Nulla si sa, tutto si immagina. Il cinema di Federico Fellini e la letteratura
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Nulla si sa, tutto si immagina Il cinema di Federico Fellini e la letteratura

a cura di Stefano Prandi con testi di Corrado Bologna, Ern1anno Cavazzoni, Valeria Galbiati, Giacon10 Jori, Maria Cristina Lasag11i, Marco Maggi Quodlibet Studio

Indice

7

Premessa Stefano Prandi

T7

L'Inferno di Fellini, fra Dante e Kafka Corrado Bologna

37

L'impossibile viaggio di G. Mastorna Valeria Galbiati

49

« Voce»

e «chiacchiere». Fellini e Zanzotto tra letteratura e mito Giacomo Jori

67

La « dolce vita» dei poeti Marco Maggi

83

I sogni del lunatico, tra parola e immagine Ermanno Cavazzoni dialoga con Maria Cristina Lasagni e Stefano Prandi

Premessa

Fellini e la letteratura: un binomio che, a prima vista, può apparire paradossale. È ben nota la sorniona abilità del regista di sottrarsi, proprio come i suoi personaggi, alla forza definitoria della parola, la sua riluttanza di fronte ai dibattiti intellettuali. Proprio come l'amato Pinocchio, Fellini si defilava dalle schiere dei professori e dei pedagoghi, troppo lontani dalla fantasmagoria delle sue invenzioni: La bella confusione, il titolo inizialmente pensato da Flaiano per 8 ½, potrebbe ben rappresentare il percorso creativo del maestro nel suo insieme, che pare offrirsi come un progressivo disancorarsi dalla parola verso una libertà immaginativa sempre più ardita. Aveva affermato infatti Fellini: «Probabilmente all'inizio subivo di più il condizionamento narrativo del racconto, facevo un cinema più paraletterario che plastico. Andando avanti mi sono fidato di più dell'immagine, e sempre più cerco di fare a meno delle parole mentre giro» 1 • Una parabola che sembra aver trovato la sua climax dopo I.:intervista, film che avrebbe rivelato al regista - come egli stesso afferma nella sua Premessa alla sceneggiatura de La voce della luna - che «per girare non avevo bisogno né di storie né di idee». Nessun copione per la sua ultima opera, ma solo oracolari «pezzetti di carta che la sera prima avevo scarabocchiato», regolarmente consegnati agli interpreti di prima mattina 2 • Suprema utopia: «fare un film senza niente»\ intessendo i fili invisibili dell'immaginazione, quasi nel solco del «Farai un vers de dreit nien» del trovatore Guglielmo IX. 1

F. Fellini, Intervista s11/ cinema, a cura di G. Grazzini, Laccrza, Roma-Bari 1983,

p. 82.. :r. Id., La voce della luna. Co11 ,ma premessa dell'a11tore e una nota di Gianfranco A11ge/11cci, Einaudi, Torino 1990. 3 T. Kezich, Federico. Felli11i, la vita, i film, 1=eltrinelli, Milano 2.002., p. 367.

8

PREMESSA

Eppure, com'è noto, è in veste di scrittore che Fellini muove i primi passi, affermandosi come umorista sulle pagine del « Mare'Aurelio». Ne Il mio amico Pasqualino, sorta di romanzo breve che raccoglie tredici momenti della vita di un personaggio dagli evidenti risvolti autobiografici, la suggestione della letteratura «alta» è immediata, ad apertura di pagina: - Mi trovavo- egli prese a dirmi- in una vastissima aula di tribunale, nella quale un enorme folla mi fissava con occhi cattivi. Ero seduto al banco degli imputati e l'accusa che mi aveva trascinato in quel posto era terribile per quel paese: pazzia! 4

Non sarà, questo, un caso isolato di omaggio a Kafka. Interrogato sui riferimenti ad America in Intervista e sull'eventualità di un progetto di film a lui dedicato, Fellini, come di consueto, si schermirà, accantonando subito l'ipotesi e dichiarando di aver provato «rimorso» per aver osato scomodare un autore «tanto potentemente visivo»S: in realtà proprio Intervista intrattiene con America un dialogo molto fitto, quasi strutturale, in particolare attraverso il personaggio di Brunelda 6 • Ne Il mio amico Pasqualino c'è già molto del Fellini maturo. Innanzitutto la costante esigenza di visualizzare i contenuti dei testi attraverso i disegni (una dozzina), bozzetti delicati o caricaturali a seconda del contesto. È una modalità che ricorre costantemente anche negli interventi sul «Mare' Aurelio» che, dal 1939 al' 43, comprendono quasi 400 vignette, e una prassi che, con crescente libertà grafica, accompagnerà il lavoro del regista fino agli ultimi suoi film, quasi che anche i più informi ghirigori rappresentassero un filo di Arianna capace di orientare il regista nei momenti più difficili, quelli incipitari:

" R Fellini, Il mio amico Pasq11ali110, "Umoristi moderni,,, Edizioni dell'ippocampo, Roma s.d. [1942?], p. 3 (cap. I, Qualche pagi11etta così e poi si comi11cia s11bito). Vedi anche il catalogo della mostra Il mio amico Pasq11alino: Federico Felli11i, r937-r947, a cura di Rossella Caruso e Giuseppe Casetti, Il museo del Louvre-Associazione Federico Fellini, Roma-Rimini 1997. s F. Fellini, Raccontando di me. Conversazioni con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma r996. 6 Paolo Fabbri, La prima Donna: la Saragl,ina tra Picasso e Kafka, « Fellini-Amarcord. Rivista di studi felliniani», 3-4, 2001, pp. 103-111. Cfr. nel volume il saggio di Corrado Bologna.

PREMESSA

9

[... ] Questo quasi inconsapevole, involontario tracciare ghirigori, stendere appunti caricaturali, fare pupazzetti inesauribili che mi fissano da ogni angolo del foglio, schizzare automaticamente anatomie femminili ipersessuate [... ] e infiniti altri pastrocchi, geroglifici, costellati di numeri di telefono, indirizzi, versetti deliranti, conti delle tasse, orari di appuntamenti; insomma tutta questa paccottiglia grafica, dilagante, inesausta, che farebbe il godimento di uno psichiatra, forse è una specie di traccia, un filo, alla fine del quale mi trovo con le luci accese, nel teatro di posa, il primo giorno di lavorazione7.

Sintomatico, da questo punto di vista, che la «gioiosa rivelazione» del cinema, durante l'apprendistato con Rossellini, passi attraverso la consapevolezza di una possibile analogia tra il lavoro del cineasta, quello dello scrittore e dell'artista: Seguendo Rossellini mentre girava Paisà mi parve improvvisamente chiaro, una gioiosa rivelazione, che si poteva fare il cinema con la stessa libertà, la stessa leggerezza con cui si disegna e si scrive, realizzare un film godendolo e soffrendolo giorno per giorno, ora per ora, senza angosciarsi troppo per il risultato finale; lo stesso rapporto segreto, ansioso ed esaltante che uno ha con le proprie nevrosi; e che gli impedimenti, i dubbi, i ripensamenti, i drammi, le fatiche, non erano poi molto diversi da quelli che soffre il pittore quando cerca sulla tela un tono e lo scrittore che cancella e riscrive, corregge e ricomincia, alla ricerca di un modo espressivo che, impalpabile e sfuggente, vive nascosto tra mille possibilità 8 •

Nel cinema, come nella letteratura e nell'arte, si tratterà dunque di mantenersi fedeli allo sfuggente fantasma della propria visione interiore. Ciò sarà possibile se si riuscirà a preservare anche un contatto profondo con la propria infanzia, cioè col momento originario dell'esistenza, potendo così attingere alla «fecondità dell'immaginazione fanciullesca», come aveva scritto l'amato Leopardi9 : Penso che tutti da bambini abbiamo con la realtà un rapporto sfumato, emozionale, sognato; tutto è fantastico per il bambino, perché sconosciuto, mai visto, mai sperimentato, il mondo si presenta ai suoi occhi totalmente privo di intenzioni, di significati, vuoto di sintesi concettuali, di elaborazioni simboliche: è solo un gigantesco spettacolo, gratuito e meraviglioso, una sorta F. Fellini, Fare"" film, Einaudi, Torino 2.oI 5 [I~ cd. tedesca, Diogenes Veri., Ziirich I980], p. 68. s Ivi, p. 45· 9 G. Leopardi, Zibaldo11e, cito dall'ed. a cura di Rolando Damiani, Mondadori, Milano 1997, pp.1186-1187 [1705, 1-1706), 15 settembre 182.1. 7

IO

PREMESSA

di sconfinata ameba respirante dove tutto abita, soggetto e oggetto, confusi in un unico flusso inarrestabile, visionario e inconsapevole, affascinante e terrorizzante, dal quale non è ancora emerso lo spartiacque, il confine della coscienza. [... ] Queste visioni infantili se continuassero con la maturità probabilmente inghiottirebbero ogni capacità di pensare e di agire. Non si tratta di restare in perenne contemplazione delle proprie fantasie infantili. L'importante sarebbe ritrovare sul piano della consapevolezza la facoltà visionaria 1°.

Negli episodi de Il mio amico Pasqualino e nei racconti (quasi ottocento nel loro insieme) pubblicati dal «Mare' Aurelio», i primi e i secondi legati spesso da forti riprese e analogien, ritroviamo poi il fil rouge di quella che non possiamo tanto chiamare vocazione, quanto invenzione autobiografìcau.. Una delle sue proiezioni più interessanti, tra i testi del periodico satirico, è quella attraverso cui il protagonista si autorappresenta come scrittore, come in Qualcuno legge un mio «pezzo» (24 gennaio 1942), un autoironico ritratto dell'artista da giovane. Federico è su un tram, e di fronte a lui vede un uomo che tiene aperto il «Mare'Aurelio», proprio nella pagina che ospita un suo testo. Scatta subito una spasmodica impazienza di cogliere, nell'espressione del lettore, un giudizio sul proprio lavoro (come accadrà in Intervista al personaggio dello scrittore e dei suoi sodali, attenti alla buffa ed elementare prossemica di Marcello che, semplicemente alzando e abbassando la mano a mo' di giudizio critico, provoca gioie e sconforti nel gruppo). Ma la lettura è ogni volta R Fellini, Fare tm film cit., p. 87-88. G. Casetti, Federico, Kafka, Pasqt«zlino e la sottbrette ammaliatrice, in Il mio amico Pasq11alino: Federico Fellini, 1937-1947 cit., pp. 15-16. 12. «[ ••. ) non ho una memoria fatta di ricordi personali. È semplicemente più naturale per me inventarne una mia, ispirata alla memoria di vite ed eventi che non sono mai esistiti, ma che Pesisten7. a richiama e di cui si nutre. Ho inventato tutto[ .•. ). Ho inventato la mia giovine,,.za, la mia famiglia, le relazioni con le donne e con la vita. Ho sempre inventato. L'irreprimibile urgenza d'inventare è data dal fatto che non voglio niente di autobiografico nei miei film [... ). Così sono tutto e niente. Sono ciò che invento» (F. Fellini, Sono un gra11 bugiardo. L'ultima co11fessione del maestro raccolta da Damian Pettigrew, Elleu Multimedia, Roma 2.003, pp. 50-5r). E vedi anche F. Fellini, Fare tm film cit., p. r68: «Non è la memoria che domina i miei film. Dire che i miei film sono autobiografici è una disinvolta liquidazione, una classificazione sbrigativa. lo mi sono inventato quasi tutto: un'infanzia, una personalità, nostalgie, sogni, ricordi: per il piacere di poterli raccontare. Nel senso dell'aneddoto, di autobiografico, nei miei film non c'è nulla. Quel che so, è che ho voglia di raccontare. Francamente, raccontare mi sembra l'unico gioco che valga la pena di giocare». 10 11

PREMESSA

I.I

interrotta da un elemento di disturbo: prima un bambino piangente, poi le osservazioni estemporanee della moglie. Improvvisamente la coppia arriva alla fermata prevista: il giornale viene di colpo accantonato senza che la lettura abbia avuto termine. Andranno a fare la spesa: la pagina che aveva suscitato nel protagonista tanti patemi farà, catullianamente 1 J, una fine ingloriosa, quella di servire da involto per la frutta. Il pezzo si chiude nel segno di mefistofeliche - e un poco misogine - fantasie di vendetta del protagonista. Allora non guardo più la strada che corre oltre il finestrino e lo fisso provando per lui una infinita simpatia. È un ometto, magro, pallido, gli occhiali gli allontanano comicamente gli occhi sì da farli sembrare disegnati piccini piccini sul fondo delle lenti grossissime. Un uomo qualunque, con un viso qualunque, un'espressione qualunque, ma io lo trovo bello. «È così» penso «è bello, nobile e deve possedere anche una vasta cultura. La fronte alta, le tempie brizzolate ... » e sento il desiderio folle di agitarmi di muovermi per farmi notare. Ha piegato il «Mare' Aurelio» in modo di aver davanti agli occhi tutta la mia rubrica. Non vuole perdere tempo, non vuol distrarsi, che tesoro! Ecco, ha cominciato a leggere ... Lo seguo e forse sono leggermente pallido. Un'altra riga, un'altra riga ancora ... Che cosa c'era scritto in quella riga? Che frase sta leggendo in questo momento? E ad un certo punto si agita, si volta a guardare. C'è un bambino che piange nel sedile dietro e la mamma cerca di calmarlo indicandogli un tram che passa accanto al nostro... Ma perché si portano i bambini sui tram? A quell'età i bambini si lasciano a casa! E mi sorprendo a brontolare, a scuotere la testa disapprovando. Vorrei dire: «Seguitate a leggere, non preoccupatevi, mi alzerò io, cullerò io quel bambino ... e farò tacere anche quelle due signorine alla vostra destra, ungerò le ruote del tram perché in curva non urlino in quel modo. [... ] E di colpo qualcuno accanto a lui gli dà un colpo nel braccio. Come osano? Perché? E una donna, lo vedo per la prima volta, le gote rosse, due menti, sul viso un'espressione infinitamente cattiva - Oreste ... guarda che cappellino ha quella là! - Mi sento male, una rabbia sorda, immensa ... Cerco d'inchiodare Oreste contro il sedile con uno sguardo tremendo «Oreste, non ti muovere, non darle ascolto! Oreste quella è una donnaccia! Leggi prima, poi guarderai tutti i cappellini che vorrai. Io stesso ti condurrò a vederne!» Ma l'uomo allunga il collo e sorride guardando oltre il finestrino. Conto in silenzio «A cinque tornerà a leggere. Uno, due ... tre ... » e prego, tento di scoprirmi ipnotizzatore per questa occasione. «Oreste basta! Oreste leggi!» ... E l'uomo torna a chinare la testa sul foglio. Ma come, non ricomincia da capo? Riprende a leggere così a caso ... ? Oreste mi meraviglio di te! Legge ... una riga, un'altra riga ... Ma forse '' Catullo, Carm. XCV, 7-8: «At Volusi Annalcs Paduam morientur ad ipsam / et laxas scombris saepe dabunt tunicas».

PREMESSA

12.

non ricorderà le precedenti ... dovrei ripetergliele io a voce ... Guardo la donna e fremo. Essa scruta la strada. Non vedrà altri cappellini? [... ] Oreste perché sei così frivolo? Leggi, continua a leggere ... Ancora una volta guarda il foglio. Mi sento stanco, c'è davvero troppa gente cattiva in questo mondo. E la donna gli parla ancora, gli ricorda un appuntamento per la sera dopo. Donna, basta, lascialo in pace ... Penso d'interessarla in qualche modo, di distrarla. Mi chino verso di lei e a mezzavoce domando - Per favore Piazza ... ? - Ma è lui, Oreste che mi risponde-Tra due fermate ... - poi fa un viso stupito e si guarda attorno - Ohè ma noi dobbiamo scendere! - e si alza; piega il giornale, lo caccia nelle tasche così come un pezzo di carta qualunque e si allontana lungo la corsia. Scendono. Andranno a fare delle spese. Col giornale incarterà dei mandarini. .. Chino la testa e penso ad un giorno di pioggia. Passerò su di un ponte. Nel fiume una donna griderà disperatamente aiuto. Avrò mille corde sulle spalle, ma la mia voce urlerà così: - Non vi salverò, vorrò vedervi annegare! Sparire in quell'acqua nera! - poi diabolico, immenso, livido alla luce di un lampo Perché un giorno su di un tram avete detto: «Oreste guarda quel cappellino laggiù- e la mia risata folle coprirà il boato dei tuoni. .. 1 4

Per una sorta di bizzarra nemesi, toccherà poi al regista affermato dimostrarsi incostante e addirittura insofferente di fronte a pagine letterarie ben più illustri: A volte vorrei piantar tutto e penso al Decamerone, o al Furioso, come a una liberazione. Anche al Casanova ho pensato, ma come si fa a leggerlo? Bisognerebbe avere una lunga, serena confortevole convalescenza. Certo, se dicessi a Rizzoli che voglio fare Casanova mi regalerebbe la cartiera e chissà cos'altro ancora. È Flaiano che insiste sul Casanova, mi ripete spesso che leggerlo è per lui un riposo, un divertimento, lo ha sempre a portata di mano, insomma gli piace proprio. Anche Comisso stravede per Casanova. Ma perché questo soffocante interminabile librone piace tanto agli intellettuali? Si vede che io, intellettuale, non lo sono nemmeno un po', perché tutte le volte che ho provato a sfogliare le Memorie a un certo punto ho dovuto smettere, mi veniva quasi da tossire sperduto e abbandonato in quel polveroso deserto cartaceo 1 s.

Questa irrequietezza di fronte all'austerità del testo letterario nasconde, in realtà, un processo di reinvenzione fantastica più intimo che, nel caso specifico del Casanova, conduce il regista ad un'opera di scavo in direzione di nuclei ispirativi personalissimi ma nello stes•• F. Fellini, Racconti umoristici, a cura di Claudio Carabba, Einaudi, Torino 2.004, pp 13-15.

•s Id., Fare 1111 film cit., p. 85.

PREMESSA

13

so tempo universali, cui presterà voce la poesia di Zanzotto 16 • Tale sarà il percorso creativo felliniano, dalle Tentazioni del dottor Antonio al Toby Dammit di PoeI7, dal Satyricon di Petronio appunto alle Memorie di Giacomo Casanova, da America di Kafka ne l'Intervista al Poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni ne La voce della luna. Quello di Fellini, infatti, non è un cinema che aspiri a rappresentare la realtà attraverso le immagini ma, in una parabola che inizia da La dolce vita, un cinema in cui sono le immagini stesse a costituire una realtà che guarda il mondo, con un rovesciamento essenziale di prospettiva 18 • Siamo ora forse in grado di cogliere meglio in senso di quel progressivo disancorarsi dalla parola nel cinema di Fellini di cui si è fatto cenno all'inizio. Non si tratta di una mera contrapposizione tra libertà del linguaggio iconico e natura più vincolante di quello testuale, ma di un complesso procedimento - di natura quasi rituale - attraverso cui il regista tenta di conservare l'originaria intuizione fantastica della propria opera, fragilissima eppur decisiva per la sua vitalità e verità artistica: All'inizio un film cos'è? Un sospetto, un'ipotesi di racconto, ombre di idee, sentimenti sfumati. Eppure in quel primo impalpabile contatto il film sembra già essere tutto se stesso, completo, vitale, purissimo. La tentazione di lasciarlo così, in questa dimensione immacolata, è grandissima: tutto sarebbe più semplice, chissà, forse più giusto. Invece no, l'ambizione, la necessità, la noia, la vocazione, gli accordi e le clausole contrattuali, ti obbligano a farlo. Ed ecco il rituale, il balletto, le situazioni di sempre, nella Roma del cinema: preventivi, avvocati, noleggio, sopraluoghi, brindisi, sospensioni, telefonate intercontinentali alle quattro del mattino. [... ] 16

Cfr. il saggio di Giacomo Jori nel volume. Cfr. F. Fellini, Louis Malie e Roger Vadim, Tre passi 11e/ delirio, a cura di Liliana Betti, Ornella Volta e Bernardino Zapponi, Cappelli, Bologna 1968, pp. 2.9-96. 18 Cfr. J.-P. Manganaro, Federico Fel/i11i. Roma11ce (1a cd. francese 2.009 ], il Saggiatore, Milano 2.014, Parte seconda, I: «Con I.A dolce vita Fellini fa il punto, riflette sul suo cinema e procede a un rovesciamento essenziale: non è più la storia, la narrazione interna, a fare il cinema; adesso è il cinema a creare, raccontandola, la propria storia (... ]. Il fihn non si regge più sulla sceneggiatura, ma sulla sua drammaturgia immanente. t rimessa in discussione la natura stessa della drammaturgia, come se per Fellini il passato di sceneggiatore avesse perduto ogni efficacia reale, ma potesse ancora servirgli da lontano, come un'eco, a creare una base per riprendere da capo quanto già enunciato». Vedi anche Italo Calvino, A11tobiografia di ,mo spettatore (in F. Fellini, Fare un film cit., p. XX: «Il film di Fellini è cinema rovesciato, macchina da proiezione che ingoia la platea e macchina da presa che volta le spalle al set, ma sempre i due poli sono interdipendenti». Cfr. l'intervento di Marco Maggi in questo volume. 1

1

PREMESSA

Ma ecco la terza fase: la sceneggiatura. È il momento in cui il film si avvicina e si allontana. La sceneggiatura fa da detective a quel che lui sarà o potrà essere. Si tenta di scoprire in che modo può essere concretizzato. Appaiono confuse, contraddittorie, beffardamente nitide le prime immagini, stimolate da niente; sono pretesti e occasioni non rintracciabili. Poi quelle immagini volano via: la sceneggiatura bisogna scriverla, ha comunque un ritmo letterario, e il ritmo letterario è diverso, inconfrontabile con quello cinematografico. Prima di fare il regista, ho lavorato a moltissime sceneggiature. Era un lavoro che spesso mi immalinconiva, mi faceva arrabbiare. Le parole, l'espressione letteraria, il dialogo, sono seducenti ma appannano quello spazio preciso, quella necessità visiva che è un film. Temo la sceneggiatura. Odiosamente indispensabile. Per lavorare ho bisogno di stabilire con i miei collaboratori una complicità da compagni di scuola, gli stessi ricordi, gli stessi gusti, gli stessi scherzi, un'aria di contestazione, di derisione del lavoro che si sta per fare. Contro il film. Con gli sceneggiatori che hanno lavorato con me ho sempre avuto la fortuna di realizzare questo sodalizio da liceali: da Pinelli, a Flaiano, a Zapponi, a Rondi, a Tonino Guerra. [... ] Quando la storia comincia a delinearsi con maggior precisione, allora non ci si vede più e ci si divide il lavoro, ciascuno promette di scrivere qualche scena e non c'è bisogno di raccomandare la più ampia libertà in questa fase dell'operazione letteraria, perché diviso in questo modo il racconto presenta a ciascuno dei collaboratori tutte le soluzioni e le seduzioni possibili. [... ] In questa terza fase, il film viene come tirato per i capelli, e recalcitra. Bisogna in qualche modo blandirlo. Certe volte dilato in piena malafede la parte letteraria, altre volte lascio in bianco pagine e pagine. Le parole fanno nascere altre immagini, deviano il fine che l'immaginazione cinematografica persegue. Bisogna smettere, bisogna fermarsi in tempo. Avverto in quel momento l'insufficienza della sceneggiatura, l'inutilità di procedere oltre sul piano letterario. È allora che apro un ufficio, comincio a convocare gente, mi faccio sfilare davanti centinaia di facce. È una specie di rito propiziatorio per creare l'atmosfera. Per me è la fase più gioiosa: quella dove il film si apre a tutte le possibilità, si confronta con ogni incognita 1 9.

Al di sotto di quelle «pagine e pagine» lasciate «in bianco» scorrono innumerevoli flussi immaginativi, si intravede il gaio arcobaleno delle possibilità, in una sorta di esuberante variazione del mallarmeano «vide papier que la blancheur défend» (Brise marine). Nella rubrica radiofonica «Terziglio» Fellini aveva esordito nel settembre del '42 con un testo intitolato L'amore è un foglio bianco, in cui due fidanzati analfabeti, dopo che l'uomo (I' «Omino Triste») aveva dovuto trasferirsi lontano per lavoro, si scambiano lettere compie•1

F. i=ellini, Fare u,z film cit., pp. 159-161.

PREMESSA

15

tamente bianche, in cui nulla è scritto e tutto si immagina. L'Omino si rifarà poi una vita sposandosi con un'altra, ma la corrispondenza continuerà così com'era cominciata 20 • Dunque si tratta, come nel celebre apologo di Maeterlinck citato in esergo dal Torless di Musil 21 , di restituire il più possibile all'intuizione fantastica, in questo caso attraverso l'artificio dei mezzi tecnici offerti dal cinema, i colori e le forme della propria originaria epifania: La sua algebra [scii.: del film] torna a coincidere con la tua: anche lui aspira

a inventarsi passo per passo. La traduzione di una fantasia (nel senso proprio di «fantasma», cioè qualcosa di precisissimo ma in una dimensione completamente diversa, sottile, impalpabile) in termini plastici, corposi, fisici, è un'operazione delicata. Ora il fascino maggiore di queste fantasie sta proprio nella loro non definizione. Definendole, si perde inevitabilmente la dimensione sognata, lo smalto del mistero. A tutti i costi bisogna contare di conservarlo perché il successo dell'operazione, la sua prova di vitalità, di originalità, di risultato poetico, sta proprio nel riuscire a conservare il più possibile, nell'immagine realizzata, quel tanto di allusivo, trasparente, scontornato, fluttuante, indistinto, che c'era nell'immagine sognata (fantastica). I colori non sono più quelli che hai sognato e così la prospettiva immaginata è ora soltanto quella concreta della scenografia 2.2..

Sulle tracce di quest'intuizione felliniana si è posta la Giornata di studi che l'Istituto di studi italiani, in occasione del centenario della nascita di Fellini, ha organizzato a Lugano, in collaborazione col Dicastero Eventi e congressi, il 26 settembre 2020, di cui questo volume rappresenta fedele testimonianza. I saggi di Corrado Bologna, Valeria Galbiati, Giacomo Jori e Marco Maggi offriranno al lettore un nuovo sguardo sul complesso rapporto tra la letteratura e il cinema di Fellini, dal progetto del Viaggio di G. Mastorna alla Do/ce vita, da Amarcord al Casanova, da E la nave va a La voce della luna. A coronamento di quest'indagine presentiamo il dialogo che Ermanno T. Kezich, Federico cit., pp. 44-4 5. M. Mactcrlinck: «À pcinc cxprimons-nous quclquc chosc qu'étrangcmcnt nous le dévaluons. Nous pensons avoir plongé au plus profond des abimes, et quand nous revenons à la surface, la goutte ramenée à la pointe pale de nos doigts ne ressemble plus à la mcr dont elle provient. Nous nous figurons avoir découvcrt une mine dc trésors inestimablcs, et la lumièrc du jour ne nous montrc plus quc dcs picrrcs fausscs et des tessons dc verre; et le trésor, inaltéré, n'en continue pas moins à briller dans l'obscur» (Le trésor des 10 11

h11mbles, 1892.). 22 R Fellini, Pare 1111 film cit., p. 16 5.

16

PREMESSA

Cavazzoni, a cui va il nostro più caloroso ringraziamento, ha intrattenuto con Maria Cristina Lasagni e il sottoscritto sulla sceneggiatura dell'ultimo film di Fellini, e sui rapporti che esso intrattiene col suo Il poema dei lunatici. Chissà, forse questo volumetto, per la sua appassionata ricerca dei moventi letterari dell'arte felliniana, non sarebbe dispiaciuto al maestro, sempre molto severo con quei critici che ostentano la loro erudizione2.3. Per questo osiamo dedicarlo al suo cinema, un tesoro che continuerà nel tempo a brillare con immutato fascino. Stefano Prandi

~, F. i=cllini, Fare u11 folm cit., p. 173.

L'Inferno di Fellini, fra Dante e Kafka Corrado Bologna

Una volta, nel 1990, l'indimenticabile Jacqueline Risset, notevole poetessa e studiosa, magnifica traduttrice in francese della Commedia dantesca, chiese al suo amico Federico Fellini se avesse mai pensato di girare un film su Dante. Lui le rispose: La Divina Commedia in film non la farò mai, per una ragione semplice, che è che questo film, Dante l'ha già fatto. È un visivo così geniale e così preciso, attraverso le parole, che non vedo quale senso potrebbe avere il fatto di aggi11ngergli delle immagini. [... ] E inoltre, [... ] che cosa ho fatto, in fondo, ogni volta, se non una discesa agli Inferi, con qualche bagliore di Purgatorio e Paradiso? 1

Girare un film, ogni film, rappresentò dunque per Fellini non solo un impegno artistico, ma «una discesa agli Inferi, con qualche bagliore di Purgatorio e Paradiso». E allora, in certo modo, Fellini fu Dante e fu anche il suo contrario: « un visivo geniale attraverso le immagini», che qualche volta non riuscì a realizzare partendo dalle parole, soprattutto quando a un film "dantesco" incominciò a pensare sul serio, instaurando un braccio di ferro fra la parola descrittiva e l'immagine sottostante, ma refoulée. Quest'atteggiamento di attrazione e repulsa, di fascino e resistenza nei confronti di Dante, e soprattutto delP Inferno, lo accompagnarono tutta la vita, impedendogli di tradurre in immagini le parole di una sceneggiatura che lui stesso intitolò Il viaggio di G. Mastorna. D'altra parte i suoi film, soprattutto La dolce vita, sono costellati di esplicite citazioni dantesche; Gian Piero Brunetta, in un notevole studio sulla Commedia come fonte diretta di alcuni film di Fellini, 1 J. Risset, Discesa agli Inferi con q11alche bagliore di Paradiso. Conversazio11e, in Ead., L'inca11tatore. Scritti s11 Fellini, Schciwillcr, Milano 1994, pp. 99-12.5 (alle pp.

109-110).

18

CORRADO BOLOGNA

lo ha definito «l'apostolo più rappresentativo del verbo dantesco sullo schermo» 2 • Ma Fellini fu anche bravo scrittore, ironico e tagliente nelle pagine giovanili per il «Marc'Aurelio». Già nell'agosto 1941, scrivendo per la sua rubrica su quella rivista, impostava sulla propria insonnia, inoperosa creatrice di fantasmi, un «racconto umoristico» intorno all'immagine di un cinematografo come camera da letto (e da sogno) del meraviglioso: Desidero svegliarmi a notte alta, lo spero sempre prima di coricarmi e forse prego ... Non so dirvi perché mi piaccia. Forse qualche anno fa ti avrei detto che mi piaceva perché c'era un meraviglioso cinematografo nel mio letto. Andavo a letto felice perché nel buio della camera avrei visto cose mirabili... Ed infatti prima di riaddormentarmi visitavo il mio "locale". Era uno spettacolo indescrivibile. Uno spettacolo unico perché era visibile al buio e con gli occhi chiusi. Vedevo nascere una macchia rossa che ingrandiva in silenzio, poi da essa partivano infiniti cerchietti verdi che si muovevano, si allargavano ... Qualche cosa viola li copriva guizzando come un serpente. I puntini verdi svanivano ... Poi ancora colori, colori meravigliosi, irreali e ad un certo punto appariva un globo di vetro. Cominciava a girare prima piano, poi sempre più veloce portandosi appresso in un turbine silenzioso tutti i colori. .. Infine una macchia nera copriva ogni cosa3.

Tanto gli piacque l'idea che la ripeterà per decenni; ad esempio in un'intervista alla RAI nel 1979: Soffrivo di insonnia. In un primo momento mi piaceva. Mi pareva persino che mi fosse capitata una cosa straordinaria. Vivere mentre gli altri dormivano.

Sognare a occhi aperti. Vivere così in una speciale aristocrazia araldica4.

Per quanto riguarda Dante, Jacqueline Risset ha sintetizzato molto bene il senso di questa presenza-assenza, di questo rifiuto-acca1. G. Brunetta, L'apostolo più rappresentativo del verbo da11tesco sullo schermo, in Fellini & Dante. L'aldilà della visione. Atti del Conve11go i11temazionale di studi, Rave1111a 2.9-30 maggio 2.015, Sagep, Genova 2.016, pp. n-19. Si veda anchej.P. Welle, Felli11i's Use of Dante i11 La Dolce Vita, «Studies in Mcdievalism», Il, 3, summer 1983, Dante in the Modem World, a cura di K. Verduin, pp. 53-66. ) Cfr. E Fellini, Raccomi umoristici: Marc'Attrelio (1939-1942.), a cura di C. Carabba, Einaudi, Torino 2.004; il brano è antologizzato anche in Federico Felli11i. La voce della luna, a cura di G. M. Rossi, Clichy, Firenze 2.019, p. 67, alla voce Cinematografo (i corsivi

sono miei). ◄ Cita l,intervista I. Moscati, Federico Felli11i. Ce11t'a11ni: film, amori, marmi, Castelvccchi, Roma 2.019, p. 37 (corsivo mio).

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glienza da parte di Fellini, individuando con lucido rigore nella sua poetica quella che ha chiamato una «visivirà contraddittoria», capace di comunicare in una sola immagine, o in una immagine e nella sua ombra, contemporaneamente, l'illusione e la disillusione. Dante, nelle sue mani, perderebbe quell'aspetto univoco che gli è stato attribuito dalla tradiziones.

Lei stessa insisteva, nei suoi scritti su Fellini e Dante, a proposito di quella che definì la continua, perfino estenuante richiesta "dantesca" da parte dei produttori. In genere americani, o anche giapponesi, vedevano in lui l'unico regista capace - anche per radice culturale diretta - di inventare, a partire dalla Commedia, il kolossal medievale del secolo. E chi poteva farlo se non l'autore della Dolce Vita? I..:espressione "dolce vita", del resto, non viene essa stessa dall'opera di Dante, dove indica, per bocca dei beati, le delizie della vita paradisiaca? Ma questo, probabilmente, i produttori non lo sapevano. Anzi, il rapporto tra Fellini e Dante doveva essere, secondo loro, rigorosamente "infernale". Il progetto più insistentemente richiesto era collettivo: Fellini-Inferno, Bergman-Purgatorio, Bresson-Paradiso, con sostituzione possibile di Kurosawa, ma sempre con Inferno felliniano. Nonostante l'insistenza e la ripartizione dei tentativi, si arrivava immancabilmente, alla fine, ad un rifiuto. [... ] In realtà, Dante, l'opera di Dante, non era vicina, ma vicinissima a Fellini. Era, in qualche modo, nelle fibre stesse del suo lavoro, come una presenza costante, nutriente, familiare. Lo dimostra quello che potrebbe essere chiamato "il progetto dei progetti", cioè a dire Il viaggio di Mastorna; e, più direttamente ancora, l'abbozzo o "scaletta" per un film di un'ora intitolato Vlnferno, al quale egli lavorava negli ultimi giorni della sua vita6.

Fellini si divertiva a chiamare «Fantasmone» quel suo incompiuto progetto dantesco di stampo onirico e metafisico, Il viaggio di G. Mastorna7. Il Mastorna è un film imperniato su una storia di vivi-morti, di fantasmi immersi in un sogno, a partire da M., il protagonista. Ma di per sé, in quanto opera, è davvero un «Fantasmone», un indecifrabile fantasma in bilico fra sonno e veglia, e ha natura peculiarmente felliniana e al contempo con radice antica, di visione in sogno: la stessa che s 6

J. Risset, Appu11ti II. Felli11i e Dante, in Ead., Vi11cantatore cit., pp. 91-95 (a p. 92.).

Ivi, pp. 91-92.. Cfr. P. Fabbri, Da11te e Orfeo. Valdilà di Fellini e di Buzzati, in Felli11i & Da11te. L'aldilà della visio11e cit., pp. 99-105; l'autore lo ha ripreso, pochi mesi prima della sua scomparsa, nella ricca e acuta collezione dei suoi saggi felliniani: Sotto il seg110 di Federico Felli11i, Sossella, Roma 2019, pp. 62-69 (da cui citerò): dr. p. 62.. 7

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la critica più avvertita {per tutti ricordo solo Mirko Tavoni) 8 tende ormai ad attribuire con forza sempre maggiore alla Commedia dantesca. Il Mastoma è il sogno di un film e il film sognato su un sogno: visione onirica e insieme abbozzo incompiuto e destinato a non compiersi. A questo non-film che ha l'imprendibile sostanza dei fantasmi, ma più in generale a tutto il lavoro creativo di Fellini, «il poeta visivo per eccellenza», come lo ha definito il regista americano Sidney Lumet9, credo possa applicarsi la definizione acuta che Marco Maggi, nel suo bel libro su Romanzo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio, nell'ultimo capitolo, dedicato al rapporto fra Regia e fantasmagoria, dà del film di Marco Bellocchio Il regista di matrimoni (2006): «una fantasmagoria per come fa apparire le ombre dei defunti», ossia gli spettri, i fantasmi, appunto, e «per l'indeterminazione tra realtà e immaginazione» 10• «Quando vengo a Rimini» - diceva spesso Fellini- «sono aggredito dai fantasmi, che pongono domande a cui è imbarazzante rispondere»; Paolo Fabbri commenta: «i suoi clowns, bianchi o augusti, sfilano come in un carnevale pagano dei morti. Affollato di fantasmi è lo spazio felicemente dilatato dei suoi sogni: nelle loro gag sensuali di enigmatica oscenità queste apparizioni rappresentano il comico della sessualità, svelano i meccanismi del desiderio, senza rimozione e senza riscatto» 11 • Anche il torso del «Fantasmone» Mastorna rimane un fantasma ossessivo, non diventa film, così come, per citare solo un caso altrettanto significativo, lo sciamanico e magico-stregonesco Viaggio a Tu/un ispirato da Carlos Castaneda, di cui Fellini nel maggio 1986 pubblicò la sceneggiatura sul «Corriere della Sera» con i disegni di Milo Manara, lo stesso illustratore del progetto del Mastornau.. 8 M. Tavoni, J:J,zfenzo sog11ato, la telepatia di Virgilio e gli antefatti da11tesd,i della Commedia come visione in sogno, in Dante e la dimensione visionaria tra medioevo e prima età modema, a cura di Bernard Huss e Mirko Tavoni, Longo, Ravenna 2.019. 9 La dichiarazione si legge in F. Fellini, /.;arte della visione. Co11versazioni con Goffredo Fofi e Gianni Volpi, Donzelli, Roma 2.02.0, p. 66 (nella sezione Fellini visto dall'America, pp. 61-82.). 10 M. Maggi, Modernità visuale nei Promessi Sposi. Roma11zo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio, Mondadori, Milano 2019, p. 124 (nel cap. V, Regia e fa11tasmagoria, pp.115-132.). 11 Così riferisce P. Fabbri, Ritonzo alla mia Rimini, introduzione a F. Fellini, Ritonzo a "La mia Rimini", Guaraldi, Rimini 2.010, ripreso in Id., Sotto il segno di Federico Fellini

cit., pp. 2.9-34 (a p. 32.). u. Cfr. F. Fellini, Viaggio a Tul,m, «Corriere della Sera», r8-2.3 maggio r986; poi come M. Manara, Viaggio a Tulmn, da 11n soggetto di Federico Fellini, per 1111 film da fare,

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Un solo esempio di come le immagini archetipiche esercitino un sicuro fascino sullo junghiano Fellini. Il funerale onirico-allucinatorio di M., fantasma di sé stesso, coinvolge un oggetto archetipico del viaggio moderno, l'aereo che, nella sceneggiatura del Viaggio di G. Mastorna (1965), atterra «incolume» in un misterioso «campo di "evenienza"» nel cuore di una città-fantasma (forse Colonia, o Roma), ove d'improvviso «nello spazio tra due palazzi si intravede la superficie piatta di un mare grigio» (altro grande archetipo junghiano, ma anche dantesco: «lo gran mar de l'essere» di Par., I 113); e poco dopo, in una stazione, come Dante all'Inferno anche M. incrocia un amico morto da quarant'anni, e comincia a gridare il suo terrore d'esser solo un fantasma, un' «ombra» e non più una «cosa salda» (Purg., XXI 13 6): No ... non può essere ... io non sono morto! Non posso essere morto!. .. [... ] io mi tocco ... io mi sento ... io sono fatto di carne ... il mio cuore batte ... io sento ... io vedo ... non può essere ... non può essere ... riportatemi indietro ... 1 3.

Dino Buzzati, grande innamorato di Kafka (basti pensare al Deserto dei Tartari), fu coautore della sceneggiatura del Mastorna, che proviene dal suo racconto Lo strano caso di Domenico Molo, ripubblicato come Sacrilegio 1 4. A Buzzati si deve anche un Poema a fumetti (1979) e, già negli anni del Mastorna (1966), il racconto Viaggio agli inferni del secolo, che ritengo Fellini abbia letto (questa traccia andrà approfondita con attenzione): un operaio, lavorando alla costruzione della metropolitana di Milano, come nelle fiabe apre una porticina sotterranea e scopre una città che a Milano assomiglia, ma che di fatto è un Inferno moderno, tutto nell' Aldiqua. Anche l'Aldilà del Mastorna, e di altri film di Fellini, è di fatto un Aldiqua, un non-luogo popolato di fantasmi in cui vige il fondamentale principio di «unità di realtà e lontananza». Ermanno Cavazzoni, nel saggio con cui ha accompagnato la pubblicazione presso Quodlibet del trattamento felliniano del Viaggio di G. Mastorna e dell'importante let«Corto Maltese,., luglio 1989, riedito come volume da Ri1..zoli, Milano 1990, e poi dalle Edizioni del Grifo, Lecce 1991 (con prefazione di Vincenzo Mollica). •.J F. Fellini, Il viaggio di G. Mmtoma, a cura di E. Cavazzoni, Quodlibct, Macerata 2.008, rispettivamente pp. 2.2., 3 s, S S. 1 ◄ P. Fabbri, Dante e Orfeo. L'aldilà di Felli11i e di B11zzati, in Id., Felli11erie, Guaraldi, Rimini 2.011, pp. 63 ss.

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2,2,

tera del regista a Dino De Laurentiis, ha riconosciuto le tappe dantesche di questo Aldilà che è il fantasma-ombra dell'Aldiqua: L'idea conduttrice di Fellini è in sostanza che nell'aldilà ci siamo dentro, ci viviamo, è questo qui; siamo già dentro alle pene e ogni tanto dentro a zone di paradiso; e compiamo un percorso, come si compie nel purgatorio, che però non si sa a che cosa porta, cosa c'è dopo 1 s.

Oltre all'aspetto infernale ( «la pena [... ] è lo smarrimento, il trovarsi solo in mezzo alla calca di gente smarrita, l'essere un nulla») è ben riconoscibile anche quello purgatoriale, «il percorso, la ricerca della propria porta d'uscita», e un «finale» che «è la nascita al mondo, luminoso e chiaro come appare in certe felici giornate»: ecco dunque «l'eternità» che fa capolino ogni tanto, senza preavvertire, quando si è sgombri e elevati di spirito, come se si rinascesse o si nascesse dopo un soggiorno lungo, penoso, interminabile nel purgatorio, che è confusione, indecisione sulla via da intraprendere, su chi essere 16 •

Fellini stesso, nella lettera a De Laurentiis, ha sintetizzato il senso del suo progetto imperniandolo sul rapporto figurale tra le due dimensioni che definisce l' «aldilà» e «la nostra vita di qua»: noi proiettiamo in una dimensione che generalmente chiamiamo aldilà il cumulo delle nostre speranze, della nostra prigione educativa, della nostra ignoranza, senza renderci conto che questo aldilà, inventato, mistificato, fantasioso o moralistico condiziona inevitabilmente la nostra vita di qua, che di conseguenza viene a sua volta inventata e mistificata; in altre parole, impegnata in falsi schemi. L'allegro pasticcio che voglio tradurre in film tenderebbe ad oggettivare questo aldilà così come il protagonista (e la maggior parte di noi con lui) se lo immagina ed a suggerire la liberazione del personaggio. Il protagonista muore perché ha paura della morte ed ha perso il senso più autentico della vita 1 1.

Poco dopo, descrivendo le reazioni di M. quando «lo sconvolgente sospetto di essere morto gli fa scoppiare il cuore e il cervello», Fellini s E. Cavazzoni, P11rgatori del secolo XX, in F. Fellini, Il viaggio di G. Mastorna cit., pp. 2.07-2.2.9 (a P· 2.2.7). 16 lvi, pp. 2.2.8-2.2.9. 1 7 F. Fellini, Lettera a Dino De Laurentii$, in Id., Il viaggio di G. Mastoma cit., pp. 167-205 (a p. 181). 1

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introduce un personaggio fondamentale, la «bellissima hostess» dalle «lunghissime ciglia che nascondono la profondità di uno sguardo misterioso». Qui il Paradiso dantesco si rovescia in Inferno. Come Dante negli occhi smeraldini di Beatrice scorge riflesso l'universo, la cui vista diretta non può sostenere, così M. nelle «pupille azzurre» della hostess improvvisamente vede, come in uno schermo, una scena orrenda: il crinale di una montagna coperto di neve, una montagna immensa che ha le vette coperte da una nuvolaglia tempestosa. Una luce grigia, invernale, illumina su quel crinale i resti frantumati di un aereo disintegrato. Grandi elicotteri in un funebre carosello volteggiano come avvoltoi sulla zona del disastro. E là, fuso insieme con i metalli dell'aeroplano, ancora legato a quello che era il suo posto, M. vede una mostruosità indescrivibile: ciò che è rimasto del suo povero corpo, un nero tizzone senza più forma, senza più senso; le lunghe ciglia della hostess si abbassano lievemente: l'atroce visione affonda nel liquore azzurrino del suo sguardo 18 •

Decisivo per cogliere il senso dell'episodio, allegorico, «psicagogico» (riprendo intenzionalmente un termine usato da Erich Auerbach nei suoi studi danteschi), è il commento di Fellini: Penso, [caro Dino,] che tutto questo viaggio che il protagonista compirà nella nuova dimensione, sarà sempre costellato dalle apparizioni di bellissime Beatrici, incarnate dai sorrisi, gli sguardi invitanti, le lunghe gambe di hostess seducenti. Hostess, guide, metropolitani, controllori, poliziotti, accompagnatori, autisti, saranno sempre molto gentili verso M. e tutti pronti sinceramente a volerlo aiutare 1 9.

Nella conclusione della lettera, per accennare ali' «idea finale del film», Fellini insiste sul modello profondamente dantesco-purgatoriale del suo viaggio: «Immagino M. e la sua ultima Beatrice su di un piccolo sentiero di montagna che continua a salire» 20• Questa esplicita evocazione induce a completare l'equazione: gli «accompagnatori [... ] pronti sinceramente ad aiutare» Dante-M. saranno Virgilio e Stazio, e forse i molti angeli che soccorrono Dante in Purgatorio, in vista della «regione chiamata "la terra promessa"», che «è il paradiso, infantile «compendio di tutte le sue[= di M.] più goffe, puerili e patetiche aspirazioni» 21 • Paolo 18 1

9

10 11

Ivi, pp. 183-184. lvi, p. 184. lvi, p. 203. lvi, pp. 194-195.

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Fabbri, acutamente, ha colto il valore allusivo dell' «iniziatico percorso»: l' «Accompagnatore» che ha seguito M. «nella sua fase infernale» non vede né sente più M., divenuto ormai «impercettibile perché si trova in una diversa dimensione», appunto quella purgatoriale: È Armandino, un personaggio basso e smorfioso, un Virgilio rovesciato e ridicolo, secondo la modalità antifrastica dell'Inferno del Mastorna rispetto al dettato della Commedian.

In Fare un film, a proposito di 8 ½, Fellini parla esplicitamente, ma anche un po' vagamente, dell'«angelo custode,[ ... ] un personaggio che ci accompagna fino all'età di tredici anni» 2 3. E nel Mastorna l'avvento degli Accompagnatori-Aiutanti permette di squarciare il cielo di carta, scoprendovi un inatteso diversissimo orizzonte, al centro del quale sta la complessa, inequivocabile operazione di sincretismo che Fellini, qui e altrove, compie rispetto al modello dantesco. Questo avvento inatteso coinvolge anche i romanzi di Franz Kafka, in particolare America e Il processo, e le figure degli Aiutanti che in essi assumono un ruolo di grande rilievo. Un parallelismo di straordinaria, sconcertante potenza lega nell'immaginario di Fellini il riconoscimento della visività insormontabile di Dante, che impedisce un trasferimento in visionarietà cinematografica, con la constatazione che anche un autore da lui lontanissimo come Kafka è uno scrittore «potentemente visivo». Questa rivelazione diventa ancora più inquietante e si apre a orizzonti nuovi se si ricorda un altro dialogo che Fellini ebbe nello stesso giro d'anni con un altro amico, il giornalista Costanzo Costantini, il quale gli domandò un giorno: Kundera ti ha paragonato a Picasso, Stravinsky e Kafka e dice che sei l'unico che può portare in scena Kafka, pensi di poterlo fare? Fellini risponde: «È un progetto che mi affascina da sempre, ho fatto ricerche fotografiche sull'America degli Anni Venti, raccolto materiale e riempito quaderni di appunti: ma non so se lo farò. Mi sentivo già a disagio, provavo un po' di rimorso nel citare Kafka in Intervista. Kafka è uno scrittore già così potentemente visivo che mi sembra presuntuoso intervenire. Mi dispiace per Kundera, ma io ho in mente altri progetti 1 4• P. Fabbri, Dante e Orfeo cit., p. 68. F. Fellini, Fare 11n film cit., con l' A11tobiografia di 11no spettatore di I. Calvino, Einaudi, Torino 1980, p. 84. 2.-1 F. Fellini, Racconta11do di me. Conversazioni con C. Costantini, Editori Riuniti, Roma 1996 (il corsivo è mio); cfr. anche P. Fabbri, Prima do1111a: la Saraghi11a tra Picasso .u.

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Dante e Kafka: coppia impensabile e lievemente surreale, se non, forse, sotto le volte dell'Inferno e della sua irriducibile visività. In entrambi i casi Fellini ricorre esattamente alle stesse parole, alla stessa formula: «Dante è un visivo così geniale e così preciso, attraverso le parole, che non vedo quale senso potrebbe avere il fatto di aggiungergli delle immagini»; «Kafka è uno scrittore già così potentemente visivo che mi sembra presuntuoso intervenire». Per questa ragione tutti e due gli scrittori, Dante e Kafka, pur affascinando Fellini, rimasero nel suo inconscio come un sogno, un fiume carsico, un desiderio forte ma incompiuto, sempre messo ai margini, relegato alle visioni notturne. Scavando nei documenti scopriamo, restando stupefatti, proprio a bocca aperta, che Franz Kafka pensava di sé esattamente la stessa cosa che turberà Fellini: di essere «troppo visivo». Kafka non amava il cinema, come ha raccontato Gustav Janouch, il quale conobbe lo scrittore praghese nel 1920 e pubblicò nel 1951 i Gesprache mit Kafka (mi domando se Fellini abbia potuto conoscerli nella traduzione di Ervino Pocar, Colloqui con Kafka, del '5 3 ). A Janouch, sorpreso per questa resistenza di fronte a uno strumento di fantasmagoria così potente, Kafka rispose con affermazioni di impensabile acutezza e ferocia analitica: A dire il vero, non ci ho mai pensato. Si tratta d'un giocattolo grandioso, ma io non lo tollero, forse perché sono troppo visivo. Io vivo con gli occhi, e il cinema impedisce di guardare. La velocità dei movimenti e il rapido mutare delle immagini ci costringono continuamente a passar oltre. Lo sguardo non s'impa-

dronisce delle immagini, ma queste si impadroniscono dello sguardo e allagano la coscienza. Il cinema mette l'uniforme all'occhio che finora era svestito:.s.

In uno dei mirabili, fulminanti aforismi degli Otto quaderni in ottavo Kafka spiega che cosa significhi per lui I'" occhio nudo'', il diventare puro sguardo: «Tre cose: Vedere se stessi come una cosa estranea, dimenticare ciò che si è visto, conservare lo sguardo» 26 • Non ha dubbi: «sono troppo visivo» (la parola è in corsivo nell'origie Kafka, in Id., Sotto il seg110 di Federico Fellini, Sossclla, Roma 2.019, pp. 15-2.2. (a p. 2.0).

s G. Janouch, Colloq11i co,i Kafka, in F. Kafka, Co11fessio11i e Diari, a cura di E. Pocar, Mondadori, Milano 1972., pp. 1055-1144 (a p. 112.6; solo 4