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Italian Pages 574 [595] Year 1970
STUDI E TESTI
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ENRICO CERULLI
IL “LIBRO DELLA SCALA” LA QUESTIONE DELLE FONTI ARABO-SPAGNOLE DELLA
DIVINA COMMEDIA
CI TTÀ DEL V A T I C A N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXLIX
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STUDI ----------------------
E TESTI 1 5 0
----------------------
ENRICO CERU LLI
IL “ LIBRO DELLA SCALA” E
LA QUESTIONE DELLE FONTI ARABO-SPAGNOLE DELLA
DIVINA
COMMEDIA
C IT T À D EL V A TICA N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXL1X
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IMPRIMATUR:
Datum in Civ. Vat. die 1 Martii 1949.
pro E x.m o D D . V ic. Gen. P. G albnie Monti , O. S. A . Secret.
Riproduzione Anastatica
PROPRIETÀ LETTERARIA
M U L T I G R A F IC A - R O M A 1970 Viale dei Quattro Venti, 52/A - 00152 Roma
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PIO XII PONTIFICI MAXIMO ANNVM L AB INITO SACERDOTIO FELI CI TER PE R A G E NT I BYBLIOTHECAE VATICANAE PROCVRATORES D. D.
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ED IZIO N E ANASTATICA Anno 2016
Tip. Cardoni s.a.s. - Roma
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PREFAZIONE
« La escatologia musulmana en la Divina Comedia * di Miguel Asín Palacios (*) ha posto agli studiosi, sin dal 1919, un importante problema (*). Il quesito — e qui per necessità di esposizione pre vengo quanto dovrò dire in seguito — va cosi formulato: T ra la costruzione del mondo ultra-terreno nella Commedia di Dante e l’escatologia musulmana esistono analogie. Nella letteratura reli giosa dell’IsIàm ha, del resto, una sua particolare diffusione la tra dizione che narra il viaggio di Maometto neH’oltre-tomba. Quelle analogie sono soltanto frutto di coincidenze, dovute a quella comu nanza di atteggiamenti spirituali che non difficilmente è riconosci bile oggi da noi nel mondo medievale, oppure sono invece cau sate dal fatto positivo che Dante conobbe, in una maniera o nel l’altra, il racconto del viaggio di Maometto al Paradiso ed all’Inferno o genericamente le tradizioni dell’escatologia musulmana? L ’Asín Palacios, nel presentare per la prima volta in forma organica tale problema, ne propose anche la soluzione: nel senso che si possa ammettere un legame diretto tra la Divina Com media e la letteratura musulmana sull’oltre-tomba. L ’ipotesi dell’Asin, che fu vivacemente oppugnata da alcuni critici (3), era fon data però tutta sull’esame, nuovissimo e dottissimo, che l’insigne arabista spagnolo aveva fatto delle fonti arabe. Perciò il motivo dominante della discussione era sempre, in realtà, la mancanza di ogni prova concreta dell’arrivo in Occidente ed alla portata (*} M.
A s í n P a l a c io s , L a escatologia m usulm ana en la D iv in a C o m ed ia seguid a
d e la : H istoria y critica de una polém ica, I I ed ición , M a d rid -G ran a d a, 194 3 , qui ap p resso cita ta co m e
: A s í n , Escatologia o, risp e ttiv a m e n te , A s í n , H istoria y cri
tica.
(2) Il lavoro dell'Asín fu prima pubblicato come discorso di ricevimento alla Real Academia Española, seduta del 2 6 gennaio 1 9 1 9 . (3) Alle critiche appunto rispose l’Asin con H istoria y critica cit.
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Prefazione
degli ambienti culturali della Firenze della fine del XIII secolo, di una qualsiasi delle opere della letteratura araba in tema sia del viaggio ultraterreno di Maometto e sia di escatologia, in ge nerale (*). Questo mio libro, che continua così le ricerche già da me iniziate da anni sui rapporti culturali e letterari tra Occidente ed Oriente nel Medio Evo, vuole appunto portare la questione posta nel 1919 dall’Asín Palacios su di un terreno concreto, raccogliendo i testi occidentali inediti sul viaggio di Maometto e l’escatologia musulmana. La comparazione va quindi ormai fatta e discussa, non sul complesso delle fonti arabe raccolte dall’Asín, ma su quello che di tali fonti poteva esser noto a Dante. Prima e più nuova tra tali fonti è senza dubbio il Libro della Scala, narrazione intera e diffusa del viaggio di Maometto e della sua visione dei cieli e dell’inferno. Di tale Libro dò qui, per la prima volta, l’edizione nei testi francese e latino, da me identificati nelle circostanze di cui dirò appresso, nella Bodleiana di Oxford e nella Nationale di Parigi. Il L ibro della Scala, come gli altri testi inediti qui pubblicati, può essere oggetto di studio da vari punti di vista, a co minciare da quello linguistico. Ma questo andrà fatto in seguito e dagli specialisti nelle differenti ricerche. In questo volume, che è essenzialmente storico, mi sono limitato ad aggiungere ai due testi poche e sobrie note contenenti il necessario per l’intelligenza del racconto, e tenendo presente che, per forza di cose, il mio libro vuole rivolgersi a persone appartenenti a campi di studio differenti. A ll’edizione del Libro della Scala ho fatto seguire, nella prima parte del volume, quella delle testimonianze, che noi abbiamo, della
(l) Fu allora, anzi eccessivamente, sottolineata nella discussione l'eventuale importanza del viaggio di Brunetto Latini in Spagna nel 1 2 6 0 , dove egli fu amba sciatore del Comune di Firenze alla corte del re Alfonso X il Savio (TESORETTO, Cap. II, v. 1 1 - 2 8 [ed. G. B. Zannoni, Firenze, 1 8 2 4 , p. 1 1 - 1 3 ). Ma già l’Asin fece poi notare come il suo accenno a quel viaggio era soltanto indicativo di una sola tra le molte probabili vie di trasmissione (Asín, H istoria y crítica, p. 5 7 1 -5 7 2 ); ed altre vie, pur sempre indirette, furono discretamente accennate da C. A. Nallino {Raccolta di scritti editi ed inediti, voi. II, Roma, 1 9 4 0 , p. 4 4 3 -4 4 5 ; già edito in R ivista degli Studi Orientali, V ili, 1 9 1 9 - 1 9 2 1 , p. 8 0 9 - 8 1 1 ).
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Prefazione
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conoscenza e diffusione di quel Libro nelle letterature occidentali sino al secolo X V : ciò che di per sè è utile, e comunque sarebbe stato erroneo trascurare, appunto per la questione storica. L a seconda parte del libro raccoglie, .per la prima volta, orga nicamente i testi, quasi tutti inediti, di autori medievali occidentali (dal IX secolo al XIV) contenenti notizie sulle tradizioni escatolo giche musulmane. Ho fatto ciò perchè sia possibile valutare quanto conoscevano gli Occidentali delle idee musulmane sul Paradiso e sull’Inferno, indipendentemenfe dalla « Visione » di Maometto. R i tengo che la pubblicazione di tali testi, come ho detto, in massima parte sin oggi sconosciuti, ed ancora la loro riunione in una sola collezione organica darà una idea nuova delle relazioni culturali tra mondo occidentale e mondo musulmano nel Medio Evo, per questa parte così importante della storia religiosa. Ma, contemporaneamente, ho creduto utile raggruppare i testi secondo la loro fonte, in modo che risultino altresì determinate dalla mia ricerca le differenti vie per le quali le singole notizie entrarono nelle letterature occidentali. Di queste vie, in realtà, quella di Bisanzio e quella dell’Oriente Latino, come si vedrà, hanno dato assai poco in questo campo; e di gran lunga preponderante, anzi quasi esclusiva, è stata qui la funzione della Spagna e degli scrittori spagnoli: castigliani e catalani. È quindi storicamente logico che anche ai giorni nostri sia stato un insigne arabista spagnolo ad affermare il valore dei dati dell’escatologia musulmana per lo studio delle fonti del poema di Dante, perchè veramente la questione concerne, in definitiva, proprio i rapporti tra letterature di Spagna e d’Italia nel Medio Evo. Ringrazio quanti hanno collaborato a queste mie ricerche o le hanno facilitate: e particolarmente il dott. F. Buchtal del War burg Institute dell’Università di Londra ; il dott. Paecht, della Bodleiana di Oxford, ed il prof. H. A. Gibb dell’Università di Oxford, i quali mi hanno reso possibile ed agevole la consultazione del co dice oxoniense del L ibro della Scala. Ringrazio poi Mons. A. Pelzer, che con instancabile cortesia mi ha aiutato nella lettura di alcuni passi di codici vaticani ; il P. Xiberta, che, come sarà detto a suo luogo, mi ha dato preziose indicazioni su Guido Terrena; Mons. R. Devreesse, che mi ha procurato dalla Nationale di Parigi alcuni
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Prefazione
dati e fotografie; la signora Th. D’Alverny, che, come è detto a suo luogo, mi ha passato importantissime notizie da lei raccolte e particolarmente quella sul codice Vaticano Latino 4072; il prof. Et tore Rossi e il Dr. J. L. Teicher, per notizie comunicatemi, come è indicato nei luoghi relativi. Ringrazio molto la dott. Teresa Guarnaschelli e la dott. Olga Pinto, che mi facilitarono la consultazione dei mss. di biblioteche italiane. Un gran debito di amicizia mi lega ancora una volta ad Ugo Monneret de Villard; e certo non tanto per le indicazioni datemi per l’illustrazione di questo volume quanto per aver egli iniziato, come è detto a suo luogo, le ricerche su questo difficile problema di cui ora tratta il mio libro. Vada ancora una parola di viva riconoscenza al Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Padre Anseimo M. Albareda O .S. B., per aver voluto accogliere questo volume nella collezione Studi e T esti e per averne favorito ed arricchito la edizione con ogni mezzo e sopra tutto con un costante prezioso interessamento. Esprimo infine la mia viva riconoscenza a Giorgio Levi Della Vida, che non soltanto mi ha fatto largamente profittare di sue preziose osservazioni sui vari testi, ma anche ha voluto assumersi — nella mia temporanea assenza dall’ Italia — l’ingrato compito della definitiva correzione delle bozze di questo volume. Desidero che egli trovi qui, all’ inizio di questa opera, l’espressione affettuosa della costante gratitudine che ormai da più decenni lega me a lui, mio indimenticato Maestro.
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PARTE I.
Il "Libro della Scala".
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C ap .
I.
Introduzione. § i. La traduzione latina e francese del Libro della Scala ed i codici usati p er l'edizione.
Moritz Steinschneider aveva già accennato ad un codice della Biblioteca Bodleiana di Oxford, nel quale si conteneva la versione francese di un libro H alm aerig ; ed in tale titolo egli aveva rico nosciuto facilmente l’arabo a l-M Ì'ra g («l’Ascensione» di Mao metto) (i). Autore del racconto era, secondo lo Steinschneider, lo stesso Maometto (z), «seu qui eius nomine finxit librum ». Più tardi lo stesso Steinschneider, citando ancora questo libro, aggiungeva che egli non ne aveva potuto vedere in Oxford che il titolo (3). Successivamente, però, lo stesso autore credeva, erroneamente, di identificare l’opera del traduttore di Oxford con Ia Sura 70 del Corano (4) ; e tale identificazione conservò poi nei suoi scritti po steriori (6), tanto che la questione parve chiusa e fu comunque trascurata dagli studiosi. (')
M . S t e i n s c h n e i d e r , Catalogus L ibroru m
H ebraeorum Bibliothecae B od -
leianae, Berlino, 1 8 5 2 - 1 8 6 0 , p. 2 7 4 7 .
(2) Come si vedrà, la narrazione è fa tta nel Libro della Scala in persona di M aom etto. (3)
M . S t e i n s c h n e i d e r , Occidentalische
U Übersetzungen aus dem Arabischen
in Mittelalter in Zeitschrift der D eutschen M orgenländische Gesellschaft, X X V I I I ,
1 8 7 4 , p. 4 5 7
(4)
M . S t e i n s c h n e i d e r , Polem ische und apologetische Liberatur in arabischer
Sprache zwischen M u slim en , Christen und Ju d en in Abbhandlungen fü r die K u n d e des M orgenlandes, V I n° 3 , Lipsia, 1 8 7 7 , p. 4 2 1 .
(5)
D ie hebräischen Uebersetzungen des M ittelalters und die J u d en als D olm et
scher, Berlino, 1 8 9 3 , p. 5 9 1 ; D ie europäischen Uebersetzungen
aus dem Arabischen
bis M itte des 1 7 . Jahrhunderts in Sitzungsberichte der K . u. K , A ka dem ie der W i s senschaften zu
W ie n
(Philosophisch-H istorische
K la sse ), B d
1 4 9 , Vienna, 1 9 0 5 ,
A b h . 4 , p. 2 .
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E. Cerulli
Soltanto nel 1944, Ugo Monneret de Villard, studiando l’azione di Alfonso il Savio per la conoscenza dell’arabo e della letteratura araba, richiamava l’attenzione degli studiosi su questo codice di Oxford e su di un altro (latino) della Bibliothèque Nationale di Parigi, suggerendone per il primo lo studio in relazione appunto alla questione dantesca, studio allora impossibile per le condizioni dell’Europa (J). Nel 1945 e 1946 potei studiare i due còdici di Oxford e di Parigi ed accertare così che essi contengono rispettivamente una traduzione francese ed una traduzione latina del racconto del viaggio di Maometto al Paradiso ed all’ Inferno. Tale racconto è anzi uno dei più estesi che siano conosciuti nella letteratura araba e parti colarmente poi sino a quel periodo (secolo XIII). Abbiamo così la prova definitiva che il viaggio ultra-terreno di Maometto era entrato nelle letterature occidentali nella seconda metà del se colo XIII, in una sua diffusa redazione. La traduzione francese e quella latina sono opera dello stesso autore: il notaio Bonaventura da Siena, vivente in Castiglia alla corte del re Alfonso X, il Savio. E sono state fatte non già diret tamente dall’arabo, ma da una prima versione dall’arabo in castigliano, compiuta per ordine del re Savio da « Abraham fisico ». Il codice della Bodleiana ha la segnatura : Laudensis Mise. 537. E membranaceo, in quarto, di fogli 51, su due colonne, di scrit tura abbastanza corretta e con iniziali decorate (2). È della fine del secolo XIII od inizi del XIV . Il codice della Nationale di Parigi è il Latino 6064 del se colo XIV . 11 testo che ci concerne fu descritto nel vecchio cata logo (3j : « Scala Mahumedis, id est quomodo Mahumedis ascendit in coelum, interprete Bonaventura de Senis ». Successivamente, quando questo volume era già in corso di stampa, mi fu segnalato dalla signora Th. D ’Alverny il codice Vaticano Latino 4072, che contiene, mutila in fine, la traduzione latina in una copia assai vi-(*)
(*) U. Monneret DE
V
t t ,t , a r t
>,
L o studio dell'Islam in E u ropa nel X I I e nel
X I I I secolo, Città del Vaticano, 19 4 4 (Studi e T esti, voi. n o ; , p. 5 3 -5 5 ).
(2) Vedine la descrizione in H . O. CoxE, Catalogus Codicum M anuscriptorum Bibliothecae Bodleianae, Pars. I I , Codices L a tin os el M iscellaneos complectens,
Ox
ford, 1 8 5 8 - 1 8 8 5 , p. 3 9 0 . (>) Catalogus Codicum Bibliothecae R egiae,
Pars III, tomus IV, Parigi, 1 7 1 4 ,
p. 2 0 0 .
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TI Libro della Scala
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ciña a quella del codice di Parigi. Il Vai. Lat. 4072, come ora si dirà, è cartaceo, su di una colonna, degli inizi del secolo XIV. § 2. D ata della traduzione francese. L a titolatura dell'A lgarve.
Ad esaminare il problema della diffusione in Occidente del Libro della Scala giova, evidentemente, il conoscere in quale data esso fu tradotto, tenendo presente che la traduzione latina e quella francese sono l’opera di una stessa persona e perciò verosimil mente contemporanea. Il codice della Bodleiana ha nel colophon la data della tradu zione dallo spagnolo in francese: . E attendibile tale data? Un terminus post quem ci è dato dal fatto che Alfonso nella traduzione francese è detto «Re dei Romani » ; ed egli fu eletto alla carica imperiale il 1° aprile 1257. Un secondo termine ci è dato ancora dalla titolatura del re Alfonso X che, nel francese come nel latino del « Libro della Scala », comprende tra i titoli del Sovrano quello dell’Algarve (l). L ’acquisto temporaneo dell’Algarve da parte della corona di Castiglia è ancora, in parecchi particolari, oggetto di incertezze (s). Alfonso X , quando ancora era Infante, ebbe la signoria dell’Algarve, sembra per riconoscimento di vassallaggio da parte del re (musulmana) di Niebla (3) o per donazione del re Sancio III di (*) « e D on Alfons, por la grace N ostre Sire D iex, R ois des Romains tot ades acresciant et R ois ausine de Castelle, de Tollede, de Lion, de Gallice, de Sibile, de Cordoe, de Murce, de Gien et de Algarbe ». « Dei Gratia Rom anorum regis semper augusti, Castelle, Tolleti, Legionis, Gallecie, Sibille, Cordube, Murcie, Gienii et Algarvii regis». (2) Cfr., quel che già scriveva H . S c h a e f e r (H istoire de Portugal, Parigi, 1 8 4 6 , p. 1 1 3 ) a proposito di queste incertezze, che da allora non sono m olto diminuite. (*) Questa è la versione ora accettata da P . DE A e m e i d a , H istória de Portugal, t. r, Coimbra, 1 9 2 2 , p. 2 1 7 . I l re di N iebla figura com e vassallo di Alfonso X già con un atto del 2 1 febbraio 1 2 5 3 ; « D on Abenm ahfot, R ey de Niebla, vasallo del R e y » (M em oria l H istórico E sp a ñ o l: Colleción de D ocum entos, opúsculos y anti güedades que pública la R . A cad em ia de la H istória (qui appresso citato: M H E )
Madrid, voi. I , 1 8 5 1 , p. 6 ). È curioso notare qui, per incidens, che la Crónica del R e y D . A lfon so X (ed. C. Roseli in Biblioteca de A utores E sp a ñ oles di Rivadeneyra,
t. 6 6 , Madrid, 1 8 7 5 , p. 6 ) pone la sottomissione del re di Niebla nel 1 2 5 7 . (La C ró nica fu scritta circa un secolo dopo gli avvenimenti).
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E. Cernili
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Portogallo ('), durante il viaggio che questo sovrano fece a Toledo nel 1245-1246. Diventato Re, Alfonso X mosse guerra al re Al fonso III di Portogallo, fratello e successore di Sancio III, sin che la pace conclusa a Chaves nel maggio 1253 riconobbe la sovranità della Corona di Castiglia sull’A lgarve (*) ; ma, stipulato il matri monio tra la figlia di Alfonso X, Beatrice, ed il re di Portogallo, Alfonso III (3), fu deciso che l’Algarve venisse dato in feudo al Sovrano portoghese contro un omaggio e prestazione di 50 cava lieri, cui più tardi Alfonso X rinunziò, pare secondo gli atti di Ba dajoz del 16 febbraio 1267 e di Jaen del 7 maggio 1267 (*). Questi avvenimenti hanno, come è naturale, una ripercussione diretta sulla titolatura di Alfonso X negli atti della sua Cancelleria. Già in un documento del 3 giugno 1253, Alfonso X non ha nella intestazione il titolo dell’Algarve ; però nella sottoscrizione, invece, si dice *yo sobre dicho R ey D. Alfonso regnant, en uno con la Reyna Dona Jolant mi muger, en Castiella, en Toledo, en León, en Gallicia, en Sevilla, en Córdova, en Murcia, en Jahen, en Baeza, en Badalloz e t en e l A l g a r v e » (s). Questo stesso stile è se guito negli atti successivi dal 1253 al 1260; sinché il primo docu mento nel quale l’Algarve figura poi nella titolatura vera e pro pria del Re (e non soltanto nella sottoscrizione) è del 6 giugno 1260: un privilegio per la Chiesa di Córdova, dove Alfonso il Savio si dice nell’intestazione « por la grada de Dios, R ey de Castiella, de Toledo, de Leon, de Galicia, de Sevilla, de Córdova, de Murcia, de Jaen é del Algarve » (“). Tale titolatura diventa poi costan(1) M a r q u é S d b M o n d é j a r , M em oria s históricas del R e i D . A lo n so el Savio y observaciones a su chrónica,
Madrid, 1 7 7 7 , p. 2 5 , adotta questa versione.
(2) M a r q u é s d e M o n d é j a r , o p . c it. p . 7 5 -7 6 ; F . d e A c m e e d a , o p . c it . p . 2 x 7 .
(3) La cronologia del matrimonio è incerta. Cfr. M a r q b é s de M o n d é j a r , op. cit. p. 8 1 -8 5 . Tuttavia l'Infante D. Denis, poi Re del Portogallo, nacque il 9 ottobre 1 2 6 1 . (4) Ch r is t o v a o R o d r i g u e s A c e n h e i r o , tugal
(in
Chronicas dos senhores reis de P o r -
CollecfUo de In editos de H istoria Porluguesa publicados de ordem da A c a -
dem ia R eai das Sciencias de L isboa , V, Lisboa, 1 9 2 4 , p. 7 7 - 7 8 ). La visita di D. Denis ad Alfonso X è riferita all’anno 1 2 6 9 e l'omaggio, di cui D. Denis chiede dispensa, ma non si riferisce specificamente all'Algarve, secondo la Crònica del R e y D . A Ifonso, cit. p. 1 4 - 1 5 . (5) M. H. E., voi. I, 1 8 5 1 , p. 1 2 . (6) M. H. E., loc. cit. p. 1 2 6 . Conviene qui notare che veramente esiste un documento isolato datato da Valladolid, io ottobre 1 2 5 5 (e contenente un privilegio concesso al Convento
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Il Libro della Scala
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te (**) ed è quella letteralmente adottata, come abbiamo visto, nel francese e nel latino del nostro « Libro della Scala », che è dun que effettivamente posteriore al 1260. La data del maggio 1264, del codice della Bodleiana, è quindi accettabile. Il codice di Parigi ha nel colophon l’indicazione del copista che è ) en trestoz les ciels. Et de celui iour en avant celle clarté s’espandera par tot; et sera si tresgrant q’il n’i aura ne conte ne fin, sicom il n’i a ou pooir de Diex. Be(f. aôrjneoit soit il, qui est ault et puissant sor tottes choses!'
§ 76.
[^ D im en sio n i d e ll'E d e n .]
Et quant Gabriel n’ot ce conté, je lo demandei qu’il me deist coment estoit fait li iardin devant dit, qui a nom Hedem, et com · il estoit bien grant et de Ione et de le. Et il me respondi et dist : ‘ Sachez, Mahomet, que quant Nostre Sire Diex crea celui jardin, il lo crea moût habundablement de quant qu’il i a ; et puis si en crea un autre dedenz celui, qui a nom : Genen ( loa) et entre le ciel et la terre, oltre le leu ou naist li soleil. Et puis que Diex ot fait celui jardin, si le leva en ault tant com hom porroit aler en sicenz et sessant et trois ans ’.
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Il Libro della Scala
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§ 74·
Distinctio XXXI. capituli. Dum ego Machometus et Gabriel introissemus in Paradisum supradictum, ego quidem respiciens vidi quod ipse erat pulcrior res quam cor hominis possit cogitare cujusque. Quesivi enim a Gabriele quani bene Para disus ille in longitudine et latitudine magnus esset. Ipsi vero sic michi respondit: ‘ Scias, Machomete, quod, quando Deus creavit Paradisum, fecit eum ita latum sicut celum et terra consistunt; sed quantum in longitudine habeat nemo novit, nisi solus Deus qui ipsum creavit’. §
75-
Post hoc autem quesivi ab eo et dixi : ' Dicas michi, Gabriel, quando celum et terra mutabuntur, quid de hoc paradiso erit?’ Ipse quidem respon dens dixit: ‘ Scias, nuncie Dei, quod cum Dominus mutaverit celum et terram in die judicii, locus in quo nunc est Paradisus iste convertetur in aerem. Et tunc Deus manu propria trahet Paradisum istum et quemdam alium cum eodem, qui nominatur Heden ( ") , et est viridarium illud ubi Adam creatus est. Et hii duo Paradisi trahent post se omnes alios Para disos. Tractus autem, quem Deus faciet de Paradisis istis, habebit in lon gitudine tantum quantum sunt celum et terra. Et postquam sic tracti fuerint, non erit inter ipsos Paradisos et Dei cathedram nisi solum gloria ipsius Dei, et ejus claritas, quam nemo novit qualis sit nisi ipse idem. Nam et in illa claritate morabuntur angeli omnes, et ita ibi large manebunt sicut in celis omnibus modo manent. Et ab illo die in antea claritas illa se per totum expandet; et erit ita magna quod in ipsa magnitudine non erit, sicut nec est in Dei potencia, numerus neque finis. Benedicatur ipse Deus qui altus est et super omnia quidem potens ’.
§ 76. Et cum Gabriel hec michi dixisset, quesivi ab eo et dixi quod diceret michi quomodo viridarium illud supradictum, quod nominatur Heden, factum extiterit, et quantum in longitudine et latitudine magnum esset. Ipse tan dem respondens dixit: ‘ Scias, Machomete, quod, quando Deus creavit viri darium illud, creavit ipsum valde habundantem in omnibus que sunt ibi. Et postea intra ipsum creavit eciam quoddam aliud viridarium, quod nomi natur: Genen (10°); et hoc est inter celum et terram, ultra locum ubi sol oritur. Et postquam fecit Deus viridarium hoc, elevavit ipsum in altum per tantum spacii quantum posset homo ire in VIC et LXIII annis.
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xo6
E. Cerulli
XXXII. Ce est le devisement du XXXII chapitre. § 77. [D is ta n z a
d a lla
te r r a
a l p r im o cielo.']
Puis que ieo Mahomet ei entendu ce que Gabriel me conta de les choses avandictes, ie lui demande! si ie pousse savoir com bien a de la terre iusque au premier ciel. Et Gabriel me respondi et dist : ‘ Saches, Mahomet, que du primier ciel iusqu’a la terre si a tant d’espace com hom porroit aler en VI cenz et LXIII ans. Et tant i a sanz doute, si com Nostre Sire Diex parole en l’Alkoran, la bu il dist: «Nos départirons et deviserons combien (2* col.) a da la terre iusqu’a premier ciel et iusqu’au ciel ou nostre chaere (101) est » ’. § 78. [ D ista n z a
d a l settim o cielo a lla terra e lu ce d e l se ltim o c ielo .]
Et apres li demandei combien avoit du ciel, ou est la chaere Nostre Seignour, iusqu’a la terre. Et il me respondi que de celui ciel, ou la chaere est/ iusqu’a la terre si a tant d’espace com hom poust aler en cinquante mil ans de nos ans et de nos mois et de nos iours. Et ie li demandei adonques ausinc s’il i avoit o iour o nuit. Et il me respondi qu’il n’i avoit ne iour ne nuit ne soleil ne lune ne estoilles ; mes la clarté qu’i est si est si tresgrant que la clarté du soleil est autele ver celle clarté com est la clarté d’une estoille ver celui du soleil. § 79. [ D is ta n z e
tra i v a r i c ie li .]
Et puis qu’il m’ot ce dist, ie pensei en mon cueor et conui bien qe chasqun des ciels qe ie avoie veu avoit en soi tant d’espes com hom porroit aler en mil ans ; et autant avoit d’espace entre l’un ciel et l’autre. Et issinc conui ie que entre les ciels trestoz et les cortines et les departemenz devantditz si ont, par tôt, en somme, tant d’espace com hom porroit aler en quarante et deus mil ans. XXXIII. Ce est le devisement du XXXIII chapitre. § 80.
[G U
a lb e r i o m b r o si d ell'E d en .\
(f. 2 0 v ) Ieo Mahomet, messagier de Diex, fais savoir ad toz cels qui bien croient en Nostre Seignour et qui désirent d’avoir la ioie du Paradis que la façon de celi jardin, qui Gabriel me mostra primier et ou Adam
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Il Libro della Scala
ro7
§ 77Distinctio XXXII. capituli. Postquam ego Machometus intellexi quod michi Gabriel de supradictis re (2* col.)tulerat, quesivi ab eo si possem scire quantum terra distat a primo celo. Ipse vero respondens dixit: ‘ Scias Machomete quod a primo celo usque ad terram est tantum spacii quantum posset homo ire in VIC LXIII. annis. Et tantum est sine dubio, prout Deus in Alkoran locutus est ubi dicit: « Nos distinguemus et dividemus quantum est a terra usque ad primum celum et eciam usque ad celum ubi cathedra nostra manet » ( 101).
§ 78. Postmodum vero quesivi ab eo quantum esset a celo ubi cathedra Dei est usque ad terram. Ipse quidem respondit quod ab illo celo ubi cathedra Dei est usque ad terram est tantum spacii quantum posset homo ire in quinquaginta milibus annorum de nostris annis et nostris mensibus et diebus. Tunc vero quesivi similiter si dies aut nox esset ibidem. Et ipse dixit quod ibi non est dies neque nox, neque sol neque luna eciam, neque stelle; sed claritas ibi existens tanta est et tam magna quam claritas solis talis est respectu claritatis illius qualis est claritas unius stelle respectu claritatis solaris.
§ 79· Et cum Gabriel hoc michi dixisset, cogitavi ego in corde meo et cognovi bene unumquodque celorum habebat in se tantum spissi quantum posset homo ire in mille annis; et tantumdem spacii inter unum et aliud celum erat. Et ita cognovi quod, computatis celis omnibus atque cortinis et separacionibus supradictis, habebant hec in summa per totum tantum spacii quantum posset homo ire in XLII milibus annorum.
§ 80. Distinctio XXXIII. capituli. Ego Machometus nuncius Dei notum facio omnibus qui in Deum cre dunt et gloriam Paradisi desiderant quod forma Paradisi illius, quem michi primo Gabriel ostendit et ubi formatus est Adam, eciam talis erat, vide-
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E. Cerulli
io8
fu formez, estoit en icel maniéré que, dedans la partie d’orient dom vient li soleil, si estoit tôt pleyn d’arbres que fesoient tôt ades ombre par tôt, sicom li soleil se tornoit. § 81.
[L e
so r g e n ti d el N ilo ,
E u fr a ie ,
T ig r i e
G ik o n .']
Et apres ce, si vi ausinc que en la terre du Paradis avoit un moût grant flum, de cui nascent trestoz les autres fluns qui corrent par mi le siecle. Et ce grant flum court par la terre d’Egit et a nom Enil(102); et en latin si est appelez Gycon Fison (103). Et tandis com il court par la terre du Paradis si est trestouz de miel; et puis qu’il ist de celle terre, tantost se torne en aive. Et, apres celui flun, si en vi un autre moût grant qui a nom Adehilla (t01); et ce appelé hom Eufrates en latin. Tant com il court par la terre du Paradis, si est tôt de lait le plus blanc que hom puisse conter; et tantost com il en ist, si se torne en aive. Et apres ce, si en vi un autre moût grant qui a nom (2a col.) Gayan (105) ; et ce est en latyn Gyon. Et tandis com il court par la terre du Paradis, si est tôt de vin; et sicom il s’en ist, si se torne en aive. Et apres ce, si en vi un autre unquor moût grant qui a nom Targa(i0a); et ce est en latin Tigris. Et ce est tôt d’aive la plus clere et la plus saverouse que nul home puisse penser. Et ces quatre flunssi sunt issinc départis que celui du miel si court ver orient ; celi du lait ver occident ; celi du vin ver midi ; et celui de l’aive ver setentrion. § 82. [L
’ is c r iz io n e su lla p o r ta
d e l P a ra d iso l]
Et quant ie ei veu ces quatre fluns, ie regardei et vi que sor la porte du Paradis ver la partie dedenz estoit escript : ‘ le sui Diex et n’est autre Diex for qe ie ; et touz homes qui dirunt : « Le Halla hilalla Muagmet raçur halla », - que vuolt tant dire: N’est autre Diex for Diex et Mahomet est son messagier - il ne entrerunt ia en enfer ne n’aurunt nule poine por pechie qu’il aient ’. XXXIV. Ce est le devisement du XXXIV chapitre. § 83.
\ N o m i d e i se tte c ie li d e l P a r a d iso .]
Quant ie Mahomet ei veues ces choses devantdittez, ie m’en aloi par trestouz les Paradis. Et, issinc com ie aloie regardant ça et (f. ai r ) la, îe vi que les Paradis estoient faiz de diverses maniérés et qu’il i avoit
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Il Libro della Scala
109
licet quod ipse paradisus, versus partem orientis unde sol venit, totus erat plenus arboribus umbram continue per totum facientibus, prout sol in ambitu se volvebat. § 81. Et post hoc eciam vidi similiter quod in terra Paradisi erat quoddam flumen maximum, ex quo cuncta que per hoc sectilum currunt flumina oriuntur. Hoc namque flumen curritper terram Egypti et nominatur Nilus (l02), quod Fison latino eloquio nuncupatur (*03). Et quamdiu flumen hoc per terram Paradisi currit, melleum totum extat; sed, cum exit terram illam, mox in aquam convertitur. Et post hoc eciam flumen vidi quoddam aliud valde magnum quod dicitur Addehilla (104). Et hoc Eufrates latino vocabulo appellatur. Hoc autem flumen, quamdiu currit per terram Paradisi, est de lacte totum, quod ita album est quod hoc dicere nemo posset, sed ita cito cum exit terram illam convertitur in aquam. Et adhuc post (114F) hoc flumen vidi aliud quoddam magnum quod nominatur Gayan (105) et hoc latine dicitur Gyon, quod per terram Paradisi currente totum de vino est; sed, eo per terram exeunte predictam, mox in aquam convertitur. Et post hoc similiter vidi quoddam aliud valde magnum quod nominatur Targa (l08) et hoc Tigris dicitur in latinum. Hoc namque flumen totum de aqua est magis clara magisque saporosa quam possit aliquis hominum cogitare. Hec namque flumina quatuor ita distincta sunt, videlicet quod flumen mellis currit per orientem, flumen lactis per occidentem, flumen vini per meridiem et per septentrionem eciam flumen aque (l07). § 82. Et cum respexissem flumina memorata, respexi et vidi quod supra portam Paradisi versus interiorem partem scriptum erat: ‘ Ego sum Deus et non est alius deus preter me. Et omnes homines qui dixerunt: le halla hilalla, Muahgmet razur Halla - quod interpretatur: Non est deus alius nisi Deus et Machometus est nuncius ejus - (m ), pro aliquo peccato, quod habebunt, non introibunt in infernum nec penam aliquam patientur’.
§ 83. Distinctio XXXIV, capituli. Visis omnibus que supra jam dicta sunt, ego Machometus ivi per omnes Paradisos. Et, dum per illos modo hic modo illuc respiciendo sic irem, ecce vidi quod Paradisi facti erant maneriebus diversis et quod unus melior
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no
E. Cerulli
l’un meillour des autres. Et ce fist Nostre Seignour por faire plus de grâce et d’onour ad cels qu’il aimera plus. Et ci apris les noms de ces Paradis et vos direi, sicom chasqun d’els est nomes. Sachez que li pre mier ou fu fait Adam, dom ie vos ai conte, si a nom : « Heden » (10s). Li second : « Dar algelel » ; li tierce : « Dar alzelem » ; li quart : « Gennet halmaulz» ; li cinquiesme : «Gennet halkode » ; li sesisme : «Gennet halfardauz » ; et li settisune : « Gennet hanaym » (uo). Et ce settisme Paradis si est ausinc com le chastel des Paradis ; quar il est plus ault et de celi pueot hom trestoz les autres Paradis veoir. Et ad cestui vient Nostre Seignour quant il volt veoir les Paradis; et ce est sa maison propre, quant il vient la.
§ 84.
[L e
d u e colon n e a ll’ in g r e s so d e l settim o c ielo .]
Et ausinc vi ie en cestui Paradis deus grannz piliers (lil) : li un d’esmeraude et l’autre de rubyn ; et coment il sunt loncs et gros nul ne siet for Diex. Mes tant vos en puis ie bien dire qu’il a tant d’espace de l’un ad l’autre com il a de orient iusqu’a occident. Et tot ce que est mileu de ces piliers si est tot de clarté. Et ces deus piliers sunt a l’entre de la (2* col.) porte de celui devantdit Paradis de Nostre Seignour.
§ 85. [ C a stelli,
g ia r d in i
e
fr u tta
d ei p r im i
s e i cieli.~\
Les autres Paradis sunt toz de clarté ; et si i a moût de cites et de chasteux, qui toz de clarté sunt ; et les paleis et les maisons, les sales, les chambres et toz les autres leus dedenz ces chasteaux et ces cites sunt de clarté ausinc. Et apres ce, si i sunt tannt d’arbres et de tan diverses maniérés que nul ne le porroit conter ; ni la diversité des maniérés des fruiz qu’elles font. Et sunt plus beaux que rubins o que esmeraudes o que nulles précieuses pierres. Et si flerent mielx que nulle chose qe hom puisse penser. Et, par mi ces jardins, si corrent fluns de tantes maniers de colours divers qe nul ne le porroit dire ne penser en son cueor. Et toz flerent merveilleusement bien. Et, avec tôt ce, i a tant de pavellions qui sunt sor les rives de ce fluns de tant diverses maniérés ; et maisons ausinc que sunt si belles et si nobles et de tant merveilleuse façon que nul cueor d’ome penser ne le porroit. Et trestouz sunt de pure clarete.
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Il Libro della Scala
III
erat aliis. Hoc autem fecit Deus ut plus gracie plusque honoris conferat eis quos dilexerat ipse magis. Didici quoque Paradisorum nomina, et dicam vobis prout ipsorum quilibet nominatur. Sciatis quod primus ubi factus est Adam, de quo locutus sum vobis, nominatur « Heden » (los), secundus «Daralgelel», tercius « Daralzelem », quartus « Genet halmaulz», quintus «Genet halkode», sextus «Genet halfardauz», et septimus «Genet lianaym» (ii0). Hic autem septimus est velut castrum Paradisorum ; nam ipse alcior est aliis, et de ipso potest homo cunctos alios respicere Paradisos. Ad hunc edam venit Deus quando vult Paradisos videre. Et hic est, cum illuc venit, proprie domus ejus.
§
84.
Vidi similiter in hoc Paradiso duas quam maximas pilas (m ) : unam de smaragdo et aliam de rubino. Harum quidem longitudinem et spissitu dinem nullus est qui noverit nisi Deus. Sed hoc vobis dicere possum quod tantum spacii est ab una earum usque ad aliam quantum est ab oriente usque ad occidentem. Quod autem medium est inter eas totum claritatis existit. Hec namque pile sunt in introitu porte illius Dei Paradisi jam dicti.
§
85.
Alii vero Paradisi omnes claritatis existunt. Sunt eciam in eis civitates et castra quam multa, que omnia claritatis sunt. Et eciam palacia, domus, atria, camere, cunctaque alia loca infra hujusmodi civitates et castra sunt similiter claritatis. Et post hec sunt (2* coi.) ibi tot arbores et tam diver sarum manerierum quod nullus est qui dicere illud posset; neque fructuum diversitatem quos faciunt. Sunt enim pulcriores quam rubini vel smaragdi seu aliqui lapides preciosi; et eciam melius redolentes quam ulla res que possit ab homine cogitari. Nam per viridaria hujusmodi currunt flumina de tot maneriebus colorum quod nemo posset hoc dicere nec cogitare eciam corde suo. Et omnia mirabiliter bene redolent. Et nichilominus sunt ibi tot tentoria que sunt super ripas illorum fluminum et tam diversarum ma nerierum et tot enim eciam domus que sunt ita pulcre, ita nobiles forme mirabilis quod nullum cor hominis cogitare hoc posset. Et omnes sunt pu rissime claritatis.
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B. Cerulli
112
XXXV. Ce est le devisement du X X X V chapitre. § 86.
[L e
d a m e d e l P a r a d iso l]
(f. 21 v ) Apres ce que ieo Mahomet ei veu tôt ce dom vos ai conte et vos avez oi desore, ie regardei unquor; et vi que dedenz les pavellions et les maisons que estoient sor les rives des fluns devantditz si erent dames les plus beles et les plus nettes que nul cueor d’ome poust pen ser (uî). Et celles que ont les plus beaux uoelx et plus amoreusement re gardent. Et tottes les dames si ont lour testes envoluppees de perles (ll3) et de pierres précieuses. Et sor ce si ont lor corechies (1U) toz de clarté ausinc trestoz (*15). Et ont lor ceintures d’ambre et de musc a perles et a pierres précieuses. Et fièrent si tresbien que hom, qui fust forment ma lades, si en dovroit de l’odour guarir.
§ 87.
[C a ?ito d elle d a m e d e l P a r a d iso .]
Et elles sunt assises tottes en renc et semblent la plus bele chose du monde. Et lievent lor voiz en ault et chantent si tresbien et tant de cler et tant doucement que tottes autres voiz et toz estrumenz que hom poust conter ne valent rien ver le chaunt qu’elles font. Et dient en lour chant: ‘ Nos somes les virges durables que non poom (2* col.) morir et damoiselles sanz nule corrucion. Et somes ausinc sanz nul corroz et sanz nul mal pensament. Nos somes les envoisies ( u4) les très beles, quar nostre beaute est sanz fin. Nos somes les asseniees as homes honores qi sunt sers de Nostre Sire Diex et li sunt obeissanz. Ha ! com serunt bienaures celx qui otroies nos sont et ad cui nos sûmes ottreiez ’. Et en ce qu’elles chantoient issinc, ie me pris garde et entendi qu’elles disoient en lor chant paroles que Diex conte l’Alkoran, la ou il dist : « Nos creammes les virges amoreuses » et que ont merveiliieus amour ver ses maris (118). Et avec ce si pris garde a lor façons et vi que, issinc com elles chantoient, si paroient lor denz, qi erent plus blancs que perle ou que nulle noif. Et lor boches erent tant belles et tant vermoilles que nul rubin se porroit appareillier ad elles.
§ 88,
[ F ed eltà d elle d a m e d e l P a r a d iso p e r i lo r o
m a r iti .]
Et sunt ces dames ausinc moût enamorees de celx qui elles doivent avoir a lor maris et non pas d’autre. Mes elles ne sevent lesquels ce se runt ne lor noms ; ensinc com Nostre Sires dist en l’Alkoran : « le les
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Il Libro della Scala
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§ 86. Distinctio XXXV. capituli. Postquam ego Machometus vidi hec omnia de quibus vobis loqutus sum et que superius audivistis, respiciens adhuc vidi quod in tentoriis et domibus existentibus super ripas fluviorum predictorum erant domine pulcriores et mundiores et cetera (m ). Et omnes sunt purissime claritatis. Ibi namque sunt domine pulcriores et mundiores quam possit ullum cogitare cor hominis. Et que pulcriores habent oculos et amorosius intuentes. Hec namque domine omnes habent capita sua circumvoluta perlis (1,a) atque preciosis lapidibus, et desuper nichilominus capitegia (,t4) claritatis. Sunt quidem ipsarum vestimenta claritatis omnia (m ). Et habent eciam zonas suas de musco et ambra cum perlis et lapidibus preciosis, que redolent ita bene quod homo, qui graviter infirmaretur, deberet ipso liberari odore.
§ 87. Ipse quoque domine ordinate sedent una juxta aliam, et videntur pul criores de mundo. Elevant autem voces suas in altum et cantant ita bene, ita dare ac dulciter, quod alie voces omnes cunctaque instrumenta, que dicere posset homo nichil valent respectu cantus delectabilis earumdem. Dicunt eciam in cantu suo: 1Nos sumus virgines perdurabiles que mori non possumus, et domicelle sine corrupcione quacumque sumus. Similiter sine omni ira et omni mala Cogitacione. Nos eciam sumus hilaritate fecunde atque pulcritudine excellentes, quia pulcritudo nostra sine fine est. Nos sumus assignate honoratis hominibus, qui servi et obedientes sunt Domino Deo nostro. Ha! quam bene fortunati sunt illi qui nobis concessi sunt et quibus sumus eciam nos concesse Et dum ita canerent, ecce audiens in tellexi quod ipse dicebant parabolas quasdam quas Deus in Alkoran dixerat ubi loquitur: «Nos creavimus virgines amicabiles » et que maritos mira biliter suos amant (118). (114») Respexi eciam ipsarum formam et vidi quod, dum cantabant, dentes videbantur earum, qui albiores erant quam perla aliqua vel nix ulla. Ora namque ipsarum ita pulcherrima et tam rubicunda erant quod nullus rubinus potest equiparar! eisdem.
§
88 .
Hec namque domine valde capte sunt amore illorum quos debent ha bere in viros et nullius alius. Verumptamen nesciunt qui esse debeant, nec nomina eorumdem, prout Deus in Alkoran locutus est, ubi dicit: « Nos 8
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E, Cerulli
114
ai faitez si onteuses qu’elles ne lievent lor uoelx, for qe ad lor (f. 22 r ) maris ne nul d’elx ne oseroit aprocher ad nul des autres, for que ad sa famme ne li deable meismes ausine » (li*). Et tottes foiz que les maris gisent avec elles, si les truevent ausine pulcelles cotti devant. Et chasqune d’elles a escrit en son piz le nom de son ami ; et il ausine le nom de lui ; Et li escrit du mari si dist : ‘ le su tom ami et por nul autre ne te changerei ’. Et ausine dist li escrit de la famme ver son mari. Et unquor vi ie plus : que les cueors et les foies d’elx et d’elles paroient par dehors et les meolles de lor os ausine, com parroit ia un fil blanc en une fiole de cristal. Et por ce ne puet faire li un ne penser nulle chose en son cueor que l’autre ne le voise. § 89.
[ A b i t i d elle d a m e d e l P a r a d iso .]
Et chasqun de ces dames si vest LXX mil dalmescies (1!0), une sor autre, faites en maniere de sorpellices (m ) ad larges manches que vestent les clers quant il entrent en l’eglise por chanter (li2). Et ces dalmescies sunt tottes de fin or et ovrees de diverses colours moût merveilleusement ; et ausine legîerement les portoient corne une moût delie (m ) chamise.
XXXVI. Ce est le devisement du XXXVI chapitre. § 90.
SJD escrizione d e l settim o cielo.~\
(2* col.) Ieo Mahomet vuoîl que sachent toz cele qui oirunt lire ce livre cornent sunt faiz les Paradis dom ie vos ai conte et de quel maniéré est chasqun par soi. Et primierement vos direi de cellui « Gennet hanaytn » qui est propre la maison de Diex en Paradis et plus ault de toz les au tres, sicom vos avez oi desore. Et tant vuolt dire « Gennet hauaym » com : jardin compliement habundant de tottes delices que cueor d’ome puisse penser (*24). Les murs de cestui Paradis si sunt de rubins trestoz; et les tors et les maisons par dedenz ausinc. Mes les liz et les chaelis (m ), les eschieles par monter as soliers et trestoz les vaisellemenz et les portes tottes de les maisons devantdittes sunt de perles. Et laens sunt les amoreuses dammoiseles que sunt cent mile, tant plus belles et plus remuoises (128) qe ne sunt les autres, dom ie vos ai parle. Et la sunt ausinc les pavellions, les uns de rubins, les autres d’esmeraudes et les autres de perles et issinc de tottes maniérés de pierres précieuses, les plus beaux et les plus merveilleusement ovres que nul cuor d’ome (t. 2 2 v ) penser poust. Et ces
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Il Libro della Scala
II5
fecimus eas ita verecundas quod ipse non erigunt oculos suos ad alios quam ad viros, nec est eciam aliquis ex viris illis qui audeat ad aliquam ipsarum nisi ad propriam uxorem accedere, neque ipse idem dyabolus hoc auderet» (l19). Et quantiscumque vicibus mariti cum ipsis agunt, inveniunt eas virgines prout ante. Habet enim quelibet ipsarum scriptum in pectore nomen amici sui; et ipse idem nomen amice similiter e converso. Dicit autem scriptum viri: ‘ Ego sum amicus tuus nec pro ulla alia te mutabo ’. Et erga maritum e converso scriptum dicebat uxoris. Et iterum plus vidi, scilicet quod tam virorum quam uxorum corda et epata necnon et ossium medulle ita discernuntur ab extrínseco velut discerneretur aliquid filum album in ampulla cristalli. Et propter hoc non potest aliquis eorum quicquam facere vel in corde suo cogitare quin ab alio videatur.
§
89.
Nam et quelibet dictarum dominarum induit septuaginta milia dalmasciarum (li0) unam super aliam; et ipse quidem dalmascie facte sunt ad modum vestium illarum (m ) cum manicis amplis, quas induunt clerici cum intrant ecclesiam ad officia celebranda (m ). Et pmnes eciam de auro pu rissimo sunt et diversis coloribus mirabiliter operate. Deferebant quidem eas ita leviter velut si valde tenuem camisiam quamdam ferrent.
§ 90· Distinctio XXXVI. capituli. Ego Machometus volo quod omnes sciant qui hunc librum legi audi verint quomodo Paradisi facti sunt de quibus locutus sum vobis, et cujus maneriei est eorum quilibet. Et primo dicam vobis de illo Genet hanaym, qui est in Paradisis proprie domus Dei et alcior cunctis aliis, prout superius audivistis. Est autem Genet hanaym tantum dicere quantum: viridarium per fecte habundans deliciis omnibus, quas possit cor hominis cogitare (li4). Muri quoque paradisi hujus omnes sunt de rubinis; et turres et domus similiter que sunt intus; sed lecti namque et lectorum stramenta (125) et scale per quas ascenditur ad solaria et similiter vasa omnia, necnon et porte (2* col.) predictarum domorum eciam sunt de perlis. Sunt namque ibi intus domicelle amorosissime, que cencies milies pulcriores et jocundiores (m ) sunt aliis, de quibus feci vobis superius mencionem. Et similiter sunt ibi tentoria, quorum quedam sunt de rubinis, quedam de smaragdis, quedam de perlis et ita de omnibus maneriebus preciosorum Iapidum, magis pulcra magisque eciam mirabiliter operata quam cogitare possit cor hominis ali-
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E. Cerulli
pavellions suât assis sor fontaines qui i sordent (1OT) d’aive et de vins, qui sunt de tottes colours et de tottes savours que par nul home puissent estre pensees. Et la sunt les doulz chanz et merveillieus de dammoiselles, que se sient de soz les arbres que i sunt, totes de pierres précieuses de tottes maniers. Et les fruiz qu’elles sunt ausinc, qui sunt plus doulz et plus savoreus que nule chose. Et la sunt les sons des estrumenz, qui sunt tant doulz et tant delictables ad oir que nul cueor d'ome penser ne le porroit. Et dedenz cestui jardin si en erent autres deus, dom li un estoit tôt environeez de pierres précieuses par dedenz et par deors et quant qu’il i avoit. Et l’autre si estoit de fin or vermail qui ere trop bele chose ad veoir. Et li jardin, dom ie vos ai conte, qui est nomez « hanaym » si estoit fait tôt ad degrez qui erent cent par conte. Et les degrez estoient faiz en icel maniéré que chasqun d’elles avoit en ault tant com hom por roit aler en CC et L ans ; et autant avoit en large. Et de ces degrez li un est d’or, l’autre d’argent et l’autre de rubin, l’autre d’esmeraude, l’au tre de perle. Et issinc estoient (2* col.) toz les cent. Et la chalz a que sunt iointz ces degrez estoit tôt d’ambre et de musc, qe fleroit ad merveille bien. § 91. [ /
b éa it n e l settim o cieloI\
Et ce est le leu que Diex a appareillie a ceux que en li bien croi ent ; et lour dira au iour de juise : 1Venez avant, beaux amis et passiez efforciement « Azirac Halmucalein » ’ (i!S). Et ce « Azirat » si est un pont dom vos oirez en avant parler. ‘ Et prennez cestui Paradis et le départez entre vos, selonc ce que chasqun de vos l’a deservi ; quar ce Paradis et les maisons, les arbres et les autres choses tottes, que i sunt dedenz, ie les fis par vos et ad vostre uoes, et sunt tottes pleines de ma grâce et de ma gloire que est pardurable sanz fin ’.
XXXVII. Ce est le devisement du XXXVII chapitre. § 92.
\ L e d o n n e d e i b ea ti .]
Anquor di ie, Mahomet, fiz de Abdille, messagier de Diex, issinc: que celi, qi est au plus bas degre du Paradis Nostre Seignour devant dit, il a ad son uoes tot entor soi tant d’espace com hom porroit aler en V cent ans; et si li done Nostre Sire Diex V cent fammes en mariage et quatre mil virges, dom il fera ses fammes quant li plerra. Et VIII mile des au tres que ne (f. 23 r ) sunt vierges por lui servir en tottes ces choses. Et
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Il Libro della Scala
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cujus. Hec namque tentoria posita sunt super quosdam fontes qui manant ibidem aque (121) et vini de cunctis maneriebus colorum et saporum, qui possent per aliquem hominem cogitari. Sunt eciam ibi cantus dulces et mirabiles domicellarum, que sedent sub arboribus que sunt ibi, omnes de lapidibus preciosis. Et fructus ipsarum similiter, qui dulciores sunt et sapo· rosiores eciam quam ulla res. Ibi quoque sunt instrumentorum soni, qui tam dulces sunt ad audiendum tamque delectabiles quod hoc nullum cor hominis cogitare valeret. Nam et infra hoc viridarium erant duo alia viri daria, quorum unum totum erat intrinsecus et extrinsecus circumdatum lapidibus preciosis; et aliud erat de rubeo auro purissimo, quod erat res pulcra nimium ad videndum. Viridarium quidem illud de quo vobis loqutus sum, quod nominatur « Hanaym », totum factum est gradibus qui numero centum erant. Et hii gradus tali erant facti manerie quod quilibet eorum habebat in altitudine tantum quantum posset homo ire in CCL annis; et tantumdem in latitudine similiter. Et ipsorum graduum unus erat de auro, alius de argento, alius de rubino, alius de smaragdo, alius de perla, et sic erant sub hujus manerie omnes centum. Calx autem, cum qua gradus hujusmodi juncti erant, tota de musco et ambra est, que mirabiliter bene redolebat.
§ 9i· Et hic est locus ille quem Deus preparavit ipsis qui bene credunt in eum. Dicet enim eis in die judicii: ‘ Venite amici mei, transite viriliter « Azirat halmuzakin » (12a) ’. Et hoc Azirat pons quidam est de quo loqui in sequentibus audietis. 1Et accipite Paradisum istum et inter vos dividite, prout meruerit quisque vestrum; quia Paradisum hunc et domos et arbores et alia cuncta, que ibi intus sunt, ego feci pro vobis et ad opus vestrum ; et hec omnia plena sunt gracia et gloria mea que est perdurabilis sine fine ’
§ 92. Distinctio XXXVII. capituli. Adhuc dico ego Machometus, filius Abdillehe, nuncius Dei, ita quod ille, qui est in inferiori graduum illius Dei Paradisi superius nominati, habet ad opus suum per omnes partes circa se tantum spacii quantum (1157·) posset homo ire in Vc annis; et donat eciam huic Deus quingentas feminas in uxores et quatuor milia virginum, ex quibus ipse uxores faciet cum sibi placuerit, et octo milia aliarum que non sunt virgines ad ei serviendum in omnibus rebus suis. Illa vero quam ipse plus diliget, cum voluerit am-
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E. Cerulli
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celle qu’il plus aimera, quant il la voudra acoller, si vendra elle tôt por soi meisme ad lui, por ce faire ; et li acoller sera en icel maniéré que tant com il l’aimera si se ne porra elle de lui partir ne il de lui ausinc, § 93.
\ L a m en sa d e i b ea tii]
Et il aurunt une table mise devant soi que iameis ne lor faudra nulle chose qu’il vuoillient mangier ne boivre, quar, si tost com il metront lor mayns sor la table, il seront si saollez com s’il eussent mangies tottes le viandes du monde. Et de boivre serunt si habundez com s’il s’ostassent li anap de la boche. Et apres ce, si vendra ad elx chasqune iour un ange qui lor aportera cent alfuoilles (***) que sunt ausinc com dras d’or por vestir; et lor dira: ‘ Ce présent vos envoie Nostre Sire Diex. Vos plaît il?’ Et adonques il respondent et dient : ‘ Ce nos plaît plus qe nulle chose que nos veissons onques ’. § 94.
[ F r u tti d e g li a lb e r i d e l q u in to cielo a i b ea ti d e l s e l/im o cielo.']
Et se il par aventure eussent talent d’aler au Paradis qui a nom « Gennet halkode » (iao), dom vos avez oi parler devant, por veoir les arbres que i sunt et por goster de lor fruiz, maintenant vendra un ange ad elx et les amènera la et dira au (2* col.) premier arbre qu’il trovera: ‘ Donez moi por les sers Nostre Seignour de vos mangiers ’ (m ). Et tantost li arbre li donra LXX mil esquelles de viandes tottes appareilîies de tant de ma· niers de chars et de oiseaux que nul cueor d’ome penser ne le porroit. Et sachez que ces oiseaux n’ont point de plumes ne de pennes ne nul os ; et si ne sunt cuiz ne en aive ne ad feu rostiz. Et sunt ausinc savoreus ad mangier com bur et miel mesleez ensenble. Et si fièrent ad musc et ad ambre. Et de ces mangiers mangerunt il tant com il voudrunt, deus foiz li iour au disner et au supper; et li derreain morsel de ces viandes le serra ausinc savoreus com le primier. Et, avec tôt ce, lor envoiera Nostre Sire Dex moût d’autres presens du ciel par ses anges.
XXXVIII. Ce est le devisement du XXXVIII chapitre. § 95.
\ C orne i b ea ti d ig e r isc o n o i l cibo.~\
Sachent les gens qui ce livre verrunt que puis qe les sers de Diex auront mangie, com ie vos ai parle devant, li mangier se fera en lor ventre
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Il Libro della Scala
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plexari eamdem, per se ipsam ad eum veniet, hoc factura. Erit quoque sub tali manerie ipsorum amplexus ut, quamdiu ipse eam dilexerit, ipsa se ab eo separari non poterit, nec ipse eciam ab eadem.
§ 93· Habebunt namque ei mensam quamdam paratam ante se quod nun quam eis quicquam deficiet quod ipsi velint comedere vel potare, quia, sic cito cum ipsi manus suas super mensam posuerint, ita refecti erunt velut si cuncta quasi de mundo cibaria comedissent. Et ita potu eciam habundabunt similiter ceu si ciphum ab ore proprio amoverent. Et post hec veniet ad eos quidam angelus omni die qui afferet eis centum alfollia (m ) que sunt velut panni aurei, ad vestiendum; et dicet ipsis: ‘ Hoc exennium mittit vobis Deus. Placetne vobis?’ At ipsi respondentes tunc dicent: ‘ Hoc magis placet nobis quam res ulla quam unquam viderimus
3 94· Nam et si forte ipsi voluntatem habeant eundi ad Paradisum qui no minatur « Genet halkolde » (13°), de quo loqui superius audivistis, [et] videant arbores que ibi sunt et gustent de fructibus earumdem, incontinenti veniet ad eos quidam angelus, qui ducet ipsos illuc et dicet priori arbori quam invenerint: ‘ Date michi pro servis Dei de comestionibus vestris ’ (13i). Et mox arbor illa dabit ei L X X milia scutellarum cibariorum preparatorum de tot carnium maneriebus et avium, quod nullum cor hominis cogitare hoc posset. Et sciatis quod' hujusmodi aves non habent plumas neque pennas aliquas vel os ullum nec sunt in aqua decocte [nec] ad ignem assate ; et ita saporose ad comedendum sunt velut butirum et mei eciam simul mixta; redolent quoque ad modum musci et ambre. Et de hujus modi come stionibus comedent ipsi bis in die quantum voluerint, videlicet in prandio atque cena. Erit enim ipsis ita saporosus posterior morsellus cibariorum hujusmodi velut prior. Et hiis omnibus sic habitis, nichilominus mittet eis de celo Deus alia exennia per angelos suos multa.
Distinctio XXXVIII. capituli. Sciant gentes que hunc librum viderint quod postquam comederint servi Dei, de quibus supra locutus sum vobis, ipsorum comestio fiet in
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E. Cernili
ausine com vapour et se tornerà en suor deors. Et celle suor Aererà soef, plus qe muse.
§ 96. [ /
due J iu n ii ch e m on d a n o i b éa it.]
Et tantost (f. 23 v ) les anges ovriront une posterne du Paradis que fiert (133) en un autre jardin moût mervellieus. Et ad l’entree par devant de celui iardin si a un arbre qui est si tresgrant que nul ne le porroit conter. Et au pie de cel arbre si sordent deus fontaines le plus belles et les plus cleres que nul cueor d'ome penser poust. Et celx qui entrent en Paradis si vienent ad l’une de ces fontaines et si en boivent; et mainte nant qu’il en ont beu, si sunt mundifies de tôt ce qu’il avoient mangie si que nent n’i demore. Et apres ce, si s’en vont ad l’autre fontaigne et se bagnent; et quant il se sunt bagnes, si font lur oreisons et la grâce Nostre Seignour descent sur elx. Et puis se retornent en Paradis et quant il vienent a la porte, si lor demande li huscier et dist : ‘ Estes vos mundefies?’ Et il respondent: ‘ Oil. ’ Et tantost il lor [ejnovre la porte et entrent.
§ 97. [ /
fa n c iu lli d e l P a ra d iso e le n o z z e d e i béa it.']
Et quant il sunt laenz, si i truevent enfanz les plus beaux qe nus home poust conter, quar il semblent de blanquour ad perle moût blanche et de rogeur ad rose roge bien coloree. Et ces enfanz se vont desduiant (m ) par mi le (2* col.) Paradis ausinc com vont les enfanz en ce siecle. Et conuissent par façon et par nom touz celx qui entrent en Paradis. Et auqun de ces enfanz si vient ad auqun de celx qui en Paradis entrent et li dist: ‘ Bien vegnant soiez tu, beaux amis; ie t’aporte buoenes noveles ’. Et ce est issinc qu’il ne remaint nul d’elx ad cui ce ne soit dit por auqun de ces enfanz. * Sachez que Nostre Sire Diex t’a appareillie moût de fammes vierges les plus belles du monde et moût de chamberiers et moût de maisons les plus belles que poust conter nus home ’. Et quant il entent ce que li a dist li enfant, si respont maintenant et dist: ‘ Diex en soit aorez et beneoit soies tu qui ces novelles m’aportes ’. Et tantost li enfant se part de li et s’en va ad celui des dammes qu’il siet que cil qui vient plus aime; et le conte novelles de celui qui doit estre son mari. Et elle lui respont et dist: ‘ L’ai tu veu? ’ Et il respont: 1Oil ’. Et maintenant dist la damme: ‘ Diex en soiez aorez et beneoit soiez tu qui ces novelles m’as aportez ’. Et la dame n’a si trasgrant ioie qu’a poine le puet croire. Et tantost s'en va iusqu’a la porte por veoir si ce est (f. 24 r ) vérité ou non.
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Il Libro della Scala
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ventre eorum velut vapor et convertetur extrinsecus in sudorem. Ille quidem sudor suavius redolebit quam muscus.
§ 96. Et mox angeli aperient quamdam posterulam (*3*) paradisi qua itur (i33) in quoddam aliud viridarium valde mirabile. Nam in introitu viridarii hujus ex parte majori est quedam (2® coi.) arbor ita magna quod nullus dicere hoc valeret. Et ad pedes hujus arboris manant duo fontes pulcriores et clariores quam cogitare cor hominis possit ullum. Illi vero, qui in Paradisum intrant, veniunt ad unum istorum foncium et bibunt ex eo. Et cum biberint, confestim mundificantur de omnibus que comederant, ita quod non remanet inde quicquam. Et post hoc vadunt ad alium fontem et se balneant in eodem, et post balneaciones faciunt oraciones suas. Et gracia Dei super eos descendit. Hiis autem peractis in Paradisum redeunt. Et cum veniunt ad portam, dicit eis hostiarius: ‘ Estis mundificad?’ At ipsi respondent: ‘ Uti que.’ Et statim ipse aperit portam eis et intrant.
§ 97· Et cum sunt intus, inveniunt ibi quosdam pueros pulcriores quam possit ullus dicere homo, quia ipsorum albedo assimilatur perle albissime ac rubedo eciam rose bene colorate rubore. Vadunt quoque hii pueri solaciando (134) per Paradisum, prout solaciantur pueri in hoc evo. Cognoscunt enim forma et nomine omnes illos qui in paradisum intrant. Convenit eciam aliquis ex pueris istis ad aliquem illorum in paradisum introeundum, et dicit ei: ‘ Amice mi, bene veneris, ecce affero tibi bona nova ’. Et hoc ita fit quod nullus ex introeuntibus remanet, cui hoc non dicatur per aliquem puerorum : ‘ Scias quod Deus preparavit tibi multas mulieres virgines pulcriores de mundo, et multas eciam famulas multasque domos que ita pulcre sunt quod hoc non posset per aliquem hominem recitari ’. Quo audito confestim ille, cui puer hoc retulit, respondit et dicit: ‘ Sit laus et gloria Deo, et tu be nedicaris qui hec michi nova eciam attulisti ’. Hoc autem dicto, mox puer ab eo recedens vadit ad illam dominarum, quam ipse scit quod ille qui venit plus diligit; et nunciat ei nova de illo qui vir est futurus ipsius. At illa respondens puero dicit: ‘ Vidistine tu eum?’ Et ipse respondet; ‘ Eciam ’. At illa confestim regraciatur Deo et benedicit puerum qui attulit sibi nova. Habet enim illa ex hoc tantum gaudii quod vix illud credere potest. Et incontinenti vadit usque ad portam ad videndum si verum sit necne.
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E. Cerulli
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§ 98.
\ L 'a r r iv a
d ei b ea ti n ella lo ro ca sa n u z ia le .]
Et quant cil qui vient aproche et voit le murs de sa maison, qui sunt toz de perles et de pierres précieuses, et il regart contremont, par un poi (1S5) qu’il ne pert la veue, de la grant clarté que i est. Et sachiez qe plusours l’eussent ia perdeue s’il ne feust qe Nostre Sire Di ex ne le consent; quar celle clarté est plus fort assez qe n’est li esparz quant il tone moût fort. Et quant il a regardee contre mont, si basse sa teste et voit les virges qu’il doit avoir a fammes et les cortines et les dras qui sunt tenduz par mi la sale et les sieges et les Hz et les chaelz, qui touz de perles et de rubins et d’esmeraudes [sunt et ausinc] covers de samit et de dras de soie de diverses colours. Et quant il aura ces choses veues et maintenant il dira: · Beneoit soit Diex qui ça nos aporta,quar ce n’eussom nos, s’il ne fust por la grant merci et por la vérité que Mahomet son messagier nos demostra et nos fist savoir, qu’il nos dist que nos serrioms herities dou Paradis ’.
X X X IX . Ce est le devisement du X X X IX chapitre. § 99.
\ L 'a lb e ro fü bâ n e l P a r a d iso .]
(2mcol.) Anquor vuoil ieo Mahomet que les genz sachent plus que en Pa radis si a un arbre qui a nom en sarrazinois «Tube » (181), que vuolt tant dire com : arbre de ioie et de délit. Et ce arbre si est si gros de ver le pie que home ne le porroit cerchier en toz en cent ans a tôt le melliour chival et au plus courant du monde et qu’il ne feist outre chose que corre. Et li pie de ce arbre si est tôt de rubin ; et la terre ou il est planteez si est totte de musc et d’ambre, plus blanche que nule noif et flere tant bien qe nul ne le porroit conter. Mes por que la flerour du musc et de l’aihbre estoit trop fort, si i avoit meslee canfora por lui attemprer. Et les branches de cel arbre sunt tottes d’esmeraude; et le fueilles de samit; (l3B) et les flours de dras d’or, les plus beaux que home puisse conter. Et les fruiz sunt en maniere de perles, moût granz, si que se un de ces fruiz fust ça aval, cent homens n’aussent assez ad mangier en un an. Et sunt ces fruiz plus blancs que nulle noif et plus clers que cristal ou (f. 24 v ) que autre chose nulle. Et la savour d’elx estoit ausinc com de gingiebre ou de miel mesleez ensemble. Et l’erbe, que i est entor ausinc com herbe de pre, si est totte de saffram verd, qui flere merveillieusement bien. Et si est tant fresche qu’elle semble que naist tôt ades (138).
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Il Libro della Scala §
123
98.
E t quando ille qui venit apropinquat et vidit muros domus sue qui sunt omnes de perlis et lapidibus preciosis, respiciens demum ad superiores partes ipsius, vix (i36) quasi est quod ipse visum non perdit pre claritate que est ibi tam grandis. E t sciatis quod multi jam ipsum perdidissent, nisi solum esset quod Deus hoc fieri non consentit, quia claritas illa satis forcior est quam sit coruscacio qua[ndo] fortiter valde tonat. Et postquam ipse sursum respexerit, flectit caput ad inferius .e t videt virgines ( 1 1 5 v) illas quas debet in uxores habere. Videt etiam cortinas et pannos aureos qui sunt strati per salam ; et similiter lectos ac lectorum stramenta, que de perlis, de rubinis et de smaragdis sunt omnes et nichilominus cooperta samito et alii pannis sericis colorum eciam diversorum. E t cum hec viderit, mox ipse dicet: ‘ Benedictus sit Deus qui nos huc adduxit. Non enim hec haberemus, nisi propter [graciam suam magnam et propter] (l3sbls) veritatem quam Machometus ejus nuncius nobis ostendit et nos eciam scire fecit, dicens quod nos Paradisi erimus hereditarii possessores’.
§ 99· Distinctio X X X IX . capituli. Adhuc volo ego Machometus quod gentes plus sciant, videlicet quod in Paradiso estquedam arbor, que arabico eloquio nominatur «Thube» (l36), quod interpretatur: arbor delectacionis et gaudii. Hec namque arbor ita grossa est versus pedem quod homo cum meliori et velociori mundi totius equo, et dum nichil aliud quam currere faceret, ipsam in centum annis circuire non posset. Est equidem pes hujus arboris de rubino totus; et terra ubi plantata est tota de musco et ambra, albior quam nix et redolet ita bene quod nullus recitare hoc posset. Verum quia odor erat musci et ambre hujusmodi valde fortis, est ibi ad temperamentum camphora simul mixta. Rami quoque arboris hujus omnes de smaragdo existunt, ejusque folia de samito (137) ; et flores de pannis aureis pulcrioribus quam possit homo aliquis enarrare. Fructus quidem sunt ad modum perlarum, valde grandium, ita quod, si unus ex fructibus esset hic inferius, centum homines ad comedendum inde per unum annum satis haberent. Nam hii fructus albiores sunt quam nix ulla et clariores quam cristallus aut alia res quecumque, sapor vero ipsorum est ad modum zinziberis et mellis' mixtorum ad invicem. Herba si quidem, que ibi circumcirca est, ad modum herbe prati tota est de croco viridi et mirabiliter redolens.
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E. Cerulli
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§ xoo. [L e fontane di vino a i p iedi dell'albero (übâ.'] E t au pie de cel arbre si sourdent moût de fontaines, tottes de vin, dom corrent les flunz par mi le Paradis. E t de ces vins le uns en sunt plus blancs et plus clers que nulle aive et les autres plus vermoils et plus clers que nul rubin. E t ces deus maniers si sunt tant delgies (189) et tant savoreus que nul ne le porroit conter. E t les autres deus maniers, qu’il i avoit des vins : li une en ere ausinc corn vin verdet (,) sunt de zaphiro pulchriori de mundo. E t infra mon tana hujusmodi oriuntur minere auri et argenti et preciosorum lapidum qui sunt manerierum omnium que possunt aliquo modo esse. Fluunt enim postea et veniunt per meatus suos usque ad flumen jam dictum, ita quod arena ipsius fluminis nichil aliud est quam lapides preciosi. Zaphirus vero ille, ex quo sunt montana jam dicta, ita clarus est quod homo, ab extrinseco, videre potest quicquid est edam ibi intus; et hoc est versus partem fluminis antedicti. Sunt edam in montanis illis multi alii meatus, per quos itur ad viridaria, que sunt ibi versus partem aliam post montana. E t per quemlibet horum meatuum vadit homo ad quatuor viridaria Paradisi. Nam ex hiis quatuor viridariis duo sunt valde ampla et in eorum quolibet manant duo fontes quam maxime valde pulcri. Suat quoque in hiis viri dariis arbores quam plures et earum quelibet facit fructum unum de centum maneriebus, nec una manerierum assimilatur alie. Et sine hoc edam quod nulla est insicio (153) in eisdem. Alia quidem duo viridaria non sunt ita ampla ; et in quolibet ipsorum manat fons quidam non tamen ita magnus ut alii prenotati. Sed est ille valde pulcherrimus atque clarus.
§ no. Distinctio X L IV . capituli. Visis quoque fluminibus, montanis, viridariis et fontibus supradictis, ego Machometus respiciens adhuc vidi quod in hiis viridariis erant arbores que dicuntur palme et malagranata; et hee ita magne et pulcre erant quod nullus dicere hoc valeret. Fructus namque istarum arborum, cum mittebat eos homo in os suum, representabant sapores omnium aliorum fructuum qui bene sapiunt in hoc mundo.
§ in · Et quando illi de paradiso vadunt ad viridaria ista, inveniunt ibi sub arboribus supradictis pulcriora et diciora tentoria quam possit cogitare cor hominis alicujus. E t in tentoriis illis morantur virgines que arabico eloquio nominantur « halkories» (154), quod interpretatur: electe et a Deo eciam custodite (li5), quia ipse ita bene custodiuntur quod nullus eis apropinquare audet nec eciam ipse diabolus, nisi solum illi quibus sunt ipse concesse.
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B. Cerulli
soulement celx ad qui elles sunt ottroiees. De la beaute d ’elles que vos direi ie? Nus hom le porroit conter ne penser en son cueor. Et les dammoiselles devant dites si se sient sor les plus riches dras du monde. Et quant celx, cui elles sunt otroiez, vienent la, elles se lievent contre eux et les reçoivent ad moût grant ioie; et puis se rassient avec elx.
§ x 12 . [// Signore visita i nuovi beatii] E t quant il se sunt assiz issine, Nostre Sire Diex les vient veoir, ad moût grant compaignie d’anges, et lor dist : ‘ Avez vos trove ce que ie vos promis? ’ E t il respondent et dient: ‘ Oil, Sire. La vostre grant m erci’. Et, apres ce, Nostre Sire le redist: ‘ Que vos semble des guererdons que ie faiz ad celx qui me servent ? Estes vos bien paiez de ceo (2* col.) que ie vos ai fait? ’ E t il respondent: ‘ Se vos estes paiez de n o s(151), nos somes moût bien paiez de ce que vos nos avez fa it ’. E t Nostre Sires le dit: 1 Adonques ie sui bien paiez de vos, puis que vos estes entres en ma maison et vos ai parle et mostre ma chiere; et puis que vos avez acolles mes anges. Et sachiez certainement et ne dottez pas que les dons que ie vos ai donez ne vos serunt iameis tollus (158) ne reprochies ’. E t il respondirent toz ensemble: ‘ Beneoit soiez tu, Nostre Sire Diex, et ad toi rendons grâces que m’as done ioie pardurable, que est sanz poine et sanz travail ’-
XLV. Ce est le devisement du X L V chapitre. § 1 1 3 . [L ’Angelo Ridw ân, tesoriere del Paradiso.] Quant ie Mahomet, messagier de Diex (159), vi les choses devant dittez, ie en fui moût merveilliez (18°). Et si n’ei moût grant ioie en mon cueor et en beneis Nostre Sire Diex por le grant bien qu’il fesoit ad celx qui le servoient. E t apres ce, si regardei celx qui servoient li, tresbeaux que nul ne le porroit conter. Et unquor vi ie plus, quar un ange se seoit sor une siégé de clarté (i61) et de la grandour (f. 27») de lui et de sa beaute nul le porroit conter. E t il estoit environez d’anges, qui demoroient toz en pies et le servoient. E t ie demandei ad Gabriel, qui estoit cil grant ange. E t il me respondi et dist qu’il ere le trésorier du Paradis; et ce avoit nom : Ridohan (i6*). E t quant ie oi ce, si alei maintenant ver lui et le saluei. E t il demanda ad Gabriel qui ie estoie, et Gabriel lui dist mon nom et mon afaire (163). E t tantost il me salua et me reçut moût liement
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Il Libro della Scala
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De pulcritudine autem illarum quid vobis? Nullus homo eam dicere posset aut corde proprio cogitare. Hee namque domicelle sedent super diciores pannos tocius mundi. E t quando illi, quibus ipse concesse sunt, veniunt illuc, assurgunt eis et ipsos valde honorifice recipientes iterum sedent eciam cum eisdem.
§ 112. Et sic eis sedentibus, venit Deus videre ipsos, angelorum societate maxima sociatus, dicens eis: ‘ Invenistis que promisi vobis? ’ A t ipsi respon dentes dicunt: ‘ Utique, (2® coi.) Domine, grad a vestra m agna’ . E t post hec dicit eis Dominus: ‘ Quid vobis videtur de retribucionibus (158) quas facio illis qui michi serviunt? Estisne contenti de eo quod feci v o b is?’ E t ipsi respondent: ‘ Si vos de nobis contenti estis (lS7), nos bene contenti sumus de eo quod nobis fecistis ’. E t iterum Dominus dicit eis : ‘ Ego de vobis bene contentus sum, postquam intravistis in domum meam et loqutus sum vobis et ostendi eciam faciem meam, et postquam meos estis angelos amplexati. Et sciatis certissime sine ullo dubio quod dona, que vobis do navi, nunquam improperabuntur vobis nec eciam auferentur ’ (15S). At ipsi omnes insimul responderunt : ‘ Benedictus sis tu Domine Deus noster et tibi gratias referimus qui donavisti nobis gaudium perdurabile quod est sine pena et labore ’.
§ 113 .
Distinctio X L V . capituli. Quando ego Machometus (i59) vidi que supra narratus sum (ii;o), [valde miratus sum] (160bi*) et maximum gaudium in corde meo habens benedixi Deo exinde, propter magnum bonum quod faciebat ipse suis qui serviebant eidem. E t post hoc respiciens illos qui in Paradiso serviebant, vidi quod erant ita pulcherrimi quod nullus recitare hoc posset. Vidi plus adhuc eciam quod quidam angelus sedebat super quamdam sedem (i61) et ipsius angeli magnitudo et pulcritudo a nemine posset aliquatenus enarrari. Erat enim hic angelus circumdatus angelis, qui super pedes suos erecti stantes ad ipsius erant servicia deputati. E go vero quesivi a Gabriele quis esset angelus ille magnus. At ipse michi respondens dixit quod erat thesaurarius paradisi et nominabatur Ridohan (l6i). Hoc audito ivi versus ipsum et salutavi eum. Ipse vero quesivit a Gabriele quis ego essem ; et Gabriel sibi meum nomen et esse (_163) narravit. Et mox angelus ille resalutavit me ac recepit hillariter
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E. Cerulli
et a grant ioie ; et me demanda que ie queroie. E t ie lui dis que ieo voloie veoir toz les Paradis. E t tantost il me prist par la mayn et m’ammena par trestoz les Paradis. § 114 . [R idw ân mostra a Maometto le bellezze del Paradiso 7\ E t me mostra le fluns, les arbres, les chasteaux, les maisons roiaux et lor soliers (164), et quant il i avoit. Et tottes ces choses resplendissoient tant de fin clarté que par poi que ie ne perdi la veue por le resplandour. E t Ridohan m’aloit demostrant tottes ce choses que Diex avoit appareilliez por doner ad ses amis. Unquor me mostra il plus: qu’il me mostra maisons que erent tottes d'or et d’argent, (2* col.) de rubins, d’esmeraudes, de perles et de tottes maniérés de pierres précieuses. E t tôt ces pierres estoient de pure clarté. E t apres ce, me mostra les montagnes, dom sunt environez les Paradis; et vi les pastures, les près et le bois qui i erent, si beaux et si riches que cueor d’ome penser ne le porroit. Et dedenz celles montagnes si erent maintes clousures du mur tottes; et chasqune d’elles duroit tant com home pouroit aler en V cent ans. E t dedenz celles clousures estoient chivaux et iumentes de tottes colours, qui erent les plus beaux que uoelx d ’ome veist onques. E t quant ie m’aprochei d’elx por lor mieulz regar der, il s’espeurerent et comencerent ad corre. E t issinc com il aloient courant, la terre qu’il gettoient ad lor pies si erent totte musc et ambre ; et fleroit si tresbien et si fort que tottes les clousures estoient pleines de celi odour. E t unquor m’ammena Ridohan ad une autre clousure que ere totte pleine d’oiseaux qui erent vers et giaunes et de tottes autres colours. E t erent moût granz ad merveille et fleroient si bien qe trop (f. 28 r). Et quant ie m’aprochei d’elx, il se cuiderent lever et chairent toz devant moi. E t adonques lor chai[t] de[s] eles musc et ambre tant que totte la clousure en fu reemplie de l ’odour. E t apres ce, me mostra en celle clousure maisons, que tottes erent d’or et d’argent et de pierres précieuses. E t les sieges, les liz et les chaeliz (165), qui i erent, si estoient trestoz si tresbeaux et très riches que uoelx d’ome ne virent onques lor parel ne oreilles ne l’oirent conter. Beneoit soit Diex qui les fist si com a lui plot et les créa. X L V I. Ce est le devisement du X L V I chapitre. § 1 1 5 . [// fiume Kettinen nel Paradiso.] Puis que Ridohan, li trésorier du Paradis, m’ot mostreez les choses devant dites, il m’ammena plus avant et me mostra unquor [un flum] qui
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Il Libro della Scala
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et cum gaudio valde magno, querens a me quid ego volebam. Ego namque dixi ei quod volebam omnes Paradisos videre. E t confestim ipse me per manum accipiens duxit per omnes Paradisos. § II4·
Et ostendit michi flumina, arbores, castella, domos regias earumque solaria ( 164) et quicquid aliud ibi erat. Et hec omnia ita claritate resplen debant purissima quod vix quasi fuit quod ego visum non perdidi pre fulgore. Ostendebat quidem Ridohan hec omnia michi que Deus amicis suis preparaverat ad donandum. Et adhuc ipse plus michi ostendit, videlicet domos quasdam, que omnes erant de auro et argento, de rubinis, de sma ragdis, de perlis et de preciosorum lapidem' maneriebus eciam universis. Nam et hii lapides omnes erant purissime claritatis. E t post hec ostendit eciam ipse michi montana quedam, ex quibus sunt Paradi- ( 1 1 7 ; ) si cir cumdati; et vidi pastus, prata et nemora que ibi erant, ita pulcra et tam ditissima quod nullum cor hominis hoc cogitare valeret. Erant quoque intra montana illa clausure multe de muro omnes; et earum quelibet du rabat tantum quantum posset homo ire in V c annis. Et in clausuris illis erant equi et eque colorum omnium et pulcriores eciam quam unquam oculi hominis respexerint alicujus. E t cum apropinquarem equis et equabus predictis ut eos melius intuerer, ipsi pavescentes currere inceperunt. E t dum ita currerent, terra quidem quam suis proiciebant pedibus tota muscus et ambra erat; ita bene redolens et tam fortiter quam clausure ille omnes ipso replebantur odore. Duxit adhuc me Ridohan ad quamdam clausuram aliam, que plena tota erat avibus viridibus et citrinis et aliorum colorum eciam quorumcumque. Erant enim hee aves mirabiliter magne et bene ultra modum similiter redolentes. E t cum apropinquarem eis, ipse se elevare putantes ceciderunt coram me omnes. Et tunc ex ipsarum alis tantum musci cecidit atque ambre quod clausura illa tota odoris est suavitate repleta. E t post hec eciam ostendit michi quasdam in clausura illa domos, que omnes de auro et argento erant et de lapidibus preciosis. Sedes autem ac lecti et lectorum stramenta (185) ita pulcra erant et tam ditissima quod nunquam oculi hominis viderunt que ipsis equiparari potuerint nec aures audierunt eciam recitari. Benedicatur Deus qui ea fecit prout voluit et creavit.
§ 115· Distinctio X L V I. capituli. Postquam Ridohan thesaurarius Paradisi ostendit michi superius enar rata, ducens me magis ante et ostendit adhuc michi quoddam flumen quod
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13. Cerulli
a nom « al-Kettinen » (ifi6). E t ce flum a tant en soi de large com hom porroit aler en V cent ans; mes combien il a de lonc nul ne le siet, for Nostre Sire Diex qui le fist. E t ce est celi qui ceint trestouz les Paradis entor. Et quant ie le vi, si m’en merveillei moût de sa longuour et de sa largece.
§ i i 6. [_Le tende dette belle dame sut fittme Kettinen.\ Mes unquor fu ie de ce plus merveillies, que ie vi que sor la rive de ce flum si erent moût de (2a col.) paveillons tenduz d’une part et d’autre si tresgranz qe trop seroit fort chose au conter. Et ces paveillons erent toz de dras (167) si clers et si reluisanz que la veue de l’ome passoit par ele assez plus legierement qu’il ne feroit en esmeraude ou en topace. Et touz les sieges et les dras ausinc, dom erent les paveillons poi tenduz, si estoient de celle meisme maniéré. E t dedenz ces paveillons si nascent par soi meismes, si com il plaît ad Diex, famines que sunt appelez en sairazinois « halcoralen » (168), que vuolt tant dire com: les dammes merveilleuses; quar si sunt elles sanz dote qu’elles sunt si tresgranz que chasqun des sorcils d’elles estoit ausinc grant com est li arc qui pert en les nues du ciel. Et la beaute d’elles est si grant qe nul ne le porroit conter ; qu’eles gettent si grant clarté de lor corps que hom les puet ad plus grant poine regarder qu’il ne fait li soleil. E t les paveillons devant ditz si sunt toz clos entor que nul n’i entre; et les dammes devant dittes i nascent dedenz en maniéré d’erbe, quant elle ist primierement de la terre. Et quant elles sunt nees et formes, elles se cuovrent (f. 28 v) de lor chievoux qui sunt plus beaux et plus clers que boche mortel poust deviser. Et puis si croiscent tant qu’elles tochent de lor testes les summitees de paveillons.
§ 1 1 7 . [L 'a n gelo va a prendere la bella dama e la fa vestire d i drappi,~\ Et maintenant qu’elles tochent la amont, les paveillops se comencent ad movoir un petit; et tantost qu’il ce font, sevent les anges qui ces pa veillons gardent que les dammes sunt nees et parcreves (169), si com elles doivent estre. E t adonques si vient auqun de ces anges ad celui paveillon qui se muet et i trove la damme nee et parcrevee, issinc com ie vos ai conte. E t si trove laenz ausinc les dras d’or et de perles et de pierres précieuses, qui sunt nez et faiz et du tôt appareilles ad uoes (110) de la dame por se vestir. E t sunt si beaux et si riches que nul cueor d’ome penser
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Il Libro della Scala
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nominatur Alketynon (l86). E t hoc flumen habet in latitudine tantum quan tum posset homo ire in V c annis; sed quantum in longitudine habeat nemo novit, nisi solus Deus qui fecit ipsum. Hoc eciam est flumen illud quod omnes Paradisos circumdat. E t cum ipsum vidi, valde sum de lon gitudine ipsius et latitudine admiratus.
§ 116 . Sed de hoc eciam magis fui, videlicet quod ego vidi ex utraque parte super ripas illius fluminis multa extensa tentoria, que ita magna erant quod hoc dicere nimium esset durum. Tentoria quidem illa erant omnia de pannis aureis et de samitis ( 187) ;. et hii quoque panni erant ita lucentes et clari quod visus hominis penetrabat per eos satis levius quam per topacium faceret vel smaragdum. Sedes autem omnes et panni eciam, quibus erant strata tentoria, ejusdem maneiiei similiter existebant. In hiis vero tentoriis oriuntur per se ipsas, juxta Dei beneplacitum, mulieres que arabico dicuntur eloquio « Halkoralen » (i68) quod interpretatur: domine admirabiles, quia sine dubio sic sunt ipse. Nam (2” coi.) ita magne sunt quod unum ex super ciliis cujusque ipsarum ita magnum erat prout est arcus ille qui in nubibus celi patet. E st autem pulcritudo ita magna ipsarum quod hoc non posset ab aliquo recitari. Reddunt enim ex corporibus suis ita maximam claritatem quod eam difficilius potest homo respicere quam solarem. Sunt enim ita omnia tentoria illa clausa quod nulli patet introitus, et ibi intus oriuntur domine supradicte ad modutn herbe, quando primo ex terra exit. E t post quam ipse nate et formate sunt cooperiunt se capillis propriis, qui pulcriores et clariores sunt quam possit exprimere os mortale. Postea vero crescunt in tantum quod ipse cum capitibus tentoriorum summitates attingunt.
§ “ 7· Et eis sic attingentibus, mox tentoria incipiunt aliquantulum se mo vere; et cum hoc faciunt, confestim sciunt angeli, qui ea custodiunt, quod domine nate sint et quod ipse jam creverint ( 189), prout debent. E t tunc venit aliquis ex hiis angelis ad tentorium quod movetur et invenit natam dominam et magnitudine auctam, prout antea dixi vobis. E t invenit ibi intus similiter pannos de auro et de perlis et lapidibus preciosis, qui ad opus domine (17°) pro se induendo nati et facti sunt et in omnibus preparati. Sunt eciam ita pulcri et tam ditissimi quod nullum cor hominis hoc cogi-
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E. Cernili
ne le porroit. E t dist li ange ad celli qu’il trove dedenz le paveillon: ‘ Vien-t-en avec moi, que ie te voil mener ad un des chasteaux du Paradis que ie gard E t atant la dame regard devant soi et voit les dras d’or et de soie les plus beaux du monde faiz ad sa mesure et se vest maintenant.
L V IÍ. (2a col.) Ce est le devisement du L V II chapitre. § 11 8 . \_L 'angelo conduce la dama a l castello del suo nuovo marito.'] Et essine com la dame devant ditte est vestue, li ange qui la doit amener au chastel du Paradis qu’il a en garde, si com vos aves oi devant, si la prent maintenant par la main et la trait hors du paveillon et Pani mene en son chastel, qui reluist de tant loign com hom porroit aler en V cent ans. E t issine com il vont, la dame dist une oreisou, dom le comencement est icel en sarrazinois : « Kadafla hum hai muminina», que volt tant dire com ; Bienaures sunt celx qui bien croient (171). E t puis si dist la oreison trestotte que est mont grant. E t quant elle l’a achevée si dist unquor: ‘ H a! combien est aurez qui la grâce Nostre Seignour a, si com nos avoms ’ . E t li ange dist ad la damme: ‘ Sas tu ad cui ie te moine? ’ (m ). E t elle li respont: ‘ Oil. Tu me moines ad icel hom qui a issine nom et fu fiz de icel hom et de Ícele fame, et maint (l7S) en icel leu du Paradis. [E t les anges devanditz] (174) ne servent d’autres chose. for que d’ammener les dames que nascent dedenz les paveîlions ad celx qui doivent estre lor seignours (f. 29 r) en Paradis, sicom ie vos ai conte. § 119 . [Perchè le dame conoscono i nomi dei nuovi beati cui saranno assegnate e come le frutta del Paradiso obbediscono a i beati.] E t auquns furent ia qui me demandèrent et distrent : ‘ Messagier de Diex, di nos por quelle raison sevent ces dames les noms de celx qui doi vent estre lor maris, que nul ne lor ensegna ? ’ E t ie lor respondí et dis : * Sachiez, beaux amis, que Diex le lor fait ad savoir ; et vos direi coment. Se auqun de celx qui bien croient en Nostre Seignour convoite de mangier auqun fruit de celx du Paradis, li arbre qui porte ce fruit si li naist maintenant devant soi atot son fruit. E t li dist li arbre: Amis de Diex, or mang[e]me? (175). E t il li respont et dist: Or me di, arbre, cornent savoies tu que ie convoitoie de ces fruiz ad mangier ? Et li arbre li redist : Celui qui me crea ad ton uoes le me fist savoir. E t unquor vi ie Mahomet plus: que quant celi qui est en Paradis a en sa boche auqun des fruiz qui
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Il labro della Scala
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tare valeret. Dicit quoque angelus domine illi quam in tentorio invenit: ' Veni mecum, quia te ducere volo ad quoddam Paradisi castellum quod ego custodio E t mox domina illa coram se respiciens videt pannos aureos et sericos, factos ad modum stature ipsius, pulcriores de toto mundo, et induit se confestim.
§ 11 8 . Distinctio X L V 1I. capituli. E t cum supradicta domina sic induta extiterit, mox angelus qui eam ducere debet ad castellum Paradisi quod ipse custodit, prout in precedentibus audivistis, accipit ipsam per manum et de tentorio extrahens ducit eam ad castellum suum, quod a longinquo tantum splendet quantum posset homo ire in V c annis. Et, eis sic omnibus euntibus, dicit domina oracionem quamdam, cujus principium loquela arabica tale est: « Kadabafla lium halmuminina » quod interpretatur: Bene fortunati sunt illi qui bene credunt (171). Deinde dicit oracionem totam que valde magna est. E t ea completa dicit adhuc: ‘ Ha, quam bene fortunatus est ille qui habet graciam Dei, sicut nos habemus’. At angelus dicit: ‘ Domina, scis tu ad quem ego te duco?’ (172). Domina vero respondet: ‘ Utique. Tu ducis me ad talem hominem, qui sic nominatur et est filius talis hominis et talis mulieris et in tali loco Para disi moratur’ (17S). Nam et hii angeli antedicti (174) non faciunt aliud servicium preter quam ducere dominas, que nascuntur in tentoriis, ad eos ( 1 1 7 » ) qui debent in Paradiso esse ipsarum viri, prout vobis superius enarravi.
§ 119 · Fuerunt enim aliqui alii qui a me querentes dixerunt: ‘ Dic nobis, nuncie Dei, qua racione sciunt domine iste nomina illorum qui viri debent esse ipsarum, cum nullus eas d ocuerit?’ E go vero respondens eis d ix i: ‘ Sciatis, amici, quod Deus facit eas hoc scire; et dicam vobis quomodo. Si aliquis ex illis qui bene credunt in Deum optat comedere aliquem ex fructibus Paradisi, statim arbor, deferens fructum illum, coram ipso oritur cum fructu optato, dicens e i: 1 Amice Dei, com ede! ’ (175). A t ipse arbori respondens dicit: ‘ Dic michi, arbor, quomodo sciebas tu quod ego ex fructibus tuis comedere cupiebam ?’ Tunc dicit ei arbor: ‘ Ille qui me creavit ad opus tuum hoc scire me fecit ’. E t ego Machometus plus eciam adhuc vidi, videlicet quod, cum ille qui in Paradiso est habet in ore suo
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E. Cernili
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la sunt et il a talent d’auqun autre fruit, si se torne maintenant le fruit que il tient ad la savour de l’autre fruit dom il avoit la volente. E t tôt ce est du pooir Nostre Sire Diex.
§ 12 0 . [ / beati g ià in Paradiso accolgono ì nuovi a rriva ti.] E t quant auqun vient en Paradis, toz les autres qui i sunt si iscent encontre lui et le reçoivent (2® col.) ad grant ioie, sicom nos faisons ad nos parenz et ad nos amiz quant il vienent d’auqun lointain chemin ou de pellerinage. E t assez le convoitent plus ad veoir sa famine et sa masnee qu’il doit avoir en Paradis que ne fesoient les autres qu’il avoit en ce siede primierement. X L V III. Ce est le devisement du X L V III chapitre. § 1 2 1 . [L 'a lb ero d i p erla .] Quant ie Mahomet, messagier de Diex, vi ces granz merveilles dom ie vos ai conte et ie ei moût regardez les Paradis et les dammes dom vos avez oi, Gabriel et Rodohan qui estoient avec moi si m’ammenerent ad un leu qu’est appeliez: %Zaderat halmouta », qui vuolt tant dire com: leu espacieus ( 476). Et me mostrerent un arbre si tresgrant et si tresbel qu’a poine le porroie ie conter. Il estoit tôt d’une perle merveilleusement blanche. Et ere tant bele que sa beaute sormontoit tottes autres, for celi de Diex et de ses anges. Et tottes ses fuoeilles et les flours et les fruiz estoient de celle meisme maniéré. Et si avoient ces fruiz tottes les buones savours que (f. 29 ») cueor d’orae porroit penser.
§ 12 2 . [L a sorgente al-Kawtar.~\ E t au pie de cel arbre sordoit une fontaine d’aive plus blanche et plus clere que nule chose et plus douce qe miel. E t ie demandei ad G a briel que fontaine celi estoit. E t il me respondist et dist qu'elle ere la fontaine que hom appelé « halkauflar » (m ), que vuolt tant dire com : la fontaine de la grâce compile. E t me dist issinc : * Sachez, Mahomet, que ceste fontaine créa Nostre Sire Diex por toi soulement et ad tuoen uoes. E t qu’il t’a fait plus de grâce et plus t’a essauciez qu’il ne fist onques nul autre prophète qui fust unquor ni qui sera iameis ; quar ceste fontaine
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Il Libro della Scala
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aliquem ex fructibus qui sunt ibi et ipse voluntatem habeat de aliquo alio ullo fructu, mox fructus ille, quem tenet, vertit se ad saporem fructus illius eciam quem optabat. E t hoc totum de potencia divina extitit.
§ 120. Sane cum aliquis in Paradisum venit, omnes alii qui ibi sunt exeunt obviam ei et ipsum eque cum gaudio et exultacione recipiunt, velut nos parentes nostros et amicos recipimus cum ipsos contingit de peregrinacione redire aut de aliqua alia longa via. Uxor namque ac ejus familia, quas in Paradiso habiturus est, magis ipsum videre desiderant quam desideraverint alie quas idem primo habuerat in hoc mundo.
§
X2 I .
Distinctio X L V IIL capituli. Cum ego Machometus nuncius Dei viderim mirabilia ista magna, de quibus locutus sum vobis, et multum respexerim Paradisos et dominas de quibus superius audivistis, Gabriel et Ridohan qui mecum erant duxerunt me ad quemdam locum qui nominatur « zaderat halmouta » (m ), quod in terpretatur: locus spaciosus, et ostenderunt michi quamdam arborem ita magnam et tam pulcherrimam quod vix hoc possem aliquatenus enarrare. Erat enim arbor illa de unica solum perla mirabiliter alba. E t ita eciam pulcra quod ipsius pulcritudo cunctas superabat alias, excepta pulcritudine Dei et suorum eciam angelorum. Et omnia quidem ipsius folia et flores similiter atque fructus erant maneriei ejusdem. Habebant eciam fructus sui omnes bonos sapores quos possit cor hominis cogitare.
§ 122.
Nam ad pedem ipsius arboris manabat fons quidam aque albioris et clarioris quam res ulla et super mei eciam dulcioris. E go vero quesivi a Gabriele cujusmodi fons ille esset A t ipse respondens dixit quod erat fons qui nominatur « Halkaufkar » (t77), quod interpretatur: gracie fons perfecte. E t dixit eciam ita (2° coi.) m ichi: 1 Scias, Machomete, quod solum pro te et ad opus tuum Deus creavit hunc fontem. E t in hoc tibi plus gracie contulit et te magis eciam exaltavit quam ipse fecit aliquem alium pro phetam, qui hactenus fuerit vel qui ulterius sit venturus; quia fontem istum
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B. Cernili
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ne vuolt il onques doner a nul autre que ad toi et des or en avant te puoes tu bien appeler prophète et messagier de Diex sor toz les autres E t atant il prist congie de moi et me dist : ‘ Mahomet, ie m’en vois, quar ie te ne puis tenir plus compagnie de ci en avant. Nostre Sire Diex vuolt que tu voises (178) ad lui tôt soûl (m ), qu’il te volt parler privement, de vant que tu t’en allies. Por ce tu iras, a la grâce Nostre Seignour, et bien (2a col.) sachez que tu es sires de toz celx du siecle, issinc com Diex te le otroie ad estre ’. E t quant il m’ot ce dit, si m’acolla et entre lui et Ridohan remestrent ensemble ; et ie m’en alei tôt sol si corne fu volonté Nostre Seignour. X L IX . Ce est le devisement du X L I X chapitre. § 12 3 . [Maometto traversa le cortine e torna in presenza del Signore.] Apres ce que Gabriel et Ridohan m’orent lascie, moi Mahomet, mes sagier de Diex, tout soûl, sicom vos avez oi, ie me retornei par la, dom ie ere primierement venu; et alei tant que ie vign as cortins que estoient près de Nostre Segnour. E t quant ie fu la, elles se comencerent ad lever ; si que, quant ie avoie passe l’une, l’autre se levoit par soi meisme que nul n’i mettoit la main. Et tot ce estoit du pooir Nostre Segnour, qui est si tresgrant que nul ne le puoet penser ne savoir son comencement ne sa fin compliement. Issinc alant par celles cortines ie alei tant que entre moi et Nostre Sire Diex ne erent que deus cortines, li une en ere de tenebre et l’autre de clarté du pooir de lui. § 12 4 . [ I l Signore consegna a Maometto il Corano.] E t en ce que ie regardoie ces choses, ie oi darrier (f. 30 r) celles cortines une voiz que dist paroles du livre de l’Alkoran dom le comen cement fu icel : « hamina haraçul bi-m e huncila ylai » que volt tant dire com : li messagier crei tot ce que fu dist en l’estoire du comencement iusqu’a la fin (i19). E t quant la oreison fu ditte trestot, ce que ere moût grant (lS0), Nostre Sires me dist : ‘ Mahomet, pren ceste istoiresicom est en li Alkoran que ie te doign et otroi. E t sachez que ce livre si est des miens trésors du Paradis, qui sunt sor toz les autres trésors du siecle ’. E t quant il m’ot ce dit, ie pris le livre de sa main et li rendi grâces du don qu’il n’avoit fait. E t adonques ne estoit entre Diex et moi nul ange ne home ne nulle autre chose, for que il et ie tant soulement, de droit (181) en droit.
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η. L ’angelo dalle settantamila teste. (Suppl. T u r c 19 0 , f. 13 v)
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8. L a porta del Paradiso. (Suppl. Turc Igo, f. 4 7 v)
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Il Libro della Scala
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nunquam alicui alii dare voluit nisi tibi; et ex nunc in antea super omnes alios te vocare prophetam et Dei nuncium bene potes Hoc autem dicto, peciit a me licendam et d ix it: ‘ Machomete, ego recedo quia tibi socie tatem a modo tenere non possum. Vult quoque Deus quod solus (17S) ad eum vadas et vult eciam tibi secrete loqui primitus quam recedas et ideo ibis cum gratia Dei nostri; et bene scias quod tu es dominus omnium hujus seculi, prout tibi Deus hoc esse concessit’. E t cum hoc micbi dixisset amplexatus est m e; et tam ipse quam Ridohan remanserunt insimul; et ego solus profectus sum, juxta Dei beneplacitum voluntatis.
S 133· Distinctio X L IX . capituli. Dum Gabriel et Ridohan reliquissent me, Machometum Dei nuncium, ita solum sicut superius audivistis, ego redii per eandem viam qua primo veneram; et tantum ivi quod veni ad cortinas que prope Deum erant. Et cum ibi fui, cortine inceperunt se elevare, ita quod, cum unam ipsarum transiveram, alia per se ipsam se post modum elevabat, nec eciam mittebat aliquis ibi manum. E t hoc totum de potencia Dei erat, que ita maxima est quod nullus eam cogitare potest neque ipsius perfecte scire inicium seu finem. Nam sic eundo per cortinas illas tantum profectus sum quod inter Deum et me non erant nisi due cortine solum ; quarum una tenebrarum erat et altera sue potencie claritatis.
§ 124 . E t dum ista respicerem, ecce audivi post cortinas illas vocem quam dam, que dixit verba libri Alkoran unde inicium tale fu it: « hamina harazul bime unzila y la y », quod est dicere: nuncius credit totum quod in istoria dictum est a principio usque ad finem (179). Oracione quidem totaliter dicta que valde magna erat (180), Dominus dixit m ichi: ‘ Machomete, accipe historiam istam Alkorani quam tibi dono et concedo. E st autem hoc de paradisi thesauris meis qui sunt super seculi thesauros alios universos'. E t cum hujus modi dixisset, accepi librum de manu sua et reddidi ei gracias de dono quod fecerat ipse michi. E t tunc inter ipsum et me non erat aliquis angelus neque homo aut quicquam aliud, nisi solum ipse et ego eciam recto situ (m ). 10
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E. Cerulli
§ 12 5 . [// Signore dà a Maometto i l sapere.'] E t puis me dist : ' Mahomet, que entendent les gens du siede de l’affer et de la compagnie des c ie ls?’ E t ie lut respondiet dis: ‘ Sire, ie ne sa i'. Et il me redist: ‘ Mahomet, aproche toi plus de m o i’. Et ie m’aprochei tant qu’il n’i avoit entre lui et moi for tant com seroient deus arbalestes de Ione (m ) ; et tantôt Nostre Sires mist sa (2a col.) main sor ma teste si que ie senti la froidour de sa main dedenz mon cueor. Et mainte nant il m'ensegna tot le savoir, si que ie soi tottes les choses que furent onques et que serunt de ci en avant. Et puis me redist autre foiz : ' Mahomet, que entendent les genz du siede de l’affer et de la compagnie des ciels? ’ E t ie lui respondi et dis : ‘ Sire, il s’entendent ad celle parole qui est escrite en l’Alkoran: « haldaraiet v halkaforat » (1SS). [E t puis Nostre Sires me dist: Que volt dire « v halkaforat»?] E t ie lui dis: ‘ « v halkaforat» volt tant dire com : les pies movoir por aler ad la mahomerie (la4) ad faire oreison ad D ie x ’. E t atant Nostre Sires me dist: ‘ Mahomet, tu as tochie a la pure v é rité ’. E t puis si me redist: ‘ Que volt dire«h al daraiet » ? ’ E t ie lui respondi : ‘ « haldaraiet » volt tant dire com : saloer les genz et lor doner bien ad mangier et liement et faire oreisons quant les autres genz en dormant se reposent’ . E t Nostre Segnour me dist: ‘ Ha, Mahomet, or voi ie que tu es reempli de ma grâce et de tot le savoir, quar tu sas la vérité totte; et issine com tu la sas, si va et la di ad ton pueple, et demostre ’.
L. (f. 30 w) Ce est le devisement du L chapitre. § 126. \D io prescrive le orazioni ed i dig iu n i dei M usulm ani.] Puis que Nostre Sires Diex m’ot dit ces paroles et reempli de sa gloire, sicom ie vos ai conte, il me conta unquor plus en icel maniéré : ‘ Sachez, Mahomet, que ie aim ton pueple plus que nui autre por amor de toi. E t por ce que vuoil qu’il s ’aprochent plus de moi que les autres, ie lor doign et ad toi cornant que tu lor dies de par moi qu’il facent cinquante foiz chasqun iour oreisons et qu’il iunent L X iours en l’an. Se il font ces ieuns et ces oreisons a toz.lor proiers (t85), sicom il se convient, ie lor sui obligies de ci en avant que ie lor donrei Paradis
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Il Libro della Scala
§
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.
Dixit autem michi postea: ‘ Machomete, quid intendunt gentes seculi de negocio et societate celorum ? ’ E go vero respondens d ix i: ‘ Domine, nescio’ . Ac ipse iterum michi dixit: ‘ Machomete, apropinqua te m ichi’ (182). Et confestim elevarunt se cortine que erant in medio; et ( 1 1 8 r) tunc Deus abstulit michi visum ab oculis et ipsum reddidit ita cordi quod eum corde vidi, oculis autem minime. E t postea iterum dixit: ‘ Machomete, apropin qua magis te m ichi’ , Et tantum apropinquavi quod inter ipsum et me non erat amplius distande quam essent due baliste in longo. A t ipse statim manum suam posuit super caput meum, ita quod ipsius manus frigi ditatem in corde persensi. E t mox omnem scientiam ita me docuit quod ego scivi omnes res, que fuerunt hactenus et que in posterum sunt future. E t post hoc dixit alia vice m ichi: ‘ Machomete, quid intendunt gentes seculi de negocio et societate celorum ? ’ E go quidem respondens d ix i: ‘ Domine, intendunt ad verbum illud quod in Alkoran scriptum est: haldaraiet vhalkaforat’ (183). Dixit quoque michi Dominus: ‘ Quid vult dicere « vhalkaforat» ’ ? E go nempe respondi quod « vhalkaforat» vult dicere tam quam movere pedes pro eundo ad machomeriam (184) ad oraciones Do mino faciendas. Tunc enim dixit michi Deus: ‘ Machomete, modo tetigisti purissimam veritatem ’. E t demum dixit: ‘ quid vult dicere « h a ld a ra ie t» ?’ et ego respondi: ‘ «hald araiet» vult dicere tanquam: salutare gentes et eis bonum dare ac letanter comedere, ipsoque tempore facere oraciones quo gentes alie dormiendo quiescunt’ . Tunc enim Deus dixit michi: ‘ Ha, Macho mete, modo video quod repletus es gracia mea et omni scienda, quia veri tatem scis totam; et, prout ipsam scis, vade et sic eam dic tuo populo et ostende ’ .
§ 126 . Distinctio L. capituli. Postquam Deus dixit michi hec verba et me prout vobis narravi sua replevit gracia, nichilominus ipse plus michi in hanc maneriem est loqu tus: ‘ Scias, Machomete, quod ego populum tuum magis diligo amore tui quam aliquem alium. E t quia volo quod ipsi propinquiores sint michi quam alii, dono eis et eciam tibi precipio ex parte mea ipsis injiungere quod quinquaginta vicibus die quolibet oraciones faciant et sexagiuta diebus in anno jejunent. E t dum jejunia hec et oraciones faciant cum suis rogaminibus (18s), ego ex nunc in antea ipsis obligor quod eis Paradisum donabo ’.
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E. Cernili
§ 12 7 . [,Maometto ottiene da l Signore che le preghiere siano cinque sole a l giorno,] E t quant ie Mahomet oi ce, por le grant amor, que ie avoie a Nostre Segnour et por la grant dotte de li, ie ne l’osoie prier du tot qu’il m’alegiast des ieuns por qu’il ne semblast covoitise (*86) de mangier; mes de oreisons li priei ie qu’il les me deust allegier. Dom il me respondi : 1 Ma homet, les L oreisons que ie t’avoie enchargiez que tu faisses faire ad ton pueple (2* col.) chasque iour, ie les alliege por amour de toi ; et les retorn en V et qu’il en facent les trois de iour et les deus de nuit a sez ores assegnies et a toz les proiers et lor enclinemenz com il convient ad elles ; et les « halmohadens » (ls1), qui sunt celx... (l8S) quant il crieruntsi mettent les dois la ou il se convient. E t quant il feront ces oreisons, lor donrei Paradis, sicom ie t’ai dist. E t prenrei les V oreisons en leu de les L. E t se auqun de ton pueple fera auqun bien, ie le conterai por d is; et se il fera auqun pechie, ie ne le conterei que por un ; et se il en demandera pardon, si ie le quitterei du tot, qu’il ne m’en sovendra de rien, quar ie sui li piteus et le misericordieus E t quant ie Mahomet vi la grant merci et la grâce que Nostre Sires me fesoit, si ei honte de lui plus requerre ne demander. An[z] pris congie de lui et m’en vign.
L I. Ce est le devisemeht du L I chapitre. § 128. [Maometto incontra nuovamente Mosè.] Apres ce que ie Mahomet, profete et messagier de Diex, ei pris congie de lui, sicom ie vos ai conte, et ie m’en venoie par la, doni ie estoie primierement (f. 3 1 r) alez, les cortines devant dittes se comencerent ad lever por elles meismes li un apres l’autre, sicom elles firent ad l’aler que avoie fait devant. Et en ce que ie descendoie, si vign au ciel ou ie trovei Moysen mon frere. § 129. [Mosè induce Maometto a tornare dal Signore, che riduce i l dig iu no a 30 g io rn i.] E t sitost com il me vist, si me demanda que ie avoie fait avec Nostre Segnour. E t ie li dis coment il m’avoit mo[u]t bien receu et moût fait d’onour; et que les L oreisons, qu’il m’avoit primierement enchargies que ie feisse faire ad mon pueple chasque iour, si les me torna en V par amor de moi ; et que de ces V oreisons, il en feissent les III de iour et les deus de
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Il Libro della Scala §
14 9
12 7 .
Et cum ego Machometus hoc audivi, pre maximo amore quem habe bam erga Deum et eciam pre timore ipsius, non ausus sum rogare eundem ut ex toto prenotata michi alleviaret jejunia, ne forte gulositas (186) vide retur aut cupiditas comedendi; de oracionibus tamen rogavi eum ut michi alleviare deberet easdem. Ipse quoque respondens d ixit: 1 Machomete, illas L oraciones quas injunxeram tibi facere fieri a populo tuo die quolibet, ego amore tui áilevio; et ea in quinque reduco; et quod ex eis faciant tres de die et duas de nocte, horis suis deputatis et cum rogaminibus et inclinacionibus (2® coi.) ut convenit ad easdem, « almohaden » ( 187) aut illi (i88) scilicet qui ad oracionem vocant, cum vocaverint, mittant suos digitos ubi decet. E t cum ipsi oraciones istas fecerint, dabo eis Paradisum, prout tibi jam dixi. Accipiam namque illas quinque oraciones loco 'dictarum quinqua ginta. E t si aliquis ex populo tuo fecerit bonum aliquid, illuc pro decem eciam computabo; si vero malum unum, non computabo nisi pro uno; et si veniam inde pecierit, quitabo (i89) ipsum ex toto; nec reducam ad memo riam inde quicquam, quia ego sum pius et misericors venieque largitor’. E t quando ego Machometus vidi pietatem et graciam magnam, quam michi Deus faciebat, verecundatus sum ultra ipsum requirere aut ab eo amplius postulare. Ymo pecii ab eo licenciam et recessi.
§ 128 . Distinctio L I. capituli. Petita quidem a Deo licencia per me Machometum prophetam ipsius, et prout dixi vobis, et me redeunte per viam illam qua primo iveram, ecce cortine supradicte inceperunt se elevare per se ipsas, una post aliam, sicut ipse antea fecerant in itinere modo primo. Et dum descenderem, veni ad celum, ubi Moysen fratrem meum inveni.
§ 129 . Et sic cito cum ipse me vidit, quesivit a me quid cum Deo fecissem. E go autem narravi sibi quomodo ipse me valde bene receperat et multum contulerat honoris; et quod illas quinquaginta oraciones, quas michi injun xerat facere fieri a populo meo diebus singulis, idem amore mei in quin que reduxerat; et quod ex eis quinque oracionibus tres de die facerent et
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150
E. Cernili
nuit, sicom il est devant dit. Mes deu ieun de L X iours ne me fist il rien de l ’allegier, ne ie ne l’en requis par honte que ie avoie de lui plus requerre, tant avoit il me fait d’amour et de grâce. E t atant Moises me respondi et dit: ‘ Mahomet, beau frere, ie te conseil que tu retor ad lui et li prie qu’il te doie allegier les ieuns, quar ton pueple ne le porroit suffrir en nulle maniéré E t ie si crui ad Moisen mon frere (19°) et retornei ad Nostre Segnour et le priei qu'il me deust allegier le ieuns. E t il les (:a1 col.) m’allegia et si en osta X iours. Et puis m’en revign ad Moysen et lui dis cornent Nostre Segnour m’avoit allégiez le iuner de X iours. Et Moyses me dist que ie tornasse autre foiz et le me feisse de plus allegier, quar unquor ne le porroit mon pueple suffrir. Et adonques ie retornei et li priei tant qu’il en osta autres X . Et puis m’en revign ad Moisen et li contei ce que ie avoie fait sor celle besoigue. Et il me redist que ie deusse retorner unquor et les feisse plus allegier. Et ie atant retornei ver Nostre Segnour et li priei qu’il les m’allegiast unquor de plus ; et il li fist d’autres X iours, issinc qu’il ne demorerent que X X X iours soulement. E t puis m’en revign ad Moysen (m ) et li contei li allegiement devant dit; et il me pria autre foiz que ie deusse retorner. Adonques ie li respondi et dis : ‘ Ha, Moyses, mon treschier frere, ie jur par le nom de Diex qe ie ne retornerei plus ad lui sor ceste besoigne, quar honte me sembleroit de tant retorner et me dot qu’il ne li fust ennui et qu’il ne le tenist ad glottonie, se plus l’en priasse’ . E t atant pris congie de lui et m’en vign.
LU. Ce est le devisement du L IÏ chapitre. § 13 0 . [L 'A n g elo Rid-wân dà a Maometto le quattro bevande.] (f. 3 1 v) E t quant ie Mahomet, profete et messagier de Diex, me parti de Moisen, [si corn] ie vos ai conte, ie trovei Gabriel et Ridohan, li trésorier du Paradis, qui parloient ensemble. E t vi que Ridohan tenoit en sa main IV poz de terre moût beaux et me dist issinc: ‘ Mahomet, ces IV poz me sunt donez que ie te doign ad boivre d’elx tant com tu vou d ras; et ce que tu ne voudras, si lasce! ’ . E t tantost il tendi ver moi sa main et me dona l’un des poz et me dist : ‘ Boi de ce, Mahomet, tu qui es esleuz entre toz les autres homes du monde ’. Atant ie pris le pot et senti que sa fieurour me sembloit ad musc et sa savor ad lait. E t si le
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Il Libro della Scala du as d e n octe, p rou t su periu s est ex pressu m . nich il m ich i fecit in a llev a cion e
eoru m ,
151 S e d d e je ju n iis L X dierum
n ec e g o
ipsum
req u isivi exin de,
pre v erecu n d ia qu am h a b eb a m in eum req u iren d o ulterius, qui tantum m ichi g ra cie con tu lerat et am oris. A c M o y se s m ich i resp on d en s d ix it: m ete, frater m i, co n su lo tibi
q u o d ad
tibi d eb ea t alleviare je ju n ia , q u ia
D eu m
p op u lu s
revertaris
‘ M a ch o-
et eum exora ut
tuus ea n on p osset aliquatenus
su stin e re ’ . E g o tan dem cre d id i M o y s i ( i9° ) ; et, ad D eu m reverten s, r o g a v i eu m ut m ichi alleviare jeju n ia dign aretu r. Ip se q u id em alleviavit ea m ichi e t su btraxit ex in d e
d e ce m
dies.
P ostea
v e ro
ad M oy sen rediens retuli
s ib i q u o m o d o D e u s a llev ia v era t m ich i d e d ecem d iebu s jeju n ia m em orata. M o y e s autem d ix it m ich i q u o d ad h u c a d D eu m rev erterer et eum rog a rem ut ea m agis alleviaret, q u ia p op u lu s m eus a d h u c ipsa sustinere non p osset. E g o v ero a d h u c ad
D eu m
reversu s
sum
et eum
su per
h o c ex ora v i
in
tan tu m q u o d ipse a lios d ecem dies ex je ju n iis an tedictis s u b (x 1 8 ® )traxit. E t d ein d e rediens ad M oy sen sibi q u id su p er e o n e g o c io feceram recitavi. A t ip se iterum m ich i d ix it q u o d a d h u c ad D eu m reverti d eberem et allev ia ri facerem ipsa m a g is.
E t sic
alia v ic e
ad
D eu m
red ii e t ipsu m
ut
m ich i ea plu s alleviaret su p p liciter e x o r a v i; ip se q u id em h o c faciens a lle v ia v it ea de
aliis X
diebu s, ita q u o d X X X
s o lu m m o d o
rem anserunt.
Et
dein d e, reced en s a D o m in o , veni a d M oy sen ( i9°) ei alleva cion em referens p re n o ta ta m ; ipse q u o q u e a d h u c m e r o g a v it ut ad en im sib i resp on d i e t
d ix i :
p e r n om en
nunquam
D ei q u o d
‘ H a,
M oyses,
D eu m
frater m i
su per h o c
n e g o c io
reverterer. E g o
karissim e, ju r o tibi am plius revertar ad
D o m in u m , quia tantum reverti m ich i v erecu n d u m q u od a m m o d o videretu r, et, tim en s ex h o c g ra v a ri eu n d em , d u b ito q u o d ipse n on repu tet in g u lo sitatem qtrandam, si eu m su p er h o c m a g is ex ora ri
c o n t ig a t ’ . H iis autem
s ic peractis, recessi a M o y s e licen cia postu lata.
§ 130 . D istin ctio L I I . ca p itu li. E t c u m e g o M a ch om etu s p rop h eta et nuncius D e i recessissem a M oy se, sicu t p red ixi v ob is, e c c e in ven i G a b rielem et R id o h a m , thesaurarium Para disi, qu i insim ul loq u eb a n tu r.
Et
v id i
ecia m
quod
m anu sua qu atu or vasa terrea v a ld e pu lcra, et d ix it
R id o h a m m ic h i:
tenebat in
‘ M ach om ete,
ista q u a tu or vasa data sunt m ich i ut ipsa dem tibi ad b ib en d u m quantum in d e
v olu eris et q u o d
m anum
suam
versus
ex
me
eis n on
v olu eris
d e r e lin q u a s !’
Et
m ox
ipse
p o rrig e n s, d e d it m ich i unum ex vasis et d i x i t :
1B ibe ex h o c, M a ch om ete, tu qu i es in ter alios om n es h u ju sm od i h om ines p re e le ctu s ’ . E g o autem vas a ccep i et senciens q u o d eius o d o r assim ilabatur
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E. Cerulli
152 b u i trestot.
E t a pres m e d on a le seg on t, qui fleroit ad am bre et le savou r
e stoit d e m iel. E t ie le mis a ma b o u ch e et si en fiz ce qu e a v o ie du p rim ier
fait.
E t pu is
me
don a
le tierz et senti q u ’il fleroit ad m u sc et sa
sa v ou r estoit d ’a iv e et elle ere tant clere et tant sa v oreu se q u e nul cu eor d ’ o m e pen ser ne le p o r r o it ( 2 a c o l.). E t m e d is t : ‘ B oi ce, M ah om et, tu qu i est exau ci ( l92) sor to z les h om es du m o n d e ’ . A tan t ie p ris le p o t et le bui tôt. E t puis m e dist : ‘ Pren ce autre p ot, M ah om et, tu qu i es le m ieuldres hom e
de
m on d e et li plus avant d e N ostre S ire D ie x ’ . E t ie le p ris et
con ui q u e la flerou r et la sa v ou r d e li sem b loit ad vin. A ta n t ie le d eg n ei
et le lascei ad b o iv r e .
des-
E t G a b riel co m e n ca assorrire et m e d is t:
‘ M a h om et, te tien tu p o r m au parez ( l93) de cestui darreain b e v r a g e ? ’ . E t ie lui resp on d i : ‘ O il ’ .
[Significaio allegorico delle quattro bevande.]
§ 131.
E t il m e redist : ‘ O r sachez, M ah om et, q u e li p rem ier p o t, qu e N ostre S ires
te
l’ o m e
plu s
don a ,
segn efie
que
ce : sico m
le
lait n orist et g o v e rn e le co r p s de
nul autre b o iv re , si g o v e rn e ra et n orira N ostre S e g n o u r
ton p o e p le sor to z les autres iu squ ’ a la fin. D e l ’ autre p o t, qui estoit de m iel, sach ez
q u ’ il te fu
d on ez
por
ce que issinc co m le m iel est ch o se
m ed icin a b le et entre en p lu sou rs m ed icin es, au sin c sera il m ed icin e d e ton p u o e p le iu sq u ’au derreain iou r. L ’ autre p o t qu i estoit d ’a iv e te d on a p o r ce
que
s ic o m
l’a iv e
si m on defiera il et
m on d efie et n ette les ord u res plus q u e autre ch ose, tenra net ton p u e o p le s o r (f. 3 2
r)
toz les autres qui
furent, qui sunt et q u i serunt. E t du p o t d e vin , qui fait faire a d les gen z m oû t d e follies et d ’ ord u res, te d i ie q u e p o r ce q u e tu le d esd eig n a s et ne le v ou sis b o iv r e , si ostera D ie x d e toi et d e ton p u o e p le
tottes folies
et tottes o rd u res. M es le vin v os est défen du a d toi et ad eau lx p o r iam eis, fo r celui q u e v o s heures en la g lo ir e d o u Paradis ’ .
L U I. C e est le d ev isem en t d u L U I ch apitre. § 132.
[La chiusa d'acqua chiara.']
Oi
avez co m e n t G a b riel m ostra ad m oi, M a h om et p rofete et m essagier
d e D ie x , la sign ifian ce d es I V p o z d evan t ditz ; et quant il m ’ o t c e m ostre, si
m e p rist p a r la m ain et m ’am m ena a plus bas P aradis. E t m e m ostra
une a iv e q u e ere plu s b lan ch e et plus clere qu e n ulle autre a iv e et plu s
d ou ce
assiez
qe
m iel.
estoi
E t s o r celle aive a v o it d o u travers ( l9‘ ) une
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Il Libro della Scala m u sco et sa p or lacti,
b ib i
illu d
totu m .
153
P ostea
m ich i
cujus o d o r erat a d m od u m am b re et sa p or ad m od u m illud ad os m eum feci d e ip s o
quod
feceram
m ich i don ans, sensi q u o d re d o le b a t ad ad m od u m a q u e ;
secu n du m m ellis.
d e p riori.
m odum
m u sci
trad idit
E t p on en s
D ein d e
tercium
et ejus sa p or erat
nam ipsa tam clara erat et tam ecia m
sa p orosa
quod
nullum c o r h om in is c o g ita r e h o c p osset. E t d ix it m ich i : ' B ibe h o c, M a ch o m ete, tu qui exaltatus es su per om n es h om in es h uju s qu idem vas accip ien s totu m
b ib i.
P ostea v e r o d ix it :
m u n d i’ ( m ). ‘ A c c ip e
hoc
E go aliud,
M a ch om ete, tu qui m elior es cu n ctis hujus m u n di h om in ib u s m a g isq u e D ei p r e fe c tu s ’ . E g o ecia m vas a ccep i
et co g n o s ce n s
quod
odor
ipsius
atqu e
sa p or assim ilabatur vin o, ipsu m abh orru i et b ib ere dereliq u i. G a b riel q u o que, su bridere incipiens, dix it
m ic h i:
‘ M ach om ete, tenes
te m ale d e
hoc
p otu u ltim o p r o p a r a t o ? ’ ( 193). E t sibi r e sp o n d i: ‘ U t iq u e ’ .
§ I31· At
ip se
iterum
d ix it m ic h i:
‘ Scias,
M a ch om ete,
q u o d p rim u m vas
q u o d D eu s tibi d on a v it h o c a p erte sign ificat (2® c o i.) : v id e lice t q u o d sicu t lac nutrit et gu b ern a t co rp u s
h om in is
D eu s p op u lu m tuum u squ e a d finem
m agis qu am
alius ullus
potu s, ita
su per om n es alios nutriet a c eciam
gu bernabit. D e alio vase q u o d m ellis erat scias ipsu m tibi datum fuisse e o q u o d , sicu t m ei est res m ed ica b ilis et intrat in m edicin as qu am plures, ita ipse u squ e ad d iem ultim um erit tui pop u li m ed icin a. A liu d q u id em vas q u o d aqu e erat tibi d on a v it e o q u o d , sicu t aqua m u n dificat et a b sterg it im m u nd icias plus qu am alia res q u ecu m q u e, ita ipse u squ e ad d iem ju d ic ii p o p u lu m tuum m u n dificabit et m u n du m tenebit, su p er om n es a lios q u i fuerunt hactenus et q u i m o d o
sunt v e l qui in p osteru m su bsequ entur. D e vase
nam que vin i, q u o d g en tes a d
stulta p r o v o c a t et ad
im m u nda
sollicita t,
d ic o tibi q u o d q u ia ipsum d ed ig n a tu s es n ec b ib ere cu ravisti, au feret D eu s a te tu oq u e p o p u lo stulticias om n es et im m u n d icias universas. V eru m tamen tibi ac eis vinum
sem p er erit p roh ib itu m ,
e x c e p to
illo q u o d in Paradisi
g loria c o n b ib e tis ’ .
§ 13 2 · D istin ctio L I I I . capituli. A u d ivistis q u o m o d o G a b riel osten d it n un cio D ei, sig n ifica cion em va soru m
m ich i, M a ch o m e to , p ro p h e te et
q u atu or
p r e d ic to r u m ;
et h o c
m ichi
ostenso, a ccep it m e' p er m anum et du cens ad in feriorem P aradisu m , osten d it m ichi qu a m d a m aqu am qu e m a gis alba erat m a g isq u e clara qu am aiia aqua ulla et d u lcio r et satis m eile.
E rat en im
su per aquam
illam ,
non
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E. Cernili
154
e sclo s e qu i estoit totte d e cristal et d u ro it L X X
m il lieu s ( 195) d u Ione et
d u la r g e tant coin h om pu et plus lo ig n g a rd e r d es u o e lx en plain e terre. E t s o r celle e sclos e eren t tant de hanas ( I96) d ’ o r et d ’ argent co m (2* c o l.) il i a nues ou ciel, qu ant il en est plu s plein ( 191). § 133.
[A chi è destinata l'acqua chiara della chnisaJ]
E t ie
d em a n d ei
ad
G a b riel q e c e estoit. E t il m e resp on d i et d ist
q u e ce ere une esclose, q u e N ostre S eig n ou r m ’a v o it don ee et m ’ a v oit en li fait plus d e g r â c e et d ’ o n o u r q u ’ il ne fist on q u es ad nul autre profete. E t a v e c ce il m e d is t: de
ceste
e sclo s e
‘ S a ch ez
b evra;
qu e m oû t est bien h eurez qu i d e
l’ aive
q u ar nul n’ en porrà tant b o iv r e q u e m al li face
ne q u ’ il aie talent du regettir.
E t plu s gran t talent on t ce lx du Paradis
d e b o iv r e d e celle aive q u e d e toz les autres q u e i sunt. M es ia nul n’ en b e v ra se ce lx n on, qui cro ie n t en toi, M ah om et, et qui ne te lascent ( 49S) p o r nul autre p rofete q u i so it este d e ci en arrier o qui vieg n e p o r avant. §
134.
\Gabriele annunzia a Maometto il volere del Signore che egli visiti l'inferno.]
U n q u o r m e d ist G a b riel issin e:
‘ S ach ez, M ah om et, qu e
N ostre S ire
D ie x t’ aim e tant q u ’il v u o lt qu e ie te m ostre tottes figures d e les gen z qu e v iv en t o r e n d r o it et d e to z ce lx qu i m ors sunt. E t ausine v u o lt q u e tu v oies c o m e n t li en fer est et les ch oses qui d ed en z i sunt. E t apres ce, les p oin es et les torm en z q u e su oefren t les m escrean z ; et issine c o m tu les verras, (f. 3 2
v)
si les diras et dem ostreras ad ton p u oep le, p o r ce q u ’ il sach en t q u elx irunt ad
les
p oin es d e
l ’enfer et q u e lx
q u ’ il fa cen t s o lo n c
ce
non. E t v u olt ausine qu e
tu lo r dies
q u e tu lo r com en d era s ’ . A ta n t ie ren d i grâ ces ad
G a b rie l et le priei q u ’ il, issine co m il m ’ av oit dist, m e d em ostra t les ch oses.
L IV . C e est le d ev isem en t du L I V ch apitre. §
135.
\La costruzione dell’inferno ed il pesce che la sostiene.]
Quant
ie
M a h om et,
p ro fe te
et m essagier
de
D ie x , ei p rie G abriel
q u ’ il m e m o stra i les ch o se s devan t dittes, il m e p rist p a r la m ain et m e co m e n ça
ad
c o n te r
issin e: ‘ S a ch ez, M ah om et, q u e d e s o z ceste terre ou
les g e n z sunt si a autre terre q u e est totte d e feu et les g en z q u e i sunt ausine.
E t si i a m er d e feu ; et to z les p e iscion s q u i i sunt d eden z. E t
a p res celle terre si
en est un autre d e feu et un autre m e r ; et les g en z
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Il libro della Scala secu n du m
lon g u m
sed
secu n du m
155
latum ( 194), illius clausura q u ed am , que
tota d e cristallo existens du rabat per L X X
m ilia leu gu aru m ( 196) in lo n g o ,
et tantum in a m p lo qu antum plus h o m o p otest in plana terra p rop riis ocu lis respicere a lo n g in q u o . N am su per clausuram illam tot erant cip h i aurei ( 19e) et argentei q u o t sunt in c e lo nubes, q u a n d o ( 197) plus n ubibu s plenum extat.
§ 133· E g o v e r o qu esivi a G a b riele q u id h o c esset. Ipse q u id em respon den s dix it q u o d erat clausura q u ed am qu am D eu s m ichi d on a v era t et plus m ichi quam ulli p rop h ete alii con tu lera t et h on oris.
E t p o st h o c
eciam
m ichi
d ix it: ‘ S cia s q u o d va ld e ben e fortunatus est ille qui d e clausure h u ju sm od i aqua b ib e t ; q u ia nullus e x ea tantum
b ib ere
p oterit q u o d
eum
offendat
vel q u o d reicien di h abeat volu n tatem . N am illi d e P arad iso m agis bib ere ex h a c aqu a desideran t qu am d e om n ibu s aliis q u e sunt ib i. S e d nunquam b ib et aliquis ex eadem nisi solu m illi qu i in te, M a ch om ete, credu n t et qui te p ro n u llo alio p rop h eta relinquant ( l98), qui hactenus fuerit aut in p o s te rum sit venturus.
§ 134· D ix it q u oq u e iterum ita m i c h i:
‘ S cia s,
M a ch om ete,
quod
D om in u s
noster tantum te d ilig it qu am ip se vult ut osten dam tibi figuras cunctarum gen ciu m , (1 1 9 ?-) q u e nunc vivu n t et q u e d e V u lt enim sim iliter
quod
v id ea s
quom odo
h o c se cu lo eciam transierunt. infernus factus est et que res
ib i intus sunt. E t p ost h o c eciam penas et torm en ta q u e in eo d e m su sti nent infideles et sicu t ea v id eris ita p o p u lo tuo d ices et osten des ut sciant qui sunt ituri et qui n on ad inferni su p p licia e x eisdem . E t n ichilom inus vu lt eciam q u o d d ica s p o p u lo tu o ut faciant p rou t eis p recep eris faciendum ’ ’ H iis d en iqu e sic peractis, grates G a brieli exsolven s, r o g a v i eum ut res ita osten deret prou t d ixerat ip se m ichi.
§ r35D istin ctio L I V . capituli. C um e g o M ach om etu s p rop h eta et nuncius D e i rog a v issem G abrielem q u o d m ichi res osten d eret su pradictas, hanc
m aneriem
narrare
in c e p it :
ip se m e
p er
m anum
accipiens in
‘ S cia s, M a ch om ete, q u o d subtus terram
istam , ubi gen tes sunt, est alia q u ed a m terra d e ig n e tota et gentes sim i liter qu e sunt ib i. E t est ibi eciam m are q u o d d a m ig n e u m ; et p isces om n es qui in e o existunt. E t ju x ta terram illam est q u ed a m alia de ig n e sim iliter
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K. Cerulli
15 6
et les p e scio n s qu i i sunt toz sunt d e feu. E t issinc sunt la V I I terres, li une d e le z l’ autre ; et en ch a sq u n e d ’ elles a une m er ; et sunt d e feu ces terres et ces m ers et les g e n z et les p escion s q u i (2* c o l.) i sunt ausinc. E t les créatures q u e i sunt, d e q u eq u e m an iéré soien t, sunt d e feu trestoz ’ . E t ie dem a n d ei ad G a b riel et le priei q u ’ il m e d ist q u e ch o se e stoit d e
soz
celles te rre s; et il m e resp on d i et d ist q u ’ il i a v o it une p ierre q u e sosten oit les terres d evan t dittes et d e s o z celle p ierre estoit un p escion , qui la sosten oit. E t ce p e scio n si tient sa teste et sa c o e ioin tes en sem ble en m aniéré
d ’ une
p e scio n .
E t il m e resp on d i
cercle.
E t pu is
fo r qu e
oscu rte d e
ten ebres.
lui dem an dei q u e c h o s e estoit d e s o z ce
q u e d e s o z celi p e s c io n n ’ estoit autre ch ose, E t de qu i en avan t nul ne sa v oit q u ’ il i a,
for D ie x . § 136.
[La terra e l'Angelo che sut dorso di un pesce la sostiene.]
E t apres ce le priei ie u n q u or q u ’il m e d ist q u i sosten oit celle terre ou nos esto io n s ad d on q u es. E t il m e resp on d i e t d ist q u ’ elle se sosten oit par le co m a n d e m e n t N ostre S e g n o u r. E t ie lu i d is : ‘ E n qu el m aniéré est ce
c o m a n d e m e n t ? ’ . E t il m e d is t : ‘ T u as bien d em a n d e. S a ch ez qu e le
com a n d em en t est en ceste m aniéré q u ’il i a une p ierre verd et la tient un a n g e en sa p au m e.
E t li an ge si est en p ies, estant so r le d o s d ’ un p e
scion , qu i est tresgran t (f. 3 3 r ) et si fo r t q u ’il sueffre et sostien t s o r soi tottes les ch o se s q u e
sunt d e
soz
le ciel. E t u n q u or te d i ie q u e ceste
terre créa D ie x par soi m eism e, q u ar elle ne se ioin t ad nulle autre terre et le m ist n om
« A ra n k a » ( iS9), q u e v u o lt tant dire co rn e :
terre p ar soi
m eism e. § 137.
[Il vento dislruggitore ed il popolo di cAd.]
Et de
soz
ceste
terre
se
m ist
le
v en t
qui
a nom en sarrazinois
« arre halakin » ( 20°), q u e v u o lt tant d ire com : v en t braaign ( 201). E t p o r ce o t il c e n om
q u ’ il est d u r et cru el e t sanz nulle pitié ausinc, c o m la
fam m e braagn e, q u e ne p o rte nul enfant et q u e n ’a en soi pitié nulle, sicom les autres ont. E t p o r ce q u ’ il est si d u r et si cru el, le fait N ostre S ires tenir enfrenez d e m il freinz d e fe r ; et ad ch asqu n frein si m ist m il an ges qu i le tienent. E t a c e v en t o c is t il D a ch an et A b ir o n et tôt lo r p u oep le ; et autre foitz o c is t un autre p u o e p le qu i a v oit n om : H a d e (***), p o r q u ’il ne v o u d re n t c r o ir e ad ses m essagiers. E t p o r ce co m a n d a D ie x au tréso rier
de
ce
ven t q u ’ il ov rist un p o i la p o r te en d roit d e celi pu eple. ‘ Et
a d on q u es ’ , d ist li trésorier, ‘ ov rirei li ie tant corn e est de la rg e d o u nés d ’ un b u e f? ’ . E t N o tre S ires lui ( 2 1 c o l.) resp on d i q u e d e tant o v rir la p orte
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Il Libro della Scala
157
serroit et m are a liu d ; ac gen tes om n es qu e ib i sunt eciam atqu e pisces. E t ita sunt ib i septem terre, una iuxta a lia m ; et in qu alibu s earu m dem est m are q u od d a m ig n e u m ; et h ee terre om n es istaque m aria n ecn on et gentes atque p isces
qui
sunt ib i
o m n ia
sunt d e
ig n e.
N am
et creatu re q u e ib i sunt
cu ju scu m q u e m aneriei existant, sunt enim ig n e e u n iv e r s e ’ . E g o autem qu esivi a G a b riele rog a n s q u o d d iceret m ich i q u id subtus terras illas existeret. A t ip se resp on d en s d ix it q u o d ib i subtus erat lapis q u id a m , qu i terras su sti n ebat ea sd e m ; et subtus la p id em illum erat qu id a m p iscis q u i ipsum Iapidem sustinebat. H ic n a m q u e piscis ten et ca p u t suum a tqu e caudam ad m od u m alicu ju s circu li sim u l ju n cta . P ostea v e r o qu esivi ab e o d e m q u id existeret sub h o c p isce . Id em v e r o re sp o n d it q u o d su b illo p isce n ichil aliud erat qu am obscu rita s tenebrarum et d ein d e
in antea q u id
ib i sit n em o
n ov it
nisi so lu m m o d o ip se D eu s.
§ 136 . P ost h o c autem r o g a v i a d h u c eundem ut d iceret m ich i q u id illam , in qu a eram us
terram
tunc tem p oris, sustineret. Ip se q u id em resp on d it et
dixit q u o d d iv in o su stinebatu r m an d ato. A t e g o d ix i: ‘ C u ju sm od i m aneriei est h o c m a n d a t u m ? ’ Ip s e q u o q u e d i x i t : ‘ B ene qu esivisti. S cias m andatum existere in hunc m od u m , v id e lice t q u o d qu idam virid is lapis est quem tenet angelus qu idam in palm a sua. E t h ic angelus su p er p ed es su os erectus stat su pra
dorsu m
cu ju sd a m p iscis,
qu i
ita m axim u s
supra se om n ia sustinet q u e su b c e lo
est et fortis q u o d ipse
existunt. E t a d h u c ecia m
tibi d ic o
q u o d D eu s creavit h anc terram p er seipsam , q u ia nulli alii terre gitur et eam n om in a -(2 * c o l.)v it
« A rauka » , ( 1S9) q u o d
co n ju n
est velut terram
d icere per se ipsam .
§ 137· S u b hac nam que terra m isit D eu s ventum qui a ra b ice
d icitu r
« arre
alakin » (*00), q u o d in terp reta tu r: ventus sterilis ( m ). E t id e o n om inatur h o c n om in e qu ia
ipse
fem ina sterilis, qu e
du rus n on
et
cru d elis est et sine u lla eciam pietate, velu t
parit et qu e nullam h a b et in se pietatem p rou t
h aben t
alie
m ulieres.
Et
ipsum
D eu s
frenatum
teneri m ille frenis fe rre is ; et a d q u o d lib e t ipsorum
q u ia ven tu s ille ita du rus et cru d elis est, facit
tenendum m ille a n g elos d epu tavit.
O c c id it
enim
D eu s h o c v en to D athan
et A b iro n et eoru m p op u lu m u n iv e rsu m ; et alia q u id em v ice o c c id it sim i liter q u em d a m
alium
p op u lu m
qu i n om in abatu r H a d e ( so*)
ipsi cre d e re nunciis n oluerunt eju sd em .
p r o eo q u o d
P recep it o b h o c D eu s thesaurario
h u ju s venti q u o d porta m versus p op u lu m illum aliquantulum aperiret. T u n c
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i
E. Cerulli
53
assez p o r destru iré tôt le m o n d e ; ‘ m es u evre-la tant com est le g ro s d ’ un d o i d ’ tm p etit enfant ’ . E t il issinc le fist et Iascia ( 203) escir ce v en t con tre celu i
p u o e p le
V II
iou rs et V II
nuiz et les o cist trestouz. E t a ce v en t
destru era N o stre S ires, un p o i d evan t le iou r d e ju ise, tottes les m on tagn es, le [s ] ch asteau x, les villes et trestouz les édifices qu i sunt sor la q u ’ il n ’ i d em orra rien, sico m m oi :
terre, si
il m eism e dist en l ’A lk o ra n et le con ta ad
‘ S e nul te d em a n d e q u e sera des m on tagn es au iou r d e ju is e , tu
li resp on d ira s q u e ie les arrach ierai tottes de lo r racines et les torn erei en plain, si q u ’ il n ’i aura de sor la terre nul lieu qui soit plus ault qu e l ’ autre ’ ( 204). § 138.
[Il vento distruggitore tormenta i dannatil\
E t apres ces ch oses m e con ta u n q u or plus G a b riel q u ’ il m e dist qu e a ce v en t fera N ostre S e g n o u r torm en ter les p ech eou rs en enfer, qu ar ce v en t les escorch era trestoz et la flam m e du feu les brû lera apres. E t issinc serunt il torm entes tant du rem en t q u e nul ne le p o r r o it con ter.
LV. (f. 3 3 ^ ) C e est le devisem en t du L V ch apitre, g 139.
[La seconda terra delVinferno ed i suoi scorpioni.']
V o s a v ez o i corn en t
G a b riel m ’ a con te
les ch o se s
que
eren t en la
p rim iere terre d e les V I I terres d evan t dittes et cornent elles estoien t de feu trestottes et les m ers, les gen z, les p escion s et tottes les créatures que i eren t ausinc. O r v o s d irei d e la se co n d e , sico m
il m eism e
me
m ostra.
S a ch ez q u e ceste terre si a n om « h a lg ela d a » ( 205) et est m oû t gran t. E t iq u i m ist N o stre S ire
D e u x les e sco rp io n s d e
l ’ enfer,
q u i sunt si gra n z
co m m uls et lo r co e s lon g u es co m une haste d e lan ce o plus ; et en ch a squ ne c o e si a C C C L X nous. E t ch asqu n n ou si a C C C L X corn es. E t en ch asqu n co rn C C C L X p oz, qu i sunt toz pleins d e venin, qui est si
très-
fort qu e, se h o m m eist tant sou lem en t un d e ces p o z en un leu d ou m on de, les arbres, les aives, les bestes, les g en z et les autres ch oses sunt v iv es seroien t
destru ites d e la g ra n t
p o u o u r ( m ) qu i
totes q u e i en ist et du
tro p g ra n t ( 2 1 c o l.) h a b h orriscem en t ( 201) q u ’il rent. § 140.
[Conte gli scorpioni tormentano i dannati.']
E t ad ces esco rp io n s a N ostre S ires d on e p o o ir s o r les p ech eou rs de l ’ enfer ; q u ar qu ant il les tru oven t, si les prennent p ar les ch e v o u x d e lor testes et les e sch o rch e n t d e ch ie[Q s
iu sq u ’ a lo r pies, si q u ’il d em oren t si
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li Libro della Scala
159
thesaurarius d ix it: 1A p eria m n e e g o tantum porta m prou t est alicu ju s b ov is narium a m p lit u d o ? ’ A t D om in u s ei resp on d it dicen s q u o d porta m aperire in tantum a d d estru ction em tociu s seculi satis e s s e t: ‘ S e d aperi eam prou t spissum est parvi pueri d ig iti a licu ju s! ’ T hesaurarius qu idem h o c faciens dim isit ( 20s) ex ire ventum sep tem d iebu s et septem n octib u s con tra p op u lu m illum et o c c id it eciam ip s o s om nes.
Cum h o c eciam v en to destruet D eu s
aliquantulum ante d iem ju d ic ii om n ia m ontana, om n iaqu e castella et villas ac eciam cu ncta edificia stancia su per terram , ita q u o d nich il ex in d e rem a nebit, p ro u t ipse id em in A lk ora n locu tu s
est et
m ichi
eciam e n a r r a v it:
‘ Si quis a te qu esierit q u id d e m ontanis erit ad diem ju d ic ii, resp on d eb is ei q u o d e g o a radicibu s suis ipsa ev ellam et con v erta m in planum , ita q u od nullus ( 20) Il la tin o: « dies ratiocin ii » n on ha corrispondente nel francese, nel codice d i O xford. E l ’arabo yaw m al-hisab « il g iorn o della resa dei c o n ti» (Cqrano, X X V I I I , 1 5 . 2 5 , 5 3 ; X L , 2 8 ). (805) F rancese: « engignem enz » (latin o: « fraudes ») è in T o b r e r , I II, 1 9 3 9 s. v. (305) F rancese: « ce q u ’elle avin o u v entre » (latin o: « qu od in utero conceptu m ex tite rit »). (307) Francese: « riotes »; plurale d i « riote » « querelle », registrata in Go d e f r o y , V II, 1 8 9 2 s. v. (308) xi francese n on segue la perifrasi del la tin o che fa dipendere la perdita d ella « ferocità » dei re dalla conoscen za d ei lim iti del loro potere.
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Il Libro della Scala
245
(309) N on iden tificato. (aio) c fr . sopra n ota 1 2 8 . (»il) Francese: « d e lg ie » (latin o: « subtilis ») cfr. note 1 3 9 e 1 2 3 . (312) L atin o: « accum en » (francese: « trenchant ») non è registrato (con la c geminata) dal D u Cange:-Favre , che ha però: « accutus » (I, 1 8 8 3 , s. v .) var. di « acutus ». (313) L atin o: « tenalliis » (francese: « tenailles »). A nche qui la variante « ten allia » n on è nel D u C a n g B -F a v r e , che registra in vece: 0 tenalea, tenalia, tenalla » ( V i l i , 18 8 7 s. v .). (3U) Francese: « e r o s » plurale d i « e r o e » . I l corrispondente latin o: «u n c h is » è grafia aberrante p er « u n c is » (da « uncus » « u n c in o » ). (315) A l francese «b ro ch e s de f e r » corrisponde invece in la tin o la perifrasi: « aliis instrum entis ferreis ad perforandum aptis ». (316) L a tin o: « de credu litate ipsorum » (francese: « de leur creance »). Il latin o: «cred u lita s» è in fa tti registrato n el D u Ca n g e -F a iv r e (II, 1 8 8 3 , s. v .) nel senso di: «opin io,. sententia ». (3l1) L a tin o: « cordetenus » (francese: « p a r cueor ») è nel D u Cange-Favre (II, 1 8 8 3 , s. v .) n el senso d i « a m em oria ». (3i8) Anche qu i al francese >■broches » corrisponde una perifrasi, com e è indi cato sopra nella n ota 3 x5 . (sia) Francese: « iu s t e s » (latin o: « difficiliores »), Parrebbe da conn ettere con. «iu ste » nel senso d i ‘ d r o i t ’ ? Cfr. appresso n ota 3 3 0 . (no) F rancese: «co n tr e iu s » (latin o: «d e o r su m »). Cfr. appresso n ota 3 2 6 . (32!) Francese: « c o lo v r e c e s » (cui corrisponde in latin o il generico «p a rv is serpentibus») non è nei dizionari. LiTTRÉ registra (s. v . couleuvre) la form a «culuevre » del X I I I secolo. (322) Co r a n o , IV , 5 9 : « Q uante v o lte saranno bruciate le loro pelli, gliele cam bierem o con pelli nuove perchè essi g u stin o il torm en to. D io è possente e sapiente ». (323) F a v o ce « qu an t » è ripetu ta due v o lte n el cod ice di O xford. (324) Francese: « delivrem ent » (che n on ha corrispondente nel testo latin o). (325) Fran cese: « t o t bellem ent et le p a s » (latino: «passim su av iter»). Il Go d e f r o y , in fatti, registra « t o u t le pas » nel senso d i « aussitôt» (V I, 1 8 8 9 , s. v. Pas).
(326) Francese: « i u s » (la tin o: «d e o rsu m ») n el senso di « g i ù » , giuso » è in Go d e f r o y , IV , 1 8 8 5 , s. v. (32i) Francese: « arrabi çallam çallam »; la tin o: « arrabi, zallam » è l ’arabo: y à rabbi, sallim « Signore, salva ! ». (328) Francese: « e s p a r t » : la tin o: « corruscaci© ». Cfr. G o d e f r o y , I I I , 1 8 8 4 , s. v . espart ( = ‘ é c la ir ’ ). (m i Francese: ■. Qui, mentre ii francese ed il latino hanno soli la glossa sul significato del soprannome « al-Saddìq » di Abù Bakr, viceversa lo spagnolo soltanto cita, oltre al soprannome al-Saddlq, il nome di Abu Bakr: al-'Atiq. Ciò è abbastanza caratteristico, perchè ci fa vedere come i vari traduttori e possibilmente anche i vari amanuensi solevano aggiungere qua e là tali brevi glosse in relazione alle conoscenze che essi avevano del mondo musulmano. Tali conoscenze, comun que, non erano grandissime in quanto anche le glosse citate qui non vanno molto al di là dei limiti piuttosto elementari, che già abbiamo segnalato per le voci della lingua araba aggiunte in con dizioni analoghe nella prima parte del Libro (§ 41). E, del resto, nulla esclude che anche in questi casi Abraham Alfaquim aveva conservato le voci arabe (e quindi le relative ‘glosse) nel suo castigliano, mentre Bonaventura da Siena le eliminò nel francese e nel latino. § 13· A conclusione di questa analisi, conviene in definitiva riconoscere questo : dimostrato — come io credo di aver qui fatto — che il rias sunto castigìiano dipende dal L ibro della Scala, è stato esso redatto quasi certamente non già direttamente sul testo arabo ma sulla traduzione dall’arabo in castigìiano. Ciò vuol dire, in altri termini, che il riassunto castigìiano ci conserva passi della traduzione dal l’arabo in castigìiano, che noi sappiamo opera di Abraham Alfaquim. Non è probabile invece che esso riassunto sia stato fatto su di un testo arabo identico a quello adoperato da Abraham per la sua traduzione, ma indipendentemente. Alcuni indizi sembrano, almeno ad un primo esame, piuttosto vaghi Vediamone però ii valore: a) Delle glosse esplicative e delle voci arabe aggiunte (voglio dire che si trovano nel castigìiano e non nel latino e nel francese dipendenti dalla traduzione di Abraham) ho già detto sopra nei §§ 8, 12. Nel complesso, l’argomento però, come ho già accen nato, non ha molto peso, perchè le voci e le glosse, come ho detto, sono contenute entro limiti assai ristretti di conoscenza del mondo arabo e quindi possono essere state aggiunte da chiunque abbia avuto una mediocre conoscenza dei Musulmani, cosa non rara nella Spagna del secolo XIII.
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320
E. Cerulli
Nel § 14 del Libro della Scala nel riassunto casigliano, come ho già notato, e così nel § 39, alla menzione del Profeta è aggiunta l'eulogia rituale * que faga Dios oration sobrél e salvéle » (e cioè l’arabo ), che invece, come ho già notato, non si trova nel francese nè nel latino. Parallelamente nel § 46 alla menzione di Adamo segue l’eulogia : « que Dios salve ! » (e cioè l’arabo ovvero < E 1 Obispo de jaen sobre la seta mahometana » figura composto da S. Pedro Pascual, vescovo di Jaen dal 1296, durante la sua prigionia presso i Musulmani di Granata. Tale prigionia si iniziò nel settembre-ottobre 1297 e si concluse il 6 dicembre 1300 col martirio del santo vescovo merce dario (*). Ora la massima parte delle opere di S. Pedro Pascual è scritta in catalano: ciò che corrisponde perfettamente alla sua situazione etnica, essendo egli nativo di Valenza (z). Le opere catalane furono edite sin dalla seconda metà del secolo X V tra le prime stampe barcellonesi e sono bene attestate e sicure. Il trattato « Sobre la seta mahometana», che contiene il nostro riassunto, ed altri opu scoli in castigliano anche attribuiti a S. Pedro Pascual sono in vece in un codice unico deH’Escuriale: h II 25, del secolo XVI, copiato (o fatto copiare) dal licenciado Nunez Prior (3).
{‘ ) F r . P ed r o A r m en o or, V a x e n z u e e a , Vida de S, Pedro Pascual, R e li gioso de la M erced, Obispo de Jaen y M ártir glorioso de Cristo, Roma, rgoi,
p. 2 2 i, 2 9 8 . 19 2 0 ,
(2) J o sé R ib e é EES Co m ìn , Bibliografia de la lengua valenciana, Madrid, p. 4 4 6 -4 6 0 dà l’elenco delle opere catalane del Santo. (s) Il codice Rscurialense : h II 2 5 contiene il trattato Sobre la Seta ma
hometana seguito dall’opuscolo sulle fate e da brevi Proverbios. Secondo J. Z arco Co e v a s (Catálogo de los M anuscritos Castellanos de la Real Biblioteca de E l Escorial, S. Lorenzo ded'Fscuriale, 1 9 2 9 , voi. I, p. 2 0 8 - 2 0 9 ), il codice in que
stione è della fine del XV secolo od inizio del XVI. La attribuzione al secolo X V I è stata antecedentemente precisata da R. Menéndez Pidal (Sobre la biblio grafia de S. Pedro Pascual già in Bulletin H ispanique, 1 9 0 2 , riprodotto in B o letín de la Real Academia de la Historia, XLVI, 1 9 0 5 , p. 2 5 9 - 2 6 6 ); ed il nome 21
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E. Cerulli
Il dubbio iniziale sulle ragioni per le quali uno scrittore di Va lenza. della fine del XIII secolo possa aver scritto in castigliano corrisponde perciò anche alla incertezza, anzi dirò alla carenza di una tradizione manoscritta. Ma vi è di più. All’inizio del suo trat tato « Sobre la seta mahometana > l’autore accenna alla questione del nome di Dio : « e nos los de Castiella pro uno Deo dezimos e pronunciamos: ‘ D ios’, asi que la segunda letra es i e la ter cera í e la quarta s » ; ma la s finale del castigliano non è un se gno di plurale, come malvagiamente si insinua : * onde en latin escrivimos e pronunciamos : ‘ Deus ’ ; e, aun en romance ‘ Deus ’ escriven e pronuncian muchos christianos, los frangeses : ‘ Deu ’ sin .V, e los romanos e otros que fablan esa idioma, conviene a saber, lenguaje romange, aljamja, toto es una cosa, este nombre ‘ Deu ’ pronuncian sin s » (*). È possibile però che uno scrittore Valen zano, sia pure componendo in castigliano, abbia citato così il fran cese ecc. dimenticando che nel suo proprio linguaggio (catalano) appunto il nome di Dio è ‘ Deu ’ senza la s finale ? Ancora, nella premessa del trattato * Sobre la seta mahome tana » l’autore dice, a proposito della sua opera: «trasladé de latin en romange, llanamente no por rimas ni por concordangas, por razón que los rimadores suelen añadir o menguar en la verdad, la historia de Mahomat asi como fallé escripia en los nuestros libros que fueron escriptos por algunos de nuestros sabios que fueron en el tiempo que comengó Mahomat; y demás de lo que se contiene en esa historia, escriví algunas otras cosas que me dixeron algunos moros, cuydando alabar su ley, e que fallé escriptas del copista è stato correttamente letto in; «Licericiatus Nufiez Prior a, come ha indubbiamente provato il facsimile edito dal P. P. Pita {Incidente bibliografico . in B oletin de la R ea i A ca d em ia de la H istoria cit. XLVI, 1 9 0 5 , p. 2 6 6 - 2 6 9 ). Re stò così escluso il riferimento, che precedentemente si era creduto (erroneamente) leggere nel ms., al nome di un Martinez, personaggio della Diocesi di Jaen del secolo XV. A questi dati il P . Luciano R u bro cortesem ente aggiunge ch e n el cod ice si n otan o due m ani distinte. A d im a van n o attribu iti i fi. 32 a ; 3 4 r , v ; 36 r , v ; 3 8 r , v ; 4 0 -4 2 ; 4 4 -4 5 ; 4 9 r, v ; 51 r, v ; 5 3 r, v (del testo d a n o i p u bblicato) ; a ll’altra m an o g li altri fogli. L'am anuense p rim o scrive sempre « G abriel », il secon d o « Grabiel » ; il secon d o scrive la cediglia con un p u n to so tto la c. Si aggiunga che ovviam ente l ’ u a o e l ’altro, per qu anto fortunatam ente in p och i casi, alcune v olte per distrazione m odernizzano (al secolo X V I ) qualche antica grafia.
(*) Edizione Armengol Valenzuela, voi. IV, p. 7 .
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Il Libro della Scala
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en los libros de los moros » ('). Dunque, tre categorie di fonti : autori latini sulla vita di Maometto ; informazioni verbali da A rab i; autori arabi. La prima categoria di fonti, quelle latine, corrisponde a quanto 10 stesso autore dice nell’altro opuscolo « Contra el fatalismo mu sulmano » : < Conosco de todo lo que yo trasladé de latin en ro mance, si otro orne lo trasladara e lo romaneara, en quien Nuestro Señor Jesu Christo pusiera mayor gratia de letradura e de enten dimiento e de buena palabra, muy meyor e mas cumplidamente pudiera dezir e explanar e remangar lo que romancé » (2). Ora non sembra che questo sia davvero il tono che si possa aspettare da un autore come S. Pedro Pascual, il quale — secondo la tradi zione — avrebbe scritto questi due opuscoli in prigionia dei Mu sulmani e lontano da ogni possibilità di studi tranquilli. Si ricordino, a questo proposito, le malinconiche osservazioni di S. Pedro Pascual nella sua « Disputa contra los Jueus », il suo principale scritto in catalano, nel quale dice di sè stesso « algún hom enantat » che « sta en loch strany, hon tot dia veu so que li desplau (3) ». Per quanto poi concerne specificamente la nostra ricerca la improba bilità che S. Pedro Pascual abbia davvero composto i due opuscoli di polemica musulmana sembra aumentare se si accetta, come abbiamo detto sopra analizzando il riassunto del L ibro della Scala, che l'autore del Sobre la seta mahometana abbia avuto per tale rias sunto come sua fonte non già il testo arabo del Kitab al-m Sràg, che nemmeno forse un prigioniero cristiano a Granata avrebbe potuto facilmente procurarsi e farsi tradurre, ma invece la tradu zione, e proprio quella castigliana, del Libro della Scala. Una definitiva asserzione sulla questione non può esser fatta senza uno studio minuzioso dei due intieri testi (« Sobre la seta mahometana » e « Contra el fatalismo musulmano »), studio anche storico-linguistico che va molto al di là dei limiti di questo libro, per il quale soltanto la parte di uno di quei due testi che contiene 11 riassunto del Libro della Scala va considerata. Ma è augurabile che gli specialisti riesaminino criticamente il problema dell’autenticità degli scritti castigliani del Santo martire di Valenza. In tale (1Í E d . Arm engol Valenzuela cit., voi. I V , p. 3 .
(2) Ed. Armengol Valenzuela cit., voi. Ili, p. 9 1 . (3) Cfr. quanto su questo tono della «D isp u ta » dice l ’Arm engol Valenzuela nell’ed. cit. voi. I I , p. x x x i.
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E. Cernili
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esame converrà a mio parere, non trascurare la grande popo larità che ebbe nella Spagna medievale la * Disputa contra los Jueus», detta la «Biblia Pequeña». Del testo catalano della « Biblia Pequeña > si ebbe, del resto, una edizione a stampa sin dai primi tempi della introduzione della stampa nella penisola iberica (quella del 1492 in Barcellona per Giovanni Rosenbach di Heidelberg) (l). Ora, se confrontiamo l’inizio della « Biblia Pequeña » e quello della « Disputa » (il testo, come si è detto, che l’Armengol Valenzuela considera più antico della « Biblia Pequeña») con l'inizio del trattato «Sobre la seta mahometana», riscontriamo tipiche ana logie : La ^dazione della « Disputa » e quella del « Sobre la seta mahometana » sono entrambe opera, secondo l'incipit, rispettivo, di uno che scrive « stant pres en lo corrai dela preso de Granada » (.Disputa ) ovvero « seyendo preso en Granada » (Sobre la seta). La formula che indica lo scopo dei due libri è la stessa: Dìsputa
S o b r e la seta m a h o m eta n a
« V een t m olts deis Christians e s
V e y e n d o y o q u e m u ch os en este
ser catiu s n o sabent letres ne b e d e
ca tiv erio p o r razón q u e se enbuelvén
la fe d eis C hristians, tot dia q u i un
en g ra n d es p e ca d o s a desesperan de
q u i altre se torn aven a la m ala secta
la m isericord ia d e D io s ... e p o r razón
d eis M o ro s ; e veen t y o asso, fiantm e
d e m en gu a d e in ten d em ien to n o sa
en la a yu d a d e D eu , m ism e a in c e r
ben la le y d e lo s C hristianos ni la
ca r lo s libres d e la B iblia » .
d e lo s M o r o s a qu ien
en g a ñ o
M a-
h o m a t......... v e y e n d o y o e s to .... >>.
È da notare ancora un fatto curioso: La « Disputa » è diretta « contra los Jueus »; invece, come ora si è visto, nel proemio non si parla che di evitare le conversioni « a la mala secta dels Moros ». L a contraddizione dovette apparire grave ; tanto che la « Bibita Pequena » nell’edizione a stampa ha intercalato un esplicito riferi mento. « E vehent alguns Juheus e Moros mercaders ab ells aiustats ensemps entrar en lo corrai de la preso interrogant los de la no stra fe no sabent respondre, tot dia qui hun qui altre tornaven a la mala secta dels Moros » (l).
op .
(*) José R ib e i ,tES Co m ìn , B ibliografia de la lengua valenciana cit,, p. 4 4 6 . (~) Riproduco il testo dal facsimile della stampa in José R ib Ei *ES C o m ìn , cit., p. 4 4 6 . Il Codice Vaticano Regina 2 0 5 6 , della metà del X V secolo, prò-
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II Libro della Scala
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Ma, ancora, in tutta la « Disputa contra los Jueus>, la parte relativa aH’Islam è minima: due brevi capitoli, il 44 (« De Bafumet e de la sua secta >) ed il 45 (< De la doctrina de Bafumet »). Ed in essi l’autore si mostra assai scarsamente informato di cose musul mane, seguendo una redazione della leggenda medievale europea circa Maometto anche nei particolari minori, e scrivendo, per altro, a proposito del Paradiso : « en lo qual (Paradis) serán de totes maneres de fembres quils abrigarán, els ahombrarán ; e serán en aquell Paradis de Deu quatre rius, un de Iet, altre de mel, altre de noble vi, e altre de noble aygua : e n c l o c i x en lengua de Ara bia (*). Dient axi en morisch : c a s u i l l e x e r o p h u n i s t i c h o n o f o r (”), qui voi dir: menjarem e beurem e segudirem fembres e haurem repos ». Siamo assai lontani, come si vede, dalla redazione del « Sobre la seta mahometana » col riassunto del « Libro della Scala > ed un tono polemico più elevato. Tutti questi argomenti, che conviene elencare di nuovo: unicità del manoscritto del « Sobre la seta mahometana » ; catalanità di S. Pedro Pascual ; silenzio sul nome catalano di Dio nel « Sobre la seta mahometana » ; prigionia di S. Pedro Pascual e carattere di compilazione da varie fonti (una delle quali è il * Libro della Scala ») del « Sobre la seta » ; confronto con la « Disputa contra los Jueos », sicura opera catalana di S. Pedro Pascual; tutti questi argomenti, ripeto, insinuano il dubbio che il trattato « Sobre la seta mahometana » possa essere stato attribuito da altri a S. Pedro
veniente d a scriptorium aragonese d i N a p oli ha, con lieve variante: « E alcuna Juheus m ercaders e m oros ab ells aiustats entrar en lo corrai de la preso enterrogant los de la fe n ostra; e n o sabent respondre t o t die qui un qu i altre dels dits Christians tornaven a la m ala secta dels M oros ». (') L a storpiatura en clocix v a probabilm ente interpretata com e ^arabo:) 'ayn Kaw tar {'in Rotar, nella pronunzia dialettale). A b b ia m o v isto n el Libro della Scala che K aw tar è appun to il nom e del b a cin o d 'a cq u a del Paradiso. (2) I l passo è una form u la d i spicciola lotta anti-musulmana, con la quale ad uso del p o p o lo si riassumeva, in Spagna, la visione m ateriale d ell’oltre tom ba che il senso letterale delle descrizioni musulmane del Paradiso suggeriva. L a vedrem o usata da altri autori spagnoli in seguito. È questa u n ’altra prova delle tonti di qu esto passo della D isputa, m o lto diverse nel lo ro carattere dal musul m ano Libro della Scala. L a probabile ricostruzione delle parole storpiate nel codice («casu ill exerop hunistich on ofor ») m i pare sia: nakul naSrab wa-nastankih wa-nuwaffar «m angerem o, berrem o ed otterrem o (le U ri) ed ab bon derem o». L a correzione, che qu i si in dica d i onofor in wa-nuwaffar, p u ò apparire dubbia; m a, da to il senso della frase che è sicuro, non ne saprei trovare una più vicina.
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E. Cernili
Pascual, sia per mettere l’opera sotto il nome di un autore insigne per i suoi meriti letterari e religiosi e sia perchè appariva naturale attribuire all’autore della polemica contro gli Ebrei anche quella polemica contro i Musulmani, che sembrava anzi a preferenza preannunziata nel proemio della stessa < Disputa ». Tuttavia queste osservazioni e questi dubbi sarebbero vani, se fosse invece esatta l’osservazione che fa José Rodríguez nella sua Biblioteca Valentina. Egli infatti, scrivendo alla fine del Seicento, a proposito di S. Pedro Pascual, nota: «La obra primera: Contra Mahoma, que es la ultima que compuso, se conserva original en el Escorial, donde la vimos, leimos muy despacio, y trasladamos algunas clausulas suyas ; con decreto para ello de la Reyna Madre Nuestra Señora (que Dios goze), Governadora entonces, año 1674, Consolónos mucho la leyenda, por docta, profunda, fundada, de vota, deleytable y no a s p e r a en q u a n t o al L e m o s i n . La letra no maltratada, con ser tan antiqua; sino clara y muy comprehensible, para quien, por ser Valenciano, no ignora del todo aquel idioma » (*). L ’Escoriai, come si è detto, non ha ora che il solo codice : h II 25, copia del secolo XVI ed in castigliano. D ’altra parte è possibile ricusare la testimonianza del Rodríguez, valenziano che scriveva di cose valenziane, sia pure con la vaga riserva che « no ignora del todo aquel idioma» catalano? Si può pensare allora che l’Escorial avesse nel 1674 un codice del « Sobre la Seta Ma hometana » in catalano (2) ? Sembra troppo complicato, fra l’altro, supporre che il Rodríguez abbia preso per « lemosin » di Valenza il vecchio castigliano del testo « Sobre la Seta Mahometana » quale noi oggi lo leggiamo nell’Escorial h II 25. Bisogna attendere che una spiegazione definitiva ci venga da una sistematica ricerca nelle collezioni di manoscritti in Spagna. Qui conviene, altresì, tener conto di un altro fatto. L’autore del testo castigliano del Sobre la Seta Mahometana (testo, beninteso, che è il solo esistente; quello eventuale catalano è solo, come si è visto, una possibile ipotesi fondata sul passo di José Rodríguez) dice : « E sabet, amigos, que yo scribi una oración en latin e co ndensa: O principium sine principio! en la qual brebemente com(*) J . R o d rig u Bz , op . cit., M adrid, 1 7 4 7 , p. 1 2 - 1 3 . (2) Si n oti che il R odrigu ez ha v isto il cod ice nel 1 6 7 4 , quindi tre anni d o p o l ’in cen dio dell’ Escuriale nel 1 6 7 1 .
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Il Libro della Scala
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prehendi la historia de Ios Evangelios e de las cosas que son scriptas en este libro. Onde ruego e conseio a los que saben Ieer, que la hayan e que la digan cada dia con la ma}ror devoción que Dios les diere » ('). Ora noi abbiamo una preghiera latina di autore spagnolo, che ha inizio appunto « O principium sine principio » (*) e che è premessa al famoso Fuero de Cuenca nei codici : Parigi, Nationale Lat. 12927 ; Parigi, Arsenal 8331 ; Escoriai O. Ili 23. La preghiera è in versi leonini seguiti da un brano in prosa, ma non pare davvero quella citata nel Sobre la Seta Makometana, perchè l’argomento quasi esclusivo sono invece le Iodi del re Alfonso Vili di Castiglia (la composizione va datata dopo il 1189 e prima del 1211) (3), lodi che non si capirebbero raccomandate alla recitazione «cada dia». Se però come suppone R. Menéndez Pidal (4), l’allusione del Sobre la Seta Mahometana fosse proprio a questa preghiera, per quanto assurdo appaia, di conseguenza il trattato Sobre la Seta Mahome tana ancor meno potrebbe esser opera di S. Pedro Pascual ed andrebbe riportato anzi ad un secolo prima del martire valenciano. Infine è da notare che R. Menéndez Pidal ha dimostrato si curamente come vi sia stato, per le ipotesi affrettate di alcuni bibliografi, scambio di attribuzione per alcune opere {L ibro D ecla rante; Tractado de corno prueva D ios es Trinidad: Contra los que dìcen que hay fa d a s ) tra S. Pedro Pascual ed Alfonso di Valladolid. Costui, « Maestre Alfonso » (Alfonsus Vallisoletanus), pie ante habia nombre Rabbi A m er de B urgos, come è detto nel Declarante, era,
del resto, contemporaneo di S. Pedro Pascual. La sua conversione al cattolicesimo è del 1295; ed egli visse sino al 1346. Tra i libri così scambiati di paternità dobbiamo includere anche il Sobre la Seta Mahometana ed è stato allora Alfonso da Valladolid a rias sumere la traduzione castigliana che Abraham alfaquim aveva fatto del Libro della Scala ? Ma tutta la questione delle opere di S. Pedro Pascual va esa minata organicamente, tenendo conto che una delle difficoltà è data (’ ) S. Pedro Pascuae, Obras, ed. A rm engol Valenzuela cit., p . 3 5 7 . (2) A . M orbi . P a t io , L os Códices Parisienses del F uero de Cuenca in R evi sta de Archivos, Bibliotecas y M useos, 1 8 9 8 , p. 1 2 6 .
(3) Perchè in essa si nom ina il figlio d i A lfonso V i l i , l'In fan te D on F er nando, che visse entro le date su citate nel testo. (4) Cfr. Ramón Menéndez Pidae, Sobre la bibliografia de S. Pedro Pascual in Boletin de la Reai A cadem ia de la H istoria, t. 4 6 , 1 9 0 5 . p. 2 5 9 - 2 6 6 .
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B. Cerulli
dal fatto che i vecchi eruditi, che dal processo di canonizzazione del 1670 l’hanno esaminata, sono partiti proprio da un principio opposto: considerare, cioè, il S o b r e l a S e t a M a h o m e t a n a come il punto di riferimento sicuro per misurare se le altre opere possano essere attribuite o meno a S. Pedro Pascual. D opo quanto ho qui detto, converrà impostare diversamente la ricerca. Ed a decidere la questione varrà l’edizione critica, che delle Opere di S. Pedro Pascual ha annunciato R. Miquel y Planas (*).
(*) Jos R ib e ia e s Comì N, Bibliografia de la lengua valenciana, cit., p. 4 60 .
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PARTE II. Testimonianze della diffusione in Occidente del " Libro della Scala " e delle notizie sul viaggio di Maometto nell'Oltretomba.
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C ap . V.
Il viaggio di Maometto secondo il codice di Uncastillo (Aragona) del XIII secolo.
Vediamo ora in questa seconda parte del libro quali testimo nianze noi abbiamo della conoscenza, da parte di scrittori occi dentali medievali, della tradizione musulmana sul viaggio di Mao metto nell’oltre tomba, sia in dipendenza del L i b r o d e l l a S c a l a , che per altra parte. Un codice conservato nella chiesa parrocchiale di Uncastillo in Aragona contiene, dopo una Epistola contro gli Ebrei (*), un testo sulla vita ed opere di Maometto (a). Il codice è della prima metà del secolo XIII; e sembra di poco posteriore all’annota zione cronologica relativa all’anno 1222 che si trova nell’ Epistola polemica (3). Manuel Serrano y Saenz pubblicò, anni or sono, il testo su Maometto (4). Non è stato tuttavia ancora notato come quel testo contiene un breve, ma importante riassunto del viaggio di Maometto al Paradiso. Ecco qui di seguito il brano, di cui faremo poi una ulteriore analisi storica (5). « E t voiu m u s narrare quartum [m ira cu lu m ] q u o d dix it ipse M ah om etus q u o d an gelu s G ab riel ven it ad eum , d ep ortan s anatem , m in orem m u lo et asino m a iorem ; et d ix it : ‘ V eni et a scen de su per istum anatem et transferam te per m om entum unum usque a d celu m prim um
E t a terra usque
(*) I / © pistola antigiudaica ha l'in cip it: « Supplantatis nequam Judeorum nature ». ©ssa si trov a anche in un codice della Cattedrale d i Osma. (*) I l te s to su M aom etto è nei fog li 1 9 U-2 3 « del codice. (3) Com e ha già osservato il Serrano y Sanz, tipicam ente l ’©pistola, nel codice d i Uncastillo, dice in un certo passo che son passati dalla N ascita di Cristo: 1 2 2 2 anni, m entre nel passo corrispondente del codice (più recente) d i Osma la data è 13 8 0 . (*) M. S e r r a n o v S a n z , Vida de M ahorna, según un còdice laiino de mediados del siglo X I I I in Erudición ibero-ultramarina, I I , 1 9 3 1 , pag. 3 6 5 -3 9 5 . (5) Il brano è in S errano y S anz , op. cit. pag. 393-394·
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JEJ. Cerulli
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a d prim um celu m (*) est incessus q u in gen toru m annorum . E t cu m fuit ita ad celu m translatus,
fe cit gem in a s o ra cion es, et h o c
fa cto alii angeli v e
nientes dep orta ru n t eum u squ e a d secundum celu m , et fecit ibidem g e m i nas ora cion es, et sic an geli venientes transtulerunt eum u squ e ad ultimum celu m .
E t tantum d ix it esse d ista n d a m a secu n d o c e lo u squ e ad tercium
et a tercio u squ e ad quartum , et sic d e sin gu lis. E t ib id em pron us hum i stan d o a u divit unicam v o c e m dicen tem : ‘ V en i, serv e b on e M a h om ete ; non te su rrexit m elior inter natos m ulierum ; pete q u o d vis ; nullam paciere re pulsam ’ . Et a d h o c resp on d en s dixit : ‘ D om in e, r o g o ut des m ihi leg em et p receptu m q u o d d em p o p u lo m eo ( 2) nullam leg em habenti et om n ibu s in m e c r e d e n tib u s ’ .
E t d ed it d ic e n s : ‘ D o tibi leg em et p receptu m q u o d
eis in iudicium deferas : scilicet dierum X X X cion em in d ie qu in qu ies, aliam m inorem .
E t d a b o eis Paradisum lacte
tem ( 8) in u n dacion ibu s ;
sp a cio ieiunare ; faciant ora -
et celeb ren t duas festivitates,
unam m aiorem et
et m eile et preclaris fluen
et cu iq u e eoru m sin gu lariter m ille v irgin es in c o r
ruptas, quarum cu iu slibet coitu s singularis per centus annos saciabit desi d eriu m coeu n d i.
E t d a b o eis cu iu slibet gen eris cib a rioru m habundanciam .
E t d ic p o p u lo tu o q u o d
du ca t IIII m u lie re s;
et si tum p lu res v olu erin t,
em an t qu antascu m que v olu erin t d e suis vel a C hristian is v e l ab aliis cuiulisbet gen tibu s u squ e ad m ille. E t q u a n d o aliquam d e istis qu a ttu or le g i tim e du ctis v olu erin t a
lialiba katalac (* )
se separare,
iuret [v ir ] p er h o c n om en q u o d est
q u o d s o n a t: separare. E t non [p o te r it] recu perare nisi alter
p o st eum [c u m ] ea sem el con v en erit f 8). E t p oterit eam dim ittere et, cum eam reliqu erit, non p oterit eam dem recu perare, nisi fecerit q u o d alter eam prim itu s c o g n o v e r it
s e m e l’ .
E t d ix it
M a h o m e tu s :
‘ D o m in e
D eu s, scio
q u o d pop u lu s M oisi et p op u lu s qui est C hristi et pop u lu s m eus venierint c o ra m te' in d ie iu dicii ; et r o g o te p r o p o p u lo m eo q u o d q u icu m q u e h o m inum fuerit q u o d nom en m eu m , scilicet M ah om eti, tum suum ,
anim a in c o r p o r e existente,
qu am vis
clam averit ante o b i
in dign u s,
eruas a penis
infernalibus et d ed u ca s ip su m in Paradisum ’ . E t d ix it D eu S : ‘ D o tibi h o c d on u m q u o d qu i in te cre d e re n olu erit, ipsum p recipias dare m o r ti; et qui eu m d em o c c id e r it salvus erit et ibit in P aradisu m ’ . E t h e c et m ulta alia d icta
fuerunt
a
D e o M ah om eti (sic )
qu e
lo n g a
essent enarrare
et
h ec
(*) I/ed. inserisce qui, erroneamente, un « et ». (2) I/ed. ha: « mea ». (s) L’ed. inserisce: ain». (4) Forse storpiatura dell’arabo : a 'titi at-talàq - ‘ Do a te (donna) il di vorzio ’. (5) È l’ istituto musulmano del tahltl, per il quale vedi qui appresso la nota i alla pagina 3 3 4 .
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Il Ijibro della Scala p au ca perscrip sim u s. in ce lo (*).
E t d ix it M ah om etu s :
E t ven i in Jerusalem
et
‘
333
H e c om n ia dix it m ihi D eus
feci ibi duas
ora tiou es circa h ora m
m erid ie et fui in d o m o m ea, scilicet, in Jetrip, in illa eadem ora. E t h o c totum fuit et c o n tig li p er m om en tu m unum ; et incepi h ec narrare am icis m eis et paren tibu s et turbis A ra b u m
in opin ate et cred id eru n t h o c verum
esse a d m od u m m ir a t o s » .
Il testo di Uncastillo presenta alcune particolarità tipiche. Anzi tutto, al-Buraq, il cui nome non è nemmeno fatto, è qui senz’altro ‘ un’ anatra, maggiore di un asino e minore di un mulo’. Questo rapporto tra al-Buraq e l’anatra non si ritrova, nei vari testi qui raccolti, che soltanto nel Libro della Scala , che, come ho detto a suo luogo, nel testo latino (e francese) spiega il nome al-Buràq «masculus de anatibus vel anseribus quoque parvis...... grandior quam asinus et parvior quam mulus » (2). La coincidenza ha va lore perchè prova come nella Spagna musulmana del XIII secolo fosse diffusa questa identificazione della cavalcatura di Maometto nel suo viaggio oltre-tomba con l’anatra. Dipendeva questa iden tificazione solo da una etimologia aberrante del nome al-Buraq o non piuttosto anche dalla rappresentazione di al-Buraq nelle mi niature come una giumenta dalla coda di pavone? Ma tra il Libro della Scala ed il testo di Uncastillo vi è una maggiore divergenza. L ’ arrivo di Maometto innanzi al Trono di Dio nell’ottavo cielo del Paradiso, dà luogo nel L ibro della Scala, alle prescrizioni del Signore sulle preghiere e digiuni obbligatori ; e con quelle prescrizioni si riconnette l’episodio di Mosè che in terviene a consigliare Maometto di ottenere una riduzione del nu mero delle preghiere e dei digiuni. Invece nel testo di Uncastillo il Signore prescrive a Maometto senz’altro il numero definitivo delle preghiere canoniche e dei giorni di digiuno — senza, dunque, l’episodio di Mosè (3) — ed ancora poi impone la legge musulmana sul matrimonio e sul divorzio : ciò che è estraneo agli altri racconti. Il compilatore, del resto, è al corrente della pratica del diritto musulmano, perchè cita persino il pittoresco precetto circa il mu(‘) I /e d . divide, erroneam ente: ‘ E t d ix it Mahometus h ec om nia. D ix it ’ etc. (*) Cfr. sopra Libro della Scala, n° 5. I l castigliano, invece, nel riassunto attribuito a S. Pedro Pascual n on ha il riferim ento all’anatra. (3) Ciò, per altro, p otreb b e dipendere solo dalla brevità del testo d i U n castillo.
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334
E. Cernili
hallil, che, sposando (in matrimonio che correttamente è qui pre
cisato debba essere rato e consumato) la moglie già tre volte di vorziata, la rende così nuovamente lecita per il primo marito (*). Un altro punto importante è quello dei poteri di intercessione che Maometto chiede al Signore in favore del suo popolo, nei confronti del «popolo di Mosè» e del «popolo di Cristo»; e la conseguente norma di guerra a morte agli infedeli e del premio del Paradiso a chi li uccide. Il Libro della Scala narra, invero, come il Signore promise a Maometto (n. 127) che nel Giudizio Universale le buone azioni dei Musulmani saranno moltiplicate per dieci ed i peccati, invece, computati per uno; ma nulla si dice dell’uccisione degli infedeli. È per questa parte, anzi, la frase del codice di Uncastillo ricorda piuttosto motivi occidentali, come ve dremo appresso. In conclusione, il brano del codice di Uncastillo, che è proba bilmente anteriore alla traduzione del L ibro della Scala da parte di Abraham alfaquim, dimostra come la narrazione del viaggio di Maometto fosse già nota alla Cristianità spagnola nei suoi tratti essenziali ; e come anzi popolarmente si tendesse, da parte musul mana (di Spagna), a sottolineare l’importanza di quella visione an che nei confronti delle norme del diritto musulmano. {') Vedi, ad esempio, Th . W. Jxtvnboia, Manuale di diritto musulmano secondo la dottrina della scuola sciafeita, trad. G. Baviera, Milano, 1 9 1 6 , pag. 1 4 7 ; D. SanTH*ana, Istituzioni di diritto musulmano malichida, Roma, 1 9 2 6 , voi. I, pag. 2 1 1 - 2 1 2 (pag. 2 6 6 -2 6 7 della seconda edizione s. d.).
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C
a p
.
VI.
Il viaggio di M aom etto nell’ Oltretomba secondo Rodrigo Ximénez de Rada e la Cronica General di Alfonso il Savio.
Il racconto del viaggio di Maometto nell’Oltretomba si trova anche in due altri importanti testi storici della Spagna medievale. Il più antico di essi è la H istoria Arabum di Rodrigo Ximénez de Rada (*), Arcivescovo di Toledo (1170-1247), figura di valore particolare nella storia religiosa e culturale della Spagna della fine del secolo XII. L ’altro è la Crònica General composta ancora per mandato del re Alfonso il Savio di Castiglia (1221-1284) (2). Diamo qui di seguito i due testi, che, per comodità dei lettori, abbiamo messo a fronte per facilitare la comparazione. Per l ’ H istoria Arabum seguo l’edizione Erpenius; e per la Crònica quella di Menéndez Pidal. Il corsivo segna le frasi (o parole) di un testo che mancano nell’altro testo.
(') T h . ISmeENnrs, Historia Saracenica, Accedit et Roderici Ximénes Archie piscopi Toletani Historia Arabum, Iyeida, 1625, pars I I , pag. 8-11. (2) Primera Crónica General de España que mandó componer Alfonso el Sabio y se continuava bajo Sancho IV en 1289. E d. R am ón Menéndez Pidal, to m o I , Madrid 1906, pag. 270-272.
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E. Cerulli
33& T e s to latin o della
Historia Arabum
di R o d r ig o X im én ez d e R ada.
Viaggio a Gerusalemme con l ’al-Buràq.]
A. [
In
eius
se cu n d o
bat uni bestiae
qu ae
lib ro
reperitur
d icitu r
super pedem anteriorem
in scriptum
A lb o ra ch
et
q u o d M a h om et in side
proponebat pedem posteriorem
et talibus bestiis p rop h eta e con su everan t insidere.
E t in tali M a h om et H ierusalem est p rofectu s. B. [ Incontro
coi Profeti a Gerusalemme.]
E t, ut ip se in su o lib ro
Jeremiam
m entitur,
in ven it
e t P roph etas alios ex antiquis,
ibi A b ra h a m , M oy sen et
qu i inibi con ven eran t
ad o ra n
du m . C. [ /
vasi di vino, latte ed aequa.]
E t obtu leru n t M a h om eto tria vasa, unum lacte, aliud v in o, aliud aqua p len u m . E d a u divit v o c e m p eris cum si vas
tu o p o p u lo
lactis,
tu
coelitu s dicen tem h a e c :
s u b m e rg e ris;
cum tuo
si vas vini,
p o p u lo dirigeris » .
« S i vas aquae a c c e
cum
gen te tua p e r ib is ;
E t ipse a ccipien s scyph um
lactis, b ib it e x eo. T u n c G abriel angelus in qu it e i: « N u n c es directu s tu et om n is qu i cre d id e rit leg i t u a e » . E t ora tion e facta cu m ab H ierosoly m is recessisset,
quod viderat discipulis revelavit et addidit quae sequuntur :
D . [ Iconografia
dei Profeti.]
Cum vidi, inquit, Abraham, Moysen et Jeremiam, oculi corporis dor miebant, sed cordis oculi vigilabant. Et vidi quod Abraham similis erat mihi ; Moyses autem erat rubeus atque crispus ; Jesus autem Mariae filius erat flavtis capillis, nec longus, nec parvus, sed dispositione et statura media coaptatus et videbatur aqua ab eius capite prosilire, verumtamen aqua non ei'at ibi. Addidit etiam in hoc libro : E. [
Viaggio al Paradiso. L 'Angelo custode dell'Inferno.] a d p rim u m coelu m G ab riel m e p erdu xit et m e in isto c o e lo ben ign e
A n g e li recep eru n t et cum
risu et g a u d io respexeru nt, ben e orantes
p rosp era et iucunda. U nus solu s o ra v it p rosp era n ec r is it; r e s p o n d it:
« n um quam
cu m q u e quaesissem
risit
h ic
cu stos i g n i s » . E t d ix i A n g e lo : d ile c tu s ? »
inter A n g e lo s A n g e lu s
nec
m ihi
con sistebat, qu i n ec m ihi ab A n g e lo quisnam rid eb it,
h ic
est
esset,
A n gelu s
« e s t h ic A n g e lu s qui a D e o d icitu r nimis
E t ille r e s p o n d it: « A n g e l u s h ic est ille » . T u n c dixi e i: « p r a e -
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Il Libro della Scala
337
Testo castigliano della Crónica General. A. E en el segundo libro de la estoria deste Mahomet fallamos que quando el querie yr a alguna part, que cabalgava en una bestia que dizen en ara v ig o : Alborach, que andava mucho ademas, por que en tales bestias como aquellas solien andar los prophetas antigos dell otro tiempo; e en aquella bestia fue Mahomet a Jherusalem a fazer oración. Desta bestia dizen los moros que tiene alas, el aun dizen que non es bestia, mas spirito en semeianca de bestia. B. E el mintiendo dize que fallo y estonces Abraham et a Moysen et a Jh esu et aun a otros de los prophetas antigos que vinieran y fazer oración. C. E t quel dieron como en offrenda tres vasos; ell uno era lleno de leche, ell otro de vino, e el tercero de agua; e que oyo una voz del cielo quel d ix o : « si el vaso dell agua bevieres, seras crebantado tu con todo tu pueblo; si el vaso del vino bevieres, perder te as con toda tu y e n t; mas si el vaso de la leche bevieres, seras enderesqado tu et tu pueblo». E yo tome estonces, dixo el, el vaso de la leche et bevi del et dixo me luego ell ángel Grabiel: «agora eres tu enderesfado et todos los qui creyeren en tu ley ». E pues que ell ovo fecha su oración en Jherusalem, tornosse para Mecha..............
E. De como Mahomet dixo que subirá fasta los syete cielos. Despues desto tomo me ell ángel Grabiel et levo me suso fastal pri mero cielo; e los angeles que y estaban vinieron contra mi, et recebieron me muy bien, et fueron muy alegres comigo; et con el grand plazer que ende ovieron, catavan se unos a otros et dizien: « / A y que bien este! ¡ A y que bien ! » E oravan me todos todo bien et toda salud, si non uno solo que estaba y, que nin se alegraba comigo nin riye como los otros. Y o pregunte estonces a Grabiel quien era aquel o p o r que fa z ie aquello. Grabiel me dixo: «S ep e que este ángel nunqua riso nin reyra, ca este es 32
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E. Cerulli
cipe ut ostendat mihi ignem ». Iubente itaque Gabriele, removit tegumen ollae ignis; et ignis ascendens, timui ne omnia quaecumque videram con cremaret. E t rogavi Gabrielem ut ignis iterum tegeretur. E t ignis redivit in locum suum et videbatur ut sol cum occidit in occasu ; et tristis An gelus, ut prius fuerat, texit ignem.
F. \Jncontro con Adamo nel prim o cielo.] Similiter cum intravi coelum, inveni hominem venerandum in sede sedentem, et ostendebantur ei animae omnium mortuorum. E t cum vide bat animas quae sibi non placebant, ab eis intuitum avertebat, imprope rans e is: « Peccatrix anima, ab infelici corpore exivisti! » E t cum osten debatur ei anima, quae placebat, applaudens animae inquiebat: « O felix anima, a bono corpore exivisti! » Et interrogavi Angelum de viro tantae excellentiae et reverentiae quisnam esset. E t Angelus dixit mihi Adam esse, qui bonis sui generis congaudebat, a malis faciem avertebat et poenas pec cantium ostendebat.
G. [7 casti e g it adulteri.] Vidi in eodem coelo qui carnes pingues et optimas manducabant et alios qui, postpositis pinguibus, de foetidis comedebant. Cumque quaesissem isti homines quinam essent, respondit Angelus: primi sunt qui uxoribus legitimis adhaeserunt; alii qui legitimas non curantes, foedis com merciis utentes, mulieribus se dederunt.
H. [ Viaggio nei cieli dal secondo a l sesto 1] Postea duxit me Gabriel ad secundum coelum et inveni ibi Jesum (ilium Mariae et Hyahyam (quem nos Joannes dicimus) filium Zachariae, qui erant consobrini. Postea Gabriel in coelum tertium me induxit et in veni hominem cuius forma erat ut plenae lunae. E t Gabriel dixit mihi : « Hic est Joseph filius Jacob Patriarchae». Postea duxit me in coelum
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11 Libro della Scala
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ell ángel guardador del fuego». E yo dixe a Grabiel: « E s aquí ángel alguno que sea dicho el muy amado de D ios?» E el dlxo me: « Este es esse que tu dizes ». E yo dixe le: « Pues dil que me demuestre el fuego ». E el dixo ge lo; e ell ángel tollio luego la cobertura de que estava cu bierto el fuego, et salió una foguera et una llam a tan gra n d en alto que yo ove grand miedo que quemarte quantas cosas avia veydas. E rogue estonces a Grabiel que dixesse al ángel que crobiesse aquel fuego ; e ell ángel triste crubiolo luego assi come de primero estava cubierto. F. Otrossi quando entramos en aquel cielo, falle y un omne onrado que seye assentado en una siella et demostravan le las almas de todos los omnes que murien; e quando veye en ell alma alguna cosa con quel non plazie, tollie los oios della, que la non querie veer, et maletreyela diziendo: « ¡ A y alma pecador! ¿ Por que saliste daquel malaventurado cuerpo en que yazies ?» Mas quando el alma le demostraba alguna cosa de bien con quel a el plazie, folgaba el con ella et diziel: « Ven aca, bienaventurada alma que saliste de buen cuerpo ». E yo pregunde all ángel quien era aquel omne tan onnrado. E t el dixome: « E ste es Adam que se alegra con los bienes daquellos que son del su linnage et tuelle su faz de los malos que los non quiere veer et demuestre Ies las penas de los peccadores ». Este es e l fuego que desuso dixiem os. G. Vi otrossi en aquel cielo que algunos de los que y estavan que comien de buenas «carnes et bien adobadas, et otros de las podridas et que fedien muy mal. E yo pregunte a Grabiel que omnes eran aquellos que aquello fazien; et el dixo m e: « los primeros son aquellos que mantovieron bien con sus mugieres casadas a bendición, los otros son aquellos que non guar daron el casamiento derecho et bolvieron se con las mugieres que les eran deffendudas por plazeres malos et lixosos ». H. Después desto levo me ell ángel Grabiel al segundo cielo et falle y a Jhesu, fijo de María, et a Hyaya, el que los cristianos dizen san lohan fijo de Zacharias, que era su primo cormano. Desi levo me al tercero cielo, et falle y un omne tan fremoso que non semeiava al, si non la luna quando es llena; e dixome Grabiel: « E ste es Joseph, fijo de Jacob el patriarcha». Después d’esto levóme al quarto cielo, et falle y un omne mucho onnrado,
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E. Cerulli
34°
quartum. Ibi inveni hominem venerandum. E t Gabriel dixit mihi : « Hic est Aaron ; et erat ibi cum eo Idriz qui coelum ascendit. Post haec duxit me Gabriel in quintum coelum; et inveni ibi hominem senem et pulcrum. E t dixit mihi: « hic est Aaron filius A brahae». Postea duxit me in sextum coelum et inveni ibi hominem rubeum et procerum ; et dixit : « Hic est Moyses ». I.
[Il settimo cielo. Incontro con Abramo.]
Postea fecit me ascendere in septimum coelum. E t inveni ibi hominem canum sedentem in sede a parte domus, qui a pluribus Angelis comitabatur ; et intrant in ea septuaginta millia Angelorum et non redeunt usque ad diem iudicii. E t Angelus dixit mihi: « h ic est Abraham pater vester», L . [Incontro con la moglie di Zayd ibn Mariti) Post haec introduxit me in Paradisum et inveni ibi puellam formo sam qui multum placuit oculis meis. Et interrogavi eam cuia esset, quae respondit: « H ic servor Zayth filio Hyarith ». E t cum descendissem de Paradiso, nuntiavi haec Zayth filio Hyarith, qui de meis consortibus unus erat. M. [ Gabriele dichiara agli Angeli la missiva di Maometto.'] Et brielem grudio: orabant
in omnibus coelis ad quos ascenderam, interrogabant Angeli Gaet ipse dicebat eis: « H ic est Mahomet». E t interrogabant cum «est iam missus?» E t ipse inquit: «est iam missus». E t ipsi omnes ut Deus adderet mihi vitam, tamquam fratri suo et amico
N. [Il Signore prescrive il numero delle orazioni giornaliere riducendole poi a cinque.] Postquam autem transieram septem coelos, Gabriel me proposuit ante Deum et mandavit mihi ut quolibet die dicerem quinquaginta orationes. E go autem conversus ad Moysen amicum meum optimum, dixi ei qualiter Deus mihi mandaverat ut quolibet die dicerem quinquaginta orationes; sed tot orationes graves essent ad dicendum, cum gens conversa noviter non posset tantum onus quotidie tolerare. E t Moyses conversus ad Deum obti nuit ut decem orationes relaxerentur, et iterum a me rogatus obtinuit alias decem. Et sic paulatim descendens omnes abstulit praeter quinque; itaque quicumque quolibet die quinque orationes fecerit remunerabitur quasi pro quinquaginta.
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Il Iiibro della Scala
341
e dixo me Grabiel: « E ste es Aroho (*) » e era con eli Ydriz el que subio al cielo. Empos esto levóme al quinto cielo, et falle y un omne vieio muy fremoso, e dixo me Grabiel: « E ste es Aaron, fijo de Amram >>. Desi le vóme al sexto cielo, et falle y un omne ruvio et vieio; e dixome eli ángel : « Este es Moysen ». I. Empos esto subio me al V II0 cielo, et falle y un omne cano que seye en una siella et estava en una casa appartada, et seyen y con el mas de setaenta vezes mili omnes(2) que moravan siempre con eli en aquella casa, et nunqua an ende de salir fasta en el dia del juyzio. E dixo me eli ángel : «Aqueste omne que tu vees es Abraham vuestro padre». L.
Despues desto metióme en Parayso et falle y una manceba muy fremosa et tanto me pague de su beltad que mas no podría. E yo pregunte cuya era. Dixo me G a b r i e l : « Esta manceba es de Servorzayt, fijo de Hyarith » : E yo cuando descendi del Parayso dix esto que vi a Servorzayt, fijo de Hyarith, que era uno de los míos companneros. M. E en todos los cielos en que yo sobi preguntavan los angeles a Gra biel quien era y o ; et el dizieles: « Este es Mahomat ». E t desi ellos muy alegres por esto que oyen preguntavanlle et dizien le : « ¿ E es ya enviado al mundo ? » E t el dixo les: « Y a enviado es ». E ellos todos aoravan que Dios me diesse vida assi como a omne que tenien por su hermano et su amigo. N.
Pues que passe los siete cielos, puso me Grabiel ante Dios, e el mando me que dixiesse yo et todos los qui me creyessen cinquaenta orationes cada dia. E yo torne me a Moysen, mío buen amigo, et dix le esto et que serien muy grieves de dezir cada dia a las yentes que nuevamientre eran tornados a la su fe, et que non podrien sofrir tan grand carga como esta. Moysen tornosse estonces a Dios, et gano del que fincassen las diez ora ciones deste cuento. E yo fu y a e li otrossì et roguel por esto et gane dell otras X oraciones ; e assi poco a poco descendiendo, quito me las todas sacadas en cinco. E tod aquel que estas cinco oraciones fiziere, seer le an galardonadas bien como si dixiesse cinquaenta.
(*) «Aroho» errore per «Aaron». (2) « omaes » è errore per « ángeles », come ha già visto PAsin (E sca tologia , p. 3 7 7 , nota 36 .
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E. Cerulli
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Comparando tra loro i due testi di Rodrigo Ximénez de Rada e delia Crònica General, si vede subito che, come aveva già rico nosciuto Miguel Asín Palacios, la Crònica ha per sua fonte il rac conto della H istoria Araduni. I due testi non coincidono, ben in teso, in tutti i punti ed è facile osservare le divergenze in questa nostra edizione. Alcune di queste divergenze — il resto è addirittura nella Crònica traduzione letterale dal latino in castigliano — non hanno alcun particolare valore. Si tratta di glosse esplicative o aggiunte di stile che more solito sono state inserite nel racconto di X i ménez de Rada ovvero della Crònica General. Così : (la glossa riconoscibile è qui in corsivo) : t. « quien era aquel o p or que fa zie aquello » (lat. : quisnam esset ») ;
2. * salio una foguera et una llama tan g ra n d » (lat.: ‘ ignis ascendens »); 3. * Ven aca, bienaventurada alma » (lat.: « O felix anima »);
4. » las penas de los peccadores. E ste es el fuego que desuso dixiemos » (lat. : « penas peccantium ») ; i
5. « catavarse unos a otros e dizien: ¡A y que bien esleí A y que bien ! E oravan... » (lat.: «respexerunt cum risu et gaudio,
bene orantes ») ; 6. < E go fu y a eli otrossi et roguel » (lat. : * Et iterum a me rogatus »); 7. « vir tantae excellentiae et reverentiae » (cast.: « omne tan onnrado »); 8. « dixi ei qualiter Deus m ihi mandaverat ut quolibet die dicerem quinquaginta orationes » (cast.: « et dix le esto»). Qualche divergenza, invece, importa nell'uno o nell’altro testo (quali sono pervenuti a noi) una variante sostanziale. Sono i se guenti casi : a) Nella descrizione di al-Buràq la H istoria Arabum sol tanto dice del favoloso animale che * proponebat pedem posteriorem super pedem anteriorem >, frase che non è stata tradotta nel castigliano della C r ò n ic a mentre invece soltanto la Crònica ha il particolare : < Desta bestia [al-Buraq] dizen los moros que tiene
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Il Libro della Scala
343
alas, et aun dizen que non es bestia mas spirito en semeianpa de bestia ». b) Maometto incontra a Gerusalemme, nella H istoria Arabum Abramo, Mosè e Geremia. Nel testo della Crònica invece di G e remia è nominato Gesù (vedi appresso sotto c). Vedremo ora come la versione corretta sia quella della Crònica. c) La Crònica non traduce il passo della H istoria Arabum con la descrizione della figura dei tre Profeti incontrati a Gerusa lemme.
Tale omissione della Crònica è notevole, perchè sembra cor rispondere ad ovvii motivi in relazione anche al particolare, che sembra inspiegabile nell’ iconografia cristiana: « videbatur aqua ab eius capite prosilire » (‘). inversamente, la H istoria Arabum , che nella enumerazione dei Profeti, come abbiamo visto sopra, lettera b), aveva sostituito Gesù con Geremia, mantiene «Jesus Mariae filius » nel testo della de scrizione iconografica, dove la sostituzione era evidentemente più difficile. Tipici sono anche questi ingenui espedienti della tradizione manoscritta per riparare quanto di troppo divergente dalle idee cristiane era pur contenuto nei testi arabi sul viaggio di Maometto cosi tradotti. d ) L ’ultima divergenza è dovuta semplicemente ad uno spro posito del traduttore castigliano che, trovandosi innanzi un testo latino : « Hic servor Zayth filio Hyarith », credette che « servor » non fosse il verbo latino, ma la prima parte di un nome proprio arabo e tradusse: «Està manceba es de Servorzayt fijo de Hyarith». L ’equivoco fu facilitato dal fatto che nel latino è la ragazza che risponde a Maometto : « Io son riservata » ecc., mentre nel casti gliano le parole « Està manceba » ecc. sono attribuite all’angelo Gabriele.
Nel complesso, perciò la differenza più importante tra i due testi resta l’omissione nella Crònica del passo sulla iconografia dei Profeti. Si può, perciò, concordare — ma con le attenualo lo Si penserebbe forse ad una curiosa deformazione della rappresentazione di Longino e della piaga nel costato.
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E. Cerulli
zioni di tono che questa particolare analisi ha provato utili — con il giudizio dell’Asfn sulle aggiunte ed alterazioni della tradu zione nella Crònica. Quanto alle relazioni dei due testi (della H istoria Arabum e della Crònica G eneral) col Libro della Scala, un esame comparativo ci rivela sostanziali differenze fra le due tradizioni : a) L ’episodio delle quattro bevande, corrispondenti ai quattro fiumi del Paradiso, che sono offerte dall’Angelo Ridwàn a Mao metto a chiusura della visita nel Paradiso, secondo il Libro della Scala (n. 130T31) trovasi invece collocato nel testo della H istoria Arabum (e Crònica) all’ inizio del viaggio, è ridotto ad una t r i p l i c e offerta e sostituisce curiosamente l’altro episodio delle tre voci che vogliono distogliere Maometto dal viaggio, secondo il Libro della Scala (n. 7). b) Adamo, nell' H istoria Arabum (e Crònica), vede sfilare le anime di tutti i morti e preannunzia ad esse la loro sorte. Ciò non si trova nel Libro della Scala, ma corrisponde invece ad una differente tradizione araba ben nota (i). c) Così nemmeno l’episodio delle carni di buon gusto e di cattivo gusto si trova nel Libro della Scala ; e del resto poco verisimilmente può inserirsi in un racconto simile, presupponendo la vicinanza delle schiere dei Beati con quelle dei dannati. Perciò questo sembra piuttosto una tradizione estranea, inserita poi nella narrazione della H istoria Arabum (e Crònica). d ) L ’altro episodio dell’incontro con la moglie di Zayd ibn y à rit non è nemmeno nel Libro della Scala e corrisponde anche esso ad una tradizione araba diversa (*). Questa tradizione è in relazione con le accuse mosse a Maometto circa sue relazioni con la moglie del suo figlio adottivo Zayd ibn Harit. Essa fu poi di vorziata da Zayd e sposata da Maometto; casi per i quali fu rive lato il passo del Corano : X K X 1II, 37-40. Qui invece la donna appare nel Paradiso, ancora ‘ riservata ’ a Zayd. e) Infine Maometto, nel Libro della Scala (n. 127-130) è in dotto da Mosè a tornare innanzi al Trono del Signore per chie(') B. SchreBKE, Die Himmelsreise pag. 1 7 - 1 8 . (2) Asìn, Escatologia, p. 7 1 .
Muhammeds in Der Islam, VI,
19 1 5 ,
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LI Libro della Scala
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dere la riduzione del numero delle preghiere canoniche e dei giorni di digiuno, mentre invece nella H istoria Arabitm (e Crònica) lo stesso Mosè intercede personalmente presso il Signore per i Musulmani. Nella Cronica, tuttavia, Maometto unisce — poi — le sue preghiere a quelle di Mosè : segno di tradizione non stabile su questo punto. Queste differenze tra il racconto, pur così breve, delle due fonti spagnole ed il Libro della Scala dimostrano a mio parere che la H istoria Arabum , e di conseguenza la Crònica G eneral dipen dono da una fonte araba diversa dal testo del L ibro della Scala , che dunque — come era d’altronde lecito attendersi — non era la tradizione sul m C ràg corrente nella Spagna del secolo XIII.
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C ap. VIL
Il viaggio di Maometto nell’ Oltretomba nel racconto di Ricoldo da Montecroce. Il fiorentino Ricoldo da Pennino, del popolo di San Pier Mag giore, entrato nell’Ordine Domenicano nel 1267 e noto più tardi col nome di Ricoldo da Monte Croce, fu — come ben si sa — uno dei maggiori viaggiatori e missionari nell’Oriente Vicino al declinare del Duecento. Il suo viaggio ebbe inizio nel 1288, se condo la cronologia accettata. Nel 1291 era egli ancora in Bagdad. La sua presenza, di ritorno, a Firenze ci è segnalata (*) soltanto in un primo documento del io ottobre 1301. Dopo il suo ritorno a Firenze, secondo l'ipotesi più probabile del Monneret de Villard (2), Ricoldo da Monte Croce compose il suo opuscolo Contra Legem Sarracenornm ovvero Improbatio AL· chorani, secondo lo schema già usato in Spagna da suoi contem poranei (3), ma con contenuto nuovo, derivato dalle notizie da lui stesso raccolte in Oriente e specialmente in Bagdad. Tale opu scolo di Ricoldo contiene un lungo brano sul viaggio di Maometto nell’Oltretomba. La patria fiorentina di Ricoldo e l’epoca di com posizione del suo scritto gli avevano dato particolare valore, in quanto poteva apparire che attraverso Ricoldo vi fosse una pro babilità che Dante avesse conosciuto quella tradizione musulmana (4). La scoperta dei vari testi del Libro della Scala riduce, se non ad dirittura annulla tale ipotesi, a parte le serie difficoltà cronologiche (‘ ) Per questi dati biografici m i riferisco a U.
MonnerET de
V u .e a r d ,
II
libro della Peregrinazione nelle Parti d'Oriente di Frate Ricoldo da Monte Croce, R om a, 19 4 8 (Institutum Historicum Fratrum Praedicatorum, Dissertationes Histo ricae, X I I I ) , pagg. 1 3 , 1 4 , 1 5 , 9 3 . (2) Op. cit. pag. 93 -95 . Il M andonnet riportava invece la com posizione di questo op u scolo al 1 2 9 0 (P. MakdokneT, Fra Ricoldo de Monte Croce, pèlerin en Terre Sainte et missionaire en Orient in Revue Biblique, II, 1 8 9 3 , pag. 5 8 4 - 5 8 6 ). (:!) Cfr. qui appresso pag. (4) L’ipotesi fu prospettata dal Mandonnet: (Dante et le voyage de Mahomet
au Paradis in Comité français catholique pour la célébration du sixième centenaire de la mort de Dante Alighieri, Bulletin du jubilé, 19 2 1 -1922 , pag, 544 -555 ).
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Il Libro della Scala
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intrinseche che essa presentava nei confronti della Divina Com media. Ad ogni modo, qui di seguito dò l’edizione del brano di Ricoldo concernente il viaggio di Maometto, secondo il codice Vati cano Latino 7317. Aggiungo nelle note le varianti di altri codici e cioè : R. E il codice Riccardiano 3026 (ex 3207) (*). P. È il codice Vaticano Lat. 976 contenente, fra l’altro, il T ra ctatus contra Alchoranum di Fr. Petrus de Pennis che riproduce integralmente Ricoldo (2). (f. 29 1 r) De fictione improba[bi]lissime visionis (3). Quartodecimo (4). Considerare oportet quam fictam visionem (5) Machometus composuit que est expositio cuiusdam capituli (B) Alchorani. Dicitur enim in capitulo F i liorum Israel: L a u s(7) ei (8) qui transire fecit servum suum sub una (*) nocte ab oratorio Helitaram (1()) que est domus Mecque (**) usque ad ora torium remotissimum quod (ts) est domus sancta (i3) Jberusalem ( u ) circa (15) quam benediximus et cetera (*6). Exposicio (17) huius (18) sentencie (19) est quod(S0) Machometus una d ie(! ! ) psallebat horam matutinalem. Cumque fi(*) II nostro passo si trov a a f. 2 j r - 2 8 r. (*) U passo è a f . 68 r-v . II Tractatus ha nel codice (pag. 5 1 ») questo in izio: « In c ip it Tractatus contra A lchoranum , legem mendacissim am Sarracenorum, com pilatus a fratre P etro de Pennis, Ordinis Fratrum Predicai orum . Prohetnium. Quia Predicatorum O rdo evangelicus per alm um Christi confessorem unum apostolicum venerabilem patrem et d octorem servorum D ei D om inicum ad salu tem animarum specialiter est institutus, sicu t in constitutionibus eiusdem Ordinis manifeste continetur; id circo eg o frater Petrus de Pennis m inim us de num ero fratrum d icti Ordinis, confisus de sum m a veritate que Christus est, intendo in hoc presenti tractatu reprobare falsitates dam pnose legis M achom eti pseudoprophete Sarracenorum e t dare v ia m fratribus com m orantibus inter Sarracenos secta tores predicte nephande legis per quam facilius poterih t ipsos ad statum salutis revocare ». (:!) P. Cap. X I I I . Quod Machometus in suo Alchorano de se fingit quamdam incredibilem visionem. (J) p . om. (5) P. Sequitur de ficta et incredibili visione quam. (6) R . om « capituli ». (7; V . Laus] R . add « sit ». (s) V . ei qui] P. ei sit qui. (9) V . ima] R . im a. (t0) V . Helharam] R . Elharam (esatto!); P. Elcharam. (tl) V . Mecque] P. Mesche. (l2) V . « q u e » ; correggo secondo P. (13) V . Helharam que est domus Mecque usque ad oratorium remotissimum quod est domus, sancta] R . Elharam que est domus sancta (omissione omoteleutica). (“ ) V . Jherusalem] R . Hierusalem. R . om : P. Deum.
(15) V . circa] R . contra.
(16) V . etcetera]
(I7) V . Exposicio] R . Expositio; P. Expositio.
P. istius. (19) V . sentencie] R . P. sententie die] P. om.
(20) V . quod] P. hec.
(IS) V . huius] (2I) V . una
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34§
E. Cerulli
nisset dixit hominibus: O vos, inquit, homines, intelligite. Sero postquam secessi a vobis, venit ad me Gabriel post psalmodiam vespertinam ultimam dixitque michi: O Machomete, precepit (*) tibi Deus ut eum visites. Cui d ix i: E t ubi eum visitabo ? (2) Et dixit G abriel: In loco ubi est. Adduxitque michi iumentum maius asino et minus mulo et nomen eius Alboracum (3). Et dixit michi: (4) Hunc ascende (5) et equita usque ad domum sanctam. Cumque curarem ascendere, refugiebat iumentum. Dixitque ei Gabriel: Sta firmiter, quia Machometus est qui te cupit (6) ascendere. Respondit iumen tum: Numquid missus es pro eo? Respondit Gabriel: Utique. E t dixit iu mentum : Non permittam (7) eum ascendere nisi(8) rogaverit pro me Deum (9). Ego autem intercessi pro iumento apud Deum meum. Ascendique (10) iumen tum et gradiebatur insidente (“ ) me tenui gressu collocabatque (15) ungulam pedis in orizonte (i3) visus sui. Sicque veni ad domum sanctam in spacio (14) minori (i5) quam ictus oculi compleatur. Eratque Gabriel mecum et adduxit me (f. 291 v) ad rupem in domo sancta Jherusalem (ls). Dixitque Gabriel (l1): Descende quia (18) abhinc (i9) ascendes in celum. Et descendi. E t Gabriel iumentum istud(29) cum cingulo ad rupem firmavit (21) et portavit me su per (2Z) humeris suis (23) usque ad celum. Cumque venissemus ad celum mundi pulsavit Gabriel (2 -iì b>u .min*.·; f a r vtttiiim ott