Ginkgo. L'albero dimenticato dal tempo


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Ginkgo. L'albero dimenticato dal tempo

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hlc-> e le tavole 2 1 ·23 mostrano fotografie di vecchi ginkgo; cfr. ELWES - HENRY 1 906, pp. 55-62. Per altri dettagli sulla carriera e i contributi di Augustine Henry ( 1 857- 1 930), cfr. NELSON 1983 . Wilson fu indirizzato da Henry nel suo impegno a raccogliere nuovamente il tanto agognato albero dei fazzoletti, originariamente descritto e nominato in omaggio a Père Oavid. 7 Emest Henry Wilson ( 1 876- 1 930) fu assunto all'Amold Arboretum nel 1 927. Dopo es­ sere sopravvissuto a molte avventure in Cina, fu tragicamente ucciso in un incidente automo­ bilistico a Worcester, Massachusetts, all'età di cinquantaquattro anni. s Le considerazioni di Wilson sul ginkgo sono riportate in WILSON 1 9 1 3 , p. 45. Le sue affermazioni sul collegamento tra ginkgo e buddhismo (WILSON 1 920) furono successivamente messe in dubbio, tra altri, da LI 1956. - 1 34 -

2 0 . RESISTENZA

quasi. Per esempio, il lavoro di campo di Peter Del Tredici ha individuato 1 67 alberi di ginkgo, dei quali oltre un terzo avevano due o più tronchi cospicui. Sembra probabile che i tronchi supplementari siano stati prodotti dall' attivazione del chi-chi basale . Come si verifica in altre piante che pro­ ducono legnotuberi basali, in grado di emettere fusti e radici a seguito di eventi di disturbo, i chi-chi possono favorire la stabilizzazione delle piante che crescono su ripidi pendii.9 C'è, tuttavia, l'assillante preoccupazione che il ginkgo, al pari di molti altri alberi del Monte Tianmu, possa esservi stato introdotto da altri luo­ ghi, forse molto tempo fa. È probabile che non si riesca a fare piena luce

sull'origine della popolazione di ginkgo del Monte Tianmu, ma negli ulti­ mi decenni la scoperta in Cina di altre popolazioni potenzialmente sponta­ nee, insieme all'introduzione di nuove tecniche di biologia molecolare, ha fornito ulteriori opportunità per indagare se il ginkgo sopravviva in condi­ zioni naturali in qualche parte di quel vasto paese .

9 Per una rassegna e una discussione sul significato dei ginkgo del Monte Tianmu, cfr. DEL TREDICI 1 990, 1 992b e DEL TREDICI et al. 1 992.

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21.

Retaggio

Dai loro frutti li riconoscerete. Matteo 7: 1 5 . I recenti e rapidi sviluppi della biologia molecolare vegetale hanno reso disponibili nuovi metodi per delucidare la storia del ginkgo in estre­ mo oriente nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Esteriormente, tutti i ginkgo hanno più o meno lo stesso aspetto, ma ora se ne può esaminare il DNA per osservare le reali somiglianze o differenze. Possiamo saggiare diversi alberi di ginkgo, in diversi luoghi, per constatare le loro reciproche relazioni e la variabilità del loro corredo genetico. Possiamo usare i dati del DNA per valutare se i singoli alberi di una popolazione sono geneticamen­ te ben diversi uno dall'altro o più o meno uguali. Armati di queste infor­ mazioni, e assumendo che le popolazioni a minor diversità genetica siano state originate da quelle a maggiore diversità, possiamo anche ipotizzare la localizzazione della popolazione originaria, dalla quale potrebbero essersi differenziate tutte le altre. Argomentazioni di questo tipo sono state ampiamente usate per de­ sumere l'origine di diverse piante di interesse agrario. Nelle regioni del mondo dove determinate piante agrarie sono state originariamente dome­ sticate a partire dai progenitori selvatici, le evidenze archeologiche, bota­ niche o di altro tipo spesso mostrano che queste piante hanno livelli di diversità genetica relativamente alti, mentre laddove le stesse piante sono state introdotte successivamente, la diversità genetica è relativamente più bassa. Ciò è scontato, perché è improbabile che l'intera gamma di diversi­ tà genetica sia rappresentata in un sottogruppo di piante trasferite in altri

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2 1 . RETAG G I O

luoghi. Per esempio, a scala globale le patate e i pomodori hanno la più alta diversità genetica nelle Ande settentrionali, dove le specie selvatiche che tuttora crescono in quelle regioni sono state molto probabilmente dome­ sticate in tempi remoti. Con argomentazioni di questo tipo, sebbene senza il beneficio della genetica moderna, il grande botanico russo Nikolaj Vavi­ lov identificò i probabili progenitori selvatici e le probabili aree di origine di molte delle nostre importanti piante agrarie . 1 Nel tentativo di rintracciare le popolazioni spontanee di ginkgo, gli stu­ diosi sono stati particolarmente interessati allo studio della diversità ge­ netica dei ginkgo di Monte Tianmu e al suo confronto con quella di altre popolazioni potenzialmente spontanee in altri distretti cinesi. I primi studi tendevano a suggerire che la popolazione del Monte Tianmu avesse una variabilità genetica relativamente bassa, ma il confronto con le popolazioni di ginkgo di altri distretti fu intrapreso solo nello scorso decennio, con una serie di studi dei ricercatori della East China Norma! University di Shan­ ghai e della Zehjiang University a Huangzhou. Il gruppo di ricerca cinese ha saggiato le popolazioni di vecchi alberi di ginkgo in diverse parti della Cina: Guizhou nella Cina sud-occidentale, Hennan e Hubei nella Cina centrale e Jiangxi e Zhejiang nella Cina orienta­ le, inclusa la popolazione del Monte Tianmu. Per ogni popolazione hanno estratto il DNA da un numero di alberi compreso tra 1 0 e 30 e per ogni albero hanno usato due metodi per valutare la variabilità genetica.2 I risultati hanno dimostrato che da un punto di vista regionale , le popo­ lazioni di ginkgo più diverse erano quelle della Cina sud-occidentale. Tre delle quattro popolazioni di Guizhou avevano livelli di diversità particolar­ mente elevati. I ginkgo del Monte Tianmu nello Zhejiang avevano livelli intermedi di diversità, come quelli di Hennan e Hubei. Dai confronti tra le diverse popolazioni risultò che la popolazione del Monte Jinfo nella muni­ cipalità Chongqing era quella più distinta. Anche la popolazione del Monte Tianmu era relativamente distinta ma, nel complesso, più simile alle altre popolazioni studiate . I più recenti studi degli scienziati cinesi dell'Università di Zhejiang, che si avvalgono di tecniche più sofisticate, convalidano le precedenti con­ clusioni. Anche i loro risultati evidenziano che le popolazioni della Cina sud-occidentale sono geneticamente più diverse di quelle della Cina orien­ tale, ma in generale tendono a sostenere l'idea che il ginkgo possa essere

l Nikolai Vavilov è il padre dei moderni studi sulla agrodiversità. Per informazioni ag­ giuntive sui centri di diversità agraria e l'origine delle piante agrarie, cfr. VAVILOV 1 992. Per la biografia di Vavilov, cfr. PRINGLE 2008. z FAN et al. 2004.

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PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

sopravvissuto alle glaciazioni pleistoceniche in due rifugi: uno sul Monte Tianmu, non troppo lontano dalla costa cinese, e r altro più all'interno, nel­ le valli protette che seguono il margine meridionale del bacino Sichuan. 3 Prendendo questi risultati per quello che sono e anche ammettendo che essi forniscono semplicemente una guida anziché un quadro definitivo della storia delle popolazioni, è indubbiamente vero che un boschetto di ginkgo con bassa o moderata variabilità genetica, come quelli che si tro­ vano altrove in Cina, non possa essere la sorgente da cui sono derivate po­ polazioni geneticamente più diverse, come quelle del Monte Jinfo o anche del Monte Tianmu. Tuttavia, ciò non implica che sia vero r opposto. Le popolazioni meno diverse possono essere derivate da quelle più diverse, ma specialmente nel caso del ginkgo la cautela è d'obbligo. Ci sono state ovviamente estinzioni diffuse , forse anche in tempi storici, attraverso la de­ forestazione . Sia le popolazioni geneticamente diverse, sia quelle genetica­ mente depauperate potrebbero essere i resti, di diverso tipo, di popolazioni originariamente molto diffuse e ancora più diverse, che oggi sono estinte . In questo contesto, i risultati dell'analisi di DNA non permettono di concludere se gli alberi di ginkgo del Monte Tianmu sono il retaggio di una popolazione naturale o se sono stati introdotti da monaci buddhisti, come suggerito da alcuni. Le analisi comunque puntano i riflettori sul monte ]in­ fa e forse su altri luoghi della Cina sud-occidentale quali aree di eccezionale interesse, meritevoli di studi molto più approfonditi. Il Monte jinfo nella municipalità Chongqing si trova vicino al confine delle province di Guizhou e Sichuan. È situato solo poco più a sud del Mon­ te Tianmu, ma anziché essere relativamente vicino alla costa si spinge in profondità nell'interno della Cina. In questa regione, oltre a enormi alberi di ginkgo, vi sono altri alberi, come r abete argentato del C atai e il cipresso di Cunningham, che hanno una lunga storia fossile e che una volta avevano una distribuzione molto più ampia. In questa parte della Cina ci sono mol­ te piccole, disperse popolazioni di ginkgo che sembrano propagarsi sponta­ neamente da seme . Di tutti gli alberi di ginkgo cinesi, questi sono gli unici a essere annoverati quali i probabili esigui resti di un tempo che fu, quando la distribuzione geografica del ginkgo era molto più continua. 4

Cfr. SHEN et al. 2005, GoNG et al. 2008a, b e ZHAo et al. 2010. Il ginkgo non è l'unico "fossile vivente" che proviene dalla Cina. A metà degli anni '40 del XX secolo, fu trovata una piccola popolazione di grandi alberi di metasequoia, lungo i tor­ renti e le pendici nella parte nord orientale della Provincia di Sichuan, solo quattro anni dopo la prima descrizione del genere Metasequoia da reperti fossili. Come il ginkgo, la metasequoia era una volta estesa su un'area molto più vasta, che comprendeva parte del Nordamerica e dell'Asia, e si trovava sull'orlo dell'estinzione nel suo habitat naturale; cfr. MERRILL 1 948. La metasequoia è oggi un popolare albero per alberature stradali, specialmente in Cina. 3

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Parte V

Storia

Pagina precedente: piatto decorato con fusti e foglie di ginkgo, prodotto tra il 1 700 e il 1 73 0

nella fornace Okawachi a Hizen, Kyushu, Giappone.

22 .

Antichità

Con quanta astuzia la natura nasconde ogni ruga della sua inconcepibile antichità sotto le rose, le violette e nella rugiada del mattino! Ralph Waldo Emerson, Works . 1 Il ginkgo oggi cresce in tutto il mondo, ma quasi ovunque vi è sta­ to portato dall'uomo; per la maggior parte di noi, il ginkgo è una pianta dei parchi, dei giardini o delle vie cittadine, tutti habitat creati dall'uomo. Inoltre, questi alberi sono di modeste dimensioni; in nessun luogo, a parte l'estremo oriente , ci sono alberi di ginkgo di dimensioni veramente gigan­ tesche. Perfino il Vecchio Leone a Kew, uno dei più vetusti d' Europa, ha un tronco di poco più di 1 , 5 m di diametro. In Cina, Giappone e Corea la situa­ zione è diversa; là si trovano alcuni veri giganti e, in alcune località cinesi, enormi alberi di ginkgo apparentemente spontanei. Sul monte Jinfo, nella municipalità di Chongqing al confine tra Guizhou e Sichuan, un albero misurato negli anni 50 del XX secolo aveva un tronco dal diametro di oltre 3 , 6 m. Un altro, misurato nel 1 999 e manifestamente più vecchio della città vicina, vantava un tronco di oltre 3 , 5 m di diametro. In tutto, 70 alberi del monte ]info sono stati rilevati con diametro superiore a l m; in otto casi il diametro superava 2 m. In quella regione vi sono molti alberi con tronchi che eguagliano quello del ginkgo di Kew, che crescono accanto a esemplari giovanili e plantule, a sostegno della loro propagazione spontanea. 2

l

EMERSON 1 883, p. 478. Il grande albero del Monte Jinfo, Contea Naquan nella Municipalità di Chongqing, fu parzialmente distrutto dal fuoco negli anni 1 960, ma sopravvive grazie a germogli ricacciati spontaneamente (FAN et al. 2004). Per altri dati sui ginkgo in Cina, cfr. LI et al. 1 999.

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PARTE V - STORIA

I grandi alberi trovati sulle boscose pendici del monte Jinfo e del Monte Tianmu sono insoliti; la maggior parte dei ginkgo veramente grandi in Cina, Giappone e Corea non sono alberi di foresta. Alcuni sono associati a templi o santuari, ma perlopiù si trovano isolati nelle campagne . Una ras­ segna di grandi alberi di ginkgo in Cina ne ha enumerati 1 3 8 con tronchi più grandi di 2 m; molti sono a tronco singolo e palesemente non crescono in foreste naturali. 3 Tra i più impressionanti di questi alberi si annovera il ginkgo detto "Grand Ginkgo King" , che cresce vicino al modesto vill aggio di Li jiawan in Guizhou, Cina meridionale , e sovrasta i campi coltivati nel fondo di una piccola valle. Forse alla sua nascita faceva parte di un'antica coltivazione di ginkgo, ma è altrettanto probabile , considerate le popolazioni di ginkgo non molto lontane e apparentemente spontanee del Monte Jinfo, che sia l'ultimo individuo di un vecchio bosco di ginkgo sopravvissuto in qualche modo all'abbattimento della foresta per fare spazio alle coltivazioni agra­ rie . Come i ginkgo sopravvissuti a Hiroshima, forse era resistente al fuoco, il principale metodo usato dai primi agricoltori per liberare il terreno. 4

n ginkgo di Li Jiawan è un grande albero, alto circa 30 m e con un tronco di quasi 6 m di diametro a livello del suolo, più imponente di quello di ogni altro ginkgo rilevato finora. Tuttavia, anche a distanza si può nota­ re che questo albero ha una storia complicata. Quattro tronchi principali, ognuno dei quali alto più di 1 8 m, si ergono verso l' alto. Gli studi condotti da colleghi cinesi suggeriscono che esso possa aver germogliato dalla base almeno quattro volte nel corso della sua lunga vita. I suoi tronchi, par­ zialmente separati e disposti ad anello, circondano una cavità centrale così grande da essere stata usata un tempo come rifugio per il bestiame di un allevatore locale . n tronco cavo preclude il conteggio totale degli anelli an­ nuali e rende difficile valutare l'età di questo ginkgo, ma secondo una stima esso potrebbe avere almeno 4500 anni. Tanta vetustà sembra improbabile , ma soltanto a giudicare dalle dimensioni il ginkgo di Li jiawan è certamen­ te tra i più vecchi di tutti gli alberi di ginkgo viventi. 5

Una lista di vecchi e grandi ginkgo nelle province cinesi si trova in LIN et al. 1 995. 4 Il più noto dei sei alberi di ginkgo sopravvissuti a Hiroshima nel raggio di 1 ,6 km dal punto dove è esplosa la bomba atomica è quello piantato nei terreni del Tempio Hosenji. A solo 800 m dall'epicentro della distruzione, è sopravvissuto e ha emesso nuove foglie dopo essere stato defogliato dall'esplosione. n nuovo tempio costruito attorno all'albero celebra la speranza del rinnovamento, incarnata dall'albero in mezzo a una terribile devastazione. Per altre notizie sui ginkgo sopravvissuti al bombardamento di Hiroshima, cfr. HAGENEDER 2005 e Ginkgo Pages (http: / / kwanten.home.xs4all.nl / hiroshima.htm). s n ginkgo di LiJawan, "Grand Ginkgo King", è stato descritto come «cinque generazioni in un albero>>, in base ai successivi episodi di ricaccio; cfr. XIANG et al. 2009. 3

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22.

ANTICHITÀ

Anche per altri alberi di ginkgo in Cina sono state suggerite età rag­ guardevoli. Nella contea di Dongkou Xian, Provincia di Hunan, vi è un albero con un'età stimata di oltre 3 500 anni. Per un altro albero, nel tempio di Dinlinsi nella contea di Juxian, Provincia di Shandong, si riporta un' età di oltre 3 000 anni. Nella contea di Zhouzhi, Provincia di Shaanxi, e nella contea di Tancheng, provincia di Shandong, ci sono alberi di età stimata di oltre 2000 anni e la stessa età ha - probabilmente - anche un albero molto grande a Fuquan City, Provincia di Guizhou. Complessivamente , si ritiene che in Cina vi siano un centinaio di alberi di ginkgo che superano i mille anni di età. 6 Se fosse esatta, la stima dell' età del ginkgo di Li Jiawan a 4500 anni lo renderebbe uno tra i più vecchi di tutti gli alberi viventi, ma ciò sembra improbabile. Esemplari di pini dai coni setolosi delle White Mountains in C alifornia sono stati datati accuratamente a oltre 4700 anni e l'evidenza diretta degli anelli annuali dimostra che molte altre specie , in particolare di conifere , vivono per più di 2000 anni. Alcune sequoie sono entrate nel loro terzo millennio e alcune sequoie giganti nel quarto. Ma queste piante e altri patriarchi rappresentano l'eccezione ; la maggior parte degli alberi ha un arco di vita misurato in alcuni secoli anziché in molti millennU Spesso è difficile essere certi delle venerande età attribuite ad alberi giganti. I grandi baobab africani, alcuni dei quali hanno tronchi che su­ perano 9 m di diametro, ne rappresentano un classico esempio. Il grande esploratore tedesco Alexander von Humboldt non vide mai un baobab, ma ciò nonostante dichiarò che esso era «uno dei più vecchi abitanti del nostro globo». Il botanico francese Michelle Adanson, dal quale il baobab trae il suo nome scientifico

(Adansonia digitata),

ebbe un'esperienza più diretta .

Nel l 749, egli incontrò due alberi sulle isole della Maddalena, al largo del-

6 La stima dell'età del ginkgo di Li Jawan è quella massima calcolata da XIANG et al. 2009. Le età di alberi di ginkgo ritenuti più vecchi di duemila anni sono citate da HE et al. 1 997. Il diametro dei tronchi si basa su LI N et al. 1995. 7 Le sequoie, i più alti di tutti gli alberi, hanno tronchi che raggiungono l'altezza di 1 1 2 m e il diametro di 7,3 m. Una rondella del tronco di Sequoiadendron giganteum, la sequoia gigante del Museo di Storia Naturale di Londra, del diametro di 4,3 m, ha un'età stimata di 1335 anni. L'abbattimento in gran numero di questi alberi spettacolari, da parte di chi ne conosceva la grande antichità, deve essere classificato tra i più gravi atti di arroganza dell'uomo. L'età più grande registrata in un pino dai coni setolosi (Pinus primaeva) riguarda un esemplare sopran­ nominato Prometheus, abbattuto per errore nel 1964 da un laureando nel Nevada orientale. In base sia alla datazione col radiocarbonio, sia con gli anelli annuali, aveva vissuto almeno per 4862 anni e forse per più di 5000; cfr. FERGUSON - GRAYBILL 1 983 . Un albero potenzialmente più vecchio, ma molto meno spettacolare, è un abete rosso della Dalarna, in Svezia. Sebbene raggiunga a stento cinque metri di altezza, il suo sistema radicale è stato datato a circa 9550 anni; cfr. KULLMAN 2005. - 1 43 -

PARTE V - STORIA

le coste senegalesi, sui quali i marinai che vi erano passati in precedenza avevano inciso i loro nomi e le date . Stimando la quantità di legno aggiun­ to dal momento dell'incisione e considerando il diametro del tronco, egli dedusse che l'età dei due alberi doveva essere di oltre 5000 anni. Adanson concluse che essi dovevano essere già vivi prima del diluvio universale . Fu una estrapolazione acuta e forse leggermente maliziosa che gli permise di provocare le gerarchie religiose , ma secondo studi recenti i più grandi baobab sono molto più giovani, tra 500 e 800 anni. Finora il baobab più vecchio datato al radiocarbonio è un albero di 1 2 75 anni che si trova in Namibia e ha un tronco di circa 30 m di diametro. 8 Calcolare l' età dei baobab è particolarmente difficile poiché essi non hanno anelli annuali ben definiti, ma anche se si tratta di alberi in cui gli anelli si possono contare agevolmente , non è facile ottenere stime accurate dell'età. Un problema, come nel caso del ginkgo di Li jiawan, è posto dalla scomparsa, per marcescenza, delle parti più vecchie di molti alberi vetusti. Inoltre , mano a mano che il tronco diventa grande , diventa parallelamente più difficile usare lo speciale attrezzo sviluppato dai forestali per prelevare carotaggi di alberi vivi e in ogni caso non è facile trovare il centro di un albero dal tronco complicato. Anche qualora si riesca a ottenere una stima accurata dell' età di un albero di una determinata specie, la relazione tra diametro ed età non è sufficientemente consistente per consentire una precisa estrapolazione per altri individui. I tassi di accrescimento possono variare drasticamente nella vita di un singolo esemplare , per esempio se il giovane albero cresce densa­ mente ombreggiato oppure se, in contrasto, ha la possibilità di raggiunge­ re rapidamente la volta forestale . Inoltre, i tassi di accrescimento variano in funzione della stazione di crescita. Gli alberi in buone condizioni di sviluppo, con stagioni vegetative più lunghe e più calde e con accesso ad abbondanti acqua e luce , possono crescere rapidamente e i loro anelli annuali saranno larghi. Gli alberi che crescono in condizioni meno ideali crescono più lentamente; i loro anelli saranno stretti e compattati.9

s Anziché denotare un'età particolarmente avanzata, i massicci tronchi dei baobab riflet­ tono l'adattamento ad immagazzinare acqua per smorzare gli effetti della siccità dell'ambiente arido in cui vivono. 9 La dendrocronologia si avvale delle variazioni di spessore di diversi anelli annuali nello stesso tronco per instaurare corrispondenze e confronti incrociati tra legni di diverse prove­ nienze. Questa disciplina scientifica soddisfa le esigenze degli archeologi interessati a datare frammenti !ignei e degli scienziati impegnati nella storia dei climi delle ultime migliaia di anni. Una descrizione della dendrocronologia e delle sue applicazioni per determinare l'età dei pini a coni setolosi si trova in FERGUSON 1 968.

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22.

ANTICHITÀ

Un altro modo per tentare di determinare l'età dei grandi ginkgo asiati­ ci consiste nell'esaminare gli indizi storici o culturali. Anche questo meto­ do non è esente da incertezze, poiché gli indizi disponibili più di frequente sono leggende, che raramente si dimostrano affidabili. Ne è un buon esem­ pio il grande e amatissimo ginkgo del santuario Tsurugaoka Hachiman-gii di Kamakura, non lontano da Tokyo. Quando visitai il grande ginkgo di Tsurugaoka, un caldo sabato prima­ verile di tanti anni fa, il tempio formicolava di famiglie. Il grande , vecchio albero non aveva ancora emesso le foglie e la sua nudità rivelava quanto della sua chioma era stato scolpito da generazioni di dendrochirurghi. No­ nostante ciò, il suo portamento era meraviglioso e imponente . Posto ac­ canto alla ripida scalinata che conduce all'edificio principale del santuario, circondato da una fune tradizionale fatta di paglia di riso allacciata attorno al suo grande tronco, esso risplendeva nel sole dell'inizio di primavera. Il santuario Tsurugaoka Hachiman-gii fu costruito nel 1 1 80 a Kamakura dal primo Shogun, Minamoto no Yoritomo e nel l 2 1 9 fu teatro del famigerato assassinio del terzo Shogun, Minamoto no Sanetomo, sugli stessi scalini di pietra percorsi ancora oggi dai visitatori per salire al santuario principale . Secondo la leggenda, l'assassino si nascose dietro l' albero di ginkgo men­ tre attendeva in agguato ; secondo questa indicazione , il grande ginkgo di Tsurugaoka avrebbe quasi l 000 anni. Shihomi e Terumitsu Hori, i due più avanzati studiosi della storia cul­ turale del ginkgo in Giappone, hanno accuratamente rivisto le evidenze disponibili per determinare se la leggenda e la conseguente veneranda età dell'albero potessero avere un fondo di verità. La Azuma Kagani, un re­ soconto ufficiale di eventi avvenuti sotto lo Shogunato di Kamakura tra il 1 1 80 e il l 266, riporta i dettagli dell' assassinio: data, ora, tempo meteoro­ logico e perfino le parole pronunciate dall' assassino durante l' attacco. Lo Eukan-sho, scritto nel l 220, appena un anno dopo l' assassinio, dal sacerdo­ te e poeta Jien, fornisce ancora più dettagli, inclusa la descrizione dei vestiti indossati dall' assassino. Tuttavia in nessuno di questi resoconti quasi con­ temporanei si fa menzione dell' albero. In modo sospetto, il ginkgo com­ pare soltanto nei resoconti scritti molto tempo dopo; il primo si trova nel Kamakura Monogatari, scritto intorno al 1 659, oltre quattro secoli dopo i fatti. Sembra pertanto molto probabile che il ginkgo sia stato aggiunto alla leggenda in un secondo momento. Anziché l 000 anni, il grande ginkgo di Tsurugaoka ha più probabilmente un'età inferiore , ossia 500-600 anni. 1 0

l O Nella primavera del ZO lO, il grande ginkgo di Tsurugaoka crollò durante una tempesta seguita a forti piogge, provocando sgomento nel tempio e in molti giapponesi. Fu possibile

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PARTE V - STORIA

Problemi di questo tipo investono tutte le età notevoli attribuite ad al­ beri vetusti di tutti i tipi, inclusi i vecchissimi ginkgo cinesi. Per esempio, una leggenda associata al grande ginkgo di Li jiawan ne fa risalire l'origine a uno studioso di nome Bai, vissuto all' epoca della dinastia Tang (6 1 8-907), mentre un' altra lo ricollega a una leggenda in qualche modo analoga che riguarda la dinastia Ming ( 1 3 6 8- 1 644) . Analogamente, si narra che i grandi alberi di ginkgo delle rovine dell'antico tempio di Huiji, non distante da Nanchino, siano stati piantati da Zhaoming, un famoso principe del regno Liang dell'inizio del sesto secolo. Ciò ne porrebbe l' età a circa 1 500 anni, ma anche in questo caso non ci sono evidenze scritte e sembra molto più probabile che l'età sia da ridursi alla metà. È difficile per chiunque, specialmente se occidentale , arrivare al fondo di leggende di questo tipo, ma il classico libro di Joseph Needham

Science

è in ogni caso un'utile guida. Needham ha dedi­ cato la sua vita a comprendere l'inizio della storia della scienza in Cina.

and Civilization in China

Nel 1 986 ha esaminato la storia della botanica cinese. Poco dopo, Nicholas Menzies, un suo collega, fornì un resoconto analogo per le scienze forestali in Cina. Insieme, i due lavori passano in rassegna alcune delle p rime e più importanti fonti bibliografiche sulla storia del ginkgo in Cina. E particolar­ mente illuminante l'esempio, citato da Menzies, di un'iscrizione posta ac­ canto a un vecchio albero nel monastero di Fu-Yen Ssu «sulle pendici della montagna sacra di Heng Shan in Hu-Nan» . Secondo l'iscrizione , l' albero fu piantato «dal venerabile abate Hui Ssu nel secondo anno del Kuang-Ta della dinastia Chhen» . Ciò implica che l' albero sia stato messo a dimora nel 5 6 8 , ma Menzies cita il lavoro dei forestali della Foresta Nan-Yiieh che, tra­ mite conteggio degli anelli annuali, hanno determinato un' età di 600 anni. Indubbiamente si tratta di un albero maestoso e molto vecchio, ma ha la metà degli anni che generalmente gli si attribuivano. 1 1 Simili esempi suggeriscono che le grandi età attribuite a molti vetusti ginkgo non sono affidabili. Le leggende tendono ad essere abbellite nel tempo e non è facile ottenere stime affidabili dell'età di un albero vivente . Ciò è avvenuto raramente per gli individui più grandi e più spettacolari. Considerate queste complicazioni, sembra improbabile che persino i più vecchi alberi di ginkgo si avvicinino ai 3000 anni delle sequoie giganti o ai

contarne gli anelli annuali nella parte esterna del tronco, ma i tentativi di determinare l'età esatta furono bloccati dalla decomposizione della parte centrale. Il Cfr. NEEDHAM et al. 1 996, p. 58 1 . Come nota Menzies, può essere significativa la man­ canza di menzioni del ginkgo nelle più importanti tra le prime fonti di informazioni botaniche cinesi, Shih Ching, Erh Ya e Nan Fang Tshao Mu Chuang (Osservazioni delle piante e alberi delle regioni meridionali), scritte da Chi Han intorno al 300 A.D. - 1 46 -

22.

ANTICHITÀ

quattro millenni e mezzo del pino dai coni setolosi (Pinus primaeva). È più ragionevole considerare che l'età di alcuni ginkgo possa avvicinarsi a 1 500 anni, ma che , nella maggior parte dei casi, la loro età si misuri più precisa­ mente in secoli anziché in millenni. Tali considerazioni concordano con i dati di fonti scritte, che indicano età più giovani, anziché più vecchie, per i più grandi e più impressionanti alberi di ginkgo del mondo.

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23 .

Tregua

In un bastone che brucia, anche quando è rivolto verso terra, la fiamma è attratta verso l'alto. Saskya Pandit, Elegant sayings. 1 Non è noto con esattezza quando o perché il ginkgo è diventato con­ nesso alle persone, ma in Science and Civilization in China Nicholas Menzies ritiene inverosimili i primi due riferimenti al ginkgo. È risaputo che la da­ tazione al sesto secolo del vecchio albero del monastero Fu-Yen Ssu è inaf­ fidabile . L' altra, cioè la menzione di un frutto chiamato phing chung nel poema "Rapsodia sulla capitale di Wu" di Tuo Ssu, che risale alla dinastia Jin del terzo secolo, non ha alcun rapporto col ginkgo, eccetto il richia­ mo del colore argentato. Analogamente , il ginkgo è talvolta identificato in incisioni e disegni del IV-VIII secolo, ma queste opere mostrano pochi dettagli botanici e probabilmente rappresentano esempi di errata identifi­ cazione . Per quanto ne so, non vi sono neppure solide evidenze a sostegno dell'uso di semi di ginkgo - pure talvolta citato - durante la dinastia Han del terzo secolo. 2 Il più antico riferimento scritto e affidabile che riguarda il ginkgo risale al 980 e si trova nel Ko Wu Tshu Than, o "Semplici discorsi sull'investigazione

delle cose" , scritti da Tsan-Ning, un "monaco erudito" . Poco dopo, durante la dinastia Song del secolo XI, il riferimento storico più comunemente cita1

PANDIT - NAGARJUNA 1977, p. 66. Le presunte rappresentazioni di ginkgo nell'antica arte cinese del IV-VIII secolo (ad esempio cfr. Ginkgo Pages, http: / / kwanten.home.xs4all.nl/ artgal3 .htm) non sono sufficien­ temente diagnostiche per essere pienamente affidabili e richiedono studi più approfonditi.

2

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23 . TREGUA

to e antico, considerato inequivocabile, è un famoso scambio di poemi tra uno dei primi storici cinesi, Ouyang Hsiu, e il poeta Mei Yao-Chen. Ambe­ due si riferiscono al ginkgo coi nomi ya

chio,

"piede d'anatra" , e

yin hsing,

"albicocca argentata" . Ouyang Hsiu inizia il dialogo offrendo in regalo all'amico delle "noci" di ginkgo raccolte su un albero a Kaifeng, una delle sette antiche capitali della Cina. Mei Yao-Chen risponde con un ringraziamento e rievoca il ginkgo della nativa Xuancheng. Lo scambio si conclude con un poema di Ouyang Hsiu, che espone una deliziosa, breve storia della coltivazione di ginkgo. 3 La

ya-chio

(piede d' anatra) cresce a Chiangnan con un nome inappro­

priato. All 'inizio venne portato in borse di seta come un tributo, e come yin hsing (albicocca argentata) divenne amato nelle province centrali. La curio­ sità e l'impegno del nobile principe Li portarono da lontano le radici che produssero frutto nella capitale . La prima volta che gli alberi fruttificarono produssero soltanto tre o quattro noci. Queste furono offerte in dono al trono entro una coppa d'oro. La nobiltà e gli alti ministri non le riconobbe­ ro e l'imperatore fece dono di cento once d'oro. Ora, dopo alcuni anni, gli alberi portano più frutti. Questi poemi e le altre prime osservazioni del tardo X secolo suggeri­ scono tutte che la prima connessione tra ginkgo e persone si sia stabilita circa 1 000 anni fa. Ci sono molti testi cinesi precedenti che riguardano piante e in particolare piante coltivate , ma in nessuno si fa menzione del ginkgo. Inoltre , il ginkgo si differenzia da altri alberi, che sono spesso de­ scritti prima come piante spontanee e solo successivamente menzionati per i loro usi. Ciò potrebbe suggerire che il ginkgo, prima di entrare in coltivazione , fosse un albero abbastanza raro. Fin dall'inizio, il ginkgo è trattato come pianta coltivata, un albero allevato per i suoi semi. In con­ fronto con altre piante , come riso e soia, la cui storia di coltivazione in Cina risale a diversi millenni fa, le radici culturali del ginkgo sembrano relativamente superficiali. Dopo lo scambio di poemi tra Ouyang Hsiu e Mei Yao-Chen, il ginkgo appare frequentemente nella letteratura cinese e al tempo della dinastia Yuan, istituita nel tardo XIII secolo dal gruppo etnico mongolo sotto Kublai Khan, ci sono molti riferimenti alla coltivazione di ginkgo per la produzio­ ne di semi. Secondo Menzies, in alcune zone i semi divennero un' impor-

3 Semplici discorsi sull'investigazione delle cose, una serie di brevi affermazioni sui fenomeni naturali, scritti nel 980, inclusa l'affermazione «Che gli alberi maschio e femmina di ginkgo crescano uno accanto all'altro, allora si formerà il frutto». I poemi sul ginkgo furono scambiati tra Ouyang Hsiu ( 1 007- 1 072) e il poeta Mei Yao-Chen (noto anche come Sheng-Yti; 1 002- 1 062); cfr. NEEDHAM et al. 1 996, p. 5 8 1 .

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PARTE V - STORIA

tante materia prima. Egli cita il Nung Sang Chi

Yao del

1 2 73 quale più antico

testo che fornisce dettagli sulla coltivazione del ginkgo e nota che queste istruzioni orticolturali furono ripetute parola per parola in manuali poste­ riori, quali Chung Shu Shu, Pian Min The Tsuan e Nung Cheng Chhii.an Shu. Fin dall'inizio fu riconosciuto che sono necessari alberi sia maschili sia femminili per produrre semi , ma allora, come ora, non c'era alcun modo semplice per predire se un seme avrebbe prodotto un albero maschile o femminile. Il

Nung Sang Chi Yao dispensa il seguente consiglio:

n ginkgo ha alberi maschili e femminili. n [seme] maschile ha tre creste, quel­ lo femminile due . Essi devono essere piantati insieme. Quando sono piantati vici­ no a uno stagno, essi guardano il loro stesso riflesso e così possono portare frutto.

Non esistono evidenze che i semi con tre creste , che in ogni caso sono rari in confronto a quelli con due, si sviluppino come alberi maschili. Co­ munque, il suggerimento di piantare gli alberi femminili vicino all' acqua può essere utile. Il ginkgo prospera quando ha un agevole accesso all' acqua e gli alberi stressati dalla siccità difficilmente producono un buon raccolto. Successivi trattati orticolturali raccomandano inoltre l'innesto di un ramo maschile su un albero femminile, l'opposto di ciò che fece jacquin nei suoi esperimenti. Si tratta di un modo facile e sensato per evitare di attendere fino a 20 anni la produzione di semi, quando non ci sono alberi maschili nelle vicinanze. In base a commenti di Mei Yao-Chen, che ricordava il ginkgo vicino a casa sua, e facendo menzione delle sue raccolte di semi da piante sponta­ nee, alcuni autori cinesi hanno suggerito che il ginkgo sia nativo dei dintor­ ni di Xuancheng, nella provincia di Anhui. Più recentemente, l'attenzione si è concentrata anche sul monte Jinfo, nella municipalità di Chongqing, e sul Monte Tianrnu nello Zhejiang. Non è ancora completamente certo che il ginkgo sia nativo di queste aree, ma sembra probabile che la coltivazione di ginkgo sia iniziata nel sud per diffondersi poi a nord. Questo spostamen­ to verso nord del ginkgo è consistente anche con i commenti del

Shihua­

zonggu.i di Ruan Ye : Nella capitale - oggi Kaifong City, provincia di Hennan - non c'era alcun ginkgo. Dall'arrivo dal sud del signor Li Wienhe, genero dell'imperatore, egli lo introdusse e lo piantò nella sua casa privata. Poi portò frutto e là fu propagato e sviluppato. 4

4 Il confronto tra altezza e diametro di vecchi alberi di ginkgo in varie province cinesi sostiene l'idea che i vecchi ginkgo del Guizhou siano mediamente più alti e larghi di quelli di Anhui e dello Zhejiang. La provincia di Sichuan, che confina a nord con il Guizhou, ha ginkgo

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23 . TREGUA

A questo modello di distribuzione ben si adatta anche il fatto che nessu­ no dei più grandi alberi di ginkgo cinesi proviene dalle tre province setten­ trionali di Liaoning, Jilin e Heilongjiang, nella parte interna della penisola coreana. L'espansione della coltivazione di ginkgo verso nord fino alla Co­ rea avvenne probabilmente tramite le rotte commerciali costiere cinesi, poi attraverso il Mar Giallo fino all'estremità meridionale della penisola. Il ginkgo era indubbiamente coltivato nella penisola coreana molto prima dell'invasione delle truppe giapponesi, al comando di Toyotomi Hi­ deyoshi, alla fine del XVI secolo, e nel XVII secolo si ritiene che Hendrick Hamel e i suoi compagni di naufragio abbiano sognato la loro fuga sotto il grande ginkgo Gangjin-gun, all'estremità meridionale della penisola. La lista dei grandi alberi di ginkgo in Corea ne include 2 1 la cui età varia, in base alle stime, da 400 a 1 000 anni o più. Si dice che il grande ginkgo di Yongmunsa abbia 1 1 00 anni mentre altri due , nella penisola coreana, sono reputati ancora più vecchi. 5 I n Corea del Nord, nel tempio d i Anbulsa, c ' è u n enorme ginkgo fem­ mina, alto 42 m e con diametro di quasi 6 m. Durante la guerra di Corea fu protetto su ordine del presidente Kim Il Sung e nel 2003 è stato visitato dal figlio Kim Yong Il. Si dice che abbia 2 1 20 anni e che produca ogni anno più di 3 00 kg di semi. In Corea del Sud, il ginkgo di Yeongwol, il cui tronco misura 4 , 5 m di diametro, ha - si dice - tra 1 000 e 1 200 anni . Si ergeva una volta avanti alle rovine del tempio di Daej eongsa, ma l' albero, alto 1 8 m, tuttora fa ombra agli abitanti del villaggio che oggi lo attornia. 6 In Giappone, ci sono fossili di ginkgo che precedono l'era glaciale e gran­ di alberi viventi manifestamente vetusti, ma non ci sono prove che il ginkgo sia spontaneo nell' arcipelago del Giappone . Come molte altre piante utili, il ginkgo è stato introdotto dall'Asia continentale in epoca storica. Analoga­ mente a quanto osservato in Cina, molti degli alberi più vecchi e venerabili del Giappone si trovano nei terreni dei templi, ma anche nei paesaggi agrari

ancora più grandi in entrambe le misure; dati compilati dal lavoro di LIN et al. 1995. L'origine del ginkgo ad Anhui è citata da Menzies che la deriva dalla Pen Ts'a Kang Mu o Grande Far­ macopea ( 1 596, p. 1 80 1 ), secondo il ]ih Yung Pen Shao. La citazione dal Shihuazonggui è tratta da HE et al. 1 997, p. 374. A partire dalla dinastia Yuan, sono stati usati anche altri nomi: pei yen, "occhio bianco"; pei kuo, "frutto bianco"; ling yen, "occhio vivace"; jen hsing, "noce albicocca" . Altri nomi come kung sun shu "albero nonno-nipote" sono apparsi successivamente. Questa documentazione, relativa alle dinastie Song (960- 1 279) e Yuan è riportata in HE et al. 1 997, p. 374 e LI 1 963 , p. 92. 5 Gli alberi di ginkgo più vecchi della Corea del Sud sono stati designati monumenti natu­ rali dalla Amministrazione del Patrimonio Culturale; cfr. Invitation ForestOn "Story of forest: Old gigantic trees in Korea" . 6 Per descrizioni e immagini dei ginkgo di Yeongwol, di Duseo-myeon e Yongmunsa, cfr. Invitation ForestOn "Story of forest: Old gigantic trees in Korea" .

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PARTE V - STORIA

dove , come il grande ginkgo di Lijiawan, essi possono segnalare i siti di pre­ cedenti impianti di ginkgo anziché templi totalmente scomparsi. Shihomi e Terumitsu Hori hanno esaminato l'inizio della storia cultu­ rale del ginkgo in Giappone e identificato otto grandi alberi, la cui età varia tra 700 e 1 5 00 anni secondo le leggende ad essi associate . Il ginkgo di jyo­ nichiji, un grande albero femmina sui terreni del tempio di jyonichiji, nella prefettura di Toyama, è considerato il più vecchio. Secondo la leggenda locale, esso era già un grande albero nel 682, quando il tempio fu costruito. Circa la stessa età è attribuita al ginkgo di Nigatake, talvolta chiamato il ginkgo di Chichi o di Uba, presso il santuario Ubagami nella prefettura di Miyagi. Il ginkgo di H6ri6, nella prefettura di Aomori, la cui età presunta è 800- 1 200 anni, è stato piantato - si dice - per commemorare la fondazione , nell'epoca Heiana, del tempio Zenshoi, ora perduto. 7

È difficile verificare la veridicità d i queste leggende coreane e giappo­ nesi, ma come nel caso del grande ginkgo di Tsurugaoka, età così estre­ me sono probabilmente errate . In Giappone , la documentazione scritta, relativa in modo non ambiguo al ginkgo, appare più tardi che in Cina, ed è notevole l'assenza del ginkgo nell' antica letteratura classica, dove ci si

potrebbe aspettare di trovarlo. I tradizionali poemi giapponesi di 3 1 sill abe , detti waka, hanno una storia che risale a circa 1 3 00 anni fa. L a Man'yoshu, la più antica raccolta antologica di questi poemi, fu compilata al termine del periodo Nara, nel tardo VIII secolo ; in questi componimenti vi sono molti riferimenti a foglie gialle, ma potrebbero essere riferiti a molte altre piante. Analogamente , gli Hori concludono che molto probabilmente la parola chi-chi, menzionata nelle poesie di Otomo-no-Yakamochi risalenti a metà dell'ottavo secolo, si riferiva alle radici aeree pendenti del fico giapponese, comunemente coltivato. Non ci sono riferimenti inequivocabili al ginkgo neppure nelle anto­ logie di waka raccolte dal Comando Imperiale nel X e XIII secolo. Il gink­ go non compare nemmeno nei "Racconti di Genji" di Murasaki Shikibu, uno dei più vecchi romanzi del Giappone, o in Makura no Soshi , raccolta di antichi saggi scritti da Sei Shonagon tra la fine del X secolo e l'inizio dell'Xl. Considerando il rilievo dato alla natura in questa letteratura e la frequenza dei rimandi a ginkgo in lavori successivi, questa assenza può essere significativa. Il primo, indiscutibile riferimento al ginkgo si trova in due dizionari giapponesi e in un libro di testo di metà XV secolo. Il dizionario

Ainosho

7 Una lista dei vecchi alberi di ginkgo in Giappone e delle leggende che vi sono associate è fornita da Horu - Horu 1 997.

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1 52

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23 . TREGUA

del 1 446, di Gyoyo, è pubblicato in stile caratteristico, usato anche nell'an­ tica letteratura cinese, che pone specifiche domande dirette e poi fa uso di riferimenti precedenti per dare le risposte . Alla domanda «cos'è il ginkgo?» la risposta è «non c'è alcun nome in Wamyo», che si ritiene che sia un pre­ cedente dizionario, il

Wamyo-sho, pubblicato verso il 934. L'Ainosho sembra

quindi definire i limiti inferiore e superiore per l'introduzione del ginkgo in Giappone , rispettivamente tra il 934 e il 1 446.8

Nell'Ainosho e pure nel libro di testo Sekiso Orai, scritto da Ichijo nel XV secolo, il nome giapponese del ginkgo, scritto in caratteri kanji, è "al­ bicocca argentata" , esattamente come nelle prime fonti cinesi. Ma esso è accompagnato dalla pronuncia fonetica icho, in carattere katakana. Nel Kagaku-shu, un dizionario del 1 444, il ginkgo è elencato nello stes­ so modo, ma viene menzionato anche il termine "piede d' anatra" , altro vecchio nome cinese , con una spiegazione del motivo per cui quel termine è diventato il nome di un albero. È un riferimento alla somiglianza tra for­ ma e nervature divergenti della foglia di ginkgo con il piede palmato e le dita divergenti dell'oca mandarina, un uccello solitario adorato per il suo simbolismo. Nella letteratura giapponese, il più antico riferimento al gink­ go compare nel 1 530, nel diario di viaggio del poeta Socho, che scrive di far dono delle sue belle gialle foglie autunnali. Prese complessivamente, le evidenze dei documenti storici indicano che in Cina il ginkgo era coltivato nell'XI secolo e forse dalla fine del X. Si è poi diffuso probabilmente attraverso la donazione di semi e talee, che divennero sempre più comuni in Cina a partire dal X secolo. In Giappone , non esiste una prova affidabile della presenza di ginkgo prima dell'inizio del XV secolo, tre o quattro secoli dopo che il ginkgo era stabilito in Cina, pro­ babilmente grazie al collegamento col buddhismo. Da ciò deriva che è im­ probabile che in Giappone ci siano alberi di ginkgo più vecchi di settecento o ottocento anni; probabilmente nessuno si avvicina all'età di 1 000 anni.9 Il collegamento tra ginkgo e buddhismo può essere stato, almeno in parte , il motivo del suo trasferimento in Giappone , ma forse il ginkgo era ancor più importante come fonte di cibo o di medicamenti e non è detto che queste motivazioni fossero mutualmente esclusive; come è avvenu­ to in Europa, anche in estremo oriente lo sviluppo della medicina è stato strettamente legato allo sviluppo di fedi religiose. Nel Giappone medieva­ le, i monaci buddhisti sono stati tra i più importanti professionisti di medi­ cina tradizionale cinese.

s 9

Per altre notizie sulla storia culturale del ginkgo in Giappone, cfr. H oRI - HoRI 1997. Questi vetusti alberi giapponesi sono riportati da LI 1963. - 1 53 -

PARTE V - STORIA

Per quanto riguarda il probabile sito di introduzione del ginkgo in Giappone, sembra più plausibile ricercarlo verso ovest e verso sud. In parti­ colare, le ricerche si orientano su Kyushu, la più meridionale e occidentale delle quattro maggiori isole giapponesi e sede di connessioni storiche par­ ticolarmente forti con l'Asia continentale. Per secoli, in tempi medievali, si svolse un fiorente commercio nella zona di Kyushu, nella quale ebbero un ruolo particolarmente importante le ceramiche . A partire dalla fine del periodo ]ano del XII secolo, per proseguire attraverso i periodi Kamakura e Muromachi tra XIII e XVI secolo, le ceramiche, grandemente apprezzate dalle

élite del paese, furono importate in grandi quantità in Giappone, dove

poi si stabilirono delle colonie di immigrati cinesi che contribuirono ad alimentare il commercio di qualunque bene, dai metalli preziosi alle pietre per inchiostro e ai contagocce calligrafici. Essi avviarono anche l'impor­ tazione dal continente di piante medicinali e di interesse economico; tra queste , potrebbe aver trovato posto anche il ginkgo.

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24.

Viaggi

Egli fa un grande viaggio, che va in fondo al mare . Thomas Fuller, Gnomologia. 1 Nel maggio 1 9 75 , un peschereccio all'opera in una zona di pesca at­ traversata da intense maree e forti correnti al largo della costa nord-occi­ dentale dell'isola di jeungdo, vicino al lato sud-occidentale della penisola coreana, ripescò nelle reti sei pezzi di ceramica celadon, verde chiaro, e porcellana bianca di provenienza cinese: erano il primo indizio della nave di Shinan, una scoperta che si pone al fianco di quella della svedese Vasa e dell'inglese Mary Rose, tra le più straordinarie dell'archeologia subacquea. Inizialmente le autorità coreane furono incerte sul da farsi, ma quando nell'autunno 1 976 il sito cominciò ad attirare i saccheggiatori, l'Ammini­ strazione del Patrimonio Culturale Coreano, col supporto della marina co­ reana, lanciò un progetto di recupero di alto profilo. Questo forte impegno, della durata di nove anni, aprì una straordinaria capsula del tempo del XIV secolo e uno scrigno di squisiti oggetti, che han­ no aperto una nuova prospettiva sui commerci tra Cina, Corea e Giappone in epoca medievale.2 Le circostanze del naufragio della nave di Shinan sono ignote . Forse la nave fu travolta da una tempesta e mentre affondava, con l'equipaggio ancora a bordo, impattò sulle rocce sottomarine prima di posarsi su un

l

FULLER 1 732. Il Museo Nazionale Marittimo Coreano è sono la responsabilità del Ministero della Cul­ tura e Turismo; cfr. www. seamuse.go.kr.

2

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PARTE V - STORIA

fondale fangoso. Col passare del tempo, a 20 m di profondità, la nave è stata parzialmente sepolta da fango e sabbia. Le parti esposte sono state distrutte o spazzate via dalle correnti, ma le parti del carico e dello scafo protet­ te dalla decomposizione e dalle teredini si sono conservate in condizioni eccellenti. Nel 1 990, a Mopko, fu istituito il Centro per la Conservazione dei Reperti Archeologici Marini, ora Museo nazionale marittimo, per orga­ nizzare l'enorme quantità di materiale recuperato e per supervisionare la conservazione della nave .3 Il recupero iniziò appieno nel luglio 1 977, con il supporto di due navi militari e circa 60 sommozzatori di profondità. Il lavoro iniziale permise di recuperare decine di migliaia di oggetti, in molti casi ancora conservati nel­ le casse di legno in cui erano stati originariamente imballati. Non c'erano dubbi che la nave di Shinan fosse un mercantile; lunga 2 7 m, larga 25 m e con 260 tonnellate di stazza, era una nave relativamente grande per l' epo­ ca, ed era stivata fino all' orlo di mercanzie di ogni tipo.4 Nelle estati seguenti, fino a settembre 1 984, gli scavi recuperarono un vasto assortimento di oggetti e i resti di alcuni membri dell'equipaggio. Attorno al relitto fu scandagliata un' area di più di mezzo miglio, con reti a strascico, per non perdere qualsiasi ulteriore evidenza relativa alla nave , al suo carico e alla sua rotta. Anche le parti in legno della nave furono rimosse dal fondale per le successive fasi di studio, restauro ed esposizione. Molti piccoli oggetti vennero aspirati o sollevati dal fondale fangoso nella fase finale degli scavi. Tra il materiale vegetale recuperato c'era un singolo ma inconfondibile seme di ginkgo. 5 Complessivamente , oltre ventimila oggetti sono stati riportati in su­ perficie dopo aver trascorso sei secoli e mezzo sul fondale. Si tratta perlo­ più di terrecotte di vario tipo. C' erano circa cinquemila pezzi di porcellana bianca e 3 000 con vari tipi di smaltatura, ma la maggior parte , più di 1 2 . 000 pezzi, era del caratteristico celadon verde . C ' erano statuine, contagocce calligrafici, bruciatori per incenso, teiere, tazze, sostegni per le tazze, mor­ tai e pestelli e perfino un cuscino di ceramica, insieme a una varietà di splendidi piatti, coppe e vasi. La preponderanza del celadon cinese rivela che l'ultimo viaggio della nave di Shinan, terminato con il naufragio, era

3 I resti della nave di Shinan e la maggior parte del suo carico possono essere visitati al Museo nazionale marittimo. 4 Per descrizione e diagrammi della struttura e della costruzione della nave, cfr. GREEN 1 983 ; per descrizioni e fotografie della nave, del suo carico e degli scavi subacquei, cfr. KIM Z006a, b, c. 5 Il seme di ginkgo recuperato dalla nave di Shinan è in mostra al Museo nazionale corea­ no di Seui, con ceramiche e altri reperti tratti dal relitto. - 1 56 -

24. VIAGGI

iniziato in Cina. Soltanto sette pezzi di celadon di Goryeo provenivano da fornaci coreane . Alcuni dei reperti vegetali recuperati dalla nave facevano parte del ca­ rico ed erano pervenuti probabilmente dall'Asia sud orientale, forse dalla penisola malese, o da luoghi ancor più distanti. C'erano più di 1 000 pezzi di legno di sandalo, perlopiù sagomato in pezzi lunghi l ,8 m. Questo le­ gno esotico, duro e aromatico, era usato per produrre mobili di alta qualità o bruciato per sviluppare la sua fragranza e potrebbe essere arrivato dalla Cina meridionale o dal sud-est asiatico, oppure trasportato da luoghi più di­ stanti, come l'India. Tra il materiale di origine tropicale, c'era anche un gran quantitativo di pepe nero, posto in una scatola rettangolare insieme a grandi quantità di frutti di croton, che hanno un uso medicinale come purgativo. Altri reperti vegetali sono stati trovati in quantità molto minori, ma del­ le sedici specie identificate, quattordici erano usate nella medicina tradizio­ nale cinese . Tra queste vi erano due diversi tipi di radici di ginger e stecche di cannella. C'era anche polvere di carbone , prodotta con l' euforbiacea Cro­ ton congestus, che si usa per arrestare le emorragie e curare la dissenteria. Insieme al seme di ginkgo c'erano pezzi di litchi, noci di betel, albicocche , pesche , noci e nocciole . Può darsi che facessero tutte parte dell' armadio dei medicinali della nave , una conclusione sostenuta anche da altri oggetti scoperti nel relitto, quali macine per produrre farmaci, cucchiai e bilance adatti a misurare e a pesare ingredienti erboristici. La terracotta di celadon dimostrava che la nave di Shinan trasportava un carico cinese e che la maggior parte di queste ceramiche derivavano dalle fornaci di Longquan. Altre porcellane bianco-bluastre e bianche pro­ venivano dalle fornaci di Jingdezhen. Ambedue si trovano nell'hinterland dell'importante area portuale di Qing Yuan Lu, che ora è la zona circostan­ te Ningbo. Ulteriori prove a sostegno dell'ipotesi che fosse proprio questo il porto di partenza provengono da uno dei pesi della bilancia, che reca l'iscrizione Qing Yuan Lu, e da un certo numero delle 364 strane targhette di legno recuperate dal relitto. Al pari di altri oggetti fragili della nave di Shinan, queste furono recuperate principalmente nelle fasi finali, scavando nel fango all'interno del sito del naufragio e attorno ad esso. Ogni targhetta è costituita da un pezzo di legno corto e piatto, di 1 5 -20 cm di lunghezza, con un foro o due tacche a un'estremità evidentemente usate per legare la targhetta al carico. Sorprendentemente, alcune di queste targhette identificavano il proprietario di quella parte del carico e recavano la sua firma, il numero di unità o il peso e il tipo di merce . Le targhette non solo confermano che il porto di partenza fu Qing Yuan Lu, ma in più ci dicono quando è partita la nave per il suo sfortunato viaggio. Oltre cento targhette portano una data di spedizione. Una è etichettata 20 aprile, sei 23 - 1 57 -

PARTE V - STORIA

aprile, trentasette 1 1 maggio, una l giugno, nove 2 giugno e cinquantotto 3 giugno. Sulle otto etichette dov'è scritto l' anno esso è 1 3 23 . La nave proba­ bilmente salpò dal porto ai primi di giugno del 1 3 23 e rimase in mare forse per diverse settimane prima di affondare in una tempesta estiva o forse in un tifone anticipato. Le targhette offrono anche informazioni esplicite sui proprietari delle merci e sugli indirizzi di consegna. Centouno targhette recano la scritta

Gangsa,

che corrisponde al titolo di un monaco buddhista responsabile

dell' amministrazione dei templi. Quarantuno targhette erano destinate al tempio Tofukuji di Kyoto, mentre altre includevano il santuario Hakozaki e Chojuan, uno dei templi secondari sotto il controllo del Tempio di Jo­ tenji, entrambi a Fukuoka. I documenti storici dell'epoca, tra XIII e XIV secolo, mostrano che alcuni dei maggiori templi giapponesi inviavano navi mercantili autorizzate in Cina, specialmente da Fukuoka nell'isola di Kyu­ shu, dove si era naturalizzata una popolazione cinese. Tra le etichette che designavano i nomi dei proprietari privati di merci, una dozzina sembra appartenere a monaci buddhisti; un'altra dozzina sono chiaramente giap­ ponesi.

È incerta la nazionalità - cinese o coreana - degli altri. 6

C' erano molte possibilità per trasportare il ginkgo dalla Cina alla Co­ rea e al Giappone lungo rotte commerciali ben definite , solcate da battelli come la nave di Shinan. Il seme di ginkgo della nave di Shinan, che risale all'inizio del XIV secolo, è in accordo con l'evidenza documentale della presenza di ginkgo in Giappone verso il 1 440.

È infatti plausibile che, prima

di destare un interesse tale da giustificarne l'inserimento in un dizionario,

il ginkgo fosse presente in Giappone e in grado di produrre semi già da al­ cuni decenni. Ciò suggerisce la possibilità di una sua presenza in Giappone nel XIV secolo. 7

Al

momento del primo contatto occidentale col Giappone nel 1 543 ,

il ginkgo era probabilmente assimilato nella cultura giapponese da uno o due secoli . A quel momento ci sono anche molte evidenze della precoce

6 Cfr. SEYCOK 2008. Accanto ai templi di Fukuoka e Kyoto vivono tuttora molti vetusti ginkgo. I commerci tra Cina e Giappone documentati dalla nave di Shinan sono proseguiti fino all'epoca dell'autoisolamento giapponese. Per tutto il XVII secolo, le comunità cinesi fino a quel momento disperse furono raggruppate a Nagasaki, che divenne allora il principale centro di esercizio e controllo dei commerci esteri. Attraverso questa testa di ponte, furono introdotti molte espressioni culturali cinesi, poi assimilate in Giappone. 7 La presenza del ginkgo in Giappone nel XIV secolo è in accordo anche con la scoperta di foglie di ginkgo pressate tra le pagine di libri del XIV secolo del Museo Provinciale di Kana­ gawa. Per motivi che riguardano la storia di queste collezioni, non è plausibile che le foglie vi siano state inserite in epoca recente. Si ritiene che le foglie siano repellenti per gli insetti. Per un breve esame delle prime fonti scritte riguardo al ginkgo in Giappone cfr. Horu - Horu 1 997.

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24. VIAGGI

connessione tra ginkgo e templi buddhisti. Il Okazari no sho del 1 523 regi­ stra i mobili, gli attrezzi e gli utensili che lo shogun Ashikaga Yoshimasa teneva nel grande tempio di Ginkaku-ji (Tempio del padiglione d' argento) , d a lui stesso fondato nel 1 460 a Kyoto come villa privata . Tra i b e ni inven­ tariati si annovera uno icho-gu.chi, "vaso da fiori a bocca di ginkgo" . Allo ra come ora, le inconfondibili foglie di ginkgo erano un modello irresistibile. Risale alla fine del XV secolo o all'inizio del XVI una lunga scatola, nagafba­ ko, impiegata per la conservazione e il trasporto di pergamene, decorata con uno stemma (mon) di cinque foglie di ginkgo. Il Kikigaki Shokamon, un libro di araldica del XV secolo, comprende circa 260 stemmi di famiglie, uno dei quali è composto da tre foglie di ginkgo. Sono invece del perio­ do Azuchi-Momoyama, tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII , alcu­ ni kimono decorati con foglie di ginkgo. Infine , uno dei tesori nazionali del Museo Statale del Giappone a Tokyo è una giacca da uomo lunga fino ai fianchi, kodofuku, decorata con foglie di ginkgo ricamate . Verso la fine dell'epoca medievale, l'élite giapponese aveva già riconosciuto il ginkgo come un qualcosa di speciale. 8

s Per una lista di altri manufatti e animali giapponesi il cui nome deriva da ichou cfr. H oRI ­ Horu 1997.

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25 .

Rinnovamento

L'unico vero viaggio verso la scoperta consiste non nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere nuovi occhi. M arcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. 1 Dopo un declino durato millenni, la tregua di cui il ginkgo ha goduto nella sua associazione con le culture dell'Asia orientale fu seguita da un cambiamento ancora più marcato delle sue sorti nel XVIII secolo. Questo rinnovamento iniziò il 25 settembre 1 690, con l' arrivo del medico e bota­ nico tedesco Engelbert Kaempfer nel luogo che oggi è il cuore della città giapponese di Nagasak.i. Kaempfer vi rimase solo due anni, ma ciò che vi apprese e ciò che successivamente scrisse lo distinguono in Occidente come il «Primo interprete del Giappone». Egli fu anche il primo a presen­ tare il ginkgo alla scienza occidentale . 2 Ubicata sulla costa occidentale di Kyushu, l'isola più orientale e meri­ dionale delle quattro principali del Giappone , Nagasak.i sorge sul promon­ torio di una bella baia naturale, punto di incontro delle antiche rotte com­ merciali che collegano il Giappone all'Asia continentale . Al Nord, un breve tratto di mare la separa dalla penisola coreana, dove si perviene tramite l' antico porto di Hirado e l'isola di Tsushima . A sud, la costa occidentale di Kyushu conduce verso il gentile arco delle isole Ryuk.yu e quindi a Ok.i­ nawa e Taiwan. Giunti là, Canton, Hong Kong e Macao si trovano non di-

l

PROUST 1 9 1 9. Engelbert Kaempfer ( 1 65 1 - 1 7 1 6) è stato definito "il primo interprete del Giappone" (BROWN 1992). z

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2 5 . RINNOVAMENTO

stanti verso oriente. A sud, attraverso lo stretto di Luzon, le Filippine sono la porta d'ingresso alle isole del sud-est asiatico. Da Nagasaki la rotta più diretta verso la Cina punta a ovest verso l' ar­ cipelago Goto-retto e le isole Jeju, poi a sud-ovest attraverso il Mar Cinese Orientale fino all' arcipelago Zhoushan, a breve distanza dalla costa cinese, e quindi verso le antiche città di Ningbo e Huangzhou. Questa era la reddi­ tizia rotta commerciale seguita dalla nave di Shinan, che connetteva le ric­ che e antiche culture della Cina alla Corea e al Giappone . Al tempo in cui Kaempfer arrivò in Giappone , verso la fine del XVII secolo, il ginkgo era stato assimilato nella cultura giapponese da due o tre secoli. Nel decennio del 1 690, Kaempfer osserva che esso cresceva «quasi ovunque in Giappo­ ne» . È quindi probabile che egli non fosse il primo occidentale a vederlo.3 In una discussione sugli alberi cinesi, che all'epoca erano poco noti, John Evelyn, che pubblicò la grande opera Sylva: a Discourse of Forest Trees nel 1 664, nomina due grandi alberi: uno è un certo albero chiamato Ciennich (o l' albero di 1000 anni) nella provincia di Su­ chu, vicino alla città di Kien, che si estende così prodigiosamente da ricoprire ZOO pecore sotto uno solo dei suoi rami, senza che ciò sia molto percepito da coloro che gli si avvicinano,

il secondo è «una meraviglia più grande . . . nella provincia di Chekiang, la cui estensione è così stupendamente vasta che 40 persone possono a stento abbracciarlo». Ci sono molte identificazioni alternative di questi alberi, in­ cluso i Ficus, che sono spesso impressionanti e raggiungono grandi dimen­ sioni, ma c'è anche la possibilità che si tratti di ginkgo.4 I primi contatti tra Giappone e Occidente erano stati allacciati molto prima, all' arrivo dei portoghesi nel 1 543, quasi 1 50 anni prima che Kaem­ pfer sbarcasse a N agasaki. I portoghesi venivano da sud e portavano merci europee ma anche ceramiche e altri oggetti preziosi di produzione cine­ se, specialmente dopo la fondazione della base commerciale di Macao nel 1 5 5 7 . Le armi europee , introdotte per la prima volta in Giappone nel XVI secolo dai portoghesi, si rivelarono in seguito decisive negli scontri di pote­ re interni al Giappone . I portoghesi portarono anche pane , tabacco, mol­ to probabilmente anche peperoncini, insieme a nuove parole che si fecero strada nella lingua giapponese . La parola giapponese tempura deriva dal portoghese tempero, condimento. Comunque , la più importante introdu-

J

Per la citazione completa sulla diffusione del ginkgo in Giappone cfr. il capitolo 26. Cfr. EVELYN 1 664, p. 194 ; CAMPBELL-CULVER 2006 avanza l'ipotesi che i grandi alberi cinesi descritti da Evelyn possano essere esemplari di ginkgo. Dato che i primi contatti con la Cina sono intercorsi con la parte meridionale, subtropicale, sembra più probabile che si tratti di fichi. 4

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PARTE V

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STORIA

zione portoghese in Giappone fu il cristianesimo che, legato al commercio, fu decisivo per lo sviluppo di Nagasak.i come importante città portuale . Appena pochi anni dopo i primi contatti con i portoghesi, cominciarono ad arrivare i missionari gesuiti, cui fece seguito una diffusa conversione al cristianesimo. Al termine della decade del 1 5 80 , l'influenza cattolica nel Giappone meridionale era diffu s a e in crescita. Progressivamente e preve­ dibilmente divenne causa di attriti sempre più frequenti. 5 Nel 1 5 87, preoccupato per l a crescente influenza dei gesuiti sulla politi­ ca locale, il governatore feudale Toyotomi Hideyoshi, il grande unifìcatore del Giappone alla fine del XVI secolo, decretò l'espulsione dei missionari. Nove anni dopo, sospettando una potenziale invasione, ordinò la crocifis­ sione di 26 cattolici a Nagasak.i, ma le tensioni continuavano. Nel 1 6 1 4 lo shogun Tokugawa Ieyasu bandì il cattolicesimo e proseguì l'espulsione dei missionari. Nel 1 63 6 , in un ulteriore tentativo di ridurre l'influenza dei portoghesi, Tokugawa Ieyasu li confinò sull'isola artificiale di Deshima, costruita nella baia di Nagasak.i. A Deshima le loro attività potevano essere sorvegliate più agevolmente e le lucrative attività commerciali controllate più facilmente . Per più di duecento anni, questa minuscola isola fu il principale punto di contatto tra Giappone ed Europa, attraversato da un flusso di idee e mate­ riali in entrambe le direzioni. Deshima fu fondata come base dei portoghesi, ma la loro espulsione , dopo la rivolta di Shimabara del 1 63 7 e 1 63 8 , aprì la strada agli olandesi, che divennero i nuovi abitanti di Deshima. Fino a metà del XIX secolo, la relazione tra olandesi e giapponesi costituì la più importante influenza europea sul Giappone . 6 Nel XVII secolo Deshima era un remoto avamposto della rete com­ merciale olandese e la corrispondenza di molti di coloro che vi staziona­ vano divenne per l'Occidente la principale fonte delle prime informazioni sul Giappone . In Giappone, l'isola divenne nota anche come un centro di

5 Le prime relazioni dei commercianti portoghesi, nel decennio del l 540, attirarono l'at­ tenzione degli imprenditori missionari gesuiti, che vi scorsero l'opportunità di portare avanti gli interessi sia commerciali, sia spirituali; cfr. NEWITI 2005, p. 1 3 5 . 6 L a Compagnia Olandese delle Indie Orientali è spesso menzionata come VOC (Vereeni­ gde Oost-Indische Compagnie). La rivolta di Shimabara iniziò non molto lontano dal distretto orientale di Nagasaki quando decine di migliaia di contadini e di loro alleati, molti dei quali cristiani, insorsero contro le autorità locali. La rivolta fu infine domata alla caduta del castello di Hara nell'aprile 1 638, ma nel periodo successivo la messa al bando del cristianesimo fu ap­ plicata rigorosamente e i portoghesi furono infine espulsi. Gli olandesi, che si erano schierati col vincente shogunato di Tokugawa, avviarono i commerci da Deshima nel 1 64 1 . In ossequio alla politica unilaterale di isolamento nazionale (sakoku), le sole altre navi straniere autorizzate a entrare in Giappone erano quelle cinesi.

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2 5 . RINNOVAM ENTO

apprendimento di alcune discipline scientifiche e tecnologiche . Essa eserci­ tava un'attrazione magnetica sugli studenti di Rangaku, o "Studi olandesi" , e attraverso le menti inquisitive di una serie di tre medici-botanici, Kaem­ pfer, Thunberg e Siebold, tutti al servizio degli olandesi, Deshima divenne anche la via attraverso la quale la scienza occidentale venne a conoscenza per la prima volta delle piante dell'Asia orientale . Quasi certamente l'isola fu anche uno dei porti dai quali il ginkgo per la prima volta intraprese il suo viaggio dall'Asia orientale all' Europa . Engelbert Kaempfer, il primo dei medici-botanici olandesi a stabilirsi a Deshima, fu allevato a Lemgo, in Germania settentrionale, a mezza strada tra Amsterdam e Berlino. Secondogenito del pastore della chiesa di San Nicola, egli veniva da una famiglia istruita e dal 1 674 al 1 676 studiò lingue, storia e medicina all'Università di Cracovia. In seguito, si recò per quattro anni a Konigsberg in Prussia, per studiare scienze naturali e medicina e nel 1 68 1 si trasferì in Svezia, all'Università di Uppsala. Il viaggio che portò Kaempfer in Giappone ebbe un improbabile inizio a Stoccolma alla corte di Carlo Xl. In seguito, seguì una strada ancor più improbabile, via terra attraverso la Russia e l'Iran quando Kaempfer fu designato segretario della legazione svedese presso la corte persiana . La legazione si recò ad Isfahan, in Iran centrale, passando da Mosca - dove Kaempfer si recò in udienza da Pietro il Grande e dal fratellastro lvan V - e alla fine arrivò alla corte del Sultano nel marzo del 1 684. Nel complesso, la missione svedese non fu un successo, ma Kaempfer a quel momento fu assunto dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali e per qualche tem­ po prestò servizio come medico alla base commerciale olandese di Bandar Abbas, nel Golfo Persico. Durante la sua permanenza, studiò le piante lo­ cali e fece attente osservazioni sulla raccolta dei datteri, di cui pubblicò un resoconto dettagliato al suo ritorno in Europa. Nel giugno 1 688, al servizio degli olandesi, Kaempfer lasciò la Persia e intraprese un viaggio che lo porto a Masqat, sulla costa indiana, in Sri Lanka e infine alla sede di Batavia della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, in Indonesia, vicino all'attuale Giakarta. Egli vi arrivò nel se t­ tembre 1 689 e agli inizi del maggio successivo partì per il Giappone . Nella sua opera postuma La storia del Giappone, Kaempfer narra il suo viaggio dall'Indonesia al Giappone meridionale , comprensivo di un mese trascorso in Siam, la Thailandia dei giorni nostri. Quando Kaempfer arrivò a Deshima, gli olandesi erano virtualmen­ te prigionieri. Le loro attività e specialmente le interazioni tra olandesi e giapponesi erano sottoposte a stretto controllo. Nei mesi invernali Deshi­ ma ospitava solo poche decine di residenti olandesi aiutati da collaboratori giapponesi impegnati in varie mansioni, da interpreti a cuochi, ma quando - 1 63 -

PARTE V - STORIA

arrivavano le navi il porto brulicava di olandesi e giapponesi mentre le navi venivano scaricate , le vendite concluse, gli ordini presi e il nuovo carico stivato per il lungo viaggio di ritorno in Europa. Mentre il contingente olandese stanziato a Deshima andava e veniva, l' anno seguiva un ciclo regolare. All a fine dell'estate e all'inizio dell'au­ tunno arrivavano le navi da Batavia, cariche di merci europee e tropicali. All 'inizio dell' autunno venivano scaricate e rifornite in tempo per ripartire prima che il tempo peggiorasse all' arrivo dell'inverno. In primavera, il capo della missione olandese, trattato alla stregua di un signore feudale giappo­ nese

(daimyo),

conduceva una delegazione a Edo, la moderna Tokyo, per

l? agare il tributo e presentare i suoi rispetti e doni all a corte dello shogun. E lo stesso viaggio che Siebold fece più di un secolo dopo. Il viaggio richie­ deva circa un mese in ciascuna direzione e per gli olandesi era un'ottima opportunità di vedere e imparare qualcosa in più sul Giappone. Nei due anni trascorsi in Giappone , Kaempfer fece due volte il viag­ gio a Edo. Nella Storia del Giappone fa un vivido resoconto «dei due viaggi dell'autore alla corte imperiale di Jedo, la città dove risiede l'imperatore», e descrive i preparativi per il viaggio, gli edifici e le altre strutture che egli vide. Descrive come ha viaggiato, le strutture nelle quali ha soggiornato, le persone incontrate e gli eventi accaduti durante il viaggio. Egli descrive anche in dettaglio la sua permanenza nella «Città di Jedo, il suo castello, il palazzo, con un resoconto di ciò che è avvenuto durante la nostra perma­ nenza nel luogo ; la nostra udienza e la partenza» . Scrive Kaempfer: Andai io stesso due volte alla corte dell'imperatore con mia grande soddisfa­ zione: la prima volta, nell'anno 1691 con Henry von Butenheim, un gentiluomo di grande candore, affabilità e generosità . . . la seconda volta, nel 1692, con Cor­ nelius van Outhoorn, fratello del governatore generale di Batavia, gentiluomo di grande erudizione , eccellente sensibilità e molto versato in diverse lingue . . .

Kaempfer continua: In primo luogo usciamo da Nagasaki per attraversare via terra l'isola di Kyu­ shu fino alla città di Kokura, dove arriviamo in cinque giorni. Da Kokura pas­ siamo lo stretto in piccole imbarcazioni dirette a Simonoseki, distante circa due leghe da dove troviamo il nostro summenzionato barcone ancorato e in attesa del nostro arrivo, essendo questa baia molto conveniente e sicura . . . a Simonoseki sa­ liamo sul nostro barcone per proseguire da lì fino a Osaka, dove arriviamo in otto giorni, più o meno, secondo se il vento si mostra favorevole o contrario.

Egli prosegue: Osaka è una città molto famosa per la quantità dei suoi commerci e la ricchez­ za dei suoi abitanti. Si trova a circa 13 leghe d'acqua giapponesi da Fiogo, che per-

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2 5 . RINNOVA ME NTO

corriamo in piccole barche, lasciando il nostro barcone in quel luogo ad aspettare il nostro ritorno. Da Osaka andiamo ancora via terra, sul continente della grande isola Nipon, fino a Jedo, residenza dell'imperatore, dove arriviamo in 14 giorni o più. La strada da Osaka a Jedo è chiamata dai giapponesi Tookaido, cioè la via del mare o della costa. Rimaniamo a Jedo circa 20 giorni o più e dopo aver avuto la nostra udienza con sua maestà imperiale e offerto i nostri rispetti ad alcuni dei suoi principali ministri e ai grandi favoriti, ritorniamo a Nagasaki per la stessa via, completando il nostro intero viaggio nel tempo di circa tre mesi. 7

Kaempfer fece buon uso dei suoi viaggi a Edo e del tempo trascorso in Giappone . Quando si imbarcò, l'ultimo giorno di ottobre 1 692, per ri­ entrare a Batavia e da lì in Europa, egli portò con sé una ricca collezione di campioni, libri e oggetti culturali: si tratta del primo tentativo di un eu­ ropeo volto a raccogliere reperti che riflettono l'ambiente e la cultura del Giappone. Nel mese di maggio dell'anno successivo, Kaempfer arrivò a Città del C apo e il 6 ottobre 1 693 ad Amsterdam. Kaempfer aveva deciso di dedicare il suo tempo a scrivere il resoconto dei suoi viaggi, ma il suo libro Amoenitatum Exoticarum non fu pubblicato

fino al 1 7 1 2 , venti anni dopo la sua partenza dal Giappone . È un lavoro stra­ ordinario, ricco di osservazioni originali, con la storia del viaggio via terra

in Persia e poi nel sud-est asiatico. Egli aggiunge anche resoconti di ele­ menti naturali e culturali che catturavano il suo interesse, come il tè giap­ ponese , e descrive le piante incontrate , molte delle quali completamente sconosciute alla scienza occidentale. Vi sono incluse le prime descrizioni occidentali di diverse piante giapponesi, comprese molte , come il ginkgo, che erano state introdotte dalla Cina. 8 A pagina 8 1 1 delle

Amoenitatum Exoticarum,

nella sezione dedicata agli

alberi da frutto e da semi eduli, Kaempfer inserisce l'illustrazione di un ra­ metto di ginkgo con le sue distintive foglie , con l'iscrizione

Ginkgo. Vel Gin an, vulgò Itsjò.

«[B��' N.d.T.]

Arbor nucifera folia Adiantino». Questa è la

prima illustrazione occidentale del ginkgo, probabilmente disegnata dallo stesso Kaempfer. Il bozzetto originale si trova nel carteggio Kaempfer alla British Library. Decenni dopo, nel 1 775 , l'incarico di Kaempfer fu preso da Carl Pe­ ter Thunberg, un dotato e curioso allievo di Linneo. Incrementando i dati pubblicati da Kaempfer, la Flora]aponica di Thunberg fu il primo resoconto

7 Citazione da KAEMPFER 1 690· 1 692. Kaempfer, come molti dei primi esploratori europei in Giappone, descrive lo shogun come imperatore. s Cfr. STEARN 1 948 per un resoconto dei viaggi di Kaempfer e anche l'accurato Forum En­ glebert Kaempfer (http: / / wolfgangmichel.web.fc2.com / serv l ek/ index.html); cfr. MICHEL 2009.

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PARTE V

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STORIA

dettagliato delle piante del Giappone . Pochi anni dopo, nel l 779, Isaac Ti­ tsiugh arrivò in qualità di Opperhoofd della stazione commerciale olandese. In quanto chirurgo, studioso e commerciante egli divenne una figura chia­ ve nelle relazioni europee con Giappone e Cina del tardo XVIII - primo XIX secolo.9 In tutta la sua storia, l'esportazione di ceramiche è un settore redditi­ zio del commercio che si svolgeva a Deshima e alcune di queste cerami­ che , dell'inizio del XVIII secolo, sono una prova diretta dell'interesse che le potenzialità estetiche del ginkgo esercitavano sugli artigiani che creavano porcellane di alta qualità. Le foglie di ginkgo compaiono occasionalmen­ te tra i molti motivi vegetali che decorano le straordinarie coppe, piatti e molti altri oggetti creati nelle fornaci della regione di Arita come doni spe­ ciali per lo shogunato. Nel museo ceramico di Kyushu una di queste coppe bianche mostra tre foglie di ginkgo disposte in cerchio. Ancor più sorpren­ dente è un grande piatto piano con due tozzi rami di ginkgo verticali, ben identificabili sullo smalto blu cobalto dello sfondo e coperti con foglie di ginkgo. Alcuni decisi elementi orizzontali, poco sopra il punto centrale, rappresentano la nebbia che passa attraverso i rami. Questo manufatto è stato prodotto nella fornace Okawachi di Hizen tra il 1 700 e il 1 730, non molto tempo dopo il soggiorno di Kaempfer nella vicina N agasaki. Molti grandi alberi di ginkgo che ancora vivono in quella regione del Giappone erano certamente vivi al tempo di Kaempfer, Thunberg e Siebold. 1 0

9 Le raccolte di Thunberg giapponesi e di altra provenienza sono custodite all'Università di Uppsala. IO Il piatto di porcellana con ginkgo è illustrato alla Figura 1 84 del Catalogo Ohashi (ÒHASHI 2006) e il disegno a p. 139 del presente volume.

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Fig. 27. L'isola artificiale di Deshima nella baia di Nagasaki, sede di E. Kaempfer, C. P. Thunberg e P.F. von Siebold quando erano al servizio della Compa­ gnia Olandese delle Indie Orientah. Fig. 28. Il disegno pubblicato da E. Kaempfer nel 1 7 1 2 . Si tratta della prima illustrazione di questa pianta fatta da un botanico occidentale. In basso si nota la scritta a matita "Ginkgo biloba L . " , aggiunta in seguito.

27

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30

Fig. 2 9 . Il campione d ' erbario che Linneo h a utiliz­ zato per creare il binomio Ginkgo biloba nel l 7 ì l . Fig. 3 0 . Un ginkgo sagomato a spalliera all' Universi­ tà di Cambridge. Inghilterra.

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Fig. 3 1 . G i m·ani g i n kgo presso i l \ l u s eo d i Storia :\ a tu r a l e d i L o n d r a . Fig 3 2 G i n kgo m o n u m e n t a l i presso S e u i . C o re a del S u d .

Fig. 3 3 . C n elegante ginkgo in un parco della C orea del Sud.

26.

Scelta del nome

Se non si conosce il nome delle cose, anche la loro conoscenza va perduta. Carlo Linneo, Philosophia Botanica. 1 Forse la cosa più strana riguardo all'introduzione in occidente del gin­ kgo da parte di Kaempfer è la parola stessa, tanto che molto è stato scritto per chiarire come abbia scelto questo nome apparentemente strano. Per capire come e perché Kaempfer si è fissato sul nome ginkgo è importante sapere come era chiamata la pianta in Giappone al tempo della sua perma­ nenza, alla fine del XVII secolo. Quando il ginkgo fu introdotto in Giappone, nel XIII o XIV secolo, probabilmente arrivarono anche i nomi che gli erano più comunemente attribuiti in Cina. Tra questi vi è il nome "albicocca d'argento" , ancora in

uso oggi. In caratteri cinesi questo nome è scritto ��:=a e in giapponese si scrive allo stesso modo con i sinogrammi (kanji). I caratteri devono essere sembrati strani a Kaempfer ma li ha copiati accuratamente nel suo libro. Egli scrisse '1\lbicocca d' argento" come :=a�� piuttosto che ��:=a perché a

quel tempo in Giappone si scriveva da destra a sinistra. Kaempfer quindi riprese quei caratteri nella traslitterazione delle due parole che i suoi tra­ duttori giapponesi usavano per indicare l' albero : Gin e Itsjò. Nelle prime menzioni che si trovano nei testi storici cinesi, il ginkgo ha due nomi,

��:=a, albicocca d' argento, e '-�Htll , piede d' anatra. In epoca po­

steriore, a partire dalla dinastia Yuan, si cominciò a usare anche altri nomi:

l

LINNAEUS 1 7 5 1 .

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PARTE V - STORIA

a ;!f!:, frutto bianco; 01-*fM, albero nonno-nipote; a �lt occhio bianco. Tra questi, pei kuo o baiguo, cioè frutto bianco, è il nome colloquiale più co­ munemente usato in Cina, sebbene ��-=a, albicocca d'argento, sia usato più spesso nei testi scritti. Nel Giappone moderno, tuttavia, come al tempo di Kaempfer, quando si scrive ginkgo in sinogrammi, ��:a, si può pronuncia­ re in due modi, icho e gin'nan. Shihomi e Terumitsu Hori hanno esaminato l'origine di queste pronunce e suggeriscono che esse rappresentino un'al­ terazione della pronuncia originale dei due nomi cinesi del ginkgo, piede d'anatra e albicocca d'argento. In cinese standard questi caratteri sono letti yajiao e yinxin, ma nel dialetto deljiangsu meridionale e dello Zhejiang set­ tentrionale, la regione della Cina dalla quale proveniva la nave di Shinan e con la quale il Giappone aveva forti legami commerciali, '-�gtp si pronuncia ai cho e ��-=a nin an.2 I collegamenti tra le traslitterazioni di Kaempfer - "ltsjò" e "Gin an" - e gli equivalenti in giapponese moderno, rispettivamente "icho" e "gin'nan" , sono abbastanza chiari, ma da dove deriva il termine ginkgo? Shihomi e Terumitsu H ori hanno indagato attentamente questo problema con l'aiuto di una caratteristica distintiva del linguaggio giapponese. Frequentemente, quando si usa un sinogramma, esso può essere accompagnato da una sill a­ bazione fonetica, la cosiddetta kana. Esaminando la kana associata ai caratteri cinesi ��:a, albicocca d' ar­ gento, in vari dizionari e libri giapponesi pubblicati tra il XV e il XVIII se­ colo, gli Hori fecero una scoperta straordinaria. In quasi tutti i lavori che hanno studiato, la pronuncia di ��:a è generalmente data o come "icho" o come "gin'nan" o come una ovvia variante di una delle due. Comunque, in due dizionari illustrati giapponesi del XVII secolo, in uso nel periodo in cui Kaempfer era in Giappone, la pronuncia è data come "ginkyo" . Nel Kaga­ ku-shu, un dizionario pubblicato tra il 1 6 1 7 e il 1 6 1 9 , la pronuncia di ��:a è data come "icho" e "ginkyo" , mentre nel Kinmo Zui, pubblicato nel 1 666, la pronuncia è data come "gin'nan" e "ginkyo" . Nella decade del 1 940 A. C . Moule esaminò attentamente i manoscritti di Kaempfer, conservati nella British Library, dove trovò una decina di ri­ ferimenti alla pianta alla quale Kaempfer dette il nome ginkgo e notò, in particolare, che "Gin'nan 32" è descritta come Catalogus Plantarum Iaponi­ carum in Kin mo chjju i. Shihomi e Terumitsu Hori evidenziano che ciò si riferisce quasi certamente al Kinmo Zui e fanno un ulteriore importante col­ legamento nel rendersi conto che Kaempfer, una volta in Giappone, ebbe delle copie di questo libro. Non possono esserci molti dubbi che Kaempfer z

Per altre notizie sull'etimologia di Ginkgo cfr. Horu - Horu 1 997.

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26. SCELTA D E L N O M E

si riferisse al Kinmo Zui sia quando era in Giappone, sia nella stesura delle Amoenitatum Exoticarum, e che questa sia la fonte del nome ginkgo. Con il successivo riconoscimento da parte di Linne o, questa è probabilmente diventata la più internazionalmente riconosciuta tra tutte le parole giappo­ nesi del XVII secolo. 3 C'è un quesito finale, forse il più difficile: perché Kaempfer ha scritto ginkgo anziché ginkyo? Questo è particolarmente affascinante perché nella prefazione del suo libro Kaempfer spiega di avere posto particolare atten­ zione alla trascrizione più accurata possibile del linguaggio giapponese. Egli ha attentamente ascoltato la pronuncia delle parole e dei suoni e ha sviluppato un sistema di regole per trasferirle su carta. Visto che Kaemp­ fer era così meticoloso, Shihomi e Terumitsu Hori indicano che i nomi di piante trascritti in alfabeto latino nelle Amoenitatum Exoticarum fissano vividamente la pronuncia di quei nomi usata dalle persone che vivevano in Giappone alla fine del XVII secolo. Quindi, se Kaempfer ha udito ginkyo, perché lo trascrisse come ginkgo? Alcuni hanno ipotizzato che la grafia di ginkgo fosse un banale errore ortografico di Kaempfer o del tipografo, ma gli Hori pensano che ginkgo sia la vera grafia voluta da Kaempfer. Essi suggeriscono che la misteriosa seconda g di ginkgo sia un retaggio delle radici culturali di Kaempfer, svi­ luppatesi in Germania settentrionale. Nei dialetti di quei territori, il suono della j è spesso trascritto con una g. Per esempio Kaempfer avrebbe potuto dire "jut" ma lo avrebbe scritto "gut" . Shihomi e Terumitsu Hori sugge­ riscono, considerato il contesto delle sue origini, che Kaempfer abbia tra­ scritto "ginkyo" proprio come lo ha sentito.4 Qualunque sia l'origine della seconda g di ginkgo, il più ampio significa­ to del viaggio di Kaempfer in Giappone fu immediatamente riconosciuto dopo la pubblicazione delle Amoenitatum Exoticarum. Dopo la sua morte, avvenuta il 2 novembre 1 7 16, le sue raccolte furono messe in vendita e 3 Kaempfer possedeva due copie del Kimno Zui. Una è la prima edizione del 1 660, l'altra una edizione posteriore lievemente diversa, pubblicata nel 1 668. Entrambe fanno parte della Kaempfer's japanese Library nella British Library. 4 L'origine tedesca anziché orientale della seconda g di ginkgo è un'ipotesi affascinante, ma Wolfgang Miche!, uno studioso di Kaempfer, mette in evidenza che Kaempfer trascrisse con una y altre parole giapponesi, inclusi nomi di piante, contenenti le sillabe "kyo" o "kyo" . Miche! ritiene più probabile che Kaempfer abbia commesso u n errore: cfr. l e sue note di ricer­ ca (MICHEL 2009). Un'ipotesi alternativa suggerisce che Kaempfer abbia seguito accuratamente la pronuncia del suo interprete, Genomon Imamura (VAN DER VELDE 1 995), e abbia trascritto ginkyo nella pronuncia del dialetto regionale parlato all'epoca a Nagasaki. Per esempio, la parola fragola, ichigo, è tuttora pronunciata itzigo nel dialetto di Nagasaki e cos ì l'ha trascrit­ ta Kaempfer in Amoenitatum Exoticarum ( Toshiyuki N agata, Hosei University, comunicazione personale).

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PARTE V - STORIA

prontamente acquisite da Sir Hans Sloane, un ricco e avido mecenate del­ le scienze nel periodo illuministico. Fu Sloane che, più di ogni altro, assi­ curò che Engelbert Kaempfer e il suo lavoro non cadessero nell 'oblio e fu grazie a Sloane che parti significative delle collezioni uniche di Kaempfer, che documentano uno dei primi incontri occidentali con il ginkgo e con il Giappone, sono state conservate per i posteri e sono pervenute a Londra.5 Sloane era un collezionista inveterato, con un interesse particolare verso le piante. Ha raccolto piante in Inghilterra meridionale e i n Francia meridionale, ma il suo nome sarà per sempre associato alle piante raccolte nei 1 5 mesi di servizio come medico del governatore della Giamaica, n duca di Albemarle. Sloane fece ritorno dalle Indie occidentali nel 1 689 con una raccolta di 800 campioni di piante essiccate e osservazioni originali sufficienti per un ponderoso libro in due volumi; egli scoprì anche che nel frattempo il re cattolico Giacomo II era stato sostituito dal protestante Guglielmo d 'Orange.6 Di ritorno a Londra, Sloane avviò un redditizio studio medico, situato a Bloomsbury, che soddisfaceva le necessità sanitarie di alcune delle figure più influenti e benestanti dell 'epoca. Di conseguenza, Sloane divenne a sua volta famoso, benestante, e sempre più influente. Fu ammesso alla Royal Society nel 1 685, ne divenne il segretario nel 1 69 3 e nel 1 69 6 pubblicò il suo Catalogus Plantarum, con l 'elenco di tutte le piante incontrate in Giamaica. La sua opera più conosciuta in due volumi, Natural History of ]amaica, apparve nel 1 707 e nel 1 725. n primo volume, che tratta principalmente di piante, contiene la prima segnalazione in ingle­ se riguardo all'uso del cioccolato. Nel 1 7 19 Sloane divenne presidente del Royal College of Physicians, carica che mantenne fino al 1 73 5 . Nel 1 727, egli succedette a Sir Isaac Newton come presidente della Royal Society.7 Una delle grandi passioni scientifiche di Sloane er a l'acquisizione di importanti collezioni di piante raccolte durante le esplorazioni europee dell'epoca, condotte in diverse parti del mondo. Fu questa passione che preservò il lascito di Kaempfer. La straordinaria raccolta di collezioni di Sloane è la più vasta e storicamente importante raccolta di primi campioni botanici di tutto il mondo e documenta lucidamente la rapida espansione della conoscenza scientifica riguardo alla diversità vegetale nel XVII seco5 Per ulteriori notizie sulle collezioni di Kaempfer di manoscritti, disegni, note, mappe, libri e altri materia li, inclusi 49 libri con xilografìe, cfr. HtiLS - HOPPE 1 982. 6 Per altre notizie sulla vita, le conoscenze e le collezioni di Sloane, cfr. DANDY 1 958 e MACGREGOR 1 99 4. 7 Sloane fu presidente della Royal Society dal 1 727 al 17 41 e divenne uno dei più influenti mecenati della scienza del suo tempo.

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26. S C E LTA D E L N O M E

lo e all'inizio del XVIII. Complessivamente, la raccolta di Sloane consiste di 337 collezioni separate, conservate in 265 enormi libri lussuosamente rilegati con copertine di pelle verde, oggi ospitate nell'ex Dipartimento di Botanica, ora sezione del Dipartimento di Scienze della Vita, nel Natural History Museum a Londra. 8 La collezione 2 1 1 di Sloan è etichettata «H.S. 2 1 1 , ff Volumen Pianta­ rum in japonia collectarum ab Engelberto Kaempfero M.D. anni 1 69 1 et 1 692. Additae sub finem Plantae aliquote ab modem in Persia et Insula Ceylan repertae». È uno degli erbari più consultati tra tutti quelli che si trovano nella collezione Sloane. Nessun altro erbario contiene campio­ ni raccolti così presto in Giappone e, di conseguenza, esso è una risorsa fondamentale per lo studio scientifico delle piante giapponesi. Per questo motivo, l'erbario Kaempfer di Sloane è stato studiato da alcune delle più grandi figure della storia della botanica, incluso Daniel Solander, che ac­ compagnò Banks nel primo viaggio di Cook in Australia, e Robert Brown, il grande botanico che per primo osservò nelle cellule il moto browniano. Fu consultato anche da Carl Peter Thunberg e Franz von Siebold, i succes­ sori di Kaempfer a Deshima. La collezione Kaempfer era ben nota anche a j.E. Smith che nel 1 786, in uno dei più strani episodi della storia dello studio scientifico del ginkgo, si prese la responsabilità di rinominare il ginkgo Salis bu.ria adiantifolia, «in onore di Richard Anthony Salisbury, Esq. , F.R.S. e F.L.S. , della cui acutezza e infaticabile zelo a servizio della botanica nessuna testimonianza è neces­ saria in questa società [Linneana], o in qualsiasi luogo raggiunto dai suoi scritti». Salis bu.ria è stato usato in luogo di Ginkgo in parte della letteratura botanica del XIX secolo, ma non ha mai realmente fatto presa e secondo le moderne regole internazionali di nomenclatura botanica il nome Ginkgo ha la precedenza. Salis bu.ria è considerato un sinonimo invalido.9 Oltre a ottenere la collezione di piante di Kaempfer, Sloane ottenne anche le sue carte; il manoscritto Sloane 29 14, ora nella British Library, è intitolato di mano di Kaempfer «Delineato Plantarum Japonicarum manu Engelberti Kempferi». È un volume di 2 1 7 disegni in folio di piante giaps Il materiale giapponese di Kaempfer è nel Volume 21 1 dell'Herbarium Sloane. I cam­ pioni di ginkgo raccolti da Kaempfer stanno su due pagine. Sul folio 91 ci sono campioni di tre tipi di piante, tra i quali piccole parti di macroblasti di ginkgo e una singola foglia. Sul folio 1 03 ci sono nove diverse piante, una singola foglia, ben disposta, di ginkgo, forse di una plantula. Sotto di essa, in inchiostro, in latino, nella grafia allungata e sottile di Kaempfer, vi è la scritta >, cfr. QuAMMEN 1 998, p. 7 1 , che prende in prestito da Hobbes questa frase famosa. La citazione di Gangloff è tratta da BROWN 2006.

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3 0 . STRADE

alberi di ginkgo incuneati nella pavimentazione del mio vecchio quartiere del South Loop di Chicago spingevano le radici tra i resti della vecchia linea ferroviaria che una volta entrava nella stazione di Dearborn, ma nonostan­ te tutto stavano bene. 1 3 Quando vedete un grande albero stradale dalla elegante chioma, prova­ te ad immaginare che aspetto può avere nel sottosuolo. In media la biomas­ sa sotterranea di un albero è solo un quinto o un sesto di quella aerea, ma per un albero di buona taglia ciò significa comunque un' enorme quantità di radici. Quando si trovano sotto una pavimentazione impermeabile che si stringe intorno alla base del tronco, le radici ricevono solo una minuscola frazione dell'ossigeno e dell'acqua piovana che riceverebbero in un conte­ sto naturale. Tipicamente, le radici dei popolari alberi stradali riescono a cavarsela con poca acqua e poco ossigeno. Molti degli alberi più rustici e più diffusamente piantati, quali il platano comune, lo storace americano, il cipresso calvo e l'acero rosso sono piante di golena, con radici adattate alla scarsa disponibilità di ossigeno. Anche il ginkgo può trarre vantaggio dalla sua lunga associazione con i fiumi. Sovente, la estesa rete formata dalle radici degli alberi sotto i marcia­ piedi, i vialetti di accesso e le strade costituisce un assillo per i proprietari di case e le amministrazioni locali. Un ex collega britannico ebbe grande successo come esperto nell'identificazione di radici arboree. La sua consu­ lenza era molto richiesta da parte di privati e compagnie di assicurazioni intenzionati a scoprire i proprietari degli alberi che danneggiavano le fon­ damenta delle case. n problema si pone anche nell'altro senso: la maggior parte del capillizio radicale, che è la parte più importante per l'assorbi­ mento di acqua e nutrienti, si rinviene nei primi trenta centimetri di suo­ lo. Quando il capillizio è schiacciato da cemento, veicoli e pedoni, le parti aeree dell'albero cominciano a morire. n ginkgo tollera il compattamento radicale meglio della maggior parte degli alberi, ma in certi casi avere la meglio nello scontro di volontà con il marciapiede può scatenare altre conseguenze. Nel 2007, a Everett, Penn­ sylvania, un pedone inciampò sulla pavimentazione rovesciata dalle radici del ginkgo alto 20 m posto di fronte alla locale biblioteca. Il consiglio della biblioteca raccomandò la rimozione dell'albero. Tuttavia, senza perdere troppo tempo, i rappresentanti dei cittadini lanciarono una campagna per salvare il ginkgo, sostenuta da una petizione fatta circolare dal liceo locale, 1 3 Secondo studi condotti in Inghilterra, il ginkgo può prosperare nelle estati calde e può trarre benefici da condizioni più calde a patto che vi sia sufficiente disponibilità di acqua (FIELD­ HOUSE HITCHMOUGH 2004). �

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PARTE VI

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USO

concerto di beneficenza con tanto di magliette, ma anche da ciotole e tappi per bottiglie di vino fatti con le cimature dei rami del ginkgo. I loro sforzi sortirono il duplice effetto di salvare il pregiato ginkgo e di raccoglie­ re i 1 5 .000 $ necessari per ripristinare la pavimentazione. 14 Nelle corso della campagna, il rinnovato interesse nei confronti dell'al­ bero permise di scoprire che si trattava a tutti gli effetti di un sopravvissuto. L'albero era l'ultimo di tre ginkgo piantati in onore dei tre figli del fondato­ re della città - allora chiamata Blood Run - nel 1 86 1 , allorquando partirono per combattere nella Guerra Civile sotto la bandiera dell'Unione. L'albero fu ritrovato anche in vecchie fotografie della parata del Quattro Luglio in Main Street, scattate nella decade del 1 920, e in altre, nelle quali lo si ammi­ ra sovrastare le acque della famigerata inondazione che invase la città nel giorno di San Patrizio del 1 936. Inoltre, si scopri che il ginkgo di Everett era già stato salvato in passato, nel 1 985, quando l'amministrazione aveva provato a allargare la strada dove esso vive. Un gruppo di anziane signore aveva allora minacciato di incatenarsi all'albero. Può darsi che la resilienza non sia che una parte della storia del successo del ginkgo e che il resto sia dovuto al suo carisma.

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14 I ginkgo danneggiati talvolta sono considerati lenti a isolare (compartimentalizzare) le parti danneggiate dell'albero, ma il dendrochirurgo che ha lavorato sul ginkgo di Everett ha riferito «L'albero aveva compartimentalizzato meglio di qualunque albero io abbia mai visto, e faccio questo mestiere da 46 anni»; cfr. MALLOW 2008.

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31.

Farmacia

In tutte le cose naturali c'è qualcosa di meravi­ glioso. Aristotele, Le parti degli animali. 1

Un venerdì pomeriggio, a Kew, al termine di una settimana tormen­ tata, la mia segretaria - che mi sopporta da anni - mi confidò di far parte dei dieci milioni di europei che si stima assumano regolarmente estratti di foglie di ginkgo. «Oh sì», disse, «è da qualche tempo che prendo il ginkgo per la memoria - quando me ne ricordo». In occidente, il ginkgo oggi è un comune rimedio erboristico. In oriente, l'interesse per le proprietà salutari del ginkgo risale a molto tempo fa. Si può dire che da quando sono apprez­ zate le noci di ginkgo, se ne riconosce anche il valore come medicamento. Secondo alcune fonti, l'uso medicinale del ginkgo risale al 2800 a.C . , epoca della prima farmacopea della medicina tradizionale cinese, attribuita alla figura - forse mitica - di Shen Nung. Comunque, la prima indiscussa memoria scritta riguardo al ginkgo viene molto più tardi e nessun origi­ nale dell'opera di Shen Nung è arrivato fino a noi. La prima comparsa del ginkgo si rileva in copie della farmacopea di Shen Nung dell'XI-XII secolo, all'incirca lo stesso periodo in cui comincia ad apparire in altre fonti scritte. Di sicuro il ginkgo è usato in medicina da quasi un mille nnio, ma probabil­ mente non da tre o quattro. Nelle leggende e nel folclore cinese, coreano e giapponese, il ginkgo è spesso associato a salute e longevità. Ad esempio, nella Corea del Sud la l

Aristotele, 350 a.C., in 0GLE 1 9 12.

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USO

leggenda dei due ginkgo di Myeoncheon si collega a Bokji-gyeom, uno dei fondatori della dinastia Goryeo. La leggenda lo ritrae colpito da una malat­ tia incurabile, che ha spinto la figlia a inerpicarsi sul Monte Ami e pregare per cento giorni. Sul monte, la ragazza incontra un eremita taoista, che le dice «Prepara un Dugyeonju [vino fatto con fiori di azalea] . . . e bevi il vino». Poi, dopo altri cento giorni, le dice «Pianta due ginkgo, dedica tutta la tua mente alla preghiera e ciò curerà tuo padre». Dopo che la figlia ha seguito scrupolosamente le istruzioni, Bokji-gyeom guarisce.2 Spesso il ginkgo è associato anche alla fertilità e in questo caso diven­ tano importanti specialmente i chi-chi, manifestazione orientale della "dottrina delle segnature" degli erboristi. Talvolta, i chi-chi di forma fallica diventano punti focali per i nastri rossi di preghiera, che spesso vengono legati alle parti di vecchi alberi di ginkgo. Più frequentemente l'albero si collega all'allattamento dei neonati. In Giappone, la parola chi-chi si riferi­ sce esplicitamente ai seni. Secondo una leggenda, il gigantesco ginkgo di Nigatake, nella città di Sendai, fu piantato per esaudire l'ultimo desiderio di Byakkonni, balia dell'Imperatore Shoumu. Le donne con difficoltà di lattazione venerano ancora l'albero. 3 Nella medicina tradizionale cinese, s1 usano molto spesso i semi di gin­ kgo; si dice che i migliori siano «grandi, asciutti, bianchi, pieni e pesanti». Sono considerati di qualità particolarmente alta i semi provenienti dalla provincia di Guangxi, nella Cina sud occidentale. I semi si usano per cu­ rare malattie respiratorie e polmonari, talvolta in combinazione con parti di altre piante, quali fusti essiccati di efedra, radici di liquirizia e scorze di gelso. Sono stati usati anche per curare una vasta gamma di sindromi, dalle polluzioni notturne e secrezioni vaginali a carie, tigna, scabbia e piaghe. Oggi si continuano ad usare i semi di ginkgo come antitussivi, espettoranti e antiasmatici, ma anche nel trattamento delle infezioni alla vescica. I diversi usi medicinali richiedono diverse modalità di preparazione: i semi secchi non preparati, in genere col nome di yin hsing (albicocca argen­ tata), si usano per schiarire il muco e uccidere i parassiti, mentre quelli sec­ chi, fritti o cotti al forno, noti come cha beii gua (frutto bianco abbrustolito) 2 Questa leggenda è tratta dai pannelli esplicativi del ginkgo di Myeoncheon. In un'altra storia popolare, Lon po po, versione cinese di Cappuccetto Rosso, tre bambini sconfiggono in astuzia un lupo che vuole mangiarli, convincendolo con l'inganno a buttarsi giù, in una caduta mortale, da un albero di ginkgo; cfr. CA! 1 994. 3 Secondo la dottrina delle segnature, una pianta offre indizi della sua efficacia medicinale tramite la somiglianza con le parti del corpo umano. A lungo si è creduto che i chi-chi dei gin­ kgo derivassero da eccesso di nutrienti e che le madri in allattamento avrebbero tratto benefici da un infuso fatto con i trucioli. I segni dei trucioli sono evidenti su alcuni vecchi alberi, per esempio su quello del tempio dijounichiji in Giappone; cfr. Himi City, "The Jounichiji Ginkgo".

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3 1 . FA RMACIA

vengono ridotti in polvere e usati contro l'asma e le secrezioni vaginali. Per curare le piaghe, i semi freschi vengono tagliati a metà oppure si fa un cataplasma con i semi ridotti in polvere. Mi dice poi un collega di Singapore che i semi di ginkgo migliorano la carnagione. 4 La chimica del ginkgo è oggetto di studi da quasi duecento anni e oltre 1 70 diversi composti chimici sono stati estratti, e descritti, dai semi e dalle foglie. Alcuni composti sono alla base degli usi medici, mentre altri sono responsabili di alcune delle caratteristiche meno desiderabili del ginkgo. Nel 1 927 lo scienziato giapponese Kawamura isolò dal rivestimento car­ noso del seme tre nuovi composti chimici allergenici, l'acido ginkgolico, il ginkgolo e il bilobolo, e ne riscontrò la somiglianza chimica con i composti responsabili delle reazioni allergiche indotte dalla quercia velenosa (Toxico­ dendron diversilobum) e dall'edera velenosa (Toxicodendron radicans).5 Nel rivestimento carnoso del seme si trova anche l'acido butirrico, altra fonte di problemi. È questo composto che ha dato al ginkgo il soprannome "ginkgo stinko" (ginkgo puzzone), in voga tra alcuni cittadini americani, e ha condotto al bando degli esemplari femminili in molte città occidentali. Le descrizioni che accostano l'odore dei semi caduti al vomito e al burro irrancidito sono del tutto accurate; l'acido butirrico è il principale compo­ sto volatile di tutte e tre le sorgenti odorose. Ciò nonostante in alcuni casi, a dispetto dell'odore, il rivestimento carnoso dei semi di ginkgo ha trova­ to un proprio uso. Nell'antica Cina, esso era mescolato con la liscivia per produrre un sapone e veniva usato dai pescatori per supplementare l'esca per le carpe. Nel mese di febbraio del 2007, il gruppo di conservazione marina "Sea Sheperds" , in segno di protesta contro una spedizione giap­ ponese di caccia alla balena, spruzzò dell'acido butirrico contro i balenieri. Gli estratti della maleodorante polpa sono attivi contro funghi patogeni, ceppi resistenti di batteri e perfino chiocciole ospiti del parassita fasciola. Il vero valore dell'indesiderato prodotto di scarto della lavorazione dei semi di ginkgo rimane da vedere.6 4 IL termine cinese per indicare l a polpa d i una singola noce d i ginkgo, bai guo, signifi­ ca letteralmente "frutto bianco" . Per una descrizione dei molti usi delle noci di ginkgo nella medicina tradizionale cinese, cfr. FosTER - CHONGXI 1 992, p. 257. Le noci di ginkgo vengono schiacciate e applicate localmente per schiarire la carnagione. Gli estratti delle foglie, ricchi in flavonoidi, hanno evidenziato attività di rimozione di radicali liberi, che influenzano la pig­ mentazione. Ciò conferma i primi usi documentati dell'estratto di foglie nella medicina tra­ dizionale cinese, per la cura delle lentiggini; oggi si raccomanda l'estratto come trattamento alternativo della vitiligine; cfr. SoNI et al. 20 10, ZHu - GAo 2008. 5 La prima indagine chimica del ginkgo (PESCHIER 1 8 1 8) descrisse l'acido butirrico dei semi. 6 Secondo LouooN 1 838, >, 25, 1 994, pp. 1 69- 1 9 1 . CAMERARIUS 1 694 = R.]. CAMERARIUS, Ueber das Geschlecht der Pjlanzen. D e sexu plantarum epistola, Leipzig, Wilhelm Engelmann, 1 694. CAMPBELL-CULVER 2006 = M. CAMPBELL-CULVER, A Passion for Trees: The Legacy of]ohn Eve­ lyn, Londra, Transworld, 2006. CAMPONOVO - SOLDATI 2002 = F. CAMPONOVO - F. 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BROWN 1 992

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B I B L I O G RAFIA

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79 87 92 97 l 02 1 07

Parte IV - DECLINO E SOPRAVVIVENZA 1 7. 18. 19. 20. 21.

Vincolo . . . . Regresso . . . Estinzione . . Resistenza . . Retaggio . . .

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25 3

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1 15 121 125 131 136

INDICE

Parte V - STORIA 22. 23 . 24. 25 . 26. 27.

Antichità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Tregua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Viaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Rinnovamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Scelta del nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Ritorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

141 1 48 1 55 1 60 167 1 73

Parte VI - Uso 28. Giardini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29. Semi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 0 . Strade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1 . Farmacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» » » »

181 191 1 99 207

Parte VII - FUTURO Rischio Assicurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lascito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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217 22 1 226 233

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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23 7

32. 33. 34. 35.

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254

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FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA



CALENZANO (FI)

NEL M ESE DI GIUGNO 2020

GIARDINI E PAESAGGIO

l . FEDERICO MANIERO,

2.

3. 4. 5. 6.

Fitocronologia d 'Italia. 2000, VI-290 pp. Esaurito. Vedi nuova edizione aggiornata. 20 1 5 , n. 40. GIOVAN BAITISTA FERRARI, Flora overo cultura di fiori. Riproduzione in facsimile a cura e con introduzione di L. Tongiorgi Tomasi. Testi di A. Campitelli e M . Zalum. 200 1 , LVI-566 pp. ERCOLE SILVA, Dell'arte de' giardini inglesi. Nuova edizione a cura di G. Guerci, C . Nenci, L. Scazzosi. 2002, XXXIV-288 pp. con 4 0 ili. n. t. n giardino e la memoria del mondo. A cura di G. Baldan Zenoni-Politeo, A. Pietrogrande. 2002, x-260 pp. con 45 tavv. f. t. Ristampa 2005 . Culture and Nature. International legislative texts referring to the safeguard of natural and cultura! heritage. Edited by C . Afi6n Feliu. 2003 , Lxn-428 pp. LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. n verde nella cultura oc­ cidentale. 2003 , VI-390 pp. con 232 ili. n. t. e 14 tavv. f.t. a colori. Ristampa 2007.

7.

Paesaggio culturale e biodiversità. Principi generali, metodi, proposte operati­ ve. A cura di R. Colantonio Venturelli e F. Mi.iller. 2003 , XVI-258 pp. con 50 figg. n. t. e 14 tavv. f.t. di cui 13 a colori. 8. Oltre il giardino. A cura di G. Guerci, L. Pelissetti, L. Scazzosi. 2003 , vm4 1 4 pp. con 92 ili. n. t. e 14 tavv. f. t. a colori. 9. EuGENIO BArriSTI, Iconologia ed ecologia del giardino e del paesaggio. A cura di G. Saccaro Del Buffa. 2004, XIV-420 pp. con 1 1 2 figg. n. t. e 3 3 tavv. f. t. a colori. l O . MICHEL CONAN, Essais de poétique des jardins. 2004, xxvm-426 pp. con 1 46 figg. n.t. , 39 tavv. f.t. di cui 1 1 a colori. 1 1 . MICHAEL ]AKOB, Paesaggio e letteratura. 2005, 242 pp. Ristampa 20 1 7. 1 2 . Histories ofgarden conservation. Case-studies and criticai debates. Colloquio internazionale sulla storia della conservazione dei giardini. A cura di M . Conan, J. Tito Rojo, L. Zangheri. 200 5 , xiv-452 pp. con 1 43 ili. n.t. e 1 2 tavv. f. t . a colori. 1 3 . La cultura del paesaggio. Le sue origini, la situazione attuale e le prospettive future. A cura di R. Colantonio Venturelli e K. Tobias. 200 5 , XVI-326 pp. con 34 figg. n. t. e 32 tavv. f. t. di cui 24 a colori. 1 4 . Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architetture vegetali nel pa­ esaggio. Metodi di studio, valutazione, tutela. A cura di L.S. Pelissetti, L. Scazzosi. 2005, 2 tomi di complessive xiv-840 pp. con 1 89 figg. n. t. e 20 tavv. f. t. a colori. 1 5 . LUIGI ZANGHERI , 8RUNELLA LORENZI , NAUSIKAA M. RAHMATI, n giardino islamico. 2006, VI-484 pp. con 246 figg. n. t. e 83 tavv. f. t. a colori. Ristam­ pa 2 0 1 1 . 1 6 . MARIE LmsE GoTHEIN, Storia dell'Arte dei Giardini. Vol. l : Dall'Egitto al Rinascimento in Italia, Spagna e Portogallo. Vol. II: Dal Rinascimento in Francia fino ai nostri giorni. Edizione italiana a cura di M. de Vico Fallani e M. Bencivenni. 2006, 2 tomi di complessive xxiv- 1 1 70 pp. con 63 7 figg. n. t. e 4 tavv. f. t.

1 7.

Per un giardino della Terra.

A cura di A. Pietrogrande. 2006, xn-43 0 pp.

con 4 figg. n.t. e 52 tavv. f.t. di cui 3 7 a colori. 1 8 . MARIA PrA CuNICO, PAOLA MusCARI,

Giardini nell'Isola d 'Elba.

Collabora­

zione di A. Contiero, foto di A. Marchese. 2006, xrr- 1 88 pp. con 287 figg. n. t. 19. C HIARA SANTINI, n

giardino di Versailles. Natura, artiftcio, modello.

2007,

xvr-286 pp. con 2 7 figg. n. t. e 8 tavv. f. t. a colori. 20.

Bibliografta del giardino e del paesaggio italiano (1 980-2005).

A cura di L.

Tongiorgi To masi e L. Zangheri, 2008, xn- 1 72 pp. con CD- Rom accluso. 2 1 . CHARLOTTE DE LATOUR, n

linguaggio

dei fiori. Traduzione di G. Garufi.

2008, x- 1 40 pp. con 12 tavv. f.t. Ristampa 20 1 1 . 22. MARGHERITA ZALU M CARDON,

nel XVI e XVII secolo.

Passione e cultura deifiori tra Firenze e Roma

2008, xvrn-274 pp. con 62 figg. n. t. e 1 6 tavv.

f. t.

a

colori. 23 .

GABRIELE CAPECCHI, Cosimo II e le arti di Boboli. Committenza, iconografta e scultura. 2008, xn-228 pp. con 1 1 4 tavv. f. t.

24.

La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura. Manuale di teoria e pratica. A cura di P. Donadieu, H. Kiister, R. Milani. 2008, xrr- 1 92 pp. con 8 figg. n. t.

25.

Giardini storici: a 25 anni dalle Carte di Firenze: esperienze e prospettive. Vol . I: Bilanci a 25 anni dalle Carte di Firenze. Vol . II: Competenze e prospettive di gestione. A cura di L.S. Pelissetti e L. Scazzosi. 2009, 2 tomi di comples­ sive xxn-776 pp. con 205 figg. n.t. e 18 tavv. f. t. a colori.

26. MASSIMO DE Vrco FALLANI, n

vero giardiniere coltiva il terreno. Tecniche colturali della tradizione italiana. 2009, xvr- 1 78 pp. con 1 09 figg. n. t. di cui 36 a colori e 13 tavv. f.t. a colori.

27. RrTA PANATIONI,

to.

Con

un

San Rossore nella storia. Un paesaggio naturale e costrui­

saggio sull' evoluzione del paesaggio vegetale di

F.

Garbari.

20 1 0 , xxxn-23 0 pp. con 2 figg. n. t. e 32 tavv. f. t. a colori. 2 8 . KOJI KuwAKINO,

L'architetto sapiente. Giardino, teatro, città come schemi mnemonici tra il XVI e il XVII secolo. 20 1 1 , xxrv-326 pp. con 70 figg. n. t. e 7 tavv. f. t. a colori.

29.

Le paysage sacré. Le paysage comme exégèse dans l'Europe de la première mo­ dernité l Sacred Landscape. Landscape as Exegesis in Early Modern Europe. Sous la direction de D. Ribouillault et M . Weemans. 2 0 1 1 , xxxn-3 68 pp. con 83 figg. n. t. e 2 8 tavv. f.t a colori .

3 0 . PAOLA RoNCARATI, RossELLA MARcuccr,

Filippo de Pisis, botanico fldneur: un giovane tra erbe, ville, poesia. Ricostruita la collezione giovanile di erbe secche. 2 0 1 2 , xvr-208 pp. con 43 figg. n. t. di cui 36 a colori.

3 1 . MrcHAEL RoHDE,

La cura dei giardini storici. Teoria e prassi.

Edizione ita­

liana a cura di M. de Vico Fallani. 20 1 2 , xvm-590 pp. con 625 figg. n. t. di cui 4 1 8 a colori. 3 2 . PAOLA Dr FELICE,

L'universo nel recinto. I fondamenti dell'arte dei giardini e dell'estetica tradizionale giapponese. I. Con la traduzione di Sakuteiki (An­ notazioni sulla composizione dei giardini) . 20 1 2 , XLVI-206 pp. con 65 figg. n.t. e 8 tavv. f. t. a colori.

3 3 . PAOLA Dr FELICE,

L'universo nel recinto. I fondamenti dell'arte dei giardi­ ni e dell'estestica tradizionale giapponese, I I . Con la traduzione di Sansui narabini yagyo no zu (fllustrazioni delle forme di montagne, pianure e corsi d 'acqua) compilato dal monaco Zoen. 20 1 2 , XXVIrr- 1 60 pp. con 26 figg. n.t. e 4 tavv. f. t . a colori.

34.

Pietro Porcinai a Pistoia e in Valdinievole. A cura di C . M .

Bucelli e C. Mas­

si. 20 1 2 , xrv-378 pp. con 268 figg. n. t . e 1 5 tavv. ft. a colori. 3 5 . MARIA ANTONIETIA BREDA, n

giardini paesaggistid.

Tempio della Notte. Architettura ipogea nei

20 1 2 , xx- 1 1 2 pp. con 1 06 figg. n. t.

3 6 . PAOLA MuscARI, MARIA PrA CuNrco,

Arcipelago nascosto. Giardini, arance­ ti, carceri, torri e fortezze delle isole dell'Arcipelago toscano. Collaborazione

di Alessandra Contiero. Foto di Marco Gulinelli e Ennio Boga. 2 0 1 2 , x- 1 86 pp. c o n 2 6 5 figg. n. t . 3 7 . GIACOMO LORENZINI, CRISTINA NALI, n

Pino domestico. Elementi storici e botanici di una preziosa realtà del paesaggio mediterraneo. 20 1 3 , vr-98 pp.

con 1 2 0 figg. n. t. a colori. 3 8 . SERGE BRIFFAUD, OLIVIER DAMÉE, EMMANUELLE HEAULMÉ,

temps de Le Notre. Un paysage en projet.

39. PAOLA RoNCARATI, RossELLA MARcuccr,

mandrei tra storia, fiori e paesaggio.

Codid e rose. L'erbario di Piero Cala­

Prefazione di Enrico Alleva e postfazio­

ne di Francesco Cocozza. 20 1 5 , 1 9 8 pp. con 23 figg. n. t. e 24 40. FEDERICO MANIERO, 4 1 . ANGIOLO Puccr,

tà a oggi. A

Chantilly au

20 1 3 , xrr-224 pp. con 43 figg. n. t.

Cronologia della flora esotica italiana.

ill .

a colori.

20 1 5 , vr-4 1 6 pp.

I giardini di Firenze. I. I giardini dell'Occidente dall'Antichi­

cura di M . Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 5 , xxrr-404 pp.

con 3 3 1 figg. n.t. 42. ANGIOLO Puccr,

I giardini di Firenze. II. Giardini e passeggi pubblici. A cura

di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 5 , xrv-552 pp. con 1 60 figg. n. t. 43 . ANGIOLO

Puccr,

I giardini di Firenze.

III.

Palazzi e ville medicee.

A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani . 20 1 6 , xxxn-642 pp. con 2 1 0 figg. n.t. 44. ANGIOLO Puccr,

I giardini di Firenze. IV. Giardini e orti privati della città.

A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 2 0 1 7, xxx- 598 pp. con 1 62 figg. n.t. 45. AN GIOLO Puccr,

I giardini di Firenze. V. Suburbio vecchio e nuovo di Firenze.

A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 9 , xvrn-442 pp. con 1 3 0 figg. n.t. 46. ANGioLO Puccr,

I giardini di Firenze. VI. Comuni della cintura di Firenze. A

cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. In preparazione. 47.

De la peinture au jardin.

Sous la direction de H. Brunon et D. Ribouil­

lault. 20 1 6, vm-3 74 pp. con 1 1 7 figg. n. t. e 30 tavv. a colori. 48. FABIO CAPPELLI, Il

tino.

bosco. Storia, selvicoltura, evoluzione nel territorio fioren­

2 0 1 7, vrrr- 1 90 pp. con 86 figg. n.t.

49. ULRIKE GAWLIK,

al 1 962 .

Raffaele De Vico. I giardini e le architetture romane dal 1 908

Traduzione di Marco Mataloni, con contributi di Massimo de

Vico Fallani e Simone Quilici. 20 1 7, xvrrr-444 pp. con 1 74 figg. n.t. e l pianta a colori.

50.

Ville e Giardini Medicei in Toscana e la loro influenza nell'arte dei giardini. Atti del Convegno Internazionale, Accademia delle Arti del Disegno, Firenze, 8 novembre 2 0 1 4 . A cura di L. Zangheri. 20 1 7, x-208 pp. con l 00 figg. n. t. a colori.

5 1 . MARCO T ru s cru o G u o,

L'architetto nel paesaggio. Archeologia di un'idea.

20 1 8 , x-228 pp. con 9 figg. n. t. 52.

La botanica de' fiori dedicata al bel sesso.

A cura di S. Verrazzo, Introdu­

zione di L. Tongiorgi Tomasi e L. Zangheri, Premessa di D. Tongiorgi. 20 1 8 , XXVI- 1 02 pp. , con 14

ili. a colori.

5 3 . La cura dei giardini

monumentali. Fondamenti della conservazione dei giardi­ ni storici e degli spazi verdi. A cura di Dieter Hennebo. Edizione italiana a cura di Maria Letizia Accorsi, Massimo de Vico Fallani, Giada Lepri. In preparazione.

54. PETER CRANE,

Ginkgo. L'albero dimenticato dal tempo. Traduzione di Gian­

ni Bedini. Presentazione di Fabio Garbari. 2020, x-25 6 pp. con 8 figg. n. t. e 24 tavv. f. t. a colori. 5 5 . LUIGI ZANGHERI, Nel Giardino cinese della Luminosità Peifetta.

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Preambolo di C armen Afi.6n FeliU. 2020, XVI-234 pp.

con 1 85 figg. n. t. e 56 tavv.

f. t. a colori.

GIARDINI E PAESAGGIO I POMI DELLE ESPERIDI (cm 24 X 3 1 , rilegato)

I. La villa medicea di Careggi. Storia, rilievi e analisi per il restauro . 2006, 156 pp. con 104 figg. e 26 tavole a colori n. t. Esaurito. II. fl giardino del Pa lazzo Reale di Torino. 1 5 70-1 9 1 5 . A cura di Paolo Cornaglia. 20 1 9, XIV-240 pp. con 2 15 figg. n.t. a colori e 16 tavv. f. t. a colori.

http: l l giardini.olschki.it