorta di attualismo esente da ogni attenuante gene­ rico. Per questa ragione il potere demoniaco di un popolo mobilitato per la rappresentazione dell'egemonia del fisico, inteso come l'unico aspetto evidente della decisionalità, agglutina le menti, sia di quanti riescono a in­ travedere i risultati della nuova scienza, sia di quanti preferiscono abbando­ narsi allo sciabordio ideologico, alle amplificazioni della propaganda. Le parole a effetto, la turgida scenografia apocalittica concorrono a rendere comprensibile la fine o il declino di un 'epoca e l'avvento di un'altra epoca, che l' impiego della forza primaria lascia intravedere scabra e omologante. ,

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Alla Società delle nazioni, dove sono stato, cosa non m'è capitato di sentire !... i più grossi cervelli del! ' epoca, genì ali' Ennesima potenza! Lui Harras per forte spe­

cialista che era, non faceva il peso ... n iente ! assoluto !... voglio dire sulla bilancia dei Bertrand Russdl, Curie, Luchaire ... 'sti qui allora dei Titani nell 'arte di dir n iente ... Harras la sua Apocalisse . . . tirerò avanti forse due . . . tre mesi . . . non di più ! Lo avverto . . . ' .

L'egemonia della forza naturale e l' ipertrofia dell' io si combinano nel no­ me di un progetto che l'umanità non è in grado di assecondare. A Zornhof, i personaggi francesi hanno modo di intravedere in filigrana le fibrillazio­ ni del dottor Harras, chiamato improvvisamente altrove, che confessa le sue perplessità sull 'esito del conflitto come uno scolaretto interrogato da un maestro poco esigente e disposto a sveltire le risposte e a transigere sui contenuti delle stesse. Il dottor Harras, tuttavia, non perde l'occasione per riaffermare i suoi propositi compromissori con l'ambiente nel quale opera e con gli interessi scientifici, di stampo quasi maniacale. La confusione adombra il disordine, ma è il disordine che suggerisce l' idea di una mutazione a livello politico. L'entropia sociale rappresenta il peristilio di un nuovo modo d'essere del mondo, del quale s'intravedono le componenti genetiche. Harras mi aveva detto, io l 'avevo ascoltato da un orecchio ... la verità, la nostra guerra aveva figliato, in tutti gli angoli dell ' Europa, ne avevo trovato la prova io stesso più tardi a Copenaghen, Danimarca: piene le celle, interi piani, ammassati, tutte le età, tutte le lane, traditori belgi, iugoslavi, liruani, lettoni, apolidi, ebrei, recidivi, mongoli di madre, bretoni da parte di padre,

tuttifrutti la schiuma delle

cento bandiere alla conquista e carriaggi tutto alla rinfusa . . . ' .

L'abiezione è un'attitudine che può rasentare il conformismo. Quando so­ no molti a condannare la guerra, l'empatia che aleggia nel gruppo ne di­ minuisce la gravità. L'anomalia del conflitto consiste nel rendere credibili e perfino plausibili le aberrazioni. La normalità s'apparenta con l' istinto della sopravvivenza e non costituisce un coesivo, un mordente capace di sintonizzare, armonizzare le risorse comunitarie. La reputazione continua ad avere vigore, sia pure in senso inverso a quello tradizionale. Essa ha in co­ mune con la coerenza il rispetto per tutto quanto non ambisce a soggiogare il prossimo: è come un retaggio atavico, che viene proposto polemicamente 2. lvi, p. 124-s. 3 · lvi, p. 1 3 3-4.

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all'attenzione altrui. Nei rifugiati, nei collaborazionisti e perfino nei fedi­ fraghi, il passato è spesso oltraggiato pur di configurarlo come parte inelu­ dibile della presente o momentanea precarietà. I protagonisti di questa storia, raccontata con i raggiri propri della con­ fessione, non riconoscono alla diffidenza quel potere tutorio che avrebbe in un periodo di normalità. Si stabilisce fra loro una sorta di solidarietà che comprende le fisime, le idiosincrasie, i tic di ognuno e in un certo senso la corresponsabilità di tutti. In una situazione di pericolo, madame Céline non esita a girovagare con il cane nel parco del centro sanitario di Sartrou­ ville, a rischio di saltare in aria per lo scoppio di una mina o di una bomba. Il marito le riconosce il diritto di perpetuare sé stessa anche nelle condi­ zioni liminari nelle quali si trovano. Il pericolo non raggiunge le sfere più recondite della loro condizione. Al contrario, un soffuso senso di fastidio per ogni costrizione accresce il potere immunitario di ognuno di loro. Essi sembrano confidare in una protezione estranea all'ordine e al disordine nei quali sono confitti e dai quali comunque desiderano essere esclusi. L'attesa è quasi un' ingiunzione di fedeltà al buon senso e soprattutto alla cognizione di sé. Il turbinio degli eventi non incide profondamente sulle loro personalità se non per quanto attiene le infime reazioni di dis­ senso, che si apparentano alla simulazione. Le futilità - quelle di Har­ ras - li divertono, come se s' immedesimassero delle loro considerazioni sull ' « autentico » corso delle cose. Di tutte le angherie dell'esilio, la più deprimente, forse, è quella di doversi scusa­ re . ..

e di questo ! ... e poi di quello ! ... a un certo momento, fai più che domandare

scusa ... sei di troppo, in tutto, dappertutto ... persino a tragedia fin ita, giù il sipario,

sei ancora sempre sulle scatole. .. •.

L'estraneità dei transfughi non si converte in mestizia: rimane una insolvi­ bile patente di adattamento al peggio senza però che il peggio si immobi­ lizzi in un ostacolo insormontabile. L'esilio è un luogo ideale per farneti­ care sulle risorse umane, sul potenziale afflittivo ed esorcizzante, che ogni individuo è in grado di valutare. In quella sfera d'ombra, l'enfasi dei « si­ gnori della guerra » ha effetti curiosi: suscita una malcelata ironia, com­ mista a un' inquieta indifferenza. La retorica ha una sua forza accattivante, che difficilmente si riesce a esorcizzare. n ricatto, in essa implicito, consiste 4· lvi, p. 160.

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nel rendere i non-fruitori incapaci di contendersi un'alternativa, che non sia immediatamente configurabile con un senso d' impotenza e di disfatta. La narrazione è rutta tesa, infatti, a rendere comprensibile l'atmosfera nella quale le parvenze delle cose assumono un rilievo recondito, in modo che il « reale » si vanifichi e diventi agli occhi degli stessi spettatori un'em­ bolia della disgregazione, del caos. E, tuttavia, contro il caos gli uomini s'impongono, come per istinto, di tergiversare, di « allungare » proditoria­ mente l'esito finale delle loro azioni. Essi cominciano così a sottrarsi a tut­ te le sollecitazioni che l'emergenza comporta e a rifiutare il «destino » , a confinarlo in quella zona d'ombra nella quale perentoriamente lo dispone il caso. L'enfasi, con la quale il pensiero si dissocia dalle circostanze, con­ sente di ripercorrere frettolosamente tutto il repertorio erotico di fronte alla signora La Vigue, sulla quarantina, ancora piacente, che convive con un suo alter-ego, protetto e profanato da un marito psicologicamente tur­ bato, iperteso. La destrezza dell'osservatore, di una sorta di estemporaneo voyeur, si inabissa nei meandri della femminilità appena esplorata fino a contendersi il diritto di sottovalutare l'evento inquietante, per il quale ogni freno inibitore sembra improponibile, inutile : Berlino brucia, il baricentro di quel potere sussultorio, per il quale l'Occidente è in rovina, si sfalda, non tanto sotto gli occhi degli astanti, quanto allo sguardo di quanti lo ri­ pudiano illusoriamente. La distanza dall'emiciclo della battaglia all'ultimo sangue suscita un senso di funesta liberazione. Gli allarmi e la gelosia del marito di lnge, per la stessa confessione di quest 'ultima, si coniugano reci­ procamente e si compendiano. La guerra genera il panico e questo alimenta l'erotismo. È come se si creasse uno schermo fra ciò che si dovrebbe essere e ciò che si è. L'uma­ nità riconosce nel tramestio della lotta, nel furore della battaglia, il mo­ mento iniziatico dell ' innamoramento. Il fasto delle energie, che conver­ gono nell'emiciclo del! ' azione, è esonerato dall 'avere misura, dal disporsi secondo un ordine. Il pudore, la seduzione sono manifestazioni istituzio­ nali, normative: sono generate dall'accordo che più o meno esplicitamente si stabilisce fra i membri del consorzio sociale. La guerra svincola da tutti i condizionamenti, rende refrattari i belligeranti a ogni accorgimento inteso a perpetuare le buone maniere e la tradizione. La poetica della belluinità ri­ fiuta ogni regola o ne impone una che l'arte e la simulazione non riescono a rappresentare. Lo stato di emergenza - che Cari Schmitt assimila al punto omega del­ Ia costitutività del potere politico - si configura come una condizione na­ turale, resa perfino necessaria per diffondere le nuove idee, i più sofisticati

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ritrovati della tecnologia, e per imprimere al pensiero un mordente e un aggiornamento difficilmente conseguibili dal genere umano in termini di equilibrio e d i progresso. L'autore della narrazione riconosce alle rurbe psi­ cologiche e alle idiosincrasie provocate dal conflitto un ruolo conoscitivo, che si esplica, fra l'altro, n eU'evocazione {del passato) e nella premonizione (del futuro). I «pilastri della saggezza » sono come messi alla prova, a pe­ riodi ricorrenti, dalle pulsioni collettive, che si manifestano nella vicenda dei popoli con un'urgenza ideologicamente ineludibile. La straordinarietà delle situazioni, che normalmente apparirebbero anomale, è che sono ri­ conosciute come plausibili se non addirittura come necessarie. Nella nar­ razione la {categoria della) necessità si evince dal predicato verbale delle circostanze: sono queste, infatti, che sfuggono a una causa predeterminata per inserirsi in un codice di apprendimento privo dei fondamenti concet­ tuali. L' inevitabilità e la necessità contribuiscono a ridurre l'area pruden­ ziale dell' impegno conoscitivo per conferire all' io-didascalico di sbizzar­ rirsi nelle pieghe dell' intimità individuale, considerata semplicemente o presupposta come una regione non ancora completamente esplorata. Le rovine {della città) richiamano alla mente, non già il primigenio, l' informale, ma la contraddittorietà inventiva, creatrice dell'uomo. Nei cal­ cinacci delle case, nelle abrasioni dei muri, nella trama pulviscolare degli anditi dei quartieri e delle piazze aleggia un sentimento cuneiforme, una invisibile lama d'acciaio, che sega « virtualmente » i volti, offusca la vista c deforma la sagoma delle persone e delle cose. Nella fraudolenta ricogni­ zione degli oggetti d'uso, resi inservibili dall'erosione e dall'esplosione, lo sguardo rinviene una pietosa ingiunzione, un richiamo all'impresa umana volta a migliorare le proprie risorse. I manichini, i resti di un insieme orga­ nico testimoniano l'apprensione per un ordine, che affermi la sua sovranità sull'approssimazione e sull' inconcluso. Le rovine assumono l'aspetto della prova d'autore, di un tentativo irri­ solto compiuto dall'attore sociale. Allo smarrimento, che esse suscitano, fa riscontro lo sgomento dell 'osservatore, che si interroga sulle sue risorse in­ tellettuali e materiali per rimediare ai danni della guerra. L' indulgenza con la quale egli indugia sulla sua propensione a obliterare il « male oscuro » e a immaginare una nuova stagione di entusiasmi è fatta di sarcasmi, di allocu­ zioni inventive contro un mondo nel quale gravita c che contribuisce a le­ galizzare. Le rovine si configurano come il codice cifrato della rigenerazio­ ne, che è tale perché impietosamente legata alla mestizia e alla ribellione. La cenere è il limite più increscioso della vanità. Dalla sua fase embrionale 79

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si evincono gli esseri e le cose e, in quanto depositaria delle energie modifi­ catrici della realtà, essa suggerisce le forme, gli stilemi dell' immaginazione. Le fi amme , le macerie, la polvere sono gli elementi dai quali si rigene­ ra l'umanità. Esse sono il corrispettivo laico - demoniaco - del fango e dell 'alito della creazione (religiosa). La fede nel potere acquisitivo dell' in­ telligenza umana - in quanto deputata a interagire con il cielo stellato - si mimetizza nello spirito agonistico, nella sollecitazione emotiva, nel calcolo mentale. I fantasmi delineano il percorso di una storia a venire, della qua­ le tuttavia non si riescono a prevedere i contorni. L'effervescenza del male eguaglia l'entusiasmo per il bene in un compendio di pensieri contrappo­ sti, che rendono impraticabile qualsiasi proposito d'azione. L' irritabilità e l' impazienza dei personaggi, che privilegiano le previsioni alle evocazioni, sono causate dall'atonia e dall'atarassia di quanti disperano delle difese or­ ganiche delle comunità istituzionali. È probabile che lo sfogo naturale dei disillusi sia non tanto l' ironia, quanto l 'autocompiacimento o l'autocom­ miserazione. Ognuno si attacca a ciò che reputa un sostegno, un incontro­ vertibile precipitato dell 'associazionismo e della congruità dell 'espressio­ ne. Le parole finiscono con il costituirsi a programma d'azione: il convin­ cimento e l'autosuggestione sono possibili mediante l'esercizio linguistico, l'uso codificato dei suoni e dei segni. L'approssimarsi di una « zona di si­ lenzio » , a seguito delle ferite impresse nella consapevolezza degli uomini dall a guerra, riproponc il significato di un sistema di espressioni capace di redimere il presente mediante una più dolente rivisitazione del passato e una più appassionata previsione del futuro. Quando l'omologazione del comportamento umano è o appare imper­ fetta, la consapevolezza operante si autocondanna: il tradimento è uno stato d'animo, il tenore mentale con il quale si esplica l'espressione per tutto ciò che è in embrione o ombratile. Il tradimento ha una riposta componente to­ temica e trascendentale : esso non rappresenta soltanto una manifestazione d' incoerenza, ma soprattutto una confessione di inadeguatezza rispetto alle circostanze nelle quali gli individui sono obbligati ad agire. Il venir meno a un 'esigenza, considerata includi bile, comporta la trasgressione di un codice che può avere un' impellenza o meno, a seconda del rigore con il quale opera la comunità sociale. La mania di piacere si configura pertanto come il surro­ gato di una norma che la trasgressione relega nel novero delle idiosincrasie collettive. Il tradimento e il sospetto sono il profùo oscuro dd piacere: sono una sorta di rocambolesca inversione della seduzione e dell' innamoramen­ to. Le spie e i confidenti sono in grado di affrontare le insidie delle circostan­ ze fino a quando una sensazione, più forte di quella che provano sostenendo So

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una causa (ideologica), s'impossessa della loro intimità e la soggioga. n tra­ dimento, che alimenta il sospetto, ha una funzione taumaturgica, unisce gli animi inquieti e li rende refrattari a tutte le consorterie che non abbiano co­ mc finalità la preminenza dell' io parlante. n tradimento, infatti, si connota con un lungo monologo, che il trasgressore instaura insistentemente con sé stesso. Esso si allega sempre a una fuga reale o immaginaria nell' intento di rinvenire un improbabile approdo fuori del mondo. La meraviglia è una sensazione approssimata giacché riguarda la quo­ tidianità, ipotizzata come ingegnosa e per alcuni aspetti segreta. Se fosse possibile pcnetrarla, comprenderla integralmente, non ci sarebbe bisogno di ricorrere ai sotterfugi o alle astuzie della ragione. L'esperienza è spesso fuorviante : lascia intendere o presupporre caratteristiche della realtà che, a un ulteriore approfondimento, si dimostrano illusorie o inesistenti. L'esem­ pio del bastone confitto nell'acqua che appare spezzato è continuamente ci­ proposto didascalicamente. L'ostilità e la sorpresa si condizionano recipro­ camente, facendo in modo che l 'una non divampi e che l'altra si configuri come provvidenziale. La crudeltà del cambiamento (di luogo, di relazione) accresce il disagio di coloro che vivono per un lungo periodo in contumacia. Il tramestio dei topi riduce l'angustia dello spazio all 'angoscia per tut­ to quanto è semovente, magmatico. I roditori richiamano alla mente l ' i­ nevitabilità della trasformazione delle cose e quindi la loro precarietà. La sensazione che essi suscitano riguarda l' instabilità emotiva, nella quale si compendiano i pensieri sulla guerra, sull' insondabile vis destruens che, a periodi ricorrenti, modifica lo scenario dell'esistente e influenza la condi­ zione umana. I topi e gli uomini si contendono gli interstizi del mondo nella convinzione forse di rinvenirvi le forze coesive o disgiuntive delle co­ s e . La genetica diffidenza degli uni nei confronti degli altri si spieghereb­ be con l' inconscia consapevolezza di entrambi di modificare il mondo, di conferirgli un aspetto più confacente alle aspettative benefiche suggerite dalla morale o alle propensioni dissacratrici promosse dall' istinto. Fra gli uomini e i topi s' instaura una competizione, che adombra l'allegoria del contrasto fra la ragione e la sensazione allo stato latente. Passa un giorno . . . c poi un altro ... mi dico : meglio andare a trovare le conoscenze ... come no gaeta ci cova ! Gli e sse r i umani ci passano mica tanto sopra a un'emozio­ ne . . . ci devono fare una malattia . . . evoluzione, crisi, eccetera . . . hai visco mai ? . . . ci impiccano in effigie. . . c p o i ti riacciuflàno e ti impalano sul serio, cuna la Legge 81

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dall a parte loro . . . meglio andare a dirgli buongiorno farti un' idea ... avanti, la no­ stra passeggiata abitual e ! ... il

Tanzha/le, la drogheria, le oche. . .'.

L'interdizione, che i topi oppongono al vuoto, contribuisce ad accrescere la drammaticità dell'attesa. La Vigue parla da solo . . . il suo corridoio è abbastanza pericoloso . . . dopo che Jago

c 'è più, i rapi fanno

il comodo loro, mettono su famiglie, si fanno la guerra, porta­

no delle anatre, le divorano vive . . . anche il suo ri fugio è mica da starei ... 'sti animo­ si roditori gl i hanno portato via due salviette e un paio di braghe . . . 6•

Il mimetismo sonnambolico dell ' io parlante si compenetra della vitalità dei topi, della loro forza prorompente in confronto con quella declinante degli uomini che li osservano. Si stabilisce così una sorta di competitività, che si alimenta della stessa ingordigia con la quale si rappresenta sullo sce­ nario desolato della vicenda sociale. La comunità dei roditori si rafforza in proporzione inversa a quella che regola il consorzio umano. L'afflizione psicologica è compensata da una malcelatajoie de vivre, che però si esplica nelle forme più crude del naturalismo, della difesa istintiva delle prerogative della specie. L' insistita elencazione dei cibi si coniuga con l'alchemica comparazione di quelli che si possono ottenere nello stato di emergenza nel quale i protagonisti della narrazione si trovano e di quelli che il ricordo accredita all' immaginazione come elementi esoterici di un mondo definitivamente scomparso. L'allegoria della reminiscenza ha la fi­ nalità di promuovere una inesplicabile risorsa emotiva, che consente di fare affidamento sulla resistenza fisica e di auspicare il soddisfacimento di tutte le aspirazioni vitali. Il cibo ha il ruolo del collante genetico, dell' iniziazione alla socialità. L'elencazione delle vivande s' inserisce in un processo virtual­ mente commutativo delle circostanze: è come se a ogni cibo corrispondes­ se un'epopea dell'uomo, della sua concordia con i suoi simili e con le cose. L'clementarietà delle evocazioni si coniuga con la generale propensione a rinvenire nel codice comportamentale un comun denominatore. La devia­ zione o la deformazione della tendenza socializzante in quella competitiva deriva in qualche modo da un' inadeguata amministrazione del gusto e dei ritrovati {organici e formali) per soddisfarlo. Il tramestio dei topi. l' invadenza dei roditori nella vicenda quotidiana dei reclusi hanno un rapporto d' interazione con il vagito della sopravvis . lvi, p. 2. 9 3 .

6. lvi, p . 2.97.

8 2.

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venza. La competizione che si stabilisce fra i protagonisti del racconto e i topi si esplica nell'ambito dell'acquisizione del cibo. I due fronti contrap­ posti si contendono le stesse cose, si protendono al conseguimento degli stessi benefici, indipendentemente dagli strumenti utilizzati per conseguir­ li. Tant 'è vero che, in tutta la narrazione, rimangono sempre in ombra chi assicura il cibo e chi lo distribuisce. Una sorta di mano invisibile domina lo scenario apocalittico e fantastico insieme, nel quale le personalità si esami­ nano, s'investigano, come farebbero le fiere nella giungla. La cattività è sot­ tovalutata grazie ali' importanza annessa alla strategia per la sopravvivenza, che si compendia quasi completamente nella elaborazione di una sorta di menù da realizzare con l'evocazione di antichi fasti culinari. L' immedesi­ mazione dei personaggi nell'atmosfera della prigione è scandita dall' impe­ riosa ricerca di una formula compensativa del reale mediante la rivisitazio­ ne mentale di luoghi ed eventi non necessariamente collegati fra loro. La straordinarietà delle situazioni giustifica la rapsodicità del ricordo, che ha il significato di un estremo rimedio all' insondabile disagio del presente. L'itinerario orgiastico del potere si depotenzia gradualmente di fronte alla preminente intersezione dei gusti personali. La narrazione, che sembra paventare l' inevitabile, lo sterilizza nei rivoli delle tentazioni e delle impre­ se dei singoli individui, che non rinunciano alle loro peculiarità per tema di flettersi di fronte agli eventi, dei quali subiscono gli effetti, ma dei quali si rifiutano di determinare le circostanze. L'orario dei treni ? ... facevo ridere io ! ... prima di tutto, quale stazione ?

E le navi ? ...

da dove le navi ? ... ci vedevo neanche andare a chiedere ... a chi ? ... ritornare apposta a

Moorsburg ? ... la strada piacevole . . . i treni esistevano forse più ? ... da quello che

si sentiva come bombe, non dovevano partire spesso ! ... Rostock, mi ricordavo, la

città ... ma adesso in che stato ? ... era forse più che un cratere ? ... potevo chiedere

al monco, lui doveva sapere, credo che veniva da quelle parti ... parlava sempre di

Heinkel... i motori ... insomma, raduno i miei ricordi... ho un bel po' viaggiato per

la

SDN ... ho fatto spesso la Danimarca ... Berlino ... era da Rostock ... ma Rostock ? ...

La Vigue ronfava ... gli occhi semichiusi ... bisbiglio a Lili ...'.

La

geografia del ricordo si attiene approssimativamente alle rilevazioni dell'esperienza. Tutto il bagaglio delle nozioni acquisite nel passato sem­ bra paradossalmente alleggerirsi di fronte a quello che conviene confezio­ nare nel pelago delle emergenze, nel quale i protagonisti della narrazione temono di naufragare. E si delineano come inevitabili i rancori repressi, 7· lvi, p. 2.99.

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le asperità che mettono l'uno contro l'altro. Dalla guerra di tutti contro tutti si passa al conflitto dell'uno contro l'altro. La cattività è un pessimo consigliere: induce all' intemperanza, alla sregolatezza, proprio perché non possono effondersi in un emisfero più vasto, limitato dalle innumerevoli protezioni altrui. Le accuse, quanto più sono infamanti, tanto più sono im­ probabili, ma proprio per questo fanno presa, predispongono al linciaggio morale, alla diffidenza, al sospetto e poi alla sottile, perspicua persecuzio­ ne. Il confine fra il lecito e l' illecito è superato dali' in temperanza verbale, dalla buona disposizione d'animo nei confronti dei reietti e dei reprobi, ma non nei confronti dei traditori, dei sabotatori e dei collaborazionisti. La falcidia ideologica è tale se perpetrata per una cosiddetta questione di prin­ cipio, se usata per affermare il verdetto della storia, della storia sincopata, anchilosata dalla nequizia individuale. Le reazioni dei reclusi sono analoghe a quelle degli animali quando si destano dal letargo. Essi si disfanno di una sorta di atrofia o del timore di atrofizzarsi per innescare una convulsa colluttazione con l'ambiente circo­ stante. L' idea che sia veramente la lotta l'origine della vita diventa mani­ festa e incide su tutte le prerogative evidenti dello stato esponenziale delle risorse, in primo luogo, afflittive nei riguardi altrui e, in secondo luogo, de­ terminative delle decisioni e dei comportamenti da adottare per affermare le singole individualità. L' isterismo è soltanto il proemio rovesciato dell' i­ dolatria per sé stessi e per le figure paradigmatiche {meglio se caratterizzate da due baffetti e dallo sguardo magnetico). L' identificazione da parte della vittima con la figura del carnefice non è immediata: si realizza nelle forme subdole e subliminali dell'appercezione, del contatto fonico, scenografico, nell 'emisfero {sconfinato) dei segni e delle allusioni. E, a causa di questa turbativa psicologica, anche le fasi della guerra dei popoli assumono un significato emblematico, attenuato e aggravato al tempo stesso dalla dialet­ tica degli opposti. Potsdam diventa pertanto l'ente di separazione di due fronti ideologici, attraversati da fremiti razzistici. La confutazione dei ruoli organici, generata dallo stato di cattività dei dialoganti della narrazione, riguarda anche gli assetti politici del mondo. Il consorzio umano, che si stabilisce improvvidamente sulla base delle scon­ nesse valutazioni dei cosiddetti eventi globali, si ritiene autorizzato a salva­ guardare un minimo di buon senso, un sottile diaframma fra quanto appare improponibile anche al livello di una logica approssimata e quanto di fatto si esplica sotto gli occhi di rutti. Il fatto che lo scenario dell'osservazione sia ristretto e che con i se c i si dice non si possa efficacemente argomentare non vanifica il tentativo di rinvenire una ragione, sia pure controvertibile,

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che spieghi se non giustifichi il corso degli eventi e ne predetermini gli esiti gli effetti ai fini di un rinnovato criterio potestativo sul piano sociale e co­ munitario. Mentre si ipotizzano la distruzione di Berlino e l'avvento di un p eriodo d' incertezze e d' intimazioni, il panico dal quale sono dominati gli interlocutori della narrazione si trasforma in uno sconnesso discettare sulle incongruenze dei tentativi realizzati da ognuno di loro per rendere meno grave e sconcertante la rassegnazione. Le manie, le apprensioni di La Vigue sono foriere di tristi presagi. Il delirio e la normalità s'apparentano per orientare a vista gli strateghi di una nuova stagione sociale. L' isteria si mimetizza e assume i proftli del dram­ ma, del quale ognuno degli interpreti è l'artefice e il depositario di un bra­ no, che recita a più riprese, per non dimenticarlo e non farlo dimenticare. Il fragore della lontana Berlino è l' immagine sonora di un processo di tra­ sformazione difficilmente contenibile nei toni e nelle parole di quanti ne subiscono il fascino malefico. L' ipocondria dei reclusi, infatti, si configura come la risultante di vari tentativi volti a sacrificare l 'indifferenza. La pri­ gione si delinea così come il luogo nel quale è plausibile pensare alla totale liberazione dell' individuo, di chi è garantito nella inviolabilità della sua persona. I deportati ambiscono a riconoscersi reciprocamente un grado di rispettabilità che li obblighi ad agire secondo gli usi consolidati, la tradi­ zione. Anche quando lo sconcerto si diffonde in mezzo a loro per la dram­ matica conclusione di un episodio di insofferenza, il rispetto delle norme è assicurato da un levigato sentimento di pietà: e

Il pastore legge ... recita ... i bibel restano per niente a rigirarsi, attivi sempre, stam­ burellando il tumulo, la sabbia, rifiniscono . . . posano le lapidi ... tutti stanno attorno . . . le donne ripetono ... ripetono . . . e forte ! "Porci ! Honig! Sabotatori . . . vigliac-

chi". Lili e il sergente monco fanno ptaff... ptaff.. che i corvi spariscano ! Il pastore ..

.

finalmente ha finito di recitare ! ... chiude il suo librone . 8• ..

La

morte di un uomo suggerisce pensieri di pace, che però non trovano ri­ scontro nella realtà effettuale. ' Sta cerimonia poteva !asciarci frastornati ... di noi tre è La Vigue che mi pareva il

più scosso ... più stralunato del solito, e poi lì a strabuzzare ... ora verso un muro ... verso un altro . . •. .

8. lvi, pp. 3 6 5-6.

9· lvi, p. 3 6 8 .

ss

IL

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Rendersi conto dell' inevitabilità del male comporta l'ammissione dell' i­ nanità degli sforzi per affrontare il bene, così come si delinea nella convin­ zione generale. La vita è tutta una corvè dal principio alla fine. . . tutto si scorda, tutto s i cancella, il Tempo compie la sua opera, ma le corvè ... sono lì e ancora lì ! ... un poco ! Come

certe virago !... ne vuoi più sapere, ti comandano, suonano, pretendono, ti bracca­ no, ti accoppano . .

. '0•

La morte in agguato induce il pensiero a confrontarsi in un liminare campo semantico con il convincimento che, nelle varie fasi della vicenda umana, assume una rilevanza quasi inedita e comunque sempre propiziata. La tensione emotiva, tuttavia, non garantisce sulla tenuta della curio­ sità e dell'apprensione. Anche la guerra, che pure esalta oltre i limiti del­ la perspicacia le difese organiche degli esseri umani, soggiace a uno stato d' indifferenza generale quando non si profila all'orizzonte alcun evento che ne giustifichi l 'aberrazione o la crudeltà. L' indifferenza è una condi­ zione apparentemente effimera, che connota il consorzio umano come una consorteria, capace di pregiudicare le affinità e le diversità caratteriali pur di conseguire una sorta di atarassia. Le prerogative di quanti accedono più o meno volontariamente a questo stato di grazia si manifestano come in­ solvibili per qualsiasi manifestazione sociale che abbia di mira il riconosci­ mento delle tradizioni patriottiche o semplicemente le tendenze del costu­ me. L' indifferenza presuppone, tuttavia, un giudizio che gli avvenimenti sembrano rendere inappellabile, tanto più che essa induce gli individui a recedere nell'emisfero ombratile e tentacolare dei gesti e dei segni essenzia­ lizzati al massimo, ma carichi dei particolari introspettivi, nei quali s' im­ medesima, come finzione scenica, la comunità nel suo insieme. L'ordinamento consuetudinario ha delle risorse più consistenti di quelle del conflitto. Gli individui sacrificano volentieri sull 'ara della con­ solidata tradizione le pulsioni interattive. Essi preferiscono accreditare al quieto vivere tutte quelle idiosincrasie e angherie che sono la causa delle guerre. Per questa ragione, quando nel mezzo del conflitto si palesa la con­ sapevolezza dell' inanità dei rapporti imperiosi a livello interindividuale, la curiosità, che si evince dallo scenario momentaneamente frequentato dai non belligeranti c quindi dai fedifraghi, dai traditori, invade la coscienza e la paralizza. L' indifferenza è, infatti, una sensazione di irrisolutezza che IO.

lvi, pp. 3 6 8-9.

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attanaglia i propositi fìno a svalutarne gli esiti. Lo sguardo si eclissa dietro reiterazione e si accontenta di influenzare uno spazio infìni­ tesimo, nel quale far coesistere l' incomprensione e la reticenza. L'esercizio della dissociazione dai frangenti del mondo è facilitato appunto dal fatto che momentaneamente non succede nulla di nuovo sullo scenario dell'os­ servazione. L'assenza dall'area del conflitto non comporta la mancata ade­ sione allo stesso o la ripulsa, ma soltanto l'esibizione di un atteggiamento di convalida di quanto si presume che possa accadere o che addirittura si propizia come inevitabile . la cortina della

... Persino con le oche non c 'è che un'ora per tutto, metti il Campidoglio, i barbari fossero tornati venti volte, li avrebbero manco più guardati ... Priapo, che fa tanto spavento alle pupe, fa sbadigliare le madri di famiglia ... . "

Lo stereotipo del male incute meno timore del male stesso; e lo rende esigi­ bile senza provocare quelle resistenze istintive che spesso sfociano nell' iste­ rismo (individuale e collettivo). Quando lo stato di eccitazione si coniuga con lo spavento, la tentazione di « anticipare il peggio» si determina im­ periosamente. L'amnesia poi compensa gli scarti di umore, il furore ico­ noclasta, la smania di distruggere l'esistente per tema che l'esistente rinfo­ coli i dissapori e rigeneri la consapevolezza e la dignità individuali. I corpi sembrano allora essere spossessati dell'anima; privi di ogni controllo, essi si scontrano fra loro e si riducono a buon partito eliminandosi reciproca­ mente. Nell' infuocata ricostruzione dell'esistente, l'io parlante concorda con i nefasti di una generazione e di un'epoca soltanto per quanto riguarda le rur­ be provocate, non tanto dai fatti, quanto piuttosto dai presupposti del con­ flitto. La narrazione non riguarda il fronte, ma le retrovie, dove è ancora pos­ sibile scorgere il deliquio, il disfacimento, le aberrazioni dell'animo umano. Capisco che Griinwald non esiste più ... né il telegrafo ... né il gran

bunker

...

né i

colleghi fmlandesi ... né le signorine dattilo . . . tutto spazzolato via, stritolato, bru­ ciato !... uno s facelo ! ... due notti ! ... in due notti soltanto ! "

Alla contrazione del tempo del ludibrio fa riscontro l'ampliamento del tempo dell'attesa, di quello che influenza i pensieri e le azioni delle retro1 1. lvi, p. 370. n . lvi, p. 3 8 7.

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vie. Gli uomini, che si immaginano in disamina con i combattenti, si sco­ prono impegnati in una guerra senza quartiere con i loro simili, con quelle persone che, per caso o per necessità, vagolano in contumacia da un luogo ali' altro del mondo senza alcuna ragione che non sia ancora e sempre più confusamente quella di raccordare la contraddittorietà del presente con le scansioni della memoria e del ricordo. Le turpitudini individuali, allo stato latente o manifesto, si attenuano anche nelle retrovie, in sintonia con la fine, sia pure disperata, del conflit­ to. La narrazione descrive i contraccolpi che esso procura a quanti ne so­ no indirettamente coinvolti: e apre continui spiragli di ravvedimento su uno scenario desolato per l'abrasione che la ferinità determina sul tessuto connettivo della coesione comunitaria e sociale. Il disordine e le turbative mentali, che la belligeranza provoca ed espande a cerchi concentrici, mu­ tano in intensità c si profilano sempre più come innecessarie. Manca, tut­ tavia, una forza che le modifichi e le trasformi nel patrimonio conoscitivo e operativo della normalità. L'anomalia della guerra si riverbera sui signifi­ cati che acquisiscono i pensieri e gli atti degli uomini quando la conflagra­ zione s' identifica con le rovine, i disastri, l' impotenza dell' inventiva e della volontà solidaristica. La fme del conflitto si configura con la radiografia di un'umanità che non riesce a nascondere la propria indole ferma e il proprio precario equili­ brio. Il passaggio dallo stato dell'aberrazione allo stato della responsabilità è afflittivo perché costringe gli individui a occultare ulteriormente parte della loro personalità e a concorrere con i propri simili a ricostruire il sodalizio dal quale sono stati distratti. La causa di tale distrazione è sempre incombente perché insita nella loro natura. La guerra è spietata: dissolve in un baleno le paratie formali e sostanziali con le quali l'ardimento e la spregiudicatezza si sublimano nell' impresa comunitaria. Ma è l'immediatezza della consta­ tazione che impedisce al pensiero di consolidarsi nei canoni parteciparivi e solidarisrici. Una nuova religione sociale - una nuova temperie ideologi­ ca - s'impossessa delle menti e le induce a svolgere un compito salvi fico, che ambisca alla ricostruzione (dell'habitat) e alla rigenerazione. Anche l'ironia anticipa le previsioni sulle conseguenze della guerra : un'anticipazione, modellata sulla propellenza della nostalgia per tutto ciò che esiste e che si presume debba continuare a esistere dopo i turbamenti sociali, fa da sfondo alla nuova geografia umana e politica . ... Mio povero collega, la guerra scaccia la peste oggigiorno ! ... e guarisce i pazzi ! ... Diirer

è da ripigliar fuori ! Oooah! . da rifare ! Lei sa i suoi quattro cavalieri ? Vac. .

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NORD

cin ati, vaccinati tutti ! Sanitari son o ! . . . sanitari ! Non c 'è ragione che 'sta guerra finisca ! Apocalisse asettica! alla fionda, collega, adesso ! ... alla balestra !... l'arma . ,{; .,. oooah"1 segre ta .� ... P.JOUt La fine del conflitto è implicita nell' irresoluzione tecnologica: la vaticinata arma segreta rimane un enigma, una figurazione allegorica per quanti impe­ gnano la loro esistenza hic et nunc sui fronti di guerra. L'intelligenza non ar­ rischia le sue risorse nella discordia sociale. La ragione non s' identifica con i programmi di dominio, che facciano astrazione della presenza e degli appor­ ti di gruppi e popoli fra loro differenziati. L'industria delle armi ha la faustia­ na limitazione dell'inaccessibilità in tutti i regimi mentali, che le comunità erigono a loro fortilizio. Le tradizioni, le credenze e i modi di dire fanno da barriere protettive all' ingerenza dei fattori esterni, delle innovazioni tecno­ logiche che non siano preventivamente considerate come salvifiche. Le ultime schermaglie prima della fine sono di un'autenticità apoca­ littica. Gli uomini d'arme si affrettano a commettere gli ultimi delitti nel nome della ragion di Stato prima di riprendere il pieno dominio della loro ragione e di utilizzarla per i fini edificanti del genere umano. Ben ingrovigliate agonie !... ma la Cancelleria di Berlino che aveva tante di quelle preoccupazioni poi trovava lo stesso la maniera di occuparsi di simili inezie ! e "verbali" dubbi ! . . .'•.

La paranoia - secondo il generale Werner Goering ( fratello, doppio, del noto e influente Hermann Goering) - si giustifica con l'ultima fase della guerra, quando questa prelude la sconfitta. Le psicosi si inaspriscono in

un

posto, sbolliscono in un altro, strada facendo ...

uno parte assassino si ferma al ponte, pesca con la lenza ... pensa ormai con molta calma ! .. . '' .

La resipiscenza assume le connotazioni del castigo, che ha sempre una mag­ giore durata del delitto. n castigo, infatti, include il ricordo, il percorso in­ verso dell'azione, contraddistinto spesso dali' immediatezza e dall' impeto dei sentimenti. 13.

Ibid.

1 4. lvi, p. 400. rs. lvi, p. 404.

I L S O RT I L E G I O E L A VA N I TÀ

La « ritirata di Russia alla rovescia » - per usare la metafora impiegata da uno degli interlocutori della narrazione - s' identifica con il baluginare di una nuova stagione, nella quale si presume che gli entusiasmi siano con­ tenuti. L' improvvida constatazione degli esuli circa le reazioni dei respon­ sabili di quella cruenta scorribanda che è la guerra non si addice ai reietti, che ambiscono a fruire di una speranza anticipata, di un'assicurazione sul futuro a tutti i costi. La gente, che s'avventura nel viaggio di ritorno, scrive un'epopea senza testimoni. L'unico esegeta della guerra - il generale Go­ ering - si siede sulla neve e ripercorre a tappe forzate l ' itinerario della di­ sfatta.

Jiinger

La fantasmagoria di Jiin ger

L'apparenza estetica rivela l' inconscio collettivo, che ambisce a un aspetto del mondo diverso da quello reso evidente dall 'esperienza e dalla socialità. L'esperienza estetica disquisisce simultaneamente sulla inviolabilità e sulla irripetibilità della soggettivazione. L' individuo, che immagina, popola del­ la sua persona l' intero universo, che si configura come il peristilio di una fantasmagoria inventiva. L'esercizio della scrittura (della pittura, dell'algo­ ritmo, dell'oggettistica) è una implicita confutazione del neccssarismo na­ turalistico. La cosa-in-sé non può che essere il precipitato storico dell' im­ maginazione, ferita dall'esperienza (anche se in senso didascalico, allusivo). L'estetica è una verità alternativa a quella ineludibile dell'esperienza. Il ne­ ccssarismo naturalistico assume connotazioni afflittive rispetto al concetto di libertà, inteso come attitudine soggettiva a individuare le fonti e le ener­ gie necessarie al sostentamento intellettuale del genere umano nell'habitat naturale, nel quale declina i suoi pensieri e i suoi propositi d'azione. L' irri­ mediabilità e l' ineludibilità del patrimonio genetico dell'umanità è lo spro­ ne affinché la stessa si distanzi il più possibile - secondo il significato della libertà - dal percorso profilato nel tempo come irreversibile e quindi inva­ riabile. L' immediatezza è la teorizzazione dell'estetica tecnologicamente orientata alla soddisfazione precaria e improbabile. L'estetica moderna, in­ fatti, presagisce l' insoddisfazione e cerca di esorcizzarla rilevando l ' infon­ datezza di tutti gli assoluti, dai quali si evince una sorta di dottrina del com­ portamento, che assume il ragguardevole significato dell'etica remissiva o intransigente dell'epoca delle masse, del rivendicazionismo al tempo stesso c contraddittoriamente individuale e collettivo. Le deviazioni (fra le altre, la « volontà di potenza » di Friedrich Nietzsche) sono forme di raziona­ lizzazioni contingentate dall'approssimazione. La filosofia moderna istitu­ zionalizza la relativizzazione degli enunciati e delle relazioni, nell ' intento di evitare, quanto più possibile, la dogmatica del convincimento. 93

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

Christian von Krockow - scrive Wolfgang Kaemp fer - ha tracciato una linea di connessione che va dal soggettivismo "nichil istico" del romanticismo fino al mo­

derno decisionismo. Mentre il romanticismo contrappone alla realtà pro fana la cornucopia delle possibilita poetiche, il decisionismo riduce il prendere decisioni in quanto tale da oggetto di decisione pro fana e quotidiana a solo oggetto ancora

possibile. Proprio in questo modo gl i è permesso scansare ogni decisione effettiva'.

Il decisionismo romantico si coniuga con l'attualizzazione, con le possibi­ lità implicite nell'azione, che rende evidenti e inevitabili i suoi effetti nel milieu culturale, nel quale si manifesta e si verifica. La strumentalità consiste nel rendere congenere ali ' azione i sussidi che si sono precedentemente realizzati in termini previsionali. La tecnica non sarebbe altro se non la preveggenza della decisione in senso attuativo di effetti non sempre e non completamente prevedibili nella loro ridutti­ bilità ed entificazione. Il volontarismo e il decisionismo si compendiano nell'atteggiamento che evoca lo stato di necessità ( dei primati ) . « Di fat­ to ha qualcosa di zoologico» 1• Il radicalismo dispositivo, per evitare che si addensi come una minaccia primordiale sul tessuto connettivo delle co­ munità sociali, ass u me una valenza politica, una sorta di versione sublima­ ta dell' irrefrenabilità energetica, della pulsione intestina a tutti i soggetti che operano all' interno degli assetti normativi e istituzionali. L'autonomia e l'eteronomia, nella struttura tecnica, si equivalgono, nel senso che en­ trambe sono dirette alla realizzazione di un' impresa, capace di oggettivare i suoi assunti programmatici. La dipendenza da un centro decisionale per 1. Wolfgang Kaempfer, Ermt jungn-, il Mulino, Bologna 1 9 9 1 , p. 39· Agli inizi degli anni Ottanta, Jorge Luis Borges manifesta il proposito di conoscere « lo scrittore più im­ portante c trasgressore di Europa. il sempre polemico Ernst Jiinger » : Armando Roa Via!, Borg(syjungn-. Las afinidad(s d( un mcumtro, in "Proa� 48, julio/ agosto 2.000, p. 57· L' in­ contro fra i due scrittori avviene a Wilflingen, nella residenza della selva nera tedesca di Jiingcr. La conversazione si svolge in un sottaciuto confronto epico : un confronto che in­ duce Borges a evocare in forma allusiva la propria necessitata esclusione. Per Jiinger, l ' azio­

ne è il prolungamento dc:ll ' idca ; per Borgcs, l'avvc:ntura dd pensiero in contumacia. « Por c:so es quc: el lenguajc - aqui Borgcs y Jiingc:r coinciden, c:n un gu iiio a Bcrgson - probablc:­ mcntc no sirva para la verdad; mis aun, quc su finalidad s6lo sca cm inc:ntcmcntc cstética, al crear un mundo ideai dc forma y bcllcza » ( ivi, p. 59). Il tema di conversazione fra Borges c Jiingcr è Lcon Bloy, «il pellegrino dell 'assoluto » . Il disprezzo nei riguardi dci simulacri dell 'efficienza tecnologica c della di ffusa trivialità costituisce un criterio d' intesa fra i due scrittori, entrambi impegnati a sorreggere, almeno sotto il profilo linguistico, quc:lla curio ­ sità c quello sgomento kantiani, in virtù dci quali gli esseri mortali s ' imm o lano idealmente alle forze provvidenziali c forse salvifichc: della natura, cosi come si manifesta nella sua por­ tcntosa c apocalittica configurazione. 2.. Kaempfer, Ermt}imgn-. cit., p. 40.

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L A F A N TA S M A G O R I A D I J U N G E R

l 'operaio-soldato di Jiinger è pertinente rispetto al complesso meccanismo posto in essere per conseguire effetti sbalorditivi (romantici) prima ancora che concreti e pratici. L'autonomia antiriflessiva consiste nel prevedere i risul tati dell 'azione in misura adeguata a sorreggere immagi n ificamente le aspettative metafìsichc e trascendentali di un'umanità affascinata dall a sua spericolata cogn izione del dolore e dell 'efficienza. La lotta alla sofferenza è implicita nel lavoro, che nella sua ripetitività si connota di presagi arcaici

c

affannosamente salvifici. L'entusiasmo dell 'operaio-soldato è rappreso nei soffion i delle caldaie ad aria compressa, che sembrano d imidiare una nuo­ va geologia. La sismografia delle percezioni oggettive è la fonte della legittimazio­ nc

politica. Non

è

necessario che la collettività esprima in debito modo

(votando) le proprie scelte istituzionali affinché si stemperi quell 'atmo­ sfera consensuale, nella quale s ' identifica la democrazia. La partecipazio­ ne all 'amministrazione pubblica

è ideologicamente e segn icamente deter­

minata dalla propaganda, che si propone di mantenere un contatto subii­ minare fra il potere ( personalmente o impersonalmente determinato) e le masse, le moltitudin i (per usare un 'espressione di Giuseppe Garibaldi) , che s i protendono sul palcoscenico della storia senza saggiarne l a gravità e talvolta l ' imperizia. L'eco di una enunciazione messianica accompagna le risoluzioni più dissolute, peraltro delineatesi nelle forme più evidenti c

spemal i. Il fatto che le scelte pol itiche siano individualmente segrete e

collettivamente palesi non le esonera dall 'essere con iugate contemporane­ amente con gli imperativi retorici e la quotidiana contingenza. L'una cate­ goria smorza le guarentigie dell 'altra, in modo che il tenore del compor­ tamento oggettivo ( rilevabile statisticamente) sia regolato (o influenzato) dalla smithiana mano invisibile (da una « necessità » complementare all 'e­ venienza e all ' imponderabilità) . Il convincimento

è

talmente rapsodico

da essere controllato a tratti e per segmenti secondo le direttive e le pro­ spettive dei tutori dell 'ordine ( religioso, politico, econom ico). La socialità si configura come l ' indizio della valutazione della radice nevralgica delle cause che determinano l ' insoddisfazione, l ' indifferenza e la rivolta.

Il pre­

ludio dell 'azione sembra contrarsi nell 'abbrivio di un tempo remoto, ma presente negli effetti, talvolta imponderabili c tuttavia plausibili, secondo le categorie insolventi della complementarità e dell 'approssimazione. La democrazia è un empito della ragione in dissolvenza : spesso per non rat­ tristarsi si avvale

di interventi remissivi. Nella consolidata progen ie ideale,

gli errori di valutazione sopravanzano le atrocità dei regim i tirannici, che 95

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

paradossalmente sono alquanto concessivi con i loro sostenitori e talvolta con i loro fievoli esegeti. La disciplina, quasi sempre imposta dai regimi autoritari, fa riferimen­ to alla costituzione genetica delle collettività, erroneamente distinte secon­ do gli aspetti esteriori della "razza� delle etnie, della geografia. La preven­ zione fondamentalista è insostenibile sul piano scientifico, ma proprio per questo è utilizzata sul piano propagandistico. Quanto più una nazione è acclarata dalla conoscenza oggettiva, tanto più è confutata dalle ventate ideologiche, che trovano il loro fondamento negli arabeschi mentali del passato. Ed è proprio questa rilevazione semantica e concettuale che offre il destro agli emissari del potere demoniaco di appropriarsi di definizioni, di princìpi e perfino di statuti concettuali per sommuovere emotivamente il percorso storico di intere strutture regionali, composte da assetti istitu­ zionali legati da comunanze di lingua, di religione. Il costume si profila pertanto come un ordinamento, al quale le collettività sono pronte a da­ re il loro consenso, nell' intento di accreditarsi con una caratteristica iden­ titaria ben differenziata rispetto alla geopolitica in vigore. Il valore della vita individuale si eclissa così nella dinamica della sopravvivenza colletti­ va. L'eroismo della propaganda sorregge il consenso collettivo, che assume le connotazioni popolari in quanto inattingibile sotto il profilo formale e contenutistico. Lo spazio vitale sacrifica il dolore teologico alla sofferenza mediati ca, che il successo (se si profila come possibile o illusorio) vanifica. Il sacrificio senza senso e senza scopo è parte del!' indottrinamento preven­ tivo per quanti sono indotti dalle circostanze a mobilitarsi per far fronte al nemico immaginario, ritenuto necessario per rendere ancora più coesa la conformazione comunitaria (anche se ncghittosamente o surrettiziamen­ te celebrata come formalmente - legalmente - costituita). L' irriduttibilità dello stato di necessità alla dialettica suasiva è parte integrante della disci­ plina teocratica e dittatoriale, tutta pervasa da visionaric proffcrtc di benes­ sere da parte di un 'entità suprema e indecifrabile. La dittatura, infatti, persevera nella sua cripticità causalistica per con­ ferire validità allo stato di emergenza, a fronte del quale la ragione non può che soggiacere all' impeto dell 'azione, della volontà contratta nel proposi­ to di agire c di perseguire le tensioni della forza allo stato puro (quella che la storiografia descrive più o meno improvvidamente come primitiva, ele­ mentare). Infatti per un'attitudine masochistica l 'ottenimento del piacere si può accresce­ re solo quando la sofferenza

è sofferenza pura e quindi priva di ragione e di fine.

LA F A N TA S M A G O R I A DI ) U N G E R

Tale disaggregazione pulsionale, la regressione a pulsione parziale, percepirà tanto meno se

stessa quanto più si sentirà immediatamente confermata daJla situazio­

ne'.

La subalternità borghese rispetto a un improbabile modello aristocratico agisce in maniera sommovitrice nei precari equilibri politici, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale. L'organo esecutore di questa dipen­ denza è lo « spirito del mondo » , la visione di quanti si sentono inadeguati ad affrontare il « progresso» , inteso come il connubio degli ideali arcaici e delle pratiche moderne, nel quale risiederebbe lo stadio salvifico dell 'epoca contemporanea. L'eroismo e l'avventura prediligono le estenuazioni sin­ tattiche alle misurate rilevazioni della realtà. L'abnegazione e la codardia sono vindici di una stessa temperatura emotiva, che concilia le idiosincra­ sie individuali con il rigore del rischio calcolato, delle difficoltà prominenti ogni attitudine, preventivamente non contingentata. Il conflitto, per essere tale, deve poter invocare una causa modale, un inconveniente, reale o pre­ sunto, che in forma paradossale ne giustifichi l'attuazione. L'apparato bellico, sorretto dali' imperio dottrinario, disprezza l' irre­ quietezza e l' irresolutezza: il comando è lo strumento mediante il quale l'azione delittuosa o deleteria si assimila agli eventi memorabili, in grado di suggestionare l' immaginazione dei contemporanei piuttosto che la fan­ tasia dei superstiti. Ai prodi guerrieri è concesso di gioire senza emozionar­ si: è imposta la prova della nuova configurazione antropologica, propo­ sta dall'esercizio fisico ( lo sport ) e dalla temperie spirituale ( demoniaca ) . L'angoscia, che si palesa fra gli esecutori intellettuali degli ordini tutori, è quella che si evince dallo sconforto di essere pregiudizialmente ignora­ ta. L'esonero di contribuire alle decisioni irrevocabili, secondo lo spirito dell'epoca, consiste nel conferire agli operai-militari la possibilità di evoca­ re una improbabile vita contemplativa, al riparo dalla conflagrazione ter­ rena. Il quietismo è la prova assoluta del fastigio divino, concesso in con­ tumacia ai prodi esecutori degli ordini dittatoriali. Gli individui mobilitati nel conflitto sono privati dell' intenzionalità: a essi è riservato un regno impreciso e surriscaldato, nel quale saranno accolti come i naufraghi da un fortilizio costiero. L' asseveratività delle decisioni, inoltre, assicura ali' azio­ ne un correlato apocalittico, che congiunge simbioticamente la terra e il cielo. L'assolutizzazione della morale totalitaria si esplica nella manifesta­ zione estetica. La coreografia, il costume, lo sfarzo e le tensioni apocalitti�- lvi, p. 4 5·

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che delle adunate oceaniche al chiaro di luna, tendono a sottrarre il giudi­ zio all'effettualità temporanea per sacrificarlo al godimento, all 'apparenza e alla sua estemporanea sublimazione. La forma - secondo l'espressione di Theodor Adorno - diventa contenuto venuto a coagulazione. L'arcaismo si profila come l'abbellimento della storia, come il rifugio della memoria, che ambisce a sacrificarsi in funzione dello sgomento e dello smarrimento collettivi (generali). La magniloquenza propagandistica nasconde l'avvertita esigenza di un linguaggio meno avveniristico, costretto dalla sintassi a intermediare fra le opinioni e le sensazioni di coloro che concorrono passivamente alla scena politica e le pulsioni di quanti ambiscono controllarla, popolarla e confu­ tarla con la semplice presenza redentrice. L' igiene mentale si esplica nell'ap­ parente purificazione. I condotti d' interazione, fra quanti si approssimano alla « verità » e quanti se ne distanziano più o meno inconsciamente, sono resi evidenti dall'allegoria della benevolenza celeste (demoniaca). Il galateo rimpiazza la giustizia e la rende inoperosa se non nelle forme sanguinolente del satrapismo di maniera. Il linguaggio non sorregge il sortilegio delle frasi, che si inaridiscono nell' infatuazione collettiva. La responsabilità spirituale compendia le responsabilità politiche, culturali, che i transfughi dell'epoca totalitaria non riescono a metabolizzare. La confessione ha sempre un peri­ metro di accuse da decifrare e proporre all 'altrui delirio di potenza, dal quale si evincerebbe - con sorprendente spregiudicatezza - anche il perdono : un modo, tuttavia, per infliggere al prossimo il dovere di decidere nella forma più intollerante e inumana. Paradossalmente, è la rassegnazione a raggelare gli animi dei coscritti in un' infame persecuzione contro i propri simili, de­ rubricati in fantasmi, in scheletri da consultorio di periferia. L' indulgenza è negletta: sia per quanti agiscono in proprio, sia per quanti eseguono eterodi­ retti. L' ignominia si estrinseca nell'atmosfera rarefatta delle origini, dell'età della pietra, quando ogni ombra è un' imboscata e ogni ramo secco può esse­ re utilizzato per ferire il prossimo (la preda). Le vertigini del potere asseverativo sono condivise dalle masse nostal­ giche di un evento che le rinsaldi all' abbrivio iniziale, al momento tellurico del loro adamitico insediamento nella terra ostile. L'ospitalità è una super­ fetazione della cultura borghese, contro la quale, a mò di rivalsa, si effondo­ no la dittatura e la tirannia. L'epicedio del male è la disfunzione disquisiti­ va; il centro decisionale sancisce impietosamente il rollino di marcia delle genti preservate dal diluvio e gratificate dalla forza istintiva. La pretenziosi­ tà è volutamente irriverente nei confronti di coloro che agiscono con la de­ strezza del calcolo e della misura. La stagione conciliare è impropria nella

LA F A N TA S M A G O R I A DI } U N G E R

fraseologia totalitaria poiché l a interpreta come una depredazione d a par­ te dei più forti ai danni dei più deboli. Il dominio è la religione dci negli­ genti rispetto alle debolezze della condizione umana. Le facoltà accessorie dell ' ingegno non sono necessariamente disdicevoli rispetto alle edifìcanti tumulazioni borghesi. Ma è l'imperio dell' inadeguatezza alle circostanze a ridurre la risposta immunitaria delle masse assembrate all'ombra del po­ tere tutorio e di una maschera che lo contraddistingue. L' itinerario orgia­ stico è un sommovimento subliminare, che incita all'azione indipendente­ mente dai risultati da conseguire. Infatti, quando l' insuccesso dell'azione si evidenzia drammaticamente, gli argonauti delle tenebre si abbandonano ai più cruenti misfatti, quasi a escogitare una forza satanica, che abbia ra­ gione di tutte le intemperanze e le approssimazioni epocali. Il profìlo del demiurgo dell'azione può anche venir meno senza che la trama dei misfatti si attenui negli effetti estemporanei, decadenti. Il millantato credito dell'e­ narca o dell 'eresiarca si confonde con l 'autoinganno a livello individuale e di gruppo : « Del resto - sostiene Kaempfer - nei tiranni contempora­ nei non c 'è più neppure alcun "profìlo" da constatare » . Questa assenza induce alle prodezze più dissolute giacché riguardano l' intima estraneità della persona rispetto al contesto nel quale opera. È come se ogni indivi­ duo, perdendo gli ormeggi, si ostinasse a perseguire una traiettoria mecca­ nica, ormai indipendente dall 'eterodirezione. Il fatto che ogni individuo si trovi, all'ultimo stadio dell'azione, di fronte alla sua risolutezza, lo rende consapevole di essere primitivo e inquietante fra i fantasmi dell'areopago civilizzato. La sottovalutazione dei proventi morali, legali, consuetudinari, è parte integrante di quella forza d'urto che lo induce a raccorciare i tempi della fìne. Il solipsismo vanifìca la responsabilizzazione collettiva. La diva­ gazione mentale degli autosequestratori è quella dell'eterno navigante, in preda ai marosi, lontano dai pontili d'attracco. Il rapporto di dipendenza viene meno a danno dell'ebricità dei sensi. La paura edipica responsabilizza autonomamente i fuggiaschi delle pe­ ne che comminano « disorganicamente » al prossimo, del quale riescono ad essere il bersaglio dei suoi fucili. L'ultimo aggregato alla brigata dei per­ denti è abbastanza vile per uccidersi; e in genere si raccomanda alla bontà (ritenuta ottusa) dei suoi prigioni. L' immunità, alla quale aspira, continua a essere di regime primordiale. Egli menziona la vergogna di sé come l'arma dell' equitas equinoziale, elaborata negli anni dalla civiltà latina alla cultu­ ra contemporanea. All a fìne del conflitto l'apparenza e la realtà si elidono reciprocamente. 99

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

Evidentemente, la vira è per

il combattente un valore vitale solo quando può bat­

Questa connessione forzata

è necessariamente in termini razionali senza uscita e

tere d'anticipo la morte e essere da questa radicalmente privata di ogn i valore ...

all 'entusiasta candidato alla morte, che continua a cavarsela e

a

restare in vita, non

resta nient 'altra scelta che esporsi sempre di nuovo alla morte•.

L'enfatizzazione del pericolo è il peristilio della morte, il luogo indiziano, nel quale recedere dai propri turbamenti e abbandonarsi al deliquio (co­ smico). Il verdetto della storia è disatteso. La sua incisività sarebbe palese nel caso di vittoria. Nell'eventualità della sconfitta è l'oblio a trarre e a va­ nificarc le conseguenze. Il timore ancestrale sorregge le arcate degli Inferi, dove l' interlocuzione è vietata e le anime non sono purganti, ma malefiche e oltraggiose. Il loro linguaggio continua a stravolgere la gestualità, che si complementa con il delirio supersonico del vento infuocato e riottoso. La voluttuosa scompostezza del Male è l'unica risorsa dci dannati, l'unico in­ cestuoso aggancio con la vivificante dinamica della superficie. La rabbia arride ai deliranti nelle tenebre dell' Occaso, delle visceri della Terra. L'o­ meostasi del piacere aggrava le istanze apocalittiche e vieta la beatitudine (cristiana) del castigo. Paradossalmente, nelle anime annientate dal Male, la nullificazione dell'esistente è, non solo inammissibile, ma anche impraticabile. Questa considerazione coincide, per converso, con l'ammissione del Bene, quale su­ premo protagonista della vicenda terrena dei mortali. Il Nulla esercita una forzosa attrattiva nei dannati giacché asseconda il loro proposito di scompa­ rire dalla scena della storia per avvincersi a un nuovo ciclo naturale, nel quale la « volontà di potenza » è angosciosamente permessa. La ripulsa per tutto quanto concerne l'equilibrio, la mediazione, la misura, genera una turbativa sensoria, che fa intrinsecamente giustizia del buon senso; del senso comune, dell'equità, della giustizia, dell'ordine costituito o da costituire, secondo le pretese di coesione, collaborazione, solidarietà sociali. L'inimicizia, un'en­ tità magmatica e malvagia, sopperisce alle esigenze della sopraffazione, fa­ cendo sprofondare i negatori dell'ordine costituito negli ambulacri o negli angiporti del potere tutorio. La tirannia è una sorta di apologetica dell' i­ nimicizia, rivolta verso i suoi fautori piuttosto che verso i suoi nemici, che rimangono tali e quindi, non condannabili, ma soverchiabili, estinguibili. La guerra è il correlato disposto della tirannia: virtualmente contro tut­ ti, strategicamente contro alcuni, considerati necessari e fraudolenti per le 4· lvi, pp. 88-9.

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L A F A N TA S M A G O R I A D I J U N G E R

sorti dell'attendibilità decisionistica. « La guerra perviene a essere missione dovere del singolo (dell'eroe), che ora deve procurare di interpretarsi come il piacere soggettivo della distruzione, ritrovandolo nella oggetti­ ositivo p va carneficina di massa ».1 L'epicità della distruzione s' intcrconnette con il delirio di quanti si considerano indiziati dalla sorte a concludere un ciclo vitale, senza peraltro individuarne uno suppletivo, complementare, sussidia­ rio. La distruzione non è quella di Pompei, ma quella delle rovine fumanti, non ancora « pulviscolate » in ceneri. Nella guerra, la menzogna è spcttralc, fa da barriera protettiva alle più cruente turpitudini, che si elidono recipro­ camente nel fendente organico dell'opacità mentale. Nei frangenti bellici, la fortuna di sopravvivere è una forma disumana di compenetrazione naturale, la proiezione del paranoidc inconscio collettivo. Il Bene c il Male sono co­ me divisi dal terrapieno dell'avventura, dell'azione pulsionale, che l'esercito degli insoddisfatti dcll 'esistente assimila al potere decisionale, alla sopraffa­ zione, al dominio. L'ebbrezza dell'eccesso costituisce l'unità di misura della lotta per l'acquisizione dello spazio vitale e delle sue apologetiche configura­ zioni. L'astrazione del soldato compendia - secondo Ernst )unger - quella del medico, con la differenza che la soggettività del primo si armonizza dif­ ficilmente con l'oggettività del secondo. Nella guerra, il legame con gli avve­ nimenti è mediato dalla fallacia, dall' introspezione inorgoglita artatamentc dalla mistificazione imperante. L' « allegria dei naufraghi » di Giuseppe Un­ garetti evoca lo stato d'animo di quanti, reduci da un conflitto, si inibiscono alla quotidianità, quasi fosse un angoscioso pericolo o, peggio ancora, una resa senza condizione secondo un ordine di fattori dispotico e tentacolarc. L'estetica della violenza s' identifica - per )unger - con 1' allegria della battaglia, con l'infausto tributo reso incondizionatamente all'orgoglio, al­ la virilità e alla vaghezza. L' intermcdiazionc della logica comportamentale è insidiata dal rigore totcmico, dalla pulsionc intestina, che sopravanza su tutte le altre (improbabili) considerazioni remissive. L'estetica della guer­ ra visualizza la forza espressiva dell'arte, dove le energie latenti della figu­ ra, della materia, mimetizzate nel colore, si palesano con lo struggimento della « comprensione » c l'accorgimento della filiazione. La contrazione dell' intimità della forza estetica consente di esorcizzare gli impulsi bellui­ ni e di attutirne gli effetti nostalgici nell'esperienza della quotidianità. La guerra ha un funzione didascalica - difforme quindi dalla espressione ar­ tistica - nel senso che evidenzia gli stadi delle pulsioni intestine, connessi compulsivamcnte con la creatività c l'annientamento. li profctismo bellico c:

S · lvi, p. 9 8.

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rianima le folgorazioni del remoto passato, quando l'egemonia della forza sembra essere definitivamente estranea alla gestione umana. Soltanto le vi­ cende del genere umano, nel corso dei millenni, hanno indotto a ritenere che l 'esulismo terreno comprende anche la libera determinazione dei suoi abitanti. La tendenza all'arcaismo si esplica nella guerra come una conno­ tazione degli esseri, indotti dal caso e dalla necessità a equipaggiarsi per irridere a ogni principio di equità e solidarietà. La sopraffazione è un detta­ to genetico, che la guerra ripristina nella contingenza, e che l'arte sublima n eli 'estraneità. La destrezza e la fatalità si eliminano reciprocamente in una danza sacrificale, che la cultura classica dedica ali ' ignominia degli dei. L'u­ manità è come irretita dali' idea che il suo fortilizio ideale non le apparten­ ga in quanto prevaricato dalle forze latenti nell'universo. L'apologetica della violenza è la irriverente sottomissione dei popoli pri­ mitivi alle divinità paniche. Il primitivismo è una categoria cognitiva degli esseri, che inaugurano il loro percorso conoscitivo a partire da un « inizio» , dal quale sono divisi da folate di tempo in un crogiuolo d i modi d'essere e di interagire sempre con lo stesso spazio. La ferialità degli « inizi » è comunque inibente per tutti i modernisti, che rifuggono da tutte le tentazioni consola­ torie per abbandonarsi tendenziosamente alle scelte limitrofe con la vaghez­ za, l'eventualità, il nulla. L'allucinazione si delinea così come un mezzo per accedere al conflitto come a un ordinamento generico, commisto con gli in­ tendimenti gestaltici. Tutto ciò che si prefigge esorcizzare il male consiste nel delirio d' impotenza dell'umanità. La temperie elementare - originaria - e quella sussidiaria - sublimata - si coniugano nell'esperienza della Grande Catena degli Esseri di Arthur O. Lovejoy. La guerra è la forma stentorea del cannibalismo, gravata da precetti moralistici, continuamente disattesi dagli stessi enunciatoci. L' ideale astratto continua a soggiogare le menti dei su­ perstiti di tutte le guerre, che però si attengono al verdetto della cronistoria, tutta coniugata nella logica del confronto, dello scontro, del sacrificio e del­ la riluttanza. Il male, tuttavia, non è soltanto un'ossessione, ma il riscontro che l'esperienza considera come ineludibile (seppure esecrabile). Il necessa­ rismo naturalistico comprende quest'attitudine dissociativa delle comunità umane, che paradossalmente traggono la loro ragion d'essere dal sortilegio dell' intesa (ideale) e dalla tendenza collaborazionistica, compensativa, com­ plementare, rispetto all'esiguità e alla imperfezione di ogni isolato contribu­ to rispetto all'evidenza e all' inesorabilità. La contraddizione consiste nel fatto che ogni individuo non rinuncia alla sua personale concezione delle cose, seppure nell'ambito della visione unitaria, prospertica dell'operatività, dell' imprenditorialità e della realiz1 0 1.

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z.azione oggettiva. Segno che nella natura profonda di ogni essere umano permane l 'esigenza di associare e di disgregare, per l'egocentrica soddisfa­ zione di contingentare l'opera individuale, il desiderio soggettivo, il fer­ vore esistenziale, il tenore ecumenico di fronte all'azione individuale, che opera sempre in aperta disamina con il milieu culturale, nel quale gravita. Sia a livello religioso (la Riforma), sia a livello scientifico (la Confutazione, la Falsificazione), la soggettività è intenzionata a dirimere i convincimenti generali nelle prove del fuoco dell'esperienza particolare. La stessa meto­ dologia scientifica contemporanea risponde alle esigenze settoriali, che si considerano tenute insieme da un ordine di natura trascendentale (mon­ dano). La fisicità si configura come un ordinamento autonomo (o comun­ que prevalentemente autonomo rispetto ai condizionamenti spirituali) al punto da rappresentarsi in termini computistici, quantitativi ( il prolunga­ mento statistico dell'esistenza terrena, quale « acconto» del tutto evidente rispetto alla congetturabile eternità). La fatalità del Male è un'acquisizione antica e permanente, che vilipen­ dia la credenza in Dio, nel Signore della luce e delle tenebre. L'immedesima­ zione degli spiriti maligni con la lotta per la sopravvivenza e per la selezione del genere umano è quanto risulta - laicamente - dagli accertamenti con­ dotti dalla scienza nel rapporto fra l'osservatore-perturbatore della natura e la natura così come «poeticamente » la si rappresenta. L'apologetica sal­ vinca e l'apodosi sacrifìcale delle generazioni inadeguate alla sopravvivenza sono i termini nei quali si svolge la disamina conoscitiva moderna e con­ temporanea. Nell'universo dogmatico, il dualismo Bene-Male si consolida nell'ecchimosi dello scontro frontale o subdolo fra i rispettivi sostenitori; nell'emisfero problematico, la pluralità delle congetture riduce il conflitto a continue pulsioni (di morte), senza conseguire, per pre-convinzione, alcu­ na rassegnata conclusione. La mancanza della rassegnazione comporta che la tensione vitale sia nella continua ricerca e nella permanente aspettativa di una soluzione consolatoria o approssimativa rispetto ai rischi calcolati di af­ fondare, con tutto l'annoso bagaglio di conoscenze, nell'oblio. Sull 'esempio di Edgar Allan Poe, si mostra che la reifìcazione del male - tanto come ftnomeno che come concetto - non è il risultato esclusivo e necessario di

un ' ossessione, che trova in esso inespresso godimento.

ta

Proprio perché Jiinger evi ­

di addentrarsi nell 'oscurità del proprio presupposto narrativo, lo innalza a co103

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stante non ulteriormente problematizzata che "divide� ora il male

defacto, ora il

concetto•.

La concezione del Male comporta dei distinguo per quanto concerne la sua fruizione, ma non la sua rappresentazione : questa esonera l' illusione dal farsi carico delle beatitudini extra-terrestri, degli assolati incontri migratori neli' Eden o nel Valallah. Il Male per il male è un irresistibile richiamo al cambiamento del mon­ do: è la drammatica maieutica socratica, esercitata fin dalla nascita nel va­ gito della natura, che comprende anche le concettualizzazioni, le argomen­ tazioni e le rappresentazioni. La presenza del Male nel mondo consente d' inventari are il risarcimento e quindi di dar corso pratico alla morale che, ispirandosi all'etica, convalida alcune regole di comportamento e vilipen­ dia alcune altre, non ritenute, queste ultime, utili ai fini del benessere col­ lettivo da conseguire come extrema ratio rispetto a tutte le altre concrete o illusorie eventualità. Il proibizionismo si dimostra storicamente costituirsi a incentivo della trasgressione. Il male perversamente perseguito è fonte di adesione se non addirittura di accettazione consuetudinaria. Il Decameron di Giovanni Boccaccio è in questo senso la prima silloge poetica del Male nella vicenda quotidiana, nei vizi e nelle virtù degli individui, intenzionati a godere e a sacrificarsi pur di trovare una risposta più o meno plausibile alle inquietudini esistenziali. La propensione per il Male è, oltre che gene­ tica, esperimentale, nel senso che soggiace a tutte le modificazioni tecnolo­ giche, realizzate per migliorare le condizioni oggettive. La frenetica parte­ cipazione al Bene nasconde il timore del Male, del sisma che può abbattersi sulle costruzioni umane. Il tornado è l 'azione della natura contraria alle prerogative della creatività planetaria. La sua luttuosa pervasività induce a convertire gli addentellati salvifici dell 'arte, della scienza c della tecnica, in strumenti di difesa contro gli attacchi - spesso imprevisti - del Male, tal­ volta con profili annichilanti c profetici rispetto alle reazioni dei sopravvis­ suti alle intemperanze della natura. L'attesa dei millenni non si placa nell' immortalità terrena: l'esulismo umano (in questa valle di lacrime) ammette, per converso, l'aggancio a uno strapotere rapsodico piuttosto che occasionale - quello del Male - che la­ scia intravedere una traiettoria indiziaria, seppure malefica, da contrapporre mentalmente a quella celestiale. L'infingardaggine umana è pertanto l 'alle­ ata concettuale di ogni rischio calcolato con la dissolutezza del fedifrago. I 6. lvi . p. 1 2 3.

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catecumeni del Male esorcizzano i l vittimismo, proponendosi a persecutori proverbiali (evocando fatti e aneddoti storicamente determinati) di quanti si dichiarano i depositari dei verdetti divini. L' intimità fa fatica a estraniarsi dalla propensione attuativa, dalla percezione che il Male sia l'altra faccia del­ la realtà, così come appare e si rappresenta mediante la destrezza dei mortali. Il Male intercetta tutte le perifrasi con le quali l'ambizione umana declama la sua versatilità e alimenta il proposito e il desiderio di rendere precipua l'interconnessione dell' indeterminatezza con la potenza suasiva di Dio. La ragione consente d'interloquire silenziosamente con i canoni stilistici, con­ fezionati dalla tradizione, perché gli individui accettino o dissentano cor­ responsabilmente dalle loro stesse formulazioni conoscitive. Le turbolenze naturali, che trovano il loro riflesso condizionato nei disordini politici e so­ ciali, sembrano essere le avvisaglie di una nuova forma di espressione della condizione umana. Metaforicamente, Eugenio Montale ritiene che la socie­ tà contemporanea cambia la pelle al ritmo percussore della musica evocativa c trascendentale, nelle occasioni più intriganti dell' interazione individuale, di gruppo, di settore. Gli altiforni di Tommaso Filippo Marinetti e le offici­ ne di montaggio sembrano i fori ideali ( i laboratori) del nuovo mondo, che ha difficoltà a estrinsecarsi per il timore ancestrale, del quale i probi e i re­ probi non riescono a fare astrazione. La risolutezza dei progressisti si misura dall 'arrendevolezza dei conservatori, che a tutta prima dimostrano di essere intransigenti di fronte al cambiamento soltanto per non contraddire la loro immagine (consolidata dalla tradizione e dall'uso talvolta implacabile che si è fatto in occasione degli impulsi innovatori delle avanguardie, delle mino­ ranze più o meno relative). L' idea, che si riflette nelle immagini, destinate a confluire nel pensiero, consiste nel rendere immediato e suadente il rapporto fra chi ascolta e chi esegue le raccomandazioni visive, auditive, psichedeliche. La scenografìa svolge un ruolo dogmatico, s' impone come il rcgesto delle illuminazioni trascendentali, e induce alla suggestione senza anagrammare la valutazio­ ne estetica e la strutturazione razionale. Il corpo c la mente ( il sangue e lo spirito) sono strettamente collegati in modo organico. La loro contrappo­ sizione è fìnzionica e inconcludente. Per questa ragione, le aspettative mes­ sianiche, se hanno senso, non possono estraniarsi dall'occasionalità con­ tingente e terrena. La « schiuma del tempo » feconda gli entusiasmi e li archivia nelle sue recondite sfaccettature. La sintomatologia dell 'evento è qualcosa di imprevedibile e imponderabile, anche se presagibile come un sisma, un tornado, un maremoto. L'eclisse lunare o solare è però prevedibi­ le nel concerto sistematico dell 'un iverso. La forza dionisiaca è la parte inteIOS

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grativa dell'esistenza problematica, dialettica, colloquiale. Essa inebria gli attori di una contesa senza ragione e senza fine. La validità dello scambio di idee è refrattaria a ogni dissolvenza che coincida nel dileggio. Il termi­ nale orgiastico è l'oblio. La contenzione non regge la pressione pneumati­ ca del pensiero agnostico. L' irripetibilità del confronto è la strategia con la quale s'impone la definitorietà delle imprese umane, si delinea per così dire il « finito » della condizione umana. Se il sentito e il pensato coinci­ dono non ci sono margini per il pensiero problematico, per la dialettica e il suffragio dilemmatico. Le « forme stilistiche della normalità » esonerano dall'eroismo e dal cambiamento, lasciando presagire l'efficacia di un certo ritualismo consuetudinario connesso con il cinismo, lo scetticismo e l'a­ gnosticismo, con attitudini del pensiero autolimitatrici. Il solipsismo è il fomite dell'anarchia massi va, di quel conglomerato d' interessi preclusi agli esseri dialoganti, che difficilmente convergono su alcune essenziali propo­ sizioni operative. La ragione di tutta questa distonia intellettuale e affettiva va ricercata nell'originaria destrezza dei singoli, impegnati a fronteggiare le asperità dell'esistenza e la rapsodicità della natura. L'esiguità soggettiva tende a garantirsi nell'onnipotenza oggettiva, nell' intento di propiziare, con la sua sopravvivenza, le « umili » ragioni che la rendono evidente. L'attendibilità di ogni postulato conoscitivo è dovuta al desiderio di sfuggire all' indifferenza e alla precarietà. La finitudine dell 'esperienza non comporta - almeno intellettualmente - la fine della ragion d'essere dell'e­ sistenza degli esseri e degli enti, che popolano la realtà, così come si confi­ gura nelle diverse epoche geologiche, ideologiche e concettuali. Lo stadio del dissolvimento dei valori è inteso come propedeutico alla requisitoria causistica, cioè alla riflessione sulle condizioni più opportune affinché il continuismo naturalistico si configuri come il risultato deU' adeguamento del pensiero alle evenienze, energeticamente indispensabili al suo dispie­ gamento dialettico e alla sua attualizzazione. Il nichilismo come risultato della capacità critica si evince dal riscontro oggettivo che ogni individuo nell'età tecnocratica paventa di eclissare nell'anonimato, che costituisce il fondamento dell'economia produttiva e distributiva, secondo l'ordine dei fattori, che corroborano l'equità e la solidarietà. « La fatalità storica vie­ ne unilateralmente addossata alle masse, e allora sono le masse, e non il filosofo, ad essere "entusiaste" del "Leviatano" (del niente) » 7• Il Leviata­ no è il potere della forza, che stabilisce i rapporti adeguati alla funziona­ lità dell'apparato nevralgico dello Stato-nazione, dell' idealità redimibile 7· lvi, p. 1 6 � .

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d a ogni compromissione storica, estemporanea, occasionaie . L'arroganza contrasta la perversione mediante le costrizioni radicali alla fedeltà degli ide ali, imposti come salvifìci e naturalisticamente inequivocabili. L' impe­ rio del sangue è una verità dissoluta, della quale gli assetti autoritari ricono­ scono e perpetuano l' ineludibilità. Il solipsismo sembra costituirsi a pro­ vincia pedagogica, a fortilizio degli impavidi e dei trasgressivi: nella sua onrologica committenza con la realtà si esonera dall'essere cointeressente con il profilo agnostico degli enti privi della parola e forse del ti m or panico. La volgare eteronomia è paradossalmente la disciplina adottata dalle strut­ ture autoritarie, capaci dell ' autoreferenzialità, perspicua al dileggio di ogni critica e di ogni alternativa, soltanto possibile nella comune esperienza so­ ciale. La liberazione dallo stato animale avviene mediante l'appagamento estetico, la fruizione di suggestioni (di emozioni) sussidiarie, sieroterapi­ che, rispetto a quelle naturali. La dialettica delle passioni è implacabile perché contrasta ogni forma di contenimento delle stesse, in vista di un più regolare {sistemico) ordina­ mento della vita comunitaria e legale. La «pulsione Iudica » , che concili la «pulsione naturale » e la «pulsione formale » , è un espediente concet­ tuale, destinato al fall i mento in quanto il gioco contiene in sé implicita l' inderogabilità delle sue leggi. La sua attrattiva, infatti, consiste nell 'essere un ordinamento compiuto, non destinato a ulteriori cambiamenti o mi­ glioramenti: questi ultimi sarebbero le norme vigenti in un nuovo sistema ludico. Il giuoco, infatti, per la poesia romantica, appare inesorabile come il lavoro, con in più che non consente remore, digressioni, distrazioni, mo­ difìcazioni sintattiche e procedurali. La convenzione è una silloge normati­ va, che ne esalta la fenomenologia rappresentativa e l'efficacia sensibile. La razionalità, semmai, è nell'apprendimento e nell'applicazione delle regole, che fanno del giuoco un divertimento (un viaggio nell' illusione). La cate­ goria estetica, che contraddistingue il giuoco, si avvale di una concezione antropologica affine o comunque impegnata a rendere coerente il proprio impegno con la (ambita) soddisfazione. Il « legislatore della natura » - se­ condo l'espressione di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno8 - è il sog­ getto dell 'azione, che improvvidamente scherza con la realtà, nell' intento di inventariarne aspetti, che ancora sfuggono alla logica conseguenziale. La moderna teoria dei giochi è una disciplina volta ad argomentare sulle diverse manifestazioni dell'evenienza, quale parte intrigante della fenome8. Max Horkhcimcr, Thcodor W. Adorno,

rino 1 9 67.

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Dialettica dell'Illuminismo,

Einaudi, To ·

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nologia naturalistica. n giuoco « abilita » alle apparenze, alle forme non ancora percepibili della realtà, causticamente pregnanti nella rilevazione razionale e nella correlazione logica. L'apparenza pertanto può rappresen­ tare quel « realismo eroico » di istanza jiingeriana, che consente alla realtà di modificarsi (straordinariamente o artificialmente). L'esegeta dell'occhio è Friedrich Schiller, che perfeziona fino alla sua sublimazione la pregnanza conoscitiva ed espressiva della vista, già attuata, con la prospettiva di Paolo Uccello e Piero della Francesca, dal Rinascimento. Fino all'avvento della realtà visivamente rappresentata dall 'epoca mo­ derna, il senso prevalente, da O mero in poi, è l'udito. Soltanto l' ampliamen­ to dell'area investigativa con l'utilizzo degli apparati amplificatori ( il can­ nocchiale) consente di formulare una nuova elegia dell'universo, che appa­ ghi la riflessione e la contemplazione, intese come due categorie indissolu­ bili e quindi complementari della condizione umana. Il compiacimento di agire stravagantemente (fascisticamente parlando, pericolosamente) è una forma di dandismo in sé inconcluso perché permeato da un'aspettativa mes­ sianica, di difficile affabulazione comportamentale. Le visioni esoteriche si riflettono in maniera particolare - talvolta distonica - rispetto al normale corso delle cose. L'approfondimento tematico di quanto si presagisce pos­ sa accadere è un'opera surrettizia, realizzata dai riformatori sociali, che da Simon Bolivar a Giuseppe Mazzini non possono fare a meno di invocare la « mano invisibile » di Adam Smith, cioè Dio. La superstizione di Stato declina così nel consociativismo, nell'accorgimento mediante il quale l' irri­ tualità espressiva si trasforma in condotta organizzata, legalmente costituita, creando quel dualismo kantiano, che concerne l' intimità (inviolabile) e l'e­ steriorità (relazionabile). L'aspetto più preoccupante del dandismo consiste nell' impartire l'assoluzione per un atto commesso senza che lo si sia confes­ sato. L'arroganza assume quelle forme civettuole, nelle quali si compendia il non-sense. L' irripetibilità di ogni buona azione ne sublima gli esiti, che il dandista sottovaluta per paterne schermare le cause determinanti. La noia e la malinconia lo affidano all' indifferenza per tutto ciò che circonda le per­ sone invaghite delle forme con le quali esigere dalla realtà un'adesione im­ propria e controvertibile. La santificazione dell'esteta consiste nel rendersi inqualificabile (nel bene e nel male). La radicalizzazione estetica impone la riflessione etica: il soggettivo aspetto esteriore s' interconnette con il convin­ cimento oggettivo (che può essere di adesione o di disapprovazione, a secon­ da dell'ermeneutica diffusa negli ambiti della cultura dominante).

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Heliop olis

La descrizione del mondo consiste quasi sempre nel rapporto fra il Bene e il Male. All a disciplina liberale fa riscontro, nella realtà moderna, l 'effi­ cienza meccanica; all'autorità, l'energia realizzatrice ; alla contemplazione, l'eversione. Il miles e il sacerdos s'interconnettono nella produzione, nel­ la mobilitazione della forza-lavoro, necessaria per artificializzare la realtà nel laboratorio, nella fabbrica, nell'acceleratore atomico. L' interregno fra l'organico e l ' inorganico, fra l'assoluto e il contingente, domina le atmo­ sfere recondite della condizione umana, dalle quali è come eterodiretta. La corresponsabilità surclassa l'individuale implicazione nelle scelte di fondo, quelle che, in apparenza, connotano le fasi epocali. Il visionarismo con­ valida il messianismo secondo una dimensione virtualmente repentina, ma effettivamente arcaica, consolidata. L'epopea dell'approssimazione si converte nella gestazione di una temperie dalle caratteristiche distinguibili per il grado di baluginazione che provocano in quanti le propiziano co­ me insondabili. La disciplina implica l'obbedienza, la confutazione - per converso - di ogni eventuale critica irresolutiva dell'adempimento pratico. La concretezza ha uno stile e perfino un'estetica, che non può soggiogare le « anime belle » , che sfugge alla valutazione del gusto soggettivo e del desiderio individuale. L'applicazione pratica comprende l'etica del lavoro, dell ' impegno e del tempo libero. La soddisfazione arride agli audaci, che prediligono il rischio calcolato o il servaggio travestito da tran-tran, da ca­ tena di montaggio, da kafkiana rimembranza di inutili raggiri e miraggi burocratici. L' inadempienza è un' infermità sociale, che non esonera nessu­ no dal dileggio, dal castigo, dali 'estraniazione. L'aristocrazia e la religiosità si compendiano nell'esercizio militare, nella combinazione fra attitudini consolatorie e spregiudicate reminiscenze totemiche. L' ideazione del ne­ mico (a parte le sofisticate elaborazioni di Cari Schmitt) è la fonte della creatività, il ricettacolo dell 'insoddisfazione originaria (elementare), che si addensa come una minaccia sull' improbabile ambientazione edenica. Lo 109

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scomro fra il Bene e il Male avvicenda le generazioni e le rende propedeu­ tiche al rinnovamemo e forse alla perperuazione. Le atmosfere recondi­ te dell' immaginazione e la prova del fuoco dell 'attualità inducono a cir­ costanziare la responsabilità di chi ritiene necessaria l'etica del comporta­ memo di frome ai fastigi del Male. Questa riflessione implica l' ingerenza o meno del disegno divino, che può essere tal m eme liberale da tollerare il suo comrario e che può anche configurarsi come la sfida proposta dalla stessa realtà naturale perché si cancelli la sordida reminiscenza degli « inizi » e si proceda a marce forzate verso una più complessa e angosciosa stagione degli esseri, naufragi in una fuga d'espiazione. L'era delle mediazioni im­ pone la riduttività onnicomprensiva delle istanze esistenziali. L'ancoraggio al prolungamento della vita è un monito fortuito, espresso inconsciamente dalle generazioni dolorami, che le pandemie decimano da sempre implaca­ bilmeme. Questa infernale contumelia con gli agemi patogeni - esaminati nella loro meccanica teleologia - induce i superstiti delle età antiche a ri­ fugiarsi nella scienza e ad agire nella tecnica per condizionare il corso della natura secondo le patemi prescrittività di quami s' imerrogano con sempre maggiore spregiudicatezza sulla redditività della fede in Dio. L' ideale borghese è in crisi perché non riesce a comemperare l'esigenza del conflitto (della concorrenza) con le buone maniere (con il pietismo). L' irriduttibilità degli impulsi predatori (p re semi sincopaticameme nel­ le pulsioni imestine) alle sublimazioni sociali (secondo la terminologia psicoanalitica di Sigmund Freud) determina le comraddizioni dell'epoca moderna, per un verso, irredimibile e, per un altro verso, remissiva sotto il profilo etico e comportamemale. Il mare, infatti, è l'elegia della vita: nel­ la sua opalescenza s' inabissano i pensieri che fanno riferimemo al remoto passato, all'alchemica ingerenza nella consapevolezza umana delle visioni, delle elucubrazioni mitiche, spettrali e consolatorie insieme, tendenti in ogni caso a precostituire il mllieu culturale, nel quale l'habitat assume le vestigia della risolutezza e della consociatività. «Nei giardini del mare si agitavano i fuchi crespati bruni e verdi e i ciuffi purpurei delle ninfee. La fine sabbia cristallina delle dune si sollevava come polvere » '. Il veliero, sul quale famastica Lucius, il protagonista di Heliopolis, è la metafora della re­ denzione di un'umanità angosciata sotto il profilo della consapevolezza e della responsabilità. 1. Emst Jiinger, Heliopolis, Rusconi, M ilano 1 9 7 2., p. 2.9.

I lO

HELIOPOLIS

L a disposizione alla solitudine, all 'ascolto s ilenzioso e alla tacita contemplazione in boschi profondi, lungo le rive del mare, sulle cime dei monti o sotto la volta

scellata del cielo, era una dote che gli infondeva, anzi, un senso di forza, anche se gli procurava un leggero velo di malinconia'.

La

diireriana malinconia è l' abbrivio del pensiero, che dilaziona i termini del confronto con l 'effettualità, per non incorrere nell' infausto tentativo di dare una ragione ( oltre che una causa ) agli accadimcnti, dci quali si par­ tecipa in contumacia. Il mare e il convento raffigurano i frangiflutti di un tumultuoso girovagare della fantasia ultimativa del credito e del discredito, che le intese fra i propri simili determinano con mercuriale invarianza. L'e­ gemonia del probabile influenza la corresponsione del navigante, che deli­ nea nelle onde le roccaforti della sua estemporanea salvezza. Il consigliere minerario descrive quelle impressioni soggette all'egemo­ nia delle forme, che appaiono alla vista, una volta che i colori, le atmosfere, gli stati d'an imo facciano riferimento alla loro energia rigenerativa: la luce. « Il cammino dei raggi è di una precisione spietata » 1• L'algida figurazione dello scenario naturale rispecchia la spregiudicatezza, con la quale l'osser­ vatore si propone, profìlatticamente, di perturbare gli aspetti visibili degli enti perché si evidenzino, sia pure flebilmente, quelli nascosti e silenti. Le Turres somniorum, cime aguzze del Caucaso, concorrono efficace­ mente alla fantasmagorica suggestione del paesaggio, nel quale lo sguar­ do s'addentra alla ricerca di un terminale o dell'angiporto di una nuova spettrografìa illusiva. L' impressione che il viaggiatore prova vagando con lo sguardo è quella di rivisitare inconsapevolmente una cosmogonia, tutta opalescenza. I colori intermedi, le brunite tonalità di superficie e le penom­ bre sono come sopravanzare dalla chiarità, dali'esito sconcertante del Sole. Così Fortunio - afferma il consigliere minerario - vedeva il bosco di cristallo come una corolla; vedeva le cime come androcei e ginecei rigonfi. E ritrovamenti magnifici arricchirono queste immagini. Perciò l'ascensione delle torri di smeral­ do e la profonda discesa nelle loro voragini devono essere descritte con le sue paro­

!t:: Fissai il mio quartiere ai piedi della Torre dei Principi Verdi, quella situata più a

sud ... Lo strapiombo della parete di cristallo formava pareti squadrate e gradini, ed era tale da ricordare i tocalli dell 'antico Messico•.

2.. lvi , p. 30.

3 · lvi , p. 3 8 . 4 · lvi, p. 4 0.

III

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All ' interno delle Torri Verdi la meraviglia si strugge contro il senso comu­ ne: il viaggiatore cerca di far corrispondere all'esaltata esperienza pregressa il sortilegio dell'attualità. « Le uova di draghi, di grifi e di esseri acquatici coronati di schiuma grondano di fuoco, di un fuoco che illumina più for­ temente di quanto illumini il giorno con la sua luce » 1• Le gemme della terra testimoniano di tempi remoti, nei quali le loro componenti inorga­ niche sono fra loro, prima dissociate, e poi coese, secondo il pulviscolare verdetto della luce. La loro esposizione nelle dita dei prelati, dei re e delle dame di lignaggio è come una violazione dell' intima consistenza energeti­ ca. L' incommensurabilità delle combinazioni inorganiche conferisce agli esiti finali un grado di suggestione che si apparenta - per amica combina­ zione - alla malia. Le riflessioni, contenute in un memorandum, fanno par­ te degli appunti di viaggio di un osservatore del suo intorno, che ambisce utilizzare le esperienze compiute da sedentario in navigazione nelle sugge­ stioni del propulsore dinamico. Nelle conversazioni di Ordii e Thomas, il fortilizio (l' isola) di La cer­ tosa è un ambiente profondamente influenzato dall'acqua e dalla brezza marine. L' isola si staglia nel cielo come il primo quarto di luna. Il dio Sole la illustra all'immaginario osservatore che s'avventura da lontano. Le sacer­ dotesse di questo sito quotidiano sono le donne che, per i sentieri e le forre che attraversano l' isola, ostentano la loro devozione, sottesa da una spre­ giudicata aspettativa di benessere. Gli dei sono, come gli oracoli, gli ese­ geti del calcolo differenziale : quanto è necessario sacrificare in loro onore affinché la loro mercede assicuri contingenti benefici ai mortali. Del resto, anche la libera determinazione dei singoli individui è carica di convenzio­ ni. La storia, ricca di circostanze, è il racconto che il genere umano si fa alla ricerca di una coerenza che lo assolva dallo sgomento e lo salvi (almeno in apparenza) dal naufragio (mentale). « Dalla Grecia viene anche la soprav­ valutazione della libera ricerca, cioè del piacere dello spirito, ciò che sfo­ cia necessariamente nell'anarchia » 6• L'archeologia, infatti, è il regesto del­ la storia, che consente di irretire l' immaginazione mediante la razionalità nella sua sistematica correlazione. Il radiotelefono, una volta introdotto e utilizzato nell' isola dall'aspetto remoto, avrà ragione delle superstizioni e degli incantesimi, ai quali gli abitanti ricorrono in attesa di un segnale da parte della natura che li salvi dall' innocenza ferina. S· lvi, p. +3· 6. lvi, p .

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L a tecnica contrasta l a superstizione i n quanto coinvolge gli attori che l'adoperano come se fossero nel primo giorno della creazione e dispones­ sero di un'arma della conoscenza identica a quella adeguata per penetrare nei recessi della natura. L'onnipresenza, assicurata dai radiotelefoni, com­ pete, sia pure per flebili parvenze, con il Verbo divino, con la potestà della parola, che coinvolge nello stesso precetto ecumenico gli esseri viventi del presente e le archeologiche testimonianze del passato. La tensione interiore salvaguarda la pace (la tregua fra le opposte fazioni, che da sempre caratte­ rizzano il pianeta nell' intento di esorcizzare la condanna e di attuare l'e­ spiazione gravanti sul genere umano, costantemente in bilico fra l' immo­ bilismo e l' imperiosità conflittuale). Le Esperidi sono la metafora dell ' in­ nocenza e della perdizione mentale. Esse non sono un luogo, ma un tramite da una condizione di status a un'altra, senza che v' intercorra fra l'uno e l'altro alcuna causa. La loro irreperibilità nel pianeta è notoriamente osta­ colata dalla fantasia, che rende possibile un'esperienza fuori dai consueti condotti interindividuali e oggettivi. Nella nave ( « Segnale azzurro» ) che porta a e riporta dalle Esperidi, gli individui, infatti, sono in incognito. Essi agiscono nelle impalpabili mediazioni di un comandante e di un equipag­ gio, che, come negli scenari di Bruegel il Vecchio, si defìlano in una sorta di coro illusivo di presenze amicali ed edificanti. Tutti sembrano concorrere a evidenziare l'euritmia, l'organizzazione di un compito trascendentale l'u­ mana rassegnazione. Al di là delle Esperidi erano i regni evanescenti, le terre meravigliose non domina­ te da alcuna tecnica. Là scaturivano le sorgenti della ricchezza, della potenza, di una scienza m isteriosa. Là confluivano uomini da ogni parte, come verso l' Eldo­

rado del Nuovo Mondo·.

Il Nuovo Mondo è il prodigio della scienza, incarnato nell' impresa di un visionario, di un navigante, di un tutore di un ordine, che comprenda indi­ stintamente l'esistente nelle sue variabili confìgurative ed espressive. L' im­ minenza di una rinnovata consapevolezza mondana inaugura il percorso della modernità, effigiata con maggiore iattanza dalla ragione e dalle pul­ sioni liberatorie di pesi angosciosi, arcaici, che risalgono ai primi vagiti dell'uomo al cospetto della fantasmagoria cosmica. La libertà individuale si amplia con la spazialità, con l'allargamento della linea dell 'orizzonte, descritto e solcato dalle caravelle del navigatore 7· lvi, p. SS·

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genovese e dei suoi esegeti. Didascalicamente, la Terra dei Castelli ospita i biondi Sasso n i e i bruni Franchi. Lucius, il protagonista di questo racconto, ha il sangue di questi due popoli. n meticciato rassicura sulla tenuta della pace, dell'equilibrio fra i fattori che, irrompendo nello scenario della storia, tendono a distinguersi e a ritenere la rispettiva identità il sintomo di una « naturale » discordia, il punctum dolens di un' inevitabile controversia an­ tropologica. Le relazioni fra Lucius e i Mauretani sono tali da garantire cu­ riosità se non l' intesa fra le diverse componenti della configurazione uma­ na nell'epoca della tecnologia e dell'uniformità dei desideri, dei propositi e delle azioni. Il compiacimento soggioga la compassione c rende perentoria l'esiguità come parte integrante della conoscenza generale, pensata e deli­ neata in progress. Il « benessere araldico » e l'assenza della penombra desi­ gnano un microcosmo propedeutico di un possibile ampliamento a bene­ ficio dell'armonizzazione degli apporti multietnici c plurilinguistici, quale prospezione dell'epoca delle rivoluzioni scientifiche, delle acquisizioni co­ noscitive di rilievo generalizzante. L' Ufficio di Coordinamento si avvale delle rilevazioni statistiche per calcolare il regime di propulsione creativa e attuativa degli individui, che danno vita a un sistema coesivo a carattere legale. I beneficiari e gli utilizzatori dell' Ufficio di Coordinamento sono il podestà e il proconsole, due figure simmetriche, destinate a conflagrare fra loro, non tanto in ragione della rispettiva posizione gerarchica, quan­ to piuttosto per il grado d' interazione funzionale. Il buon tempo antico è quello di Fieschi, quando sparò contro Luigi Filippo. Il fratricidio è sempre all'origine di una « svolta » di civiltà, intesa nella comune accezione come una stagione del comportamento conforme a un livello della conoscenza, connesso, a sua volta, con la scoperta e l ' impiego di uno strumento, di un oggetto, di un elemento sintetizzato in laboratorio c reso fruibile dali' ap­ parato produttivo c diffusionalc del mercato. Lucius si curva a vedere le onde che « ci hanno formati » . Dal ritorno dalle Esperidi, l 'approdo a Heliopolis si esplica nella contemplazione delle specie marine. L'attracco al porto della realtà sembra dissolvere l' incantesi­ mo della crociera. Le vegetazioni, che s'intravedono nello sfondo perlaceo dci sedimenti sempre meno profondi del mare, tànno pensare all 'universo liquido del remoto passato, che fluisce ormai nel pensiero come un memo­ randum per le generazioni, impegnate a rinnovare il tempo recondito nel­ la quotidiana contingenza. Gli scogli del Castello sono il terminale della peregrinazione, gli angiporti di una nuova stagione di entusiasmi e di de­ pressioni, secondo il corso forzoso dci pensieri di quanti si concedono all 'e­ sperienza collettiva e all a forma (redimibile) della rigcnerazione. La far114

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cezza, con i segni visibili d i un non recente furore iconoclasta, costituisce il contrafforte di un insediamento di pirati o di tiranni, che si sottraggono al dileggio dei ben pensanti e pregiudicano ogni tentativo di legittimare il comportamento illegalmente appoderativo in un'epoca nella quale la pro­ prietà assume connotazioni ereticali. L' ingresso a Heliopolis ha l'aspetto di un presagio: sulla riva, appena abrasa dal mare, giacciono le spoglie di un uomo, violate dagli uccelli predatori e dai vermi. Una sorta di capo della polizia, Messer Grande, ammette l'opportunità di sconcertare in sul nasce­ re l'affettività di quanti si addentrano nella città. L'esordio di Heliopolis è lo sconcerto, che i visitatori provano di fronte alla dissacrazione del corpo umano, mentre aleggia nella suggestione collettiva una copiosa connota­ zione dell'anima. La stranezza delle circostanze impone che l'anima del morto sia « visibile » nell' immaginazione dei sopravvissuti, che scendo­ no inconsapevoli dalla nave, reduci da un viaggio nelle Esperidi. L' aldiquà sembra frangersi immaginifìcamente nell'aldilà, che costituisce il bastione delle imprese mentali dei mortali dopo aver escogitato ogni soluzione pos­ sibile per migliorare le condizioni oggettive e i rapporti che intercorrono fra le componenti organiche degli assetti istituzionali. Il pettegolezzo malevolo e l'esercizio del potere sembrano estraniarsi dalle inquietudini esistenziali, che non smettono di influenzare la vicen­ da dei mortali. Il gossip è una forma in apparenza accattivante ma in effetti dissolutoria dei connotati organici, che concorrono a delineare il costume c il senso comune (sia pure alterato nelle estrinsecazioni canore o figurati­ ve). L'estemporaneità è la connotazione più inquietante della presa in giro, che a suo modo è l ' indizio di un'altra versione del mondo, più tartufesca c ricreativa. Quando la satira circoncide il ludibrio degli infìngimenti col­ lettivi, la violenza affiora camuffata da sortilegio. In effetti, tutto ciò che soggiace a critiche è foriero di irritualità, se non addirittura d' illegalità. La tonte del sospetto è la recrudescenza dei reprobi o il silenzio dell' autocriti­ ca da parte dei riformatori sociali e dei tutori dell'ordine costituito. La sati­ ra è l' intrattenimento dei deboli, di coloro che si accorgono di essere presi in giro dalle circostanze e che non dispongono d'altro per difendersi se non delle allegre lamentazioni e delle represse recriminazioni. L' ideale orgiasti­ co del potere è vilipeso con garbo dalla satira e, negli ambiti anglosassoni, dall ' ironia (considerata una maldestra concezione del mondo in termini di assuefazione al male). La caustica denunzia dell' invidia sociale ha una fun­ zione deterrente, serve per evitare o attutire la disamina ideologica e conte­ stualmente l'impropria c incquanimc gestione della cosa pubblica. Il bene collettivo non può che essere al riparo dell'egoismo individuale, che pure fa 115

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parte della tenuta del sistema legale. L' idealità è un quotidiano esercizio di autocommiserazione, nel senso della inadeguatezza soggettiva a far fronte a tutte le esigenze e alle attitudini di ordine generale. Il disordine nel quartiere dei Parsi offre il pretesto al potere centrale di intervenire con la forza per ristabilire, sia pure più in apparenza che in realtà, l'ordine costituito. Il terrore rende refrattari all' instaurazione della legalità anche coloro che non condividono né l' insurrezione né la restaura­ zione nei termini sacrificali, con i quali sono determinate dalle circostanze cosiddette oggettive. « Per il podestà, i Parsi erano quindi legati al capitale così come prima lo furono gli Ebrei per i prìncipi. Il podestà li spremeva come spugne » 8• L'aumento del potere è inversamente proporzionale alla diminuzione della sua legittimità. La forza ristabilisce le condizioni di ne­ cessità e di pericolo, forzosamente immesse nel dibattito pubblico per evi­ tare la disfunzione sociale. Il rifugio nell'oppio è la consuetudine degli op­ pressi, di coloro che si considerano esclusi dai calcoli collettivi, dalle visioni comunitarie e solidaristiche. L'estrema soggettività confina con l'estrania­ zione. Lo stato d'allarme è la condizione ottimale del potere, che ambisce dirimere le controversie piuttosto che evitarne la formazione. Lucius co­ munque considera la prudenza l'arma indispensabile per aver ragione di ogni controversia in grado di infierire dei colpi bassi al potere costituito. Il Capo, che riceve Lucius nel Palazzo, dirige gli affari del proconsole senza ostentare alcuna tensione. « Genio è lavoro» è la frase preferita dal Capo, che indulge sulle debolezze umane per enfatizzare la capacità di contener­ ne gli effetti devastanti per la coesione istituzionale. L'errore è preferibile all'omissione: il primo denota l ' interesse pubblico per un fenomeno socia­ le; la seconda ha una connotazione catartica, serve per celare un impegno che si sarebbe dovuto verificare con tempismo ed efficacia. «Egli dava va­ lore alla conoscenza plastica delle forze e alle facoltà intuitive » 9• La sua determinazione gli consente di fronteggiare gli intrighi, che serpeggiano nella burocrazia, che considera una necessaria condanna per tutte le orga­ nizzazioni sistemiche e legali. La sicurezza generale consiste nel dirimere i focolai di intemperanza, ma anche di sanzionare quanti si ostinano a fo­ mentare i disordini per il solo gusto di mettere in difficoltà gli organi co­ stituiti. La debilitazione della potestas va a vantaggio del!' auctoritas, che s'i­ dentifica con le risorse del ragionamento e del convincimento collettivi, sui quali peraltro si fonda il consenso c si estrinseca la legittimità istituzionale. 8. lvi, p. 8 6. 9· lvi. p. 1 0 1 .

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Naturalmente è fallace sostenere che la rettitudine è il privilegio d i pochi. Al contrario, il normale corso della socialità si basa sul diffuso senso della co ncordia e delle condivise valutazioni dei diritti e degli oneri collettivi. L'effetto catodico di ogni edificio celebra in maniera esplicita o an­ fizionica la luce. Il portento dell'energia, che anima l'universo, si riflet­ te nell'ammirazione degli esseri viventi, che ne riconoscono la funzione c quindi l' indispensabilità. Ogni costruzione si orienta nelle traiettorie della luce, che a Heliopolis trova il suo zenit nella stessa fondazione della città-stato, dell'ordinamento che, secondo Aristotele, è una « mutazione genetica » rispetto all'orda, alla tribù, alla famiglia e alle sue molteplici as­ sociazioni (da quelle achee a quelle etnicamente commisurate con la loro influenza nella politica moderna e contemporanea). Gli interpreti del rag­ gio di diffusione della luce sono i personaggi come Serner, eternamente distratto, coinvolto in un lungo monologo interiore. « Quanto a Serner, egli doveva esaminare la zona spirituale nella quale avvenivano i fenomeni. Questo era il suo compito » '0• Ortner, l ' « Omero di Heliopolis » , è noto per le sue poesie cosmiche, capaci di ispirare una concezione anarchica (si direbbe più appropriatamente epicurea e stoica). La sua visione della realtà vorrebbe sintonizzarsi con la dinamica dell'universo e vanificare così ogni dilemmatica elucubrazione sui confini della scienza e sulle sue definizioni teoriche e sui suoi ritrovati pratici. La concretezza del vivere civile è una forma dell'attendismo cosmico, caratterizzato dallo sgomento (kantiano) e dall' abbrivio intellettuale. La vastità della visione esemplifica la cosmo­ logia. La parcellizzazione del sapere complica la tensione conoscitiva, ma migliora la vicenda applicativa, surrettizia, composta dai ritrovati della tec­ nologia. La convinzione del proconsole consiste nel ritenere la poesia pro­ pedeutica all'attuazione politica. Nella poetica classica, omerica, la pace sociale si sconta combattendo contro il vilipendio e il pregiudizio. Quan­ do gli evasori della morale corrente vengono sgominati dalla vergogna col­ lettiva, la stagione comunitaria assume le caratteristiche pacifiche ed edi­ ficanti. La concettualizzazione dell 'espressione, e quindi la diagnosi della pertinenza grammaticale delle parole affinché abbiano un senso (peraltro in continua evoluzione), inducono a ritenere la logica conoscitiva come il deterrente oggettuale, del quale sarebbe improvvido fare astrazione. La linguistica pertanto non può limitarsi alla descrizione dell'uso delle parole senza giustificarne il senso recondito c quello esplicito, sorretto dalle mo­ de, dalle forme rappresentative della conoscenza. La ricerca del colore è 10. lvi, p. 1 :!.3 .

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analoga a quella della parola, che consente di trasferire sulla tela un « atto primitivo » come la trasfusione di sangue. La parola sintetizza l'espressio­ ne, tende a raccordare, come nella preghiera, il gesto della destra con quello della sinistra, in altri termini ad abbracciare simbolicamente l' infinito. La simmetria è lo specchio della volontà bifronte : la positiva visione delle cose e la negativa, la struttura rigenerativa e la struttura degenerativa (così come si ipotizza nella fisica delle alte tensioni e dei raccordi interstellari). La profezia è implicita nella poesia, anche quando si riferisce agli even­ ti della contemporaneità. La sua consistenza evocativa si esplica nelle pa­ role, che assumono le variabili indicative del suo costrutto interiore, della sua struttura come a scisti montani. Tutte le declinazioni delle parole sot­ tintendono la loro versatilità secondo un modello (una struttura ideale), platonicamente contratto dal tempo e quindi di rilievo pneumatico (im­ maginario). Questo criterio trova nella sua formulazione estrema il mono­ antropismo, la dottrina secondo la quale l'umanità sarebbe il riflesso di un solo uomo, di un modello modificato dalla vulgata del tempo. Il connota­ to antropologico più inquietante è pertanto il desiderio, la propensione al cambiamento di status pur sapendo che il compendio dell'esperienza ter­ rena è ineluttabile ed egalitario. La terra sembra vanificare le diversità e annullare le differenze, che pure si ostinano a redigere cogiti estemporanei nelle diverse combinazioni di status, secondo la ragion d'essere del mondo così come si manifesta nella quotidiana e farraginosa esperienza. Ne consegue - sostiene Sterner - che chi vuole divenire partecipe della felicità, deve prima chiudere la porta dei desideri. In questo le prescrizioni sono tutte d' ac­ cordo come le varianti di un testo rivelato : i libri sacri, le regole degli antichi saggi di Oriente e di Occidente, gli insegnamenti della stoà e dei buddisti, gli scritti dei monaci e dei mistici".

La vicenda umana si evidenzia nel modo con il quale scansa il dolore, che non s' identifica con la sofferenza. Il dolore magnifica l' ingiunzione divi­ na, diretta a salvaguardare lo spirito del mondo; la sofferenza è l'atteggia­ mento con il quale il genere umano smaltisce la condanna della « caduta » dall' Empireo nella (pur gloriosa) valle di lagrime. La semplicità adombra la felicità per il fatto che non coinvolge nella sua apodosi appositiva alcuna concezione soprannaturale. Paradossalmente, la semplicità è la condizio­ ne vitale meno prossima a quella « naturale » , nel senso che appare priva 1 1 . lvi, p. 1 3 3·

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di quei tumulti interiori, d i quelle tensioni intellettuali, nei quali risiede il significato nascosto e tuttavia persistente dell'esistenza. L'ozio è la condi­ zione spettrale della riflessione e l'aspetto falsamente maieutico della con­ templazione. Di fatto, il pensiero è un atto concitato, che ha bisogno di un grado di esplicazione affinché sia convalidato dali'esperienza. Il lavoro è la ricompensa di quanti non si chiedono quando avrà fine la loro vicenda e in qual modo si consegnerà al ricordo di qualcuno o alla memoria collettiva. L'entroterra del ricordo è l'acquisizione che gli individui riescono a esco­ gitare durante le peripezie terrene, senza congestionare il corso delle cose così come si estrinseca da plenilunio a plenilunio. I pensieri, infatti, « non sono altro che azioni della materia » '". L'espressione è la rappresentazione scenica del pensiero. Per questa ragione, gli strumenti formali (simbolici, materici) della rappresentazione sono convenzionali, appartengono cioè al consolidato patrimonio conoscitivo, per il quale si addice il commento piuttosto che la critica o la confutazione. La vulnerabilità delle accezioni conoscitive dipende dali' atteggiamento assunto dai loro esegeti e dai loro fruitori. L'empatia, la simpatia, le goethiane affinità elettive concorrono a delineare un universo, nel quale il pericolo della vaghezza sia condiviso dal­ le generazioni, che ne insidiano, con la loro stessa presenza, la plausibilità. Il potere ostacola il libero corso del pensiero e preclude a chi lo possie­ de una serie di liberalità, negate peraltro agli altri. Il potere ha una forza ac­ cattivante, che non può essere disattesa senza conflagrare nella turpitudine. «Questa è forse la ragione per cui uomini che si sono acquistati la potenza ill i mitata dei Cesari si danno al delitto. La terra si trasforma in una com­ media, in un circo» 'l. La potenza del denaro si scambia con la voluttà, con la condiscendenza dell'eros. Paradossalmente, quanto maggiore è il potere contrattuale, tanto minore è la presa di coscienza da parte di chi utilizza le sue risorse concrete per sublimarle in aspettative spirituali, in congetture affettive. L' inganno, anzi l'autoinganno, è il prezzo che il padrone delle fer­ riere paga vicino al talamo. Il suo rigore di pratico attuatore si declina nel timor panico, contro il quale la ferrea determinazione vale poco o niente. L' infantilismo supplisce le sconvenienti manifestazioni d' inadeguatezza. Il piacere attenua la sua morsa emotiva quando è pienamente soddisfatto. Affinché possa percepire l' illusorio, è necessario che non si appaghi, che continui a vibrare fendenti contro il destino cinico e baro. Per un baro o un ladro come Ortner, la libertà si misura dal volume delle autocostrizioni. 12.. lvi, p. 143· 13. lvi, p. 158.

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L' interiorizzazione del Male sconfina con la codificazione del Bene. L'au­ togratificazione consiste nelle rinunzie a tutto ciò che si può conseguire fa­ cilmente. La disponibilità di disporre diventa così il limite invalicabile del­ la vanagloria e del compromesso. La presenza inquietante di una persona bisognosa d'aiuto amplia le facoltà inibitorie del ladro e del baro, di colui che si addossa tutte le colpe della condizione umana pur di delineare una via di scampo verso la sua stessa beatificazione. La sobrietà scherma il lusso, che colpirebbe il prossimo in forma caricaturale. La perversità consiste nel rendersi felicemente responsabile di uno stato di grazia, di una beatitudine domestica, sentimentale, senza spargimento di lagrime e sangue. L'omeo­ stasi della contentezza si evince da un grado di felicità, apparentemente anagrammato nella quotidiana committenza con il prossimo. Lo sfarzo è la farraginosa esposizione del demone dell'appropriazione. Il suo antidoto è l'approssimazione, la quotidiana tendenza a sopravvivere contingentando il piacere di esistere, di pensare e di soffrire. L'aspettativa salvifica è nella simulazione del calcolo infinitesimale, mediante il quale l'esiguità dell 'esi­ stenza si atomizza negli attimi infinitesimi, che la compongono. La terra di nessuno è la destinazione finale, sia dei probi, sia dei reprobi: la comunan­ za delle istanze ultimative rende incoercibile il Male a tutto vantaggio del Bene, che lo trascende senza contrastarlo e senza apertamente condannarlo come innecessario piuttosto che come spregevole. L'estrema naturalezza coincide con l'anarchia. La libertà di agire senza regole è la stessa della quale « originariamente » si presume abbia benefica­ to il genere umano, impegnato in una lotta senza quartiere con la natura. La disposizione d'animo degli esseri viventi nei riguardi della creazione è mitigata dali' uso degli strumenti, con i mezzi con i quali è possibile turbare la natura e ottenere delle risposte provvidenziali ai fini del miglioramento delle condizioni oggettive. La perfezione dell'uomo e la perfezione della tecnica, che nel dibattito ali' interno dello Stato Maggiore di Heliopolis sembrano distonici, in effetti sono sintonici, concorrono a redimere il ge­ nere umano dalla schiavitù del lavoro e dalla sofferenza. Il rendimento so­ ciale è la misura del successo della sintonizzazione dei propositi umani e delle loro pratiche configurazioni. L'arte poetica e l'arte della rappresenta­ zione conferiscono all' immaginazione l'aspetto di un microcosmo a misu­ ra della perpetuità, in diretta concorrenza con il macrocosmo di pertinenza investigativa, propedeutica alla conservazione o alla dispersione dell 'ener­ gia, secondo le previsioni dell 'osservatore-perturbatore della natura, artifi­ cialmente compromessa dali ' ingiunzione umana. La tenuta di ogni assetto istituzionale è assicurata dal denaro. Le risorse monetarie sono l'enfiteusi 12. 0

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dell ' immaginazione: con il denaro si può comprare l'esistente e si possono organizzare le strutture necessarie per produrre l 'esistibile. « Su base au­ rea venivano conclusi gli affari mobiliari e immobiliari; l'oro costituiva la norma per tutto ciò che è un bene. La valuta progressiva, invece, serviva da stimolo: alla sua base erano i rendimenti » '•. La moneta, non ancora elaborata in pezzi esigibili nel mercato, è data dall'uranio, dal potenziale uranico, annidato nelle visceri della terra e utilizzabile come fonte di ener­ gia. La conversione in luce, forza, calore, dell'uranio consente un nuovo corso delle relazioni umane, fondato su un tipo di moneta, complemen­ tare o sostitutiva di quella aurea. « In questa maniera la compagine eco­ nomica dimostrava, secondo l 'angolo visuale dal quale si voleva osservare, un carattere assolutamente definito dal punto di vista statale o liberale » '5• L'economia monetaria anima il mercato, destinato a essere condizionato dall'economia finanziaria, dall'economia che definisce il denaro una mer­ ce. Mentre l'economia monetaria riconosce nell' impresa il fattore, il pro­ duttore di beni, l'economia finanziaria ritiene essere il denaro un prodotto o meglio il prodotto per eccellenza, perché può trasformarsi in una plura­ lità di prodotti. L'accumulazione, propedeutica all'economia monetaria, è parte costitutiva e preliminare dell'economia finanziaria: mentre la prima riguarda le modalità con le quali è possibile conseguire l'accumulazione ( il lavoro, il risparmio); la seconda dà per scontato che si verifichi una conver­ genza di risorse monetarie in un istituto, in un ente, in grado di investirle nei mercati, che assicurano sempre maggiori profitti. Le modalità, con le quali si effettua l'accumulazione finanziaria, sono più sommarie, nel senso che la provenienza può essere o può assumere configurazioni legali sen­ za che le provi effettivamente. Le dottrine economiche, che disciplinano l'una e l'altra organizzazione e finalizzazione dd denaro, sono espressione dell 'ordinamento politico. L'economia monetaria è regolata dal mercato; l'economia finanziaria interviene nel mercato per finalità che non sono ne­ cessariamente connesse con le concezioni politiche in vigore. Nelle società controllate dallo Stato, il rendimento è pubblico; nelle società a trattamento privato, il profitto è di quanti intervengono nell' at­ tivazione dell'apparato produttivo. L'intervento dello Stato, alle origini, si è determinato mediante una sorta di mobilitazione para-militare, ritenu­ ta necessaria per trasformare l'economia agraria nell'economia industriale. La fabbrica è il laboratorio delle masse. II futurismo di Filippo Tomrnaso '4· lvi, p. 1 9 8. 15. lvi, p. 1 99 .

l :Z. I

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Marinetti, a parte la morte del chiaro di luna e le parole in libertà, esalta le scintille delle fornaci e annunzia il declino e la fine dell 'antica concezione del lavoro (rappresentato esteticamente nei musei), fondato sul rapporto diretto fra l 'immagine da realizzare e il braccio e le mani che la vivifica­ no. Nella realtà industriale, la produzione in serie celebra l'oggetto come il risultato della tecnica. L'artificio è il traguardo più all'avanguardia della creatività dell'uomo moderno. Le dottrine sociali e la letteratura popolare (in primis quella inglese con E le stelle stanno a guardare di Archibald Jo­ seph Cronin) denunziano, non soltanto lo sfruttamento dei minori e delle donne, soprattutto dei minatori, costretti a non vedere mai la luce del Sole, ma anche l'estraneità, alla quale sono indotti coloro che sono inseriti nella catena di montaggio come l'ornino di Tempi moderni di Charlie Chaplin. La perdita dell' identità individuale egemonizza il circuito produttivo in modo da garantire la cosificazione dell' impresa umana, in grado a sua volta di animare il mercato, inteso come un ring, nel quale la concorrenza miete lutti oltre che sancire vittorie, secondo un codice di comportamento pre­ ventivamente considerato legale. li fuoco, elegiacamente evocato dai Greci agli esordi della ftlosofia occidentale, si dichiara il depositario del processo di trasformazione degli elementi, che possono concorrere, secondo un'abi­ le strategia conoscitiva del loro potenziale destrutturato e riconvertito in altro-da-sé, alla promozione dei consumi tradizionali o di quelli anfizio­ nici, che hanno la caratteristica di eguagliare quanto più possibile il gene­ re umano, indipendentemente dalle circostanze che lo caratterizzano nelle diverse regioni del pianeta. La lotta per l 'esistenza assume connotazioni temporali e sempre più estranee ali' affiato della trascendenza. La morte, infatti, a Heliopolis ha un aspetto ultimativo, che contraddistingue le gene­ razioni impegnate a preservare il più possibile il loro potenziale inventivo, ritenendolo l'un ico dono della provvidenza, sul quale fare affidamento e con il quale consegnarsi al tempo, inteso platonicamente come l' immagine mobile dell'eternità. I cimiteri di Heliopolis sono un insieme di sale dalle volte somiglianti « a una gigantesca biblioteca di pietra » : « Ma soltanto i titoli erano illuminati. Dietro riposavano i libri della vita, dimenticati per il tempo ma conservati per l'eternità » '6• Anche il Pantheon delle celebrità sembra sonnecchiare nella penombra, come un ricordo destinato a eclissar­ si nell'oblio. L' Heroon è l'area dei monumenti funebri dedicati ai guerrieri, alle persone morte a causa dei disastri naturali, degli incendi e delle mareg­ giate. La parte più inquietante di questa suddivisione per attitudini piutto16.

lvi, p. 101.

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sto che per ceti è caratterizzata dalla causa originaria dei disastri: il panico è come manierato nelle statue e nei trofei a futura memoria. L' impressione generale - ma superficiale - è che le masse preferiscano l' infelicità, soprattutto quando si esimono dal ribellarsi all' ingiustizia e al­ la stolida amministrazione delle pubbliche risorse. Paradossalmente, esse sembrano convenire con i tecnici, che assumono le omeopatiche fattezze dei tiranni. 11 dilettantismo è un affare per ricchi perdigiorno, che ostenta­ no, come un territOrio insidiato dal rancore, l'ozio e la noia. Lucius confida al signor de Geer, consigliere minerario, la propria concezione dello Stato, dell'organizzazione politica delle comunità, che paventano e attualizzano contraddicendosi la modificazione delle loro credenze, dei loro costumi e perfino della loro lingua. Ogni Stato è obbligato all 'utopia non appena ha perduto il collegamento col mito. Nell'utopia esso giunge alla coscienza del proprio compito. L'utopia è l'abbozzo del progetto ideale, attraverso il quale si stabilisce la realtà. Le utopie sono la legge della nuova arca dell'alleanza ; gli eserciti le portano segretamente con sé'7•

I soldati quindi devono poter riconoscere nella loro azione il segno prov­ videnziale dell' illusione. La trascendenza è vidimata dalla consolidata, in­ cerattiva, coniugazione del mi/es e del sacerdos: delle due figure necessarie per giustificare i conflitti, le aberrazioni e le rigenerazioni dei popoli e delle loro rispettive culture. La fede sfida i cannoni e confida proditariamente sulle loro risultanze. La riduttività spaziale e la sua omogeneità costitui­ scono gli elementi fondamentali di un' isola e di un'utopia: «le isole so­ no infatti gli antichi recessi della felicità » '8• La pressione demografica è la causa delle guerre e la difesa dei diritti conseguiti da un ceto o da una classe costituisce l'oggetto del rivendicazionismo massivo ( generale ) . La felicità collettiva consiste nel ritenere la soddisfazione raggiunta in anteprima da un gruppo di avanguardia o di esordienti come un traguardo da conseguire mediante il sussidio della dialettica e del convincimento. La disquisizione del teologo sulle caratteristiche della guerra è un aggiornamento molto ar­ zigogolato di quanto i trattatisti spagnoli del diritto delle genti dibattono nella prima metà del XVI secolo. La problematica relativa alla guerra giusta s' interconnette con quella relativa ai diritti dei nativi, sulle cui potenziali­ tà intellettive si disquisisce a sproposito, soprattutto se si pensa che queste 17. lvi, p. 2.10. 1 8. lvi, p. 2. 1 3 . 1 2. 3

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disamine sono le parti costituenti della rivoluzione illuministica (e moder­ na). La disperazione dell'avversario è quanto mai foriera di lutti e di pro­ fondi sommovimenti anche nelle file dei vincitori o di quanti si apprestano a trarre vantaggio dalla loro superiorità numerica e di equipaggiamento. « In simili situazioni anche il debole diviene temibile » '9• La messa in con­ trasto delle energie latenti e sorgive, al netto delle tecnologie, provoca delle profonde fratture nell'animo umano, indotto si direbbe dalle circostanze a recedere alle inibizioni e alle degradazioni dei primordi. L'esecutività di un ordine comporta la piena adesione alle cause che lo pongono in essere. La fedeltà e la dignità si presume si armonizzino all' interno della disciplina, che instaura un rapporto serrato fra gli adepti di una religione e i coscritti di un esercito. La politica proconsolare s' ispira al detto del duca Ernst von Gotha: «Un buon principe non riterrà giusto ciò che è più sicuro, bensì più sicuro ciò che è giusto» . Lo Stato perfetto, basato sulla fiducia fra chi ordina e chi esegue, tende a omologare la realizzazione dei compiti secon­ do l' itinerario delle imprese interne ed esterne da attuare con il consenso collettivo e l'approvazione generale. Gli insegnamenti di Nigromontanus al giovane Lucius generano spes­ so sentimenti di armonia e di umana commiserazione. Egli si presenta così sulla scena politica come un sognatore, come un autentico esegeta platoni­ co, in grado di riconoscere nella scabra conformazione dell'esperienza il se­ gno vivificatore di un modello che la trascenda. Le sue delusioni si evinco­ no dalla constatazione di una difficile contemperanza degli umori dei suoi simili con l' « idea » che li sopravanzi. La sofferenza continua a influenzare il pensiero e ad agitare i presagi del personaggio, impegnato dagli eventi, a costituirsi a parte integrante o a semplice profilo della maestà del potere costituito. Il modello di vita, escogitato dalla natura per reprimere l'ansia del futuro e per tacitare le inquietudini del presente, è quello delle api, un modello evidenziato con la cura maniacale di padre Felix. Le api sembrano possedute da una gioia incontenibile, sebbene non abbia alcun terminale che le suffraghi. « Brulicavano a grappoli, là dove i prati erano coperti di sassifraghe, di artemisie, di ellebori. Poi tornavano a casa ebbre di miele, cosparse di polline. Lavoro e gioia: sembrava che si fossero unite alla festa nuziale dei fiori come loro messaggere di amore » ,0• Le api gremiscono di fervore operativo la parete esterna del Klus, uno degli eremi più imponen­ ti dell'epoca del monachesimo. L'eremo e l'arnia sembrano i paradigmi di 19. lvi, p.

ll3.

2.0. lvi, p. 2. 3 1 .

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un'esistenza votata alla sua sublimazione. I percorsi inediti dell 'esperienza languono nel dimenticatoio delle impressioni forzose, quelle artificiali pre­ sunzioni dell'essere, che ambisce raccomandarsi alle radici recondite della ragione. La solitudine e il celibato, evidenziati dalla serena espressione di padre Felix, costituiscono - in controluce - le fasi meno rovinose e po­ lemiche della condizione umana. L'impegno di procreare e di progredire comporta il conflitto endemico in tutte le organizzazioni societarie. La mi­ santropia appare una infermità e invece ha il fine di salvaguardare (almeno così appare) l'esistente senza influenzare il metabolismo naturale. L'ope­ rosità delle api sembra eclissarsi nell ' imperfezione della loro natura. Ma la gioia collettiva che le assale sembra propiziare l'avvento di un momento di grazia, durante il quale il senso dell'esistenza si sostanzia nell'estasi nuziale. A differenza degli uomini, le api non sembrano avere il peso della colpa, dovuta al tentativo di dissentire dalle volute cosmiche. La nostalgia degli inizi del pensiero critico, connesso con la conoscenza, è la fonte e la causa di tutte le idiosincrasie e le contraddizioni della vicenda umana. Anche negli Stati - dice padre Felix a Lucius - dominano le necessità naturali, ma la colpa nasce con la conoscenza. Un 'azione può quindi essere necessaria secondo la natura, e peccaminosa secondo la legge. Per liveUare questa differenza, che ci annienterebbe nella nostra essenza superiore, esiste il tesoro del sacrifico. Questo è il tema del Nuovo Testamento".

L'espiazione della colpa della presunzione consiste nel perseguire nella ri­ cerca delle leggi che regolano il corso della natura e nel ritenerle comple­ mentari e - come direbbe Karl R. Popper - falsificabili. L'arbitrarietà della ricerca umana - sebbene si profili in forme sistematiche - tende all'artifi­ cio, a costruire oggetti che si evincono dalle energie latenti nell'universo. Questa disciplina inventiva e conoscitiva è per sua stessa configurazione parte integrante della ricerca di Dio (in quanto creatore) e della sua nega­ zione ( in quanto inspiegabile con le categorie della propiziazione, dell'at­ tesa e del conforto). « Lo scopo è la trasformazione della fecondità fisica nella fecondità metafisica » 11• Il convento è una riduttività del creato a con­ ferma della compartecipazione dell'uomo alle istanze e forse ai progetti di Dio. 21. 22.

lvi, p. 238. lvi, p. 2. 4 1.

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Nella geometrica esiguità della cella, l' immaginazione dà corpo agli in­ terstizi, alle ombre, alle pieghe infinitesime del creato. L'ambizione dell'e­ remita è quella di aleggiare nelle atmosfere recondite dell'emozione, che s' identifica con la fede, con la fiducia nell' irremovibilità di un Ente che sopravanza l'esistente e l'esistibile nel corso del tempo, di quello intellet­ tualmente intuibile - secondo sant'Agostino - e di quello indescrivibile con le risorse intellettive dell'uomo. Il perimetro della cella è come l'atomo di un corpo, che ne alberga milioni di milioni, senza computarne l'entità. L' idea che la cella sia il laboratorio dell'anima ha una sorta di vitalità nella congiuntura profetica di chi la abita, la popola d'entusiasmo e la desertifica da depressioni. L' impresa di essere vigile rispetto ai ripensamenti, all'atte­ nuarsi dello stato di grazia è patente in quelle personalità prive di gravita­ zione settoriale. La loro propensione è per quel momento tellurico, germi­ nale, nel quale Dio crea il mondo e vi infonde dei precetti, utili ai fini della salvezza di quanti sono chiamati a gravarne le istanze. La perentorietà della fede soggioga tutte le credenze sussidiarie dell'ardore salvifico. L'autoaffli­ zione è il responso con il quale l'estasi glorifica l'aspettativa provvidenziale. Il rumorio di un assetto del fabbricato e il volo sedimentario di un inset­ to fanno bene sperare le anime in pena in attesa della beatificazione cele­ ste. Tutta la vicenda terrena appare - nelle celle dei cenobiti - una trama di fallimenti senza importanza, sui quali è bene che cali il velo dell'oblio. L'embolia del nulla affascina la mente e la rende refrattaria a ogni sugge­ stione della realtà. La fame e la sete soccorrono gli eremiti con un gusto re­ trospettivo dei beni consumati nella solitudine. La croce e il segno sono le crune nelle quali penetrare con la fantasia imitativa del supremo sacrifico, che si distanzia come il terminale terrestre per il naufrago nel pelago della compromissione e della vanità. Il labirinto dell'esistenza è un oltraggio per i sensi, che è bene s'immedesimino del vagito dell'eternità. Le allucinazioni consentono di premonizzare il transito da uno stato di quiete a uno di mo­ to. L'evangelizzazione del mondo appare come un falso allarme circa il pe­ ricolo del fuoco eterno. Le visioni notturne sono le indicazioni di marcia, i fendenti sensori, mediante i quali il neofita si abitua a distinguere il silenzio nei moti dell'anima. La sensualità, irredimibile, soccombe sotto l'incubo dell' incuria e dell' ineluttabilità. Messer Grande evoca la presenza imperante di un' affii zione tempestosa. La calma del suo viso era marmorea, priva di mimica, e tuttavia interrotta da una vibrazione simile a quella dei fianchi degli animali quando i freni li tormentano. 1 2. 6

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Tu tti gli impiegati e gli ufficiali del suo Stato Maggiore conoscevano il contrasto

fra il fascino di quei lineamenti e la fissità della maschera2'.

Il gesto omicida di un giovane contro il Signore dell'Autorità trova riscon­ tro nell'espressione ipnotizzata della folla dei testimoni, degli operatori fotografici, dei curiosi. L'attentato adombra la crocefissione secondo un ordine di fattori invertito rispetto alle finalità e al risultato. L' insulto su­ bito da Gesù è pretestuoso ma salace; il martirio lo esalta fino al supremo connubio con il Padre celeste ; l'atto proditorio subito da Messer Grande è il copioso remissage del dissenso. L'attentatore, un giovane parsi, studente di medicina, di nome Nadarsha, è catalogato nei modi più ragguardevo­ li della silloge rivendicazionistica. In effetti, non si è in grado di stabilire con precisione la causa, il movente, dell'attentato e da addebitare all'autore una precisa responsabilità. La caccia ai parsi allinea la piazza al trambusto mentale dei partecipanti alla sentenza popolare che preceda l'eccidio del Golgota. I parsi sono i farisei di Heliopolis. Il tumulto si trasforma in una sorta di festa popolare per la liceità assicurata dalle circostanze all'odio di gruppo, al rivendicazionismo popolare. La giustizia sommaria, tuttavia, è solo apparente; l' intenzione diffusa è quella di attualizzare uno stato d'al­ lerta e di persecuzione con il consenso di una irredimibile libertà transito­ ria. L' Ufficio Centrale e il Palazzo approfittano della circostanza per far valere la loro potestà d' imperio sulle incresciose deformazioni dell'animo popolare, propenso a infliggere una pena immediata a colui che agevola il dissenso e lo partecipa sotto le sembianze di una rivendicazione. Alla prova di forza partecipano anche coloro che dissentono dalle attitudini di Mes­ ser Grande, ma la convinzione di trovarsi in compagnia di una fiumana di uomini e donne di altra conformazione mentale e sociale conferisce loro un surrogato di esaltazione nazionale, necessaria in ogni momento della vicenda politica per assicurare al circuito mediatico il destro dell' irrepren­ sibilità e dell'efficacia. Il demos acquisisce valenze inaudite nel normale di­ sbrigo degli affari quotidiani. Il Capo incarica Lucius di esprimere al sin­ daco la sua costernazione per l'accaduto e la speranza di una giusta puni­ zione dei colpevoli. La personalità del sindaco è « silenziosamente farneti­ cante » , impegnata a sorreggere il peso del potere mediante l' impiego esa­ sperato della punizione. La sua visita alle carceri non è quella di Luigi X I , giacché può agevolmente realizzarla scostando una tenda del suo studio. La sofferenza altrui alimenta la coscienza inquieta del primo cittadino di He2.3. lvi, p. 2.49.

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liopolis, non certo apprezzato dalle comunità e dalle autorità meno sorret­ te dall' istinto belluino che lo anima in forma demenziale. « Da lui scaturi­ va la potenza assoluta, la grossolanità di una esistenza condotta in maniera puramente animalesca » 14• La sua beatitudine risiede nella consapevolezza del Male, che la pubblica opinione ostentatamente persevera come se fosse il Bene. La grazia santificante, della quale egli gratifica il prossimo, consiste nell'esonerare i molti dal supplizio inflitto ai pochi, che nella concezione cristiana sarebbero i probi, i martiri di una vicenda {tormentata e compro­ missoria) di inaudita crudeltà. Il suo compito primario è la repressione e l'annientamento dei parsi. Il demos è in balia di questa mistifìcazione isti­ tuzionale. Il malefico sconforto dei parsi è fonte di gioia e di soddisfazione per il podestà e i suoi numerosi sostenitori. Il demone della distruzione, dell'annientamento dell'avversario è una prova di forza, alla quale il pode­ stà sottopone costantemente la cittadinanza di Heliopolis, che trova così, come sostiene Cari Schmitt, un avversario al quale addebitare le proprie idiosincrasie e realizzare così una coesione, per sua natura flebile, instabile e paradossalmente geneticamente inconsistente. La tortura e la soggezione diventano pratiche politiche, volte a instau­ rare un flebile clima di terrore, che genera solidarietà bifronte: a favore del governo e a sostegno dell'opposizione. Si diffusero disillusione e disperazione, e un profondo ribrezzo per tutte le frasi e i raggiri della politica. Fu questo il momento in cui lo spirito si rivolse ai culti, in cui fiorirono le sètte e ci si cominciò a dedicare, in piccole cerchie e in élites, alle arti, alla tradizione e ai piaceri"'.

L'animalità si avvale ostentatamente dei privilegi, che la ragione provvi­ denzialmente contingenta e talvolta nega ritenendoli perniciosi per la di­ gnità della persona e per la civile convivenza della comunità istituzionale. La politica è anche l'arte di disilludere il pubblico mediante il ricorso alle evenienze, agli imprevisti, ai dissesti economici e finanziari e ai disastri na­ turali. Ma lo scontro fra due opposte fazioni ( Parsi e Mauretani ) può de­ terminare gli stessi disastri naturali con in più la ferrea costituzione di un ordine politico. La dittatura, dai tempi dell'antica Roma, è il viatico che le comunità, assiderate dal caos, pagano al ristabilimento dell'ordine. Sulla transitorietà della dittatura le epoche moderna e contemporanea sono me2.4. lvi, p. 2.61. 2.s. lvi, pp. 2. 6 1 -2.. 1 2. 8

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no intransigenti di quanto non l o fossero le società passate. I n genere, una volta instauratosi un regime con pieni poteri, questo non trova convenien­ te porre un limite temporale alla sua azione, che diventa così imperiosa, estemporanea, opprimente. L'opinione pubblica tarda a farsi una ragione dello stato di necessità, non ancora dimentica dei soprusi e dei saccheggi subiti durante lo scontro. La calma si configura come l'embolia di forze in esplosione, ridotte all' inazione dal solvente dialettico della pace, della ge­ nerale convenienza a dirimere le controversie senza ricorrere alle armi, tan­ to più che le distruzioni non allettano neppure i vincitori. La guerra ha una funzione terapeutica per quanti la ritengono - epite­ lialmente - un male necessario per rabbonire il genere umano e renderlo sempre più consapevole della sua esiguità. La guerra tecnologica è l' im­ plosione dei sensi con l'aiuto degli artefatti. La scienza - sostiene padre Felix - aumenta la responsabilità individuale e il senso di colpa collettivo. La demoniaca contemplazione degli strumenti di sterminio genera un ma­ gico smarrimento, soprattutto in quell'angosciosa riduttività dell'io pen­ sante : nella vaghezza di queste prove di forza, che non aggiungono c non tolgono nulla all' infelicità umana. La guerra è un imperativo categorico, del quale il genere umano farebbe a meno, se avesse un altro mezzo per far valere quelle che intende come le proprie ragioni. La guerra - nell ' imma­ ginario collettivo - è la forma concorrenziale, mediante la quale l'umanità si dà la morte secondo un pretesto ritenuto ineludibile dal senso comune. In fase subliminare, la morte per conflitto bellico sottrae a Dio il percorso naturale, accreditato o inflitto a ogni singolo individuo. L'egida del domi­ nio sull'esistenza del prossimo è una caratteristica dei finanziatori di lutti, dei tutori dell'ordine sociale. La loro interferenza nel percorso naturale dei corpi magnifica le loro spregiudicate prerogative di imbelli e d ' impostori. Il fatto che si equiparino a Dio è un puro e semplice aspetto di neuro-deli­ rio. La guerra - per alcuni visionari - è la droga per accedere agli enigmi del mondo. Nella sua rapsodica rappresentazione scenica, il conflitto a fuoco fra contendenti apre uno spiraglio nei gironi dell' Inferno per incontrare le soluzioni potestative del passato, irrevocabilmente irrisolte nella fuga del tempo. Per i visionari, gli eoni del tempo s'identificano con le grandi per­ turbazioni energetiche, con i sommovimenti naturali e sociali. La Rivolu­ zione francese, come altri eventi storici di rilievo prima del 1789, ridefinisce il calendario: i mesi e le stagioni si declinano secondo la semovente spensie­ ratezza dei rinnovatori sociali. L' immagine del predone sovrasta qualsiasi altra figura esemplare : la sua nomea non è edificante, ma terrificante, sug­ gerisce la forza della natura. La sua intromissione nell 'esistenza degli esse-

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ri per la morte si frange con l'aspettativa dell 'apocalisse. L' insorgenza del giudizio universale appartiene ali'eventualità, che dalla « caduta » in poi imperversa nella genealogia umana. Il predone ha l'irruenza del suono che, come il radiotelefono, viola la solitudine e il silenzio che l 'attanaglia alla meditazione. I collegamenti ae­ rei intessono una trama di rapporti virtuali o potenziali, che irretiscono le persone nelle loro più intime configurazioni. Esistono ruoli meschini - afferma Lucius - che vengono recitati sul palcoscenico della nostra vita. I pensieri non restituiscono l' innocenza. Si potrebbe pensare che Dio favorisca solo coloro che cercano di distruggere la terra: soltanto in essi esiste il giubilo, il disprezzo della morte, la volontà assoluta, ciò che giustifica il grande incarico. Che dipenda forse dal fatto, come allora, prima del diluvio universale, Dio ha in mente una nuova creazione ? Allora la funzione del reggente sarebbe forse quella di un nuovo Noè'6•

L'epoca delle tenebre propizia quella della luce, nella quale il desiderio e il gusto di vivere prevalgono sulla inclinazione al delirio d' impotenza e al deliquio. L'estatica concezione del potere è fallace perché echeggia l' im­ mutabilità delle condizioni soggette, invece, all'egoismo e all 'egocentri­ smo sociali. La dinamica collettiva è un elemento vitale, contro il quale i governi totalizzanti hanno presa, ma non continuità d'azione. Il potere costituito, infatti, è costantemente sul chivalà, anche quando non ci sa­ rebbe alcuna ragione obiettiva per giustificarlo. I laboratori genetici e le raffinatezze lessicali si coniugano nell' impresa totalitaria di dare una spie­ gazione scientifica ai nefasti esperimenti effettuati sul corpo dei prigionie­ ri, dei condannati per sovversione politica. L' intimidazione scientifica è qualcosa di epocale, che sconvolge le menti anche degli adepti, solitamen­ te intemperanti nella loro esaltazione secolarizzante. Il carattere distintivo di questi autentici violatori della dignità umana consiste nel rendersi pro­ tagonisti di un' indagine sulle regioni intime e in apparenza incontamina­ bili della condizione umana. Il ruolo demoniaco, al quale si dedicano, rie­ cheggia la versatilità della religione panica, alla quale s' ispirano nella loro traiettoria terrena, considerata peraltro ultimativa e irreversibile rispetto a ogni altra possibile alternativa. Gli scrupoli umanitari sono delle debo­ lezze emotive, degli impedimenti al libero esercizio della scienza, che non può avere come fonte ispiratrice la pietas. L'umanità - come scrive con 26. lvi, p.

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intenti edificanti Robert Musil - è un esperimento, un tentativo natura­ le per reggere alle sfide delle energie latenti nell 'universo. L' immortalità è surrettizia, si confonde con le modulazioni di frequenza di quelle forze che consentono al cosmo di rinnovarsi senza debilitarsi oltre la misura del­ la ( relativa) rilevazione. Il corpo umano è l' involucro nel quale si animano i pensieri, che col­ legano le generazioni speranzose di essere discese dal cielo e di potervi ri­ tornare, secondo una successione di eventi, correlati fra loro nella temperie cosmica. L'universo è il regno della gloria terrena e celeste: l' illusorio ter­ minale delle peripezie commesse durante l'effemeride della vicenda uma­ na, ravvivata dali' immaginazione e resa congruente dalla ragione. Il senso di solitudine individuale è il riverbero del!' immensità inaccessibile al calco­ lo divinatorio, alle postulazioni concettuali. Le idiosincrasie delle persone sono gli aspetti metaforici del! ' imponderabilità del!' io, del soggetto che valuta con apparente cognizione di causa gli accadimenti, le circostanze, i coinvolgimenti delle comunità passate, presenti c con ogni probabilità fu­ ture. L'accorgimento tattico del pensiero si propone di eternare il ricordo, l'effige, l'eredità dei soggetti, che si avvalgono della storia per affermare le loro presenze divinatorie del turbine che le sopravanza. L' irrimediabilità delle imperizie è l'aspetto più inquietante della vicenda comunitaria, che si avvinghia su sé stessa come a difendersi dall'assalto degli eventi, che se­ lezionano la memoria e quasi sempre annullano gli esiti delle azioni com­ messe a beneficio del genere umano nel suo insieme. « La curiosità, la cu­ riosité surnaturelle, era l'ultimo ramo fiorito sull'albero della fede, che si era seccat0» 17• La leggerezza - la purificazione - del fisico lascia presagire una dimensione, che raccorda la contingenza terrena con la sublimazione cele­ ste. Ma l 'osservazione della realtà infligge atti di umiltà, che possono essere sorretti dalla pietas, dall' autoconforto che gli esuli figli di Eva si prestano reciprocamente prima della loro vanificazione. Lucius sentiva che già questo primo spettacolo lo prostrava e che la disperazione lo sopraffaceva. Il Nulla lo imprigionava con la sua tremenda potenza e la sua grande gioia, come in una fortezza che da lungo tempo esso assediava. Nessun eroe, nes­ sun cavaliere, nessun Orfeo poteva essere educato a vincere tali prove. L'ultimo trionfatore restava il verme18• 2.7. lvi, p. 34-0. 2.8. lvi, p. 344·

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La morte di un uomo è il preludio di un nuovo modo d'essere delle cose che circondano i superstiti. La loro solidarietà è pervasa dal timore ance­ strale, che rastrella tutte le risorse emotive per scongiurare l' annientamen­ to e per presagire l'ombratile emisfero dell'oblio. L'accusa di utilizzare le evenienze pubbliche per interessi privati de­ termina il «crollo » di Lucius, che non ritiene d'aver tradito la fiducia del principe. L'attentato commesso da Lucius all ' Istituto Tossicologico non coinvolge soltanto i parsi, ma l' intera difesa nazionale, che si destreggia per così dire fra le due opposte fazioni, nelle quali consistono il governo e il precario equilibrio politico di Heliopolis. La saggezza è spesso il risulta­ to della risolutezza emotiva, che salvaguarda i sentimenti e, con l'epilogo dell'azione contundente, la dignità degli individui sottoposti al giudizio terreno. Lucius è costretto a giustificarsi, a difendersi dalle accuse, che il proconsole gli contesta con schermata irritazione. Non gli dispiaceva di essere giunto così, improvvisamente, alla rottura. La ferita era dolorosa, ma lo liberava dalla tradizione e dalle catene, da una realtà che era divenuta, in fondo, insostenibile. La corazza si era rotta e aveva perduto la sacralità che, qui nella casa, gli conferiva onore e rango>'.

Il suo fallimento consiste nel rendere compatibile il dovere istituzionale con le propensioni (le affezioni) private. Lucius è accusato di « scostarsi dal sistema » . La sua permanenza in un apparato è retta da rigide regole di comportamento ; l' inosservanza di alcune di esse è ritenuta un attenta­ to alla sicurezza dello Stato. L'attentato è sinonimo di scorrettezza e non implica necessariamente la messa in opera di un meccanismo distruttivo. La metafisica - la mistica politica - è osteggiata da Lucius giacché rende «digeribili» sempre più efferate violenze. L'esilio è la condanna inflitta da sempre a coloro ai quali è addebitata una colpa, che non sarebbe commes­ sa se l'ordinamento fosse meno rigido e cogente sotto il proftlo normati­ va. L'autoritarismo infligge talvolta pene a coloro che introducono nell'or­ dinamento il proftlo della levità e della solidarietà sociali. La lontananza è una categoria istituzionale che affascina e soggioga poeticamente chi la convalida. Da Varrone a Seneca, l'esilio è un moto dell'anima, che sancisce il presagio della riabilitazione. La nostalgia attanaglia l'esule alla terra delle origini, nella quale sembra adombrarsi una sorta di corrispondenza all u si­ va, fatta di reminiscenze, di ricordi incresciosi e promettenti. L' isolamento 2.9.

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come un terrapieno, dal quale si attende il segnale del richiamo in patria per tuffarsi nell'agone provvidenziale. L'esilio è come il fuoco che distrug­ ge le carte e le cose inutili. Il suo scompigl io emotivo si placa nella reden­ zione delle colpe anche non commesse. Spesso, infatti, i capi d'accusa degli esi liati sono dei proclami di fedeltà a ideali di antico e conclamato regime. L'intelligenza in esilio è provvida di consigl i e di significati: elargisce pareri non richiesti da chi è in presa diretta con la realtà. Il testo che più si appros­ sima alle condizioni intellettive di Lucius è Lettere a Luci/io di Lucio An­ neo Seneca: un'opera di ravvedimento e di raccomandazioni, rivolta a un giovane impegnato in un'attività istituzionale, che è indotto a trattare con spregiudicatezza piuttosto che con rigida ieraticità. Seneca è in esilio per una punizione, della quale è consapevole, e dalla quale trae lo spunto per scongiurare nel giovane funzionario romano, in servizio in Sicilia, di essere cauto, misurato e sensibile alle vicende dei semplici e dei titolari, soprattut­ to quando assumono il ruolo di perenti, petulanti, insolventi e velleitari. Nella Casa delle Lettere di Heliopolis si conservano i manoscritti di chi ha intessuto un rapporto con il mondo. è

Egli lascia dietro di sé - afferma il professore Moser, responsabile ddl ' istituzio­ ne - solo una breve orma che si cancella come i passi nella sabbia c diviene liscia come le onde al termine della scia. Già coi nipoti muore ogni ricordo di lui. Forse si legge ancora il suo nome su un' iscrizione funeraria fino a quando anche questa non si corrode o brucia nella fornace della calcina. Allora, intorno all'uomo si fa silenzio come se esso non fosse mai esistito ... Nel cielo di sempre sorgono masse di nuove stelle e ne scompaiono di vecchie; soltanto luci di prim'ordine si manten­ gono nel tempo10•

L'archiviazione delle volontà, delle semplici estrinsecazioni di principio, come la lettera, datata Parigi 5 gennaio 1895, di É mile Zola al ministro dell ' istruzione francese, per la concessione della legion d'onore al giova­ ne compositore Alfred Bruneau, consente di registrare alcuni eventi che altrimenti rimarrebbero sepolti nel dimenticatoio generale. Spesso queste testimonianze mettono a nudo i sentimenti di persone, normalmente im­ pegnate su fronti molto più scabrosi di quelli che evocano le amicizie o le frequentazioni private. Il catalogo degli accadimenti è il memoriale desti­ nato all'archeologia del sapere. Esso verrà « dissotterrato» per analizzarne lo stato di abbandono e per procacciarne un pregresso, inusitato, benefi­ cio. La tecnica museografìca è consolatoria per il genere umano, che nelle 30.

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diverse condizioni di status ritrova esperienze comuni e una sorta di tra­ scendentale identità. La tecnologia ammette l' innocenza ferina e discipli­ na sublinalmente il comportamento incestuoso dell 'uomo con la natura, violando la, modificandola. La cura sediziosa delle idiosincrasie individuali è propellente rispetto a ogni « misura » : il calmiere dell'azione trova un memorandum analitico nel « fisicale », nella sfacciata cura del fisico. Ed è proprio questa tentazione che celebra i suoi fastigi nelle procellose adunate delle masse, nei cortei, nelle conventions più o meno confortati dall'opaco entusiasmo dei disillusi, dei perenti, dei questionanti. La geometria si de­ linea come geometria antica nelle spirali della gente, che serpeggia tambu­ rellando nei festosi percorsi delle metropoli, soffocando il traffico, surro­ gando l'aspettativa salvi fica con il salto quantico nella frenesia contagiosa, orgiastica. Le cause che determinano le contestazioni politiche si diradano di fronte alla propellenza di un mare di teste, che ambiscono a ritrovare, sia pure rapsodicamente, un potere decisionale, che s' identifica con quello emotivo, di varia intensità e di difficile contenimento razionale. In genere, la sublimazione della protesta si effonde in un discorso da chiaroveggente, da visionario, che promette l' immediata escussione delle colpe di quanti s' incaricano di legittimarsi nell'esercizio del potere tutorio. La fine dell'assemblearismo è il precipitato organico della disperazione fle­ bilmente trattenuta nei limiti della quotidianità. Il leader assume le caratte­ ristiche di un condottiero, che induce le moltitudini ad affrontare l' ignoto, il deserto, e a perseguire l'intento di raggiungere ( e conquistare) la Città. « Come un capomastro abituato a essere obbedito, egli possedeva la par­ ticolarità di attendere dai propri ordini l'effetto di un incantesimo» 1'. La fede e la rassegnazione sono le forze che consentono alle masse di affronta­ re le sfide della modernità c di gestirle con la risolutezza dell' intimazione pentecostale. n rilievo, che viene da loro rivolto alle autorità costituite, che pure contribuiscono a eleggere, consiste nel ritenerle poco sensibili rispetto alla spettacolarità, dalla quale sembrano essere coinvolte. La contraddizio­ ne si evince dalla necessità di rilevare epigrammaticamente (e poi statisti­ camente ) gli umori dd pubblico e comportarsi di conseguenza senza con­ getturare le variabili che continuamente si verificano sullo scenario sociale. La rassegna-stampa è il romanzo dell'attualità. L'epos, che essa registra, si estrinseca nell' immediatezza delle circostanze, nel pronto-soccorso, che le masse si concedono autonomamente, dichiarandosi esse stesse la fonte delle loro nevralgie e delle loro cure omeopatiche. L' incremento delle in31.

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cemperanze è il percorso necessitato dall a cura afflittiva, impressa alle isti­ tuzioni, poco affidabili, dal loro punto di vista, per quanto attiene l 'onora­ bilità del «patto sociale » . Lo spirito può contemplare a lungo l o spettacolo del sorgere e del tramontare del Sole prima di giungere alla interpretazione astronomica. Molto di rado gli riesce di prendere come modello il mondo nel quale esso è stato racchiuso, e di conqui­ stare costellazioni che sono il suo destino".

L' incapacità di obliare i propri fallimenti induce gli individui ad arruolarsi in un esercito di eguali, ai quali addebitare gli insuccessi evidenti e ai quali accreditare l' insorgenza delle figure epigrammatiche, enfaticamente addi­ tate alla modellistica generale. L'esistenza individuale appare sempre più lunga e approssimata e quindi priva di premonizioni sui tempi a venire, che preludano al giudizio universale o alla vaghezza, come a un'accorata riso­ luzione cosmica.

32. lvi, p. 424.

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Nelle temp este d'acciaio

L' iniziazione alla guerra è il peristilio della condizione umana. Quanto maggiore è il senso del ritorno alle « origini » , tanto più profondo il senso della ineluttabile rassegnazione. L' « umorismo primitivo » vidima le diver­ sità c le approssimazioni all'eguaglianza. Il teatro dell'esistenza è una sorta di retroguardia rispetto alla tragedia dell'evidenza. L'amicizia e l'avversità si equivalgono nello scenario dell'azione, che si esplica nel rituale religio­ so dei ricordi, degli addii. Le nequizie degli avversari si equivalgono senza interconnettersi negli agglutinati sistemi calorici, che infiammano le menti e le rendono al tempo stesso retrattili di fronte al pericolo, per sua natura latente. Il confronto si rivaluta nello scontro, nell' intento indiziario di pro­ piziare la tregua dei superstiti e quindi dei rinnovati eserciti della rigencra­ zione. La guerra esalta l'avventura e il disagio di vivere, compensando le di­ versità e le intemperanze. L'ordine sacerdotale, che s' instaura nelle trincee incide sulla compenetrazione delle coscienze, che ambiscono riconoscersi nell'allegoria di un nuovo eone. La distruzione sembra il fomite della ri­ mozione delle incomprensioni, delle insoddisfazioni, delle rivendicazioni. Il soldato è un eroe a futura memoria, sia che cada nella contesa o che si sal­ vi dal conflitto. La guerra ha un 'attrattiva salvifica anche per i re ietti, per quanti simulano l' interesse per l'ordine legale. L'apparato bellico è un si­ stema di relazioni, che si esplica nell'uso delle armi. Ed è proprio la consta­ tazione che l'armamento, la techné soggioghi le menti c le renda retrattili a ogni forma di commiserazione. L'empito dell 'azione amplia la dimensione dell'aspettativa, non necessariamente salvifica. Il sacrificio è il premio che l' occasionalità reprime nel ricordo dei superstiti. L' iconografia gratifica i combattenti, che si apprestano, in tuta mimctica, a conflagrare con i propri simili sotto le mentite spoglie dci cavalieri dell'Apocalisse. Ad attenuare il sortilegio della lotta contribuiscono i ricordi della casa, dei parenti, degli amici, dei ritrovi del tempo di pace, quando le frequentazioni si tingono delle idiosincrasie individuali e rendono pervasivo il dispregio silente, subq6

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dolo, subliminare, che nei microcosmi sembra alimentare, contestualmen­ te, la coesione e il dissenso. L' irreversibilità delle situazioni provoca lo sfo­ go nel conflitto. L'apprensione per il diverso, per il dirimpettaio, alimenta la propellenza genetica per lo scontro, prima, sotto forma di opinione e, poi, di decisione. La determinazione, in apparenza repentina, di fatto, non sorprende nessuno. Tant'è vero che quando si profila la chiamata alle armi, soltanto una misera percentuale di persone ricorre al sotterfugio o addirit­ tura al ricatto per sottrarvisi. Il pregiudizio è universalmente apprezzato come un dovere patriottico. Anche quando la guerra è giusta {ammesso che lo possa essere in particolari circostanze), l'onere della prova grava su quan­ ti reagiscono con livore. Ed è in quel particolare frangente ideologico che la legalità assume connotazioni controvertibili, conseguenti comunque al proposito rivendicazionistico diffuso nella società come un precetto evan­ gelico, al quale adeguarsi remissivamente. L' ideale orgiastico grava come una minaccia su quanti lo evocano e lo attuano come una garanzia identitaria. « Si trema sotto l'effetto di due sen­ timenti contrastanti: l'emozione del cacciatore portata all'estremo e l'an­ goscia della preda. Ognuno diventa come un mondo a sé, oppresso da que­ sto stato d'animo, cupo e pauroso, che pesa sul terreno deserto » '. Le bom­ be dominano la scena con la stessa intensità dei fulmini di Giove. La trincea evoca la grotta, nella quale le orde primitive trovano riparo prima di effon­ dersi nella lotta per la sopravvivenza. La natura circostante sembra aver di­ satteso, per una prova di fuoco, le iniziali istanze del creatore. L' inerzia e il malumore sono banditi dalle incessanti prestazioni del cannone. Lo scon­ tro alla baionetta è un surrogato del passato, che si ripropone in particolari circostanze anche nella Prima guerra mondiale, per dar voce, si fa per dire, agli obici mortali. Le mitragliatrici costituiscono delle compagne confor­ tatrici di tutte le risoluzioni e di tutte le definizioni. Il sintomo della rival­ sa è nell 'uso degli strumenti di adozione, che la tecnologia degli inizi del Novecento assicura alle competizioni istituzionali. L' intermezzo fra una ripresa e l'altra delle ostilità è dedicato ai ripensamenti sul senso della vita, sulla consistenza concettuale di quanto aleggia neli ' atmosfera circostante, sia fra i commilitoni, sia fra i nemici. «Quegli istanti in cui tutta la truppa si trovava schierata dietro il parapetto avevano qualcosa di magico ; ricor­ davano l'attimo in cui, prima di un grande spettacolo, il respiro si ferma, ali ' improvviso tacere della musica nella gran luce della sala »'. L'orologio r. !.

Ems[ ]unger, Nelle tempou d :1cciaio,

h·i, p . 8 7.

Ugo Guanda.

Parma 1 9 9 S · p. S r .

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regola il ritmo cardiaco assecondando le scansioni esplosive. I bombarda­ menti disegnano l'elettroencefalogramma della guerra. L' imperiosità del pericolo occlude il responso argomentativo di quanti incitano all'attacco. La violenza, camuffata da sussulti tellurici, si effonde come una suggestione fra quanti ne radicalizzano l'entità e le nequizie. L' istinto di sopravviven­ za sembra capacitarsi di fronte all'uragano emotivo, che si scontra nell'a­ gone bellico, soprattutto quando è pervaso dalle nuvole di gas asfissiante, quando la chimica si rivela come una forza sterminatrice da trasformatrice che era. Dall'alchimia, così impegnata a nobilitare i metalli, alla chimica, il movimento in senso orario della conoscenza sembra contemperare i buoni intendimenti dell'uomo e le sue inobliabili tentazioni dissacrarrici. La trincea, tracciata alla bell'e meglio fra le frane, le gragniuole, le gra­ nate e i pantani, delimita, sia pure provvisoriamente, il regno della con­ cordia da quello della dissoluzione. L'esercizio mimetico per resistere in contumacia negli spazi impraticabili dai passi dell' immaginazione è il ri­ sultato della preveggenza, di un intimo intendimento offuscato dal Male. Il risultato di questo processo d' intendimento emotivo è riepilogato dal ter­ rore, dal timor panico, dalla disperata attesa della fine, quale che sia, basta che segni il terminale dell'affiliazione allo sconcerto naturale, al tafferuglio interindividuale, tenuto stretto nelle ambasce dei superstiti delle singole scansioni belligeranti. Gli esplosivi sono come i rigurgiti della terra, che si effondono nella sua superficie per aleggiare nei volti dei coscritti, impegna­ ti nelle sue circostanze. Puntai la pistola su un viso che mi si parava dinanzi uscendo dall'oscurità come una maschera bianca. Un'ombra cadde riversa con un urlo nasale dentro i fili spi­ naci. Era un grido orribile, qualche cosa come un: "Uah ! " che un uomo può emet­ tere forse soltanto alla vista di un fantasma che si dirige verso di lui'.

La nebbia dei gas trasforma i soldati in fantasmi, nelle rappresentazioni sceniche dei film dell'orrore. La monotonia della vita di trincea è interrotta dal fragore delle armi e commiserata dalla noia di quanti la animano con l'approssimazione dei pensieri dissoluti e tentacolari. « Nei giardini ormai incolti erano maturate le more, dal sapore tanto più dolce in quanto non si poteva raccoglierle senza esporsi al ronzio dei proiettili vaganti » 4• Gli allettamenti della natura richiamano alla mente le vicissitudini dell' infan3 · lvi, p. 97-f. lvi, p. 98.

q8

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zia, che sono meno incresciose d i quelle presenti, ma che adombrano un triste presagio. Il male oscuro della guerra è come il fotogramma al negati­ vo di una stagione che appare solare e consolatoria. «Al fronte, mi ricor­ dai a lungo di quest 'addio radioso della vita » '. Le condizioni ambien­ tali influenzano la gravità o meno delle rilevazioni oggettive. Il campo di battaglia minimizza gli ostacoli e il dolore. La sofferenza si estenua nella collegialità dci rischi calcolati. Il mare di fiamme che, a periodi intermit­ tenti, fa da linea dell'orizzonte, increspa i pensieri e li rende retrattili a ogni tentativo di compassione. Il consenso collettivo - e quindi la vanità - è la radice nevralgica dd! 'eroismo. La depressione è un continente popolato da ignobili tensioni emotive. L'accesso al disincanto è ostacolato dal richiamo familiare, dai trascorsi giovanili, dalle incombenti necessità oggettive. L' irrcfrcnabilità dd Male è un autentico richiamo alle armi per quan­ ti dismettono le accidiose intemperanze borghesi per affidarsi agli istinti primordiali, alle inibenti primeve, elementari, propensioni. La conversa­ zione delle trincee è per così dire monocratica: include sempre il ricorso a un'autorità, che può essere eterodirettiva o semplicemente autoffcnsiva. Il monologo, se si propone all'attenzione altrui, è quasi sempre un' invo­ cazione. Le giaculatorie riguardano gli spasmi dei morenti, di coloro che guardano alla vita come a un luogo della memoria che si disperde nel ran­ tolo della fìnc. L'entità della perdita esistenziale è afflitta dali' inanità degli sforzi compiuti per procrastinarla. Quando gli occhi fissano l' improbabile rimane lo sgomento per quanti si accingono a confabulare, pur senza voler­ lo, con la morte. Le facezie fra commilitoni si estinguono fra un'esplosione c l'altra. « La terra tremava, il cielo sembrava una gigantesca marmitta in cbollizione » 6• L' intensità dci bombardamenti declina nell 'autocommise­ razione. Gli scatti di pazzia scansionano le fasi della neghittosità e della intemperanza. La vista e l'udito si elettrizzano e, a tratti, si dipanano co­ mc due assi ruotanti intorno a un unico induttore. Gli schermi apocalit­ tici delle imprese belliche evidenziano l'esiguità delle figure che le anima­ no nelle tute mimctiche, negli scafandri dei tutori di un ordine semovente e declamatore. L' irrevocabilità delle decisioni coincide con l'appellabilità della soddisfazione temporanea: il successo bellico è sempre insidiato dal suo contrario. A ogni azione corrisponde quasi sempre una reazione eguale e contraria. Soltanto (quando) questa equazione viene meno uno dci due contendenti sopravanza sull 'altro, che declina nel rimpianto. Il gesto sconS· lvi, p. 9 9· 6. lvi , p. 1 0 7.

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siderato di un uomo può provocare danni irreparabili nel meccanismo bel­ lico. Il fuoco di sbarramento ha una connotazione riepilogativa dei tenta­ tivi compiuti dalle opposte barricate per aver ragione quanto meno alter­ nativamente. L'agitazione arride alla stanchezza fino allo sfinimento e alla sottovalutazione del pericolo incombente. L' invocazione dei feriti è una preghiera concorsuale, serve per scuotere le coscienze e a indurle alla sop­ portazione. La mano, il sostegno, resi ai feriti, sono l'aspetto espiativo del Male sedentario. « Come nelle battaglie americhe combattute da dèi e da uomini, il furore della terra rivaleggiava in quell'ora con quello del cielo» 7• Gli aeroplani sembrano avvoltoi, che si avventano su una preda spesso iner­ me o in movimento. Il cielo che, fino alla Prima guerra mondiale, è sino­ nimo dell'empireo, si riempie di apparati vaganti, contrapposti e carichi di mortali fendenti. Le bombe, cadute dall'alto, concorrono ad alimentare lo smarrimento di coloro che, sulla terra, si sentono perseguitati dagli spiriti maligni. Nei ricoveri anche i civili assumono le fattezze dei fantasmi, so­ prattutto quando sono sorpresi dalle bombe nelle loro faccende consuetu­ dinarie. La gradualità delle circostanze ispira il comportamento. « Era al­ loggiato, a suo dire, nel secondo acquartieramento in ordine di lussuosità, aveva ricevuto una ferita di secondo grado in ordine di gravità, e prendeva parte ai funerali classificabili al secondo posto in ordine d' importanza »8• Il cerimoniale guerriero cementa l'apprensione per l'avvento di un nuovo ordine naturale. La guerra, infatti, interessa l ' « essenza » delle cose piutto­ sto che le loro fattezze, del resto, continuamente rinnovabili dalla destrezza dei mortali. La traiettoria dei soldati, che si esercitano nelle retrovie prima di affrontare la prima linea, è perversamente allettante : sembra un idillio sospeso, rimandato a data da determinarsi. Paradossalmente, questo contrasto di circostanze - quelle consuetudi­ narie della vita di ogni giorno e quelle straordinarie dell'azione compulsi­ va - è a favore dell' impresa strategica, dello scontro salvifico e propiziato­ rio di eventi irredimibili con il comune buonsenso. Quanto più è allettante il modo di vivere quotidiano e pacifico, tanto più estraniante è il modo di intendere il conflitto, la tensione del combattimento e l'aspettativa della vittoria (su un nemico artificiale e talvolta immaginario, reso intrigante e afflittivo dalla propaganda di regime). Il confronto fra la placida e fertile esistenza del tempo di pace e la frenetica committenza del tempo di guerra tende a soggiogare gli animi dei coscritti in favore di quest 'ultimo, alimen7· lvi, p. 1 1 4 . 8. lvi, p . l l6

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raro dalla nostalgia quasi sacrale del primo. I l sonno della morte, i n bar­ raglia, ha l'andamento nostalgico della reminiscenza, di una vicenda che si avvinghia come un'aura vesperdna alla penombra della notte. « Soffrii, durante quel soggiorno, di un attacco di malinconia al quale contribuiva senza dubbio anche il ricordo del surrealistico paesaggio fangoso nel quale ero stato ferito» 9• La tempra, che si presagisce in queste condizioni come un fortilizio ideale per affrontare le inquietudini sentimentali, è una qua­ lità insospettata, che si profila come un'armatura. L'anima, costretta nelle acconciature militari, si dilania con una compostezza inimmaginabile dagli stessi interessati ad auroconsolarsi esaltandosi. La condizione pneumati­ ca, che si esperimenta seduti su una cassa di munizioni, concilia il deside­ rio di trascendere la condizione terrena secondo un implacabile disegno celeste. La « stranezza » di una situazione del genere consiste nel dialogo che spesso s' instaura fra i presenti come se fosse una litania, recitata con il sussiego e l' irrisolutezza degli anacoreti dell'Anatolia o del Monte Athos. «In ogni caso, gli audaci di salute cagionevole valgono molto più dei vili robusti... » '0• La guerra nobilita i deboli ed esalta i ford: la stagione degli in­ capaci volge sempre al declino. L'entusiasmo si eclissa nel conforto, che la collettività esercita incessantemente, anche senza convinzione. I proposid d'azione rispondono a interrogativi irrisolti, che hanno il pregio di profi­ larsi come ineludibili. Le azioni di pattugliamento sono sempre incerte negli esiti e quasi sem­ pre inducono a riflettere sulla stessa caducità dell' impresa, alla quale sono destinate. L' impressione di audacia e di virile coraggio sorregge le menti come in un naufragio senza scampo. Tutt ' intorno, spesso, la confusione e il disordine fanno pensare a un tornado, che annichila la volontà e paventa ulteriori distruzioni. L'ombra di una vittima è ancora più struggente della vivisezione della morte. Fino alla posizione Siegfried, ogni villaggio era sistematicamente ridotto a un cu­ mulo di rovine ; tutti gli alberi abbattuti, tutti i pozzi avvelenati, tutte le strade minate, tutti i corsi d'acqua deviati, tutte le cantine distrutte dagli esplosivi o rese pericolose dalle bombe nascostevi, tutte le rotaie sbullonate, tutti i fili telefonici asportati e tutto ciò che poteva bruciare dato alle fiamme ; in breve, la regione che aspettava l'avanzata nemica fu trasformata in un deserto".

9· lvi, p. 1 3 1 . I O. lvi, p . 1 3 9· I J.

lvi, pp. 1 43·4.

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La distruzione influenza la disciplina e attualizza l' improvvida esigenza del disordine. Nella temperie bellica, il caos fortifica il primigenio sentimen­ to della prevaricazione. La sopravvivenza fisica trova un incentivo nel di­ sordine, in un sussulto di derivazione primigenia, non declinabile con gli apparati normativamente consolidati nella conformazione comunitaria e istituzionale. Era la prima volta che vedevo all 'opera la distruzione premeditata, sistematica, che poi avrei vista fino al disgusto negli anni successivi; essa è fatalmente in stretta relazione con le dottrine economiche del nostro tempo, e apporta al distruttore certamente più danno che vantaggio. Inoltre non fa nessun onore al soldato'!.

L' inganno, rivolto verso il nemico, riconcilia il caos con un ordine seppur provvisorio. La rapacità dei sopravvissuti a un'offensiva si manifesta nelle forme più dissolute. Una sorta di vis destruem s' impossessa di quanti cercano nei dintorni dell'azione bellica un conforto che li faccia sobbalzare di gioia primitiva, di un incontrollabile desiderio di reprimere ogni condizionamen­ to di estrazione civile. La preminenza delle idiosincrasie sulla normale ma­ nifestazione si riflette nelle aberrazioni, che radono al suolo le case, minano i campi, distruggono gli allevamenti e le piantagioni. Il crollo dei campanili delle chiese è il sintomo della perdizione delle anime che, in qualche modo, ne recepiscono il messaggio in tempo di pace. La loro condotta non può più essere regolata dalle scansioni religiose, consuetudinarie, che solitamen­ te inducono le persone a salvaguardare, per quanto possono, la loro intima conversione comunitaria. I corpi senza vita, abbandonati all ' azione corrosi­ va delle intemperie o alla bramosia dei topi e degli altri roditori, sembrano riverberarsi come oggetti ortopedici nello scenario della contenzione. Spes­ so la perdita della loro identità li include, nella sommaria ricognizione afflit­ tiva, nel pantheon dell'anonimato, affidandoli alla commiserazione ufficiale e alla commozione individuale di quanti s' inducono a considerarli parti ino­ bliabili di famiglie, comunità, amici. Il tempo poi li asseconda all'esercizio della memorazione istituzionale, a periodi ricorrenti celebrativa degli eventi, dei quali si presume siano stati protagonisti. I sopravvissuti a un bombardamento hanno l'andamento degli scam­ pati da un uragano. Lajoie de vivre sembra pervadere le menti come il ma­ estrale nei meriggi estivi. Il veterano è un testimone silente, che preferisce abbandonarsi, per lo scampato pericolo, a copiose libagioni e ad abbrevia1 2 . lvi, p. 1 4 4 .

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rive dichiarazioni d i principio. U ricordo dei camerati scomparsi sembra riflettersi nel fondo del bicchiere di vino, di rum, di birra. « In quegli uo­ mini c'era qualcosa di vivo che cancellava l'asprezza della guerra e spiritua­ lizzava la voluttà del pericolo e il desiderio cavalleresco di vincere la propria battaglia » ''. Nei periodi di riposo, l'attrattiva della natura è propellente: è come se si disponesse di un ridotto emisfero di soddisfazione in termini pleonastici e ultimativi. « Proprio in quel periodo, disteso sull'erba, lessi con infinito piacere tutto quanto l'Ariosto » '•. La natura primaverile rinfo­ cola le propensioni di pace: si accredita con una sorta di allettevole neces­ sarismo, del quale gli osservatori si sentono pervasi. « La guerra aveva dato a questo paesaggio, senza tuttavia cancellarne la grazia, un' impronta eroica e malinconica ; l'opulenza della fioritura dava ancora di più alla testa e sem­ brava diventasse ancora più radiosa » '1• Il paesaggio primaverile ingentili­ sce persino la guerra, che non ne può provocare la distruzione senza con­ testualmente stabili me l'impoverimento o la fine. La tattica di avvicina­ mento sembra conciliare l'attenzione per la natura con la destrezza con la quale una delle postazioni in contesa si avventura nello spazio circostante, senza adulterarlo, per raggiungere le postazioni avversarie. Dopo un attac­ co, tutto « era irreale come dopo una febbrile notte di gioco» '6• L'eccita­ zione redime dali' inadeguatezza per i colpi inferti all'avversario. La presen­ za di truppe irregimentate dalla sovranità coloniale denota l'implacabilità della guerra economicamente sorretta dalla ragion di Stato: della guerra che evoca uno spettacolo da preistoria. Le retrovie sono percorse dalle te­ stimonianze ( come quelle di Fénelon a Cambrai ) , che si attualizzano nel tentativo di rimuovere gli ostacoli emotivi di quanti si apprestano a ritor­ nare in prima linea. Le leggende storiche inducono, sia pure relativamente, all'eroismo, che contrasta la desolazione. La spossatezza, fra un' incursio­ ne e l'altra, raccorda il sonno con la beatitudine infantile, con l'allegrezza dell'adolescenza e con le inquietudini della gioventù. L' indifferenza per i pericoli della realtà sembra essere fisicamente rigenerativa. Gli individui si esasperano nell' inedia, una sorta di controfigura della morte. L'attesa degli eventi costituisce un traguardo inesplorato dalla curiosità dei reietti. La guerra tonifica i propositi d'azione, volti a contravvenire alle in­ giunzioni remissive e inerziali della specie. « Mormorai più volte una frase 1 3 . lvi, p. 1 s 8. 1 4 . lvi, 1 S . lvi,

p. 1 62. p. 1 6 3 .

1 6. lvi, p . 1 6 9.

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dell'Ariosto: " Una grande anima non ha timore della morte, in qualunque istante arrivi, purché sia gloriosa !" » '7• La magnificenza dell' impresa uma­ na mimetizza quella divina e si appaga dell'empito celestiale, che la sopra­ vanza. Il freddo e l'umidità fiaccano gli animi come neppure l 'artiglieria ri­ esce a fare per la semplice constatazione di un complesso di circostanze ac­ cessorie, negativamente scompaginate dal caso, quali solventi naturali della distruzione. La guerra e il caso talvolta si alleano per gratificare gli eserciti di una funzione necessaria affinché l'esistenza dei mortali si fiacchi e si for­ tifichi a seconda dell' itinerario orgiastico della natura allo stato brado. La guerra sorprende talvolta per l ' intensità energetica con la quale si esplica, in vista di un improbabile « momento aurorale » . Lo stato d' incoscienza spesso si coniuga con un ingiustificato senso di felicità. L' idea d'aver scam­ pato la morte è un privilegio, del quale i gratificati non riescono a ricono­ scerne né l'origine né le cause. La debolezza fisica fì.acca l'animo, che si re­ dime dal suo stato atarattico o comatoso per l ' impennata che può avere il momentaneo appagamento per la semplice constatazione di sopravvivere. La contemplazione sorprende come il fulmine a ciel sereno il soldato, che si strugge nell'attesa dell'attacco dal e al nemico. La guardia, contrapposta al pattugliamento, scandisce le fasi operative dei contingenti in assetto opera­ tivo. L'euforia dei naufraghi, evocata da Giuseppe Ungaretti, anch'egli im­ pegnato sul fronte della Prima guerra mondiale, segna il traguardo ideale di una stagione dell 'anima, che reagisce divincolandosi dall ' inevitabile ro­ vina. Le ombre simulano gli stratagemmi della sorte, che sembra inebriarsi come un furetto dinnanzi allo sconcerto dei veterani della guerra e dei loro proseliti. La detonazione di una bomba, lo scatto di un fucile concorrono a delineare quella sordida insofferenza, che arride pretestuosamente agli in­ capaci. I saccheggi sono l'epilogo delle azioni poco edificanti, che le neces­ sità oggettive rendono spesso inevitabili. Di solito, la fantasia si confronta con l' irruenza e la combinazione dei due fattori è il sintomo di una ritro­ vata, seppur episodica, attrattiva primordiale. L'istinto predatorio s' imer­ connette con la temporanea occasionalità di agire a sfavore di qualcuno per il beneplacito delle individuali, irrefrenabili, perversioni. « In combat­ timento si è sotto il peso di necessità obiettive, al contrario di quanto avvie­ ne durante le marce, tra le Hl e che si allontanano dalla battaglia, dove si può osservare chiarissimamente come la disciplina si allenti » '8• L' irruenza del combattimento riedita la morsa dell'esistenza nelle sue più pervicaci esita1 7. lvi, p . 1 94. 1 8 . lvi, p . 2.2.1.

N E L L E T E M P E S T E D 'A C C I A I O

zioni. L' idea che c i s i disperda nel nulla e che non s i sia neppure oggetto di rimpianto e tanto meno di ricordo funge da detonatore. n soldato ritrova nella sua furia distruttiva la sua vis dramtztica e non sa darsi pace. «Migliaia di soldati dormono così, senza che una pietra innalzata da una mano amica segni la loro ultima dimora » '9• L' irresoluzione e la furia sembrano esse­ re l'antidoto a ogni forma di solitaria recriminazione. La consapevolezza dell 'invulnerabilità, sebbene latente in tutti i combattenti, di fatto, a tratti, si dimostra insolvibile. La pietà per sé e per gli altri ha un fondamento di precarietà, che la prescrive inopinatamente a quanti si ostinano a perseguirla come salvifìca. L'eternità appare come un pregiudizio quando le allucinate contrazioni dei bombardamenti si addensano negli anfratti delle case diroccate, nei mean­ dri scoscesi dei dirupi e nelle piazze, convivi di pietra, deserte. In quel lasso di tempo che separa il primo urlo lontano dallo scoppio vicino, la vo­ lontà di vivere si concentrava con uno spasimo particolarmente doloroso, mentre il corpo attendeva il proprio destino senza riparo e senza potersi muovere'0•

La salvaguardia di un posto di combattimento allieta la consapevolezza di durare, sia pure per quel tratto di tempo che il caso rende fruibile come uno stato di grazia. L'angoscia è un'altra protagonista della lotta senza quartie­ re, dell' intrepida ingerenza del timore ancestrale e dell' intimo, inusitato, conforto. Ognuno pensa di essere preda del nemico e di doverlo persegui­ re come un ignaro fustigatore di costumi. L' irrisoluzione può essere fata­ le. n combattente persegue perversamente colui che reputa infìciare l'esi­ stenza priva di quelle asseverazioni costrittive della libera esplicazione della persona. Paradossalmente, il nemico appare il persecutore, non tanto delle buone maniere, quanto piuttosto degli accomodamenti interindividuali, ai quali protendono i sostenitori della pace sociale. « Tebbe, che conserva­ va qualcosa del dandy anche in quei luoghi desolati, mi raccontò una lun­ ga storia a proposito di una ragazza che a Roma aveva posato per lui » ''. L'accanimento, con il quale si presagisce d'aver affrontato la vita, si risolve, nelle tregue della lotta, in rimpianto. La trincea funge da letto di conten­ zione per quanti ambiscono di scorrere rapidamente la vicenda della loro esistenza e di confrontarla con quella, presumibile, di un improbabile furu19. lvi, p. 22.3 . 2.o. lvi, p . n s .

2. 1 . lvi, p. 2.3 5 .

1.4 5

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ro. L'assenza di una tolda di salvataggio spesso induce ai ripensarnenti, alle occasioni mancate, le quali avrebbero potuto compensare quelle perdute. L'offensiva concentra le inibizioni nella morsa della strategia, che, in primo luogo, consiste nello sfuggire ai pensieri dell ' intimità, privi di parole e di segni, completamente affondati nel dilemma della fatalità. L'eventualità è la combinazione incestuosa con l'agguato che tesse la morte. «Un proiettile l'aveva raggiunto al cuore; un proiettile di quel­ li che fulminano e stendono la vittima in una posizione simile a quella del sonno» 11• Il fortino è il luogo del ripiegamento, dove la prova del fuoco si attenua per consentire la ripresa in forze dei commilitoni. Esso è il po­ sto dell'osservazione, della riflessione e del ripensarnento in senso collettivo. Sebbene sia facilmente espugnabile, adombra il rifugio, la controfigura del fortilizio. Qualche volta è il risvolto delle risoluzioni occasionali. « Il tempo di svoltare la traversa, dietro la quale era scomparso e lo trovai morto. Tutto ciò aveva un che di spettrale » '1• La spavalderia, in zona d'operazione, è un efficace strumento di conciliazione con gli ambiziosi propositi di successo. Lo scambio di bombe a mano ricorda la scherma col fioretto; bisogna saltare come in un balletto. È il più micidiale tra i combattimenti singoli che termina soltanto quando uno dei due avversari salta in aria. Può anche accadere che tutti e due restino uccisi••.

La trappola è l'oltraggio che la sorte impone ai fuggiaschi. Talvolta l'ultima facezia, raccontata prima dell'attacco, è il testamento con il quale un com­ battente si congeda dalla vita e dai suoi commilitoni. Le conversazioni non proprio castigate delle pause di riflessione soggiogano le menti dei soldati, che considerano la guerra un'appendice della perdizione (del genere uma­ no). I raduni degli addii si tengono pregiudizialmente fra un attacco e l'al­ tro. La loro filigrana evocativa riguarda il futuro, che non per tutti è preve­ dibile. L'occasionalità dell' incontro sancisce le affinità elettive, le diversità e le incomprensioni, queste ultime rese più palesi dalle allusioni ultimati­ ve. Le linee nemiche, spesso, sono il peristilio del « mondo migliore » . Lo spirito mordace dei suoi esegeti ne condiziona gli ambiti, rispettivamente, a seconda del grado di sudditanza ai precetti evangelici, provvidenziali e afflittivi. 2.2 .

lvi, p. 2.40

2. 3. lvi, p. 2.41. 2.4. lvi, p. 2.43

N E L L E T E M P E S T E n 'A C C I A I O

Un animale selvatico trascinato fuori della sua tana, u n marinaio che s i vede af­ fondare sotto i piedi la tavola della salvezza, devono pressappoco sentire quello che noi provammo al momento di lasciare il rifugio tiepido e sicuro per uscire ne ll 'ombra ostile della notte''.

L'uragano di fuoco è la sfida dei combattenti, che immaginano di essere al cospetto di quelle forze nelle quali s' immedesima l ' Inferno. Lo sfonda­ mento è sinonimo del fratricidio, dello sterminio, che i contendenti simu­ lano di compiere in nome di un demone dissolutore. « L'ardore bellico sa­ liva ora come una vampata » '6• Le fiamme dell'Oltretomba avvolgono i combattenti, che simulano Caronte per i rispettivi reparti d' intervento. Il motto di spirito ha una funzione falsamente redentoristica. In effetti, esso serve per attenuare la tensione e alleggerire il senso di colpa, che coinvolge, sia gli uni, sia gli altri: gli opposti fronti intensificano la contesa, assiderata dai gas, dai fumi, dai bagliori d'assalto. Grava sul conflitto la falsa conget­ tura delle sorti del mondo. La vulnerabilità è la controfigura della lotta, che si palesa nella sua cruda irredimibilità. Il teatro della battaglia si popola di fantasmi, che inscenano rocambolesche raffìgurazioni, prevalentemente notturne, sembianze di struggenti reminiscenze oniriche. Lo spalto dell'azione è uno spazio privo di suggestioni, che consente agli avversari di provare le rispettive forze nell'intento di agglutinarlo alle consuetudinarie vicissitudini. Negli anditi del conflitto si possono rilevare le vertigini dell' insipienza nella congruenza della distruzione. Il fuggiasco è il protagonista dell' inseguimento, che può concludersi con un nulla di fatto. Allora, benigna, la sorte arride con inusitata iattanza alle due parti in contesa. La resistenza, se accanita da entrambe le parti, influisce sulla congruenza dell'epilogo. Le retrovie diventano spesso il retropalco dell 'at­ tuazione felina. In quella situazione ebbi modo di constatare che se un difensore spara addosso all 'aggressore fino a quando questi si trova a soli cinque passi da lui, non può più contare sulla grazia. Il combattente cui durante l'assalto cala come un velo di san­ gue davanti agli occhi, non vuoi fare prigionieri, vuole ammazzare•·.

L'agonismo, negli spazi ristretti, si trasforma in mattanza. L'egemonia dell 'afflizione prevale su tutti gli accorgimenti presi in considerazione dal25. 26.

27.

lvi, pp. 262- 3 . lvi, p. 26 7 lvi, p. l74· .

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la tattica. Il clamore della battaglia è una nenia assordante, una giaculatoria rivolta a denti stretti, a singulti, a un dio poco o molto misericordioso, a seconda delle aspettative di rivalsa dei feriti, dei moribondi, dei prodi e dei reietti. Il letto di contenzione è il terrapieno, sul quale giacciono, inermi, i detentori di quel potere dissolutore che li rende inoffensivi. «Lo Stato, che ci solleva dalla responsabilità, non ci può liberare dalla tristezza; la dob­ biamo sopportare fino in fondo, sin nelle profondità dei nostri sogni» 18 • L'ente tutore dell'ordine pubblico e istituzionale, infatti, è un'organizza­ zione artificiale, resa operante dalle aspettative pacifiche dei suoi aderenti. Esso è un male necessario, che però previene irrimediabili dilacerazioni del tessuto comunitario. La sua legittimità si evince dal desiderio umano di prescindere, per un imprecisato periodo di tempo, dalle tensioni sensoriali in favore di una supcr-committenza morale di ordine razionale. Il Levia­ tano è un indispensabile strumento di codificazione comportamentale, in assenza del quale la lotta fra i mortali sarebbe inevitabile. Soltanto l'assicu­ razione di una condizionata pacificazione consente alla creatività umana di estrinsecarsi liberamente, almeno entro i limiti prevcntivamente tracciati dalla normativa, deliberata con un processo partccipativo, in grado di pro­ muovere il consenso. Lo stato di belligeranza sospende queste garanzie per introdurre delle obbligazioni che esaltano il valore, la sofferenza c perfino il sacrificio. Lo spettacolo, che riverbera il campo di battaglia, è la commis­ sione della lotta a comando, per il conseguimento di un « momento ango­ lare » , dal quale dipendono la pacificazione e la ricostruzione. Il campo di battaglia, ripreso nelle sue fasi incandescenti, non dà adito a pensieri edi­ ficanti, anche se li sottintende come prova di forza del pensiero egalitario, coesivo, edificante. Spesso lo scenario dell'azione è compenetrato da un silenzio spcttrale. Qualche volta, è il vento a dare le coordinate degli acquartieramenti: « Il vento ci portò, al crepuscolo, una vaga e indistinta eco degli urrà lanciati da molte voci » ·�. Le eccitazioni precedono, indifferentemente, le avanzate e le ritirate. La loro esplicazione riguarda la rinvenuta esigenza di sentirsi impegnati in un attacco frontale, senza esclusione di colpi. È un grido pri­ mitivo, irriverente di tutte le convenzioni omologate dalla consuetudine bellica, che talvolta ammette la spregiudicatezza e l' irrevocabilità degli atti compiuti in regime di sovrastante irrazionalità. Le grida, infatti, richiama­ no l'attenzione del nemico, dd quale implicitamente si esaltano il potere l8. lvi, p. 2.76.

2.9. lvi, p. 2.84-.

N E L L E T E M P E S T E D 'A C C I A I O

dissolutorc e l ' inaffidabilità. « Era un o di quegli attimi i n cui, messo al­ le strette l'avversario, uno vorrebbe moltiplicarsi per cento » ;o. Il tiro di sbarramento comporta l' interdizione di ogni minima pausa riflessiva: lo schianto sembra costituire il traguardo finale, onnicomprcnsivo di tutte le alternative dell ' impatto fra postazioni a confronto. L' imponderabile ha una forza attrattiva da compromettere l'esito delle circostanze. La solitu­ dine che talvolta assale nel fortino è inquietante e piena di presagi come quella del cluniacensc o del beduino. I fasci luminosi dei razzi, lanciati da­ gli aerei di bombardamento, adombrano le saette di Giove. « I riflettori scrutavano il cielo scuro alla ricerca dei crudeli uccelli notturni; qualche shrapnel s'apriva come un grazioso giocattolo e i proiettili traccianti si se­ guivano in lunghe teorie simili a lupi di fuoco » 1'. Lo sterminio dei cada­ veri fa pensare al regno dei morti, movimentato dall' incessante ingerenza degli insetti dilapidatori. La volatilizzazione dei corpi negli effluvi del cam­ po d'azione dimostra con spericolatezza l' irrevocabilità del pericolo e con­ testualmente la istintiva necessità di farvi fronte. Il volto del disfacimento dei corpi è percepibile soltanto in guerra, quando le cause della disfatta sono palesi secondo la successione della causalità e dell ' indetcrminazione. « Si annunciava in me il profondo cambiamento che segue all ' imprevista durata di una vita febbrile ai limiti dell'abisso » 11• La lunga temperic belli­ ca pregiudica lo svolgimento delle stagioni e lascia interdetti quanti sono a lungo impegnati a salvaguardare l'epilogo ( glorioso ) dei combattimen­ ti. «La guerra rivelava i suoi enigmi più profondi. Fu un periodo strano, di confusione spiritualc » 11• D' « intorno » possono profilarsi «i bianchi dischi del sambuco, amico dei ruderi » 1 "' . La decomposizione dci corpi fa pensare alla « vanità di tutte le cose » 11• Le macerie evocano impietosamen­ te la dignità degli edifici distrutti dall'empito demolitore di tutte le parti in causa. La rigencrazione è l'occasione riservata ai superstiti, che inesora­ bilmente dimenticheranno i sacrifici compiuti da coloro che vaticinavano una nuova stagione di vita. Le luci dell 'alba sono spesso menzognerc : non tànno presagire nulla di buono e almanaccano sulla voglia degli uomini di sfruttarne la capacità immaginativa. L' istinto e la disciplina si fronteggia­ no nel crepuscolo antelucano ; quindi il nuovo giorno si protende gravido �o. lvi . p. 2.8s. �l. lvi, p. 2.94. � 2. . lvi, p. 2.96.

n. Ibid.

H· lvi, p. 2.98.

;s. lvi , p. 2.99.

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di incognite e vivido di promesse. La precarietà delle situazioni belliche amplifica in maniera spettrale l'esiguità dell'esistenza terrena. La fede nel tempo remoto si denota di assuefazioni rituali e consuetudinarie: si nobi­ lita nella contemplazione e nella riflessione. Il bassorilievo eroico è l'effige di un soldato ferito a morte che continua ad agitarsi come in preda a un incubo notturno. Quando l'arma s' inceppa il senso di smarrimento simula la perdizione e la morte. Il diluvio è l' immagine che ingigantisce il timore e la rassegnazione. La superstizione estingue la previsione e la ragionevolez­ za, rallegrando, come per infìngimento, tutti coloro che ostentatamente la condannano. L'assalto simula contemporaneamente l' insofferenza e l'alte­ rigia di chi ambisce al premio celeste.

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La conformazione di uno Stato immaginario ha le parenti dell'autocrazia, della tenuta del potere tutorio in un ambito considerato spudoratamente sacrale. L' ideale orgiastico e la mistica teocratica si coniugano nell'appen­ dice di una zattera celeste, circondata dal mare e dalle cattive intenzioni dei suoi adepti. Essi sono indiziati dalla sorte, quasi contro la loro scontrosa volontà. Esordiscono, infatti, dicendo di essere diversi da quanto appaiono, di assecondare un ruolo ufficiale in aperta distonia rispetto alle precipue caratteristiche temperamentali. La presenza ieratica è fatta di paradigmi, sui quali insiste la fantasia cognitiva del narratore, che in prima persona pa­ venta le incomprensioni degli esegeti del corso della vicenda esistenziale. Il racconto dei fatti si esplica nella natura, nell'habitat surrettizio, nel quale potrebbero accadere soltanto eventi scontati ma straordinari. L' inventiva si esercita sulla carica sacrifìcale del lettore, che ambisce rinvenire nell' anaco­ luto mentale della quotidianità gli stilemi di un mondo sovrastante, carico d' improbabili imprevisti. L' incidenza del caso è scontata come inefficace perché implicita nell'occasionalità delle circostanze. Il dettato narrativo si esercita su una sorta di climatizzazione delle invarianze. Le esistenze s' in­ terconnettono fra loro : gli animali e le piante interagiscono nelle variabili climatologiche dell'assetto istituzionale. Tra gli animali, dice, è stata l'ape a ricoprire tale affinità. Il suo accoppiamento coi fìori non rappresenterebbe un progresso, e nemmeno un regresso dell 'evoluzione, bensì una sorta di Supernova, una favilla dell 'eros cosmogonico in un'ora siderea. A questo non è pervenuto ancora nemmeno il più audace dei pensatori: reale è solo ciò che non può essere inventato'.

Il pensatore Vigo ( forse una declinazione di Giambattista Vico) santifica per così dire l'in espresso al formulato, le incognite agli assiomi. Le civii1. Ernst Jiingcr, Eumeswi/, Ugo Guanda, Parma lOOJ, p . 18.

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tà appaiono come dei « depositi alluvionali» delle maree conoscitive, im­ prenditoriali. È come rinvenire sulla Terra lo spirito che soffia dove la per­ turbazione umana s' immedesima del disegno divino (della natura dotata di un' implicita esigenza espressiva). Vigo esibisce, a dimostrazione della sua dottrina, la permeabile consistenza della scheggia di un oggetto, la parte­ nogenesi di un elemento infinitesimo di materia. Quella mattina si trattava di un piatto di maiolica di Faenza, con un motivo ara­ bescato di fiori e d' iscrizioni. Additò i colori: un disegno sbiadito color zafferano, rosa e viola, ravvivato appena da un luccichio prodotto non già dallo smalto, né dal pennello, ma dal tempo. Sognano così le coppe di vetro rimaste celate sotto le rovine romane, oppure i tetti di tegole degli eremi che fiammeggiarono per mille estati'.

Le vie mercantili dell'antichità si connotano con le merci (l'ambra, il sale, la seta) e con le spezie ( il sesamo, l'origano) che animano i commerci e la temperie dei mari e dei porti. Il mare è un laboratorio aperto ai predoni e agli avventurieri. Nelle sue traiettorie si adombrano le istanze appoderative sulla terra ferma: gli edifici, le opere d'arte sono il risultato delle perigliose peregrinazioni delle compagnie marine (spesso battenti bandiera delle re­ pubbliche marinare). « L'oro personifica il sole, grazie alla sua tesaurizza­ zione cominciarono a dispiegarsi e a fiorire le arti. Doveva sopraggiungere un soffio di declino, di autunnale sazietà » 1• La rotazione dei prodotti di largo consumo è conseguente all'alternanza dei beni indispensabili al cam­ biamento degli usi e dei costumi dei popoli acclimatati nelle varie regioni del pianeta. Ferdinand Braudel, infatti, considera la coltivazione intensiva del grano nell'area mediterranea il fattore determinante delle sue mani­ festazioni sociali. L' influenza della Siria in Spagna costituisce il condotto d' interazione dell' islamismo in Europa. La saggezza orientale contamina la follia occidentale: la visione fantasmagorica della letteratura nostalgica si coniuga con l 'erasmiana cognizione della quotidiana fenomenologia. L'e­ timo della redenzione è indiziario del modo d' intendere le avversità dell'e­ sistenza e delle forme poste in essere per esorcizzarle. L' illusione e l' imma­ ginazione si fondono nella perseveranza, nella remissione congiunturale. L' ispirazione orientale si flette nelle norme occidentali, negli ordinamen­ ti organizzati secondo il principio storico della congruenza e della succes­ sione. La narrazione occidentale si dispiega nelle campate esplicative delle 2.

lvi, p.

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3· lvi, p. 20.

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cause che determinano gli effetti, spesso pregiudiziali per la salvaguardia dell' incolumità e dell' identità nazionali. La divisa di comodo è la destrezza con la quale gli esseri mortali affron­ tano la convivenza. La concezione di Niccolò Machiavelli, malgrado le er­ ratiche riserve dei moralisti, non è una precetcistica simbiotica, ma un co­ mune strumento di costrizione soggettiva per i più nobili fini dello Stato­ nazione. L' imperiosità del Bene scandalizza quanto l'animosità del Male : la commistione di questi due fattori in una sintesi propulsiva delle aspetta­ tive comuni sedimenta il Bene e rende più afflittivo, anche se accattivante, il Male. Nella visione di Vigo, la simulazione di connotazione machiavel­ liana si esplica algebricamente nelle relazioni interindividuali. Con un tal gioco di sospetti operano, da noi, due specie di docenti: furfanti, che si sono vestiti da professori, oppure professori che, per scroccare popolarità, si atteg­ giano a furfanti. Cercano di superarsi a vicenda nella gara dell ' infamia [espressa con mordente suasivo nell'epoca contemporanea da Jorge Luis Borges ] , ma reci­ procamente non si cavano nemmeno un occhio•.

L'apostasia dei discettatoci incide sull'equilibrio sociale molto di più e in maniera maldestra di quanto non avvenga per opera del Condor, il tutore dell'ordine costituito. La ragione di quanto si manifesta in senso disfunsi­ vo rispetto al metabolismo comunitario è dovuta alla scompostezza con la quale la falsa conoscenza cerca il suffragio delle menti aperte al dialogo e ali' incertezza. L'università è piena di questi mezzi intelletti, che da un lato annusano, dall'altro tànno i ficcanaso ed emanano un ripugnante odor di stalla quando si trovano tutti riuniti. Se hanno in mano le redini, inesperti del potere, perdono ogni misura. Alla fine, arriva lo stivale militare\

La radiografia dell'autoritarismo stigmatizza l' intolleranza e la proble­ maticità. Essa riverbera la « condizione iniziale » , nella quale la comunità delibera sulla propedeuticità dell 'ordine rispetto alla sua potenziale pro­ pensione inventiva. La causticità asseverativa mal si concilia con le istan­ ze innovatrici, che si determinano in un clima di sommovimento ideale e comunitario. A promuovere la popolarizzazione delle idee provvedono gli intrattenitori come Kessmiiller, che possono contare su un certo credi4· lvi, p. 25. s . lvi, pp. 37·8.

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to poiché amplificano le risorse cognitive dei benpensanti e le aspettative salvi fiche dei curatori d'anime. Anche se egli cambia idee a seconda delle convenienze, il suo successo arride sull'onda dell'approvazione collettiva. La generalizzazione del sapere comporta l'assuefazione e in un certo senso l'atarassia mentale. Il parlatore, che conosce il segreto delle pause, non ha tema di occultare il voltafaccia, che magnifica il suo ardore dialettico e il suo ardire totemico. La canzonatura, che egli compie più o meno volonta­ riamente, dei personaggi sacri alla scienza, come Vigo, fa parte integrante del campionario delle facoltà esornative, delle quali è capace e alle quali si dichiara estemporaneamente refrattario. Per un pensatore come Vigo. lo Stato è un criterio di misura, un apparato che regola la violenza, tacita i ran­ cori e gli odi repressi, agevola le intese, nell' interesse collettivo. Il bene comune, che però non appartiene a nessuno, è una categoria ecumenica, un'entità rugginosa, che arride prevalentemente agli incapaci, cioè a una parte notevole della condizione umana. Il progresso e l'evoluzio­ ne verso il paradiso terrestre sono congeneri e comportano la rivoluzione antropologica e culturale. L'affid abilità del sistema selettivo dei membri del Condor tiene in debito conto tutte le tecniche psicoanalitiche e investi­ gative (al punto da ritenere il vecchio psicanalista Reichenbach sinonimo del filosofo della scienza del Circolo di Vienna). L' imprevedibilità pervade perfino l' intimità. La sensazione d' incertezza, che esalta l 'eros, si conforma con l'improbabile committenza dell'eternità. Qui occorre differenziare : l'amore è anarchico, il matrimonio no. Il guerriero è anarchico, il soldato no. L'omicidio è anarchico, l'assassinio no. Cristo è anarchi­ co, Paolo no ... Non si tratta di opposti, ma di graduazioni. La storia del mondo è mossa dall'anarchia. Insomma : l'uomo libero è anarchico, l'anarchista no6•

L'anarchia è intesa come la madre della creatività. Fin dall'antichità clas­ sica (nell'Atene del v secolo). il caos è il « momento aurorale » degli esseri e degli enti della realtà. L'anarchia cosmica è la superfetazione dell'ordi­ ne conoscitivo, dell'approssimazione con la quale la mente umana cerca di scandagliare nei re cessi della natura. I bonari s' ispirano a Jean-Jacques Rousseau, l' ideatore della « volontà generale » , di una cognizione ideativa, che coordina e sopravanza le volontà particolari. Come nel postulato ma­ tematico, che riguarda l' infinità dei numeri reali e l' infinità dei numeri fra due di essi, così nell'ordinamento giuridico moderno la legittimità si evin6. lvi, p. 39·

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d a una propensione soggettiva verso l'universalità, che adombra quel regno dei fini, identificabile con l ' Eden terrestre. L' anarchista, in quanto antagonista del monarca, medita sull'eventualità di compiere un gesto che lo assicuri alla memorazione storica : ritiene che, abbracciando d'impeto l ' imperatore, e gettandosi insieme a lui nel vuoto, rasenti le scogliere del­ la notorietà, a sua volta soggetta alle più spericolate incursioni critiche dei suoi stessi esegeti. L'anarca è un dominatore di sé stesso, un assertore della sua imperscrutabile identità. « Servo il Condor, » afferma Martin Venator « che è un tiranno - questa è la sua funzione - come la mia è quella di suo steward ; entrambi abbiamo la possibilità di ritirarci all' interno della no­ stra sostanza : ch'è l 'elemento umano nella sua innominata singolarità »'. La tirannide quindi è un atteggiamento intimistico che può rimanere vali­ do nell 'ambito della cerchia individuale o trascenderla per connotarla con l'apparato afflittivo a livello comunitario. La disinvoltura è estranea ad en­ trambi i fronti, suscettibili di essiccarsi in sé stessi e vanificarsi per la so­ pravveniente resipiscenza, prima di pochi, e poi della maggior parte delle persone che fanno parte del sistema politico normativa. L' intemperanza si esaurisce nella contingenza quotidiana, che costituisce, soprattutto per le generazioni adulte, il terrapieno o il fortilizio, sul quale consolidare la loro precari età. L' incostanza emotiva è una quotazione del tempo liturgico, di quell' insieme di momenti nei quali si compendia l'esistenza. I sommovimenti tellurici, i diluvi, le perturbazioni dell'aria provocano la comparsa di nuove specie e di nuove stirpi. La glaciazione dello Stretto di Bering della notte dei tempi consente alle orde orientali di penetrare nel continente americano. L' improvvida determinazione di Cristoforo Colom­ bo di avvistare l'Oriente nelle terre del Nuovo Mondo e di rinvenirvi gli indiani, paradossalmente, almeno sul piano lessicale, è attendibile. Gli abi­ tanti delle nuove terre conosciute sono gli eredi di una arcaica emigrazione da un'area all'altra del pianeta. La loro dimestichezza con le droghe evo­ ca l'uso della mandragora, dotata di poteri afrodisiaci, propri della nomea, della quale si fa vanto Khan Giallo, una figura leggendaria della mitologia di Eumeswil. Il bar, ritenuto un efficace osservatorio di quanto accade nella casbah, è frequentato come un luogo di ritrovo e di reciproca interazione. Esso è piuttosto uno snodo concettuale o una stazione di posta, nella quale si cambiano i cavalli e si approfitta della siesta per arraffare quel che capita sotto tiro. Nell'elucubrazione soggettivistica, anche la nascita assume il si­ gnificato recondito di un incontro fra un uomo e una donna non conforme

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ai dettami della morale corrente. La sorte delle creature è sempre in bilico fra lo struggimento emotivo della madre e l' impeto dispositivo del padre, che ambisce porre un criterio direzionale alla procreazione. « Come Titano il padre trangugia la creatura, come Dio la sacrifica. Come re la dissipa nelle guerre, che imbastisce. Bìos e mito, storia e teologia offrono esempi a iosa. I morti non fanno ritorno al padre, bensì alla madre »8. ll padre è il tenutario del tempo e la madre è la depositaria dello spazio; il padre ha propensioni pneumatiche, per le atmosfere imponderabili dell 'esistenza, la madre pre­ siede alla catena degli esseri. La parentela è una multipla conformazione di ideali, che trovano riscontro nella problematica capacità argomentativa. La concretezza è un limite categoriale alla compagine genetica. Le goethiane affinità elettive consistono nell'adozione di comporta­ menti che non si ritengono ereditabili. La loro compostezza stilistica li in­ gentilisce al punto da strutturarli in stilemi, in simboli, in categorie espres­ sive, rappresentative, didascaliche. L'inazione, preludio dell 'inedia, attiva la rappresentazione delle immagini, che evocano le sensazioni di esperien­ ze, evidenziate soltanto dalla memorazione. Il presagio è la figurazione di eventi dimenticati, appena affioranti al ricordo. Il maggiordomo {Domo ) si esercita nella funzione esornatrice del potere; e lo fa ricorrendo mental­ mente al Principe di Machiavelli e alla temperie di Firenze all'epoca della conformazione dello Stato-nazione, di un organismo che, indipendente­ mente dalle sue limitazioni spaziali, recepisce e metabolizza le variabili cre­ denziali, comportamentali, linguistiche, dei ceti e dei gruppi che lo anima­ no. La tensione dell'osservatore si concretizza nel silenzio, in quell'oasi di pensieri silenti nella quale la gestione dell'esperienza assume connotazioni razionali. La sapienza magica di Bruno si trasforma nella visione cosmi­ ca, argomentata dalla scienza. « Bruno mi ha fatto presagire fondali che non appartengono né alla storia né al regno naturale, che sono anzi indi­ pendenti dalla presenza dell'uomo nell'universo» 9• L'apparenza assume nella forma il dominio spaziale e riesce a suscitare le nozioni necessarie per attivare la mente nell'esercizio della dilemmaticità, della problematicità, dell' invarianza e della complementarietà. La sentenziosità è l'artefatto lo­ gico con il quale aggredire l ' incostanza e la precarietà. La credibilità si ren­ de manifesta mediante questa destrezza lessicale, che è un' immagine regi­ strata dalla convenzione espressiva. L'aspetto tentacolare della conoscenza, tuttavia, prescinde, almeno relativamente, dall'obiettività. La manipola8. lvi, p. S9· 9· lvi, p. 6 s.

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zione del linguaggio è pertanto un' iniziativa da falsari. Le grandi idee - per echeggiare la frase di un vecchio francese - naufragano nel mondo. Considero cattivo stile storico - medita Martin Venator - farsi beffe degli errori degli avi, senza rispettare l ' Eros che vi era connesso. Noi non siamo meno di loro vittime dello spirito dei tempi; la follia si trasmette ereditariamente, noi non fac­ ciamo che calzare un nuovo berretto a sonagli'0•

L'errore, del quale tutti riconosciamo l'azione, non può avere l'assevera­ tività dell'ordine: la sua subordinazionc a un principio euristico lo rende percepibile ed emendabile. Il desiderio e la compiacenza concorrono ad accreditare la confessione, che si frange nell'eloquio senza costrutto concettuale. L'iperattività del lo­ cutore denota la distonia dell' interazione uditiva, frammentata dalla distra­ zione o dalla stanchezza degli interlocutori. Martin Vcnator si dichiara esen­ te dalla simpatia per tema di non oggettivare le impressioni e i convincimen­ ti, che ricava dal suo punto di osservazione ( il bar, frequentato dal Condor, da Attila c da Domo). L'umore è la temperatura psicologica nella quale si condensano le idee, che galvanizzano la deduzione e il convincimento. I ri­ formatori sociali sono esonerati dalla regolarità delle successioni espressive c concettuali, nel senso che si appropriano di un eloquio inusuale e tuttavia redcntoristico, in quanto richiama alla mente espressioni classiche, frasi fat­ te, consolidate idiosincrasie. La loro perizia consiste nell'evidenziare il lo­ ro messaggio con una tecnica in apparenza innovatrice e pervasiva. Le idee e i fatti si contendono l'approvazione degli abitanti della casbah. I grandi ideali sono scomparsi con le discriminazioni: il colore della pelle e le pre­ terite affabulazioni etniche non hanno alcuna presa sull'opinione corrente. Gli emarginati e i criminali agiscono indisturbati negli ambiti loro destina­ ti da un' improbabile condiscendenza da parte del Condor. La perifrasi è il condotto espressivo con il quale la radice nevralgica della locuzione si redi­ me dall' invarianza lessicale e si adegua all ' interpretazione. Il linguaggio non perde efficacia se si traduce in cifre. Nell'antica Mesoamerica il calendario azteco ha delle affin ità con il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei. La conoscenza dell'algebra e della trigonometria consen­ te agli antichi Messicani di perlustrare le vie del cielo e di rappresentarne le coordinate, così come lo scienziato italiano attua mediante il ricorso alla scrittura e alla sua funzione didascalica. L'ordinamento concettuale si avvale I O. lvi, pp.

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degli strumenti della sintesi espressiva per magnificare la conoscenza cosmi­ ca. La decadenza del linguaggio è pertanto una fmzione scenica: le cifre nu­ merali, le figure geometriche, le allitterazioni, contribuiscono a evidenziare le incognite e le postulazioni algebriche della conoscenza. L'abilità nel sag­ giare i miti e nel riabilitare le antiche credenze consiste nel rendere gli uni e gli altri corresponsabili delle ulteriori elaborazioni concettuali. La ricostru­ zione storica può assumere quote fiabesche, soprattutto quando preludono a una svolta epocale, a partire dalla quale si differenziano e si saldano nel pa­ trimonio conoscitivo, nella tradizione. Per Vigo, la concezione ciclica della storia ha una concatenazione prov­ videnziale: lo scetticismo e l'ottimismo si succedono con inusitata correla­ zione. Per Bruno, invece, l ' imponderabilità delle successioni delle fasi na­ turali (l'estinzione di piante e di animali per il modificarsi del clima) rende imperscrittibili le previsioni, anche se si manifestano fiaccando ed entusia­ smando la ragione. Bruno - osserva Martin Venator - si allontanava dal campo storico più decisa­ mente di Vigo; perciò, dell 'uno mi andava più a genio lo sguardo retrospettivo, ma dell'altro quello prospettico. In quanto anarca, io sono deciso a non !asciarmi catturare da nulla, a non prendere in fondo nulla sul serio - non in modo nichili­ stico, ma piuttosto come una sentinella confinaria, che in terra di nessuno aguzza gli occhi e orecchie in mezzo alle maree". ll percorso del tempo sembra in continuo divenire : l' Eterno Ritorno adombra un circuito chiuso, la prigione dell'essere nella immutabile tem­ perie cosmica. « ll pensiero dell' Eterno Ritorno è come quello di un pesce che voglia saltar fuori dalla padella. Cade sopra la piastra ardente » ',. La sofferenza s' identifica con la constatazione dell' implacabile intercessione del tempo rispetto alla sua improbabile modificazione. L'eternità è un an­ goscioso reperto archeologico, che funge da linea divisoria rispetto alla sua riflessione. L' idea di un dedalo dalla sconfinata limitazione è quanto appa­ re probabile ai visionari, ai poeti e agli eversori di tutti gli ordini artificiali, costruiti a beneficio dell' illusione. L'antidoto della poetica disperazione è l' ironia, la forma con la quale l'eloquio si frantuma nelle sue componenti sintattiche e adombra illusivamente un continente in fuga nel vuoto asso­ luto. L'uniformità delle successioni temporali consente di affrontare l 'eter­ nità con lo spirito rinfrancato dalla passione e sollevato dall'entusiasmo : 1 1 . lvi, p . 82.. 12.. lvi, p. 106.

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piano orizzontale « delle opere e dei giorni » , l'eventualità di essere di­ stratti o attratti dall' imprevedibile è sempre più improbabile e proprio per questo percepita come possibile. La permanente tensione consente di affe­ zionarsi agli eventi e di sottrarsi lentamente alla loro suggestione. ll conti­ nuum è l'aspetto mediatico dell'eternità. L' insondabilità dell'esistenza si esplica nella sfaccettatura delle sue de­ finizioni. D labirinto - poeticamente evocato da Borges - induce allo scon­ forto con l ' illuminato pretesto che l'averlo scoperto è già una fonte d' in­ colmabile soddisfazione. Il « dispendioso Luminar » serve per osservare la volta celeste e illudersi di percorrere l' infinito come la saetta del tempo senza incontrare ostacoli che ne riducano il ritmo e lo raccordino a un terminale. La metamorfosi è la filosofia dell'espiazione congetturale, proposta da quan­ ti ambiscono beneficiarsene. La finzione è un salvavita per il genere umano nella sua ineludibile degradazione. Essa serve per tirar su il morale mentre l'osservazione tenta di rigenerarsi dalla foschia che la circonda. La casbah appare, a periodi ricorrenti, un giuoco o, come afferma Robert Musi!, un esperimento. D diletto individuale si configura come un' intrusione nel giu­ oco del mondo. L' ipocrisia è la parentesi artistica che s' instaura nella traver­ sata dell'esistenza. Gli esseri umani ne riconoscono la negatività e tuttavia ne perpetuano la funzione a scopo eminentemente consolatorio. Essi pensa­ no così di offendersi di meno di quanto la lealtà non imponga. La sinecura dell' infingimento è tuttavia lesiva della libera determinazione. La finzione scenica e la esplicazione degli individuali desiderata si confrontano fino a debellarsi reciprocamente con le attenuanti generiche e le ingiunzioni della socratica rassegnazione. La diffidenza è utile se raggiunge le dimensioni della cautela. La dissolutezza, oltre a infrangere i costumi consolidati, ridicolizza il ritmo vitale, l'epifenomeno del senso comune e della pace sociale. D giuoco svolge un compito laudatorio di tutti gli accorgimenti posti in essere dal ge­ nere umano, per « disttarsi » dalla fine. ll talento di animare le figure men­ tali con i paradigmi emersoniani serve a ricomporre la speranza in una sorte comune, suffragata dagli stessi rischi e dalle analoghe in congruenze. L' idea di come assecondare i disegni potestativi di Tiberio, che da Capri riesce a scongiurare le congiure romane, riempie di propositi inevasi lo zibaldone di Martin Venator. La discrezione appare la forma più eloquente d' intesa fra due realtà così distanti fra loro da apparire improponibili. La misura, la debita distanza, il criterio discrezionale sono salvifì.ci ai fi­ ni della condizione umana. L'eccessivo coinvolgimento ai fenomeni socia­ li e l'estremo distacco dagli stessi sono pregiudiziali per il conseguimento di soddisfacenti risultati oggettivi. La prudenza è l'accorgimento mediante IS9

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il quale l' istinto instaura con la ragione un accordo, utile ai fini dell'armo­ nica collaborazione interindividuale. L' intelligenza consiste nell'avvalersi dell' istinto per propiziare risoluzioni razionali. L'osservazione si sottrae co­ sì a qualsiasi valutazione di principio. L'esperienza si accorda o meno con il pregresso della vicenda umana secondo il criterio della compensazione e della complementarietà. « Eumeswil è, del resto,» afferma Martin Venator « una città di epigoni e perfino di fellahin, ma, in compenso, nella casbah non si suonano trombe in vista della posterità. Piccoli piaceri e piccole pene quotidiane sono la materia della conversazione » ''. La tenuta corrente della vicenda collettiva è tangenziale al tedium vitae, che ha l 'attrattiva di diri­ mere, sul nascere, le fatidiche problematiche sull 'esistenza. L'abilità consiste nell'abbandonarsi alla corrente senza avere la pretesa di modificarne il cor­ so. Quest'atteggiamento prescrive una duplice considerazione: non pren­ dersi troppo sul serio e godere come un transfuga di un' immeritata libertà. L'anarca, infatti, non giudica le idee, ma persegue i fatti; e insiste perché il mutamento sia esorcizzato come provocatore di catastrofi. La staticità è una categoria compulsiva del benessere consolidato. Essa si evince dalla lotta che s' instaura in ogni organismo in cerca del proprio spazio vitale. La richiesta di pareri o di consigli è pletorica: serve solo per non fare inaridire le menti e illuderle di esercitare ancora una funzione benefica nel metabolismo globa­ le. Paradossalmente, l'equilibrio collettivo deriva dal diffuso potenziale tra­ dimento all'ordine costituito. Il fatto che non si manifesti concorre a con­ solidare il sistema esistente e a renderlo sempre più refrattario a ogni tenta­ tivo di cambiamento. La legittimazione dei regimi assolutisti si evince dalla inespressa implacabilità delle riserve mentali dei soggetti. Il servilismo è la condizione germinativa della ribellione. Quanto più la situazione sociale è stagnante, tanto più si presagiscono i prodromi della rivolta e della conte­ stazione. « Stare sott'acqua per un po' di tempo» confida Martin Venator è una buona strategia per la rigenerazione. L' invisibilità, l'ibernazione, in regimi come quello instauratosi a Eumeswil, sono propedeutici all ' innova­ zione, che può anche non manifestarsi nei tempi previsti dalle aspettative provvidenziali dei riformatori sociali. La scomparsa dalla scena pubblica per un periodo può essere necessaria (oltre che opportuna) per la risurrezione. L' insicurezza dei potenziali congiurati è un ricostituente per il regime. Esso appare sempre più sostenibile dalla sottomissione generale. L'apparenza ha una forza gravitazionale di particolare intensità e tale da rendere impratica­ bile ogni alternativa istituzionale. La curiosità e la sagacia difficilmente si co1 3· lvi, p. l l7.

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niugano nell'impresa inventiva. Quando questo binomio si salda, l'effetto benefico si rende evidente e generalizzato. La tirannide fa affidamento tanto sull ' inimicizia quanto sull'omertà degli affiliati, che hanno una ragione in più per far valere la loro bravura. La sicurezza rinsalda i vincoli dei sostenito­ ri e degli avversari del regime. L' imprevedibile sconcerta gli uni e gli altri e li rende incapaci di contenere gli argini dello status quo. La magnitudo sismi­ ca è direttamente proporzionale all'entità della trasformazione economica e politica. Perfino i veggenti sono destinati a scomparire. La loro invadenza è ritenuta inaccettabile dall'opinione corrente, costretta a prendere atto del diverso corso degli eventi e delle circostanze. I fiancheggiatori di periferia del regime che crolla sono additati al pubblico disprezzo. I contestatori rivendi­ cano il diritto di primazia rispetto allo « spirito del tempo» . L'apparenza si eclissa di fronte alla sostanza nei turbolenti processi innovativi. L' ideale astratto si consacra misticamente alla tensione compulsiva. I corpi si affron­ tano presaghi del ricettacolo della morte. La distrazione (Iudica, turistica) consente di attingere la fine delle cose con inusitata noncuranza. La trascu­ ratezza è la cartina di tornasole delle sorprese che riserva la realtà, soggetta a continui sommovimenti ideologici e politici. L'astrazione della convulsione sociale e l'assenza di princìpi cagionano l'apatia, che salvaguarda, soltanto in apparenza, dal conflitto interindividuale, di gruppo, di classe. Il potere di­ screzionale non è sempre un buon consigliere. « Il fatto è che nel cosmo non vi è nulla di nuovo, altrimenti l'universo non meriterebbe tale nome » '._ L'e­ sorcismo delle variabili e delle varianze è dovuto all' inedia, che soggioghe­ rebbe l'osservatore-perturbatore della realtà. L'artificio, con il quale modifi­ care l'aspetto esterno della natura, è una finzione scenica, in grado di illudere le creature sulla loro durata e sulle loro fmalità. L'affezione per l'indeclinabilità dell'esistenza consente di attingere alle sue matrici biologiche, mentre delude sulle sue potenziali, intrinseche evolu­ zioni. La dipendenza dal bisogno limita la libertà, che si ostina a considerarsi immune dalla contingenza terrena. L'autodeterminazione è un luogo comu­ ne, che viene teorizzato ogni qualvolta si esprime un giudizio sui condizio­ namenti oggettivi. Il tradimento, infatti, enfatizza la perdita della libertà in­ dividuale, in funzione di una precettistica che la sopravanzi. La distrazione dalle inquietudini esistenziali ha quindi una risolutezza curativa. Il tedium vitae insidia l' imprenditorialità degli esseri che si interpellano sul loro po­ tenziale creativo. L'entusiasmo è pertanto l'antidoto dell'atarassia. Il timore 1 4-. lvi, p. 1 6 7.

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del buio crea i fantasmi della mente, che si esercita in contumacia sugli anti­ chi splendori del mondo e sul suo inevitabile declino. La ragione si esercita imperscrutabile nell'intento di inventariare la causa dei fenomeni, propiziandone la riproducibilità artificiale. La forma­ lizzazione del linguaggio contribuisce ad addestrare l'osservazione in ma­ niera ordinata. All'alternanza delle rappresentazioni figurate della realtà fa riscontro la dinamica istituzionale. Che dinastie e dittature si alternino all ' infinito, non spiega soltanto la loro im­ perfezione. Deve contribuirvi un movimento peristaltico. Esso non conduce al progresso, perché la somma delle sofferenze resta uguale. Piuttosto, sembra venga confermata una sapienza celata dentro la materia. A ciò allude già l ' ingenuo fervo­ re con cui tutti i rivoluzionari pronunciano la parola "movimento"'1•

Il tiranno è una figura ingannevole, allude al condor, al demone delle An­ de, che sovrasta le vette dei vulcani senza nemmeno un battito d'ala. La sua strategia consiste nel rendersi distinguibile rispetto a tutti gli altri volatili, che si aggirino a bassa quota in cerca di vittime, come gli alpacas e i gua­ nacos, e nel raggirarli, umiliandoli, nell'abisso. La tirannide consiste nel ripristino e nella procrastinazione della lotta di tutti contro tutti. Lo stile­ ma dell'avvoltoio comprende le astuzie impiegate per atomizzare le masse. Il rituale, con il quale nell'antico Perù si sacrifica spietatamente il condor, fa pensare alla rivolta con la quale le masse inferocite abbattono perfino le effigi del tiranno. Nel Messico, l'avvoltoio reale è l'animale araldico, che evoca il serpente piumato, il totem azteca. Naturalmente, i processi di rot­ tura, di violento cambiamento istituzionale, sono intercalati da folate di re­ sistenza, che caducano con inusitata remissività. « Il tiranno, anche quando scade a livello di despota, è più fecondo di aneddoti del demagogo» '6• Il despota non ha idee: ha improvvisi sussulti d' insofferenza, che lo induco­ no a effondersi, come un tuffatore arcaico, nell' ignominia. La spettacola­ rità lo attrae e lo spaventa con inusitata successione fino a debilitarlo e a renderlo inoffensivo. Nelle fasi di quiete apparente egli guata il perimetro dell'azione e la popola dei fantasmi della sua furia emotiva. Lo sperpero lo mitizza. L'oro e l'argento sono l'aspetto del suffragio naturale, al quale rimanda il suo atteggiamento eversivo nei confronti di ogni proposizione conciliatrice nei riguardi delle esigenze individuali. L' identità del tiranno 15. lvi, p. 1 8 1 . 1 6 . lvi, p. 187.

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ha il vigore della falsa universalità, che si flette nell 'atteggiamento attendi­ sta dei soggetti politicamente inconsistenti. L'energia, cioè il lavoro delle macchine, il robot umano e animale, la diffusione di giochi e di notizie, viene pagata in soldi. L'oro però è richiesto per il canto e per la poesia, per scritti e opere d 'arte - e, come ho detto, anche per la prestazione erotica. Esistono, qui, distinzioni fra salario e onorario'-.

L'utilizzo privato della moneta è un aspetto poco rilevante dell'economia istituzionale, che ambisce provvedere a tutte le esigenze della collettività. Il professor Scavo sostiene, infatti, che il controvalore del denaro è l'energia. La misteriosofica concezione del potere si declina nell' ineluttabilità della finzione salvi fica, rappresentata da un taumaturgo della forza inevasa, con­ tenuta nel ristretto perimetro del microcosmo di Stato. « La trascenden­ za è il binario morto della ragione. Il mondo è più miracoloso di quanto lo rappresentino scienze e culti religiosi. Soltanto l'arte gli si avvicina » '8• L'analfabeta Cado Magno rappresenta scenograficamente la governabilità di un vasto impero. La demagogia non consiste nella logorroica ingerenza nella vicenda privata dei cittadini; al contrario, può convertirsi nell'astrazione più effe­ rata e perciò magniloquente. L' intemperanza può assumere forme di inu­ sitato contenimento delle propensioni attuative, creative, dei singoli indi­ vidui, nel loro quotidiano esercizio per la sopravvivenza. L' inquisizione, infatti, è un'attitudine sospensiva della libera esplicazione del pensiero e dell'attività. La tirannide pretende di decifrare il mondo secondo la tempe­ ric del timore e dell'attesa. L'apparente sospensione del giudizio sul mon­ do pregiudica l'attivazione soggettiva e consensuale, vanifica la conforma­ zione patrizia o contrattualistica del consorzio sociale. La progettazione di imprese titaniche (quasi sempre incompiute) si propone di sorprendere le masse e di ingentilire il godimento del tiranno. Le cosiddette attività plu­ toniche servono per solleticare la sensibilità collettiva, tenuta a freno dal redentorismo pacifista. L' irreduttibilità delle opere faraoniche alla compo­ stezza Iudica dei singoli individui le rende offensive della dignità colletti­ va. L' inaccessibilità al luogo di meditazione, che non sia istituzionalmente autorizzato, tende a ridurre l'aspettativa trascendentale per immedesimar­ la nella religione panica. L'occultismo è tollerato affinché si concili con le 1 7. lvi, p. 1 9 3 . 1 8. lvi, p. 137.

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previsioni totemiche, che attualizzano la persistenza del regime in vigore. Le affabulazioni si riferiscono alla imperscrutabile temperie degli « inizi » . « Un uomo senza storia è un essere che ha perduto la sua ombra » '9• Nella vulgata, il senso della morte è legato all' incompatibilità di due concezioni distoniche dell'esistenza. Il dibattito sulla pena di morte si sposta pertanto dal piano giuridico a quello antropologico: «l 'uno rappresenta il carnefi­ ce dell 'altro » ,0• Per sottrarsi all ' inevitabilità della sorte, Odisseo inaugura la traversia della destrezza, l'attitudine per procrastinare l'attuazione del « fato» . «La libertà è comune a tutti, eppure è indivisibile; la volontà vi aggiunge la pluralità » 11• Il compimento della sorte individuale riverbera quella collettiva, che si dispiega in uno scenario cangiante e al tempo stesso illusorio. Lo stratagemma immaginario dell'unità dell'essere nella diversità dell'esistere è l' isola, un continente ideale, che adombra il domicilio coatto dell'umanità prima della liberazione celestiale. Il riformatore sociale, come l' anarca, predispone la vicenda terrena rispetto ali' accomandita edenica. «La vita è troppo breve e troppo bella per sacrificarla alle idee, sebbene il contagio non sempre può evitarsi » 11• L'anarca si distingue dal solipsista, che ritiene essere il mondo la rappresentazione scenica delle sue scorriban­ de mentali. Privi degli istinti censori delle democrazie, gli anarchici si af­ fidano all'evenienza, quindi alle sollecitazioni di quanti si affannano per produrre i benefici, dei quali si avvale nel suo insieme la collettività. L'a­ narca fa affidamento sull' impegno di quanti si adeguano ad essere denigra­ ti per essere attratti dai guadagni e dalle soddisfazioni private dell'esisten­ za. I soggetti alle regole della competizione non fanno parte del pantheon degli iniziati alle grandi imprese del pensiero. E, tuttavia, costituiscono la fanteria di tutti gli eserciti di iniziati alla conoscenza e alla sua applicazione oggettiva. La circospezione, con la quale i normali contribuenti dell' isola agiscono anche a loro vantaggio, è un atto di ossequio alla fantasia creatri­ ce, all 'elaborazione dei disegni alternativi a quelli contraddistinti « dal ca­ so e dalla necessità » ( per usare un'espressione di Jacques Monod ) . Il Caos genera Cronos, che divora i suoi figli. Max Stirner, denominato il « meta­ fisico dell'anarchismo» , considera l'emisfero individuale il riflesso condi­ zionato dell 'universo. Per questa ragione la sua dottrina della intransigenza soggettiva ha un costrutto concettuale, per quanto criticabile, adeguato a 19.

lvi, p. 2.49.

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2.2..

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reggere un' improbabile equazione differenziale, che ha domicilio coatto nella mente disincantata dei primi esegeti della svolta tecnologica e artifi­ ciale della quotidianità. Il potere esoterico ed estemporaneo dell'egoismo contribuisce ad attenuare i contrasti individuali e a vanificare, come inutili sollecitazioni emotive, i conflitti di gruppo e istituzionali. Che l' Un ico sia apparso nel 1 8 4 s , non vorrei considerarlo un caso ... Ho dato una scorsa alla massa della bibliografia che si è occupata di Stirner, al Luminar, era cui le memorie di un autore di nome Helms, in cui Stirner è descritto come il prototi­ po del piccolo-borghese e delle sue ambizioni''.

La sua caratteristica più eloquente consiste nel rendersi impenetrabile ai fastigi di un'epoca dominata dalla percezione e dalla propulsione di mas­ sa. Il governo è antitetico a ogni espressione dell' indedinabile personali­ smo. Questa antinomia è paradossalmente la matrice nevralgica della ti­ rannide, di un sistema di argomentazioni normative, fondato sull 'egola­ tria. Il suo corrispettivo è l'ordine garantito da un codice morale statale. « Bakunin vorrebbe rimpiazzare la Chiesa con la scuola, Pelloutier infìl­ trarsi nei sindacati, taluni intendono agire sulla massa, altri - come Em­ ma Goldmann - sulle élites; gli uni praticare una propaganda priva di vio­ lenza, gli altri a mezzo della dinamite - ci si perde in labirinti » '4• La fede nell' infallibilità dell'azione spionistica e redentoristica è fallace. « Stirner non è accessibile a idee, meno che mai a ideali di felicità universale. Egli cerca le fonti della felicità, del potere, della proprietà, della divinità, in se stesso; non vuoi mettersi al servizio di nulla e di nessuno » '1• L' incoscienza soddisfa e deprime l' immaginazione, ma non denota alcuna interferenza con il corso degli eventi, sorretti dalla scabra committenza comunitaria. La verità s' interconnette, ma non s' identifica con la felicità. L'associazio­ nismo - per Stirner - è accidentale. L'analogia fra l' Unico e il Superuomo è quantomeno superficiale. « Il Superuomo partecipa alle gare competi­ tive, mentre l ' Unico si accontenta dello spettacolo » '6• La volontà di po­ tenza nietzschiana non è affine all' autoconsapevolezza stirniana. La morte di Dio di Nietzsche non concerne l'argomentazione spirituale di Stirner. L'aneddotica regge le file dell' immaginazione associazionistica, contro la quale stride la tirannide. La perturbazione organica di un assetto istituzio2.�. lvi, p. � 1 6 . 2.4. !bid. 2.5 . lvi, p. � 1 9. 2. 6 . lbid.

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naie, retto da un tiranno, è pronuba di un'era passata, che sta finalmente per compiersi con il compiacimento degli dei, assonnati nel cosmo e poco propensi a influenzare, come è tradizione oracolare, le sorti dei mortali. Il ripristino della « normalità » si esplica nell'opera legittimista degli esuli, rientrati in patria, forti dell'esperienza maturata all'estero, fuori delle mura domestiche, in sintonia con la temperie universale.

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Il sortilegio della parola si esplica nella sua forza evocativa di atti inconclusi e che si stemperano nel tempo della contingenza terrena. Si strugge nella parola il paradosso dell'ossimoro, della contraddizione contenuta nelle li­ nee metaforiche dell'esistenza. La concisione sembra costituire una sorta di barriera corallifera del flusso delle parole, che connotano eventi e figura­ zioni. L'economia espressiva consiste nel rendere equinoziale e misurabile l' indifferenza per il dolore altrui. La borghesia, che stipula un contratto con il diavolo, pur di ridurre la sofferenza, si propone come la matrigna dell 'operaio, tutore di un ordine infieri, che ambisce accreditare al genere umano una serie di prebende di dimensione generale (ecumenica). «Uno dei mezzi atti a preparare una vita nuova e più ardimentosa è l'annienta­ mento della scala di valori prodotta dallo spirito isolato in se stesso e dive­ nuto dispotico; è la distruzione del lavoro educativo che l'età borghese ha esercitato sull'uomo» '. L' istanza più incisiva nella società p re-industriale è quella promossa dali' azione, che converte le tradizionali categorie dell'e­ quità e della bellezza in altrettante versioni della funzionalità. L'operaio assume un aspetto eroico nell' impresa, alla quale affida le sue risorse per il conseguimento di obiettivi concreti, elegiacamente rappresentati dalla se­ rialità degli oggetti del desiderio (e del benessere). Nel movimento operaio, l' identità individuale simula quella collettiva, alla quale è connessa l'atti­ tudine modificatrice di tutti i rapporti sociali. La sovversione delle forme, con le quali si deliberano i diritti e i proventi dell'azione, tiene in debi­ to conto il fattore ecclesiale, che l'operaismo infligge alla sua componen­ te attuativa. La creazione dei beni collettivi si realizza nella fabbrica, nel nuovo laboratorio delle istanze del genere umano alle soglie dell'età tecno­ logica, degli strumenti con i quali si attualizza l'artificialità compensativa delle incursioni dell'osservatore della natura nella sua costitutività. Il mito 1. Ernsr Jiinger, L 'operaio, Dominio nesi, M i lano 1995, p . 39·

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Edizione C D E ,

su

licenza della Longa­

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dell' imponderabilità dell' interferenza dell' inorganico nell'organico pren­ de forma nelle allucinate esperimentazioni tecnologiche, che infiammano i circuiti iperattivi, sia dei creatori, sia dei fruitori, dei prodotti artificiali. Rappresentanti dell 'operaio sono in questo senso i più alti impulsi del singolo ver­ so un mondo superiore, intuiti originariamente nella figura del Superuomo, ma lo sono anche quelle comunità che vivono operando scrupolosamente come formi­ che, pronte a considerare il diritto all 'originalità come un'abusiva manifestazione della sfera privata'.

L'operaismo è un movimento democratico in quanto partecipa della tem­ perie moderna con intenti mediatici, privi tuttavia di quell 'ecumenicità che si vorrebbe conseguire, per la diversità esistente fra i livelli di sviluppo delle diverse aree del pianeta. Ma la compromissione sociale dell'operai­ smo è di carattere autoritario. Le masse, che si arruolano nella fabbrica, si emancipano dalla condiscendenza borghese per assumere ritmi correlati fra loro da un nesso di congruenza e di necessità. La mobilitazione operaia riflette la trasformazione dell'economia agraria nell 'economia industriale. La sua perspicacia consiste nel rendersi consapevole di un ruolo rivoluzio­ nario effettuato pacificamente. Gli unici sommovimenti consentiti sono le contestazioni, gli scioperi, le proteste ali' interno del tessuto connettivo della produzione e, per converso, del consumo. Le grandi scuole dd pensiero progressista sono contrassegnate dalla mancanza, al loro interno, di qualsiasi rapporto con le forze primigenie. La loro dinamica è fondata sulla successione temporale del movimento. Per questo morivo, le loro conclusioni sono convincenti in sé, eppure è come se una matematica diabolica le condannasse a sfociare nel nichilismo'.

Il legame, che intercorre fra l'operaio e la realtà, è per certi aspetti inedito. L'oggetto prodotto tecnologicamente (l'artefatto) ripristina per così dire un atteggiamento elementare, originario. Il primitivismo, al quale la tecno­ crazia fa riferimento, è implicito nell'atteggiamento con il quale l'osserva­ tore della realtà rinunzia a contemplarla per manometterla, alla ricerca di risorse energetiche che appaghino il desiderio e attutiscano l' insofferenza per l' incomprensione delle ragioni dell'esistenza. La realtà artificiale è sust.

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sidiaria dei fenomeni naturali, che si contendono un dominio forzoso sugli spalti dell'esoterismo. Il culto della ragione può ingenerare conati di oppressione, sensi di col­ pa. tripudi di persecuzioni. La finzione è un ordinamento razionale, volto a delineare modalità d'intervento nella realtà al netto delle resistenze (dei perigli), proprie delle consolidate strutturazioni naturali. L'artificio è una componente asistemica rispetto a quella operante nella realtà effettuale. L'e­ lementarietà è un attributo del romanticismo, di quel movimento indiziario delle pulsioni emotive che originariamente perseguono il fine di condizio­ nare la ragione nell'esplicarsi le cause o le occasioni dell 'esistenza. L' inganno borghese contrasta la fuga romantica in un sistema di riferimenti rispettiva­ mente razionali e orgiastici, affidati alla destrezza artificiale affinché siano rispondenti alle sfide della modernità. Il pericolo è la nozione edificante del progresso. Ogni ostacolo, che si frapponga fra l'inventiva e la realizzazione, può essere funestato dalla furia omicida o da un recondito senso di fratellan­ za e di sovrumana solidarietà. Lo scoppio della guerra mondiale traccia il largo e rosso frego conclusivo sull ' ulti­ m a pagina di quest 'epoca. Nel giubilo con cui i volontari lo accolgono c 'è: più che non la liberazione e il sollievo di cuori ai quali si svela d 'un lampo una vita nuova c pericolosa. Esso nasconde, insieme, il germe della protesta rivoluzionaria contro gli antichi criteri di valore, irrevocabilmente svuotati della loro forza•.

L'azione romantica rende a rinvenire nella guerra una catastrofe naturale ; per contenerne gli effetti devastanti è necessario che le forze in campo si dotino di tutte le risorse ferine delle quali memorizzano l'apporto conso­ latorio e sconcertante. L' idea che la catastrofe bellica preluda a un nuovo ordine, nel quale la morale corrente s' identifichi con l' ipertrofia dell ' io, trova un apparente e temporaneo riscontro nella pacificazione armistizia­ le, caratterizzata da ferire ancora aperte al dolore generale. La decimazione d' intere generazioni non coglie di sorpresa i sopravvissuti, protesi a coglie­ re le poche occasioni di agire per compiere il miracolo della ricostruzione. L'umanità redenta dalla guerra di trincea è afflitta dall ' inanità degli sforzi compiuti per inserirsi nel settore produttivo e propulsivo del nuovo ordine sociale. « La guerra mondiale fu uno scontro non soltanto tra due gruppi di nazioni, ma altresì tra due epoche, e in questo senso esistono nel nostro 4· lvi, p. 5 1 .

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paese sia vinti che vincitori » 1• L' imponderabilità del male influisce sull' ir­ revocabilità della contingenza quotidiana, che la catastrofe bellica connota risolutamente della strategia tecnologica. La fabbrica diventa così l'enfiteu­ si della beatificazione terrestre (e demoniaca). I superstiti della furia deva­ statrice trovano riparo nelle strutture portanti degli ordinamenti nazionali. Il lavoro ha una conformazione evangelica; si evince dal lavacro di sangue come un atto di esemplificazione catartica. L'azione - esaltata da Friedrich Nietzsche e da Giovanni Gentile - ha un aspetto edificante sulle macerie e sulle nequizie della guerra. L'anarchia contende alla regolamentazione la partecipazione massiva di quanti affidano alla pace il risarcimento del­ le rinunzie compiute imprudentemente durante il conflitto mondiale. La preistoria affiora come un'accusa per l' incuria con la quale si rimodella la memoria collettiva. La libertà non può nascere nei « punti dolenti » dell'e­ sistenza, ma dove fervono l'attività, l' impegno creativo, quali antidoti alla deformazione del mondo. L'impellenza a modificare l'esistente per ren­ derlo più gradevole è una inclemente forza iniziatica, che prende il nome di cultura. La contemplazione, che è un'attitudine originaria, depositaria del­ lo smarrimento dell'anima di fronte all'enfiteusi del cosmo, si trasforma, nell' imperiosa contumelia sociale, nella constatazione dei guasti del tempo e delle rovine della storia. Ogni epoca riposa nell 'archeologia, dalla quale viene dissepolta per essere interrogata e suffragata di significati e di conget­ ture, sensibili alle aspettative della contemporaneità. In qualche modo, il suono di quei tempi lomani sembra penetrare, balzando da grande distanza, nel silenzio che circonda i loro simboli framumaci, così come il mormorio del mare si conserva racchiuso nei gusci delle conchiglie respime a riva dalla marea. È un suono che riusciamo a percepire bene proprio noi, abituati a dissotterrare con la vanga la vestigia di città di cui persino i nomi sono caduti nell 'oblio6•

Le pietre instaurano un convivio silenzioso fra le ere, contraddistinte da quel peculiare atteggiamento estetico, che le assimila a eventi ai quali l' im­ maginazione fa ricorso con il conforto della storia (della memoria docu­ mentaria). L'ordito della narrazione evocativa si flette ai significati recon­ diti degli accadimenti, che la temperie moderna rievoca con gli strumenti della finzione e della virtualità. Il raccordo fra le stagioni dell'esistenza deS · lvi, p. s2.. 6. lvi, pp. S7·8.

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gli esseri e degli enti vitali è assicurato dal sentimento confabulatore, che anima le argomentazioni e le aspettative delle comunità sorrette da un co­ stume, da un linguaggio e da un tenore credenziale in grado di sopravan­ zarle nel tempo e nello spazio. La desolazione degli accadimenti estinti e la superbia dei superstiti si coniugano nella configurazione di un ordine di tàttori, volti a stabilire connessioni metafisiche e alternative equinoziali. Il transito del vento sembra presagire l' irripetibilità degli eventi, dei quali il cosmo si dota per illudere i mortali. Le relazioni umane, che s'instaurano fra i membri di un conurbano moderno, fanno presagire il silenzio ance­ strale, l'estraneità, con la quale ogni essere vivente si destreggia con i mezzi a disposizione per affrontare il futuro. Il potere (economico, politico), la sudditanza e la gerarchia dei « valo­ ri » influenzano le scelte, mediante le quali ogni individuo percepisce la pro­ pria traiettoria vitale a sussidio o a danno del prossimo. Il suo simile è co­ munque un soggetto estraneo, che concorre propedeuticamente alla soprav­ vivenza della specie, facendo astrazione, almeno in apparenza, delle esigenze di quanti si affannano nel proscenio della storia. L'urbanistica e la topono­ mastica sono tali da evidenziare, con gli stili e le categorie rappresentative delle intenzioni recondite, le diverse e concorrenti visioni d' insieme. La re­ altà suffraga della cointeressenza le diverse postulazioni conoscitive, che gli assetti istituzionali si propongono di evidenziare. La commedia umana è il precipitato storico di fatti che avrebbero potuto non accadere. Nella loro i te­ razione consiste la drammaticità dell'esistenza, la nevralgica consapevolezza dell ' inanità degli sforzi, compiuti nelle varie stagioni del genere umano per attenuarne l'ineluttabilità. L'etimologia del mondo è quindi l'azione: l'atto, con il quale il soggetto della storia riformula i processi conoscitivi mediante rinnovate risorse investigative. Nella società tecnologica, il protagonista di quest'opera di dissodamento dell'esistente e di riformulazione dell'esistibile è l'operaio, il lavoratore che interpreta i bisogni primari in modo allegorico, utilizzando le strumentazioni adeguate per ridurre la sofferenza e per garan­ tire il più possibile il lavoro, sia intellettuale, sia materiale. Al punto tale che ogni aspettativa di libertà è sinonimo di esigenza di lavoro. La volontà di potenza riflette la misura del dominio, che i vari gruppi sociali esercitano nelle diverse stagioni della vicenda collettiva. « Chiamiamo dominio uno stato nel quale lo sconfinato spazio del potere trova il suo riferimento cen­ trale in un punto dal quale esso appare come spazio del diritto» 7• Una con­ versione concettuale, che trova il suffragio dell' idealismo platonico. Tant'è 7. lvi, p. 6 s .

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vero che nella Repubblica di Platone il concetto di giustizia è redimibile nel­ la disamina fra Socrate e Trasirnaco, fra il sostenitore e il confutatore del­ la sublimazione dell'attitudine proditoria, del comando, dell'azione, della superfetazione del gesto, dell' imperio della volontà dissoluta e perentoria, irriguardosa di ogni limite concettuale, ritenuto una traumatica leggerez­ za dell'essere. L' intemperanza strategica di Socrate cerca di ridurre ai buoni propositi l' irriduttibilità asseverativa di Trasimaco, l' anfizionico formulato­ re della volontà di potenza. L'inettitudine, per converso, è la posta a disposi­ zione del potere delle strumentazioni necessarie per modificare, con il lavo­ ro, la realtà strutturale, quella indiziaria del milieu culturale, che la concerne, legittimandola. Il cavallo-vapore sostituisce il cavallo naturale e determina il sommovimento tecnologico, responsabile di una nuova visione del mondo e delle conseguenti relazioni umane. Fra la fedeltà alla tradizione e la lealtà alla coerenza mediatica s' instaura una dialettica, che influisce sul convincimento civile e credenziale. L'operaio gestisce la nascita di una società orientata tec­ nologicamente all' insegna del benessere collettivo, che faccia astrazione dei condizionamenti etnici, religiosi, spaziali. La conformazione dell'unità del genere umano, indipendentemente dal luogo nel quale gravita, prorompe nella produzione e nella distribuzione in serie. Le diversità, se persistono a livello geopolitico, si addebitano all'esorcismo del passato, all ' anchilosi della volontà di potenza dell'epoca agraria, patriarcale, dogmatica e sedimentaria. L' incremento edonistico stempera apparentemente i conflitti e atte­ nua le intemperanze, che si agitano con maggiore consistenza all' interno degli assetti sociali tecnologicarnente condizionati. L'aspetto ludico e le condizioni estetiche costituiscono le più efficaci attrattive dell 'epoca mon­ dana. Il laicismo è la professione di fede nelle virtù alchemiche della con­ dizione umana, capace di districarsi nella trama dei condizionamenti natu­ rali, sacrificando una parte delle convinzioni e delle idiosincrasie della tra­ dizione. Il passato si profila sempre più come un rifugio dell' intemperanza propositiva moderna, che trova nel lavoro le sollecitazioni necessarie per attualizzarsi. Sia pure con le limitazioni del nichilismo c dello scetticismo, proprio dell' imminenza, la mondanizzazione della vicenda umana si con­ figura come la moderna strategia del dominio del mondo. Da Galileo Ga­ lilei in poi, la scienza persevera nella ricerca dei numeri e delle figure (delle forme e dei princìpi), con i quali si delinea l'universo. Il divenire è un pro­ cesso in itinere, che trova la sua ragion d'essere nella dinamica della realtà, nei mutamenti che configurano la natura come un organismo vitale, che pulsajusta propria principia, secondo i ritmi convulsivi del cosmo nella sua incommensurabile determinazione. 172

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I l lavoro moderno concerne, i n primo luogo, l a creazione dello stru­ mentario, mediante il quale si allevia la sofferenza biblica (del sudore della fronte) e si aumenta la produzione dei beni, che soddisfano le aspettative a lungo o a breve termine preconizzare. Il lavoro pertanto non è il contra­ rio dell'ozio, ma il sinonimo dell' impresa intellettuale e pratica. Nel suo esercizio si nobilitano le attività mentali, presaghe di un cambiamento che risponda alle istanze fortemente condizionate dalle risultanze organizzati­ ve e (conseguentemente) dalle ideologie che le giustificano. L'aspetto in­ ventivo e realizzato re della società moderna si confa con l'ausilio, che pre­ ventivamente l' ideario rende esplicito e seppure per relativa convenienza irrinunciabile. La ricreazione - il tempo libero è il riflesso condizionato del lavoro: gli stessi standard di soddisfazione emotiva e concreta raggiunti nell'operatività sono perseguiti nel periodo del relax, dell'attività virtuale, del rendimento « a folle » della « macchina corporea » . In latenza, s' intra­ vede, nel tempo libero, il rimpianto per tutto ciò che non si riesce a valuta­ re, se non nelle forme omeopatiche, con le quali si delinea una sorta di gar­ bata opalescenza per tutto ciò che non si comprende in quanto escluso dal raggio della « rivisitazione » . Il lavoro s' identifica con la temperie vitale in senso onnicomprensivo perfino dell'esperienza onirica. Anche lo strania­ mento è calcolato secondo un regime lavorativo, soggetto a revisione. La meccanicità concerne ormai tutte le iniziative umane, che si destreggiano per raggiungere un fine in grado di esonerarle dal sortilegio della vaghezza e della vacuità. L'osservazione, sorretta dalla strumentistica, confida nella sua stessa configurazione e si conforma legittimamente con il senso comu­ ne, con la quotidiana accezione delle sue risorse e delle sue applicazioni (pratiche). L'artificialità compendia il lavoro nelle sue molteplici manife­ stazioni: esso consiste in una disciplina, che si attesti contestualmente ai li­ velli direzionali ed esecutivi dell'abilità umana. L'atavismo della festività è denegato : traspare nell' insolvenza di alcuni servizi nei periodi, nei quali la perentorietà del divieto di agire s' identifica con un diritto acquisito dopo lunghe lotte politiche, sindacali. L' idealità si definisce così come il risulta­ to di un convincimento, proposto dilemmaticamente e poi dialetticamente alla consapevolezza collettiva. Il lavoro si esplica in tutte le attività {come il gioco del calcio), che fan­ no presagire un risultato, rilevabile con gli strumenti della misurazione (la soddisfazione che procura una rappresentazione agonistica è quantificabi­ le, sia in termini numerici, sia in decibel di soddisfazione, godimento, im­ plosione Iudica). Il cosiddetto lavoro totale raccorda l' impegno per costru­ ire uno strumento c l'uso dello stesso: l'operaio che assembla un'automa-

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bile e il corridore che la utilizza nel giro di prova s' identificano nell'omeo­ stasi dell'apparato produttivo. Il complesso delle forme utilizzate per pro­ durre {un oggetto) è una categoria cognitiva che riguarda numerosi addetti (lavoratori), impegnati nella progettazione, nell'esecuzione e nella promo­ zione degli artefatti seriali. L'anonimato è il protagonista della stagione del lavoro, che assicura continui raffronti con gli esiti conseguiti dalla mobili­ tazione sociale. C 'è una prognosi delle scoperte, che conferisce al fortunato intervento indivi­ duale una funzione secondaria: esistono sostanze chimiche organiche mai vedute direttamente eppure conosciute intimamente nelle loro qualità, stelle individuate con il calcolo ma finora mai scoperte da alcun relescopio8•

Il lavoro si personifica così nell ' « ente » che individua o che realizza artifi­ cialmente, rispettivamente quale componente organico e quale componen­ te inorganico della realtà. L'effettiva esperienza ha connotazioni relative o improbabili nella sua verifìcabilità e, popperianamente parlando, nella sua falsificabilità. Si può ammettere l'esistenza di qualcosa - come, agli inizi del Novecento, dell'etere cosmico - che di fatto non si esperimenta diret­ tamente, ma che serve per rilevare aspetti della natura, senza alcuna illazio­ ne concettuale, obliabili o addirittura inesistenti. La funzionalità di una premessa concettuale significa il tracciato di un' impresa, della quale I 'en­ tità fenomenica convalidabile strumentisticamente è il lavoro {la quantità di calorie necessarie per configurarlo operativamente). L' interazione dei ruoli lavorativi fa pensare al declino del corporativismo e all'avvento delle democrazie partecipative {nelle loro diversificazioni federalistiche, solida­ ristiche, unitarie). La concorrenzialità consente al mercato di costituirsi in un ring, salvaguardato dalle regole antimonopolistiche e antioligopolisti­ che, secondo le provvidenziali ingerenze della « mano invisibile » di Adam Smith. La forma di concorrenza più enfatizzabile è il combattimento mili­ tare, lo scontro sul campo. Le energie allo stato di tensione ottenebrano il timore ancestrale e il dub­ bio demolitore per esaltare il gesto ultimativo, la follia prescrittiva dell 'ono­ re. Queste imprese leggendarie sono realizzate, durante la Prima guerra mon­ diale, dal milite ignoto, nella società moderna dalle moltitudini, che non si riconoscono onomatopeicamente nelle masse. Di fatto, nella società moder­ na e più ancora nella società contemporanea, le masse, bisognose di essere 8.

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protette nelle loro manifestazioni, sono rappresentate da simboli e da lea­ ders-simboli, che disvelano con molta parsimonia la loro identità. In genere, quando le personalità di rilievo notificano con la loro azione una temperie sociale, si nascondono nelle masse, delle quali si atteggiano a protettrici, nel senso che ne dimidiano gli umori e ne depotenziano il furore devastante. L' integralismo sociale è il fenomeno dell' inattendibilità delle masse per il loro tentativo revanscista di contemperare i diritti e le prescrizioni esempli­ ficatrici degli stessi. «Tutto questo è in relazione con il fatto, di ancor più va­ sta portata, che nei suoi tratti essenziali il ruolo dei partiti vecchio stile, nella loro qualità e nel loro compito di forze educatrici delle masse, è fallito » 9• La massa è un organismo autonomo, che si divincola continuamente fra le istanze di destra e di sinistra, secondo un' insoddisfazione permanente, che la agita e la rende permeabile a tutti gli allettamenti e alle recrudescenze della politica. Si spiegano così le convenzioni democratiche e gli assembramenti totalitari. «Dietro i metodi individuali degli anarchici libertari, da un lato, e dietro quelli del terrorismo di massa, dali' altro, spuntano nuove forme di violenza politica » '0• La massa è un'entità fenomenica, che può essere inter­ cettata da esponenti di varie organizzazioni politiche, che addirittura posso­ no essere galvanizzate da visionari religiosi. La sua corresponsione fideistica è comunque rapsodica, non dà affidamento ai riformatori sociali e meno an­ cora ai mestatori d'anime. La sua fisionomia è omeopatica, la quintessenza di un insieme di fattori, che, di volta in volta, a seconda delle opportunità o delle necessità, si eclissa in un turbine ideologico o si inabissa in un vortice di proteste, spesso concettualmente sostenibili. La massa si protende verso la cosmesi ideologica nell' intento di fortificarsi nel rivendicazionismo (di quelle clausole contrattuali o di quelle concessioni di legge che concernono la contingenza quotidiana e che appaiono prive di una profilassi ideologica tradizionale). L' irremissibilità delle contestazioni ha un andamento contrat­ tuale dal connotato ecumenico c salvifìco. L'operaio si serve di un lessico specializzato e di una gestualità, che lo esonera dali' individuazione, nel senso che parla in modo da essere cataloga­ to nel settore tecnologico e agisce come se si rifiutasse di farne parte. L'ele­ gia della campagna, della società ancestrale, si palesa nell'adesione ai canoni della convivenza manierata, sorretta dai buoni propositi e dalla fedeltà alle tradizioni. Il costume, moralmente irreprensibile, contrasta con quello della società dei servizi, delle relazioni aperte alle intemperie del vizio (della dro9· lvi, p. • o s . 10. lvi, p. 1 0 6 .

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ga) e dell' inquietudine esistenziale. La società della restaurazione è quella adombrata dagli slums, dai caseggiati tutti uguali e provvisori di fronte ali' in­ sulto del tempo alla mercé delle circostanze. La mobilitazione si manifesta nell'approssimazione con la quale gli insediamenti operai si configurano nel milieu culturale delle metropoli, che vantano un centro storico (un'appendi­ ce del passato) e quartieri esclusivi (dove risiedono i gruppi egemoni, quelli che vantano il successo economico riservato agli intrepidi e agli audaci). Nei quartieri esclusivi risiede infine la panna di un sommovimento intestino alla società tecnologicamente contingentata, che si avvale della manodopera di antica rilevanza sociale, ancora affiliata alle tradizioni contadine e patriar­ cali. Alla famiglia o alle unioni di poche persone o di singoli dell'universo elevato fa riscontro ancora la famiglia multindividuale, che contempera le aspettative di miglioramento e i legami del retaggio ancestrale. Solo tenendo conto di questa atmosfera si possono capire gli scandali che scop­ piarono al primo apparire dei ritratti impressionisti nelle sale di esposizione, e che oggi sono del tutto incomprensibili I temi preferiti sono giardini illuminati da lampioni, boulevard alla luce artificiale dci primi fanali a gas, paesaggi immersi nella nebbia, nella penombra o nello sfavillio del pieno sole". ...

La società in trasformazione si rispecchia nello smarrimento del sogget­ to che la interpreta e che s' immedesima dello sgomento dell'osservatore­ fruitore. La sofferenza dell' individuo è contenuta nel baluginio di un 'alba confortata dal fumo delle ciminiere. L'osservazione del pittore e l'obiettivo fotografico sembrano coincidere nella pratica (espositiva) rappresentativa. L' immedesimazione conferisce alla realtà un grado di suggestione emotiva, che il naturalismo non è in grado di suscitare. L'arte e la tecnica si compie­ mentano in termini di risultati espressivi. Le atmosfere, delineate dalla pit­ tura c quelle ritratte dalla macchina da presa, sembrano evocare un habitat emolliente, in continua, inesorabile, trasformazione. Si ammette che la ma­ no utilizzi lo strumento ( il pennello, l'obiettivo) come mezzo d' interazio­ ne fra l 'intimità dell' immaginazione e l'esteriorità della fascinazione: due ambiti reciprocamente perturbabili, negli interstizi dei quali è ipotizzabile la presenza di un gene modificatore, che l ' antifigurativismo connette con i flussi materici, che sovraccaricano le tele di reconditi significati. L' interdipendenza fra la mano, che opera l'apparato fotografico, e l'oc­ chio, che instaura con la realtà un rapporto empatico, tende a far corrispon1 1 . lvi, p. 1 1 5.

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dere alla concezione estetica il riscontro fattuale. L a macchina da presa se­ leziona alcuni aspetti della realtà e li evidenzia con il garbo c il destro di chi intrattiene una relazione fenomenologica con quanto accade nel suo raggio d' interazione e d' intermediazione. Senza questa ipotetica attrattiva sarebbe completamente arbitrario ritrarre gli aspetti della realtà, che non suggestio­ nino la visione e non condizionino la fruizione scaglionata nel tempo. La contemporaneità meccanica è come un brano dell'eternità sottratta alla sua dinamica modificatrice. Esso è destinato all'archeologia della conoscenza. Nella sua dagherrotipica essenzialità si riflette la memoria di coloro che si flettono al giuoco dell'esistenza, alle intemperie che la caratterizzano. Nel raccordo della fruizione a futura memoria c l'accorata esigenza di render­ la comprensibile si riverbera la commozione, l'effetto estetico, che sintetiz­ za schopenaurianamente l'attaccamento delle generazioni alla loro vicenda terrena e universalmente intesa come estemporanea. La facondia dell'osser­ vatore della realtà è interdetta dalla figurazione delineata nd tracciato, che intercorre fra l'azione e l' intesa con l' « oggetto» da ritrarre. L' interpunzio­ ne tecnica è come il fendente polemico, che s' introduce nell'astrazione per rendcrla più cogente e asseverativa. L'attrattiva, che esercita il fotogramma, è identica, in una certa misura, alla figura scenica. La rappresentazione teatra­ le si staglia in una sorta di mediazione termica fra il fermento vitale e l' adul­ terio. La presa di coscienza della drammaticità dell'esistenza ha il conforto della partecipazione mediatica e quindi del godimento estetico. La pacifi­ cazione fra il dramma, che si rappresenta sulla scena, e lo spettatore, che lo interpreta per interposta persona, ha fluttuazioni catartiche. La cerimonia, con la quale si rendono palesi le nozioni inedite della condizione umana, è virtuale ( come una rinnovata prova d'autore ) . Nel declino del dramma classico le cui ultime e miserevoli fasi noi stessi stiamo vi­ vendo, è riconoscibile un processo già deciso verso la fìne del xv m secolo. In esso intàtti si riflette il tramonto, non dell ' individuo, ma della persona, nella quale si esprime il mondo degli stati sociali e delle corporazioni. Il teatro comprende non soltanto il testo drammatico e non soltanto l'attore ; esso comprende anche l'aria vitale che s' insinua e circola nello spazio teatrale venendo da strade e piazze, da cortili e case, e fa tremare le candele nei lampadari. Del teatro è parte integrante anche il sovrano assoluto, la cui presenza visibile costituisce il punto centrale che garantisce l' intima unità dell'azione teatrale". I l . lvi, p. 1 1 7.

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La rappresentazione teatrale, come la forografia, è la reminiscenza di gesti compiuti « a distanza » dalle generazioni, delle quali ogni singolo spetta­ rare è parre indiziaria. La presenza di un' « unità » nella rappresentazio­ ne drammatica si concerra con la concezione plaronica delle germinazioni ideali degli evenri e delle cose, che l'esperienza rende fruibili ma « inrima­ menrc » incomprensibili seppurc comunitariamenre (socialmenre) ammi­ nistrabili (strutturabili). Il fotogramma come la pieee teatrale riprende par­ ti dell' « irrealrà » , inresa come l' anrimareria, il corrispettivo di quanto è di immediata esperienza e constatazione. La negazione è pertinente al con­ cerro di unità, hegelianamente intesa come un continuo processo di sintesi, propedeurica della fenomenologia del mondo. L'affievolirsi dell' individualità rinascimenrale non si palesa con l'effi­ cacia di un evenro in itinere, ma con la malcelara inibizione dei singoli sog­ getti nell' impresa di presagire le forme con le quali la realtà ostenta le sue energie latenri. Il condottiero e il navigarore lasciano il posto all' imprendi­ tore, che si colloca a metà fra il sipario e la platea per recepire gli umori del pubblico, al quale indirizzare, sovvenzionandolo, il suo messaggio (artisti­ co, fattico, subliminare). Il dramma rappresenra verbalmenre la radiogra­ fia del gesto, l' ipertrofica concezione del potenziale espressivo dell'osser­ varore-perturbatore della realtà. Ed è proprio quest 'assonanza fra l'elegia dell'azione e la propedeutica semanrica e concettuale della partecipazione emotiva che evidenzia l' atro, il genere di replica umana alle sollecitazioni della natura medianre l' instaurazione di una temperatura nevralgica, che s' identifica con la conoscenza. Il portaro logico dell'azione conferisce un grado di attendibilità alle cause ideali, che la condizione iniziatica deter­ mina come irrevocabile. Tutro ciò che si compie sul palcoscenico è l'aspet­ ro recondito di quanto si esperimenta nella quotidiana contingenza. S ' in­ staura un campo magnetico fra il sipario e il rerropalco, che si riverbera nella lotta simulata che si avverte come un sommovimenro tellurico nella platea. Gli spettatori sono compresi nel fuoco di fila che le parole esplica­ no nell 'argomentazione, nella dialogazione e nel vaniloquio. Lo spettaco­ lo teatrale diventa così un' impresa, nella quale si prescinde il più possibi­ le dall' intento didascalico per evidenziare l'enfiteusi dell'atro, dell'agire, convenendo con partecipazione mediarica con le conseguenze oggettive e diffuse. Il dramma moderno s' identifica con un proposito (xx secolo a responsabilità limitata) che si flette in un evento, del quale l'azione magne­ tica è un' idea, trasfusa in un programma, la cui realizzazione (il progetro Manhattan) richiede, per esplicarsi, la segretezza dell'anonimaro. Il profes­ sor Roberr Oppenheimer e il professar Enrico Fermi sono soltanto i prora-

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gonisti del preludio d i un'opera, che s i realizza con i l concorso d i migliaia di tecnici. L'esplosione di Hiroshima e Nagasaki è da addebitare all'ano­ nimato delle forze demoniache, che attentano alle energie silenti, nascoste nell' intimo della natura (delle sue componenti energetiche, l'atomo, il nu­ cleo atomico e le variabili costitutive della materia). L'esperienza e il culto, che la anima, sono professati dai fautori dell'azione, dell'atto, che germina dal conato dei sentimenti e si perpetua nella commistione degli interessi. L'operaio interpreta una religione panica, della quale non è né l'esegeta né il sacerdote. La sua pulviscolare ombrosità è dovuta all' irremissibilità delle prestazioni fisiche, alle quali si sottopone per rendere conseguente il suo impegno con le finalità proprie della progettazione ufficiale. La pratica dei « Sacrifici » religiosi è risolutamente variata nelle società tecnologiche, dove gli spettacoli agonistici (calcistici) assumono attuazioni religiose. « Dobbiamo citare, inoltre, il fatto che la guerra ha demolito la vera e propria religione popolare del XIX secolo, ossia l'adorazione del pro­ gresso, e la citazione è opportuna, poiché in quel crollo si rispecchia il dop­ pio volto della tecnica » ". La produzione artificiale precede i benefici civi­ li enfatizzando quelli militari, che si avvalgono della predominanza territo­ riale, per officiare una orgiastica rappresentazione panica dell'esistenza. Il progresso tecnologico e il retrovisore panico si coniugano nell 'andamento esoterico del XXI secolo. L'operaio è il fautore del dominio anonimo, delle società anonime, delle propellenti associazioni mediatiche, che hanno di mira il mercato e le forme più efficaci per condizionarlo. La guerra comun­ que si libera di quella classe dirigente che non si armonizza con le finalità del progresso. La tecnica non è dunque affatto una forza neutrale, non è un serbatoio di mezzi efficaci o comodi dal quale una qualsiasi delle forze tradizionali possa attingere a sua discrezione. Proprio dietro quest'apparenza di neutralità si cela piuttosto la misteriosa e seducente logica con cui la tecnica è disposta a mettersi al servizio de­ gli uomini. Questa logica si fa sempre più lampante e irresistibile in proporzione ali ' impulso con cui lo spazio del lavoro guadagna tOtalità. Nella stessa proporzio­ ne si fa più debole l' istinto di coloro che la tecnica colpisce'". Il potere delle

macchine è innegabile e condiziona le determinazioni geopo­ litiche da parte degli Stati che si possono consentire di intervenire nello sce­ nario internazionale con un apparato tecnologico in grado di condizionarlo 1 3 . lvi, p. 1 4- S · 1 4 . lvi, p . 1 48.

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nelle sue dinamiche laboratoriali e produttive. Lo stile di vita si uniforma e rende pregiudizievoli le diversità classiste, nelle quali consiste il sommavi­ mento politico e istituzionale del XVI I I e del X I X secoli (il materialismo, il liberalismo, la socialdemocrazia, il socialismo, il totalitarismo, la democrazia parlamentare, presidenziale, partecipativa). L'eroismo, che si attua nel1a fab­ brica, è non soltanto anonimo, ma tecnologicamente evidenziato. ll prodot­ to è il risultato dell' impresa che vede, come nella costruzione delle piramidi, l'aspetto votivo e l'aspetto dissacrante coniugarsi nell'empito germinativo delJ'artefatto. La città diventa lo scenario del1a manipolazione tecnologi­ ca: le testimonianze antiche sono come invertebrate nel territorio, nel quale possono essere proiettate all' indietro e in avanti, a seconda che si voglia pri­ vilegiare la ricognizione o la prospettiva storica. L' indeclinabilità delJ 'asset­ to moderno è dovuta alla sua insita precarietà. Tutto ciò che si presenta sul1a scena come processo di modernizzazione è destinato a declinarsi nel perente, n eH' incessante remo lino delJe scosse voltaiche e del vuoto assoluto. I gratta­ cieli si susseguono perentoriamente come l'assoluto nelJe cantiche medieva­ li. ll ritmo frenetico si combina con il silenzio tombale, che si riflette nello sconcerto emotivo e sullo stato di grazia delJe generazioni che non guardano al progresso, ma che in esso s' identificano. La dinamica trasformatrice della realtà moderna e contemporanea as­ simila e vanifìca l'assurdo, quel quoziente di impenetrabilità logica, che si agita nel senso comune, nelJa normale vicenda dei popoli e delle nazioni. Il realismo eroico è il metro di misura delJ'avvenirismo, del movimento che traduce in prospettiva le ineffabili contraddizioni del presente. La perfezione della tecnica non è altro se non uno dei segni destinati a connotare il momento conclusivo della Mobilitazione Totale in cui siamo coinvolti. Essa ha quindi la capacità di innalzare la vita a un gradino superiore di organizzazione, ma non a un gradino superiore nella scala dei valori, come credeva lo spirito del progresso''.

La tecnica risponde a una successione di fattori, che non tengono conto del­ la morale che li ispira: il bene col1ettivo è perseguito, infatti, in maniera som­ maria e talvolta in contrasto con la sua alternativa. La soggettività dell'im­ presa tecnologica consiste, infatti, nella sua intraducibilità nel1e istanze dd­ le minoranze, alle quali generalmente perviene in forma imperativa, se non addirittura come quota solidaristica da parte delJe maggioranze privilegiate. 1 5 . lvi, pp. 1 58-9.

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Il laboratorio del cambiamento s' identifica, a tratti, con l'arsenale della di­ struzione. La tecnica predilige le forme, nelle quali esplica la propria funzio­ ne moltiplicatrice e seriale. Ed è proprio l'egemonia delle forme che esime le singole persone dal rendersi protagoniste degli stadi di inveramento della creatività. Anche se gli individui presagiscono il futuro, sono le forme che ne configurano la portata. «La proprietà rinuncia ad essere stabile e quin­ di valutabile a lunga scadenza » '6• Ad accrescere il desiderio e ad accelerare la struttura portante del benessere condizionato dall'organizzazione sociale sopperisce la pubblicità, che enfatizza di proposito l'acquisizione di alcuni beni, indipendentemente dalle effettive opportunità di acquisirli. Il rispar­ mio è continuamente eroso dalle nuove necessità e il prestito comprende il valore aggiunto del lavoro da compiere con le incognite proprie del mercato. Le inflazioni e le crisi economiche costituiscono dei sommovimenti tellurici di livello tendenzialmente planetario, volti a squilibrare le potenzialità cre­ ative delle varie aree del pianeta. La perfezione tecnica è talvolta causa delle crisi economiche, soprattutto quando il desiderio si estende a tutti i gruppi sociali con la fascinazione di un bene dionisiaco, da dirimere con tutte le for­ ze e senza gli emendamenti morali e credenziali in vigore. Nella perfezione tecnica è incluso il principio dell'intercessione ideale, il tributo alla egemo­ nizzazione del genere umano nella sua originaria e implacabile determina­ zione. La perfezione tecnologica è pertanto esente dalle categorie del bene e del male secondo spregiudicati criteri di giudizio: il suo assetto sociale di­ sattende tutti i vincoli che, in genere, raccordano le fasce sociali e consento­ no all' insieme istituzionale di svolgere le sue prerogative a livello nazionale e a livello internazionale. « Il suo compito è decisamente un altro: quello di mettersi al servizio di un potere il quale governi, in suprema istanza, la guer­ ra e la pace, e stabilisca quindi, in entrambe le situazioni, i criteri di moralità o di giustizia » '7• La tecnica consente l'espansione degli Stati nazionali, non soltanto in termini territoriali, ma soprattutto a livello economico e finan­ ziario. La propensione planetaria della tecnica tende a costruire una rete di relazioni gestita dai gruppi (nazionali e internazionali) economicamente e Hnanziariamente egemoni. La connotazione monopolistica, che assume la produzione tecnologi­ ca, è implicita nelle sue stesse dimensioni, sia sotto il profilo della strumen­ tazione, sia sotto il profilo della distribuzione-diffusione degli artefatti, che la pubblicità consiglia come la soddisfazione del desiderio. La funzione 1 6. lvi, p. 1 6 3 . 1 7. lvi, p . 1 70.

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perfino subliminare del convincimento rafforza nell 'utenza il proprio svi­ luppo monopolistico. I singoli fruitori degli artefatti desiderano possedere in esclusiva quanto è prodotto in serie e per un numero sempre più ampio di acquirenti, evidenziati in tono profetico dalla concorrenza. Il dispositivo commerciale non si concilia con le finalità dello Stato liberale. La concor­ renza pregiudica la presenza impositiva di più soggetti : la disputa alimenta la diversità ma condiziona il successo. Gli Stati liberali, infatti, fanno ricor­ so a leggi antimonopolio e antioligopolio, poiché considerano queste cate­ gorie afflittive della rigenerazione. Il mercato non può estromettere com­ pletamente e definitivamente i competitori, che lo animano, per tema che si determini come un apparato da giustizia sommaria, anche se dimidiato dall 'immediatezza del favore popolare. Quando la strategia del confronto elimina dalla scena alcuni concorrenti, declinano negativamente le risorse ideali e pragmatiche del mercato. L'officina è la cattedrale del potere tutore: sia di quello militare, sia di quello civile. La costruzione degli ordigni bellici spesso precede le elabora­ zioni civili dei princìpi scientifici e tecnici che sono al loro fondamento. «La perfezione degli strumenti di potere fondati sulla tecnica s' identifica con un carattere di estrema terribilità e con ineguagliate possibilità di distruzione totale » '8• L'aspetto demoniaco della tecnica s'apparenta con l' inevitabilità del conflitto per la condizione umana. L'egemonia delle forze propellenti (naturali o artificiali) assicura la permanenza e la fortificazione della specie anche a danno dei singoli individui, che nella cultura meditano di rinveni­ re un antidoto, capace di rinsaldarli alla illusione della sopravvivenza e alla gratificazione celeste. « Il significato della tecnica è soprattutto nel fatto che essa è il modo e la maniera in cui la forma dell'operaio mobilita il mondo » '9• La guerra quindi sfugge alla convalida del conflitto giusto o ingiusto poiché è insita nella stessa formulazione delle strategie vitali. Le religioni tempera­ no il dramma dell'esistenza immolandolo ai nobili fini della redenzione e del premio ultraterreno. Ma è l'artificialità di un costrutto del genere a raccor­ dare le religioni con la tecnica, ad armonizzare il privilegio d' illudersi meta­ fisicamente con l'entropica configurazione di un modo d'essere, che trova conforto neli' arte, nel godimento estetico. L'epos, esaltato dalla letteratura di tutti i tempi, è il godimento di evasione dalla contingenza, sublimandola in forma epigrammatica, elegiaca, divinatoria. «Viviamo in un mondo simi1 8. lvi, p. 1 7 7. 19. lvi, p. 1 7 8.

L' O P E R A I O

le per un verso a un'officina, per l'altro verso a un museo» 10• L'officina è il laboratorio di tutti coloro che concorrono (più o meno freneticamente) al miglioramento delle condizioni oggettive ; il museo è lo scenario nel quale le moltitudini si compongono in atteggiamento ascetico per significare al prossimo (venturo) quanta parte, con la semplice compromissione, hanno avuto nell'immedesimarsi nel (glorioso) processo di trasformazione. La conservazione dei beni distruttivi si coniuga con la ieratica presen­ za dei beni edificanti, che servono da indicatori di frequenza dell' inquie­ tudine esistenziale e delle affezioni per il terrapieno, nel quale si esplicano la « volontà di potenza » e la flebile voglia di vivere. La decomposizione degli ordinamenti è un passo necessario del corso delle cose. Come nel rac­ conto del Vangelo, è necessario che ogni fase della storia si deformi e si va­ nifichi affinché se ne propizi l'avvento di una nuova. La discesa agli Infe­ ri di una generazione precede la sollecitudine costruttiva della successiva. La generazione degli operai salda queste due sfere di esperienza e le rende quintessenziali a uno sviluppo - più disordinato ma appagante - nel qua­ le ogni individuo crede di trovare in forma mimetica o esplicita la con­ ferma dei propri desiderata, che comunque fatica a trasformare in diritti. La tecnica comporta la specializzazione dei vari settori della produzione e contestualmente l' inclusione nel suo processo creativo di larghi margi­ ni d'inefficienza, di atarassia, ai quali sottopone il giudizio complessivo dell'attività imprenditoriale. Se persino i confutatori del progresso e delle virtù dianoetiche non sono esenti dali' accattivarsi o dal servirsi dei bene­ fici della tecnica, la babele delle lingue e dei propositi si salda in una sorta di astratta occasionalità. n simbolo ridiventa egemone nella condotta e nei costumi dei popoli, che continuano a dimidiare un mondo di affabulazio­ ni e di contendenti disarmati, smarriti negli anfratti delle metropoli e delle apoteosiche concentrazioni industriali. La funzionalità dell'arte - anche in forma allusiva, com'è l ' informale - concerne quella temperie innovativa delle generazioni, impegnate, non tanto a recepire i « valori » della tecnica, quanto piuttosto a riconsiderare le istanze che incalzano le generazioni, co­ stantemente propense a dissentire rispetto alle condizioni di partenza, nel­ la partecipazione a venire. La raggelata secolarizzazione della tecnica coin­ cide, infatti, con il rigore di una religione panica, che impone un continuo c sussulto reo ancoraggio ali' autodeterminazione. L' idolatria tecnologica è strutturata alla produttività, che si esaurisce, sia pure riproducendosi, nel­ la contingenza. «Abbiamo sperimentato che la libertà da sola non basta, 2.0. lvi, p. 1 8 � .

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e che l'angoscia nasce dal mistero che nasconde la vclocità » 1'. L' impianto industriale adombra il paesaggio della moderna società tecnologica, la cui insistenza sulla terra è calibrata dali' aspirazione pneumatica, di elevazio­ ne verso il cielo. L'apparato iconoclastico della modernità, che grava sulla terra, tende alla sublimazione delle energie operanti nel firmamento, nelle meteoriche presenze celesti: i raggi cosmici e le imprese spaziali compen­ diano gli itinerari organici, ai quali l'operaio si sottopone per vincere il pe­ so della gravità. La sua apparente contraddizione consiste nel rendersi im­ pegnato nelle fucine terrestri mentre persegue il volo di Icaro. La feroce e indiscriminara concorrenza per il controllo di territori ricchi di risorse natural i e l'ammassarsi di individui, parti di una società atom izzata, ndle grandi città, provocano in un tempo incredibilmente breve un mutamento la cui inciden­ za giunge fino all ' inquinamento dell 'atmosfera e all 'avvelenamento dei tìumi11•

La sovrintendenza ai lavori, riservata allo Stato, è soltanto evocativa dei miglioramenti ambientali, che la logica conseguenziale rende irrealizzabili. L' incompatibilità dello sviluppo industriale con la salvaguardia ambien­ tale permea il dibattito della modernità e della contemporaneità, contras­ segnata, quest'ultima, dalle tensioni esistenti fra i paesi tecnologicamente avanzati e i paesi in via di sviluppo tecnologico. La moratoria ambientale dovrebbe ridurre il processo produttivo dei primi e consentire una moderata modemizzazione dei secondi. « Lo stretto rapporto dd tipo umano con il numero e la quantità, la severa e chiara univocità del suo tenore di vita, sem­ brano separare drasticamente il suo mondo da quell'altro mondo, ispirato dalle muse, in cui l'uomo partecipa della "superiore nobiltà della natura" »". La costituzione metallica della sua fisionomia l'apparenta al primitivo tec­ nologicamente equipaggiato per affrontare, con spirito moralmente irre­ dimibile, le sfide e i rigori della natura. Alla cosmologia galileana, formata da numeri e da figure, fa riscontro la cosmologia moderna, compenetrata dall'entropia, che è la forma con la quale la mente umana cerca di districarsi fra le energie latenti nella natura per finalità pratiche. La concretezza è una caratteristica dell'esperienza, che è a sua volta pregiudiziale per ogni con­ vincimento, propenso a consolidarsi in convenzioni (leggi, prassi correnti, tradizioni).

2 1 . lvi, p. 1 9 1 .

l l . lvi, p . 1 9 8. 2 3.

lvi, p. 20 3.

L' O P E R A I O

L'azione creativa avviene al confine tra "idea" e "materia"; alla sostanza materiale essa strappa. in titaniche lotte, gli dementi formali, generando immagini irripeti­ bili e irriproducibili. Questa azione si compie in uno spazio eccezionale e straordi­ nario, vuoi nelle regioni superiori dell' idealismo, vuoi nella romantica lontananza dal quotidiano o nelle zone esclusive di un 'attività fatta di astratto artificio'•. In

effetti, l'astrazione è la sintesi dell'esperienza, alla quale ricorre, influen­ zandola, per renderla partecipe dell 'ideale concezione della realtà (e del corso del mondo). Anche l'anomalia e la patologia (si pensi ai «poeti ma­ ledetti » ) contribuiscono a centellinare le fasi dell'esperienza in relazione all ' « idea » , che le rende fertili di entusiastica concretizzazione. L' artificia­ lità è l'aspetto concreto dell'astrazione. Lo straordinario e il prodigioso si configurano come due trame esoteriche della praticità. L'occasione diventa così il mordente polemico, mediante il quale la proposizione innovatrice si legittima c diventa operante. Il « progresso » è un attributo del genere umano, la cui elaborazione intellettuale e la cui attuazione appartiene alla sfera individuale. Sono i sog­ getti, che da comprimari inaugurano un'epoca, che soddisfano alle esigen­ ze (talvolta esplicite, spesso silenti) della collettività operante in un parti­ colare periodo della sua conformazione istituzionale in un'area del pianeta. Il «progresso » assume pertanto la forma di una cointeressenza umanitaria per il fatto che, in linea teorica, costituisce il patrimonio cognitivo di tut­ ti gli esseri che gravitano nel pianeta. La caratteristica distintiva di questo processo epocale consiste nell'evidenziare il braccio e la mano nel loro ine­ vitabile declino. Le catene di montaggio tendono a robotizzarsi e a esonera­ re gli eserciti degli operai dall' ingrata ripetitività dei movimenti. La trasfor­ mazione dell'operaio in tecnico rappresenta la fase più ingegnosa e astratta dell 'evoluzione tecnologica. Lo sviluppo della condizione umana è sempre più inquadrato nell'ambito della radicalizzazione formale che, a sua volta, è un espediente concettuale per rendere il comportamento più pertinente con i risultati pratici e meno precario rispetto alle convinzioni di ordine ( il­ lusoriamente) generali. La società civile assume pertanto un'attitudine im­ prenditoriale, che si esime il più possibile dal rendersi refrattaria ai disposti statali. E, tuttavia, non può non intercedere per un ordinamento liberale, che la abiliti a svolgere la propria attività il meno condizionata possibile dai vincoli (burocratici, fideistici) delle strutture normativamente articola­ te nella condizione nazionale. La struttura patrimoniale della società civile 2.4. lvi, p.

2.06.

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impone remare e remissioni potestative da parte dello Stato-nazione, che si configura come plurilinguistico e multiculturale. L' interazione dei fattori etnici, consuetudinari, induce l'assetto istituzionale a conformare progres­ sivamente il suo ordinamento a un insieme di norme che riguardino una comunità di Stati-nazione (come sono, nel tempo, la Società delle Nazioni, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Organizzazione degli Stati Ame­ ricani, la Comunità Europea, l' Unione Europea). La dimensione regionale (a livello economico e poi politico) degli accorgimenti tattici della moder­ na conformazione nazionale impone l'ausilio di quell 'approssimazione co­ noscitiva, che si evince anche dalla profilassi scientifica. Quanto meno preciso è il criterio con il quale agire nella realtà, tanto più proficua è la sua applicazione pratica. Il livellamento economico dei paesi in fase di sviluppo industriale comporta l'affiliazione massiva al so­ cialismo, a una dottrina laica, che considera la solidarietà e l'equità le forme più congruenti della morale. La socializzazione del lavoro c della proprietà costituisce l'aspetto meno inquietante della condizione umana. L'umani­ tarismo sociale è una forma di ordinamento laico, in grado di causticare le disparità e di considerare le istanze del genere umano congenite rispetto alle religioni assiali, alle credenze nella contingenza contratta nelle aspet­ tative salvifiche e ultimative della condotta terrena. L' internazionalità del socialismo garantisce l'equità patrimoniale del genere umano, impegnato a utilizzare la tecnica per artificializzare le aspettative delle generazioni che si affacciano sul palcoscenico della storia contemporanea. La mobilitazione socialista è, in linea teorica (e potenziale), un automatismo livellatore delle aspettative delle classi meno avvantaggiate dal processo produttivo indu­ striale. L'operaio e poi il tecnico sono le avanguardie del progresso tecno­ logico di portata planetaria, che dev 'essere sorretto dall'umanesimo di pro· spettiva universale, secondo i canoni interpretati vi della condizione umana del Rinascimento, dell' Illuminismo e del Romanticismo, delle tre grandi correnti di pensiero, che concorrono ad ampliare il significato e il regime della cultura occidentale. Il sistema democratico si giustifica fra l'altro con la generale partecipazione ai benefici prodotti dalla rivoluzione industria­ le. La redistribuzione del reddito è conseguente alla mobilitazione generale delle forze necessarie per assicurare ali' apparato tecnologico le risorse ade­ guate per migliorare e ampliare la produzione, da distribuire nel mercato, il più ampio e generale possibile. Sotto questo punto di vista, la democrazia dd lavoro è più intimamente affine allo Stato assoluto che alla democrazia liberale, dalla quale sembra derivare. Essa però !86

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ditlè.:risce dallo Stato assoluto in quanto dispone d i energie che sono state: mobili­ rate e dischiuse: soltanto dall'azione: e dall' influenza dei principi univc:rsaliL'.

La democrazia dd lavoro contrasta il privilegio e assimila il fruitore dei be­ n i e dei servizi al loro produttore. Nella società socialista, l'accumulazione capitalistica (come l'uso degli strumenti della produzione) è a carico dello Stato, mentre nella società liberale tali strumenti costituiscono le preroga­ tive dei singoli e dei gruppi in concorrenza fra loro. All a concorrenza è affi­ data l'equità, l'elegia della disciplina dei rapporti appoderativi degli indivi­ dui, che ambiscono salvaguardare i loro vantaggi a danno dci meno favoriti dalla sorte, ai quali semmai rivolgere lo sguardo pietoso c commiserevole. Le fondazioni e i lasciti sono il risultato dello stato d'auto-espiazione, che i titolari dci grandi profitti ritengono di rivolgersi con naturale parsi­ monia. La diversità fra il liberalismo e il socialismo è prcdittiva: in effet­ ti, entrambe queste dottrine politiche partono dal presupposto che l'uomo dcv 'essere soggiogato dalla sua stessa compromissione epiteliale con il pros­ simo. L' ideale umanitario è perseguito da entrambi questi movimenti ideali c politici, che congetturano, in aperta disamina moderna e contemporanea, un universo instabile dominato dalla vis destruens e dalla vis construens di due opposti schieramenti, dotati di attitudini perentorie rispetto al grado di attendibilità delle regioni recondite (originarie) della condizione umana. L'aspetto più inquietante dei due fronti ideologici è che entrambi si attengo­ no a una disciplina informativa c formativa dell'opinione pubblica, che ha di mira l'azione. Sia l'una, sia l'altra dottrina hanno caratteristiche plebiscitarie, nel senso che considerano la cognizione il carattere distintivo del dibattito politico c quindi delle scelte di ordine istituzionale. L'economia c la socialità afferiscono quali categorie esplicative nelle scelte di fondo delle masse, che si organizzano secondo raggruppamenti elitari (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca) o secondo la mobilitazione a tutti i livelli del lavoro, intellettuale e manuale (Karl Marx, Antonio Gramsci, José Luis Mariategui) indipenden­ temente dalla ernia, dalle credenze religiose e dai costumi. I due movimenti modcrnisti presagiscono un universo nel quale la libertà di espressione e la libertà d'azione coincidono secondo, per il libc:ralismo, la convenienza indi­ viduale e, per il socialismo, secondo la convenienza collettiva. Il controllo dell'opinione pubblica (del plebiscito quotidiano di Ernst Rcnan) è il compito che la società civile trasmette allo Stato, secondo le grandezze del lavoro elaborate dagli enti deputati all' istruzione, alla cono!�. lvi, pp. 2.3S·6.

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scenza, al pubblico dibattito. La società borghese traduce i fatti in opinioni c contrasta così l'affermazione strategica, sia della libertà individuale, sia della responsabilità collettiva. L' indipendenza del borghese di fronte allo Stato è progressivamente illusoria. Il detto secondo cui la stampa è una nuova grande potenza appartiene al frasario del XIX secolo ; proprio in quel periodo vengono a galla quei grandi e famosi af foires nei quali il giornalista riesce a trascinare lo Stato dinanzi al tribunale della ragione e della virtù, anzi, nel suo caso, della verità e della giustizia, e ad avere successo'6•

Lo Stato è spesso soccombente di fronte agli attacchi della stampa liberale, per non parlare della stampa socialista, che lo considera un comitato d'af­ fari al servizio delle classi economicamente e socialmente egemoni. L' indi­ pendenza e la corruzione sembrano coniugarsi nello Stato borghese, così come conflagrano fra loro nello Stato socialista. La stampa borghese tra­ valica i limiti dell' informazione per conseguire, mediante l' imbonimento mediatico, un consenso approssimato ma plaudente. Per converso, è « da sperare nell 'uso di un linguaggio preciso e univoco, di uno stile matemati­ co aderente alla realtà, adeguato al x x secolo » '7• L' informazione assume le connotazioni delle varie forze del lavoro, che si contendono il dominio del potere statale {nazionale ) . La raffinatezza descrittiva della stampa bor­ ghese soggioga le coscienze inquiete e radicalizza le coscienze remissive. « Come il giornalista si trasforma da individuo borghese in tipo umano, così la stampa, da organo della libera opinione, si trasforma in organo di un preciso e severo mondo del lavoro >> >.��. La lettura non riguarda più l' otium, il tempo libero, ma le dimensioni politiche, sociali del lavoro. « Per questo motivo, la democrazia del lavoro non può essere scambiata per una dittatu­ ra neppure là dove si è rinunciato all'uso dei mezzi plebiscitari » '9• Il mon­ do dd lavoro è pertanto immune dalle ideologie borghesi e dalle dottrine egalitarie in quanto si attesta a creatore di oggetti, che devono essere diffusi e distribuiti secondo un'ottica dimidiata dal benessere. La ragione strumentale è conseguente alla trasformazione ( alla decom­ posizione ) della società borghese in favore della omologa operaistica. 2.6. lvi, p. 2. 4 1 . 2.7. 2. 8 .

lvi, p . 2. 4 2. . lvi, p. 2. 4 J ·

2. 9 . lvi, p. 2.47.

r88

t' O PERAIO

I l compito dell 'operaio consiste nella legittimazione dei mezzi tecnici dai quali il mondo viene mobilitato, cioè posto in una condizione d ' interminabile movi­ mento. La pura e semplice esigenza di questi mezzi è in crescente contrasto con il concetto borghese di libertà e con gli aspetti della vita che ad esso si conformano; essa chiede di essere domata e sottomessa da un'energia capace d' intendere il lin­ guaggio di quei mezzi10•

La struttura massiva della società operaistica non consente alle vibrazioni soggettive di aver quel corso forzoso nel convincimento borghese, che sfo­ cia nel perbenismo. Nella società operaistica il tenore naturale si declina nella disciplina paramilitare della fabbrica, dell 'ordinamento metallico, nel quale gli individui, organizzati in gruppi di settore, agiscono facendo ricor­ so alle loro energie fisiche e alla loro capacità di adattamento alle atmosfere surriscaldate e anodine del capannone plurifunzionale. La proprietà perde pertanto le tradizionali quotazioni della morale, per assumere le connota­ zioni funzionali al processo lavorativo. La proprietà privata e la proprietà pubblica ostentano un conflitto di supremazia rispetto agli esiti concreti che riescono a raggiungere in un contesto istituzionale ideologicamente « declassato» . La democrazia tende a identificarsi con l' idea che il lavoro sia la fonte della libertà e della creatività umane. Il verdetto della storia è nel grembo di Giove, ma la società tecnologica interpreta i fastigi dell' inven­ tiva umana come i segni della trascendenza, consentita agli esseri operanti sulla terra in contemperanza o meno con le aspettative trascendentali.

30. lvi, p. 2. 4 8.

Trattato del ribelle

I « dedali del tempo» sono le risultanze perseguite dall'apparato politico per analizzare, sulla scorta della computazione statistica, le reazioni, « le risposte » , dei singoli individui, mimetizzati nei gruppi (di lavoro, di ozio, di sport, di confessione religiosa o di semplice ascetismo allegorico, fatto di immedesimazioni orientaleggianti). L' incertezza e l'approssimazione sono le categorie mediante le quali la vicenda del genere umano si concretizza in azioni, in eventi, in semplici modi d'essere e d'apparire. « A tutt'oggi, per restare al nostro esempio, ancora non è chiaro a tutti fino a che punto la scheda elettorale si è trasformata in questionario » '. Anche se l' individuo si propone di appartarsi in un universo privato, la sua stessa presenza fisi­ ca nella temperie moderna e contemporanea lo assimila alla massa vocian­ te, dalla quale non può estraniarsi se non illusoriamente. L' individualità è azione, parte integrante della dinamica degli assetti istituzionali. Le ela­ borazioni statistiche consentono soltanto la meditazione individuale, che è incomputabile e quindi propedeuticamente irrilevante. « Le dittature, man mano che acquistano forza, fanno in modo che il plebiscito prenda il posto delle libere elezioni. Ma il plebiscito va oltre il territorio normal­ mente occupato dalle elezioni. Le elezioni si trasformano in realtà in una delle forme del plebiscito» •. Il plebiscito soffoca le voci discordanti, che sono travolte dall'empito recondito (primitivo) delle passioni. L' indivi­ duale si presagisce soltanto nella forza che agita l'attentato, che lo propone all a suggestione collettiva, senza coniugarlo col convincimento generale. La risoluzione di un gesto perentorio come l'attentato si estrinseca nell'a­ desione forzosa delle masse o si spegne nella loro atarassia. La trascurabile percentuale dei dissenzienti conferisce un'ulteriore legittimazione alla stra­ grande maggioranza dei consensi. « Per le dittature è importante dimostra1. Ernsr Jiinger, Trattato d�/ rih�ll�. Ade l p hi , M ilano l009 " · p . 1 1 . l. lv i , p. I l .

T R AT TATO D E L R I B E L L E

re che con esse non è venuta meno la libertà di dire no» 1 • li dissenso, per minimo che sia, consente alle dittature di fomentare l 'odio e di generare il terrore. La persecuzione dei dissidenti diventa un' impresa di Stato a sal­ vaguardia della volontà popolare, che si esprime plebiscitariamente come una forza unitaria, capace di trasformarsi in una macchina da guerra, con la quale resistere agli attacchi interni e con la quale affrontare anche i nemici illusori, quelli che, schmittianamente parlando, assicurano il perpetuarsi della coesione sociale. I dissenzienti assumono così il ruolo dei sabotato­ ri, dei violatori del verdetto elettorale, anche se proditoriamente consegui­ to dali' apparato celebrativo del consenso. La partecipazione plebiscitaria condanna implicitamente ogni forma (sia pure in apparenza giustificata) di astensionismo. « L'astensionismo è infatti uno dei comportamenti che rendono inquieto il Leviatano, sebbene dall'esterno le eventuali astensioni siano spesso sopravvalutate. Di fronte alla minaccia, l'astensionismo svani­ sce come neve al sole » •. La democrazia plebiscitaria benefica delle sugge­ stioni che la propaganda riesce a suscitare nella popolazione, ottenebrata dal timore della lotta civile, dei fraudolenti contrasti fra i ceti oltre che fra i singoli individui, che nelle società di massa riescono a identificarsi sol­ tanto nelle rare occasioni, nelle quali interpretano ruoli di rilievo, talvolta di sovversione del sistema nel quale gravitano. « Nel clima della tiranni­ de, l'umorismo, come tutte le altre manifestazioni che accompagnano la libertà, viene meno. Tanto più sarà caustica la battuta di colui che per essa è disposto a rischiare la pelle » s. L'opera d'intimidazione della propagan­ da consiste nell ' indurre la maggioranza a trasformarsi nel fortilizio ideale della socialità consolidata contro gli attacchi subdoli e talvolta subliminari del disfattismo (sia pure minoritario). Il dissenso, sebbene numericamen­ te irrilevante, conferisce all'autonomia decisionale un grado di legittimità, che i sistemi dittatoriali non riescono a estinguere per quanto s' industrino di combattere con ogni mezzo. La necessità e la libertà si fronteggiano nello schieramento di chi è favo­ revole alla dittatura e di chi è contrario. Le due categorie, didascalicamente fra loro discordanti, nella realtà si coniugano reciprocamente. Anche fra i fautori della dittatura il sentimento della libertà, seppure demistificato dalle circostanze, permane come il fattore sussidiario della loro esiguità. I sostenitori della dittatura pretendono di liberarsi dali' incubo dell' insol3·

lvi, p.

IS

+· lvi, p. 1 7. S· lvi, p. u.

I L S O RT I L E G I O E LA VA N I TÀ

venza individuale per fortificarsi nella massa, nella quale presagiscono di rinvenire quel conforto, che gli esegeti della libertà disconoscono in quan­ to la considerano operante fuori da ogni vincolo necessaristico (obbligato­ rio e insolvibile se non con l'aperto dissenso e il contrasto a tutto campo). Il passaggio al bosco si riferisce a una convenzione valida nell'antica Islan­ da dell'Alto Medioevo, secondo la quale i reietti e i fuori legge si rintanano nei luoghi impervi (selvaggi). Il dissidente moderno ritorna alle origini, ai luoghi (mentali), nei quali le leggi del consenso e del dissenso, della fe­ deltà istituzionale e della contestazione, sono disattese. Il primitivismo è il momento aurorale dell 'uomo, prima di valutare i vantaggi e gli svantag­ gi dell'associazionismo comunitario e della sua sublimazione istituzionale. Viviamo nell 'epoca del Lavoratore ; sono convinto che questa tesi col passare del tempo è diventata più chiara. La vita del bosco crea all ' interno di quest 'ordine il movimento che lo differenzia dai modelli zoologici. Non si tratta di un gesto di liberalità né. tanto meno, di un gesto romantico, bensì di uno spazio d 'azione per piccole élites consapevoli delle necessità del tempo, e non di queste soltanto6•

Il dissenso si esplica nel diritto contro la forza, anche quando questa è espres­ sione della maggioranza, che prefìgura un ordine privo di alternative dialet­ ticamente raccordabili fra loro. Il diritto non è patrimonio delle maggioran­ ze se si costituiscono a fonte incontrastata delle norme del comportamento, che includono quelle del convincimento, per sua natura in bilico fra le asser­ zioni e le controprove circa la validità o meno dei postulati conoscitivi, che autorizzano e legittimano l'azione. Le dittature generano sconcerto al loro interno per l'uso sconsiderato della forza, che altera l'azione e rende prescrit­ tive le conseguenze di ordine pratico. La dittatura smembra gli individui in imputati e accusatori: le parti possono essere condivise dagli uni e dagli altri a seconda delle circostanze. Lo Stato di polizia contraddice, infatti, la salda­ tura delle componenti sociali delle dittature, che, malgrado lo strabiliante consenso formale, nutrono con ragione il sospetto che il dissenso sia poten­ zialmente in crescendo rispetto a quello emerso dalle urne elettorali. « Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fìn nei singoli atomi co­ me sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono a un pastore per le sue greggi» '. Nella generale ade­ sione al regime vige il sortilegio della libertà, che abbacina i pochi {i ribelli), ma contamina nell'intimità potestaòva anche le maggioranze, in apparenza 6. 7·

lvi, p. 2.9. lvi, p. 3 3 -

T R AT TAT O D E L R I B E L L E

protette dal Leviatano. La crudeltà del potere s i esercita nelle prove indi­ viduali di ribellione. Tutti coloro che non sono d'accordo con le decisioni dall 'alto sono costretti a osservare una specie di occasionale riedizione della religione panica. ll malessere individuale è soffocato dalla compromissione collettiva, che raggiunge estenuate forme di razionalità.

« La resistenza sem­

bra dare vigore ai potenti, offre loro l 'occasione che aspettavano per interve­ n ire. Di fronte a ciò rimane un'ultima speranza: che il processo si esaurisca da sé come

un

vulcano che lancia i suoi ultimi spruzzi » 8• La controffensiva

dei dissidenti, se non assume connotazioni apocalittiche, consiste nell ' accet­ tare obtorto collo le regole imposte dal potere tutelare.

In fondo, tirannide e libertà non possono essere considerate separatamente, anche se dal punto di vista temporale l 'una succede all'altra. È giusto dire che la tiranni­ de rimuove e annienta la libertà anche se non si deve dimenticare che la tirannide diventa possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata e ormai ridotta a vuo­ to concetto'. La tirann ide riduce la reattività di quanti si ostinano a proclamarsi fedeli allo stato democratico, aperto alla partecipazione e alla decisionalità collet­ tive.

In effetti, il principio in virtù del quale si sponsorizza l'avvento di un

regime tollerante è quasi sempre connesso con l ' insofferenza per qualsiasi norma predittiva, che cioè lasci presupporre l 'esito delle azioni individuali e

comunitarie. La problematica relativa all a razionalità dell 'apparato amministrativo,

strategicamente coniugato con quello decisionale, esime gli individui dal di­ sporre di diverse opzioni per quanto attiene al modello di adesione al siste­ ma normativa, posto in essere in previsione del conseguimento di determi­ nati obiettivi { ideali, concreti). La burocrazia, esaminata nella sua matrice concettuale da Max Weber, è l'aspetto sedentario della dinamica sociale : es­ sa induce a conformare i propositi soggettivi ai condotti espressivi, predispo­ sti sulla base di enunciati ritenuti oggettivamente necessari e ineludibili. La possibile reazione contro gli schemi congetturali, formulati per ass icurare la disciplinata elaborazione delle norme comportamentali, non può che essere la sovversione. Questo atteggiamento comunque prelude all'esilio dalla co­ munità e l 'appostamento fuori del contesto istituzionale { il bosco), dal quale si prefìgura una sollevazione generale, sgominata soltanto dall ' abbrivio delle forze tutorie, estranee a ogni suggestione liberale. Il ribelle è un individuo 8.

lvi, pp. 3 8-9.

9· lvi, p. 40.

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che ambisce sovvertire le sorti della comunità della quale è parte e della qua­ le ritiene d' interpretare le intime connotazioni etiche e comportamentali. « Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell' intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trame la conseguenza etica, che è il fatalismo » '0• L'espressione ar­ tistica del ribelle si evidenzia soprattutto nelle città, nelle musiche estempo­ ranee e nei graffiti delle metropolitane, nei meandri della terra, che attenua le frizioni e i conflitti di superficie. L'indipendenza di giudizio si trasforma, sia pure virtualmente, in un flebile conformismo. Il suonatore ambulante, il pittore d'occasione e il romanziere alla Eugène Sue sono figure dell'oltre­ tomba, che affiorano negli interstizi della quotidianità per preservare quel senso di allucinata pretensione di poter sopravvivere al dispotismo dilagan­ te disattendendone le istanze. A un conformismo meccanico fa fronte un conformismo fluido, ombracile e accattivante. Il ribelle è un accalorato cal­ colatore, che finge di essere estraneo a ogni convenzione per tema di doversi giustificare di fronte a quelle moltitudini che gli passano davanti senza quasi osservarlo, come se fosse un ostacolo al loro rendiconto giornaliero. Il timore dei passanti consiste nel rendersi eccessivamente comprensivi di una scelta di vita che esorbita dalla fedeltà a un ideale. Essi incalzano la scenografìa ma­ nierata del ribelle negli snodi spaziali e temporali più congestionati: prima di raggiungere il piazzale di salita sul treno e prima di far mente locale sulle ragioni recondite che affliggono alcuni esseri dimentichi della loro istintiva socialità. «È un facto che i rapporti era i progressi dell'automatismo e quelli della paura sono molto stretti: pur di ottenere agevolazioni tecniche, l'uo­ mo è infatti disposto a limitare il proprio potere di decisione » ". L'apparen­ te scabrosità della situazione del ribelle rinfocola nel viandante il desiderio di una maggiore sicurezza e paradossalmente recepisce dall'angolo oscuro della metropolitana la spinta suadente della sua caverna-rifugio, che consta di una parte di un edificio in cemento armato. All ' angoscia del viandante fa riscontro l'estraneità del suonatore, che negli anfratti della metropolitana evoca i rigori della superficie a suffragio di quanti non sono consapevoli di vivere nell'ordito di un concerto di norme difficilmente modificabili se non a rischio di una catastrofe {della rivoluzione). L' individuo si ritrae in sé stes­ so: sia il suonatore, sia il viandante sfuggono all'uniformità per un recesso di autonomia, che può essere estirpata, in modo simbolico e virtuale, dalla IO. lvi, p. 42.. 11. lvi, p. 45·

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struttura polivalente, dal Leviatano. Il ribelle è il poeta del bosco, di un luo­ go ideale, nel quale il groviglio dei sentimenti ha piena fungibilità. L'epopea dello spazio non ancora soggiogato dalla geometria è una vivida reviviscenza di un'epoca forse immaginaria, nella quale l'esistenza umana si configura come ineludibile nella sua conclamata drammaticità. Il pericolo presagisce la schiavitù. L'itinerario della nostalgia del Ribelle è fortificato dall'entusiasmo di non cedere alle lusinghe della socialità, del benessere confezionato con le armi della guerra e dell ' ingiunzione econo­ mica e tecnologica. Il Ribelle, dunque, deve possedere due qualità. Non si la.çcia imporre la legge da nessuna forma di potere superiore né con i mezzi della propaganda né con la forza. Il Ribelle inoltre è molto determinato a difendersi non soltanto usando tecniche e idee del suo tempo, ma anche mantenendo vivo il contatto con quei poteri che, superiori alle forze temporali, non si esauriscono mai in puro movimento".

Nell'epoca moderna, il movimento sopravanza l ' immobilità e induce i dis­ sidenti a inserirsi nel processo modificatore dell'esistente influenzandone l'andamento e, in fin dei conti, facendolo proprio e propiziandone l'effica­ cia e la permanenza. Il conservatore è come il martire dell'avventura epo­ cale (apocalittica), i cui effetti si abbattono su i suoi stessi esegeti e attua­ lizzatoci. Il Ribelle coniuga l'endecasillabo della distruzione, del riordino di tutte le condizioni necessarie a liberarlo dall'angoscia esistenziale. L'a­ spetto più inquietante della sua condizione consiste nella revisione critica dei miti ai quali fanno riferimento i cosiddetti riformatori sociali. n Ribel­ le tende a riproporsi nello spazio iconoclasta, nel quale presumibilmente si trova l'uomo primitivo nel momento nel quale prende consapevolezza della sfida della natura e quindi nel dolore. È in questa fase cognitiva che si delinea come un'elegia l'evenienza della libertà individuale. La libertà è in costante dialettica con la costrizione. Le democrazie delle limitazioni e dei divieti preconizzano senza avvalorarlo l'avvento dei regimi autoritari, nei quali la saggezza individuale si coniuga con il consenso (an­ che se estorto) collettivo. La prescrittività normativa non consente ali' au­ tonomia soggettiva di affrontare tematiche, che mettano in discussione la stessa legittimità istituzionale. La sovranità statale cede l'egemonia tutoria e decisionale agli assetti regionali, secondo prospettive globali (planetarie). L'organizzazione del consenso collettivo e quindi della libertà individua1 2..

lvi, p.

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le diventa sempre più un' impresa poetica, una questione di princìpi, che si contraggono nelle « affmità elettive » o nei recessi dell' interesse culturale e del vantaggio economico. Ad affermare il contenuto anfizionico delle idea­ zioni multinazionali e pluriculturali sono le credenze arcaiche e le religioni del Libro, che affidano alla preveggenza il segno risolutore di tutte le con­ troversie settoriali. L'apprensione per il nuovo, dalla quale è suggestionato l'operaio ( il lavoratore ) , trova le sue matrici esoteriche nella visione unitaria del cosmo. Il bosco quindi si profila sempre più come un anfratto, nel qua­ le il Ribelle si rinchiude virtualmente e sconta la sua infinita contesa con il mondo. «L'oscura cavità dei cieli, le visioni degli eremiti, le creature !arvali dei Bosch e dei Cranach, gli sciami di streghe e demoni del Medioevo sono tutti anelli dell'eterna catena di angoscia da cui l'uomo è legato come Pro­ meteo al Caucaso » 'l, Il timor panico insidia i fantasmi della conoscenza e predetermina il momento indiziale della rassegnazione, nella quale è come prescritto un larvato aspetto della libertà. Nel suo inno, Holderlin vede in Cristo l 'esaltazione dei poteri di Eracle e di Dio­ niso. Eracle è il principe delle origini a cui si appellano gli stessi dèi in lotta contro i Titani. Egli prosciuga paludi, costruisce canali e rende abitabili i deserti, abbatten­ do mostri e demoni. È il primo tra gli eroi sulle cui tombe è sorta la polis e nel cui culto essa si conserva. Ogni nazione ha il suo Eracle, e ancora oggi i sepolcri sono i centri da cui lo Stato trae il suo sacro fulgore'•.

Dopo Hiroshima e Nagasaki, l' Eracle contemporaneo è il fungo atomico, la forza demoniaca che si irradia dalle centrali nucleari, dai laboratori scien­ tifici, che si consorziano nel progetto Manhattan o altri simili. La distruzione totale del pianeta a opera dell' hom o technologicus è un'eventualità vilipesa dai credenti nella continua rigenerazione della con­ dizione umana. La festa dionisiaca contemporanea sconta la precari età del­ la sopravvivenza delle generazioni che si candidano alla sfida della turbati­ va planetaria. La solitudine individuale è il segno distintivo dei tempi mo­ derni. L'uomo è soggiogato dalle forze demoniache, che ne enfatizzano la destrezza e l'abilità e che ne conciliano il rimorso con la turbativa mentale. Le religioni, dal canto loro, non possono assicurare l'esistenza, ma possono soltanto offrire assistenza, che consiste nell'aiutare i mortali ad affrontare il declino al riparo dalla disperazione. L'aspetto più inquietante di questa condizione individuale è che si rafforza nell'epoca delle grandi convulsioni 1 3. lvi, p. 74· 1 4 . lvi, p. 77·

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planetarie, volte a consolidarsi in senso comunitario (e virtualmente paci­ fìco). ln effetti, l'armonizzazione delle propensioni statali nei regimi nor­ mativi di dimensione regionale e planetaria consiste nel rendere i conflitti a conformazione oggettiva. Il battito d'ali di una farfalla nel cielo tropi­ cale può provocare una tempesta magnetica nel Golfo di Biscaglia: è un modo di argomentare su piani districati con esempi più o meno connes­ si con l'effetto scenico, che attrae l' immaginazione e connota la sorpresa di un numero considerevole di individui, al punto da delinearsi come la consapevolezza oggettiva. L' ideario comunitario galvanizza le coscienze e le rende alquanto retrattili alla razionalità. « C 'è un paradosso analogo : all' immenso progresso delle conquiste spaziali corrisponde la progressiva riduzione della libertà individuale » '1• Le religioni paniche moderne sono influenzate e legittimate dalle prove concrete, dai risultati conseguiti dai singoli e dai gruppi nella socializzazione e nell ' istituzionalizzazione delle loro istanze solidaristiche ed egalitarie. La credulità delle masse è l'ancora di salvezza dei premonitori di ere. I visionari e i missionari si arricchiscono reciprocamente degli argomenti, utili ai fini dell' interazione e del convin­ cimento collettivi. L'arroganza è la quotazione raggiunta dell'insondabili­ tà e dall' insolvibilità del diritto. La violazione del diritto assume talvolta apparenza di legalità, per esempio quan­ do il partito al potere si assicura una maggioranza favorevole a modificare la Costi­ mzione. La maggioranza può contemporaneamente agire nella legalità e produrre illegalità: le menti semplici non afferreranno mai questa contraddizione. Eppure, già nelle votazioni, molto spesso è difficile stabilire l'esatto confine fra diritto e arbitrio''.

L' irrefrenabilità del malessere collettivo si estrinseca negli ambulacri isti­ tuzionali, nei fori pubblici, nelle piazze, dove il consenso prevale su ogni monito cognitivo, su ogni indizio razionale. Il plebiscito di Renan prevale su ogni misura precauzionale circa il mo­ do di esprimere il consenso o il dissenso in ordine alle istanze istituzionali. L' impermeabilità della ragione è palese in ogni sommovimento collettivo, che abbia di mira una rivalsa a lungo sottaciuta e per molto tempo oblite­ rata dalle cosiddette condizioni oggettive. La ribellione è comunque estra­ nea a questa tempesta emotiva, dal momento che si esplica sempre in con­ tumacia. •s. lvi, p. 8s. 1 6 . lvi, p. 101.

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IL SORTILEGIO E LA VANITÀ

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Ribelle organizza la rete di informazioni, il sabotaggio, la diffusione delle noti­ zie tra la popolazione. E si ritrae nelle zone impervie e nell'anonimato per riap­ parire non appena il nemico dia segni di cedimento. Egli diffonde una continua agitazione, provoca il panico notturno. Può addirittura paralizzare interi eserciti, come è avvenuto con l'armata napoleonica in Spagna•-.

La sua peregrinazione nelle aree impervie gli consente di agire sugli obietti­ vi strategici con inusitata destrezza e simultaneità. La mobilità del Ribelle è ovviamente molto superiore a quella delle truppe strutturate. La sua abilità consiste nell' inserirsi nei punti critici dell'azione (nei valichi, nelle curve, nelle arterie accidentate). La sua azione compromissoria è istintivamente votata al successo passeggero e all' inefficacia globale. Rimane comunque la sua presenza inquietante nel novero delle difficoltà che il sistema costituito è tenuto ad affrontare. Il Ribelle rivendica l'applicazione dei diritti fonda­ mentali, che l 'ordinamento statale non può né disattendere né attenuare. Il Ribelle, nel fugare la paura, attualizza le istanze morali, che la tradizione conserva sotto traccia, a beneficio dei suoi stessi esegeti e revisori. La lotta fra il despota e il Ribelle è priva di un campo di esplicazione: si svolge subdolamente ovunque e senza previsioni temporali, che la strategia possa prevedere ed esorcizzare. I despoti tendono naturalmente ad attribuire un significato criminale alla resi­ stenza legale e anche al semplice non accoglimento delle loro pretese: nascono a tal fine settori ben precisi a cui viene dato l'incarico di organizzare la violenza e la propaganda. Per lo stesso motivo il delinquente comune occupa, nella scala dei valori del despota, una posizione più elevata di quella che spetta all'oppositore'8• Il despota, ideologicamente condizionato e rafforzato, promuove il dissen­ so e contestualmente una pacifica soluzione delle controversie. Il Ribelle, invece, è avulso da qualsiasi militanza ideale, mentre rinviene la sua legitti­ mazione nella ragione d'essere del diritto, dell 'etica comportamentale dei popoli e delle nazioni evoluti e operanti nello scenario internazionale. « La nuova libertà è quella antica, assoluta, che riappare nella veste del tempo; farla trionfare sempre, eludendo le astuzie dello spirito del tempo: questo è il senso del mondo storico » '9• L'appropriazione indebita limita la libertà in quanto ne preconizza la dipendenza da un bene impropriamente commi1 7. lvi, pp. 1 0 6-7. 18. lvi, p. 119. 19. lvi, p. 1 2.0.

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surato con il desiderio e con la perentorietà decisionale. La lingua è il pre­ cipitato storico dell'esperienza vitale. « La lingua tesse la sua opera intorno al silenzio, come l 'oasi si stende intorno alla sorgente » 10• La ribellione si estrinseca nella parola, che trova riscontro nell ' intimità di coloro ai quali è rivolta. L' indefettibilità della lingua rassicura fra l' intemperanza del ribelle e l' infedeltà istituzionale del tiranno. La poetica raccorda queste due forze propellenti dell'esistenza nella metafisica dell'attenzione e dell 'attesa.

2.0. lvi, p. 132..

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Sulle scogliere di marmo

La « selvaggia tristezza » , che suscita « il memorare il tempo felice » , a par­ te l'evocazione dantesca, ha una connotazione profetica poiché, nella real­ tà, la malinconia attutisce i toni e rende meno perentori gli aspetti nostal­ gici che la distanza revoca in commendevoli e inobliabili. La frattura, che si delinea fra l'esperienza passata e la sua immagine riflessa nell' indulgenza ferina, si appropria di un ideale, declinabile, per la sua stessa connotazio­ ne, nella dimenticanza. Tutto ciò che si può o si deve obliare mimetizza lo sconforto di chi percepisce nel ricordo una sorta di tenue, delicato, sopore, rispetto al tramestio della vita. La parvenza di un appiglio emotivo ha la consistenza di un refolo di vento, che lascia presagire il risveglio della pri­ mavera e il tormentato esodo dell 'autunno. Le immagini risorgono, più ancora allettanti nell'alone del ricordo, e fanno pensa­ re al corpo di una donna amata che, morta, riposa nella profonda terra e che, simile a un miraggio, riappare, circonfusa di spirituale splendore, suscitando in noi un brivido di sgomento'.

Il passato conforta e soggioga il presente manifesto, soprattutto negli inter­ ludi onirici, quando le dimensioni degli eventi si compongono e si scom­ pongono con sieroterapica certezza. La tristezza, che attanaglia benevol­ mente la visione, concorre a delimitare il regno della gloria e dell' interdi­ zione. L'eco delle sue prove d'autore si riflette nell 'entusiasmo e nella de­ pressione del risveglio. Il rimpianto geme come un saluto nella temperata stagione autunnale degli addii. Non altrimenti io rammemoro i tempi, quando vivevamo alla Grande Marina; e solamente il ricordo me ne significa ora la magia. Mi sembrava allora che varie cause di ansia e qualche affiizione oscurassero i nostri giorni, e in primo luogo il 1. Ems[ Jiinger. Sulle .