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Italian Pages 167 [165] Year 2016
lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento
Marsilio
I VIVARINI Lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento
Conegliano, Palazzo Sarcinelli 20 febbraio - 5 giugno 2016
a cura di Giandomenico Romanelli
con Clara Gelao Franca Lugato Giovanni Valagussa
mostra promossa da
g'*' Città di Conegliano
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CIVITA
Civita Tre Venezie
Comune di Conegliano
Civita Tre Venezie
Sindaco
Presiden te
Floriano Zambon
Emanuela Bassetti
Vice Sindaco Assessore alla Galleria Civica d i Palazzo Sarcinelli
Direttore organizzativo
Roberto Piccin
Segreteria organizzativa
Stefania Stara
con la partecipazione di
~ IREG IONE
DEL VENETO)
Silvia Carrer
Segreta rio generale
Davide Alberto Vitelli
Coordinamento prestiti
Dirigenti
con Carlotta Sapori
Mario Bortolot Giovanni Te! Gianni Zorzetto
Comunicazione e marketing
Franca Lugato
con il patrocinio di
Daniele Visotto con Chiara Pessina e Valeria Regazzoni
Segreteria organizzativa di Palazzo Sarcinelli
Angela Buso evento u fficiale WROPEIN W IN E CITY16 CONEGUANOVALDOBBIAOENE /lllgion afProssccoSUpmon
Ufficio stampa
Villaggio Globale International con Giovanna Ambrosano Coordinamento bookshop
Francesca Gennari Amministrazione
Valentina Maria Bertin Attività educative e visite guidate
Civita Tre Venezie in collaborazione con
Associazione culturale Aregoladarte e Astarte Servizi culturali
mostra realizzata con il contributo di ~
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Camera di Commercio Treviso ..,,/
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Treviso Gloca'J
in partnership con
Progetto grafico e di allestimento
Studio Polo 1116 Sergio Brugiolo, Chiara Romanelli con Alessandra Didonè, Masa Grbié
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Realizzazione dell'allestimento
Laima
BANCA FININT Trasporti e allestimento opere
Apice CON FCOMME RC IO
Realizzazione grafica
Graphic Report Traduzioni
ASCOT~--b GruppoAscopiave
Michael Huggerty Assicurazioni
RotaryCl11bConegliano
Oistretto2060
I~ ! ~j~ °P
Age Assicurazioni Gestione Enti Willis Italia spa
WillisTowersWatson 1,1'1'1,I
Docc. ·
PROSECCOSL'PERJOU: DALU76
in collaborazione con
&r GRAFICA VENETA .,..
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Treviso
PERMASTEELISA GROUP
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AMICI PALAZZO
SARCINELLI
Restauri
Albo dei prestatori
Antonio e Bartolomeo Vivarini, Polittico di Arbe, Arbe (Rab), monastero di Sant'Eufemia, chiesa di San Bernardino realizzato a cura dell'Istituto Croato di Restauro, Rijeka, a opera di Goran Bulié e Ana Rusin Bulié
Amiens, Musée de Picardie Arbe (Rab), monastero di Sant'Eufemia, chiesa di San Bernardino Bari, Basilica Pontificia di San Nicola Bari, Pinacoteca Metropolitana "Corrado Giaquinto" Barletta, chiesa di Sant'Andrea Bergamo, Accademia Carrara Bologna, Pinacoteca Nazionale Milano, Pinacoteca di Brera Modugno, Parrocchia Maria Santissima Annunziata Napoli, Museo di Capodimonte Padova, Musei Civici, Museo d'Arte Medioevale e Moderna Padova, Parrocchia di San Tomaso Becket Parenzo (Poreè:), Museo della Basilica Eufrasiana Ro Ferrarese, Collezione Cavallini-Sgarbi Rutigliano, chiesa Matrice di Santa Maria della Colonna e San Nicola Venezia, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo Venezia, chiesa di San Giovanni in Bragora Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr Venezia, Gallerie dell'Accademia Venezia, Istituto Provinciale per l'infanzia "Santa Maria della Pietà"
Bartolomeo Vivarini, Madonna con il Bambino, Venezia,
Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr Restauro Corest Consorzio, restauratore Stefano Provinciali Bartolomeo Vivarini, Polittico di San'Agostino, Venezia,
Basilica dei Santi Giovanni e Paolo Restauro Valentina Piovan Alvise Vivarini, Sant'Antonio da Padova, Venezia,
Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr Restauro Corest Consorzio, restauratore Stefano Provinciali Alvise Vivarini, Cristo benedicente, Milano, Pinacoteca di Brera Intervento manutentivo di revisione estetica del dipinto a opera di Paola Borghese, Pinacoteca di Brera restau ro cornice Studio Luca Quartana - Restauro Opere Lignee Un ringraziamento particolare a Permasteelisa Group, grazie alla quale è stato possibile l'importante progetto di restauro dell'opera Antonio Vivarini, Polittico di Parenzo, Parenzo, Basilica Eufrasiana realizzato a cura dell'Istituto Croato di Restauro, Zagabria, a opera di Marjana Galovié e Miroslav Pavliè:ié
Si ringrazia M in istero •
dei beni e delle attività culturali e del turismo
Soprintendenza belle arti e paesaggio per Venezia e laguna Soprintendenza belle arti e paesaggio per le Province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso Soprintendenza belle arti e paesaggio per le Province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese Gallerie dell'Accademia, Venezia Pinacoteca di Brera, Milano Pinacoteca Nazionale, Bologna Museo di Capodimonte, Napoli e
Pinacoteca Metropolitana "Corrado Giaquinto", Bari Fondazione Musei Civici di Venezia Accademia Carrara, Bergamo Un ringraziamento particolare a
Davide Banzato, Pietro Basciano, Sylvain Bellenger, Gabriella Belli, Carlo Birrozzi, Marzia Boer, Ennio Bornancin, James Bradburne, Visnja Bralié, Linda Borean, Fausta Bressani, Ilaria Bruno, Luca Caburlotto, don Bruno Caccia, Carla Calisi, padre Ciro Capotosto, Federico Capraro, don Gianmatteo Caputo, Emanuela Carpani, Sabine Cazenave, Sandra Celié, Marco Ceotto, Francesco Chiamulera, Michela Chiozza, padre Gerardo Cioffari, Fiorenza Civran, don Bruno Cogo, sac. Nicola Colatorti, Elisabetta Da Lio, Emanuela Daffra, Brigitte Dapra, Maria Teresa De Gregorio, don Felice Di Palma, Miljenko Domijan, Pietro Donghia, Cristina Dossi, Alberta Fabbri, Maria Laura Faccini Castaldini, don Giovanni Favaretto, Elisabetta Favaron, Irene Galifi, fra Ivan Gavran, Marina Geneletti, Serg1je Jelenié, Giulio Manieri Elia, Eugenio Manzato, Paola Marini, Gordana Sobota Matejè:ié, don Francesco Micunco, Barbara Nani, Andrea Nante, mons. Giuseppe Paolillo, Patrizia Piscitello, padre Angelo Preda, Biserka Rauter, Sofia Rinaldi, Bénédicte Rochet, Maria Cristina Rodeschini, Elena Rossoni, Tiziano Scarpa, Vittorio Sgarbi, Angelo Tabaro, Erilde Terenzoni, Franjo Velè:ié, Giancarlo Vettorello, Massimo Zuin
Conegliano è tornata a essere un centro di riferimento per l'arte in Italia. Quello che fino a tre anni fa era soltanto un obiettivo, oggi è una orgogliosa conquista, frutto di una ricerca artistica proiettata nel lungo periodo e di una squadra che lavora con professionalità e competenza. Ma non basta. C'è il cuore, che in questi tempi sorregge anche le imprese più coraggiose. E che, insieme alla acuta intelligenza del curatore Giandomenico Romanelli, ha permesso di realizzare a Palazzo Sarcinelli tre stupende mostre. Un Cinquecento inquieto, Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia a11'Istria, e quest'ultima, dedicata ai Vivarini. Tre progetti culturali di primissimo livello, di alto profilo scientifico, che hanno fatto appassionare scuole e gruppi e che al tempo stesso hanno fatto innamorare visitatori dall'Italia e dall'estero. Grazie alla capacità di costruire progetti credibili e di renderli accessibili al grande pubblico, Civita Tre Venezie, il pnncipale partner del Comune in questo progetto, è riuscita nella fonda mentale impresa di elevare il prestigio di Palazzo Sarcinelli e di riposizionarlo correttamente nel panorama italiano dell'arte. Le scelte culturali riportano l'attenzione sul periodo storico per noi di maggior fulgore, il Rinascimento. Una ulteriore nota di merito, dato l'interesse che questo particolare periodo suscita nei tanti attori locali, culturali ed economici, che in modo sinergico stanno portando il loro contributo al successo di questo percorso. Con I Vivarini, la prima mostra mai realizzata su questa famiglia di artisti muranesi, non vogliamo chiudere una tnlogia, quanto piuttosto affermare un nuovo modo di divulgare l'arte e di fare promozione del territorio, che nell'evento espositivo trova il suo sviluppo e completamento. Una modalità destinata a fare scuola, e che sta diventando per Conegliano un marchio di fabbrica, uno stile. Nell'augurare il benvenuto della Città di Conegliano ai tanti che sceglieranno di visitare questa mostra voglio ringraziare tutti coloro che vi hanno lavorato e che ne hanno permesso la realizzazione, in primis Civita Tre Venezie, il curatore Giandomenico Romanelli e i suoi collaboratori, e l'assessore comunale Pietro Basciano, principale artefice del rilancio della nostra Galleria Civica. Nell'occasione intendo anche rassicurare.· arrivati fin qui intendiamo andare oltre, verso una nuova trilogia di mostre, con slancio, credendo fermamente che il pubblico sappia sempre riconoscere la qualità. Che unita alla coerenza e alla bellezza sarà sempre la chiave della fortuna e del successo anche del prossimo percorso espositivo.
Floriano Zambon Sindaco di Conegliano
Catalogo a cura di
Crediti fotografici
Giandomenico Romanelli Franca Lugato
© Archivio fotografico del Polo Museale
del Veneto, su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo © Diocesi di Padova, Ufficio beni culturali, Archivio fotografico (foto Mauro Magliani) © Accademia Carrara, Bergamo © Foto Pinacoteca Metropolitana "Corrado
Giaquinto" Bari © Archivio Fotografico del Polo Museale
della Campania © Museo di Capodimonte - su concessione del Min istero dei beni e delle attività culturali e del turismo © Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr
© Diocesi Patriarcato di Venezia, chiesa di Santi Giovanni e Paolo © Archivio fotografico Soprintendenza
Belle Arti e Paesaggio per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia-Bari © Diocesi Patriarcato di Venezia, chiesa di San Giovanni in Bragora © Su gentile concessione del Comune di Padova, Assessorato alla Cultura
© Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - Pinacoteca di Brera / Laboratorio Fotografico © photo Mare Jeanneteau / Musée de Picardie, no inv .. M P 173 © The National Gallery, London Progetto grafico e cura editoriale
Studio Polo 1116, Venezia Sergio Brugiolo, Chiara Romanelli in copertina
Bartolomeo Vivarini, San Michele arcangelo (Polittico di Scanzo),
1488, part. © 2016 by Marsilio Editori® s p a. in Venezia
prima edizione febbraio 2016 ISBN 978-88 -317-2326-8 www.marsilioeditori.it
© RMN-Grand Palais (Musée du Louvre) / Thierry Le Mage
INDICE
IVIVARINI
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La bottega dei Vivarini. Frammenti di un'eredità controversa Giandomenico Romanelli
59
I Vivarini in Puglia. Diffusione e committenza Clara Gelao
79
I Vivarini e Bergamo. Committenze e conseguenze Giovanni Valagussa
VITE E OPERE 103
I Vivarini, una famiglia di artisti nella Venezia del Quattrocento Carlo Cavalli
130
Opere in mostra
156
Bibliografia
LA BOTTEGA DEI VIVARINI. FRAMMENTI DI UN'EREDITÀ CONTROVERSA GIAN DOM ENICO ROMAN ELLI
La bottega artistica dei Vivarini (i due fratelli Antonio e Bartolomeo e il figlio di Antonio, Alvise) è il più cospicuo contributo che Murano - l'isola del vetro per antonomasia ha dato allo sviluppo dell'arte veneziana del Rinascimento. Con l'espressione "scuola di Murano", da tutti accolta e utilizzata, gli storici designano appunto questo fortunato e vivacissimo atelier anche se non si può certo affermare che attorno alle opere dei tre protagonisti sia sempre fiorita una produzione critica corrispondente all'importanza e alla fortuna che la pittura di Vivarini ha conosciuto al suo tempo. Le timidezze della critica d'arte In età moderna, il testo base cui tutti fanno riferimento è la benemerita monografia che Rodolfo Pallucchini ha dedicato ai tre artisti nell'ormai lontano 1962. Successivamente, due lavori hanno cercato di fare il punto sulla bottega nel ventennio 1430-1450, cioè, in sostanza, sugli anni centrali dell'attività di Antonio (Holgate 1998) e sulla figura del solo Alvise (Steer 1982, che dedicherà anche alcuni saggi importanti a Bartolomeo, Steer 2002 e 2006) Certo, non sono mancati contributi limitati a singole opere o a precisazioni filologiche e documentarie, sia prima che dopo la monografia del 1962 (ancora
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Holgate e, già prima, Zeri; quindi Lucca, Merkel, Sgarbi, Christiansen, Fossaluzza, De Marchi, Aikema, Buonocore e altri ancora) Più recenti due significative pubblicazioni, in occasione di interventi di restauro con relativa mostra (a Bari e a Padova) hanno dato l'occasione per contributi puntuali e innovativi (Gelao, Cavalli) Né può essere taciuto l'interesse assai originale per i nostri Vivarini (e per Alvise in maniera del tutto particolare) dimostrato da due grandi come Bernard Berenson e Roberto Longhi: i loro interventi, anzi, sono stati insostituibili sollecitazioni a osservare questi artisti con occhio libero da condizionamenti e pregiu dizi. Ma il fatto stesso che, tolte appunto le due piccole mostre di opere restaurate, nessun evento espositivo sia stato mai dedicato alla nostra "bottega" è forse l'indizio più eloquente che una certa quale renitenza critica, una esitazione a esporsi, circonda l'attività dei tre muranesi. Cosa tanto più curiosa in quanto, come è ben noto, la scuola di Mura no è stata, nel secondo Quattrocento, la più solida e affermata alternativa veneziana al primato dei tre grandi Bellini (Jacopo e i figli Gentile e Giovanni) Forse proprio questa circostanza, unita alla incertezza critica. di fondo che ha sfumato le personalità dei Vivarini, ha limitato la portata dell'attenzione
[cat. 12] Ba rtolomeo Vivarini, Madonna con il Bambino,
1465-1470. part.
[cat. 12 J Bartolomeo Vivar ini, Madonna con il Bambino, 1465-1470, part.
loro dedicata. Tutto ciò va collegato a un'ulteriore - e centrale - considerazione impostasi quasi universalmente dalla scuola dei Bellini sarebbe uscita, alla fin fine, la strada maestra del rinnovamento - e della universale e gigantesca fortuna - della pittura veneziana rinascimentale; di contro, dalla linea vivarinesca, quest'arte sarebbe andata quasi a percorrere itinerari se non proprio senza uscita, certo però gravati di cadenze e linguaggi dai caratteri, almeno apparen temente, regressivi : un processo destinato quindi a disperdersi in rivoli periferici o a cristallizzarsi in formule mano a mano superate e anguste. Questa è stata a lungo, seppur con diverse sfumature, l'opinione degli storici dell'arte veneta. Tuttavia, questa definizione d'ambito ge nerale, non ha impedito di riconoscere, soprattutto in Alvise (cosa che aveva spinto lo stesso Berenson a una breve fiammata di passione alvisiana, come s'è anticipato, e a provocare una curiosità intensa e proble matica nei suoi confronti in Longhi e Zeri) segnali di indubbio valore e di inaspettata vitalità, destinati però (forse anche per limiti oggettivi toccati alla sua produzione cau sa la cattiva salute quindi per la scomparsa prematura dell'artista che lasciò numerose opere incompiute) a spegnersi silenziosa mente. Verificare quest'assunto - o questa opinione diffusa - è il compito del nostro im pegno. Siamo fermamente convinti circa l'importanza e la qualità dei Vivarin i, da una parte; e, dall'altra, ci appare innegabile l'apporto che essi hanno dato all'affermazione e al consolidamento di quel tessuto artistico sul territorio che tanto ha contribuito a forgiare i caratteri inconfondibili di una parte almeno e non secondaria della cultura figu rativa veneta e addirittura adriatica di qua e di là del golfo di Venezia. Perché di questo si tratta alla fin fine riconoscere su quali veicoli, lungo quali strade, attraverso quali
mediazioni un linguaggio si sia formato e abbia conosciuto un'espansione e una fortuna tanto qualificanti. Dal Gotico fiorito alla Rinascenza Va detto subito che ne furono veicoli privilegiati gli ordini religiosi mendicanti, francescani su tutti ma si deve altresì distinguere tra conventuali e osservanti pur dentro la galassia minorita e, in tale direzione, inseguire scelte iconografiche, tradizione consolidata e, magari, affermazioni clamorose di nuovi protagonisti e di nuovi miti (basti pensare a come Bernardino da Siena dopo la fulminea canonizzazione nel 1450, a soli sei anni dalla morte, conquisti definitivamente e quasi prepotentemente la scena scalzando magari altre figure); quindi domenicani, serviti, agostiniani, canonici regolari e altri ancora; poi clero secolare, parroci e pievani, prelati. E, ìn fine, non certo ultimi per importanza, i com mittenti laici, sia confraternite e associazioni devote, che le classi di governo e di potere, famiglie o singoli protettori, mercanti, titola ri di cappelle o di altari. Sarebbe ingenuo a questo proposito tener separate, nella individuazione delle linee di committenza, le differenti famiglie dentro agli ordini mendicanti e le personalità che occupavano posizioni di vertice negli stessi abati, vicari generali, priori, badesse, maestri e maestre dei noviziati, professori di teologia .. Infatti codesti vertici erano il più delle volte appannaggio proprio dei cadetti di importanti dinastie pa trizie. Ecco allora che il panorama si presenta più complesso e articolato di quel che si sarebbe potuto supporre. Anche la presenza dei Vivarini (delle loro opere) si confronta e si alimenta in questo humus, partecipa all'articolarsi e diffondersi di modelli e tendenze, ne registra l'affievolirsi e, magari, l'oscillare delle fortune e la definitiva messa in crisi. Su questo punto si tornerà brevemente più oltre. Ma il settantennio scarso che ha visto attivi i tre artisti è stato una parentesi tutt'altro
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che marginale nella storia e nelle fortune di il nostro terzetto pare bisognoso, per la sua quel rinnovamento radicale che ha imposto fortuna critica, di appoggi "esterni" e debba un repentino balzo in avanti alla pittura la - quindi per così dire venir certificato e legitgunare e veneta, portandola dalle sognanti timato da contiguità più o meno prossime e plaghe cortesi e fiorite dei Giambono o dei più o meno evidenti. È vero: Antonio è in Gentile da Fabriano, dagli eleganti han- scindibilmente collegato a Giovanni d 'Alechements delle madonnine gotiche avvol- magna e, insieme, i due fanno l'esperienza te nei ramages dorati dei mantelli preziosi di del Castagno, poi di Paolo Uccello per aptino alle citazioni classiche dei piedistalli prodare, in Padova, al fianco di Squarciane, fatti con rocchi di colonna a festoni corin- Pizolo e Mantegna, forse burrascosamente. zi, alle levigate rotondità delle anatomie del Bartolomeo, poi, sembra talora vivere di luce divin Bambino che benedice o sguscia tra riflessa, se pur se ne riconoscano originalità le mani affusolate e delicate della Madre, ai e inventiva: così mantegnesco e così vicipaesaggi sognanti e quasi fiamminghi su no all'omonimo Montagna, così "scolpito" pianure verdissime e fiumi brillanti di luce da rivelare una matrice donatelliana e così vespertina. Fintantoché toccherà ad Alvise, grafico da far pensare a xilografi tedeschi e il più giovane e problematico dei tre, tenta- agli asciuttissimi e quasi medaglistici ritratti re strade impervie o addirittura pressoché di Jacometto Veneziano; così fiammingo, impraticabili per gli strumenti ereditati a puntuale e preciso come certo giovane Carbottega; a lui capiterà di essere affascinato paccio (e, talvolta, Cima) Mentre Alvise darà e turbato da veneziani e padovani, da Anto- talora l'idea di trovarsi spaesato a nuotare o nello e dai tedeschi; dai toscani e dai lom - . navigare in un mare profondo e tempestobardi, da Tura e de' Roberti fin sulla soglia so, tirato di qua e di là tra Mantegna e Giam dell'universo giorgionesco; magari anche bellino, tra Basaiti, Montagna e Girolamo da a far da maestro all'inafferrabile de' Barbari Treviso per misurarsi, infine, in faccia ad e a lasciar traccia eloquente nella pittura di Antonello e Perugino, in un sorprendente Lorenzo Lotto. Se i tempi, i gusti e le con - balzo in avanti. È un processo critico che dizioni culturali erano cronologicamente non tocca solo ai nostri tre Vivarini, anzi, ancora vicinissimi rispetto agli anni in cui il è abbastanza diffuso nel mondo della stopadre aveva guardato a Jacobello, a Gentile ria dell'arte; ma nel loro caso appare così da Fabriano, a Giambono (forse allo stesso insistente e ricorrente che la cosa non può misterioso Antonio da Negroponte?) come lasciare indifferenti. E non può non sollecia delle stelle polari o a irrinunciabili maestri, tare a cercare di andar oltre a questo, per alla sensibilità di Alvise risulterà invece side - tro non disprezzabile, passaggio per definire ralmente lontana da questi modelli si potrà caratteri propri e distintivi alle tre differenti allora dire che una rivoluzione c'è stata, nel- "maniere" vivariniane di essere autonomi e la bottega dei Vivarini, repentina radicale e partecipi di quella transizione tra epoche e incompiuta, spezzata, per così dire, ma di gusti, tra linguaggi e inflessioni dialettali in certo non inconsapevole. cui è maturata la natura e sono emersi i ca È un dato abbastanza significativo che si ratteri della modernità rinascimentale. sia sempre sentita la necessità di accostare all'itinerario culturale dei Vivarini, ossia alle L'orizzonte Mantegna loro stesse conquiste artistiche, altre storie, Ci sono, quindi, dentro a un così variega altre esperienze, altri linguaggi; cioè più di to panorama, punti fermi e approdi sicu quel che sia accaduto per altri protagonisti, ri? Potremmo rovesciare il punto di vista e
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p.18 [cat. l.J Antonio Vivarini, Polittico di Parenzo. 1440 pp. 20. 21 [cat. 4] Antonio Vivarini . Matrimonio di santa Monica. San/Ambrogio battezza sant'Agost,no. alla presenza di santa Monica. 1441 circa pp. 22-23 [cat. 5.J Giovanni d'Alemagna (già attribuita ad Antonio Vivarini). Santa Apollonia privata dei denti. 1440-1445 circa. part.
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21
[cat. 3) Antonio Vivarini e Gi ovanni d'Alemagna, Madonna in tro no con il Bambino, 1443 circa, part.
chiederci se anche Mantegna e Pizolo hanno guardato alla coppia Antonio VivariniGiovanni d'Alemagna dentro al problematico cantiere degli Eremitani allorché, pur di seguire la nuova atmosfera padovana, questi lasciano addirittura Venezia e ad altri il compito di eseguire una copia del loro monumentale Paradiso di San Pantalon per dedicarsi piuttosto alla modernità incombente, gli occhi attenti e curiosi delle novità di Masolino (e Masaccioì); Bartolomeo, per parte sua, contribuirà efficacemente alla fortuna di uno o più generi ibridi e inimitabili, ricchi di smalti e paste vitree, riflettenti come fondi dorati in certe sue cosette devozionali, specie le Madonnine; ma darà, soprattutto, coscientemente il via all'affermazione di talune sacre conversazioni colte e preziose ritagliate in horti conclusi più seducenti e vivaci delle pale coeve di maestri di primissimo piano. E che dire di Alvise, una volta ancora, con le sue figure più allungate di quelle che costruirà Pontormo (ma solo di là a un paio di decenni) più inquiete e misteriose che in Bernardo Parentino, Marco Zoppo e Giorgio Schiavone, più ascetiche, sfibrate e flessuose di canne di palude, più eleganti degli stessi solenni protagonisti di molte scene all 'antica dipinte da Andrea · Mantegna. Si è fatto cenno a "punti fermi" nell 'itinerario artistico dei tre muranesi. L'ambiente veneziano tardo-gotico è di sicuro il primo. Quindi i vari passaggi artistici tra Venezia e Padova. Qui l'elenco, a volerlo sciorinare tutto, potrebbe dar l'impressione di un via vai affollato di geniali innovatori in viaggio tra il centro Italia e mezza Europa (se ne vedrà qui sotto la credibilità e la composizione) Il mondo padovano di Squarcione e della sua insolita scuola-bottega e, in particolare, il confronto venutosi - di fatto - a istituire con la grandezza imprescindibile e ardua di Donatello. Quindi Antonello da Messina e il suo magistero magnetico e su-
blime di tecnica e di idee. Ancora la scienza pittorica - in primis paesistica e ritrattistica dei fiamminghi, così amati e ricercati a Venezia. Infine, last but not least, la contiguità con i Bellini. Tutto questo impatta - per il nutrimen to spirituale, culturale e iconografico - in singolari, continuative e partecipate collaborazioni soprattutto con il mondo degli ordini mendicanti, come s'è detto, ma, più che con altri, con quello dei francescani dell'osservanza. Perché, e lo si dice con piena convinzione, sta proprio (anche per i nostri muranesi, come per innumerevoli altri artisti) nel rapporto con committenti e suggeritori, siano essi ecclesiastici o laici, che è giusto affrontare il problema dei Vivarini. Allorché lo si è fatto, come nel caso della Madonna dell'ex trittico oggi in San Tornaso Becket di Padova (cat 3.), con i retabli per la chiesa veneziana di San Zaccaria, con le storie di Agostino e Monica per Santo Stefa no sempre a Venezia (cat 4 ), i risultati non sono mancati. Così come è accaduto per i dipinti pugliesi (sia di Antonio che degli altri due suoi parenti) per i quali vale proprio in pieno la raccomandazione di seguire le oscillazioni e gli svolazzi dei sai francescani per ritrovarsi sul tavolo qualche cosa di ben eloquente. È inoppugnabile che, nonostante le origini comuni e i vincoli familiari, i tre mostrino personalità spiccate e indubbia libertà di linguaggio, salvo poi mescolare le mani e adottare una sorta di livello qualitativo medio condiviso in opere ritenute meno significative e impegnative, più di routine insomma. Ma se anche per mera curiosità si accostano le prime tavole di Antonio a quelle finali di Alvise (e lo si potrà fare, dal vero, per la prima volta dal lontano Quattrocento quindi davanti alle opere richiamate in occasione della nostra mostra di Conegliano) si potrà apprezzare l'ampiezza del percorso compiuto dal sodalizio in quei sessanta-
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settant'anni. Per converso, restano talora vincoli e battute d'arresto (non si sa se volute o quasi esibite per ribadire una linea e delle scelte di gusto cui non si intende - o non si può - rinunciare) che rendono inevitabili e legittimi dubbi e interrogativi (equesto anche a non voler scomodare e affrontare di petto il solito dilemma circa l'apporto della bottega chi la frequentò e come, quali ne furono le caratteristiche, quale il livello di autonomia dei singoli collaboratori e allievi) Giovanni todescho tra Padova e Venezia I Vivarini si affacciano con successo sul palcoscenico dell'arte veneziana all'incirca nel quarto decennio del Quattrocento. Antonio, il fratello più anziano, inizia, per quel che se ne sa, a firmare le sue opere nel 1440, anche se questo non esclude che abbia potuto lavorare e produrre già da qualche anno. Sin dagli esordi dell'attività della bottega compare un altro protagonista che con Antonio entra in società e che di Antonio sposa una sorella. Si tratta di Giovanni d'Alemagna, un versatile artista tedesco (compare come de alemania, de Ulma, todescho, teotonico,Alamanus ecc. in vari documenti e sottoscri-
Bartolomeo Vivarini, San Giovanni da Capestrano. 1459, Parigi, Museo del Louvre
zioni, come ha diligentemente catalogato e discusso il suo più autorevole studioso, Ian R Holgate) di cui solo di recente è stato possibile ricostruire, almeno in via ipotetica, il profilo e che era già famoso all'inizio degli anni trenta in ambiente padovano con una rete di relazioni e di contatti che ne aiutarono l'affermazione anche a Venezia. Qui, infatti, egli ottenne incarichi importanti che gli furono assai utili per conquistare ulteriori committenze a Padova. È per noi di particolare interesse questo suo impegno per dipinti parietali a fresco e a olio in una tribuna e nella cappella del palazzo del vescovo di Padova nel contratto, infatti, in cui si precisano natura e programma dell'intervento padovano, il termine di riferimento è il precedente lavoro realizza,to per una del-
le più opulente e potenti famiglie lagunari, quella dei Corner del ramo Piscopia, nel loro palazzo (oggi Loredan) vicino a Rialto. Le due imprese decorative comprendeva no, stando al documento in questione, una fascia di grandi scene («hystorie grande») quindi una d1 dimensioni minori («hystorie pizole in frixi»); sotto a questi fregi, poi, c'erano riquadri di finti marmi e trafori in trompe l'ceil («serpentini et perfidi [porfidi] et dyaspri et strafori tuto a olio») Un'attività - è legittimo presumere - sospesa tra rimandi a tradizioni cortesi e gotiche, a quelle pareti decorate in castelli e palazzi con scene di vita stagionale ovvero, in chiese e conventi, con episodi dal Vecchio e Nuovo Testamento, vite dei santi, promesse di salvezze eterne o minacce di altrettanto eterne dannazioni; tradizione, però, rianimata di nuove atmosfere, di nuove personalità alla ribalta, di eroici furori e di compassata eleganza classica, di mondi cortesi e favole mitologiche scene tutte montate in cubi spaziali e prospettici calcolati con esattezza matematica e assolutezza geometrica. Giovanni d'Alemagna è, quindi, un maestro affermato e assai attivo allorché si associa ad Antonio Vivarini (1441) con il quale lavorerà firmando a quattro mani tavole e polittici per quasi un decennio. È oggi improponibile una riduzione del suo ruolo a esecutore di fregi e decori, a doratore e a modellatore dei rilievi in pastiglia al contrario, la sua figura si pone al centro di una stagione tormen tata ~ "di passaggio", quella che vede le affermazioni di un inedito orizzonte artistico e culturale mentre declina inesorabilmente il vecchio mondo. Non si trattava, naturalmente, di una svolta epocale che riguardasse solo il territorio delle arti figurative, come è ben noto. Ma nel dominio di questi saperi entravano prepotentemente acquisizioni, consapevolezze, sensibilità e volontà che portavano ad emergere a ogni livello possibile di percezione e di comunicazione le
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novità rilevanti che già da tempo avevano dena cultura nuova da Maso lino da Panicatrovato cittadinanza nene indagini dei dotti le ad Andrea del Castagno, da Filippo Lippi e nei gabinetti dei letterati, dei filosofi, degli a Paolo Ucceno l'elenco si anunga a comscienziati. Gli artisti traducevano in segni prendere personalità di primo e primissimo e forme percepibili o in clamorosi ri-trova- piano, ma culmina con Donateno a Padova menti eri-scoperte quel che poteva apparire (e a Venezia) dove la sua presenza e la sua il riconoscimento o il disvelamento di sa- attività diventano il fulcro generatore di un pienze arcane, a lungo sepolte nei recessi di moto profondo e inarrestabile. Questo fu una coscienza assopita, intorpidita nel lungo anche il detonatore che innescò \'esplosiosonno succeduto agli orrori di una barbarie ne incontenibile e dagli effetti strepitosi delconfusa e brutale o impaniata nena ragna - la bottega-atelier di Francesco Squarciane e, soprattutto, il trampolino per un gigante tela di un formalismo virtuosistico e cifrato. Non che \'abbandono dena maniera gotica come Andrea Mantegna. fosse un cammino facile o naturale: la versatilità di quena lingua, la sua plasticità e la Le osservanze religiose e la riforma sua ricchezza, la straordinaria impalcatura della Chiesa concettuale e la perfetta gerarchia dena sua Una volta di più appare d'obbligo tracciaarchitettura formale erano pur sempre ga- re - se pur in linee generalissime e foca ranzia di efficacia e di successo. La morte hzzando suna storia culturale - una sorta del Gotico (dei Gotici) fu lenta e conobbe di canovaccio di contesto per una pittura e splendori abbaglianti (riuscì anche, in talu- un'esperienza d'arte che rischia altrimenti di ne aree, a sopravvivere rocambolescamente presentarsi come incomprensibile e monca. fino a confondersi con la propria riedizione I caratteri den'umanesimo lagunare son ben o riesumazione, più avanti di alcuni secoli) noti attorno ana canceneria ducale piuttosto Da noi, invenzioni autoctone unite an'assal- che ane scholae filosofiche, agli horti mura to dene truppe toscane, espugnarono con nesi e agli studi di matematica e computi successo le cittadene del Gotico fiorito e steria, di astronomia e di esegesi scritturale cortese nei primi anni trenta del Quattro- veniva coltivandosi il mito di Petrarca vecento si può dire che il nuovo corso aveva neziano e a prender forma e vigore il coneoramai conquistato posizioni strategiche se zionismo antiquario. Ma non meno impornon proprio sbaragliato il campo, e mentre tante, anche ai.nostri fini, era il travaglio che iniziava la costruzione dena Porta dena car- attraversava la Chiesa in tutte le sue declita di Palazzo ducale, impresa finale e subli- nazioni e ramificazioni, nei suoi tentativi di me di una stagione gloriosa, il nuovo gusto riforma e nena sua progressiva e per taluni dettava legge in architetture religiose e pro- pericolosa secolarizzazione. È da quest'ottifane, in cicli pittorici, in panneni a mosaico, ca che conviene riprendere le fila del nostro in vetrate policrome, in sculture rivoluzio- ragionamento pittorico. È fuor di dubbio, narie nene quali convivevano lo spirito dena infatti, che la vicenda artistica dei Vivariclassicità non meno che il gusto dena speri- ni sia strettamente intrecciata con la storia mentazione e la sfida dena modernità. È sta - dena pietà e dena devozione, essendo la loro to più volte stilato l'elenco degli ambascia- pittura tutta di soggetto sacro (solo di Alvise tori (toscani per lo più ma anche in questo conosciamo alcuni - pochissimi - ritratti e caso sarebbe ingenuità caricare di eccessi- \'esistenza di un telero d'argomento storico vo peso tali presenze, che ci furono ma il cui per la sala del Maggior Consiglio di Palazzo influsso va opportunamente dimensionato) ducale, peraltro andato distrutto con l'intera
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[cat. 10] Anton io e Bartolomeo Vivarini, Polittico di Arbe, 1458
[cat. ll] Bartolomeo Vivarini. Madonna in trono con il Bambino e santi, 1465
decorazione della sala, nel grande incendio del 1577, e di un altro, pure bruciato, per la Scuola di San Girolamo; sorte toccata anche a un'ulteriore tela con imprecisate «storie di Burano» dello zio Bartolomeo per la Scuola di San Marco); per tutto il rimanente della produzione pittorica dei Vivarini gli elementi profani son da ricercare dentro alle storie e alle scene agiografiche, come i battesimi, i martirii, e le esecuzioni capitali. Così risulta incontestabile che le loro fortune procedono quasi di pari passo con quelle del movimento riformatore in senso rigorista della osservanza, come s'è anticipato. Fu questa una realtà trasversale agli ordini e alle famiglie religiose che ne sconvolse l'organizzazione interna e la stessa geografia distributiva sul territorio. Alla osservanza, che ebbe i suoi leader e che propugnava un ritorno integra le alle regole e agli statuti fondativi degli ordini religiosi, oltre che a un'applicazione dei precetti evangelici originari, si opponeva il contro-movimento dei conventuali, cioè di quella parte di frati, monaci, monache e terz'ordini che non gradiva l'inasprimento rigorista e talvolta fondamentalista della osservanza preferendo rimanere nel clima via via riformato e permissivo instauratosi in molte comunità. E i Vivarini7 Può significare molto, sia in rapporto ai committenti che alle loro stesse scelte iconografiche, che i soggetti della loro pittura siano in maniera massiccia le immagini di esponenti - ideali o addirittura operativi - dell'osservanza. Bernardino da Siena sopra tutti. Bartolomeo firma, assieme al fratello maggiore Antonio, il Polittico di Sant'Eufemia ad Arbe (Rab) (cat 10 ) chè appunto ha come protagonista centrale il santo senese, tra gli immancabili Francesco e Antonio. Stesso discorso vale per il Polittico di Morano Calabro e per altri complessi decorativi. Ma egli è anche l'autore di un pannello che appare come una sorta di manifesto ideologico. Si tratta della raffigura-
zione di San Giovanni da Capestrano, oggi al Louvre. La committenza, in questo caso, era di origine feudale, trattandosi di un pannello voluto dai conti di Celano per il loro castello di Gagliano Aterno. Giovanni, come si sa, era il campione indiscusso dell'osservanza in ambito francescano: predicatore focoso, leader della lotta contro gli eretici (gli hussiti, nel suo caso), riformatore intransigente fu, assieme a Bernardino da Siena, addirittura denunciato all'Inquisizione per questa sua tendenza, uscendone assolto. Giovanni viene rappresentato con un vessillo crociato nella destra che porta l'effigie di Bernardino da Siena. Dall'asta si srotola un cartiglio con la scritta «Deo. Aut(em). Gratias. Qui. Dedit Nobis. Victoriam P(er) J(esum) X(ristum) D(ominum). N(ost)r(u)m» Un'ulteriore iscrizione sul parapetto di fondo spiga che si tratta di Giovanni da Capestrano «ordinis minorum de observancia». Il vessillo crociato si spiega con il ruolo quasi militare che egli ebbe infiammando i combattenti con la sua parola alla testa di un esercito di cinquantamila uomini nel contrastare l'avanzata turca nella battaglia di Belgrado nel 1454. Il dipinto di Bartolomeo ha data (1459) assai prossima all'anno di morte dell'effigiato, possiamo quindi ritenere di avere a che fare con un ritratto per così dire "dal vero", per quel che vale - ed è assai poco - un'espressione del genere a questa data; di certo però l'opera potrebbe essere stata redatta su tratti fisiognomici direttamente o indirettamente conosciuti dall'artista in occasione delle predicazioni veneziane del futuro santo nel 1451 o a lui tramandati da testimoni oculari. Anche se si deve riconoscere che il tipo dell'asceta e del penitente appare esemplato sul modello assai fortunato di Bernardino da Siena (anche Mantegna si misura sul tema nel suo piccolo "ritratto" di Bernardino dell'Accademia Carrara di Bergamo). Ma, su questo argomento, molto si è scritto ed è quindi superfluo ritornarci ancora una volta.
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Un umanesimo cristiano È nel territorio temporale che si stende tra
[cat. 15 J Barto lomeo Vivarini, Sacra conversazione,
1476,part.
l'esordio e le affermazioni dell'osservanza e le manifestazioni di un umanesimo cri stiano che annovera un buon numero di esponenti e alcune delle menti più brillanti del XV secolo (assai spesso impegnate nella non sempre facile mediazione tra la gran de cultura pagana classica e le insorgenti istanze di dedizione totale all'elevazione spirituale e all'impegno per la purificazione della Chiesa); in quel territorio, quindi, si colloca anche la "militanza" artistica ed etica dei nostri Vivarini. Nessuna favola pagana, nessuna scena mitologica, nessuna pastorelleria arcadica, nessuno degli «dei falsi e bugiardi» di cui si compiacevano gli artisti e i poeti alla moda fa capolino nelle loro opere . Giovanni Dominici, domenicano fiorentino rappresentante sommo dell'osservanza tra fine Trecento e primo Quattrocento ma a lungo attivo a Venezia, dove professò la sua fervente sequela di santa Caterina da Siena e poi cardina le, pretendeva sempre e solo ascetismo, vita sobria, digiuno e silenzio, oltre a un ridimensionamento dei valori e della cultura pagani nel suo Locula Noctis (Lucciola della notte) Sarà però proprio il grande erudito Ermolao Barbaro seniore a rigettare la cultura classica pagana domandando - e domandandosi - retoricamente a metà Quattrocento in una delle Orationes contra poetas: «Quale perdita pensi subirebbero gli adolescenti se non fosse loro insegnato dai poeti quali sono state le fatiche d'Ercole, né sapessero ch'egli strappò Cerbero dagli inferi, sopraffece Anteo e Gerione, sconc fisse la belva erimantea e pose le colonne nell 'Atlantico7 Se non sapessero che Teseo liberò il suo paese e distrusse Ariadne, e che Giasone con quegli stessi Argonauti fece vela verso la Colchide, s'impadronì del vello d'oro e rapì Medea, strega, prostituta e parricida7»
Il primato della cultura cristiana doveva uscirne, cioè, in tutta evidenza, addirittura riscattando limiti e debolezze, bugie e inganni del rigettato mondo pagano . Tra questi margini etici e spirituali si muove - almeno sotto il profilo dei contenuti - la pittura dei Vivarini, arrivando anzi a definire dei tipi iconograficamente fortunati la soavità di Antonio, la mite manifestazione stigmatica di Francesco, l'ascetismo quasi anoressico di Bernardino da Siena; Nicola di Bari vescovo di Mira, e Girolamo pressoché onnipresenti, soccorrevoli e penitenti senza perdere in imponenza e autorevolezza; quindi Pietro da Verona, che accetta e si sottomette al suo martirio. Incomparabilmente meno presenzialisti che in molte tavole d'altare coeve sono gli inseparabili apotropaici Sebastiano e Rocco mentre anche Cristoforo e Giorgio il più delle volte latitano. In compenso Agostino e la madre Monica sono new entry di peso. Nulla di casuale, ovviamente la diffusione della osservanza e la riforma delle regole monacali e conventuali sono fattori che determinano la fortuna di queste figure e la loro massiccia presenza nei nostri dipinti. San Girolamo, inoltre, costituisce nella sua duplice veste di cardinale e di penitente, di grande intellettuale latino impegnato a rivendicare la pari o maggiore dignità della cultura cristiana su quella classica, autore, oltre che della traduzione della Bibbia (la celeberrima e utilizzatissima Vulgata), di testi fortunati come il De Viris illustribus; fondatore di comunità monastiche maschili e femminili, egli costituisce, quindi, la figura perfetta dell'intellettuale dedito a mettere la propria scienza al servizio dell'evangelizzazione, un esempio di straordinaria fortuna ed efficacia iconografica. E poco importa se la sua promozione cardinalizia sia dovuta a nulla più che a un equivoco d'interpretazione di testi antichi.
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Ritorno alle origini Insomma, la riforma della Chiesa e della vita religiosa appare, nel Quattrocento, un tema portante dell'intera societas christiana ma non meno centrale nello sviluppo di soggetti e tematiche laiche, dell'erudizione e delle scienze, dei saperi e delle lettere. Il tutto, va sottolineato, è dominato dall'esigenza - ricorrente - di un ritorno alle origini, di una restaurazione etica, di una vera e propria rifondazione degli stili di vita, dei modelli di comportamento, dei capisaldi culturali irrinunciabili e qualificanti dell'uomo moderno. Se a questo aggiungiamo le condizioni di disagio che l'uomo quattrocentesco deve affrontare e alle quali sovente soccombe (guerre, stragi, carestie, povertà, scontri di religione e, soprattutto, epidemie e pestilenze) possiamo renderci conto con sufficiente evidenza che questa stagione fu vivace e innovativa ma fu altresì tormentata e tragica, che fece emergere irrinunciabili radici culturali semi-dimenticate ma che si ritrasse - talora - impressionata e sgomenta dalle sue stesse potenzialità di elevazione e, ugualmente, di dannazione, inebriata di successi e m inacciata dalla sua endemica fragilità strutturale. I movimenti penitenziali e flagellanti, le processioni e le funzioni espiatorie, le infiammate e plateali dimostrazioni (quasi delle crociatel) delle compagnie dei Bianchi (1399) appaiono come testimonianze non confutabili della mobilità e della insicurezza di un momento di crisi d'altra parte che cosa se non l'esasperazione dei contrasti, i disordini morali, l'approfondirsi delle divisioni sociali, la caduta delle speranze e l'incertezza del futuro saranno la culla per le invettive dei quaresimalisti e per le fosche immagini evo cate da moralizzatori, censori e apocalittici come Girolamo Savonarola7 Scomunicato, impiccato e bruciato, non si dimentichi, il 23 maggio del 1498 quasi a emblematico suggello di un secolo di tensioni e contraddizioni (fatto servo di Dio a seguito della causa di
beatificazione promossa solo nel 1997 a cin quecent'anni dalla tragica morte) Sarebbe però indebito dimenticare l'ope ra di quanti, con esemplare sollecitudine e spirito costruttivo e pragmatico, operavano in ambiti caritatevoli e assistenziali. Alcuni elementi del mondo minorita, ad esempio, avviarono la costituzione dei Monti di pietà, cioè degli istituti di microcredito che venivano in aiuto a indigenti potenzialmente solventi (quindi non miserabili o nullatenenti) per strapparli alle condizioni di usura e strozzinaggio praticate dai banchi priva ti (sia ebrei che cristiani) Ancora una volta si distinsero in questa direzione i minori dell'osservanza Michele Carcano, Bernardino da Feltre, Giacomo Ongarello .. J Analogo discorso si dovrebbe fare relativamente alle organizzazioni (confraternite, scuole, spedali, case di ricovero e di raccolta, cronicari) che si prendevano cura di indigenti e non autosufficienti strappandoli spesso alla mendicità e alla morte per fame, miseria, malattia, degrado fisico e morale. Gli ordinì religiosi, con maggiore o minore dedizione e partecipazione, ebbero a condividere tali situazioni e a farsene carico in termini cari tatevoli e assistenziali, portando soccorso e curando, alleviando sofferenze e confortan do, mettendo in pratica, infine, quelle "opere di misericordia" corporale e spirituale che, non per caso, gli artisti rappresentavano tanto frequentemente ed efficacemente nei rilievi dei portali delle chiese, negli affreschi delle sedi delle confraternite, nelle ancone degli altari e nelle scene devote di capitelli, cappelle e sepolture. Poiché lungo i decenni del XV secolo la Chiesa e le sue istituzioni e organizzazioni vivono tensioni assai forti e frequenti (si pensi solo, sul piano dottrinale e su quello istituzionale, al così detto scisma d'Occidente e ai due concilii di Costanza e Basilea, ovvero alla compresenza per alcu ni anni di ben tre papi ciascuno legittimamente eletto) e le correnti di riforma, di ri-
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fondazione, di rivolta dal basso, di scissione si susseguono senza interruzione (anche qui, basti ricordare movimenti come quello dei fraticelli o degli spirituali) la scelta di impegno dei nostri Vivarini a fianco, sostanzialmente, dell'osservanza appare tutt'altro che scontata. È possibile, anzi, pensare a una consapevole e lucida partecipazione, a ideali e stili di vita, a una condivisione quindi delle linee rigorose se non addirittura radicali rappresentate da personalità come Bernardino da Siena, Raimondo da Capua, Tommaso Caffarini, Giovanni Dominici e Giovanni da Capestrano Ma non erano di certo meno sensibili all 'azione di riforma morale e religiosa di grandi personalità veneziane come Ludovico Barbo o Giovanni Michiel, che avvia a rinascita nel primissimo Quattrocento il monastero benedettino di San Giorgio Maggiore; ma anche di badesse e monache di specchiata e fervida fede e devozione che fanno radicalmente ri-nascere molti monasteri femminili che erano giunti ad essere comparati, tra fine Trecento e primo Quattrocento, per opinione comune, a veri e propri «pubblici bordelli e pubblici lupanari» non perseguiti a dovere perché quelle monache - come testimonia un osservatore attento quale Girolamo Priuli - erano «fiole over sorelle, over parenti de li primi Senatori, quali governavano la Republica Veneta, et similiter li nobili veneti, et luxuriosamente conversavano in simili monasteri cum simile monache, herano fioli, fratelli, nepoti deli supradicti Padri Ve neti I ]» Si era creato quindi un regime di colpevole connivenza per cui gli stessi che avrebbero dovuto indagare, giudicare e reprimere «non lasciavano prociedere avanti le querelle» insabbiando le pratiche perché erano loro stessi a commettere i crimini. Tuttavia anche i monasteri femminili parteciparono alla riforma in seno all'osservanza, come si è anticipato, grazie all'opera di badesse come Eufemia Giustiniani a Santa
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Croce della Giudecca o Lucia Tiepolo nel monastero divenuto domenicano riforma to del Corpus Christi o Marina Celsi e Donata Trevisan nel neoistituito monastero benedettino osservante dei Santi Cosma e Damiano, sempre alla Giudecca. E sono spesso proprio badesse e monache influenti ad affidare importanti commesse ai Vivarini il caso dei Polittici per la chiesa di Santo Stefano non meno che i tre della cappella di San Tarasio a San Zaccaria nascono proprio dalla pietà e dall'impegno culturale di Marina Donà e Elena Foscari, di Margherita Donà e di Agnese Giustinian. E già dai nomi è facile capire quali fossero gli ambienti da cui uscivano siffatte personalità. I Vivarini alla prova. Antonio Altrove, in questo stesso catalogo, si parla esaurientemente della formazione, dei percorsi, dei caratteri della pittura (meglio delle pitture) dei Vivarini e quindi a ciò si rinvia per la ricostruzione e messa a fuoco di un patrimonio di forme, di segni e di qualificanti invenzioni linguistiche; di presenze e di relazioni su aree geografiche e su territori politico-amministrativi dentro e fuori i confini della Repubblica; su un complesso di esperienze culturali religiose e civili che segnarono fortune e sfortune dei nostri artisti. Ci si limiterà quindi ad alcune sottolineature e ad alcuni accenni di lettura con particolare riferimento alla problematica e pur vitale eredità lasciata da questa straordinaria e variegata bottega, specie nella sta gione drammatica e finale del suo ultimo esponente, tra crisi d'identità e discontinuità linguistiche, sperimentazioni ardite e brucianti, intercalate a nostalgie accorate e patetiche. Ma vi è un'ulteriore evidenza che non può essere trascurata: le storie - parallele o convergenti - dei nostri protagonisti non si sviluppano lungo un asse diacronico lineare e continuo, Non solo, infatti, le parabole di ciascuno dei tre alternano periodi di
pp. 36-37
[cat. 21] Alvise Vivarini, San Girolamo penitente,
1476-1477 circa, pari.
Alvise Vivarini, Madonna in trono con il Bambino e i santi Ludovico di Tolosa , Antonio, Anna, Gioacchino, Francesco e Bernardino da Siena (Sacra conversazione), 1480, Venez ia, Gal lerie dell'Accademia
impegno e di fresca inventività ad altri più stanchi e dotati di minor tensione creativa; ma le stesse direzioni di marcia variano sensibilmente tra innovazioni e ritorno all'indietro, tra ricerca e riproposizione di moduli oramai consunti. A questo si aggiunga l'intreccio spesso inestricabile tra le diverse mani (anche al di là di firme e datazioni autografe} e il peso dell'atelier e dei suoi componenti. La pittura dei Vivarini appare allora una sorta di corrente composita e in continuo movimento, un accavallarsi di suggestioni, avvallamenti e creste spumeggianti, distese piatte e pur vibranti di agitazioni profonde e insondabili, colpi di genio, aperture in avanti e verso l'esterno. Antonio Vivarini (da solo o associato al cognato Giovanni d'Alemagna} interpreta brillantemente il ruolo di traghettatore di lusso. Egli appare conoscere e utilizzare le acquisiziorn linguistiche dei grandi del Gotico fiorito ma anche di sapersi liberare da quella sorta di tutela (e di condizionamento} che il linguaggio del Gotico gli garantiva indirizzandone i destini. È singolare la libertà che egli dimostra movendosi in siffatto panorama ma subordinandone gli strumenti ai fini di una personalissima linea poetica. Quando firma il Polittico di Parenzo (cat 1) · egli non prova alcuna soggezione né sotto il profilo iconografico né linguistico in senso proprio verso la tradizione. L'asciuttezza dei suoi personaggi, la sobrietà di gesti, posture, cOstumi e decori, la semplificazione dei tratti fisiognomici e anatomici rivelano addirittura un certo fastidio verso le ricercatezze giamboniane, i sofisticati simbolismi gentileschi, gli ammiccamenti floreali della maggior parte dei suoi contemporanei. Le vesti cadono a piombo, i corpi presidiano lo spazio, le figure sacre non rivelano alcuna debolezza pietistica, dominano piuttosto che esser dominati dal destino che ha predisposto i loro martirii o i loro trionfi. Ma sono scomparse anche le asperità taglienti
delle pieghe dei costumi, la convenzionalità delle ombreggiature, i virtuosismi delle lumeggiature in oro. Le Madonne in trono hanno alzato la testa, e i santi padri hanno lasciato cadere la loro freddezza come di manichini in esposizione per prender corpo e carne, per uscir fuori dagli stessi apparati scenografici che li vorrebbero isolati su pie distalli e comici mentre, se pur t1midamente, compaiono i primi brani di paesaggio. Il rutilante sistema delle ancone nella cappella di San Tarasio a San Zaccaria segna una sorta di fuoco d'artificio finale e irripetibile del Gotico che muore, mentre il gigantesco Trittico della Scuola della Carità saluta una stagione che si apre alle novità culturali vincenti. Questo processo sarà ulteriormente arricchito dalle serie di micro-istorie messe in forma da Antonio e Giovanni d'Alemagna nei celebri cicli di Sant'Apollonia (cat 5 }, di Santa Monica (cat 4 } e di San Pietro martire che tanto contribuiranno ad arricchire e aggiomare la pittura veneziana all'esordio degli anni quaranta del Quattrocento. Poi l'elaborazione critica e linguistica di Antonio si era per così dire affievolita e si era addirittura allontanata da quelle suggestioni masolinesche riconoscibili nelle prime Madonne e nello stesso diversificato e contraddittorio trattamento del tema del Cristo passo, cioè dell'Uomo dei dolori, che aveva nelle sue prime manifestazioni, e a ragione, fatto supporre e intravedere il passaggio di Masolino tra le lagune di ritorno dall'Ungheria. Il transito tutt'altro che marginale nella padovana cappella Ovetari a fianco di Mantegna e Pizolo è l'altro pilastro delle novità linguistiche sia di Antonio che del fratello Bartolomeo. L'a,.scesa di Bartolomeo Bartolomeo, lo si è detto spesso, accentua il suo impegno e focalizza il suo interesse per far compiere alla pala d'altare il cruciale passaggio dalla tipologia modulare del polittico alla scena unitaria della "sacra con-
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versazione" di cui si parla da tempo, grazie soprattutto alle ricerche di Peter Humpfrey e ai numerosi approfondimenti successivi. Né fu, questo, impegno da poco, come si può ben vedere anche nella nostra mostra se si mettono in successione, dopo i polittici di Antonio, Giovanni e Bartolomeo (a firma singola o in coppie ad assetto variabile) le pale - tutte del solo Bartolomeo - di NapÒli (cat 11 ), di Lussino, di Bari (cat 15) e oltre. Si potrebbero comodamente tracciare percorsi differenziati e "sentieri che si biforca no" (ovvero s'incrociano) dentro allo straordinario e rigoglioso campo fiorito della pala d'altare nella pittura veneta del secon do Quattrocento percorsi che potrebbero sì condurre da Bellini a Bellini (dalla pala - bruciata - di Santa Caterina ai Santi Giovanni e Paolo a quella di San Giobbe e, poi, a quella di San Zaccaria, ad esempio, ma gari inframmezzando la serie con opere di Cima da Conegliano); ma altri potrebbero condurre altrove e con itinerari anche con trapposti: per esempio, dalla pala di Domenico Veneziano per Santa Lucia de' Magnoli a Firenze (1445-1447) a quelle di Bartolomeo Vivarini, di Andrea da Murano; poi anche a quelle di Carpaccio veneziano e istriano, per finire magari al primo Lotto. E che dire di Andrea Mantegna, di Bartolomeo Monta gna, del Bonsignoreì L'esercizio è intrigante e conduce a paesaggi critici variegati, a esperienze plurime, a scorgere tradizioni e tradimenti; a contemplare integrazioni e rifiuti, prestiti e citazioni in un incalzante avvicendamento di protagonisti e di stili, di mode e di gusti, di stagioni e di climi. Quanto all'iconografia, nei fatti e semplificando al massimo grado, vediamo affermarsi uno schema piramidale con la Vergine al centro su un trono sopraelevato e, attorno, uno schieramento di santi in meditazione, ciascuno chiuso nella fissità immobile della sua interiore contemplazione. Talvolta alla Vergine si sostituisce un santo o una san-
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ta, ma non muta lo schema portante. È del massimo interesse la definizione dell'am biente fisico-architettonico che ospita queste messe in scena plein air, paesaggio con sfondo montuoso o fluviale, rovine antiche e architettura diroccata o architettura moderna composta a delimitare un hortus eone/usus e altre soluzioni ancora; sappiamo bene che ciascuna scelta è portatrice di un messaggio simbolico oppure lo svolgimento di un tema iconografico qualificante. Bartolomeo però si caratterizza anche per altro, un quid che lo rende inconfondibile tra tutti l'accentuazione dei tratti fisiognomici scavati e ripassati in linee continue e avvolgenti, con barbe e capigliature che sembran prese dalle xilografie di Schongauer o del primo Durer, con una insistenza incisoria a marcare nasi e bocche, a rilevare con coloriti accesi anche i volti degli angioletti, come se fossero precocemente dediti al piacere della tavola. Figure che nei momenti migliori hanno l'aplomb di sculture classiche, la compostezza soda e pacata di gran mercanti o di teologi da università; altrimenti l'atteggiamento è quasi caricaturale, da guerrieri a riposo. Mentre si assiepano frati e predicatori, e allora i volti si scavano e i corpi perdono d'imponenza per assumere le fattezze da eremiti a digiuno, suggeren do altresì quella contiguità dei Vivarini con i modelli e le personalità dell'osservanza. Poi anche Bartolomeo si rifugia nel suo mondo, si ferma quasi a osservare le affermazioni di altri artisti e botteghe, molto concede a una committenza più pigra e meno informata, più lontana, nostalgica. Egli allora ci fa quasi dimenticare il cultore appassionato della lezione mantegnesca e s'ingaglioffisce con figure stantie, pupazzi imbozzolati in atmosfere zuccherose e gesti manierati, lasciando spazio ai collaboratori che rifan no cartoni e modelli già superati. Ma oramai il destino della bottega è affidato alle mani mature e originali del nipote.
Alvise Vivarini, Madonna in trono con il Bambino e i santi Ludovico di Tolosa, Antonio, Anna, Gioacchino, Francesco e Bernardino da Siena (Sacra conversazione), 1480, Venezia. Gallerie dell'Accademia, part.
[cat. 23 J Alvise Vivarini, Cristo portacroce, metà anni settanta del XV secolo
I turbamenti del giovane Alvise Più arduo appare il problema di inquadrare dentro un ordine logico e dentro una prospettiva critica coerente \.'attività di Alvise. Difficoltà evidente e non ignorabile perché, in effetti, egli attraversa i decenni del suo impegno operoso secondo criteri e logiche che si caratterizzano più per la discontinuità e la disomogeneità che per la regolarità pacificata di un'ispirazione ordinata e lineare. Ma da questa inquietudine egli ci appare ricavare i succhi più originali e fecondi del suo metodo e delle sue invenzioni. Se la critica d'arte ne ha fatto, e in termini piuttosto pesanti, le spese vivendo oscillazioni, in certezze e dubbi pressoché continui, anche Alvise ha pagato il suo tributo in termini di sfortuna critica e di altrimenti inspiegabile oblio. I..:itinerario dell'artista aveva preso le mosse dal mestiere appreso a bottega forse è successivamente più vicino alla lezione moderna dello zio Bartolomeo e poi a quella più acerba, ancorché più sperimentale, del padre mano a mano che si vien definendo e precisando un suo proprio metodo di lavoro. Si deve inoltre riconoscere che verso fine carriera (e vita) Alvise imprime una radicale accelerazione alla sua marcia e al suo processo di evoluzione pittorica. Questo scarto si può definire e misurare in un sostanziale abbandono di quella ieraticità contemplativa e contemplante che aveva informato di sé la pittura della bottega muranese. La prima stagione alvisiana si era sviluppata, come s'è visto, se pure con caratteri propri dentro all'universo linguistico vivariniano. Ma quel che avviene nel nono decennio del secolo è ben più di una novità quantitativa, di un semplice cambio di passo. Si tratta, infatti, di una svolta che manifesta i caratteri propri di una vera rivoluzione. Tale mutamento appare nettissimo nel Cristo risorto della chiesa di San Giovanni Battista in Bragora a Venezia, datato 1497-1498, e nella Sacra conversazione di Amiens, 1500
(opere ambedue presenti in mostra, catt. 31. e 32 ): in questi lavori egli mostra di essersi liberato da quei caratteri di fissità, da quella ieraticità contemplativa di cui si parlava più sopra, per far entrare nelle sue scene due nuovi e inediti parametri. Quello della tridimensionalità spaziale e quello del tempo. Ma la stessa cifrata preziosità di disegno, le stesse parlanti anatomie di ascetici digiu natori, le sublimi espressioni estatiche di monache e anacoreti (magari traduzioni pittoriche di Maddalene emaciate e battezzatori spettrali nelle fortunatissime sculture policrome di Donatello), le mani affusolate e sublimi, le occhiaie scavate, le capigliature a fiocchi morbidi o ciuffi corposi; soprattutto la linea forte, marcata e avvolgente traccia ta attorno alle figure, alle architetture, agli stessi elementi del paesaggio rappresenta, quella linea, quasi la negazione - nei fatti della pittura atmosferica, dell'incipiente tonalismo belliniano. Cosi come le ombre taglienti sui volti e sui corpi, i colori netti e pieni, quasi laccati, i contrasti decisi e squillanti si pongono agli antipodi della celebre (e celebrata) stesura per velature successive, per impercettibili passaggi dai corpi agli spazi, dalle vesti al paesaggio che hanno da sempre costituito la cifra inconfondibile e sublime della pittura di Giovanni Bellini, quel che fonda e conforta la sua originalità e le sue fortune (sue e poi di Giorgione e cosi via, come è ben noto) Vediamo come tutto ciò si sviluppi. Se la pala francescana di Treviso ora all'Accademia può considerarsi il punto più alto della parabola artistica di Alvise nella sua prima maniera - con la sua straordinaria con centrazione estetica, etica e spirituale, con l'impareggiabile distillazione linguistica, con scelte cromatiche di originale eleganza e sobrietà -: se tutto questo, quindi, traccia in termini certi un risultato inconfondibile oltre che in piena sintonia con la particolare tensione riformatrice e ascetica del
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[cat. 25] Alvise Vivarini, Jacopo Tintoretto, Cristo passo e angeli, anni ottanta del XV secolo (Cristo passo), anni quaranta del XVI secolo (angeli)
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mondo dell'osservanza mendicante, Alvise pare possedere piena coscienza dell'impossibilità di procedere oltre su questo piano, quindi della evidente indifferibilità del suo cambio di rotta. I quattro santi francescani (Ludovico di Tolosa, Antonio, Francesco, Bernardino da Siena) e la Sacra Famiglia allargata (Vergine, Bambino, Anna e Gioac chino) sono disposti sullo sfondo di un pesante tendone verde cupo oltre il quale, con effetto di indubbia scenograficità teatrale, si apre una bifora da cui si scorge un cielo parzialmente nuvoloso. Nello spazio centrale di questa parete, fino a superare l'altezza delle centinature delle finestre, si alza il trono della Vergine poggiato su un doppio basamento in marmo; quello inferiore in porfido profilato di pietra lavorata bianca (dove s'appunta anche il cartiglio con la firma e la data) e quello superiore, cilindrico, anch'esso in marmo profilato, su cui s'adagia, a sua volta, il suppedaneo con passa maneria e fiocchetti . Lo schienale del trono minuziosamente lavorato e dotato di un tipico fast igio mistilineo è una esplicita citazione arch itettonica lombardesca. Il contenitore è una stanza di forma regolare, forse un ambiente chiesastico, dal pavimento a quadroni bianchi e rossi proprio partendo dalla pavimentazione potremmo avviare un interessante confronto di questa con la più celebre pala di Giorgione a Castelfranco Veneto (di meno di un quinquennio più tarda) dove il pavimento è a quadroni bianchi e grigi. È proprio questo disegno pavimen tale a mostrare chiarissimamente la diversa costruzione prospettica dei dipinti Alvise sceglie un punto di veduta assai ribassato e deprime il trono della Vergine attorno al quale si accalcano i suoi personaggi; tanto che Anna e Gioacchino, per non scomparire dietro i quattro santi francescani in pn mo piano, devono salire sul prolungamento del pnmo basamento marmoreo; Giorgione, al contrario, alza il punto di veduta
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e proietta verso l'alto il trono della Vergine in dimensioni talmente forzate che i due santi in basso sotto il trono (e il guerriero in particolare - Giorgio, Liberale, Nicasio7 -) paiono mantenersi in faticoso equilibrio su una superficie scoscesa. Ma le novità del capolavoro francescano di Alvise sarebbero risultate ancor più clamorose le indagini scientifiche hanno infatti rivelato che le due finestre a fianco del trono non erano così incongruamente tagliate e ridotte a poco più che lunette, come oggi si vedono, ma scendevano in basso a sfondare con effetto inusitato la parete di fondo aprendo su un paesaggio i cui caratteri non possiamo altro che immaginare, ma i cui effetti, sul piano pittorico, sarebbero stati di ineguagliata erivoluzionaria originalità. Situazione che vediamo, realizzata, nella Madonnina della Bragora (in mostra, cat. 28 ) Il volto della Vergine, che ha evidenti caratteri belliniani se non addirittura antonelleschi, è atteggiato a pacata e quasi sofferta accettazione del provvidenziale, benché doloroso, disegno divino, oltre che della consapevolezza della sua stessa e somma prerogativa di grande mediatrice di salvezza. Quanto agli equilibri compositivi si deve osservare che al braccio destro di Ma ria fa riscontro quello sinistro di Francesco, mentre quello destro di Francesco appare simmetrico al destro di Antonio. Ma è, più in generale, il gioco delle mani elegantissimo e sapiente a tracc iare la trama di una impaginazione complessa e ritmata come un balletto dalla destra di Gioacchino che si toglie con deferenza il berretto alla destra di Antonio che regge il giglio con delicatezza incomparabile (gesto che ritroviamo, pressoché identico, nella tavoletta devozionale del Museo Correr, in mostra, cat. 26 ), da Bernardino che mostra il tradizionale trigramma, alle mani giunte e materne di Anna a quelle inguantate e liturgiche di Ludovico si misura la impareggiabile lezione
[ca t. 31] Alvise Vivarini, Cristo risorto . 1497-1498. part.
p.49 [ca t. 32 J Alv ise Vivarin i. Madonna con 1/ Bambino e san Pietro. san Girolamo, sani Agostino e santa Mana Maddalena. 1500 pp. 50-51 [cat. 32 J Alvise Vivar ini. Madonna con 1/ Bambino e san Pietro, san Girolamo. sani Agostino e santa Mana Maddalena . 1500, pa rt.
di stile di quel che è forse, qui, il più aristocratico ed etereo dei pitton del nostro pnmo Rinascimento. La s1mmetna è perfetta ancorché non forzata, e governa l' intera composizione (Bernardino sul lato destro della tavola risulta un po' più alto di Francesco e di Antorno per equilibrare lo slanc io verticale della mitra d1 Ludovico e tutti e due poggiano sulla gamba esterna, tenuta d iritta, mentre Francesco e Antonio sporgono l'anca verso il centro bilanciando così i busti leggermente divergenti), il colore del saio d1 Bernardino vira al verdastro a far da contrappunto ai para menti d1 Ludovico, mentre i due santi all'mterno vestono sai cinenrn assai più simili tra loro; e si potrebbe continuare . Insomma uno studiato equilibrio di pesi e di forme, di colori e di luci si manifesta come la griglia sapientissima d1 senso e di forma sottesa all'ideazione non meno che alla realizzazione di questo capolavoro. Ma Alvise sa rinun ciare a tali caratten fondativi della sua arte di fronte alla bruciante esperienza di quel che viene elaborato o portato a Venezia dai maestn di una generazione estranea e lontana dal crogiolo della cerchia familiare della sua bottega. Alcuni nomi già li abbiamo evocati, altri non possono essere sottaciuti Lorenzo Lotto prima d i ogni altro, tanto da far ipotizzare un suo alunnato vivariniano (mentre la sovrapposizione cronologica con Tiziano e Jacopo Palma è troppo esigua per consentire suggestiorn e scambi in questo senso) Più consistenti le contiguità con Jacopo de' Barban, suo presunto allievo, e con Marco Basaiti, che di certo gli fu accanto così che la gran de e monumentale pala di Sant'Am brogio per l'altare della cappella dei Milanesi nella chiesa dei Fran dichiara nel cartiglio la doppia paternità «Ouod Vivarine tua fatale sorte [morte 1 ] n equisti/Marcus Bas(a)itus nobile prompsit opus» (cio è Marco Basaiti ha portato alla luce l'opera eccellente che tu Vivarini non hai potuto Icompiere] per la tua
fine fatale) E che questa pala sia un lavoro d1 grande impegno - nobile opus - appare m tutta evidenza nella monumentalità bramantesca delle sue architetture, n ella digrn tà maestosa d1 Ambrogio e dell'ampia schie ra di santi che gli fanno corona. Ma appare anche evidente da vari segni che essa non è il frut to di un unico artefic e 1 due santi in primo piano (e soprattutto Girolamo) hanno caratten propri e per certi versi s1 staccan o dal rimanente della sacra conversaz ione; e così la stessa incoronazione della Vergine che, in alto, appare scen a non del tutto nsolta, quas i schiacciata nello spazio troppo angusto di una terrazza tran sennata sopra l'arcone centrale . Alcurn elementi di questa pala ricorrono tuttavia nella msolita Sacra conversazione oggi ad Amiens (cat 32) Si è ricordato de' Barbari - e si sa quanto la cunosa sia la sua biografia e incerta la sua stessa fisionomia artistica - ma è più che credibile che egli abbia incrociato 11 percorso del più giovane dei Vivarini, anch e se forse non in un vero e proprio alunnato. La componente "nordica" del grande incisore non contrasta affatto con le attenz iorn di Alv1se per fiamminghi e tedeschi, così come l'altra sua componente linguistica, quella antonellesca, che è uno dei capisaldi della pittura di Alvise, di certo può essere transitata da questi verso l'allievo m forme plurime, a cominciare dalla solidità strutturale di ogrn volume e dal taglio luminoso che ne definisce nettamente i profili. Tale risulta la contiguità di Alvise e Jacopo al punto che non son o poche le opere trasmigrate dall'uno all'altro in sede critica, fino ad arrivare all'espediente di Creighton Gilbert che, an che per la tavola di Amiens, parla di «J acopo de' Barban n ella bottega d 'Alvise». Proposta irricevibile, naturalmente, visto che non è dato conoscere analoghe s1tuaziorn di altrettanto spudorata attribuzione a se stesso dell'opera di u n allievo (salvo, forse, nei casi, n on ran ai nostri giorni, di professori uni -
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versitari che abbiano "rubato" i risultati delle ricerche di tesi d1 qualche neolaureatol) Già però n el 1929 Pietro Paoletti aveva riprodotto questa tavola con una paternità che an dava al di là del testo «Alvise Vivarini e Lorenzo Lotto» e altri esperti ancora avevano chiamato in correità Basaiti, Jacopo Palma o altri .
provvisorio punto d'arrivo. Al di là del mo dellato del corpo e di una originale e cristallina luminosità aurorale, vi è in questa ta vola la rottura esplicita della a -storicità delle sacre conversazioni o, se si preferisce, l'irruzione di un tempo narrativo, cioè di una storia colta nel suo fars i che riesce a scuotere i vincoli e 1 limiti della stessa compitezza del linguaggio pittorico. Siamo quindi an Un Cristo dinamico e un precoce dati al di là delle barriere invisibili ma tenaci déjeuner sur l'herbe delle sacre conversazioni per giungere qua Torniamo tuttavia alle due opere da cu i sia - si al dinamismo con citato e teatrale di una mo partiti, il Cristo risorto della Bragora e la rappresentazione sacra. I due soldati in atto Sacra conversazione di Amiens (catt 31, 32.) di fuga e di auto-protezione dalla abbaciPer la prima si è sempre parlato di un influs- nante luminosità del Risorto ne sono la più so peruginesco nel linguaggio del nostro effi cace ed esplicita enunc iazion e il loro atAlvise, e non è chi non ne veda relazioni e teggiarsi spontaneo, i loro volti scorciati, le contiguità in alcuni Sebastiani e Battesimi e mani protese e i capelli al vento sullo sfondo Risorti e Flagellazioni (agli Uffizi, al Louvre, di un tipico paesaggio alvisiano con le anse Washington e così via) Anatomie morbida- del fiume, le colline e il nucleo abitato di Gemente e classicamente modellate, sap1ent1 rusalemme. Qui e ora si srotola il tempo stotorsioni delle anche e del capo, postura delle neo dell'evento sovrannaturale ed entra in gambe, di!"lamismo esplicitato e rattenuto. relazione e si contamina con la storia degli D'altra parte, come ben si sa, la presenza di uomini. Perugino a Venezia è certa e docu mentata, La Sacra conversazione di Amiens (cat visto che egli fu ingaggiato per u na delle 32) rovescia a sua volta un altro caposaltele nella Scuola di San Giovanni evange- do; anzi, scardina in radice gli equilibri e lista realizzata nel 1495-1497, purtroppo an- i generi pittorici. Un gruppo di persone si data distrutta. dispone attorno al Bambin Gesù in una Attorno a tale passaggio s1 pu ò ben presu - sorta di moto cn colare sullo sfo n do di un mere che si sia creato un interesse assai vivo paesaggio pedemontano; ogni personagche certo ebbe a rinverdire l'importanza e gio appare intento a stabilire un proprio ed l'influsso esercitato nel corso di buona parte esclusivo rapporto con l'infante Pietro gli del XV secolo dagli artisti toscani e centro- porge le chiavi del Regno, Gn olamo in priitaliarn sull'arte ven ez iana e che è impre- mo piano, immerso in una lettura assorta scindibile per spiegare il percorso della pit- e disvelatrice delle Scritture, scorge in esse tura lagunare dal tardo Gotico al Rinasci- l'annuncio del destino salvifico dell'infanmento, percorso di cui l'atelier dei Vivarini te; Maria Maddalena offre il flacone dorato appare sempre più n ettamente il p erno e 11 dell 'unguento che verserà sui piedi di Gesù motore. e nel quale si prefigura la sua morte e re Se molta della pittura di Antonio Vivarini era surrezione. Il santà vescovo, infine, fissa stata protagonista quasi assoluta della pri- intensamente il suo sguardo in quello del ma fase di questo itinerario, il Risorto della Bambinello in questo sguardo è probabil chiesa della Bragora (cat 31) ne è indubbia- m ente rinserrato il mistero del dipinto. Inmente più che una tappa, forse addirittura il fatti l'ordine monastico del vescovo (che
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[cat. 30 J Alvise Vivarini. Cristo benedicente. 1498
veste appunto l'abito di un ordine religioso) ci nvelerebbe a ben vedere la committenza e, quindi, l'origine dell'opera. Se si tratta di Agostino - che assumerebbe qui una raffigurazione fi siognomica piuttosto insoli ta ma che s1grnficativamente veste sotto il piviale ric amato l'abit~ nero degli agosti niani - ne uscnebbe ribadito 11 legame tra l'atelier Vivarirn e quest'ordine, già ben presente in Antonio e Giovanni d'Alemagna a partire dalle Storie di santa Monica (cat 4) per la chiesa veneziana di Santo Stefano . Il dipinto è sconcertante nella sua audacia compositiva è vero che la Vergine occupa, secondo tradizione, il vertice della ideale piramide centrale, ma è altrettanto vero che la disposizione dei compriman è insolita - e soprattutto di Girolamo e della Maddalena così come sorprende l'atteggiame nto ludi co del capo degli apostoli. Insomma pare di trovarsi di fronte più a una sorta di sacro déjeuner sur /'herbe o, al più, di un affollato riposo (dalla fuga in Egitto) ch e a una sacra conversazione, anche se, come si è detto, tutta una sene di mdizi portati dai santi schierati inducono a leggere, m li nea con 11 metodo allegorico, il rebus cifrato delle prefiguraz ioni davanti a Gesù mfante del suo futuro destino nel disegno di salvezza.
Alv ise Vivar ini e Marco Basa iti,
Pala di San/Ambrogio Venezia, ch iesa di San t a Ma ri a Glor iosa de i Frar i. cappe lla de i Mi lanes i. 1503
Una pena pacata e liquida Al d1 là dei simboli, ci troviamo davanti a una pittura di indubbia alta qu alità e freschezza, capace d1 morb1dità di linee, di in trecci tra le figure, d1 molteplicità d1 sguardi e di scorci inediti e ciò senza che Alvise rinunci a nessuna delle caratteristiche della sua scrittura. Volumi, luci, trattamento plastico delle anatomie e delle masse, pienezza cromatica egli poteva ben a ragione sottoscnversi e presentarsi come un maestro nella sua generazione. Un altro dato a suo modo qualificante pu ò essere letto n el gusto di Alvise per il pae saggio. E n on si tratta del celebernmo e
giustamente decantato vedutismo paesi stico dei sublimi fondali di Giambellmo o di Cima da Conegliano e dello stesso Giorgione, impreziositi dalle ncorrenti e talvolta misteriose comparse di brani ritagliati dal vero dei colli pedemontani tra Asolo e Ca stelfranco, tra le colline attorno a Conegliano e le prime balze del Cadore. I paesaggi di Alvise s1 sviluppano secondo percorsi della memoria, secondo visioni in cui la preci sione del dettaglio conferisce credibilità a plaghe sognate in cui le anse dei fiumi, 11 luccichio delle acque, qualche filare di vigna, tracce di mura diroccate rimbalzano stati d'animo, ne sottoli neano la sofferenza, ne amplificano l'eco, s'ergono in rocce scoscese e digradano in pianure luminose con ritmo lento, smuoso, ammiccante e sognante, m lacrime d1 una pena pacata e liquida, sorpresa di sé e della sua n on contenibile effusion e. Quale sarebbe stata l'evoluzione del percorso di Alvise è d iffic ile dire. Certo non nel senso della linea Bellini-Giorgione-Tiziano, viste le premesse e le dec ise scelte della stagione d1 cui si è ragionato. Creighton Gilbert abbozza nel suo stimolante saggio del 1956 Alvise e compagni una sorta di proiezione futura per il magistero d1 Alvise Vivarmi da Jacopo de' Barbari a Marco Basait1, da Bartolomeo Montagna addirittura a Cima da Conegliano ma, soprattutto, a Lorenzo Lotto e Gn olamo Savoldo Il ragionamento del critico non è né lineare né forse del tutto coerente (anche perché dovette trattarsi d1 una infelice trasc rizione da una conferenza) e procede per paradossi e qu alche az;;:ardo attributivo; ma getta, sul tema d1 Alvne e dei suoi presunti allievi e segu ac i, uno sguardo in avanti balenante come una rivelazione e ardimentoso come una sfida e contiene più ventà e su ggerimenti di qu anto potrebbe a prima vista apparire. Soprattutto sembra volersi e potersi sottrarre, con una sorta di arguta «mossa
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del cavallo», alla costrizione dell'alternativa secca Bellini/V1varini, tutta a favore dei primi, destmando l'apparente dimensione conservatnce dei secondi a una spanzione assai repentina teona che «attrae per la sua semplicità, ed è stata anche simpatica, pen so, nei tempi pos1tiv1sti I I per la suggestio ne che contiene di un progresso continuo verso il presente». In questo senso il magistero di Alvise Vivarini - tra balzi in avanti e arretramenti, ripensamenti e rmunce - non solo rivela l'influsso esercitato su coetanei e seguaci di grande e grand1ss1ma statu ra e qualità, ma addita l'apertura a strade diverse e non meno ncche d1 possibilità e d i sviluppi rispetto alla lmea vmcente del tonalismo belliniano-giorgionesco impostosi, di fatto, nella pittura veneziana del primo Cmquecento. Insomma è esistita, se pur non tematizzata e ancor meno orga nizzata in corrente, una alternativa robusta e tormentata alla marcia trionfale della pittura del Cinquecento veneto «gli alvisesch1 - dice Creighton Gilbert con arguzia - non entrano in casa né dell'uno [Antonello] né dell'altro [Tiziano] Conservatori ostinati, insistono senza tregua sulla figura, indipendente, separata, eroe [=eroica] Però non sono nemmeno semplici n tardatari. Capiscono bene i valon del nuovo e fresco mon do». La compon ente lombarda (aleggiando su di loro anche il magistero inatting1b1le di Leonardo) appare forse una delle ragioni esplicative d1 tale declinazione ostinata, realistica e sorprendentemente vitale dell'alvisismo «che sarà ereditata da Caravaggio». Affermaz ione spericolata e provocatoria, ma Gilbert ha però avuto 11 merito di sapersi sottrarre alla marea montante della am morbante critica di regime (quello dell'arte veneta) e alle lusingh e di una letteratura artistica troppo spesso emozionale, retorica e fumosa. Stroncato dal suo fatale destino (come recitava il cartellmo della pala di Sant'Ambrogio
ai Frari) Alvise lascia però interrotto il suo percorso e senza nsposta le nostre do man de sulle sue possibili - misteriose - scelte future .
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I VIVARINI IN PUGLIA. DIFFUSIONE E COMMITTENZA CLARA GELAO
11 fenomeno, di proporzioni assai vaste e di durata plurisecolare, dell'importazione in Puglia di opere d'arte dal Veneto è noto e studiato: cosa che ci esime, in questa occasione, dal ripercorrerlo in tutta la sua consistenza ed esten sione 1 . Esso toccò un vistoso picco tra la metà del Quattro e gli inizi del Seicento, per poi declinare gradualmente sino a cessare pressoché del tutto alla fine del Settecento. Un così massiccio afflusso di opere venete nel territorio pugliese (in cui va compreso anche il versante orien tale della Basilicata, sino al 1663 parte della Terra d'Otranto) fu senza dubbio favorito dalla particolare posizione della regione, posta quasi a chiusura dell'Adriatico che, restringendosi all'altezza di Otranto e Valona - dove le due opposte coste distano soli ottanta chilometri - dà luogo a una sorta di "lago", quello che gli antichi portolani chiamarono, sino almeno al XVIII secolo, «golfo di Venetia». Ma ciò che più vi concorse fu l'eccezionale sviluppo costiero della Puglia (poco meno d1 ottocento chilometri) e il nu mero di centri urbani distribuiti lungo la costa, molti dei quali dotati di importanti porti, dove i mercanti veneti potevano approvvigionarsi di materie prime (olio, lana, grano), vendere prodotti finiti, smerciare spezie e prodotti di lusso importati dall'Oriente, in
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breve fare buorn affari. Dipinti, icone, sculture, oreficerie, cristalli giungevano quindi da Venezia, sulla scia dei commerci, in una terra che, dopo la feconda stagione federiciana, aveva ormai perso il suo ruolo di centro di elaborazione culturale, e dove le classi egemoni, sia locali che trapiantate da altre città, se desiderose di opere d'arte di prestigio, erano obbligate a commissionarle altrove, in prim1s a Venezia. In un contesto articolato e dinamico qual è questo, emerge un elemento su cui sinora non sembra si sia andati, me compresa, molto oltre la mera constatazione, mentre vale invece la pena di soffermarvisi 11 fatto cioè che, per tutta la durata delle importazioni, un'alta percentuale delle opere che giungono da Venezia, fra cui quelle dei Vivarini, sono destinate a chiese e conventi dei Minori dell'Osservanza, i quali sostenevano il ritorno alla regola originaria dettata da san Francesco che prevedeva la povertà 2 : difficilmente, quindi, essi possono essere all'origine della commissione di dipinti che presupponevano cospicui investimenti economici né, tanto meno, avere orientato in tal senso i donatori3 Le motivazioni vanno invece probabilmente ncercate altrove, nell'interaz ione di più fattori che, messi insieme, alimentano un ~
[cat. 15 J Barto lomeo Vivarini,
Sacra conversazione.
1476.part.
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p.60 Antonio e Bartolomeo Vivarini, Madonna 1n trono con 11 Bambino, San Benedetto. Santa Scolastica (Trittico di Surbo). 1452-1453 circa, Bari. Pinacoteca Metropolitana "Corrado Giaquinto·· p. 61 [cat. 7) Antonio e Bartolomeo Vivarini. Madonna
in trono con 11 Bambino. scomparto centrale de l Trittico di Surbo, 1452-1453 circa. pari. p.
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[cat. 9] Antonio Vivarini. Polittico di Rutigliano. 1461-1462 circa pp. 64. 65 [cat. 16 J Bartolomeo Vivarini, San Nicola di Bari e Santa Caterina d'Alessandria. fine ann i settanta del XV secolo
clima favorevole al manifestarsi del fenomeno. Come è noto, nel corso del XV secolo l'osservanza si espande capillarmente attraverso una «strategia insediativa che muove dai vertici dell'organizzazione religiosa che pianifica, segue e governa 1 propri stanziamenti» 4 Al Sud soprattutto le nuove fondazioni'sorgono quasi sempre col favore, se non addirittura su richiesta, del potere politico locale, cementando di conseguen za i rapporti dei francescani, al cui interno si contavano numerosi dotti e teologi, con le classi egemoni. Un caso emblematico di contiguità tra gli osservanti e il potere politJCo è rappresentato in Puglia dal rapporto che essi stabilirono con i principi di Taranto, primi fra tutti Ra1mondello del Balzo Orsini, che detenne il principato dal 1393 al 1406, e suo figlio Giovanni Antonio, principe di Ta ranto dal 1421 al 1463, anno della sua morte. Quest'ultimo è passato alla storia come il più potente feudatario dell'Italia meridionale nel Quattrocento, colui i cui possedimenti avevano un'estensione tale che, come ebbe a dire Benedetto Croce, egli «poteva cavalcare da Napoli fino a Taranto senza mai toccare terra altrui» 5 . Entrambi i principi esibirono verso il Poverello d'Assisi una profondissima devozione, che si tradusse in atti politico-religiosi concreti, come la fondazione di numerosi complessi conventuali francescani (Santa Caterina d'Alessandria a Galatina da parte di Raimondello; Sant'Antonio a Taranto, Santa Maria dell'Isola a Conversan o, Santa Maria della Chirnsa a Bitonto da parte d1 Giovanni Antonio) Si aggiunga che, nei monumenti funerari dei due principi nella chiesa di Santa Caterina a Galatina, entrambi sono raffigurati in abito francescano, a dimostrazione della loro devozione. Un comportamento analogo adottò Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona duca di Atri che, per avere sposato la figlia d1 Giovanni Antonio, Caterina, aveva ricevuto in dote la contea di Conversano e il marchesato di Bitonto. Egli volle infatti
presentarsi come l'ideale erede del potente suocero anche nella devozione a san Francesco e nel sostegno dato all'ordine. Il suo imponente cenotafio, eretto nella chiesa di Santa Maria dell'Isola a Conversano agli inizi del terzo decennio del Cinquecento 6, mostra Giulio Antonio e la consorte distesi su un catafalco, tutti e due in abito francescano? Sembra logico dedurne che lo stretto legame tra gli osservanti e i rappresentanti, locali e non, del potere politico (feudatari, nobili in genere), economico (imprenditori, mercanti) e intellettuale - coloro cioè che, in definitiva, avevano la disponibilità economica per fon dare cappelle di patronato nelle chiese e per dotarle di immagini di culto - sia alla base di una così nutrita presenza di opere d'arte veneta in chiese e conventi francescani. A chi, infatti, potevano rivolgersi i committenti, intenzionati a mostrare attraverso le immagini di culto non solo la loro devozione, ma anche il loro potere o, semplicemente, il loro status sociale, se non a Venezia, indubbia mente, all'epoca, la più prestigiosa "fabbrica della cultura" esistente m Italia7 8 È probabile, insomma, che il fenomeno non rappresenti tanto la testimonianza d'un orientamento culturale dell'ordine, come voleva Michele D'Elia, quanto piuttosto del rapporto che lo univa ai ceti dominanti. Nel panorama delle importazioni da Venezia, l'arrivo in Puglia di tavole e polittici dei tre rappresentanti della bottega dei Vivarini, Antonio, Bartolomeo e Alvise, in un numero tanto più elevato rispetto alle altre regioni meridionali costituisce una vera e propria peculiarità 9 Una rapida verifica della dislocazione delle loro presenze originarie nel Mezzogiorno non lascia dubbi in proposito. Tralasciando la Sicilia, dove i loro lavori sono del tutto assenti persino nel versante ionico, raggiungibile via mare con relativa facilità, e passando alla Calabria, ci si imbatte in sole due opere, entrambe a firma d1 Bartolom eo (il polittico, a detta di Francesco Abbate il più
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bello spedito dall'artista in Italia meridionale10, della chiesa di San Bernardino a Morano Calabro, datato 1477. e il trittico della chiesa matrice di San Giorgio a Zumpano, datato 1480)11 A proposito delle vie che ne favorirono l'arrivo, le opinioni sono discordi. dato che Alfonso Frangipane 12 ntiene possano esservi giunte attraverso la Puglia, all'epoca non solo punto d'arrivo privilegiato di opere venete nel basso Adriatico ma anche, a suo parere, centro di smistamento di esse in buona parte del territorio del Regno, mentre altn 13 è dell'avviso che vi siano giunte direttamente, sull'onda del commercio della seta, fiorente all'epoca sulla costa ionica della Calabria. Ancor meno nutrito l'elenco delle opere dei Vivanni presenti a Napoli e in Campania, dove l'unica che pare esservi stata sin dall'origine sembra l'Imago pietatis di Bartolomeo Vivarini nel Museo Campano di Capua, cimasa di un polittico smem brato14 - al quale è stata fatta l'ipotesi appartenesse un San Ludovico di Tolosa nella Galleria degli Uffizi 15 - giunto forse dalla Puglia, attraverso la valle dell'Ofanto. Incerta invece (una chiesa francescana di Ravenna7) la provenienza originaria del trittico di Alvise con la Madonna tra i santi Francesco e Bernardino da Siena a Capodimonte, del 1485, resto di un polittico di cu i è probabile facessero parte un San Giovanni Battista e un San Girolamo del Museo di Denver e un San Bonaventura da Bagnoregio del Marion Koogler Mcnay Art Museum di Sant'Antonio nel Texas: 6 . A Capodimonte è anche la Madonna in trono con il Bambino e santi di Bartolomeo (cat 11 ), datata 1465, che però proviene da Bari chiara conferma, questa, dell 'eccezione rappresentata dalla Puglia 17 . Anche m Basilicata - che pure, nel Quattrocento, vide affluire dal Veneto un significativo numero di opere, anche scultoree-, non sono pervenuti dipinti dei Vivarin i, dato che l'unico già attribuito a Bartolomeo, il polittico smembrato e poi rimontato nella cantoria
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della chiesa di San Francesco d'Assisi a Matera, è stato da tempo riconosciuto di mano di Lazzaro Bastian iB Quando si passa alla Puglia la situazione appare ben diversa, visto che di opere della bottega muranese (ivi compresi la già citata tavola di Bartolomeo a Capodimonte, proveniente da Bari, ma anch e il polittico nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia, anch'esso di Bartolomeo, in origine a Conversano) se ne contano non meno di undici, un numero senza paragone rispetto a quello di tutte le altre giunte nel resto del Regno napoletano messe assieme 19 An che la dislocazione originaria delle opere offre motivi di riflessione. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, infatti, la maggior parte dei dipinti non era destinata ai grandi centri portuali costieri, ma a città e cittadine dell'interno distribuite lungo u na linea che, a partire da Barletta e proseguendo verso sud, corre pressoché parallela alla costa, facendo sì che fossero facilmente raggiungibili dai porti della stessa Barletta, di Trani, Bari e Mola . In dettaglio, doppiato il promontorio del Gargano e procedendo lungo la costa, a Barletta ci si imbatte nella Madonna in trono con il Bambino di Alvise Vivarini (cat 27), del 1483, nella chiesa di Sant'Andrea 20 ; più a sud, a Bari, nella Basilica di San Nicola, è la Sacra conversazione di Bartolomeo (cat 15.), del 1476 21 , cui è da aggiungere la già citata tavola del 1465, sempre di Bartolomeo, ora a Capodimonte (cat 11), in origme nella chiesa francescana di San Pietro delle Fosse 22 ; ancora oltre, nella chiesa matrice di Polignano a Mare, è il polittico con Madonna e santi di Bartolomeo, datato 149 [ I. ultima opera firmata da Bartolomeo giunta in Puglia, se non l'uttima in assolu to dell'artista 23 Nell'immediato entroterra di Bari, nella chiesa matrice di Modugno, è l 'Annunciazione di Bartolomeo Vivarini, del 1472 24 (cat 13 ), mentre a Rutigliano, cittadina poco lontana da Bari e direttamente
[cat. 16] Bartolomeo Vivarini, San Nicola di Ban .
fine anni settanta del XV secolo. part.
[cat. 13 J Barto lo m eo Viva rin i, Annunc1az1one. 1472
soggetta alla Basilica d i San Nicola, è un polittico attribuito ad Antonio Vivarini (ca~ 9 ), 11 capostipite della bottega 25 All'interno di Terra di Bari spicca la folta presen za di opere d1Antonio, Bartolomeo e, come è stato d i recente riconosciuto, anche di Alvise, ad An dria - città all'epoca sotto la signoria dei del Balzo -, t~tte concentrate in una sola chiesa, Santa Maria Vetere, appartenente all'osservanza (catt 17, 24 )26 Un polittico d1 Bartolomeo (cat 16 ) era nella chiesa d i San Francesco d'Assisi ad Altamura, feudo di Giovanni Antonio del Balzo Orsini, ch e proprio nella città murgiana morì strangolato 27 Procedendo verso sud-est, a Conversano, si trovava invece il polittico ora a Venezia, in origine in una chiesa di incerta identifi cazione (la cattedrale?) Infine, nel Salento, dove i centri abitati erano per lo più arretrati rispetto alla costa dato il sempre incombente pencolo rappresentato dagli assalti dei turchi, opere dei V1varini giunsero a Lecce (11 trittico g ià a Surbo, ma presumibilmen te proveniente dalla chiesa benedettina dei Santi Nicolò e Cataldo d1 Lecce e ora nella Pinacoteca Metropolitana d1 Bari, attribuito ad Antonio e Bartolomeo, cat 7) 28 e a Gala tina (polittico di Antonio e Bartolomeo già n ella chiesa di Santa Caterina d'Alessandria, attualmente nel Mu seo "Sigismondo Castromed1ano" di Lecce) 29 Questo nudo elenco, indubbiamente noioso, acquista un certo interesse se messo in relaz ione col fatto ch e, certamente non a caso, la localizzazione delle opere viva riniane più moderne e innovative investe due dei più grossi centri della costa, Barletta e Bari con la vicina Modugno, e che a commissionarle furo n o cittad ini veneti trapia n tati in Pu glia, u n aristocratico per Bari e Modu gno, un dan aroso mercante bergamasco per Barletta, sebbene, come vedremo, n on sia possibile sostenere in marnera assoluta l'esistenza di u na vera e propria connessio ne tra "modernità" e origine veneta.
Gli studi più , ecent1 hanno consentito di acquisire numerose informazioni soprattutto a riguardo del committente della pala della Basilica di San Nicola a Bari (cat 15 ), che u n'iscriz ione settecentesca, ripresa da qu ella originale, an cora legg ibile nel 16473°, identifica in Alvise Cauch o un personaggio, questo, sinora m isterioso ma che oggi sappiamo essere un esponente di spicco di u n a nobile fam iglia veneziana - nota anche come Cauco, Cocco, Coch o, Coco - che contò condottieri, vescovi e cardinali, non ché figlio di Giacomo, lo sfort unato coman da nte di una galea ch e, proveniente da Tre bisonda, si fermò nel 1453 a Costantinopoli, dove tentò senza successo di incendiare la flotta turca ch e poneva l'assedio alla città 31 Il suo nome compare anc h e in un Libro d1 Messe del 1470 dell'Arch ivio parrocchiale di Modugno reso noto da Mario Salmi 32 , dal quale, a suo parere, si evincerebbe che egli sia stato il donatore anch e della tavola dell'Annunciazione della ch iesa matrice modugnese (cat 13) In realtà, nel passo del documento citato dallo studioso non si parla d1 una comm1ss1on e, bensì di una «con am magnam aureatam que est super altare ma1oris ecclesie medunii» dinanzi alla qua le il nobile veneziano chiede sia celebrata una messa. Né convince l' interpretaz ione in senso giuridico data da Mario Salmi all'espressione su per altare ("fondata sull'altare", "riguardante l'altare" ) per giustifi care la data 1470 del documento, ant1c1pata rispetto a qu ella segnata sul dipinto (1472) La «cona» descritta nel docu mento, inoltre, non pu ò essere identificata con quella ancora oggi esistente, posteriore d1due anrn, e per di più non magna, ma di d imensioni contenute e priva del fondo oro. Resta comunque 11 fatto che nel 1470 Ludovico Caucho ha a ch e fare con u na chiesa poco distante da Bari, nella quale giungerà due anni dopo da Ven ezia una tavola dipinta "alla moderna" da Barto!omeo; tavola che, a prescindere dal docu -
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mento, è verosimile sia stata commissiona ta proprio da lui. E forse non è troppo azzardato attribuugli anche la commissione della Madonna e santi napoletana, come si è detto proveniente dalla chiesa dei Minori Osservanti di Bari, la prima pala "a spazio unico circolante", per quanto con tutti i limiti messi in risalto dalla storiografia critica, giunta in Puglia. Se così fosse Ludovico Caucho, evidentemente provvisto di notevoli disponibilità finanziarie, sarebbe attestato a Bari e nelle sue immediate vicinanze almeno dal 1465 al 1476. Meno ambiguo appare il caso di Barletta, dove l'unico dipmto firmato da Alvise Viva rini presente in Puglia, la Madonna in trono con il Bambino nella chiesa di Sant'Andrea (cat 27), vi giunse su commissione di un membro, sinora non identificato, della fa miglia De Girardis, più nota come Salmeja (o Salmeggia, Salmenza, Salmeza) dal nome del piccolo centro del bergamasco, vicino a Nembro, di cui era origmaria, e trasferita in Puglia almeno dalla seconda metà del Quattrocento. Lo si deduce indirettamente da una lapide, datata 1560, tuttora esistente nell'antica cappella dedicata alla Madre di Dio (attuale sagrestia) che Martino e Ventura De Girardis, ricchi mercanti in pannilana discendenti del committente, eressero in quell'anno nella chiesa di Sant'Andrea, dove il dipinto di Al vise, in origine collocato in una più antica chiesa francescana extramoenia, era stato trasportato dopo la distruzione di quest'ulti ma nel 1530. Quanto alle opere dei Vivarini destinate a località all'interno di Terra di Bari e nel Salento, la maggior parte di esse vede sullo sfondo la presenza della gran de feu dalità, la dinastia del Balzo ad Andria, quella dei del Balzo Orsini ad Altamura e anche a Galatma, tra loro imparentate elemento che potrebbe fornire indicazioni sulla loro possibile committenza, considerato che i polittici distribuiti nei cen tri citati sono, o erano, di grandi dimensioni,
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caratterizzati dalla comune scelta della divisione in scomparti, e richiesero certamente un impegno economico importante dato l'abbondante uso della foglia d'oro nei fondi degli scomparti e nelle carpenterie 33 Un caso in un certo senso a parte rappresentano invece i polittici di Rutigliano, Conversano, Polignano che, pur essendo stati eseguiti per esponenti del piccolo clero locale nell'arco di circa un trentennio, il primo da Antonio, gli altri da Bartolomeo, si trovavano in un territono delimitato sì da sembrare, a detta di D'Elia, «ordinati per una sorta di emulazione campanilistica fra i tre grandi centri limitrofi»3' Il binomio che contrappone la committenza locale=tradizione alla committenza veneta=innovazione non sempre però rispecchia la realtà. Ne vogliamo la prova? Un celebre aromatario vissuto nella seconda metà del Quattrocento, Saladino Ferro, addottoratosi a Padova ma dimorante a Monopoli, una delle città più "venetizzate" della costa pugliese, che sarà amministrata direttamente dalla Serenissima dal 1495 al 1509 e dal 1528 al 1530, commissiona intorno al 1470 a Lazzaro Bastiani, che aveva probabilmente conosciuto a Padova nel periodo della sua formazione, per la sua cappella in cattedrale, un notevolissimo San Girolamo nello studio, ora nel Museo diocesano di Monopoli, di impostazione pienamente moderna 35 . Ancora più significativo il caso, verificatosi anch'esso a Monopoli, di Leo Arpona, ricco e colto magistrato del luogo, «uomo di punta nella cultura rinascimen tale monopolitana», proprietario di una «grande casa piena di libri, tappeti, argenti lavorati, oggetti in peltro, stoffe di lino e mobili»36, che commissiona, in Ùn periodo che è stato fatto oscillare tra gli anni settanta del Quattrocento e le soglie del Cinquecento, 11 San Pietro martire di Giovanni Bellini, firmato, per la sua cappella nella chiesa domenicana extramoenia di Santa Maria la Nova
[cat. 15 J Bartolomeo Viva rini. Sacra conversazione.
1476
[cat. 17] Barto lomeo Viva rini. San Michele arcangelo e san/Antonio da Padova. scomparto del Trittico di Andria. 1483 Bartolomeo Vivarini, San Michele arcangelo e sant Antonio da Padova. San Francesco d Assisi. San Bernardino da Siena e san Pietro (Trittico di Andria), 1483. Bari. Pinacoteca Metropo lit ana "C orrado Giaqu into"
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[cat. 24] Alvise Viva rini. Cristo in pietà. post 1467?
di Monopoli, distrutta dopo il 1530, passato nel secolo scorso, dopo un lungo soggiorno nella chiesa di San Domenico nella stessa Monopoli, nella Pinacoteca di Bari un'opera che la dice lunga sul gusto raffinato e sulle disponibilità economiche del committente37 Ancora a Monopoli è da segnalare una Madonna con Bambino e committenti nella chiesa di Sant'Antonio, commissionata da una coppia di coniugi 1ocali38 per la quale è stato fatto il nome, pur con un ampio margine di dubbio a motivo del cattivo stato di conservazione della tavola, di Cima da Coneg1iano 39 Se vogliamo trovare un'opera dipinta "alla moderna" in una chiesa dell'entroterra, dovremo citare la tela raffigurante Santa Eufemia, di Andrea Mantegna, già nella cattedrale di Montepeloso (attuale Irsina, in Basilicata), oggi nelle gallerie di Capodimonte. Ma non è certo un caso. A commissionarla nel 1454 al caposcuola padovano fu infatti il presbitero Roberto de Mabilia, originario di Montepeloso ma trapiantato a Padova, dove fu notaio apostolico e rettore della chiesa di San Darnele, il quale la recò personalmente a Montepeloso, con un lun go e periglioso viaggio per mare 40 La realtà è che le località costiere - come è del resto naturale - appaiono più aperte all'arrivo di novità e culturalmente più aggiornate rispetto a quelle interne, e ciò si riflette sui gusti dei committenti, a prescindere dalla natione di appartenenza Anche solo da questa breve disamina rela tiva alla diffusione delle opere dei Vivarini in Puglia, emerge l'assoluta preponderanza della presenza di Bartolomeo, le opere del quale però sembrano seguire un percorso non lmeare, se non incoerente, fatto di fughe in avanti e di retromarce, se solo si paragoni la tavola del 1465 ora a Napoli - che rappresenta, con tutte le riserve del caso, un esempio di pittura "alla moderna" - al polittico di Polignano, in cui agli irnzi dell'ultimo decennio del Quattrocento Bartolomeo
ritorna alla tradizionale impaginazione a scomparti e ai fondi oro. Quella che appare come incoerenza e oscillazione tra tardogotico e modernità è forse però la vera cifra del successo e della forza d'espansione dell'atelier dei Vivarini, e soprattutto di Bartolomeo, in Puglia, dato che essa può essere vista anche, sotto una luce diversa e positiva, come adattabilità capa cità, cioè, di corrispondere, con prodotti di qualità talora molto elevata, e non senza una certa spregiudicatezza, ai desideri di una committenza socialmente diversificata e dai gusti eterogenei.
Per un recente riepilogo cfr C Gelao, "Pwa cum Veniex1a. Veniexia cum Pwa" - Arte veneta nella Puglia storica dal tardo Medioevo al Settecento, in C Gelao, V Bianchi, Bari, la Puglia e Venezia, Bari 2013, pp. 115-321 2 Merlo (G G Merlo, Tra eremo e città. studi su Francesco d'Assisi e sul francescanesimo medievale, 2' ed. riveduta ed ampliata, Assisi 2007, p. 506) ricorda come il teologo francescano Ugo di Digne, nemmeno vent'anni dopo la morte del Poverello di Assisi, sostenesse che solo la povertà "volontaria" aveva ur valore religioso 3 A proposito delle opere dei Vivarini p,esenti in Puglia D'Elia (M D'Elia, Mostra dell'arte in Puglia dal tardoantico al rococo, catalogo della mostra, Bari, Pinacoteca Provinciale, 1964, Roma 1964, p. 57) afferma invece che la maggior parte di esse fu commissionata, sembra di capne dnettamente, da conventi francescani e benedettini ' L. Pellegrini, I Frati Mmon. un'eccezione da interpretare, in Storia della Basilicata. 2. Il Medioevo, a cura di CD. Fonseca, Roma-Bari 2006, p. 433. 5 B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, 1
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Giulio Antonio era morto eroicamente nel 1481 combattendo contro i turchi che si erano impadroniti di Otranto l'anno precedente, ed era stato sepolto nella parrocchiale di Stematìa, nel Salento. 7 Sui rapporti tra gli Orsini del Balzo e gli Acquaviva d'Aragona con i francescani cfr P Belli d'Elia, Prin cipi e mendicanti. Una questione d'immagine, in 6
Territorio e feudalità nel mezzogiorno rinascimentale. Il ruolo degli Acquaviva tra XV e XVI secolo, Atti del primo Convegno Internazionale di Studi su La Casa Acquaviva d'Atri e di Conversano (Conversa-
no-Atri, 13-16 settembre 1991), a cura di C Lavarra. II, Galatina 1996, pp. 261-294 6 La definizione è tratta dal titolo del volume di Fabio
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[cat. 27] Alvise Vivarìni Madonna in tr~no con il Bambino . 1483
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Isman, Venezia, la fabbrica della cultura. tra istituzioni ed eventi, Venezia 2000. 9 Non considenamo qui la Sardegna, che ha una storia artistlca tutt'a ff atto diversa. :o F Abbate, Storia dell'arte nell'Italia meridionale - Il Sud angioino e aragonese, Roma 1998, p. 213. 1: A Frangipane, Inventario degli oggetti d'arte in Italia. Il. Calabria, Roma 1933, pp.194-196, 253-255; B.G. Faillace, Bartolomeo V1varini e le sue tes timonianze 1n Calabria , Cosenza 1986. Per Morano M.P Di Dario Guida, Arte in Calabria. Ritrovamenti restauri recuperi, catalogo della mostra (Cosenza, chiostro di San Francesco d'Assisi, 1976), Cava dei Tirreni 1975, pp. 73-74, il\. 41-58; per Zumpano G. De Leonardis, Un tesoro d'arte ·1eneto in terra d1 Calabria . Il Trittico di Bartolomeo Vivarini a Zumpano, Bari 2010 12 Frangipane, Inventario, cit, p. 194. 3 : De Leonardis, Un tesoro d'arte veneto in terra di Calabria, cit, Bari 2010, pp. 39 e ss. '' IlaMostra di restauri Museo di S. Martino, catalogo della m ostra (Napoli, 20 dicembre 1952 - 10 gennaio 1953), Napoli 1952, pp. 5-6; O. Ferran, La seconda Mostra dei Restauri al Museo di S. Martino in Napoli, in «Emporium», a. LIX, n. 2, vol. CXVII, n. 698, febbraio 1953, p. 72; R. Pallucchini, I Vivarini (Antonio, Bartolomeo, Alvise), Venezia 1962, p. 118, n. 147; N. Spinosa, La quadreria, m Il Museo provin ciale Campano d1 Capua nel centenario della Fondazione, Capua 1974, p. 136. 15 Per una sintesi cfr. G. Fossi, Uffizi, Firenze 2004, p. 232. 16 Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte - Dipinti dal XIII al XVI secolo. Le collezioni borbon iche e postunitarie, a cura di P Leone de Castris, Napoli 1999, pp. 80-81. Per il punto della questione cfr G. Porzio, Il trittico di Capodimonte con l'aggiunta proposta da Gonzàlez-Palàcios dei pannelli di Denver, in Il caso Vivarini a Barletta - Dalla Madonna m trono (1483) nella chiesa di Sant'Andrea ai percorsi di Alvise Vivarini sulla costa adriatica, Atti del seminario (Barletta, Castello, Sala Rossa, 29 novembre 2014), Barletta in c.s. 17 Per maggiori dettagli e la bibliografia essenziale si veda la scheèa (cat 11) in questo catalogo. :s Per un riepilogo della vicenda cn tica del dipinto cfr A Palumbo, scheda Lazzaro Bastiani - Polittico - Matera, Chiesa di San Francesco d'Assisi, in Tardogotico & Rinascimento 2002, pp.174-179 19 L'oscillazione del numero è dovuta al fatto che in alcuni casi, ad esempio per il polittico di Antonio Vivari ni di Andr ia (ora d ivis o tra il locale Episcopio e la Pinacoteca Metropolitana d i Bari), non siamo certi dell'esattezza della sua attuale ricomposizione, che potrebbe mettere insieme scomparti provenienti da polittici diversi. Oppure, come nel caso di un San Pietro della stessa Pinacoteca di Bari, anch'esso proven iente da And n a, n on siamo in gra do d i stabilire di quale polittico, evidentemente ac1dato smembrato e disperso, facesse parte
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zr Per maggiori dettagli e la bibliografia cfr. scheda
(cat 27) in questo catalogo. " Cfr scheda (cat 15.) ict questo catalogo Cfr. scheda (cat 111 in questo catalogo. " Cfr A Di Marzo, F Vona, in Il restauro del polittico d1 Bartolomeo Vivarini di Polignano a Mare, a cura di V Benedetti, Polignano a Mare, s.d. [ma dopo il 20071, s.i.p. 2 ' Per maggiori dettagli e la bibliografia cfr scheda (cat 13 ) in questo catalogo. 25 Cfr scheda (cat 9 ) in questo catalogo 26 Cfr schede (catt 17, 24) in questo catalogo. 27 Cfr. scheda (cat 16) in questo catalogo. 28 Cfr scheda (cat 7ì in questo catalogo. 29 Pallucchmi, I V1varini (Antonio, Bartolomeo, Alvise), pp 112-113, n. 113. Non ho avuto la possibilità di consultare il documento citato da Congedo IP Congedo, Il polittico veneziano conservato nel museo di Lecce attribuito alla bottega di Alvise Vivarini, in «Galatina Duemila. Quotidiano indipendente di Galatina e del Salen to», 11 luglio 2014) a sostegno della tesi che esso fosse in origine in una cappella pn vata nella stessa Galatina. 30 VA Melchiorre, La sacra visita secentesca di mons. Antonio del Pezzo alla Basilica di San Nicola, m «Nicolaus. Studi Storici», a. IX, 1998, fase. 2, p. 555 Ringraz io Giovanni Boraccesi per la segnalaz ione " Cir. M. Zorzi, Recensione a V Bianchi, C Gelao, Bari, la Puglia e Venezia, Bari 2013, in «Notiziario dell'Associazione Nobiliare Regionale Veneta», 6, 2014, pp. 218-221 32 M. Salmi, Appunti per la storia della pittura in Puglia, m «L:Arte», XX II, 1919, p. 167, n ota 5. 33 Analogamente, la committenza del polittico di Bartolomeo Vivarini a Morano Calabro se:nbra si debba alla famiglia Sanseverino, un membro della quale, Antonio, aveva fondato nel 1456 il complesso monastico. 3 ' D' Elia, Mos tra dell'arte in Puglia dal tardoantico al rococo, cit, p. 57 3~ Sulla tavola cfr. per ultima Gelao, "Puia cum Venie xia. Veniexia cum Puia', cit, pp. 240-243. 36 M. Pirrelli, Monopoli illustre - Casate e cognomi monopolitani, vol. II, Monopoli 1998, pp . 215-217 " C Gelao, Il San Pietro Martire d i Giovanni Bellini nella Pinacoteca Provinciale d1 Bari tra storia e arte, in Pinacoteca - Giovanni Bellini, Venezia 2008, in part pp. 7-9. 38 Il ritratto a mezzo busto dei due coniugi che compa re m basso, di qual ità piuttosto scadente, è stato palesemente aggiunto in locb. 39 Gelao, Il San Pietro Martire, cit, p 12. 0 • La vicenda relativa alla sua provenienza è stata resa nota in C Gelao, Per Andrea Mantegna.· una precisazione e una proposta, in Studi in onore di Michele D'Elia, a cura di Ead, Matera-Spoleto 1998, pp . 239-241.
I VIVARINI E BERGAMO. COMMITTENZE E CONSEGUENZE GIOVAN NI VALAGUSSA
Premessa Una disamina complessiva dei rapporti della famiglia dei Vivarini con il terntono di Bergamo deve prendere in esame aspetti assai diversi tra loro in un lungo arco cronologico di circa cinquant'anrn, che irnzia dalla metà del Qu attrocento e arriva con le sue ultime conseguen ze fino al primo decennio del Cinquecento. Il legame di committenza che è possibile ripercorrere lu n go il filo delle opere realizzate dai pittori della cosiddetta botte ga muranese per qu est'area eccentrica della Repubblica Serenissima s1 inserisce peraltro ovviamente nella più generale circolazione di opere d'arte di questo periodo, in tale ter ritorio . Un'area che, per sommi capi, si pu ò ricordare come in quell'epoca guardasse a Milano e a Venezia, seguendo ovviamente le oscillazioni d1 un instabile equilibrio politico e di sfere di influen za, che ponevano come noto Bergamo al confine dei rispettivi Sta ti dei due potenti vicm1. È interessante però notare preliminarmente che proprio Milano e Venezia sembrano spartirsi m modo pressoché esclusivo in questo cinquantennio l'influsso su Bergamo, senza che vi siano altre presenze forestiere di più remota origine, tranne qu ella - grandissima - di Bramante da Urbino, n el 1477. Con una netta preva lenza comunque in verità dei legami con
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M!lano . Appunto Bramante, ch e da Berga mo si sposta a Milano, forse con 11 giovane Bartolomeo Suardi, di cognome tradizionalmente bergamasco, e altri fo ndamentali episodi per Bergamo come quelli di Foppa, con il polittico per Santa Maria delle Grazie, e Ambrogio Bergognon e, con i due polittic i per la chiesa dei Santi Stefan o e Domenico, e poi con il polittico per la chiesa di Santo Spirito, ma an che, risalendo più mdietro, il mistenoso maestro dell'ambito dei Bembo che affresca per Bartolomeo Colleoni l'abside dalla ch iesa dell'Incoron ata a Martinengo, e molti altn simili casi "minori", sono segnali macroscopici e ben noti che arrivano cronologicamente fino a1 primi an ni del Cin quecento e testimornano u n più fitto tessuto di scambi con la capitale lombarda. È ancora da ricordare a questo proposito come polo significativo di attività artistica sia Trevi glio, vicina a Bergamo territorialmente ma pure decisamente rivolta a Milano e luogo di apparizione di una delle maggiori novità di questa secon da qetà d1 secolo, cioè del Politt1co di San Martino commissionato nel 1485, dipinto da Butinone e Zen ale, trevigliesi entrambi, poi però attivi a lungo a Milano. E un lingu aggio fondamentalmente zena liano caratterizza l'attività di Anton io Boselli, pittore bergamasco che ottiene n umerose
[ca t. 18 J Barto lom eo Vivar ini, San Pietro, Polittico d1 Scanzo. 1488. par t.
p 81 [cat. 18 J Bartolomeo Vivarini. Madonna in trono in adorazione del Bambino. San Pietro. San Michele arcangelo. Trinità con due angeli (Polittico di Scanzo).
1488
pp 82-83 [cat. 18 J Bartolomeo Vivar ini. Madonna 1n trono (Polittico di Scanzo),
1488. part.
committenze a Bergamo e dintorni soprattutto nel primo decennio del Cinquecento. Dunque a ben vedere è soltanto dal secondo decennio del secolo nuovo con il rientro di Andrea Previtali da Venezia, poi con l'arrivo d1 Lorenzo Lotto nel 1513 e ancora con quello di Giovanni Canani verso il 1517, che 1rnzia a crearsi quel legame figurativo tra Bergamo e Venezia, così stabile Lia lì in avanti per almeno tre secoli. Arrivi di altissimo livello, accompagnati da subito dalle opere di maestri belliniani di secondo rango come Cristoforo Caselli e preceduti da Lattanzio da Rimini, che anzi con le date 1503 e 1505 rispettiva mente del Polittico di Piazza Brembana e del Polittico di San Giovanni Battista a Mezzoldo fa da vero apripista a questo fenomeno d1 nuovo affiato venezianeggiante 1 Quali allora le vie di contatto e gli agganci della "bottega muranese"ì È già stato notato in diverse occasioni, in modo forse un po' schematico ma certamente corretto, che ci troviamo qui di fronte a una sorta di sepa razione tra centro e periferia, riprodotta nella piccola scala di Bergamo e del contado. Se m fatti in città nel secondo Quattrocento e fino al primo decennio del Cinquecento, come detto, domina l'influsso figurativo di Milano, il rapporto pare rovesciarsi nel territorio circostante dove invece sono più frequenti le opere di provenienza veneziana, e quelle dei Vivarini in particolare. La spiegazione "politica" di questo doppio registro nelle scelte artistiche può avere una sua verosimiglian za 2 se in città dominava infatti un ceto ari stocratico di antico legame con la capitale lombarda, nelle valli si teneva in auge invece il rapporto con Venezia, forse soprattutto in virtù delle persone che, da "emigranti", erano andate appunto a Venezia a lavorare, facendovi fortuna; anche se non si comprende del tutto perché per Venezia dovessero partire soltanto valligiani e non anch e bergamaschi di città, in cerca di fortuna. Sta d1 fatto che questo modello così ben definibile pare for-
nire una spiegazione ottimale alla presenza numericamente maggiore di opere dei mu ranesi, cioè di quelle di Bartolomeo. Vedremo poi come in realtà il fenomeno risulti un poco più complesso, se si osservano meglio anche i ruoli di Alvise, e di Antonio. Le committenze di Bartolomeo 11 ruolo d1 Bartolomeo in questa vicenda è certamente quello meglio definito e riconoscibile. Le sue opere per il territorio bergama sco, perlopiù grandi polittici a fondo oro, sono ben note e spesso corredate di firma e date. Vale la pena di ripercorrerne qui la sequenza, almeno per rendersi conto delle caratteristiche di una committenza continua e insieme molto circoscritta, che si rivolge al più trad1 zionale dei maestri della famiglia muranese. Il primo polittico arrivato in terra bergamasca dovrebbe essere il cosiddetto Trittico della Madonna, il cui scomparto centrale reca la data 1485; il pannello centrale con la Madonna in trono con il Bambino si trova ancora nella chiesa d1 Almenno San Bartolomeo, mentre risulterebbero perduti 1 laterali con San Giovanni Battista e San Bartolomeo. Di
questo complesso poteva far parte ipotetica mente anche un elemento con Cristo morto tra due angeli (Bob Jones University, Greenville, South Carolina, USA) che ne sarebbe sta to la cimasa3 : anche se mi sembra che questa scena dimostri forse un linguaggio più aspro e plastico, dalla grafia asciutta, di ascendenza più direttamente padovana, che si dovrebbe collocare a una data più precoce nell'itinera rio di Bartolomeo; ma sarebbe necessario in merito un esame diretto dell'opera4 Piuttosto, per ragioni di stretta omogeneità stilistica ben ravvisabile nella tornitura potente, piena e metallica delle forme, potevano far parte di questo polittico di San Bartolomeo i due An geli piangenti oggi conservati in Accademia Carrara, già proposti - credo erroneamente come completamento del Polittico di Scanzo5, del quale diremo.
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[ca t. 19 J Bartolo m eo Vivarini, San Martino e 1/ povero tra san Giovanni Battista e san Sebastiano (Pol,ttlco d1 Torre Boldone). 1491
Il secondo polittico importante di Bartolomeo è datato 1486 e proveniva dalla Parrocchiale di Albino, per arrivare poi come dono Melzi d'Eril alla Pinacoteca Ambrosiana, an che questo - come doveva essere quello di Almenno - una grande macchina preziosa e imponente, a sei scomparti con fondi dorati, firmata sul pannello laterale con San Rocco6 Dello stesso anno 14'86, sempre firmata, è la Madonna con il Bambino conservata in Accademia Carrara e proveniente dalla Collezione Loch is, un magnifico dipinto da cavalletto che non sembra aver fatto parte di un insieme più articolato, come invece è stato suggerito 7 L'iscrizione con la data e la firma, pur messa m dubbio, sembra del tutto autografa anche dopo il recentissimo restauro (nel 2014) e, volendo ammettere che 11 dipinto sia a Bergamo dall'origine, s1 potrebbe allargare il giro delle conoscenze d1 Bartolomeo anche alla committenza pnvata o comunque non ecclesiastica. Solo due anrn dopo arriva nella bergamasca un'altra macchina imponente il Polittico della Trinità (cat 18 ), già nella parrocchiale di Scanzo, con data 1488, acquisito da Giacomo Carrara per la sua raccolta e ora completo in Pinacoteca, sia pure con alcune gravi riduzioni delle tavole che hanno colpito m particolare la cimasa con la Tnrntà appun to, ridotta dalla onginaria forma a timpano (e non centinata come pareva prima del re stauro) a una sagoma rettangolare 8 Completo e benissimo conservato invece, m una cornice neoclassica che ben riecheggia quella onginale, è 11Polittico di San Giacomo, già nell'Abbazia di Vallalta, che passò nella collezione Contini- Bonacoss1 e nel 1971 fu acquistato da J . Paul Getty per il suo Museo di Malibu in California. Firmato e datato al 1490 è questo u no dei più impressionanti complessi realizzati da Bartolomeo in questa fase tarda, col suo grandioso San Giacomo centrale, m veste di pellegnno e in scala gigantesca rispetto agli altri astanti 9
Ultima impresa certa di questa serie il Trit tico d1 San Martino per la omonima parrocchiale di Torre Boldone (cat 19 ), datato 1491 e anch'esso oggi giunto in Accademia Carrara. Un complesso più piccolo questo, ma molto interessante soprattutto per la scena centrale con San Martino e il povero, di notevole dinamismo 10 , che non per nulla resterà ben impressa nella memona di Lattanzio da Rimm i come idea di partenza per l'ana loga scena centrale del polittico di Piazza Brembana del 1503. Ma probabilmente successivo a questo, per ragioni stilistiche, sarà stato un altro polittico ancora il Polittico di San Lorenzo, già n ella omonima parrocchiale d1 Alzano sopra, e del quale rimangono oggi quattro frammenti superstiti con Sante martm, nella parrocchiale di Ranica. Il complesso aveva al centro una figura di san Lorenzo martire m una scultura lignea e ne abbiamo la descrizione m diverse testimonianze antiche, fino alla dispersione avvenuta probabilmente nell'ultimo scorcio del Settecento. È stato proposto che questo complesso risalisse a una data vicina al 1486; ma almeno a giudicare dai quattro fram menti superstiti, non perfettamente conser vati, sembrerebbe più opportuna una data addnittura appunto dopo il 1490, nell'ultimo decenrno del secolo e dunque nella fase dav vero estrema dell'attività d1 Bartolomeo 11 A queste opere in vario modo sopravvissute se ne aggiungerebbero altre tre citate dal la letteratura. Un trittico nella parrocchiale di N ese, abbastanza ben documentato dalle fonti antiche e forse venduto all'inizio dell'Ottocento. Poi un Trittico del Rasano che sarebbe scomparso sempre nel pn mo Ottocento dalla parrocchiale d1 Bracca a Costa d1 Serina. E infine un polittico che sarebbe stato venduto nel 1788 all'architetto Giacomo Caniana, ma del quale pure si sono perse le tracce. È però molto probabile che uno di questi tre complessi segnalati dalle fonti - o una parte di uno d1 essi - siano le
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tre mezze figure di santi (san Giovanni Battista, santa Caterina d'Alessandria e un santo frate) che Adolfo Venturi segnalava nella antica collezione Frizzoni Salis di Bergamo, dove erano ad esempio anche alcune tavole del polittico dell'altar maggiore della distrutta chiesa dei Santi Stefano e Domenico, dipinte da Ambrogio Bergognone; una mdicazione importante che pare poi dimenticata nella bibliografia recente. Ammesso che questi dipinti venissero davvero dal territono bergamasco e ammessa per i tre complessi in dicati dalle fonti l'attribuzione a Bartolomeo Vivarini, di solito mdicato genencamente col solo cognome, fosse credibile, avremmo effettivamente un panorama incredibilmen te ricco della sua attività, concentrata oltretutto in un ristretto giro di anni. Da sottolineare per giunta, e già è stato fatto varie volte, come tutti i luoghi segnalati si trovmo in un perimetro molto circoscritto nei dintorni di Bergamo; e curioso sembra che malgrado ciò non si riesca a individuare con preci sione nessuno dei committenti che si era no rivolti a Bartolomeo. Il quale comunque, si dice, lavorava a Venezia e non si era mai spostato da laggiù, inviando le sue opere a distanza nelle valli bergamasche:2 Un'altra considerazione più volte npetuta è che in queste opere sia discutibile o comunque parziale l'attività diretta del maestro maggiore e piuttosto vi sia da nconoscere una diffusa partecipazione di collaboratori della bottega. Un'affermazione in realtà poco verificablle e che anzi sembra rivelarsi piuttosto infondata nel momento in cui si osservino meglio questi dipinti, magari dopo i recenti restauri come per alcurn di quelli in Accademia Carrara. Situati nell'ultima fase di attività di Bartolomeo non sembrano affatto scadere in qualità rispetto ad altre sue opere piuttosto rimangono come testimonianze di una sorta di ripiegamento del pittore su modi di più sicura e assodata tradizione, ma con passaggi di notevole qualità e brio, come
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nella piccola Madonna datata 1486 oppure nel fine Bambino dormiente del centrale del Polittico di Scanzo del 1488. D'altronde che queste opere risultassero aggiornate, interessanti e di grande soddisfa zione per pubblico e committenti in cerca di un autore di sicuro prestigio, fa fede implici tamente la contmuità assidua delle richieste. Ma anche un altro specifico fenomeno. Ossia l'attestarsi su queste stesse posizioni della produzione della bottega fiorentissima dei Marinoni, attiva nelle stesse valli bergama sche e che perpetua a lungo un linguaggio m buona parte ispirato ai modi di Bartolomeo: dalla grafia asciutta, al lavorio sui panneggi scavati, alla replica di tratti fisionomici simili nella espressione corrucciata, fino all'evidente uso del fondo dorato, moltissimi elementi richiamano il maestro muranese. A date ancora più avanti, che ormai si adden trano nel Cinquecento, ad esempio attorno al probabile 1511 (una data che sembra di poter leggere nella pu!èzonatura dell'aureola del San Bartolomeo della predella, in Accademia Carrara) del Polittico del Romacolo, uno dei più espliciti omaggi a1 modi e al formalismo così d'antan dei poiittici del VivariniB Le occasioni di Alvise Se dunque a parlar di Bartolomeo il panora ma della attività per Bergamo pare sufficien temente defirnto e in modo piuttosto chiaro incontra alla fine del Quattrocento - almeno tra il 1485 e il 1491 - l'mteresse della committenza specialmente nelle valli montane, passando il testimone spesso a continuatori più tradizionali ancora (la bottega dei Ma rinoni, peraltro già attiva almeno da metà secolo) e in quél,lche caso invece molto più moderni (Lattanzio da Rimini e poi Cristoforo Caselli, all'aprirsi del secolo nuovo), mol to più sfuggente risulta un eventuale ruolo di Alvise per questa stessa area. Anzi, nella rassegna delle presenze straniere venete e lombarde a Bergamo, stilata piuttosto di re-
[cat. 19 J Bartolomeo Vivarini. San Sebastiano, Po/1tt1co d1 Torre Boldone. 1491. part
cente e che riassume lo stato degli studi, del nome di Alvise non è traccia alcuna:4 Dobbiamo immaginare, a ripercorrere quanto si sa dell'attività di Alvise, che i suoi estimato ri fossero del tutto diversi da quell! dello zio e che quindi non siano immediatamente ipotizzabili contatti comuni con l'ambiente bergamasco. Ma è di notevole importanza a questo punto ncordare che ,-ma grande pala di Alvise con la Assunzione della Vergine tra gli apostoli, alta più di due metri, è oggi con servata a Brera dove arnvò nel 1811 in segui to alle soppressioni napoleoniche. Si tratta di un dipinto poco visto e poco studiato, che fu presto mandato in deposito nella chiesa parrocchiale della Bovisa, alla periferia di Milano, n el 1847, per ntornarne solo nel 1978 per necessità di un intervento di restauro, messo matto finalmente solo nel 1985 -1986. Rimane quindi ancora generalmente poco nota - e certamente a livello locale - la sua importantissima provernenza dal convento francescano dell'Incoronata a Martinengo, presso Bergamo, cioè dal complesso monastico voluto e fondato da Bartolomeo Colleoni e al quale il condottiero affida m testa mento nel 1475 una ncchissima somma per il completamento dei lavori. Se nel 1473-1474 la chiesa nsulta in corso di costruzione, piut tosto avanti comunque nei lavon, è proba bi le che già a queste date fosse in via di com pletamento l'affrescatura della zona absidale da parte di un maestro di cultura bembesca Mentre è altrettanto verosimile che la scelta di un pittore assolutamente più moderno e di tutt'altra cultura come Alvise venisse fatta ormai dopo la morte di Bartolomeo Colleorn (il 2 novembre del 1475 a Cavernago), da parte dei francescani. Anche la scelta del tema che rievoca la Resurrezione di Cristo nel ricongiungimento di arnma e corpo di Maria con l'ascen sione al cielo, si adatterebbe bene in questa prospettiva per essere l'episodio da collocare all'altar maggiore di una chiesa che era nata con l'intento di raccomandare a
Dio l'arnma del condottiero e ne faceva dopo la morte solenne memoria. Cunosamente però le fonti antiche spesso così precise sul terntono bergamasco tacciono del tutto su quest'opera, che arriva a essere mentoriamente attribuita ad Alvise soltanto nel catalogo relativamente recente della Pinacoteca Braidense 15 La data proposta attorno al 1478 pare perfettamente adatta sia nspetto ai po chi elementi certi degli inizi di Alvise, sia in relazione alle vicende note della fondaz ione francescana di Martmengo • se eff ettivamen te la pala di Alvise con la Pentecoste, ora a Berlino, era datata 1478 nella perduta cornice (in realtà era stata letta come 14181), vista la quasi perfetta affinità di modi con questa Assunzione avremmo m questo momento uno degli snodi più assestati dell'attività iniziale del Vivarini più giovane Qualche passo ulteriore si può :'are inoltre rispetto alla assenza di agganci o riflessi che gli estensori della scheda del catalogo braidense nlevavano nspetto al terntorio cir costante, orientandosi in verità soprattutto verso i lontani echi cremaschi in Civerchio e Benedetto Diana. È stato infatti giustamente proposto che potesse far parte dello stesso complesso 11 pannello con Cristo in pietà tra due angeli, ora conservato al Museo diocesano di Bergamo, ma proveniente da Roma no di Lombardia e m precedenza proprio da Martmengo 16 Il pannello orizzontale è per fe ttamente compatiblle, per m isure e soprattutto per fase stilistica n el percorso alvisiano, con la pala della Assunzione. E, benché la breve scheda in cui si propon e questa inte ressante origme documentale si addentn p01 esclu sivamente m questioni iconografic he poco probanti, sarà opportuno notare che nsulta perfetta la com cidenza dello schema che vedeva l'Assunzion e sormontata da un Cristo in pietà tra angeli, con l'identico assemblaggio del polittico ora a Berlino, dove come variante iconografica al luogo dell'Assunzione abbiamo la Pentecoste, ma in uno
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schema complessivo del tutto simile. Se giu stamente nel catalogo di Brera si rilevava la sovrapponibilità del viso di Maria nella pala ora berlinese con quello della pala già a Martinengo, la stessa analogia vale anche per il busto di Cristo passo, così lisciato e violen temente tndimensionale negli sbalzi di luce, come negli angeli dai profili affilati, le lunghe ali sottili e i panneggi stirati su lunghe pieghe rettilinee e ngide. Tanto da far immaginare che in questo momento Alvise abbia lavorato per i due complessi utilizzando probabilmente gli stessi disegni e sicuramente le stesse idee. Diventa piuttosto verosimile a questo punto provare a ipotizzare che la pala un tempo nell'Incoronata a Martinengo fosse in realtà un polittico molto simile a quello ora a Berlino . Una laconica indicazione 17, della quale non è nferita la fonte, direbbe che la pala dell'Assunzione fosse trasferita a Brera «assieme a due perdute mezze figure di San te» (sic' ma forse due sante a mezza figura7 ). Dunque con ogni probabilità sull'altar maggiore dell'Incoronata doveva esservi un polittico davvero composto di molti elementi, uno dei quali sembra si possa facilmente ri conoscere nel pannello con San Francesco e san Giovanni Battista ora alla Pinacoteca Malaspina di Pavia. Anche questo compatì bile per formato con l'Assunzione e la Pietà, presenta in grande evidenza una figura di san Francesco del tutto simile a quella del polittico berlinese e perfettamente adatta a una sede francescana, mernre - malgrado la conservazione non sia ottimale - i dati di stile non possono far altro che confermare l'appartenenza sempre al medesimo momento dell'attività di Alvise, come è evidente ad esempio nei tagli lunghi e secchi delle pieghe dei panneggi, o nei visi prosciugati e dagli sguardi febbrili. Difficile invece dire oggi se il pannello m questione fosse dell'ordine superiore e presentasse i due santi a mezza figura, o se piuttosto sia stato decurtato della parte bassa, magari danneggiata 18
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Dunque si ricostruisce così una presenza di Alvise di notevole significato, in un luogo di indubbio prestigio, a una data che è mol to verosimile collocare al 1478 circa e che quindi precede di un buon numero di anni le commissioni di Bartolomeo per i luoghi vallivi delle quali si è detto Né mancano del tutto echi di questo episodio finora così trascurato. Proprio in Accademia Carrara sono abbastanza evidentemente alvisiane due tavole con San Giovanni Battista e San Girolamo che provengono dalla collezione di Giacomo Carrara, e che non è difficile individuare con precisione nell'antico inventario di Borsetti del 1796, alla pagma 74 del manoscritto, nella «Sala quarta al Piano supenore», numen 96 e 97. Scrivendo molto tempo fa su questi due dipinti mi sembrava di poterli mettere in relazione in particola re, come opere della stessa mano, con una tela che rappresenta il Compianto su Cristo morto, con Bartolomeo Co/leoni, conservata oggi al Luogo Pio Colleoni di Bergamo19 Un collegamento che a distanza di anni mi sembra ancora plausibile e ch e si sviluppava poi nella ricomposizione di un piccolo corpus di opere nelle quali erano costanti l'influsso vivariniano, individuato allora più che altro nei modelli di Antonio, e il 1egame con la committenza colleonesca. Partendo dalle coordinate stilistiche e ripercorrendo il breve iter di questo anonimo non era difficile concludere per una datazione dei due dipinti con i santi Giovanni Battista e Giroìamo proprio nella seconda metà degli anni settanta. Risulta ora più chiaro come l'au tore, ancora privo di una identità anagrafi ca precisa, delle opere di questo gruppo sia probabilment~ un bergamasco formatosi però di immediato riflesso al gran polittico di Alvise collocato alla Incoronata e che la sua attività nel contesto colleonesco preceda ma anche segua, come ipotizzavo allora, la morte del condottiero nel 1475, situandosi nel momento della collocazione della Pala
dell'Assunzione probabilmente nel 1478 cir-
[cat. 21] Alvise Vivar ini, San Girolamo pemtente. 1476-1477 circa
ca. Gli echi alvisiani sono, soprattutto nelle due tavole oggi in Accademia Carrara e nella tela ci~ate, talmente evidenti specialmente nei da:i fisionomici dei visi dei personaggi, nella falcatura delle mani dalle dita appuntite, nei contrasti d1 luce fortemente ch1aroscurati sulle pieghe nette dei panneggi, da non lasciare adito a dubbi. Ciò non significa, in assenza di altri elemen ti probanti, che Alvise fosse stato di person a a Martinen go, o a Bergamo . La presenza di due suoi dipinti - peraltro d1 un piccolo formato adatto alla devozione privata - nelle collezioni bergamasche Lochis e Baglioni, oggi in Accademia Carrara (si confrontino le schede relative, cat 22. e cat. 21), non può essere risolutiva in questo senso, e anzi giova ricordare che per entrambi si era perso ogni eventuale riferimento all'autore. Un legame però di estremo interesse d1 Alvise con Bergamo, anche se indiretto, è nella bella Madonna in trono con il Bambino firmata da Alvise e datata 1483 che si trova oggi nella chiesa d1 Sant'Andrea a Barletta (cat 27 )20 Un dipinto ancora più esplicitamente antonellesco di quelli finora discussi e che conferma la riflessione di Alvise sulla Pala di San Cassiano, a Venezia in questo momento il punto focale del dibattito figura tivo. Il dipinto di Barletta, sul quale si sofferma Clara Gelao in questo stesso volume, fu commissionato da un ignoto componente della famiglia De Girardis, u n cognome at testato ancora nella bergamasca (nella forma nobile De Gherardi, e nella diffusissima forma veneta Girardi), famiglia che era allora in Puglia meglio nota col soprannome del luogo d'on gine, Salmeggia, presso Bergamo. Impossibile dire se il legame della famiglia Salmeggia con Alvise risalisse a un contatto bergamasco o si fosse stabilito a Venezia, ma la coincidenza è d1 sicuro interesse In una rete di conoscenze impossibile da ricostruire con assoluta certezza, una certa
familiarità di Alvise con Bergamo è confermata forse da un ultimo episodio che giu stamente si fatica a inquadrare in un precisa ipotesi di committenza quello del polittico di Cima da Conegliano a Olera 2: Un'opera assolutamente straordinaria, con ogni probabilità realizzata direttamente a Venezia, databile alla fine degli anni ottanta per via di numerosi riferimenti stilistici specialmen te alle opere di Giovanni Bellini e di Bartolomeo Montagna, probabilmente verso il 1488-1489 circa. Un gran de polittico a fon do oro che va a rendere meravigliosa l'abside della chiesa di un piccolo paese valligiano, come una cometa luminosa improvvisa mente scesa dove non ci s1aspettava che arrivasse. Opera di un giovane Giovan Battista Cima, meno che trentenne, che probabil mente ha già abbandonato Conegliano per Venezia e per il quale mi sembra decisiva, propno in quest'opera, l'influenza di Alvise. I confronti, già proposti ma davvero importanti da sottolineare ulteriormente, con il trittico francescano firmato da Alvise e data to 1485, oggi a Napoli alle Gallerie di Capodimonte, mi sembrano risolutivi nell'indicare in questo momento specifico un passaggio di Cima nella bottega alvisiana 22 Difficili da spiegare altrimenti passi del discorso così identici da essere forse frutto di disegni comuni, come la mano sollevata in controluce di san Francesco, in controparte a Olera ri spetto al trittico di Napoli, o lo scarto di lato della testa e dello sguardo del Bambino, con l'identico gesto benedicente. Ma anche talune asprezze espressive che sono caratteristi che di Alvise in dati quasi morelliani come le palpebre sferiche socchiuse sugli occhi febbrili, le n arici soffianti, le guance incavate e con rughe profonde, e poi le caratteristiche mani dalle dita affusolate e sottilissime. Dati morfologici tutti che poi si ammorbidiran no molto n ella pittura successiva di Cima, votata a un più quieto classicismo. Elementi questi che si combinano con altri di più lata
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[cat. 22 J Alvise Vivarini. Santo vescovo (Andrea?) adorato da un devoto. tra un santo vescovo (Ludovico d1 Tolosa?) e san Francesco. nel paesaggio, 1478-1480 circa
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ascendenza belliniana, ma che potrebbero far immaginare un ruolo preciso di Al vise nel proporre il giovane allievo per una committenza di rilievo ma periferica, quasi ad affiancare, o - chissà 7 - a far concorren za agli analoghi passi dello zio Bartolomeo, magari già troppo impegnato nelle valli bergamasche proprio m questo giro di anrn per accettare anche questa impresa. Le novità di Antonio
Viste per punti salienti le presenze di Bartolomeo e di Alvise nel territorio bergamasco, rimane da valutare, risalendo indietro nel tempo, se eventualmente anche per Antonio sia possibile individuare qualche elemento di contatto diretto con questo contesto. Le opere attualmente presenti in Accademia Carra ra, di Antonio e di Giovanni d'Alemagna, non nacquero certo per Bergamo ma per Venezia (certamente le Storie di santa Monica) e tutt'al più per qualche altro centro del Veneto, semmai Padova verosimilmente (le Storie d1 santa Apollonia); il loro arrivo a Bergamo è dovuto a un più tardo intelligente collezioni smo ottocentesco (cfr le schede relative, catt 4, SJ Nella collezione d1 Giacomo Carrara erano invece presenti due dipinti raffiguranti San Girolamo e un Santo leggente, forse San Bamaba, che sono evidentemente gli scom parti laterali di un polittico, probabilmente di un trittico, e che paiono assegnabili ad An tonio Vivarini in una fase piuttosto tarda di attività, forse con la collaborazione di bottega23 Lo stato di conservazione non ottimale non consente al momento una valutazione più accurata, in attesa di un necessario in tervento di restauro. La due tavole furono acquistate da Carrara nel 1759 e le si trova nell'antico inventario di Borsetti del 1796, alla pagina 74 del manoscritto, nella «Sala quarta al Piano superiore», numeri 114 e 117, non distanti quindi dalle due tavole dell'anonimo pittore bergamasco vicino ad Alvise, prima citate. Attribuite stranamente m quel registro
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inventariale al Bramantino, un nome poco frequente nella letteratura artistica di metà Settecento, sembrano facilmente identifica bili con questi due dipinti 24 per i quali una origine da Bergamo o dal circondario diven ta abbastanza probabile, ma non è purtroppo confermata da nessun dato documentario certo. Né le antiche guide ci attestano la presenza in zona di opere di Antonio, peraltro difficili da riconoscere in assenza di firme che raramente il pittore apponeva: un caso dunque opposto a quello di Bartolomeo, così ben documentato. Un caso di interessante influsso vivariniano però, dipendente da Antonio, è nel misterioso grande polittico del quale in Accademia Carrara rimangono due imponenti pannelli con San Paolo e San Pietro raffigurati m piedi su basamenti marmorei ottagonali, con alle spalle una balaustra a emiciclo e poi uno sfondo di rigogliosa vegetazione che si sta glia sul cielo dorato. Le due tavole dell'anonimo maestro sono caratterizzate da una resa pittorica accuratissima e preziosa che si im pegna nella descrizione accanita di dettagli quali i fili della barba, le ciocche dei capelli, le ciglia, passando p01 a un modellato dei volti levigato come porcellana, e a panneggi voluminosi su uno dei quali, quello di San Paolo, è ancora leggibile a luce radente - specie dopo il recente restauro - la trama incisa a bulino della decorazione del broccato con motivi fiammati. Caratterizzano inoltre queste due tavole alcuni elementi sporgenti in rilievo, realizzati in legno gessato e dorato, forse con corda e sicuramente - per il laccio della spada di Paolo - con una vera cinghia di cuoio, che danno una improvvisa eviden za a questi aa::essori, testimoniando un gu sto ancora tardogotico per la polimatericità delle superfici, da far pensare ad esempio alle pitture murali veronesi di Pisanello. Probabilmente, ma è difficile capire come, dello stesso polittico facevano parte altre due ta vole con Angeli che reggono gli strumenti
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[cat. 5] Giovanni dAlemagna (già attribuita ad Antonio Vivarini). Santa Apollonia accecata. 1440-1445 circa. part. pp. 96. 97
[cat. 5] Giovanni d'Alemagna (g ià attribui te ad Antonio Vivar ini). Santa Apollonia privata dei denti, Santa Apollonia accecata,
1440-1445 circa
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della Passione, sicuramente di mano de]o
stesso autore e che sembrano assai simili per ogni aspetto ai due santi maggiori. Ser.1pre della stessa mano, ma forse non proveniente dallo stesso complesso, è infine un San Nicola, di proporzioni più ridotte. Questi ultimi tre dipmti facevano certamente parte della collezione di Giacomo Carrara e sono minuziosamente descritti nell'inventario di Borsetti del 1796, in due sale diverse della Galleria, mentre mancano invece nell'elenco i òue grandi San Pietro e San Paolo, fatto assai strano in verità e di difficile spiegazione, essendo tutte queste tavole citate nei di versi appunti che testimon iano gli acquisti di Carrara stesso 25 La ricostruzione parz1a le del polittico si integra inoltre certamente con altri due dipinti con figure d1 santi dello stesso grande formato, San Giacomo maggiore e San Giovanni evangelista, oggi nella Collezione Cini a Venezia, e poi forse con altri elementi di un ordine superiore con ti gure a mezzo busto. Questa ricomposizione ci permette di 1mmagmare un complesso notevole e di grande suggestione, che da vari indizi desumibili sia dall'mventario di Borsetti, sia dagli scritti di Giacomo Carrara, si poteva forse immaginare sull'altar maggiore del grande convento di Sant'Agostino a Bergamo26 L'autore per un certo periodo è stato battezzato di conseguenza "Maestro del 1458", perché di quell'altar maggiore risulterebbe la committenza da parte del celebre erudito Ambrogio da Calepio, presente all'epoca nel convento agostirnano 27 . Lo stesso pittore è poi riconoscibile m una serie di altre tavole dipinte, divise tra la Pinacoteca Malaspina di Pavia, la Collezione Longhi di Firenze, e ora la Alana Collection di Newark (Delaware, USA), ribattezzato con un nuovo nome convenzionale che lo individua come "Maestro dei cartellini" in omaggio all'abitudin e di applicare sui su oi dipinti piccoli cartigli in pergamena incollati, col nome del santo raffigurato, e considerando viceversa
che il suo grande polittico del quale fanno parte i pannelli in Accademia Carrara non era probabilmente sull'altar maggiore del convento di Sant'Agostino - dove era in vece una macchina con sculture, questa sì commissionata nel 1458-1459 - ma si trova va invece su uno degli altan laterali 28 Al d1là della collocazione originale del politti co e del contesto culturale di grande interesse del convento agostiniano, tutti temi che si potranno probabilmente ancora approfon dire, sarà importante cercar di comprendere ancor meglio i termini dell'attività di questo ignoto maestro così dichiaratamente debi tore di Antonio Vivarini e al tempo stesso a stretto contatto con esempi padovani nel solco dello Squarciane. Un artista che potrebbe forse essersi formato a Brescia, tra le importanti suggestioni dell'Annunciazione di Jacopo Bellini per la chiesa di Sant'Alessandro, probabilmente intorno al 1430, con la sua predella forse di Francesco de Franceschi (del 1444 ?) e, soprattutto, il trittico di An tonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna con Sant'Orsola e le Vergini martiri, tra San Pietro e San Paolo, eseguito per la chiesa brescia na di San Pietro in Oliveto nel 1443-1444. E qualche legame potrebbe avere, nelle reminiscenze goticheggianti come nel gusto per i dettagli descritti accuratamente, molto rifiniti e preziosi, anche con l'ambiente dei miniatori, che sappiamo attivi a Brescia per il vescovo Bartolomeo Malipier, in carica dal 1457 al 1464. L'attività a Bergamo del "Maestro dei cartellini", costituisce comunque, a quanto sappiamo, cronologicamente il primo episodio - particolarmente significativo per colloca zione e imponenza - dell'apparizione in città di un linguaggio figurativo in relazione con la bottega muranese: scelta che segna un decisivo momento di svolta nei confronti della preesistente cultura di tradizione tardogotica.
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' Uno sguardo complessivo sulle presenze "esterne" che partecipano all'attività artistica a Bergamo nel Quattrocento e nel primo decennio del Cinquecen to è n e I pittori bergamaschi, Il Quattrocento, II, 1994, pp 47 -98 e 99-158, nei due saggi di Francesco Rossi (F Rossi, Presenze lombarde, in J pittori bergamaschi, cit., pp 47-98; Id., Presenze venete, in I pittori bergamaschi, cit., pp. 99-158) dedicati a una rassegna completa delle testimonianze note 2 Vedi Rossi, Presenze venete, cit., specialmente alle pp.104-105. 3 La proposta è di S. Pepper, Bob Jones University. Collection of Religious Art Jtalian Paintings, Grenville 1984, p . 27, che rileva la probabile provenienza della tavola dalla chiesa d1Alm enno . Viene n presa m Rossi, Presenze venete, cit., p. 126. 4 La tavola no:. è purtroppo catalogata ora in Selected Masterworks, from the Bob Jones University, Museum & Gallery, a cura di J. Nolan, Greenville 2001 5 Si tratta d1 una proposta sempre di Rossi, Presenze ve nete, cit., p. 127. Ma si veda anche la scheda del sottoscritto: G. Valagussa, Bartolomeo Vivanni, in Botticellt Bellint Guardi, catalogo della mostra (Caen, Musée des Beaux Arts, 27 marzo - 19 settembre 2010), a cura di P Ramade, G. Valagussa, Parigi 2010, pp 24-27 6 Sul polittico ora all'Ambrosiana: Rossi, Presenze venete, cit. , pp. 133- 134; G. Fossaluzza, scheda Bartolomeo Vivarim, in Musei e Gallerie di Milano. Pinacoteca Ambrosiana, t. I, Milano 2005, pp. 297 -305. 7 Rossi, Presenze venete, cit., p. 129. 8 Sul Polittico di Scanzo si veda la scheda del sottoscritto, G. Valagussa, Bartolomeo Vivarini, in Botticelli, Bellini, Guardi, cit. , pp. 24-27, e ora la scheda nel presente catalogo (cat. 18). 9 Per il polittico ora al Getty Museum vedi Rossi, Presenze venete, cit., pp. 132-133; ma vedi anche P Humfrey, Bartolomeo Vivarini's Saint James Polyptych and its Provenance, m «The J. Paul Getty Museum Journal», XXII, 1994, pp .11-20 10 Il Trittico di Torre Boldone è discusso da Rossi, Presenze venete, cit., pp. 126 -127; vedi ora la scheda nel presente catalogo (cat. 19). 11 Il Polittico di San Lorenzo è discusso da Rossi, Presenze venete, cit., p. 135. 12 Anch e per questi polittici perduti sempre Rossi, Presenze venete, cit., pp. 104-105, 126, 132. La segnalazione di A. Venturi, Storia dell'arte italiana, 7, III, 1914, p 330, tig. 251 13 Sul Polittico del Romacolo e in generale sulla dipen denza dei Marinoni dai polittici bergamaschi di Bartolomeo Vivarini si veda M. Tanzi, Maestro del Romacolo, in Piemontesi e lombardi tra Quattrocento e Cinquecento, a cura di G. Romano, Torino 1989, pp. 86-99. Su tutta l'attività della articolata bottega ora il volume di C Paratico, La bottega Mari noni. XV-XVI secolo, Bergamo 2008. 14 Il rifenmento è sem pre a Rossi, Presenze venete, più volte citato 15 L'importante scheda in catalogo è di C Alpini e M.
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Lucco, Alvise Vivarini, in Pinacoteca di Brera. Scuola veneta, Milano 1990, pp. 275-279 16 La notizia è in Museo Diocesano Adriano Bemaregg1 in Bergamo. Guida storico-artistica, con testi di S Facchinetti, Bergamo 2008, pp. 32-33. " Le notizie sono sommariamente indicate nella Guida di cui alla nota precedente. 18 Per il pannello di Pavia, Pinacoteca Malaspina, si veda la lunghissima scheda di V Buonocore, AIV1se Vivanm, in La Pinacoteca Malaspina. Musei CIVICI d1 Pavia, a cura d1 S. Zatti, Pavia 2011, pp 313 -314. L'accostamento all'Assunta oggi a Brera era già stato proposto da P. Humfrey, The altarpiece in Renaissance Venice, New Haven- London 1993, p. 334. : 9 LM Galli Michero, MG Recanati, G Valagussa, Contributo allo studio di alcune testimonianze meno note della pittura lombarda e veneta del XV secolo, in Giacomo Carrara e il collezionismo d'arte a Bergamo, a cura di R. Pacca nelli, MG Recanati, F Rossi, Bergamo 1999, pp. 368-371 20· Per l'opera di Barletta si veda ancora J. Steer, Alvise Vivarini. his Art and Influence, Cambridge 1982, p. 129. 21 Sul Polittico di O/era , oggetto recente di un esemplare restauro, si veda Inauratam et orna tam. Il polittico di Cima da Conegliano a O/era, a cura d1 E. Daffra, Bergamo 2005. Il testo rielabora un articolo apparso su «Arte Veneta» dello stesso anno. In particolare il tema delle ragioni difficilmente spiegabili della com mittenza è discusso da E. Daffra e M. Ceriana a p. 74 22 I confronti stll!stici e i modelli di riferimento per il giovane Cima, come la cronologia, sono ampiamente discussi da E. Daffra, M. Ceriana, Cima da Conegliano e la bottega di Alvise Bianco per San Bartolomeo a O/era, in Inauratam et omatam, c1t., alle pp 63- 73. 23 Le due tavole sono citate come di Antonio V1varini e molto vicine al Polittico di Arbe, databili quindi intorno al 1458, da R. Pallucchini, I Vivarini (Antonio, Bartolomeo, Alvise), Venezia ls d ma 19621, p 110. Giustamente qualche incertezza rimane sulla identificazione dei santi che sarebbero «S. Barnaba (o meglio S Gerolamo) e un santo leggente». Più tardi sono identificate come raffi guranti san Girolamo con un modellino di chiesa e san Giuseppe leggente da Rossi, Presenze venete, cit., p. 128. 24 Si veda in proposito R. Paccanelli, Il catalogo Borsetti, in Giacomo Carrara e il collezionismo d'arte a Bergamo, Bergamo 1999, pp. 259-319; per questi dipinti p. 293 e note 62-63 25 Si trovano nel Borsetti a p. 26, nella «Sala terza», al n. 113, il San Nicola; a p. 38, nella «Sala prima d'ingresso al piano superiore, detta delli Letterati» ai nn. 26 e 36, i due pannelli con gli Angeli. 26 Vedi sempre ~accanelli, Il catalogo Borsetti, cit., pp 259-319; per questi dipmti p. 277 e nota 14. Qui è già proposta la ricomposizione del polittico con diversi altri elementi, tra i quali i due della Collezione Cini. 27 Rossi, Presenze lombarde, cit., pp. 65 -66. 28 La scheda più recente in merito, e che riassume le nottzie note, è di A Galli, in The Alana Collection Italian Pamtings from the 13th to 15th Century, a cura di M. Boskovits, Firenze 2009, pp. 91-98.
I VIVARINI, UNA FAMIGLIA DI ARTISTI NELLA VENEZIA DEL QUATTROCENTO CAR LO CAVALLI
Secondo una prassi comune nella Venezia del Quattrocento, nella bottega dei Vivarini lavorano artisti appartenenti allo stretto nu eleo fam iliare o comunque legati da paren tela acqrnsita il capostipite Antonio, a cui si associa Giovanni d 'Alemagna che ne sposa una sorella, il fratello Bartolomeo e il figlio di Antonio, Alvise. L:attività della famiglia attraversa buona parte del Quattrocento, spingendosi fino ai primi anni del secolo successivo e intrecciando la sua storia con quella della pittura veneziana che, tra resistenze e portentose accelerazioni, assiste al passaggio dalla civiltà tardogotica a quella pienamente rinascimentale. Antonio nasce probabilmente pnma del 1420 dal maestro vetraio Michele di Antonio, abitante nella parrocchia di Santo Stefa no a Murano, e discendente da una famiglia di origini padovane che s1 era trasferita in laguna nella seconda metà del Trecento per esercitarvi l'arte del vetro. Nulla sappiamo della sua formazione, che si può immaginare avvenuta nella Venezia degli anni trenta, dominata dalle figure di Michele Giambono e Jacopo Bellini, entrambi in modi diversi interpreti dell'eredità di Gentile da Fabriano. La sua prima opera nota, tuttavia, il polittico oggi nella Basilica Eufrasiana di Paren zo firmato e datato 1440 (cat 1 ), denota una
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saldezza plastica del tutto peculiare, ottenu ta attraverso una stesura opaca e fuligginosa del colore, che appesantisce le vesti arrotondandone le pieghe e ammorbidisce gli incarnati, stemperando la graz ia lineanstica che ancora innerva le opere di Giambono e Bellini di quegli anni. Per spiegare questo esordio, al quale può essere riferita anche la Madonna con il Bambino dell'Accademia di Venezia (cat 2 ), qui esposta insieme al Polittico di Parenzo (cat 1 ), sono stati ripetutamente invocati gli apporti dell'arte toscana nella formazione di Antonio, chiamando in causa Masolino (che sarebb e transitato per Venezia in occasione del suo viaggio in Ungheria tra il 1425 e il 1427) e Filippo Lippi, sicuramente documentato a Padova nel 1433, dove lavorò nella Basilica del Santo e nella cappella del Podestà, senza che nulla di quanto dipinse si sia oggi conservato. La questione della formazione di Antonio è complicata dal fatto che la sua attività si intreccia precocemente con quella del cognato Giovanni d'Alemagna, con il quale firma e data (1441 sulla perduta cornice originale, insieme alla firma dell'intagliatore Gasparo Moranzone) il Polittico di San Girolamo per la Chiesa di Santo Stefano a Venezia, oggi conservato al Kunsth1storisch es Museum di Vienna. La fisionomia di questo pittore,
[cat. 2 J Antonio Vivari ni, Madonna con il Bambino.
1441 circa
Anton io Viva r ini e Giovanni d'Alemagna. San Pietro e san Girolamo. 1443 circa. Londra. National Gal lery [cat. 3] Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna . Madonna in trono con 11 Bambino. 1443 circa Antonio Vivarinr e Giovan ni d Alema gna. San Francesco e san Marco. 1443 circa, Londra. National Gallery
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d1 origini tedesche, che sposa una sorella di Antonio e con lui stringe una decennale società artistica di grande successo, è tuttora quanto mai problematica. L'opinione più accreditata - anche se a oggi indimostrabile - tende a identificare il socio e cognato di Antonio che con lui s1 firma nelle opere degli anrn quaranta, con Giovanni figlio di Nicolò tedesco, che è documentato a Padova negli anni venti, nel 1432 è mcaricato della perduta decorazione pittorica del monumento funebre a Raffaello Fulgosio, scolpito da Pietro di Niccolò Lamberti nella Bas!lica del Santo tra il 1427 e il 1429, e nello stesso anno riceve la cittadinanza padovana. Se questo pittore fosse lo stesso Giovanni da Ulma (l'odierna Ulm in Germania meridionale), abitante a Venezia, che il vescovo Pietro Donato mcarica nel 1437 di dipmgere la sua nuova cappella privata nel palazzo vescovile di Padova - decorazione oggi perduta - si ricomporrebbe la figura di un artista dall'interessante fisionomia di origini tedesche ma ben inserito nel milieu artistico padovano, attivo a fianco di scultori toscani presenti in città, come Lamberti, sufficientemente stimato da incontrare le preferenze del colto umanista Pietro Donato (incuriosito dall'arte d'oltralpe, specie dopo l'esperienza del Concilio di Basilea), e con un'esperienza veneziana - il che potrebbe spiegare come sia entrato in contatto con il giovane Antonio. I due soci risultano attivi a Venezia dal 1441 al 1446, e a cominciare dal citato polittico per Santo Stefano siglano una serie di pale d'altare che ne decretano l'indubbio successo, nell'ambito d1 una committenza strettamente religiosa o comunque legata agli altari di giuspatronato nelle chiese veneziane. Del 1443-1444 sono le tre sontuose ancone per la cappella di San Tarasio nella chiesa di San Zaccaria a Venezia, condotte in stretta collaborazione con l'intagliatore Ludovico da Forlì, un complesso pittorico
e scultoreo spettacolare che dovette con sacrare la fama della bottega. All'incirca alle stesse date può essere riferito il cosiddetto Trittico d1 San Moisè, oggi diviso tra la chiesa di San Tomaso Becket in Padova (cat 3 ) e la National Gallery di Londra. Del 1444 è la pala con l'Incoronazione della Vergine per la chiesa di San Pantalon e del 1446 il Trittico dei quattro Padri della Chiesa, dipinto per la sala dell'Albergo della Scuola della Carità e tuttora conservato in situ, all'interno delle Gallerie dell'Accademia, privo de·11a cornice lignea. Lo stile di queste opere sembra coniugare il soffice plasticismo già presente nel Polittico di Parenzo (cat U a una propensione per il decorativismo sontuoso, fatto di dorature a pastiglia, tessuti operati dipinti a lacca su foglia d'oro, orli impreziositi da oro a missione, e per un naturalismo analitico espresso nei brani botanici e in quelli (rari) paesaggistici. Il tutto non disgiunto dalla ricerca di una spazialità nuova, abitata da figure che vengono scalate in profondità, e che tende a superare la frammentarietà della divisione m scomparti, come è evidente nel Trittico per la Scuola della Carità o in quello per San Moisè. Una lunga tradizione critica, che risale almeno a Roberto Longhi, nelle opere a doppia firma attribuisce al pittore di origini tedesche il gusto più sontuoso, ravvisabile nei brani decorativi e nelle elaborate costru zioni architettoniche di troni e spalliere, ma non gli accenti di modernità in senso plastico e spaziale, riferite invece alla mano di Antonio. Tale impostazione, benché riproposta anche in anni recenti, è stata messa in discussione a partire dal 1971 quando Federico Zeri sottopose nuovamente all'attenzione della critica il San Girolamo ora al Walters Art Museum d1 Baltimora, datato 1444 e firmato dal solo Giovanni, avvicinandolo alla Madonna dell'umiltà oggi in Collezione P1ttas, e avviando una generale rivalutazione dell'opera del pittore. Più re-
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centemente sono state ricondotte al solo Giovanni d'Alemagna le quattro tavolette con le Storie di santApollonia, divise tra National Gallery di Washington, il Museo di Bassano e l'Accademia Carrara di Bergamo (cat 5.), nelle quali il tono narrativo fiabesco e una certa eleganza che allunga le figure si associano a ostentate citazioni antiquarie, opportunamente messe in rela zione ad alcuni fogli dei taccuini di Jacopo Bellini oggi a Londra e Parigi. Ultimamente si è fatto il nome di Giovanni persino per il commovente Uomo dei dolori della Pinacoteca Nazionale di Bologna (cat 6) e per la frammentaria tavola con San Francesco riceve le stimmate del Museo Amedeo Lia di La Spezia. La questione è indubbiamente complessa e ancora aperta, ma va detto che lo stile messo a punto dai due artisti negli anni quaranta è molto omogeneo, ed è forse fuorviante tentare di distinguere nettamen te le porzioni dipinte dall'uno o dall'altro, almeno nelle opere dalla struttura più articolata. Il successo di questo linguaggio, apprezzato da una committenza religiosa non troppo rigidamente legata alla tradizione, consentì nel giro di pochi anni ai due soci di ampliare il proprio mercato. Nel 1446 Antonio risulta residente con la moglie Antonia a Venezia, nella parrocchia di Santa Maria Formosa, ma già il 20 ottobre dell'anno successivo è ammesso alla Fraglia dei pittori di Padova, insieme al cognato Giovanni il trasferimento della bottega a Padova può essere stato determinato dalla ripresa di relazioni preesistenti, dovuti alla lunga residenza padovana di Giovanni. Nello stesso anno 1447 i due pittori, insieme all'intagliatore Ludovico da Forlì, siglano e datano il Polittico della Natività, destina to alla chiesa padovana di San Francesco, e ora conservato alla Nàrodni Galerie di Praga Attorno al 1448 è generalmente datato il polittico già a Praglia, ora alla Pinacoteca di Brera, che ci è giunto senza cornice e sen-
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za firme né date, ma che è generalmente ricondotto alla committenza dei monaci benedettini. L.:incarico più prestigioso per la ditta Vivarini, e nel contempo la sfida più impegnativa, fu la decorazione della cappella Ovetari nella chiesa padovana degli Eremitani, da condursi lavorando a fianco di due giovani artisti allora emergenti nel panorama cittadino Andrea Mantegna e Nicolò Pizolo. La bottega muranese avrebbe dovuto affrescare la volta a crociera, la parete destra della cappella e l'intradosso dell'arco di entrata, tuttavia la morte di Giovanni d'Alemagna, avvenuta entro il giugno del 1450, causò l'interruzione dei lavori e l'abbandono del cantiere da parte di Antonio, che rientrò a Venezia chiudendo l'esperienza padovana. Furono realizzate soltanto le quattro vele, con i costoloni percorsi da festoni e carnose foglie d'acanto, i Quattro evangelisti entro tondi incorniciati da serti di frutta, e Angeli reggicartiglio, il tutto fortunatamente documentato da alcune fotografie anteriori al bombardamento del 1944 che ne causò la totale distruzione. In questi brani è evidente lo sforzo di Antonio e Giovanni di adeguarsi a un gusto che non era quello della committenza ecclesiastica per cui abitualmente lavoravano, e che si nu tnva mvece di interessi antiquari e di idee nuove circa la rappresentazione dell'uomo nello spazio. Il repertorio decorativo ispirato al mondo classico, che convive con il più consueto rigoglioso naturalismo, il timido scorcio prospettico degli oculi con gli evangelisti, il soffice plasticismo degli angeli, acerbi nudi classici non lontani dall'idolo che santApollonia si appresta ad abbattere nella tavoletta di Washington, ai nostri occhi appaiono goffi tentativi di parlare una lingua non propria, ma allo stesso tempo testimoniano quale fermento di idee animasse Padova alla metà del secolo. Nonostante la brusca interruzione, l'esperienza padovana lasciò il segno nell'arte dei
pp.108-109 [cat. 5] Giovanni d'Alemagna (già attr ibu ita ad Antonio Vivarini), Santa Apollonia accecata. 1440-1445 circa. part.
[cat. 6] Anton io Viva rini. Uomo dei do/on.
1449-1450
Vivarini e in particolare in quella del giovane Bartolomeo, che doveva essere nato attorno al 1430 e che, plausibilmente, aveva seguito il fratello a Padova, restando folgorato dall'ambiente artistico cittadino in quegli anni segnato dalla presenza di Donatello e della sua bottega, ma anche da quella di Francesco Squarcione e dall'attività del giovanissimo Andrea Mantegna che proprio tra il 1447 e il 1448 lavorava a una pala d'altare (perduta) per la chiesa di Santa Sofia. È probabile ch e Bartolomeo fosse presente anche sui ponteggi della cappella Ovetari, un'esperienza fondamentale per la sua formazione, soprattutto nel momento in cui, venuto a man care Giovanni d'Alemagna, si trovò a collaborare strettamente con Anto nio per onorare alcuni prestigiosi incarichi, probabilmente pregressi. Nel 1450 Antonio e Bartolomeo firmano la grandiosa ancona per la Certosa di Bologn a, oggi alla Pinacoteca Nazionale della città, e nel 1451 un secondo polittico per la chiesa di San Francesco a Padova, destinato all'altare maggiore, e oggi disperso tra diverse collezioni . Questi sontuosi polittici (di quello per San Francesco la cornice è perduta) inau gurano un decennio di collaborazione tra i due fratelli, che insieme realizzano opere anch e molto complesse, nelle quali tutta via non riescono a raggiungere la coerenza formale messa a punto nel decennio precedente dalla bottega. Il polittico per la Certosa di Bologna esibisce uno scarto stilistico netto rispetto alle ultime opere documenta te o riferite unanimemente agli ultimi anni di collaborazione tra Antonio e Giovanni la stesura cromatica si fa più compatta, meno fuligg inosa, il piegare delle vesti più angoloso e meno sciolto; un grafismo appuntito percorre i contorni delle figure e innerva alcuni dettagli anatomici, come le mani giu nte della Vergin e, impostata secondo u n modulo allungato del tutto estraneo al fare di Antonio e Giovanni. Sono elementi che
diverranno tipici di Bartolomeo, il quale in quest'opera deve essere intervenuto estesamente, specie per quanto rigu arda la stesu ra cromatica . Questi caratteri di novità sono meno evidenti nel Polittico di Rutigliano (cat 9 ) e anche in quello per il convento di Sant'Eufemia ad Arbe (odierna Rab, in Croazia), del 1458 (cat 10 ), che pure è firmato · da entrambi i fratelli. D'altra parte, se si osserva il polittico dipinto per la Confraternita di Sant'Antonio Abate di Pesaro, ora alla Pinacoteca Vaticana, datato 1464 e firmato dal solo Antorno, non si può non rilevare una stesura più compatta e smaltata del colore e una propensione per accordi cromatici squillanti, estranei alla prima produzione di Antonio si tratta di una collaborazione con il fratello, anche se assente dalla firma, oppure di un aggiornamento del linguaggio di Antonio sugli stimoli di Bartolomeo? Anche m questo caso, come per la collaborazione tra Antonio e Giovanni d'Alemagna, il problema dell'autografia dei polittici e della distinzione delle mani va inquadrato nella pratica della bottega, ch e prevedeva certa mente una suddivisione del lavoro ma anche un considerevole sforzo nell'elaborare uno stile omogeneo, in grado di soddisfare le aspettative della committenza. I caratteri essenziali dell'arte di Bartolomeo sono stati da sempre messi in relazione con il milieu squarcionesco e in particolare con i modi di Andrea Mantegna nei suoi anni pa dovani, e in verità alcune opere nate per la devozione privata, e dipinte da Bartolomeo in autonomia dal fratello probabilmente già negli anni cinquanta, consentono di misu rare i suoi debiti nei confronti della cultura padovana. La Madonna con Gesù Bambino del Louvre, quella oggi a Westminster, quella con i Santi Paolo e Girolamo della National Gallery di Londra, costituiscono per molti versi quasi degli omaggi a Mantegna, per la nitida volumetria dei corpi, pietrificati in panneggi marmorei, oltre che
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[cat. 8] Antonio e Bartolo meo Vivarini . Sant'Antomo da Padova . San Ludovico dt Tolosa.
1451
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per alcuni dettagli iconografici e di gusto antiquario che il pittore muranese riprende con ammirazione. Probabilmente verso la fine degli anni cinquanta Bartolomeo comincia a eseguire autonomamente opere di maggiore impegno e complessità (la prima opera documentata è il San Giovanni da Capestrano del Louvre, datato 1459) In questi anni egli mette a punto un linguaggio che, con minime oscillazioni, sarà la sua cifra caratteristica per circa un trentennio, quasi un marchio di fabbrica lo si può già osservare nel polittico per Sant'Andrea della Certosa a Venezia, ora alle Gallerie dell'Accademia, firmato e datato 1464. Un linearismo risentito, angoloso, percorre i contorni delle figure e spezza i panneggi, increspa riccioli e barbe, scandisce i piani dei volti e delle membra, mentre la stesura croma tica, abbandonata la morbida pastosità di Antonio, si fa più dura e vetrosa, addensa le ombre tra le pieghe e schiarisce i punti luce al limite del cangiantismo il tutto s1 traduce in un robusto plasticismo, che non a caso è stato associato alla contemporanea scultu ra lignea di matrice nordica. Nel contempo Bartolomeo sperimenta timidamente nuove soluzioni nella rappresentazione dello spazio, già sondate, ma con spirito più pionieristico, da Antonio e Giovanni d 'Alemagna negli anni quaranta, e nel 1465 firma la sorprendente pala oggi alla Galleria Nazionale di Capodimonte, dove colloca in uno spazio unificato la Madonna in trono con li Bambino e santi (cat 11), all'interno di un giardino cinto da un alto roseto, uscito dalla tradizione di bottega. Ma è uno spazio compresso, dove le proporzioni tra le figure sono arcaicamente gerarchiche e gli elementi antiquari ancora "padovani" - il vocabolario all'antica del trono, i festoni sorretti dagli angeli - si traducono in puro ornamento, che invade la superficie ma non abita uno spazio credibile, prospetticamente costruito un mantegnismo epidermico
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che non comprende l'universo intellettuale del maestro padovano. Negli anni sessanta Antonio continua a lavorare preferibilmente per una clientela non veneziana, inviando nelle Marche, in Dalmazia e in Puglia polittici ai quali lavora da solo, o coadiuvato da anonimi aiuti di bottega. Il 1464 è l'anno dell'ultima opera firmata da entrambi i fratelli, il Polittico di Osimo (l'iscrizione è oggi perduta), ed è anche l'anno, come già ricordato, del primo polittico firmato dal solo Bartolomeo, quello per Sant'Andrea della Certosa a Venezia, nonché del Polittico di Pesaro, firmato dal solo Antonio e capolavoro della sua maturità. Mentre Bartolomeo si emancipa progressivamente, Antonio, salvo alcune eccezioni, tende a ripetere stancamente se stesso, in capace di rinnovarsi così nel Trittico di San Bernardino a San Francesco della Vigna, o nell'ultima opera firmata giunta fino a noi, il Polittico di Andria, eseguito dopo il 1467, ora nella Pinacoteca Metropolitana di Bari, di cui è qui esposta l'Imago pietatis sommitale (cat 24) Morirà dopo il 1476, lasciando nella chiesa veneziana di Sant'Aponal (Sant'Apollinare) forse le sue ultime opere, datate 1470, ricordate da Francesco Sansovino e di cui purtroppo nulla rimane. Per Bartolomeo invece, che appare stabilmente residente nella parrocchia di Santa Maria Formosa, si apre la stagione di maggior successo a Venezia, ed è negli anni settanta che si sgranano alcun i dei suoi ca polavori assoluti, talora d1 eccezionale qua lità pittorica nel 1472 l'Annunciazione della chiesa matrice di Modugno (Bari) (cat. 13 ); nel 1473 il Polittico di Sant'Agostino ai Santi Giovanni Et Paolo (Venezia) (cat. 14 ); nel 1474 il Tnttico della Madonna della Misericordia a Santa Maria Formosa e il Polittico di San Marco per la cappella Corner ai Frari; nel 1475 la pala per la Certosa di Padova, ora a Lussingrande; nel 1476 la pala per San Nicola di Bari (cat. 15); nel 1477 il polittico per
[cat. ll] Barto lomeo Viva rini. Madonna in trono con 1/ Bambino e santi. 1465. part.
[cat 14 J Bartolomeo Vivar ini. Polittico di Sant Agostino.
1473
la Fraglia dei Tagliapietra ora all'Accademia di Venezia e il Polittico di Morano Calabro; nel 1478 il Trittico di San Giovanni in Bragora; nel 1480 il polittico per Sant'Eufemia alla Giudecca, di cui sopravvive integra la sola tavola con San Rocco e l'angelo. Negli stessi anni la bottega di Jacopo Bellini, con i figli Gentile e Giovanni, contendeva ai Vivarini la committenza.,religiosa a Venezia, protesa in un progressivo aggiornamento della pala d'altare, le cui tappe fondamentali sono da ricercarsi ancora nella dispersa pala per la cappella funerana della famiglia di Gattamelata nella Basilica del Santo a Padova, del 1460, e nei quattro Trittici un tempo posti sugli altari del barco della chiesa di Santa Maria della Carità a Venezia, dipinti tra il 1462 e il 1464, ora alle Gallerie dell'Accademia. Mentre tuttavia i Vivarini lavorano per un mercato tradizionale costituito princ ipalmente dagli ordini religiosi, dalle parrocchie e dalle famiglie che aveva no giuspatronati nelle chiese, i Bellini differenziano il proprio pubblico, e si legano anche a una clientela più colta e con interessi umanistJCi . Ciò ebbe una notevole importanza nella maturazione del più giovane dei Bellini, Giovanni, al quale si deve un'au tentica rivoluzione concettuale e formale della pala d'altare, operata nel giro di pochi anni. Mentre Bartolomeo lavorava al Polittico di Sant'Agostino ai Santi Giovanni e Paolo (1473) (cat 14 ), una tradizionale ancona a più scomparti, Giovanni Bellini aveva già da alcurn anni messo in opera nella stessa chiesa il Polittico di San Vincenzo Ferrer (1465-1470), nel quale la matrice mantegnesca da cui anch'egli muove è superata da un lirismo sentimentale ottenuto attraverso un uso magistrale della luce, che addolcisce le durezze lineari ancora presenti, avvolgendo figure e paesaggio nel medesimo chiarore vespertino. Poco più tardi, probabilmente a ndosso del 1472, Giovanni eseguiva la perduta Pala di Santa Caterina - sull'altare esat-
tamente di fronte a quello di Sant'Agostino prima vera pala unificata a Venezia nella quale, tramite la prospettiva geometrica e l'identità di cornici architettoniche scolpite e dipinte, lo spazio virtuale dell'immagine doveva apparire come la naturale continuazione di quello reale, avvicinando con inedita immediatezza le figure dipinte ai devoti che si accostavano all'altare. A questo umanesimo sentimentale e intellettuale Bartolomeo si nvela sostanzialmen te impermeabile e continu a a dipingere figure intagliate in una materia adamantina, definite da una linea netta e marcata, che profila orli e pieghe dei panneggi, delimita le superfici, costruisce anatomie e fisionomie dei volti in un reticolo che ingabbia campiture di colori squillanti e vetrosi, non a caso paragonate a smalti o a tasselli di vetrate legati a piombo. La lingua parlata da Bartolomeo non potrebbe essere più distante dalla ricerca di Giovanni Bellini, protesa verso la fusione tra i soggetti e l'ambiente circostante mediante la luce, una ricerca che proprio in quegli anni trovava nuovo impulso nell'arte di Antonello da Messina, che come è noto tra il 1475 e il 1476 era a Venezia, dipingeva la Pala di San Cassiano (ora, mutila, al Kunsthistorisches Museum di Vienna) e vi lasciava (inviandolo da Messina dop o il suo ritorno in patria) il Trittico per la chiesa di San Giu liana, di cui sopravvive il solo San Sebastiano ora alla Gemaldegalerie di Dresda. Chi, invece, guardava con avida curiosità a quanto andavano facendo Giovanni e An tonello era il giovane Alvise Vivarini, la cui data di nascita non è nota ma, sulla base dei due testamenti della madre Antonia, dovrebbe collocarsi tra il 1442 e il 1453 . Alvise si forma nella bottega paterna,. tuttavia guardando più allo zio Bartolomeo che al padre Antonio, e cercando ben presto riferimenti al di fuori della tradizione fam ilia re. Le tavolette dell'Accademia Carrara qui esposte - il Santo vescovo (Andrea?) adorato
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da un devoto, tra un santo vescovo (Ludovi-
[cat. 20 J Alvise Vivar ini. Arco trionfale del doge Niccolò Tron. 1471-1473 circa
co di Tolosa?) e san Francesco, nel paesaggio (cat 22 ) e il San Girolamo penitente (cat 21) - sono dipinti di devozione pnvata generalmente riferiti ai prim i anni settanta, e rivelano un artista ancora acerbo in cerca d1 una propna cifra espressiva, ma interessato all'immersione della figura umana nel paesaggio e agli effetti della luce naturale, idee che lo avvicinano alla poetica di Giovanni Bellini d1 quegli anni, come dimostrano anche altre primizie di Alvise quali le due Crocifissioni del Museo Pold1 Pezzoli e del Museo C1v1co di Pesaro. La sua pnma opera firmata e datata 1476 è il polittico per il convento francescano di Montefiorentino, ora alla Galleria Nazionale delle Marche qui, nella tradizionale 1mpag1naz1one a più scomparti, sono mserite figu re allungate e inquiete, che attraverso una gestualità forzata sondano un'espressività ignota a1 personaggi di Bartolomeo. Questi santi, e altri nferiti agli stessi anni - come il San Giovanni Battista del Museo Thyssen Bornemisza di Madnd, o la Maddalena e il San Ludovico d1 Tolosa di Berlino sono ancora segnati dal duro lineansmo dello zio, quella linea "costruttiva" di radice mantegnesca che incide ossa, tendini, mu scolatura, vene e rughe; eppure si avverte un nuovo plastic ismo, creato dalla luce che bagna le superfici, le distende e le arrotonda. Così anche nel Cristo portacroce della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (cat 23 ) la figura monumentale che incede portando la croce, organizzando la superficie del dipinto secondo direttrici violentemente con trapposte, è bagnata dalla stessa luce in cui è immerso il paesaggio roccioso alle sue spalle, in modo non d1ss1mile dal San Girolamo della National Gallery of Art di Washington e dai Santi Giovanni Battista e Matteo dell'Accademia di Venezia. Alvise recepisce rapidamente la lezione di Antonello da Messina, e cerca di tradurla in
termini d1 crescente saldezza volumetrica ottenuta attraverso la luce naturale e 1'ass1 milazione delle figure a solidi nello spazio, uno spazio costruito con piena padronan za della prospettiva geometrica. La prima opera che rivela pienamente questa maturazione è la Sacra conversazione dipinta per la chiesa di San Francesco a Treviso, firmata e datata 1480 e oggi alle Gallerie dell'Acca demia in essa Alvise ha ormai prrnettato il "v1varinismo" al d1 fuori degli angusti confini in cui lo zio Bartolomeo lo teneva imbrigliato. Se il modulo allungato dei santi, i contorni netti che li sigillano, il cromatismo squillante e alcune tipologie fisionomiche restano il marchio di fabbrica della bottega, Alvise colloca in uno spazio unificato e prospetticamente costruito figure solide, stereometriche, sulle quali 11 lineansmo si scioglie in superfici ampie e piane bagnate da una luce naturale e coerente. Alvise pro segue m questa direzione anche quando la committenza gli richiede il più tradizionale formato del polittico a scomparti così nel Polittico della Pentecoste per 11 convento di Santo Spirito a Tezze, nei pressi di Feltre, oggi al Bode-Museum d1 Berlino, probabil mente di poco precedente (1478) alla Sacra conversazione per 1 francescani di Treviso; nella Madonna in trono con il Bambino ora nella chiesa di Sant'Andrea a Barletta, del 1483 (cat 27); nel polittico ora diviso tra Capodimonte e Denver, del 1485; nella Madonna con Gesù Bambino e angeli musicanti ora al Museo Sartono di Tneste, datata 1489 . Anche la Madonna in adorazione del Bambino nella chiesa d1 San Giovanni m Bragora (cat 28 ), riferibile agli anni ottanta, sebbene pesantemente manomessa soprattutto nella parte mfenore, nvela tutta l'ammirazione d1 Alvise nei confronti dell'arte di Antonello, specie nello stupendo brano paesaggistico che si estende oltre le finestre, ricco d1 dettagli lenticolari, nel quale le asprezze rocciose degli anni settanta lasciano 11 posto a
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un'atmosfera luminosa e rarefatta di matrice fiamminga. Negli stessi anni Bartolomeo seguita a dipingere secondo la formula che gli ha ga rantito il successo nel 1482 firma un secondo polittico per la Basilica dei Frari, quello per la cappella Bernardo, nel quale, nonostante l'adeguamento della cornice lignea alla forma e al repertorio decorativo lombardeschi, ripropone con poche va rianti il medesimo linguaggio espresso nel Polittico Corner di quasi dieci anni prima. Bartolomeo non sa, o non vuole, aggiornare il proprio stile, all'avanguardia nei primi anni sessanta del Quattrocento ma presto superato, e sostanzialmente gli omane fe dele fino alla fine. Negli anni seguenti lavora per la terraferma veneziana (del 1484 è una seconda pala per la Certosa di Padova, raffigurante \'Assunzione della Vergine, ora al Metropolitan di New York) o per i mercati periferici già aperti dall'attività di Antonio (nel 1483 firma il Trittico di Andria, oggi alla Pinacoteca Metropolitana di Bari (cat 17); nel 1485 il Polittico dell'Ascensione per la chiesa di Sant'Andrea ad Arbe, ora al Museum of Fme Arts di Boston) Nella seconda metà degli anni ottanta si affaccia al mercato bergamasco, continuando a dipingere tradizionali polittici come quelli per le chiese parrocchiali di Scanzo (cat 18 ) e di Torre Boldone (cat 19 ), datati rispettivamente 1488 e 1491, oggi all'Accademia Carrara in queste opere Bartolomeo - certamente affiancato da aiuti - dilata le forme, alla ricerca di monumentalità, con l'effetto di bloccarle ancora di più entro la propria durezza linearistica, mentre gli accordi cromatici si inaspriscono segnando, se possibile, una distanza ancora maggiore dalle contem poranee ricerche spaziali e luministiche del nipote Alvise. Tuttavia la qualità di due opere tarde, come la Maddalena e la Santa Barbara delle Gallerie dell'Accademia, datate 1490 e dipinte per la chiesa veneziana di
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San Geminiano, dimostra che Bartolomeo era ancora perfettamente in grado di dipin gere anche per una clientela veneziana, e induce a pensare che l'evidente presenza di altre mani nelle ultime opere sia dovuta alla necessità di far fronte alle pressanti richieste del mercato bergamasco, e non alla perdita delle sue abilità pittoriche. Di Bartolomeo non è nota la data di morte, ma vista l'assenza di attestazioni successive al Polittico di Torre Boldone (cat 19 ), è probabile che sia avvenuta negli anni immediatamente seguenti. Alvise nel frattempo lavora prevalentemente per la terraferma, avendo ereditato la rete di contatti della bottega fam iliare, ma tenta nel contempo di inserirsi nel mercato veneziano, abbandonato progressivamente dallo zio. Nel 1488 chiede e ottiene di poter dipingere nella sala del Maggior Consiglio in Pa lazzo Ducale, dove già erano impegnati da oltre dieci anni Gentile e Giovanni Bellini, lavorando così a fianco del suo principale ovale. La tela da lui dipinta (altre due assegnategli non furono mai iniziate) andò distrutta nell'incendio del Palazzo del 1577 la perdita di quest'opera - unitamente a quella di un altro telero ricordato dalle fonti nella Scuola di San Girolamo - ci impedisce di valutare il contributo dei Vivarini allo sviluppo della pittura di storia a Venezia, nella quale si era cimentato anche Bartolomeo dipingendo nel 1467 un telero per la Scuola di San Marco, anch'esso bruciato in un incendio nel 1485. Alvise si confronta con Giovanni Bellini anche sul terreno della pala d'altare unificata, maturando ulteriormente il suo lin guaggio alla luce della lezione di Antonello da Messina in termini di spazio e volumetria ma tornando a incidere i contorni e a levigare le superfici, riattingendo al patrimonio "genetico" della bottega familiare e allontanandosi, in modo irreversibile, dalla ricerca di fusione atmosferica e cromatica
[cat. 26 J Alvise Viva rini, San/Antonio da Padova, 1480-1481 circa
[cat. 28 J Alv ise Vivar ini, Madonna in adorazione del Bambino, anni ottanta del XV secolo
di Giovanni, una strada sulla quale proseguirà la più giovane generazione d1 artisti allo schiudersi del nuovo secolo. La grande pala per la Confraternita dei Battuti di Belluno, probabilmente datata 1486, già a Berlino ma disgraziatamente distrutta nel 1945, era forse il capolavoro di Alvise in questo gen ere rispondendo con piena consapevolezza alle pale belliniane di Santa Caterina ai Santi Giovanni e Paolo e di San Giobbe, e certamente anche alla Pala di San Cassia no di Antonello, Alvise allestiva una Sacra conversazione in un monumentale spazio architettonico, che si apnva ai lati verso un luminoso paesaggio, prospetticamente e stillsticamente raccordato alla raffin ata cornice intagliata da Cristoforo da Ferrara. Quest'opera è stata più volte messa in relazione con la pala dipinta nel 1493-1494 da Giovanni Battista Cima da Conegliano per il duomo della sua città natale, e se la cronologia proposta per la pala di Belluno è corretta non è da sottovalutare l'influenza esercitata da Alvise sul giovane artista di provincia, che nella seconda metà degll anrn ottanta licenziava le sue prime pale d'altare per la terraferma veneziana e che negli anni novanta sarebbe divenuto il protagornsta della pittura religiosa a Venezia, mentre Giovanni Bellini era impegnato principalmente nella decorazione del Palazzo Ducale. Proprio accanto a Cima Alvise lavora alla decorazione della chiesa di San Giovanni in Bragora mentre il pnmo consegn a en tro il 1494 la pala per l'altar maggiore con il Battesimo di Cristo, Alvise è pagato nello stesso anno per il Cnsto benedicente, che doveva essere collocato al vertice di un complesso tabernacolo dedicato a san Giovanni Elemosinario, oggi smembrato. Nello stesso anno Alvise è incaricato di dipingere il Cristo risorto (cat 31) per il nuovo altare del Santissimo Sacramento, ma porta a termine l'opera solo tra il 1497 e 11 1498, dopo la stesura di un nuovo contratto
con la parrocchia; mentre ancora a Cima si deve, tra il 1501 e il 1503, l'esecuzione della tavola con Costantino e sant'Elena, destinata all'altare della Croce. Entrambi gli altari sono oggi distrutti, ma si conservano le due pale gemelle, di formato relativamente piccolo, nelle quali si misura la distanza tra gli universi poetici dei due artisti. Nelle opere di Alvise per San Giovanni in Bra gora riaffiora con straordinana freschezza, ancora una volta, la lezione di Antonello da Messina imprescindibile il confronto del Cristo risorto con il San Sebastiano di An tonello ora a Dresda, anche se alla figura sinuosa e levigata dalla fredda luce dell'alba d1 Alvise non sono estranee le suggestioni protoclassiche di Perugino, che alla fine del 1495 è a Venezia, chiamato per dipingere in Palazzo Ducale, e di cui è documentato un telero nella Scuola Grande di San Giovanni evangelista. Il Cristo benedicente, d'altra parte, reinterpreta quello dipinto a Venezia da Antonello da Messina nel 1475, ora alla National Gallery di Londra, e una elaborazione dello stesso modello è 11 Cristo benedicente firmato e datato 1498 oggi a Brera (cat 30 ), probabilmente destinato alla devozione privata ultenore prova dello sperimentalismo di Alvise, che qui felicemente rompe la tradizionale fi ssità del modello introducendo un taglio d1 tre quarti tipico del ntratto b orghese, modificando in tal modo anche le dinamiche psicologiche tra il devoto e l'oggetto della devozione. E proprio nel ntratto, a differenza del padre e dello zio a quanto è dato sapere, si cimenta con successo Alvise, come attestano l'esemplare firmato e datato 1497 della National Gallery di Londra e, tra gli altri a lui attribuiti, quello dei Musei Civici di Padova qui esposto (cat 29 ), nel quale evidente è la meditazione sulla lezione di Antonello da Messina. Negli ultimi anni di vita Alvise torna a dipingere un tradizionalissimo polittico
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per la chiesa parrocchiale di Noale (15021504), di cui si conserva la tavola centrale con l'Assunzione della Vergine, una ripresa venata di arcaismi di uno schema già impiegato nell'Assunzione eseguita per la parrocchiale di Martinengo ora a Brera, ri salente agli anni del Polittico della Pentecoste. E nel 1503 intraprende l'esecuzione della Pala di Sant'Ambrogio per l'altare della cappella della Scuola dei Milanesi nella Basilica dei Frari, tuttora in situ, completata da Marco Basaiti dopo la sua morte (avvenuta tra il 1504 e il 1505): un'opera dalla complessa costruzione spaziale e architettonica in cui Alvise, autore dell'ideazione complessiva e della maggior parte dell'esecuzione pittonca, cerca ancora l'originalità all'interno di una tipologia che di li a pochi anni sarebbe stata superata dagli artisti più giovani. Sorprendentemente anomala nel panora ma della pittura veneziana di quegli anni, ma firmata da Alvise e datata 1500 è la Sacra conversazione conservata al Musée de P1card1e di Amie n s (cat 32 ), dove è giunta in seguito a vicende collezionistiche non del tutto chiarite e che forse, come sembrerebbe suggerire l'insolita indicazione della provenienza dell'autore («venetiis») accanto alla firma, non fu eseguita per un committente veneziano. L'opera, per le cui alterne vicende critiche e attributive s1 rinvia alla scheda di catalogo, sembra quasi suggellare, al termine della parabola umana e artistica di Alvise, 11 suo inquieto sperimentalismo, la sua continua ricerca di una cifra espressiva e di un'identità artistica che forse non trovò mai una direzione definitiva, ma che non mancò di tentare soluzioni originali. Alla sua morte, a Venezia già si apriva una nuova stagione, in cui nuovi talenti raccoglievano l'eredità di Giovanni Bell ini, mentre il "vivarinismo" si spegneva senza lasciare eredi diretti, alle soglie del Rinascimento.
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Nota bibliografica Data la natura sintetica di questo contributo, ci si limita a fornire i riferimenti bibliografici principali relativi agli argomenti trattati, nell'ordine in cui si presentano nel testo, con preferenza per la bibliografia più recente e rinviando in ogni caso alle sch ede nel presente catalogo per le opere esposte in mostra. Resta ancora oggi fondamentale il testo di R Pallucchini, I Vivarini (Antonio, Bartolomeo, Alvise), Venezia 1962, prima (e unica) monografia dedicata alla famiglia Vivarini, che sistematizza la bibliografia precedente fornendo un primo catalogo ragionato delle opere dei tre artisti, trattati singolarmente ma comunque nella prospettiva del lavoro di bottega. Sempre per una trattazione generale, nel quadro della storia della pittura veneziana e veneta del Quattrocento, si vedano i saggi di E. Merkel, Venezia, 1439-1450, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1989, pp. 49 -79 e M. Lucco, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, a cura di Id , II, Milano 1990, pp. 395-480, che recepiscono acquisizioni ed espunzioni al catalogo dei tre artisti intervenute dopo gli studi di Pallucchini. Per l'approccio mirato allo studio della committenza e alla ricostruzione del contesto storico si segnala la ricerca di I. Holgate, The Vivarini Workshop and its Patrons e 1430 - e 1450, PhD Dissertation, University
of St Andrews, School of Art H1story, 1998, focalizzata sull'attività di Antonio e Giovan ni d'Alemagna negli anrn quaranta. Sulle singole opere chiave di questo periodo si vedano per il polittico già in Santo Stefa no a Venezia, I. Holgate, The early history of Antonio Vivarini's "St Jerome' altar-piece and the beginnings of the renaissance style in Venice, in «The Burlington Magazine», 143, 2001, pp.19-22; perle ancone della cappella di San Tarasio, B. Aikema, La Cappella d'oro d1 San Zaccaria . arte, religione e politica nella Venezia del doge Foscari, in «Arte
[cat 31] Alvise Vivarini, Cristo risorto; ne lle predel le San Marco, Cristo. San Giovanni evangel!sta, 1497-1498
Veneta», 57, 2000, pp. 23-41; per il Trittico di San Moisè e l'Incoronazione della Vergine di San Pantalon, I. Holgate, Due pale d'altare di
Early Reinassance Paduan Art. The Ovetari
Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna. le
Chapel and its Models. Revival or Pers1sten-
commissioni per San Moisè e San Panta/on, in «Arte Veneta», 57, 2003, pp. 80 -91; per il Trittico della Carità, G. Nepi Scirè, scheda in Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bel/mi, Dùrer, Tiziimo, cata logo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, 5 settembre 1999 - 9 gennaio 2000), a cura di B. Aikema, B.L Brown, Milano 1999, pp. 172-174; per il Polittico di San Francesco del 1447, R Callegari, Opere e committenze d'arte rinascimentale a Padova, in «Arte Veneta», 49, 1996, pp. 7-49, riedito in R Callegari,
ce7, in «Predella», 35, 2014, pp. 11-30. Per il dibattito critico su Giovanni d'Alemagna F Zeri, Un San Girolamo firmato di Giovanni d'Alemagna, in Studi di storia dell'arte in onore di A Morassi, Venezia 1971, pp. 40-49; I. Holgate, Reassessing the Work of Giovanni D'Alemagna, in «Inferno», 3, 1996, pp. 18-27, M.E. Massimi, Giovanni d'Alemagna, in Dizionario biografico degli italiani, 55, 2001, ad vocem, con una sintesi della bibliografia precedente; I. Holgate, Paduan culture in Venetian care. the patronage of Bishop Pietro Donato (Padua 1428-47), in «Rena1ssance Studies », 16, 2002, n. 1, pp. 1-23. Sull'argomento si vedano inoltre A De Marchi, scheda in Oro. Maestri gotici e Lucio Fontana, catalogo della mostra (Milano, Compagnia di Belle Arti, 27 novembre 1998 - 17 gennaio 1999), a cura di A De Marchi, A Fiz, Milano 1998, pp. 58-63, M. Boskovits, scheda Giovanni d'Alemagna, in Italian Paintings of the Fifte-
Scritti sull'arte padovana del Rinascimento, a
cura di S. Mason, Udine 1998, pp. 27-62; per il polittico di Praglia, C Schmidt Arcangeli, scheda in Giovanni Bellini. La nascita della pittura devozionale umanistica . Gli studi,
catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, 9 aprile - 13 luglio 2014), a cura di E. Daffra, Milano 2014, pp. 157-159, n. 2; per una proposta sull'./\dorazione dei Magi di Berlino, V Buonocore, Per l'attività padovana di Antonio Vivarini, m «Arte Cristiana», XCVI, 2008, fase. 848, pp. 331-340; sulla Madonna con Gesù Bambino del Poldi Pezzoli e l'Imago pietatis di Bologna, si vedano le schede di L Galli Michero e C Cavalca in Giovanni Bellini. Dall'icona alla storia, catalogo della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 9 novembre 2012 - 25 febbraio 2013), a cura di A De Marchi, A Di Lorenzo, L Galli Michero, Torin o 2012, pp . 4 6-55. Per 1 lavori di Antonio e Giovanni d'Alemagna nella cappella Ovetari I. Holgate, Giovanni d'.f\lemagna, Antonio Vivarini and the Early History of the Ovetari Chapel, in «Artibus et Historiae», 47,
2003, pp. 9-29; A De Nicolò Salmazo, Item[cat. 29 J Alv ise Viva ri ni. Ritratto d'uomo. metà anni ottan:a del XV secolo
AM. Spiazzi, F Toniolo, Milano 2006, pp. 275-293; Z. Murat, Trecento Recept1ons m
pi e i modi dell'arredo della Cappella Ovetari,
in Andrea Mantegna e i maestri della Cappella Ovetari. La ricomposizione virtuale ed li restauro, a cura di A De Nicolò Salmazo,
enth Century The collections of the National Gallery of Art Systematic Catalogue, a cura
di M. Boskovits, DA Brown, WashingtonOxford 2003, pp. 315-323; G. Ericani, sch eda Antonio Vivarini, Giovanni d'Alemagna, in Il piacere del collezionista. Disegni e dipinti della Collezioni Riva del Museo di Bassano del Grappa, catalogo della mostra, a cura d1
G. Ericani, F Millozzi, Bassano del Grappa 2008, pp. 143-145, n. 1; G. Valagussa, scheda Giovanni d'Alemagna, in I grandi veneti. Da Pisane/lo a Tiziano, da Tintoretto a Tiepolo. Capolavori dal/Accademia Carrara di Berga-
mo, catalogo della mostra (Roma, Chiostro del Bramante, 14 ottobre 2010 - 30 gennaio 2011), a cura di C Valagussa, G.CF Villa, Cinisello Balsamo 2010, pp. 32-35, nn. 2-3; S. Casu, scheda in The Pittas Collection Early Italian Paintings (1200-1530), a cura di S Casu, Firenze 2011, pp . 70-75, n.15 .
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Sul polittico della Certosa di Bologna e alcune opere problematiche negli anni della collaborazione tra Antonio e Bartolomeo si veda C. Cavalca, Appunti sulla presenza di opere dei Vivanni a Bologna, in «Nuovi Studi», XIII, 14 (2008), 2009, pp. 39-59. Per il polittico del 1451 per la chiesa padovana di San Francesco F Zeri, Antonio e Bartolomeo Vivarini. il
più negativamente da molta storiografia precedente - e alcuni approfondimenti su committenza e contesto, sfociati nelle pubblicazioni S Steer, The patron of Bartolo meo
polittico del 1451 già in San Franceseo a Pado-
Maria et macula originalis non est in te. The
va, in «Antichità Viva», 14, 1975, 4, pp. 3-10; C.
Co ngregation of Clergy at Santa Mana For-
Vivarini's 1464 polyptych for S. Andrea della Certosa, Venice, in «The Burlington Magaz ine», 144, n. 1196, November 2002, pp. 687-690; S Steer, Tota pulchra, et formosa es
Rigorn, scheda in Mantegna e Padova 1445 -
mosa, Venice, and Their Altar of the Imma-
1460, catalogo della mostra (Padova, Musei
culate Conception, in «Artibus et Historiae»,
Civici agli Eremitan i, 16 settembre 2006 - 14 gennaio 2007), Milano 2006, pp.168-169, nn. 13-16; C. Schmidt Arcangeli, scheda in La
27, n . 53, 2006, pp. 111-123 . Sulla tecnica pittorica di Bartolomeo, con osservaz1orn su quella degli altri Vivarini AL. Diotallevi, Di-
fortuna dei Primitivi. Tesor i d'arte dalle col-
segno ugu ale colore in Bartolomeo Viva rini,
lezioni italiane fra Sette e Ottocento, a cura
in «Arte Documento», 10, 1996, pp. 34- 42. Si vedano inoltre i contributi seguiti al restauro del Trittico d1 Santa Mana Formosa eseguito negli anni novanta, tra i quali G.M. Pilo, Bar-
di A Tartuferi, G. Tormen, Firenze 2014, pp. 351-353, n . 59 . Per l'attività tarda d1 Antonio si vedano M. Massa, L'arte dei Vivarini nelle Marche e le Marche nell'arte ve neta, in Pittura veneta nelle Marche, a cura di V Curzi, Verona 2000, pp. 87-99; C. Schmidt Arcangeli, Antonio Vivarini u nd seine Werks tatt. Tra dition u nd Innovation in zwei vergessenen Altarwerken, in
«Jahrbuch der Berliner Museen», 50, 2008, pp . 53-77; M. Min ard1, Stud i sulla Co llezione Nevm. i dipinti veneti del XIV e XV secolo,
in «Saggi e memorie di storia dell'arte», 36, 2012, pp. 315-350, con ricche note bibliografiche. Da ultimo, con pubblicazione dei dati emersi dal recente restauro Il polittico di A ntonio Vivarirn. Storia, arte, restauro, a cura di C. Gelao, Venezia 2014. Si rinvia inoltre al saggio di Clara Gelao in questo volume, con particolare riferimento alle opere realizzate per la Puglia. A Bartolomeo ha dedicato un importan:e lavoro monografico S.R Steer, "El ma istro dell'anch o na". The Venetian Altarpieces of Bartolomeo Vivarini and their Commissio ners, PhD Dissertation, University of Bristol,
Faculty of Arts, 2003, a cui s1 devono una rivalutazione del pittore - giudicato per lo
tolomeo Vivarini e la via gotica all'Umanesimo, in Pittura veneziana dal Quattrocento al Settecento. Studi di storia dell'arte in onore di Egidio Martini, a cura di G.M . Pilo, Venezia
1999. Tra i più recenti interventi su singole opere di Bartolomeo s1 segnalano sul San Rocco e l'angelo di Sant'Eufemia la scheda di A Bnstot, in Restituzioni 200 6. Teso ri d 'arte restaurati. Tredicesima ediz ione, catalogo della mostra, a cura di C. Berte11i, Vicenza 2006, pp. 186-190, n . 32; per la Madon na del latte recentemente acquisita dal Louvre, D. Thiébaut, La Vierge allaitant l'Enfant de Bartolomeo Vivarini, u n chef- d'oeuvre p récoce du peintre vénetien, in «La Revue des Musées
de France», 61, 2011, n. 5, pp.10-12; sul Polittico di San tAgostino la scheda di D. Tosato, in La basilica dei Santi Giovanni e Paolo Pan theon della Serenissima, a cura di G. Pavanello,
Venezia 2013, pp. 218 -221, n . 50 . Per l'ultima attività d1 Bartolomeo e le opere realizzate per il territorio bergamasco si rinvia al saggio di Giovan n i Valagussa nel presente volu m e. Sull'evoluzione della pala d'altare a Venezia nel Quattrocento C. Schmidt, La "sacra con-
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versazione" nella pittura veneta, in La pittura
Bellini a Venezia. Sette opere indagate nel loro
alla scheda di G. Fossaluzza, in Giovanni Bellini. Dall'icona alla storia, catalogo della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 9 n ovembre 2012 - 25 febbraio 2013), a cura di A De Marchi, A Di Lorenzo, L Galli Michero, Torino 2012, pp. 78-81, n. 10, che riassume i termini del dibattito critico; e, naturalmente, le schede delle opere esposte in questo catalogo. Per la presenza di Antonello da Messina a Venezia e i suoi rapporti con l'arte di Alvise, valga il recente volume Antonello da Messina . L'opera com p leta, catalogo della mostra (Roma, Scuderie de; Quirinale, 18 marzo - 25 giugno 2006), a cura di M. Lucco, con il coordinamento scientifico di G.C.F Villa, Cinisello Balsamo 2006 (riedito nel 2013) Sull'opera di Alvise per San Giovanni in Bragora si veda P Humfrey, Cima da Coneglia-
contesto, catalogo della mostra, a cura di G.
no, Sebastiano Mariani, and Alvise Vivarini
Poldi, G.C.F Villa, Cinisello Balsamo 2008, pp. 15-29. Per il Polittico di San Vincenzo Ferrere la perduta Pala d1 Santa Caterina ai Santi Giovanni e Paolo, che segnano in Giovanni Bellini il passaggio dalla forma polittico alla pala unificata, si vedano ora rispettivamente le schede di L Finocchi Ghersi e di C. Corsato in La basilica dei Santi Giovanni e Paolo Pantheon della Serenissima, a cura di G. Pavanello, Venezia 2013, pp. 208-213, n. 47 e 213-218, n. 48. Ad Alvise Vivarini ha dedicato una fonda mentale monografia J. Steer, Alvise Vivarini. his art and Jnfluence, Cambridge 1982, da in tegrare con le recensioni (talora ferocemente critiche) di J. Fletcher, in «The Bu rlington Magazine», CXXV, n. 959, February 1983, pp. 99-101; A De Nicolò Salmazo, Un libro su Alvise Vivarini, in «Arte Veneta», 37, 1983, pp. 248-251; D. Howard, in «The Art Bulletin», LXVI, n . 3, September 1984, pp. 528-531. Tra i contributi sull'attività giovanile di Alvise, oltre a quanto discusso da John Steer e poco dopo mtegrato da A De Marchi, Un'aggiunta al problema d1 Alvise Vivarini giovane, in «Arte Veneta», 41, 1987, pp. 123-125, si rinvia
at the East End of S Giovanni in Bragora in
nel Veneto. Il Quattrocento, a cura di M. Luc-
co, II, Venezia 1990, pp. 703-726; P Humfrey, The altarpiece in Renaissance Venice, New Haven-London 1993; P Humfrey, The Bellini, the Vivarini, and the beginnings of the Renaissance Altarpiece in Venice, in Italian Altarpieces 1250-1550. Funct1on and Design,
a cura di E. Borsook, F Superbi Gioffredi, Oxford 1994; D. Banzato, L'evoluzione della pala d'altare tra Padova e Venezia tra il Tardogotico e li primo Rinascimento, in Mantegna e Padova 1445 -1460, catalogo della mo-
stra (Padova, Musei Civici agli Eremitani, 16 settembre 2006 - 14 gennaio 2007), Milano 2006, pp. 91-107; D. Tosato, Giovanni Belllrn e l'evoluzione della pala d'altare a Venezia, in
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Venice, in «The Burlington Magazine», 62 , n. 3, September 1980, pp. 350-363, importante per la ricostruzione del contesto. Per il Cristo benedicente in particolare, e più recentemente F Saracino, Il Nome dipinto Jacopo de' Barbari, il Cristo benedicente e il Tetragramma, in «Venezia Cinquecento», 13,
2003, n. 26, pp. 5-45. Sulle ultime opere documentate di Alvise S. Simi de Burgis, Sulla tavola dell"'Assunta" di Alvise Vivarini nella chiesa dei Santi Felice e Fortunato di Noale, in
«Arte Veneta», 52, 1998, pp. 129-132; A Cifa ni, F Monetti, Nuovi documenti per la pala di Alvise Vivarini ad Amiens, in «Arte Veneta», 55, 2001, pp. 150-153; L Tempesta, La Pala di Sant'Ambrogio dei Milanesi. Alvise Vivarini e Marco Basaiti ai Frari, in «Venezia Cinque-
cento», XVI, 32, 2006, pp. 5-36 . Per alcune precisazi0m sulla committen za delle opere di Alvise, si segnalano V Buonocore, Alvise Vivarini rivisitato. problemi di committenza (parte I), in «Arte Cristiana», 99, 2011, n. 863, pp. 81-94 e Id., Alvise Vivarirn rivisitato. problemi di committenza (parte II), in «Arte Cn stiana», 99, 2011, n. 864, pp. 161-176.
ta la data come 1440, lettura che conferma il
OPERE IN MOSTRA
Polittico di Parenzo quale pnma opera datata
[l.] ili. a p. 18
Antonio Vivarini Madonna in trono con il Bambino, san Nicola di Bari , san Simeone profeta, san Francesco d'Assisi , san Giacomo maggiore, Imago pietatis , santa Maria Maddalena, san Cristoforo, sant 'Antonio abate, santa Caterina d'Alessandria (Polittico di Parenzo) 1440 tempera e doratura su tavola, cm 180 x 220 iscrizioni 1440 ANTO N l[ U]S DE M UR IA NO PINXIT HOC O[PUS] (sullo zoccolo del trono della Madonna) Parenzo (Poreè':). Museo della Bas ilica Eufrasiana
Il polittico, oggi conservato nel Museo della Basilica Eufrasiana dopo il lungo restauro conclusosi nel 2001. è ricordato fin dal XIX secolo nella sacrestia della Basilica ma non è documentata la sua originaria provenienza. È composto da dieci tavole disposte in due registri in quello inferiore la Madonna in trono con il Bambino, al centro, è affiancata dalle figure intere di San Nicola di Bari e San Simeone profeta a sinistra. e di San Francesco d'Assisi e San Giacomo maggiore a destra; in quello superiore all'Imago pietatis centrale si affiancano le mezze figure di Santa Maria Maddalena e San Cristoforo a sinistra, Sant'Antonio abate e Santa Caterina d'Alessandria a destra. La cormce in legno
intagliato e dorato è stata quasi completamente sostituita in un intervento del 1907 Sul basamento del trono della Madonna un'iscrizione dipinta ricorda il nome di Antonio Vivarini e la data, la cui ultima cifra è quasi completamente abrasa e ha dato luogo a moltepllci letture la più convincente - anche alla luce del recente restauro - interpre-
di Antonio e ribadisce la sua cruciale importanza per la conoscenza degli esordi del pittore muranese e della sua attività precedente al sodalizio con Giovanni d'Alemagna. Nel polittico parentino Antonio costruisce figure solide, dotate di un peculiare plasticismo ottenuto attraverso una stesura fuligginosa del colore e l'addensarsi delle ombre tra le pieghe, ma le impagina contro un fondo oro uniforme. che annulla ogni riferimento spaziale nonostante l'affond o tndimensionale del trono della Vergine e del sarcofago da cui si erge il Cristo passo. L'impasto cromatico opaco e sordo, al netto dell'evidente impovenmento della superficie pittorica del polittico, sembra essere una carattenstica della prima fase di attività di Antonio, unitamente al trattamento schematico dei panneggi, come si può osserva re anche nei quattro pannelli con San Cristoforo, San Giacomo maggiore, San Nicola di Bari e Sant'Antonio abate già a Londra in Collezione Coughlan e nella Madonna in trono con il Bambino ora al Museum of Fine Arts di Houston, originariamente parte di un unico polittico (cfr ora Minardi 2012, pp. 326-327) Trac ce di un lmearismo ancora gotico si ravvisano nel guizzo ondivago del manto e del cartiglio del San Simeone, e nell'elastica falcata disegnata dal perizoma del Cristo passo: sono cadenze rintracc iabil i anche nel Polittico di San Michele arcangelo della Walters Art Gallery di Ba'.timora, e in altri pannelli segnalati negli studi più recenti che indagano le radio del linguaggio di Antonio, come un San Cristoforo in collezione privata fiorentina (De Marchi 2002, p.100, nota 17) o la Santa Caterina e la Santa Maria Maddalena dell'Ashmolean Museum di Oxford (inv 162-163 De Marchi 2010, pp. 165-166, cat. 117) Se la critica novecentesca. da Roberto Longhi a Rodolfo Palluccr.ini, ha ripetutamente evocato gli influssi sulla for m azione di Antonio degli artisti toscani di passaggio nel Veneto, quali Masolino e Filippo Lippi, le più recentl proposte tendono a evidenziare le tangenze della sua primissima attività con l'arte di Michele Giambono negli anni trenta del Quattrocento, dalla quale egli si sarebbe progressivamente staccato nel segno di una sempre maggiore saldezza plastica. Carlo Cavalli Pallucchini 1962, p. 95, cat. 3; Merkel 1989, p. 69 Walcher 2001, pp. 149-150, cat. 273; Matejc:ié 2005, pp.168-171, cat 216.
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[2.] ili. a p. 102
Antonio Vivarini Madonna con il Bambino
1441 ci rc a tempera su tavo la. cm 64 x 41 proven ienza: in deposito nella chiesa parrocchiale d i San Giorgio delle Pertiche dal 1846 al 1959 Venezia, Gallerie dell'Accademia, cat. 1236 La raffinata tavola a fondo oro, raffigurante la Madonna con 1\ Bambino, è un'opera dipinta dal giovane Antonio Vivarini, presumibilmente verso il 1441 (Valcanover 1960) La datazione è suggerita dalla vicinanza stilistica con il Polittico di Parenzo, del 1440, e con il Pol1tt1co di San Girolamo, d el 1441, destinato alla chiesa veneziana di Santo Stefano e ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. 11 piccolo quadro esprime la preziosità di un'oreficeria e in queste sembianze doveva presentarsi ai contemporanei, accompagna to da una ricca carpenteria lignea e dorata, purtroppo perduta. Era così importante il ruolo della cornice nei dipinti dell'epoca che il nome del suo autore veniva spesso ricordato accanto a quello del pittore, accade, tra gli altn, all'intagliatore Gasparo Moranzone, a Cristoforo da Ferrara e a Ludovico da Forlì, tutti specialisti che pongono la firma accan to a quella di Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna negli stessi anni della nostra opera. Leffetto straniante che si ricava os servando la parte in fenore del dipinto, con le due figure fluttuanti nel vuoto dorato, è dovuto proprio alla mancanza della carpen teria originaria e ciò ne condiziona l'attuale lettura. Viceversa tutto nella composizione, dalla posizione delle gambe del Bambino alla presa delle mani della Madre, suggerisce il prevalere, sull'atmosfera meale del fondo oro,
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della tridimensionalità e dei volumi plastici delle figure, quella del Bambino ancor più robusta e tornita della Madre . Quest'ultima presenta nel profilo tondo del viso e nella bocca tratti simili ad altre Madonne dipinte dallo stesso artista, per il probabile utilizzo di cartoni; stringente è la somiglianza, anche nelle vesti, con il già citato Polittico di Parenzo La Madonna viene raffigurata a tre quarti, con lo sguardo dolce e malinconico, presaga del futuro del figlio; un contenuto travisato agli inizi del Settecento, quando un incauto intervento conservativo inserì tra le dita del Bambino una piccola rosa (rimossa durante il restauro del 1959), che impediva di coglierne il gesto benedicente (Valcanover 1960, p . 32) Nelle organizzate botteghe del tempo, accanto agli specialisti delle cornici vi era chi si occupava del fondo oro, preparato in sottilissime foglie dai "battioro". 11 pittore interveniva con i pigmenti dopo aver delineato graficamente le figure e aver indicato \'area da lasoare a risparmio: «Disegniato che ài tutta la tua ancona, abbi una aghugiella mettuda inn una asticciuola; e va' grattando su per li contorni de la fighura, in verso i campi che à1 a mettere d'oro» scriveva Cennino Cenmm ([ed. 20031. cap. CXXIII) Le foglie d'oro sul fondo sono qui particolarmente evidenti per la consunzione della materia e la loro distribuzione è visibile a occhio nudo; di taglio quadrangolare, leggerissime, venivano posizionate una accanto all'altra aiutando si con una "pinzetta", come ncorda sempre Cenmno Cennini. 11 fondo oro, apprezzato e richiesto dalla committenza dell'epoca, si unisce in Antonio Vivarini a una moderna ricerca spaziale e volumetrica, che gli permette di cogliere le grand i novità del linguaggio toscano portato in Veneto da artisti quali Filippo Lippi, a Padova dal 1434 al 1437 In questo senso il dipinto rappresenta un esempio magistrale di quel «rinascimento umbratile» descritto da Roberto Longhi (1926, p . 114) nel momento in cu i coglie nel pittore muranese le stesse caratteristiche di Masolino a Firenze. Leffetto d'insieme è di grande intimità e anche se non si può escludere che la tavoletta potesse far parte di un più ampio polittico andato smembrato, è ,Più plausibile pensarla come una piccola ancona devozionale, di cui al momento non si conoscono i: nome del committente né la collocazione originaria. Sandra Rossi Longhi 1926, p . 114; Valcanover 1960; Pallucchini 1962, p 96; Merkel 1989, p. 70; Cennini (ed 2003), cap. CXXIII; Nepi Scirè 2009, p. 41.
[3.] ili. a lle pp. 25, 105
Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna Madonna in trono con il Bambino
1443 circa tempera e dora t ura su tavo la, cm 149 x 67 iscrizioni: DIGNAR E ME LAUDARE TE VIRGO SACRATA DA MICH I (sulla base del trono); [A]VE REG l[NA] [C]OE LI (su l cusc ino sotto i piedi della Madonna) Padova, chiesa di San Tomaso Becket (in deposito al Museo Diocesano) La Madonna siede su un trono riccamente intagliato e traforato, indossa una veste rossa broccata d'oro e foderata di ermell ino, e un manto blu dai risvolti verdi. Un leggero velo trapunto di stelle è fermato sul capo dalla corona, ornata di perle dipinte e pietre dure realizzate a lacca. 11 Bambino fasciato a1 fi anchi, in piedi sul ginocch io sinistro della madre, è sorretto da lei c he lo cinge con il velo, mentre 1 loro sguardi, teneri e malinconici insieme, non si incontrano. Alle spalle del trono si erge una cortina di rose bianche e rosse, che si staglia contro il cielo . S·-.11 basamento del trono, in eleganti lettere capitali, corre parte dell'invocazione «Dignare me laudare te Virgo sacrata, da mih: virtutem contra hostes tuos», tratta dall'Ufficio divino della Beata Vergine Mana, mentre sul cuscino sotto i piedi della Mad onna si legge una seconda 1sc n z10ne «Ave Regina Coeli», in caratteri gotici, emersa con il recente restauro (2014) L'opera si trova presso la chiesa di San Tomaso Becket in Padova dal 1755 quando fu acquisita da i Padri Filippini, che all'epoca reggevano la parrocchia, per las cito testamentario di Giuseppe Pichi, nobiluomo ve-
neziano residente a Padova dove più volte aveva ricoperto cariche pubbliche La tavola vie ne messa in rela zione p er la pn m a volta da Pudelko (19371 con 1 due panne111 raffiguranti San Pietro e san G1rclamo e San Francesco e san Marco conservati alla National Gallery di Londra (inv NG768 e inv. NG12841, sulla base dell'identità del basame nto co n isc nz1on e su cui p oggia no tutte le figure, e della continu ità nelle tre tavole del prato in primo piano, della balaustra tra forata e del roseto sul fondo, olt re che per la generale omogeneità stilistica. Pudelko in oltre identific a il Trittico così ricostruito con quello re gis trato n ell a chiesa d1 San Moisè a Venezia nel 1664 da Ma rco Boschini (Le minere della pittura, p 4041, che rilevava - probabilmente sulla perduta cornice ligr.ea - la firma di «Antonio da Murano". Non sono note a oggi le vicende collezionis:JC h e prece denti all 'ing resso della Madonna d1 San Tomaso Becket nella collezione di Pichi, ma se l'ipotesi di Pu delko è corretta si può supporre che il Trittico sia stato rimosso e le tre tavole sepa rate già all'ep oca dell a ristrutturazione dell a chiesa di San Moisè n el 1682. Ian Holgate (2003) ha m esso m relazione 1l Trittico con la committenza di Marco Dandolo, che nel suo ultimo testamento del 2 ottobre 1443 dispone di essere sepolto nella cappella dedicata all a Beata Vergine Ma ria, allora in vi a di costruzione nella chiesa d1 Sa n Mo1sè Holgate ipotizza che il Trittico, non menzionato nel testamento, fosse già stato collocato sul vici:io altare del Corpus Domini, fatto edificare dallo stesso Dandolo e nel testa m ento ricordato come app ena conclu so. Tale ipotesi, anch e se a oggi non è dimostrabile dal punto di vista documentario, appare convincente e viene a collocare il Trittico tra il Polittico di San Girolamo per la chiesa di Santo Stefano a Venezia, del 1441 (ora al Kunsth 1storisc h es Mus eum di Vie nna) e le tre an cone realizzate tra il 14 43 e il 1444 per il coro vecchio della chiesa di San Zaccaria a Venezia (oggi cappella di San Tarasio) si tratterebbe dunque di una delle prime opere realizzate congiuntamente da Anto nio V1var im e dal socio e co gnato Giovanni d'Alemagna. I confro nti stringenti in particola re con il Polittico di Santa Sabina in San Zaccaria (1443) confermano l'attribu zione e la cronologia, anche se nel Trittico di San Moisè la committen za meno aulica con se nte agl! au ton d1 esplorare inedite soluzioni n ella dispos izion e delle figure in profondità, e in direzione dell'unificazione
dello spazio dipinto, anticipando gli esiti del Trittico della Carità alle Gallerie dell'Accade m ia di Venez ia (1446). Carlo Cava111 Boschini 1664, p 404; Pudelko 1937, pp. 130134; Pallucchini 1962, pp. 103-104, cat 60; Holgate 2003a, pp 80-86; La Madonna in trono 2014
[4.] ili. alle pp. 20. 21
Antonio Vivarini Matrimonio di santa Monica Sant'Ambrogio battezza sant'Agostino, alla presenza di santa Monica
1441 circa Matrimonio di santa Monica tempera su tavola, cm 46 ,5 x 31.5 Venez ia , Gallerie de ll'Accademia, lnv. 237 Sant'Ambrogìo battezza sant'Agostino , alla presenza dì santa Monica tempera su tavola. cm 40 ,3 x 26.5 provenienza: eredità di Guglielmo Lochis Bergamo. Accadem ia Carra ra, 1866. lnv. 81 LC 00019 La vicenda ormai nota di queste due come di altre tavolette della stessa serie si è ricom posta nella sequenza degli studi recenti, fino all'individuazione d1 u n buon numero di pezzi superstitl, secondo un percorso qui riassumibile solo per sommi capi. Una «palla di Santa Monica" viene vista già da Francesco Sansovino nel 1581 nella chiesa di Santo Stefano a Venezia, «alla sinistra", e dirimpetto, «alla destra » a una «palla di San Hieronimo di Giovanni & Antomo Vivarini che fu rono l'an no 1441». Le firme degli autori e soprattutto la data di esecuzione sul Polittico di San Giro/a mo costituiscono un termine di riferimento anche per quello dedicato a santa Monica. La descrizione è confe rmata da Rldolfi nel 1648 che meglio nota come il polittico sia «di Santa Monacha con picciole historiette intorno del-
la vita sua", e più tardi da Boschini nel 1664, che ancora vede i due altari. Ma nella edizione del 1733 dello stesso testo di Boschini, all'interno di Santo Stefano «le tavole de' Vi varim non si veggono rinovandosi gl'altari». . Pare che la statua lignea di Santa Monica che stava al centro del polittico andasse a questo punto alle terziarie di Spilimbergo, m entre le tavolette dipinte venivano disperse sul m ercato antiquario (Moschin i Marconi 1955) Le due tavolette qui esposte riappaiono la prima nel legato Molin del 1816 alle Gallerie dell'Accademia (esposta dal 1932 al 1951 al Museo Vetrario di Murano), e la seconda nella seconda edizione del catalogo della colle zione Loch1s a Bergamo nel 1846. sotto il nome di Bra mante. È interessante notare che entrambe presentavano una pesante ridipintura «che in alto si estendeva anche alla parte lasciata con la sola imprimitura, in origine evidentem ente coperta dalla corm ce, venen do così ad ampliare l'architettura e lo sfondo e dando al dipinto una forma rettangolare I .I. Anche la scritta era stata ridipinta e ripetuta in modo approssimativo» descrizione relativa alla tavola ora a Venezia (cfr Moschini Marconi 1955), ma ch e perfettamente collima con lo stato di quella d1 Bergamo, documentato da una antica foto d'archivio (in Zeri 1951). Una ripresa invasiva che forse risalirebbe a un restauro di N. Biasion, documentato nel 1831 (cfr ancora Moschin i Marconi 19551. e che farebbe supporre un acquisto da parte d1 Loch1s a Venezia dopo questa data. Tradizionalmen te ricordato come di Antonio Vivarini il primo dei due pannelli, quello rimasto a Venezia (Testi 1915), altri due elementi del complesso; la N ascita di sa nt'.Agostino :Rich m ond, col\ Lord Lee; ora Londra, Courtauld lnst1tute of Art) e Santa Monica che converte il manto morente (Detroit, Institute of Arts ) furono riconosciuti da Longhi (1926 e 1929-1930) Un quarto e un quinto elemento, quello appunto dell'Accademia Carrara e un altro con Sa nta Monica in preghiera c on sant'.Agostino fan ciullo allora a Londra presso L Koetser e ora al Museo civico Amedeo Lia di La Spezia, fu rono uniti alla serie da Federico Zeri e da Ila ria Toesca in due segnalazioni parallele sullo stesso numero d1 «Paragone» 119511 Zeri nella circostanza notava m olto giustamente come si potessero leggere in questi dipinti, databili attorno al 1441 e che sono quindi i più antichi lavori certi di Antonio, riflessi indubbi di Masolmo non tanto dal più tardo ciclo di Ca stiglione Olona, quanto piuttosto da un n ecessario passaggio per 1l Veneto in occasione del viaggio del maestro fiorentino in Unghe -
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ria, dove soggiorna tra il 1425 e il 1427-1428, dunque con una più recente e viva suggestione masaccesca, ben visibile ad esempio nello scultoreo busto nudo di sant'Agostino nel fonte battesimale. A questa serie di Storie di santa Monica ricomposta dunque fino ra in cinque episodi se ne affianca una secon da con Storie di un santo domenicano, forse san Pietro m artne, della quale si conoscono quattro pannelli e che dovrebbe provenire da un simile polittico realizzato da Antonio poco tempo dopo per la chiesa dei Santi Gio vanni e Paolo. Mentre ancora più tarda è la serie dei Martirii di santa Apollonia che, pur simile per formato e impostazione narrativa, è ormai riconosciuta come lavoro del meno noto collaboratore e cognato di Antonio, cioè Giovanni d'Alemagna, la cui fisionomia si ricostruisce a partire dal San Girolamo firmato, pubblicato da Zeri 11971, pp. 40-49; ma confonde ancora senza cn teno le diverse ongini delle tre sene di tavole e i due distinti auton Merkel 1989, p. 71) Giovanni Valagussa Sansovino 1581, p. 50; Ridolfi 1648, p. 21; Boschini 1664, p. 116; Zanetti 1733, p. 174, Lochis 1846, pp 73-74; Testi 1915, p. 341; Longhi 1926, pp. 131-132; Longhi 1946, p. 50, nota 27; Zeri 1951, pp. 46-47; Toesca 1951, pp. 47-48; Moschini Marconi 1955, pp 35-36; De Marchi 1997, pp 354-356
[5.] ili. al le pp. 22-23, 94 , 96. 97, 108-109
Giovanni d'Alemagna (già attribuite ad Antonio Vivarini) Santa Apollonia privata dei denti Santa Apollonia accecata
1440-1445 circa tempera su tavola, Santa Apollonia pri vata dei dent i, cm 53,5 x 30,5 Santa Apollonia accecata, cm 54 ,5 x 34,3 provenienza: legato di Anton ietta Noli, vedova Marenzi. 1901 Bergamo, Accademia Carrara. lnv. 58 AC 00015; lnv. 58 AC 00014 Le due piccole tavole sono arrivate in Accademia Carrara in tempi relativamente recenti e in un'occasione diversa dall'ingresso dei grandi nuclei collezionistici di Giacomo Carrara, nel 1796, e poi dell'Ottocento (Orsetti, Loch1s, Morelli), che hanno nel tempo costituito più dei tre quarti dell'attu ale raccolta del museo. Vero è però che la famiglia Marenzi figura tra le più note della storia cittadina bergamasca e che numerosi dipinti importanti sono transitati nelle sue proprietà. Per divers i rami famllia n alcune di queste opere sono pervenute in Accademia Carrara e ovviamente s1 deve ricordare in proposito - a conferma del livello eccellente della raccolta - il lascito più importante, cioè quello della Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna, data in dopo al museo da Carlo Marenzi nel 1851. Ricerche d'archiv io, anche recenti, non sono però purtroppo riuscite a chiarire quanto di questa collezione - e sembra la parte predominante - si trasmettesse per antica successione familiare, o qu anto piuttosto fosse il nsultato di acquisti, soprattutto d11mzio Ottocento Di fatto nulla si sa sulla provenienza di questi
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due dipinti prima dell'arrivo in museo, e solo in via di ipotesi si può supporre che vengano da Venezia o da Padova. Comunque c1 appa ion:::i :::igg1 complessivamente in buono stato di conservazione, pur presentando entrambi una curiosa modifica, antica ma non originale, che sopralza con un piccolo tassello aggiunto le tavole di forma rettangolare, per consentire !l completamento in alto della cuspide dell 'arco ogivale. Poiché si conoscono altri due pezzi della stessa serie - individuati nel corso della vicenda critica - può essere utile notare che questo dettaglio costruttivo non sembra ritornare nella tavola oggi al Mus eo Civico d1 Bassano 1cm 52 x 33), che ha un profilo sagomato e appuntlto, ma sembra si ritrovi invece nell'altra oggi alla National Gallery di Washington (cm 59,4 x 34,7) nella quale la parte in alto, e anche le zone lungo entrambi i lati verticali, n sultano essere state amp iamente ridip inte (cfr Boskov1ts 2003, p 316) Per quanto riguarda i soggetti, invece, i due dipinti di Bergamo hanno una trad iziona le (e ancora persistente) titolazione come i martirii d1 sant'Apollonia e di santa Lucia, m a è ormai noto come in realtà le due storie, con quella di Bassano e quella di Washington, siano invece parte di un dossale interamente dedicato a episodi della vita di sant'Apollonia . Tutti e quattro gli episodi sono carattenzzati da una pittura finissima, quasi da miniatu ra, che descrive ogni più piccolo particolare con straordinaria cura, perdendosi quasi nella cronaca di avvenimenti ai quali partecipano numerosissimi personaggi, perlopiù non strettamente necessari alla narrazione Inoltre il pittore sembra affascinato dalla possibilità di vestire i suoi protagonisti con abiti straordinariamente variati ed eleganti, con colori vivaci e che spesso evocano fogge orier.tali, collocando poi ogni fatto entro una meravigliosa architettura che ha echi classici, veneziani e levantim insieme, umficati da una struttura prospettica che è ben studiata anche con incisioni sulla gessatura preparatoria del fondo. Un gusto gotico quindi, piegato alle necessità della prospettiva, quale co nosc ia mo ad esempio nei disegni di Jacopo Bellini. E proprio dal nome di Jacopo :nizia la complessa vicenda cntica di queste opere Elencati come lavoro di un artista veneto della metà del XV secolo nei documenti della donazione Noli Marenzi, sono oggetto d1 va n e proposte attributive ch e ruotano appunto attorno a Jacopo e all 'ambiente veneziano fino a quando Roberto
Longhi nel 1926 non propose per le tavolette il nome di Antonio Vivarini, aggiungendo alla sene il pezzo d1 Washmg ton, ms1eme ad altri dipinti di una diversa sequenza, simile per formato, con Storie di santa Monica e sant'.4gostino. Spetta a Federico Zeri (1971) un nuovo passo avanti nella questione, con la pubblicazione dell'unico dipinto firmato autonomamente da G1ovanrn d'Alemagna, raffigurante San Girolamo, e quindi con l'inizio di una reale possibilità di distinguere questo personaggio dal cognato Antonio Vivarini, con il quale perlopiù sembra lavorare, ma la cui personalità e attività sono assai più documentate. Da allora sembra che la crit ica propenda nel nconoscere nelle due storie un capolavoro di Giovanni d'Alemagna, pittore la cui fisionomia ha assunto progressiva mente contorr,i meno labili. Giovanni Valagussa Fossaluzza 1988, pp 272, 274-275; Merkel 1989, p. 71; Lucca 1990, p. 400; Tambini 2001, p. 39; Boskovits 2003, pp. 315-323 (con bibliografia completa sulla tavola di Washington); Ericani 2008, pp. 143-145 (con bibliografia sulla tavola di Bassano); Valagussa 2010a, pp 32-35 (con bibliografia precedente).
[6.] il i. a p. 111
Antonio Vivarini Uomo dei dolori
1449-1450 tempera su tavola, cm 58.9 x 44.5 (superfic ie dipinta cm 57.2 x 39,8) Bo logna, Pinacoteca Nazionale, lnv. 1137 Questo superbo d1pmto era conservato nel monastero francescano femminile del Corpus Domini di Bologna, dove :.el 1866
lo segnala Gaetano Giordani (Cammarota 2004, pp. 454-4551 Passa allora, per la legge d1 soppressione degli enti relig iosi, dalle celle del convento alle sale della Pinacoteca c1ttadma, attraendo l'attenzione di Giovanni Battista Cavalcaselle che lo riproduce nei suoi taccuini come opera di Antonio Vivarini (BMVe, Fondo Cavalcaselle, ms. It IV, fase. VIII, f. 64r) L'intuizione del fine conoscitore trova concordi, a più di mezzo secolo di distanza, Longhi (1926, p. 132) e Arslan (1931, pp. 437-438). Il primo studioso lo giudica un capolavoro di Antonio databile tra il 1440 e il 1450 e il secondo ne precisa l'esecuzione al 1445 -1446, per confronto con il Trittico della Carità (Venezia, Gallerie dell'Accademia) siglato nel 1446 dallo stesso Vivarini e dal cognato, Giovanni d'Alemagna che con lui collabora fin dal 1441. A questa attribuzione, accettata in modo pressoché unanime dalla critica successiva (cfr Pallucchmi 1962, pp. 17-18 , 101, n. 38; Fossaluzza 2004, pp. 233-236, n. 85, con bibliografia), si sono sommate di recente una proposta a favore di Giovanni d'Alemagna (Casu 2011, p. 741 e una, d1 segno opposto, al giovane Bartolomeo Vivarirn (De Marchi 2012, p . 231 Da subito meno coincidenti sono state invece le opinioni espresse in merito alla cronologia che alcuni (Pallucchini 1962, pp. 17-18, 101, n. 38; Emiliani 1967, p. 182, n. 81 hanno ritenuto precedere l'impegno comune di Giovanni d'Alemagna e Antonio V1vari ni a Padova (dal 1447 registrati nella traglia dei pittori!, confinando la datazione entro il 1443-1444 dei polittici in San Zaccaria a Venezia e altri (Laclotte, Mognetti 1976, n 243; Natale 1982, pp. 111-1121 porsi al limite di quella cruciale espenenza lavorativa, marcata nel 1450 dalla morte dello stesso Giovanni d'Alemagna e poi daJ'inizio della collabo,azione ufficiale con Bartolomeo Vivarini (Polittico della Certosa, Bologna, Pinacoteca Nazionale) Nell'ininterrotta altalena dei pareri degli specialisti, generata dalla difficoltà di entrare nelle pieghe di processi espressivi condizionati dall'operare coordinato dei diversi artefici entro un'unica bottega, è indubbio che la scrittura scelta, il delicato chiaroscuro, l'interesse per lo scorcio prospettico del sarcofago da cui si stacca il corpo di Cristo e per la registrazione della luce nel paesaggio dello sfondo che caratterizzano questo dipinto corrispondano al linguaggio spenmentato in due ragguardevoli invenzioni siglate dal solo Antonio nel quinto decennio del XV secolo: l'Imago pietatis al culmine del Polittico
di Parenzo (Basilica Eufrasiana, Poreé:; 1440) e il frammento della tavola con San France sco riceve le stimmate al Museo Amedeo Lia
d1 La Spezia (14 47-1448 circa) L'artista muranese, che si direbbe in quegli anni essere particolarmente attento a una resa non standardizzata dell'immagme del Cristo in pietà (cfr Barcham 2013; Schmidt Arcangeli 2014a, p. 158), qui mette a punto un'originale raffigurazione del tipo iconografico dell'Uomo dei dolori (Schmerzensmann) a mezza figura (cfr Panofsky 1927, ed. 1998, pp. 86, 101, nota 106; De Marchi 2012, pp. 21-241 Il Cristo appare vivente e il modo :::on cui mostra le ferite all'osservatore, passivo nell'Imago pietatis tradizionale, viene condotto con un gesto assai prossimo all'atto di benedire, in esplicito richiamo alla Resurrezione e all'idea del Redentore subito attivo dopo la morte terrena per la salvezza dei peccaton. Come già osservato (Cavalca 2012, pp. 53 -54) l'impegno profuso da Antonio nel conferire nuova forza drammatica all'immagine sacra è ammirevole. L'uso ardito del close-up fa leva nel dipinto con grande penz1a sul taglio sbieco e vistosamente scivolato in avanti delle sponde dell'avello e sullo sguardo ribassato del Cristo. Se ne ha piena coscienza immaginando la raffigurazione collocata in una posizione apicale rispetto a chi gua rda . In quell'assetto l'aveva pensata Zeri 11975, comunicazione al Musèe du Petit Palais d1 Avignone) propenso acredere che la tavola di Bologna componesse il registro superiore di un polittico smembrato, posta fra il Santo vescovo (g ià identificato in Ambrogio) e il San Nicola d1 Bari della Pinacoteca del Seminano Patnarcale d1 Venezia, e il San Ludovico di Tolosa del Musèe du Louvre di Parigi, a coronamento della Madonna in trono con il Bambino e due angeli del Museo Poldi Pezzoli di Milano, assegnata a Giovanni d'Alemagna e ad Antonio Vivanni, con una collocazione cronologica tra il 1449 e il 1450. La proposta di Zeri, che ha raccolto nel corso del tempo autorevoli adesioni e opinioni non concordi, è stata ridiscussa nel dettaglio in occasione dell 'esposizione Giovanni Bellini Dall'Icona alla storia, allestita nel 2012 nel Museo Poldi Pezzoli di Milano (catalogo nn. 2-3, pp. 46-55: Galli Michero; Cavalca) Tolte con la tavola di Parigi quelle veneziane - già confutate da Roberta Battaglia sulla scorta delle indag ini condotte per il res tauro (in Restituzioni 2006, pp. 156-158) - e vagliati alternativi suggerimenti d'assemblaggio
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(De Marchi 2012, i: 23), sono stati messi alla prova i lega m i formali e storiografi ci che uniscono il Cristo di Bologna con la Ma donna di Milano, elaborando una ricostru zione (Cavalca 2012, pp. 52-54, hg . 2) che te n esse in debito conto i dati materiali dei superstiti elementi pittorici e gli ingombri della perduta carpenteria Ha preso corpo un m anufatto imponente e sontuoso, derivato nella fog gia dal Polit tico d1 Santa Sabina a San Zaccaria, da porsi tuttavia, per ragione dello stile, alcuni anni dopo il Trittico della Carità, cui ancora s'apparenta per preziosità degli elementi decorativi. L'opera ricomposta restituisce, seppure in via indiziaria, un momento importante del sodalizio di bottega, a ffin ato dall'espenenz a padovana una tappa breve e delicata, sullo scorcio del 1449, in cui vivo Giovanni d'Alemagna, Antonio parrebbe acquistare autonomia di scrittura nello scomparto qui consid erato, a motivo dell'influenza su di lui esercitata dal fratello minore, Bartolomeo. Più difficile essere rassicurati circa la collocazione originaria dell'op era, for se g ià in antic o a Bologna (cfr Cavalca 2013, p. 96) Cecilia Cavalca Pallucchim 1962, pp.17-18, 101, n. 38; Emilian i 1967, p. 182, n. 81; Laclotte, Mognetti 1976, n. 243; Natale 1982, pp. 111-112; Fossaluzza 2004, pp. 233-236, n. 85; Battaglia 2006, pp. 156-158 ; Thiébaut 2007, p 54; Cavalca 2009, pp. 44, 50, Casu 2011, p. 74, Cavalca 2012, pp. 50-55, n. 3, De Marchi 2012, pp. 23-24; Galli Michero 2012, pp. 48 -49; Cavalca 2013, pp . 96, 121, note 54-61; Schmidt Arcangeli 2014a, p. 158.
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[7.] ili. al le pp . 60, 61
Antonio e Bartolomeo Vivarini Madonna in trono con il Bambino (scomparto centrale del Trittico di Surbo)
1452-1453 circa tempera su tavola di pioppo, cm 137,5 x 40,3 Bari , Pinacoteca Metropo litana "Corrado Giaquinto", lnv. 1998 66b/ Dep . Lo scomparto è la parte centrale di un trittic o, parte sopravvissuta di un polittico, eccezionale perché a sette scomparti allineati, dipinto verosimilmente per la chiesa benedettina dei Santi Niccolò e Cataldo a Lecce e trasferito nel Settecento nella chiesetta di Santa Maria d'Aurìo, nei pressi d1 Surbo (Lecce), dove negli anni ottanta dell'Ottocento lo vide, gravemente ammalorato, Cosi m o De Giorg1, che per primo lo rese noto agli studi. Successivamente (1929) acquisito dallo Stato, per circostanze ora non precisabili il polittico ha perso, nel corso degli anni, ben quattro de gli scompart i origi nari, sì che oggi ne sopravvivono soltanto tre (quello centrale, in mostra, e due laterali raffigu ranti rispettivamente San Benedetto e Santa Scolastica), approdati negli a nni cinquanta del secolo scorso nella Pinacoteca di Bari, dopo essere passati nel Museo Nazionale di Taranto e nel Castello d i Bari, sede dell'allora Soprintendenza a i Monumenti e alle Gallerie della Puglia. ~ttribuito dalla maggior parte degli studiosi al giovane Bartolomeo Vivarini, in anm recenti esso è stato da me ricondotto, sulla scorta d1 un sugger ime nto di Gino Fogolari, al capostipite della bottega, Antonio Vivarini, e ciò per alcune palesi incongruenze rispetto allo stile noto di Bartolomeo e in considerazione del fatto che un polittico di tali dimensioni difficilmente
poteva essere commissionato a un artista allora a i su oi esordi. Nonostante qualche successiva correzione d1 tiro, resto convinta che tale attribuzione possa essere sostanzialmente confermata . Basterà guardare, per convincersene, la figur a della Madonna poco più che adolescente, di un tipo fisiognomico pressoché sovrapponibile a quello della Vergine nel Trittico della Carità delle Gallerie dell'Accade mia di Venezia, firm ato da Antonio e dal cognato Giovanni d'Alemagna; e il modo in cui la Vergine grandegg ia in un trono troppo stretto per lei . L'inne gabile forza plastica dell'erculeo Bambino, davvero mantegnesco e lontano dai bimbi morbidi e disossati di Antonio, unita allo splendido gioco che si stabilisce tra le man i grassocce e scorciate del divino Infante e quelle, lunghe, nervose e affusolatissime, della Madre, oggi mi o rientano però a pensare che nel trittico ora a Bari abbia messo mano più tard i Bartolomeo che, come aragione ipotizzava Pallucchini, era presente a Padova e osservava e faceva tesoro della lezion e del "dipingere alla m oderna" di Andrea Manteg'.'la e Nicolò Pizolo quando, alla fine degli anni quaranta, suo fratello Antonio, insieme a Giovanni d'Alemagna, affrontava l'avventura degli Erem itani, fi anco a fi anco con i due giovanissimi capiscuola Anche : santi, invero di mediocre qualità, che affiancano la Verg ine, pur ritenendo molto delle stile di Antonio nella sottigliezza e nell'allungamento dei corpi, a un'osservazione più attenta hanno nelle fisionomie qualcosa di più icastico e più pungente rispetto a quelle caratteristiche del capostipite della bottega muranese, tanto da chiamare in causa \'intervento di un qualche aiuto. L'impressione, insomma, è che si tratti di un polittico im postato da Antonio, in parte autografo, in parte condotto "a più mam" sotto la sua regia, la cui datazione propenderei a fissare intorno al 1452-1453. Clara Ge\ao D'Elia 1964, pp. 59-60, con bibliografia precedente; Pallucchini 1964, p. 216; Belli D'Elia 1972, pp . 28 -29; Cassiano 198 8, p 46; De Marco 1991, pp. 26-28, 49-52; Poso 1992, pp. 773-774; Il trittico 1997; Gelao 1998b, pp. 9193; Gelao 2004a, pp. 166-169; Gelao 2006a, pp. 127-130; Gelao in c.s.
[8.] ili. alle pp . 112, 113
Antonio e Bartolomeo Vivarini Sant 'Anto nio da Padova San Lu dovico di Tolosa 1451
t empera su tavo la, Sant'Antonio, cm 127 x 50 ,5 San Ludovico, cm 125 x 52 Ro (Ferrara), Col lezione Cava llini Sgarbi
Le due tavole raffiguranti SantAntorno da Pa dova e San Ludovico d1 Tolosa erano collocate nel registro infenore d1 uno scomparso polittico realizzato nel 1451 dai fratelli Antonio e Bartolomeo \/1varini per l'altare della cappella maggiore della chiesa padovana d1 San Francesco (per ·.a stessa chiesa Antonio aveva eseguito quattro anrn pnma, insieme al cognato G1ovanrn d 'Alemagna, un altro polittico raffigurante una Natività, già presso il Castel lo di Konopistè in Repubblica Ceca, oggi alla Galleria Nazionale d1 Praga). Secondo la testimonianza delle fonti, il polittico era datato e firmato «MCCCCLI AN TONIUS ET BARTHOLOMEUS FRATRES DE MURANO PINXERUNT HOC OPUS», in base a una feconda collaborazione che aveva già dato 1 suoi esiti pos1t1v1 nel 1450, anno in cui i fratell! muranes1 avevano dipinto il polittico della Certosa d1 Bologna, oggi conservato nella locale Pinacoteca Molto probab ilmente 11 polittico del 1451, che ha avuto nel corso del tempo una storia ricca e travagliata che lo ha portato da Padova all'Europa centrale, fu rimosso dall'altare della chiesa d1 San Francesco intorno alla seconda metà del XVIII secolo Rossetti, infatti, descnvendolo con minuzia nel 1765, specificava che la sua collocazione era «di rimpetto alla porta», mentre Brandolese lo aveva visto nel
1795, insieme all'ancona del 1447, «in uno stanzino situato al lato destro del coro» . Dopo la soppressione del convento dei Frati Zoccolanti di San Francesco, nel 1810, tutti e due 1 polittici scomparvero (tanto che la Gwda di Padova d1 Mosch1rn, datata al 1817, non 11 menzionava più), per poi entrare a far parte della raccolta del castello boemo d1 Konop1stè (Zen 1975), dove 1 :gannelli del 1451 vennero successivamente divisi. I pannell! con SantAntonio da Padova e San Ludovico d1 Tolosa sono apparsi alla vendita all'asta presso il Dorotheum di Vienna 11 5 novembre 1974, il pnmo in buono stato di conservazione, il secondo, invece, rovinato per cadute di colore dovute all'umidità, nel catalogo d1 vendita venivano erroneamente riferiti alla cerchia d1 Carlo Braccesco . Come fa giustamente notare Zen (1975), a parte la figura di San Ludovico, non giud1cab!le per 11 suo stato lacunoso, il San/Antonio, nell'im postaz10ne della figura e nel volto, è perfettamente nconduc1bile ai moduli espressivi d1 Antonio \/ivarini; mentre «il succedersi lungo la manica delle pieghe, già "squarcionesche"; o l'accenno ntmico secondo cui è inarcato 11 giglio, o il motivo del cordone sorretto dal dito», costitmrebbero già indizi «della spinta in senso padovano impressa dal giovane Bartolomeo al repertorio del fratello» . Secondo lo studioso, inoltre, i due pannelli andrebbero uniti al San Pietro e al San Paolo della Galleria Nazionale d1 Praga; San Paolo, in particolare, s1 presenta abbastanza rovinato, propno come il San Ludovico che lo fiancheggiava sull'estrema destra dell'ordine inferiore. A parte la tavola centrale mancante, che effi giava un san Francesco, probab!lmente colto in atto di mostrare le stimmate, 1 quattro santi rispondono quindi pienamente alla serie descntta dalle fonti, che documentavano appunto un San Pietro e un San Paolo, affiancati rispettivamente da SantAntonio e da San Ludovico . Zeri (19751 ipotizza poi che le due tavole con le mezze figure di Santa Chiara e del Battista, conservate al Kunsth1stonsches Museum di Vienna, costituiscano la parte sinistra del registro supenore del polittico di Padova, per lo stile con cui sono rappresentati 1 soggetti, che mettono in evidenza la mano prevalente d1 Antonio, mescolata a quella del fratello minore, e per 11 particolare motivo decorativo che orna 1 nimbi dei santi, molto vicino a quello del presente SantAntorno Un dettaglio, questo, che n torna anche nella Madonna con il Bambmo dell'Art Museum di Worcester, Massachusetts, che costitmrebbe il centro dell'ordine superiore dell'ancona,
come sostiene Zen (1975), 11 quale menziona anche l'esistenza presso la Galleria Nazionale d1 Praga di una cuspide in pessime condizioni con la figu ra d1 Cristo, proveniente dalle raccolte Estensi d'Austna, il probab ile coronamento dell'ancona padovana. Nell'ipotesi di Zeri risultavano ignoti allo studioso il San Francesco centrale e i due pan nelli superiori d1 destra uno di questi, raffigurante San Bemardmo da Siena, è stato recu perato presso la Galleria Nazionale di Praga, laddove nel 1991 Hlavàckovà riconobbe anche una Madonna con il Bambino d1 Antonio \/ivarini assai simile a quella d1 Worcester, ma cuspidata e d1 dimensioni più congrue all'opera del 1451. Cosi integrata ed emendata la ncomposizione di Zeri, nell'aprile 2013 il polittico dei fratelli Vivarirn è stato parzialmente ncomposto a Praga presso palazzo Sternbersky, in occasione dell'espos1z1one Vivarini 1451. incontro dopo più d1 100 anni, in cui sono state riunite sette delle undici ta vole onginali (1 cinque pannelli della Gallena Nazionale d1 Praga e 1 due in collezione Sgarbi qm esposti) Cinzia Tedeschi Rossetti 1765, p. 166, Brandolese 1795, p . 249; Mich1el 1884, p. 30; Testi 1915, pp . 369, 387; Pallucchini 1962, pp . 96, 101, 114, Zeri 1975, pp. 3-10 (Zeri 1988, pp . 161-165) ; Hlavàckovà 1991, pp . 11 - 20; Ripa 2005, pp. 42-43; Tedeschi 2013, pp 67-71; Tedeschi 2014, pp. 52-54.
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[9.] ili. a p. 63
Antonio Vivarini Madonna in trono con il Bambino e san Cristoforo, san Francesco, san Bernardino da Siena , sant'Antonio, Cristo risorto , santa Margherita, santa Caterina d'Alessandria, san Nicola e san Pantaleone(?) (Polittico di Rutigliano) 1461-1462 circa
tempera su tavola. cm 189 x 147 Rut igli ano, chiesa collegiata Contrariamente alla maggior parte dei polittici realizzati dall'artista, costituiti da due reg istri di scomparti singoli sovrapposti e dalla cimasa, in cornspondenz a della tavola centrale, il Polittico di Rutigliano è composto da cinque tavole a cuspide, di cui la centrale più larga e più alta, sulle quali sono dipinte sia le figure del registro inferiore sia quelle del superiore, unite in passato da un "incasamento" in legno intagliato e dorato. di cui restano solo un frammento di colonnina tortile e un piccolo capitello. Non vi è completo accordo nell'1dent1ficazione del santo raffigurato nel registro supenore a destra, riconosciuto generalmente come San Cosmo e, più d1 recente, come San Pantaleone. Discussa anche \'ubicazione originaria del polittico, recentemente riconosciuta dal Boraccesi (2001) nella distrutta chiesa di Santa Maria della Pietà di Rutigliano, affidata ai francescani osservanti e annessa ad un ospedale, il che spiegherebbe la presenza di san Pantaleone. Lo stesso studioso ipotizza che committente del polittico possa essere stato Leonardo Cozzio, promotore della ristrutturazione rinascimentale della matrice di Rutigliano, dove il polittico nsulta presente già nel 1673
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Già considerato opera uscita dalla bottega di Antonio e Bartolomeo Vivarini databile tra il 1450 e il A60, il polittico è stato in seguito abbastanza concordemente attribuito al solo Antonio, con varianti rispetto alla sua datazione. fatta oscillare tra il 1450 e la fine del settimo decennio, e al ruolo avuto dalla bottega D'Elia, che nel 1964 vedeva il polittico in cattive con'.liziom cii conservazione. lo cons1'.lera «come una delle più va\1'.le [ope re! dell'ultimo penodo d1 attività di Antonio e della sua bottega». datandolo intorno al 14611462. Il restauro del 1987/1988 ha messo in luce le qualità del dipinto, confer::nando una datazione ai primi anni sessanta, quando Antonio è ben distinguibile da Bartolomeo per le sue figure esili e delicate, per la tipo logia dei volti femminili, dai tratti morbidi e un po' bamboleggianti, di eco ancora ma soliniana, e per 1\ segno deciso e sicuro che delimita le figure. Clara Ge\ao D'Elia 1964, pp. 57-58, con bibliografia precedente; Il polittico 1988; Boraccesi 1996, pp. 39-40; Boraccesi 2001, pp. 132-135; Gelao 2013, p 236.
[10.] ili. a p. 28
Antonio e Bartolomeo Vivarini San Bernardino da Siena , san Pietro, san Francesco d'Assisi, san Cristoforo, sant 'Antonio da Padova, Madonna con il Bambino, san Girolamo, san Giovanni Battista, sant 'Eufemia , san Ludovico di Tolosa (Polittico di Arbe) 1458
tempera e doratura su tavola, legno intagliato e dorato, cm 275 x 251 iscrizioni: ANTONl[US] ET BARTHOLOME[US] DE MU RANO F[RAT]RES Pl[N]X ERUNT MCCCC LVII I [... ] 1458 (sulla corn ice, sotto il pannel lo con san Bernardino) Arbe (Rab), monastero di Sant'Eufemia. chiesa di San Bern ardino Nel 1446 i frati francescani osservanti intrapresero la costruzione di un nuovo convento sull'isola di Rab. attorno alla più antica chiesa di Sant'Eufemia. L'impresa. come ricorda un'iscrizione oggi murata nel chiostro, fu finanziata dal nobiluomo Petar Car, che a partire dal 1451 destinò le sue risorse all'edificaz ione di una seconda ch iesa nel medesimo complesso. dedicata a san Bernardino da Siena, il santo francescano appena canonizzato (1450) da papa Niccolò V Nel suo testamento del 1456 Petar dispose che la chiesa fosse portata a termine e dotata di ogni cosa necess3.ria al suo ornamento. I.:ancona destinata all 'altare maggiore fu commissionata all3. bottega di Antonio Vivarini, che in quegli anni contendeva a quella dei Bellini il primato nella pittura religiosa a Venez ia, e che era be n nota all'ordine dei Frati Mmon per aver realizzato nel 1447 e nel 1451 due polittici per la chiesa di San Francesco m Padova
11 polittico, tuttora conservato in loco, si compone d1 d1ec1 tavole organizzate tradizionalmente su due registri, tutte a fondo oro, con i santi a figura intera nel registro inferiore e a mezza figu ra in quello superiore. Nell'ordine inferiore compaiono al centro San Bernardino da Siena, titolare della nuova chiesa, che regge il libro delle Scritture e il mono gra mma IHS (Iesus Hominum Salva tor), alludente alla devozione al nome d1 Gesù, tema centrale della sua predicazione; alla sua sinistra San Francesco d:Assisi e San Pietro, patrono del committente Peta r Car; alla sua destra San Cristoforo, patrono di Rab, e Sant'.Antonio da Padova. Nel registro superiore al centro la Madonna con il Bambino, a sinistra San Girola mo e San Giovanni Battista, a destra Sant'Eufemia, titolare dell'antica chiesa e del nuovo convento, e San Ludovico di Tolosa Sulla cornice in legno intagliato e dorato si legge l'iscrizione parzialmente abrasa con la firma dei fratelli Antonio e Bartolomeo Vivarini e la data 1458. La porzione caduta dell' 1scnz1one, «FRANCIS[CJUS INCISIT», è registrata dalle fonti ottocentesche ed è da riferire all'eseC'..1tore della cornice, che potrebbe essere identificato con l'intagliatore Francesco di Matteo Moranzone, documentato tra Venezia e Zara, e autore della perduta cornice dell'Incoronazione della Vergine dipinta tra il 1447 e il 1448 da Michele Giambono per la chiesa veneziana di Sant'Agnese, ora alle Gallerie dell'Accademia. 11 polittico appartiene al periodo della collabora zione tra Antonio Vivarini e il più giovane fratello Bartolomeo, inaugurato nel 1450 con il polittico per la chiesa di San Girolamo della Certosa a Bologna, oggi nella Pinacotec a Nazionale cittadina, e conclusosi con il polittico ora alla Pinacoteca Civica di Osimo, del 1464. La distinzione delle rispettive mani nelle opere firmate da entrambi è problematica, in quanto deve tenere conto della maturazione stilistica di Antonio sui modi più aggiornati del fratello, e della pro babile presenza di aiuti all'interno della bottega. Nel Polittico di Arbe sono stati riferiti ad Antonio i santi del registro supenore, che pur mostrando un panneggiare più angoloso conservano le tipologie fisionomiche e costruttive tipiche del capobottega. Nel registro infenore il più marcato linearismo che segna i contorni, cristallizza le pieghe in sigle geometriche e incide i volti caricandoli di espressività, sembra riferibile alla personalità di Bartolomeo. Va tuttavia rilevato che caratteri analoghi si possono riscontrare
in opere più tarde firmate dal solo Antonio, come il Polittico di Andria ora alla Pinacoteca Metropolitana di Bari (1467), o a lui attribuite, come il San Francesco d'.Assisi di Villa Cagnola a Gazzada e il San Bernardino della John Johnson Collection d1 Philadelphia, riferiti agli anni sessanta del Quattrocento (cfr Minardi 2012, pp. 331-332) Ca rlo Cavalli Pallucchini 1962, p. 110, cat 100; Domijan 2001, pp. 216-218; Tomié 2011, pp. 163-164; Sabota Matejcié 2011, pp 67-70, cat 2
[11.] il i. alle pp. 31, 114
Bartolomeo Vivarini Madonna in trono con il Bambino e sant'Agostino, san Rocco, san Ludovico di Tolosa e san Nicola, in alto san Domenico, santa Caterina d'Alessandria , san Pietro martire, santa Maria Maddalena 1465 tempera su tavola, cm 118 x 118 iscrizioni: OPVS BARTHOLOMEI VIVARINI DE MVRANO 1465 Napoli, Gal lerie di Capodimonte, lnv Ql930, n. 66
Un documento dell'Archivio di Stato di Napoli attesta che la tavola s1trovava in angine nella chiesa francescana di San Pietro delle Fosse a Bari ed entrò a far parte del Real Museo Borbonico di Napoli nel 1813, a seguito della soppressione dei conventi. È un fatto però che nessuno degli storici della città di Bari menziona, e nessuna traccia compare nel pur dettagliato inventario degli oggetti d'arte della chiesa stilato da Vincenzo Lapegna nel 1811. A tal proposito Melchiorre afferma che «diversi oggetti erano scomparsi
in occasione dei frequ enti passaggi delle truppe francesi», ingenerando il fond ato dubbio che la tavola di Vivarini possa aver preso la strada di Napoli prima della legge di soppressione dei conventi (Melchiorre 1990, p. 25) La sua provenienza è nmasta a lungo ignota, salvo un fugace cenno di Aru (1905, p 206), tanto che ancora nel 1990 la Schmidt dichiara di ignorarne sia la committenza che la provenienza. 11 dipinto vede al centro della composizione la Vergine, in ricco manto damascato, seduta su un monumentale trono ma rmoreo di forme rinascimentali, dai grad ini con fronte scolpita e dossale centinato profilato da candelabre, ricche modanature e dischi e circondato da serti di foglie e frutti d1 gusto padovano. Con le mani giunte e il volto lievemente abbassato, ella sembra meditare sul destino del Figlio, che dorme sul suo grembo, adagiato su un cuscino. La fiancheggiano, a sinistra, i santi Agostino e Rocco, a destra Ludovico di Tolosa e Nicola, olosomi. La scena è ambientata all'aperto, all'interno di una sorta di bassa esedra fo rmata da piante Nel fondo azzurro del cielo campeggiano, scalate in altezza ed emergenti a mezzo busto da nuvolette, le figure di santa Caterina d'Ales sandna, sovrastata da san Dom enico a sinistra, santa Maria Maddalena con san Pietro martire a destra. Considerata da Pallucchini «il capolavoro di Bartolomeo V1vanni, perla coerenza espressiva così eqmlibrata, per la contenutezza del colore e per l'unità degli effetti decorativi» 11962, p. 42), la tavola costituisce uno snodo fondamentale nel percorso stilist1Co dell'artista che dà qui una precoce e acerba, ma affascinante interpretazione di una Sacra conversazione "a spazio unico circolante", chiaro riflesso della pala di Mantegna nella chiesa di San Zeno a Verona, pur con tutti i limiti giustamente sottolineati, ancora di recente, da Hu m frey, da Lucco e dalla Schmidt Limiti individuabili soprattutto nella scala gerarchico-dimensionale con cui sono rappresentati i santi rispetto alla Vergine e nella de corazione un po' ridondante, nscattati da un cromatismo vitreo di straordinana lumi nosità. La tavola dové costituire, a un'epoca relativamente precoce, un'autentica novità per la Puglia, avvezza alla tradizionale scansione a scomparti, e obbliga a rivedere in parte gli sviluppi della pittura veneta in Puglia nel Quattrocento, e anche a modificare 11 giudiz io, spesso limitativo, che possiamo avere dei suoi committenti, spesso di gu sti alquanto tradizionali. La presenza, fra i
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santi raffigurati, di san Ludovico di Tolosa e di san Nicola, rispettivamente il suo santo epommo e il santo patrono di Ban, farebbero pensare che questa tavola abbia avuto come committe nte il nobile veneziano Ludovico Caucho, lo stesso donatore della tavola eseguita nel 1476 da Bartolomeo per la Basilica di Sa n Nicola a Bari; personaggio al quale, con molta probabilità, si deve an ch e l'arrivo in Terra d1 Bari della pala della chiesa matn ce di Modugno, del 1472 . Clara Gelao Aru 1905, p. 206; Pallucchini 1962, p. 42; Humfrey 1987, p. 188 ; Lucco 1990, p . 419, Melc hiorre 1990, p . 25, Schmidt 199 0, pp 706-707, Leone de Castris 1999, pp 81-82, con bibliog rafia precedente; Gelao in c.s.
[12.] ili. alle pp. 14, 17
Bartolomeo Vivarini Madonna con il Bambino
1465-1470 tempera su tavo la , cm 71 x 48,5 iscrizioni BARTOLAM [Vl]VAR I DE MVRAN prove ni enza : legato Teodoro Correr, 1830 Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia Museo Correr, lnv. Cl. In. 26 Evocando nell'astratta atmosfera spaziale del "fondo oro" la fissità sacrale delle trad izion ali icone greco-bizantine, la Madon na a m ezza figura si erge dietro un basso pa rapetto marmoreo a screziature nuvolate. Il Bambino è seduto a cavalluccio sull'avambraccio destro della mad re, le due teste vici ne e del icatamente reclinate una verso l'altra, la Madonna con lo sguardo m estame nte abbassato, gli occhi tnsll del Bambino sollevati a cercare lo sguardo della madre. Le
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aureole sono realizzate a incisioni e punzonature sul fondo a foglia d'oro. Il dipinto apparten ne alla raccolta di Teodoro Correr, giunta quale nu cleo fo ndativo dei Musei Civici nel 1830, nel cui inventario di legato è verosimilmente identificabile al n. 228: «[. I Opera di Bartolomeo Vivarini di buona conservazione". Probabilmente per su ccessivi interventi muse al i, nel secondo Ottocento e pnmo Novecento il dipinto si presentava con estese ndipinture - anche sopra la materia pittorica originale - e pesanti risarcimenti della doratura di fondo. Ciò può giustificare il falsato giudizio di Cavalcasene (1873, 19121, accolto anche in Elenco deg/1 o ggetti esposti 118 99, p. 242, n . 281, che negava vendicità all'iscnzione, non riscontrando l'impronta genuina di Bartolomeo e, piuttosto, la mano di un seguace di Alvise. ?ortunatamente un cauto e abile restauro operato da Mauro Pellicioli n el 1955, da ultimo revisionato nel 2002 (CBC Romal, ci ha potuto restituire un testo pittorico che, pur a sconto di vari piccoli danni e della grave abrasione dell'oro di fondo, dimostra alta qualità esecutiva e grande sostenutezz a stilistlca, pe rciò quali fi candosi, a unanime giudizio della critica moderna, quale indubbio autografo di Bartolomeo, «[. .. ] d'una grazia spirituale degna di un Bellini primitivo,, (Pallucchini 1962, p 431 Questa tavola del Correr b ene s1 rnsen sce all 'interno di un gruppo piuttosto com patto di opere, tra le quali alcune datate, come il polittico già nella cappella Morosini in Sant'Andrea della Certosa (1464, Venezia, Gallerie dell'Accademia), la paletta con Madonna e santi (1465, Nap oli, Gallerie di Capodi m onte), la Madon na in trono con il Bambino (1471, Roma, Galleria Colonna) e la cosiddetta Madonna Davis (1472, New York, Metropolitan MuseumJ. Pertanto, come già proposto da Mariacher 119571 e Pallucchini (1962), l'as segnazione al seco ndo lustro del settimo decennio, ovvero più verso il '70, pare assai calzante per il presente dipinto La sua composizione possiede una calibra tura accuratamente studiata e felicissima, quale non sempre riesce a Bartolomeo; in part icolare s1 osservi 11 delicato accostars i delle due teste e l'espress1v1tà degli occhi, a significare il mesto presagio sacrificale del piccolo Redentore e il d61ore della Madonna, incanta la soluzione di piede e gambina sinistra del Bambino, allacciata e trattenuta tra le affusolate dita della mano destra d1 Maria; così come la dolce presa del fi glio sul pollice della mano sinistra sollevata della madre
(spunto condiviso col giovane Giambellinol) Realizzato con un disegno di nitidez za e rigoros ità geometrizzante veramente mantegnesche, ciò conferisce al gruppo una impositiva forza scultorea, compiuta e "chiusa" come in un'opera di Donatello o della sua cerchia padovana (ci sovvengono le terrecotte di Giovanni de Fonduli) Alta è an che la "temp eratura" d1 colore e lu ce; qu est'ultima, chia ra e inten sa, m odella n itidi e levigati gli incarnati dalla trasparenza alabastrina; il colore (purtroppo alterato il blu profondo del manto) vibra e squilla nel rosso-rosato della veste della Madonna come in una vetrata attraversata dal sole è il modo di Bartolomeo d1 interpretare il sommo e ineludibile modello del giovane Mantegna a Padova. I rimandi sono sia iconografici (ma naturale è il comune sottofondo della radicata tradizione veneto-greco-bizantina), sia st!listici, appunto nel nome di una condivisa ammirazione della lezione m a ntegnesca, ma anche con inevitabili sguardi reciproca mente lanciati tra le "punte avanzate" delle due maggiori imprese d'arte familiari veneziane. Andrea Bell1eni Lazari 1859, p. 6, n. 26; Cavalcaselle 1873 (VI, p 48; Cavalcaselle 1912 Ili. p. 49; Moschini 1935, p. 212; Pallucchini 1946, p. 51; Mariacher 1957, pp. 235-236; Pallucchini 1962, pp 43, 119 (n 155); Bellieni 2010. pp .118-119.
[13.] ili. a p. 69
Bartolomeo Vivarini Annunciazione
1472 tempera su tavo la. cm 106 x 68 iscrizioni OPVS FACTVM VEN ET IIS PER BARTHOLO/ MEVM VIVARIN VM DE MVRIANO 1472 Modugno (Bari). chiesa matr ice La tavola, vista da Salmi n el 1919 nel coro della chiesa, passò nel 1929, a titolo di deposito, alla Pinacoteca Provinciale (ora Metropolitana) di Ban , che provvide al suo restauro, effettuato da Vito Mameli. Dal 2003 è ritornata nella sede originaria Lo stesso Salmi, sulla base d1 un passo di un Libro delle Messe (1447-1538) allora nell'archivio modugnese (« die vicesimo tertio eiusdem Junii MCCCC°LXX praefatum capitulum debet officiari semel in anno rnagnificum virum loisium caucum de venetìis super conam magnam aureatam que est super altare maioris ecclesie medunii cum chiviale de serico albo et cum uno chiviale ni9ro sollepniter»), la dice commissionata dal veneziano Ludovico Caucho nel 1470, interpretando il "super altare" in senso giurid ico (fo ndata sull'altare, riguardante l'altare). In realtà dal brano si evince solo, a mio parere, che nel 1470 magn lficus v1r Ludovico Cauco - lo stesso personaggio che commissionerà a Bartolomeo Vivarini la Sacra conversazione della Basilica d1 San Nicola a Bari, datata 1476 aveva buoni rapporti con la chiesa matrice di Modugno e chiedeva al capitolo di celebrare una messa all'anno sull'altar maggiore della chiesa, dinanzi a una «grande cona» dal fondo oro, che non può essere identificata con la nostra (Salmi è infatti costretto a ipotizza re che la tavola facesse parte in origine di un polittico), che porta la data 1472
Bartolomeo Vivarini colloca gli attori della scena in primissimo piano: a sinistra il grande Angelo inginocchiato e benedicente, con tunica di velluto verde scuro e manto color corallo iridescente; a destra Maria, seduta in atteggiamento compunto, un lib ro semi aperto nella mano sinistra. La stanza in cui si svolge l'annuncio è resa con una straordinaria attenzione a.i particolan (la panca, il cuscmo con le nappe che si intravede dietro la tenda scostata, il vaso di maiolica sul davanzale, la finestra a dischetti di cristallo, il soffitto a lacunari), dove tutto ha un preciso riferimento teologico: il paesaggio primaverile; il vas o, allusivo alla Vergine (vas elect10nis); 1l letto (thalamus Virginis), simbolo della sua unione con Dio. Già accostata al polittico delle Gallerie del l'Accademia, datato 1475, proveniente da Conversano, e al polittico della chiesa di Santa Maria Formosa a Venezia, la tavola è stata ritenuta autografa, o eseguita con intervento di aiuti. D'Elia vi vede anche un riflesso della pala Pesaro di Giovanni Bel lini. Da considerare una tappa importante nel percorso di distacco di Bartolomeo dalla poetica di Antonio Vivarini nell'accoglimento, sebbene ancora incerto, della prospettiva rinascimentale, la tavola denuncia un forte senso plastico nelle monumentali figure protagoniste, definite da un segno nero nervoso e guizzante che le isola dall'ambiente in cui sono forzatamente inserite un vero e proprio cubo spaziale che, più che contenerle, sembra respingerle verso l'esterno. Clara Gelao Salmi 1919, p 166; D'Elia 196 4, pp. 61-62, con bibliografia precedente; Pallucchini 1964, p. 216; Belli D'Elia 1972, p 8, fig. 17; Gelao 1998b, p 98, Gelao in c. s
Bartolomeo Vivarini Sant'Agostino San Domenico San Lorenzo (Polittico di Sant 'Agostino)
1473 tempere su tavo la Sant'Agostino, cm 191 x 69 San Dome nico . cm 159 x 56 San Lorenzo. cm 158 x 55 isc izioni: BARTH OLOMA EVS. VIVAR IN VS. DE / MVRI ANO PINX IT. MC CCC IXXI II Venez ia, Bas ili ca de i Santi Giovann i e Pao lo Negli anni settanta del Quattrocento Bartolomeo V1varim realizza per la domenicana Basilica dei Santi Giovanni e Paolo due irr.ponenti polittici (di cui uno è andato perduto) e alcu n i carto ni per il regi stro superiore della decorazione della vetrata del transetto destro, testimoniando così la fortuna dell'artista nell'ambito della committenza religiosa in città e il suo ruolo di spicco all'interno della bottega di famiglia. Tra questi lavon 1l Polittico di SantA gostino, firmato e datato 1473, è considerato dalla cnt ica uno dei capolavori dell'artista commissionato per decorare l'altare omommo, il primo della navata sinistra della chiesa, g razie al las cito test amentario del patrizio Marco Dolfin Le fonti storiografiche ci permettono di ricostrune la co mplessa e imponente struttura dell'ancona, dall'insolito andamento verticale, che comprendeva ben dieci scomp art i, sudd ivisi m tre ordin i e collegati da una raffinata carpentena «nella cima vi sono quattro tavole di forma circolare, con quattro santi, e più m basso vi sono sei altn compartimenti in due ordini. Nel primo è la Beata Vergine con
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il Bambino in braccio e dalle parti li Santi Domenico e Lorenzo; nell'altro ordine vi è nel mezzo S Agostino vescovo e dalle parti li Santi Marco :C:vangelista e Giovanni Battista» (Boschini 1664, p. 216) Conseguenza dell'occupazione napoleonica è lo smembramento e lo spostamento del polittico in diverse collocazioni all'i nterno della chiesa, sino all 'at tu ale ve rso la crociera della navata sinistra . La so pravv ivenza delle sole tre tavole con Sant:Agos ti no, San Domenico e San Lorenzo, montate arbitrariamente a trittico, documentano comunque l'alto magistero raggiunto da Bartolomeo in questo periodo della sua produzione pittorica, dove «riesce a temperare l'asprezza lineare tipica della sua produzione, conseguendo un effetto di sintesi geometrica e astrazione formale sia nella resa di volumi, che nell 'uso de l colore» (Tosato 2013a, p . 22 11 La figura bened icente del vescovo e padre della Chiesa Agos tino, ancora di ascendenza mantegnesca nella realistica e marcata resa del volto, è inserita nello spazio con grande efficacia, seduta su di un semplice trono che la isola dallo sfondo attribuendole un senso di robusto plasticismo e maes:osa dignità che non viene scalfito dalla presenza di virtuosistici dettagli ornamentali che impreziosiscono i paramenti sacri . La lu mi n osità cristallina che sprig iona ·.a smfo ma dei bianchi della veste, costruita con un linea n sm o insis tito, contrasta con l'inton az ione calda dei rossi e bruni del trono e del raffinato piviale. Anche nella resa degli scomparti laterali Bartolomeo raggiunge un equilibrio plastico-spaziale che rende i santi Domenico e Lorenzo tra gli esempi più riusciti della poetica vivarinesca, dalla pacata e più languida espressività. La scelta da parte dei committenti domenicani di commission are a Bartolomeo un complesso polittico su fond o oro per l'altare di Sant'Agostino può essere significativa per rendere chiaro come m questi stessi anni, in cui stava avvenendo il fondamentale e definitivo passaggio dal polittico alla pala unificata, e per il quale anche Bartolomeo aveva dato il suo contributo a partire dal 1465 con la Madonna con il Bambino e santi di Capodimonte, la tipologia tradizionale a più scomparti rimane comunque ancora apprezzata, come dimo strano le frequenti commissioni che giungo no nella bottega dei Vivarini destinate alle reg ioni adn atiche o alla terraferma berga masca. Franca Lugato
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Boschini 1664, p. 216; Pallucchini 1962, pp. 46, 121, il\. 165-168; Zava Boccazzi 1965, pp. 153-157; Lucco 1990, pp. 438-439; Humfrey 1993, pp. 87- 88, 344; Manno, Sponza 1995, pp. 43-44; Moretti 1996, p. 80; Tosato 2008, p. 22; Tosato 2009, pp. 69-71, fig. 20; Tosato 2013a, pp . 218 -221 (con bibliografia)
[15.J ili. a lle pp. 33 , 58 , 70
Bartolomeo Vivarini Madonna in trono con il Bambino e san Giacomo, san Ludovico di Tolosa , san Nicola di Bari e san Marco, nella lunetta Cristo tra un santo vescovo e san Francesco (Sacra conversazione)
1476 tempera su ta vola, cm 244 x 171 (an cona cm 131 x 121: lu nett a cm 49 x 138,5) iscr iz io ni: FACTVM VENETI IS PER BARTHOLO MEVM / VIVARIN VM DE MVRI ANO PIN XIT 1476 (s ul grad ino del trono) DNS LVDOVICVS CAVCHO DE VEN ETIJS HOC OPVS FIERI FECIT / RESTAVRATVM A DEV CAN D. JOS EP H DOTT VLA A.D. 1737 (cart igli o nel ma rgine inferiore) Bari , Basilica di San Nicol a di Bari La più antica menzione della tavola è con tenuta nella Visita alla Basilica di San Nicola di Bari compiuta nel 1602 dal priore Fabio Grisone, che la descrive nella cappella di San Martino, sita nell'abside laterale destra. Nel 1729 ne risulta patrona la nobile famiglia barese dei Dottula, un componente della quale, il canonico Giuseppe Do:tula, aveva fa tto restac.rare la tavola nel 1737, come attesta u n 'iscrizione dove compare anche il nome del committente, il venez iano Ludo vico Caucho, ripreso da una più antica iscri-
zione vista da monsignor Del Pezzo nel 1647 (in Melchiorre 1998, p 555). Quanto a Ludovico Caucho, dal D'Elia ritenuto un canonico, si tratta invece di un esponente di spicco della famiglia Cauco (Cocco, Cocho, Coco) - tra le maggiori casate veneziane già al momento della serrata del Maggior Consiglio del 1297, in rapporto con la Puglia dal XII secolo - probab ilm ente identificabile con il Luig i (o Alvise) Cocco, risiedente in Puglia, dove svolgeva attività commerciali col vicino Oriente, figlio di Giacomo (Zorzi 2014) identicazione suffragata dalla presenza, nel dipinto, di san Ludovico di Tolosa e di san Giacomo maggiore. Nella tavola principale, entro il cubo prospettico creato dalle pareti merlate che delimitano un raccolto spazio di meditazione, quasi un ninfeo - idea ripresa dal Trittico della Carità oggi alle Gallerie dell'Accademia di Venezia -, si accampa al centro la fi gura della Vergine in trono, la quale trattiene con ent rambe le mani il Bimbo nudo, in piedi sulle sue ginocchia. La fiancheggiano, formando una sorta di esedra prospettica, quattro santi oltre a san Giacomo e san Ludovico di Tolosa, san Nicola di Bari e san Marco (i santi-simbolo di Bari e Venezia) La profondità prospettica dell'immagine, il cui punto di fuga coincide col centro della tavola, è definita anche dall'espediente del panno sospeso a una funicella che s'interp one tra la fi gura della Vergine e il dossale del trono. La lunetta soprastante raffigura al centro Cristo dei dolori, proiettato su uno sfondo di cielo ed emergente dal sepolcro, fiancheggiato a sinistra da sant'Agostino (secondo altri, san Girolamo), a destra da san Francesco, entrambi in meditazione. Il tema iconogratco (Land 1980) è in stretta relazione con la raffigurazione principale, una sacra conversazione permeata della sottile malinconia connessa alla prefig uraz ione della sorte di Cristo Con quest'opera Bartolomeo Vivarini realizza una composizione "a spazio unitario e circolante", in linea con la tipologia inaugurata su più grande scala da Andrea Mantegna nella pala di San Zeno a Verona, collocata nel 1459, e andando ben o'.tre la soluzione di compromesso adottata nella pala del 1465 ora a Napoli, ma proveniente da Bari, dove i santi non figurano più entro scomparti ma in un ambiente unico, sebbene connotati gerarchicamente. Nella pala n icolaiana Vivarini, come già Mantegna, fa interferire spazio vero e spazio illusono sia att raverso il
piede di san Giacomo che oltrepassa il limite del piano di posa invadendo lo spazio prospiciente, sia attribuendo alla cornice quadrangolare la fu nzione di un portale, a sottolineare la profondità dello spazio interno. Al contrario, la lunetta soprastante finge una finestra centinata da cui i tre personaggi si affacciano verso \'esterno. Clara Gelao D'Elia 1964, p 57, con bibliografia precedente, Land 1980, p. 42; Belli D'Elia 1985, p. 152; Calò Mariani 1987, p. 129; Lucco 1990, p. 457; Pepe 1990, pp. 428-429 ; Schmidt 1990, pp. 707, 716, 719; Lorusso Romito 1994, s.i.p., Vona, Giuranna Giove 1994, s.i.p.; Lorusso Romito 1995, pp. 210-212, n. 31, Mavelli 1998, p. 366, n. 12; Melchiorre 1998, p. 555; Gelao 2006e, pp. 144-145, Gelao 2013, p. 238, Zorzi 2014.
[16.] ili. a lle pp . 64, 65, 66
Bartolomeo Vivarini San Nicola di Bari Santa Caterina d'Alessandria
fi ne ann i settanta del XV secolo tempera su tavola di pioppo, San Nicola di Bari , cm 50 x 36 Santa Caterina d 'Alessandria, cm 49 x 34 Bari . Pinacoteca Metropolitana "Corrado Giaquinto", lnv. 1998 20/ Dep.: lnv. 199819/Dep. Insieme ad altre due tavolette, raffiguranti rispettivamente Santa Chiara d'As sisi e San Bernardino da Siena (anch'esse nella Pinacoteca barese), rinvenute fortuitam ente in un deposito del Liceo "Cagnazzi" di Altamura, costituivano il registro superiore di un polittico smembrato, in origine nella chiesa di San Francesco d'Assisi nella stessa città, annessa a un convento di osservanti. Dopo vari passaggi intermedi, sono approdate nell'attuale sede nel 1937
Restaurate da Stanislao Troiano nello stes so anno, sono state sottoposte a un nuovo intervento, condotto da Giovanni Boracces1, nel 2002-2003. L'attribuzione delle quattro tavolette a Bartolomeo, avanzata per la prima volta da D'Ors1 (m Cronaca 1939, p. 2061, è stata accolta pressoché senza eccezioni dalla storiografia successiva, a esclusKlne di D'Elia, che nella Santa Chiara riconosce l'intervento d1 collaboratori San Nicola e santa Catenna, chiaramente identificati dai loro attributi iconografici, campeggiano a mezza figura sullo sfondo uniformemente dorato, il capo circondato dalle aureole punzonate, imponendosi soprattutto per la preziosità delle decorazioni dei loro abiti, tempestati di perle e pietre preziose, così come la corona di santa Caterina, e per la minuziosa cura dei particolari Ila barba e la chioma a "lumachella" di san Nicola, i riccioli nervosamente attorti di santa Caterina) La brillantezza della materia pittorica, la potenza espressiva del segno che delinea le figure e che caratterizza particolarmente \'aggrondato volto di san Nicola e le chiome serpentinate di santa Caterina, le piegh e falcate dei panni su cui trascorre la luce, la matuntà stihstica permettono - a onta degli innegabih danni subiti dalle tavolette nel corso dei secoli - di assegnarle interamente a Bartolomeo e d1 confermare la datazione agli ultimi anni settanta avanzata da Palluc chini (1962, p. 125, nn. 187-1901 Clara Gelao Cronaca 1939, p. 206; Pallucchini 1962, p 125, nn. 187-190; D'Elia 1964, pp. 62-63, con bibliog rafia precedente; Pallucc h1m 1964, p 216; Belli D'Elia 1972, p. 9; Centoducati 19911992, pp. 112-113 e 115; Gelao 2004b, pp.170171; Gelao 2006c, pp 136-138.
[17.] ili . a p. 72
Bartolomeo Vivarini San Michele arcangelo e sant 'Antonio da Padova (scomparto del Trittico di Andria)
1483 tempera su tavola . cm 116 x 50 Bari, Pinacoteca Metropolitana "Corrado Giaquinto". lnv. 1998 6 La tavola costituisce lo scomparto laterale sinistro di un trittico collocato in origine nel convento francescano di Santa Maria Vetere ad Andria, assegnato al Museo Archeologi co di Bari, con decreto statale, nel 1891, e da qui passato alla Pinacoteca Provinciale (ora Metropolitana) della stessa città, istituita nel 1928. La tavola centrale, raffigurante Sa n Francesco d'Assisi, reca in basso un cartellino iscritto con la firma dell'artista e la data 1483; lo scomparto laterale destro raffigura invece San Bernardino da Siena e san Pietro apostolo stanti. Probabile avanzo di un polittico smembrato, il tn ttico, in eccezionale stato d1 conservazione e caratterizzato da campiture cromatiche quasi smaltate, è stato quasi concordemente giudicato in maniera positiva. Isolate le voc: che lo vorrebbero eseguito con l'intervento di aiuti Soprattutto nella tavola centrale, il trittico è contraddistinto da u n linearismo quasi ossessivo e da una sorta di «ferocia plastica» (Lucco 1990, p 452), per nulla intenerita dalle innovazioni luminose e atmosferiche belliniane, mostrando Bartolomeo attestato su posizioni nettamente arcaizzanti e del tutto indifferente alla normalizzazione dei volum i di gusto antonellesco . Qu esta condotta stilistica, improntata a un'esaltazione dei valori plastici, è già pienamente adottata nel
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Polittico di Morano Calabro, del 1477, dove Madonna e santi, quasi pietrificati, vestono panni che sembrano intagliati nell'ebano, e caratterizza gli ultimi ann i di attività di Bartolomeo, ancora recentemente considerato come un periodo di triste decadenza artistica e di disperato attaccamento a un passato ormai superato, che sembra condannare Bartolomeo ai mercati provinciali dell'en troterra veneto e della costa adriatica (Lucco 1990, p. 457) Dal punto di vista iconografico il nostro scomparto anticipa di pochi anni, con straordinarie affinità, il trittico eseguito nel 1488 per la parrocchiale di Scanzo (Berga mo), oggi presso l'Accademia Carrara, dove sono replicate esattamente le figure di san Michele arcangelo psicopompo della tavola qui in mostra e quella di san Pietro dello scomparto laterale destro. Clara Gelao D'Elia 196 4, pp . 63-6 4, con bibliografia precedente; Pallucchini 1964, p 216; Belli D'Elia 1972, pp. 10 e 30-31; Lucco 1990, pp 452; Gelao 1995, p. 24; Gelao 1998c, pp. 102-104; Gelao 2000, p. 64; Gelao 2006d, pp.139-142
[18,] ili. alle pp.12-13, 78, 81, 82-83, 100-101
Bartolomeo Vivarini Madonna in trono in adorazione del Bambino San Pietro San Michele arcangelo Trinità con due angeli (Polittico della Trinità o Polittico di Scanzo)
1488 tempera su quattro tavole , Trinità con due angeli, cm 79 x 130 Madonn a in trono in ado razione del Bambino, cm 136 x 65 San Pietro , cm 136 x 47.5 San Michele arcange lo, cm 136 x 47,5 iscrizioni: FACTUM VENETIIS PER BARTH / OLOMEUM VIVARINUM DE MURIANO / PINXIT 1488 proven ie nza : lega to Giacomo Carrara, 1796 Berga mo. Accademia Carrara. lnv. 58 AC 00029; lnv. 58 AC 00030; lnv. 58 AC 00031; lnv. 58 AC 00032 Il notevole complesso già nella parrocchiale di Scanzo è firmato sul pannello cen trale, sotto alla Madonna in trono in adorazione del Bambino con un cartiglio che recita «FACTUM VENETIIS PER BARTH / OLOMEUM VIVAR INUM DE MURIANO / PINXIT 1488» e della sua collocazione originaria siamo certi grazie alla segnalazione che già nel 1670 arrivava a Donato Calvi dal parroco della chiesa: «Vi è un'ancona all'altare della Madonna, detta Venetia perché la fecero fare alcuni d1 Scanzo habitanti nella suddetta città»; una notizia precisata dal Tassi che dice il dipintor«stimatissimo» e ne legge firma e data. Si può immaginare che Tassi avesse visto il polittico nelle peregrinaz ioni in compagnia di Giacomo Carrara, e da li all'acquisto per la Galleria del conte il passo fu breve. Nell'inventario d1 Borset-
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ti del 1796 già però sembra essersi persa la memoria della collocazione e dell'assetto originari mfatt1 si n conoscono le due tavole con i santi Pietro e Michele, mentre non si trova notizia del pannello centrale con la Madonna in trono, né dell'elemento superiore con la Trinità. Arrivati cosi i dipinti in Accademia Carrara, la loro fortuna rimane piuttosto costante, visto che appaiono nei cataloghi o nelle descnzioni della Pinacoteca, oppure nelle trattazioni sulla bottega dei muranesi, in virtù naturalmente della firma di Bartolomeo e della data 1488 che si leggono sul pannello centrale dove è raffigurata la Madonna in trono. La data è forse aggiunta, a ben guardare - in grafia più piccola e costretta in uno spazio ridotto - ma almeno in apparenza sembra coeva al resto della scritta. La presenza di questa attestazione di autografia così evidente non impedisce comunque qualche distinguo sulla effettiva esecuzione dell'opera da parte di Bartolomeo in persona, e più di uno studioso ravvisa interventi di bottega: cosi Cavalcaselle e Crowe {«betray the labour of assistants»), ma anche Testi (1915) e Berenson 11932), fino a Pallucchini (1962) che considera il complesso assegnabile a «Bartolomeo V1varini e bottega». Meno chiaro risulta nel corso della vicenda critica il percorso di ricomposizione dell'intero complesso: infatti il più delle volte chi ne parla non si preoccupa di individuare le smgole parti o, d'altronde, di riproporre una ipotesi dell'assetto originario. Osservando meglio si possono rilevare infatti diversi indizi significativi e problematici Il pannello centrale con la Madonna ;n trono è stato probabilmente un poco ridotto d1 di m ensioni su tutti 1 lati e, se dobbiamo confrontarlo con opere note di Bartolomeo, possiamo pensare che fosse posto un poco più in alto rispetto agli altri due, in modo che il capo di Mana risultasse alla stessa altezza di quello dei due santi come ad esempio nei politt1c1 d1 Morano Calabro del 1477, di San Giovanni in Bragora a Venezia del 1478, di Santa Maria Gloriosa dei Frari del 1482. In tutti questi casi, senza preoccuparsi che la linea dipinta del pavimento di sfondo risulti sullo stesso piano, Bartolomeo solleva :nfatti il gruppo centrale, rispetto agli elementi laterali. Poi dobbiamo immaginare che il pannello con la Trinità fosse ovviamente più largo di quanto non sia oggi, andando quindi a completare il cerchio della centma come ad esempio nella pala del 1476 nella Basilica di San Nicola a Ban, sempre dipinta da Barto-
\omeo, con la sua maestosa parte superiore arcuata. È importante inoltre notare che al verso della tavola centrale con la Madonna con il Bambino si vede bene un piccolo schizzo a carboncino antico, che traccia un sommario progetto di un polittico composto di tre soli elementi verticali affiancati, senza prevedere la presenza di alcun elemento di coronamento superiore . Lintero polittico comunque, al di là d1 qualche passaggio di esecuzione più sommaria nel quale si può effettivamente riconoscere una circoscritta collaborazione di bottega, riemerge dal recente restauro con una notevolissima qualità di stesura, lum inosa e brillante net toni vitrei che esaltano le trasparenze dei rosa, dei verdi, dei gialli e anche del blu del manto di Maria, prima sordo e opaco sotto le ridip inture, ma riapparso invece ora nella leggera e studiata articolazione delle pieghe. Una qualità resa meno evidente prima da diversi estesi rifacimenti e da manomissioni an che molto invasive la più palese delle quali è nella riduzione in altezza della tavola con la Trinità, il cui taglio orizzontale di unione tra le tavole è stato in passato malamente riassemblato riducendo la dimensione delle assi, come ben si vede osservando che i profili delle fig·..1re e del trono non collimano lungo l'attuale linea di giunzione. Giovanni Valagussa Calvi circa 1670, III, c 255, Tassi, m s, f. llv, ed. Mazzini 1970, II, p. 50 (vedi Tassi 1970); Borsetti 1796, f. 26, nn. 121-122, in Pinetti 192 2, p. 100; Paccanelli 1999, p . 271; Crowe, Cavalcaselle 1871, I, p. 47, ed. 1912, I, p. 47 e nota 3; Pallucchini 1962, pp. 129-130, nn. 213 -214; Valagussa 2014, pp. 84-86.
[19.] ili. alle pp. 85, 86
Bartolomeo Vivarini San Martino e il povero tra san Giovanni Battista e san Sebastiano (Polittico di San Martino o Polittico di Torre Boldone)
1491 tempera su tre tavole, San Martino e il povero, cm 117,5 x 54 San Giovanni Battista, cm 117 x 39 San Sebastiano, cm 117 x 39 iscrizioni: OPUS. FACTUM: VENETIIS / PER . BARTHOLOMEUM. VIVA/ RINUM. DE. MURIANO . l. 491 provenienza: legato Giacomo Carrara. 1796 Bergamo , Accademia Carrara, lnv. 58 AC 00021 Il trittico proviene dalla parrocchiale di San Martino a Torre Boldone e - caso raro e interessante - ne abbiamo una breve descnzione stesa in loco dallo stesso Giacomo Carrara otto righe di pro memoria appuntate nella caratteristica calligrafia minuta, con la individuazione dei soggetti dei singoli pannelli, completata dalla trascrizione di firma e data; 1\ tutto scritto sul verso di una lettera del 1768, di tutt'altro argomento. Un interesse quindi molto precoce, che si traduce nell'acquisto, a una data che purtroppo non conosciamo, dell'opera in questione, registrat3. poi da Borsetti nell'inventario in morte del collezionista nel 1796. Esposto nel primo allestimento della Galleria nel 1810, il trittico viene visto da Marenzi nel 1824. Nel 1835 è segnalato un intervento di restauro e forse è relativa a questo trittico, nello stesso anno 1835, la commissione dt tre nuove cornici per opere di Vi varirn, richieste al signor Domenico Testori; mentre un ulteriore restauro è affidato a Mauro Pellic1oli nel 1932 . Cost:J.ntemente presente nella esposizione in Pinacoteca, il complesso di Torre Boldone gode di una lunga vicenda
critica nella quale ncorre un nconoscimento generalmente poco discusso quanto all'autografia, con un eventuale affiancamento di bottega (ma s1 distinguono Cavalcaselle e Crowe, che lo giudicano negativamente «a very c:J.reless production of the shop»), tanto da venn scelto ad esempio per far parte della celebre mostra dei tesori d'arte della Lombardia, a Zurigo nel 1948. L3. fir ma di Bartolomeo, con la data 1491, e l'indicazione della realizzazione a Venezia per una committenza che già dall'origine destinava evidentemente l'opera alla parrocchiale dt Torre Boldone, sono elementi che definiscono con precisione un episodio signifi cativo nel con testo nella fase tarda dell'attività v1vanniana, rivolta alla provincia bergamasca. I tre pannelli si presentano in effetti con quella caratteristica sintesi di un linguaggio tradizionale che fa la fortuna della bottega muranese in questi anni, incontrando perfett:J.mente il gusto devoto e rutilante insieme di un entroterra lontano dalle novità naturalistiche veneziane. Nel complesso stupisce la bella quinta scenografica rocciosa che si allarga alle sp3.lle dei personaggi unificando lo spazio d'azione dei tre scomparti una soluzione artificiosamente prospettica contraddetta d3.l fondo d'oro ormai desueto, a queste date, e soprattutto dalla bizzarr3. vanaz1one nella scala delle figure, maggiori ai lati e ridotte invece nella scena centrale . E il clima è quasi più alla Squarciane che non mantegnesco - modelli comunque di trenta-quarant'anni prima1 soprattutto nella durezza della muscolatura legnos3. e nella espressione c3.ricata ma fin troppo icastica dei personaggi, contratti in pose da recita teatrale persino il cavallo, forse tra tutti il protagonista più "parlan te", che non vuole interrompere il suo passo marziale ed esplicita tutta la sua aristocratica disapprovazione con la severa occhiataccia in tralice rivolta al povero mendico seminudo che san Martino copre col mantello. Da notare che 1\ san Giovanni Battista deriva, con varianti davvero minime, dal pannello con lo stesso personaggio nel grande polittico con dieci scomparti, al J. Paul Getty Museum di Malibu, firmato dallo stesso Bartolomeo nel 1490 e destinato alla parrocchiale di San Giacomo di Vall'Alta, presso Alzano, sempre nei dintorni di Bergamo (cfr Humfrey 1994, pp 11-20). Anche dal confronto con questo polittico di Vall'Alta dalla struttura complessa, come con gli altri rari complessi della stessa epoca e contesto che hanno conservato la carpenteria originale, si desume che il nostro trittico dovesse avere una incorniciatura
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riccamente articolata e decorata, dramma ticamente contraddetta dalla sobria, quasi misera, riquadratura odierna, databile forse al riallestimento del museo ordinato da Corrado Ricci nel 1930. Non è da escludere che dell'insieme potesse far parte, come accadeva di solito, un elemento di coronamento in alto, del genere ad esempio del Cristo passo tra due angeli, oggi a Greenville (cfr Pepper 1984, p . 27) data·oile stilistJCamente agli an n i novanta (Pallucchini, 1962, p. 128, n . 207) e dubitativamente messo in relazione col trittico di Torre Boldone da una nota manoscritta di Francesco Rossi, conservata nei fascicoli dell'Accademia Carrara. Giovanni Valagussa Carrara, Arch. Carrara, scatola 45, fase. 255 (vecchia segn. fald. XIX, fase. 12); Borsetti 1796, f. 16, nn. 77, 78, 79, in Pinetti 1922, p . 88; e di nuovo da Paccanelli 1999, p. 266; Marenzi 1824, p. 93, in Solza 1985, p 134; Crowe, Cavalcaselle 1871, I, p. 48, nota 4; Pallucchini 1962, p . 131, n.222; Pepper1984,p.27
[20.) il i. a p. 119
Alvise Vivarini Arco trionfale del doge Niccolò Tron
1471-1473 circa tempera grassa su tela , cm 140 x 98 iscrizio ni: OBSE LEG EST AVG R P (sul la somm ità del l'arco) / PC: N V: A V (sul basamento) Venezia, Gallerie de ll'Accademia, cat. 53 Il dipinto, di lettura assai complessa, provien e dal Palazzo Ducale di Venez ia, da i locali della Magistratura del Cattaver, un organo di governo della Serenissima con compiti ammin istrativi e finanziari. L'iscrizione sulla
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sommità dell'arco, «OBSE LEG EST AVG R P» (observare /eges est augmentum rei publi cae), induce a credere che quella fosse la col-
locazione originaria, ma l'opera non com pare né nelle descrizioni di Boschini (1674) né di Zanetti (1733 e 1771) e solo due delle tre coppie di lettere iscritte sul basamento della struttura architettonica, «P C», «N V», «A V», sono identificabili con le inizial i dei catt averi in carica negli anni in cui fu eseguita, tra il 1471 e 1l 1473. È perciò probabile ch e la questione della committenza debba essere rivista. La datazione del dipinto è definibile con precisione per la presenza dello stemma Tron sulla sommità dell'arco, accompagnato dal corno ducale: Niccolò Tron fu eletto doge il 23 novembre 1471 e morì, settantaquattrenne, il 28 luglio 1473. Come detto, solo due stemmi, nello specifico i laterali in basso, e le relative coppie di iniziali corrispondono a cattaveri in carica in quegli anni, Paolo Corner e Antonio Verner; resta il problema delle lettere poste al centro, accanto allo stemma della famiglia Vitturi, che neppure l'approfondito studio compiuto sul dipinto da Giulio Manieri Elia (2008). dopo l'ultimo restauro del 2007, riesce a risolvere. Stante l'usanza di offrire omaggi, da parte degli esponenti del patriziato veneziano, alle personalità che avevano contribuito a eleggere, si può però ip otizzare che 1l comm ittente di questa tabula g ratulatoria sia stato un gruppo d1 sosteniton del nuovo doge. In tal senso si o nenta la proposta di Vincenzo Buonocore (2011a), che sulla base di un manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana, ordinato da membri delle fa miglie Morosini, Venier e Vitturi per elogiare in versi il doge Tron, scioglie agevolmente le iniziali centrali del nostro quadro, quelle irrisolte, in Nicolò Vitturi, fornendo così una valida alternativa alle precedenti letture Anche l' identità dell'autore è stata a lungo dibattuta dalla critica. Il nome di Alvise Vivarini, avanzato per primo da Roberto Longhi nel 1946 (ribadito in Longhi 1969). sottolineando il legame con il San Girolamo dell'Accademia Carrara di Bergamo, è giustamente prevalso sulle altre attribuzioni, tra cui quella a Marco Zoppo, al quale l'opera fu assegnata subito dopo l'ingresso alle Gallerie dell'Accademia, nel 1890 (Botti 1891, pp.1-07-108 e Conti 1895, p . 21) Dal punto di vista stilistico il dipinto risente di quel particolare momento di diffusione in laguna del gusto antiquario di ambien te padovano, pur privo dell'abbondanza di
elementi simbolici che lo caratterizzava Nell'insolita composizione, che richiama alla mente gli esempi dei capilettera miniati, si coglie piuttosto una tendenza al rigore e alla sobrietà di impianto, raggiunti attraverso un processo di eliminazione dei dettagli scompaiono in corso d'opera, ad esempio, le ali e le maniche delle vesti delle tre figure in basso, come si legge nelle n fle ttografie all'in frarosso ma si vede anche ad occ hio nudo, per la consunzione della pellicola pittorica . Modifiche che al di là del significato offrivano soprattutto l'opportunità al pittore di dare ampio spazio al paesaggio, risultato raggiunto anche con il rialzamento avvenuto in corso d'opera dell'arco, testimoniato dalle tracce del compasso sulla fronte del putto centrale. La profonda veduta prospettica sull'ambiente n aturale costituisce un risultato di grande m odernità p er il periodo e rappresenta la cifra stilistica di Alvise Vivarini agli inizi degli anni settanta, che accomuna quest'opera al citato San Girolamo e al Santo vescovo (Andrea?) adorato da un devoto, tra un santo vescovo (Ludovico di Tolosa?) e san Francesco, nel paesaggio dell'Accademia Carrara
di Bergamo. Sandra :