Il cinema di Werner Herzog e la Germania. Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck, Invincibile 8866331244, 9788866331247

"C'è un livello di verità molto più profondo di quello della realtà quotidiana. Il mio compito è di scovarlo (

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Il cinema di Werner Herzog e la Germania. Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck, Invincibile
 8866331244, 9788866331247

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5307-AB-cop-Salvestroni_a4 15/04/2013 16:07 Page 1

14,5 cm

9 mm

Simonetta Salvestroni Il cinema di Werner Herzog e la Germania Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck, Invincibile

CINEMA

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Simonetta Salvestroni insegna Storia e Critica del Cinema presso il polo umanistico dell’Università di Cagliari. Da molti anni si occupa dei linguaggi dell’arte. A partire dal 1979 ha lavorato col semiologo russo Jurij Lotman. Ha curato, tradotto e introdotto i volumi Testo e contesto (Laterza, 1980) e la Semiosfera (Marsilio, 1985). Ha scritto numerosi articoli su Lotman, Bachtin e la semiotica russa. Ha pubblicato nel 2000 il volume Dostoevskij e la Bibbia (Qiqajon), tradotto in francese e in russo. Nel 2005 ha pubblicato il libro Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa (Qiqajon) e nel 2007 la sua traduzione russa. Nel 2011 ha pubblicato il libro Il cinema di Dreyer e la spritualità del Nord Europa (Marsilio).

Simonetta Salvestroni Il cinema di Werner Herzog e la Germania

21 cm

“C’è un livello di verità molto più profondo di quello della realtà quotidiana. Il mio compito è di scovarlo (...). Ho sempre pensato che, in una certa misura, il cinema dovrebbe spingere gli spettatori a prendere sul serio i propri sogni e a trovare il coraggio di fare ciò che realmente desiderano, anche a costo di falllire. Se trovo una persona che, uscendo dal cinema dopo aver visto un mio film insieme ad altri trecento spettatori, non si sente più sola, allora ho ottenuto tutto ciò che mi sono prefisso” (Werner Herzog). A cinquant’anni di distanza dall’inizio dell’attività cinematografica di questo regista appassionato e creativo ci sono ben pochi studi che aiutino a comprendere la profondità e la ricchezza di significato di opere che sono dotate di una straordinaria potenza visiva e che rivelano “un’inesausta indagine sul linguaggio e i suoi mezzi espressivi”. Questo lavoro è dedicato ai cinque film di Werner Herzog ambientati in Germania. La scelta nasce dal fatto che il complesso rapporto col paese in cui è nato è di fondamentale importanza per comprendere il cinema del regista, la ricchezza semantica delle sue opere, l’elaborazione di un linguaggio cinematografico profondamente originale. Attraverso i suoi protagonisti privilegiati, i film ambientati in Germania celebrano un dono, che rende l’uomo diverso da tutti gli altri esseri del creato. È il dono del dubbio che porta a pensare che il senso dell’esistenza possa essere più complesso e profondo di quello che ci è stato insegnato, imposto o abilmente suggerito di credere. La libertà mentale, che è legata a questo dono, spinge i personaggi e con loro lo spettatore verso un cammino di conoscenza che ogni essere umano avrebbe bisogno di compiere nella sua vita, qualunque sia il rischio che questa impresa comporta.

ISBN 978-88-6633-124-7

€ 18,00 AB 5307

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Simonetta Salvestroni

Il cinema di Werner Herzog e la Germania Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck, Invincibile

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INDICE

Introduzione ..........................................................................................

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Capitolo primo – Herz aus Glas (Cuore di vetro) ................................

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Capitolo secondo – Jeder fur sich und Gott gegen alle - The enigma of Kaspar Hauser .......................................................................................

47

Capitolo terzo – Nosferatu ....................................................................

69

Capitolo quarto – Woyzeck ...................................................................

99

Capitolo quinto – Invincibile ................................................................

115

Filmografia ............................................................................................

143

Bibliografia ............................................................................................

149

Indice dei nomi ......................................................................................

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Ringraziamenti Ringrazio Sandro Bernardi, Edoardo Arborio Mella, Guglielmo Pescatore, David Bruni e Umberto Fasolato per la lettura, i consigli e l’aiuto dato a questo mio lavoro.

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Introduzione

1. Il cinema di Werner Herzog e la Germania Nella sua attività cinematografica iniziata nel 1962 Werner Herzog ha realizzato più di cinquanta opere. Nell’introduzione al volume pubblicato in occasione della manifestazione dedicata al regista a Torino nel 2008 Alberto Barbera scrive: Forse, a causa del fatto che la maggior parte dei suoi film (corto, medio e lungometraggi) sono ancora inediti in Italia – benché molti di essi abbiano fatto la loro apparizione in questo o quel festival o siano stati di recente pubblicati in DVD – si ha l’impressione di sapere tutto sul cinema di Herzog e, nello stesso tempo, di non conoscerlo abbastanza1.

Afferma Paul Cronin nelle pagine di apertura della prima lunga intervista rilasciata dall’autore tedesco nel 2002: Herzog è una figura grandemente sottostimata in patria. Per giunta è stato in buona misura ignorato negli studi accademici in lingua inglese. Perciò questo libro – (Incontri alla fine del mondo) – reclamava da anni di essere scritto2.

Dopo la realizzazione di Invincibile (2002), oltre alle lunghe interviste l’autore tedesco ha curato personalmente i DVD dei suoi film

1 A. Barbera, Introduzione, in G. Paganelli, Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, Editrice il Castoro, Milano, 2008, p. 5. 2 Paul Cronin, Introduzione, in W. Herzog, Incontri alla fine del mondo, minimum fax, Roma, 2009, p. 6-8 (la prima edizione inglese, Herzog on Herzog, Faber&Faber, London è del 2002). Cronin aggiunge: “Il primo grande ostacolo è stato Herzog stesso (...) Incontri alla fine del mondo non avrebbe mai potuto essere scritto da un accademico o da uno studioso di estetica, perché Herzog non sopporta una serrata indagine critica e ideologica sul suo lavoro”.

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Introduzione

più importanti, commentando ogni singola scena3. Ha messo così a disposizione di coloro che amano il suo cinema una grande quantità di materiale. A cinquant’anni di distanza dall’inizio dell’attività cinematografica di questo regista appassionato e creativo, eternamente alla ricerca della bellezza e di una “verità più alta di quella quotidiana”, ci sono ben pochi studi che aiutino a comprendere la profondità e la ricchezza di significato di opere che sono dotate di una straordinaria potenza visiva e che rivelano “un’inesausta indagine sul linguaggio e i suoi mezzi espressivi”4. Nella ricerca artistica di Herzog è importante il contesto storico e culturale in cui egli si è formato. Esso si rivela in modo più evidente nei cinque film ambientati in Germania: The enigma of Kaspar Hauser (1974), Herz aus Glas (1976), Nosferatu (1979), Woyzeck (1979) e Invincibile (2001)5. I primi quattro, girati con l’operatore Jörg Schmidt-Reitwein, appassionato di storia dell’arte e in particolare della pittura fiamminga, sono, come vedremo, strettamente legati fra loro. Nelle opere di fiction successive, Fitzcarraldo (1982), Cobra verde (1987), Schrei aus Stein (Grido di pietra) (1991), ambientate nella giungla peruviana e in Patagonia, scompaiono gli interni e le piccole città del nord e con essi l’influenza della pittura fiamminga. Quando, dopo più di trent’anni, il regista torna con Invincibile alla Germania per affrontare un periodo cruciale della sua storia, l’interesse per gli interni è fortissimo, perché è essenziale per il regista ricreare l’atmosfera della Berlino dei primi anni trenta, ma è meno forte l’influenza pittorica, che caratterizza il corpus dei quattro film degli anni settanta6. La vicenda, ambientata nella capitale tedesca nel 1932 in luoghi dove si gestisce e si manipola il potere, fa affiorare una pesante eredità storica e esistenziale che il regista si è portato dentro per quarant’anni. Ho scelto di concentrare il mio lavoro sui film ambientati in Germania, che, con la sola eccezione di Invincibile, sono stati girati fra il Mentre scorre il film, per tutta la sua durata il regista ricorda aneddoti legati alle riprese, spiega le difficoltà, racconta come ha scelto le musiche, le sequenze che gli sono riuscite meglio e quelle che ama di più. 4 Questa espressione è di Alberto Barbera (op. cit., p. 6). 5 Mi riferisco alla fiction. Alcuni documentari sono ambientati in Germania. Quello che il regista ama di più è Land des Schweigens und der Dunkelheit (Il paese del silenzio e dell’oscurità) (1971). 6 È diverso anche l’operatore, che per Invincibile è Peter Zeitlinger. 3

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1974 e il 1979 all’apice della carriera del regista, perché il rapporto col paese in cui è nato è secondo me fondamentale per comprendere l’attività artistica di Werner Herzog, la ricchezza semantica delle sue opere, l’elaborazione di un linguaggio cinematografico profondamente originale7. I due film girati nel 1979, Nosferatu e Woyzeck, nascono dal bisogno di celebrare una tradizione culturale profondamente amata. Noi bambini cresciuti nella Germania postbellica non avevamo padri da cui imparare… eravamo privi di punti di riferimento (…) dal 30 gennaio 1933, giorno della presa del potere da parte di Hitler, fino agli anni sessanta non c’è stato alcun cinema tedesco legittimo. Si è aperto un vuoto di trent’anni. (…) Perciò i nostri punti di riferimento sono diventati i nostri nonni: Lang, Murnau, Pabst e altri (…). Il bisogno di ricollegarsi alla propria cultura è stato intensamente avvertito da molti giovani cineasti tedeschi degli anni Settanta8. Trarre un film da Woyzeck ha voluto dire ritornare al cuore pulsante della mia storia culturale. Per questa ragione nel film c’è qualcosa che va oltre me stesso. Tocca le vette dorate della tradizione tedesca e perciò sprigiona luce. Io non ho fatto altro che salire a quelle altezze e attingervi9.

Aiuta a capire il senso della ricerca artistica di Werner Herzog quello che egli racconta della sua attrazione per l’Africa: in particolare, le ragioni che a vent’anni lo hanno spinto a partire per il Congo, dove “in quel periodo era scomparsa ogni traccia di civiltà, ogni forma di organizzazione e di sicurezza”. Osservando l’Africa, volevo meglio comprendere l’origine del nazismo in Germania (...) volevo capire come era potuto accadere che la Germania avesse perso ogni sorta di civiltà nel volgere di pochi anni.

7 Herzog afferma con ragione che tutti i suoi film sono tedeschi Un film come Aguirre, che si svolge nel 1560 ed ha per protagonisti degli avventurieri spagnoli in Perù, – dice il regista nel 1978 – rimane un film tedesco con uno sfondo tedesco molto forte, come gli infantili sogni tedeschi di gloria e di avventura” (W. Herzog, Intervista, in M. Fontana, Film Und Drang. Nuovo cinema tedesco, Vallecchi, Firenze, 1978, pp. 72-73). Tuttavia le opere realizzate fra il 1974 e il ’79 e Invincibile presentano in modo diretto le atmosfere, le dinamiche sociali, il contesto del paese in cui il regista è nato e che gli sta tanto a cuore. 8 W. Herzog, Incontri alla fine del mondo, cit., pp. 16-17. 9 Ibidem, p. 191.

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In apparenza era un paese civilizzato e stabile, con una grande tradizione nella filosofia, nella matematica, nella letteratura e nella musica. Poi, all’improvviso, tutto è scomparso10.

Herzog definisce il pubblico tedesco “cauto e guardingo”. Spiega questo atteggiamento col fatto che “la Germania è stata la causa delle due più grandi catastrofi dell’umanità negli ultimi cento anni”11. Egli appartiene a questo popolo e alla generazione che ha conosciuto le conseguenze del nazismo. Porta sulle sue spalle lo stesso peso, gli stessi dolenti interrogativi, ma anche la stessa grande tradizione artistica e culturale. È la condizione di altri due registi suoi coetanei, Wim Wenders e Rainer Werner Fassbinder. Herzog parla di loro nell’intervista a Cronin, sottolineando l’affinità che li lega12. Irresistibilmente attratto dalle immagini, dal contatto col mondo naturale, da ciò che può vedere e toccare, Herzog non si è affidato ai libri per trovare una risposta ai suoi interrogativi13. The Enigma of Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck si svolgono nel XIX secolo. Come se sentisse il bisogno di allontanarsi per vedere più chiaramente, Herzog cerca una risposta storica e insieme esistenziale, immergendosi nei mali del passato, nelle atmosfere, nei comportamenti umani di fronte al pericolo.

10 G. Paganelli, Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, Editrice il Castoro, Milano, 2008, pp. 127-128. Il viaggio è costato al regista sacrifici, rischi, sofferenze. Cfr. a questo proposito anche Was ich bin sind meine filme/En Portrait von Werner Herzog (Io sono i miei film. Un ritratto di Werner Herzog) regia di Christian Weisebond e Erwin Keush, 1978. Il cortometraggio, che contiene l’intervista rilasciata da Herzog a Laurens Straub, è contenuto nel DVD Where the Green Ants dream (Dove sognano le formiche verdi), Ripley’s Home Video, maggio 2005. 11 W. Herzog, Incontri, cit., p. 57. 12 “Mi piace molto Wim Wenders. È stato un buon compagno e collega e, anche se ci vediamo molto di rado, è sempre bello sapere che in giro c’è qualcuno che lavora nella tua stessa direzione”. E a proposito di Fassbinder: “Spesso avevo la sensazione che facesse due o tre brutti film di fila (...) ma poi, quando cominciavo a perdere la speranza, d’improvviso ne faceva uno bellissimo. Continuavo a ripetermi: “Non perdere mai la fiducia in quest’uomo” (Ibidem, pp. 54-55). 13 Nelle interviste e nei commenti ai film Herzog non cita nessuna delle numerose opere uscite su questo argomento. Ad alcune farò riferimento più avanti in questo lavoro.

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2. La formazione del regista nella Germania del primo dopoguerra Dei ricordi di un’infanzia, che “è stata totalmente separata dal mondo esterno”, Herzog racconta i giochi fra le macerie, la fame, la solitudine durante una lunga degenza in ospedale, in cui passava il tempo giocando con un filo di lana della coperta14. Lo fa in modo pacato e apparentemente sereno, mettendo in luce gli aspetti avventurosi e “fascinosi” di questo periodo della sua esistenza. “Il filo di lana – dice – era pieno di storie e di fantasie”, “crescere fra le rovine è stato stupendo”, perché i bambini giocando “trasformavano i resti degli edifici in teatri di grandi avventure”15. Tuttavia quando parla di un altro tedesco, Dieter Dengler, protagonista del documentario Little Dieter needs to Fly (1997), gli accenti sono diversi: Dieter aveva vissuto un’infanzia talmente difficile e dura nella Germania postbellica, che era molto preparato per un’esperienza del genere (la guerra in Vietnam, la prigionia, le torture) (...). Da piccolo egli ha visto cose assurde. La Germania era stata trasformata in un’allucinazione surreale. Nel film vengono mostrate le riprese delle città bombardate. Come me, Dieter ha dovuto cavarsela da subito con le sue forze16.

A questa descrizione viene aggiunto un dettaglio significativo per Dengler, ma anche, come vedremo, per lo stesso regista: “Dieter era capace di gustare la vita al massimo dell’intensità. Credo che si riesca a percepirlo nel film”17. In modo più diretto, in una conferenza tenuta a Monaco nel 1991 il collega Wim Wenders18 descrive il suo modo di sentire nei confronti del paese in cui è nato e il suo desiderio di adolescente di allontanarsene appena possibile. Le mie prime memorie sono di macerie, mucchi di macerie (...). Questo era il mondo. Un bambino lo prende così com’è (...). Spesso è co-

Ibidem, pp. 17-23. Ibidem e Io sono i miei film, cit. I dettagli evidenziano tuttavia la durezza di questa esistenza: “La nostra casa non aveva l’acqua corrente. Non avevamo materassi (…) non dovremmo parlare di genitori al plurale, dal momento che mio padre non ha mai avuto un ruolo nella mia vita (W. Herzog, Incontri, cit., pp. 17 e 19). 16 W. Herzog, Incontri, cit., pp. 300-302. 17 Ibidem. 18 Herzog è nato nel 1942, Wenders nel 1945. 14

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me se mi lamentassi della Germania, come se me ne vergognassi (...) mi sembra qualcosa che non esiste più o che non ha ancora cominciato ad esistere. È come un vuoto. Non ho mai desiderato stare in Germania. Anche da bambino volevo andarmene e, appena ho potuto, sono partito. Non era che fossi attratto da luoghi distanti, quanto piuttosto che sentivo avversione per il paese in cui vivevo, per il vuoto, per la mancanza di un passato. Non puoi convincere un bambino a non guardarsi alle spalle. Sono cresciuto con la sensazione che fosse sbagliato guardarsi in dietro. Dietro di noi c’era un buco nero. Così ognuno guardava avanti (...). La Germania è forse il primo paese che sia stato sedotto da false immagini. Vent’anni di nazismo hanno sviluppato la nostra sfiducia nelle immagini e nella storia19.

La delusione provocata dagli Stati Uniti e il bisogno di usare di nuovo la propria lingua hanno determinato il ritorno in patria di Wenders e la riflessione in chiave artistico-immaginosa, compiuta in Der Himmel über Berlin (Il cielo sopra Berlino) (1987), su che cosa significa negli anni ottanta essere tedeschi. In modo simile, le difficoltà vissute nell’infanzia in una Germania devastata, il disagio per il male provocato dal suo paese, il dubbio che “la nostra civiltà sia come un sottile strato di ghiaccio sopra un oceano profondo di caos e di tenebra”20, hanno portato Werner Herzog a girare il mondo. A quattordici anni ho iniziato la ricerca disperata di un luogo quasi ideale, una specie di utopia che ho inseguito: paesaggi umanamente dignitosi dove vivere21.

Il primo tentativo, quello di raggiungere l’Albania, non è riuscito. Subito dopo egli è andato in Egitto e in Sudan, dove ha vissuto – dice – “esperienze tremende”. In Was ich bin sind meine filme (Io sono i miei film) egli racconta di essere rimasto per una settimana ammalato all’interno di una capanna. Aveva la febbre alta e il delirio e i topi gli mordevano il maglione, il gomito, la faccia22. 19 W. Wenders, On Film, Faber&Faber, London, 2001, pp. 435-441. Il saggio, intitolato Talk on Germany è stato letto a Monaco nel 1991. 20 W. Herzog, Incontri, cit., p. 16. Come in ogni essere umano, nella personalità di Herzog ci sono ombre e luci. Nelle riflessioni e nelle interviste della piena maturità sulla sua attività artistica e la sua visione del mondo a prevalere sono soprattutto gli aspetti luminosi. 21 W. Herzog, Was ich bin sind meine filme (Io sono i miei film), cit. 22 Ibidem. “Queste cose – commenta – mi hanno lasciato un’impronta. Anche l’essere tanto solo”.

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Nei suoi viaggi fino ai confini del mondo Herzog ha cercato e filmato i paesaggi che lo hanno colpito nel profondo, ma il luogo ideale non è mai stato concretamente raggiunto né da lui né dai personaggi dei suoi film. È stato possibile visitarlo soltanto nelle visioni mentali e nei sogni. Lo troviamo nei paesaggi di una delicata suggestiva bellezza di Herz aus Glas, di Kaspar Hauser, di Nosferatu, di altri brevi e lungometraggi. Con una passione e una tenacia inarrestabili il regista ha dedicato la sua vita a cercare nel mondo naturale, nei paesaggi, negli interni una bellezza che sfugge alla maggior parte degli esseri umani e che per lui coincide con l’essenza delle cose23. Alla base di questo cammino ci sono “ostacoli e sconfitte”: È “questione di fondamentali esperienze di vita, che fanno bene all’uomo”: Un esempio è provare che cosa sia la fame (...) avere molta fame e vedere mia madre disperata e furiosa al tempo stesso, mentre cercava di nutrirci quando non avevamo abbastanza da mangiare (...) la solitudine, la fame, la prigione, una grave malattia, avere dei figli molte cose ci definiscono24.

3. Visioni, sogni e la ricerca dell’essenza delle cose Nella lunga intervista rilasciata a Paul Cronin il regista parla delle visioni mentali e dei sogni, leit-motiv dei suoi film: Io credo sinceramente che le immagini dei miei film siano anche le tue immagini. In qualche modo, le puoi trovare nascoste nel profondo del tuo inconscio (...). Vedere le immagini su pellicola le risveglia, come se io ti presentassi un fratello, che non hai mai avuto modo di conoscere. Questa è la ragione per cui tante persone in tutto il mondo sembrano entrare in sintonia con i miei film. L’unica differenza fra me e te è che io sono in grado di articolare in modo abbastanza chiaro queste immagini mai pronunciate e mai proclamate, i nostri sogni collettivi25.

Cfr. G. Paganelli, op. cit., p. 41, W. Herzog, Incontri, cit., p. 139 etc. G. Paganelli, op. cit., p. 57. 25 Ibidem, p. 83. L’esempio, che Herzog porta per sostenere queste affermazioni, è il soffitto della Cappella Sistina: “Per spiegarmi, consentitemi di citare una persona a cui comunque non voglio assolutamente paragonarmi. Molti anni fa so23 24

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Le visioni e i sogni non nascono dal nulla: sono frutto della rielaborazione e trasformazione profonda di ciò che ci ha colpito nella quotidianità: quello che abbiamo visto, ascoltato, letto anche molto tempo prima26. Le visioni del profeta di Herz aus Glas, le scene di Nosferatu sulla spiaggia o nella inquietante dimensione di Passo Borgo, i sogni e le immagini mentali di Kaspar trovano una fonte nei dipinti che hanno colpito e arricchito l’immaginazione visiva del regista e dell’operatore. Nei film degli anni settanta il cinema di Herzog è fortemente influenzato dalla pittura del nord Europa: dai quadri di Friedrich27, di Hercules Seghers, dei fiamminghi, ricordati nelle interviste dallo stesso regista. Caspar David Friedrich (1774-1840), il più importante pittore del romanticismo tedesco, ha una particolare predilezione per le albe e i tramonti nordici avvolti nella bruma. In particolare sono vicini alla sensibilità di Herzog Il viandante su un mare di nebbia (1817), dove un personaggio raffigurato di spalle sta in piedi su una roccia e osserva il movimento caotico e tumultuoso di un’impalpabile massa bianca, Mattino (1820) con gli abeti disposti in diagonale, anch’essi avvolti dalla nebbia, Il monaco in riva al mare (1810). Questi dipinti hanno un’evidente somiglianza con le immagini del prologo di Herz aus Glas e di alcune sequenze di Nosferatu. “Friedrich – afferma Herzog – è un uomo che non ha mai voluto dipingere paesaggi in sé e per sé, ma piuttosto esplorare e mostrare paesaggi interiori”28. L’olandese Hercules Seghers (1590-1640), apprezzato da Rembrandt che possedeva alcune sue tele, ha dipinto esclusivamente paesaggi, sia realistici che immaginari: ampie vedute di pianure fiancheggiate da rocce e montagne sovrastate da cieli nuvolosi, simili ad alcune inquadrature che si presentano nelle visioni di Hias. no andato in Vaticano e ho guardato gli affreschi di Michelangelo per un giorno intero. Sono stato sopraffatto dalla sensazione che prima di Michelangelo nessuno avesse articolato e raffigurato il pathos umano come ha fatto lui in quei dipinti. Da allora tutti noi ci siamo compresi un po’ più a fondo. Per questa ragione io penso davvero che le conquiste di Michelangelo siano tanto importanti” (Ibidem, p. 84, il corsivo è mio). 26 Per questi processi mentali rimando all’opera di I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bilogica, Einaudi, Torino 1981. 27 Friedrich è noto ai registi e agli studiosi di cinema, perché alcune inquadrature del Nosferatu realizzato da Murnau nel 1922 si ispirano ai suoi dipinti. 28 W. Herzog, Incontri, p. 164.

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Introduzione

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Seghers – dice il regista – era una di quelle figure chiaroveggenti che, nella loro totale indipendenza, sono in anticipo di centinaia di anni sul proprio tempo (...). I suoi paesaggi non sono affatto paesaggi. Sono stati della mente29.

Realizzare le sequenze pittoriche, in cui fa scorrere di fronte agli occhi dello spettatore le sue visioni mentali e i suoi sogni, ha richiesto a Herzog passione, inventiva, paziente lavoro, una cura particolare per i suoni e le musiche, che non iniziano subito, ma soltanto quando lo spettatore ha introiettato l’immagine. Sono state necessarie fatiche fisiche, attese di ore in alta montagna, una ricerca di paesaggi che si è svolta in Irlanda, in Alaska, nei parchi degli Stati Uniti, in Australia, in Africa30. La pittura fiamminga ha influenzato invece l’illuminazione e la disposizione degli interni e gli scorci delle cittadine nordiche in cui si svolge l’azione. Per Nosferatu, anche se la storia si svolge a Wismar, il regista sceglie come location la città di Delft, il luogo dove è nato e vissuto Johannes Vermeer (1632-1675). Herzog descrive così il lavoro che è stato compiuto per realizzare i film degli anni settanta: Studiavamo prima le angolazioni, gli spazi, il modo di riprendere gli attori. L’operatore aveva un grande intuito per il ritmo delle immagini e per le luci. In Woyzeck si vede la maestria dell’illuminazione degli interni, il calore che emana dal legno, o, ad esempio, la profondità che dà una finestra31.

Sono le caratteristiche dei quadri di Vermeer, maestro negli effetti creati dalle calibrate strutture spaziali e dai delicati e luminosi accordi di colore, che rendono unici e irripetibili i suoi dipinti. L’artista olandese ha la capacità di scoprire e rivelare nelle cose più comuni un mondo di incredibile e inesauribile bellezza. In un tappeto posato su

Ibidem, p. 165. Ritornerò su questa ricerca e sulle difficoltà tecniche che il regista ha dovuto affrontare nei capitoli successivi. 31 W. Herzog, Commento a Woyzeck, cit. Nel Commento Herzog dice esplicitamente di essersi ispirato ai quadri di questo artista per un’immagine particolarmente suggestiva: quella della protagonista seduta presso una finestra, dalla quale, grazie al gioco di luce del crepuscolo, si vedono chiaramente i dettagli della piazza: “Abbiamo dovuto aspettare i dieci minuti della giornata in cui dalla finestra si può scorgere la piazza. Prima c’era troppa luce, poi troppo buio”. 29 30

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un tavolo e cadente in pieghe vi è una complessità di meravigliosi effetti di colore, di toni, di luci. Vermeer rivela lo “stilleben”, la vita silenziosa degli oggetti. Egli è selettivo, sensibile a ciò che tocca la sua anima assetata di armonia32. Quello che il pittore olandese e il regista tedesco hanno in comune è la capacità di vedere e scoprire ciò che rimane nascosto ad una visione superficiale. Nonostante l’egoismo, la codardia, la follia di coloro che li abitano, gli interni incolpevoli di Herz aus Glas, di Nosferatu, di Woyzeck esprimono una delicata bellezza quando sono toccati dalla luce, che rivela la loro essenza. Aprire gli occhi per la prima volta – afferma il regista parlando di Kaspar Hauser – ha già una qualità in sé, significa guardare le immagini con grande compassione e ammirazione. (...) Questo è ciò che si trova molto spesso nei miei film: l’osservazione stupita di qualcosa che ha in sé tanta grande bellezza e importanza33. Io stesso sono innamorato del mondo. Mi sveglio e sono innamorato del mondo34.

E a proposito di Fata Morgana (1970). Il film è pieno di contraddizioni ma, al tempo stesso, è come un’adorazione del mondo. Alcuni di questi aspetti tornano in altri film (...) il cui finale è qualcosa di sublime, che va oltre di noi, qualcosa di bellissimo e strano35.

Artisti come Rembrandt, Vermeer, Michelangelo hanno ricevuto il dono di vedere e esprimere la bellezza, che nelle loro opere rivela l’armonia profonda e l’essenza delle cose, al di là delle ombre della superficie. Nell’ambito cinematografico Werner Herzog ha questo stesso dono. Ha cercato la bellezza per tutta la vita, per strade a volte tortuose, anche quando rappresenta un mondo oppresso da forze oscure, potenti, distruttive. Sono in grado di coglierla i suoi protagonisti che hanno un cuore di vetro: Hias, Kaspar Hauser, Lucy di Nosferatu, Zishe

32 Cfr. A. K. Wheelock, Vermeer. The complete Works, Abrams, New York, 1997, I. Netta, Vermeer’s World, Pegasus Library, Prestel, Munich, 1997, Alberto Martini, Vermeer, I maestri del colore, Fabbri ed., Milano, 1964. 33 G. Paganelli, Segni di vita, cit., p. 77. 34 G. Paganelli, op. cit., p. 77. 35 Ibidem, p. 67.

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e Benjamin di Invincibile. Altre volte non sono i personaggi a vedere, ma l’occhio che guarda loro e il mondo. La bellezza è presente nel cinema di Herzog anche in film che mostrano mondi oppressi o deturpati: ad esempio nell’incanto e nella suggestione dei delicati, tenui, armonici, colori di Lektionen in Finsternis (Apocalisse nel deserto) (1992), che scorrono sullo schermo mentre risuona la musica di Mahler. Mi soffermo brevemente su questo documentario perché aiuta a comprendere il rapporto del regista con la bellezza. Herzog non è un esteta, ma un artista che cerca con passione l’essenza delle cose. È significativa l’epigrafe che apre il film: “La caduta degli universi si compirà – come la Creazione – con imponente bellezza”. La firma in calce è Blaise Pascal. L’epigrafe – commenta il regista – non è di Pascal, bensì mia. Vorrei aggiungere che Pascal non si sarebbe potuto esprimere meglio36. La citazione pseudo-pascaliana ti solleva fin dal primo minuto a un livello che ti lascia presagire qualcosa di importante. Gli spettatori vengono subito a trovarsi nel regno della poesia, che tocca inevitabilmente una corda più profonda del mero reportage. Con Pascal ci troviamo immersi in una dimensione cosmica ancora prima che le immagini inizino a scorrere sullo schermo. Apocalisse nel deserto ti trattiene lassù fino all’ultima inquadratura, senza vergogna37.

Herzog è uno dei registi capaci di trasmettere allo spettatore una dimensione più alta di quella quotidiana attraverso immagini di grande intensità. Pochi sono riusciti in questa impresa: Dreyer ne La Passion de Jeanne d’Arc e nei finali di Dies Irae e di Ordet, Andrey Tarkovskij nei suoi sette film, Bergman in alcuni momenti della sua vasta produzione38. L’intento del regista è quello di portare fin dall’inizio il pubblico “ad un livello elevato”. “In quanto autore – dice – non concedo (allo spettatore) di scendere da quel livello fino alla fine del film”, perché

36 G. Paganelli, op. cit., p. 178. A queste parole Herzog aggiunge: “In relazione ai pozzi di petrolio in fiamme nel Kuwait dopo la prima guerra contro l’Iraq, i mass media non sono stati in grado di mostrare qualcosa che, oltre a rappresentare un crimine di guerra, era un avvenimento di dimensioni cosmiche, un crimine contro la Creazione stessa” (ibidem). 37 W. Herzog, Incontri, cit., p. 279. 38 A mio avviso, in questi ultimi anni lo ha fatto in modo semplice, ma diretto e efficace il coreano Kim Ki Duk in Primavera, estate, autunno inverno …e ancora primavera e nell’Arco.

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solo di qui “può derivare qualcosa come una verità profonda”39. Hanno questa funzione i prologhi di Herz aus Glas, di Nosferatu, di Kaspar Hauser, l’epigrafe di Lektionen in Finsternis (Apocalisse nel deserto), l’aria di Händel che accompagna la prima sequenza di Invincibile e che dà il tono alla scena. Come vedremo nei capitoli successivi, quello che l’autore vuole condividere con lo spettatore non è solo un affascinante viaggio onirico, ma un percorso di conoscenza. Ciò che Werner Herzog, guidato da una profonda spinta interiore, è riuscito a cogliere e ad esprimere nei film degli anni settanta, è oggetto di riflessione nelle interviste rilasciate a partire dal 2002. Certamente fra tutti i miei film ci sono interrelazioni – afferma nella conversazione con Laurens Straub, che accompagna il documentario parzialmente girato in India sulle iniziazioni buddiste –. È come se finora avessi lavorato ad un unico grande film. Kalachakra appartiene certamente a ciò che più mi riesce, che mi è molto vicino, per cui anch’io funziono al meglio (…) si tratta di spiritualità, di qualcosa che ho cercato sempre in tutti i miei film40.

Esiste uno stretto legame fra Hias, il profeta-mandriano di Herz aus Glas, Fini, la sordo-cieca di Land des Schweigens und der Dunkelheit (Il paese del silenzio e dell’oscurità) (1971), Kaspar Hauser, Lucy Harker, Zishe Breitbart di Invincibile e altri personaggi delle opere di Herzog. Il regista mette in evidenza questa affinità nell’intervista del 2002: Ho sempre pensato ai miei film come ad un unica grande opera portata avanti per quarant’anni. I personaggi di questo immenso racconto sono tutti ribelli, disperati e solitari (...) A causa di ciò finiscono inevitabilmente per soffrire (...) ma continuano senza tregua ad andare avanti anche se feriti e lottano contando solo sulle loro forze (…). Sono punti di riferimento non solo per il mio lavoro, ma anche per la mia vita41.

Questi personaggi appartengono alla stessa famiglia. Ognuno ha una diversa condizione di emarginazione e di solitudine, una condi-

G. Paganelli, op. cit., p. 178. Intervista a Werner Herzog di Laurens Straub contenuta negli extra del documentario Kalachakra, DVD Ripley’s Home Video, 2004. 41 W. Herzog, Incontri cit., pp. 88-90. 39 40

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zione che, come loro, il regista ha sperimentato sulla sua pelle. Anche se per Fini può apparire un paradosso, essi hanno in comune la limpidezza dello sguardo, capace di andare al di là della superficie, di cogliere l’essenza delle cose. Fini – afferma Herzog – sentiva che la sua vita aveva senso perché riusciva ad aiutare tantissima gente, girando parecchio e trascorrendo del tempo con persone sorde e cieche come lei. Ovviamente deve avere sperimentato una profonda infelicità, visto che è stata costretta a letto per trent’anni (…) ma c’erano cose che per lei contavano molto di più, punto è basta42.

Il regista attribuisce all’amica, personaggio del film del 1971, e a Hias, protagonista di Herz aus Glas, un modo di sentire simile al suo: Io non sono proprio tagliato per la felicità. Non è mai stato un mio obbiettivo; non ragiono in questi termini (…). Credo di essere alla ricerca di qualcos’altro (…). Si tratta di dare un qualche significato alla mia esistenza43.

Per sua stessa ammissione egli trova questo significato nel lavoro: Fare un film non è semplice. Provoca dolore. Tutti i miei film vengono fuori dal dolore. È questa la loro fonte. Per fare un film serve coraggio, occorre sentire un’urgenza, un obbligo a farli44.

Grazie alla sua sensibilità e al suo talento artistico Herzog ha saputo superare la difficile condizione storica e esistenziale in cui si è trovato a vivere attraverso la sua attività cinematografica. Ho fatto molte esperienze e ho tirato delle somme. Non si può veramente chiedere che cosa sia la verità (...) lottare per essa, tentare di raggiungere qualcosa dà significato alla nostra esistenza (...) c’è qualcosa dentro al cuore dell’uomo, nell’animo umano, che la desidera (...). La scienza e la filosofia chiedono a noi, in quanto registi di cinema, di mettere il pubblico nella condizione di osservarla più in profondità45.

Ibidem, pp. 91-92. Ibidem, pp. 46-47. 44 La prima citazione è tratta dal documentario che nel DVD bilingue accompagna Nosferatu, la seconda da W. Herzog, Incontri, cit., p. 92. 45 G. Paganelli, op. cit., pp. 41-42. 42 43

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Queste parole, che il regista pronuncia con disagio, quasi col timore di apparire pretenzioso46, definiscono la sua ricerca e il senso del cammino che egli fa compiere ai suoi protagonisti dotati di un cuore di vetro.

46 “Dico questo con grande attenzione, perché suona pretenzioso (...). Ecco perché nel manifesto (La dichiarazione del Minnesota del 1999), ci sono momenti divertenti: perché non abbia la brutta caratteristica di apparire pretenzioso” (ibidem). Scrive Paul Cronin nell’introduzione alla sua intervista: “(Herzog) non è un eccentrico. Il suo lavoro non si colloca nell’alveo del romanticismo tedesco (...) è un uomo estremamente piacevole, generoso e umile, che ha ricevuto in dono uno sguardo straordinario sulle cose e un’intelligenza intuitiva” (W. Herzog, Incontri, p. 6).

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Capitolo primo

Herz aus Glas (Cuore di vetro)

1. Introduzione Desidero iniziare la mia analisi con Herz aus Glas (Cuore di vetro) (1976), che Herzog definisce “il figlio (child) da lui più amato”, l’opera che gli ha permesso di tornare ai luoghi dell’infanzia e di “condividere con lo spettatore le sue visioni interiori e i suoi sogni”1. Il film è stato definito “il più criptico, controverso, osteggiato dell’Herzog di questi anni”2. A più di trent’anni di distanza dalla sua realizzazione, una rilettura di Herz aus Glas3 consente, a mio avviso, di cogliere il percorso che

1 W. Herzog, Commento a Cuore di vetro, contenuto nel DVD Cuore di Vetro, Ripley’s Home Video 2003. Il regista stesso afferma che il Commento è stato fatto 25 anni dopo l’uscita del film. 2 Cfr. F. Grosoli, Werner Herzog, Il Castoro cinema, la Nuova Italia, Firenze, 1981, p. 75. 3 Racconto in breve la trama del film. Nella campagna intorno a un villaggio della Baviera il mandriano profeta Hias ha la visione di un mondo che va in rovina. Egli predice agli abitanti del villaggio l’incendio della fabbrica di vetro, che dà loro da vivere. Nella fabbrica il lavoro si è interrotto perché il mugnaio, morto due settimane prima, ha portato con sé nella tomba il segreto della formula della fabbricazione del vetro più costoso e pregiato: il vetro rubino. Il giovane proprietario della vetreria tenta disperatamente di trovare questa formula, senza riuscire ad ottenere quello che vuole. La sua avidità e il disperato desiderio di una ricchezza che gli sta sfuggendo lo portano allo follia. Si convince che l’elemento essenziale della miscela per fabbricare il vetro rosso è il sangue. Uccide così la servetta Ludmilla di fronte agli occhi del servitore Adalbert, che asseconda il crimine, e del padre relegato in un angolo su una sedia che non lascia da dodici anni. Poi nella sua follia dà fuoco alla fabbrica. Hias continua ad ammonire e mettere in guardia senza essere ascoltato da nessuno. Diventa perciò inviso agli abitanti del villaggio, che si riuniscono all’osteria, bevono e compiono macabri rituali. Colpevole unicamente di avere predetto la sventura, il profeta-mandriano viene rinchiuso in carcere dove trova il giovane proprietario incatena-

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Capitolo primo

l’autore fa compiere allo spettatore, un percorso in cui ogni sequenza, ogni immagine, ha non solo una straordinaria bellezza formale, ma anche, come avviene nei dipinti di Rembrandt, di Vermeer, di Michelangelo, una grande ricchezza di significato. Herzog ha corso altissimi rischi per realizzare film nella giungla peruviana, su montagne quasi inaccessibili, su crateri sul punto di esplodere4. Tuttavia, nel corso della sua attività artistica si è avvicinato molto raramente in modo diretto a temi e esperienze legate a situazioni di pericolo che non erano fuori, ma dentro di lui. Lo ha fatto nel 2002 con Invincibile, dove affronta per la prima volta il tema dell’ascesa del nazismo: il clima di attese, di frustrazioni, di manovre torbide che nel 1932 hanno preparato l’avvento al poter di Hitler, da lui definito “una catastrofe dell’umanità”5. Herz aus Glas è l’unico film del regista ambientato nei luoghi della sua infanzia. Come abbiamo visto, essa è descritta nelle interviste come un tempo fascinoso, avventuroso, ma anche – se guardiamo oggettivamente alla situazione raccontata – capace di lasciare in un bambino ferite profonde6. Il film – afferma il regista nel Commento – è personale per l’amore che ho per la Baviera e la mia infanzia (...). Abbiamo perso molti valori importanti per il genere umano. La mia infanzia è stata essenziale. Per questo è stata tanto bella. Ho sviluppato una grande sensibilità per l’essenza delle cose7.

La vicenda è semplice. Il villaggio, che vive del lavoro della vetreria, entra in crisi quando muore improvvisamente il mugnaio borgomastro, l’unica persona che conosce la formula del vetro costoso che lì si produce. Il regista spiega nel commento che esso è un vetro realmente esistente: “Non so come fanno a farlo così. È conosciuto e pregiato”8. to, che finalmente capisce la natura e la purezza di Hias, dotato – gli dice – di un cuore di vetro. Nel finale il mandriano torna fra i monti e ha finalmente una visione di speranza. Questa visione conclude il film. 4 Mi riferisco ai film Aguirre der Zorn Gottes (Aguirre furore di Dio), Fitzcarraldo, Schrei aus Stein (Grido di pietra) e al documentario La soufrière. 5 W. Herzog, Incontri, p. 57. 6 Cfr. Introduzione, pp. 11-12. 7 W. Herzog, Commento al film, contenuto nel DVD Cuore di vetro, (Ripley’s Home Video, 2003). 8 Ibidem.

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Herz aus Glas (Cuore di vetro)

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Nell’epoca preindustriale gli artigiani tramandavano di padre in figlio le tecniche del loro lavoro9. Gli operai – come loro stessi dicono – non sanno leggere e il padrone è interessato ai profitti, ma lascia ad altri la conduzione della fabbrica. Non c’è niente di magico. Il timore di perdere la ricchezza e un’avidità che diventa ossessione determinano la catastrofe finale. All’intervistatore, che chiede a Herzog se ha usato il vetro rubino come metafora della pietra filosofale, il regista risponde: È una possibile interpretazione, ma io non l’ho mai inteso così. Starei comunque attento a parlare di alchimia. È vero che ognuno di noi è alla ricerca di qualcosa. Anche se a volte essa ci porta alla distruzione. È la ricerca che fa di noi degli esseri umani10.

In Herz aus Glas il mondo avido, superstizioso, aggressivo del villaggio ci viene presentato in inquadrature che colpiscono per il loro alto valore formale. La pittura fiamminga influenza, come vedremo, l’illuminazione e la disposizione degli interni. Le armoniche simmetrie e la delicata bellezza degli ambienti, messa in risalto dagli effetti di luce, contrastano con il disordine mentale dei loro abitanti, incapaci di tenere a freno le pulsioni distruttive che affiorano dal profondo del loro cuore. Al centro del film del 1976 c’è un microcosmo in cui sono presenti fin dalle prime sequenze i semi di male che porteranno al disastro finale. Attraverso il montaggio alternato, che, dopo il prologo, caratterizza la prima parte di Herz aus Glas, ci sono presentati i personaggi della vicenda: Wudy e Ascherl, aggressivi e ubriachi avventori dell’osteria, i signori proprietari della fabbrica, il maggiordomo Adalbert, le cameriere Ludmilla e Pauline, operai disposti a bluffare, mentire, vendere di contrabbando il vetro del padrone. Se si escludono i crimini e i deliri del giovane signore, i vizi e le pulsioni di ognuno di questi individui da soli avrebbero un impatto modesto sul loro piccolo mondo. Le dinamiche di male, di egoismo, 9 Abbiamo un esempio di una economia artigiana in cui i metodi di produzione si tramandano di padre in figlio in Rublev (1962) di Andrej Tarkovskij. La perdita del segreto del metodo di fusione delle campane è al centro dell’episodio La campana dove un ragazzino, rischiando, pur senza conoscere la formula riesce in un’impresa che porta la gioia agli uomini. 10 Ibidem.

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Capitolo primo

di cecità, di follia si alimentano a vicenda, portando alla catastrofe finale. È un processo che richiama alla mente ciò che è avvenuto in Germania nella prima metà del ’900 e che, in modo meno appariscente, continua a provocare crisi di difficile soluzione anche nelle epoche successive11. Nella maggior parte dei suoi film l’interesse del regista va al di là dell’epoca che i costumi e gli eventi suggeriscono12. Gli abitanti del villaggio, pur “chiamati a prendere coscienza della catastrofe imminente” dal profeta Hias, che ha occhi intelligenti e penetranti, “continuano ad avanzare imperterriti verso di essa”13. Potrebbero fermarsi, ma sono vittime non innocenti dei loro difetti mentali. Inoltre sono soggiogati dalla personalità dominante e delirante del padrone della fabbrica, che dà loro da vivere. Herzog ha ipnotizzato gli attori, escluso il protagonista, perché “gli è sembrato il modo migliore per stilizzare persone che, simili a sonnambuli, procedono come in trance verso un disastro prevedibile”14. Volevo attori con movimenti fluidi, quasi galleggianti, in modo che il film si discostasse dai comportamenti e dai gesti abituali e fosse immerso in un’atmosfera man mano crescente di profezia e di delirio collettivo15.

11 Ne sono un esempio i crimini compiuti in Iraq durante la guerra del Golfo, di cui il regista riprende gli effetti in Lektionen in Finisternis (Apocalisse nel deserto), la disperata miseria del terzo mondo, le condizioni ecologiche del pianeta, effetto della logica di profitto del primo mondo, la crisi che minaccia l’inizio del nuovo secolo, provocata da logiche di potere e di guadagno troppo facile e veloce. 12 Lebenszeichen (Segni di vita) – afferma Herzog – sfrutta l’assurdità della situazione per portare avanti un discorso più “esistenziale. Il racconto non riguarda una particolare guerra, ma piuttosto l’idea di mettere strumenti di morte in mano alle persone (...) Penso che usare la guerra come sfondo consenta agli spettatori di vedere in una luce diversa – una luce a cui non siamo abituati – l’assurdità e la totale violenza di quanto è successo durante la seconda guerra mondiale” (W. Herzog, Incontri, p. 60). “Il tema principale su cui si sofferma The enigma ofi Kaspar Hauser è senza tempo: la condizione umana. Non è un film storico” (Ibidem, p. 138). Sono affermazioni che valgono anche per Herz aus Glas e per i film successivi. 13 Ibidem, p. 155. Il regista tornerà un’altra volta in Nosferatu su una scena di follia collettiva: la sequenza che si svolge nella piazza quando di fronte ad un pericolo mortale, anziché far fronte con coraggio e rispetto per le vittime, la folla si abbrutisce improvvisando una festa fuori luogo, liberando i suoi istinti più bassi. 14 Ibidem. 15 Ibidem.

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Herz aus Glas (Cuore di vetro)

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È evidente da queste parole che l’ipnosi, che ha galvanizzato l’attenzione del pubblico e della critica all’uscita del film, è semplicemente un mezzo per esprimere quello che l’autore vuole trasmettere. Esistono momenti storici in cui il divario fra i ciechi e i vedenti raggiunge punte estreme. Ha queste caratteristiche il periodo che le generazioni del regista e dei suoi genitori hanno vissuto. Le ha in modo più subdolo e meno evidente l’inizio del secolo che stiamo vivendo. Le avranno nel futuro altre epoche travagliate e difficili. 2. La prima visione di Hias Le prime sequenze di Herz aus Glas colpiscono per lo splendore visionario delle inquadrature e la loro forza di suggestione. Il regista afferma di “aver realizzato il film a partire da queste immagini, che aveva dentro di sé e che lo hanno sempre affascinato”16. Il prologo di Herz aus Glas è, a mio avviso, uno dei momenti più alti del cinema di Herzog. Sono mostrate immagini che elevano lo spettatore a una dimensione percepibile solo in rari momenti. Il film si apre con una inquadratura del profeta-mandriano Hias. Siamo su un altopiano avvolto nella nebbia della campagna. Ci sono alcuni secondi di immobilità e di silenzio assoluti, a cui fa seguito il lento spostarsi degli armenti, che pascolano su un prato pianeggiante. Durante i titoli di testa – afferma il regista – insisto per un tempo insolitamente lungo sull’immagine di un paesaggio. Questa scelta dà modo allo spettatore di calarsi nell’immagine e all’immagine di colpire lo spettatore. Fa anche intuire che i paesaggi mostrati sono insieme paesaggi reali e della mente17.

Quando il quadro è stato introiettato da chi guarda, inizia la musica: un brano composto dal leader dei Popol Vuh, Florian Fricke. “Gli ho mostrato le immagini – ricorda il regista – e gli ho detto che volevo una musica coinvolgente, capace di trasmettere gioia interiore”18. W. Herzog, Commento al film, cit. W. Herzog, Incontri, cit., p. 59. Questa descrizione dell’inizio di Lebenszeichen (Segni di vita) descrive e spiega anche la scena di apertura di Herz aus Glas. È una scelta che si ripete nelle opere del regista. 18 W. Herzog, Commento, cit. 16 17

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Capitolo primo

In campo lunghissimo viene ripreso un paesaggio: cime di montagne percorse in diagonale da file di alberi19. Quando la luce decresce e le punte degli alberi diventano quasi nere, comincia a fluttuare la nebbia. Il raccordo che unisce le immagini è sonoro. La musica favorisce uno stato di rilassamento e di abbandono. Nell’inquadratura successiva una nebbia candida con venature azzurrine scorre come un fiume largo e veloce. Possiamo distinguere in primo piano le cime degli alberi, poi gli argini costituiti dalle sagome delle colline di un azzurro più scuro, il fiume bianco che avanza armoniosamente e ancora le colline che formano il secondo argine. Al di là si intravedono un altro fiume e altre colline in una successione che sembra senza fine. Queste immagini, in cui prevalgono le linee orizzontali, comunicano una sensazione di profondo benessere interiore. Lo spettatore insieme al personaggio si abbandona alla corrente, immerso nel luogo ideale che il regista e l’operatore hanno creato. Come ho già accennato, Herzog e Schmidt-Reitwein si sono ispirati alle opere del pittore tedesco Caspar David Friedrich, in particolare all’atmosfera che si trova nei suoi paesaggi quando la nebbia è attraversata dalla luce. All’armonia e alla bellezza dell’incedere di una fluida, leggera, impalpabile massa bianco-azzurina segue una vorticosa caduta di acque limacciose, che precipitano da un dirupo. Herzog non ci mostra la realtà così come si presenta all’obbiettivo, ma la manipola e la trasforma per ottenere l’effetto desiderato: esprimere le sue visioni interiori, la loro luminosa bellezza, i momenti di apocalittica oscurità. Riuscire a rendere queste visioni nel linguaggio cinematografico ha richiesto al regista inventiva, creatività, pazienza. Per catturare queste immagini la troupe è dovuta restare sulla cima di una montagna per dodici giorni e compiere un lavoro minuzioso con una macchina da presa dotata di un dispositivo che consentiva lo scatto singolo, ogni otto o dieci secondi, a seconda della luce. La macchina da presa era su un treppiede e c’erano sempre due persone accanto. Ci è voluto molto tempo perché a volte la nebbia arrivava fino alla macchina da presa e non si vedeva più niente20. Le riprese all’inizio del film, quando in una valle si vede un fiume di nebbia che scorre via sono tra le più belle che io abbia mai fatto. (...) 19 20

Questo paesaggio richiama Mattino di Friederich. G. Paganelli, op. cit., p. 122.

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hanno uno strano stile, come se ci trovassimo di fronte a un quadro in movimento21. Se osservi la nebbia nella valle, non si muove, ma se acceleri le immagini e sai intuire in che direzione si sposterà e in che modo, allora riesci ad ottenere questo movimento22.

La visione del fiume di nebbia prelude alla profezia, che Hias pronuncia in una natura illuminata dal sole con il braccio sollevato, come l’Adamo della Cappella Sistina, che tanto ha colpito il regista23. Herz aus Glas – afferma Herzog – si incentra su un’esperienza vissuta in uno stato diverso da quello quotidiano. Ho realizzato il film a partire da queste immagini, che mi hanno sempre affascinato (...). La connotazione del film è profetica. Mi piace la prestanza fisica dell’attore che interpreta Hias, un bel giovanotto bavarese, non un essere macilento con gli occhi infossati. Volevo che il personaggio avesse uno sguardo insolito, che guardasse verso la lontananza24.

Quello che profetizza il giovane mandriano è “qualcosa di più della distruzione del villaggio, una sorta di cataclisma”25. Il mio sguardo si perde dove il mondo finisce (…). Quando le nubi si addenseranno, quando la terrà ribollirà, quello sarà il segnale. Sarà l’inizio della fine. I confini del mondo si inabisseranno giù negli abissi, sempre più giù. Io guardo il mondo che sprofonda. Mi sento risucchiare, il vortice mi trascina. Comincio a precipitare. Vado sempre più in basso. Ho le vertigini…26

Le immagini esprimono quello che il profeta vede con gli occhi della mente. Ci viene mostrato il lato oscuro, caotico della natura. La musica assume tonalità cupe, che suscitano disagio e inquietudine. Dopo un’ultima immagine orizzontale di un’acqua azzurro cupo che ribolle, si passa all’estrema verticalità di una cascata. Per alcuni secondi scorre davanti ai nostri occhi una scomposta, spumosa massa d’acqua che scende a picco. La macchina da presa zooma sulla casca-

W. Herzog, Incontri p. 159. G. Paganelli, op. cit., pp. 121-122. 23 Cfr. Introduzione, pp. 13-14. 24 W. Herzog, Commento, cit. 25 Ibidem. 26 I dialoghi sono tratti dal DVD Cuore di vetro, cit. Poiché i sottotitoli risultano più vicini all’originale tedesco e spesso ne rendono meglio il senso, ho preferito citare questi e non le battute e i monologhi pronunciati dai personaggi. 21 22

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ta, poi risale fino a inquadrare una pietra nera sulla quale sbatte l’acqua prima di gettarsi nell’abisso. L’immagine non è nitida: la vediamo come attraverso la trama di un tessuto. Per rendere l’alterità di una visione che non appartiene alla realtà quotidiana, il regista ricorre ad un effetto già sperimentato nelle sequenze dei sogni di The enigma of Kaspar Hauser. Nel film del 1974 le immagini girate sono state modificate proiettandole ad alta intensità su uno schermo semitrasparente e da una distanza ravvicinata. Sullo schermo esse apparivano grandi come il palmo della mano. Poi sono state filmate dall’altra parte con una cinepresa da 35mm. Così è divenuta visibile anche la trama dello schermo27. Sia la parte apocalittica della visione, sia alcune inquadrature, che fanno seguito alla caduta, sono girate con questo ‘effetto tessuto’ fortemente straniante. Per la visione che apre Herz aus Glas c’è un’altra fonte, che ritengo importante: il quadro mentale che Fini Straubinger descrive in Land des Schweigens und der Dunkelheit (Paese del silenzio e dell’oscurità). Se avessi il dono della pittura, disegnerei i sordo-ciechi in questo modo. Nel quadro ci sarebbe un fiume che scorre melodiosamente, lentamente, ma anche inesorabilmente verso un pendio. Sulle rive alberi bellissimi, fiori e uccelli che cantano. Poi ci sarebbe un altro fiume sul lato opposto. Anch’esso scorrerebbe verso il pendio. In fondo, un lago molto scuro e profondo. Alla confluenza dei due fiumi ci sarebbero grosse rocce dove l’acqua, sbattendo dolorosamente, formerebbe schiume e vortici. Poi lentamente, molto lentamente l’acqua si mescolerebbe nel bacino scuro. Qui tutto sarebbe calmo, tranne alcuni spruzzi e getti. Queste immagini esprimono il dolore psichico dei sordo-ciechi. L’acqua che sbatte contro la roccia rappresenta lo stato d’animo di chi sta per diventare sordo-cieco. È un’immagine che ho dentro. È difficile da descrivere28.

Attraverso un paesaggio che è espressione di uno stato mentale, queste parole evocano prima la gioia di vedere e di sentire, poi l’acuCfr. W. Herzog, Incontri, cit., p. 133. Paese del silenzio e dell’oscurità, DVD, Ripley’s Home Video, giugno 2007. Herzog afferma che i sogni e le visioni inserite nei documentari, incluso quello su Fini, sono in armonia con quanto dicono i protagonisti, ma sono creati da lui. Non è detto in modo esplicito se questo paesaggio è stato immaginato dal regista per visualizzare attraverso le parole la sofferenza dei sordo-ciechi oppure se è stato veramente immaginato da colei che racconta. 27 28

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ta disperata sofferenza del momento in cui si vive la perdita dei principali organi di senso che consentono il nostro contatto col mondo. È l’apocalisse personale di un essere umano, che affronta la prova più dura della sua esistenza. La visione di Hias include tutto questo a livello individuale e collettivo. C’è anche la roccia nera dove l’acqua sbatte, di cui parla Fini per esprimere la sofferenza della perdita. È però diverso il finale della visione. Come avviene nel libro che conclude il testo biblico, dopo la catastrofe si comincia a intravedere la luce della rinascita. Mi concentro sulla cascata. Cerco un punto dove fermare lo sguardo. Mi sento leggero, sempre di più. Mi libro in volo. Dopo la caduta e il volo, scorgo una nuova terra. Come la città sommersa di Atlantide, la terra emerge dalle acque. Scorgo una nuova terra…

La cascata continua a scendere. Siamo noi a risalire. Herzog dice nel Commento che l’effetto è simile a quello che si prova quando si guarda un fiume da un ponte e ci sembra di andare con la corrente, come se fossimo noi a muoverci e non il fiume. Di nuovo si presentano davanti ai nostri occhi e a quelli di Hias visioni luminose in cui prevalgono le linee orizzontali. Vediamo un promontorio sormontato dalle nuvole. I colori sono il bianco e diverse tonalità di azzurro. Segue un quadro in cui un raggio di luce scende sul mare fino a toccare una roccia sporgente. Sono immagini sfumate e rarefatte. Oscillano leggermente, come se pulsassero. Herzog dice nel Commento che le riprese della rinascita sono state fatte in Alaska, dove si trovano quelli che egli definisce “paesaggi archetipi”. Il percorso della visione è quello che l’essere umano compie di solito nella sua vita: dall’armonia iniziale a una crisi-caduta che può aprirsi a una rinascita. L’ultimo quadro, che è ripreso senza effetti particolari, è un quieto calmo paesaggio, che ha in primo piano l’acqua chiara e quasi immobile di un fiume e in lontananza la riva grigia, un bosco scuro, una catena di montagne azzurrine. Qui la luce è più bassa come se il profeta, dopo le luminose rarefatte immagini della rinascita, si preparasse a tornare alla quotidianità. Le profezie di Hias all’aperto avvengono tutte in luoghi ben conosciuti dal regista, nella campagna intorno a Sachrang, dove ha vissuto da bambino. Le visioni invece – se si esclude la prima del fiume di nebbia – sono girate in Irlanda, in Alaska, nei parchi degli Sati Uniti,

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dovunque Herzog ha trovato paesaggi che lo hanno colpito, perché erano in sintonia col suo mondo interiore. 3. L’incontro nella gola fra Hias e gli abitanti del villaggio Nell’episodio successivo si torna alla realtà. Si parte dal fondo di una gola rocciosa. Herzog dice nel Commento al film che è un famoso burrone vicino al paese dove è nato e cresciuto: “Di nuovo il paesaggio archetipo che io adoro. È stata un’impresa portare fin lì i macchinari”29. La macchina da presa inquadra il fondo della gola per risalire poi fino ai due ponti obliqui, che la sovrastano. Hias, ripreso dal basso, è seduto su uno spuntone di roccia. Il suo sguardo è limpido e attento, mentre ascolta gli abitanti del villaggio che, con occhi vuoti da sonnambuli, vengono a chiedere consiglio, spinti dalla superstiziosa paura che li attanaglia. Colpisce la posizione degli interlocutori. Hias non guarda loro, ma davanti a sé. I timorosi uomini con gli occhi spenti, che il profeta può vedere solo girando il busto, sono protetti da un anfratto della roccia e sembrano rivolgersi al vuoto che hanno davanti. Nel paese sono tutti terrorizzati. Rup dice di avere visto un gigante (…) il gigante spezza gli alberi, massacra il bestiame. Ci strappa via le budella, appena ci vede. Ci succhia il cervello.

Hias dissipa questo timore superstizioso, un difetto mentale che alberga nell’animo degli abitanti poveri del villaggio, facili da manipolare. Indica invece altri più concreti pericoli: Dite a Rup che il gigante non esiste. Ditegli di fare più attenzione alla posizione del sole. Il sole era basso e il gigante era solo l’ombra di un nano. Le cose non cambiano, ma voi vi comportate come bambini... Ma io vedo un fuoco e vedo le vetrerie. Alzate gli occhi ora, guardate quei due ponti lassù: su uno passerà un bugiardo, sull’altro un ladro30. 29 Alan Greenberg nel suo libro parla delle grandi difficoltà che ci sono state quando è stata fatta questa ripresa (A. Greenberg, Heart of Glass, Skelling Edition, München 1975, pp. 38-43). 30 Nel corso della vicenda incontreremo sia il bugiardo, l’operaio che dice di venire dalla terra del vetro rubino, sia i ladri: gli incaricati di gettare il vetro nel lago, che, invece di eseguire l’ordine del padrone, vanno a venderlo di contrabbando al confino.

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Non è dalle figure fantastiche create dalla superstizione popolare che bisogna guardarsi, ma dagli esseri umani bugiardi e truffatori, nani che vogliono passare per giganti31. Il profeta è per il villaggio un’autorità. Lo ascoltano, citano quello che dice, ma non hanno la forza di seguire le sue indicazioni. I tentativi del veggente per salvarli dal pericolo falliscono perché a prevalere è l’inclinazione al male. La figura di Hias è ispirata a quella di un profeta bavarese del XVIII secolo realmente esistito. Il suo nome era Mulhias, Mathias del mulino. Le sue profezie sono custodite in antichi manoscritti ai quali ha attinto lo scrittore e regista Herbert Achternbush, amico di Herzog, per scrivere un breve romanzo Die Stunde des Todes (L’ora della morte) al quale il film si ispira molto liberamente32. 4. L’osteria, la casa dei proprietari della vetreria, la fabbrica La sequenza successiva ci porta per la prima volta in un interno. Dopo la cieca superstizione ci è mostrata l’aggressività di Ascherl e di Wudy, che seduti a un tavolo dell’osteria si ubriacano alimentando il loro malanimo. Nel Commento al film Herzog dice che in Baviera non esistono più osterie di questo tipo. Il set è stato ricostruito per Herz aus Glas. L’atmosfera tuttavia è la stessa che il regista ha conosciuto nell’infanzia a Sachrang, anche se la situazione è stata portata all’estremo. Scrive il regista a proposito del film Auch Zwerge haben klein angenfangen (Anche i nani hanno cominciato da piccoli) (1970): “Se il film sta ‘dicendo’ qualcosa, è che non sono questi individui minuscoli ad essere mostruosi, siamo noi e la società che ci siamo creati. Abbiamo tutti un nano dentro di noi… proviamo semplicemente a guardarci intorno” (ibidem, pp. 78-79). 32 Herbert Achternbusch, Die Stunde des Todes, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1975, pp. 7-154. La vicenda del villaggio del XVIII secolo, improvvisamente impoverito dalla perdita della formula per la fabbricazione del vetro rubino che il maestro del vetro Muhlberck ha portato con sé nella tomba, occupa solo il secondo capitolo del romanzo (pp. 22-57). Le scene nella casa del padrone della fabbrica, nell’osteria, nella vetreria forniscono al film una traccia e alcune battute del dialogo. Nel libro vengono compiuti i due omicidi: l’uccisione di Ascherl e di Ludmilla. Hias compare solo a metà della narrazione, quando va a casa del padrone. La storia termina con l’incendio della vetreria e con il ritorno del pastore-profeta sulla montagna coperta dalla neve, dove egli accende un fuoco per riscaldarsi e stende la pelle dell’orso che ha ucciso davanti a una grotta. Nel Commento al film Herzog ci informa che le profezie di Hias nell’osteria sono riprese dal libro, mentre vari episodi, in particolare le tre visioni di Hias, sono una sua creazione. Cfr. W. Herzog, Incontri, cit., p. 154. 31

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Le persone si guardavano in cagnesco prima che scoppiasse una rissa. Ho colto il momento in cui due ubriachi stanno per venire alle mani33.

È una situazione squallida. Tuttavia la sequenza ha il fascino di un’immagine pittorica, che lentamente prende vita34. L’osteria, ripresa in campo lungo, ha grandi arcate avvolte nell’oscurità. I due unici avventori seduti a un tavolo sono collocati fra quattro fonti di luce, che creano un gioco di simmetrie35. Con uno stacco si passa all’inquadratura dei due personaggi. I volti sono illuminati da potenti fari extradiegetici. I loro corpi emergono dall’oscurità. Una linea ideale formata da due candele – una sul tavolo e l’altra appesa alla parete – separa lo spazio dei due nemici, che si offendono con le parole e con i gesti. “A domani, Ascherl – dice Wudy – Io smaltirò la sbornia sopra il tuo cadavere (…) Lo ha detto Hias”. In una scena lenta e stilizzata, interrotta e ripresa più volte nel montaggio alternato che caratterizza questa parte del film, Asherl prende per i capelli l’avversario, questi gli rompe sulla testa il suo boccale e riceve a sua volta sul capo la birra del bicchiere dell’altro. Senza altra ragione che l’aggressività liberata dall’alcool, la violenza dei due contadini si scatena fino all’omicidio. Nell’oscurità del locale i volti dei due uomini, che sono in piena luce in un elegante contrasto di chiaro e di scuro, richiamano i dipinti del ’600. Nei quadri di Rembrandt, la luce avvolge ed illumina non solo personaggi della Scrittura ma anche, come nel Cambiavalute, un uomo che conta con cupidigia il denaro che ha davanti. Scene di interni con forti contrasti di luce e ombra sono presenti nei quadri di Georges de La Tour (1593-1652), citato dal regista36. Dalla sequenza dei due ubriachi, si passa a un’inquadratura del vecchio proprietario relegato in un angolo della sua ricca dimora. Anche questa immagine, all’inizio assolutamente immobile, è pittorica. Ricorda i vecchi dal volto rigido e austero più volte ritratti dai pittori fiamminghi. La figura emerge dall’oscurità della tenda che lo incornicia e della spalliera nera della poltrona. Una fonte luminosa exW. Herzog, Commento, cit. Più avanti, quando la maggior parte dei personaggi è riunita nell’osteria, il locale ha colori anonimi. È diversa l’illuminazione e anche l’angolazione della ripresa. 35 C’è una candela in primo piano, un’altra dietro a Wudy, due che in prospettiva vediamo in diagonale. 36 W. Herzog, Incontri, cit., p. 159. 33 34

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tradiegetica gli batte sulla parte destra del viso e illumina dall’alto le mani poggiate sulla coperta. Il quadro prende vita quando l’uomo contorce la mani e le labbra. È lui il primo a parlare della disgrazia che ha colpito il villaggio: il mugnaio è morto portando con sé la formula del prezioso vetro rubino. Il vecchio è una figura angosciata, vittima di una colpevole inerzia37, che non riesce a vincere neanche quando di fronte ai suoi occhi viene compiuto l’efferato omicidio della giovane cameriera. La parte destra dell’immagine è illuminata dalla luce che proviene dalla finestra, ma padre e figlio restano nell’ombra, prigionieri uno della sua avida ossessione per il costoso vetro rosso, l’altro dell’ignavia codarda di chi si rende conto del pericolo e del male che lo circonda, ma non trova in sé la forza di reagire. Il comportamento colpevole del vecchio proprietario richiama atteggiamenti che hanno favorito due secoli più tardi l’affermazione e il consolidamento del nazismo e in epoche più recenti la passività e l’accettazione di fronte a nuovi pericoli e ingiustizie. Dalla casa dei signori del villaggio si passa con uno stacco all’interno della vetreria, resa inattiva dalla disgrazia. Sono inquadrati tre personaggi: un uomo in primo piano girato di spalle, uno in posizione frontale che parla del problema, un terzo sullo sfondo con la testa china e il profilo in ombra evidenziato dalla finestra che lo incornicia. Le tre figure formano una diagonale, che guida l’occhio verso l’uomo curvo, il quale, attraverso la posizione del corpo ripiegato su se stesso, esprime lo stato d’animo frustrato dei lavoratori della fabbrica. Un carrello laterale ci mostra successivamente un gruppo di operai. Alcuni sono seduti, altri in piedi appoggiati ai loro inutili strumenti di lavoro. L’unico movimento è quello dell’uomo che continua ad alimentare il forno. Lo spettatore è colpito dalla bellezza diafana di queste immagini. Ci sono tonalità delicate che vanno dal colore chiaro della sabbia a quello della terra, a un marrone più scuro. L’illuminazione intradiegetica è essenziale: viene dal vetro incandescente e dalla fornace38.

37 “È venuto il momento di alzarti” gli dice il figlio. “No, io resto sulla poltrona. La mia schiena si spezzerebbe”. “La tua schiena non ha niente che non va. Sono dodici anni che ti porgo le tue scarpe. Ti farò portare a spalla, come sempre”. 38 Più avanti vedremo gli operai al lavoro, prima quando uno tenta di foggiare il vetro rosso, poi quando i soffiatori producono piccoli oggetti. “Nella parte bassa della Baviera – commenta Herzog – c’è una zona dove questa forma di artigianato è ancora viva (…) I soffiatori di vetro (che vediamo nel film) erano professionisti. È un mestiere meraviglioso, creativo. Lo si vede quando viene forgiato il cavalluccio” (Commento, cit.).

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L’immagine della fornace col suo bagliore giallo torna più volte nei momenti di passaggio fra una scena e l’altra. Le speranze dei padroni e degli operai sono riposte nella ripresa della sua attività produttiva, interrotta dalla morte imprevista del mugnaio borgomastro che conosceva la formula per produrre il vetro più prezioso. Torniamo nella casa dei proprietari ossessionati dalla formula del vetro rubino. L’immagine del signore davanti alla vetrina coi cristalli richiama i dipinti fiamminghi. Il quadro è diviso in tre sezioni: la credenza aperta che lascia vedere gli oggetti all’interno, l’anta spalancata che fa da sfondo alla mano che tiene il bicchiere e infine la finestra che incornicia il corpo del giovane. Il profilo dell’uomo in controluce è evidenziato dal riquadro della finestra che si trova sullo sfondo e che lo incornicia. Tiene fra le mani un bicchiere color rubino illuminato dalla luce. Mio Dio, questo era il secondo bicchiere. Un fasto a cui il mondo dovrà rinunciare. Ora, che cosa mi terrà al riparo dalle contrarietà del mondo?

Il regista si sofferma sulla vita silenziosa di un oggetto, che esprime una delicata bellezza esaltata dalla luce, che lo attraversa. Il bicchiere è sofferente, come il proprietario. Un primo piano del calice evidenzia una piccola crepa sul bordo, da cui parte un’incrinatura. È un dettaglio che verrà richiamato dal personaggio in una scena successiva. Per quanto prezioso, se c’è un’imperfezione, il vetro non tintinna, resta muto. Quando poco dopo l’uomo si siede al tavolo del salotto, tutti gli oggetti – la tovaglia, il bicchiere, la bottiglia, perfino il candelabro e la candela accesa – hanno un innaturale colore rosso rubino. È come se quello che il personaggio ha nella mente si materializzasse nella tonalità che avvolge l’immagine. La mattina successiva, quando egli entra di nuovo nella stanza, la tovaglia e gli oggetti sul tavolo hanno di nuovo i colori della quotidianità, sbiaditi rispetto al fulgore del rubino. La preghiera mattutina, che avviene quando la sciagura potrebbe ancora essere evitata, si svolge nella camera più lussuosa della casa, che è bianca, decorata con fregi dorati e pitture smaltate sulla testiera del letto. La scena è ripresa dalla porta aperta della stanza. L’inquadratura stretta, incorniciata da uno dei pali che sorreggono il baldacchino e dal legno dello stipite, guida l’attenzione dello spettatore sul giovane inginocchiato sovrastato da un crocifisso. Egli prega sin-

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ceramente, esprimendo la sua inquietudine riguardo all’imperfezione degli uomini e di se stesso. “Il vetro ha un’anima fragile, è immacolato. La crepa è il peccato. Il primo sbaglio dell’uomo ha reso il vetro muto.” In questo momento il personaggio ha una visione chiara della situazione, la stessa che tornerà alla fine quando avrà perso tutto. La frase richiama sia il dettaglio del calice rosso incrinato, che non può più suonare, sia il titolo del film: il cuore di vetro che gli abitanti del villaggio hanno perduto. Accanto al giovane proprietario è presente il maggiordomo Adalbert, afflitto anche lui da un grave difetto mentale. Il suo servilismo, la sua obbedienza cieca, che arriva ad accettare e ad assecondare il crimine, è un’altra delle piaghe di questo perverso microcosmo, una piaga ben conosciuta dai tedeschi che hanno vissuto nell’epoca del terzo Reich39. In un angoscioso crescendo la brama di ricchezza del giovane signore aumenta fino a trasformarsi in ossessione. Già durante la vestizione dopo la preghiera egli comincia a manifestare segni di squilibrio: Il vetro rosso ci deve salvare. Facciamo abbattere la casa del mugnaio, cerchiamo il segreto in tutti gli angoli (…) portate qui il suo divano verde (…). Il disordine degli astri sconvolge la mia mente.

La mattina nel villaggio si conclude con un episodio che ha come protagonista la servetta Pauline. Vediamo per la prima volta la ragazza quando viene svegliata in malo modo nella sua camera povera, sporca, disordinata, dove vestiti e sacchi si ammucchiano sul pavimento. La macchina da presa indugia sul davanzale della finestra dove un pestello e uno sciame di mosche in agonia formano un’inquietante natura morta. La giovane donna è istintiva, come gli animali – il gatto, la papera – che spesso sono inquadrati con lei. Dice il regista a proposito delle creature eccentriche, che in Herz aus Glas sono questa ragazza e la moglie sordomuta del mugnaio: Che si tratti di personaggi allucinati o di sordomuti o di nani, i miei personaggi non sono né deformi, né patologicamente pazzi. A essere pazzi sono la società, le situazioni in cui essi si trovano, gli uomini che li circondano40.

39 40

Questa figura anticipa il Renfield di Nosferatu, devoto servo del suo signore. W. Herzog, Incontri, cit., pp. 89-90.

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È Pauline a trovare nel granaio il cadavere di Ascherl e il corpo esanime di Wudy. La prima inquadratura della sequenza evidenzia strutture spaziali, che richiamano aspetti tipici della pittura fiamminga. Nei quadri dell’olandese Pieter de Hooch (1629-1684) e di altri artisti del periodo spesso su un lato sullo sfondo è raffigurata una porta o una finestra aperta, da cui si intravede uno scorcio dell’esterno. Gli oggetti e i personaggi in primo piano sono in penombra, nella zona più scura del dipinto. Il soggetto è generalmente una scena domestica: una madre che sorveglia una culla, donne che ripongono la biancheria, cuciono oppure piccoli gruppi che fanno festa. Sullo sfondo si trovano i bambini, i cani o i gatti della famiglia41. Questo tipo di composizione è presente in alcune immagini di Herz aus Glas, anche se i soggetti scelti sono molto diversi42. Nell’inquadratura all’inizio della scena, che per alcuni secondi resta immobile come un dipinto, la luce laterale proviene da una porta aperta da cui si intravede uno scorcio di campagna. Essa illumina una stalla in penombra dove giacciono i corpi dell’assassino e dell’ucciso. La ragazza atterrita resta ferma sulla soglia. L’unico movimento è quello di un gatto che, dopo alcuni istanti di immobilità e di stupore, attraversa la stanza con passi guardinghi e esce all’aperto. Lo spettatore è messo di fronte ad un ambiente quotidiano devastato dalla violenza e dal malanimo degli uomini. Qui gli osservatori interni sono due esseri puri: un animale che, dopo aver compreso, si allontana spaventato e la servetta che inorridisce alla vista dei due corpi apparentemente senza vita. Solo dopo qualche secondo la giovane donna prima contorce il volto turbato, poi con uno sforzo emette grida di terrore. 5. La seconda visione di Hias e la sua discesa dalla montagna Mentre gli abitanti del villaggio sono immersi nelle loro occupazioni, Hias profetizza seduto su una roccia.

41 Per portare alcuni esempi possiamo ricordare i dipinti di Pieter de Hooch The linen chest, A mother’s duty, Man handing a letter to a Woman in the front hall of a house, conservati al Rijks Museum di Amsterdam. 42 Il salotto dei padroni della fabbrica ha una finestra sullo sfondo, che lascia entrare la luce, mentre nella parte più interna e più oscura il giovane signore, spinto da un’avidità che diventa ossessione, medita e compie atti distruttivi e violenti.

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Forse dovrei andarmene. Giù in paese la pazzia imperversa (…). Con il buio cala il silenzio. Vedo solo distruzione. Non ci sono più uomini né case. Solo macerie.

La prima parte del film si conclude con la seconda visione del profeta-mandriano. Passano davanti ai nostri occhi paesaggi onirici, dai quali la vita sembra assente: alberi secchi, rocce, pianure pietrose. Il movimento è dato da un pulviscolo bianco che scorre sopra a queste distese per trasformarsi in una nebbia che arriva fino al mare. Con uno stacco passiamo all’inquadratura di una palude grigia da cui spuntano alberi morti, seguita da altre immagini dove tutto è coperto di bianco, come se fosse scesa la neve. Il regista ci informa che le riprese sono state fatte in Irlanda, in Alaska, nei parchi degli Stati Uniti, a Yellowstone e nella Monumental Valley: L’appartenenza geografica non è importante. Tutte questi paesaggi hanno qualcosa in comune. Queste immagini sono dentro ognuno di noi. Evocandole non faccio altro che ridestare negli spettatori il fratello dormiente che è dentro di loro43.

Anche questa seconda visione termina con immagini di rinascita. La prima, molto amata dal regista che l’ha ripresa in una zona nordica44, richiama a un primo sguardo un dipinto astratto. Il quadro, costituito da fasce orizzontali di colore, coglie il momento che precede l’alba. In basso c’è l’azzurro del mare, nella parte alta il cielo. Li divide una striscia bianca. Questa sottilissima linea è il primo manifestarsi della luce che inizia a farsi strada. L’immagine statica rimane per qualche secondo per lasciare posto a uno scorcio di mare illuminato su uno sfondo grigio azzurro, poi a inquadrature di arcipelaghi e di promontori. Quando la visione si conclude, Hias, che ha preso la decisione di avvertire il villaggio del pericolo che lo minaccia, scende a grandi passi dalla montagna. L’incontro col profeta-mandriano è desiderato anche dal signore, che spera di avere da lui la formula del vetro rubino. L’ossessione del giovane padrone contagia un altro degli abitanti della sua casa. La servetta Ludmilla sogna di fronte alla vetrina che 43 W. Herzog, Commento, cit. La stessa idea è espressa nell’intervista a Paul Cronin (cfr. W. Herzog, Incontri, cit., pp. 83-84). 44 “Adoro questa inquadratura. È stata ripresa in Irlanda o in Alaska. Non ricordo” (Commento, cit.).

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Capitolo primo

contiene gli oggetti di vetro. Spolvera e accarezza delicatamente i bicchieri. Sono bianchi in netto contrasto col rosso del cristallo del piano superiore, che probabilmente non ha il permesso di toccare. Lavorando, la ragazza esprime a parole la sua ingenua visione in cui si insinua la percezione di una catastrofe imminente. … straordinaria una città tutta di vetro, dove vivono gli uomini. Come si fa a vivere in una casa di vetro? Ecco la chiesa. Nella chiesa vivono tanti animali di ogni specie: lepri, galline, cervi, uccelli e mucche, ma non ci sono uomini nella chiesa. Le strade sono deserte. Un manto di neve ricopre ogni cosa.

Questa visione di sogno è sottolineata dall’inquadratura. Vediamo il volto ancora quasi infantile della fanciulla attraverso il vetro del mobile, che lei ha aperto45. Ludmilla sarà a fuoco, ripresa frontalmente, solo quando, abbandonato il sogno, è messa nella condizione di fare una scelta che decide della sua vita. Hias, entrato di soppiatto nella casa, le si avvicina e la mette in guardia. Egli percepisce la purezza ancora incorrotta della giovinetta e vorrebbe salvarla. Lei ascolta turbata il consigliere alla sue spalle, ma prevale alla fine un impulso più forte. La quasi innocente Ludmilla è attratta dal luccicare del vetro rosso, ma soprattutto dalla vita diversa oppure soltanto dalle emozioni che potrebbe offrirle il giovane padrone, che le appare come un fascinoso principe azzurro. Sarà la vittima docile di una debolezza che la porterà alla morte. Il colloquio fra Hias e il giovane signore rivela la crescente follia di quest’ultimo. Il mandriano, che è sceso al villaggio per avvertire delle possibili sventure che potrebbero verificarsi, giustifica la sua presenza con la richiesta di un aiuto per un pericolo inesistente: un orso che minaccerebbe gli armenti. Materialmente vicinissimi, i due personaggi non arrivano ad intendersi. Hias con la mano sul cuore avanza deciso a mettere in guardia dal pericolo che incombe. Il signore prima cerca di corromperlo offrendogli denaro e poi la carica di borgomastro. Quando l’altro rifiuta, egli manifesta la sua follia: Rivoglio il vetro rosso, capite? Io rivoglio il vetro rubino. Ho bisogno di un bicchiere in cui raccogliere il mio sangue. Altrimenti lo perdo.

45 Anche questa immagine richiama un quadro di Vermeer nel quale una fanciulla, che legge una lettera, si riflette nel vetro traslucido della finestra aperta. Si tratta di un dettaglio di Girl reading a letter at an open window (1657).

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Da una sequenza all’altra lo studio del giovane padrone rivela l’aggravarsi della condizione mentale del personaggio. Cresce il disordine. Libri aperti e carte coprono il pavimento, mentre l’uomo cerca inutilmente la formula, che dovrebbe rendergli la ricchezza. Squarcia le copertine dei libri, poi la fodera del divano cha ha fatto prelevare dalla casa del mugnaio. Quando si rende conto che la sua ricerca è vana, porta una mano alla testa e sussurra: “È il momento di riflettere”. Una conversazione con un operaio bugiardo, che inventa un racconto fiabesco sul vetro rubino, convince il signore, colpito dalla parola sangue, di avere trovato la soluzione. La terra del vetro rubino, la mia terra. Tutti gli uomini danzano avvolti da una luce rossa. Il loro sangue, la loro vita: tutto è racchiuso nel vetro, tutto è avvolto dal colore rosso. Questa terra è unica al mondo. Adesso so una cosa che fino ad ora ignoravo. Posso rivendere il mio segreto a tutti i fabbricanti di vetro. Io porterò il vetro rosso in alto sulle rocce e lo getterò nel mare e l’acqua si tingerà di rosso.

Le scene del crescente delirio di colui che arriva ad uccidere un innocente e a distruggere la fabbrica sono interrotte da una serie di brevi sequenze. La prima è l’allestimento della camera ardente di Ascherl. La scena, in cui dominano le simmetrie, ha una doppia cornice: alla porta corrisponde in linea retta la piccola finestra sullo sfondo, che lascia intravedere l’esterno. Il colore del legno degli stipiti contrasta armoniosamente con la luce azzurra che pervade la piccola stanza. Il morto ha due candele ai lati. Pauline, che è incaricata di preparare questo ambiente, è dietro la sua testa. Turbata dalla morte, osserva il cadavere da diverse angolazioni. Questo personaggio sensibile, semplice, istintivo si confronta con l’effetto del primo gratuito omicidio: il corpo senza vita di Ascherl. Un lento e immotivato movimento della porta taglia a metà la visione di questa elegante e inquietante inquadratura. Fanno seguito alcune brevi scene di cui Hias è protagonista. La prima, che avviene in una bottega, merita di essere ricordata per la sua bellezza pittorica. L’uomo è incorniciato da una luce azzurra che viene dalla porta spalancata, l’altro personaggio è in ombra. L’interno della stanza è avvolto dal giallo-arancio che proviene dal fuoco del camino. La luce batte sul bancone e sullo scaffale appoggiato alla parete. L’illuminazione extradiegetica affianca e potenzia il bagliore che viene dal camino. La donna, che emerge dal buio, si avvicina al bancone e entra nella luce. L’azzurro si riflette sulla superficie

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Capitolo primo

piana del mobile, mentre la scaffalatura verticale riceve la luce aranciata che proviene dal fuoco. Commenta il regista: “Il gioco di colori qui è davvero unico. Quello che mi interessa è l’illuminazione. Il colore si mette in evidenza da sé”46. È un’affermazione degna di Vermeer, che, come ho detto, nei suoi dipinti riesce a trasmettere la magia della vita quotidiana grazie ad un geniale uso della luce e alla rifrazione dei colori sulle superfici. Questa immagine di Herz aus Glas, come “il piccolo lembo di muro giallo” nella View of Delft che ha incantato Marcel Proust, ha “una bellezza che basta a se medesima”47. La sequenza termina con due primi piani. La donna, che è ripresa su uno sfondo dai toni caldi, ha la pelle chiara, una treccia bionda intorno alla testa, un fazzoletto giallo al collo. Il volto è sereno. Hias, che è legato agli spazi aperti, ha dietro l’azzurro dell’esterno. Il dialogo fra i due è essenziale, aperto, gentile: – Torni nel bosco? – (…) So che andrò via di qui solo quando la neve ricoprirà ogni cosa – Allora ti metto la roba da parte.

La scena, curata fino al minimo dettaglio, trasmette un senso di pace e di calore: è un momento di respiro fra il primo e il secondo atto di violenza. Uscendo dalla bottega, il giovane va da Anamirl, la vedova sordomuta del mugnaio, che gli racconta a gesti la sua sofferenza per la morte del marito e per la violenza subita quando le hanno portato via il divano, dove l’uomo era solito stare seduto. Il protagonista, che comprende il suo linguaggio, consola la donna con parole gentili e si siede a mangiare una fetta di pane nella sua casa, resa accogliente dalle molte piante disposte sui davanzali delle piccole finestre. Anamirl è un essere semplice e indifeso, che il protagonista sceglie per un momento di riposo prima di tornare alla sua missione. Herzog commenta l’episodio dicendo che la casa somiglia a quella in cui ha trascorso l’infanzia e che “la donna fa tenerezza”. Hias va ad avvertire per l’ultima volta Ludmilla, che si trova dietro le sbarre di una finestra. Alla ragazza che gli dice “il signore non ci sta più con la testa”, egli risponde: W. Herzog, Commento a Cuore di vetro, cit. “Un piccolo lembo di muro giallo (...) di una bellezza che basta a se medesima”, così Proust, altro grande memorialista in parole, come Vermeer lo era in immagini, individua la nuova bellezza rivelata dal pittore olandese” (A. Martini, op. cit.). 46 47

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Nella vetreria si è comportato come un pazzo. Ha mandato al lago dieci uomini con le gerle piene di vetro, ma quelli non sono tanto stupidi da gettare il vetro nel lago. Lo venderanno di contrabbando al confine. Vattene, il signore pretenderà qualcosa anche da te.

Soggiogata dal suo sogno adolescenziale che include il fascino della ricchezza, la giovane donna, che pure crede alle profezie, ascolta e asseconda Adalbert, quando il servitore le dice che il padrone chiede di lei. Hias va a sedersi all’osteria dove, inascoltato, predice sventure. Se le sue parole sono spesso oscure, la sua visione del presente e dell’immediato futuro è confermata dagli eventi. L’incendio della vetreria, che egli non riesce a fermare, sarà una disgrazia per tutti gli abitanti del villaggio, che vivono del lavoro della fabbrica. 6. L’uccisione di Ludmilla Nell’osteria in un’atmosfera di follia collettiva si consuma un macabro rituale al suono di un organetto di barberia: il ballo di Wudy che abbraccia e sostiene il cadavere di Hascherl. Contemporaneamente nella casa dei signori ha inizio la scena dell’omicidio. Ad aprire la sequenza è Adalbert in primo piano con una candela accesa, mentre sullo sfondo l’arpista accompagna l’evento, suonando nella stanza adiacente. La luce che illumina il viso del maggiordomo ne rivela l’impassibile durezza, simile a quella di un soldato a cui è stata comandata un’azione di guerra. La stanza è in penombra. La macchina da presa inquadra i protagonisti disposti in una perfetta diagonale: il maggiordomo in primo piano sulla destra, al centro la ragazza seduta, il signore, protagonista dell’evento, nell’angolo sinistro illuminato da otto candele. Nella zona, in cui si trova il giovane proprietario, domina il colore rosso nelle sue diverse gradazioni. È rosso-rubino la giacca, sono di un rosso scuro la parete e la tenda. Dopo una sosta con le mani intrecciate sopra la testa, l’uomo si alza, entra nell’ombra e riemerge con in mano un lungo pugnale. L’arpista, che è stato convocato per l’occasione, accompagna l’evento con una musica delicata e sommessa. In ombra sullo sfondo si distingue la figura del vecchio seduto sulla poltrona. Sentiamo risuonare la sua strana e inquietante risata, espressione di un disagio interiore che egli non è in grado di dominare. Nel momento del crimine egli resta a occhi chiusi. Il suo unico movimento è l’aprirsi e chiudersi dei pugni. La sua inerzia stavolta è an-

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Capitolo primo

cora più colpevole, perché di fronte a lui si sta compiendo un omicidio efferato e gratuito48. La vittima grida, poi tenta di fuggire, ma il maggiordomo in modo veloce e risoluto spranga la porta. Non vediamo il momento dell’uccisione, sostituito dalla caduta di un quadro, in cui è raffigurato un santo in atto di adorazione. Dall’alto scendono su di lui raggi luminosi. Ci è mostrata prima la parte superiore della stampa, in cui domina la luce. Poi la macchina da presa scende verso il basso fino a inquadrare un libro aperto e un teschio, che sono ai piedi del santo. Il personaggio del quadro ha vinto la morte. Nella stanza in cui si compie il delitto, il teschio occupa lo schermo, ad indicare che la vittoria appartiene a ciò che questo dettaglio rappresenta. Dopo un intermezzo nell’osteria, torniamo nel luogo dell’assassinio dove il signore inginocchiato asciuga il sangue di Ludmilla col suo fazzoletto ornato di trina. Prende poi la ragazza nelle sue braccia come una vittima sacrificale, la trasporta nell’altra stanza e la depone ai piedi dell’arpista. Dopo aver terminato il macabro rito, egli tira fuori dalla stufa un tizzone e esce nell’azzurro della notte. Poco dopo vediamo le fiamme che distruggono la vetreria a cui lui ha dato fuoco. La catastrofe è compiuta. Il principale responsabile è il giovane padrone, vittima della sua avidità, che si trasforma in ossessione e delirio. Hanno inconsapevolmente contribuito con i loro vizi, le loro debolezze e il loro malanimo gli abitanti del villaggio, catturati alla fine in un’atmosfera di follia simile a quella che domina nella casa dei signori. Non siamo di fronte ad un dramma storico. “Il tema principale su cui il film si sofferma è senza tempo: la condizione umana”. Come Kaspar Hauser, Hias, sia pure senza un successo immediato, porta le persone intorno a lui a vedere e “affrontare la loro vita quotidiana con occhio nuovi”49. Il bagliore e il rumore dell’edificio che brucia spingono gli uomini a correre fuori dal locale, dove Hias continua a profetizzare. L’unico pubblico rimasto è l’oca portata da Pauline, che calpesta le carte da gioco abbandonate sul tavolo. La sventura che ha colpito il villaggio rende Hias inviso agli abitanti, che lo fanno rinchiudere in carcere. Nello stesso luogo, incatenato, si trova il giovane padrone che si è macchiato di due crimini.

48 Sono state efferate e gratuite anche le stragi degli ebrei negli ultimi deliranti anni di potere del Terzo Reich, mentre il popolo tedesco sembrava tenere gli occhi chiusi. 49 Cfr. W. Herzog, Incontri, p. 138.

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Al lamento di Hias – “Non vedo niente. È così buio. Devo vedere qualcosa. Devo tornare nel bosco” –, il giovane signore, che ha perso tutto, risponde: “E non hai bisogno degli uomini? Tu mi piaci. Hai un cuore di vetro”. Ora che niente per lui è più possibile, egli comprende finalmente la natura del veggente, la purezza della sua vita. 7. La terza visione di Hias Tornato sulla montagna, Hias simula la lotta con un orso e la sua uccisione. Con il pretesto di quel pericolo era sceso a valle. Ora che il disastro è avvenuto, non ha più bisogno dell’animale feroce creato dalla sua mente. Nella campagna innevata ha la sua ultima visione, in cui la fine si ricongiunge all’inizio. La macchina da presa inquadra le braci rosse del fuoco che Hias ha acceso. Ecco, succede di nuovo. Io vedo ancora. Vedo di nuovo l’isola rocciosa. La vedo chiaramente. Una terra emersa dalle acque, lontana, nel mare aperto ed una seconda più piccola accanto.

Qui, come nelle prime sequenze, le immagini e la musica ci trasportano nel mondo che il regista ama di più. Le scene finali sono state girate in Irlanda a Skelling Rock. Sono state filmate con l’elicottero, perché l’aereo sarebbe stato un mezzo troppo veloce. Questo paesaggio, che è per Herzog un luogo “veramente estatico”, ha al centro una roccia quasi piramidale che spunta per trecento metri fuori dall’oceano. La visione inizia con un campo lunghissimo delle due isole. Il mare riflette il cielo. È inquadrato con uno zoom uno spuntone di roccia. Poi la visione si allarga per mostrare spazi più ampi. (Queste isole) si trovano al confine del mondo abitato – continua Hias – Da più di due secoli su una di esse vivono degli uomini dimenticati da tutti. Abitano ai confini del mondo e dunque non è ancora giunta loro la notizia che la terra è rotonda. Continuano a credere che la terra sia piatta e che l’oceano precipiti in un abisso senza fine. Vedo un uomo in piedi su uno scoglio dell’isola. Da anni osserva solitario il mare, ogni giorno, sempre dallo stesso punto. A lui per primo è stato concesso il dono del dubbio50. Afferma Herzog nel Commento: “Quella del finale è una profezia scelta da me. Adoro questo posto. Vi si erano insediati prima del 1000 dei monaci irlandesi, che so50

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Capitolo primo

Nella assoluta essenzialità della loro vita, i pochi abitanti dell’isola non hanno tentazioni o cupidigie. Sono gli stessi attori, che indossano gli stessi abiti dei personaggi che abbiamo visto nel villaggio. In condizioni tanto diverse essi sviluppano altre potenzialità. Vediamo in primo piano il volto dell’uomo che coltiva il dubbio e sta fermo nel vento col suo mantello nero. Successivamente il personaggio viene inquadrato da dietro in un anfratto fra due spuntoni di roccia, in un’immagine simile a quella del viandante del quadro di Friedrich51. Infine egli diventa un punto piccolissimo sul crinale di roccia. Quello che il profeta col cuore di vetro è capace di proiettare in immagini in questa visione è il valore di un dono, che rende l’uomo diverso da tutti gli altri esseri del creato: il dono del dubbio. È questo dono che ha prodotto le grandi scoperte scientifiche e che ha potuto e ancora può aiutare a comprendere le situazioni difficili e a cercare una via d’uscita. Non hanno coscienza di averlo il giovane signore prigioniero della sua avidità, né gli abitanti del villaggio che procedono alla cieca verso la catastrofe. Il finale è la celebrazione del dono del dubbio, che ha il potere di spingere a compiere un cammino di conoscenza, qualunque sia il rischio che l’impresa comporta. Mentre la scena diventa più scura, assistiamo a una carrellata aerea dell’isola. Il ritmo diventa più veloce. Dopo qualche anno si uniscono a lui altri tre uomini. Per lungo tempo osservano il mare dalla cima del dirupo. Poi un giorno decidono di compiere il grande passo: arrivare ai confini del mondo per vedere se davvero c’è un precipizio. I musicisti suonano durante il commiato. E dunque si avviano, patetici e sconsiderati, a bordo di una barca troppo piccola.

La sequenza è accompagnata da una musica medievale eseguita dal vivo con strumenti antichi. La scena, che ci mostra i presenti immobili e sullo sfondo le donne vestite di nero con le braccia sollevate, ha l’intensità di un rito sacro. Queste persone senza nome, che abitano ai confini estremi del mondo, sono consapevoli del grande rischio che i navigatori hanno deciso di correre, lo condividono e lo accompagnano con la musica e il canto. Il loro cuore è con coloro che salgono sulno stati poi cacciati dai vichinghi. Sono rimaste alcune casupole di roccia che ricordano gli igloo”. 51 Cfr. Introduzione, p. 14.

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la barca. Vediamo i marinai remare faticosamente, mentre vanno incontro all’ignoto52. A questo punto è inquadrata l’isola più piccola, resa quasi bianca dalla presenza di una grande quantità di gabbiani che l’hanno scelta come nido. Dopo uno stacco la camera fissa riprende la barca, che diventa minuscola, un punto insignificante sul mare grigio sullo sfondo di un cielo appena più chiaro. Quando l’obbiettivo si alza per mostrare il cielo popolato di gabbiani, riprende il canto delle voci femminili. L’ultima immagine che appare sullo schermo porta la scritta: “Poteva sembrare un segno di speranza che gli uccelli li seguissero nella vastità dell’oceano”. Herzog, che ha scritto queste parole, commenta: “Forse vorrei essere quell’uomo, che guarda l’orizzonte e decide di partire”53. Il film su una catastrofe annunciata termina con un messaggio di speranza, affidato a uomini dotati di coraggio, di abnegazione, di una dignità ignota a coloro che accettano passivamente e assecondano la visione dominante. Ho sempre pensato – afferma il regista – che in una certa misura il cinema dovrebbe spronare tutti a prendere sul serio i propri sogni e a trovare il coraggio di fare ciò che veramente desiderano, anche a costo di fallire … Se trovo una persona che, uscendo da cinema dopo aver visto un mio film insieme ad altri trecento spettatori, non si sente più sola, allora ho ottenuto tutto ciò che mi sono prefisso54.

Ai confini del mondo, dove il condizionamento è minore, c’è spazio per la libertà mentale, è possibile coltivare il dubbio che il senso dell’esistenza possa essere più complesso e profondo di quello che ci è stato insegnato, imposto o abilmente suggerito di credere. C’è spazio per un rischioso cammino di conoscenza che ogni essere umano avrebbe bisogno di compiere nella sua vita.

52 Per filmare un inquadratura ravvicinata dei quattro marinai che remano con grande vigore contro la forza delle onde, Herzog e l’operatore sono saliti con gli attori sulla piccola barca. 53 Ibid., p. 161. E nel Commento, cit.: “La figura sul ciglio della roccia è un po’ una rappresentazione di me stesso: un uomo che ha dei dubbi, che fissa un punto lontano”. Quest’idea dell’autoritratto si trova anche in G. Paganelli, op. cit., p. 122. 54 W. Herzog, Incontri, cit., p. 84.

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Capitolo secondo

Jeder fur sich und Gott gegen alle The enigma of Kaspar Hauser

1. Introduzione The enigma of Kaspar Hauser1 (1974) è il film attraverso il quale Werner Herzog ha ricevuto la consacrazione artistica: l’apprezzamento della critica e del pubblico, il premio speciale della giuria e il premio internazionale della critica al Festival di Cannes (1975). La prima opera di fiction ambientata in Germania si ispira a un fatto vero, che ha molto colpito i tedeschi e a cui è stata dedicata un’ampia bibliografia2. Kaspar Hauser era stato trovato in una piazza di Norimberga nel 1828. La gente del posto tentò di comunicare con lui e ben presto emerse che fino ad allora era rimasto chiuso in una prigione buia senza contatti con gli altri esseri umani. La ragione di questa reclusione, il suo rilascio, il primo ferimento e l’assassinio non hanno trovato mai una spiegazione. Il regista si è probabilmente ispirato a questo fatto di cronaca perché la figura di Kaspar e l’atteggiamento degli abitanti della cittadina gli permettevano di affrontare tematiche, che sono centrali in tutta la sua opera e che già qui egli esprime con un linguaggio originale e innovativo. Come il Myškin dell’Idiota di Dostoevskij, il protagonista del film del ’74 viene al mondo già adulto. A privarlo di un normale sviluppo non è la malattia, come avveniva nel romanzo dello scrittore russo, ma una decisione presa da individui sconosciuti. Kaspar ha bisogno di Per il doppio titolo del film cfr. pp. 48-49. Grazia Paganelli, parlando della vita di Kaspar, ricorda che ad Ansbach è stato fondato l’Archivio Hauseriano, che raccoglie tutto quello che è stato scritto su questa vicenda (G Paganelli, Segni di vita, cit., p. 84 e n. 3, p. 90). Herzog riprende i fatti importanti e alcune battute dei diari scritti dal ragazzo e inserisce ex novo alcuni episodi, i sogni e le visioni. 1 2

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Capitolo secondo

imparare tutto, a partire dal linguaggio. Si tratta dell’unico caso conosciuto di un individuo che entra nella società dopo avere perso la sua infanzia e che si trova a doverla recuperare nei due anni che gli restano da vivere. La storia di Kaspar – afferma Herzog – racconta l’effetto della civilizzazione su tutti noi (...). A Kaspar viene impedito di immaginare. La sua creatività viene soffocata e repressa. Tutto ciò che in lui è spontaneo viene sistematicamente mortificato dal filisteismo sociale3.

Il protagonista del film ha caratteristiche simili a quelle di alcuni protagonisti dei film del regista: Hias di Herz aus Glas, Lucy di Nosferatu, Zishe di Invincibile, Fini di Land des Schweigens und der Dunkelheit (Paese del silenzio e dell’oscurità). Strada facendo, ho sentito che i miei personaggi appartengono tutti alla stessa famiglia (...). Spesso mi dicono che essi sono dei cosiddetti emarginati o outsider, ma io ho sempre pensato che una figura come Kaspar non sia un outsider. È lui in verità a stare al centro: Kaspar riesce a conservare immacolata la sua dignità umana, mentre quelli che gli girano intorno sembrano orribilmente condizionati4.

Gli abitanti della cittadina tedesca, in cui il personaggio viene a trovarsi, rivelano un tenace e spesso ottuso rispetto dei regolamenti, delle procedure, delle classificazioni, che impoveriscono la vita, la creatività, la capacità di pensare con la propria testa. Sono caratteristiche che, come avviene in Herz aus Glas e in Nosferatu, aiutano a comprendere l’anomalia che la Germania ha vissuto cento anni più tardi con l’affermazione del nazismo. Quello che viene affrontato nel film è tuttavia un problema che riguarda un tempo molto più ampio: è legato ai condizionamenti che sotto forme diverse viviamo nella nostra epoca e che sicuramente si presenteranno in una nuova veste nel futuro. Il titolo tedesco è Jeder fur sich und Gott gegen alle (Ognuno per sé e Dio contro tutti). Il titolo piaceva al regista, ma non ai distributori ed è stato perciò sostituito da uno più neutro, The Enigma of Kaspar Hauser. Con l’eccezione della famiglia del secondino, le persone che circondano Kaspar pensano a se stessi e al loro tornaconto, all’immagine di sé che vogliono dare agli altri o ancora a uniformare il diver-

3 4

Ibidem. W. Herzog, Incontri, cit., pp. 88-89.

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Jeder fur sich und Gott gegen alle - The enigma of Kaspar Hauser

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so, plasmandolo secondo la loro concezione delle cose. Dio è certamente contro la visione del mondo e il modo in cui gli abitanti della cittadina si rapportano con l’estraneo. Il protagonista con il suo povero vocabolario mette in luce la concezione rigida e astratta dei preti, del logico, del suo stesso protettore Daumer, imbrigliati in un sistema di regole fisse. Il bisogno di una dimensione spirituale più libera, meno dogmatica e schematica si rivela nei sogni e nelle visioni delle sfortunato protagonista. Il film del 1974 è legato a due documentari, Fata morgana (1970) e Land des Schweigens und der Dunkelheit (Paese del silenzio e dell’oscurità) (1971), che lo anticipano e lo preparano. È il regista a sottolineare questi punti di contatto: Alle persone piace Paese del silenzio e dell’oscurità, perché è un film sulla solitudine, sulla tremenda difficoltà di essere compresi dagli altri. Si tratta di problemi con cui dobbiamo confrontarci ogni singolo giorno della nostra vita (...). Vibra nel film la domanda su come apprendiamo i concetti, le lingue, la comunicazione. È un tema che emerge con forza anche nell’Enigma di Kaspar Hauser: ho sempre pensato che questi due film siano strettamente legati l’uno all’altro5.

Pur avendo organi di senso normali, nella torre in cui è rinchiuso Kaspar vive una condizione molto vicina a quella dei sordo-ciechi. Lo testimonia il diario conservato nell’archivio nel quale il giovane scrive che nella sua prigionia “non sapeva che cosa fossero un albero, una casa, una lingua”6. Tuttavia, a differenza dei personaggi del documentario, egli ha la possibilità di scoprire la bellezza della natura e di ciò che lo circonda. Come vedremo, nell’Enigma di Kaspar Hauser hanno un ruolo significativo i sogni e i luoghi immaginati dal protagonista, che non sono descritti nei diari. È Herzog a prestare al personaggio le sue visioni mentali. Se tu privassi il film della storia e lasciassi solo le sequenze oniriche, rimarresti con qualcosa di molto affine a Fata morgana. (...). Ho spes-

Ibidem, p. 91. Queste parole, tratte dall’autobiografia, sono riportate nelle scritte che raccontano la vicenda di Kaspar all’inizio del film. 5 6

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so pensato che Kaspar Hauser sia una versione di Fata morgana corredata di un intreccio7.

Il documentario del 1970, commentato dalla voce di Lotte Eisner, ha permesso a Herzog di esprimere le suggestioni e le visioni che erano dentro di lui e che saranno poco più tardi il centro e il punto di partenza di Herz aus Glas. Come l’ultimo racconto di Kaspar morente, il cortometraggio è ambientato nel Sahara. (Fata morgana) ci è costato molti sforzi. È stato importante per me (...). Riprendevo ciò che mi affascinava (...). Dopo i primi minuti c’è una lenta carrellata di dune ottenuta scavando un sentiero nella sabbia. La musica è una messa di Mozart. È un’immagine molto suggestiva, un’immagine che incanta (...). Con queste immagini metto lo spettatore in un particolare stato mentale, che è qualcosa di estatico, una verità estatica8.

Lo stesso stato mentale è suggerito allo spettatore dalle immagini del prologo del film del ’74 e da quelle del Sahara, evocate nel finale nel racconto di Kaspar morente. Per rappresentare il ragazzo nato adulto, Herzog ha scelto il quarantunenne Bruno S. che aveva visto in un film sui musicisti di strada a Berlino. Bruno non aveva mai recitato, ma aveva una sofferta esperienza di vita, simile per certi aspetti a quella di Kaspar. Quando aveva tre anni, la madre, che faceva la prostituta, lo picchiava con tanta violenza che gli aveva fatto perdere la parola. Questa menomazione è stata il pretesto per farlo rinchiudere in un istituto per bambini ritardati. Il ragazzo è fuggito, ma è stato ripreso e ha finito per passare i successivi ventitré anni della sua vita in brefotrofi, riformatori, istituti e prigioni9.

Ibidem, p. 141. Commento a Fata morgana, in W. Herzog, Fata morgana, DVD Ripley’s Home Video, 2005. “La scena di apertura (di Fata morgana) – afferma Herzog nell’intervista a Cronin – seleziona gli spettatori. Più diventa bollente e secca l’aria, più le immagini si fanno indistinte quasi impalpabili. Subentra un elemento visionario, che ci accompagna per tutto l’arco del film (...). I miraggi che si erano impossessati di me e gli aspetti visionari del paesaggio desertico erano di gran lunga più potenti di qualsiasi idea io avessi precedentemente avuto sul film”(W. Herzog, Incontri, cit., p. 68). 9 Cfr. W. Herzog, op. cit., pp. 145-147. 7 8

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La recitazione di Bruno – afferma il regista nel commento – era contagiosa. Anche gli altri si rendevano conto che facevano qualcosa di profondo, di filosofico. Il senso era: chi siamo? come acquistiamo la conoscenza del mondo e della lingua? come impariamo a conoscere la società? Tutto aveva un significato profondo10.

Herzog dice che “il film ha raggiunto presto un livello alto e che lui non ha permesso a nessuno di abbassarlo”: L’enigma di Kaspar Hauser non è un documentario, non è realismo, è qualcosa che ho sempre cercato. L’ho capito solo negli ultimi anni. Ho sempre cercato uno strato più profondo della verità11. (...) Il mio film non si occupa soltanto dei problemi causati agli abitanti del posto dalla presenza di Kaspar, ma anche di quelli causati a lui dalla società in cui viene a trovarsi (...) Kaspar li sta obbligando ad affrontare la vita quotidiana con occhi nuovi12.

Come gli abitanti dell’isola di Herz aus Glas, Kaspar è spinto dalla sua condizione e dalla sua sensibilità a coltivare di fronte alla visione dominante, passivamente accettata da chi lo circonda, un dono fecondo, quello del dubbio. Si tratta di un dono che porta a compiere un cammino di conoscenza e di ampliamento dei propri orizzonti, anche se spesso a caro prezzo. 2. Il Prologo e l’ingresso nel mondo di Kaspar Le prime immagini del prologo trasportano lo spettatore in una dimensione di serenità e di bellezza, che apparentemente non ha un rapporto immediato con la storia. Herzog, affascinato da come il mondo viene scoperto da un individuo che lo vede per la prima volta, ci offre quello che gli occhi del suo protagonista, ancora velati dopo tanti anni di buio, sono in grado di cogliere quando finalmente esce all’aperto13. Sono immagini legger10 Commento al film, in W. Herzog, L’enigma di Kaspar Hauser, Ripley’s Home Video. Da questo DVD sono tratte anche le battute del dialogo riportate nel capitolo. 11 Ibidem. 12 W. Herzog, Incontri, cit., p. 138. 13 Herzog sottolinea che per lui era importante soffermarsi su queste immagini, perché voleva che gli spettatori entrassero almeno un po’ in sintonia con il suo personaggio e guardassero in modo nuovo le cose di questo pianeta, vedendole quasi con gli occhi giovanili di lui (W. Herzog, Incontri, cit., p. 143).

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mente appannate: i riflessi di uno specchio d’acqua mosso dal remo di un barcaiolo, il volto di una ragazza con orecchini di corallo che spunta in mezzo all’erba alta agitata da una brezza leggera, l’inquadratura di una donna che lava i panni nell’acqua del lago dove si formano piccole onde iridescenti, un campo di segale scompigliato dalla forza del vento ripreso con un teleobbiettivo e un quadrangolo montato sopra14. Sul campo di segale viene impressa la drammatica epigrafe tratta dal Lenz di Georg Buchner: “Ma non sente ovunque la voce spaventosa che grida e che abitualmente chiamano silenzio?”. È una dimensione nella quale il protagonista ha vissuto finora tutta la sua vita e che condiziona nel bene e nel male il suo ingresso nel mondo. Viene colta una natura viva: si muovono l’acqua, i fili d’erba, le spighe scosse dal vento. Il giovane, che vede per la prima volta il mondo senza categorie di pensiero e condizionamenti, coglie l’armonia profonda e la vitalità delle cose. È un dono che lo accompagna per i due brevi anni di esistenza consapevole. Questa dimensione di bellezza è resa più intensa dalla musica, “usata per mostrare il risveglio del personaggio dal suo assopimento, il suo ridestarsi da uno stato quasi catatonico”15. Il prologo è accompagnato dall’aria di Tamino del Flauto magico di Mozart. È cantato lo stupore del vedere e del vivere (“Ritratto di incantevole bellezza – come occhio non ha mai veduto”). “È una sorta di promessa di armonia, che la musica cerca di mantenere nonostante i tentativi falliti degli uomini”16. Col fermo-immagine della figura intenta a lavare i panni, anche la musica tace improvvisamente, come se si volesse evidenziare il distacco dall’armonia. Segue il racconto scritto delle vicende reali di Kaspar Hauser, che scorre nel silenzio. Attraverso il raccordo sonoro della musica, che riprende all’inizio del primo episodio, ci è mostrata l’esistenza del protagonista, legato a

14 “Con due obbiettivi così montati – dice il regista – si ottiene un’immagine in scala normale che però non è più così normale. La prospettiva e le linee non funzionano più: si ha una sensazione strana e inedita” (G. Paganelli, Segni di vita, cit., p. 121). 15 Ibidem, p. 143. Parlando del film del ’74, Herzog sottolinea che ci sono brani musicali che, se vengono inseriti insieme a immagini particolari, rivelano allo spettatore caratteristiche intime della scena. Cambia la prospettiva. Una scena può anche non essere logica da un punto di vista narrativo. Eppure, a volte, dopo che viene aggiunta la musica, comincia ad acquisire una logica interna. 16 G. Paganelli, op. cit., p. 137.

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una cinghia, nel buio della sua prigione. Lo vediamo bere, mangiare un pezzo di pane, grattarsi. L’aria di Mozart è interrotta quasi subito per lasciare posto ai suoni dal vivo amplificati dalla struttura a volta del soffitto della cella circolare: il respiro pesante del personaggio, il suo brontolio inarticolato, lo sfrigolio sul pavimento di un cavallino di cartapesta, che egli muove in modo catatonico, un suono di campane che proviene dall’esterno17. Mentre il protagonista dorme, vengono inquadrati i poveri oggetti che gli appartengono: un coperchio di metallo, una brocca, l’unico modesto giocattolo. La stanza è buia, ma il personaggio, che ha una camicia bianca, è fortemente illuminato da un faro extradiegetico, che forma intorno a lui un alone simile a quello di un’aureola. Kaspar – afferma il regista – ha sofferto tantissimo a causa dei suoi contatti con le persone e con la società. Non si trattava di un idiota, piuttosto di un santo come Giovanna d’Arco. Credo che questo aspetto emerga con forza nella performance di Bruno. In effetti si può quasi vedere la sua aureola quando si guarda il film18.

Il parallelo che Herzog stabilisce con la Giovanna di Dreyer esprime l’essenza del personaggio, che nell’arco della sua vita vive una dolorosa passione: non fa del male a nessuno e ne riceve moltissimo da coloro che lo circondano. Già in questa prima sequenza il bene, legato alla luce e al bianco, si contrappone all’oscurità, al male, alla violenza. Un uomo vestito di nero, di cui non si vede mai distintamente il volto, invade lo spazio del prigioniero, gli insegna a scrivere il nome, lo percuote su un braccio senza alcun motivo, se lo carica sulle spalle e lo porta fuori. I due salgono su una collina sullo sfondo di un delicato paesaggio azzurrino. L’uomo nero mette Kaspar in piedi e, prendendolo a calci nell’incavo delle ginocchia, gli insegna a muovere i primi passi in posizione eretta19. Il giovane entra nel mondo senza avere sperimentato un briciolo d’amore. Il suo sbrigativo addestramento si accompagna a gesti di gratuita crudeltà.

17 È il segno che c’è un luogo abitato vicino che il prigioniero ignora, così come non sa nulla dell’esistenza degli uomini. 18 W. Herzog, Incontri, cit., p. 142. 19 Sia il vero Kaspar che il personaggio di Herzog hanno passato lunghi anni legati a una cinghia fissata al pavimento che impediva loro di stare eretti.

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Spossato dalle nuove esperienze, Kaspar si addormenta. È vegliato e sorvegliato dalla figura che campeggia come una montagna nera accanto al suo corpo disteso. L’immagine è accompagnata dal Requiem a cinque voci di Orlando di Lasso, che ha un’andatura grave e triste, adatta all’ingresso nel mondo di questo individuo indifeso e diverso. La musica fa da raccordo sonoro alla sequenza successiva in cui i due giungono nella piazza della cittadina, dove Kaspar viene abbandonato20. Ripreso dall’alto con una lettera in una mano e un libro di preghiere nell’altra, la figura del protagonista attira l’attenzione per la sua stranezza. Il giovane si guarda intorno con occhi che esprimono spavento e apprensione. Il suo sguardo è attratto da un animale. La mucca, che senza rendersene conto si stringe all’albero a cui l’hanno legata senza riuscire più a muoversi, vive una condizione per certi aspetti simile alla sua. La figura sconosciuta e la sua posizione attirano l’attenzione di alcune persone, che lo guardano con stupore e sospetto dalle finestre collocate alle sue spalle. Una di queste gli si avvicina, gli parla senza ricevere risposta, legge l’indirizzo sulla busta della lettera che il giovane tiene in mano e si offre di accompagnarlo nel luogo indicato. La reazione del domestico del capitano di cavalleria, che in assenza del proprietario deve trovare un posto in cui lo sconosciuto possa attendere, rivela da subito l’atteggiamento della cittadina nei confronti di chi è e diverso. Poiché è strano e malvestito, non gli viene proposta una stanza della casa, ma la stalla. Il personaggio stanco e frastornato si addormenta in un luogo simile a quello che ha sempre conosciuto. Il pavimento è coperto di paglia come lo era quello della sua cella. Già da ora, gli esseri che più gli sono vicini e lo accettano sono gli animali. Il cavallo, che condivide con lui questo spazio chiuso, gli alita amichevolmente sul viso. Circondato dalla piccola folla di curiosi che si è radunata, il capitano esamina gli averi dello straniero. Detta allo scrivano, che ripete come un’eco le sue parole, che il giovane non ha un passaporto e che si rifiuta di dire il suo nome. Secondo i regolamenti deve essere consegnato alle autorità. Si pretende da un individuo che non è in grado di parlare e che sta in piedi con fatica di essere interrogato sotto giu20 Per evitare di dare una specifica determinazione geografica, che “avrebbe potuto responsabilizzare la cittadina per l’accaduto”, Herzog non ha scelto Norimberga, ma Dinkelsbuhl, una piccola località della Franconia, ancora circondata da mura medievali, con le strade con i ciottoli. Sono state rimosse soltanto le antenne delle televisioni (Cfr. W. Herzog, Incontri, cit., p. 141 e W. Herzog, Commento al film, cit.).

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ramento. Sono categorie che per Kaspar non hanno senso. Poiché per la sua diversità non riescono a classificarlo, decidono di metterlo in carcere. Si rivela già qui un modo di pensare che è proprio della cittadina tedesca dell’ottocento e che continua nei rapporti delle società civili nei confronti di chi è straniero e diverso, non facilmente classificabile e perciò etichettato come pericoloso. Nella cella, che condivide con altri due prigionieri con i quali non ha rapporti, Kaspar è attratto da una stretta finestra. Gode della presenza dell’aria, che aspira con le narici, con ogni poro della sua pelle. Più avanti si dedica ad un’esperienza per lui nuova e gratificante: imboccare e nutrire un uccellino che è entrato nella stanza. Fra i tanti curiosi e le autorità, che si attengono rigidamente a regolamenti inadatti al recluso, spicca l’atteggiamento del secondino. A lui Kaspar appare un brav’uomo. Decide così di portarlo nella sua casa e pazientemente gli insegna alcune regole per aiutarlo a vivere nel mondo. 3. La casa del secondino La sequenza si apre con l’inquadratura della madre di famiglia davanti ai fornelli. Il regista e l’operatore, Jörg Schmidt-Reitwein, hanno lavorato per armonizzare i colori e la luminosità della stanza: È una luce che si vede nei quadri antichi. Abbiamo cercato di realizzare un’illuminazione che stesse bene coi costumi, coi mobili, con le galline sotto la panca della cucina21.

È una casa povera, semplice, serena. Ci sono fiori sui davanzali di ogni finestra. Si intravede a sinistra il bordo di una culla. Kaspar è fatto sedere a tavola per la prima volta. Appare goffo, rigido come un pezzo di legno. Con gesti accompagnati dalle parole il padre di famiglia e il suo bambino più grande insegnano all’allievo le parole e i concetti di pieno e di vuoto. Nel corso della scena sono inquadrati due oggetti appesi alle pareti. Sopra la testa del personaggio c’è una gabbia con un uccellino. Nell’angolo accanto alla gabbia è appeso un crocifisso, che ha alcune spighe infilate negli incavi della braccia. L’animaletto prigioniero e il povero Cristo sofferente col volto di un contadino hanno qualcosa in comune con la condizione di Hauser.

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W. Herzog, Commento al film, cit.

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In questa stanza in un momento successivo Kaspar fa il suo primo bagno. La madre di famiglia lo lava con delicata gentilezza in una tinozza insieme al figlioletto, mentre una capra curiosa occhieggia dalla porta. Poiché egli continua a vivere in carcere, i bambini svolgono le loro lezioni nella cella. L’allievo reagisce impegnandosi, perché intuisce che quello che apprende gli è effettivamente necessario. Si instaura un buon rapporto coi suoi piccoli amici. Come loro, il protagonista non ama i concetti astratti. Per capire ha bisogno di vedere, di toccare, di sperimentare coi suoi organi di senso. Nell’ambiente amico della casa del secondino Kaspar fa la prima esperienza importante della sua vita. Timidamente sfiora una manina del neonato sdraiato nella culla. Quando la madre si avvicina e con fiducia glielo porge, Kaspar lo tiene goffamente sulle mani in posizione orizzontale. Il suo viso intenso è rigato di lacrime. Con un linguaggio ancora imperfetto egli cerca di dire quello che sente: “Madre. Questo non posso. È troppo”. È la seconda volta che lo vediamo piangere. La prima è una reazione al dolore fisico quando si brucia il dito con la fiamma di una candela durante l’esperimento per valutare se ha il senso del pericolo. Qui è commosso fino alle radici del suo essere dal contatto con la fragilità, la delicatezza, la purezza della creatura che gli è affidata. Per la prima volta egli vive l’emozione per lui straordinaria e sconvolgente di tenere fra le braccia il mistero di una vita da poco venuta al mondo. 4. Il circo e l’ingresso in casa Daumer Davanti allo spioncino della cella di Kaspar passano in processione persone attratte dalla sua diversità: semplici cittadini, uno dei preti che vedremo più tardi, le autorità. La frase di una di queste – “Si dovrebbe fare attenzione perché egli non gravi sulle finanze pubbliche” – porta alla decisione di utilizzare l’interesse che il giovane suscita per trasformarlo in un fenomeno da baraccone. La sequenza successiva si svolge in un circo dove, insieme a animali feroci e a cammelli che camminano sulle ginocchia, si esibiscono quattro esseri umani diversi dagli altri: un nano, un indio che parla una lingua incomprensibile, il piccolo Mozart, e il protagonista a cui è richiesto di stare nella stessa posizione in cui è stato trovato, col braccio teso e la lettera in mano.

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I quattro “prodigi”, che certamente vivono con disagio la loro condizione, fuggono attraverso i campi. Un agiato borghese, che fin dall’inizio della scena osserva Kaspar con interesse, lo trova nascosto in un alveare. Quando apre la porta, il giovane pronuncia una frase che Herzog ha immaginato per esprimere il suo stato d’animo: “Vorrei volare come un cavaliere in mezzo a una battaglia sanguinosa”. In una condizione che lo priva della sua dignità di essere umano, il personaggio esprime un desiderio di fuga che ha in sé anche un presagio di morte. Con un’ellissi di due anni troviamo Kaspar in casa del signor Daumer, che è diventato il suo protettore. Con l’estrema cura che contraddistingue i suoi film, Herzog ha cercato un architetto-pittore per arredare questa stanza borghese del primo ottocento22. La prima inquadratura di questo ambiente ci mostra un salotto luminoso, ordinato, elegante in modo convenzionale. Siamo lontani dall’atmosfera familiare e piena di vita della cucina del secondino. Al centro della stanza c’è un tavolo accanto al quale la governante è intenta a cucire, a sinistra un piccolo gruppo ascolta un brano suonato al pianoforte. Il punto di fuga è una finestra sulla parete di fronte dalla quale entra una luce fredda color ghiaccio, che illumina un ambiente privo di calore. La ripresa frontale, leggermente dal basso, evidenzia il soffitto bianco decorato con pesanti stucchi in rilievo: un cerchio incorniciato da un rombo con punte aguzze. L’effetto, che esso produce e che ritroveremo nel finale, è di incombente oppressione in sintonia con lo stato d’animo di Kaspar, vestito in modo elegante come coloro che lo circondano, già consapevole dell’infelicità della sua nuova condizione. Il protagonista che ha imparato ad amare la musica ascolta il pianista cieco Florian. Daumer racconta che il giovane ha perso tutta la famiglia in un incidente e che suona senza mai lamentarsi. Come vedremo, sarà lui alla fine il più vicino a Kaspar. È l’unica volta in cui il regista inserisce in un suo film Florian Fricke, che ha scritto e eseguito le musiche dei suoi film più famosi. Herzog commenta: “Florian ha un volto che sembra uscito da un altro secolo o da un altro millennio. Ha qualcosa di angelico”23. Il primo breve discorso del protagonista, che viene pronunciato in questa occasione, sottolinea il rimpianto per quello che ha perduto:

22 23

Cfr. W. Herzog, Commento al film, cit. Ibidem.

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Capitolo secondo

“La musica mi fa sentire chiuso nel petto. Perché è tutto così difficile? Perché non posso suonare il pianoforte come respiro?”. Dopo due anni di apprendistato Kaspar è in grado di parlare dei suoi desideri, del suo bisogno di esprimersi, del suo amore per la musica. Contemporaneamente si avvertono nelle sue parole sentimenti di amarezza e di delusione. Quando Daumer gli ricorda che prima non viveva fra gli uomini, egli afferma “Gli uomini sono lupi”24. Segue una serie di brevi scene, il cui il personaggio, che ha una visione molto diversa da quella della comunità, esprime le sue opinioni. Sono rivelatori due incontri. Il primo è il colloquio con i preti, desiderosi di fargli confermare che “l’idea di Dio è innata” e di obbligarlo a credere nei dogmi. Kaspar afferma chiaramente il suo pensiero: Dentro alla mia prigione io non pensavo proprio a niente (...) Prima devo riuscire a capire meglio le cose che vedo. Poi potrò capire il resto.

Il giovane non si piega a recitare la preghiera che uno dei due sacerdoti gli propone. L’ultima inquadratura della sequenza stringe sul piccolo gruppo seduto a tavola. L’unico ad avere come sfondo la finestra, qui come anche negli episodi successivi, è il protagonista, aperto ad una visione che non si accontenta di verità precostituite, ma vuole sperimentare, conoscere, cercare l’essenza delle cose. Nel confronto col logico, che ha alle sue spalle un muro con una grande crepa, che spicca in quella casa ordinata e ben tenuta, il personaggio dà una risposta giusta e immaginosa, bocciata dallo studioso, che accetta solo schemi precostituiti. Quello di Kaspar è il modo di pensare di una persona che non è stata indottrinata. Quando fa le sue lapidarie affermazioni, egli non si rivolge ai suoi interlocutori. Guarda oltre, come se volesse spiegare a se stesso un pensiero difficile cercando le parole adatte. 5. La presa di coscienza di Kaspar Un momento importante, che segna una svolta nell’esistenza del personaggio, è il colloquio con la governante Kate, intenta a cucire mentre il protagonista mangia educatamente la minestra. È una con-

24 La maggior parte delle lapidarie affermazioni del protagonista è tratta dal diario del Kaspar storico (cfr. W. Herzog, Commento, cit.).

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versazione che avviene in una casa curata e protetta. In un piccolo spazio sono collocati tre vasi di fiori freschi. Kaspar confida alla donna di non essere “capace di togliersi dalla testa il Sahara”, di cui Daumer gli ha parlato. Dice che ha inventato una storia che si svolge nel deserto e che non riesce a finire. Kate gli risponde che potrà raccontarla solo quando la conoscerà per intero. È una limitazione rispetto a un’esigenza profonda che sta nascendo. A Kaspar sta stretto il modo di ragionare degli abitanti della cittadina. In quello che egli apprende dalle volenterose lezioni di Daumer, che lui stesso definisce “molto istruito”, la sua immaginazione lo porta a valorizzare la descrizione di mondi lontani, diversi, verso i quali il suo essere comincia a protendersi. È un desiderio ch il personaggio condivide col regista: A quattordici anni ho iniziato la ricerca disperata di un luogo quasi ideale, una specie di utopia che ho inseguito: paesaggi umanamente dignitosi dove vivere25.

È quello che sta facendo anche Kaspar. La conversazione si conclude con una frase attraverso la quale, senza averne consapevolezza, Kate ferisce e delude il suo pupillo: “Il signor Daumer si prende molto a cuore la tua educazione e vuole che tu impari ad essere come noi”. È qualcosa che Kaspar non può accettare, perché calpesta il suo modo di sentire, la sua personalità. La sequenza successiva inizia con un’immagine molto scura. La camera del giovane e la spalliera del letto sono avvolte nel buio. Emerge – illuminato da un faro extradiegetico – il volto sofferente del protagonista, sul quale scende una lacrima. È una risposta senza parole a qualcosa che la donna inconsapevolmente gli ha messo di fronte. Nemmeno le persone a lui più vicine sono in grado di accettarlo per quello che è, di rispettare il suo modo di sentire, il suo desiderio di conoscere e sperimentare l’essenza delle cose. Kaspar vede con gli occhi della mente la gita in barca col suo tutore. La scena si apre con l’immagine di un lago in cui si riflettono le case e la vegetazione. Al centro dell’inquadratura c’è un cigno bianco. La barca coi due passeggeri entra da destra e incrocia il cigno, che leggero e armonioso nuota contro corrente nella direzione opposta. La se-

25 W. Herzog, Was ich bin sind meine filme (Io sono i miei film), cit. Nonostante abbia viaggiato “fino agli estremi confini del mondo” Herzog, come Kaspar ha visitato questo luogo solo nelle visioni mentali e nei sogni. Cfr. Introduzione, pp. 12-13.

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Capitolo secondo

quenza è accompagnata dall’Adagio di Albinoni. È una scena serena, ma è anche il momento di una dolorosa scelta interiore. La personalità di Kaspar, che si sta affermando, non vuole piegarsi alla visione ristretta di chi lo circonda, ma andare nella direzione che sente propria. L’adagio di Albinoni fa da raccordo sonoro con la scena successiva nella quale il protagonista, seduto in giardino, racconta in una lettera a Daumer di una violenza che ha appena subito. Avevo scritto il mio nome per intero con le piantine di crescione. Mi aveva dato una gioia tanto grande che ora non riesco neanche ad esprimerla. Tornando dal giro in barca, ho visto che qualcuno è entrato nel giardino e ha calpestato il mio nome. Allora ho pianto (...). Però io voglio scrivere di nuovo il mio nome.

Stavolta Kaspar soffre a causa di un evento, che evidenzia quello che quel piccolo mondo sta facendo alla sua persona. Mentre il giovane scrive, una cicogna, che vediamo spesso circolare in giardino, ingoia un rospo passeggiando sull’acciottolato rosso di sangue. Le macchie di sangue sono quelle che il personaggio lascerà dopo il primo ferimento, che non è ancora avvenuto. Questa immagine, marcatamente simbolica, indica che Kaspar ha già subito una violenza che non è fisica, ma è ugualmente crudele. Come la cicogna col rospo, stanno ingoiando la sua identità, la sua personalità che sta venendo alla luce. 6. Il sogno del Caucaso Seduto su una panchina insieme a Daumer, Hauser, che durante gli anni di prigionia non ha mai sognato, racconta con sguardo incantato la splendida visione che è affiorata dal profondo di lui. “Oggi mi sono sognato. Mi sono sognato nel Caucaso”. Quello che si intravede attraverso un effetto di tremolio e di sfarfallamento è un luogo esotico, spirituale e misterioso: una panoramica che riprende una valle di templi su uno sfondo di montagne. L’immagine inizia a tremare fino ad oscurarsi e poi torna alla luce. È una visione evanescente, divorata dalla luce, trasparente, eppure penetrante”26. Herzog racconta che la sequenza è stata girata da suo fratello Lucki durante un viaggio in Birmania quando aveva diciannove anni: “A lui non era piaciuta per niente. Io ho pensato che fosse molto bella e mi-

26

Cfr. G. Paganelli, op. cit., pp. 108 e 123.

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steriosa, assolutamente eccezionale, e l’ho pregato di darmela”. Questo filmato, rielaborato dal regista, costituisce la visione onirica di Kaspar27. Il sogno di una terra lontana piena di templi suggerisce un modo di sentire e una spiritualità più larghi e liberi rispetto a quelli che vogliono imporre a Kaspar. In un colloquio di poco successivo, che si svolge nel giardino, Daumer rimprovera il suo pupillo perché non apprezza la bellezza della vegetazione che ha intorno e perché dice che “il suo letto è la sola cosa buona nel mondo”. In modo indiretto il protagonista fa capire di preferire alla realtà della cittadina il luogo in cui può sognare un mondo diverso. Lo spazio esterno intorno a casa Daumer, che Hauser non ama, è stato piantato e preparato alcuni mesi prima delle riprese dallo stesso regista, perché – afferma – voleva che avesse l’aspetto di un giardino dell’epoca28. È un luogo curato, ordinato, organizzato secondo la moda del tempo. L’orto, il frutteto, la panchina, le aiuole fiorite sono disposti secondo uno schema preciso. È questo che disturba Kaspar, che ama una natura aperta, libera, spontanea. Egli sorprende il suo protettore con frasi dolorose e amare, che il regista ha ripreso dai diari del personaggio storico e che probabilmente gli hanno offerto uno spunto significativo per il film. In questo episodio il giovane sintetizza la sua condizione in una frase, che lascia trapelare la sua sofferenza: “Sì, ho proprio l’impressione che la mia apparizione su questa terra sia stata una dolorosa caduta”. 7. Gli ultimi mesi della vita di Kaspar Come il Kaspar storico, il protagonista del film inizia in questo periodo a scrivere le sue memorie. Herzog sottolinea questo momento importante nell’esistenza del personaggio attraverso un’immagine insolita. Daumer, che è inqua-

27 W. Herzog, Incontri, cit., p. 133. Il laborioso procedimento usato da Herzog è lo stesso descritto per spiegare come è stata girata una parte della prima visione di Herz aus Glas (cfr. Capitolo primo, pp. 27-28). 28 W. Herzog, Commento, cit. E nell’intervista a Cronin: “Prima che arrivassimo noi, il giardino non era altro che un pezzo di terra coltivato a patate. Ho piantato io stesso fragole, fagioli e fiori, cosicché non solo ho sviluppato una sensibilità per il tipo di giardini dell’epoca, ma, quando si è trattato di fare le riprese, sapevo esattamente dove si trovava ogni pianta e ogni vegetale e sapevo con precisione come muovermi nello spazio” (W. Herzog, op. cit., p. 128).

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Capitolo secondo

drato in primo piano, dice frasi banali mentre, seduto a un tavolino, scorre i necrologi pubblicati su un giornale locale. In profondità di campo attraverso una fuga di porte vediamo Hauser ripreso di spalle. È il punto di fuga che attrae l’occhio dello spettatore. Kate, che è intenta alle sue faccende domestiche, si sposta nella stanza senza impedire mai la visione del protagonista, impegnato a scrivere la storia della sua vita. È un notevole passo avanti per il personaggio che era comparso due anni prima nel mondo non solo analfabeta, ma anche incapace di parlare. Questa attività è accompagnata da un dubbio significativo che egli manifesta al suo tutore: “Non ho ancora capito se imparando più parole, imparerò a capire meglio le cose”. Effettivamente il processo di conoscenza del personaggio si compie soprattutto attraverso un percorso immaginativo visivo, che ha il suo culmine nelle immagini del deserto che egli racconta alla fine della vita. L’evento che Daumer gli preannuncia in questa scena – l’incontro con un lord inglese interessato al suo caso – non sarà per lui la grande opportunità che il tutore gli prospetta, ma la causa di una sofferenza che ferisce la sua dignità, il suo modo di essere e di sentire. Il nuovo episodio inizia con l’inquadratura di un’orchestra da camera che suona per una folla di persone in abito da sera. Siamo introdotti in un ambiente socialmente più elevato rispetto a quello che fino ad ora aveva accolto Hauser. I presenti fanno largo al lord, che entra seguito da Kaspar a testa bassa, rigido e goffo. Daumer trepidante segue il suo pupillo come un’ombra. Per i nobili, che lo guardano con occhi critici e impietosi, Kaspar è un fenomeno di cui essi notano soprattutto i difetti. Assistiamo a una ripetizione in un altro contesto dell’episodio del circo. Come un animale ammaestrato, il giovane si presenta ai gentiluomini e alle dame come il suo nuovo protettore gli chiede, ma non rinuncia a esprimere con una frase lapidaria la sua dolorosa condizione: “Quello che meno vive in me è la mia vita”. Man mano che fa esperienza del mondo che lo circonda, cresce il desiderio di fuga del personaggio. Egli riesce a liberarsi del lord prima suonando volutamente male il pianoforte e poi facendosi trovare nella stanza dove si è rifugiato con la camicia sbottonata e intento a fare la maglia, un’attività ritenuta dall’aristocratico “rozza e grossolana”.

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8. Il primo ferimento e l’assassinio Per cause ignote, forse dovute alla notizia che sta scrivendo le sue memorie, Kaspar viene sorpreso da un aggressore che lo ferisce brutalmente. Attraverso la sua soggettiva vediamo il volto rabbioso di un uomo vestito di nero che infierisce su di lui. Prima di perdere i sensi il protagonista ha la visione di uno scorcio di cielo, che si allarga in una panoramica che include il mare, poi il fermo-immagine di un luogo avvolto da una luce sfarfallante e incerta. Concluso il rituale burocratico delle domande della polizia che restano senza risposta, Kaspar col volto bianco come il lenzuolo candido del suo letto racconta alle persone a lui più vicine qualcosa che, come egli stesso sottolinea, non ha niente a che fare con l’aggressione. Il giovane non ha mai avuto contatti con la morte. L’episodio che ha appena vissuto lo porta a esprimere la sua personale visione di questo evento, come lui lo immagina. Appare una folla di uomini che sale su una montagna pietrosa29. Prima ho visto il mare, poi ho visto una montagna. C’erano molte persone e tutti ci salivano, come fanno nelle processioni. C’era molta nebbia e non potevo vedere con chiarezza. In cima c’era la morte.

Dice Herzog nel commento: “Non c’è legame con il resto del film. Però allo stesso tempo è qualcosa di essenziale”. Kaspar, che è dotato di una viva immaginazione, esprime così il suo timore di una grigia dimensione di morte, simile alle descrizioni degli antichi, che probabilmente egli non conosce. Segue un periodo sereno in cui il protagonista assapora in solitudine quello che ama. Cammina in una vasta pianura, gioca con un corvo, guarda l’orizzonte. Lo vediamo agitare con la mano l’acqua raccolta in una botte, su cui si riflette la sua immagine. In questo momento la musica tace per lasciare posto al canto degli uccelli inframmezzato da un ronzio di mosche. Vediamo l’immagine del suo volto scomporsi per poi tornare lentamente normale. Il personaggio ha probabilmente compreso che la sua identità, per quanto possa essere scompigliata, torna alla fine chiara e definita. L’ultima inquadratura di questo episodio lo coglie mentre suona con gioia intensa il pianoforte. 29 Herzog racconta che la ripresa è stata fatta nella costa occidentale dell’Irlanda. “Tutti gli anni su questo monte brumoso, il Croagh Patrick, c’è una grande processione, alla quale prendono parte oltre cinquantamila persone” (W. Herzog, Incontri, cit., p. 133).

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Capitolo secondo

Nella scena successiva Kaspar mortalmente ferito corre verso il suo tutore. Vuole trascinarlo nel luogo dove lo hanno aggredito per mostrargli la lettera e il sacchetto che l’assassino ha lasciato. Come nella vicenda storica, lo scritto non spiega niente. Mentre Daumer legge, il cigno, che avevamo visto nuotare contro corrente, si nasconde fra gli arbusti e sparisce dal film. La ragione dell’aggressione mortale resta un segreto. Solo gli alberi, le foglie, il vento, ripresi in una lunga inquadratura, sono testimoni muti di questo evento. Commenta Herzog. “Mi piace molto l’immagine degli alberi, che non è legata al filo narrativo della storia. È un’immagine strana e di disturbo”30. 9. L’ultima visione del protagonista La sequenza della veglia al morente si apre con la corsa trafelata della moglie del secondino, che bussa alla porta di Daumer per vedere per l’ultima volta il giovane diverso a cui ha voluto sinceramente bene. Il suo bambino è già lì, ai piedi del letto dell’amico. La macchina da presa collocata sulla soglia inquadra, ancora una volta leggermente dal basso, un totale della stanza. Afferma Herzog a proposito di questa scena: “C’è un perfetto bilanciamento dello spazio e una perfetta disposizione degli attori, al punto che si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un quadro”31. Il soffitto con i suoi pesanti rilievi incombe in modo opprimente. Sul lato sinistra lungo una linea diagonale sono disposti Kate, Daumer, il pianista cieco. Ognuno di loro guarda verso una direzione diversa. Il tutore e la governante hanno gli occhi bassi, come se fossero raccolti in un dolore misto a un senso di fallimento. Il pianista si trova nella stessa linea ma è rivolto verso la finestra, come a sottolineare la diversità e l’apertura del suo atteggiamento. L’atmosfera è triste e raccolta. Uno dei preti, che prima avevano tormentato il personaggio, recita un salmo appropriato e dice al malato: “Se hai qualcosa che ti sta a cuore, figliolo, devi dirla ora”. Col W. Herzog, Commento, cit. “Il risultato finale è scaturito dalla mia comprensione fisica, immediata e completa della stanza in cui si effettuavano le riprese, dall’aspetto degli attori in costume e del posto in cui si trovavano, dalla collocazione della macchina da presa e del tipo di lente che era preferibile usare” (W. Herzog, Incontri, cit., p. 128). 30 31

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volto sofferente, sudato, pallidissimo il giovane risponde: “C’è ancora una storia della carovana del deserto, ma conosco solo l’inizio”. “Non ha importanza, raccontala” dice il sacerdote. Tutti i presenti ascoltano in un silenzio raccolto quello che Kaspar, e con lui il suo regista, ha coltivato a lungo nel profondo del suo essere32. ...io vedo una grandissima carovana, che sta attraversando il deserto in mezzo alla sabbia. Questa carovana è guidata da un vecchio con la barba tutta bianca. Questo vecchio uomo è cieco.

Appare davanti agli occhi dello spettatore l’ultima visione, che contiene una chiave importante per la comprensione di quello che il regista vuole trasmettere allo spettatore. L’immagine, che ha effetti di tremolio e sfarfallamento, ha i colori caldi del deserto. È inquadrata dall’alto una fila di cammelli. Cambia la posizione di ripresa. La macchina fissa zooma sui cammelli, che le girano intorno. È come se lo spettatore fosse in mezzo a loro. Accompagna la visione “una musica che ha qualcosa di strano e di irreale”33. Alcuni – continua Kaspar – credono di essersi smarriti perché vedono le montagne. Consultano la bussola per sapere qual è la direzione. Il vecchio prende un pugno di sabbia, la assaggia come se fosse da mangiare, poi volge la faccia verso il sole. “Figli – dice il cieco – vi state sbagliando. Qui davanti a noi non ci sono le montagne, è soltanto la vostra immaginazione. Continuiamo ad andare verso nord. E così tutti riprendono il cammino senza discutere e raggiungono finalmente la loro meta, che è la città del nord. È lì che ha inizio la storia. Ma la vera storia, che inizia in questa città, io non la conosco. Vi ringrazio per avermi ascoltato con attenzione, adesso sono stanco.

Il senso di orientamento del vecchio saggio non è legato a schemi precostituiti, a bussole, a credenze tradizionali, ma a qualcosa di più profondo, libero dai condizionamenti. “Solo un cieco – commenta il regista – può guidare la carovana, perché non può essere traviato”34. 32 Herzog ripete nelle interviste di aver prestato questa storia, che lui stesso non era riuscito a concludere, al suo personaggio. 33 W. Herzog, Commento, cit. 34 Ibidem.

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L’assenza o la perdita di un organo di senso porta spesso a sviluppare altre capacità percettive, che i normali non hanno. Il personaggio della visione usa il gusto, il tatto, il calore del sole che avverte sulla pelle. Sente con tutto il suo essere. Evitando il miraggio, grazie alla guida la carovana raggiunge la meta. La storia che si svolge nella città del nord non può essere raccontata da Kaspar – e nemmeno da Herzog – perché non hanno mai vissuto in questa dimensione, che resta un ideale non raggiunto nella realtà35. Il protagonista del film del ’74, che certamente avrebbe desiderato una persona con le stesse caratteristiche del vecchio saggio della carovana per orientare la sua vita, diventa lui stesso una guida per chi è disposto a mettere in discussione le certezze tradizionali e a cercare l’essenza delle cose. Come ho detto nell’introduzione al capitolo, Hauser, che non si piega ai dogmi, alle regole, agli schemi del piccolo mondo che lo circonda, è, come i liberi e coraggiosi abitanti dell’isola del finale di Herz aus Glas, un personaggio dotato del dono del dubbio, che non rende sicuri e protetti, ma consente di vivere una vita degna e significativa in ogni epoca, anche in quelle oppresse da pesanti condizionamenti. La storia del Sahara è il testamento di Kaspar. Daumer, Kate, i due preti non sono in grado di comprendere quello che ascoltano: restano estranei alla visione. Dopo che il morente ha smesso di parlare, solo il pianista cieco, che ha sofferto nella sua vita, canticchia nel silenzio il motivo che abbiamo ascoltato nella visione della carovana. Egli lo ha percepito, perché è in sintonia con Kaspar e il suo racconto. Il film si conclude con l’apparente vittoria sul diverso degli abitanti della cittadina. Nell’immagine di apertura della nuova sequenza sono inquadrati i piedi nudi di Kaspar. Un cartellino di riconoscimento è appeso al suo dito pollice. L’autopsia rivela malformazioni che, secondo i medici vestiti di nero che compiono il rituale, dovrebbero spiegare la stranezza e la diversità di Hauser36. Cfr. Introduzione, p. 28. Nella moderna neurofisiologia si è individuato nell’emisfero destro, che il personaggio ha più sviluppato, l’organo che presiede ai processi immaginativi, alla visione d’insieme, alla sintesi. 35 36

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L’ultima scena ha come protagonista il verbalizzatore, felice che il caso si sia risolta con una rassicurante diagnosi di anomalia: Un magnifico processo verbale (...) Scriverò nel verbale che hanno trovato delle malformazioni su Kaspar Hauser. Finalmente per questa stranissima persona abbiamo trovato la giusta spiegazione, come non se ne possono trovare di migliori.

Il piccolo personaggio, che ha ripetuto come un’eco per tutto il film le parole dei potenti, si avvia a piedi lungo la strada deserta accompagnato dall’aria di Tamino, che abbiamo già sentito all’inizio. “Questo finale e questa musica commenta il regista – hanno qualcosa di strano e misterioso. Questa scena e tutto il film sono molto vicini al mio cuore”37.

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W. Herzog, Commento, cit.

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Capitolo terzo

Nosferatu

1. Introduzione Dopo Herz aus Glas (1976), i due film successivi, che Werner Herzog dedica alla Germania, sono Nosferatu, presentato a Parigi nel gennaio 1979, e Woyzeck, tratto dal dramma di Georg Buchner, che partecipa al Festival di Cannes nello stesso anno1. Il regista esprime nelle interviste un amore profondo e sofferto per il suo paese, “in apparenza civilizzato e stabile, con una grande tradizione nella filosofia, nella matematica, nella letteratura e nella musica”, ma anche “capace di perdere ogni apparenza di civiltà nel volgere di pochi anni”2. Nosferatu nasce dall’esigenza dichiarata dal regista di riallacciarsi alla migliore tradizione del cinema tedesco: … dal 30 gennaio 1933, giorno della presa del potere da parte di Hitler, fino agli anni sessanta non c’è stato alcun cinema tedesco legittimo… (…) Perciò i nostri punti di riferimento sono diventati i nostri nonni, Lang, Murnau, Pabst e altri (…). Il bisogno di ricollegarsi alla propria cultura è stato intensamente avvertito da molti giovani cineasti tedeschi degli anni Settanta3.

1 Il film di fiction immediatamente successivo a Herz aus Glas, Stroszek (1977), ambientato negli Stati Uniti, nasce – dice Herzog a Cronin – dal desiderio di non deludere Bruno S., protagonista di Kaspar Hauser, al quale il regista aveva proposto la parte di Woyzeck, per poi rendersi conto “che sarebbe stato un errore enorme affidargliela”. Per lui Herzog ha pensato al personaggio del film del 1977, che, nato in modo casuale, ha poi pienamente soddisfatto il regista (W. Herzog, Incontri, cit., pp. 170, 172). 2 G. Paganelli, Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, Editrice il Castoro, Milano, 2008, pp. 127-128. 3 W. Herzog, Incontri, cit., pp. 181-182.

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Capitolo terzo

Herzog ha visto i film di Murnau dopo aver conosciuto Lotte Eisner, che ha avuto un ruolo di grande importanza per la sua carriera artistica e per la sua esistenza4. Nello Schermo demoniaco, l’autrice parla della passione dei tedeschi per “i sogni febbrili e il mondo degli spiriti”5. Misticismo e magia – scrive – erano fioriti di fronte alla morte nei campi di battaglia della prima guerra mondiale: i fantasmi che avevano ossessionato il romanticismo tedesco riprendevano vita insieme all’attrazione verso ciò che era oscuro e indeterminato6.

Il grande cinema degli anni venti – di Wiene, di Lang, di Pabst – si nutre di questa inquietudine. Fra i registi dell’epoca Lotte Eisner individua una figura dominante: Friedrich Wilhelm Murnau è il più grande regista che i tedeschi abbiano avuto (…) egli ha creato le immagini più conturbanti, più sconvolgenti del cinema tedesco7.

Herzog riprende e fa suo questo giudizio: A mio avviso Nosferatu è il più grande film tedesco. Ho deciso di concentrarmi sul capolavoro di Murnau. Il mio progetto non era mosso dalla nostalgia, ma piuttosto dall’ammirazione per quell’età eroica del cinema in cui ha visto la luce il film di Murnau8.

Il regista è ben consapevole di non voler fare un remake. Ogni sua opera ha una spiccata impronta personale.

4 Cfr. ibidem, p. 21 e 181. Lo schermo demoniaco è definito da Herzog lo “studio decisivo e definitivo sul cinema tedesco”. Sentieri nel ghiaccio (Guanda, Parma, 1980) diario scritto dal regista nel 1978, racconta il viaggio da lui fatto nel novembre del 1974 per raggiungere Parigi, nella “fiducia che la Eisner – malata molto gravemente – sarebbe rimasta in vita, se lui fosse arrivato da lei a piedi”. Così è effettivamente avvenuto (W. Herzog, Sentieri nel ghiaccio, Guanda, Parma, 1980, p. 9). 5 Sono parole tratte dalla citazione di Heine che Lotte Eisner usa per introdurre il capitolo su Nosferatu (L. Eisner, L’ecran demoniaque, Le Terrain vague, Paris, 1981; trad. it. Lo schermo demoniaco, Editori Riuniti, Roma, 1983, p. 70). Il libro era stato pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1952. 6 Ibidem, p. 70. 7 Ibidem, pp. 21 e 74. 8 W. Herzog, Incontri, cit., pp. 181-182.

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Fare un film – afferma nel documentario girato durante le riprese – non è solo compiere un lavoro, ma ha a che fare con la propria esistenza9.

A più di cinquant’anni di distanza dal Nosferatu di Murnau, la visione del mondo di Herzog è molto diversa, sono diversi i personaggi e il senso dell’opera. I due registi hanno in comune la passione per la rappresentazione delle visioni, degli incubi, delle immagini che vanno al di là dell’esperienza cinematografica consueta. Murnau ha un grande interesse per la storia dell’arte. “Egli – afferma Lotte Eisner – non riproduce i quadri fedelmente, ma ne conserva il ricordo e, attraverso un’elaborazione interiore, trasforma le immagini in visioni personali”10. Cinquant’anni dopo, Herzog, già a partire da Herz aus Glas, fa lo stesso. Il Nosferatu del ’79 ha punti in comune con tutte le opere del regista, capitoli della grande opera che egli ha portato avanti per quarant’anni. I personaggi di questo immenso racconto – afferma Herzog nel 2002 – finiscono inevitabilmente per soffrire (…) ma continuano ad andare avanti anche se feriti e lottano contando solo sulle loro forze11.

È la condizione di Lucy che, come Hias di Herz aus Glas e Zishe di Invincibile, percepisce quello che sta per accadere e con estremo coraggio svolge fino alla fine la sua missione di bene. Inascoltata da tutti coloro a cui chiede aiuto, procede in un’assoluta solitudine. Ancora, nel viaggio di Jonathan Harker verso il castello ci sono luoghi che hanno un fascino particolare perché, come in Kaspar Hauser, il personaggio contempla per la prima volta con occhi stupiti e affascinati paesaggi di straordinaria suggestione. C’è soprattutto nel film del ’79 un motivo che torna in tutte le opere di Herzog: la riflessione sulla condizione umana, sulla sua fragilità, 9 Documentario sulle riprese di Nosferatu contenuto negli extra del DVD Nosferatu, Ripley’s Home Video, 2003. Nel documentario Herzog dice che Nosferatu è il suo diciottesimo film, girato all’età di 35 anni. 10 L. Eisner, op. cit., p. 74. 11 W. Herzog, Incontri, cit., p. 89.

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Capitolo terzo

sulle tentazioni a cui è sottoposta, sulla possibilità, che pochi fanno propria, di compiere un cammino verso il bene e la luce. Il film da un lato è un omaggio al grande cinema tedesco, dall’altro è una discesa nel mondo del male compiuta da un autore nato alla fine del nazismo e impegnato a fare i conti con questo periodo della storia, con i mali che vede nel presente e con quelli che minacciano il futuro. È di grande significato il modo in cui gli artisti tedeschi raccontano se stessi e il loro passato, perché rappresentare il male, immergendosi nella sua complessità e nelle sue innumerevoli sfaccettature, permette una riflessione che è rara nei film contemporanei, soprattutto negli ultimi decenni. Il male non è sparito dal nostro mondo con i crimini nazisti, ma ha assunto altre forme, che spesso è difficile vedere lucidamente e fronteggiare con determinazione. 2. L’incubo di Lucy Il Nosferatu di Murnau inizia con l’idillio sereno vissuto da Hutter e dalla moglie Hellen in una casa piena di fiori nella tranquilla cittadina di Brema. I due protagonisti sono semplici e ingenui. Helen, che non ha il dono della preveggenza, si preoccupa per la partenza del marito. Hutter è allegro, contento della sua esistenza, incapace di vedere la trappola che il suo datore di lavoro gli prepara. Nel film di Herzog il prologo è un’ouverture che presenta in successione i temi centrali del film: prima gli effetti del male, poi la causa che li provoca. La sequenza iniziale è un incubo della protagonista, alla quale il regista presta un’immagine che lo ha tormentato per molti anni12. 12 Sinossi: Jonathan Harker, agente immobiliare di Wismar, è inviato dal suo datore di lavoro Reinfield a stipulare un contratto in Transilvania col conte Dracula. Parte in fretta il giorno stesso, lasciando nello sconforto la giovane moglie Lucy. Nonostante gli avvertimenti degli abitanti della zona vicina al castello, prosegue nel suo viaggio. Il conte si rivela presto un vampiro assetato di sangue, ma anche angosciato dalla sua solitudine e dalla mancanza di rapporti umani. Dopo avere acquistato la casa vicino a quella di Harker e averlo contagiato coi suoi morsi, Nosfetratu parte per Wismar, seguito da Jonathan, che fugge febbricitante dal castello in cui è stato rinchiuso. A Wismar Nosferatu col suo esercito di topi porta la peste, ma è soprattutto attratto da Lucy Harker, alla quale si presenta per chiedere amore. La donna, che accudisce il marito, tornato in stato di semincoscienza e incapace di riconoscerla, ap-

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A Guanajuato, in Messico c’è un cimitero dove, per via delle condizioni atmosferiche, molti dei corpi si sono preservati sotto forma di mummie (…) (erano) allineati contro un muro di un grande cimitero e avevano qualcosa di molto intenso. Quell’immagine si fissò nella mia mente così in profondità che, quindici anni dopo, tornò a tormentarmi. Credo che quando decisi di includerla in Nosferatu le mummie abbiano trovato finalmente il loro posto. È molto più facile, oggi, convivere con questa immagine13.

Il film si apre con l’inquadratura di un gruppo di cadaveri che hanno lo stesso colore del muro di terra a cui sono appoggiati. Segue un carrello laterale, che mostra in una lunga fila uomini, donne, moltissimi bambini. Il volto, la posizione contorta dei corpi, la bocca spalancata in un grido, dettagli come gli stivaletti eleganti rivelano che questi esseri umani sono stati colti dalla morte alla sprovvista, assolutamente impreparati. Accompagna la scena una musica sepolcrale composta da Florian Fricke e il ritmico battito di un cuore umano. La sequenza di un’inquietante bellezza esprime una situazione angosciosa, che raramente è stata resa in un film con tanta intensità14. Con uno stacco si passa al volo di un pipistrello ripreso al ralenti su uno sfondo azzurro, colore che nel film del ’79 è legato al male. L’immagine è un leit-motiv, che si ripete ogni volta che il signore del mondo delle tenebre è in viaggio verso le sue vittime. La breve seprende la natura del male che li minaccia e i possibili rimedi, leggendo il libro sui vampiri che Jonathan ha portato con sé. Nessuno vuole ascoltarla. Ormai completamente sola, entra nella dimora del vampiro e cosparge di ostie consacrate la sua bara vuota. Esce poi nella piazza della cattedrale dove i superstiti in attesa della morte danzano accanto alle bare e si abbandonano ai loro istinti primordiali. La conferma di quello che ha letto la porta a trascorrere una notte col vampiro nella convinzione che una fanciulla pura di cuore, che riesca a trattenerlo fino al canto del gallo, lo ucciderà. Il conte muore, ma Jonathan Harker prende il suo posto e parte a cavallo alla conquista del mondo. 13 G. Paganelli, Segni di vita, cit., p. 44 e p. 156. Nella sceneggiatura queste immagini sono inserite in forma di visione nella notte che Lucy trascorre con Nosferatu: “Molte mummie hanno vestiti polverosi e laceri. Una giovane donna ha solo delle graziose scarpe ai piedi. Ha la pelle marroncina come una pergamena (...). Ci sono uomini, donne e moltissimi bambini, tutti in pose non portate a compimento. La cosa più orrenda sono quelle bocche spalancate. Formano un coro di fantasmi da cui non sfuggirà mai più un suono” (W. Herzog, La ballata di Stroszeck. Nosferatu il principe della notte (Due racconti cinematografici), Ubulibri, 1982, p. 142). 14 Vedremo una situazione simile nella grande piazza di Wismar dove, mentre imperversa la peste, una folla di persone di età e di estrazione sociale diverse mostra la sua impreparazione e incapacità di affrontare una situazione di estremo pericolo.

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Capitolo terzo

quenza sembra semplice. Ha comportato invece notevoli difficoltà. Per poterla girare, il regista ha avuto bisogno dell’aiuto di specialisti15. Fin dal prologo un’entità malefica entra nell’intimità della camera da letto di una giovane coppia. La fessura attraverso la quale la potenza del male si insinua in casa Harker è, come vedremo, l’inquietudine di Jonathan, incline alla fascinazione di ciò che è nuovo, diverso e potenzialmente pericoloso. Lucy, svegliata dall’incubo, si solleva e emette un grido di terrore. Mentre il marito che resta in ombra la conforta, la figura di lei è illuminata da una luce bianca che la circonda come un’aureola. Le spicca sul petto una croce d’oro, che la donna sembra proteggere ponendovi sopra le mani. 3. Il giorno della partenza di Jonathan Harker Mentre scorrono i titoli di testa, è introdotta con uno stacco una veduta esterna avvolta nella luce azzurrina del primo mattino. La casa degli Harker e un piccolo ponte si riflettono nell’acqua di un canale appena mosso da increspature. In forte contrasto con l’incubo, l’immagine dà una sensazione di serenità, resa più intensa dalla musica che la accompagna. La vicenda si svolge a Wismar, ma Herzog ha scelto per la location la cittadina di Delft. Non appena l’ho vista – spiega – ne sono rimasto affascinato. Delft è molto tranquilla, borghese, sicura di sé, solida ed è rimasta invariata per secoli. Perciò ho pensato che fosse l’ambientazione perfetta per il film. L’orrore e la distruzione si sarebbero propagate assai efficacemente in una città così pulita e incontaminata16.

15 La scena coi pipistrelli – afferma Herzog nell’intervista a Cronin – non venne girata da me. Si trattava di un progetto di alcuni biologi, che studiavano il comportamento dei pipistrelli (…). Questi animali volano e si muovono a una velocità tale che è necessario mostrarli al rallentatore. Per poterlo fare bisogna utilizzare un’enorme quantità di luce. I biologi abituarono i pipistrelli a quantità sempre maggiore di luce, continuando a nutrirli per fare sì che volassero verso la macchina da presa per prendere il cibo. Credo che impiegarono circa sei mesi per abituarli a tutta quella luce. Diciamo che quell’approccio ha comunque contribuito a creare l’atmosfera del film” (ibidem, p. 157). 16 W. Herzog, Incontri, cit., p. 186.

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La cittadina olandese è anche il luogo in cui nel XVII secolo ha svolto la sua attività Johannes Vermeer, che ha ispirato alcune immagini di Herz aus Glas. Il pittore ama raffigurare soprattutto gli interni. Fra le sue opere ci sono tuttavia un dipinto di una piccola strada lungo un canale e la famosissima View of Delft (1660), in cui l’artista ha saputo cogliere il cangiare del cielo, le iridescenze delle gocce luminose su un barcone, i riflessi nell’acqua del canale. Questi riflessi sono presenti nel film di Herzog a partire dalle prime inquadrature. La scena della colazione della giovane coppia è caratterizzata dalla purezza del bianco, enfatizzato da una forte illuminazione. Nell’inquadratura, costruita in modo armonicamente simmetrico, sono candidi i mobili, la tovaglia, l’abito della protagonista, i fiori nel vaso sulla tavola, che si trova al centro dell’immagine. I vetri appannati dalla brina della prima mattina accentuano il biancore dell’ambiente. L’unica macchia scura è il mantello da viaggio appeso a una parete, che si intravede all’estrema destra. Sarà indossato poco più tardi per l’imprevisto viaggio in terre lontane. La casa, come la giovane signora, è curata nei minimi particolari, ordinata, ma non priva di vita17. È già presente tuttavia una nota stonata: la fretta di Jonathan che si alza da tavola per andare al lavoro quando ancora non ha finito di bere il caffè, come se la casa gli stesse stretta. Seguiamo il giovane nel suo percorso verso il luogo di lavoro. Sul ponte davanti alla porta della sua abitazione c’è una figura immobile, ripresa di spalle, vestita di nero, che guarda l’acqua del canale. È come se il male fosse già in attesa vicino alla porta della sua casa. Nella sceneggiatura Herzog attira l’attenzione su questo dettaglio18. L’agenzia immobiliare raggiunta dal protagonista ha un aspetto tetro e malsano, in netto contrasto con l’ordine e la luminosità della sua abitazione. Appare come un vecchio trascurato archivio con gli scaffali stracolmi di carte polverose che nessuno sembra avere preso in mano da anni. La fretta di Reinfield, che chiede al suo sottoposto di partire il giorno stesso per un incarico che egli non affiderebbe a nes17 Sul piano di una credenza si notano due mele e una pila di libri da sistemare. È il campo di gioco di due gattini che si divertono a nascondersi e a far dondolare il medaglione con il ritratto della protagonista. I gattini che giocano col medaglione sono presenti anche nel film di Murnau. 18 W. Herzog, La ballata di Stroszeck. Nosferatu il principe della notte (Due racconti cinematografici), cit., pp. 83-84.

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sun altro – andare in Transilvania per vendere una casa al conte Dracula –, viene incontro ai desideri segreti di Jonathan, lusingato di essere stato prescelto dall’oscuro personaggio, le cui risatine ripetute e inopportune anticipano la situazione di follia, che dominerà presto la città. Cieco e sordo agli inquietanti dettagli che lo circondano, il protagonista accetta senza un attimo di indugio di partire il giorno stesso, spinto da un inarrestabile e ostinato spirito di libertà e di avventura. È un atteggiamento che richiama uno stato d’animo diffuso in Germania all’inizio degli anni trenta, che è stato descritto da Gots Aly nel libro Lo stato sociale di Hitler: Per la maggior parte dei giovani tedeschi il nazionalsocialismo non significò dittatura, divieto di esprimere la propria opinione o oppressione, ma libertà e avventura (...). Nel 1935 i ventenni e i trentenni rampanti scavalcarono con disprezzo i pusillanimi. Si consideravano moderni uomini di azione. Irridevano “le meschine apprensioni... perché nostro è il grande domani”19.

Il bisogno di azione e di spazi più ampi è manifestato dal personaggio che si rallegra della prossima partenza: “Sarà bello stare lontano da questa città per un po’, stare lontano da questi canali che finiscono per portare sempre al punto di partenza”20. Non siamo informati di come siano nati e si siano sviluppati i rapporti fra il conte e il proprietario dell’agenzia immobiliare, che mette in moto il processo che porta Nosferatu a Wismar. Il male non può agire da solo. Ha bisogno di alleati, che abbiano il desiderio di condividere il suo potere sia pure in condizioni subalterne. Con uno stacco ci troviamo di nuovo in casa Harker nel momento in cui Jonathan comunica la notizia alla moglie, che è intenta a ricamare e ha i due gattini sulle ginocchia. La luce piena del giorno esalta la bianchezza luminosa della stanza e dell’abito di Lucy.

19 Gots Aly, Lo stato sociale di Hitler, Einaudi, Torino, 2007, pp. 5-8. Herzog in un’intervista del 1977 offre elementi di conferma a questa ipotesi: “Un film come Aguirre che si svolge nel 1560 ed ha per protagonisti degli avventurieri spagnoli in Perù, rimane un film tedesco con uno sfondo tedesco molto forte, come gli infantili sogni tedeschi di gloria e di avventura” (W. Herzog, Intervista, in M. Fontana, Film Und Drang. Nuovo cinema tedesco, Vallecchi, Firenze, 1978, pp. 72-73, il corsivo è mio). 20 Le battute del dialogo che riporto nel capitolo sono tratte dal DVD Nosferatu, Ripley’s Home Video (2003).

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La serenità della casa è minacciata dall’improvvisa e inattesa notizia. In un’immagine marcatamente pittorica, in piedi, incorniciata da una porta bianca, la donna cerca di imporsi: “Non puoi partire in questo modo. Non te lo permetto”. Mentre lei parla, il marito sale al piano superiore e ridiscende quasi immediatamente col bagaglio pronto. L’ultima richiesta della giovane donna21 è fare una passeggiata sulla spiaggia, dove la coppia amava incontrarsi. In questo momento Jonathan sembra rendersi conto del dolore che col suo egoistico e avido desiderio di avventura provoca nella persona a cui vuole bene. La frase da lui pronunciata – “Lucy, non so. A volte sono così cieco” – manifesta una sfumatura di rimorso. Sono parole che anticipano un altro tipo di cecità: quella che porta il giovane Harker a precipitarsi con ostinata determinazione in un mondo che distruggerà la sua umanità. In una natura nordica, dove gli elementi hanno tenui colori grigio azzurrini, i due personaggi ripresi in campo lungo appaiono piccoli e indifesi in un universo tanto più grande e potente di loro. Ancora una volta Lucy, consapevole della propria debolezza, esprime i suoi timori. Jonathan, sicuro di sé e della sua decisione, la tiene abbracciata, ma non dà peso alle sue parole. La scena è accompagnata all’inizio dallo sciabordio delle onde e dai gridi dei gabbiani. Quando lo spettatore ha introiettato l’immagine, inizia una musica sommessa. In questa sequenza, come in molte successive, in omaggio a Murnau Herzog usa la macchina fissa. 4. Il viaggio di Jonathan verso il castello Harker parte a cavallo. Percorre il viale lungo il canale dove gli abitanti di Wismar comprano, vendono, svolgono attività disparate. Il soggetto e i colori richiamano i quadri fiamminghi. Lo scenario cambia quando il personaggio percorre campagne e foreste. Il passare del tempo è scandito dal passo sempre più lento e stanco del cavallo, che dopo tre settimane di viaggio giunge al centro abitato più vicino al castello. Come nel Nosferatu del ’22, l’oste mette in guardia lo straniero. La novità nel film del ’79 è costituita da un accampamento zingaro, nel quale il protagonista riceve funesti avvertimenti. 21 Mentre discute con Jonathan, Lucy sembra cercare conforto alla pena che ha dentro nel calore dei cuccioli che tiene fra le braccia.

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Herzog è attratto dalle popolazioni di frontiera, che vivono al confine delle zone civilizzate e hanno percezioni perdute da chi appartiene al primo mondo: un rapporto stretto con la natura, la capacità di leggerne i segni, di cogliere l’essenza delle cose al di là delle apparenze. Nell’oscurità della notte, illuminata da un grande falò, un autorevole uomo bruno, che è circondato dalla sua gente rispettosamente silenziosa, parla in una lingua incomprensibile del mondo che si stende nella zona di montagna oltre il villaggio. Jonathan apprende attraverso la traduzione dell’oste che a un certo punto di quella strada “c’è un abisso che inghiotte chiunque”. A Passo Borgo la luce improvvisamente si divide e la terra sembra si alzi verso il cielo. Poi sprofonda dove nessuno sa. Gli zingari dicono che quel castello neanche esiste, che forse esiste solo nell’immaginazione degli uomini. Sono solo rovine. Lo spettro di un castello. Un viaggiatore che entra in quella terra di fantasmi è perduto e non farà più ritorno.

Le parole del capo zingaro suggeriscono che colui che si inoltra in quella dimensione non compie un viaggio in senso materiale, ma un percorso esistenziale nella dimensione del male, da cui sembra non esserci ritorno22. L’episodio dell’ultima tappa del viaggio del personaggio verso la dimora di Dracula è una delle sequenze più suggestive del film del ’22 e di quello del ’79. Sono tuttavia diversi i mezzi, le immagini scelte, quello che i due registi vogliono trasmettere. Hutter viene accompagnato da persone del villaggio fino a un piccolo ponte, al di là del quale comincia la terra dei fantasmi, che “subito gli vengono incontro”. Un veicolo, che ha l’aspetto di un carro funebre, lo raggiunge. Il giovane viene invitato a salire. La carrozza corre sulla strada sconnessa a sbalzi, in modo innaturale. L’effetto è ottenuto attraverso il procedimento del “giro di manovella”23. Dal finestrino Hutter atterrito si guarda intorno. La stranezza del paesaggio è ottenuta da Murnau montando i fotogrammi in negativo. È come se il veicolo si muovesse in una foresta bianca dall’aspetto spettrale. Siamo nel mondo del soprannaturale. 22 È un viaggio che richiama alla mente quello di Aguirre, “una discesa verso la nebbia da cui non si potrà più ritornare” (cfr. G. Paganelli, op. cit., p. 62). 23 Lo spostamento del veicolo è stato ripreso fotogramma per fotogramma e poi montato in sequenza, dando l’impressione che la carrozza si muova molto velocemente e in modo innaturale. A questo procedimento accenna Lotte Eisner (op. cit., p. 79).

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Nel film del ’79 Jonathan Harker incontra la carrozza soltanto alla fine di un lungo solitario percorso. Poiché nessuno vuole accompagnarlo e neanche dargli un cavallo, egli si incammina a piedi, spinto da un’inquietudine che lo porta ad affrontare l’ignoto. Herzog ha parlato più volte dell’importanza che ha per lui viaggiare a piedi24. Come i suoi personaggi, il regista è affascinato dalle immagini della natura osservate per la prima volta. Harker segue il sentiero scavato nella parete di una gola buia, umida, fredda. Dall’alto piccole cascate d’acqua cadono scrosciando in un torrente torbido. Commenta il regista nelle sceneggiatura: “Una gola del genere può soffocare gli uomini. Nei precipizi si nasconde la paura della morte”25. Superata questa prova, Jonathan si inerpica su un sentiero che costeggia una cascata. Ripreso dal basso, egli appare piccolissimo: “un giocattolo nella roccia”26. È ormai in balia di forze che non è in grado di dominare. A Passo Borgo lo vediamo seduto accanto ad un’asta, a cui è appeso un lembo di stoffa scolorito. È l’ultimo segno di una presenza umana. Il personaggio guarda verso la montagna. C’è un avvallamento fra un crinale boscoso e una nera roccia nuda. Il cielo al tramonto ha sfumature rosa, poi assume una tonalità azzurra, che lentamente diventa blu. Il movimento è dato dallo scorrere delle nebbia. Queste immagini richiamano le prime visioni di Hias in Herz aus Glas. Hanno la stessa intensità, bellezza e forza di suggestione. Le accompagna la musica di Florian Fricke che, attraverso una dissolvenza sonora incrociata appena avvertibile, lascia il posto al preludio dell’Oro del Reno di Wagner. Con uno stacco è introdotta l’inquadratura di un ammasso di rovine. Il castello è un tetro rudere inabitabile con le pareti sgretolate. Le cavità delle finestre lasciano intravedere il cielo. 24 Cfr. il già ricordato diario Sentieri nel ghiaccio. “Il modo migliore per avere la sensazione del tempo che passa in rapporto al paesaggio è quando si viaggia a piedi – dice Herzog in un’intervista –. È un’esperienza molto fisica quella di comprendere il paesaggio viaggiando a piedi” (G. Paganelli, op. cit., p. 123). E nell’intervista a Cronin: “Quando viaggi a piedi con una simile intensità non si tratta di coprire una distanza; il punto è muoverti nei tuoi paesaggi interiori” (W. Herzog, Incontri, cit., p. 319). 25 W. Herzog, La ballata di Stroszek. Nosferatu il principe della notte (Due racconti cinematografici), cit., p. 94. Una gola dall’aspetto sinistro è presente anche in Cuore di vetro nell’episodio del primo colloquio fra Hias e gli abitanti del villaggio. 26 Ibidem.

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Il protagonista, agente immobiliare mandato a vendere una proprietà, è ormai in una dimensione altra, che ha voluto raggiungere con tutte le sue forze. L’uomo riprende il cammino. Dietro una roccia illuminata da una luce innaturale vediamo spuntare prima Harker e poi una carrozza che lo conduce alla porta del castello. 5. Il castello di Nosferatu L’episodio è molto simile nei due film, ma l’uso del colore e del sonoro e l’atteggiamento del vampiro producono nello spettatore impressioni diverse. Murnau dedica una cura particolare all’ingresso di Hutter nel castello. In un’immagine di grande impatto visivo ci è mostrato Dracula, che al di là di un portale attende l’ospite in cammino verso di lui. Le due figure sono inserite in un gioco di archi. Il giovane emerge dal bianco. La schiena ricurva del conte riprende la curvatura dell’arcata sotto la quale egli si trova. Nel Nosferatu di Herzog la porta che si apre di fronte all’esausto viaggiatore rivela la sagoma scura del signore del castello, avvolta da una luce azzurrina. Nell’inquadratura successiva i due personaggi siedono davanti a una tavola riccamente imbandita. L’insolita ripresa dall’alto produce un senso di oppressione, che insieme al gioco delle ombre sulle pareti bianche richiama le scenografie espressioniste. Jonathan, che è bene in luce, parla del contratto, mostra al conte una pianta della casa di Wismar da acquistare, mangia avidamente. Molto diverso è l’atteggiamento del suo interlocutore, che parla a voce bassa e con ricercata cortesia. Si assiste – scrive Grazia Paganelli – a una sorta di sottrazione di ogni gesto; tutto è riportato all’essenza di questo personaggio che sussurra e si muove con dolore: ogni sua parola sembra giungere da un luogo lontano nel tempo e nello spazio27.

La macchina da presa stringe sul conte, di cui sono in luce soltanto le mani e il volto di un bianco innaturale. Vestito di nero su uno sfondo scurissimo, è come se egli non avesse corpo. Con le sue grandi orecchie a punta da pipistrello si volta per ascoltare “i figli della notte, che fanno la loro musica”. Sono gli unici esseri coi quali “nelle 27

G. Paganelli, op. cit., p. 63.

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cupe e infinite sere” può dialogare da lontano. Egli cerca invano di condividere questa esperienza col suo giovane ospite avidamente concentrato sul cibo. Quando un macabro orologio suona la mezzanotte, Harker si innervosisce e, come nel film di Murnau, inavvertitamente si ferisce il pollice tagliando il pane. Il conte non resiste al suo istinto. Tenta di trattenersi, poi manifesta il suo impulso in modo selvaggio, come un animale feroce che si slancia sulla preda. Succhia con voluttà il sangue dal dito del giovane, che indietreggia spaventato e lo incalza in un inseguimento che termina quando Harker si lascia andare su una poltrona. Dopo essersi ricomposto, il conte siede accanto a lui e gli chiede di fargli compagnia, ma l’ospite, stanco del viaggio, si addormenta. Sullo sfondo di una parete chiara, solcata da segni di umidità, il volto di Dracula richiama nell’espressione e nel bianco che gli copre la faccia l’immagine di un clown infinitamente triste. Ancora una volta, nonostante l’insolita presenza di un essere umano, non gli rimane che continuare ad ascoltare le creature della notte. La mattina successiva il giovane, che ha già sul collo i segni del contagio, scrive nel suo diario alcune notazioni per la moglie: “… ho fatto un brutto sogno, che cerco di dimenticare. Questo castello è così strano, che a volte mi chiedo se non sia parte di quel sogno. Tutto sembra così irreale”. Jonathan, così attaccato agli aspetti materiali della realtà, avanza i primi dubbi sull’esistenza concreta del luogo in cui si trova. Più che una missione di lavoro, il suo viaggio comincia ad apparirgli come un percorso nella parte oscura di una dimensione, alla quale nella sua baldanzosa sicurezza ha prestato finora poca attenzione. Non meno inquietante è l’esplorazione della vecchia dimora. Sentiamo risuonare i passi pesanti del giovane, mentre percorre le scale e i corridoi su cui si affacciano stanze in abbandono piene di polvere e di ragnatele. L’unica presenza è un piccolo zingaro, che si trova in fondo a un cortile e che suona col suo violino una musica disarmonica È evidentemente una creatura che Dracula ha fatto sua e che acuisce il senso di disagio dell’unico ospite vivo. Lo vedremo e lo ascolteremo un’altra volta, quando Jonathan, per fuggire dal castello, si cala dalla finestra della sua stanza con una corda e infine si lancia nel vuoto. Un’inquadratura di alcuni secondi ce lo mostra a terra privo di coscienza sotto i denti acuminati di un portale. Il bambino zingaro, che accompagna l’evento con la sua musica stridente, scandisce un’altra tappa della sua discesa nella dimensione del male. Segue l’immagine dei ruderi del castello. Subito dopo torniamo nei dintorni di Wismar. La macchina da presa fissa inquadra in campo lungo Lucy che cammina su una spiaggia.

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Non si distingue il confine fra la sabbia e l’acqua, entrambi di uno sfumato grigio-azzurro. Ci è mostrata una figuretta piccolissima, indifesa di fronte alla potenza e alla grandezza del paesaggio umido e inospitale. L’immagine nella sua “uniformità sconfinata” richiama Il monaco in riva al mare (1809) di Friedrich, un pittore che “non ha mai voluto dipingere paesaggi in sé e per sé, ma piuttosto esplorare e rappresentare paesaggi interiori”28. La sequenza comunica un senso di assoluta solitudine in un mondo che rimane indifferente alla sofferenze dell’essere umano. Questo quadro penetra nell’intimo dello spettatore ricettivo, facendo affiorare immagini che sono anche dentro di lui. È uno stato d’animo che da questo momento accompagnerà la protagonista fino alla sua decisione finale. 6. Il contatto col male L’incontro successivo di Harker e di Dracula avviene nella biblioteca. L’agente immobiliare ha davanti a sé i fogli del contratto. Il conte si muove intorno a lui. A differenza di Jonathan, i cui passi fanno molto rumore soprattutto mentre esplora il castello, Dracula agile e silenzioso produce solo fruscii appena avvertibili. È come se il vampiro, avvolto nel buio che nasconde il suo corpo vestito di scuro, non avesse consistenza fisica. È un dettaglio degno di nota, che fa riflettere sulla natura del male, sulla difficoltà di vedere, definire, sconfiggere qualcosa che ha effetti disastrosi, ma che proprio per la sua apparente inconsistenza materiale e per il suo carattere indefinito è difficile afferrare. Nella prima metà del secolo scorso il regime hitleriano, che coinvolge – oltre a Hitler e al gruppo dirigente nazista – le forze economiche dominanti del paese e milioni di tedeschi entusiasti o consenzienti, ha impiegato quindici anni per rivelare con chiarezza la sua natura29. 28 Questa definizione è di Herzog (Cfr. W. Herzog, Incontri, cit., p. 154). L’espressione “uniformità sconfinata” è usata da Heinrich von Kleist, che in una lettera del 13 ottobre 1810 descrive questo quadro. 29 Un carattere simile hanno i mali del presente. Le cause della miseria, della fame, delle sofferenze, delle violenze che affliggono la maggioranza della popolazione mondiale, e che cominciano a minacciare anche il primo mondo, non hanno un colpevole identificabile in modo preciso. Le molle che spingono i gruppi di potere, sot-

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Herzog, che ha una visione intuitiva della realtà, nel finale di Nosferatu, ci mostra Jonathan, che nel suo entusiasmo di neofita, senza alcun freno si slancia al galoppo verso uno spazio sconfinato che egli anela a dominare e fare suo. Nel film del ’79 il regista rende la riflessione sul male ancora più complessa attraverso alcuni tratti inconsueti che attribuisce a Nosferatu. Il vampiro che il regista ci presenta è il più originale e in un certo senso il più umano che il cinema d’autore abbia creato. È un personaggio profondamente consapevole dell’angosciosa sofferenza che lo pervade. In piedi davanti ad Harker, che lo osserva senza dire una parola, il solitario abitante del castello esprime in una dolente confessione la pena che si porta dentro. La desolazione dei suoi occhi cerchiati di nero risalta nel volto simile a una maschera bianca. Il tempo è un abisso profondo di cupe, infinite notti. I secoli vengono e vanno. Non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio. Ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secoli, sperimentando sempre le stesse futili cose…30

È lo stesso Herzog a spiegare questo aspetto e a sottolineare le differenze col film del ’22: Nell’opera di Murnau la creatura spaventa, perché non ha un’anima e somiglia a un insetto. Il vampiro di Kinski, invece, sprigiona una vera e propria angoscia esistenziale. Ho tentato di “umanizzarlo”. Volevo dotarlo di sofferenza umana e di solitudine, di un vero desiderio di amore e soprattutto, della capacità essenziale degli esseri umani: la mortalità31.

Il male divide dagli altri e finisce per essere una routine un susseguirsi di azioni sempre uguali fino alla nausea (“sperimentare sempre le stesse futili cose”). È uno stato d’animo che coloro che compiono

toposti a frequenti e spietati cambi generazionali, sono l’avidità di denaro, le valutazioni egoistiche e spregiudicate in funzione dell’immediato profitto, una diffusa mancanza di scrupoli, il totale disinteresse per le vittime delle loro decisioni. Cambiano gli individui ma le logiche sono simili. 30 È una confessione che il conte ripete a Lucy in casa Harker nell’episodio davanti allo specchio. 31 W. Herzog, Incontri, cit., pp. 184-185.

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il male – nella Wismar ottocentesca, nella Germania nazista, nella seconda metà del ’900, all’inizio del nostro secolo – possono sperimentare nei momenti in cui abbassano la guardia e si trovano a guardarsi dentro per effetto di circostanze gravi e inattese o della stanchezza della continua ripetizione, che scandisce la loro vita concentrata su un unico scopo. In questa situazione, nella complessità dell’animo umano possono allora affiorare altri desideri che nel conte prendono lentamente il sopravvento. Per Nosferatu – afferma il regista – la sopravvivenza è la prima cosa, ma c’è anche terrore. Il protagonista non riesce a morire, non riesce a partecipare dell’amore umano (...). C’è il terrore profondo di non poter partecipare...32

Come tanti personaggi dei film di Herzog, Nosferatu è un escluso, un emarginato, che soffre della sua condizione. Egli ha due facce: quella mortalmente triste delle sue confessioni e la maschera disumana, che vediamo quando entra nella camera di Jonathan o quando è solo in piedi sul ponte della nave deserta. A partire dalla scena in biblioteca, in cui il conte osserva il medaglione col ritratto di Lucy che Harker lascia cadere, Dracula inizia a desiderare disperatamente quello che Jonathan già possiede e che per il giovane, pronto a accettare immediatamente un incarico tanto rischioso, non risulta sufficiente: l’intimità familiare, l’amore della moglie, l’integrazione sociale. Nel corso del film il conte si umanizza, mentre Harker lentamente assume i tratti e gli attributi del vampiro, a cui aggiunge la forza giovanile e l’entusiasmo del neofita. Nella notte che segue l’incontro in biblioteca Jonathan subisce l’attacco di Nosferatu. Mentre risuona la mezzanotte, chiuso nella sua camera egli legge il libro sui vampiri. La macchina da presa inquadra un corridoio buio appena rischiarato sullo sfondo da una fioca luce azzurra, che permette di intravedere la figura di Dracula. Il vampiro non somiglia più a un essere umano. Il suo viso è rigido. Avanza molto lentamente, ma in modo inarrestabile. È una delle sequenze più vicine a quella parallela del Nosferatu di Murnau, descritta da Lotte Eisner: La forma orrida del vampiro avanza con lentezza esasperante dall’estrema profondità di un’inquadratura verso un’altra, dove a un trat32

G. Paganelli, op. cit., p. 71.

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to diviene gigantesca. Murnau (…) dirige con un virtuosismo veramente geniale questa gamma di inquadrature, dosando l’avvicinarsi del vampiro, quando ci mostra per qualche secondo l’effetto che la sua vista produce sul giovane terrorizzato33.

Come il personaggio del film del ’22, il Dracula di Kinski si ferma nel vano della porta, avvolto da una tenue luce fluorescente. Poi con movimenti rigidi e meccanici giunge fino al letto della sua vittima e alza sulla preda le braccia simili a artigli. A interrompere il vampiro, che ha già cominciato a succhiare il collo della vittima, è il grido di Lucy, che giunge a lui telepaticamente dalla lontana Wismar. La giovane donna, messa a letto febbricitante dopo una crisi di sonnambulismo, urla con tutte le sue forze il nome di Jonathan. La mattina successiva, determinato a scoprire la verità, Harker trova il corpo di Dracula in un sarcofago di pietra, si barrica in camera e, quando scendono le tenebre, lo vede partire su un carro, che porta una dozzina di bare. 7. Il viaggio di ritorno Inizia a questo punto il viaggio dei due personaggi verso la Germania. Nel film di Murnau è uno degli episodi più avvincenti e suggestivi. I tre protagonisti sono presentati in un incalzante montaggio alternato in cui si avvicendano immagini della Demetra che solca il mare col suo carico di morte, di Hutter che corre a cavallo attraverso terreni impervi per raggiungere la moglie in pericolo, di Hellen che in modo inquietante attende fissando il mare il ritorno di Hutter. Poiché il marito è partito e torna a cavallo e il vampiro viaggia su una nave, inconsciamente la donna è in attesa di un arrivo che sconvolgerà la vita di lei e degli abitanti di Brema. La scena in cui vediamo la protagonista seduta su una panchina del cimitero sulla spiaggia ricorda il quadro di Friedrich, Donna in riva al mare34. Il luogo, la posizione del personaggio, il suo abito nero richiamano alla mente degli spettatori del ’22 le tante giovani donne rese vedove dalla catastrofe della prima

L. Eisner, op. cit., p. 78. Questo richiamo pittorico è stato notato da M. Bouvier e J.L. Leutrat in un libro che raccoglie tutti i fotogrammi del film di Murnau (M. Bouvier J.L. Leutrat Nosferatu, Gallimard, 1981, p. 47). 33 34

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guerra mondiale. Il film di Murnau è legato all’atmosfera e ai lutti di una situazione mai sperimentata prima dal popolo tedesco. Nel Nosferatu del ’79 l’atmosfera più che dolorosa è resa inquietante dalle croci sghembe che le burrasche hanno fatto sprofondare. Le battute dei personaggi sono cariche di angoscia. A Minna che dice all’amica di “avere coraggio, perché il Signore ascolta le preghiere”, Lucy risponde: “Il Signore è così lontano da noi nell’ora del bisogno”. Il suo ostinato guardare il mare è già un protendersi inconsapevolmente verso la missione che l’attende. Nel film del ’79 a Harker è dedicata poca attenzione. Lo vediamo languire e delirare nella casa in cui è stato ricoverato, partire a forza per salvare Lucy e fermare le bare nere che stanno arrivando a Wismar, galoppare faticosamente con lo sguardo febbricitante e i capelli al vento. Più spazio è dedicato al viaggio di Nosferatu. Il paesaggio in cui si svolge il trasporto delle bare su una chiatta ricorda quello dell’infausto viaggio di Aguirre. L’imbarcazione avanza sulle acque torbide e veloci di un fiume incassato in una valle coperta da una fitta foresta e da spuntoni rocciosi. La meta è Varna dove il carico viene imbarcato su una nave che sta per salpare. Come nel film di Murnau vediamo il vascello solcare il mare con un movimento trasversale che si prolunga sulla superficie dello schermo. Quando il capitano che si è legato al timone rimane solo35, dal buio della notte nell’angolo a destra dello schermo appare il piccolo volto bianco di Nosferatu36. Illuminato e ripreso dal basso, Dracula-Kinski avanza fino a campeggiare sul ponte, sovrastando lo spettatore. Nosferatu è il signore assoluto della nave, che trasporta

35 Murnau dedica maggiore attenzione al progressivo sparire o morire di tutti i membri dell’equipaggio. Lotte Eisner descrive con ammirazione queste sequenze: “L’amaca vuota del marinaio morto continua a oscillare dolcemente: nel suo proposito di estrema sobrietà, Murnau mostra l’ondeggiare continuo e monotono di una lampada appesa alla cabina deserta del veliero, dove tutti i marinai sono stati sorpresi dalla morte, solo attraverso il riflesso luminoso che oscilla” (L. Eisner, op. cit., p. 79). 36 È un’immagine che richiama un film molto amato da Herzog, La passione di Giovanna d’Arco (cfr. W. Herzog, Incontri, pp. 142 e 164). Nell’opera di Dreyer il volto della fanciulla si vede più volte nell’estremo angolo destro dello schermo. Viene enfatizzata così la piccolezza indifesa del personaggio. In Nosferatu il procedimento è lo stesso, ma il senso è rovesciato. È il primo momento dell’inarrestabile marcia del signore delle tenebre, che arriva in breve a dominare tutto lo spazio della nave.

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il male verso la Germania. È l’unico momento del film in cui il vampiro appare un’entità dotata di una potenza assoluta. A Wismar, anche se il suo esercito di topi compie la missione, Dracula è immerso in altri pensieri. Lucy attende. La vediamo affacciata ad una finestra. Nella sceneggiatura Herzog annota: “È un’immagine serena: raccolta e bella come negli antichi quadri”37. È presente tuttavia un elemento inquietante. La donna occupa la parte destra dello schermo. Sul vetro di sinistra passa fugacemente un’ombra, che preannuncia il male col quale essa dovrà lottare. Per riprendere l’arrivo della nave a Wismar, in omaggio a Murnau, Herzog usa la camera fissa. Scorrono lentamente solennemente davanti ai nostri occhi i cordami, la prua, poi la parte centrale dell’imbarcazione, dove si trova il cadavere del capitano legato al timone. La musica sottolinea il momento funesto. Sulla banchina si raduna una piccola folla ignara. La macchina da presa indugia su una bambinetta bionda38. Vediamo le schiene nere delle autorità che salgono per l’ispezione. Nella capitaneria la lettura del diario di bordo scatena il panico quando è pronunciata la parola “peste”. La stanza si vuota in pochi secondi. Da ora in poi la città è in balia del terrore. Le istituzioni cittadine si disgregano per la morte o la fuga dei loro capi. Le autorità si rivelano incapaci di mettere un argine all’assalto del male. Poiché vengono meno alla loro funzione, non sono innocenti, così come non è innocente Van Helsin, lo scienziato che, sia pure in buona fede, si rifiuta di indagare un fenomeno che non rientra nei suoi schemi e che egli non si sforza di comprendere. La reazione della classe dirigente richiama alla mente dello spettatore i comportamenti che un secolo più tardi hanno portato i democratici tedeschi a capitolare di fronte alla forza dirompente di un regime anomalo rispetto al passato e perciò difficilmente classificabile. Ogni volta che fa un film ambientato in Germania Herzog ricerca nei

37 W. Herzog, La ballata di Stroszek. Nosferatu il principe della notte, cit., p. 101. Nella sceneggiatura il regista sottolinea le inquadrature pittoriche che intende realizzare e che già vede nella sua mente. 38 Nell’incubo all’inizio del film, nella piazza che fa baldoria in una situazione di follia in questo piccolo gruppo il regista attira l’attenzione sul male, che viene subìto da bambini innocenti e incapaci di difendersi.

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comportamenti, nelle reazioni, nel carattere dei personaggi le debolezze, i vizi, le esitazioni che hanno favorito nel suo paese “la perdita nel giro di pochi anni dei principi della civiltà e della sicurezza”. Giunto a Wismar, Nosferatu, che ha una bara sottobraccio, attraversa la piazza deserta per raggiungere il suo rifugio. Il cielo è blu notte come il suo mantello. Le case, inquadrate dal basso, sembrano sovrastare lo spettatore. Su di esse si proietta la grande ombra nera del male. Anche Harker torna a casa, chiuso in un’elegante carrozza, non a cavallo come ci si sarebbe aspettati né con l’intento con cui era partito: difendere la sua giovane sposa. Herzog, descrivendo la sequenza della carrozza in viaggio, ricorda che nei suoi film “i paesaggi si adattano alla situazione in cui è richiesta la loro presenza”: C’è una ripresa in campo lungo, che segue una strada rialzata e fiancheggiata da laghi e alberi. Questi luoghi trasmettono una notevole serenità e danno vita a immagini di vera pace e bellezza, sebbene in esse ci sia al contempo qualcosa di molto strano39.

Il contagio subìto si sta lentamente impossessando della personalità del giovane, che non riconosce la moglie e resta un estraneo nella sua stessa casa, inebetito in una sorta di letargo. La richiesta dell’ammalato di proteggerlo dal sole, che gli ferisce gli occhi, rende più scura la bianca, serena casa di Lucy. È un momento di angoscioso smarrimento. L’attesa è finita. Il male fa irruzione nell’abitazione degli Harker e nella città, il cui ordine è scosso. La protagonista, vestita di nero come se fosse a lutto, ma incorniciata dall’anta della finestra che non è stata ancora oscurata, chiede a Van Helsin: “Ritiene possibile che siamo diventati tutti folli e che un giorno ci risveglieremo con la camicia di forza?”40. Dopo l’arrivo in città del vampiro e di Harker, il Nosferatu del ’79 prende una direzione diversa rispetto a quello del ’22. Nel film di Murnau il diffondersi della peste è accompagnato dal vuoto silenzioso delle strade. Gli abitanti di Brema si ritirano nelle loro case. C’è un senso di desolata rassegnazione di fronte agli eventi che affliggono la città. Un lungo ordinato corteo di bare chiare, por-

W. Herzog, Incontri, p. 194. È una domanda che probabilmente gli intellettuali tedeschi si sono posti di fronte alle violenze, ai crimini, alle anomalie del loro governo. 39

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tate solennemente da becchini in cilindro e redingote nera sfila davanti alla finestra di Hellen41. Sono immagini che richiamano l’esperienza dei lutti della grande guerra. Nel film del ’79 questa atmosfera raccolta e dolente è sostituita da scene in cui dominano il disordine, lo stordimento, la follia. 8. La visita di Nosferatu a casa degli Harker Con uno stacco ci troviamo nella piazza deserta di Wismar avvolta nella luce azzurrina della sera illuminata dai lampioni. Nosferatu si trova nel centro della città. Il suo volto pallido è inquadrato in primo piano. Gli occhi che guardano lo spettatore hanno un’espressione dolorosa. La diffusione della peste non sembra interessargli. Verrà delegata all’esercito dei topi in marcia verso Riga e al servile Reinfield, che accarezza il suo idolo con devozione prima di essere scacciato e sparire dal film42. Il vampiro è irresistibilmente attratto dalla dimora degli Harker. La sua ombra altissima copre la casa, mentre egli spia i suoi abitanti. La composizione dell’immagine riflette la situazione. In alto a destra i normali – Van Helsin, Minna e Lucy vestita di chiaro – leggono e commentano il diario di Jonathan. Il padrone di casa siede in disparte nell’angolo sinistro. Al di là del vetro, nell’azzurro della notte che avanza, il conte osserva dall’esterno. Occupa la posizione più bassa e più oscura. La sua testa quasi si sovrappone a quella di Harker, che sta lentamente assumendo la sua stessa natura. Nella sequenza successiva Lucy è sola in camera da letto. Davanti allo specchio la donna scioglie e pettina i lunghi capelli neri, che di giorno tiene compostamente raccolti. Nell’intimità della sua stanza in questi gesti essa rivela una sensualità che nelle scene precedenti è fortemente contenuta. La porta, che si trova alle sue spalle, si apre scricchiolando. Nello specchio si riflettono il volto di Lucy spaventata e l’ombra nera di 41 Questa scena, di grande impatto visivo, è così descritta da Lotte Eisner: “Che cosa c’è di più espressivo di una lunga strada stretta, rinserrata fra le sue facciate di mattoni irrigidite in un’atroce monotonia, vista dall’alto da una finestra, la cui sbarra attraversa il campo visivo? Sul ruvido acciottolato becchini in cilindro e redingote attillata avanzano lentamente, neri e rigidi, portando a coppie la stretta bara di un appestato” (op. cit., p. 77). 42 Uno spazio molto più ampio è dato da Murnau a questo personaggio.

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una testa. La protagonista, che compie una leggera rotazione del corpo, vede prima la mano e poi la figura dell’intruso. Nell’inquadratura ci sono tre figure: il conte in piedi che domina la scena, Lucy di spalle e l’immagine di lei riflessa nello specchio, piccola, indifesa, rannicchiata nell’angolo sinistro. L’ingresso attraverso porte chiuse, possibile solo a una creatura soprannaturale e in questo caso mostruosa, contrasta con l’atteggiamento pacato e educato del conte. Le mani della donna vanno istintivamente a proteggere il collo, quelle artigliate di Nosferatu sono intrecciate in un gesto composto, che reprime l’aggressività. Mentre Dracula cerca di sedurla assicurando la salvezza per lei e per il marito se lo seguiranno, Lucy torna a fissare lo specchio. Guarda davanti a sé con l’espressione assorta di chi sente affiorare in se stesso una angosciosa premonizione: Sì che (Jonathan) morirà. La morte è inevitabile (...). I fiumi scorrono senza di noi, il tempo scorre. Se guardi fuori, le stelle ci vengono incontro confusamente. Solo la morte è crudelmente certa.

Il conte ribatte esprimendo il suo diverso e dolente punto di vista: Chi dice che la morte è crudele sono solo gli inconsapevoli. La morte non è che un taglio netto. È molto più crudele non essere capaci di morire. Vorrei essere partecipe dell’amore che c’è fra lei e Jonathan (...). La mancanza di amore è la più crudele e la più abietta delle pene.

Nella sequenza sono significativi gli sfondi. Nosferatu non è più circondato dall’oscurità ma da un grigio che tende al chiaro. Per la prima volta nel film la donna ha da un lato il bianco e dall’altro l’oscurità, che si fa strada nel contatto col male. Lucy porta al petto le mani e mette in evidenza la croce che fa fremere il suo interlocutore. È lei a congedare risolutamente il mostro che si è insinuato nell’intimità della sua casa con una solenne promessa-giuramento. La salvezza può venire soltanto da noi stessi. Lei può avere la sicurezza che niente, neanche l’impensabile, potrà farmi cedere. Buonanotte.

Rimasta sola nella stanza, Lucy si guarda nello specchio. Le braccia sono incrociate sul petto come per difenderlo, ma gli occhi hanno uno sguardo nuovo, difficile da decifrare. Nei film di Herzog gli specchi tornano più volte43. Il regista, par43 In Woyzeck la protagonista, Maria, guardandosi in un piccolo specchio contempla la sua immagine abbellita dagli orecchini d’oro donatigli dal suo seduttore. L’immagine riflessa, che la fa sentire avvenente e desiderabile, contribuisce a creare

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lando del “riflettere su se stessi”, afferma che “l’invenzione dello specchio è stato un evento enormemente problematico nella storia del genere umano”44. Lucy, che come il conte ha conosciuto la solitudine e comincia a sperimentare il senso di esclusione di chi non è compreso da nessuno, contempla nello specchio, che riflette la sua ambigua espressione, l’effetto del suo primo contatto col male. Nel profondo di lei lottano desideri diversi. La giovane donna resiste con coraggio e determinazione. Nella sua estrema sensibilità è toccata tuttavia dall’angosciosa solitudine dell’altro, dal suo bisogno di intimità affettiva, dal desiderio per lui quasi impossibile di terminare la sua esistenza come gli esseri umani. 9. Il contagio del male a Wismar La sequenza successiva ci mostra gli effetti dell’arrivo del male nella cittadina. Una ripresa dall’alto inquadra una processione di bare bianche che vengono trasportate da punti diversi della piazza. In casa Harker Lucy legge il libro sui vampiri al tavolo dove all’inizio del film la coppia aveva fatto colazione. Legge a voce alta. Jonathan, relegato nel suo angolo, è ben illuminato e ride sinistramente. L’atmosfera e i colori sono cambiati. La scena è in penombra. Alcuni dettagli si imprimono nella mente della protagonista45: Sebbene il vampiro sia un essere contro natura deve ubbidire ad alcune leggi naturali (...). Un’ostia consacrata può rendergli inaccessibile il nascondiglio. Se una donna dal cuore puro gli farà dimenticare il canto del gallo, la luce del giorno lo ucciderà.

Quello che ha scoperto spinge Lucy a uscire e a raggiungere la piazza. Per fare presto, non più attenta alla sua eleganza come in

in lei la consapevolezza del suo potere di seduzione, che la porta alla tragica fine della sua vita. In Invincibile, il protagonista, camuffato da giovane Sigfrido per le rappresentazioni nel Palazzo dell’Occulto, si osserva allo specchio quando il fratellino venuto a visitarlo gli dice che non lo riconosce. In questo momento egli comprende chi è veramente e che cosa deve fare: dichiarare di essere ebreo davanti a un pubblico in cui prevalgono i nazisti. 44 G. Paganelli, Segni di vita, cit., p. 54. 45 La donna ha dietro una piccola finestra da cui si vede il verde della strada, come a indicare che nella sua vita c’è ancora luce e una via di uscita.

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passato, mette uno scialle chiaro sopra l’abito che indossa in casa. Gli uomini che portano le bare la informano che il consiglio comunale, a cui lei vorrebbe rivolgersi, non esiste più e che il sindaco è morto. La giovane donna pronuncia più volte la frase: “Perché non mi ascoltate? Io conosco la ragione di tutto questo”. Come in un incubo, nella solitudine più totale la protagonista passa in mezzo alla gente, che, presa dalle sue occupazioni, non sembra né vederla, né sentirla, come se fosse invisibile. Il luogo è già in una situazione di degrado. Le porte sono sbarrate da assi di legno. Bare e croci sono sparse dovunque. Un cavallo morto giace a terra accanto a una carrozza rovesciata. Tornata a casa, Lucy chiede aiuto al dottor Van Helsin, spiegandogli quello che ha letto nel libro e dicendogli di credere a ciò che vede coi suoi occhi. Nella risposta di lui emergono pregiudizi e esitazioni giustificate da un falso e in questo caso pernicioso buon senso. Viviamo in un’era illuminata. Tutto questo deve essere prima vagliato (...). Figliola, perfino un contadino sa che per ogni cosa c’è un momento appropriato. Il contadino non scava buche per vedere se il grano sta crescendo. Soltanto dei fanciulli che giocassero a fare i contadini lo farebbero.

Come è avvenuto a tanti intellettuali nella Germania della prima metà del ’900, Van Helsin si tira indietro per “vagliare la situazione” nel momento in cui l’azione sarebbe più necessaria e tempestiva. Il romanzo, che ha ispirato Murnau e Herzog, è una storia fantastica, creata dall’immaginazione di uno scrittore. Lo spiazzante e anomalo comportamento dei nazisti, che si sono macchiati di crimini efferati e gratuiti, è probabilmente apparso a tanti intellettuali tedeschi – quando ancora sarebbe stato possibile fermarlo – difficile da classificare e da comprendere razionalmente. Al contrario di Van Helsin, Lucy nel corso della vicenda sviluppa forza, coraggio, determinazione. Ha già abbandonato il suo atteggiamento di donna sottomessa e protetta, quando affronta Renfield nella sua cella e si dichiara decisa a raggiungere il marito in Transilvania. Dopo il ritorno di Jonathan, decisa a fare luce sulla causa della disgrazia che si è abbattuta sulla sua casa e sulla città, legge con mente aperta e con grande attenzione il diario e il libro che il marito ha portato con sé, riesce a collegare gli avvenimenti e a rendersi conto di quello che sta accadendo. Abbandonata da tutti, si congeda da Van Helsin con le parole: “Allora dovrò agire da sola”.

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Passando in mezzo a una marea di topi, Lucy va nella cappella in rovina e cosparge di ostie la bara del vampiro, per impedirgli l’accesso al suo rifugio. Dalla penombra di questo ambiente si passa alla luce della piazza, che è molto cambiata. Ci sono mobili abbandonati da gente che si è disfatta del superfluo. Le bare sono accatastate. Pecore e maiali circolano indisturbati. Con un’inquadratura dall’alto sono ripresi il campanile, la cattedrale, il centro della città. Una folla di esseri umani in stato di stordimento suona, danza, fa baldoria, lasciando che gli istinti primordiali si scatenino. Come avviene agli abitanti del villaggio di Herz aus Glas, in un momento di grande crisi, che nessuno si preoccupa di fronteggiare, i cittadini di Wismar si abbandonano ad un’euforica follia. La macchina da presa segue Lucy. La donna si ferma a osservare un monaco incappucciato, inginocchiato accanto a una bara, interpretato dallo stesso regista. È l’unica persona composta, intenta a meditare con reverenza e rispetto sulle disgrazie che stanno accadendo. I due sono accomunati dal colore nero dei loro mantelli e dallo stato d’animo: una dolente consapevolezza della morte e della follia che li circondano. Non sentiamo il frastuono della sarabanda, ma un canto sommesso “meraviglioso ed etereo”46, simile a un coro di chiesa. È una musica partecipe della sofferenza della situazione, in armonia col modo di sentire di Lucy e del personaggio inginocchiato. Giovani e anziani appartenenti alle più diverse classi sociali si aggrappano alla vita abbandonandosi a danze scomposte e a banchetti. Sono presenti molti bambini. Lucy, presa da mani che la stringono con forza, è costretta a un giro di danza, riesce a sottrarsi, ma è di nuovo coinvolta in un girotondo. È infine invitata a brindare da un gruppo di convitati seduti a una tavola riccamente imbandita, infestata da una marea di topi che non risparmiano le vivande: “Si accomodi, prego. È la nostra ultima cena. Ogni giorno che ci rimane deve essere una festa”. L’inquadratura immediatamente successiva mostra lo stesso tavolo. Le persone sono scomparse, sostituite dai ratti che hanno invaso la superficie, apparecchiata con fiori freschi e stoviglie eleganti. La scena che si svolge davanti ai nostri occhi richiama la sequenza delle mummie dell’inizio, altrettanto impreparate di fronte al momento solenne e decisivo della morte.

46

Cfr. W. Herzog, La Ballata di Stroszeck, Nosferatu il principe della notte, cit., p. 134.

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Dopo questa devastante esperienza, il ritorno a casa e la visita all’amica Minna, che giace a terra priva di vita con due segni rossi sul collo, Lucy prende la decisione estrema che sta maturando dal momento in cui conosce la verità. Prima di compiere il sacrificio di se stessa, la giovane donna, che per questa occasione indossa un abito elegante rosso e oro, si prende cura del marito, sparge sul pavimento intorno alla sedia di lui briciole di ostia, che dovrebbero proteggerlo dagli assalti del male. 10. La notte di Lucy e Nosferatu Inizia una lunga sequenza nella quale, come nei film muti, tutto è affidato alla gestualità, all’espressione dei volti, alla scenografia, all’illuminazione. La donna è distesa nella sua camera in attesa. Ha preparato con cura il suo letto di morte e se stessa. Commenta Herzog nella sceneggiatura: “C’è qualcosa di solenne nella stanza, qualcosa di festoso”47. Sono di un bianco candido la veste di seta, le lenzuola, i fiori nei vasi, i petali di rosa che sono sparsi sul letto e sul pavimento. L’ambiente è scuro. Un’unica fonte di luce batte sul volto e sul petto di Lucy. Quando Nosferatu, già presente nella stanza, si china su di lei e alza le braccia che terminano in artigli, la protagonista ha un momento di spavento e istintivamente si ritrae. Il vampiro respinto lascia trasparire sul volto il suo dolore. È la donna a stabilire le regole di un incontro che deve lasciare fuori la brutalità e la violenza. La protagonista distende le braccia lungo il corpo come per offrirsi. “Un che di seducente e erotico emana dalla sua persona”48. Lucy è un essere umano, non immune alla forza di attrazione del male, ma anche capace fino alla fine di dominare la situazione grazie alla purezza del suo cuore e delle sue intenzioni. Dracula la tocca delicatamente, solleva la veste e accarezza le cosce bianche. Poi si avvicina al collo che lei gli porge. Nel silenzio che domina la scena si sente il sinistro rumore dei denti che forano la pelle. La giovane donna mette le mani sulle spalle del conte, lo stupisce tenendolo teneramente abbracciato. Con uno stacco torna la sequenza del pipistrello nell’azzurro, che questa volta è notevolmente più lunga. Il male compie il suo mortale

47 48

Ibidem, p. 138. Ibidem, p. 140.

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percorso. Inizia un coro doloroso, che continua quando con uno stacco si torna nella camera. Alle prime luci dell’alba il vampiro esitante inizia a muoversi per alzarsi, ma le braccia di Lucy gli circondano il collo e lo riavvicinano. La protagonista agisce consapevolmente, per il bene di Wismar ma anche del suo partner. Nei gesti di lei ci sono calore, compassione, una tenerezza che ha sfumature materne. Viene offerto al conte ciò che egli ha tanto desiderato nella lunghissima serie di notti di solitudine, di buio, di emarginazione. Dopo un attimo di incertezza, Nosferatu si arrende e si abbandona all’abbraccio. Il silenzio è rotto dal canto del gallo. Vediamo la città nel chiarore del giorno che nasce. Le case si specchiano nei canali. Il sole entra nella camera. Il vampiro si alza, vacilla, rantola, infine cade a terra. Muore raggomitolato su se stesso. Il suo corpo perde lentamente consistenza come quello degli insetti, che danno l’impressione di rinsecchirsi e svuotarsi dopo che la vita li ha lasciati. Un calda luce dorata batte sul volto di Lucy, sui suoi occhi luminosi, sul leggero sorriso. “Muore – afferma il regista – con un’espressione di felicità”49. I due protagonisti del film del ’79 sono simili nella solitudine e nell’emarginazione e allo stesso tempo diversi come la luce e il buio50. L’uno soddisfa i desideri profondi dell’altro. Attraverso Lucy Dracula realizza il suo bisogno di amore e insieme l’agognato e temuto taglio netto della morte. Grazie alla notte trascorsa con lui la protagonista, che ha visto distrutti il suo mondo e i suoi affetti, compie col sacrificio di se stessa la missione che gli è dettata dalla purezza del suo cuore. L’alba la coglie esanime con il sorriso sulle labbra e il volto sereno illuminato da un raggio di sole.

49 Conferma l’impressione dello spettatore questo commento che Herzog fa nella sceneggiatura (ibidem, p. 143). 50 Usando un’espressione del semiologo Jurij Lotman possiamo definirli una coppia enantiomorfa. (L’enantiomorfismo si ha quando entrambi le parti sono specularmente uguali, ma disuguali se si sovrappongono. Sono ad esempio enantiomorfe, le mani, i guanti, un’immagine riflessa da uno specchio). Perché il rapporto dialogico produca uno scambio fruttuoso fra i partners, è necessario che essi siano simili per potersi comprendere, ma anche diversi per scambiarsi informazioni nuove. Se così non fosse la crescita non potrebbe avvenire (Cfr. Ju.M. Lotman, La semiosfera, Marsilio, Venezia 1985).

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Capitolo terzo

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11. Il finale Vediamo l’esterno di casa Harker circondata da curiosi in attesa, muti come di fronte a una disgrazia. Van Helsin trova nella camera i due corpi senza vita e comprende finalmente la verità. Senza esitazioni compie l’azione rituale di piantare un paletto nel petto del vampiro. A pianterreno Jonathan Harker si alza in piedi. Il volto è pallidissimo. Quando apre la bocca per parlare, spuntano due lunghi e aguzzi incisivi. Chiede di essere liberato dalle briciole di ostia che circondano la sua sedia. Poi con voce atona pronuncia la sua sconcertante e spietata dichiarazione: “Sorvegliate la camera da letto per le diligenti indagini ufficiali. Portatemi il mio cavallo. Avrò molto da fare ora”. L’ultima suggestiva sequenza è stata ripresa in Olanda su una spiaggia piatta percorsa da nuvole minacciose e da banchi di sabbia spostati dal vento. Herzog ci racconta come l’ha girata: C’era una tempesta, la sabbia volava ovunque e io, guardando verso l’alto, ho visto nuvole incredibili nel cielo. Le abbiamo riprese in pose singole, un fotogramma ogni dieci secondi. È per questo motivo che sullo schermo si muovono molto velocemente. Poi abbiamo invertito l’inquadratura, come se le nuvole, ancorate al cielo scuro, fossero sospese sul paesaggio. Questo intervento ha conferito all’immagine un’aria di presagio infausto51.

Jonathan corre su un cavallo nero che si slancia al galoppo fino a diventare un punto minuscolo sulla linea dell’orizzonte. Lo accompagna la musica del Sanctus di Gounod. Poiché il male e il maligno sono il rovesciamento del bene e del suo Signore, la musica celebra in questa sequenza il nuovo cavaliere del male, animato dall’energia fresca e inarrestabile della sua giovinezza. Nella sua inquietante bellezza formale, questo spiazzante finale produce una forte suggestione. Nello stesso tempo induce lo spettatore a riflettere. Non ci è mostrato quello che accade a Wismar. Secondo le indicazioni del libro sui vampiri, come Brema nel film di Murnau, la città dovrebbe essere liberata dalla peste e tornata a una serena normalità52. Il male non rimane in città, ma parte al galoppo per luoghi lontani. Il W. Herzog, Incontri, cit., p. 134. Il gruppo di curiosi fermo davanti alla porta degli Harker sembra confermare che questo è avvenuto. 51 52

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Nosferatu

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suo campo di azione non è più la Germania: è un male nuovo, veloce, capace di raggiungere gli estremi confini del mondo. Nel 1922, in una realtà funestata da una guerra di una portata inimmaginabile nel passato e da un futuro incerto ed oscuro, era forse possibile ipotizzare un lieto fine. Cinquanta anni dopo Herzog è realisticamente consapevole del fatto che, se il male vecchio viene debellato, rinasce in una nuova forma. Nella visione del regista e nella sua opera sono presenti allo stesso tempo immagini di luce e di bellezza. Nel film del ’79, rispetto al Nosferatu di Murnau, è dato uno sviluppo nuovo e originale alla protagonista femminile. Come molti personaggi dell’immenso racconto che il regista sviluppa nelle sue opere, la giovane donna “soffre, ma continua ad andare avanti, anche se ferita e lotta fino alla morte contando solo sulle sue forze”53. Come Hias di Herz aus Glas, Zishe di Invincibile, Kaspar Hauser, anche Lucy non sconfigge il male definitivamente. La sua forza, che la rende diversa da tutti i cittadini di Wismar è non accettare passivamente la visione tradizionale, ma coltivare il dono del dubbio, che porta a un rischioso percorso di conoscenza. Spinta dal suo amore per Jonathan, ma soprattutto dal desiderio di capire, la giovane donna si pone domande, cerca risposte nel libro e nel diario che il marito ha portato con sé. Quello che intuisce trova conferma nei fatti concreti. La purezza del suo “cuore di vetro”, la sua capacità di vedere oltre la superficie delle cose, il suo altruismo portano luce in un mondo oscuro e percorso da violente forze distruttive. Nel finale di Invincibile, storia dell’ebreo polacco Zishe Breitbar capace di vedere in un sogno-visione il pericolo che incombeva sull’Europa, viene raccontata la storia dei trentasei giusti54. Vedi, – dice il rabbino al protagonista – in ogni generazione nascono fra gli ebrei trentasei uomini, che Dio ha scelto per portare il fardello della sofferenza del mondo e ai quali è concesso il privilegio del martirio. Il mondo si appoggia su trentasei comuni mortali, totalmente indistinguibili da noi. Spesso non si riconoscono nemmeno fra loro.

Kaspar Hauser, Hias, soprattutto Lucy e l’ebreo Zishe hanno queste caratteristiche. Nel racconto colpisce in particolare la frase “il mon-

53 54

Cfr. Introduzione, p. 18. Cfr. Capitolo quinto, pp. 139 e segg.

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Capitolo terzo

do si appoggia su trentasei comuni mortali, che sono totalmente indistinguibili da noi”. Trentasei individui in Israele, in Germania, in Europa o nella realtà globale in cui oggi viviamo sono veramente molto pochi. La morte di Lucy e quella di Zishe Breitbar sembrano non lasciare traccia in un mondo che va in un’altra direzione. Il senso di queste parole è che, per quanto oscura e difficile possa essere la situazione, in ogni generazione il coraggio, l’abnegazione, l’altruismo di alcuni esseri umani portano luce, ci aiutano ad andare avanti. A partire dal titolo, al centro di Nosferatu si pone il tema del male: un male storico, sociale, esistenziale con il quale ogni generazione è chiamata a confrontarsi. Il film colpisce per lo splendore visionario delle sue immagini. Le mummie del prologo, il tramonto a Passo Borgo, la spiaggia che accoglie la solitudine totale della protagonista, la piazza in cui si svolgono le scene di follia toccano corde profonde nell’animo dello spettatore ricettivo. Nella sua lunga attività cinematografica non ancora conclusa Herzog ha ricercato con passione e tenacia la bellezza, che costituisce per lui l’essenza delle cose, anche quando siamo circondati da forze oscure e sembra che il mondo vacilli. Nosferatu si conclude con due immagini antitetiche e complementari: quella del male che parte al galoppo per dominare il mondo e la delicata inquadratura della protagonista, che nei suoi ultimi istanti di vita è illuminata dai raggi del primo sole del mattino e ha sul volto, nello sguardo, nel tenue sorriso un’espressione di gioia.

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Capitolo quarto

Woyzeck

1. Introduzione Woyzeck esce nel 1979, nel periodo che Werner Herzog dedica a celebrare la tradizione culturale tedesca, che ama profondamente. A differenza di quanto avviene in Nosferatu, che si discosta dal film di Murnau per la novità del finale, delle figure di Lucy e del vampiro e per l’originalità del linguaggio cinematografico, l’attrazione esercitata dal dramma porta Herzog ad una fedeltà quasi assoluta. Le battute sono di Buchner, lo svolgimento cronologico è rispettato1. “In virtù dell’intensità del testo – afferma il regista – ho deciso di girare pianisequenza, facendo attenzione che la macchina da presa non si muovesse troppo”2. In Woyzeck la parola di Buchner diventa una delle principali fonti del procedimento filmico3. Giorgio Dolfini, a cui si deve la traduzione canonica italiana dell’opera dello scrittore tedesco, sottolinea in accordo con Herzog la “violenza geniale con cui lo scrittore plasma la sua prosa”: “Le qualità e le possibilità dinamiche della lingua tedesca sono sfruttate da Bu-

1 Il testo del Woyzeck, rimasto incompiuto alla morte dell’autore, non può essere stabilito con certezza. Ci è pervenuto in una serie di abbozzi a volte sovrapposti. Il testo è stato ristabilito da Bergemann. Herzog segue la versione canonica, la stessa che troviamo anche nella traduzione italiana di Giorgio Dolfini (G. Buchner, Teatro, Adelphi, Milano, 1966 e 1978, XII ediz. 2011). 2 W. Herzog, Intervista. L’intervista rilasciata a Laurens Straub, è stata fatta 23 anni dopo le riprese del film. L’intervista è contenuta negli extra del DVD Woyzeck, Ripley’s Home Video, 2003. 3 Cfr. G. Grosoli, Werner Herzog, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, Firenze, 1981, p. 101. Herzog nell’intervista del 2003 afferma: “La cosa che più colpisce nel dramma è proprio la lingua”.

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Capitolo quarto

chner appieno, entro i limiti di una resa ancora classica, eppure con un risultato di sorprendente modernità”4. Con una grande energia fisica e creativa il regista inizia le riprese del film cinque giorni dopo aver terminato Nosferatu. Precedentemente Henning von Gierke era andato a preparare la scenografia nella location scelta: la cittadina cecoslovacca di Telfs, che si trova vicino alla frontiera austriaca a nord di Linz. Il film è stato girato in 17 giorni, grazie al lavoro di un’equipe ben collaudata5. Un punto di forza era l’operatore Jörg Schmidt-Reitwein, dotato di “uno straordinario intuito per il ritmo delle immagini e fenomenale per la capacità di cogliere l’illuminazione degli interni, il calore che emana dal legno, la profondità che dà una finestra”6. Confidavo molto – dice Herzog – nella forza degli attori, del testo, della location e nella mia capacità di regia di amalgamare tutto7. Il film è composto di venticinque sequenze di quattro minuti ciascuna, oltre a un paio di riprese più brevi. Sono stati studiati prima gli spazi e le angolazioni. Dopo le prove, è stato fatto di solito un solo ciack. Il regista dice che l’approccio adottato è stato per lui “particolarmente eccitante” perché lo spazio filmico non era creato dagli stacchi e dai movimenti della macchina da presa, ma interamente dagli attori, dalla forza della loro interpretazione e dal loro uso degli spazi8. Werner Herzog ha ribadito più volte il valore e la ricchezza della tradizione del paese in cui è nato: Dopo l’epoca bavarese del Terzo Reich e della seconda guerra mondiale, l’odore della barbarie ancora aleggia attorno alla cultura tedesca. Ma voglio affermare che una legittima cultura tedesca esiste: scrittori come Buchner, Kleist e Kafka (...) o i grandi compositori o i grandi filosofi. Negli anni venti, Murnau, Fritz Lang, Pabst e altri erano registi legittimi e furono cacciati via. Ora noi siamo di nuovo legittimi9.

4 G. Dolfini, Notizie sull’autore e sull’opera, in G. Buchner, Lenz, Adelphi, Milano. 1989, p. 97. 5 W. Herzog, Intervista (2003), cit. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Cfr. W. Herzog, Incontri alla fine del mondo, minimum fax, Roma, 2009, p. 192. 9 W. Herzog, Intervista, in M. Fontana, Film Und Drang. Nuovo cinema tedesco, Vallecchi, Firenze, 1978, p. 69.

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Woyzeck

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E ancora: Il film tratto da Woyzeck di Georg Buchner costituisce probabilmente il mio legame più semplice e diretto con la cultura del mio paese (...). Trarre un film da Woyzeck ha voluto dire ritornare al cuore pulsante della mia storia culturale. Per questa ragione nel film c’è qualcosa che va oltre me stesso. Tocca le vette dorate della tradizione tedesca e perciò sprigiona luce. Io non ho fatto altro che salire a quelle altezze e attingervi10.

Herzog è attratto dal Woyzeck per molte ragioni. È secondo me limitativo il giudizio di Emmanuel Carrère, secondo il quale l’occhio del regista è “quello di un romantico tedesco sulla sua epoca e, all’occasione sulla nostra, in cui sembra sbarcato per caso, a immagine dei suoi eroi”11. A mio avviso, non si può parlare neanche – come fa Grelier – di “tradimento” del lato più moderno e originale del dramma: l’invenzione di un anti-eroe proletario sottomesso ad un’implacabile ordine borghese”12, perché il modo di sentire del regista è diverso da quello dello scrittore. Woyzeck fa parte della famiglia di personaggi emarginati, sofferenti, incompresi che percorrono il suo cinema, anche se fra tutti è la figura più angosciata e senza riscatto. Kaspar Hauser termina la sua vita con il racconto della storia che si svolge nel Sahara in una dimensione di pienezza e di armonia, se non vissuta almeno immaginata nella mente. Nel finale di Herz aus Glas il profeta solitario Hias ha la visione dell’isola in cui i personaggi coltivano l’amore per la conoscenza e il dono del dubbio. Lucy Harker, abbandonata dagli amici quando chiede aiuto per risolvere una situazione apparentemente disperata, muore col volto luminoso e col sorriso sulle labbra per aver portato a termine la missione a cui sacrifica se stessa. Woizeck, dopo aver distrutto quello che aveva di più caro, scompare nell’acqua alla ricerca del coltello. Non lo vedremo più13.

W. Herzog, Incontri, cit., p. 191. E. Carrère, Werner Herzog, auteur de Woyzeck, “Positif”, n. 222, 1979. 12 R. Grelier, Woyzeck, La “La Revue du Cinèma – Image et Son, n. 342, 1979. 13 Racconto in breve la trama del film. In una cittadina di guarnigione il soldato Franz Woyzeck è tormentato dal suo capitano e da un dottore che si serve di lui per assurdi esperimenti scientifici. L’unico conforto della sua vita sono la compagna Maria e il figlio illegittimo, che ha avuto da lei. La sua mente è spesso affollata da oscuri presagi e da visioni angosciose. Dopo aver appreso che Maria lo tradisce e averla vista all’osteria danzare abbracciata all’amante, sente voci che lo spingono all’omici10 11

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Capitolo quarto

Alla visione del mondo di Buchner sono legati i richiami al tema della morte, che percorrono tutta la sua opera e una disperazione senza via di uscita. Il dramma prende spunto da un fatto realmente accaduto conclusosi il 13 novembre 1823 con l’esecuzione di Johann Woyzeck, assassino per gelosia. Herzog aveva già rappresentato questo periodo in The Enigma of Kaspar Hauser, ispirato, come abbiamo visto, a un fatto realmente accaduto. La società che Buchner descrive e che il regista presenta in immagini ha la ristrettezza mentale, la rigidità, l’indifferenza nei confronti degli altri, la volontà di sopraffazione sul debole e sul diverso, che avevamo visto nel film del 1974. Ci sono altri punti in comune fra i due artisti che meritano di essere sottolineati. Dice Herzog a proposito del racconto più famoso di Buchner: Vi sono rari momenti nella vita, come l’incontro con la grande musica o con la grande letteratura (ad esempio quando ho letto il Lenz, appena una trentina di pagine in prosa) in cui vi è un lampo che mi attraversa la mente, con la violenza di un fulmine, e so che non sono più solo14.

Lo scrittore è un autore atipico nella letteratura tedesca dell’ottocento. Rivoluzionario, amareggiato da un tentativo di insurrezione senza successo e dalla consapevolezza che “per ora non c’è nulla da fare”15, egli ha una visione pessimistica e dolente, ma è anche capace di cogliere a tratti in Dantons Tod (La morte di Danton), nel Lenz, nel Woyzeck la bellezza e la gioia interiore che tante volte Herzog è riuscito a esprimere nei suoi film. Le voci delle rocce – leggiamo nel Lenz – si destavano (...) con suoni tali come se volessero cantare la terra nel loro giubilo selvaggio (...) nel profondo azzurro sorgeva un tenue rosso bagliore (...) egli si sprofondava nel tutto, ed era un godimento che gli faceva male. (...) verso

dio. Compra un coltello da pochi soldi, affida i suoi miseri beni al commilitone Andres e trascina la donna nei pressi di uno stagno, dove la uccide colpendola ripetutamente. Woyzeck torna all’osteria dove è notato perché ha gli abiti insanguinati, poi va di nuovo allo stagno dove getta il coltello. Nello sforzo di buttarlo ancora più lontano sparisce nell’acqua. 14 W. Herzog, Intervista, in M. Fontana, Film Und Drang, cit., p. 62. 15 “Da sei mesi – scrive Buchner in una lettera al fratello del 1835 – mi sono pienamente convinto che non c’è niente da fare e che chiunque si sacrifichi in questo momento rischia la pelle come uno sciocco” (G. Buchner, Opere, Mondadori, Milano 2002-2006, p. 376).

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occidente una visione della campagna e della catena di monti, le cui cime si ergevano poderose, austere o silenziose, come un sogno evanescente. Potenti masse di luce traboccavano talora dalle valli come un fiume d’oro (...). Solo una cosa rimane: un’infinita bellezza che da una forma trascorre in un’altra, in un eterno dischiudersi, in un eterno mutare...16

E in Dantons Tod (La morte di Danton): Avrei potuto morire diversamente, senza fatica, così come cade una stella (...) come un raggio di luce si seppellisce nel chiaro flutto... Lacrime scintillanti, le stelle sono sprizzate nella notte; dev’esserci un grande dolore nell’occhio che le ha versate...17

Scrive Arnold Zweig nel suo saggio sull’autore tedesco: (Buchner) vede sempre l’essenza della vita, che sorda procede verso la sofferenza, come un morbido serpente che deve avanzare in eterno attraverso un fogliame tagliente come lame di coltelli. Eppure, in una travolgente polarità, egli scorge felice il lucido verde delle foglie stagliarsi sullo sfondo azzurro del cielo, lo scintillio delle luci sulla pelle madreperlacea del serpente e la gioia della sua forza selvaggia e flessuosa18.

Lo scrittore ha la capacità di cogliere la bellezza e di far gustare la vita ai suoi personaggi al massimo dell’intensità, sia pure per brevi momenti. È un’esperienza che Herzog fa vivere a quasi tutti i suoi protagonisti. Scrive ancora Arnold Zweig: Senza condividere questa spumeggiante giovinezza, questa vitalità, questa adorazione della vita, è impossibile comprendere Buchner. Nulla deve guastare all’uomo la straordinaria felicità di essere al mon-

G. Buchner, Lenz, cit., pp. 13, 19-21, 37. G. Buchner, La morte di Danton, in G. Buchner, Teatro a cura di Giorgio Dolfini, Adelphi, Milano 1966 e 78 (XII ediz., 2011), p. 76. 18 A. Zweig, Saggio su Buchner, in Buchner, Opere, Mondadori, Milano 2002-2006, p. XXIX. Scrive Giorgio Dolfini a proposito degli studi su Buchner: “Il naturalismo tedesco vedrà nell’opera buchneriana motivi che gli sono cari. In polemica con una tale valutazione, l’espressionismo rileverà nella stessa opera quegli elementi formali e ideologici che sorprendentemente paiono precorrere il suo esperimento morale e letterario. Scrittori come Arnold Zweig, autore di un bel saggio su Buchner al di fuori da queste correnti, ribadiranno con maggiore equilibrio l’universalità del messaggio buchneriano e il suo realismo” (G. Dolfini, Notizie sull’autore e sull’opera, cit., p. 98). 16 17

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do. Qualunque cosa tenti di oberarlo di un peso sbagliato, deve essere negata ed eliminata19.

Il fascino che l’opera di Buchner esercita su Herzog è legato anche ad un’altra motivazione. Buchner – dice il regista – mi attraeva. Era diventata quasi un’idea fissa. Dovevo scaricare questo peso. Da lungo tempo sapevo che avrei girato questo film20.

Il dramma è vicino a un modo di sentire che affiora a tratti nei suoi film e nelle sue interviste, ad esempio quando dice a proposito del pittore Seghers: Incontrarlo è stato come se qualcuno avesse allungato una mano attraverso i secoli e mi avesse toccato le spalle. I suoi paesaggi non sono affatto paesaggi; sono stati della mente pieni di angoscia, desolazione, solitudine e di un’atmosfera di visionarietà onirica21.

Un fascino simile è esercitato da Lenz e da Woyzeck. Essi sono vicini ad un aspetto della sensibilità del regista che “afferma di mettere completamente a nudo la sua esistenza nella sua opera”22. C’è un lato oscuro che egli ha bisogno di esorcizzare portandolo alla luce come fa con la cupa immagine delle mummie, che aveva visto in un viaggio in Messico e che utilizza in Nosferatu nell’incubo di Lucy Harker. Lo stesso regista sottolinea questo interesse, quando dice che nel Woyzeck la battuta chiave è: “Ogni uomo è sull’orlo di un baratro. Vengono le vertigini a guardare di sotto”23. Immagini simili tornano in altre opere di Buchner, ad esempio nel Lenz, subito dopo che il protagonista ha visitato la bambina morta: “Si trovava sul ciglio dell’abisso dove una voglia folle lo spingeva a guardare dentro continuamente”24. E in Dantons Tod: Ibidem, p. XXIV. W. Herzog, intervista sul film (2003), cit. 21 W. Herzog, Incontri, cit., p. 165. 22 W. Herzog, Intervista (1978), cit., p. 56. 23 Nell’intervista del 2003 Herzog cita a memoria questa battuta, che nel dramma e nel film suona leggermente diversa: “Gli uomini sono come abissi. Ti gira la testa se provi a guardarci dentro”. 24 G. Buchner, Lenz, cit., p. 59. 19 20

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Ero fra sogno e veglia (...) A un tratto scompare il soffitto (...) La volta celeste con le sue luci si era abbassata, ci sbattevo contro, toccavo le stelle, annaspavo come uno che affoga sotto la crosta del ghiaccio…25

A generare la disperazione del Woyzeck del dramma è la sua personale tragedia, la sua miseria materiale senza riscatto, la consapevolezza di stare per perdere irrimediabilmente l’unica cosa importante nella sua vita. Per il regista la sensazione di sprofondare in un abisso ha una causa diversa: la ferita provocata dalla sua esperienza esistenziale, iniziata in un periodo storico pesantissimo, che egli ha sempre cercato di comprendere e superare. Parlando della cupa violenza di un paese africano, dove, come nella Germania nazista, “era venuta meno in brevissimo tempo ogni traccia di civiltà e di sicurezza”, Herzog afferma: Sono affascinato dall’idea che la nostra civiltà sia come un sottile strato di ghiaccio sopra un oceano profondo di caos e di tenebra26.

Troviamo un’immagine simile nell’intervista del 1978: La nostra superficie è come un ghiaccio sottile che si può rompere molto facilmente e allora ricadiamo nella preistoria. Non dovremmo fidarci dello spessore del ghiaccio sul quale camminiamo: è molto fragile e si spezza, se viene calpestato un po’ più forte. Lo abbiamo visto durante il regima nazista e ce ne sono ancora troppi altri esempi27.

Il film è una progressiva immersione nell’incubo di un uomo che sprofonda in un baratro. Per la prima volta nel cinema del regista i sogni e le visioni sono assenti. Non sentiamo le voci che il protagonista dice di udire né ci è mostrato quello che egli afferma di vedere. L’unico momento in cui siamo pienamente immersi con lui nella natura è la scena del campo di papaveri, su cui torneremo.

G. Buchner, La morte di Danton, cit., p. 76 (il corsivo è mio). W. Herzog, Incontri, 1978 cit., p. 16. 27 W. Herzog, Intervista (1978), cit., p. 72. 25 26

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Capitolo quarto

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2. La quotidianità del soldato Woyzeck Come avviene in Kaspar Hauser, il film si apre con una silenziosa panoramica dello stagno accanto al quale sorge la cittadina. C’è un senso di pace e di incontaminata bellezza nelle calma distesa d’acqua e negli scorci ripresi dall’alto del paese deserto, colto probabilmente nella prima luce dell’alba. Inizia una musica, che il regista definisce “cauta”. Alla fine della sequenza appare la scritta: “In una piccola cittadina sulla sponda di un grande e placido stagno...”. Questa disposizione scenografica infonde un senso di ordine e di serenità, che già nella sequenza successiva è in forte contrasto coi movimenti convulsi, rigidi, maldestri di Woyzeck. Il protagonista fa il suo ingresso nel film a passo di corsa al suono di una marcia militare. Appare allo stremo delle forze, come se a stento si reggesse in piedi. Mentre fa le flessioni, è più volte preso a calci dal piede del suo superiore, oscura entità che vediamo soltanto dalla vita in giù. Il primo piano del volto gonfio del personaggio, che guarda in macchina con l’espressione persa, “dà il tono a tutto il resto del film”28. Le prime due sequenze sono state immaginate e girate dal regista per introdurre nell’atmosfera della vicenda. Woyzeck è un personaggio non amato, non apprezzato da nessuno, colpito da violenze gratuite, dall’ironia, da allusioni maligne su quanto ha di più caro al mondo. In tutto il film – e nel dramma – a causa del bisogno di denaro egli è sottomesso a personaggi più abbienti e istruiti di lui. La terza scena, in cui il protagonista fa la barba al capitano, apre il testo di Buchner. In questo episodio, girato con la macchina fissa collocata frontalmente come se il regista dovesse riprendere una scena teatrale29, il protagonista è ancora relativamente tranquillo, lavora in modo coscienzioso e accurato, esprime dignitosamente le sue ragioni nel difendere

28 W. Herzog, Incontri, p. 190. Herzog accompagna questa affermazione col racconto della stanchezza di Kinski, che aveva appena finito di girare Nosferatu. La condizione psicofisica dell’attore “dà alla sua recitazione un carattere particolare: appare fragile, vulnerabile”. La guancia gonfia è dovuta al fatto che egli ha sbattuto la faccia sull’acciottolato per la violenza del calcio ricevuto, da lui stesso richiesto perché la scena fosse più veritiera. 29 La macchina da presa zooma sui due, nel momento in cui il soldato-barbiere esprime la sua visione del mondo.

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la sola cosa che ha e che è la sua ragione di vita: la famiglia precaria che si è formato con una donna, madre del suo bambino. “Voi – dice il capitano – avete un bambino senza la benedizione della chiesa” (...). “Il buon Dio non si accorge se a questo vermiciattolo, gli è stato detto sopra ‘amen’ prima di farlo. Il Signore ha detto: “Lasciate che i fanciulli vengano a me” (...) per noi povera gente, vede signor capitano, è una questione di soldi! Chi non ha soldi non si può permettere di mettere al mondo un figlio secondo la morale (...). Se io fossi un signore e avessi un bel cappello e un orologio certo che sarei virtuoso”30.

La condizione di Woyzeck che, come più tardi Maria, sogna quello che non ha e che per le classi superiori è invece la norma, è qualcosa che tocca profondamente Buchner. In una lettera, in cui ricorda un mercatino di Natale pieno di bambini cenciosi con la faccia triste e gli occhi spalancati “davanti a quelle meraviglie di acqua e farina, sudiciume e stagnola”, lo scrittore commenta: “Il pensiero che per la maggior parte degli uomini anche le gioie e i piaceri più miseri siano un lusso irraggiungibile mi ha riempito di amarezza”31. Woyzeck e Maria vivono questa condizione nel dramma e nel film. Il protagonista è di solito al centro della scena, fra il capitano e il soldato che lustra gli stivali. Lo è anche nello studio del medico, ma qui è sull’attenti, angosciato dai rimproveri del dottore che gli paga pochi soldi per divertirsi a fare assurdi esperimenti su di lui. Il vitto insufficiente, che gli viene imposto – da tre mesi mangia solo piselli – e il correre e sfinirsi per svolgere i tanti servizi, che gli servono per raggranellare il denaro per Maria e per il bambino, lo debilitano e lo esauriscono, dandogli l’aria di “una persona disperata e sempre di corsa”. Profondamente a disagio, torcendosi le mani, il soldato parla al dottore di voci e visioni, rivelando uno stato mentale già alterato, a causa del deperimento fisico e dell’esistenza spossante che conduce. La sua unica colpa appare quella di avere desiderato e scelto una donna che, pur appartenendo al suo ceto sociale, ha una bellezza non comune, pericolosa per il suo compagno, ma anche per se stessa. Il passaggio della banda militare guidata da un aitante tamburmaggiore, che la sensuale Maria osserva con desiderio dalla finestra W. Herzog, Woyzeck, DVD cit. G. Buchner, Opere, cit., p. 390. La lettera è stata scritta a Strasburgo nel gennaio 1836. 30 31

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della sua stanza, prepara l’evento che cambierà la vita della precaria famiglia. Come di consueto, Woyzeck passa a visitare i suoi cari e a portare loro il denaro che è riuscito a raccogliere. Con aria stravolta pronuncia una battuta tratta da Genesi (19, 28) sull’ira di Dio nei confronti di Sodoma e Gomorra. Essa suona come un presagio della sua personale apocalisse. Continuano a succedere strane cose. È scritto nella Bibbia: “Il fumo si levava dalla terra, come il fumo di una fornace (...) Mi è venuto dietro fino alla porta della città. Che sarà di noi?32.

L’unico momento sereno è vissuto dal protagonista alla fiera. È un episodio che ricorda le scene del circo presenti in Kaspar Hauser e in Invincibile. Vestito con l’uniforme blu, che usa nei giorni importanti, il soldato accompagna Maria e il figlioletto a vedere gli animali ammaestrati. Sotto il tendone, dove si esibisce un cavallo sapiente, Woyzeck tiene sulle ginocchia il suo bambinetto biondo e ride allegramente, godendosi lo spettacolo. È l’unica volta che questo avviene nel film. È però anche il momento in cui Maria con la scusa di guardare da vicino l’orologio che è stato chiesto dall’imbonitore per il numero col cavallo, si lascia prendere in braccio dal tamburmaggiore, che inizia i primi approcci. Nella sequenza successiva, mentre nella sua povera casa la protagonista amoreggia col soldato, Woyzeck prosegue il suo cammino di umiliazione. Davanti a un piccolo gruppo di persone il dottore, affacciato alla finestra del primo piano, gli lancia addosso un gatto spaventato. Il personaggio inizia a tremare e dice che la sua vista si oscura. Il medico instancabile nei suoi esperimenti, gli chiede di mostrare ai presenti come sa muovere le orecchie, come se fosse un fenomeno da baraccone. Anche qui la situazione ricorda quella di Kaspar Hauser esposto in un numero del circo. Come nel dramma, sono mostrati solo gli approcci preliminari fra il tamburmaggiore e la protagonista, che finisce col cedere al desiderio dell’uomo. Nella sequenza successiva Maria, dopo aver messo a letto il bambino, si siede per guardarsi in un piccolo specchio. La luce che batte sul tavolo è azzurrina, come gli orecchini donati dal tamburmaggiore.

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Woyzeck, DVD, cit.

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La ripresa è frontale. Quando avvicina lo specchio al viso, vediamo la sua immagine riflessa. C’è un leggero effetto flou. Il volto di una donna attraente emerge da uno sfondo scuro striato di azzurro33. Gli orecchini nuovi luccicano. Sono assenti i segni che denotano la povertà della condizione in cui il personaggio vive. Come luccicano queste pietre! Che cosa saranno? Scommetto che è oro. Come le ha chiamate lui? (...) Per noi al mondo c’è solo un angolino e un pezzetto di specchio. Ho anch’io una bella bocca rossa come le grandi dame con le loro specchiere dalla testa ai piedi e i cavalieri che fanno l’inchino. Perché io non devo averlo tutto questo?

Mentre fa la barba al capitano, Woyzeck fantastica sul destino delle persone facoltose, che non sarà mai il suo. La sua compagna sogna le soddisfazioni che chi ha bellezza e denaro riceve e che a lei sono negate. La donna è vittima delle sue debolezze: il sogno-illusione di una vita migliore, l’attrazione che prova per un uomo alto, forte, prestante come il tamburmaggiore. Quando Woyzeck entra nella casa di lei con delicatezza e le sorride, nota gli orecchini ma sembra non dare importanza a questo dettaglio e ai modi bruschi di Maria. Si china invece a accarezzare teneramente il figlioletto dormiente e a riflettere sulla fatica del vivere: Come dorme il piccolo. Gli tiro fuori un braccino. Ha la fronte piena di gocce di sudore. La vita è sempre fatica. Anche quando si dorme si suda (...). Ecco i soldi, Maria. La cinquina e la mancia del capitano.

Nell’angolo destro dell’inquadratura la donna resta ferma a occhi bassi, con l’aria colpevole. Bisbiglia “Dio te ne renda merito”. Dopo che il suo compagno è uscito, presa dal rimorso scoppia in singhiozzi: “Sono una donna cattiva. Dovrei ammazzarmi”. 3. La discesa agli inferi di Woyzeck L’esistenza del soldato Woyzeck è tagliata in due da un evento che lo porta alla disperazione. La consapevolezza del pericolo che lo minaccia raggiunge il protagonista all’improvviso, quando incontra sot-

33 Commenta Herzog, dopo aver sottolineato che nel film ci sono pochissimi movimenti di camera, che qui la “macchina da presa cambia angolazione, come se fosse desiderosa di vedere l’immagine nello specchio” (W. Herzog, Intervista, 2003, cit.).

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to il portico della piazza il capitano e il dottore. Mentre il medico lo tiene per il polso per ascoltare il numero dei battiti, il capitano insinua che il soldato-barbiere potrebbe trovare nel suo piatto un pelo di barba di tamburmaggiore. Stretto fra i due uomini, egli è costretto da loro a compiere un mezzo giro su se stesso. Sullo sfondo appare una finestra buia con le sbarre, che incornicia il personaggio. Signor capitano, io sono un povero diavolo e non ho nient’altro al mondo. Signor capitano, se lei mi prende in giro (...). La terra scotta come l’inferno, eppure sto gelando. È impossibile, impossibile! (...) Sì, è possibile! Oggi è bel tempo, Signor capitano. Il cielo è così bello, fermo. Viene la voglia di piantare un chiodo e impiccarcisi. Dipende da quella lineetta che sta fra il sì e il no.

Mentre il capitano fa un ultimo funereo monologo sullo sfondo buio della finestra, Woyzeck corre a verificare quello che ha appena portato al livello della coscienza. Si sente in sottofondo il rumore di un panno sfregato sul pavimento. Questo raccordo sonoro introduce la scena successiva, nella quale Maria, che ha sognato di essere una gran dama, è impegnata in un’umilissima occupazione domestica. Woyzeck la raggiunge e la accusa. I due si fronteggiano al centro della scena. Fra loro si intravede il bambino disteso nel lettino: Non si vede niente (...). Un peccato così grosso deve puzzare tanto da far scappare anche gli angeli del cielo (...). Ogni uomo è un abisso. A uno gira la testa se guarda dentro (...). L’innocenza deve avere un segno.

Woyzek ha una sensibilità febbrile e dolorosamente sbilanciata. Zweig dice a proposito del racconto e del dramma: “Lenz è la rappresentazione di un eccessivo assottigliarsi dell’epidermide spirituale e Woyzeck una variante di questa stessa peculiarità nell’uomo del popolo”34. Nella sua disperazione egli non ha nessuno che lo conforti: né amici, né confidenti, né appoggi umani. I suoi superiori sono maligni e indifferenti, il commilitone Andres, che, gli dorme accanto in caserma, non ha una parola di consolazione o di interessamento. Dopo aver visto Maria e il suo amante danzare avvinghiati nell’osteria, Woyzeck corre fuori dalla cittadina per cercare rifugio nella natura.

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A Zweig, op. cit., p. XX.

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È una delle scene più suggestive del film. Buchner introduce il breve monologo con la didascalia “in campagna”, singolare perché rompe l’unità di luogo del dramma. L’idea di questo scenario è del regista. Herzog ambienta la sequenza su una collina coperta da una distesa di papaveri verdi. Vediamo Woyzeck immerso nel campo fino alla vita. I colori sono l’azzurro del cielo e il verde dei fiori non ancora dischiusi. Volevo – dice Herzog nel Commento – riprendere i papaveri verdi solo a patto che soffiasse il vento. Sbattendo fra loro essi fanno un suono che sa di minaccia e di solitudine. È come se il paesaggio fosse impazzito35.

L’uomo poggia l’orecchio a terra nello sforzo di decifrare le voci della natura: “Cosa, cosa dite? Più forte, più forte! (...) Ammazza, ammazza! Devo proprio? Lo dice anche il vento”. È un momento di abbandono estatico del personaggio, divorato dalla sua ossessione, intento a cogliere le mille voci del vento, il fruscio dell’erba, la cantilena dell’aria36. È una parentesi onirica in un dramma intenso e cieco. La brutalità della vita quotidiana colpisce Woyzeck appena rientra in città. Nell’osteria è provocato e colpito dal tamburmaggiore ubriaco, che vuole costringerlo a bere. La bestialità e la potenza fisica del soldato, che lo solleva come un animaletto e lo depone su una sedia dopo averlo tormentato, è l’ultima pesante umiliazione che il protagonista è costretto a subire. Nella scena successiva, con angoscia dolente e contenuta, seduta al tavolo, Maria legge dalla Bibbia il brano dell’adultera. Si rammarica che Franz non passi più a trovarli. È ripresa di profilo sullo sfondo della finestra, attraverso la quale si vede la piazza. I colori e l’eleganza dell’immagine richiamano i quadri di Vermeer. Per poter realizzare questa ripresa la troupe ha dovuto aspettare la luce flebile della sera, subito prima del buio37. Tanta cura è dedicata a una sequenza non Extra DVD cit. Cfr. G. Paganelli, op. cit., p. 108. 37 È lo stesso Herzog a citare Vermeer per questa immagine. Egli lega questo effetto pittorico al profondo amore del suo operatore Jörg Schmidt-Reitwein per l’artista di Delft e per la pittura fiamminga. Per poter filmare in profondità di campo la piazza che si vede attraverso la finestra la troupe ha dovuto individuare gli unici dieci minuti della giornata in cui era possibile ottenere questa immagine: quelli che precedono il buio. 35 36

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meno importante di quella del campo di papaveri. Maria, sola col suo bambino, con calmo dolore prende coscienza di quello che ha perduto in cambio di un effimero momento di piacere. Poco più tardi, come nel dramma, la donna, che ha l’amicizia e l’affetto dei bambini del cortile38, siede in mezzo a loro. Non canta, come loro vorrebbero, e racconta invece una storia: C’era una volta un povero bambino, che non aveva né padre né madre. Erano morti e non aveva più nessuno al mondo. Allora partì e si mise a cercare giorno e notte, e siccome sulla terra non c’era più nessuno volle andare in cielo, e la luna lo guardava con la faccia buona. E quando fu arrivato sulla luna, trovò che era un pezzo di legno marcio. Allora andò dal sole, e quando ci arrivò, era solo un girasole appassito, e quando arrivò dalle stelle, erano moscerini dorati. Quando tornò sulla terra, anche questa era una pentola capovolta, e lui era ancora solo. Allora si sedette e si mise a piangere, e sta ancora lì, solo solo.

Nel dramma il racconto è narrato da una vecchia. Questa modifica apparentemente modesta è, secondo me, importante perché la protagonista esprime attraverso la favola quello che prova. La storia esprime la delusione e la solitudine di Maria e contemporaneamente quella dell’uomo che l’ha sinceramente amata. Per entrambi le luci, che per poco hanno illuminato la loro esistenza, sono state solo illusioni. La luna che hanno voluto raggiungere era “un pezzo di legno marcio”, le stelle dei “moscerini” e la terra su cui sono tornati un luogo di solitudine e di pianto. In un lungo piano-sequenza Woyzeck dà all’indifferente Andres le povere cose che possiede: un uniforme, l’anellino e la croce della sorella, un santino con due cuori che era nella Bibbia della madre. Poi, seduto sul letto, con un’espressione mortalmente triste legge il suo foglio di servizio e aggiunge: “Oggi ho 40 anni, due mesi e due giorni. Quando il falegname costruisce la cassa da morto, nessuno sa chi ci mette dentro”. Il personaggio non vede futuro. È una sentenza di morte per la sua donna, ma anche per se stesso. Woyzeck va a prendere Maria. Tenendola per mano la conduce allo stagno, dove l’immagine della coppia si riflette nell’acqua. Nella radura verde si sente il suono degli uccelli e degli insetti.

38 Alla notizia della sua morte, i bambini corrono allo stagno per vedere la loro amica per l’ultima volta.

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I due non si guardano. Gli occhi di entrambi sono persi nel vuoto. “Maria, lo sai quanto tempo è?” – “A Pentecoste due anni” – “Come sono calde le tue labbra”. In questo momento inizia la musica, leitmotiv del film. Woyzeck alza il coltello. La sequenza è girata nel tardo pomeriggio. È a rallentatore. È come se il tempo si dilatasse. Herzog dice che nella scena la dimensione temporale è “stravolta”39. Il protagonista uccide la donna che tanto ama chinandosi fra l’erba e finendo così fuori campo. La musica da sola basta a descrivere il gesto e ad ampliarlo. L’urlo è dilatato dalla musica40. Dopo avere inferto i colpi, l’uomo si ferma e guarda davanti a sé. Inizia la musica, quieta, delicata di Benedetto Marcello, che accompagna il silenzio e il vuoto che fa seguito a una selvaggia e disperata violenza. Nella scena successiva Woyzeck si trascina all’osteria, dove attira l’attenzione per i suoi abiti macchiati di sangue. Poi torna sul luogo del delitto per gettare via il coltello. Entra nell’acqua perché l’arma gli sembra ancora troppo vicina. Lo vediamo sparire lentamente nel buio. L’ultima immagine mostra il luogo dell’omicidio, la bara, alcuni messi comunali vestiti di nero che si muovono alla ricerca del coltello. La lentezza dei loro movimenti viene acuita dalla ripresa al rallentatore. Il film si conclude con una battuta, che nel dramma è pronunciata da uno dei personaggi, mentre è affidata qui a una scritta sullo schermo: “Un omicidio a regola d’arte, autentico, che più bello non si può”. Queste parole richiamano alla mente dello spettatore il finale di The Enigma of Kaspar Hauser, dove il verbalizzatore pronuncia battute che hanno un significato simile. Un magnifico processo verbale (...). Scriverò nel verbale che hanno trovato delle malformazioni su Kaspar Hauser. Finalmente per questa stranissima persona abbiamo trovato la giusta spiegazione, come non se ne possono trovare di migliori.

Herzog conferma di avere tratto lo spunto per queste battute dal finale di Woyzeck.

39 40

W. Herzog, Intervista, cit., 2003. Cfr. G Paganelli, op. cit., p. 139.

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Capitolo quarto

In tutti e due i film c’è la vittoria della visione dominante a spese degli esseri sensibili, diversi, le cui “anomalie” devono essere illustrate e catalogate secondo le regole del buon senso comune. È quello che desiderano le autorità cittadine, ma anche i messi comunali, i verbalizzatori, i ‘piccoli’ attratti dal fatto diverso e dalle sue possibili spiegazioni, tanto più gradite quanto più banali. Woyzeck rimane per lungo tempo l’ultimo film di fiction ambientato dal regista in Germania. Dopo aver percorso il mondo fino ai suoi estremi confini – il Perù di Fitzcarraldo (1982), la Patagonia di Schrei aus Stein (Grido di pietra) (1991) e i tanti altri luoghi visitati e filmati – Herzog torna a scegliere come location Berlino per le riprese di Invincibile (2001), ambientato nel periodo immediatamente precedente alla presa del potere da parte del nazismo.

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Capitolo quinto

Invincibile

1. Introduzione Invincibile, presentato a Venezia nel 2001 e distribuito in Italia nel 2008 con sette anni di ritardo, è passato sui nostri schermi quasi inosservato. Non lo hanno aiutato il disinteresse della giuria del festival e la scarsa pubblicità, che privilegia altri generi. Il film segna il ritorno alla fiction di Herzog dopo dieci anni di documentari. È secondo me un’opera importante, perché il regista affronta qui per la prima volta in modo diretto un nodo cruciale del tragico passato del suo paese in un linguaggio originale adatto al tema che gli sta a cuore. Dopo la realizzazione di Invincibile, egli si è aperto al suo pubblico come mai aveva fatto in passato, concedendo lunghe interviste e commentando personalmente negli extra dei DVD usciti negli ultimi anni ogni singola scena dei suoi film degli anni settanta. Werner Herzog ha realizzato le sue opere più apprezzate e discusse, Aguirre, der Zorn Gottes (Aguirre, furore di Dio), The Enigma of Kaspar Hauser, Herz aus Glas, Nosferatu, Woyzeck, Fitzcarraldo in un decennio (1972-1982), ma non ha mai abbandonato la sua attività di regista. Ritengo – afferma in un’intervista – di aver realizzato alcuni dei miei lavori più importanti negli anni ottanta, novanta e in questo inizio di millennio. Anche se i miei film più recenti non sono granché conosciuti, molti di essi sono migliori dei miei primi lavori1.

1 W. Herzog, Incontri alla fine del mondo, minimum fax, 2009, p. 51. L’intervista di Paul Cronin al regista è stata fatta nel 2002, subito dopo l’uscita di Invincibile ed è stata pubblicata in inglese nello stesso anno.

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Capitolo quinto

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È vero che i miei film rimangono spesso ai margini del mercato, ma altrettanto spesso arrivano al suo centro negli anni2.

Con un linguaggio cinematografico che varia a seconda del soggetto trattato3, il regista continua a realizzare opere artistiche di alto valore formale, capaci di porre gli spettatori di fronte a problemi e domande fondamentali per la loro esistenza e per il periodo storico che stanno vivendo. L’autore tedesco non è mai venuto meno ai principi che sono alla base della sua attività: Per fare film occorre coraggio, occorre sentire un’urgenza, un obbligo a farli. Non cerco mai storie da raccontare. Piuttosto sono loro ad assalire me.4

Così è stato anche per il film del 2001. Gary Bart, discendente del fabbro Zishe Breitbart, l’“uomo più forte del mondo” morto nel 1925, ha proposto a Herzog una sceneggiatura, frutto di anni di ricerche. Secondo il regista, la biografia era poco interessante, ma “in essa c’era qualcosa di geniale che era sfuggito agli altri”5. Ad attrarlo è stata la straordinaria forza del personaggio, che lo rende diverso da chi lo circonda. Per me un “uomo forte” è un’espressione che eccede le abilità meramente fisiche. Comprende il vigore intellettuale, l’indipendenza di spirito, la sicurezza, la fiducia in se stessi e forse anche un qualche tipo di innocenza. Tutte queste qualità sono senza dubbio parte integrante della forza interiore di Zishe Breitbart6.

Intervista a Werner Herzog pubblicata nell’Indice, aprile 2008, n. 4, p. 19. Ne sono un chiaro esempio i primi film girati dal regista nel XXI secolo, Invincibile e Kalachakra. 4 W. Herzog, Incontri, cit., p. 92 e p. 67. 5 Commento di Herzog al film nel DVD Invincibile (Ripley’s Home Video, 2009). Da questo DVD ho tratto anche le battute del film che cito nel capitolo. 6 W. Herzog, Incontri, cit., p. 34. Faccio un breve riassunto del film. Zishe Breitbart, figlio di un fabbro ebreo, vive in un villaggio in Polonia. Dotato di una straordinaria forza fisica, egli batte in un circo un forzuto energumeno. Durante questa esibizione viene notato da un impresario teatrale, che insiste per condurlo a Berlino e portarlo al successo. Ingaggiato da Hanussen, un sedicente mago e veggente, che nel suo Palazzo dell’Occulto profetizza l’avvento di Hitler, Zishe accetta di esibirsi in pubblico e di interpretare Sigfrido, l’eroe epico della mitologia germanica. Il giovane è attratto dalla pianista Marta, docile vittima di Hanussen. La ragazza è apolide, sola al mondo e non ha un altro posto dove andare. Zishe percepisce l’antisemitismo diffuso 2 3

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Invincibile

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Nei periodi incerti e difficili della storia cresce il desiderio di individui forti, potenti, carismatici. In Invincibile Werner Herzog ci mette di fronte ad un tipo di forza diversa, che è legata al senso di responsabilità, all’altruismo, alla dignità della persona. Il suo unico scopo è fare il bene, per quanto è possibile, in un mondo che va in un’altra direzione. La diversità rispetto a coloro che lo circondano è una caratteristica che accomuna Zishe ai protagonisti più amati dal regista. Hias di Herz aus Glas (1976), Fini Straubinger, la sordo-cieca di Land des Schweigens und der Dunkelheit (Paese del silenzio e delle ombre) (1971), Kaspar Hauser, Lucy Harker, Zishe Breitbart appartengono alla stessa famiglia. Ognuno ha una diversa condizione di solitudine7. Tutti questi personaggi hanno in comune la limpidezza dello sguardo, capace di andare al di là della superficie, di cogliere l’essenza delle cose. Nella biografia di Gary Bart c’era un altro aspetto che ha colpito Herzog. Zishe era ebreo e lo dichiarava apertamente. In una locandina era stato definito “il nuovo Sansone”. Sapevo che trasferendo il personaggio nei primi anni trenta avrei potuto sfruttare l’estremizzazione dei rapporti fra tedeschi e ebrei, che si è verificata in quel periodo. La “verità” sulla vita di Zishe è colta in modo ancora più vivido se vista attraverso la lente della Germania degli anni trenta8.

Lo slittamento temporale permette al regista di affrontare il tragico passato del suo paese che, a differenza di Fassbinder e di Wenders, egli non aveva mai rappresentato prima in modo diretto.

nel cabaret. Aiutato da una visita della famiglia, dichiara al pubblico di essere ebreo. Si scatena un conflitto nella platea. Il giovane avrà da quel momento l’appoggio della comunità ebraica, che ammira il suo coraggio. Egli trova la forza di fermare Hanussen, che vuol prostituire Marta, e lo denuncia come impostore. Nel processo il mago viene smascherato. Non è un nobiluomo danese, ma un ebreo cecoslovacco. Da idolo e profeta diventa vittima dell’antisemitismo nazista. Viene trucidato e abbandonato in un bosco. Zishe aiuta Marta a realizzare il suo sogno puro di suonare come solista in un concerto. In una visita al rabbino egli dice di sentire di essere chiamato a rivelare al suo popolo il pericolo che corre e l’orrore che sta per venire. Torna nel villaggio in Polonia, ma nessuno ascolta le sue profezie. Per provare la sua forza agli increduli, pianta con le mani grossi chiodi su un’asse di legno e si ferisce con una punta arrugginita. Muore in ospedale assistito dal fratellino dopo un ultimo sogno di libertà. 7 Rispetto agli altri Zishe ha un solido retroterra culturale e spirituale e una famiglia che lo ama. È emarginato e solo nel cabaret di Berlino, nella sua lotta per il bene e alla fine del film quando non viene ascoltato dal suo popolo. 8 Ibidem, pp. 277-278.

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Capitolo quinto

Il momento storico che sceglie è cruciale. Il film inizia nel maggio del 1932 e termina il 28 gennaio del 1933, due giorni prima della vittoria di Hitler. Nelle interviste Herzog parla della Germania e del nazismo molto di rado e sempre di sfuggita9. Come abbiamo visto, le difficoltà e le privazioni vissute da bambino in un paese povero, affamato, in macerie lo hanno aiutato a sviluppare risorse latenti: una vivida immaginazione, una creatività non comune, la curiosità verso ciò che è diverso e apre nuove prospettive di visione. Sono qualità che nell’età adulta hanno portato l’autore tedesco fino agli estremi confini della terra, a contatto con altre culture e con altri modi di percepire il mondo. È questo atteggiamento di apertura e di ricerca che spinge Herzog a realizzare Kalachakra (2002)10, il documentario immediatamente successivo a Invincibile. Qui il regista offre allo spettatore immagini di grande suggestione e bellezza, il cui livello formale è all’altezza delle visioni di Herz aus Glas. Scorrono davanti ai nostri occhi fascinose inquadrature di paesaggi indiani, del Nepal, del Tibet, del monte sacro Kailash, di un lago che splende di luce. Esse sono colte da un obbiettivo capace di trasmettere la loro unicità e una bellezza sconosciuta agli occidentali. Nell’intervista che accompagna il documentario il regista parla di quello che lo ha colpito: l’atmosfera delle iniziazioni, l’atteggiamento dell’enorme folla che vi partecipava (500.000 persone), la semplicità, il modo gioioso di ridere, il calore umano del Dalai Lama. Herzog, che è stato invitato a fare il documentario dal direttore del centro di Dharma di Graz e indirettamente dallo stesso Dalai Lama, spiega che non gli interessano i contenuti specifici del buddismo, di cui ha una conoscenza rudimentale, ma che gli è piaciuto molto fare il film, che è in sintonia con l’opera unitaria che sta costruendo negli anni.

W. Herzog, Incontri, cit., pp. 9-10. Kalachakra (La ruota del tempo) DVD Ripley’s Home Video 2004. Il DVD contiene oltre al documentario sulle iniziazioni buddiste tibetane di Kalachakra prima in India a Bodh Gaya e poi a Graz in Austria, un’intervista a Werner Herzog di Laurens Straub. La prima proiezione del documentario è avvenuta il 16 marzo 2003 sulla BBC. 9

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Kalachakra appartiene certamente a ciò che più mi riesce, che mi è molto vicino per cui anch’io funziono al meglio …. e si tratta di spiritualità, di qualcosa che ho cercato sempre in tutti i miei film11.

Questa ricerca, come vedremo, è anche il tema centrale di Invincibile, in cui Herzog esplora un mondo a lui vicino, la Germania degli anni trenta. Questa scelta presenta per il regista rischi maggiori delle avventure “a rotta di collo” in paesi lontani, perché la vicenda, ambientata a Berlino in luoghi dove si gestisce e si manipola il potere, fa affiorare una pesante eredità storica e esistenziale, che Herzog si è portato dentro per quarant’anni. Grazie ad un’idea secondo me geniale, ciò che avviene nella capitale tedesca si svolge quasi completamente nello spazio ristretto di un cabaret, che ha come pubblico l’élite della Berlino dell’epoca. L’estraneo in questo mondo è il protagonista ebreo Zishe Breitbart, che viene da un villaggio polacco e osserva quello che ha intorno con occhi limpidi e un ‘cuore di vetro’12. Se in altri film una particolare sensibilità immaginativa porta il regista a creare immagini intense e raffinate ispirate ai quadri dei suoi pittori preferiti, in Invincibile prevale l’esigenza di ricostruire con cura e creatività gli ambienti e l’atmosfera del periodo. L’intento che guida il lungo lavoro preparatorio del regista è quello di immergere lo spettatore prima nel villaggio in cui Zishe è nato, poi nella Berlino del ’32. Ci riesce compiendo una meticolosa, accurata ricerca – e in alcuni casi una fedele ricostruzione – di arredi, costumi, abiti, oggetti del periodo13. Per Invincibile, con l’eccezione di Tim Roth e di Udo Kier, Herzog ha preferito attori non professionisti, che gli sono apparsi dotati di spontaneità, di immediatezza, della capacità di calarsi nel loro ruolo. La protagonista, Anna Gourari, è una pianista che ha vinto un premio importante per l’esecuzione del concerto di Beethoven che suoExtra Kalachakra, cit. “Il vetro – afferma il giovane signore, protagonista di Herz aus Glas – ha un’anima fragile, è limpido, senza macchia. La crepa è la colpa. Il primo sbaglio dell’uomo ha reso questo vetro muto”. “Tu hai un cuore di vetro” dice lo stesso personaggio nel finale al protagonista Hias, il mandriano-profeta solitario, che cerca invano di salvare il villaggio dalla rovina. Cfr. Capitolo primo, pp. 35 e 43. 13 “Volevo – dice l’autore nel Commento – che al mercato e al circo negli abiti e nei volti (i personaggi e le comparse) apparissero come appartenenti a quell’epoca”. Per la parte che si svolge a Berlino il regista ha creato insieme allo scenografo lo studio dell’impresario e quello di Hanussen a partire da stanze assolutamente vuote. 11 12

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na nel film. Il finlandese Jouko Ahola, che interpreta Zishe, è “veramente molto forte”. È stato due volte campione del mondo. Non aveva mai recitato. L’ho scelto perché volevo che il pubblico, abituato agli effetti speciali, si avvicinasse ad una visione elementare. L’essenziale è ciò che si riesce a trasmettere (…). È un ragazzo buono, si vede subito. È difficile che un ragazzo buono e gentile riesca a trasmettere tanto carisma14.

Nel film c’è un altro protagonista, Erik Jan Hanussen. Il regista non ci racconta come la storia di quest’uomo, ben noto negli ambienti berlinesi degli anni venti, sia giunta fino a lui. È probabile che ci abbia riflettuto per molto tempo, perché la sua ascesa e la sua caduta sono legate al periodo dell’avvento al potere di Hitler15. È l’incrociarsi delle due vicende biografiche di Zishe Breitbart e Erik Jan Hanussen, rielaborate dal regista, a creare il nucleo drammatico del film e a “condurre gli spettatori direttamente nel cuore delle cose”16. La realizzazione di Invincibile ha richiesto tempo. Ci sono voluti sei mesi di preparazione e nove settimane di ripresa per arrivare ai risultati che il regista voleva raggiungere. 2. Il mondo yiddish dei primi anni trenta Invincibile si apre con un piano-sequenza che riprende il mercato di un villaggio ebreo polacco. Herzog ha scelto di girare queste scene

W. Herzog, Commento a Invincibile, cit. Su Hanussen sono stati scritti libri e biografie che confermano i dati più importanti che il regista ha inserito nel film. Herzog li riassume nell’intervista: “(Hanussen) pubblicava riviste e libri, compreso un libro del 1920 su come fingersi un veggente. Più tardi, quando si stava costruendo una carriera da intrattenitore e sensitivo, ha tentato di cancellare le tracce del libro. Hanussen ha assunto il ruolo di veggente perché era molto più redditizio e il clima dei primi anni trenta richiedeva un profeta, una figura che potesse dare dei riferimenti nel mezzo del caos politico e della crescente inquietudine (…). Assunto il nome d’arte di Erik Jan Hanussen, egli si è spacciato per un aristocratico danese, mentre in realtà era un ebreo cecoslovacco (…). Hanussen aveva compromesso troppi membri altolocati del partito nazionalsocialista. Questo forse spiega perché sia stato rapito, crivellato di colpi e semidivorato da un cinghiale (W. Herzog, Incontri, cit., p. 337). 16 Questa espressione, che Herzog usa per Aguirre, sintetizza il percorso dei suoi film più importanti (W. Herzog, Incontri, cit., p. 101). 14 15

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in Lituania, vicino a Vilnius, perché l’ambiente aveva subito nel tempo poche trasformazioni. Gli abiti, l’espressione dei volti dei contadini, i cavoli, le carote, le cipolle esposti sui banchi contribuiscono a creare l’atmosfera della parte iniziale del film, che si cala nel mondo yiddish dei primi anni trenta. Mentre scorrono queste immagini, ascoltiamo un’aria di Händel, Ombra mai fu, cantata dalla voce di Ennie Leisner. Il regista ha scelto questa incisione del 1926, perché – dice – “ha qualcosa di sostenuto, è bella, particolare, toccante”17. È questo canto a dare il tono alla scena. Qui esso accompagna la vita quotidiana di un popolo ignaro del fatto che dieci anni più tardi sarà vittima di una assurda, radicale e sistematica violenza. Lo stesso brano torna in sottofondo ogni volta che il protagonista si ferma a riflettere prima di prendere una decisione importante. La lunga panoramica si chiude sulla panchina su cui siedono Zishe e il fratellino Benjamin. Sollecitato dalla vista di un gallo maestoso e coloratissimo che viene inquadrato più volte, il bambino racconta una storia. Il finale di questo apologo farà da leit-motiv alle vicende dei personaggi del film: “Puoi fare qualsiasi cosa per gli uomini o nel mondo, ma resterai sempre quello che sei”18. È la stessa frase che il padre dice a Zishe prima della sua partenza: “Vai per il mondo, ma resta quello che sei”. Pur avendo scelto di vivere negli Stati Uniti, anche Werner Herzog è “rimasto quello che era”: un tedesco, nato nel 1942, che ha bisogno di comprendere il passato che ha influito sulla sua esistenza. In Invincibile, nel microcosmo del cabaret, che prepara l’avvento al potere di Hitler, dichiarare di essere quello che si è comporta per Zishe un atto di coraggio denso di conseguenze. Per Hanussen invece l’essere ebreo è un segreto, accuratamente celato, che gli viene estorto con la forza in tribunale e che lo porta a perdere tutto. La “chiamata” del protagonista si compie attraverso una serie di eventi apparentemente casuali.

W. Herzog, Commento al film, cit. La storia racconta di un principe che perde la testa, si crede un gallo e decide di mangiare sul pavimento. Interviene un saggio che lo fa di nuovo sedere a tavola e che gli si rivolge con queste parole: “Non credere che, sedendosi a tavola con gli altri uomini, un gallo smetta di essere quello che è”. 17 18

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Capitolo quinto

Zishe invita a pranzo il fratellino in un’osteria, dove è oggetto di pesanti commenti da parte di alcuni avventori malevoli e aggressivi, che lo chiamano “grasso giudeo” e colpiscono il bambino. L’ambiente che apre la sequenza richiama anche nel linguaggio cinematografico usato dal regista la taverna di Herz aus Glas, dove l’atmosfera è carica di un malanimo fine a se stesso, accresciuto dall’effetto dell’alcool. Vediamo in primo piano su un tavolo un bicchiere semivuoto, che è esattamente al centro dell’inquadratura. Una linea ideale, che parte dal bicchiere e passa fra Zishe e Benjamin, guida lo sguardo verso il gruppo di avventori malevoli appoggiati alla parete. La forza fisica che Zishe tira fuori quando toccano Benjamin, fa fuggire i malintenzionati, ma provoca grossi danni al locale. Per pagare il debito, il giovane accetta di esibirsi in un circo, dove è notato da un impresario teatrale giunto nel villaggio. La rappresentazione variopinta, che esibisce trucchi ingenui svelati subito per divertire i bambini e la gente semplice, ha caratteristiche antitetiche rispetto agli spettacoli che vedremo fra poco nell’ambiguo cabaret dove “niente è quello che sembra” e dove i trucchi hanno una funzione ben diversa. La visita dell’impresario ai Breitbart è ripresa attraverso la cornice della porta scrostata di una casa povera. Tutta la famiglia è riunita per accogliere l’ospite straniero. I protagonisti sono seduti intorno al tavolo, le donne e i bambini sullo sfondo. Le parole che Benjamin rivolge all’estraneo esprimono l’armonica, serena visione della realtà di questo piccolo mondo. Vedi, i nostri villaggi ebrei sono come i libri sacri aperti davanti agli occhi di Dio. Nel giorno dell’espiazione perfino i pesci tremano nei ruscelli. In primavera durante la Pasqua gli alberi gioiscono. Signore, lei è come un bottegaio con gli scaffali vuoti, che non ha niente da vendere.

Con la trasparente innocenza dei suoi nove anni Benjamin intuisce la povertà della proposta di successo che viene offerta al fratello. Quello che il bambino non riesce ancora a comprendere è che essa è legata alla chiamata di Zishe, alla sua missione in un mondo più grande. La chiamata prende forma nella “scena notturna dei bisbigli” in cui il protagonista decide di partire. È una sequenza che “trascina lo spettatore nella vita interiore dei personaggi”19.

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Herzog usa questa espressione nel Commento al film.

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Il canto sommesso di Ennie Leisner sottolinea l’importanza di questo momento. Una panoramica percorre l’unica stanza in cui dormono i membri della famiglia. Si ferma prima su due bambini addormentati nello stesso giaciglio, poi sul letto di Zishe, che è accanto a quello di Benjamin. L’ambiente è in penombra, ma i volti dei due interlocutori sono in luce. I due personaggi sussurrano aprendo l’animo l’uno all’altro. Ci sono pause fra le battute, perché, prima di parlare, essi riflettono, cercano le parole per esprimere quello che sentono dentro se stessi. – Credi che Dio faccia un dono a ciascuno di noi? – Certo – Se Dio mi ha dato la forza, non pensi che me l’abbia data per una ragione? – A volte noi non sappiamo perché Dio fa quello che fa. – È proprio quello che devo scoprire. – Zishe, nel libro dei profeti è scritto: “Distogli da me il tuo sguardo prima che io respiri e non sia più”… non sia più20.

Il protagonista ha lo sguardo sognante. Benjamin rivolge verso l’alto i suoi occhi limpidi e chiari come se traesse ispirazione dal soffitto. Le ultime parole sono un tentativo di difendere il fratello dal pericolo che la chiamata comporta, ma esprimono anche il desiderio di trattenerlo vicino a sé. Celebrata la Pasqua, coi suoi abiti poveri e una vecchia valigia legata con lo spago Zishe inizia il suo viaggio in un mondo che per ora gli è amico. La natura è in rigoglio. Quando si sdraia per dormire, i meli lo coprono con i petali bianchi dei loro fiori. Gli viene offerto un passaggio su un carro che trasporta balle di fieno. La fama della sua forza straordinaria si diffonde. In una scena, che è girata in presa diretta, un gruppo di contadini lo accompagna festosamente formando un corteo allietato dalla musica di un tamburo e di un violino. Siamo ancora in un microcosmo che vive “come un libro aperto davanti agli occhi di Dio”. 20 Il versetto è preso dal salmo 38: “… la mia esistenza davanti a te è un nulla (…). Distogli il tuo sguardo, che io respiri, prima che me ne vada e più non sia”. Il senso di questi versi è chiarito da altri brani dell’Antico Testamento, in particolare dal Libro di Giobbe, in cui il protagonista chiede di essere risparmiato almeno temporaneamente dalla prova: “Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva?” e “Se i suoi giorni (dell’uomo) sono contati (…) distogli lo sguardo da lui e lascialo stare, finche abbia compiuto come un salariato la sua giornata” (Giobbe 7, 19 e 14, 6).

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3. L’arrivo a Berlino Un esempio del lavoro minuzioso, che il regista ha compiuto per far rivivere l’atmosfera del tempo, è la breve sequenza in esterni che segue l’arrivo del protagonista nella capitale. Tutti i veicoli che vediamo nella strada piena di gente sono di quel periodo o avrebbero potuto essere lì in quegli anni: biciclette, carrozze a cavalli, automobili dell’epoca. La stessa cura è dedicata alla colonna sonora: È tutto girato in presa diretta in modo scrupoloso. Bisogna raccogliere i suoni sul campo, accumulare come gli scoiattoli. Ci vuole un fonico esaltato per ottenere questo21.

Nello studio dell’impresario Zishe è informato della situazione che la città sta vivendo e dei suoi possibili sviluppi: Inflazione, disoccupazione, scioperi di massa, borse a picco (…) il popolo vuole un uomo forte e Hanussen è il profeta di questo desiderio. Tu sarai una specie di contraltare nel sistema, ma dovrai tenere la bocca chiusa.

Con un tono suadente, insinuante, a tratti perentorio, l’uomo convince Zishe, che lo guarda stupito, a debuttare nel Palazzo dell’Occulto. L’obbiettivo è affiancare la sua forza fisica al potere della mente che Hannusen afferma di possedere e che, come vedremo, egli mette al servizio dei nazisti. Il vero Breitbart si è esibito a Berlino, a Vienna, perfino a Broadway. Nel film Herzog sceglie unicamente un cabaret, capace di immergere lo spettatore nell’atmosfera della Germania dei primi anni trenta. Una brillante descrizione di questo decennio e dei suoi gusti culturali ci è offerta da Lotte Eisner, la studiosa di cinema più amata e apprezzata dal regista. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale – scrive la Eisner nello Schermo demoniaco – lo spirito tedesco stenta a riprendersi dal crollo del sogno imperialista. I più intransigenti cercano di reagire promuovendo un movimento di rivolta (…). Questa torbida atmosfera raggiunge il parossismo con l’inflazione, che provoca il collasso di tutti i valori. L’inquietudine innata dei tedeschi assume proporzioni gi-

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W. Herzog, Commento al film, cit.

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gantesche (…) risorgeva l’eterna attrazione verso ciò che è oscuro e indeterminato22.

Il Palazzo dell’Occulto di Hanussen è il tempio di queste forze oscure, che ammaliano una platea composta dall’élite della capitale: uomini in eleganti abiti da sera, fra i quali un giudice della corte suprema e il conte Helldorf capo della polizia, ricchi e aristocratici ebrei. Gruppi di squadristi in divisa riempiono i tavoli in fondo alla sala. Nel corso del film li vedremo avanzare progressivamente: occupare le prime file, stare in piedi sotto il proscenio, salire sul palco. Come sottolinea Ian Kershaw nel suo libro Hitler e l’enigma del consenso, nel 1932 il nazismo aveva un movimento di 800.000 militanti e circa mezzo milione di squadristi. Nello stesso anno 13 milioni di elettori erano pronti in diversa misura a riporre la loro fiducia in Adolf Hitler. Questo successo era dovuto in buona misura alla promozione dell’immagine del leader, “creata e abbellita dalla propaganda”, “che rappresentò una questione di vitale importanza, così come indispensabile fu la predisposizione del popolo ad accettare tale immagine”23. Il Palazzo dell’Occulto e il suo direttore svolgono questo compito, sfruttando le suggestioni, le inquietudini, le frustrazioni, le attese del periodo24. 4. Il Palazzo dell’Occulto La prima scena all’interno del cabaret si svolge nello studio-camerino di Hanussen. L’ambiente, pieno di oggetti preziosi d’argento e di bronzo, è sciatto e disordinato. Il tavolo è troppo ingombro, il pavi-

L. Eisner, Lo schermo demoniaco, Editori Riuniti, Roma,1983, pp. 21 e seg. Ian Kershaw, Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, Roma, 1983, pp. 62, 67 e seg. Che la propaganda, di cui vediamo un esempio significativo nel film nel Palazzo dell’Occulto, fosse estremamente necessaria è chiarito da altri brani del libro di Kershaw nel paragrafo Le masse, contenuto nel II capitolo, Alla conquista del potere. 24 Scrive Kershaw a proposito di queste attese: “La dote principale che distingueva Hitler (…) era la sua capacità di suscitare, in quanti entravano in contatto con lui ed erano in qualche modo predisposti a accoglierne il messaggio, la visione di un futuro eroico per una Germania rigenerata e risorgente dalle ceneri prodotte dalla distruzione totale del vecchio ordine di cose. Il dittatore riuscì a infatuare i milioni di tedeschi che divennero suoi sostenitori, convincendoli che lui, e lui solo, con l’aiuto del suo Partito, avrebbe potuto mettere fine all’attuale stato di prostrazione della nazione tedesca e condurla a una nuova epoca di grandezza” (ibidem, p. 64). 22 23

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mento è coperto di fogli e locandine sparse alla rinfusa. Il nuovo arrivato è subito informato che il pubblico è composto soprattutto da nazisti, dei quali il giovane polacco non sa ancora niente. Per compiacere la platea Hanussen sceglie per Zishe il nome di scena di Sigfrido. Gli fa indossare un elmo alato e una ridicola parrucca bionda che dovrebbero farlo apparire un purissimo ariano. Da questo momento fino alla coraggiosa dichiarazione pubblica del protagonista la vicenda si svolge all’interno del cabaret. Ci sono azioni che si ripetono con sfumature diverse: le profezie di Hanussen, le visite al suo camerino di uno Zishe prima in preda al disagio, poi sempre più consapevole di quello che sta avvenendo. Due sono anche i percorsi del protagonista attraverso il palazzo e due le guide che lo accompagnano. Quando esploriamo con Zishe uno spazio che egli non conosce, i movimenti sono lenti. Nel primo percorso vediamo insieme a lui il palcoscenico, dove si esibiscono ballerine con abiti e piume svolazzanti, e scorci della platea. Sulle vetrate delle grandi finestre oscure si riflettono le piccole luci che sembrano pendere dal soffitto, simile ad un cielo stellato25. Insieme alle lampade disposte su ogni tavolo questa miriade di punti dorati fa apparire la sala come uno scrigno prezioso, che lascia fuori le contraddizioni, le ansie e le preoccupazioni del quotidiano. Il riflettore, che si trova su una balconata di fronte al palcoscenico, proietta un cono azzurro al di sopra della testa degli spettatori in penombra. È un tipo di illuminazione che crea un effetto di irrealtà, favorisce i trucchi e le manipolazioni. Al banco del bar Zishe trova la sua prima guida, un camerieremago26 che gli mostra un trucco con le carte e lo introduce nei segreti del luogo: “L’asso potrà sembrare un asso e la regina una regina, ma la verità è sempre quella che non si vede. Seguimi in silenzio”. Dopo l’attraversamento del vestibolo, siamo introdotti nella stanza dell’occulto, il cuore del cabaret. Sotto una cupola dorata alcune persone in abito da sera sono sedute in cerchio intorno a un tavolo rotondo, circondato da un acquario semicircolare. Mentre la guida allontana Zishe, perché lì non è per-

25 Herzog ci informa che “non sono punti luce, ma che si tratta di un effetto tridimensionale”. 26 Nel Commento al film Herzog dice che si tratta di suo figlio, prestigiatore abile con le carte, che esegue qui uno dei suoi numeri.

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messo sostare, la macchina da presa zooma su Hanussen, che lentamente viene a occupare tutta l’inquadratura. La testa e le braccia, che sono aperte verso il basso per permettere alle mani di poggiare sul tavolo, formano un minaccioso incombente triangolo, mentre la sua voce bassa e suggestiva pronuncia le parole: “Stabilite un contatto fra di voi. Sentite l’energia scorrere (…) Io sono il chiaroveggente. Io vedo il vostro futuro”. Le ballerine, il cantante di cabaret, il comico che impersona il banchiere, i numeri di forza di Zishe fanno da contorno alla perfomance, che deve dominare tutte le altre. Presentato dal maestro di cerimonie come “il padrone degli abissi dell’anima”, pallido, ieratico, avvolto in un mantello blu-notte, Hanussen fa la sua prima apparizione sul palcoscenico. Su richiesta di Herzog, Tim Roth sostiene tutta la sequenza senza battere ciglio. Raggiunge una notevole intensità grazie al magnetismo dello sguardo e al suono basso della voce. “Venerabili signori, sono dotato del dono misterioso di attrarre l’aura del cosmo e trasmetterla alle persone dotate” dice prima di presentare il suo numero di ipnosi, che coinvolgerà una giovane attrice e il conte, capo della polizia, seduti a uno dei tavoli. È una caratteristica del cabaret l’interazione fra chi sta sul palco e il pubblico. Per ora si tratta di un gioco per stupire lo spettatore, ma diventerà ben presto un mezzo per influenzare la platea e spingerla nella direzione politica desiderata. Zishe reagisce ad un ambiente che lo lascia perplesso con una serie di visite al camerino del suo datore di lavoro. La prima volta va a esprimere il disagio che gli provoca il costume di scena. Trova Hanussen in una pausa di riposo, sdraiato sul divano. Per rispondere il mago si mette seduto con le braccia distese sulla spalliera del divano. È una posizione di forza nei confronti del modesto avversario. Come se si rivolgesse a un cagnolino, gli dà il comando “seduto” e lo fissa con uno sguardo freddo e duro: “Siamo intrattenitori. Diamo al pubblico quello che vuole. Esprimiamo i suoi sogni collettivi”. Un bricco d’argento e le cinque luci di un candeliere in primissimo piano e leggermente sfocati sembrano creare una barriera fra il signore dell’occulto, che sta parlando per sostenere i suoi interessi e lo status che la sua attività gli conferisce, e il suo ascoltatore semplice, ingenuo, ma determinato a difendere la sua dignità. Per chiarire quello che sente, Zishe si allontana dal cabaret. Lo vediamo seduto sotto un grande albero sulla riva di un fiume. Sullo sfondo si muove lentissima una barca. A contatto con la pace serena del-

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Capitolo quinto

la natura, il giovane raccoglie i suoi pensieri prima di scrivere alla famiglia. Nella lettera parla della sua nostalgia e descrive Hanussen come un uomo che “per lui è un mistero”. La sequenza, che segna un primo distacco dall’esperienza che sta vivendo e una pausa di riflessione, è accompagnata dal canto di donna, che abbiamo sentito all’inizio. Come abbiamo detto, esso segna le tappe significative del percorso del protagonista. Commentando questo episodio, Herzog sottolinea l’importanza dell’attacco della musica (Essa) comincia subito dopo che abbiamo interiorizzato l’immagine. Bisogna affidarsi al proprio istinto. Questo è il mistero di come la musica e l’immagine si sposano fra loro27.

Il canto fa da raccordo sonoro con la scena successiva, in cui Hanussen, dopo aver dimostrato i suoi poteri mentali ipnotizzando Marta, annuncia la vittoria imminente del nazismo. Come ispirato dall’alto, l’illusionista inizia a parlare della forza della mente per arrivare subito dopo alla profezia che scuote la platea. Il nostro popolo è in grado di sviluppare un potere inimmaginabile. Deve solo essere condotto… È come un evento cosmico, una cometa nel cielo… Una figura piena di luce è arrivata. Questa forza, che schiaccerà tutti i parassiti stranieri ha un nome, Adolf Hitler. Lui lo farà. Io sono colui che vede. Sono il profeta del suo avvento.

Nella sua veste di mago, figura gradita al pubblico dell’epoca, Hanussen sostiene e asseconda l’immagine che Hitler dà di sé28. Alla fine del vaticinio, la steady-cam riprende la scena dal fondo del palco. Al di là del corpo disteso di Marta leggermente sfocato, vediamo la silhouette nera di Hanussen di spalle e il pubblico in penombra col fiato sospeso prima dello scroscio degli applausi. Questa profezia dà una risposta ai dubbi di Zishe, che il mattino dopo si presenta di nuovo al suo capo per dirgli che pensa di “trovarsi nel posto sbagliato”. Non mi sento a mio agio con il pubblico (…). Forse sono troppo ebreo (…). Tutti questi nazisti mi sembra che sappiano esattamente dove stanno andando.

27 28

Commento al film, cit. Cfr. la nota 24 alla p. 125 di questo capitolo.

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La reazione di Hanussen è una cinica dimostrazione del suo potere e un’aperta dichiarazione delle sue aspirazioni di grandezza. L’esordio del discorso è ambiguo, quasi una confessione sfuggita e subito camuffata e corretta: “Noi siamo simili”. I due personaggi lo sono effettivamente. Sono ebrei circondati da un mondo a loro ostile. La forza fisica e morale di Zishe è autentica, quella millantata dal suo capo è costruita sulla menzogna e ha l’unico scopo di favorire se stesso. Hanussen riprende immediatamente il controllo della situazione compiendo col suo corpo un movimento sinuoso, che ricorda quelli delle lucertole29: Siamo gente di spettacolo. Offriamo una luce a chi è sconcertato. Voglio diventare per il presente quello che è stato l’oracolo di Delfi, il ministro dell’occulto. Se esiste veramente un dio, dimora qui.

Mentre pronuncia queste parole, l’uomo apre una cassaforte piena di banconote. Poi chiama Marta e dà a Zishe una prova del suo dominio su di lei. La donna, consapevole che un suo rifiuto le farebbe perdere il lavoro e ogni sostegno, si piega all’umiliazione. La scena è cruda. Zishe, che fin dal primo incontro è affascinato dalla bellezza e dallo dolcezza della ragazza, osserva imbarazzato, inghiotte saliva, infine abbassa pudicamente lo sguardo. Dopo uno stacco e una fuggevole immagine della facciata del teatro, la steady-cam segue il secondo percorso di Zishe attraverso il Palazzo dell’Occulto attraverso i corridoi. La sala è illuminata dalla luce del giorno. La platea è vuota. Il giovane si ferma ad ascoltare Marta che suona. Lei lo invita a sedersi. Il piano-sequenza, che inizia dietro le quinte, si interrompe quando la macchina da presa si concentra sulla donna. Le sue dita si muovono sul pianoforte come se si immergesse nella musica, che è per lei fonte di gioia, un mezzo per esprimere quello che sente e che è costretta a reprimere. Rassicurata dal senso di affidabilità che Zishe trasmette, Marta gli apre l’animo. La giovane donna coltiva pensieri e aspirazioni pure.

29 Il muoversi come una lucertola è stata una richiesta del regista, che apprezza l’intensità e la sgradevolezza che Tim Roth esprime in questo episodio (ibidem).

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Capitolo quinto

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Sai, anch’io ho un sogno. Vorrei suonare il terzo concerto di Beethoven per pianoforte con un’orchestra al seguito che mi accompagni. Darei qualunque cosa per questo. Dentro di me ho una visione.

La macchina da presa è fissa sul volto luminoso della ragazza. Sullo sfondo Marta ha il legno di una porta scura, la tenda blu su cui risaltano la camicetta e la pelle di un rosa pallido, uno scorcio di una parete chiara e infine la sagoma nera del pianoforte. Il legno scuro, che si trova all’estrema destra, ha l’effetto di restringere l’inquadratura. L’attenzione dello spettatore è così concentrata sulla diafana e delicata bellezza della giovane donna. All’interno del cabaret fino ad ora è l’unica immagine di luce. È irradiata da un essere umano trasfigurato dall’amore per la musica, capace di sentire il valore dell’arte, che “non cambia il corso della vita ma la rende migliore”30. Delicatamente Marta prende per mano Zishe e lo conduce nella stanza dell’occulto per mostrargli l’acquario, in cui bianche meduse creano nuotando eterei disegni. Guarda queste creature. Non ho mai visto niente di più bello, di più delicato. Voglio suonare una musica che corrisponda a questa visione. La sento dentro di me. Ora vedo l’anima, la vostra anima – sussurra Zishe.

Quando i due personaggi si chinano verso l’acquario, li vediamo riflessi sul vetro, silhouettes azzurrine circondate dalla danza fluttuante delle meduse. In questo momento sospeso è come se si immergessero insieme in una dimensione spirituale, in cui l’anima si manifesta. I due personaggi sono gli unici che in questo ambiente conservano la purezza interiore. Inizia qui un’amicizia preziosa che li porterà a vivere i momenti più belli della loro esistenza e ad affrontare con coraggio, grazie all’appoggio reciproco, durissime prove. Nel commento il regista spiega il modo in cui è stata girata questa ripresa: Sapevo che a Hanussen piacevano gli acquari, ma l’idea è mia. Le meduse per sopravvivere hanno bisogno di una particolare soluzione salina difficile da realizzare. Le abbiamo riprese in un acquario in Cali-

30 Questa espressione è usata da Herzog nell’intervista. in risposta alla domanda su quale sia secondo lui lo scopo dell’arte: “… so solo che il lavoro dei grandi poeti e artisti non cambia il corso della mia vita, ma la rende migliore (…) Scrivi soltanto che rende la mia vita MIGLIORE, e ricordati di scriverlo in maiuscolo” (W. Herzog, Incontri, cit., p. 309).

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fornia a Monterey. La loro immagine è stata trasferita qui. Abbiamo creato un’illuminazione particolare. I due attori si riflettono davvero sul vetro dell’acquario. All’immagine abbiamo aggiunto le meduse31.

Marta e Zishe si incantano di fronte alla delicata bellezza dell’acquario. La parete azzurrina trasmette suggestioni diverse a seconda di chi è presente nella stanza. Essa circonda il tavolo in cui Hanussen profetizza l’avvento al potere di Hitler ad un pubblico selezionato con cura. Il movimento lento delle meduse ha un effetto ipnotico, che ben si accorda alle messe in scena del mago e al loro scopo. C’è un altro dettaglio che mette in sintonia queste creature con la stanza del circolo dell’occulto. Esse hanno una potente tossicità, che le rende pericolose e anche mortali, se gli schermi vengono meno e si arriva a un contatto fisico. È un rimando indiretto a un altro veleno: quello che il sedicente profeta diffonde coi suoi vaticini ideologici ammantati di mistero e di magia. Zishe, colpito dal momento appena vissuto, assiste con Marta al numero in cui Hanussen indovina gli eventi che il pubblico scrive su biglietti di carta e che consegna al maestro di cerimonie. Egli resta ammirato di fronte alle risposte del mago confermate dagli spettatori, ma Marta gli rivela immediatamente il trucco di questo numero di magia. 5. La visita della famiglia e la dichiarazione del protagonista La piena presa di coscienza sulla natura del Palazzo dell’Occulto e sul ruolo che gli è stato attribuito avviene per Zishe quando è raggiunto nel camerino dalla famiglia, che è venuta a trovarlo dalla lontana Polonia. Lo colpisce il turbamento di Benjamin che, mentre le lacrime gli scendono lungo le guance, dice: “Chi sei?” e subito dopo “Zishe, sei cambiato moltissimo”. 31 Commento al film, cit. Il regista ha inserito le meduse anche in un altro film Little Dieter needs to fly (1997): “Nelle nostre conversazioni (Dieter) mi ha descritto il suo sogno in modo tale che subito mi è venuta in mente una medusa, con la sua danza fatta di movenze trasparenti al rallentatore. Si trattava proprio dell’immagine che ci serviva per fare sì che il suo sogno prendesse forma sullo schermo. Dieter non riusciva a esprimerlo in modo adeguato. Così ci ho pensato io, facendolo stare in piedi accanto all’acquario. Ho soltanto preso le sue parole e le ho arricchite con immagini, quasi come uno scienziato arricchisce l’uranio. Alla fine si ritrova in mano una bomba” (W. Herzog, Incontri, cit., p. 308).

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Capitolo quinto

Sotto lo sguardo del bambino, il protagonista si gira lentamente, si siede, guarda nello specchio il suo volto incorniciato dalla lunga parrucca bionda. È come se si vedesse per la prima volta con gli occhi di un’altra persona, che lo ama e teme per lui. È tanto assorto nei suoi pensieri da non prestare ascolto alle parole affettuose della madre. Quando finalmente si volta, inizia il canto della voce femminile, che segna le tappe importanti della sua chiamata. Il giovane ebreo ha finalmente aperto i suoi occhi innocenti sulle messe in scena del male che lo circonda. Per arrivare a questa consapevolezza ha avuto bisogno dell’amicizia di Marta, che ha condiviso con lui una dimensione di bellezza spirituale e le sue conoscenze sui trucchi del cabaret, dell’affetto tenero e preoccupato della madre, soprattutto della delusione e del giudizio indiretto del fratello più amato. “Non dovete preoccuparvi per me – dice ai familiari prima di entrare in scena – Credo di avere visto la mia anima. Semplicemente sono quello che sono”. Sul palco Zishe si toglie la parrucca e dichiara di essere ebreo, un Sansone ebreo, e di esserne fiero. Vediamo il viso di Benjamin, che osserva da dietro le quinte, illuminarsi di gioia. Un uomo anziano in smoking sale su un tavolo e applaude. Hanussen interviene dicendo: “Non mi aspettavo un simile affronto al popolo tedesco. Marta eseguirà il numero”. È significativo il comportamento degli squadristi. Quando Zishe entra in scena, sono riuniti sotto il palco per applaudire la forza che ammirano tanto. Dopo la rivelazione che il loro idolo non è ariano, sono disorientati e confusi. Quando il profeta del Palazzo dell’Occulto, grazie ad un trucco, fa sollevare a Marta l’elefante, i giovani in divisa guardano incantati. Alcuni di loro sono a bocca aperta per la meraviglia. In preda all’entusiasmo salgono sul palco, stringono la mano al loro vate, gridano a voce spiegata “Heil Hitler”. Influenzabili al massimo grado, inclini a subire l’incanto di tutto ciò che è occulto, misterioso, magico, essi anelano ad affidare se stessi a un uomo forte, ariano, capace di liberarli dalla frustrazione e di soddisfare le loro fumose aspirazioni. Hanussen e il suo teatro assecondano questi desideri, facendo leva sulla loro fragilità, sull’incapacità di pensare con la propria testa, sul bisogno di appoggiarsi a qualcuno più forte e sicuro di loro. Quando, ancora una volta col suo povero cappotto da viaggio, Zishe va a dare le dimissioni, il suo datore di lavoro le rifiuta perché una

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lunga fila di ebrei sta facendo la coda al botteghino per vederlo. Si prospettano grossi guadagni. Più tardi Hanussen lo informa che gli aumenterà la paga e che personaggi eminenti del partito verranno nel cabaret per vedere lui. Allo spettacolo nel quale il nuovo Sansone si impegna a sollevare 450 chili32 assistono in prima fila Himmler e Goebbels e subito dietro di loro i giovani squadristi. Gli ebrei occupano la parte sinistra della platea. Quando il numero inizia, scoppia un tafferuglio. Alcuni tavoli vengono rovesciati. Hanussen conduce il suo pubblico scelto nella stanza dell’occulto, che questa volta accoglie anche persone in piedi. A Himmler, che si fa portavoce di una domanda di Hitler33, il mago risponde con un ampio discorso. L’unico movimento in questa lunga sequenza è quello delicato e ipnotico delle meduse sullo sfondo. Il mago-profeta conclude con le parole: “Dite al Fuhrer che ho visto il suo avvento e che gli do il benvenuto come il redentore del popolo tedesco”. Questa predizione gli frutterà l’assegnazione del ministero dell’occulto, che ha sede in una stanza enorme e dai soffitti altissimi dove il ministro in pectore, ripreso in campo lungo, apparirà una figura piccolissima, un insignificante pigmeo. Mentre nel circolo si tiene la riunione, all’ingresso del teatro Zishe incontra il rabbino che lo invita nella sinagoga e gli esprime la sua ammirazione: “Quello che avete fatto, ha dato coraggio a tutta la comunità ebraica. Siamo fieri di voi”. Dopo le penombre e i giochi dei riflettori del cabaret, il tempio con le pareti bianche visitato dal protagonista risplende nel chiarore della luce del giorno. Anche il salmo che il rabbino recita dal pulpito, ha come tema la luce34. Con uno stacco Herzog introduce uno dei due sogni di Invincibile. I testi onirici, sono spesso presenti nei film del regista.

Herzog ci informa nel Commento che l’attore ha sollevato i pesi veramente. “Come la chiaroveggenza può esser in accordo col principio di causa ed effetto, che è una legge della natura?”. 34 “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? – il mio aiuto viene dal Signore, – che ha fatto il cielo e la terra. – Non lascerà vacillare il tuo piede, – non si addormenterà il tuo custode – non si addormenterà, non prenderà sonno, – il custode di Israele (Salmo 129, 1-4). 32 33

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Capitolo quinto

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I sogni di Juliane, di Dieter Dengler, di Fini Straubinger sono pura invenzione. L’invenzione si mette al servizio dell’intima verità di queste persone e ci dà la possibilità di intuire chi siano in effetti35.

Questo vale anche per Invincibile e per i personaggi di finzione. Vediamo Zishe agitarsi nel letto mentre ombre scure gli passano sul viso. Il sogno inizia con un’inquadratura dall’alto su un enorme numero di granchi che arrancano su una spiaggia. Sembra non esserci difesa dalla massa brulicante, che domina l’immagine. Il protagonista è solo, in piedi sulla scogliera infestata. È vestito con gli abiti da fabbro ed ha con sé gli strumenti del mestiere. A volte le immagini mi seguono di film in film – afferma Herzog –. Eravamo sulla Christmas Island, a nord-ovest dell’Australia. Avevo visto questa immagine una volta e aveva una qualità così misteriosa, una forza così grande, che decisi di servirmene sia all’inizio di Echi da un regno oscuro, sia alla fine di Invincibile… milioni e milioni di granchi che uscivano dalla foresta. Era impossibile camminare senza calpestarli (…) i granchi erano proprio così rossi (…) questo rosso arancio sconvolgente ha qualcosa di allarmante rispetto alla loro presenza36.

Nel sogno si intravede una rotaia, seminascosta dai crostacei in movimento. Su di essa avanza un treno. Di fronte alla sua potenza, nonostante il numero, i granchi non hanno difesa37. È giorno, ma la locomotiva ha un faro acceso. È la luce che appare alla fine dell’incubo. 6. Lo yacht e il tribunale L’ascesa apparentemente irresistibile del sedicente profeta ha una battuta di arresto nello yacht di sua proprietà, dove egli riunisce per una domenica di festa i gerarchi nazisti, i maggiorenti di Berlino e le loro accompagnatrici. Nel cabaret il pubblico, esclusi gli squadristi, è silenzioso e educato. Nello spazio ristretto della barca le stesse persone mostrano

35 W. Herzog, Incontri, cit., p. 308. Qui il regista fa riferimento ai tre film Wings of Hope (1999), Little Dieter needs to fly (1997) e Paese del silenzio e dell’oscurità (1971), che hanno come protagonisti persone che Herzog ha incontrato e con cui ha parlato a lungo. 36 G. Paganelli, W. Herzog, cit., p. 116. 37 Commenta Herzog: “Quella del treno è per me un’immagine molto importante”.

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aspetti nascosti della loro personalità. A cominciare da Himmler si ubriacano, gozzovigliano, si comportano con le donne in modo indecoroso. Risalta in questo ambiente degradato la figura del conte Helldorf, capo della polizia di Berlino e esponente della vecchia classe dirigente della capitale. Seduto compostamente, egli dice a Goebbels che “i nazisti non hanno stile” e che lo stupisce che un individuo volgare come Himmler abbia un ruolo importante nel partito. Zishe, invitato da Marta che ha paura di andare in quel luogo da sola, è guardato con sufficienza dai presenti. Lo vediamo percorrere il corridoio della barca in cerca dell’amica. La trova sul ponte, dove Hanussen tenta di convincerla con la forza a concedersi a Goebbels. “Te lo porti nella mia cabina e fra un’ora mi dai un resoconto completo”, le dice tirandola per le braccia. Il giovane ebreo solleva l’uomo sopra la sua testa. Il “veggente” è furioso per l’affronto subito. Interviene il capo della polizia, che ristabilisce la calma e propone di portare la vertenza in tribunale. Nel piccolo mondo che Herzog ci mette di fronte, il conte Helldorf ha, a mio avviso, una funzione significativa. È espressione della vecchia classe dirigente, attendista ma anche critica nei confronti degli eccessi nazisti, convinta di poter mantenere il suo ruolo38. Manca ai membri del suo ceto sociale il coraggio e la lungimiranza di Zishe. Anche gli aristocratici ebrei, che applaudono nel cabaret e invitano il protagonista nella sinagoga, subiscono passivamente un fenomeno anomalo, interpretandolo secondo vecchi schemi, senza avere la capacità di prevedere le conseguenze. Il dono del dubbio e la lungimiranza sono proprie solo di un giovane ebreo che viene da un villaggio della Polonia e che molto probabilmente non sa leggere39. A guidarlo sono la sua forza interiore, la sua integrità, la sua indipendenza di giudizio. Nell’aula del tribunale Hanussen viene accusato da Zishe di essere un truffatore. Marta conferma e aggiunge il vero nome del suo datore di lavoro, inequivocabilmente ebreo. Quando il giudice chiede un documento che attesti l’identità dell’imputato, nella sala c’è un silenzio assoluto rotto solo dal rumore dei passi dell’accusato e poi 38 Jan Kershaw fornisce un quadro delle attese della classe dirigente tedesca subito prima dell’avvento al potere di Hitler (Jan Kershaw, op. cit., pp. 78-79). 39 Zishe non rivela interesse quando nel camerino Hanussen gli mostra i giornali. Inoltre, quando glielo chiedono, rifiuta di leggere nella sinagoga, molto probabilmente non perché non vuole ma perché non ne è capace.

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Capitolo quinto

dal suono del passaporto sbattuto sul tavolo. È la fine del sedicente profeta. L’ultima scena in cui è presente Hanussen si svolge nell’enorme sala del Ministero dell’occulto. Il colloquio con Zishe, che viene a dirgli addio, fa emergere nel personaggio sconfitto un briciolo di umanità. – Volevo dirvi che mi dispiace. Non ne avevo l’intenzione. – Io, il piccolo ebreo cecoslovacco, ho vissuto da re... – Mi sarebbe piaciuto essere amici.

7. Il sogno di Marta e la visita al rabbino Prima di tornare in Polonia Zishe compie due azioni significative: la realizzazione del sogno di Marta e la visita al rabbino. Dietro le quinte del palcoscenico del Palazzo dell’Occulto che sta per essere chiuso, il protagonista tocca delicatamente, con goffaggine e timidezza le spalle di Marta e le dà un fuggevole bacio. Per volere di lui, la ragazza indossa il lungo vestito bianco e il diadema, che la rendono simile alla principessa che il giovane dice di aver visto in sogno. Tenendola per mano, Zishe la conduce sul palco, dove è collocato un pianoforte. Sullo sfondo c’è il caldo rosso del sipario. L’atmosfera del cabaret cambia completamente nel momento in cui al suo interno si realizza un sogno puro. L’apertura del sipario rivela che in platea siede una grande orchestra40. Il direttore si avvicina a Marta per dirle che hanno già provato il concerto e che sono pronti a seguirla. Zishe assiste al colloquio stando leggermente in dietro. È il regista dell’evento che sta per compiersi. Marta (Anna Gourari) “trasmette al pubblico una scintilla ancora prima di iniziare a suonare”41. Quando comincia, il movimento del corpo e delle dita dà la sensazione che la pianista si immerga nella musica, che la viva con tutto il suo essere. Zishe appoggiato al pianoforte la contempla durante l’esecuzione42. È una scena d’amore molto delicata, una delle poche che il regista ha inserito nei suoi film. La per-

40 Herzog ci informa che si tratta dell’orchestra sinfonica di Bonn, che si è offerta di suonare gratis per il film. 41 Sono parole di Herzog, che aggiunge: “Questo è raro anche nelle sale da concerto”. 42 Commenta Herzog: “Amo il modo in cui la ascolta. In realtà è una scena d’amore. L’attore ne è rimasto scosso per giorni interi. Non se lo sarebbe mai aspettato”.

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fetta unità, la sintonia fra i due giovani, l’orchestra e gli spettatori sono create da un’interpretazione coinvolgente e sentita della musica di Beethoven. È un momento sospeso di bellezza e di grazia. La scena più luminosa di tutta la vicenda avviene in un momento storico minaccioso e oscuro nel tetro palazzo dove hanno risuonato tante volte il nome di Hitler e le profezie del suo avvento. Le note limpide del concerto aprono attraverso un raccordo sonoro la sequenza successiva, in cui Zishe aspetta in strada la macchina che lo porterà nel luogo dove si trova il cadavere sfigurato di Hanussen per compiere il riconoscimento. Prima della sua partenza per la Polonia, il protagonista compie un’altra azione importante: la visita al rabbino. Nella luce del crepuscolo egli entra nella sinagoga deserta. Il giovane ha bisogno di comprendere quello che sente, di condividerlo con una persona di cui si fida. Zishe e il rabbino siedono nella penombra ai due lati di un tavolo. I due uomini hanno come sfondo le alte colonne laterali che si trovano a destra e a sinistra dell’altare che è dietro di loro. L’inquadratura è marcatamente simmetrica43. Attrae l’attenzione l’unico elemento che rompe questa simmetria: una sedia vuota leggermente sghemba, come se fosse stata spostata per accogliere una terza persona44. È come se la confessione fatta dal protagonista con piena e totale sincerità si compisse alla presenza del rabbino e di un’invisibile più alta entità. All’improvviso mi ha colpito come una grande luce e tutto si è chiarito. (…). Vedo arrivare qualcosa di terribile, così terribile che non trovo parole per descriverlo … un terribile pericolo per noi ebrei. È come se io fossi diventato Hanussen il chiaroveggente. Vedo tutto qui davanti a me. Ho una missione. Sono stato chiamato, devo essere il nuovo Sansone per il mio popolo.

Il personaggio parla lentamente, cercando le parole. Come Hias, il profeta-mandriano di Herz aus Glas, i suoi occhi vedono al di là della superficie delle cose.

Il punto di fuga è il centro dell’altare. La tappezzeria marrone della sedia ha lo stesso identico colore e la stessa tonalità dell’abito di Zishe. 43 44

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Capitolo quinto

La risposta del rabbino è il racconto dei trentasei giusti che Dio “sceglie in ogni generazione per portare il peso della sofferenza del mondo”45. Per Zishe quello che ascolta è una conferma di ciò che sente dentro se stesso, un sostegno per la sua missione. Come Herzog sottolinea, è “una scena-chiave, che rivela un’altra dimensione del personaggio, una dimensione religiosa singolare e inaspettata”46. Ho eliminato la musica per non togliere la concentrazione. Senza la musica la scena assume un altro peso. Volevo solo dialoghi e pensieri. Volevo che fosse una scena semplice. Il protagonista ascolta dal rabbino un racconto che lo riguarda da vicino.

8. Il ritorno in Polonia Il giovane ebreo, che era stato accompagnato nel suo viaggio verso Berlino dallo splendore della primavera e da un popolo in festa, compie un ritorno solitario attraverso strade grigie e deserte in un freddo paesaggio invernale. Indossa ora la kippah, il copricapo usato dagli ebrei osservanti. Sui gradini della sua casa trova Benjamin, che è stato sempre lì ad aspettarlo con lo sguardo rivolto alla strada dove lo ha visto allontanarsi. Accompagnato dal fratellino, Zishe va in piazza per parlare al suo popolo e avvertirlo del pericolo. Come i profeti della Bibbia, non è ascoltato, è guardato con sufficienza, è smentito. Gli ricordano che, secondo gli accordi di pace, la Germania non può avere un esercito e che, inoltre, è troppo lontana per costituire una minaccia. Il giovane non si arrende. Per provare la sua forza nella speranza di essere ascoltato riunisce un gruppo di persone. Lo vediamo in una stanza affollata a capotavola insieme a Benjamin, che si trova esattamente al centro dell’inquadratura. Da questo episodio, in cui inizia il progressivo mortale indebolimento del protagonista, sarà il bambino ad avere un ruolo attivo, come se prendesse su di sé la missione dell’amato fratello maggiore. Per provare la sua forza il giovane Sansone si ferisce con un chiodo rugginoso che pianta con le mani su una tavola di legno. Nella de45 46

Il racconto è riportato nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. Commento al film, cit.

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serta strada invernale durante il ritorno Zishe inizia a zoppicare. Ha dietro uno sfondo scuro costituito dagli alberi e dalla vegetazione invernale. Dietro a Benjamin c’è invece luce e chiarore. È il fratellino a convincere Zishe ad andare all’ospedale quando l’infezione gli provoca il delirio. Qui il giovane è confortato dalle cure affettuose di tutta la famiglia che lo visita ogni giorno. Benjamin è tuttavia l’unico che rimane sempre accanto a lui. L’ultima sequenza è molto luminosa. Zishe chiede che il suo letto sia girato verso la finestra. Inizia la musica: sono le note del concerto di Marta. L’ammalato dice: “Sento un suono nella stanza. Qualcuno sta pensando a me”. Quando viene sollevata la tendina, appare la figuretta della sorellina che è rimasta a guardarlo anche mentre gli altri si avviano per tornare a casa. Nel momento che precede la morte il personaggio è confortato dalla presenza fisica o sognata di coloro che ama più profondamente. Attraverso il raccordo sonoro della musica è introdotta l’ultima visione. Zishe cammina con Benjamin lungo la scogliera infestata dai granchi, che abbiamo visto nel sogno precedente. Questa volta i crostacei color arancio sono meno numerosi. Per facilitare al bambino il cammino, il fratello maggiore lo solleva più volte, prendendolo per il colletto per proteggerlo dal contatto con le creature malefiche. Alla fine lascia che egli si libri nel cielo. È inquadrato il dettaglio della grande mano vuota dopo che ha impresso lo slancio. Il saggio, sensibilissimo Benjamin, che conosce a memoria la Scrittura, può continuare la missione che per il protagonista è interrotta dalla morte. L’immagine del bambino che vola libero nell’aria conclude il film47. 9. Il racconto dei trentasei giusti La vicenda dell’“invincibile” giovane ebreo, della sua sofferenza, della sua umana sconfitta, trova un senso nell’evidente affinità che lega Zishe agli altri personaggi privilegiati del regista, la “grande famiglia” che Herzog ha creato con suo cinema.

47 Herzog ci informa nel Commento che la sequenza è stata realizzata in studio. Benjamin è stato sollevato da un cavo. Il cavo è stato poi cancellato elettronicamente.

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Capitolo quinto

Nel film del 2001 Herzog inserisce il racconto dei trentasei giusti che si adatta al protagonista, imbevuto di cultura ebraica, ma in senso più largo, non legato a una particolare religione, anche a Kaspar Hauser, a Hias, alla protagonista di Nosferatu48. Sai, Zishe, parli come se fossi uno dei giusti sconosciuti – dice il rabbino –. Vedi, in ogni generazione nascono fra gli ebrei trentasei uomini, che Dio ha scelto per portare il fardello della sofferenza del mondo e ai quali è concesso il privilegio del martirio. Il mondo si appoggia su trentasei comuni mortali, totalmente indistinguibili da noi. Spesso non si riconoscono nemmeno fra loro. I più commiserevoli sono gli uomini giusti che rimangono ignoti anche a se stessi. Quando un giusto sconosciuto sale in cielo, è così congelato che Dio deve riscaldarlo per mille anni fra le sue dita prima che la sua anima si possa aprire al paradiso. Alcuni rimangono inconsolabili di fronte alle prove degli uomini, tanto che neanche Dio stesso riesce a scaldarli. E quindi, di tanto in tanto, il Creatore, benedetto sia il suo nome, mette il giudizio universale avanti di un minuto.

Nel 1959 è uscito a Parigi L’ultimo dei giusti di André Shwarz-Bart. Il libro, tradotto in molte lingue e più volte ristampato49, parte da questa storia e la riporta con parole quasi identiche a quelle usate nel film del 2002. È molto probabile che nel 1979, a vent’anni dalla sua pubblicazione, il regista lo conoscesse e che gli sia servito per elaborare la sua visione del mondo e i suoi protagonisti portatori di luce. In caso contrario, Herzog, Shwarz-Bart e l’autore anonimo del racconto hanno proceduto parallelamente e sono giunti a una visione del mondo molto simile, anche se quella del regista, almeno in superficie, è più laica delle altre due50. Il finale della storia, in cui il Creatore riscalda con le proprie mani i giusti congelati dalla sofferenza e, quando non ci riesce, anticipa di un minuto il giudizio universale, è ingenuo, poetico, fiabesco.

48 Herzog è interessato alla profonda spiritualità di Zishe, che si eleva sopra a quella dei membri della comunità ebraica di Berlino e del suo villaggio. “Ho presentato gli ebrei – dice nel commento – come sono nella nostra memoria di tedeschi: chiusi nella loro cultura, forti, orgogliosi”. 49 A. Schwarz-Bart, Le dernier des Justes, Eidtions du Seuil, Paris, 1959 (trad. it. L’ultimo dei giusti, Feltrinelli, Milano, 1960 (VI ediz. gennaio 2007). 50 Il regista dice nel Commento che si tratta di una vecchia leggenda, che “lo ha molto impressionato” e che ha ascoltato dal padre di Jacob Wein, il bambino israeliano scelto per interpretare il ruolo di Benjamin.

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Il cuore del racconto ci dice tuttavia qualcosa di importante non solo sulla solitudine, la sofferenza, l’apparente sconfitta di Zishe inascoltato dal popolo polacco che vorrebbe salvare, ma anche sul significato delle vicende del mandriano-profeta Hias, della sordo-cieca Fini, di Lucy protagonista di Nosferatu, di Kaspar Hauser. In particolare colpisce la frase in cui si dice che “il mondo si appoggia su trentasei comuni mortali, che sono totalmente indistinguibili da noi e che spesso non si riconoscono nemmeno fra loro”. Il senso consolante di queste parole è che, per quanto oscura e difficile possa essere la situazione, in ogni generazione il coraggio, l’abnegazione, l’altruismo di alcuni esseri umani portano luce nei momenti difficili individuali e collettivi, sono punti di riferimento per la nostra vita, ci aiutano ad andare avanti. È lo stesso Herzog a presentare in questa prospettiva il protagonista del film del 1974. Le vicende che vive Kaspar Hauser, le umiliazioni che subisce, le violenze contro il giardino che cura e che ama, e infine la sua uccisione sono – come quelle della Giovanna di Dreyer – tappe di una passione che si conclude con una morte, che sembra non lasciare traccia in un mondo che va in un’altra direzione51. In modo simile Hias, inascoltato, schernito, messo in carcere dagli abitanti del villaggio perché predice sciagure, non riesce ad allontanare la catastrofe. Nella solitudine della sua montagna può solo vedere col suo cuore di vetro un’immagine che lascia aperta la speranza, suggerisce un altro modo di intendere e di vivere l’esistenza. Ancora, il racconto dei trentasei giusti fa luce sulla passione e morte di un personaggio, a cui Herzog non dedica molte parole, la protagonista di Nosferatu. Quello dell’intrepida, fragile Lucy Harker sembra un sacrificio assolutamente inutile, che nella cittadina tedesca non lascia traccia. Nel finale del film il male apparentemente indomabile parte alla conquista del mondo con le sembianze di Jonathan, il marito da lei tanto atteso ed amato. Tuttavia, nella prospettiva del racconto dei trentasei giusti, la vicenda si arricchisce di significato. Lucy ha il coraggio, la dignità, la fermezza di quei pochi su cui “il mondo si appoggia”, anche nei momenti più oscuri e apparentemente disperati. La donna non si arresta di fronte alle difficoltà più terribili, purché il bene e la luce rimangano nel mondo. Anche l’esistenza di Zishe lascia poche tracce: dà coraggio per un momento alla comunità ebraica di Berlino, smaschera le trame del Pa-

51

Cfr. Capitolo secondo, p. 53.

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lazzo dell’Occulto, realizza il sogno puro di Marta, fa affiorare in Hanussen un briciolo di umanità. I giusti dei film di Herzog, con gli occhi capaci di vedere l’essenziale al di là della superficie delle cose, portano la loro piccola luce in un mondo in cui dominano interessi e desideri di altra natura. Essi trasmettono un messaggio con la loro stessa presenza. C’è un livello di verità molto più profondo di quello della realtà quotidiana – afferma il regista – Il mio compito è di scovarlo. Ho sempre pensato che, in una certa misura, il cinema dovrebbe spingere gli spettatori a prendere sul serio i propri sogni e a trovare il coraggio di fare ciò che realmente desiderano, anche a costo di fallire (…). Se trovo una persona che, uscendo dal cinema dopo aver visto un mio film insieme ad altri trecento spettatori, non si sente più sola, allora ho ottenuto tutto ciò che mi sono prefisso52.

Come la Giovanna del film di Dreyer, amato da Herzog e da lui più volte ricordato53, Zishe, Hias, Kaspar, Lucy lasciano nello spettatore un’immagine che irradia una straordinaria forza interiore della quale il nostro tempo, così povero di valori e tanto restio ad andare controcorrente, ha un grandissimo bisogno.

W. Herzog, Incontri, pp. 84 e 139. Afferma il regista in un altro brano dell’intervista: “A volte, anche se occorre superare interi secoli, trovi un fratello e immediatamente sai di non essere più solo. Ho fatto questa esperienza con Kleist, con il Musikalishes Opfer di Bach (…) con La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer” (ibidem, p. 164). 52 53

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Filmografia

Cito qui solo i film da me analizzati e i documentari dei quali ho parlato più diffusamente. Per gli altri rimando alla filmografia del volume W. Herzog, Incontri alla fine del mondo, minimum fax, Roma, 2009. 1974 Jeder fur sich und Gott gegen alle (Ognuno per sé e Dio contro tutti)/The Enigma of Kaspar Hauser Regia: Werner Herzog; produttore: Werner Herzog; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein: montaggio: Beate Mainka-Jellhingaus; musica: Florian Fricke (Popol Vuh), Wolfgang Amadeus Mozart, Johann Pachelbel, Orlando di Lasso, Tomaso Albinoni; suono: Haymo Henry Heyder; direttore di produzione: Walter Saxer; scenografia: Henning von Gierke; costumi: Gisela Storch; illuminazione: Dietmar Zander; aiuto-regista: Benedikt Kuby; trucco e acconciature: Susanne Schröder; secondo operatore Klaus Wyborny; assistente alla fotografia: Michael Gast; assistente al montaggio: Martha Lederer; assistente al suono: Peter van Anft; assistente di produzione: Joschi Arpa; segretarie di produzione: Anja Schmidt-Zäringer, Feli Sommer; fotografie di scena: Gunther Freyse. Interpreti: Bruno S. (Kaspar), Walter Ladengast (Daumer), Brigitte Mira (Kathe), Hans Musaus (lo sconosciuto), Willy Semmelrogge (il direttore del circo), Michael Kroeker (lord Stanhope), Henry van Lyck (il capitano di cavalleria), Enno Patalas (il reverendo Fuhrmann), Elis Pilgrim (il pastore giovane), Volker Prechtel (Hiltel, il guardiano), Gloria Doer (la signora Hiltel), Helmut Döring (il re nano), Kidlar Tahimik (Ombrecito), Andi Gottwald (il piccolo Mozart), Herbert Achternbush (il primo bracciante), Wolfgang Bauer (il secondo bracciante), Walter Steiner (il terzo bracciante). Florian Fricke (Florian il pianista), Clemens Sheitz (lo scrivano), Johannes Buzalski (il poliziotto) Willy Meyer-Fürst (il dottore), Alfred Edel (il professore di logica), Markus Welter (Julius, il bambino), Dorothea Kraft (la bambina), Peter-Udo Schonborn (lo schermidore), Herbert Fritsch (il borgomastro), Wilhelm Bayer (l’inserviente del capitano di cavalleria), Peter Gebhart (Weichmann), Otto Heinzle (il pastore anziano).

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Filmografia

Produzione: Werner Herzog Filmproduction; coproduzione: Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF); durata: 109’; formato 35mm, col.; location: Dinkelsbuhl; prima proiezione pubblica: Dinkelsbuhl, 1 novembre 1974; premi: Premio speciale della giuria e Premio internazionale della critica al Festival di Cannes (1975). 1976 Herz aus Glas (Cuore di vetro) Regia: Werner Herzog; produttore: Werner Herzog; sceneggiatura: Werner Herzog, Herbert Achternbush a partire dal romanzo Die Stunde des Todes (L’ora della morte) di Herbert Achternbush; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein: montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus; musica: Florian Fricke (Popol Vuh), Studio der Frühen Music; suono: Haymo Henry Heyder; direttore di produzione: Walter Saxer; scenografia: Henning von Gierke; costumi: Gisela Storch; illuminazione: Alfred Huck; assistente alla fotografia: Michael Gast; assistente al montaggio: Angelika Dreis; assistente al set: Cornelius Siegel; assistente ai costumi: Anne Poppel; assistente al suono: Peter van Anft; assistente del direttore di produzione: Joschi Arpa; segretarie di produzione: Regina Krejci, Anja Schmidt-Zäringer; fotografie di scena: Gunther Freyse; collaboratori: Claude Chiarini, Ina Fritsche, Alan Greenberg, Patrick Jeray. Interpreti: Josef Bierbichler (Hias), Stefan Güttler (il proprietario della vetreria), Clemens Scheitz (Adalbert), Volker Prechtel (Wudy), Sonia Skiba (Ludmilla), Brunilde Klökner (Pauline), Wolf Albrecht (Sam), Thomas Binkley (il suonatore di liuto), Janos Fischer (Agide), Wilhelm Friedrick (il padre del proprietario della vetreria), Edith Gratz (l’ostessa), Egmont Hudel (Toni), Sterling Jones e Richard Levitt (i musicanti), Wolfram Kunkel (il suonatore di gironda), Werner Lederle (l’oste), Sepp Müller (Ascherl), Agnes Nuissl (Anamirl), Andrea von Ramm (il cantante), Helmut Kossik, Amad Ibn Ghassem Nadij, Bernhard Schabel e Friedrich Steinhauer (i contadini), Joschi Arpa (il bugiardo), Claude Chiarini (il ladro), Werner Herzog e Herbert Achternbusch (i trasportatori di vetro), Helmut Krüger (l’operaio). Produzione: Werner Herzog Filmproduction; coproduzione: Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF); durata: 97’; formato 35mm, col.; location: Baviera, Alaska, Irlanda; prima proiezione pubblica: Festival di Parigi (1976). 1979 Nosferatu – Phantom der Nacht (Nosferatu, il principe della notte) Regia: Werner Herzog; produttore: Werner Herzog, Michael Gruskoff, Daniel Toscan du Plantier; sceneggiatura: Werner Herzog a partire dal film omonimo di Friedrich Wilhelm Murnau e dal romanzo Dracula di Bram Stoker; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein: montaggio: Beate Mainka-Jellhingaus; musica: Florian Fricke (Popol Vuh), Richard Wagner, Charles Gounod; suono: Harald Maury; direttore di produzione: Walter Saxer, Rudolf Wolf (Cecoslovacchia), Jean-Paul Gibon (Francia), Jaap Van Rij (Olanda); scenografia: Henning von Gierke, Ulrich Bregfelder; costumi: Gisela Storch; trucco e accon-

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ciature: Reiko Kruk, Dominique Colladant, Ludovic Paris; materiale scenico: Hans Oosterhuis; effetti speciali: Cornelius Siegel; illuminazione: Martin Gerbl, Anton Urban, Erich Labermair; aiuto-regista: Remmelt Remmelts; assistenti al set: Josef Arpa, Mirko Tichacek; assistenti ai costumi: Annegret Poppel, Claire Fraisse, Anne Jud, Elizabeth Irmer; assistente al suono: Jean Fontaine; assistente al trucco e alle acconciature: Dominique Colladon; segretaria di produzione: Anja Schmidt-Zäringer; fotografie di scena: Claude Chiarini; dialoghista: Beverly Walker; assistente di produzione: Hetty Los. Interpreti: Klaus Kinski (il conte), Isabelle Adjani (Lucy Harker), Bruno Ganz (Jonathan Harker), Jacques Dufilho (il capitano), Roland Topor (Reinfild), Walter Ladengast (il dottor Van Helsing), Dan Van Husen (il guardiano), Roger Berry Losch (il primo marinaio), Jan Groth (il capitano di porto), Carsten Bodinus (Schrader), Martje Grohmann (Minna), Ryk de Gooyer (l’ufficiale), Clemens Scheitz (l’ufficiale giudiziario), Lo van Hensbergen (l’ispettore), John Leddy (il cocchiere), Margiet van Hartingsveld (la donna di servizio), Tim Beekman (il necroforo), Beverly Walker (la madre superiora); produzione: Werner Herzog Filmproduktion; coproduzione: Gaumont, Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF); durata: 103’; formato: 35mm, col; location: Repubblica Ceca, Olanda, Messico; prima proiezione: Parigi, 10 gennaio 1979; premi: Orso d’argento al Festival di Berlino. 1979 Woyzeck Regia: Werner Herzog; produttore: Joschi Arpa; sceneggiatura: Werner Herzog dal dramma omonimo di Georg Buchner; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein: montaggio: Beate Mainka-Jellhingaus; musica: Fidelquartett Telôc, Rudolf Obruca, Benedetto Marcello, Antonio Vivaldi; suono: Harald Maury; direttore di produzione: Walter Saxer; scenografia: Henning von Gierke; costumi: Gisela Storch; seconda unità: Michael Gast; materiale scenico: Ulrich Bergfelder; trucco e acconciature: Reiko Kruk, Dominique Colladant, Ludovic Paris; illuminazione: Martin Gerbl; assistente all’illuminazione: Anton Urban; aiuto-regista: Mirko Tichacek; assistente ai costumi: Ann Poppel; assistente al suono: Jean Fontaine; segretaria di produzione: Anja Schmidt-Zäringer; fotografie di scena: Claude Chiarini. Interpreti: Klaus Kinski (Woizeck), Eva Mattes (Marie), Wolfgang Reichmann (Hauptmann), Willy Semmelrogge (il dottore), Josef Bierbichler (il tamburmaggiore), Paul Burian (Andres), Volker Prechtel (l’attendente), Dieter Augustin (l’imbonitore), Irm Hermann (Margret), Wolfgang Bächler (Jude), Rosy-Rosy Heinikel (Kate), Herbert Fux (il sottufficiale), Thomas Mettke (l’oste), Maria Mettke (l’ostessa); produzione: Werner Herzog Filmproduction; coproduzione: Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF); durata: 81’; formato: 35mm, col; location: Repubblica Ceca; prima proiezione pubblica: Festival di Cannes 1979; premi: Eva Mattes, Premio per la migliore interpretazione femminile, Festival di Cannes 1979.

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2001 Invincibile Regia: Werner Herzog; Produttori: Gary Bart, Werner Herzog, Christine Ruppert; produttori esecutivi: Paul Websten, Michael André, Simon Stewens, James Mitchell. Lucki Stipetic; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Peter Zeitingler: montaggio: Joe Bini; musica: Hans Zimmer, Klaus Badelt; suono: Ian Fuller, Tim Cavagin, Thomas Gorne, Dereck Lomas, Ian Macbeth, Sabine Marotz, Steve Single, Simon J. Willis, Terry Isted; scenografia: Ulrich Belgferder; costumi: Jany Temime; direttori di produzione: Walter Saxer; Mark Popp; aiuto-registi: Rudolf Herzog, Herb Golder. Interpreti: Tim Roth (Hanussen); Jouko Ahola (Zishe Breitbar), Anna Gourari (Marta Farra), Jacob Wein (Benjamin Breitbart), Max Raabe (il maestro di cerimonie), Gustav Peter Woehler (Land Weher), Udo Kier (il conte Helldorf), Herb Golder (il rabbino Edelmann), Gary Bart (Yitzak Breitbart), Renata Krößner (la signora Breitbart); produzione: Werner Herzog Filmproduction; durata: 130’; formato 35mm. col.; location: Germania, Lettonia, Lituania, Olanda, Christmas Island (Australia); prima proiezione pubblica: Festival di Cannes 2002.

Documentari 1971 Land des Schweigens und der Dunkelheit (Paese del silenzio e dell’oscurità) Regia: Werner Herzog; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein; montaggio: Beate Mainka-Jellhingaus; musica: Johann Sebastian Bach, Antonio Vivaldi; suono: Werner Herzog; voce narrante: Rolf Liling; con la partecipazione di: Fini Straubinger, Else Fähren, Ursula Reidmeier, Joseph Reidmeier, Vladimir Kokol, Heinrich Fleischmann, Resi Mittermeier; produzione: Werner Herzog Filmproduction; durata: 85’; formato; 16mm. col, location: Monaco, Bassa Baviera, Hannover; prima proiezione pubblica: Festival di Mannheim (1971). 1986 Werner Herzog Filmemacher (Werner Herzog cineasta) Regia: Werner Herzog; produttore: Lucki Stipetic; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein; montaggio: Maximiliane Mainka; suono: Christine Ebenberger; con la partecipazione di: Werner Herzog, Reinhold Messner, Lotte Eisner; produzione: Werner Herzog Filmproduction: durata: 30’; formato: 16mm; location: Monaco. 1992 Lektionen in Finisternis (Apocalisse nel deserto) Regia: Werner Herzog; produttore: Lucki Stipetic; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Paul Berriff; montaggio: Rainer Standke; musica: Richard Wa-

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gner, Edvard Grieg, Sergej Prokov’ev, Gustav Mahler; suono: John G. Pearson; produttore esecutivo: Paul Berriff; direttore di produzione: Paul Corton; missaggio: Manfred Arbter; seconda unità: Rainer Klausmann; riprese aeree: Simon Werry; pilota d’elicottero: Jerry Grayson; voce narrante: Werner Herzog; produzione: Werner Herzog Filmproduction; coproduzione: Paul Beriff; Premiere Hamburg; durata: 52’; formato: Super 16mm, col.; location: Kwait; prima proiezione pubblica: 27 febbraio 1992 (televisione). 2003 Wheel of Time/Kalachakra (La ruota del tempo) Regia: Werner Herzog; produttore: Lucki Stipetic; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Peter Zeitlinger; montaggio: Joe Bini; musica: Prem Rana Autari, Sur Sudha-Autari, Florian Fricke (Popol Vuh), Lhamo Dolma; suono: Eric Spitzer; direttore di produzione: Irma Strehler: operatore in Tibet: Werner Herzog; assistente alla fotografia: Erik Solliner; assistente al montaggio: Maya Hawke; fotografi di scena: Silvia Zeitlinger, Lena Herzog; voce narrante: Werner Herzog; con la partecipazione di: Sua Santità il XIV Dalai Lama, Lama Lhundup Woeser, Takna Jigme Sangpo, Matthieu Ricard; produzione: Werner Herzog Filmproduction; coproduzione: West Park Pictures Production, ARTE; durata: 80’; formato: Super16 mm, col.; location: India, Tibet, Austria; prima proiezione pubblica: trasmesso dalla BBC il 16 marzo 2003. 1978 Was ich bin sind meine filme/En Portrait von Werner Herzog (Io sono i miei film. Un ritratto di Werner Herzog) Regia: Christian Weiswebond e Erwin Keush (Il cortometraggio che contiene l’intervista rilasciata da Werner Herzog a Laurens Straub è contenuto nel DVD Dove sognano le formiche verdi, RHV, maggio 2005).

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Bibliografia

Scritti di Wernwer Herzog e interviste Herzog W. Intervista, in M. Fontana, Film Und Drang. Nuovo cinema tedesco, Vallecchi, Firenze, 1978. Herzog W., Vom Gehen im Eis, Carl Hanser Verlag München Wien, 1978 (trad. it. W. Herzog, Sentieri nel ghiaccio, Guanda, Parma, 1980). Herzog W. Stroszeck – Nosferatu Filmerzahlungen, Carl Hanser Verlag Munchen, Wien 1979 (trad. it. Herzog W., La ballata di Stroszeck. Nosferatu, il principe della notte (Due racconti cinematografici, Ubulibri, Milano, 1982). Herzog W., Herzog on Herzog, Faber§Faber, 2002 (trad. it. Incontri alla fine del mondo a cura di Paul Cronin, minimum fax, Roma 2009). Volumi e articoli su Werner Herzog Carrère E., Werner Herzog auteur de Woyzeck, “Positif”n. 222, 1979 Greenberg A., Hearth of Glass, Skelling Edition, München, 1975. Grelier R., Woyzeck, “La revue du cinema” – Image et son, n. 342, 1979. Grosoli F., Werner Herzog, Il Castoro cinema, La Nuova Italia, Firenze, 1981. Paganelli G., Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, Editrice il Castoro, Milano, 2008. The Films of Werner Herzog. Between Mirage and History edited by Timoty Corrigan, Methuen, New York and London, 1986. Opere varie citate nel volume Achternbusch H., Die Stunde des Todes (L’ora della morte), Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1975. Bouvier M. e Leutrat J.L., Nosferatu, Gallimard, 1981. Buchner G., Teatro, a cura di G. Dolfini, Adelphi, Milano, 1966 e 1978. Buchner G., Lenz (con il testo tedesco a fronte) a cura di G. Dolfini Adelphi, Milano 1989.

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Bibliografia

Buchner G., Opere, Mondadori, Milano, 2002-2006. Eisner L., L’ecran démoniaque. Les Influences de Max Reinhardt et se l’expressionisme, Paris, Lo schermo demoniaco, Editori riuniti, Roma 1983. Aly G., Lo stato sociale di Hitler, Einaudi, Torino, 2007. Kershaw I., Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, Roma. Lotman Ju.M., La semiosfera, Marsilio, Venezia, 1985. Matte Blanco I., L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bilogica, Einaudi, Torino, 1981. Netta I., Vermeer’s World, Pegasus Library, Prestel, Munich, 1997. Schwarz-Bart A., Le dernier des Justes, Editions du Seuil, Paris, 1959 (trad. it. L’ultimo dei giusti, Feltrinelli, Milano 1960). Wenders V., On Film, Faber§Faber, London. Zweig A., Saggio su Buchner, in Buchner G., Opere, cit.

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Indice dei nomi

Achternbush H., 31 e n., 143-144, 149 Albinoni T., 60, 143 Aly G., 76 e n., 150 Barbera A., 7-8 Bart G., 116-117, 146 Behethoven L., 130, 137 Bergman I., 17 Bouvier M., 85, 149 Bruno S., 50-51, 53 Buchner G., 52, 69, 99-106, 146, 149-150 Carrère E., 101 e n., 149 Cronin P., 9, 13, 120 n. Dengler D., 11, 134 Dolfini G., 99-100, 103 e n., 149 Dostoevskij F., 47 Dreyer C., 17, 53, 86n., 141-142 Eisner L., 50, 70, 78n., 84-86, 89n., 124-125 Fassbinder R.W., 10 e n. Fontana M., 9n. Fricke F., 25, 57, 73, 79, 143-144, 147 Friedrich C., 14 e n., 26n., 44, 82, 85 Gierke H., 100, 144-145 Goebbels P., 133, 135

Gounod Ch., 96, 144 Gourari A., 119, 136, 146 Greenberg A., 30 e n., 149 Grelier R., 101 e n., 149 Grosoli F., 21 n., 99n., 149 Händel G., 18, 121 Hitler A., 118, 120-121, 125 n., 128, 131-133 Hook P., 36 e n. Himmler H., 133, 135 Kafka F., 100 Kim-Ki Duk, 17 Kinski K., 83, 85-86, 145 Kleist H., 82n. Kershaw I., 125 e n., 135n., 150 Lang F., 9, 69-70 La Tour G., 32 Leisner E., 121, 123 Leutrat J.L., 85, 149 Lotman Ju.M., 95n., 150 Marcello B., 113, 145 Martini A., 16, 40 Matte Blanco I., 14n., 150 Michelangelo Buonarroti, 14n. Mozart W., 50, 52-53, 143 Murnau F., 9, 14n., 69-72, 75n., 77-78, 80-81, 83-89, 92, 96-97, 99, 144 Netta I., 16, 150

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Orlando di Lasso, 54, 143 Pabst G., 9, 69-70, 100 Paganelli G., 47n., 80 e n. Pascal B., 17, 135-137 Proust M., 40 Rembrandt van Rijn, 14, 16, 22, 32 Roth T., 119, 127, 129n., 146 Schmidt-Reitwein J., 8, 26, 55, 100, 111, 143-147 Seghers H., 14-15, 104 Schwarz-Bart A., 140 e n., 150 Stoker B., 144 Straub L., 10n., 18, 136, 146

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Straubinger F., 18-19, 28, 117, 134, 146 Tarkovskij A., 17, 23n. Vermeer J., 15-16, 22, 38n., 40, 75, 111 e n. Vivaldi A., 146 Wagner R., 79, 144 Wenders W., 10-12, 117, 150 Wheelock A.K., 16n. Wiene R., 70 Zeitlingler P., 8n., 146 Zweig A., 103 e n., 110, 150

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