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Italian Pages 340 [348] Year 1972
STUDI E TESTI ----- 271 -----
ENRICO CERULLI
NUOVE RICERCHE SUL LIBRO DELLA SCALA E LA CONOSCENZA DELL'ISLAM IN OCCIDENTE
CITTA
DEL
VATICANO
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMLXXII
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STUDI E TESTI ----- 271 -----
ENRICO CERUIXI
NUOVE RICERCHE SUL LIBRO DELLA SCALA E LA CONOSCENZA DELL'ISLAM IN OCCIDENTE
CITTÀ
DEL
VATICANO
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMLXXII
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I M P R I M A T U R :
Datum in Civ. Vat. die 28 Nov. 1972
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Vic. Gen.lis Civit. Vatic.
PROPRIETÀ LETTERARIA E sse-G i-E sse
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Roma
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Tel.
727.819
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ΉΝΟίζηαοΗΧΝί
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Quando dai codici di Oxford, di Parigi e della Vaticana pub blicai il testo latino e francese del « Libro della Scala » ed il rias sunto castigliano dell’Escuriale, l’attenzione degli studiosi e quella mia fu portata anzi tutto sulla questione di Dante. Questa era stata, del resto, l’occasione della mia ricerca. Era stato detto, infatti, che le analogie segnalate dall’Asin Palacios tra la Divina Commedia e la letteratura araba sulla Vi sione dell'Oltretomba del Profeta Maometto non potevano avere alcuna probabilità, mancando il legame tra quella letteratura e Dante che ignorava l’arabo. Ora la Visione di Maometto narrata nel « Libro della Scala », tradotto dall’arabo in lingue che Dante invece conosceva, e per di più in due d’esse, latino e francese, da Bona ventura da Siena, poneva il problema in nuovi termini. Il legame era identificato tra la Visione di Maometto ed i tempi di Dante e cioè il Libro della Scala. Se si voleva concludere positivamente o negativamente il problema, esso doveva essere concretamente esa minato sul testo ben preciso di Bonaventura da Siena. E, conseguenza storica più importante, gli Occidentali — la Toscana di Dante com presa — avevano conosciuto la Visione islamica dell’ Oltretomba non già dall’alta letteratura — poetica, filosofica, mistica — ma da un’opera di pietà popolare come il Libro della Scala. Tuttavia queste condizioni, che risultavano dalla ricerca, fa cilmente mi indussero ad esaminare una questione storica più ge nerale. Alla indubbia influenza della filosofia islamica e delle scienze dell’ Oriente islamico sul pensiero occidentale nel Medio Evo andava aggiunta la conoscenza della religione musulmana e fino a quale punto e come asserita o deformata nelle discussioni teologiche? Si intende che, entro questo problema, la conoscenza delle idee musulmane sulla vita di oltretomba venivano ad avere un interesse speciale nella discussione od addirittura nella curiosità degli Occi dentali. Quindi dedicai la seconda parte del mio libro all’esame di tale questione negli scritti medievali: dall’abbate Sperindeo nella Cordova del I X secolo sino a Guido Terrena nella Catalogna del secolo X IV , contemporaneo di Dante. Ora ulteriori ricerche compiute in questi anni mi consentono
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di riprendere in questo secondo volume a trattare i due aspetti del problema, quali ho sopra indicato. Ed insisto nel dichiarare che sono due aspetti di un unico problema, perché soltanto la cono scenza di quello, che l’Europa medievale conosceva ed assimilava o respingeva della escatologia islamica, può farci giudicare della que stione dantesca che, così vista in largo panorama e salva la gran dezza dell’Altissimo Poeta, è un episodio di più generale storia. Il volume, che presento oggi, contiene anzi tutto i risultati nuovi della ricerca sulla diffusione del Libro della Scala in Occi dente, diffusione assai maggiore, nello spazio e nel tempo, di quanto già era stato da me raccolto e che arriva sino al nostro secolo X V II. Ma tale diffusione dà luogo ancora alla commistione del racconto della « Scala » con notizie ricavate da altre fonti giunte in Occi dente e, specialmente dopo la conquista di Granata nel 1492, dal libro, sinora non segnalato, del convertito Juan Andrés. Così la serie di coloro, che hanno portato contributi effettivi alla conoscenza dell’escatologia musulmana in Occidente, ha agli inizi il nome del convertito ebreo Rabbi Moises Sephardi, diven tato Petrus Alfonsi, nel secolo X II; prosegue con Abraham Alfaquim, il medico ebreo di fiducia del Re Alfonso X il Savio a metà del secolo X III; e si conclude col convertito faqlh musulmano di ventato Juan Andrés agli inizi del Cinquecento. Questo indica an cora una volta quale influenza ebbero sui contatti culturali tra Oriente ed Occidente gli Ebrei ed i Musulmani di Spagna. E così la partecipazione di Bonaventura da Siena alla traduzione del Libro della Scala segnala l’opera degli esuli Ghibellini di Toscana alla corte del Re Alfonso X il Savio. Perciò, se fu tentato di conciliare le ipotesi dantesche di Asin Palacios con l’ambasciata di Brunetto Latini nella Castiglia di Alfonso X , ora invece sappiamo che per il problema della Visione di Maometto occorre, se mai, guardare non al legato di Firenze Guelfa, ma al gruppo dei Toscani Ghibel lini, i quali anzi avevano un diretto interesse a che quella ambasciata fallisse. Ma ancora, il Corano in un passo fondamentale, riecheggiato poi in altre Sure, mostra il Profeta Maometto che a quelli i quali gli chiedono miracoli a prova della sua missione risponde: « E chi sono io —■ sia gloria al Signore! — se non un uomo mortale a voi man dato da Dio? » (!) Eppure la tradizione popolare attribuì miracoli p)
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a Maometto. Ed in Occidente nelle discussioni che abbiamo ricercate si mescolano racconti pii dei Musulmani con racconti di prodigi falsi che la tradizione dell’Oriente Cristiano o quella dello stesso Occidente asseriscono architettati astutamente e contraffatti da Mao metto e questo per rinforzare la polemica. Mi è parso pertanto op portuno raccogliere quanto ho trovato circa i prodigi attribuiti — per l’uno o l’altro motivo — a Maometto dagli scrittori occi dentali del periodo da me considerato: e ciò non solo perché quegli accenni o racconti si leggono nelle stesse fonti che trattano della Visione di Maometto (ed alcuni prodigi sono riconnessi con la stessa Visione), ma meglio perché la sovrapposizione e l’incrocio di varie correnti culturali su questo argomento si svolgono nello stesso li vello culturale che le tradizioni recepite sulla Visione del Paradiso e dell’Inferno maomettani. E d’altronde la storia religiosa e cultu rale dovrà tener conto del fatto oggi accertato che, attraverso al cuni racconti di questi miracoli, racconti in apparenza semplici, arrivarono in Occidente nozioni molto vicine alle dottrine gnostiche, come quelle della purificazione del cuore del Profeta e quella della Luce profetica. Conclude questo volume il testo, troppo ignorato, delle diret tive che Nicola Aymerich, dell’Inquisizione di Spagna, dà nel se colo X I V circa le proposizioni da respingere della filosofia islamica. È giusta conclusione, direi, della mia lunga ricerca su Dante e sul l’ Islam, in quanto la disputa sulle gioie materiali od immateriali del Paradiso e sulle pene materiali od immateriali dell’ Inferno è essenziale nei rapporti tra le credenze popolari, da una parte e dal l’altra in contatto, e nei rapporti tra quanto si conosceva e si ap prezzava, nella Scolastica, della filosofia musulmana.
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Il Libro della Scala e la sua diffusione sino al secolo XVII
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Il Libro della Scala ed il Setenario del Re Alfonso il Savio
1. Il Libro della Scala e la tradizione giudaica dei Quattro Animali. 2. Musul mani ed Ebrei alla corte di Alfonso il Savio e le Siete Partidas. 3. Il Libro della Scala e la datazione del Setenario. 4. Il Setenario e Brunetto Latini.
§ 1. Il Libro della Scala nel Setenario e la tradizione giudaica dei Quattro Animali Il Re Alfonso X il Savio, Sovrano di Castiglia e Leon, fece tradurre dal medico ebreo della sua Corte, Abraham Alfaquim, il Kitâb al-Mi'ràg dall’arabo in castigliano; e successivamente dal suo notaio di Corte, Bonaventura da Siena, dal castigliano in la tino ed in francese. Così il Kitâb al-Mi'ràg « Libro dell’ascensione » ebbe il titolo castigliano di Libro del subimiento, reso poi piuttosto in latino con Liber Scale Machometi ed in francese: Livre de l’Eschiele Mahomet (1). Il Libro della Scala, nel quale Maometto rac conta in prima persona la sua Visione del Paradiso e dell’Inferno, fu creduto nell’ Occidente cristiano come uno dei libri sacri del l’ Islam e perciò ebbe la sua diffusione. È naturale che lo stesso Re Alfonso, che era stato l’iniziatore di quella diffusione, lo citi in altra sua opera. Così nel Setenario (2): « E próeuasse otrossi por Mahomat, que dizen los moros que ffué propheta de Dios; que él fïizo un libro a que llaman en arâuigo.(*)
(*) Cfr. qui sopra p. 5. (2) A lfonso E l Sabio , Setenario, ed. Kenneth H. Vanderford, Buenos Aires 1945, p. 118. Vale qui la pena di notare che l’insegnamento dottrinale per gruppi di sette enunciati, che è il motivo della composizione del Libre del Setenario di Alfonso il Savio, fu poi ripreso — assai più tardi e con molto minor plettro — da Sebastian de Horozco. Questi, scrivendo nel 1548, il suo Nùmero Septenario (stampato poi a Burgos nel 1552 «en casa de Juan de Junta»), riuniva appunto sotto il nu mero ‘ 7 ’ le nozioni, schematiche, acquisite più o meno bene. Nella sesta età
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Amochrch (3) que quier dezir del ssubimiento. Et esto es porque quizo ffazer creyente por aquel libro que él ssubiera al cielo e que él viera a Dios e que ssopiera mucho de las ssus poridades. Et dixo cómrao viera estas quatro animalias e ffigurólas asi cómmo auedes oydo. E ppuso en su rrazón que aquella que auya faz de omne rrogaria a Dios en el dia del juyzio por los omnes; et la que ssemeiaua àguila, por las aues; et la del león por las bestias ffieras » (4). Questa citazione dal Libro della Scala, e quindi dalla tradi zione islamica è preceduta da un’altra dalla tradizione giudaica (5): « Ca la una dixieron que auya fación de omne, e la otra de aguila, e la otra de león, et la otra de thoro, ssegunt algunos de los judios mostrarmi en un libro que dizen en ebraico Martala, que ffabla desta rrazón misma. Et muestra la corte del cielo cómmo està e que paresce y Dios en ssi et ffabla destas quatro animalias que estân con él et lieuan la ssu catedra. Pero algunos y ha que dizen que ffizo aquel libro el rrey Ssalomón por entendimiento de Spiritu Ssanto ». Il passo giudaico, quello musulmano e quello dell’Apocalisse di S. Giovanni, la cui citazione segue nel Setenario, derivano tutti, in definitiva, più o meno direttamente od indirettamente, da Eze chiele (I, 10) (6). Ma a quale testo immediatamente si riferisce la
del mondo, sommariamente ma tipicamente, egli dice che: « Nasció Mahoma y ordenó su secta, y ha sido la Iglesia perseguida de muchos hereges y guerras y ahora lo es del herético Lutero ». F. Marquez Villanueva, che ha ristampato il Numéro Septenario (in Anales de la Universidad Hispalensis, X IX , 1959, p. 89109) giustamente paragona Sebastian de Horozco allo studente che accompagna Don Chisciotte alla grotta di Montesinos ( Q u i j o t e , parte II cap. 22) ; e si po trebbe aggiungere non solo perchè egli attribuisce a Sardanapalo la invenzione dei cuscini (op. cit. p. 100) sotto il regno di Tulio Ostilio, ma anche perchè at tribuisce a Tito Livio « en sus decadas » i famosissimi versi virgiliani: Tu regere imperio populos, Romane, memento {ibidem). Siamo proprio lontani dal Re Savio del X III secolo! (3) Variante: Amacherth. {*) La citazione del Setenario corrisponde al passo che nel riassunto castigliano del Libro della Scala si legge: « E dixo Mahomat que un ângel que es agora en figura de orne, rogarà a Dios por los ornes que les faga algunas mercedes; e el ângel qu’es en figura de âguila rogarâ a Dios por las abes; e el ângel qu’es en figura del buey rogarâ a Dios por las bestias; e el ângel, qu’es en figura de leon, rogarâ a Dios por las bestias salvajes » (Libro della Scala, p. 284). (5) Setenario cit. p. 118. (6) Nella Volgata: « Similitudo autem vultus eorum facies hominis, et facies
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citazione giudaica? Franco Michelini Tocci mi ha cortesemente comunicato (7): « Il motivo dei Quattro Animali che sorreggono il “ carro ” di Dio (e nel testo alfonsino edito Martala sta certa mente per Merkabah “ carro ” ) (8), e cioè il Trono del Signore (la cdtedra del Setenario) ha avuto un enorme sviluppo nella letteratura ebraica post-biblica, dai manoscritti del Mar Morto ai testi della gnosi giudaica ed a quelli della Cabala medievale. Poiché però il testo castigliano in questione è di Alfonso il Savio, escluderei questi ultimi [i testi cabalistici] che, per la maggior parte, sono posteriori al 1290. Restano quindi i testi gnostici; e qui l’unica difficoltà è che quasi tutti parlano della Merkabah (la letteratura gnostica giudaica è infatti nota anche sotto il nome di “ letteratura della Merkabah ” ). E quindi è diffìcile identificare proprio quel testo cui allude l’autore del Setenario, né ci aiuta molto, per questo, l’attri buzione a Salomone. A mio parere, tuttavia, potrebbe trattarsi di un testo che è l’unico in cui il termine Merkabah compare fin dal titolo, e cioè la Merkabah Rabbah “ Il Carro Grande ” , pubblicato parzialmente da S. M u r a j o f f , Sefer Merkabah Slemah, Gerusa lemme 1921, p. 1-5. Il testo completo è ancora inedito e si trova in vari manoscritti (tra cui Jewish Theological Seminary of New York 828, ff. 38δ-43«; e Monacense 40, if. 109-113). Una Merkabah zuta’ “ Il Carro Piccolo ” sembra conosciuta solo di nome. Notizie su tutto ciò si possono trovare nell’unica trattazione scientifica sul l’argomento che è: G.G. S c h o l e m , Jewish Gnosticism and Talmudi Tradition, New York 1960, p. 6». Questi chiarimenti di Franco Michelini Tocci sono storicamente importanti come indizio del l’ambiente culturale, nel quale si muovevano i dotti Ebrei che collaboravano al lavoro del gruppo di traduttori e redattori intorno al Re Alfonso il Savio. Alla citazione della Merkabah giudaica segue nel Setenario quella della Apocalisse: « Otrossi sse pfoeria en la ley nueua de Ihesu Cristo, en un libro que ffizo Sant Johân a que llaman Apocalipssi, en que ffabla desta rrazón misma, pero muéstralo mas complidaleonis a dextris ipsorum quattuor, facies autem bovis a sinistris ipsorum tuor et facies aquilae desuper ipsorum quattuor ». (7) Lettera del 26 gennaio 1970. (8) Occorre perciò emendare in Merkaba o Mercaba il titolo erroneo tala dei mss. del Setenario. Abbiamo, d’altronde, visto proprio qui sopra negli stessi mss. il titolo arabo al-Mi'ràg è stato storpiato in Amochrch e cherth.
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mente que los otros ». E qui il riferimento è facilmente identifica bile: (a p . IV, 6-7) nella Volgata: « quattuor animalia plena oculis ante et retro. Et animai primum simile leoni, et secundum animai simile vitulo, et tertium animal habens faciem quasi leonis et quar tum animai simile aquilae volanti ».
§
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Musulmani ed Ebrei alla corte di Alfonso il Savio e le Siete Partidas Così l’autore del Setenario cita i due passi dai libri, musulmano e giudaico, per dimostrare meglio che « quatro Euangelistas deven sser e non mas », credenza cristiana che le altre religioni suddette confermerebbero: « la ley de los Judios e la nuestra e la de los Moros, e aun la de los Gentiles, sse acuerdan en estas quatro animalias ». Questo confronto dipende anche, naturalmente, dalle persone, che di varia religione: Cristiana, Musulmana, Giudaica, collaboravano alla Corte di Siviglia nel poderoso lavoro di traduzioni cui Alfonso il Savio ha legato il suo nome. Nè meravigli questa ricettività dell’ambiente della Corte di Siviglia. Nello stesso codice del vigente diritto, le Siete Partidas, il Re Alfonso mostra una moderazione che per quell’epoca (siamo alla metà del Duecento) non è solita. Ad esempio, ecco come sono definiti i Musulmani: « Moros son una manera de gentes que creen que Mahomat fue profeta et mandadero de Dios; et porque las obras et los fechos que él fìzo non muestran dèi tan grant santidat porque â tan santo estado pudiese llegar, por ende la su ley es como denuesto de D io s » (9). Anzi nello stesso Codice il Musulmano (o lo Ebreo) al passaggio del Santo Sacramento portato per la via da un chierico deve onorarlo, « mas si esto non quisiere facer, mandamos que se tuelga de la calle porque pueda el clérigo pasar por ella desembargadamente » (10). (9) Las Siete Partidas del Rey Don Alfonso, ed. Real Academia Espanola, Madrid 1807, vol. I li, p. 675. (10) Las Siete Partidas cit. vol. I, p. 186. E per di più nel caso che il Mu sulmano (o l'Ebreo) non si scosti e sia recidivo, la questione sarà portata soltanto al Re che la deciderà affinchè « non pueden decir que les facen mal â tuerto en nuestro senorio ». Questo poi vale solo per i Musulmani « moradores en los lugares de nuestro senorio », mentre se sono stranieri di passaggio « no tenemos por bien que cayan en esta pena ».
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La legge del Re Savio giungeva così ai limiti di tolleranza per garantire in Castiglia la pacifica convivenza delle varie comunità. E tale spirito ispira anche il lavoro dei traduttori che per ordine del Re pongono gli Occidentali cristiani in condizione di conoscere ed avvalersi del sapere dellOriente. Del resto, ne è altra prova la traduzione del Libro della Scala non solo in castigliano, ma anche in latino ed in francese. § 3. Il Libro della Scala e la datazione del Setenario La citazione del Libro della Scala può anche dare qualche in dizio sulla composizione del Setenario. Il Vanderford nella sua edi zione (n) fa sua e rinforza l’ipotesi del Martinez Marina che il Sete nario sia un primo abbozzo, rimasto incompleto, di quello che fu poi il Libro de las Siete Partidas. Alfonso avrebbe fatto cominciare e mandato avanti la redazione del Setenario durante il regno e per impulso del Re suo padre Fernando III e, dopo la morte del padre, avrebbe interrotto quel lavoro ed ampliati i limiti del progettato Codice, facendo così redigere le Siete Partidas. Ora noi sappiamo dal proemio delle Siete Partidas che esse furono cominciate nel quarto anno di regno di Alfonso X (perciò nel 1256 e finite nel tredice simo anno di regno quindi nel 1265) (12). D ’altra parte la tradu zione dal castigliano in francese del Libro della Scala fu fatta nel maggio 1264, secondo il colophon del codice di Oxford (13). Il Sete nario, veramente, cita il Libro della Scala, come è ovvio, nella ori ginale versione castigliana, ma è supponibile — almeno vagamente — che le versioni francese e latina non furono poi fatte molto dopo la prima traduzione castigliana. La cronologia del Libro della Scala citato dal Setenario pare così più vicina alle Siete Partidas; e del resto la ‘ Scala ’ fu tradotta per ordine di Alfonso X già Re come è detto chiaramente nel proemio, quindi dopo la morte di Fernan do III (14). Qualche altro indizio può dare la storia della Rèconquista, che Alfonso X accenna nel testo del Setenario per suo padre Fernan-
(“ ) A lfo n so E l Sa b io , Setenario cit. p. X X V I - X L . (la) Las Siete Partidas cit. v o l. I, p. 1.
(13j Libro della Scala, p. 224. (I4) Libro della Scala, p. 24-25.
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do III e per sè. Egli infatti ricorda che Fernando III « por ssu linaie ganó el rregno de Murçia, e sennaladamiente por ssu fìjo el mayor don Alffonso; e fììzol auer el de Jahen e otrossi el del Algarbe, et ayudól a ganar la çibdat de Sseuilla » (15). Ho già detto altrove (16) come la titolatura dell’Algarve per Alfonso X durò dal 1253 al 1267. Questi sono, perciò, altri limiti cronologici per la composizione del Setenano. Non è qui il luogo per esaminare a fondo le conseguenze di questi nuovi dati, che la citazione del Libro della Scala offre per la datazione del Setenario. Basterà aver così richiamato sul pro blema l’attenzione degli studiosi.
§ 4. Il Setenario e Brunetto Latini Tuttavia, sia pure come parallelo non privo di curiosità, vorrei dire qualcosa su di un’altra asserita riconnessione con l’ambiente di Dante. Già Amador de los Rios aveva supposto che il Setenario, quale è giunto a noi, era un lavoro, poi mutilo nella trasmissione, che voleva essere una enciclopedia del sapere, al tempo di Alfonso il Savio. Tale tentativo di enciclopedia — dice Amador de los Rios — non sarebbe da immaginare modellato e nemmeno ispirato dal Te soro di Brunetto Latini. Anzi Brunetto Latini, durante la sua am basciata in Spagna nel 1260, potrebbe essersi ispirato per la suc cessiva redazione del suo Tesoro proprio al lavoro di Alfonso il Savio (17). Ora, per quanto possa concernere il rapporto con l’opera di Brunetto Latini, i fatti sono questi: Brunetto Latini fu ambascia-
(15) Setenario cit. p. 15. (18) Libro della Scala, p. 13-15. (I7) J. A mador de los R ios , Història critica de la literatura espanda, voi. I l i, Madrid 1863, p. 561-562: « PPudo el gramàtico fiorentino tornar d’él la idea para su Tesoro ? El apiauso que la obra del Rey alcanzaba, la estimacion y el res pecto en que era tenida su ciencia por los extranos, y la no despreciable circunstancia de venir Bruneto a Castilla en los momentos de mayor esplendor de aquella corte, o mas bien de aquella academia cientifico-literaria, pudieran llevamos a sentar corno probable este asunto. No lo esforzaremos sin embargo para no ser tenidos por apasionados, pues que no podemos tampoco formar completo juicio de la obra castellana ».
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tore di Firenze al Re Alfonso il Savio per pochi mesi nel 1260 e nel suo viaggio di ritorno, al passaggio dei Pirenei, ebbe notizia, da uno studente di Bologna (18), della battaglia di Montaperti (4 settem bre 1260), dove i Guelfi fiorentini erano stati sconfitti. Si rifugiò quindi quasi subito in Francia, dove rimase in esilio sino alla cac ciata dei Ghibellini da Firenze nel novembre 1265, conseguente alla sconfitta ed uccisione di Manfredi nella battaglia di Benevento del 26 febbraio 1265. Durante l’esilio in Francia, quindi al ritorno dalla Spagna e dal 1260 al 1265, scrisse il Tesoro (19). La citazione del Libro della Scala nel Setenano attesta che il Setenario, almeno nei manoscritti (sia pure mutili) a noi giunti, fu scritto dopo il 1264; dunque mentre Brunetto Latini era già da anni in Francia. È vero che il Latini riportò dalla sua ambasciata una espressa ammirazione per il Sovrano, presso il quale era stato accreditato: « l ’alto Re di Spagna || ch’or è Re della Magna || e la Corona attende || se Dio non gliel contende. |) Chè già sotto la luna || non si trova persona || che per gentil lignaggio || nè per alto barnaggio II tanto degno ne fosse || com’esto re Nanfosse » (20). Ma l’elo gio, come si vede, è piuttosto politico ed ha particolarmente lo scopo di sottolineare favorevolmente l’azione per il riconoscimento del l’elezione di Alfonso ad Imperatore del Sacro Romano Impero. Sono pochi versi, beninteso, ma di Alfonso si cita il ‘ lignaggio ’ ed il ‘ baronaggio ’ e non gli indubbi e grandissimi meriti per la cultura. Temo che Brunetto Latini versificasse qui più da vecchio ambasciatore che da letterato ed enciclopedico. E non ho bisogno di ricordare che fu già supposto che Brunetto Latini durante la sua ambasciata avrebbe avuto conoscenza della letteratura araba sulla Visione d’oltretomba di Maometto; sì che per questa via quella conoscenza sarebbe giunta poi a Dante. (Non era ancora stato ri trovato, il Libro della Scala, quando tale ipotesi fu fatta). Sono
(is) xi Tesoretto cit. p. 13-15: «Tanto che nel paese | di terra navarrese I venendo per la calle | del pian di Roncisvalle | incontrai uno scoiaio | sovr’un muletto baio | che venia di Bologna... Ed ei cortesemente | mi disse immanti nente I ch’e’ Guelfi di Fiorenza | per mala provedenza | e per forza di guerra | eran fuor della terra. (ls) Brunetto Latini portò a Firenze nel 1266, di ritorno, il ms. del Tesoro, cui aggiunse colà alcuni capitoli. Cfr. F r an cis J. Ca r m o d y , Li Livres dou Trésor, Berkeley, 1948, p. X X II. (so) i i Tesoretto ed il Favolello di Brunetto Latini ed. G.B. Zannoni, Firenze 1824, p. 11.
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forse troppe cose per il breve periodo dell’ambasciata di Brunetto Latini, che disse: «feci l’ambasciata || che mi fu comandata || e poi sanza soggiorno || ripresi mio ritorno (21). Comunque, abbia ispirato o sia stato ispirato dall’opera di Alfonso il Savio, il Tesoro di Brunetto Latini fu tradotto dal fran cese in castigliano poco dopo, durante il regno di Sancio IV, figlio e successore di Alfonso il Savio (22). Così la traduzione dal casti gliano in francese del Libro della Scala, questa del Tesoro di Bru netto Latini dal francese in castigliano sono entrambe nuova testi monianza della reciproca influenza della cultura italiana, spagnola e francese in quella seconda metà del secolo X III.
(il) Il Tesoretto cit. ibidem. Il Carmody (op. cit. p. XVII) arriva addirit tura a dire: « Les ouvrages de Latini ne montrent aucune influence des lettres espagnoles, aucune connaissance du pays »; e Carmody ancora ignorava il Libro della Scala che per il Setenario ci dà un nuovo dato cronologico come ho detto ora. (“ ) Cfr. J. A m a do r d e los R io s , op. cit. vol. IV, p. 17-25.
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Libro della Scala e la polemica anti-islamica
di Francesco Eiximenis: Testo catalano dal «Libre del Crestia »
(Testo catalano) 1. Il sepolcro di Maometto e la leggenda della calamita. 2. Il mal caduco. La colomba. Le otri di latte. 3. I filosofi arabi e l’interpretazione allegorica del Corano. 4. Il Califfo, Papa dei Musulmani. 5. Il Pro feta Maometto attira i suoi credenti con promesse epicuree. 6. Contro i Prin cipi Cristiani tolleranti. 7. Le privazioni che l’Islam impone ai suoi fedeli. 8. Le privazioni furono imposte dall’Islam per motivi mondani. 9. Come Maometto diventò Re degli Arabi. 10. Maometto accoglie credenze giu daiche e cristiane nella sua Legge. 11. Il Libro della Scala ed il Corano. 12. I precetti dell’Islam. 13. Il Paradiso e l ’Inferno secondo l’Islam. 14. La profezia della fine dell’Islam. 15. I miracoli di Maometto. 16. I Musulmani rinnegatori di Cristo e la loro disciplina nelle Decretali della Chiesa Catto lica. 17. L ’Islam nei simboli dell’Apocalisse.
§ i· Il Libro della Scala e Francesco Eiximenis Francesco Eiximenis, una delle maggiori figure della lettera tura catalana del secondo Medio Evo, nacque a Gerona forse nel 1340 ed appartenne all’ordine francescano dei Frati Minori (x).
(') Per queste notizie biografiche di Fr. Eiximenis cfr., ad esempio, l’in troduzione (di M arç a l O l iv a r ) a F r an cesc E ix im e n is , Contes i Fautes, Barce lona 1925 (Els nostres Classics), p. 11-13; e precedentemente il riassunto biogra fico e bibliografico di F. T o rres A m a t , Memorias para ayudar a formar un Diccionario de los Escritores Catalanos, Barcelona 1836, p. 674-677 (ed il Suplemento a las Memorias etc. di J. C o r m in a s , Burgos 1849, p. 280-281.) Per la bibliografia vedi J. M asso y T o r r e n t s , Les Obres de Fra Francesc Eiximeniç. Essay d’una bibliografia in Annuari Institut Estudi Catalans, III, 1909 (circa El Cristià vedi
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Oxford, Parigi, Colonia, Avignone e Roma lo ebbero nelle loro scuole; ma il suo soggiorno più lungo e più ricco di attività fu a Valencia. Uscito da Valencia nel 1407 moriva a Perpignano nel 1408. Ho già segnalato altrove come lo Eiximenis aveva espressamente ci tato il Libro della Scala (2) in un passo della sua opera Lo primer llibre del Crestià. Darò qui di seguito il testo completo dei capitoli di polemica con i Musulmani di quel Llibre, dove si legge anche il riferimento al Libro della Scala, togliendoli dalla rarissima edi zione di Valencia, per Lambert Palmari, del 1483. Debbo le foto grafìe di quelle pagine alla benevolenza che Γ Eminentissimo Cardi nale Anseimo Albareda O.S.B. di venerata memoria ebbe sempre a dimostrare verso queste mie ricerche. A rendere più facile l’analisi ed il commento storico di questo testo particolarmente interessante lo ho diviso in paragrafi, intito lati variamente secondo il loro contenuto. Nel seguente capitolo darò nello stesso ordine e con gli stessi titoli il commento storico alle notizie dello Eiximenis. Capitol L X III qui ensenya com Mahomet no feu james vers miracles.
[§ 1. Il sepolcro di Maometto e la leggenda della calamita]. Mas pories tu dir que no solament la sancta religio crestiana [,] ans encara los Serrahins han grans miracles [;] car Deu a honor de Mahomet de Mecha no vol que lo seu cors stiga en la terra [,] ans sta ait en l’ayre [,] laquai cosa no s poria fer si no per gran mi racle [.] E aquest tan gran miracle dona testimoni que la sua vida fonch sancta [,] els miracles que obra en lo mon foren verdaders e di gnes de gran reverencia. E aquesta rao responch e dich que lo cors de Mahomet no sta axi en l’ayre alt leuat per miracle: ans son aytal star ha causa natural [,] car per aquesta mateixa via pories fer star en l’ayre un cors d’ase e de qualque altra bestia te volguesses. On
p. 592-609); e J. R ib e l l e s C o m in , Bibliografia de la lengua valenciana, Madrid 1915, che alle pagine 197-216 dà anche notizie sul contenuto dei singoli capitoli del Libre del Crestià. (a) Dante e l ’Islam in: Convegno sul tema: Oriente ed Occidente m i M edio Evo, Roma, Accademia Lincei, 1957, p. 284.
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deus saber que ell jau dins una caxa de ferre la qual sta dins una casa de caramides qui egualment tiren a si lo ferre [;] e per conseguent, com sien posades en aytal liuell e disposicio que totes ensemps en certa proporcio tiren lo ferre de la caxa [,] força es que la caxa tinguen al mig. E semblant cosa recompta sanet Agosti en vint e un libre dela Ciutat de Deu en lo sisen capitol que fonch feta una vegada en altre loch [.] Perque aquesta cosa no deu esser dit miracle [,] ans es gran fictio e falsia e enganament daquells que pensen que Deu lo tinga axi per merits seus: bem par que no saben la sua vida quina fonch car fonch un gran falsari enganador de molta mesquina gent la qual corrompe falsament ab ses falses maneres.
[§ 2. Il mal caduco. La colomba. Le otri di latteJ. E com ell hagues mal de caure e lo dit mal li vengues davant la gent, deya que l’Esprit Sanet lauors parlava ab eli e que per la sua gran resplandor que no podia sofferir caya en terra e feya aquells leigs continents que lauors feya. Nodri aximateix una coloma e daua li a menjar dins sa propria orella e com la coloma vingues a eli dauant lo poble e li posas lo bech en la orella volent aqui menjar axicom savia acostumat [,] deya ala gent que la co loma era l’Esprit Sanct que li parlava e l’informaua sobre ço que deuia fer. E fehia metre odres d’aygua e de let dejus terra en los monts [;] e puys davant lo poble feria ab lança sobre los odres cuberts de terra, manant que gîtas lo mont let o aygua e hixent la let o aygua dels odres la mesquina de gent se pensaua que per virtut dell la terra donas aquella let o aygua
§ 3. [J filosofi arabi e l’interpretazione allegorica del Corano]. Veus com deu esser ell honrat per sos miracles [,] que ans meresquera que de present la senyoria l’agues penjat per la gola o cre mat e li hagues fet en cara piyor per tal quant axi enganava lo poble en fet dela creença. E pertal si volem saber qui fonch nons ne anem a altres de present sino als pus famosos Serrahins de sa propria
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secta qui may foren e als maiors clergues [,] los quais foren [:] Avi cenna gran e famos philosof metge e Averroys comentador de Aristotil grans philosofs. Aquest en lurs scrits e doctrines en special posen que lur gran mestre Mahomet fonch lej ament enganat quant posa benauyrança en délits carnals [;] car no sta aqui com aytals délits si en comuns a homens e a besties [;] ans dien que sta en l’enteniment conprenent altes veritats deles coses sobiranes axicom es la Causa Primera que nos appellam Deu tot poderos E jatsia que alcuns dels Serrahins diguen que Mahomet no entes a dir allo a la letra axicom sonaua [;] ans aquella promissio d’aytal benauyrança era parabola e semblança per la quai entenia a significar los bens qui son verdadera benauyrança: die te aci que [,] posem que axi fos [,] encara eli ensenya en la semblança que dona que ell era hom vil e orreu sutze e abhominable [;] maiorment quant dix que cascun segons sos merits havria en l’altre segle aytanta mel e aytanta let e aytantes fembres vergens [;] car com les paraules mostren qui es Ion segons diu la Scriptura [,] segueix se que qui coses axi altes com es benauyrança compara a tan vils coses com ell la comparaua [,] que no podia procedir si no de gran corrupcio e viltat sua. Ne la resposta conte veritat en si [,] çoes que ell dient totes les damunt dites peguees enteses a parlar en paraboles e semblances [,] car si axi ho enteses [,] appar que nuis hagueren sabuda la sua in tendo; aquells dos tan grans clergues Serrahins allegats, çoes Avi cenna e Averroys, que no altre e pus favorablement l’agueren en sos dits sostenguts ne l’agueren en lurs libres e doctrines axicom han impugnat en aquesta part [,] axicom dit es: per que appar que eli no parlava én paraboles [,] ans ho entenien a dir axi corn les pa raules son aven.
[§ 4. Il Papa dei Musulmani]. Aço mateix appar per altra via car com lo gran cassis lur e cap de morisma en lo spiritual que dien que sta a Mecha e scriv induent son poble a res spiritual o temporal a fer axi com lo Pare Sanct entre nos promet indulgencies: e aquell promet en l’altra vida semblants ribaldaries que promes Mahomet [,] çoes délits de menjar e de fembres vergens ed altres carnalitats: les quais coses
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Capitolo III Il Libro della Scala e la polemica anti-islamica di Francesco Eiximenis. Esame storico.
1. Il sepolcro di Maometto e la leggenda della calamita. 2. Il mal caduco. La co lomba. Le otri di latte. 3. I filosofi arabi e l’interpretazione allegorica del Corano. 4. Il Califfo Papa dei Musulmani. 5. Il Profeta Maometto attira i suoi credenti con promesse epicuree. 6. Contro i Principi Cristiani tolle ranti. 7. Le privazioni che l’Islam impone ai suoi fedeli. 8. Le privazioni sono imposte dall’Islam per motivi mondani. 9. Come Maometto diventò Re degli Arabi. 10. Maometto accoglie credenze giudaiche e cristiane nella sua Legge. 11. Il Libro della Scala ed il Corano. 12. I precetti dell’Islam. 13. Il Paradiso e l’Inferno secondo l’Islam. 14. La profezia della fine del l’Islam. 15. I miracoli di Maometto. 16. I Musulmani negatori di Cristo e la loro disciplina nelle Decretali della Chiesa Cattolica. 17. L ’Islam nei simboli dell’Apocalisse.
§
1.
Il sepolcro di Maometto e la leggenda della calamita Francesco Eiximenis dà così un notevole gruppo di notizie, che — anche oltre il riferimento al “ Libro della Scala ” — hanno valore per la storia culturale. Converrà qui esaminarle seguendo l’ordine dei paragrafi, nei quali ho diviso il testo catalano sopra edito.
[§ 1. Il sepolcro di Maometto e la leggenda della calamita] La leggenda della calamita che avrebbe mantenuto in alto, sospeso, il sepolcro di Maometto era antica in Occidente; e si trova già nell’opuscolo in versi di Embricon di Magonza (1010-1077) che scriveva tra il 1034 ed il 1077: Sed sic ornatum gemmis auro variatum sicut nocturnum lucida stella polum; sic opus elatum solo magnete paratum in medio steterat quod velut arcus erat, sub quem portatur Mahumet tumuloque locatur qui, si quis quaerat, aere paratus erat.
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Et quia revera magnes sibi contrahit aera in qua rex jacuit tumba levata fuit. Et sic pendebat quod vis lapidum faciebat. Ergo rudes populi prodigium tumuli postquam viderunt rem pro signo tenuerunt (*). E nello stesso periodo Gautier de Compïègne, che scriveva anche egli in Francia, verso la metà del secolo X II, il suo poemetto riferiva ancora la leggenda: Nam, sic fertur, ita vas pendere videtur, intra quod Machomis membra sepulta jacent ut sine subjecto videatur in aere pendens, sed nec idem rapiat ulla catena super. Ergo si quaeras ab eis qua non cadat arte, fallentes Machomis viribus hoc reputant. Sed vas revera circumdatur undique ferro, quadrataeque domus sistitur in medio. Et lapis est adamas per partes quattuor aedis, mensura distans inde vel inde pari, qui vi naturae ferrum sic trahit aeque, ut vas ex nulla cedere parte queat (2). Si potrebbe dubitare della origine di questa leggenda lunga mente trasmessa (3), ma già Fr. Eiximenis cita in parallelo un passo di S. Agostino. La citazione è giusta. S. Agostino infatti dice: {De Civitate Dei, 1. X X I cap. VI) « unde factum est in quodam templo,
P) La identificazione di Embricon di Magonza come autore della Vita Mahometi, già attribuita (cfr. P.L. M ig n e , 171) a Hildebert de Tours, si deve alla ricerca di Guy Cambier (Embricon de Mayence est-il l’auteur de la Vita Maho meti} in Latomus, XVI, 1957, p. 468-479) e quindi alla successiva edizione critica: Embricon de Mayence: La Vie de Mahomet éditée par G u y C a m b ie r , Bruxelles 1962 (Collection Latomus, vol. LU): La datazione è assicurata, secondo il Cambier, dal sincronismo dell’intrec cio romanzesco della Vita Mahometi con avvenimenti dell’Impero Bizantino e propriamente sull’avventura deH’imperatrice Zoe con Michele IV, fratello di Gio vanni TOrfanotrofo, fatti svoltisi appunto tra il 1034 ed il 1041. (2) Per la datazione cfr. ancora G. Ca m b ie r , Quand Gautier de Compiègne composait les Otia de Machomete in Latomus, X V II, 1958, p. 531-539. Testo dei poemetto in E. Du M é r il , Poésies populaires latines du Moyen Age, Parigi 1847, p. 414. (3) Ancora, ad esempio, Alexandre Du Pont, che scriveva a Laon nel 1258
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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lapidibus magnetibus in solo et camera proportione magnitudinis positis, simulacrum ferreum aeris illius medio inter utrumque lapi dem ignorantibus quid sursum esset ac deorsum quasi numinis po testate penderet ». Cfr. anche ibidem, 1. X X I cap. IV. Ma ancora il Du Méril (4), pur non conoscendo l’opera di Fr. Eiximenis, ha segnalato la stessa leggenda in Ausonio (5), in Rufino (e), in Cas ed aveva per sua fonte proprio Gautier de Compïègne, versificava: un luisiel de fier forgier font, le cors Mahom couchier i font. Une maisonnette voltée font d’aymant si compassée k’en mi lui ont le cors laissié; ni a rien ne l ’ont atachié. En l’air sans nul loïen se tient Mais li aymant le soustient par sa nature seulement » (Testo in B. Z io l e c k i , Alexander der Pont’s Roman de Mahomet, Oppeln 1887, p. 51). La leggenda della calamita nella sua lunga trasmissione ha poi almeno tre varianti: quella del Liber Nicolay (secolo X II-X III) che vuole nell’arca ca lamitata soltanto il piede di Maometto (vedi appresso Cap. X X ); quella del Libro del Conoscimiento del Francescano di Castiglia (secolo XIV) che pone nell’arca tenuta in aria dalla calamita, non già il corpo, ma « la Legge ed il Testamento di Maometto » (cfr. The Book of knowledge of all the Kingdoms, Lands and Lordships, trad. C. Markham, Londra 1912, p. 41); e quella del versificatore italiano del Tesoro di Brunetto Latini (il codice unico che lo contiene è datato dal 1310) che colloca a Baghdad (e non alla Mecca) « l ’anello di pietra e di ferro lavorato », tomba di Maometto, tenuta su dalla calamita (Cfr. A . D ’A n c o n a , Il Tesoro di Brunetto Latini versificato in Memorie Accademia Lincei, 1888, p. 177-178). Bru netto Latini, invece, nella sua brevissima notizia su Maometto nel Tesoro non parla di questa leggenda della calamita. L ’ubicazione a Baghdad dipende dal ricordo del Califfato ‘Abbàside (ab battuto nel 1258), e ne vedremo altre prove qui appresso (p. 50-51) e, se non erro, il dato del Libro del Conoscimiento è indizio di un’altra assimilazione, come quella del Califfo-Papa, con concetti religiosi occidentali, raffigurandosi nella leggendaria ‘ arca ’ di Maometto l’Arca dell’Alleanza contenente la Legge data al Sinai. (4) E. Du M é r il , op. cit. p. 414. (s) Infatti Ausonio nel suo poemetto De Mosella cita Dinochares « con ditor Ptolemaidos aulae », che con simile artificio aveva fatto attrarre, all’alto del tempio pagano, Arsinoe: (v. 315-317) Arsinoem Phari suspendit in aere templi; spirat enim tecti testudine corus achates afflatamque trahit ferrato crine puellam (in Monumenta Germaniae Historica, Script. Antiquissimi vol. V, Berlino 1883, p. 92). (*) Rufino (Historia Ecclesiastica) colloca l’artificio nel tempio di Serapide
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siodoro (7). Siamo, dunque, ad una tradizione di origine letteraria che, già applicata nella letteratura latina cristiana contro divinità pagane, è poi, nel secolo X I I , volta contro l’ Islam. E, si noti, questa curiosa leggenda, che si può, quindi, dire: dotta, è arrivata anche nella poesia epica già nello stesso periodo, sia pure spostata geograficamente, ma nelle stesse circostanze. Così nella Chanson d’Antioche, che è della prima metà del secolo X II, nella tenda del Sultano di Persia (« Là fist Soudan li rois son paveillon drescier ») si pone l’idolo Maometto, che -—- come la salma del Profeta stesso alla Mecca — è tenuto in sospensione dalla forza naturale della calamita: Grans fu et bien formés, s’ot le visage fier... De sor quatre aïmans le font metre e drecier Que il ne puist cliner ne nule part ploier: Mahomes fu en l’air, si prist a toumoier, Quar uns ventiaus le boute qui le fait tournoier... Mahomes fu en l’air par l’aïmant vertus Et Païens l’aourèrent et rendent leur salus (8). Si ha così un tipico esempio di assimilazione di un elemento ‘ dotto ’ nei canti epici medievali. E questo è un fatto non privo di interesse per la storia della cultura medievale.
§ 2. [Il mal caduco. La colomba. Le otri di latte] L ’altra tradizione, di cui parla qui F. Eiximenis, quella del ‘ mal caduco ’ del Profeta Maometto è anche essa nei documenti medievali occidentali del X I I secolo. Guibert de Nogent (1052-1124) dirà nella sua cronaca: « Propheta coepit egregius morbo epilepsiae, ad Alessandria: « Signum Solis ad hoc ipsum ex ferro subtilissimo manu artifi cis fuerat fabricatum ut lapis cuius naturam ferrum ad se trahere diximus, de super in laquearibus fixus, cum temperate sub ipso radio ad libram fuisset po situm simulachrum et in aere pendere videretur ». P.L. M ig n e , X X I, c. 539 (lib. II, cap. X X III). (7) Cassiodoro nella Epistola a Boezio (Variarum, 1. I, 21) premesso che « ars elementis confert quod originis conditio denegavit » dà come esempii: « hoc enim fecisse dignoscitur Daedalum volari; hoc ferreum Cupidinem in Dianae templo sine aliqua alligatione pendere » (P.L. Migne L X IX c. 541). (■') P. P a r is , Richard le Pèlerin, Chanson d'Antioche, Paris 1848, vol. II p. 45-46.
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quem caducum vulgo dicimus, aliquotiens acriter, prophetissa [Hadigah] cernente, vexari; et eversus obtutibus, facie tabida, labiis spumantibus, dentium ejus stridoribus ipsa terreri. Insperato hoc eventu perterrita... » (9). E Gautier de Compïègne nei suoi versi: « Nam Machomes morbo qui dicitur esse caducus arreptus dominae concidit ante pedes. Membra volutat humi, decurrunt ore salivae, jam quasi defunctum flet domus et domina » (10). Analogamente lo Pseudo Hildebert, vescovo di Tours, e cioè Embricon di Magonza: « Nam male pro gestis capit hunc epileptica pestis Quae vexat miserum pro numero scelerum... ». E così dell’epilessia profitta per asserirsi rapito al cielo: « Ad quam nequitiam sic parat ipse viam ut quoties caderet rex examinisque jaceret vel cum deficeret inde scelus caperet... Quique putatur defunctus cum raperetur in coelum quotiens summa Deus toties Regni tractaret vel nova jura crearet » (u). E qui abbiamo una coperta allusione, sia pure vaga, alla ‘ ascen sione ’ o viaggio oltre-tomba di Maometto. Ma questa leggenda del ‘ mal caduco ’ di Maometto era già in Teofane (12) ed i Latini l’avevano conosciuta per la traduzione attribuita ad Anastasio Bibliotecario (1S) (del I X secolo): καί εσχε το πάθος της έπιληψίας (nel latino « porro habebat passionem epi lepsiae »). Quanto alla leggenda della colomba istruita da Maometto, la fonte diretta di F. Eiximenis è qui Vincent de Beauvais (14), che (9) G u ib e r t d e N o g en t , Gesta Dei per Francos in: Historiens des Crorsades, Occidentaux, vol. IV, p. 129. (10) Du M éril , Poésies populaires latines cit. ρ. 11 (u) Cfr. sopra p. 42 nota 1. (12) T e o f a n e , Chronographia, ed. C. de Boer, Lipsia 1883-1885, vol. I, p. 512. E da Anastasio Bibliotecario era passata anche nelle Cronache di Ekkehard (Mon. Germ. Hist. I ll, p. 153) ed in Sigeberto di Gembloux (Mon. Germ. Hist. VI, p. 323). (13) T e o f a n e , op . cit. v o l. II, p. 165. (“ ) V in c e n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale, D ou a i 1624, p. 913.
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l’autore catalano citerà poi alla fine del suo excursus. Vincent scri veva nel 1244 ed, a sua volta, aveva come fonte principale l’Apo logià di al-Kindi nella traduzione latina compresa nella Collectio Toletana (del 1143). (15) Anche questa leggenda sembra, perciò, arr vata in Occidente nella prima metà del secolo X I I , ma questa volta non da fonte classica, ma da uno scritto arabo cristiano. La sto riella della colomba avrà poi lunga vita nelle letterature europee. Sarà abbellita ed unita con la tradizione medievale di Nerone e Vir gilio nel poemetto francese conservato già in un codice di Torino (ie), dove Maometto: Un oisel a apris e doctrines qu’il vint soür lui mangier e reposer chou que il voet en s’oreille bouter puis en reva ariere en l’air monter... Qui non è già la colomba consueta, ma il volatile, costruito per magia, è riccamente adorno: L ’oisiaus fu biaus et si fu d’or pares, d’escarboucles, par nigromanche ouvre. Ausi reluist com solaus en este par les pieres et par l’or esmere... Maometto evoca lo spettro di Nerone, che era stato decapitato per stregoneria di Virgilio; e Nerone porta così Maometto a Roma dove egli si incontra con l’ Imperatore e si presenta: Mahons sui apelles Ens ou vergier de terrestre sui nes; La me norirent fees par amistie. Prophetes sui en cest siede mortel. (ls) A l - K i n d ï , Apologia del Cristianismo ed. J. M u n o z S e n d i n o , in Miscel lanea Comillas, X I - X I I , 1949,. C fr . A . A b e l , L'Apologie d’al-Kindi et sa place dans la polémiqué islamo-chrétienne in Atti del Convegno·. L ’Oriente Cri stiano, Roma, Accademia dei Lincei, 1964, p. 501-524; M .T h . D ’A l v e r n y , La connaissance de l’Islam en Occident du I X au milieu du X I I siècle in: L ’Occidente e l’Islam nell’Alto Medio Evo, Spoleto 1965, p. 592-594; ed il mio Libro della Scala cit. p. 385-391. (16) Il testo fu pubblicato da Arturo Graf (Spigolature per la leggenda di Maometto in Giornale Storico della Letteratura Italiana, XIV, 1889, p. 205. Il Graf non indica la data del manoscritto (nè quella possibile del poemetto), ma il Comparetti, che si era servito di un altro testo contenuto nello stesso manoscritto {Virgilio nel Medio Evo, II edizione, Firenze 1896, vol. II, p. 97 nota 2) ne dà il colophon datato dall’anno 1311, mese di giugno nel quale il codice fu scritto.
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Inde la majour ai jon crestienne; Roi en ai fait un preudomme sene Prestre Jehan; ou monde n’a son per. E qui ancora, come si vede, un altro raccordo con la popolare leggenda del Prete Gianni, Sovrano Cristiano, dell’ India, che ora Maometto per ingannare i Romani asserisce incoronato da lui. Poi dopo un discorso al popolo ed all’ Imperatore di Roma: Quant ases a a bel lizors parie, Li anemis fait son oisel aler. Desus l’espaule s’asiet sans demorer; Il le connut au cors et au parler. Il va son bec en s’oreile bouter et mengut chou qu’il li ot apreste. Et Mahons s’est envers lui enclines. ‘ Angles ’ dist il ‘ qu’esse que viens conter? Que me mande li Roi de majesté?’ ‘ Angles ’ dist il ‘ qu’es chou que tu me dis? Que me mande li Rois de Paradis? ’ Abbiamo così un esempio, che mi sembra tipico, della reci proca attrazione di vari motivi i quali tendono ad unificarsi in un solo canto della poesia medievale, come è nel nostro caso per le leggende della colomba di Maometto, di Virgilio e Nerone e del Prete Gianni. La tradizione della colomba, secondo inganno attribuito a Maometto, avrà lunga linea di trasmissione in Occidente; e così dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (17) arriverà addirittura sino a Shakespeare (Henry the Sixth, Act I, Scene II) nel passo dove il Delfino Carlo dice a Giovanna d’Arco: Was Mahomet inspired with a dove? Thou with an eagle art inspired then. *
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Un terzo miracolo fittizio di Maometto, secondo il racconto di Fr. Eiximenis, è quello delle otri di latte e di miele. La fonte è anche qui l’Apologià di Al-Kindi; e più direttamente per Eixi(17) Legenda Aurea, ed. Th. Graesse, Lipsia 1850, p. 827-828.
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menis, lo Speculum Historiale di Vincent de Beauvais (18). Ma, prima di Vincent de Beauvais, il motivo era stato già raccolto, sempre a metà del X I I secolo, dal Warnerius (Waltherius), che lo versi fica così: Montis enim culmen, qua nescio foderat arte, ut tuto liquidum quid retinere queat. Mei igitur Machomes foveae commiserat uni, altera lac tenuit dum Machomes voluit. Sic quoque cespitibus fovearum texerat ora ut nullus fossae possit habere notam... E, dopo il discorso al popolo, Maometto: ...fossas divertit ad illas mel ubi lacque prius ipse recondiderat. Porro cespitibus, nunc hinc, nunc inde remotis altera fossarum mel dedit, altera lac (19). E, per conseguenza, Alexandre Du Pont seguendo il suo ‘ esem plare ’ dirà: Ensi soutilement les déchoit; Car devant par enghien avoit el chief del mont un conduit fait de miel et un autre de lait; et si couvers de vers wasons que ne les trouvast jamais hons... Dou haut mont en une partie par barat va et cha et la; le ait descuevre ou le miel repus; et la liqueur del lait s’asaie quel saveur eie ait. Ensi com se rien n’en seust (20).
[§ 3. I filosofi arabi e l’interpretazione allegorica del Corano] La credenza, che i filosofi arabi non abbiano accettato la ma terialità dei gaudii del Paradiso, comincia in Occidente con Guil('“) V in c e n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale, cit. p. 913. (ls) T esto in E. Du M é r il , Poésies populaires latines du Moyen Age, cit.
p. 404-405. (*·) B . Z io l e c k i , Alixandre der Pont’s Roman de Mahomet cit. p. 44-45.
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laume d’Auvergne (vescovo di Parigi dal 1228 al 1249) che attri buisce tale opinione ad al-Battàm esplicitamente; e forse anche, senza nominarlo, ad Averroes. Cfr. il mio Libro della Scala cit. p. 402-412. E prosegue trasmessa ed ampliata con Ramon Marti e, fuori di Spagna, nella scuola di Oxford, con Ruggero Bacone e To maso di York. V. Libro della Scala, p. 432-439; 441-446; 450-452. Queste credenze degli Occidentali, che ovviamente seguendo Tuna o l’altra tendenza, Avicenniana od Averroista, tendevano a disso ciare il loro filosofo preferito dalla concezione materiale del Para diso, vanno apprezzate in relazione con la grande cautela con la quale, in effetti, i filosofi musulmani erano tenuti ad accennare le loro opinioni al riguardo per non contrastare in pieno la ortodossia dell’ Islam (Cfr. tipicamente i passi da me tradotti nel Libro della Scala da Avicenna [op. cit. p. 457] e da Averroes [p. 403]) per i gau dii paradisiaci. E, del resto, al contrario il passo della Metafisica di al-GhaZzàl! su d’una possibile non materialità delle pene dell’In ferno {Libro della Scala, p. 516-517), quando ricevuto esso dagli Occidentali, diede luogo alla nota condanna da parte del vescovo di Parigi, Étienne Tempier nel 1277, e quindi fu confutato da Egidio Colonna e da Raimondo Lullo. Tali idee di contrapposizione dei filosofi arabi alla dottrina del Corano continuano poi ad essere trasmesse in Occidente, molto al di là in tempo e spazio che lo scritto di Fr. Eiximenis. Torne remo ancora appresso su tale questione.
[§ 4. Il Califfo, Papa dei Musulmani] La facile assimilazione delle istituzioni delle due religioni in contatto fece credere ben presto che il Califfo fosse il Papa dei Mu sulmani. Questa idea era poi confortata dal fatto che i principi lo cali, con i quali gli Occidentali potevano venire a contatto, veni vano ad apparire minori nei confronti del Califfato 'Abbàside di Baghdad o di quello Fàtimide del Cairo. Gli Occidentali conosce vano che tra quei due Sovrani Musulmani, entrambi intitolati Califfi, esistevano fondamentali divergenze « ex dissimilitudine superstitio nis eorum et contradictoriis dogmatibus » (21) e « non defuit Cali-
(21) G u glielm o d i T ir o , Historia rerum in partibus transmarinis, p. 191 (Historiens des Croisades, Occidentaux, vol. I).
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phae Orientali, qui tot annis fuerat monarcha, aemulus in Aegypto regnans cum eo de paritate contendens, immo etiam se praefe rens » (22). Nè ignoravano che il Califfo dovesse essere della famiglia del Profeta, come infatti Raymond de Aguilers sub anno 1099 scrive: « nuntiatum est nobis quod Papa Turearum veniret contra nos in proelium et, quia erat de genere Mahumet, sequebantur eum gentes sine numero » (2S). Ma a tutte le notizie sovrastava la credenza del Califfo Papa. Così Guibert de Nogent (ed altri Cronisti con lui), nel dar nuova della richiesta di aiuto che Corbaran (Kerbogha) rivolge ai Sovrani Musulmani, dicono scritta la lettera « Domino Regi Persarum et Papae Beatissimo » (24); e Corbaran riceve dal Califfo Papa la licenza di combattere ed uccidere i Cristiani « Corbaranus autem tum ut stipendia promissa reciperet, tum ut nomen suum dilataret, a Calipha gentis suae Apostolico accepta licentia saeviendi in Christianos... » (25). Ed addirittura il Continuatore di Guglielmo di Tiro nel codice di Rothelin preciserà: « Celui apeloient il le Kaliffe de Baudas. Icil estoit cremuz et seigneuriz de touz celx de Baudas qui de sa loi estoient. Et si ne pooit estre veuz que II foiz ou moiz. Cil Kaliffe asouloit et escoumenioit et donnoit indul gence, resmissionz et pardonz des pechiez aus mescreanz Mahomettoiz et ausint com li Apostoles de Rome fait aus Crestienz » (26).
(“ ) G u glielm o d i T ir o , cit. p. 917. (is) R a y m o n d d 'A g u il e r s , Historia Francorum qui ceperunt Jherusalem, p. 277 (Historiens des Croisades, Occidentaux, vol. III). (**) G u ib e r t d e N o g en t , Gesta Dei per Francos, p. 191 (Historiens des Croisades, Occidentaux, vol. IV); ed anche P ie r r e T u d e b o e u f , p. 62 (Historiens
des Croisades, Occ. vol. Ili) per il quale la lettera era indirizzata « Caliphae Aposto lico »; ed ancor più R o b e rt le M o in e (Histor. Crois. Occ. vol. I li, p. 811), che fa dire a Corbaran (Kerbogha): « scribe religioso Papae nostro Caliphae »; e Baudri de Dol (Hist. Crois. Occ. vol. IV, p. 62) « Caliphae nostro Papae ». (is) G u ib e r t d e N o g en t , op. cit. p. 59 (Hist. Crois. Occ. vol. IV). In un successivo passo è ancora più esplicito: «[cum] a summo sui erroris Pontifice (habent enim et Papam suum ad instar nostri) licentiam Christianos perimendi poposcisset et accepisset ». Qui si tratta, mi pare, della richiesta proclamazione della ' guerra santa ’ (gihàd) che vien fatta da Kerbogha al Califfo ‘Abbàside a Baghdad. (J8) Hist. Crois. Occ. cit. vol. II, p. 524-525; ed ancora ibidem, p. 636 « le Kalife qui estoit apelez Apostole des Sarrazins ». Sarebbe facile continuare a citare esempi di questa diffusa credenza nelle letterature dell’Occidentale medievale. Vale però la pena di notare infine qui come, contrariamente a quanto fu detto da altri per evidente lapsus, il mio carissimo ed indimenticabile Maestro, Carlo Alfonso Nallino, non ha mai detto che la iden-
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Ora è possibile che sia un indizio della provenienza e dell’epoca della tradizione conservataci dal Liber .Nicolay la circostanza che esso si riferisca soltanto al Califfato ‘ Abbàside di Baghdad (caduto nel 1258 per l’azione dei Mongoli), dove dice: « et ita omnibus Sara cenis caput est Baldata sicut Roma caput est Christianis et sicut omnes ecclesie Romane subjacent Dignitati, sic omnes, moschite Sarracenorum Baldate sunt subdite. Pertanti (?) apud Romam est summus pontifex Christianorum at âpud Baldatam summus pontifex Sarracenorum et vocatus est Califfus » (27). AI contrario Giovanni Villani, che scriveva nel 1346, conosce i due Califfi di Baghdad e del Cairo ('Abbàside e Fàtimide) e le loro divergenze. I parenti di Maometto « s’ordinaro un succes sore di lui, al modo del nostro Papa, il quale tenesse e guar dasse la legge di Maometto e chiamarlo per sopranome Calif. Bene ebbe tra loro al cominciamento, per la invidia della signoria, grandissima questione; e per gara feciono due Calif; e l’uno Calif dispuose l’altro e feciono addizioni e correzioni alla Legge prima dell’Alcorani di Maometto. E per questa ragione nacque tra loro errore, onde si partirono. I Saracini del Levante ritennono la pro pria Legge di Maometto e feciono lor Calif dimorante alla nobile e grande città di Baldacca; e quegli d’Egitto e d’Affrica ne feciono un altro in loro paese » (“ ). Anche la Gran Conquista de Ultramar castigliana, dove conflui scono dati storici e tradizioni e leggende, conosce i due Califfi: lo ‘ Abbàside ed il Fàtimide. Così « el califa de Baldac que es como Apostolico de los Moros e venia derechamente del linaje de Mahoma » (29); mentre « Dugat que est ava cerca de los de Egipto estava en paz con el Califa de Alejandria» (30) e « toda la otra tierra la tenia por fuerza el Califa de Egipto » (31). E tipicamente la richietificazione del Califfo come Papa dei Musulmani sia stata fatta in epoca recente. Egli disse soltanto che l’attribuzione del titolo di Califfo al Sultano di Turchia, contraria alle norme del diritto islamico, insieme con il conseguente riconosci mento di poteri religiosi od addirittura pontificali al Sovrano Turco, era un re cente errore degli Europei iniziatosi nel 1774 col trattato russo—turco di Kuòuk Qàinargé ed elaborato poi tendenziosamente dal D ’Ohsson. (*7) C fr . q u i a p p r e s s o c a p . X X ; e D ’A n c o n a , o p . c i t . p . 262-263.
(2B) (2a) el Sabio, (30)
G. V il l a n i , Cronaca libro II cap. 8. La Gran Conquista de Ultramar que mandò escribir el Rey Don Alfonso ed. P. G a y a n g o s , Madrid 1858, p. 101. Op. cit. p. 159.
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sta di aiuto di Kerboghà, della quale abbiamo detto sopra, è indi rizzata qui ad entrambi « fizo escribir cartas para el Califa de Egipto é para él de B ald ac»(32). E la tradizione Califfo-Papa è rappre sentata sul vivo nel racconto della riunione a Sarmazan del Sultano Selgiuqide e del Califfo 'Abbàside, quando « affi estaba el Califa, que es como Apostolico de su ley é predicava al pueblo é hacia sus oraciones rogando a Dios por ellos. Del otro cabo de la tienda estaba el gran Soldan » (33) e quindi « cada vez que el Califa alzaba la voz loando â Dios, dejabanse todos caer en tierra é hacian oraciones » (34). E quindi il Califfo-Papa è entrato anche nella poesia epica medievale. Infatti, nella Chanson d’Antioche, Corbaran-Kerboghâ, in parallelo col passo del Cronista Guibert de Nogent e con gli altri testimoni della famosa richiesta di aiuto per lettere ai Sovrani Mu sulmani, dice: Frères, faist Corbaran, pense del tost haster Pren enque et parcemin, garde ne demorer: Califas l’apostole voil par charte mander qui sire est de no loi, si fait moult à loer (35). E nella stessa Chanson d’Antioche il Califfo-Papa esortando alla guerra santa espone anche una strana sua visione del Paradiso (36): al Parlement Là ou li apostoles Califes les aient... Primerains a parlé Califes de Baudas: Or entendés, seigneur, que mes sires dira et le riche pardon que Mahons nous fera. Je vous di, de par lui, car commandé le m’a: Bien peut avoir dis femes cil qui or cinq en a ou quinze ou vint ou trente ou tout corn lui plaira. Si croisteront Païens et nos peuples venra, par la Chrestienté qui chevauche de ça. Chascun peut d’engenrer au mieus que il poura. (3î) (33) (34) (35)
Op. cit. p. 241. Op. cit. p. 230. Op. cit. ibidem. La Chanson d’Antioche composée au commencement du X I I siècle ed. P a u lin P a r is , Parigi 1848, vol. II, p. 145. Per le molte questioni inerenti alla storia di questo testo vedi ora specialmente S. D u parc - Q u o c , Le cycle de la Croi sade, Parigi 1955; e A.M. S u m b e r g , La Chanson d’Antioche, Parigi 1968. (36) La Chanson d'Antioche, cit. vol. II, p. 62-63.
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Or escouté trestout quel prou il en aura: tos cil qui le pardon à Mahon requerra et par la soie amor en la bataille ira; quant il avenra chose que uns de nous morra, dedans le puing senestre deus besans portera et dedans la main destre une pierre tenra. Mahomes ens el sain une autre posera. Tout droit a Paradis li Païens en ira, que Damedieu de gloire à Adam comanda. Les deus besans l’iussier por entrer offerra et sé il le defent, la pierre haussera; devant emmi le front saint Pierre hurtera et de l’autre del sain, si qu’il l’afrontera; ou il voille ou non, laiens en enterra, car Mahomes à force laiens le conduira, et deus besans à Dieu por racorder donra. Le gioie del Paradiso musulmano sono sempre quelle soltanto carnali, sulle quali insisteva la polemica cristiana sin dai primi tempi in Occidente (come nell’ Oriente Cristiano); ed a tali gioie paradi siache faceva riscontro in terra la poligamia tollerata dell’ Islam. Ma le singolari difficoltà che il credente incontra dalla parte del1’« usciere » alla porta del Paradiso ricordano insieme le obbiezioni ed i quesiti che alle porte dei cieli gli Angeli, guardiani di quelle entrate, muovono a Gabriele prima di consentire l’ingresso di Mao metto — secondo il ‘ Libro della Scala ’ che può qui riprodurre motivi più antichi — e, d’altra parte, la ricca letteratura popolare su S. Pietro alla porta del Paradiso, come qui vediamo appunto S. Pietro affrontato per consentire il passaggio del protetto di Mao metto. Ed ancora nella Chanson d’Antioche, quando il Sultano (« l’amiraus Soudan ») non va con Corbaran ad Antiochia, resterà con lui al campo: Califes l’apostoles qui nous sermonera et Mahomes avec qui il nous confortera (37) e cioè il Califfo per le sue prediche e l’idolo prezioso di Maometto. (3J) Op. cit. vol. II, p. 64. Ed ancora il Re di Nubia consiglia (op. cit. vol. II, p. 56-57): «si envoiés vos mesages desci en Orient | et à Baudas qui siet en un grant desrubant |à CaliSe qu’on tient sor tous autres poissant. |Cil a la seigneu rie qu’est el soleil levant.
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Tutto ciò lascia credere che in questi canti si designasse con il titolo di Califfo ‘ il Principe dei Credenti lo 'Abbàside, conside rato come presunto religioso autorevole, mentre per ‘ Maometto ’ si intende anche il leggendario idolo, che si credeva adorassero i Mu sulmani. Analogamente la Chanson de Jérusalem presenta il Califfo (‘ Ab bàside di Baghdad) che segue il Sultano persiano; ne benedice le truppe: L ’Apostoile Califfe les viait bénissant de Mahom Gomelin et d’Apollin le grant (38). E proclama nuove leggi nuziali per aumentare nel futuro il numero dei guerrieri musulmani (39), analogamente a quanto abbiamo già visto, con motivo che ritroveremo nella poesia latina medievale: Califfes l’Apostoiles commence à preschier: Or puet prendre II femes qui n’a c’une moillier ou III ou IIII ou V por no loi essauchier. Car Franchois sont venu nos terres calengier, mais li Sodans commande qu’es aillons detrenchier. Califfes l’Apostoiles fu dejoste Mahom; Et dist as Sarrasins; Oiés que nos dirom: Li Sodans li commande et nos li commandon Chascun d’oirs engenrer soit mais en suspecon Car Franchois sont venu , en ceste region. E dà consigli di astuzia e doppiezza al Sultano, come quello di ec citare la bramosia dei capi Crociati inviando loro un messaggero montato su di un cavallo prodigiosamente ornato (40): Amirax, dist Califfes, si envoiés vos targe; riches est l’escarbocle qui siet el haut estage; Forment sont convoitox Franchois en lor corage; Se il par covoitise i tornent le visage... s’il viennent en estor il i auront damage, car qui est coveteus sovent i a hontage. Par Mahom, dist Sodans, ces conseil tien à sage. (38) La Conquête de Jérusalem faisant suite à la Chanson d’Antioche, compo sée par Richard le Pèlerin et renouvelée par Graindor de Douai au X I I I siècle, édi tée par C. H ip p e a u , Parigi 1868, p. 298, v. 7525-7526. (39) La Conquête de Jérusalem cit. p. 223, v. 5586-5595. («) Op. cit. p. 260, v. 6539-6545.
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Ed il Califfo, che da religioso non combatte come il Sultano, al mo mento della disfatta scappa via portandosi la testa dell’idolo Mao metto: Califfes voit le fu qui feu au pavillon. Bien voit que Sarrasin n’ont mais deffension. A Mahom Gomelin vint poignant de randon, le chief li a osté par desus le menton; puis monte el dromadaire, si s’en fuit à bandon (41). Infine è interessante poi vedere qui che Francesco Eiximenis attri buisce i poteri già del Califfo al qàdi della Mecca. Almeno così pare debba interpretarsi il titolo usato nel testo di cassis, che può essere una curiorissima combinazione di qàdi ' giudice musulmano ’ e qqsis ' sacerdote cristiano
[§ 5. Il Profeta Maometto attira i suoi credenti con promesse epicuree'] Quindi con brevi parole Fr. Eiximenis, premesso il severo giu dizio di Aristotele su Epicuro ed ‘ il suo gregge ’ , osserva che i gaudii carnali che Maometto promette nella vita ultraterrena ai suoi fe deli sono fallaci promesse che il Profeta dell’Islam faceva soltanto
(41) Op. cit. p. 341, V. 8681-8685. Ovviamente i testi delle due epopee, di Antiochia e di Gerusalemme, sono qui citati in relazione con quanto essi di cono sulla credenza del ‘ Califfo-Papa e pertanto non è qui il luogo di discu tere la questione della loro cronologia e dei rimaneggiamenti del testo primi tivo ad opera di Graindor de Douai e così via. Su tale specifica questione occorre piuttosto vedere i risultati delle più recenti ricerche: S. D u parc -Q u oc , Le cycle de la Croisade, Parigi 1955; Cl a u d e Ca h e n , Le premier cycle de la Croisade (An tioche-, Jérusalem, Chéifs) in Le Moyen Age, 1957, p. 311-328; L e w is A.M. S u m b e r g , La Chanson d’Antioche, Parigi 1968; e la relazione di S. D u parc - Q u oc , Recherches sur Vorigene des poèmes épiques de Croisade in Atti del Convegno Inter nazionale sulla poesia epica e la sua formazione, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1970, p. 771-796. Vorrei solo aggiungere una minima osservazione. Certo, dirò qui, ad un riadattamento della fine del X II secolo vanno attribuiti i versi della Chanson de Jérusalem sulla sepoltura di Maometto e la tradizione della calamita: « Droit à Mecque le firent Salehadin porter. |A un riche Juis, qui moult sot d ’encanter, j en l’almaine le firent et metre et secher. | N’est à ciel ne à terre; en l’air le font tomer. | Encore le vont là Païen aorer (op. cit. p. 221-222, v. 5552-5556), con il singolare anacronismo di Saladino che fa costruire la tomba in calamita dopo la morte di Maometto.
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per attirare i suoi connazionali, dei quali conosceva il gusto per i piaceri sensuali. E qui ritorna la nota credenza, diffusa sin dalle letterature classiche, sui ‘ molles Arabes ’ dediti ai godimenti dei sensi. Ometto il capitolo L X IV e così sino al XCIV, che non concernono, il nostro argomento.
[§ 6. Contro i Sovrani Cristiani tolleranti] Il nostro Autore qui allude alla severa Costituzione del Papa Clemente V: De Judaeis et Sarracenis, emanata nel Concilio di Vienna, che stabiliva per i Musulmani: « Edit quidem in offensam divini nominis et opprobrium fidei Christiane quod in quibusdam mundi partibus principibus Christianis subjectis in quibus interdum seor sum, interdum vero permixtim cum Christianis habitant Sarraceni, sacerdotes eorum Zabalzala vulgariter nuncupati in templis seu mesquitis suis ad que iidem Sarraceni conveniunt ut ibidem ado rent perfidum Machometum diebus singulis certis horis stantibus in loco aliquo eminenti ejusdem Machometi nomen Christianis et Sarracenis audientibus alta voce invocant et extollunt; ac ibi verba quedam in illius honorem publice profitentur. Ad locum insuper ubi olim quidam sepultus extitit Sarracenus quem ut sanctum Sar raceni alii venerantur et colunt magna Sarracenorum earundem partium et etiam aliarum confluit publice multitudo. Ex quibus nostre fidei non modicum detrahitur et grave in cordibus fidelium scandalum generatur. Cum autem hec divine majestati displicentia non sint ullatenus tolleranda, sacro approbante concilio, ipsa in terris Christianorvm districtius fieri deinceps inhibemus universis et singulis principibus catholicis sub quorum dominio dicti Sarra ceni morantur et fiunt predicta obtestatione divini judicii obnixius iniungentes quatenus ipsi tamquam veri catholici et christiane fidei seduli zelatores opprobrium quod tam ipsis quam ceteris christicolis per premissa ingeritum debita consideratione pensantes, ipsum ut provide eterne beatitudinis premium assequantur. De terris suis omnino auferant et a suis subditis auferre procurent, inhibendo expresse ne prefata invocatio seu professio nominis ipsius Macho meti publice prelibata ab aliquo in eorum existente dominio audeant attemptari de cetero aut quomodolibet sustineri. Hii vero qui secus presumpserit taliter, ob divinam reverentiam castigen-
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tur ab ipsis, quod alii eorum exemplo perterriti a presumptiône simili arceantur ». Seguo qui il testo delle Clementine (con la glossa di Giovanni Andrea) della edizione di Roma « per Udalricum Gallum Almanum et Simonem Nicolai de Luca », datata 6 luglio 1473. Giovanni d’Andrea nella sua glossa nota a proposito della voce «Zabalzala»: «Habui a reverendo viro antiquo domino Johanne thezaurario, qui fuit captivus eorum per quadriennium, quod erra tum est in vocabulo », perchè — dice il glossatore —· i sacerdoti dei Saraceni sono di due specie: « primi in singulari vocantur ‘ foqui ’ , in plurali vocantur * foqua ’ et ipsi sunt uxorati et manent in mesquitis »; i secondi sono chiamati « alhages et isti communiter non sunt uxorati et relinquunt mundum » e « isti [alhoges] semel acce dunt ad sepulcrum Machometi ». In ciascuna moschea vi è un mi nistro « qui vocatur uecten, quod sonat preco, qui supplet defectum Campanarum ». Il Concilio di Vienna, nel quale fu emanata questa Costituzione, fu tenuto dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312. Giovanni d’Andrea nella sua glossa accenna ai fatti di benevolente tolleranza per i Mu sulmani negli Stati Aragonesi; e forse non è improbabile che la dif fidenza, con la quale Filippo il Bello, nonostante la pace di Caltabellotta del 1302, continuava a seguire la politica della dinastia d’Aragona, abbia contribuito a persuadere il Concilio ed il Papa Clemente V a dare, con la costituzione De Sarracenis, una indiretta arma alla politica spagnola del Re Francese. Giovanni d’Andrea aveva poi ragione nel ritenere errato il nome che la Clementina dà ai ‘ sacerdoti ’ Saraceni (Zabalzala è invece forse storpiatura per zaman al-salàt ‘ tempo della preghiera ’, quando appunto i ' sacerdoti ’ convocano i Musulmani alle mo schee). Ma dei due nomi che dà Giovanni d’Andrea: foqui, plurale: foqua (ho corretto facilmente l’errore tipografico della stampa del 1472: soquie soqua) è l’arabo faqìh, plurale fuqahà’ , ‘ giurisconsulto’ ; e alhages è, beninteso, al-hàgg ' pellegrino ’ . Successivamente Fr. Eiximenis fa riferimento ancora alla Costituzione Clementina su riportata, ed al suo divieto di nominare Maometto nell’appello alla preghiera (4?).
(42) Cfr. qu i appressa p. 77.
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[§ 7. Le privazioni che l’IsIàm impone ai suoi fedeli] Qui Fr. Eiximenis si pone il problema delle privazioni, divieti e pratiche dolorose che la religione islamica impone; ed intanto le elenca. La prima di esse è la circoncisione, per la quale l’Autore ricorda il passo del G e n e s i ( X X X I V , 14-27) concernente l’episodio di Dina, figlia di Giacobbe, violata da Sichem Heveo. I figli di Gia cobbe per vendicare la sorella «in dolo saevientes ob stuprum mi noris » pongono come condizione al matrimonio ed alla pace che gli Hevei si circoncidano. Ed, accettata e soddisfatta tale condi zione, gli Hevei « quando gravissimus vulnerum dolor est » sono invece assaliti e massacrati dai figli di Giacobbe. Certo, perciò, ne conclude Eiximenis, la circoncisione che tolse forza agli Hevei è « cosa penosa assai e terribile »; eppure l’ IsIàm la prescrive. La seconda privazione è l’astenersi dal vino, nobile bevanda che secondo il Salmista laetificat cor hominis (43), anche se S. Paolo ne raccomanda l’uso moderato (44). Del resto anche il gran medico e filosofo Musulmano, Avicenna, ne elenca il valore terapeutico. Ed infatti Avicenna nel suo Canone — secondo la traduzione la tina di Gerardo da Cremona, la sola che Fr. Eiximenis poteva co noscere — dice, fra l’altro: « Vinum eis [se. senibus] melius est vetus rubeum ut urinam provocet et calefaciat simul. A novo autem et •albo vino sibi caveant nisi se post comestionem balneaverint et sitim habuerint. Tunc enim dabitur eis vinum album et subtile pauci nutrimenti; ideo ut sit loco aquae. Ab illo vero quod ex vinis est dulce et oppilativum sibi caveant » (45). Astenersi dal vino, come vogliono le norme islamiche è, perciò, « molto penosa afflizione ». La terza norma « penosa » dell’IsIàm, che il nostro Autore elenca è che i Musulmani vadano vestiti con vesti molto ampie dette almexies (46), e che quindi debbano così soffrire il freddo invernale. Questo, però, in verità, contrariamente a quanto pensava Fr. Eixi menis, era un uso dei Musulmani di Spagna, non già una legge della loro religione.
(«) Salmi, CHI, 15. (44) Ad Ephesios, V, 18 « Et nolite inebriari vino in quo est luxuria ». (45) Avicennae Arabum medicorum principis Canon ex Gerardi Cremonensis versione et Andraee Alpagi castigatione, Venezia, Giunta, 1608, vol. I, p. 187. (4e) Almexies, e cioè l’arabo di Spagna al-mahSiya ' sorte de tunique ou de vêtement de dessus ’ (Cfr. R . D o z y , Supplément aux Dictionnaires Arabes s.v.). Il castigliano ha almejia (grafia antica: almexia).
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La quarta astinenza è quella dalla carne di maiale, dal sangue di animali macellati, e da ogni animale morto e non ritualmente sgozzato, « tutti cibi piacevoli e dilettevoli da mangiare ».
[§ 8. Le privazioni furono imposte dall’IsIàm per motivi mondani, non motivi religiosi] Queste norme, dice Fr. Eiximenis, potrebbero anche essere interpretate come ispirate ad idee di ascetiche penitenze, che per sen timento religioso il Profeta Maometto volle rendere obbligatorie per i suoi fedeli. Sarebbe un errore. Quelle privazioni hanno invece soltanto scopi politici e comunque mondani. La circoncisione, pur dolorosa operazione, fu imposta da Mao metto per far coincidere la sua nuova religione con la legge giu daica « molto antica e molto famosa »; e ciò sia per acquistarne pre stigio e sia per accattivarsi il favore degli Ebrei, i quali infatti — secondo Fr. Eiximenis — « oggi amano i Saraceni più che non fanno i Cristiani ». Tale vicinanza di simpatie deriva anche dalla comune discendenza da Abramo, poiché Giacobbe ed Ismaele erano fratelli; e pure il fatto che « l’arabo e l’ebraico molto si concordano ». Ed è notevole questa osservazione del nostro Autore sulla affinità delle due lingue semitiche, sia pure se egli resta ovviamente soltanto nel campo pratico e sia pure se egli la riferisce in parte al passag gio degli Ebrei nel Sinai durante la fuga dall’Egitto (47). Da queste affinità deriva poi, nella vita pratica della Spagna dei tempi dell’Autore, l’ospitalità che i Musulmani chiedevano di preferenza agli Ebrei e la diffusione della conoscenza della lingua araba tra gli Ebrei spagnoli. Così la funzione che tradizionalmente ebbero gli Ebrei di Spagna come intermediari e diffusori della cul tura islamica nell’Occidente medievale è ridotta in termini della vita quotidiana, ma resta per altro notevole testimonianza. ❖
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Non diversamente l’astensione dal vino non ha motivi religiosi, ma soltanto motivi igienici — e qui Fr. Eiximenis precorre note
(*’ ) Fr. Eiximenis veramente dice che gli Ebrei marchauan ab Arabia, ma per ‘ Arabia ’ va qui inteso il Sinai, come è esplicitamente detto appresso (p. 27) en Arabia, çoes en el mont de Sinay.
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teorie più moderne. Quindi egli invoca, in appoggio di questa spie gazione, l’autorità di Alessandro di Hales. Infatti Alessandro di Hales scriveva: « Etsi Mahumetus iniunxit abstinentiam a vino, hoc non fecit quia huiusmodi abstinentia sit magis meritoria et magis placens Deo, sed quia magis facit ad conservationem reipublicae, qua semper Arabes curaverunt, quo niam cum in regione calida sit vinum fortissimum, si uterentur Saraceni vino fortissimo, sicut et nos, cum ipsi non sint sobrii, quo tidie essent ebrii et magis voluptatibus dediti et se mutuo inter ficerent. Propter hoc legislator eorum prohibuit vinum» (48). E le larghe vesti svolazzanti? Curiosamente Eiximenis pone qui l’uso delle almexies (cfr. sopra, p. 58) come un comandamento della religione islamica, seguendo una tradizione più antica che troviamo anche, ad esempio, nella Legenda Aurea. La necessità rituale delle abluzioni purificatrici prima della preghiera appare all’Autore cristiano come una causa dell’uso delle tuniche ampie (almexies) da parte dei Musulmani; mentre Jacopo da Varazze nella sua Legenda Aurea (49) attribuisce il suggerimento per tale presunta prescrizione rituale al monaco cristiano SergioBahira (il leggendario ispiratore del Profeta Maometto nella tra dizione dell’Oriente Cristiano e quindi dell’Occidente Europeo): « Praedictus Sergius, cum monachus esset, voluit ut Saraceni monachali habitu uterentur, scilicet cucula sine capucio; et ut instar monachorum multas et ordinatas genuflexiones facerent et ordi nate valde orarent ». Anche il divieto della carne porcina è dovuto alla opportunità politica di mantenere buoni rapporti con gli Ebrei. L ’idea di una influenza degli Ebrei sul Profeta Maometto (e della volontà di lui di compiacere gli Ebrei di Arabia) era corrente nell’Occidente me dievale; ed era anche forse ispirata da quelli che, almeno esterior mente, parevano elementi comuni all’Islam ed al Giudaismo. Già Teofane, il Cronista bizantino aveva narrato (ed Anastasio Biblio tecario aveva tradotto in latino) come alcuni Ebrei meccani ave vano prima creduto che Maometto fosse il Messia che essi aspet tavano; poi, vedendolo mangiare carne di camello (impura per gli Ebrei), si accorsero che egli non era il Messia, ma ormai « religio-
(4S) A l e x a n d r i H alen sis Summa Theologiae, Pars Quarta, Colonia 1622, quaestio 28: De jejuniis, p. 745. (49) Legenda Aurea ed. Th. Graesse, Lipsia 1850, p. 829.*
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nem eius dimittere formidantes, miseri docent eum contra nos Chri stianos illicita et conversabantur cum illo ». (so) E d’altra parte nelYApologia di al-Kindi si leggeva (nella versione latina di Toledo): « Hec namque et hiis similia contra Dei et Christi domini maiestatem consilio et calliditate maliciosa Judeorum qui de vobis toto mundo ludibrium facere cupiebant, ille (Machumet) libro suo op posuit »; ed ancora appresso « [Judaei] timentes ne in veram Christia nitatem quandoque Mahumet incideret, accesserunt ad eum et maliciosa calliditate socios vel discipulos eius se esse in hac secta dicentes eique omnia que turpia vel nequiora in Alchorano sunt scribere persuadentes usque ad finem eius cum eo semper fuerunt ».(51) Questa opera di sobillazione qui attribuita in questa versione agli Ebrei fa riscontro all’analoga azione contraria alla ortodossia cristiana attribuita secondo un’altra versione della tradizione me dievale al monaco Sergio-Bahira-Nicolay in favore delle eresie (nestoriana o monofisita); e con l’altra versione dell’ambizione de lusa di Maometto mantengono sempre il Profeta arabo nelle leg gende occidentali, sia pur varie, come un « seminator di scandalo e di scisma » entro il Cristianesimo. Con tali leggende si collega un altro curioso episodio — e mi si consenta una breve digressione — anche esso proveniente dal l’ Oriente Cristiano. Già al-Kindi — chiunque ne sia la precedente fonte, ricerca che qui non interessa — narra (52) di un altro inter vento degli Ebrei nell’ Islam: Dopo la morte di Maometto, quando gli era succeduto Abü Bakr ed « Hall quoque, filius Abitalib, licet nobilior eo, sub ipso maneret, predicti Judei, volentes iterum tur bare omnia, persuadebant Hali dicentes: Quare, cum sis fortis et nobilis, non te in prophetam elevas? ». Ma Abü Bakr dissuade 'Ali; però « Judei tamen non cessaverunt facere quod potuerunt. Nam accepto libro [se. Alchoran] ab ipso Hali quem reliquerat ei ipse Machumet, quicquid sibi visum est addiderunt aut detraxerunt aut mutaverunt ». E così aggiunsero al Corano « inter alia multa et fabulosa illud capitulum ubi est fabula de formica, et aliud ubi est fabula de ape, et alia ubi de aranea narratur ». Le interpola zioni giudaiche sarebbero state operate nella sura X X I X (‘ Del ragno ’), quella X X V I I (‘ Della formica ’), che contengono racconti
(50) T heoph anes op. cit. v o l. I, p. 511; v o l. II, p. 164. (δ1) A l k in d i , Apologia del Cristianismo cit. p. 327. (“ ) A l k in d i , op. cit. p. 414.
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ispirati dal Vecchio Testamento, ciò che spiega la leggenda dell’interpolazione (anzi il passo X X V I I , 46-47 sulle relazioni con la ‘ gente del Libro ’ tocca un problema grave). Meno facilmente spie gabile mi pare il riferimento alla sûra X V I (‘ Dell’ape ’ ), se non forse per i divieti alimentari, tra cui quelli della carne porcina (X V I, 114-115) già detto rivelato per compiacere agli Ebrei. (53) Comunque questa tradizione, cui Vincent de Beauvais riproducendola nel suo Speculum Historiale (M) assicurerà diffusione in Occidente, fa ap parire 'Ali come collaboratore degli Ebrei nella deformazione del Corano; e perciò, nella mentalità medievale, eretico anche in con fronto del suo eresiarca; quindi ben degno, per Dante, nelle Malebolgie di esser inciso « nel volto dal mento al ciuffetto ». Ai motivi di politica cordiale verso gli Ebrei — secondo Fr. Eiximenis — si aggiunse per Maometto, nel determinarlo a vietare la carne porcina, la tradizione suH’origine sozza del maiale. E qui il nostro Autore allude alla vecchia favola sulla nascita del porco. Questa favola fu nota in Occidente da un’opera della Collectio Tole tana, dunque tradotta dall’arabo in latino nel 1143, e propriamente dal Dialogo di cAbdallàh b. Salàm. In quell’opuscolo si introduce inattesamente Jafet, il quale racconta a Gesù ed ai Discepoli la storia dell’Arca di Noè e, fra l’altro, dice che « cum secessus pon dere egestionis arcam inclinaret, timuimus valde. Consuluit itaque pater Deum. Cui Deus: Adduc, inquit, elephantem et verte poste riora ejus super locum. Et fecit. Ubi ergo elephas fimum suum ho minum egestioni injecit, surrexit sus grandis. — Satis ne videtur ergo causa, o Abdia, vitandi animal immundum? Ait: — Certe, satis » (55). L ’elefante ha così generato l’immondo porco dal suo sterco; e la favola sarà ripresa più tardi da Ricoldo da Montccroce, agli inizi del Trecento: « Item dicit et suem agrestem ex stercore ele phantis natum esse » (56) e poi da Fazio degli Uberti nel Dittamondo: Ma quel che per più ver tra lor si pone è ciò che in la sua Legge scritto è nel libro u’ tratta de generatione. (“ ) A l k in d i , op. cit. ancora p. 414. (M) V in c e n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale cit. p. 217.
(66) Doctrina Machumet quae apud Saracenos magnae auctoritatis est, in T h . B ib l ia n d e r , Machumeti Saracenorum Principis ejusque successorum vitae doctrina ac ipse Alcoran, Basilea 1543, v o l. I ρ . 197. (5β) Τ η . B ib l ia n d e r op. cit. v o l. I l l , p. 128-129.
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Che, essendo dentro all’arca sua Noè, là dallo sterco del leofante nacque il porco... Or per queste parole ch’io t’ho conte per dispregiare il porco e noi volere le genti Saracine sono pronte (57). Ma Eiximenis ha una variante: non dallo sterco dell’elefante, ma dallo sterco del camello è nato il porco (« de la femna del ca meli »). Questa variante è già nella Legenda Aurea (« ex fimo ca meli porcus post diluvium fuerat procreatus » (58).
[§ 9. Come Maometto diventò Re degli Arabi] Fr. Eiximenis comincia il suo racconto dell’ascesa di Maometto al potere fissando la data dell’inizio dell’attività di lui: il 613 dopo Cristo. La data del 613 è quella sotto la quale si legge la prima no tizia su Maometto nella Chronographia di Teofane, e quindi nel latino di Anastasio Bibliotecario. È un altro caso di dipendenza — diretta od indiretta — delle notizie di Eiximenis dal cronista bizantino. E si noti che anche il « vengue » del testo catalano pare corrispondere bene allo έφάνη del bizantino ed al latino di Ana stasio (59). ; D ’altronde la data del 613 non è poi lontana dalla realtà sto ried in quanto la presa di Gerusalemme ad opera dei Persiani di Cosroe ebbe luogo il 5 maggio 614; e d’altra parte il 612 è la data accettata dalla tradizione per l’inizio della missione di Maometto (60). Questa datazione è confermata da Eiximenis mediante il sincroni smo con l’ Imperatore Eraclio ed il Re Cosroe ed ancora con S. Isi doro di Siviglia: ciò che è naturale per uno scrittore spagnolo (il Santo morì nel 636, Maometto nel 632); però nel nostro Autore non vi è traccia della leggenda popolare, della quale faremo cenno in seguito; leggenda che riconnette direttamente S. Isidoro con Maometto (61).
(") Dittamondo libro V, cap. X I, Bari 1952, p. 368). (5S) Legenda Aurea ed. Th. Graesse cit. p. 828. (6S) T eofane , Chronographia cit. vol. I p. 471. (60) Cfr. A. B a u s a n i , Il Corano, Firenze 1955, p. X X I -X X II. (61) Vedi qui appresso cap. X X IV .
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Come Maometto ottenne il regno? Qui Eiximenis non si scosta in parte dalla sua prima esposizione, che abbiamo visto sopra, delle finzioni ed inganni di Maometto: la colomba, la interpretazione tendenziosa del mal caduco, le otri di latte e miele (62). Ora Mao metto è un mago, temuto per i suoi incantesimi; ma, cresciuto così in prestigio e radunati attorno a sè fedeli seguaci di varia nascita ed origine, sposa la principessa Cadigia, signora della provincia di Corrotania; e, diventato così anche egli principe, si dà agli inganni già detti (colomba, spiegazione del mal caduco, otri di miele e latte) per presentarsi come Inviato di Dio ed ascendere così al regno di tutta l’Arabia. L ’adattamento del matrimonio del Profeta Maometto con Hadiga (« Cadica », « Cadigia ») era correntemente usato nelle leg gende occidentali. Già gran parte del poemetto del Waltherius (Warnerius), e di conseguenza Alessandro Du Pont, che ne deriva (63), dedicano con prolissità stucchevole i loro versi alle presunte vicende di quelle nozze; e così, sia pure con minore larghezza, altri scrit tori dei secoli X I I e X I I I . Ma come va identificata questa provincia di « Corrotania », della quale è signora Cadigia nel racconto di Eixi menis? Il nome è « Corozania » in Vincent de Beauvais (M), « Corocanica » nella Legenda Aurea (6S), « Corcania » e « Carecama » nel Commento di Buti alla Divina Commedia (66). Sembra probabile che « Corozania » (ed i nomi che ne derivano) sia una storpia tura derivante — con la terminazione finale dei nomi di luogo — da Qurays « Coreiscita » nome della tribù di Maometto (e di Cadi gia): *Corez-ania, Corozania. [§ 10. Maometto accoglie credenze giudaiche e cristiane netta sua Legge] Maometto, diventato Sovrano degli Arabi e riconosciuto Pro feta, si preoccupa di dare stabilità alla sua nuova religione; e per farlo cerca di mostrarsi rispettoso verso le due maggiori religioni: Giudaismo e Cristianesimo, che erano note agli Arabi. Così egli ri conobbe a Mosè la qualità di ‘ alto Profeta di Dio ’ ; e così — pre(62) Cfr. sopra p. 44-45. (es) Cfr. cui sopra p. 45-46. (64) V in ce n t d e B e a u v a is , op. cit. p. 912. (65) Legenda Aurea cit. p. 828. (66) FRANCesco d a B u t i , Commento sopra la Divina Commedia, Pisa 18581862, vol. I, p. 720.
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cisa Fr. Eiximenis — Maometto ancora disse che Gesù, l’ottimo tra gli uomini, era nato da una Vergine avendo Dio disposto che egli Gesù le nascesse uscendo dal costato per distinguerlo dagli altri umani che nascono per via vergognosa («per loch vergonyos»). Veramente nel racconto del Corano (X IX , 16-40, ma cfr. anche III, 42-51) Gesù nasce da Maria Vergine, cui il Natale è annunziato dagli Angeli (III, 42) o dallo Spirito Santo (X IX , 17); ma la na scita di Gesù dal costato è leggenda popolare posteriore nell’ Islam; leggenda di cui qui lo Eiximenis attesta così la diffusione nella Spagna musulmana degli inizi del secolo X IV . Gesù, poi, non mori sulla Croce nè quindi resuscitò, ma ascese al cielo in corpo ed anima; ed i Giudei crocifìssero soltanto un altro uomo simile a Gesù («un altre hom semblant a si mateix »). Il rac conto della Crocefissione nel Corano (IV, 157-159) è qui sostanzial mente seguito, sia pure in termini popolari e perciò ignorando le questioni teologiche che si pongono circa quel passo coranico (e par ticolarmente sul famoso subbiha lahum ‘ fu rassomigliato per loro ’ , formula forse già vaga di significato sin dall’inizio per incerta co noscenza delle dottrine dei Doceti allora diffuse e popolarmente disfigurate nelle Cristianità dei paesi finitimi all’Arabia di Mao metto) (67). Ed infine Eiximenis nota che il Corano ammette il miracolo di Gesù Bambino che mutò gli uccelli di argilla in viventi. È effet tivamente allusione al passo del Corano (III, 49), che deriva dalla tradizione popolare che ha fonte nel così detto Vangelo apocrifo di S. Giovanni, come ho esposto altrove (68).
[§ 11. Il Libro della Scala ed il Corano] Ed allora Fr. Eiximenis cita quelli che egli ritiene i due libri sacri dell’ Islam: il Libro della Scala ed il Corano. Il Libro della Scala è così « un gran libre » ed ha la precedenza, almeno di tempo, sullo stesso Corano (« Apres feu un altre gran Volum qui s’appella Alcora»). Qui notiamo insieme la credenza che il Libro della Scala, noto per la traduzione castigliana di Abra ham Alfaqui, fosse un libro sacro dell’Islam e che esso Libro fosse
(67) Cfr. il mio lavoro L'Islam di ieri e di oggi, Roma 1971, p. 14-17. (58) L’Islam di ieri e di oggi cit. p. 11-12.
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stato composto da Maometto, mentre trattasi di un’opera di pietà, probabilmente anzi di epoca tarda. Il riassunto che Fr. Eiximenis fa del Libro della Scala è troppo breve perchè se ne possa dedurre gran che. Comunque la guida del l’Angelo Gabriele, il passaggio per i cieli favorito dall’accoglienza degli Angeli e finalmente gli incontri col Signore corrispondono almeno all’ordine di narrazione della Scala. Ma è tipico che, men tre il Libro della Scala è accusato soltanto di contenere falsità e menzogne, il Corano invece sembra a Eiximenis un’opera composta da un matto od ossesso od ubbriaco (« om exit de seny o qui es endiablat o enbriach»), E la narrazione, comunque, seguita con un certo ordine nel Libro della Scala, del quale dunque Eiximenis poteva ricordare la lettura, è così contrapposta al Corano disordinato agli occhi di un Occidentale assuefatto alle letterature classiche (« paraules sens orde e sens cap ») (69).
[§ 12. I precetti dell’Islam] La Legge dell’ Islam — come Eiximenis la espone — consta di varie norme: il monoteismo; la circoncisione; il divieto della carne porcina (e questo, come egli ha già detto, per concordare con gli Ebrei). Poi le abluzioni rituali prima della preghiera ed Eiximenis le pone curiosamente in corrispondenza col Battesimo cristiano, sia pure biasimandole quasi che il Signore guardasse nella preghiera alla purezza del corpo e non già alla purità dello spirito (« axicom si Nostre Senyor Deu attenia ala immundicia corporal e no princi palmente ala spiritual »). Ancora altra norma nuova di Maometto è quella di scegliere per giorno festivo della settimana il venerdì. Questa volta il Pro feta Maometto —· secondo Eiximenis —· volle fare una concessione, non più al Giudaismo nè al Cristianesimo, ma all’antico culto pa-
(S9) Maometto è chiamato qui da Eiximenis ‘ figlio del padre della men zogna ’ (« fili del pare de monçonega »), figlio del demonio, dunque. E ciò va in teso, si capisce, in senso traslato. Ma è curioso che il codice di Torino, del quale ho detto qui sopra, (p. 46), dà invece Maometto proprio figlio del demonio Esgarines (Cfr. A. G raf , Spigolature per la leggenda dì Maometto cit. p. 220): « Adone prist fame li rois Esgarenes, |li rois Babiaux et l’autres malhaines. | IX filx en orent dont Mahons est l’ainés. |Par Mahomet qu’est de nos parenté |nous est dou monde III pars délivré ».
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gano degli Arabi per Venere. La credenza che gli Arabi prima di Maometto adorassero Venere era antica nell’Occidente Medievale e fu poi lungamente trasmessa. Prende le mosse, come ha osser vato Marie-Thérèse d’Alverny (70), da un passo di S. Gerolamo nella Vita di S. Ilarione, laddove S. Gerolamo narra come S. Ilarione « pervenit Elusam eo forte die quo anniversaria solemnitas omnem oppidi populum in templum Veneris congregaverat. Colunt autem illam ob Luciferum cuius cultui Saracenorum natio dedita est » (n). Notiamo qui che i ‘ Saraceni ’ di S. Gerolamo non sono proprio esattamente gli Arabi, ma era facile, anzi ovvio, per uno scrittore medievale dare alla denominazione ‘ Saraceni ’ proprio quel senso di ‘ A rab i’ che nel Medio Evo le era stato correntemente attribuito. Da S. Gerolamo la credenza per una lunga catena di secoli (72) diventa notizia comune sino al secolo X I I I ; e, per esempio, nella Le genda Aurea dove si legge: « Universa enim gens Arabum, cum Magumetho, Venerem pro Dea colebat» (73). La derivazione da S. Ge rolamo, poi, rende dubbia —■ a mio parere — la ipotetica connes sione di questo culto della Dea Venere, asserito presso gli Arabi, con l’adorazione della Dea a l-' Uzza, effettivamente diffusa nel Paganesimo arabo. È, anzi, una strana coincidenza quella della supposizione di Fr. Eiximenis che Maometto avesse voluto conci liarsi gli Arabi pagani (scegliendo come festivo il venerdì in memo ria della loro Dea Venere) e, d’altra parte, il problema dei ‘ versetti satanici ’ della sura L U I del Corano con i quali nella Rivelazione si sarebbe cercato di contentare gli Arabi Pagani citando la ‘ augu rabile intercessione ’ delle ‘ Dee sublimi ’ , tra le quali appunto a lcUzzà (74). Segue poi nella enumerazione di Fr. Eiximenis la norma sulla direzione per la preghiera. La direzione verso la Mecca prescritta ai Musulmani diventa, per ovvi motivi, per i Musulmani di Spagna
(70) Μ - T h . d ’A l v e r n y , La connaissance de l’Islam en Occident du I X au milieu du X I I siècle in L’Occidente e l’Islam nell’Alto Medio Evo, Spoleto 1965, vol. II, p. 583. (71) P a t r . L a t . M i g n e , X X I I I , 41.
(72) Anche nel secolo V il i il Venerabile Beda aveva detto (Expositio Ac tum Apostolorum, ed. M.L.W. Lastner, Cambridge Mass. 1939, p. 34), commen tando il passo degli Atti (VII, 43) « Luciferum cuius cultui Sarracenorum gens ad honorem Veneris erat mancipata ». (73) Legenda Aurea cit. p. 929. (71) Cfr. A. B a u s a n i , Il Corano cit. p. 668.
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l’obbligo di volgersi verso il Sud nella preghiera. Non diversamente, per l’ Italia, come già Jacopo da Varazze aveva detto nella Legenda Aurea, « et quia Judaei versus Occidentem et Christiani versus Orientem orabant, voluit ut sui versus meridiem orarent » (75). Quindi il digiuno: L ’osservanza del digiuno del mese di Ramadàn è richiesta dal polemista musulmano ad al-Kindi (76) con citazione dei passi del Corano che tali norme espongono; ed al-Kindi replica dal punto di vista cristiano, insieme pel Ramadàn e per le abluzioni rituali (77). L ’argomentazione di al-Kindi è poi ripresa da Vincent de Beauvais (78), che è la fonte di Eiximenis. Anche per le norme sul matrimonio e sul triplice divorzio, nell’Apologia di al-Kindï si leggono prima la versione islamica (79) e successivamente la discussione dal punto di vista cristiano (80). Vincent de Beauvais (81) segue al-Kindi. È insolito che il motivo più volte ripetuto nella polemica cristiana medievale a proposito del muhallil che, sposando la donna divorziata tre volte, la rende nuovamente lecita al primo marito non si trova invece in questo testo di Eiximenis. Il motivo appare, invece, nella Cronaca di Giovanni Villani, pur contemporaneo o di poco anteriore allo Eiximenis. LI però, il dato autentico dell’istituto giuridico del muhallil è curiosamente collegato con un altro motivo, abusato, della polemica medievale occidentale; e cioè con l’unione di Maometto con la moglie di Zayd ibn Harith: « disse che ebbe lettere da Dio per l’Angelo che facesse legge che quale uomo' caccerà la moglie apponendole adulterio e non lo provasse, ch’un altro la si possa prendere; et se il primo ma rito mai la rivolesse, non la possa riavere mai, se prima in sua pre senza un altro uomo non giacesse con lei carnalmente; e allora era purgato il peccato. E ancora il tengono i Saracini ». Naturalmente il subordinare il ritorno della moglie divorziata al primo marito ad un necessario successivo vincolo nuziale con un altro (prescri zione del Corano, II, 230) non ha nulla a che vedere con la questione
(,5) Legenda Aurea cit. p . 829. (76) Apologia del Cristianismo cit. p. 383. (” ) Apologia del Cristianismo cit. p. 421. (,8) V i n c e n t d e B e a u v a i s , Speculum Historiale c i t . p . 919-921. (” ) Apologia del Cristianismo cit. p. 389. M Op. cit. p. 422. (8I) V in c e n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale, p. 919-921.
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del matrimonio di Maometto con la moglie divorziata di Zayd ibn Hàrith (problema regolato dal Corano, X X X I I I , 37-40). Successivamente nel passo, che esaminiamo l’autore catalano si riferisce piuttosto ad un altro istituto del diritto musulmano. Nel caso di unioni tra un Musulmano ed una schiava, comprata od acqui stata perchè presa in cattività, si ha veramente l’istituto della Umm Walad, la schiava che ha partorito un figlio al padrone e perciò diventerà ipso jure libera alla morte del padrone e quindi dal parto (o, per alcuni, anche dall’aborto) in poi non può più essere venduta nè data in pegno. Anche della Umm Walad è cenno nella Cronaca di Giovanni Villani: « e, fece legge [Maometto] che quale ancella cioè serva in grossasse di Saracino fosse franca e così retasse il suo figliuolo come quello della moglie; e, se fosse cristiana o giudea o pagana, si po tesse partire libera a sua volontà lasciando al padre di cui avesse acquistato il suo figliuolo ». Inoltre Eiximenis dà vigente presso i Musulmani il levirato, di tipo giudaico. Veramente l’istituto del levirato, già diffuso presso gli Arabi prima dell’Islam, era stato esplicitamente abolito dalla norma del Corano (IV, 23): « 0 voi credenti, non vi è permesso ere ditare mogli contro la loro volontà »; ma la forza di conservazione dell’antico privilegio può aver mantenuto a lungo la pratica così proibita, sia pure con adattamenti formali. Così pure l’altra nota del nostro autore circa la lapidazione degli adulteri non è del diritto musulmano comune. Anche qui la norma del Corano (X X IV , 2) stabilisce chiaramente « L ’adultera e l’adultero siano puniti con cento colpi di frusta ciascuno »; ma l’antica pena della lapidazione, tradizionale nel diritto consuetudi nario delle tribù arabe prima dell’Islam, verisimilmente continuò, non senza contestazioni, ad essere applicata, almeno per qualche tempo ed in qualche regione. La pena di 80 colpi per la violenza carnale, di cui parla nel testo Fr. Eiximenis, sembra un travisa mento della norma coranica su citata (per il diritto penale musul mano l’adulterio e la violenza carnale sono accomunati nello stesso reato di ‘ libidine’ [zina\), a meno che non si tratti di consuetu dine della Spagna musulmana: ciò che, per altro, appare piuttosto improbabile. Segue poi nel testo di Eiximenis il consueto accenno alla li bertà sessuale di Maometto. I ‘ privilegi ’ (arabo: hasais) del Profeta Maometto costituì-
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vano uno dei preferiti bersagli della polemica cristiana medievale. Questa si riferisce al passo coranico ( X X X I I I , 49-52) che tali ‘ pri vilegi ’ consacra; ed il motivo polemico è già sviluppato dall’Apo logia cit. di al-Kindï, che nel latino della Collectio Toletana qui suona: « Scriptura prophecie sue sibi facere non erubuit ut diceret datum renibus suis a Deo X L viros potentissimos in coitu fortitudine libi dinis adequare. Ubi quoque inter cetera rebus odoriferis et mulie ribus super omnia se delectari dicit » (82). La pena dell’amputazione per il furto è fissata nel Corano (V, 42-43) « Mozzate le mani al ladro ed alla ladra, in cambio di quel che hanno preso, quale castigo esemplare da parte di Dio »; ma tale pena è praticamente non più eseguita se non in alcuni paesi od in alcuni gravi casi. Eiximenis la dice applicata solo al terzo furto dei recidivi. Infine viene citata nel testo catalano la presunta norma sulle almexies delle quali abbiamo detto sopra (83). Della veste rituale per il pellegrinaggio alla Mecca si trova solo un accenno in a l-Kindi (84) « ad involucionem lintheoli circa renes »; dal quale deriva letteralmente Vincent de Beauvais; (85) e quindi Fr. Eiximenis che qui come altrove lo segue. Tuttavia, anche in tema di pellegrinaggio meccano, la notizia di Eiximenis, che il rituale lancio delle pietre a Mina il 10 del mese di dû Ί-higga durante il pellegrinaggio è fatto « per apedregar lo diable », corrisponde alla spiegazione corrente tra i Musulmani. Qui, perciò, lo scrittore cata lano non ha raccolto il motivò polemico, che da al-Kindi (86) era passato a Vincent de Beauvais: e cioè la riconnessione del lancio delle pietre con il culto di Venere. Tale rito in onore di Venere sa rebbe stato importato dall’India all’Arabia; e conservato da Mao metto, nonostante sia un rito pagano: « Illud vero soli Veneri in illa celebracione dicitur exhiberi solitum ut lapilli retro, hoc est sub genitalibus membris, proiecerentur; eo quod Venus illis maxime partibus divinetur» (passo riprodotto poi da Vincent de Beauvais(87).
(82) Apologia del Cristianismo cit. p. 404-405. (83) Cfr. sopra p. 58. (84) Apologia del Cristianismo cit. p. 422. (ss) V in ce n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale cit. p. 921. (86) Apologia del Cristianismo cit. p. 422-423. (87) V in ce n t d e B e a u v a is , Speculum Historiale cit. p. 919-920.
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Il nostro Eiximenis aveva così anche raccolto informazioni dirette. Quanto alla Ka'ba, alla Mecca, meta del pellegrinaggio: Il passo essenziale per la riconnessione con Abramo ed Ismaele è nel Corano, II, 125-127, dove la Ka'ba « luogo di riunione e di si curo rifugio per gli uomini » è offerta dai due Patriarchi al Signore: «Accettala da noi, Signore, tu che tutti ascolti e conosci! » Tre sono i ‘ segnali ’ che i Musulmani hanno adottato, secondo Eiximenis: la mano, il segno di Salomone, la luna o meglio ‘ la mezza luna La mano è segnale paradisiaco perchè gli Angeli prendano per mano il credente nell’altra vita; il segno di Salomone vale a mostrare che il Tempio in Gerusalemme è in possesso dei Musul mani; la mezzaluna è venerazione per la luna, che regola e padro neggia le acque sulla terra. Il nostro autore nega che il ‘ segnale ’ rituale valga a dimostrare la durata della ‘ monarchia universale ’ che l’Islam sarebbe chiamato a costituire. Ed Eiximenis cita come prova in contrario la vittoria che i Principi Cristiani della Penisola Iberica, finalmente concordi ed uniti, hanno recentemente, ai suoi tempi, ottenuto contro i Musulmani. L ’allusione è, mi pare indub bio, alla battaglia del Rio Salado de Tarifa, dove il 30 ottobre 1340 il Re di Castiglia, Alfonso X I , quello di Portogallo: Alfonso IV; ed, aggiunge Eiximenis, i Re di Aragona e della Navarra (88) sconfissero il Sultano merinide del Marocco Abü Ί-Hasan ed il So vrano di Granata: Yüsuf Abu Ί-Haggàg suo alleato. La battaglia ebbe una grande risonanza in Occidente ed in Oriente (89). Quanto alle insegne e ‘ segnali ’ elencati da Eiximenis la mezza
(8S) Davvero la battaglia del Rio Salado fu combattuta essenzialmente dalle forze di Castiglia e del Portogallo; ma già la Crònica de D. Alfonso el Onceno registra: la richiesta di alleanza che Alfonso X I indirizzò al Re Pietro di Ara gona nel 1340; la collaborazione della flotta aragonese, comandata da D. Pedro de Moncada alle operazioni contro i Musulmani; mentre alla battaglia è notato che di Aragona partecipa soltanto un cavaliere, Gonzalo Garcia, con due scu dieri di Maiorca (Crònica de D. Alfonso cit. ed, F. C e r d a y R ico, Madrid 1787, p. 428; 437; 442; 452). Tuttavia il Poema de Alfonso X I ricorda; «la delantera guardando |los cruzados muchos son; |e vassallos de don Fernando |el marqués de Aragón (Poema cit. ed. Y o T a n C a t e , Madrid 1956 p. 364 copia 1310). Ed il Sovrano Musulmano, nel fare la sua vanteria di guerra, proclama: « A Aragón faré gran guerra |El ssu Rey cuydo matar |e cuydo gannar a Çerdenna » [Poema cit. p. 301 copia 1078). (89) Cfr. il mio articolo La Regina di Sicilia e la Regina Saba in una tradi zione dell’Egitto medievale in Athenaeum X L VII [Scritti in onore di Piero M e riggi), p. 85-87.
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E. Cenilli
luna ovviamente si ritrova dappertutto negli emblemi musulmani; e, ad esempio, il Francescano di Castiglia, che, quasi contempora neo del nostro autore catalano, scriveva poco dopo il 1348, regi strava le armi dei Sovrani musulmani: mezza luna bianca in campo giallo, per Damasco; mezzaluna azzurra in campo bianco per l’Egitto; mezzaluna rossa in campo bianco per al-Mahdiya e per Buda nel Sud-Atlante; mezzaluna nera in campo bianco per Tunisi; mezzaluna bianca in campo rosso per Tlemcen (Tilimsàn) (90). Quanto alla mano ed al sigillo di Salomone credo che forse Eiximenis abbia piuttosto alluso a simboli e segnali della magia popolare musul mana anzi che ad emblemi ed armi.
[§ 13. Il Paradiso e l’Inferno secondo l’Islam] La descrizione dell’Inferno musulmano è strettamente rias sunta in qualche rigo. Quella del Paradiso, pur nella sua laconicità, ha alquanti dati tipici, a tal segno che una breve indagine ci rive lerà inattesamente che la fonte di Eiximenis per la prima parte del suo racconto è qui, non già il ‘ Libro della Scala ’ che pure egli ha citato sopra, come abbiamo visto, ma i Dialogi cum Judaeo di Pietro Alfonso, l’ebreo aragonese Rabbi Moseh Sephardi conver tito al Cristianesimo nel 1106. Basterà qui allineare le coincidenze: 1. Eiximenis « aqui james no hauran fret mi calor »: Pietro Alfonso « nec frigore affligentur neque calore »; 2. Eiximenis: « ort de délits regat per aygues marauelloses »: Pietro Alfonso: «hortum deliciarum praeterfluentibus aquis irri guum »; 3. Eiximenis: « en lo qual hauran cadires resplendents »: Pietro Alfonso: « in quo sedes habebunt perpetuas »; e cosi via sino, intanto, al canto degli Angeli (rozzamente redatto!): 4. Eiximenis: « menjats e beuets tots ab alegria »: Pietro Alfonso: «Comedite et bibite in omni laetitia» (91). Ma poi — e questo provi ancora una volta la possibile comples sità di tali combinazioni di fonti nella letteratura medievale — la seconda parte della descrizione del nostro autore catalano deriva, al contrario, dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Ora Jacopo
(") The Book of Knowledge cit. p. 22-24; 30; 32. (91) Cfr. il mio Libro della Scala, p. 377-378.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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da Varazze aveva, a sua volta, riunito il brano su accennato che egli pure toglieva da Pietro Alfonso con un altro brano che egli copiava dalla Historia Orientalis di Jacques de Vitry (92). Quindi il nostro Francesco Eiximenis, che segue la Legenda Aurea, ha ap punto — per via indiretta — due diverse fonti: Pietro Alfonso e Jacques de Vitry per il tramite di Jacopo da Varazze. Comunque, ecco la seconda parte del racconto dello scrittore catalano a fronte della Legenda Aurea (93): Eiximenis’. E dix los que en aquell Paradis hauia tres grans flums, Lo primer era de vi fort precios e fragrant e aromatich. Lo segon seria de let sobres dolça neta bella e sabrosa. Lo terç de mel singularment dolça e fina e fort, delitablement colorada e al gust trascendentment saborosa. E aqui siarien tostemps en companya dels Angels de Nostre Senyor Deu: e dix que los Angels
aquelles eran tan grans e ab tan gran cap que del un hull a laltre hauia tan spay com un hom poria amar comunament en un dia. Legenda Aurea: Tria flumina scilicet lactis, mellis et vini op timi aromatici eos habere dicit Magumethus in Paradiso; et quod Angelos pulcherrimos sunt visuri et adeo magnos quod ab uno oculo Angeli usque ad alium sit spatium unius diei.
[§ 14. La profezia della fine dell’Islam] La tradizione del Medio Evo Occidentale, in varie forme così diffusa, che gli stessi Musulmani credevano prossima la fine della loro supremazia, e quindi del loro dominio in Spagna, era antica e fu lungamente trasmessa: dalla Profezia dello pseudo-Ezechiele (del I X secolo d.Cr.) « Quod etiam ipsi Sarrazeni quosdam prodigiis vel astrorum signis interitum suum approquinquare predicunt et Gotorum regnum restaurari per hunc nostrum principem » (94); sino ad Arnaldo da Villanova (agli inizi del secolo X IV ): «E n los Sarraijns, e specialment per ço quar élis troben en escrit que ara es vengut eo temps en què deu fayllir lur secta » (95).(*)
(**) Cfr. (93) Cfr. (91) Cfr. in Bulletin de
Libro della Scala, p. 428. Libro della Scala, p. 379. M a n u e l G ómez M o r e n o , Las Primeras Crónicas de la Reconquista
la Real Academia de Historia, C, 1932, p. 623. d e Y il a n o v a , Obres Catalanes, vol. I, Barcelona 1947, p. 240.
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E. Cerulli
Propriamente Eiximenis allude qui all’Oraculum Angelicum, profe zia che si diceva rivelata nel 1192 a S. Cirillo di Costantinopoli, carme litano, e data ad interpretare a Gioacchino da Fiore (96). L ’Oraculum di cui si servì Arnaldo da Villanova (ed anche il capo degli Spiri tuali nel mondo francescano, Angelo Clareno) ebbe allora (inizi del secolo X IV ) sì grande popolarità da ispirare, sembra, anche Cola di Rienzo. Arnaldo da Villanova, che ora è qui citato da Eixi menis, aveva esplicitamente detto nella Confessio de Barcelona delΓ11 luglio 1305 che « l ’altra scriptura qui n fa fe es la revelació de sent Ciril, no pas lo màrtir, mas lo hermità, lo qual es molt solemne en la Sglesia de Roma e en tots los antichs monestirs de sent Benet, e la qual revelació glosaren aquels mateix doctors qui principal mente glosaren la Biblia. En la qual scriptura [de sent Ciril] és re velat lo damunt temps per compte del anys de nostre Senyor Jesuchrist e d’alcuns Papes » (97). Ma Arnaldo di Villanova aveva già accennato ad un’altra presunta rivelazione che « mihi communi cata est » (98) e che Eiximenis, dunque, dice nel nostro testo che fu fatta ad Arnaldo da un santo uomo che non volle essere nomi nato. Comunque la citazione che qui appresso farà Eiximenis (« Hi spania nutrix » etc) è certamente del Tractatus de mysterio cymba lorum, opera inedita di Arnaldo da Villanova scritta nel 1301. Il passo, infatti, si legge nel codice Vaticano Latino 3824 al foglio 96v. L ’inizio della attuazione della profezia sarà la lotta del re Pietro col re Enrico; e cioè la lunga guerra del Sovrano di Castiglia Pietro I il Crudele, figlio di Alfonso X I e di Maria di Portogallo, contro il suo fratellastro Enrico, nato dall’unione illegittima di Alfonso X I con Leonora de Guzman. La lotta guerreggiata tra i due fratelli durò dal 1366 al 1369 e terminò con la resa e l’uccisione di Pietro I ad opera di Enrico nel castello di Montiel. Poiché Pietro I aveva chiesto aiuto all’Emiro Muhammad di Granada fu considerato, almeno dai suoi avversari, traditore della fede e così anche nella poesia. Comunque, secondo l’interpretazione che Eiximenis dà alla profezia, proprio da questa guerra « axi calda » tra i due Principi Castigliani: Pietro I ed Enrico, si inizieranno quelle lotte in Spagna che precederanno la fine dell’Islam: Apparirà il Rata Pennada, un
(9S) Vedi A età Sanctorum, Martii I, p. 498-502. (97) A r n a u d e V il a n o v a , Obres Catalanes cit., vol. I p. 112. (98) Cfr. la Noticia Preliminar del P. Miguel Battlori S.J. in A rn a u V ila n o v a cit. vol. I, p. 57.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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Re d’Aragona (") che soggiogherà l’Africa, occuperà la Mecca, umilierà l’Egitto. Verrà allora l’Anticristo primo, ‘ figura e pre cursore dell’Anticristo finale ’ . L’Anticristo primo attaccherà, favo rito dal demonio, la vera religione cristiana, tormentando i santi. Ne consegue — conclude il nostro Autore — che il 1400 sarà l’anno finale de « la secta sarracenica ». Questo dà un’ombra di millena rismo (10°) anche alla valutazione della vecchia profezia così rinnovellata (101).
[§ 15. I miracoli di Maometto] Alla profezia della fine dell’Islam Francesco Eiximenis fa se guire un esame dei presunti miracoli di Maometto o meglio di quelli che in Occidente per varie fonti si era giunti a pensare fossero i pro digi che i Musulmani attribuivano al loro Profeta. Questo era un passaggio obbligato della polemica dei Cristiani di Occidente, come di quelli di Oriente; e tale rimarrà a lungo, come vedremo in se guito. Intanto, in attesa di ricercare più da vicino i vari elementi del problema le cui origini storiche non sono unitarie, mi limiterò qui a dare alcuni cenni comparativi dell’esposizione che ne fa il Libre del Crestia e delle sue fonti immediate: 1. Il miracolo della partizione della luna ad opera di Mao metto corrisponde alla tradizione islamica dello saqq al-qamar (Co rano, L IV , 1) ‘ la spaccatura della luna ’ intesa come prodigio del Profeta, secondo una interpretazione già accolta nella tradizione musulmana. In Occidente il miracolo era già nella Legenda Aurea (102) « luna ad eum accessit quam ille in sinu recipiens in partes duas
(” ) L’attribuzione al Re di Aragona di una parte principale nella profezia di vittoria contro i Musulmani si spiega facilmente col sentimento di Eiximenis scrittore catalano. Ma è poi curioso — ed a nessuno venga in mente di dar cre dito alla virtù profetica di chi pensava al Rata Pennada! — che chi poi realmente vinse l ’ultimo Stato Musulmano di Spagna e prese Granada nel 1492 fu proprio il Re d’Aragona, Ferdinando il Cattolico. (10°) Questa del 1400 è data che costituisce così anche un terminus ante quem per la composizione del Libre del Crestia. (101) La citazione dei Proverbi che chiude il capitolo dello Eiximenis (Non est consilium contra Dominum) è precisamente P rov. X X I, 30. (102) Legenda Aurea ed. cit. p. 831.
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E. Cerulli
divisit et iterum conjunxit » e giungerà, in Italia ad esempio, per li rami sino a Fazio degli Uberti (103): Vero è che l’Alcoran conta in più carmi rotta la luna e ch’esso la reintegra E, del resto, lo era già stato nientemeno che da Goffredo di Viterbo, il quale, scrivendo poco dopo il 1186, elenca anche egli il prodigio « dicunt lunam per eum fuisse separatam in partes, iterumque conjunctam » (104). 2. I miracolo dell’agnello avvelenato, che parla perchè Mao metto non ne mangi, è in al-Kindï (Apologia) (105) e ritorna in Vin cent de Beauvais (10e) e nella Legenda Aurea (107); ed era già stato narrato da Goffredo di Viterbo (108). 3. La leggenda della donna amata dal Profeta che lo attira in un agguato e che poi dà alla venerazione dei fedeli la reliquia del piede di Maometto è sicuramente di origine non musulmana. Ne riferirò la storia di trasmissione nel successivo capitolo IV. Co munque giova dire qui che essa non si trova nelle solite fonti di Eiximenis: nè in al-Kindì nè nella Legenda Aurea. 4. Il preteso miracolo o piuttosto la ‘ fallacia ’ della cassa di ferro retta in aria dalla possente calamita nella moschea della Mecca è stata già esaminata qui sopra nel paragrafo 1.
[§ 16. / Musulmani negatori di Cristo e la loro disciplina nelle Decretali] Francesco Eiximenis in questo paragrafo che conclude la sua discussione dell’ Islam espone in forma semplice la interpretazione corrente del noto passo del Corano (IV, 156-157) sulla Crocefìssione (109); e ne trae per conclusione che, nonostante la venerazione dei Musulmani per Gesù come Profeta di Dio, la loro dottrina nega-
(103) Dittamondo, lib. V, cap. X III, v. 22-23. (104) Libro della Scala, p. 423. (los) A l - K in d i , Apologia cit. p. 409. (106) V in c e n t d e B e a u v a is , op. cit. p. 915. (107) Legenda Aurea ed. cit. p. 831. (108) Libro della Scala, p. 423-424. (109) Sull’origine ed i veri termini dell’interpretazione di questo disputatis simo passo coranico ho dato notizia nel mio volume L ’Islam di ieri e di oggi, Roma 1971, p. 14-16.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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trice della Crocefissione e quindi della Redenzione è gravissima e pericolosa eresia. Siamo sempre nel consueto ambito medievale della valutazione dell’ Islam come una eresia dal Cristianesimo. Ciò posto il nostro Autore torna ad evocare le rigide norme della Clementina e delle successive Decretali circa i contatti tra Cristiani e Musulmani e le limitazioni da imporre a Musulmani ed Ebrei dimoranti nei territori soggetti a Principi Cristiani. La Costi tuzione Clementina era già stata citata dallo Eiximenis (nel § 6) ed è stata discussa qui sopra (110). La norma del V libro delle De cretali circa le armi (e le forniture di armi e di materiali per arma menti come il ferro), pena la scomunica, fu per lungo periodo — anzi per secoli —· motivo di contestazioni ed interpretazioni diver genti sopra tutto da parte degli Stati interessati al commercio me diterraneo (m ); mentre il valore procedurale nella prova testimoniale delle disposizioni di Cristiani contro Musulmani e di Musulmani contro Cristiani dava luogo a qualche interpretazione non molto restrittiva da parte di Ubaldo degli Ubaldi (112). E questa parte del Libre del Crestia si conclude con la profetica identificazione dell’Islam con il ‘ cavallo pallido’, sul quale cavalca la Morte, nell'Apocalisse di S. Giovanni (11S) e quindi sulle terribili distruzioni che l’eresia di Maometto causerà (114) con le sue vastissime conquiste nel mondo intiero, dalla frontiera della Cina alla Palestina (115) ed alla Spa gna. Sola consolazione resta il valore effimero di quelle persecu zioni (lle) e la fine prossima già profetizzata.
(uo) Cfr. qui sopra p. 56. (lu) Cfr. ad esempio L ’Islam di ieri e di oggi cit. p. 47. (lla) Baldi Perusini Jurisconsulti in Decretales subtilissima Commentaria, Venezia 1571, p. 329. (U3) A poc a lisse , VI, 7-8. (,14) A pocalisse loc. cit.
(us) Gerusalemme fu presa nel 638 e cioè appunto nel 28° anno di impero di Eraclio. ( ΙΙβ) M a t t h . X X II, 32: « Non est Deus mortuorum sed viventium ».
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C a p it o l o I V
Il Cardinale Juan de Torquemada e la Visione di Maometto
1. L’opera del Cardinale Juan de Torquemada. 2. Testo di Juan de Torquemada sulla Visione di Maometto.
§ 1. L ’opera del Cardinale Juan de Torquemada Il Cardinale Juan de Torquemada O.P., il cui nome dal Roman ticismo deteriore dello scorso secolo è stato reso quasi espressione di paurosa reazione, nacque a Valladolid nel 1388. Fu a lungo in Italia, dove, fra l’altro, partecipò al Concilio di Firenze nel 14391441 ed infine venne appunto nominato Cardinale del titolo di S. Sisto e Vescovo di Albano e della Sabina. Morì a Roma nel 1468. Un suo libro, scritto a Roma nel 1465, ha per titolo Contra prin cipales errores perfidi Machometi; e contiene la confutazione di qua ranta ‘ errores ’ , divergenze della dottrina, che il Torquemada rite neva dell’ Islam, dalla fede cristiana. La fonte del Torquemada per questi ‘ errores ’ è ancora la Collectio Toletana. Alcuni di essi, del resto, derivano direttamente dal Dialogo di 'Abdallah ibn Salam, compreso appunto nella Collectio. Ma nella introduzione alla sua confutazione il Torquemada cita un lungo brano sulla Visione di Maometto dell’ Oltretomba, brano del quale dò qui di seguito il testo, che riproduco dall’edizione romana del 1606, correggendone gli errori di stampa sul codice Vaticano Latino 976.
§
2.
Testo di Juan de Torquemada sulla Visione di Maometto « (p. 42) Inter alia Machometus exponendo Capitulum Alchorani, quod dicitur Filiorum Israel, in quo dicitur: Laus ei sit qui transire fecit servum suum sub una nocte ab Oratorio Helcharata, quae est domus Meschae, usque ad Oratorium remotissimum, quod
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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est domus sancta in Hierusalem circa quam apprehendimus Deum, dixit sic: Homines o vos intelligite, sero postquam recessi a vobis, venit ad me Gabriel post psalmodiam vespertinam ultimam; dixitque mihi: O Machomete, praecipit tibi Deus ut eum visites. Cui dixi: Et ubi eum visitabo? Et dixit Gabriel: In loco ubi ipse est. Adducitque mihi iumentum maius asino et minus mulo et nomen eius Elberahil, quod loquebatur. Et ivi una hora, spatio et itinere quin quaginta millia annorum. Et dixit mihi Gabriel: Hunc ascende et equita usque ad domum sanctam. Cumque curarem ascendere refu giebat iumentum. Dixitque ei: Sta firmiter quia Machometus (p. 43) est qui curat te ascendere. Respondit iumentum: Numquid missum est pro eo? Respondit Gabriel: Utique. Ait iumentum: Non permit tam eum ascendere nisi prius rogaverit Deum pro me. Ego autem intercessi pro iumento Dominum meum. Ascendique iumentum et gradiebatur insistente me tenui gressu et collocabat ungulam pedis sui in orizonte visus sui. Sicque veni ad domum sanctam in minori spatio quam ictus oculi compleatur. Eratque Gabriel mecum et adduxit me ad rupem, ad domum sanctam in Hierusalem dixitque Gabriel: Descende quoniam a rupe ascendes in coelum. Et descendi et Gabriel ligavit animal in circulo ad rupem; et portavit me in humeris suis usque ad coelum. Cumque venissem ad coelum mundi Gabriel ad portam pulsavit; dictumque est ei: Quis es? Respondit: Ego sum Gabriel. Dictumque est ei iterum: Et quis est tecum tibi? Respondit: ' Machometus. Et dixit portinarius: Numquid missus es pro eo? Respondit Gabriel: Etiam. Aperuit que nobis portam et vidi gentem ex Angelis; et bis flectendo genua pro eis fudi ora tionem. Postea accepit me Gabriel et duxit me ad coelum secun dum. Et fuit distantia inter unum coelum ad aliud itinere quingen torum annorum. Et sicut in primo coelo dixit se pulsasse sic per omnia fecit usque ad septimum coelum. In (p. 44) quo septimo coelo scribit se vidisse populum Angelorum; et longitudo uniuscu iusque Angeli erat instar mundi multis mille vicibus. Quorum ali quis habebat septingenta mille millia capita; et in quolibet capite septingenta mille millia ora; et in quolibet ore septingenta mille millia linguarum laudantes Deum septingentis mille millibus idiomatibus. Et respexit unum Angelum flentem; et quaesivit causam fletus eius. Respondit: Culpae sunt. Ipse autem oravit pro eo. Sic inquit: Gabriel commendavit me alteri Angelo et ille alteri; et sic, donec starem coram Deo et tribunali eius, tetigitque me manu inter
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E. Cerulli
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humeros adeo ut frigiditas manus eius perveniret usque ad me dullas dorsi mei ». Basta uno sguardo a questo testo di Juan de Torquemada per accorgersi che esso è soltanto una trascrizione, non completa in fine, del racconto della Visione di Maometto nell’opuscolo Contra Legem Sarracenorum del fiorentino Ricoldo da Montecroce. Il racconto di Ricoldo fu dà me edito secondo tre manoscritti, due Vaticani ed uno Riccardiano, nel Libro della Scala (1). Abbiamo visto che il Torquemada conosceva la Collectio Toletana, ma evidentemente egli disponeva — per via diretta od indiretta — soltanto di uno dei manoscritti più antichi nei quali non era ancora stato aggiunto il Libro della Scala ai testi tradotti da Pietro il Venerabile. D’altra parte sembra naturale che il Cardinale Torquemada, domenicano, sia ricorso allo scritto del suo confratello nello stesso Ordine, Ricoldo da Montecroce. (l) Op. cit. p. 346-354.
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C a p it o l o V
L ’Epistola del Papa Pio II e la Visione di Maometto
1. Pio II e l ’Epistola al Sultano Turco. 2. Testo della Visione di Maometto nel l’Epistola di Pio II. 3. Fonti dell’Epistola e la replica presunta del Morbisano.
§ 1. Pio I I e l’Epistola al Sultano Turco Il papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) nell’ottobre-dicembre 1461 scrisse la Epistula ad Mahumetem, indirizzata, dunque, al Sultano Turco, Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli. Questa Epistola pone agli storici un problema assai complesso e di soluzione difficile. Ci si chiede: davvero Pio II, il pontefice uma nista di così alto intelletto e, nello stesso tempo, statista di pro fonda esperienza, poteva pensare che il Conquistatore Maometto II si convertisse al Cristianesimo per la persuasione che la missiva pa pale gli ispirasse? E se questa fiducia non era nell’animo di Pio II, che rappresentava per lui la Epistola? Si è addirittura pensato a qualificarla un esercizio letterario (x) di quel fine scrittore che Pio II era stato ed era; ma anche questo sembra troppo poco. Altri ha creduto per ipotesi alla influenza di quei prelati della Curia che, proseguendo, d’altronde, una tradizione neppure allora recente, consideravano non difficile un avvicinamento all’Islam riguardato come un’eresia cristiana (2) (ed il Cardinale Nicolò da Cusa era ar rivato ad identificare accenni trinitari nel Corano). (3) E d’altronde
(q A cominciare dal G r e g o r o v iu s , Storia di Roma nel Medio Evo, trad, italiana, Roma 1901, vol. I li, p. 814. Egli giunge sino a chiamarla con rozza espressione « ditirambo pontificio ». (a) Cfr. quanto ne dissero F. B a b in g e r (Pio I I e l’Oriente Maomettano in Enea Silvio Piccolomini. Atti del Convegno per il Quinto Centenario della morte, a cura di D. Maffei, Siena 1968, p. 4—7; e F. G a e t a , Sulla lettera a Maometto di P i o l i in Ballettino Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, n° 77, 1965, p. 127-227. (3) Nicolò da Cusa dedica la maggior parte del secondo libro della sua Cribratio Alchorani alla questione trinitaria nel senso che egli indica « Trinitati an
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E. Cerulli
questa tendenza irenica era confortata da notizie, più o meno adat tate, che giungevano da Costantinopoli conquistata su certi atteg giamenti del Sultano Maometto II. Tali circostanze potevano aver indotto Pio II a preparare l’Epistola nel senso del tentativo audace di pacificazione, spingendosi così egli tanto innanzi che gli avver sari non pochi nè deboli della Lega crociata contro il Turco, che era nei progetti del Pontefice, non potessero umanamente rimproverarlo di non aver compiuto ogni ragionevole azione sino ai limiti del suo altissimo ministerio. Ancora è stato supposto (4) che il grande Pontifice umanista abbia avuto fiducia che l’iniziativa di contatti con il Sultano Turco avrebbe avuto benefici effetti in quanto un Principe ed il suo po polo, ritenuti più dediti alle armi che a forme di cultura, sarebbero stati, gradualmente forse, attratti ed almeno parzialmente assimi lati dalla altissima ed umana cultura classica del Rinascimento. Comunque tutte queste ipotesi sono, in realtà, estranee al nostro argomento; e vorrei solo dire che mi pare che non sia da escludere che anzi abbiano concorso nel disegno di Pio II, senza eliminarsi necessariamente l’una con l’altra. D ’altra parte la Epistola non fu mai spedita al suo destinatario a Costantinopoli e rimase perciò una testimonianza, per gli Occidentali, di un sondaggio di pace da parte di Pio II. Per quanto concerne questa nostra ricerca va piuttosto tato che lungamente si era pensato che la fonte delle notizie l’ Islam contenute nella Epistola fosse la Cribratio Alchorani Cardinale Nicolò da Cusa. Recentemente F. Gaeta ha provato
no sul del giu-
contradicat Alchoranus ». I suoi argomenti sono fondati: sull’uso del plurale in passi coranici concernenti la Creazione (Co r a n o , X X II, 5; X X III, 12-13; LI, 4 7 -4 9 etc.) che sono per questo uso del plurale in analogia con la Scrittura (G e n e s i , I, 26). Ancora maggior sviluppo ha la discussione fondata sulla interpre tazione da dare all’uso nel Corano del denominativo ruh ‘ Spirito ’ , che Nicolò da Cusa identifica con lo Spirito Santo. Da questa identificazione egli deriva una interpretazione in senso trinitario dei ben noti passi su Gesù nel Corano, come ad esempio II, 81, 254, dove rùh al-qudusi è posto a significare lo Spirito Santo della Trinità. Cosi anche i passi nei quali si parla della Rivelazione, che a mezzo dello Spirito è fatta — secondo il Corano — al Profeta Maometto (Co ran o XLII, 52; X VI, 102 etc.). (4) F. G a e t a , Sulla lettera a Maometto cit. p . 194; e Alcune osservazioni sulla prima redazione della lettera a Maometto in Enea Silvio Piccolomini. Atti del Con vegno cit. p. 184-186.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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stamente che invece la fonte, almeno principale, di quelle infor mazioni è l’opuscolo del Cardinale Juan de Torquemada, del quale ora abbiamo parlato (5). La narrazione del viaggio oltre-tomba del Profeta Maometto è contenuta, del resto, nella Epistola di Pio II, nel testo seguente:
§
2.
Testo della Visione di Maometto nell’E fistola di Pio I I « Exponens Mahumetes capitulum Alcorani quod dicitur Filio rum Israel in hanc sententiam loquitur: Sit laus Ei qui servum suum ab oratorio (quod est Helcarata, ipsa est domus Mesche) usque in oratorium sanctae domus Hierusalem nocte una transtulit, circa quam benediximus Deum. O vos homines audite et intelligite, cum abii a vobis, venit ad me Gabriel sero post psalmodiam vesperti nam quae ultima est et ait: O Mahumetes, iubet Deus ut se adeas. Cui respondi: Et ubi eum visam? Et ait Gabriel: Ubi ipse est. Et iumentum illico adduxit magnitudine inter asinum et mulum, Elberahil vocatur, humanae vocis capacem. Et una non amplius hora iter egi annorum quinquaginta millium. Et ait Gabriel: Ascende animal et ito ad sanctam domum. Ascendere volentem fugiebat iu mentum, et iussum est stare quia Mahumetes ascensurus esset. Numquid accersitus est? inquit. Et respondente Gabriele accersitum esse: Non sinam, addidit, nisi pro me Deum rogarit. Obtuli preces Deo meo pro iumento, quod me insidente suavi gressu inces sit, ponens ungulam pedis anterioris in orizonte sui visus; et minori spatio quam ictus impletur oculi, ad sanctam domum perveni. Comes aderat Gabriel qui duxit me ad domum sanctam in Jerusalem et vicinam rupem, dixitque: Descende, quoniam ex rupe ad coelum ascendes; et colligato illuc iumento portavit me humeris suis in coelum. Et cum applicuissemus ad coelum mundi et ad portam eius, pulsavit Gabriel; et quaesitum est quis esset. Et respondit Gabriel: Ego sum. Et iterum quaerenti: Quis tecum adest? respondit: Mahumetes. Et subdidit ianitor: Numquid vocatus? Et ait Gabriel: Vocatus. Et aperta est porta et vidi Angelos, et bis genua flectens oravi pro eis. Et accepit me rursus Gabriel et vexit ad secundum coelum et fuit distantia inter coelum et coelum quantum est iter
(5) F. G a e t a , Sulla lettera a Maometto cit. p. 163-166.
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E. Cenilli
quingentorum annorum. Et sicut in primo coelo ita et in hoc coelo pulsatum extitit. Et rursum pari solemnitate ad septimum usque coelum procedit aequam coelorum distantiam ponens. Et ait: In septimo coelo vidisse se Angelorum populum et longitudinem Angeli cuiusque instar mundi fuisse et aliquorum mille vicibus extensio rem. Et inter eos unum aliquem invenisse cui et septies centena mille millia essent capita et in quolibet capite totidem ora et in quolibet ore linguae totidem, quae septingenis mille millibus idiomatibus laudabant Deum. Et rursus alterum Angelum ostendisse qui fleret et quaesivisse causam fletus. Et cum ille dixisset culpas esse, oravi pro eo. Et addidit: Tunc commendavit me Gabriel alii Angelo et ille alii, donec fui in conspectu Dei et tribunali ejus adhaesi. Tetigitque me manu sua Deus inter humeros et frigiditas manus ejus pervenit usque ad medullas dorsi mei ». La Epistola poi torna su questo brano nella seguente discussione: « Quot sunt in his fabulis deridenda somnia? Non objurgamus jumenti verba, quando et asinam sacrae litterae locutam produnt, et Gentiles bovem. Sed quid est quod una hora iter quinquaginta millia annorum pergitur? Metire haec et diligenter cogita an corpori nondum glorificato id possit accidere. Quo ivit? Ubi fuit? Quid cir cumivit? Non adhuc coelum ascenderat; quibus in locis tantum spatii peragravit? Nec jumentum eum tulit; quis tulit eum? unde venit? quomodo venit? Nihil horum dicit. Quid peccaverat jumen tum ut precibus egeret, cui non est lex alia nisi naturae et illi paret? Quid hostiarius in coelo collocatus rogamine Mahumetis egebat? An non satis felix erat? Fortasse altius cupiebat ascendere, tamquam non sit illic perfecta omnium beatitudo et regnet adhuc ambitio? Distantiam coelorum ostendit et spherarum quanta sit crassitudo demonstrat: quingentorum annorum iter ex coelo in coelum ponit et patere omnium spissitudinem. Quid hoc? quis credat? Gentilium fabulis simile somnium est » (e). § 3.
Fonti dell’Epistola e la replica presunta del Morbisano Come si vede, alla trascrizione del vecchio testo di Ricoldo da Montecroce — testo che ad un letterato emunctae naris come
(e) Seguo l’edizione (non critica) di G. T o f f a n in , perchè questo passo sulla Visione è omesso nell’edizione di F. Gaeta.
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Pio II doveva sentire di dettato medievale — seguono queste brevi obbiezioni di logica scolastica, intonate a quel testo, ma in fondo lontane dall’ispirazione filosofica dell’Epistola nelle sue parti migliori. Assai stranamente, poi, nella edizione del Bibliander l’ Epistola di Pio II è addirittura indirizzata non già al Sultano Maometto II, ma invece « illustri Morbisano, Turearum Principe ». Ma si tratta di un curioso equivoco dell’editore Bibliander, il quale, del resto, già nella edizione di Basilea del 1550 aveva così dato l’ Epistola come indirizzata non già a Maometto II, cui non era stata mai spe dita, ma al presunto « Morbisanvs », al cui nome era stata scritta la così detta lettera di replica all’Epistola di Pio II, come ora ve dremo. Questo ipotetico autore « Morbisanus », che F. Babinger ha identificato con Umur pascià (7), era certo assai innocente della colpa, se tale era, di aver scritto quella lettera di risposta. Nessun Turco o meglio nessun Musulmano avrebbe scritto in quel modo. Gli argomenti già addotti per ritenere apocrifa la lettera vanno assolutamente rinsaldati anzi tutto dal fatto che è inconcepibile che un principe Turco nel secolo X V conoscesse l’Eneide di Virgilio sino a rappresentare la conquista di Costantinopoli come una ri vincita, dunque gradita ai Romani, contro i Greci eversori di Troia (8). In minor grado, certo i Musulmani erano detti, qua e là negli scritti medievali: « Pagani », e quindi le leggende popolari degli idoli d’oro da adorare o degli dei: Macometto, Apollino e Trevigante (®), ma sicuramente nessuno citava Giove e Mercurio, divinità classiche, come adorate dall’Islam. E si ricordi comunque che la più comune concezione dell’ Islam era quella di una eresia nata dal Cristiane simo per influsso iniziale dei Nestoriani. La lettera apocrifa del Morbisanus è forse meno innocente di quanto appaia a prima vista (10), perchè in sostanza chiede la neu-
(’ ) F. B a b in g e r , Pio I I e l’Oriente Maomettano, cit. p. 9. (s) Il passo del presunto Morbisanus va qui messo in rapporto col gioco di parole « Turchi: Teucri », che è esclusivamente occidentale. (9) Cfr. ad esempio, oltre alle tante citazioni che della letteratura cavalle resca si potrebbero fare, il Morgante Maggiore di L. P ulci, c. X V III ottava 117. (10) In questo senso forse F. B a b in g e r si è spinto troppo innanzi inse rendo la lettera del « Morbisanus » (Pio I I e l’Oriente Maomettano, p. 9) in quella letteratura di epistole apocrife, attribuite « al Preste Juan de las Indias o al Emperador de Trapisonda », delle quali in Cervantes si diverte nel Prologo del Don Chisciotte.
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tralità degli Stati Italiani (11) nella lotta tra l’ Impero Turco e Ve nezia: ciò che corrispondeva allora in Italia e fuori — anche nel l’ Impero di Federico III di Asburgo — alla diffidenza con la quale veniva seguita l’espansione veneziana in terra ferma, cominciata già nel 1405 con l’acquisto di Verona, Vicenza e Padova, e, del resto, anche con la tensione che quella espansione aveva causato anche con la Santa Sede (12). In conclusione, mentre l’Epistola nella sua ispirazione filosofica è culturalmente nel campo dell’Umanesimo (13) (dal Somnium Scipionis a Platone), per le sue notizie sull’Islam rimane invece nel campo della cultura medievale: e particolarmente è limitata da informa zioni giunte per via indiretta a Pio II dagli scrittori del Duecento e del Trecento (14).
(u) « Morbisanus » ripete, sia pure curiosamente, in nome dei Turchi il solito tradizionale luogo comune delle innate simpatie dei Musulmani per gli Italiani (« cum latens amor nos incitet ad dilectionem ipsorum »). (la) Pio II aveva fortemente protestato per l ’acquisto nel 1463 di Cervia da parte di Venezia in seguito all’accordo concluso con Malatesta Novello. (13) Con la tradizione umanistica — e mi si consenta questo partico lare — che almeno dal Petrarca riprende motivo divenuto consueto nella poesia latina (cfr. il mio art. Petrarca e gli Arabi in Rivista di cultura classica e medie vale, VII, 1965 p. 331-332), gli accenni dell’Epistola alla presunta mollezza degli Arabi: «Quid imbellis Arabs? » ed « Aegyptii efioeminati aut imbelles Arabes». (u) Alla fonte della Visione di Maometto, che è Ricoldo da Montecroce trecentista, come detto sopra, vanno ancora aggiunte nella Epistola di Pio II due tipiche leggende medievali: Quella del potere dell’Etiopia Cristiana sul Nilo, e quindi contro l’Egitto, leggenda che doveva proseguire poi dalle stesse fonti sino alTAriosto (cfr. il mio saggio II volo di Astolfo sull’Etiopia nell'Orlando Furioso in Rendiconti Accademia Lincei se. mor. 1932, p. 19-38); ed è qui notevole che il potere del Sovrano Etiope di sbarrare e deviare il Nilo affamando l’Egitto per la siccità è trasformato nell’Epistola di Pio II al potere di «cursum retinere... et con gregatam aquam dimittere quae rumpat aggeres et totam inundat Aegyptum ». Una seconda leggenda medievale accolta nell’Epistola è quella degli Angeli de caduti Haruth e Maruth (« Arathes et Narathes ». Questa leggenda, per le cui origini giudaiche (ed iraniane) vedi l’articolo di G. V ajd a nell ‘Enciclopedia del l’Islam ed è fondata, per quanto concerne l’Islam, sul Corano (II, 102), ha nel l’Epistola per ultima fonte — attraverso l’opera del Torquemada — Vincent de Beauvais (Speculum Historiale) ed all’inizio ancora, la Collectio Toletana.
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C a p it o l o VI
L’Islam ed il Paradiso musulmano secondo il Defensorium Fidei
1. L’Islam nel Defensorium Fidei. 2. Fonti e valore storico del Defensorium Fidei.
Un opuscolo anonimo dal titolo Defensorium Fidei contra Judeos, Hereticos et Sarracenos, libros septem seu Dyalagos continens fu stam pato ad Utrecht, per Nicolas Ketelaer e Gerard Leempt, verso il 1473; ed è oggi incunabulo rarissimo (x). Per l’età della composizione dell’opuscolo valgono questi due passi: a) (f. lOr) « Carmina quippe — ut ait Pius Pontifex nuper Maximus » (') Ho visto il volume alla Bibliothèque Albertine di Bruxelles, dove però non è indicata la data nè il luogo di stampa. Del resto anche in M.F.A.G. C a m p b e l l , Annales de la Typographie Néerlandaise, La Haye 1874, ρ. 153 n° 558 il libro è detta « Sans indication de lieu, de typographie ni de date » e l’indicazione: Utrecht, Typ. Ketelaer, verso 1473 è aggiunta qui tra parentesi, mentre nella stessa opera a p. 558 il librò è elencato sub anno 1473 tra gli stampati di N. Ke telaer. Invece Hain, sub 6083, lo dà stampato a Louvain, per Johannes de West phalia — ignoro su quali informazioni; e Copinger, p. 188, per la copia alla Uni versity Library di Cambridge, ne dice « The first blank and the second leaf were wanting in the copy described by Hain ». A sua volta Louis P o l a i n , Catalogue des livres imprimés au quinzième siècle des Bibliothèques de Belgique, Bruxelles 1932, vol. II, p. 20 n° 1254, oltre alla copia della Bibliothèque Royale (ora Alber tine), ne elenca una altra a Namur ed una ad Anversa, che però non ho potuto vedere. A f. Tìv della copia dell’Albertina si legge, in fine dell’opuscolo: « Defenso rium fidei contra Judeos, Hereticos et Sarracenos explicit feliciter. Sequitur alius tractatus de eadem materia editus per Reverendissimum Patrem Dominum Car dinalem de Turrecremata Ordinis Predicatorum eximium Sacre Pagine doctorem »; e ad f. llv: « Sequitur adhuc alius tractatus de eadem materia sumptus ex Historia Tripartita Cassiodori Senatoris »; ed f. 19v (ultimo dei libro) « Expli cit feliciter ». Per il brevissimo scritto del Cardinale Torquemada cfr. qui sopra p. 78-80.
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V) (f. 25r) « Licentia viciorum crevit lex Sarracenorum — ut ait Pius Pontifex nuper maximus ». L ’opuscolo è stato scritto, dunque, poco dopo il pontificato di Pio II, che regnò dal 1458 al 1464; perciò qualche anno prima della stampa ad Utrecht. È tipica anche una citazione del Petrarca: (f. 9v) « Bene spe rando, ait Petrarcha, et male habendo transit vita mortalium ». L ’opera si presenta come un dialogo tra Belial, il tentatoree l’Anima. Belial, premessa una introduzione di dubbi sulla immor talità dell’Anima (2), replica in un successivo (terzo) dialogo al l’Anima che aveva esaltato la eroica testimonianza dei martiri cri, stiani: (f. 19r) Belial: « Nichil inusitati refers, o Anima, dum fortia martirum tuorum gesta predicas. Sunt namque et in aliis sectis plurimi qui pro sua tutenda lege morti sese eciam voluntarie dederunt Anima: Sed non sequuntur signa. Belial: Nec iam sequuntur in tua. Anima: At secuta esse multis iam transactis seculis negare non potes. Nos vero hoc preteritum tam diu et tam sepe replica tum pro presenti habemus. Nec semper hortolanum plantulam irri gare opus est. Belial: At nunc vel maxime opus esset quando tua gens et secta maxime affligitur eiusque hostis Turchorum princeps Christia nos se terque quaterque fudisse gloriatur (3). Anima: Quos? Belial: Grecos atquè Armenos et de Sclavonia, Trapezunte atque Euboya non paucos. Anima: Si Romanos dixisses aut Rhodios, si Gallos aut Ger manos reliquosve Ecclesie Romane iunctos in hoc de me forsitan triumphasses.(*)
(*) « Speras quoque, o stolida [Anima], post hanc vitam meliorem assequi vitam. Etemas eciam dum corpore exuta fueris speras incolere sedes. Ah! prospice ne te ipsam spe nimia, ambitione nimia et nimia credulitate fallas. Spes est quo tidianum et frequens humanarum rerum ludibrium ». (3) Qui Belial insiste, come poi farà ancora in seguito, sul significato che egli dà alle vittorie dei Turchi sui Cristiani d ’Oriente; vittorie che, culminate allora nella caduta di Costantinopoli nel 1453, avevano causato una profonda crisi nell’Occidente; e ne abbiamo visto qui sopra le ripercussioni anche per l ’azione proprio del papa Pio II.
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Belial: Video quo tendis. Grecos tametsi Christianos pro veris tamen et absque errore non habes ». E qui Belial osserva: « (f. \9v) In aliquibus Grecia forsitan errat. Accidentale illud est; et non de tue fidei essentia. Anima: Est Spiritus Sancti emanatio de fidei accidentalibus? Et numquid Purgatorium esse sancta non iubet credere Ecclesia ? » (4) Ancora nel quarto dialogo (« De mirabili orbis conversione ad Christum ») Belial attaccherà l’Anima su di un altro punto: (f. 22r) Et an conversionem istam illam esse existimas de quo scribitur (Ysaia, II, [4]): ‘ conflabunt gladios suos in vomeres et lanceas suas in falces. Non levabit gens contra gentem gladium nec exercebuntur ultra ad proelium ’ et puer parvulus minabit eos? Anima: Etiam. Belial: Attamen illud contigisse nusquam adhuc aut in tua aut in Hebrea aut in Alchorana lege compertum est. Anima: Non omnia que scribuntur a Prophetis, o Belial, sunt litterali sensu intelligenda » (5). La discussione vera e propria della dottrina musulmana — per quel che l’autore del Defensorium Fidei ne sapeva — comincia più innanzi nell’opuscolo. Ancora una volta è Belial, il Tentatore, che la provoca: (f. 23v) « Belial: Arabum quoque legem unissimum et absque socium Deum coli iubentem nullam dicis? Anima: Non modo nullam, sed fictam, (f. 24r) sed ridiculam, irieptiisque et fabulis ac scurrilitatibus plenam et Dei blasphemam dico. Belial: Que unum et absque socium Deum prédicat tu blasphe mari dicere non erubescis? (6) Anima: Que Deum finitum, utpote corporeum: manus pedes que, caput et reliqua membra habentem (7); que Divinam Provi(4) Ho incluso questo passo, pur non riferendosi esso alia questione del l’Islam, perchè tipico della divisione in quel momento storico. (s) Qui l’Anima sfugge alla tentazione, nella quale Belial vuole indurla, circa la irraggiungibile pace mondiale cui non avrebbe portato nessuna delle grandi religioni. · (6) Il demonio Belial nuovamente tenta l ’anima pretestando l’adorazione dell’Islam per Dio unico e personale. (7) Questa accusa all’Islam di antropomorfismo esagerato sembra alludere a passi anche della Collectio Toletana, come —- ad esempio — nel Dialogo di ' Ab dallah b. Salàm: « Quattuor genera quae Deus propriis manibus operatus est.
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dentiam nichil ista curare itaque Deum peccatorum omnium causam esse (8); que celum ex fumo factum (9); que celestes Ange los ex flamma ignis creatos (10) et peccare et morituros esse (u); malos vero angelos per Alchoranum salvandos (12); que humanas animas portionem anime Dei (13); plura quoque alia absona et celse derogantia maiestati ponit, qualiter excusari a blasphemia potest? Belial: Que virtuosos in Paradiso, viciosos in baratro locat: lex illa Deo digna non censebitur? Anima: Neque hoc satis est. Bonos enim bone locari, malos male perdi omni secte omni legi commune est. In hoc tamen et ipsa turpiter errat que summam hominis beatitudinem in voluptatibus, ut in Cerere, potu et Venere multaque alia non dicam Deo sed nec sapienti homine digna tradit. Belial: Perpetua tamen Paradisi gaudia Machometus in suo Aldi orano describit. Anima: In Alchorano perpetua sed tantum carnalia promit tuntur bona. Evangelium vero promittit Angeli formitatem. Homines scilicet conformes futuri Angelis nichil habentibus carnalitatis... (f. 24v) Preterea quamvis in Alchorano describitur Paradisus habens vini pariter et mellis ampla flumina, virginum quoque multitudinem, plures tamen in hoc seculo talia abhorrent ac vilipendunt. Quo igi-
Respondit (Mahomet): Manibus quidem propriis aedificavit Paradisum altiorem, plantavit arborem tubae [ = tübà], plasmavit Adam, scripsit tabulas Moysi » (in T h . B ib l ia n d e r , Machumetis Saracenorum principis ejusque successorum vitae, doctrina ac ipse Alcoran, Basilea 1550, vol. I, ρ. 120). (8) Allusione alla dottrina attribuita (in Occidente) ad Averroes e che ve dremo condannata dall’Inquisizione di Spagna. Cfr. qui appresso p. 00. (’ ) Ancora citazione dal Dialogo di sAbdallàh b. Salàm: « Cur coelum dic tum est coelum? Respondit: Ideo quidem, quia de fumo creatum, fumus vero vapor maris» (T h . B ib l ia n d e r , op. cit. vol. I, p. 192). (10) C o r a n o , XV, 27; e LV, 15 (passi che, in verità, si riferiscono ai genii (ginn). Ma importa notare che in entrambi questi passi la traduzione del Corano nella Collectio Toletana ha tradotto ginn con diabolus e non angelus (XV, 27: « dia bolo prius ex igne pestifero creato»; LV, 15: «atque diabolos ex ignis fiamma condidit ». (” ) Anche qui dal Dialogo: « mandabit Deus angelum mortis ut omnem crea turam spiritum habentem interimat, tam angelos omnes et diabolos omnes quam homines, aves, pisces, belvas et pecora » (in T h . B ib l ia n d e r , op. cit. vol. I, p. 199). (“ ) Dialogo, cit. (in B ib l ia n d e r , vol. I, p. 198): «Misertus tantem [Deus] misericors miserator eripi [ab Inferno] praecipiet eum ». (I3) Altro errore che sarà condannato dall’Inquisizione di Spagna come Averroista. Cfr. appresso p. 00.
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tur pacto dici isti felices poterunt, si assequentur in Paradiso que esse qui nollent in hoc mundo? Scribitur in Alchorano virgines in Paradiso pulcherrimas atque nigris inveniri cum oculis habentibus albuginem albissimam et ma gnam. Quis Gallus, quis Italus aut Germanus quantumlibet inherti luxu perditus tales in hoc seculo, in futuro vero longe munus appe teret? Alchoranus insuper concubitus et cetera carnis delectabilia in templis fieri aut mesquitis prohibet. Sunt Paradiso sanctiores?... Machometus insuper legis sue tam absurde lator ausus immane nephas se dici prophetam ac nuncium falso dicere non est ausus damnare Evangelium, sed laudare potius, dans intelligi felicitatem in eo promissam non esse illa corporali inferiorem. Hoc enim docti apud eos et sapientes verum esse non dissimulant. Etenim Arabs Avicenna preclari vir ingenii multo preferendam iudicat felicitatem intellectualem fruitionis Dei et veritatis felicitati in lege Arabum descripte in qua tamen natus ipse erat (14). Sic Plato, sic Aristoteles et reliqui sapientium existimant fere omnes. Belial: O anima, tu inveheris in Alchoranum Deo membra at tribuentem corporea; (f. 25r) sed invehere potius in tue fidei sym bolum ubi Filius ad dextram sedere Patris voce libera profitetur. Numquid enim Deus Pater habet latum dextrum aut sinistrum veluti corpora? Anima: Nec nos de Deo Patri sentimus. Nulla enim forma corporis Deus finitur atque concluditur. Sed dextra Patris, ut ait Augustinus, est beatitudo perpetua quod sanctis datur, que admo dum sinistra eius recte miseria perpetua appellatur. Belial: Si non est a Deo lex Sarracenica, quomodo tot ac tantas populorum turmas ad se totque hominum legiones traxit? Anima: Vis scire breviter? Licentia viciorum crevit lex Sarracenorum, ut ait Pius Pontifex nuper Maximus. Vis scire ulterius? Vis scire ulterius quomodo ad predicationem Machometi et sui in structoris Sergii (15) tam breviter et tam facile Sarraceni a Christiana religione sunt aversi? Revolvantur Cronice veteres. Legantur Anna les historié; et quod dictura sum verum certe atque indubitatum
(M) Si ripete qui il luogo comune negli scrittori occidentali medievali circa le idee attribuite ad Avicenna sul gaudio non materiale del Paradiso. Cfr. p. 48-49. (15) Allusione alla leggenda medievale sul monaco nestoriano Sergio (Bahira) ispiratore presunto di Maometto. Cfr. A. D ’A n co n a , Il Tesoro di Brunetto Latini versificato, in Memorie Accademia Lincei, se. mor. 1888, p. 179-187.
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reperies. Paulo antequam Machometus nasceretur Arabia et Siria longis antea seculis Christianis iniciate sacris ab ea fide nemine co gente, sed sola sua pravitate ac perfidia recessere. Sed assumptus ad imperium Heraclius princeps Christianissimus armis et brachio forti apostas huiuscemodi veritatem quam prius susceperant et quam postea abnegarant denuo resumere, Cosdroe rege eorum inter fecto, compulit. At Heraclio Cesare sublato e medio, vel, ut alii dicunt, senio confracto, callidus surrexit Machometus. Qui (f. 25v), ut dives ex paupere, ut princeps ex vili mancipio, ut imperator ex mercatore fieret, ridiculam certe et scurrilem legem, partem ex Vetere, partim ex Novo Testamento, partim vero ex fabulis et anilibus nugis confinxit. Laxavit habenas Veneri hoc primvm quodque hominibus illius terre placidum esse novit; pro lege celitus ei revelata instituit se prophetam magnum et Dei nuncium fingens. Hoc itaque modo rudis ille atque indisciplinatus populus qui paulo ante, ut iam dixi, absque propheta et Dei nuncio leviter sese aver terat; tunc multo quidem levius ad vocem Machometi se et prophe tam magnum et Dei nuncium et nisi in virtute gladii missum et X L virorum fortium genitales se habere vires mentientis aversus est. Nec magnis ad hanc rem persuasionibus seu artificiosa elocutione opus erat, quandoquidem iam animi eorum persuasi et Christiani inviti facti erant. Una igitur infecta regio infecit aliam et ista illam et illa deinceps ex finitimis regionibus multas. Instar ardentis pa rietis totam sepe viciniam concremantis aut veneni mortiferi con tacta ab eo omnia sedulo inficientis. Belial: Sed extensior multo est Sarracenorum quam tua secta. Hinc plurimarum iudicio dignior multo atque excellentior reputatur. Anima: Sed homines, teste Aristotile, ut in pluribus sunt mali, ut in paucioribus vero boni... (f. 26r) Belial: Multi inquunt Saraceni; sed Christiani in respectu eorum sunt pauci. Ergo Saraceni potiores, ergo et meliores. Anima: Quid multitudinem narras? Multitudo, ut ait Cicero, non vincit, sed paucitas bene ordinata... Belial: Legem, inquam, Machometi tota fere Asia totaque Af frica et pars Europe magna tenet. Ea igitur secta multo extensior et multo populosior extat quam aut tua aut Hebrea aut quevis alia secta. Anima: Non quod veri aliquid affert; sed quia multos populares, ut dixi, nomine voluptatis invitat. Nemo enim non in vicia prom ptus est, ut ait Lactantius.
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Belial: Non est Machometica lex que disputationi subiaceat. In Arabia ortum habuit que parvo principio quantum creverit vides. Egiptus hvic legi additus est et Siria et Mesopotamia et Libia et Numidia et Mauritania et pars magna Hispanie et dives Asia et docta Grecia cum forti Tracia et nobili Macedonia. Sunt et alie quam plurime regiones sub imperio dicte legis que armis non ver bis ut tua quesite sunt. Anima: Si armis, ergo violencia. Nostra vero neque armis neque verbis sed operibus miris, ut iam dixi, quesita est. Dixi etiam supra, o Belial, cur ipsa lex arabica in tantum creverit (f. 26v): plebis vo luptas allexit. Belial: Si non esset lex arabica vera, non dedissent Superi successvs eius imperio tantos. Amat eos Deus et legis odorem sentiens congratulatur et sternit iter victoriis suis. Anima: Non quia amat eos Deus, victorias in nos plurimas habent; sed quia forte nos propter vicia nostra plurima non amat... Belial: Victorias, inquam, plurimas Sarraceni habuere in vos. Ergo meliores vobis ipsi sunt aut saltem feliciores. Anima: Fuerunt etiam aliquando victi. Parva Christianorum manus ingentes copias apud confluentes Sanum et Danubium paucis ante annis delevit. Sed non his argumentationibus stat nostra fides. ‘ Vici, fudi hostes; imperium teneo ’, si sic licet arguere, vera fuit ab Alexandro tot victoriis illustrato et sub eius successoribus re ligio qui regnavere imperio armis quesito. Vera etiam Romanorum fides usque ad priorem Constantinum qui orbem sibi ferro subiugarunt... (f. 21v) Belial: Quid vero quum ipsa Arabum lex sive religio unissimum, ut dixi supra, et absque socio, tua vero unitrinum Deum coli atque adorari imperat? Anima: Et nos quoque unissimum, ut sic loquar, immo et sim plicissimum fatemur Deum nec ullum prorsus Deo socium qui unus ac solus Deus, unus ac solus Dominus, unus ac solus Altissimus est, tribuimus. In Deo namque est indivisibilis unitas... (f. 44r) Belial: Longe distat ab hiis et vehementer discrepat Alchorani doctrina. Id enim quod superexcellentissimum Deo glo riosissimum decentissimum esse predicas, consubstantialem videlicet coequalem et coeternum sibi filium genuisse magnus ille Machometus turpe atque inconveniens Deo esse existimat. Nempe secundo dicti Alchorani capitulo ita scribit: Omnes dicentes Marie filium
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Deum esse mendaces et increduli sunt reperti, cum Christus dixit: Filii Israhel, in Deum meum et vestrum credite (16)! Anima: Ita profecto scripsit tuus venerius et libidinosus Machometus. At contra Joannes Apostolus virgo a Deo electus: Quisquis, inquit, confessus fuerit quoniam Jhesus est Filius Dei, Deus in eo manet et ipse in Deo (17). Verum ad tua sic obiecta respondeo: Christus in unitate persone Deus et homo existens Deum universitatis voca vit Deum suum secundum quod ipse est homo. Belial: Eodem quoque capitulo sic loquitur: Quisquis Deo so cium aut participem posuerit (f. 4Av) ignem intrabit perpetuum. Anima: Filius Dei Christus Jhesus proprie loquendo non est particips Patri. Non enim accipit partem deitatis seu essentie Patris. Est enim impartibilis; sed omnem eius plenitudinem. Similiter et Spiritus Sanctus... Belial: Preterea in X I I I Alchorani capitulo sic habetur: Deo dicente ad Jhesum: 0 Jhesu, Marie filie, persuade hominibus ne loco Dei te et matrem tuam tamque duos deos habeant ac veneren tur. Respondit Jhesus: Nolit Deus ut ego quid preter verum dicam (18). Anima: Ista sunt conficta sacrilega et falsissima verba... Belial: Item X X V I I I eiusdem libri capitulo ait: Dicentes Deum sumpsisse filium turpe verbum se protulisse cognoscent (19). Ob hoc quippe dictum celum se confundit, tellus aufugit omnisque mons cecidit. Hoc enim importunium et inhonestum est Deo. Anima: Ecce quam falsum, quam viciosum et infidelissimum verbum. Non enim dicimus Deum sumpsisse de novo aut ex fe mina generasse filium, prout falso ymaginatus est perfidissimus Machometus, sed ab eterno ex sua propria genuisse substantia.
(" ) C o r a n o , V, 76. (") I J o h . IV, 15. (ls) C o r a n o , V, 116. (19) C o r a n o , X V III, 3-4. Tuttavia questa citazione è parafrasi della tra
duzione del Corano della Collectio Toletana, che dice piuttosto: « Dicentibus autem Deus sumpsisse Filium, quod ab ipsis et a patribus suis est ignoratum cum hoc sit mendacium pessimum, dicat: Quoniam nisi verbum illud mutaverint, sponte vim atque dedecus passuri negabunt» (Th . B ib l ia n d e r , op. cit. vol. I, p. 94). In realtà il passo coranico dice: « Coloro che dicono: Dio si è preso un figlio, non sanno nulla, come già nulla ne sapevano i loro padri. Grave è la parola che esce loro di bocca: è solo menzogna ».
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' ^ . ? - Ύ :ι* ™ & ^ : T » ; ^ " ' ^ - '.« r - f P . · W - r ? -7 - - : ' ·· · ana del re Alfonso il Savio; però il testo di Alfonso da Spina non ha quelle varianti che nella Crònica General si trovano in confronto della Historia Arabum. Così mentre la Crònica General omettè la descrizione fìsica dei tre Profeti che Maometto incontra nel Tempio a Gerusalemme, il testo di Alfonso da Spina ha quella descrizione che quindi toglie dalla Historia Arabum. È vero che nella Historia Arabum —■ almeno nel l’edizione che ne fece l’Erpenius nel 1625 ■ —- è detto prima che i tre Profeti incontrati da Maometto furono: Abramo, Mosè e Gere mia, mentre nella Crònica General i tre Profeti sono: Abramo, Mosè e Gesù; e qui il testo di Alfonso da Spina coincide con la Crònica General. Però nella Historia Arabum, pur essendo nominato due volte Geremia nel racconto dell’incontro nel Tempio, invece nel passo che descrive la figura dei Profeti si descrivono Abramo, Mosè e Gesù (e non più Geremia) (17). La fonte prima delle tre narrazioni (Historia Arabum, Crònica General, Alfonso da Spina) è indicata egualmente come: « In eius [Mahomet] secundo libro reperitur inscriptum » (Historia Arabum)·, « En el segundo libro de la estoria deste Mahomet » (Crònica General)·, «Alibi dicit in secundo libro doctrine sue» (Alfonso da Spina). Ho già detto (18) che tale indicazione — per quanto concerne la Historia Arabum e la Crònica General — è importante, perchè prova come nella Spagna del X I I I secolo era nota ai dotti Cristiani in Castiglia almeno un’altra versione del viaggio oltretomba di Maometto, oltre a quella che, fatta tradurre da Alfonso il Savio, divenne il Libro della Scala. b) Quali sono le varianti che dalla seconda fonte, della quale abbiamo ora detto, Alfonso da Spina inserisce nel suo riassunto del Libro della Scala? Ne rileverei almeno questa: l’aggiunta chiara mente introdotta con le parole « Alibi legitur » del racconto dei sessantamila Coreisciti che chiedono a Maometto un miracolo a con ferma del suo racconto della Visione {mi' rag) e la sua risposta: « Laus Deo. Numquam aliud sum ego quam homo et nuncius ». E questa,
(17) Tuttavia, al contrario, nella descrizione di al-Buràq il Fortalitium non ha quella notizia che la Historia Arabum ha, derivandola da altra fonte (In eius [.Machometi] secundo libro reperitur inscriptum) su quella bestia prodigiosa che « proponebat pedem posteriorem super pedem anteriorem ». (18) Libro della Scala, p. 345.
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tra i molti passi analoghi del Corano che escludono i miracoli chiesti a Maometto dagli increduli, è citazione diretta dalla Sura X V II, quella che si inizia col famoso versetto allusivo alla Visione di oltre tomba, e che nel versetto 95 dice appunto: « Lode al mio Signore. Sono io altro che una creatura ed un Inviato? ». Questa citazione coranica è importante perchè è nuova prova che l’altra fonte del racconto sulla Visione di Maometto che era nota alla Spagna Cri stiana prima del Libro della Scala era anche essa araba musulmana. Infatti la disputa con i Coreisciti è riferita diversamente: nel Libro della Scala dove Maometto a persuadere i suoi della verità della sua Visione compie il miracolo di dire loro dove trovasi la loro carovana diretta a Gerusalemme (19); nella Crònica General e nella Historia Arabum ancora i Coreisciti e Maometto si riuniscono in casa di Abü Tàlib, zio del Profeta, e lì Maometto afferma il suo monoteismo contro il paganesimo dei Coreisciti (20). Infine il racconto della Visione di Maometto nel Fortalitium si inizia con la citazione del famoso versetto del Corano (X V II, 1), che è il punto di partenza tradizionale (e la base teologica) della narrazione del viaggio oltretomba. Ora questa citazione non si trova nel Libro della Scala (nè nel latino nè nel francese nè nel riassunto castigliano). Ma con quel versetto si inizia il riassunto che del Libro della Scala fece Fra Roberto Caracciolo, riassunto pur assai meno esteso che quello del Fortalitium; e — sia detto per incidens — con la stessa citazione ha principio il racconto che della Visione redasse Ricoldo da Montecroce. Tuttavia qui non conviene trarre, se non dubitativamente, deduzioni sulla trasmissione al Fortalitium (ed alle due narrazioni italiane) di questo inizio, perchè era naturale che uno scrittore arabo avesse premesso al racconto della Visione quel versetto coranico che per lui ne era la testimonianza sicura. Comunque la citazione nel Fortalitium è altra prova di una seconda fonte accessoria. Aggiungo che la sura X V II del Corano è qui citata nel Forta litium (e da Ricoldo da Montecroce, ma non da Roberto Caracciolo) come « in capitulo Filiorum Israel », quindi secondo il titolo arabo
(19) Libro della Scala, p. 221. (20) Roderici Ximenez Archiepiscopi Toletani Historia Arabum, ed. Th. Erpenius (allegata alla Historia Saracenica di al-Makïn), Leida 1625, pars secunda, p. 6; Primera Crònica General de Espana que mandò componer Alfonso el Sabio ed. R. Menéndez Pidal, t. I, Madrid, 1906, p. 273.
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Surat Banï Isrâ’ïl, assai meno diffuso che quello corrente di Surat al-Isrà ' Sura del Viaggio notturno
[§ 4. Le frasi arabe nel Fortalitium Fidei]. Le formule in arabo conservate nel testo del Libro della Scala, e qualche volta con varianti dal francese ai due codici latini, si leg gono anche nel Fortalitium Fidei con altre varianti: 1. § 45: Libro della Scala (latino): Halla huha kybar Libro della Scala (Vaticano Latino): Ralla huha kibar Libro della Scala (francese): Halla hua keibar Fortalitium Fidei: Halla huha kibar = arabo: Allahu akbar ' Dio è massimo ’ 2. § 45: Libro della Scala (latino; francese): Le hille halla illala Fortalitium Fidei: Le hille halla illaha — arabo: là ilàha illa Allahu ‘ Non vi è Dio (altro) che Dio ’ § 45: Libro della Scala (latino; francese): Haxedu le halla hilalla Fortalitium Fidei: omittit = arabo Ashadu [a,ri\ la ilàha illà Allahu ‘ Attesto che non vi è Dio (altro) che Dio ’ 3. § 45: Libro della Scala (francese): Haxeduna Muhagmet racur Halla Libro della Scala (latino): omittit Fortalitium Fidei: omittit = arabo: Ashadu anna Muhammada Maometto è l’ Inviato di Dio ’4
rasulu ’llàhi ‘ Attesto
che
4. § 45: Libro della Scala (latino): haya lazala haya lalfala Libro della Scala (francese): haia lacala haya lalfala Libro della Scala (Vaticano Latino): haiba lazala haya lalfala Fortalitium Fidei: Haya la sala habya lasphala = arabo: hayyà ilà ’ssalàt hayyà ilà ’Ifalàh ‘ Su alla Su alla salvazione! ’
preghiera!
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5. Libro della Scala (latino): Y za ibni Mariem quod interpetratur Jhesus Filius Marie Libro della Scala (francese): Yca iòni Mariem qe volt tant dire com Jhesu li fiz Marie Riassunto castigliano Eyca fijo de Mariem del Libro della Scala: Fortalitium: Yse ibn Marien — arabo: clsà ibn Maryam 6. Libro della Scala (latino): Yohanna ibn Zacharia Libro della Scala (francese): Yohanna ibn Sakaria Historia Arabum: Hyahya; Crònica General: Hyaya Fortalitium: Johanna — arabo: Yahyà; Yuhannâ 7. § 51: Libro della Scala (latino): Hacrop kodemya habibiyaMuhagmet Libro della Scala (Vat. Lat.): Hacrop kodem y a habibi y a Muchmet Libro della Scala (francese): acrop codem y a habibi hya amagmet Fortalitium Fidei: Bagop cesdem ya afibi ya Muhagmeth. Il riassunto castigliano del Libro della Scala ha: « llega a mi, ya habibi ya Mahomet », metà in castigliano e metà in arabo: =
arabo: Uqrub quddâm, y a habibi, y a Muhammad.
8. § 42. Libro della Scala (latino): Zokay balla bilie dille yille balla (21) Libro della Scala (francese): Cohan balla bilie dille ylle balla Fortalitium Fidei: Zoghay balla bilie dille balla Nel riassunto castigliano la frase è trascritta: Cubhan Alla bahihadih e leylehe ylla Alla: = arabo: Subhân Allah. Là ilâha illâ Allàhu ‘ Lode a Dio. Non vi è Dio (altri) che Dio ’ e, per il castigliano, forse la prima parte della frase è Subhân Allah Wahdàhu. 9. Così anche le voci arabe isolate citate nel Fortalitium (e nel Libro della Scala): Libro della Scala (latino): Halmohereig; (francese): Halmaereig; riassunto di S. Pietro Pascual: almiragi; Fortalitium: almaherig = arabo: ai-mi" rag-, Libro della Scala (latino; francese): alborak] S. Pietro Pascual: Alborach\ Alborah\ Alborac; Fortalitium: alborac — arabo: al-Buràq.
(21) Libro Scala, p. 228 nota 36.
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10. Libro della Scala (latino): h a lm o k a d e n ; (francese): Riassunto castigliano: a lm och a d en Fortalitium: a lm u k a d e n = arabo:
h a lm oh a d en
a lm u ’ a d h d h in
11. Libro della Scala (latino; francese): Libro della Scala (Vat. Lat.): R id o a n Fortalitium: A r id u h a n — arabo:
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R id o h a n
R id w à n
11. Libro della Scala (latino) : K o r a y x i s ; K o r a y s ; (francese) : Riassunto castigliano: C o r a y x Fortalitium Fidei: C a r o ix is Crònica General; Historia Arabum: C o r a x i — arabo:
K o r a ix is
Q u ra yS
In conclusione, sia le formule che l’onomastica araba trascritta in queste varie opere sulla Visione di Maometto sono meno defor mate, nella trasmissione, di quanto ci si sarebbe atteso.
[§ 5.
P a s s i del L ib r o della S ca la o m e s s i n e l F o r ta lit iu m
F i d e i ].
Il F o r t a lit iu m è un riassunto, come ho ripetutamente g.:à detto. È quindi naturale che, ridotti al minimo alcuni paragrafi, del L ib r o d ella S ca la , ne vengano poi omessi del tutto alcuni altri. Così: a) mancano nel F o r t a lit iu m tutti i paragrafi del Libro della Scala che descrivono la cosmografia (dei due Oceani, della Terra Bianca; la struttura del Paradiso e sue distanze dalla terra ecc.) dal paragrafo 56 al 91; b) la narrazione dell’arrivo dei beati nel Paradiso e delle gioie ad essi riservate (dame; cibi; vesti ecc.) è pure omessa nel F o r ta litiu m e quindi mancano i paragrafi 94-121 del Libro della Scala;
manca nel F o r ta lit iu m tutta la descrizione dell’ Inferno e delle sue pene e la narrazione del Giudizio Universale (Libro della Scala, paragrafi 130-202). c)
Se alcune di queste omissioni sono facilmente comprensibili, come quelle dei paragrafi concernenti la cosmografia e forse anche dei paragrafi sull’arrivo dei beati, che pure esteticamente sono tra
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i migliori del Libro della Scala (ma ciò ovviamente non poteva in teressare l’autore del Fbrtalitium). Riesce invece difficile vedere perchè è stata omessa la descrizione dell’ Inferno. Ad ogni buon fine converrà qui notare che la descrizione dell’Inferno non si trova nemmeno nella Historia Arabum nè nella Crònica General che sol tanto inseriscono — da altra fonte — nella narrazione dell’incontro con Adamo nel primo cielo del Paradiso un passo sulla pena per gli adulteri (22).
(22) Libro Scala. p. 338-339.
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Capitolo V ili Juan Andrés e la Visione di Maometto
1. Juan Andrés, faqih convertito, e la sua opera. 2. Testi dell’edizione spagnola ed italiana di Juan Andrés. 3. Saggio della versione francese di Juan Andrés. 4. Saggio della versione inglese di Juan Andrés. 5. Saggio della versione la tina di Juan Andrés. 6. Juan Andrés ed il Libro della Scala: differenze nel racconto. 7. Juan Andrés ed il Libro della Scala: convergenze nel racconto. 8. Juan Andrés e la Historia Arabum di Ximénez de Rada. 9. Juan Andrés ed il racconto di Ricoldo da Montecroce. 10. I vari racconti della Visione di Maometto nella Spagna musulmana.
§ i. Juan Andrés, faqïh convertito, e la sua opera Juan Andrés, o meglio il personaggio che qui è designato col suo nome Cristiano, nacque in Jativa. Di lui sappiamo soltanto quel che egli stesso dice nella sua opera. Musulmano colto, ebbe — dopo suo padre — il titolo di « Alfaqui », che nella tradizione spagnola non corrisponde esattamente all’arabo al-faqìh ‘ giureconsulto ’; ma piuttosto può essere qualche volta scambiato nei documenti con « alfaquim » ( = arabo al-hakim ‘ medico’ ) ^ ) op pure, se non erro, con la dignità di qâdï ‘ giudice ’ , ad evitare forse l’equivoco con « alcalde » che, pur adottato dall’arabo, ha avuto in Spagna altro valore. Comunque, il nostro « alfaqui » entrò nel 1487 nella Cattedrale di Valencia il giorno della festa dell’Assunta, mentre predicava il domenicano Juan Marqués, poi vescovo di Patti, in Sicilia (2). Così il dotto musulmano fu ispirato a convertirsi al
(>) Libro della Scala, p. 18, n. 3. (*) Lo stesso Juan Andrés lo narra nel suo libretto (f. 4v dell’edizione ita liana del 1543): «fui instrutto nella setta machometana da Abdala mio padre naturale, Alfacqui della detta città [Jativa], per morte dilquale io succedetti in suo officio di Alfacqui, in cui molto tempo stetti perduto e desviato da la veritade, fin che nel anno 1487, predicando ne la Chiesa maggior di Valenza ove mi trovavo presente, il di’ di Nostra Donna d ’agosto, il molto reverendo e non meno dotto barone mastro Marques...» [ ‘ barone’ è qui spagnolismo per ‘ varon’].
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Cristianesimo e si fece battezzare assumendo il nome di Juan An drés (3). Diventò poi sacerdote, si che i Re Cattolici, Ferdinando ed Isabella, dopo la conquista di Granata, lo mandarono a predi care in quella città (4). Successivamente Γ Inquisitore di Aragona, don Martin Garcia, gli ordinò di tradurre il Corano « con le sue glosse ed i sette libri della Sunna» (5). Scrisse, infine, il libro che ci è ri masto col titolo: Confusion de la secta mahomética. La cronologia di questo libro può dirsi sicura, perchè esso fu esaminato da tre maestri in teologia di Valencia per commissione del Certosino Don Luis Mercadër, Vescovo di Tortosa (dal 1514 al 1516) ed Inquisitore Generale di Aragona (6); e la prima edizione a stampa del libro reca la data di: Valencia, 1515. Ora l’opera di Juan Andrés contiene in due capitoli una dif fusa narrazione del viaggio del Profeta Maometto nei regni del l’oltretomba, narrazione che, come vedremo, rappresenta ancora un’altra versione della visione musulmana del Paradiso e dell’In-
(s) Egli cosi lo spiega (loc. cit.): «ricordandomi de la gloriosa convoca tione che havevo odito dire di Giovanni et Andrea per Giesu Christo nel mare di Galilea, feci che mi chiamasser Giovan Andrea ». (4) « fui chiamato per li pii catholici principi il Re Don Fernando e la Reina donna Isabella perch’io andasse a predicare in Granata alli Mori di quel regno, che le lor altezze havean conquistato » (op. cit. ibid.). La notizia data in J o s é S i m o n D i a z , Bibliografia de la Literatura Hispanica, t. V, Madrid, 1958, p. 321, che Juan Andrés sia stato nominato anche dai Re Cattolici: canonico della Cattedrale di Granata, deriva da X i m e n o V i c e n t e , Escritores del Reyno de Valencia, t. I, 1747, p. 76. Ximeno Vicente non dà la sua fonte; ma, se non erro, la notizia gli deriva dal P. T i r s o G o n z a l e z d e S a n t a l l a S . J . (Manuductio ad conversionem Mahumetanorum, Dillingen 1689, vol. II, p. 4: « Pervenit hujus ferventis viri fama ad Reges Catholicos, illumque Granatam adduxerunt ut suae gentis homines a tenebris Alcorani ad Evangeli lucem transveheret; et id majori authoritate Ver bum Dei praedicaret, illum Ecclesiae Granatensis Canonicum effecerunt»). (s) « mi conversi a translatar d’arabico in lingua aragonese tutta la legge di Mori, cioè l’Alcorano con le sue giose e li sette libre della Zuna, pur mosso a questo pel mandato del molto reverendo Signor Mastro Martino Garcia, Vescovo di Barcellona et Inquisitore d’Aragon[a] mio signore » (op. cit. f. 5r). (6) « riveduta e corretta la ditta opera per gli reverendi signori dottori M. Soler, officiale di Valenza e canonico e decano de Lerida; e M. Gaspar Pertusa, canonico della sede di Valenza; e Maestro Girolamo Fuster e Maestro Giovan Sala, maestri in sacra theologia, intervenendoci parimenti l’autorità del molto reverendo e nobil Signore Don Mercader, Vescovo di Tortosa e Inquisitor mag giore di questi regni » (op. cit. f. 5v).
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ferno, giunta così in Europa in pieno Rinascimento. Ma non basta. La larga diffusione dell’opera di Juan Andrés fa parallelo con la traduzione in più lingue europee del Libro della Scala (castigliano, francese, latino) e, ad esempio, di quanto Raimondo Lullo nel Libre del Gentil aveva scritto delle credenze musulmane sulla vita ultraterrena (catalano, castigliano, francese, latino) (7). E le molteplici traduzioni dell’opuscolo di Juan Andrés provano, così, che la cu riosità di conoscere quel che l’ Islam pensava della vita al di là della morte terrena continuava assai viva nel Cinquecento. Ecco un breve catalogo, che forse non è nemmeno completo, delle edizioni e traduzioni della Confusion de la secta mahomética\ Edizioni in Spagna: Valencia, Juan Joffre, 1515; Siviglia 1537, Gra nada 1560. Traduzione italiana: Siviglia 1537; Siviglia 1540; Venezia 1543; Venezia 1545 (per Bartholomeo detto l’ Imperadore); Venezia 1594 (per G.B. Ugolino). Traduzione tedesca (fatta da Cristobai Celio): Amburgo 1568; Am burgo 1598. Traduzione francese (fatta sull’italiano da Guy Lefèvre de la Boderie): Parigi, chez Martin le Jeune, rue St. Jean de Latran, à l ’Enseigne du Serpent, 1574. Traduzione inglese (opera di Joshua Notstock): Londra 1652, ed. H. Blundell. Traduzione latina (fatta sull’italiano da Johannes Lauterbach); Lipsia 1600; Utrecht 1656, ex officina Johannis a Waesberge.
(7) Libro della Scala, p. 24-225; 265-303; 460-487.
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Testo dell’edizione spagnola, Valencia, 1515 (Aggiungo in parentesi quadra il riferimento ai paragrafi del Libro della Scala) Capitulo octavo. Tracta del ensueno y vision que dixo Mahoma aver fecho quando puyo a los cielos por una escalera y cavalgô el Alborach; y de las cosas que dixo aver visto aquella noche en los cielos y en el Paradiso y en el Infierno.
§ 1. [Maometto racconto ai Coreisciti il suo viaggio]; [ = 207-208] Dize Alcoran libro segundo capitulo onzeno en aravigo asi: Çubhene alledi açara bihabdihi leyle mine al mezgidi aharami ile al mezgidi alaeça (1). Que quiere dezir: loado sea aquel que fizo traspasar a su siervo del Templo de Mequa fasta en el Templo bendito de Hierusalem. La glosa deste testo dize como estando Mahoma en la Almadina llevantó un dia de su cama y fue a fazer la oracion del alba que los Moros llaman çalata çobhe (2) en la mizquita o casa de oracion. Dize el libro suso allegado de Acear (3) que despues que Mahoma fizo la oracion segun se acostumbra de fazer, dize que bolviô Mahoma su cara a la gente que présentes estaban y començô de fablar y dezir: § 2. [L ’Angelo Gabriele appare a Maometto']·, [ = 3] como estando aquella noche en su cama dormiendo en la camara de Axa (4), aquien el mas amava entre todas sus onze (*) C o r a n o , X VII, 1: subhana ’lladhï asrà b i- 'abdihi laylan min al-masgidi 1-haràmi ilà 1-masgidi 1-aqsà. (*) çalât as-subh * preghiera del mattino ’ . (3) as-siyar = le biografie tradizionali di Maometto nella letteratura araba. (4) ‘À ’ila (Aiscia), figlia di Abü Bakr e preferita moglie di Maometto.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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Testo della edizione italiana, Siviglia 1537 Opera chiamata Confusione della Setta Machumetana composta in lingua spagnola per Giovan Andrea, già Moro et Alfacqui della città di Sciativa i1), hora per la divina bontà Christiano e Sacer dote, tradotta in Italiano per Domenico de Gaztelu (2), Secretario del Illustrissimo Signor Don Lope di Soria, Imbasciador Cesareo ap presso la Illustrissima Signoria di Venetia. Il mese di Marzo MD X X X V I I (3). (in fine) Stampata in Spagna ne la città di Seviglia ne li anni del nostro Signore M D X X X V II il Mese di Marzo (4). (f. lv): Lettera dedicatoria a lo Illustrissimo et Eccellentissimo Principe Don Hercole da Este, Duca di Ferrara. (f. 44r) Capitolo ottavo che tratta del sogno et visione che Machometto dice haver visto quando montò al cielo per una scala e cavalcò lo Alborach; e de le cose che dice haver visto quella notte nel Cielo et in lo Paradiso e l’ Inferno. § 1. Dice lo Alcorano, libro secondo, capitolo X I , in arabico così: Zubhene alledi azara bihabdihi leile mine almezgidi a barami ile almezgidi alaeca, che vuol dire: Laudato sia quello che feci transpa rere il suo servo dal Tempio di Meca per fino al Tempio benedetto di Hierusalem. La gliosa (5) di questo testo dice come essendo un dì Machometto in Almadina si levò (f. AAv) dal letto e fu per far l’oratione della mattutina che gli Mori chiamano Zalata (6) Zobhe in la moschea o casa d’oratione. Dice il libro sopr’allegato de Azear che doppo che Machometto fece Foration secondo si costuma fare, dice che Machometto voltò il suo viso alla gente che presente ce stava, e comminciò (7) a parlare e dire:
§
2.
Come stando esso quella notte in casa sua nel letto dormendo nella camera di Axa che lui più amava de tutte le undeci moglie (■) B.C. Sciativia. (2) C. Caztelu. (3) B. MDXL; C. MDXLIII. (*) B. MDXL il mese di Agosto. C non ha data finale. (5) B. giosa. C. giosa. (e) B. Zelata. (7) B.C. cominciò. Indico qui in nota le varianti delle edizioni italiane di Siviglia 1540 (B); di Venezia, 1543 (C).
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mugeres, dize que a la media noche despertose Mahoma a los gran des golpes que davan en la puerta; y llevanto y abrio la puerta de la calle; y fallo al angel Gabriel con setenta pares de alas mas blan cas que la nieve y mas luzidas que cristal. Y consigo un animai bianco corno la leche. § 3. [Descrizione di al-Buràq]; [ = 5 ] Dize que este animai era mas grande que asno y mas pequeno què mulo. El qual animai se llamava Alborach (1).
§ 4. [Intimazione del viaggio]; [ = 4 ] Dize el libro de Acear que dixo Mahoma como el angel Gabriel abraço a Mahoma y le saludo y le dixo: 0 Mahoma, Dios te envia muchas saludes y manda que has de venir comigo esta noche para veer muchos y muy altos secretos que fi/jo de hombre nunca veyo. Y Mahoma le dixo que mucho le plazia.
§ 5. [Maometto monta al-Burâq]; [ = 6] Y dixo et angel: O Mahoma, cavalga pues este Alborach y vamos. Y de que vino Mahoma a cavalgar, apartose el Alborach y no quiso consentir que Mahoma cavalgasse encima del. Y dixo el angel al Alborach: ?Por que apartaste y no quieres consentir que cavalgue Mahoma en cima de ti? Car nunca cavalgo en cima de ti ni cavalgara hombre mejor que Mahoma. Dize que dixo el Albo rach: Yo no consentiré que Mahoma cavalgasse en cima de mi, fasta que me prometa entrar en el Paradiso. Entonces dixo Mahoma: O Alborach, yo te prometo que tu seras el primero animal que en el Paradiso entrarâ. Y luego que Mahoma dixo estas palabras, luego consentio el Alborach y luego cavalgo Mahoma en cima. Y tomo el angel el Alborach de las rendas y asi començaron de caminar fasta que llegaron a la casa santa de Hierusalem.
(') al-Burâq. Cfr. Libro della Scala, p. 226 nota 9.
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sue, dice che alla mezzanotte Machometto se excitò da li grandi colpi che sonavano alla porta, e se levò et aprì la porta de la strada, e trovò lo Angelo Gabriele con settanta pari di ale più bianche che la nive (x), e più lucide che Ί cristallo.
§ 3.
E havea seco uno animale bianco quanto il latte. Dice che que sto animale era più grande che asino e più piccolo che mulo. Il qual animai si chiamava Alborach. § 4. Dice il libro di Azear che dice Machometto corno (2) l’Angelo Gabriele abbracciò Machometto, e salutandolo gli dissi: 0 Macho metto, Dio ti (3) manda molte saluti, e commanda che tu habbia venir meco questa notte per veder molti e grandissimi secreti, che mai figliol (4) d’homo non vidi. E Machometto rispose, che gli piacea et era molto contento. § 5.
Rispose lo Angelo: 0 Machometto, monta dunque sopra que? sto Alborach, e andiamoce. Et quando Machometto si approssimò per montar sopra lo Alborach, esso Alborach se ne discosto e non volse consentire che Machometto montasse sopra lui. E dissi lo Angelo a lo Alborach: Perchè t ’hai discosto e non vuoi consentire che Machometto monte (5) sopra di te? Sappi che mai è montato sopra di te nè montarà meglior homo di Machometto. Dice che ri spose lo Alborach: Io non consentirò mai (f. 45r) che Machometto monte (6) sopra di me se prima non mi promette farmi entrare nel Paradiso. Alhora disse Machometto: 0 Alborach, io te imprometto che tu sarai il primo animale che intrarà nel Paradiso. E subito che Machometto hebbi (7) detto queste parole, subito consentì lo Alborach; e Machometto gli montò di sopra e lo Angelo pigliò lo Alborach da le redie. E così cominciamo a caminare fino che arivorno a la casa santa di Hierusalem.
(') B.C. neve. (2) C. come. (6) B.C. monta. (6) B.C. monta.
(s) C. te. (4) B. figlior (sic). (?) B.C. hebbe.
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E .
C e r u lli
§ 6. [Le due voci che vogliono fermare Maometto]; [ = 7] Dize Acear que, andando por el camino, oyó Mahoma una boz de una muger diziendo y gritando: o Mahoma! o Mahoma! Y dixo el angel: O Mahoma, no respondas a esta muger. Y asi pasando mas adelante començo de gritar otra muger y llamar a Mahoma diziendo: o Mahoma! o Mahoma! § 7. [Gabriele spiega le due voci]; [ = 8 ] Y asi mesmo le aviso el angel Gabriel que no respondiesse. Y de que pasaron mas adelante preguntó Mahoma al ange! que le dixiesse que mugeres eran aquellas. Y Gabriel le dixo que la pri miera era la pregonera de la ley de los judios: ca si el le respondiera todos los Moros fueron judios. Y la segunda dixo que era la prego nera de la ley de los Christianos: y si el le responderia todos los Moros fueron cristianos.
§ 8. [Arrivo al Tempio di Gerusalemme]; [ = 9 ] Dize el libro de Acear que dixo Mahoma corno llegaron al Tem pio de Hierusalem; y luego que llegaron a la puerta del Tempio de Jerusalem descavalgó Mahoma del Albarach y entraron en el Tempio Gabriel y Mahoma; donde fallaron a todos los prophetas y mensageros que en este mundo venieron. § 9. [Incontro con i Profeti al Tempio]; [ = 10] Los quales salieron a la puerta del Tempio y recibieron a Ma homa y le saludaron todos diziendo en aravigo asi: Marhaben bi raçuli açadih guanabiyi alquerim (χ); que quiere dezir: Alegria del verdadero mensagero y propheta honrrado. Y despues lo llevaron todos con mucha honrra en procession fasta a la capilla mayor que en aravigo se llama mihrab (2); y todos le pidieron de merce que fiziesse la çala (3) por todos. Y asi entro Mahoma en el mihrab o capilla y fizo la çala con todos los prophetas y mensajeros; y encomendaronse mucho a Mahoma que los oviesse en memoria quando tablasse con Dios. Y asi se fueron todos y quedô Mahoma y Gabriel angel solos.(*) (*) marhabâ bi r-rasüli as-sadïqi wa n-nabï al-karïmi. (a) mihrâb. (3) salât.
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6.
Dize Azear che caminando per la via Machometto udive una voce d’una donna che diceva gridando: O Machomet, 0 Machomet ! e disse l’Angelo: O Machomet, non rispondere a questa donna. E così andando più avante, cominciò a gridare un’altra donna, e chiamare Machomet, dicendo: O Machomet, o Machomet! §
7
.
E similmente lo Angelo Gabriele gl’advertì che non rispon dessi. E passando più avante, Machometto domandò a l’Angelo che li dicessi che donne erano quelle; e Gabriele gli dissi che la prima era la banditrice e divulgatrice della legge de li Giudei, e che se lui gli havessi risposto, tutti li Mori sariano fatti Giudei; e la seconda disse che era quella che publicava similmente la legge de li Chri stiani, e se lui gl’havessi risposto, tutti i Mori sariano fatti Chri stiani (1). §
8.
Dice il libro de Azear che disse Machometto quando arivorno al Tempio de Hierusalem, e subito che arrivorono (2) alla porta del Tempio de Hierusalem, Machometto smontò dallo Alborach, et intrarono al Tèmpio Gabriele e Machometto. Et ivi trovarono tutti li propheti e nuntii (3) che vennero in questo mondo. § 9. Liquali uscirono alla porta del Tempio e recevettero Macho metto e gli salutorono tutti dicendo in arabico così: Marhabe bid razuli (4) azadih guanabyi alquerim, che vuol dire: allegrezza dii vero nuntio e profeta honorevole. E doppoi il portorono (f. 45«) tutti con molto honore in processione, fino alla capella maggior, che in arabico si chiama: mihrab, e tutti il pregorono che di gratia volesse far la Zala per tutti. E così entrò Machometto in lo mihrab, o capella, e fece la Zala con tutti gli propheti e nuntii; e tutti si raccomandorono grandemente a esso Machometto accio che gli havessi in mente quando parlassi con Iddio. E così, se ne andorno tutti; e restò Macho (f. 43«)metto e lo An gelo Gabriele solamente.(*) (*) B.C. Christiani. bir azuli. C. birazuli.
(a) B.C. arivorno.
(3) B.C. nuncii.
(4)
B.
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E .
C e r u lli
§ 10. [La Scala dal Tempio al Cielo]) [ = 11] Los quales salieron a la puerta del Tempio. Y alli fallaron una escalera puesta del suelo fasta al cielo, toda fecha de la luz de Dios. Y asi començaron de puyar en la dicha escalera, el angel Gabriel primero y Mahoma detras teniendose en la mano del angel fasta que llegaron al cielo primero. § 1 1 . [L ’entrata nel primo cielo]; [ = 25] El qual cielo, dixo Mahoma, era fecho de piata muy fina. Y dize que veeron las estrellas que estavan colgadas del primero cielo con cadenas de oro. Y la mayor délias dize era tant grande come el monte de Hohod, que es una sierra cabo Almadina. Y tocó el angel Grabiel a la puerta del cielo; y dixo el porterò quien era y dixo: Yo soy el angel Grabiel y comigo Mahoma propheta y amigo de Dios. Y asi como oyo el porterò el nombre de Mahoma, luego abrio la puerta del primero cielo. § 12. [Incontro nel primo cielo]; [ = 27] Y entraron y fallaron un hombre viejo y muy cano. El quai viejo era Adam. Y luego vino Adam y abraçô a Mahoma y dio gra cias a Dios por que le havia dado tal fijo; y encomendose Adam a Mahoma. § 1 3 . [Gli Angeli del primo cielo]; [ = 26] Y pasaron mas adelante y veyeron muchadumbre de angeles en este primero cielo de muchas figuras. A saber es dë figura de hombres y de figura de bueyes y de figura de cavallos y de figura de aves y de figura de gallos. Entre todos los gallos dize que havia un gallo que tenia los pies en el primero cielo y la cabeça tenia en el segundo cielo. Y pregunto Mahoma al angel Gabriel y dixole que cosa era aquella y corno estavan aquellos angeles de essas fi guras y que significavan essos angeles de taies figuras. Al quai respondio el angel Gabriel y dixo que todos aquellos angeles rogavan a Dios por los de la tierra. A saber es los que eran en figura de hom bres rogavan por los hombres; y los que eran en figura de bueyes rogavan por los bueyes; y asi de los otros. Y los que eran de figura de gallos rogavan por los gallos.
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io.
Li quali uscirono alla porta del Tempio et ivi trovarono una scala posta dalla terra per (*) fin al cielo, tutta fatta della luce di Dio; e così cominciarono a salir (2) la detta scala, l’Angelo Ga briele prima, e Machometto appresso da retro, tenendosi a la mano de l’Angelo (3), per fino che arrivorno al primo Cielo. §
H-
Il qual cielo disse Machometto che era fatto di argento finis simo; e dice che viddero le stelle che lì stavano pendenti dal primo cielo con cathene d’oro. E la più grande de tutti, dice che era tanto grande come il monte di Noho, quale è una montagna appresso Almadina. E lo Angelo Gabriel toccò a la porta del cielo e disse il portiero: chi sei tu? E rispose: Io sono lo Angelo Gabriele, e meco viene Machometto Propheta e amico di Dio. E subito che il por tier udì il nome di Machometto, allhora aprì la porta del primo cielo. §
12.
Et (4) mirarono e trovarono un’huomo vecchio e molto canuto. Il qual vecchio era Adam. Et allhora venne Adam et abbracciò Ma chometto, e ringratiò Dio perchè gli haveva dato tal figliuolo. Et Adam si raccomandò a Machometto. § 13.
E passando più avante vedettero gran moltitudine di Angeli in questo primo cielo, di molte figure e fittioni; et a le qual figure erano de huomini et (8) de bovi et (6) de cavalli et (7) (f. 46r) de volatili et (8) de galli. Fra tutti li galli dice che v’era uno il quale havea li piedi nel primo cielo e il capo havea nel secondo. E Macho metto domandò a l’Angelo Gabriele che cosa fusse quella et (9) come stavano quelli Angeli di tante figure e che significavano quelli An geli de simel figure. Alqual lo Angelo Gabriele rispose e disse che tutti quelli Angeli pregavano Iddio per li terrenali; et a saper quelli che ce erano in figura d’huomini pregavano per li huomini; e quelli che (f. 44r) de bovi pregavano per li bovi; e così degli altri; et (10) quelli che erano in figura de galli intercedevano per gli galli. (') B. prr (sic). p) B.C. e. p) B.C. e.
(*) B. selir. (») B.C. e.
(3) B.C. de lo Angelo. p) B.C. e. p) B.C. e.
(4) B.C. E. («) B.C. e.
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C e n illi
§ 14. [Il gallo del cielo]) [ = 69] Y dixo Mahoma: Pues dime que significa aquel gallo tant grande. Y dixo el angel que quando este gallo canta todos los gallos que estan en su figura cantaran luego. Y asi como los gallos de la tierra oyeran a los gallos del cielo cantar, luego cantaran ellos. Dize que estando en este, començo este gallo grande de cantar, y luego cantaron todos los gallos de la tierra.
§ 1 5 . [Le porte del secondo cielo]) [ = 28] Dize que de alli puyaron al segundo cielo; el quai estava fecho de oro muy fino y tocaron en la puerta. Y dixo el porterò que quien era. Y dixo Gabriel: Yo soy y Mahoma amigo de Dios comigo. Y luego que nombro a Mahoma, luego se abrieron las puertas del segundo cielo por si. Y entraron y veeron en cada puerta de los cielos es ento el nombre de Dios junto con el nombre de Mahoma, que dize asi en aravigo: Le ilehe ille Allah Muhemet raçolo Allah (x); que quiere dezir que no ay Dios sino solo Dios y Mahoma es mensagero de Dios.
§ 16. [Incontro nel secondo cielo]) [ = 30] Dize que Noe, hombre grande plazer Noe y que le
entrando por la puerta del segundo cielo fallaron a muy viejo y cano; y abraçolo Mahoma y tuvo Noe de ver y fablar a Mahoma. Al quai se encomendo oviesse en memoria con Dios.
§ 17. [Gli Angeli del secondo cielo]) [ = 29] Dize que fallaron en este segundo cielo muchadumbre de angeles dos vezes tantos que en el primero cielo avia, de muchas y maravillosas figuras y grandes. Entre los quales havia un angel que tenia los pies en el segundo cielo y la cabeça en el tercero cielo. Y la una mano en el levante y la otra en el poniente. Donde veeron muchas maravillas.(*)
(*) la ilaha illâ A llahu war-Mühammad rasulu’ llahi.
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§ 14.
E disse Machometto: Dimme donca (4) che cosa significa quel gallo tanto grande. Rispose l’Angelo che quando questo gallo canta, tutti gli galli che stanno da la sua figura cantaranno subito. E si milmente quando gli galli della terra udiranno gli galli del cielo come cantano, allhora essi anchor cantaranno. Dice che stando in questo, incominciò questo gallo grande a cantare; et allhora can tarono tutti gli galli del cielo, e doppoi subito cantò quelli della terra.
§ 15.
Dice che da quel luogo montarono al secondo cielo: il qual era fatto d’oro molto perfetto; e picchiarono a la porta et volendo saper il portiero chi era quello che chiamava, rispose Gabriele: io son et è meco Machometto amico di Dio. Et subito che nominò Machometto, allhora s’apersero (2) le porte del secondo cielo da per se et filtra rono; e viddero in ciascheduna porta delli cieli scritto il nome di Dio, insieme con lo nome di Machometto, che in arabico dice così: le ilehe ille Allah Muhemet razolo Allah, che voi dir (f. 46v) che non c’è Dio altro che Dio e Machometo è nuntio di Dio.
§ 16.
Dice che intrando per la porta del secondo cielo, trovarono Noè, huomo molto antico e canuto. E Machometto lo abbracciò; e Noè hebbe gran piacer de veder (3) e parlar a Machometto; al qual Noè si raccomandò pregandolo lo havessi in memoria appresso Iddio.
§17.
Dice che trovarono in questo ciel secondo moltitudine di Angeli al doppio de quelli che erano al primo cielo, de molte maravegliose (4) e grande figure. Fra li quali ce era un Angelo che havea li piedi ne lo (4) secondo cielo e il capo nel (f. 44v) terzo e una mano al Levante e l’altra verso al Occidente, dove videro molte maraveglie (5).
(*) B.C. doucha. (a) B.C. se apersero. maravigliose. (5) C. maraviglie.
(3) C. vedere.
(*) B.C.
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§ 18. [Entrata nel terzo cielo ed incontro]; [ = 31 ;32;33] Y de alli puyaron al tercero cielo. El qual estava fecho de una piedra preciosa. E alli fallaron a Abraham, hombre viejo y cano. Y los angeles que en este cielo estavan eran mucho mas que en los otros dos cielos y mucho mas grandes. § 19. [L’Angelo della Morte]·, [ = 13-18] Y veeron un angel que tenia del un ojo al otro setenta mil jornadas. El qual angel tenia un libro en la mano y no fazia otro sino mirar en el libro y borrar lo que en el havia escrito y escrivir de nuevo otras escripturas. Y dixo Mahoma al angel que quien era aquel angel y que lee en esse libro, y que escrivia y borrava. Y respondio el angel y dixo que aquel angel se llama en aravigo Melech almeuti (1), que quiere dizir: angel de la muerte. Y esse libro que tenia en la mano es el libro que en aravigo se llama: allauhe almafod, que quiere dezir: la tabola reservada. E nel qual libro estan los nom bres de los hombres nascidos. Y este angel mira y cuenta los anos y dias que cada uno deve bivir. Y luego que vee los dias de alguno fìnados, luego borra el nombre de tal hombre. Y luego morra esse hombre en la tierra. Asi mesmo escrive los nombres de los hom bres que nascien y sus dias y su vida y quantos dias tiene de bivir; de manera que este angel no tiene otro oficio sino escrivir y borrar.
§ 20. [Entrata nel quarto cielo ed incontro]; [ = 34;36] Dize que de alli puyaron al quarto cielo, que estava fecho de una esmaragda muy fina. En el qual cielo fallaron a Josepho fijo de Jacob el qual saludó a Mahoma y encomiendose mucho a el. § 21. [L’Angelo tesoriere dell’Inferno]) [ = 22;23] Y alli fallaron mucho mas angeles que en los otros cielos avia y mucho mas grandes de cuerpos. Y fallaron un angel muy grande, el qual estava siempre dorando. Y demandò Mahoma a Gabriel: porque dorava aquel angel. Y dixole Gabriel que aquel angel do rava los pecàdos de los hombres; y por los que entravan en el infierno.
(') malaku l-mawti. Nell’edizione valenciana e nell’italiano errore di stampa: dimenìi per al-meuti.
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§ 18.
E da quel cielo montarono al terzo cielo il quale era fatto d’una pietra pretiosa. Et ivi trovarono Abraham, huomo vecchio e ca nuto. E li Angeli che in questo cielo si trovavano erano assai più che quelle degli altri doi cieli e più grandi assai. § 19.
E videro uno Angelo che havea da l’un occhio a l’altro set tanta mille giornate; il qual Angelo havea un libro in mano, e mai faceva altro che guardare al libro e cancellare quello che ce stava scritto, e scriver di nuovo altre scritture. Et disse (4) Machometto a l’Angelo chi era quel (2) Angelo e (3) che cosa legeva in quello libro e che scrivea e cancellava. Rispose lo Angelo dicendo che quello Angelo si chiama in arabicho: Melech almenti, che vuol dire: Angelo della morte. E quello libro che havea in mano è libro che in ara bico (4) si chiama: Allauhe almafod, che vuol dire: la tavola reser vata. Nel qual libro stanno li nomi de li huomini nati; e questo An gelo risguarda e conta li anni e li giorni che ciascuno debbi vivere. E quando vede li dì d’alcun (5) esser finiti, allhora cancella il nome del (6) tal huomo, e subito colui morre in terra. Scrive anchor li nomi de li huomini che nascono, e li lor dì e vita (f. Air) e quanti giorni habbiano da vivere; di modo che questo Angelo non ha altro officio che scriver e cancellare.
§
20.
Dice che da quello montorono al quarto cielo ch’era fatto d’uno smeraldo finissimo. Nel quale cielo trovarono Iosepho figliol di Iacob. Il qual salutò Machometto e se gli raccomandò grandemente. §
21.
Et ivi trovarono molti più Angeli che in li altri cieli non erano e più grandi assai di corpo. E trovarono uno Angelo molto grande, il quale stava da per sè piangendo. E Machometto domandò a l’An gelo Gabriele perchè piangeva quello Angelo. E Gabriele gli rispose che quello Angelo (f. A5r) piangeva li peccati delli huomini, e per quelli che andavano a l’Inferno. (') C. disse. (2) B.C. quello. aclum (sic). (6) D.C. di.
(3) B. om.
(4) B.C. arabicho.
(5) B.
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§ 22. [Entrata nel quinto cielo ed incontro]; [ = 37;38;39] Y de alli puyaron al quinto cielo que era fecho de un diamante; en el qual estava Moyses, el qual se encomendó a Mahoma. Y en este cielo havia tantos angeles quantos en los otros cielos avia y mas grandes. § 23. [Entrata nel sesto cielo ed incontro]; [ = 40;41;42] Y asi puyaron al seseno cielo donde estava san Juan Baptista, el qual se encomendó a Mahoma. Y veeron en esse cielo muchadumbre de angeles y mucho mas grandes. El qual cielo era fecho de caraboncle. § 24. [Settimo cielo ed incontro]; [ = 43] E nel seteno cielo estava Jesu Christo. Al qual Jesu Christo se encomendó Mahoma. Y este cielo era fecho de la luz de Dios. § 25. [Angeli del settimo cielo]; [ = 47] En este cielo veeron mucho mas angeles que en todos los seys cielos havia y muy grandes. Entre todos havia un angel que tenia setenta mil cabeças; y en cada cabeça tenia 700.000 lenguas; y en cada lengua 700.000 bozes, con las quales bozes alabavan a Dios de dia y de noche. Destos angeles avia muchos que siempre estavan mirando que nunca cerravan los ojos. Otros avia que siempre esta van inclinados con sus cabeças que nunca se alçavan. Otros havia que siempre estavan apostrados que nunca se llevantavan. Otros havia que siempre alabavan a Dios con sus bozes tant altas que tenian sus dedos en sus orejas, porque no se ensordassen por las altas bozes que davan. § 26. [Gabriele lascia solo Maometto]; [ = 50] En este cielo seteno tomo el angel Gabriel comiad de Mahoma y dixole que no podria el passar mas adelante y que Dios le diesse buena guia. § 27. [Maometto innanzi al Trono del Signore]', [ = 51] Dize Mahoma que el començo de puyar por unas alturas y por tantas aguas y tantas nieves que se cansó tanto que ya no podia
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
§
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E da quello montarono al quinto cielo che era facto de uno diamante; nel quale ce stava Moise. Il qual si raccomandò a Machometto; e in questo cielo erano tanti Angeli quanti in quell’altro cielo erano, più grandi. § 23.
E così ascesero al sesto cielo dove era sant (x) Giuan Batista il qual se riccomandò a Machometto; e vedeno in questo cielo una moltitudine d’Angeli assai più grandi. Il qual cielo era fatto d’uno carbunculo. § 24.
Nel V II cielo si stava Giesu Christo al qual Machometto si raccommandò. E questo cielo era fatto della luce di Dio. § 25.
In questo cielo viddero (2) più Angeli assai che in tutti li sei cieli e molto più grandi. Fra tutti ve n’era uno che havea settanta mille teste; e in ciascuna desse teste havea settecente mille lingue, e in ciaschuna (3) delle lingue settecente mille voce, con le quale (4) voce lodavano Iddio de dì e di notte. Fra questi Angeli vi n’erano molti che sempre mai stavano guardando senza serrar gli occhi; altri sempre mai erano inclinati con lo lor capo senza levarsi. Ce erano altri che sempre stavano prostrati e mai non levavano. Ve n’era un’altra sorte che (f. Alv) continuamente lodavano Iddio con le lor voce così alte che haveano li diti messi dentro l’orecchie (5) acciò che non ci insordiscessero (6) da le alte voci che risonavano § 26.
In questo settimo cielo pigliò l’Angelo Gabriel licentia da Ma chometto e gli disse che lui non potrebbe (7) passar più manti; che Dio gli (8) guidassi. § 27.
Dice Machometto come lui cominciò a montare per certe su blimità o celsitudine e per tante aque (®) e tante nevi che lui se ne (*) C. san. (*) C. videro. orechie. (6) C. insordissero.
(3) B.C. ciascuna. (4) C. qual. (5) C. (7) C. potrebe. (8) C. li. (s) C. acque.
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mas. En esto oyo Mahoma una boz diziendo en aravigo asi: Y a Mo hamed, andem gualirabach cellem (1); que quiere dezir: O Mahoma, acerca te y saluda a tu Criador. Y asi se acercô Mahoma de la boz y veo tanta luz que le destorbava la vista. Dize que Dios tenia en cima de su gloriosa cara setenta mil vélos de la luz de Dios. Y dize el testo del Alcoran, libro quarto, y capitulo de las estrellas, que Mahoma se acercó de Dios dos tiros de ballesta o poco menos. En aravigo dize asi: Çumen dene fatedette faquene minhu cale caucenyan adne (2); que quiere dezir como Mahoma se acercó de Dios poco menos de dos tiros de ballesta. Dize Mahoma que tanta luz salia de los vélos que Dios tenia en cima de su cara que no podria ver la cara de Dios. Pero dize Mahoma que Dios puso la mano sobre su hombro de Mahoma que no se podria tenerse Mahoma del trio de la mano de Dios. § 28. [Maometto riceve dal Signore cinque privilegi] [ = 28] Dize que Dios le fabló alli a Mahoma y le dio muchos mandamientos de la ley y le dixo muchos secretos. Y aveys de saber que, si las cosas que dixo Mahoma aver visto aquella noche avia de escrivir, digo que no bastaria una rasma de papel. Dixo Mahoma, segun se falla en el libro de Acear, que Dios dio a Mahoma aquella noche cinco cosas que no las avia dado a ninguno otro delantes ni despues: La primera es que Dios le dio, segun el dize, que fuesse el la mas escogida criatura que Dios criô en los cielos y en la tierra; que en aravigo dize: hayrihal qnelleh (3). La segunda es que el fuesse el mas excellente y el mas honrrado y senor de todos los fijos de Adam en el dia del judicio; que en ara vigo dize: ceydo gualidiademe yaume alquima (4). La tercera es que el fuese redemptor general; que en aravigo dize: Safeh mosaffah (5). Y por essa causa se llama Mahoma por otro nombre: almehi (6), que quiere dezir: quitador de los pecados. (‘) yâ Muhammad, aqdim w a - 'alà Rabbika sallim. (’ ) Corano , LU I, 8-9: thumma danà fa-tadallà. fa-kân a qâba qawsayni aw adnà (La stampa di Valencia e l’italiana hanno erroneamente canseni an per qawsayni aw). (3) hayru halqi ’ llàhi. (*) sayyidu awlâdi Adam yawm al-qiyàma. (s) sâfî musaffà. (e) al-m âhï.
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fece così stracco che già non poteva più. In questo mezzo sentì Machometto una voce dicendo in arabico così: yamohamed anden gualir abach cellem che voi (4) dire: o Machometto tu ti approssimi e sa luta il tuo Creatore, (f. 46r) E così Machometto si fece appresso della voce et vide tanta luce che gli perturbava il vedere. Dice che Iddio havea sopra la sua gloriosa faccia settanta mille veli de la luce di Dio. Et dice il testo dello Alcorano, libro III, che Machometto si approssimò a Dio doi tratti di balestra o poco manco. In arabico dice così: Zumen dene fatedelle faquene minhucabe cancenyan adne; che voi dire come Mechometto (2) si approssimò a Iddio poco manco da doi tiri di balestra. Dice Machometto che tanta luce usciva de li veli che Dio havea sopra la sua faccia che non poteva veder esso viso di Dio. E pure dice Machometto che Dio pose la mano sopra l’ombra d’esso Machometto che non si poteva Machometto susten tare (3) dal gran freddo che usciva della mano di Dio. Dice come Iddio gli parlò in quel luogo, e li dette molti comandamenti de la legge e gli disse molti secreti. E doveti sapere che se tutte le cose che disse Macometto (4) haver viste quella notte io dovessi scriver, non bastaria una resima di carta. Dice Machometto, secondo che si truova nel libro di Azear, che Dio gli dette quella notte cinque cose (f. 48r) quali mai hebbe dato a nissuno nè prima nè doppo.
La prima è che Dio gli dette, secondo che lui disse, che lui fussi la prima e più eletta creatura che Dio havesse creato nel cielo e ne la terra, che in Arabico dice: Hayrial quilleh. La seconda è che lui fusse li (5) più eccellente e più honorevole Signore da tutti li figliuoli di Adam nel dì del Judicio, che in Ara bico dice: ceydo gualidiademe yaume alquima. La terza cosa è che lui fussi Redentor generale, che in arabico dice: Safeh mosaffah. Per questa causa si chiama Machometto per altro nome Almehi, che voi dire: levator de li peccati.
(‘ ) B.C. Rhe vuol (sic). (a) B.C. Machometto. (4) C. Machometto. (5) B. il.
(3) B. sostentare.
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La quarta es que el supiesse todos los lenguajes; en aravigo dize: Htito jagua ni ih al quelim (1). La cinquena y postrera es que a el solo fueron licitos los despojos de las guerras y batallas; en aravigo dize: Hillet li alganeym ylem tuhil liahadin min cabli (2). § 29. [Incredulità dei Coreisciti]; [ = 29] Todas estas cosas dixo Mahoma quem Dios le havia dado aquella noche. Por la qual cosa muchos Moros se escandalizaron y dixieron que todo era fingido y mentira; y que nunca el puyó al cielo ni fablô con Dios. Y porque los Moros creessen que todo lo que dixo era verdad, ordenô ciertos versos, libro quarto, capitulo de las estrellas, que dizen en aravigo asi: Guanegimi ide hague me dalla çahibuquum guame guame y me antico hanil hegue. Inhua ille guahiyum yoha hallemehu sadido alcognadu minatin faztegua. guahua bilofoque alah le çume dene fate delle faquene mihum cabe cauceni auadne fa anhe ile habdili me anhe. M e zaga alba çarome raha. afatu maro nehu haie me raha\ la cad rae mineyetihi alcobra (3); que quiere dezir en sentencia corno Dios jura aqui por las estrellas volando que vuestro companero Mahoma no fue temptado ni dixo falsia. Y que no fabló vanamente y que todo fue verdadera revelacion que le ensenó Dios poderoso. Y asi fue acercado de Dios dos tiros de ballesta o menos; y que Dios revelô a su siervo Mahoma lo que le revelô. Y que su coraçon de Mahoma no mentio. El quai Mahoma veo aquella noche de los gran des miraglos de Dios. Y le mostrò Dios muy alto asentamiento cerca del imperio divino, donde esta el Paradiso del magne. Todo este romance es sacado verbum ex verbo del aravigo del sobredicho capitulo; de manera que los Moros, quando leeron estos versos, creyeron todo y lo posieron en grande miraglo; en cara que muchos
(') Francesco Gabrieli cortesemente mi ha indicato che queste parole sono una deformazione della tradizione attribuita al Profeta: ütïtu gawâmi'a lkalim ‘ mi è stato dato il Discorso più eloquente e conciso ’ (e cioè il Corano), traduzione poi deformata a significare la conoscenza di tutte le lingue. (J) hallat lì g a l-a n a im w a-lam tahillu li-ahadin m in qablì. (3) C o r a n o , LUI, 1-11; 18: « wa-nnagm i idhà hawà. ma dalla sàhibukum w â-m â gawd , w a-m â yantiqu ‘an al- hawà. inna huwa illâ wahyun yühà . ‘allamahu sadîdu l- quwà. dhü mirratin fa - stawà . wa-huwa bi l-u fu qi al- a 'là . thumma danà fa — tadallà. fa-kâna qâba qawsayni aw adnà . fa^awhà ilà ‘abdihi mâ awhà. mà kadhaba al-fuwwâdu mâ ra à ... lar-qad ra’à m in ayâti Rabbihi al- kubrà.
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La quarta è che lui sappessi tutti li lenguaggi. In arabico dice: Htito iagua ni ih al quelim (1). La quinta et ultima cosa è che a lui solamente furono liciti li spogli de le guerre e battaglie. In Arabico dice: Hillet li alganeym ylem tuhil liahadim min cabli.
Tutte queste cose disse Macometto che Dio li dette quella not te (2). Per il che molti Mori se scandalizorono e dissero che tutto era fìttione e menzogne; e che non mai lui montò al cielo nè parlò con Dio. E perchè li Mori credesseno tutto quello che lui disse, e fece certi versi in Libro quarto, Capitolo delle Stelle, che in Ara bico dicon così: Guanegimi ide hague, medalla Zahibuquum guame guamei me antico hanil hague. Inhua ille guahiyum, yoha, hallemehu, sadido, alcognadu mirratin faztegua, guahua, bilofoqui, alahle zume dene fatedelle faquene, mihum cabe cauceni, auadne fa anhe ile habdili me anhe, me zaga alba çarome raha, afa tumaronehu ale me raha, lacadrae, mineyetihi alcobra (3). Che voi dire in sententia come Iddio giura qui per le stelle (f. 48r) volendo che il vostro compagno Machometto non fu tentato nè disse falsità e che non li parlò vana mente e che tutto fu una vera revelatione che li insegnò l’onnipo tente (4) Dio; e così si approssimò a Dio doi tiri di ballesta (5) poco più o manco; e che Dio revelò al suo servo Machometto quello che gli revelò; e che il cuore di Machometto non mentito. Il qual Ma chometto vidi quella notte li grandi miracoli di Dio; e Dio gli (6) mostrò troppo alta sedia appresso l’imperio divino, dove è il Para diso del magno Dio. Tutta questa interpretatione è cavata verbum ex verbo da lo arabico del sopradetto capitolo (7). Di sorte che li Mori quando legerno (8) questi versi credettero ogni cosa; e l’hanno pósto per gran miracolo, anchor che molti si scan(f. 47z>)dalizorono(*)
(*) C. alquelin. (2) B. note. (3) B.C. alcora. (4) l’omnipotente. (5) B.C. balestra. (6) C. li. (’ ) C. capito. (s) C. leggeremo; B. leggerno.
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se escandalizaron y tornaron en sus sectas primeras. Capitulo onzeno, libro segundo, en aravigo dize: Guama jahalne aroye alleti aranenquem ille fitneten lined (x); que quiere dezir que Dios dixo a Mahoma que el puso esta vision grande escandalo a los hombres; que quiere dezir que fue por su mal de aquellos que se escandalizaron. § 30. [Gabriele annunzia a Maometto il volere del Signore che egli visiti l’inferno]·, [ = 134] Dize el libro de Acear que Mahoma tomo comiad de su Creador y el angel le dixo: O Mahoma, Dios me mandò que vos llevasse de aqui a ver el Paradiso y los secretos de aquel. Y de alli yremos al Infìerno y alli vereys los secretos del Infierno y la gente que alli estan y como estan tormentados de los diablos. De manera que ellos fueron primero al Paradiso y veeron sus excellentias y riquezas y bienaventuranças y las virgines castas y los pajes y los rios de agua y de leche y de miel y de vino que ay en el Paradiso; y las fuentes y sus nombres y los palacios y arboles y jardines. Las quales cosas vereys extesamente puestas en el seguiente y noveno capitulo que es capitulo del Paradiso.
§ 31. [Supplizi dei dannati]; [ = 138- 149] Y de alli fueron y entraron en el Infierno. Y veeron que el In fierno tenia siete puertas. Y veyeron tantos demonios de tantas maneras de figuras y veeron con cadenas y con grillos de fuego atados y otros con espedos espedados. Y veeron muchos hombres assentados en sus mesas; los quales tenian buenas viandas para comer. Y entre las buenas viandas avian muy malas viandas y hedeondas. Los quales dexavan de corner las buenas viandas y comian las malas y hedeondas. Y preguntô Mahoma a Gabriel que gente eran aquellos. Y dixole que aquellos eran los casados deste mundo que dexavan sus buenas mugeres e yvan a las agenas. Y dize que veeron muchos hombres que no fazian si no bever plomo dirratido y hinchian sus vientres; y despues reventavan por sus vientres y salia todo lo que(*)
(*) C
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,
X VII, 62: wa-mâ ga'alna ar-ru’yâ Itati araynâka illâ fitnatan
li-nnâsi.
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e tornarono a le prime lor sette. Capitolo undecimo del secondo libro dice: Guama iahalne, aroye, alidi, aranenquem ille fitneten lined; che vuol dire che Dio disse a Machometto che lui pose questa vi sione grande scandalo a li huomini; che vuol dire che fu per danno di quelli che si scandalizorono. § 30. Dice lo libro di Azear che Machometto pigliò licentia dal suo Creatore (l) e si tornò a descendere per dove era montato prima. E tornando nel settimo cielo al medesimo Angelo Gabriele, Ma chometto gli raccontò tutto quello che li travenne col suo Crea tore. E l’Angelo gli disse: O Machometto, Dio mi commandò che io vi conducessi in questo loco per veder il Paradiso e li secreti suoi. E doppo andaremo allo Inferno; et ivi vederete li secreti de l’ Inferno e la gente che lì sono e come sonno attormentati da li demoni. De sorte che loro prima andorono in Paradiso e videro le sue ricchezze, eccellentie e beatitudine, e le vergini (2) caste e li paggi e li fiumi d’acque e de latte e mele e de vino che al Paradiso (f. 49r) si truovano (3); e le fontane (4) e nomi loro; e li palatii et arbori e giardini. Le quali cose vederete distesamente poste ne lo sequente nono ca pitolo (5), quale è capitolo del Paradiso. § 31. Da quel luogo se ne andorno a lo Inferno. E viddero come lo Inferno havea sette porte; e videro (6) tanti demonij (7) de tanti modi e figure; et altri ligati con cathene di fuoco; et altri con spiedi spedati. E videro molti huomini assentati alle sue tavole, liquali havevano buone vivande per mangiare; e tra le buone vivande ce erano altre molto cattive e puzzolente. E quelli lassavano de man giare le buone vivande e mangiavan le triste e fetide. E Macho metto domandò a Gabriele che huomini erano quelli. E lui gli disse che quelli erano li maritati de questo mondo (f. 47 v) che lassavano le lor buone (8) moglie et andavano cercando le moglie altrui. E dice che viddero molti huomini, liquali mai facevano altro officio che be ver piombo liquefatto et impire le lor ventri; e doppo si apri-(*)
tate.
(*) B. Creatoro. (2) B.C. vergine. (5) C. viddero. (5) C. capito.
(3) B.C. trovavano. (4) B. fon(?) B. demonii. (8) C. bone.
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avian bivido y tornavan otra vez a bever. Y asi fazian siempre. Por los quales preguntó Mahoma al angel que gente era aquella. Y dixo que aquellos eran los que comian y gastavan los bienes de los popiles en este mundo. Muchas otras cosas dixo aver visto que seria luengo de contar. Capitulo noveno. Trata del Paradiso y de la gloria que Ma homa y el Alcoran prometieron a los Moros en el otro siglo; y quan tos son los Paraysos y corno se llama cada uno por si; y quantas maneras de gloria deven haver los Moros en el Paradiso. El Alcoran y la Çuna descriven del Parayso de los Moros y de la gloria y ponen cinco cosas: La primera dei Paradiso y de sus estancias. La segunda de los ornamentos y riquezas dei Paradiso. La tercera de los mantenimientos y de las cosas que estan aparejadas en el Paradiso: asi de servidores corno de vasülas de oro y de piata y de corner y de bever. La quarta de los vestidos y calçados y joyeles que los Moros tien en en el Paradiso aparejados. La cinquena y postrera es de las verginee y sus hermosuras y corno se Ha inan y de que generacion son estas taies y de que son vestidas.
§ 32. [Dimensioni del Paradiso]; [ = 74]
El Paradiso, segun dize el Alcoran, libro primero, capitulo segundo, donde dize en aravigo: Ceriho jle mahfiratin mirabi quum guagenenti hardoha açemegueti gualarde ohidet lilmutequin (1); que quiere dezir: que el Paradiso que esta prometido a los Moros es tan grande corno los cielos y la tierra que es todo el mundo. Pues dime tu, Moro, donde esta este Paradiso si es tan grande corno todo el mundo? o avemos de dezir que Dios crió otro mundo sin este? e nel quai esta este Paradiso; el quai dicho esta harto confuso. Y asi digo a ti, Moro, que no has de fazer otro sino callar. § 3 3 . [Nomi dei sette cieli del Paradiso]; [ = 8 3 ]
Dize el Alcoran que Dios crió siete Paradisos o siete estancias, que cada una se llama Paradiso. El primero se Hama: genente alholdi. El segundo se llama: genete alfirdeuci. El tercero se Hama: genete anahim. El quarto se llama: genete reduan. El quinto se llama:
f1) Corano , III, 127: wa -s â r ïü ilà magfiratin m in Rabbikum wa-gannatin 'arâ,uhâ as-samawâtu war- l-ardu u id d a t li-lmuttaqïn.
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vono le lor ventri e usciva tutto quello che havevono (*) bevuto; e tornavano un’altra volta a bevere. E così facevano sempre mai. Per li quali Machometto domandò a l’Angelo che gente era quella. E gli rispose che coloro erano quelli che mangiavano e spendevano la robba delli pupili (a) in questo mondo. Molte altre cose dice haver visto che sariano prolisse da dire. (f. 5 lw) Capitolo nono tratta del Paradiso e de la gloria che Machometto e lo Alcoran promisero a li Mori in l’altro secolo; e quanti sono li Paradisi e come si chiama ciaschedun da per se; e quanti modi di gloria denno (3) haver li Mori in lo Paradiso. Lo Alcoran e la Zuna descriveno del Paradiso de li Mori e de la gloria e pongono cinque cose. La prima del Paradiso e sue stantie. La seconda de li ornamenti e ricchezze del Paradiso. La terza de le vivande e cose che stanno apparecchiate ne lo Paradiso: così de servitori come de vasammi d’oro (4) e d’argento, e de mangiar e bevere. La quarta de li vestimenti e calciamenti e (5) gioie che li Mori tengono in lo Paradiso apparecchiate. La quinta et ultima si è de le vergini (e) e lor pulchritudine; e come si chiamano, e di qual generation son queste tali e di che vanno vestite. § 32. Il Paradiso, secondo che dice lo Alcoran, libro primo, capitolo secondo, dove dice in Arabico: ceriho ile mahjìratin mirabiquum gua rnenti hardoha azemegueti gualarde ohidet lilmutequin) che voi dire che Ί Paradiso che è promesso a li Mori è tanto grande quanto li cieli e la terra ch’è tutto il mondo. Adunca dimme tu, Moro, dove (f. 49v) dove è questo Paradiso tanto grande come tutto il mondo; o dovemo dire che Dio creò altro mondo, senza questo, nello quale ci sta questo Paradiso? qual ditto è assai confuso. E così ti dico, Moro, che non dei far altro che tacere. § 33. Dice lo Alcoran che Dio creò sete (7) Paradisi over sete (8) stantie ch’ogn’una si chiama Paradiso. El primo si chiama: genete alholdi. Il secondo si chiama: genete alfir (f. 52r) deuci. Il terzo si chiama: genete anahin. Il quarto si chiama: genete reduan. Il quinto si chia-
(!) B. C. havevano. (2) C. pupilli. (3) B. C. deveno. (5) C. ont. (6) C. vergine. (7) B.C. sette. (8) B.C. sette.
(4) B. ore.
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genete acelem. El seseno se llama: genete alcoduz. El seteno se llama: genete almegua (1). § 34. [Castelli, giardini e frutti del Paradiso]·, [ = 8 5 ] Los quales Paradisos estan labrados de oro y de piata y de perlas y de piedras préciosas con muchos palacios y salas y cama ras y vergeles, con muchos arbores y fruytales de cada cosa dos maneras o dos especias; debaxo de los quales palacios corren las fuentes de la agua y rios y fuentes de miel y de leche y de vino muy dulce. § 35. [L ’albero tübâ]; [ = 99] E nel medio del Paradiso dize el Alcoran y descrive la Suna que ay un arbol tant grande corno todo el Paradiso. Las fojas deste arbol son una de piata y otra de oro; y los ramos deste arbol caen en cima de las paredes del Paradiso. El qual arbol se llama: tuba (2). Dizen los libros de la Suna que en cada foja deste arbol esta escrito el nombre de Mahoma junto con el nombre de Dios, diziendo: Le ilehe file Allah, Mahomed raçolollah (3); que quiere dezir: No ay Dios si no Dios; y Mahoma mensagero de Dios. § 36. [La casa nuziale dei beati]] [ = 98] Dize el Alcoran y descrive, capitulo diez y nueve, libro tercero y capitulo de las matanças y capitulo del monte Sinay y capitulo del glorioso y capitulo de los caymentos y capitulo del hombre, libro quarto: de corne estan ataviados y ornados los Paradisos susodichos. Al saber es de muchos estrados y de muchas camas con cor tinas y savanas de brocado y de purpura y de seda; y con muchos paramientos; y con muchas catifas; y muchas sillas de oro y piedras preciosas. Y como estaran los Moros echados y recolzados en cima de las camas y catifas y estrados. Los quales estaran reyendo y holgando sin cuydado y sin tristeza muy alegres y muy gozosos.(*) (*) I nomi dei sette Paradisi (per le differenze dal Libro della Scala, p. 110-111, cfr. qui appresso §6) sono da restituire: gannat al~huld ‘ Paradiso dell’Eternità gannat al-Firdaw si ‘ Giardino del Paradiso gannat a n -n a 'im ‘ Paradiso della Delizia gannat ridwàn ‘ Paradiso della Contentezza gannat as-salàm ‘ Paradiso della Pace gannat al-qudus ‘ Paradiso della Santità gan nat al-m a’ wà ‘ Paradiso del Rifugio (a) tübà. (3) È ancora la ben nota formula della ‘ attestazione ’ musulmana: là ilâha illâ Allàhu, M uhammad rasülu -llâhi.
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ma: genete azelem. Il sesto si chiama: genete alcoduz. Il settimo si chiama: genete almegua. § 34.
Li quali Paradisi sono lavorati di oro et argento e perle e pietre preciose con molti palazzi, sale, camere e giardini, con molti arbori fruttiferi (1): de ciascheduna cosa doi sorte, over due specie; sotto li quali palazzi correno le fonti de l’acque e fiumi e fonti di mele e latte et vino dolcissimo.
§ 35.
In mezo (2) del Paradiso, dice lo Alcoran e descrive la Zuna, che vi è un arbore tanto grande come tutto il Paradiso; le foglie del quale sono una d’argento e l’altra (3) d’oro. E li rami di questo arbore cascano sopra le mura del Paradiso, il qual arbore si chiama: Tuba. Dicono li libri de la Zuna ch’in ciascheduna foglia di quello è scritto il nome di Machometto apresso (4) il nome di Dio, dicendo: Le ilehe ille allaha ah Mohomed razolollah; che voi dire: Non c’è Dio se non Dio e Machometto nuntio di Dio. §36.
Dice l’Alcoran e descrive capitolo decimonono libro terzo, e capitolo de le matanze, e capitolo del monte Sinay, e capitolo del glorioso, e capitolo de le cadute, e capitolo de l’huomo libro quarto: in che modo sono acconci et ornati li Paradisi cioè da molti strati e letti con cortini e lenzoli di broccato e purpura e seta e con molti paramenti e molte catiffe e molte selle d’oro e pietre pretiose; et in che modo staranno li Mori assentati e posti sopra i letti, catiffe e strati, quali staranno ridendo e pigliando piacere senza cura e senza tristitia, molto aiegri e contenti.(*)
(*) B.C. frutiferi.
(2) C. mezzo.
(3) C. Titra.
(4) B.C. appresso.
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§ 3 7 . [La sorgente al-Kawthar]·, [ = 122] Asi mesmo dizen y descriven los mesmos capitulos corno ay en el Paradiso una fuente que se llama: Celcebile (*); y otra que se llama: Zengebüa (2). L ’agua de las quales fuentes es mas bianca que la nieve y mas dulce que la miel. Y especialmente ay una fuente que se llama: Alcauçar (3). La qual fuente es propria de Mahoma por un capitulo, el mas pequeno capitulo que ay en el Alcoran, libro quarto, que se dize en aravigo: asi: ine ahtayne que alcauçar (4); que quiere dezir: Nos Dios te avemos dado Alcauçar, que es esta fuente. Dizen los glosadores y Mahoma en la Suna que esta fuente de Alcauçar tiene de ancho y de largo setenta mil jornadas con agua mas blanca que la nieve y mas dulce que la miel. En la quai fuente ay taças y copas y jarros para bever tantas quantas estrellas ay en el cielo. De la quai fuente diremos mas adelante. § 38. [I fanciulli del Paradiso]; [ = 97] Asi mesmo dizen y descriven los dichos capitulos los pajes perpetuos que ay en el Paradiso che se llaman en aravigo: guildenun mohalledun (5). Dizen y descriven que son fermosos asi corno piedras preciosas engastadas en oro; vestidos con ropas de seda y de pur pura verde y de çunduz que es brocado sobre brocado. Los quales serviran a los del Paradiso con taças y taçones y copas de oro y de piata; y quiere dezir guildanun mohalledun (s) pajes perpetuos, que no son de la generacion de los hombres. § 39. [Le Uri del Paradiso]; [ = 111] Asi mesmo descriven y dizen los capitulos susodichos de las virgines castas que Dios crio en el Paradiso. Las quales se llaman horhin (®). Una se llama hora (7). Las quales estan en sus palacios muy cerradas y bien guardadas. Las vestituras de las quales es
(*) Salsabit. Cfr. Corano, L X X V I, 18. (*) Zangibil (propriamente: ‘ zenzero ’). Cfr. Corano, L X X V I, 17. (3) al-Kawthar. (‘ ) C o r a n o , CVIII, 1: innâ a 'taynaka al-Kawthara. (5) wildânun muhallidüna. (s) hür. C)
hür.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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§ 37. Item dicono e descriveno li medesimi capitoli che nel Para diso è una fonte chiamata Celzebile, e un’altra che ha nome Zengebila; e l’acqua delle quali fontane (x) più bianca che neve e più dolce che non è il mel. E specialmente (f. 52v) c’è una fonte che si chiama Alcauzar, quale è propria di Machometto, per uno capitolo, il più piccolo capitolo che sia nel Alcoran libro quarto, che si dice in ara bico: A sine(2) ahtayne que alcauzar che voi dire: Noi Dio ti havemo donato Alcauzar, che è questa fontana. Dicono i giosatori e Macho metto ne la Zuna che questa fontana di Alcauzar ha la larghezza e longhezza di settanta mille giornate con acqua più bianca (3) che la neve o più dolce ch’el mel. In la quale fontana ce sono tazze e bicchieri e vasi per bevere tante quante sono stelle al cielo. De la qual fontana parlaremo più innanti.
§ 38. Similmente dicono e descriveno li detti capitoli li paggi perpe tui che si trovano nel Paradiso che si chiamano in arabico: guildemin mohalledun. Dicono e descriveno che sono belli quanto pietre pretiose legate (4) in oro, vestiti con vesti di seta e purpura verde e di zunduz che è broccato sopra broccato. Liquali serveno a quelli del Paradiso con tazze e tazzoni e coppe d’oro e d’argento. Et voi dire guildamin mohalledun·. paggi perpetui, che non sono de la ge neration de li huomini.
§ 39. Item descriveno e dicono li capitoli sotto posti de le virgini (5) caste che Dio creò nel Paradiso, quali si chiamano horhin, una si chiama hora. Le quali stanno ne li suoi paiacci molto rinchiuse e ben custodite. Le vestimenti de le quali è cosa meravigliosa, sì alta-
(*) B.C. fontana. (*) Il tiaduttore in italiano ha riunito la voce spagnola asi con l’arabo che seguiva. (3) C. biancha. (*) C. ligate. (s) C. virgine.
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cosa de maravillar tant altamente lo dize. La hermosura délias dizen que son corno la luz. Dize Mahoma en la Suna que si una destas virgines saliesse a media noche, luziria el mundo asi corno de dia; y si la tal virgen escupiesse en la mar l’agua de la mar tornarla tant dulce como la miel. Las quales estan aparejadas para los hombres en el Paradiso. Asi mesmo fazen mencion los sobredichos capitulos de las manillas y anillos y asorquas y coronas y otros atavios que ay en el Paradiso aparej ados. Los quales virgines no son de la nacion de los hombres si no perpetualmente criadas. § 40. [Il bagno purificatore dei beati]; [ = 96]. Si todas las cosas que el Alcoran y la Suna descriven del Para diso posiesse aqui, seria muy largo. Solamente quiero poner lo que dixo Mahoma en la Suna del convite que Dios tara a los hombres y mugeres en el Paradiso. El qual convite se llama hadrate al coduz (*). Este convite faze Dios en el Paradiso que se llama genetu al coduz (2); que quiere dezir: Paradiso del Sancto. Dize Mahoma en la Suna que despues que el sacara a los Moros que merecieron la pena del Infìerno por su redempcion general, dize que estos Moros saldran del Infìerno negros y quemados. A los quales llevara Mahoma a su fuente susodicha de Alcauçar. A los quales fara entrar en la fuente y alli lavaran sus cuerpos y tornaran tant blancos como la nieve. Y despues de lavados y limpios llevar[a] los (3) Mahoma consigo y los poma en el Paradiso con los otros que no merecieron el Infìerno.
§ 41. [Il convito dei beati]; [Non è nel Libro della Scala] Dize que, fecho esto, mandara Dios al angel Gabriel que vaya por las Haves deste Paradiso del Santo para este convite. Las quales Haves tiene un angel. Y de que el angel Grabiel yra por las llaves y las demandara al angel que las tiene, dize que poma este angel la mano en su boca y sacara setenta mil llaves que cada Have tiene 70000 léguas de largo. Y de que verna el angel Grabiel a tornar las llaves no podra alçarlos que tanto pesan. El qual Grabiel tornara a Dios y dira: Senor, no he podido alçar estas Haves del suelo tanto
(*) hadrat al-qudus. (a) pannai al-qudus. Cfr. sopra nota 29. (3) Stampa: llevar los a
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mente il dice. La bellezza lor, dicono esser come la luce. Dice Machometto ne la Zuna che, se una de queste vergini (*) uscessi a la mezza notte, daria luce al mondo e staria come di giorno; e se essa vergine sputassi nel mare, l’acqua del mare diventarla si dolce quanto il mele. Le quali sono apparecchiate per li huomini nel Paradiso. Similmente fanno (f. 53r) mentiòne ne li sopradetti capitoli de le maniglie, anelli, assorche e corone et altri ornamenti che stanno nel Paradiso apparecchiati. Le quali vergine non sono de la nation (2) de gli huomini, anzi perpetuamente create. § 40. Se tutte le cose che lo Alcoran e la Zuna descriveno del Para diso io havessi a poner qui, saria troppo prolisso. Ma solamente voglio ponere quello che Machometto ha detto ne la Zuna del pasto che Dio farà a gli huomini e donne nel Paradiso, il quale pasto si chiama: Hadrate Alcoduz. Questo pasto fa Iddio nel Paradiso che si chiama: genetu alcoduz, che voi (3) dire: Paradiso del santo. Dice Machometto in la Zuna che doppo lui cavarà li Mori che meritaranno la pena de lo Inferno per la sua generale redentione, dice che questi Mori usciranno de lo Inferno negri et abrusati (4). Gli quali porterà Machometto a la sua fontana sopradetta di Alcauzar; e gli farà intrare in la fontana et ivi lavaranno i corpi loro e diventaranno bianchi come la neve. E doppo che saranno lavati e netti, Machometto gli portarà seco e li metterà nel Paradiso con gli altri che non meritorno lo Inferno. § 4L Dice che, fatto questo, commandarà Dio a l’Angelo Gabriele che vada per le chiavi di questo Paradiso del Santo per far questo pasto. Le quali chiavi ha uno Angelo; , e quando l’Angelo Gabriel andarà per pigliar le chiavi, e gli domandarà a (5) l’Angelo che gli tiene (6), dice che metterà questo Angelo la mano a la bocca sua e cavarà settanta mille chiavi, ogniuna delle quali ha 7000 (7) leghe de longo (che fanno CCX (8) miglia di longhezza) E (9) quando verrà l’Angelo Gabriele per pigliar le chiavi, non potrà levarli dal grande
(*) C. vergine. (J) B.C. natione. (3) B.C. vuol. (4) B.C. abrusciati. (5) C. om. (6) B.C. tene. (7) C. settante mille. (8) C. 210. (9) B.C. Et.
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pesan. Al qual dira Dios: torna pues y nombra mi santo nombre juntamente con el nombre de mi amigo Mahoma; y toma las Haves y traemelas aqui. Entonces tornara Grabiel y nombrara los susodichos nombres; y alçara las [l]laves y las traera a Dios. Las pala bras de los nombres dize asi corno estan arriba dichos: Le ilehe ille Allah, Muchemet raçolo (a) Allah (*). Con las quales Haves abrira el angel Grabiel el dicho Paradiso de Alcoduz; donde fallaran una mesa parada de una pieça de un diamante que tiene de largo y de ancho siete cientos mil jornadas, con muchas sillas de oro y de piata al derredor de la mesa. Asi mesmo fallaran en la dicha mesa manteles y panyzuelos muy altamente puestos. Entonces mandara Dios a todos los Moros que se assenten. Y asi assentaran todos cada uno en su siila. Y luego veman los pages y servidores susodichos para servir a los Moros en este convite con sus vestidos y sus copas y taças y jarros en las manos. Los quales daran de comer a los Moros muy lindas viandas y frutas de muchas maneras; y daran de bever del vino y de la agua susodicha. Y despues que los Moros avran comido y bevido, luego vernan los mesmos pages con los estados de cada uno.
§ 42. [Le nozze dei beati]; [Non è nel Libro della Scala] Y asi se vestiran y se calçaran y pornan los joyeles en sus braços y manos y piernas y orejas y anillos. Y despues de vestidos y calçados y enjoyellados, vernan los mesmos pages; y cada uno con un piato en la mano y en el piato un poncil o cidra muy linda. Y asi corno verna este Moro a oler este poncil, sale del una destas virgines muy ataviada y muy linda y muy fermosa. La quai abraçara a este Moro y el Moro a ella. Y asi estaran braçados tiempo de cinquenta anos; que no se aparte el uno del otro, holgando y pasando todo el modo del plazer que un hombre puede aver con una muger.
(a) Stampa: ratolo (*) lâ ilâha illâ Allâhu, Muhammad rasülu ’llâhi.
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peso. Il quale Gabriele tornarà a Dio e dirà: Signore, non ho possuto (f. 53v) levar queste chiavi da la terra, secondo che hanno un gran peso. A lo quale dirà Iddio: Volta adonche et invoca il santo nome mio insieme con lo nome del mio amico Machometto; e piglia le chiavi e portale qui. Allhora voltarà Gabriele e nominarà li sopradetti nomi e levarà le chiavi e gli portarà a Dio. Le parole de li nomi dice come di sopra sono dette: Le ilehe allah muzchemet ratolo allah. (*) Con le quali chiavi aprirà l’Angelo Gabriel il detto Paradiso de Alcoduz, dove trovaranno una tavola preparata d’un pezzo di uno diamante, che è di longhezza e larghezza settecento mille gior nate con molte sedie d’oro e d’ (2) argento intorno de la detta ta vola. Similmente trovaranno a la detta tavola tovaglia e saiviete riccamente composte. Allhora comandarà Iddio a tutti li (3) Mori che si metano (4) a tavola. E così se assetaranno (5) tutti, ciaschedun ne la sedia sua. Subito veranno i paggi et i servitori sopradetti per servir a li Mori in questo pasto, con li lor vestimenti, bicchieri, tazze e boccali ne le mani. Li quali daranno a mangiar a li mori bellis sime vivande e frutti de diverse sorti e gli daranno a bever del vino e de l’acqua sopradetta. E doppo che li Mori havranno mangiato e bevuto, subito verranno (6) i paggi medesimi con gli stati d’ognihuom. E così si vestiranno e calciaranno é metteranno li lor gio ielli a li bracci e mani e gambe, orecchie et anelli.
§ 42. E doppo che saranno vestiti e calciati et ingioiellati, veranno (6) li medesimi paggi e ciaschedun con un piatto in mano, e nel piatto un poncile o cidra molto bella; e darà a ciascun de li Mori che ma schio sia, un poncile. E subito che il Moro verrà a nasar questo pon cile, uscirà d’esso una di quelle vergini (7) molto ornata e bella, la quale abbracciarà (f. 54r) questo Moro et il Moro essa. Così sta ranno abbracciati per cinquanta anni senza levarsi e separarsi l’un da l’altro, pigliando tutti li modi di piacere che un huomo può havere con una donna.
(·) sic. (*) C. de. ranno. (') B.C. veranno.
(3) B.C. i. (4) B.C. mettano. (7) Birrgini; C. virgine.
(■) C. asseta
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§ 43. [La visione beatifica di Dio]) [ = 112] Y despues que avran tornado plazer dira Dios: O mis siervos, pues aveys comido y bevido y vestido y calçado y enjoyellado y holgado en mi Paradiso y en mi gloria, quiero mostrar vos mi glo riosa cara. Dize que Dios quitara los vélos que tiene en cima de su cara y mostrara su gloriosa cara a todos los Moros; y de la claridad que saldra de la cara de Dios caeran todos en el suelo. Y Dios dira entonces: O mis siervos, llevantad y gozad de mi gloria y holgad sin aver miedo de mas morir ni recibir tristicia ni pesar para siempre jamas. Entonces dize que llevantaron y alçaran sus cabeças; y miraran y veran a Dios faz a faz. De la qual vista holgaran mucho y se alegraran. § 44. [I beati entrano nei loro castelli]; [ = 108] Dize que despues que abran visto a Dios, todos yran de alli a los otros Paradisos; a saber es: cada uno yra en compania de su virgen y entrara cada uno en su alcaçar o palacio con su virgen para siempre comendo y bevendo y holgando y tornando plazer muy alegres, y sin tristicia y sin miedo de mas morir ni aver ningun mal. Desta manera descriven el Alcoran y la Çuna la gloria del otro siglo. § 45. [Maometto dà da bere ai beati l’acqua di al-Kawthar]) [Non è nel Libro della Scala] El sobredicho convite se faze en el sobredicho Paradiso llamado : genete alcoduz tf). Mas empero Mahoma tara otro con vite a todos los Moros en su fuente sobredicha llamada Alcauçar (2), dando les de bever por su propria mano, segun lo dize la Çuna en el libro que se llama en aravigo: Quitebe alainjar (3); que quiere dezir: Libro de las flores. Las palabras en aravigo dize asi: Aneguaquefun haie alhaude gua umeti guaridune haleye gua ane azquihim famen saribe minhu le yadmahu abende (4); que quiere dezir corno Mahoma estara; en su fuente y su pueblo de los Moros passaran por (*) jfannat alr-qudus. (a) al-Kawthar. (s) Kitâb al-anwâr * Libro dei Fiori ’ . (4) anâ wâqifun alà al-hawd wa-ummdiî wâridüna ‘alayya wa-anâ asqïhim; fa-man Cariba minhu là yatma'ahu abadan.
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§ 43.
E doppo che haranno pigliato piacere, dirà Iddio: 0 servi miei, poi che havete mangiato e bevuto et sete vestiti et calciati et in gioiati e pigliato diletto nel mio Paradiso et in la gloria mia, voglio mostrarvi il glorioso volto mio. Dico che Dio levarà li veli che sopra il viso, e dimostrarà il glorioso volto suo a tutti li Mori. E da la clarità che uscirà del viso di Dio cascaranno tutti in terra; e Dio dirà allhora: 0 servi miei, levatevi e godete de la gloria mia, senza paura di morir mai nè manco recever tristitia nè dispiacer per sempre senza fine. Allhora dice che levaranno le lor teste e guardaranno e vedaranno Dio a faccia a faccia; de la quale vista pigliaranno piacer e diletto. § 44.
Dice che doppo che havranno (*) visto Dio, tutti andaranno da quella stantia a gli altri Paradisi: cioè ogniuno con la sua ver gine accompagnato. Et intrarà ciaschedun (2) ne la fortezza over paiaccio suo con la sua vergine, perpetuamente mangiando e be vendo e prendendo piacer, molto allegri e senza tristitia o paura da morire mai o haver male alcuno. In questo modo descriveno lo Alcorano e la Zuna la gloria de l’altro secolo. § 45.
Il sopradetto pasto si fa nel detto Paradiso chiamato genete alcoduz; e pure Machometto farà un altro pasto a tutti li Mori in la sua fontana sopradetta chiamata Alcauzar, dandogli a bever di man sua propria, secondo che dice la Zuna nel libro chiamato in arabico: Quitehe alainiar, che voi dire: Libro de li fiori. Le parole in arabico dicon così: Aneguaquefun hale alhaude gua umeti guaridune hale yegua ane azquihim famem sarihe minhu le yadmahu ahende; che voi dire come Machometto starà in la sua fontana et il popol de li Mori passaranno per essa, e che esso Machometto darà a bever de man sua a (3) ciascun di lor, de l’acqua de la medesima fontana.
(') C. haveranno.
(J) B.C. ciascedun.
(3) B.C. om.
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el; y que el dara a bever a cada uno por su mano de l’agua de la mesma fuente. Y los que beveran dessa fuente dize que nunca mas avran sed. En el mesmo Libro de las flores dize Mahoma que l’agua deste fuente es mas bianca que la leche y mas dulce que la miei; y los jarros y taças y copas desta fuente son tantas quantas estrellas ay en el cielo.
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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E quelli che beveranno d’essa fontana dice che mai Sentiranno sete. Nel medesimo Libro de le (8) fiori dice Machometto che l’acqua di questa fontana è più bianca che non è il latte e più dolce che Ί mele; e li boccali, tazze e bicchieri di questa fontana sono tante quante sono stelle in cielo.
§ 3. Saggio della versione francese di Juan Andrés Darò qui di seguito qualche breve saggio delle versioni in altre lingue dell’opera di Juan Andrés a mostrarne direttamente la grande diffusione. Ecco dalla traduzione francese del 1574 di Guy Lefèvre de la Boderie: (f. 59r) L ’Alcoran, livre second, chapitre unze, diet ainsi en Arabie: Zubhene attedi azara hiliahdihi lette mine almezgidi al barami ile almezgidi alaça: qui veut dire: Loué soit celuy qui feist transparoir son serviteur du Temple de la Meke iusques au Temple beny de Jerusalem. La glose de ce texte diet qu’estant un iour Muhamed en Almedina, il se leva du lict pour faire la priere du matin que les Mores appellent Zalata Kobhe (®) en la mosquee ou maison d’oraison. Le livre d’Azar cy dessus allégué diet que depuis que Muhamed eut faict la priere ainsi qu’on a de coustume de faire, il tourna sa face vers le peuple qui là estoit present et commença à parler et dire comme luy estant celle nuict en sa maison au lict, dormant en la chambre d’Axa, laquelle il aymoit le plus en(f. 59z>)tre ses onze femmes, il diet qu’a la minuict Muhamed s’eveilla pour les grands coups qui sonnoyent à la porte et se leva et ovrit la porte de la gallerie et trova l’Ange Gabriel avec septante paires d’ailes plus blanches que la neige et plus luisantes que cristal; et avoit avec luy un animal aussi blanc que laict. Il diet que cest animal estoit plus grand qu’un asne et plus petit qu’un mulet, lequel animal se nommoit Alborac. Le livre d’Azar recite que Muhamed disoit que l’ange Gabriel l’avoit embrassé et le saluant luy avoit diet: O Muhamed, Dieu t ’envoye plusieurs salus et commande que tu t’en viennes ceste nuict avec moy pour voir plusieurs grands secrets que iamais fils(·)
(·) C. li. (9) sic [per: Sobhe]
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d’homme ne veid. Et Muhamed luy respondit que cela luy plaisoit et qu’il en estoit fort content. Auquel l’Ange répliqué: O Muhamed, monte doncques sur cest Alborac et nous en allons. § 4. Saggio della versione inglese di Juan Andrés Analogamente, faremo seguire ora un passo della traduzione inglese sopra citata edita nel 1652, dovuta a Joshua Notstock: (p. 130) Chap. V i l i . The eight chapter treateh of Muhamed’s Dream, and the Vision which he sayes he had when ascended to heaven by a Ladder, and rode upon Alborac, and of the things which he sayes he saw that night in Heaven, Paradise and Hell. The Alcoran in the eleventh Chapter of the second Book sayes in Arabick: 0 zubhene etc. (i.e.). Praised be he that caused his ser vant to be transported from the Temple of Mecca unto the blessed Temple of Jerusalem. The glosse upon this text sayes, that Muhamed one day being at (p. 131) Almedina, he rose from his bed to say Mattins (which the Moors call Zalata kobbe) in the Moske or house of Praier. The book Azar above mentioned saies, that after Muha med had praied the usuali Prayer, he turned his face to the people there present, and began to speak, and told them, that he being that might in bed in Axa’s chamber (whom he most entirely loved of all his eleven wives) about midnight he awaked, by reason of the great knocking which was at the gate and arose and opened the gate of the Gallery, and there he found the Angel Gabriel with seven pairs of wings, whiter than snow, and clearer than Christall, who had a beast with him as white as milk, which beast was bigger than an Asse, and less than a Mule, and was called Alborack. The said book Azar reporteth that Muhamed said, that the Angel Gabriel embraced him, and saluting him, said to him, 0 Muhamed, God sendeth thee much greeting, and commamdeth thee to come along with me this night, for to (p. 132) see...
§
5 -
Saggio della versione latina di Juan Andrés Ed ecco infine lo stesso passo di Juan Andrés nella traduzione latina di Johannes Lauterbach, edita nel 1600: (p. 97) Caput V il i. De Somnio et visione Mahometis, cum
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coelos ascendit scala innixus, et prius jumento Alborach veCtus est, deque rebus ea nocte in coelo, Paradiso et inferno illi ostensis. Dicit Alcoranus lib. 2 cap. 11. Laudatus sit, qui servum suum a templo Mechae usque ad benedictum templum Hierosolymae transcurrere fecit. Ubi glossa refert, Mahometem aliquando in Almandina (10) ex lecto ora(p. 98)tionis matutinae (Zalata Zobhe) causa surrexisse et oratorium (Moschea) intrasse. Et addit liber Azear aliquoties a nobis adductus, absolutis precibus consuetis Mahometem faciem convertisse ad populum, sicque locutum fuisse: Nocte praecedente cum in Camera Axae dilectissimae meae conjugis inter omnes unde cim, quiescerem, media nocte excitatus sum sonitu portae, quae valide pulsabatur; surgens ergo et aperiens ostium versus plateam, inveni Angelum Gabriel, cum septuaginta paribus alarum, albedine nivem, splendore vero crystallum superantium, habentem penes se animal album lactis instar, majus asino, et mulo minus, cui nomen Alborach. Et sequitur in Azear, Angelum post complexum Maho metem ita salutasse: o Mahomet, Deus tibi multam salutem imper tit, et mandat, ut hac nocte mecum eum accedas, ut videas...
§
6.
Juan Andrés ed il Libro della Scala: differenze nel racconto Una comparazione di questo racconto di Juan Andrés col ‘ Libro della Scala ’ rivela alcune nette differenze, come ora vedremo, ma anche alcune sorprendenti coincidenze particolari che hanno un loro significato per la nostra ricerca storica. Ecco, intanto, le di vergenze principali: 1. Mentre il Libro della Scala indica come compagna di Maometto nella notte della Visione: Umm Hâni’ (« corn ie fusse en una maison en Meche et me geisse en mon lit delez ma famme que avoit nom Omheni »), Juan Andrés invece pone a compagna del Profeta: ‘ A ’isah (« estando aquella noche en su cama dormiendo en la camara de Axa o quien el mas amava entre todas sus onze mugeres »). Mentre dunque il Libro della Scala segue una versione, che è la più antica, Juan Andrés riferisce il racconto diventato pre valente nel quale è ‘ A ’isah che ha la parte di protagonista.
(10) sic per « Almedina ».
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2. L’ Ippogrifo al-Buràq rifiuta, prima, di farsi cavalcare dal Profeta; ma — nel Libro della Scala — accetta poi solo al sen tire il nome di Maometto (« Et quant l’Alborak oi ceo, si se tint totte coie qu’elle ne se mut. Et atant ieo chivauchai »). Invece Juan Andrés introduce l’episodio dell’al-Burâq che pone come condizione la promessa di entrare in Paradiso (« Yo no consentiré que Mahoma cavalgasse en cima de mi, fasta que me prometa entrar en el Pa radiso »). 3. Nel Libro della Scala tre voci chiamano il Profeta per fermarlo nel cammino verso la Visione d’oltretomba (e si sa che Asin Palacios aveva comparato questo particolare, diffuso in altre versioni, con quello delle tre fiere dantesche del I canto dell’Inferno). Juan Andrés, al contrario, non cita che due voci: quella che simbo leggia il Giudaismo e quella che simboleggia il Cristianesimo; ed omette o non conosce la terza che è quella della « dame la plus bele que ieo veis onquemeis en ma vie » e che rappresenta gli allettamenti del mondo terreno. 4. I cieli del Paradiso nella Scala ed in Juan Andrés sono fatti di materia differente (in entrambi i racconti la composizione del cielo è specificamente indicata): 1° 2° 3° 4° 5° 6° 7°
cielo. Scala: di ferro; Juan Andrés: cielo. » di rame; » » di argento; cielo. » » cielo. di oro; » » cielo. di perle; » cielo. » di smeraldo; » cielo. » di rubino; »
di argento di oro di pietra preziosa di smeraldo di diamante di carbonchio della luce di Dio
5. Gli incontri di santi personaggi che Maometto fa nei cieli del Paradiso differiscono nei due racconti: 1° cielo. Scala: Gesù e Gio- Juan vanni Battista; 2° cielo. » Patriarca Giuseppe; 3° cielo. » Enoch ed Elia; 4° cielo. » Aronne; 5° cielo. » Mosè; 6° cielo. » Abramo; 7° cielo. » Adamo;
Andrés: Adamo »
Noè
» » » » »
Abramo Patriarca Giuseppe Mosè Giovanni Battista Gesù
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La sola coincidenza è, dunque, quella di Mosè. Tuttavia, anche se l’ordine degli incontri è diverso, le persone sono quasi tutte le stesse (Gesù; Giovanni Battista; Giuseppe; Mosè; Abramo; Adamo). Solo Juan Andrés aggiunge: Noè; e la Scala aggiunge Aronne, Enoch ed Elia. 6. Anche nella descrizione e collocazione degli esseri celesti sono da notare divergenze. Nel Libro della Scala l’Angelo della Morte è incontrato da Maometto appena arrivato all’alto della scala pro digiosa e prima della porta di entrata nel primo cielo. Juan Andrés colloca invece l’Angelo della Morte nel terzo cielo. E mentre nel Libro della Scala l’Angelo della Morte trae l’anima dal corpo di ciascun vivente (sì che Maometto gli espone i suoi dubbi circa le morti contemporanee in luoghi lontani o le morti numerose in bat taglia); nel racconto di Juan Andrés l’Angelo della Morte scrive e cancella soltanto i nati ed i morti sulla ‘ Tavola custodita ’ , « y luego que vee los dias de alguno fìnados, luego borra el nombre de tal hombre ». La ‘ Tavola ’ « que duroit d’Orient iusqu’a Occident » è anche nelle mani dell’Angelo della Morte nel Libro della Scala, ma essa contiene solo il limite di vita di ogni uomo « et de la mort qe chascun d’els doit avoir ». 7. Nel Libro della Scala nel più alto dei cieli « prope de Nostre Seignour » è il Gallo Celeste che ha « son chief et sa creste au ciel ou Nostre Sire est et sa chaere ». Al contrario, in Juan Andrés, il Gallo Celeste è proprio nel primo cielo (« tenia los pies en el primero cielo y la cabeça tenia en el segundo cielo »). 8. Nella ripartizione dell’ Inferno nei sette gironi descritta nel Libro della Scala mancano appunto proprio le pene per gli adul teri e per i tutori infedeli ai loro pupilli che sono i soli supplizi che Juan Andrés descrive. È vero, per altro, che in prosieguo il Libro della Sca^ dice della pena degli adulteri e delle fornicatrici (gli adulteri sono « pandus par lor membres ad eros de feu » e le for nicatrici « pendoient ad granz tronçons par le mi de lor natures »), ma queste pene sono totalmente differenti dai tormenti che loro as segna la versione di Juan Andrés, dove gli adulteri a banchetto ob bligato « dexavan de comer las buenas viandas y comian las malas y hedeondas »: un contrapasso anche questo e meno crudo che quello della Scala. 9. Nel Libro della Scala, Maometto racconta immediata mente la sua Visione per esteso e soltanto alla fine della narrazione
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dice come, dopo aver parlato con Umm Hani’ e successivamente « ad l’autre ma famme qu’avoit nom Hasce et ad ma fille Fatima », annunzia: « Si m’en vois ad la Mahomerie por conter les choses que ie ai veues » e va così a parlare nella moschea ai Coreisciti increduli. Nel racconto di Juan Andrés l’ordine è proprio l’opposto: Maometto va nella moschea a fare la preghiera del mattino e poi « bolvió su cara a la gente que présentes estaban y començô de fablar y dezir » e segue qui la narrazione della Visione.
§
7.
Juan Andrés ed il Libro della Scala: convergenze nel racconto Ho già detto come, accanto a queste divergenze sostanziali nei due racconti, si trovano però singolari coincidenze. Esaminia mole qui appresso in ordine: 1. Il Libro della Scala dice dell’Al-Buràq: « Et celle beste estoit de icel façon qu’ele ere plus grant qe asne et meindre qe mul ». La frase è la stessa in Juan Andrés: « Dize que este animai era mas grande que asno y mas pequeno que mulo ». 2. L ’Angelo Gabriele che ha guidato Maometto per i cieli del Paradiso si congeda da lui quando il Profeta sta per giungere innanzi al Trono di Dio. Così nel Libro della Scala (« Et atant il prist congie de moi et me dist: Mahomet, ie m’en vois, quar ie te ne puis tenir plus compagnie de ci en avant ») e nel racconto di Juan Andrés (« En este cielo seteno tomo el angel Gabriel comiad de Ma homa y dixole que no podria el passar mas addante y que Dios le diesse buena guia »). 3. All’arrivo innanzi al Trono di Dio, Maometto ·— secondo il Libro della Scala — racconta: « Quant ie me aprochei de li, ie oi un voiz que me dist: ‘ Acrop codem, ya habibi, hya amagmet ’ que vuolt tant dire: Aproche tei de moi, amis Mahomet ». Analo gamente e con identico effetto della conservazione delle parole arabe, in Juan Andrés: « En esto oyo Mahoma una boz diziendo en aravigo asi: ‘ Ya Mohamed, andem gua lirabach cellem ’ , que quiere dezir: 0 Mahoma, acerca te y saluda a tu Criador ».4 4. E Maometto allora si avanza verso il Signore e, dice la Scala: « ie me aprochei tantost et me mis avant, si qu’il ni avoit
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entre lui et moi for qe tant com deux arbalestes »; ed in Juan Andrés: « Mahoma se acerco de Dios poco menos de dos tiros de ballesta ». Ma qui, come risulta esplicitamente da Juan Andrés, la coincidenza è data dall’avere inserito in entrambe le narrazioni questa frase che è nel Corano (L U I, 9) « si avvicinò a due tiri di arco e meno ancora ». Queste coincidenze particolari, non grandi, e la struttura ge nerale dei sette Paradisi e sette Inferni, nei due libri, se indicano una concordanza obbligatoria, se si vuole, delle due versioni che non debbono discostarsi da alcuni elementi accolti ormai nella tra dizione, valgono anche essi — ed appunto perciò — a far conclu dere che Juan Andrés comunque può essere indipendente dal Libro della Scala e che segue altre fonti, sempre nell’ambito della cultura islamica di Spagna. §
8.
Juan Andrés e la Historia Arabum di Ximénez de Rada Un’altra versione del viaggio oltretomba di Maometto, come ho detto altrove, è rappresentata, in Occidente, dal brano inserito nella Historia Arabum di Rodrigo Ximénez de Rada e dalla Crò nica General de Espana che sostanzialmente, e sia pure con varianti, ne dipende. Qui però una comparazione col testo di Juan Andrés rivela ancora maggiori divergenze: Quasi tutte quelle già da me in dicate tra il Libro della Scala e la Historia Arabum (e Crònica) si riscontrano anche tra Juan Andrés e la Historia Arabum (e Crònica): le tre bevande di vino, latte ed acqua offerte a Maometto per osta colargli l’inizio del viaggio (invece delle tre voci tentatrici); la fun zione attribuita ad Adamo verso le anime dei morti; 1’incontro con la moglie di Zayd ibn Hàrith; l’intercessione di Mosè presso il Si gnore mancano anche in Juan Andrés. Ma invece vi è una sola di retta coincidenza tra la Historia Arabum (e Crònica) e Juan Andrés: il supplizio degli adulteri, che invece non è, come ho già detto, nel Libro della Scala. Così nella Historia Arabum, Maometto vede « alios qui postpositis pinguibus de foetidis comedebant » e Gabriele spiega che sono « alii qui legitimas non curantes foedis commerciis utentes, mulieribus se dederunt ». La pena è la stessa in Juan Andrés, dove i dannati « dexavan de comer las buenas viandas y comian las malas y hedeondas »; e l’Angelo Gabriele spiega che sono « los casados deste mundo que dexavan sus buenas mugeres e yvan a las agenas ».
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La collocazione, però, è diversa nelle due versioni, perchè mentre nella Historia Arabum (e Crònica) curiosamente questa pena è sof ferta dagli adulteri nel primo cielo — almeno li Maometto la vede — ed a lato di coloro « qui carnes pingues et optimas manducabant » che sono i beati « qui uxoribus legitimis adhaeserunt »; invece in Juan Andrés il supplizio ho luogo nell’ Inferno. Ma la coincidenza è ancora una prova dei particolari, che entrati da varie fonti nella tradizione, sono poi variamente inscritti, applicati od omessi nelle differenti versioni del racconto. Gli incontri nei vari cieli presentano ancora differenze e dal Libro della Scala e da Juan Andrés. Così: 1° cielo. Historia Arabum: Adamo Juan Andrés: » Gesù e Gio » 2° cielo. vanni Battista 3° cielo. » Patriarca Giu » seppe » 4° cielo. Elia ed Enoch » 5° cielo. » Aronne » 6° cielo. » Mosè » » )> 7° cielo. Abramo
Adamo Noè Abramo P. Giuseppe Mosè G. Battista Gesù
Anche qui le collocazioni dei personaggi divergono, ma i per sonaggi sono quasi tutti gli stessi; anzi qui la Historia Arabum con l’inclusione di Aronne, Enoch ed Elia è più vicina al Libro della Scala che a Juan Andrés. Pure in questo caso si ha raggruppamento diverso di elementi che sono nella tradizione.
§ 9. Juan Andrés ed il racconto di Ricoldo da Montecroce Una terza versione della Visione di Maometto era ancora arri vata nell’Europa Occidentale alla fine del Duecento o nei primi anni del Trecento; quella che Ricoldo da Montecroce inserì nel suo opuscolo Contra Legem Sarracenorum. I risultati del confronto di questa versione con quella di Juan Andrés sono sorprendenti per le loro coincidenze. Mi si consenta ancora di elencarli: 1. La narrazione è in Ricoldo, come in Juan Andrés, intro dotta con la citazione del passo del Corano sulla Visione (X V II, 1),
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seguita in Ricoldo da « Exposicio huius semtencie est »: (e qui il racconto) ed in Juan Andrés da uguali parole: « La glosa deste, testo dize: ». Ed in entrambi gli opuscoli Maometto « psallebat horam matutinalem » (« tue a fazer la oracion del alba ») e, fatta la preghiera, narra la Visione. 2. In Ricoldo pure ΓΑΙ-Buràq si rifiuta di portare Maometto se non ad una condizione (« non permittam eum ascendere nisi ro gaverit pro me Deum »); come più esplicitamente in Juan Andrés (« Yo no consentiré que Mahoma cavalgasse en cima de mi, fasta que me prometa entrar en el Paradiso »). 3. Il testo di Ricoldo che è un breve riassunto in confronto di Juan Andrés non cita alcuno degli incontri con personaggi sto rici nei sette cieli; ma ecco la descrizione degli Angeli nel settimo cielo in Ricoldo: « In quo septimo celo describit se vidisse populum angelorum. Longitudo uniuscuiusque angeli erat maior mundo mul tis mille vicibus. Quorum aliquis habebat septuaginta millia capita et in quolibet capite septuaginta millia ora et in quolibet ore sep tuaginta millia linguas laudantes Deum septuaginta mille millibus ydiomatibus »; ed in Juan Andrés: « En este cielo (seteno) veeron mucho mas angeles que en todos los seys cielos havia y muy grandes. Entre todos havia un angel que tenia setenta mil cabeças; y en cada cabeça tenia 700.000 lenguas; y en cada lengua 700.000 bozes, con las quales bozes alabavan a Dios de dia y de noche ». 4. All’arrivo avanti al Trono, il Signore impone la sua mano a Maometto, in Ricoldo: « Tetigitque me Deus manu sua inter hu meros usque adeo ut usque ad medullam spine dorsi mei manus eius frigiditas perveniret ». E quasi con le stesse parole in Juan Andrés: « Dize Mahoma que Dios puso la mano sobre su hombro de Mahoma que no se podria tenerse Mahoma del trio de la mano de Dios »; e nel Libro della Scala; p. 146: « Nostre Sires mist sa main sor ma teste si que ie senti la froidour de sa main dedenz mon cueor ». 5. Mentre nel Libro, della Scala i Coreisciti, udito il racconto della Visione, dubitano e chiedono un segno prodigioso, che Maometto loro miracolosamente dà, Ricoldo seccamente dichiara: « Cumque hanc fictionem narrasset Machometus gentibus universis sexaginta millia hominum a lege eius secesserunt ». Non diversamente Juan Andrés, dopo aver applicato alla miscredenza dei Coreisciti alcuni passi del Corano, avverte che « muchos se escandalizaron y tornaron en sus sectas primeras ».
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E .
C e r u lli
Tuttavia la scena della Visione avanti al Trono di Dio è in Ricoldo, sia pure con varianti, quella più diffusa dei comandamenti rigorosi dati dal Signore e poi ridotti per l’intercessione di Mosè, mentre Juan Andrés, come si è visto, ha qui la concessione divina dei privilegi al Profeta Maometto, passo che dà al racconto una sua originalità in confronto delle altre due versioni qùi esaminate. Infatti l’episodio originale, la cui fonte immediata (in Occidente non sono riuscito ad identificare, è quello — nel racconto di Juan An drés — della concessione che dal suo Trono il Signore fa a Maometto di cinque privilegi: l’appellativo di ‘ miglior creatura di Dio ’ ; la si gnoria sul genere umano; l’appellativo di redentore; il dono delle lingue; il diritto al bottino. È vero che nel Libro della Scala il Si gnore, imponendo la sua mano, fa il Profeta Maometto « reempli de ma grace et de tot le savoir (p. 146) »; ma il tratto che forse ancor più si avvicina alla narrazione di Juan Andrés è quello — nel Libro della Scala — delle quattro bevande che l’Angelo Ridwàn dà a Mao metto, in quanto la prima bevanda gli è data perchè « tu es esleuz entre toz les autres homes (p. 150) du monde »; la terza perchè « tu es le mieuldres home du monde et li plus avant de Nostre Sire Diex », ma se questi due epiteti corrispondono a quelli tradizionali, accolti da Juan Andrés, la funzione simbolica del dono delle quattro be vande, come è poi spiegata dall’Angelo Ridwàn nel Libro della Scala, è differente. Juan Andrés, dunque, deve aver accolto una tradizione che riportava ad investitura divina gli epiteti di Maometto ed in più gli faceva accordare il dono pentecostale delle lingue. Per quanto poi si riferisce allo speciale diritto del Profeta sul bottino di guerra cfr. Corano V i l i , 42, che conferisce tale diritto.
§
10.
I vari racconti della Visione di Maometto nella Spagna musulmana In conclusione, ed a parte il racconto di Ricoldo da Montecroce che fu portato in Italia ed aveva fonte ‘ iràqena, noi troviamo attestata così nella Spagna musulmana tre differenti versioni della Visione di Maometto:
1. quella diffusa del ‘ Libro della Scala ’, tradotta sotto il regno di Alfonso il Savio;
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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2. la redazione riassunta di Rodrigo Ximénez de Rada, di poco anteriore; 3. il racconto di Juan Andrés, sotto il regno di Ferdinando ed Isabella, i Re Cattolici. Tutte le tre redazioni ebbero poi larga e duratura diffusione negli altri paesi dell’Europa Occidentale.
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C a p it o l o I X
Il Libro della Scala nell’opera di A. Pientini
1. IlP.Angelo Pientini O.P. e le sue opere. 2. Il Libro della Scala nell’opera di A. Pientini. 3. Il Libro della Scala nel testo del Pientini. 4. Il Dialogo di ‘Abdallàh b. Salàm nel testo del Pientini. 5. L ’Apologià di al-Kindi nel testo del Pien tini. 6. Un passo del Corano nel testo del Pientini. 7. Elementi del racconto di Juan Andrés nel libro del Pientini. 8. Conclusioni sul testo del Pientini.
§ 1. Il P. A. Pientini O.P. e le sue opere Il P. Angelo Pientini, o meglio Pientino (così detto perchè nativo di Pienza, già Corsignano, nel Senese) (x), entrò nell’Ordine Domenicano nel convento di S. Maria del Sasso, presso Bibbiena, il 2 febbraio 1543. Acquistò meritata fama di studioso e fu cappel lano di corte del duca Alessandro dei Medici e segretario di Antonio Altoviti, Arcivescovo di Firenze. Maestro di studi nel convento di S. Domenico in Perugia nel 1566; fu confermato maestro nella pro vincia romana nel Capitolo Generale di Barcellona nel 1582. Per lo straordinario successo della sua predicazione in Civitavecchia fu nominato cittadino onorario di quella città. Si ritirò poi nel 1583 nel convento di S. Maria del Sasso, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita (2). Nel 1585 fu ricevuto dottore della Accademia Fiorentina. Morì il 1° ottobre 1589. Tra le sue opere sono citati quattro libri De jubileo; un libro
(') Nella Cronaca Quadripartita di S. Maria del Sasso (iniziata da Giovanni Maria Tolosani nel 1517), a carte 136 n° 77, è detto: « Fr. Angelus a Corsiniano, filius Torelli Mei ». (*) Debbo queste preziose notizie alla grande cortesia dei Padri Stefano Orlandini ed Isnardo Grossi O.P. ai quali è mio debito rinnovare qui i miei rin graziamenti. Le loro informazioni completano e correggono quelle che si leg gono in J . Q u é t i f et J . E c h a r d , Scriptores Ordinis Praedicatorum, Parigi 1719, vol. II, p. 293.
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N uove
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di ‘ pie narrazioni ’ e quello, che ora concerne la nostra ricerca: ‘ Delle dimostrationi degli errori della setta Macomettana stam pato a Firenze nel 1588. Questo lavoro del Pientini contiene un santo del Libro della Scala; e di tale riassunto darò qui di seguito il testo, riordinandone i passi. §
2.
Il Libro della Scala nell’opera di A. Pientini (p. 76) Gliela racconterò a punto in quel modo che si narra in un nostro libro arabico chiamato Halmerigh; et significa la dichiaratione d’un passo dell’Alcorano; et la somma consiste in questo: § 1. [L ’Angelo Gabriele appare a Maometto] — [Scala § 3] Trovandosi Macometto una volta nel Tempio di Meca, la dove havea raunato una gran gente, narrò come dormendo quella notte con una delle sue mogli, ecco che in un tratto ne venne a lui l’an gelo Gabriello, con una faccia più bianca che la neve, con capelli e cigli più rossi che Ί corallo, con le mani più rosse che Ί fuoco, co’ piedi più verdi che lo smaraddo, con vesta ornata di ricchissime perle et via più bianca che qualunque altra cosa et era cinto con due cinture di purissimo oro et havea settanta milia paia d’ale. § 2. [Intimazione del viaggio] — [Scala § 4] Et chiamollo dicendogli che andasse con lui, perchè Dio lo mandava a chiamare per rivelargli in quella notte cose stupende della sua potenza et i secreti suoi. § 3. [Descrizione di al-Buraq] — [Scala § 5] Et venendo fuora di casa vedde che Gabriello teneva con la briglia un animale chiamato Alborache, mezzano, quanto alla gran dezza, fra l’asino et il mulo, li cui crini erano di perle, il petto di smaraldo, la coda di rubino et gli occhi via più lucenti che Ί sole. Et havea molti angeli d’intorno che lo custodivano. § 4. [Maometto monta al-Buràq] — [Scala § 6] Et accostandosegli per cavalcare, secondo che gli havea detto Gabriello, l’animale (p. 77) non volse; ma domandò chi era che vo leva cavalcarlo. Et dicendogli l’Angelo che era Macometto Profeta et Nontio di Dio grandissimo et havendogli promesso che sarebbe
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E .
C e r u lli
Ί p r im o d eg li a n im a li che a n d a sse in P a r a d i s o ; se n z a difficoltà v e r u n a , (3) tenendo Gabriello la staffa, montò a cavallo verso Ierusalemme; et faceva i passi tanto lunghi quanto potrebbe mirare l’huomo di lontano.
§ 5.
[ L e tre v o c i che v o g lio n o fe r m a r e
M a o m etto ]
—· [ =
[S c a la § 7]
Et in un tratto sentì chiamarsi che aspettasse; et non volse fermarsi. Indi a poco fu chiamato un’ altra volta con voce da pianto accompagnata; et medesimamente seguitò il suo camino. Fu simil mente chiamato la terza; et se ben non rispose, nondimeno aspettò; et vedde ch’ella era la più bella donna che egli havesse mai veduto. § 6.
[G a briele sp ie g a le tre v o c i ]
■ — [=
S ca la
§ 8]
A cui però disse allhora Gabriello, che continovamente lo segui tava alla destra, che in effetto conosceva ch’egli havea scienza grande. Perciochè s’egli havesse risposto alla prima voce, ch’era della legge de’ Giudei, tutti i seguaci suoi doventavano Giudei. Et se rispon deva alla seconda, ch’era della legge de’ Christiani, tutti suoi amici l’havrebbero seguitata. Ma perchè aspettò la terza, gli iacea sapere ch’ella significava il mondo di tutte le delitie pieno; et dimostrava che i seguaci suoi erano per havere più delitie, piaceri et sollazzi che qualunque altra gente che sia stata mai o che sia per essere nel mondo. § 7.
[ A r r iv o
al
T e m p io
d i G e r u s a le m m e ]
— [=
S ca la
§ 9]
Et essendo arrivati alla porta del Tempio, Gabriello lo fece scavalcare; et legò quivi Alborache. § 8.
[I n c o n tr o
co n
i
P r o feti n el
T e m p io ]
— [=
S ca la
§ 10]
Et entrato nel Tempio trovò tutti i Profeti mandativi da Dio a fargli honore. Et così dopo che hebbe fatto alquanto d’oratione, l’Angelo gli disse ch’egli era Re di tutti i Profeti et Signore di tutte le genti. Et subito vennero tutti i Profeti predetti a honorario; et abbracciandolo gli dicevano che Dio per lui et per il popolo suo havea preparato grandissimi beni. Et ciò detto, si messero tutti a fare oratione per lui. (3) In corsivo le frasi che non si trovano nel Libro della Scala.
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§ 9.
[ L a S ca la al C ie lo ]
r ic e r c h e
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— [=
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S c a la
§ 11]
Indi prendendolo Gabriello per mano, lo condusse fuora del Tempio, là dov’era una bellissima e lunghissima Scala fatta tutta d’ oro finissimo et di pietre preziose, che da terra ascendeva insino al Cielo; et era da buon numero d’Angeli custodita. § 10.
[M a o m e t t o sa le la S ca la ]
— [=
S ca la
§ 12]
Et accompagnato da Gabriello et da altri Angeli, cominciò a salire verso il Cielo. §11.
[ L ’ A n g e l o della M o r t e ]
— [=
S ca la
§ 13]
Et ecco che vedde un Angelo molto grande, ch’era l’Angelo della Morte; et sedendo teneva in mano una tavola, dall’Oriente insino all’Occidente lunga, n ella qu ale era n o i n o m i d i tu tti gli h u o m in i,
eh 'e ra n o sta ti, che era n o a ll’h ora et che d o v ea n o essere p o i n el
m o n d o , co n tu tti i b en i et m a li che d o v ea n o b a v e r e , sec o n d o i m e r iti. E t h ora m irava, a q u ella , h ora al m o n d o .
§ 12.
[ L ’ A n g elo
della
M o rte
p a r la
a
M a o m etto ]
— [=
S ca la
§ 14]
Et intendendo quest’angelo da Gabriello come quello che havea in compagnia era Macometto, cioè il miglior huomo del mondo et il Nontio di Dio, lo salutò; et dissegli che Dio gli havea apparec chiato grandissimi beni et che era il più honorato di tutti i nunzi et fatto Signore di tutti i popoli. Et che Ί popolo suo, come quello (p. 78) che fuggiva il male e procurava di fare il bene, era da Dio più amato che tutti gli altri. § 13.
[ I l G a llo celeste ]
— [=
S ca la
§ 19]
Et seguitando di salire la Scala, vedde un altro angelo tanto grande che col capo passava il Cielo et co’ piedi arrivava all’abisso. Et era a guisa d’un gallo; et quando ne veniva l’hora di fare ora tione, cantava; et medesimamente cantavano tutti i galli del mondo. § 14.
[ L ’ A n g e l o d i fu o c o e neve\
—· [ =
S ca la
§ 20]
Indi seguitando il viaggio disse che trovò successivamente tre angeli: il primo era mezzo di fuoco et mezzo di neve; nè però si con sumavano l’un l’altro.
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§ 15. [Il quarto Angelo] — [ = Scala § 21] Il secondo era tanto grande che non havea ardire di raccon tare la sua grandezza. § 16. [L ’Angelo tesoriere dell’Inferno] — [ = Scala § 22] Il terzo, che medesimamente era grandissimo, sedendo teneva in mano una smisurata palla, la cui natura era che s’egli avesse dato in essa un colpo solo, havrebbe in un tratto distrutto la terra et il Cielo. Et questo era, disse, il Tesoriere dell’ Inferno; et favellan done seco, gliene disse molte belle cose, le quali per hora lasceremo indietro. § 17. [Il -primo Cielo e le sue porte] — [ = Scala § 25] Et seguitando di salire la scala arrivarono (disse) finalmente al Cielo della Luna, il quale era di ferro et era grosso quanto sarebbe lungo il viaggio d’un huomo che durasse di camminare cinquecento anni; et tanto era lo spatio insino al seguente Cielo, Et narrò come in questo luogo vedde le stelle; e tutte erano legate con catene d’oro; et un angelo d’altezza e grossezza quanto in mille anni camminerebbe un huomo. Vedde le porte del Cielo che erano bellissime et da buon numero d’Angeli, riccamente ornati guardate. § 18. [Gli Angeli del primo Cielo] — [ = Scala § 26] Et entrati dentro a una porta, che fu loro aperta al picchiare di Gabriello, disse che vedde molt’Angeli che haveano faccia d’huomo, il corpo di vacche et l’ale d’aquile. Molt’altri haveano figura di ca valli, d’asini et di capre. Et erano settanta milia, ciascuno de’ quali havea settanta milia capi; et in ciascuno capo settanta milia corna; in ogni corno settanta milia nodi; et fra l’un nodo et l’altro era di spatio quanto havrebbe camminato un huomo in quaranta anni. Medesimamente in ciascun capo erano settanta milia faccie; in cia scuna faccia havea settanta milia bocche; in ciascuna bocca erano sette milia lingue; et ogni lingua parlava in sette milia linguaggi et lodavano Iddio ogni giorno sette milia hore. § 19. [Il secondo Cielo] — [ = Scala § 28] Et seguitando il cammino andarono salendo insino all’ottavo Cielo; et raccontò tutto quello che vedde in ciascuno. Et disse che
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nel secondo, il quale era di bronzo et havea di grossezza cinque cento anni di viaggio d’un huomo et altro tanto di spatio infino al terzo (Et ciò parimenti disse quanto alla grossezza et quanto allo spatio di ciascuno de seguenti Cieli a somiglianza de’ precedenti). Vedde un Angelo, la cui grandezza era tanta che col capo toccava il settimo Cielo et con li piedi arrivava al fondo della terra. § 20.
[Gli
A n g e l i d el sec o n d o c ielo ]
— [==
S ca la
§ 29]
Vi vedde ancora certi altri Angeli, ciascuno de quali era settanta milia volte più grande che quelli che veduto havea nel primo Cielo. § 21.
[ I l terzo C ie lo ]
— [=
§ 31]
S ca la
Nel terzo, ch’era d’argento disse d’haver (p. 79) veduto un An gelo tanto grande et così gagliardo che se nella palma della mano fosse stato posto tutto Ί mondo, con ciò che si contiene in esso, non havrebbe sentito peso alcuno. § 22.
[G li A n g e l i d el terzo
C ie lo ]
— [=
S ca la
§ 32]
Vi vedde parimente, secondo che dicea, un buon numero d’altri Angeli medesimamente molto grandi che haveano faccie di vacche. § 23.
[ I l qu a rto C ie lo ]
— [=
S ca la
§ 34]
Nel quarto Cielo, ch’era tutto d’oro purissimo, disse d’haver veduto un Angelo tanto grande che col dito grosso della man destra sosteneva tutte le acque dolci et con quello della sinistra tutte le amare. § 24.
[Gli
A n g e l i d el qu a rto
C ie lo ]
— [=
S ca la
§ 35]
Et settanta milia Angeli oltre a quello, che tutti haveano il viso d’aquile et ciascuno settanta milia ale et ogni ala settanta milia penne et ogni penna era lunga settanta milia cubiti. § 25.
[ I l q u in to
C ie lo ]
-—■ [ =
S ca la
§ 37]
Nel quinto Cielo ch’era fatto di ricchissime perle, disse che vedde un Angelo tutto di fuoco, che havea sette milia braccia, cia scun braccio sette milia mani, ogni mano sette milia diti et ogni dito lodava Iddio sette milia hore al giorno.
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§ 26. [Gli Angeli del quinto Cielo] — [ = Scala § 38] Veddevi ancora, diceva, un gran numero d’altri Angeli con viso d’avoltori. § 27. [Il sesto Cielo] — [ = Scala § 40] Nel sesto Cielo, ch’era tutto di smaraddo, narrò d’haver veduto un Angelo settanta milia volte maggior di ciascun de’ precedenti, tal che volendo havrebbe potuto inghiottire il Cielo et la terra. § 28. [Gli Angeli del sesto Cielo] — [ = Scala § 41] Vi vedde ancora, diceva, molt’altri Angeli, che erano settanta volte maggiori di ciascuno di quelli, che insino all’hora veduto havea; et tutti erano di smaraddi, di perle et di rubini legati in oro; et fra essi era il cavallo di Gabbriello.
§ 29. [Il settimo Cielo] — [ = Scala § 43] Nel Cielo settimo, il quale affermò essere tutto di rossissimo rubino, vedde, per quanto disse, un Angelo tanto grande che Dio solo, che lo havea creato, lo potrebbe descrivere. § 30. [Gli Angeli del settimo Cielo] — [ = Scala § 44] Similmente vi vedde molt’altri Angeli; et la bellezza et gran dezza de’ quali non poteva narrare, perchè da Dio gli era stato proi bito. Imperò vedde che con gli occhi elevati lodavano Iddio; et uno di loro, che era quello che chiama i Saracini all’oratione, levatosi in piedi disse che Dio è grande, che non è altro Dio che Dio et che Macometto era nontio di Dio. § 31. [L’ottavo Cielo] — [ = Scala § 47] Nell’ottavo Cielo, finalmente, fatto di bellissimo topatio, rac contò di haver veduto un Angelo, il quale era settanta milia volte più chiaro, lucido et splendente che Ί sole; et havea sette milia capi, ogni capo sette milia visi, ogni viso sette milia occhi, ogn’occhio sette milia pupille; et ogni pupilla per il gran timore di Dio tremava sette milia hore il giorno.
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§ 32. [I
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C h e r u b in i d e ll’ otta vo C ie lo ]
d e lla
— [=
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§ 48]
Disse parimenti d’havervi veduto altri Angeli, il numero de’ quali era noto solamente a Dio et che in grandezza eccedevano tutti i prenominati settanta milia volte. § 33. [G li in c o n tr i d i 33,36,39,42,46]
M a o m e t t o n e i v a r i C ie li ]
■ —- [ =
S ca la
§§ 27, 30,
Disse che nel primo cielo trovò S. Giovanni Batista et Christo figliuolo di Maria. Nel secondo trovò Joseph Patriarca. Nel terzo Enoc et Elia. Nel quarto Aaronne. Nel quinto Mosè. Nel sesto Àbramo et nel settimo trovò Adamo tutto canuto et molto vecchio. § 34.
[ L e cortin e tra D i o
e g li A n g e l i ]
—■ [ =
S ca la
§ 49]
Era l’intentione di Macometto raccontare principalmente come havea veduto (p. 80) Iddio et quello che con Dio havea trattato. Però seguitando di narrare questa sua visione, disse come havea veduto certe cortine che separavano gli Angeli da Dio; et che erano moltè distintioni di esse, ciascuna delle quali era di settanta, et bel lissime et ricchissime. Indi arrivarono a settant’altre separationi pur di cortine, e tutte erano di perle; poi a settant’ altre ch’erano d’acqua; et ad altre settanta di neve; et ad altre tante di grandine, di nugoli, di tenebre, di fuoco, di luce, di gloria di Dio; di tutti i Cieli che può l’huomo pensare. Et fra tutte le divisioni d’esse cortine erano tanti Angeli che non è possibile esplicare il numero loro; et tutti senza mai posarsi lodavano continuamente Iddio. §35.
[M a o m e t t o r ic e v e d a l S ig n o r e la legge g iu n o ]
—■ [ =
S ca la
d ella p r e g h ie ra e d el d i
§ 51]
Et essendo in questo luogo lasciato da Gabriello, disse che non si perdè punto d’animo; ma seguitando il viaggio passò tutte quelle divisioni insino che venne a quella ch’era di' gloria di Dio. Et giunto lì sentì una voce che gli disse che s’accostasse; et di nuovo la se conda et la terza volta gli replicò il medesimo; et che Dio havea settanta milia veli dinanzi al viso; et che gli disse che egli era il più honorato nontio ch’egli havesse, et più essaltato che qualunque si sia altra sua creatura. Et disse che lo domandò come si portava il popolo suo; et che havendo risposto ch’egli era molto obediente, volse che l’ obligasse a digiunare sessanta giorni l’anno et cinquanta
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volte il giorno a fare oratione. Et come havendo udito questo, se ne ritornò all’angelo Gabriello. § 36.
[ I l T ro n o d i D io ]
— [=
S ca la
§ 52]
Doppo questo, narrò qualmente egli havea veduto la sedia d’ id dio; et descrivendola disse ch’ella era tanto grande che in essa erano i quattro elementi, il Paradiso et l’ Inferno, l’uno et l’altro secolo, il Cielo et la terra. Disse ch’ella havea quattro piedi, ciascuno de’ quali era settanta miUa volte più lungo che non è dal Cielo alla terra. § 36. [G l i
A n g e l i p o r ta to r i
d el
T rono]
— [=
S ca la
§ 53]
Disse parimente com’ella era portata su le spalle da quattro Angeli, et che ciascuno havea quattro faccie, secondo i quattro lati, cioè: destro, sinistro, quel dinanzi et quel di dietro. Et che l’una era d’huomo, l’altra d’aquila, quella di lione et questa di bue. § 37.
[ L e p r e g h ie re d eg li A n g e l i d el T r o n o ]
— [=
S ca la
§ 55]
Il primo faceva oratione per gli huomini, il secondo per gli uccelli, il terzo per gli animali salvatichi et il quarto per i domestichi. § 38.
[Il
S ig n o r e
c o n seg n a
a
M a o m etto
il
C ora n o]
— [=
S ca la
§§
123,124] In questo luogo narrò come havea veduto sette Paradisi; et raccontò cose tanto grandi et stupende ch’io giudico d’haverle a tralasciare. Detto questo, tornò a dire come havendo lasciato in quel luogo Gabriello, per la via medesima se ne ritornò di nuovo a Dio; e che gli diede l’Alcorano sì che lo prese delle proprie mani di Dio. § 39.
[ I l S ig n o r e d à a M a o m e tto il sa p e r e ]
— [=
S ca la
§ 125]
Disse medesimamente che Dio gli posò la mano in capo et ch’era tanto fredda che la freddezza sua gli penetrò insino al cuore. Et che Iddio gli diede ogni scienza di modo che venne a sapere tutte le cose: tanto quelle che insino a quel tempo erano state, quanto quelle che esser dovevano per l’avvenire. § 40.
[ I l S ig n o r e r id u c e il d ig iu n o e le p r e g h ie re ]
—■ [ =
S ca la
§ 127]
Raccontò (p. 81) parimente che pregò Iddio che abbreviasse il numero delle orationi del suo popolo et che per fargli piacere si
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contentò che di cinquanta volte la facessero cinque. Del digiuno disse che non hebbe ardire di favellare acciò non gli fosse a golosità attribuito. Et così prese da Dio licenza; e tornandosene insino al quinto Cielo raccontò a Mosè come havea ottenuto l’abbreviatione delle orationi; et per consiglio suo se ne ritornò tre altre volte a Dio. La prima ottenne che del digiuno si levassero dieci giorni; la seconda dieci altri; la terza altri dieci; et così da sessanta si ridussero a trenta. § 41. [R iio r n o d i M a o m e t t o alla M e c c a ] — [ = S ca la § 213]
Et ritenuto da vergogna, non ritornò altramente a Dio; ma ac compagnato da Gabriello se ne ritornò alla Scala; et così scendendo se ne vennero alla pietra dove era legato Alboracche; et cavalcando se ne tornò a casa sua in Mecca. § 42.
[L a
T a v o la
e la
P en n a]
— [=
S ca la
§ 52]
(p. 91) Sarò forzato a toccare qualcuna di quelle della visione di Macometto. D ic e d ’i d d i o che a c co rg en d o si che i se c re ti s u o i s i r is a p e v a n o et che q u est’ era p erch è i d e m o n i i a n d a v a n o in C ie lo a spiargli', m e s s e le g u a rd ie al P a r a d is o a ciò ■n o n v i p o te ss e r o p i ù en tr a re ; et d i p iù
creò
u n a lu c e n tis s im a
stella
di nu ovo
che g li s c o p r is s e
et p e r s e
Dice che Dio tiene una tavola innanzi et che contempla tutte le cose, cioè tanto quelle che possono essere et quelle che hanno a essere, quanto quelle che sono et quelle che sono state. Dice che con una penna tanto longa quanto sarebbe il viaggio (p. 92) di cin quecento anni; et di numero grandissimo di denti, s c r iv e tutte le g u ita s s e .
cose che s i fa n n o
§ 43.
et fa r a n n o in s i n o
[ I l bue B e h a m o t ]
— [=
S ca la
al g io r n o d e ll’u n iv e r s a l g iu d iz io .
§§ 153,154]
Dice finalmente che havendo Dio creato la Terra la fermò sopra il corno d’un bue, tal che scotendo il capo fa venire i tremoti. § 44.
[G li A n g e l i p o r ta to r i d el T r o n o d i D i o ]
— [—
S ca la
§ 53]
Degli Angeli dice che quattro portano sopra una gran sedia Iddio; c ia sc u n o d e ’ q u a li h a tan to g ra n c a p o ch e, se u n u ccello d u ra sse d i vo la re m ille a n n i se n z a fe r m a r s i m a i, d a ll’ u n o
orecch io a ll’ a ltro.
D ic e
c o n g ra n fa tic a
che c ia sc u n o
a rriv ereb be
ha otto o r d in i d i c o rn a
in ca p o m esco la ti i n s i e m e : il p r im o è m ezzo d i fu o c o et m ez z o d i n e v e ; il sec o n d o è m ezzo d i tu o n o et m ezzo d i sa etta ; il terzo è m ez z o d i terra et m ez z o d i a c q u a ; il qu a rto è m ez z o d i ven to et m ezzo d i p i o g g ia ; il
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quinto è mezzo di fuoco et mezzo di ferro; il sesto è mezzo d’oro et mezzo d’argento', il settimo è mezzo di lode et mezzo di gloria; l’ottavo è tutto di splendore risplendentissimo. Dice nella sua visione d’haver ve duto, ascendendo da un Cielo all’altro, Angeli tanti di numero, di grandezza tanto smisurati, di corpo tanto mostruosi, per la mol titudine de’ capi, delle faccie, degli occhi, delle corna, delle bocche, delle lingue et de i linguaggi, che di tante cose una sola che ne di cesse sarebbe tenuta da chiunque la sentisse favola stravagantis sima. Dice che dei due angeli che afferma esser dati a ciascun huomo, uno gli siede su la spalla destra, l’altro su la sinistra', et quello scrive i beni che opera', et questo i mali. § 45. [Storie dei Profeti] — [Non è nella Scala] D ’Adamo dice che Dio lo creò di fango, il fango di schiuma, la schiuma di tempesta, la tempesta di mare, il mare di tenebra, le te nebre di luce; la luce di verbo; il verbo di cogitatione', la cogitatione di iacinto et il iacinto di precetto. Di Mosè dice che desiderando di vedere Iddio et trovandosi nel monte Sinaì, Iddio comandò ad esso monte che s’innalzassi insino al Cielo. Dice che Adriello, cioè l’Angelo della Morte, andò a trovarlo vicino ad un sepolcro et con un bello inganno gli cavò l’anima per il naso et quivi segretamente lo sotterrò nel medesimo sepolcro. Di David dice che Dio gli diede gli uccelli et i monti che gli obe dissero et il ferro che al comandamento suo si mollificasse sì che meglio potesse formare arme, secondo ch’egli voleva. Di Salomone narra che Dio ordinò che gli obedissero le pioggie et i venti; che i demonij fossero suoi artefici et facessero vasi et altre cose, secondo che a lui piaceva. Dice che veggendo che la bubbola non s’era potuta nascondere, gli disse che s’ella non gli portava qualche nuova, l’havrebbe fatta morire; et che indi a poco ritornata, gli narrò molte cose della reina Saba. Dice come ragionando una volta con una mosca et dandole certi belli ammaestramenti, ella si rise di lui; et egli adiratosene la minacciò di troncarle (p. 93) il capo dal collo. Dice che quando morse, stava appoggiato a un bastone; et ninno seppe mai che fosse morto insino che un tarlo morse talmente quel bastone che si roppe nel mezzo; et cadendo in terra si conobbe ch’era morto. § 46. [Il Sole e la Luna] — [Non è nella Scala] Del Sole e della Luna dice che sono due Cavalieri erranti che giorno et notte se ne vanno a spasso per il Cielo; et racconta qualmente Ales-
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sandro andò insino al luogo dove il Sol si pone et vedde che ogni giorno si mette in una fontana calda. § 47. [La Cammella prodigiosa] — [Non è nella Scala] Finalmente degli animali dice che Macometto vedde una cam mella tanto grande che, stando in mezzo di due monti, beeva in un giorno tutta l’acqua d’un fiume che tra essi correva; ma a fine che gli huomini, che quivi stavano, non patissero, in cambio del l’acqua somministrava loro il proprio latte. Dice che parlò con un lupo; et havendogli predicato la legge sua, lo convertì di modo che si fece saracìno-, che una cammella si dolse con lui, quasi chiedendogli giustizia che Ί padrone le poneva pesi così grandi adosso che non gli poteva portare. § 48. [I privilegi concessi al Profeta] — [Riunisce passi vari della Scalai^ (p. 120) Le gran cose, che raccontando la sua visione, affermò essergli state dette da Gabriello, da’ Profeti, da Christo, da gli Angeli et da Dio. Voi sapete bene che egli affermò che Gabriello gli disse ch’egli era per esser più mondo da i peccati che qualunque altro Profeta che mai fosse stato o che mai fosse per essere al mondo. Et che egli era Re di tutti i Profeti et signore di tutte le genti. Affermò che Ί medesimo Gabriello disse all’Angelo della Morte che lo salutasse, atteso ch’egli era il miglior huomo che si trovasse. Affermò che quel medesimo Angelo, dopo che l’hebbe salutato, fra l’altre cose gli disse ch’egli era il più degno et il più honorato di tutti i nonzi di Dio et che a lui iuridicamente conveniva essere padrone et signore di tutti i popoli. Et aggiunse che Dio amava grandemente il po polo d’esso Maco[metto], Affermò parimente che nell’entrare nel primo Cielo, Gabriello disse ad un altro Ange’ o ch’esso Maco[metto] era il sigillo di tutti i Profeti et il signore di tutti i nonzi et legati di Iddio. (4) Affermò che le medesime salutationi gli furon fatte et det tegli simil parole, secondo che andava salendo in diversi Cieli da più Angeli; (5) et oltre a ciò il medesimo fecero Enoch, Elia et Aronne, (6) i quali disse d’haver trovato in diversi Cieli. Affermò finalmente (4) Scala, § 10 p. 47: «Tu es Rex prophetarum omnium et cunctarum gen tium dominus »; § 21 p. 57: « meliorem hominem seculi universi »; § 25 p. 61: « Pro phetarum sigillum omnium et cunctorum dominus nunciorum ». («) Scala, § 26; 29; 32; 38; 41; 45. («) Scala, § 33; 36.
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che Dio gli disse che egli era il più honorato di tutti i suoi nunzij; et più di tutte Γaltre creature per angeli, huomini o demonij che si fossero, esaltato. (7) § 49. [Il Tesoriere dell’Inferno e gli Angeli infernali] — [Scala § 24] (p. 254) Narrò Macometto nella sua visione che l’Angelo teso riere deH’ Inferno essendo da lui pregato a riferirgliene qualche cosa, gli disse che Dio havendo primieramente fatto l’inferno, v ’accese un grandissimo fuoco, il quale arse continovamente settanta milia anni di modo che diventò tutto rosso. Indi ve ne accese un altro et medesimamente durò d’abbruciare settanta milia anni; insino a tanto che l’ Inferno divenne tutto bianco. Appresso vi fece accen dere il terzo, il quale, senza finir mai, abbruciò pure settanta milia anni a tale che si fece più scuro, tenebroso et nero che qualunque si sia altra cosa nerissima. Et arde perpetuamente questo fuoco, imperò non produce mai punto di fiamma. Disse d’havere inteso dal medesimo Angelo che gli angeli dell’Inferno erano stati creati da Dio di fuoco, et di fuoco si notrivano et che, se punto ne uscis sero fuora, subitamente morirebbero, non altramente che i pesci fuora dell’acqua. Et quanto alle qualità loro, disse che Dio gli havea fatti sordi et muti et messo ne i cuori loro tanta crudeltà che non è possibile immaginarsela mai; et che altro non facevano giorno e notte che tormentare, quanto più crudelmente potevano, i pecca tori; et che a questo fine erano sordi et muti, per non sentire i la menti loro nè dar loro mai parola che buona sia. § 50. [Le f>ene dei dannati] — [Divergente della Scala] Quanto poi alle pene dei peccatori più in particolare conside rate, mi pare che dicesse da sei cose, cioè: 1. Che nell’ Inferno sarà una moltitudine grandissima d’huomini che havranno il cuore senza discretione, gli occhi senza visione, et gli orecchi senza udito. 2. Che i dannati quanto più arderanno et dureranno ad ardere, tanto più Iddio accrescerà l’incendio. 3. Che saranno totalmente consumati dal fuoco eterno, poi rinasceranno et di nuovo alternando eterna mente saranno consumati. 4. Che i demoni havranno grossi magli di ferro in mano co i quali crudelissimamente gli percoteranno. Et (7) Scala, ? 51 «Tu es apud me magis honoratus quam omnes alii nuncii et magis exaltatus edam quam omnes alie creature quas fecerim, sive sint Angeli sive homines aut dyaboli ».
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qui introduce Iddio che dice d’haver mandato gli angeli suoi, forti, duri et crudeli a fare cotale ufìtio. 5. Che v ’è un grande arboro che fiorisce et fruttifica in quel fuoco, i cui frutti hanno forma di capi di diavoli et che i miseri dannati con tormento infinito se ne cibano. 6. Che quivi son cert’huomini che stando a tavola hanno cibi pre tiosi et cibi fetidissimi innanzi, et son forzati a lasciare quelli et cibarsi di questi. Et cert’altri vi sono a’ quali fanno bere piombo liquefatto et pieni che ne sono, gli sparono et di nuovo andando sempre nel modo medesimo variando, tornano a fargliene bere. § 51. [La grandezza dei Paradisi e degli Angeli\ — [Scala § 75] (p. 261) Secondo che nella vision sua insegnò loro Macometto, tengono sette Paradisi; tuttavia io non ne ragionerò se non sotto il nome d’un solo, in quel modo che universalmente se ne favella etiandio tra di noi. Et di molte cose che se ne potrebbero dire io non parlerò se non di queste: cioè della grandezza, delle ricchezze, delle bellezze et delle delitie che dicono i Saraceni trovarsi in esso. Et quanto alla grandezza, dicono che gli è più grande che tutto il mondo et tutti i celesti globi insieme. Et l’inestimal grandezza di quelli Angeli che disse Macometto d’haversi veduto, ve ne può far fede. Et quanto alle ricchezze, vogliono ch’egli sia tutto lavorato d’oro et d’argento, ornato di perle et d’altre gemme pretiose; et che vi sieno molti grandissimi palazzi con sale, camere et altre stanze sontuosamente parate. § 52. [Le fontane ed i fiumi del Paradiso] — [ = Scala §§ 103,110] Quanto alle bellezze, tengono che vi sieno due fontane comuni, veramente mirabili, Tacque delle quali son via più bianche che la neve et più dolci che Ί miele. Un’altra ve n’è, dicono, che l’ha do nata Dio a Macometto non meno abbondante delle medesime acque che l’altre due. Et di larghezza et lunghezza è settanta milia gior nate. Et d’ogni intorno vi sono appiccate tante tazze quanto sono stelle nel fermamento. Et v ’è una mensa d’un pezzo di diamante lunga et larga pure settanta milia giornate, ricchissimamente ap parecchiata. Quanto alle delitie, dicono che v ’è un numero grandis simo d’alberi, e tutti son carichi di pretiosi frutti. Vi correno larghi fiumi di candido latte, di dolce mele et di pretiosi vini. Et fra gli altri alberi, uno ve n’è che è grande quanto tutto il Paradiso, i cui rami si appoggiano sopra le sue mura et le cui foglie sono d’argento
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et d’oro. E questo è quanto m’occorre ridurle a memoria d’intorno al Paradiso secondo l’opinione de’ Macomettani. § 53. [Il Convito dei Beati] — [ = Scala § 93] (p. 265) L ’opinione de’ Macomettani... consiste in questo: che dopo l’Universale Giuditio, essendo insieme congregati in Cielo tutti i Macomettani, Iddio comanderà all’angelo Gabriello che vada a un altro Angelo per le chiavi del Paradiso. Et andando per esse e chiedendole all’Angelo sopra detto, egli subitamente si metterà le mani in bocca et ne trarrà sette mila chiavi, ciascuna delle quali sarà lunga settanta milia leghe; di modo che Gabriello non potrà pure alzarle di terra, non che portarle via. Et Dio, vedendolo tor nare senza, gli dirà che ritorni per esse et invochi il nome suo et del suo servo Macometto et non tema, che senza fatica le potrà portare. Et così avendole portate, aprirà la porta del Paradiso, là dove entrati troveranno quella gran mensa di diamante, di cui poco fa le ragionava, riccamente apparecchiata. D ’intorno alla quale sarà un grandissimo numero di sedie d’argento et d’oro. Et tutti al comandamento di Dio si metteranno a tavola, ciascuno nella sedia sua. Et subitamente compariranno molti paggi, riccamente vestiti, con bicchieri et tazze et boccali in mano per dar bere a cia scuno. Et saranno messe loro innanzi pretiose vivande et frutti dilicatissimi. Imperò il primo cibo che sarà dato loro sarà il fegato del pesce albisbusi. Et quando havranno finito di mangiare et di bere con gran festa, incontanente verranno i paggi medesimi et por teranno anella, gioielli, catene, smanigli ricchissimi et bellissime veste, a ciascuno le sue, secondo che havrebbe saputo desiderare; et così s’addobberanno, vestiranno et orneranno superbamente. Et in questa guisa anderanno eternamente alternando. § 54. [Le donne dei beati e le beatitudini] — [ = Scala § 92] (p. 274) La comune openione de’ Saracini d’intorno a questo... è che quando saranno stati un lungo tempo a mensa, s’appresenteranno loro i sopradetti paggi et doneranno a ciascuno un bel maz zetto di vaghi et odoriferi fiori. Et, fiutandolo, subitamente ne verrà fuora una ornatissima et bellissima donzella d’età d’anni quindici, come essi saranno di trenta solamente, che sarà sua moglie. Et cia scuno dimorerà con la sua molti et molti anni. Et esse non invec chieranno mai; et se bene si staranno con loro, a ogni modo ritor-
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Nuove ricerche sul Libro della Scala
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neranno sempre vergini. Et dopo che saranno stati gran tempo in sieme con prendere tutti quei diletti che si possono stimare, Iddio gli chiamerà nel suo Paradiso; et levandosi dal viso tutti i veli, si mostrerà loro con infinita gloria. Ma essi, vinti da tanto splendore, cascheranno tutti in terra; et levatisi in piedi al comandamento suo, lo potranno con immenso diletto contemplare. Indi accompa gnati ciascuno dalla propria donzella, saranno mandati in altri Paradisi, dove havranno i propri palazzi; nè quali senza patire mai cosa veruna che possa apportare dispiacere mangiando, bevendo et sollazzando, eternamente goderanno. Et a ciò che possino più age volmente haver tutti quei contenti che vorranno, dicono che beveranno di certi fiumi dolcissime acque, dalle quali ne seguirà questo mirabile effetto che crescerà loro di maniera la vista che vedranno benissimo dall’uno all’altro polo. Et se verrà loro voglia d’andare in un luogo o in un altro, havranno i loro barachi, cioè splendori di sole, sopra de’ quali potranno cavalcare et cercare d’ogni intorno tutti i Paradisi per vedere tutte le cose che ha fatto Dio per darle a Macomettani. Et tutte queste cose con altre simili troviamo nel l’Alcorano et in altri nostri autori. § 55. [Il Giudizio Universale: La Resurrezione dei morti] — [Diver gente dalla Scala] (p. 237) Venuto che sarà il fin del secolo et che Dio vorrà che tutti i morti ritornino in vita, egli comanderà ad Adriello, che è l’Angelo della Morte, che occida ogni creatura viva, tanto gl’Angeli et i diavoli quanto gli huomini et gli altri animali, per terrestri, acquatici et aerei che si sieno. Et poi gli comanderà che vada fra l’Inferno e il Paradiso; et acciò che non rimanga veruna creatura con la vita, quivi dia morte a se medesimo. Andarà dunque il mi sero havendo prima fatto quanto da Dio gli era comandato; et giunto in quel luogo, si rivolgerà quanto più potrà strettamente nell’alie, et mettendo uno strido tanto horribile che tutti gli spirti celesti et terreni animali, se fossero vivi, farebbe morire, soffocherà se stesso. Dopo questo, dirà Iddio tenendo in pugno il cielo e la terra: Dove si trovano hora i Re, i Principi et i potenti di questo secolo? Di chi è il regno, l’imperio et la potenza delle cose? Et havendo le medesime parole tre volte replicato, risusciterà l’angelo Serapuele et daragli una tromba in mano, la cui grandezza sarà d’anni cin que (p. 237)cento di viaggio et gli comanderà che vada a sonarla in Ierusalemme. Et giunto quivi et sonandola, soffierà fuora tutte
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le anime, le quali si dispergeranno per il mondo, andando ciascuna al corpo suo dovunque si troverà; di modo che al primo suono si congregheranno tutte Tossa. Indi passati quarant’anni, sonerà la seconda volta et tutte Tossa si rivestiranno di carne. Et sarà questo suono tanto vehemente che spianerà tutti i monti della terra et tutti gli scogli del mare. Et in un tratto apparirà nel mondo una luce grandissima, della quale Iddio in un momento rifarà secondo la forma loro tutti gli Angeli. Indi verrà una pioggia molto lenta, che irrigherà tutta la terra. Et passati quaranta anni, sonerà la terza volta; et tutte l’anime s’uniranno a’ proprij corpi; et così cominciando si da Abello risusciteranno tutti; et stimeranno di non essere stati morti più d’un’hora. Imperò certi ve ne saranno che risplenderanno come Ί sole, altri come la luna, et cert’altri a guisa di stelle; et alcuni sa ranno tutti tenebrosi. Ve ne saranno medesimamente alcuni con faccie di diverse bestie; et alcuni altri havranno lingue molto hor ribili. Et insieme risusciteranno tutte le bestie. § 56. [I morti dalla frima tomba sino al Giudizio] — [Divergente dalla Scala] (p. 243) Noi habbiamo nella Zunna che a ogni huomo, quando è morto e sepolto, vengono invisibilmente due angeli neri alla fossa: l’uno con un gran maglio et l’altro con un buon rastrello in mano; et vogliono intendere qual sia stata la vita sua. Et essendo stata buona, vengono due altri angeli (p. 244) bianchi et insino al Giuditio gli faranno la guardia; et quei neri se ne fuggono via. Ma s’è stata cattiva, quello che tiene il maglio, gli dà un colpo tale che lo ficca sotto terra quant’è la grandezza sua ben due volte; et quello che ha il rastrello, incontanente lo tira fuora; et dura questa pena pure insino al giorno del Giuditio. § 57. [Il Giudizio Universale: L ’intercessione dei Profeti] — [Diver gente dalla Scala] Essendo risuscitati tutti i morti, s’accenderà un gran fuoco nelle parti orientali et farà fuggire tutte le creature in Ierusalemme. Et essendo quivi arrivate, si spegnerà. Et esse aspettando per qua ranta anni l’Universal Giuditio, noteranno continovamente, non senza incredibil fastidio, nel proprio sudore. Et verranno a tanta miseria che si raccomanderanno a tutti quelli da i quali stimaranno potere essere aiutati. Ricorreranno al comun padre di tutti, Adamo,
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et lo pregheranno instantemente che non voglia comportare che sieno in tante miserie; che si trovino tanto tempo così incerti tra la speranza e il timore, ma preghi Dio che una volta finisca quel c’ha da essere de’ fatti loro tra l’ Inferno et il Paradiso. Ma e’ rispon derà che, havendo egli per diabolica suggestione contraffatto al divin comandamento, non vuole entrare in simil cose. Sì che s’appresentino a Noè et a lui si raccomandino. Ma egli, essendo pregato che sia contento si soccorrergli, risponderà che fece l’ofitio suo quando gli salvò dal Diluvio et che ricorrino ad Abramo. Et egli ancora dopo l’essere instantemente pregato a dar loro aiuto, gl’invierà a Mosè con dire che essendo andato idolatra per (p. 246) il mondo, non può far loro cotai favore. Da Mosè parimente, dopo che impor tunamente se gli saranno raccomandati, havranno questa risposta: che dovrebbero ricordarsi che diede loro la legge, confermolla con evidenti miracoli et tuttavia gli furono incredoli et ribelli. Sì che se ne vadino a raccomandarsi a Christo figliuol di Maria. Et ha vendo ciò fatto et con gran caldezza pregatolo a muoversi a com passione della infelicità loro, non otterranno cosa che chiegghino; et la ragion sua sarà perchè gli habbino fatto più che non havea insegnato loro, havendoselo fatto Dio. Et così gli manderà a Macometto. Et giunti a lui primieramente si dorranno del peccato com messo per non havergli creduto; et come quello a cui Iddio ha dato ogni potestà et come unica loro speranza, lo pregheranno che voglia esaudirgli. Et così Macometto intercederà per loro.
§ 58. [Il Giudizio Universale: I peccatori ed i buoni] — [Divergente dalla Scala] Dicono medesimamente che nel giorno del Giuditio tutti i pec catori porteranno in spalla il peso de’ proprij peccati; et ciascuno havrà scritto il proprio nome in faccia. Et di vantaggio gli Angeli gli mostreranno a dito et manifesteranno l’opere loro, come pari mente manifesteranno quelle de’ buoni. Dicono inoltre che tutta quella inestimabil moltitudine si distinguerà in cento venti classi, ciascuna delle quali sarà lunga quanto camminerebbe un viandante in mill’anni; et larga quanto camminerebbe in cinquecento. Dicono appresso che Dio distinguerà in settanta squadre tutti i Re, gl’im peratori, i Principi e i tiranni del mondo. Et gli esaminerà in par ticolare di tutte l’opere che havranno fatto; nè vi sarà bisogno d’estrin seco testimonio, perciò che tutte le membra delle quali si saranno
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serviti in far peccati spontaneamente gli testificheranno. Et cia scuno per se stesso palesemente confesserà tutti gli scelerati pen sieri et perversi consentimenti che, etiam senza havergli messi in esecutione, havrà hauto. Et vi sarà l’Angelo Michele con le bilance della divina giustitia in mano, con le quali peserà l’anime, tanto de’ buoni quanto de’ cattivi; et così verrà a separare gl’ingiusti da i giusti.
§ 59. [Il Giudizio Universale: Le tre bandiere] ·— [Divergente dalla Scala] Dicono similmente che quivi saranno, a guisa di tre grandis simi capitani, Mosè, Christo et Macometto et ciascuno innalzerà la sua bandiera. Et così tutti quelli che havranno osservato l’an tica legge s’aduneranno alla bandiera di Mosè. Quelli che saranno vivuti secondo l’Evangelio, si ritireranno sotto alla bandiera di Christo. Et quelli che havranno fatto secondo che s’ordina nell’Al corano, saranno sotto alla bandiera di Macometto. Di modo che quelli che si troveranno sotto questi stendardi, cioè tutti quelli che si saranno dati al ben fare, si staranno sotto una dolce ombra. Dove tutti gli altri si troveranno, ciascuno secondo che ricerche ranno le proprie iniquità, a stare abbruciando a i focosi raggi del Sole insino che sarà finito il Giudizio, il quale dicono che sia per durare cinquecento anni. § 60. [Il Giudizio Universale·. I dannati eterni e temporanei] — [Diver gente dalla Scala] Dicono finalmente che, quando sarà finito, i tristi saranno con dotti tra due altissime montagne all’Inferno; e quivi troveranno un (p. 247) ponte di ferro, dalla prima parte del quale saranno pre cipitati nel fuoco eterno quelli che saranno totalmente cattivi. Ma quelli che non saranno tali, imperò havranno qualche peccato da purgare, dall’altra parte caderanno pure nel fuoco; et quivi sta ranno in purgatorio. Et ne saranno tratti fuora et condotti essi ancora in Paradiso, più presto o più tardi, secondo le qualità de’ peccati loro. Et queste cose per una gran parte si raccontano nel l’Alcorano et l’altra parte si cava da altri libri et autori da i Saracini approvati.
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§ 3. Il Libro della Scala nel testo del Pientini Quando si esamini storicamente il riassunto del Pientini in tutte le sue parti, si arriverà a queste conclusioni: La maggior parte del riassunto Pientini segue fedelmente, dall’inizio, il Libro della Scala. Egli, intanto, ne trascrive il titolo arabo a l-M i‘ràg con Halmerigh (nel francese il titolo era reso con Halmaereig, nel latino Halmahereig, nel castigliano el Miragi ed el Merigi). Così il racconto dell’arrivo dell’Angelo Gabriele alla Mecca ed il viaggio a Gerusalemme e di lì per i sette cieli sino al Trono di Dio ed alla divina consegna a Maometto del Corano e della scienza (teologica) è un riassunto, passo per passo, del Libro della Scala. Alcuni paragrafi del Libro della Scala sono omessi e lo ve dremo qui di seguito; ed al contrario sono intercalate nel riassunto alcune frasi che non derivano dal Libro della Scala, almeno secondo i manoscritti che ora ne abbiamo.
§ 4. Il Dialogo di zAbdallah b. Salarti nel testo del Pientini Una seconda fonte del Pientini, da lui usata piuttosto nella seconda parte della sua narrazione è il Dialogo (immaginario) tra Maometto e l’Ebreo ‘ Abdallah ( = Abdia) ibn Salàm, che fu tra dotto dall’arabo in latino da Ermanno Dalmata nel 1141 durante il famoso viaggio in Spagna di Pietro il Venerabile, abbate di Cluny. Questo Dialogo fu incluso nei codici della Collectio Toletana, che per secoli nel Medio Evo di Occidente ed oltre fu usata come il corpus dei libri sacri dei Musulmani tradotti in latino; ed il Dialogo anche fu così detto esplicitamente « a sectatoribus eius [Machometi] re ceptus inter authenticos libros »: ciò che era assai lontano dall’esatezza. Si può utilmente aggiungere che eguale credenza vigeva per il Libro della Scala, che fu copiato, almeno nel Codice Vaticano (Latino 4072) ed in quello di Parigi (Latino 6064), al seguito della Collectio Toletana, per quanto fosse stato tradotto dall’arabo più di un secolo dopo il viaggio di Pietro il Venerabile, di cui quella Collectio era il risultato. Derivano sicuramente dal Dialogo i seguenti brani del Pientini: 1. Il passo sulla custodia dei segreti del Paradiso. Così nel
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riassunto Pientini: « Dice d’iddio che accorgendosi che i secreti suoi si sapevano e che quest’era perchè i demonii andavano in Cielo a spiargli, messe le guardie al Paradiso acciò non vi potessero più entrare; et di più creò una lucentissima stella di nuovo che gli sco prisse et perseguitasse ». Nel Dialogo: « Stellarum quae et coelum ornant et quando diaboli ad insidiandum coelestibus consiliis subin trare parant, occurrentes fugant ». Questo episodio delle stelle cu stodi del cielo manca nel Libro della Scala. 2. Il passo sugli Angeli Custodi. Nel Pientini: « Dice che dei due Angeli che afferma esser dati a ciascun huomo, uno gli siede sulla spalla destra, l’altro su la sinistra; et quello scrive i beni che opera; et questo i mali ». E così nel Dialogo: « Singulos homines bini circumstant Angeli, alter a dextris, alter a sinistris. Dexter vero benefacta hominis scribit, sinister malefacta ». Nel Libro della Scala non se ne paria. 3. La Tavola e la Penna. Scrive il Pientini: « Dice che Dio tiene una tavola innanzi e che contempla tutte le cose, cioè tanto quelle che possono essere et quelle che hanno a essere, quanto quelle che sono et quelle che sono state. Dice che con una penna tanto longa quanto sarebbe il viaggio di cinquecento anni, et di numero grandissimo di denti scrive tutte le cose che si fanno et faranno insino al giorno dell’Universal Giudizio ». Nel Dialogo: « Tabulam quidem in qua scriptum est quicquid fuit, est et erit in coelo et in terra. Calamum vero de luce clarissima. Ait: Quem longitudo ca lami? Respondit: Longitudo quidem itineris quingentorum anno rum, latitudo vero octuaginta itineris annorum. Octuaginta dentes habet qui non cessabunt scribere quicquid sit in mundo usque ad diem Judicii ». II Libro della Scala (nel suo § 52, p. 82-84 della mia edizione) descrive la Tavola e la Penna con altra versione.4 4. Gli Angeli portatori del Trono di Dio. La loro descrizione nel riassunto del Pientini segue letteralmente quella del Dialogo. Nel Pientini: « Ciascuno dei quali Angeli ha tanto gran capo che se un uccello durasse di volare mille anni senza fermarsi mai, con gran fatica arriverebbe dall’uno orecchio all’altro ». Nel Dialogo: « Tanta quidem cervicis amplitudine ut si continue volaret avis, vix mille annis ab una aure perveniret ad alteram » e così egual mente per tutto il passo sino alla frase conclusiva: « il settimo è mézzo di lode e mezzo di gloria; l’ottavo è tutto di splendore ri-
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splendentissimo »; nel Dialogo: « Septima cuius dimidium laus, dimi dium gloria. Octava, de fulgidissimo splendore ». 5. Del paragrafo delle Storie dei Profeti la parte relativa a Mosè deriva direttamente dal Dialogo. Infatti, mettendo a fronte le due versioni abbiamo: Pientini
Dialogo
Di Mosè dice che desiderando di vedere Iddio et trovandosi nel monte Sinaì, Iddio comandò ad esso monte che s’innalzassi insino al Cielo Dice che Adriello, cioè l’Angelo della Morte, andò a trovarlo vicino ad un sepolcro et con un bello inganno gli cavò l’anima per il naso, et quivi se gretamente lo sotterrò nel me desimo sepolcro.
Monti Synai praecepit ut ele varet Moysen usque ad Coelum... Moyses vero cum solus per de sertum vagaret, forte sepulchrum vacuum et apertum invenit recte ad quantitatem suam effossum. Quod admirans incoepit propriam staturam metiri... Abiit Angelus formaque mutata attulit pomum de Paradiso, quod cum defaciendo porrigeret recepit Moyses. Cumque naribus apponeret arri puit eum Angelus per nares per quas tamquam emungens ani mam eius extorsit. Quo facto re mansit corpus eius in sepulchro nemini unquam reperto.
Anche questo particolare del sepolcro segreto di Mosè non è nel Libro della Scala. 6. Particolarmente nel racconto della preparazione del Giu dizio Universale e nella Resurrezione dei defunti per il Giudizio il Pientini segue il Dialogo e non più il Libro della Scala, che pure ne dà, in versione differente, un racconto particolareggiato. Così dall’inizio del brano, nel Pientini: « Egli [Dio] comanderà ad Adriello, che è l’Angelo della Morte, che occida ogni creatura viva, tanto gli Angeli et i diavoli quanto gli huomini et gli altri animali, per terrestri, acquatici et aerei che si siano ». E nel Dia logo: « Mandabit Deus Angelo Mortis ut omnem creaturam spiri tum habentem interimat, tam Angelos omnes et diabolos omnes quam homines, aves, pisces, belvas et pecora ». Egualmente per tutto il passo sino alla fine: Pientini: « et mettendo uno strido tanto
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horribile che tutti gli spirti celesti et terreni animali, se fossero vivi, farebbe morire, soffocherà sè stesso ». Nel Dialogo: « se ipsum suf focabit, cum tanto quidem mugito qui et coelestes spiritus et ter rena animalia, si viverent, terrore exanimaret ». E nella narrazione successiva, egualmente, dal principio alla fine. All’inizio: Pientini «Dopo questo, dirà Iddio tenendo in pugno il cielo e la terra: Dove si trovano hora i Re, i Principi et i potenti di questo secolo »? Dialogo: « Post hoc coelum et terram pugno continens dicet: Ubi nunc reges et principes et potentes saeculi »? Et alla fine: Pientini: « Et passati quaranta anni sonerà la terza volta et tutte le anime s’uniranno a’ propri corpi ». Dialogo: « Atque inde post quadraginta annos ubi tertio sonuerit omnes animae cor pora sua induent ». Tuttavia qui è stata introdotta nel passo del Pientini, dopo la menzione del secondo suono delle tube angeliche, una interpo lazione sulla terra spianata ed irrigata dalla pioggia, della quale faremo cenno in seguito. 7. L ’intercessione dei Profeti al Giudizio Universale. Il Pien tini inserisce il racconto dal Dialogo seguendolo punto per punto. All’inizio: Pientini: « s’accenderà un gran fuoco nelle parti orien tali et farà fuggire tutte le creature in Jerusalemme. Et essendo quivi arrivate, si spegnerà ». Dialogo: « Ignis ab Occidente accensus omnis creatura Hierosolymam agitabit. Quo cum omnes pervenerit cessabit ». E poi per la narrazione del ricorso delle anime dei giudicandi prima ad Adamo, poi successivamente ad Abramo, a Mosè, a Gesù (Pientini: « Et la ragion sua [di Gesù] sarà perchè gli habbino fatto più che non aveva insegnato loro, havendoselo fatto Dio » = Dialogo: « Vos autem aberrastis et me plus quam praedicaverim vobis, Deum vestrum fecisti »), sino all’intervento di Maometto invo cato dalle anime (Pientini: « Et come quello a cui Iddio ha dato ogni potestà et come unica loro speranza » = Dialogo: « Exaudi nos, Propheta, spes una superstes!... Exaudi nos potentia tibi a Deo collata »!8 8. Anche la leggenda del Sole e della Luna che sono, nel Pientini, « due Cavalieri erranti che giorno et notte se ne vanno a spasso per il Cielo » e del Sole che « ogni giorno si mette in una fontana calda » ricorda — per lo meno — l’analogo passo del Dia logo: « utrum ne fideles sint Sol et Luna an infideles. Respondit: Fideles quidem et obedientes omni mandato Dei ». E poi « Si solum
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subjungas ubi Sol? Respondit: In fonte calido ». Ma nel Dialogo manca, mentre è nel Pientini, il riferimento ad Alessandro Magno che scopre « la fontana calda » rifugio del Sole. 9. Così il passo su Adamo che nel Pientini è: « Di Adamo dice che Dio lo creò di fango; il fango di schiuma; la schiuma di tempesta; la tempesta di mare; il mare di tenebra; le tenebre di luce; la luce di verbo; il verbo di cogitatione; la cogitatione di ia cinto; et il iacinto di precetto » è trascrizione del passo del Dialogo: « Deus Adam (fecit) de limo; limus autem erat de spuma; spuma autem de procellis; procellae vero de mari; mare autem de tenebris; tenebrae vero de luce; lux de verbo; verbum de cogitatione; cogi tatio vero de iacinto; iacintus autem ex praecepto: Esto et fuit ».
§ 5. L ’Apologia di al-Kindi nel testo del Pientini Il Pientini ha anche tenuto presente un altro opuscolo della Collectio Toletana: la Apologia di al-Kindi: 1. Da\YApologia, infatti, egli ha tolto i due miracoli dei lupi: « Dicitur itaque ibi quod aliquando -audiens lupum ululantem dixerit (Machometus) sociis se ex voce eius, intelligere quod lupus ille inter alios maior et prin ceps omnium esset; sciscitansque ab eis utrum vellent lupo illi ali quid accidere quod transgredi non posset illisque se nolle responden tibus ait: Ego dimittite illum et cavete ab eo; et ipso innuente ei tribus digitis lupus fatigatus abscessit... De quodam alio lupo ibi refertur quod, cum allocutus fuisset Uehben filium Euz Elheslemi, statim factus sit sarracenus ». (8) I due racconti dei lupi erano già nel riassunto della Apologia che Vincent de Beauvais aveva inserito nel suo Speculum Histo riale (9), parte della Bibliotheca Mundi, enciclopedia del sapere me dievale redatta appunto nel secolo X I V da quel dotto Domenicano. 2. Così anche da\YApologia il Pientini ha tolto la notizia sul l’albero infernale az-Zaqqüm. Pientini: « un grande arboro che fio risce et fruttifica in quel fuoco, i cui frutti hanno forma di capi di diavoli che i miseri dannati con tormento infinito se ne cibano ». (8) A l - K i n d i , Apologia del Cristianismo ed. J. Munoz Sendino, Comillas (Santander) 1949, p. 408-409. (9) Speculum Historiale, Douai 1624, p. 915. Il riassunto dell’Apologià co mincia a p. 913.
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Apologia (10): « Arbor Azachum data est pro delectacione impiis: ipsa est enim que in profundo abyssi nascitur, cuius fructus quasi demoniorum capita; de quo manducantes ventrem suum imple bunt » (u ). § 6. Un passo dei Corano nel testo dei Pientini Il racconto del Pientini su Davide (« Di David dice che Dio gli diede gli uccelli ed i monti che gli obedissero et il ferro che al comandamento suo si mollificasse sì che meglio potesse formare arme secondo ch’egli voleva ») deriva chiaramente dal Corano. E pre cisamente dal passo coranico: X X X I V , 10: « Noi già demmo a Da vide privilegio da noi concesso e dicemmo: O montagne, ripetete con lui i suoi inni! e gli uccelli anche; e gli rendemmo molle il ferro, dicendogli: Fabbrica corazze ampie di maglie e le maglie acconcia mente misura! » Ma non mi riesce di trovare la fonte secondaria, attraverso la quale il Pientini ha potuto conoscere il testo del Corano, a meno che non si tratti appunto della traduzione del Corano inclusa nella Collectio Toletana. § Ι Ε tementi del racconto di Juan Andrés nel libro del Pientini Ma il Pientini non si è servito solamente del Libro della Scala e del Dialogo e della Apologia, fonti medievali a sua disposizione proba bilmente per un codice della Collectio Toletana completato come in quelli oggi alla Biblioteca Vaticana ed alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Egli ha anche inserito nel suo lungo riassunto del Libro della Scala alcuni passi tolti dall’opera del più recente Juan Andrés. Anzi vorrei dire che tali inserzioni sono state fatte in modo da lasciare ad dirittura pensare che il Pientini abbia avuto conoscenza del rac conto di Juan Andrés quando il riassunto della Scala era già larga mente abbozzato sì che egli si è limitato ad includere qua e là al cuni particolari che più lo avevano colpito nel leggere Juan Andrés. Ecco ora l’elenco di tali inserzioni: 1. Nel riassunto del § 4 del Libro della Scala il Pientini ag giunge la promessa ad al-Buràq di andare in Paradiso. Così Pien(10) A l - K i n d i ,
Apologia
c i t . p . 38 7.
(u ) C fr . C o r a n o , X X X I X ,
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tini: « Et havendogli promesso che sarebbe Ί primo degli animali che andasse in Paradiso; senza difficoltà veruna... ». Ed egualmente Juan Andrés: « Entonces dixo Mahoma: 0 Alborach, yo te prometo que tu seras el primero animal que en el Paradiso entrara. Luego consentio el Alborach ». Nel Libro della Scala questo episodio manca. 2. Nel primo cielo il Pientini aggiunge il particolare della ‘ legatura delle stelle ’ . Così: Pientini: « Et narrò come in questo luogo vedde le stelle; e tutte erano legate con catene d’oro ». Juan Andrés: « Y dize que veeron las estrellas que estaban colgadas del primero cielo con cadenas de oro ». 3. La leggenda di Alessandro Magno e del Sole è nel Pientini: « Alessandro andò sino al luogo dove il Sol si pone et vedde che ogni giorno si mette in una fonte calda ». Juan Andrés (1): « Si come la Historia del Re Alessandro, che si chiama in Arabico: Dulzarnaini, lib. 2 c. 12, ove dice che questo Re Alessandro arrivò insino al luogo dove si pone il Sole e dove escie e dice che lui vidde che Ί Sol si pone ogni di in una fontana calda; ». Il riferimento di Juan Andrés è al Corano (X V III, 83-84): « (Alessandro [Dû Ί -qarnayn] seguì tale via fino a che arrivò al luogo dove tramonta il Sole. Lo trovò che tramonta in una fon tana limacciosa ». 4. Pientini: « Di Salamone narra che Dio gli ordinò che gli obedissero le pioggie et i venti; che i demoni] fossero suoi artefici et facessero vasi et altre cose, secondo che a lui piaceva. Dice che veggendo che la bubbola non s’era potuta nascondere, gli disse che s’ella non gli portava qualche nuova, l’havrebbe fatta morire; et che indi a poco ritornata gli narrò molte cose della reina Saba. Dice come ragionando una volta con una mosca et dandole certi belli ammaestramenti, ella si rise di lui; et egli adiratosene la minacciò di troncarle il capo dal collo. Dice che quando morse, stava appog giato a un bastone; et niuno seppe mai che fosse morto insino che un tarlo morse talmente quel bastone che si roppe nel mezzo; et cadendo in terra si conobbe ch’era morto ». Juan Andrés: « Primeramente lo que dize libro tercero capi tulo noveno sobre una hystoria del rey Salomon: de la qual hystoria no faze mencion en toda la Biblia. La qual dize en aravigo asi: 0 guahosira U çuleymene iunuduhu minei ginni gualinçi guata yri fahum yuzagon. hatte ide ateu haleguad annenli calet nenletun ya ayuhe amenlu adholu mecequequum le yahtimennequum çuleymenu · gua innuduhu
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guahum le yishorun. fatebeceme dahiquen min caulihe (12). Que quiere dezir como el rey Salomon fizo ajustar sus huestes asi de hombres corno de demonios y de aves, y dize que andando Salomon con sus huestes fasta que llegaron al rio de las formigas. Entonces alço la boz una formiga y dixo a las otras formigas: O vosotras formigas, entrad en vuestras abitaciones y no vos destroyra Salomon y sus huestas y no sentiran cosa Dize que Salomon subrio se de su dicho desta formiga y dio gracias a Dios; por elio dize la glosa que Salo mon oyo la boz desta formiga de una légua. Dize y prosigue la ystoria en aravigo asi: Oafatafacada ataya y cale meli le ara alhudhude amquene minel gaybin: le ohadibennehu aule atulennehu au le yatiam bi çoltanin mobin etc. Que quiere dezir corno Salomon reconoscio las aves y fallo la upupa o la putput menos: la quai no estava en su lugar. Y dixo Salomon amenazando la dicha upupa y diziendo que si ella no le daria razon de donde era yda: que el la degollaria y la atormentaria (1S). Dize el aravigo y prosigue asi: Oa calet inni ohitu bi melen tohid bih y gituq. min cebe in bine bein mobin etc. (14). Que quiere dezir que la upupa respondio a Salomon: y dixo que ella era yda a la tierra de Saba. Donde fallò a la Reyna Saba se fiora y Reyna de Saba. A la qual upupa dixo Salomon come el queria veer si dezia verdad o falsia: Con la qual upupa embió Salo mon una carta a la Reyna Saba amenazando la que si ella no quisiesse venir obediente a el, si no el yria a destroyr su tierra. Y asi ella deliberò de venir despues que recibio la carta del Rey Salomon con la qual mesma upupa. Dize el testo del Alcoran proseguiendo la historia en aravigo asi: Oa cale ayuquum yatinibihar sihe cable anyatuni muzlimin: Cale hifritum minalginni ane atique bihi cable an tecume min mecamiq gua inni haleyhi la caginyun amin. Cale alledihin dehu hi lumen minel quitebia ne atique bihi cable an yartedde ileyque tarfoque etc. (1S). Quiere dezir que sabiendo Salomon (12) Cap. X C o r a n o , X X V II, 17-19: wa-husira li-Sulaymâna gunùduhu min al-ginni wa— l-insi ma' ttayri fctr-hum yüza'ûna. hattà idâ atü ‘alà wàdi annamli qâlat namlatun: yà ayyuhà an-mamlu masakinahum là yahtimannakum Sulaymânu wa-gunüduhu wa-hum là yaS 'urüna. for-tabassama dâhikan min qawlihà. (13) C o r a n o , X X V II, 20-21: wa^-tafaqqada at-tayra fa-qàla·. ma lì ma ara al-hudhuda am kàna min al-ga’ ibin. la a adhibannahu 'adhaban sadidan aw l-adhbahannahu aw lr-yatïnï bi-sultânin mübînin. ( 14) C o r a n o , X X V II, 22: far-qâla: ahattu bi-mâ lam tuhit bihi wa-gi’tuka min Sabâ bi-naba’in yaqïnin. (15) C o r a n o , X X V II, 38-40: qâla: ya ayyuhâ al-mala’u ayyukum ya’ Uni b i- ‘arsihâ qabla an ya’tüni muslimina. qâla 'ifrit min al— ginna: anâ âtïka bihi
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corno la reyna Saba venia por el camino acordó de fazer venir su palacio real antes que ella llegasse porque ella viesse la potestad de Salomon. Y asi el Rey Salomon mando llamar a dos demonios y dixo les qual dellos truxiesse mas presto su palacio real de la Reyna Saba antes que ella llegasse. Dize el testo que el uno de los dos de monios dixo a Salomon que el lo trayria antes que cerraria y abreria el ojo. Dize que dixo el otro que el trayria el dicho palacio antes que Salomon moviesse di su lugar. Y asi este demonio truxo el pa lacio en esse estante. De manera que la Reyna Sabba llegó a Salo mon y de que fallò su palacio real llegado antes della, se maravilló y dixo que el poderio de Salomon era muy grande... Dize que Salomon llevava consigo un estrado que tenia una légua de largo y de ancho todo hecho de oro y de piata: el qual es trado llevavan los demonios... y dize que las aves yvan en cima d’este estrado bien aconcertadas de tal manera, a saber es que llevavan las alas juntas unas con otras por fazer sombra a Salomon para que no pudiesse entrar el sol. Dize que quando la sobredicha upupa se partio a la tierra de Saba quedó su lugar vazio por el qual lugar entrò el sol: y dio a Salomon en la cara: por la qual cosa dize que se indignò Salomon y amenazó a la de la manera suso dicha: diziendo que le avia de atormentar y degollar etc. ...Asi mesmo dize y pone otra badomia: libro tercero capitulo quatorzeno del mesmo sobredicho Salomon. Las palabras en aravigo dizen asi: Oa famedellehum hale meutihi ille debbetu alardi te quulu minceteh. faleme harra cebeyeneti alginu aunehun leu quenu y ahlemun algaybe me lebiçu filhadebi almuhin (16). Que quiere dezir como la muer te de Salomon no fuera revelada a los demonios si no por causa del gusano que comio la vara del mesmo Salomon: por la quai causa cayô Salomon en el suelo y supieron los demonios lo que hasta alli no supieron. 5. Il passo sulla custodia dei segreti del Paradiso. In Juan Andrés: « lo que dize libro segundo capitulo noveno y libro tercero capitulo dieze noveno, y libro quarto capitulo del senorio. En los
qabla an taqümu min maqâmika wa-inni ‘alayhi la-qawiyun amlnun. qàla alladhi 'induhu ‘ilmun min al— kiiâb: anà atìka bihi qabla an yartaddìi ilayka tarfuha. (16) C o r a n o , X X X IY , 13: ( fa-lammà qadaynd) 'alayhi al-^mawta ma dallahum ‘alà mawtihi illâ dâbbatu al-ardi ta’ kulu minsa’ atahu far-lammq harra, tabayyanati al-ginnu an law kânû ya’lamüna al-gayba mâ labithû fi- l·- 'adhâbi almuhïni. Le parole tra parentesi sono state erroneamente omesse nella stampa di Valencia.
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quales capitulos dize que las estellas estan en el primero cielo colgadas. Las quales puso Dios por hermosura deste mundo y porque apedrassen los demonios -y que son las dichas estrellas guardas del cielo para que no entren los demonios en los cielos. Y por essa causa puso Dios las estrellas guardas del cielo: a saber es que luego que los demonios puyan al cielo covran las estrellas tras de los demonios con tizones de fuego. Esto lo dize capitulo dieze noveno libro tercero en aravigo: son estas mesmas palabres: O gualacad zeynne acenne eduma bizineti alqueguequib gushef dan miquin li saytamin ragib ille men aztoraca açamba fa atbahàhu sihebun çaquib (17). Quiere dezir que Dios puso las estrellas en el cielo para fermosura deste mundo y guardas de todo demonio maldito y aquel demonio que quiere escuchar el secreto coureran tras del una estrella con tizon de fuego o llama de fuego. Todo esto o casi dizen los très ca pitulos suso allegados. Dize la Çuna sobre esto que las estrellas estan en el primero cielo colgadas con cadenas de oro, que la mayor délias es tan grande corno una grande sierra. Y dize la Çuna que los demonios puyan al cielo y escuchan los secretos divinos y descenden a dezir los dichos secretos a muchos hombres que son fami liares de los diablos. Esto lo dize Mahoma en el libro de flores: y dize que las estrellas las quales estan en guarda de los cielos, luego que veen a los demonios, luego corren tras dellos con tizones de fuego de las quales fuyen los demonios y descenden en la tierra con los secretos que abran oydo y estos secretos revellan los demonios a los hombres adivinos ». Così lo stile di Juan Andrés, fastidioso di ripetizioni, si con trappone alla semplicità delle domande e risposte del Dialogo di Abdia; ed ancora Juan Andrés si appoggia sempre a citazioni del testo coranico nell’originale arabo, del quale dà poi la traduzione. Non mi pare dubbio che anche in questi casi di coincidenza dei fatti citati sia dal Dialogo che da Juan Andrés la fonte diretta del Pientini sia piuttosto il Dialogo, pur non ignorando Juan Andrés.
6. Analogamente altra volta la notizia che il Pientini toglie ( 17) C o r a n o , X X X V II, 6-10: innâ zayyannà as-samà’ a ad-dunyâ bi-zaynati alr-kawâkibi, wa^-hifzan min bulli saytânin mâridin. là yassamma 'una ilà Isnalà’i al-a'la wa-yuqdhafüna min bulli gànibin. duhùran wa-lahum ‘adhabun wàsibun, illà man hatifa aU-hatfata far-atba'ahu Sihabun thàqibun. I passi analoghi, cui allude Juan Andrés senza citarne il testo sono: C o r a n o , XV, 16-18; e LXV II, 5 (« Capi tulo del senorio » traduce il titolo dello sura « sürat al-mulki ».
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dall’altro opuscolo della Collectio Toletana: l’Apologià di Al-Kindi si ritrova pure in Juan Andrés, e sempre documentata col testo coranico, ma Juan Andrés aggiunge egli questa volta da altra fonte a lui nota un complemento di tradizione leggendaria. Così per l’al bero infernale az-Zaqqüm. Abbiamo visto sopra la menzione di az-Zaqqüm nel Pientini e la sua riconnessione, che pare evidente, con l’analogo breve brano del Dialogo (il Libro della Scala non dà il nome di az-Zaqqüm laddove parla degli alberi infernali) (18). Ecco invece il tipico svolgimento che Juan Andrés dà alla storia di azZaqqüm, passo che il Pientini, da parte sua, ignora: « Asi mesmo dize Alcoran libro tercero capitulo diez y nueve que Dios crió en el infìerno un arbol. El qual arbol, dize la glosa qu’es tan grande como todo el infìerno. Y la fruta deste arbol dize que es cabeças de demonios. El qual arbol se llama sayaratazacom, de la qual fruta dize comeran los infernales y beveran plomo dirretido: de la qual bevenda hinchiran los vientres. En aravigo dizen las palabras asi: Inne saj arata azacom talhohaqua ro oço sayatin (19). Del qual arbol burlavan los de Mequa y los tios de Mahoma y fazian copias; por laquai cosa o arbol advertieron se muchos moros y tornaron en sus sectas primeras. Y por essa causa esta llamado este sobredicho arbol en otro lugar en Alcoran el arbol maldito: libro segundo ca pitulo onzeno, que dize en aravigo: guassa j arate al malhonate filcoran gua nohaguifuhum fame yazi duhum ille toglanen quaçira (20). Que quiere dezir como Mahoma amenazava a los de Mequa con este arbol maldito. Dize la glosa que fue llamado maldito porque fue causa de perdicion de muchos moros que se advertieron y tor naron en sus mesmas sectas primeras ». Anche qui alla breve notizia del Pientini e del Dialogo sull’al bero infernale az-Zaqqüm si contrappone Juan Andrés con le sue consuete ripetizioni, ma anche con le corrette citazioni coraniche e con l’episodio leggendario, che egli ha tratto da commenti al Co rano («la glosa»), sugli zìi di Maometto ed i Meccani che burlano il Profeta con canzoni (« copias ») per la sua profezia sull’albero che ha per frutti le teste dei demoni. (18) Scala, p. 121. (19) C o r a n o , X X X V II, 63: (inna sagarata az-Zaqqümi) tal'uhâ ka -a ’nnahu ru'ûsu as-sayâtïni. (20) C o r a n o , X VII, 62: wa' ssagarata alenai ‘ünata fi’ l-Qur ‘ani wa-nuhawwifuhum fa-m â yazïduhum illâ tugyànan kabiran. Veramente la stampa di Juan Andrés ha quadra (e cioè qasiran ‘corto’), che sarebbe il contrario del kabiran ‘ grande’ del testo coranico ricevuto.
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§ 8. Conclusioni sul testo del Pientini Riassumeva il Pientini direttamente il Libro della Scala? Mi pare che la risposta debba essere affermativa. Il riassunto più svilup pato del Libro della Scala prima del Pientini è quello di Alfonso da Spina, come abbiamo visto sopra. Gli altri che citano il Libro della Scala non ne dànno che brevi cenni. Ora tra il Pientini ed Al fonso Spina si notano differenze sostanziali: a) Il Pientini non ha il passo sulla iconografìa dei Profeti che Maometto incontra nel Tempio di Gerusalemme e che invece Alfonso Spina inserisce togliendolo da Rodrigo Ximénez. b) Nè il Pientini ha il passo sui sessantamila Coreisciti che dubitano della veridicità di Maometto, passo che Alfonso Spina deriva da fonte diversa dal Libro della Scala. c) Al contrario il Pientini ha, come il Libro della Scala, la descrizione del convito dei Beati e quella delle donne del Paradiso; la narrazione delle pene dei dannati e del Giudizio Universale, tutti passi che non si trovano in Alfonso Spina. Ne consegue che il Pientini nella seconda metà del Cinquecento aveva a disposizione per il suo lavoro un testo del Libro della Scala, del quale si serviva; e non geguiva lo Spina bensì riassumeva direttamente la Scala. Concludendo possiamo dire che il lavoro del Pientini resta per noi un prezioso documento. Egli ripiglia alla fine del Cinquecento l’esame concreto della dottrina e delle tradizioni escatologiche del l’ Islam. Si ferma sulla documentazione medievale e cioè sulla Col lectio Toletana di Pietro il Venerabile, avendo a sua disposizione un manoscritto, nel quale tale Collectio era completata con la tra duzione del Libro della Scala fatta da Bonaventura da Siena. Per tanto egli usava un codice della stessa classe dell’Avignonese ora nella Biblioteca Vaticana (Latino 4072) e di quello copiato in Bret tagna da Hervé Keynhouarn nel secolo X IV ed ora alla Bibliothèque Nationale di Parigi (Latino 6064). Così il Pientini ci dà un riassunto fedele del Libro della Scala, tenendo anche presenti qua e là, in alcuni passaggi, altri due opu scoli della Collectio Toletana: l’Apologià di al-Kindi ed il Dialogo di Abdia. Ma a questi documenti medievali egli pure aggiunge — in
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minore misura — qualche brano desunto dalla più recente opera di Juan Andrés che, edita in Spagna nel primo Cinquecento e giunta in Italia nel 1537, offriva una possibilità di altri riferimenti alle tradizioni dell’ Islam, anche se di lettura meno facile sopra tutto per le sue ricche citazioni arabe nella lingua originale.
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C a p it o l o
X
Il Libro della Scala e la edizione della Collectio Toletana di Th. Bibliander
Il Bibliander (nome umanistico di Teodoro Buchmann), alla cui opera di editore a metà del Cinquecento dobbiamo la maggiore conoscenza della C o llectio T o le ta n a , ebbe a sua disposizione per quella edizione anche uno dei codici della C ollectio che avevano aggiunto in fine il L ib r o della S ca la . Infatti il Bibliander lo cita in una nota marginale, all’opuscolo, tradotto per conto di Pietro il Venerabile da Robert Ketten col titolo di ‘ Chronica mendosa et ridiculosa Saracenorum ’ (*). Dove la ‘ Chronica ’ accenna al viag gio di Maometto al Paradiso con l’Arcangelo Gabriele, il Bibliander nota al margine: « De hoc vanissimum commentum in libro Halmahereig. Summatim autem refertur a Richardo in Confutatione Alchorani » (2). Ora H a lm a h e r e ig è appunto il titolo del ‘ Libro della Scala ’ nella trascrizione dall’arabo che ne dà Bonaventura da Siena nel suo latino «liber qui arabice vocatur Halmahereig » (3). Ed è cu rioso veramente il fatto che due citazioni del ‘ Libro della Scala ’ in opere così diffuse, come nel Trecento il ' Dittamondo ’ di Fazio degli Uberti (4), e nel Cinquecento il repertorio del Bibliander, non siano state rilevate prima dagli studiosi. In ogni modo il Bibliander, che pure pubblicò gli altri opuscoli della C o llectio T o le ta n a , si astenne dall’ineludere nella sua edizione il ‘ vanissimo ’ L ib r o della S ca la , forse — si può pensare — perchè quella descrizione dell’oltretomba ledeva troppo le convinzioni sue
p) La traduzione di questo opuscolo (‘ Chronica mendosa ’) è attribuita nel titolo ad Ermanno Dalmata va invece ascritta all’inglese Robert Ketten, come ebbe a chiarire U. Monneret de Villard {Lo Studio dell’Islam in Europa nel X I I e nel X I I I secolo, Città del Vaticano 1944, p. 12 [Studi e Testi n° 110]). (*) T h . B i b l i a n d e r , Machumeti Saracenorum principis ejusque successorum vitae, doctrina ac ipse Alcoran, Basilea 1550, vol. I, p. 215. (3) Libro della Scala, p. 25. (4) Libro della Scala, p. 355.
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e del suo ambiente (5). E si limitò, come già accennava nella se conda parte della citata nota, ad inserire la C o n fu ta tio di Ricoldo da Montecroce che egli, del resto, pubblica in una ritraduzione la tina di Bartolomeo Piceno fatta sulla traduzione greca di Demetrio Cidonio, non avendo a disposizione l’originale latino di Ricoldo (6).
(5) Egli, come è ben noto, ritenne poi di scrivere una Apologia pro editione Alcorani (op. cit. vol. I, p. IV -X X I). Ed un’altra curiosità di questo testo è il passo nel quale il Bibliander mostra l’utilità del Corano vocalizzato per l’ap prendimento dell’arabo nelle scuole di Europa: « Nullus autem liber commodior est rudibus tyronis quam Alcoran, propter lectionem quam Alcoran habet quum vocales aliosque apices literis appositos habeat, qui aliis libris desunt et propter observationem gramatice » (ibidem, p. X I). (6) Per l’originale di Ricoldo da Montecroce v. ora Libro della Scala p. 346-354.
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Ca p it o l o X I
La Visione di Maometto nell'opera di Guillaume Postel
Guillaume Postel, originale ed irruenta figura deH’orientalismo francese del Cinquecento, nella sua vita scientifica e di azione si guadagnò più di un nemico. In una nota manoscritta nel volume della Biblioteca Vaticana, di cui ora diremo, egli è addirittura qua lificato: « cloaca Satanae », citandosi i passi di Lukas Osiander e del Palladius che ne espongono le aberrazioni (x) e di lui si dovette occupare anche ΓInquisizione. Professore di ebraico e di arabo al Collège Royal, di Parigi, sotto il patronato di Francesco I sino al 1543, si formò l’ideale, che oggi si direbbe irenico, di un avvici namento delle religioni monoteistiche e dei popoli dell’Oriente e dell’Occidente. Il suo trattato D e co n co rd ia m u n d i propugnava la riu nione della Cristianità e dei popoli dellOriente sotto l’alta autorità del Re di Francia; e questo non poteva non piacere a Francesco I che nel 1535 aveva stipulato col Sultano di Turchia il famoso trat tato istitutivo delle Capitolazioni. L ’esemplare stampato del D e c o n c o rd ia m u n d i nella copia della Biblioteca Vaticana è allegato all’edizione del Bibliander di Basilea del 1543. Guillaume Postel, nel suo resoconto delle credenze islamiche, dà anche un riassunto del viaggio del Profeta Maometto nell’Oltre tomba. Ne dò qui di seguito il testo: «Capite vel so r a 16 Alcorani quae vocatur B e n u I s r a i l , id est: Filiorum Israel ita scriptum est: S o b h a n ille d i a sr a i b ih eb d ih i le ila n m in e lm e sg e d i ilh a ra m i illa i m e s g e d i ela cza ; id est: Laus sit illi qui transtulit servum suum noctu a Templo Haram, id est Mechae, ad Templum Acza, id est sanctum Hierosolimitanum. In illum locum interpretes conveniunt, suffragatur Asear et Sunneh, quod
(') E cioè della Epitome Historiae Ecclesiasticae di L u k a s O s i a n d e r , edita a Tubingen nel 1607; e della Kurtze Beschreibreng der Kirchen Historij. Fünfte Centuria, edita a Francoforte nel 1597. Questo è utile anche per datare la nota manoscritta dell’esemplare Vaticano.
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intelligat de quodam magno et ingenti miraculo. Audite ergo nar rationem Apolline dignam. Nocte quadam cum hora circiter tertia antelucana altius dor miret, pulsu ingenti excitatus surrexit ab hospitio Hassae uxoris in Almedina, quae et Jesrab, et statim aperta ianua vidit Gabrielem in via publica cum alis albissimis et cum animali vocato Alborach albissimo, qui ait illi: Veni, Muhammedes, monstrabo tibi se creta coeli; conscende Alborach. Alborach vero formam asini ha bens dixit: Non patiar ut conscendat super me unquam. Dixit Ga briel: Permitte, est maxima creaturarum Muhammedes et faciet ut sis felicissimus animalium, quia primum ingrediere Paradisum. Assumptum defert in Jerusalem. In cuius itinere fuere duo feminae quae vocaverunt Muhammedem, quabus prohibuit Angelus ne resposum daret. Futurum enim, si primae respondisset, ut omnes Mus sulmani essent Judaei. Nam erat illa quae evulgaverat Judaeorum legem. Si secundae, ut essent Christiani. In Templo omnes Prophe tas habuit obvios, rogantes ut pro eis oraret; quod fecit in Michrab, id est Sancto Sanctorum. Demum exeundo de Templo, oblata est Scala a Templi porta ad summum usque coelum. Illa conscendunt, inde haec Propheta retulit. In primo coelo argenteo, a quo pendent stellae cathenis aureis, erat Adamus qui se precibus Muhammedi commendavit. Illic erant omnia animalium genera, cum Angelis pro animalibus terrenis orantibus. Illic erat gallus maior toto mundo, qui dum cantat, facit ut cantent terreni. In secundo aureo erat Noe. In tertio erat Abraham. Materia erat lapis preciosus. In quarto smaragdino erat Moses; demum Iachie, id est Johannes Baptista. Qui omnes orarunt Muhamed ut pro illis apud Deum intercederet. In septimo Christum reperit quem rogavit Muhamedes ut pro se oraret. Ita accessit ad Deum Muhamed ad jactum balistae, quod ait in quadam Sora quae dicitur Negium, id est Stellae; et se nil finxisse asserit, quum illum riderent omnes. Illic allocutus est Deum familiariter et obtinuit quaedam dona quae statim subjungam. Haec est summa rei et maiora capita. Nam si quot ineptiae illic sunt et Angeli quorum sunt 700.000.000 capita vellem tradere et similia sequi minutim, certe maximus liber inde naeniarum fieret. Et reperit plures qui illa crederent. Confirmavit vero visionem illam suis a Deo concessis privile giis quae subjungo. Primum, ut esset omnium hominum primus. Secundum ut esset omnium filiorum Adam honoratissimus. Tertium ut vocaretur generalis redemptor. Quartum ut omnes linguas sciret,
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quum vix unam nosset. Quintum ut omnia spolia belli vel praedae eius essent ». * * *
Questa narrazione di Guillaume Postel segue passo passo, pure in compendio, quel·1a di Juan Andrés. Elenco qui i punti caratteri stici che così la distinguono dal L ib r o della S ca la . la citazione del primo versetto della Sura X V II nel testo arabo (secondo la trascrizione di Juan Andrés) e traduzione: passo che manca nel ‘ Libro della Scala ’ . Qui però va osservato che men tre Juan Andrés, seguendo la partizione allora corrente nella Spagna Musulmana, dice che il versetto si trova nel lib ro se g u n d o , ca p itu lo o n z e n o ; il Postel invece lo pone, secondo la partizione comune, nella S o r a 1 6 qu a e vo ca tu r B a n u I s r a il. Egli perciò si è data la pena di riscontrare il passo nella traduzione del Corano della quale dispo neva e che egli del resto usa nel suo trattato; a)
la richiesta di al-Buraq di entrare nel Paradiso: questa anche non si trova nel ‘ Libro della Scala b)
c) le voci che cercano di distrarre Maometto dall'iniziare il viaggio. Le voci sono due in Juan Andrés e Postel; sono tre nel ‘ Libro della Scala ’ ; d ) nel primo cielo Guillaume Postel elenca gli Angeli in fi gura di animali ed il Gallo celeste, come fa Juan Andrés (e non già il ‘ Libro della Scala ’);
la materia della quale sono fatti i Cieli (1° di argento; 2° di oro; 3° di pietra preziosa; 4° di smeraldo) è la stessa nel Postel e Juan Andrés (contro il ‘ Libro della Scala ’); e)
/) gli incontri nei Cieli coincidono nel Postel ed in Juan Andrés (1° Cielo: Adamo; 2° Cielo: Noè; 3° Cielo: Abramo; 4° Cielo: Mosè; 5° Cielo: Giovanni Battista; 7° Cielo: Gesù), mentre il ' Libro della Scala’ ha un ordine diverso (1° Cielo: Gesù e S. Giovanni; 2° Cielo: Giuseppe; 3° Cielo: Enoc ed Elia; 4° Cielo: Aronne; 5° Cielo: Mosè; 6° Cielo: Abramo; 7° Cielo: Adamo); g ) il Signore nel racconto di Guillaume Postel, come in quello di Juan Andrés, dà a Maometto i ‘ cinque privilegi ’ : ciò che il ‘ Libro della Scala ’ non conosce; h)
nel Postel la citazione del passo del Corano, Sura della
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Stella, è tolta da Juan Andrés, a testimoniare della distanza di due tiri di balestra tra Maometto ed il trono di Dio. Però anche qui, mentre Juan Andrés cita il passo come tolto dal L ib r o qu a rto, c a p i tu lo de la s estrella s, il Postel lo dà come i n q u a d a m S o r a qu a e d ic itu r N e g i u m id est S tella e (che è poi la Süra 53).
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Capitolo X I I Antonio di Torquemada ed il Libro della Scala
Già ricordai altrove come Emilio Garcia Gómez, in un suo articolo, dotto insieme e brillante, ‘ Paseando por « El Jardin de Flores Curiosas » de Antonio de Torquemada ’ (x), aveva richiamato l’at tenzione degli studiosi su di una citazione del L ib r o della S ca la , che si trova in quell’opera, del secolo X V I. Antonio de Torquemada, scrittore curioso almeno quanto i fiori da lui raccolti nel J a r d in , era stato anche autore del romanzo cavalleresco D o n O liva n te de L a u r a , che il Barbiere doveva trovare nella libreria di Don Chisciotte e che il Curato aspramente condannò: ‘ El autor de ese libro — dijo el Cura — fué el mesmo que compuso a J a r d in de F l o r e s ; y en verdad que no sepa determinar cuâl de los dos libros es mas verdadero, o, por decir mejor, men os mentiroso ’ (2). E la condanna del Curato fu così definitiva che ancora tre secoli dopo il Menéndez Pelayo poneva l’opera di Antonio Torquemada nella lista dei libri che sono ancora ricordati ‘ sólo por la circunstancia de estar mencionados en el Quijote ’ (3). Ora, per quanto — fuori del romanzo cavalleresco — concerne il J a r d in de F lo r e s è possibile essere più clementi del sommo Cer vantes e riconoscere che il bizzarro autore riunì nel suo J a r d in sva riate notizie di cose e fatti straordinari e meravigliosi, nel gusto del suo tempo, ma non tutte tali notizie sono menzogne, come vor rebbe il giudizio del Curato (4). Una delle prove di ciò è appunto la citazione del L ib r o d ella S c a la , citazione che è autentica, come già ha detto E. Garcia Gómez. Ed ecco il passo di Antonio de Torquemada (5):(*) (*) A l - A n d a l u s , X X , 1955, p. 222-224. (a) Quijote, I, 6. (3) Origenes de la novela, Santander 1943 (Edición Nacional), vol. I, p. 437. (4) Cfr. anche quanto ho detto per le citazioni da Avicenna e S. Agostino nel Jardén de Flores (citazioni forse note al Tasso per un episodio della Gerusa lemme Liberata) nel Discorso Commemorativo per Fausto Nicolini, Roma, Accade mia Lincei 1968, p. 4-8. (5) Cito qui il testo, secondo l’edizione di Medina del Campo, 1549 (por Christova Lasso Vaca; acosta de Juan Boyer, mercader de libros), f. 9&V-99r.
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« y éstas son lo que Mahoma confiessa en el Alcorân y tambien en la Zuna y en otro libro que llamó: Escalera del Cielo de Ma homa, lleno de muchps y muy grandes desatinos, donde dize que, subiendo con el Archangel Sant Gabriel que le guiaba para ponerle ante Dios, vió estar en el septimo cielo dos hombres ancianos, de muy grande authoridad y magestad; y que, preguntando al Archan gel, quién eran aquéllos, le respondió, que dos hombres muy justos y grandes siervos del Senor, el uno Sant Juan que llamavan Baptista, y el otro Iesu Christo, el qual no havia sido engendrado por hombre ninguno, sino por sólo el resollo de Dios, y que le avia parido Maria, quedando Virgen después que lo pariera; y en otra parte: Christo, el Mexiâs, palabra de Dios y Spiritu Sancto de Dios ». Ma qui conviene ancora, per la nostra ricerca, insistere sul fatto che per questo passo del J a r d in de la s F lo r e s il Libro della Scala ebbe una nuova citazione da noi in pieno Cinquecento. Voglio alludere alla traduzione italiana del J a r d in che fu fatta da Celio Malaspini. Al tipo stravagante dello Spagnolo Torquemada veniva così a succedere il tipo stravagante dell’avventuriero veneziano, nel quale la ricchezza di ingegno non corrispondeva con una ric chezza di scrupoli. La traduzione del J a r d in , che Celio Malaspini compiè dopo il suo ritorno a Venezia nel 1580, fu stampata nel 1590 in Venezia (alla Libraria della Fortezza, presso Altobello Salicato) e poi ancora nel 1597 ancora in Venezia. (p. 91) « Et queste sono quelle che Mahometto confessa nel l’Alcorano, et altresì nella Zuna, et nell’altro libro che chiamò: Scala del cielo, di Mahometto, pieno di molti et molti grandi sconcerti; dove dice che, alzandosi con l’Angelo Gabrielle che lo conduceva per metterlo avanti a Iddio, vidde essere nel settimo cielo due huomini antiani di molto grande auttorità et maestà. Et che doman dando all’Angelo chi erano quelli, gli rispose ch’erano due huomini molto giusti et servi del Signore: l’ uno San Giovanni Battista et l’altro Giesù Christo, il quale non era stato generato per huomo niuno se non per il fiato solo di Dio et ch’aveva partorito Maria, restando vergine doppo che Ί partorì; et nell’altra parte: Christo il Messia parola di Dio et Spirito (f. T iv ) Santo di Dio ».(6) Ora, mentre la seconda frase di questa citazione corrisponde infatti col testo del L ib r o della S c a la : « Hic enim Jhesus spiritus
(e) Seguo qui l’edizione veneziana del 1590 su citata.
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Dei est et ipsius eciam genitus verbo fuit » (7) (nel riassunto castigliano: «Este es Eyça fijo de Mariem que es spiritu de Dios e su fabla ») (8), 1’incontro di Maometto con Gesù e S. Giovanni Battista avviene, secondo il L ib r o della S ca la , nel primo cielo e non nel set timo. E, del resto, nella sola altra fonte che parla di tale incontro, e cioè la H is t o r ia A r a b u m di Rodrigo Ximénez de Rada (e la C r ò n ic a G en era l de E s p a n a ) (9), esso si svolge nel secondo cielo — e qui, si noti, mancano comunque quelle qualifiche coraniche di Gesù che il L ib r o della S ca la ed il J a r d in hanno invece in comune. Che se ne può dedurre? Forse Antonio de Torquemada ha citato il L ib r o della S ca la a memoria oppure, per ovvi motivi di reverenza ha spo stato l’incontro con Gesù dal primo cielo al più alto cielo del Pa radiso: il settimo? Comunque resta così accertato ancora una volta che nella se conda metà del Cinquecento in Spagna, e quindi in Italia, veniva ancora citato il L ib r o della S ca la come fonte di conoscenza dell’Islam. (’ ) Libro della Scala, p. 62. (8) Libro della Scala, p. 274. (9) Libro della Scala, p. 338-339.
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La Visione di Maometto nei due racconti di Bernardo Perez
1. L ’Anti-AlCorano di Bernardo Perez. 2. La Visione di Maometto, nell’AntiAlCorano: primo riassunto. 3. La Visione di Maometto nell’Anti-AlCorano: secondo riassunto. 4. Fonti del racconto della Visione di Maometto nell ’Anti-AlCorano. 5. Il Paradiso musulmano nell’Anti-AlCorano. 6. La cosmo grafia nell’Anti-AlCorano e le fonti di Bernardo Perez.
§
L ’ A n ti-A lc o r a n o
1.
di B ern ardo P erez
Bernardo Perez de Chinchon, nato a Gandia e canonico della chiesa di Gandia, si occupò anzi tutto di narrare gli avvenimenti in Italia del suo tempo, particolarmente esaltando l’azione di Carlo V, nella sua H is t o r ia d e la s c o sa s q u e h a n p a s s a d o e n I ta lia d esd e el a n o 1 5 2 1 de N o s t r a R e d e m p c i o n h a sta el a n o 1 5 3 0 . Il libro fu stampato a Valencia nel 1536. Ma egli aveva contemporaneamente preparato il suo A n t i - A l c o r a n (x), che aveva lo scopo di dare informazioni si cure e guida certa ai dignitari della Chiesa spagnola « y a qualesquier personas ecclesiasticas que tengan administracion de los nueVamente convertidos de Moros a la fe Christiana en el regno de Va lencia, Aragon y Granada ». Bernardo Perez, che invoca la carità in tali contatti con i Mori e vuole che le discussioni con essi par tano da una conoscenza effettiva delle credenze musulmane, asse risce di aver tenuto presente per la sua opera non solo i lavori già compilati da altri in passato, ma anche i risultati delle sue conver sazioni « con alfaquies y personas doctas en su ley, quales fueron Moscayre alcadi de Gandia y Mangay y el alfaqui Zumilla ». U A n t i A l c o r a n è dedicato a Guillen Desprats, abbate di San Marcello ed (') Libro llamado Anti-alcorano: que quiere dezir contra el Alcoran de Mahoma, repartido en X X V I sermones: compuestos por el Reverendo maestro B e r n a r d o P e r e z d e C h i n c h o n , canonigo de Gandia: obra muy util y provechosa para instruccion de los nuevamente convertidos y para consolacion de todo fiel christiano. Ex plicit: Fue impressa la presente obra en la insigne ciudad de Valencia a X X de Febrero de M D X X X I I .
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Inquisitore Ordinario nell’arcivescovado di Valencia. Tuttavìa nel 1612 l’ Inquisizione Generale di Spagna sconsigliò la traduzione delΓ A n t i -A l C o r a n o in lingue straniere (2). Bernardo Perez nella sua opera dà due riassunti, analoghi ma non eguali, della Visione di Maometto. Ne diamo qui di seguito il testo. § 2. La
V i s i o n e d i M a o m e t t o n e l l ’ A n t i - A l c o r a n o : p r im o r ia s s u n to
(f. 39r) Item la ley dize que creays la vision de Mahoma, que fue llevado por el Angel Gabriel desde Media a Hierusalem en un animal que se llama Alborach; y que este Alborach no dexava ca valcar a Mahoma hasta que le prometio que el seria e) primer ani mai que entrasse en Parayso; y que assi le dexó cavalgar; y fueron a Hierusalem. Y alii hallaron a todos los prophetas y a Moysen. Y que hizo alii oracion. Y que subio por una escala que llegava al cielo; y que por alii subieron hasta que llegaron al primer cielo. El qual dize Mahoma que era de piata fina. Y que luego un viejo que era Adam les abrio, y que abraçô a Mahoma y dio gracias a Dios porque le havia dato tal hijo. Y passando adelante vieron Angeles de figura de cavallos y de bueyes y de aves y de hombres y de gallos. Y un gallo que tenia la cabeça en el segundo cielo y los pies en el primero; y que cantando este, cantavan todos los otros gallos del cielo y de la tierra. Item que subieron al segundo cielo y que les abrio Nohe. Y que alli havia un Angel que tenia los pies en el segundo cielo y la ca beça en el tercero y el un braço en Oriente y el otro en Poniente. Y que este cielo era de oro. Y que el tercero cielo era de una piedra preciosa. Y que alli estava Abraham muy viejo. Y que havia un Angel (f. 3 9 v ) que tenia del un ojo al otro setenta mil jornadas. Y que este Angel se llamava M e l e c h e lm e u ti (3), que quiere dezir: Angel de la muerte. Y que escrevia en un libro que se llama a lla u h e a lm a fo d , que quiere dezir: la Tabla reservada. Y assi subio al quarto cielo donde estava Joseph hijo de Jacob; y al quinto donde estava
(a) V ì c e n t e X i m e n o , Escritores del Regno de Valencia desde el ano 1238 de la Christiana Conquista de la mìsma Ciudad hasta el 1747, Valencia 1747, tomo I, p. 84. (*) Stampa: «elmenti» per errore tipografico.
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Moysen; y al sexto donde estava Sanct Juan Baptista; y al septimo donde estava Jesu Christo. Y que este cielo era de la luz de Dios; y que Jesu Christo se encomendó a Mahoma. Aqui dize que havia un Angel que tenia mil cabeças y en cada cabeça setecientas mil lenguas, y en cada lengua setecientas mil bozes, con que alabava a Dios. Y que aqui se quedô aquel Angel que no pudo passar adelante. Y que Mahoma passò por unas alturas y aguas y nieves y que se cansô; y que oyó una boz que le dixo: o Mahoma, acercate, y saluda a tu Criador. Y que se acercô y vio que tenia Dios delante del rostro setenta mil vélos de la luz de Dios. Y que se acercô dos tiros de vailesta; y que era tanta la luz que no podia ver la cara de Dios. Y que Dios le puso la mano en el hombro; y que no podia sufrir Mahoma el frio de la mano de Dios. Y que alli le dio Dios a Mahoma grandes privilegios: El primero que fuesse la mas escogida persona de Dios: h a y r u h alqilleh. El segundo que en el dia del juyzio el fuesse el mas honrado de los hijos de Adam. El tercero que el sea redemptor general, que se dize: s a fe h m o s a ff a h ; y assi se llamava Mahoma por otro nombre: a lm eh i, que quiere dezir: quitador de los peccados. El quarto que supiesse todos los lenguages dei mundo, (f. 40r) El quinto que a el fuessen licitos los despojos de las guerras, que dize: oh illet U a lg a n e y m y le m tu h il l i a h a d im m i n ca bli.
Y assi dize la dicha vision que Mahoma se abaxo; y que tornò a tornar el Angel, y que fueron al Parayso y al Infierno (corno abaxo se dira) y que se tornò a Mecha.
§ 3. La
V i s i o n e d i M a o m e t t o n e ll’ A n t i - A lcora n o·, sec o n d o r ia ss u n to
(f. 102r) Desta manera tuvo lugar de les hazer creer lo que agora oyreys de la subida de Mahoma al Cielo: de la qual yo cogere lo mas principal, porque no la quiero contar toda. Lo que os digo es que en el Alcoran libro segundo, capitulo onzeno dize assi... que quiere dezir: Loado sea aquel que hizo traspassar a su siervo Ma homa del Templo de Mecha hasta el Templo bendito de Hierusalem. Item el libro llamado A c e a r cuenta esta subida de Mahoma que fue desta manera: Estando Mahoma con sus onze mugeres vino el Angel Gabriel con setenta pares de alas y truxo Alborach, animal muy blanco y con alas; y llamó a Mahoma y dixole que viniesse
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que queria Dios mostrarle grandes maravillas; y que Mahoma quiso cavalgar en el Alborach y que no consentio hasta que Mahoma le prometio de le meter en Parayso; y assi fueron hasta el Templo de Hie rusalem donde Mahoma se apeô; y entraron el y el Angel. Y dize que alii hallaron a todos los prophetas y mensageros que havian venido al mundo; y que todos le rogaron que hiziesse çala por todos ellos y se encomendaron a el y se fueron. Y Mahoma y el Angel subieron por una escalera que llegava al Cielo. Y que el primer cielo era de piata; y que las estrellas estavan colgadas del primer cielo con muy grandes cadenas de oro. Y que entraron dentro y halla ron ay a Adam muy viejo; y que Adam abraçô a Mahoma y se encomendô mucho a el (f. \Q2v) y dio gracias a Dios que le havia dado tal hijo. Y dize que vieron alli Angeles de figura de cavallos y bueyes y asnos y de cabras y de gallos. Y que havia un gallo que llegava con la cabeça el segundo cielo y que cantando aquel, cantavan todos. Y que de ay subieron al segundo cielo, donde dize que hallaron el nombre de Mahoma escripto cabo el de Dios. Y alli hallaron a Noe. Y hallaron un Angel que tocava con la cabeça en el tercero cielo y con la una mano en Oriente y con la otra en Poniente. Y que de ay subieron al te[r]çero cielo; y que todo era de una piedra preciosa. Adonde hallaron a Abraham y a un Angel que tenia del un ojo al otro setenta mil jornadas. Y que escrevia y borrava en un libro; y que era el Angel de la muerte. Y que de aqui subieron al quarto cielo donde estava Joseph hijo de Jacob; y un Angel que siempre llorava los peccados de los hombres. Y que subieron al quinto cielo donde hallaron a Moysen; y al sexto donde hallaron a Sant Juan Baptista; y al seteno donde estava Jesu Christ; el quai dize que se encomendo a Mahoma. Aqui dize que havia un Angel con setentamil cabeças, y en cada cabeça setentamil lenguas y en cada lengua setentamil bozes para alabar a Dios. Y que aqui se quedô el Angel por que no merescio subir mas. Y dize que Mahoma subio por unas alturas y nieves y aguas, tanto que se cansô y que entonces oyó una voz que le dixo assi: ...que quiere dezir: o Mahoma, allegate aca, acer cate y saluda a tu Criador. Y dize que se allegò y que tenia Dios delante de su gloriosa cara setenta mil vélos. Y dize el resto del Alcoran, libro quarto, capitulo de las estrellas que se acercó Ma homa quanto dos tiros de vailesta y que (f. 103r) Dios le puso la mano en el hombro; y que estava la mano de Dios tan fria que no la podia sufrir. Y que alli le dio Dios grandes gracias. La primera que fuesse
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la mas escogida criatura que Dios crió en el cielo y en la tierra. La segunda que fuesse el mas honrado de todos los hijos de Adam. La tercera que fuesse redemptor general, que en aravigo se llama: sa ffe h m o s a ffe h ; y por esto Hainan a Mahoma por otro nombre A l m e h i , que quiere dezir: quitador de los peccados. La quarta que supiesse todos los lenguages. La quinta que pudiesse despojar y robar en las guerras y batallas. Lo mas de todo esto esta en el quarto libro del Alcoran, capitulo de las estrellas, y en el libro llamado Açear. Y dize que tornò a baxar Mahoma y tornò a tornar el Angel y que fueron al Parayso y a los Infiernos de lo quai abaxo diremos ».
§ 4. F o n t i d el ra ccon to della V i s i o n e d i M a o m e t t o , n e l l ’ A n t i - A l c o r a n o
Questi due riassunti della Visione di Maometto dipendono evi dentemente da Juan Andrés, che anzi seguono passo per passo (4). Vi sono, è vero, alcune circostanze particolari che si trovano sol tanto ne1 secondo riassunto di Bernardo Perez e non già nei primo, come: la descrizione dell’Angelo Gabriele con le sue settantamila ali bianche; quella delle stelle legate al primo cielo con catene di oro; l’iscrizione del nome di Dio e di quello di Maometto nel se condo cielo; la richiesta dei Profeti a Maometto « que hiziesse gala por todos ellos » nel Tempio di Gerusalemme; mentre viceversa mancano nel secondo riassunto alcuni passi che sono nel primo: la promessa che al-Buràq sarà il primo animale ad entrare in Pa radiso (nel secondo riassunto Maometto brevemente « prometio de le meter en Parayso»); la menzione della Tavola ben custodita che l ’Angelo della Morte tiene nel terzo cielo; e nella enunciazione dei privilegi di Maometto il primo riassunto ha conservato in maggior numero che il secondo le parole arabe contenute nel testo di Juan Andrés.(5) Due soli accenni si trovano nei riassunti di Bernardo Perez (4) D ’altronde Bernardo Perez (op. cit. f. 99r) cita esplicitamente « la vida de vuestro Mahoma sacada de un alfaqui de Xativa que la escrivio ». (5) Bernardo Perez poi toma ad alludere alla leggenda della Scala quando dice (op. cit. f. 85/): « Hermanos y senores mios, los que levantan el entendimiento a las cosas divinas, y quieren saber algo de Dios, hazen una escala que agora os diré y por ella suben hasta el cielo, no en cavallo o asno con alas, como dize Ma homa que subió, sino en virtud de razon y verdad ».
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E .
C e r u lli
e non sono in Juan Andrés: nel primo riassunto la menzione espressa di Mosè tra i Profeti che a Gerusalemme accolgono Maometto; e nel secondo riassunto la spiegazione che l’Angelo Gabriele lascia solo Maometto, quando il Profeta procede verso il Trono di Dio, perchè egli Gabriele ‘ non merita di salire più avanti ’ del settimo cielo. Tuttavia queste lievi divergenze possono facilmente essere spie gate con una differente scelta dei particolari da includere o da eli minare nell’uno e nell’altro riassunto; e, nel caso della menzione di Mosè e della spiegazione della partenza di Gabriele, come varianti di redazione dei riassunti dello stesso testo.
§ 5. I l P a r a d is o m u s u lm a n o n e ll’ A n t i - A l c o r a n o
Bernardo Perez successivamente dà notizia del Paradiso, quale appare descritto nella Visione di Maometto: (f. 138r) « Y o te digo, [Moro], que no sé como cabe en tu juyzio creer aquello que Mahoma dize de los Paraysos: que ay fuentes y tan grandes; y que tiene Dios para Mahoma una que se llama alCauçar de mas de setentamil jornadas en largo; y que ay pages y virgines que luzen mas que el sol. Y que Dios combidarâ a Mahoma y a los otros moros al combite que llamays h adrate a l -c o d u z en el Parayso que llamays g en etu a l -c u d u z , que quiere dezir Parayso del Sancto. Y que entonces sacara Dios dei Infierno a los moros; y que saldran negros; y que Mahoma los ..avara en su fuente a l-C a u ç a r y que se tornaran blancos como a nieve; y que los llevara a1 Pa rayso a l-c o d u z , que dize que tiene setecientas mil jornadas. Y que alli ay sillas de oro y de piata y una mesa de una piedra diamante que tiene de largo setecientas mil jornadas. Y que alli de unos ponciles saliran virgenes ». E subito dopo il tema della cosmografia, tanto diffusamente già trattato nel Libro della Scala. Ed in una seconda versione: (f. 40r) « Item mas: la ley bos pro mete Parayso desta manera: que comereys y bevereys y que estareys con virgines muy hermosas; y que bos vestireys muy ricas vestiduras de oro y perlas. Y que alli havra arroyos de leche y de miel. Y que havra fuentes y jardines y todos los deleytes del cuerpo. Y que estaran los moros abraçados con las virgines de una vez por espacio de cinquenta anos. Y que havra combites; que Dios combi-
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N uove
r ic e r c h e
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d e lla
S c a la
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tara a Mahoma y a todos los moros en una fuente suya que se llama al-Cauçar; laquai fuente es propria para Mahoma que se la dio Dios, segun que dize al Alcoran en el libro quarto; y dizen los glosadores y Mahoma que esta fuente tiene de ancho y de largo setentamil jornadas. Y que la agua desta fuente es mas bianca que la nieve y mas· dulce que la miel y que ay en ella copas y taças para bever mas que estrellas ay en el cielo. Todas estas cosas sobredichas que haveis oydo, hermanos mios, son sacadas del Alcoran y de los seys libros de la Çuna y del ' Libro de las Flores ’ que llamays vosotros... y esto es lo mas principal que toca a la ley de los moros, porque otras cosas muchas dize Ma homa en el Alcoran y en la Çuna y dizen todos los sabios alfaquis de los moros, que algunas délias son verdaderas y buenas y conciertan con los (f. 40ü) Christianos y otras son màlas y falsas y mentirosas ». §
La
6.
C o sm o g r a fia n e ll’ A n t i - A lc o r a n o e le fo n ti d i B e r n a r d o P e r e z
Poi subito dopo Bernardo Perez dice della cosmografia, già così diffusamente trattata nel ‘ Libro della Scala’ , queste brevi notizie: (f. 138r) «Dize [Mahoma] que toda la tierra esta puesta sobre el cuerno de un buey; y que este buey esta en cima de un pez; y que, quando aquel pez se menea, que entonces tiembla la terra ». Anche questa descrizione del Paradiso, di Bernardo Perez, è un fedele riassunto dal testo di Juan Andrés: le fonti del Paradiso e, specialmente riservata a Maometto, quella di al-Kawthar; i paggi e le h u rt risplendenti come la luce; il convito nel Paradiso del Santo (g a n n a tu Ί -q u d d ü s ) e la scena della liberazione dei peccatori mu sulmani dall’Inferno e la loro purificazione nella fonte al-Kawthar coincidono perfettamente nei due nostri autori. Nel ‘ Libro della Scala invece, manca questo episodio del bagno liberatore dei dan nati in al-Kawthar. Sono invece i beati che, prima del loro ingresso in Paradiso, si bagnano in due fonti e non in al-Kawthar. Così manca nella ‘ Scala ’ la menzione del convito che il Signore dà, secondo Bernardo Perez e Juan Andrés, a Maometto ed ai beati; ed egual mente il nome g a n n a t a l-q u d d ù s di uno dei Paradisi non si trova nel ‘ Libro della Scala ’ . Al contrario, invece, i brevi cenni di cosmografia di Bernardo Perez non si leggono in Juan Andrés. Essi coincidono con i dati
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E .
C e r u lli
del ' Libro della Scala ’ (§ 154), dove il mondo poggia sul bue Behamot e quindi sul pesce Leviathan. Le sole differenze sono che nel ' Libro della Scala ’ non è detto, come fa Bernardo Perez, che il mondo poggia proprio sopra le corna del Behamot, ma si limita a dire che « tantum habet a comu uno usque ad aliud quantum pos set homo ire in X C annis »; nè che il terremoto è causato dal Levia than, ma che Leviathan e Behamot « timorem habent de terre motu ilio magno, qui erit aliquantulum ante finem mundi ».
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Ca p it o l o X I V
Il Libro della Scala negli Acta Mahometis dei fratelli De Bry 1. I fratelli De Bry e gli Acta Mahometis. 2. Il Libro della Scala negli Acta Ma hometis. 3. Fonti del racconto dei fratelli De Bry.
§ I
fr a te lli D e B r y
1.
e g li A c t a M a h o m e t is
I fratelli De Bry: Teodoro (1528-1598) e Giovanni Giacomo (1561-1623), nati a Liegi, passarono a Francoforte, dove — squi siti artisti quali erano — si resero famosi per lo stile e la qualità delle loro incisioni. Una serie di queste incisioni illustra un loro volume sulla Vita di Maometto; e nel volume è contenuta ancora una lunga citazione dal Libro della Scala. Il loro libro ha il titolo: A c ta
M ec h m eti
Im p e r iu m
S aracen oru m
p rin c ip is:
et m o r te m e ju s o m in o s a m
N a ta le s ,
V ita m ,
V ic to r ia s ,
c o m p le c te n tia ; G e n ea lo g ia su c c e s
: e x v a r iis h in c in d e A u c t o r ib u s fide d ig n is d ilig en ter con g esta p e r Jo. T h e o d o r u m et Jo. I s r a e l e m d e B r y fratres, cives Francfordienses. Stampato a Francoforte nel 1597.
s o r u m e ju s d e m a d m o d e r n u m t e m p u s u sq u e M e c h m e t e m
III
Maometto III, Sultano di Turchia, regnò dal 1595 al 1603; e, secondo t’uso del tempo, è così considerato il successore del Pro feta Maometto. E qui mi basti rinviare a quanto ho detto sopra circa la credenza del Califfo-Papa diffusa in Occidente.
§ I l L ib r o
2.
della S ca la n e g li A c t a
M a h o m e tis
(p. 22) « In libro qui Scala Mahometlca appellatur cap. 85 histo riam recenset qua visiones suas stabilire conatur, inquiens: Postquam ego Mahometes (*) aliquando Mechae domi in talamo a latere meae coniugis cubarem ac diu multumque divinis cogitationibus et con templationibus deditus fuissem, obrepebat mihi somnus. Ecce vero f1) Nel testo De Bry alternano la forma: Mahometes (movellata sull’arabo) e quella: Mechmet movellata sul tureo).
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C e n illi
e vestigio appaxebat mihi Angelus Gabriel, hanc formam plane refe rens. Facies eius lacte erat candidior, ut superaret nivem, capillus rubedine aequabat corallia, supercilia habebat mire speciosa, os roseum, dentes eburneos; stola indutus alba, margaritis et gemmis renitente, acus pictura docte elaborata, cingula duo, lumbos eius ambientia latitudinis palmum excedentis, e puro auro fabricata erant, manus rubeae ut ignis candens, pedes viriditate smaragdum superantes. Hic blande me alloquebatur dicens: Adesdum, attende, Mahometes ac sequere me. Accinge lumbos, onera humeros pallio et vela caput tuum. Deus enim suam potentiam et maiestatem tibi hac nocte manifestabit. Laeto hoc nuncio accepto, continuo me (p. 23) erigo et protinus surgens ad domus meae vestibulum festino, fores aperio et ibi Gabrielem conspicor, qui bestiam fraeno tenebat, cui nómen Alborac et ut ei inequitarem hortabatur. Forma eius, statura atque proportio erat istiusmodi: maior et robustior asino apparebat, minor tamen et macilentior mulo. Vultu referebat hominem et pili eius erant margaritae, pectus e smaragdo, cauda e rubino, et oculi illius sole videbantur lucidiores, pedes habebat camelinos. Ephippium ei erat impositum, auro, margaritis et la pidibus pretiosis adeo splendide condecoratum ut nullius hominis lingua aut cogitationes id consequi et laudibus sate digne vehere possint. In descriptione pulchritudinis bestiae huius eodem in libro copiosissimus et occupatissimus est, vero Cacodaemonem in hac forma comparuisse prorsus non est dubitandum, etc. Deinde se quitur. Haec bestia Angelis quamplurimis erat stipata (q u i h a u d d u b ie n ig r i et B e e ls e b u b i fu e r u n t sa tellites, s i c u ti et e g r e g iu s h ic G a b riel d e qu o m a g n ific e et p o m p o s e lo q u itu r f u i t S a ta n a s ip s e ).
Sed Somniator in sua somnolentissima narratione pergit. Ga briel, inquit, comiter me alloquitur. Mahometes, inside bestiae et equita. Verum cum accederem fremebunda me repudiabat. At An gelus subiecit: O bestiarum generosissima, Alborac, siste gradum, iureiurando enim tibi sancte confirmo, a mundo condito talem vi rum numquam tibi insedisse nec etiam eodem durante tibi talem ynequitaturum. Q u o d recte et vere d ic tu m p u ta n d u m s i d ic tio n e m ta lem b en e in te llig a s, n e m p e in c o n fin g e n d is p u tid i s m e n d a c iis , p a tr a n d is sc e le r ib u s e n o r m ib u s et b la sp h e m iis ite r u m atque ite r u m e r u c ta n d is. N am
ne
ip s e
q u id e m
D ia b o lo r u m
a u la u n q u a m
citra o m n e m
to r e m , f u r e m
a u t la tro n e m , h oc ip s o
om nes
a n a th em a te
d ig n a s
p r in c e p s
in
regn i
c o n tr o v e r sia m n o c e n te m
fo v it,
M a h o m e te a lu it.
p la n ta v it,
r ig a v it,
su i
in fe r n a lis
A p o s ta ta m , p r o d i H a e r e s e s e n im
colu it,
r e n o v a v it
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r ic e r c h e
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et obstin a te s e m p e r p r o p u g n a v it, c u iu s s i m i l e m
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Sol num quam
219 vid eb it.
Praeterea sequitur etc. Et percunctabatur bestia: Hem, Gabriel — inquiens — quis ergo est iste? Respondit Angelus vel potius Diabolus: Mahometes Heros, Dei legatus et propheta magnus. His auditis bestia ove tranquillior est reddita ut secure ei insiderem, Gabriele stapedem mihi tenente. Et cum bestiae gressum observa rem, animadverti passum unum ab altero tantum distare quan tum oculus hominis potest prospicere. Bestia autem illa versus Templum Hierosolymorum pergebat at Angelus me comitabatur. In profectione hac (ait) bis (p. 24) audiebam vocem: Heus, Ma hometes, praestolare! Ego vero mutus magis quam piscis pergebam. Postmodum elegantis et spectatissimae formae mulier se mihi offe rebat quae ter voce intenta me interpellabat. Heus inquam, Maho metes, subsiste paululum, ut tecum possim colloqui. Ego autem adventantem fronte corrugata et facie minitabunda avertebam. Videns haec Gabriel dixit: Reipsa iam comperi te sagacissimo esse ingenio atque summae prudentiae virum. Prior enim vox erat lex Judaica, cui si respondisses, necessitate inevitabili, omnibus tuo imperio subiectis populis dogmati Judaico consentiendum fuisset. Sin vero posteriori auscultasses, tuorum nemo non in castra reli gionis Christianae transvolasset. At mulier illa venusta ac nitida quae postremo te compellavit, fuit mundi typus, cui omnis generis voluptates sunt tritissimae. In illius honorem et gratiam cum sal tem aliquantulum cunctatus sis ac subsisteris, scito subditos tuos prae caeteris populis omnibus qui fuerunt aut futuri sunt volupta tibus et gaudiis in hoc mundo friuturos. Interim ad Templum — inquit — venitur. Gabriel iubet descen dere et bestiam alligat. Postea manu me ducit in Templi recessus interiores, ubi chorum prophetarum omnium quos Deus e monu mentis suis ad me honorandum eduxerat, inveni. Cumque duas praestantissimas orationes fecissem, illi me honorifice salutabant meque certiorem faciebant de multis maximis bonis quae mihi Deus paraverat. In alio quodam loco affirmare non erubescit se ibi cum Abrahamo, Moise et filio Mariae Jesu familiariter fuisse conversatum. Quorum ille dolium vino, alter dolium lacte, hic vero dolium lim pida aqua plenum obtulit. S e d e n C h r is ti c o n te m p to r e m et m e n d a c is sim u m
n u g a to r e m
fr o n te p r o r s u s
ca ren tem .
Praeterea vocem coelitus sibi auditam esse flagiosissime con tendit dicentem: Si eligeris dolium vini, de te et populo tuo actum
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E .
C e r n ili
erit. Sin dolium lactis fueris amplexus, pari modo extirpaberis. At vero si limpidam potionem habueris cum omnibus tuis salva beris. U t a u te m p u tid a m en d a c ia p a llia r e t, addebat: Moïses erat ni tida facie, crine ruber; Jesus capillis flavis et mediocris staturae, Abraham mihi per omnia simillimus. Multa alia longe vaniora in libro superius allegato continentur de Scala Mahometis, in Templo stante et ad polum pertingente qua ad firmamentum conscenderit et in itinere plurimos Angelo rum, praesertim Angelum mortis Adrielem, ut supra dictum est, compellaverit. Sed futiles et fabulosas istiusmodi narrationes pudet pigetque prolixius (p. 25) recitare cum nostri instituti non sit Mahometicam scholam aperire ». § 3. F o n t i d el raccon to d e i fr a te lli D e B r y
Si può domandare se i de Bry abbiano citato direttamente il Libro della Scala oppure ne abbiano desunto il contenuto da altra fonte. La risposta è facile. I de Bry seguono immediatamente il riassunto che del Libro della Scala aveva dato nel F o r ta lit iu m F i d e i Alfonso Spina (2); ed è tipico che essi riproducono il testo di Al fonso Spina anche nel luogo dove il Francescano del X V secolo aveva introdotto nel racconto della ‘ Scala ’ l’episodio dei tre sacri per sonaggi: Adamo, Mosè e Gesù che offrono a Maometto tre vasi di vino, di latte e di acqua. Tale episodio, come ho detto sopra, è stato tolto dalla H is to r ia A r a b u m di Rodrigo Ximénez de Rada (3) ed Alfonso Spina lo ha inserito entro il racconto della ‘ Scala ’ al posto dell’altro episodio delle tre voci che tentano di ostacolare il viaggio di Maometto nell’Oltretomba (4). I de Bry, invece, addirittura con servano l’uno appresso l’altro i due episodi dalle due diverse fonti. Abbiamo così una linea di trasmissione per l’insieme del rac conto: dal Libro della Scala ad Alfonso Spina ai fratelli de Bry; e per l’episodio dei tre Profeti: da Rodrigo Ximénez de Rada ad Alfonso Spina ai fratelli de Bry. (2) Vedi sopra p. 98. (8) Libro della Scala, p. 336 (Cfr. il testo del Libro della Scala, p. 63, dove Gesù ha i capelli « albos ad modum nivis » e non già era « flavus capillis » come in Rodrigo Ximénez de Rada, Alfonso Spina ed i de Bry). (4) Cfr. Libro della Scala p. 344. Rodrigo Ximénez dipende da una fonte araba di Spagna diversa dal testo poi tradotto col titolo di ‘ Libro della Scala ’ (ibidem, p. 345).
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Ca p it o l o X V
La Rabbia di Macone di Piero Strozzi
Al solo scopo di evitare ad altri qualche inutile ricerca vorrei qui chiarire che nulla è da trarre, per il nostro tema, dalle cinque centesche S ta n z e d el p o e ta S c i a n a fio r e n tin o s o p r a la ra b bia d i M a c o n e , che già l’Accademia della Crusca incluse nei testi di lingua del suo Vocabolario. Le diciassette S ta n z e in ottava rima sono un divertimento burchiellesco, secondo la moda dell’epoca, accolta di frasi e voci che si susseguono senza senso. Ecco le prime due ottave i1):
e l’ultima:
Io canterò la rabbia di Macone, Amor, doglie e sospiri incancherati, Stati nel tempo che Marte poltrone Ebbe paura degli uomin fatati, Ch’alloggiavano senza discrezione Per tutto il mondo, come fanno i frati: Non cantò mai sì brave cose Orfeo Che fur al tempo di Bartolommeo, L ’ardente voglia e la spacciata mente M’ha condotto a narrar sì duri casi; Ma voi, ben nata e mal vissuta gente, Di voi non resterà vivo alcun quasi; Chè Ί mondo fu creato di niente; E questi pochi che ci son rimasi Son gente che non san or come, or quando. Nell’altro Canto a voi mi raccomando
Autore della R a b b ia d i M a c o n e fu Piero Strozzi, singolare fi gura del Cinquecento fiorentino; uomo d’arme al servizio dei Re di Francia, Francesco I ed Enrico II, poi del Duca di Guisa, successi vamente di Paolo IV ed infine ucciso nell’assedio di Thionville nel 1558. Lo Strozzi «intendeva comodamente la lingua Latina e fati-
(') Seguo il testo dell’edizione curata dall’abbate Jacopo Morelli, Bassano, 1806 (per nozze del Conte Girolamo di Onigo).
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E .
C eru IIi
cava, più che non sogliono fare i suoi pari, sotto Ser Francesco Zeffi suo precettore, nella Greca; ma disprezzava, come facevano in quel tempo i più de’ Fiorentini, la Toscana». Questo giudizio del Varchi è contraddetto solo parzialmente da quel poco che dello Strozzi ci è restato in italiano; e tra quel poco questa R a b b ia d i M a c o n e che forse ne complèta l’espressione di autentico * fiorentino spirito bizzarro ’ .
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C a p it o l o X V I
Il viaggio nell’Oltretomba del Profeta Maometto e l’itinerario palestinese di Domenico Laffi
1. L ’Itinerario di Domenico Laffi. 2. La Visione di Maometto neH'Itinerario di Domenico Laffi. 3. Fonti del racconto di Domenico Laffi.
§ 1. L ’ I tin e r a r i o d i D o m e n i c o L a ffi
Il sacerdote bolognese Domenico Laffi partì da Bologna per la Terra Santa il 1° ottobre 1678 e ritornò in patria nel marzo 1679, dopo aver compiuto il pellegrinaggio ai Luoghi Santi della Palestina, dove arrivò e donde ripartì per la via del Libano. Questo suo itinerario egli descrisse in un libro assai ricco di particolari notizie sui vari paesi attraversati (*).
§
La
2.
V i s i o n e d i M a o m e tto n e ll’ Itin e r a r io d i D o m e n i c o L a ffi
(p. 325) « In questa Città [Gerusalemme] dicono che vi fu il suo falso Profeta Maomet, e che da quella salì al Cielo, quando fu portato avanti al Trono di Dio, e vidde tutte quelle ridicole zannate, che racconta l’Alcorano, e dice che fu in questo modo: Che dormendo una notte appresso sua moglie, l’istesso Angelo gli apparve, e li condusse un Cavallo chiamato Albora, il quale fa ceva ogni passo 50 miglia; e (p. 326) che li comandasse di caval carlo per andare in Paradiso a trattare con Dio della condotta del suo ministerio. Aggiungendo che postosi in ordine di obbedire al l’Angelo, il Cavallo voltasse la schiena tirandole infinite coppie di calzi, non volendo sopra di se ricevere Maometto fin tanto che non (’ ) Viaggio in Levante al Santo Sepolcro di N.S. Gesù Christo et altri luoghi di Terra Santa di D. D omenico L affi , Bolognese, Bologna 1683. Qui di seguito, conservo la grafia di tale edizione.
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Ë .
C e n ili!
gli promise d’ottenerli da Dio il primo luoco fra tutti li Animali, e farlo grande nel suo Paradiso; e che, udita la promessa, si, lasciasse montar sopra tirando dritto verso Gierusalemme; et andasse a smon tare alla porta del Tempio di Salomone sopra d’una pietra riverita ancora oggidì da Maomettani; nella quale havendo ritrovato una altissima Scala, si servisse di quella, et insieme col suo Angelo im maginario salisse in Paradiso. E così credono fermamente i Mao mettani. Giunto nel primo vestibulo del Cielo, dicono che la prima cosa che vidde furono alcuni Angioli che piangevano facendo un’aspra penitenza per haver commessi certi peccati di sensualità; e che ve dendolo li dissero già che andava a parlar con Dio et era tanto amico suo, lo pregassi a perdonarli il suo peccato. Che nel secondo vestibuio vidde molti Angioli che ciascheduno di essi teneva 60 milla teste et in ciascheduna testa 60 milla bocche et in ciascheduna bocca 60 milla lingue con le quali lodavano Dio. Giunto alla porta del Paradiso disse che vi era un Arbore gran dissimo la di cui ombra si estende per molte miglia lontano; e che nelle sue foglie sono scritti li nomi di tutti li mortali, sì che nascendo uno, parimenti nasce una foglia; e che ogni di un Angelo destinato a questo scuote quell’Arbore, pigliando la Morte le foglie che ca dono e rapisse quelli che vi trova scritti. Entrato in Paradiso, dice che questo è diviso in sette gran Cam pagne, che sono tanti Paradisi differenti. Il primo è con la volta e pavimento d’argento. Il secondo d’oro; il terzo di perle; il quarto di smeraldi, il quale piacque tanto a Maometto, che elesse il color (p. 327) verde per sua livrea, e però prohibì che nessuno, salvo quelli della sua discendenza, portasse il turbante verde; et essendo questo il suo stendardo, non è permesso ad alcun Christiano nè Giudeo di portarne pure quanto sia la grandezza di un’unghia, sotto pena di renunciare la fede o di esser ucciso; e per quella causa in tutto Le vante li Religiosi Latini non possono dir Messa nè apparare le Chiese con paramenti verdi nè bianchi, il verde per esser, come ho detto, il color di Maometto, et il bianco l’impresa del Gran Signore. Dice ancora che in questo Paradiso vi sono molti Angioli, uno de’ quali si chiama M e le c h e l M o n t i (2), che vuol dire Angelo della morte, il quale è spaventevole, grande e grosso, e tiene un libro
(a) Melechel Monti è l’arabo Mal’aku l-mawti.
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'1 ACTA MECHHE.TI I SARA VCENORVM PRINCIPE! .
TA M, VI C TORI A S , IMPERIVM
ET
M O R TE M
EIVS
o m in o ià m c o m p le ftc n tia .
G E N E A L O G I A SUCCESSOrum eiufdemadmodernum S/ffo Muhmetem I I I Ex·.·* w»; " ·..-»*■ ·
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311
quod secundum vulgi considerationem, una res elementaris agit in aliam suis radiis et sua virtute, cum tamen secundum exquisitam virtutem non agat, sed sola coelestis harmonia cuncta operatur ». N° 6 « Ulterius erravit, credens spiritualem substantiam, ex sola imaginatione, posse inducere veras formas, cuius contrarium vult Augustinus, III De Trinitate, capitulo VI et V II, ubi dicit quod quicquid Angeli efficiunt facere per adhibitionem seminum. Contrarium tamen dicitur ab eodem Alkindo, capitulo De promeventibus effectum motus, quod imaginatio alicuius rèi, in mente con cepta, emittit similes radios illi rei, habens similem actionem ipsi ». N° 7: « Ulterius erravit quod non solum formam imaginatam voluit habere causalitatem super re extra; sed credidit quod ipsi desiderio spiritualis substantiae obediret materia, quantum ad ex ceptionem formae, quod totum patet ex capitulo De promoventibus effectum motus ». N° 12: «Ulterius erravit circa sacrificia, credens facta in arti bus magicis, naturaliter efficere ad quae ordinantur ». Tuttavia queste omissioni (e le varianti minori), che non è qui il luogo di esaminare a fondo, come meriterebbero, vanno giu dicate tenendo presente anche il carattere diverso dei due scritti. L ’opuscolo De erroribus composto, come ho detto sopra, in Spagna e nell’ambiente domenicano (il Mandonnet, in via di prima ipotesi arriva a fare il nome di Ramon Marti) era il risultato di una ricerca di uno studioso per le scuole filosofiche. Il Directorium Inquisitorum di Nicola Aymerich veniva invece a costituire un corpus di istru zioni per i procedimenti dell’ Inquisizione e quindi aveva un carat tere pratico con conseguenze dirette. Ancora il Directorium è posteriore di circa un secolo al De erro ribus; e storicamente questo segna un’altra differenza dalla prima epoca dell’aristotelismo latino nel secolo X I I I alle tendenze ora rafforzate ed ora divergenti della metà del Trecento. Specificamente, poi, per quanto si riferisce ad al-Gazzâlï, sap piamo che i Latini, per un singolare errore, attribuivano ad a lGazzâlï proprio quelle opinioni (di Avicenna), contro le quali, dopo averle riassunte, al-Gazzâlï polemizzava (10). In tale errore doveva necessariamente cadere anche Dante.
(l0) Libro della Scala, p. 509, nota 2.
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Alcune volte, ancora, le proposizioni del De erroribus sono omesse nel Directorium Inquisitorum^1) forse perchè danno soltanto partico lari speciali in confronto delle tesi fondamentali, condannate in toto, come — per Averroes — l’eternità del mondo e quindi la negazione della Creazione (eresia pel Cristianesimo come per l’ Islam); come — per Avicenna ed al-Ghazzàli — la dottrina delle emanazioni (egual mente eretica per le due religioni); e come, infine — per Al-Kindi — la negazione del libero arbitrio in confronto della necessità costretta dall’azione dei ‘ corpi celesti ’ . Queste proposizioni così condannate nella loro formulazione, comunque, non corrispondono perfetta mente a quelle sfumature ed avvolgimenti con i quali i filosofi musulmani, da parte loro, erano stati obbligati ad enunciarle. Del resto, Nicolas Aymerich conosceva anche come quei filo sofi musulmani davano interpretazioni dei passi coranici sui gaudii del Paradiso che portavano quelle gioie al di là della materialità, sia pure anche qui con le necessarie cautele in confronto dei rigori della teologia. Infatti in un altro passo il Directorium Inquisitorum dice: « Et nonnulli eorum minus ratione vigentes credunt Paradi sum in alia vita consistere in esu mellis et potu lactis fluvii currentis atque frequenti concubitu virginum puellarum» (12). Così Aymerich riprende la tradizione degli studiosi occidentali medievali, che da Guillaume d’Auvergne a Ramon Marti, a Ruggiero Bacone ave vano distinto il senso letterale dei gaudii del Paradiso musulmano dall’interpretazione data ad essi dai filosofi dell’Islam (13).
(u) Si tenga anche conto che il De erroribus, come ho detto, ci è conservato in un manoscritto unico, per quanto il suo editore P. Mandonnet abbia consi derato anche la stampa. (12) Op. cit. fol. 119v. (13) Libro della Scala, p. 402; 431; 449.
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Parte IV Conclusioni storiche
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La nostra ricerca può dirsi qui conclusa. Giova perciò fermarsi a considerarne brevemente i risultati, tenendo presenti questo vo lume e l’altro mio precedente (t). 1. La conoscenza della narrazione della Visione Oltretomba di Maometto è così da delimitare nelle letterature dell’ Occidente me dievale: Nella Spagna un singolo episodio è già citato nel codice di Uncastillo (poco dopo il 1222) ed un breve riassunto è nella Histo ria Arabum di Rodrigo Ximénez de Rada (anteriormente al 1247) donde è passato nella Crònica General del Re Alfonso X il Savio (anteriormente al 1284). Poi il testo completo della Visione di Maometto (Kitab al-Mi'rag) fu fatto tradurre, per ordine del Re Alfonso X il Savio, dall’arabo in castigliano ad opera del medico della Corte di Castiglia: Abra ham Alfaquim. Di tale traduzione, fatta tra il 1260 ed il 1264, non ci resta che un riassunto, in un codice dell’Escuriale, riassunto inse rito in un’opera attribuita a S. Pedro Pascual. Ma lo stesso Alfonso il Savio aveva poi fatto ancora tradurre dal castigliano in fran cese ed in latino quel racconto della Visione Oltretomba; ed il tra duttore fu l’esule toscano ghibellino Bonaventura da Siena. Della traduzione, che a rendere l’arabo Kitâb a l-M ïrâ g si ebbe il titolo di ‘Libro della Scala’, abbiamo ora il testo francese completo in un codice della Bodleiana di Oxford, datato dal maggio 1264; ed il testo latino completo in un codice della Bibliothèque Nationale di Parigi, copiato in Brettagna nel secolo X IV ed un codice della Biblioteca Vaticana, anche esso del primo trentennio del secolo X IV . 1 testi francese e latino ed il riassunto del testo castigliano furono da me editi nel primo volume di quest’opera. 2. La narrazione della Visione Oltretomba nel Libro della Scala è presentata come fatta dallo stesso Maometto in prima persona; e perciò si credette in Occidente che esso fosse uno dei libri sacri dell’Islam, tanto che in alcuni codici venne inserito, e quindi tra-
(!) E . Cerulli , Il Libro della Scala e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, Città del Vaticano 1949.
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smesso, nella Collectio Toletana delle opere, dal Corano in poi, rite nute in Occidente come sacre per i Musulmani e già fatte tradurre dall’arabo in latino nel 1141 da Pietro il Venerabile, abbate di Cluny, durante la sua missione a Toledo. In realtà invece il Libro della Scala non è affatto un libro sacro dell’Islam, ma soltanto un’opera di pietà popolare. Però esso venne diffuso nell’Europa a datare dalla metà del secolo X I I I come la Visione, sacra per i Musulmani, di un viaggio al Paradiso ed all’ Inferno. 3. Quali testimonianze della diffusione del Libro della Scala risultano da queste mie ricerche? a) Passi del Libro della Scala sono citati: dallo stesso Re Al fonso il Savio nel suo Setenario, dunque prima del 1284; da Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo (tra il 1350 ed il 1360); da Francesco Eiximenis nel Libre del Crestid (alla fine del Trecento e comunque anteriormente al 1408); da Antonio Torquemada (prima del 1549) e dal suo traduttore Celio Malaspini (prima del 1590). b) Riassunto diffuso e particolareggiato di tutto il Libro della Scala in latino nel Fortalitium Fidei di Alfonso da Spina (anterior mente al 1485); lungo riassunto in italiano di Roberto Caracciolo da Lecce (anteriormente al 1495); ancora un lungo, totale riassunto in italiano di Angelo Pientini (anteriore al 1588). Il riassunto di Alfonso da Spina è poi ancora ripreso ed inserito nella loro opera dai fratelli De Bry nel 1597. c) Il Libro della Scala è soltanto citato col suo titolo arabo da Th. Bibliander nel 1543. 4. Accanto alle minori e brevi allusioni alla Visione Oltretomba di Maometto nella Spagna del Duecento, che ho sopra indicato (nel numero 1) vanno citate, perchè, al contrario di quelle, riappaiono trasmesse in successive opere, due notizie: quelle contenute nel Dia logo di 'Abdallah ibn Salàm, incluso nella Collectio Toletana (e perciò arrivato in latino nel 1141) che è la fonte di Juan de Torquemada nel 1465 ed ancora del Defensorium Fidei (anteriormente al 1473); e quelle portate nella Firenze del Trecento da Ricoldo da Montecroce (prima del 1301) e che sono state la fonte della lettera del Papa Pio II nel 1461. 5. Alla fine del secolo X V dopo la reconquista di Granata giunge nelle letterature europee ancora dalla Spagna una nuova completa narrazione della Visione Oltretomba di Maometto: quella del faqih di Jativa: Juan Andrés. Questo dotto musulmano, convertito al
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Cristianesimo nel 1487, ed inviato a Granata dai Re Cattolici Fer dinando ed Isabella dopo la reconquista, come abbiamo veduto, inserì nella sua opera di discussione con l’ Islam, una fondamentale e larga narrazione della Visione Oltretomba di Maometto, narra zione che fu tradotta dallo spagnolo ed edita in varie altre lingue europee: italiano, francese, inglese, tedesco e latino, in tutto il Cin quecento e sino al Seicento. Da Juan Andrés dipendono i riassunti della Visione che ne ricavarono nei loro libri: Bernardo Perez nel 1532; Guillaume Postel nel 1543; il Guadagnoli nel 1631; ed, in parte, il Laffi nel 1683. 6. Possiamo così dire che, tralasciando le brevi minori fonti cui abbiamo accennato, due massime narrazioni della Visione Oltre tomba di Maometto giunsero nell’Europa medievale: il Libro della Scala, nel secolo X I I I ; Juan Andrés nel secolo X V . Sappiamo così che la conoscenza della Visione musulmana del Paradiso e dell’In ferno era notevolmente più diffusa, nell’Europa Occidentale nel Medio Evo, di quanto si credeva sin ora. Ed aggiungiamo che tale conoscenza derivava dalla Spagna, essendo sola eccezione il racconto di Ricoldo da Montecroce che egli portò invece da Baghdad (2). 7. Ed ora in questa situazione della storia culturale del Medio Evo deve anche essere valutato il problema della Divina Commedia. Asin Palacios, quando lo pose nel 1919, trattò — a sostegno della sua ipotesi — delle comparazioni tra episodi della Commedia e passi della letteratura araba di alto livello artistico e di pensiero. Alle coincidenze così esposte da Asin Palacios fu opposto, come è ben noto, il fatto indubbio che Dante non conosceva l’arabo e che quelle opere della grande letteratura araba non erano state tradotte in alcuna lingua europea al tempo di Dante. Ora noi invece sappiamo che la questione va spostata in termini diversi da quelli della tesi di Miguel Asin. La Visione Oltretomba di Maometto e quindi il viaggio del Profeta dell’Islam al Paradiso ed all’ Inferno era stata integralmente tradotta tra il 1260 ed il 1264 in lingue che Dante conosceva e la traduzione era opera di un Toscano: Bonaventura da Siena. Resta quindi escluso il confronto con la letteratura araba di alto livello; ma l’ipotesi di una qualche influenza della Visione (2) Libro della Scala, pp. 346-354. Resta, per altro, ancora insoluta la que stione dell’identificazione del testo di Ricoldo con il capitolo finale della Contrarietas Alpholica del codice parigino. Nationale, Lat. 3394 (loc. cit. nota l a p . 354).
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islamica sulla Divina Commedia va concretamente verificata sul solo testo che ΓAlighieri poteva conoscere, e cioè sul Libro della Scala. Altra volta ho già detto che, esaminando il problema in tal modo, non è assurdo formulare ipotesi sulle coincidenze tra questo o quel particolare del racconto del Libro della Scala con l’uno o l’altro particolare della Commedia. Anzi alcuni di questi incontri sembrano addirittura possibili indizi. Tuttavia, guardando più da lontano il problema, appare preferibile, considerare, al di sopra del l’esame dei particolari, la diffusa conoscenza od anche soltanto la no tizia che nel mondo dell’Islam, ritenuto avversario immediato del Cristianesimo nel campo politico e religioso nella situazione storica al tempo di Dante, ma, nello stesso tempo, oggetto di ammirata assimila zione dei suoi filosofi da parte della Scolastica, si aveva come libro sacro una Visione del Paradiso e dell’Inferno. Ed appare non invero simile che questo possa avere ispirato, insieme con altri motivi, l’Altissimo Poeta a contrapporre alla Visione islamica una Visione cri stiana. E così, ripeto, non sarebbe stato nemmeno necessario che Dante avesse letto il Libro della Scala, ma soltanto che ne avesse appreso l’esistenza e quello che allora se ne riteneva il carattere sacro. Non voglio dire così che escludo la possibile utilità dei con fronti particolari, ma soltanto da quel che risulta dalla nostra ri cerca sulla diffusione e la stessa redazione del Libro della Scala mi sembra opportuno insistere ancora su questa più generica pos sibilità entro le circostanze della cultura medievale del Trecento. 8. La questione dantesca, debbo qui ripeterlo, è quindi sol tanto un episodio, anche se di particolare prestigio, di una più ampia ricerca: quanto in quel periodo era noto, nell’Europa Occidentale, della fede islamica nella vita ultra-terrena. Da quel che ho detto in questi due volumi appare chiaro con quanto interesse erano accolte in Occidente le informazioni che potevano arrivare sulla escatologia musulmana, e ciò è soltanto naturale in confronto della mentalità medievale. Riscontriamo, tuttavia, varietà di atteggiamenti. Uno è quello più semplice, e perciò di inferiore portata, ma di notevole diffusione, dei polemisti che si fermano su ciò che di materiale si interpreta delle gioie del Paradiso islamico. Altri, invece, in supe riore grado e panorama culturale, pongono in antitesi proprio questa interpretazione letterale e materiale del Paradiso con le concezioni dei filosofi dell’Islam così ammirati e studiati in quell’epoca; e per tanto nasce la tradizione che, da Guillaume d’Auvergne, agli inizi
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del Duecento (3), giungerà almeno sino a Filippo Guàdagnoli nel Seicento (4), rappresenterà i filòsofi Avicenna ed Averroes contrari a quella materialità dell’Oltretomba e sostenitori di una interpre tazione allegorica del Corano. Ed in questa idea gli Occidentali erano forse aiutati dall’imbarazzo col quale i filosofi musulmani avevano cercato di conciliare i loro sistemi con la teologia ortodossa. 9. In questi ambienti di maggior cultura filosofica doveva poi esser composta, come abbiamo visto, alla fine del secolo X I I od ai primi del Duecento —■ e forse alla corte dei Re Normanni di Si cilia — un Itinerario dell’Anima (in latino) nei regni oltretomba (Paradiso ed Inferno). L ’ Itinerario era impersonale e puramente filosofico e, per quanto concerne l’Islam, in stretta relazione con la filosofia di Avicenna e senza alcuna relazione, invece, con la tra dizione del viaggio di Maometto nell’ Oltretomba. L’Anima sale per dieci gradi paradisiaci e scende per dieci m is e r ia e nell’abisso infer nale. Nessun nome, nessun personaggio, niente al di fuori delle con cezioni filosofiche (5). Soltanto la forma esteriore di « Itinerario » richiama quella della tradizione comune. Ed ancora nella metafisica di ΑΙ-GazzâK, tradotta in latino da Giovanni di Siviglia, si poneva come pena dell’ Inferno la estrema esagerazione delle passioni, dei desideri e dei vizi che i singoli dan nati avevano avuto in vita, esagerazione passionale che era accom pagnata: dalla sensazione che nulla più poteva essere soddisfatto di quei désideri, passioni e vizi dopo la estinzione della vita corporea. In questa contrapposizione era così il c ru c ia tu s in e ffa b ilis (6). Tale proposizione veniva forse a coincidere con quella della immateria lità delle pene dell’ Inferno che Etienne Tempier, Vescovo di Parigi, aveva condannato nel 1277. Ma ancora, qui siamo rigorosamente nel campo filosofico, anche se già notai altrove come — senza ne cessariamente supporre una relazione di fonte — il concetto di alGazzàli richiama le pene di Capaneo e di Francesca da Rimini nella Commedia. Comunque l’assimilazione della filosofia musulmana in Occidente non mancò di suscitare reazioni per contenere entro l’ ortodossia gli entusiasmi che quelle dottrine avevano suscitato nelle scuole. Per-
(3) (4) (5) (6)
Libro della Scala, pp. 402-412. Cfr. qui sopra pp. 236-237. Libro della Scala, pp. 519-522. Libro della Scala, pp. 516-517.
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tanto è tipico l’opuscolo De erroribus ed il conseguente scritto, nel complesso meno tagliente, delle istruzioni che nel 1358 Nicola Aymeric, Grande Inquisitore di Aragona indirizzava ai suoi dipendenti (7). Tra le generiche ragioni popolarmente diffuse sull’Islam ed il « Paradiso di Maometto » e le elevate elaborazioni dei filosofi trova, dunque, posto — ad un livello medio — il Libro della Scala e perciò le conoscenze che ne derivano negli ambienti culturali del Trecento ed oltre, come abbiamo visto. E, se oltre alla storia dei rapporti e delle discussioni tra l’Occidente Cristiano e l’Islam in quel periodo del Medio Evo, vogliamo guardare alla letteratura ed all’arte, ri conosceremo ora che ispirazioni agli Occidentali potevano arrivare dall’uno o dall’altro di questi tre livelli di conoscenza dell’Islam. * * * 10. In un altro particolare settore di tale conoscenza ancora appa iono ad un tempo questi stessi tre elementi, ed ancora — però — qualcosa di nuovo. Alludo alle tradizioni sui prodigi di Maometto arrivate nelle letterature dell’Occidente. Le discussioni, come ho già detto, citavano così spesso e con tanto vigore queste tradizioni che la conoscenza delle loro possibili svariate origini ha importanza no tevole per ricostruire proprio la storia dei rapporti con l’Islam su tali temi. Ora dall’esame che ne abbiamo fatto sopra nella seconda parte di questo volume risulta che appunto tali tradizioni hanno queste fonti: a) racconti di pietà popolare del mondo islamico, che gli Oc cidentali facilmente, se pure erroneamente, hanno ritenuto parte essenziale delle credenze dei Musulmani b) racconti popolari immaginati in Occidente — alcuni adat tando antiche favole, come quello della calamita sulla tomba; altri adattando leggende medievali da epopea, come quelli su Maometto e l’ Imperatore Erachio, o motivi locali spagnoli, come quelli su Maometto e S. Isidoro di Siviglia, e racconti formati con intenzione non amichevole per l’ Islam, negli ambienti popolari cristiani orientali; c) racconti che ampliano passi del Corano i quali costituiscono il punto di partenza per più diffuse precisazioni, come quello della luna spaccata. Ed a tale categoria, se non avesse avuto un tanto maggior sviluppo letterario, apparterrebbe anche la stessa Visione
(7) Cfr. qui sopra pp. 301-312.
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Oltretomba di Maometto, che parte, infatti, dalla sura X V II del Corano. d) infine i racconti di prodigi che hanno assunto nelle lette rature musulmane un valore ed un significato non più letterale, ma di simbolo mistico, come la purificazione del cuore di Maometto e la Luce del Profeta. Il dato nuovo è appunto la raccolta di tradizioni popolari di Musulmani e di Cristiani di Palestina, raccolta fatta dai pellegrini europei in Terra Santa e da essi inclusa nei loro Itinerari. Ma questo non appare che nel secolo X V II; e per i secoli anteriori resta asso luta fonte quanto era filtrato in Occidente dalla Spagna musulmana. * * * Così, mentre nella filosofia e nelle scienze i contatti dell’Europa Occidentale col mondo musulmano avevano tanta parte nel pro gresso della cultura medievale, anche nel campo più delicato — e più particolarmente delicato — delle tradizioni religiose islamiche i contatti furono assai maggiori di quanto si fosse sin ora supposto. Ai nomi grandissimi dei santi dottori Alberto Magno e Tommaso d’Aquino e dei filosofi Avicenna, Averroes ed Algazel, a quelli di al-Battânï, al-Huwàrizmï, al-Birünï e del Sacrobosco, Michele Scoto, Leonardo Fibonacci e di altri sono legati quei successi massimi che da Cordova per tutti i Paesi Arabi e sino all’Asia Centrale, da un lato, e da Toledo per la Catalogna, Parigi, Oxford, Bologna e Padova sino alla Sicilia hanno trasformato il pensiero e le attività umane. Contemporaneamente nella vita popolare giornaliera e nelle credenze minute, racconti e nozioni, edificanti o polemiche, passa vano dall’uno all’altro campo. A metà del cammino e più in alto di que sto livello minimo la dotta curiosità di Alfonso il Savio ha dato il Libro della Scala, e con il loro Sovrano abbiamo i nomi di Abraham Alfaquim (8), e Bonaventura da Siena; come alla fine del Medio Evo l’inter vento dei Re Ferdinando ed Isabella ci darà l’opera di Juan Andrés. Aggiungeremo a questa lista il nome dell’Altissimo Poeta? L ’interrogazione è ora circoscritta nei suoi limiti: Dante poeta vi veva nell’ambiente culturale del suo tempo quando la situazione (8) Alle notizie sulla persona di Abraham Alfaquim da me riunite nel Libro della Scala, pp. 17-22 conviene ora aggiungere la notizia data da Davide Romano in Atti del Convegno Internazionale: Oriente ed Occidente. Filosofia e Scienze, Roma, Accademia Lincei 1971, p. 693 nota 93.
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tra Oriente musulmano ed Occidente era quella dei contatti, dal massimo all’infimo grado, che qui abbiamo delineato. Alla tradi zione filosofica Dante nella Commedia (e nel Convito) si riferisce, anche esplicitamente, ma di solito non per conoscenza diretta delle traduzioni dei filosofi arabi, bensì attraverso le loro citazioni negli scritti di S. Alberto Magno e S. Tommaso d’Aquino. La tradizione popolare gli è nota ed il 28° Canto dell’Inferno ne è una prova. Ha conosciuto direttamente anche il Libro della Scala nella traduzione del suo conterraneo Bonaventura da Siena? oppure la Visione mu sulmana dell’Oltretomba, ed indirettamente, quindi, la Scala, ha po tuto — insieme ad altri motivi — spingere l’Alighieri a contrapporre una Visione cristiana della vita ultraterrena? Abbiamo qui presentato in questi due volumi i molteplici dati dai quali le ipotesi possano prendere il volo; e mi auguro di poter dire della mia fatica con i versi del Paradiso: Pensa, lettor, se quel che qui si inizia non procedesse, come tu avresti di più sapere angosciosa carizia. Pur tuttavia non tralasciamo che le maggiori notizie sulla diffusione del Libro della Scala, nello spazio e nel tempo, rendano meno as surdo che l’Alighieri, direttamente od indirettamente, ne abbia avuto notizia. Ma a noi preme più generalmente il grande fenomeno storico della fioritura degli scambi intellettuali tra il mondo islamico e quello dell’Europa d’allora ed il rinnovamento del pensiero occi dentale che ne fu la conseguenza, segnando profondamente la ci viltà umana in quell’ambiente dell’unità culturale dei Paesi Me diterranei che è stata, ogni volta che fu realizzata, madre di pro gresso umano.
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Indici
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III V. 42-51: p. 65; v. 49: p. 65; v. 127: p. 144 IV v. 23: p. 69; v. 156-157: p. 76; v. 157-159: p. 65 V v. 42-43: p. 70; v. 76: p. 94; v. 116: p. 94 VII v. 188: p. 243 X V v. 27: p. 90 X V I v. 114-115: p. 62
v. 20-28: p. 226; v. 38-40: p. 194; v. 46-47: p. 62 X X I X p. 61 X X X II I v. 49-52: p. 70 X X X IV v. 10: p. 192; v. 13: p. 195 X X X V II v. 6-10: p. 196; v. 63: p. 197; v. 142-145: p. 226 X L IV v. 1: p. 277 LUI: p. 67; 204, 205; v. 1-11: p. 140; v. 8-9: p. 138; v. 18: p. 140
X V II v. 1: p. 78; 83; 116; 117; 124; 125; 157; 158; 159; 164; 202; 320; v. 61: p. 243; v. 62: p. 142; 197; v. 95: p. 6.
LIV v. 1: p. 75
X V III v. 3-4: p. 94; v. 21: p. 225; v. 83-84: p. 193
L X X V I v. 17-18: p. 234; y. 18: p. 148; v. 17: p. 148
LV v. 15: p. 90
X I X v. 16-40: p. 65
L X X X V v. 22: p. 235
X X IV v. 2: p. 69
L X X X V I: p. 232
X X V II p. 61; v. 17-19: p. 194; v. 18-19: p. 225; v. 20-21: p. 194; v. 22: p. 194;
CVIII v. 1: p. 148; 234
CV: p. 288
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IN D ICE D E I NOMI PROPRI Aaron, v. Aronne. Abdalla, v. 'Abdallah. 'Abdallah, padre di Maometto, 121, 289, 290, 291. 'Abdallah b. Salàm (Abdia Ibn Salàm), 62, 78, 89, 90, 95, 187, 196, 198, 256. 316. Abdamenef, v. 'Abd al-Manâf. Abdellet, v. 'Abdallah. Abdemenef Azuchri, 'Abd al-Manâf. Abdia, v. 'Abdallah b. Salarti. 'Abd al-Manâf, 286, 290. 'Abd al-Muttalib, 287, 288, 289, 290. Abdulmutalib, v. 'Abd al-Muttalib. Abel, 290. Abel, Armand, 46. Abello, 184. Abissini, 229. Abraam, v. Abramo. Abraha (Abreha), 287, 288, 293. Abraha, v. Àbramo. Abraham, v. Abramo. Abraham Alfaquim, 6, 11, 65, 288, 292, 315, 320. Àbramo (patriarca), 32, 59, 71, 100, 101, 109, 115, 134, 135, 160, 161, 164, 175, 185, 190, 203, 204, 210, 212, 219, 220, 225, 228, 232, 283, 284, 288, 292. Abu Bakr, califfo, 61, 124, 258, 270. Abulcasym, 284. Abü Ί-Hasan, sultano merinide del Ma rocco, 71. Abulheb, 288. Abü Tàlib, 116. Accademia della Crusca, 221. Açear, v. Sirah. Achamet, 287. Adam, v. Adamo. Adamo, 53, 90, 102, 110, 120, 130, 131, 139, 160, 161, 163, 164, 175, 178, 184, 190, 191, 203, 204, 210,
211, 212, 213, 220, 231, 280, 281, 282, 283, 284, 291, 292, 293. Addi, 287. Adeth, 285. Adnen, 285. Adriele, Adriello (angelo della morte), 178, 183, 189, 220, 257. Aduve, 285. Africa, 34, 35, 39, 51, 75, 92, 262, 263, 271, 273, 276.. Agar, madre di Ismaele, 292. Agostino, s. 21, 42, 91, 206. Ahmed, figlio di Zayn al-'Âbidïn, 230. 'Â ’isah (Axa, Hasce, Hassa), moglie di Maometto, 124, 125, 157, 158, 159, 162, 203, 258. Alaabez, 288. Alathor Syro, 289. Albano, 78.. Albar, 284. AÌbareda, Anseimo (Card.), 20. Alberto Magno, 320, 321. Albïrünï 320. Albisbusï (pesce), 182. Albora, Alborach, v. al-Buràq. Alcharam, idolo, 290. Alchautar, v. al-Kawtar. Alcauzar. v. al-Kawtar. Alchindi, v. al-Kindl, 305. Alcoduz, 153. Alessandria, 35, 44, 51. Alessandro Magno, 93, 178, 191, 193. Alessandro dei Medici, 168. Alessandro di Hales (Alexandras Halensis), 26, 60. Alexandrus Halensis, v. Alessandro di Hales. Alfonso da Spina, 97, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 198, 220, 255, 262, 273, 316. Alfonso IV, del Portogallo, 71. Alfonso X I, di Castiglia, 71, 74.
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In d ic e
dei n om i propri
Alfonso X il Savio, 6, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 115, 120, 163, 164, 166, 208, 261, 315, 316. Algadira, 285. Algarbe, 16. Algazel, v. al-Ghazzâlï. al-Ghazzâlï 318, 320. 'Ali b. A bi Tàlib, 61, 62, 258. Alierchamin, 285. Aliez, 286. Alighieri, Jacopo, 261. Alkibla, 295. Al-Khwarizmi 320. Almadina, v. M edina. Alorabi Sceniti, v. Sceniti. Altobello Salicato, 207. Altoviti, Antonio, 168. Alvaro di Cordova, 250, 251. Amacherth, v. Amochrch. Amador de los Rios, 16, 18. Amar, 287. Amburgo, 123. Amina (Emina, Hemina), madre di Maometto, 289, 290, 291. Amochrch (Amacherth), 11-12, 13. Amrulcaiz, v. Imru'V-Qays. Anastasio Bibliotecario, 45, 60, 63, 270. Andrés, Juan, 6, 121, 122, 123, 125, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 192, 193, 195, 196, 197, 199, 204, 205, 213, 214, 215, 226, 227, 228, 235, 236, 277, 278, 316, 317, 320. Angelo Clareno, 74. Annopra, 286. Anthioxa, 39. Anticristo, 35, 38, 75. Antiochia, 39. Anversa, 87. Aomar, 285, 289. Apocalisse, 12, 13, 38. Apollino, 85, 203. Arabi, 27, 55, 60, 64, 66, 69, 264, 265, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 289, 320 v. anche Saraceni, Mori (Mauri), Sceniti. Arabia, 26, 27, 29, 31, 60, 64, 65, 70,
92, 93, 95, 263, 264, 265, 271, 274, 276, 285, 286, 289, 290. Arabia Felice, 274. Aragona, 32, 35, 57, 71, 75, 122, 209, 319. Archxam, 286. Argauva, 283. Ariduhan, 113. Ario, 250. Ariosto, L., 86, 229. Aristotele, 22, 23, 55, 91, 93, 237, 302, 304, 306, 308, 309. Armen gal Valenzuela, P., 251. Armeni, 88. Arnaldo da Villanova, 34, 73, 74, 97. Amau de Vila Nova, v. Arnaldo da Villanova.
Aronne, 108, 160, 161, 164, 175, 179, 204. Arphaxat, 283. Arrasia, 290. Arriduam, v. ar-R idw àn. Arsinoe, 43. Asear, v. Sirah. Asia, 92, 93, 271, 320. Asin Palacios, M., 5, 6, 160, 317. Assabach, 287. Atamram, 286. Ausonio, 43. Averroè, 22, 49, 90, 236, 301, 302, 307, 308, 312, 318, 320. Averroes, v. Averroè. Averrois, v. Averroè. Avicenna, 22, 25, 49, 58, 91, 206, 236, 237, 306, 307, 309, 311, 318, 320. Avignone, 20, 301. Axa, v. 'A ’isah. Aymerich, Nicolas, 7, 301, 302, 306, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 319. Azachum, v. az—Zaqqüm. Babilonia, 34, 35. Babinger, F., 81, 85. Bacone Ruggero, 49, 412. Baghdad (Baudas), 43, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 317.
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in d ic e
dei n om i propri
Bahar, 287. Bahira Sergio (Nicolay), 60, 61, 91. Baldate, 51. Balsarin, G., 97. Barada, 283. Barra, 283. Bartholomeo detto l’Imperadore, 123. Bartolomeo Piceno, 201. Bartolommeo, 221. Basilea, 202. Battlori S.J., P. Miguel, 74. al-Battânï, 49, 320. Baudri de Dol. 50. Bausani, A., 63, 67, 226, 293. Bcà angelo, 225, 227, 228. Beda il Venerabile, 67. Behamot (bue), 216. Behrnauer, Walter Fr. Adolf, 247. Belgrado, 96. Belial, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95. Belletete, 247. Benedetto, S., 74. Benevento, battaglia di, 17. Belzebù, 218. Ben Sidi Ali, 255. Bertam, 289. Bethalam, 288. Beuter, Anton, 262, 276. Beurra, 290. Bibbiena, 168. Bibliander, Tb., 62, 85, 90, 94, 200, 201, 202, 256, 277, 281, 292, 294, 295, 300, 316. Bibliotheca Mundi, 191. Bibliothèque Albertine (Bruxelles) [ex Royale], 87. Biblioteca Bodleiana, 315. Bibliothèque Nationale (Parigi), 192, 198, 315. Biblioteca Vaticana, 192, 202, 315. Birkland, Harris, 277. Bizantini, 270. Blundell, H., 123. Boezio, 44. Bologna, 223, 320. Bonaventura da Siena, 5, 6, 11, 198, 200, 315, 317, 320, 321. Bosell, Nicola, 301.
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Boyer, Juan, 206. Brettagna, 315. Brunetto Latini, 6, 16, 17, 18. Buchmann, Teodoro, v. Bibliander, Th. Buda, 72. al-Buràq, 99, 100, 114, 115, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 157, 158, 159, 160, 162, 165, 169, 177, 192, 193, 203, 204, 210, 211, 212, 213, 218, 223, 228, 231. Burgos, 11. Buri, Francesco de, 64. Caesar, 287. Cadica, v. Hadiga. Casiber, monte, 285, 287. Cahen, Claude, 55. Cairo, 49, 51. Califon, v. Califfo. Califfato 'Abbàside, 43, 49, 51, 52, 53. Califfato Fàtimide, 49, 51, 52. Califfo, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55. Caltabellotta, pace di, 57. Cambiano di Rufha, Giuseppe, 265. Cambier, Guy, 42. Campbell, N.F.A.G. 87. Capaneo, 318. Caracciolo, fra Roberto, 116, 316. Carata, 254. Carlo, delfino di Francia, 47. Carlo V, 209. Carmody, Francis J., 17, 18. Carufa, 254. Cassiodoro, 43-44, 87. Castiglia, 6, 11, 16, 32, 71, 72, 115. Catalogna, 5, 320. al-Cauçar, v. al—Kawtar. Celcebile, v. Salsabil. Celio Agostino Curione, 272, 273. Celzebile, v. Salsabil. Cerda y Rico, F., 71. Cerere, 90. CerulU, E., 20, 46, 49, 65, 71, 72, 73, 76, 77, 80, 86, 115, 116, 118, 120, 121, 123, 146, 197, 200, 201, 208, 220, 226, 229, 234, 236, 249, 264, 274, 280, 293, 311, 312, 315. Cervantes, Μ., 85, 206.
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In d ic e
dei nom i p ropri
Cervia, 86. Chainan, 283. Chanaan, 285. Chanson d’Antioche, 44, 52, 53. Chanson de Jérusalem, 54, 55. Chanson de Roland, 250.
Chiesa Etiopica, 229. Christova Lasso Vaca, 206. Cina, 77. Cinque del Mantello, 258. Cirillo di Costantinopoli, S., 34, 74. Civitavecchia, 168. Classen, J., 270. Clemente V, papa, 37, 56, 57. Clementine, decretali, 37, 56, 57, 77. Cluny, 187 Codice di Rothelin, 50. Codice di Torino, 46. Codice Vaticano-Latino 3824: 74. Codice Vaticano-Latino 976: 78. Cola di Rienzo, 74. Collectio Toletana, 78, 80, 86, 89, 90, 94, 95, 187, 191, 192, 197, 198, 200, 256, 277, 280, 281, 294, 295, 299. Collège Royal, 202. Colonia, 20. Colonna, Egidio, 49. Comparetti, D., 46. Concilio di Firenze (1439-1441), 78. Concilio di Vienna, 57. Convito, 321. Copinger, 87. Corbaran, v. Kerboghà. Corbin, H., 280. Coreania, v. Corozania. Cordova, 5, 262, 320. Coreisciti, v. Qurays. Corecama, v. Corozania. Corocanica, v. Corozania. Caroixis, v. Qurays. Corminas, J „ 19. Corozania (da QurayS), 28, 64. Corrotania, v. Corozania. Corsignano, 168. Corufa, 251. Cosdroe, v. Cosroe. Cosroe II, 28, 63, 92, 95, 264, 270, 272, 273, 274.
Costantino, 93. Costantino, imperatore, 286. Costantinopoli, 81, 82, 85, 88, 271. Couronnement Louis, 250. Cudai, 286. Cristobai Celio, 123. C rònica de D . A lfonso el Onceno, 71. Çuna, v. Sipnnah. Cuspinianus, 265. D ’Alvemy, Marie Thérèse, 46, 67, Damasco, 72. D ’Ancona, A., 43, 51, 91, 251, Dante Alighieri, 5, 7, 17, 62, 311, 318, 320, 321. Danubio, 93, 96. Davide, 25, 178, 192. De Bry, fratelli, 217, 220, 263, 276, 279, 316. Deca, Didacus de, 301. De Castillo, Antonio, 238, 239, 242, 243, 253, 254, 259. D e erroribus philosophorum, 306, 308, 309, 311, 312.
251. 261. 317,
265,
240, 307,
D efensorium F id ei contra Judeos, H ereticos et Sarracenos 87, 89, 95, 96,
310. Demetrio Cidonio, 201. Desprats, Guillen, 209. Diaz, José Simon, 122. Didacus de Deca, v. Deca, Didacus de. Dina, figlia di Giacobbe, 58. Dinochares, 43. Dittamondo, 200, 316. D ’Ohsson, M., 51. Domenico de Gaztelu 125. Don Chisciotte, 12 , 85, 206. Dozy, R., 58. D’Ulloa Alfonso, 262. Du Méril, E., 42, 43, 45, 48. Duparc-Quoc, S., 52, 55. Du Pont, Alexandre, 42, 48, 64, 265, 268. Eber, 283. Ebrei, 6, 13, 14, 26, 27, 29, 31, 36, 37, 38, 58, 59, 60, 61, 62, 65, 66, 77, 97, 261, 289.
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In d ic e
dei n om i propri
Echard, J „ 97, 168. Efesini (epistole), v. Paolo, s. Egidio Romano, 304-305. Egitto, 35, 51, 52, 59, 72, 75, 86, 93, 229, 248, 271. Eiximenis, Francesco 19, 20, 41, 42, 43, 44, 45, 47, 49, 55, 57, 58, 59, 60, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 238, 316. Elberahil, 79, 83. Elheslemi, 191. Elia, 107, 160, 161, 164, 175, 179, 204. Emanuele Filiberto, principe di Savoia, 265. Embricon di Magonza, 41, 45. Emina, v. Amina. Emor, 24. Enoc, 107, 160, 161, 164, 175, 179, 204, 283. Enos, 282, 283. Enrico, figlio naturale di Alfonso X I, (rey Henrich) 35, 74. Enrico II, 221. Epicurei, 25. Epicuro, 23, 55. Eraclio imperatore, 63, 77, 92, 95, 264, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 319. Ermanno Dalmata, 187, 200, 277, 281, 294. Erpenius, 115, 116. Escuriale, 5, 315. Esgarines, diavolo, 66. Etiopia, 86. Etiopi, 228. Euboya, 88. Europa, 6, 92, 247. Èva, 282, 283. Ezechiele, 12, 73. Èva, 292. Fatima, figlia di Maometto, 162, 258, 289. Fazio degli Uberti, 62, 16, 200, 281, 316. Federico III di Asburgo, 86. Felech, 283.
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Ferdinando, imperatore, 265. Ferdinando il Cattolico, 75, 122, 167, 317, 320. Fernando III, re di Castiglia, 15. Fernando, marchese d’Aragona, 71. Fibonacci, Leonardo, 320. Filippo il Bello, 57. Firenze, 6, 17, 168, 169, 316. Flavio Biondo, 264-265, 271. Francesca da Rimini, 318. Francescano di Castiglia, 43, 71, 72. Francesco I, 202, 221. Francia, 17, 42. Francoforte, 217. Fuster, Maestro Girolamo, 122. Gabatin, castrum, 273. Gabriele (angelo), 29, 30, 32, 53, 66, 79, 83, 84, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111,112, .113, 114, 124, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 142, 143, 150, 151, 152, 153, 157, 158, 159, 162, 163, 169, 170, 171, 172, 174, 175, 176, 177, 179, 182, 187, 200, 203, 207, 210, 211, 213, 214, 218, 219, 230, 231, 233, 234, 236, 239, 240, 241, 247, 255, 278, 279, 282, 291. Gabrieli, Francesco, 140. Gaeta, F., 81, 82, 83, 84. Galiben, 286. Galli, 88. Garcia, Martin, vescovo di Barcellona,
122.
Garcia Gomez, Emilio, 206. Gaudia, 209. Gautier de Compiègne, 42, 43, 45, 265, 266. Gayangos, P., 51. al-Gazzàlï, 49, 304, 307, 310, 311, 312. Genrata, 283. Gentichilar, 225. Gerardo da Cremona, 58. Geremia (profeta), 115. Germani, 88. Gerona, 19, 301.
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In d ic e
dei n om i propri
Gerusalemme, 32, 63, 71, 77, 79, 83, 98, 101, 115, 116, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 157, 158, 159, 170, 183, 184, 187, 190, 198, 202, 203, 210, 211, 212, 213, 214, 219, 223, 224, 225, 228, 229, 231, 243, 254, 264, 273. Ghibellini, 61, 17. Giacobbe, 58, 59, 107, 134, 135, 232. Gibb, E.J.W., 247, 248, 249. Giez, 288. Gioacchino da Fiore, 74. Giovan, Andrea, v. Andrés, Juan. Giovanna d ’Arco, 47. Giovanni X X I, papa, 301. Giovanni, figlio di Zaccaria, 289. Giovanni apostolo, S., 12, 13, 38, 39, 65, 77, 94. Giovanni Battista, s., 106, 136, 137, 160, 161, 164, 175, 203, 204, 207, 208, 211, 212, 233, 293. Giovanni d’Andrea, 57. Giovanni Hunyade, 96. Giovanni di Siviglia, 318. Giovanni l’Orfanotrofo, 42. Giove, 85. Giove, pianeta, 34. Girolamo, s., 39, 67. Girolamo di Onigo, Conte, 221. Giuseppe, figlio di Giacobbe, 107, 134, 135, 160, 161, 164, 175, 204, 210, 212, 232. Giudizio Universale, 256. Gofiredo di Viterbo, 76. Gonzalez de Santalla, P. Tirso, 122, 259. Gonzalo Garcia, di Aragona, 71. Gómez Moreno, Manuel, 73. Goti, 73. Graf, A., 66. Gran Conquista de Ultramar que mandò escribir el Rey Don Alfonso el Sabio (La), 51. Graesse, Th., 47, 60, 63. Graindor de Douai, 54, 55. Granata, 6, 32, 71, 74, 75, 122, 123, 209, 253, 275, 316. Greci, 88, 89, 261.
Grecia, 89, 93. Gregorio X I, papa, 301. Gregorovius, 81. Grossi, P. Isnardo, O.P., 168. Guadagnoli, F „ 230, 234, 235, 236, 238, 241, 242, 279, 317, 318. Guelfi, 6, 17. Gueynard, S., 97, 98. Guglielmo d ’Alvemia, 318. Guglielmo di Tiro, 49, 50. Guibert de Nogent, 44, 45, 50, 52. Guillaume d’Auvergne, v. Guglielmo di Alvernia. Hadïga (Cadigia, Cadica), 28, 64, 258. Hain, 87. Hali, v. 'A li b. Abï Tàlib. Halima, 291. al-Hallàg, mistico musulmano, 280. Halmaereig, v. Kitâb al-Mi'ràg. Halmahereig, v. Kitâb al-M i rag. Halmerigh, v. Kitâb al-M ïrâg. Hambalech (città), 39. Hamel, 285. Hamiesta, 285. Harar, 256, 257. Hariedam, 285. Horrima, 286. Haruth (Arathes) [angelo decaduto], 86. Hasan, figlio di 'Ali b. Abï Tàlib, 258. Hegir, 284. Hercole d ’Este, duca di Ferrara, 125. Hesim, 286. Helena, 286. Harras, 287. Hamza, 288. Hares, 288. Heber, v. Eber. Hende, 287. Henrich rey, v. Enrico, figlio naturale di Alfonso X I. Hermes, 287. Hesim, 287. Heiatet Abhanieri, 287. Helcarata, v. Mecca. Hevei, v. Ebrei. Hieronim, v. Girolamo, s.
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333
Hildebert (vescovo di Tours), 42, 45. Hippeau, C., 54. Hohod, V. Ohod. Hommi, 287. Horozco y Covarrubias, Don Juan de, 262. Hud, 283. Humar, v. 'U m ar. Humeida, 288. Hürï, v. Uri. Husayn, figlio di 'Ali b. Abi Tàlib, 258. Hyerosolima-, v. Gerusalemme.
Jewish Theological Seminary of New York (manoscritto), 13. Johannes de Westphalia, 87. Joannis, figlio di Zacharia, v. Giovanni. Jâtiva (Sciativa, Xativa); 121, 125, 213. 316. Job, 303. Johannis a Waesberge, 123. Jona, 226. Juan de Junta, 11. Juan Jofire, 123. Judea, 302. Julia, 39.
Iacobus, v. Giacobbe. Ibelcine, 283. Ibetabil, 289. Ibn 'Arabi, 280, 281. Idumee, Idumei, 266, 268. Ilarione, s., 67. Imru ’l-Qays, 299. Iohannes Baptista, v. Giovanni Battista. Ioseph, v. Giuseppe, figlio di Giacobbe. India, 70, 85. Isaac, 26, 284, 285, 292. Isabella, regina di Spagna, 122, 167, 317, 320. Isacco, v. Isaac Isidoro di Siviglia, s., 28, 63, 261, 262, 263, 319. Ismaele, 26, 32, 59, 71, 284, 285, 286, 287, 292. Ismahel, v. Ismaele. Ismahel Beelam, 284. Israele, 36, 78, 83, 94, 98, 116, 202. Ispahan, 230. Italia, 78, 86, 199, 208, 209. Itinerario dell'Anim a, 318.
Kab, 286. Ka'ba, 71, 295. Kaimpa, 283. al-Kawtar, sorgente di (Alcauçar, A lcauzar, al-Cauçar), 148, 149, 150, 151, 154, 155, 214, 215, 234, 236. Kebil, 283. Kehiana, 286. Keidar, 284, 285. Keinena, 286. Kerboghà, 50, 52, 53. Kerinam, 286. Ketelaer, Nicolas, 87. Ketten, Robert 200. Keynhouam Herveus, 198. Khadïga, v. Hadïga. al-Kindi, 46," 47, 61, 62, 68, 70, 76, 95, 191, 192, 197, 198, 299, 305, 308, 310, 311, 312. Kinana, 286.
Jacob, 285. Jacopo da Varazze, 47, 60, 63, 64, 67, 68, 70, 72, 73, 75, 76. Jacques de Vitry, 73. Jafet, 62. Jahen, 16. Jesrab, 203.
Laffi, Domenico, 223, 226-227, 228, 229, 230, 238, 240, 242, 317. Langlois, E., 250. Laon, 42. Latini, 311. Lattanzio, 92. Lauterbach, Johannes, 123, 158.
Kitàb al-Mì'ràg, 11, 13, 187, 200, 315, 316, 317, 321.
Koberger, A., 97. Kucuk Qàinargé, trattato russo-turco di, 51.
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In d ic e d e i n o m i p r o p r i
Lehet, 283. Leempt, Gerard, 87. Lefèvre de la Boderie, Guy, 123, 157. León, 11. Leonora de Guzman, 74. Leviathan, 216. Levit, 287. Libano, 223. L iber A gar, v. Sirah. Libre del Crestia, 77, 316. Liber N icolay, 43, 51, 251. L iber Scalae Machometi, v. K itâb al— M i rag.
Libia, 93. Libraria della Fortezza, 207. Libro del subimiento, v. K itâb
a l-
M i'râ g .
Liegi, 217. Lione, 97. Lipsia, 123. Livre de l ’Eschiele Mahomet, v. K itâb a l-M ir â g . Livre des Secrets aux Philosophes, 261.
Londra, 123. Lope Obregón, 256, 257. Lope di Soria, Don, 125. Lucifero, 239, 240, 254, 286. Lullo, Raimondo, 49, 123. Luna, 239, 240. Luschner, Johannes, 301. Lutero, 12. Macedonia, 93. Machat, 286. Madraca, 286. Maffei, D., 81. al-Mahdiya, 72. Maimonide, 306. Maiorca, 71. al-Makin, 116. Malaliel (Machieil), 283. Malaspini, Celio, 207, 316. Malatesta, Novello, 86. Mancini, A., 238, 252. Mandonnet, P „ 306, 307, 311, 312. Manfredi, 17. Mangay, 209.
Maometto II, il Conquistatore, sultano di Turchia, 81, 82, 85, 96. Maometto III, sultano di Turchia, 217. Marcantonio Coecio (Sabellico ), 264, 265, 274. Markham, C., 71. Margena, 283. Maria di Portogallo, 74. Mar Morto, manoscritti del, 13. Marocco, 71. Marqués, Juan, vescovo di Patti, 121. Marquez Villanueva, F., 12. Martala, 12, 13. Marte, 221. Marti, Ramón, 49, 236, 311, 312. Martin le Jeune, stampatore, 123. Martinez, Marina, 15. Martiniana, 39. Maruth (Marathes), 86. Massignon, L., 280. Massimiliano II, imp., 265. Massò y Torrents, J., 19. Mauritania, 93. Mazruc, 251. Meca, Mecha, v. M ecca Mecca, 20, 22, 26, 28, 32, 35, 36, 44, 55, 67, 70, 71, 75, 76, 78, 83, 98, 114, 124, 125, 157, 158, 159, 169, 177, 187, 197, 202, 210, 211, 217, 225, 242, 253, 261, 264, 273, 274, 285, 286, 287, 288, 290, 293. Media, 287. Medina (Almadina, Yatrib, Tribic), 124, 125, 130, 131, 157, 158, 159, 203, 230, 231, 235, 242. Medina del Campo, 206. Melechel Mouti (Mal'aku 1-mawti), An gelo della Morte, 224. Menéndez Pelayo, 206. Menéndez Pidal, R., 116. Mercader, Don Luis, 122. Mercurio, Andrea, stampatore vene ziano, 247. Mercurio, pianeta, 85. Merigi, el, v. K itâb a l-M i'rà g . Merkabah, v. Martala. Merkabah Rabbah, 13.
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In d ic e
dei n om i propri
Merkabah zuta’ 13. Mesche, v. M ecca. Mesopotamia, 93, 276. Michele, arcangelo, 186. Michele IV, 42. Michelini Tocci, Franco, 13. Migne, 42, 238, 250, 251. Milia, 284. Mina, 70. al-Mi'râg, v. K itâb a l-M ïr â g . Miragi, el, v. K itab a l-M ïr â g . Miramolin, 32. Monacense, manoscritto, 13. Moncada, don Pedro de, 71. Mongoli, 51. Monneret de Villard, U., 200. Montaperti, battaglia di, 17. Monte Oliveto, v. Oliveto, monte. Montesinos, 12. Montiel, castello di, 74. Morbisanus, v. Umur pascià. Morelli, Jacopo, 221. Mori (Mauri), 14, 24, 30, 38, 51, 122, 124, 125, 128, 140, 141, 144, 145, 146, 147, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 157, 209, 214, 259, 260. Morisma, 35. Moscayre, alcade, di Gandia e Mangay, 209. Mosè, 29, 64, 90,, 100, 101, 108, 114, 115, 136, 137, 160, 161, 163, 164, 175, 177, 178; 185, 186, 189, 190, 203, 204,' 210, 211, 212, 214, 219, 220, 225, 238, 240, 292. Moyses, v. M osè. Mucharam, 286. Mothus, 270. Moylin, Jean, 98. Muhammad, emiro di Granada, 74. Munoz Sendino, J., 46. Murâd II, sultano ottomano, 247. Murajeff, S., 13. Murcia, 16, 281. Murra Cudai, 286. Murram, 286. Musacha, 283. Musar, 286.
335
an-Nàbiga al-Ga'dì, 299. Nacra (città), 39. Nallino, Carlo Alfonso, 50. Namur, 87. Navarra, 32, 71. Nerone, 46, 47. Nestoriani, 85. Nestorio, 250. Nicolas, l’astronomo, 261. Nicolay, v. Bahxra. Nicolò da Cusa, 81, 82, 299-300. Nilo, 86, 228-229. Nizar, 286, 287. Noè (patriarca), 62, 132, 133, 160, 161, 185, 203, 204, 210, 212, 283, 288. Noho, v. Ohod. Norimberga, 97. Normanni, 318. Notstock, Joshua, 123, 158. Nubia, 53. Numidia, 93. Ohod, 130, 131, 235. Olivar, Marcel, 19. Oliveto, 254. Omar Saracino, v. ' Um ar. Orlandini, p. Stefano, 168. Orfeo, 221. Osiander, Lukas, 202. Oxford, 5, 15, 20, 49, 315. Padova, 86, 320. Palestina, 77, 223, 228, 229, 253, 259, 274, 319. Palladius, 202. Palmari, Lambert, 20. Pandolfo Collenuccio, 271, 272. Paolo, s., 25, 58, 88, 92. Paolo IV, papa, 221. Parigi, 20, 123, 202, 315. Parigi, codice di, 5. Paris, P., 44. Parti, 272. Pascual Pedro, s., v. Pedro Pascual. Pedro de la Cavalleria, 275-276. Pedro Pascual, s., 118, 251, 252, 253, 315.
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In d ic e
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Pegna, Franciscus, 302. Pere, v. P ietro I il Crudele. Perez de Chinchon, Bernardo, 209, 210, 213, 214, 215, 216, 274, 275, 277, 278, 317. Perpignano, 2. Persia, 28, 39, 44, 264, 265, 268, 271, 274. Persiani, 264, 265, 266, 270, 271, 272. Perside, 264. Pertusa Gaspar, 122. Pétis de la Croix, 247, 248. Petrarca, F., 86, 88, 96. Petrus Alfonsi (Rabbi Moises Sephardi), 6, 72, 73, 251. Pharadz, 286. Pientini, p. Angelo, 168, 169, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 196, 197, 198, 291, 316. Pienza, 168. Pietro, s., 53, 302. Pietro I il Crudele, re di Castiglia, 74. Pietro IV d ’Aragona, 71, 301. Pietro il Venerabile, 80, 187, 198, 200, 281, 299. Pio II (Enea Silvio Piccolomini) 81, 82, 83, 85, 86, 88, 91, 96, 316. Pisa, 253. Pisa, Biblioteca del Seminario di, 252. Platone, 86, 91. Polain, Louis, 87. Pomponio Leto, 270, 271. Portogallo, 32, 71, 74. Postel, Guillaume, 202, 204, 205, 238, 278-279, 280, 292, 317. Preste Juan, v. P rete Gianni. Prete Gianni, 47, 85. pseudo-Ezechiele, v. Ezechiele. Pulci, L., 85. Qirq Vezir Târïkhi, v. Quaranta Vizir, Storia dei. Quaranta Vizir, Storia dei, 247, 248, 249.
Quétif, J „ 97, 168. Qurays, 114, 115, 116, 119, 124, 140, 162, 165, 198.
Rabbi Moises Sephardi, v. P etrus A l fonsi.
Rabbi Moyses, v. M aim onide. Rahel, 286. Rata Pennada, 35, 74, 75. Raymond de Aguilers, 50. Renan, E., 261. Ribelles Comin, J., 20. Riccardiano (Ricoldo da Montecroce), manoscritto, 80. Richard le Pèlerin, 54. Richardus di Cordova, 262, 263. Ricoldo da Montecroce, 62, 80, 84, 86, 116, 164, 165, 166, 201, 316, 317. Ridwàn, angelo, 166, 290. Rio Salado de Tarifa, battaglia del, 71. Robert le Moine, 50. Rodii, epistola ai, v. Paolo, s. Rodrigo, Ximénez de Rada, 114, 115, 116, 119, 120, 163, 164, 167, 198, 208, 220, 315. Roma, 20, 28, 39, 51, 74, 78, 320. Romani, 261, 271, 272, 273, 274. Romano, Davide, 320. Roncisvalle, 17. Rossi, E., 230. Rufino, 43. San Domenico in Perugia, convento di, 168. Saba, regina di, 178, 193, 194, 195, 226. Sabellico, v. M arcantonio Coccio. Sabina, 78. Sacrobosco, 320. Sahl al-Tustari, mistico persiano, 280. Sala, maestro Giovan, 122. Salech, 283. Salech Argauva, 283. Saladino (Saldh ad-dìn), 55. Salamo, v. Salomone, tempio di. Salehadin, v. Saladino. Salomone, 12, 13, 71, 72, 178; 193, 194, 195, 225-226, 228. Salomone, tempio di, 32, 224, 254. Salsabìl (Celcebile , Celzebile ), 148, 149. Santa Maria del Sasso, convento di, 168. Sara, 284, 292.
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dei n om i p ropri
Saraceni (Sarraceni, Saracini, Serrahins), 20, 21, 22, 25, 26, 27, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 50, 51, 54, 56, 57, 59, 60, 67, 68, 69, 73, 88, 91, 92, 93, 110, 174, 181, 186, 251, 261, 271, 272, 275, 302. Sardanapalo, 12. Sarmazan, 52. Satana, 218, 282. Sancio IV, 18. Sava, fiume, 93, 96. Saviotti, A., 272. Sceniti, 271, 272, 276. Schiavonia, 88. Scholem, G.G., 13. Scoto, Michele, 320. Sciativa, v. Jàtiva. Scinifes, 34. Sciti, 266. Sebastian de Horozco, 11, 12. Seiima, 287. Sem, 283. Serapuele, angelo, 183. Sergio, v. Bahira. Serrahins, v. Saraceni. Setenario, 316. Seth, 281, 282, 283, 291, 292. Sette Dormienti, 225, 228. Shakespeare, W ., 47. Saykh-Zàde, 247. Sihâb ad-din, saykh, 248. Sichem Heveo, 58. Sicilia, 121, 318, 320. Siete Partidas del Rey Don Alfonso (Las), 14, 15. Sigeberto di Gembloux, 45. Sigieri di Brabante, 306. Sinai, 27, 43, 59, 146, 147, 189. Sïrah (Liber Agar, Açear, Asear), 202, 213, 230, 235, 241, 279. Siria, 92, 93, 95, 248, 271, 273, 274, 276. Sisebuto, re visigoto, 262. Siviglia, 14, 16, 123, 125, 319. Sodoma e Gomorra, 257. Sole, 241. Soler, canonico di Lerida, 122. Sonnât, Liber, v. Sunnah. Sorach, 283.
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Spagna, 6, 7, 17, 28, 32, 34, 35, 39, 49, 58, 59, 65, 69, 73, 74, 75, 77, 93, 97, 115, 116, 121, 123, 125, 187, 199, 204, 208, 210, 261, 262, 263, 274, 275, 292, 295, 301, 311, 315, 320. Sperindeo, abbate, 5. Strozzi, Piero, 221, 222. Sud-Atlante, 72. Suhrawardì, 280, 281. Sumberg, Lewis A.M., 52, 55. Sunnah, (Çuna, Zena, Liber Sonnât), 147, 149, 151, 154, 155, 234. Syri, Syria, 289. Tabûk, battaglia di, 274. Tasso, T., 206. Tempier, Etienne, vescovo di Parigi, 49, 301, 318. Teodoro, vicario, 270. Teodoro, 273, 274. Teofane, 45, 60, 63, 270, 271. Terrena, Guido, 5. Terra Santa, 319. Thaod, 283. Tharoch, 283. Thebieht, 285. Thionville, 221. Thurige, 283. Tito Livio, 12. Tlemcen (Tilimsàn), 72. Toffanin, G., 84. Toledo, 115, 281, 299, 320. Tolosani, Giovanni Maria, 168. S. Tomaso d’Aquino, 320, 321. Tomaso di York, 49. Torino, codice di, 66. Torquemada, Juan de, 78, 80, 83, 86, 87, 97, 316. Torquemada, Antonio de, 206, 207, 208. 316. Torres Amat, F., 19. Tortosa, 122. Toscana, 5, 6, 222. Totani, P. Guglielmo, 97, 114. Tracia, 93, 271. Trapezunte, v. Trebisonda. Trebisonda (Trapezunte, Trapisonda), 85, 88.
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In d ic e
dei n om i propri
Trevigante, 85. Tribic, V. Medina. Troia, 85. Tuba, albero nel Paradiso, 227, 228, 236. Tudeboeuf, Pierre 50. Tulio Ostilio, 12. Tunisi, 72. Turchi, 88, 96, 260, 273. Turchia, 39.
Vicenza, 86. Vienna, Concilio di, 56. Villani, Giovanni, 51, 68, 69. Vincent de Beauvais, 45, 46, 48, 62, 64, 68, 76, 86, 191. Virgilio, 46, 47, 85. Vivaldo, Martin Alfonso, 275, 276. Vives, Juan Luis, 275, 280, 292. Wameriv.s (Waltherius), 48, 64.
Ubaldo degli Ubaldi, 77. Udem, 286. Uehben, 191. Ugolino, G.B., stampatore, 123. 'Umar, 272, 276. 'Umar, califfo, 258. Umar pascià, 85, 86. Umm Hani’ (Omheni), 159, 162. Uncastillo, 315. Unni, 261. Urbano V ili, papa, 230. Uri {horhin, fiora), 148, 149, 215, 223, 236. 'Uthmàn, califfo, 258. Utrecht, 87, 88, 123. al-'Uzzà, 67. Vajda, G., 86. Vehela, 288. Valencia, 20, 121, 122, 124, 138, 195, 209, 210. Valladolid, 78. Vanderford Kenneth H., 11, 15. Varchi, 222. Vaticano, manoscritto, 5, 80. Venere (dea), 67, 70, 90, 92, 290. Venere (pianeta), 31, 34, 37. Venezia, 86, 123, 125, 207, 247. Verona, 86.
Xativa, V. Jétiva. Xavier, p. Girolamo, 230. Ximeno Vicente, 122, 210, 262. Yatrib, v. Medina. Yo Tan Cate, 71. Ysach, v. Isaac. Ysdra, s., v. Isidoro di Siviglia, s. Yüsuf Abü Ί-Haggàg, sovrano di Gra nata, 71. Zaada, 288. Zabalzala (zamân al-salât), 56, 57. Zaccaria, 106, 289, 293. Zacharia, v. Zaccaria. Zangibìl, 148, 149, 236. Zannoni, G.B., 17. az-Zaqqüm albero infernale, 191, 192, 197. Zayd ibn Hàrith, 68, 69, 163. Zeffi, Ser Francesco, 222. Zeit, 287. Zengabile, Zengebile, v. Zangibil. Zingibil, v. Zangibìl. Ziolecki, B., 43, 48, 265. Zoe, imperatrice, 42. Zuna, v. Sunnah. Zumilla, 209.
Questo indice è stato redatto con la consueta cortesia e competenza dal dott. Francesco Castro, Segretario dell'Istituto per l ’Oriente. Vadano a lui i m ìei più vivi ringraziamenti.
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IN D ICE G EN ER ALE
pag. I n t r o d u zio n e .
3 P arte I
C a p ito lo Γ
- Il Libro della Scala ed il Setenario del Re Alfonso il S a v io .......................................................................
11
C a pito lo II
- Il Libro della Scala e la polemica anti-islamica di Francesco Eiximenis: Testo catalano del Libre del Crestia ...............................................................
19
Ca p ito lo III
- Il Libro della Scala e la polemica anti-islamica di Francesco Eiximenis. Esame storico . . .
41
C a p ito lo IV
- Il Cardinale Juan de Torquemada e la Visione di Maometto . . . . . . . .
78
Ca p ito lo V
- L’Epistola del Papa Pio II e la Visione di Maometto
81
C a p ito lo VI
- L ’Islam ed il Paradiso musulmano secondo il De-
C a p it o l o V II
- Alfonso da Spina ed il Fortalitium Fidei .
.
97
C a p ito lo V III
- Juan Andrés e la Visione di Maometto .
.
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121
C a p ito lo IX
- Il Libro della Scala nell’opera di A. Pientini .
.
168
- Il Libro della Scala e la edizione della Collectio Toletana di Th. Bibliander . . . . .
200
fensorium Fidei
C a p it o l o X
,
C a p ito lo X I C a p ito lo X II Ca p ito lo X III
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87
- La Visione di Maometto nell’opera di Guillaume P o s t e l ..................................................................................202 - Antonio di Torquemada ed il Libro della Scala 206 - La Visione di Maometto nei due racconti di Ber nardo Perez . . . . . . . . 209
Ca p it o l o X IV
- Il Libro della Scala negli Acta Mahometis dei fratelli De Bry ................................................................ 217
C a p ito lo X V
- La Rabbia di Macone di Piero Strozzi .
.
221
C a p ito lo X V I
- Il Viaggio nell’Oltretomba del Profeta Maometto e l'Itinerario Palestinese di Domenico Laffi . .
223
C a p ito lo X V II
- La Visione Oltretomba di Maometto e l’Apologià di F. G u a d a g n oli................................................................230 - Antonio de Castillo, Domenico Laffi e Filippo Guadagnoli ed i nove prodigi di Maometto . . 238
Ca p ito lo X V III
.
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E .
340
C e r u lli
pag. 247
C a pitolo X IX
- Leggende della Visione del Profeta
Ca pitolo X X
- I prodigi del Profeta Maometto al cielo .
250
Capito lo X X I
- Il Paradiso e la leggenda della melenzana .
255
Capito lo X X II
- Gli animali prodigiosi del Paradiso
C apito lo X X III
- Leggende popolari sul Giudizio
C apito lo X X IV
- La leggenda di Maometto in Spagna e S. Isi doro di S i v i g l i a ......................................................
Capito lo X X V Capito lo X X V I
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256 .
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- La leggenda di Maometto e la Persia . - La leggenda della purificazione del cuore di Mao metto . ...............................................................
259 261 264 277
Capito lo X X V II
280
Ca pito lo
294
- La Luce di M a o m e t t o .................................... X X V III - La consegna delle chiavi celesti a Maometto .
P a r t e III C apitolo X X I X C apitolo X X X
- Il valore letterario del Corano . . . . - L ’Inquisizione di Spagna e la filosofia araba .
299 301
P a r t e IV
Conclusioni s t o r i c h e .......................................................................................... 314 Indice dei passi coranici...................................................
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Indice dei nomi p r o p r i ...........................................
327
Indice g e n e r a l e .....................................................
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