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Italian Pages 821 [836] Year 2015
GLI ADELPHI
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R libro degli Embi.emi di Andrea Alciato (Milano, 1492-Pavia, 1550) viene qui proposto in un'edi zione che accoglie, oltre al testo latino - critica mente stabilito sulla base del raffronto tra le due prime edizioni (1531 e 1534) -, la traduzione, le illustrazioni di altre due fondamentali stampe (1550, 1621) e un vasto commento, che di cia scun emblema individua le fonti speculative e iconologiche. Sarà così possibile ritrovare le ra dici da cui scaturì un'idea semplice e geniale: creare parole dalle quali possano fiorire imma gini e viceversa, in uno sposalizio etico e filosofi co dove si ascolta l'immagine e si vede la parola.
ANDRE.A.S ALCIATVS MEDIOLANENSIS c .... - _,,,., « 'I"'� IMOGtffle JF«wnr � ,rt. r""F'.
Immagine tratta da: Marco Mantova Benavides,
Illustrium iurecon sultorum imagines quae inveniri potuerunt ad vivam e.ffigiem expressae,
Romae, Antoine Lafrery, 1566.
ANDREAALCIATO
IL LIBRO DEGLI EMBLEMI Secondo l,e edizioni del 1531 e del 1534 INTRODUZIONE, TRADUZIONE E COMMENTO DI MINO GABRIELE
Nuova edizione riveduta e ampliata
ADELPHI EDIZIONI
Prima edizione in questa collana: gennaio 2015
© 2009 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO WWW.ADELPHI.IT ISBN 978-88-459-2967-0 Edizione
Anno
2018 2017 2016 2015
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a Cosimo, Giorgio e Valentina
PREFAZIONE
L'idea di proporre oggi l'Emblematum liber di Andrea Al ciato nasce dal desiderio di colmare un sorprendente vuoto editoriale e insieme di mettere a disposizione di studiosi e curiosi l'archetipo di un genere di letteratura, che fin dalla sua nascita, quasi cinquecento anni fa, ebbe straordinario successo in Europa, influenzando l'arte, la poesia e anche le più ardite speculazioni sul rapporto fra parola e immagine. Attraverso questo studio non si vuole tanto indagare la letteratura emblematica, né la sua grande fortuna tra i seco li XVI e XIX, quanto l'origine e le fonti, concettuali e figu rative, dalle quali scaturì il modello o prototipo, ossia l'Em blematum liber, di cui si presenta ora la traduzione accompa gnata da un commento iconologico. Non ci addentreremo pertanto più del necessario nelle vivaci discussioni che ani marono il significato e le funzioni degli Emblemi, su cui mol to dibatterono gli eruditi del Cinquecento come in seguito (a proposito non manca certo una vasta letteratura critica con temporanea), ma cercheremo di cogliere il primitivo senso dell'invenzione alciatea e dei suoi predecessori. Qui si in tende ripercorrere i pensieri e gli studi da cui sorse un'idea semplice e geniale: creare parole da cui potessero fiorire im magini etiche e filosofiche, in uno sposalizio dove si ascoltas se l'immagine e si visualizzasse la parola. Si propose in tal mo do un nuovo linguaggio, appunto il visibile e dicibile Emble ma, attraverso cui meditare intorno al senso quotidiano e me tafisico dell'uomo, della natura e del divino. Firenze, estate 2009
M.G.
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
A. 1531
Andreae Alciati Embl,ematum liber, Augustae Vindelicorum, Heinrich Steyner, 1531
A. 1534
Andreae Alciati Embl,ematum libellus, Parisiis, Chrétien We chel, 1534
A. 1550
Andreae Alciati Embkmata denuo ab ipso Autore recognita, ac, quae desiderabantur, imaginibus wcupletata, Lugduni, Mathias Bonhomme, 1550 Barni Gian Luigi Barni, Le lettere di Andrea Alciato giureconsulto, Firenze, 1953 Colonna Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Introduzio ne, traduzione e commento di M. Ariani e M. Gabriele, 2 voli., Milano, 1998
Epig;rammata Selecta epig;rammata g;raeca latine versa, ex septem epig;ramma tum Graecorum libris. Accesserunt omnibus omnium prioribus edi tionibus ac versibus plus quam quingenta Epig;rammata, recens
XII
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
versa, ab Andrea Alciato, Ottomaro Luscinio, ac /ano Comario Zuiccaviensi, Basileae,Johann Bebel, 1529 Erasmo Erasmi Roterodami Adagiorum Chiliades tres, Tubingae, Thomas Anshelm, 1514 Giraldi Lilii Gregorii Gyraldi Dperum quae extant omnium - Tomi duo, 2 voll., Basileae, ThomasGuarin, 1580 Index Peter M. Daly, con Virginia W. Callahan e Simon Cuttler, Andrea Alciatus: lndex Embl.ematicus, 2 voll., Toronto, 1985 LIMC Lexicon iconographicum mythologiae classicae, 9 voll., Ziirich Miinchen - Diisseldorf, 1981-1999 Mignault Andreae Alciati Embl.emata, cum Claudii Minois ad eadem Com mentarius et Notis Posterioribus, Lugduni, Guillaume Rouillé, 1600 Ricciardi Commentaria symbolica in duos tomos distribuita. Antonio Ric ciardo Brixiano auctore, 2 voll., Venetiis, Francesco de France schi, 1591 (ristampa anastatica: Lavis, 2005) Sbordone Francesco Sbordone, Hori Apollinis Hieroglyphica, saggio in troduttivo, edizione critica del testo e commento, Napoli, 1940 Thuilius Andreae Alciati Embl.emata cum Commentariis Claudii Minois I. C. Francisci Sanctii Brocensis, et notis Laurentii Pignorii Pata vini ... opera et vigiliis loannis Thuili ... Accesserunt in fine Fede rici Morelli Professoris Regii Corollaria et Monita ad eadem Emble mata, Patavii, Pietro Paolo Tozzi, 1621 Valeriano Ioannis Pierii Valeriani Hieroglyphica, Basileae, Michael Isengrin, 1556
INTRODUZIONE
I. ALCIATO E L'ORIGINE DELL'EMBLEMATICA
Talvolta anche le opere e le imprese più impegnative, che avevano conferito celebrità e onori a un uomo mentre era in vita, col passare del tempo perdono tanta preminenza, per poi finire collocate, pur nel rispetto e nella considera zione dovuta, nell'inventario della storia che tutto cataloga e misura. Viceversa può capitare che una 'piccola cosa', compiuta sine cura da quello stesso uomo, assuma per i po steri sempre più rilievo, fino ad assicurargli indiscussa fama nei secoli e sopravanzare quelle altre ' grandi cose' che aveva compiuto. Una 'piccola cosa', che mantenendosi viva e at tuale ha continuato a germogliare e prosperare nel tempo, sfuggendo così al limite di una definitiva catalogazione, ma stimolando sempre nuove riflessioni per comprenderne me glio i significati palesi e nascosti. Una simile dinamica si adatta perfettamente ad Andrea Alciato 1 e ai suoi Emblemata. Costui, celeberrimo giurista e dotto del XVI secolo, stimatissimo da sovrani e papi, conte1. Il nome corretto è Alciato e non Alciati; si firmava «Alzatus»: O. Giardi ni, Nu(Jl)e indagini sulla vita e /,e condotte di Andrea Alciato con un 'Appendice di Epistol,e inedite tratte dagli autols!afi di Basika, in «Archivio Storico Lom bardo», 19, 1903, pp. 294-95; P.E. Viard, AndréAlciat 1492-1550, Paris, 1926, p. 28; per gli aspetti bio-bibliografici: R. Abbondanza, «Alciato (Alciati) Andrea» , in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1960-, voi. II, pp. 6977; lndex, voi. I, pp. x1x-xxv11. Alciato nacque a Milano ( o Alzate Brianza, Como) 1'8 maggio 1492 e morì a Pavia il 12 gennaio 1550.
XIV
INTRODUZIONE
so dalle maggiori università italiane e straniere per i suoi fondamentali e innovativi contributi sul diritto romano - e che tali rimangono nella storia della giurisprudenza euro pea -, deve a un minuscolo volume, scritto nelle ore libere da impegni, la sua imperitura fama e continua attualità, dal '500 a oggi. È l'Emblematum liber, volumetto in 16 ° di sole 44 carte nel la prima edizione del 1531, che fin dal suo apparire comin cia una folgorante carriera editoriale: fioriscono edizioni, riedizioni e traduzioni, in qualche caso seguite da note e commenti, in tutte le lingue europee, sì da contare fino a oggi centinaia di stampe. 2 Si aggiungano i numerosi saggi e studi dedicati a esso e alla letteratura di concetto che ne è derivata. Un vero e proprio cosmo letterario e figurativo/ di cui impressiona l'inesauribile vitalità e versatilità, che at traversa per secoli la cultura europea, scaturita da quel pic colo libro e dallo straordinario contenuto creativo che lo anima. L'Emblema alciateo nacque da un concorso di fattori che, coniugandosi fra loro in momenti successivi, ne permisero l'affermazione. Non resta ora che prendere in esame le te2. In merito, ancora insuperato il monumentale lavoro di H. Green, An drea Alciati and his Books ofEmblems, London, 1872; G. Duplessis, Les Emb/,è mes d'Alciat, Paris, 1884; M. Praz, Studies in Seventeenth-Century Imagery, Ro ma, 1974-1975, pp. 248-52; lndex, voi. I, pp. xxn-xx1v. 3. Per la bibliografia: «Emblematica. An lnterdisciplinary Joumal for Em blem Studies», New York, 1986-; «Glasgow Emblem Studies», Glasgow, 1996-; W.S. Heckscher, K.-A. Wirth, «Emblem, Emblembuch», in Reallexi kon zur Deutschen Kunstgeschichte, voi. V, fase. 49-50, Stuttgart, 1959, coli. 85228; M. Praz, Studies in Seuenteenth-Century Imagery, cit.; P.M. Daly, Emblem Theory, Nendeln, 1979, e The Bibliographic Basis /orEmblem Studies, in «Em blematica», 8, 1994, pp. 151-75; Sinnbilder Welten: Emblematische Medien in derfrii.hen Neuzeit, a cura di W. Harms, G. Hess, D. Peil,J. Donien, Katalog der Ausstellung in der Bayerischen Staatsbibliothek, Mfmchen, 1999; Em blem Books in Leiden. A Cata/,ogue of the CoUections of Leiden University Library, the 'Maatschappij der Nederlandse Letterkunde' and Biblioteca Thysiana, a cura di A.S.Q. Visser, Leiden, 1999; «Con parola brieve e configura». Libri antichi di imprese e emblemi, Introduzione di L. Bolzoni, Lucca, 2004, con indica zioni sui siti informatici universitari europei e americani inerenti testi di Emblemi e imprese. Più in generale si vedano i recenti contributi di M. Tung, Alciato's Practices of Imitation: a New Approach to Studying his Emblems, in «Emblematica», 19, 2012, pp. 153-257, e di P.M. Daly, TheEmblem in Early ModernEurope: Contributions to the Theory oftheEmblem, Famham, 2014.
INTRODUZIONE
xv
stimonianze documentali4 che ci illuminano circa le tappe di questo composito percorso.
Epi,grammi ed Emblemi In una lettera del 9 dicembre 1522,5 indirizzata da Milano all'amico libraio e editore Francesco Calvo,6 Alciato raccon ta: «Durante questi Satumali,7 compiacendo all'illustre Am brogio Visconti,8 ho composto un libretto di epigrammi inti4. Cfr. in B.F. Scholz, The 1531 AugsburgEdition ofAlciato's «Embkmata»: A Suroey of &search, in «Emblematica», 5, 1991, pp. 213-54. 5. Barni, n. 24: «His saturnalibus ut illustri Ambrosio Vicecomiti morem gererem, libellum composui epigrammaton, cui titulum feci Emblemata: singulis enim epigrammatibus aliquid describo, quod ex hixtoria, vel ex rebus naturalibus aliquid elegans significet, unde pictores, aurifices, fuso res, id genus conficere possint, quae scuta appellamus et petasis figimus, ve! pro insignibus gestamus, qualis Anchora Aldi, Columba Frobenii et Calvi elephas tam diu parturiens, nihil pariens». La data della lettera è incerta in quanto la carta dell'autografo originale è danneggiata: sono stati proposti anche il 9 dicembre 1521 (così M. Rubensohn nel 1897; per il dibattito in merito: H. Homann, Studim zur Emblematik des 16. Jahrhun derts, Utrecht, 1971, pp. 8 sgg.) e il 9 gennaio 1523: R. Abbondanza, A fmr posito dell'epistolario dell'Alciato, in «Annali di storia del diritto», 1, 1957, pp. 467-500. 6. L'umanista comasco Francesco Minizio Calvo (nasce alla fine del XV se colo, muore a Roma nel 1548) fu libraio in più luoghi e stampatore ed edi tore a Roma. Non pare usasse una vera e propria marca tipografica, ma so vente nei frontespizi si trova una corona al cui interno è rappresentata la dea Roma con i simboli del potere, ai suoi piedi la personificazione del Te vere e la dicitura «ROMA» o «SPQR»; F. Ascarelli, La tipografia cinquecen tina italiana, Firenze, 1996, p. 66., 7. Ci si riferisce alle vacanze autunnali dell'anno accademico 1521-1522: D. Bianchi, L'opera l.etteraria e storica di Andrea Alciato, in «Archivio Storico Lombardo», 39, 1913, p. 60. Nell'antichità la durata e il periodo delle fe ste annuali in onore di Saturno variò con le modifiche subite nel tempo dal calendario religioso romano (Macrobio, Sat., 1, 9-10). La festa era ori ginariamente celebrata il solo 17 dicembre, mentre poi venne estesa a più giorni, fino a sette (dal 17 al 23 dicembre) in epoca imperiale. 8. La cui identità purtroppo sfugge; Barni, p. 46, nota 3, ne conta almeno otto: «molti sono gli Ambrogio Visconti di quell'epoca»; cfr. K. Giehlow, Die Hieroglyphmkunde des Humanismus in der Allegorie der Renaissance beson ders der Ehrenpforte Kaisers Maximilian I, in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhochsten Kaiserhauses», 32, Wien - Leipzig, 1915, pp. 281-85; H. Miedema, The Term «Embkma» inAlciati, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 31, 1968, p. 237.
XVI
INTRODUZIONE
tolato Emb/,emata, in ciascuno dei quali descrivo qualcosa, ta le che significhi con eleganza9 un qualche cosa tratto dalla storia e dal mondo naturale, donde pittori, orefici, fondito ri possano realizzare quel genere di oggetti che chiamiamo scudi [stemmi o distintivi] e attacchiamo ai cappelli o por tiamo quali insegne, come l'àncora di Aldo, la colomba di Froben e l'elefante di Calvo», ovvero le marche tipografico editoriali di Aldo Manuzio (àncora con delfino: Fig. I) 10 e di Johannes Froben (colomba su caduceo: Fig. 2), 11 mentre l'elefante di Calvo è uno scherzoso richiamo alla lentezza dell'amico nello sbrigare gli affari. 12
I
2
Questo primo documento ci informa su alcuni elementi indispensabili alla nostra indagine, cioè che nel 1522 Alcia to già aveva realizzato un volumetto intitolato Emb/,emata, ispirato da Ambrogio Visconti, e che gli Emblemi erano 9. «Elegans»: esposizione, eloquio elegante: Cicerone, De orat., 2, 241, e Orat., 81 e 134; Quintiliano, lnst., 6, 3, 39; 7, 3. 1O. L. Volkmann, Bi/,der Schriften der Renaissance: Hieroglyphik undEmb/,ematik in ihren Bez.iehungen und Fortwirkungen, Leipzig, 1923, p. 72. 11. lbid., p. 73; A. Wolkenhauer, Druckeruichen undEmbleme vonAlciato bis Rollenhagen, in Polyvalenz und Multifunktionalitiit derEmblematik, a cura di W. Harms, D. Peil, Frankfurt am Main, 2002, voi. Il, pp. 850-53. 12. K. Giehlow, Die Hieroglyphenkunde, cit., p. 141; L. Volkmann, Bi/,der Schriften der Renaissance, cit., p. 73.
INTRODUZIONE
XVII
semplici epigrammi senza illustrazioni, peculiarità quest'ul tima confermata da un altro brano 13 di Alciato risalente sem pre agli anni Venti. Inoltre il paragone con le insegne tipo grafiche di Aldo Manuzio (che ritroviamo nell'Emblema XXI) e di Froben chiarisce la tipologia dei signa simbolici e delle figure allegoriche che devono scaturire dalla «descri zione» o ékphrasis che trama ogni epigramma dell 'Embkma tum liber, dove i vari componimenti declamano questa o quel l'immagine, secondo il noto adagio oraziano «ut pictura poe sis», 14 tema cardine dell'ideazione emblematica alciatea, di cui diremo più avanti. L'aspirazione di Alciato, che i suoi versi stimolino la crea tività di pittori, orefici, ecc., per produrre insegne, imagines, sign a, si può interpretare quale invito a rinnovare in certi ambiti artistici quel linguaggio allusivo e 'geroglifico' che sta alla base della medesima emblematica, 1 5 di cui l'àncora aldina e il caduceo frobeniano rappresentano esemplar mente la formulazione grafica: essenziale e simbolica. Il ri chiamo specifico a orefici e fonditori, oltre a quello più scontato rivolto ai pittori, non è casuale, ma sembra fare ri ferimento alle monete, agli anelli e alle medaglie, sui quali, come del resto accade per le marche tipografiche, è comu ne trovare incise o in rilievo icones symbolicae, motivi e figure di forte impatto allegorico. 16 Basti pensare alla stessa meda glistica rinascimentale, alla tradizione delle antiche gemme incise o alla monetazione romana. A riguardo faccio notare, e lo dimostrerà adeguatamente il commento, che non pochi Emblemi alciatei trovano puntuale corrispondenza nell'ico13. Cfr. l'inizio del paragrafo «Emblemi e geroglifici»; in merito si veda il contributo di H. Miedema, The Term, cit., pp. 234-50; cfr. M.A. De Angelis, Gli emblemi di Andrea Alciato nella edizione Steyner del 1531. Fonti e simbologie, Salerno, 1984, pp. 18-27; J. Kohler, Warum erschien der Emblnnatum Liber von Andreas Alciat 1531 in Augsburg?, in TheEuropean Emblem: Sekcted Papers from the Glasgow Conference 11-14 August, 1987, a cura di B.F. Scholz et aL, Leiden - New York, 1990, pp. 1-31. 14. Ars, 361. 15. Si veda più avanti il paragrafo « Emblemi e geroglifici», in particolare l'opinione di Filippo Fasanini sull'impiego artistico dei 'geroglifici' hora polliani, che anticipa il convincimento di Alciato in merito. 16. Cfr. E.H. Gombrich, Symbolic Images, London, 1972; trad. it. Immagini simboliche. Studi sull'arte del Rinascimento, Torino, 1978, pp. 177-273; P.M. Daly, Literature in the Light of the Emblem, Toronto, 1998, pp. 30-32.
XVIII
INTRODUZIONE
nografia propria dei conii imperiali romani, delle medaglie e delle preziose gemme intagliate. Non ultimo, si può consi derare questa esplicita attenzione di Alciato verso certe arti visive, capaci di recepire il suo talento emblematico, come una sorta di autoproclamazione a maestro di modelli ecfra stici, al cui campionario (i variegati epigrammi/Emblemi) avrebbero appunto dovuto attingere ispirazione pittori, ore fici, ecc. Il desiderio di Alciato, a prescindere dal tenore del le sue ambizioni, si realizzerà ampiamente, ben oltre ogni ottimistica previsione: è sufficiente valutare l'influenza del l'iconografia emblematica nelle arti maggiori e minori fino ai tempi recenti. 1 7 L 'enigma dell,a prima edizione degli «Embl.emata »
Ragionare sulla prima edizione degli Embl.emata vuol dire toccare una vexata quaestio tra le più problematiche e sulla quale si sono cimentati non pochi autorevoli studiosi per ol tre un secolo. 18 A proposito ci limiteremo a esporre i dati sa lienti nella loro successione e trasferire nelle note l'adegua ta bibliografia, dal momento che, allo stato dei fatti e come potrà rendersi conto il lettore, si possono proporre soltanto congetture. Inoltre, come detto nella Prefazione, il nostro obiettivo è principalmente il commento agli Emblemi, indi viduandone fonti e significati, sì da avere una approfondita visione d'insieme dei contenuti iconici e delle potenzialità 17. Cfr. Emblems from Alciato to the Tattoo, a cura di' P.M. Daly, J. Manning, M. van Vaeck, Turnhout, 2001, pp. 295-355; P.M. Daly, The Nachl,eben ofthe Embl,em. Embkmatic Structures in Modem Advertising and Propaganda, in Poly valenz und Multifunktionalitiit, cit., voi. I, pp. 47-67. 18. H. Green, Andrea Alciati, cit., n. l , pp. 103-15; H. Miedema, The Term, cit. , pp. 236-37; H. Homann, Studien zurEmbkmatik, cit., pp. 25-40; F.W.G. Leeman, Alciatus' Emb/,emata. Denkbeelden en voorbeelden, Groningen, 1984, pp. 5-30; accurata rassegna della letteratura critica sull'argomento e delle divergenti opinioni in F. Scholz, «Libellum composui epigrammaton, cui titu lum feci Embkmata»: Alciatus 's Use of the Term Embkma Once Again, in « Em blematica » , 1, 1986, pp. 213-26, e The 1531 AugsburgEdition, cit., pp. 22023; V. Sack, « Glauben » im àitalter des Glaubenskampfes: Eine Ode aus dem
StraJJburger Humanistenkreis und ihr wahrscheinliches Furtl,eben in Luthers &for mationslied «Ein feste Burg ist unser Gott». Testanalysen und -interpretationen. Mit einem Beitrag zur Frii.hgeschichte des Emblems, Freiburg, 1988, pp. 126-49.
INTRODUZIONE
XIX
comunicative che li contraddistinguono, vale a dire degli a spetti formali e concettuali che tanto incisero sulla loro for tuna e influenza. Di primaria rilevanza cronologica e bibliografica sono due affermazioni di Alciato: una è contenuta nella succitata lettera a Calvo, dove dichiara che nel 1522 aveva già compo sto gli Embl.emata, ovvero una raccolta di epigrammi; l'altra la troviamo in un'ulteriore lettera, indirizzata dal Nostro al l'amico prediletto Bonifacio Amerbach, giureconsulto di Basilea, e spedita da Milano il 10 maggio 1523. 1 9 In essa Al dato allega due pagine o fogli appena pubblicati di un volu metto di liriche, intitolato Embl.emata, per averne un giudi zio: l'autore dei versi, si precisa, è Aurelio Albuzi, 20 mentre l'ideatore 21 del soggetto è Ambrogio Visconti. Poi aggiunge che su tale argomento aveva composto lui stesso un altro li bretto di carmi: tuttavia non voleva mescolare con quelli al trui i propri componimenti, per cui li avrebbe divulgati a parte insieme ad altri suoi epigrammi. Sembra così che a Milano, all'inizio degli anni Venti del Cinquecento, circo lassero più operette con il medesimo titolo Embl.emata, che raccoglievano gli epigrammi di questo o quel letterato o for s'anche di diversi autori, tra i quali pare primeggiare Am brogio Visconti, ricordato in entrambe le epistole. Si può ipotizzare una sorta di certamen lirico fra dotti e poeti affida to a limitati esemplari manoscritti e forse a stampa, se non addirittura a singole copie d'autore diffuse tra i pochi che si dedicavano a quest'arte. Un simile contesto letterario con 19. Barni, n. 32: «Eduntur apud nos et Emblemata, quorum duo folia ad te mitto gustus causa; carminis auctor est Albutius, inventionis Am brosius Vicecomes ex primariis patritiis. Eius argumenti et ipse libellum carmine composui, sed res meas cum alienis miscere nolui: divulgabitur inter caetera nostra epigrammata». Sul rapporto fra Amerbach e Alcia to che lo considera « amico et frati optimo»: D. Bianchi, L'opera lette raria, cit., pp. 7 sgg.; B.R. Jenny, Andrea Alciato e Bonifacio Amerbach: na scita, culmine e declino di un 'amicizia fra giureconsulti, in Andrea Alciato u manista europeo, «Periodico della Società Storica Comense», 61, 1999, pp. 83- 100. 20. Su questo allievo e amico di Alciato si veda il commento all'Emblema
xxx.
21. Il termine retorico « inventio» significa la capacità di trovare argomen ti veri o verosimili capaci di rendere convincente la causa (Ad Her., l , 2, 3) , qui con riferimento al processo creativo dell'opera poetica.
xx
INTRODUZIONE
più artefici di 'libelli' poetici recanti lo stesso titolo, Embl,e mata, impedisce di sapere con certezza chi tra loro, per pri mo, chiamò in tal modo la propria raccolta di epigrammi. A questo punto, qualunque fossero le circostanze, sappia mo che Alciato nel 1522 aveva ultimato una raccolta di versi denominata Emblemata, e un'altra era prevista imminente nel 1523, dunque un altro libellus di Emblemata da non con fondere con il precedente. Le caratteristiche e le qualità let terarie di questa produzione ci sono tuttavia del tutto i gno te, perché di tali libelli alciatei si è persa o gni traccia, né se ne conosce copia, nonostante tutte le ricerche fatte da stori ci, bibliofili e insigni studiosi della vita e delle opere di Al dato da oltre cento anni. Più in generale: una siffatta lacuna suggerisce che i vari Emblemata prodotti da Alciato, Albuzi, Visconti e altri, non costituissero che un ben modesto insie me di volumetti manoscritti, in quanto è difficile credere al trimenti, cioè a delle tirature a stampa, delle quali, benché limitate, avremmo dovuto pur avere qualche notizia attendi bile o preciso riscontro, ma così non è. Questo vuoto è il germe di tutta la vexata quaestio, resa ancora più complessa da quanto accadrà circa un decennio dopo. Infatti, nel febbraio del 1531 ad Augsburg in Germania, viene data alla luce da Heinrich Steyner un'edizione vera e propria degli Emblemata, che conoscerà in pochi anni quat tro ristampe. 22 Questa edizione, la prima conosciuta degli Emblemata e da molti ritenuta l'effettiva editio princeps, offre però, rispetto alle raccolte del 1522 e del 1523 (ammesso che questa sia stata veramente realizzata), una novità di non poco conto: è corredata da vignette xilografiche che illu strano gli epi grammi, innovazione non facile da spiegare e che affronteremo appositamente nel prossimo para grafo. A parte ciò, l'edizione del 1531 pone altri quesiti: soprattutto non conosciamo con certezza come Steyner sia venuto in possesso del testo alciateo da lui stampato, né su quale reda zione si sia basato, cosicché, per certi aspetti, quella di Augs burg potrebbe considerarsi una sorta di edizione 'pirata'. Infatti, essa viene aspramente criticata ed esplicitamente ri pudiata da Alciato, che la ritiene guasta, piena di errori e, 22. H. Green, Andrea Alciati, cit., pp. 1 1 6-22; G. Duplessis, Les Emblimes d'Alciat, cit., pp. 9-1 1 .
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potendo, avrebbe voluto distruggerla: 2' atteggiamento che esclude un suo coinvolgimento nell'impresa. Del resto una copia degli Embkmata era sfuggita al 'controllo' diretto del l'autore, almeno secondo quanto lascia intendere Alciato in una sua lettera a Pietro Bembo del 25 febbraio 1535. Qui scrive 24 di non sapere per quale motivo Steyner abbia dato alla luce « corruptissime » il volumetto degli Embkmata « amis sus», termine quest'ultimo che vuol dire «perduto» (Alcia to aveva perso le tracce di una copia del suo originale?), ma anche «sfuggito», «lasciato andare lontano da sé» (Alciato ne aveva dato una copia a qualcuno e questa era poi finita nelle mani di Steyner a sua insaputa?). Probabilmente accadde in questo modo: l' « amissus » do vrebbe essere l'esemplare che Alciato aveva inviato all'uma nista, bibliofilo, antiquario e consigliere imperiale Chonrad Peutinger (1465-1547), al quale aveva dedicato gli Embl.ema ta: Augsburg era la patria di quest'ultimo, nonché la città do ve Steyner svolgeva la sua attività tipografica. Secondo Lot ter, 25 il biografo di Peutinger, Alciato aveva spedito all'uma nista tedesco il manoscritto con la dedica affinché fosse im presso, per cui è verosimile che il testo sia passato dalle mani di Peutinger a quelle di Steyner. Altri26 reputano invece che Steyner potesse acquisire il testo del Nostro comprandolo, insieme ad altre opere, da SigmundGrimm, anch'egli stam23. Si veda la Prefazione di Wechel alla sua edizione del 1534; Alciato si la menta in alcune lettere di questa « corrottissima» edizione: Barni, nn. 80, 93; cfr. H. Miedema, The Term, cit., p. 244; H. Homann, Studieri zur Embl,e matik, cit., p. 38. 24. Barni, n. 93: « nescio quo casu amissum [ sciL l'opusculum degli Embl,e mata] Vindelici edidere corruptissime »; con l'epistola Alciato inviava in dono al Bembo una copia dell'edizione degli Emblemata del 1534; a sua volta il Bembo non mancò di ringraziarlo del gradito dono in una lettera del 21 marzo: cfr. V. Cian, Lettere inedite di Andrea Alciato a Pietro Bembo. L 'Alciato e Paolo Giovio, in «Archivio Storico Lombardo», 17, 1890, p. 823. 25. J.G. Lotter, Histuria vitae atque meritorum Conradi Peutingeri, Edidit F.A. Veith, Augustae Vindelicorum, 1784, p. 65: « Ille [ sciL Alciato] enim, quum Emblematum suorum libellum Augustam ad Peutingerum misisset, ut typis ibi mandaret, (quod et praestitit; excusus enim fuit per Heynricum Stey nerum die 28 Febr. An. MLXXXI, uti ex primae huius editionis exemplo, Lotterus noster ab Andrea Buttigio secum communicato, perspexit)»; tra parentesi le osservazioni di Veith. 26. V. Sack, « Glauberi», cit., pp. 140 sgg.; perplesso su questa ipotesi B.F. Scholz, The 1531 A ug.sburg Edition, cit., pp. 243-49.
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patore in Augsburg, il quale nel 1527 fallì e dovette vendere i suoi beni. Grimm, raffinato editore di testi illustrati, avreb be avuto a disposizione la copia degli Embl.emata in possesso di Peutinger perché faceva parte del circolo di umanisti di Augsburg che frequentavano il consigliere imperiale. Comunque sia, la stampa di Steyner non ebbe alcun 'con trollo' da parte di Alciato, che in una lettera del 3 ottobre 1532 27 indirizzata all' « amicus optimus » Viglio van Zwichum (giureconsulto e politico amico pure di Erasmo) fa sapere che nel giugno dello stesso anno aveva inviato a Francesco Rupilio (anch'esso amico di Alciato e di Erasmo) una lista di errata per far correggere il testo di Steyner che, così com'era, gli rovinava la reputazione. Da ciò, con ogni pro babilità, scaturì in lui il desiderio e fors'anche la necessità di curare una nuova e corretta edizione, progetto che si realiz zerà nel 1534 con la pubblicazione degli Embl.emata presso il tipografo parigino Chrétien Wechel, alla quale seguiranno diciassette ristampe, di cui l'ultima nel 1545. 28 Rimane ora da affrontare la questione della genesi del1'opera alciatea, ovvero di quando e come venne redatta. Se è indiscutibile che una prima compilazione, per ammissio ne dell'autore, vide luce nel 1522 nella versione preparata per Ambrogio Visconti (un'altra raccolta di epigrammi era annunciata come prossima nel 1523), la loro progettazione ed elaborazione sembra risalire almeno al decennio prece dente. Lo lasciano intendere sia la dedica dell'Emblema I (nell'edizione Wechel del 1534) a Massimiliano Visconti, duca di Milano dal 1512 al 1515, sia quella a Peutinger con tenuta nella Praefatio so fin dall'edizione del 1531, ma scritta, come ora vedremo, prima del 1519. Qui si fa l'augurio che «Cesare» conceda allo stesso Peu tinger di possedere « preziose monete e insigni codici degli antichi». Tal «Cesare» altri non può essere che l'impera29
27. Barni, n. 80: «ut impressor tametsi sero emendaret tamen quae magna cum nominis mei nota peccaverat ... Missi autem ea errata ad ipsum Rupi lium hisce litteris, quas mense iunio ad eum dedi». 28. H. Green, Andrea Alciati, cit., pp. 122-42; G. Duplessis, Les Embfimes d 'Alciat, cit., pp. 12-19. 29. Cfr. il commento all'Emblema I. 30. Si veda l'analisi del testo nel paragrafo «Quando furono inserite le il lustrazioni?».
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tore Massimiliano I d'Asburgo/' con il quale Chonrad visse stretti rapporti confidenziali come consigliere e diplomati co e dal quale fu grandemente stimato per i suoi interessi culturali e antiquariati: per volere di Massimiliano poté pubblicare ad Augsburg nel 1505, per i tipi di Erhardus Ra told, i R.omanae vetustatis fragmenta in Augusta Vindelicorum et eius diocesi,32 importante silloge di antiche iscrizioni lati ne. Difficilmente credibile invece l'identificazione dell'im peratore con il successore di Massimiliano, Carlo V, di cui Peutinger fu pure consigliere imperiale, ma con il quale non ebbe un analogo, caloroso rapporto, tanto che Chon rad si lamentò di non avere ricevuto dal suo 'nuovo' impe ratore lo stipendio dovuto. 33 Massimiliano I muore nel 1519, data che diviene così il termine ante quem Alciato compose la dedica e, si può presumere, gli Emblemata. Tra l'altro, non si dimentichi che la sua vena lirica sbocciò pre sto e venne da lui sempre coltivata. Ancora adolescente componeva poesie e orazioni che destavano ammirazione per le « concinnae et acutae sententiae» e giochi enigmati ci, come commemorerà Agostino Grimaldi nell'orazione funebre in suo onore tenuta nella cattedrale di Pavia il 19 31. Sulla questione e sul rapporto fra Peutinger e Massimiliano: Mi gnault, pp. 16-17; Thuilius, p. 6; J.G. Lotter, Histllria vitae atque meritorum Conradi Peutingeri, cit., pp. 18-2 1: «Saepius Peutingero lmperatorem adeundi, atque ipsum reipublicae salutandi nomine, locus fuit. Contigit ex hac re, ut propius principi adloquio frequentiori cognitus, mox, inge nii atque doctrinae, et antiquitatis maxime historiarumque studii exquisi tioris commendatione arctissimo consuetudinis nexu coniunctus fieret ... Certe apud Maximilianum lmperatorem favore maximo valuisse No strum » ; L. Volkmann, Bilder Schriften der Renaissance, cit., p. 81; H. Ho mann, Studien zur Emblematik, cit., pp. 28-32; C. Balavoine, Archéologie de l'emblème littéra ire: la dédicace a Conra d Peutinger des «Emblemata » d �ndréAl ciat, in Emblèmes et devises au temps de la Renaissance, direttore della pubbli cazione M.T. Jones-Davies, Paris, 1981, pp. 9-13; R. Cummings, Alciato 's «Emblemata » as an Imaginary Museum, in «Emblematica » , 10, 1996, pp. 256-67, nota 49 di p. 262; V.W. Callahan, «Andrea Alciati » , in Contem� raries of Erasmus: a Biographical Register of the Renaissance and Reformation, a cura di P.G. Bietenholz, Toronto, 1985, voi. I, pp. 23-26. Si veda, sotto, la nota 46. 32. Come si legge sul frontespizio: « iussu divi Maximiliani Principis» . 33. E. Konig, Peutingerstudien, in Studien und Darstellungm aus dem Gebiete der Geschichte, 9, Freiburg, 1914, p. 1 6; C. Balavoine, La manipulation des « images symboliques », cit., p. 1 1.
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gennaio 1550. 34 Infine va rilevata la circostanza, a nostro avviso di basilare interesse, che l'epigramma dell'Emblema LXXXII, versione latina di uno greco, è databile intorno al 1508, periodo che dimostra come Alciato inserì negli Em blemata anche carmi giovanili. In sintesi: l'opera, come si deduce dall'oscillazione delle va rie date e dediche citate, ebbe senz'altro una gestazione com plessa e diluita nel tempo, di cui però ci sfuggono i precisi contorni cronologici. Del resto è lo stesso Alciato a dirci, nella sua Praefatio, che componeva gli epigrammi/Emblemi nelle ore di festa e per diletto, dunque senza una programmazione rigorosa. Per il sommo giurista si trattava di uno svago, forse perseguito anche con una certa ambizione 'poetica', 35 dove confluivano curiosità e interessi filologico-antiquariali per il mondo classico. Tale ambito l'aveva appassionato fin da giova ne, e aveva dato prova di possederne magistrale conoscenza nei Monumentorum vet,eru:rnque, inscriptionum, quae cum Mediol,a ni tum in eius agro adhuc extant collectanea, libri duo, raccolta epi grafica, già formata nel 1508 (Alciato aveva 16 anni), che per il notevole commento filologico e storico costituisce «un pun to di riferimento dell'erudizione milanese e lombarda, come ha un posto importante nella storia dell'epigrafia latina». Le sue liriche sposano questo dotto bagaglio culturale (dote che 36
34. K. Giehlow, Die Hieroglyphenkunde, cit., p. 142. 35. Critico il giudizio di D. Bianchi, L 'opera ktteraria, cit., pp. 60-61, 72 e 8389; si veda, sotto, la nota 7 a p. Lxxv. 36. R. Abbondanza, « Alciato (Alciati) Andrea», cit., p. 69; di quest'opera a tutt'oggi inedita esistono diversi manoscritti: ibid., p. 76; cfr. D. Bianchi, L 'opera l.etteraria, cit., pp. 48-57; Andreae Alciati Antiquae inscriptiones vetera que monumenta patriae, ristampa anastatica, con presentazione di G.L. Bar ni, Milano, 1973; P. Laurens, F. Vuilleumier, De l 'archéo/,ogie à l 'emblème, la genèse du Liber Alciati, in « Revue de l'Art», 101, 1993, pp. 86-95, e Entre Histoire ef Emblème: I.e recueil des inscriptions milanaises d'André Alciat, in « Re vue des Etudes Latines», 72, 1994, pp. 218-37; sull'impegno epigrafico del Nostro importanti i nuovi contributi di A. Ferrua, Andrea Alciato e l 'epigrafia pagana di Roma, in « Archivio della Società Romana di Storia patria», 113, 1990, pp. 209-33, e soprattutto di A. Sartori, L'Alciato e I.e epigrafi, in Andrea Alciato umanista europeo, « Periodico della Società Storica Comense», 61, 1999, pp. 52-82; sul contributo di Alciato alla rinascita dell' epigrafia classi ca: R. Weiss, The Renaissance DisCQVery of Classica[ Antiquity, Oxford, 1969; trad. it. La scoperta dell'antichità classica nel Rinascimento, Padova, 1989, pp. 177-79, 208-209; per le conoscenze della letteratura classica da parte di Al ciato: P.É. Viard, André Alciat, cit., pp. 229 sgg., 24 4 sgg.
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emerge inequivocabile dalle numerose fonti classiche che in fluenzano gli epigrammi/Emblemi) con l'occasionale piacere della loro invenzione, secondo tempi e modi non vincolanti. Lo prova anche il fatto che nelle edizioni degli Embl.emata, suc cessive a quella del 1531, verranno ancora aggiunti nuovi Em blemi, testimoniando in questo modo una sorta di elaborazi ne in fieri. Similmente accade per tutti gli epigrammi alciatei che volgono in latino quelli dell'Antologia Plantuka: 37 prima S no pubblicati, insieme al testo greco e ad altre versioni degli stessi rese da diversi eruditi dell'epoca, nei Silecta epigrammata del 1529, poi Alciato li ripropone nella sua sola traduzione e svincolati da questo contesto, includendoli liberamente nel corpus degli Embl.emata e attribuendo a ogni epigramma, se condo un suo proprio intendimento, un titolo sui generis, che annuncia e racchiude il soggetto cantato nei versi. Di conse guenza, l'insieme emblematico che ne scaturisce risulta sia im preziosito dalla presenza e varietà di quell'antica lirica da lui rivisitata, sia rigenerato concettualmente dal significato inedi to che assume grazie alla novella titolatura. Qy,ando furono inserite le illustrazioni? Altro dilemma, connesso al problema della prima edizione, è quello delle illustrazioni e del loro inserimento.!18 Replico e riassumo la questione per maggiore chiarezza: Alciato nel 1522 pubblica gli Embl.emata, operetta che contiene solo epi grammi (così nell'altra compilazione del 1523), mentre nel l'edizione Steyner del 1531 troviamo che i componimenti poetici sono accompagnati da vignette. Perché questa modifi ca e integrazione? A chi si deve? Non è possibile dare risposte 37. Cfr. A. Saunders, Alciati and the GreekAnthology, in «Journal of Medieval and Renaissance Studies», 12, 1982, pp. 1-18. Si veda la « Nota al testo, al la traduzione e al commento». 38. L'argomento era dibattuto fin dal secolo di Alciato, come dimostra l'annotazione di Luca Contile ( 1505-1574) nel Ragionamento sopra la fmr prietà del/,e Imprese, Pavia, Girolamo Bartoli, 1574, p. 24r : « Alcuni si trovano i quali dicono essere stato detto libro [gli Embkmata] , primieramente stampato senza le figure, ma dopo alcuno tempo, furono da quel gran iu reconsulto [Alciato] giudiziosamente aggionte, più per vaghezza e per bel la vista che per più chiaro intelletto di quella mirabile poesia».
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certe alla domanda per la mancanza di testimonianze o docu menti a riguardo; si possono tuttavia proporre tre ipotesi: due attribuiscono ad Alciato la responsabilità di un simile connu bio testo/immagine, l'altra al solo Steyner. Prima di prender le in considerazione sgombriamo il campo da un'opinione in merito che non condividiamo. Il fatto che in due epigrammi senza immagine dell'edi zione del 1531 (si vedano gli Emblemi LXXXVIII e CII) compaiano, a margine dei versi, delle citazioni che rinviano a due precisi passi di Plinio e di Fulgenzio, nei quali si de scrive l'argomento degli epigrammi, ha indotto alcuni stu diosi 39 a ritenere ciò un voluto suggerimento di Alciato (in dicato appositamente nel manoscritto e poi mantenuto da Steyner) all'artista che, leggendo per esteso i brani citati, avrebbe potuto meglio raffigurare i soggetti (il camaleonte in LXXXVIII e Bellerofonte che uccide la Chimera in CII) non sufficientemente delineati nei versi. Le due citazioni, concepite come un 'aiuto' all'incisore/disegnatore, testi monierebbero l'intento alciateo di far illustrare i suoi epi grammi fin dalla primitiva stesura degli stessi, e sarebbero poi servite all'artista che realizzò le vignette per la stampa del 1534, dove le citazioni non sono più riportate, essendo state sostituite dalle xilografie che le hanno fedelmente se guite e risolte traducendole graficamente. L'osservazione non è condivisibile per il semplice motivo che a un attento riscontro testo/immagine (per intenderci: fra i brani di Pli nio e di Fulgenzio con le rispettive illustrazioni degli Em blemi LXXXVIII e CII del 1534) risulta che soltanto l'ico nografia del camaleonte deriva dalla descrizione pliniana e non dai versi di Alciato, mentre non si può dire altrettan to per l'immagine di Bellerofonte e la Chimera, che non concorda minimamente con la descrizione di Fulgenzio. 40 L'ineccepibile contraddizione inficia inevitabilmente la con gettura. Le due citazioni si possono invece considerare del le semplici annotazioni o richiami al testo manoscritto ap posti a uso dell'autore, e così riprodotti nella stampa di Steyner. 39. Cfr. H. Homann, Studien zur Emblematik, cit., p. 36; F.W.G. Leeman, Al ciatus ' Emblemata, cit. , p. 28. 40. Cfr. il commento ai due Emblemi.
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Torniamo alle tre ipotesi sviluppandole: 1) La prima suppone che Alciato avesse previsto, dopo le prime raccolte poetiche del 1522/1523, di inserire delle il lustrazioni o quantomeno lo avesse in qualche modo racco mandato, per cui quando Steyner si è trovato il volumetto degli EmbÙ!mata da stampare nel 1531, venutone a cono scenza, ha eseguito la volontà dell'autore. 2) La seconda 41 presume che Alciato per Emblemi inten desse sempre e soprattutto gli epigrammi, ma che lasciasse poi agli editori il compito di approntare eventualmente l'apparato iconografico. Infatti, se nel primo paragrafo ab biamo accertato che per Emblema, almeno agli albori del1'invenzione alciatea, doveva intendersi soltanto l'epigram ma, non può non colpire il dato tipografico/ editoriale che tale condizione persista pure in alcune importanti edizioni dei secoli XVI e XVII dell' opera omnia di Alciato, nono stante l'ormai prolifica diffusione degli Emblemata illustra ti. Basti ricordare la pubblicazione - ancora vivente Alciato - dell' opera omnia del 1548 (Lione), la prima raccolta dei suoi scritti autorizzata, e quelle del 1549 (Basilea), anche questa con il consenso dell'autore e più volte ristampata, e del 1571 (Basilea). 42 In simili raccolte, gli Emblemata sono inseriti con il solo testo degli epigrammi senza alcuna im magine, dichiarando in tal modo, implicitamente, l'auto sufficienza di quel lavoro poetico, che poi altri semmai, ·con il beneplacito del Nostro, avrebbero potuto corredare con vignette. 3) La terza ipotesi, che non contrasta con la seconda ap pena detta, è la più articolata: esaminiamola con ordine, partendo dalla Praefatio di Alciato agli Emb/,emata, pubblicata sia da Steyner che nelle edizioni posteriori, ma composta non dopo il 1519.4'
41. Opportunamente messa in luce da H. Miedema, The Term, cit., pp. 238-39. 42. Cfr. rispettivamente in H. Green, Andrea Alciati, cit., nn. 30, 35, 62, 82; ricordo che anche nell'edizione Steyner troviamo sei epigrammi senza vi gnette ( cc. E4r-v, E5r, F2v-F3r). 43. Si veda, sopra, il paragrafo « Epigrammi ed Emblemi » .
Clarissimi viri D. Andreae Alciati in Libellum Emblematum praefatio ad D. Chonradum PeutingCTUm Augustanum 44 Dum pueros iuglans, iuvenes dum tessera fallit, Detinet et segnes chartula picta viros. Haec nos festivis Emblemata cudimus horis, Artificum illustri signaque /acta manu. Vestibus ut torulos, petasis ut figere parmas, Et vakat tacitis scribere quisque notis.45 At tibi supremus pretiosa nomismata Caesar, Et vetCTUm eximias donet habere manus. Ipse dabo vati chartacea munera vates, QJ,tae Chonrade mei pignus amoris habe. Prefazione al Libretto degli Emblemi dell'Illustrissimo Signore Andrea Alciato al Signor Chonrad Peutinger 46 di Augusta 44. La dedica sia in A. 1531 che in A. 1534 è tipograficamente costruita con lettere maiuscole nella parte superiore e minuscole in quella inferio re, sì da comporre un technopaegnwn triangolare con il vertice in basso. I versi sono stati commentati con interpretazioni non sempre concordi da . Mignault, pp. 16- 19; Thuilius, pp. 1-B; J.G. Lotter, Histuria vitae atque meri torum Conradi Peutingeri, cit., p. 65; H. Miedema, The Term, cit., pp. 241-44; H. Homann, Studien zur Emblematik, cit., pp. 34-40; C. Balavoine, La mani pulation des « images symboliques », cit., pp. 9-18; F.W.G. Leeman, Alciatus ' Em blemata, cit. ; J. Kòhler, Alciato 's Shadow, cit. 45. Ovidio, Am., 2, 7, 5: « tacitae notae », « segni, cenni segreti». 46. Il patrizio di Augusta Chonrad Peutinger ( 1465-1547) , celebre anti quario e umanista, studiò in gioventù Legge e Belle lettere a Padova, Bo logna e Firenze. Fu in speciale confidenza con l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, per il quale svolse missioni di carattere diplomatico e di na tura letteraria e culturale. A lui Bernardino Trebazio dedicò nel 1515 la prima traduzione in latino dei Hieroglyphica di Horapollo. Il tono della de dica alciatea, aulica e amicale insieme, evidenzia l'ammirazione per le co noscenze antiquariali di Chonrad, delle quali lo stesso Alciato era raffina to cultore, ed è probabilmente in questo comune sentire che va cercato il motivo più genuino della dedica degli Emblemata, anche se l'ultimo distico ne indica la ragione nelle virtù letterarie di Peutinger: cfr. J.G. Lotter, Hi sturia vitae atque meritorum Conradi Peutingeri, cit., pp. 63-65; si veda, sopra, il paragrafo « Epigrammi ed Emblemi».
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Mentre i fanciulli giocano alle noci,47 i giovani a dadi e gli uomini oziosi si intrattengono con le carte da gioco, io nelle ore di festa conio49 questi Emblemi e figure simboliche 50 di illustre mano di artisti, affinché chiunque sia in grado di applicare fregi5 1 alle vesti e scudi 52 ai cappelli, o di scrivere muti segni. 53
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47. Marziale, 4, 14; 5, 30, 8. L'uso ludico delle noci, impiegate per lo più come palline, era già diffuso presso i fanciulli romani: per le fonti lettera rie cfr. S. Pitiscus, Lexicon antiquitatum romanorum, Venetiis, 1719, vol. Il, p. 666. Il senso del gioco e del diletto unito a valenze significanti e didatti che, qui trasferito all'invenzione poetica e visiva degli Emblemi, riprende il motivo umanistico (ma già classico: paradigmatici i versi di Orazio, An, 333 sgg.: «Aut prodesse volunt aut delectare poetae / aut simul et iucunda et idonea dicere vitae») del «docere» e «delectare» insieme: R.W. Lee, Ut Pictura Poesis. A Humanistic Theory of Painting, New York, 1967, pp. 55-58; G. Innocenti, L 'immagine significante. Studio sull 'embl,ematica cinquecentesca, Padova, 1981, pp. 15-19, 158-60. 48. Thuilius, p. 4: .;Lusus chartarum»; H. Miedema, The Term, cit., p. 243: «The usual translation is with "playing cards"; the literal rendering is not "playing cards", but "small prints"». 49. Il verbo cudere (propriamente «battere, forgiare metalli ,. , ma anche «coniare monete» e « fabbricare anelli») va qui inteso nel senso della cu ra che Alciato pone nella composizione dei suoi Emblemi, analoga alla particolare precisione che il cesellatore, l'orefice mettono nell'esecuzione delle loro preziose opere. Alciato utilizza il verbo in una lettera del 1520 (Barni, n. 5, p. 12: «De verborum significatione commentario cudo») nel senso di «redigere, preparare, attendere alla messa a punto» dei suoi scrit ti; cfr. C. Balavoine, La manipulation des « images symboliques», cit. , p. 13. 50. Negli Embl,emata (cfr. Emblemi VIII, LIX, LXV, LXVII, LXXXII, C, CVII, CVIII, CXII) il lemma signa assume vari significati («simbolo, figura, insegna»), tutti inerenti a un'iconografia allegorica. Traduco con « figure simboliche» per meglio esprimere e condensa,re l'estensione semantica che il vocabolo prende nel vocabolario alciateo. 51. « torulus»: tipo di acconciatura femminile dei capelli (Varrone, Ling., 5, 35), che Alciato per traslato riferisce qui alle vesti. 52. «parma»: piccolo e leggero scudo tondo dipinto o rotella (Varrone, Ling., 5, 24; Properzio, 4, 10, 21; Servio, In Aen., 9, 548; Isidoro, Etym., 18, 13, 6), da intendersi in questo caso come un ornamento o una decorazio ne, sul genere di una medaglia o insegna circolare fissata sul berretto. Si veda il documentato studio di Y. Hackenbroch, Enseignes. Renaissance Hat jewels, Firenze, 1996. 53. Le « tacitae notae» sono i geroglifici, i signa simbolici che appaiono 'mu ti' , silenti a chi li guarda senza conoscerne il significato, mentre 'parlano' a chi sa comprenderne il senso nascosto: sono 'muti' in quanto si tratta di pitture, di immagini che non necessitano di essere 'pronunciate' bensì 'viste', sono segni senza 'voce': Valeriano, cit. sotto, alla nota 111; Pietro Crinito, De honesta disciplina, a cura di C. Angeleri, Roma, 1955, p. 180:
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Ma a te il sommo Cesare conceda di possedere preziose monete e insigni codici degli antichi. 54 Io, poeta, darò al poeta solo doni di carta 55 che, o Chonrad, ricevi come pegno del mio affetto. Da questi versi emergono alcuni dati, in parte già visti e su cui torneremo man mano che si procede: il senso ludico con cui Alciato vive i suoi componimenti; il desiderio che nuovi stemmi, fregi da attaccare su cappelli e vesti, ecc. nascano dai suoi epigrammi/Emblemi; la capacità di questi stessi di creare immagini 'geroglifiche' ( tacitae notae) . Oltre a ciò, nel secon do distico, vi è una informazione di rilievo che specifica la doppia natura dell'impegno di Alciato. Si legge infatti che questi 'conia' Emblemi e figure simboliche (signa) realizzate da celebri artisti. Tali 'figure' non possono essere le vignette (o i loro presumibili disegni preparatori) che vanno insieme agli epigrammi nelle stampe degli Embl,emo,ta, perché di artisti «hieroglyphicae notae»; Fasanini, in Hori Apollinis Niliaci Hierogf:yphica, hoc est de sacrisAegyptiorum literis libelli Il, de Greco in Latinum sermonem a Phil. Phasaninio nunc primum traslati, Bononiae, Girolamo Benedet ti, 1517, c. XLVr : «sacrae notae»; Celio Rodigino, Lectionum antiquarium libri triginta, [ Francoforte] . eredi André Wechel, Claude de Marne, Jo hann Aubry, 1599 ( editio princeps : Venetiis, eredi di Aldo & Andrea Torre sano, 1516), col. 1381: «Ammianus Marcellinus in obelisci mentione: for marum (inquit) innumeras notas, hieroglyphicas appellatas». Infatti, la fonte per il binomio notae/geroglifici è Ammiano Marcellino, che parla delle incisioni geroglifiche sugli obelischi, 17, 4, 8: «Formarum autem in numeras notas, hieroglyphicas appellatas, quas ei undique videmus inci sas, initialis sapientiae vetus insignivit auctoritas». In Ovidio (Am., 2, 7, 5) le «tacitae notae» significano dei segni, dei cenni segreti: anche se questo dovesse essere il senso più conveniente delle parole di Alciato, il riferi mento ai geroglifici non cambia, dal momento che agli stessi veniva rico nosciuto un valore criptografico (Fasanini, in Hori Apollinis Niliaci Hiero glyphica, cit., c. xLvv: «nam et illorum usus cum parentum nostrorum me moria frequens fuerit, hac quoque tempestate secretioribus in rebus a ple risque adhibent»). Cfr. Mignault, p. 18; Thuilius, p. 6. 54. Seguo J.G. Lotter, Historia vitae atque meritorum Conradi Peutingeri, cit., p. 65: «facile, putamus, intelliget per "nomismata et veterum manus" si gnificari nummos Caesarum antiquos set priscos historiae patriae Codices, quos versandos explicandoque Maximiliano Conrado obtulit». 55. I fogli dell'Emblematum liber con gli epigrammi/Emblemi; Marziale, 13, 3, 5: «pro munere disticha mittas»; cfr. 14, 10 («Non est munera quod pu tes pusilla, / cum donat vacuas poeta chartas») e 14, 11.
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famosi non sono, né si possono attribuire alla mano di Alciato, che non risulta affatto fosse dotato di virtù grafiche. Ma anche e prima di tutto per un altro motivo: quando il Nostro scrive la dedica a Peutinger, prima del 1519, l'Embl.ematum lilJer è for mato ancora da soli epigrammi, mentre le vignette, per altro di mediocre fattura, come ammette lo stampatore Heinrich Steyner nell' « epistola al lettore » , verranno inserite nel testo solo con la sua edizione del 1531: «Non a torto, sincero letto re, rimpiangerai la nostra diligenza nelle vignette che sono state aggiunte a quest'opera; infatti l'autorità del valentissimo autore e la dignità del libretto meritavano illustrazioni più ele ganti, cosa che anche noi ammettiamo » . Ne consegue che questi signa di celebrati artisti vanno cer cati altrove. Si trovano, infatti, nei medesimi epigram mi/Emblemi: sono tutte quelle figure allegoriche, scolpite, incise, dipinte da rinomati artisti dell'antichità, le quali poe ticamente vengono 'fatte vedere' e rinnovate nell'invenzio ne ecfrastica dei versi. Basti ricordare la preziosa gemma del l'Emblema VII, l'Occasio di Lisippo dell'Emblema XVI, l'effigie di Ocno da antichi dipinti dell'Emblema XVII, l'Er cole fra i Pigmei di Filostrato dell'Emblema XX, la Pallade di Fidia dell'Emblema XLII, la statua di Leena dell'Emblema LXIII, il dipinto con Eros e Anteros per l'Emblema LXXII, il simulacro della Buona Speranza di Elpidio dell'Emblema LXXVIII, senza considerare quanti epigrammi alciatei di pendano da citazioni classiche e reperti antiquariali. Mi pare pertanto che il distico voglia semplicemente dire che Alciato, nei suoi epigrammi/Emblemi, replica immagi ni di insigni opere del passato dovute a « illustri mani artisti che » , «coniandole » così, liricamente, in nuova forma. Non a caso nei suoi componimenti poetici canta appunto nume rose opere d'arte che trae dalla letteratura artistica greca e latina: forme e immagini tramandate da Plinio, da Pausania, da Luciano, dall'Antologia Pl,a,nudea o dai Filostrati. Sono icone, statue e monumenti di eroi o rinomati personaggi, resi ancora vividi dagli epigrammi/Emblemi, nei quali Al ciato, fedele adepto dell' ut pictuta poesis, mette in luce tutta la sua predilezione per l' ékphrasis. Basta prendere in esame, per esempio, gli Emblemi XVI, XXV, LIX, LXVII, LXXVIII 56
56. Questione esaminata nel paragrafo « Quando furono inserite le illu strazioni?»
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e XCVII, nei quali il meccanismo ecfrastico procede attra verso la trama dialogata dei versi, in cui la celebre opera d'arte 'spiega' se stessa e il senso del suo aspetto dinanzi al l'ammirato osservatore che la interroga. Tali considerazioni trovano ulteriore conferma nell' «epi stola al lettore» di Steyner: Candido Lectori Salutem Plurimam Haud immerito candide l,ector, nostram desyderabi,s diligentiam, in hijs tabellis quae huic operi adiectae sunt, el,egantiores nanque picturas, et authoris gravissimi authoritas, et libelli dig;nitas mere bantur, quod quidem nos Jatemur, cupiebamusque inventiones has illustriores tibi tradere ita, si eas quam artificiosissime depictas, an te oculos poneremus, nihilque (quod sciam) ad eam rem nobi,s der fuit. Verum cum hoc non tantum magni l,a,boris fuerit, (quem certe non subterfugi,mus) sed et maximi sumptus, intelligi,s quicquid huiuscemodi erat, id omne tibi denuo persolvendum Juisse. Utilissi mum itaque nobi,s visum est, si notulis quibusdam obiter, rudiori bus, gravissimi authoris inventionem sig;nificaremus, quod docti haec per se colligent, hor,que ipso tibi gratificari voluimus, si ma g;nas delitias parvo tibi compararemus. Bene val,e, nostramque ope ram boni consul,e. Al sincero lettore, salute Non a torto, sincero lettore, rimpiangerai la nostra dili genza nelle vignette che sono state aggiunte a quest'opera; infatti l'autorità del valentissimo autore e la dignità del li bretto meritavano illustrazioni più eleganti, cosa che an che noi ammettiamo. Desideravamo che queste invenzioni ti fossero presentate più belle, in modo da porle davanti ai tuoi occhi dipinte con quanta più arte possibile, e niente, per quanto sappia, abbiamo tralasciato a questo riguardo. Per altro, essendo stato ciò non solo di grande fatica (a cui certo non ci sottraemmo) ma anche di grandissima spesa, comprendi che quanto era di più avresti dovuto pagarlo in teramente di nuovo. Perciò la cosa più utile ci è parsa quel la di illustrare frattanto, seppure con qualche piccola figu ra un po' troppo rozza, l'invenzione del valentissimo au tore, nonostante i dotti sappiano trarla da sé. E con que sto abbiamo voluto compiacerti, preparandoti con poco
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grandi delizie. Sta bene, e consulta benevolmente la nostra opera. Il tono e la sostanza dell' «epistola» non lasciano dubbi sul fatto che fu Steyner, di sua iniziativa, a inserire le imma gini in un testo costituito soltanto da epigrammi, come do veva esserlo secondo quanto sopra accertato. A questo pun to, non disponendo fino a oggi di alcuna sicura prova docu mentale, diretta o indiretta, sulla genesi dell'edizione Stey ner e sulla questione delle vignette, prende corpo la terza ipotesi. Steyner ebbe il testo degli Embl.emata con gli epigrammi e la dedica di Alciato a Peutinger, che difatti pubblica, e nella quale si dichiara che i versi devono servire a creare immagi ni artistiche («io nelle ore di festa conio questi Emblemi / e figure simboliche di illustre mano di artisti, / affinché chiunque sia in grado di applicare fregi alle vesti / e scudi ai cappelli, o di scrivere muti segni»). Steyner seguì e attuò il desiderio di Alciato («Perciò la cosa più utile ci è parsa quel la di illustrare frattanto, seppure con qualche piccola figura un po' troppo rozza, l'invenzione del valentissimo autore»), cioè di rappresentare concretamente e artisticamente im magini accompagnando il discorso poetico con le incisioni (infatti si scusa di proporre al lettore xilografie 'inadegua te', perché altrimenti, se fossero state di notevole fattura ar tistica, la spesa per lui, editore, sarebbe lievitata éon il con seguente aumento del costo del libro). Se l'ipotesi è giusta ne consegue che a Steyner si deve l'idea tipografica degli · Emblemi, intesi non più come singoli epigrammi, bensì quale calcolata coniugazione di testo poetico e immagine, soluzione non espressamente prevista da Alciato. A favore di questa seconda eventualità c'è soprattutto la condanna del Nostro per questa edizione: un severo rifiuto che, come osservato, testimonia la sua esclusione dal lavoro di Steyner (impensabile che Alciato avesse collaborato al i' edizione per poi rinnegarla a causa delle gravi mende), che evidentemente agì di sua iniziativa, e al quale spetta l'esclusi va paternità del lavoro editoriale e dell'innesto delle vignet te. Ulteriore conferma di ciò si deve al riscontro oggettivo che alcune incisioni dell'edizione di Steyner vennero icono-
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graficamente del tutto cambiate in quella successiva del 1534 rivista e approvata da Alciato. Si tratta di modifiche figurative sostanziali: dato che mostra un intervento sulle illustrazioni da parte dell'autore, che evidentemente non condivideva o non riteneva soddisfacessero la proposta ecfrastica dei suoi epigrammi, e che dunque non potevano essere state suggeri te da lui stesso per l'edizione del 1531. L'azione censoria di Alciato mette così in risalto, per contrasto, l'intraprendenza e l'autonomia di Steyner nella scelta e nell'inserimento delle sue xilografie accanto agli epigrammi, e pertanto l'originali tà di tale soluzione o accorgimento. Se l'ipotesi è legittima, le conseguenze sono di non poco conto, owero si dovrebbe quantomeno ridimensionare il me rito di Alciato nel successo dell'Embl,ematum liber. Infatti, sa rebbe la trovata di Steyner (che del resto se gue fedelmente l'invito di Alciato a produrre immagini sulla base dei suoi epi grammi) e l'immediato boom editoriale (ricordo che Steyner pubblicò tra il 1531 e il 1534 ben cinque stampe degli Emb!Rr mata) 57 ad avere poi indotto Alciato a correre, per dir così, ai ripari e a produrre la rinnovata edizione del 1534 con lo stampatore parigino Wechel (al quale il Nostro l'aveva com missionata prima del gennaio 1533, 58 dunque avanti che Stey ner stampasse la sua quinta e ultima edizione degli Emblema ta, verosimilmente per togliergli l'iniziativa e 'riprendersi' il proprio libellus), includendo altri epigrammi con titoli e nuo ve vignette a lui gradite, accogliendo però e facendo sua la so luzione iconico-tipografica elaborata da Steyner. Prendeva forma, forse in questo modo, la tipologia triparti ta dell'Emblema che presto diverrà canonica: titolo, immagi ne e poesia, cioè inscriptio (succinta intestazione owero motto che dichiara il soggetto, tema o concetto dell'Emblema), pie57. H. Green, Andrea Alciati, cit., pp. 116-22; G. Duplessis, Les Emblèmes d '.Alciat, cit., pp. 9-11; A. Adams, S. Rawles, A. Saunders, A Bibliography of French Emb/,em Books of the Sixteenth and Seventeenth unturies, voi. I, Genève, 1999, pp. 8 sgg. 58. Alciato conosceva Wechel da tempo: in una lettera del gennaio 1529 (Barni, n. 46) il Nostro gli scrive proponendogli la stampa di un suo opu scolo nel quale ha spiegato in ordine alfabetico i termini del diritto (forse il De verburum signijicatione) ; in un'altra, del 1533, sempre indirizzata a We chel, si apprende che, a quella data, Alciato gli aveva già commissionato la stampa degli Emblnnata: C.F. Buhler, A Letter written lTy Andrea Alciato to Christian Weche� in «Library», 5/16, 1961, pp. 201-205.
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tura o res picta (visualizzazione del soggetto) e subscriptio (de scrizione in versi del soggetto: un sonetto, un epigramma di varia lunghezza), come codificherà fin dalla metà del XVI se colo la fortunatissima letteratura di concetto post Alciato. 59 Il termine «Emblema » La scelta di chiamare «Emblemi» gli «epigrammi» si deve alla singolare parentela retorica che associa i due termini. Vediamo la questione. Il latino emblema, dal greco eµ�À:r1µa, composto delle parole Èv ( en, «in») e �aUco ( ballo, «inseri sco, faccio entrare»), significa ciò che si introduce o include per ornamento in un'altra cosa, come accade nell'intarsio, nel mosaico, nel ricamo delle vesti, oppure nelle forme in ri lievo applicate su altra materia, per esempio un ton_do d'oro con effigie sbalzata fissato sopra un vaso d'argento. E un lem ma tecnico-artistico,60 che nel periodo romano indica special mente l'opera di composizione a tessere minute da inserire con maestria in un più ampio quadro musivo. In Cicerone,61 59. Sulla struttura programmatica dell'Emblema e la sua correlazione con quella dell'impresa (il primo a teorizzare le regole e la forma di quest'ul tima fu Paolo Giovio nel Diawgo del/,e imfrrese militari e amorose, apparso a Ro ma per la prima volta nel 1555) si veda il moderno dibattito storico-critico in P.M. Daly, Literature, cit., pp. 27 sgg., 42 sgg., 132 sgg.; cfr. anche in H. Miedema, The Term, cit., pp. 234-35; ragguardevole il contributo di G. In nocenti, L 'immagine significante, cit., pp. 10 sgg., 20 sgg., 59-61. 60. Varrone, Rust., 3, 2, 4; Cicerone, Verr., 2, 4, 37; 2, 4, 49; 2, 4, 52; Plinio, Nat. hist., 33, 156; 36, 185 (d'ora in poi solo Plinio); importanti per i nu merosi riferimenti i Digesta lustiniani (10, 4, 7, 2; 33, 6, 3, l ; 34, 2, 17-19; 34, 2, 27, 4; 34, 2, 32, 1), ovviamente noti al giurista Alciato. 61. De or., 3, 171: «Sequitur continuatio verborum, quae duas res maxime, conlocationem primum, deinde modum quendam fonnamque desiderat. Conlocationis est componere et struere verba sic, ut neve asper eorum concursus neve hiulcus sit, sed quodam modo coagmentatus et levis; in quo lepide soceri mei persona lusit is, qui elegantissime id facere potuit, Lucilius: "Quam lepide lexis compostae! ut tesserulae omnes / arte pavi mento atque emblemate vermiculato"»; Or., 149-150: «Atque illud pri mum videamus quale sit - quod ve! maxume desiderat diligentiam - ut fiat quasi structura quaedam nec tamen fiat operose; nam esset cum infinitus tum puerilis labor; quod apud Lucilium scite exagitat in Albucio Scaevola: "Quam lepide lexis compostae ut tesserulae omnes / Arte pavimento at que emblemate venniculato! ". Nolo haec tam minuta constructio appare at; sed tamen stilus exercitatus efficiet facile fonnulam componendi. Nam
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che riporta una frase dalle Satire diGaio Lucilio, 62 e in Quin tiliano6! il termine assume valenza figurata: come le sottili tessere sono disposte e incastrate ad arte in un pavimento a mosaico, così è opportuno accomodare con grazia e decoro le parole nel discorso, sia orale che scritto, come vuole la chiarezza dell'assetto espositivo, del «lucidus ordo» orazia no.64 Dunque l'ordine e l'ingegnosa distribuzione dei tasselli che compongono l'insieme musivo, opera che grazie a tale arte offre forme piacevoli e belle agli occhi, trovano corri spondenza nella dispositio 65 logica degli argomenti costituen ti l'orazione, che analogamente congeniata svolge in modo chiaro ed elegante il pensiero da illustrare, secondo una esposizione che merita di essere ascoltata con plauso. In en trambi i casi ci troviamo di fronte a immagini discorsive ed efficaci, là date dalla combinazione di minute pietruzze colo rate, qui dallo sposalizio di diversi elementi verbali. Le due accezioni del termine, la propria e la figurata, furo no ben conosciute dagli umanisti66 e il Nostro le utilizzò enut in legendo oculus sic animus in dicendo prospiciet quid sequatur, ne extremorum verborum cum insequentibus primis concursus aut hiulcas voces efficiat aut asperas. Quamvis enim suaves gravesve sententiae tamen, si inconditis verbis efferuntur, offendent auris, quarum est iudicium su perbissimum»; cfr. Brut., 274. 62. 2, 84, fr. 56 [Bahrens] . 63. Jnst., 2, 4, 27: «ut, quotiens esset occasio, extemporales eorum dictio nes his velut emblematis exornarentur». 64. Ars, 40-41. 65. Quintiliano, Jnst., 7, I , 1-2. 66. Un'accurata rassegna di questi autori e delle loro citazioni (Francesco Colonna, Angelo Poliziano, Filippo Beroaldo il Vecchio, Pietro Crinito, Guillaume Budé, Catelliano Cotta, Erasmo, Celio Rodigino, Celio Calcagni ni) in D.L. Drysdall, Préhistoire de l'emb/,ème: commentaires et empwis du terme avant Alciat, in « Nouvelle Revue du Seizième Siècle », 6, 1988, pp. 29-44. Inoltre, E. MacPhail, The Mosaic of Speech: A Classical Topos in Renaissance Aesthetics, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 66, 2003, pp. 249-64. Luca Contile, nel Ragionamento sopra la proprietà delk lmF se, cit., p. 24r-v, osserva: « La voce emblema è greca, usata per titolo d'un suo libro dal divino Alciato e lo stesso emblema è una interpositione, o vero compositione di più cose, materiali, diversamente colorite et insieme mae strevolmente congegnate»; Contile prosegue considerando che il termine Emblema si può adoperare per la tarsia lignea, per l'ornamento musivo, per la miniatura, l'incrostatura e la intagliatura marmorea, e precisa inoltre: « Il Budeo [Guillaume Budé] nelle sue annotationi chiama Emblemi l'opera ver miculata con conserto ei: adattamento di minute tavolette di legnami a pro-
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trambe per denominare i suoi epigrammi. Da un lato, quello figurato, Alciato considera questi ultimi, similmente agli Em blemi lapidei, come un insieme di singole parole il cui ordo li rico 'dipinge' immagini: uno studiato concento verbale e re torico da cui scaturiscono infine 'luoghi' ( topoi,) iconografici e simbolici, in cui è l'ecfrasi poetica a tessere il componimen to visivo. Da un altro, quello proprio, Alciato raccomanda che tale visualizzazione in versi trovi, come detto sopra, una effet tiva realizzazione presso pittori, orefici, ecc., che produrran no stemmi, insegne o icones symbolico,e, per poi fissarli su vesti, cappelli o altrove, esattamente come accadeva con l'Emble ma classico, che veniva inserito, congiunto a questa o quella forma secondo l'uso e la predisposizione.
II. IL NODO SAPIENTE: L 'IMMAGINE PAROLA
Come un ventaglio istoriato si apre e distendendo a poco a poco la sua superficie semicircolare esibisce chiara la figura zione che lo trama, così il pensiero dispiega e mostra con im magini i propri ragionamenti, innanzi raccolti nell'intimo. La logica ne delinea e guida la sequenza che, altrimenti, risulte rebbe priva di quella interna coniugazione fra le parti e il tut to, che rende possibile e manifesta la dinamica del pensiero stesso, cioè del processo di riflessione che visualizza il concetto. Così, attraverso queste rappresentazioni mentali, come in uno specchio, l'intelletto vede dipanarsi il senso dei suoi di scorsi per poi proporli e comunicarli all'altro da sé. L'imma gine dunque e poi la parola, due realtà espressive relaziona te tra loro grazie a un nodo sapiente che ne regola l'intrec cio, quando vigorose e dilettevoli, con la pittura e la poesia o con altra arte che su verba e imagines si fonda, ostentano alte congetture o semplici elucubrazioni. Il nesso che le stringe talmente da renderle intercambiabili e vicarie l'una dell'al tra sta nella loro comune origine, ossia nella naturale arte dell'immaginazione - phantasia o imaginatio -67 che produce posito et di metalli . . . Si piglia ancora l'emblema per una testura di parole . . . per ciò con mirabil giuditio, l'imortale Alciato d i questo titolo chiamar vol le la sua sopranominata Poesia morale e religiosa » ; cfr., sotto, la nota 1 22. 67. Non si può pensare senza immagini (Aristotele, De an. , 427b sgg. ; De
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e nutre l'interiore andamento discorsivo, combinandone mnemonicamente i vari elementi figurali e verbali.Grazie a questa facoltà dell'anima si crea quel dipinto ventaglio intel lettivo su cui vengono tessute storie e Jabulae, dove similmen te si possono riportare e illustrare speculazioni morali, scien tifiche, religiose o filosofiche come se si trattasse, appunto, di esporle scrivendo, disegnando o acquerellando sulle pagi ne di un libro. Ma si noti che l'opera dell'immaginazione non riguarda né la mimesi né il verosimile, non copia né ri produce le realtà sensibili, bensì, proprio perché affrancata da questa servitù esteriore, può creare interiori dimensioni simboliche utili per ascendere a conoscenze sublimi. 68 mem. , 449b sgg.; Plotino, 4, 3, 30; Proclo, In EucL , 121, 6-7); ampia la bi bliografia sull'attività immaginativa e i suoi vari aspetti psicologici, medici, mistico-filosofici e artistici, mi limito a segnalare per la tradizione occi dentale: E. Moutsopoulos, Le frroblème de l 'imaginaire chez Plotin, Athènes, 1980; N. Aujoulat, Les avatars de la phantasia dans /,e « Traité des songes » de Sy nésios de Cyrène I-II, in «KOINilNIA», 7/2, 1983, pp. 157-77 e 8/1, 1984, pp. 33-55; E. Moutsopoulos, Image et imageance, in Parcours de Proclus, Paris, 1993, pp. 35-40; P. Dronke, Imagination in the Late Pagan andEarly Christian World, Firenze, 2003, pp. 5-24. In ambito rinascimentale si veda: D.P. Wal ker, spiritual and Demonic Magie from Ficino to Campanella, London, 1958, pp. 76-82, 136-61; R. Harvey, The Inward lWts. Psycologic,al Theury in the Midd/,e Ages and the Renaissance, London, 1975, pp. 31-61; l ' imaginatio come prati ca iconico-filosofica: Giordano Bruno, Corpus iconographicum, a cura di M. Gabriele, Milano, 2001, pp. Lxxxv- xc; nel Polifito : M. Gabriele, Festina tarde: sognare nella temperata luce dell 'immaginazione, in Storia della lingua e sto ria dell'arte in Italia, a cura di V. Casale e P. D'Achille, Roma, 2004, pp. 16174; diversi e autorevoli contributi in Phantasia-imaginatio, «Atti del V Collo quio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo», a cura di M. Fattori e M. Bianchi, Roma, 1988. Sul rapporto phantasia/produzione artistica: G.M. Rispoli, L'artista sapiente. Per una storia della fantasia, Napoli, 1985. Sem pre utile e importante per la mole di materiali che raccoglie M.W. Bundy, The Theury ofImagination in Classic,al and Mediaeval Thought, Urbana, 1928. 68. Memorabile Cicerone, Or., 8-9: «quod neque oculis neque auribus ne que ullo sensu percipi potest, cogitatione tamen et mente complectimur. Itaque et Phidiae simulacris quibus nihil in ilio genere perfectius videmus et iis picturis quas nominavi cogitare tamen possumus pulchriora ... ipsius in mente insidebat species pulchritudinis eximia quaedam, quam intuens in eaque defixus ad illius similitudinem artem et manum dirigebat. Ut·igi tur in fonnis et figuris est aliquid perfectum et excellens, cuius ad cogita tam speciem imitando referuntur . .. ratione et intellegentia contineri »: qui si stabilisce che possiamo immaginarci ( cogitare ) cose più belle anche delle sculture di Fidia (che pure nel forgiarle aveva guardato non a un mo dello esterno, bensì interiore) e comprendere le realtà ideali platoniche ( Tim., 28a); Filostrato, Vit. Ap. , 6, 1 9 (cfr. 2, 22): «L' imitazione può creare
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Di questa straordinaria machina visionaria, serissima e gio cosa insieme, ci interessa qui, per il ruolo fondante che ha nel1'emblematica alciatea, un determinato aspetto, quello della parola che si fa immagine, descrivendo con cura e dettagliata mente qualcosa: un paesaggio, un volto, un oggetto, un sogno e così via. 69 Si tratta di una tecnica comunicativa, di un disposi tivo retorico chiamato ékphrasis70 («descrizione») o enargei,a («evidenza») 71 o hypotjposis («abbozzo, schizzo»), ovvero, in latino, descriptio, illustratio, demonstratio, euidentia: tutte modali tà72 proprie dell'eloquenza classica e non solo, con le quali si indica in sostanza la capacità di rappresentare a parole, in ogni suo particolare, un determinato soggetto e di porlo così, fortemente caratterizzato, all'ascoltatore. Tanta forza descritti va accende l'immaginazione di quest'ultimo, stimola la sua at titudine a raffigurarsi nella mente ciò di cui si parla, rendensoltanto ciò che ha visto, ma l'immaginazione crea anche quel che non ha visto, poiché può formarsene l'idea in riferimento alla realtà. Inoltre l'imi tazione è sovente sconvolta dal terrore, ma nulla può turbare l'immagina zione, poiché essa procede impavida verso l'idea che da sé stessa si è fat ta » , da Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, a cura di D. Del Como, Mila no, 1978, p. 283. 69. Ermogene, Prog., 10 [Reth., 2, 16, 32 Spengel] . 70. «Discorso descrittivo che, in tutta chiarezza, pone l'oggetto dinanzi agli occhi» : Teone, Prog. , 11 [Reth., 2, 118 Spengel] . Sull'ecfrasi nella tra dizione classica: P. Friedlander, johannes von Gaz.a und Paulus Silentiarius, Berlin, 1912, pp. 1-95; S. Maffei (a cura di), in Luciano di Samosata, De scrizioni di opere d 'arte, Torino, 1994, pp. xv- LXXXVI con annessa biblio grafia; si veda anche M. Fametti, Teorie e /unne dell 'ecfrasi nella ktteratura ita liana dall,e origini al Seicento. Saggio bibliografico, in Ecfrasi. Modelli ed esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farnetti, Roma, 2004, voi. II, pp. 537-600, dove sono riuniti vari e significativi contributi sull' ar gomento; notevole il recente R. Webb, Ekphrasis, lmagination and Pmuasion inAncient Rhetorical Theury and Practice, Famham, 2009. 71. Quintiliano, Inst. , 6, 2, 32: «Insequetur enargria, quae a Cicerone inlu stratio et evidentia nominatur, quae non tam dicere videtur quam ostendere, et adfectus non alite� quam si rebus ipsis intersimus sequentur » ; sul termine enlirgria: J. Cousin, Etudes sur Quintilien, Il, Paris, 1936, p. 74; cfr. anche S. Maffei, in Luciano di Samosata, Descrizioni di opere d 'arte, cit., p. XVI. 72. H. Lausberg, Ekmmti di retorica, Bologna, 1969, pp. 197-98; B. Mortara Garavelli, Manual,e di retorica, Milano, 1988, pp. 234-38; Rhet. Her. , 4, 68: «De monstratio est, cum ita verbis res exprimitur, ut geri negotium et res ante oculos esse videtur » ; Cicerone, De orat., 3, 202; Quintiliano, /nst. , 4, 2, 123; 6, 2, 32; 8, 3, 61-62; 9, 2, 40; per altre fonti: Comifìci Retoriw ad C. Heren nium, a cura di G. Calboli, Bologna, 1969, p. 400, nota 235, e p. 435, nota 309.
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dolo pronto a tradurre le parole in immagini. Per esempio un poeta recita una scena ritraendola in modo sì vivido e imme diato che chi ascolta riceve l'impressione di vederla nella sua fantasia, con i propri occhi interiori. Di fatto è una raffi.nata ar te comunicativa che mette in moto l'incontro, in dialettico coinvolgimento, fra due facoltà immaginativ�: quella di chi parla o scrive e quella di chi ascolta o legge. E una mirabile simbiosi in cui il lettore o ascoltatore, non più mero e inerte fruitore, diviene attivo spettatore. In una simile trasmutazione della forza evocativa e persuasiva della parola nell'attualità del la visione, il soggetto narrato si rinnova nella mente di chi lo recepisce e si fa presenza. Lo spettatore, così 'impressionato' e compartecipe della visualizzazione suscitata dall'ecfrasi, può dunque 'rivedere' quel soggetto nella libertà del suo stato im maginale e, coinvolto, può commuoversi, gioire o provare di spiacere, come pure può sentirsi mosso a 'conoscere', 75 a spe culare, su un più nobile piano intellettuale, il senso del discor so visivo che gli appare dinanzi. Una siffatta composizione im maginativa può pertanto svolgere, con il suo speciale messag gio e la feconda dinamica che interessa i sensi interni e le im magini/parole, anche un ruolo didattico, di ammaestramento e di via alla conoscenza, soddisfacendo l'istanza del dekdare e del do O M A A L
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EMBLEMA VIII
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EMBLEMA IX
[1531, c. A5r- v; 1534, p. 13] In victoriam dolo partam
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Aiacis tumulum lacrymis ego pcrluo Virlus, 2 Heu misera albentes dilaccrata comas. 3 Scilicet hoc restabat adhuc, ut iudice Graeco Vinccrcr, et caussa stet potiore dolus.
Sulla vittoria nata dall'inganno Io, la Virtù, bagno di lacrime la tomba di Aiace, ohimè misera, strappandomi le biancheggianti chiome. Davvero non restava che questo: che fossi vinta dal giudizio di un greco, e la frode stesse dalla parte vincente. I versi riprendono un epigramma di Asclepiade 4 e rievo cano, da un punto di vista etico più generale, il dramma del la sconfitta della Virtù o Valore (àperiJ) a opera dell'Ingan no, ammonendoci con le funeste conseguenze di tanta ini quità. La vicenda riguarda l'assegnazione delle anni di A chille cantata da Omero,5 da Ovidio 6 e nell'Epi,taphium Aiaci 7 di Ausonio: quest'ultimo, dipendendo dal medesimo epigram ma di Asclepiade, presenta non poche assonanze con il te sto alciateo. Il soggetto, dal p_unto di vista figurativo, conobbe nel '500 8 un certo successo. Morto Achille, le sue armi sono contese da Ulisse e Aiace. Spettavano per unanime consenso a quest'ulti mo, il più valoroso di tutto l'esercito greco dopo il Pelide. Tuttavia Ulisse riuscì a influenzare in suo favore il giudizio dell'assemblea deiGreci riunita per l'occasione, grazie sia alla sua astuta eloquenza che allo sleale appoggio di Agamenno ne, qui chiamato « iudiceGraeco» e nel citato Ausonio « pra vus Atrides», 9 il malvagio figlio di Atreo. Igino 10 scrive che Aga mennone e Menelao, a causa dell'ira di Atena, 1 1 rifiutarono le armi di Achille ad Aiace e le consegnarono a Ulisse. La vicenda alla fine del XV secolo ebbe, nell'ambito della produzione a stampa, due diverse interpretazioni figurative. La prima, di conio medioevale, è illustrata nell' Ouide morali sé, edito a Bruges nel 1484, 1 2 con la scena del « giudizio di Agamennone» situata in un edificio dell'epoca e con i per sonaggi abbigliati come allora (Fig. 1): a destra il sovrano se duto e giudicante indica il 'vincitore' Ulisse, che a sua volta addita con la sinistra le armi di Achille sul pavimento e con la destra se stesso in quanto gli appartengono, mentre lo sconfitto Aiace, a lui vicino, si apre la veste sul petto e sta per suicidarsi. La seconda decora l' Ovidio Metamorphoseos vulgare diGiovanni dei Bonsignori, stampato nel 1497 a Venezia da Giovanni Rosso per LucantonioGiunta, dove al folio Cllllv
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EMBLEMA IX
(Fig. 2) ritroviamo, non dissimile ma diversamente imposta ta e rappresentata, la scena del giudizio di Agamennone e del suicidio di Aiace: qui appare evidente il tentativo (nelle armature, nelle tende, nelle mura, ecc.) di una ricostruzio ne che segua il gusto antiquariale umanistico. Senza alcun accenno grafico alla disputa e alla dinamica del fatto in sé, cui gli ultimi versi alciatei pure fanno riferi mento, le xilografie di questo Emblema IX recepiscono pun tualmente il valore morale e tragico dell'epigramma di Ascle piade, evidenziandone il dramma attraverso l'ossimoro iconi co fra l'ineluttabile immobilità della tomba dell'eroe (effetto del dolus) e lo scomposto e vano moto della Virlus oltraggia ta. 1 3 Lo stesso albero sullo sfondo in IXb, curvato dalla violen za del vento, 14 sembra alludere alla sconfitta della Virlus, 'pie gata' da 'forze' superiori. Nell'editoria la diffusione dei sepol cri all'antica con elementi epigrafici come in questo Emble ma (in IXb: «D[ iis] M[ anibus] AIACTS » ; si veda più avanti an che l'Emblema LXXXII) 15 ha inizio con le numerose e varie xilografie (Fig. 5, Fig. 6) del genere che illustrano il «cimite ro degli amanti» nell' Hypnerotomachia Poliphili del 14 99. 16 La tomba di Aiace ricorre anche nell'Emblema XXXVIII.
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[ 1531 , cc. A5v-A6r; 1534, p. 1 4] Reverentiam in matrimonio requiri
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Xb Cum furit 1 in Venerem pelagi se in littore sistit Vipera, et ab stomacho dira venena vomit. Muraenamque ciens, ingentia sibila tollit, At subito ampl.exus appetit illa viri. Maxima debetur thalamo reverentia, 2 coniunx Altemum debet coniugi et obsequium.
Nel matrimonio è necessario il rispetto Quando smania d'amore, la vipera si pone sulla riva del mare e dallo stomaco vomita terribili veleni. Leva forti sibili chiamando a sé la murena, che subito brama l'amplesso del maschio. Al talamo nuziale si deve il massimo rispetto e ogni coniuge deve all'altro reciproca dedizione. Per la sua lode del matrimonio e del rispetto fra i coniugi che deve caratterizzarlo, Alciato riprende un'opinione del bestiario classico, moralizzato poi dai Padri della Chiesa. La credenza' riguarda il preteso accoppiamento della murena con la vipera: il rettile, quando è preso dall'estro erotico, va sulla riva marina e chiama con un sibilo la murena femmi na, che fuoriesce dalle acque e si accoppia con il serpe. Tut tavia, prima dell'unione, quest'ultimo, per non intimorire la sua compagna, depone il veleno da una parte. Consuma te le nozze la murena rientra tra i flutti e il rettile riassorbe la sostanza venefica. Eliano, riportando la notizia nel De na tura animalium 4 commenta che in tal modo la Natura riesce ad accoppiare anche le creature che abitano lontane le une dalle altre, suscitando in loro una reciproca frenesia amoro sa, aggiungendo inoltre che la vipera, per mostrarsi gentile come un bravo marito, si libera del veleno. La notazione di Eliano viene ribadita da Basilio nelle Homiliae in Hexaem,(', ron 5 e da Ambrogio nell'Hexaemeron 6 che ne trasformano il si gnificato moralizzandolo. Ovvero come il maschio della vi pera abbandona il suo veleno nell'atto d'amore e la murena acconsente premurosa al viscido serpente, così il marito, nel rapporto coniugale, deve privarsi delle passioni e dei vizi 'velenosi' e la moglie accoglierlo affettuosa e paziente in re ciproco rispetto.' Alciato trae molto probabilmente dall'He xaemeron di Ambrogio lo spunto per il suo Emblema per l'in tento morale che lo distingue, anche se certo non ignorava Horapollo, che nei Hieroglyphica 8 riferisce la storiella della murena e della vipera per designare un uomo che ha rap porti sessuali con persone di altri paesi. La semplice iconografia delle vignette Xa e Xb, con i due animali in parallelo, avrà nelle successive edizioni degli Em-
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EMBLEMA X
b l.emata una leggera modifica più aderente al messaggio del testo , cioè mostrandoli mentre si vanno incontro desiderosi ( Fig. 1 , Fig. 2). 9
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[1531, c. A6r; 1534, p. 15) In avaros, vel quibus melior conditio ab extraneis offertur
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Xlb Delphini insidens vada caerula sulcat Arion, Hocque aures mulcet, ' frenat et ora sono. Quam sit avari hominis, non tam mens dira Jerarum est, Quique viris rapimur, piscibus eripimur.
Sull'avidità o su coloro che dagli estranei ottengono un trattamento migliore Sedendo su un delfino Arione solca le onde cerulee e con il suono della cetra ne carezza le orecchie e imbriglia la bocca. 2 Non è tanto feroce l'indole delle fiere quanto lo è quella dell'avido, e noi che siamo rapinati dagli uomini veniamo salvati dai pesci. Alciato dedica due 3 Emblemi al tema dell'avarizia o avidi tà: questo e l'Emblema LI. Qui per raffigurare il concetto ri corre al mito di Arione elaborando i suoi versi su due epi grammi del grammatico Biancore. 4 La fabula, trasmessa da numerosi autori, a cominciare da Erodoto,5 narra del citare do Arione di Metimna, che per la sua eccezionale bravura godeva di grande ammirazione e fama. Questi volle recarsi per nave da Corinto in Sicilia e in Magna Grecia: là, grazie alla sua arte si arricchì non poco, sia in denaro che per i re gali di ogni genere che ricevette. Volendo tornare a Corin to, dopo il viaggio nelle regioni italiane, si affidò con il suo prezioso bagaglio a una nave di marinai corinzi, i quali, in alto mare, progettarono di ucciderlo per impossessarsi dei suoi beni. Il citaredo supplicò i pirati, ma costoro gli ordina rono di gettarsi nelle acque. Allora, presa la lira, cominciò a cantare e si tuffò nelle onde. Sarebbe certo affogato se un delfino non lo avesse accolto sul suo dorso, conducendolo sano e salvo sulla spiaggia di Tenaro nel Peloponneso. Il mitologema, che nella tradizione classica celebra l'ami cizia dei delfini nei confronti dell'uomo e dell'armonia mu sicale, 6 diviene in Alciato paradigma sia dell'avidità sfrenata che del prodigo aiuto recato da estranei rispetto alla malva gità dei vicini. Palese è infatti l'ingordigia dei marinai - uomi ni come Arione -, che non solo derubano il povero cantore ma lo vogliono pure morto, mentre antitetico risalta l'altrUi smo del delfino, simbolo della superiorità di un'indole ami chevole e generosa sugli spietati vizi degli uomini. L'iconografia del soggetto è documentata da Erodoto 7 che parla di una statua bronzea con Arione sopra il delfi no innalzata a Tenaro. Intorno al 1473 Mantegna realizza le
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storie di «Arione e i pirati» e di «Arione sul delfino» in due vele della Camera degli Sposi a Mantova. Compare inoltre su una medaglia coniata nella metà del Quattrocento8 da Gio vanni Boldù per il poeta Filippo Maserano: sul verso, Ariane portato dal delfino e la scritta « Virtuti omnia parent», trat ta dal De coniuratione Catilinae 9 di Sallustio. Il motto esalta la virtù, l'àpeTil, quale potente strumento per realizzare glorio se e nobili imprese, di cui la portentosa 10 immagine di Ario ne sul delfino esprime l'efficace compendio visivo. Equivalen te sintesi è realizzata nella xilografia Xla e, secondo Duples sis," anche nella prima tiratura (Xlb) dell'edizione Wechel del 1534, mentre nella successiva la stessa vignetta venne so stituita dalla Fig. 1. Quest'ultima è più discorsiva, interpre tando e mostrando la successione degli eventi: in primo pia no Ariane precipita nei flutti dal vascello, sullo sfondo navi ga sul dorso del delfino. 1 2 Da notare che analoga immagine torna fin dal 1541 nella marca tipografica (Fig. 4) 1 � dello stampatore Johannes Oporinus di Basilea, che segue l'Em blema alciateo, anche se niente esclude una possibile origi ne iconografica comune inerente la monetazione greca o quella romana (Fig. 5). 1 4
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EMBLEMA XII [ 1 531 , c. A6r- v; 1 534, p. 1 6]
Amici,tia etiam post mortem durans
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Xllb Arentem 1 senio, nudam quoque frondibus ulmum, Complexa est viridi vitis opaca coma. 2 Agnoscitque vices naturae, et grata parenti Officij reddit mutua iura suo. Exemploque monet, tal.es nos quaerere amicos, Quos neque disiungat foedere summa dies.
Amicizia che dura anche oltre la morte 3 L'ombrosa chioma di una vite verdeggiante ha abbracciato un olmo, secco per vecchiezza e persino nudo di fronde. Conosce i cicli della natura e grata al suo sostegno per il servizio, rende a sua volta merito. L'esempio ammonisce a cercare quegli amici, che neppure l'ultimo giorno divida dal vincolo. La vera amicizia è specchio d'immortalità perché non soggiace al tempo né alla morte. Nell'epigramma di Antipa tro di Tessalonica, 4 a cui si ispira Alciato, si canta l'eterno vincolo amichevole fra un platano ormai secco e una rigo gliosa vite che l'avvolge. Ma nei versi dell'Emblema l'albero è l'olmo e non il platano. Variante che suggerisce un pun tuale riferimento al tema letterario dell'unione della vite e dell'olmo quale metafora di mutuo amore, trasmesso dai poeti latini. Ovidio negli Amores 5 si chiede perché deve spes so vivere separato dalla sua donna, mentre «l'olmo ama la vite e la vite non abbandona l'olmo». In un noto epitalamio di Catullo 6 la vite che si avvinghia ali'olmo diviene metafo ra del matrimonio felice, immagine poi resa essenziale in Quintiliano:' «ulmus marita». Celebre il modello virgiliano all'inizio delle Georgiche, 8 dove si raccomanda di unire le viti agli olmi. E ancora Virgilio 9 parla dell'immenso e decrepito olmo, sotto le cui foglie abitano i sogni f allaci. Il commento di Servio 10 evidenzia una singolare analogia simbolica tra l'olmo, la vite e la loro comunanza: come i sogni ingannevo li albergano fra i rami dell'olmo, similmente chi sogna in stato di ebbrezza, ovvero è preda del vino, il prodotto della vitis, riceve sogni vani, perciò l'olmo va congiunto alla vite. Claudiano, nel De raptu Prose,pinae, 1 1 descrivendo luoghi di primaverile amenità, non manca di collocarvi il pampino che avvolge gli olmi. L'iconografia delle vignette Xlla e Xllb non presenterà in seguito significative varianti (Fig. 1, Fig. 2). 1 2
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EMBLEMA XIII [ 1 53 1 , c. A7r; 1 534, p. 1 7]
Nec verbo nec facto quenquam /,aedendum
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Assequitur, Nemesisque virum vestigia servat, Continet et cubitum duraque frena manu. Ne mal,e quid Jacias, neve improba verba loquaris, 1 Et iubet in cunctis rebus adesse modum.
Non si deve offendere nessuno né con le parole né con i fatti Nemesis segue e sorveglia il cammino degli uomini, e con la mano stringe il cubito e il rigido morso, affinché tu non faccia niente di male né dica malvagie parole, e impone che vi sia misura in tutte le cose. Il valore etico del giusto rispetto che si deve a ognuno, il dovere di non offendere nessuno né di travalicare le norme, concetti ribaditi nell'Emblema LXXIX, viene qui espresso attraverso Nemesis, la personificazione del potere divino che, nella mitologia e nel pensiero classico, tutela l'ordine e l'equilibrio morale e materiale del cosmo. Così la dea inter viene inesorabile nelle umane vicende per compensare, e quilibrare e anche vendicare tutte quelle azioni che hanno violato la giusta misura, producendo squilibri e disarmonie. 2 I versi alciatei dipendono direttamente da quelli anonimi della Pl,anudea, 3 dove appunto Nemesis, armata di metro (o cubito) e freno (o briglie), non può tollerare atti « fuori mi sura» e parole «senza freno». 4 I termini alciatei «cubitum» e «jrenum» traducono letteralmente i corrispettivi mixuç e xa. A.tv6ç dei versi dell'epigramma greco. 5 Mentre l'attributo del le briglie col morso è impugnato dalla dea sia in Xllla che in Xlllb (come pure nelle illustrazioni delle ulteriori edizioni), quello del cubito o metro, quale strumento di misura, com parirà più tardi, nella vignetta dell'edizione di Padova del 1621 (Fig. 1). 6 Se tuttavia l'immagine di Xlllb, con la dea ab bigliata in costume rinascimentale e con in mano le briglie, non presenta singolari particolarità iconiche, diversamente quella di Xllla mostra Nemesis alata su una ruota e con l'in dice della mano destra rivolto verso l'alto, rinviando così a una più articolata iconologia, che pare seguire la desc rizione
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di Ammiano Marcellino.' Questi ricorda che Nemesis è colei che punisce gli atti empi e premia quelli buoni, è «una subli me legge della divinità onnipotente»: correlazione e dipen denza della dea dal supremo dio che può ben essere palesa ta dall'indice puntato verso l'alto, a denotare appunto la su periore volontà di cui Nemesis è espressione. Arnmiano spie ga poi che le Jauulae antiche attribuiscono alla dea le ali per rappresentare la celerità del suo inteIVento ovunque ce ne sia bisogno; inoltre le fanno tenere un timone e le pongono una ruota sotto i piedi per insegnare che essa regge l'univer so attraversando veloce tutti gli elementi. Nell'Emblema non compare il timone perché l'autore dell'incisione aderisce al testo di Alciato che non ne fa menzione, mentre il primo ver so ( «Assequitur Nemesisque virum vestigia servat » ) gli permette di inserire la ruota e le ali per mostrare il compito di Neme sis di seguire e speditamente inteIVenire nelle vicende uma ne. L'iconografia della dea, nella statuaria, nella glittica e nella monetazione antiche, presenta diverse tipologie (Ne mesis -Pax, Nemesis- Victoria, Nemesis - Fortuna, ecc.),8 con trassegnate secondo la circostanza da diversi attributi: bilan cia, serpente, timone, ramo di olivo, cubito, ali, ruota, cor nucopia, ecc. Famosa la Nemesis scolpita da Fidia: 9 sulla testa una corona decorata con cervi e con piccole statue di Nike, nella mano sinistra un ramo di melo e nella destra una cop pa su cui sono raffigurati degli Etiopi. Evidente poi che né la vignetta Xllla e tanto meno la Xlllb guardano alla Nemesis (Fig. 3) 10 di Durer realizzata nel 1501, con la quale hanno in comune solo l'attributo delle briglie. L'immagine di Neme sis con briglie e squadra la ritroviamo come marca (Fig. 4) 1 1 del tipografo Wendelin Richel di Strasburgo e dei suoi eredi. Non escluderei infine che l'ammonimento contenuto in «Ne male quid Jacias, neve improba verba loquaris» possa tenere presente la prescrizione pitagorica degli Aurea carmina di « osservare la giustizia nei fatti e nelle parole», 12 in quanto Nemesis è anche figura dellaGiustizia divina. 1 3 Tra l'altro gli Aurea carmina erano noti in ambito umanistico e rinasci mentale: furono tradotti da Ficino, 1 4 l' editio princeps apparve a Venezia nel 1494 per i tipi di Aldo Manuzio, mentre già nel 1474 era stato stam pato a Padova, da Bartolomeo de Val dezoccho, il Commentarius in aureos versus di Ierocle, poi rie dito a Roma nel 14 75 per Amold Pannartz e nel 1493 per Jo-
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hannes Besicken. Alciato conosceva questa specifica lettera tura, come dimostra anche il prossimo Emblema XN, che dipende infatti da un precetto di Pitagora.
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Desidiam abijciendam
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Quisquis iners abeat, in choenice figere sedem Nos prohibent Samij dogmata sancta senis. 1 Surge igitur, duroque manus adsuesce labori, Det tibi dimensos crastina ut hora cibos. 2
Si scacci l'accidia Chiunque è pigro se ne vada, ché le sante massime del vecchio di Samo ci proibiscono di sedersi sulla chenice. Àlzati dunque, e abitua le mani al duro lavoro, affinché il domani ti dia la giusta razione di cibo. Giamblicos scrive che la filosofia dei seguaci di Pitagora di Samo ( «senex Samius») chiamati gli «acusmatici» consisteva nell'apprendere i detti e i precetti (a1Coucrµam) del maestro, ossia custodirne i «divini insegnamenti» di carattere etico religioso attraverso la pratica di quelle sue enunciazioni o sentenze apodittiche, cui non si accompagnava né la dimo strazione né alcuna spiegazione. Tra queste si trova la massi ma «non sedere sulla chenice», che secondo Diogene Laer zio 4 vuol dire prendersi cura anche del futuro e non solo del presente, perché la chenice è la razione o misura 5 giornalie ra di cibo. Come gli Aurea carmina menzionati nell'Emblema precedente, pure gli acusmi e i simboli pitagorici erano ben conosciuti dai dotti dei secoli XV e XVI, presso i quali ritr o viamo anche il motto in questione tradotto e commentato. Basti ricordare Ficino, 6 Pico della Mirandola nella Oratio de hominis dignitate, 7 Celio Rodigino8 ed Erasmo,9 Filippo Bero aldo il Vecchio 10 e Lilio Gregorio Giraldi. 1 1 Tra le varie e pur autorevoli esegesi, più o meno tutte convergenti sul cogliere nella sentenza l'esortazione a pensare attivamente al domani senza abbandonarsi a uno sterile far niente, risalta quella di Pico, che mette invece l'accento soprattutto sul valore 'intel lettuale' del precetto, nel senso che non si deve «lasciare inattiva nell'ozio quella parte dell'anima razionale che tutto misura, giudica e esamina, bensì tenerla desta con l'esercizi o e la regola dialettica»: palese riferimento a mantenere sve glia, owero a educare e a emancipare, la parte più elevata dell'anima rispetto a una dissoluta inerzia spirituale. La differenza fra le due vignette XIVa e XIVb sembra e-
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sprimere questa diversa lettura del motto. Infatti, mentre la seconda, la XIVb, rappresenta alla lettera i versi dell'epi 12 gramma, con l'uomo sfaccendato e inerte seduto su una misura cilindrica o moggio, la prima, la XIVa, mette in scena il tema dell'attiva educazione dell'uomo che vuole ascende re alla conoscenza del Vero, in base all'allegoria etica della TalmJ,a Cebetis, 1 � che di fatto costituisce la fonte diretta della medesima illustrazione. In quest'ultima, difatti, si pone in ri salto una figura virtuosa alata che aiuta, prendendolo per mano, 14 colui che vuole reagire a uno stato di indolenza e sa lire verso la cima di una rupe, dominata da un'altra, analoga figura che vi si erge salda, con le braccia conserte, sopra un piedistallo squadrato, consueto simbolo di sofianica stabilità e della fermezza della Verità. 15 Similmente nella Tabula si racconta di un'alta rupe scoscesa sulla quale stanno due so relle, la Continenza ('Eyx:pfrtEta) e la Pazienza o Sopporta zione (Kaptepia), le quali tendono le mani verso il basso per sollevare coloro che vogliono raggiungere la vera Paideia, la perfetta Educazione e piena Cultura. Questa viene a sua vol ta personificata da un'altra donna, di età matura e vestita in modo semplice, che un poco più in alto sta con i piedi sopra una pietra quadrata, saldamente posata, a simboleggiare come chiarisce il testo - che la via della Paideia è ferma e si cura per chi la percorre e che stabile e costante è la conse guente elargizione dei doni per coloro che li ricevono. In XIVa l'incisore illustrò con sintetica efficacia l'insegnamento della Tauula in piena sintonia con l'epigramma alciateo e con l'er meneutica pichiana della massima pitagorica, in altre paro le: « chi non siede sulla chenice» si incammini verso la Paide ia (la figura in cima alla rupe), lo aiuteranno nell'ardua sali ta la Continenza e la Pazienza (o Sopportazione), virtù rap presentate - sempre in XIVa - per sineddoche iconica dal la sola fanciulla alata che lo prende per mano e lo tira su. Un'interpretazione grafica di questo genere trova piena cor ri spondenza nei frontespizi illustrati (Fig. 4, Fig. 5) 16 di alcu ne edizioni della Tabula Cebetis (spesso pubblicata insieme ad al tre opere), apparse fra il 1507 e il 1525, anteriori dunque all'edizione degli Emblemata del 1531. Tali frontespizi sono i più probabili ispiratori dell'iconografia di XIVa: in tutti si pu ò notare, in alto, la scenetta con il giovane che viene in n alzato dalla personificazione virtuosa.
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Più in generale l'iconografia allegorica della salita al monte quale percorso di edificante e mistica ascesa, talvolta con toni escatologici, che sarà presente anche in altre vi gnette emblematiche del '500, 1 7 ha i suoi modelli umanisti co -rinascimentali non solo nella Tabula Cebetis, ma anche nel tema di «Ercole al bivio » . 1 8 Non mancano nel XV secolo immagini in cui la scala virlutis e il mons si sovrappongono, simbolicamente coniugati. 1 9
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Paupertatem summis ingenijs obesse ne provehantur
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XVb Dextra tenet lapidem, manus altera sustinet alas, ut me pluma '-evat, sic grave mergi,t onus. Ingenio poteram superas volitare per arces, Me nisi paupertas invida 1 deprimeret.
L'indigenza impedisce ai più alti ingegni di progredire La destra tiene una pietra, l'altra mano porta le ali, come mi innalzano le piume così il grave peso mi fa precipitare. Con l'ingegno potrei volare sopra le più alte cime se non mi spingesse giù l'invidiosa indigenza. Se nell'Emblema precedente la spregevole e volontaria ac cidia mortifica il futuro e l'ascesa intellettiva, qui è l'involon taria povertà che frena e limita il successo dell'uomo d'inge gno. Argomento di vulgata tradizione 2 che Giovenale, in un celebre luogo delle Satire, 3 canta nei suoi molteplici aspetti attraverso i casi di poveri poeti, storici, awocati, retori e grammatici. Come può innalzarsi l'ingenium se non è libero dalle angustie e preoccupazioni quotidiane? Alciato illustra il concetto attraverso l'ossimoro visivo e simbolico della pie tra e delle ali, che prende a prestito, ma alterandone forma e significato, da una delle più note xilografie dell' Hypnerotoma chia Poliphili inerente la nozione di festìna I.ente (Fig. 1),4 che tante volte ritorna nell'opera del Colonna. Qui una matrona incoronata da un serpe (attributo che non compare nella xi lografia, ma che viene descritto nel testo), seduta sulla natica destra, fa l'atto di alzarsi con la gamba sinistra: in studiata op posizione impugna due ali con la destra e tiene una tartaru ga con la sinistra. Questo geroglifico, come viene spiegato nella medesima Hypnerotomachia, 5 sta per «Velocitatem se dendo, tarditatem tempera surgendo», owero è un invito a «moderare la velocità sedendo e, alzandosi, la lentezza». Al le ali, simbolo di aerea veloci tà, contrapposte alla tartaruga, animale di proverbiale lentezza, si associa in simmetrica anti nomia la duplice posizione del corpo, che da un lato si alza per incamminarsi, dall'altro rimane immobile, seduto. La corona serpentina è canonico attributo medioevale della Prudenza,6 ossia della virlus egemone del festina tarde, men tre l'antitesi ali/tartaruga deriva dall'adagio «testudo volat : citato da Claudiano.7 L'immagine del Colonna soddisfa cosi pienamente il tema della prudente aurea medietas, virtù n e cessaria a Polifilo per compiere e risolvere la sua immaginale
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8 psicomachia. Diversamente, nell'Emblema XV cambia il concetto e si assiste a una conseguente metamortosi dell'ico nografia: rimane evidente solo la logica del gioco per antilo gia. Le ali, ora allusive dell'elevazione dell'intelletto o del l'ingegno, riprendono l'immagine platonica9 delle ali dell'a nima, le quali sanciscono metaforicamente l'aereo slancio: l'ascesa verso il mondo divino, che in XVb viene sottolineata dalla piccola figura del Creatore fra le nuvole in alto a destra, verso cui è tesa la mano alata. La pietra, evidente fardello, palesa per elementare analogia il peso dell'opprimente mi seria. Ancora in XVb si noti il moto contrario delle gambe (la sinistra ferma in relazione alle mobili ali, la destra pronta a spostarsi ma impedita dal sasso) che ricalca quello della Prudenza dell' Hypnerotomachia (Fig. I). A differenza delle vignette di altre successive edizioni de gli Embl,emata, dove in qualche caso la resa grafica dell'epi gramma alciateo è letterale, nel senso che l'indigenza del personaggio viene esibita dal suo modesto abbigliamento (Fig. 2, Fig. 3), 1 0 le xilografie XVa e XVb si distinguono per due singolari interpretazioni grafiche dei versi di Alciato. Nella prima lo squattrinato uomo d'ingegno è rappresenta to da un individuo paludato, con abito talare e con cappello da dottore, insomma da un personaggio autorevole; nella seconda vediamo invece un putto nudo. L'apparente con traddizione tra due sì differenti immagini, che pure voglio no illustrare la stessa idea, si risolve considerando entrambe quali raffigurazioni del genius. Infatti, dal punto di vista ico nologico l'individuo paludato imita il genius del Planctus Na turae di Alano di Lilla e del Roman de la Rose, mentre il putto segue il modello del genius rinascimentale.
IL « GENIUS » SACERDOTE E PUTTO
Nel Planctus Naturae 1 1 di Alano compare la figura del Ge n�o che, chiamato a sé da Natura, prima dipinge immagini di personaggi famosi dell'antichità quali exempla di virtù e di qualità positive e negative (Elena rappresenta la bellezza, Tumo il coraggio, Ercole la forza, Catone la sobrietà, Ari stotele la filosofia, Tersite la dissolutezza, Sinone la bugia, ecc . ), poi, indossato l'abito sacerdotale, scaglia l'anatema
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contro i peccatori di ogni genere. Ad Alano si ispira jean de Meung che nel Ruman de I.a Rose 1 2 ripropone un simileGenio, connotandolo quale prete eloquente, «confessore e consi gliere» che consola e colloquia con la Natura, abbigliato, nelle miniature 1 ' che ornano i manoscritti del Roman de I.a Rose, come un magister, in abito talare e talvolta monacale, e con copricapo dottorale o sacerdotale. Il genius nel Rinasci mento, invece, su colta ripresa antiquariale, è rappresentato come un putto, 14 'spiritello' alato o meno, che viene inteso sia come genius personale sia in qualità di genius della gene razione. Ancora nell'Iconologia di Cesare Ripa della fine del XVI secolo, alla voce «Genio buono secondo i Gentili», si legge: «Un fanciullo con bellissimi capelli, sarà coronato di platano, et in mano tiene un serpente. Così si vede scolpito in alcune medaglie antiche». 1 5 In generale è utile rammen tare che il genius 16 dal mondo classico al Rinascimento si può considerare secondo tre essenziali tipologie: una lo de finisce come spirito tutelare, una sorta di angelo custode, proprio di ciascun individuo, per cui abbiamo tanti genii quanti sono gli esseri umani; l'altra come dio della procrea zione e generazione, per cui esiste un solo genius universale; la terza lo collega, quale potenza divina, a luoghi o popoli, a dimensioni astrali e naturali, per cui abbiamo determinati e numerosi genii. Ma per quale motivo, dobbiamo chiederci ora, la fi gura delGenio compare nell'Emblema alciateo per impersonare lo sciagurato uomo d'ingegno? La risposta sta nel fatto che la funzione del genius, secondo la tipologia del genio indivi duale e tutelare, ri guarda proprio la buona o cattiva condi zione di vita toccata alla persona che gli è stata affidata, ov vero il tema dell'Emblema ora in discussione. In tal senso, fra i vari autori 1 7 che porgono all'Umanesimo e al Rinasci mento una simile nozione di genio personale spiccano Apu leio con il De deo Socratis 1 8 e Censorino con il De die natali li ber. 1 9 Il primo così ne scrive: «Questo guardiano personale, di cui parlo, che sorveglia ogni singolo uomo, lo assiste da vicino, lo protegge individualmente, lo conosce nel profon do, lo osserva assiduamente, inseparabile spettatore, e inevi tabile testimone, che biasima il male e approva il bene, se a lui dedichiamo tutta la nostra premurosa attenzione e un vi-
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vo interesse a conoscerlo, se lo onoriamo con profonda reli gi osità, come Socrate ha onorato il suo demone con la giu stizia e la purezza dell'animo, sarà per noi un consigliere nelle situazioni incerte, una guida profetica nelle difficoltà, un protettore nei pericoli, un aiuto nelle necessità, che può intervenire, ora con sogni, ora con segni premonitori, ora anche palesemente, se il bisogno lo richiede, per allontana re i mali e promuovere il bene, sollevare l'animo abbattuto e sorreggerlo, se incerto, illuminarlo nel buio, guidare la buona fortuna e correggere la cattiva». 20 Anche un passo21 dell'opera di Censorino, stampata più volte già alla fine del XV secolo, 22 aderisce concettualmente alle raffigurazioni delle vignette :XVa e XVb. Il genius per Censorino non solo svolge la funzione di guida e protettore lungo tutto il corso della vita di un uomo fin dalla nascita, ma «a lui e alla sua amicizia» l'individuo che gli è affidato deve il sostentamento e l'ornamento della vita ( «vitae fruc tum adque omamentum»), ricevendo «onore, dignità, de coro e protezione», ossia tutti i vantaggi della vita medesi ma. Ecco che così, tornando all'Emblema e alla vignetta con la disgraziata sorte dell'uomo di valore, la personificazione del genius (sia esso un personaggio paludato o un putto) si sovrappone a quella del suo protetto e ne fa le veci. Sostitu zione a pieno titolo, per sottolineare ancor più il f allimento delle aspirazioni di una vita di cui è anch'egli responsabile in qualità di autorevole patrono. Iconologicamente la figurazione delGenio con le ali e la pietra, sostituto dello sfortunato uomo d'ingegno, denuncia con maggiore enfasi visiva il dramma, l'immobile stallo in cui, dinanzi alla zavorra dell'indigenza, giacciono le capaci tà intellettuali e creative dell'individuo, come pone in risal to l'amaro coinvolgimento e l'impasse dello stesso benevolo custode, che non può condurlo verso gli aspirati allori. Si mili significati conferiscono alla vignetta una forza espressi va e simbolica che integra e arricchisce il senso dell'epi ?ramma alciateo, in una sinergia testo/immagine efficace �n quanto sorprendente ed enigmatica a prima vista. Tale im magine, come si osservava sopra, non venne ripetuta nel le illustrazioni di edizioni posteriori, dove si preferì un indi vi_du o abbigliato più semplicemente (Fig. 2, Fig. 3): perso n ifi cazi one certo meglio riconoscibile rispetto a quella del
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Genio. Scelta che testimonia come, nel passaggio dalle pri me edizioni a quelle seguenti, sia avvenuta talvolta una sem plificazione iconica dell'Emblema, ovvero una sua riduzio ne didascalica, fenomeno già notato sopra a proposito delle diverse xilografie dell'Emblema III. L'editore - libraio parigino Jean Foucher utilizzò tra le sue marche, fin dal 1536, anche la vignetta alciatea (Fig. 4). 23
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[ 1531 , c. ASr -v; 1534, p. 20] In Occasionem
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XVIb Lysippi, hoc opus est, Sycion cui patria. Tu quis ? Cuncta domans capti temporis arliculus. Cur pinnis stas ? Usque rotor. 1 Talaria plantis Cur retines ? Passim me l.evis aura rapit. In dextra est tenuis dic unde novacula ? Aey.ttum Omni acie hoc signum me magis esse docet. Cur in fronte coma ? Occurrens ut praendar. At heus tu 2 Dic cur pars calva est posterior capitis ? Me semel alipedem si quis permittat abire, Ne possim apprenso postmodo crine capi. 3 Tali opifex nos arte, tui causa, aedidit, hospes, Utque omnes moneam, pergula aperta tenet.
Sull'Occasione Quest'opera è di Lisippo, che ha patria a Sidone. Chi sei? Un attimo di tempo che si afferra e tutto vince. Perché ti sostieni con le ali? Son roteato senza sosta. Perché porti i calzari alati? Da ogni parte mi rapisce la brezza leggera. Di', perché nella destra c'è un fine rasoio? Mostra con il suo filo che sono più sottile di qualsiasi cosa. E i capelli sulla fronte? Perché chi mi incontra m'acciuffi. Di' un po', tu, perché hai la nuca calva? Una volta che mi si lascia fuggire via con le ali ai piedi, nessuno potrà più agguantarmi per il ciuffo. Per te, straniero, lo scultore m'ha plasmato con tale arte, e affinché sia monito a tutti, una loggia 4 mi tiene in bella vista. Il testo, già pubblicato negli Epi,grammata, 5 è una versione di quello di Posidippo di Pella, 6 dove si canta la statua del dio Kair6s: 1 bronzo del celebre scultore Lisippo di Sidone, che fiori intorno al 328 a.C. e fu ritrattista ufficiale e predi letto di Alessandro Magno. 8 La descrizione ecfrastica di Po sidippo, contemporaneo, ma più giovane, dell'artista, è vivi da e illustra con andamento dialogico il significato dell'ope ra. Oltre a questa, 9 Alciato poteva conoscere l'altra ékphrasis che del monumento aveva fatto il sofista Callistrato nelle sue Descriptiones, edite per la prima volta a Firenze nel 14 96 per i tipi di Lorenzo d'Alopa insieme alle opere di Luciano e di Filostrato, e poi similmente da Aldo Manuzio a Venezia nel 1503. Callistrato, 1 0 vissuto nel III o IV secolo d.C., dun que circa seicento anni dopo la creazione della scultura, ce ne ha lasciato un ritratto accuratissimo, attingendo sicura mente a dati di prima mano poi perduti. Racconta che si trattava di una delle più belle realizzazioni dell'artista ed era offerta alla vista dei Sicioni. Era un ragazzo nel fiore della giovinezza, ornato di ali, con la nuca calva e folti riccioli sul la fronte che il vento scompigliava. Proteso come in un� slancio, pronto a balzare, poggiava le punte dei piedi alaU su una sfera. Le ali - spiega Callistrato analogamente a quanto svolgono i versi di Posidippo - alludono alla sua ve-
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locità, al fatto che Kairos, nel corso del tempo, viene portato in volo dalle stagioni. «La sua bellezza giovanile vuol dire che o gni cosa bella è opportuna», mentre i piedi alati sul globo ne indicano la rapidità perché il tempo scorre preci pitoso. Infine i folti capelli sulla fronte e la nuca calva espri mono l'opportunità di afferrare prontamente l'occasione, che una volta sfuggita non si acciuffa più. Dell'opera esiste vano più copie, oggi perdute: una si doveva trovare a Pella nel palazzo di Alessandro, un'altra a Sidone; ce ne sono pervenute repliche su rilievi e gemme incise. 1 1 Il simulacro del Kair6s lisippeo, le sue forme e i si gnificati giunsero agli umanisti 12 anche attraverso altre fonti, quali i poeti latini Fedro e Ausonio. Il primo, che accenna a uno scultore antico ( «finxere antiqui talem effigiem Temporis»), ma senza alcun riferimento all'opera di Lisippo, dipinge in questo modo il Tempo opportuno nelle sue Fabulae: 13 « Con rapido volo, appoggiato sul filo del rasoio, / calvo e con un ciuffo in fronte, / il corpo nudo, / (se mai lo afferri, lo tieni saldo; ·una volta sfuggito / nemmeno Giove potrebbe riac chiapparlo), / significa che per ogni cosa l'occasione è bre ve. / Così gli antichi raffigurarono il Tempo / perché il pi gro indugio non negasse il successo» . Il secondo volge la figura del Kair6s in quella della dea Occasio (fanciulla che sta su una ruota con i piedi alati, con il solito ciuffo frontale e la nuca calva) nell'epigramma In simulacrum Occasionis et Pae nitentiae, 1 4 dove si conserva l'andamento dialogico dei versi di Posidippo, 1 5 conformandosi con una certa libertà ai primi otto, e introducendo poi, negli ultimi due distici, la perso nificazione della Penitenza (Metanoea); 16 inoltre all'inizio del componimento si attribuisce la statua a Fidia, che non risulta ne abbia mai scolpita una simile. Ausonio traduce (come del resto Alciato e gli altri umani sti che traspongono in latino l'epigramma podisippeo) 17 il termine greco Kair6s con Occasio, anche seguendo i versi di Fedro, dov� il Kairos / Tempus «occasionem rerum significat brevem ». E l'equivalenza concettuale e formale fra Kairos e Occasio, individuata da Fedro e dichiarata da Ausonio, a co stituire di fatto il motivo della metamorfosi iconologica del dio Kairos nella dea Occasione, secondo una contaminatio 1 8 che coinvolge e mantiene i principali attributi che stabilisco n o il carattere e le funzioni della divinità. Veloce e inafferra-
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bile se non per un attimo, l'occasione/'tempo propizio' è il momento più opportuno per agire: 19 esige capacità di pronta e sicura decisione. Un'opportunità che la Fortuna e il Tem po concedono solo a chi sa coglierla: un ammonimento dun que per tutti. Così il ciuffo che invita ad afferrarla 20 subito, pena non riuscirvi più, perché la nuca calva, ovvero la man canza di qualsiasi appiglio, denuncia l'impossibilità di farlo quando è ormai passata. Così le ali, il vento, il suo incessante roteare ne provano la continua volubilità e imprevedibilità: l'inarrestabile fluire del presente. Il filo del rasoio 21 sancisce su quale sottilissimo discrimine volga la sua corsa: di qua sta per passare, di là è già passata, per cui bisogna rischiare, non si può rimanere incolumi poggiandosi sulla lama di un raso io, è necessario scegliere repentinamente. Il tema dell'Occasio nel XV secolo ebbe la sua più note vole elaborazione, soprattutto dal punto di vista simbolico, nella statua della dea posta in cima alla immensa piramide nell' Hypnerotomachia Poliphili, 22 dove, frutto del sincretismo antiquariale del Colonna, viene descritta come una ninfa, bellissima e dal volto benevolo, con una veste svolazzante, alata, con i piedi sopra un congegno sferico girevole, con la testa contrassegnata dal tipico ciuffo davanti e la calvizie di dietro, mentre tiene con la destra una cornucopia rivolta verso il basso (pronta così a elargire fortuna a chi sa ag guantarla) 2s e stringe chiusa a pugno la sinistra sul petto nu do, per ribadire che non concede la presa. Anche proverbialmente l'immagine dell'Occasione che deve essere colta al volo ha goduto di considerevole fortuna: da Orazio ( « Rapiamus, amici / occasionem de die») 24 ai Di sticha Catonis ( « Rem, tibi quam noscis aptam, dimittere no li; / Fronte capillata, post haec Occasio calva») 25 a Eras mo che commenta ampiamente l'argomento nei proverbi «Oc casionem arripere»26 e «Nosce tempus », 27 menzionando an che la statua del Kair6s di Lisippo. Le vignette XVIa e XVIb, pur attente nel riproporre i versi di Posidippo, risentono, almeno per due particolari, delle al tre descrizioni sopra ricordate, perché in XVIa la fanciulla sta su un globo, mentre in XVIb poggia i piedi su una ruota, segno distintivo della Fortuna. 28 I due attributi, non menzio nati da Posidippo, ricorreranno, ora l'uno ora l'altro, nelle xilografie di stampe susseguenti (Fig. 1, Fig. 2). 29 Una Occa-
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sio non certo dissimile da XVIa era comparsa in precedenza come marca tipografica (Fig. 3, Fig. 4) in alcune edizioni30 (tra cui: Topiw di Claudio Cantiuncula del 1520; De moderan dis disputationilm,s di Gregorio Nazianzeno del 1521; De paç; Isidoro, Etym., 16, 26, 6. I dati sono raccolti da Celio Rodigino nelle sue Lectionum antiqua rum lil,ri, triginta, cit., coll. 744 - 46 (Lib. XVI, cap. xvn) ; ma anche coll. 891 -93 (Lib. XIX, cap. vn) . 6. Symbo/,a Pythagorae Phi!,osophi, in opera omnia, cit., voi. II, p. 1 979: la sentenza in questione, per probabile equivalenza proverbiale fra chenice e moggio, viene tradotta: « Super modium ne sedeas » ; cfr. Thuilius, p. XLVIII. 7. In De hominis dignitate. Heptaplus. De ente et uno, a cura di E. Ga rin, Firenze, 1942, p. 1 26: « Consulamus et Pythagoram sapientissi mum, oh id praecipue sapientem, quod sapientis se dignum nomi ne numquam existimavit. Praecipiet primo ne super modium se deamus, idest rationalem partem, qua anima omnia metitur, iudi cat et examinat, ociosa desidia ne remittentes amittamus, sed dia lectica exercitatione ac regula et dirigamus assidue et excitemus » . 8. Lectionum antiquarum lil,ri, triginta, cit. 9. Alle pp. 5v- 6r: « Choenici ne insideas » . Erasmo vi vede un mo nito a non perseguire oziosamente il cibo altrui ma a procurarselo attraverso l'impegno delle proprie facoltà. 1 O. In Symbo/,a Pythagorae moraliter esplicata, Bononiae, Benedetto di Ettore, 1503, cc. C6v- C8r, Beroaldo traduce il motto con « super chenice non sedendum » ( c. C6v ) , spiegandolo come un invito ad avere cura del futuro. Su Beroaldo, l'ambiente bolognese e la sua influenza su Alciato ( che si recò a Bologna per studiare giurispru denza alla scuola di Carlo Ruino, vi pubblicò nel 151 3 le sue Anno tationes sugli ultimi tre libri del codice di Giustiniano e dove venne proclamato dottore nel 1514): O. Giardini, Nuove indagini, cit., pp. 296- 97; P.É. Viard, André Alciat, cit. , pp. 39 - 41 ; K. Giehlow, Die Hie roglyphenkunde, cit., pp. 1 29 -59. 1 1 . Vol. II, pp. 465-503: Symbo/,oro,m Pythagorae phiwsophi interpreta tio; pp. 470 - 71 : « In choenicem non sedendum » , dove si ripercor rono le varie opinioni antiche e umanistiche sulla massima. 12. L' iconografia dell'accidioso seduto e apatico si trova già in una illustrazione (Fig. 1 ) del Quadriregio di Federico Frezzi, stampato a Firenze nel 1508 da Piero Pacini: la xilografia è al f. L5v. In edizio ni posteriori degli Emblemata (Fig. 2: A. 1550, p. 89; Fig. 3: Thui-
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NOTE
lius, p. 360) compaiono due personaggi seduti, di cui uno, l'apati co, ha il capo chino, mentre l'altro pare consolarlo o richiamarlo ai suoi doveri. 13. 15- 18 [Praechter] ; D. Pesce, La Tavola di Obete, Brescia, 198 2, pp. 65- 70. La Tabula, dopo la prima edizione del 1 494, venne più volte edita in greco e in versione latina, godendo di una crescente fortuna: R. Joly, Le Tabl,eau de C,ébès et la philosophie religieuse, Bru xelles - Berchem, 1963; R. Schleier, Tabula Obetis oder « spiegel des menschlichen Lebens I darin Tugent und untugent abgemal,et ist » . Stu dien z.ur Ro.eption einer antiken Bil,dbeschreibung im 16. u. 1 7. ]h., Berlin, 1973; S. Benedetti, Itinerari di Obete. Tradizione e ricezione della tabu la in Italia dal XV al XVII secolo, Roma, 200 1, in particolare le pp. 280 - 320, figg. 1 - 7. 14. Sulla tradizione figurativa medioevale dell' immagine di un personaggio che viene preso per mano e aiutato dall'alto (da una figura celeste o virtuosa) mentre sale lungo la scala p il monte del la virtù: Ch. Heck, L 'échelle ci/,este dans l'art du Mayen Age, Paris, 1997, pp. 19 - 225, figg. 7, 8, 1 3, 20 sgg.; L 'arte della memoria perfigure con il Jac-simil,e dell'Ars memorandi notabilis perfiguras evangelistarum (1470), a cura di M. Gabriele, Postfazione di U. Rozzo, Trento, 2006, pp. 33 - 34, figg. 7 e 8. 15. La pietra o piedistallo quadrato o parallelepipedo (ma anche un soglio, una cattedra o trono di forma quadrangolare) è « sedes Sapientiae » o « sedes Virtutis » , dunque immobile e saldo basa mento sapienziale e cosmico ( Suda, s. v. 'Epµrov; Macrobio, Sat., 1 , 19, 14- 15; Cornuto, Theol. gr. comp., 23) . Il motivo è ben noto nel Rinascimento, tanto che compare nella xilografia che accompagna l' incipit del Liber de sapiente di Charles de Bouvelles, pubblicato a Pa rigi nel 1510 (la Sapienza è seduta sulla « sedes virtutis quadrata ») , e in due altre incisioni (Symb. XI e CXXVII) delle Symbolicarum quaestionum Lil,,i V di Achille Bocchi, cit.; cfr. M. Gabriele, Gabbala cristiana e miti pagani della Sala degli El,ementi a Palazzo Vecchio, in L 'art de la Renaissance entre science et magie, Actes du Colloque organisé par le Centre d'histoire de l'art de la Renaissance par Ph. Morel (Université Paris I Panthéon- Sorbonne) , Paris, 2006, pp. 334- 36. Alciato nell' Oratio Fen-ariae habita del 1543 (in opera omnia, cit., vo! · II, p. 548) scrive: « At Mercurium studiosorum numen cum des1gnabant, basem quadratam seu undique quatuor angulis nitentem tesseram efficiebant hoc modo firmitatem studiorum repraesen tantes, quae nullo fortunae impetu possint concuti » . 16. Si vedano tutte le riproduzioni in R. Schleier, Tabula O��• cit., pp. 32 -54, 77- 108; ill. 1 -9; qui ci limitiamo a una scelta signi ficativa: Fig. 4 (Cracovia, 1519) ; Fig. 5 (Basilea, 1522) . 17. In A. Henkel, A. Schone, Embl,emata, cit., coll. 983 - 87.
NOTE
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18. Cfr. la nota 25 all'Emblema I. 19. Ch. Heck, L 'écheUe cél,este, cit., figg. 90, 91, 100; M. Caciorgna, naufragi,ofelice, cit., pp. 196-99.
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1. Calpumio Siculo, EcL, 4, 156: « invida paupertas » . 2. Cfr. Mignault, pp. 433 - 35; Thuilius, pp. 520- 22. Sull'immagine alciatea: L. Galactéros de Boissier, Images emblimatiques de la fortune: élhnents d 'une typol,ogi,e, in L 'Emblème à la Renaissance, cit., pp. 94 e 1 14; K. Hoffmann, Alciato and the Hist