Tempo senza divenire


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Tempo senza divenire

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INDICE

TEMPO SENZA DIVENIRE

9

di Qutntin Meillassow, CONTINGENZA E UBERTÀ: UN CONFRONTO TRA MATERIAUSMO SPECULATIVO E SCIENZA SPERIMENTALE

diAnnaLDngo

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TEMPO SENZA DIVENIRE

0UENTIN MEILLASSOUX

TEMPO SENZA DIVENIRE*

1. Correlazlonlsmo

Indico col termine "correlazionismo" l'avversario contemporaneo di ogni realismo. Il correlazionismo ha assunto molteplici forme contemporanee, in particolare quelle della filosofia trascendentale.delle varie fenomenologie e del postmoderno. Pur essendo molto diverse tra loro, queste correnti condividono tutte, a mio avviso, il presupposto più o meno esplicito che non vi siano oggetti, eventi, leggi o enti che non siano già sempre correlati con un punto di vista, con una modalità d'accesso soggetti va. Chiunque sostenga il contrario - ovvero che sia possibile raggiungere qualcosa come la realtà in sé stessa, nel suo essere assolutamente indipendente dal soggetto, dal punto di vista, dall'epoca, dalla cultura o dal linguaggio, etc. - è naif oppure, se si preferisce, un realista, un metafisico, un filosofo dogmatico. Col termine "correlazionismo" intendo indicare non solo la tesi alla base di queste "filosofie dell'accesso" - per prendere in prestito l'espressione di Graham Harman' - ma an•

li testo è la traduzione di "Time without becoming". conferenza tenuta da Quentin Meillassoux alla Middlesex Uni,·ersity di Londra 1'8 maggio 2008. Graham Hannan è un filosofo americano che fa parte del gruppo che condivide il programma del cosiddeuo Reali9

che, ed insisto su questo punto, la loro apparentemente inconfutabile argomentazione antirealista. Il correlazionismo sì fonda su un presupposto tanto semplice quanto potente che può essere formulato in questo modo: non può esserci X senza che X sia data e nessuna teoria che riguardi X senza che X sia posta. Quando qualcuno parla dì qualcosa, il correlazionista dirà che parla di qualcosa che gli è stata data e che egli ha posto. L'argomentazione a sostegno dì questa tesi, che possiamo chiamare ··argomentazione del circolo", è tanto semplice da formulare quanto difficile da confutare, essa consiste nel far notare che ogni obiezione contro il correlazionismo è un'obiezione prodotta dal pensiero e quindi dipendente da quest'ultimo. Quando qualcuno parla contro i I correlazionismo dimentica che è egli stesso che parla contro il correlazionismo e, pertanto, dal punto di vista del proprio modo di pensare. della propria cultura, della propria epoca, etc. Questa argomentazione insinua che ci sia un circolo vizioso in ogni realismo naif, una contraddizione performativa che consiste nel rifiutare quello che si dice o si pensa dicendolo o pensandolo. Mi sembra che ci siano due principali versioni di correlazionismo: quella trascendentale, che sostiene che ci sono alcune forme universali della conoscenza soggettiva, e quella postmoderna, che nega che vi sia qualcosa come una soggettività universale. In entrambi i casi quella che viene negata è la possibilità di una conoscenza assoluta, in altre parole, la conoscenza della cosa in sé nel suo essere indipendente dall'accesso soggettivo. Di conseguenza, smo specula1h·o a cui aderisce, Ira gli altri, anche Quentin Meillassou.\. 10

per un correlazionista la frase "X è" significa che "X è un correlato del pensare" - pensare in senso canesiano, dove X è il correlato di un'affezione, di una percezione, di una concezione o di ogni atto intersoggettivo. Essere significa essere un correlato, il termine di una correlazione. Quando qualcuno dice di pensare una X specifica, deve porre questa X che non può essere separata dall'atto stesso di questo porre. Per tale ragione è impossibile concepire una X assoluta, vale a dire una X che sia essenzialmente indipendente dal soggetto. Non è possibile conoscere la realtà in sé stessa perché non è possibile distinguere tra le proprietà che dovrebbero appartenere all'oggetto e quelle che sono proprie dell'accesso soggettivo all'oggetto. Naturalmente i vari correlazionismi concreti sono mollo più complessi di come appaiono in questo mio modello, il quale, comunque, è utile per chiarire l'assunto minimo che si trova alla base di ogni antirealismo. Ci vorrebbe troppo tempo per esaminare ora in maniera precisa le relazioni tra il correlazionismo, inteso come il modello contemporaneo dell'antirealismo, e la storia complessa della critica al dogmatismo che caratterizza la filosofia moderna, ad ogni modo possiamo dire che !'"argomento del circolo" implica non soltanto che la cosa in sé è inconoscibile, come in Kant, ma anche che è radicalmente impensabile. Come noto, Kant sosteneva che fosse impossibile conoscere la cosa in sé anche se aveva concesso alla ragione teoretica - tralasciando qui la ragione pratica - la capacità di accedere a quattro detenninazioni della cosa in sé. Secondo Kant, infatti, è possibile stabilire: I) che la cosa in sé esiste effettivamente al di fuori della coscienza (non ci sono solo fenomeni); 2) che essa è ciò che tocca la nostra sensibilità e produce in noi delle rappresentazioni

(questo è il motivo per cui la sensibilità è passiva, finita e non spontanea); 3) che la cosa in sé è non-contraddittoria (il principio dì non-contraddizione è un principio assoluto e non relativo alla nostra coscienza); 4) che la cosa in sé non è spazio-temporale perché lo spazio e il tempo non sono che forme della sensibilità soggettiva invece che proprietà dell'in sé. Pertanto, anche se non sappiamo cosa sia la cosa in sé, sappiamo comunque con certezza cosa non è. Kant è stato quindi piuttosto loquace rispetto alla cosa in sé. al contrario della speculazione post-kantiana che ha distruno tali pretese. negando addirittura la possibilità di un in sé al di fuori del sé. Tuttavia si tenga presente che il correlazionismo contemporaneo non è un idealismo speculativo, in quanto non sostiene dogmaticamente che non ci sia un in sé. ma soltanto che non siamo in grado di dire nulla al suo riguardo. nemmeno che esista - e questa è la ragione per cui, mi sembra, il termine "in sé" oggi non compare più. Il pensiero deve occuparsi solamente del mondo a lui correlato e del fatto inconcepibile di questa correlazione. La correlazione mondo-pensiero è l'enigma supremo che fornisce la possibilità di una situazione completamente diversa. Il Tractatlls logico-phi/osophicus è un buon esempio di questo tipo di discorso in quanto designa come "mistico" il fatto che ci sia un mondo coerente, un mondo logico e non contraddittorio.

2. Il problema dell'arcifosslle

Il mio scopo è molto semplice, cerco di confutare ogni forma di correlazionismo - vale a dire, provo a dimostrare che, in particolari condizioni, pensare permette 12

di accedere alla realtà come ad un in sé indipendente da ogni atto soggettivo. Di conseguenza sostengo che un assoluto, ovvero una realtà completamente indipendente dal soggetto, può essere pensata dal soggetto. Si tratta di un'apparente contraddizione che, a prima vista, potrebbe essere sostenuta da un realista naif. Cercherò di dimostrare che questa proposizione è non-contraddittoria, non naif bensì speculativa. A tale scopo, dovrò chiarire due punti fondamentali: primo, per quale ragione credo sia imperativo rompere col correlazionismo? Per rendere conto di questo punto costruirò un problema specifico che ho chiamato il "problema dell 'arcifossile"; secondo, dovrò mostrare come sia possibile rifiutare l'argomento apparentemente inattaccabile del circolo correlazionista ed a questo proposito esporrò un principio speculativo che ho chiamato "principio di fattualità".' Cominciamo col primo punto. Mi sembra che il correlazionismo si scontri con un serio problema, quello che ho denominato "problema dell'arcifossile" o "problema dell'ancenstralità". Un fossile è un materiale che conserva tracce della vita preistorica ma quello che chiamo arcifossile è un materiale che conserva tracce di fenomeni "ancestrali" anteriori persino all'emergere della vita. Indico come "ancestrale" una realtà-cosa o evento 2

[L'A. ha coniato il tennine "factual" (ed il derh·ato "factualité") per indicare quel che egli chiama il "non-fattizio", allo scopo di distinguere chiaramente questo significato da quello ordinario del francese "factuel" (fatluale). Nella nostra traduzione, abbiamo preferito conservare i termini italiani "fauuale" e "fat1uali1à", confidando che il nuovo significato filosofico si possa evincere in modo sufficientemente chiaro dal testo, ed anche perché la nostra lingua non avrebbe consentito facilmente la medesima operazione] N.d.t. 13

- che esisteva prima della vita sulla terra. La scienza è oggi in grado di produrre delle asserzioni che descrivono delle realtà ancestrali (che potremmo chiamare delle "asserzioni ancestrali") grazie, per esempio a certi isotopi radioattivi. la cui velocità di decadimento fornisce un'indicazione sull'età di reperti rocciosi, o grazie alla luce stellare. la cui luminescenza fornisce un'indicazione sull'età di stelle molto lontane. In questo modo la scienza può produrre asserzioni come queste: l'universo ha circa 14 bilioni di anni, oppure, la terra si è formata circa 4,5 bilioni di anni fa. La mia domanda è molto diretta. Chiedo semplicemente: quali sono le condizioni di possibilità delle asserzioni ancestrali? Si tratta di una domanda formulata in uno stile trascendentale - ha una cena a/Iure trascendentale. potremmo dire - il cui obiettivo consiste nel dimostrare che è impossibile rispondere a questa domanda servendosi del criticismo filosofico. La mia domanda è pertanto molto precisa: chiedo se il correlazionismo - in ciascuna delle sue versioni - è capace di dare un senso o un significato ad un'asserzione ancestrale. Quello che voglio rendere evidente è che per il correlazionismo - nonostante tulle le sottili argomentazioni che è in grado di inventare - è impossibile dare un senso alla capacità delle scienze naturali di produrre asserzioni ancestrali facendo ricorso all'arcifossile (l'isotopo radioattivo o la luminescenza stellare). Come dare un senso all'idea di un tempo che precede il soggetto, la coscienza o il Dasein, un tempo nel quale la soggeuività o l'essere-nel-mondo sono emersi - e dove forse spariranno con l'umanità e la vita terrestre - se il tempo, lo spazio e il mondo visibile sono considerati come dei correlati della soggettività? Se il tempo è un correlato

del soggetto allora nulla può precedere effettivamente il soggetto -come individuo o in maniera più radicale come specie umana - nel tempo poiché ciò che esisteva prima del soggetto esisteva prima del soggetto per il soggetto. I richiami all'intersoggettività non risolvono il problema, dal momento che la questione non riguarda il tempo che precede questo o quell'individuo - questo tempo è ancora sociale, composto dalla temporalità soggettiva dei predecessori - ma un tempo che precede completamente la vita e, quindi, ogni comunità umana. Ci sono infiniti modi in cui i diversi correlazionismi possono tentare di rifiutare o mascherare questa aporia, ho cercato di decostrui rne alcuni in Après lafiniwde.1 Si tenga presente, in ogni caso, che il rifiuto di prendere in conto quest'aporia proviene dalla cenezza. da pane del correlazionismo, che non possa esserci una soluzione realista o materialista al problema dell'ancenstralità. Al contrario sostengo che questa soluzione esiste ed è per questo motivo che posso vedere ed affermare l'ovvio: il correlazionismo non è in grado di dare alcun senso alle asserzioni ancestrali e, di conseguenza, ad una scienza capace di produrle. Nella prospetti va correlazionista, infatti, la scienza è ridotta alla spiegazione del mondo dato-al-soggetto. Anche se, come noto, la filosofia trascendentale o la fenomenologia sono sempre state considerate essenzialmente distinte dal crudo idealismo di matrice berkeleiana,quelloche volevo dimostrare in Dopo la finitudine è che ogni correlazionismo

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[Q. Meillassoux, Après lafini11tde. Essai sur la 11écessité de la comi11gence, Seui!, Parigi 2006; trad. it., Dopo la fi11i11t• dine. Saggio sulla necessità della continge11za, Mimesis, Milano 2012]. N.d.t.

cade in tale crudo idealismo nel momento in cui si trova a pensare al significato dell 'ancenstralità. Perché, allora, ho scelto il termine "correlazionismo" per indicare il mio avversario invece che un termine ben noto come "idealismo"? Per il fatto che volevo impedire le solite risposte della filosofia trascendentale e della fenomenologia contro le accuse di idealismo, del tipo: "il criticismo-kantiano non è un idealismo soggettivo visto che nella Critica della ragion pura c'è un rifiuto dell'idealismo", oppure "la fenomenologia non è un idealismo dogmatico poiché I' i menzionai ità è orientata verso un' esteriorità radicale. e non è un solipsismo dal momento che la datità dell'oggetto implica, secondo Husserl, il riferirsi ad una comunità intersoggettiva", lo stesso può dirsi per il Dasein come originario "essere-nel-mondo". Benché tutti coloro che sostengono queste posizioni dichiarino che non si tratti di idealismo soggettivo, non possono negare, a rischio di contraddirsi, che l'esteriorità che elaborano è essenzialmente relativa: relativa a una coscienza, al linguaggio, al Dasein, etc. Tutto quello che il correlazionismo può dire a proposito dell'ancenstralità è che si traua di una rappresentazione soggettiva di questo passato - ma che questo passato non può essere realmente esistito in sé con tutti i suoi oggetti ed eventi. Il correlazionismo generalmente sosterrà - siccome è sottile - che le asserzioni ancestrali sono in certo senso vere, per esempio come asserzioni universali basate su qualche esperienza presente relativa a certi materiali (la luce stellare o gli isotopi), oppure come asserzioni accettate dall'attuale comunità scientifica. Tuttavia, per essere coerente il correlazionismo è costretto a negare che ciò a cui queste asserzioni si rife18

riscono sia davvero esistito nel modo in cui è descritto, come precedente all'umanità o alle specie viventi. Per un correlazionista l'ancenstralità non può essere una realtà che precede i soggetti, ma soltanto una realtà detta e pensata dal soggetto come precedente al soggetto. Questa dichiarazione è catastrofica perché distrugge il senso dell'affermazione scientifica che, insisto, significa soltanto quello che significa: un'asserzione scientifica ancestrale non dice che qualcosa è esistito prima della soggettività per la soggettività, ma che qualcosa è esistito prima della soggettività e niente di più. In altre parole, un'asserzione ancestrale ha un significato realista oppure non ha alcun significato, dal momento che sostenere che qualcosa sia esistito prima di qualcuno solo per lui - a condizione che costui esista per essere conscio di questo passato - equivale a dire che niente è esistito prima di lui. Il che significa sostenere il contrario di quello che l 'ancenstralità dichiara, ovvero che la realtà in sé è esistita indipendentemente dalla percezione che può averne qualcuno come del proprio passato. Il passato di qualcuno è il passato di qualcuno soltanto se è stato effettivamente un presente senza di lui; non un passato pensato nel presente come un passato - tale passato non è un passato, per quanto se ne possa dire, ma l'illusione prodotta da una sorta di retroproiezione - ma un passato prodotto adesso come un passato che precede assolutamente il presente. Come noto, seguendo Diderot,4 Kant considerava scandaloso per la filosofia che non fosse stata ancora sta4

Cfr. D. Diderot, lellera sui ciechi per quelli e/re ci vedono, La Nuon Italia, 1999,p.l 15. 17

bilita una prova dell'esistenza delle cose al di fuori del soggetto.5 Non potrei allora essere accusato di far risorgere questo vecchio problema generalmente considerato sorpassato? In effetti Heidegger in Sein 1111d Zeit aveva invertito la proposizione kantiana, dichiarando che lo scandalo consiste nel fatto che una tale prova sia ancora cercata e attesa.• Quest'affermazione si spiega considerando la stessa struttura della soggettività fenomenologica: nelrintenzionalità husserliana, nell'essere-nel-mondo del Daseil1 heideggeriano, o nell'"éclatement" della coscienza sartriana rispetto alla cosa in sé, l'esterno, lungi dall'essere un elemento aggiunto in maniera superflua ad un soggetto solipsista.è una struttura originaria del soggetto, che rende obsoleta e ridicola ogni ricerca di una prova dell'esistenza della realtà esterna. In ogni caso, mi sembra che la questione persista anche dopo la fenomenologia e persino all'interno della fenomenologia stessa. Benché i fenomenologi dicano che la coscienza è originariamente correlata ed aperta ad un mondo, cosa possono dire riguardo a una realtà pre-umana e pre-animale, riguardo all'ancenstralità, vale a dire a questo dominio che manca di correlazione perché manca di soggetto? Come le scienze potrebbero parlare così precisamente di tale dominio se questo non fosse altro che un'illusione retrospettiva? Che cosa sarebbe la natura senza di noi? Che cosa resterebbe nella natura se non fossimo più qui? Queste domande son così lontane dall'essere obsolete per la fenomenologia che sono diventate fondamentali per Heidegger negli 5 6

Cfr. I. Kant, Critica della Ragion pura, Bompiani, Milano 2004, prefazione alla seconda edizione. Cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, Moncladori, Milano 2006,§43. 18

anni '30. L' 11 ottobre 1931, infatti, scriveva a Elisabeth Blochmann: "mi chiedo spesso - e questa è stata per lungo tempo una domanda fondamentale per me - che cosa sarebbe la natura senza l'uomo, dovrebbe non risuonare attraverso di lui (hindurschwi11ge11) per raggiungere la più autentica potenza?" .1 In questa lettera scopriamo che Heidegger è incapace di rinunciare a questa domanda e che il suo tentativo di rispondervi è enigmatico e probabilmente ispirato alla metafisica schellinghiana (come suggerisce il termine "potenza", Maclu I Porenz). In questo passaggio, pertanto, si vede quanto Heidegger fosse lungi dal poter eliminare o risolvere la questione dell'ancenstralità: cos'è la natura senza l'uomo? Come possiamo pensare il tempo nel quale la natura ha prodotto il soggetto o il Dasein? Ad ogni modo, credo che l'importante ora sia comprendere il significato esatto del problema dell'ancenstralità rispetto alla mia strategia. Si tenga ben presente che non intendo rifiutare il correlazionismo per mezzo dell'ancenstralità, di fatto il problema dell 'ancenstralità non è assolutamente una confutazione del correlazionismo (questo sarebbe naif). In effelli, nel primo capitolo di Dopo la .fi11i111di11e, piuttosto che presentare una confutazione, cerco semplicemente di rendere evidente un'aporia: da una parte sembra impossibile giustificare attraverso il correlazionismo la capacità delle scienze naturali di produrre asserzioni ancestrali; dall'altra sembra impossibile rifiutare la posizione correlazionista perché sembra che non sia possibile sostenere che siamo in grado di conoscere quello che c'è quando non ci siamo. Come possiamo im-

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M. Heidegger, Carteggio 1919-1969, li Nuovo Melangolo, Genova 1991. 19

magìnare l'esistenza di un colore senza un occhio che lo veda? L'esistenza di un suono senza un orecchio che lo colga? Come possiamo pensare il significato del tempo o dello spazio senza un soggetto consapevole del passato, del presente e del futuro, o consapevole della differenza tra destra e sinistra? Ma soprattutto, come possiamo conoscere questo, dal momento che siamo incapaci di vedere com• è il mondo quando nessuno lo percepisce? Da una parte, quindi, sembra impossibile confutare l'argomento del circolo correlazionista - dimenticare che quando pensiamo qualcosa siamo noi che pensiamo qualcosa - ma dall'altra parte sembra impossibile che il correlazionismo possa comprendere le scienze naturali. È attraverso questo semplice problema, un problema senza dubbio naif, che pongo la questione della naiveté filosofica, una domanda che riguarda cosa significhi essere effettivamente naif nell'ambito della filosofia. Oggigiorno la nai"veté filosofica assume una forma preferenziale: la credenza nella possibile corrispondenza tra essere e pensiero, dove l'essere è posto precisamente come indipendente dal pensiero. La filosofia moderna si era sforzata di non aver bisogno del concetto di verità, o, secondo me e in maniera più interessante, si era sforzata di ridefinire fondamentalmente questo concetto, sostituendo alla verità come adeguazione la verità come legalità (Kant}, come intersoggettività (Husserl) o come interpretazione (ermeneutica). Quello che volevo dimostrare in Dopo lafinit11di11e è che l'ancenstralità mostra una strana resistenza ad ogni modello antiadeguazionista: tale resistenza non concerne la verità delle teorie scientifiche, quanto piuttosto il loro significato. Spieghiamo questo punto. Certamente non possiamo credere 20

ingenuamente che una teoria prodotta dalle scienze naturali possa essere assolutamente vera, e questo non a causa di uno scetticismo radicale nei confronti delle scienze, ma piuttosto a causa dello stesso processo che caratterizza le scienze. Questo, nel corso della sua storia, si è dimostrato di una straordinaria inventiva nella distruzione delle proprie teorie, comprese quelle fondamentali, che sono state sostituite con paradigmi la cui novità era così estrema che nessuno avrebbe potuto anticiparle. La stessa cosa vale per le teorie correnti: non possiamo dire quali saranno le future teorie sulla cosmologia o sull'ancenstralità, come si dice, il passato è imprevedibile. Ma anche se potessimo asserire positivamente che una teoria ancestrale è vera, dovremmo comunque ritenere, sottolineo, che potrebbe essere vera. Non sappiamo se queste teorie saranno ancora vere nel futuro, e questa è una possibilità che non possiamo escludere, proprio perché si tratta della condizione del significato delle teorie. La verità, e la verità considerata come una certa corrispondenza con la realtà, è una condizione del significato di queste teorie, come se fossero delle ipotesi che qualcuno può preferire ad altre. Se qualcuno cercasse di comprendere queste teorie facendo a meno delle nozioni di verità e corrispondenza, genererebbe immediatamente tutta una serie di assurdità. Per esempio, sostenere che la verità ancestrale deve essere definita auraverso l'intersoggettività piuttosto che attraverso la restituzione della realtà preumana equivale a dire che non è mai esistito qualcosa come un universo precedente all'umanità, caratterizzato da certe determinazioni che siamo effettivamente in grado di conoscere, e che questa teoria può essere giustificata solo da un accordo tra gli scien21

zia1i. In queslo modo nella s1essa frase si afferma che gli scienziati hanno buone ragioni per accettare la teoria ma che la teoria in questione descrive un oggetto- il campo della vita preterrestre- che non può esistere nel modo in cui è descritto. Assistiamo qui ad una specie di ritorno del reale lacaniano: ciò che è impossibile per il filosofo moderno è il realismo o la corrispondenza. La sola condizione perché le teorie ancestrali abbiano un senso sembra essere il realismo. che credo sia la condizione di ogni teoria scientifica, anche se non posso dimostrarlo qui. Per questa ragione l'idea di 11aii•eré dovrebbe ora cambiare: non possiamo essere sicuri che il rifiuto della corrispondenza non sia naif. li dogmatismo antiadeguazionista è diventato tanto problematico quanto il vecchio dogmatismo prekantiano. La vera difficoltà consiste nel fatto che è impossibile, secondo me. tornare indietro al vecchio concetto metafisico di adeguazione o al realismo naif che la filosofia analitica sembra a volte perpetuare. Se vogliamo effeui1•arnente rifiutare il correlazionismo e la sua potenza. dobbiamo ridefinire la corrispondenza e trovare un diverso concetto di adeguazione. Come vedremo, ciò che troviamo al di fuori della correlazione è molto diverso dai concetti naif di cosa, proprietà e relazione. È una realtà molto diversa dalla realtà data. Questa è la ragione per cui preferisco chiamare la mia filosofia "materialismo speculativo" piuttosto che realismo, perché mi ricordo che Foucault una volta ha detto: "sono un ma1erialista perché non credo nella realtà". Quello che abbiamo messo in evidenza sin qui è una potente aporia: l'aporia correlazionista contro l'arcifossile. È quest'aporia che ho cercalo di risolvere in Dopo la 22

finiwdine attraverso una s1ra1egia che consiste nel confutare effeuivamente il correlazionismo elaborando una specie di materialismo scientifico, che si fonda su quello che ho chiamalo "principio di faltualilà". Vediamo ora in cosa consiste questo principio e perché lo ritengo capace di fare ciò che per il correlazionismo è impossibile: conoscere quello che c'è quando non ci siamo. 3. Il principio di fattualità

Il problema principale con cui mi sono confrontato in Dopo la finitudine consiste esattamente nello sviluppare un materialismo capace di confutare il circolo correlazionista nella sua forma più semplice, che è anche quella più difficile da contestare, ovvero l'argomento che dimostra che non possiamo parlare contro il correlazionismo che dall'interno del correlazionismo. Questa è la mia strategia: la debolezza del correlazionismo consiste nella dualità di ciò a cui si oppone. Più precisamente, il correlazionismo non è tanto un antirealismo quanto un antiassolutismo. Nella versione moderna il correlazionismo è il rifiuto di ogni possibile conoscenza dell'assoluto in quanto afferma che siamo rinchiusi nelle nostre rappresentazioni - di coscienza, linguistiche, storiche - privi di mezzi che possano assicurarci l'accesso ad una realtà eterna ed indipendente dal nostro punto di vista. Tuttavia vi sono due principali forme di assoluto: quella realista, che consiste in una realtà non pensante indipendente dal nostro accesso ad essa, e quella idealista, che consiste nell'assolutizzazione della correlazione. Di conseguenza il correlazioni23

smo. se vuole rifiutare tutte le forme di assoluto, deve rifiutare anche l'idealismo speculativo e ogni forma di vitalismo o panpsichismo. Si noti che per questa seconda confutazione l'argomento del circolo è inutile poiché l'idealismo e il vitalismo consistono precisamente nell'affermare che è lo stesso circolo soggettivo ad essere l'assoluto. Esaminiamo ora gli argomenti idealista e vitalista. Chiamo metafisica soggettivista ogni assolutizzazione di un determinato accesso umano al mondo, e chiamo "soggenivisti" (per abbreviare) i sostenitori di ogni forma di metafisica soggettiva. La correlazione tra il pensiero e l'essere prende molte forme differenti: il soggetùvista sostiene che alcune di queste relazioni - o tutte - non sono solo determinazioni degli umani o del vivente. ma dell'Essere in sé. Il soggettivista progetta una correlazione nelle cose in sé, che può prendere la forma di percezione, intellezione, volere, etc., e la trasforma nell'assoluto. Naturalmente questo processo è molto più elaborato di quanto non possa mostrare qui, specialmente per quanto riguarda Hegel. In ogni caso si tenga presente che il principio alla base del soggettivismo è sempre lo stesso: siccome non possiamo concepire un essere che non sia costituito dalla nostra relazione col mondo - dal momento che non possiamo scappare aJ circolo correlazionista - l'insieme di queste relazioni. o almeno gran parte di questo insieme, rappresenta l'essenza della realtà. Secondo il soggettivista è assurdo supporre, come fa il correlazionista, che possa esserci un in sé diverso da ogni correlazione umana col mondo, in questo modo il soggettivista usa l'argomento del circolo contro il correlazionismo stesso: dal momento che non possiamo pensare alcuna realtà indipendente dalla 24

correlazione umana, allora il fatto di supporre una realtà esterna al circolo è un nonsenso. Pertanto l'assoluto è il circolo in sé, o almeno una pane di esso, come il pensare, la percezione, il volere, etc., vale a dire, logos, Geisr (mente), Wille zur Machr (volontà di potenza), l'intuizione bergsoniana della durata. Questa seconda forma di assolutismo rivela perché è necessario per il correlazionismo produrre un secondo argomento capace di rispondere all'assoluto idealista. La necessità di questo secondo argomento è molto imponante perché, come vedremo, è esattamente questo il punto debole della fortezza rappresentata dal circolo. Tale argomento è quello che in Dopo la.finitudine ho chiamato "argomento della fatticità". Definisco "fatticità" l'assenza di ragione per ogni realtà, in altre parole l'impossibilità di fornire un fondamento ultimo per l'esistenza degli esseri. Possiamo raggiungere soltanto una necessità condizionale ma mai assoluta. Se poniamo delle cause definite e delle leggi della fisica, allora siamo costretti a sostenere che devono seguire degli effetti determinati. Tuttavia non troveremo mai un fondamento per queste leggi e per queste cause, all'infuori di altre cause e leggi non fondate: non c'è una causa ultima, non c'è una legge basilare, ovvero una causa o una legge che includa il fondamento della propria esistenza. Ma questa fatticità è anche propria del pensiero. Nel cogito cartesiano si evidenzia chiaramente questo punto poiché quello che è necessario nel cogito è una necessità condizionale: se penso, allora devo essere. Questa non è chiaramente una necessità assoluta dal momento che non è necessario che si debba pensare. In questo modo è dall'interno della corre25

!azione soggettiva che si accede alla propria fatticità e quindi alla fatticità del mondo correlato con l'accesso soggettivo ad esso. Questo è possibile ammettendo la m;;canza di una ragione ultima, di una causa sui, che sia capace di fondare la mia esistenza. La fattici tà, cosl definita, mi sembra sia la risposta fondamentale ad ogni assolutizzazione della correlazione dal momento che, se il correlazionismo è fattuale, allora non possiamo più sostenere. come fanno i soggettivisti. che sia una componente necessaria di ogni realtà. Naturalmente un idealista può obiettare che ogni sforzo di concepire il non-essere della correlazione soggetti va produce una contraddizione performativa, perché il fatto stesso di concepirlo prova l'esistenza effettiva di un soggetto. A ciò il correlazioni sta risponde che non c'è nessun modo di provare che la correlazione debba esistere piuttosto che no e che quest'assenza di necessità è sufficiente a rifiutare l'affermazione idealista circa la sua necessità assoluta. Il fatto che non sia possibile immaginare la non-esistenza della soggettività, dal momento che immaginare implica l'esistenza di un soggetto, non prova infatti che la non esistenza della soggettività sia impossibile: non posso immaginare come sia essere morto, dal momento che immaginarlo significa essere vivi, ma questo fatto non prova che la mone sia impossibile. J limiti della mia immaginazione non sono l'indizio della mia immonalità, tuttavia bisogna fare attenzione perché il correlazionista non sostiene che la soggettività debba per forza perire - questa infatti potrebbe essere eterna come un assoluto, come Geist o Wil/e - anche se non può essere eterna come individuo. Il correlazionista sostiene semplicemente che, riguardo a questa ipotesi, 28

non possiamo decidere per una soluzione o per l'altra, in quanto non possiamo raggiungere nessuna \'eri1à eterna, sia questa idealista o realista. Contro il realismo, invece, sostiene che non è possibile conoscere nulla al di fuori del circolo, nemmeno se ci sia qualcosa, allo stesso modo in cui, contro il soggettivismo, sostiene che non possiamo sapere se il circolo è necessario o contingente. Il correlazionismo si compone pertanto di due argomenti: quello del circolo di correlazione contro il realismo naif(indichiamo con questo termine ogni realismo che non sia capace di respingere il circolo); e un argomento fattuale contro l'idealismo speculativo. Il soggettivista dichiara in maniera erronea che può rifiutare il correlazionismo assolutizzando la correlazione, io, invece, credo che sia possibile rifiutare la correlazione soltanto assolutizzando la fatticità. Vediamo perché. Il correlazionista deve sostenere contro il soggettivista che è possibile concepire la contingenza della correlazione, vale a dire la sua possibile sparizione, per esempio con l'estinzione dell'umanità. Tuttavia con quest'operazione, e questo è il punto fondamentale, il correlazionista deve ammettere che possiamo pensare positivamente una possibilità che è effettivamente indipendente dalla correlazione, dal momento che si tratta della possibilità del non-essere della correlazione. Per comprendere questo punto possiamo riprendere l'analogia con la morte: per potersi pensare come mortali, bisogna ammettere che la morte non dipende dal mio pensare la morte. Se non fosse così si potrebbe sparire solo ad una condizione: che si resti vivi per pensare alla sparizione trasformando questo evento in un correlato del mio accesso ad esso. In altre parole, potrei morire 27

indefinitamente, ma non potrei mai trapassare. Se la fatticità della correlazione è concepibile, se è una nozione che possiamo effettivamente pensare - e come abbiamo visto questo deve essere il caso per un correlazionismo che voglia rifiutare il soggettivismo - allora si tratta di una nozione che possiamo considerare come un assoluto: l'assoluta mancanza di ragione per ogni realtà, in altre parole l'effettiva capacità di ogni entità determinata - sia essa un evento una cosa o una legge - di apparire e sparire poiché non vi è alcuna ragione che determini la necessità del suo essere o del suo non essere. In tal modo. l'assenza di ragione diventa l'attributo di un tempo capace di distruggere e creare ogni entità determinata senza alcun motivo che giustifichi la sua creazione o la sua disrruzione. Con questa resi voglio provare a rivelare la condizione di pensabilità della principale opposizione correlazionista, anche quando quesra non è esplicitala o è negala: si crana dell'opposizione tra l'in sé e il per noi. La resi del correlazioni sia - sia essa esplicita o implicita - asserisce che non è possibile conoscere come sia la realtà quando io non ci sono poiché. se rimuovessi me sresso dal mondo, non sarei in grado di conoscerne il residuo. Ciononoslanle, tale ragionamenro presuppone che godiamo di un accesso posi ci vo ad una possibilità asso Iuta: che )'j n sé possa essere diverso dal per me. Questa possibilità assoluta è fondata sull'assoluta fatticità della correlazione. È perché è possibile concepire il non-essere della correlazione che è possibile concepire la possibilità che l'in sé sia essenzialmente diverso dal mondo correlato con la soggettività umana. È perché posso concepire l'assoluta fatticità di tutto, che posso essere scettico nei confronti 28

di ogni specie di assoluto. Di conseguenza, mi sembra, è possibile rifiutare la confutazione correlazionista del realismo, che si basa sull'accusa di una contraddizione performativa, grazie alla scoperta di una contraddizione performativa nel correlazionismo stesso. Infatti le sue nozioni fondamentali - il per noi e l'in sé - sono basate su un'assolutizzazione implicita: l'assolutizzazione della fatticità. Ogni cosa può essere concepita come contingente e dipendente dal tropismo umano: ogni cosa eccetto la contingenza stessa. La contingenza, e soltanto la contingenza, è assolutamente necessaria; la fatticità, e soltanto la fatticità, non è fattizia ma eterna. La fatticità non è un fatto, non è un fatto in più tra i fatti del mondo e tutto ciò è basato su un argomento preciso: non posso essere scenico nei confronti de li 'operatore di ogni scetticismo. Questa necessità della fatticità, questa non fatticità della fatticità, l'ho chiamata in francese "factualité". La fattualità non è la fatticità ma la necessità della fatticità, l'essenza della fatticità. Il principio che enuncia la fattualità l'ho indicato come "principio di fattualità". Infine ho nominato "speculazione fattuale" la speculazione che si fonda sul principio di fattualità. Per mezzo del principio di fattualità credo che sia possibile ottenere un materialismo speculativo che rifiuta decisamente il correlazionismo. È possibile infatti pensare una X indipendente dal pensare, e questo lo so grazie al correlazionismo e alla sua lotta contro l'assoluto. Il principio di fattualità svela la verità ontologica nascosta dietro lo scetticismo radicale della filosofia moderna: essere non è essere un correlato, ma essere un fatto. Essere significa essere fattuale, e questo non è un fatto.

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4. Il principio di contraddizione

Cosa possiamo dire di quest'assoluto che abbiamo identificato come fatticità? Cos'è la fatticità una volta considerata come un assoluto piuttosto che come un limite? La risposta è il tempo. La fatticità come assoluto deve essere considerata come tempo, ma come un tempo molto speciale che in Dopo la finiflldine ho chiamato "ipercaos". Cosa intendo con questo termine? Dire che l'assoluto è il tempo, o il caos, sembra un luogo comune piunosto banale, tullavia il tempo che qui si svela è un tempo molto speciale: non il tempo fisico, non il caos ordinario. L'ipercaos è molto diverso da quello che identifichiamo nonnalmente come caos, vale a dire disordinato o casuale come l'eterno divenire di tutte le cose. Queste proprietà, infatti, non sono quelle dell 'ipercaos poiché la sua contingenza è talmente radicale che anche il divenire, il disordine e la casualità possono venire distrutti e sostituiti con l'ordine, il determinismo e la fissità. Nell'ipercaos le cose sono talmente contingenti che il tempo è capace di distruggere persino lo stesso cominciamento delle cose. Se la fatticità è assoluta, allora la contingenza non significa più la necessità della distruzione, ma l'uguale contingenza dell'ordine e del disordine, del divenire e della persistenza: per questa ragione preferisco usare il termine "supercontingenza" piuttosto che contingenza. Bisogna comprendere che questa mia tesi sul tempo è molto diversa da quella derivata dalla filosofia eraclitea in quanto, dal mio punto di vista, Eraclito era un terribile fissista. Il suo divenire, infatti, è obbligato a divenire e deve persistere eternamente come divenire. Si tratta, a mio avviso, di un'asserzione dog30

malica che non ha alcuna giustificazione, dal momento che il divenire è solo un fatto, così come la fissità, di conseguenza sia il divenire che la fissità devono avere la possibilità eterna di apparire e di sparire. Il divenire eracliteo, come tutto il tempo fisico, è inoltre governato da leggi specifiche di trasformazione che non cambiano mai, ma personalmente non trovo alcuna ragione per cui le leggi debbano durare o persistere un giorno o un minuto di più. Le leggi sono solo dei fatti e non è possibile dimostrarne la necessità, come è stato chiaramente dimostrato da David Hume. In ogni caso, al contrario di quanto pensava Hume, credo che l'impossibilità di dimostrare la necessità delle leggi della fisica non sia dovuto ai limiti della ragione, quanto piuttosto al fatto che la necessità è falsa. Sono un razionalista e la ragione dimostra chiaramente che non è possibile dimostrare la necessità delle leggi. Di conseguenza, mi pare, dovremmo semplicemente credere alla ragione ed accettare che le leggi non sono necessarie, che sono solo dei fatti e i fatti sono contingenti, ovvero possono cambiare senza ragione. Il tempo, allora, non è governato dalle leggi della fisica perché sono le leggi stesse ad essere governate da un tempo folle. A questo punto mi piacerebbe enfatizzare il tipo di rottura che sto cercando di introdurre rispetto a due principali forme di metafisica: "la metafisica della sostanza" e la "metafisica del divenire". Credo che l'opposizione tra essere (inteso come substrato) e divenire sia inclusa nel principio di ragione, che è l'operatore di ogni metafisica. Questo è il senso dell'iniziale opposizione presocratica tra Talete, che pensava l'archè come sostrato (l'acqua) e Anassimandro, che pensava l'archè come apeiro11, vale 31

a dire come il necessario divenire che distrugge ogni entità. I pensatori del divenire, come Eraclito, Nietzsche o Deleuze. sono spesso considerati antimetafisici, se intendiamo la metafisica come la filosofia dei principi fissi come le sostanze e le idee. Tuttavia la metafisica si definisce come la credenza nella necessità di entità o processi: le cose devono essere quello che sono o devono diventare quello che devono diventare in quanto vi è una ragione (l'idea o la creatività dell'universo). Questo è il motivo per cui la metafisica del divenire crede in due necessità metafisiche: la necessità del divenire. invece che quella della fissità, e la necessità di un certo tipo di divenire piuttosto che di un altro altrettanto pensabile. Al contrario, la nozione di ipercaos implica un tempo completamente liberato dalla necessità metafisica poiché niente lo obbliga, né il divenire, né il sostrato. Questo tempo ipercaotico è in grado di creare e distruggere persino il divenire, producendo senza alcuna ragione fissità o movimento, ripetizione o creazione. Questo è il motivo per il quale ritengo che l'oggetto fondamentale della filosofia non sia il divenire o l'essere, la rappresentazione o la realtà, ma una possibilità molto speciale, che non è semplicemente un possibile formale ma un possibile reale e denso, quello che chiamo "peut-etre", "può essere". In francese direi: "l'affaire de la philosophie n'est pas l'etre mais le peut-etre". La preoccupazione principale della filosofia non è l'essere ma il "può essere". Questo "peut-etre", credo sia molto vicino al "peutetre" che chiude Un coup de dés di Mallarmé, anche se sarebbe troppo complicato dimostrarlo qui. Se la fatticità è l'assoluto, allora deve essere pensata come ipercaos, un caos razionalista che è para32

dossalmente più caotico di ogni caos antirazionalista. Ad ogni modo, pur accettando questo punto, un grosso problema sembra persistere: come risolvere la questione dell 'ancestralità? Il problema, dopotutto, consisteva nel trovare un assoluto capace di fondare la conoscenza scientifica della realtà in sé e ora ci ritroviamo con un assoluto che, benché capace di resistere al correlazionismo, sembra contrario alla struttura razionale dcli 'essere in quanto implica la distruzione del principio di ragione grazie al quale si spiegano le cause dei fatti. Come si può sperare di fondare la scienza ora che abbiamo solo fatti e non più ragioni? Credo per risolvere questo problema ci sia un modo e la mia tesi è che sussistano delle specifiche condizioni di fanicità che chiamo "figure". Intendo dire che, a mio avviso, benché la fatticità sia la sola necessità delle cose, essere fattizio non significa essere qualunque cosa, l'essere fa11izio non è concesso a qualunque cosa. In effetti alcune cose, se esistessero, non obbedirebbero alle severe e necessarie condizioni dell'essere fattizio, e questo è il motivo per cui tali cose non possono esistere: se esistessero sarebbero necessarie e, secondo il principio di fattualità, è impossibile essere necessari. Facciamo un esempio. In Dopo la finitudine ho cercato di mostrare che la non contraddizione è una condizione di contingenza dal momento che un'entità contraddi11oria non potrebbe cambiare: essa è già quello che non è. Più precisamente, immaginiamo, o cerchiamo di concepire, un essere capace di sopportare qualunque contraddizione possibile: avrebbe la proprietà a e nello stesso esatto momento la proprietà 11011-a. L'oggetto è rosso e non solo rosso, ma anche non-rosso. Lo stesso vale per ogni 33

proprietà immaginabile: be 11011-b, e e 11011-c, ect. Proviamo ora a pensare che questa unità debba cambiare, ovvero diventare qualcosa che non è già, sarebbe concepibile? Naturalmente no, dal momento che è già tutto e il suo contrario. Pertanto un essere contraddittorio è perfettamente necessario ed è per questo motivo che il dio cristiano è allo stesso tempo ciò che è - padre, infinito, eterno - e quello che non è - figlio, umano e mortale. Se si vuole qualcosa di necessario bisogna pensarlo come contraddittorio, privo di alterità, senza nulla di esterno all'assoluto e che quest'assoluto potrebbe diventare. Questa è la ragione per cui l'assoluto di Hegel è contraddittorio: Hegel aveva capito che un essere realmente necessario, come un assoluto, avrebbe dovuto essere quello che è e quello che non è, avrebbe già dovuto avere dentro di sé ciò che è esterno a lui. Un tale assoluto non ha alcuna alterità e quindi è eterno (ma questa, naturalmente, sarebbe un'eternità contraddittoria che non può divenire al di fuori di sé, che diviene eternamente nei limiti di se stessa passando nell'eternità). Al contrario di Hegel, sostengo che la contraddizione è impossibile - per questo sono un razionalista - ma in quanto è la condizione di quel caos radicale che è l'ipercaos. Si tenga presente che non sto dichiarando che un essere contraddittorio è impossibile in quanto assurdo o privo di senso, al contrario credo che non sia privo di significato, visto che lo si può definire rigorosamente e ci si può ragionare sopra. È per questo motivo che si può dimostrare razionalmente che una reale contraddizione è impossibile perché sarebbe un essere necessario. In altre parole, siccome il principio metafisico di ragione è assolutamente falso, allora il 3-4

principio di non contraddizione è assolutamente vero: la perfetta "logicità" di tutto è la rigida condizione dell'assenza di ragione per tutto. Questo è il motivo per cui non credo generalmente nella metafisica, la quale presuppone sempre, in un modo o nell'altro, il principio di ragione. Un metafisico è un filosofo che crede che sia possibile spiegare perché le cose devono essere quello che sono, o perché le cose devono cambiare cosi come cambiano. Al contrario, credo che la ragione debba spiegare perché le cose e il divenire possono sempre diventare quello che non sono e perché non esiste una ragione ultima per questo gioco. La "speculazione fattuale" è un razionalismo paradossale: un razionalismo che spiega perché le cose devono essere senza ragione e come, precisamente, possono essere senza ragione. Le "figure" sono tali modalità necessarie delle fatticità e la non-contraddizione è la prima di queste figure dedotte dal "principio di fattualità". Ciò dimostra che si possa ragionare sull 'assenz:a di ragione, qualora la nozione di ragione sia sottoposta ad una profonda trasformazione, qualora diventi una ragione liberata dal principio di ragione o, più precisamente, qualora sia una ragione che ci libera dal principio di ragione. Il mio progetto di lavoro consiste nel trovare la soluzione per un problema che non ho risolto in Dopo la fi11i111di11e. Si tratta di un problema molto complicato,che non posso articolare precisamente in quest'occasione, ma che posso riassumere con una semplice domanda: a partire dal principio di fattualità, è possibile giustificare la capacità delle scienze naturali di conoscere, per mezzo del discorso matematico, la realtà in sé stessa, il nostro mondo, ovvero il mondo fattuale attualmente prodotto 35

dall'ipercaos ed esistente in maniera indipendente dalla nostra soggettività? La risposta a tale difficile quesito è la soluzione del problema dell'ancenstralità e l'obiettivo teoretico della mia ricerca.

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ANNA LONGO

CONTINGENZA E LIBERTÀ: UN CONFRONTO TRA MATERIALISMO SPECULATIVO E SCIENZA SPERIMENTALE

Tempo senza divenire, che abbiamo tradotto e presentato in questo volume, rappresenta un'efficace sintesi della strategia filosofica che conduce Quentin Meillassoux a stabilire l'assoluta contingenza del reale: le leggi della fisica possono - ma non devo110 - cambiare in qualunque momento, senza alcuna ragione. La chiave di volta del sistema elaborato è il principio di fa1111alirà, secondo il quale soltanto ciò che è logicamente pensabile come contingente, ovvero matematicamente formalizzabile può- ma non deve - esistere. Secondo l'autore tale principio consentirebbe di legittimare le scienze naturali, in particolare gli enunciati ancestrali, rispetto ai quali il correlazi9nismo, come abbiamo visto, si dimostra inadeguato. E proprio perché la scienza descrive una realtà asso Iutamente precedente e indi pendente rispetto a qualunque soggetto, tale appunto la realtà ancestrale, che è necessaria una filosofia capace di legittimarla, un realismo non-naif che eviti contemporaneamente il correlazionismo e la metafisica dogmatica. Il programma del materialismo speculativo di Meillassoux ci sembra della massima importanza ed attualità, esso consentirebbe al pensiero filosofico di operare infine quella rivoluzione copernicana che la scienza ha già attuato da 37

tempo, relegando il soggetto ai margini di un universo completamente autonomo, di una realtà indipendente da lui e dal suo intelletto.' Tuttavia, ci sembra che il principio di fattualità, pur legittimando gli enunciati scientifici sulla realtà ancestrale, non legittimi le spiegazioni scientifiche che concernono le ragioni ontologiche per cui certi fatti, piuttostoche altri. sono le sole produzioni possibili di certe interazioni tra oggetti. In questo breve contributo vorremmo pertanto mostrare le differenze tra la realtà conosciuta facendo appello al principio di fattualità e quella descritta dalla scienza attuale, premettendo che in entrambi i casi ci troviamo davanti all'imprevedibilità e alla contingenza. La questione centrale sulla quale divergono le due concezioni riguarda fondamentalmente la causalità: se Meillassoux l'esclude, essa è invece parte integrante delle spiegazioni fomite dalla scienza sperimentale. L'assunzione o meno della causalità ontologica conduce a nozioni molto diverse di cosa. sia la scienza, le cui implicazioni La rirnluzionc copernicana operata da Kant non sarebbe stata che una controri\'o)uzione lolemaica operala dalla fi. losofia rispeno ali' effettiva marginalizzazione del soggeuo operala dalla scienza. Come leggiamo in Dopo la finitudine "E uni\'ersalmenle nolo che Kan1, nella seconda prefazione della Critica della ragio11 pura.si ricollega alla rivoluzione di Copernico per definire la sua riroluzione nel pensiero: la ri\'Ohuione critica, la quale prernlc un oggeuo che si unifonma alla conoscenza e non più una conoscenza che si adaua ad un oggcno. Ma onnai è abbastanza chiaro che la rirnluzione nel pensiero operala da Kan1 è più che al1ro una "conlrorivoluzione 1olemaica", perché egli non sosliene che l'osservatore, prima credulo immobile. sta in verilà girando auomo al Sole: al contrario, il soggeuo è centrale nel processo conoscitivo". Q. Meillassou,.Dopo la finitudine, cii., p. 145. 38

cercheremo di mettere in evidenza. Per chiarire i punti fondamentali che caratterizzano le due concezioni procederemo in questo modo: dapprima mostreremo che la scienza sperimentale non si limita alla formalizzazione matematica delle regolarità, come vorrebbero gli empiristi a cui Meillassoux s'ispira, in quanto si sforza effettivamente di spiegare le connessioni causali che stanno alla base del divenire e lo determinano; in seguito, cercheremo di dimostrare che l'argomento di Hume non è sufficiente a escludere la causalità ontologica; infine, spiegheremo come la scienza attuale, pur sostenendo che vi sia un motivo per cui solo alcuni effetti possono realizzarsi invece che altri, non sia obbligata ad ammettere il principio di ragione che caratterizza, invece, la metafisica dogmatica.

1. Formalizzazione logica e necessità causale

Cominciamo col capire quale sia la concezione delle leggi della fisica legittimabile dal principio di fattualità. Abbiamo visto che secondo tale principio tutto quello che può esistere è contingente - dove per contingente s'intende un fallo matematicamente formalizzabile il cui contrario è possibile dal punto di vista logico e che quindi non ha nessuna ragione ontologica per esser tale. Da questo punto di vista la scienza sarebbe la disciplina che consiste nel verificare quali formule matematiche virtualmente possibili, sono effettivamente attualizzate e corrispondono ad un certo stato di cose. La scienza sarebbe pertanto obiettiva perché prende in considerazione le qualità primarie degli oggetti, ovvero i dati quantita39

tivi i cui rapporti costanti non dipendono dal soggetto e sono tali anche se nessuno li percepisce. Le leggi sono qui intese come delle funzioni che descrivono relazioni tra quantità, senza che vi sia nessuna ragione per cui, tra le fom1ulazioni logicamente ammissibili. l'una piuttosto che il suo contrario debbano corrispondere al reale: esse sono assolutamente contingenti. Le leggi possono quindi cambiare senza alcun motivo, esiste sempre la possibilità che si attualizzi un mondo regolato da funzioni diverse rispetto a quelle constatate. Tuttavia, ci sembra che questa concezione delle leggi non sia quella sostenuta dalla maggior parte degli scienziati sperimentali, in quanto esclude la possibilità di fornire spiegazioni causali. ovvero di spiegare la ragione per cui qualcosa, invece che qualcos'altro, si produce a partire da certe condizioni ontologiche piuttosto che da altre. Se ci si limita a considerare che una legge è una formula matematica che descrive una regolarità, allora è evidente che il contrario di quella formula è logicamente ammissibile e che non vi è nessuna ragione per cui una formulazione debba essere preferibile rispetto ad un'altra. Al contrario, se si ritiene che una legge rispecchi un'interazione ontologica tra sistemi - i quali sono dotati di particolari capacità di azione e reazione ma non di altre - allora vi è una ragione per cui quella legge, e non il suo contrario, è valida. È solo escludendo la causalità, come fa Meillassoux a partire dal problema dell'induzione di Hume, che è possibile sostenere che le leggi della fisica non abbiano alcuna necessità e possano cambiare senza ragione: esse non dipenderebbero dalle connessioni effettive tra sistemi ma dagli assiomi della matematica e della logica formale, stabiliti su basi razionali piuttosto che ontolo40

giche. Quello che vorremmo far notare è che la scienza sperimentale si basa sull'assunto contrario: ciò che è possibile dal punto di vista logico non è necessariamente possibile dal punto di vista ontologico, pertanto le leggi che descrivono le interazioni tra oggeui non devono essere valutate sulla base di principi logici, ma ontologici. Citiamo Mario Bunge a questo proposito: La connessione causale non è una relazione logica, non è una relazione del tipo x R y tra oggetti astratti. La causalità è una questione ontologica e non logica poiché si riferisce ad un tratto della realtà e, di conseguenza, non può essere stabilita a priori con mezzi meramente logici; può essere certamente analizzata con mezzi logici, con l'aiuto della logica, ma non può essere ridotta in termini logici. ( ... ) In altre parole, gli enunciati delle leggi sono delle ,·erità contingenti (nel senso leibniziano del termine) perché mancano della certezza che deve invece caratterizzare gli enunciati analitici (che sono delle verità necessarie), Questo non significa, naturalmente, che le leggi (gli schemi oggettivi dcli 'essere e del divenire) siano contingenti: considerare le leggi come contingenti è la conseguenza della falsa interpretazione che consiste nel credere che siano delle verità fattuali.( ... ) Ciò che è logicamente possibile non deve essere possibile dal punto di vista causale. In effetti è logicamente possibile che qualcosa si produca dal nulla (senza essere causato); in altre parole nessuna regola logica ci impedisce di concepire questa possibilità anche se è contraddiuoria rispeuo alle leggi di natura. Allo stesso modo è logicamente possibile che il mondo improwisamente smetla di esistere ma tale possibilità, benché concepibile, non solo è contraria alle leggi di natura ma non è verificabile, ovvero non è un'ipotesi scientifica.'

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M. Bunge, Causaliry. T/re piace of 1l1e causai principle in 41

Facciamo un esempio per chiarire la differenza tra gli enunciati formalizzati delle leggi e le leggi in quanto schemi di interazione ontologica. Esiste un rapporto matematico costante tra il volume occupato da un gas e la temperatura3 il quale, dal punto di vista logico, non ha nessuna ragione per essere tale. Non si tratta che di un fano empiricamente constatato, non c'è nessun motivo per cui un'altra funzione non possa descrivere un altro rapporto tra queste due grandezze, magari in un altro mondo logicamente consistente. Tuttavia uno scienziato sperimenmle spiegherebbe la formula facendo riferimento ad un nesso causale necessario tra l'apporto di energia (la temperatura misurata corrisponde alla quantità di energia) e l'agitazione molecolare di un gas, che comporta l'effetto di un aumento di volume, a condizione che la pressione venga mantenuta costante. Fornendo dell'energia sottoforrna di calore, infatti. le molecole del gas aumentano la propria energia cinetica sbattendo con più forza sulle pareti del recipiente: se si vuole che la pressione resti costante, bisogna allargare le pareti del recipiente e il gas occuperà un volume maggiore. Il rapporto direttamente proporzionale tra pressione e volume di un gas è, da un punto di vista scientifico, reso necessario dalle caratteristiche ontologiche di quello che chiamiamo gas: un rapporto inverso tra temperatura e volume, benché matematicamente concepibile, sarebbe ontologicamente impossibile. In altre parole, la formula matematica della legge non corrisponde al contenuto se-

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modem science, Harvard Uni\'ersity Press, Cambridge (MA) 1959, pp. 239-240 (nostra traduzione]. Secondo la legge di Charles, il volume occupato da un gas e la iempera1ura sono variabili direuameme proporzionali. 42

mantico della stessa. Questo, infalli, non fa riferimento a quantità astratte. ma ad entità reali che interagiscono tra loro e che, quindi, possono manifestare ceni componamenti ma non tutti quelli logicamente determinabili tra le quantità astraile che li rappresentano. Sostenendo che il principio di fattualità legittima la conoscenza scientifica in quanto constatazione di fatti contingenti, Meillassoux leginima le formalizzazioni matematiche delle leggi della fisica, ma non legittima le spiegazioni delle formule stesse, ovvero il loro contenuto semantico, il quale fa riferimento a sistemi dotati di caratteristiche che determinano i componamenti possibili. In pratica, stando al materialismo speculativo, sarebbero ammesse le funzioni matematiche che descrivono i rapporti costanti tra quantità, ma non le spiegazioni che forniscono la ragione per cui i sistemi agiscono e reagiscono in un certo modo piuttosto che in un altro, ovvero secondo una necessità ontologica. Questo tipo di spiegazioni, che implicano la sussistenza di connessioni causali, fanno parte, secondo Meillassoux, di un pensiero di tipo metafisico, secondo il quale c'è una ragione per cui qualcosa sia in un modo piuttosto che in un altro. Per quanto riguarda gli enunciati scientifici a proposito della realtà ancestrale, quindi, Meillassoux può legittimare soltanto quelli che, sulla base di funzioni stabilite in base al tempo di decadimento di certi isotopi radioattivi, stabiliscono che, per esempio, la Terra o il Sistema solare abbiano una certa età. Tuttavia, da questo punto di vista, non è possibile considerare la realtà ancestrale come la condizione necessaria alla produzione dello stato presente perché, altrimenti, questa verrebbe intesa come la condizione 43

rispeno alla quale un ceno presente, piuttosto che un altro, è stato reso possibile. In altre parole, dal punto di vista di Meillassoux. la realtà ancestrale non può essere considerata come determinante un certo numero di possibili, tra cui lo stato attuale della realtà, ma solo come un fatto privo di necessità e non condizionante.

2. Il problema dell'Induzione della causalità

Al fine di sostenere che le leggi della fisica sono dei possibili logici e che il mondo in cui viviamo non ha alcuna ragione per essere tale, Meillassoux sostiene che i fenomeni sono legati tra loro da funzioni che esprimono delle regolarità non necessarie, piunosto che da connessioni causali. Se tali connessioni sussistessero, ogni effeno deriverebbe necessariamente da una causa, il che implicherebbe un paradossale regresso all'infinito verso una causa prima, a sua volta non causata: il principio di ragione postulato dal pensiero metafisico che il materialismo speculativo vuole evitare. Per liberare il pensiero dall 'inrazionalità paradossale rappresentata dal principio di ragione, bisogna quindi dimostrare che la causalità, normalmente attribuita alla realtà, non può essere razionalmente provata e che deve essere penante esclusa. A questo scopo in Dopo /afi11ir11di11e Meillassoux riprende il celebre argomento di Hume, in base al quale non è possibile indurre la causalità ontologica a panire dalla regolarità dei fenomeni osservati. Tuttavia, ci sembra che questo argomento sia valido soltanto per quanti abbiano già assunto un punto di vista empirista e che, penante, il problema dell'induzione

non si ponga per gli scienziati. L'argomento di Hume, infatti, è valido soltanto se si suppone un'ontologia di sensazioni e impressioni, piuttosto che un'ontologia di sistemi dotati di caratteristiche ontologiche che non sono sempre immediatamente riconoscibili. Il problema di Hume consiste nel provare che il nesso causale, che siamo portati a supporre ogni qualvolta un fenomeno ne segue regolarmente un altro, rispecchia un effettivo rapporto di causa-effetto tra gli oggetti che producono le impressioni. Come noto, secondo l'empirista inglese questa prova è impossibile, vale a dire che non è lecito indurre l'esistenza di un nesso causale tra gli oggetti che producono le impressioni a partire dalla regolarità con cui si succedono le impressioni stesse. Questo perché si suppone che ragionare significhi legare tra loro impressioni sensibili che si danno sempre separatamente: siamo noi ad organizzare le impressioni in idee complesse, siamo noi che amibuiamo l'esistenza di un rapporto causale a certe impressioni che si susseguono regolarmente nel tempo. È chiaro allora che partendo da questo presupposto la causalità non può essere che un'attribuzione epistemologica, di conseguenza non è possibile sapere quali siano gli effettivi rapporti tra gli oggetti che producono le sensazioni. In altre parole, è partendo dalla tesi che ragionare significa conneltere impressioni che si danno completamente separate nel tempo, che è impossibile indurre la causalità ontologica. È pertanto l'assunto di partenza di Hume ad escludere la possibilità che il meccanismo causale che si cela dietro ai dati di sensazione possa essere conosciuto. Dal punto di vista scientifico, al contrario, non si tratta di trovare il modo in cui legare impressioni che si seguo45

no regolarmente nel tempo, ma di mettere a punto degli esperimenti dove, attraverso una metodologia opportuna, Yiene isolata la causa di un certo effetto, ovvero il meccanismo che produce certe regolarità osservabili. In un esperimento scientifico non si tratta di stabilire se determinati fenomeni percepiti sempre in successione sono l'uno causa dell'altro - in effetti non tutti i fenomeni che si succedono regolarmente sono l'uno la causa dell'altro - ma di spiegare come tutta una serie di effetti percepibili, che possono differire tra loro in maniera irregolare, siano prodotti da un certo tipo di interazione tra sistemi. In altre parole. l'oggetto della conoscenza scientifica non sono le regolarità fenomeniche, ma il meccanismo non immediat~ente percepibile che l'esperimento è capace di mettere in luce: meccanismo che deve essere isolato e che deve poter produrre, in condizioni controllate. degli effetti regolari. Per la scienza, lo ripetiamo, non si tratta allora. come per Hume. d'indurre la causalità a partire da una regolarità. ma di produrre una regolarità in maniera sperimentale. Potremmo dire, allora, che l'esperienza consiste nella costatazione di una ripetizione spontanea rispetto alla quale si è portati a riconoscere un nesso causale che non può essere provato, mentre l'esperimento consiste nella produzione di una ripetizione che potrebbe non realizzarsi mai spontaneamente: la ripetizione regolare dell'effetto ricercato prova l'esistenza del nesso causale che la rende possibile. Facciamo un esempio per chiarire questa differenza. Prendiamo l'enunciato "l'acqua bolle a 100 °C". Un empirista si limiterà ad osservare che nel momento del passaggio dallo stato Iiquido allo stato gassoso la temperatura registrata col termometro corrisponde a 100 •e: se questa correlazione si ripete, dovrebbe po-

stulare l'esistenza di una connessione causale. Tuttavia in montagna, per esempio, constaterebbe che l'acqua bolle a una temperatura inferiore, il che implicherebbe che non vi sia alcuna congiunzione necessaria tra i due dati sensibili che non dipenda dall'abitudine. Per lo scienziato, invece, si tratta di produrre sperimentalmente una situazione nella quale l'acqua bolle sempre a 100 •e, tendendo presente che normalmente l'acqua non bolle mai esattamente a questa temperatura. Egli comprenderà, allora, che la pressione atmosferica è un parametro che deve essere controllato, in quanto interferisce col meccanismo che si vuole isolare. Riproducendo l'esperienza a pressione costante, infatti, l'acqua bolle sempre alla stessa temperatura, ma questo non è che l'effetto del meccanismo causale che deve essere spiegato: la temperatura non è certo la causa del fenomeno osservato. Per riprodurre l'effetto, infatti, è necessario fornire una cena quantità di energia ad una cena quantità di acqua: la temperatura raggiunta dal liquido non è che l'effetto sensibile dell'energia del sistema. Da questo punto di vista, allora, la conoscenza non consiste nel legare due diverse esperienze sensibili (il bollire dell'acqua e la temperatura), ma nell'isolare il meccanismo che origina gli effetti sensibili, vale a dire nel riprodurre in maniera controllata l'interazione tra acqua ed energia in modo da ottenere l'effetto dell'ebollizione alla temperatura di 100 •c. L'enunciato "l'acqua bolle a I 00 °C" non significa, per lo scienziato, che vi è una relazione matematica tra temperatura e stato del liquido che potrebbe anche essere di versa - l'enunciato "l'acqua bolle a 30°C" sarebbe infatti ugualmente ammissibile in termini di logica - ma che l'acqua ha la proprietà di reagire in un certo modo, e non in un altro, alla somministrazione 47

di energia. L'enunciato in questione significa, e questa spiegazione deve essere aggiunta alla formulazione della legge. che l'energia determina un certo comportamento delle molecole dell'acqua: quella che viene stabilita è una relazione necessaria tra l'energia e lo stato del sistema preso in considerazione. Per l'empirista è quindi impossibile stabilire se la regolarità constata è necessaria, ovvero se c'è una ragione per cui l'acqua deve bollire a 100 •e, mentre per lo scienziato l'esperimento prova l'esistenza di un nesso causale, la necessità del cambiamento di stato del liquido all'aumentare dell'energia del sistema: l'enunciato formalizza quindi il risultato dell'esperimento, ovvero la prova della connessione causale, e non la regolarità a pani re dalla quale la causalità dovrebbe essere indotta. Possiamo quindi concludere che, dal punto di vista scientifico, il problema dell'induzione di Hume non si pone, dal momento che non si tratta di indurre la causalità a partire da una regolarità tra impressioni, ma di produrre delle regolarità agendo sugli oggetti, ovvero mettendo a nudo e facendo agire il meccanismo che si cela dietro ai fenomeni percepibili.

3, Causalità e libertà

Riassumendo, per Meillassoux le leggi sono delle formalizzazioni logiche che costatano delle regolarità non necessarie tra fenomeni, mentre per la scienza speri mentale si riferiscono al modo in cui i sistemi reagiscono ed agiscono in base a caratteristiche ontologiche proprie. Abbiamo anche detto che per Meillassoux ogni pensiero che, come la scienza sperimentale, ammena la causali48

tà è un pensiero metafisico, in quanto si basa sull'idea che vi sia una ragione per cui qualcosa, piuttosto che qualcos'altro, si realizzi. Tale maniera di pensare sarebbe assurda poiché implicherebbe l'esistenza di un essere necessario, la causa prima a sua volta non causata all'origine della catena causale. Questa, in quanto necessaria, sarebbe impossibile, dal momento che solo ciò che è contingente può. ma non deve, esistere.Al contrario. abbiamo visto che per la scienza sperimentale è assurda l'ipotesi che tutto ciò che è logicamente concepibile possa realizzarsi. Ci sembra, tuttavia, che vi sia un punto finale di accordo tra le posizioni del materialismo speculativo e della scienza contemporanea: la realtà è conoscibile in sé stessa come imprevedibile, nel senso che non vi è nessuna motivo per supporre che il futuro assomiglierà al passato. Spiegheremo ora per quale motivo il principio di ragione non sia razionalmente ammissibile dal punto di vista di Meillassoux e vedremo quali conseguenze derivano dall'esclusione di quest'ultimo per quanto riguarda l'idea di libertà. Prendendo in considerazione il pensiero correlazionista, che per difendersi dall'idealismo è costretto a riconoscere la non necessità della correlazione, Meillassoux dichiara che sia razionalmente necessario ammettere la fatticità del pensiero. Egli assolutizza quindi la contingenza della correlazione: l'unica cosa che il pensiero può pensare con certezza di sé stesso è la mancanza di necessità dei propri giudizi. Ne deriva che tutte le cose sono pensabili in quanto contingenti, in altre parole la sola necessità razionale è la contingenza di tutte le cose. Tuttavia ci sembra che se è razionalmente necessario che il pensiero si riconosca come fattizio, lo 49

è in funzione di una necessità più profonda: il pensiero deve riconoscersi come libero, come capace di iniziare una catena causale. A questo proposito si tenga presente che l'etica humiana si basa sul riconoscimento, almeno a livello epistemologico. del nesso causale tra fenomeni che si offrono in congiunzione costante, che è la condizione della libertà.• Secondo l'empirista inglese, perché l'etica sia possibile, è necessario poter pensare di agire in maniera causale, ovvero pensare di essere in grado di determinarsi per azioni che producono certi effetti piuttosto che altri. Perché la vita comunitaria sia possibile. inoltre. si deve poter prevedere che gli altri agiranno in un certo modo rispeuo a determinate situ;zioni. Secondo Hume, la causalità deve quindi essere supposta come condizione di quella libertà che è richiesta dal pensiero. libertà che non saprebbe esprimersi se non vi fossero delle leggi che stabiliscono che cene interazioni producono certi effetti. Per Hume il pensiero è certamente fallizio, non vi è infaui nessuna ragione di credere che esso sia determinato né da idee innate, né da una effettiva causalità naturale, tuttavia è in nome dell'esigenza di pensarsi come libero, che ha bisogno di pensare che sussista un nesso causale che lega i fenomeni percepiti (un ragionamento simile si ritrova in Kant, il quale a sua volta, pur non potendo dimostrare la necessità della causalità che l'intelleuo attribuisce ai fenomeni, si trova a dover esigere tale giudizio come condizione della stessa possibilità della rappresentazione). Ammettendo la fatticità del pen-

4

Cfr. D. Hume, An Enquiry Concerning Human Understanding. capitolo Vlll, Of Liberty ond Necessity. 50

siero come unica necessità razionale ed escludendo la causalità, Meillassoux riesce pertanto ad evitare la soluzione correlazionista, secondo la quale i fenomeni sono connessi in maniera causale per noi, allo stesso modo in cui evita la soluzione metafisica per cui tutto dipende in maniera necessaria da una prima causa. Pertanto, così facendo, si trova a negare l'esigenza di pensarsi liberi, ovvero capaci di determinarsi per un'azione, capaci di agire in maniera causale, di interagire con gli oggetti per produrre effetti programmabili e desiderabili. A questo proposito si tenga presente che in L'i11existence divine,5 opera maggiore di Meillassoux non ancora pubblicata, si sostiene che le eventuali azioni umane non possono produrre effeui sul divenire contingente del mondo, non è quindi possibile pensare che i fatti che si realizzano dipendano da certe azioni o dalla volontà: tutto ciò che si verifica è, e deve essere, senza ragione. Il principio di fattualità, in base al quale l'unica necessità è la contingenza, si trova quindi in conflitto con l'esigenza del pensiero di pensarsi libero e capace di determinarsi. La realtà che Meillassoux ci presenta, perfettamente descrivibile in termini matematici e perfettamente razionale, è pertanto un mondo liberato dalla follia del principio di ragione, che obbligava il pensiero ad un paradossale regresso all'infinito

S

L'inexistence divine è la tesi di dottorato di Quentin Meillassoux, opera dalla quale è tratto Dopo la fi11i111di11,, e sulla quale l'autore continua incessantemente a lavorare. È possibile leggere degli esLratti del manoscritto tradotti in inglese in Graham Hannan, Q11e111ii1 Meillasso,u : philosopliy in the making, Edimburgh University Press, 201 I. 51

alla ricerca della prima causa, ma un mondo nel quale non c'è spazio per l'interazione e per la creazione.

4. Causalità e necessità

Il rifiuto del principio di ragione che sorregge il materialismo speculativo si inscrive in una strategia che mira a evitare allo stesso tempo il correlazionismo, in tutte le sue forme, e la metafisica. Tutto è contingente, privo di ragione, non soltanto per noi ma in sé. Dal momento che è impossibile fondare la necessità del nostro 2iudizio di causalità - così come della correlazione -in generale - dobbiamo allora accettare che non ci sia nessuna ragione per cui le cose siano cosi piuttosto che altrimenti e, di conseguenza, dobbiamo accettare la necessità della contingenza assoluta delle leggi. In questo modo viene eliminata la possibilità dell'esistenza dell'essere necessario, ovvero la prima causa non causata della metafisica dogmatica che il correlazionismo poteva semplicemente indicare come non conoscibile, senza poterne escludere l'esistenza: nel sistema di Meillassoux non può esistere che ciò che è contingente. Ad ogni modo ci sembra che questo ragionamento - che induce la contingenza del reale a panire dalla mancanza di necessità dei giudizi sul reale, ovvero la contingenza delle leggi a partire dalla mancanza di necessità delle funzioni matematiche che le descrivono - piuttosto dimostrare la necessità della contingenza assoluta del reale, dimostri soltanto la mancanza di necessità del nostro giudizio sulle cose, ovvero la contingenza propria a tutte gli enunciati lo52

gici non analitici.6 Perché l'impossibilità di fondare la necessità dei nostri giudizi dovrebbe implicare la non necessità dell'esistente? Ci sembra che il problema, per trovare una soluzione, dovrebbe essere posto in un altro modo. La domanda che ci poniamo, e alla quale forse la scienza della complessità può rispondere, è la seguente: come deve essere la realtà perché sia possibile l'esistenza di un pensiero capace di produrre dei giudizi non necessari? Come deve essere la realtà perché sia possibile l'esistenza di un pensiero fattizio, capace di conoscere il mondo così come di immaginare mondi possibili? Come deve essere la realtà perché il materialismo speculativo, il correlazionismo e la scienza siano possibili, insieme all'arte, all'errore e all'idiozia? Ci sembra che la scienza della complessità sia effettivamente in grado di dimostrare la propria validità in quanto è capace di dar ragione del fatto che, se il mondo fosse diverso da come lo descrive, allora essa stessa non potrebbe esistere. Approfondiremo in seguito quest'argomento e diamo prima un breve acconto della realtà descritta dalla scienza contemporanea, o scienza 6

Si tenga presente che, come segnalato in Dopo lafini111di11e, la categoria della causalità 11011 viene dedotta da Ka11t ma dimostrata per assurdo: se 110n si potesse stabilire 1111 nesso causale trai fenomeni allora la rapprese111azio11e 110n sarebbe possibile e il mondo sarebbe i11conoscibile. Cfr. Dopo la fi11i111dine, op. cii., p. 111. li fatto che la necessità delrallribuzione di causalità ai fenomeni sia indimostrabile è, per Meillassoux, la prorn del fatto che la sola necessità razionale che deve essere riconosciuta è quella della contingenza, ovvero della possibilità di tutti gli scenari che possiamo razionalmente descrivere matematicamente ed immaginare senza contraddizione. 53

della complessità, per vedere come le sue descrizioni, pur non rinunciando a riconoscere nella causalità una connessione effettiva, lascino lo spazio per l'esistenza del non necessario, per l'esistenza di un pensiero non solo fattizio ma anche libero. Pur ammettendo la causalità ontologica, la scienza della complessità descrive una realtà imprevedibile, dove la novità assoluta può emergere a partire da condizioni che non l'implicavano necessariamente, ma in assenza delle quali non al'rebbe potuto prodursi. Per la scienza della complessità, infatti, la libertà e la creatività sono rese possibili a livello ontologico proprio dalle caratteristiche dei sistemi. dalla loro capacità di interazione e di reciproca modificazione: è perché la materia organizzata segue certi schemi di comportamento - piuttosto che altri - che essa può, in particolari occasioni, modificare in maniera qualitativamente significativa il proprio comportamento e la propria struttura (anche se non tutto è sempre possibile). Bisogna allora distinguere tra l'auitudine della meccanica classica, il cui determinismo inderogabile si accorda con la metafisica dogmatica, e quella della più recente scienza della complessità, che ammeue la non prevedibilità dei comportamenti dei sistemi e la pluralità degli effetti che possono essere prodotti a partire dalle stesse condizioni. Secondo la meccanica classica la causalità lineare era l'unico determinante del divenire e la materia era considerata completamente passiva e mossa unicamente da forze estrinseche, capaci di determinarla in maniera perfeuamente calcolabile e prevedibile. Dal momento che la forza agente sulla materia era supposta provenire dall'esterno, era plausibile credere alla necessità di una prima causa trascenden114

te, la forza che aveva originariamente messo in moto l'universo,' determinando la concatenazione necessaria di cause ed effetti. Dal punto di vista della metafisica, quindi, l'oggetto della conoscenza era questo principio trascendente, quest'origine che è causa della propria esistenza e ragione determinante in maniera assoluta tutto ciò che può essere. Dopo i primi successi della scienza moderna, come la legge di gravitazione universale di Newton, si credeva che fosse possibile fornire una descrizione tanto perfetta del funzionamento del meccanismo naturale, che sarebbe staio possibile conoscere tutti gli eventi passati e futuri a partire dall'analisi completa della situazione presente: in questo consisteva, per esempio, l'ipotesi di Laplace.8 I successi della matematizzazione, che tuttavia riguardavano un numero ris1re110 di sistemi, avevano fatto credere che l'universo fosse 7

La legge di gravitazione universale descrive matematicamente il moto dei pianeti in base al rapporto tra masse e di· stanze~ lulla\'ia lsaac Newton non poteva C\'itare di supporre

l'esistenza di un Dio che avesse originariameme messo in moto i pianeti.

8

Pierre Simon Laplace (1749 -1827) è un matematico e fisico francese, autore della Meccanica celeste, opera che ha

trasformato lo studio geometrico della meccanica S\"iluppato da Newton in quello basato sull'analisi matematica. Sostenitore del determinismo, sosteneva che lo stato attuale dell'uni,·erso è l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro e che, quindi, un intelletto sufficientemente potente

che ad un determinato istante dovesse conoscere tuuc le forze in azione nella natura e la posizione di tutti i corpi che ci sono in natura, potrebbe racchiudere in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi piò piccoli: in questo modo potrebbe conoscere tutti

gli eventi passati e futuri. 55

come un orologio regolato da un meccanismo perfetto, ovvero da leggi capaci di determinarlo in maniera del tutto calcolabile: il possibile era già incluso come tale nell'origine. Si pensava che la perfezione riscontrata nei sistemi presi fino ad allora in analisi, sistemi in equilibrio ed integrabili, potesse essere estesa fino ad ottenere una previsione esatta del di venire dell'intero uni verso. Ma. come spiega llya Prigogine. moire cose sono cambiare da quando si è inizialo a occuparsi di si sterni molto meno '"perfetti", il cui comportamento non può essere spiegato facendo ricorso alla semplice causalità lineare: sistemi lontani dall'equilibrio e sistemi dissipativi, il cui comportamento, che certamente non va contro le leggi universali, è tuttavia imprevedibile. Gli oggetti scelti dai primi fisici al fine di esplorare la \'alidità della descrizione quanlitati\'a - il pendolo dotalo di moto conservati\'o, le macchine semplici. le orbite planetarie. etc. - corrisponde\'ano ad un'unica descrizione matematica che effettivamente riproduceva l'idealità divina dei corpi celesti aristotelici. ( ... ) In ogni istante era possibile sapere tutto quello che era necessario rispetto ad ogni punto. \'aie a dire la distribuzione delle masse e le loro ,·elocità. Ogni stato conteneva l'intera verità riguardo a tutti gli stati possibili e ognuno poteva essere impiegato per conoscere tutti gli altri, qualunque fosse la sua collocazione sull'asse temporale. In questo senso la descrizione conduceva ad una tautologia perché sia il passato che il futuro erano entrambi contenuti nel presente. II cambiamento radicale di prospettirn che ha interessato la scienza, o\'vero la transizione ,·crso il molteplice e il temporale, può essere considerata come il mo\'imento contrario rispetto a quello che aveva trasportato il ciclo aristotelico sulla terra. Oggi stiamo portando la terra in cielo. Stiamo scoprendo la pre\'alenza della temporalità e del cambiamento per tutti 56

i livelli, da quello delle particelle elemenlari, a quello dei modelli cosmologici.9 È stato quindi l'allargamento della conoscenza scientifica a nuovi oggetti, come i sistemi complessi e le strulture dissipative, ad aver condotto ad una nuova visione della realtà dove, pur nella validità delle leggi della fisica e delle connessioni causali, non è possibile sostenere che il futuro debba assomigliare al passato. Quesla apertura del meccanismo perfettamente calcolabile alla storicità, ovvero ad una parziale indeterminazione, non è dovuta alla nostra ignoranza o alla nostra limitata potenza di calcolo, al contrario è proprio perché abbiamo raggi unto un grado di conoscenza sufficientemente alto che possiamo dichiarare la parziale imprevedibilità del comportamento di certi sistemi: sono le leggi stesse a consentire l'emergere del nuovo. Per la scienza che si occupa dei sistemi complessi l'evoluzione dell'universo non è prevedibile a lungo termine, nel senso che non c'è nulla che debba assolutamente realizzarsi, niente che sia da considerarsi come assolutamente necessario.anche se non tutti i fatti logicamente ammissibili possono effettivamente accadere. In altre parole, una molteplicità di emergenze, di eventi inattesi e di sviluppi sono possibili in accordo con le proprietà della materia organizzata e con i suoi schemi di comportamento. Nulla può prodursi senza ragione, ovvero in assenza di certe condizioni, ma non vi è nessuna ragione per pensare che il nuovo e l'imprevedibile non possano prodursi in accordo con le leggi. Questa prospettiva, che, lo ripetiamo, non è da intender9

I. Prigogine et I. Stengers, Order out ofc/raos, Bantan, New York 1984, p. 305. [nostra traduzione] 67

si come una falsificazione delle teorie moderne ma solo come un allargamento della conoscenza ad oggetti che prima non potevano essere presi in considerazione, ha condotto ad abbandonare il determinismo assoluto per abbracciare quello che Bunge chiama "determinismo generale" .10 S tando al determinismo generale, la causalità lineare, che per la meccanica classica era l'unico motore. è soltanto uno fra i molli determinanti del divenire. In altre parole, oltre al semplice nesso causa/effetto, sono contemplate dalla scienza contemporanea una molteplicità di ragioni per cui certe situazioni possono evolvere, modificarsi o prodursi in certi modi piuttosto che in altri. Offriamo di seguito una serie di esempi di determinanti non causali che costituiscono le ragioni ontologiche del possibile. Innanzi tutto si devono annoverare le caratteristiche proprie ai vari sistemi, ovvero le loro particolari capacità di interagire, di agire e reagire rispetto a stimolazioni o perturbazioni diverse. La materia, infatti, non è la sostanza totalmente passiva e sottomessa all'azione di forze esterne immaginata dalla scienza moderna, ma essa è già sempre organizzata in sistemi dotati di caratteristiche specifiche, ovvero di tendenze e capacità proprie. Inoltre vi sono sistemi, come alcuni sistemi complessi dissipativi, che sono capaci di autorganizzaz.ione e che manifestano la tendenza ad evolvere in un certo modo, resistendo alle influenze esterne, alle forze che potrebbero causare effetti di rottura dell'equilibrio interno. Questi sono in grado, in alcuni casi, di riorganizzarsi e di modificarsi per trovare un nuovo equilibrio. I sistemi capaci di autorganizzazione sono, in un certo IO

Cfr. Bunge, Causality, cit., pp. 58

280-281.

senso, autodeterminati in maniera non causale e manifestano una certa autonomia di comportamento rispetto alle forze che agiscono su di loro. Altri determinanti non causai i possono essere considerati gli attrattori dei sistemi dinamici, delle tendenze di comportamento ricorrenti, delle fasi relativamente stabili che i sistemi raggiungono spontaneamente, senza che sia possibile stabilire quali perturbazioni spingano effettivamente verso l'uno o l'altro di questi stati possibili. Gli attrattori, quindi, determinano il comportamento di un sistema, anche se non possono essere considerati la causa dell'evoluzione dello stesso, né gli effetti diretti dell'azione di una qualche forza. Non tutte le regolarità osservabili sono quindi spiegabili attraverso una connessione causale e, di conseguenza, dal punto di vista scientifico, non ha senso voler indurre la causalità a partire dalla regolarità: non tutte le regolarità sono il prodotto di un determinante causale. Ciò che fa sì che, benché esistano delle leggi sempre valide che dipendono dalle proprietà ontologiche della materia organizzata, l'uni verso debba essere considerato un sistema la cui evoluzione a lunga durata è imprevedibile, dipende dal fatto che normalmente i vari determinanti interferiscono tra loro, allo stesso modo in cui catene causali distinte possono incrociarsi in maniera del tutto contingente. dando origine a fatti che avrebbero potuto non realizzarsi mai e a condizioni inedite.ovvero capaci di aprire a nuovi possibili. Se tutto quello che può verificarsi ha bisogno che si verifichino certe condizioni e se ci sono delle ragioni per cui certi eventi possono prodursi invece che altri, certamente le stesse identiche condizioni non si verificano mai e gli effetti della stessa interazione differiscono a volte in maniera sensibile. Le 59

leggi scopene dalla scienza. penanto, non implicano che tutto debba svolgersi in maniera necessaria secondo una catena di cause ed effetti che non saprebbe essere di versa. ma semplicemente che i vari sistemi di cui l'universo è composto esibiscono degli schemi di comportamento, delle tendenze. delle caratteristiche di azione e reazione che, se da un lato li obbligano a divenire in un certo modo piuttosto che in un altro, dall'altro fanno sì che il nuovo e l'imprevisto possano prodursi. Per quanto riguarda la produzione della novità, menzioniamo brevemente il caso dei fenomeni di emergenza, nel corso dei quali un livello di organizzazione inedito e dotato di caratteristiche e regole proprie, appare senza essere direttamente causato dalle interazioni tra le pani del livello di organizzazione inferiore. Le emergenze possono verificarsi perché ci sono delle leggi che regolano i componarnenti dei sistemi, ovvero un'emergenza non può verificarsi che a partire da determinate condizioni, tuttavia, una volta realizzata, essa pone nel mondo nuove leggi e nuove condizioni: nuovi possibili. Un'emergenza è un fatto contingente, un fallo che avrebbe potuto non verificarsi mai, anche se non qualunque emergenza è possibile in qualunque momento ed in ogni circostanza. Le leggi della fisica, quindi, sono le condizioni necessarie perché possano realizzarsi l'imprevedibile e il non assolutamente necessario, esse sono la ragione per cui il futuro non deve assomigliare al passato e la ragione per cui non tutti i futuri immaginabili sono ontologicamente possibili. Il determinismo generale supporta quindi una prospettiva nella quale, pur essendoci connessioni causali effettivamente provate, l'evoluzione del l'uni verso non è prevedibile, né necessaria. Il determinismo generale 60

implica soltanto che I) tutto avviene nel rispetto di certe leggi 2) niente può apparire dal nulla e sparire nel nulla. In pratica c'è una ragione ontologica, che risiede nelle capacità di agi re e reagire proprie ai differenti oggetti o sistemi, per cui alcune fatti possono verificarsi piutlosto che altri, ma non c'è nessuna ragione per pensare che qualcosa debba assolutamente verificarsi, né di sostenere che qualunque cosa possa accadere in ogni istante. Ora si tenga presente che secondo Meillassoux non potremmo definire contingenti i possibili che si determinano in accordo con le leggi della fisica, in quanto !'assolutamente contingente non è un caso rispetto ad un totale di casi già previsti come possibili." Per esempio, il risultato del lancio di un dado non è assolutamente contingente perché si tratta di un caso su sei, al contrario sarebbe assolutamente contingente il risultato di un dado dotato di un numero intotalizzabile di facce. I fatti scientificamente ritenuti possibili non sarebbero allora assolutamente contingenti, dal momento che a pani re da certe condizioni solo un certo numero di casi risultano ontologicamente ammissibili, ciascuno con un proprio grado di probabilità. Questo è sicuramente vero se prendiamo in considerazione i possibili aperti rispetto ad un singolo stato di cose in un tempo finito, ma ci sembra che non valga sulla scala dell'eternità. Se intendiamo ogni evento naturale come la realizzazione del possibile aperto dall'evento precedente - uno degli effetti ontologica11

"Il contingente è insomma qualcosa e/re i11fine accade qualche cosa d'altro che, sfuggendo a tulli i possibili già inventariati, pone fine alla vanità di un gioco dove 1Utto, compreso l'improbabile, è prevedibile'. Meillossou.,. Dopo lafi11it11di11e,cit. p.113. 61

mente possibili a partire da certe condizioni - allora non possiamo ritenerlo contingente in senso assoluto, tuttavia, se consideriamo gli infiniti possibili relativi al tempo dell'eternità. dobbiamo ammettere che ogni singolo evento è assolutamente contingente perché infinite sono te situazioni che possono prodursi in un tempo infinito. Se a panire da un certo stato di cose solo un certo numero di possibili sono ammissibili, considerando l'eternità ci troviamo di fronte ad un insieme non totalizzabile di situazioni diverse che aprono ad un insieme non totalizzabile di possibili. Per la scienza della complessità, infatti, l'universo è un sistema non ergodico, un sistema che ha una storia che non si ripete: ad ogni singolo istante solo certi fatti sono possibili, tuttavia, considerando tutti gli infiniti istanti in una volta sola, allora la probabilità di un singolo evento risulta incalcolabile. È per questo motivo, per esempio, che l'emergenza della vita o del pensiero sono considerati come fatti contingenti, privi di necessità, la cui apparizione non poteva essere prevista. L'ammissione della causalità e il riferimento a condizioni che limitano di volta in volta il possibile ontologico, quindi, non fa della scienza una metafisica dogmaùca, in quanto nulla è effettivamente considerato come assolutamente necessario e nessuna forza trascendente, o prima causa, deve essere supposta per dar ragione dell'origine del movimento della materia. Questa infani è capace di esprimere capacità e tendenze proprie, comportamenti che lasciano aperta la possibilità di inventare nuovi comportamenti: è perché la materia ha certe proprietà che essa può assumerne delle altre non prevedibili.

82

5. La possibilità della scienza

Come abbiamo visto, la scienza sperimentale ammette che le leggi siano tali da consentire fatti imprevedibili e non necessari: l'emergenza del pensiero è sicuramente uno di questi. Tuttavia, se per Meillassoux la fatticità del pensiero implica l'assoluta contingenza delle leggi - è razionalmente necessario considerarle tali poiché non possiamo provare la necessità delle formulazioni matematiche che le esprimono - al contrario per la scienza sperimentale è l'emersione di fenomeni contingenti consentita dalle leggi a dar ragione della fatticità del pensiero, ovvero della mancanza di necessità delle sue produzioni. In quanto livello emergente, il pensiero può determinarsi secondo leggi proprie, certamente la sua condizione di esistenza sono le leggi dei livelli di organizzazione inferiori, ma, al di fuori della concezione riduzionista che caratterizzava la meccanica classica, si concepisce l'idea che ogni livello goda di una relativa autonomia. Se c'è un pensiero capace di descrivere la realtà quale essa è, a prescindere dal soggetlo che la esperisce, questo è, secondo Meillassoux, quello che si occupa delle relazioni matematiche regolari tra qualità primarie, ovvero i caratteri quantitativi che sono tali anche quando nessuno ne fa esperienza, e che si trovano in rapporti costanti non necessari. Al contrario, per uno scienziato, la scienza sperimentale è obiettiva perché la descrizione del mondo che essa fornisce contiene in sé la ragione per cui la scienza, in quanto libera determinazione del pensiero, può, ma non de,•e, esistere: le leggi sono tali che l'emergenza del pensiero, in particolare di un pensiero capace di autodeterminarsi e di produrre ef83

fetti concreti, è possibile. Dal punto di vista scientifico, pertanto, il pensiero è fattizio perché non vi è nessun motivo per cui debba necessariamente esistere o perché debba determinarsi in un certo modo, ma è anche libero. per il fatto che ha la capacità di programmare, in accordo con le leggi e con le proprietà degli oggetti, certe interazioni al fine di ottenere determinati effetti. In altre parole. dal punto di vista scientifico, il fatto che il pensiero sia contingente, in una realtà governata da leggi che non possono cambiare. è ciò che permette di sostenere che sia possibile agire liberamente determinandosi per causare certi effetti desiderati. La scienza sarebbe, allora, un'autodeterminazione non necessaria del pensiero- nulla obbliga a pensare ed a pensare in un ceno modo e la matematica non è un a-priori ma uno strumento che deve essere continuamente messo a punto. La condizione di questa autonomia è quella libertà che consente a certi livelli di organizzazione di autodeterminarsi. libertà che può essere effettivamente esercitata soltanto qualora esis1ano delle leggi che permettono di programmare un'azione efficace e produttiva come gli esperimenti scientifici stessi, nel corso dei quali i sistemi vengono manipolati ed obbligati a produrre effetti regolari. Di conseguenza, essendo la logica e la matematica un modo in cui il pensiero si autodetermina, non vi è nessun motivo per cui quello che è possibile a livello logico debba essere possibile a livello omologico, ma è vero piuttosto il contrario: è perché la realtà è fatta in un ceno modo che è possibile l'esistenza di un pensiero capace di autodeterminarsi secondo regole proprie. Ci sembra, quindi, che sia proprio il fatto che la scienza sia in sé stessa non necessaria rispetto ai sistemi da cui emerge, B4

ciò che prova che i sistemi sono conosciuti dalla scienza in maniera obiettiva: non sarebbe possibile immaginare l'esistenza della scienza se la realtà non fosse tale quale la scienza la descrive, ovvero regolata da leggi che rendono ontologicamente possibile la produzione di fatti cd emergenze non necessari. Se non vi fosse una causalità ontologica, se non vi fossero le leggi, se non vi fosse la possibilità di emergenze non necessarie e se non fosse possibile il fenomeno dell'autorganizzazione, allora non sarebbe nemmeno possibile l'esistenza di quell'autodeterminazione del pensiero che è la scienza. Si potrebbe obiettare, in ogni caso, che poiché certe teorie scientifiche sono state confutate, allora potrebbero venir confutate anche quelle che oggi concernono l'emergenza e i sistemi complessi capaci di autorganizzazione, ovvero quelle che sostengono la possibilità ontologica del pensiero scientifico. A questo proposito, si tenga presente che, sebbene alcune teorie siano state rivisitate e corrette, le basi del pensiero scientifico sono immutate, per esempio la scienza si è sempre fondata sulla dimostrazione dell'esistenza della causalità ontologica. Inoltre, le teorie riduzioniste e assolutamente deterministe che caratterizzavano la scienza moderna non sono state rifiutate, ma sono oggi riconosciute valide soltanto per quanto riguarda certi sistemi particolari, come quelli in equilibrio ed integrabili. Per esempio la legge di gravitazione universale non è stata rimpiazzata dalla relatività. ma essa risulta oggi un sottoinsieme di quest'ultima. Il fatto che alcune teorie siano state confutate, quindi, non prova che la realtà sia conosciuta in maniera fallace, ma che sia conosciuta in maniera parziale. Anzi, potremmo sostenere che sono proprio gli errori della scienza 65

a cos1i1uire una prova ulteriore della sua validità: se ci fosse una necessità del pensiero scientifico l'errore non potrebbe esistere, ma è proprio perché la scienza è un'autodeterminazione non necessaria di un'emergenza contingente. che può. ma non deve, comprendere esattamente i meccanismi che sono le condizioni della sua propria esistenza e della propria possibile fai lacia. È proprio perché il pensiero non è necessario che non c'è nessuna necessità di una conoscenza perfena, ma è perché il reale segue cene regole di evoluzione che il processo di conoscenza sciemifica del reale è possibile. Non esiste quindi una correlazione necessaria Ira il mondo e il pensiero. ovvero non esiste una necessità della scienza né di alcuna conoscenza (compresa la necessità di pensare la comingenza di ogni cosa). ma esiste una realtà che è tale da rendere la conoscenza scientifica ontologicamente possibile, allo stesso modo in cui sono possibili la matematica. l'ane. la filosofia, l'errore e l'idiozia. Dovremmo ora essere in grado di comprendere perché la scienza contemporanea, benché ammetta delle ragioni omologiche per cui qualcosa può realizzarsi piuttosto che qualcos'al1ro, non ammetta, come la metafisica dogmatica, la necessità di una prima causa trascendente e assolutamente necessaria. Per fornire le sue spiegazioni, infatti, la scienza non ha bisogno di immaginare una forza estrinseca che metta in moto una materia passi va ma le basta postulare l'esistenza di una materia capace di organizzarsi secondo certi schemi. leggi che consentono sia la conservazione delle proprie strutture, sia il loro cambiamento, ovvero l'emergere del nuovo e la possibilità della creazione. Si tenga presente, inoltre, che la scienza postula che il tempo non è la dimensione nella 68

quale le cose avvengono, ma una variabile dello stesso divenire: il tempo non esiste laddove non esiste movimento, laddove non esiste materia organizzata. Si parla di spazi-tempo, ovvero di dimensioni dove almeno un fotone si sposta da un punto ad un altro e in assenza del quale né lo spazio né il tempo esistono. Da questo punto di vista, allora, non ha senso chiedersi cosa precedesse la materia, quale causa l'abbia originata, dal momento che prima della materia non poteva esistere nemmeno il tempo, ovvero la possibilità della precedenza. Per la scienza, non è quindi necessario far appello a un principio di ragione di tipo metafisico ma è sufficiente far riferimento ad una condizione: l'esistenza di uno spazio-tempo, condizione che lo stesso Meillassoux si trova costretto ad ammettere quando parla dell'hypercaos nel quale si attualizzano i virtuali. Per concludere, riprendiamo i punti fondamentali di differenza e concordanza tra il materialismo speculativo di Meillassoux e la scienza sperimentale. La differenza fondamentale riguarda l'ammissione della causalità ontologica, dalla quale seguono concezioni opposte riguardo la determinazione del possibile. Da una parte si ottiene una realtà dove tutto ciò che è logicamente non contraddittorio può realizzarsi senza ragione, dall'altra una realtà dove ogni volta solo certi effetti sono ontologicamente possibili. Nella prima non è possibile pensare di agire liberamente, al contrario l'altra dà ragione del fatto di potersi determinare per produrre certi effetti. Tuttavia, in entrambi i casi, ogni singolo evento può essere considerato come contingente, ovvero come l'attualizzazione di un caso che fa parte di un insieme non totalizzabile. Pertanto, evitando sia la metafisica che il 67

correlazionismo, il materialismo speculativo e la scienza della complessità stabiliscono che almeno una caratteristica obiettiva ed essenziale debba essere riconosciuta al reale: la sua imprevedibilità.

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