Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto. Ediz. illustrata 8820209837, 9788820209834


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Italian Pages 316 [314] Year 2030

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Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto. Ediz. illustrata
 8820209837, 9788820209834

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GILLO DORFLES Evidentemente al caporione nazista faceva molto piacere vedere la svastica anche sul­ la tazza del caffè.

KITSCH L’esempio più clamoroso di pornokitsch artistico è Rodin vivo. Si vede chiaramente la differen­ za di effetti fra la statua origina­ le e la posa dei modelli. A par­ te l’effetto del medium, la stes­ sa diversità degli atteggiamenti chiarisce come altri siano i ri­ sultati che si vogliono ottenere, attraverso la superficiale semi-' glianza.

GABRIELE MAZZOTTA EDITORE

i

« Nel lampo degli occhi è la potenza imperiale. Ogni parola del condottiero, dell’uomo di governo, del padre amoroso della sua gente è lapidaria; ogni gesto, definitivo. Ne’ suoi discorsi di statista, prorompe all’improvviso la cordialità, sor­ ride la beffa, scatta il comando. Lo interessa una partita di scherma. Tocca delicatamente il suo violino. È al volante della macchina preferita; la velocità gli piace. Pilota da sé un trimotore dall'uno all’altro lembo d’Italia » da Amor di Patria di Francesco Sapori - Ed. La Libreria dello Stato Roma A. XVI. .

Tra i souvenirs turistici, che rap­ presentano uno dei maggiori vei­ coli di Kitsch, la Tour Eiffel ma­ cinapepe è un esempio archeti­ po.

con i contributi di JOHN McHALE - KARL PAWEK LUDWIG GIESZ - LOTTE H. EISNER - UGO VOLLI - VITTORIO GREGOTTI - ALEKSA CELEBONOVIC e saggi di HERMANN BROCH E CLEMENT GREENBERG

Il defunto J.F.K. c la Signora Onassis su «preziosi» piat­ tini dal bordo do­ rato.

Il Kitsch religioso si unisce a volte al Kitsch turistico con effetti che han bisogno di commento. 048-0029-X ISBN 88-202-0073-2

L. 15.000 (IVA INCLUSA)

Gillo Dorfles

IL KITSCH antologia del cattivo gusto con i contributi di John McHale - Karl Pawek - Lud­ wig Giesz - Lotte H. Eisner - Ugo Volli - Vittorio Gregotti - Aleksa Celebonovic e saggi di Hermann Broch e Clement Green­ berg

« Cattivo gusto » è una traduzione approssimativa e incompleta del ter­ mine tedesco Kitsch ormai entrato nell’uso anche di altre lingue. Che cosa è il Kitsch? L’enciclopedia te­ desca di Knaur lo definisce come « Operazione apparentemente arti­ stica che surroga una mancante for­ za creativa attraverso sollecitazioni della fantasia per particolari conte­ nuti (erotici, politici, religiosi, sen­ timentali ) ». Il Kitsch, tuttavia, scriveva Her­ mann Broch, « non è affatto “ arte deteriore esso forma un proprio sistema conchiuso in se stesso che si inserisce come un corpo estraneo nel sistema globale dell’arte, oppure, se preferite, che si colloca accanto ad esso ». Inoltre « il Kitsch è menzo­ gna che ricade sull’uomo che ne ha bisogno ». Da una parte quindi un particolare prodotto, in genere falso e sdolcina­ to (appunto di cattivo gusto), che assume forme « stilistiche » ben ri­ conoscibili; dall’altra Vuomo-Kitsch, creatore e fruitore di questo prodot­ to in un contesto in cui « artisti­ cità » e mito della bellezza si unisco­ no alle aspirazioni etiche della men­ talità borghese più retriva. Perché si discute di Kitsch? Potreb­ be sembrare un argomento ozioso, « sovrastrutturale », in un periodo storico come il nostro in cui si pon­ gono problemi di ben altra impor­ tanza. Senonché il Kitsch è proprio — a parte i suoi aspetti divertenti —

il tarlo che corrode la nostra epoca: un fenomeno dilagante, subdolo e corrosivo che si insinua sempre più nelle strutture della società dei con­ sumi di cui è diretta emanazione. È questa la tesi e lo scopo del libro: esaminare il Kitsch come stile della nostra epoca in tutti i suoi aspetti dai più evidenti ai più nascosti, dai nanetti del giardino allo styling del­ l’oggetto industriale, dal monumen­ to patriottico al giornaletto porno­ grafico. Ovviamente non era possibile — an­ che in un così denso volume — co­ prire tutto il panorama del Kitsch: si è dovuto tralasciare per intero il Kitsch letterario soprattutto per la difficoltà di poterne dare una tradu­ zione sufficientemente fedele (Kitschicamente fedele) nelle diverse coedizioni del volume. Gillo Dorfles, nato a Trieste, ha compiuto gli studi universitari a Ro­ ma e Milano ed è attualmente do­ cente di estetica presso l’Università di Milano. Ha tenuto cicli di lezioni e conferenze in numerosi centri eu­ ropei e americani: Londra, Berlino, Ulm, Zagabria, Atene, Barcellona, New York, Cleveland, Buenos Aires, ecc. È autore di parecchie monogra­ fie su artisti moderni (Klee, Wols, Feininger, ecc.) e di una dozzina di volumi dedicati a problemi estetico­ sociologici, molti dei quali tradotti in diverse lingue straniefe. Si è inte­ ressato al problema del Kitsch sin dal 1958 con diversi saggi.

GILLO DORFLES

IL KITSCH antologia del cattivo gusto

con i contributi di JOHN McHALE - KARL PAWEK - LUDWIG GIESZ LOTTE H. EISNER - UGO VOLLI - VITTORIO GREGOTTI - ALEKSA CELEBONOVIC e saggi di HERMANN BROCH E CLEMENT GREENBERG

Opere dello stesso autore: Discorso tecnico delle arti, Nistri-Lischi, Pisa 1951. Barocco nell'architettura moderna, Tamburini, Milano 1952. Bosch, Mondadori, Milano 1953. L’architettura moderna, Garzanti, Milano 1954 (1965). Dùrer, Mondadori, Milano 1958. Constantes técnicas de las artes, Nueva Vision, Buenos Aires 1958. Le oscillazioni del gusto, Lerici, Milano 1958 (1967), Einaudi, Torino 1970. Il divenire delle arti, Einaudi, Torino 1959 (19673). Ultime tendenze dell'arte d’oggi, Feltrinelli, Milano 1961. Simbolo comunicazione consumo, Einaudi, Torino 1962 (19672). Il disegno industriale e la sua estetica, Cappelli, Bologna 1963. Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino 1965 (1971J). L’estetica del mito, Mursia, Milano 1967. Artificio e natura, Einaudi, Torino 1968. Senso e insensatezza, Ellegi, Roma 1972. Introduzione al disegno industriale, Einaudi, Torino 1972.

INDICE PREMESSA

INTRODUZIONE

IL KITSCH

MITO E KITSCH Note sul problema del Kitsch (Hermann Broch)

Kitsch e arte di tendenza (Hermann Broch) I MONUMENTI

LE TRASPOSIZIONI

I ) I Promessi Sposi & Co.

2) Leonardo & India in Los Angeles Il Partenone plastico (John McHale) LA POLITICA

Avanguardia e Kitsch (Clement Greenberg)

NASCITA E FAMIGLIA

LA MORTE BONDI EUSERIE Il Kitsch cristiano (Karl Pawck)

IL TURISMO E LA NATURA Limino Kitsch come turista (Ludwig Giesz) LA PUBBLICITÀ

IL CINEMATOGRAFO

193

Il Kitsch cinematografico (Lotte H. Eisner)

197

LA MORALE E IL PORNOKITSCH

219

Pornografia e Pornokitsch (Ugo Volli)

223

LO STYLING E L’ARCHITETTURA

251

Kitsch e architettura (Vittorio Gregotti)

255

IL KITSCH TRADIZIONALE

277

Nota sul Kitsch tradizionale (Aleksa Celebonovic)

280

CONCLUSIONE

291

Nota dell’autore

303

Nota Bibliografica

305

Indice delle illustrazioni

307

Indice dei nomi

311

PREMESSA

Giunti alla quarta edizione italiana di questo volume, e dopo l’uscita d’una edizione tedesca, inglese, americana, e tra breve di una spagnola e giapponese, credo opportuno e forse utile premettere alcune righe ad una trattazione che, se è già leggermente « invecchiata », rimane, tut­ tavia, ancora attuale. Il successo del libro è stato molto buono, anche se — immediatamente dopo lo stesso, e quasi a ruota — si sono moltiplicate le pubblicazioni sul Kitsch-, in parte suscitate dal nostro testo (anche se molte di esse non si meritavano di fare il minimo riferimento al loro modello), ma anche contemporanee e di poco precedenti allo stesso come nel caso dell’importante volume di Andrzej Banach, O Kiczu, apparso in Po­ lonia nel 1968, quindi nello stesso periodo del nostro. Quest’ultimo lavoro, ad esempio, presenta una straordinaria affinità col mio: le suddivisioni in capitoli, l’esame del Kitsch cimiteriale, politico, familia­ re, ecc. L’unica sostanziale diversità di questo libro (che purtroppo essendo scritto in polacco non ha avuto che ben pochi lettori) sta nel fatto che Banach vede nel Kitsch una sorta di costante, rintracciabile anche in età molto precedenti la nostra (ad esempio, in epoca alessandrina o romana) e non lo limita quindi alla sola nostra epoca, identificandolo, come io ho creduto di dover fare, con l’avvento e il trionfo della bor­ ghesia e con l’instaurarsi della civiltà tecnologica e consumistica. Ho accennato alla presenza di queste pubblicazioni, e potrei accennare alle centinaia di articoli e di recensioni che il volume ha avuto, più che altro per mettere in evidenza un fenomeno che mi sembra interessante: la « sete di Kitsch » dell’umanità odierna, sia in quanto « oggetto Kitsch », che in quanto « discussione attorno ad esso ». Non è un caso che l’argomento da me proposto sia stato assorbito con tanta pron­ tezza; e non è un caso che la stessa parola Kitsch — prima dell’uscita del volume del tutto ignota in Italia e poco nota anche nei paesi anglo­ sassoni — sia diventata rapidamente popolare tanto da essere impie­ gata ora — spesso a torto e à travers — dalle più svariate persone, nei più disparati ambienti. Il che dimostra che una coscienza — o « cat­ tiva coscienza » -— dell’essere Kitsch, esisteva, e meritava di essere sollecitata e solleticata. 7

Ho assistito, così, al rapido diffondersi della parola e del concetto dì Kitsch in Italia, pur rammaricandomi che la maggior parte di coloro che ne parlavano e ne scrivevano, si fossero tosto dimenticati del mo­ desto merito dell’autore nell’aver segnalato il fatto, già a partire dagli Anni Cinquanta. Soprattutto se ne sono dimenticati coloro che — sino al giorno prima del tutto « digiuni » di Kitsch — ne hanno approfittato per costituirne una categoria estetica ben diversa da quella che in effetti è, applican­ done le presunte caratteristiche a molte situazioni dell’arte moderna e della società contemporanea. Ma qui non mi preme di tessere elogi o biasimi a coloro che, dopo di me, hanno utilizzato il concetto e il vocabolo di Kitsch-, vorrei, piutto­ sto, aggiungere alcune osservazioni che si sono evidenziate in seguito alla presa di coscienza da parte del pubblico d’un fenomeno di cui lo stesso pubblico sino a ieri non era consapevole. Stiamo forse inoltrandoci sempre di più in una stagione etico-estetica in cui si assiste al trionfo del Kitsch? Molti fatti sembrerebbero provarlo: le manifestazioni artistiche e paraartistiche nel campo delle arti visive, dell’architettura, del disegno in­ dustriale, dell’arredamento sembrano davvero incamminate su questa china; è sempre più facile intravvedere uno scadimento del gusto (raf­ frontato ovviamente ad alcuni parametri che parvero, o parevano si­ curi) che si accompagna ad uno scadimento etico-sociale. Non certo per quanto concerne la « morale corrente » ma per quanto riguarda un determinato atteggiamento verso l’autonomia e la dignità dell’individuo umano. Parecchie manifestazioni artistiche recenti sono decisamente volte ad una degradazione della persona umana; si valgono, cioè, di elementi sado-masochistici per ottenere effetti espressivi che finiscono per confluire in una evidente atmosfera Kitsch. In questo modo si ven­ gono a toccare i due poli: del « cattivo gusto » piccolo borghese (o an­ che grosso borghese) incolto e impreparato, e del « gusto sofisticato », in apparenza spregiudicato e anti-borghese, ma in definitiva eticamente Kitsch. Lo stesso si può affermare di molte manifestazioni artistiche apparen­ temente d’avanguardia, ma che tradiscono un atteggiamento politica­ mente reazionario; nonché di quelle, in apparenza, politicamente fivoluzionarie, ma artisticamente regressive, che pure si ammantano spesso d’una palese aura di « cattivo gusto » populista. Spesso poi il Kitsch viene usato consapevolmente e deliberatamente 8

come ostentazione di una maggiore spregiudicatezza, pari a quella di chi usa il turpiloquio per essere di moda. Potrei concludere, affermando che il Kitsch sta, sempre di più, assu­ mendo le caratteristiche d’una manifestazione tipica del periodo che attraversiamo e sta acquistando un potere che diffìcilmente verrà con­ trastato da scritti, ammonimenti, interventi contrari. È l’uomo, in quanto tale, che si viene sempre più trasformando in Kitsch-M.ensch — in uomo-Kitsch — ed è soddisfatto, seppur non sempre cosciente, di questa trasformazione. Identificare saggezza morale e arte col « buon gusto », e aggressione, massacro, prepotenza, col « cattivo gusto » sarebbe troppo semplici­ stico e poco credibile; tuttavia ritengo che solo eliminando l’uomoKitsch dalla nostra società, togliendo cioè le ragioni prime che fanno, della società borghese, una società-Kz/rcA, potremo sperare, oltre che in un miglioramento sociale, anche in un miglioramento globale del gusto. Gillo Dorfles Settembre 1972

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Il Kitsch è l’arte che segue delle regole stabilite, pro­ prio in un'epoca in cui tutte le regole artistiche sono messe in dubbio da ogni artista.

Harold Rosenberg La tradizione Jel nuovo

INTRODUZIONE

Anche se accettiamo di ammettere con Hume che: « la bellezza non è una qualità delle cose in sé: esiste soltanto nella mente che le con­ templa »,' non potrà non sorprendere che questo « trovare bello » alcunché sia mutato profondamente nel corso dei tempi; e, soprattutto, nel corso degli ultimi due o tre secoli. Certo, parlando dell’antichità più remota ci basiamo esclusivamente su ipotesi e illazioni, e, parlando d’un’antichità più prossima a noi come quella greco-romana, ci basiamo, bensì, su documenti scritti, ma la cui attendibilità si deve considerare limitata da difficoltà interpretative, e oltretutto riservata ad uno strato di pubblico, per quei tempi, di ristret­ tissima élite; eppure credo di poter affermare che, in quei tempi e in tutti i tempi precedenti il nostro, di « vero cattivo gusto » (di Kitsch)1 non si potesse discorrere. La ragione mi è sempre sembrata ovvia: in epoche diverse dalla nostra, specie in quelle antiche e arcaiche, l’arte aveva ben altra « funzione » da quella d’oggi; legata com’era a motivi religiosi, iniziatici, etico-politici, che, in certo senso, la rendevano « as­ soluta », immutabile, eterna (s’intende, sempre entro quel dato ambito ' David Hume, Of the Standard of Taste in Essays Moral, Political and Literary, Oxford University Press, 1963, p. 234: « Beauty is no quality in things themselves: it exists merely in the mind which contemplates them. » e, continua Hume: « each mind perceives a different beauty. One person may even perceive deformity where another is sensible of beauty ». Ovviamente, nel suo illuminato scetticismo, Hume non teneva conto tuttavia del fatto che in epoche diverse dalla nostra (e dalla sua) potessero esserci « valori assoluti », legati appunto alle particolari caratteristiche epocali. 1 La parola Kitsch sarebbe da riportare etimologicamente all’inglese sketch, secondo altri in­ vece al verbo tedesco etwas verkitschen = etwas hillig losschlagen, secondo il Knaursche Konversations Lexicon: « Kitsch, scheinkiinstlische Gestaltung ersetzt mangelnde Formkraft durch inhaitliche (erotische, politische, religiose, sentimentale) Phantasiereize ». .Secondo Gicsz (Ludwig Giesz, Phànomenologie des Kitsches, ein Beitrag zur anthropologischen Acsthetik, Rothe Veri, Heidelberg, 1960) che è certo l’opera più completa al riguardo, il vocabolo Kitsch si potrebbe ritenere assai appropriato come dizione riferita ad una « spazza­ tura artistica ».

IO

culturale). Oggi le cose son cambiate; non perché noi le vediamo in maniera diversa, ma perché le esigenze della nostra società sono altre. Ecco perché, riferendoci alle manifestazioni artistiche del passato, po­ tremo — e dovremo — applicare un metro del tutto diverso da quel­ lo applicabile oggi; ed ecco anche perché sarebbe assurdo appellarsi al « cattivo gusto » nei riguardi di quelle forme artistiche, per le quali un problema di gusto neppure si dava. Dunque: altro è il presunto cattivo gusto che noi talvolta crediamo di poter individuare in opere dell’antichità (per il solo fatto che non ci sono congeniali, consanguinee) e altro invece individuare Vautentico aspetto Kitsch in opere d’oggi e dell’immediato ieri, che, non solo con­ trastano con un nostro — presunto — « buon gusto », ma che in realtà denunciano una errata interpretazione delle costanti formali d’un'epo­ ca; quasi sempre per ragioni oltre che estetiche, etiche, e dunque poli­ tiche, tecniche, ecc. Il fatto poi che, ai nostri giorni, prevalga la tendenza a fare a meno ad ogni costo dell’attributo di « bello » applicato all’opera d’arte — o diciamo meglio all’« artefatto » — non toglie affatto che si possa facilmente distinguere tra due « artefatti » in base aìl'indice di gradi mento che di tali opere verrà dato da un certo numero di esperti: unica maniera, crediamo, di poter offrire un giudizio di valore, circa un’ope­ ra d’arte (o anche semplicemente un’opera tecnologica) che risponda a certi requisiti di euritmia, di organicità, di equilibrio, e finalmente di « piacevolezza ». Ebbene, se non esistono inoppugnabili norme che ci permettano di de­ cidere, una tantum, e una volta per tutte, cosa sia o non sia la regola del gusto (lo « standard of taste »), esistono tuttavia quelle « oscilla­ zioni del gusto »3 che ci insegnano come, a seconda delle epoche, delle situazioni storiche, mutino i gusti e muti la valutazione delle opere d’arte. Esiste, peraltro — almeno limitatamente alla nostra epoca — un ele­ mento alquanto stabile su cui fare affidamento, che possiamo ormai definire inequivocabilmente come Kitsch e che è destinato a rimanere tale, a meno che non sia « sussunto » quale elemento di sofisticatezza artistica e incorporato in successive opere; ma comunque parzialmente, temporaneamente e paradossalmente. È dunque di questo elemento che vorrei occuparmi in questo volume, 1 C.fr. il mio saggio Le oscillazioni del gusto.

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cercando di riuscire a conglobare,nei diversi capitoli, tutti quei fattori c quelle situazioni che si prestano a rientrare in questo argomento. La mia intenzione, in questa antologia del Kitsch, è quella di proporre una sorta di « catalogo ragionato » del cattivo gusto imperante: tenen­ do ben conto, peraltro, che si tratterà d’una storia (o d’una cronaca) essenzialmente « sincronica » e solo parzialmente diacronica. E questo perché soltanto partendo dal nostro tempo, dal nostro preciso momento storico possiamo osare un tentativo di sistemazione d’una materia così delicata è sfumata che però scotta le mani e lascia « cicatrici estetiche » indelebili. Non solo ma, proprio per quelle oscillazioni cui alludevo, sarà facilmente comprensibile al lettore che la nostra scelta dovrà essere intesa come imperniata sopra un punto di vista, un piedistallo culturale, una impostazione sociologica, del tutto soggettivi e personali. Un altro avvertimento ancora: la nostra antologia comprende, oltre ai due saggi scritti da Broch nel 1933 e nel 1950-51, e da Greenberg nel 1939, una serie di saggi appositamente scritti per questo volume da autori da noi scelti tra i più qualificati per questo argomento nei vari settori. La vasta scelta di illustrazioni si riferisce in massima parte a esempi contemporanei o recenti e questo per una precisa ragione: a differenza di quanto molti credono, di Kitsch non si dovrebbe discor­ rere che a proposito della nostra epoca; o almeno all’epoca che inizia attorno all’età barocca. Prima di quest’epoca esistevano esempi di arte « mediocre », opere di artisti minori, di epigoni e seguaci di maestri, opere che ovviamente non erano capolavori; ma che tuttavia rientravano nelle grandi correnti dell’arte autentica. Esi­ steva, anche allora, come è logico, una gerarchia di valori artistici, ina non una categoria che — in questo senso — si può considerare come arte col segno contrario: un quid che ha le caratteristiche estrinseche dell’arte ma ne è la contraffazione. E per questa ragione che nella nostra antologia non si daranno esempi di Kitsch dell’antichità (anche se spesso ai nostri occhi moderni alcune opere d’arte antiche possono apparire come Kitsch). E un’ultima osservazione: una categoria di cui non si daranno esempi è quella del « Kitsch degli artisti contemporanei »; anche se, a dire il vero, questa categoria è folta e densa di nomi e di opere. Ma ci è sem­ brato che una prospettiva storica più distanziata fosse indispensabile per poter meglio giudicare.

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IL KITSCH

I ) L’immagine « archeiipa » clic la parola Kitsch generalmente suggerisce è quel­ la dei « nani da giardino » che in questo caso sono rappresentati da paperini in serie. Kennedy, Papa Giovanni, leoni, falsi pozzi, putti e, in alto a destra, i nanetti.

Prevale oggi, in generale, il parere che di « gusto » sia meglio non di­ scorrere, che il gusto non costituisca più una categoria a sé stante di cui l’estetica debba tener conto. Eppure, come è noto, negli ultimi tempi gli studi attorno al gusto si sono riaccesi.1 E non si contano i volumi e gli studi che si sono rivolti al problema del gusto in rapporto alla nota distinzione tra diversi « livelli » artistici, low-brow, middle-brow, high-brow, o, secondo la terminologia di McDonald che ha avuto molta fortuna negli USA e altrove, mid-ctdt, a indicare quel tipo di cultura di mezzo, « da mezza calzetta » che in fondo è la più diffusa ed è quella che costituisce il pasto estetico della grande maggioranza.2 Anche la parola Kitsch un tempo corrente soltanto in Germania (forse ' In Italia uno studio importante sul problema è quello di Galvano della Volpe, La Critica del Gusto, Feltrinelli, 1967 (63). ■ Si veda soprattutto la antologia notissima di Bernard Rosenberg e David Manning White, Culture, The Press. 1957, cfr. Dwight MacDonald. Against the American Grain. Random House, New York, 1962, e, in particolare il cap. Masscult and Midcult. Sul quesito dell’arte di elite c dell’arte di massa anche: Umberto Eco, Apocalittici e Integrati. Bompiani, Milano, 1964. dove un capitolo è dedicato anche ai problemi del Kitsch, La Struttura del cattivo gusto-, tenendo conto soprattutto del Kitsch letterario e rifacendosi soprattutto ai lavori di Broch, di Giesz e di MacDonald.

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per un particolare acutizzarsi del problema in quella nazione) si è ve­ nuta diffondendo ed è usata generalmente nei paesi di lingua anglosas­ sone, e ormai anche nel nostro. Non solo; ma mentre di solito si discorreva di Kitsch soprattutto a proposito di determinate opere d’arte, da un po’ di tempo in qua — e precisamente a partire dagli ottimi studi che sull’argomento hanno compiuto prima Hermann Broch, poi Ludwig Giesz — si è venuto am­ piamente diffondendo anche quello di Kitsch-NLensch* di « uomoKitsch » a indicare il « fruitore-di-cattivo-gusto » ossia il modo di in­ tendere, di assaporare, di atteggiarsi di fronte all’opera d’arte (buona o cattiva che sia) da parte dell’uomo di cattivo gusto. Quanta parte dell’umanità odierna potremmo far rientrare nei ranghi degli uomini-K/7rcZ>? certo moltissima; ma forse meno di quanto non si creda. E mi spiego: molto spesso la incomprensione o relativa com­ prensione di opere d’arte moderna, di opere « diffìcili », astruse, erme­ tiche (come sono del resto molte delle opere della più recente poesia, musica, pittura dei nostri giorni) è dovuta, non già ad una incompati­ bilità del pubblico con le stesse, ma semplicemente ad una imprepara zione del pubblico. Da numerose prove è risultato (ma lo sappiamo c lo sapremmo anche senza prove scientifiche) che l’uomo medio, in gene rale, e l’uomo che non abbia pregiudizi, che non sia costituzionalmente affetto dal « morbo » della « mezza cultura », e soprattutto che sia posto di fronte alle opere d’arte con una certa sistematicità, con conti nuità, con pazienza, finisce non solo per comprenderle ma per amarle. I casi di individui semplici, di tecnici elettronici, di artigiani, di elet­ tricisti, di persone implicate in alcune delle nuove tecnologie, le quali, venute a contatto con musicisti elettronici, con artisti visuali cinetici, con operatori plastici d’arte programmata, ecc. ne sono divenuti dei « patiti », non si contano più: quasi ogni artista moderno potrà rife­ rire su casi analoghi occorsigli. Il che sta a dimostrare che, indubbia­ mente, buona parte dell’incomprensione dell’arte moderna è dovuta a mancanza di educazione e di abitudine. Ben diverso è il caso deH’uomo-Kz7rcA;4 e in genere di quella parte del ' Il concetto di Kitsch-mensch, adottato poi ampiamente da Giesz è stato puntualizzato per primo da Hermann Broch, Einige Bemerkungen zum Problem ilei Kitsches, in Dichlen ioni Erkennen vol. 1, p. 295, Zurigo, 1955 (trad. it. Lotici). * f' quella che Giesz (p. 28. 55, op. cit.) definisce « Verkitschung von Kuns'wcrken ». ossia « kilschizzazione di capolavori » che può avvenire secondo l’autore tedesco « ohjektiv dutch die Reproduktion. suhjekliv dutch die kilschigc Aneignung »; ossia attraverso una disposi zinne particolare al cattivo gusto da parte del fruitore.

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pubblico che è atteggiata in maniera decisamente e irrimediabilmente sbagliata verso le cose dell’arte. Si tratta di solito d’un’ottusità che riguarda soltanto l’arte moderna o l’arte antica « difficile » (cioè la più scria), si tratta di individui che credono che dall’arte si debbano trarre soltanto impressioni gradevoli, piacevoli, zuccherate; o, addirittura, che l'arte serva come « condimento », come « musica di fondo », come de­ corazione, come status-symbol, magari, come mezzo per fare bella figu­ ra in società, e non certo come cosa seria, esercizio faticoso, attività impegnata e critica... liceo perché questo pubblico mostrerà la sua incomprensione o la sua interpretazione errata del fatto artistico non solo davanti all’opera mo­ derna ma anche davanti alla grande opera antica che « crede » di capire: giudicherà Raffaello come se fosse un pittore di cartoline illustrate per serve, giudicherà Wagner o Verdi, più per il « contenuto » romantico o truculento dei libretti che per la qualità delle melodie; giudicherà Antonello da Messina o Morandi, piuttosto per l’aspetto « grazioso », « decorativo », dei loro dipinti, che per quello autenticamente pittorico. Troverà interessanti i romanzi storici più farraginosi e improbabili (perché conditi di una vena romantica), ecc. Se questo aspetto, riguardante la « fruizione » artistica più che la crea­ zione, è abbastanza tipico della nostra epoca, ce n’è un altro che mi sembra del pari limitato ai nostri tempi e mai esistito per l’innanzi ed è quello della presenza attorno a noi d’una quantità di opere, sia da considerare autenticamente « artistiche », sia semplicemente apparte­ nenti alla moda e al costume d’un determinato periodo, che subiscono delle curiose, imprevedibili e direi alterne vicende rispetto ad una valutazione « di gusto ». Sappiamo tutti quale fervore di creazione in lutti i campi dell’arredamento, della decorazione, della ceramica, del vetro, e dell’architettura, sia stata l’epoca che oggi va sotto il nome di Art Nouveau,5 e sappiamo anche come la maggior parte di tali opere subirono nel corso di pochi lustri un totale abbandono e una denigra­ zione pressocché assoluta; per poi ritornare ad essere glorificate ed esal­ tate a partire da una decina d’anni in qua. L'esempio dell’Art Nouveau, del Liberty, si è ripetuto con i cosiddetti « mobili dei nonni » e con quelli dei « bisnonni », e viene poi spesso A propositi) della rivalutazione dell’Art Nouveau si veda il cap. L'esempio del Liberty nel mio giii cit. Oscillazioni del gusto c inoltre i ".iti di Friedrich Ahlers-Hestermann, Stilwende. Bel lino, 1441, di Dolf Stemberger, Jugendsti. .n burgo, 1956, c di Stephan Tschudi Madsen, 'iiiiirces of Art Nourcati. Oslo, 1956 (trad. it. Il Saggiatore, 1967).

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ripetendosi, variando di anno in anno, per quanto riguarda la voga che i diversi stili rivestono a seconda dei paesi e delle epoche. (Così si è visto affermarsi a un certo punto 1’ « Impero », seguito poi dal « Louis XVI »; per lasciare tosto il posto al barocco, e persino al ’600...). Come dobbiamo considerare questi fenomeni? Per quanto riguarda la « moda » più o meno marcata di determinati stili ormai divenuti « clas­ sici », cioè catalogati, inventariati e riconosciuti come « artistici » credo che non ci siano particolari difficoltà, trattandosi più che altro d’un fenomeno dovuto essenzialmente a ragioni di mercato, di pubblicità o

2 ) Boudoir Orientale come salotto di un ap­ partamento londinese a Gloucester Square, apparso nel primo volume (n. 6) della rivi­ sta The Studio nel 1893.

di « affinità elettive » tra stili diversi. (La voga per l’Oriente al princi pio del secolo (III. 2)-, l’avvento di diversi revivals nel secolo scorso (III. 3, 4), il gotico-inglese (III. 5, 6), il coloniale-americano, ecc...). Più ardua è la risposta per quanto concerne oggetti e opere che ven­ gono « sussunti » come artistici soltanto per una particolare esigenza del momento, per essere tosto ricacciati nel dimenticatoio o addirittura vituperati non appena la decisione è sospesa. In questo caso, evidente mente, le ragioni della moda avranno la meglio sulle ragioni dell’arte, ed è qui che vedremo spesso venire a galla gli esempi del più autentico Kitsch (si pensi a certe cucine modernissime ammantate da rivestimenti « coloniali » che hanno sostituito le moderne funzionalissime cucine bianche, tipo clinica, eli alcuni anni or sono). l.'n altro esempio ancora — ed anche questo dei più diffusi — si ha tutte le volte che un elemento singolo o un’intera opera d’arte viene « trasferita » dal suo autentico rango e impiegata ad un fine diverso 17

' (> ) Esempi di revival del secolo scorso. Il salto nello spazio (dal medio orien­ te) c nel tempo (dal gotico) era motivo di estrema raffinatezza per l’architetto Cordier che li realizzò nel 1850.

da quello per cui era stata destinata. E quanto si è visto accadere quando eccelsi monumenti del passato ven­ nero utilizzati per scopi ben diversi da quelli originali: le copie in ala­ bastro della Torre Pendente di Pisa, ad esempio, non sono Kits-h sol­ tanto perché sono delle copie in altro materiale, ma perché si sono valse d’una « deviazione vistosa dalla norma » (la pendenza del cam­ panile) come d’un motivo di curiosità e di attrazione. Hanno, con ciò, degradato l’intero mirabile complesso della Piazza dei Miracoli ad una imitazione Kitsch. (E. del resto, si ponga mente al fatto che già la p «rola « curiosità » che mi è appena venuta alle labbra, anzi alla penna, è sempre imbevuta di Kitsch', i « curious », tanto ricercati dai turisti americani nei loro viaggi programmati all’estero, non sono forse, quasi sempre del Kitsch della più bell’acqua?). Lo stesso fatto si è verificato con tante musiche di Liszt o di Chonin (due musicisti tutt’altro che minori, tutt’altro che « facili », se studiati

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nella loro autentica sede), ridotte al rango di canzonette sentimentali; per non dire dell’uso di altri capolavori (Mosè di Michelangelo, Gio­ conda di Leonardo (111. 10, 11), Madonna Sistina di Raffaello, Perseo del Cellini (III. 12), divenuti emblemi Kitsch perché ormai riprodotti trivialmente e conosciuti, non per i loro autentici valori ma per il surrogato sentimentale o tecnico dei loro valori. Si potrebbe persino azzardare a questo proposito che accade per il Kitsch qualcosa di analogo — ma col segno invertito — a quanto av­ viene nella decontestualizzazione d’un segno come mezzo per accrescere l’efficacia d’un messaggio artistico: poesia, musica, pittura, si valgono spesso di questo artificio che consiste nel togliere al suo normale con­ testo un’opera d’arte o parte della stessa e immetterla altrove ottenendo così uno straniamento del messaggio e un accrescimento della sua ca­ rica informativa. Nel caso del Kitsch, abbiamo qualcosa di analogo ma in senso opposto: la Cena di Leonardo, viene tolta dal suo normale contesto (il salone delle Grazie) e tradotta in vetrata a colori, immessa in una cappella marmorea nel Forest Lawn Memorial, colata in candida pasta d’osso (III. 13), con quale effetto è facile immaginare. Lo stesso accade ogni qualvolta un’opera eccelsa (Gioconda di Leonardo) viene usata, ad es. per una reclame di robiolina, per un biglietto di auguri o per un concorso di bellezza (III. 7, 8, 9)

7-K) La Gioconda è fonte inesauribile di Kitsch. L'ineffabile sorriso appare qui sull'involto di una robiolina e come récliune di un filato, 19

Un altro fenomeno, anch’esso legato al Kitsch, è quello additato da McHale,6 della frequenza con cui si ottengono e si smerciano copie esatte di capolavori (del passato e del presente) fatte in serie, magari con materiali nobili (bronzo, marmo). Se la produzione in serie è con­ sanguinea all’oggetto industriale e a molte opere d’arte moderna, (fatte espressamente per essere replicate) non lo è certo per opere del passato che erano state concepite come degli « unica » e tali dovevano rima­ nere. Avere in un parco o in un salone dei finti Apolli del Belvedere o delle finte Nike di Samotracia (III. 14, 15), o dei finti Persei del Cellini, equivale ad accrescere l’atmosfera Kitsch di quegli ambienti e non certo ad alleviarla. E invece — ed è il rovescio della medaglia — ecco che oggetti tra i più detestabili, saranno trasformati, non in « capolavori » (di per sé), ma in elementi artisticamente positivi, se utilizzati in una certa ma­ niera, in ambienti che vogliano creare un’atmosfera sofisticata proprio attraverso la svalutazione-rivalutazione di tali oggetti. Che dire poi dell’incredibile trasformazione che può subire un elemento (apparentemente o anche autenticamente Kitsch} una volta venuto a far parte d’un insieme, d’una globalità, esteticamente accettabile ed effi­ cace? Si pensi a un esempio gigantesco: il panorama mirabile di New York preso nel suo insieme, che per la sua grandiosità e anche per le autentiche qualità plastico-architettoniche del complesso edilizio non può non essere considerato esteticamente ammirevole; e lo si analizzi invece nei suoi particolari: è probabile che molti singoli grattacieli (spe ‘ Cfr. il saggio di John McHale tra gli scritti di questo volume.

10) Il mito della Gioconda si ripropone an­ che sulle piastrelle della doccia.

12) Il Perseo del Cellini, alto cm. 45, reinterpretato in pasta d’osso gialla.

11 ) Un astuccio porta-occhiali.

13) La Cena «adattata» in tre dimen­ sioni per il comò.

◄ 9) « I pittori, membri della giuria del Gran Premio della Gioconda, hanno asse­ gnato il titolo di “ Gioconda ’58 ” a una indossatrice la cui grazia, bellezza e di­ stinzione hanno consacrato l’estetica del tipo femminile ideale di oggi. Si tratta di Luce Bona che è stata designata come simbolo della celebre Mona Lisa. Sulla nostra foto, accanto al ritratto della famosa Mona Lisa, Luce Bona posa in una cornice del “ Gran Premio Gioconda ” ». (Notizia di agenzia 28-2-1958).

eie quelli di tipo assiro babilonese, ma anche quelli a Curtain Wall di al­ luminio sagomato, ad es.), che parecchie statue (si pensi alla Rockefeller Plaza (III. 19) ) per non parlare dei Cloisters (HI. 16-18) siano da considerare decisamente Kitsch. Eppure chi penserebbe a ragionare di « cattivo gusto » di fronte ad uno spettacolo globalmente artistico? E un ragionamento analogo a quello di considerare di « cattivo gusto »

l>l) Attraverso le pagine di un catalogo di vendita americano, si possono ordi­ nare per posta « autentici capolavori », bianchi o neri, a prezzi convenienti.

i cuscini di Wright a Taliesin West, invece di ammirare il mirabile « spazio interno » dell’edificio che li ospita. Ecco perché non potremo mai giurare che le colonne in fìnto marmo, le statue di cartapesta, le carte da parato che imitano le venature del legno, i vetri di Murano a foggia d’animaletti, e persino le conchiglie di madrcperla o le pietre dure brasiliane a forma di portacenere, ben­ ché, di per sé, indubbiamente Kitsch, non abbiano qualche possibilità di riscatto. Lo potranno avere se verranno « demistificate » e re-impic 22

I *> ) Sunne classiche «da giardino» c «strutture architettoniche» nel depositi, di una fabbrica specializzata.

gate in tutt’altro contesto e tutt’àltra atmosfera. Guai però a re-mistilicare — o meglio a feticizzare — gli oggetti così demistificati consi­ derandoli come espressioni di massima sofisticatezza: si rischierebbe di radere nell’ « iperkitsch »: il Kitsch al quadrato, il Kitsch dei detrat­ tori del Kitsch piccolo-borghese, i creatori del Kitsch dei super-snob! Il Kitsch, dunque, appartiene a tutte le arti, e addirittura a tutte le espressioni dell’uomo; ma io qui non intendo soffermarmi sul Kitsch letterario (che pure costituisce una fonte inesauribile di materiale sor­ prendente) per una ragione molto ovvia: quasi sempre questo genere di Kitsch non regge alla traduzione, e neppure alla trasformazione che il linguaggio verbale subisce costantemente anche entro brevi periodi di tempo: è quasi impossibile giudicare la kitschigkeit, la « kitschositil » d’un brano tradotto e persino d’un brano di una ventina d’anni 21

16-18) II complesso monumentale dei Cloi­ sters inaugurato nel 1938 nel Fort Tryon Park, è dovuto alla munificenza di John D. Rockefeller Jr. Nella struttura interamente « moderna », sono incorporati particolari ar­ chitettonici autentici tratti da chiostri di mo­ nasteri medioevali. Oggetti e opere d’arte « autentiche » fanno bella mostra nelle vaste sale continuamente percorse da comitive di turisti.

19) (a destra) Il Rockefeller Center. ►

fa. A prima vista persino un poema di Leopardi, per non parlare di un’ode sacra di Manzoni, ci appare oggi come Kitsch (salvo a ricollo­ carla nel suo giusto ambiente storico attraverso una faticosa messa a punto filologica). Espressioni, locuzioni, singoli vocaboli divenuti desueti, non solo, ma decisamente « di cattivo gusto » oggi, potevano essere del tutto accettabili una decina d’anni or sono). Non solo, ma è estremamente difficile poter indicare alcune costanti del Kitsch let­ terario che siano applicabili a iurte le lingue (a prescindere dai brani troppo ovviamente tali tolti da romanzetti rosa per giovinette ottocen­ tesche o dai resoconti delle mondanità regali ancora imperversanti sui nostri rotocalchi). Data quindi la nostra ambizione di poter presentare un panorama antologico del Kitsch internazionale, limitarci ad offrire esempi italiani sarebbe insufficiente, mentre sarebbe assai dubbia l’ef­ ficacia di presentare esempi di altre nazioni, ma tradotti dalla lingua originale. Tralascerò dunque di considerare il Kitsch letterario, e accennerò in­ vece. almeno di sfuggita, a quello musicale che, a differenza di quello letterario, è altrettanto internazionale di quello figurativo, ma di cui. qui, purtroppo non potremo fornire gli esempi. Anche nel caso della musica — della Nuova Musica, in specie — il problema del Kitsch assume una particolare urgenza: nulla di più lon­ tano che un brano di nuova musica moderna (assaporato e assaporatale soltanto da pochissimi iniziati) da un pezzo di musica di consumo' assa potata — e anzi idolatrata — dalle grandissime masse. Sembrerebbe perciò che proprio nel caso della musica sia possibile trovare un punto fisso su cui impostare il discorso. Eppure, l’accordo è tutt’altro che raggiunto, nonostante che a questo argomento siano state addirittura dedicate le più recenti dispute e i cicli di conferenze dell’ultima (1967) « Tagung » dell’lr/z/w/o per la Nuot a Musica di Darmstadt.* Tra le principali posizioni emerse a Darmstadt, si può ricordare quella di Lars - Ulrich Abraham, che tentò di porre alla base della sua impostazione il « gusto » come categoria d’una didattica musicale, con traddetto per altro dalla maggior parte dei relatori, dato che ben pochi ' Il problema della « musica di consumo» ha dato molto filo da torcere ai recenti studiosi. Si teda, per l'halia, il volume di Straniero. Jona. Liberovici, De Maria, Le canzoni della cat­ tiva coutenza. La musica leggera in Italia, Bompiani 1964, con una prefazione di Umberto Eco. ’ La « Tagung », di cui qui si parla fu aperta da una conferenza di Rudolf Stephen, Von dei Noluendigkeit iiber Mttsik :ti sprechen.

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sono ormai disposti ad attribuire al « gusto » delle qualità categoriali. (Non si dimentichi tuttavia che il concetto di gusto, che, come è noto, si può in definitiva far risalire soprattutto agli empiristi inglesi e scoz­ zesi del ’6-’7OO, Hume, Gerard, Burke, ecc. ha avuto un’importanza non trascurabile, soprattutto da un punto di vista sociologico, e non può quindi essere così semplicisticamente accantonato). Secondo alcuni’ nell’odierna situazione il concetto stesso di gusto non ha più nessuna funzione, tenuto conto del tipo di cultura musicale « plu­ ralistica » (e quindi estremamente divisa in « classi » diverse) qual’è quella attuale. È ovvio del resto che anche ogni distinzione tra musica colta, dotta e musica di consumo e triviale non è possibile sulla base di un’analisi che prenda in considerazione, ad es. gli intervalli, il ritmo, l’uso di determinati procedimenti melodici, armonici, ecc. Il problema del Kitsch musicale non è così facile da risolvere: non basta affermare che il « gusto » non è una categoria attendibile in musica. Né si può determinare il valore d’un brano musicale dalla sua « orecchiabilità », quando si pensi che la stessa è dipendente dall’uso di taluni parametri epocali relativi alla musica che faranno di una melodia pen­ tatonica qualcosa di difficilmente intonabile per un europeo, e non per un giapponese, e via dicendo. Anche restringendo comunque l’indagine ai tempi nostri e alla nostra civiltà « occidentale », non cade dubbio che il divorzio esistente, ai nostri giorni, tra musica colta e musica di consumo sia tale da far appa­ rire i due generi come appartenenti a mondi, a universi tra di loro dia­ metralmente opposti. Eppure, a mio avviso, anche entro tali due grandi categorie è possibile discorrere di Kitsch. Esiste, ed esisterà musica Kitsch anche tra quella destinata alla élite musicale (e saranno parecchi gli imitatori di autentiche e originali com­ posizioni moderne, i quali oltrettutto spesso avranno reso più « accet­ tabili » le loro composizioni mediante l’inserzione di elementi vaga­ mente patetici, che possano in qualche modo aver presa sul sentimento del pubblico, o che — pur nell’adozione di formule dodecafoniche, puntigliste, ecc. — facciano risuonare certe piacevolezze timbriche, facilmente mutuate da ben altro genere di musica.) ’ Anche per quanto riguarda il Kitsch musicale, esso sarebbe da riferire •— secondo Cari Duhlhaus che fu uno dei relatori alla disputa di Darmstadt ■— all'incontro tra sentimenta­ lismo e tecnica compositiva. Si veda, per un accurato resoconto dei lavori di Darmstadt Tatti colo di Reinhardt Oehlschlàgel Gcschmack, Trii'mlitiil, Kritik, in l:runkliirlcr Zcilwin, ■» 1967.

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Sta di fatto, comunque, che il settore in cui la musica ci sarà di mag­ gior aiuto — di maggior « conforto » — nella nostra ricerca di ele­ menti Kitsch è nell’atteggiamento fruitivo ancor più che in quello com­ positivo: è proprio nel caso dell’ascoltazione musicale che risalta più

20 ) L’Eroica di Beethoven in una iuu-rpretazione pittorica.

21) « Frati Musika » una illustrazione fin de siede in cui non solo risulta evidente l’atteggiamento del Kitsch-Mensch, l’uomoKitsch, ma persino il cane è « rapito » dal­ la melodia.

chiaramente evidente la presenza del Kitsch-Mensch (Jll. 20, 21): l’uo­ mo- Kitsch che riesce a rendere Kitsch anche il grande Giovanni Sebastia­ no, attribuendo, ad es., alle rigorose e persino pedantesche composizioni del musicista delle intenzioni sentimentali che questi mai s’era sognato di avere; o confondendo quello che era l’afflato religioso di molta musica sacra, con una facile « sentimentalità », degna di tutt’altra occasione. Questo forse è il punto veramente fatidico per la individuazione del Kitsch non solo musicale, ma letterario, cinematografico, e direi addi28

rittura « naturalistico »: l’atteggiamento dell’individuo di fronte a spet­ tacoli artistici, e naturali, che vengono osservati secondo quel partico­ lare angolo d’incidenza capace di renderli immediatamente deteriori, fasulli, sentimentali, non genuini. Ma, parlando di Kitsch, e considerando il fenomeno, come si è visto, soprattutto limitato alla nostra epoca, mi sembra indispensabile tener conto dell’importanza che, nella determinazione di esso, ha avuto in maniera addirittura specifica l’avvento della macchina, sia come pro­ duttrice e riproduttrice d’opere d’arte, sia come peculiare medium co­ municativo ed espressivo. Non è difficile constatare un certo sincronismo tra l’esplodere di taluni aspetti Kitsch, e l’avvento di metodi di riproduzione e di trasmis sione meccanici, indi elettrici, elettronici, ecc. dell’arte stessa. Con il che non voglio affermare che esista una interdipendenza assoluta tra le due manifestazioni; e lo vedremo tra poco; ma voglio però sottoli­ neare il fatto che, solo con le possibilità di riproduzione (spesso me­ diocre) e di diffusione vertiginosa di oggetti artistici (o pseudo-artistici) è stata possibile l’esplosione di uno degli aspetti che qui ci interessano. Il problema dell’industrializzazione culturale; il fatto, cioè, che anche la cultura — tanto nel suo farsi, quanto nel suo consumarsi — sotto­ stia ad alcuni dei metodi cui sottostà ormai tutto o quasi il nostro siste ma produttivo e organizzativo, è sempre più scottante. Da un lato, perché sarebbe stolto non valersi o non sapersi valere dei mezzi potenti e spesso efficaci che la tecnologia più aggiornata ci offre, anche a un fine culturale, dall’altro perché sarebbe altrettanto perni­ cioso non rendersi conto dei pericoli, degli equivoci, dei tranelli, du­ ci si parano di fronte, ogniqualvolta i due settori della cultura e dell’in­ dustria vengano ad incontrarsi o anche soltanto a sfiorarsi. Naturalmente gli studi attorno ai quesiti dell’industrializzazione della cultura e dei mezzi di comunicazione di massa — dei mass- media -di cui il mondo ha appreso a servirsi, si sono venuti moltiplicando negli ultimi lustri: sono sorti i detrattori di tali mezzi e gli apologeti; si sono levate voci di giubilo per inneggiare alla vittoria dei mass- media sui « media » tradizionali; o di panico per deprecarne l’avvento e l’ec­ cessiva invadenza. Basterebbe ricordare, per tutti, il volume di Marshall McLuhan Under­ standing, Media, che ha avuto negli ultimi tre o quattro anni un co stante successo negli USA e altrove, o le note antologie dedicate ai pro­ blemi dei mass- media c dell’arte di massa come quella di Rosenberg c

White. Ma il tipo di industrializzazione culturale su cui mi preme di soffermarmi ancora brevemente, perché è quello da cui maggior­ mente dipende il verificarsi del fenomeno Kitsch, è quello che si rivolge al panorama immaginifico, o, se possiamo così esprimerci, all’attività fantastica e creativa dell’uomo: quell’attività che di solito era, o avreb­ be dovuto essere, patrimonio gelosamente privato d’ogni singolo indi­ viduo. e che invece — proprio attraverso alcuni mass- media — si è venuto trasformando in un’attività altrettanto « pubblica » di tutte le altre. I.c immagini, i sogni, la marea indistinta e imprecisata della nostra atti­ vità fantastica, diventando preda dei nuovi mezzi meccanici di trasmis­ sione e di comunicazione, ne diventano tosto anche succubi: il feno­ meno ha ovviamente un lato positivo e uno negativo (e non solamente negativo come molti vorrebbero). L’intervento della macchina, in defi­ nitiva, credo si possa reputare benefico in tutti quei casi in cui vale ad alleviare lo sfruttamento dell’uomo da parte del suo prossimo, né mi sembra giusto incolpare il maggior « tempo libero » di cui oggi l’uomo dispone (o dovrebbe disporre) come responsabile d’un inaridi­ mento della sua fantasia creativa e di un suo progressivo tendere verso l'esclusiva edonisticizzazione del tempo libero stesso. Anche se ciò effet­ tivamente accade, non occorre darne colpa alla macchina e all’industria. Purtroppo la cultura di massa, posta alla base della nuova distribuzione del tempo, ha fatto naufragare ogni capacità distintiva tra arte e vita: è andata perduta ogni « ritualità » nella somministrazione del « pasto » culturale e estetico da parte dei mezzi comunicativi di massa (radio, TV, rotocalchi, cinema, ecc.) e questa assenza di ritualità ha condotto a un’indifferenza da parte dello spettatore di fronte alla diversa natura ilelle singole trasmissioni e manifestazioni che gli vengono ammannite. Sarà bene, perciò, analizzare con cautela, più per il suo aspetto e le sue incidenze antropologiche che per quelle strettamente estetiche, que­ sto fenomeno. Uno degli errori, infatti, di molte indagini intraprese in questo settore, è stato quello di aver voluto porre, già in partenza, delle implicazioni estetiche, ancor prima d’aver risolto i quesiti sociologici, c psicologici, che ne stavano alla base. Primo fra tutti quello riguar­ dante l’elemento esperienziale che entra in gioco nella nostra utilizza­ zione dei nuovi mass- media. Un altro aspetto rilevante consiste nella mancanza d’un’autentica « esperienza vissuta » attraverso la mediazione dei nuovi media: feno­ meno che credo chiunque sia in grado di controllare da sé e su se stesso. 30

Ln visione di immagini riprodotte - attraverso la fotografia, il cinema, la televisione, i rotocalchi — non è più in grado di trasmetterci una esperienza veramente « vissuta » anche se ci permette un pronto e ra­ pido immagazzinamento di nozioni, come è stato ampiamente provato. Ne deriva una scissione tra l’eventuale apprendimento nozionistico e il vero e proprio Erlebnis delle immagini di cui si sia spettatori. Avviene, su per giù, lo stesso fenomeno che si verifica quando si visiti un paese straniero e lo si veda riprodotto al cinema. Quell’alone visuale e audi­ tivo, ma anche di sapori, di odori, di atmosfere, che il paese straniero ci offre e che rimarrà inconfondibile nel nostro ricordo, si riduce a un’immagine sbiadita, a un fantasma onirico quando ci venga trasmesso attraverso i nuovi mezzi meccanici di comunicazione. I Io avuto occasione, altre volte, di soffermarmi sul problema della falsi­ ficazione delle immagini dovuta alle odierne possibilità riproduttive; c mi sembra che questo problema sia non solo intimamente connesso con quello del gusto e del « cattivo gusto », ma non sia valutato nella dovuta misura da parte del pubblico e della critica. Non c’è dubbio che la riproduzione su larga scala di opere d’arte — tanto figurative che musicali, tanto antiche che moderne — attraverso i nuovi mezzi tecnici, costituisce uno dei fenomeni più sorprendenti e clamorosi della recente evoluzione culturale. Ma, se da un lato, dobbiamo riconoscere la perfetta « autenticità » della riproduzione in serie di oggetti indu­ striali (concepiti, già in partenza, per sottostare ad una cosiffatta ripro­ duzione), dobbiamo per contro considerare ogni riproduzione di opere uniche, ideate per essere irrepetibili, come equivalente a un vero e pro­ prio « falso ». Anche se attraverso la riproduzione fedele è stato possibile divulgare ampiamente le conoscenze artistiche e storiche, non si deve dimenti­ care che, ai nostri giorni, la « smania riproduttiva » si è il più delle volte tramutata in paradossale tesaurizzazione di opere e di oggetti che con l’esemplare autentico hanno un’affinità solo apparente ed estrin­ seca. Si pensi alle infinite copie di Madonne Sistine, di Partenoni, di Apolli del Belvedere, di torri di Pisa, e via dicendo; il cui valore arti­ stico si è prontamente trasformato in un valore esclusivamente Kitsch proprio in seguito a tale riproduzione; o ancor più, in seguito alla ma­ niera in cui questi ex- capolavori sono « fruiti », assaporati, idolatrati, dagli uomini-KzVrcA che li acquistano e ne gremiscono le loro abitazioni. Molto spesso nella riproduzione di queste opere — sia delle antiche che delle moderne: tipico l’esempio delle riproduzioni colorate degli 31

impressionisti, di Van Gogh, di Gauguin — è stato accantonato ogni rispetto per la fedeltà della « scala », della tonalità del colore, per la globalità della figurazione; così da offrire al pubblico, non soltanto dei (ac- simile tutt’affatto approssimativi, ma, ciò che è più sorprendente, tali che al pubblico paiano più « attraenti », più « belli », più efficaci degli esemplari autentici. In questo stesso fenomeno rientrano anche le molte repliche, a prezzo modesto, di capolavori antichi (e anche moderni) acquistabili sulla base di folti cataloghi e che soltanto in apparenza incoraggiano la cultura e il gusto, ma che invece incitano il pubblico a porre sullo stesso piano il capolavoro autentico e banali o addirittura sconce contraffazioni. L’industrializzazione culturale estesa al mondo delle immagini artistiche ha condotto con sé un’esasperazione delle tradizionali distinzioni tra i diversi strati socio-culturali. La « cultura di massa » è venuta ad acqui­ stare dei caratteri assai diversi (almeno apparentemente) dalla cultura d’élite, e ha reso assai più ubiquitario e trionfante il Kitsch dell’arte stessa. Se, tuttavia, in tale pseudo-cultura, manca ogni differenziazione fruitiva (ossia, come ebbi ad osservare più sopra: non esiste più nessun momento privilegiato per la somministrazione del nutrimento artistico, ed è andata perduta ogni « ritualità » a differenza di quanto accadeva in passato, togliendo in questo modo all’opera d’arte quell’alone di mi­ stero e di « sacralità » che un tempo la distingueva); non si può ne­ gare che anche questa cultura livellatrice abbia bisogno d’una certa qual differenziazione per essere gradita al grosso pubblico. Ecco perché si determina una incessante richiesta di prodotti nuovi, inediti, e in qual­ che maniera, individualizzati. Il che porta — per un’altra via — al determinarsi di fenomeni di Kitsch. Uno degli esempi più evidenti e potenti di questa sete del nuovo per il nuovo, senza nessuna motivazione né estetica né tecnica, che porta al determinarsi frequentissimo di oggetti Kitsch, si ha nel noto processo dello « styling ». Quel tipo di stilizzazione o di cosmesi applicata ai prodotti del disegno industriale per ragioni esclusivamente di mercato o per incitare la sete di raggiungere, attraverso tali prodotti, un effi­ cace status symbol da parte degli acquirenti. Tra le stigmate più tipiche dei nuovi « generi » artistici (esplicatisi attraverso il film, il « condensato », il disegno industriale, la musica di consumo, ecc.) e che spesso coincidono con l’instaurarsi del Kitsch, pos­ siamo notare: la collettivizzazione e la divisione del lavoro e quindi V2

22-23) Modigliani ( sopra ) c Morandi (sotto) trasposti ri­ spettivamente in ceramica ed in mosaico.

In necessaria sottomissione dell’opera ad un lavoro di équipe, e quindi nd una standardizzazione collettiva che porta con sé l’immissione entro il prodotto artistico di massa anche di alcuni elementi che apparten­ gono alla cultura d’élite, e viceversa.

Quando poi non accade che alcuni prodotti, inizialmente ideati e creati per un’élite culturale, diventino, per mero fatto di moda, di alto costo, di snobismo, appetibili da quella categoria di « classe alta », (esclusi­ vamente economica) che equivale culturalmente al peggior tipo di midcult. Fatto, anche quest’ultimo, su cui troppo di rado si soffermano i sociologi, quando considerano il problema dell’arte di massa: la non coincidenza, cioè, dell’élite economico-fìnanziario-mondana, con l’élite culturale; la frequente incompetenza e reazionarietà della « haute » economico-fìnanziaria, rispetto a forme d’arte d’avanguardia (intendo: di autentica avanguardia) o l’accettazione di tali forme d’arte soltanto perché, o quando, siano diventate « di moda » e perciò ricercate e costose. Accade, naturalmente, che la cultura d’élite tenda a resistere all’integrazione ed alla standardizzazione tipiche dei prodotti di massa e di consumo; ma purtroppo questa resistenza è spesso basata soprat­ tutto sopra un fattore di feticizzazione, che solo in un secondo tempo verrà smascherato, quando i prodotti d’una falsa avanguardia si saranno dimostrati vacui e obsoleti. Per questa ragione, il più delle volte i pro­ dotti delle pseudo-avanguardie presentano, rispetto a quelli realmente tali, soltanto l’apparenza della illeggibilità, dell’ermetismo, d’un facile tono scandalistico fatto per épater-le-bourgeois. Un altro aspetto, tipicamente feticistico, per contro, consiste nell’assun­ zione da parte di certe forme genuine di arte d’avanguardia di elementi presi a prestito alle produzioni più trivialmente di consumo: ne abbia­ mo avuto numerosi esempi in molta recente « pop art » (come quella di un Jasper Johns, di un Rauschenberg) dove l’elemento preso di peso ai prodotti di consumo (bottigliette di coca cola, fotografie, dentifrici, barattoli di latta) diventa esteticamente pregnante per il fatto stesso d’essere fissato entro il dipinto, così da costituire nuovamente un « uni­ cum » irrepetibile, e altresì difficilmente comunicabile. (Quando poi non venga addirittura convertito in materiale « nobile » come nel caso di certe frutta gettate in bronzo da Cavaliere). Codesto fenomeno, del­ l’assunzione nell’empireo dell’arte d’élite di prodotti triviali sottratti alla produzione standardizzata e disindividualizzata, deve essere consi­ derato positivo o non significa piuttosto che lo stesso artista d’avan­ guardia predilige talvolta quel genere d’arte che in apparenza, ufficial­ mente, disprezza? Il fenomeno di feticizzazione dell’opera d’avanguardia (del culto sno­ bistico della stessa) può, dunque, rientrare senz’altro nell’ambito del Kitsch. Che la distinzione sia ardua è indubbio; ma basta prendere in 34

mano c sfogliare una rivista, cosiddetta d’avanguardia, d’uno qualsiasi ilei paesi industrializzati, per avvedersene. Salteranno agli occhi per es. i casi di smaccate o ingenue imitazioni di Joyce, di Beckett, di Kafka per quanto riguarda la letteratura, di Duchamp, di Schwitters, dei gran­ di pop per la pittura, di Stockhausen, di Cage, per la musica. In cosa consiste qui l’elemento Kitsch? Nel fatto che gli autori di codesti ca­ mouflages dell’arte d’avanguardia autentica hanno isolato un solo aspetto del fenomeno artistico che cercano di imitare, e che aveva in origine un valore creativo autentico, sollevandolo a livello di paradigma ma togliendogli con ciò ogni valore di novità e quindi ogni carica infor­ mativa. Si sono valsi, ad es. del tanto noto e sfruttato esercizio di com­ binazioni linguistiche plurisemiche come se si trattasse di preparare dei rebus per la pagina d’un settimanale illustrato. (Quel momento di per­ plessità e poi di scoperta che « valeva » in Joyce o in Duchamp, si tra­ duce così nella sola ricerca sul tipo di « Dove sta l’errore? » di certe vignette enigmistiche). Hanno preso a prestito alcuni « luoghi comuni » dei grandi: l’uso di inclusioni poliglottiche in testi provinciali (spesso ignorando addirittura l’autentico valore di certe parole straniere di cui non conoscono l’esatta pronuncia che spesso sta alla base del « pun »). Tutto ciò equivale — soltanto trasposto sopra un piano diverso — a quanto abbiamo già'osservato nel caso del romanzo da quattro soldi, ilei filmetto western, della canzone di consumo. Il carattere di « fasullaggine », riappare ovunque in questi casi di iper Kitsch: amore, dolore, nascita e morte, si trasformano in commozione epidermica o in presa in giro edonistica; così l’aspro lavoro compiuto per proprio consumo e proprio uso, da un Joyce, dà un Proust, da un Klee, da un Mondrian, diviene lavoro compiuto solo perché sia pub­ blicato o esposto, solo per mostrare il proprio aggiornamento; solo per dare filo da torcere al critico o al cronista arretrato. E quest’ultimo un caso limite, il più delle volte trascurato, di quello che potremo definire il « Kitsch dell’élite culturale »: il cattivo gusto dell’alta cultura. La presenza, dunque, di prodotti che di altamente cul­ turale hanno solo l’aspetto esterno, il trucco, il gergo, ma che parteci­ pano dello stesso carattere Kitsch, di surrogato culturale, presentato dal romanzo giallo o rosa, dalla musichetta del juke box, dal film di cassetta. Ed è con questo genere di iper-Kitsch che vorrei terminare questo capitolo, proprio a dimostrare come il pericolo del travisamento artistico si può annidare ovunque, e può non risparmiare alcun livello; non è, dunque, un appannaggio né delle classi popolari né di quelle economi35

2-1 25) 11 canto di Orfeo ispira una fontana in ceramica per anticamera-di-lusso, In testa di Giuseppe Verdi diventa un fermalibro e, tra statuine orientali e don­ nine (in de siede, fa bella mostra sullo sfondo un arcolaio-lampada.

camente elevate (anche se spesso predilige la media e la grossa bor­ ghesia) e, in definitiva, non risparmia neppure coloro che si conside­ rano i detentori della più sofisticata cultura d’avanguardia. .?) le riproduzioni di Gauguin e Rousseau conferiscono una « nota artistica » alla sala da bagno, ne « elevano » l’aspetto puramente funzionale

MITO E KITSCH

Esiste un settore che, ai nostri giorni, risponde forse più d’ogni al­ tro alle sollecitazioni del Kitsch e che mostra quale importanza non solo estetica, ma esistentiva, sia da attribuire a questa « deviazione del gusto », ed è quello del mito. Del mito moderno, del verificarsi di fattori mitopoietici e mitagogici nella nostra civiltà si sono interessati diversi studiosi da Mircea Elia­ de, a Levi-Strauss, da Ricoeur a Roland Barthes e Gilbert Durand; è significativo constatare come quella particolare tendenza mitizzante che ha dato vita ad alcune delle maggiori realizzazioni artistiche, re­ ligiose, letterarie dell’umanità arcaica e antica, esista tuttora, ma dan­ do spesso origine non più a grandiose epopee, a poderose leggende, a favole sacre, ma a squallidi fenomeni di feticismo o di deteriore pubblicitarietà. Ho avuto occasione di soffermarmi su questo aspetto del problema in un mio volume Nuovi Riti Nuovi Miti (Torino 1965) dove appunto cercavo di porre una distinzione tra autentica carica mitopoietica po sitivamente intesa, e spuria volontà mitagogica, quasi sempre condan­ nabile e nefasta perché coartante ed eterodiretta e portante inevita­ bilmente alla feticizzazione ed alla mistificazione delle sue realizzazioni. Ebbene, cosa possiamo considerare più sintomaticamente Kitsch di al­ cuni tipici « miti dei nostri giorni » come il mito fascista e nazista, il mito dello sportivo, del campione, del cantautore, del divo cinema­ tografico, quando siano assurti al rango di eroi e divinizzati dalle fol le sia pur per una breve stagione? Quel meccanismo per cui l’uomo della strada, bersagliato da radio c TV e dagli altri mass-media, finisce per attribuire a un determinato personaggio (quasi sempre astutamente e artatamente manipolato da una rete propagandistica e commerciale) delle qualità tali da promuo­ verlo al rango di eroe mitico, non può che essere ricondotto alla ca­ tegoria di cui ci stiamo occupando, perché ne riveste tutte le essen­ ziali caratteristiche; la qualità di surrogato, di contraffazione, di ap piglio sentimentale, di grossolanità e pacchianità dell’« immagine » (qui intesa nel senso di corporate image, di immagine coordinata, qual è quella di cui si vale di solito la pubblicità per creare la particolare connotazione simbolica d’una ditta o d’un prodotto). Il caso di Rita Pavone o di Celentano in Italia, dei Beatles e dei Rol17

ling Slones in Inghilterra, di Johnny Halliday c Sylvie Vartan in Francia, c’insegna. t rischioso, a questo proposito, citare determinati nomi, poiché una delle tipiche eventualità dello pseudo-mito attuale è la sua rapida e ine­ sorabile obsolescenza per cui un personaggio oggi celebre diventa ad­ dirittura ignoto nel breve volgere d’un biennio, d’un lustro. Ohi abbia assistito ad una rappresentazione di Rita Pavone o dei Beatles

27 ) La Rolls-Royce dei Beatles.

(quando immense arene sono gremite di popolo in tumulto, di ragazzine urlanti in preda a crisi isteriche, quasi fossero state poste al cospetto d’una divinità, pronte ad immolarsi ad essa come le vestali d’un nuovo mistero sacro) avrà certo notato con quanta astuzia questi divi sappiano dosare l’effetto degli aspetti più caratteristici del loro vestiario, _del loro armamento specifico. È la stessa presenza d’una « divisa » dalle qualità magiche che ha permesso di far vivere così a lungo le stolide 38 28) Il periodo di meditazione dei Beatles, negli « spartani cottages » della Maha- ► rishi Mahesh Yogi’s Academy è certamente servito ad aumentare l’aureola di mito attraverso un tentativo di « recupero della sacralità ».

e spesso del tutto ebeti figure d’un Superman, d’un Batman: l’uso d’una mantella a foggia di pipistrello, d’una calzamaglia percorsa da una S gigantesca (il tutto nel più puro stile Kitsch, s’intende) è suffi­ ciente a promuovere questi indumenti a equivalenti sacri, quasi si trat­ tasse di amuleti preziosi o di reliquie investite di proprietà taumatur­ giche. E forse non è senza una precisa ragione che — ad es. nel caso dei Beatles — è stato compiuto addirittura un tentativo diretto di « recu­ pero della sacralità », quando questi simpatici giovanotti ebbero a re­ carsi a villeggiare presso un noto (e non sappiamo quanto autentico)

The taste is distinctive. The man is Sean Connery. The Bourbon is JIM BEAM.

29) Il personaggio di James Bond si presta alla pubblicità di un Bourbon atiravcrso il «gusto personale» di Sean Connery.

santone indiano sulle rive del Gange. L’aver voluto carpire un’investi­ tura sacra alle vere fonti della leggenda, da unire alla carica mitica di cui già erano e si sentivano investiti, è una riprova di quanto più sopra allarmavo: il mito fasullo cerca un’alleanza col mito genuino per otte40

30) Le ebeti figure di Batman e Robin elevate al rango di modesti felici i decorativi.

nere una maggior efficacia e ne risulta un aspetto o un atteggiamento indiscutibilmente Kitsch. Naturalmente si potrà facilmente obiettare che non tutti questi idoli delle folle sono, in assoluto, deteriori, che alcune delle canzoni crea te o cantate dai Beatles, dai Rolling Stones non sono da disprezzarc, che certi atteggiamenti sia pur essenzialmente pubblicitari, contribuì scono tuttavia a creare quella particolare atmosfera destinata in un secondo tempo a sfociare nella messa a punto d’un determinato gusto del vestire, della moda, del colore, e via dicendo. Non intendo certo sottovalutare l’importanza del costume e della ino da nel determinare il particolare profilo d’un’epoca culturale; ma quel lo che qui mi preme di far notare è la evidente sproporzione tra quel li che sono i dati di fatto su cui fa presa l’elemento mitagogico e il risultato socio-estetico degli stessi. Possiamo porre sullo stesso pia no Orfeo e i Beatles, Mose e Hitler, i paladini e i campioni dello sport? ■Il

Forse potremo considerare altrettanto — storicamente — importan­ te e determinante il nazismo e la rivoluzione francese, le vicende dei cosmonauti e quelle di Cristoforo Colombo; ma quello che, nonostan­ te tutto, ci sembra indiscutibile, è che nel mito autentico del pas­ sato non si dava mai l’esistenza d’un elemento Kitsch quale così spes­ so si dà ai nostri giorni. Buona parte dell’apparato rituale, dei paraphernalia figurali, delle decorazioni c degli emblemi che accompagnarono un movimento co-

il ) La copertina di un disco beat il cui titolo « alla ricerca di un accordo per­ duto » allude al ciclo dei romanzi di Proust. Alcuni elementi del misticismo bud­ dista sono degradati a materiale tipicamente Kitsch.

me quello fascista o nazista (più il primo del secondo proprio forse perché più inautentico) erano decisamente Kitsch: le aquile imperia­ li, i Kepi col fiocco, gli atteggiamenti del saluto e del passo marziale (come vedremo meglio trattando del Kitsch politico) rivestivano tutti una decisa intonazione di gusto deteriore; quello stesso gusto deterio­ re che possiamo rinvenire in altre manifestazioni di rituali fasulli co­ 42

me il Ku Klux Klan, le logge massoniche, e talune pseudo religioni (fiorenti soprattutto negli USA) come quelle dei Mormoni, della Chri­ stian Science e delle infinite sette protestanti dove tanto il rituale che l’apparato scenico non hanno alla loro base nessuna autentica tra dizione religiosa e facilmente, per ciò appunto, degenerano nel Kitsch. ...Un fenomeno che non può passare inosservato è quello della sovrab bondanza di elementi rituali di cui si valgono, proprio ai nostri giorni, molti dei cerimoniali che accompagnano l’istituzione di manifestazioni

32) La vetrina di un negozio di New York. Accanto alle maschere dei niosiri e ai souvenirs tipicamente Kitsch, una truce immagine di Fidel Castro.

basate su presunti valori occulti, o sui significati politici religiosi conni nitari una volta che questi siano istituzionalizzati. Penso ad es. alle ban diere, agli emblemi, ai distintivi, dei vari clubs più meno esclusivi, soprattutto quando questi abbiano dietro di sé una tradizione vera o presunta tale; e persino a quelli dei vari clubs nautici, golf clubs, società ippiche, di caccia alla volpe, ecc. dove raramente è dato notare una I*

aggiornatezza del gusto, un ricorso a elementi presi a prestito all’arte o al costume moderno e d’avanguardia. Si direbbe quasi che per con­ ferire ad una confraternita — sia essa religiosa o laica, politica o gin­ nica — una qualifica di autenticità sia indispensabile ricorrere agli aspet­ ti del peggior uso, o d’un gusto che sia irrancidito e polveroso. Che dire del resto delle coppe sportive, delle medaglie atletiche, delle divise di appartenenti a sette mistiche, teosofiche...? Un’osservazione che mi è spesso toccato di fare è la curiosa e direi sacrilega degradazione subita da venerande e indubbiamente autentiche simbologie occulte, non appena queste divengano preda della sopra accennata vena mitagogica o di falsa ritualità. La croce, la svastica, il triangolo con l’occhio divino, la stella davidica, i segni zodiacali, ecc. tutto l’alfabeto sacro che attinse in passato (e che può ancora attingere) valori trascendenti a gloriosi misteri, non appena sia utilizzato come companatico di false istituzioni mitiche assume tosto un che di fittizio,

33) Il «museo dell’orrore» americano è un esempio della mitizzazione sadomasochistica, portata sul piano del consumo.

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e quel che più conta, di desueto, di passato di moda, di sconveniente. È forse per la stessa ragione che si può constatare così di frequente quello che vorrei definire il « Kitsch delle fattucchiere », degli indovini, dei maghi. Anche questo è un fenomeno che non mi sembra sia staio sin’ora analizzato a dovere e che meriterebbe invece d’essere maggior mente approfondito. Ebbene: m’è capitato spesso di constatare visi tando certi « maghi » (molti dei quali, del resto, sono effettivamente dotati di notevoli qualità soprasensibili) come tutto l’apparato scenico di cui si valgono e il loro stesso modo di atteggiarsi sia indiscutibil­ mente legato a moduli ottocenteschi, desueti, e ammantato da una in­ discutibile atmosfera Kitsch. Quel che appare ancora più curioso è il fatto che si possano senz’altro considerate Kitsch anche buona parte degli ambienti e degli individui che si occupano oggi di pratiche occulte e spiritiche. (Gli stessi « veto

plasmi » così ampiamente illustrati in alcuni classici trattati di spiriti­ smo e di metapsichica appaiono spesso paludati con questo gusto dete­ riore e antiquato). Come si può interpretare questo fenomeno? Forse che gli « spiriti dei trapassati » sono « indietro coi tempi » o sono legati a una moda ormai superata? Non voglio, ovviamente, entrare qui in merito a questioni quanto mai delicate, né azzardare ipotesi irriverenti riguardo a fenomeni di difficile giudizio. L’unica possibile spiegazione mi sembra possa consistere nella constatazione di come quanto ho detto si riferisce non già a quell’ambiente o a quelle persone che si interessano in maniera seria e scientifica di tali problemi, ma appunto a quegli individui che — pur essendo dotati per istinto di peculiari facoltà soprasensibili — le sfruttino in maniera grossolana e il più delle volte a scopo di lucro e non di ricerca, valendosi di quell’armamentario che — loro malgrado — non può che ricadere nel cliché del cattivo gusto e dell’ambiguità; per cui, una volta di più l’apparire del Kitsch, ovunque si abbia a che fare con elementi mitici e rituali aberranti o surroganti, dimostra chiaramente quanta importanza — in questo caso non solo estetica ma etico-sociologica — rivesta la constatazione di fe­ nomeni come quelli che ho cercato qui di delineare. Se vogliamo dunque tirare le somme di questa breve incursione nel settore del mito e del rito, potremo facilmente concludere come nella nostra epoca si diano molte situazioni in cui forze mitopoietiche s’in­ staurano; forze che possono essere benefiche, che possono condurre alla formulazione di nuovi miti a lor volta responsabili di creazioni artistiche, di realizzazioni sociali e politiche; ma come altresì si dia­ no molte situazioni in cui è l’aspetto mitagogico a prevalere, tendente a dar valore mitico e rituale a elementi, fatti, personaggi cui tale va­ lore non s’addice o che male possono sopportarlo e che non dovreb­ bero esserne investiti. In quest’ultimo caso si verifica allora quasi sem­ pre un fenomeno di « kitschizzazione » del mito; si viene a costitui­ re un rtùto-Kitsch tanto più deprecabile quanto più è portato ad agi­ re in profondità per quella energia e quella intensità magica che è propria del vero mito e che anche il falso mito è in grado, sia pur transitoriamente, di surrogare. Lo stesso fatto, del resto, di poter discorrere d’un mito-Kz/rcA (come — lo vedremo nei prossimi capitoli — d’un aspetto Kitsch della re­ ligione, dell’amor di patria, della famiglia, della morte) ci dice anco­ ra una volta che il Kitsch si vale in prevalenza di elementi irrazionali, fantastici, o se vogliamo sub- o pre-consci. 46 35) Le «mani miracolose» dell’ormai mitico Barnard in un manifesto (70 x 100 cm.) a colori inserito in una rivista femminile.

L’aver rivalutato l’elemento mitico nello studio delle forme simboli­ che (come è stato fatto magistralmente da Ernst Cassirer seguendo il filone che da Vico conduce a Schelling e in seguito ai nuovi « mitologhi » dei nostri giorni: Kérèny, Durand, la Langer, ecc.) ha dimostra­ to quale fondamentale importanza sia da attribuire, ancora e sempre, al quoziente irrazionale del nostro pensiero, delle nostre stesse facol­ tà conoscitive. P quindi comprensibile che proprio di tale quoziente, più che di quel­ lo lucidamente razionale, si valga subdolamente il Kitsch per tendere i suoi agguati. Se una componente mitico-simbolica è sempre presen­ te in ogni forma artistica non è detto che per questo solo fatto ogni opera d’arte debba essere considerata oggi come mistificata o mistifi­ cante, come alcuni propendono a credere; è invece abbastanza vero­ simile ammettere che, nelle forme di pseudo-arte che vogliamo defini­ re Kitsch, tale aspetto feticistico e mitizzante si riveli con maggior chiarezza e maggior frequenza.

tettoniche di quelle civiltà e di quei periodi storici. Ma quale immagine architettonica ci si presenta, quando pensiamo al romanticismo del se­ colo diciannovesimo? Nessuna. Certo, una gran parte del romanticismo europeo ha avuto come scenario le facciate in stile neoclassico-biedermeier (il romanti­ cismo americano quelle in stile coloniale); ma ciò solo perché gli edifici della generazione precedente erano ancora in piedi. Il romanticismo in­ fatti non ha prodotto in proprio un solo architetto che sia stato capace di sollevare il suo stile al rango di uno qualsiasi degli stili del neoclas­ sicismo, ad esempio dello Schinkel berlinese. La sua prima espressione architettonica è stata orribile: quel gotico intonacato o a mattone nudo, con orlature di merli, che ha tenuto il campo tra il 1820 e il 1840 e che è servito tanto per le stazioni e per gli edifici pubblici quanto per le ville padronali e per i quartieri operai, sino a che questo tipo di Kitsch ( perché è stato davvero Kitsch) ha dovuto cedere il passo a quello an­ cora più violento del neo-rinascimento e del neo-barocco. E non si dica che la veemente rapidità del processo di industrializzazione e di svi­ luppo delle grandi città non avrebbe concesso alla architettura il tempo di adeguarsi ai nuovi compiti, spingendola ad una disperata ricerca a tentoni. No; lo Schinkel aveva, ad esempio, prospettato soluzioni per negozi ed edifici pubblici perfettamente adeguate alle esigenze funzio­ nali, ed anzi addirittura moderne. Perché allora, invece di accogliere quelle proposte, si costruirono stazioni e case operaie in Kitsch goticheggiante? La risposta è semplice. Perché non lo Schinkel ma il Kitsch corrispondeva allo spirito dell’epoca e perché al gusto orientato sul Kitsch il funzionalismo dello Schinkel non sembrava abbastanza bello. Ciò che interessava era la bellezza, il bell’effetto, la decorazione. La grande arte romantica sorse in questo scenario totalmente inade­ guato, in mezzo a questo Kitsch che non fu ancora l’ambiente di Bee­ thoven, di Schubert, di Byron, di Schelley, di Keats e di Novalis, ma già quello di Stendhal, di Delacroix, di Turner, di Berlioz, di Chopin, di Eichendorff, di Tieck e di Brentano. Come è possibile mettere insie­ me tanta autenticità, tanta genuina e luminosa potenza espressiva (e inoltre — nel caso della lirica tedesca — tanta interiorità) con tanta enfasi decorativa? E perché questo decorativismo è diventato così sci­ pito, così Kitsch, mentre quello non certo più blando del barocco (ogni epoca ha la sua passione per la decorazione) offrì una cornice adeguata persino ad un Bach, per tacere di Hàndel e Mozart che furono di per sé già inclini all’effetto? Per una parte considerevole della produzione 50

artistica dell’epoca il Kitsch architettonico costituisce certo una cor­ nice assolutamente adeguata. Walter Scott, ad esempio, rivela una affi­ nità innegabile, addirittura fatale con il neo-gotico del tempo, e per Paul de Kock — il tanto stimato contemporaneo di Balzac — non ci si potrebbe davvero immaginare ambiente più adatto. L’ambiente sem

37) Una messa in scena spettacolare non riesce a fare dimenticare ciò che vi è di penoso nel film su Berlioz Sinfonia fantastica ( 1942).

bra dunque inadeguato soltanto nei confronti delle più alte opere del genio (di cui l’epoca è stata d’altronde particolarmente ricca) c ade­ guato invece per tutto ciò che non ha raggiunto un livello di valore assoluto, e quindi anche per i drammi musicali di Weber (a parte la stima che essi comunque meritano). Una netta linea di demarcazione sembra correre attraverso la produzione artistica dell’epoca di video dola in due gruppi fondamentali radicalmente diversi e senza grada /.ioni intermedie: da una parte le opere che rivelano aspirazioni addi rittura cosmiche, dall’altra il Kitsch. Quale dei due gruppi rappresenta l’epoca? Quest’ultima è stata dunque caratterizzata dal Kitsch (il che ci porterebbe a considerare la grande opera d’arte romantica come un

suo superamento); o non è invece al romanticismo che si deve attri­ buire la responsabilità del Kitsch? Molte cose testimoniano a favore di una prevalenza del Kitsch e soprat­ tutto la mancanza di valori medi. Il tono stilistico di un’epoca viene fis­ sato, in genere, solo dall’opera del genio, ma è l’opera media che lo sostiene. La storia dell’arte è piena di queste opere minori. I quadri di scuola gotici e rinascimentali appartengono a questa categoria; lo stesso si può dire delle composizioni di tutti, indistintamente, i nume­ rosi organisti del secolo diciassettesimo e diciottesimo i quali, pur senza essere dei Bach, hanno prodotto lavori altamente pregevoli (anche in campo architettonico, l’ultimo dei maestri costruttori fu, prima del ro­ manticismo, perfettamente padrone del proprio mestiere). Il romanti­ cismo, al contrario, non è stato capace di produrre valori medi. Ogni scivolone dal livello del genio si è tramutato immediatamente in una rovinosa caduta dalle altitudini cosmiche al Kitsch. Si prenda ad esem­ pio Berlioz il cui effettismo e decorativismo (d’altronde molto francesi) sono al limite del sopportabile: Berlioz non solo si serve di titoli e di associazioni sensazionali ed estranei alla musica, ma neppure si vergo­ gna di far marciare il suo Faust al ritmo di una marcia Ràcòczy virtuosisticamente orchestrata. Del resto, persino l’interiorizzato romantici­ smo tedesco si muove sempre sul filo del rasoio e rischia continuamente di scivolare verso il Kitsch-, il che può accadere persino nel bel mezzo di una poesia, e non per volontaria ironia (come in Heine), ma più semplicemente per l’incapacità di mantenere la tensione del co­ smico. A molti di voi potrà apparire addirittura blasfemo che per dimo­ strare il mio assunto io mi serva del nostro più caro poeta romantico (almeno per me è il più caro), ma lo faccio proprio per dimostrare quanto rapida e profonda possa essere la caduta. Esaminiamo insieme l'Ahendlandschaft (Paesaggio serale) di Eichendorff. I sei primi versi:

Der Hirt blast seine Weise, Von fern ein Schuss noch fdllt, Die Walder rauschen leise Und Strame tief im Feld. Nur hinter jenem Hugel Noch spielt der Ahendschein' ' II pastore soffia la sua melodia, / c lontano muore un ultimo sparo, / i boschi stormiscono dolcemente / e i ruscelli sussurrano nel grembo dei campi. / Dietro a quella collina / gioca ancora un ultimo raggio del tramonto.

V

sono certo da considerare tra i più belli che la lirica tedesca abbia pro­ dotto in fatto di sobria precisione descrittiva. A questi versi perfetti vengono fatti seguire due versi che non sono altro che insipida imita­ zione sentimentale della poesia popolare. Oh h'àtt ich, hàtt ich Fliigel, Zu fliegen da hineinP Soltanto in pochissime poesie, ad esempio nel Reisesehnsucht o nel Greisenlied Eichendorff è riuscito a conservare dal principio alla fine la tensione cosmica; per il resto esse sembrano per lo più condannate a naufragare contro lo scoglio della sentimentalità degli ultimi versi e ad andare alla deriva verso le spiagge del Kitsch. Questa constatazione legittima la mia affermazione circa la mancanza di valori medi nel romanticismo, e voi stessi, purché riusciate a lasciar da parte le vostre impressioni giovanili, potrete trovare ulteriori conferme di quanto dico in Frauenliebe o in Mateo Falcone di Chamisso. Nel Kitsch invece i valori medi esistono senz’altro. Il Kitsch può essere buono, cattivo e persino geniale, e a questo proposito, mentre, con una nuova bestemmia, mi permetto di considerare Wagner come una delle vette più alte mai toccate dal Kitsch, non esito ad aggiungere che nep­ pure Ciaikovskij se ne è tenuto lontano. Non è quindi affatto ingiustificato considerare il secolo diciannovesimo come il secolo del Kitsch invece che il secolo del romanticismo. Ma se il giudizio è giusto, quale la causa di questo fatto? Il marxista rispon­ derebbe affermando che la borghesia degrada l’arte a merce contraf­ fatta e che perciò la piena fioritura del capitalismo industriale doveva necessariamente provocare anche la fioritura del Kitsch (che poi que­ st’ultimo stia attualmente vivendo in Russia una potente fioritura po­ stuma, egli tenderebbe a ignorarlo per amore della teoria). Ma è meglio lasciare da parte ciò che avviene in Russia per seguire invece attenta­ mente i fatti di casa nostra; anticipando il risultato di questo esame diremo che per quanto profondo possa essere il marchio impresso dal Kitsch sul secolo diciannovesimo, il Kitsch stesso deriva, in misura pre­ ponderante, da quell’atteggiamento dello spirito che definiamo come romantico. La borghesia è apparsa nel secolo diciannovesimo come una classe in 1 Oh avessi, avessi l'ali / per volarmene laggiù.

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ascesa sicura, una classe destinata a conquistare il potere in un futuro più o meno prossimo. Spinta da questa sua vocazione al potere, essa ha dovuto da un lato assimilare il patrimonio tradizionale della classe cortigiano-feudale a cui doveva dare il cambio, e riaffermare dall’altra la propria originale tradizione, un tempo rivoluzionaria. La tradizione cortigiana era prevalentemente estetizzante; la sua conce­ zione etica si limitava cioè a determinate rappresentazioni mistiche circa una gerarchia voluta da Dio e nella quale, indipendentemente da qualsiasi scepsi illuministico-razionale, ci si doveva inquadrare con atteggiamento al tempo stesso divertito e stoico; in compenso si acqui­ stava il diritto di fare della propria vita un’opera d’arte e di procac­ ciarsi, in uno sfrenato libertinaggio dei sensi e dello spirito, tutti i piaceri possibili non esclusi quelli artistici, insomma, — e questo è il privilegio di ogni classe dominante — il diritto di creare un grandioso cd esuberante apparato decorativo destinato ad abbellire la vita, un ap­ parato tanto più esuberante in quanto sottoposto all’inffuenza formale del barocco. La tradizione borghese aveva invece un carattere fonda­ mentalmente etico; nei paesi protestanti essa era influenzata esclusivamente dall’ideale ascetico puritano-calvinistico, mentre nei paesi cat­ tolici il parallelo movimento rivoluzionario (che fu anche una protesta contro il libertinage dell’ancien regime) aveva fatto della vertu un uni­ versale principio guida; sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti l’uomo veniva dunque spronato a dar prova di un grande spirito di sa­ crificio; qui per amore dello stato, là per amore di Dio. Nell’uno come nell’altro caso questo imperativo etico era fondato esclusivamente sulla ragione e in entrambi i casi esso era ostile all’arte e alla decorazione, o, per lo meno, indifferente all’arte. La borghesia doveva assolutamente rimanere fedele a questa sua severa tradizione per potersi distinguere e contrapporre all’aristocrazia feudale come classe destinata a sostituirla al potere. Perché mai essa dovette allora piegarsi alla legge dell’assimi­ lazione e appropriarsi della tradizione aristocratica ancorché questa cor­ resse in una direzione diametralmente opposta e antinomica alla pro­ pria? Fu spinta a farlo dalla passione per l’arte? O soltanto dallo spi­ rito di imitazione? O, più semplicemente, il suo spirito ascetico si era nel frattempo esaurito? Tutto ciò deve aver giocato la sua parte, giac­ ché ci si trovava allora in pieno illuminismo ed è noto che l’illuminismo non favorisce lo spirito ascetico (non è un caso d’altronde che esso abbia prodotto il libertinage). Peraltro, nell’epoca dell’industrializza­ zione non si poteva più spegnere lo spirito illuministico, né era possi­ 54

bile riattizzare l’antica fede che era stata il movente dell’ascesi. Con­ servare, malgrado ciò, questo spirito ascetico, senza tuttavia accanto­ nare il razionalismo del libertinage era dunque la insolubile questione che la borghesia doveva risolvere. Il problema sarebbe rimasto probabilmente irrisolto se dalle sue più remote origini (origini che risalgono al rinascimento) la borghesia non avesse portato in sé quelle tendenze che erano destinate a loro volta a produrre il romanticismo; le tendenze della riforma. La riforma sorse

38) Illustrazione del 1896; punta secca per la rivista Pan intitolata « La coppia di cen­ tauri » di Max Pietschmann.

da una grande scoperta, in parte mistica e in parte teologico-razionale, c cioè dalla scoperta della coscienza dell’assoluto, della coscienza dell’infinito, della coscienza divina nell’anima umana. Essa trasferì l'atto della rivelazione in ogni singola e individuale anima umana addossando perciò a quest’ultima tutta la responsabilità della fede, una responsa bilità che prima di allora la Chiesa aveva portato in sua vece. I.’anima saldò il conto diventando presuntuosa e spaccona. Divenne presuntuosa perche le era stato affidato questo compito cosmico e divino e divenne 33

spaccona perché sentiva abbastanza bene che 1^ era stato fatto un cre­ dito eccessivo, che le si era imposta una responsabilità superiore alle sue forze. Ecco l’origine del romanticismo; ecco l’origine, da un lato dell’esaltazione di chi, tendendo tutte le energie spirituali comprese quelle artistiche, cerca di elevare in una sfera assoluta o pseudo-assoluta il meschino accadere quotidiano della vita terrena, e dall’altro del ter­ rore di chi intuisce il rischio dell’impresa. Deriva infatti da questa esal­ tazione e da questo terrore quella particolare incertezza dell’anima ro­ mantica che, trepida ed esitante, vorrebbe ritornare indietro, vorrebbe correre nel grembo della Chiesa per rifugiarsi nuovamente nella sua certezza di assoluto. Per prevenire questa ricaduta il movimento calvinistico-puritano aveva indicato all’uomo la garanzia esclusiva delle scrit­ ture imponendogli quella ascesi fredda, estranea ad ogni effusione, che era destinata a diventare lo stile di vita della borghesia. Quando però l’ascesi incominciò a perdere la sua stringente imperatività, il borghese sentì annullarsi anche il divieto alla esaltazione, ed anzi si esaltò, para­ dossalmente, per salvare la propria tradizione ascetica. Ogni ascesi, ogni repressione del piacere ha un suo centro di gravità sessuale. Il puritanismo non imponeva certo una castità monacale, ma una rigorosa mo­ nogamia. Era appunto la monogamia che si doveva confermare e raf­ forzare; tanto più che in tal modo si poteva colpire al cuore il libertinage. L’amore monogamo venne salvato intensificandolo fino all’esal­ tazione che un tempo era stata rigorosamente condannata dall’ascesi. La frigidità puritana venne trasposta nella passionalità. Ogni occasio­ nale copula della vita quotidiana venne sollevata alla sfera astrale, venne portata al livello dell’assoluto (o meglio di uno pseudo-assoluto) venne trasfigurata in un amore da Tristano e Isotta, incorruttibile ed eterno. E poiché in tal modo non si fece che introdurre nel regno dell’eternità e dell’immortalità gli aspetti più terreni della vita, anzi il mondano per eccellenza, ecco spiegata quell’atmosfera di necrofilia addirittura inde­ cente che domina in tanta parte della letteratura romantica. Ascoltate che cosa ci dice Novalis su questo tipo di fedeltà oltre la morte nel suo Lied der Toterf (Canto dei morti): Leiser Wtìnsche siisses Plaudern Hòren wir allein und schauen Imtnerdar in sel’ge Augen, Schmecken nichts als Mund und Kuss. Alles, was wir nur beriihren, 56

Wird zu heissen Balsamfriichten, Wird zu weichen zarten Brìisten, Opfer kiihner Lust Immer wachsl und bliiht Verlangen, Am Geliebten festzuhangen, Ihn im Innern zu empfangen, Eins mit ihm zu sein. Seinem Durste nicbt zu wehren, Sich im Wechsel zu verzehren, Voneinander sich zu niihren Voneinander nur allein So in Lieb’ und hoher Wollust Sind wir immerdar versunken, Seit der wilde triibe Funken Jen er Welt erlosch."

39) Il Libertinage portato alla sfera pseudo-assoluta della sublimazione dell’amore in questo quadro da Sa­ lon. * Noi sentiamo soltanto / vaghi accenti, dolci colloqui. / ci guardiamo in eterno negli cicchi beati / e non gustiamo se non la bocca e i baci. / Tutto ciò che tocchiamo si trasforma in ardente frutto di balsamo / in morbidi, teneri petti / che immoliamo al piti intenso pia cere. / Sempre cresce in noi e fiorisce il desiderio / di stringerci all’essere amato / di rice­ verlo in noi, / di fonderci con Ini, / di nutrirci l'uno dell’altro, / di nutrirci soltanto di noi stessi. / (x>sl siamo sprofondati per sempre / ncH'amorc c nella sublime voluttà / da quando la selvaggia, torbida scintilla / del mondo terreno si è spenta.

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Qui la fedeltà viene letteralmente elevata a potenza. La nuova epoca, e cioè l’epoca della borghesia, vuole la monogamia, ma vuole contem­ poraneamente godere di tutte le gioie del libertinage in una forma, se possibile, ancora più concentrata. Per questo non ci si accontenta di elevare alle stelle l’atto sessuale monogamo; si obbligano le stelle, in­ sieme a tutte le cose eterne, a scendere in terra per occuparsi della vita sessuale degli uomini e per permettere ad essi di raggiungere la più alta intensità nel piacere. Il mezzo per ottenere questo risultato è la fan­ tasia surriscaldata dall’esaltazione. Il Werther è la prima opera in cui compare questo tipo di esaltazione; ed è infatti sempre nel genio che lo spirito di un’epoca si manifesta per la prima volta (nessuna me­ raviglia quindi che l’uomo dei tempi nuovi, Napoleone, abbia sentito il Werther così vicino al proprio spirito da portarselo dietro ovun­ que, sebbene la sua vita non abbia avuto nulla di wertheriano). È stato però Novalis a tirare tutte le conseguenze dalla esaltazione wertheriana portandola al suo limite estremo: ne è risultato il grande romanticismo. Ed è quasi un fatto naturale che la scatenata esaltazione romantica si sia trascinata dietro anche la ripresa delle tendenze cattolicizzanti. Con il falso superamento della sua tradizione ascetica, o meglio con questa nuova falsa celebrazione dell’ascesi, la borghesia tendeva però non soltanto a risolvere i propri problemi erotico-sessuali, ma anche a trovare un compromesso tra la propria puritana ed ascetica concezione dell’arte e il proprio amore per la decorazione. Anche se in segreto il decorativismo cortigiano-feudale le piaceva essa doveva disprezzarlo per tener fede alla propria tradizione ascetica, e se ora essa poteva anche concedere più libertà al proprio gusto decorativo, il risultato doveva essere un’arte più seria, più elevata, più cosmica di quella dei suoi predecessori. Il parallelismo con la situazione erotico-sentimentale (nei suoi atteggiamenti e nelle sue azioni l’uomo non ha una gamma molto vasta di variazioni) salta agli occhi: i piaceri estetici del libertino ven­ gono disprezzati, ma li si vorrebbe godere egualmente, sebbene su un piano più elevato. E infatti, come nella sfera dei rapporti erotici l’Amorc stesso deve scendere dalle sue sedi celesti per consacrare ogni copula umana e attuarsi in essa, così nel campo estetico la bellezza in persona deve incarnarsi in ogni opera d’arte e consacrarla. Eichendorff ha espresso questa mentalità in una poesia assai poco poetica, nel sonetto Der Dichter (Il poeta): Das Lehen hat zutn Ritter ihn geschlagen, ■5H

Er soli der Schónheit neid’sche Kerker lichteii : Dass nicht sie alle gòtterlos vernichten, Soil er die Gotter zu heschivoren wage»?

in questa ricetta (cui per fortuna Eichendorff non si è attenuto nella propria poesia) sono contenuti pressoché tutti gli ingredienti che l’epo­ ca e la generazione del poeta propongono all’artista. Questi non deve soltanto rappresentare l’aristocrazia dell’umanità, non soltanto deve essere "cavaliere” e "principe della poesia", ma anche sublime sacer­ dote cui spetta l’incarico di assicurare la sopravvivenza degli dèi in virtù delle sue pratiche di culto, e cioè in virtù della sua produzione arti stica; come sacerdote egli deve entrare in contatto con gli dèi per in­ durli a restituire la bellezza al mondo e a farla discendere in carne ed ossa dalle sue sedi celesti al livello delle cose mortali in ogni opera d’arte. Schiller che su questo tema aveva detto cose assai più sensate, sembra ormai dimenticato. Questa concezione non è altro che il prean­ nuncio di una sorta di religione della bellezza non molto diversa dalla religione della ragione che la rivoluzione francese aveva tentato di in staurare quando, dopo aver detronizzato Dio, aveva avvertito la neces sita di fondare la sua vertu su qualcosa di assoluto e aveva perciò do vuto inventare la sua "Dea Ragione". Siccome però nel regno della ra gione, le cose procedono ragionevolmente, questa "Dea Ragione era stata presto dimenticata. Nel regno dell’arte invece le assurdità distili' bano molto meno, sicché l’orribile spettro della divina bellezza che scende o viene fatta scendere nell’opera d’arte continua ad aggirarsi nella letteratura per tutto il secolo diciannovesimo, ed anzi passa senza soluzione di continuità anche nel secolo ventesimo. Questa divina bel lezza così proclive alle incarnazioni è il simbolo fondamentale di tutte le scuole simbolistiche ed è alla base della loro aspirazione a fondare una nuova religione della bellezza (aspirazione avvertibile sia nei pre raffaelliti che in Mallarmé o in George). Senza ledere la grandezza di Mallarmé o l’importanza delle creazioni artistiche di George e neppure il valore, d’altronde considerevolmente minore, dei preraffaelliti, pos siamo dire tranquillamente che la dea della bellezza nell’arte è la dea del Kitsch. Si può obbiettare che in ogni caso l’arte genera bellezza. È vero, come ’ La vita lo ha armato cavaliere, / perche1 illumini le carceri invidiose che tengono prigio niera la bellezza; / e perché essa non venga profanala / egli deve osare di invocate gli ilei

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è vero che ogni atto conoscitivo genera verità. Ma è mai esistito un occhio umano che abbia potuto contemplare “ la ” bellezza o " la ” ve-

40) « Bellezza » e sessualità primordiale nella intepretazione di un pittore te­ desco della fine dell’ottocento (Max Slevogt - La Coppia).

rità? Certamente no perché entrambe — e non ho bisogno qui di citare Schiller — sono meri obiettivi platonici, aggettivi sostantivati. Per 60

l’uomo di questa terra la bellezza e la verità sono accessibili soltanto sotto forma di singoli fenomeni belli o veri. Uno scienziato che nelle sue ricerche non metta altro che il proprio amore per la verità, non va molto lontano; egli ha bisogno invece di una assoluta dedizione all’oggetto della ricerca, ha bisogno della logica e dell’intuizione; e se la fortuna (che in queste cose ha una parte assai più importante del­ l’idea della verità) gli è propizia, la verità si affaccerà da sola alla con­ clusione del suo lavoro o dei suoi esperimenti. La stessa cosa vale per l’artista. Anche lui è tenuto ad assoggettarsi incondizionatamente all’og­ getto; la capacità di ascoltare la voce segreta dell’oggetto, (indipen­ dentemente dal fatto che questo si presenti come oggetto esteriore o interiore), di ricercare le leggi cui questo obbedisce — ricordatevi degli esperimenti sulla prospettiva di Diirer, degli esperimenti sulla luce di Rembrandt — non dipendono dall’amore che l’artista riserva alla bel­ lezza. Come per la verità dello scienziato, quest’ultima è invece un frutto maturo che egli raccoglierà dall’opera riuscita. E tuttavia: per quale ragione lo scienziato e l’artista vengono spinti avanti incessan­ temente dalla sferza dell’invasamento per l’oggetto? Da che deriva que­ sto amore per la ricerca? È forse la terra incognita6 dell’esistente ad affascinarli? No, ciò che è realmente ignoto non può ancora sedurre; solo ciò che incomincia appena ad essere intuito seduce: chi presagisce un nuovo brano di realtà deve riuscire a dargli una formulazione pcr poterlo far esistere. Sia nella scienza che nell’arte, ciò che importa è la creazione di nuovi vocaboli della realtà, e se questo processo venisse interrotto, non solo non ci sarebbero più né arte né scienza, ma scom­ parirebbe anche l’uomo, perché l’uomo si distingue dall’animale pro prio per la sua capacità di scoprire e di creare il nuovo. Chi in arte si limita a cercare soltanto nuove sfere di bellezza, crea sensazioni, non arte. L’arte è fatta di intuizioni della realtà e solo grazie a queste intui zioni essa si solleva al di sopra del Kitsch. Se non fosse così ci si po­ trebbe senz’altro accontentare delle sfere di bellezza già scoperte, ad esempio della scultura egiziana che è senza dubbio insuperabile. Siamo giunti ormai al punto in cui è possibile dimostrare perché il Kitsch è potuto sorgere dal romanticismo, perché esso deve essere con­ siderato come uno specifico prodotto del romanticismo. E infatti, se la conoscenza, e in particolare la conoscenza scientifica, può essere defi­ nita come un sistema logico in infinito sviluppo, la stessa cosa si può * In lutino nel testo.

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dire dell’arte: nel primo caso il telos del sistema (un fine sospeso nel­ l’infinito e infinitamente lontano) è la verità; nel secondo, la bellezza. Nell’un caso come nell'altro l’obiettivo finale è un’idea platonica. Che anche l’amore sia un’idea platonica di questo tipo, un’idea che non si può attingere attraverso i molti congiungimenti a cui l’uomo è costretto, sembra una spiacevole verità (ciò spiega del resto perché i canti d’amo­ re sono tutti così immancabilmente tristi); tuttavia, poiché l’amore non lo si può considerare come un sistema, nel suo caso particolare qualche speranza la si può ancora avere. Dove invece l’inaccessibilità del fine è fuori dubbio, e cioè nelle strutture che come la scienza e anche come l’arte si muovono incessantemente in avanti da una sco­ perta all’altra e in cui perciò la meta sta fuori del sistema, il sistema stesso può e deve essere definito come un sistema aperto. Il romanti­ cismo tende esattamente al contrario. Esso considera l’idea platonica dell’arte, la bellezza, come meta immediata e tangibile di ogni opera. In questo modo esso sottrae all’arte, almeno in parte, il suo carattere di sistema. Peraltro, nella misura in cui l’arte rimane un sistema, que­ sto diventa un sistema chiuso; il sistema infinito diviene sistema finito. L’arte accademica, che è continuamente alla ricerca di norme e di regole da imporre, come universali criteri estetici, a tutte le creazioni arti­ stiche, fa in realtà la stessa cosa: presuppone cioè la possibilità di cir­ coscrivere nel finito un processo in sé infinito. Non si può certamente identificare romanticismo e accademismo, né identificare il Kitsch con l’accademismo (sebbene quest’ultimo sia uno dei più fecondi campi di applicazione del Kitsch), ma neppure si deve ignorare il denomina­ tore comune che sta sotto tutti questi fenomeni, e che consiste nella loro tendenza a rendere finito il sistema. E siccome questa delimitazio­ ne costituisce il presupposto fondamentale di ogni forma di Kitsch ed è al tempo stesso una conseguenza della specifica struttura del ro­ manticismo (e cioè della sua tendenza ad elevare il mondano nella sfera dell’eterno) si può affermare che il romanticismo, pur senza essere esso stesso Kitsch, ne è il padre e che vi sono momenti in cui il figlio di­ venta tanto simile al genitore da non poterlo distinguere da lui. So di essermi portato su un terreno alquanto astratto; e so anche che per rendere concreta una astrazione bisogna farla seguire da una se­ conda astrazione e magari anche da una terza. Il Kitsch non è affatto « arte deteriore »; esso forma un proprio sistema conchiuso in se stesso che si inserisce come un corpo estraneo nei sistema globale dell’arte, oppure, se preferite, che si colloca accanto ad esso. Il suo rapporto con 62

l’arte può essere metaforicamente paragonato al rapporto esistente tra il sistema dell’Anticristo e il sistema di Cristo. Ogni sistema di valori, se aggredito dall’esterno nella sua autonomia, può venire stravolto e corrotto; una cristianità che impone ai sacerdoti di benedire cannoni e carri armati sfiora il Kitsch tanto quanto una letteratura che si dia ad esaltare l’amata casa regnante o l’amato condottiero o l’amato genera­ lissimo o l’amato presidente dei ministri. Più pericoloso ancora di que­ ste insidie esterne è però il nemico interno: ogni sistema è dialetticamente capace, anzi è addirittura costretto a sviluppare il proprio anti­ sistema, fatto questo tanto più grave in quanto, ad un primo sguardo, sistema e anti-sistema si assomigliano in tutto e per tutto ed è diffi­ cilissimo accorgersi che il primo è aperto ed il secondo chiuso. L’Anti­ cristo ha esattamente l’aspetto esteriore di Cristo, agisce e parla come Cristo ed è tuttavia Lucifero. Qual è dunque il segno che ci può per­ mettere di notare alla fine la differenza? Un sistema aperto, come quello cristiano, è un sistema etico, fornisce all’uomo le indicazioni necessarie perché egli possa comportarsi da uomo, un sistema chiuso invece abbassa le sue norme (pur ricopren­ dole, a volte, con lo smalto dell’eticità) al livello di semplici regole di gioco, e cioè trasforma quella parte della vita umana che controlla in un gioco valutabile non come un fatto etico ma soltanto come un fatto estetico. È un giro concettuale tutt’altro che semplice — vi ho già avvertiti prima — ma può diventare più chiaro se tenete presente che un giocatore si comporta eticamente bene solo se conosce a fondo le regole del proprio gioco e se agisce attenendosi esclusivamente ad esse; tutto il resto, ed anche ciò che può accadergli a un passo di distanza, non deve interessarlo, sicché, eseguendo la sua parte, egli può anche lasciar tranquillamente affogare un uomo al suo fianco. Costui è pri­ gioniero di un sistema che simbolizza semplici convenzioni, e anche se questi simboli sono fatti a immagine e somiglianza di eventuali realtà effettive, il sistema rimane in effetti un sistema di imitazione. Abbiamo già parlato delle grottesche religioni della bellezza e della ragione. Pos­ siamo a questo punto aggiungere anche le religioni politiche. Si tratta anche in questi casi di sistemi di imitazione, di religioni di imitazione che, appunto per questo, portano in sé il germe del male. Un sistema di imitazione è anche quello del Kitsch. Esso può assomigliare in tutto e per tutto al sistema dell’arte, soprattutto quando viene manipolato da maestri della statura di un Wagner, o da drammaturghi valenti come quelli francesi (ad esempio Sardou) o — per scegliere un esempio 6?

nel campo della pittura — da un Dali. Il carattere imitativo è tuttavia destinato a trasparire anche in questi casi. Il “ Sistema-Kitsch ” pone ai suoi adepti l’imperativo: «fa’ un bel lavoro •>, mentre il "SistemaArte ’’ pone al suo vertice l’imperativo etico: « fa’ un buon lavoro ». Il Kitsch è il male nel sistema di valori dell’arte. Certo, anche un sistema etico non può fare a meno di convenzioni e appunto per questo l’uomo che vi si attiene è inevitabilmente costretto ad estetizzare, almeno fino ad un certo punto, i suoi compiti e a tra-

4 I ) Salvador Dall « improvvisa » il suo solito quadro vivente nel­ la lussuosa residenza estiva.

sformarli in opere d’arte corrispondenti a quelle convenzioni. In accor­ do con il carattere esclusivamente estetico della convenzione cui si at­ tiene, il sibarita farà della sua vita un capolavoro di libertinage, mentre il monaco, che pone la sua esistenza sotto il segno di una convenzione etica, darà alla sua vita il carattere di un’opera trascendentale. Entram­ be tuttavia riveleranno un orientamento coerente, saranno conformi alla realtà; la vita del sibarita nel senso della realtà terrena; quella del monaco nel senso della realtà celeste. ti l

Si può dire la stessa cosa di una vita ispirata al Kitsch? La convenzione originaria su cui riposa un vivere siffatto è quella della esaltazione poiché esso tenta di unire cielo e terra in un rapporto assolutamente falso. Qual è il tipo d’opera d’arte o meglio di artificio in cui il Kitsch tende a trasformare la vita umana? La risposta è semplice: l’opera d’arte nevrotica, un’opera cioè che impone alla realtà una conven­ zione completamente irreale imprigionandola in un falso schema. Il grande romanticismo ha seminato nel mondo tante tragedie d’amore, suicidi singoli e doppi, proprio perché, sperduto nella selva delle con­ venzioni irreali che hanno ormai assunto per lui il valore di simboli, il nevrotico non si accorge più di confondere continuamente le catego­ rie estetiche con quelle etiche e viceversa, e di ubbidire quindi a falsi comandamenti morali. L’unica categoria che emerga da questa confu­ sione è appunto quella del Kitsch e della sua negatività, anzi della sua malvagità di una esistenza impostata sulla universale ipocrisia, smar­ rita in un immenso groviglio di sentimenti e di convenzioni. È super­ fluo ricordare come la borghesia abbia mentito a se stessa raccontan­ dosi la favola di una completa vittoria dei propri orientamenti; per tutto il secolo diciannovesimo essa ha fìnto di credere di aver inaugu­ rato la più grande stagione artistica della storia e di aver debellato per sempre il libertinage. Da un punto di vista di storia contemporanea ritengo particolarmente interessante l’accenno al rapporto tra la nevrosi e il Kitsch, anche per­ ché esso ne mette in luce la malvagità. Non è certamente casuale il fatto che Hitler (come il suo predecessore Guglielmo II) sia stato un entusiastico adepto del Kitsch. Egli ha vissuto il Kitsch del sangue cd ha amato quello alla saccarina. Li trovava entrambi "belli”. Anche Ne­ rone fu uno zelatore della bellezza e, quanto a talento artistico, forse più dotato di Hitler. Lo spettacolo pirotecnico di Roma in fiamme c delle torce umane dei cristiani impalati nei giardini imperiali costituì certamente pregiata valuta artistica per l’estetizzante imperatore che si dimostrò capace di rimaner sordo alle grida di dolore delle vittime e addirittura di apprezzarne il valore di estetico commento musicale. E a questo proposito non bisogna dimenticarsi che il Kitsch moderno è ancora ben lungi dall’aver concluso la sua marcia trionfale e che anche esso — specialmente nei films — è impregnato sia di sangue che di saccarina e che infine la radio è un autentico vulcano che vomita a getto continuo musica di imitazione. E se vi chiedete fino a che punto voi stessi siete influenzati o meno da questa valanga di Kitsch, vi accor­ rti

gerete — io almeno me ne accorgo per quanto mi riguarda personal­ mente — che la nostra inclinazione al Kitsch non è per nulla un fatto eccezionale. Concludere che il mondo si stia avviando verso una ne­ vrosi universale sempre più acuta non sembra affatto ingiustificato; non è affatto assurdo ritenere che esso tenda ad una dissociazione schi­ zoide anche se non ancora schizofrenica destinata a non risparmiare nessuno di noi, una dissociazione che lascia ancor oggi trasparire die­ tro di sé l’antinomia teologica che è all’origine della Riforma. La strut­ tura fondamentale della problematica umana sembra rimanere costante

42 ) Nevrosi e Kitsch. Non è certamente casuale che Hitler sia stato un entusiastico adepto del Kitsch.

sotto tutti i travestimenti, ed alla fine dimostrerà di essere sempre con­ dizionata dalla teologia e dal mito. 66

Come ho detto all’inizio, sono ben consapevole di aver soltanto accen­ nato ai problemi senza affrontarli. Avrei dovuto parlare ancora del­ l’opera e del Kitsch operistico e cioè dell’arte rappresentativa del se­ colo diciannovesimo, e avrei dovuto dimostrare come il romanzo mo­ derno abbia compiuto un tentativo addirittura eroico di arrestare l’on­ data del Kitsch e come, malgrado ciò, esso sia stato infine sopraffatto dal Kitsch, vale a dire, sia dall’estetismo che dall’industria del diver­ timento. E avrei dovuto rimandare alla architettura moderna che costi­ tuisce la cornice in cui si svolgono tutti questi fenomeni e che mal­ grado ciò è diventata un’arte assai genuina e autentica, tanto da ren­ dere legittima qualche speranza sul futuro, speranza che si rafforza quando si pensa a Picasso, a Kafka e alla musica moderna. Tuttavia pro­ prio in considerazione di questo panorama più ottimistico avrei dovuto per lo meno intraprendere il tentativo di fissare una sintomatologia dell’arte autentica. Temo però che in questo caso avremmo dovuto rimanere qui tutta la notte a discutere. Preferisco perciò raccontarvi una leggenda ebraica: In una comunità israelitica della Polonia giunge un giorno un rabbino miracoloso che ha il dono di ridare la vista ai ciechi. Da tutte le parti accorrono a Chelowka — questo il nome della comunità — uomini e donne infermi, e tra questi anche Leib Schekel che arranca sulla polve­ rosa strada di campagna proteggendo i suoi occhi con un ombrello verde e portando in mano il bastone del cieco. Lo incontra un suo conoscente: « Ohè, Leib Schekel, andate a Chelowka! » « Sì, vado a Chelowka da lui. » « E che cosa è successo ai vostri occhi? » « Ai miei occhi? Che cosa dovrebbe essere successo ai miei occhi? » « Se i vostri occhi sono rimasti sani fino alla venerabile età di cento anni, perché mai dovete andare a Chelowka col bastone? » Leib Schekel scuote il capo: « Per­ ché un uomo rimasto sano fino a cento anni può essere miope. Non mi capite? Quando sarò davanti a Lui, al Grande, al Vero, io sarò cieco ed egli mi farà vedere ». E così è con l’arte autentica. Essa abbaglia l’uomo fino ad accecarlo e gli fa vedere la verità.

Inverno 1950-51

Testo di una conferenza tenuta da Rroch agli studenti del seminario di germanistica all'uni versiti di Yale.

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Kitsch e arte di tendenza

Cominciamo con un’obiezione. Se l’elemento dogmatico deve essere considerato come il “ male ” di ogni sistema di valori, se l’arte non deve lasciarsi dominare da qualsiasi influenza esterna, perché non dedurne che ogni arte di tendenza rappresenta il " male ”, e perché non chiedersi addirittura se la subordinazione dell’arte medioevale al principio reli­ gioso non sia stata intimamente contradditoria rispetto alla natura del­ l’arte? L’arte medioevale è tuttavia un fatto incontestabile, come incon­ testabile è l’arte di opere di cui è a sua volta innegabile la tendenza; esiste infati la poesia didascalica di Lessing, c’è il dramma Weber (I tessitori) di Gerhart Hauptmann, e ci sono i films russi. Non si può affatto affermare che tutta l’arte di tendenza sia Kitsch, sebbene sia una caratteristica del sistema d’imitazione — nel nostro caso rappresentato appunto dal Kitsch — quella di subordinarsi a ten­ denze extra-artistiche, e sebbene sia innegabile che tutta l’arte di ten­ denza corra intensamente il rischio di cadere nel Kitsch. Prendiamo Zola, che nessuno potrà certamente accusare di aver prodotto del Kitsch c ricordiamoci dei suoi Quatre Evangiles, dove lo scrittore espone le proprie convinzioni socialiste e anticlericali: nella cornice di un ro manzo naturalistico vi si illustra una condizione assolutamente uto­ pistica, una condizione che non si potrà mai instaurare, neppure dopo la conquista di una società senza classi e in cui il bene e jl male non vengono distinti secondo i concetti del futuro ma secondo i concetti morali validi intorno all’anno 1890 e che servono a dividere gli uomini tra i "buoni" socialisti e i "malvagi" antisocialisti. Per quanto lontano dal Kitsch Zola possa essere stato personalmente, questo procedimento trascina inevitabilmente con sé i pericoli che derivano dalla penetra­ zione di un sistema estraneo nella sfera autonoma dell’arte e costi­ tuisce un esempio classico dell’azione dell’elemento dogmatico all’inter­ no di un sistema di valori. Perché, se la difesa ad oltranza della propria autonomia da parte di ogni sistema di valori è un tratto tipico del nostro tempo, se questo comportamento in sé assolutamente etico si esprime in tutti i conflitti tra i valori — e in ciò sta la tragicità del nostro tempo — la violenza che l’un sistema fa all’altro è paragona­ bile (per esprimerla in termini antropomorfici) al comportamento di un nemico in territorio occupato dove esso si permette cose che in pa­ tria gli sarebbero rigorosamente vietate dal proprio ethos. L’arte non ha 6H

43) Quasi sempre, l'arte di tendenza impostata su motivi demagogici situila la tecnica reazionaria dell’« effetto », come in questo altorilievo in un museo so vietico.

alcun tema proprio; appunto perché è copia delle cose, essa deve seni pre portarsi su territori estranei ed attingere addirittura il proprio tenia principale — l’amore — dalla sfera dei valori erotici. L’arte è quindi più incline di ogni altro sistema a consentire la penetrazione di eie menti estranei. Oggi poi, e ciò vale specialmente per la poesia, essa si è trasformata più di quanto non sia stata per il passato in un’arena dove si incontrano e si scontrano tutti i possibili sistemi di valori; né abbiamo soltanto un’arte di tendenza patriottica e socialista, ma anche romanzi specializzati in argomenti sportivi o di altro tipo, il che 6l>

ci riconduce ad un denominatore comune la cui esistenza risulta evi­ dentissima proprio là dove la poesia d’amore si rovescia in pornografia, quando cioè il sistema dei valori erotici diviene dogmatico e la poesia si trasforma in arte di tendenza erotica: il fine infinito dell’arte viene allora fatto regredire nella sfera del finito e si riduce ad una serie di razionali atti sessuali. Non diverso, anche se meno brutale è il proce­ dimento con cui Zola comprime utopisticamente il vivente sistema di valori del socialismo — allora ancora giovane e vitale — nella camicia di forza della situazione del 1890. Con questo procedimento egli risuc­ chia nel finito il fine infinito del socialismo, rendendo in tal modo "fi­ nito " il sistema stesso, e stravolgendo quindi il suo ethos in un mora­ lizzante razionalismo. Ciò facendo egli non solo tradisce il principio della utopia autentica che — se conseguente — deve potersi proiet­ tare in una lontananza infinita, ma anche — e ciò è essenziale — de­ grada il principio del "buon” lavoro dell’artista al principio del "bel” lavoro. Non si può certo vietare agli artisti di rappresentare socialisti, patrioti, sportivi, religiosi, né di illustrare situazioni che tendano a soluzioni socialiste, belliche o pacifiste (in questo senso appunto il dramma Weber (I tessitori) di Hauptmann è legittima poesia di tendenza) ed anzi il poeta è addirittura tenuto ad illustrare questi per­ sonaggi e queste situazioni, perché è il mondo intero, con tutte le sue manifestazioni, che deve farsi problema per il suo " naturalismo dila­ tato”. Tuttavia, per essere verace (e la veracità è l’unico criterio distin­ tivo dell’arte autonoma) questo "naturalismo dilatato” deve trattare i sistemi di valori soltanto come oggetti della sua fedele rappresenta­ zione: esso deve mostrarli nella loro apertura, nel loro sviluppo vi­ vente, deve rappresentarli "come sono realmente” e non come "desi­ dera che siano” o come "essi stessi desiderano di essere”, e cioè autosufficienti, chiusi nel finito e concretizzati come non potranno mai concretizzarsi. La tecnica reazionaria dell’ « effetto »

L’essenza del Kitsch consiste nello scambio della categoria etica con la categoria estetica; esso impone all’artista non un "buon" lavoro ma un "bel” lavoro; ciò che gli importa è il bell’effetto. Malgrado si at­ teggi spesso in senso naturalistico, e cioè malgrado il suo abbondante impiego di vocaboli della realtà, il romanzo Kitsch illustra il mondo 70

non « come è » ma « come lo desidera o lo teme » e analoga tendenza rivela il Kitsch delle arti figurative; nella musica poi il Kitsch vive esclusivamente di effetti (si pensi alla cosiddetta musica leggera bor­ ghese, e non si dimentichi che l’industria musicale di oggi è, sotto molti aspetti, la sua ipertrofizzazione). Come non concluderne che nes­ sun’arte può fare a meno di una goccia di effetto, di una goccia di Kitsch? Per l’arte dello spettacolo l’effetto costituisce addirittura una componente essenziale, una componente estetica, mentre esiste tutto un genere artistico (uno specifico genere borghese) e cioè l’Opera, in cui l’effetto rappresenta un basilare elemento costruttivo; inoltre l’Opera tende per sua natura a storicizzare il proprio rapporto con la realtà mentre quel particolare legame tra opera d’arte e pubblico in cui con siste l’effetto riguarda la sfera empirica e mondana. Gli strumenti che servono ad ottenere l’effetto sono dunque sempre frutto di sperimeli tazione né si possono aumentare a piacere, come non è possibile atinien tare a piacere il numero delle possibili situazioni drammatiche; ecco perchè ciò che è già stato, ciò che è già stato provato e sperimentato è

44) Anche se la scenografia porta una firma illustre l’« effetto » costituisce mi l'Opeia (\'Aida in questo esempio) un elemento Basilare.

destinato invariabilmente a ricomparire nel Kitsch. Del resto, basta ima passeggiata in una qualsiasi esposizione d’arte per convincersi che il Kitsch è sempre sottoposto all’influenza dogmatica del « già stato », per capire come esso non prenda direttamente dal mondo i suoi voca­ boli della realtà ma utilizzi vocaboli prefabbricati che in sua balìa si irrigidiscono fino a diventare clichés-, anche qui siamo di fronte alla Holilio, al distacco dalla buona volontà, alla rottura con l’atto di divina creazione del mondo che è proprio del valore.

Kitsch e romanticismo Questo volgersi alla storia passata, tipico del Kitsch, non si riferisce solo agli aspetti tecnici e formali dell’arte. Sebbene l’esistenza di un sistema di valori del Kitsch dipenda anch’essa dall’angoscia della morte, e sebbene, conforme alla sua vocazione conservatrice, esso cerchi di comunicare all’uomo la sicurezza dell’essere per salvarlo dalla minac­ cia dcll’oscurità, in quanto sistema di imitazione il Kitsch è tuttavia unicamente reazionario. Come utopistica arte di tendenza, il Kitsch accorcia, ad esempio, la penetrazione dello sguardo nel futuro accon­ tentandosi di falsificare la realtà finita del mondo; ed anche nel passato la sua vista non si spinge troppo lontano. Si può considerare il romanzo storico come espressione di queU’insopprimibile spirito conservatore, di quel romanticismo assolutamente legittimo che vuol mantenere in vita per sempre i valori del passato e che vede nella continuità del corso storico uno specchio dell’eterno. Tuttavia questo orientamento ilcllo spirito conservatore, in sé più che legittimo e costante per prin­ cipio, risulta immediatamente degradato quando a guidarlo sono mo­ livi personali (la personale soddisfazione degli affetti costituisce la più copiosa fonte di Kitsch) quando, come accade sempre nei periodi in cui irrompe la rivoluzione, esso viene utilizzato come fuga dall’irrazio­ nale, come fuga nell’idilliaco della storia dove valgono ancora le con­ venzioni consolidate. Questa personale nostalgia per un mondo mi­ gliore e più sicuro ci permette certo di comprendere perché gli studi storici e il romanzo storico stiano oggi rifiorendo, ma dimostra anche che questo è un modo come un altro per scendere su un terreno che appartiene già ad una sfera sottoposta all’influenza del Kitsch (qual­ siasi mondo storico rivissuto nostalgicamente è "bello”). In realtà il 7?

Kitsch è il modo più semplice e diretto per placare questa nostalgia: la esigenza romantica veniva appagata, un tempo, dai romanzi cavalle­ reschi o di avventure (in cui gli immediati vocaboli della realtà storica venivano sostituti da cliches prefabbricati); ed anche oggi quando si fugge dalla realtà si va sempre e soltanto alla ricerca di un mondo di convenzioni consolidate, di un mondo dei padri, in cui tutto era buono e giusto; si cerca, in una parola, di instaurare un collegamento imme­ diato con il passato. Allo stesso modo il Kitsch copia tecnicamente ciò che direttamente lo precede ed i mezzi di cui si serve a questo scopo sono di una stupefacente semplicità (si potrebbe addirittura attribuire al Kitsch una forza creatrice di simboli); basta infatti che una qualun­ que figura del più recente passato storico — mettiamo il Kaiser Fran­ cesco Giuseppe — faccia la sua comparsa sulla scena dell’operetta perché la sola presenza crei quell’atmosfera di alleviamento dell’ango­ scia di cui l’uomo ha bisogno. E lo stesso avviene nel Kitsch dei ro­ manzi rosa.

Scambio del finito con l’infinito

Bisogna distinguere tra superamento della morte e fuga dalla morte, tra illuminazione dell’irrazionale e fuga dall’irrazionale. Il Kitsch è fuga, è una fuga incessante verso il razionale. La tecnica del Kitsch, che si basa sull’imitazione e che opera secondo ricette, è razionale per­ sino quando il risultato presenta un aspetto altamente irrazionale, anzi addirittura assurdo. Come sistema di imitazione il Kitsch è infatti obbli­ gato a copiare l’arte in tutti i suoi tratti specifici. Non si può però imi­ tare metodologicamente l’atto creativo da cui nasce l’opera d’arte: si possono imitare solo le forme più semplici. È assai significativo e carat­ terizzante il fatto che, data la mancanza di una fantasia propria, il Kitsch debba costantemente richiamarsi ai metodi più primitivi (il che risulta con estrema chiarezza nella poesia, ma anche, in parte, nella mu­ sica): la pornografia, i cui vocaboli della realtà consistono notoria­ mente di atti sessuali, è per lo più un semplice allineamento seriale di questi atti: il romanzo poliziesco non presenta che sequele di vitto­ rie sempre eguali sui criminali; il romanzo rosa allinea l’uno in fila al­ l’altro atti sempre eguali di bontà ricompensata e di punita malvagità (il metodo che presiede a questa monotona articolazione dei voca7t

45-47 ) La cartolina, soprattutto nei primi decenni del 900, è stata fonte ine­ sauribile di Kitsch. Il frutto dell’amore, la Faraona e gli amanti sono tre esem­ pi tra i piti evidenti.

boli della realtà è quello della sintassi primitiva, del ritmo costante del tamburo). Se si volessero trasformare in realtà queste situazioni romanzesche, esse non risulterebbero affatto fantastiche ma semplicemente assurde, per­ ché ciò che manca in esse è appunto quel potere di significazione che il sistema sintattico conferisce alla vera opera d’arte. Nel sistema non vi è più libertà soggettiva e creativa di composizione, né possibilità di scegliere i vocaboli della realtà mentre il legame tra i fondamenti della realtà e la forma compositiva è altrettanto illogico di quello tra la casa e gli ornamenti appiccicati dal Kitsch architettonico. È proba­ bilmente questa impossibilità di copiare qualsiasi lavoro creativo che spinge il sistema di imitazione (e non solo nell’arte) a giustificare il proprio tradimento nei confronti del superiore fine di valore del siste­ ma imitato con il ricorso agli aspetti oscuri e dionisiaci dell’esistenza, al pulsare del sangue e con il richiamo al sentimento. Che poi questi appelli al “sentimento" vengano elevati da una pseudocoscienza, da una pseudoconcezione del mondo, da una pseudopolitica o infine dal romanzo rosa, è pressoché indifferente, perché per il Kitsch tutti i ri­ corsi al sentimento e all’irrazionale sono inevitabilmente destinati a trasformarsi in un razionale ricettario di imitazione: ad esempio, il ro­ manzo Kitsch tenta di imitare il profondo legame con la natura di un Hamsun esibendo rumorose dichiarazioni d’amore per la terra e per la gente dei campi; con metodi analoghi la letteratura di svago cerca di assimilare nella propria tematica la infinita ricerca di Dio di un Dostoéwskij; ma questi sforzi che il Kitsch compie per allontanarsi dai propri specifici e originari metodi rappresentativi, non coprono affatto la distanza che lo separa dall’arte ed anzi rendono evidente come esso patetizzi il finito ad infinito (il che avviene sempre quando un valore finito e minore accampa la pretesa ad una validità universale).

Rappresentanza del male Questa soddisfazione degli impulsi ottenuta con mezzi finiti e razionali, questa patetizzazione del finito ad infinito, questo mirare al “ bello ”, conferisce al Kitsch un che di falso dietro a cui si intuisce il ° male " etico. Perché, la fuga davanti alla morte (che non è superamento della morte), questo atto di formazione del mondo che lascia tuttavia il 75

mondo informe, è anche soltanto un superamento apparente del ten, po: la trasformazione del tempo in un sistema simultaneo, cui tende ogni sistema di valori, è un obiettivo cui mira anche il sistema di imi­ tazione e quindi il Kitsch. Peraltro, nel sistema di imitazione non si ha alcun nuovo atto formativo, l’irrazionale non viene illuminato, l’aspetto conoscitivo rimane confinato nella sfera del finito e si ha sola­ mente sostituzione di una definizione razionale con un’altra definizione razionale. Il Kitsch non può quindi pervenire al superamento del tempo e la sua fuga dalla morte rimane un "passatempo”. Chi produce Kitsch non è uno che produca arte deteriore, non è un artista dotato di facoltà creatrici inferiori o addirittura nulle; costui non può assolutamente essere valutato secondo criteri estetici, ma più semplicemente deve essere giudicato come un essere eticamente abbiet­ to, come un malfattore che vuole il male dalla radice. E poiché è il male radicale quello che si manifesta nel Kitsch (quel male in sé che è in rapporto con ogni sistema di valori come assoluto polo negativo), il Kitsch deve essere considerato come “ male ” non solo per l’arte ma per ogni sistema di valori che non sia sistema di imitazione. Chi lavora per amore del bell’effetto, chi non cerca nient’altro che quella soddisfa­ zione degli affetti che gli fa parer “bello” l’attimo in cui trae il sospiro di sollievo, insomma l’esteta radicale, si ritiene autorizzato ad utiliz­ zare, e in effetti utilizza senza alcun freno qualsiasi mezzo pur di giun­ gere alla produzione di questo tipo di bellezza. È l’elefantiasi del Kitsch, il "sublime” spettacolo inscenato da Nerone nei suoi giardini imperiali con il fuoco d’artificio dei corpi ardenti dei cristiani per poter "can­ tare" la scena suonando il liuto (né è un caso che l’ambizione fonda­ mentale di Nerone sia stata quella dell’istrione). Tutti i periodi storici in cui i valori subiscono un processo di disgre­ gazione sono periodi di grande fioritura del Kitsch. La fase terminale dell’impero romano ha prodotto Kitsch e l’epoca attuale che si trova al termine del processo di dissoluzione della concezione del mondo me­ dioevale, non può non essere rappresentata anch’essa dal " male ” este­ tico. Le epoche caratterizzate da una definitiva perdita di valori pog­ giano infatti sul "male” e sull’angoscia per il "male", e un’arte che vo­ glia esserne espressione adeguata deve essere anche espressione del “ male ” che agisce in esse. Agosto 1933 Pubblicato come quinto paragrafo dello scritto « // Male nel sistema di valori dell’arte » dalla « Nette Rundschau ».

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I MONUMENTI

A un certo punto della storia, il monumento s’identifica spesso col Kitsch, mentre così non era in epoche precedenti. Perché questo im­ provviso degradarsi di valori, non solo estetici ma etici? Forse sol­ tanto perché il monumento non ha saputo adeguarsi ai tempi? Invece d’essere legato ad una autentica convinzione — religiosa, patriottica, mistica — si è legato solo al consueto « ersatz » di questi sentimenti, e una volta di più è scaduto nel sentimentale? Credo che anche così si possa spiegare l’effetto comico (e quindi Kitsch trattandosi di oggetti celebrativi costruiti con un’intenzione tutt’altro che comica) di molti grandi monumenti degli ultimi cent’anni, dai volti dei presidenti del Mont Rhoshmoore (IH. 51) al recente monumento a De Gasperi (III. 52), vero ricettario di moduli Kitsch. Difficilmente mo­ numenti come « La Bavaria », la statua equestre di Vittorio Emanuele II a Milano, l’AItare della Patria a Roma, (e anche la statua alla Li­ bertà di New York), potranno risalire nella nostra stima; mentre forse possono avere dei recuperi estetici alcuni monumenti funebri che siano stati creati da artisti d’un certo valore; e quindi seppure inficiati dal gusto leggermente enfatico dell’epoca sono comunque interessanti per la loro esecuzione plastica (ad esempio il Monumento Funebre della famiglia Toscanini, esempio perfetto di liberty cimiteriale disegnato da Bistolfi). La solennità, la maestà, la eroicità, sono evidentemente concetti e attri­ buti troppo lontani da una mentalità come quella attuale perché il solo fatto di valersene non rischi di crearne dei feticci. Quando, poi, l’« atteggiamento monumentale » esce dall’ambito del patriottismo più o meno eroico, per installare nelle piazze e nei parchi personaggi come Manolete (III. 54) o Pinocchio (III. 50), per simboleg­ giare la « Fiamma della Cultura » (III. 56) o di qualche mito nordico (III. 55) allora il Kitsch diventa tradizionale (i nanetti del giardino) e si svuota persino di quei « contenuti storici » che, nonostante tutto, conferiscono alle forme monumentali il fascino dell’emblema. Forse per sfuggire al pericolo della « comicità » del monumento tradizionale, si è tentato di usare il « moderno », di evitare la diretta rappresentazione del personaggio o dell’avvenimento celebrati, per simboleggiarli in stilemi « astratti ». L’effetto è doppiamente Kitsch. Dobbiamo allora dare un addio ad ogni futura possibilità di creazione monumentale? Anche questa non mi pare un’ipotesi del tutto accet­ tabile. Il monumento è molto spesso, anche nei casi migliori di sta79 4

IH) Monumento .i I nrun ioti

ttiaria antica, non solo una rappresentazione iconografica, ma una sor­ ta di centro d’equilibrio di forze urbanistiche che convergono in un dato punto ed in esso vogliono trovare una zona privilegiata a cui sia possibile ancorarsi. Nulla ci vieta, dunque, di immaginare che in quel­ la zona venga costruito un elemento architettonico-plastico che funga da spartiacque tra le diverse direzioni spaziali e da accentratore degli sguardi e dei percorsi. Ma per evitare che tale monumento ricada nella condizione di Kitsch, come di solito accade, occorre che non gli venga atribuita né una qualifica patriottica né un’urgenza celebrativa ma esclu­ sivamente una dimensione e una funzione architettonico-urbanistica.

49) Monumento al legionario dcll'A.O. Il bersagliere (particolare). Massiccio architettonico costituito da un basamento rettangolare di m. 25 x 12 al quale si accede da quattro grandi 'scalinate.

« Esultò il grande artiere, (lo scultore R.R. n.d.r. ) pur senten­ do l’immensa responsabilità che stava per assumersi di rappresen­ tare in figurazioni e simboli d’ar­ te la immensa ed epica impresa che rinnova i fasti dell’antica Ro­ ma degli Scipioni, in un ritmo di volontà, di molteplicità, di rapidi­ tà, senza esempio o comparazio­ ne. Il comandamento mussoliniano sospingeva dall’alto il nostro artiere e, come in un soffio di eb­ brezza volitiva, gli dava la gioio­ sa obbedienza del credere più che mai in se stesso, negli elementi vitali della tradizione e della rin­ novazione, per il cimento d’arte al quale si accingeva, mentre il classico, l’espressivo, il dinamico, l’« italico », in una parola, già urgevano nei ritmi del sangue e dello spirito. » (Almanacco Fascista del popolo d'Italia - 1941).

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e delle solide virtù, si comincia a frantumare le statue. Tornando per il momento al nostro contadino russo, supponiamo che dopo aver scelto Repin piuttosto che Picasso, l’apparato educativo del­ lo stato venisse a dirgli e a dimostrargli che ha torto, che avrebbe do­ vuto scegliere Picasso. È certamente possibile che lo stato sovietico fac­ cia questo. Ma stando le cose come stanno in Russia — e in ogni altro luogo — il contadino si accorge subito che la necessità di lavorare du­ ramente tutto il giorno per vivere e le condizioni rozze e scadenti in cui vive non gli permettono tempo, energia e comodità sufficienti ad eser­ citarsi al godimento di Picasso. Ciò necessita, dopo tutto, di una consi­ derevole quantità di « condizionamento ». La cultura superiore è una delle più artificiali creazioni umane, e il contadino non trova in sè nessun bisogno « naturale » che lo spingerà verso Picasso a dispetto di tutte le difficoltà. Alla fine il contadino tornerà al Kitsch quando si sentirà di guardare delle figure, perchè può gustare il Kitsch senza sforzi. Lo stato è impotente su questo argomento e rimane così fino a che i problemi di produzione non sono stati risolti in senso socialista.

89) Ricordini, partenoni e famigliole reali all’edicola.

90) Mussolini e Hitler contemplano il capolavoro del Canova durante la visita ufficiale a Roma del Fiihrer il 3 maggio 1938.

Lo stesso vale naturalmente per i paesi capitalisti e fa sì che tutti i di scorsi sull’arte per le masse non siano altro che demagogia2. Dove oggi un regime politico istituisce una politica culturale tifiicinlv, è per amor di demagogia. Se il Kitsch è la tendenza ufficiale della cui tura in Germania, Italia e Russia, non è dovuto al fatto che i loro ri­ spettivi governi siano controllati da filistei, ma solo perchè il Kitsch è la cultura delle masse in questi paesi, come lo è in qualunque altro luogo. L’incoraggiamento del Kitsch è semplicemente un’altra delle viepoco costose con cui i regimi totalitari cercano di ingraziarsi i propri sudditi. Dal momento che questi regimi non possono elevare il livello culturale delle masse — anche se lo volessero — senza giungere alla 1 Si .nari obiettato che tale arte per le masse come arte popolare si era sviluppata in conili zioni rudimentali di produzione, e che una grande quantità di arte popolare è ad allo livello Si, ò vero, ma l’arte popolare non è Atene, ed è Atene che vogliamo: la cultura formale con la nua infinità di aspetti, la sua esuberanza, la sua vasta portata. Inoltre, ci viene detto ora che molto di ciò che noi giudichiamo buono nella cultura popolare è la sopravvivenza statica di culture morte, formali ed aristocratiche. Le nostre vecchie ballate inglesi, per esempio, non furono create dal popolo, ma dai gentiluomini post-feudali della campagna inglese, pei sopravvivere nelle bocche della gente molto tempo dopo che quelli per i quali le ballate erano state composte, si erano avviati verso altre forme di letteratura. Sfortunatamente, lino all’era della macchina, la cultura fu la prerogativa esclusiva di una società che viveva col lavoro dei servi e degli schiavi. Essi erano i simboli reali della cultura. Per un uomo che pas­ sava il tempo e spendeva energie a creare e ad ascoltare poesia ce ne voleva un altro riaavesse prodotto a sufficienza per tenere se stesso in vita e mantenere l’altro nel benesscie In Africa oggi vediamo che In cultura delle tribù cite posseggono schiavi è generalmente superiore a quella delle tribù senza schiavitù.

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resa rii fronte al socialismo internazionale, lusingheranno le masse porlamio tutta la cultura al loro livello. E per questo motivo che Avanguar­ dia viene bandita, e non tanto perche una cultura superiore è intrin­ secamente una cultura più critica. (Se l’avanguardia possa o no fiorire sotto un regime totalitario non riguarda l’argomento che stiamo trat­ tando). In verità, il guaio principale nei confronti dell’arte e della let­ teratura di avanguardia, dal punto di vista dei fascisti o degli stalini­ sti, non è che esse siano troppo critiche, ma che siano troppo « inno­ centi », che sia troppo difficile iniettare in esse una efficace propaganda,

91 ) Soppresse le avanguar­ die, è necessario contempla­ re a capo scoperto i « ca­ polavori » del regime.

mentre il Kitsch è più docile a questo scopo. Il Kitsch tiene il dittatore :, P*u stretto contatto con I’« anima » del popolo. Dovesse la cultura ufficiale essere ad un gradino superiore rispetto al livello generale della massa, ci sarebbe pericolo di isolamento. Tuttavia, se fosse concepibile che le masse chiedessero dell’arte e della 122

yj ) «isti umpo degli occhi è la potenza imperiale. Ogni parola l< >t t u ro, dell’uomo di governo, del padre amoroso della sua gente è lapidaria, ogni gesto, definitivo. Ne’ suoi discorsi di statista, prorompe all’improvviso la un dialità, sorride la beffa, scatta il comando. Lo interessa una partila di sclu iiiia Tocca delicatamente il suo violino. È al volante della macchina prvleiiia, la velocità gli piace. Pilota da sé un trimotore dall’uno all’altro lembo d'Italia da Amor di Patria di Francesco Sapori - Ed. La Libreria dello Stato - Roma A. XVI

letteratura di avanguardia, Hitler, Mussolini e Stalin non esitcrcbbeio a lungo nel cercare di soddisfare una tale richiesta. Hitler è un nemico mortale dell’avanguardia, tanto sul piano dottrinale che su quello pei sonale, eppure questo non vietò a Goebbels nel 1932-1933 di coiteg giare accanitamente gli artisti e gli scrittori di avanguardia. Quando Gottfried Benn, un poeta espressionista, passò al nazismo gli Iti dato il benvenuto a suon di musica, benché proprio in quel momento I litici stesse denunziando l’Espressionismo come Kulturbolscewismus. Que sto accadeva al tempo in cui i nazisti sentivano che il prestigio che l'a­ vanguardia godeva tra le persone colte poteva essere vantaggioso pei loro, e le considerazioni pratiche di questo tipo, essendo i nazisti abili politici, finirono sempre per prevalere sulle inclinazioni personali di Hitler. In seguito i nazisti si resero conto che era più pratico aderire ai desideri delle masse in materia di cultura piuttosto che a quelli dei loro finanziatori; i secondi, quando si venne al problema di conservare 123

il potere, erano disposti a sacrificare la loro cultura come pure i loro principi morali; mentre i primi, esattamente perchè il potere era stato loro tolto, dovevano essere lusingati in tutti gli altri modi possibili. Era necessario promuovere, su scala molto più grandiosa che nei paesi democratici, l’illusione nelle masse di governare. La letteratura e l’arte che esse gustano e comprendono dovevano essere proclamate le sole vere, ed ogni altro tipo doveva essere soppresso. In queste circostanze, gente come Gottfried Benn, diventano un peso morto, non importa quanto ardentemente dessero l’appoggio a Hitler, e non sentiamo più parlare di loro nella Germania nazista. Possiamo vedere allora che benché da un certo punto di vista il fili­ steismo personale di Hitler e di Stalin non sia accidentale ai ruoli poli­ tici che essi recitano, da un altro punto di vista è un fattore che ha contribuito solo casualmente a determinare le politiche culturali dei loro rispettivi regimi. Il loro personale filisteismo aggiunge solamente della brutalità e una intensa oscurità alla politica che sarebbero co­ stretti a sostenere comunque sotto la spinta di tutte le altre loro diret­ tive, anche se fossero, personalmente, appassionati di cultura d’avan­ guardia. Ciò che l’accettazione dell’isolamento della rivoluzione russa 91 ) Nel giorno dell’incoronazione di Farah Diba, uno dei massimi avvenimenti del Kitsch politico, si è svolta questa grandiosa manifestazione ginnica in una cornice degna deH’avvenimento

94) Una vetrina americana dove gli idoli politici del momento si mescolano .1 riproduzioni pseudo-artistiche.

spinge Stalin a fare, Hitler è obbligato a farlo in seguito alla sua accet razione delle contraddizioni del capitalismo e dei suoi sforzi per conge­ larle. Quanto a Mussolini, il suo caso è un perfetto esempio della dispo nibilité di un realista in queste questioni. Per anni guardò con occhio benevolente i futuristi e costruì stazioni moderniste e case ad apparta menti di proprietà governativa dello stesso stile. Si possono ancora vedere nei sobborghi di Roma più appartamenti modernisti di quanti ce ne siano in qualsiasi altra parte del mondo. Forse il Fascismo vole va mostrare la sua capacità di aggiornarsi, per dissimulare il fatto di essere una regressione; forse voleva conformarsi ai gusti della ricca élite che esso serviva. In ogni caso Mussolini sembra essersi accorto ultimamente che sarebbe più utile per lui accontentare i gusti culturali delle masse italiane piuttosto che quelli dei loro padroni. Le masse devono essere fornite di oggetti che suscitino ammirazione e meravi­ glia; gli altri possono farne a meno. E così vediamo Mussolini che an­ nuncia un « nuovo stile imperiale ». Marinetti, De Chirico, ccc., ven­ gono messi nell’ombra, e la nuova stazione ferroviaria di Roma non sarà modernista. Che Mussolini sia giunto tardi a questo punto testi­ monia ancora soltanto la relativa esitazione con cui il Fascismo italiano ha tratto le necessarie conseguenze del suo ruolo. Il capitalismo in declino constata che qualunque cosa qualitativamente

95) Kennedy, Jackie e Johnson (senza signora) in « preziosi » piattini dal bor­ do dorato.

valida sia ancora capace di produrre, questa diventa quasi invariabil­ mente una minaccia alla sua stessa esistenza. Il progresso nella cul­ tura, non meno che il progresso scientifico ed industriale, corrode pro­ prio la società sotto la cui egida esso ha potuto svilupparsi. Qui, come in ogni altro problema odierno, diventa necessario citare Marx parola per parola. Oggi non guardiamo più al socialismo per una nuova cul­ tura, come invariabilmente una ne apparirà, dal momento che abbiamo delle forme di socialismo. Oggi noi guardiamo al socialismo semplicemente per la conservazione di qualsiasi tipo di cultura vivente di cui abbiamo bisogno ora. 1939 96 ) Evidentemente al caporione nazista faceva molto piacere vedere la sva­ stica anche sulla tazza del caffè.

NASCITA E FAMIGLIA

povrebbe essere ormai evidente da quanto è stato detto sin qui che ogni esaltazione ambigua, non genuina, lacrimosa o retorica d’un senti­ mento, porta a quell’atteggiamento tipicamente Kitsch che si può de­ finire « sentimentalismo ». E, dunque, non deve far specie se uno dei settori più sottoposti ad albergare atteggiamenti sentimentalistici è quello della famiglia. Se il legame familiare è — o dovrebb’essere — tra i più forti e più spontanei, ciò non toglie che — proprio per il fatto che non sempre è così — la glorificazione e l’esaltazione di tale legame possa, più d’una volta, suonare Kitsch. Ecco, dunque, come già a principiare dal primo giorno di vita il senti­ mentalismo Kitsch s’insinui, equivoco e mistificante, in tutte le cele­ brazioni e i rituali che accompagnano la vita dell’uomo, dalla cerimonia del battesimo coll’infante avvolto in merletti, alla prima fotografia del bambino nudo sul cuscino (oggetto così frequente di fotografia-ricordo), alle diverse tappe religiose della prima comunione, della cresima (e si pensi ai ragazzini compunti col bracciale di seta sul vestitino bello, alle bambine agghindate « come delle sposine », ai confetti rosa e agli altri paraphernalia di queste festività familiari). Ma se questo tipo di Kitsch rientra ancora nell’ambito di quello che accompagna ogni celebrazione tradizionale che sia ormai sfasata coi tempi in cui viviamo, (è Kitsch già di per sé l’abito della sposa coi fiori d’arancio e il velo, che ricalca moduli e mode superate, e presuppone un mito della verginità oggi del tutto inesistente), è ancora più Kitsch, se possibile, il matrimonio forzatamente « moderno », e up to date, con gli sposi in aereo, oppure in costume da bagno e reggenti coppe di champagne tra le onde, o addirittura nudi per non sfigurare nella colo­ nia di nudisti (e che dire poi dei relativi suoceri e genitori, essi pure adamitici, con le loro carni tremolanti e affardellate in atteggiamento compunto dietro le sode rotondità dei figli?). Il Kitsch della nascita, come quello delle diverse tappe della vita fami­ liare, rientra nella più vasta categoria che potremmo definire « Kitsch etico »: quella forma di cattivo gusto che non colpisce tanto la crea­ zione artistica quanto il costume e l’atteggiamento morale, ma che ne­ cessariamente viene a « stingere » anche su tutto ciò che di artistico o pseudo-artistico gli si affianchi. Perciò abbiamo accennato al Kitsch del neonato, del comunicando, e potremo seguire con quello degli sposi, delle nozze d’argento, della maternità, della reverenza filiale. Il « gior­ no della mamma », il St. Valentine’s Day, il giorno dei fidanzati, questi

129 97 ) Non si può negare al vetrinista l’efficacia pul 'blicitaria nel mettere in mo stra questo letto « King-size » allo Sleep Center, che garantisce un matrimonio felice.

ultimi celebrati soprattutto negli USA a suoli di cartoncini e im­ magini augurali che quasi sempre sono un condensato di cattivo gusto. Sembra quasi incredibile che gli uomini abbiano saputo ammantare così densamente di cattivo gusto i loro rapporti più « sacri » riducendoli il più delle volte a dei rituali aberranti. Dall’albero di Natale al Presepio, da St. Nikolaus a Halloween, alla Befana, è tutto un rosario di festività legate ad un corteo d’immagini che raramente si salvano dalla morsa del Kitsch. E, ovviamente, tra non molto (e già adesso) il Kitsch dell’anti-familiarità, per eccellenza, il Kitsch degli Hippies e dei capelloni, il Kitsch dei drogati e dei beats. Non si sfugge al Kitsch-, non appena qualcosa diventi conformismo e tradizione difficilmente riesce a salvarsi.

Nonna nonnina tutta bella e sorridente,

nella casa lucente

tu sei sempre la regina. Ci proteggi dagli affanni, resta ancor con noi cent’anni.

98-99) Bimbi e vecchi sono fonte del senti­ mentalismo peggiore, che si traduce inevita­ bilmente nel più puro Kitsch. A sinistra una immagine della nonnina con relativa poesia e a destra una composi­ zione per annuncio di nascita con dolciastri simboli tradizionali.

100-103) Gli sposi e il matti monio sono fonte inesauribile di Kitsch. In alto un ninnolo da torta nuziale che, aperto, offre ai divertiti e commossi astanti una culla coi gemelli A sinistra la vetrina di un fo tografo americano specializza to in « famiglia ». In basso u sinistra il solito matrimonio eccentrico. Dice la didascalia tratta da un giornale femmi nile: « New York, marzo 1968. Sposa felicissima pei ché la sua stravaganza è irrap giungibile: Arlette Dobson, in tuta fantascientifica, s’a\ via all’altare, al braccio eli John Richard, vestito da pa lombare ». In basso a destra. i coniugi Webbers, nudisti di professione, danzano all’aria aperta sotto gli occhi compia ciuti della piccola Webber.

LA MORTE

La morte è spesso una grande alleata del Kitsch. Dopo essere stata per tanto tempo un’alleata preziosa dell’arte. Si pensi alle Totentanz me­ dievali affrescate sulle facciate di chiese e cimiteri gotici; alle raffigura­ zioni del barocco, anche le più macabre, come la Luisa Alberoni o la Santa Teresa di Bernini; alle tante immagini macabro-mostruose delle cattedrali francesi e nordiche. E anche, a livello non più d’arte ma di « consumo », alle migliaia di scheletri del convento dei Cappuccini a Palermo, ai cunicoli gremiti di cadaveri mummificati, alle mummie di Venzone... non sempre piacevoli ma certamente non Kitsch. Oggi, invece, (e ieri) la marea di « brutte morti », di morti sdilinquite, caramellate, edulcorate, drappeggiate di sentimento, di pathos. La mor­ te travestita da vita; la morte occultata, adulterata, « in maschera ». Tutti i diversi aspetti del Kitsch mortuario che avanza inesorabile di cimitero in cimitero; da mortician a mortician, da funeral house a fune­ ral house, da Staglieno a Forest Lawn, dal Monumentale al Verano (per non parlare del troppo reclamizzato cimitero dei cani di S. Francisco). Tutti conoscono le selve di statue realistiche accademiche e « dolorose » dei nostri maggiori cimiteri, le cappelle, le edicole (tempietti, cunicoli, dolmen e menhir moderni...). Eppure un tempo le testimonianze della civiltà etrusca erano affidate alle necropoli, la civiltà egiziana alle immense tombe faraoniche. La morte che, allora, era studiata, rispettata, forse amata, certo « presa sul serio » oggi è addomesticata, mimetizzata e soprattutto contraffatta. Per questo sono così facilmente e decisamente Kitsch quasi tutte le « opere d’arte » che, anno per anno, invadono i nostri cimiteri e trova­ no magari una rubrica critica che li esalta su qualche quotidiano locale. Si vedano, tra gli esempi che portiamo: il monumento dove padre e figlio in grandezza naturale salutano la madre scomparsa, o l’alberello natalizio posato accanto alla colomba marmorea; il grande ritratto di signore baffuto al cui lato non poteva mancare l’equivoca figura (forse angelica?) seminuda (e sul sesso degli angeli, come è noto, è meglio non indagare). È triste constatare che soltanto negli antichi cimiteri abbandonati — siano cristiani o mussulmani, ebraici o valdesi — si può trovare qual­ che, magari modesta, immagine sacra, qualche decorazione artigianale che non suoni Kitsch-, mentre la grande maggioranza delle tombe odier­ ne: tanto quelle fastose della cappella gentilizia oltraggiosamente gon­ fia di presunzione nel credere di poter vincere la morte con la ricchez­ za; quanto quelle miserrime semplici targhette applicate ai colombari 135 104) I due giovani figli della «cara estinta » depongeno fiori di plastica sulla monumentale tomba alla quale si accede con una passatoia di puro bronzo.

(che saranno pur sempre « adornate » da qualche ghirlandina o da qualche ritratto su smalto del morto) sono solo apportatrici d’un ultimo omaggio di cattivo gusto alla memoria del defunto. Forse l’infiltrarsi del cattivo gusto — etico ed estetico — nei con­ fronti della morte ha avuto inizio proprio con la perdita di « rispet­ to » per la morte stessa: da un lato perdita di rispetto dovuta all’affievolirsi dei legami affettivi e in genere all’allentarsi della compagine

105) Anche i cani, soprattutto se di sangue reale, rivi­ vono immobili sul monumento funerario col solito sguar­ do rivolto all'« Infinito ».

I 16

familiare; dall’altro perdita di rispetto nel senso d’una contraffazione della morte, dovuta ad un suo mascheramento in apparenza pietoso ma in realtà farisaico. Per questo il massimo del Kitsch mortuario si ha indubbiamente nel

106) L’austerità del signore baffuto è protetta dall'ala delTequivoca hgui.i (lot se angelica?) seminuda.

paese che si proclama più religioso (almeno estrinsecamente devoto) ossia gli USA; mentre una dignità autentica, almeno tradizionalmente autentica del rito mortuario permane in alcuni paesi sottosviluppati e arcaici, dove la civiltà tecnologica non ha ancora totalmente soppian tato l’attività artigianale autoctona. L’immagine della morte ha evidentemente bisogno di rigore e di se verità, di candore e di putrefazione, di albedo e di nigredo (se voglia mo usare due termini alchemici) ma non certo di mezze tinte, di rosa e di celeste, di ali d’angioletti, di capelli sciolti o di tecnologia steri lizzata avulsa da ogni vera partecipazione etica. I 1/

11'7 । Proprio per evita il Ki/m/j mortuario, edc corato e drappeggiato sentimenti, l'architetto i

progettato questa « see plico » tomba con deco­ zioni ispirate al cubismo cariche di simbolismi t ratei i cui

ll'Si I] cimitero di Staclieno a Genova, in cui si può ammirare questo - capolavoro .. dell'alto funeraria, e tra i piu ticchi di inverosimili alle­ gorie funerarie

l(|c' 111 i Ricordi mortuari, spillette 'con -■ le alpine in questo case, l ed esaltazione del voro agreste sono temi ricorrenti nella ico< grafia della morte

BONDIEUSERIE

Affermare che tutta l'arte sacra dei nostri giorni è Kitsch potrebbe forse sembrare leggermente blasfemo; eppure è proprio di questo pa­ rere che sono alcuni religiosi illuminati (religiosamente e artisticamen­ te) come i Padri Couturier e Regamey che da anni (il primo sino alla sua morte, il secondo tuttora) si battono per un’arte sacra che sia ve­ ramente tale. Quello che purtroppo non può non rendere Kitsch buo­ na parte, se non tutta l’arte religiosa, è che essa è destinata di solito ad un pubblico al quale si ritiene di dover ammannire dei prodotti de­ teriori anziché dei prodotti di valore artistico, e questo per il timore che il « nuovo » in arte possa allontanare i fedeli dalla religione (o piuttosto dal « vecchio » in materia religiosa). In realtà i pochi esempi di « buona » arte religiosa sono stati di so­ lito poco apprezzati dai fedeli, e questo per la ovvia ragione cui più sopra alludevo: un inveterato « conformismo » culturale da parte de­ gli organi ecclesiastici (a qualsiasi tipo di chiesa essi appartengano). Anche nel caso di notissimi esempi di monumenti religiosi architetto­ nici (gli unici forse dove si diano alcune importanti realizzazioni arti­ stiche moderne: Cappella di Ronchamp di Le Corbusier, Chiesa di Mies, sinagoghe di Mendelsohn, ecc.) in definitiva il Kitsch finisce sem­ pre per infiltrarsi nell’arredamento e in tutto il materiale iconologico sacro, anche se l’edifìcio di per sé è stimabile o addirittura rilevante artisticamente. Così possiamo dire a proposito delle « decorazioni » e dell’arredamento della famosa sinagoga di Mendelsohn a Cleveland, dell’Union Church di Wright in California, o della chiesa dell’auto­ strada di Michelucci a Firenze. E gli esempi sono tanti che sarebbe impossibile elencarli. Naturalmente ci sono anche esempi di chiese moderne (e dei relativi arredamenti o decorazioni) che sono notevolmente pure e stringate co­ me stile archi tettonico e disegnativo, ma a queste ultime manca pur­ troppo un elemento essenziale: la religiosità, il carattere sacro. For­ se perché l’artista non ne era partecipe, forse semplicemente perché la nostra è un’età di totale dissacrazione. E allora: sarà preferibile una chiesetta povera e popolaresca gremita di tipica bondieuserie, ma col­ ma di atmosfera sacra, o un tempio frigido e compassato privo d’ogni contaminazione Kitsch ma privo anche d’ogni sentimento religioso? È un problema che non riguarda l’estetica e al quale preferiamo non dare una risposta definitiva. Sta di fatto, comunque, che una buona parte delle immagini sacre di cui ai nostri giorni si vale la chiesa — per non parlare delle deco141

razioni, delle apparecchiature liturgiche, dell’intero apparato comple­ mentare alle sacre funzioni, — si possono agevolmente far rientrare tra gli oggetti d’un gusto deprecabile. Anche senza giungere agli ec­ cessi del portacenere cesso che reca impressa l’immagine del San­ t'Antonio da Padova (e che non sappiamo se sia stato ideato a scopo blasfemarono o come « trovata spiritosa » d’un gusto scurrile ma che tuttavia è in vendita di fronte al Santuario) possiamo ricordare ancora gli infiniti esempi di oggetti e di immagini dove le antiche simbologie sacre sono spiattellate in maniera irriverente attraverso figurazioni ana­ cronistiche e tecnicamente goffe (un grappolo d’uva e uno sfilatine, al posto del « pane e del vino »); così le immagini del Cristo inserite in supporti di conchiglie e madreperla dove l’aspetto di curious turi­ stici s’allea con quello dei ricordi religiosi; per non parlare delle ri­ costruzioni fotografiche di scene sacre (Madonna col bambino, ecc.) dove l’iconicità ieratica dell’immagine religiosa divenuta ormai emble­ matica si traduce nella pacchiana avvenenza fisica d’una qualsiasi mo­ della fotografica. IH) 1 « dipinti » su sezioni di tronco d’albero ricoperti in genere da fotografie a inano e laccate, sono un ottimo mezzo tecnico non solo per il Sacro < .note, la Vergine o Santa Rita ma anche per J.F. Kennedy ormai assurto al i angn della Bondieuserie. miniate

Karl Pawek è uno dei massimi rappresentanti della cultura cattolica in Germani i, direttore di un periodico a Francoforte e autore di paréc­ chi saggi, l’ultimo dei quali, L’immagine attraverso la macchina, ha ot­ tenuto un notevole successo. Nonostante la brevità di questo saggio egli ha toccato i problemi fon damentali che stanno alla base del Kitsch cristiano.

KARL PAWEK

II Kitsch Cristiano Se si considera l’alta percentuale della popolazione che, limitando il giudizio all’aspetto delle vetrine dei negozi di lampade, tappeti, mobili, porcellane, vive di cattivo gusto, non può far meraviglia che di cattivo gusto siano anche le immagini e gli oggetti religiosi di cui si circondano i cristiani. Tenendo ben sott’occhio l’orrore della maggior parte dei teatri, grandi magazzini, palazzi di società d’assicurazione, non può certo far meraviglia che anche la maggior parte delle chiese siano di pessima qualità. A chi tollera in silenzio il Kitsch dei ristoranti, bar, halls d’al­ bergo non è concesso ridere del Kitsch delle funzioni sacre. Chi si tiene in casa un mostruoso lampadario, paiuoli di rame sul davanzale della finestra e tende ben drappeggiate può a buon diritto essere un legitti­ mo aspirante ad una statua del Sacro Cuor di Gesù coi boccoli impo­ matati. Dal punto di vista del gusto il Kitsch cristiano non costituisce un caso a sé. Si addice ai non credenti come agli osservanti, agli atei come agli uomini di chiesa, a chi se ne va a Bayreuth in Mercedes 300 come a chi si reca in pellegrinaggio a Lourdes. Il Kitsch cristiano non costituisce un problema specifico dal punto di IH

11-11 La vetrina di curious turistici accoglie con estrema naturalezza ritratti di Papi, crocifissi e madonnine

vista del gusto. Di cattivo gusto è oggi la maggior parte di ciò che si produce e si offre al consumatore. Si vada ad una sola fiera del Mobile a Colonia, si visiti alla fiera di Han­ nover il padiglione del vetro e della porcellana, tutto presenta una gran mancanza di gusto. La Verkitschung (il rendere kitschig) è lo stile pro­ prio della nostra epoca. Aziende e società, proprietari di cinematografi, bottegai e commercianti, chiunque voglia aver successo e presentarsi in modo « rappresentativo » si butta su questo stile. Chiese e credenti non vanno quindi al di là di questi confini quando portano il Kitsch lino alle soglie del mistico. Né si può scaricare la « colpa » del Kitsch cristiano sulle spalle del l-ll

115-116) I simboli del cattolicesimo sono pesantemente rappresentati in questc immaginette di sicuro successo.

« popolino ». Questo « popolino » non esiste più. È entrato a far parte della più vasta e dilagante « società dei consumi ». Del resto anche le immaginette Kitsch della nostra fanciullezza non ci sono state date seni pre da dei sempliciotti ma dai preti-professori nell’ora di religione. E i fenomeni Kitsch di cui sono partecipi le massime autorità ecclesia stiche sono infiniti. Il Kitsch cristiano non risiede neppure sempre nel formale. Dal punto di vista formale viene ricoperto molto spesso da tradizioni stilistiche, abiti sacerdotali, arredi sacri e stili architetto nici tratti da altre epoche culturali. Altro problema è quanto il Kitsch cristiano avesse già le sue radici in queste grandi epoche della nostra storia culturale. Non sono stali certo i Nazareni a scoprirlo per primo Tipico del Kitsch religioso è infatti il non esaurirsi in un difetto di 1-15

LAssomption • The Assumption • La Asunción » Martens Himmelfahrt

117) I’n sentala dal Centro Catechistico Salesiano in ben cinque lingue, L’Assmiin ha l'aspetto di un razzo vettore in partenza per orbite stellari dense di .lllgcli.

forma. In un vaso di fiori Kitsch c’è un difetto formale, ma in una statua Kitsch del Sacro Cuore ce n’è uno teologico. È cosa indifferente sapere che tipo di « arte » realizzino i cristiani. Karl Ledergerber ha rilevato il fatto che oggi non può più esserci un’arte sacra (Kunst und Religion in der Verwandlung, Verlag M. I)u Moni Schaubcrg). E di secondaria importanza è la scelta estetica dei cristiani. Si potrebbe anche tollerare bonariamente il loro Kitsch se questo Kitsch cristiano non fosse al tempo stesso la testimonianza di 146

una colossale perdita di sostanza teologica. Se il Kitsch delle Madonne patetiche e degli sdolcinati Bambini Gesù non rappresenta più il sale della terra è per motivi teologici e non estetici. A questo punto il problema si fa difficile in quanto lo si può risolvere solo tenendo presenti le categorie dei « credenti » o dei « non cre­ denti ». Chi non crede nel cristianesimo non si lascerà minimamente impressionare dalla « perdita di sostanza teologica » e non noterà una gran differenza fra « prima » e « dopo » in quanto non riconosce un’au­ tentica realtà o una reale fondatezza né alla Madonna di Fatima né alla coscienza misterica dei primi cristiani. I « credenti » invece (e penso ai cattolici perché sono in grado di giudicare solo la situazione cattolica e il Kitsch cattolico) escluderanno in modo assoluto la possibilità di una perdita di sostanza teologica. Parleranno di un « avanzamento nel pro­ cesso di dogmatizzazione » e non sapranno neppure concepire una pos­ sibile attenuazione di spiritualità nel cattolicesimo attuale. La discus­ sione è però possibile solo qualora i « non credenti » siano disposti a una trattazione di tipo « fenomenologico »; se cioè mettono fra paren­ tesi l’« esistenza » dei fenomeni cristiani. In altre sfere della realtà questo veramente non lo si fa più. Da Husserl in poi il nostro realismo si è trasformato. L’ammissione che qualcosa esista non ci crea oggi nessuna difficoltà. Ma nel campo della fede rimettiamo al singolo indi­ viduo il « mettere tra parentesi » o meno l’esistenza dei fenomeni, E già un progresso e si può parlare oggettivamente dei fenomeni stessi. I credenti rendono la discussione oggettiva ancor più difficile. È dal Concilio di Trento che hanno la loro disciplina ben presente. Avranno bell’e pronte bellissime spiegazioni e interpretazioni tanto per Fatima che per Lourdes e per il Sacro Cuor di Gesù. Questa interpretazione si inserirà perfettamente nel gigantesco cosmo cattolico. E perché poi non dovrebbe aver ogni cosa un suo posto in una visione così universale delle cose? Tutt’altra questione è quanto in questo modo di procedere vada perduto. Il cattolicesimo non « ereticizza », cioè non respinge mai dell’autentica sostanza teologica, si limita a nasconderla temporaneamente (che possa trattarsi di secoli non ha importanza) con ogni cura sotto il tavolo men­ tre sul piano del tavolo si fa spesso posto ad una paccottiglia psichica c morale. Di questo processo non esiste ancora un’esatta descrizione sto­ rica che pure ci sarebbe estremamente utile per comprendere la nostra situazione. Eppure si trovano oggi (nella letteratura cattolica!) molti cenni di carattere scientifico al problema, In molti c’è il riconoscimento 147

e la consapevolezza di quel che esattamente è successo. Il vino della « sensazione teologica » lo si è messo in una profonda cantina, ma di sopra, nel mondo della nostra vita di ogni giorno si beve limonata, insipida limonata, agra o dolce. Si può constatare la perdita di sostanza teologica se si pensa per esempio al mistero della « comunione », al mistero del pane e del vino, del corpo e del sangue di Cristo. Dell’av­ venimento si è fatto, in modo evidentissimo, un « oggetto ». Eppure Cristo non aveva detto: « Prendetemi in giro » bensì: « Mangiatemi! ». Per questo le processioni del Corpus Domini sono oggi penose anche per il cattolico, perché stanno a testimoniare non solo la « controrifor­ ma », ma soprattutto una chiara perdita di « sostanza teologica ». Nel vasto tessuto teologico si potrebbero trovare innumerevoli altri esempi. Ovunque è presente la caduta dall’ontologico significativo e dal potente-metafisico (una ben debole espressione per farsi capire dai non-cristiani; si dovrebbe dire: dall’« aereo », dallo « spirituale ») allo psichico morale. Gli stuoli armati ai tempi della trasmigrazio­ ne dei popoli non lo concepivano forse diversamente. Il « cristianesi­ mo » si trasforma in religione (una faccenda relativamente priva di si­ gnificato). E non è poi molto importante quali ponti teologici si co­ struissero ai nuovi concetti e alle nuove rappresentazioni religiose e se la costruzione cristiana di questi ponti fosse regolare, ma importa assai più da quali orientamenti queste rappresentazioni e questi concetti na­ scessero, e su quale piano spirituale, psichico, sentimentale, morale essi determinino le forme attuali della devozione cristiana. Si può ancora dare un’interpretazione spirituale al « Sacro Cuor di Gesù », e in questo non importa solo che l’interpretazione giunga fino aH’autenticamentecristiano, ma anche a quale mondo di rappresentazioni sentimentali que­ sto concetto « religioso » rechi un apporto. Non sarebbe stato probabil­ mente tanto divulgato (ed è nato frattanto anche un culto del Sacro Cuor di Maria) se in esso non fosse presente un « alleggerimento » del pesante bagaglio « metafisico » del cristianesimo. Infatti i nostri con­ cetti teologici attuali perdono sempre più di peso. La perdita di sostan­ za cristiana è immensa. Ciò vale altresì per la mediazione di Maria rispetto alla mediazione di Cristo. E un’altra domanda: che è mai suc­ cesso del povero « Spirito Santo »? Quanto ad attualità si trova ben dietro Sant’Antonio pur essendo lui la vera promessa di Cristo. Ma chi si cura più di lui nel cattolicesimo attuale? Fatima sì, quella è un’altra cosa! I lettori non-cristiani vogliano scusare questi rimandi teologici sia pure assai ridotti. Ma sono indispensabili per una valutazione del 148

118) Come ricordo turistico di Venezia un Cristo in plastica crocifisso su variopinte con­ chiglie provenienti forse da qualche ristorante.

119) Questo «portacenere» di gusto veramente scurrile è in vendita di fronte alla Basilica di S. An­ tonio, come ricordo del Santo di Padova.

I.’1 ) In questa ricostruzione fotografica della Madonna col Bambino, l’iconicità icialita dell'immagine religiosa, divenuta ormai emblematica, si traduce nella pacchiana avvenenza fisica d’una qualsiasi modella fotografica.

Kitsch-, solo quando il mistero del Regno di Dio si ridusse quasi esclu­ sivamente alla problematica della Porta del Paradiso di tizio, caio e sempronio, le « prime e ultime cose » poterono ricevere il loro illeggiadrimento kilsebig. Oggi il Kitsch è in agguato nelle pie esecuzioni del predicatore (in questo la maggior parte dei cattolici soffre le conse­ guenze di quel movimento liturgico che ha fatto del « predicatore » una prassi costante anche nella chiesa cattolica e questa è diventata oggi un'espiazione domenicale per molti cattolici, non perché il parroco sia magari un cattivo oratore ma perché è in genere un cattivo teologo). Il Kitsch cristiano non risiede tanto nella rappresentazione, nel momento formale, quanto nella teologia. I 50

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Kitsch e Turismo: due parole tra di loro congeniali. Perché ogni mo­ numento, ogni paesaggio, ogni oggetto folkloristico, viene istantaneamente reso Kitsch dal turismo? Perché le descrizioni dei viaggiatori antichi — dell’era preturistica — anche quando erano approssimative, assurde, incoerenti non erano tuttavia mai Kitsch? Forse la spiegazione della verkitschung dovuta al turismo è legata alla qualità di falsificazione propria di questo fenomeno tra i più singolari e degradanti dei nostri giorni. Gente che va in paesi stranieri già in partenza sapendo che non avrà da conoscerne la lingua, perché l’organizzazione gli fornisce interpreti sufficienti indottrinati nella lingua del posto; gente che percorre i paesi aspirando a visitarne solo i Luoghi Celebri; che ha già prefabbri­ cato i sentimenti (d’accatto), le indignazioni, le compassioni, le ammi­ razioni; gente che prende for granted ogni sentimento, mito, leggenda, folklore, gli venga ammannito. Il turismo si può considerare come uno degli aspetti più clamorosi d’un rito che trasforma e mitizza ogni evento con cui l’individuo viene posto in contatto, una volta che sia trascinato entro il rituale mitagogico (ghirlande di Honolulu, gondole sul Canal Grande, Pellirossa del Grand Canyon, Scozzese con il kilt). Come è possibile, vien fatto di chiedersi, che il Turista possa credere che gli indiani con le penne — ben ravviati e pulitissimi — siano au­ tentici? Come può illudersi che lo sia la canzone del gondoliere o del barcaiolo napoletano? Come può non rendersi conto che il pittore che dipinge il Sacre Coeur a Parigi è tutto fuorché un « vero pittore moder­ no », che il suonatore di zampogna in gonnellino scozzese è soltanto un complemento pubblicitario del paesaggio? Naturalmente non tutto il mondo è turistizzato, non tutti i Navajos sono fasulli, non tutti i gondolieri cantano, e non tutti gli scozzesi portano giorno e notte la sottana. Ma mi preme di precisare che — anche quan­ do o se il turista s’imbatte in oggetti, personaggi, eventi autentici, egli ha il magico potere di trasformarli ipso facto in qualcosa di surrogante la realtà. Il rapporto tra il turista e l’ambiente che lo ospita è ben ra­ ramente genuino, ed è questo velo di falsità, di contraffazione e di am­ mirato sentimentalismo, a far sì che il mondo quale appare al turista rechi, il più delle volte, in sé le stigmate del Kitsch. (Ecco perché possiamo ammirare la purissima linea dello scalmo della gondola, preso a sé, mentre non potremo che trovare Kitsch la gondola stessa una volta fornita al turista nel giro di Venezia per un prezzo 153 ◄ 122) Il fascino delle notti di carnevale e della «contagiosa» frenesia di Rio sono certamente ottime attrattive, irresistibili per l’uomo-K//rcA come turista.

« tutto incluso »). Forse la spiegazione che del turismo dà Boorstin è tra le più convincenti: il turismo non è altro che uno « pseudo-even­ to », come lo sono molti di quelli con cui veniamo più spesso a con­ tatto ai nostri giorni trasmessici dai mass-media, dai giornali, ecc. Il turista viaggia costantemente attraverso degli pseudo-eventi, e con la illusione di ammirare la natura mentre ammira soltanto una pseudo­ natura (i geysers addomesticati del parco di Yellowstone; le cascate programmate del Niagara; i ghiacciai in seggiovia del Monte Bianco; il Vesuvio con eruzione preordinata; i safari con le fiere addomesticate, ecc.). Anche in questo caso, dunque il surrogato è il vero punto-chiave del processo di kitschizzazione. Anche la « natura » può essere o meglio diventare Kitsch. La cosa è pacifica, quando si pensi che — tutto sommato — molto di quanto l’uomo crea o crede di creare è « copia » della natura. É evidente che anche rispetto alla natura, si danno due situazioni defi­ nite: la natura Kitsch, e l’uomo Kitsch di fronte ad una natura « nor­ male ». Nel secondo caso, avremo il fruire in maniera Kitsch d’una na­ tura per altro tutt’altro che tale; ed è quanto avviene, 1’abbiamo visto, in ogni circostanza dove si abbia a che fare con il Kitsch-mensch con V uomo-Kitsch. Questo triste individuo rimane tale davanti al capolavo­ ro come davanti alla peggior copia dello stesso; « vive » il David di Mi­ chelangelo come ne vivrebbe l’ultima delle imitazioni. Perciò VuomoKitsch è tale di fronte al più bello dei tramonti (davanti al quale si sente « le lacrime agli occhi ») come davanti al più maestoso dei golfi (Napoli e il Vesuvio, la baia di Rio o di Hong-Kong, ecc. ) ; anzi sono proprio gli spettacoli naturali più spettacolari ad entusiasmarlo; perché solo una grossa carica di « pathos », sia pur fittizio, riesce a scuoterlo. Ma esiste anche un autentico Kitsch naturale e si ha tutte le volte che la natura imita sé stessa-, o meglio tutte le volte che gli uomini ne sco­ prono l’aspetto più inautentico. È il caso del parco di Yellowsto­ ne, delle Cascate del Niagara, delle grotte di Postumia, dell’isola di St. Michel, e persino di Capri, delle Dolomiti, ecc. Le rocce dolomi­ tiche che il sole fa diventare « troppo » rosate, le acque della laguna che una luna « troppo » piena inargenta; il blu del cielo della Grecia (o della Sicilia) troppo cupo attraverso un arco di muro candido; e così: i vasi troppo turgidi di begonie sul davanzale del cottage alpino... Anche certe pietre (« che sembrano sculture » magari di Moore), certe radici secche (che sembrano quadri astratti), certi fiori sempre vivi (che 154

sembrano finti), certe « paesine » (che sembrano veri paesaggi), come si vede tutte le volte che un elemento naturale sembra artificiale, ecco intervenire il Kitsch questo demolitore di valori autentici, questo gran­ de corruttore delle nostre più gelose esperienze.

Docente di filosofia all’Università di Heidelberg, il Professor Ludwig Giesz è certamente il maggior teorico del Kitsch. Il saggio Phànomeno logie des Kitsches pubblicato ad Heidelberg nel 1960, che sarà ristam­ pato nel 1969 dalla Piper Verlag, resta il testo teorico fondamentale sul problema del Kitsch. Abbiamo quindi richiesto la sua collabora­ zione per questo saggio sull’uomo-Kr/Jcé con particolare riferimento al turismo e alla natura.

LUDWIG GIUS/

L’uomo-Kitsch come turista

Il termine « Kitschmensch » (uomo-Kr7rcZ>) di cui si serve Hermann Broch, — e che ha un carattere culturale-filosofico, non solo sociologico o estetico — da molti suoi critici viene considerato troppo « generico », troppo universale, perchè sia possibile usarlo in concreto, nell'analisi di oggetti kilschig. Ma è infinitamente più semplice elencare articoli prodotti in serie improntati al cattivo gusto e privi di ogni valore arti­ stico, criticandone le deficienze con bonomia o con stizza! Esistono un’infinità di albums e antologie al servizio di questa sprezzante rea­ zione diversiva. I commenti — sempre che non ci si accontenti di osservazioni facete si appuntano generalmente sull** oggctto-K/7rc/> »: a) sul piano ette fico si cerca in particolare di contrapporre Kitsch e arte, ottenendo i se­

guenti risultati: Kitsch è cattivo gusto; Kitsch è dilettantismo; esso è inoltre privo di ogni originalità, ovvero convenzionale, sovraccarico di seduzioni di un genere alquanto primitivo, sdolcinato e superficiale... È superfluo citare dei titoli, dato che i commenti di queste raccolte arri­ vano tutti a una conclusione scontata, cioè che il Kitsch, appunto, non è arte. Spesso, a tali documentazioni dai commenti a volte euforico-faceti, a volte pedagogico-pungenti, ma (sempre) « culturalmente depressivi », colti storici d’arte aggiungono informazioni erudite sulla storia del Kitsch-, p. es. relative al Kitsch nel mondo antico (miniature ellenisti­ che, quadretti votivi medievali e così via). Da tutto ciò si deduce che la relatività del gusto nel corso dei secoli e nella evoluzione dell’am­ biente culturale ha costituito un grave handicap: quando e dove ha inizio il Kitsch? Citiamo qui le due posizioni estremiste: il Kitsch è sempre esistito, — oppure: il Kitsch è nato nella seconda metà del secolo XIX (in seguito alla volgarizzazione del romanticismo unita al­ l’emancipazione della piccola borghesia). Con ciò ci troviamo ad affron­ tare il punto b): considerazioni sociologiche, e il seguente problema: il Kitsch non è forse una caratteristica di tutte le civiltà di massa, inizia­ tesi, nell’antichità, con l’età alessandrina e l’ellenismo romano, e arri­ vate, oggi, all’uomo « unidimensionale » della metà del secolo XX? Quali relazioni sussistono tra industrializzazione, capitalismo, trasfor­ mazione dell’individuo in consumatore da una parte, e il boom del Kitsch dall’altra parte? (La produzione in serie di articoli kitsching ha raggiunto possibilità illimitate; la « ribellione delle masse » à la Ortega y Gasset ha provocato anche il trionfo del gusto collettivo; le élites civilizzatrici e culturali hanno perso il contatto col pubblico e si è creata quindi una frattura per lo più insanabile tra i moderni « ismi » e il gusto imperante del pubblico; etc.). A questo proposito i sociologi cercano di mettere nel debito risalto anche il nuovo problema (« cir­ cense »?) dell’impiego del tempo libero delle masse (D. Riesman « Lo­ nely crow ») che è stato notevolmente acutizzato dall’organizzazione razionale del lavoro e dall’automazione. Anche il problema che fornisce il titolo alle nostre osservazioni troverebbe risalto in questa luce: il turismo di massa, con le sue sbalorditive cifre record (1966: in totale 128 milioni di turisti; 1965: un incasso totale di 57,3 miliardi di dol­ lari americani sul movimento turistico mondiale!) non costituisce forse una esplosione Kitsch inarrestabile e di proporzioni planetarie? (vedi: Corriere dell'Unesco 1966, n. 2). 156

Cifre, statistiche, documentazioni — in breve i « facts » — hanno un che di inconfutabile e di vagamente intimidatorio: tuttavia non sono di alcun aiuto a chi, per le sue brave ragioni ormai passate di moda,

123) Il turista « vede » spesso il paesaggio, e se stesso nel paesaggio, con l'oi chio della macchina fotografica o della cinepresa.

voglia individuare « l’essenza del Kitsch »! Infatti, per tornare al nostro oroblcma di partenza — l’« uomo-Kitscb » —, si potrebbe ragione volmente credere, data l’esistenza di cifre cosi precise e di documenta zioni così numerose sul Kitsch, che sia già stata raggiunta un’opinione concorde sull’essenza di questo fenomeno: ma non è allatto così!

Per quanto riguarda il punto a), per esempio, sul piano estetico non è esatto affermare che qualunque opera « scadente... particolarmente in pittura » sia Kitsch (Friedrich Kluge, Dizionario etimologico della lin­ gua tedesca, 1960). Infatti: 1 ) già da parecchio tempo il Kitsch ha superato i confini della sfera puramente ottica (p. es.: Schlager, Literatur etc.); 2) ci sono molte opere « scadenti » che non sono affatto kitschig, ma semplicemente non riuscite, fallite; 3) un prodotto acquista la sua peculiarità kitschig solo attraverso una compenetrazione caratteristica, che non ha niente a che vedere con una « insufficienza tecnica ». Al contrario, esiste una « assimilazione kitschig » di opere d’arte, della quale purtroppo si tiene scarsissimo conto, e che si deve imputare alla coscienza kitschig del soggetto che contempla tali opere; ed esiste pure una non meno interessante « integrazione artistica » di un oggetto kitschig attraverso la personalità di un grande artista (esempio classi­ co: il ciclo La bella mugnaia di Franz Schubert, ricavato dal testo origi­ nale di Wilhelm Miiller, che era stato composto intorno al 1820 con l’intenzione di fare una parodia-K/7rcZ> sulla poesia « popolare » di stampo romantico-biedermeier! vedi, per es. Ludwig Kusche, Franz Schubert, p. 36 e sg.). Certo si può evitare, per comodità, di prendere in considerazione questi tre punti, ma in questo caso si corre il rischio di fallire proprio l’« obbiettivo »: di parlare cioè di una « realtà » ap­ parentemente accertata (in quanto si sono elencate delle opere e citate delle cifre), senza con questo centrare il vero « oggetto » della nostra analisi, bensì un surrogato non ben definito. A b), sul piano sociolo­ gico, risponderemo che esistono indubbiamente fenomeni importanti (p. es. relativi alla cultura di classe, all’industrializzazione, alla società dei consumi, all’impiego del tempo libero delle masse, ai mezzi di comu­ nicazione, etc.). Ma i limiti di questo metodo di osservazione si rivela­ no proprio là dove si origina il nostro problema: « il problema della essenza ». Difatti, le condizioni sociologiche che stanno all’origine di un fenomeno non possono dirci nulla sulla sua sostanza, o addirittura sul suo eventuale valore. Heinrich Heine una volta si prese gioco — in un modo veramente sottile, sotto il profilo metodologico — della cre­ denza secondo la quale si conosce un uccello se si conosce l’uovo da cui è sbucato. In parole più concrete: esiste il Kitsch a livello dell’infanzia? (e a cominciare da che età?). Ad una « massa », come viene definita, che 158

ancora non possiede una coscienza artistica, è lecito attribuire senz’altro una coscienza kitschig? (e in tal caso, a cominciare da quale stadio?). Il conoscitore, l’amante di opere d’arte colto e sentimentale, in realtà non si pasce forse di Kitsch, quando — come spesso accade — degrada l’arte a pretesto di un compiacimento edonistico? Domande del gene­ re, e si potrebbero integrare a piacere, devono essere prese in seria considerazione, perchè permettono di scoprire i limiti sostanziali di ogni presunto metodo « oggettivo » (che però ignora, di fatto, il pro­ blema dell’essenza) e che rivolge tutto il suo interesse al puro oggetto in sé.

Forse s’incomincia ad apprezzare la superiorità di un metodo analitico apparentemente troppo generico, che si occupa ad esempio dello « uomo-Kitsch » e non colleziona (« scientificamente ») cartoline, cuscini e souvenirs kitschig, nè si preoccupa di catalogarli?! Si può benissimo — come l’autore, del resto — avere un gusto diverso da quello di Hermann Broch, oppure criticare molti punti della sua filosofia dei va­ lori, — ma non si può fare a meno di riconoscere i pregi dell’« uomoKitsch » di Broch, anche se questo dovesse servire unicamente come spunto per una discussione metodologica. Il « challenge » « uomoKitsch » vuole trovare innanzitutto quella dimensione dalla quale sca­ turisce il giudizio sul Kitsch-, e precisamente la vita e l'esperienza uma­ ne. In altre parole, ciò che importa è Vanalisi della coscienza-Kitsch-, è pur essa in definitiva che giudica se una cosa è o non è kitschig. Se prendiamo ad esempio il turista, come è già stato preannunciato nel titolo, ciò significa che intendiamo indicare quali possibilità specifiche la vita turistica evoca o provoca nell’« \iomo-Kitsch » (leggi: « coscien•za-Kitsch », o, meno felicemente, « classe-Kitsch »). S’intende che qui si parla di « uomo-Kitsch » nel senso di una specifica inclinazione del­ l’uomo a produrre o a compiacersi del Kitsch. Abbiamo parlato apposta di « possibilità » dell’« ooxim-Kitsch », giacché il turismo — indillerente per eccellenza a tutti i valori — può benissimo provocare, invece, reazioni anù-Kitsch'. il contatto con l’estero, per esempio, (« esotismo ») può risolversi in un’esperienza così travolgente da neutralizzare, in pra­ tica, l’inconscio bisogno di Kitsch del turista (che consiste nel compia­ cimento edonistico della privacy, in sentimenti di tenerezza per il foco­ lare domestico, nel tentativo di inserire ogni esperienza in un contesto •iacevole che la trasformi in qualcosa di familiare; un esempio classico 119

di neutralizzazione del pericolo Kitsch è dato invece dal primo viaggio in Italia di Goethe, che rappresentò una purificazione dal sentimenta­ lismo.) È bene stabilire innanzitutto una netta distinzione tra il moderno feno­ meno del turismo da una parte, fenomeno che si basa su una forma di impiego del tempo libero tipica dell’uomo moderno, che trascorre le ferie all’estero, per lo più in compagnia di numerose persone « come lui », e dall’altra parte i viaggi in luoghi di « cura » di un tempo (che si intraprendevano per motivi di salute e in condizioni di insufficienza fisica ) o i viaggi di istruzione (viaggi di studio con una meta più o meno precisa e un programma di lavoro particolare), oppure ancora i viaggi avventurosi di individui singoli (compiacimento kitschig e avventura si escludono a vicenda: solo la ripercussione estetica, cioè letteraria,

124) Williamsburg rimane uno dei paradigmi turisti­ ci più fecondi di Kitsch. La didascalia originale di questa illustrazione dice: « neanche una stagione ven­ tosa può diminuire la bel­ lezza della storica Brenton Parish Church ». Soprattut­ to se vivificata da famiglio­ le in costume d’epoca.

ddl’avvcntura può essere kitschig1 . vedi, nel XVIII secolo, Robinson e gli innumerevoli epigoni di Defoe). Il turismo moderno, nella sua qua­ lità di movimento organizzato di masse umane, (anche il tempo libero è organizzato, come lo sono le condizioni di viaggio e le possibilità di 160

125) Il paesaggio urbano è spesso condizionato dalle necessità del turista, conte questa strada di New York.

nuove esperienze sul luogo di soggiorno...) livella e collettivizza le con dizioni psicologiche dei viaggiatori, limitando in modo sistematico quel la possibilità di sottrarsi a impressioni kitschig di cui parlavamo. Se si studiano gli opuscoli pubblicitari internazionali, cioè le « offerte di mio ve esperienze », risulta evidente che, rivolgendosi al turista, esse si rivolgono all’« uomo-Kz/sc^ ». A questo proposito è interessante osseivare che la pubblicità dà per « scontato » il rapporto latente tra indi nazione al Kitsch e turismo. E così tanto le offerte genericamente « ani bientali », quanto quelle specificamente materiali approntate nel luogo di soggiorno si rivolgono — spesso con l’allettamento del minimo di spendio economico — al consumatore di Kitsch. Con queste osservazioni siamo arrivati al nostro problema di fondo: a questo punto il nostro interesse principale non consiste tanto neH’cnu merare esaurientemente le varie offerte di Kitsch, quanto nel chiarire il contesto che sta alla base dell’affinità tra « uomo-Kitsch » e turismo. Da questa affinità si deducono facilmente le varie possibilità di attra zione kitschig, che, in fondo, sono « estremamente omogenee » (e inol tre molto simili sul piano internazionale), e i « paradisi » atmosferici delle vacanze. Perciò, il nostro punto di partenza è antropologico, il che significa che il nostro interesse si rivolgerà in primo luogo e in modo precipuo all’uomo, in quanto egli costituisce Findispensabile pre messa di tutti gli « annessi e connessi » del Kitsch...

I Motto: La migliore dimostrazione della miseria dell’esistenza è data dalla contemplazione delle sue meraviglie...

S. Kierkegaard Analizzato da un punto di vista esistenziale l’uomo, come turista del giorno d’oggi, è solo una componente, particolarmente istruttiva e ap­ pariscente, di quel « divertissement », per usare le parole di Pascal, che costituisce un tratto fondamentale della nostra esistenza: rappresenta quindi un moto di evasione dalla reale « condition d’etre », caratteriz­ zata da una effettiva instabilità che, nella vita quotidiana, si lascia sof­ focare (« respingere ») solo a fatica sotto forma di angoscia, noia, pre­ occupazione. Le più antiche raffigurazioni del paradiso (come proiezioni di felicità del genere umano, sia pre- che post-storiche -escatologiche) e la seco­ larizzazione delle « amare settimane, feste liete » (Goethe), indipenden­ temente da ogni impostazione problematica (relativa alla esistenza delle masse, al Kitsch, al turismo), sono parte integrante della fondamentale inquietudine dell’uomo, quale si è articolata fin dai tempi più antichi nelle forme della « cacciata dal paradiso », della « peregrinazione », del « viaggio » (p. es. del viaggio per mare, che troviamo già in S. Agosti­ no: De beata vita), dell’« esistenza intermedia » (« tra la bestia e l’an­ gelo »), della « gemina natura » e così via. La « conoscenza » della anormalità della faticosa condizione normale dell’uomo (il lavoro « col sudore della fronte », malgrado « sofferenze e spine », resta una male­ dizione, così come il parto « con dolore » — necessario alla conserva­ zione del genere umano!), che venne intesa dapprima in senso religioso, trova ancora oggi il suo posto (i « proletari », nella concezione dei mar­ xisti più rigidi, non si sono ancora riscattati dall’aura emozionale della loro condizione di « travagliati e oppressi »!) nelle utopie socialiste vo­ lutamente ateistiche, (« società priva di classi »!). La « Città Eterna » fCivitas Dei), la pace eterna, la redenzione — tutte le più antiche pro­ iezioni del « principio di speranza » (Bloch) — sono collegate alla « co­ noscenza » della transitorietà della nostra « condition humaine ». Reminiscenze di questo genere, ad onta della loro banalità, non sono del lutto superflue ai fini del nostro tema: l’uomo-KzfrcA come turista. In­ 162

fatti, tanto E. Bloch che H. Broch sono d’accordo nel ritenere che le grandi aspirazioni e le grandi speranze del genere umano, quando per­ dono la loro seduzione d’infinito in seguito al tentativo sconsiderato di realizzarle, nella loro concretezza illusoria (come se « fossero già in no­ stro possesso », vedi Paolo nella lettera a Filippi, 3, 12 e sg.) portano l’uomo a ingannarsi su se stesso e sulla vita. « In quel momento viene repentinamente troncato l’atto infinito dell’anelito etico, e l’infinita esigenza etica viene degradata a ricetta ». I dogmatici socialisti, i fanatici religiosi, i « devoti » feticisti supersti­ ziosi (Io erano già i crociati — ma anche i paradisi turistici, il luogo comune più sfruttato nella pubblicità internazionale!) vanno conside­ rati come fenomeni affini da un punto di vista antropologico. E non c’è da stupirsi se anche le oggettivazioni estetiche (il Kitsch, appunto) di questa seduzione « bloccata » dell’infinito presentano caratteri così simili tra loro. L’acqua del Giordano che i crociati portavano in patria non è sostanzialmente diversa dall’acqua della Spree berlinese (senza contare l’« Aria di Berlino » in scatola!). Il motto della riunione plenaria dell’ONU il 4-11-66 — adunanza ri­ chiesta dall’« Unione internazionale degli Enti nazionali per il movi­ mento turistico » — è estremamente conciso: « Tourisme, passeport pour la paix! ». A questo chiliasmo secolarizzato dell’ONU aderì a Roma (aprile 1967 - Congresso sui valori spirituali del turismo) persino il rappresentante della Curia Romana! (« Il turismo costituirebbe una forza stimolante per il progresso teologico »). Ci limitiamo a osservare che il giansenismo agostiniano di Pascal e la Curia non sono andati d’accordo per secoli. Tuttavia il « divertisse­ ment » (al quale in S. Agostino fa riscontro soprattutto la « concupiscentia », e in particolare la « concupiscentia oculorum », vedi Confessiones, X, xxx e sg.) che per Pascal rappresenta una fuggevole evasione dal proprio centro, per Kierkegaard, sulla sua scia, lo «stadio estetico», e, nella filosofia di Heidegger, la condizione di « non autenticità », a noi sembra che interessi lo stesso fenomeno fondamentale dell’umana esistenza che anche Freud, nella sua presunta teoria « sull’arte » (ma in realtà egli analizza con estrema finezza proprio il Kitsch'.), interpreta come segue: « L’artista, all’origine, è un uomo che si distacca dalla realtà effettiva perchè non riesce a soddisfare l’esigenza di rinunciare a placare lo stimolo dei sensi nella sua forma più primitiva e che suc­ cessivamente lascia libero sfogo agli stimoli dell’erotismo e dell’ambi­ zione nel mondo della fantasìa. Tuttavia egli sa ritrovare la via che da 163

126) Le esercitazioni dei Life Savers australiani si concludono sempre con una parata sul In spiaggia. Sfilano i plotoni e le bandiere come in una rivista militare.

127) Il momento finale di uno spettaco­ lo cruento per turisti: si pagano i pelle­ rossa

128) Anche se spesso si tratta più di fol­ clore che di Kitsch, in questo caso il car­ nevale offre uno spettacolo senz’altro di cattivo gusto.

quel mondo lo riconduce alla realtà concreta', grazie ad una sua attitu­ dine particolare egli crea una sorta di realtà per queste sue fantasie alle quali gli uomini attribuiscono un valore in quanto le giudicano preziosi riflessi della vita reale. In questo modo, seguendo una strada tutta par­ ticolare, egli diventa l’eroe, il re, il creatore, il favorito, che tanto desi­ derava di essere, senza dover seguire tutti i giri viziosi che comportereb­ be la realizzazione di modifiche effettive del mondo esterno » (Freud, Ges. Schriften, IV, 19). E quale elemento fondamentale dell’« uomoKitsch » e del suo « divertissement » ritroviamo appunto questa via « fantastica » dell’illusione su se stesso e sul suo mondo! Esistono ov­ viamente dei limiti che dobbiamo riconoscere, dato che non tutti gli « uomini-KzZfcZ? » sono anche produttori di Kitsch. Ma la constatazione più importante è che l’« uomo-Kitsch » — tra l’altro anche come turi­ sta — trasforma se stesso e il mondo delle sue esperienze per mezzo di illusioni particolari, che vengono straordinariamente**alimentate dal godimento oggettivo di Kitsch. E noto che gli esempi di « divertissement » citati da Pascal compren­ dono ogni specie di emozioni artificiali e dispersive (« passions artifìcielles ») della nostra « imagination », tanto emozioni inerenti alla par­ ticolare organizzazione del gioco (gioco d’azzardo), della caccia (com­ presa la caccia alla lepre, che in realtà nessuno gusta in particolar modo), quanto emozioni relative alla « parte » che ciascuno di noi interpreta — in tutta serietà — nella vita. Che cos’ha a che fare tutto ciò col turismo? « Ho scoperto che tutte le disgrazie dell’uomo derivano da un’unica sorgente, cioè dal fatto che egli è incapace di restarsene tranquillo nella sua stanza » (Pensées, fr. 139). E la fortuna dei re consiste nel fatto che sono « circondati da persone la cui unica preoccupazione sta nel procurar loro distrazione, in modo da non lasciarli riflettere su se stessi » (altrove). Lo stesso vale per il ruolo che ciascuno assume « nella vita »: « Naturalmente gli uomini credono di essere tutti dei copritetto o chissà cos’altro, ma questo non succede quando si trovano soli nella loro stanza. La ricerca della tranquillità e di una felicità duratura è solo apparente. Si va alla ricerca della tranquillità superando alcuni ostacoli; ma quando si sono superati la tranquillità diventa una condanna insopportabile per la noia che da essa si genera. Diventa indispensabile liberarsene e andare a mendicare il tumulto. E anche quando si pensa di essere sufficiente­ mente al sicuro su tutti i fronti, il tedio della vita (I’ennui) spunta inesorabilmente dai più profondi recessi dell'anima » (Pensées. fi I 3K) lo*>

Ed ora, se su queste fondamenta antropologiche cerchiamo di descri­ vere più da vicino Tuomo-Kv/scA come turista, vediamo subito che tanto il « fascino del turismo » quanto il Kitsch turistico costituiscono un paradigma del « divertissement ». Non intendiamo prestarci al gio­ co dell’equivoco corrente, considerando fattori « obiettivi » — quali l'esistenza delle masse — come causa e origine, e il Kitsch come conse­ guenza. Il termine « esistenza delle masse », infatti, costituisce già, qualitativa­ mente, una fuga nel « divertissement » (p. es. ci sarebbero uomini che, circondati dalla massa, coltivano e sviluppano una specie di senso di isolamento individuale — « asociale »!). « Massa », « primitività », « infantilismo » — sono tutti termini che inducono di per sé a deviare dal problema del Kitsch, nel tentativo insistente di sradicarlo dalla sua radice originaria: l’uomo. Non dovrebbe farci riflettere il fatto che Pascal dimostri la sua tesi del « divertissement » a spese, per lo più, di re, cortigiani, condottieri, liònneis hommes di ogni genere? (Parla assai più raramente di copri­ letto e di soldati). Cominciamo così a capire perché Ortega y Gasset voglia veder la « massa » rivalutata come categoria antropologica. 129) L’Italia, con le sue rovine e le sue canzoni re­ sta sempre uno dei prefe­ riti « paradisi turistici ». La copertina di un disco elen­ ca i « luoghi comuni » di un itinerario tradizionale.

UOVI IN POMT0TB4O CIAO IUNIN MAOOMNA VtNt/IA LA LUNA I Iti TRIttm MIA PlRfKXI «DONA VtCCMlA ROMA NA VOCI NA CHITARRA I O PW.O t l UNA ROMt NV NIC.Mt l UN A CARRtBt ANFMA t CONI ROMA NON FA lA STUFICI A ’.TAMHA VlMfc/lA NO’ MUl (TAMIA INNAMORATI A MIL ANO PIC MON IT ’.INA

II Ed ora dedichiamo la nostra attenzione, in modo per così dire paradig matico, a due fenomeni favoriti, che — pars pro toto — devono essere almeno rapidamente delineati nella loro struttura kitschig. Intendiamo parlare del souvenir e delle rovine. L’indice « positivi stico » di frequenza di questi due fenomeni ha scarsa importanza. Ma fa parte del nostro metodo prendere il via dall’esperienza Kitsch e non dai suoi oggetti. Abbiamo già indicato le condizioni preliminari fondamentali: la sete di felicità dell’uomo, la sua evasione nella distrazione, che però — c questo ha un’importanza decisiva — non vuol cercare di realizzare né una ricerca effettiva (e quindi avventurosa) di elementi ignoti (« eso­ tici »), né una effettiva, e statica, tranquillità (vedi Pascal, già citato). Nel caso del « divertissement » turistico si tratta piuttosto di una piace vole « pseudo-avventura » — (Non si dimentichi che la vista delle mon­ tagne e del mare, ed eravamo già nel secolo XVIII, provocava una senso zione di « spavento » — vedi Kant. Ad es: i viaggiatori che passavano dal Monte Bianco facevano tirare le tende sui vetri, per non esporsi nlln vista « spaventosa » delle Alpi. La poesia di Haller intitolata « Le Alpi » rappresentò realmente una rivelazione, allo stesso modo in cui Virgilio, nei tempi antichi, per primo scoprì l’« Arcadia » — vedi Bru­ no Snell, La rivelazione dello spirito, p. 371 e sg.). 'La condizione piacevole del turista sta a mezza strada tra la noia c un impegno effettivo, tra l’esperienza dell’assolutamente ignoto c quella dell’eccessivamente familiare, tra l’indolenza e la partecipazione attiva. La cosiddetta « inverosimiglianza » del Kitsch, perciò, non va cercata soltanto nell’enfasi « idealizzante » o nel ritocco innaturale della realtà rappresentata — come spesso si crede; questi sono fenomeni secondari, che del resto si possono riscontrare anche nell’opera d’arte senza che ne sia intaccato il valore. Si tratta piuttosto di questo carattere pseudo­ avventuroso « ma non troppo » della psicologia kitschig.

a) Prendiamo per esempio il souvenir, questo feticcio del passato. « Di regola » il nostro senso del tempo è rivolto più o meno consape­ volmente al mondo attuale, in cui siamo costretti a vivere, lavorare c nel quale dobbiamo stare continuamente all’erta, perché un futuro an cora ignoto ci mantiene in movimento. L’unica dimensione del temno 167

130-134) I souvenirs turistici come feticci di un proprio passato: La Tour Eiffel macinapepe, una gondola con ca­ rillon e ballerina mobile, Mosca, natu­ ralmente con la neve, un lucente ricor­ do di New York ed infine, la bagnan­ te e il paesaggio di Portofino im­ mersi nelle boccette con finta neve, me dium obbligatorio del souvenir turisti co anche quando non c’cntra affatto.

che se ne sta immobile e pacificata « alle nostre spalle » è il passato. Come ricordo, memoria, esistenza conclusa è persino superiore, in certo qual modo, all’impetuoso scorrere del tempo. Il passato per esempio, grazie alle sue qualità conciliatrici, possiede una straordinaria risonanza suggestiva sotto il profilo emozionale: gli è propria una specie di armo nia, una patina, un’aura del tutto particolare (« Tempi passati! », « Aetas aurea »). E perciò Goethe accosta in un felicissimo rapporto estetico il passato, in quanto tale, e il romanticismo: « L’elemento cosiddetto romantico di un paesaggio consiste nel sentimento del su blime racchiuso entro le spoglie del passato, oppure, il che è lo stesso.

135) Il castello ili Voi flens neU'incredibilc p.i norama della Ahviiwi niatur a Meliile tinga no ).

nel sentimento della solitudine, dell’assenza, del distacco ». Certamente Goethe, in questo passo, non pensa minimamente al Kitsch o a sotive nirs kitschig, tuttavia quella forma di « civetteria » kitschig verso le cose passate, quasi si trattasse di una pseudo-eternità, e l’incapacità dell’uomo a operare una distinzione tra passato e singole esperienze soggettive da una parte e sentimento « personale » dall’altra, trovano il loro « fondamento » nelle osservazioni riportate. Ora, nel souvenir in quanto oggetto è racchiuso il passato in mice così come nella lo')

conchiglia è imprigionato il rombo dell’oceano intero. Per questa ra­ gione abbiamo parlato di un « feticcio del ricordo », che, artisticamente, può anche essere pregevole (vedi i monumenti storici, i musei): tutta­ via esso provocherà nell’uomo-KiZrcó una perversione kitschig del suo sentimento del tempo. Questo fenomeno tuttavia è chiaramente com­ prensibile sotto il profilo fenomenologico: se la memoria della mia esi­ stenza personale, immersa nella particolare aura suggestiva di ciò che è stato, è già sospesa in precedenza tra il mio Adesso (con la sua acuta realtà) e il mio « esotismo » del tempo-passato, il souvenir rende più semplice tale piacevole ambivalenza grazie alla sua realtà tangibile. L’« esotismo » nel tempo e nello spazio trovano una splendida integra­ zione nel souvenir, grazie alla sua caratteristica di « mini-monumento »! A questo proposito si tenga particolarmente presente il « montaggio » emozionale delle due forme di esotismo: l’esotismo nello spazio (« lontananza », « ignoto ») e quello nel tempo (passato, che, dal punto di vista emozionale, racchiude anch’esso un’« ignota lontananza »). Si arriva forse a comprendere questo allettante paradosso: il pugnale («oggettivamente») kitschig che l’avventuriero porta in patria a ri­ cordo delle lotte sostenute in una terra sconosciuta è « meno kitschig » del souvenir (« oggettivamente ») di valore, comprato dal turista sen­ timentale! Non c’è opera d’arte in grado di sottrarsi all’assimilazione kitschig solo in forza delle sue oggettive qualità estetiche! Difatti, se­ condo un procedimento che può anche essere logico, moltissimi souve­ nirs, e forse i più kitschig, sono riproduzioni di opere d’arte, che sono in possesso del paese visitato. Sotto il profilo antropologico non ha alcuna importanza che la riproduzione possegga o meno pregi artistici, poiché la misura di Kitsch è data dal posto che occupa il souvenir nella scala dei valori sentimentali stabilita da colui che, di volta in volta, ne trac godimento. Dopo questi rapidi accenni, che avevano la funzione di indicare le « condizioni essenziali di esistenza » del Kitsch, passiamo a delineare, per così dire, una graduazione della Kitschigkeit. Confrontato con la figura contrastante dell’avventuriero, che ricerca proprio il pericolo, l’estraneo, il turista presenta una particolare predisposizione a impres­ sioni e sensazioni kitschig per il fatto che egli vorrebbe procedere con il paese straniero « come » fa con i suoi ricordi: le sue aspettative sono modellate in anticipo su stereotipi più o meno precisi, poiché egli non cerca affatto il « puro ignoto ». La sua condizione psicologica va piut­ tosto paragonata alla sua roulotte o alla sua attrezzatura da campeggio, 170

dove non mancano le provviste portate da casa. La sua « Récherche dii temps perdu », di solito, è un mezzo « trouvé » fin dall’inizio, i coni pagni di viaggio gli assicurano una tavolata di compatrioti, le « attra zioni » gli sono già state descritte dall’agenzia turistica, e quindi sa con una certa precisione dove deve puntare l’obiettivo della sua mac­ china fotografica.

Il fascino del turismo, agli occhi dell’« uomo-Kitsch » sta in questo processo di familiarizzazione dell’esotico — analogo alla privacy del piacere kitschig tratto dall’arte (vedi la mia Fenomenologia del Kitsch, 1960) — o in questo processo di « esotizzazione del familiare » — le due espressioni si equivalgono e procedono per lo più di pari passo. Il turista si fa fotografare in posa da torero, l’Acropoli gli sembra uno sfondo adatto. Si possono tirare in ballo persino le categorie della cosiddetta « scienza ambientale » (ecologia), con la sua distinzione tra « Merkwelt »-« Wirkwelt », o « Merkling »-« Wirkling » — presa a prestito dall’osservazione del mondo animale. Il padre dell’indagine ambientale, Jakob von Uexkiill, dà la seguente dimostrazione della sua teoria: « Mentre, Sull’Acropoli di Atene, mi concentravo sul meraviglioso contrasto cromatico offerto dalle colonne del Partenone, colorate d’oro dallo scorrere dei secoli, contro l’azzurro eterno del cielo dell’Attica, mi si avvicinarono due berlinesi, uno era fabbricante di bretelle, l’altro di stringhe. Contemplando le colonne del tempio di Atena il primo si mise a piangere continuando a ripetere: « È troppo bello ». L’altro invece scivolò dietro una colonna per scri­ vere con la biro il suo nome insignificante sul marmo consacrato alln divinità. Il fabbricante di bretelle era un tipo Merkling molto spiccato, mentre il fabbricante di stringhe era un tipico Wirkling ». Questa tipologia di Uexkiill potrebbe facilmente adattarsi al nostro tema, se i due tipi suddetti non ricorressero di solito in un’unione personale.

b) E siamo arrivati così al secondo esempio: le rovine. Anche in questo caso non ci serve una legittimazione positivistica del motivo che ci ha indotti a scegliere questo argomento. In miniature, o in riproduzione, anch’esse sono un souvenir. Ciò che abbiamo detto in relazione al l’« esotismo » storico è ancor più valido per le rovine. Come punto di partenza ci serviremo di un appunto autobiografico: nel 1945, subito dopo la capitolazione della Germania, alle domande I /I

di alcuni soldati d’occupazione americani, indaffarati a fotografare il castello di Heidelberg, che volevano conoscere la storia di questo luogo di pellegrinaggio di tutti gli uomini-Kz/jcA, ho risposto per un puro capriccio fenomenologico: « It was destroyed by american bombs » ( fi stato distrutto dalle bombe americane). La reazione dei soldati è stata estremamente significativa. Voglio fare solo una breve osserva­ zione teoretica: lo choc psicologico — si trattava certamente di un problema solo estetico, non certo etico — fu straordinario: ai loro occhi la « rovina » non aveva più alcuna « bellezza », anzi essi deplora­ rono (mostrando quindi una coscienza realistica dell’oggi) la distruzione recente di un edificio importante. Ciò rappresentava una metanoia, che

136) La pubblicità turistica usa di tutto per attrarre Vuomo-Kitsch: an­ che dell’irresistibile fascino dell’uo­ mo scozzese.

ricorda il lamento puritano di S. Agostino per aver pianto lacrime col­ pevoli su Didone morta, ed aver accettato ad occhi asciutti la deplo­ revole realtà! (Conf.; I, XIII). (liinther Anders, qualificato critico della cultura e del costume, ha latto presente che — contrariamente a quanto generalmente si crede — non è stato il Romanticismo a svegliare per primo il culto per la « bel­ lezza delle rovine ». Avrebbe avuto luogo, invece, la seguente « inver­ sione »: il Rinascimento (in particolare la prima generazione) avrebbe 172

137-1 ^8) Il paradiso del Kitsch-, Disneyland.

onorato il torso antico « non perché, ma malgrado fosse un torso ». Era stata scoperta la bellezza, ma « purtroppo » (!) solo come rovina. La seconda generazione, però, « invertì » la « rovina del bello » nella « bellezza della rovina ». E da qui fino ad arrivare alla « produzione industriale di rovine » c’era una sola via: adesso siamo arrivati a di­ sporre rovine in un paesaggio, come fossero nani da giardino, per « ab­ bellirlo »! Si veda come il lamento di Agostino per aver provato piacere in « og­ getti tragici » trovi una notevole risonanza in G. Anders, il quale, dai tempi di Hiroshima, non riesce più ad apprezzare nessun genere di rovine. (G. Anders, La scritta sul muro, p. 214 e sg.). Proprio questo fenomeno d’inversione, un tempo circoscritto all’arte, (l’ultimo grido è Disneyland) presenta una pronunciata « affinità » con il Kitsch. All’anacronismo dell’inversione fa infatti riscontro perfettamen­ te l’entusiasmo second-hand dell’uomo-Kz/.tcA, la sua eccessiva pron­ tezza ad adattarsi a giocare un piccolo scherzo estetico alla reale condi­ zione transitoria dell’uomo, della quale è perfettamente conscio nella vita di tutti i giorni: si tratta solo di due o tre settimane! In cambio del suo denaro può ben pretendere una generosa porzione di quasieternità! Anche in questo anacronistico giocare sull’equivoco (presente anche nell’arte) con i reali limiti del tempo possiamo scoprire facilmente quell’inclinazione a familiarizzare, tipica dell’uomo-Kzìrcó. Un’incli­ nazione che diventa addirittura mostruosa quando persino il nostro pia­ neta s’è fatto troppo piccolo per poter trasformare il mondo in una cucina: così è successo nel 1965, nella capsula « Gemini-4 », da dove i piloti che stavano girando intorno alla terra s’intrattenevano in « small talk » con le rispettive famiglie. Sarebbe ingiusto nei confronti del nostro tema non citare i loro nomi: Mr. White e Mr. Diwitt (Spiegel, 1965, n. 25, p. 112 e sg.). Con questo non plus ultra abbiamo già varcato i limiti spaziali del nostro tema — la Terra... 1 39 ) La terra s’avvicina. Olio su tela (1966) di Alexej Leonov. Opera esposta nel padiglione so­ vietico alla Biennale di Venezia 1968; « spesso i pittori hanno cercato di immaginare la terra che naviga nell’oceano spaziale: stac­ cato dalla terra Leonov l'ha vista sia come esploratore che come pittore ed esprime la sua ammi­ razione per la magnificenza dei colori dello spazio per la mera­ vigliosa fantasia delle aurore co­ smiche ». Dal catalogo della Biennale.

LA PUBBLICITÀ

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La pubblicità — soprattutto nei suoi aspetti visivi — costituisce uno dei mezzi di comunicazione più efficaci dei nostri tempi: quello forse che ha, in certo senso, rivoluzionato il rapporto tra il mondo delle im­ magini e il mondo della realtà. È ovvio, dunque, che proprio questo mezzo possa essere — e sia in effetti — uno dei canali attraverso il quale può essere veicolato con più efficacia un messaggio di « buon gusto » o di « cattivo gusto » al grande pubblico. Giacché è appunto qui che sta uno dei maggiori pregi e insieme uno dei maggiori pericoli della pubblicità: attraverso la riproducibilità in serie di manifesti, car­ telloni, depliants, modelli tridimensionali, ecc.; attraverso la stampa quotidiana e periodica, e finalmente attraverso i film pubblicitari cine­ matografici e televisivi, si può affermare che quasi tutti gli strati del pubblico, quasi tutte le età e i ceti, sono colpiti dalle immagini appron­ tate a questo scopo dai tecnici e dagli artisti che si dedicano a questa vasta e multiforme attività. Non c’è alcun dubbio che la « responsabilità » etico-estetica che grava sull’odierno tecnico pubblicitario è grandissima, poiché nelle sue mani è pòsta, quasi in maniera esclusiva, la vera arma capace di guidare e indirizzare il gusto dell’uomo della strada; di quell’uomo della strada che poi costituisce l’autentico fulcro della nostra società. A che vale che qualche galleria d’avanguardia, qualche rivista illustrata destinata a scarse élites internazionali, sia dedicata ai capolavori del­ l’arte moderna, se poi questi capolavori sono destinati a rimanere let­ tera morta, esclusi dai mezzi di comunicazione di massa? Eppure è pro­ prio qui che si cela uno degli aspetti singolari dell’attuale momento storico. Alcune di quelle formule grafiche, di quegli accostamenti di colore, fino a ieri esclusivo patrimonio delle élites culturali, oggi ven­ gono, più di quanto non si pensi, a « filtrare » anche nel messaggio visuale destinato alle masse, sicché molto spesso l’uomo della strada sarà posto a contatto con l’opera d’arte moderna — o almeno con uno schema derivato da essa — proprio attraverso il cartellone pubblicita­ rio, il manifesto cinematografico, lo spettacolo televisivo. Non posso soffermarmi qui a considerare un altro spinoso problema del gusto epocale: quello della moda, soprattutto femminile; eppure è certo che, almeno in parte, certi accostamenti cromatici, certi schemi compositivi, di cui la moda degli ultimi cinquant’anni si è valsa, sono stati ispirati — all’insaputa degli stessi creatori di tali mode — alle coeve, o di poco precedenti, invenzioni dell’arte d’élite. Sicché un Mondrian, un Picasso, un Mirò, un Capogrossi, hanno finito

177 140) Il mito del grande pittore si presta a facili e grottesche trasposizioni come in questo accostamento tra un quadro di Cézanne e l’azzurro di una camicia spor­ tiva (oltretutto dima tonalità del tutto diversa!).

per « stingere » man mano anche sugli abiti femminili, sui colori de­ gli stessi, sui disegni dei foulards e delle stoffe stampate, avvezzando il pubblico a tutta una nuova maniera d’intendere e di fruire l’accordo cromatico e plastico. Purtroppo, però, questa modernizzazione del gu­ sto effettuatasi a livello di haute couture (o anche di abito prét-à-porter) non ha potuto portare con sé un’analogo e sincrono aggiornamento nel gusto del pubblico per le autentiche opere dell’arte figurativa moderna. Come si vede, un fenomeno analogo a quello che abbiamo lamentato a proposito della pubblicità. Il nostro discorso odierno, del resto, riguarda solo l’aspetto deteriore deH’elemento pubblicitario, solo quello che non dovrebbe essere usato

and now

CORAL

141 ) Ai.jhe in questo caso, in vero tra i meno evidenti, la pub­ blicità riesce ad essere di pessimo gusto; si noti l’accostamento tra un ramo di corallo e il profumo dello stesso nome, dove le conno­ tazioni esotiche del corallo ne ac­ centuano la mediocrità formale.

e che invece, malauguratamente, viene il più delle volte impiegato ab­ bondantemente. Tralascerò quindi di soffermarmi sui casi positivi della pubblicità visi­ va, su quei casi che, per l’appunto, costituiscono un importante sussidio all’educazione del gusto popolare, e mi limiterò a considerarne l’aspet­ to deteriore, quello che vale a veicolare i peggiori germi del cattivo gusto.

178 142) L’auto veloce (e dunque di alto prestigio) è la « velocità » d’un brano di ► Beethoven a proposito d un apparecchio stereofonico applicabile al cruscotto.

una nuova serie di apparecchi che vi portano in macchina la musica che preferite con l’affascinante effetto stereo Gli apparecchi SONAR rappresentano la gamma più completa e moderna di fonoriproduttori a nastro magnetico. Essi utilizzano le cartucce STEREO 8 che vi danno fino a 80 minuti di musica stereofonica ad alta fedeltà. Gli apparecchi SONAR sono estremamente com­ patti (hanno le stesse dimensioni di un'autoradio) e si possono montare nel cruscotto della vettura. La gamma SONAR è composta da quattro mo­ delli per auto e da due modelli per casa. Ciò consen­ te di utilizzare lo stesso corredo di cartucce in macchina altrettanto bene che in casa.

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143) L’associazione tra un mazzo di fiori e la freschez za dell’aria è in questo caso usata in modo piuttosto grottesco.

144 i Con lo stile degli anni ’50 questa bella gigantessa ci guarda con l’occhio penetrante.

Come e dove si verifica l’innesto del Kitsch nella pubblicità? Ecco una prima domanda a cui dobbiamo rispondere. Due sono, grosso modo, le eventualità che si devono prendere in considerazione: 1 ) l’uso di materiale Kitsch nella costituzione stessa del messaggio pubblicitario, ossia nel modo della sua raffigurazione; 2 ) l’uso di materiale non decisamente Kitsch o anche accettabile dal punto di vista del « gusto » grafico-pittorico, ma utilizzato al fine di pubblicizzare degli oggetti o degli aspetti che rientrino a lor volta nel­ l’ambito del Kitsch. Ed è ovvio che mi riferisco qui a quell’ambito in cui viene ad operare e a gravitare l’uomo-Kz'ZrcZ;; l’ambito in cui si sollecitano, e si solleti­ cano, quei sentimenti, quelle tendenze etiche, quelle attitudini sociali che più strettamente sono connaturate alla mentalità Kitsch. Avremo perciò una vastissima gamma di elementi figurali, improntati al peggior cattivo gusto, che rientrano in pieno nei vari settori che siamo venuti man mano analizzando: in quello delle suppellettili, del-

180 145 j Un esempio di come un prodotto del Kitsch tradizionale possa essere re- > clamizzato in modo Kitsch: la statuina in porcellana di Beatrice presentata con i versi di Dante.

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147) Anche quando sono assenti associazioni o trasposizioni tipiche, la semplice assonanza vezzeggiativa accompagnata da una grafica mediocre porta al Kitsch.

l’arredamento, dell’architettura, della religione, della famiglia, ecc. Elementi che sfruttano moduli figurali ormai desueti, che si valgono di tecniche non aggiornate, che si rifanno a schemi stilistici ottocente­ schi, o falsamente « moderni » e via dicendo. Mentre dall’altro lato avremo un altro settore che, servendosi magari di mezzi tecnicamente e stilisticamente idonei, lo farà — e magari con raffinata perizia — mirando a contrabbandare quegli aspetti da noi più volte indicati come appartenenti al Kitsch, proprio perché inficiati da alcune delle « co­ stanti » di questa « maniera-di-essere-nel-mondo »: la surrogazione di sentimenti non veri, lo sfruttamento di vieti cliché sociali, l’abuso di temi patriottici, religiosi, mistici, fuori dal loro giusto contesto e via dicendo. Gli esempi, sia dell’un tipo che dell’altro, non mancano, anzi ci perse­ guitano senza tregua; occhieggiano dai muri delle case, dai vagoni dei treni, dagli avanspettacoli dei film, negli intervalli televisivi, ecc. Si veda, per dare solo qualche esempio, l’accostamento tra un quadro 183 ◄ 146) Spesso fuso di nomi di personaggi storici o letterari serve a polarizzare 1 attenzione e a conferire una sorta di Status Symbol al prodotto reclamizzato.

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a'f Cézanne e l’azzurro d’una camicia sportiva, o quello tra un ramo di corallo e il profumo dello stesso nome, dove le connotazioni esotiche del prodotto marino ne accentuano l’ambiguità formale; o si veda l’as­ sociazione tra l’automobile veloce (e dunque di alto prestigio) e la « velocità » d’un brano di Beethoven, a proposito d’un apparecchio ste­ reofonico applicabile al cruscotto dell’automobile; o quella tra un maz­ zo di fiori e una toilette ad autoventilazione! Spesso l’uso di nomi di personaggi storici o letterari: Beatrice, Leonar­ do, Michelangiolo, Dante, Romeo e Giulietta serve a polarizzare l’at­ tenzione e a conferire una sorta di status symbol al prodotto reclamiz­ zato (si veda ad esempio la statuina in porcellana di Beatrice reclamiz-

149'» I riferimenti a paesi lon­ tani e prestigiosi accrescono il fa­ scino d’un nome o d’un oggetto come per questi gioielli dozzinali ispirati al lontano oriente, alla stella alpina delle montagne au­ striache, o alle corride spagnole.

zata coi versi di Dante), mentre i riferimenti a paesi lontani e presti­ giosi accrescono il fascino d’un nome o d’un oggetto (i gioielli dozzi­ nali « ispirati » al lontano oriente, alla stella alpina delle montagne austriache, o alle corride spagnole). Altra volta l’edulcorato sentimen­ talismo riferito alla toilette del neonato, o lo sfruttamento di alcuni fondamentali istinti dell’uomo (fede, religione, amor di patria) vengo­ no abilmente, ma quasi sempre kitschicamente impiegati. 185 148 ì Anche l’educazione religiosa he. bisogno di pubblicità, in questo caso radinata, internazionale e decisamente Kitsch.

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150-151) L’uso ambiguo dell’oggetto e i biscotti fallici rendono queste pub­ blicità, discrete da un punto di vista erafico, facile preda del Kitsch.

Ma dove si giunge addirittura al tragicomico del Kitsch è nell’utiliz­ zazione pubblicitaria d’una diva famosa (simbolo quindi di femmini­ lità e di gloria) come reclamizzante per un appello alla lotta contro i tumori. Evidentemente anche nel suo ruolo benefico (incitare alla pre volizione del cancro) la pubblicità ricorre, o crede di dover ricorrere, alle peggiori associazioni connotative con quelle che sono pur sempre le massime aspirazioni dell’uomo: la ricchezza, la bellezza, la fama. All’altro estremo si avranno poi numerosissimi esempi dove una « buona » pubblicità, ben curata dal punto di vista grafico e croma­ tico, ricorrerà a facili richiami a sentimenti ed aspetti Kitsch per smer­ ciare meglio i suoi prodotti: vedremo, così, dei biscotti alla cioccolata presentati sotto un sin troppo evidente aspetto fallico, o, sempre sfrut­ tando questo aspetto e l’uso ambiguo dell’oggetto, la pubblicità d’un piccolo massaggiatore da tenere nella borsetta. Se questi, che abbiamo rapidamente elencato, sono alcuni dei caratteri più salienti della pubblicità Kitsch (o del Kitsch pubblicitario): ossia 1X6

C’est comme un doigt

Avec du chocolat autour.

très

C’est un biscuit: Finger, de Cadbu Le nouveau aabU-chocolat au lait an formo de doigt

Houi aunoni pu laur óonrw dna aulii trama Rondi carrai bracornut noe hrmotti

li!» un na pani y achanoar 0 arHami minai una botta da 32 Fingar

Learn the seven warning signals of cancer. You'll be in good company. I IfnuVial bleeding or discharge'

6

Indigestion or difficulty In swallowing

? A lump or thickening in the breast or elsewhere

7

Change in a wart or mole

1 A tore timi does not heal

If a tignai latti longer than Iwo weeks see your doctor without delay

4 Change in Isowel o' bladder habits

Il motel tento to know the terrori warning tignali of cancer

5 Hoar tonati or rough

It makes lense In give to the Ameni an Cancer !*i< 'tty

della maniera Kitsch di pubblicizzare un qualsivoglia prodotto magari ottimo, o della maniera, magari ottima (esteticamente) di pubbliciz­ zare un prodotto decisamente legato al comportamento Kitsch, vediamo quali conclusioni o quali ammonimenti se ne possano trarre. THE INSULT THAT

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153-1 54) Non essere un mezzo uomo c se hai Bisogno di compagnia comprati una bambolona gonfiabile che ti accompagnerà ovunque.

1) Innanzitutto, ed è il più grave, il fatto che il valore artistico della pubblicità non è determinante per la sua efficacia (almeno entro certi limiti, come vedremo più oltre). Tanto una pubblicità di ottimo gusto (dovuta poniamo alla matita d’un Nizzoli, d’un Cassandre, d’un Saul Bass, d’uno Steinberg...) quanto una di pessimo gusto e di stile desueto, potrà assolvere al suo compito. Non c’è alcun dubbio che molto spesso l’uomo della strada è attratto con più violenza da un’immagine che gli sia consanguinea, che sia cioè adatta al suo « cattivo gusto »; ed è que­ sto che probabilmente giustifica il ricorso fatto da alcuni tecnici pub-

18° ◄ 152) L’utilizzazione pubblicitaria di Sophia Loren come reclamizzante per un appello alla lotta contro i tumori, giunge addirittura al tragicomico del Kitsch.

155) La velocità e la sicurezza di una macchina da corsa è trasposta pesantemente sul viso con l’esatta indicazione topografica delle curve.

blicitari anche smaliziati, a rappresentazioni e atmosfere decisamente deprecabili (e « out » dal punto di vista sociale e mondano) nella reclamizzazione di taluni prodotti. 2) Dobbiamo, d’altro canto, ammettere che più di quanto non si pensi, una buona pubblicità ossia una pubblicità che si valga di moduli grafico-pittorici sofisticati e magari nettamente d’avanguardia, potrà ottenere un altrettanto buon effetto. Lo si è visto di recente nel caso d’una « cattiva » campagna pubblicitaria basata su delle immagini di ragazze in minigonna reggenti stendardi svolazzanti al vento, impie­ gata da una nota ditta petrolifera, che, anziché elevare le vendite della relativa benzina, le hanno abbassate perché giudicate dal pub­ blico come uggiose e sgradevoli, proprio per la loro atmosfera dol­ ciastra; mentre un prodotto analogo, cui venne applicato un genere di pubblicità nuovo (che utilizzava un certo stile « alla Lichtenstein » tratto dunque da un genere di arte d’élite) veniva a riscuotere un no­ tevole successo di pubblico e ad incrementare le vendite, pur essendo il pubblico del tutto ignaro circa gli addentellati tra lo stile della cam­ pagna pubblicitaria in questione e l’opera d’un determinato artista pop, preso a modello. 3 ) Finalmente converrà tener conto del fatto — oggi molto discusso e certamente importante — d’un fattore subliminare che viene spesso a entrare in gioco nel caso d’immagini pubblicitarie visive e di cui 190

156) Segno di raffinata individuali­ tà è l’« uscire dal branco ». In que­ sto caso la moltitudine è simboleg­ giata dalla Torre di Babele di Brue­ gel.

spesso si valgono — coscientemente o meno — i produttori. Ebbene questo fattore che è molto di frequente legato a figurazioni di carat tere simbolico, criptosessuale, spesso si allea a evidenti connotazioni Kitsch (si veda il massaggiatore e il biscotto, di cui sopra) a diino strare come spesso alcuni aspetti di sessualità rimossa facilmente sci volino nel cattivo gusto; alla stessa stregua di quanto avviene - in sede verbale — per taluni doppi sensi, e parole scurrili più o meno mascherate. Per tornare ancora brevemente sul primo punto tra quelli qui elcncnti che è quello che più ci interessa, vorrei notare altresì come il fatto di accarezzare il gusto del pubblico attraverso elementi artisticamente de teriori, come viene spesso fatto dalla pubblicità, rientra nello stesso ordine di idee che presiede alla creazione di molte opere Kitsch do vute al fenomeno — altrove analizzato in questo volume — dello styling applicato agli oggetti dell’industria. Si tratta, anzi, di due fenomeni del tutto sovrapponibili: quando per smerciare un prodotto si ricorre a dei fattori persuasivi che sono smac­ catamente commercializzanti, e non hanno nessuna giustificazione né funzionale né estetica, si indulge in un’operazione decisamente ripro­ vevole, che, a lungo andare, non può che essere controproducente an­ che per lo stesso prodotto pubblicizzalo, o per il prodotto auto-pubbli cizzantesi attraverso la linea nntilunzionale dello styling. 191

TAKE YOURSELF OUT TO THE GRAVEYARD \

...for a

hilarious romp

if

with the prettiest, shapeliest GHOULS that । overtraded In their bed sheets for BIKINIS! Marzia viveva con Gilda e per Gilda... poi venne Paul

SANDY DENNIS KEIR DULLEA ANNE HEYWOOD .WttVttUUDR

WWVISIOH'

lowfi KIRK in WALLEY o KINCAID HARVEY LEMBECK isstWHITE « mkwSINATRA atsit RAIHBONE -mKELIY

157-158-1 59-160) La pubblicità cinematografica cade spesso nel Kitsch (anche quando il film non lo è). Nel manifesto si concentrano infatti avvenimenti, personaggi e simboli nel tentativo di fornire al pubblico un’immagine « globale » dell’opera reclamizzata. .. SO* ClMtUOV-K» ___

...

> l ’> ) È quasi superfluo dire che, nonostante lo spiegamento ili mezzi tei ni ci, sempre banalmente utilizzati, le immagini risultano grosso modo tutte simili, senza nessuna sostanziale novità e nessun interesse iste fico, salvo una certa pretestuosa e languida piacevolezza, e un’evidcu te volontà di offrire l’immagine come « bella » o « artistica ». Anche questo apparato retorico, come quello letterario, ha evidente mente lo scopo di fornire una giustificazione al produttore ed al lei tore della fotografia, che, in quanto « artistica », non può essere por nografica. Sono proprio i produttori del pornokitsch infatti, ad insistere sulla distinzione fra la loro opera e la pornografia, ponendo una separazio ne analoga alla nostra, ma certamente assai diversa nella sostanza. Per un altro verso uno degli argomenti più comuni ili autogiustdila­ zione del pornokitsch afferma che il corpo umano, e quello femminile in particolare, sarebbe « la cosa più bella del mondo », dove è evi dente sia l’identificazione di bello e piacevole, che è tipica del Kitsch, sia il concetto, o meglio il mito della donna oggetto, che è una forma particolare dell’alienazione borghese dell’uomo e che sta alla base di tutto il pornokitsch, o perlomeno di quello maschile. Un discorso analogo va fatto per il disegno pornografico, che molto

spesso risulta Kitsch. È certamente ammissibile in teoria, e talvolta accade che elementi pomografici siano utilizzati in figurazioni valide ( ina si può ancora parlare di pornografia? crediamo di no, sulla base delle considerazioni svolte sopra, e tantomeno crediamo si possa par­ lare di pornokitsch, salvo che si tratti di un caso di ostranenie, ov­ vero del classico recupero di elementi Kitsch in un contesto che ap­ punto li stranii, facendone un elemento della propria validità.)10 Molto più spesso, però, è il disegno pornografico che cerca di adeguar­ si agli stili correnti e di trarne elementi di giustificazione; e dato che nella pittura contemporanea il posto per la figura umana è decisamen­ te scarso, salvo che nel realismo socialista, in alcuni esempi di Kitsch pittorico o più semplicemente di assurdo misoneismo e in alcuni casi ili pittura pop, dove però ad esempio il fumetto ingrandito ha un sen­ so difficilmente conciliabile con il pornokitsch: gli autori di questo ti­ po di opere sono costretti a rifarsi alla moda femminile, ai fumetti, o agli stili d’arredamento; oppure a perdere qualsiasi contatto con il mondo attuale, per rifarsi, è inutile dirlo, scolasticamente a modi di espressione ed a realtà artistiche tramontate da tempo. Così, insieme alla moda del liberty, si afferma il pornokitsch di into­ nazione neoliberty, ma con questo convivono allegramente le opere neogotiche, oppure i pseudosurrealisti, o i falsi naìfs. Anche qui, però, dappertutto si sprecano i simboli, si moltiplicano le allusioni e si affolla l’immagine di particolari, volti ora ad insistere sul suo carattere « artistico », ora a confermare surrettiziamente il suo valore sessuale. Ma il lato del pornokitsch che abbiamo definito estetico non si esau­ risce nell’uso di una falsa artisticità e di una pseudomodernità di scrit­ tura, cioè nell’aspetto puramente formale, concernente l’uso del me­ dium-, accanto a questo è importante un eufemismo (e quindi, come abbiamo già avuto occasione di notare un Kitsch) del soggetto pornografico in quanto tale. Anche qui le tecniche usate sono diverse, con molteplici variazioni; ma tutte si possono sussumere nel tentativo di mascherare la realtà pornografica dietro un qualsiasi argomento che appaia autonomo e centrale, c possibilmente anche culturale oppure « artistico », mentre in realtà è solo un pretesto. " Sul concetto «li ostranenie o straniamento (che è una cosa completamente diversa da quel­ la decontcstiializzazione di cui si è parlalo sopra) cfr. G. Dorflcs, Artificio e natura, cil., png 2H-2I6 e V. Erlich, Il formalismo russo, Bompiani 1966.

2 36

Così sorgono le biografie e le storie « romanzate » in un certo modo (per esempio di Lucrezia Borgia o di Caterina di Russia); i libri che illustrano « etnologicamente » o « storicamente » la vita sessuale dei popoli « esotici » (ed « esotici » in questo senso sono anche i parigini) o quella delle civiltà antiche, con ricostruzioni sulla cui accuratezza e precisione ogni commento sarebbe superfluo; i prodotti letterari « rea­ listici », ovviamente del tutto privi di valore.

200 ì La natura è un elemento che rientra molto spesso nel pornokittcb, per ri­ chiamare quella « spontaneità », quella « purezza », che il medium ha già defini­ tivamente distrutto.

Un caso particolarmente interessante di questa tendenza è dato dalla lettura in chiave pornokitsch di opere che seppure talvolta erano già originariamente pomografiche, non avevano nulla di Kitsch: Boccac­ cio e Sade, Catullo e Saffo, Ovidio e Flaubert, ecc. Questo tipo di lettura, che è analoga, seppure diversa da quella che citavamo sopra, di opere originariamente non pornografiche, ha pro­ vocato una folta messe di riedizioni di un certo tipo di classici, che ne sono rimasti profondamente modificati, con tagli, illustrazioni (a

volle fotografici, riassunti, traduzioni (in un caso clamoroso si è tra­ dotto il Decameron dalla lingua del Boccaccio all’italiano dei nostri giorni, illustrandolo con false miniature e con assurde fotografie, ov­ viamente pornokitsch, pubblicando il tutto a dispense settimanali, ci si può immaginare con quale osceno risultato). Bisogna ricordare che anche le arti figurative del passato sono andate incontro ad un trattamento del genere, con effetti altrettanto gravi e pericolosi.

201 ) Pseudonaturalismo ed esotismo si fondono in questa immagine, intito­ lata Luana la figlia della foresta vergi­ ne, con un’evidente stimolo per i desi­ deri d’evasione deWuomo-Kitsch.

Questa forma di Kitsch è poi molto comune nelle fotografie porno­ grafiche, dove essa è estremamente articolata e complessa: ci si tro­ va di fronte aW'esotismo, che giustifica con un interesse geografico e. perche no, turistico, fotografie di ragazze belle e meno belle, ma comunque nude o seminude e poi indiane, cinesi, vietnamite, negre, hawaiane (III. 201)-, o àWarcaismo, con patetiche ricostruzioni degli atteggiamenti e degli indumenti intimi di Maria Antonietta o delle « faraone » (111. 202) o con pessime riproduzioni di statue greche e di affreschi pompeiani, di Goya e di Tiziano. 238

202-203) II sarcofago dietro la Faraona e le statue che circondano l isa (.a i a hanno la stessa funzione giustificativa: mediante il richiamo a un’antichità tomai ticamente intesa.

Accanto all’arte classica i direttori delle riviste pornografiche ed i lon intraprendenti fotografi hanno scoperto un’arte nuova, che consiste ne dipingere una modella, volta a volta da angioletto, oppure meno notti ralisticamente a puntini e tondini, o a strisce e linee più o incuti in certe e psichedeliche (III. 204), spacciando poi il tutto per nn'opcti del più alto interesse estetico. 204) Una modella da dipingere è un esempio ricorrente nelle riviste pornukihi h molto spesso, la didascalia spiega che nella bottega d'arte chiunque può ihpiuy'i

Un altro modo di sfruttare l’arte, o il suo nome, è poi quello di « chiu­ dere nel colore il fulgore della donna-simbolo degli anni '60 », che sarebbe Ursula Andress, dipinta in una posa, con uno sfondo e secon­ do una tecnica che vorrebbe avere vaghe connotazioni di classicità, e che, rinchiusa com’è in una grande cornice dorata, sortisce effetti deci­ samente comici. (III. 205).

205) Questo « artistico » ritratto di Ursula Andress porta la seguente didascalia: « Il tempo, inevitabilmente, uccide la bellezza. Non è giusto, ma è fatale. Pren­ diamo Ursula Andress, per esempio. Ursula tra venti, tra quarant’anni. Meglio non pensarci. Allora un pittore ha deciso di chiudere nel colore il fulgore della donna-simbolo degli Anni Sessanta. Così la bellezza di Ursula Andress parlerà di sé, avanti nel tempo, quando l’estate sarà diventata inverno ».

Di tanto in tanto, invece, sono gli « artisti » che decidono di farsi sfruttare, ed allora è l’immancabile Dall ad organizzare una camera ardente tutta pornokitsch per una modella in calzamaglia, senza ovvia­ mente scordarsi di comparire, egli pure, nell’inquadratura. (III. 206) Ed ancora non manca la moda pornokitsch, la modella che si inqua­ dra il seno in una cornice dorata (III. 208-9), il fumetto sulla vita e gli amori di Cagliostro, che illustra in modo infantile ma ine-

240 206) Il tema della morte e quello dell’amore (o del sesso) sono riuniti da Dalì secondo un modulo tipicamente tardo-romantico, e Kitsch, in un’atmosfera che del surrealismo conserva solo le forme più banali e vuote.

quivocabile la bellezza delle sue innumerevoli dame, o i fotoromanzi sexy, fra cui i più interessanti sono quelli fantascientifici, in cui nau­ fraghi cosmici, o esploratrici provenienti dal futuro si dilettano ad amoreggiare (o addirittura « devono » amoreggiare per sopravvivere) sulla nostra terra nel nostro tempo, cambiando però con più bramo­ sia che indifferenza il corpo del partner ma anche il proprio (sic), e pronunciando durante l’orgasmo incomprensibili frasi nella loro lingua. Ma il colmo del pornokitsch contenutistico è stato raggiunto forse da un servizio apparso nelle riviste « per uomini » italiane e francesi, il cui titolo suonava Rodin vivo, dove a vivere non era ovviamente lo scultore francese, ma gli interpreti di una serie di fotografie, in cui modelle e modelli, ovviamente tutti nudi, assumevano le pose di al­ cune famose statue di Rodin, dandone ovviamente un’interpretazione falsa, che non rispetta neanche i dati estetici fondamentali delle ope­ re imitate (III. 210-11). Tutti questi casi hanno un evidente significato Kitsch-, anche qui il borghese, Vanima bella, Yuomo-Kitsch può godersi tranquillamente e senza complessi la sua pornografia, perché questa ha un contenuto di­ chiaratamente « artistico » e culturale, non per un uso particolare del­ le forme estetiche del medium, come abbiamo visto più sopra, ma per riferimento diretto, per una sorta di autoconnotazione enfatica, che ras­ sicura continuamente il fruitore della sua serietà e di quella dell’ope­ ra, e che viene continuamente riesposta e messa in evidenza negli ele­ menti accessori, per esempio didascalie e commenti. Qui, come del resto nel Kitsch che abbiamo chiamato del medium, la modella non esiste come persona, neanche come soggetto di quell’ero­ tismo tutto mistificato che è l’essenza della pornografìa vera e propria; è semplicemente una portatrice, un veicolo di valori « estetici » o « cul­ turali », che comunque le risultano estranei. È questo, fra l’altro, uno dei motivi per il quale dicevamo che il por­ nokitsch è la negazione della pornografia: le modelle di Rodin vivo, ad esempio, non rinunciano solamente all’individualità e quindi all’au­ tenticità del proprio erotismo; esse, assumendo un certo tipo di posa, proclamano di negarsi come soggetto sessuale tout court : per questo i direttori delle riviste affermano di non fare pornografia, e non ne fanno. La modella non è un oggetto di desiderio sessuale, ma è un interessante fatto estetico (in sé o attraverso l’uso del medium) oppu­ re un interessante documento storico o etnografico, e via dicendo. 243 207) Anche la fantascienza deteriore è pretesto per illustrare in modo inequivo­ cabile gli amori di umane avvenenti con mostri extraterrestri più o meno orri­ pilanti.

,’DX 209 । In questa galleria d'arte, il nudo è, appunto, arte-, c come dice.il gior­ nale, ammirando questa ragazza dalla bellezza classica, non ci sembra nemmeno 7/ sfogliare una rivista, ma ci pare quasi di passeggiare, assorti, per la Galleria liorghcse

A questo punto, però, il processo del pornokitsch non è concluso, per­ che probabilmente almeno a livello inconscio, ma spesso in piena co­ scienza, al momento della fruizione, gli orpelli cadono e si rivelano come pretesti, ed il pornokitsch viene letto come fosse pornografia ve­ ra e propria. La modella di Rodin vivo, insomma, non viene fruita co­ me « statua », o « tentativo di statua » o come « ragazza che tenta di farsi passare per una statua », ma come una donna da concupirsi per le sue attrattive fisiche, certo in modo morboso falso e generico, me­ diante un’odiosa spersonalizzazione, come per tutta la pornografia, ma ail un livello già più umano sincero e naturale di quello precedente.

A tutto questo ciclo di aulonegazioni, di eufemismi e di mistificazio­ ni si può poi ricollegare ancora una forma di pornokitsch, la più roz­ 24-1

za e banale, la più primitiva: essa si ritrova quasi solo in fotografie e consiste nel semplice accostamento, nella giustapposizione di porno­ grafìa e oggetti Kitsch, o più generalmente nell’ambientamento della pornografia in contesti falsamente semplici e naturali, che in qualche modo la giustifichino e la spieghino, di nuovo con caratteristiche che possiamo considerare tipicamente Kitsch. Nel primo caso, per fare qualche esempio, oltre a quelli che per al­ tre ragioni abbiamo già citato, le modelle hanno inopinatamente a che fare con statue ed armature, oppure con elementi simbolicamente piti 210-211) L’esempio più clamoroso di pornokitsch artistico è Rodin vivo Si vede chiaramente la differenza di effetti fra la statua originale e la posa dei modelli A parte l’effetto del medium, la stessa diversità desili atteggiamenti chiarisce come altri siano i risultati che si vogliono ottenere, attraverso la superficiale somiglianza

espliciti, come armi e serpenti (III. 212)-, nel secondo si ritrovano a passeggiare nude in boschi frondosi, o sono invece immerse nelle ncque sempre azzurre di laghi e cascate, oppure capitano in interni più o meno normali, dalle baite di montagna, arredate regolarmente con splendide pelli d’orso, ai salotti, alle camere da letto che dovrebbero giustificare in qualche modo la loro nudità. La tendenza è infatti quella di costruire attorno ad ogni immagine una storia, seguendo una struttura mitica costante, che permetta al fruitore di introdursi nel mondo della fotografìa e di appropriarsene in un certo modo. Un caso molto interessante è quello del pornokitsch pubblicitario, do­ ve la dialettica fra occultamento ed esibizione della sessualità, che ab­ biamo esaminato finora, si complica con un ulteriore momento eufe­ mistico: infatti il rapporto fra stimolo sessuale ed oggetto pubbliciz­ zato, per poter esser efficace deve esistere ed essere abbastanza chia­ ro; ma per non offendere « l’indipendenza » e « l’autonomia » del cliente, non deve essere colto in quanto tale, specialmente se risulta estrinseco. Anche in questo caso bisogna distinguere con attenzione: ad esempio, in un cartellone pubblicitario di una bibita o di un’automobile, il lato sexy sarà molto più facilmente denso di elementi pornokitsch che in quello che pubblicizza un reggiseno o un profumo.

Esiste anche un pornokitsch tradizionale, che risale agli anni d’oro del­ l’inizio del secolo ed ormai ha perso tutta la sua forza e la sua carica emozionale. Si tratta di oggetti a forma di donna, o di parti del corpo femminile, di immagini di modelle che oggi sembrano brutte ed an­ ziane matrone, di porcellane esotiche e razziste, che raffigurano donne di colore con quella che ci sembra una grande ingenuità. Tutte queste cose, consumate ormai ed obsolete dopo una o due generazioni, sfio­ rano e spesso toccano il comico, anche per chi fruisce in tutta serietà delle riviste pornografiche di oggi. Ma non bisogna dimenticare che, pur nel mutare del gusto, la funzione è rimasta medesima e la demi­ tizzazione che il tempo ha compiuto spontaneamente, va condotta nello stesso modo sui fenomeni di pornokitsch dei nostri giorni. Finora abbiamo esaminato i momenti salienti in cui l’erotismo si de­ grada a pornografìa e questa a pornokitsch ; abbiamo trovato che si tratta sostanzialmente di un processo di successive negazioni, di svuo­ tamento di senso, di decontestualizzazione, come I’abbiamo chiamato: 246

212) L’uso di simboli fallici più o meno chiari è molto diffuso fra le foiogiiili pornokitsch. Questa immagine appartiene ad una serie in cui, a coniano con serpente, la modella assume prima un'espressione di terrore, ma poi gradimi mente esprime un piacere sempre più intenso. 213)

Attraverso un processo di estraniamento, di « deconlcsliializz.azione

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sfrutti invertendoli gli stessi procedimenti del pornokitsch, è possibile ai < cniiiai' l’interesse di immagini come quest a.

214 2D >

si

I.rotismo 4) (in alto a ,r. ) Camera da leno « Egizia Rossa » con laccatura opaca su acero e pittura a mano ■ colori e in oro; interno bicolore e bassorilievi patinati. - ’6 i (in alto a d.) Anche l’atmosfera più raffinata non sfugge al senso di falsa (o cattiva) cosciena connessa oggi con la nozione di arredamento e con la figura dell’arredatore, come in questo capoavoro Kitsch di uno dei più famosi arredatori inglesi.

2 55 i [in basso a s.) È forse la nozione stessa di arredamento che oggi, senza possibilità di riscatto percorre le strade del Kitsch, come in questa accozzaglia propria di un certo « gusto moderno ». 257 ) (in basso ad.) Il salottino finto-rustico, ripetuto in serie, con botticelle e tinozze ricoperte di pelliccia. 269

238) Di fronte alle nuove tipologie inventate dalla midcult dello sfruttamento edilizio, il villino neogotico o il finto castello fine secolo conservano una propria dignità della funzione teatrale oggi mascherata dal finto funzionalismo.

l’alloggio e delle loro funzioni reali e presunte, delle connessioni tra le parti, delle preoccupazioni di nascondere o di mostrare: le motiva­ zioni sarebbero subito molto chiare e riconnettibili a quell’atteggiamcnto Kitsch che intende proporre tra sé e il mondo le difese del convenzionalizzato, dell’istituito a livello formale. Di fronte alle nuove tipologie inventate dalla midcult dello sfrutta­ mento edilizio, il villino neogotico, il finto castello fine secolo conserva una propria dignità della finzione teatrale oggi mascherata dal finto funzionalismo del basso costo. Si ammassa così in una pasta continua alla periferia della città o nelle zone più centrali il tugurio del ricco, che possiede le stesse caratteristiche strutturali del quartiere nuovopopolare, il quale a sua volta si sforza disperatamente di dimenticare la propria origine proletaria per raggiungere almeno la dignità del con­ dominio, il livello della proprietà privata: da due parti si converge così verso quel medio livello che è la sede naturale dell’oggetto Kitsch. 270

239) Alla periferia del­ la città si ammassano i « tuguri dei ricchi ».

L’abitare un luogo secondo le regole del Kitsch significa sempre ten tare di ridurlo di scala, cercare di istituire una dimensione domestica delle funzioni anche nella grande città: ciò è stato teorizzato attraverso la dottrina del townscape, dell’arredo stradale, che raccoglie il senso del minore, del caratteristico, lo restituisce ripulito e privo di quella brutalità, ma anche autenticità della condizione di massa, o deH'autcn fica condizione popolare. La regola istituisce un codice di decoro sociale, per cui ci si deve seni pre scandalizzare di ciò che viene sempre considerata esagerazione: la misura diventa la regola della riduzione al Kitsch. Così, definire che cosa sia Kitsch in architettura e nel design, presenta a livello ilei pro­ blema della dimensione, qualche difficoltà. Se infatti, come abbiamo visto, la piccola dimensione, la frantumazione, il dettaglio sono caratte­ ristici di una produzione e di una fruizione Kitsch dcH’architettura, quanto di terroristico è riconoscibile nella grande dimensione scalare, 271

o ripetitiva, annulla di colpo ogni possibilità del Kitsch. Se una piccola casa unifamiliare del neighborough della grande città nordamericana, con giardino, fiori e tende alle finestre, è l’emblema stesso della dimensione estetica e sociologica del Kitsch, se l’« Haus beautiful » è il sogno di ogni cittadino della midclass, 100.000 Haus beautiful tutte insieme escono forzatamente dalla dimensione del rap­ porto privato per rivelare amplificata un’ossessione abitativa di livello grandioso. Kitsch è la forma di miniaturizzazione del grande giardino o del gran­ de parco dell’antica villa neoclassica, nel giardinetto del ragioniere, ma la ripetizione di questo atto entra nella dimensione ripetitiva di un mon­ do industriale di massa, che in qualche modo riscatta con la necessità lo sfrido del rapporto sentimentale. Una Thunderbird rosa è nei suoi processi stilistici, nella sua elefantiasi monumentale, nel suo alletta­ mento formale, lo status symbol del Kitsch, ma 100.000 automobili lungo un’autostrada o ammassate in un grande parcheggio, costituisco­ no una dimensione nuova, anche se non meno brutta, rispetto al Kitsch. Per vivere, al Kitsch occorre una speciale dimensione domestica, pri­ vata: « il souvenir come mini-monumento » di cui parla Ludwig Giesz, è la forma di condensazione ridondante di contesti di memoria più ampi e più ricchi: senza questa operazione di miniaturizzazione il Kitsch non si produce. I servizi di ristoro disseminati lungo le autostrade degli Stati Uniti (e dopo in Italia che certo è al mondo il paese più ameri­ canizzato) rivelano bene questa difficoltà di un Kitsch per così dire territoriale. Le caratteristiche Kitsch di questi luoghi non derivano in­ fatti solo dal gusto del loro arredamento, dal display della merce o dal lipo di architettura, quanto dalla loro rassicurante presenza nel pae­ saggio: rassicurante per la costanza del prodotto offerto, disponibile senza problemi di interpretazione; un’isola che consenta di non spo­ starsi da casa, che rassicuri nei confronti del paesaggio naturale ignoto, anzi che riduca quel paesaggio alla dimensione nota, ponendosi come sfondo del servizio, ristabilendo un equilibrio, limitando gli effetti del­ l’avventura di viaggio. La perfetta riproduzione di questo equilibrio tra domesticità e sco­ perta, tra stupore e solida assicurazione, è costituita da quella mimesi del paesaggio urbano contemporaneo che sono le grandi fiere interna­ zionali. Il grande colorato chiasso è fondato sul falso avvenirismo che proietta spesso le speranze di un avvenire migliore sul piano fantastico della possibilità tecnologica, ed all’uscita regala biglietti per avere con 272

244) L'inopia - Kitsch-, il villaggio per vacanze avveniristiche.

lo sconto l’ultima lavatrice biologico-superautematica. Velleità monu­ mentali si combinano col rustico del finto villaggio fiammingo, il pa­ diglione esotico cinese convive con l’edificio in stile Bauhaus. Il mera­ viglioso è confezionato in una specie di Wunderkammer colossale che proietta sul futuro, anziché sul passato, il senso della collezione e del ritrovamento eccezionale. La proiezione di contesto urbano che ne ri­ sulta è una parossistica accelerazione di aggettivi senza sostantivi, o al contrario sostantivizza ogni fantasia stabilendo secondo precise stazioni precostituite un viaggio di evasione nel mondo fatato di Disneyland. Sulla piccola scala il bar moderno è una specie di concentrato di que sto stesso processo: trovata, servizio efficiente e senso fisico del con­ sumo come cibo: ceramica, formica, acciaio inossidabile, legno e finto legno, specchi, vetri, ottoni, tessuti, marmi: tutto decorato, tutto mo­ derno, salvo forse qualche lampadario in cristallo in un gazzabuglio di degenerazione della memoria: più bottiglie, tazzine, zucchero e brioches. 275

◄ 243) Le grandi fiere internazionali riproducono l’equilibrio tra domesticità e scoperta avveniristica che proietta spesso le speranze di un avvenire migliore sul piano fantastico della possibilità tecnologica.

Ma più, in generale, in questa scala dimensionale è forse la nozione di arredamento, che oggi senza possibilità di riscatto, percorre le strade del Kitsch. L’atmosfera più raffinata, come la più miserabile caricatura del gusto moderno, non sfuggono al senso di falsa (o cattiva) coscienza connessa oggi con la nozione di arredamento. Non vi è niente di più ridicolo di essa quando si ritrae, come avviene sempre più frequentemente, dal design verso l’ameublement: o meglio questa « contro casa », costruita a partire dall’interno dell’alloggio, è dimostrativa, nel migliore dei casi, della non coincidenza tra l’esterno e l’interno, ossia del deplorevole stato di falsità dell’architettura e dello stesso design che viene colmato con una tipica operazione Kitsch-, l’arredamento si riduce ad una inutile quantità di aggettivi, anche se di alta qualità, tra loro per altro largamente intercambiabili. Eliminato il senso della necessità sociale, il programma della qualità in ogni punto vive sul consenso della ammirazione come relazione so­ ciale, del discorso cui l’ambiente conferisce l’impossibilità di dissensi e si lascia dietro l’eco di una necessaria musica di fondo: stereofonico. Kitsch diviene così l’insieme strutturale dell’operazione, perché al pro­ getto viene meno il senso della necessità. Ma non vorrei che tutto questo discorso sembrasse un inutile atto di accusa contro le cattive imitazioni o l’incapacità creativa. Il Kitsch allarga enormemente la quantità delle forme presenti al mon­ do, e ne riduce sostanzialmente le figure significative, ma il Kitsch non è nelle cose che l’intelligenza ha dimostrato sempre ricuperabili, almeno come materiali, orientabili ad altre intenzioni; il Kitsch è invece nei meccanismi sociologici ed estetici inautentici di produzione e di fruizione delle cose. Essi hanno il proprio fondamento nell’inau­ tenticità del rapporto sociale e nell’intrasparenza verso la propria sog­ gettività: ciò, abbiamo visto, non può che esprimersi attraverso il Kitsch, che non accetta la natura delle cose, per quanto esse criticano o aggrediscono rivelando, ma per quanto coprono e proteggono, per quanto allontanano e consolano.

276

IL KITSCH TRADIZIONALE

C’è un Kitsch tradizionale, ormai così conclamato che è quasi divenuto un luogo comune. Tutti gli scritti, le pubblicazioni, che si sono interes­ sate al problema del cattivo gusto si soffermano di solito su questo tipo di Kitsch che — sia detto con la massima cautela —- è ormai quasi meno « pericoloso » degli altri più insidiosi generi che abbiamo sin qui esaminato. In quest’antologia — dove purtroppo non possiamo accogliere un altro tipo di Kitsch tradizionale, quello letterario, — per le ragioni che ab­ biamo già precisate — questo capitolo non poteva mancare; ma si è preferito metterlo in coda all’opera proprio a indicarne la minore im­ portanza, e in certo senso l’inoffensività. Anche se ancora per qualche anno o qualche decennio, si seguiteranno a vendere (e a comprare) i « nanetti da giardino », le statuine di terra­ cotta colorata a base di gnomi, elfi, e di personaggi di Disney, non c’è dubbio che tra non molto anche coloro che oggi li acquistano, si accor­ geranno di essere « out » nel farlo, e eviteranno di commettere un errore così pacchiano come quello di adornare di nani il loro giardino o di statuette di alabastro con la torre di Pisa il loro salotto buono (anzi: oggi: « soggiorno »). Purtroppo altri tipi di Kitsch verranno e già vengono a sostituirsi a quelli tradizionali: l’abbiamo visto lungo le pagine di questo libro. E quindi non avremo bisogno di spargere altre lacrime sulla fine del Kitsch tradizionale. Anzi non sarebbe del tutto impossibile che di qui a qualche decennio accadesse per i nanetti quello che accadde per alcuni oggetti — questi davvero « artistici » — dell’Ar/ Nouveau, che, dopo essere stati misconosciuti e relegati nelle soffitte, vennero rivalutati e smerciati ad altissimo prezzo nelle aste e dagli antiquari. Per i nanetti da giardino sfornati a centinaia o a migliaia di copie da qualche fornace artigianale il recupero sarà più diffìcile: bisognerebbe che un cataclisma ne eliminasse la maggior parte, lasciandone pochi esemplari a testimonianza d’un’epoca altamente Kitsch come la nostra.

Aleksa Celebonovic si è occupato in diverse occasioni del problema del Kitsch ed è per questo che abbiamo pensato di affidargli questo capitolo conclusivo. Direttore di una grossa casa editrice a Belgrado c critico d’arte, ha pubblicato numerosi saggi teorici sull’arte moderna, un volume sulla pittura jugoslava contemporanea e un saggio intitolato Per avvicinare le arti. Un inoltre realizzato per la televisione una serie di film sull’arte antica. 279

ALEKSA CELEBONOVIC

Nota sul Kitsch tradizionale

Da quando l’uomo ha inventato le macchine per la riproduzione indu­ striale di oggetti di varie forme s’è creato un abisso tra la sensibilità per il materiale e l’attività stessa di plasmarlo. Il conflitto di forma e strut­ tura, come il fenomeno venne definito da P. Francastel, si è manifestato nel modo più sconcertante proprio nel campo dove il sentimento aveva un ruolo di primo piano: negli oggetti creati con la pretesa di offrire una fruizione estetica. Sono qui compresi, oltre a dipinti e statuette, anzitut­ to suppellettili che non hanno un impiego o un senso precisi: tutta la congerie, insomma, di ninnoli che all’ospite di una famiglia perbene ha da offrire l’immagine del benessere e che ai padroni di casa per­ mette di abbandonarsi al gioco di una immaginazione puerile e im­ matura. È interessante rilevare che la produzione di tutti questi og­ getti, souvenirs, animali, statuette smaccate, coppe e servizi non fun­ zionali, che trae origine nel XIX secolo, continua tutt’oggi malgrado quanto, e non è poco, si è fatto nel campo del « design » industriale. Lo sviluppo della tecnica, con tutti i risultati che ha comportato, ha permesso la realizzazione, con spesa relativamente modica, di qualsiasi idea balenata alla mente di gente incolta. Non c’è forma che non sia attuabile in questa o quella maniera, per cui si è creata così la base sulla quale si incontrano gli interessi del mercato con quelli di un’am­ pia cerchia di persone prive di qualsiasi affinità per i genuini valori del passato, lo studio della storia nonché dei principi inerenti all’impiego dei materiali. Né gli uni né gli altri si curano dei rapporti tra forma e materia e, quel che è peggio, non cercano affatto forme genuinamente espressive e funzionali per il semplice fatto che non sono in grado di intenderle. Al posto di fatti autentici si accontentano di surrogati che sono persino sentiti come più belli: la parvenza e la falsa vistosità so­ stituiscono uno stato inesistente. Al pari dei conducenti degli autotreni che adornano di ritagli di rotocalchi le cabine per girare il mondo as­ sieme a fittizie bellezze e dormire con loro nei posteggi, un numero 280

assai notevole di persone, molte più di quanto si possa supporre te­ nendo conto della scuola divenuta obbligatoria in gran parte del mondo e della massa di informazioni che i programmi scolastici forniscono sul tema del progresso della società, non è ancora capace di distinguere in maniera per quanto elementare tra apparenza e realtà, tra la raffigura­ zione e il raffigurato. I tratti peculiari dei popoli primitivi e dei bam­ bini tornano a manifestarsi negli ambienti più avanzati della civiltà tecnologica grazie alla emancipazione dagli intralci prima frapposti alla elaborazione artigianale dalla refrattarietà dei materiali, fenomeno che ha come riflesso secondario anche il godimento di oggetti Kitsch. Con ciò non si intende affatto affermare che il Kitsch sia legato ai popoli primitivi e all’infanzia. Al contrario. Essi rappresentano categorie di esseri umani che creano spontaneamente oggetti della più autentica forza espressiva in cui proprio il legame tra struttura e forma si esprime con evidenza; è vero peraltro che mancando costoro di una coscienza della validità dei loro prodotti artistici e incapaci come sono di distili guere tra la raffigurazione e il raffigurato, sono quelli che più facilmente

246-247) La torre boccale ili birra e il vassoio col prezioso fimo-pizzo dipinto, sono due esempi di un tipo di Kitsch che perdura immutalo da pii, di me/.'o

secolo.

(I due pezzi con quelli delle illustrazioni 251

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