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Italian Pages 272 Year 2012
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Matteo Battistini __ Una Rivoluzione per lo Stato Thomas Paine e la Rivoluzione americana nel Mondo Atlantico
Rubbettino
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Storia politica 31 Collana diretta da Fulvio Cammarano, Stefano Cavazza, Marco Gervasoni, Giovanni Orsina, Roberto Pertici
Matteo Battistini
Una Rivoluzione per lo Stato Thomas Paine e la Rivoluzione americana
nel Mondo Atlantico
Rubbettino
© 2012 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli Viale Rosario Rubbettino, 10 tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it Progetto Grafico: Ettore Festa, HaunagDesign
Indice
Premessa di Tiziano Bonazzi
VII
Introduzione: il Paine «radicale»
1.
Il mondo di Paine e la crisi dell’ Impero 1. 2. 3.
2.
3.
Painee la Rivoluzione del 1776: all’Origine Concettuale dello Stato Americano
1.
Lo Stato postcoloniale
2.
Democraziae
3.
Società e governo
costituzionalismo
Paine e i Mercanti della Rivoluzione: La Formazione incerta dell’ Unione federale nel Mondo Atlantico 1. Crisi e Unione
2. 3. 4.
Biografia di uno sconosciuto (1737-1774) L'uomo delle accise La brezza dell'Atlantico
Lo spazio conflittuale della sovranità nazionale Una Rivoluzione per lo Stato
Il Mondo Atlantico e l’Epoca di Paine 1. Le inconciliabili rivoluzioni democratiche 2. Specchio dell'Atlantico
107
123 127 146 161 177 180
217
Conclusioni: uno scomodo intruso
239
Indice dei nomi
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Premessa
Thomas Paine è un nome noto al pubblico mediamente colto, che lo collega senza grandi difticoltà al suo scritto più famoso, Common Sense, il pamphlet a cui si accredita l’onore di aver dato agli americani la spinta decisiva per rompere con la Gran Bretagna e dichiarare l’indipendenza nel 1776; ma è anche un autore che ben pochi hanno letto e il cui ruo-
lo nelle grandi vicende politiche di fine Settecento al di qua e al di là dell’Atlantico è conosciuto soltanto da cerchie ristrette. Un autore complesso, pensatore solido, polemista feroce, giornalista instancabile, sempre in bilico fra teoria e manovre politiche. Esaltato e odiato, osannato come pochi nel suo tempo per essere poi relegato ai margini fino a morire solo e in povertà; ma senza che il suo pensiero scomparisse, anzi. Un inglese che come esattore fiscale comprese a fondo i meccanismi modernissimi e contraddittori dell’ Inghilterra che a metà Settecento andava dominando i mari e il commercio. Come americano trasformò il pensiero politico inglese in una forza rivoluzionaria e come rivoluzionario meditò non solo sui diritti dell’uomo e su forme politiche che definiamo democratiche, ma con altrettanta profondità lo fece su quella «società commerciale», madre del capitalismo, di cui
l'America rivoluzionaria non voleva e non poteva fare a meno. Come francese visse e fu protagonista attivo della Rivoluzione del 1789, in cui credeva di scorgere l’onda della Rivoluzione americana che si spargeva sul vecchio mondo per diventare universale, e della Rivoluzione francese fu vittima, fino a sfiorare la ghigliottina, per non averne sposato le conseguenze più estreme. Un uomo «atlantico» nel senso che gli storici danno da qualche decennio a quel «mondo atlantico» che dal Cinquecento all’Ottocento fece dell'oceano una sorta di mare interno in cui le culture degli Imperi europei, quelle che si andavano formando nelle colonie americane e quelle africane forgiarono e modellarono la modernità intellettuale ed economica della Grande Europa che si estendeva su tre continenti. Un illuminista in senso altrettanto vero,
VIII
razionalista, teista, empirico e concreto. Non un filosofo, ma un philosophe dalla personalità e dalla prosa volterriana; non un leader, ma un politico instancabile e un libellista senza remore. Un uomo come Paine è specchio del suo tempo quale pochi altri e, dato che il suo tempo è l’infanzia del nostro, in lui possiamo cercare e trovare tanti degli ideali e delle aspirazioni che sono ancora con noi: l’amore per il progresso, la scienza e lo sviluppo, per la giustizia e l'uguaglianza, così come gli interrogativi e il mutare opinione davanti alle contraddizioni che ognuno di quegli ideali porta con sé. In quanto uomo del Settecento Paine è ancora uomo del Duemila; ma non è con facili trasposizioni all’oggi che ci si può servire del suo spirito libero. Se non lo si storicizza fino in fondo, se non lo si pone nel contesto turbinoso e anche torbido dell’età di trasformazioni rivoluzionarie in cui visse — e che visse fino in fondo - il semplice richiamo ai suoi ideali lo travisa e ci serve poco. Quegli ideali sono i nostri perché sono stati trasformati, non perché sono rimasti identici come statue di sale, ed è
proprio studiare il contesto e il come e il perché uomini come Paine li hanno forgiati che ci consente di comprenderne l’eredità e la fruibilità. L'eredità di Paine, mai scomparsa e rimasta come il lievito che fa mostare l’uva e produce vino - se lo sappiamo lavorare —, rende ogni iniziativa che ne riprende e ne studia la figura e il pensiero un’occasione propizia, un altro gradino nella scala che utilmente da lui giunge a noi e da noi ridiscende a lui, e ogni tale iniziativa va salutata con favore e va studiata con attenzione e libertà.
TIZIANO BONAZZI
Una Rivoluzione per lo Stato Thomas Paine e la Rivoluzione americana nel Mondo Atlantico
Introduzione: il Paine «radicale»
Questo era il Paine descritto da Howard Fast, fiero, scontroso
e votato a un unico scopo, epicamente folcloristico e bellicoso: arruffato, sporco, vestito come un mendicante, armato di moschetto nelle strade turbolente della Filadelfia del tempo di guerra, uomo aspro, caustico, spesso ubriaco, frequentatore di bordelli, braccato da assassini e senz’amici. Faceva tutto da solo: «La mia sola amica è la rivoluzione». (Philip Roth, Ho sposato un comunista, 1998)
Durante l’avanzata in Italia delle forze alleate nel corso della Seconda guerra mondiale, venne distribuito un libro intitolato Il Cittadino Tom Paine, una biografia romanzata dell’autore di Common Sense, scritta
dal giovane romanziere americano Howard Fast. Fatta eccezione per alcune traduzioni settecentesche, il lettore italiano conobbe così colui
che aveva spronato le colonie nordamericane all'indipendenza. La pubblicazione, ancora oggi reperibile sugli scaffali di alcuni antiquari, fu parte del lavoro editoriale che il Council on Books in Wartime - ente senza mira di lucro, composto da editori, librai e bibliotecari - svolse con il sostegno dell’Office of War Information, l'agenzia governativa che Franklin D. Roosevelt aveva creato nel 1942 con il compito di gestire
l'informazione e la comunicazione di massa per presentare lo sforzo bellico degli Stati Uniti come una guerra patriottica e di popolo, anche all’estero: bisognava mettere a disposizione del pubblico europeo «le opere più rappresentative del pensiero americano [...], in attesa che possa essere ristabilita la normale libertà di stampa interrotta dall’aggressione dell’Asse»'. Il cittadino Paine rispose perfettamente all'impegno statunitense in favore della liberazione. La sua vita era quella di un eroe, un patriota coraggioso che aveva combattuto per la libertà del suo popolo. Nato
1.
H.FASTI, Il Cittadino Tom Paine, Overseas Editions, New York 1943.
4
nella più «squallida miseria» dell’ Inghilterra, egli contribuiva all’aftermazione della «futura democrazia del Nuovo Mondo», ripetendo alle truppe americane la promessa che gli Stati Uniti d'America sarebbero diventati «il paese dove si potrà vivere bene, comodamente, specialmente per l'operaio». Egli faceva poi ritorno in Europa dove «combatteva per i Diritti dell'Uomo», come recita il titolo dell’altro suo grande pamphlet, Rights of Man. Paine era un rivoluzionario atlantico che sognava di vedere «gli Stati Uniti d’ Europa alleati con gli Stati Uniti d'America in una fratellanza umana». Anche nel Vecchio Mondo, il futuro lasciava intravedere un «governo del popolo per il popolo, un governo la cui meta sarebbe che nessuno morisse di fame e vivesse nella miseria». La sua opera rispondeva dunque al progetto internazionalista americano di democrazia e libertà dal bisogno. In pochi anni, la biografia venne tradotta in francese, spagnolo, tedesco, danese, svedese, polacco e slovacco. Come scrisse un giornalista della «New York Times Review of Books» il 25 aprile 1943, nella difficile situazione di crisi interna e
internazionale, il popolo americano doveva guardare al suo passato per alimentare la speranza della vittoria, non soltanto in America. L'iniziativa del giovane romanziere era quindi lodevole, perché portava alla memoria un protagonista dell’indipendenza, fino a quel momento incompreso e calunniato, ingiustamente estromesso dalle celebrazioni
dei padri fondatori: Paine andava considerato «una delle figure più straordinarie del diciottesimo secolo», perché aveva contribuito ad affermare i valori americani della democrazia e della federation, anche in Europa. Questo entusiasmo per l’autore di Common Sense e Rights ofMan
ebbe presto fine. Il 23 febbraio 1942, nel suo secondo messaggio radiofonico dopo Pearl Harbor, il Presidente Roosevelt aveva pronunciato la famosa frase con la quale Paine aveva esaltato il patriottismo degli americani nella Guerra d'indipendenza: «Questi sono tempi che mettono alla prova le anime degli uomini». Quando la paura dell’incubo sovietico prese piede al posto del giubilo per il successo nella guerra, il governo federale e le sue agenzie non furono più interessati al rivoluzionario atlantico. In seguito all'adesione di Fast al Partito comunista
americano, il Board of Education mise al bando la biografia. Edgar ]. Hoover, il potente direttore del Federal Bureau of Investigation, ordinò che il volume venisse ritirato dalla New York Public Library e dalle altre
2.
Ivi, pp.3-9, 139, 245-246.
INTRODUZIONE:
IL PAINE «RADICALE»
5
biblioteche pubbliche. Nel 1950, lo scrittore fu chiamato dinanzi alla House Un-American Activities Committee. Il rifiuto di rivelare inomi dei finanziatori del fondo destinato agli orfani dei veterani americani della Guerra civile spagnola gli costò tre mesi di carcere. Il Cittadino Tom Paine andava celebrato all’estero, ma risultava scomodo all’interno di una Nazione che era uscita dal conflitto mondiale divisa da forti tensioni politiche, sociali e ideologiche. Alle soglie della Guerra fredda, quando le istanze di sicurezza nazionale iniziarono a prevalere sulle attività delle organizzazioni sindacali, Paine venne considerato eccessivamente rivoluzionario. Il romanziere
comunista lo aveva descritto come un operaio che aveva vissuto lunghe ore al banco di lavoro, con spalle larghe, mani grassocce e barba incolta. Il suo aspetto era sudicio e sporco. I suoi occhi erano pieni di amarezza
e risentimento. Soprattutto, le sue parole eccitavano i lavoratori. a tal punto da suscitare imbarazzo e preoccupazione nei leader del Congresso. A Filadelfia, Paine spingeva il popolo al potere «per la prima volta nella storia», ma vedeva «la controrivoluzione alzare la testa come idra velenosa». Egli impugnava perciò la sua penna contro la Republican Society, associazione di ricchi mercanti e proprietari che chiedevano di cambiare la Costituzione democratica della Pennsylvania. Il loro leader Robert Morris pensava che «sarebbe cosa utile per il bene del paese che [...] fosse tolto di mezzo». Commemorare Paine venne dunque considerato sconveniente, soprattutto perché aveva accusato «il partito
della finanza e del commercio» di voler approfittare dell'economia di guerra per monopolizzare il mercato e accumulare ricchezza). Questo era il Paine della tradizione radicale americana, celebrato
dalla letteratura e dalla cultura popolare ottocentesca: l’uomo generoso e il politico disinteressato al quale Walt Whitman aveva reso omaggio nel 140° anniversario della nascita, elogiando la sua «ardente fede nei diritti fondamentali dell’uomo»; il libellista ribelle del quale Herman Melville aveva esaltato lo «spirito rivoluzionario» in Billy Budd. A partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, questo era anche il Paine della new social history e history from below angloamericane, che hanno esteso lo studio delle rivoluzioni democratiche oltre il canone interpretativo della storia nazionale, della storiografia repubblicana e liberale, per dare invece voce al common people che aveva rivendicato non soltanto la libertà politica con l'ampliamento del suffragio, ma
3...
Ivi, pp. 3, 187, 195.
anche maggiore uguaglianza sociale. Quello radicale non era, però, l’unico Paine. Nel corso della sua intensa vicenda politica e intellettuale, egli assunse sembianze diverse e sostenne posizioni politiche anche discordi, che i suoi avversari e sostenitori accolsero con favore o delusione a seconda del punto di vista. Nelle pagine che seguono, incontreremo l’uomo delle accise alle dipendenze del governo inglese toccare con mano l’inedito profilo fiscale e militare dello Stato britannico contro cui le colonie nordamericane dichiararono l’indipendenza. Conosceremo inoltre il collaboratore del sovrintendente delle Finanze del Congresso continentale, quel Robert Morris che inizialmente voleva toglierlo di mezzo, ma che comprese presto di aver bisogno della sua penna per sostenere le politiche fiscali volte al finanziamento della guerra. Paine capì che gli Stati indipendenti avevano bisogno di un'autorità politica centrale con una sua autonomia finanziaria, per questo sostenne il «par-
tito della finanza e del commercio» che aveva osteggiato in precedenza, favorendo così il mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. Incroceremo ancora l’uomo della banca, preoccupato di difendere dalle proteste popolari quella che considerava essere una fondamentale istituzione per lo sviluppo del mercato nazionale. Con sdegno dei suoi sostenitori e rammarico dei suoi lettori radicali otto-
centeschi, egli affermò l’assoluta inviolabilità del diritto di proprietà privata e del libero commercio, sebbene determinassero crescenti disuguaglianze sociali. Queste diverse facce non tratteggiano un autore incoerente, né un politico opportunista. Incertezze e discordanze che trapelarono dalla sua penna mostrano piuttosto un Paine capace di vedere e interpretare
le profonde e contraddittorie trasformazioni politiche e sociali della sua epoca, come pochi altri protagonisti della vicenda rivoluzionaria: la proiezione imperiale europea e l'espansione del commercio su scala internazionale; le crescenti funzioni fiscali e amministrative degli Stati e l'ascesa della società quale sfera autonoma e separata dal governo;
l'affermazione politica dell'uguaglianza e della sovranità popolare; le dinamiche economiche di accumulazione e impiego del lavoro salariato, che mutavano la commercial society in senso capitalistico. Queste tra-
sformazioni delinearono il complesso contesto storico nel quale ebbe luogo la sfida decisiva per l'effettiva conquista dell’indipendenza, ovvero la costruzione dello Stato americano in quanto Union degli Stati liberi e indipendenti. Quella del 1776 fu certamente una rivoluzione contro
lo Stato, storicamente incarnato dalla struttura imperiale britannica.
INTRODUZIONE:
IL PAINE «RADICALE»
%.
Tuttavia, sebbene l’indipendenza sedimentasse un forte sentimento antistatale nella cultura politica americana, la rivoluzione fu anche per lo Stato perché affermava una nuova sovranità nazionale all’interno del
territorio nordamericano e sulla scena internazionale. Alla luce di questa sfida politica, non soltanto il rivoluzionario atlantico della tradizione radicale non appare come l’unico Paine. Risulta meno efticace anche la sua immagine di autorevole esponente del liberalismo anglosassone e massimo interprete dell’incontestata ascesa settecentesca del capitalismo. La profonda fiducia nel libero commercio costituisce indubbiamente un aspetto essenziale del pensiero di Paine, ma la sua celebre definizione della società come «benedizione» e del governo quale «male necessario» è stata impiegata più come strumento
ideologico per rivendicare l'eccezionale successo dello Stato debole o del governo minimo nella storia nazionale inglese e statunitense, che non quale oggetto di analisi e ricerca storica. Le parole «radicale» e «liberale» non rispondono pienamente al suo ambiente storico perché
entrarono nel vocabolario politico soltanto mezzo secolo dopo la sua morte. Sebbene abbiano colto aspetti importanti e attuali del suo profilo politico e intellettuale, talvolta hanno semplificato o sottovalutato la sua opera per renderla consona alla battaglia politica fuori dal suo tempo. Le diverse facce di Paine restituiscono invece complessità e profondità al suo pensiero e alla sua azione politica. Come scrisse il giornalista nella recensione della biografia, la sua opera è «caleidoscopica», e come un caleidoscopio consente di vedere figure, strutture, luci e ombre che riflettono le molteplici trasformazioni politiche e sociali che stravolsero il mondo atlantico in epoca rivoluzionaria. Non incontreremo soltanto il common people che chiedeva uguaglianza e libertà, contribuendo alla democratizzazione del vocabolario politico dell’ Europa del Settecento, ma anche i mercanti della rivoluzione che rivendicavano un ruolo di guida politica ed economica della nascente Nazione. Vedremo allora il governo diventare un presupposto fondamentale per lo sviluppo economico della commercial society, una società investita con sempre maggiore forza da tendenze contraddittorie di arricchimento e impoverimento.
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Ringraziamenti
Questo volume è il frutto del lavoro di ricerca svolto durante il corso
di dottorato «Europa e Americhe: Costituzioni, Dottrine e Istituzioni politiche. Nicola Matteucci», diretto da Raffaella Gherardi presso il Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia dell’ Università di Bologna, sotto la guida di Tiziano Bonazzi. A lui devo il mio crescente interesse per la storia politica e intellettuale degli Stati Uniti d'America, e lo ringrazio non soltanto per la sua premessa, ma soprattutto per aver seguito la stesura
del libro con cura e sguardo critico, ponendo e discutendo con me molte
delle questioni affrontate. In questi anni, ho avuto modo di presentare e approfondire alcuni aspetti della ricerca in diversi convegni e seminari, nazionali e internazionali. Ringrazio in tal senso Marco Sioli, Jeff Pasley, Simon Newman, Allan Potofsky, Trevor Burnard, Maurizio Vaudagna e Marco Mariano. Sono
inoltre particolarmente grato a Michael Zuckerman per il suo sostegno e la puntualità delle sue osservazioni. Un ringraziamento speciale va, infine, a Eric Foner col quale ho avuto modo di discutere a voce e a distanza con grande profitto. Grazie a lui sono stato ospite del Department of History della Columbia University di New York, dove ho potuto consultare molte
delle fonti storiografiche citate. Un sentito grazie va in questo senso al personale della Butler Library della Columbia University, della New York Public Library e dell'American Philosophical Society di Filadelfia. Una menzione particolare merita Massimiliano Dal Buono della Biblioteca del Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia. Questo lavoro non sarebbe infine stato possibile senza il contributo e l’aiuto di molte persone. A loro sono riconoscente per aver offerto la possibilità di un confronto importante per chiarire singoli aspetti, argo-
mentazioni e interpretazioni: Raffaella Baritono, Maurizio Ricciardi, Pierangelo Schiera, Maurizio Griffo, Arnaldo Testi, Fulvio Cammarano, Sandro Mezzadra, Giorgio Grappi, Luca Cobbe e Paola Rudan. La responsabilità di eventuali errori e inesattezze è però soltanto mia.
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Il libro è dedicato a Carmen, Alice e Patrizia, ed è in memoria di
mio padre.
1. Il mondo di Paine e la crisi dell'Impero
Chi è l’autore di COMMON SENSE? Non posso non adorarlo. Merita una statua d’oro. A dispetto di un simile inizio, e con tutti gli inconvenienti della giovinezza a mio sfavore, sono orgoglioso di dire che con una perseveranza che nessuna difticoltà ha mai fatto vacillare e con un disinteresse che impone il rispetto, non solamente ho contribuito al sorgere nel mondo di un nuovo impero, fondato su un nuovo sistema di governo, ma ho raggiunto tra gli scrittori politici (tra cui è più difficile eccellere che in ogni altro campo) un grado tanto eminente che neppure l’aristocrazia è riuscita a raggiungere o ad
eguagliare, nonostante tutti imezzi di cui può servirsi!.
«Who is the author of COMMON
sENSE?». Questa domanda circolò
in molti giornali delle colonie americane e della madrepatria inglese, come pure nei salotti illuminati dell’assolutismo francese, appena dopo la pubblicazione del pamphlet che avrebbe cambiato in modo definitivo l’andamento della controversia coloniale dell’ Impero britannico. Sebbene con altro significato, è una domanda che merita ancora attenzione, innanzitutto per la ricchezza dell’opera di Thomas Paine. La sua produzione intellettuale fu fortemente segnata dalle vicende rivoluzionarie che coinvolsero non una singola Nazione, ma l’intero mondo atlantico. La sua riflessione teorica fu, inoltre, profondamente intrecciata alle forze in campo sulla scena rivoluzionaria. Il suo pensiero politico non fu soltanto un pensiero pratico, misurato costantemente sullo sforzo per scrivere la Costituzione, delineare il governo rappresentativo, ampliare il suffragio e assicurare il successo dei diritti dell’uomo in America come in Furopa. Esso venne anche arricchito da una riflessione storica e teorica sulla società commerciale, riflessione
che, sebbene discontinua e talvolta incerta, mostrò come l'esito poli1.
Extract ofa Letter from Charlestown, South-Carolina, 14 febbraio 1776; T. PAINE,
I Diritti dell'Uomo, in T. MAGRI (a cura di), I Diritti dell’uomo e altri scritti politici, Editori riuniti, Roma 1978, p. 287.
2:
tico della rivoluzione nel mondo atlantico fosse legato a doppio filo all’emergere della società commerciale su scala internazionale. Inoltre, quello che rende la figura politica di Paine ancora assolutamente rilevante è il fatto che egli sviluppò la propria opera a ridosso della fondazione dello Stato americano, quello Stato che, avendo superato per primo la condizione di colonia europea, avrebbe considerato la propria storia nazionale come apogeo della storia mondiale. Rispondere alla domanda «chi è l’autore di COMMON SENSE?» consente di collocare e discutere la fondazione rivoluzionaria degli Stati Uniti d'America nel mondo atlantico?. Thomas Paine inscrisse la Rivoluzione americana in un processo storico che investiva anche l’Europa. In questo senso la sua opera restituisce una specifica visione del mondo atlantico che non risulta riducibile all'emergere internazionale della società commerciale, né
alla proiezione imperiale delle potenze europee. Nel corso del Settecento, l’espansione economica delle colonie americane aveva favorito la formazione di società prive della sovranità politica, in quanto interne all’ Impero britannico, ma dotate di una notevole autonomia. Le colonie erano collegate economicamente non soltanto con le altre parti dell’ Impero, bensì anche fra loro e con la sponda opposta dell’oceano. Lo sviluppo di questo complesso insieme di scambi consente senz'altro di definire il «mondo atlantico» come un mondo interno alla sfera europea, ma con un profilo autonomo che viene individuato nella società commerciale, popolata da figure mercantili che sviluppavano il mercato su scala internazionale, ma anche contraddistinta da quelle esperienze 2. Le monografie su Paine hanno riassunto il suo pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, non riuscendo fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta importante per comprendere quel lungo periodo di trasformazione politica e sociale che investì l’intero mondo atlantico. Cfr. A.0. ALDRIDGE, Thomas Paine American Ideology, University of Delaware Press, Newark 1984; G. cLaEYs, Thomas Paine. Social and Political
Thought, Unwin Hyman, Boston 1989; B. VINCENT, Thomas Paine ou la Religion de la Liberté, Aubier, Paris 1987; 1D., The Transatlantic Republican. Thomas Paine and the Age of Revolutions, Rodopi, Amsterdam-New York 200s. Per una discussione dettagliata della figura di Paine nella storiografia contemporanea si vedano Mm. GRIFFO, Thomas Paine nella Recente Storiografia, in «Nuova Informazione Bibliografica», n. 3, 2006, PP. 471-487; M. BATTISTINI, Riferimenti bibliografici, in M. SIOLI, M. BATTISTINI (a cura di), L'età di Paine. Dal senso comune alle libertà civili americane, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 287-302. Le biografie più recenti e importanti sono }. KEANE, Tom Paine. A Political Life, Bloomsbury, London 1995; c. NELSON, Thomas Paine: Enlightenment, Revolution and the Birth of Modern Nations, Viking, New York 2006.
IL MONDO
DI PAINE E LA CRISI DELL'IMPERO
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di genere, etnia e classe che erano intrecciate alle rotte oceaniche del commercio. Questa accezione del mondo atlantico è certamente valida,
ma non è sufficiente per comprendere il mondo di Paine?. Nel suo accidentato e avventuroso percorso personale - da una piccola cittadina rurale e artigiana non troppo lontana da Londra, la capitale britannica del commercio mondiale dell’epoca, fino all’attraversamento dell’oceano per immergersi nella realtà coloniale — Paine affrontò un mondo atlantico nel quale la competizione politica e l’espansione economica delle potenze europee, nel loro slancio imperiale verso il continente americano, avevano ricadute non soltanto sulla dimensione internazionale, ma anche su quella nazionale. Più che la «dolcezza del commercio»4, Paine sperimentò in prima persona l’asprezza della crescente disparità sociale tra ricchi e poveri, e criticò l'aumento della tassazione indiretta per finanziare le guerre e il consolidamento giuridico dell’assetto proprietario della società. Inoltre, con tono altrettanto critico, registrò il mutamento costituzionale che investiva la Gran Bretagna e toccò con mano il nuovo profilo amministrativo dello Stato britannico, profilo che faceva leva sulla dottrina della sovranità parlamentare per gestire, con l’adeguata efficienza fiscale e finanziaria, lo scontro in corso con la monarchia assoluta francese e le altre potenze europee. In breve, Paine affrontò un mondo atlantico nel quale l'espansione nazionale e internazionale del commercio era strettamente connessa allo sviluppo delle capacità amministrative dello Stato in materia fiscale e finanziaria, sviluppo che rendeva necessario un nuovo equilibrio costituzionale basato sulla sovranità del Parlamento, in un
contesto segnato dalle guerre europee, dalla concorrenza economica
3.
Sull’accezione commerciale del mondo atlantico, non riducibile a entità nazionali e
imperiali separate e distinte, si rimanda a A. POTOFSKY, The One and the Many: the Two Revolutions Question and the “Consumer-Commercial” Atlantic, 1789 to the Present, in
M. ALBERTONE, A. DE FRANCESCO, Rethinking the Atlantic World. Europe and America in the Age of Democratic Revolutions, Palgrave Macmillan, New York 2009, pp. 17-45. 4. «Il commercio guarisce dai pregiudizi distruttori, ed è quasi una massima generale che ovunque ci sono dei costumi miti [moeurs douces], vè commercio; e che ovunque vè commercio, vi sono costumi miti. Non ci si meravigli, perciò, se i nostri costumi sono meno feroci di quanto non lo fossero un tempo. Il commercio ha fatto sì che la conoscenza dei costumi di tutte le nazioni sia penetrata ovunque: sono stati messi a paragone fra loro, e ne sono derivati grandi benefici». MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Rizzoli, Milano 2003, vol. 2, cap. 20, p. 650. Per una ricostruzione del dibattito settecentesco sul dolce commercio, A.O. HIRSCHMAN, Le passioni e gli interessi: argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo, Feltrinelli, Milano 1979.
14 sulle tratte oceaniche e dalla conseguente ridefinizione delle strutture di dominazione imperiale’. Questa duplice accezione del mondo atlantico - commerciale e politica - non venne meno con l’epoca rivoluzionaria, sebbene l’indipendenza delle colonie americane alludesse all’inizio di una nuova epoca. Dopo l’indipendenza degli Stati Uniti d'America, Paine inquadrò America ed Europa dentro un mondo atlantico che aveva nella «civilizzazione del commercio» un carattere peculiare, ma non assoluto. Il
nuovo mondo atlantico trovava, infatti, la propria cifra politica nella crisi dell'Impero britannico con la conseguente fondazione rivoluzionaria dello Stato americano. Mentre prima del 1776 la visione europea del mondo atlantico come mondo coloniale aveva separato le due sponde dell'oceano, con il successo della Guerra d'indipendenza Europa e America non potevano essere pensate separatamente. L'invenzione dell'America, come mondo extraeuropeo disponibile alla proiezione imperiale, non aveva più presa nella realtà e Paine poteva in questo modo individuare nell’indipendenza americana l’inizio di un nuovo mondo, nel quale lo Stato sovrano costituiva l’asse comune attorno a cui organizzare la convivenza politica su entrambe le sponde dell'oceano, non solo nella vecchia Europa”. Il mondo di Paine prendeva dunque forma dalla crisi americana dell'Impero britannico e assumeva le sembianze di un mondo euroamericano: un mondo in radicale mutazione, messo in movimento dal peculiare nesso storico fra costruzione dello Stato ed espansione commerciale che, proprio nel 1776, Adam Smith avrebbe definito «sistema mercantile», 5.
Sulruolo dello Stato nell’espansione economica su scala europea è mondiale, 1.
WALLERSTEIN, Il sistema mondiale dell'economia moderna, il Mulino, Bologna 1978,
vol. 2. 6. Come vedremo in seguito, Paine usò il termine «civilization» e non «civility» per intendere non una condizione temporale fissa, bensì il processo storico che muoveva l'umanità lontano dallo stato naturale o barbarico. Cfr. }. BoswELL, Vita di Samuel Johnson, Garzanti, Milano 1982, vol. 1, p. 511; The Oxford English Dictionary, Oxford University Press, Oxford 1971; M. RICCIARDI, La produzione di un Occidente, in n. (a
cura di), L'Occidente sull’Atlantico, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 9-17. 7. Sul cambiamento concettuale nella percezione del mondo atlantico imposto dalla Rivoluzione americana e sull’ingresso delle colonie nel sistema europeo degli Stati, E.H. GOULD, P.S. ONUF (eds.), Empire and Nation. The American Revolution in the Atlantic World, Johns Hopkins University Press, London 2005; t. BoNAZZI, Europa, Zeus e Minosse, ovvero il labirinto dei rapporti euro-americani, in «Ricerche di storia politica», N. 1, 2004, pp. 3-24; D. ARMITAGE, La Dichiarazione d’Indipendenza. Una storia globale, UTET, Torino 2008.
IL MONDO
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guardando con occhio critico tanto alla dottrina economica francese seicentesca, quanto alla politica statale dell’élite mercantile britannica. Con mercantilismo non si vuole intendere semplicemente l’insieme delle politiche sviluppate dagli Stati per vincere la concorrenza che segnava il delicato equilibrio di potenza del sistema europeo. Il termine deve essere inteso come una valida sintesi delle dottrine tardo seicentesche e settecentesche che, valutando l’interesse privato come centrale per perseguire la grandezza dello Stato e la ricchezza della Nazione, introducevano una serie di tecniche amministrative e pratiche economiche che contribuivano alla modernizzazione sociale e politica. In questo senso forte, il mercantilismo caratterizzava la politica della realtà storica dell’ Europa del Settecento: dal regno prussiano all’assolutismo francese e spagnolo, senza risparmiare la moderata monarchia britannica®. In questo quadro storico e concettuale, la fondazione rivoluzionaria degli Stati Uniti d'America nel mondo atlantico deve essere spiegata a partire dalle trasformazioni politiche e sociali che investirono la Gran Bretagna nel contesto imperiale europeo. Per avere successo nella competizione politica ed economica che caratterizzava il delicato equilibrio di potenza del sistema europeo settecentesco, pur elaborando dottrine politiche e modalità tecniche diverse e privilegiando interessi differenti, tutte le potenze europee perseguirono una politica di grandezza della Nazione che passava attraverso il rafforzamento della forma Stato. Proprio oltre Manica, l’accentramento statale del potere politico, che l'élite mercantile perseguiva per favorire l'espansione commerciale ed elevare la Gran Bretagna al vertice del sistema europeo degli Stati, determinò la prima e decisiva crisi alle periferie degli Imperi d'oltreoceano. Negli anni Settanta, quando la dottrina della sovranità parlamentare venne imposta come subordinazione assoluta della periferia coloniale americana al centro imperiale, la controversia uscì dal binario costituzionale percorso fino a quel momento con la rivendicazione no taxation without
representation. La controversia deragliò in una concreta prova di forza che terminò con l’indipendenza, ovvero con l’ingresso delle colonie nel sistema europeo degli Stati come un nuovo Stato sovrano. Nel gennaio
1776 fece il suo ingresso in scena non il simbolo dell’epoca rivoluzionaria atlantica, ma lo sconosciuto autore di Common Sense. Tracciare la
biografia del Paine sconosciuto serve dunque per delineare quel mondo atlantico in radicale mutazione al quale la fondazione rivoluzionaria
8.
E.F. HECKSCHER, Mercantilism, George Allen & Unwin, New York 1955.
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dello Stato americano impresse una decisa accelerazione verso un nuovo
mondo euroamericano, il mondo di Paine. Come egli stesso scrisse, «Senso Comune ha molto da dire sull’ Inghilterra, mai è stato attaccato in questo paese sulla base di errori o sbagli, e non sarebbe stato così se l’autore avesse conosciuto soltanto una sponda dell’oceano»?.
1.
BIOGRAFIA DI UNO SCONOSCIUTO (1737-1774)
Scrivere della biografia di Paine come della biografia di uno sconosciuto può apparire paradossale. Eppure, sebbene sia stato per molti versi il personaggio principale dell’epoca rivoluzionaria atlantica inaugurata dall’indipendenza delle colonie americane, la sua figura venne ben presto disconosciuta, e non soltanto dall’élite politica e intellettuale della
nascente Nazione americana. Senza dubbio, Paine fu il propagandista più innovativo e importante della controversia coloniale dell'Impero britannico. Il 9 gennaio 1776, con la pubblicazione di Common Sense,
anticipò la dottrina dell’indipendenza che sarebbe stata espressa nella dichiarazione del 4 luglio. A suo modo di vedere, il Declaratory Act del febbraio 1766, che proclamò «il diritto del Parlamento britannico
di vincolare le colonie in qualsiasi caso», aveva rappresentato il punto di rottura che impediva qualsivoglia riconciliazione e ricomposizione costituzionale dell’ Impero. Le petizioni del Congresso, che avevano rivendicato il principio
«nessuna tassazione senza rappresentanza», erano
fallite perché avevano agito contro la politica imperiale della tassazione senza mettere in discussione il «potere arbitrario» che il Parlamento aveva stabilito sulle colonie, specie dopo la dichiarazione dello stato di ribellione. Conseguentemente, per parte inglese la posta in palio era la «sottomissione incondizionata» delle colonie e la «conquista delle loro proprietà». Così, quella che ancora alla fine del 1775 nelle colonie «era
una dottrina rara ed eccezionale», con la pubblicazione di Common Sense divenne un sentire comune in favore dell’indipendenza'°, Il Nord America non costituì l’unico palcoscenico che Paine calcò con successo. L'Europa non rimase indifferente alla radicale novità rappresentata dal pamphlet del 1776. Una volta giunto sulla scena francese nella primavera del 1787, egli venne accolto calorosamente 9. T. PAINE, To a Committee of Continental Congress, 1783, in P.s. FONER (ed.), The Complete Writings of Thomas Paine, Citadel Press, New York 1945, vol. 2, p. 1239. 10. T. PAINE, The Crisis, n. 3, 19 aprile 1777, in CW, cit., vol. 2, pp. 76 e ss.
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come «l’autore del celebre scritto» che «aveva influenzato potentemente l'opinione della gente»"!, e divenne una delle figure più controverse della vicenda rivoluzionaria francese che incise profondamente anche sulla scena politica d’oltre Manica. Nel giugno del 1791, Paine affisse
sui muri dell'Assemblea nazionale il primo manifesto repubblicano della Francia rivoluzionaria, manifesto che riprendeva l’argomenta-
zione sviluppata nella Dichiarazione d'Indipendenza americana per denunciare la lunga sequela di offese, crimini e crudeltà commesse dalla monarchia francese: «Il seme che la mano audace di Paine aveva gettato sarebbe germogliato in molte teste»'?. Oltre Manica, in seguito all'enorme diffusione del pamphlet Rights of Man, la sfacciata
affermazione secondo la quale in Inghilterra «non esiste alcuna costituzione», ma soltanto un «governo dispotico», oscurò, almeno per
un breve periodo, quel «luminoso elogio» della Costituzione inglese condiviso anche da coloro che avevano guardato con favore a quanto era accaduto oltreoceano”. Common Sense e Rights of Man presentarono dunque al lettore una trama del tutto nuova, che cambiava profondamente lo sguardo politico sul presente, ponendolo in forte discontinuità anche rispetto alla letteratura illuminista più avanzata. Paine non nascose la propria aspirazione a essere parte della «repubblica delle lettere» e rivendicò con orgoglio una posizione eminente nella cultura politica del tempo che, tuttavia, i suoi avversari non avrebbero mai riconosciuto". La
sensibilità della sua scrittura era, infatti, diversa dallo stile erudito ed elitario della letteratura politica del Settecento. Il linguaggio modesto
e colloquiale, l’argomentazione cristallina e serrata, svolta attraverso metafore facilmente comprensibili, sentenze brevi, sfrontate e memo-
rabili, si rivolgevano al di là del ristretto uditorio dei salotti illuminati e delle accademie verso la gente comune, spesso povera e illetterata, che viveva al margine della repubblica delle lettere, come pure della politica e della società. Il lettore di Paine percepì immediatamente il significato politico della sua prosa, spesso facendo propria la lezione che sarebbe
11.
Benjamin Franklin to La Rochefoucauld, 15 aprile 1787, in E. LABOULAYE (ed.),
Correspondance de Benjamin Franklin, Hachette, Paris 1866, vol. 2, p. 425. 12. E. DUMONT, Souvenir sur Mirabeau, C. Gosselin et H. Bossange, Paris 1832, pp. 315 e ss.; T. PAINE, A Republican Manifesto, in Cw, cit., vol. 2, pp. 517-518. 13. T. PAINE, Letter Addressed to the Addressers on the Late Proclamation, in CW, cit., vol. 2, p. 477. 14. ID., The Crisis, n. 2, 13 gennaio 1777, in CW, cit., vol. 1, p. 58.
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sopravvissuta allo stesso autore: l’affermazione dell'uguaglianza, non tanto come principio astratto, quanto come rivendicazione avanzata
dai poveri, ovvero da coloro che, non essendo in possesso di proprietà e dovendo lavorare per la sussistenza, non potevano elevarsi al rango di uomini istruiti, quei learned men ai quali la tradizione costituzionale britannica, da Edward Coke a William Blackstone, attribuiva in modo esclusivo la scena politica”. Bastano questi brevi cenni per avere una prima, significativa im-
magine della straordinaria avventura politica di una delle figure più importanti e controverse dell’epoca rivoluzionaria atlantica. La sua posizione intransigente in favore dell’abolizione della proprietà come requisito per accedere al suffragio, l’aspra critica della condizione di povertà che segnava l'emergere della società commerciale, il continuo atteggiamento di sfida verso quel passato dispotico — che considerava ancora incardinato nelle istituzioni politiche e religiose, nonostante l’esperienza rivoluzionaria americana e francese — suscitarono la pubblicazione di numerosi pamphlet e biografie denigratorie. Queste raffigurarono Paine come un criminale malvagio che aveva truffato i propri creditori, un traditore dell'Impero britannico e della Nazione inglese, un ribelle che aveva sedotto illetterati e poveri soltanto per le proprie ambizioni di successo, addirittura come un alcolizzato e un impotente, disonesto e depravato, un ateo che aveva condotto una vita viziosa e irresponsabile. Ben presto la sua figura venne rimossa dalle celebrazioni pubbliche dell’indipendenza americana, come pure dal ricordo privato di quanti avevano condiviso con lui le avventure rivoluzionarie americana e francese. Dalla fine del 1807, nella tenuta di New
Rochelle che il Senato dello Stato di New York gli aveva concesso nel 1784 come ricompensa per l’indomito impegno nella Guerra d’indipendenza, Paine non prese più parola pubblicamente. Nel 1809, se non per poche righe apparse sulla stampa americana a lui ostile, la sua morte passò sotto silenzio. Soltanto una sua amica francese, i suoi due figli, alcuni irlandesi e due afroamericani assistettero al suo funerale. La sua
15.
Sullinguaggio di Paine, R.A. FERGUSON, The Commonalities ofCommon Sense, in
«William and Mary Quarterly», 57, 3, 2000, pp. 465-504. Secondo Thomas Jefferson,
«nessuno scrittore ha superato Paine nel suo stile semplice e familiare, per l’intelligenza delle sue espressioni, la facilità di spiegazione e nel suo linguaggio semplice e modesto», in H.A. WASHINGTON (ed.), The Writings of Thomas Jefferson, Taylor & Maury, Washington D.C. 1853-1856, vol. 7, p. 198.
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biografia terminò esattamente come aveva avuto inizio nell’ Inghilterra del 1737, come quella di uno sconosciuto'5.
Un apprendista artigiano Ancora oggi, due secoli dopo la sua morte, il ricordo di Paine è ben visibile a Thetford, sua città natale situata nella contea del Norfolk, sulla strada che unisce Londra a Norwich nella parte orientale dell’ Inghilterra. La Thetford Grammar School, che Paine aveva frequentato fino all’età di tredici anni, è ancora aperta al pubblico, mentre la Thetford Library custodisce un importante archivio delle sue opere e una statua posta su King Street lo ritrae con una penna nella mano destra e il pamphlet Rights of Man sotto il braccio sinistro. Al tempo di Paine, come numerose altre città delle contee che circondavano Londra, Thetford stava cambiando sotto la spinta del mercato che inglobava il territorio attorno alla capitale. Sebbene l’agricoltura fosse l'occupazione principale, la città stava sviluppando un mercato di prodotti artigianali, mentre una fetta non irrilevante della popolazione veniva impiegata nel lavoro domestico di filatura del cotone. L'affermazione del mercato modificava profondamente gli assetti proprietari della contea, favorendo la commercializzazione delle terre e l'introduzione delle prime modalità di produzione manifatturiera. Come nel resto dell'Inghilterra del Settecento, stava prepotentemente avanzando quel processo di recinzione e privatizzazione delle terre che negava le antiche consuetudini del loro uso comune per la raccolta della legna, il pascolo, la caccia e l’agricoltura. Il conseguente impoverimento della popolazione determinava un aumento del brigantaggio e dei crimini contro la proprietà, mentre favoriva la migrazione verso i centri urbani dove era disponibile lavoro nei mercati, nei porti, nelle botteghe artigiane e nelle prime manifatture. Non deve allora stupire che la Nazione inglese - elogiata nel 1750 da Montesquieu per aver raggiunto il vertice della libertà politica europea 16. Le biografie calunniose pubblicate contro Paine sono: G. CHALMERS, The Life of Thomas Paine. The Author of the Seditious Writings Entitled Rights of Man, I. Stockdale, London 1973; w. COBBET, The Life of Thomas Paine, interspersed with remarks by Peter Porcupine, J. Wright, London 1796; }. CHEETHAM, The Life of Thomas Paine, Southwick and Pelsue, New York 1809. Cfr. c. WAGNER, Loyalist Propaganda and the Life of Tom Paine: «Hypocritical Monster», in «Journal for Eighteenth Century Studies», n. 1, 2009, pp. 97-115; A. YOUNG, The Celebrations and Damnations of Thomas Paine, in 1p., Liberty Tree. Ordinary People and the American Revolution, New York University Press, New
York 2006, pp. 266-295.
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con la Gloriosa rivoluzione del 1688, nonostante la rappresentanza politica fosse in realtà in mano ai gruppi ristretti dell’aristocrazia proprietaria e dell’élite mercantile — come tutte le altre potenze europee, avesse una legislazione in cui era prevista la pena di morte per la violazione della proprietà privata. Nel 1758 venne infatti reso definitivo il Black Act, una legge del Parlamento approvata per la prima volta nel 1723, che prevedeva la condanna capitale per coloro i quali, mascherati, cacciavano o rubavano cervi, daini, lepri e conigli selvatici: tingersi la faccia di nero o mascherarsi per non essere riconosciuti
erano pratiche usuali dei cacciatori di frodo dell’epoca. Da qui il nome di Black Act. Sebbene non in modo frequente, la pena capitale veniva regolarmente eseguita ai danni di lavoratori a giornata, apprendisti artigiani indebitati, piccoli contadini e allevatori impoveriti che commettevano crimini contro le proprietà, anche soltanto con la caccia di frodo. Non deve allora stupire che l'immaginario politico del giovane Paine non fosse quello della bilancia costituzionale del governo misto britannico che, rappresentando virtualmente il popolo in perfetto equilibrio con monarchia e aristocrazia, evitava la degenerazione del potere nell’assolutismo monarchico o nella democrazia. La Corte di Assise che decideva della pena di morte veniva infatti periodicamente riunita nella sua città natale, e le esecuzioni per impiccagione avevano luogo sulla collina di fronte alla casa della sua famiglia. Paine avrebbe raccontato con sarcasmo e ironia questa brutale testimonianza nel suo primo testo in rima, scritto all’inizio degli anni Settanta, ma pubblicato soltanto nel «Pennsylvania Magazine» del luglio 1775. Come vedremo,
scenografia e trama dei suoi primi scritti riflettevano questo cupo paesaggio sociale di privazioni e povertà che Paine aveva toccato con
mano crescendo a Thetford". Nonostante fosse umile, la famiglia di Paine non era comunque in una situazione di miseria. Suo padre, un contadino quacchero che aveva lasciato il lavoro della terra per diventare artigiano nella produzione di corsetti e busti con ossa di balena, e sua madre, anglicana e figlia del 17. T. PAINE, Farmer Shorts Dog Porter: A Tale, in CW, cit., vol. 2, pp. 1084-1088. Per un approfondimento del paesaggio sociale di recinzioni e condanne capitali che faceva da sfondo all'infanzia e alla giovinezza di Paine si veda P. LINEBAUGH, Introduzione a T. PAINE, Common Sense, Rights of Man and Agrarian Justice, Verso, London 2009. Sul quadro storico del Black Act, e.P. THOMPSON, Whigs e cacciatori. Potenti e ribelli nell’Inghilterra del xvin secolo, Ponte alle Grazie, Firenze 1989. Sul concetto di bilancia, B. ACCARINO (a cura di), La bilancia e la crisi. Il linguaggio filosofico dell’equilibrio, Ombre Corte, Verona 2003.
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procuratore locale, poterono mandarlo alla Grammar School della città, sebbene non senza sacrificio e soltanto grazie all’aiuto economico della zia materna. Questo tipo di scuola, che sarebbe stata inserita nel sistema secondario di educazione durante il regno della regina Vittoria, aveva origine medievale quando era stata istituita per l’insegnamento del latino e del greco antico. A partire dal Cinquecento, il suo curriculum era stato ripetutamente aggiornato secondo le nuove esigenze politiche ed economiche con l’introduzione dell’insegnamento dell’inglese e delle altre lingue europee, delle scienze naturali, della matematica, della storia e della geografia. Il giovane Paine poté così coltivare quella che lui stesso considerava essere una «inclinazione naturale» per le
scienze della natura!3. Nell'estate del 1757, Paine seguì le lezioni scientifiche del matematico
inglese Benjamin Martin e dell’astronomo scozzese James Ferguson, che portavano la scienza newtoniana fuori dall'ambito accademico, verso un pubblico popolare di non avanzata istruzione. Tra il 1772 e il 1774, frequentò l’ambiente illuminato della Royal Society di Londra, dove conobbe Benjamin Franklin. La sua corrispondenza dal Nord America rivela inoltre una cospicua, sebbene discontinua, riflessione scientifica, spesso applicata all’impresa rivoluzionaria e alla costruzione delle infrastrutture della nascente Nazione americana. In un breve testo del 1775, mostrò come fosse possibile produrre salnitro per rifornire di
polvere da sparo le truppe nordamericane impegnate nella Guerra d’indipendenza contro l’esercito britannico. Negli anni Ottanta e Novanta, progettò invece un ponte in ferro a un solo arco, talmente innovativo da
essere menzionato dal giovane Friedrich Engels come primo modello del suo genere, frutto dell’arte creativa del «famoso democratico». Questa inclinazione scientifica fu anche foriera della propria formazione politica dissidente. Nel contesto scientifico londinese maturò, infatti,
quella conversione al deismo, successivamente approfondita nel pamphlet The Age of Reason (1794-1795), alla quale era anche legata la forte
convinzione secondo cui, così come l’universo celeste e il globo terrestre seguivano leggi naturali conoscibili dall'uomo, allo stesso modo anche il mondo sociale e politico andava studiato secondo ragione e poteva essere criticato e rivoluzionato'?.
18.
T. PAINE, The Age of Reason, vol. 1; in ID., The Crisis, n. 8, marzo 1780, in CW, cit.,
vol. 1, pp. 164, 496. 19. F. ENGELS, La condizione della classe operaia in Inghilterra, La nuova sinistra reprint, Roma 1972, p.10. Sul deismo nella sua formazione politica, v. vicKERS, My Pen and My
22
Questa è, però, la biografia dello scrittore di successo, non certo dello sconosciuto. A tredici anni, il giovane Paine venne infatti tolto da scuola per essere avviato all’apprendistato nella bottega artigiana del padre, dove avrebbe imparato l’arte del corsetto, ovvero del busto femminile che, sebbene originariamente pensato per scopi protettivi e ortopedici, stava diventando un indumento per modellare il corpo della donna secondo i canoni di bellezza dell’epoca. Paine lasciò dunque lo studio delle scienze per intraprendere un lavoro manuale che non soddisfaceva affatto le sue aspirazioni. Tuttavia, diversamente dai suoi avversari politici che lo schernirono con tono saccente e mi-
sogino per il suo passato da corsettaio, egli non disprezzava il lavoro artigiano e non rimproverava il padre per la scelta compiuta. Ai suoi occhi, l’apprendistato appariva come un’imposizione esemplificativa delle gerarchie sociali dettate dall’affermazione delle nuove forze del mercato. In seguito, memore del suo passato di artigiano, descrisse così la condizione sociale comune a molti giovani apprendisti: Molti giovani dotati di un buon talento naturale, messi ad apprendere un mestiere meccanico come quello di carpentiere, di falegname, di costruttore di mulini o di navi, di fabbro, ecc., non riusciranno a progredire per tutta la vita per non aver ricevuto un minimo d'istruzione generale da piccoli?°.
1.1 Il commercio? Non lo capisco In gioventù, Paine ripercorse dunque le orme del padre, seguendo quel percorso tradizionale per il quale da apprendista avrebbe dovuto diventare maestro artigiano, proprietario della propria bottega. Tuttavia, egli non era per niente soddisfatto di un lavoro che necessitava di sforzo fisico e preferiva coltivare le sue inclinazioni scientifiche. A
questa insoddisfazione bisogna aggiungere le difficoltà incontrate nel perseguire un progetto di vita che sembrava certamente non desueto, ma comunque complicato dalla crescente competizione sul mercato, imposta dalle nuove modalità di produzione manifatturiera. Con sempre maggiore frequenza, il percorso che doveva terminare con il lavoro indipendente del maestro artigiano si fermava, infatti, nel lavoro libero, Soul Have Ever Gone Together: Thomas Paine and the American Revolution, Routledge, New York 2005. 20. T. PAINE, / Diritti dell'Uomo, cit., vol. 2, p. 308.
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ma dipendente, del lavoratore a giornata in cambio di salario. Qualcosa del genere accadde anche al giovane Paine: dopo aver lasciato Thetford, Paine lavorò in una famosa bottega artigiana londinese che produceva corsetti. Nel 1758, evidentemente di fronte all’impossibilità di migliorare la propria posizione, lasciò Londra alla volta della città costiera di Dover, dove riuscì finalmente a compiere il salto verso l’indipendenza economica. Con un prestito concesso dal suo maestro artigiano, egli
avviò una bottega nella vicina città di Sandwich. Ancora oggi, al numero 20 di New Street della vecchia città portuale è appesa una modesta targa commemorativa nella quale si legge: «Qui era il cottage di Tom Paine, 1759. Autore dei Diritti dell'Uomo. Ispiratore della Dichiarazione
d'indipendenza americana». Dopo un anno, però, le difficoltà a ripagare il debito costrinsero Paine ad abbandonare l’impresa e a rientrare nella sua città natale. Paine fece ritorno a Thetford con in mente un paesaggio sociale che non coincideva affatto con le aspirazioni coltivate frequentando la scuola. Egli aveva constatato l'impossibilità di seguire il suo interesse per le scienze e la difficoltà di conquistare l'indipendenza economica. Aveva visto con i propri occhi quanto fosse diffusa la condizione di povertà, che aveva investito anche la sua famiglia, ed era stato testimone
di numerose iniziative di protesta popolare per il controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, la cosiddetta economia morale inglese. Aveva inoltre compreso che anche nelle città, dove esisteva un forte tessuto di botteghe artigiane, queste raramente offrivano la possibilità di percorrere la strada verso la ricchezza attraverso uno stabile lavoro indipendente. Paine non aveva ancora avuto modo di leggere il Poor Richards Almanack, che Franklin aveva pubblicato nel 1758, dove veniva
spiegato che il «tempo è denaro» e che «la strada verso la ricchezza» passa per un duro lavoro quotidiano. Quello che divenne un idioma culturale della Nazione americana non risultava comunque coerente con la sua esperienza inglese, nella quale il lavoro non sembrava affatto coincidere con l’indipendenza dell’artigiano, bensì con una condizione di libera dipendenza, sperimentata da coloro che lavoravano soltanto per la sussistenza, nella quale tempo e modalità della prestazione lavorativa erano indipendenti dal proprio volere. Nelle sue opere, il lavoro non definì dunque una posizione diversa da quella della povertà”.
21. Sull’economia morale inglese, E.P. THOMPSON, L'economia morale delle classi popolari inglesi nel secolo xvi, e Tempo, disciplina del lavoro e capitalismo industriale, in
24 L’esperienza del giovane Paine testimonia in questo senso della graduale ma intensa commercializzazione dell’agricoltura e dell’affermazione di nuove forme di produzione artigiana e manifatturiera. Egli sperimentava sulla propria pelle la tendenziale erosione delle modalità autonome di produzione artigianale. La sua continua migrazione interna da una città all’altra, comune a molti in un periodo contraddistinto
da una prima urbanizzazione e industrializzazione, pur essendo certamente il segno positivo della sua intraprendenza personale, rivelava la crescente difficoltà di imboccare una strada sicura per l’indipendenza economica. Successivamente, ammise una certa inadeguatezza personale al cospetto della realtà economica: «Il commercio, non lo capisco»? Per quanto una simile affermazione possa sembrare paradossale in un
autore che individuò nell’espansione del commercio l’unica via per assicurare l’indipendenza nordamericana, essa deve essere comunque tenuta presente per comprendere come la biografia dello sconosciuto abbia influenzato l’opera dell’autore famoso, in particolare nel suo tentativo di inquadrare il commercio in una cornice storica e teorica in grado di spiegare la rivoluzione politica in America e in Europa. Così, sebbene Paine rivendicasse con orgoglio di aver vinto le proprie difficoltà economiche e superato le gerarchie sociali della sua giovinezza, l’esperienza inglese rappresentò per lui uno specchio attraverso il quale guardare con occhio critico quella che definì «civilizzazione del commercio». Il mozzo patriota
Prima di muovere verso le città delle contee che circondavano Londra, insoddisfatto del lavoro di apprendista nella bottega del padre, Paine fece un'esperienza del tutto diversa dal lavoro artigiano, che gli consentì di ampliare e approfondire la sua conoscenza del mondo del commercio. A sedici anni, nel 1753, lasciò la famiglia per raggiungere Londra, deciso a cercare fortuna a bordo della nave corsara denominata «Terrible», il cui capitano veniva ironicamente chiamato «Death». Se
Ip., Società patrizia, cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Settecento, Einaudi, Torino 1981, pp. 3-55.
22.
T.PAINE, Jo a Committee of the Continental Congress, ottobre 1783, in cw, cit., vol.
2, p. 1228. 23. T. PAINE, Letter to the Abbé Raynal (1782); ID., Rights of Man (1791-1792); ID., Agrarian Justice (1796).
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non fosse stato per il padre, che lo convinse a non imbarcarsi, sarebbe andato incontro a morte certa. Qualche settimana dopo arrivò infatti la notizia del naufragio della nave. Nonostante il pericolo scampato, dopo aver lavorato per qualche anno come apprendista artigiano, Paine decise di imbarcarsi sul corsaro mercantile «King of Prussia». L’avventura in mare non durò molto, soltanto dal febbraio all'agosto del 1757,
ma fu proficua. Il corsaro intercettò infatti un'imbarcazione francese che trasportava armi e vestiti per i militari in servizio nelle colonie d'oltreoceano. Il vascello venne scortato fino al porto di Bristol dove fu
venduto all’asta insieme al carico. Così, con in tasca quella piccola parte del ricavato che spettava a un giovane mozzo, Paine riprese il percorso
da apprendista artigiano che, almeno temporaneamente, lo portò ad aprire un proprio negozio. L'avventura in mare migliorò quindi la sua situazione economi ca in un tempo relativamente breve, accorciando quel lungo periodo necessario per diventare maestro artigiano. Come per molti giovani
del tempo, l’esperienza di mozzo non ebbe però soltanto un significato economico. Certamente, rappresentava un ulteriore tentativo per
sfuggire alla povertà, cercando quelle opportunità di arricchimento che erano precluse sulla terra ferma. Anche la letteratura del tempo alimentava queste avventure, esaltando il viaggio in mare come prova
della nuova intraprendenza mercantile. In un certo senso, le vicende del naufrago Robinson e del medico Gulliver, che Daniel Defoe e Jonathan Swift avevano raccontato con tanto successo, fornivano un importante corrispettivo mitologico alla razionalità dell'etica del lavoro incarnata
dal povero Riccardo?*. Tuttavia, l'avventura in mare era stata per Paine soprattutto un'esperienza militare all’inizio della Guerra dei sette anni. Come molte altre imbarcazioni private, il mercantile sul quale era salpato non era soltanto dedito al commercio. Il capitano era infatti stato autorizzato dal governo a compiere azioni di vera e propria pirateria,
distruggendo o requisendo il carico dei mercantili che battevano bandiera francese o delle altre potenze europee nemiche, e aveva persino
24. L’avventura in mare è un topos della letteratura inglese del Settecento. Nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe, così il padre di Robinson sconsiglia al figlio di imbarcarsi: «Mi disse che andare in giro in cerca di avventure e tentare di elevarsi con le proprie imprese e di divenire famosi per iniziative di un genere fuori del comune, si addiceva 0 a uomini in condizioni economiche disastrose, 0 a persone di grandi mezzi, non agli appartenenti alle classi medie». p. DEFOE, Robinson Crusoe, Rizzoli, Milano 2005, pp. 10-11.
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avuto il diritto di combattere e fare prigionieri di guerra. L'avventura in mare aveva perciò acquisito anche un significato politico. In viaggio sulle rotte atlantiche, Paine fece esperienza della grande espansione commerciale britannica che stava spostando il baricentro del mercato internazionale dal continente europeo verso l'oceano atlantico. In quegli anni, anche grazie alle politiche mercantiliste attuate per favorire una bilancia commerciale in attivo, più della metà delle esportazioni manifatturiere britanniche erano destinate al mercato extraeuropeo delle colonie, mentre la stessa percentuale delle importazioni seguiva la direzione opposta. Questa espansione commerciale non aveva soltanto consolidato un ruolo politico di primo piano dell’élite mercantile inglese nel controllo del commercio e del credito, europeo ed extraeuropeo. Aveva anche determinato una maggiore interdipendenza e integrazione tra i diversi territori dell’ Impero britannico, in particolare tra le colonie del Nord America. In questo senso, a bordo del mercantile, Paine vide l’oceano diventare mondo, un mondo atlantico del commercio che era tenuto insieme dallo scambio di merci, dal protagonismo dei mercanti, dalla domanda dei consumatori, dalla circolazione delle persone e delle idee; ma era anche segnato negativamente da gerarchie razziali e sociali. Il giovane mozzo, da una parte, percorse quelle rotte oceaniche attraverso le quali i mercanti londinesi filavano il nuovo tessuto economico e culturale della civilizzazione del commercio; dall’altra, condivise con persone provenienti da tutto il mondo quelle rigide gerarchie che organizzavano il lavoro sulla nave anche su base razziale. In Rights of Man condannò l'arruolamento forzato e le torture che subivano i marinai” All’inizio dell’ennesima guerra settecentesca che impegnò Francia e Gran Bretagna in una serrata competizione per conquistare la posizione
dominante nel sistema europeo degli Stati attraverso l’egemonia commerciale e coloniale extraeuropea, Paine non poteva però non vedere come il mondo atlantico del commercio fosse strettamente connesso alla proiezione imperiale degli Stati europei. Ecco dunque il significato politico dell'avventura in mare. Mentre nel mondo del commercio che aveva sperimentato nelle contee attorno Londra, egli aveva visto agire la mano forte dello Stato contro la violazione delle proprietà, nel mondo atlantico del commercio fece esperienza della forza con la quale lo Stato britannico attraversava l’oceano diventando Impero per 25.
D. HANCOCK, Citizens of the World: London Merchants and the Integration of the
British Atlantic Community, 1735-1785, Cambridge University Press, Cambridge 1995;
M. REDIKER, Slave Ship: A Human History, Viking, New York 2007.
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aprire e salvaguardare i nuovi mercati coloniali. Non dovette percepire quella che sarebbe stata definita «mano invisibile» del mercato, capace di regolare domanda e offerta in un gioco economico a somma sempre positiva. Piuttosto, dovette avere l'impressione di un mercato che
agiva all'unisono con la mano visibile dello Stato, impegnato a guidare la politica commerciale e imperiale sulle colonie americane contro la potenza economica e militare francese. In questo senso, la dimensione atlantica del commercio e lo spessore politico del mondo atlantico costituivano due facce della stessa medaglia. | Questo duplice asse commerciale e politico nel quale Paine comprese il mondo atlantico non esauriva il significato della sua avventura militare per mare. Bisogna considerare anche la posizione politica e ideologica dell'Impero britannico dentro questo mondo atlantico. La decisione di imbarcarsi non fu soltanto dovuta alla sua personalità avventurosa e intraprendente. Essa maturò in un preciso contesto ideologico nel quale la concezione dell’ Impero britannico come commerciale, libero e protestante stava raggiungendo l’apice della popolarità. La Guerra dei sette anni alimentava una crescente opposizione popolare contro la potenza francese che era alla base del forte senso patriottico di appartenenza nazionale. Nelle province, come al centro dell’ Impero, la britishness veniva così costruita positivamente attraverso la rappresentazione negativa del nemico francese. In questo senso, il terreno di
conflitto con la Francia era lo specchio dell’indipendenza britannica. La potenza francese veniva considerata come nemico storico non soltanto per la sua forza militare ed economica. La monarchia assoluta francese, il suo Impero territoriale e la Chiesa cattolica simboleggiavano uno Stato aggressore e oppressore che minacciava la libertà politica e
personale degli inglesi che abitavano l'Impero. La libertà inglese veniva dunque rivendicata come patrimonio comune anche alle colonie americane. Per questo, coloro che su entrambe le sponde dell'oceano sostenevano l’espansione imperiale britannica contro le pretese della Francia elogiavano la Costituzione inglese e il suo governo misto in
contrapposizione all’assolutismo francese. Esaltavano, inoltre, la libertà generata dal commercio contro le barbarie del potere militare francese. Anche il protestantesimo trovava nell’opposizione alla Francia cattolica un motivo di unione che andava oltre le diverse denominazioni religiose, rafforzando così ulteriormente il ruolo della Chiesa anglicana nella
politica di grandezza nazionale e internazionale perseguita dall’élite mercantile che controllava il governo di Westminster. Con il senno di poi, Paine giudicò la sua esperienza militare come quella di un giovane
28
«inesperto e amante dell’avventura, infiammato dal falso eroismo di un maestro», William Knowles, il reverendo anglicano che insegnava nella
scuola della sua città natale?°. La breve avventura militare del giovane patriota segnò in modo importante la sua formazione politica. Soltanto dopo aver attraversato l'oceano, Paine rinnegò quell’eroismo patriottico che alimentava l'appartenenza alla britishness. Dopo la guerra, le politiche mercantiliste. che vennero attuate per gestire la raggiunta egemonia politica e commerciale nel sistema europeo degli Stati - imposero infatti alle colonie una dominazione territoriale che smentiva quella concezione libera e commerciale dell’ Impero. Lo sconosciuto autore di Common Sense non visse sulla propria pelle questa dominazione imperiale, ma assistette dalla madrepatria alla trasformazione amministrativa e costituzionale dello Stato britannico, trasformazione che forzò l'Impero commerciale in senso territoriale: laumento della tassazione indiretta per finanziare le guerre, il conseguente nuovo profilo amministrativo dello Stato e l’affermazione della dottrina della sovranità parlamentare sono le questioni che emergono nel prosieguo della biografia dello sconosciuto, quando Paine diventa uomo delle accise.
2.
L’UOMO DELLE ACCISE
Dopo sei mesi passati come mozzo, Paine fece ritorno sulla terra ferma per riprendere il percorso da apprendista. Nel 1759 aprì una piccola bottega di sua proprietà nella vicina città di Sandwich, dove sposò Mary Lambert che lavorava come domestica presso la famiglia di un benestante commerciante locale. Nel 1760, dopo neanche un anno di matrimonio, Mary Lambert morì. Probabilmente ispirato dal padre di sua moglie, che era funzionario fiscale nell’ufficio locale delle entrate, Paine decise di dedicare il proprio tempo allo studio delle norme che regolavano la tassazione, in vista del concorso per essere assunto dal governo. L'esame di ammissione fu soltanto l’ultima procedura di un
26. T. PAINE, / Diritti dell'Uomo, cit., vol. 2, p. 287. Sull’origine ideologica dell’ Impero britannico come Impero commerciale, libero e protestante, e sullo sviluppo del nazionalismo inglese in opposizione ad altri Paesi, p. ARMITAGE, The Ideological Origins of British Empire, Cambridge University Press, Cambridge 2000; G. NEWMAN, The Rise of English Nationalism. A Cultural History, 1740-1830, Macmillan, Basingstoke 1997; L.
COLLEY, Britons: Forging the Nation 1707-1837, Yale University Press, New Haven 1992.
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lungo percorso amministrativo organizzato in più fasi. Dopo la prima richiesta scritta, nell’autunno del 1761 Paine dovette superare un colloquio con un supervisore locale dell’ufficio delle entrate, incaricato di verificare non solo il suo stato di salute, le abitudini, l'intelligenza e la capacità di scrittura, ma anche se avesse contratto debiti non pagati e se avesse rispettato i contratti fino a quel momento stipulati. Il supervisore
dovette inoltre stabilire se il candidato avesse fiducia nel governo e se appartenesse alla Chiesa anglicana, appartenenza che nel suo caso venne garantita dalla madre. Il passaggio successivo fu un lungo apprendistato che terminò con l’esame di ammissione. Superato questo, l’ultima fase consistette nella dichiarazione di fedeltà alla corona di fronte al giudice di pace. Paine ottenne così il certificato di idoneità da due garanti che assicurarono l’aftidabilità del nuovo assunto. Nel caso avesse compiuto errori 0, peggio ancora, avesse commesso frodi fiscali, anche i due garanti sarebbero stati sottoposti a un procedimento disciplinare. Nel 1762, Paine venne assegnato all’ufficio di Alford, Lincolnshire. Tre anni dopo venne però congedato per aver commesso un errore piuttosto comune che nascondeva una pratica in uso tra i funzionari, i quali, per non irritare piccoli commercianti e artigiani, spesso regi-
stravano un elenco di merci sottoposto a tassazione senza verificarne la quantità effettivamente posseduta. Dopo un primo inutile tentativo di recuperare la posizione, nel 1766 Paine fece nuovamente ritorno a
Londra, dove lavorò per un breve periodo come insegnante di inglese in una scuola privata. Nello stesso anno scrisse una lettera al Consiglio
deputato al reclutamento dei funzionari per la riscossione delle tasse con la quale chiedeva di essere reintegrato in servizio. Il Consiglio accolse la sua richiesta assegnandolo alla sede di Lewes nel Sussex, una città mercantile situata 50 miglia a sud di Londra, dove Paine venne ospitato da Samuel Ollive, tabaccaio e figura di spicco nella vita politica della città. Nel 1771, dopo la sua morte, Paine sposò la figlia e intraprese la conduzione del negozio, pur continuando a lavorare come funzionario fiscale”. Questi furono anni importanti per la sua formazione intellettuale.
Egli venne positivamente colpito dall’attività culturale e politica della città, dove erano presenti associazioni scientifiche per lo sviluppo dell’agricoltura e della manifattura, biblioteche e un teatro in cui venivano messe in scena le tragedie shakespeariane. La politica locale
27.
T. PAINE, Letter to the Board ofExcise, 3 luglio 1766, in cw, cit., vol. 2, p. 1128.
30
aveva inoltre una consolidata tradizione dissidente che risaliva alla Rivoluzione inglese. Nel 1649, la maggioranza repubblicana della città aveva infatti sostenuto la condanna a morte di Carlo 1. L'esperienza del Commonwealth veniva tenuta viva dal Headstrong Club al quale Paine partecipò attivamente, discutendo le tematiche che ritroveremo nei suoi primi scritti, ovvero la crescente disparità tra ricchi e poveri, l'aumento della tassazione indiretta e il consolidamento giuridico del sistema proprietario in seguito al processo di recinzione e privatizza-
zione delle terre. Questo periodo fu importante soprattutto perché, dopo aver sperimentato sulla propria pelle l'erosione delle modalità autonome di produzione artigiana, Paine iniziò una nuova esperienza
come uomo delle accise attraverso la quale avrebbe acquisito una profonda conoscenza del ruolo fiscale che lo Stato mercantilista esercitava per favorire un'espansione commerciale, nazionale e internazionale,
funzionale tanto alla grandezza della Nazione quanto ai nuovi interessi mercantili e finanziari legati alla capitale londinese?8. La sicurezza delle entrate
Il periodo che Paine trascorse alle dipendenze del governo offre un punto di vista privilegiato per mettere a fuoco l’intreccio tra espansione commerciale e costruzione dello Stato, che prese il nome di mercantilismo. Ciò che definiva il mercantilismo non era solo una specifica politica economica — della bilancia commerciale, delle tariffe doganali o delle leggi di navigazione - bensì la formazione dello Stato e della società, a livello nazionale e internazionale. Dopo la pace di Westfalia (1648), che aveva ratificato il principio non scritto dell’equilibrio di potenza per cui nessuno Stato era mai riuscito a dominare il continente europeo, la proiezione imperiale oltreoceano e il conseguente smisurato orizzonte
commerciale promettevano potere a quegli Stati europei che avrebbero meglio compreso come trasformare lo sfruttamento delle risorse e dei mercati delle colonie in ricchezza nazionale. A questo scopo servirono la fondazione di banche, la definizione di sistemi di credito e l’istituzione del debito pubblico. Le nuove istituzioni economiche implicarono una specifica organizzazione della società su base nazionale, ovvero la definizione di un mercato nazionale come corrispettivo della costruzione dello Stato. Questo potette così sviluppare una politica economica
28.
J. KEANE, Op. cit., pp. 52-79.
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superiore in estensione territoriale alle contee e alle città, dunque in
grado di filare complessivamente la ricchezza della società e legarla alla grandezza politica e militare della Nazione: le dottrine mercantiliste favorivano in tal senso l'aumento della popolazione lavorativa e il mantenimento di un basso livello salariale funzionale all’esportazione a basso costo; l'aumento delle esportazioni assicurava, a sua volta, il primato nel commercio internazionale. Politica ed economia venivano così intrecciate con l’obiettivo di unire le forze della popolazione per incrementare la ricchezza nazionale. Il mercantilismo era dunque co-
struzione dello Stato nel suo significato più ampio, ovvero costruzione dello Stato e del mercato nazionale, accentramento del potere politico e partecipazione delle forze economiche. La finanza pubblica e la leva fiscale, che Paine conobbe nella loro variante settecentesca britannica, servivano esattamente a creare ciò che, relativamente all’indipendenza americana, l’autore di successo definì national bond o bond of union, legando il termine politico di Nazione e Unione al lessico economico dell’obbligazione??. Nel corso del Settecento, la lunga sequela di guerre combattute per la successione al trono austriaco, polacco e spagnolo e per il controllo delle colonie extraeuropee determinò un processo di rafforzamento dello Stato comune alle diverse potenze del Vecchio continente: dal regno prussiano all’assolutismo francese fino alla repubblica delle Province unite. Per vincere la competizione politica ed economica che caratterizzava il delicato equilibrio di potenza del sistema europeo, gli Stati perseguirono una politica di grandezza che comportava un accentramento del potere politico in materia fiscale attraverso la defi-
nizione di un solido ed efficiente apparato amministrativo. In particolare, l’urgenza di finanziare le guerre diede seguito all'introduzione di nuove imposte indirette, come le akzise prussiane, le gabelles francesi e le generale middelen delle Province unite. In questo scenario europeo, la Gran Bretagna non costituiva affatto un’eccezione. Coloro che sostenevano l’espansione dell’ Impero commerciale sapevano che nessuna particolare abilità mercantile della Nazione inglese avrebbe assicurato il dominio sulle rotte oceaniche e la protezione delle colonie senza una
flotta e un numero adeguato di soldati. La produzione di armi, navi e attrezzature militari per approvvigionare le truppe impiegate nei diversi 29.
T. PAINE, Senso Comune, in T. MAGRI (a cura di), op. cit., p. 99. Sul mercantilismo,
G. SCHMOLLER, The Mercantile System and its Historical Significance (1884), M. Kelley, New York 1967.
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teatri di guerra rendeva necessario organizzare un efficiente apparato amministrativo utile a raccogliere e a gestire un livello adeguato di risorse finanziarie. Senza tutto questo, la Gran Bretagna non avrebbe superato la competizione olandese e avrebbe lasciato il mondo coloniale extraeuropeo alla proiezione imperiale francese. In tal senso, la storia settecentesca dell’ascesa inglese al vertice delle potenze europee e l’espansione dell’ Impero commerciale riflettevano la sorprendente trasformazione dello Stato britannico in una forte entità fiscale e militare?°. Questa trasformazione consistette essenzialmente in un'inedita
muscolatura finanziaria e amministrativa che diede sostanza all’ossatura costituzionale del governo misto delineata con la Gloriosa rivoluzione del 1688. Con l’adozione del celebre Bill of Rights venne riaffermato un esecutivo a titolarità monarchica, ma con una consistente riduzione dei poteri del re, al quale veniva negato l’effettivo potere di imporre tasse, organizzare e mantenere l’esercito in tempo di pace senza il consenso del Parlamento. D'altra parte, non venne soltanto confermata la prerogativa regia, ma anche la composizione del Parlamento in un Senato — House
of Lords - e una Camera Bassa - House of Commons. Venne così definito un sistema di pesi e contrappesi che risultava tanto innovativo quanto
in continuità con la tradizione inglese del governo misto, non solo dal punto di vista istituzionale, ma anche del pensiero politico e costituzionale. Le diverse etichette whig e tory, court e country del vocabolario politico e costituzionale settecentesco celavano infatti un preciso punto di contatto: la comune interpretazione della Glorious revolution quale evento centrale capace di racchiudere al suo interno tanto il passato anglosassone, quanto il futuro espansivo della libertà politica inglese, serviva alla condivisa epurazione degli estremismi politici dal campo legittimo delle ideologie politiche (non soltanto l’assolutismo monarchico, ma anche il repubblicanesimo della metà del Seicento, come gli aspetti radicali del pensiero politico lockeano). Come scrisse William Blackstone, consolidando la continuità storica della Costituzione inglese che avrebbe alimentato l’ottocentesca whig interpretation ofhistory, le figure del contratto originale e dell’appello al cielo non dovevano avere cittadinanza nel dibattito politico. Proprio perché il lavoro coordinato fra king, lords e commons era capace di arginare ogni possibile deriva assolutista o eccessiva centralizzazione del potere politico, che avrebbero messo in pericolo la fruizione delle libertà individuali storicamente 30.
J. BREWER, The Sinews of Power. War, Money and the English State, 1688-1783,
Routledge, London 1994.
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riconosciute nel Bill of Rights, nel Settecento veniva diffusa l’idea che
la Costituzione inglese rappresentasse la costituzione per eccellenza. Tuttavia, la storia settecentesca del costituzionalismo inglese fu decisamente più incerta e imperfetta di quanto sarebbe stato sostenuto dai suoi estimatori: mentre l’interpretazione whig avrebbe visto nella storia inglese il successo dello Stato debole - ovvero il progresso della libertà personale e politica, dunque la nascita del liberalismo moderno, con l'introduzione di uno schema ideologico che avrebbe influenzato anche la storiografia americana - a partire dagli anni Trenta del Settecento, sotto il peso schiacciante della muscolatura fiscale e amministrativa, l’equilibrio costituzionale britannico veniva in realtà modificato da una sempre più forte e irreversibile centralità del Parlamento*!. Dopo la Rivoluzione del 1688 venne istituito l’Ufficio del Tesoro, che centralizzò il sistema fiscale rendendo possibile la piena catalogazione delle entrate e delle spese del governo. Nel 1723 venne creato il Consiglio Generale della Guerra e della Finanza che accentrò in un unico istituto le funzioni più importanti del governo: dalla gestione della guerra alla politica economica, incluse la tassazione e le competenze sul demanio della corona. Inoltre, negli anni Trenta, agendo di fatto come Primo Ministro, Robert Walpole cambiò profondamente la politica fiscale delineando quel profilo amministrativo dello Stato britannico del quale Paine avrebbe fatto esperienza. Furono rimosse molte tasse sulle esportazioni e le importazioni, in particolare sull’importazione di materiale grezzo che veniva lavorato ed esportato, favorendo così lo sviluppo delle manifatture anche grazie all’accurata politica protezionista che voleva sostenere l'espansione commerciale verso le colonie. Soprattutto, venne introdotta una tassazione indiretta che gravava su un ampio paniere di beni di largo consumo, come candele, sapone, caffè, tè, malto, birra e
31. W. BLACKSTONE, Commentaries on the Laws ofEngland (1765-1769), Cavendish, London 2001, vol. 2, p. 38; M. FIORAVANTI, Costituzione, il Mulino, Bologna 2004; H.
BUTTERFIELD, The Whig Interpretation of History, G. Bell, London 1959; J. BREWER, Party ideology and popular politics at the accession ofGeorge 111, Cambridge University Press, Cambridge 1986; H.T. DICKINSON, Liberty and Property: Political Ideology in
Eighteenth-century Britain, Methuen, London 1977. Sull’origine incerta del costituzionalismo inglese, si rimanda al saggio storiografico di L. COBBE, La genesi imperfetta del costituzionalismo. Hume nella storiografia sul xvi secolo. I. Storia costituzionale e linguistic turn, in «Giornale di Storia Costituzionale», n. 17, 2009, pp. 81-118. Sulla vicenda statuale britannica alla luce della nozione di corpo politico, M. PICCININI, Corpo politico, opinione pubblica, società politica. Per una storia dell’idea inglese di costituzione, Giappichelli, Torino 2007.
34
sidro. Venne così ridimensionata l’incidenza delle tasse sulla proprietà terriera sull’ammontare complessivo delle entrate, in favore della netta preponderanza della tassazione indiretta”. Questo passaggio dalla tassazione diretta a quella indiretta implicò un duplice mutamento qualitativo - finanziario e amministrativo — dello Stato britannico. In primo luogo, la tassazione indiretta era strettamente legata al pagamento del debito pubblico, dunque serviva da garanzia per finanziare le guerre attraverso il prestito privato raccolto e gestito dalla Banca d'Inghilterra, che era stata istituita nel 1694. In
secondo luogo, aveva come conseguenza una completa riforma del sistema di riscossione delle tasse. La tassazione indiretta rese necessario aumentare i funzionari fiscali perché implicava un controllo capillare del commercio non soltanto nei porti e sulle coste, ma anche nelle città e nelle contee. Il numero degli impiegati nell’amministrazione avrebbe così superato il livello europeo, persino quello prussiano. Inoltre, per raggiungere un elevato grado di sicurezza delle entrate, la riscossione delle tasse non venne più lasciata alla discrezionalità di dilettanti che agivano a livello locale, ma venne assegnata a funzionari reclutati centralmente che rispondevano direttamente all’ufticio centrale delle entrate. In questo senso, la tassazione indiretta era esemplificativa del
nuovo profilo amministrativo dello Stato britannico. La centralizzazione del reclutamento, la complessa procedura di selezione del personale (al quale erano richieste non soltanto capacità tecniche e conoscenze specifiche, ma anche onestà, fiducia e fedeltà verso Parlamento e governo), la formazione del personale attraverso documenti istruttori emanati dall’ufticio centrale, la minuziosa definizione del ruolo del funzionario e la possibilità del controllo del suo operato attraverso la compilazione obbligatoria di registri e tabelle, l’inventario delle merci e lo stato dei pagamenti, in altre parole la crescente istituzionalizzazione delle procedure che regolavano la riscossione delle tasse sostituì alle eterogenee pratiche locali una certa omogeneità e regolarità che garantiva la sicurezza delle entrate, rendendo così possibile al governo finanziare il debito pubblico. Per questo, sebbene non avessero a disposizione una vera e propria dottrina dello Stato, i funzionari fiscali come Paine avevano comunque una conoscenza diretta di quell’entità astratta, ma decisamente concreta nel suo metodo amministrativo, che
andava sotto il nome di Stato. 32. ). BREWER, Siniews of Power, cit.; P.G.M. DICKSON, The Financial Revolution in England: a Study in the Development ofPublic Credit, 1688-1756, Macmillan, London 1967.
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Nel 1772 Paine venne scelto per la stesura del pamphlet con il qua-
le sostenere la campagna per promuovere la petizione che chiedeva un aumento salariale in favore dei funzionari deputati alla riscossione delle accise. AI di là del tratto rivendicativo, The Case of the Officers of Excise, suo primo pamphlet, è significativo appunto perché consente di comprendere quel carattere centralizzato e professionale dell’ammini-
strazione fiscale che era necessario alla sicurezza delle entrate?3. Fin dalle prime righe, Paine richiamò l’attenzione del Parlamento sulla petizione che sarebbe stata discussa nella successiva sessione, riconoscendo dunque come le mansioni dei funzionari fiscali fossero regolate dal diritto statutario, ovvero dalle norme giuridiche che il Parlamento stabiliva nel pieno esercizio della sua sovranità legislativa. Egli comprese, cioè, che la tassazione aveva avviato un processo di centralizzazione che subor-
dinava alla volontà parlamentare le diverse leggi che avevano regolato le eterogenee pratiche amministrative a livello locale. Nello stesso tempo, rilevò come questa centralizzazione avesse comportato una maggiore complessità amministrativa. Diversi erano.i dipartimenti deputati alla riscossione delle tasse, come molte erano le figure impegnate nella riscossione: dagli uomini in servizio a cavallo a coloro che attraversavano le contee a piedi, da quelli in servizio a Londra a coloro che stazionavano lungo le coste per controllare il contrabbando delle merci, fino agli uomini delle accise impegnati nel controllo capillare del commercio nelle città. Soprattutto, Paine sottolineò con forza come questa complessità amministrativa richiedesse una crescente professionalizzazione che trasformava gli impiegati in un gruppo specifico dello Stato assegnato al lavoro amministrativo. A suo dire, il lungo percorso di formazione e ammissione che avveniva tra i 21 e i 30 anni richiedeva un elevato livello
di specializzazione che ostacolava la possibilità di intraprendere altre occupazioni. In altre parole, la specializzazione richiesta dall’amministrazione aveva come corrispettivo una crescente incompetenza per le altre attività lavorative. I funzionari diventavano «squalificati per ogni altra cosa», non avevano «possibilità di successo in nessun altro modo». Con il tempo, nonostante la loro specializzazione, sarebbero diventati
33. Paine venne considerato come il principale promotore di una petizione da inviare al Parlamento con cui richiedere un aumento salariale. William Lee, editore e membro dell’Headstrong Club di Lewes, stampò 4.000 mila copie del pamphlet, 3.000 distribuite in ogni parte del Paese, 1.000 riservate all'autore. The Case venne nuovamente pubblicato nel 1793, nel 1817 e nel 1819 a Londra da W.T. Sherwin, autore di Life ofThomas
Paine che riabilitò la sua figura dalle biografie calunniose.
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come quei contadini allontanati dalla terra che cercavano opportunità nelle città, ovvero sarebbero diventati «lavoratori stolti»**. Questo aspetto negativo della specializzazione richiesta dall'amministrazione costituiva però motivo per un forte momento rivendicativo.
Le specifiche qualità richieste al funzionario fornivano una leva professionale sulla quale agire per rivendicare un aumento salariale. Paine denunciò, dunque, con forza come gli uomini delle accise vivessero in una condizione di estrema povertà, tale da determinare comportamenti che infrangevano la fiducia riposta in loro e sanzionata giuridicamente dal giuramento di fedeltà che avevano espresso davanti al giudice di pace. Memore della sua prima esperienza da funzionario fiscale nella città di Alford, dove era stato congedato dal servizio per non aver segnalato le merci effettivamente in possesso di un mercante, Paine spiegò quanto fosse difficile per un uomo che era «circondato da figli e povertà» non scendere a patti con un commerciante, non accettare alcuna tangente o non sottostare a qualche forma di ricatto, persino non avere il timore di controllare tutte le stanze delle botteghe e dei negozi. La condizione di povertà non determinava, dunque, soltanto comportamenti illeciti, corruzione e collusione. Anche quando non c'era frode, erano comunque molto diffusi comportamenti di «negligenza e indifferenza» da parte di quei funzionari che, entrati con entusiasmo in servizio dopo il lungo periodo di formazione, vedevano «morire presto ogni brillante idea di promozione» e venivano scoraggiati «dalla dura continuità del lavoro, dal rigore del dovere, dalla povertà del salario». Negligenza e indifferenza erano il segno del diffuso malcostume della corruzione alla quale non era possibile mettere un freno senza riconoscere economicamente le qualità professionali dei funzionari. Senza un aumento salariale, adeguato a risolvere la situazione di povertà, non sarebbe allora stato possibile ristabilire quel rapporto fiduciario tra impiegati dell'amministrazione e Parlamento che era essenziale alla sicurezza delle entrate. In altre parole, le entrate sarebbero state sicure soltanto qualora l’amministrazione avesse funzionato con metodo, in modo gerarchico, omogeneo e regolare. A questo scopo, bisognava monetizzare le qualità professionali richieste ai funzionari, ma non ancora adeguatamente retribuite, ovvero la sobrietà, quale condizione sempre necessaria per lavorare, la diligenza, che sempre doveva essere applicata al lavoro, e la competenza, sempre utile per prevenire o smascherare
34.
T. PAINE, The Case, in CW, cit., vol. 2, p. 7.
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pratiche fraudolente: «Il potere dei superiori sarebbe così ristabilito e le leggi e le disposizioni riceverebbero nuova forza»”. Questa battuta conclusiva ripropone la questione dalla quale Paine prese le mosse, ovvero la centralizzazione del potere politico nel Parlamento, nel suo stretto rapporto con il Primo Ministro e il governo. Un simile mutamento costituzionale traeva forza giuridica e legittimazione politica dalla dottrina della sovranità parlamentare che, proprio come aveva mostrato Blackstone nel suo Commentaries alla fine degli anni Sessanta, stava sostituendo la precedente tradizione costituzionale per la quale il Common Law forniva un principio superiore alla volontà parlamentare. L'accentramento della decisione politica vendicava in questo senso il grande sconfitto del pensiero politico seicentesco, quel Thomas Hobbes che aveva esplicitamente tentato di negare la supremazia del diritto consuetudinario attraverso una dottrina che esigeva come elemento imprescindibile dello Stato l’assolutezza del potere politico, indipendentemente dal luogo di emanazione della sovranità, se dal
monarca oppure da qualche forma di assemblea rappresentativa del popolo. Dal privilegiato punto d'osservazione dell’uomo delle accise, emergeva dunque come questo mutamento costituzionale avesse luogo
sotto il peso dell'apparato amministrativo che poteva funzionare correttamente soltanto con il primato del diritto statutario del Parlamento e delle disposizioni amministrative subordinate alla sua sovranità. Il problema amministrativo della sicurezza delle entrate introduceva così una questione costituzionale che, come vedremo spostando l’attenzione oltreoceano, sarebbe risultata decisiva nelle periferie americane dell’ Impero britannico, quella della supremazia del Parlamento. Come per le altre potenze europee, nonostante l’elogio, non solo montesquieuano, della monarchia moderata inglese contrapposta all’assolutismo francese ed europeo, anche per la Gran Bretagna il Settecento risultava il secolo decisivo per la concentrazione del potere politico, frutto naturale del mercantilismo, ovvero della costruzione dello Stato britannico®°.
35.
Ivi, pp. 9-11, 15.
36. Secondo Blackstone, il Parlamento è «un'autorità suprema, irresistibile, assoluta e incontrollata nella quale risiede jura summi imperii, ovvero i diritti della sovranità», in W. BLACKSTONE, 0p. cit., vol. 1, pp. 178-80. Cfr. J. GOLDSWORTHY, The Sovereignty of Parliament. History and Philosophy, Clarendon, Oxford 1999; H.T. DICKINSON, The Eighteenth-Century Debate on the Sovereignty of Parliament, in «Transactions ol the Royal Historical Society», n. 26, 1976, pp. 189-210.
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Eloquenza della ricchezza e linguaggio della povertà «L’eloquenza [della ricchezza] può ammaliare l'orecchio, ma il linguaggio della povertà colpisce al cuore, la prima può incantare come musica, ma il secondo allarma come una campana»?7. Questa perentoria e vivace affermazione, che leggiamo nelle pagine del pamphlet The Case, è indubbiamente esemplificativa della biografia dello sconosciuto che dovette lasciare la scuola per diventare apprendista artigiano. Eppure, stupisce che questa denuncia della disuguaglianza sociale provenga da un autore generalmente considerato come un esponente eminente, per
certi versi il più rappresentativo per la radicalità del suo pensiero, del liberalismo moderno nella sua genealogia inglese e americana. Proprio in quegli anni veniva infatti celebrata, teoricamente e politicamente, l'affermazione della società commerciale contro le rigide gerarchie proprietarie del passato. D’altra parte, sarebbe storicamente non appropriato, approfittare delle sue parole per attribuire a Paine ostilità 0 addirittura coscienza di classe. Bisogna allora collocarle in un contesto politico e sociale che, alla luce della storiografia, possiamo descrivere con più precisione di quanto egli abbia potuto fare?®. Ancora una volta, il quadro storico di riferimento è quello del mercantilismo. Attraverso le pagine di 7he Case dedicate al profilo amministrativo dello Stato britannico, abbiamo considerato il mercantilismo come costruzione dello Stato, ovvero definizione dell’amministrazione fiscale e concentrazione del potere politico. Tuttavia, nello scontro fra le potenze europee, mercantilismo significava anche definizione del mercato nazionale con la partecipazione delle nuove forze economiche dell’espansione commerciale. I grandi mercanti, che gestivano le tratte oceaniche centrate sulla capitale londinese e possedevano i titoli (bond) del debito pubblico, avevano costruito un legame stretto con Parlamento e governo, costituendo così quel nuovo interesse mercantile e finanziario che sostituiva le aristocrazie terriere per prestigio sociale e
ruolo politico. L'accentramento del potere politico contro la frammentazione e la pluralità delle entità legislative e amministrative implicava in
37.
T. PAINE, The Case, in Cw, cit., vol. 2, p. 14.
38. Cfr. I. KRAMNICK, Republicanism and Bourgeois Radicalism. Political Ideology in late Eighteenth Century England and America, Cornell University Press, Ithaca-London 1990; A.O. ALDRIDGE, Thomas Paine and American Ideology, cit.; Linebaugh attribuisce invece a Paine un forte spirito di classe nella sua introduzione a T. PAINE, Common Sense, Rights of Man and Agrarian Justice, cit.
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questo senso una politica economica uniforme sul territorio statale. Il mercantilismo era dunque agente di unificazione interna e di differenziazione internazionale: mentre sul lato interno liberava il commercio dalla regolazione locale, dando forma al mercato nazionale con misure economiche uniformi e una moneta unica; sul lato esterno impediva il
dominio imperiale nel continente europeo, delineando una competizione politica, non più basata sulla rivalità militare, bensì sulla concorrenza economica, sebbene la guerra non fosse affatto esclusa dall’orizzonte internazionale. Accentramento del potere politico, mercato nazionale e concorrenza internazionale definivano lo specifico tessuto «costituzionale» che il mercantilismo assicurava al sistema europeo degli Stati??. In questo quadro storico, nella seconda metà del Settecento, avveniva un'importante innovazione concettuale che avrebbe aggiornato
il lessico della politica. Alla luce del mercato nazionale, veniva pensata la società commerciale dentro lo Stato, come espressione collettiva
del libero agire economico (free trade) in un tempo storico non più rivolto al passato, come nel discorso politico sull’antica Costituzione anglosassone, ma esclusivamente votato al miglioramento futuro. La libertà politica non era in questo senso appannaggio del passato nazionale da rivendicare, era piuttosto promessa del commercio e del suo sviluppo, anche internazionale. La concorrenza internazionale veniva
compresa nello spazio concettuale della società commerciale e della civilizzazione del commercio. Da questo punto di vista, le tinte fosche del linguaggio della povertà lasciano trapelare un certo ritardo teorico di Paine, rispetto soprattutto all’illuminismo scozzese e, in particolare, all'opera smithiana. Eppure, proprio questo ritardo rivela continuità, piuttosto che discontinuità, fra mercantilismo e società commerciale: la proiezione imperiale britannica, con le sue politiche mercantiliste, aveva inaugurato quell’epoca del commercio alla luce della quale non soltanto il filosofo economista di Wealth of Nations, ma anche il rivoluzionario autore di Common Sense avrebbero presentato la società come autonoma e separata dal governo nella sua genealogia storica e logica*°. 39. 1. HONT, Jealousy of Trade. International Competition and the National-State in Historical Perspective, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 200s. Sul rapporto tra pace, guerra e commercio nella politica moderna degli Stati, R. GHERARDI, Ilfuturo, la pace, la guerra. Problemi della politica moderna, Carocci, Roma 2007. 40. Per una discussione storiografica sul tema del tempo storico alla luce della società commerciale, si rimanda a L. COBBE, La genesi imperfetta del costituzionalismo. Hume nella storiografia sul xvi secolo. 11. Filosofia, diritti, disciplinamento, in «Giornale di Storia Costituzionale», n. 18, 2009, pp. 193-228. Sulla continuità fra mercantilismo e
40
A partire dagli anni Venti e Trenta, nelle intenzioni delle élite al governo che andavano sotto il nome whig, la politica fiscale della tassazione indiretta ebbe lo scopo primario di dare una precisa forma politica al commercio, intese, cioè, inquadrare l'espansione commerciale nella concorrenza che segnava la scena internazionale in modo funzionale alla grandezza della Nazione inglese. Non soltanto in Gran Bretagna, ma complessivamente nel sistema europeo degli Stati, il successo commerciale era diventato una questione di sopravvivenza nazionale. Conseguentemente, il commercio divenne attività primaria dello Stato in quanto funzione della ricchezza della Nazione. Il fisco costituiva in questo senso una leva politica essenziale per conquistare una posizione
di vantaggio nel mercato internazionale. Questa leva non venne usata soltanto in chiave protezionista per ottenere una bilancia commerciale in attivo, favorendo le esportazioni sulle importazioni di merci lavorate e agevolando l’importazione di materiale grezzo per la produzione, dunque sostenendo lo sviluppo delle manifatture che producevano per mercati extraeuropei. Più in generale, venne impiegata per costruire
un mercato nazionale che era considerato come base necessaria all’espansione commerciale internazionale”. La tassazione indiretta introdusse, infatti, uniformità su tutto il territorio nazionale, perché veniva applicata a tutti i sudditi, senza alcuna distinzione dettata dall’appartenenza nobiliare e clericale, come invece avveniva negli altri Stati europei. Non era prevista alcuna esenzione ereditaria, territoriale o giuridica al pagamento delle tasse. Soprattutto, la preponderanza della tassazione indiretta sull'’ammontare complessivo delle entrate sostituì il criterio della tassazione fondato sullo status di proprietario terriero con quello del consumo. Una simile politica fiscale stabiliva un principio d’uguaglianza che agiva materialmente nella convivenza sociale, privando le antiche gerarchie, basate sul possesso della proprietà terriera, del loro storico significato politico e sociale. Veniva così fatto valere materialmente il rapporto fiduciario lockeano tra governo e cittadino: i sudditi non venivano più considerati in relazione alla proprietà terriera in loro possesso, bensì erano rappresentati virtualmente come uomini liberi e proprietari della propria persona, i
cui diritti dovevano essere riconosciuti dallo Stato, il quale, attraverso il liberalismo, }.A. SCHUMPETER, Storia dell'analisi economica, Bollati Boringhieri, Torino 1990, vol. 1.
41. 1994.
N.F. KOEHN, The Power of Commerce, Cornell University Press, Ithaca-London
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Parlamento, poteva a sua volta esigere il pagamento delle tasse soltanto in cambio di protezione*?. i A questo nuovo profilo costituzionale, che sarebbe stato criticato tanto al centro, quanto alle periferie dell'Impero con il motto no taxation without representation, corrispondeva un preciso passaggio antropologico: vizio e virtù non definivano più un criterio morale per
stabilire la gerarchia politica e sociale, né la passione per il bene pubblico stabiliva un'effettiva misura della cittadinanza. Al loro posto, con un'innovazione concettuale che sarebbe stata alla base dell’utilitarismo ottocentesco, veniva introdotto l’interesse per definire una qualità personale immanente che, attraverso la mediazione del commercio, faceva dell'individuo un cittadino «interessato» alla ricchezza nazionale. In questo senso, nel Settecento britannico, l'emergere della società commerciale era certamente un processo storico, ma la sua teorizzazione serviva come legittimazione della costruzione dello Stato, perché sostituiva alle rigide gerarchie del passato, che erano legate allo status sociale e politico di proprietario terriero, una reciprocità economica assicurata dalla libera contrattazione individuale*. La reciprocità economica e il principio d’uguaglianza celavano tuttavia una nuova disuguaglianza sociale, legata al commercio, dunque al possesso di proprietà mobile, ovvero determinata dal denaro. La tassazione indiretta gravava, infatti, in modo particolare su coloro che intraprendevano un percorso di lavoro nell’artigianato o nel commercio, diminuendone le possibilità di successo, come pure su coloro che lavoravano in cambio di salario. Strutturava, quindi, in modo gerarchico l'espansione commerciale, facendo dello Stato un agente storicamente determinato di trasformazione economica e sociale. Il pagamento dell’interesse sul debito pubblico, contratto per finanziare le guerre, richiedeva un alto livello di tassazione che favoriva il trasferimento della
ricchezza verso quei mercanti chiamati «capitalisti»4, perché accumulavano capitale in denaro attraverso l’interesse che riscuotevano per aver 42.
H.T. DICKINSON, The Politics ofthe People in Eighteenth-Century Britain, Macmillan,
London 1994, pp. 177-178.
43. J.G.A. POCOCK, Virtue, Commerce and History. Essays on Political Thought and History, Chiefly in the Eighteenth Century, Cambridge University Press, Cambridge 1985; A.O. HIRSHMAN, Le passioni e gli interessi, cit.
44.
Sul termine «capitalista», I. HONT, op. cit., pp. 84-89; C. HILL, La formazione della
potenza inglese. Dal 1530 al 1780, Einaudi, Torino 1977, pp. 205-208. Per una prospettiva europea e di lungo periodo, c. TILLY, L'oro e la spada: capitale, guerre e potere nella formazione degli Stati europei, 990-1990, Ponte alle Grazie, Firenze 1991.
42
investito sui titoli del debito pubblico. Se le tasse colpivano il consumo, la ricchezza accumulata, ossia il capitale, era esente dalla tassazione. La tassazione indiretta costituiva in questo senso una sorta di risparmio
forzato su scala nazionale attraverso il quale veniva accumulato capitale, mentre obbligava coloro che lavoravano ad aumentare intensità e tempo di lavoro per guadagnare il salario sufficiente alla sussistenza. Lo sviluppo delle manifatture non era dunque favorito soltanto dal particolare regime fiscale che regolava esportazioni e importazioni, ma anche dalla tassazione che incentivava il lavoro, ovvero favoriva un aumento di produttività che veniva considerato indispensabile alla concorrenza internazionale. In breve, come denunciò duramente Oliver Goldsmith - ultimo esponente della cosiddetta poetica della nostalgia nei confronti di quel passato legato alla proprietà terriera ormai sovrastata dal commercio, al quale il giovane Paine dedicò parole di stima e apprezzamento — la ricchezza della Nazione rifletteva la sua stessa povertà”. Non interessa qui avventurarsi in una ricostruzione storica dell’o-
rigine del capitalismo. Non soltanto perché implicherebbe farsi largo in un mare storiografico alquanto agitato e attraversato da correnti contrapposte. Soprattutto perché una tale riflessione non era certamente nelle corde di Paine, né il vocabolario economico della sua epoca presentava la voce capitale o capitalismo*°. Il contesto politico e sociale, sopra brevemente delineato, consente tuttavia di spiegare quel linguaggio della povertà che Paine introduceva nelle ultime pagine del suo primo pamphlet. Bisogna infatti sottolineare che The Case esprimeva 45. Nelle prose e poesie di Goldsmith, Paine leggeva la sua stessa biografia, la biografia di colui che, migrato in città, era condannato a una condizione di povertà in cui la «libertà stessa veniva barattata», perché i ricchi compravano «la libertà [...] di uomini che sono disposti a sopportare la mortificazione di una tirannia continua per bisogno». Secondo il poeta e romanziere, il commercio non aveva affatto introdotto uguaglianza perché «la ricchezza risulta accumularsi in tutti i paesi commerciali, rendendoli col tempo stati aristocratici»; in O. GOLDSMITH, Citizen of the World, in in., The Beauties of Goldsmith: Or, the Moral and Sentimental Treasury of Genius, G. Kearsley, London 1782, p. 16; ID., Il vicario di Wakefield, Fazi, Roma 1995, pp. 122-125; T. PAINE, Letter to Oliver Goldsmith, 21 dicembre 1772, in CW, cit., vol. 2, pp. 1129-1130. Cfr. C. CHAPIN,
Oliver Goldsmith and Thomas Paine, in «A Quarterly Journal of Short Articles Notes and Reviews», 11, 2, 1998, pp. 22-23; I. KRAMNICK, Bolingbroke and his Circle. The Politics of Nostalgia in the Age of Walpole, Cambridge University Press, Cambridge 1968. 46. Peruna ricostruzione storica e concettuale del termine capitalismo, M. RICCIARDI, La società come ordine. Storia e teoria politica dei concetti sociali, Eum, Macerata 2010,
PP. 55-73.
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innanzitutto la rivendicazione dell’aumento salariale. Per quanto in modo grezzo, esso offriva una prima discussione sul salario, ovvero sulla contrattazione del lavoro sul mercato. La sua forte denuncia della condizione di povertà, che segnava non soltanto il lavoratore dell’amministrazione, ma il lavoro in generale, non può allora essere accantonata come residuale del passato mercantilista, non può, cioè, essere
considerata inadeguata alla comprensione della società commerciale. Come egli stesso avrebbe scritto, da uomo delle accise, «era penetrato nelle numerose e svariate sofferenze che il peso delle tasse determinava» e aveva visto una società divisa in «due distinte classi»: coloro che pagavano le tasse e coloro che vivevano grazie a quelle?7. Paine spiegava come «il grande carico delle imposte» determinasse una povertà talmente diffusa da giustificare un «appello comune sull’insufficienza del salario». Inoltre, la politica finanziaria, che aumentava
la carta moneta in circolazione per offrire la liquidità necessaria al consumo e al pagamento delle tasse, produceva in ultima istanza una sostanziale diminuzione del valore reale del salario, ovvero della sua
capacità di acquisto. A suo parere, la politica fiscale e finanziaria stava determinando una situazione tanto paradossale quanto strutturale, nella quale l’arricchimento coincideva con l’impoverimento: «Ogni passo avanti è un passo indietro». In questa situazione, sebbene l'imposta indiretta considerasse tutti i sudditi come uomini liberi e proprietari della propria persona, chi lavorava in cambio di salario non era affatto libero, perché la sua esistenza era segnata dalle «irresistibili necessità
dell’esistenza». In altre parole, la libertà del lavoro era limitata alla mera sussistenza, senza alcuna possibilità di raggiungere la tanto agognata indipendenza economica, che era preclusa anche dalla crescente dequalificazione del lavoro. Paine affermava in modo perentorio e drastico che il lavoratore era diventato «stolto»: competenze, fiducia e onestà non entravano nella contrattazione del salario, soltanto «salute, forza e robustezza sono virtù del lavoratore». Il suo valore monetario, ovvero il
salario che riceveva in cambio del lavoro svolto, era determinato dalla capacità di erogare un servizio «meramente animale e meccanico»**. Sebbene in modo approssimativo, Paine colse quindi le nuove coordinate del lavoro che la letteratura accademica avrebbe compiutamente definito nel giro di un ventennio. Nel trattato 7he State of the Poor del 47.
of Sussex, 30 giugno 1792; ID., Letter addressed to the T. PAINE, Letter to the Sheriff
Addressers, in CW, cit., vol. 2, pp. 464 e 506. 48. T. PAINE, The Case, in cw, cit., vol. 2, pp. 4-6, 10-12.
44 1797, Frederic Morton, un importante allievo di Adam Smith che diven-
ne un punto di riferimento per l'indagine sociale sulle condizioni della classe lavoratrice inglese, scrisse infatti che nel corso del Settecento il termine labourer era stato esteso a tutte «quelle persone che (non essendo educate o impiegate nei commerci) procurano la loro sussistenza con il lavoro fisico». Questi lavoratori non erano «in una condizione abietta
o servile, ma in una condizione di moderata e libera dipendenza». Il lavoro non coincideva quindi con l'indipendenza dell’artigiano, né con una condizione servile, bensì con una nuova relazione di dipendenza; non definiva in questo senso una posizione diversa da quella della povertà perché serviva a procurare la mera sussistenza. Questa condizione di libera dipendenza rifletteva il principio d’uguaglianza applicato alla tassazione indiretta sul consumo, ma non annullava affatto le gerarchie sociali, semmai le mutava qualitativamente slegandole dallo status di proprietario terriero per vincolarle alla contrattazione sul mercato. Non a caso, in questo contesto facevano la loro comparsa le prime associazioni di lavoratori che avevano l’obiettivo di determinare il salario. Senza attribuire al giovane Paine una fantomatica coscienza di classe, che non troveremo nella sua impresa rivoluzionaria, bisogna comunque registrare come, alla luce delle discordie sul salario, la sua argomentazione diventasse sprezzante verso quella che considerava una conoscenza distorta del commercio: I ricchi, in condizione di agiatezza e prosperità, possono pensare che io abbia dipinto un ritratto innaturale, ma possano loro discendere nelle regioni fredde del bisogno, nel circolo della povertà polare e vedranno la loro opinione cambiare con il clima. Ci sono abitudini di pensiero peculiari a diverse condizioni, trovarle è il vero compito dello studio dell’umanità*°.
Questa accusa rivela in primo luogo una forte presa di parte in favore
dei poveri, che contraddistinse tanto il suo stile popolare di scrittura, quanto le sue rivoluzionarie tesi politiche. Diversamente dalla maggior parte della pubblicistica di governo e di opposizione del tempo, come
49. Ivi, p.9; E MORTON, State ofthe Poor: or, History ofthe Labouring Classes in England, J. Davis, London 1797, pp. xx e 295. Sulle prime dispute sul lavoro si rimanda a R.W. MALCOLMSON, Workers’ Combinations in Eighteenth-Century England, in M.c. JACOB, T.R. JACOB, The Origins ofAnglo-American Radicalism, George Allen & Unwin, London 1984; R.J. STEINFELD, The Invention ofFree Labor, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1991.
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pure della letteratura illuminata e dissidente, Paine non rimproverava affatto al povero di avere un comportamento vizioso; ozioso e dissoluto. Piuttosto, attribuiva a colui che era costretto a lavorare per la sussistenza quelle virtù fisiche e morali per le quali era capace non soltanto di produrre, ma anche di parlare politicamente con un linguaggio più efficace di quanto non fosse la colta eloquenza del ricco. Così, nel corso della Rivoluzione americana, sulia scorta del volume Political Disquisitions pubblicato dallo scozzese James Burgh nella Londra del 1774, l’unico
testo dissidente che sarebbe stato citato in Common Sense, Paine avrebbe sostenuto che il lavoro svolto dal povero e le tasse indirette pagate per il consumo necessario alla sussistenza legittimavano la rivendicazione del suffragio. In secondo luogo, quando argomentava che il modo di pensare, parlare e agire cambiava in base alla diversa condizione, in modo grossolano Paine formulava un metodo di indagine sociale che avrebbe costituito un carattere costante della sua riflessione storica e politica. A suo parere, poiché «la natura, invece del diritto o della religione, stabiliva il non morire come principio dominante», studiare l'umanità comportava andare oltre la conoscenza del diritto e della religione: bisognava, cioè, criticare politica e teologia alla luce delle necessità e dei bisogni individuali. In questo senso, il riferimento alla natura, come legittimazione del principio «non morire di fame», non intendeva individuare un’astrazione della ragione oppure un'ipotetica condizione umana preesistente alla società, neanche definiva una legge universale conoscibile soltanto da coloro che, per la posizione sociale occupata, erano in grado di astrarre dalla materialità dell’esistenza,
secondo l’insegnamento lockeano. Il riferimento alla natura voleva piuttosto indicare uno specifico campo d'esperienza umana in una condizione sociale storicamente determinata. Era in tal senso naturale quel comportamento che infrangeva la legge e violava la proprietà in vista della sussistenza perché, come Paine scrisse alludendo all’Amleto di Shakespeare, nella povertà «essere o non essere diventa l’unica questione»?°.
50. T. PAINE, The Case, in Cw, cit., vol. 2, pp. 9 e 11. John Locke precluse la capacità di conoscere la legge naturale alla figura del folle, dell’ateo e del povero. Corruzione, vizio e pigrizia impedivano a quest'ultimi quella capacità di disciplinare i propri impulsi, che era condizione fondamentale alla disposizione dell’uomo al lavoro, disposizione che, a sua volta, legittimava l’acquisizione di proprietà. Diversamente, per Thomas Hobbes, il nesso necessità-libertà costituiva una sfida alla possibilità stessa dell’ordine giuridico e politico. t. HOBBES, Libertà e necessità (1654), Bompiani, Milano 2000; J. LOCKE, Saggio sull’intelletto umano (1690), Laterza, Roma-Bari 1988; cfr. s. MEZZADRA, Immagini della
cittadinanza nella crisi dell’antropologia politica moderna. Gli Studi postcoloniali, in R.
46
Nella tragedia shakespeariana Amleto agisce come fuori legge per conquistare il trono di suo padre, ma la sua sfida rappresenta qualcosa in più della lotta per il titolo monarchico. Egli esprime le antiche virtù dell’onestà e della benevolenza, ma vive in un mondo nuovo dove il povero è «uno che, soffrendo di tutto, non soffre di nulla». Nella tradizione popolare del teatro shakespeariano le sue parole assumevano così un preciso significato politico: rimediare alle ingiustizie e disuguaglianze determinate dal commercio. «Il mondo è fuori squadra: che maledetta noia, esser nato per rimetterlo in sesto»”. Piegato sulla scrivania nel retrobottega del suo negozio di tabacco, concentrato per trovare le parole giuste per scrivere The Case, Paine non poteva neanche immaginare
di essere nato per rimettere in sesto quel mondo rovesciato della sua giovinezza di apprendista artigiano, lavoratore a giornata e mozzo; quel
mondo nel quale aveva assaporato non tanto la dolcezza del commercio, quanto l’asprezza della povertà, sperimentando sulla propria pelle non certo l’agio della civilizzazione, bensì le asperità dello Stato mercantile impegnato nelle guerre settecentesche. Egli rifletteva dunque sulla propria esperienza, facendone motivo di formazione intellettuale e politica, e connetteva la questione costituzionale della sovranità parlamentare, ovvero della concentrazione statale del potere politico nelle mani di un Parlamento che rappresentava soltanto la minoranza proprietaria, alla contraddittoria situazione sociale per la quale l’arricchimento di pochi coincideva con la povertà di molti. Paine maturava così la forte convinzione politica, che avrebbe trovato piena espressione in Common Sense e Rights of Man, secondo la quale non era stato il commercio, bensì il «governo dispotico» a determinare la disuguaglianza sociale attraverso una politica fisca-
le e finanziaria che, una volta giunto nelle colonie, avrebbe scoperto costituire una precisa pratica imperiale di dominazione territoriale. Contro quest’ultima avrebbe lanciato la parola d'ordine dell’indipendenza, facendo leva proprio sul commercio, ovvero sulla possibilità della nascente Nazione americana di accrescere la propria ricchezza commerciando liberamente con le altre potenze europee nel mondo GHERARDI (a cura di), Politica, consenso, legittimazione. Trasformazioni e prospettive, Carocci, Roma 2002, pp. 85-100. 51. W. SHAKESPEARE, Amleto, Mondadori, Milano 1998, pp. 76; M.M. REESE, Shake-
speare. Il suo mondo e la sua opera, il Mulino, Bologna 1986; R. WEIMANN, Shakespeare and the Popular Tradition in the Theatre, Studies in the Social Dimension of Dramatic Form and Function, John Hopkins University Press, London 1978.
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atlantico, fuori dalle trappole mercantilistiche britanniche. Nella sua riflessione storica e politica, la teorizzazione della società commerciale non sarebbe dunque servita all’innovazione del lessico della politica, funzionale alla legittimazione del suo apparato statale, costituzionale e amministrativo. Piuttosto, forzando questa innovazione verso le
sue logiche conseguenze, nel pensiero di Paine la società commerciale avrebbe rivendicato la rivoluzione politica. Nel 1774, all’età di 37 anni,
l'esito negativo della campagna per l’aumento salariale, il licenziamento da funzionario fiscale, il duplice fallimento in amore e in denaro, con la separazione dalla moglie e la bancarotta del negozio, spinsero Paine a lasciare l’Inghilterra. Con i pochi soldi messi in tasca con la vendita all'asta di quanto era rimasto nella bottega, evitò di dover attraversare l'oceano come tanti suoi compatrioti, che barattarono la loro libertà con il viaggio per le colonie, diventando servi a contratto. La lettera di presentazione redatta gentilmente da Benjamin Franklin, che Paine aveva conosciuto da poco a Londra attraverso George Lewis Scott,
commissario del Board of Excise, avrebbe avviato una straordinaria carriera letteraria: Paine venne assunto dall’editore del «Pennsylvania Magazine» alla guida del giornale. L'ex uomo delle accise avrebbe svestito i panni dello sconosciuto per indossare quelli dell’autore di successo. Non sarebbe però andata in scena una tragedia shakespeariana, bensì una rivoluzione politica che avrebbe coinvolto l’intero mondo atlantico.
3.
LA BREZZA DELL'ATLANTICO
Atlanticus era uno degli pseudonimi che Paine impiegò per firmare alcuni scritti pubblicati sul «Pennsylvania Magazine» nel 1775, certa-
mente il più importante per comprendere il decisivo impatto sulla sua formazione politica e intellettuale rappresentato dall’attraversamento dell’oceano. Nel novembre del 1774, egli giunse a Filadelfia talmente malato da non poter scendere dalla nave sulle proprie gambe. Era stato un viaggio assai difficile a causa dell'epidemia di tifo che aveva colpito
l'imbarcazione, ma il biglietto da visita firmato Franklin gli consentì di essere curato subito dopo lo sbarco. Così, dal gennaio 1775, era nuova-
mente al lavoro, impegnato nella direzione del magazine con l’obiettivo, tutto politico, di contribuire alla formazione di una cultura americana, antibritannica e favorevole all’indipendenza. Come suggerisce lo stesso pseudonimo Atlanticus, questa cultura aveva nell’attraversamento
dell’oceano un tema fondamentale, che era già stato frequentato dalla
48
letteratura coloniale: la scelta morale di lasciare l’isola britannica, alla ricerca della libertà politica e religiosa e della ricchezza, negate in madrepatria, veniva inscritta in una specifica narrazione della società che aveva le proprie fondamenta teoriche nel pensiero lockeano e nella letteratura illuminista scozzese. La colonizzazione del continente nordamericano aveva segnato il passaggio dalla condizione naturale alla società: non soltanto il lavoro aveva legittimamente fondato la proprietà, ma lo sviluppo del commercio stava anche determinando la «civilizzazione» di una terra che, all’inizio, era apparsa selvaggia e barbara. Sebbene fosse interna al mondo atlantico britannico e al suo tessuto imperiale, questa nuova società mostrava così un proprio profilo autonomo. Una volta giunto in quella che veniva considerata la capitale del Nord America, Paine ebbe dunque l’impressione di trovarsi in un mondo decisamente diverso, ancora immune dalla possibile infezione europea. Nell’editoriale The Magazine in America del gennaio 1775, scrisse che «la brezza
dell'Atlantico» non coincideva «con la costituzione dei vizi stranieri». Per non riprodurre oltreoceano alcun vizio europeo bisognava dunque favorire quelle «opportunità di acquisire e comunicare conoscenza» che, come sapeva bene l’ex apprendista artigiano, erano fortemente ostacolate nella madrepatria”. Questa politica editoriale non rifletteva soltanto la sua biografia personale. Voleva soprattutto sostituire il significato meramente geografico delle parole America e American con un senso esplicitamente collettivo.
Nell'articolo Useful and Entertaining Hints del numero di febbraio, con il quale Paine dispensò consigli per estrarre dal sottosuolo le materie prime che avrebbero favorito «una nuova primavera dell’agricoltura e 52.
T. PAINE, The Magazine in America, in CW, vol. 2, pp. 109-110. Il 4 marzo 1775
Paine scrisse a Franklin di aver accettato la proposta di Robert Aitken che lo invitava a svolgere un lavoro editoriale nel «Pennsylvania Magazine», a partire dal secondo numero di febbraio. Tracce della sua collaborazione si trovano anche nel numero di gennaio. Paine non venne retribuito e per questo alla fine del sesto mese di direzione chiese di firmare un qualche contratto e ottenere un giusto compenso. Il mancato accordo, probabilmente anche per divergenze politiche con l’editore che sperava nella conciliazione rivendicando la «benedizione della British Constitution», determinò la fine del suo lavoro editoriale nel magazine. . PAINE, Letter to Honourable Benjamin Franklin, in cw, cit., vol. 2, pp. 1131-1132. Dal momento che alcuni articoli sono senza firma e altri sono firmati con diversi pseudonimi, è difficile individuare con precisione quali scritti sono opera di Paine. È però possibile avere uno sguardo d’insieme della direzione politica che egli impose al magazine. r. sMitH, New Light on First Year of Paine in America, in «American Literature», 1, 4, 1930, pp. 347-371. Sul tema dell’attra-
versamento dell'Atlantico, T. BONAZZI, Il Sacro Esperimento, il Mulino, Bologna 1970.
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della manifattura», il continuo impiego del pronome personale we e dell’aggettivo possessivo our rispondeva esattamente a questo, voleva cioè dimostrare come «il livello di sviluppo (improvement) che l’America aveva già raggiunto non avesse pari, fosse sbalorditivo». Eppure, rappresentava soltanto una piccola parte rispetto a quanto sarebbe stato possibile fare: poiché la conoscenza individuale era «imperfetta», bisognava supplire con uno «stock comune» di sapere, sviluppando una «conoscenza pratica» che fosse utile per incrementare il «benessere pubblico». «Qualunque possa essere il nostro stato politico — scrisse con tono polemico contro la dominazione imperiale britannica - la nostra felicità dipenderà sempre da noi stessi». L’attraversamento dell’Atlantico rendeva in tal senso possibile formulare una visione della società nettamente contrapposta al passato inglese. La società non appariva
statica; non sembrava, cioè, irrigidita nel contrasto arricchimento e impoverimento, che l’uomo delle accise aveva denunciato con prepotenza. Piuttosto, veniva compresa da Paine come ia risultante di un
processo aperto al miglioramento dell’esistenza individuale e collettiva, continuamente alimentato dal deliberato impiego delle conoscenze pratiche e delle capacità produttive. Le rigide gerarchie del passato, che venivano sanzionate nella deferenza politica del titolo britannico My Lord, lasciavano spazio al movimento della società, che avrebbe consentito l’acquisizione della ricchezza personale e l'incremento del benessere collettivo. Questo stupefacente cambio di prospettiva non conferma, tuttavia, l’interpretazione storiografica che ha descritto la società americana come eccezionale rispetto al vecchio mondo europeo, perché libera ed egualitaria fin dalla propria origine coloniale e rivoluzionaria’. Descrivere una società in divenire, potenzialmente ricca nel suo sviluppo, aveva piuttosto un significato politico, perché serviva a denunciare
povertà e servitù che le rotte atlantiche del commercio avevano introdotto nel continente americano. Così, in African Slavery in America, pubblicato nel marzo 1775, Paine condannò duramente la schiavitù
come «una merce innaturale» prodotta dalla «violenza per il guadagno» delle potenze europee e dalle guerre che avevano espropriato quei 53. T. PAINE, Useful and Entertaining Hints, in CW, vol. 2, pp. 1022-1025. Cfr. E. LARKIN, Inventing an American public: Thomas Paine, the Pennsylvania Magazine and American Revolutionary discoure, in «Early American Literature», n. 33. 1998, pp. 250-276.
54.
L. HARTZ, La tradizione liberale in America: interpretazione del pensiero politico
americano dopo la rivoluzione (1955), Feltrinelli, Milano 1960.
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«contadini laboriosi» delle loro terre. Inoltre, rivendicò l’abolizione delle altre «specie di schiavitù», come la servitù a contratto dei poveri bianchi che avevano deciso di lasciare l’isola britannica e il continente europeo. In un altro articolo pubblicato nel giugno 1775, anticipando un tema che avrebbe ripreso venti anni dopo in Agrarian Justice, egli propose l’istituzione di un fondo monetario statale dal quale attingere per distribuire alle nuove generazioni il denaro sufficiente per avviare un'impresa agricola o artigianale, attraverso la quale conquistare quell’indipendenza economica che veniva ostacolata non soltanto sulla sponda inglese dell’oceano. La penna di Atlanticus tracciava in questo senso una precisa prospettiva di emancipazione che passava dal lavoro libero. La nozione lockeana della proprietà veniva tradotta in un argomento radicale che dimostrava non soltanto l’illegittimità della schiavitù, ma anche la sua incongruità rispetto all’espansione commerciale: poiché era proprietario della propria persona, colui che era in condizione servile aveva diritto alla libertà, doveva cioè poter
lavorare liberamente, contribuendo al benessere pubblico con i «frutti del proprio lavoro»??. Questa prospettiva di emancipazione faceva leva sul successo com-
merciale delle colonie, successo che aveva avuto luogo nonostante le strette maglie mercantiliste dell'Impero britannico. Dalla seconda metà del Seicento, con le leggi sulla navigazione, alle colonie era stato impedito di commerciare con le altre potenze europee. La successiva legislazione settecentesca aveva inoltre proibito l'importazione di lavorati tessili dalle colonie e l'installazione in America dei macchinari per la lavorazione dell’acciaio. Veniva così filato un tessuto mercantilista che proteggeva il mercato nazionale britannico dalla concorrenza europea e limitava le capacità produttive delle colonie. Ciononostante, l’integrazione commerciale delle colonie nell’ Impero avrebbe determinato una trama economica potenzialmente autonoma. La distanza oceanica non 55. T. PAINE, African Slavery in America, in «Pennsylvania Journal», marzo 1775; e Reflections upon Titles, in «Pennsylvania Magazine», maggio 1775, in cw, vol. 2, Pp. 15-19 e 33-34. L'articolo del giugno 1775, pubblicato sul «Pennsylvania Magazine», è firmato Amicus ed è stato attribuito a Paine da A.0. ALDRIDGE, Thomas Paine American Ideology, University of Delaware Press, Newark 1984, p. 30. Sulla problematica e contraddittoria affermazione del lavoro libero sulla sponda britannica e americana dell'Atlantico, R.J. STEINFELD, The Invention ofFree Labor the Employment Relation in English and American Law and Culture, 1350-1870, University of North Carolina Press,
Chapel Hill 1991; D.R. ROEDIGER, The Wages of Whiteness. Race and the Making ofthe American Working Class, Verso, London 2000.
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Sl
consentiva di applicare in modo efficace la legislazione mercantilista perché la struttura di dominazione imperiale era leggera, priva dello spessore costituzionale e amministrativo necessario al controllo del territorio. Così, come Franklin aveva prontamente evidenziato in due scritti degli anni Cinquanta del Settecento, commerciando tra loro e fuori dall’ Impero, le colonie sviluppavano non soltanto economie agrarie, ma anche un’embrionale rete creditizia e una produzione manifatturiera che le élite economiche e politiche della madrepatria avrebbero giudicato essere in potenziale competizione con il mercato nazionale britannico. Alla luce del successo commerciale e dell’ulteriore possibile sviluppo, dalla sponda americana dell’oceano, il mondo atlantico veniva dunque rappresentato come mondo del commercio, certamente non privo di gerarchie sociali e razziali, ma potenzialmente libero e ricco nel suo divenire. Eppure, questa visione veniva offuscata dalle ombre
della proiezione imperiale dello Stato britannico oltre oceano: la brezza dell'Atlantico diventava una tempesta’. Il territorio dell’Impero «Il territorio è un impero e il tesoro è quasi senza fine». Questa affermazione, che leggiamo nelle Reflections on the Life and Death of Lord Clive, il colonnello che aveva stabilito la supremazia militare e politica
della Compagnia delle Indie nel sud est asiatico, non era soltanto un duro atto d’accusa contro la dominazione imperiale britannica in India. Quella mano, che aveva portato paura e terrore verso oriente, era soltanto una delle due mani del «mostruoso» Impero. L'altra indicava verso ovest e non lasciava presagire nulla di buono. La «spada britannica» era infatti sempre stata impugnata per «squarciare le viscere di
interi paesi per ottenere quello che poteva accaparrare». Nell'ultimo articolo pubblicato con lo pseudonimo Atlanticus, il mondo atlantico tornava dunque quello che il giovane e avventuroso mozzo inglese aveva conosciuto alla vigilia della Guerra dei sette anni, quando Francia e Gran Bretagna erano state impegnate in una serrata competizione per
56.
B. FRANKLIN, Observations concerning the Increase ofMankind, Peopling ofCountri-
es (1751); 1D., The Interest of Great Britain considered with regard to her Colonies and the
Acquisition ofCanada and Guadaloupe (1760). Cfr. T.H. BREEN, An Empire ofGoods. The
Anglicization of Colonial America, 1690-1776, in «The Journal of British Studies», 25, 4, 1986, pp. 467-499; ID., “Baubles of Britain”: The American and Consumer Revolutions
of the Eighteenth Century, in «Past & Present», n. 119, 1988, pp. 73-104.
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conquistare la posizione dominante nel sistema europeo degli Stati attraverso l’egemonia commerciale e coloniale extraeuropea. A quel tempo, la minaccia per l'Impero veniva dall’esterno. Nel 1775, alla vi-
gilia dell’ennesima guerra che avrebbe coinvolto le potenze europee sul continente nordamericano, il pericolo arrivava invece dall’interno. Il successo nella guerra della metà del secolo aveva convinto l'élite politica britannica che fosse opportuno non soltanto tassare le colonie per recuperare la spesa militare necessaria alla sicurezza dell’ Impero, ma anche riformare in senso territoriale l'Impero commerciale. Tutto
questo suscitava una strenua opposizione coloniale”. Il problema amministrativo della sicurezza delle entrate, che Paine aveva riscontrato durante il servizio, non era dunque un affare soltanto inglese, ma aveva una dimensione atlantica: nella seconda metà del Settecento, la centralizzazione del potere politico in materia fiscale, finanziaria e amministrativa ebbe conseguenze sull’architettura costituzionale dell’ Impero. La vittoria britannica nella Guerra dei sette anni determinò una maggiore estensione di territorio, con nuovi possedimenti in Nord America, nei Caraibi, sulle coste occidentali dell’Africa,
in India e nelle Filippine. Questo spettro mondiale della dominazione imperiale britannica comportava innanzitutto un aumento della spesa militare. Alla luce della diffusa condizione di povertà, le risorse finanziarie per ripagare il debito pubblico non potevano essere raccolte aumentando il già ragguardevole livello di tassazione interna. Anche per questo motivo, l’élite politica britannica ritenne che le colonie non avessero sufficientemente contribuito allo sforzo bellico. Inoltre, molta pubblicistica denunciò come le colonie avessero aumentato il loro scam-
bio commerciale con mercati non interni all’ Impero. Nella madrepatria emerse così un senso generale di insicurezza, determinato non soltanto dal timore di una possibile rivincita francese, ma anche dall’apprensione di gestire finanziariamente il primato politico ed economico inglese nel sistema europeo degli Stati e nel mercato internazionale. Divenne convinzione diffusa che una crescita economica non regolata delle colonie sarebbe stata disastrosa per le sorti stesse dell’ Impero, perché avrebbe potuto spostare oltreoceano il baricentro del commercio atlantico. In breve, la questione che l’élite politica britannica doveva affrontare era la seguente: come governare il territorio coloniale americano in modo
57. TT. PAINE, Reflections On the Life and Death ofLord Clive, in cw, cit., vol. 2, p. 24; In., The Crisis, nn. 5 € 7, 21 marzo, 21 novembre 1788, in Cw, cit., vol. 1, pp. 119, 142.
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funzionale all'espansione delle manifatture britanniche e in generale
dell'economia nazionale?
A questo interrogativo non venne risposto mettendo in discussio-
ne la qualità civilizzatrice del commercio che, promuovendo libertà e ricchezza, aveva distinto l'Impero britannico dal carattere dispotico della dominazione imperiale delle altre potenze europee. Tuttavia, la civilizzazione del commercio venne compresa dentro il nesso Stato e Impero, perché lo sviluppo commerciale stava offrendo alle colonie una base economica sulla quale avrebbero potuto fare leva per sostenere le loro ambizioni politiche. In conseguenza, vennero elaborate una serie
di politiche economiche e di riforme amministrative per consolidare il controllo imperiale sulle colonie e sul loro commercio. Sebbene avesse dimostrato massima efficacia nella gestione finanziaria delle guerre settecentesche, l’apparato amministrativo e fiscale dello Stato britannico mostrava una certa debolezza oltreoceano. I funzionari del governo britannico non potevano controllare dalla capitale londinese i governatori delle colonie. Questi dovevano, inoltre, tenere in considerazione gli interessi e le opinioni che venivano espresse nelle assemblee legislative delle colonie, decisamente più rappresentative di quanto non fosse il Parlamento londinese. La struttura governativa preposta al controllo era, infine, alquanto farraginosa. Il Board of Trade - che aveva il com-
pito di valutare le leggi delle colonie, di aprire inchieste sulla loro applicazione e di inviare istruzioni amministrative — era un dipartimento
del governo che dipendeva dalla maggioranza parlamentare. Il Privy Council, il massimo ufficio giudiziario con responsabilità di controllo, faceva invece capo alla corona. Questa complessità rendeva difficile far rispettare il tessuto mercantilistico dell’ Impero, anche perché la responsabilità amministrativa era divisa fra centro e periferia. In tal senso, nella sua dimensione imperiale, l'apparato amministrativo dello Stato britannico non funzionava attraverso un chiaro rapporto di comando e obbedienza, bensì tramite una continua negoziazione, alla luce della 58. A Guerra d'indipendenza quasi terminata, nella Letter to the Abbé Raynal, Paine scrisse che imembri del governo inglese videro «il loro [delle colonie] rapido progresso in proprietà e popolazione [...] come crescenti strumenti naturali per l'indipendenza», in cw cit., vol. 2, p. 221. Su Guerra dei sette anni, colonie e Impero, F. ANDERSON, Crucible of War, The Seven Years” War and the Fate of Empire in British America 1754-1766,
Faber & Faber, London 2000; P.}. MARSHALL, The Thirteen Colonies in the Seven Years War. The View from London, in J. FLAVELL, S. CONWAY (eds.), Britain and America Go
to War: The Impact of War and Warfare in Anglo-America, 1754-1815, University of Florida Press, Gainesville 2004.
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quale Londra non sempre riusciva ad affermare la propria sovranità su quelle che, per lungo tempo, erano state pratiche politiche ed economiche elaborate in relativa autonomia dall’ Impero, ovvero secondo quella politica imperiale che Edmund Burke definì della salutary neglect. La concreta applicazione della legge implicava, infatti, il riconoscimento di privilegi e concessioni??. In risposta a questa situazione, a partire dalla Guerra dei sette anni, venne introdotta una decisiva innovazione amministrativa e costituzionale, che rifletteva la costruzione settecentesca dello Stato britannico. Così come la vasta area amministrativa dell’isola britannica era stata progressivamente uniformata e centralizzata sotto il controllo parlamentare, allo stesso modo il Parlamento venne sempre più coinvolto nelle questioni relative alle colonie, sostituendo di fatto la precedente autorità del Privy Council regio. Questo istituto non venne esautorato, ma avrebbe dovuto rispondere alla sovranità parlamentare. Il Parlamento venne così legittimato come autorità metropolitana: aveva cioè la possibilità di fare oltreoceano quanto faceva sull’isola britannica, ovvero regolare, in modo più efficace di quanto non fosse già stato fatto, lo sviluppo commerciale delle colonie in funzione della ricchezza nazionale. Venne in tal modo limitata l'espansione sul territorio occidentale, riconosciuto come proprio delle Nazioni indiane; fu proibita la stampa di carta moneta coloniale perché alterava il valore delle transazioni economiche a discapito dei gruppi mercantili inglesi; soprattutto, venne introdotta una tassazione, senza precedenti, che mirava ad accrescere le entrate dello Stato britannico e fu riorganizzato il sistema di controllo con l'aumento dei doganieri e l’estensione dei compiti della marina militare. Infine, contro la forte contestazione delle colonie, che intendevano
negare il potere parlamentare di imporre tasse interne facendo leva sul criterio politico no taxation without representation, il Declaratory Act (1766) sanciva ufticialmente il principio costituzionale secondo il quale il Parlamento rappresentava virtualmente tutti gli inglesi ovunque abitassero, votassero o meno. La sovranità parlamentare veniva così affermata su tutto il territorio dell’ Impero: il Parlamento aveva «pieno
59.
E. BURKE, Speech for Conciliation with the Colonies (1775), in G. ABBATTISTA, D.
FRANCESCONI (a cura di), Scritti sull’ Impero: America, India, Irlanda, uTET, Torino 2008. Cfr. J.P. GREENE, Negotiated Authorities: The Problem of Governance in the Extended Polities of the Early Modern Atlantic World, in 1». (ed.), Negotiated Authorities: Essays in Colonial Political and Constitutional History, University Press of Virginia, Charlottesville 1994.
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potere e autorità di emanare leggi e statuti di sufficiente forza e validità da vincolare in qualsivoglia caso le colonie e il popolo d’America»99. L'introduzione nel governo dell’Impero di un elemento sostanziale di accentramento politico e amministrativo, che ridimensionava drasticamente le competenze delle assemblee legislative delle colonie, confermava l’orientamento dominante nella costruzione dello Stato britannico. La competizione politica e la concorrenza economica, che segnavano il sistema europeo degli Stati, non avevano sospinto soltanto la sorprendente trasformazione dello Stato come entità militare e fiscale nella madrepatria, avevano anche messo in evidenza un certo bisogno di statualità dell’ Impero commerciale, bisogno che veniva soddisfatto riformandolo in senso territoriale. Come tale, l'Impero commerciale sarebbe dunque esistito soltanto sul piano ideologico della lotta politica, non su quello costituzionale e amministrativo. In questo senso, Stato e Impero costituivano un nesso inscindibile che serviva come agente di trasformazione non soltanto politica, ma anche sociale. Nelle intenzioni dell’élite politica britannica, lo sviluppo commerciale delle colonie doveva essere completamente subordinato alla madrepatria, l’esistenza delle colonie aveva cioè un senso soltanto qualora quest'ultime avessero continuato a contribuire alla ricchezza della Nazione inglese. In altre parole, nella sua nuova veste territoriale, l'Impero avrebbe dovuto assicurare un movimento economico dalla periferia al centro attraverso la forza della tassazione, per questo avrebbe avuto necessità di maggiore efficacia costituzionale ed efficienza amministrativa nel suo apparato fiscale. Eppure, questa stessa forza evidenziava la sua debolezza. L'amministrazione aveva un costo che assorbiva una sempre maggiore quota
del profitto economico della dominazione imperiale, a sua volta ridotto dalla crescente spesa militare per la gestione dell’insubordinazione coloniale. La sua debolezza era allora soprattutto politica. Il governo
60.
Royal Proclamation (1763), Current Act (1764), Revenue Act (1764), Stamp Act (1765). Nel marzo 1764, il Primo Ministro George Grenville pronunciò le seguenti
parole nella House of Commons: «Abbiamo speso fin troppo in America. È tempo di raccogliere i frutti del nostro investimento». Nel pamphlet The Regulations lately Made concerning the Colonies and the Taxes Imposed upon Them, Considered, Thomas Whately scrisse che il Parlamento rappresentava virtualmente tutti i coloni americani, così come rappresentava quegli inglesi che non avevano diritto al voto: «Tutti i sudditi britannici sono nella stessa condizione; nessuno viene rappresentato effettivamente, ma tutti sono rappresentati virtualmente in Parlamento», cit. in H.T. DICKINSON, Britains Imperial Sovereignty: The Ideological Case against the American Colonies, în Ip. (ed.), Britain and the American Revolution, Longman, London 1998.
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dell’ Impero non perdeva soltanto gradualmente il fondamentale appoggio delle élite proprietarie delle colonie che, per la loro capacità di controllare le assemblee legislative, avevano funzionato come cinghia di trasmissione tra centro e periferia, garantendo consenso e obbedienza nella gestione delle guerre, nella raccolta delle entrate e nel flusso commerciale. Esso doveva fronteggiare anche una diffusa e indisciplinata mobilitazione popolare, specie in quei centri urbani che avevano conosciuto un improvviso aumento della concentrazione della ricchezza e un deciso incremento della povertà. Il successo commerciale delle colonie e la loro integrazione economica nell’ Impero determinarono dunque conseguenze politiche profondamente contraddittorie. La costruzione settecentesca dello Stato britannico, con la conseguente ridefinizione dell’architettura costituzionale e amministrativa della sua dominazione imperiale, innescava la crisi dell’ Impero, dispiegava cioè le cause della
sua stessa distruzione”. Per denunciare il nuovo spessore statale dell’ Impero commerciale, le tinte luminose che Atlanticus aveva usato per dipingere lo sviluppo dell’America lasciarono spazio alle ombre di una imminente tempesta coloniale. La scrittura dell'autore sconosciuto non presentava più uno stile cristallino e trasparente, divenne piuttosto oscura, metaforica e allusiva. Non soltanto per testare in modo indiretto e graduale l’umore del lettore americano, che sentiva ancora di appartenere alla britishness. Anche perché Paine usava un linguaggio tragico per mettere in scena la parodia finale della crisi dell’ Impero. Nel numero di febbraio del «Pennsylvania Magazine», venne pubblicato un breve articolo dal titolo New Anecdotes ofAlexander the Great, che denunciava con sarcasmo il fasto pomposo del grande imperatore che aveva conquistato l’intero globo. Il suo mondo della ricchezza (plutonian world) aveva in realtà celato un «abbrutimento stupefacente». Un mese dopo, nel breve rac-
61. Cfr. G. ABBATTISTA, Commercio, colonie e impero alla vigilia della Rivoluzione americana. John Campbell pubblicista e storico nell’Inghilterra del sec. xvi, Olschki, Firenze 1990; J.P. GREENE, Peripheries and Center. Constitutional Development in the
Extended Polities of the British Empire and the United States, 1607-1788, University of Georgia Press, Athens 1986; G. NASH, The Urban Crucible. Social Change, Political
Consciousness, and the Origins ofthe American Revolution, Harvard University Press, Cambridge 1979; P.J. MARSHALL, The Making and Unmaking ofEmpire. Britain, India, and America 1750-1783, Oxford University Press, Oxford 2005; T. BURNARD, Creol Gentlemen: The Maryland Elite, 1691-1776, Routledge, New York 2002; E. MANCKE, Empire and State, in D. ARMITAGE, M.J. BRADDICK (eds.), The British Atlantic World, 1500-1800,
Palgrave Macmillan, New York 2002.
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conto Cupid and Hymen, la stessa avvilente immagine venne impiegata per raccontare la storia di una giovane e povera donna americana che era stata costretta al matrimonio con un ricco proprietario terriero
inglese. Nel mese di giugno, nelle Reflections upon Unhappy Marriage, la medesima metafora venne usata per rivendicare «la libertà [...] di dissolvere l’unione». Infine, nel numero di luglio, Paine pubblicò The
Politicians e Observations on the Military Character of Ants per ironizzare ferocemente contro l’occupazione militare britannica: dal dialogo tra due politici inglesi emergeva quanto fosse grande la bramosia britannica di territorio. Il governo londinese stava infatti preparando 10 reggimenti da inviare sulla luna, da dove avrebbero aspettato una cometa per lanciarsi alla conquista di Marte, Giove e delle altre stelle. Le formiche inglesi avevano occupato un territorio che era stato lavorato duramente fino a livellarne le montagne per renderlo conveniente e civile, ma sarebbero state scacciate dal carattere militare delle formiche americane”,
Il sistema del dispotismo «Le leggi francesi in Canada sono parte del sistema di dispotismo che è stato preparato per le colonie». Con queste parole inequivocabili, Paine svelava il carattere meramente ideologico della concezione libera e commerciale dell’ Impero britannico, concezione che avrebbe dovuto distinguere la storia eccezionale della colonizzazione inglese dalla dominazione imperiale europea, in particolare francese. Quanto era accaduto nel marzo del 1774 in risposta all’insurrezione del dicembre 1773, quando era stato buttato a mare il carico di tè di un mercantile in-
glese (Boston Tea Party), rappresentava la conferma più eclatante della nuova veste territoriale dell’ Impero: il governo britannico aveva abolito l'assemblea legislativa del Massachusetts per dare maggior potere al governatore di nomina regia e all'esercito. Questa veste territoriale non smentiva soltanto il vanto inglese dell’ Impero commerciale, secondo Paine rendeva evidente anche il carattere dispotico del governo britannico, nella sua dimensione nazionale e imperiale. Nel Dialogue between General Wolfe and General Gage in a Wood near Boston, pubblicato nel 62. T. PAINE, New Anecdotes ofAlexander the Great; 1p., Cupid and Hymen; 1D., The Politicians; 1., Reflections on Unhappy Marriages e Observations on the Military Character ofAnts, in «Pennsylvania Magazine», febbraio, marzo, giugno, luglio 1775, in CW, cit., vol. 2, pp. 1119, 1114-1120.
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gennaio 1775, Paine raccontò del serrato confronto ideologico nel quale
il glorioso generale inglese, che aveva sacrificato la propria vita nella Guerra dei sette anni per difendere le colonie americane dal dispotismo francese, accusava l’ultimo governatore del Massachusetts di aver tradito il senso profondo delle libertà storiche assicurate dalla Costituzione britannica. Per bocca del valoroso generale, veniva snocciolata l’intera gamma dell’argomentazione costituzionale impiegata nella controversia coloniale: i coloni americani erano titolari degli stessi privilegi dei sudditi britannici, le loro libertà storiche erano le stesse al di là e al di qua dell’oceano, per questo andavano considerate come immutabili leggi della natura. Un inglese o un americano cessava di essere suddito britannico se veniva governato da chi non aveva scelto, «questa è l'essenza della libertà e della Costituzione britannica». Tuttavia, Paine non intendeva sottoscrivere la concezione protestante, commerciale e libera dell’ Impero contro l’assolutismo francese, non voleva cioè rivendicare quella comune appartenenza nazionale alla britishness, che aveva legittimato l’integrazione commerciale e politica delle colonie dentro l'Impero. Piuttosto, denunciava come la relazione Impero/libertà non avesse più presa nella realtà. A suo giudizio, «gli editti del Parlamento britannico in relazione alla provincia del Massachusetts erano stati talmente spropositati da aver distrutto l’intero Impero britannico». Rivendicare la libertà inglese era dunque inutile perché confermava quel continuo elogio della Costituzione britannica che, a distanza di un anno, nelle pagine di Common Sense, sarebbe stato definito con disprezzo un «pregiudizio inglese». La Costituzione britannica non escludeva affatto le derive assolutistiche delle altre potenze europee, perché «tutta l’esperienza e la libertà dell’impero era concentrata in quella angusta assemblea». L'assolutezza del Parlamento definiva in questo senso il sistema del dispotismo®. Con questa forte presa di posizione politica contro l’ Impero, Paine
intendeva segnalare l’arretratezza della battaglia costituzionale che le colonie avevano combattuto fino a quel momento. Quella battaglia aveva mirato innanzitutto al riconoscimento delle libertà storiche radicate nel tempo immemore del Common Law britannico. Nella prima metà del Seicento, quando prese avvio la colonizzazione del continente nordamericano, nei suoi Institutes of the Laws of England (1628-1630) il
giudice Edward Coke svolse un fondamentale lavoro di codificazione 63.
T. PAINE, A Dialogue Between General Wolfe and General Gage in a Wood near
Boston, in CW, cit., vol. 2, pp. 48-49.
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e razionalizzazione del diritto inglese per fissare una precisa identità giuridica nazionale, che doveva essere valida oltre il confine geografico insulare, ovvero doveva essere applicata in tutto il territorio del regno. Egli rintracciò nelle antiche carte concesse dai re e nelle sentenze delle Corti di Giustizia i precedenti e i principi che dovevano regolare l’assetto costituzionale, in particolare il funzionamento del Parlamento in rapporto al monarca e al suo esecutivo. Così, il diritto consuetudinario veniva considerato come legge nazionale comune alle due sponde dell'oceano, proprio perché definiva una fonte giuridica più alta della sovranità monarchica e della legislazione parlamentare. Nella madrepatria, questa concezione del Common Law aveva bilanciato la tendenza seicentesca all’assolutismo monarchico, oltreoceano essa prevedeva invece la possibilità che il potere legislativo venisse esercitato anche nelle assemblee delle province dell’ Impero. In questo senso, nelle colonie non venivano rivendicate soltanto l’antica Costituzione anglosassone, la Gloriosa rivoluzione e il suo Bill of Rights. La pubblicistica coloniale elaborava anche una precisa idea politica dell'Impero come confederazione, secondo la quale il monarca era garante dell'unione, ma il potere legislativo doveva essere diviso in funzione delle diverse competenze proprie del centro imperiale e della periferia coloniale. Contro la riforma in senso territoriale dell’ Impero, veniva dunque sviluppata una nozione di autorità politica contrapposta alla dottrina europea della sovranità, che aveva sostenuto la costruzione settecentesca dello Stato, anche nella Gran Bretagna della monarchia moderata e del governo misto: mentre la concezione della sovranità unica e indivisibile era inscindibile dalla territorialità dello Stato, l’au-
torità politica dell’ Impero doveva essere slegata dal confine geografico, per essere divisa secondo competenze legislative. Questa nozione di autorità divisa e plurale, che sarebbe stata posta all’origine storica e ideologica del federalismo americano, nella controversia coloniale intendeva negare legittimità alla legislazione parlamentare, in particolare
alla tassazione interna. 64. J.P. GREENE, Peripheries and Center: Constitutional Development in the Extended Polities of the British Empire and the United States, 1607-1788, W.W. Norton, New York 1986; J.G.A. POCOCK, Empire, State and Confederation: The War ofAmerican Independence as a Crisis in Multiple Monarchy, in}. ROBERTSON (ed.), A Union ofEmpire. Political Thought and the British Union of 1707, Cambridge University Press, Cambridge 1999; A.L. LACROIX, The Ideological Origins ofAmerican Federalism, Harvard University Press, Cambridge 2010.
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Alle soglie del 1776, quando Paine stava scrivendo il pamphlet che avrebbe lanciato la parola d’ordine dell’indipendenza, l’idea politica dell'Impero come confederazione sembrava però essere fuori tempo massimo: da parte inglese, un'eventuale concessione di sovranità avrebbe significato tornare indietro di due secoli, quando la monarchia aveva presieduto senza un effettivo potere politico un insieme composto da diverse autorità legislative; da parte americana, era invece stata fraintesa la portata storica della Gloriosa rivoluzione. Sebbene avesse allontanato l’assolutismo monarchico, questa aveva comunque legittimato un processo di accentramento statale del potere politico che era avvenuto attraverso l’unione territoriale e l'affermazione costituzionale della sovranità parlamentare con il conseguente primato del diritto statutario sul Common Law. Proprio perché questo sistema veniva proiettato sul territorio dell’ Impero, non aveva alcuna efficacia politica inviare una petizione contro la tassazione, impugnare la legge parlamentare davanti al monarca o affermare la sua incostituzionalità facendo leva sulla presunta superiorità del diritto consuetudinario. Allo stesso modo, dal punto di vista ideologico, era del tutto desueto fare ricorso alla storia costituzionale inglese per contestare la tassazione di coloro che non avevano diritto al voto. Dopo la Gloriosa rivoluzione,
come sapeva bene l’uomo delle accise, la tassazione diretta e indiretta definiva una competenza pienamente legittima del Parlamento, che non trovava alcun limite costituzionale nel diritto consuetudinario. Non c’era dunque alternativa al sistema del dispotismo: sottomissione o indipendenza. Questa alternativa chiudeva la biografia dello sconosciuto per alzare il sipario sull’autore di successo. In una lunga poesia intitolata Farmer Shorts Dog Porter: A Tale, che Paine pubblicò nel «Pennsylvania Magazine» del giugno 1775, pur se era stata scritta quando aveva prestato servizio come uomo delle accise, egli raccontava la storia ridicola di un contadino inglese che, alle ultime elezioni, aveva votato un candidato sgradito a tre giudici. Il giudice più esperto, un certo Coke che veniva considerato «uno dei più istruiti tra gli uomini istruiti», condannava a morte il cane del contadino per aveva causato la morte di una lepre inseguendola su un terreno che non era di proprietà del suo padrone. La disavventura del cane da guardia rimandava al nuovo indirizzo giuridico imposto dal Black Act (1758), che assicurava la proprietà privata
nei territori forestali attraverso una minuziosa regolamentazione che contemplava la pena di morte. Questa legge annullava il diritto consuetudinario seicentesco che non aveva considerato la violazione della
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proprietà privata alla stregua di un crimine contro le persone, dunque passibile di condanna capitale. Con questa storia, Paine non aveva soltanto voluto criticare il processo di enclosure e il consolidamento del diritto di proprietà privata contro l’antica consuetudine dell’uso comune delle terre. Quando bollava come frutto di una «logica bagnata dal vino» l’argomentazione del giudice che condannava il cane pur di applicare una legge del Parlamento, Paine voleva anche ridicolizzare il ruolo dei giudici di Common Law nel nuovo assetto costituzionale della sovranità parlamentare: mentre nella giurisprudenza seicentesca, in caso di contenzioso sulle proprietà, giustizia ed equità erano «una costruzione fatta dai giudici» in considerazione della consuetudine storica e sociale, la dottrina settecentesca della sovranità parlamentare, imponendo la supremazia del diritto statutario sul Common Law, adeguava di fatto le sentenze dei tribunali alla volontà sovrana del legislatore. In questo senso, nel contesto americano della battaglia costituzionale, il racconto assumeva un preciso significato politico, mostrava cioè come quella tensione positiva fra diritto consuetudinario e diritto statutario, sulla quale le colonie avevano fatto leva per definire l’incostituzionalità della tassazione interna, fosse soltanto presunta: sebbene avesse effettivamente regolato la continua negoziazione politica fra centro e periferia, in seguito alla trasformazione territoriale dell’ Impero, il diritto consuetudinario non forniva più alcuna valida leva giuridica e neanche un riferimento ideologico per la lotta politica. Paine maturava così quella profonda convinzione, che avrebbe esplicitato soltanto in Common Sense, secondo la quale l’accentramento statale del potere politico in un Parlamento non rappresentativo aveva trasformato il governo britannico in un governo dispotico. L'unica alternativa alla sottomissione era dunque l’indipendenza”. Il gesto politico e intellettuale dell'autore di successo sarebbe allora stato quello di definire un linguaggio politico innovativo, svincolato dal riferimento ideologico all’antica Costituzione anglosassone e alla storia costituzionale inglese, in questo senso fortemente critico della 65. T. PAINE, Farmer Shorts Dog Porter, in CW, cit., vol. 2, pp. 1084-1088. Per un approfondimento sulle altre prose e poesie scritte da Paine, A.0. ALDRIDGE, The Poetry of Thomas Paine, in «The Pennsylvania Magazine of History and Biography», 79, 1, 1955,
pp. 81-90. Sul diritto consuetudinario nell’architettura costituzionale dell'Impero, m.s. BILDER, The Transatlantic Constitution. Colonial Legal Culture and the Empire, Harvard University Press, Cambridge 2008. Sull’uso comune delle terre, P. LINEBAUGH, The for All, University of California Press, Magna Carta Manifesto. Liberties and Commons Berkley 2008.
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libertà politica inglese, fondata sul tempo immemore del Common Law e rinnovata dalla Gloriosa rivoluzione e dal suo Bill ofRights. Quella che veniva considerata la Costituzione per eccellenza, per la sua giudiziosa divisione del potere e il suo moderato bilanciamento tra monarchia, aristocrazia e democrazia, sulla sponda americana dell’oceano svelava la propria cifra politica, ovvero l’assolutezza di un potere che non rispondeva affatto alle diverse esigenze di rappresentanza avanzate nelle colonie e nella madrepatria. La monarchia britannica era, in tal senso, assoluta, sebbene fosse costituzionalmente diversa dall’assolutismo francese: «Re, Commons e Lords uniscono le forze per abbattere [...]
il nostro Albero della Libertà»®°. Non bisognava dunque guardare al passato costituzionale, bensì aprire il presente americano a un futuro nel quale non avrebbe dovuto avere cittadinanza l’antico lessico politico europeo. Il vocabolario della politica andava rinnovato concettualmente perché il movimento della società, che Paine aveva individuato nei brevi scritti a firma Atlanticus, era volto a un continuo miglioramento. Così, in un articolo dal titolo The Dream Interpreted, con l’astuzia della ragione che rivelava una certa conoscenza della letteratura classica, Paine affidò al sogno la previsione di un futuro di giustizia nel quale la corruzione del presente sarebbe stata lasciata alle spalle. Per risolvere la controversia coloniale, non era più tempo di fare appello alla storia costituzionale o al diritto nazionale inglese, non esisteva più lo spazio per conciliare e confederare centro metropolitano e periferie dell'Impero nel comune elogio della Costituzione britannica. Non bisognava allora avere paura dell’imminente tempesta. L'Impero imperversava sul territorio americano. La terra veniva deturpata e il commercio derubato. All’orizzonte, l’artiglieria stava muovendo guerra contro le miserie terrene. Sarebbero seguite confusione, saette e tuoni. Eppure, una volta passata la tempesta, sarebbe stato stupefacente vedere l'America, senza alcuna rovina, risplendere di gloria: La causa [dell'America] era ora davanti alla corte suprema, la corte della provvidenza, prima che l’arroganza dei re, la slealtà dei ministri, la corruzione generale del governo, e tutte le ragnatele artificiose dei giudici cadranno at-
tonite e sbalordite®. 66. T. PAINE, Liberty Tree, in Cw, cit., vol. 2, pp. 1091-1092. 67. 1D., The Dream Interpreted, in cw, cit., vol. 2, pp. 50-52. Paine recuperava il topos classico del sogno che ha nel Sogno di Scipione di Cicerone la sua massima espressione.
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Al risveglio dal sogno, Paine non avrebbe impiegato molto tempo per definire una dottrina dell’indipendenza attraverso un linguaggio politico rivoluzionario. Common Sense sarebbe stato pubblicato nel gennaio del 1776. Dopo la tempesta, la brezza dell'Atlantico allentava le maglie mercantiliste dell'Impero. Il mondo atlantico appariva nuovamente come mondo del commercio, potenzialmente libero e ricco nel suo sviluppo. Con estrema radicalità teorica e sfrontatezza politica, la concezione del-
la società come benedizione contro il governo dispotico avrebbe allora affermato la possibilità del cambiamento storico e concettuale del mondo atlantico, avrebbe, cioè, annunciato l’apertura della nuova epoca del libero commercio. L'appello al cielo serviva, invece, per rivendicare quel principio di uguaglianza con il quale sarebbe stato possibile purificare la parola Costituzione dall’infezione costituzionale inglese: la Costituzione sarebbe diventata un testo scritto superiore alla legge parlamentare e al diritto consuetudinario, che affermava la sovranità come sovranità popolare e stabiliva una libera e uguale rappresentanza. Tutti gli uomini, compresi i poveri, avrebbero potuto accedere al suffragio, non soltanto coloro che, per le proprietà possedute e le conoscenze acquisite, potevano dirsi uomini istruiti (learned men). Il voto non sarebbe più stato considerato come concessione monarchica, dunque un privilegio o una libertà storica, piuttosto sarebbe stato rivendicato come diritto naturale che, come tale, non sarebbe esistito fino alla sua conquista politica. Il presente dispotico sarebbe così stato aperto al futuro democratico e la brutale storia europea della povertà e del servilismo, delle monarchie e delle loro guerre sarebbe stata lasciata alle spalle. Eppure, la Rivoluzione americana non avrebbe liberato le colonie dalla forma politica europea per eccellenza, quella dello Stato. Accentramento del potere politico, mercato nazionale e concorrenza internazionale, che avevano definito lo specifico tessuto «costituzionale»
del sistema europeo degli Stati, sarebbero state questioni aperte anche oltreoceano. Dichiarare l'indipendenza avrebbe infatti determinato
l’ingresso del Nord America sulla scena internazionale delle potenze europee, avrebbe, cioè, comportato il riconoscimento delle ex colonie come Stato sovrano e indipendente, capace di stipulare trattati e accordi per regolare la competizione politica ed economica che avrebbe segnato non più il sistema europeo, bensì il sistema euroamericano degli Stati. Sul rapporto di Paine con la letteratura classica, A.0. ALDRIDGE, Thomas Paine and the Classics, in «Eighteenth-Century Studies», 1, 4, 1968, pp. 370-380. Paine citò Cicerone
in Examination ofthe Prophecies, in cw, cit., vol. 2, pp. 884-885.
64 In questo senso, dichiarare l'indipendenza avrebbe significato affermare la fondazione di uno Stato ancora da costruire, avrebbe, cioè, implicato la definizione di quella strumentazione costituzionale, amministrativa e fiscale, che la storia europea aveva dimostrato essere assolutamente necessaria allo Stato e al suo mercato nazionale e internazionale.
In conclusione, l’esperienza che Paine fece da uomo delle accise e il suo attraversamento dell’Atlantico mostrarono come il mondo atlantico non fosse determinato esclusivamente dall’ascendente società commerciale. Piuttosto, l'espansione commerciale ebbe luogo nella cornice storica del mercantilismo europeo. Nel mondo atlantico, lo Stato fu un agente storicamente determinato di trasformazione sociale e politica che agiva come Impero per agevolare l’espansione commerciale in funzione della ricchezza della Nazione. Nel caso britannico, la costruzione dello Stato aveva determinato la crisi dell’ Impero. La biografia dello sconosciuto terminava così con l’ingresso sulla scena dell’autore di successo, un autore che avrebbe misurato la propria penna sulla complessa sfida avanzata dalla Rivoluzione, ovvero la costruzione dello Stato americano nel mondo atlantico. Da una parte, l'indipendenza americana avrebbe rappresentato una forza contraria alle tendenze europee dell’accentramento statale e dell’integrazione imperiale, avrebbe in questo senso espresso in modo eclatante la crisi dell’ Impero che lo Stato britannico non aveva saputo gestire, ampliando e accelerando repentinamente quel processo di partecipazione alla politica, che era stato avviato parzialmente e con successive decisive frenate nel Settecento europeo, in particolare britannico. D'altra parte, come l’accentramento statale del potere politico aveva rappresentato l’imprevista conseguenza costituzionale della Gloriosa rivoluzione, così la Rivoluzione americana non sarebbe sfuggita al bisogno europeo di statualità e alla conseguente questione costituzionale della concentrazione del potere politico. Le forze economiche della partecipazione politica, nonché l’inedito carattere popolare che la stessa partecipazione assumeva con la Guerra d'indipendenza, avrebbero però mutato i termini della legittimazione politica dello Stato moderno, imponendo anche diverse soluzioni co-
stituzionali e giuridiche®*. 68.
J.M. MURRIN, 1776: The Countercyclical Revolution, in M.A. MORRISON, M. ZOOK
(eds.), Revolutionary Currents: Nation Building in the Transatlantic World, Rowman & Littlefield Publishers, New York 2004, pp. 65-90. Cfr. H.G. KOENIGSBERGER, Composite
States, Representative Institutions and the American Revolution, in «Historical Research. The Bulletin of the Institute of Historical Research», n. 62, 1989, pp. 135-153.
2. Paine e la Rivoluzione del 1776: all’Origine Concettuale dello Stato Americano
Il 9 gennaio 1776 uscì Common Sense, il pamphlet che cambiò in modo definitivo la controversia coloniale dell’ Impero britannico. Con un linguaggio tagliente e spudorato contro Giorgio HI, che aveva dichiarato lo stato di ribellione delle colonie, l’autore promosse un vero e proprio regicidio simbolico, anticipando quella dottrina dell’indipendenza che venne espressa nella Declaration del 4 luglio. Forse proprio per questa fulminante ma pericolosa anticipazione, il pamphlet fu pubblicato anonimo. Common Sense vendette circa 150.000 copie, quando mediamente il livello delle vendite nelle colonie non superava le 2.000. Svariate furono le edizioni americane e inglesi, immediata fu la traduzione francese e successivamente quella tedesca, olandese e spagnola. Il gesto politico e intellettuale di Thomas Paine rimase dunque impresso per lungo tempo nella memoria collettiva, e non soltanto in quella della Nazione americana. Nel secolo successivo il pamphlet venne, infatti,
stampato e diffuso anche in America latina e nel Sud-est asiatico per sostenere i movimenti di indipendenza nazionale!. Nel quadro storico e concettuale che abbiamo delineato attraverso la biografia dello sconosciuto, la Rivoluzione del 1776 può essere
considerata quale fondazione di un nuovo Stato sovrano e indipendente nel mondo atlantico. Questo significa innanzitutto ricostruire come il processo costituente nordamericano rinnovasse l’architettura concettuale della politica europea settecentesca, in particolare quella 1. RobertFergusonha compiuto un'affascinante lettura di Common Sense, analizzando lo stile letterario di Paine così da dimostrarne l’efficacia nel suscitare l’entusiasmo popolare, R.A. FERGUSON, The Commonalities of Common Sense, in «William & Mary Quarterly», n. 57, pp. 498-501. Per una rassegna delle diverse edizioni di Common Sense
in America ed Europa si rimanda a R. GIMBEL, Thomas Paine: a Bibliographical Check List of Common Sense, with an Account of its Publication, Yale University Press, New Haven 1956. Sulle traduzioni in America latina e nel sud-est asiatico, P. LINEBAUGH,
Introduzione a T. PAINE, Common Sense, Rights of Man and Agrarian Justice, cit.
66
britannica con la sua storia della Costituzione britannica che aveva posto la Gloriosa rivoluzione del 1688 all’apice europeo della libertà politica. Secondo Paine, la lotta per l'indipendenza avrebbe dovuto innovare il vocabolario politico europeo stabilendo un nuovo significato per parole come società, rappresentanza, governo e Costituzione.
In breve, la Rivoluzione avrebbe dovuto porre su nuove fondamenta la questione della legittimazione politica dello Stato come asse portante del mondo atlantico. Con la pretesa di mettere sottosopra il mondo dell’ Impero, in Common Sense Paine delineò una concezione della società certamente interna all’orizzonte teorico dell'Illuminismo scozzese, perché considerava la società distinta dal governo, capace di progredire autonomamente attraverso lo sviluppo del commercio, a tal punto che era possibile scriverne una storia diversa dalle storie politiche settecentesche. Tuttavia, il suo discorso politico era del tutto originale. Non soltanto perché il suo sguardo atlantico prevedeva uno Stato dove dovevano invece esistere soltanto colonie, ma anche perché pensava la rivoluzione come variabile indispensabile per liberare la società americana dal governo dispotico britannico che ne ostacolava l'espansione commerciale determinando un crescente impoverimento delle colonie. In altre parole, Paine individuava un nesso logico e storico fra l'espansione commerciale della società e la democratizzazione del governo. A suo modo di vedere, poiché la società rispondeva ai bisogni che ogni uomo soddisfaceva in rapporto con gli altri, soltanto una rappresentanza ampia e libera avrebbe assicurato la libertà politica di tutti gli uomini. Inoltre, una volta conquistata l’indipendenza, l’America sarebbe diventata un porto libero e la possibilità di commerciare liberamente con tutta l’ Europa avrebbe incrementato il benessere personale e collettivo. In questo senso, come vedremo, Paine considerava la società come la fonte ultima della legittimazione del nuovo Stato sovrano. In un altro scritto del 1776, Four Letters on Interesting Subjects, questa concezione del governo rappresentativo venne integrata da una nuova definizione del termine Costituzione. Secondo Paine, con Costituzione non bisognava più intendere un corpo non scritto di leggi che veniva interpretato e applicato dai giudici in difesa dei privilegi storici dei sudditi britannici, come nella tradizione costituzionale inglese, bensì un testo scritto superiore alla legge perché fondato sulla sovranità popolare. Questa innovazione dell’architettura concettuale e istituzionale che
aveva sorretto lo Stato britannico settecentesco non significava, però, che l'indipendenza delle colonie non ponesse oltreoceano la questione,
PAINE E LA RIVOLUZIONE DEL 1776
67
specifica della storia europea, della costruzione dello Stato. Proprio le parole società e governo, rappresentanza e Costituzione fornirono quel
vocabolario politico con il quale fu combattuta la lotta per uscire dalla
crisi coloniale e legittimare la fondazione del nuovo Stato sulla scena nazionale e internazionale. Il primo ma decisivo campo di battaglia della formazione dello Stato americano fu rappresentato dalla stesura delle Costituzioni degli Stati indipendenti. Non tutti gli Stati riuscirono nell’impresa, in alcuni casi ancora per diversi anni rimasero in vigore le carte coloniali. Diversa fu la vicenda costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria, dove Paine contribuì non soltanto all’abrogazione della carta regia, ma anche alla stesura di una Costituzione tra le più avanzate
della Rivoluzione americana. Attraverso gli scritti che pubblicò dal 1776 al 1779,-per lo più in-
terventi e lettere polemiche rese note dalla stampa, ricostruiremo il processo costituente della Pennsylvania per mostrare come il termine Costituzione venisse reinterpretato alla luce delle aspettative democratiche aperte dalla Rivoluzione. Ampie fasce della popolazione, prima escluse dal governo, compresero che l'emancipazione dalle gerarchie del mondo coloniale passava attraverso la conquista del suffragio. Emerse, così, una tensione politica tra democrazia e costituzionalismo che
accompagnò il processo costituente statale e federale: Paine sostenne le istanze democratiche del Popular Party contro il discorso costituzionale elaborato da John Adams e dalla Republican Society, associazione costituita dai mercanti che svolsero un ruolo importante nella stesura della Costituzione federale del 1787. Lo scontro politico venne
inoltre segnato da un ulteriore terreno di confronto, dal quale la figura di Paine emerse in tutta la sua complessità politica e intellettuale. La definizione della società come autonoma e separata dal governo aveva, infatti, determinato un forte fraintendimento sul ruolo di quest’ultimo:
il governo doveva lasciare libero il commercio oppure doveva regolarlo per impedire l’accumulazione di ricchezza, nonostante questo comportasse la lesione del diritto al libero godimento della proprietà privata? Libero commercio e diritto di proprietà non erano forse i principi alla
base della Guerra d'indipendenza contro l’Impero britannico e la sua politica mercantilista? Alla luce di queste domande, la battaglia politica che i mercanti condussero in favore del libero commercio impose un contesto storico e concettuale nel quale lo stesso Paine ripensò la tensione politica tra democrazia e costituzionalismo, come pure il problematico rapporto tra società e governo, in previsione della costruzione continentale dello Stato americano.
68 1.
LO STATO POSTCOLONIALE
La società è sotto qualunque condizione una benedizione; il governo, anche nella sua forma migliore, non è che un male necessario [...] Il governo, come gli abiti, è l'emblema dell’innocenza perduta.
Oggi è il tempo di gettare il seme dell’unione, della fede e dell’onore del continente [...] Nulla, se non l'indipendenza, cioè una
forma di governo su scala continentale, può mantenere la pace dell’America e difenderla dalle guerre civili?.
La definizione della società come benedizione e del governo come male necessario alimentò per lungo tempo il mito d’origine della Rivoluzione americana: il mito del popolo che costituiva se stesso come società
politica contro il governo dispotico. Il primo Stato postcoloniale venne dunque fondato in nome della società, rinunciando al suo stesso nome di Stato per fare del governo il semplice compimento, necessario ma disprezzato, della società. Contro la complessità, giudicata assurda e fautrice di dispotismo, del governo misto britannico, la società americana doveva costituire un governo semplice. Come scrisse Paine, più un
governo è semplice, meno la società è soggetta al disordine. Sicurezza e libertà, che erano le finalità del nuovo governo, potevano dunque essere assicurate con «la minima spesa e il massimo del vantaggio».
A suo modo di vedere, la Nazione americana avrebbe così obliterato il passato europeo dell’assolutismo monarchico, delle guerre e delle miserie, aprendo la storia mondiale al tempo futuro del progresso della società, della libertà personale e politica: In tutto il globo si dà la caccia alla libertà. L’Asia e l'Africa l’hanno allontanata da lungo tempo, l’ Europa la considera una straniera, e l’ Inghilterra l’ha scacciata. Accogliete dunque la fuggitiva e preparate in tempo un rifugio per l'umanità).
Poiché la società affermò la libertà contro uno Stato oppressore, ii termine Stato non ebbe cittadinanza nella storia della Rivoluzione, se non come continua minaccia alla libertà conquistata. In Inghilterra, dopo l’esperienza del Commonwealth, lo Stato venne associato alla figura regia per sottolineare le tendenze monarchiche all’accentramento del 2.
T. PAINE, Senso Comune, cit., pp. 69, 83, 93. Poiché questa traduzione non include
l’appendice pubblicata da Paine nella seconda edizione del pamphlet, faremo anche riferimento a CW, cit., vol. 1, pp. 3-46. 3. ID. Senso Comune, cit., pp. 70, 98.
PAINE E LA RIVOLUZIONE
DEL 1776
69
potere politico. Con la Gloriosa rivoluzione del 1688, l'istituzione del governo misto e la stesura del Bill of Rights, l'introduzione di termini quali Nazione (Nation) e Paese (Country), oppure dell'aggettivo nazionale (national) per descrivere le istituzioni rappresentative e amministrative della monarchia moderata, voleva negare il significato di potere centrale e assoluto proprio dello Stato. Dal punto di vista delle colonie, la trasformazione in senso territoriale dell’ Impero aveva però riproposto una deriva assolutista dello Stato britannico. In questo senso, la Rivoluzione americana fu contro lo Stato, eppure il suo significato venne compreso nel rapporto logico e storico che tenne insieme società e governo. Nel decennio successivo al 1776, il governo nazionale in formazione fu oggetto di un diffuso e forte sentimento antistatale. Il paradosso del primo Stato postcoloniale produceva, dunque, un senso comune contrario allo Stato, che alludeva addirittura alla sua assenza. Tuttavia, proprio questo sentire comune mostrava la presenza dello Stato nella vicenda rivoluzionaria: quando venne proclamata l'indipendenza, rivendicando una purezza originaria rispetto al peccato europeo, l'America perse la sua stessa innocenza diventando Stati Uniti d'America, ovvero l’Unione continentale degli Stati liberi e indipendenti. Sebbene fosse scomparso il riferimento concettuale dello Stato europeo, come vedremo, il termine union colmò il vuoto dell’innocenza perduta*. Questo paradosso costituente della Nazione americana ha allontanato la storiografia d’oltreoceano da quella europea. Nel Novecento, quest’ultima ha elaborato una precisa concezione dello Stato moderno,
secondo la quale lo Stato rappresenta una forma peculiare e diversa da altre forme della politica, caratterizzata storicamente dal processo di ac-
centramento del potere, dal principio di territorialità dell’obbligazione politica e dall’impersonalità del comando, che trovava nell’amministrazione la sua concretezza. Lo Stato diventava così monopolista della sfera politica, eliminando la frammentazione del potere feudale e ricono-
scendo come unico soggetto legittimo l'individuo, suddito e cittadino. Inoltre, la conquista logica e storica della rappresentanza permetteva all’individuo di prendere coscienza del fatto che il suo interesse privato era comune, ovvero che era in comunicazione con quello degli altri, in
funzione dell’interesse generale e della ricchezza nazionale. Attraverso la mediazione del commercio, prendeva dunque storicamente forma la società, che veniva ideologicamente definita come entità autonoma e 4. Per una ricostruzione della vicenda concettuale del termine Stato nel pensiero politico inglese, seicentesco e settecentesco, I. HONT, Jealousy ofTrade, cit., pp. 447-528.
70
separata dal governo. L’amministrazione costituiva in tal senso la cinghia di trasmissione che connetteva società e Stato in modo funzionale allo sviluppo del mercato nazionale nello scenario internazionale dello scontro di potenza e della concorrenza economica). Questa complessa definizione dello Stato moderno, il cui fondamento concettuale è stato definito e approfondito dalla scienza politica weberiana, non ha avuto presa nella storiografia americana. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, la cosiddetta «storiografia del consenso» ha interpretato la Rivoluzione del 1776 consolidando il carattere autenticamente
americano e non europeo della Nazione: la Rivoluzione aveva liberato dal dispotismo britannico la società che veniva raffigurata come libera ed egualitaria fin dalla sua origine coloniale; la cooperazione attraverso il libero commercio e la libera iniziativa economica incrementava il benessere personale e collettivo, senza che fosse necessario quell’intervento mercantilista contro il quale era stata combattuta la Guerra d’indipendenza. La vicenda statale americana è stata dunque eclissata fin dalla sua origine rivoluzionaria e l’attenzione è stata spostata sull'innovazione costituzionale del federalismo, sulla natura e sullo sviluppo della separazione orizzontale e verticale del potere politico, sullo spirito originario della Costituzione del 1787, il documento che, insieme alla Declaration of
Independence, è stato posto come mito motore della libertà americana in continua espansione. Il consenso ha dunque svolto una precisa funzione ideologica: alimentare la paradossale convinzione che gli Stati Uniti fossero una «società senza Stato» e con uno «Stato debole»®. Questa interpretazione del cosiddetto «eccezionalismo» americano ha slegato la storia americana dal vecchio mondo: la storia nazionale veniva considerata eccentrica rispetto alla storia europea e, per questo,
esemplare per la storia mondiale. D'altra parte, anche quando il conflitto è stato sostituito al consenso come chiave interpretativa per accede-
re alla storia nazionale, la vicenda statale è stata comunque esclusa dall'obiettivo storiografico. A partire dall'ultimo ventennio del secolo scorso, è invece emerso un nuovo interesse per la storia politica. Ancora
oggi, soprattutto la scienza politica americana è impegnata nello studio
S.P. SCHIERA, Lo stato moderno. Origini e degenerazioni, cLueB, Bologna 2004. 6. T. BONAZZI, Introduzione, in ip. (a cura di), La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America, Marsilio, Venezia 1999; R. BARITONO, Uno Stato a bassa intensità? L'esperienza storica statunitense, in M. RICCIARDI, R. GHERARDI (a cura di), Lo Stato
globale, cLueB, Bologna 2009, pp. 81-10. w. NOVAK, The Myth ofthe ‘Weak’ American State, in «American Historical Review», 113, 2008, pp. 752-772.
PAINE E LA RIVOLUZIONE DEL 1776
71
«funzionale» dello Stato americano, ottocentesco e novecentesco. Lo Stato non viene cioè misurato sul tipo ideale europeo, la sua mole e la sua capacità sono piuttosto soppesate sulla bilancia delle funzioni che era storicamente chiamato a svolgere”. Eppure, nonostante il successo del nuovo sviluppo storiografico, il discorso pubblico americano utilizza ancora e continuamente la storia rivoluzionaria della «società senza Stato» o con uno «Stato debole» per sostenere specifiche battaglie politiche e ideologiche contro le politiche fiscali e sociali messe in campo dal governo federale. In questo senso, potremmo persino dire che quello americano è ancora uno Stato postcoloniale, uno Stato dove viene costruita, promossa e promessa una storia diversa da quella europea. Questo spessore storico del discorso pubblico non fa però altro che «provincializzare» la storia statunitense, confermando l’assoluta pertinenza della questione europea dello Stato moderno nella Rivoluzione americana. Non vogliamo ovviamente pren-
dere la definizione europea della forma Stato come termine di paragone o modello per misurare perfezione e imperfezione della vicenda statale americana rispetto alla matrice europea. Oltre oceano non troviamo
quel profilo amministrativo che l’uomo delle accise aveva toccato con mano servendo con spirito critico, ma anche con dedizione, lo Stato britannico; sebbene definire lo Stato settecentesco come entità fiscale
e militare possa essere utile per cogliere nelle necessità della Guerra d'indipendenza un importante fattore propulsivo della capacità fiscale e amministrativa del nascente Stato. Non troviamo neanche quel vocabolario concettuale con il quale veniva e viene definito lo Stato europeo, sebbene sia evidente che anche oltre oceano la politica prendeva la forma moderna dello Stato, con il monopolio della forza fisica, il
7. L’eccezionalismo americano viene solitamente esemplificato con gli storici della scuola consensualista, in particolare Clinton Rossiter o Daniel Boorstin. Per una critica dell’eccezionalismo e una analisi del suo significato storico D.T. RODGERS, Exceptionali-
sm, in A. MOHO, G.S. WOOD (a cura di), Imagined Histories: American Historians Interpret the Past, Princeton University Press, Princeton 1998, pp. 21-24. Per una rassegna della storiografia costituzionale nel bicentenario della Costituzione del 1787, P. ONUE,
Reflections on the Founding: Constitution Historiography in Bicentennial Perspective, in «William & Mary Quarterly», 46, 2, 1989, pp. 341-375. Sulla riscoperta dello Stato dalla
storiografia e della scienza politica americana, rimandiamo a R. BARITONO, «Political Historianshad met the enemy»: un decennio di storia politica americana (1986-1996), in «Ricerche di Storia Politica», n. 1, 1998, pp. 53-72. Per lo sviluppo storiografico più recente, D. KING, R.C. LIEBERMAN, Review Article: IRONIES OF STATE BUILDING. A Com-
parative Perspective on the American State, in «World Politics», 61, 3, 2009, pp. 547-588.
72
principio della territorialità dell’obbligazione politica e l’impersonalità del comando politico*. Affrontare la questione della fondazione rivoluzionaria dello Stato americano tramite comparazione con la storia politica europea avrebbe
in questo senso l’inevitabile conseguenza di riprodurre la tesi storiografica dell’eccezionalismo americano. Per descrivere la formazione del primo Stato postcoloniale, bisogna allora uscire dal labirinto di specchi attraverso cui l'America guardava l’Europa e viceversa, per inquadrare l'indipendenza dentro il sistema-mondo europeo. Le colonie non erano esterne al sistema, costituivano piuttosto un luogo fondamentale alla riproduzione politica, sociale e culturale del mondo europeo. L'indipendenza non significò allora uscire dal sistema, come vuole l’altro mito americano dell’isolazionismo che fu alimentato fin dalle pagine di Common Sense per l’ovvia contingenza politica di motivare la separazione dalla madrepatria. La fondazione di un nuovo Stato sovrano e indipendente trasformò piuttosto il sistema europeo degli Stati nel sistema euroamericano. In tal senso, la Rivoluzione non fu una rivolta politica contro l’entità astratta dello Stato, storicamente incarnata dalla proiezione imperiale britannica. Essa espresse invece una propria sta-
tualità, un profilo statale necessario per fronteggiare l’insicuro scenario internazionale delle potenze europee e per ordinare il disordine della società. La definizione della società come benedizione e del governo come male necessario, mentre esplicitò una forte convinzione popolare
antistatale, nascose allora il bisogno europeo dello Stato, sia pure in modi diversi. Come vedremo, lo Stato americano emerse dalla crisi coloniale quale performance della società, delle sue forze economiche e della mobilitazione popolare?.
8. Con riferimento agli Stati Uniti d'America come primo Stato postcoloniale, è possibile rovesciare l’assunto che sorregge anche la migliore letteratura postcoloniale, ovvero la possibilità di narrare una storia nazionale extraeuropea, autonoma e separata dalla storia europea della colonizzazione. p. CHAKRABARTY, Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004. Per una lettura critica degli studi postcoloniali, s. MEZZADRA, La condizione postcoloniale: storia e politica nel presente globale, Ombre corte, Verona 2008. Sull’uso della storia ottocentesca statunitense come archetipo della società senza Stato, B. BALOGH, A Government out ofSight: The Mistery of National Authority in Nineteenth Century America, Cambridge University Press, Cambridge 2009. 9. Paine scrisse che «il vero interesse dell’America è girare al largo dalle contese europee», T. PAINE, Senso Comune, cit., p. 87. Sul labirinto dei rapporti euroamericani nella comprensione della politica e dello Stato, r. BoNAZZI, Europa, Zeus e Minosse, ovvero il labirinto dei rapporti euro-americani, in «Ricerche di Storia Politica», n. 1, 2004,
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73
La storia della società
Questa performance venne annunciata teoricamente in tutta la sua
potenzialità politica in Common Sense rovesciando lo sguardo politico in ragione della società: l'Impero venne posto sottosopra perché lo Stato non fu considerato come prerogativa assoluta del monarca o del «King in Parliament», ma come emanazione politica della società. La grande novità teorica del pamphlet non consistette semplicemente nella «dottrina dell’indipendenza», con la critica della monarchia e della successione ereditaria, bensì nel fatto che questa dottrina venne argomentata attraverso una storia congetturale della società, ovvero una storia ipotetica che collocava lo sviluppo della società e delle sue forze economiche in un quadro teorico nel quale il gesto costituente del popolo era legittimo. Questa storia serviva dunque per presentare il popolo come perfettamente capace di esprimere sovranità, ovvero di scrivere una Costituzione che fissasse nel tempo la conquista dell’indipendenza e istituisse un governo fondato sulla rappresentanza, per garantire, in tal modo, libertà e sicurezza. Soltanto dopo aver narrato la storia della società e spiegato le potenzialità economiche americane, Paine rivendicò la fondazione dei Free and Independent States of America, recuperando quella nozione di «Stato libero» che aveva assunto il suo significato moderno di potere politico impersonale, distinto dal suo possessore, con la vicenda seicentesca del Commonwealth seguente all'abolizione della monarchia'°. Affinché l'indipendenza conquistasse il favore generale e prendesse corpo il «noi» americano contrapposto alla britishness dell’ Impero, fu necessario distruggere la «lunga consuetudine di non ritenere errato» che le colonie dipendessero politicamente ed economicamente dalla madrepatria, dalla sua protezione politica e dal suo mercato nazionale e internazionale. Poiché l’abitudine faceva apparire giusto quello che era sbagliato, era necessario mostrare come la causa americana fosse
radicata nella stessa vicenda coloniale. Il contesto storico che Paine aveva in mente era quello successivo alla Guerra dei sette anni, quando il governo britannico aveva avviato un esteso processo di riforma in senso territoriale dell’ Impero, che abbandonava, così, la sua precedente pp. 3-24. Sul concetto di performance, M. RICCIARDI, Performance, potere, azione politica. Appunti per una discussione, in «Scienza & Politica», n. 36, 2007. 10.
I. HONT, Jealousy of Trade, cit., pp. 463-467; L. D’AVACK, Dal Regno alla Repubblica:
studi sullo sviluppo della coscienza costituzionale in Inghilterra, Giuffrè, Milano 1984.
74
natura commerciale attraverso una combinazione accurata di misure finalizzate a tassare e a regolare il mercato per finanziare le spese della gestione politica delle colonie e assicurare, nel contempo, l'esportazione dei manufatti inglesi nei loro mercati. L'espansione commerciale del diciottesimo secolo aveva però determinato la formazione di economie relativamente autonome e integrate. Le colonie avevano sviluppato mer-
cati agricoli, un embrionale tessuto di fabbriche manifatturiere e delle reti creditizie che venivano giudicate potenzialmente in competizione con il mercato nazionale e internazionale inglese. Le colonie erano in tal senso diventate società autonome interne all’ Impero: non esprimevano una propria sovranità politica, ma potevano sostenere le ambizioni
politiche delle forze economiche e dare voce alla mobilitazione popolare. Paine comprese questo processo storico formulando un discorso teorico politico che presentava uno sguardo innovativo sulla società: Alcuni scrittori hanno confuso a tal punto la società con il governo, da non lasciare quasi nessuna distinzione tra l’una e l’altro; tuttavia essi non solo sono diversi tra loro ma hanno anche origini differenti. La società è prodotta dai nostri bisogni e il governo dalla nostra malvagità; la prima promuove la nostra felicità positivamente unendo i nostri affetti, il secondo negativamente tenendo a freno i nostri vizi”.
Con questa netta presa di posizione contro la storia costituzionale del Settecento britannico, che aveva considerato la società un’entità effimera e informe, completamente dipendente dal governo nella sua esistenza, Paine introdusse una storia della società per spiegare la vera origine e finalità del governo. In una terra isolata dal mondo come quella d’oltreoceano, la società era il primo pensiero perché «la forza di un singolo uomo» era talmente «sproporzionata rispetto ai suoi bisogni» che egli era «presto costretto a cercare l'assistenza e l’aiuto di un altro». Con l’arrivo di nuovi immigrati e il conseguente aumento della popolazione, la sopravvivenza individuale in un territorio selvaggio come quello americano richiedeva maggiore cooperazione nel lavoro, senza la quale l'uomo sarebbe precipitato «in uno stato di deperimento sempre più vicino alla morte». La cooperazione aumentava la forza complessiva
del singolo, consentendo la sopravvivenza individuale e collettiva. La
11.
T. PAINE, Senso Comune, cit., p. 69.
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75
necessità, «come una forza di gravità», produceva dunque la «causa comune» della società". La società rendeva superflua e inutile la coercizione della legge e del governo «finché gli uomini erano giusti gli uni verso gli altri». La difformità di giudizio, il timore e il vizio, però, portavano a trascurare doveri e legami reciproci, deteriorando gli affetti che tenevano insieme la società. Questa negligenza richiedeva, dunque, la coercizione di «una qualche forma di governo». All’inizio, il governo era formato da un Parlamento nel quale ogni uomo aveva un seggio «per diritto naturale». Mano a mano che la colonia cresceva e le distanze tra gli abitanti aumentavano, l'espansione commerciale e l’incremento delle questioni d'interesse pubblico rendevano opportuno che il popolo acconsentisse «ad affidare l’attività legislativa all’amministrazione» di un numero di persone che avevano «presumibilmente» lo stesso interesse degli elettori e che agivano quindi come se il popolo fosse realmente presente. Il numero dei rappresentanti aumentava in modo proporzionale alla popolazione e la maggiore frequenza delle elezioni assicurava che gli eletti non creassero un «interesse separato». «La forza del governo e la felicità dei governati» non dipendevano allora dal «vano titolo di re», bensì dalla rappresentanza". Il processo storico della formazione sociale dettava così il tempo della politica e delle sue forme: dalla pura presenza della moltitudine senza governo alle prime forme di democrazia diretta, fino a quando il popolo istituiva il governo attraverso rappresentanza. Paine mostrò in
questo modo come quelle che erano state colonie subordinate all’ Impero formassero una società autonoma, ovvero capace di soddisfare al proprio interno i bisogni e unire gli affetti senza dover ricorrere alla regolamentazione economica e alla coercizione politica del governo britannico. Bisogni e affetti formavano in questo senso un sentire co-
12. Il riferimento alla forza di gravità è significativo del successo della scienza newtoniana nel Settecento. Questa aveva mostrato come l’universo celeste e il globo terrestre seguissero delle leggi naturali, conoscibili dall’uomo attraverso l'osservazione empirica e la ricerca scientifica. Nella seconda metà del Settecento, la letteratura dissidente inglese aveva applicato questa concezione dell’ordine naturale alla società. In tal senso, sebbene non avesse un esplicito contenuto politico, questo ambito di formazione aveva fornito a Paine un innovativo sguardo sulla società attraverso il quale criticare la politica e le sue forme. Cfr. e. FONER, Tom Paine and Revolutionary America, Oxford University Press, New York 1976, pp. 93-94. Sul newtonianesimo settecentesco, M.C. JACOB, L’illuminismo
radicale, il Mulino, Bologna 1983. 13. .T. PAINE, Senso Comune, cit., p. 71.
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mune in favore dell’indipendenza. Nella sua argomentazione, la storia congetturale della società trovava un punto di solidità empirica e attualità politica nella controversia coloniale, segnalando il momento particolare e irripetibile nel quale il popolo aveva in suo potere di rovesciare l’Impero e «iniziare il mondo da capo». La società destituiva, dunque, di fondamento e autorità la storia costituzionale del Settecento britannico che aveva tenuto unito ideologicamente e giuridicamente l'Impero fino al 19 aprile del 1775, quando ebbe inizio il conflitto tra
le truppe britanniche e quelle americane. Da quel momento, sostenere la conciliazione con la madrepatria, facendo appello al monarca per rivendicare la storia costituzionale della progressiva restituzione della libertà politica negata dalla conquista normanna, era inutile e superato come un almanacco dell’anno passato: «Il passaggio dalla discussione alle armi segna una nuova era della politica, e con esso sorge un nuovo modo di pensare». Sebbene fosse innovativa nel suo esito politico, questa storia della società non era del tutto nuova. Nella seconda metà del Settecento, la letteratura illuminista scozzese, in particolare nella sua variante fergusoniana e smithiana, aveva elaborato una simile genealogia teorica della società per comprendere e sistematizzare il processo storico di espansione commerciale che caratterizzava il mondo atlantico britannico”. La forma letteraria del saggio sulla storia della società civile aveva presentato una visione progressiva dello sviluppo del commercio, delle scienze e della politica, mentre la teoria stadiale aveva descritto la
14.
Ivi, p. 83. T. PAINE, Common Sense, în CW, cit., vol. 1, p. 45.
15. A. FERGUSON, Saggio sulla Storia della Società Civile (1767), Vallecchi, Firenze 1973; A. SMITH, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), ISEDI, Milano 1973. Paine citò Smith soltanto successivamente, nel corso della Rivoluzione
francese, mentre Ferguson, professore di filosofia morale all’Università di Edimburgo, fu subito oggetto del suo scherno quando divenne segretario della commissione del governo britannico che, nell'ottobre del 1778, pubblicò un manifesto per invitare la gente delle colonie all’insurrezione contro il Congresso continentale, invocando l’unità dell’Impero e la comune lotta britannica contro il «nemico naturale» francese. Questa espressione suscitò la sarcastica risposta di Paine, stupito che un simile «barbarismo senza senso» venisse dalla penna dell’uomo di lettere che aveva fatto della società e del suo progresso storico il proprio campo di studio. Secondo Paine, Ferguson avrebbe dovuto sapere che «il creatore dell’uomo non pose gli uomini come nemici naturali l'uno dell'altro». T. PAINE, The Crisis, n. 6, 20 ottobre 1788, in cw, cit., vol. 1, p. 136. Sull’influenza dell’ Illuminismo scozzese nella Rivoluzione americana, A. GIBSON, Interpreting the Founding. Guide to the Enduring Debates over the Origins and Foundations of the American Republic, University of Kansas, Lawrence 2006, pp. 37-52.
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società nel suo specifico carattere commerciale, ovvero come risultante storica della progressiva divisione del lavoro e della conseguente evolu-
zione delle forme cooperative che rispondevano ai bisogni individuali.
Per questa letteratura, poiché la propensione umana alla socievolezza derivava dalla necessità della sopravvivenza, la società commerciale era naturale soltanto in un senso indiretto e acquisito. Paine fece propria tale concezione scrivendo, in modo sintetico ma efficace, che la società era prodotta dai bisogni individuali, non dalla regolamentazione economica del governo. Quello che allora distinse il suo pensiero fu il significato politicamente rivoluzionario che egli attribuì alla società. Mentre nell’Illuminismo scozzese l'indagine storica e teorica sulla s0cietà commerciale era servita per analizzare criticamente le politiche mercantiliste, che avevano strutturato lo Stato britannico quale entità fiscale e militare nella sua proiezione imperiale, Paine forzò questa indagine verso le sue logiche conseguenze, traducendo in discorso politico l’altra importante visione della società che la letteratura dissidente inglese aveva elaborato sul finire degli anni Sessanta: poiché costituiva «il grande strumento del progresso della specie verso la perfezione», Paine celebrò la società come esclusivo centro costituente della politica e delle sue forme!°. Nel suo discorso politico la società non soltanto precedeva logicamente il governo, ma quest’ultimo era anche pensato come suo complemento necessario. Mentre la prima era il luogo della cooperazione produttiva e del mercato senza impedimento che realizzavano benessere e felicità, il secondo era invece il simbolo necessario ma disprezzato
della coercizione politica che serviva per tenere a freno vizio, negligenza e malvagità. Il governo era dunque un modesto rimedio funzionale alla società: il suo scopo era garantire «libertà e sicurezza» agli uomini che animavano in maniera autonoma l’espansione commerciale. Questo
carattere minimo del governo, però, non intendeva stabilire in anticipo l’entità delle sue politiche e il perimetro della sua azione. Come 16. J. PRIESTLEY, An Essay on thefirst Principles of Government, and on the Nature of Political, Civil and Religious LIBERTY, ). Wilson, Dublin 1768, pp. 6-7. È possibile ritenere che Paine lesse l’Essay, dal momento che nella lettera a Franklin del marzo 1775
accennò a un altro lavoro di Priestley, ovvero Experiments and Observations on Different Kinds of Air (1774), in Cw, cit., vol. 2, p. 1131. Su Priesltey come figura importante
della cultura dissidente inglese, 1. KRAMNICK, Republicanism and Bourgeois Radicalism: Political Ideology in late Eighteenth-century England and America, Cornell University Press, Ithaca 1990, pp. 71-98. Sul concetto di società nella Rivoluzione americana, M.
RICCIARDI, Rivoluzione, il Mulino, Bologna 2001, pp. 65-70.
78
vedremo, la definizione delle politiche dipendeva dalla valutazione delle esigenze interne ed esterne di prosperità e sicurezza. Il carattere minimo del governo faceva piuttosto riferimento alla semplicità della sua forma istituzionale: esso doveva essere il mero archetipo della relazione sociale, ovvero doveva essere direttamente rappresentativo per
dare voce con massima aderenza alla società. Queste rapporto logico e storico che teneva insieme società e governo definiva dunque la dottrina dell’indipendenza nel suo significato più ampio e radicale, non soltanto come rivendicazione della separazione dalla madrepatria sulla base della raggiunta autonomia della società americana. La dottrina dell’indipendenza aprì in questo senso lo spazio politico a una semplificazione istituzionale dell’articolata struttura del governo misto che caratterizzava la Costituzione inglese. Alla luce della società, questa struttura appariva come una costruzione ridicola e inutile che, per la sua stessa straordinaria complessità, impediva la rapida comprensione delle sofferenze dei sudditi. Secondo Paine, la Costituzione inglese non definiva affatto una «unione di tre poteri» che assicurava un costante equilibrio tra popolo, aristocrazia e monarca attraverso il principio del checks and balances. Sebbene fosse servita per «sbattere la porta in faccia alla monarchia assoluta», essa aveva comunque consegnato la chiave del potere politico alla corona. La volontà del monarca era legge, sebbene questa non emanasse direttamente dalla sua bocca, bensì venisse trasmessa «al popolo sotto la forma temibile di un atto del parlamento». La Camera Bassa sorvegliava la «sete di potere assoluto» della corona; ma il monarca poteva esercitare il veto sulla sua legislazione. Il favore degli inglesi verso il loro governo non era allora altro che un pregiudizio dettato dall’orgoglio nazionale, alimentato non soltanto dalla loro storia costituzionale, ma anche dalla letteratura illuminista francese". Paine mosse dunque una critica radicale alla classificazione settecentesca delle forme di Stato e di governo, che aveva distinto fra monarchie assolute o limitate. A suo modo di vedere, questa classificazione non aveva risolto la questione della legittimazione politica, perché aveva comunque fatto riferimento al diritto divino e alla successione ereditaria. Anche la monarchia limitata andava considerata come una forma politica dispotica, perché il processo storico della formazione sociale dislocava la sovranità dal monarca al popolo: «La corona sia
17.
T. PAINE, Senso Comune, cit., pp. 72-74.
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spezzata e distribuita a tutto il popolo, al quale appartiene di diritto». La dottrina britannica della sovranità parlamentare venne così rovesciata nell’appello alla sovranità popolare. In conclusione, possiamo dire che la storia congetturale della società forniva un vocabolario politico che non costituiva semplicemente una fortuita anticipazione di parole e
nozioni che sarebbero diventate rilevanti con la nascita ottocentesca del pensiero sociologico; essa mostrava piuttosto come la fondazione del primo Stato postcoloniale esigesse una profonda innovazione dell’architettura concettuale e istituzionale che legittimava la forma moderna dello Stato europeo. Tale innovazione assunse una semantica sociale, perché l'emergere della società e la sua espansione commerciale come entità autonoma negarono la prerogativa del monarca per fare, invece, leva sulle forze economiche e sulla mobilitazione popolare. Il primo Stato postcoloniale trasse in questo senso la propria legittimità dalla
società"! La società senza governo Nelle pagine successive alla critica della Costituzione inglese, la dottrina dell’indipendenza venne approfondita attraverso una riflessione
sullo «stato attuale degli affari americani» e sulle «possibilità attuali dell'America». L'obiettivo politico era smentire coloro che Paine definì con disprezzo «uomini interessati», ovvero uomini che non meritava-
no fiducia perché gestivano il traffico mercantile con la madrepatria, traendone uno smisurato vantaggio economico senza considerare la
complessiva condizione di precarietà nella quale versavano le proprietà della società americana. Nelle loro argomentazioni in favore della conciliazione, costoro non facevano ricorso esclusivamente all’appartenenza degli americani alla britishness, non elogiavano soltanto la Costituzione inglese in contrapposizione all’assolutismo francese, ma sostenevano soprattutto che la sopravvivenza delle colonie dipendesse dalla potenza politica ed economica della madrepatria. A loro modo di vedere, lo stato infantile delle colonie impediva l’indipendenza: la separazione avrebbe determinato un generale impoverimento e avrebbe lasciato le colonie in balia della proiezione imperiale delle altre potenze europee’
18. Ivi, p. 96. Si veda M. RICCIARDI, La società come ordine, cit., pp. 15-54. 19. «Il male non è abbastanza vicino alle loro porte perché avvertano la precarietà da . cui ogni proprietà in America è minacciata». T. PAINE, Senso Comune, cit., p. 88.
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Per smentire questa convinzione, Paine passò in rassegna le forze
economiche della società americana, che annunciavano una diversa e positiva condizione postcoloniale. Egli argomentò innanzitutto che non era affatto vero che le colonie dovessero rimanere unite alla Gran Bretagna perché dentro l'Impero erano progredite. A suo modo di vedere, l'America avrebbe prosperato molto di più qualora nessuna potenza europea se ne fosse curata. La sua ricchezza derivava infatti dall’esportazione di generi di prima necessità e questo commercio era stato regolato e limitato al mercato inglese, come pure era stata ostacolata l'importazione di beni e manufatti che non provenissero dall’ Inghilterra o da altri territori del suo Impero. In altre parole, Paine sostenne che l’interesse della madrepatria era sopprimere la crescita economica americana ogni qualvolta non fosse stata a suo vantaggio. Non era dunque vero che l’indipendenza comportava impoverimento, era piuttosto vero il contrario: «Il commercio dell'America era rovinato a causa dei suoi legami con l’Inghilterra». L'indipendenza avrebbe assicurato prosperità e felicità, aprendo il mondo atlantico della concorrenza economica al libero commercio: Il nostro fine è il commercio, ed esso, se riceverà l’attenzione dovuta, ci assicurerà la pace e l'amicizia dell’ Europa intera; perché è interesse di tutta l’Europa avere un porto franco in America. I suoi traffici costituiranno sempre una
protezione?°.
La forza economica del commercio avrebbe trovato un'ulteriore conferma nel possibile sviluppo delle figure artigiane e manifatturiere. Il suolo americano era infatti ricco di materie prime da utilizzare in primo luogo per costruire una flotta mercantile e militare che avrebbe assicurato non soltanto una maggiore espansione commerciale, necessaria per non dipendere dal mercato inglese, ma anche una difesa nazionale adeguata alla sfida militare proveniente dalla marina britannica. A questo proposito, coloro che vantavano la protezione della madrepatria per sostenere la causa della conciliazione non consideravano che il vero motivo dell'Impero non era l'attaccamento culturale e nazionale, bensì il vantaggio economico e politico. La Gran Bretagna non aveva protetto «noi dai nostri nemici per nostro conto, ma dai suoi nemici per suo
conto». L'indipendenza forniva, in questo senso, una decisiva occasione 20.
Ivi, pp. 86-87. Paine riprese in seguito questi argomenti in The Crisis, n. 3, 19 aprile
1777, in CW, cit., vol. 1, pp. 76-80.
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per chiudere la stagione delle guerre settecentesche, perché Francia e Spagna non erano nemiche degli americani in quanto americani, ma
in quanto sudditi della Gran Bretagna:
Ogni sottomissione o dipendenza dalla Gran Bretagna, infatti, tende a coinvolgere direttamente l'America nelle guerre e nèlle contese europee, e semina la discordia tra noi e nazioni che altrimenti ricercherebbero la nostra amicizia?!. Libero commercio, crescita economica, pace e amicizia internazionale
definivano dunque la potenziale condizione postcoloniale che, però, risultava impossibile senza governo. Le colonie costituivano una società senza governo che non dipendeva dal mercato inglese e dalla protezione dell’ Impero, perché era capace di soddisfare al proprio interno le esigenze di benessere e sicurezza. Tuttavia, questa società senza governo non era esente da tensioni internazionali e disordine interno. Secondo le consuetudini (customs) che regolavano le relazioni internazionali fra
le corti europee, il popolo sarebbe stato considerato ribelle non solo dalla madrepatria, ma anche dalle altre potenze europee. Finché l’America fosse rimasta sotto il dominio britannico, non poteva contare sulla loro possibile mediazione e assistenza. L'espansione commerciale determinava, inoltre, disparità e contrapposizione di interessi, non sol-
tanto tra i diversi gruppi della società, ma anche tra le stesse colonie, in particolare per il possesso delle terre di frontiera. Il sentire comune che teneva insieme il popolo nella controversia coloniale era quindi fortemente esposto a deterioramento. Attraverso una scala ascendente di frasi angoscianti, Paine spiegò allora come il possesso delle proprietà fosse precario e niente costituisse reato, ognuno pensasse soltanto a se stesso e agisse come voleva: «Molti si sottomettono per paura, altri per
superstizione, e la parte più potente condivide con il re il saccheggio del resto». La «mente della moltitudine» veniva così lasciata allo sbando?*. La situazione dell’America era, dunque, allarmante e paradossale,
perché la società senza governo era attraversata da tendenze contrapposte di ordine e disordine: «legislazione senza diritto, esperienza senza
21. T. PAINE, Senso Comune, cit., pp. 85, 87. Per approfondire la visione di Paine sul ruolo dei futuri Stati Uniti nel sistema internazionale, I.D. FITZSIMONS, Thomas Paines New World Order: Idealistic Internationalism in the Ideology of early American Foreign Relations, in «Diplomatic History», n. 19, 1995, pp. 569-582; M. DEL PERO, Libertà e
impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 6-11. :22.
T. PAINE, Common Sense, cit., p. 43.
82
progetto, costituzione senza nome», soprattutto «perfetta indipendenza
contesa dalla dipendenza»”8. Le forze economiche del commercio, della produzione agricola e manifatturiera assicuravano l'autonomia della società, ma senza governo avanzava lo spettro hobbesiano della condizione naturale dove non esistevano proprietà, giustizia e sicurezza. Prima che la situazione precipitasse in uno stato generale di paura e guerra, che avrebbe inevitabilmente confermato le pretese dispotiche
del governo britannico, le forze economiche e la moltitudine della popolazione dovevano allora agire insieme come popolo per fondare «il governo secondo ilgiusto ordine»?4. Il senso comune in favore dell’indipendenza alimentava un forte sentimento popolare contrario al governo britannico e alla sua proiezione imperiale; ma la situazione dell’America mostrava come la società non potesse esistere senza governo. Sebbene fosse disprezzato in quanto male, il governo era comunque necessario
perché forniva una coercizione politica essenziale alla stessa autonomia che la società americana aveva storicamente acquisito attraverso
il commercio. Sebbene senza un esplicito riferimento testuale, questa riflessione sulla società senza governo riprodusse l’argomentazione lockeana che aveva sanato la drastica rottura hobbesiana tra disordine naturale e ordine politico attraverso l'introduzione del termine società come nozione politica. Secondo l’autore dei Two Treatises of Government, la società politica aveva posto fine allo stato di guerra che uomini degenerati avevano introdotto in una condizione naturale pacifica e ordinata. Al governo era spettata soltanto la modesta funzione di difendere il diritto naturale alla vita, alla libertà e alla proprietà. La questione dell’ordine aveva in questo modo subito una profonda mutazione concettuale: esso non costituiva più una risposta politica artificiale simmetrica al disordine naturale, veniva piuttosto considerato come immanente alla società, dove veniva naturalmente generato dal lavoro individuale, dalla conseguente acquisizione legittima della proprietà e dal successivo scambio dei beni attraverso la moneta. Qualora il governo fosse uscito dalla sua sfera di competenza, attentando alle proprietà legittimamente acquisite attraverso il lavoro, la società sarebbe precipitata nuovamente in uno stato di guerra, rendendo così legittimo ricorrere al diritto di resistenza per fondare un nuovo governo che ristabilisse un ordine già presente nella relazione sociale. Agli occhi di Paine, questa dovette apparire la 23.
Ibidem.
24.
ID., Senso Comune, cit., p. 104.
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situazione delle colonie seguente alle misure del governo britannico che
tassavano le loro proprietà e regolavano il loro commercio”. Quello che, però, distingueva Common Sense era una costante tensione verso l'uguaglianza. L’argomentazione lockeana aveva attribuito il diritto di resistenza in via esclusiva al popolo dei proprietari: poiché
la povertà era segno di corruzione e indisciplina, mentre la proprietà
dava prova di prudenza e conoscenza, soltanto i proprietari potevano ricorrere alla resistenza in casi eccezionali, con estrema accortezza e cautela. Moderazione e passività politica avevano allora circoscritto l'eventuale cambiamento del governo al perimetro della Costituzione inglese. Paine fece invece appello «agli uomini di tutti i ranghi», schierando la propria penna contro gli «uomini moderati» che mostravano
un «temperamento passivo». La sua dottrina dell’indipendenza non
distrusse soltanto il diritto divino che aveva legittimato la restaurazione monarchica seicentesca, ma anche la teoria politica che a legittimare il governo fosse un qualche fondamento gerarchico, per sostituirvi la tesi rivoluzionaria che a farlo fosse invece l’uguaglianza. Questa venne intesa non come dato astratto della ragione, bensì come fatto sociale: in virtù della comune partecipazione alla società, chiunque poteva comprendere il senso profondo dell’uguaglianza naturale, ovvero la possibilità di conquistare l'uguaglianza politica. Le disuguaglianze di intelligenza, conoscenza e proprietà non precludevano ad alcuno la comprensione dell’indipendenza e la partecipazione alla fondazione
del governo?°. 25.
J. LOCKE, Two Treatises of Government (1689). Su Locke, s.8. WOLIN, Politica e
visione. Continuità e innovazione nel pensiero politico occidentale, il Mulino, Bologna 1996, pp. 413-510. Sull’ordine politico moderno nel pensiero di Hobbes, c. GALLI, La “macchina” della modernità. Metafisica e contingenza nel moderno pensiero politico, in Ip. (a cura di), Logiche e crisi della Modernità, il Mulino, Bologna 1991, pp. 83-142. È presumibile ritenere che Paine conoscesse gli scritti di Locke sul governo, sebbene ne prendesse esplicitamente le distanze, come dimostrano le lettere che Paine pubblicò sul «New York Public Advertiser» tra giugno e settembre del 1807. Le lettere si trovano in G. vALE, The Life ofThomas Paine (1841), nuovamente edito da Kessinger Publishing nel 2006, oppure in A.O. ALDRIDGE, Thomas Paine and the New York Public Advertiser, in «The New York Historical Society Quarterly», n. 37, 1953, pp. 361-382. 26. T. PAINE, Senso Comune, cit., pp. 74-75, 88. Sul rapporto tra libertà e proprietà nel
pensiero di Locke, C.B. MACPHERSON, Libertà e proprietà all'origine del pensiero borghese. La teoria dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, rsepi, Milano 1962; E.M. WooD, Locke Against Democracy: Consent, Representation and Suffrage in the Two Treatises, in «History of Political Thought», n. 13, 1992, pp. 657-689. Per una diversa lettura, R. ASHCRAFT, Revolutionary Politics and Lockes Two Treatises of Government:
84 Per uscire dal rompicapo storico e teorico della società senza governo, senza sacrificare l'uguaglianza naturale, ma rivendicando attraverso questa l'uguaglianza politica, Paine impose al contrattualismo lockeano una torsione concettuale per cui il diritto naturale alla fondazione del governo non era un diritto vigente in una condizione antecedente alla formazione sociale, bensì era relativo all’ambizione politica che il popolo maturava storicamente nella società. Egli introdusse, dunque, quello che considerava l’argomento più potente in favore dell’indipendenza: soltanto la fondazione del governo su scala continentale avrebbe assicu-
rato pace e amicizia internazionale ed evitato una guerra civile interna. A questo punto della sua argomentazione, il senso comune assumeva il profilo prettamente politico del gesto costituente del popolo. Il legame sociale che teneva insieme la società doveva costituire la leva politica attraverso la quale il popolo poteva esprimere sovranità. Andava eletta una conferenza continentale rappresentativa non soltanto delle colonie, ma del popolo in generale (people at large). Il suo compito era redigere una Costituzione «intesa come vincolo che obbliga solennemente», ovvero come un «contratto» utile ad assicurare «la libertà e la proprietà a tutti gli uomini». Soltanto in questo modo sarebbe stato possibile ristabilire quell’ordine della società che era minacciato dalla tensione internazionale e dal disordine interno: «Il tutto, essendo autorizzato dal popolo, avrà un'autorità veramente legittima». Attraverso la scrittura della Costituzione e la fondazione del governo su scala continentale, l'America avrebbe presentato se stessa all’interno e verso l’esterno come «unione» capace di esprimere un «potere sovrano e di governo».
Sebbene la dottrina dell’indipendenza esplicitasse e alimentasse una forte convinzione popolare contraria alla forma moderna dello Stato europeo, essa considerava necessario delineare un preciso profilo statale per fronteggiare l’insicuro scenario internazionale delle potenze europee e per ordinare il disordine della società”. Radicalism and Lockean Political Theory, in «Political Theory», 8, 4, 1980. Sulla presenza e l’importanza del pensiero lockeano in America a partire da metà Settecento, si vedano J. DUNN, The Politics of Locke in England and America, in }.w. YOLTON (ed.), John Locke. Problems and Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge 1696, pp. 41-80. Attraverso un'accurata esegesi del libro del profeta Samuele, Paine dimostrò che l'autorità delle scritture non poteva essere chiamata in causa per giustificare il diritto divino della monarchia e della successione ereditaria, N.R. PERL-ROSENTHAL, The divine right of republics’ Hebraic Republicanism and the Debate over Kingless Government in Revolutionary America, in «William & Mary Quarterly», 3, 63, pp. 535-564. 27. T. PAINE, Senso Comune, cit., p. 105.
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Lo Stato senza nome
In Common Sense Paine impiegò il termine Stato soltanto in conclusione della breve appendice, aggiunta nelle successive edizioni del pamphlet, nella quale venne appunto rivendicata esplicitamente la fondazione dei
«FREE and INDEPENDENT States ofAmerica». L’uso del termine al plurale era indicativo del particolare significato che assumeva la parola union. Questa definiva una figura politica che emergeva fuori dalle discordie della società e che perciò poteva preservare quest’ultima non soltanto dalla contrapposizione di interessi seguente all’espansione commerciale, ma anche dalla possibile divisione tra i singoli Stati che avrebbe favorito eventuali pretese europee di conquista. L'aggettivo free per definire il plurale States esplicitava una legittimazione politica che non contemplava la forma monarchica, il diritto divino e la successione ereditaria, ma faceva riferimento esclusivamente all’uguaglianza rivendicata dal gesto costituente del popolo e alla forma rappresentativa del governo. Il termine union alludeva, invece, al necessario profilo statale che l°A-
merica indipendente doveva assumere per assicurare pace e sicurezza verso l’esterno, garantendo nel contempo ordine e prosperità all’interno. Venne così meno il significante singolare Stato, ma il termine Unione recuperò la cifra costituente dello Stato europeo, ovvero il principio dell’obbligazione politica su un territorio sottratto tanto alla conquista imperiale, quanto alla frammentazione interna del potere politico. La forza (strength) dell'America indipendente risiedeva nell’ Unione, l'indipendenza doveva, cioè, avere «una portata continentale e non
provinciale»?8. Questo profilo statale emerse chiaramente collocando la controversia coloniale sulla scena internazionale. Paine propose infatti di pubblicare un «manifesto» da inviare alle corti europee con il quale dichiarare ufficialmente l’indipendenza. Questa dichiarazione doveva innanzitutto denunciare le «angherie» che le colonie avevano subito dalla corte britannica e l'impossibilità di vivere felicemente e in sicurezza dentro l'Impero. Doveva inoltre spiegare che il metodo pacifico delle petizioni inviate al monarca era stato impiegato senza successo.
Infine, doveva abolire ogni legame con la madrepatria, assicurando nel contempo la pacifica disposizione verso le altre potenze europee e l’intenzione di commerciare liberamente con i loro mercati. La di-
.28.
Ivi, p. 95.
86
chiarazione di indipendenza era in questo senso un atto dovuto, essa doveva cioè rispondere alle consuetudini delle corti europee, conferendo una forma legale e giuridica al senso comune del popolo. Senza la dichiarazione, il continente sarebbe stato ancora considerato come territorio disponibile alla proiezione imperiale e la presenza del popolo in armi non avrebbe espresso sovranità sullo scenario internazionale, ma sarebbe stata giudicata come una ribellione che costituiva non soltanto una minaccia verso l’ Impero britannico, ma anche un precedente pericoloso per le altre potenze europee. In altre parole, le colonie dovevano essere riconosciute dagli altri Paesi europei come uno Stato sovrano e indipendente, dunque capace di stipulare trattati e accordi per regolare la competizione politica e la concorrenza economica della scena internazionale??. Common Sense non anticipò soltanto la Declaration of Independence del 4 luglio 1776, ma prefigurò anche alcune questioni che esplosero nel dibattito politico degli anni seguenti, durante e dopo la Guerra d'indipendenza, sulle quali - come vedremo - Paine tornò più volte. A suo modo di vedere, l’atto formale della dichiarazione era necessario ma non sufficiente a conquistare l’indipendenza. Questa andava vinta sul campo di battaglia di una guerra che coinvolgeva non solo colonie e madrepatria, ma anche le altre potenze europee, impegnate direttamente con truppe oppure attraverso finanziamenti. In altre pa-
role, la conquista dell’indipendenza era intrecciata all'ennesima guerra settecentesca combattuta per stabilire il primato nel sistema europeo degli Stati e nel mercato internazionale. Per questo, la competizione politica ed economica internazionale richiedeva l’elaborazione di una politica nazionale (national policy) adeguata ad assicurare protezione e
a promuovere benessere: «Unire il nerbo del commercio e della difesa è buona politica; infatti non abbiamo nulla da temere da un nemico esterno quando la nostra forza e le nostre ricchezze sono strette da un
legame reciproco»?°, Questo legame reciproco tra ricchezza della società e forza dell’ Unione andava irrobustito finanziando la costruzione di una flotta non come semplice risorsa militare, ma come «voce del commercio», perché la cantieristica costituiva una «manifattura naturale in questo paese». A
tale scopo, non bisognava escludere neanche la possibilità di contrarre un debito. Sulla base della propria esperienza inglese, Paine era con29. 30.
Ivi, pp. 106 e ss. Cfr. 1n., The Crisis, n. 2, 13 gennaio 1777, in cw, cit., vol. 1, p. 62. ID., Senso Comune, cit., p. 102.
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sapevole delle conseguenze negative che ne sarebbero potute derivare. L'imponente debito pubblico britannico, contratto per finanziare le guerre europee, aveva richiesto un cospicuo ricorso alla tassazione che aveva determinato non soltanto un incremento della povertà, ma anche la controversia coloniale con la conseguente crisi dell’ Impero. Tuttavia,
attraverso una serie di calcoli, egli spiegò che per costruire una flotta americana era sufficiente contrarre un debito pari a soltanto un ventesimo di quello britannico, evitando così un elevato tasso di interesse e conseguentemente una tassazione ingente. Ancor più importante, a
suo avviso, era che l’eventuale istituzione del debito pubblico implicava l’organizzazione della società su base nazionale, il che avrebbe permesso di elaborare una politica economica più ampia di quella dei singoli Stati indipendenti, in grado perciò di filare le ricchezze della società per unirle in un «legame reciproco» alla forza dell’ Unione: il debito pubblico andava considerato come un tratto costituente dell’ Unione perché forniva un ulteriore «vincolo nazionale»?". Sulla scena internazionale l’ Unione non rappresentava, allora, sol-
tanto uno Stato sovrano e indipendente, costituiva anche un nuovo mercato nazionale. Alla dichiarazione di indipendenza, che proclamava formalmente la fondazione dello Stato americano sulla scena internazionale, doveva quindi seguire una definizione della sua nervatura fiscale e militare. Come mostravano la storia europea e britannica, questa nervatura era assolutamente necessaria non soltanto per assicurare la sicurezza verso l’esterno, ma anche per promuovere ricchezza all’interno. La parola Unione costituì, dunque, un primo tentativo di rispondere positivamente alle dinamiche politiche che Paine aveva osservato attraversando l’Atlantico, dalla sua esperienza inglese all’arrivo nelle colonie. Accentramento del potere, formazione del mercato nazionale,
competizione politica e concorrenza economica internazionale erano
questioni dirimenti per la definizione costituzionale, politica e sociale,
dell'America indipendente. Dichiarare l'indipendenza determinò in questo senso l’ingresso delle colonie sulla scena internazionale come nuovo Stato sovrano, con il conseguente ampliamento del sistema europeo nel sistema euroamericano degli Stati. In conclusione, Common
Sense narrava una storia specificamente
americana. Alle storie politiche europee veniva sostituita una storia della società che alludeva persino all’assenza del governo. Eppure, il
31.
Ivi, p.99.
88
disordine interno alla società e la tensione internazionale alla quale questa era sottoposta richiedevano la coercizione politica del governo. La nuova veste dell’Unione non negava allora lo Stato come forma peculiare della politica moderna, riconosceva piuttosto nella società la fonte ultima della sua legittimazione. Il primo Stato postcoloniale venne, dunque, fondato in nome della società, aprendo la possibilità di una nuova architettura concettuale e istituzionale: il governo doveva essere semplice, perché espressione immediatamente rappresentativa
della società, e la rappresentanza doveva essere libera e ampia, perché ognuno cooperava e scambiava con l’altro per soddisfare il proprio bisogno. Il libero commercio e la crescita economica definirono in tal senso una piattaforma di resistenza contro il governo dispotico, la proiezione imperiale e il mercantilismo europeo; ma la competizione politica e la concorrenza economica sulla scena internazionale costituirono comunque un potente agente di costruzione statale. Sebbene la dottrina dell’indipendenza alimentasse forze contrarie alle tendenze europee dell’accentramento politico, il primo Stato postcoloniale non sarebbe dunque sfuggito alla storia europea. Le forze economiche della società e la mobilitazione popolare, però, ampliarono la partecipazione politica, mutando in questo modo i termini della legittimazione politica dello Stato moderno: le parole società e governo, rappresentanza e Costituzione definirono un rinnovato vocabolario politico con il quale venne combattuta la lotta per legittimare la fondazione del nuovo Stato sulla scena nazionale e internazionale.
2.
DEMOCRAZIA
E COSTITUZIONALISMO Tu mi chiedi che cosa si dice di Common
Sense [...] Le sue
opinioni sulle abilità degli Americani e sulle difficoltà della riconciliazione con la Gran Bretagna sono approvate da tutti. Ma
la sua nozione e il suo piano per il Governo continentale non sono stati accolti con entusiasmo [...] Questo scrittore ha una
buona mano per distruggere, non per costruire. Un governo aristocratico in uno degli Stati dell'America diventerebbe subito un governo democratico [...] I diritti sono cose permanenti, la proprietà (fortune) non lo è; quindi l’incertezza e la disuguaglianza dell'ultima non possono diventare una regola per la certezza e l'uguaglianza dei primi. Libertà e proprietà non hanno alcuna relazione».
32.
H.L. BUTTERFIELD (ed.), The Books ofAbigail and John Adams 1762-1784, Northe-
astern University Press, Boston 2002, vol. 1, p. 363; T. PAINE, A Serious Address to the
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Dopo la pubblicazione di Common Sense, Paine partecipò in prima persona alla Guerra d’indipendenza contro l’esercito britannico. Nel luglio del 1776 si arruolò come aiutante di campo del generale Daniel Roberdau negli Associators, una milizia popolare della Pennsylvania che resisteva all'avanzata delle truppe britanniche nel New Jersey. Quando nel settembre la milizia venne sciolta, Paine fu chiamato a ricoprire lo stesso incarico presso il generale Nathanael Greene, le cui milizie erano impegnate nella difesa del Fort Lee, sempre nel New Jersey. Dopo
l'evacuazione del forte a seguito dell’offensiva inglese, egli raggiunse le truppe guidate dal generale George Washington in ritirata attraverso il New Jersey. L'inizio del conflitto non fu dunque positivo. Le prime sconfitte smorzarono l’entusiasmo seguente alla Declaration of Independence. A] di là del suo impegno in prima persona sul campo di battaglia, il maggiore contributo di Paine allo sforzo bellico fu rappresentato dalla decisione, presa in accordo con Washington, di scrivere una serie di pamphlet intitolati The American Crisis da distribuire gratuitamente tra le milizie per aggiornarle sull'andamento generale della guerra e sostenerle nelle fasi di difficoltà. Questi scritti affrontarono le vicende
di attualità militare e politica, ribadendo con forza quanto sostenuto in Common Sense contro il dispotico governo britannico e la sua proiezione imperiale e denunciando e ridicolizzando il violento operato dei suoi ministri, ambasciatori e militari. The American Crisis furono in questo
senso importanti per alimentare il patriottismo delle milizie americane e consolidare un forte sentimento di appartenenza nazionale. Nella difficile situazione determinata dall’offensiva dell’esercito britannico, il problema incombente era la tenuta interna del fronte indipendentista, minacciata dal continuo appello inglese alla riconciliazione che intendeva dividere quel senso comune sul quale Paine aveva fatto leva per lanciare l’indipendenza”. Il bisogno di costruire una forte appartenenza nazionale ha influenzato significativamente la storiografia americana sulla Rivoluzione del 1776, oscurando a lungo le profonde divisioni che attraversarono
l'America indipendente. Fin dai primi decenni dell'Ottocento, il problema sotteso alle diverse storie della Rivoluzione è stato quello della costruzione di un'unica narrazione il più largamente condivisa. Queste People of Pennsylvania on the Present Situation of their Affairs, in cw, cit., vol. 2, p. 282. 33.
ID., The Crisis, n.1, 23 dicembre 1776, in CW, cit., vol. 1, pp. 50-57. Per una ricostru-
zione dettagliata del contributo di Paine alla Guerra d’indipendenza, J. KEANE, Tom Paine, cit., pp. 138-180.
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storie non hanno discusso i diversi interessi, le molteplici motivazioni e aspettative che condussero gli americani all'indipendenza, preferendo presentare il popolo come immediatamente uno, per comporre in
tal modo una storia comune che rinsaldasse l'appartenenza nazionale anche nel presente. In conclusione di Common Sense, lo stesso Paine aveva accennato all’esigenza di costruire dei costumi nazionali (national manners), indispensabili per consolidare la «tranquillità domestica di una nazione» e preservare il Paese (Country) «incontaminato dalla corruzione europea», stabilendo così una specificità americana rispetto
alle altre potenze, alle loro storie di lotte intestine e ribellione. Come scrisse successivamente, un simile bisogno rendeva auspicabile lasciare ai posteri una «storia autentica» della Rivoluzione**.
Eppure, le forze economiche della società e le diverse figure della mobilitazione popolare - mercanti, contadini, artigiani e lavoratori a giornata -, impegnate nella Guerra d’indipendenza attraverso il finanziamento delle spese militari oppure con la partecipazione alle milizie statali e all’esercito continentale, furono decisamente lontane dal condividere una stessa concezione della Costituzione, del governo e della rappresentanza. Come vedremo, le risposte entusiaste e le critiche violente e denigratorie che seguirono alla pubblicazione di Common Sense segnalarono come la dottrina dell’indipendenza avesse lanciato quella che possiamo definire una sfida democratica che rigettava l'architettura concettuale e istituzionale dello Stato britannico, ovvero la Costituzione inglese e il
governo misto nel suo complesso, non soltanto la forma monarchica e la successione ereditaria. Questa sfida non provocò soltanto una profonda divisione tra patriot e loyalist;, ma anticipò anche una radicale divaricazione politica del fronte indipendentista che emerse in tutta evidenza nel processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria. Common Sense aveva, infatti, stabilito un principio d’uguaglianza che alimentò un movimento di ambizioni teoriche e pretese politiche che possiamo definire democratiche, perché miravano essenzialmente all'ampliamento del suffragio. La ricaduta pratica del principio d’uguaglianza consistette innanzitutto nella mobilitazione politica di ampie
34.
T. PAINE, Common Sense, cit., pp. 40-41. Cfr. in., To a Committee ofthe Continental
Congress, ottobre 1783, in CW, cit., vol. 1, pp. 1239-1242. Sul ruolo delle prime storie della
Rivoluzione nella costruzione di una forte identità nazionale, }. APPLEBY, L. HUNT, M. JACOB, Telling the Truth About History, Northon & Company, New York 1994; G.B. NASH, The Unknown American Revolution. The Unruly Birth ofDemocracy and the Struggle to Create America, Viking, New York 2005, pp. xV-xx1x.
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fasce della popolazione prima escluse dal governo, che videro nella conquista dell’uguaglianza politica la possibilità di superare le gerarchie del mondo coloniale americano. Sullo sfondo di questa mobilitazione popolare, Paine contribuì al cambiamento concettuale del termine Costituzione che derivava dalla tradizione politica settecentesca della Costituzione inglese. Non fece riferimento soltanto all’atto costituente del popolo che istituiva il governo, per definire in questo modo la Cocome stituzion e testo scritto superiore alla legge in quanto espressione della sovranità popolare: «La costituzione [...] dice al potere legislativo, “Puoi arrivare fino a qui, non oltre”»*. Egli legò anche il processo costituente all'ampliamento del suffragio. In tal senso, il suo discorso
politico venne percepito come democratico, in senso positivo o nega-
tivo a seconda di chi gli era favorevole o contrario, perché teorizzava e sosteneva un concetto di Costituzione in grado di rispondere favorevolmente alle aspettative d'emancipazione aperte dalla Rivoluzione. Contro questa prospettiva il futuro Presidente John Adams e i
mercanti della Pennsylvania rivoluzionaria associati nella Republican Society costruirono un discorso politico che, soltanto a partire dal xIX secolo, fu chiamato propriamente costituzionalismo. Questo discorso non mirava esclusivamente a stabilire la superiorità del testo costituzionale come garanzia della libertà politica e personale conquistata con la Rivoluzione. Non teorizzava soltanto divisione e separazione dei poteri, stabilendo le procedure della rappresentanza e il ruolo del legislativo in rapporto all’esecutivo e al giudiziario. Non definiva, dunque, semplicemente una tecnica istituzionale e giuridica della libertà; ma intendeva anche delineare una cornice sociale e politica più ampia nella quale inscrivere il concetto di Costituzione. Quando argomentarono
che soltanto il requisito del censo per accedere al voto avrebbe reso possibile il successo della Costituzione come sintesi politica delle forze impegnate in favore dell’indipendenza, coloro che rigettavano la sfida democratica avanzarono anche una propria visione delle gerarchie della società, dimostrando una certa consapevolezza delle disuguaglianze determinate dall’espansione commerciale e una profonda attenzione al consolidamento dell’assetto proprietario uscente dalla Rivoluzione. 35. T. PAINE, Four Letters on Interesting Subjects, in G.s. woop (ed.), Common Sense and other Writings, The Modern Library, New York 2003, p. 75. Sul cambiamento concettuale della Costituzione come testo scritto e superiore alla legge nel mondo angloamericano, T. BALL, J.G.A. POCOCK (eds.), Conceptual Change and the Constitution, University Press
_of Kansas, Lawrence 1998.
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Per questo, senza negare la diffusa cultura costituzionale che le colonie avevano ereditato dalla madrepatria e senza svalutare il fondamentale
lavoro teorico della letteratura politica inglese nel secolo precedente il 1776, al quale viene normalmente attribuita la nascita del costituziona-
lismo liberale, è possibile individuare l’origine, incerta e problematica, del costituzionalismo americano nella pratica dello scontro politico aperto dalla Rivoluzione?°. Dal dialogo polemico che Paine intrattenne con alcune delle figure più importanti della vicenda rivoluzionaria americana, in particolare John Adams e Benjamin Rush, vedremo allora prendere forma una tensione tra democrazia e costituzionalismo con la quale possiamo sintetizzare la dinamica dello scontro politico interno al fronte indipendentista. Questa formula sintetica impedisce una narrazione lineare e
unitaria della vicenda rivoluzionaria sulla base della nozione storiografica del consenso, elevando il conflitto ad agente storico determinante
per comprendere il primo decisivo campo di battaglia della formazione dello Stato americano, quello della stesura delle Costituzioni dei singoli Stati indipendenti. La tensione tra democrazia e costituzionalismo è indice di come fu risolto in prima battuta il problema della legittimazione politica del nascente Stato, una volta negata l’autorità della corona e abrogate le carte coloniali da questa concesse. Nel processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria, il costituzionalismo venne costruito per controbattere le pretese democratiche della mobilitazione popolare che Paine discusse e promosse come molti altri suoi contemporanei, ma con un effetto pratico e immediato infinitamente superiore.
I partigiani del Senso Comune
Lenorme diftusione di Common Sense contribuì a spostare lo scontro coloniale dall’individuazione di una soluzione costituzionale per la conciliazione a una concreta prova di forza per conquistare l’indipen36. Sull’origine seicentesca e settecentesca del costituzionalismo liberale, M. FIORAVANTI, Costituzione, il Mulino, Bologna 1999. Per una interpretazione costituzionale della
Rivoluzione americana, }.P. REID, Constitutional History of the American Revolution,
University of Wisconsin Press, Madison 1995; C.H. MCILWAIN, American Revolution: a
constitutional interpretation, Macmillan, New York 1923; N. MATTEUCCI, Charles Howard
Mellwain e la storiografia sulla rivoluzione americana: Introduzione, il Mulino, Bologna 1965. Sulla Costituzione come concetto non meramente giuridico, P. SCHIERA, Tra co-
stituzione e storia costituzionale: la crisi dello Stato (1981), in 10., Origini e degenerazioni dello Stato moderno, cLueB, Bologna 2005.
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denza, immettendo così nella controversia la questione dirimente della fondazione degli Stati liberi e indipendenti d'America. In gioco non era soltanto la separazione dalla madrepatria. Per conquistare l’indipendenza era necessario riscrivere il rapporto tra governanti e governati che
aveva regolato le colonie secondo la tradizionale rappresentanza degli interessi proprietari. La continuità del governo delle colonie doveva essere interrotta da un potere superiore a quello in mano al Parlamento britannico perché fondato su una rappresentanza libera e ampia, quindi legittimato a esercitare un'effettiva autorità. Il piano politico aperto dalla dottrina dell’indipendenza era dunque del tutto nuovo rispetto al passato essendo contraddistinto da quello che possiamo senz'altro definire potere costituente, sebbene Paine non impiegasse esplicitamente l’espressione. Convenzioni e assemblee illegali, istituite per resistere all’accentramento del potere politico nel Parlamento britannico, dovevano servire per «formare una propria Costituzione
con calma e decisione». Prima della Declaration of Independence, il Congresso continentale venne in questo senso spinto ad approvare la fondamentale risoluzione del 15 maggio, con cui fu stabilito che «l’e-
sercizio di ogni genere di autorità sotto questa corona deve essere totalmente soppresso, e tutti i poteri di governo devono essere esercitati
sotto l’autorità del popolo delle colonie». Con estrema abilità retorica e profondo acume politico, l’autore di Common Sense espresse dunque un bisogno di Costituzione, radicato nel mondo coloniale americano,
ma fino a quel momento sottaciuto”. Paine non soltanto impose un radicale mutamento di prospettiva alla controversia coloniale, ma cambiò anche il modo elitario attraverso il quale veniva pensato il concetto di Costituzione. La Costituzione non doveva essere espressione del continuo accumulo del diritto consuetudinario e statutario, lasciato all’interpretazione discrezionale dei
giudici che agivano fuori dal controllo popolare; bensì, doveva trarre autorità dall’atto collettivo popolare. Egli teorizzò dunque la Costitu37.
T. PAINE, Senso Comure, cit., p. 96; w.c. FORD (ed.), Journal of Continental Con-
gress, 1774-1789, Washington 1904-1937, vol. 4, pp. 357-358. Il carattere costituente della
sovranità popolare è stato sottolineato da T. BONAZZI, Un «costituzionalismo» rivoluzionario. Il Demos Basileus e la nascita degli Stati Uniti, in «Filosofia Politica», 5, 2, 1991, pp. 283-302. Si veda anche A. NEGRI, Il potere costituente. Saggio sulle alternative
del moderno, SugarCo, Varese 1992. L'espressione potere costituente è stata impiegata per descrivere il processo di scrittura delle Costituzioni statali da w.P. ADAMS, The first American Constitutions. Republican Ideology and the Making ofthe State Constitutions în the Revolutionary Era, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1980.
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zione come testo scritto superiore alla legge in quanto fondato sulla sovranità popolare, e rovesciò il principio gerarchico che caratterizzava la dottrina costituzionale inglese del Common Law ereditata dalle co-
lonie, quella codificata dal judge Edward Coke e consolidata dal lavoro storico di William Blackstone. Quest'ultima aveva stabilito che soltanto
gli uomini proprietari e istruiti (learned men) potessero avere accesso alla rappresentanza politica e voce in capitolo nell’interpretazione del diritto. Al contrario, Paine affermava un principio d’uguaglianza secondo il quale anche poveri e illetterati avevano il potere di dichiarare l’indipendenza e formare una Costituzione nel modo che ritenevano più giusto e opportuno. Questa fu la portata democratica del successo di Common Sense: un principio d’uguaglianza che alimentò la lotta politica per l'ampliamento del suffragio nel processo costituente del periodo rivoluzionario”. Paine non impiegò direttamente il termine democrazia o l'aggettivo democratico. Tuttavia la portata democratica della sua dottrina dell’indipendenza emerse dalle entusiaste reazioni seguite alla pubblicazione di Common Sense. In una serie di lettere in risposta To the Author of Common Sense, l’autore anonimo elogiò Paine per aver attribuito «a ogni individuo la libertà di contribuire alla grande costituzione, la grandiosa Carta della Libertà americana». Conquistata l’indipendenza, coloro che pagavano le tasse avrebbero dovuto avere «un eguale diritto di voto, come uomini della stessa proprietà». La dottrina dell’indipendenza venne esplicitamente interpretata come sfida democratica nel «New York Journal» del giugno 1776: «Noi dovremmo essere una vera democrazia e costituirci in un libero governo popolare». La straordinaria diffusione di Common Sense stava, quindi, alimentando una mobilitazione di ampie fasce della popolazione urbana, artigiani e lavoratori in generale, che vedevano nella guerra contro l’esercito britannico la possibilità di superare le gerarchie del mondo coloniale conquistando
l'uguaglianza politica e il diritto al suffragio?”. 38.
E. COKE, The Second Part of the Institutes of the Laws of England (1642); W.
BLACKSTONE, Commentaries on the Laws ofEngland (1765-1769). Sul portato democra-
tico di Common Sense, s. ROSENFELD, Tom Paines Common Sense and Our, in «William
& Mary Quarterly», n. 4, 2008, pp. 663-668. Rosenfeld ha recentemente edito un’interessante storia politica di Common Sense, dalla sua gestazione nel periodo inglese di Paine fino alla sua diffusione nel mondo moderno contemporaneo: Common Sense. A
Political History, Harvard University Press, Cambridge 201.
39. To the Author of COMMON SENSE, n. 4, in «The New York Journal», 7 marzo 1776; SPARTANUS, The Interest of America Letter, in «The New York Journal», n. 1, 30 giugno
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Pochi mesi dopo la pubblicazione del pamphlet, a New York un gruppo di artigiani e lavoratori fece irruzione nel negozio dell’editore Samuel Loudoun per portare via e bruciare in piazza le copie di Plain Truth, un pamphlet scritto esplicitamente contro Common Sense?°. Questo e altri pamphlet /oyalist fecero appello all’autorità intellettuale di Montesquieu per difendere la Costituzione inglese dalla sfida democratica lanciata dalla dottrina dell’indipendenza. L’autore dell’ Esprit des Lois aveva descritto la rappresentanza come un criterio dirimente per
poter parlare di democrazia, ma aveva anche segnalato come questa costituisse un punto debole. A suo modo di vedere, l'ampliamento del suffragio alimentava nel popolo un comportamento imprevedibile e ingovernabile. Il pericolo era che prendesse piede uno «spirito di uguaglianza estrema», per cui «ciascuno vuole essere uguale a quelli che elegge per comandarlo». La storia costituzionale del Seicento inglese, con l’abolizione della monarchia e la fondazione del Commonwealth, aveva in questo senso dimostrato che la democrazia metteva in scena un enigma teatrale senza soluzione, ma con un finale scritto, quello dell’anarchia: un continuo peregrinare del «popolo stordito» alla ricerca della democrazia senza «trovarla in alcun luogo»*. Coloro che criticarono Common Sense fecero dunque dell’indipendenza un sinonimo del termine democrazia, esprimendo in questo modo tutta la loro inquietudine per una separazione dalla madrepatria che, a loro modo di vedere, avrebbe portato inevitabilmente all’anarchia.
In particolare, il loyalist Charles Inglis sostenne che l’ampliamento del suffragio avrebbe alimentato una passione talmente sfrenata da rendere proibitivo il progetto indipendentista. Egli descrisse l'uguaglianza come un sentimento scellerato, un insulto oltraggioso contro il buon senso degli americani, una forza frenetica che stava avvelenando le loro menti. Quello che rese inaccettabile Common Sense fu la costante tensione della
1776; Extract ofaLetter from a Gentleman at Norwalk to his Friend at Danbury, in «The New York Gazette», 7 giugno 1776.
40. CANDIDUS, Plain Truth, addressed to the Inhabitants ofAmerica, containing Remarks on a late Pamphlet entitled Common Sense, R. Bell, New York 1776, p. 122. Sulla mobilitazione dei comitati di artigiani e lavoratori di New York, A.F. YouNG, The Democratic Republicans of New York: The Origins, 1763-1797, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1967; s. LyND, The Mechanics in New York Politics, 1774-1788, in «Labor History», n. 5, 1964, pp. 225-246. 41. MONTESQUIEU, Lo Spirito delle leggi (1748), Rizzoli, Milano 1999, pp. 157-168, 263 e ss. Si rimanda a C. CARINI, Alla ricerca del governo libero: il pensiero politico nell’Europa moderna da Montesquieu a Stuart Mill, Centro editoriale toscano, Firenze 2006.
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sua argomentazione verso l’uguaglianza in favore dell’indipendenza. Non soltanto l’esplicita rivendicazione dell’uguaglianza naturale, soprattutto la sua «ambizione» e il suo «risentimento» contro gli «uomini interessati», ovvero quella «parte più ricca» che aveva assicurato l'ordine del governo e il «legame della società», saldando le colonie alla comunità imperiale della britishness. Paine venne così accusato di essere «un violento e tenace fautore della democrazia»*”. Questa forte preoccupazione verso coloro che con disprezzo vennero definiti «partigiani di Common Sense» non fu affatto un sentimento elitario e limitabile all’opposizione loyalist. Come vedremo, un simile timore sulla tenuta della società in seguito al rovesciamento del governo delle colonie venne espresso anche da alcuni leader del fronte indipendentista quando divenne necessario compiere il primo passo concreto
verso l'indipendenza attraverso la scrittura delle Costituzioni statali. Con Paine, il concetto di Costituzione divenne democratico, venne cioè aperto al potere interpretativo di ampie fasce della popolazione che rivendicavano il diritto di entrare nel gioco della politica. Prese così avvio un serrato scontro politico per definire quale Costituzione fosse opportuna per il nascente Stato americano. Sebbene la sfida democratica escludesse donne, servi e schiavi - confermando quell’assordante silenzio della Declaration of Independence contro il quale si alzarono voci di protesta che anticiparono il movimento abolizionista e quello suffragista ottocentesco -, le risposte entusiaste e le critiche violente verso Common Sense mostrarono comunque quanto Paine fosse riuscito a spostare in avanti il limite delle pretese che era possibile avanzare contro le gerarchie del passato coloniale, alimentando le aspettative democratiche della Guerra d'indipendenza e conseguentemente una divisione del popolo in partigiani di Common Sense e coloro che vennero apprezzati come uomini sobri*4.
42.
C. INGLIS, The True Interest ofAmerica impartially stated în certain Siricture on a
Pamphlet entitled COMMON SENSE, ). Humphreys, Philadelphia 1776, pp. 10-21, 56-71.
43. Addition to Plain Truth containing Further Remarks on a late Pamphlet entitled Common Sense, in cANDIDUS, Plain Truth, cit., p. 122. 44.
Sul carattere includente/escludente della Declaration, T. BONAZZI (a cura di), La Dichiarazione d’Indipendenza, Marsilio, Venezia 1999. Sul movimento suffragista, R.
BARITONO (a cura di), Il sentimento delle libertà: la dichiarazione di Seneca Falls e il
dibattito sui diritti delle donne negli Stati Uniti di metà Ottocento, La Rosa, Torino 2001.
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Gli uomini sobri
La divisione del fronte indipendentista emerse con tutta evidenza con i Thoughts on Government, che John Adams pubblicò nel maggio del 1776 per contrastare la grande diffusione di Common Sense. Senza nominare Paine, ma con un esplicito riferimento alla concezione della società avanzata nel suo pamphlet, Adams sostenne che la società non era antecedente al governo, piuttosto dipendeva interamente dalla sua continuità e autorità. Per questo, bisognava evitare di correre il rischio di avventurarsi in una pericolosa innovazione politica. A suo modo di
vedere, passato voce in sobri».
era necessario costruire il nuovo governo in continuità con il costituzionale delle colonie. Non tutti dovevano perciò avere capitolo nel processo costituente, ma esclusivamente «gli uomini L'aggettivo sober, derivato dal dibattito politico inglese della
metà del Seicento, quando era stato impiegato in risposta all’entusiasmo popolare della Rivoluzione puritana, veniva impiegato per indicare e selezionare coloro che erano di elevato livello sociale (well-born) e di
buona formazione (educated), dunque capaci di agire con moderazione e ragionevolezza. Grazie alla posizione sociale che esentava loro dal lavorare, gli uomini sobri potevano dedicare tempo alla propria istruzione, allo studio della letteratura politica e costituzionale, conse-
guentemente alla pratica del governo”. Adams riportò in questo modo al contesto rivoluzionario ameri-
cano il grande insegnamento della tradizione costituzionale inglese. Come i pamphleteer del campo loyalist, egli fece appello a Montesquieu non per difendere il governo coloniale, bensì per sostenere che lo Stato americano dovesse trarre esempio dalla gloriosa storia costituzionale della madrepatria. Doveva cioè fondarsi sul principio della virtù. Se-
45. «La benedizione della società dipende interamente dalle costituzioni del governo, ovvero da istituzioni che generalmente durano da molte generazioni». Gli uomini sobri erano «uomini di cultura ed esperienza nel campo legislativo, di esemplare moralità, grande pazienza, calma, freddezza e attenzione». In J. ADAMS, Pensieri sul
governo, in 1D., Rivoluzioni e costituzioni, Guida, Napoli 1997, pp. 50-58. Sul processo
costituente a livello statale, w.p. ADAMS, The First American Constitutions. Republican Ideology and the Making of the State Constitutions in the Revolutionary Era, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1980, in particolare pp. 118-128. Il volume offre una dettagliata rassegna dei processi costituenti a livello statale durante l’epoca rivoluzionaria. Sull’origine storica, politica e teologica del termine sober, M. HEYD, Be Sober and Reasonable: the Critique of Enthusiasm in the Seventeenth and Early ’Eighteenth Centuries, Brill, Leiden 1995.
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guendo l’autore dell’Esprit des Lois che aveva legato leforme di Stato e di governo al carattere dei popoli, Adams ritenne che il nuovo governo non potesse essere dispotico, perché gli americani stavano vincendo la paura nella guerra contro l’esercito britannico, e nemmeno monarchico, perché l’onore era un principio inferiore alla virtù che stava guidando gli americani verso l'indipendenza. La virtù non definiva però un carattere universale, piuttosto era una qualità posseduta da pochi: «Il primo passo
necessario, allora, è che i molti investano di un potere alcuni fra i più
saggi e buoni». Dopo aver stabilito questo presupposto antropologico,
facendo ancora una volta riferimento al filosofo francese, Adams individuò nella rappresentanza la difficoltà principale per la fondazione
del nuovo governo. A suo modo di vedere, il principio democratico della rappresentanza doveva essere limitato stabilendo i «requisiti di ammissione al voto delle persone che avranno il beneficio di sceglierli [i rappresentanti]». Bisognava, in altre parole, selezionare il personale politico facendo della proprietà il criterio costituzionale per accedere al voto, dividendo la rappresentanza in Camere diverse e attribuendo il potere di veto al governo, in modo da evitare che l'assemblea legislativa esercitasse potere in stretta connessione con la volontà popolare.
Lobiettivo politico era quello di costruire attraverso l’istituzione del governo un’aristocrazia della mente, legittimando così la supremazia dei well-born ed educated nel nascente Stato americano*°. Per soddisfare il bisogno di Costituzione che Paine aveva portato alla ribalta senza lasciare campo libero alla sfida democratica dei partigiani di Common Sense, Adams propose dunque un costituzionalismo adeguato alla forma non monarchica dello Stato americano, sebbene
in debito con la tradizione inglese: da una parte, negò la monarchia e la successione ereditaria; dall’altra, fece riferimento alla pratica politica attraverso la quale i migliori, proprietari e istruiti, dovevano porre il
processo costituente e il nuovo governo al riparo dalle pretese democratiche divampate con la Guerra d’indipendenza. La Costituzione doveva certamente trarre legittimazione dal popolo in virtù della sovranità popolare, ma doveva altresì legittimare quelle gerarchie politiche e sociali
necessarie alla costruzione di un governo stabile e duraturo. Il governo non doveva dunque legarsi alla mutevole volontà popolare. In conti-
46. J. ADAMS, Pensieri sul governo, cit., p. 52. Sull’influenza di Montesquieu nella formazione del costituzionalismo americamo, p.A. RAHE, Montesquieu and the Constitutio n
of Liberty, in G.L. MCDOWELL, }. O'NEILL, America and Enlightenment Constitutio nalism, Palgrave Macmillan, New York 2006, pp. 123-158.
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nuità con il passato coloniale, esso doveva trarre forza e autorità dalla solidità sociale degli interessi proprietari. In questo senso, come testo scritto che sanciva giuridicamente e fissava nel tempo l’indipendenza, organizzando formalmente il nuovo governo, la Costituzione venne inserita in un discorso politico più ampio che mirava essenzialmente a scindere la formazione dello Stato americano dalle istanze democratiche della lotta per l'indipendenza, educando la gente comune (common people) alle buone maniere necessarie per vivere civilmente, con sobrietà e positiva intraprendenza sociale. Il costituzionalismo degli uomini sobri riconosceva, dunque, come la lotta per l'indipendenza avesse determinato un forte nesso tra istanze democratiche e bisogno di Costituzione, attivando un ulteriore campo di tensione, sovrapposto alla Guerra d’indipendenza e interno al fronte indipendentista, tra le diverse figure proprietarie e non proprietarie della società. Il timore strisciante dal quale emerse il costituzionalismo - timore che attraversava in modo latente tutto il pamphlet di Adams, ma che venne esplicitamente dichiarato soltanto nella sua
corrispondenza privata - era che maggioranze democratiche, piene di risentimento per la condizione di povertà, avrebbero potuto depredare i ricchi. Non c'era alcun dubbio, spiegava ancora l’autore dei Thoughts on Government, che il governo dovesse essere fondato sul consenso del
popolo, «ma in che misura andrà applicato questo principio?». Questa fu la questione politica attorno alla quale ruotò la vicenda costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria**.
47. «Una costituzione fondata su questi principi introduce conoscenza tra la gente, inspirando in loro una dignità coscienziosa che li spinge a diventare uomini liberi; una emulazione generale si afferma generalizzando il buon senso, la socialità, le buone maniere e una buona moralità. Questa elevazione del sentimento ispirato da un tale governo rende la gente comune coraggiosa e intraprendente [...], sobria ed elegante», J. ADAMS, Pensieri sul governo, cit., p. 57. Ivi, p. 52. Per la citazione vedere la lettera di John Adams a James Sullivan, 26 maggio 1776, in The Works ofJohn Adams, Books for Libraries Press, vol. 9, New York 1969, pp. 375-378, ove anche egli scriveva: «Non ci sarà limite ad esso. Nuove 48.
rivendicazioni saranno avanzate, le donne chiederanno il voto, i giovinetti dai dodici ai ventuno anni penseranno che non si presta abbastanza attenzione ai loro diritti; € ogni uomo squattrinato chiederà di avere voce in capitolo come ogni altro, in tutti gli atti dello Stato. Ciò tende a confondere e distruggere tutte le distinzioni e ad abbattere ‘ogni gerarchia in un unico livello comune».
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Un governo democratico
A Filadelfia, dall’aprile al maggio del 1776, a fianco del Popular Party, che Adams aveva etichettato con disprezzo democratic party, Paine sostenne la campagna per convocare una convenzione alla quale aftidare il compito di scrivere una nuova Costituzione. Il Popular Party era guidato da uomini di modesta ricchezza, in precedenza esclusi dal
governo della colonia, che avevano però acquisito un certo peso politico dall’inizio dello scontro militare grazie al loro impegno nella milizia popolare. Con un ampio sostegno popolare, essi superarono
la strenua opposizione dell’élite quacchera e proprietaria, ma dovettero affrontare ricchi mercanti e proprietari che sostenevano la Guerra d’indipendenza guardando, però, con crescente sospetto alle aspettative democratiche aperte dalla Rivoluzione. La Pennsylvania rivoluzionaria fu, in tal senso, un banco di prova decisivo per la sfida democratica contro coloro che volevano moderare il processo costituente delegando il potere agli individui più saggi e istruiti. La sua vicenda costituzionale assunse particolare importanza nel quadro nazionale della Rivoluzione perché, nonostante la risoluzione con la quale il Congresso continentale aveva soppresso l’autorità della corona inglese, l'opposizione dell’élite coloniale aveva reso necessario un forte coinvolgimento delle milizie popolari, composte dalle figure sociali che fino a quel momento erano state escluse dal governo. Questo spiega non soltanto perché in Pennsylvania le aspettative democratiche fossero più avanzate rispetto a quelle delle altre colonie, ma anche perché dalla vicenda costituzionale di questo Stato emerse il cosiddetto gruppo di «nazionalisti», un gruppo di mercanti che, come vedremo, contribuì in modo decisivo alla costruzione dell’Unione continentale, della sua nervatura fiscale e militare nei primi anni Ottanta, quando l’esito della Guerra d’indipendenza era ancora fortemente in bilico*.
49.
L.H. BUTTERFIELD
(ed.), Diary and Autobiography of John Adams, cit., vol. 3,
Pp. 330-331. Anche Paine sferrò una decisiva critica all’opposizione quacchera alla Guerra d'indipendenza, rivendicando l’uso delle armi per conquistare l'indipendenza, nell’appendice pubblicata nella seconda edizione di Common Sense. Sull’importanza della Pennsylvania rivoluzionaria nel quadro generale della rivoluzione, s. ROSSWURM, Arms, Country, and Class. The Philadelphia Militia and “Lower Sort” during the American Revolution, 1775-1783, Rutgers University Press, London 1987. Sui nazionalisti, ).E. FERGUSON, The Nationalists of 1781-1783 and the Economic Interpretation ofthe Constitution, in «The Journal of American History», n. 2, 1969, pp. 241-261.
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Il processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria prese avvio con il forte gesto politico del rovesciamento dell’antica assemblea legislativa coloniale, istituita dalla Royal Charter concessa da re Carlo Ii nel 1681 a William Penn. La maggioranza dell'assemblea, costituita dall’alleanza tra l’élite proprietaria coloniale e gli esponenti quaccheri, aveva continuamente bloccato il pronunciamento in favore dell’indipendenza, sostenendo l’ipotesi della conciliazione. Per questo, nelle Four Letters on Interesting Subjects, pubblicate tra maggio e luglio del 1776, Paine intervenne con forza a sostegno della convocazione di una
convenzione popolare, spiegando che la Guerra d'indipendenza imponeva di pensare la Costituzione non come la concessione di un monarca, né come il lavoro di una minoranza, piuttosto come un atto di tutti (act ofall). Ovvero come gesto politico in grado di abolire i titoli di barone e proprietario che strutturavano la colonia, rendendo così incontrovertibile il principio democratico di uguaglianza per cui ognuno (every man) era legittimato a prendere parte alla politica in quanto uomo e non in quanto proprietario: come Paine scrisse in risposta al loyalist William Smith, illustre accademico e preside del Collegio di Filadelfia, il popolo aveva a disposizione «un foglio bianco sul quale scrivere»?°. Alla fine di maggio, i leader del Popular Party riuscirono nell’impresa di convocare una convenzione popolare nella quale «gli uomini ricchi» non ebbero la maggioranza. Nell’ultima delle Four Letters, pubblicata anonimamente il 2 luglio con l’intento di influenzare la commissione incaricata di redigere la Costituzione, Paine prese posizione
contro la divisione della rappresentanza in una Camera Alta e una Bassa sul modello costituzionale inglese. Seguire l'ipotesi sostenuta da John Adams nei suoi Thoughts on Government, ovvero affermare che un’assemblea legislativa unica avrebbe emanato delle leggi arbitrarie era profondamente sbagliato. A suo modo di vedere, la divisione della rappresentanza rischiava di determinare una consuetudine politica per cui gli interessi minoritari organizzati in fazioni avrebbero bloccato la volontà della maggioranza. L'esercizio legittimo del potere legislativo non derivava dal sistema di controllo reciproco tra Camere separate e governo con potere di veto, bensì da «alcuni principi permanenti» che stabilivano il limite costituzionale oltre il quale il legislativo non poteva andare: il diritto alla rappresentanza, la libertà di coscienza, la 50. T. PAINE, Fours Letters on interesting Subjects, n. 3, in G.s. woop (ed.), Common Sense and other Writings, cit., pp. 72-80; T. PAINE, Letter to Cato, pubblicato in «Penn‘sylvania Journal», 10 aprile 1776, in CW, cit., vol. 2, p. 82.
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sicurezza della persona contro imprigionamenti ingiusti e il diritto al
giusto processo”. Paine delineò in questo modo una concezione della Costituzione e del governo attraverso rappresentanza, che rispondeva positivamente alle istanze democratiche aperte dalla Rivoluzione: la nuova Costituzione attribuiva il diritto di voto a coloro che pagavano le tasse indipendentemente dalla proprietà posseduta, non prevedeva alcun potere di veto del governo, stabiliva l'elezione annuale dell’unica assemblea legislativa in modo da garantire un controllo popolare del governo quanto più efficace possibile. Sebbene escludesse le richieste più estreme, negando il voto a chi era servo a contratto e rifiutando la proposta di attribuire al legislativo il potere di limitare l’accumulazione di grandi proprietà, la Costituzione del 1776 divenne comunque il baluardo democratico
della Rivoluzione americana. Tuttavia, la sua stesura consolidò una forte fazione contraria al testo costituzionale, organizzata nella Republican Society, alla quale parteciparono attivamente esponenti molto importanti dell’élite mercantile, come Robert Morris, James Wilson e
Benjamin Rush”. Nel 1777, l'attacco alla Costituzione venne condotto in particolare
da quest’ultimo con il pamphlet Observations upon the Present State of the Government of Pennsylvania. Rush scrisse che il popolo nel suo complesso (people at large) aveva preteso di controllare l'assemblea legislativa in base a quel nefasto principio rivoluzionario secondo il quale «gli uomini sono tutti parimenti saggi e giusti e hanno la stessa quantità di tempo libero a disposizione». La Costituzione aveva in questo senso stabilito un «ordine democratico» perché l’assenza del potere di veto da parte del governo, l'ampliamento del suftragio e l’elezione annuale dell’unica assemblea avevano concentrato un «potere assoluto e incondizionato» nel legislativo, che veniva così continuamente influenzato dalla volontà popolare. Per uscire dalla situazione di disordine determinata dal fatto che la legge era in mano alla mutevole volontà popolare, egli propose dunque di convocare una convenzione per riformare la 51.
Ip. Four Letters, n. 4, cit.; p. 78.
52. Lo stesso Paine aveva espresso opinione contraria all'attribuzione del diritto di voto ai servi a contratto e a quella che veniva definita legge agraria contro l’accumulazione di ingenti proprietà, in Address to the People of Pennsylvania on the Present State of their Affairs, 1 dicembre 1778, e Letter to Cato, n. 3, in CW, cit., vol. 2, pp. 87 e 287. Per una ricostruzione dettagliata del contributo di Paine nel processo costituente
della Pennsylvania rivoluzionaria, E. FONER, Tom Paine and Revolutionary America, CIt., pp. 107-144.
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Costituzione, con l’obiettivo di stabilire un meccanismo di «delega del potere» secondo un preciso criterio politico: la disuguaglianza naturalmente determinata dal commercio. Diversamente da Adams, Rush non provò alcun imbarazzo ad ammettere esplicitamente il timore che lo attanagliava, quando scrisse che era necessario evitare che la maggioranza agisse legalmente in favore dell’eguale distribuzione delle proprietà. A suo modo di vedere, «la costituzione [...] presuppone un’uguaglianza perfetta e un'equa distribuzione della proprietà, della saggezza e della virtù tra gli abitanti dello Stato». Per questo, propose di riconoscere politicamente che «maggiori livelli di operosità, capacità e commercio hanno introdotto l’ineguaglianza nella proprietà». Nel quadro dello scontro politico aperto dalla Rivoluzione, il contributo di Rush e, in generale, della Republican Society fu dunque approfondire e realizzare quanto sostenuto nei Thoughts on Government. Nel processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria, il costituzionalismo degli uomini sobri intese affermare il consenso come principio fondante il nuovo governo, ma ritenne indispensabile ridimensionarne la portata democratica attraverso una Costituzione capace
di salvaguardare in ambito decisionale uno spazio decisivo per coloro che stavano accumulando proprietà attraverso il commercio. Così, il
costituzionalismo scomponeva il popolo in diverse figure seguendo le linee gerarchiche della società, per ricomporlo in una finzione giuridica
che legittimava la fondazione del nuovo Stato, ma non operava continuamente per la definizione del governo e delle sue politiche: «Tutto il potere deriva dal popolo [...] ma non era stato ancora mai detto che tutto il potere risiede nel popolo»?4. In risposta alla campagna politica lanciata dalla Republican Society, Paine pubblicò una serie di lettere To the People of Pennsylvania
53.
B. RUSH, Observations upon the Present State of the Government of Pennsylvania,
Steiner & Cist, Philadelphia 1777, pp. 4, 9, 15. ID., To Anthony Wayne, 19 maggio e 14 settembre 1777, in L.H. BUTTERFIELD (ed.), Letters ofBenjamin Rush, Princeton University Press, Princeton 1951, vol. 1, p. 240. Rush (1745-1813), scrittore e fisico, fu firmatario della
Declaration of Independence. Sebbene fosse molto vicino a Paine, nella disputa sulla Costituzione della Pennsylvania prese una posizione contraria a quella dell’autore di Common Sense. Il costituzionalismo di Adams era per lui un imprescindibile punto di riferimento. Si rimanda a A. BRODSKY, Benjamin Rush: Patriot and Physician, Yruman Talley Books, New York 2004. 54. B. RUSH, Observations, cit., p. 15. Sulla sovranità popolare come finzione giuridica nel mondo anglosassone, E.s. MORGAN, Inventing the People: the Rise of Popular Sovei reignty in England and America, Norton, New York 1989.
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in difesa della Costituzione del 1776, rifiutando in maniera drastica il
costituzionalismo degli uomini sobri. In A Serious Address del dicembre 1778, egli affermò esplicitamente che le pretese dell’élite mercantile andavano rigettate. A suo parere, poiché la libertà politica era «inseparabile dall'uomo in quanto uomo», non era possibile riformare la Costituzione partendo dal presupposto secondo il quale chi era povero non aveva sufficiente capacità di giudizio per accedere al suffragio. Non era neanche possibile accettare l'istituzione di una seconda Camera legislativa, qualora questa fosse stata costituita con l’obiettivo politico di vanificare la conquista democratica per eccellenza, ovvero «che l’orientamento della maggioranza è l'orientamento del governo». In modo inequivocabile Paine scrisse: Concepite una costituzione con simili distinzioni di diritti, che espella i poveri o li faccia ritirare in altri Stati, e i ricchi riempiranno subito i loro posti divenendo essi stessi poveri, poiché dove non c'è nessuno che lavora e soltanto pochi che consumano la terra e la proprietà non ci sono ricchezze”.
La Pennsylvania rivoluzionaria venne dunque segnata da un aspro scontro politico interno al fronte indipendentista, una serrata competizione per definire la Costituzione alla luce delle istanze democratiche radicate nella Guerra d'indipendenza. Questo scontro non evidenziava tanto il paradossale rovesciamento delle posizioni politiche, per cui la fazione democratica rifiutava la richiesta di convocare la convenzione e lasciare il popolo libero di giudicare nuovamente la Costituzione. Piuttosto, rendeva evidente il carattere strumentale assunto tanto dal costituzionalismo della Republican Society, quanto dal discorso politico democratico del Popular Party. Entrambe le fazioni facevano appello alla sovranità popolare, ma il nuovo Stato libero e indipendente sembrava, per dirla con Montesquieu, «un guscio vuoto», il cui significato era materialmente determinato dai rapporti di forza che segnavano la società nella sua espansione commerciale. La sfida democratica lanciata dai partigiani di Common Sense diventava dunque una scommessa di parte e il costituzionalismo dei suoi nemici appariva quale antitesi altrettanto parziale. Come emerge chiaramente da una lettera privata che 55.
T. PAINE, A Serious Address, nn. 1 € 2, in cW, cit., vol. 2, pp. 282, 286, 291. Per una
ricostruzione del dibattito dal 1777 al 1779 sulla possibilità di istituire una seconda Camera, si rimanda a G.s. woop, The Creation of the American Republic, 1776-1787,
University of North Carolina Press, Chapel Hill 1969, pp. 236-251.
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Paine scrisse a Henry Laurens nella primavera del 1788, nello scontro politico aperto dalla Rivoluzione non era in gioco semplicemente la fondazione del governo sulla base del «nuovo sistema della rappresentanza». Attraverso la rappresentanza, in ballo era anche la posizione dominante nella società, ovvero la possibilità per le forze economiche e le diverse figure della mobilitazione popolare di determinare a proprio vantaggio il processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria: La principale classe utile di cittadini sono gli agricoltori e i coltivatori [...]. Seguono i diversi ordini di fabbricanti e artigiani [...]. Dopo ancora vengono quelli che si chiamano mercanti e negozianti. Essi sono utili, ma non fondamentali. Non producono nulla a differenza di quanto fanno le prime due classi, ma impiegano il proprio tempo scambiando una cosa con un’altra e
vivono dei profitti”. Lo scontro politico terminò in un primo momento in favore dei leader del Popular Party che rigettarono la richiesta di riformare la Costituzione. Paine contribuì dunque alla democratizzazione dell’architettura concettuale e istituzionale che aveva sorretto lo Stato britannico nella sua proiezione imperiale. Tuttavia, nella seconda metà degli anni Ottanta, lo scontro politico tornò aspro e cruento finché, dopo la ratifica della Costituzione federale del 1787, l'élite mercantile riuscì a imporre
un clima favorevole alla riforma della Costituzione della Pennsylvania. La Costituzione riformata del 1790 limitò il suffragio al censo, istituì una seconda Camera, allungò la durata dell'assemblea legislativa e attribuì il potere di veto al governo. In questo senso, possiamo dire che la Costituzione federale inaugurò il successo politico del costituzionalismo americano, un successo nazionale e internazionale che sarebbe stato
definito eccezionale per ordine e linearità della sua affermazione consensuale, ma che, invece, aveva avuto un'origine incerta e conflittuale”. 56.
T. PAINE, Letter to Henry Laurens, scritta probabilmente nella primavera del 1778,
venne pubblicata nel «New York Public Advertiser» e nel «Philadelphia Aurora», 3 giugno 1807, in Cw, cit., vol. 2, p. 1142; MONTESQUIEU, Lo Spirito delle leggi, cit., pp. 168-169. 57. Sulla discontinuità tra Dichiarazione d'Indipendenza, prime Costituzioni statali
e Costituzione federale, n. LuTZ, Popular Consent and Popular Control. Whig Political Theory in the Early State Constitution, Louisiana State University Press, Baton Rouge 1989. Sulla contemporaneità del rapporto storico tra democrazia e Costituzione federale si veda s.s. woLIN, The Presence of the Past. Essays on the State and the Constitution, John Hopkins University Press, London 1989.
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Quando risposero all’autore di Common Sense, John Adams e Benjamin Rush mirarono alla formazione di unÈélite politica e sociale legittimata a governare sulla maggioranza, nonostante l’incontestabile affermazione della sovranità popolare. In questo senso, contribuirono alla definizione del costituzionalismo come quadro teorico e politico
complessivo, adeguato alla comprensione, dunque all'accettazione delle gerarchie della società e delle disuguaglianze determinate dall’espansione commerciale. In questo quadro venne collocata la stesura della Costituzionale federale. Come mostrarono dieci anni dopo i Federalist
Papers, il costituzionalismo emergente dalla Rivoluzione riconosceva
che il popolo non era immediatamente unito, piuttosto era attraversato e diviso al suo interno dalle forze economiche e popolari che erano coinvolte nella Guerra d’indipendenza. Queste forze erano mosse da passioni e interessi spesso in contrapposizione tra loro perché risul-
tanti dal possesso e dal non possesso della proprietà. Per legittimare la fondazione dello Stato libero e indipendente, il costituzionalismo dovette allora ricostruire il popolo sovrano come finzione giuridica, delineando nel contempo unlite politica e sociale alla quale affidare la funzione del governo, con il compito di preservare l'ordine della società secondo un determinato assetto proprietario. La Costituzione venne
in questo senso intesa come risultante complessiva delle diverse forze indipendentiste, che coesistevano all’interno di gerarchie determinate dall’espansione commerciale. È importante sottolineare, però, non tanto l’origine incerta e con-
flittuale del costituzionalismo, elaborato per contrastare le aspettative democratiche, quanto il motivo sociale che mosse lo scontro politico nel quale Paine venne coinvolto, ovvero una conflittualità che investiva la società nella sua espansione commerciale. Il timore di una parte del fronte indipendentista era che l'ampliamento del suffragio potesse avere una valenza distruttiva non soltanto del governo, ma anche della società nel suo rapporto con il governo. Nella Pennsylvania rivoluzionaria, le diverse figure della mobilitazione popolare vedevano infatti nella difesa della Costituzione del 1776 la possibilità di assicurare la funzione di go-
verno alla maggioranza per attuare politiche che rispondessero alla loro 58.
«Le fonti più comuni e durature di faziosità sono, tuttavia, fornite dalla varia 0
ineguale distribuzione di ricchezze. Coloro che possiedono e coloro che non hanno proprietà hanno sempre costituito i contrastanti interessi della società», 1. MADISON,
Federalista, n. 10, in A. HAMILTON, J. MADISON, J. JAY, Il Federalista, il Mulino, Bologna 1964, p. 191,
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condizione di povertà, attraverso la regolamentazione del commercio e il controllo dei prezzi. Per questo, quando nel dicembre 1778 fu sconfitto
l’ultimo tentativo di riformare la Costituzione, l'élite mercantile spostò l’attenzione dal piano politico e costituzionale alla dimensione sociale ed economica, avviando una battaglia per il libero commercio: poiché il successo della sfida democratica - con la semplificazione istituzionale del governo, l'ampliamento del suffragio e la conseguente supremazia dell'assemblea legislativa - comportava un eccessivo e costante intervento politico che metteva in discussione il libero commercio e il diritto di proprietà, era necessario fissare un limite preciso all’azione del governo. La tensione tra democrazia e costituzionalismo lasciò dunque spazio a un ulteriore terreno di confronto che chiamava in causa il problematico rapporto tra società e governo. Come Paine scrisse
con rammarico e preoccupazione, facendo riferimento non soltanto alla Pennsylvania rivoluzionaria, «la società era precipitata; ogni mano dell’uomo sembrava essere contro quella del suo fratello»??.
3.
SOCIETÀ
E GOVERNO
Non c'è negli Stati Uniti un gruppo di uomini che hanno più offeso la causa generale, o commesso più atti di ingiustizia contro l’intera comunità, di coloro che sono conosciuti con il nome di monopolizzatori. Non c'è altro corpo di uomini, il cui business e intelligenza, la cui conoscenza domestica ed estera e il cui interesse particolare siano intimamente e necessariamente connessi con la prosperità
generale del paese. Intendo dire i mercanti®°.
Nell’aprile del 1777 dopo essere stato al seguito dell'esercito continentale, Paine venne nominato segretario del Comitato per gli Affari Esteri del Congresso continentale, istituito per avviare una politica estera che assicurasse il sostegno politico, militare ed economico delle potenze europee storicamente in competizione con la Gran Bretagna e la sua
59. 60.
T. PAINE, To the People, 18 marzo 1777, in Cw, cit., vol. 2, p. 270. T. PAINE, TO THE PEOPLE OF AMERICA, in «Pennsylvania Packet», 23 gennaio 1779,
in cW, cit., vol. 2, p. 141; P. WEBSTER, Dissertation on the Political Union and Constitution of the thirteen United States of North America, which is necessary to their Preservation and Happiness (1783), in 1n., Political Essays on the Nature and Operation of Money, Public Finances and other Subjects, ). Crukshank, Philadelphia 1791, p. 216.
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proiezione imperiale, Francia e Spagna in particolare. Sorprendentemente, la proposta venne da chi aveva risposto polemicamente alla
pubblicazione di Common Sense con un pamphlet volto a placare le
aspettative democratiche aperte dalla dottrina dell’indipendenza. Al di
là delle divergenze politiche, il futuro Presidente John Adams ammirava
la capacità retorica con la quale Paine aveva argomentato la separazione dall’Impero e stava sostenendo, attraverso la serie The Crisis, le truppe impegnate in guerra, sebbene la sua nomina alla segreteria del Comitato intendesse anche distoglierne l’attenzione dalle polemiche politiche interne alla Pennsylvania rivoluzionaria. Attraverso la corrispondenza con Rush, egli sapeva infatti dell’impegno politico di Paine in difesa della Costituzione del 1776, una Costituzione che considerava come un
pericoloso precedente democratico nel quadro nazionale dell'America
indipendente®". Oltre a essere soddisfacente dal punto di vista economico, il lavoro alla segreteria del Comitato rappresentò per Paine un importante riconoscimento del suo contributo alla causa americana. Eppure, nonostante il prestigio personale acquisito, Paine non esitò a esprimere la sua
netta contrarietà verso alcune operazioni diplomatiche che servirono per procurare rifornimenti ed equipaggiamenti alle truppe americane. Nel dicembre del 1778 egli venne coinvolto nel caso Silas Deane,
dal nome dell’affarista del Connecticut che era stato inviato nel marzo del 1776 in Francia in qualità di agente commerciale nel quadro delle trattative che portarono alla stipula dell’alleanza franco-americana. Il caso diplomatico nacque dal sospetto che Deane riscuotesse una commissione per forniture che erano, invece, donazione spontanea della corte francese. La frode venne dapprima denunciata in Congresso, ma quando Deane difese pubblicamente il proprio operato sulla stampa, Paine intervenne con una serie di lettere a firma Common Sense pubblicate sul «Pennsylvania Packet» dalla fine del dicembre 1778 fino alla
primavera del 1782. Nel sostenere l’accusa di frode, egli rivelò che la corte francese aveva soccorso il Congresso continentale con generosi aiuti economici e militari fin dal 1776, suscitando così la risposta sec-
cata dell'ambasciatore francese, preoccupato per una rivelazione che
avrebbe inasprito la tensione internazionale tra Francia e Gran Breta-
gna. Per questo motivo, il 9 gennaio 1779, dopo essere stato ascoltato
61.
B. RUSH, To John Adams, 12 ottobre 1779, in L.H. BUTTERFIELD (ed.), Letters of
Benjamin Rush, Princeton University Press, Princeton 1951, VOL. 1, p. 240.
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dal Congresso per verificare la paternità degli scritti, Paine fu costretto
alle dimissioni”. L'incauta rivelazione delle relazioni diplomatiche segrete con la Francia scatenò violente critiche contro l’autore di Common Sense. Paine venne accusato di alimentare infondati sospetti sul Congresso e fu etichettato come un inglese traditore della causa americana. A queste accuse egli rispose denunciando esplicitamente il carattere fraudolento dell’intreccio tra diplomazia economica e interesse mercantile. Come scrisse ripetutamente, anche in diverse lettere private inviate al Congresso dopo essere stato destituito dall’incarico, la sua preoccupazione principale era che la fiducia popolare verso l’autorità continentale venisse incrinata dalla formazione di imprese commerciali che monopolizzavano il mercato e determinavano un aumento dei prezzi delle forniture, abusando così della funzione pubblica dei rappresentanti e degli ambasciatori del Congresso. A suo modo di vedere, questo emergeva chiaramente dai contratti commerciali che legavano Silas Deane e Robert Morris, membro del Congresso quando l’affarista del Connec-
ticut venne inviato come agente commerciale in Francia. In una lettera
indirizzata al ricco mercante di Filadelfia, pubblicata sul «Pennsylvania Packet» del 12 gennaio 1779, Paine scrisse di ritenere che «l’intero affare»
fosse «una bolla incendiaria lanciata contro il pubblico per rispondere a uno scopo mercantile e a un umore privato». La polemica politica fu,
in tal senso, indirizzata oltre il caso diplomatico e la sua penna venne puntata contro le «pericolose pratiche di monopolio» che erano state messe in atto da alcuni mercanti della Pennsylvania rivoluzionaria®?. Questo episodio non fu, dunque, un semplice caso diplomatico. La veemenza della polemica politica coinvolse alcuni protagonisti della controversia sulla Costituzione del 1776, soprattutto espresse una profonda conflittualità sociale che segnava negativamente la caotica situazione economica americana durante la Guerra d’indipendenza. I mercanti, che intrattenevano relazioni commerciali con la Francia,
operando nel quadro politico della diplomazia economica del Congresso continentale, vennero accusati di perseguire il proprio interesse e
62.
T. PAINE, To Silas Deane, in «Pennsylvania Packet», 16 febbraio 1779, in Cw, cit.,
vol. 2, p. 155.
63. ip., To the Public on Robert Morriss Address, in «Pennsylvania Packet», 12 gennaio 1779; in., To the Public on Mr. Deane% Affair, in «Pennsylvania Packet», 31 dicembre 1778; ID., Letters to the Honourable Congress of the United States, 30 marzo 1779, 3 € 21 aprile 1779, in CW, cit., vol. 2, pp. 135-139, 1170-1173.
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di aumentare così le loro ricchezze, nonostante la diffusa condizione di povertà e le difficoltà dello scontro bellico. Le loro pratiche economiche erano considerate fraudolente e ingiuste perché toglievano dal mercato beni per aumentarne il prezzo e favorivano l'esportazione di prodotti agricoli, piuttosto che la loro distribuzione nel mercato interno. Questa prassi fu all’origine di una forte e ampia mobilitazione popolare, alla luce della quale Paine abbandonò momentaneamente la propria posizione, fino a quel momento inequivocabilmente favorevole al libero commercio. In diversi numeri di The Crisis, pubblicati tra il 1777 e il 1778, egli aveva ribadito quanto precedentemente argomentato in Common Sense contro il mercantilismo britannico: «Il commercio prospera meglio quando è libero, ed è una politica debole quella che tenta di incatenarlo». Eppure, dopo le dimissioni dall'incarico diplomatico, Paine venne eletto nel Comitato Generale istituito a Filadelfia per
rispondere positivamente alla mobilitazione popolare che rivendicava la regolamentazione del commercio e il controllo dei prezzi. Questa esperienza fu significativa non tanto perché minava ulteriormente il suo prestigio politico, già notevolmente ridimensionato dal caso Silas Deane, quanto perché chiamava in causa la sua stessa concezione della società, ovverosia la convinzione che il governo non dovesse intervenire nel commercio, dal momento che la sua espansione assicurava naturalmente la reciproca soddisfazione dei bisogni individuali®*. La sua presa di posizione contro gli «uomini interessati», la dura critica nei confronti di coloro che volevano riformare la Costituzione, legando il suffragio alla proprietà, e la definizione democratica del governo come volontà della maggioranza avevano alimentato una diversa attitudine popolare verso il governo. Ciò non veniva affatto considerato un male, piuttosto era inteso come necessario per rimediare ai mali che il libero commercio causava in società. Nella caotica situazione economica della Guerra d'indipendenza, Paine sostenne questa convinzione popolare partecipando al lavoro del Comitato fino al punto di rottura rappresentato dal Fort Wilson Riot, un'insurrezione popolare che divise il Popular Party al suo interno, minando anche il consenso del quale aveva fino a quel momento goduto tra le diverse figure, contadini e 64. ID., The Crisis, nn. 2 e 6, in cw, cit., vol. 1, pp. 80, 153. Nella Letter to Joseph Reed del 18 settembre 1779, Paine scrisse che «gran parte dell'opposizione contro la quale si
scontrò nel caso Deane era derivata dal risentimento» per le sue pubblicazioni sulla
Costituzione «quando gli oppositori di questa pensavano di avere successo», in CW, cit., vol. 2, p. 1180.
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artigiani, della mobilitazione popolare. Quando i suoi leader intervennero in difesa dei mercanti, che avevano visto le loro case e botteghe assalite dalla milizia popolare, si crearono le condizioni politiche per l'ascesa politica e sociale dell’élite mercantile. Questa aveva perso sul terreno politico della riforma costituzionale, ma conquistava un ruolo decisivo nella Guerra d’indipendenza, avviando una battaglia politica per il libero commercio che aveva successo nell’attrarre nella propria sfera d'influenza alcuni leader popolari, tra i quali l’autore di Common Sense. Il suo impegno politico in favore della regolamentazione del commercio fu, perciò, del tutto estemporaneo, perché esclusivamente legato alla contingenza determinata dalla mobilitazione popolare. Eppure, la polemica che coinvolse Paine, gli altri membri del Comitato e i mercanti risultava importante per la definizione del problematico rapporto tra società e governo nella formazione dello Stato americano: alla sfida democratica che aveva scisso libertà e proprietà, rendendo il valore della libertà politica conquistata talmente assoluto da legittimare la regolamentazione del commercio, la limitazione dei prezzi e dunque la violazione del diritto di proprietà, l'élite mercantile rispose precisando il significato dell’indipendenza attraverso una definizione economica della libertà come libertà di commercio. Un pericoloso schema di monopolio Con l’inizio della Guerra d'indipendenza, il Congresso continentale dovette affrontare il problema del finanziamento delle spese militari. Per procurare armamenti e approvvigionamenti alle truppe impegna-
te nelle milizie locali e nell’esercito continentale, il Congresso fece ricorso alla stampa di carta moneta, una soluzione tanto urgente e
necessaria, quanto problematica perché produceva un deprezzamento del valore nominale della moneta in circolazione e un generale incremento dei prezzi, con la conseguenza di suscitare un forte scontento popolare al quale fecero seguito manifestazioni e insurrezioni. Venne così lanciata una campagna per il controllo dei prezzi e la regolamentazione del commercio. Le assemblee legislative degli Stati del Nord agirono per prime convocando una serie di convenzioni regionali che inizialmente ebbero l’appoggio del Congresso continentale. La prima convenzione interstatale fu convocata alla fine del 1776 nella capitale
del Rhode Island, Providence. Successivamente, i comitati degli Stati del New Hampshire, del Massachusetts, del Connecticut e del Rhode Island approvarono delle limitazioni dei prezzi che inclusero beni
112
lavorati e non, come frumento, mais, lana, scarpe e vestiario. L’anno
seguente, anche gli Stati del medio Atlantico parteciparono alla campagna, formando associazioni per la regolamentazione del commercio a York, Springfield e New Haven. Queste convenzioni, comitati e associazioni godettero di un forte appoggio popolare, soprattutto da
parte di contadini e lavoratori che puntavano alla regolamentazione
del commercio per porre un freno al loro impoverimento e all’arricchimento di quanti stavano approfittando della caotica situazione economica determinata dalla Guerra d'indipendenza. I mercanti che commerciavano con l’estero reagivano, infatti, al deprezzamento della moneta aumentando i prezzi e regolando la distribuzione in modo favorevole al proprio interesse”. A partire dal 1778, la continua emissione di carta moneta e il suo
conseguente ulteriore deprezzamento determinarono una rinnovata domanda di regolamentazione. In particolare a Filadelfia, nel pieno della disputa costituzionale che vedeva la Republican Society impegnata per ottenere la riforma della Costituzione del 1776, prese avvio una nuova mobilitazione popolare che intendeva influenzare la politica del nuovo governo, minacciando azioni politiche dirette. Nel «Pennsylvania Packet» del 10 dicembre 1778, con lo pseudonimo Mobility, uno scrit-
tore denunciò le «pratiche malvagie» dei «monopolizzatori (monopolizer)» che incoraggiavano l'aumento dei prezzi togliendo dal mercato beni di prima necessità. L'autore minacciò i mercanti, sostenendo che la gente avrebbe seguito l’esempio delle proteste che avevano segnato l'Europa settecentesca, dove i poveri «avevano sfondato i magazzini» per «appropriarsi delle scorte [...] senza pagare nulla». La mobilitazione popolare che attraversava gli Stati indipendenti attrasse subito l’attenzione dell’autore di Common Sense. Nonostante avesse espresso più volte il proprio favore nei confronti del libero commercio, in una lettera pubblicata nel «Pennsylvania Packet» del 23 gennaio 1779, Paine
sostenne esplicitamente la mobilitazione popolare, argomentando che la necessità di finanziare la guerra e provvedere alle truppe attraverso l'emissione di una quantità ingente di carta moneta aveva determinato una situazione allarmante per la popolazione e allettante per coloro che definiva con disprezzo «monopolizzatori». A suo modo di vedere, costoro stavano unendo le loro pratiche economiche in una «causa co-
65. R. MORRIS, Government and Labor in Early America, Harper & Row, New York 1946.
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mune»: parlavano di «giustizia», ma si lamentavano «in modo patetico»
degli stessi mali che stavano creando‘.
Questa forte presa di posizione anticipò quanto sarebbe accaduto
nella primavera successiva, quando la milizia locale di Filadelfia prese la guida della mobilitazione popolare. Il 12 maggio, la Prima Compagnia dell’Artiglieria presentò un memoriale all'assemblea cittadina nel quale passava in rassegna e criticava l'aumento dei prezzi che aveva avuto
luogo a partire dal 1776, facendo esplicito riferimento alla possibilità di un'azione popolare diretta. In seguito al montare della minaccia di violenza, il 25 maggio Paine e gli altri leader del Popular Party convocarono un raduno pubblico nel corso del quale venne istituito un comitato generale con il compito di sorvegliare i traffici dei mercanti, controllare i prezzi ed elaborare un piano per la loro effettiva riduzione. Il generale della milizia Daniel Roberdau venne nominato alla presidenza del comitato dopo aver arringato la folla in questo modo: «Non ho dubbi che i mercanti si siano associati per alzare i prezzi dei beni e delle forniture militari, la comunità deve difendersi e ha il diritto naturale
di contrastare questi cartelli [...] stiamo infatti diventando sempre più poveri». Il comitato venne concepito come «un potere discrezionale
dei cittadini organizzati [...] per risolvere mali temporanei». Nel primo documento ufficiale, imembri del comitato, fra i quali c'era anche Paine, denunciarono duramente che il «libero commercio» (free trade) aveva di fatto implicato «un diritto di estorcere [un prezzo più alto] e un potere di rafforzare questa estorsione». Per i mercanti, «la libertà di commerciare» aveva significato «libertà di estorcere», di «aumentare»
in questo modo il profitto e «monopolizzare» il mercato. Il documento terminò con una netta presa di posizione contro queste pratiche econo-
miche, considerate contrarie «ad ogni principio sul quale è fondata la società e il governo civile». A loro modo di vedere, il libero commercio negava la libertà conquistata con l'indipendenza: Se per lasciare che il commercio regoli se stesso l’intera comunità viene impoverita, emergono dubbi sulla fiducia pubblica e le capacità degli Stati vengono ridotte e indebolite, allora è tempo di affrontare la questione seriamente”.
66. T. PAINE, To the People of America, in CW, cit., vol. 2, pp. 141-143; MOBILITY, «Pennsylvania Packet», 10 dicembre 1778. °67.
«Pennsylvania Packet», 29 giugno 1779; 10 settembre 1779.
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Il comitato non elaborò soltanto un piano per la riduzione dei prezzi. Come mostravano le sue risoluzioni pubbliche e le polemiche condotte a mezzo stampa da alcuni mercanti, in particolare, ancora una volta, quel Robert Morris che era stato chiamato in causa dallo stesso
Paine nel caso Silas Deane, esso svolgeva una vera e propria attività di
indagine con l’audizione dei mercanti che gestivano il commercio con l’estero, il controllo delle loro esportazioni e la requisizione dei carichi
che venivano lasciati invenduti nei loro magazzini. La convinzione che
giustificava questa attività venne ripetutamente espressa in modo netto
e chiaro: il commercio con l’estero era nelle mani di pochi mercanti che stavano approfittando della Guerra d'indipendenza per «assumere un comando discrezionale sulle possibilità economiche degli altri cittadini», che non potevano procurarsi in altro modo i beni necessari se non pagando il prezzo da loro imposto. Poiché queste erano le conseguenze inattese del libero commercio, nella particolare situazione economica della guerra le misure che regolamentavano il commercio e limitavano i prezzi non erano affatto ingiuste e non andavano considerate una violazione della proprietà®*. Sebbene fosse stato costituito come potere discrezionale e temporaneo che, proprio per questo, poteva agire con maggiore rapidità e
flessibilità rispetto al quadro istituzionale e giuridico delineato dalla Costituzione, nell’intenzione dei suoi promotori il comitato doveva comunque mantenere un profilo istituzionale, doveva cioè agire per conto di coloro i quali, a capo delle milizie, guidavano la mobilitazione popolare in modo che questa non sfociasse in azioni violente, dirette all’espropriazione della proprietà mercantile. In altre parole, il comitato doveva svolgere una funzione rappresentativa che serviva da mediazione tra le forze economiche e popolari. La posta in palio era in tal senso alta; andava oltre la questione economica della regolamentazione del commercio. Non era in gioco soltanto la Costituzione del 1776, perché un eventuale attacco alla proprietà avrebbe confermato le
critiche avanzate dalla Republican Society. Considerata la dimensione
68.
The Philadelphia Committee to Robert Morris, in «Pennsylvania Packet», 8 e 24
luglio 1779; Robert Morris to Timothy Matlack, David Rittenhouse, Jonathan B. Smith,
Thomas Paine, Charles W. Peale, in «Pennsylvania Packet», 26 giugno e 31 luglio 1779. Morris sospettò che l’azione del comitato nei suoi confronti fosse dovuta alle opinioni da lui espresse contro la Costituzione della Pennsylvania, in «Pennsylvania Packet», 7 luglio 1779. Per una ricostruzione dettagliata del ruolo di Paine nel Comitato, E. FONER, Tom Paine, cit., pp. 145-182.
PAINE E LA RIVOLUZIONE
DEL 1776
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interstatale della campagna per la limitazione dei prezzi, in ballo era la stessa tenuta del fronte indipendentista: per un verso, le forze economiche avevano un ruolo indispensabile nel reperire e distribuire forniture e approvvigionamenti alle milizie; per l’altro, queste erano protagoniste della mobilitazione popolare che sosteneva la campagna per la regolamentazione. Questo delicato equilibrio tra le forze economiche e la mobilitazione popolare si incrinò nell’ottobre del 1779 quando, dinanzi alla dura opposizione mercantile, il comitato rallentò la sua azione di indagine e requisizione delle scorte. La stessa mobilitazione popolare stava diminuendo a causa della divisione interna tra i gruppi rurali, che rivendicavano una maggiore diminuzione dei prezzi, e gli artigiani dei centri urbani che iniziavano a dubitare della convenienza della regolamentazione. La situazione precipitò il 4 ottobre quando, nonostante il tentativo di mediazione di alcuni membri del comitato, un reggimento delle milizie, riunito presso la Burn Tavern di Filadelfia, scese per le strade della città con la minacciosa intenzione di assalire la casa e il magazzino di James Wilson, ricco mercante che faceva parte della Republican Society e futuro giudice della Corte Suprema. Come scrisse Rush, lo scontro a fuoco tra milizie e mercanti versò per la prima volta «il sangue fraterno». Sette furono i morti, diciannove i feriti. L'azione della milizia venne bloccata dal repentino intervento della truppa statale guidata da Joseph Reed, presidente dell'Assemblea legislativa della Pennsylvania®9. La decisione della milizia popolare di abbracciare le armi contro la mancata approvazione delle sue richieste determinò una profonda frattura tra i diversi gruppi rurali e artigiani che animavano la mobi-
litazione popolare e il Popular Party. Il 10 ottobre, l’Assemblea statale adottò una risoluzione per assicurare «la soppressione di tutti i raduni pericolosi e disordinati, il ripristino della pace, del buon ordine e della dovuta obbedienza al governo, dal quale dipendono la libertà, la felicità e la sicurezza dei cittadini dello Stato». Anche i membri del comitato 69.
B. RUSH, To John Adams, 12 ottobre 1779, in L.H. BUTTERFIELD (ed.), Letters of
Benjamin Rush, cit., vol. 1, 240. Per una dettagliata descrizione degli eventi del 4 ottobre e della seguente affermazione dei mercanti alla guida del governo statale, s. ROSSWURM, Arms, Country and Class, cit., pp. 203-247. James Wilson (1742-1798) fu firmatario della
Declaration of Independence, venne eletto per due volte al Congresso continentale e svolse un ruolo significativo nella convenzione nazionale di Filadelfia che redasse la Costituzione federale del 1787. Le sue conoscenze giuridiche e costituzionali vennero messe a valore nella Corte Suprema, alla quale venne nominato nel 1789 dal Presidente
° Washington.
116
condannarono duramente il Fort Wilson Riot. Lo stesso Paine prese nettamente posizione contro l'insurrezione in una lettera pubblicata nel
«Pennsylvania Packet» il 16 ottobre 1779, accusando la milizia di aver agito con troppo zelo e imprudenza, «senza alcun consenso e autoriz-
zazione». Con estremo rammarico, Paine scrisse che Wilson non godeva del favore popolare, ma non per questo andava considerato come un nemico. A suo modo di vedere, l'insurrezione avrebbe alimentato la «gioia maligna» dei veri nemici dell’America indipendente, quegli inglesi che speravano di vedere il fronte indipendentista soccombere a causa delle sue stesse divisioni interne. Una simile azione popolare minava l’autorità del governo e disgregava lo Stato perché era «incostituzionale e prepotente». Le diverse forze del fronte indipendentista avrebbero dovuto fare «opportunamente appello al potere civile», senza ricorrere alla forza”. L’insurrezione segnò dunque il punto più alto della conflittualità sociale della Pennsylvania rivoluzionaria, individuando il limite costituzionale oltre il quale non era possibile andare, quello stabilito dal libero godimento del diritto di proprietà. La prova di forza della milizia popolare evidenziò, inoltre, la difficoltà politica di coniugare la sfida democratica lanciata dalla dottrina dell’indipendenza con una concezione della società che non prevedeva l’intervento del governo nella regolamentazione del commercio. La partecipazione popolare alla guerra rese in questo senso urgente discutere su come garantire effettivamente il libero commercio e il diritto di proprietà nel nascente Stato americano. A questa urgenza risposero i mercanti, lanciando
una battaglia per il libero commercio attraverso la quale riuscirono a imporre un clima favorevole alla loro affermazione come élite politica e sociale non soltanto nella Pennsylvania rivoluzionaria - dove conquistarono la maggioranza all’elezione dell’Assemblea statale dell’ottobre del 1780 - ma anche su scala nazionale, prendendo il controllo del Congresso continentale, che fino ad allora aveva appoggiato le diverse campagne locali e interstatali per la regolamentazione del commercio.
70.
«Pennsylvania Packet», 16 ottobre 1779, pubblicato in E. FONER (ed.), Paine. Col-
lected Writings, The Library of America, New York 1995, pp. 218-221. La risoluzione
dell’Assemblea statale venne pubblicata sul «Pennsylvania Packet», 12 ottobre 1779.
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DEL 1776
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Libertà, libero commercio e interesse mercantile
Nel 1776, quando erano deputati del Congresso continentale, James Wilson e Benjamin Rush dichiararono tutte le loro perplessità verso la regolamentazione del commercio, chiarendo un punto di vista che prevalse soltanto con la clausola del commercio interstatale della Costituzione federale del 1787. A loro modo di vedere, poiché avevano una portata e uno scopo «continentale», i progetti di regolamentazione del commercio richiedevano l’approvazione del Congresso. Ancora più esplicitamente, Rush accusò i comitati locali e le convenzioni interstatali di usurpare l’autorità continentale. Come vedremo, questa accusa divenne la questione principale che venne introdotta dalla battaglia politica per il libero commercio: liberare la società dalla regolamentazione del commercio richiedeva la costruzione di un’ Unione continentale più forte sotto il profilo della sovranità politica e dell’autonomia economica”. Alla fine dell’agosto del 1778, per respingere l’azione del comitato di Filadelfia, i mercanti della capitale della Pennsylvania, tra cui spiccava il nome di Robert Morris, pubblicarono un «memoriale» nel quale espressero tutta la loro preoccupazione per una regolamentazione del commercio che metteva a rischio l’ Unione politica degli Stati indipendenti. A loro modo di vedere, le misure economiche delle diverse convenzioni e associazioni statali e interstatali stavano determinando
forti tensioni non soltanto tra le forze indipendentiste, ma anche tra gli stessi Stati, le cui assemblee legislative erano chiamate dalla mobilitazione popolare a difendere gli interessi particolari delle province a discapito della causa nazionale. Il memoriale intendeva in questo senso superare le discordie private e locali nella convinzione che fosse necessaria una «unione di tutti i ranghi» della società per sostenere politicamente ed economicamente la guerra. Pur conoscendo quanto
fosse diffuso «l’odio popolare» nei loro confronti, i mercanti rivendicarono con forza il loro contributo alla causa americana, ricordando che avevano garantito generi di prima necessità quando l’esercito britannico aveva occupato Filadelfia tra la fine del 1777 e l’inizio del 1778. Soprattutto, argomentarono che «la limitazione dei prezzi» era «ingiusta
per principio» perché invadeva «i diritti di proprietà costringendo una persona ad accettare meno di quanto sarebbe stato possibile in cambio
%1.
wc. FORD (ed.), Journal of Continental Congress, cit., vol. 7, pp. 87-97.
118
dei suo beni». In tal senso, il memoriale non rappresentò soltanto una difesa dell’operato dei mercanti, costituì anche il primo tentativo di affermare il loro interesse presentando una specifica concezione della libertà come libertà economica: È vero che i mercanti sono mossi dall'amore per il guadagno, ma qualsiasi sia la causa, di certo l’effetto è quello di alleviare i bisogni della gente. [...] Non si può inoltre negare che la speranza del guadagno stimola il profitto dei mercanti come di altre persone”.
L’amore per il guadagno venne posto al cuore non soltanto della libertà personale, ma anche del benessere del popolo e della ricchezza della società, così da poter giustificare il libero commercio non soltanto perché più efficiente, ma anche perché più giusto di ogni piano di limitazione dei prezzi e regolamentazione del commercio. I mercanti attribuirono dunque all’interesse personale un valore universale per rivendicare, in questo modo, la loro supremazia nella società. Conseguentemente, reclamando un ruolo guida nella situazione economica della guerra, aspirarono alla leadership politica del nascente Stato americano. Questa aspirazione venne espressa con estrema chiarezza da Pelatiah Webster, uno dei firmatari del memoriale. Nella serie di Essays on Free Trade and Finance, pubblicati tra l’estate del 1779 e l’inizio del 1780, con una
retorica potente e brillante, egli catturò l’attenzione dei mercanti esplicitando quale fosse la loro comprensione dell’indipendenza: «Lasciate che il commercio sia libero come l’aria [...] lasciate ogni uomo gustare le dolcezze della libertà della persona e della proprietà, perché è quello che ogni uomo esige da un governo indipendente». Il diritto di proprietà e il libero commercio definirono in questo senso non soltanto la cifra assoluta della libertà conquistata con l’indipendenza, ma anche il fondamento della società e della sua espansione commerciale. A suo modo di vedere, qualsiasi «restrizione di proprietà o limitazione del prezzo» avrebbe prodotto scarsità di beni, ogni uomo avrebbe portato sul mercato «quanti meno beni» poteva perché sarebbe stato «danneggiato da ogni vendita che faceva per meno di quello che avrebbe potuto ottenere in un libero mercato». Per protestare contro la regolamentazione del commercio e la limitazione dei prezzi, Webster sostenne che
il libero commercio massimizzava la produzione e la distruzione dei
72.
«Pennsylvania Packet», 10 settembre 1779.
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DEL 1776
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beni, garantendo alla società quelle risorse indispensabili per proseguire vittoriosamente la Guerra d'indipendenza. La libertà personale fu così definita in termini economici e l’interesse privato venne legato indissolubilmente al benessere pubblico: «La libertà del commercio, o l’irrefrenabile libertà del soggetto di possedere o disporre della sua proprietà come meglio crede, è assolutamente necessaria alla prosperità di ogni comunità, e alla felicità di ogni individuo»? La mobilitazione popolare per la regolamentazione del commercio forzò i mercanti a elaborare una concezione economica della libertà individuale più approfondita e coerente di quanto fosse stato fatto in precedenza per contrastare la politica mercantilista del governo britannico nella sua proiezione imperiale. L'obiettivo era innanzitutto quello di rigettare l’accusa di costituire una parzialità malevola per la causa generale dell'America indipendente. Per questo, essi presentarono l’interesse privato come un principio naturale del comportamento umano
che, come tale, non contraddiceva il bene pubblico, piuttosto era la chiave per garantire il benessere collettivo del popolo e la ricchezza della società. Diversamente da quanto sostenuto dalla storiografia cosiddetta repubblicana, in seguito alla conflittualità sociale che accompagnava la Guerra d'indipendenza, si affermava una profonda attitudine liberale verso società e commercio che rigettava la nozione di bene pubblico in favore del primato dell’interesse privato. Allo stesso modo, il termine virtù veniva epurato della tradizionale connotazione di superiorità morale, legata al possesso della proprietà terriera, per essere piegato alla descrizione delle qualità economiche di coloro che davano buona
prova di sé sul mercato”.
73.
P. WEBSTER, Essays on Free Trade and Finance, n.1, luglio 1779, e n. 3, gennaio 1780,
in 1p., Political Essays, cit., pp. 9-24, 66. Sul contributo di Webster all'affermazione della libertà economica nella nascente Nazione americana; E.A.G. JOHNSON, The Foundations
of American Economic Freedom: Government and enterprise in the age of Washington, University of Minnesota Press, Minneapolis 1972. 74. Cfr.B. BAILYN, The Ideological Origins ofthe American Revolution, Harvard University Press, Cambridge 1967; G.s. wooD, The Creation of the American Republic, cit., e ID., The Radicalism of the American Revolution, A.A. Knopf, New York 1992; 1.G.A. POCOCK,
Il Momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglossasone, il Mulino, Bologna 1980; R.E. SHALHOPE, Toward a Republican Synthesis: The Emergence of an Understanding of Republicanism in American Historiography, in «William & Mary Quarterly», n. 29, 1972, pp. 334-356; D.T. RODGERS, Republicanism: the Career of aConcept, in «The Journal of American History», 79, 1, 1992, pp. 11-38;
° s. PINCUS, Neither Machiavellian Moment nor Possessive Individualism: Commercial
120
Nella battaglia per il libero commercio, i mercanti elaborarono così
una precisa consapevolezza politica: considerare il proprio interesse,
l'interesse mercantile, come una sintesi efficiente degli interessi contrastanti che segnavano la società nella sua espansione commerciale dividendo il fronte indipendentista. In altre parole, essi compresero che dovevano organizzare iloro interessi privati come interesse mercantile della società per dimostrare come il successo nella guerra dipendesse in primo luogo da questo. Quando affermarono la loro supremazia economica nella società, poterono allora rivendicare per se stessi, in quanto «classe», una specifica funzione di governo attraverso la quale delineare una politica nazionale fondata sul libero commercio. A loro modo di vedere, da questa dipendeva la libertà politica e personale conquistata con l'indipendenza. Il termine classe venne usato da Paine durante il caso Deane proprio per denunciare la formazione di un interesse distinto dal resto della società”. La parola non aveva il significato politico moderno, che si sarebbe affermato soltanto nel x1x secolo con l’esplosione della questione sociale, eppure intendeva rendere conto di una specifica realtà sociale e politica, ovvero di un gruppo di uomini che condividevano determinate pratiche economiche e aspirazioni politiche. In questo senso, i mercanti costituirono una classe non soltanto perché rivendicarono il libero commercio in quanto principio morale ed economico. Come emerse dal memoriale pubblicato per rispondere all’azione politica del comitato per la regolamentazione del commercio, la battaglia per il libero commercio divenne occasione per delineare un progetto politico più ampio e complesso, che prefigurava una specifica costruzione dell’ Unione continentale e della sua nervatura fiscale e militare. Dal punto di vista mercantile, la svalutazione della moneta costituiva un problema comune a tutti; ma non andava affrontato regolamentando il commercio e limitando i prezzi. Queste erano misure «impolitiche», ovvero inefticienti e inadeguate perché costituivano un semplice palliativo per la mobilitazione popolare: non soltanto distruggevano la «fiducia» necessaria allo scambio, vanificando le aspettative di profitto, ma non fornivano neanche una soluzione al fimanziamento della guerra.
Per questo, bisognava innanzitutto togliere l’embargo alle esportazioni e ogni altra regolamentazione e limitazione imposta al commercio,
Society and the Defenders of the English Commonwealth, in «The American Historical Review», 103, 3, 1998, pp. 705-736.
75.
T. PAINE, To the People of America, in «Pennsylvania Packet», 23 gennaio 1779, cit.
PAINE E LA RIVOLUZIONE DEL 1776
121
così da ristabilire la fiducia indispensabile al funzionamento del mercato. In secondo luogo, era necessario stabilizzare il valore della valuta bloccando l’emissione di nuova carta moneta, in modo da incoraggiare il prestito privato, nazionale e internazionale, attraverso il quale co-
struire un «fondo pubblico» da cui attingere per finanziare la guerra. Infine, andava prevista una tassazione adeguata a garantire la solidità del sistema creditizio così delineato. Tutto questo avrebbe assicurato «sicurezza, libertà e felicità» dell’ Unione politica”°. Sebbene in modo ancora embrionale, imercanti elaborarono dunque un progetto politico su scala nazionale, che non era distante da quanto Paine aveva sostenuto nel 1776, quando aveva sottolineato la necessità di istituire un debito pubblico che funzionasse come vincolo
nazionale dell’Unione continentale. Tuttavia, diversamente dall’autore di Common Sense, essi compresero che la società non era naturalmente basata sul libero commercio: liberare la società dalla regolamentazione del commercio e dalla limitazione dei prezzi implicava attribuire all’ Unione continentale un potere sufficiente per costruire un mercato
nazionale basato, appunto, sul libero commercio. In altre parole, nella situazione economica della Guerra d'indipendenza, libertà personale e libero commercio non definivano una piattaforma politica di resistenza alla forma moderna dello Stato, perché dipendevano proprio dall’accentramento statale del potere politico. L'abolizione della proprietà come requisito per accedere al voto e il conseguente ampliamento del
suffragio avevano favorito la formazione di quello che veniva definito, con disprezzo o entusiasmo, a seconda dei punti di vista, governo de-
mocratico o governo della maggioranza, ovvero un governo fortemente controllato e influenzato dalla volontà popolare. Per questo, dal punto di vista mercantile, era necessario centralizzare il potere, in modo da
limitare le competenze politiche ed economiche dei singoli Stati indipendenti, salvaguardando così l’assetto proprietario della società che era continuamente messo in discussione a livello locale e provinciale. In questo senso, la battaglia politica per il libero commercio della Pennsylvania rivoluzionaria fu decisiva per la formazione dello Stato americano nel suo complesso. Non indusse soltanto il Comitato di Filadeltia ad abbandonare l’azione di regolamentazione, ma spinse anche il Congresso continentale a maturare una posizione favorevole al libero commercio, avvantaggiando, inoltre, l’ascesa politica di Robert Morris
76. «Pennsylvania Packet», 10 settembre 1779.
122
come leader nazionale della classe mercantile. All’inizio del 1780, in
diversi proposero la nomina di un ministro continentale al quale attribuire l’arduo compito di stabilizzare credito e moneta dell'America indipendente, nel maggio del 1781 il Congresso decretò l’istituzione del sovrintendente alle Finanze, attribuendo l’incarico proprio al mercante di Filadelfia che Paine aveva duramente osteggiato”7. Tuttavia, la strenua resistenza dei mercanti alla limitazione dei prezzi e, soprattutto, la violenza dell’insurrezione popolare, che aveva lacerato il fronte indipendentista della Pennsylvania rivoluzionaria, convinsero l’autore di Common Sense che non sarebbe stato possibile chiudere positivamente la guerra senza il loro sostegno economico e politico. Per questo, come vedremo affrontando il cosiddetto periodo critico della Rivoluzione americana, senza negare la sua concezione democratica del governo fondato sull’ampia e libera rappresentanza, Paine interpretò un ruolo decisivo nella legittimazione del progetto politico mercantile volto alla costruzione continentale dello Stato americano: il primo Stato postcoloniale fu in questo senso costruito a partire dalle funzioni di governo che dovette svolgere per far fronte alla Guerra d'indipendenza. L'obiettivo era delineare una nervatura fiscale e militare necessaria all’espansione commerciale della società e adeguata alla competizione politica e alla concorrenza economica che segnavano la scena internazionale.
77.
®. WEBSTER, Essays on Free Trade and Finance, n. 3x-cit: Pozzi
3. Paine e i Mercanti della Rivoluzione: La Formazione incerta dell’ Unione federale nel Mondo Atlantico
Il mondo atlantico della Rivoluzione americana non definiva uno spazio immediatamente disinfestato dal virus mercantilista europeo, nel quale trionfava il libero commercio su scala nazionale e internazionale, come aveva ingenuamente auspicato l’autore di Common Sense nel 1776. La Guerra d'indipendenza aveva luogo nel sistema europeo degli Stati e della loro proiezione imperiale oltreoceano. Dalla fine del Seicento, questa proiezione aveva aperto uno smisurato orizzonte
commerciale nel quale era in gioco la rivalità economica e la supremazia politica tra le potenze europee. Per conquistare una quota sempre
maggiore dell'economia atlantica, gli Stati europei perseguirono una politica di grandezza nazionale attraverso un efficiente apparato amministrativo e fiscale che aveva imposto un accentramento del potere. In particolare nel caso britannico, l'urgenza di finanziare le guerre settecentesche e gestire l’ Impero aveva comportato la fondazione di una banca nazionale, la definizione di un sistema di credito e l’istituzione del debito pubblico, mentre il fisco aveva fornito una leva politica essenziale per conquistare una posizione di vantaggio nel mercato
internazionale. Poiché il commercio era diventato una variabile fondamentale per la sopravvivenza dello Stato e per il benessere della Nazione, politica ed economia vennero intrecciate per unire le forze della società in vista della ricchezza nazionale. All’accentramento del potere politico corrispose, dunque, una maggiore partecipazione
politica attraverso uno stretto legame tra élite mercantile, Parlamento e governo’. Questa dinamica costituente segnava anche l’incerta origine rivoluzionaria degli Stati Uniti d'America, ovvero dell’Unione federale degli Stati liberi e indipendenti. Durante la Guerra d'indipendenza
im:
Cfrlcapit pp-33-42.
124
contro l’ex madrepatria - nella quale erano coinvolte direttamente,
con l’impiego di truppe, o indirettamente, attraverso un sostegno economico, anche le altre potenze europee, in particolare Francia, Spagna e Olanda - la produzione e il reperimento all’estero di armi, navi e attrezzature militari, la fornitura di mezzi di sussistenza all’e-
sercito continentale e il pagamento delle truppe posero la questione politica e costituzionale della definizione di un primo apparato amministrativo e fiscale che fosse quanto più possibile efficiente nella
raccolta e nella gestione di un livello adeguato di risorse finanziarie. Nell’intenzione della classe mercantile, che abbiamo visto prende-
re forma in risposta alla conflittualità sociale seguente al processo costituente a livello statale, la fondazione di una banca, l'istituzione del debito pubblico e l’introduzione della tassazione dovevano unire il nerbo del commercio e della difesa, rendendo in questo modo possibile definire una politica nazionale funzionale non soltanto al successo nella guerra, ma anche all'acquisizione di una certa quota di mercato nell'economia atlantica, dominata dalla capacità manifatturiera e commerciale inglese. L'indipendenza sarebbe altrimenti rimasta soltanto sulla carta. Perciò, anche oltreoceano, la definizione di un apparato ammini-
strativo e fiscale rese necessario un accentramento del potere politico. Le eterogenee legislazioni statali non dovevano annullare o vanificare l’attività legislativa ed esecutiva che il Congresso continentale stava perseguendo per finanziare la guerra, concordare l’assistenza economica e militare delle potenze europee alleate, trattare la fine delle ostilità e il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza. Gli Articoli di Confederazione, in discussione dal 1776 ma in vigore soltanto dal 1781, costitui-
vano, tuttavia, un rigido limite costituzionale all’accentramento perché stabilivano la sovranità degli Stati attribuendo all’ Unione soltanto il lockeano potere federativo, ovvero la competenza di stipulare trattati e alleanze, di stabilire della guerra e della pace, in generale di gestire gli aftari esteri. Il Congresso continentale non poteva imporre e riscuotere tasse senza il consenso delle assemblee statali; non aveva dunque un'effettiva autonomia finanziaria. Non costituiva neanche una suprema autorità politica perché la legislazione continentale non vincolava quella statale. Conseguentemente, non poteva far valere procedure esecutive e
amministrative per responsabilizzare i governi statali all'adempimento delle direttive in materia fiscale, poteva soltanto raccomandarne l’esecuzione. In questo quadro istituzionale, anche il suo potere federativo
risultava effimero. Le decisioni in politica estera rischiavano di non
PAINE E I MERCANTI
DELLA
RIVOLUZIONE
125
vincolare i singoli Stati, mentre le garanzie finanziarie richieste dalle potenze alleate affinché i prestiti accordati fossero onorati risultavano precarie. L'accentramento del potere politico rendeva, quindi, necessario un mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione
federale?. Gli articoli del 1781 erano il frutto ideologico della battaglia costituzionale che le colonie avevano combattuto contro la trasformazione in senso territoriale dell'Impero, esprimevano cioè un profondo timore nei confronti dell’accentramento del potere politico, negando la dottrina europea della sovranità, unica e indivisibile, in favore di una concezione
plurale e divisa dell’autorità. Sebbene questa concezione fosse all’origine storica e ideologica del federalismo americano che trovò espressione nella Costituzione del 1787, le esigenze politiche ed economiche dettate
dalla Guerra d'indipendenza imposero comunque un accentramento del potere politico che venne argomentato e sostenuto attraverso l’impiego simultaneo delle parole indipendenza e unione. Come Paine aveva spiegato in Common Sense, indipendenza significava libertà politica ed economica dal governo britannico e dal suo mercato nazionale e internazionale; ma aftinché tale libertà potesse essere effettivamente conquistata bisognava costruire l’unione. Questa doveva essere capace di ordinare sul lato interno il disordine della società, doveva, cioè,
conciliare gli interessi contrapposti che trovavano espressione politica nelle assemblee statali, garantendo nel contempo sicurezza e protezione dalle pressioni economiche e dalle minacce politiche esterne. In altre parole, per dare forma e sostanza all'indipendenza, era necessario recuperare la cifra costituente dello Stato europeo, ovvero la sovranità come obbligazione politica su un territorio sottratto tanto alla conquista imperiale, quanto alla frammentazione interna. Tuttavia, diversamente dal Settecento europeo, poiché la Rivoluzione del 1776 aveva
mobilitato ampie fasce della popolazione prima escluse dalla politica, l’accentramento del potere trovava la propria legittimazione soltanto nella sovranità popolare?. 2.
D.C. HENDRICKSON, Peace Pact: the Lost World of American Founding, University
Press of Kansas, Lawrence 2003.
3. E. MORGAN, Inventing the People: the Rise of Popular Sovereignty in England and America, Norton, New York 1989. La stessa Declaration of Independence non aveva denunciato la forma Stato in sé, bensì l'applicazione illegittima della capacità amministrativa, fiscale e militare dello Stato britannico sulle colonie nordamericane. Aveva in questo senso rivendicato uno Stato ancora da costruire, delimitando un territorio non disponibile alla proiezione imperiale europea, facendo appello alla sovranità popolare,
126
Il termine union restituisce dunque l’incerta origine dello Stato americano nel mondo atlantico durante il cosiddetto periodo critico della Rivoluzione, quando le proteste popolari, che rivendicarono la diminuzione dei prezzi, le richieste di approvvigionamenti da parte delle milizie e il pericolo di ammutinamenti nell’esercito continentale misero all'ordine del giorno il problema del finanziamento della Guerra d'indipendenza, conseguentemente la questione politica e costituzionale dell’organizzazione di un apparato amministrativo e fiscale che fosse efficiente nella raccolta di un adeguato livello di entrate. In questo contesto, Paine promosse la formazione di
un’alleanza tra mercanti e fasce popolari, che prevedeva un ruolo attivo dei primi nel finanziare le spese militari, avviando una stretta collaborazione con colui che era stato suo avversario nella Pennsylvania rivoluzionaria. Nella nuova veste di sovrintendente delle Finanze (1781-1784), Robert Morris avanzò un progetto politico che,
attraverso la fondazione della banca, l’istituzione del debito pubblico e l’introduzione della tassazione, mirava alla prima definizione dello Stato americano e del suo mercato nazionale. La collaborazione dell’autore di Common Sense con il sovrintendente servì per «preparare il popolo»4 all'innovazione istituzionale rappresentata dall’accentramento del potere politico e dal conseguente mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. Non trova, perciò, conferma quel luogo comune, non solo storiografico, che considera gli Stati Uniti d'America una «Nazione senza Stato» fin dalla loro origine rivoluzionaria. L'Unione federale definiva certamente uno Stato debole, se comparato a quello delle potenze europee che avevano alle loro spalle due secoli di guerre e rivalità economica, ma era comunque funzionale alle esigenze politiche e finanziarie determinate dalla Guerra d’indipendenza e dalla competizione internazionale.
prefigurando addirittura le funzioni di governo proprie dell’ Unione: dal monopolio della violenza legittima all’interno e verso l’esterno, all’autorità in campo monetario, fiscale e commerciale. p. ARMITAGE, La Dichiarazione d'Indipendenza: una storia globale, uTET, Torino 2008. 4. E.). FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris 1781-1 784, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh 1973, vol. 4, p. 201.
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1.
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«Il tempo che ha messo alla prova le anime degli uomini» è terminato [...] Il lungo e rabbioso uragano che doveva cessare in un momento, ci ha lasciato in uno stato di meraviglia piuttosto che di godimento; devono passare alcuni momenti di riflessione prima che possiamo essere in grado di gustare la felicità del riposo. Che la rivoluzione sia iniziata nel momento più adeguato allo scopo, è provato dagli eventi. Ma la grande catena che fa ruotare l’intera macchina è l’Unione degli Stati [...] Ora siamo consape-
voli della necessità di rafforzare quell’unione felice che è stata la nostra salvezza, senza la quale saremmo un popolo in rovina”.
Per comprendere l'origine incerta dell’ Unione federale è necessaria una premessa sul significato che il termine rivoluzione assunse nell’ambito della Guerra d’indipendenza. Lo scontro politico interno al fronte indipendentista e la conflittualità sociale seguente al processo costituente a livello statale resero evidente la presenza di diverse e contrastanti prospettive di emancipazione dalle gerarchie politiche e sociali del passato coloniale. Il problema della definizione di un comune orizzonte di senso accettato dal
complesso delle forze attive nella guerra era al centro della riflessione sulla Rivoluzione che Paine svolse nel 1782 con il pamphlet Letter to the Abbé Raynal. Egli aveva impiegato per la prima volta il termine nel quinto numero di The Crisis, pubblicato nel marzo del 1778, spiegando che quella americana era «la più virtuosa e illustre rivoluzione che mai avesse onorato l'umanità». In quegli anni, Paine stava raccogliendo documenti e testi per scrivere una storia della Rivoluzione che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto gettare le basi per una piena e condivisa comprensione dell'esperienza rivoluzionaria all’interno, e per una sua «estensione nel mondo». Paine non
scrisse mai questa storia, anche perché il Congresso continentale non volle finanziare un progetto editoriale curato da un autore che aveva contribuito ad affermare una concezione democratica del governo, preferendo piuttosto assegnarlo a una commissione presieduta da Gouverneur Morris, deputato newyorkese, secondo il quale l’eccesso di libertà politica conquistato con
l'indipendenza aveva reso insicura la proprietà, disordinando la società e ostacolando il commercio. La pubblicazione nel 1781 della Revolution
d’Amerique dell’abate Raynal, esponente eminente dei philosophes, fornì allora l'occasione per condensare il materiale raccolto in un breve pamphlet rivolto sia al lettore statunitense sia al pubblico europeo?. 5.
T. PAINE, The Crisis, in CW, cit., vol. 1, pp. 230, 232.
6. 1p., The Crisis, vol. 5, in CW, cit., vol. 1, pp. 123-124. Political Enquiries. An Essay ‘by Gouverneur Morris, manoscritto ritrovato nei Gouverneur Morris Papers, custoditi
128
Alla tesi dell’abate - per il quale le cause che avevano determinato le rivoluzioni del passato non esistevano nel Nord America perché nessuna religione o legge era stata oltraggiata, la morale non era stata insultata e nessun potere arbitrario era stato esercitato — Paine rispose
passando in rassegna la legislazione inglese sulla tassazione coloniale fino al Declaratory Act del 1766, il provvedimento che, a suo modo di vedere, aveva evidenziato il carattere dispotico del governo britannico: considerato dal punto di vista delle colonie, il Parlamento non era settennale, ma «perpetuo» perché obbligava in modo assoluto un popolo non rappresentato. Il punto cruciale contestato all’illuminista francese era l’affermazione in accordo alla quale «l'ordine pubblico non era stato rovesciato». Non era vero, secondo l’autore di Common Sense,
che «le massime del governo erano rimaste le stesse». Il violento rovesciamento del governo non faceva dell’indipendenza semplicemente una separazione dall’ Impero, bensì una rivoluzione politica senza alcun precedente storico”. Quelle che l’abate aveva definito rivoluzioni del passato non erano state altro che contenziosi e guerre intestine tra dinastie o partigianerie
terminate con la subordinazione del popolo. Quella americana era, invece, una «guerra pubblica» condotta dalla «maestà della moltitudine», ovvero dalle forze economiche della società che erano progredite in numero e possesso di proprietà: mercanti, contadini, artigiani e lavo-
ratori agivano di comune accordo per conquistare la libertà. La Guerra d'indipendenza coincideva con la rivoluzione politica della società contro il governo dispotico. Il riferimento alla formazione storica della società attraverso lo sviluppo del commercio e delle scienze, dunque alla
«civilizzazione» intesa come superamento della condizione selvaggia e barbara propria degli uomini dediti esclusivamente alla caccia e alla guerra, serviva in questo senso per liberare il termine rivoluzione dal significato originario di rotazione derivato dall’astronomia, negando nella maniera più assoluta la possibilità di pensare la trasformazione nella biblioteca della Columbia University of New York, con ogni probabilità scritto per intervenire nel dibattito costituzionale dello Stato di New York tra il luglio del 1776
e l'aprile del 1777. Paine rispose criticamente al lavoro della commissione presieduta da Morris in Response to «Observations on the American Revolution», 20 marzo 1779, in E.
FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., pp. 212-217. Paine discusse il suo progetto
sulla storia della Rivoluzione con Benjamin Franklin tra il maggio del 1777 e il giugno del 1778, e in diverse lettere inviate al Congresso negli anni successivi, in CW, vol. 2, cit., pp. 1133-1136, 1240 € Ss.
7.
T. PAINE, Letter to the Abbé Raynal, in cw, vol. 2, cit., pp. 215-220, 243.
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politica come ciclo delle forme di governo. La rivoluzione non sarebbe terminata nella «figura orrenda dell'anarchia» o nel «mostro tenebroso della tirannia»: Il nostro stile e modo di pensare hanno subito una rivoluzione persino più straordinaria della rivoluzione politica del paese. Noi vediamo con altri occhi, sentiamo con altre orecchie e pensiamo con altri pensieri rispetto a quanto eravamo abituati a fare. [...] Ora siamo veramente un altro popolo e non possiamo tornare indietro all’ignoranza e al pregiudizio. Una volta illuminata, la mente non può essere oscurata nuovamente.
La rivoluzione politica seguiva il tempo lineare della società, era quindi pensabile come evento politico del più ampio cambiamento sociale determinato dalla civilizzazione. Coerentemente con la storia della società presentata in Common Sense, Paine ribadiva in questo modo la centralità del commercio nell’esperienza umana. Al di là della levatura filosofica della sua argomentazione, dettata evidentemente dall’esigenza di intervenire nel dibattito illuminista francese, la risposta all’abate aveva un duplice obiettivo politico. Da una parte, mostrava come il commercio non cambiasse esclusivamente il modo di vivere ingentilendo il comportamento e affinando la mente, ma proprio per questo determinasse anche le condizioni materiali per una replica europea della rivoluzione politica; dall’altra, individuava nel commercio un comune orizzonte di senso che doveva essere accettato dal complesso delle forze politiche e sociali coinvolte nella Rivoluzione: poiché rendeva necessaria una costante occupazione nelle scienze, nel lavoro agricolo e manifatturiero, il commercio doveva costituire il principio sul qua-
le organizzare un governo capace di ristabilire l’ordine della società turbato dalla guerra. Così, mentre per il pubblico europeo la Letter to the Abbé Raynal costituiva un tentativo teorico di promuovere la Rivoluzione oltreoceano, nelle mani delle truppe del generale Washington rappresentava, invece, uno sforzo politico per chiudere la vicenda rivoluzionaria superando le discordie interne al fronte indipendentista in vista della costruzione dell’ Unione federale”.
Ivi, pp. 221-222, 230, 239-244. Sul concetto di rivoluzione, M. RICCIARDI, Rivolu8. zione, cit., pp. 59-70.
9.
T. PAINE, Letter to Abbé Raynal; 1p., Letter to James Hutchinson, 1 marzo 1781;
p., Letter to His Excellency General Washington, 7 settembre 1782; in CW, cit., vol. 2, pp. 241-242, 255-256, 1191-1195, 1212-1213. La stesura del pamphlet forniva a Paine anche
130
Questo sforzo emerse esplicitamente nella serie di scritti The Crisis successivi alla Letter, dove Paine accantonò il piano di riflessione filosofica per affrontare direttamente la tensione internazionale e il disordine sociale che minacciavano l’esito positivo della rivoluzione politica. Sul versante estero, in particolare nell’undicesimo numero del maggio del 1782, Paine criticò le manovre con cui il governo britannico ostacolava
le iniziative diplomatiche di Spagna, Francia e Olanda in favore della pace nel tentativo di «distruggere l’unione degli stati». Nel numero straordinario To the People ofAmerica del dicembre del 1783, denunciò invece che l’elevata esportazione inglese indeboliva la nascente capacità manifatturiera nordamericana riversando oltreoceano ingenti quantità di lavorati a basso costo, mentre il governo britannico proibiva il commercio statunitense con le Indie occidentali. In una lettera indirizzata al Presidente del Congresso continentale, egli sollevò, inoltre, l’attenzione sulle pressioni diplomatiche delle potenze europee alleate che, avendo finanziato la guerra, chiedevano adeguate garanzie economiche per il pagamento del debito contratto!°. Sul fronte interno, nel tredicesimo numero dell’aprile del 1783, pur celebrando il successo nella guerra, con estrema cautela, Paine mise in guardia rispetto alle difficoltà che attendevano l’America indipendente nella transizione «dal tumulto della guerra alla tranquillità della pace». L'indipendenza prometteva il «godimento della terra» e la «dolcezza del lavoro», ma il ritorno alla «quiete» della «vita domestica» avrebbe potuto riservare qualche «delusione». La guerra aveva, infatti, indebolito «gli obblighi morali della società a tal punto che l’abitudine di agire per necessità veniva perdonata anche se criminale». Il riferimento non era soltanto alla mobilitazione popolare della Pennsylvania rivoluzionaria che era sfociata nel Fort Wilson Riot, ma anche alle continue proteste
delle milizie popolari e agli ammutinamenti delle truppe dell’esercito continentale che, per denunciare il mancato pagamento del servizio
militare, sfidavano il Congresso continentale e ne ostacolavano l’attività legislativa, costringendolo ripetutamente a cambiare sede. La tensione l'opportunità di aumentare la già importante fama nel dibattito politico europeo, in particolare francese. Cfr. R. KOSELLECK, Critica illuminista e crisi della società borghese, il Mulino, Bologna 1972, pp. 223-229; C. BORGHERO, Raynal, Paine e la rivoluzione americana, in P. CASINI (a cura di), La politica della ragione: studi sull’illuminismo francese, Italia, Bologna 1978, Pp. 349-381. 10.
T. PAINE, The Crisis, n. 11; 1D., A Supernumerary Crisis. To the People of America,
in CW, cit., vol. 1, pp. 210, 236-239; ID., Letter To Doctor Benjamin Rush, 13 giugno 1783,
in CW, cit., vol. 2, pp. 1219-1220.
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internazionale e il disordine sociale alimentavano perciò una profonda crisi politica e finanziaria che allontanava quel futuro di libertà, sicu-
rezza e prosperità audacemente annunciato in Common Sense. Per fronteggiare le difficoltà della transizione, proseguì Paine nella
tredicesima Crisis, non c’era altro modo se non fare perno sulla «grande cerniera» dell’ Unione degli Stati. Durante la guerra, «questa unione era stata naturalmente prodotta dall’inabilità di ogni singolo Stato di sostenere se stesso contro il nemico straniero». In vista della conclusione del conflitto, per evitare la «rovina del popolo» e una nuova conquista straniera, era invece necessario «rafforzare l’unione» perché da questa
dipendeva il national character dell’America indipendente. Con «carattere nazionale» Paine non intendeva soltanto il sentimento di appartenenza, maturato durante la guerra e alimentato dalla libertà conquistata
con la rivoluzione politica. Il «carattere nazionale» era soprattutto ciò che dava «importanza all’estero» e «sicurezza domestica», garantendo l'espansione commerciale nel mercato interno e internazionale. Dipendeva dunque dal profilo costituzionale dell’ Unione, nonché dalla sua nervatura militare e finanziaria. In un mondo pericoloso, perché popolato da potenze nemiche in competizione politica ed economica tra loro, era in questo senso necessario affermare una «sovranità nazionale» per stabilire la legittima supremazia dell’ Unione sugli Stati: «il più grande palladio della nostra libertà e della nostra sicurezza»"?. Questa rivoluzione per lo Stato era la nuova difficile sfida che attendeva l’autore di Common Sense. L'Unione doveva costituire il punto d’approdo dell’intera vicenda rivoluzionaria perché era l’unica risposta possibile alla crisi politica e finanziaria determinata dalla Guerra d’indipendenza. Il «lavoro di fondazione della rivoluzione» era così ancora incompiuto. L Unione in quanto Stato, ovvero istituzione sovrana all’interno e verso l’esterno, doveva superare gli «interessi privati e inferiori» per trovare la propria legittimazione nel popolo nel suo complesso. In questo senso, quando alla fine del pamphlet Paine rivendicò la propria «distanza da tutte le parti» non intese tanto, o non soltanto, accrescere il
suo prestigio personale e politico. Mirò piuttosto a coniugare le diverse
11. ip. The Address of the Citizens of Philadelphia, and ofthe Liberties thereof.-To his excellency the President, and Congress of the United States, in CW, cit., vol. 2, pp. 263-265; Ip., The Crisis, n. 13, in CW, cit., vol. 1, pp. 230 e ss.; ID., Letter to His Excellency General Washington, 31 gennaio 1779, in CW, cit., vol. 2, p. 1167. Sul disordine interno alle milizie
e all’esercito continentale, s. ROSSWURM, Arms, Country and Class, cit., pp. 201-248. ‘12. T. PAINE, The Crisis, n. 13, in Cw, cit., vol. 1, pp. 233-234.
132
aspettative di emancipazione, affiorate dalla mobilitazione popolare con l'interesse mercantile prepotentemente emerso dalla conflittualità sociale, individuando nel libero godimento della proprietà privata e nella libertà di commercio le fondamenta dell’ordine della società sul quale erigere l’Unione: il suo compito politico sarebbe stato «conciliare gli affetti, unire gli interessi, rappresentare e tenere insieme la mente
del paese». Proprietà e popolarità Nella primavera del 1780, la sconfitta dell’esercito continentale nella
battaglia di Charleston, con la conquista da parte delle truppe britanniche dell’arsenale e della prigione della città, rese evidente quanto l’esito della guerra fosse ancora in bilico, ponendo con estrema urgenza il problema del suo finanziamento. Non era più sufficiente, come era stato fatto all’inizio, ricorrere alla confisca delle proprietà dei lealisti. L'emissione statale e continentale di carta moneta era inoltre diventata una soluzione non soltanto inefficace, ma anche controproducente. Il deprezzamento del suo valore nominale ostacolava la stipula di accordi commerciali con le potenze europee alleate e favoriva pratiche economiche inflazionistiche che stavano impoverendo la popolazione. Soprattutto, la strenua resistenza dei mercanti alla regolamentazione del commercio convinse molti, tra coloro che in precedenza avevano risposto al deprezzamento sostenendo la campagna interstatale per la diminuzione dei prezzi, che fosse necessario bloccare l’emissione monetaria, per attuare invece una politica di tassazione che recuperasse il denaro in circolazione in eccesso e stabilizzasse il valore della valuta. L'obiettivo era incoraggiare il prestito privato per costituire in questo
modo un fondo pubblico dal quale attingere per finanziare la guerra. Sebbene avesse avuto un ruolo importante nella campagna per il controllo dei prezzi, Paine non era affatto distante da questa convinzione. Già nell'aprile del 1777 aveva denunciato come la grande quantità di moneta in circolazione avesse determinato povertà invece che ricchezza, auspicando una sua ingente riduzione attraverso l’introduzione di un
adeguato livello di tassazione. Fu però il riallineamento delle forze politiche e sociali della Pennsylvania rivoluzionaria seguente al Fort Wilson Riot a consolidare questo suo parere. L’insurrezione popolare contro i
13.
Ivi, pp. 234-235.
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mercanti non aveva rappresentato soltanto un segnale preoccupante per
la tenuta del fronte indipendentista, aveva anche determinato una netta rottura tra le posizioni intransigenti dei gruppi rurali, che rivendicavano ulteriore stampa di carta moneta e maggiore diminuzione dei prezzi, e gran parte degli artigiani dei centri urbani che vedevano come una minaccia un eccessivo controllo dei prezzi dei loro lavorati. In altre parole, lo schieramento popolare che aveva sostenuto la Costituzione del 1776 contro le proposte di riforma avanzate dalla Republican Society andava sgretolandosi per la presenza di interessi contrapposti, favorendo in tal modo l’ascesa sociale e politica della classe mercantile!*. Paine non rinnegò la sua concezione democratica della Costituzione e del governo. Non siamo dinanzi a un momento conservatore della sua
vicenda politica. Non possiamo neanche fare nostra l’accusa di tradimento della Rivoluzione che gli esponenti dei gruppi rurali rivolsero all’autore di Common Sense, sebbene, come vedremo, il suo nome fosse nel libro paga del sovrintendente delle Finanze. Piuttosto, è importante sottolineare che il nuovo assetto politico delle forze indipendentiste consolidò la sua posizione contraria all’ulteriore emissione di moneta e incline all’introduzione della tassazione. Soprattutto, la profonda consapevolezza della crisi politica e finanziaria che segnava l'America indipendente lo convinse che non sarebbe stato possibile vincere la guerra senza il sostegno della classe mercantile. Così, quando nell’ottobre del 1779 fu nominato segre-
tario dell'Assemblea statale della Pennsylvania, Paine non avviò soltanto un ambizioso programma di riforma che prevedeva, tra le altre cose, la graduale abolizione della schiavitù, ma promosse anche una raccolta di fondi che condusse all’istituzione della Bank of North America, il primo tentativo di banca nazionale dell’America indipendente”. Il 28 maggio 1780, dopo aver letto in aula una lettera di Washington
nella quale il generale denunciava la disperata situazione dell'esercito e il pericolo di ammutinamenti, Paine si fece promotore di una campagna di sottoscrizione tra imercanti della città, contribuendo personalmente con il versamento di 500 dollari. In breve tempo, venne raggiunta la
14. 15.
Ivi, n. 3, 19 aprile 1777. Ip., Emancipation of Slaves, 2 novembre 1799, in CW, cit., vol. 2, pp. 21-22. Cfr. J.V.
LYNCH, The Limits of Revolutionary Radicalism: Tom Paine and Slavery, in «The Pennsylvania Magazine of History and Biography», 123, 3, 1999, pp. 176-199; J. DORFMAN,
Economic Philosophy of Thomas Paine, in «Political Science Quarterly», n. 53, 1938, pp. 372-386; H.H. CLARK, Six new Letters of Thomas Paine, University of Wisconsis ‘Press, Madison 1939.
134 somma provvisoria di 300 mila dollari, ma la banca venne formalmente istituita soltanto nella primavera del 1782 da uno dei suoi maggiori creditori, quel Robert Morris che, nel frattempo, era stato nominato sovrintendente delle Finanze del Congresso continentale. Nelle intenzioni dei suoi promotori, l’istituzione della banca non aveva soltanto lo scopo pratico di rimpinguare le esauste casse continentali per retribuire le truppe e reperire le forniture necessarie al proseguimento della guerra. Segnalava soprattutto un deciso mutamento di prospettiva politica. In una lettera del giugno del 1780 indirizzata al presidente dell'Assemblea statale, Paine spiegò che la continua emissione monetaria aveva posto
sullo stesso piano il contributo di poveri e ricchi alla causa generale dell’indipendenza, ma poiché era diventato necessario estrarre risorse direttamente dal Paese (Country), non c’era altro modo che fare appello agli «uomini di proprietà»: senza il generoso aiuto della «parte più ricca», non sarebbe stato possibile realizzare le «misure pubbliche» richieste dal conflitto militare!°. Questo diverso punto di vista, che rifletteva il ruolo guida nella gestione economica della guerra rivendicato dalla classe mercantile, venne annunciato pubblicamente nel nono numero de The Crisis, nel quale Paine denunciò che le difticoltà nella raccolta delle tasse e il deprezzamento del loro valore nominale avevano caricato il Congresso continentale di un fardello finanziario non più sostenibile, che per giunta era giudicato dal governo britannico come il segno più evidente del declino politico dell’ Unione degli Stati. In questa situazione, il successo nella guerra non dipendeva esclusivamente dal coraggio delle truppe e dal generoso slancio della popolazione, bensì dallo «spirito di iniziativa» dei mercanti che avevano sottoscritto un fondo in denaro legato al valore stabile dell’oro per fermare così il deprezzamento della moneta: la Rivoluzione del 1776 era stata possibile per la «rivolta di alcuni» contro la «freddezza di altri», ma la crisi politica e finanziaria rendeva necessario ricorrere alla «fermezza delle proprietà». Paine lanciò così un appello alla «unanimità» delle forze indipendentiste, affinché fosse dimenticata la freddezza iniziale degli «uomini di proprietà»: «La causa
dell'America non sta in piedi sulla volontà di pochi, ma sull’ampio fondamento della proprietà e della popolarità».
16. T. PAINE, To the Honorable Joseph Reed, 4 giugno 1780; 1D., To Blair McClenaghan, maggio 1780, in CW, cit., vol. 2, pp. 1183-1185, 1186-1187. La lista delle sottoscrizioni venne pubblicata in «Pennsylvania Gazette», 5 luglio 1780. 17. D., The Crisis, n. 9, in cw, cit., vol. 1, pp. 169-170.
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Il termine popolarità non alludeva semplicementeal consenso, ovvero alla capacità di attrarre un generico sostegno popolare. Impiegato accanto alla parola proprietà, popularity non faceva riferimento al popolo come insieme omogeneo, piuttosto alle fratture gerarchiche al suo interno che derivavano dal possesso o dal non possesso della proprietà. L'appello intendeva in questo senso superare le linee di classe che solcavano la società per rendere «universalmente» accettato lo spirito di iniziativa dei mercanti, facendo in tal modo dell’indipendenza non un'impresa di una parte o di un’altra, bensì del popolo nel suo complesso, oltre le discordie che lo attraversavano. Per questo motivo, contro le proteste di coloro che rigettavano l’istituzione della banca, ritenendo che fosse sufficiente finanziare le milizie con ammende imposte a chi trasgrediva la regolamentazione del commercio (militia law), nell’ottobre del 1780, Paine scrisse The Crisis Extraordinary dove sostenne che fosse «interesse di tutte le classi» contribuire alla difesa del Paese attraverso il pagamento della tasse. Lo scopo dichiarato era superare le resistenze alla tassazione ereditate dalla controversia coloniale. A questo serviva paragonare l'enorme ammontare delle tasse britanniche al basso fabbisogno di entrate che era necessario per portare a termine la guerra. Intendeva cioè «formare un'attitudine del popolo» favorevole alla tassazione. Nel periodo critico della Rivoluzione, quando l'esito della guerra era ancora fortemente incerto, fare appello alle proprietà e alla popolarità serviva dunque alla legittimazione politica dell’ Unione, ovvero alla definizione condivisa di un efficiente apparato amministrativo e fiscale senza il quale non sarebbe stato possibile attuare una «politica nazionale» adeguata al successo militare. Questo obiettivo politico spiega la collaborazione dell’autore di Common Sense con il sovrintendente delle Finanze'*. Del debito pubblico: credito e fiducia Il 7 febbraio 1781, un'ordinanza congressuale istituì l'ufficio del sovrintendente con il compito specifico di mettere ordine nelle casse conti-
18.
T. PAINE, THE CRISIS EXTRAORDINARY ON THE SUBJECT OF TAXATION, 4 ottobre 1780;
Ip., The Crisis, vol. 9,9 giugno 1780, in CW, vol. 1, cit., pp. 169, 182-185. Sulla sottoscri-
zione e la banca, Ip., For the Pennsylvania Gazette, in H. BURGESs (ed.), Thomas Paine. A Collection of Unknown Writings, Palgrave Macmillan, New York 2010, pp. 31-32. Si
rimanda a J.N. RAKOVE, The Beginnings ofNational Politics: an Interpretative History of Continental Congress, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1982, pp. 285-296.
136
nentali. Nel maggio 1781, al vertice del dipartimento venne nominato Robert Morris. Nell’affresco che adorna la volta dello United States Capitol, la sede attuale del Congresso federale a Washington Dc, Morris è raffigurato a fianco di Mercurio, dio del commercio, che gli porge una borsa di monete d’oro. Il dipinto, che rappresenta il decisivo momento costituente della transizione degli Stati Uniti d'America da confederazione a federazione, testimonia del ruolo fondamentale che il leader della classe mercantile svolse nella Rivoluzione. Quando assunse l’incarico, il sovrintendente sostenne innanzitutto la sottoscrizione in favore
della banca, incoraggiando i mercanti al prestito con una serie di lettere personali e interventi pubblici in cui spiegava che il pagamento dell’interesse sul debito avrebbe «moltiplicato» le proprietà monetarie investite. A suo parere, «il senso immediato dell’interesse privato» avrebbe «legato indissolubilmente molti individui influenti [powerful] alla causa del paese». Dalla sottoscrizione dipendeva inoltre l'impegno finanziario delle potenze europee. Un eventuale successo della campagna avrebbe, infatti, dimostrato che l'America indipendente non era una «nazione
disordinata e ingovernabile». Morris era in questo senso impegnato a tessere solide relazioni internazionali. Nelle lettere indirizzate al Ministro delle Finanze francese e al suo rappresentante oltreoceano, egli assicurò la propria determinazione nel perseguire una corretta gestione
continentale delle entrate e delle uscite, annunciando l’istituzione della banca e l'emanazione di tasse. Nella corrispondenza con John Adams, Benjamin Franklin e John Jay, rispettivamente ambasciatori presso il governo olandese, la corte francese e quella spagnola, ribadì la profonda convinzione in accordo alla quale «il successo nella guerra» dipende «dall’aiuto monetario estero». L'obiettivo non era dunque soltanto legare gli uomini di proprietà alla causa dell’indipendenza, ma anche attrarre il credito pubblico e privato dall’estero!.
19.
Queries and Answers on the National Bank, 21 luglio 1781; To the Public, 28 maggio
1781, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., vol. 1, pp. 84-86, 360. Le lettere ai mercanti sono: To William Duer, 29 maggio 1781; To Thomas Lowrey, 29
maggio 1781; To Philip Schuyler, 29 maggio 1781. Per la sua corrispondenza diplomatica, To Jacques Necker, 15 giugno 1781, in E.). FERGUSON (ed.), The Papers ofRobert Morris, cit., vol. 1, pp. 151-152; To Benjamin Franklin, 14 luglio, 27 novembre 1781; To John Jay, 13 luglio 1781; To Chevalier de la Luzerne, 3 novembre 1781, in E.). FERGUSON
(ed.),
The Papers of Robert Morris, cit., vol. 5, Pp. 39, 268-269; To John Adams, 20 settembre 1783, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., vol. 8, p. 532. Per una
ricostruzione dettagliata della politica di Morris, R.B. MORRIS, The Forging ofthe Union
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Il 29 luglio 1782, il sovrintendente diede seguito a quanto annunciato presentando al Congresso un Report on Public Credit nel quale inquadrava il problema contingente della spesa militare nella questione generale della costruzione dello Stato americano e della formazione del suo mercato nazionale nel contesto internazionale della competizione
politica ed economica tra le potenze europee. Il finanziamento della guerra, argomentò, non era un problema esclusivamente nazionale perché richiedeva un intervento economico immediato da parte dei governi alleati e degli investitori stranieri, che avrebbero accordato prestiti soltanto previa solide garanzie economiche. Per questo, era necessario sottrarre la gestione del debito alle assemblee statali — influenzate dall’altalenante volontà popolare che rivendicava ulteriore stampa di carta moneta — per accentrarla nel Congresso continentale.
Bisognava in altre parole istituire un debito pubblico su scala nazionale, vincolandolo non all’obbligo della sua estinzione futura, bensì al pagamento regolare dell’interesse, da finanziare tramite tassazione. Soltanto così sarebbe stato possibile attrarre credito pubblico e privato,
interno ed estero?°. Poiché violava alla lettera gli Articoli della Confederazione che non consentivano al Congresso di imporre e raccogliere tasse, il Report
rappresentava un tentativo deliberato di avanzare una duplice riforma politica ed economica. Sul versante politico, poiché il collasso delle risorse pubbliche dimostrava nella pratica quello che era evidente sulla carta, ovvero che la principale causa della crisi finanziaria era la mancata competenza continentale in materia fiscale, bisognava eludere il limite costituzionale alla sovranità nazionale avviando un processo di accentramento del potere. L'attribuzione della competenza in materia fiscale al Congresso avrebbe in questo senso fornito una leva politica essenziale per avviare il mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. Sul versante economico, sottraendo alle assemblee
legislative la gestione del debito e attribuendo alla banca competenze pubbliche e private, il Report intendeva, invece, superare le restrizioni 1781-1789, Harper & Row, New York 1987, pp. 34-54, 152-161; J. RAKOVE, The Beginnings
of National politics, cit., pp. 297-324. 20. Prima della presentazione del Report, Morris ne aveva discusso le linee guida con Alexander Hamilton in una lettera del 30 aprile 1781, nella quale il newyorkese, non
a caso futuro segretario del Tesoro del Presidente Washington, scrisse che in quanto «uomo di Stato», il compito principale che attendeva Morris era quello di «ispirare la fiducia nei monied men», A. HAMILTON, Letter to Robert Morris, in E.J. FERGUSON (ed.),
The Papers of Robert Morris, cit., vol. 1, pp. 32-58.
138
imposte al commercio a livello statale e locale per organizzare la società su scala continentale, favorendo in tal modo la formazione di un mercato nazionale. La Bank of North America non costituiva esclusivamente una rimessa del credito pubblico deputata alla gestione delle entrate. L'ordi-
nanza congressuale del 31 dicembre 1781 riconobbe coloro che avevano sottoscritto il deposito iniziale come associazione dotata di personalità giuridica (corporation), alla quale veniva concesso il diritto di stabilire le modalità dell'accesso al prestito e, conseguentemente, il controllo del
denaro in circolazione. La banca avrebbe dunque operato anche come banca commerciale funzionale allo scambio privato. Inoltre, poiché il
debito contratto era «trasferibile in forme specifiche», ad esempio obbligazioni e certificati, avrebbe alimentato un mercato finanziario indispensabile per soddisfare la domanda di credito: «Colui che ha bisogno di denaro per intraprendere, proseguire o ampliare il proprio business trae maggior beneficio dalla vendita di azioni piuttosto che dal loro aumento in un periodo futuro». Soprattutto, il sovrintendente spiegò che il finanziamento del debito avrebbe permesso di «distribuire la proprietà nelle mani di coloro che possono renderla più produttiva». Ammassare credito pubblico e privato in una banca nazionale implicava, infatti, stabilire un livello adeguato di tassazione per pagare l’interesse sul debito a coloro che, avendo sottoscritto un finanziamento, erano creditori e azionisti. Non c’era altro modo, proseguiva Morris, per «incrementare quei fondi che sono necessari al pieno esercizio delle loro [dei mercanti] abilità e
industriosità». La banca avrebbe quindi soddisfatto «il bisogno di credito (want of credit) della parte mercantile della società»”. Il Report rappresentava in questo senso l’espressione politica più alta dell'ascesa sociale della classe mercantile. Eppure, non costituiva meramente la traduzione in arte di governo di un interesse particolare. Rivendicava piuttosto una visione generale dello Stato americano e del suo mercato nazionale sulla base della consapevolezza politica che i mercanti avevano elaborato per vincere la conflittualità sociale. Sulla scorta della storia settecentesca europea, in particolare di quella britannica, la convinzione che l’interesse mercantile costituisse una sintesi efficiente degli interessi contrastanti della società veniva, per così dire, tradotta in una versione rivista e aggiornata della ragion di Stato. 21. R. MORRIS, Report on Public Credit, in E.). FERGUSON (ed.), The Papers ofRobert Morris, cit., vol. 6, pp. 62-63, 70. Sulla banca, E.J. PERKINS, American Public Finance and Financial Services, 1750-1815, Ohio State University Press, Columbus 1994.
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Vincere la guerra e ristabilire l’ordine interno motivavano la costruzione dello Stato americano, ma il finanziamento del debito pubblico non intendeva perseguire la grandezza esterna e la sicurezza interna dello Stato in sé, bensì dello Stato quale emanazione politica della società. Aveva in questo senso lo scopo primario di favorire l’espansione commerciale perché da questa dipendeva in ultima istanza il benessere collettivo del popolo, dunque la ricchezza nazionale: la tassazione necessaria al pagamento dell’interesse sul debito pubblico, da una parte, agevolava una moltiplicazione delle proprietà monetarie funzionale all'investimento agricolo e manifatturiero; dall’altra, stimolava una maggiore abitudine al lavoro per poter incrementare il guadagno personale. In altre parole, incoraggiava la formazione di un mercato nazionale dal quale avrebbe tratto beneficio l’intera popolazione. L’interesse mercantile coincideva in questo specifico senso con l’interesse generale??. Non è questo il luogo per affrontare la questione assai problematica dell’origine del capitalismo statunitense, sebbene fosse evidente che, nell’intenzione del leader della classe mercantile, il finanziamento del debito servisse anche per avviare su scala nazionale un processo di accumulazione del capitale disperso tra le pieghe di una società fortemente frammentata al suo interno. Su questo torneremo successivamente, discutendo l’eredità dell’autore di Common Sense nella prima metà del XIX secolo. Qui è invece importante precisare che cosa l'istituzione del debito pubblico comportasse da un punto di vista prettamente politico. Il sovrintendente non insisteva soltanto sullo stretto legame che questo stabiliva tra uomini in possesso di proprietà monetaria e governo,
ma rimarcava anche che la gestione continentale delle entrate avrebbe responsabilizzato le assemblee statali nei confronti del Congresso. In altre parole, nelle sue intenzioni, l’istituzione del debito pubblico
22.
R. MORRIS, Report on Public Credit, in E... FERGUSON (ed.), The Papers of Robert
Morris, cit., vol. 6, pp. 56-58. Sull’ascesa politica, economica e culturale della classe
mercantile, T.M. DOERFLINGER, A Vigorous Spirit ofEnterprise. Merchants and Economic Development in Revolutionary Philadelphia, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1986. In generale sulla formazione di una classe politica nazionale, G.J. KORNIBLITH,
J.M. MURRIN, Who Shall Rule at Home?, in A.F. YouNG, Beyond the American Revolution. Explorations in the History of American Radicalism, Northern Illinois University Press, DeKalb 1993, pp. 27-79. Sul mutamento di significato della ragion di Stato nel corso del Settecento, in particolare britannico, I. HONT, Jeaolusy of Trade, cit., pp. 25-55. Sul concetto di interesse nella Rivoluzione, C. MATSON, P. ONUF, A Union of Interests. Political and Economic Thought in Revolutionary America, University Press of Kansas,
Lawrence 1990, pp. 11-30.
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doveva consolidare «il patto nazionale» idealmente stipulato nel 1776 con la Declaration of Independence attraverso tecniche amministrative funzionali all’accentramento del potere politico??. Morris spiegò che il finanziamento del debito pubblico rendeva necessario introdurre un «metodo di amministrazione» capace di attribuire «regolarità» e «coerenza» alla raccolta delle entrate e alla gestione delle uscite. Senza queste qualità amministrative non sarebbe stato possibile dare seguito alle garanzie del pagamento dell’interesse. L’impiego della parola method rispondeva in questo senso all'esigenza politica di far conoscere e comprendere le misure pubbliche adottate per proseguire la guerra, in modo tale che potessero essere condivise e accettate. L’amministrazione del debito non era dunque semplicemente un affare di contabilità economica, aveva piuttosto un significato politico costituente perché, come spiegava il sovrintendente in una circolare ai governatori degli Stati, costituiva una «fonte di fiducia» (trust and confidence) indispensabile per dare «stabilità» e «forza» al governo, legittimando così l’«autorità sovrana» dell’ Unione. Mentre il termine trust rinviava al rapporto politico di lockeana memoria tra governo e popolo dei proprietari, la parola confidence faceva riferimento all’aspettativa economica del guadagno nella transazione commerciale: poiché il deprezzamento della moneta aveva suscitato un forte scontento popolare, scoraggiando nel contempo l’iniziativa privata mercantile, regolarità e coerenza nella raccolta delle entrate e nella gestione delle uscite servivano per favorire il perseguimento dell’interesse personale e lo scambio reciproco, ovvero per ristabilire quella che il sovrintendente definì «armonia» della società. L'amministrazione e il suo metodo erano in questo senso la duplice risposta istituzionale al problema specifico di organizzare la società su scala continentale per superare le «inevitabili turbolenze di una grande rivoluzione» e garantire al governo maggiore «rispetto» e «ubbidienza». La fiducia generata dal metodo dell’amministrazione avrebbe così favorito il mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. Questo era in definitiva l’obiettivo politico del sovrintendente delle Finanze che l’autore di Common Sense
condivise e sostenne?4.
23.
R. MORRIS, Report on Public Credit, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers ofRobert
Morris, cit., vol. 6, p. 59; R. MORRIS, To Nathanael Greene, 24 aprile 1782, inE.J. FERGUSON
(ed.), The Papers ofRobert Morris, cit., vol. 5, p. 50. 24. R. MORRIS, Report on Public Credit, cit., p. 63; 1n., Circular to the Governors of Massachusetts, Rhode Island, New York, Delaware, Maryland and North Carolina, 27
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La natura dell’ Unione, l’amministrazione
Nel primo dizionario americano di lingua inglese pubblicato nel 1828, Noah Webster definì il public credit come la reputazione del governo, ovvero la fiducia riposta nella sua abilità di adempiere agli impegni pecuniari assunti. Il termine credit, che derivava dal campo semantico mercantile nel quale indicava la stima di cui il mercante godeva in società, acquisiva un significato pienamente politico con il lemma administration che rimarcava l’importanza della gestione delle finanze da parte del governo. Il dizionario riconosceva così la centralità politica che il credito pubblico aveva assunto nel cinquantennio successivo alla Rivoluzione del 1776, quando era diventata consuetudine del
segretario del Tesoro redigere un report per presentare le linee guida della politica finanziaria dell’ Unione federale. Nel periodo critico della Rivoluzione, l’istituzione del debito pubblico e l’introduzione della tassazione avevano dunque posto per la prima volta una questione
politica e costituzionale di lungo periodo nella storia statunitense: la definizione dell’ Unione federale quale amministrazione «uniforme» e «suprema», adeguata alle sfide della competizione politica ed economica internazionale”. All’inizio della Guerra d'indipendenza, il problema dell’attribuzione di specifiche funzioni di governo in materia fiscale all’ Unione degli Stati era stato innanzitutto relativo all’organizzazione del Congresso. Poiché era sospettosa della concentrazione del potere esecutivo e amministrativo in una sola persona, l'assemblea continentale aveva delegato le proprie funzioni di governo a comitati che agivano secondo linee guida prestabilite. Con il prosieguo della guerra e l'esplosione della crisi finanziaria, questa modalità plurale e assembleare mostrò tutta la sua inefficienza. La nomina del sovrintendente avviò in questo senso una
riorganizzazione complessiva delle funzioni esecutive. Queste vennero assegnate a quattro nuovi uffici monocratici: oltre al sovrintendente delle Finanze, sotto il cui controllo rientrava anche la Marina, venne luglio 1781, in E.J. FERGUSON (ed.), he Papers of Robert Morris, cit., vol. 1, pp. 397-400; R. MORRIS, Circular to the Governors of the States, 19 ottobre 1781, in E.J. FERGUSON (ed.),
The Papers of Robert Morris, cit., vol. 3, pp. 84-88; R. MORRIS, Circular to the Governors of the States, 9 marzo 1782, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., vol. 4, pp. 376. Sulla centralità dell’amministrazione nella storia costituzionale, P. SCHIERA, Per la storia costituzionale, in «Giornale di Storia costituzionale»; 19, 1, 2011, pp. 17-27.
25. N. WEBSTER, American Dictionary of the English Language (1828); P. WEBSTER, ° Essays on Free Trade and Finance, n. 6, 24 marzo 1783, in D., Political Essays, cit., p. 255.
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istituito il Dipartimento della Guerra, degli Affari Esteri e delle Poste. Soprattutto, poiché la conduzione della guerra richiedeva una costante attenzione amministrativa, il sovrintendente chiese e ottenne non soltanto la competenza di nominare i funzionari del suo dipartimento, ma anche il «potere assoluto» di esonerare dall’incarico coloro che, pur dipendendo da un altro dipartimento, svolgevano compiti esecutivi concernenti la gestione del denaro pubblico in ambito militare e di politica estera. In questo modo, le decisioni in merito alle commesse per rifornire l’esercito e al reclutamento delle truppe non erano più esclusivamente appannaggio dell’assemblea continentale, ma anche
del sovrintendente che poteva esercitare una certa influenza sugli altri Ministeri?°. Questa nuova organizzazione del Congresso era funzionale al tentativo di definire su scala nazionale un adeguato apparato amministrativo e fiscale. L'ordinanza continentale del 10 ottobre 1781 chiese ai governi statali di distinguere le tasse raccolte per le spese domestiche da quelle destinante al finanziamento del debito, attraverso la compilazione di un registro pubblico (account). L'intento di costruire un binario separato
per la raccolta delle entrate continentali, che impiegava il personale dei singoli Stati sotto la responsabilità del sovrintendente, incontrò però il limite costituzionale alla sovranità nazionale imposto dalla Confederazione. L'auspicio del sovrintendente era che l’ordinanza fosse considerata un «atto di sovranità». Tuttavia, le circolari che venivano inviate ai governatori statali per la sua esecuzione, più che direttive esecutive vincolanti, sembravano corrispondenze tra Stati sovrani che — pur es-
sendo legati da una «solida amicizia», come era scritto negli articoli del 1781 — erano in forte contrasto sulla ripartizione delle spese necessarie alla loro stessa difesa. Il sovrintendente dovette dunque riconoscere che l’accentramento del potere politico imposto dall’amministrazione rendeva indispensabile emendare la Confederazione”. Questo fu il motivo principale che convinse Morris a richiedere la collaborazione di colui che era stato suo avversario politico. Dopo aver avviato la sottoscrizione in favore della banca, all’inizio del febbraio 1781, Paine lasciò l’incarico di segretario dell'Assemblea statale della Pennsylvania per intraprendere con John Laurens, aiutante di campo 26. R. MORRIS, To the President ofthe Congress, 13 marzo 1781, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., vol. 1, p. 18. 27. R.MORRIS, To the President of Congress, 28 agosto 1781, in E.J. FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., vol. 2, pp. 125-133.
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del generale Washington, una missione estera commissionata dal Congresso continentale allo scopo di ottenere un ulteriore aiuto economico e militare dall’alleato francese. Al ritorno dalla Francia, nonostante lo scetticismo più volte espresso verso coloro i quali scrivevano dietro retribuzione, considerata la sua precaria situazione economica e sollecitato dallo stesso Washington, Paine decise di rispondere positivamente alla richiesta. Nel febbraio del 1782, fu stipulato un accordo per il quale, in cambio della pubblicazione di articoli in sostegno delle misure finanziarie emanate dal Congresso, Paine avrebbe ricevuto annualmente
800 dollari, provenienti da un fondo speciale a disposizione esclusiva del sovrintendente. Per non creare uno scandalo che avrebbe denigrato la sua figura di autore sopra le parti, vanificando in questo modo l’obiettivo stesso della collaborazione, l'accordo doveva rimanere segreto. Da quel momento e per il biennio successivo, come mostra la sua corrispondenza, Paine discusse con Morris gran parte dei suoi scritti. Tra le carte del sovrintendente è presente un Memorandum on Thomas Paine che chiarisce nel dettaglio i termini della collaborazione. La penna del celebre autore di Common Sense non serviva esclusivamente per convincere i governatori e le assemblee statali ad approvare
il registro pubblico per la raccolta delle entrate continentali, di modo che potesse essere organizzata un’amministrazione credibile (faithful administration) al servizio del Paese. Doveva anche spiegare la necessità e l'utilità della tassazione per pagare l’interesse sul debito già contratto, e che sarebbe stato contratto in futuro. Morris non chiese a Paine di sostenere un punto di vista parziale, come era quello dei mercanti creditori e azionisti della banca che avevano l’aspettativa di vedere pagato l’interesse sul debito. Piuttosto, la richiesta fu di mobilitare tutte le forze politiche ed economiche del Paese verso uno stesso fine. Per questo, alla luce dell’enorme successo popolare del pamphlet del 1776, secondo il sovrintendente, non c’era altro autore che avrebbe potuto
«preparare il popolo» all'innovazione del governo su scala continentale. Sebbene non mancassero prese di posizione pubbliche in favore della sua politica di riforma, Paine avrebbe sostenuto l'estensione del potere politico congressuale e il conseguente mutamento costituzionale meglio
di chiunque altro??. 28.
T. PAINE, Letter to Morris, 17 marzo, marzo 1782, 20 febbraio 1782; ID., Letter to his
Excellency General Washington, 17 marzo 1782, in CW, cit., vol. 2, pp. 1205-1211. 29.
R. MORRIS, Memorandum on Thomas Paine, febbraio 1782, in E.). FERGUSON (ed.),
The Papers of Robert Morris, cit., vol. 4, p. 328. Cfr. P. WEBSTER, A Dissertation on the
144 Acconsentire alla collaborazione non significava, però, rinunciare
alla sua indipendenza di pensiero. Già nel 1776, Paine aveva sottolineato
la necessità di attribuire all'Unione un potere sovrano e di governo, auspicando persino l’istituzione del debito pubblico quale ulteriore vincolo nazionale. Tuttavia, gli scritti di questo periodo risentirono dell’influenza del sovrintendente, non tanto per la tesi politica di fondo, quanto per l’introduzione di nuove argomentazioni e per l’aggiornamento del lessico. Nelle pubblicazioni immediatamente successive alla stipula dell'accordo, The Necessity of Taxation e To the People of America, da una parte, egli confermò quanto precedentemente sostenuto in Common Sense, ovvero che il popolo non aveva alienato, ma soltanto delegato la propria sovranità al Congresso continentale. Per questo, avendo detto ai rappresentanti «agite per conto nostro e noi
vi sosterremo», le misure pubbliche emanate per finanziare la guerra non potevano essere disattese dal comportamento individuale o dalle
legislazioni statali: bisognava adempiere collettivamente all'impegno assunto (obligation). Dall’altra parte, affrontando nel dettaglio la crisi politica e finanziaria, Paine abbandonò quel fervore espositivo, che aveva contraddistinto la sua scrittura specialmente nella Pennsylvania rivoluzionaria, per introdurre un vocabolario politico che rimandava
esplicitamente al metodo dell’amministrazione: Non è l’ardore che l’amore della libertà può ispirare [...] a renderci vittoriosi. Noi dobbiamo passare attraverso l’ordine, il sistema e il metodo per agire con freddezza e giudizio [...] il metodo è per il potere naturale quello che la grazia (slight) è per la forza umana, così come senza questa un gigante vanificherebbe il suo lavoro, allo stesso modo, senza metodo un paese sprecherebbe le sue farze??,
Secondo Paine, il metodo era indispensabile nelle funzioni di geverno in materia fiscale perché serviva per studiare e calcolare il costo della guerra, ripartire le spese a livello statale e conoscere in quale
Political Union and Constitution ofthe Thirteen United States of North America, which is necessary to their Preservation and Happiness, Philadelfia 1783, in P. WEBSTER, Political Essays, cit. Paine sostenne questo binario separato nella gestione delle entrate, statali
e continentali, in The Crisis, n. 10, 5 marzo 1782, in CW, cit., vol. 1, pp. 205- 206.
30. T. PAINE, The Necessity ofTaxation, 4 aprile 1782, in E. FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., pp. 310-312; T. PAINE, The Crisis, n. 10, 5 marzo 1782, in CW, vol. 1, cit., p. 198.
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proporzione ciascuno contribuiva alla difesa del Paese. Non sarebbe altrimenti stato possibile gestire entrate e uscite con accuratezza, precisione e giustizia. La conoscenza così acquisita avrebbe soprattutto
assolto a quello che Paine considerava essere il «più grande dovere della rappresentanza»: informare l’elettorato delle scelte compiute dal Congresso continentale. Il metodo applicato a quella che Paine definì «amministrazione della repubblica» avrebbe così smussato quel timore popolare nei confronti dell’accentramento del potere politico, che era stato ereditato dalla controversia coloniale: governo e amministrazione definivano la nuova «natura» dell’ Unione, perché «la nostra esistenza
come nazione, la nostra felicità come popolo e la nostra sicurezza come individui dipendono da questo movimento verso un unico centro». La collaborazione con il sovrintendente, dettata dall’urgenza di superare la crisi politica e finanziaria, spingeva dunque l’autore di Common Sense
ad approfondire e riconsiderare la sua stessa definizione della società come benedizione e del governo come male necessario. A suo modo di vedere, il successo nella Guerra d'indipendenza era strettamente legato all'accentramento del potere politico nel Congresso continentale. Il consolidamento delle funzioni di governo necessarie per amministrare il debito pubblico attraverso l’introduzione della tassazione era, inoltre, indispensabile per affermare uno «spirito di ordine ed economia» che avrebbe favorito l'espansione commerciale, agricola e manifatturiera della società”. In conclusione, ciò che definiva su scala nazionale il rapporto tra società e governo era l’amministrazione: da una parte, la società andava liberata dalle restrizioni che le assemblee statali avevano imposto al commercio e al credito pubblico; dall’altra, il governo doveva accentrare il potere politico in materia fiscale per finanziare la guerra, agevolando in tal modo formazione e sviluppo di un mercato nazionale all’altezza delle sfide poste dalla competizione politica ed economica internazionale. Il governo in quanto amministrazione non veniva dunque rappresentato come un male necessario, ma come un presupposto politico indispensabile al pieno dispiegamento delle forze economiche della
società, vale a dire all'incremento del benessere collettivo del popolo e della ricchezza della Nazione. Se la società era prodotta dal reciproco soddisfacimento del bisogno individuale, l’amministrazione costituiva 31.
T. PAINE, The Crisis, n. 10, in CW, cit., vol. 1, pp. 198-199, 203-207, 310, 312, 316-317;
Ip., Dissertations on Government; the Affair ofthe Bank; and Paper Money, 18 febbraio 1786, in CW, cit., vol. 2, pp. 372 € ss.
146
il passaggio obbligato per connettere i bisogni degli uomini al governo. Rappresentava, in questo senso, un’iniezione di consenso necessaria per
affermare la sovranità nazionale dell’ Unione degli Stati.
2.
LO SPAZIO CONFLITTUALE
DELLA
SOVRANITÀ
NAZIONALE
Sono soltanto gli Stati Uniti e non ogni singolo Stato, che possono disporre nuovi Stati e incorporarli nell’ Unione attraverso
rappresentanza [...] Gli Stati Uniti si ergono sulla linea della sovranità, il territorio libero è loro proprietà collettiva. La nostra grandezza e sicurezza, come pure la protezione del nostro commercio, dipende dalla nostra sovranità in quanto unione. Questa sovranità unita deve essere qualcosa in più di un semplice nome, per questo richiede di essere organizzata all’interno della linea nella quale agisce”.
Nell’intenzione del sovrintendente, la fondazione della Bank of North America, l'istituzione del debito pubblico e l'introduzione della tassazione dovevano unire il nerbo del commercio e della difesa, rendendo così possibile definire una politica nazionale funzionale non soltanto al successo nella guerra e alla sicurezza interna, ma anche all’acquisizione di una certa quota di mercato in un'economia atlantica dominata dalla capacità manifatturiera e commerciale britannica. Nel periodo critico della Rivoluzione, le nuove istituzioni economiche della banca, del debito pubblico e della tassazione contraddistinsero dunque il processo di costruzione dello Stato americano, inteso non soltanto come definizione dell'amministrazione e accentramento del potere
politico, ma anche come formazione del mercato nazionale quale base necessaria all'espansione commerciale. Il progetto di riforma politica ed economica di Morris, tuttavia, attribuiva al Congresso una responsabilità fiscale e finanziaria che andava decisamente oltre la funzione continentale di governo delineata dagli Articoli di Confederazione. Questo squilibrio fra esigenza del finanziamento del debito e potere effettivamente esercitabile poneva la questione costituzionale della sovranità nazionale, non soltanto della sua collocazione e organizzazione istituzionale, ma anche della sua estensione territoriale interna
e della sua proiezione esterna. La sfida che attendeva l’autore di Common Sense nella sua collaborazione con il sovrintendente aveva quindi luogo in uno spazio
32.
ID., Public Good, in cw, cit., vol. 2, pp. 327, 332, 337-339, 349.
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conflittuale che era contemporaneamente nazionale e internazionale, nel quale il motivo politico della sicurezza e quello economico dell’espansione commerciale agivano l’uno sull’altro. Per legittimare l’accentramento del potere politico era in questo senso insufficiente fare appello esclusivamente al gesto costituente del popolo, che aveva dichiarato l’indipendenza delegando, attraverso rappresentanza, il proprio potere al Congresso continentale. La questione non era
meramente teorica. Piuttosto, la sovranità nazionale andava affermata discutendo nel dettaglio le sue dimensioni amministrative: la sovranità interna sul territorio relativamente alla disputa sullo statuto giuridico delle terre di frontiera; la sovranità fiscale con la polemica sul potere di tassare e, connessa a questa controversia, il problema della sovranità esterna sulla scena internazionale della rivalità economica. Questa triplice dimensione amministrativa non costituiva affatto una novità rispetto alla vicenda settecentesca dello Stato europeo che, seppur in modo diverso e con soluzioni tecniche divergenti, era stata contraddistinta da unificazione territoriale, fiscalità nazionale e
competizione economica sul mercato internazionale. Tuttavia, in un contesto rivoluzionario mosso dalle aspettative democratiche suscitate dal processo costituente a livello statale, la legittimazione politica della sovranità nazionale e del conseguente mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale aveva un raggio d’azione più ampio,
esteso oltre l'ambito della forma di governo: in gioco non era soltanto la collocazione della sovranità e la sua organizzazione istituzionale nel Congresso continentale, ma anche la complessiva articolazione economica della società nella sua espansione commerciale. La linea della sovranità, il territorio
Alla fine del 1780, quando ancora non era formalmente iniziata la sua collaborazione con il sovrintendente, Paine diede alle stampe uno scritto nel quale anticipò una posizione che venne successivamente sostenuta dall’autore del Report on Public Credit: le terre di
frontiera andavano considerate demanio pubblico che il Congresso continentale doveva gestire e regolare in modo funzionale al finanziamento del debito e all'espansione commerciale. Nello specifico,
con Public Good, questo era il titolo del pamphlet, Paine intervenne sul problema contingente rappresentato dal rifiuto del Maryland di ‘ratificare gli Articoli della Confederazione qualora la Virginia non
148
avesse rinunciato alle terre a ovest del suo confine. Il territorio occidentale, che si estendeva dagli Stati indipendenti fino alle sponde del Mississippi, costituiva un problema di lunga data, emerso durante la controversia coloniale con la Proclamation Line del 1763, quando il governo britannico aveva riconosciuto le Nazioni indiane, ponen-
do in questo modo un limite geografico all’espansione territoriale dei coloni. A partire dal 1776, il problema divenne una questione dirimente per l’esito positivo della Guerra d'indipendenza, non soltanto perché molte popolazioni native fiancheggiarono l’esercito britannico. Oltre alle discordie politiche interne sulla partizione della spesa militare, esplosero, infatti, profonde controversie sul possesso delle terre occidentali. Gli Stati indipendenti rivaleggiavano per spostare verso ovest il loro confine, ma dovevano a loro volta fronteggiare le pretese secessioniste
degli insediamenti di frontiera e le speculazioni delle compagnie private che investivano il loro denaro acquistando e rivendendo a un prezzo maggiore grandi appezzamenti di terra. Inoltre, per perseguire il proprio interesse personale, spesso i coloni (settler) sembravano propensi al tradimento della causa generale dell’indipendenza, minacciando l'istituzione di un governo autonomo o addirittura operante sotto l'egida dell’autorità imperiale britannica. Il timore era che gli inglesi alimentassero queste spinte centrifughe e separatiste per distruggere
l'Unione degli Stati. La frontiera forniva, in tal senso, un punto di vista fondamentale per comprendere l’incerta origine dell’ Unione federale quale sovranità nazionale su un territorio sottratto alla frammentazione politica interna”. Nel pamphlet, Paine argomentò che gli Stati indipendenti non potevano rivendicare alcun possesso del territorio occidentale facendo leva sulle carte coloniali o sulle concessioni regie, dal momento che queste erano state annullate dalla Rivoluzione del 1776. A suo
modo di vedere, le pretese politiche dei governi statali costituivano «progetti romantici di dominio esteso» che, pur non avendo alcun fondamento, mettevano in forte discussione l’esistenza stessa dell’Unione. Le sregolate iniziative private riproducevano, invece, «pericolose forme di mobilitazione popolare» (popularity). Il rapido movimento dei coloni che stabilivano nuovi insediamenti stava trasformando la frontiera in uno spazio conflittuale al limite 33. Cfr. P. ONUF, The Origins of the Federal Republic: Jurisdictional Controversies in the United States, 1775-87, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1983.
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dello stato di natura, dove la sfrenata opposizione degli interessi e la mutevole varietà dei giudizi facevano del diritto (right) «mera
conquista, potere o violenza». Non era possibile, spiegò Paine, attribuire al termine diritto qualsiasi pretesa individuale, economica o politica che fosse. Bisognava piuttosto stabilire «un diritto fondato sul diritto», non sulla forza?4. L'apparente tautologia non svelava tanto un inedito tratto ide-
ologico del suo pensiero politico che, fin dal primo pamphlet The Case of the Officers of Excise, era stato attento a decifrare il comportamento individuale dietro le fredde formule giuridiche, politiche ed economiche. Piuttosto, essa rivelava l’assoluta priorità che assunse il lavoro di fondazione dello Stato americano nella sua riflessione teorica e nel suo impegno politico. Ovviamente, Paine non rinnegò
la libera iniziativa commerciale che aveva teorizzato e sostenuto a partire da Common Sense. Tanto meno volle smentire la concezione della proprietà come diritto legittimo acquisito attraverso il lavoro che aveva derivato dal pensiero lockeano. Intese però inscrivere il movimento
economico verso ovest nel processo di accentramento
del potere politico e nella formazione del mercato nazionale. Egli affermò in questo senso che era necessario tracciare una «linea di sovranità», all’interno della quale non sarebbe stato possibile istituire forme di governo autonome e separate dall’ Unione. Soltanto così il territorio di frontiera avrebbe cessato di essere uno spazio conflittuale: non essendo più soggetto alla forza incontrollata della popolazione dispersa (scattered people), bensì alla «autorità suprema»
del Congresso continentale, il diritto avrebbe assicurato «armonia, quiete e sicurezza», ovvero le qualità della società indispensabili affinché il mercato nazionale in formazione favorisse prosperità individuale, felicità reciproca e benessere collettivo”. Public Good avanzò dunque una tesi politica più ambiziosa del problema contingente rappresentato dalla controversia tra Maryland e Virginia. Poiché gli Articoli di Confederazione stabilivano che il Congresso continentale poteva esercitare soltanto una funzione secondaria di negoziazione tra le parti coinvolte, Paine sapeva che la loro ratifica non avrebbe risolto la questione. Per questo motivo, la sua mossa teorica consistette nel considerare la sovranità nazionale come già in atto, nonostante l’evidente insufficienza costituziona34. 35.
T. PAINE, Public Good, in cw, cit., vol. 2, pp. 306, 315-317, 327, 331. Ivi, pp. 326-327, 332.
150
le della Confederazione. A suo modo di vedere, la Declaration of
Independence aveva tracciato una linea geograficamente mobile, all’interno della quale l'espansione politica ed economica verso ovest poteva avvenire in determinate condizioni e con modalità prestabilite. In altre parole, la formazione di nuovi Stati non dipendeva dalla reiterazione su scala locale del gesto costituente del 1776, bensì dalla sovranità nazionale dell’Unione degli Stati. Altrimenti, sarebbero seguite in rapida successione frammentazione politica interna e
conquista imperiale esterna?°. La frontiera non era un territorio immediatamente libero, piuttosto era delineato dalle Nazioni indiane e dalle relazioni che l’Unione intratteneva con le potenze europee, alleate e nemiche. Costituiva quindi un luogo privilegiato per osservare e denunciare l’effettivo vuoto di potere che segnava negativamente l’America indipendente sulla scena nazionale e internazionale. Public Good rappresentava in questo senso
un primo contributo dell’autore di Common Sense al complesso lavoro di fondazione e costruzione dello Stato americano. Visto alla luce della frontiera, il Congresso continentale non doveva soltanto stabilire la propria autorità suprema sul territorio occidentale, dichiarandolo demanio pubblico di sua esclusiva proprietà, cosicché potesse servire per finanziare il debito e la spesa militare. Doveva anche definire il contesto sociale dell’iniziativa privata, in modo da regolarla per coniugare interessi personali e interesse generale: le nuove rotte inter-
ne del commercio, che sarebbero state aperte dallo sviluppo agricolo dell'ovest, andavano collegate alla formazione del mercato nazionale. Le competenze in materia di divisione del territorio e istituzione di nuovi Stati, regolamentazione del commercio e introduzione della tassazione, dovevano essere attribuite al Congresso continentale. Così, il rapido e frammentato movimento verso ovest, caratterizzato dalla dispersione degli insediamenti e dalla loro vulnerabilità politica ed economica, non avrebbe alimentato spinte centrifughe e separatiste, piuttosto sarebbe diventato speculare e funzionale al processo di accentramento politico,
legittimando nel contempo il mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. 36. Paine spiegò che era necessario attribuire scrivere le Costituzioni dei nuovi Stati, almeno popolati da un numero di abitanti sufficiente da modellato sulle loro esigenze, ma sempre sotto 37.
Ivi, pp. 329-330.
al Congresso continentale il potere di fino a quando questi non fossero stati consentire la formazione di un governo la sovranità dell’Unione. Ivî, p. 332.
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Paine anticipò in questo modo quanto venne formalmente stabilito nell’ordinanza del 29 aprile 1784, quando il Congresso riconobbe le terre a ovest della Virginia come demanio pubblico, dichiarando che era giunto il momento per l'America indipendente di «assumere la sua forma definitiva e permanente in tutto il territorio interno ai suoi confini». L'ordinanza congressuale diede concretezza all'idea inizialmente espressa nella Declaration of Independence, ovvero che esistesse un interesse generale degli Stati Uniti superiore all’interesse particolare degli Stati indipendenti. Costituiva, in questo senso, un emendamento sostanziale degli articoli del 1781 che, favorendo l’identificazione del popolo con il Congresso continentale, forzava la Confederazione oltre la sua stessa forma. L'ordinanza non cambiava collocazione alla sovranità, ma stabiliva una sorta di prescrizione costituzionale che rinviava a un futuro prossimo la definitiva fondazione dell’ Unione federale, sancendone però immediatamente il presupposto politico, ovvero l’assoluta sovranità nazionale interna sul territorio. Nel periodo critico della Rivoluzione, l'America indipendente giungeva dunque sulla soglia della rivoluzione per lo Stato, ma non osava
superarla per il timore che il diffuso sentimento popolare contrario all'’accentramento del potere politico degenerasse in rivolte e insurrezioni che avrebbero potuto mettere a repentaglio lo stesso successo militare. Per questo, riprendendo l’idea lanciata in Common Sense, Paine avanzò la proposta di «eleggere una Convenzione continentale con lo scopo di scrivere una Costituzione che fissasse potere e autorità del Congresso»? Il valore della sovranità, fiscalità e mercato nazionale
La sovranità interna sul territorio occidentale costituiva soltanto una delle dimensioni amministrative necessarie per dare origine all'Unione federale. Per oltrepassare quella soglia che separava l'America indipendente dalla rivoluzione per lo Stato, bisognava
38.
Ivi, p. 332. w.c. FORD (ed.), Journal of Continental Congress, cit., vol. 26, p. 316.
Cfr. P. ONUF, The Origins of the Federal Republic, cit., pp. 149-185; € ID., Statehood and Union: a History of the Northwest Ordinance, Indiana University Press, Indianapolis 1987, pp. 21-66. Paine non fu l’unico ad avanzare la proposta di una convenzione continentale per consentire una riforma costituzionale sulla base della sovranità popolare, si veda "G.S. wooD, The Creation of the American Republic, cit., pp. 344-389, 519-564.
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anche stabilire la sovranità fiscale, ovvero attribuire al Congresso continentale la competenza in materia fiscale, così come previsto dal Report on Public Credit. L'istituzione del debito pubblico era in questo senso strategicamente fondamentale: l'obbligo contrattuale di pagare l’interesse sul debito forniva un forte motivo economico che giustificava l’accentramento del potere politico. La pressione internazionale dei governi europei alleati, che avevano finanziato la guerra, e l’insistenza dei creditori, che uscirono allo scoperto rivendicando sulla stampa il pagamento del debito, spinsero il sovrintendente a elaborare una proposta di tassazione alla quale il Congresso diede il proprio assenso il 3 febbraio 1781. L'ordinanza
continentale raccomandò come «assolutamente necessario» che gli Stati attribuissero al Congresso il potere di imporre e raccogliere una tassa del cinque per cento sull’importazione di tutti imanufatti, a eccezione di armi, munizioni e approvvigionamenti militari.
Inoltre, stabilì che il denaro così raccolto fosse a uso esclusivo degli Stati Uniti per pagare gli interessi sul debito contratto o che sarebbe stato contratto in futuro. Poiché gli articoli del 1781 richiedevano il consenso unanime degli Stati e dal momento che il Rhode Island rigettò il provvedimento, emerse una forte controversia politica al centro della quale non fu tanto la ratifica dell'imposta, piuttosto il superamento della Confederazione. La dimensione amministrativa della fiscalità fu dunque determinante per stabilire la sovranità nazionale??. Tra il novembre 1782 e il gennaio 1783, Paine discusse con Morris
sei lettere da pubblicare in risposta ad altrettante prese di posizione che difendevano la scelta del Rhode Island di non ratificare l’ordinanza. Dalla loro corrispondenza emergeva chiaramente che l’obiettivo politico fosse trasformare il contrattempo della mancata approvazione della tassa in un'occasione decisiva per forzare il mutamento costituzionale, usando lo stesso inconveniente come argomento per
riformare la Confederazione e attribuire così all’Unione degli Stati non soltanto competenze in materia fiscale, ma anche la funzione esclusiva di regolamentare il commercio, interno ed estero. Secondo
il collaboratore del sovrintendente, l’eventuale approvazione dell’im-
39.
T. PAINE, Letter To Doctor Benjamin Rush, 13 giugno 1783, in CW, cit., vol. 2, p. 1219.
La presa di posizione dei creditori è pubblicata in «New Jersey Gazette», 25 settembre 1782. R. MORRIS, Diary ofRobert Morris, 9 luglio 1782, in E.). FERGUSON (ed.), The Papers ofRobert Morris, cit., vol. 5, pp. 548-549.
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posta avrebbe «connesso legislativamente» il popolo al Congresso continentale rimuovendo il diffuso sentimento popolare contrario all’accentramento del potere politico. Soprattutto, avrebbe stabilito un precedente amministrativo che avrebbe forzato il limite confederale alla sovranità nazionale, costituzionalizzando una facoltà di governo non prevista: Essendo obbligato ad agire in un ambito dove non ha un diritto delegato [...],
nonostante la diffidenza verso la sua autorità, legiferando al di fuori dalla sua competenza, il Congresso stabilirà l'ambito legislativo di sua competenza?°.
Coloro che osteggiarono l’imposta indicarono proprio nell’ampliamento delle funzioni esecutive del Congresso continentale il pericolo principale. I diversi articoli pubblicati sulla stampa ripresero le argomentazioni addotte durante la controversia coloniale contro la politica imperiale di tassazione, che erano, a loro volta, derivate dalla letteratura britannica d'opposizione. Secondo gli oppositori, l'istituzione del debito pubblico finanziato tramite tassazione avrebbe consegnato il governo
nelle mani di un gruppo di uomini, i creditori, interessati soltanto al proprio guadagno personale. L'amministrazione indispensabile alla raccolta delle entrate avrebbe inoltre formato un corpo di funzionari che avrebbero vissuto sulle spalle del popolo (pensioner) e il denaro raccolto sarebbe infine servito per finanziare un esercito stabile. Debito pubblico, amministrazione ed esercito permanente avrebbero così determinato una spaventosa concentrazione del potere politico nel governo. L’esecutivo sarebbe diventato un potere indipendente dalla volontà popolare. Poiché la Confederazione stabiliva che tutte le competenze non esplicitamente attribuite al Congresso continentale spettavano agli Stati indipendenti - come, peraltro, era testimoniato dal fatto che il sovrintendente emanava circolari e raccomandazioni invece che direttive
vincolanti — gli oppositori sostennero che la riforma delineata dal Report on Public Credit costituisse una «allarmante innovazione politica»: una forza incostituzionale che confermava la teoria europea della ciclica degenerazione delle forme di governo, ovvero la tendenza del governo ad ampliare il proprio potere politico a discapito del popolo”. 40.
T. PAINE, To Robert Morris, 20 novembre 1782, 7 dicembre 1782 e 23 gennaio 1783,
in CW, cit., vol. 2, pp. 1216-1217, 1241. 41. A vindication of the State of Rhode Island, in «Providence Gazette», nn. 1 e 2, 26 ottobre 1782, 11 gennaio 1783; On Five Per Cent Duty, in «Providence Gazette», 25 gen-
154 A queste prese di posizione — nelle prime Letters in Answer to the Citizen of Rhode Island on the Five Per Cent Duty, pubblicate tra novembre e dicembre 1782 - Paine rispose che l'eventuale approvazione dell'imposta non avrebbe affatto favorito la formazione di un potere esecutivo lontano e separato dal popolo. L'accentramento delle funzioni di governo in materia fiscale era del tutto legittimo perché la «nomina dell’esecutivo era completamente nelle mani del popolo», in virtù dell’elezione annuale dei rappresentanti a livello statale e nazionale. In questo senso, l’autorità politica del Congresso continentale andava certamente considerata suprema, ma non era assoluta perché il potere non esisteva perennemente nella stessa persona o in uno stesso gruppo
di persone. Inoltre, diversamente dalla vicenda settecentesca britannica, l'imposta non avrebbe reso necessario assumere un numero eccessivo di funzionari, né avrebbe gravato in modo indiscriminato sulla popolazione producendo povertà e miseria. Come sapeva bene l’ex uomo delle accise, al contrario della tassazione indiretta che implicava un controllo capillare del territorio, il dazio sulle importazioni sarebbe stato raccolto in specifici luoghi di entrata delle merci e avrebbe colpito soltanto i consumatori di manufatti stranieri, in genere beni di lusso e non di prima necessità*. L'argomento più importante che Paine avanzò fu però un altro. A suo parere, attribuire all’ Unione il potere di imporre e raccogliere tasse non era soltanto indispensabile, era anche inevitabile perché i creditori non avevano concesso prestiti ai singoli Stati, bensì agli Stati Uniti. Il Congresso continentale aveva dunque la responsabilità esclusiva di rispettare gli impegni pecuniari assunti. D'altra parte, il debito era stato contratto con il consenso dei membri del Congresso e il credito così accumulato non era servito per istituire formalmente
un esercito permanente, piuttosto era stato usato per finanziare le truppe impegnate nella guerra. Tutti gli Stati indipendenti, compreso
il Rhode Island, ne avevano quindi beneficiato. Il debito pubblico costituiva in questo senso un obbligo contrattuale che non era possibile naio 1783. Cfr. On Five Per Cent Duty, in «Freemans Journal», 1 gennaio 1783; Farther Strictures on Five Per Cent Impost, in «Freeman*s Journal», 12 febbraio 1783; To the
United States in general and the Massachusetts in particular, in «Boston Independent Chronicle», 10 agosto 1782; A Vindication of the State of Rhode Island, in «Providence
Gazette», 26 ottobre 1782; On the Five Per Cent Duty, in «Providence Gazette», 5 aprile 1783; Further Remarks in Five Per Cent Duty, in «Freeman* Journal», 26 marzo 1783.
42.
T. PAINE, Letter to Rhode Island, nn. 1
PP. 343-345.
2, in Cw, cit., vol. 2, Pp. 336-337, pp. 339-340,
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disattendere, non soltanto per giustizia nei confronti dei creditori, ma anche perché garantiva le risorse finanziarie necessarie alla sicurezza interna. Il collaboratore del sovrintendente svelò dunque la reale posta in gioco nella disputa sull’imposta, ovvero «la sovranità nazionale come Stati Uniti». Dopo aver risposto colpo su colpo alle prese di posizione contrarie all'introduzione della tassazione, nelle lettere successive Paine criticò esplicitamente il limite confederale alla sovranità nazionale, spostando l’attenzione dal problema contingente rappresentato dalla ratifica dell'imposta alla questione generale della costruzione dello Stato americano e della formazione del suo mercato nazionale. Egli spiegò che gli Stati Uniti avrebbero potuto competere sulla scena internazionale soltanto elevandosi al rango delle potenze europee, ovvero agendo sulla loro stessa «linea di sovranità». Tuttavia, la Confederazione non era affatto adatta a questo fine. La funzione continentale di governo non era, cioè, adeguata allo scopo della «regolamentazione commerciale» e all'obiettivo economico del «vantaggio interno». Come evidenziava la difficile gestione finanziaria della guerra, l’attribuzione della sovranità ai singoli Stati non impediva soltanto di raccogliere un adeguato livello di risorse economiche tramite tassazione, ma svuotava così anche il potere federativo del Congresso continentale, in materia di alleanze, trattati e accordi commerciali. A questo proposito, interpellando retoricamente gli oppositori dell’imposta, il collaboratore del sovrintendente formulò la seguente domanda: dal momento che le esportazioni statunitensi erano frenate da ingenti dazi europei, per
quale motivo le importazioni non dovevano essere soggette a una stessa tassazione**? La domanda retorica serviva per denunciare la precaria situazione
economica dell’America indipendente. Il boicottaggio del commercio britannico e la Guerra d'indipendenza avevano reso indispensabile reperire rapidamente dalle altre potenze europee beni e manufatti, determinando
in questo modo un forte indebolimento della capacità manifatturiera statunitense. Per invertire tale pericolosa tendenza all’impoverimento delle forze economiche, Paine avanzò una specifica concezione politica del commercio. Questo non andava meramente considerato come libero
scambio privato (commerce). Da un punto di vista nazionale, andava 43.
ID. Letter to Rhode Island, nn. 1, 2 e 3, in CW, cit., vol. 2, pp. 337-339, 340-341, 347-
348, 350.
44. ., Letterto Rhode Island, nn. 2,3 € 4, in CW, cit., vol. 2, pp. 341, 346, 350-351, 354-355.
156
piuttosto inteso come insieme delle attività produttive, agricole e manifatturiere, da regolamentare e proteggere a vantaggio del Paese. In questo senso, il commercio (trade) costituiva una variabile politica indispensabile che richiedeva una funzione continentale di governo. La sovranità fiscale era dunque una questione contemporaneamente politica ed economica, per meglio dire politica in quanto economica. A suo modo di vedere, infatti, il primo business di uno Stato era incrementare la produzione agricola e manifatturiera, favorendo l'espansione commerciale interna e internazionale. La mancata ratifica dell'imposta avrebbe invece stabilito un pericoloso precedente per il quale gli Stati dell’Unione potevano regolamentare autonomamente il mercato all’interno e verso l’esterno,
con la conseguenza che le forze economiche sarebbero andate sprecate, avrebbero, cioè, favorito la grandezza politica e la ricchezza nazionale degli Stati europei, non degli Stati Uniti. In conclusione, come era avvenuto nella vicenda settecentesca britannica, la formazione del mercato nazionale dipendeva dal superamento della frammentazione politica interna, ovvero dall’accentramento del potere politico. Poiché nel sistema europeo la rivalità economica era diventata una questione di sopravvivenza nazionale, anche oltreoceano il commercio doveva definire una voce fondamentale sulla quale misurare e legittimare autorità e azione politica dell’ Unione in quanto Stato. La fiscalità costituiva in tal senso una leva politica essenziale, non soltanto per reperire le risorse economiche necessarie al finanziamento della guerra e alla sicurezza interna, ma anche e soprattutto per costruire un mercato nazionale quale base necessaria all'espansione commerciale. Aveva cioè lo scopo primario di dare una precisa forma politica al commercio, inquadrandolo nella concorrenza internazionale in modo funzionale all'incremento della capacità produttiva statunitense. Esattamente come la disputa politica sulle terre di frontiera e in modo complementare a questa, la controversia sull’imposta del cinque per cento alimentava un processo di accentramento del potere politico che procedeva in duplice direzione: dall’alto, perché la fiscalità costituiva una dimensione amministrativa indispensabile per stabilire la sovranità nazionale all’interno; dal basso, poiché stimolava l’industriosità delle
45. ID. Letter to Rhode Island, nn. 4, 5 è 6, in cw, cit., vol. 2, PP. 354-355, 358-359, 363. Nel numero straordinario della serie The Crisis, pubblicato il 4 ottobre 1780, Paine aveva
sostenuto: «Con commercio non intendo l’occupazione di un mercante soltanto, ma l'interesse e il business complessivo del paese preso collettivamente», rIp., The Crisis Extraordinary, în cw, cit., vol. 1, p. 182.
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forze economiche in modo funzionale alla ricchezza della Nazione. La sovranità fiscale e l'’amministrazione necessaria alla raccolta delle
entrate costituivano, dunque, un imprescindibile vettore politico che
univa la sovranità interna sul territorio alla sovranità esterna sul mercato internazionale.
Il diritto della sovranità, Impero e mercato internazionale Nella disputa politica aperta dalla mancata approvazione dell’imposta sulle importazioni, Paine non affrontava soltanto la questione della sovranità nazionale per la fondazione dell’ Unione in quanto Stato, ma anche il problema specifico della formazione del mercato nazionale nello scenario internazionale. Questo aspetto economico della costruzione dello Stato americano emergeva esplicitamente nell’aprile del 1782 quando, a trattative di pace già avviate, egli denunciò che il governo britannico intendeva distruggere sul nascere il commercio tra l’America indipendente e le potenze alleate. A suo parere, la protezione del commercio era un tema fondamentale della politica internazionale, che avrebbe influenzato l'espansione commerciale statunitense in un modo o nell’altro, favorendo nuove rotte atlantiche in potenziale competizione con il mercato nazionale inglese, oppure consolidando la supremazia economica della Gran Bretagna. In questo senso, la trattativa di pace non doveva portare soltanto al riconoscimento formale dell’indipendenza, avrebbe dovuto anche garantire condizioni politiche adeguate alle esigenze economiche degli Stati Uniti’. 46. Hints on the Present Condition of Foreign Commerce, in «Pennsylvania Packet or the General Advertiser», 11 aprile 1782. L'articolo comparve anonimo con la firma An Alliance Man. Pur non essendo pubblicato in nessuna delle raccolte dei suoi scritti e sebbene il manoscritto non sia mai stato ritrovato, possiamo considerarlo comunque opera della penna di Paine. Nei Papers of Robert Morris è infatti custodita una sua lettera datata 7 aprile 1782, nella quale l’autore di Common Sense proponeva la pubblicazione nel «giornale di Dunlaps» - appunto il «Pennsylvania Packet» — di un breve testo sulla «protezione del commercio». Inoltre, come è possibile leggere nel diario del sovrintendente, Morris consigliava all'autore di rimanere anonimo: From Thomas Paine, 7 aprile 1782; Diary, 8 aprile 1782; Report to Congress on a Memorial of the Merchants of Philadelphia, 4 maggio 1782; State of American Commerce and Plan for protecting It, 10 maggio 1782, in E.). FERGUSON (ed.), The Papers of Robert Morris, cit., voll. 4 e 5, pp. 328, 538-533, 108-109. Sulla trattativa di pace e la protezione del commercio, c. MATSON, The Revolution, the Constitution, and the New Nation, in s.L. ENGERMAN, R.E. GALLMAN, The Cambridge Economic History of the United States, Cambridge University ‘Press, Cambridge 2000, vol. 1, pp. 363-401.
158
Questo spazio internazionale della sovranità nazionale aveva
attratto l’attenzione dell’autore di Common Sense fin dal 1776. Paine intervenne però direttamente sulla questione soltanto nel 1779,
quando si presentò il problema del diritto di pesca a largo della Newfoundland, l’isola di Terranova situata di fronte alle coste orientali del Canada. Quelle acque erano state oggetto di un lungo contenzioso internazionale tra Francia e Gran Bretagna perché garantivano il controllo delle rotte atlantiche del pescato, dell'olio di balena e della carne conservata sotto sale. La richiesta avanzata dal governo britannico di rinunciare alla pesca per proseguire la trattativa di pace non poteva quindi che suscitare un forte dibattito politico. Coloro che intendevano accettare questa condizione, giudicando la questione irrilevante o comunque non decisiva a tal punto da giustificare il proseguimento della guerra, argomentarono che il diritto di pesca su quelle acque apparteneva alla monarchia britannica, la quale non aveva fatto in tal senso alcuna concessione nelle carte coloniali. Contro questa posizione, Paine pubblicò tre lettere nel «Pennsylvania Gazette» dove spiegò che qualora questo diritto non fosse stato riconosciuto le parole peace e independence sarebbero risultate vuote e neutre, prive del necessario significato politico ed economico. A suo modo di vedere, «pace e indipendenza implicano qualcosa in più della semplice cessazione della guerra», ovvero una «condizione di prosperità e sicurezza»*7. Da un punto di vista politico, Paine sostenne che non fosse possibile avviare una trattativa sulla base di quanto scritto o non scritto nelle carte coloniali. Queste non andavano considerate valide. La pesca non costituiva quindi un diritto concesso che poteva essere
alienato nella trattativa per l’indipendenza, bensì un «diritto naturale», come «ogni altro diritto che appartiene alla sovranità». Paine fece in tal senso riferimento alla dottrina europea seicentesca che aveva collocato gli Stati in relazione tra loro in uno «stato di natura», evidenziando tuttavia come la dichiarazione d'indipendenza e il conseguente ingresso degli Stati Uniti nel sistema europeo degli Stati
implicassero un progressivo passaggio dal diritto naturale al diritto
positivo come strumento delle relazioni internazionali: il diritto di
pesca andava scritto nero su bianco nel trattato di pace in modo che fosse riconosciuto come diritto internazionale (law ofnations). Da un 47.
T. PAINE, Peace and the Newfoundland Fisheries, in «Pennsylvania Gazette», n. 1,
30 giugno, 14 e 21 luglio 1779, in cw, cit., vol. 2, pp. 189-190.
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159
punto di vista economico, egli spiegò invece che la pesca non andava intesa semplicemente come impresa privata dei singoli pescatori,
rispondente perciò esclusivamente al loro interesse particolare. Essa, oltre ad assicurare occupazione nelle aree costiere del Nord Atlantico, produceva infatti anche provviste e alimentava il commercio a vantaggio del Paese. Costituiva dunque una voce importante della «ricchezza nazionale». Coloro che conducevano la trattativa con il governo britannico dovevano allora considerare il diritto di pesca come una «grande questione politica» che coinvolgeva «strumenti e rotte del commercio».
In altre parole, esattamente come il territorio
interno di frontiera, l’oceano rappresentava una risorsa economica
fondamentale per l'America indipendente, dalla quale dipendeva la
«possibilità dell’impero»*.
Il termine empire venne impiegato con un significato comple-
mentare a quello di union per affrontare il problema rappresentato dalla rivalità economica e dalle ritorsioni politiche che segnavano il mercato internazionale. Impero non implicava in questo senso un
dominio territoriale per sfruttare le risorse economiche esterne al territorio nazionale, oppure per esportare il lavoro povero in eccesso
(labouring poor). Una simile concezione avrebbe ovviamente tradito l’ideale rivoluzionario del primo Stato postcoloniale. D'altra parte, notò Paine, il territorio di frontiera forniva una risposta alternativa
al problema economico alla base della proiezione imperiale europea. Eppure, senza stabilire una sovranità nazionale adeguata alla protezione del commercio, l'indipendenza non avrebbe comportato sicurezza e benessere, sarebbe piuttosto stata una bolla (bubble)
pronta a esplodere sotto la pressione internazionale. Le trattative di pace andavano quindi condotte mostrando la possibilità dell’ Impero, ovvero del dominio esterno non con la forza, ma attraverso il commercio. Con il termine empire Paine volle quindi definire la capacità politica di proteggere il mercato nazionale per favorirne l'espansione internazionale”?.
48.
ip., Peace and the Newfoundland Fisheries, nn. 2 e 3, in CW, cit., vol. 2, pp. 195, 197-
200, 202, 207. Sulla Rivoluzione americana e il diritto internazionale, D. ARMITAGE, The
Declaration of Independence and International Law, in «William & Mary Quarterly», for Diplomatic Historians, 29, 1, 2002, pp. 39-64; P. ONUF, A Declaration of Independence in «Diplomatic History», 22, 1, 1998, pp. 71-83. 49. T. PAINE, Peace and the Newfoundland Fisheries, n. 3, in cW, cit., vol. 2, pp. 199, 202-203, 205-207. Sulla nozione di Impero, M. DEL PERO, Libertà e Impero, cit., pp: 5-28.
160
Nonostante l’impegno di Paine in questa direzione, il Congresso continentale diede istruzione di non affrontare il contenzioso sulla pesca nel negoziato con il governo britannico, rimandando al futuro la stipula di un
trattato commerciale. Tuttavia, la questione emerse nuovamente quando, in seguito alla decisiva sconfitta delle truppe britanniche a Yorktown in
Virginia il 19 ottobre 1781, il governo britannico decise di riavviare le trattative di pace. Così, Paine intervenne nuovamente criticando il Primo Ministro britannico, lord Shelburne, secondo il quale gli Stati Uniti dovevano costituire un mercato aperto alle esportazioni britanniche,
mentre il loro commercio estero andava ostacolato con misure protezioniste. A partire dal 1782 e soprattutto dopo il 1783, il governo britannico emanò, infatti, una serie di provvedimenti che impedivano il commercio statunitense con le Indie occidentali, limitavano la pesca nelle acque di Terranova e proibivano l’ingresso nei porti inglesi delle navi battenti bandiera americana che trasportavano pesce e olio di balena. Conclusa la Guerra d’indipendenza, anche Francia e Spagna seguirono l'esempio britannico. La promessa fatta in Common Sense, per cui l’indipendenza avrebbe aperto il mondo atlantico al libero commercio e alla reciprocità economica, venne dunque infranta dalle politiche mercantiliste europee. A qualche mese di distanza dalla stipula del Trattato di Parigi (3 settembre 1783), che riconobbe ufficialmente l'indipendenza dopo sette lunghi anni di guerra, in due lettere indirizzate rispettivamente al sovrintendente e al generale Washington, Paine non nascose tutta la sua delusione per l’incerta fondazione degli Stati Uniti d'America. Eppure, quando si rivolgeva ai suoi lettori, non si perdeva d'animo e ribadiva incessantemente il suo appello in favore dell’ Unione: Soltanto agendo come unione possiamo contrastare le usurpazioni delle nazioni straniere contro la libertà di commercio (trade), ed estendere la sicurezza al
commercio dell’America. E quando vediamo una bandiera, che allo sguardo è meravigliosa, e quando la contempliamo levarsi all'orizzonte proviamo una sensazione di sublime gioia, il nostro onore nazionale deve essere unito al nostro interesse di impedire che qualcuno di noi venga beffeggiato o insultato?°.
50.
T. PAINE, A Supernumerary Crisis. To the People ofAmerica, 9 dicembre 1783,
in CW, cit., vol. 1, pp. 236-238, 239; ID., Letter to Robert Morris, 14 ottobre 1783, € ID., Letter to George Washington, 2 ottobre 1783, in CW, cit., vol. 2, pp. 1243, 1225-1226. Cfr.
,.E. CROWLEY, The Privileges of Independence. Neomercantilism and the American Revolution, Johns Hopkins University Press, London 1993, pp. 50-93.
PAINE E I MERCANTI
3.
DELLA
UNA RIVOLUZIONE
RIVOLUZIONE
161
PER LO STATO
I principi del governo civile garantiscono la protezione e non la violazione del diritto e della proprietà. [...] Il governo civile estende il suo operare fino ad esigere l’esatto adempimento degli impegni stipulati tra uomo e uomo.
Vale la pena osservare che ogni caso di fallimento delle finanze, da quando il sistema della carta moneta aveva avuto inizio, produsse una rivoluzione nei governi, totale 0 parziale. Il fallimento finanziario del vecchio Congresso americano e le difficoltà che determinò nel commercio distrussero il sistema della vecchia confederazione producendo la Costituzione federale”.
La conquista dell’indipendenza e la stipula del trattato di pace non determinarono un immediato senso comune di sicurezza e prosperità.
La Rivoluzione del 1776 e la guerra lasciarono in eredità problematiche politiche ed economiche ancora lontane dal trovare una soluzione definitiva. Dalla disputa sullo statuto giuridico delle terre di frontiera allo scontro sul potere congressuale di imporre e raccogliere tasse; dalla polemica sulle relazioni economiche con la Gran Bretagna al dibattito sulla protezione del commercio statunitense nel mercato internazionale. L'America indipendente veniva così investita dall’ineluttabile questione dell’accentramento del potere politico e del conseguente mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. In due lettere indirizzate a due creditori della Bank of North America, Paine non potette allora non denunciare, con estrema chiarezza e altrettanto rammarico, quanto prevalessero ancora interessi di parte e quanto la parola union fosse ancora considerata con scetticismo e distacco”. Questa preoccupazione politica era inoltre acuita dalla delusione personale per non vedere adeguatamente riconosciuto il suo contributo alla causa generale dell’indipendenza. Nella primavera del 1784, quando Morris diede le dimissioni dall’incarico di sovrintendente delle Finanze in seguito alla mancata approvazione dell'imposta sulle importazioni, venne meno il suo accordo di collaborazione e la sua retribuzione. Paine cadde nuovamente in una difficile situazione economica. Diversamente dai gentleman della Rivoluzione, non poteva contare sul possesso di 51. T. PAINE, Attack on the Paper Laws, in E. FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., pp. 365-366; T. PAINE, The Decline and Fall of the English System ofFinance, in cw, cit., vol. 2, p. 664. 52..
ip, Letter to Lewis Morris e Letter to Daniel Clymer, in cw, cit., vol. 2, pp. 1246,
1255-1256.
162
proprietà, mobile o immobiliare che fosse, anche perché aveva devoluto il cospicuo introito ricavato dalle vendite di Common Sense alle truppe impegnate nella guerra. Come scrisse in una lettera del 7 giugno 1783 indirizzata al Presidente del Congresso, egli poteva godere soltanto dei principi per cui aveva lottato. Soltanto dopo numerose richieste, sostenute soprattutto dal generale Washington, nel 1784 Paine ottenne dall’Assemblea legislativa di New York una tenuta presso New Rochelle, mentre nel 1785 il Congresso continentale gli riconobbe 3.000 dollari su cui fece agio per molti anni ancora”. Dopo un periodo dedicato alio studio delle scienze e all’elaborazione del progetto del primo ponte in ferro a un solo arco, Paine intervenne nuovamente nel dibattito politico alla fine del 1785, quando una forte mobilitazione popolare chiese e ottenne la revoca della legge della Pennsylvania che aveva incorporato a livello statale la Bank of North America. La decisione dell’Assemblea legislativa costitutiva un ulteriore duro colpo al duplice progetto di riforma politica ed economica delineato dal sovrintendente nel Report on Public Credit. Nonostante non avesse assunto una dimensione nazionale, come Morris aveva invece auspicato, la banca aveva comunque svolto un ruolo decisivo
nel finanziamento della Guerra d'indipendenza. Aveva attratto credito privato e pubblico, interno ed estero. Le sue azioni erano state quotate con successo nel mercato finanziario olandese. Almeno per un breve
periodo, la banca aveva inoltre sottratto di fatto al potere legislativo statale e continentale la possibilità di emettere carta moneta, riducendo in questo modo deprezzamento e inflazione che avevano determinato la
crisi politica e finanziaria del Congresso continentale. Tuttavia, l’obiettivo di lungo periodo, ovvero imporre le banconote emesse dalla banca come moneta nazionale da usare per la gestione del debito pubblico e la raccolta delle entrate, non venne raggiunto. Le difticoltà di ordine costituzionale e politico, che avevano impedito l’introduzione della tassazione e la formazione di una prima amministrazione fiscale su scala continentale, avevano ridimensionato la sua funzione strategica
quale banca nazionale che avrebbe dovuto favorire un rafforzamento
politico ed economico dell’Unione degli Stati.
53. ID., To his Excellency General Washington, 28 aprile 1784; 1D., To the Congress of the United States, 27 settembre 1785; In., To a Committee of Congress, settembre 1785, in CW, cit., vol. 2, pp. 1226-1242, 1248-1249,1251-1254. 54. B. HAMMOND, Banks and Politics in America, from the Revolution to the Civil War, Princeton University Press, Princeton 1957.
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Il suo impatto sull’economia fu invece rilevante e duraturo perché accrebbe il mercato finanziario e la disponibilità di credito legato al valore stabile dell’oro, agevolando in tal modo un maggiore investimento produttivo in Pennsylvania, New York e Massachusetts, gli Stati che avevano formalmente riconosciuto l’istituzione della banca. Il consolidamento degli interessi coinvolti nell’attività finanziaria della banca — non soltanto dei mercanti che erano suoi creditori e azionisti, ma indirettamente anche di artigiani e lavoratori impegnati nelle prime imprese manifatturiere — aveva favorito la formazione di un blocco sociale che, per quanto diversificato e incoerente al suo interno, guardava con crescente
apprensione alla sovranità delle assemblee statali in materia economica e finanziaria. Debitori e gruppi rurali delle zone di frontiera esprimevano, infatti, maggioranze politiche che rivendicavano non soltanto il controllo
del commercio e la limitazione dei prezzi, ma anche l'emissione di carta moneta. Dal loro punto di vista, questa liquidità slegata dal valore dell’oro serviva ad alleggerire il peso del debito privato e a evitare in questo modo la confisca delle terre acquisite tramite prestito. Paradossalmente, proprio le difficoltà politiche incontrate dal progetto di riforma avanzato dal sovrintendente e sostenuto dal suo collaboratore, in particolare nella vicenda della banca, contribuirono all’affermazione di un clima favorevole al superamento della Confederazione”. L’abrogazione della legge statale che aveva incorporato la banca a livelio statale costituiva un precedente pericoloso per il consolidamento politico ed economico dell’Unione degli Stati. Mentre la mancata approvazione dell’imposta sulle importazioni aveva mostrato il limite confederale alla sovranità nazionale, la decisione dell'Assemblea legislativa della Pennsylvania lasciò intendere che gli Stati indipendenti avevano il potere di annullare quanto il Congresso continentale aveva deliberato. Non era dunque in ballo soltanto la sopravvivenza della banca, che poteva comunque continuare la sua attività finanziaria come impresa privata. La vera posta in gioco era la legittimità del processo di accentramento del potere politico avviato durante la Guerra
d'indipendenza. La vicenda della banca diede in questo senso nuovo slancio al dibattito politico sull’ Unione, avviando una discussione sul significato della Costituzione come legge fondamentale e suprema del Paese. Come scrisse Paine, riflettendo sulla fondazione degli Stati Uniti 55. Cfr. T. BouTON, Taming Democracy: “the People,” the Founders, and the Troubled Ending of the American Revolution, Oxford University Press, Oxford 2007; W. HOLTON, Unruly Americans and the Origins of the Constitution, Hill & Wang, New York 2007.
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d’America a un ventennio dal 1776, il fallimento finanziario e le difficoltà
economiche che derivarono dalla Guerra d'indipendenza distrussero la Confederazione, determinando una rivoluzione nel governo, ovvero una rivoluzione per lo Stato che avrebbe trovato pieno compimento nella Costituzione federale del 1787).
La legge della banca
A partire dal 1784, l'Assemblea legislativa della Pennsylvania non riprese soltanto ad attuare politiche di regolamentazione del commercio e limitazione dei prezzi che erano state interrotte dopo il Fort Wilson Riot del 1779. Venne anche promulgata una serie di provvedimenti in favore dei debitori, compresa una nuova ingente emissione di carta moneta. In un
articolo pubblicato nel «Pennsylvania Gazette» il 19 aprile del 1785, un autore anonimo etichettò negativamente questo attivismo del legislativo come troppo governare (governing too much). Eppure, gli abitanti delle contee rurali e i loro rappresentanti ottennero anche l’istituzione di un comitato deputato al controllo generale della situazione economica”. Il comitato sottopose all’Assemblea legislativa un documento nel quale propose l'abrogazione della legge statale sulla banca, spiegando che la sua attività finanziaria era responsabile della crescente «accumulazione di enorme ricchezza». Secondo il comitato, la banca aveva consolidato un forte «interesse mercantile», perché l'associazione di azionisti (corporation) che ne dirigeva le operazioni aveva concesso pre-
stiti soltanto ad alto tasso d’interesse, impedendo in questo modo alla gente comune - soprattutto contadini e lavoratori - l’accesso al credito. Inoltre, poiché i creditori non accettavano la carta moneta statale per il pagamento del debito privato, ipoteche e confische erano in aumento insieme al numero di nullatenenti. Il documento concludeva che la banca costituiva un «potere» incompatibile con il governo democratico perché interferiva con le politiche volte ad assicurare maggiore uguaglianza. Per la popolazione delle zone di frontiera, abrogare la banca significava in tal senso rigettare quell’obiettivo economico esplicitamente rivendicato
56. T. PAINE, The Decline and Fall of the English System of Finance, in cw, cit., vol. 2,
p. 664.
57.
L'articolo è stato attribuito a Paine dallo storico Aldridge, a.0. ALDRIDGE,
Why
did Thomas Paine write on the Bank?, in «Proceedings of the American Philosophical Society», 93, 4, 1949, pp. 309-315.
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dal sovrintendente, ovvero trasferire le proprietà nelle mani di coloro che potevano renderle più produttive? Diverse furono le prese di posizione contro il comitato. In particolare, imercanti che avevano sostenuto la battaglia per il libero commercio e avevano partecipato alla campagna di sottoscrizione in favore della banca pubblicarono pamphlet e articoli sulla stampa, che spostavano l’attenzione sul problema politico e costituzionale posto dalla sua abrogazione attraverso legge statale. Imercanti ribadivano quanto la banca fosse politicamente importante per la fondazione degli Stati Uniti sulla scena internazionale: la banca forniva un «criterio sicuro» per stabilire «forza o debolezza dello Stato» perché costituiva uno «strumento della ma soprattutfinanza» delineato non soltanto per sostenere la guerra, to per assicurare la difesa nazionale, perseguire l’interesse generale e promuovere il benessere collettivo. Sebbene non fosse esplicitamente riconosciuto dalla Confederazione, il potere esercitato dal Congresso continentale per istituire la banca andava considerato come implicito alla natura dell’ Unione, poiché rispondeva alla sua stessa ragion d'essere, ovvero assicurare un interesse superiore a quello parziale dei
singoli Stati??. Da questo assunto politico, che stabiliva la sovranità nazionale in materia economica e finanziaria, l’argomentazione mercantile proce-
dette presentando un triplice corollario costituzionale. Innanzitutto, la legge che aveva incorporato la banca a livello statale implicava un «consenso solenne» nei confronti dell’ordinanza continentale con la quale era stata ufficialmente istituita. Questo consenso non poteva essere smentito senza il preventivo assenso da parte del Congresso. La legge statale andava dunque considerata inferiore alla legislazione continentale. Inoltre, poiché aveva sanzionato un contratto privato in base al quale alcuni uomini di proprietà avevano garantito un prestito
58.
Remarks on a Pamphlet, Entitled Considerations on the Bank of North-America, |.
Steele, Philadelphia 1785, p. 1. Il documento del comitato in risposta alla Petition against the Charter of North America Bank venne riportato da Paine nelle sue Dissertations on government, in CW, cit., vol. 2, pp. 387-388. N. WEBSTER, The True Interest of the United
States, cit., p. 20. Sul processo di accumulazione nelle zone di frontiera, A. KULIKOFF, The Transition to Capitalism in Rural America, in «William & Mary Quarterly», 46, 1, 1989, pp. 120-144.
59. P. WEBSTER, Essay on Credit in which the Doctrine of Banks is considered, AND Some Remarks are made on the Present State of the BANK OF NORTH AMERICA, Philadelphia 1786, in 1D., Political Essays, cit., pp. 431-432; J. WILSON, Considerations on the Bank of
North America, Hall & Sellers, Philadelphia 1785, pp. 12-14.
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monetario al governo, la legge statale non poteva essere revocata senza
determinare un’indebita invasione nel libero godimento del diritto di proprietà stabilito dalla Costituzione della Pennsylvania. La sua abrogazione era quindi incostituzionale. Infine, veniva argomentato che, in caso di contenzioso sul contratto privato che regolava l’attività finanziaria della banca, la competenza non era del potere legislativo. Spettava invece alla Corte di Giustizia dirimere contese sull’adempi-
mento contrattuale?°, I mercanti videro dunque nella vicenda della banca l'occasione per rovesciare il limite confederale alla sovranità nazionale, proponendo una diversa gerarchia politica delle fonti giuridiche che dovevano sostenere l’architettura costituzionale dell’ Unione in quanto Stato: la suprema autorità politica del Congresso continentale e la sua competenza legislativa in materie economiche e finanziarie di interesse nazionale; il principio di costituzionalità per affermare il primato della Costituzione sulla legge; conseguentemente il limite del potere legislativo e la specifica funzione del potere giudiziario nel garantire la preminenza della contrattazione privata, ovvero la libertà di commercio e il diritto di proprietà. Poiché i gruppi rurali avevano chiesto e ottenuto l’abrogazione della legge facendo leva sulla sovranità che gli articoli del 1781 riconoscevano agli Stati, imercanti approfittarono della rivolta contro la banca per alimentare un dibattito nazionale sulla strumentazione costituzionale necessaria all’accentramento del potere politico, rilanciando in tal modo la questione del superamento della Confederazione in favore dell’ Unione federale. Questa prospettiva politica segnò il ritorno dell'autore di Common Sense sulla scena pubblica®. La costituzionalità della sovranità
Durante il dibattito legislativo, due importanti rappresentanti delle contee rurali, John Smilie e William Findley, che successivamente
furono attivi nella campagna antifederalista e nell’opposizione 60. P. WEBSTER, Essay on Credit in which the Doctrine of Banks is considered, in 1D., Political Essays, cit., pp. 450-453, 456-459; J. WILSON, Considerations on the Bank of
North America, cit., pp. 15-17. 61. ). NEDELSKY, The Protection of Property in the Origins and Development of the American Constitution, in H. BELZ, R. HOFEMAN, P.]. ALBERTAN (eds.), To Form a More
Perfect Union: The Critical Ideas ofthe Constitution, University Press of Virginia, Charlottesville 1992. Cfr. R.A. MCGUIRE, To Form a More Perfect Union:
a New Economic
Interpretation ofthe United States Constitution, Oxford University Press, Oxford 2003.
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repubblicana al governo Washington, intervennero con vena pole-
mica e tono diffamatorio contro l’autore di un pamphlet pubblicato in difesa della banca e contro l’emissione di carta moneta. Senza farne il nome, Smilie definì l’autore come «uno scrittore senza principi che aveva venduto la sua penna dietro ricompensa». A sorpresa, per rispondere a quella che ritenne essere una calunniosa
insinuazione, prese parola colui che, dopo aver lasciato l’incarico di sovrintendente, era stato eletto all'Assemblea statale della Pennsylvania. Morris non svelò il nome dell’autore del pamphlet attaccato da Smilie, ma negò che fosse nel suo libro paga. L’uomo della banca che aveva difeso la banca era Paine; il pamphlet era Dissertations on Government; the Affair of the Bank; and Paper Money. Non abbiamo elementi per affermare che la loro collaborazione stesse continuando, tuttavia lo scritto era senza dubbio in linea con il punto di vista mercantile®?. Nel pamphlet Paine sostenne che i rappresentanti delle contee rurali contrapponevano erroneamente l’interesse mercantile e terriero, non comprendevano cioè che prosperità generale e ricchezza nazionale dipendevano dal mutuo interesse che legava il contadino e il
mercante. A suo modo di vedere, maggiore era la quantità di denaro che il mercante aveva a disposizione, tanto meglio era per il contadino che produceva per il mercato. La condizione isolata dell’abitante delle zone di frontiera andava in questo senso considerata del tutto temporanea, perché in futuro sarebbe stato nel suo interesse produrre per il mercato, invece che per la sussistenza. Non c’era dunque relazione tra ricchezza del mercante e povertà del contadino. Tanto meno, l’attività finanziaria della banca aveva favorito una simile contrapposizione di interessi. Al contrario, operando come banca commerciale che favoriva
il deposito di denaro e il suo prestito al valore stabile dell’oro, la banca aveva contribuito «alla promozione e all’estensione del commercio». Sebbene fosse consapevole della situazione di disagio economico nella quale versavano debitori e contadini, l’uomo della banca considerò
l'emissione di carta moneta come un palliativo che, alla lunga, avrebbe 62. M. CAREY (ed.), Debates and Proceedings of the General Assembly of Pennsylvania on the Memorials Praying a Repeal or Suspension ofthe Law annulling the Charter ofthe Bank, M. Carey, Philadelphia 1786, pp. 109, 116. La polemica tra Paine e Smilie sarebbe proseguita a mezzo stampa nei mesi successivi all'annullamento della legge durante la campagna elettorale per il rinnovo dell'Assemblea statale, T. PAINE, Letter on the Bank, in cw, cit., vol. 2, pp. 414-439.
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determinato deprezzamento della moneta in circolazione e inflazione. I creditori avrebbero visto scendere il valore reale del prestito stipulato per contratto, mentre contadini, artigiani e lavoratori avrebbero subito una svalutazione del loro guadagno e del loro salario. In altre parole, l’attivismo legislativo rendeva incerta e insicura la proprietà, intaccando in questo modo la fiducia richiesta nel commercio e conseguentemente il legame della società®?. Non è nostro interesse entrare nel merito della sua argomentazione economica in difesa della banca che aveva contribuito a fondare e nei confronti della quale era creditore. Piuttosto, vogliamo sottolineare come Paine rivedesse la propria concezione del governo e della Costituzione alla luce della revoca della legge statale. Le Dissertations iniziavano infatti con una riflessione teorica nella quale veniva argomentato che
qualsiasi governo era basato su un potere incontrollato e che controllava tutto, il potere sovrano. Cambiava invece la collocazione della sovranità: mentre nelle monarchie dispotiche la sovranità era titolo esclusivo della corona, nelle repubbliche apparteneva al popolo. Tuttavia, la sovranità popolare non implicava un utilizzo indiscriminato del potere politico, comportava piuttosto un suo esercizio «costituzionale e giuridico».
Il potere era esercitabile esclusivamente secondo specifiche modalità stabilite dalla Costituzione e per legge: dal basso, attraverso rappresentanza, ovvero eleggendo rappresentanti delegati ad agire e parlare per il popolo nel suo complesso; dall’alto, attraverso amministrazione per rispondere positivamente a bisogni e interessi individuali. Oltre a emanare leggi che operavano universalmente, il legislativo poteva cioè negoziare accordi e contratti con singole persone o associazioni
private per adempiere a un fine particolare sebbene di interesse ge-
nerale, come nel caso della banca. Paine riteneva in questo senso che il bene pubblico e quello individuale non fossero in contraddizione, eppure considerava compito specifico (public business) del governo, in quanto amministrazione, connettere e accomodare bisogni e interessi
in modo funzionale al bene pubblico. Questo duplice movimento, dal basso e dall’alto, spiegava la specifica differenza politica tra monarchia e repubblica: mentre la ribellione contro la corona era legittima, lo Stato libero e indipendente non lasciava «spazio all’insurrezione», dal 63.
IDp., Dissertations on Government, in cw, cit., vol. 2, pp. 383-386, 398, 404-407, 409.
Cfr. 1D., Letter on the Bank, n. 3, 20 aprile 1786, in cw, cit., vol. 2, pp. 426-427; ID., On the Affairs of Pennsylvania, 15 settembre 1786, in « Pennsylvania Gazette», 20 settembre 1786, in E. FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., p. 363.
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momento che forniva una «strumentazione legittima» per esercitare il
potere politico4.
Questa riflessione teorica fu impiegata per analizzare criticamente la
vicenda della banca. L'obiettivo politico era porre fine alla Rivoluzione. Secondo Paine, infatti, la continua legislazione che regolamentava il commercio e stabiliva la stampa di carta moneta per ostacolare l’attività finanziaria della banca costituiva una pratica politica in continuità con l’esperienza rivoluzionaria dei comitati locali e delle convenzioni interstatali, che avevano esercitato potere al di fuori della rappresentanza per
far fronte all'emergenza della guerra. L’attivismo del legislativo definiva in questo senso un utilizzo indiscriminato del potere sovrano, ovvero una dispotica «assunzione di potere» che violava la Costituzione della Pennsylvania: «In un governo repubblicano non può esistere un siffatto potere, il popolo non avrebbe libertà e la proprietà non sarebbe sicura». Paine vide dunque prendere forma quel timore emerso nello scontro politico che aveva segnato il processo costituente della Pennsylvania rivoluzionaria, quando l'élite mercantile aveva criticato la Costituzione del 1776 denunciando il pericolo che maggioranze democratiche infrangessero il diritto di proprietà per favorire una sua eguale distribuzione.
Egli non rinnegò quella concezione democratica della Costituzione e del governo che aveva contributo ad affermare, sostenendo l’abolizione
della proprietà come requisito per accedere al voto. Tuttavia, poiché il governo democratico seguiva l'orientamento della maggioranza, era necessario limitare e regolare il potere legislativo affinché non degenerasse nel «dispotismo dei numeri»: il governo democratico doveva diventare civile, doveva, cioè, garantire la sicurezza della proprietà”. A questo proposito, Paine discusse innanzitutto la sua precedente
posizione in favore dell’unica assemblea legislativa. Sebbene avesse criticato coloro che sostenevano la divisione della rappresentanza in due Camere, perché tale assetto rischiava di determinare una consuetudine
politica per cui interessi minoritari organizzati in fazioni avrebbero
bloccato la volontà della maggioranza, la vicenda della banca mostrava che una seconda Camera avrebbe impedito un eccessivo accumulo di potere nella maggioranza. Soprattutto, Paine approfondì quanto aveva lasciato in sospeso nel dibattito costituzionale della Pennsylva64. 65.
ID., Dissertations on Government, in CW, cit., vol. 2, pp. 368-372, 375-376. Ivi, pp. 374, 380-381, 407. Cfr. K.M. FORD, Can a Democracy bind itselfinPerpetuity.
Paine, the Bank Crisis and the Concept of Economic Freedom, in «Proceedings of the American Philosofical Society», 142, 4, 1998, pp. 557-577.
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nia rivoluzionaria, ovvero il significato della Costituzione quale legge fondamentale e suprema che poneva un limite al potere legislativo ed esecutivo. A partire dal 1776, per criticare la Costituzione britannica, egli aveva spiegato che il termine Costituzione non definiva un corpo non scritto di leggi, bensì un testo scritto superiore alla legge perché
fondato sulla sovranità popolare. Tuttavia, non aveva considerato come
fosse possibile stabilire praticamente questa supremazia. La vicenda della banca consentiva invece di ragionare proprio su questo aspetto
pratico della Costituzione?°. Poiché contraddiceva l'ordinanza congressuale, la revoca della legge statale poneva una duplice questione fondamentale nella prospettiva politica del mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione
federale: l’inviolabilità dell’obbligazione imposta dalla contrattazione privata e il controllo di costituzionalità. Paine argomentò che la legge sulla banca non andava considerata propriamente una legge, bensì un atto di negoziazione attraverso il quale lo Stato della Pennsylvania aveva stipulato un accordo con l’associazione dei mercanti che l’aveva finanziato (lo Stato). Costituiva, cioè, un contratto privato che non poteva essere annullato, e di cui anzi andava garantito il pieno adempimento:
così come non poteva essere sanzionata un'azione individuale che non costituiva reato nel momento in cui veniva compiuta, allo stesso modo la legge non poteva avere valenza retroattiva e annullare un contratto precedentemente stipulato. Il criterio politico per definire costituzionalità o incostituzionalità della legge veniva dunque individuato nel rapporto tra contratto e legge, ovvero nella supremazia del privato sul pubblico”. Paine abbozzò così lo strumento della judicial review per assicurare la superiorità della Costituzione, spiegando che, in caso di dispute sull’adempimento dei contratti, la competenza non era del legislativo, bensì della Corte di Giustizia. Dislocare la disputa politica sulla banca dal piano legislativo a quello giudiziario significava innanzitutto sottrarre alle maggioranze politiche la possibilità di legiferare in violazione della proprietà. Ciò non comportava soltanto limitare il potere legislativo al 66.
T. PAINE, Dissertations on Government, in CW, cit., vol. 2, p. 409. Cfr. 1p., Letters on
the Bank, in cW, cit., vol. 2, pp. 420-422; Ip., On the Affairs ofPennsylvania, 15 settembre
1786, in E. FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., pp. 359-361. 67. T. PAINE, Dissertations on Governments, in CW, cit., vol. 2, PP. 375-379, 403. Cfr.
ID., On the Affairs of Pennsylvania, in E. FONER (ed.), Paine. Collected Writings, cit., Pp. 359-360, 366. Questa fu anche la posizione espressa da Pelatiah Webster nel suo
Reasons for Repealing the Act of the Legislative ofPennsylvania ofSeptember 13, 1785, E. Oswald, Philadelphia 1786.
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dettato costituzionale, ma implicava anche indebolire la sovranità che la Confederazione attribuiva ai singoli Stati, per rafforzare invece l’autorità politica del Congresso continentale. Attribuire al potere giudiziario la competenza di stabilire l'eventuale violazione della contrattazione privata anticipava in questo senso lo specifico ruolo costituente che le Corti di Giustizia avrebbe svolto nella costruzione dell’ Unione federale alla luce della Costituzione del 1787: Con l’atto d'annullamento [...], in modo incostituzionale, l'assemblea eleva
se stessa a tribunale giudicante e assorbe l’autorità e il diritto delle corti di giustizia. [...] In base ai principi della costituzione è impossibile approvare un atto che vieti al cittadino il diritto di fare appello alle cortì di giustizia su qualsiasi questione che colpisca il suo interesse o proprietà. [...] Se un’assemblea assume questo potere, le leggi della nazione (land) e le corti di giustizia non servono a niente?
La vicenda della banca mostrò dunque quanto fosse urgente definire un profilo costituzionale dell’ Unione che superasse la Confederazione per inquadrare la conquista della sovranità popolare e del governo democratico dentro una «ragione costituzionale e giuridica», senza la quale «ogni nuova elezione sarebbe stata una nuova rivoluzione». La ribellione contro la Monarchia britannica aveva aperto il concetto di Costituzione alla democrazia, ovvero alla mutevole volontà di ampie fasce della popolazione prima escluse. Conclusa la Guerra d’indipendenza, l’accentramento del potere politico richiesto dalla prima amministrazione fiscale necessaria per competere sullo scenario internazionale rendeva però indispensabile aggiornare il significato della Costituzione come legge fondamentale e suprema dell’ Unione degli Stati. Il controllo di costituzionalità serviva dunque per placare quello che veniva definito «eccesso di democrazia», uno sregolato potere delle maggioranze politiche che stava alimentando spinte centrifughe a livello
statale e locale, infrangendo anche la libera contrattazione privata e il diritto di proprietà. Paine contribuì in questo specifico senso alla mossa teorica dei padri fondatori che scelsero il sistema della Costituzione
68. T. PAINE, Dissertations on Government, in CW, cit., vol. 2, p. 404. Sul ruolo delle Corti nella costruzione del primo Stato americano, S. SKOWRONEK, Building a New American State. The Expansion of National Administrative Capacities 1877-1920, Cam-
bridge University Press, Cambridge 1982, pp. 19-36.
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onaria e consolidare governo e ammiper chiudere la vicenda rivoluzi 6 2 2 5 nistrazione su scala continentale??. Unione federale La disputa sulla banca quale istituzione cardine dell’amministrazione fiscale costituiva il momento culminante del processo di accentramento del potere politico che segnava la Rivoluzione americana, perché poneva in modo inderogabile la questione del mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione federale. Poiché l'annullamento della legge che l’aveva istituita violava la libera contrattazione privata e il diritto di proprietà, scalfendo la fiducia che i mercanti avevano riposto nel governo finanziando la Guerra d'indipendenza, non era soltanto necessario, ma anche legittimo avviare la rivoluzione per lo Stato, ovvero stabilire un nuovo profilo costituzionale dell’ Unione degli Stati. Questa mancanza di fiducia, denunciata nelle Dissertations, non venne
espressa esclusivamente dalla classe mercantile che aveva sostenuto il progetto di riforma delineato dal sovrintendente. A meno di un anno dalla Convenzione nazionale che avrebbe abolito gli Articoli del 1781, il dibattito sulla banca consolidò un blocco sociale che, sebbene non senza perplessità e malumori, avrebbe sostenuto la ratifica della Costituzione federale del 1787. Pur guardando con una certa preoccupazione al ruolo economico assunto da creditori e mercanti nella nascente Nazione, artigiani e lavoratori delle zone urbane della Pennsylvania non condivisero le politiche di regolamentazione del commercio ed emissione di carta moneta rivendicate dai gruppi rurali di frontiera, tanto che l’elezione statale dell'autunno del 1786 vide l’affermazione della fazione repubblicana che aveva criticato la Costituzione del 1776. Nel marzo seguente,
69.
T. PAINE, Dissertations on Government, in CW, cit., vol. 2, pp. 380-381. Paine non
fu l’unico a riflettere sulla supremazia della Costituzione e sul controllo di costituzionalità. Un contributo fondamentale in questo senso venne in particolare da Alexander Hamilton con la sua Letter from Phocion to the Considerate Citizens of New York on the Politics of the Day (1784), in }.B. FREEMAN (ed.), Writings of Alexander Hamilton,
The Library of America, New York 2001, pp. 127-140. Cfr. A. HAMILTON, Federalista, n. 78, in A. HAMILTON, J. MADISON, J. JAY, Il Federalista, il Mulino, Bologna 1998, pp. 621630. Cfr. E.S. CORWIN, The Progress ofConstitutional Theory Between the Declaration of Independence and the Meeting of the Philadelphia Convention, in «The American Historical Review», 30, 3, 1925, Pp. 511-536. Sul rapporto storico e teorico tra Costituzione
e democrazia, w. HOLTON, An «Excess of Democracy» or a Shortage? The Federalists’ Earliest Adversaries, in «Journal of the Early Republic», n. 25, 2005, pp. 340-382.
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l'Assemblea legislativa diede il proprio parere positivo alla legge che incorporava nuovamente la banca a livello statale. La campagna elettorale fu segnata da una dura polemica politica tra l’uomo della banca e il suo detrattore nella precedente legislatura. In una serie di lettere pubblicate tra aprile e maggio, Smilie respingeva la definizione teorica della sovranità popolare e la concezione del governo civile che Paine aveva esposto nelle Dissertations, sostenendo che fossero contrarie alla libertà politica conquistata con la Rivoluzione del 1776. A suo modo di vedere, poiché la banca favoriva un’ecces-
siva accumulazione di ricchezza che contraddiceva lo «spirito della democrazia», ribellione e insurrezione erano perfettamente legittime.
Contro questa posizione, Paine rispose con orgoglio, rivendicando il suo contributo in difesa della Costituzione del 1776, ma ribaderido
anche la necessaria funzione del governo, ovvero garantire sicurezza della persona e della proprietà. Soprattutto, egli precisò quanto la banca fosse importante per garantire solidità politica e forza economica dell'America indipendente”°. Nelle Letters on the Bank Paine spiegò che la gestione del credito pubblico resa possibile dalla banca era stata di fondamentale importanza per il «progresso della rivoluzione». Conclusa la guerra, la banca serviva invece per sostenere il commercio del Paese. Il capitale attratto dall’estero e il denaro in essa depositato al valore stabile dell’oro andavano impiegati per finanziare non soltanto imprese produttive private,
secondo la logica del guadagno propria della banca commerciale, ma anche infrastrutture pubbliche necessarie alla formazione di un mercato nazionale in grado di reggere alla rivalità economica internazionale. Egli non constatò soltanto che, grazie all’attività finanziaria della banca,
la Pennsylvania aveva acquisito una posizione centrale nell'espansione commerciale nordamericana. Fece esplicito riferimento pure allo svi-
luppo economico che sarebbe derivato dalla costruzione di canali di navigazione, ponti e strade. In questo senso, la banca non aveva niente
a che vedere con le dispute locali tra fazioni politiche che contrapponevano interesse terriero e mercantile. Costituiva piuttosto una questione
nazionale relativa tanto alla difesa interna e alla sicurezza internazionale, quanto all’incoraggiamento dell’agricoltura e della manifattura.
Questo era stato il duplice scopo delle banche nazionali britannica 70.
T. PAINE, Letters on the Bank, in Cw, cit., vol. 2, pp. 415, 421-422. Smilie scrisse con
lo pseudonimo di Atticus, Letters to the Writer who signs himself “common SENSE”, in «The Freeman” Journal», n. 3, 31 maggio e 14 giugno 1786.
174 e olandese. Poiché il governo statunitense era basato sulla sovranità popolare e agiva attraverso rappresentanza, a maggior ragione la Bank
of North America avrebbe garantito protezione e prosperità al popolo nel suo complesso. Paine condivise così con artigiani e lavoratori delle zone urbane il sostegno alle politiche economiche e finanziarie che il Congresso continentale aveva avviato per vincere la guerra sotto la leadership del sovrintendente delle Finanze”. Possiamo dunque concludere che, un decennio dopo la pubblicazione di Common Sense, prima di lasciare l'America per fare ritorno in Europa, Paine vinse la duplice sfida, personale e politica, dell’indipendenza e della fondazione dell’ Unione in quanto Stato. La sua collaborazione con il sovrintendente e la sua difesa della banca posero una serie di questioni che vennero aftrontate nella Convenzione nazionale che redasse la Costituzione federale. Questa non soltanto asse-
gnò al potere giudiziario la competenza in materia di controversie che coinvolgevano l’Unione, gli Stati e i cittadini. Restrinse anche l’ambito della sovranità statale in materia economica e finanziaria, vietando esplicitamente agli Stati di stampare carta moneta ed emanare leggi che consentissero di non pagare il debito e infrangessero l'obbligazione imposta dalla contrattazione privata. La Costituzione federale diede così legittimazione al processo di accentramento del potere politico avviato nel periodo critico della Guerra d'indipendenza, da una parte, ampliando la sfera costituzionalmente protetta della libertà economica, dall’altra, attribuendo al Congresso un maggiore potere in materia economica e finanziaria, di regolamentazione del mercato nazionale, interno e internazionale”. Paine offrì in questo senso un contributo politico rilevante al compito storico della classe mercantile della Rivoluzione, ovvero alla costruzione di una prima forma di statualità sufficientemente forte da
sopravvivere al trauma della guerra civile. Questa prima statualità fu determinante per la formazione di un embrionale mercato nazionale 71.
Ip. Letters on the Bank, in cw, cit., vol. 2, PP. 394, 397-400, 413, 423-431, 435-438.
Sul ruolo positivo di lavoratori e artigiani nel dibattito sulla ratifica della Costituzione federale, s. LYnD, Class Conflict, Slavery and the United States Constitution. Ten Essays, Bobbs-Merril, Indianapolis 1968, pp. 123-126. 72. F. TONELLO (a cura di), La Costituzione degli Stati Uniti: storia, testo inglese, nuova traduzione, commento e note, Mondadori, Milano 2010. Per una interpretazione economica della Costituzione del 1787, C. BEARD, An Economic Interpretation of the Constitution ofthe United States, Macmillan, New York 1961. Cfr. A. GIBSON, Understanding the Founding. The Crucial Questions, University Press of Kansas, Lawrence 2007.
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e per l'acquisizione di una certa quota di commercio nell'economia atlantica dominata dalla capacità manifatturiera e commerciale britannica. Per garantire sicurezza e prosperità in un mondo pericoloso
segnato dalla competizione politica ed economica delle potenze europee, i mercanti diventarono «uomini di Stato». Tuttavia, poiché non furono in grado di vincere definitivamente lo scetticismo popolare verso l’accentramento del potere politico, non ebbero altra scelta che fondare lo Stato in quanto Unione, ovvero senza compromettere una volta per
tutte la sovranità a livello statale. Riconoscere questa particolarità, che derivava dalla vicenda rivoluzionaria e veniva espressa con l’aggettivo federal per tenere insieme l’Unione e i suoi Stati in un legame stretto e indissolubile, non significa affermare che l'America indipendente sfuggisse all’imperativo europeo della costruzione dello Stato e del suo
mercato nazionale??. Per affrontare la pressione politica ed economica internaziona-
le e il disordine interno che investiva la società nella sua espansione commerciale, il federalismo realizzava una mossa teorica e politica senza precedenti: dividere e limitare il potere politico orizzontalmente e verticalmente secondo specifiche competenze legislative, esecutive e giudiziarie, per rendere in questo modo possibile un esercizio condiviso, costituzionale e giuridico della sovranità nazionale alla luce del
suo fondamento popolare. Nonostante la Costituzione del 1787 negasse la forma, giudicata assoluta e dispotica, dello Stato europeo, il federalismo non sconfessava la forma Stato in sé, piuttosto conferiva uno specifico e legittimo profilo costituzionale all’accentramento del potere in un contesto politico, come quello ereditato dall'esperienza coloniale e rivoluzionaria, nel quale bisogni e interessi — individuali e di gruppi sociali - trovavano modalità di espressione politica a livello
73.
R. MORRIS, Letter from Alexander Hamilton, 30 aprile 1781, in E.J. FERGUSON (ed.),
The Papers of Robert Morris, cit. vol. 1, p. 42. Il termine federal diede il nome ai sostenitori della Costituzione del 1787 durante il dibattito nazionale sulla sua ratifica. Nel primo
dizionario statunitense di lingua inglese, il termine definiva una «composizione di stati che mantenevano soltanto una sovranità limitata e subordinata, come l’Unione degli Stati Uniti», N. WEBSTER, American Dictionary of the English Language, 1828. Si rimanda a M. EDLING, A Revolution in Favor of Government. Origins ofthe u.s. Constitution and the Making ofthe American State, Oxford University Press, Oxford 2003; 1. KRAMNICK, The Great National Discussion: The Discourse of Politics in 1787, in «William & Mary
Quarterly», n. 45, 1988; W.A. WILLIAMS, The Age of Mercantilism: An Interpretation of the American Political Economy, 1763 to 1828, in «William & Mary Quarterly», 15, 4,
1958, pp. 420-437.
176
locale e statale. Sebbene fosse evidente, pur impiegando una nozione di
autorità politica divisa e plurale, il riferimento alla concezione europea della sovranità, il federalismo non richiamava concettualmente lo Stato europeo e riusciva così a lenire quel sentimento popolare antistatale che era maturato con la trasformazione in senso territoriale dell’ Impero britannico. L'Unione federale forniva una soluzione condivisa al paradosso costituente del primo Stato postcoloniale, quello di una rivoluzione contro lo Stato e per lo Stato”*.
74. Cr. ).p. GREENE, The Intellectual Construction of America: Exceptionalism and Identity from 1492 to 1800, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1993; P._ONUF
Federalism, Democracy and Liberty in the New American Nation, in J.P. GREENE (ed.), Exclusionary Empire. English Liberty Oversease, 1600-1900, Johns Hopkins University Press, Cambridge 2009, pp. 132-159; A. LACROIX, A Well-Constructed Union: An Intellectual History of American Federalism, cit., pp. 68-104.
4. Il Mondo Atlantico e l’Epoca di Paine
C'è un vuoto temporale nella corrispondenza di Paine dal novembre 1786 al marzo 1787 che impedisce di chiarire con precisione per quale motivo abbia lasciato l'America indipendente alla vigilia della discussione nazionale sulla Costituzione federale. È possibile ipotizzare che la decisione non sia dipesa esclusivamente da questioni private, ad
esempio dalla volontà di realizzare il progetto del ponte, il cui finanziamento era stato rifiutato dall'Assemblea statale della Pennsylvania, oppure dal desiderio di fare visita ai suoi anziani genitori. Non bisogna però dimenticare che, soprattutto nella vicenda della banca, Paine era stato bersaglio di critiche e accuse che avevano scalfito la sua figura di autore sopra le parti. Egli non sembrava più godere della fama del 1776. Divenne un personaggio controverso e discusso, che scontava
inevitabilmente divisioni e fazioni della nascente Nazione. La scelta di tornare nel vecchio mondo fu dunque verosimilmente determinata da diverse motivazioni, politiche e private, che lo spinsero fuori dalla scena pubblica nella speranza di trovare felicità nella quiete privata!. All’età di cinquant'anni, dopo essere sfuggito alla povertà della sua ‘gioventù inglese e aver partecipato alla fondazione del primo Stato postcoloniale, il 26 aprile 1787 Paine salpò dal porto di New York per sbarcare un mese dopo sulle coste della Normandia, da dove raggiunse la capitale francese. A Parigi, una lettera di presentazione del suo amico Benjamin Franklin lo introdusse al duca Frangois de La Rochefoucauld, politico e diplomatico che aveva contribuito alla circolazione europea
1.
T. PAINE, Letter to Fitzsimmons, 19 novembre 1786; ID., Letter to Daniel Clymer,
settembre 1786; ID., Letter to Franklin, 31 marzo 1787; ID., Letter to his Excellency George Washington, in Cw, cit., vol. 2, pp. 1255-1257, 1259, 1319. Sul progetto del ponte, E. GRAY,
L’impero della libertà di Thomas Paine, in M. SIOLI, M. BATTISTINI (a cura di), L'età di Thomas Paine. Dal senso comune alle libertà civili americane, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 181-192.
178
dell’esperienza rivoluzionaria americana traducendo e pubblicando in
francese le Costituzioni statali dell'America indipendente. Grazie al suo appoggio, Paine espose con successo il progetto del ponte all’Académie des Sciences, uno dei centri più importanti per la ricerca scientifica settecentesca insieme alla Royal Society londinese. Il ponte non fu, però, il suo unico impegno. Dal 1787 al 1790, Paine viaggiò ripetutamente oltre
Manica non soltanto per fare visita all’anziana madre dopo la morte del padre. A Londra, strinse rapporti con coloro che stavano criticando la politica di potenza perseguita dal Primo Ministro William Pitt e dal suo governo. Senza ricoprire alcun ruolo ufficiale, egli fece da tramite nel dialogo avviato fra la corte francese e l'opposizione parlamentare inglese per evitare che l'ennesima controversia sulle rotte atlantiche del commercio degenerasse in una nuova guerra?. Nell’agosto del 1787, in una lettera indirizzata a Edmund Burke, con il quale tenne una corrispondenza fino alla drastica rottura determinata dal diverso giudizio sulla Rivoluzione francese, Paine condannò la decisione del governo britannico di stipulare un'alleanza militare con la Prussia in chiave antifrancese. A suo modo di vedere, per evitare un nuovo conflitto, era necessario che gli inglesi superassero il loro «pregiudizio nazionale». La Guerra dei sette anni aveva infatti consolidato una convinzione di superiorità che l'indipendenza americana mostrava invece essere del tutto infondata. L’enorme debito pubblico accumulato e l'elevata tassazione imposta per il suo finanziamento rendevano evidente la debolezza della monarchia, segnalando l’urgenza di avviare pacifiche relazioni diplomatiche con la Francia?. Nel pamphlet dato alle stampe il mese successivo, Prospect on the Rubicon, Paine impiegò questa stessa argomentazione, facendo però
2.
B.FRANKLIN, Franklin to La Rochefaucauld, 15 aprile 1787, in E. LABOULAYE (ed.), Cor-
respondance de Benjamin Franklin, cit., p. 425; T. PAINE, Letter to Franklin, 22 giugno 1787; Ip., Letter to the Royal Academy ofSciences, 21 luglio 1787, in cw, cit., vol. 2, pp. 1262-1264. 3. Cfr. A.0. ALDRIDGE, Thomas Paine, Edmund Burke and Anglo-French Relations in 1787, in «Studies in Burke and His Time», n. 12, 1973, pp. 1853-1854; B. VINCENT, Cinque inèdits de Thomas Paine, in «Revue francaise d’ Etudes Americaines», n. 40, 1989,
PP. 213-235; R. GALLIANI, Le Duc de la Rochefaoucauld et Thomas Paine (Deux Letters
inedites de Thomas Paine au duc de la Rochefoucauld), in «Annales Historiques de la Re-
volution Francaise», n. 241, 1980, PP. 425-436. T. PAINE, Letter to John Hall, 25 novembre
1791, in CW, cit., vol. 2, p. 1321. 1D., Letter to Edmund Burke, 7 agosto 1788, raccolta nella Gimbel Collection della Philosophical Society di Filadelfia. Per una ricostruzione dettagliata delle relazioni con la diplomazia francese e la corrispondenza con 1° Inghilterra, ). KEANE, Tom Paine, cit., pp. 271-284 € A.0. ALDRIDGE, Man ofReason, cit., pp. 118-133.
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appello alla possibile mobilitazione popolare dell'opposizione. Egli riprese il tema illuminista della pace perpetua per sostenere che la rivalità politica ed economica fra le monarchie britannica e francese non poteva essere risolta senza avviare un deciso cambiamento politico:
poiché il re non intendeva rinunciare alla politica di potenza perseguita dal governo, bisognava dimostrare che la sovranità non era alla mercé della corona, bensì risiedeva nel popolo. Il suo obiettivo era quindi trasmettere oltre Manica il cambiamento rivoluzionario perché «il popolo francese stava iniziando a pensare per se stesso, mentre quello inglese sembrava abdicare alla prerogativa del pensiero». Il ponte divenne così una metafora politica per spiegare e sostenere la rivoluzione contro le
monarchie del vecchio mondo: il governo dispotico andava sostituito con la democrazia, bisognava cioè avviare un processo costituente
per delineare un governo interamente fondato sulla rappresentanza, attraverso l'abolizione della proprietà come requisito per accedere al voto. Come scrisse in una lettera del novembre 1791, indirizzata a un
suo corrispondente inglese mentre stava lavorando al secondo volume di Rights of Man, «in questo momento sono alle prese con il mio ponte politico»*. Nella sua esperienza europea, però, Paine non ragionò esclusiva-
mente su politica, Costituzione e governo. La bruciante sconfitta del tentativo rivoluzionario inglese e la degenerazione della Rivoluzione francese nel terrore giacobino lo spinsero a discutere la concezione della società che aveva elaborato oltreoceano. Senza negarne il portato di emancipazione dalle rigide gerarchie del passato feudale e coloniale, egli svolse una critica puntuale della sua espansione commerciale,
individuando nell’accumulazione di proprietà e nel lavoro salariato le cause delle ingiustizie e disuguaglianze sociali. Nell’altro suo importante pamphlet europeo, Agrarian Justice (1796), Paine delineò una
specifica relazione, logica e storica, fra società commerciale e democrazia rappresentativa che serviva non soltanto per mostrare continuità
e discontinuità fra le rivoluzioni americana e francese, ma anche per evidenziare la conflittuale transizione al capitalismo che muoveva il mondo atlantico oltre il Settecento.
4.
T. PAINE, Letter to John Hall, 25 novembre 1791; ID., Prospects on the Rubicon or
an Investigation into the Causes and Consequences of the Politics to be Agitated at the Next Meeting of Parliament, 20 agosto 1787, in CW, cit., vol. 2, pp. 621-655, 1321. Sul tema della pace perpetua, L. SCUCCIMARRA, ! confini del mondo. Storia del cosmopolitismo dall’Antichità al Settecento, il Mulino, Bologna 2006.
180
1.
LE INCONCILIABILI
RIVOLUZIONI
DEMOCRATICHE
Poiché delle rivoluzioni hanno già avuto luogo [...] è naturale aspettarsi che nuove rivoluzioni seguiranno. Le spese incredibili e sempre crescenti sostenute dai vecchi governi, le molte guerre in cui essi si impegnano e si provocano a vicenda, gli ostacoli che essi pongono sulla via della civiltà e del commercio universale, e l'oppressione e l’usurpazione che esercitano in patria, hanno esaurito la pazienza e dato fondo alle risorse del mondo. In questa situazione, e con gli esempi già esistenti, le rivolu-
zioni non possono non essere auspicabili. Esse sono divenute l'argomento di ogni conservazione, e si possono considerare all’ordine del giorno. Lo stato attuale della civiltà [civilization] è odioso quanto ingiusto. Esso è tutto l'opposto di quel che dovrebbe essere, ed è necessario che vi si effettui una rivoluzione. [...] Una rivoluzione nelle
condizioni della civiltà deve necessariamente accompagnare le rivoluzioni dei sistemi di governo. Se in un paese avviene una rivoluzione dal male al bene, o dal bene al male, le condizioni della civiltà di quel paese dovranno necessariamente conformarvisi, per rendere effettiva tale rivoluzione’.
Nell’intenzione di Paine, gettare idealmente un ponte fra le due sponde dell'oceano equivaleva a innovare il vocabolario politico europeo alla luce dell'esperienza rivoluzionaria americana, per porre in questo modo su nuove fondamenta la questione della legittimazione politica dello Stato britannico e di quello francese. La dottrina dell'uguaglianza naturale e della sovranità popolare, la concezione democratica della Costituzione e del governo rappresentativo, che aveva elaborato nella Rivoluzione americana, vennero dunque riprese e approfondite alla prima occasione utile, fornita dalla pubblicazione delle Reflections on the Revolution in France nell’ottobre del 1790. Il 4 novembre dell’anno
precedente, durante l’incontro della Revolution Society per il centenario della Gloriosa rivoluzione, il dissidente inglese Richard Price aveva pronunciato A Discourse on the Love of our Country nel quale invitava gli inglesi alla resistenza contro il loro governo, sulla scorta dell'esempio francese. Quando, contro questa posizione, Burke espresse con estremo
allarmismo tutta la sua contrarietà alla Rivoluzione francese, negando nella maniera più assoluta il diritto di resistenza e ribadendo, per quanto
riguardava l'Inghilterra, la necessaria devozione verso l’antica costitu-
zione del governo misto che aveva trovato nella Gloriosa rivoluzione
5.
T. PAINE, I Diritti dell'Uomo, vol. 2; 1p., La giustizia agraria, in T. MAGRI (a cura
di), I Diritti dell'Uomo e altri scritti politici, cit., pp. 232-233; 354-355; 359.
IL MONDO
ATLANTICO
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la sua più alta conferma, Paine rispose con pungente sarcasmo dando alle stampe nel 1791 la prima parte di Rights of Man®. A suo modo di vedere, l'importante esponente dell'opposizione parlamentare inglese, che aveva guardato con favore all’indipendenza americana, stava lottando per sostenere «l’autorità dei morti sulle libertà dei vivi», senza sapere che «a vana presunzione di governare
dalla tomba è la più ridicola e oltraggiosa di tutte le tirannidi». Come
aveva già affermato in Common Sense, anticipando una massima che era
alla radice dell’albero moderno della libertà, generalmente attribuita al Thomas Jefferson della famosa lettera a James Madison del 6 settembre
1789, Paine scrisse in modo perentorio che «ogni età e generazione deve essere libera di agire autonomamente in ogni caso». Il pamphlet rion fornì soltanto una narrazione alternativa della vicenda rivoluzionaria francese, contrapposta alla mostruosa scena tragica della violenza che Burke aveva descritto con profondo disprezzo nei confronti della «moltitudine suina», ovvero delle folle parigine che avevano assaltato
la Bastiglia. Soprattutto, presentò una puntigliosa critica della Gloriosa rivoluzione per dimostrare che la tanto elogiata Costituzione britannica, alla quale whige tory facevano continuamente appello per sostenere le proprie posizioni di parte, in realtà non esisteva: «il popolo deve ancora creare la Costituzione».
6. R. PRICE, A Discourse on the Love of Our Country, in D.0. THOMAS (ed.), Political Writings of Richard Price, Cambridge University Press, Cambridge 1991; E. BURKE, Reflections on the Revolution in France, in 1. KRAMNICK (ed.), The Portable Edmund Burke, Penguin Books, London 1999, pp. 420-428. Cfr. E. BURKE, Speech on Conciliation with the Colonies, 22 marzo 1775; ID., An Appeal from the New to the Old Whigs, agosto 1791, in I. KRAMNICK (ed.), The Portable Edmund Burke, cit., pp. 261-265, 474-498. T. PAINE,
I Diritti dell'Uomo, cit., vol. 1, p. 121. Cfr. I. KRAMNICK, The Rage of Edmund Burke. Portrait of an Ambivalent Conservative, Basic Books, New York 1977; J.G. A. POCOCK,
Burke and the Ancient Constitution. A Problem in the History ofIdeas, in «The Historical Journal», 3, 2, 1960, pp. 125-143. 7. T. PAINE, I Diritti dell'Uomo, cit., vol. 1, pp. 125-142, 149, 172-184; 1D., Liberty Tree.
A Song. Written early in the American Revolution, in CW, cit., vol. 2, pp. 1091-1092. T. JEFFERSON, Letter to James Madison, 6 settembre 1789, in J. APPLEBY, T. BALL (eds.),
Jefferson. Political Writings, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pp. 593-598. Sulla metafora dell’albero della libertà, B. BONGIOVANNI, L. GUERCI (a cura di), L'albero della Rivoluzione: le interpretazioni della rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1989.
E. BURKE, Reflections, cit., p. 448. Sul dibattito fra Price, Burke e Paine, P. O'BRIEN,
Debate aborted 1789-1791. Priestley, Paine, Burke and the Revoluton in France, Pental
Press, Durham 1996; R.R. FENNESY, Burke, Paine and the Rights ofMan: a Difference of Political Opinion, Nijof, The Hague 1963.
182
Secondo Paine, il Revolution Settlement del 1689, che aveva organizzato il governo misto per respingere il tentativo assolutista monar-
chico, non definiva una Costituzione, bensì un potere tirannico che agiva tramite «la supremazia universale del parlamento, l'onnipotenza
del parlamento», che non era rappresentativo. Per questo motivo, contro l’interpretazione della Gloriosa rivoluzione quale evento centrale capace di racchiudere al suo interno tanto il passato dell’antica Costituzione quanto il futuro espansivo della libertà politica inglese, Paine recuperò la figura politica del patto che la storia costituzionale settecentesca aveva espulso dal dibattito pubblico perché implicava un pericoloso riferimento alla sovranità popolare. Mentre la teoria contrattuale lockeana aveva inteso legittimare la Gloriosa rivoluzione, Paine impiegò il termine «patto» come arma politica per sostenere la convocazione di una convenzione nazionale sul duplice esempio, americano e francese. Egli non fece riferimento «all’idea di un contratto tra il popolo da un parte e il governo dall’altra, bensì al patto degli individui tra loro per produrre e costituire un governo». Sarebbe così stato possibile esercitare in modo ordinato e pacifico la sovranità popolare per scrivere una Costituzione che definisse un governo legittimo in quanto interamente rappresentativo: Una Costituzione non esiste solo nominalmente, ma anche di fatto. Non ha un'esistenza ideale ma reale; e dovunque non possa essere esibita in una forma visibile, non esiste. La Costituzione precede il governo, e il governo non è che una sua creatura. La Costituzione di un paese non è un atto del suo governo, ma del popolo che costituisce un governo®. Questa definizione della Costituzione, chiaramente derivata dalla vi-
cenda rivoluzionaria americana, serviva per tradurre il diritto naturale del popolo di formare un governo in diritto civile che doveva garantire sicurezza della proprietà e libertà dell’individuo quale membro della società. Mentre le libertà storiche degli inglesi costituivano privilegi che
i monarchi avevano concesso per salvaguardare l’istituto della corona,
la Déclaration universelle des droits des l’hommes et des citoyen, che Paine pubblicò in inglese all’interno del pamphlet, affermava l’ugua8. T.PAINE,][Diritti dell'Uomo, cit., vol. 1, pp. 148, 205. Cfr. in., I Diritti dell'Uomo, cit., vol. 2, p. 259. Su Locke, J. DUNN, Il pensiero politico di John Locke, il Mulino, Bologna 1992; C.A. VIANO, John Locke. Dal razionalismo all’illuminismo, Einaudi, Torino 1960. Sulla
storia costituzionale del Settecento britannico rimandiamo al primo capitolo, PP. 30-37.
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E L'EPOCA DI PAINE
183
glianza naturale, fornendo un nuovo linguaggio politico, che poggiava sull’immediata comprensione popolare della grammatica dei diritti per comunicare l’esperienza rivoluzionaria e abolire in questo modo il governo dispotico. Con ciò, Paine non intese soltanto l’assolutismo monarchico francese, ma anche quel governo misto britannico che, come aveva dimostrato l’indipendenza americana, ammantava di legittimità il potere politico di una minoranza su una maggioranza non
rappresentata. Anche oltre Manica, era dunque necessario avviare una «rivoluzione generale». Poiché la celebrata combinazione di monarchia, aristocrazia e democrazia disorientava il popolo di fronte alle responsabilità del Parlamento, del Prime Minister e del suo cabinet, «il governo misto costituisce un enigma continuo» che andava dunque risolto in favore della democrazia?. La questione della democrazia venne affrontata esplicitamente soltanto nella seconda parte di Rights of Man, pubblicata nel febbraio del 1792 anche in risposta all’enorme scalpore suscitato dal primo volume nell’élite politica e culturale inglese. Persino coloro che avevano preso le distanze dall’attacco burkeano contro la Rivoluzione francese criticarono aspramente il vocabolario politico che Paine aveva introdotto: osteggiarono il riferimento teorico al patto politico e al diritto naturale di resistere al governo, censurarono la possibilità di fare appello alla sovranità popolare, negarono quel principio di uguaglianza naturale che sembrava paventare un ritorno al disordinato stato di natura hobbesiano, dove disuguaglianze di proprietà ed educazione non contavano e le gloriose libertà storiche della Costituzione inglese non esistevano. Persino un fervente sostenitore delle rivoluzioni americana e francese come Jeremy Bentham liquidò con scherno il vocabolario politico dei Rights of Man come un «non senso sui trampoli». Soprattutto, molte delle risposte denunciarono che la proposta politica di convocare una convenzione nazionale avrebbe inevitabilmente portato all’anarchia tipica della democrazia pura (pure democracy)".
9.
T. PAINE, I Diritti dell'Uomo, cit., vol. 1, pp. 142-147, 188-190, 214-216. 10. G.CLAEYS (ed.), Political Writings 0f1790s, vol. 5, Loyalism Responses to Paine, 17911792, William Pickering, London 1995; J. BENTHAM, Nonsense upon Stilts or Pandoras
Box opened, in F. ROSEN, P. SCHOLFIELD (eds.), The Collected Works ofJeremy Bentham, Oxford University Press, Oxford 2002. Cfr. P. RUDAN, Governare la felicità. Riflessioni sulla rinuncia al contratto originario nel pensiero politico di Jeremy Bentham, in s. CHIGNOLA, G. DUSO (a cura di), Storia dei concetti. Storia del pensiero politico. Saggi di ricerca, Editoriale scientifica, Napoli 2006, pp. 63-117.
184
Per smentire un simile fuoco d’accuse, nel secondo volume del pamphlet, Paine introdusse la nozione di democrazia, collocando le monarchie britannica e francese in un processo globale di cambiamento politico che, come il suo amico poeta William Blake descrisse con tono profetico e apocalittico, stava muovendo da occidente e tingendo di rosso il cielo tempestoso dell'Atlantico. Paine non aveva usato esplicitamente il termine prima d’allora, se non in modo estemporaneo come aggettivo per definire Costituzione e governo della Pennsylvania. Come è noto, durante la Rivoluzione americana, il nome democrazia e l'aggettivo democratico avevano infatti avuto un significato per lo più negativo, registrando innanzitutto l’inquietudine dei loyalist che vedevano nella separazione dalla madrepatria l’inevitabile degenerazione del governo nell’anarchia. Un sentimento contrario alla democrazia era emerso anche in sede costituente a livello statale, come pure nella convenzione nazionale che aveva redatto la Costituzione federale. Nei Federalist Papers, James Madison aveva inoltre impiegato il termine nella sua accezione antica di democrazia diretta, per scongiurare così il pericolo che sarebbe derivato dall'eventuale successo della campagna antifederalista contro la Costituzione del 1787. Soltanto negli anni Novanta,
prima della sua definitiva affermazione nella cultura politica statunitense a partire dalla prima metà del secolo successivo, il termine venne impiegato con maggiore frequenza e significato positivo nella pubblicistica delle democratic-republican societies, che criticarono le politiche federaliste delle amministrazioni Washington e Adams per sostenere, invece, la candidatura
alla presidenza del virginiano Jefferson. Proprio a ridosso di questo dibattito politico, del quale era costantemente informato da suoi corrispondenti americani, fra cui lo stesso autore della Declaration ofIndependence, Paine
introdusse una valutazione positiva della democrazia: Il governo americano [...] è l'innesto della rappresentanza sulla democrazia. [...] Tra tutte le forme di governo è la più facile da comprendere e la più vantaggiosa nella pratica, ed esclude ad un tempo l’ignoranza e l’insicurezza della forma ereditaria, e gli inconvenienti della democrazia semplice".
ll.
T. PAINE, I Diritti dell’ Uomo, cit., vol. 2, p. 252. Cfr. 1p., To William Short, 2 novem-
bre 1791; Ip., To Thomas Jefferson, 13 febbraio 1792, ID., To James Madison, 24 settembre 1795; 1D., To Thomas Jefferson, 1 aprile 1797; In., To James Madison, 27 aprile 1797; ID., To Thomas Jefferson, 14 maggio 1797, in CW, cit., vol. 2, pp. 1320-1323, 1378-1381, 1386-1391, 1393-1395, 1399-1400. J. MADISON, Federalista, nn. 10 € 14, in A. HAMILTON, J. MADISON,
J. JAY, Il Federalista, cit., pp. 189-197, 214-220. W. BLAKE, America. Una Profezia (1793),
in ID., Libri Profetici, Bompiani, Milano 2005. Cfr. D. BINDMAN, “My own mind is my
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Nel terzo capitolo del pamphlet dedicato al francese Emmanuel Sieyès, con il quale, come vedremo, nell’estate del 1791 aveva avuto uno scambio polemico sulla stampa parigina per vincere le perplessità che l'abate aveva mostrato sull’abolizione della monarchia, Paine ribadì la sua totale avversità alla successione ereditaria, che considerava ripugnante e oltraggiosa, perché manteneva il popolo in uno stato di ignoranza e subordinazione, una condizione di passività che sarebbe stata rovesciata dalle capacità e conoscenze liberate dalla Rivoluzione. Alla luce di queste ultime, non sarebbe stato più possibile contrapporre democrazia e rappresentanza, come invece fecero coloro che condannarono senza appello la vicenda rivoluzionaria francese. All’insistenza.con la quale la letteratura /oyalist inglese aveva paventato il pericolo che la Rivoluzione degenerasse in un rischioso esperimento democratico precursore di anarchia o tirannia, Paine rispose che una simile preoccupazione era
smentita dall’esperienza d’oltreoceano, conclusasi con la ratifica della Costituzione federale. La Rivoluzione americana aveva in questo senso
imposto un nuovo significato alla parola democrazia. In quanto era stata combinata alla rappresentanza, la democrazia aveva perso l’antica accezione di governo diretto del popolo (simple democracy): Innestando la rappresentanza sulla democrazia, giungiamo a un sistema di governo capace di abbracciare e federare tutti i diversi interessi e ogni estensione di territorio e di popolazione, il tutto con vantaggi superiori a quelli del governo ereditario, come la repubblica delle lettere è superiore alla letteratura ereditaria".
Paine svincolò quindi il termine dalla sua precedente accezione negativa. In seguito all’esperienza rivoluzionaria americana, la democrazia non poteva essere definita con timore e allarme, come fosse un movimento sfrenato e imprevedibile che andava preventivamente condannato in quanto legato alla mutevole e contraddittoria volontà popolare. Il suo concetto non aveva più bisogno del contrappeso istituzionale della monarchia e dell’aristocrazia, perché la rappresentanza sostituiva l’antica metafora della bilancia che era stata impiegata per esorcizzare la ciclica degenerazione del governo in tirannia o anarchia. Sulle nuova fondamenta della democrazia, agendo
attraverso la convocazione della convenzione nazionale per scrivere una own church”: Blake, Paine and the French Revolution, in A. ARRINGTON, K. EVEREST,
Reflections ofRevolution. Images of Romanticism, Routledge, London 1993, pp. 112-132. 12.
T. PAINE, I Diritti dell’ Uomo, cit., vol. 2, pp. 251-252.
186
Costituzione quale muro portante per sostenere e delimitare un potere
politico altrimenti illegittimo (without right), il popolo poteva abrogare la monarchia e rigettare la successione ereditaria, aprendo il governo alle future generazioni, alle conoscenze che esse avrebbero acquisito in società, all'interesse privato e pubblico che avrebbero maturato nelle attività economiche, agricole e manifatturiere. Di conseguenza, la democrazia rappresentativa avrebbe assicurato politiche rivolte al benessere individuale e collettivo. Il governo non sembrava più essere un male necessario, bensì una benevola modalità associativa di convivenza: Il governo non è altro che un'associazione nazionale, il cui oggetto è il bene di tutti, sia come individui che come collettività. Ogni uomo desidera perseguire la sua occupazione e godere dei frutti della sua fatica e del prodotto della sua proprietà, nella pace e nella sicurezza, con la minima spesa possibile".
Per controbattere alla pubblicistica loyalist, la quale aveva alimentato la paura che una «democrazia squalificata» costituisse una minaccia per le proprietà accumulate, Paine interpretò l'indipendenza americana non semplicemente come separazione dall’ Impero, bensì quale rivoluzione democratica che rovesciava la questione della legittimazione politica dello Stato europeo: uguaglianza naturale e sovranità popolare, primato della Costituzione e governo della maggioranza, rappresentanza e democrazia erano le parole nuove del vocabolario politico atlantico. In un breve scritto dell’estate del 1792 intitolato Letter Addressed to the Addressers on
the Late Proclamation, che venne messo al bando insieme alla seconda parte di Rights of Man, determinando la sua incriminazione per alto tradimento alla corona, Paine criticò esplicitamente coloro che, come il principale esponente dell'opposizione parlamentare Charles James Fox, sebbene avessero preso le distanze dall’invettiva controrivoluzionaria delle Reflections, chiedevano un moderato ampliamento del suffragio ai proprietari di case e botteghe artigiane attraverso l’invio di una petizione
al Parlamento. A suo parere, la Guerra d’indipendenza americana aveva invece mostrato che non era più tempo di riforme attraverso petizione.
Lo strumento appropriato era una convenzione nazionale eletta esclusivamente per questo scopo da tutto il popolo, anche da quanti non erano proprietari se non del proprio lavoro. Governo e Corti giudicarono la sua proposta politica «incostituzionale», perché non riconosceva l’autorità
13.
Ivi, pp. 268.
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monarchica e parlamentare, ma faceva appello direttamente alla sovranità popolare. Nel settembre dello stesso anno, per sfuggire all'arresto, Paine lasciò Londra alla volta della capitale francese, dove era stato appena eletto alla Convenzione nazionale convocata dopo l’insurrezione del 10 agosto 1792 che aveva imposto l’abolizione della monarchia'4. Con Rights of Man, Paine intese dunque portare l'America in Europa. Nonostante l’enorme diffusione del pamphlet, che nella versione economica vendette più di 200 mila copie per un successo editoriale superiore a quello di Common Sense, le sue ambizioni teoriche e politiche furono presto deluse. In Inghilterra e Scozia, soprattutto nelle zone urbane e manifatturiere, presero forma delle associazioni politiche, come la London Corresponding Society e la Society for Constitutional Information, che fecero propria la sua proposta. Il primo passo fu compiuto all’inizio del 1793, quando lo scozzese Joseph Gerrald pubblicò il pamphlet A Convention, the only means of saving us from Ruin. A Edimburgo, l’inverno successivo venne convocata la prima «convenzione britannica» alla quale parteciparono delegati delle associazioni inglesi e scozzesi. La polizia sciolse però la convenzione con la forza. Nella primavera del 1794, la convocazione di una seconda convenzione, che avrebbe dovuto avere luogo nella capitale londinese, venne im-
pedita sul nascere con l’arresto, tra gli altri, di Thomas Hardy e John Horne Tooke, i due principali esponenti del movimento. I processi che seguirono, compreso quello avvenuto in contumacia a carico di Paine, condannarono gli imputati con la motivazione di alto tradimento
della corona e disobbedienza nei confronti del Parlamento. Il comitato segreto, istituito per indagare sulle attività delle associazioni, aveva,
infatti, stabilito che convocare la convenzione era una pratica «inco14.
T. PAINE, Letter Addressed to the Addressers on the Late Proclamation; 1p., To the
Attorney General, maggio 1792; In., To Mr. Secretary Dundas, 6 giugno 1792; ID., To Onslow Cranly Lord Lieutenant ofthe County of Surry, 18 giugno 1792; Ip., To the Sheriff of the County of Sussex, 30 giugno 1792; ID., To Mr. Secretary Dundas, 15 settembre 1792; Ip., To the English Attorney General, 11 novembre 1792; in Cw, cit., vol. 2, pp. 443-468, 499, 505. Non soltanto il governo, ma la stessa opposizione parlamentare che proponeva un semplice ampliamento del suffragio giudicava la sua proposta incostituzionale, c. WYVILL, Political Papers Comprising the Correspondence of Several Distinguished Persons in the years 1792 and 1793, vol. 5, L. Lund, London 1794-1802, p. 51. Il miglior lavoro su
Paine e il suo pensiero politico nel contesto inglese è G. cLaEYS, Thomas Paine, Social and Political Thought, Unwin Hyman, Boston 1989; cfr. m. PHILP, The Role of America in the Debate on France, 1791-1795: Thomas Paine” Insertion, in «Utilitas», 5, 2, 1993,
pp: 221-237; A. SHEPS, The American Revolution and the Transformation ofEnglish Republicanism, in B. KUKLICK (ed.), Thomas Paine, Ashgate, Alderlshot 2006.
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stituzionale», perché intendeva «superare la Camera dei Comuni nella sua capacità rappresentativa, assumendo su se stessa tutte le funzioni e i poteri di un’assemblea legislativa nazionale». Come fu scritto in diversi documenti e sentenze, un simile progetto rivoluzionario trovava conferma nell’aggravante di aver distribuito Rights ofMan. Dal punto di vista del governo, non c’era alcun dubbio: l’obiettivo politico perseguito dalle associazioni era in continuità con la proposta politica di Paine, intendeva, cioè, rovesciare il governo misto per istituire al suo posto un «potere democratico». Nell'ultimo decennio del secolo, al fine di innalzare una diga contro la marea rivoluzionaria proveniente da oltre Manica, il governo britannico non restrinse soltanto la libertà personale, di stampa e parola, ma concesse anche aiuto finanziario ad associazioni controrivoluzionarie, come la Association for the Preservation of Liberty and Property, garantendo, inoltre, la necessaria copertura politica al lavoro che queste svolsero per organizzare proteste e manifestazioni dove Paine venne
bruciato in effigie. Il governo promosse anche la pubblicazione di biografie denigratorie che descrivevano l’autore di Rights of Man come un traditore e truffatore, un impotente e alcolizzato. Al di là della funzione repressiva svolta dal governo, la mobilitazione democratica venne, però, sconfitta soprattutto dalla letteratura popolare loyalist rivolta esplicitamente a coloro le cui aspettative di emancipazione politica e sociale erano state promosse dalla penna infuocata di Paine: i labouring poor°9.
15. An Account ofthe Treason and Sedition, committed by the London Corresponding Society, The Society for Constitutional Information, the other, by the Secret Committee by the House of Commons, J. Downes, London 1794, p. 44; The Trial of Thomas Hardy, ].S.
Jordan, London 1794; The Trial at large of Thomas Paine, for a libel in the Second Part of Rights of Man, H.D. Symons, London 1792. T. PAINE, To the Chairman of the Society for promoting Constitutional Knowledge, 12 maggio 1792, in CW, cit., vol. 2, pp. 1324-1326. J). GERRALD, A Convention the only Means ofsaving us from Ruin, D.I. Eaton, London 1793; An Account ofthe Proceedings of the British Convention, held in Edimburgh, D.I. Eaton, London 1793; Thomas Hardy, Memoir of, founder and secretary to, the London Corresponding Society for diffusing useful political knowledge among the People of Great Britain and Ireland and for promoting parliamentary Reform, J. Ridgway, London 1832. Cfr. E.C. BLACK, The Association British Extraparliamentary Political Organization 17691793, Harvard University Press, Cambridge 1963; T. PARSSINEN, Association, Convention and Anti-Parliamentarish Radicalism 1771-1848, in «The English Historical Review», 88, 348, 1973, pp. 504-533; H.T. DICKINSON, Britihs Radicalism and the French Revolution 1789-1815, Basic Blackwell, Oxford 1985.
16.
La prima biografia denigratoria fu G. CHALMERS, The Life of Thomas Paine. The
author ofthe seditious writings entitled Rights of Man, I. Stockdale, London 1793. Paine
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In particolare, la filantropa evangelica Hannah More e il giudice attivista conservatore John Reeves coniugarono la difesa politica della Costituzione britannica con la necessità di legittimare le regole economiche imposte dalla divisione del lavoro e dall’espansione commerciale della società. La struttura a dialogo delle loro pubblicazioni ripeteva sempre la stessa trama: il lavoratore, incuriosito ed eccitato dopo aver appreso dalla lettura di Rights ofMan che tutti gli uomini erano uguali, chiedeva con insistenza come mai fosse costretto a lavorare per sopravvivere in miseria e povertà, senza neanche godere della libertà politica; il dialogo con il suo signore e datore di lavoro (gentleman) lo riportava però a più miti consigli, la scelta di ritornare ‘al lavoro non appariva come una costrizione che arrivava dall'esterno, ma come un ragionamento che lo conduceva volontariamente a obbedire al volere del superiore. La morale risultava evidente. Il lavoratore non doveva domandare perché non avesse diritto al voto, la sua felicità e il suo benessere non dipendevano, infatti, dai governanti, ma solo dal suo impegno nel lavoro”. Consapevoli del disordine sociale e politico che avrebbe potuto derivare dall'eventuale affermazione dell’ideale democratico in un momento nel quale l’appena iniziato processo d’industrializzazione criticò i provvedimenti restrittivi della libertà di parola e stampa voluti dal governo Pitt in un pamphlet anonimo del novembre 1795, recentemente attribuito a Paine da H. BURGESS, Thomas Paine. A Collection of Unknown Writings, cit., pp. 149-153. Cfr. c.
EMSLEY, Repression, Terror and the Rule of Law in England during the Decade of the French Revolution, in «English Historical Review», 100, 397, 1985, pp. 801-825; D.E. GINTER, The Loyalist Association Movement of 1792-1793 and British Public Opinion, in «The Historical Journal», 9, 2, 1996, pp. 179-190, e M. PHILP, Vulgar Conservativism 1792-1793, in «English Historical Review», 110, 1995, pp. 44-65.
17 Dialogue between a Labourer and a Gentleman, in ). REEVES (ed.), Liberty and Property preserved against Republicans and Levellers. A Collection of Tracts, ). Downes, London 1793, vol. 3, pp. 8-12; Equality as consistent with the British Constitution, in a Dialogue between a Master-Manufacturer and one of hisWORKMEN, in J. REEVES (ed.),
Liberty and Property preserved against Republicans and Levellers. A Collection of Tracts, J. Downes, London 1793, vol. 4, pp. 8-14. H. MORE, A Dialogue Between Jack Anvil the
Blacksmith and Tom Hod the Mason, in 1p., Village politics addressed to all the Mechanics, Journeymen and Day Labourers, R. and C. Rivington, London 1793, pp. 3-24. Si rimanda a D. EASTWOOD, John Reeves and the contested Idea of the Constitution, in «British Journal for Eighteenth-Century Studies», 16, 2, 1993; M. SCHEUERMANN, In Praise of
Poverty. Hannah More Counters Thomas Paine and the Radical Threat, University Press of Kentucky, Lexington 2002; K. GILMARTIN, “Study to be Quiet”: Hannah More and the Invention of Conservative Culture in Britain, in «English Literary History», n. 70,
2003, pp. 493-540.
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richiedeva invece ubbidienza, disponibilità e impegno della popolazione lavorativa, questa letteratura popolare conservatrice, che venne pubblicata anche negli Stati Uniti su iniziativa di esponenti federalisti del New England preoccupati per la diffusione di Rights of Man, scelse come interlocutore diretto non l’élite politica e culturale, bensì la parte povera della Nazione. L'intento era costruire un ambiente sociale e culturale nel quale la nuova disciplina del lavoro salariato imposta dall’industria potesse essere accettata: una volta consolidate le gerarchie della società, neanche la deferenza politica nei confronti dei governanti sarebbe stata messa in discussione. Colui che questa letteratura loyalist aveva definito con disprezzo «rivoluzionario atlantico» divenne in questo senso imputato e testimone, impiegato con successo come metafora
per allontanare lo spettro democratico dalla Nazione inglese. Con la forza della legge e l'entusiasmo della parola, venne dunque consolidata quella profonda devozione verso l’antica costituzione del governo misto, che lungo tutto il Settecento aveva alimentato un profondo senso di superiorità anglosassone e protestante contro la potenza francese, cattolica e assolutista. Un sentimento di appartenenza nazionale che, alla fine del secolo, si rivolse contro il terrore democratico della Francia rivoluzionaria. Nonostante la sconfitta politica e personale, Paine ebbe però successo nello sdoganare quelle pretese democratiche che erano state bandite dal campo legittimo delle ideologie politiche dopo l’esperienza repubblicana della metà del secolo scorso. Come la storiografia ha ampiamente mostrato, i suoi scritti ebbero un impatto significativo
nel pensiero politico inglese, contribuendo ad arginare il lessico dell’utilitarismo in favore del linguaggio dei diritti. Senza considerare l’enorme diffusione di Rights of Man e le sue continue ristampe ottocentesche, risulta infatti difficile comprendere perché la Gran Bretagna sopravanzasse la Francia sulla strada della democrazia. A partire dal 1832, senza snaturare il tradizionale assetto costituzionale del governo misto, contribuendo piuttosto alla sua legittimazione, le progressive riforme elettorali (Reform Bill) risposero positivamente al costante ritorno sulla scena politica del movimento democratico che riconobbe in Paine un suo padre costituente, forse il più importante!®. 18.
Cfr. E. ROYLE, Revolutionary Britannia. Reflections on the Threat of Revolution in
Britain, 1789-1848, Manchester University Press, Manchester 2000; M. PHILP, Paine, Oxford University Press, Oxford 1989; E.P. THOMPSON, Rivoluzione industriale e classe
operaia in Inghilterra, il Saggiatore, Milano 1969. Sulla formazione dell’identità nazione inglese nel Settecento, si rimanda al primo capitolo, pp. 27-28.
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La democrazia impossibile In Francia, Paine dovette affrontare una dinamica politica e costituzionale diversa da quella inglese, ma che usciva anche dalla strada tracciata
con Rights of Man. La sua interpretazione della Rivoluzione francese come replica democratica della vicenda americana venne brutalmente smentita dai fatti. Il terrore dimostrò che l’Europa non era l'America. La Francia non sembrava in grado di uscire dalla Rivoluzione, di redigere la Costituzione e di costruire un nuovo governo rappresentativo,
ovvero una democrazia fondata sulla rappresentanza. Come è noto, il principio d’uguaglianza stabilito dalla Déclaration des Droits de l’homme et du citoyen aveva aperto la Rivoluzione a durature aspettative democratiche e la rivendicazione del suffragio universale insieme alla difficile situazione di povertà avevano innescato una forte conflittualità politica e sociale che sfociò nel governo rivoluzionario. Nonostante nel 1789 l'abate Sieyès, nel suo Qu'est-ce que le tiers état?, avesse descritto in
modo ineccepibile la necessità del sistema rappresentativo dichiarando impossibile la democrazia diretta, il rifiuto della rappresentanza che Jean Jacques Rousseau aveva teorizzato nel 1762 con il Contract Social
influenzò in modo decisivo la vicenda rivoluzionaria, determinando una continua disputa tra chi rappresentava e chi era rappresentato.
La crisi della rappresentanza e la conseguente impossibilità della democrazia costituivano, dunque, il nucleo problematico della vicenda francese, alla luce del quale Paine mise in discussione la sua iniziale
interpretazione della replica europea della Rivoluzione americana'. Fin dal suo arrivo nella capitale francese nel 1787, grazie all’interesse destato dalla traduzione di Common Sense e della Letter to the Abbé Raynal, Paine prese contatto con l’ambiente illuminato dei philosophes che avevano guardato all'America indipendente come possibile modello per un cambiamento politico; scalfendo almeno in parte la profonda ammirazione nei confronti dell’assetto costituzionale inglese che Montesquieu e Voltaire avevano lasciato in eredità. Dopo aver guardato con
19. E. SIEYÈSs, Che cosa è il terzo stato?, Editori Riuniti, Roma 1972; J.]. ROUSSEAU, Il Contratto sociale, Einaudi, Torino 1994. Si veda A.M. BATTISTA, Il “Rousseau” dei gia-
cobini, Università degli Studi di Urbino, Urbino 1988; P. PASQUINO, Sieyès, Constant e il “governo dei moderni”. Contributo alla storia del concetto di rappresentanza politica, in «Filosofia politica», n. 1, 1987, pp. 77-97; B. ACCARINO, Rappresentanza, il Mulino, Bologna 1999; P. RAYNAUD, America e Francia: due rivoluzioni a confronto, in F. FURET
(a cura di), L'eredità della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 25-46.
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favore all’Assemblea nazionale e al ruolo politico svolto nella Rivoluzione del 1789 dal marchese de La Fayette, da lui considerato il Washington francese, a partire dalla primavera del 1791 Paine radicalizzò il proprio sguardo sulla vicenda rivoluzionaria partecipando attivamente al Cercle Social, un circolo politico e intellettuale che diede un contributo decisivo per perorare la causa popolare dell’abolizione della monarchia e dell'ampliamento del suffragio. Egli avviò una fruttuosa collaborazione in particolare con Nicolas de Boneville, Francois Lanthenas e Frangois Antoine de Condorcet, pubblicando il Republican Manifesto e il giornale «Le Républicain» dove, per la prima volta, venne affermata la parola d’ordine della repubblica in polemica con coloro che, come La Fayette e Sieyès, difendevano il compromesso costituzionale che salvaguardava corona e successione ereditaria?°. L'edizione francese di Rights of Man rifletteva chiaramente questo mutamento di prospettiva politica. Il suo traduttore francese Lanthenas non diede alle stampe il primo volume finché Paine non scrisse il secondo, dal quale venne eliminata la dedica introduttiva dove, pur prendendone le distanze, veniva ribadita la profonda stima nei confronti del suo «affezionato amico», il marchese de La Fayette. Le recensioni sulla stampa popolare parigina furono comunque piuttosto fredde, se non addirittura critiche, per via di una prima parte dove non era presente alcuna presa di posizione contro la corona francese e la legge con la quale La Fayette e i suoi sostenitori nell'Assemblea nazionale avevano imposto una forte limitazione del suftragio attivo e passivo
(marc d’argent), incuranti delle voci di coloro che, come Condorcet, avevano giudicato la legge «pericolosa per la libertà» perché «stabiliva 20.
T. PAINE, Letter to Anonymous, 16 marzo 1789; ID., A Republican Manifesto, 1 luglio
1791; ID., Letter to Messieurs Condorcet, Nicolas De Bonneville, and Lanthenas, giugno 1791,
in CW, cit., vol. 2, pp. 517-519, 1285-1286, 1315-1317. Cfr. B. VINCENT, Thomas Paine, repub-
blicano dell’universo, in F. FOURET, M. OZOUF (a cura di), L'idea di repubblica nell’ Europa moderna, Laterza, Roma-Bari 1993; A.0. ALDRIDGE, Man ofReason, cit., pp. 148-149; ID.,
Thomas Paine and the Ideologues, in «Studies on Voltaires and the Eighteenth Century», N. 151, 1976, pp. 109-117; ID., Condorcet et Paine. Leurs rapports intellectuels, in «Revue de litterature comparée», n. 32, 1958, pp. 47-65. Relativamente al dibattito francese suscitato
dalla Rivoluzione americana, R. STURLA, Democrazia e uguaglianza in America: un dibattito nella Francia pre-rivoluzionaria, 1770-1788, Centro Editoriale Toscano, Firenze 2000;
). APPLEBY, America as a Model for the Radical French Reformers of1789, in «William & Mary Quarterly», 28, 2, 1971; A. POTOFSKY, French Lumières and American Enlightenment
during the Atlantic Revolution, in «Revue Frangais d’ Etudes Américaines», n. 93, 2002, PP. 47-67, Sul Cercle Social, G. KATES, The Cercle Social, the Girondins and the French Revolution, Princeton University Press, Princeton 1985.
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una disuguaglianza giuridica contro l’uguaglianza dei diritti» proclamata nel 1789. Per controbattere la tragica rappresentazione burkeana della vicenda rivoluzionaria francese, Paine aveva condiviso l'esigenza di ordine espressa dal Marchese, ignorando le aspirazioni democratiche delle sezioni parigine e giudicando positivamente l’impiego della guardia nazionale per fermare la protesta popolare e proteggere il monarca nelle giornate di ottobre, quando venne siglata la Declarations. La fuga di re Luigi xvi e il massacro del Champ de Mars furono gli eventi decisivi che spinsero Paine ad abbracciare la causa popolare, fondando con Condorcet la Société des Republicains: La fuga del re equivale alla sua abdicazione. [...] Egli non ha più alcuna autorità. [...] Diversamente da quanto affermano i monarchi, la grandezza di un popolo non dipende dalla magnificenza della corona, bensì dalla consapevolezza che il popolo ha della sua stessa dignità”.
Con la pubblicazione del Republican Manifesto il primo luglio del 1791, l'abolizione della monarchia e l'istituzione di un governo interamente fondato sulla rappresentanza furono poste all'ordine del giorno. Il 6 luglio, per rispondere al manifesto che Paine aveva concordato con Condorcet, il principale artefice del compromesso costituzionale che aveva salvaguardato la monarchia intervenne sulle pagine de «Le Moniteur Universel». Sieyès ribadì la sua preferenza in favore della monarchia, ma decise di non accentuare lo scontro politico fra monarchici e repubblicani nell'Assemblea nazionale. Egli non soltanto rigettò l’accusa di essere un «monarchico controrivoluzionario», mostrò anche una certa
disponibilità al dialogo, sottolineando tuttavia la necessità di garantire «unità d’azione» al governo, attraverso l’attribuzione della funzione ese-
cutiva a un solo individuo. Dal suo punto di vista, la questione decisiva rimaneva quella di assicurare il necessario «impero della legge». Al di là del tono polemico delle loro risposte, Paine e Condorcet interpretarono favorevolmente le sue parole, avviando una riflessione politica
sulla possibilità di superare la monarchia e migliorare la Costituzione «senza disturbare l’ordinario funzionamento del governo»: l’obiettivo era delineare una forma stabile di governo capace di allontanare il 21. T. PAINE, A Republican Manifesto, 1 luglio 1791, in CW, cit., vol. 2, pp. 517-519; ID., TDiritti dell'Uomo, cit., voll. 1 e 2, pp. 140-141, 223-224; «Cercle Social», febbraio 1790,
lettera 8, pp. 57-75. Cfr. G. KATES, From Liberalism to Radicalism: Tom Paine” Rights of Man, in «Journal of the History of Ideas», 50, 4, 1989, pp. 569-587.
194 pericolo del disordine paventato dall’abate per mezzo di un adeguato equilibrio fra potere legislativo ed esecutivo”. Nonostante questo impegno condiviso, la monarchia francese fu rovesciata dall’insurrezione popolare del 10 agosto 1792 che spinse l’Assemblea nazionale ad abbandonare l’ipotesi di riforma costituzionale in favore dell’elezione di una convenzione con il compito di redigere una nuova Costituzione. Due settimane dopo, Paine ricevette la cittadinanza onoraria e il 9 settembre venne eletto alla convenzione come
rappresentante del dipartimento Pas-de-Calais. Nel suo Address to the People of France, scritto per salutare la sua elezione, egli aftermò che la Costituzione andava resa conforme ai principi di uguaglianza e libertà della Déclaration. A suo parere, questo sarebbe stato il primo passo per estendere le conquiste democratiche della Rivoluzione americana all’ Europa. Sebbene Paine rivendicasse l'assoluta originalità del suo pensiero politico, sostenendo che Rights of Man confermava alla lettera quanto aveva precedentemente argomentato in Common Sense, furono dunque le battaglie politiche combattute al fianco di Condorcet e degli altri esponenti del Cercle Social a spingere la sua penna verso la democrazia con maggiore forza e coerenza di quanto avesse fatto in precedenza: Finora la causa pubblica ha sofferto delle contraddizioni contenute nella Costituzione dell'Assemblea nazionale. Queste contraddizioni sono servite per dividere le opinioni degli individui all’interno e per oscurare i grandi principi della Rivoluzione negli altri paesi. Ma, quando queste contraddizioni saranno rimosse e la Costituzione sarà resa conforme alla Dichiarazione dei Diritti, [...]
un nuovo raggio di luce illuminerà il mondo”.
Il suo entusiasmo rivoluzionario venne però presto smorzato dalle divisioni politiche che segnarono la convenzione. Diverse furono le dispute 22.
Perla polemica tra Paine e Sieyès, «Gazette Nationale ou Le Moniteur Universel»,
n. 6, 16 luglio 1791; «Le Republicain», 16 luglio 1791; T. PAINE, To the Abbé Sieyès, 16 luglio 1791, in CW, cit., vol. 2, pp. 519-520; T. PAINE, Answer to four Questions on the
Legislative and Executive Powers, in cw, cit., vol. 2, pp. 521-534. Quest'ultimo testo fu scritto nell'estate del 1791, ma venne pubblicato sulla «Chronique du Mois», giornale edito dal Cercle Social, tra il giugno e il luglio del 1792. Sul problema della revisione costituzionale, P. COLOMBO, Governo e costituzione. La trasformazione del regime politico nelle teorie dell'età rivoluzionaria francese, Giuffré, Milano 1993, pp. 249-296. 23. T. PAINE, Address to the People of France, 25 settembre 1792; ID., Letter to the Ho-
norable Senate of the United States, 21 gennaio 1808, in cw, cit., vol. 2, pp. 538-540, 1489-1492.
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che impedirono di concludere con successo il processo costituente. Prima fra tutte, la polemica relativa alla condanna a morte di re Luigi XVI che, dopo la fuga del giugno 1791, venne accusato di aver tentato di mettersi alla testa delle truppe monarchiche europee per riconquistare il potere assoluto perso. Mentre era impegnato con Condorcet e Sieyès nella commissione incaricata di redigere la Costituzione, Paine sostenne
una posizione contraria tanto alla moderata proposta girondina, che intendeva consultare il popolo per stabilire la colpevolezza del monarca, quanto all’intransigente posizione giacobina favorevole all’immediata esecuzione della pena capitale. Egli temeva che l'eventuale regicidio irritasse il governo statunitense, incrinando quell’alleanza pluriennale dalla quale, a suo parere, dipendeva il successo della Rivoluzione in un contesto internazionale di guerra che vedeva le monarchie europee schierate contro la Francia rivoluzionaria. Per questo, con una proposta
che attirò sulla sua persona diffidenze e calunnie giacobine, chiese di rinviare la decisione a dopo l’approvazione della Costituzione. Il suo ultimo intervento cadde tuttavia nel vuoto: il re venne condannato alla ghigliottina. L'autore del Republican Manifesto rimase così completamente isolato e impotente di fronte a una situazione ormai segnata da un insolubile scontro politico?4. Paine comprese che dietro le quinte del dibattito sulla condanna a morte del monarca si giocava la partita decisiva per il controllo della convenzione. A partire dal febbraio del 1793, quando Condorcet espo-
se il progetto della Costituzione, alla stesura della quale Paine aveva probabilmente contribuito, le sedute vennero costantemente interrotte dall’azione congiunta dei giacobini e delle sezioni sanculotte che rivendicavano il controllo dei prezzi e l'aumento dei salari, secondo una pratica popolare simile a quella che Paine aveva sperimentato oltreoceano. L'obiettivo politico era però radicalmente diverso. Robespierre e i suoi intendevano, infatti, infrangere la rappresentanza e impedire che la convenzione approvasse la Costituzione, per stabilire in questo modo il governo rivoluzionario. Il 31 maggio 1793, Paine trovò la convenzione
24. ip. On the Propriety of bringing Louis xvi to Trial, 20 novembre 1792; ID., Reasons for preserving the Life ofLouis Capet, 15 gennaio 1793; ID., Shall Louis xvi be respited?, 19 gennaio 1793; in CW, cit., vol. 2, pp. 547-558. Sulla situazione internazionale e lo scontro militare tra le potenze monarchiche europee e la Francia rivoluzionaria, T. PAINE, A
Citizen ofAmerica to the Citizens of Europe, luglio 1793; 1n., Observations on the Situation
of the Powers joined against France, fine 1793, in CW, cit., vol. 2, pp. 561-568. Cfr. A.0.
ALDRIDGE, Man of Reason, cit., pp. 172-192.
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occupata dalle forze giacobine e sanculotte. Per sua buona sorte, all’ingresso dell’aula, Jacques Danton lo avvertì di non entrare: il suo nome era sulla lista dei nemici della Rivoluzione. Aveva inizio la violenta stagione del terrore. Come scrisse con forte rammarico e profonda delusionein una lettera allo stesso Danton, la mancata replica francese della Rivoluzione americana non era dipesa tanto dallo sforzo controrivoluzionario delle potenze monarchiche oppure dall’intrigo aristocratico ed ecclesiale, nemmeno dalla mobilitazione popolare per una maggiore
uguaglianza, quanto piuttosto dalla scellerata conduzione del processo
costituente: a suo dire, «non solo i rappresentanti dei dipartimenti, ma la stessa rappresentanza è stata pubblicamente ingiuriata»??. Mentre gran parte della redazione della «Chronique du Mois», l’ultima impresa editoriale con la quale il Cercle Social sostenne l’approvazione della Costituzione, fu ghigliottinata o morì in carcere, come accadde al suo amico Condorcet, Paine venne inaspettatamente risparmiato probabilmente per non incrinare ancora di più le relazioni con il governo statunitense. Durante il lungo anno di prigionia, egli scrisse 7he Age ofReason, il pamphlet nel quale la dura critica alle religioni rivelate non cedeva all’ateismo, bensì individuava nel deismo un dovere morale che superasse la falsa disposizione umana al sospetto, alla vendetta e alla persecuzione caratterizzanti il terrore giacobino, in nome della fiducia
nel progresso delle scienze e delle arti, ovvero nella capacità umana di perfezionamento. Tuttavia, da un punto di vista prettamente politico, il rivoluzionario atlantico non poteva non constatare amaramente che l’ Europa non era l'America? 25.
ID., Plan of a Declaration of the natural, civil and political Rights of Man, genna-
i0 1793, probabilmente redatto insieme a Condorcet; In., Letter to Jacques Danton, 6
maggio 1793; ID., To Thomas Jefferson, 20 aprile 1793; ID., Letter to James Madison, 20 ottobre 1794, in CW, cit., vol. 2, pp. 558-560, 1330-1332, 1335-1338, 1369. Paine era stato
eletto alla commissione incaricata di redigere la convenzione con il secondo maggior numero di voti. Il primo posto era spettato a Sieyès. Tra gli altri membri erano appunto Condorcet e Danton. Paine contribuì al dibattito interno alla commissione, pubblicando il 10 ottobre 1792 su «Le Patriot Francois», il giornale diretto da Brissot, un articolo
intitolato An Essay for the Use of New Republicans in their opposition to Monarchy, in CW, cit., vol. 2, pp. 541-546. CONDORCET, Exposition des principes et des motifs du plan presenté a la convention nationale par le comité de constitution (1793).
26. La redazione della «Chronique du Mois» era composta, tra gli altri, da Condorcet, Brissot, Bonneville e Lanthenas, questi ultimi due scamparono al terrore e continuarono a collaborare con Paine. Sull’impegno di Paine nelle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Francia rivoluzionaria prima del suo incarceramento, T. PAINE, Letter to James Monroe, 18 e 25 agosto, 10 settembre, 2 novembre 1794; ID., Letter to James Madison, 24
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Il progetto politico della democrazia rappresentativa, che Paine aveva elaborato nel Cercle Social ed esplicitato nella seconda parte di Rights ofMan, fallì dunque nel modo peggiore, confermando il timore che era emerso nella letteratura controrivoluzionaria, non soltanto inglese. In Francia, Jacques Mallet du Pan accusò Paine, Condorcet e Sieyès di aver avviato un processo rivoluzionario inarrestabile, ovvero inevitabilmente destinato a degenerare nell’anarchia o nella tirannia. La volontà generale dei sanculotti, alla quale i giacobini fecero costantemente appello, prevedeva una forma politica molle e plasmabile, che faceva salva la possibilità di sorvegliare i rappresentanti ed eventualmente di revocarne il mandato, consentendo così un continuo esercizio della democrazia diretta. Alla luce del Contract Social, il problema teorico della conciliazione della volontà di tutti con la volontà generale veniva dunque risolto con il rifiuto della rappresentanza. Il suffragio non rivestiva in questo senso una funzione centrale: mentre Paine, Condorcet e Sieyès consideravano il sistema rappresentativo come conditio sine qua non
della democrazia, dal punto di vista giacobino, la rappresentanza non andava ridotta alla sua definizione giuridica e costituzionale, piuttosto costituiva uno strumento flessibile che andava misurato sulla volontà di chi, pur essendo rappresentato, intendeva agire in prima persona. Il 5 dicembre 1793, la proclamazione del governo rivoluzionario, che subordinava le pretese sanculotte di democrazia diretta al primato politico del Comitato di Salute Pubblica, non smentiì questa valutazione,
bensì confermò che Robespierre giudicava insufficiente la democrazia rappresentativa. Dal colpo di mano giacobino al terrore della ghigliottina, la rappresentanza affiorava dunque come l’elemento di maggiore ambiguità e debolezza. Un nucleo problematico che emerse nuovamente nel 1795 quando, dopo la destituzione di Robespierre, la Convenzione
nazionale acquisì l’autorità sufficiente per uscire dal terrore e redigere una nuova Costituzione, avviando un dibattito nel quale Paine fu ancora una volta protagonista”. settembre 1795; ID., To the French National Convention, 7 agosto 1794; 1D., The Age of Reason, in CW, vol. 2, pp. 474-489, 512-518, 1339-1375, 1378-1381. Cfr. A.0, ALDRIDGE, Man
of Reason, cit., pp. 202-204. Relativamente a The Age of Reason, E.). MANNUCCI (a cura di), L’età della ragione, 181S, Como 2000; N. CARON, Thomas Paine contre l’imposture des pretres, L'Harmattan, Paris 1999.
27.
J. MALLET DU PAN, Correspondance politique pour servir a l’histoire du républica-
nisme francais, 10 marzo 1796, Introduction. Cfr. N. MATTEUCCI, Mallet du Pan, Istituto
italiano di Studi storici, Napoli 1957. Su rappresentanza e suffragio, P. ROSANVALLON, La Rivoluzione dell’uguaglianza. Storia del suffragio universale in Francia, Anabasi,
198
La fine del governo rivoluzionario non costituì di per sé la garanzia dell’uscita dal terrore. Molte e complicate questioni rimasero irrisolte: che cosa fare della Costituzione giacobina approvata in tutta fretta contro il progetto costituzionale presentato da Condorcet? Come riabilitare quelle forze economiche screditate per la sola ragione di essere ricche, senza causare nuove ondate di risentimento popolare? Come ricostruire la fiducia delle sezioni popolari deluse dal governo rivoluzionario, ma ancora attive nel rivendicare una maggiore uguaglianza? Le proteste di coloro che chiedevano misure economiche per superare la condizione di povertà alimentavano ancora lo spettro del terrore dentro e fuori la Convenzione nazionale, drammatizzando il problema politico di terminare la Rivoluzione. In questo contesto sociale e politico, l'8 dicembre 1794 il deputato Thibaudeau chiese di riammettere l’autore
del Republican Manifesto alla convenzione. Paine contribuì immediatamente al dibattito per uscire dal terrore, schierando la propria penna contro la possibilità di conservare la Costituzione giacobina. In una lettera a Jean Pelet de la Lozère, presidente della convenzione, sostenne che questa non assicurava «la tranquillità e la sicurezza generale», perché tutte le modalità del terrore avrebbero potuto essere facilmente rinnovate: «Non c’è un solo articolo nella costituzione che garantisca la libertà dell’individuo e senza di essa non c'è nulla di simile alla libertà politica». L’8 aprile 1795, Pelet propose di nominare una commissione
con l’incarico di modificarla?®. A distanza di tre mesi, il presidente della commissione Boissy d’Anglas presentò una nuova carta costituzionale con un lungo discorso Milano 1994; L. JAUME, Le Discours Jacobin et la Democratie, Fayard, Paris 1989. Su
governo rappresentativo e governo rivoluzionario, P. COLOMBO, Governo e costituzione.
La trasformazione del regime politico nelle teorie dell’età rivoluzionaria francese, Giuftré, Milano 1993, pp. 447-486. Sui sanculotti, R.B. ROSE, The Making of the Sans-Culottes. Democratic Ideas and Institutions in Paris, 1789-1792, Manchester University Press,
Manchester 1983; G. RUDÉ, Dalla Bastiglia al Termidoro: le masse nella Rivoluzione francese, Editori Riuniti, Roma 1966; A. soBOUL, Movimento popolare e rivoluzione borghese: i sanculotti parigini nell’anno 11, Laterza, Bari 1959. 28. B. VINCENT, Cinq inédits de Thomas Paine, in «Revue Francaise d’ Etudes A mericaines», N. 40, 1989, pp. 213-235. Paine scrisse la lettera probabilmente tra il 3 dicembre 1794
e l’n aprile 1795. La corrispondenza fra Thibaudeau e Paine che utilizzo per ricostruire la polemica politica nella quale Paine venne coinvolto durante il Termidoro non è pubblicata in alcuna antologia, ma è possibile leggerla in A.c. THIBAUDEAU, Mémoires sur la Convention et la Directoire, Baudouin frères, Parigi 1824, dove troviamo anche il Discours pour rapelle Paine a la Convention apres le Terreur. Sul Termidoro, B. BACZKO, Come uscire dal Terrore. Il Termidoro e la Rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1989.
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introduttivo che intendeva legittimare l'abrogazione della Costituzione giacobina, descritta come «la conservazione formale di tutti gli elementi del disordine», nient'altro che «l’organizzazione dell’anarchia». La nuova Costituzione veniva invece presentata come la risposta al
duplice problema di ristabilire la rappresentanza e ricostruire in società quella solidarietà indispensabile per proteggere le proprietà del ricco e l’esistenza del povero: la Costituzione doveva educare il popolo all’ubbidienza, in modo da proteggere la repubblica dal suo passato tumultuoso. Boissy e i termidoriani rivendicarono la necessità politica di organizzare un’aristocrazia della mente sulla quale fondare la repubblica in modo stabile e duraturo, attraverso un sistema rappresentativo in grado di selezionare le migliori figure sociali, quelle ricche e istruite. Per uscire dal terrore, essi delinearono un costituzionalismo dei migliori che affermava il criterio politico grazie al quale colui che «ha scambiato una porzione della propria libertà con un salario [...] perde momentaneamente l'esercizio del diritto di cittadino». Intesero in questo senso chiarire il principio d’uguaglianza affermato dalla Rivoluzione: poiché «l’uguaglianza assoluta è una chimera [...] l'uguaglianza civile è tutto ciò che l’uomo ragionevole può esigere»??. Il costituzionalismo dei migliori prese dunque atto della presenza in società di una classe di individui — salariès o proletaires - che, non
avendo affatto perso entusiasmo per la Rivoluzione, costituiva ancora una minaccia per la repubblica. La soluzione non poteva allora essere quella della democrazia rappresentativa fondata sul suffragio universale, che la degenerazione della Rivoluzione nel terrore aveva dimostrato essere impossibile. Doveva invece essere quella dell’istituzione di un esecutivo forte, della divisione della rappresentanza e della limitazione del voto in base al censo. Il costituzionalismo dei migliori poneva in tal senso la vicenda rivoluzionaria francese in continuità con quella americana, non però con la sfida democratica lanciata nel 1776, bensì
con quel costituzionalismo degli uomini sobri che, secondo quanto aveva sostenuto John Adams con la sua Defence of the Constitution of the United States ofAmerica (1789), aveva trionfato nella Costituzione
federale del 1787. Contro questa prospettiva, che Boissy D'Anglas rivendicò esplicitamente nel suo intervento alla Convenzione nazionale, in 29.. F.A. DE BOISSY D’ANGLAS, Discorso preliminare del progetto di costituzione per la Repubblica francese pronunciato da Boissy d'Anglas, Rappresentante del popolo in nome della commissione degli undici nella seduta de’5 Messidor, l’Anno terzo, s.l. s.n., 1975, pp. 52-54 [«Gazette Nationale, ou Le Moniteur Universel», 29 giugno 1795].
200
un momento nel quale stava maturando scetticismo verso l’assetto costituzionale statunitense e la politica federalista del governo Washington, Paine intervenne duramente per sostenere le aspettative democratiche aperte dalla Rivoluzione, criticando quel costituzionalismo contro il quale aveva lottato anche oltreoceano?°. Sebbene avesse rifiutato con forza la democrazia diretta rivendicata dalle sezioni popolari parigine, condannando anche le richieste sanculotte di regolamentazione del commercio, Paine contestò la limitazione del suffragio. In una lettera inviata a Thibaudeau, denunciò il pericolo che la «distinzione dei diritti come base di una nuova costituzione» potesse scatenare una vera e propria «guerra contro le proprietà». Allo stesso modo, nella Dissertation on First Principles of Government, pubblicata all’inizio del luglio 1795 e subito inviata oltreoceano per sostenere
il movimento politico delle democratic-republican societies, spiegò che fare della proprietà il criterio per accedere al voto significava «innalzarla a pomo della discordia, non solo eccitando, ma anche giustificando una guerra contro di essa». A suo parere, nessuno doveva essere privato del suffragio, in quanto non proprietario, perché le capacità che i lavoratori
scambiavano sul mercato in cambio di salario erano di loro proprietà. Per questo, senza mettere realmente in pratica il principio d'’uguaglianza stabilito dalla Déclaration attraverso il suffragio universale, la Francia rivoluzionaria non sarebbe uscita dal terrore: È possibile escludere gli uomini dal diritto di voto, ma è impossibile escluderli dal diritto di ribellarsi contro tale esclusione; e quando si tolgono tutti gli altri diritti il diritto di ribellione è reso perfetto”.
30.
Paine criticò pubblicamente la Costituzione federale del 1787 in Letter to George
Washington, 30 luglio 1796, in Cw, vol. 2, pp. 691-723. In un breve, ma significativo passaggio del suo discorso, Boissy D'Anglas riconobbe pubblicamente il proprio debito verso John Adams: «Un des plus grands publicistes modernes, Samuel Adams [in realtà John Adams, autore della Defence of the Constitutions ofthe United States] a ecrit qu'il n'était point de bon gouvernement, point de constitution stable, point de protecteurs assures point les lois, la liberté et les propriétés des Peuples, sans la balance des trois pouvoirs». B. D'ANGLAS, Discorso preliminare, cit., p. 98. Cfr. M. LAHMER, La Constitution américaine dans le débat frangais: 1795-1848, L'Harmattan, Paris 2001; G. CONAC, J.P. MACHELON,
La Constitution de l’an 11, Boissy d’Anglas et la naissance du liberalism constitutionnel, PUF, Paris 1999.
31.
T. PAINE, Dissertation upon the first Principles of Government; 1p., Letter to Benja-
min Franklin Bache, 5 agosto 1795, in CW, cit., vol. 2, Pp. 578-581, 587-588, 1137. A.C.
THIBAUDEAU, Mémoires sur la Convention et la Directoire, cit., pp. 112-116.
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Paine non auspicò affatto una nuova insurrezione. Egli distingueva con estrema chiarezza il momento propriamente rivoluzionario, quan-
do era legittimo usare il potere in modo discrezionale per affermare il principio d’uguaglianza, dal tempo necessario alla costruzione del governo, quando bisognava invece rispettare rigorosamente norme e regole scritte nella Costituzione. Tuttavia, era profondamente convinto che la limitazione del suffragio avrebbe innescato una ribellione. Per questo, grazie alla traduzione del suo amico Lanthenas, uno dei pochi a sostenere la sua battaglia in favore del suffragio universale, il 7 luglio 1795 Paine prese parola alla Convenzione nazionale ricordando di aver subito sulla propria pelle la violenza del terrore, ma di considerare inevitabile una nuova insurrezione contro l’eventuale limitazione del voto. A suo parere, «la parte del popolo su cui ricadeva la parte principale del lavoro» non avrebbe avuto voce politica se non replicando la Rivoluzione: «Poiché il potere è sempre con la maggioranza, essi possono rovesciare un simile governo quando vogliono»??. Il suo intervento rimase però del tutto inascoltato, se non da coloro che lo criticarono raffigurandolo come la vittima delle sue stesse visionarie convinzioni politiche. L'esperienza del terrore ricordava che la democrazia era impossibile e quindi colui che credeva ancora nella possibilità di realizzarla era soltanto un povero ingenuo, condannato a soccombere alle sue stesse ambizioni teoriche e politiche. L'approvazione della Costituzione e l’affermazione del costituzionalismo dei migliori anticipavano dunque il paradosso ottocentesco del liberalismo francese, impegnato nel rompicapo di giustificare il rifiuto del suffragio universale, tentando di conciliare l'uguaglianza civile con la disuguaglianza sociale, mentre emergevano continue rotture rivoluzionarie dell'assetto costituzionale. Quando sostenne che non era possibile terminare la Rivoluzione, ignorando le pretese democratiche che provenivano da coloro i quali lavoravano in cambio di salario, Paine dimostrò in questo 32.
T. PAINE, The Constitution of 1795. Speech in the French national Convention, 7
luglio 1795; ID., Dissertation upon thefirst Principles of Government, in cw, cit., vol. 2, pp. 578-579, 589-590. Lanthenas era stato membro costituente del Cercle Social ed
era traduttore di tutti gli scritti di Paine. Nel 1795, egli pubblicò il pamphlet Droit de cité exercise de la Souveraineté du Peuple francais, et garantie la liberté publique contre les abus de l’égalité en Droits nel quale sosteneva il suffragio universale e dedicava un paragrafo all’Impolitique, injustice et danger de diviser la société en classes. Sul rapporto tra Costituzione e Rivoluzione nel pensiero politico di Paine si rimanda a M. GRIFFO, Thomas Paine e ilgiacobinismo: revisione costituzionale versus insurrezione, in «Giornale di Storia Costituzionale», n. 16, 2008, pp. 101-112.
202
senso più lungimiranza. Inoltre, dalla sua critica non affiorava soltanto un’estensione atlantica del costituzionalismo che, da una sponda all’altra dell'oceano, emergeva in tensione con la democrazia, seppure con risposte tecniche diverse nel tempo e nello spazio, positive o negative, a seconda delle circostanze storiche. Soprattutto, alla luce del fallimento europeo della rivoluzione democratica, la sua lettura critica della vicenda costituzionale francese dal terrore al Termidoro serviva
per discutere che cosa allontanasse e avvicinasse America ed Europa". La disfatta della proposta di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione della Rivoluzione francese nel terrore, insieme al successivo rifiuto del suffragio universale, suscitarono nel rivoluzionario atlantico una serie di domande che mettevano in discussione quanto aveva sostenuto in Rights of Man: che cosa ostacolava la trasmissione della rivoluzione democratica da una sponda all’altra dell’oceano? Perché quel cambiamento concettuale del termine Costituzione che aveva avuto luogo nella periferia nordamericana non faceva presa al centro dell’ Impero? Era sufficiente sostenere che il pregiudizio inglese nei confronti della Costituzione britannica impediva che fosse messa in discussione la legittimità della monarchia? E ancora, relativamente alla Francia: perché la democrazia non aveva trovato una propria forma sta-
bile e duratura precipitando nel governo rivoluzionario? Era sufficiente spiegare la degenerazione della Rivoluzione nel terrore con la convinzione politica di derivazione rousseauiana, secondo la quale la volontà generale del popolo non poteva essere rappresentata? La limitazione del suffragio non costituiva forse la premessa politica per una nuova Rivoluzione? Tali domande posero la questione del problematico rapporto tra America ed Europa in epoca rivoluzionaria sul piano esclusivamente politico. Servivano, perciò, soltanto per rintracciare continuità e discontinuità tra forme di governo e modelli costituzionali che avevano
33. Sulle critiche alla posizione democratica di Paine nella convenzione termidoriana, Suite des observations sur le projet de constitution présente par Boissy d'Anglas, in Annales Patriotiques et Littéraire ou La Tribune des Hommes Libre, Journal Politique et de Commerce, rédige par L.S. Mercier, anno ni della repubblica, 16 luglio 1795. Nonostante la limitazione del suffragio, Paine considerò la Costituzione del 1795 indispensabile per
preservare la repubblica dalle spinte reazionarie che provenivano da dentro e fuori la Francia, T. PAINE, The Eighteenth Fructidor, To the People of France and the French Armies, 3 settembre 1797, in CW, cit., vol. 2, pp. 594-612. Sul paradosso del liberalismo
francese della prima metà dell’Ottocento, L. JAUME, L’Individu effacé ou le parodoxe du libéralism frangais, Fayard, Paris 1997; P. ROSANVALLON, Il popolo introvabile: storia
della rappresentanza democratica in Francia, il Mulino, Bologna 2005.
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attraversato l'oceano, influenzando le rivoluzioni americana e francese. Presupponevano, dunque, un mondo atlantico come insieme di entità politiche che seguivano percorsi nazionali differenti. Tuttavia, esse rappresentavano soltanto l’aspetto politico della questione. Come vedremo, infatti, nel pamphlet The Agrarian Justice, scritto tra la fine del 1795 e l’inizio del 1796, Paine spostò l’attenzione dalla politica alla
società. All’approccio comparativo delle distinte vicende nazionali, egli sostituì uno sguardo globale che inquadrava il mondo atlantico nel suo complesso. Il problema non era più quello di confrontare America ed Europa per cercare continuità e discontinuità che inevitabilmente emergevano, ponendo il problema sul piano esclusivamente politico delle forme di governo, delle Costituzioni più o meno democratiche, del suffragio più o meno ampio. Paine volle piuttosto spiegare convergenze e divergenze alla luce del cambiamento concettuale che le parole società, commercio e civilizzazione stavano subendo in seguito alle rivoluzioni democratiche. Investigare la società per comprendere la politica serviva quindi per gettare un nuovo ponte sull’Atlantico e superare così quello spartiacque storico e teorico che allontanava America ed Europa.
Le antipatie della società Prima di leggere il pamphlet del 1796, con il quale vogliamo concludere l'avventura europea del rivoluzionario atlantico, sebbene egli lasciasse la Francia soltanto nel 1802, è opportuno ripercorrere brevemente la strada imboccata con Common Sense e Rights of Man per comprendere come Paine avesse delineato il rapporto fra società commerciale e governo rappresentativo. Sull’esempio della storia congetturale della società che era stata scritta nell’ambito dell’illuminismo scozzese, per lanciare la dottrina dell’indipendenza egli aveva criticato il sistema europeo degli Stati — la loro proiezione imperiale oltreoceano, le loro politiche mercantiliste e le loro forme dispotiche di governo - celebrando la società come esclusivo centro costituente della politica. Nella Letter to the Abbé Raynal, Paine aveva esplicitamente argomentato che esisteva una relazione diretta fra civilizzazione del commercio e rivoluzione politica su scala nazionale e internazionale: le parole società, commercio e civilizzazione servivano a trasmettere la Rivoluzione oltreoceano e a innovare l’architettura concettuale e istituzionale che aveva fino a quel ° momento sostenuto la politica moderna e le sue forme. Questa relazione venne approfondita nella seconda parte di Rights of Man dove, coerentemente con quanto sostenuto nella sua dottrina
204
dell’indipendenza, Paine spiegò che la società precedeva il governo e che, dunque, sarebbe esistita anche dopo la sua abolizione. Il suo obiettivo era privare il governo misto britannico della sua legittimazione storica e costituzionale.
A suo modo di vedere, nessun uomo poteva
soddisfare i suoi bisogni senza commerciare con gli altri e la reciprocità del commercio spingeva naturalmente l’individuo in società, «tanto naturalmente quanto la gravità attrae verso il centro». Il continuo aumento e la diversificazione dei bisogni producevano, infine, un «sistema di sentimenti sociali [...] essenziali per la sua felicità»*4. Paine fece propria l’innovazione teorica che Adam Smith aveva introdotto come presupposto della nuova economia politica. Mentre la letteratura britannica d'opposizione aveva considerato l’interesse privato e l’amore per il guadagno in contraddizione con il bene comune, il filosofo scozzese aveva definito lo scambio come una pratica vantaggiosa per l'insieme delle parti coinvolte, dunque anche per la ricchezza della Nazione: poiché la divisione del lavoro ne incrementava la produttività aumentando i beni disponibili per il consumo, il commercio rappresentava un gioco a somma sempre positiva. Nel primo capitolo
della seconda parte di Rights of Man, intitolato On Society and Civilization, che non casualmente precedeva quello dedicato all’origine del governo e alla definizione della Costituzione, Paine non fece altro che 34.
T. PAINE, IDiritti dell'Uomo, cit., vol. 2, pp. 235-239. La riflessione teorica di Paine
sulla società fu in questo senso influenzata anche dalla scienza newtoniana che aveva appreso nel corso della sua giovinezza inglese. T. PAINE, The Age ofReason, in CW 1, Pp. 494-496. Cfr. E. FONER, Tom Paine and Revolutionary America, cit., pp. 92-94. Dopo l'approvazione della Costituzione del 1795, Paine continuò la sua collaborazione con un altro membro del Cercle Social superstite del terrore giacobino, Niîcola de Bonneville, con il quale lavorò alla redazione del giornale «Le Bien informé». In questi anni, Paine appoggiò il governo francese, minacciato da pressioni controrivoluzionarie interne ed esterne alla Francia, anche quando il Direttorio infranse la Costituzione assumendo in sé tutto il potere contro un Consiglio dei Cinquecento dove era tornata a essere forte la fazione monarchica. Sebbene senza successo, Paine dialogò anche con Napoleone con l'obiettivo di realizzare il suo progetto di invasione dell’ Inghilterra. Nel 1800, quando il suo amico Bonneville venne incarcerato per aver paragonato Napoleone al «dittatore inglese» Oliver Cromwell, Paine lasciò definitivamente la scena pubblica francese nell'attesa di fare ritorno in sicurezza negli Stati Uniti. Boneville affidò sua moglie e suo figlio all’ormai esausto rivoluzionario atlantico che fece ritorno oltreoceano soltanto nell'autunno del 1802. T. PAINE, The Eighteenth Fructidor. To the People of France and the French Armies, 3 settembre 1797; 1D., To the People of England on the Invasion of
England; Letter to the Council ofFive Hundred, 28 gennaio 1798, 1D., Letter to Thomas Jefferson, 1 ottobre 1800; in cw, cit., vol. 2, pp. 594-612, 675-683, 1403, 1413-1417. Cfr.
B. VINCENT, Thomas Paine ou la religion de la liberté: biographie, Aubier, Paris 1987.
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tradurre politicamente questa novità teorica per fondare la democrazia rappresentativa sul commercio. A suo parere, così come lo scambio portava vantaggio a entrambi i contraenti, componendo l’interesse privato
nell'interesse generale, allo stesso modo la democrazia rappresentativa sanava il contrasto sempre presente tra volontà individuale e volontà generale attraverso il suffragio universale:
Il sistema rappresentativo assume la società e la civiltà come suo fondamento [...] respingendo i corrotti sistemi della monarchia e dell’aristocrazia, [...]
offre un rimedio ai difetti della democrazia semplice quanto alla forma, e.contemporaneamente all’incompetenza delle altre due quanto alla conoscenza”.
Paine inscrisse così la naturale propensione umana alla società nel lin-
guaggio politico della rivoluzione democratica. Diversamente dallo scozzese, non puntò alla conservazione del governo britannico, piuttosto alla sua dissoluzione. Non intese, cioè, limitare il governo e le sue politiche mercantiliste in favore della società e del libero commercio, bensì in nome della democrazia. Nel quinto e ultimo capitolo del pamphlet, sebbene avesse considerato il problema già nel 1772, per la prima volta in modo approfondito pose al centro dell’attenzione la situazione sociale di povertà che segnava negativamente la sponda europea dell’oceano. Secondo Paine, le cause non andavano ricercate nella civilizzazione del commercio in sé, ma in quanto aveva disturbato e impedito il suo «operare universale», ovvero nelle forme dispotiche di governo che avevano determinato profonde disuguaglianze attraverso politiche fiscali emanate per finanziare le guerre settecentesche e il fasto delle corone: tramite la rappresentanza, la democrazia avrebbe dunque rimediato alla povertà dando voce alla parte della società sulla quale
gravava il lavoro (working part)?°.
35.
T. PAINE, I Diritti dell’ Uomo, cit., vol. 2, pp. 247, 251. Cfr. A. SMITH, La Ricchezza
delle Nazioni, 1sEDI, Torino 1973, pp. 9-2536. T. PAINE, I Diritti dell'Uomo, cit., vol. 2, pp. 279-336. Cfr. In., Letter Addressed on
the Late Proclamation e The Decline and Fall of the English System of Finance, in cw, cit., vol. 2, pp. 469-511, 651-674. Selle conseguenze sociali della democrazia, G. CLAEYS, Thomas Paine, cit., pp. 99 e ss. Il pensiero politico di Smith non può certamente essere considerato controrivoluzionario, egli guardò con un certo favore all'indipendenza ‘americana e alla vicenda francese, almeno fino al terrore. D. WincH, Adam Smith's Politics: An Essay in Historiographic Revision, Cambridge Univerity Press, Cambridge 1978; K. HAAKONSSEN, The Science ofa Legislator: the Natural Jurisprudence of David Hume and Adam Smith, Cambridge University Press, Cambrdige 1981.
206
Società, civilizzazione e commercio forgiavano in questo modo
un inedito lessico del sociale per comprendere la politica moderna e legittimare lo Stato europeo sulla base della democrazia. Il commercio stabiliva un legame orizzontale (great chain of connection) che raftorzava il modo verticale della rappresentanza, rendendo possibile la democrazia. Poiché l’abolizione della proprietà come criterio politico per accedere al voto non contraddiceva il libero godimento del diritto di proprietà, non esisteva alcuna tensione fra la mano invisibile del mercato e il suffragio universale: la democrazia rappresentativa costituiva in questo senso la forma politica appropriata alla società commerciale. Così, tenendo fede alle sue premesse teoriche, nella Dissertation on the First Principle of Government, Paine poté rivendicare il suftragio universale. Tuttavia, la degenerazione della rivoluzione democratica nel terrore, le continue proteste in favore di maggiore uguaglianza e il timore che una nuova insurrezione popolare portasse con sé nuove
esperienze giacobine determinarono in Agrarian Justice una profonda revisione del suo modo di pensare società, commercio e civilizzazione”. Come emerge esplicitamente dalla presentazione dell’edizione francese, indirizzata al Direttorio che governava la repubblica sotto
la Costituzione termidoriana, il pamphlet era stato scritto a ridosso
della Congiura degli eguali del maggio 1796, quando Gracco Babeuf e la sua Société des Egaux ripresero le tematiche giacobine e sanculotte dell’uguaglianza politica e sociale, organizzando una congiura che fu brutalmente repressa, ancora una volta, con la ghigliottina. Allo stesso tempo, come mostrava invece la prefazione inglese, lo scritto faceva riferimento al contesto d’oltre Manica, dove quanto Paine aveva sostenuto nella seconda parte di Rights of Man stava suscitando la forte reazione dei loyalist che vedevano nell’eventuale rivoluzione democratica il preludio alla «dissoluzione della società»: contro coloro che approfondirono la sua critica della situazione sociale di povertà, rivendicando esplicitamente per la prima volta i «diritti dei lavoratori», le associazioni controrivoluzionarie distribuirono pamphlet che intendevano educare il povero al lavoro salariato e al rispetto delle proprietà accumulate. Agrarian Justice rispondeva in questo senso a vicende politiche storica-
37.
T. PAINE, I Diritti dell’ Uomo, cit., vol. 2, p. 235. Su Paine e la relazione tra democrazia
e società commerciale, P. ROSANVALLON, Le Capitalisme utopique. Histoire de l’idée de marché, Editions du Seuil, Paris 1999, pp. 144-159. Cfr. J. HABERMAS, Prassi politica e teoria critica della società, il Mulino, Bologna 1973, p. 144.
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mente determinate, che fornivano però l’occasione per una riflessione teorica di più ampio respiro?8. Nel pamphlet Paine spiegò che la società non presentava soltanto un segno positivo. Il soddisfacimento dei bisogni attraverso il commercio mostrava profonde tensioni che impedivano la piena coincidenza dell'interesse privato con quello generale. La legge naturale del commercio non sembrava affatto rispondere alla reciprocità della quale aveva parlato con entusiasmo in Rights of Man. Non produceva, cioè, un beneficio per l’insieme delle parti coinvolte. A questo proposito, Paine riprese la figura dello spectator con la quale Smith.aveva spiegato la formazione del sentimento di simpatia (sympathy) alla base della socievolezza umana, attribuendo però allo spettatore della società un forte senso di parzialità: da un lato, esso era abbagliato dallo «splendore delle apparenze» della ricchezza; dall’altro era turbato dagli «estremi cui giunge la miseria». Per lo spettatore, era dunque facile concludere che «Ia civiltà (civilization) ha agito in due sensi, rendendo una parte della società più opulenta, e l’altra parte più misera»??. Paine aveva in precedenza sostenuto che la situazione sociale di povertà era stata determinata dall’eccessiva pressione fiscale attraverso la quale i governi europei avevano finanziato le guerre settecentesche. Ora spostava, invece, l’attenzione dalla politica alla società per consi-
derare criticamente il funzionamento economico della proprietà e del lavoro. A suo modo di vedere, le politiche mercantiliste di tassazione
38. T. PAINE, La Giustizia Agraria, cit., pp. 343-346. Sul pamphlet nel contesto francese, A. DE FRANCESCO, Au-delà de la Terreur: mouvements démocratiques et masses populaires dans la France du Directoire, in .C. MARTIN (sous la direction de), La Révolution
à l’oevre. Perspectives actuelles dans l’histoire de la Révolution frangaise, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2005. Thomas Spence e John Thelwall approfondirono
la sua critica della povertà rispettivamente in The End of Oppression, being a Dialogue between an Old Mechanic and a Young One, concerning the Establishment of the Rights of Man (1795) e The Rights of Nature, against the Usurpations ofEstablishments (1796).
Per un approndimento del dibattito politico inglese nel quale collocare la pubblicazione di Agrarian Justice, G. CLAEYS, Paines Agrarian Justice and the Secularization of
Natural Jurisprudence, in «Bulletin of the Society for the Study of Labor History», n. 52/3, pp. 21-31; In., The Origins of the Rights of Labour: Republicanism, Commerce and the Construction of Modern Social Theory in Britain 1796-1805, in «The Journal of Modern History», 66, 2, 1994; ]. MARANGOS, Thomas Paine (1737-1809) and Thomas Spence .(1750-1814) on Land Ownership, Land Taxes and the Provision ofCitizens Dividend, in «International Journal of Social Economics», 35, 5, 2008, pp. 313-325. 39. T. PAINE, La Giustizia Agraria, cit., p. 347. Cfr., A. Zanini, Adam Smith: economia,
morale, diritto, Bruno Mondadori, Mulino 1997.
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indiretta e la recinzione delle terre avevano favorito la concentrazione della proprietà in poche mani, determinando così la formazione di una «numerosa classe» di nullatenenti (dispossessed) che erano costretti a vendere il proprio lavoro in cambio di salario. La formazione del sistema fondiario «ha spogliato più di metà degli abitanti di ogni nazione della loro eredità naturale, senza indennizzarli per la perdita, come avrebbe dovuto, creando così una specie di povertà e di miseria che prima non esisteva»: i poveri diventavano una «razza ereditaria». La
sua argomentazione si faceva ancora più stringente spiegando come questa smisurata acquisizione di proprietà avesse provocato quella che considerava essere una qualità intrinseca alla società, ovvero l’accumulazione (accumulation). La compravendita del lavoro determinava una
costante «accumulazione di proprietà» come proprietà in denaro, perché «il lavoro che l’ha prodotta» veniva «pagato troppo poco» rispetto
ai «profitti che esso produce»*°. Paine portò, così, a compimento la maturazione concettuale che le rivoluzioni democratiche avevano imposto alle parole «proprietà»
e «lavoro» nel mondo atlantico. Dalla sponda americana dell’oceano la sua penna aveva tracciato una precisa prospettiva di emancipazione
politica che passava dal lavoro libero: la nozione della proprietà come diritto legittimo acquisito attraverso il lavoro era stata impiegata per rivendicare l’abolizione della schiavitù e la libertà politica del povero perché sia lo schiavo sia il povero contribuivano al benessere pubblico con il loro lavoro. Dalla sponda europea, scioglieva invece l’argomentazione lockeana per criticare le proprietà accumulate: mentre Locke aveva inteso attribuire alla proprietà un solido fondamento giuridico per considerare suo diritto naturale anche «le zolle che il servo aveva dissodato», Paine considerò ingiuste le disuguaglianze della società proprio perché la proprietà era il prodotto legittimo del lavoro. Per la prima volta egli non limitava il suo impegno all’emancipazione politica, ma attribuiva un senso sociale alle nozioni di libertà e uguaglianza, denunciando una netta disparità tra esercizio del lavoro, che gravava su molti, e possesso delle proprietà, che invece era in mano a pochi. Come mostrò anche la letteratura dissidente inglese in quegli stessi anni, la teoria lockeana della proprietà fu così rovesciata. Lavoro e proprietà diventarono nozioni contrapposte perché il lavoro di alcuni dava profitto ad altri: accumulare oltre quanto ciascuno produceva con le sue
40.
T. PAINE, La Giustizia Agraria, cit., pp. 350, 356-358.
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stesse mani era un «effetto della società» che rendeva «artificiale» la proprietà e «impossibile» l'uguaglianza. Il passaggio dalla critica della politica alla critica della società era così immediato”. Nella nuova veste di spettatore parziale, il rivoluzionario atlantico non vide più la società come una volontaria associazione di uomini
che soddisfacevano liberamente i loro bisogni attraverso il commercio.
Piuttosto, essa sembrava operare al di sopra delle volontà dei poveri come una costrizione che imponeva una condizione subordinata dalla quale era «pressoché impossibile uscire». La società non presentava quindi una superficie liscia e trasparente dove l’interesse privato veniva coniugato senza alcuna tensione con l’interesse generale. Essa mostrava invece un aspetto lacero (rugged face) che rendeva evidente la presenza di specifiche gerarchie sociali, le quali facevano muovere la civilizzazione in modo contraddittorio. Nella sua riflessione teorica, veniva dunque meno la convinzione di derivazione smithiana per la quale il commercio era un gioco a somma sempre positiva, così come
risultava rovesciato il concetto di simpatia che il filosofo scozzese aveva impiegato per spiegare come gli uomini approvassero reciprocamente le loro azioni rivolte all’utile personale. A suo modo di vedere, la società
era attraversata da «avversioni» (antipathy): Quando la ricchezza e lo splendore, anziché affascinare la moltitudine, provocano sentimenti di disgusto; quando, anziché suscitare ammirazione, sono considerati come un insulto alla miseria; quando le sue ostentazioni servono a metterne in questione il diritto, la situazione della proprietà diviene critica”.
Il diverso modo di pensare società e civilizzazione del commercio consentì, infine, di discutere a posteriori il rapporto fra società commerciale
e democrazia rappresentativa. Le antipatie non spiegavano
soltanto l’insicurezza della proprietà, ovvero il disordine sociale. Sul piano politico della vicenda rivoluzionaria il terrore aveva mostrato che esse comportavano anche possibili prevaricazioni della volontà
41.
Ivi, pp. 343-345, 357-358. J. LOCKE, Trattato sul governo, cit., p. 24. Oltre Thelwall e
Spence già citati, w. GOODWIN, Enquiry concerning Political Justice and its Influence on . Happiness (1796). Cfr. p. COSTA, Il progetto giuridico, Giuffrè, Milano 1974, pp. 212-244. 42. 1p., La Giustizia Agraria, cit., p. 358. Nella traduzione italiana troviamo il termine
avversione. Nel testo useremo invece antipatia perché più aderente al concetto di antipathy che Paine impiegò con riferimento a Smith.
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parziale sulla volontà generale, vale a dire tentativi di cospirazione e insurrezione. I sentimenti di disgusto spiegavano in questo senso il differente esito europeo della rivoluzione democratica. Le antipatie avevano minato alla radice l'autonomia della società, dunque la possibilità di procedere con ordine e sicurezza dal governo dispotico al governo rappresentativo. Una volta abolita la monarchia, interessi proprietari e rivendicazioni democratiche erano risultati talmente inconciliabili da impedire la stipula consensuale di un solido e duraturo patto politico. In altre parole, poiché il timore delle «spoliazioni» della proprietà fece sì che «tutti i proprietari temessero ogni idea di rivoluzione», le antipatie della società avevano reso impossibile la democrazia*. Quanto detto non vuole risolvere la questione di una pretesa inconciliabilità fra le rivoluzioni democratiche americana e francese, confermando l’eccezionalità degli Stati Uniti, fin dalla loro origine rappresentati come esenti dalla conflittualità sociale che segnava, invece, il vecchio continente. La riflessione teorica che Paine svolse sulla
civilizzazione del commercio poneva piuttosto un ulteriore interro-
gativo che non riguardava soltanto una sponda dell’oceano: poiché la prospettiva politica della democrazia veniva caricata dell’aspettativa sociale dell’emancipazione dalla povertà, come sarebbe stato possibile stabilizzare e legittimare nel tempo la forma moderna dello Stato europeo e americano? In altre parole, a suo modo di vedere, le rivoluzioni democratiche lasciavano in eredità alle future generazioni un quesito dirimente per il mondo atlantico nel suo complesso, ovvero come conciliare democrazia rappresentativa e società commerciale. Alle prese con queste domande, l’argomentazione del rivoluzionario atlantico diventava ambigua e allusiva. Da un lato impregnata di realismo, dall’altro visionaria. Paine comprese che la rivoluzione democratica aveva reso incerta e instabile l'accettazione delle regole economiche della società commerciale. Onde rimuovere le antipatie della società e rendere accettabile proprietà e accumulazione, facendo riferimento alla «dottrina delle probabilità» elaborata dal suo amico Condorcet,
egli svolse una serie di calcoli economici per spiegare l’istituzione di un fondo fiscale nazionale dal quale attingere per risarcire chi compiva ventuno anni dall’espropriazione subita dalle generazioni precedenti. Erano in questo senso necessarie specifiche politiche economiche per
fare sì che «la proprietà produca un beneficio nazionale esteso ad ogni
43.
Ivi, p. 358.
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individuo». Soltanto in questo modo sarebbe stato possibile tenere insieme democrazia rappresentantiva e società commerciale. Tuttavia,
poiché l'affermazione del lavoro salariato rendeva impraticabile l’uguaglianza in società, in uno slancio di entusiasmo scrisse: Una rivoluzione nelle condizioni della civiltà (civilization) deve necessariamente accompagnare le rivoluzioni dei sistemi di governo. [...] né il Reno, né la
Manica, né l'Oceano possono arrestarne l'avanzata: essa marcerà sull’orizzonte del mondo, e lo conquisterà4.
Paine chiuse in questo modo la sua riflessione storica e teorica, senza offrire una soluzione definitiva, ma aprendo la discussione sull’esito sociale della rivoluzione politica. Con estrema originalità e altrettanta efficacia, tanto da coinvolgere nel dibattito pubblico un crescente numero di persone che erano in precedenza escluse, egli maturò uno
sguardo globale sul mondo atlantico. Ai suoi occhi, lo spazio oceanico non appariva come semplice giustapposizione di differenze politiche legate alla specificità sociale e culturale di ogni singola Nazione. Almeno temporaneamente, dal punto di vista della stabilità dell’assetto costituzionale e politico, la mancata replica europea della rivoluzione democratica sembrava allontanare le due sponde dell’oceano. Tuttavia, America ed Europa erano avvicinate non soltanto dalla trasmissione del nuovo vocabolario politico dell’uguaglianza, della sovranità popolare e del governo rappresentativo, ma anche dal cambiamento di
significato che investiva società e civilizzazione del commercio su scala internazionale. Con modalità e vivacità diverse nel tempo e nello spazio, anche coinvolgendo forze economiche e interessi proprietari spesso differenti, da quello terriero a quello mercantile e finanziario, il commercio era comunque investito da una comune tendenza all’accumulazione la cui direzione, intensità e velocità dipendevano pure dall'esito costituzionale dello scontro politico e sociale aperto dalle rivoluzioni democratiche. Il processo di accumulazione, avendo bisogno del governo come di un male necessario per rendere sicura la proprietà e agevolare l'espansione
44.
Ivi, pp. 358-359. Sulla dottrina della probabilità, K.M. BAKER, Condorcet. From
. Natural Philosophy to Social Mathematics, University of Chicago, Chicago 1975, pp. 85-196. Per una lettura di Agrarian Justice che evidenzi la genesi dei diritti sociali nel pensiero di Paine, r. CASADEI, Tom Paine e i diritti. Proprietà e genesi dei diritti sociali, in «Filosofia Politica», n. 3, 2005, pp. 399-414.
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commerciale, doveva trovare una sua legittimazione politica su base nazionale. L’emergente Stato- Nazione era chiamato in questo senso ad attuare politiche, fiscali ed economiche, per rimuovere quelle che, anche allo spettatore imparziale, apparivano come antipatie di classe. L’avventura europea del rivoluzionario atlantico lasciò, dunque, in ere-
dità una questione dirimente per un mondo in trasformazione lungo linee politiche ed economiche: come rendere la società commerciale, in transizione verso il capitalismo, compatibile con la democrazia continuamente rivendicata da coloro che lavoravano in cambio di un salario. Un mondo in transizione
Questo lungo viaggio nella vita e nelle opere del rivoluzionario atlantico offre la possibilità di considerare la transizione politica e sociale che muoveva il mondo atlantico oltre il Settecento, quando la civilizzazione del commercio, quale chiave interpretativa illuminista della proiezione imperiale europea oltreoceano, venne sostituta dalla sempre maggiore centralità politica dello Stato-Nazione, della sua formazione costituzio-
nale e del suo apparato istituzionale e ideologico. La biografia politica e intellettuale di Paine consente di ampliare il tempo storico del mondo atlantico oltre l'epoca delle rivoluzioni democratiche, superando la presunta contrapposizione tra il momento sociale della civilizzazione del commercio e l'emergere politico dello Stato-Nazione che frammentava il complesso intreccio economico e culturale dello spazio oceanico. In altre parole, alla luce della sua opera, è possibile applicare un duplice punto prospettico, dalla società alla politica e viceversa, per mettere a fuoco con maggiore nitidezza le sfumature e i contrasti che illustravano un mondo in transizione, non soltanto nella sua forma politica*. Fino a questo momento abbiamo evitato di scendere sul terreno scivoloso della transizione al capitalismo. Una simile questione non poteva essere affrontata dall'autore di Common Sense e Rights of Man nei termini che sarebbero stati esplicitati soltanto nel secolo successivo. 45. La letteratura sul mondo e la storia atlantica è ormai sterminata. Per un primo orientamento, B. BAILYN, The Idea ofAtlantic History, in «Itinerario», n. 20, 1996, Pp. 19-44; D. ARMITAGE, The Varieties of Atlantic History, in A.F. GAMES, A. ROTHMAN (eds.), Major Problems in Atlantic History, Houghton Mifflin Company, Boston-New York 2008; A. POTOFSKY, The One and the Many: The Two Revolutions Question and the ‘Consumer-Commercial’ Atlantic, 1789 to the Present, in M. ALBERTONE, A. DE FRANCEsco (eds.), Rethinking the Atlantic World. Europe and America in the Age of Democratic Revolutions, Palgrave MacMillan, New York 2009.
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Tuttavia, impiegando il termine accumulazione per spiegare proprietà
e lavoro, lo stesso Paine introdusse una terminologia economica che, sebbene ancora in modo informe e approssimativo, rimandava allo specifico campo semantico ottocentesco del capitalismo. D’altra parte,
il contesto storico, ancora immaturo rispetto alla successiva industrializzazione, non pose certamente la transizione al capitalismo come una questione che potesse essere discussa in maniera esaustiva. Da una
sponda all’altra dell’oceano, il percorso politico e intellettuale di Paine delineava, però, un preliminare quadro concettuale nel quale collocare la transizione al capitalismo alla luce delle rivoluzioni democratiche. Sulla sponda inglese, l’uomo delle accise non fece soltanto esperienza diretta della situazione sociale nella quale il lavoro non definiva una posizione diversa dalla povertà. In quanto funzionario del governo addetto alla riscossione delle tasse, fu anche testimone della funzione politica di trasformazione economica e sociale che lo Stato britannico svolse attraverso la leva fiscale: il pagamento dell’interesse sul debito pubblico, contratto per finanziare le guerre settecentesche, richiese un livello di tassazione che favoriva il trasferimento della proprietà verso quei mercanti che erano creditori del governo. Questo aspetto, ripreso
e approfondito in Rights of Man e Agrarian Justice, non era soltanto europeo. Emerse in modo simile anche sulla sponda americana, dove la collaborazione di Paine con il sovrintendente delle Finanze evidenziò in prospettiva il ruolo fiscale e finanziario che il primo Stato postcoloniale assumeva per formare un mercato nazionale capace di competere sulla scena internazionale della rivalità economica. In America come in Europa, era dunque in gioco la definizione di un assetto costituzionale e amministrativo nel quale potesse essere realizzata in modo legittimo l'accumulazione del capitale. Dall’America all’ Europa, la società risultò quindi investita da un cambiamento che ne impediva una definizione univoca: non era ancora la società capitalistica della Rivoluzione industriale ottocentesca, né questa seguiva immediatamente al cambiamento sociale in un processo naturale di sviluppo economico. Piuttosto, emerse una società profondamente conflittuale. Lo scambio preesisteva al capitalismo; ma coesisteva con una tendenza all’accumulazione che non era affatto al riparo da contestazioni. Il commercio non poté, perciò, più essere inteso semplicemente come strumento di emancipazione perché il lavoro libero divenne propriamente lavoro salariato. Il commercio era in questo senso un mezzo sospeso fra
la libertà di tutti e la proprietà di pochi: ognuno si presentava al mercato ‘uguale nei diritti, ma quello che poteva vendere o comprare dipendeva
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da quanto effettivamente possedeva. Per affrontare tale contraddizione, al di là della separazione teorica fra società e governo, la politica tornava a essere determinante. Su entrambe le sponde dell'oceano, mercanti e proprietari riconobbero che le rivoluzioni democratiche offrivano un ampio spazio di libertà che rischiava di essere compromesso senza stabilire uno specifico assetto costituzionale, nel quale il governo doveva essere posto al riparo dall’irrequietezza popolare. In questo senso, l’accumulazione costituiva un processo economico interno alla costruzione progressiva
dello Stato europeo ed americano. Dalla dimensione politica e sociale, contemporaneamente nazionale e internazionale, della riflessione storica e teorica di Paine emerse dunque una visione innovativa dell'oceano quale spazio non meramente
geografico. L’Atlantico non risultava riducibile alla sovrapposizione di entità nazionali e imperiali ermeticamente separate e distinte, ciascuna con la propria storia nazionale che alimentava identità e appartenenze in contrasto o alleanza sulla scena internazionale. Non era neanche completamente assimilabile all'affermazione autonoma del libero mercato negli interstizi della proiezione imperiale europea. La società commerciale non si affermò contro l'oppressione dello Stato, sebbene venisse utilizzata nella battaglia politica anche con questo significato, specie negli Stati Uniti. Piuttosto, aftiorò dentro la sua forma politica, centrale e periferica, in un processo storico internazionale che richiedeva nuove parole per la sua legittimazione. L’Atlantico non fu così un mondo chiuso in sé, dove la legge naturale del libero mercato e la civilizzazione del commercio trionfarono immediatamente contro le politiche mercantiliste europee. Neanche soltanto un mondo nel quale la cultura meticcia che marinai, schiavi e ribelli svilupparono contro l'oppressione economica e politica venne dispersa dal violento emergere del nazionalismo ottocentesco. L'Atlantico apparve, invece, a Paine come un mondo euroamericano, più ampio nel tempo e nello spazio, in transizione lungo linee che erano simultaneamente politiche ed economiche*°,
46. Cfr. P.LINEBAUGH, M. REDIKER, l ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria, Feltrinelli, Milano 2004; w.Q. BOELHOWER, The Rise of the New Atlantic Ma-
trix, in «American Literary History», 2, 1-2, 2008, pp. 83-101; D. HANCOGK, The British Atlantic World: Co-ordination, Complexity and the Emergence of an Atlantic Market Economy, 1651-1815, in «Itinerario. European Journal of Overseas History», 23, 2, 1999,
pp. 107-126; D. GABACCIA, A Long Atlantic in a Wider World, in «Atlantic Studies», 1, 1, 2004, pp. 1-27.
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Il suo vivere sospeso fra vecchio e nuovo mondo gli consentì di elaborare una relazione logica e storica che teneva insieme civilizzazione del commercio e rivoluzione politica. Dalla fine del xvi secolo all’inizio del x1x, importanti rivolgimenti iniziarono a intaccare l’assetto internazionale e mercantile del primo Atlantico, determinando le condizioni di possibilità per un nuovo mondo, ancora tutto da definire. La Rivoluzione del 1776 inaugurò il corso storico dei movimenti d’in-
dipendenza nazionale del centro e sud America. Conseguentemente, l’America come mondo extraeuropeo disponibile alla conquista imperiale non ebbe più presa nella realtà, e lo Stato-Nazione divenne l’asse comune attorno al quale fu organizzata la convivenza umana su entrambe le sponde dell’oceano, non solo nella vecchia Europa. Inoltre, poiché il vocabolario politico dell'uguaglianza naturale e della sovranità popolare, del governo rappresentativo e della democrazia circolava insieme a coloro che cercavano fortuna personale e politica da una sponda all’altra dell’oceano, l’architettura concettuale e istituzionale per pensare e legittimare lo Stato-Nazione ebbe la stessa origine rivoluzionaria in America come in Europa. Infine, siccome il modo di pensare civilizzazione del commercio e società non eclissava la politica, piuttosto forgiava una cornice storica e teorica per comprendere la
costruzione dello Stato e l'emanazione delle sue politiche, quello che mosse il mondo atlantico verso l’Ottocento fu la peculiare relazione fra società commerciale e democrazia, ovverosia fra sviluppo economico e crescente partecipazione politica seguente alle lotte per lampliamento
del suffragio”. D'altra parte, come mostrava la biografia inglese del giovane Paine, nel periodo precedente alle rivoluzioni democratiche, l'Atlantico non era stato contraddistinto tanto, o non soltanto, dalla forza civilizzatrice del commercio e dalla mano invisibile del mercato, quanto dall’asprezza della povertà, della servitù e del lavoro, come pure dalla mano visibile con la quale i governi avevano applicato politiche mercantiliste di tassa-
zione e guerra. L’espansione nazionale e internazionale del commercio 47.
A.S. FOGLEMAN, The Transformation of the Atlantic World, 1776-1867, in «Atlantic
Studies», 6, 1, 2009, pp. 5-28. Nella prima parte di Rights of Man, Paine scrisse che la partecipazione degli ufficiali e soldati francesi alla Guerra d'indipendenza fu per loro una «scuola di libertà» dove impararono pratica e principi della rivoluzione. T. PAINE, / Diritti dell'Uomo, cit., vol. 1, pp. 169-172. Questa circolazione avvenne anche in direzione opposta, dall’ Europa all'America, M. DuREY, Thomas Paines Apostles: Radical Emigrés and the Triumph of Jeffersonian Republicanism, in «William & Mary Quarterly», n. 44, 1987, pp. 661-688.
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dipese anche dalla crescente domanda che le guerre settecentesche europee avevano rivolto alle finanze pubbliche e alle loro amministrazioni fiscali, le nervature economiche dello Stato moderno. In questo senso, allo sguardo di un povero lavoratore e funzionario fiscale del governo inglese, l'Atlantico era apparso come un mondo politico di entità fiscali e militari che rivaleggiavano per il dominio nelle colonie americane e la supremazia nel mercato internazionale. Le rivoluzioni democratiche mutarono questa visione”.
La Declaration of Independence e le seguenti dichiarazioni d’indipendenza sudamericane non legittimarono soltanto la fondazione di Stati dove gli europei avevano pianificato esclusivamente colonie, ma anche la formazione di altrettanti mercati nazionali. Per la loro stessa esistenza, questi mercati furono immediatamente in competizione con quelli europei. Il che spiegava perché il primo Stato postcoloniale
avesse bisogno di finanziare il debito pubblico, istituire una banca nazionale e accentrare, costituzionalizzandole, un insieme di funzioni politiche ed economiche di governo, la più importante delle quali era quella fiscale. Relativamente al caso nordamericano, un simile accentramento del potere politico richiese il passaggio costituzionale
dagli Articoli di Confederazione alla Costituzione federale, unificando i singoli Stati indipendenti in uno Stato-Nazione, gli Stati Uniti d'America. Per quanto ancora immatura e approssimativa, questa
preliminare costruzione dello Stato dentro la rivoluzione rese possibile competere con le altre potenze europee in un mondo strutturalmente caratterizzato dalla rivalità politica ed economica: l'America entrava, per così dire, in Europa. Dal punto di vista europeo, la circolazione oceanica del vocabolario politico delle rivoluzioni democratiche e l’innovativo lessico del sociale cambiavano l’architettura concettuale e istituzionale della politica, ponendo la democrazia rappresentativa come forma in prospettiva non eludibile del moderno Stato-Nazione. Quello che, però, caratterizzava essenzialmente il mondo atlantico era l’ambigua relazione tra società commerciale e democrazia rappresentativa. La civilizzazione del commercio rivendicava la rivoluzione democratica, ma le «antipatie» che inevitabilmente esplodevano in seguito all’accumulazione di proprietà e all'affermazione del lavoro salariato determinavano un disordine 48.
I. WALLERSTEIN, Il sistema mondo, cit.; E.H. GOULD, P.$. ONUF (eds.), Empire and
Nation. The American Revolution in the Atlantic World, Johns Hopkins University Press, Baltimore 2005.
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sociale che poneva in forte tensione la democratizzazione seguente all'esperienza rivoluzionaria e l’espansione commerciale che assumeva, con sempre maggiore nitidezza, le sembianze della transizione al capitalismo: in questo senso l’ Europa inglobava l'America. Nonostante le divergenti storie nazionali, le continuità e discontinuità che avvicinavano e allontanavano America ed Europa, l'epoca delle rivoluzioni democratiche fu dunque il momento decisivo nella definizione delle coordinate politiche ed economiche che strutturarono il mondo atlantico. La transizione al capitalismo e la democratizzazione costituirono un duplice potente agente storico della costruzione dello Stato-Nazione ottocentesco su entrambe le sponde dell’oceano.
Come mostrarono i movimenti della classe lavoratrice inglese e statunitense nella prima metà del secolo successivo, anche recuperando il vocabolario politico di Paine, lo Stato-Nazione poté concretamente rinnovare la propria legittimazione politica soltanto rispondendo alle pretese democratiche di libertà, uguaglianza e benessere che innervavano inevitabilmente la società. In altre parole, le politiche nazionali e internazionali dipesero dalla specifica relazione storica e logica fra democratizzazione dello Stato-Nazione e transizione al capitalismo nel mondo euroamericano.
2.
SPECCHIO
DELL’ATLANTICO Fra un centinaio di anni [...], forse anche meno, l'America
potrebbe diventare quello che l’Inghilterra è ora! L'innocenza del suo carattere che ha conquistato i cuori di tutte le nazioni potrebbe apparire come un romanzo e la sua inimitabile virtù come se non fosse mai esistita. Non appena una copia della Costituzione federale giunse in Inghilterra, ricevetti da una mia amica corrispondente (nativa di New York) una lettera mista di amicizia, sentimento e politica. Nella mia risposta, mi permisi un'escursione nell’immaginazione, anticipando quella che sarebbe stata la condizione dell’America. Non avevo alcuna idea che una simile immagine potesse realizzarsi così velocemente, tanto meno che il Signor Washington potesse suggerirla*.
Come in un caotico gioco di specchi posizionati su entrambe le sponde dell'oceano, la Rivoluzione francese, specialmente in seguito al terrore 49. T. PAINE, Letter to Kitty Nicholson Few, 6 gennaio 1789; ID., Letter to George Washington, in cw, cit., vol. 2, pp. 694, 1276.
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e al nuovo scenario internazionale determinato dalla guerra francoinglese, contraddistinse pesantemente l’inizio dell’esistenza politica e sociale degli Stati Uniti d'America. L’Atlantico rimandava continuamente istantanee deformate e contraddittorie dell’ Europa rivoluzionaria e controrivoluzionaria, alla luce delle quali il primo Stato postcoloniale costruì se stesso come Nazione, in continuità o discontinuità con il vecchio mondo, avvicinando o distanziando le due sponde dell’oceano, per legittimare diverse concezioni della Costituzione e del governo, antifederaliste e federaliste, repubblicane e democratiche. Pur essendo radicate nell’esperienza rivoluzionaria avviata nel 1776, queste fecero comunque riferimento allo scontro politico ed economico che animava la scena internazionale: la Francia rivoluzionaria, che aveva abolito la monarchia per seguire la strada americana della repubblica, e la Gran Bretagna, arroccata invece in difesa della Gloriosa rivoluzione, fomentarono nuove speranze e vecchie paure, irrisolte aspettative democratiche e rinnovate pretese di accentramento del potere politico. Lo specchio dell’Atlantico rifletteva dunque il disordine europeo, alimentando una conflittuale costruzione dello Stato americano, senza però proiettare con sufficiente nitidezza la possibilità della rivoluzione democratica che Paine aveva invece evocato oltreoceano. L'immagine europea serviva in questo senso per costruire la specificità americana.
Questo stesso gioco di specchi inquadra la figura del rivoluzionario atlantico nella fase conclusiva della sua tormentata vicenda politica e intellettuale. Paine giunse in Francia come il celebre autore di Common Sense che aveva dato inizio all'indipendenza, eppure la sua avventura europea gettò ampie ombre sull'immagine di padre fondatore della Nazione americana che egli stesso aveva rivendicato nella sua opera. Nel marzo del 1794, per stemperare l’aspro clima di contrapposizione politica il Presidente George Washington nominò ambasciatore in Francia, in sostituzione del federalista Gouverneur Morris, il senatore James Monroe, esponente dell’emergente opposizione repubblicana guidata da Thomas Jefferson e James Madison. Il 6 novembre 1794, colui che nel 1823 enunciò
la dottrina Monroe con la formula «l’America agli americani» ottenne la scarcerazione di Paine dalla prigione del Luxembourg, dove era stato rinchiuso, come egli stesso denunciò, «per l'interesse dell'America e della Francia»?°. 50.
Ip. Letter te James Madison, 24 settembre 1795; 1D., Letter to George Washington, 30
luglio 1796, in CW, cit., vol. 2, pp. 699, 1378-1381. Fin dall'inizio, Paine espresse il suo totale
scetticismo per la nomina di Gouverneur Morris a rappresentante del governo statunitense
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Il rivoluzionario atlantico uscì di prigione profondamente segnato. Non soltanto per la durezza della reclusione e le precarie condizioni di salute, ma soprattutto perché aveva vissuto il tardivo intervento del governo statunitense come un tradimento del quale ritenne direttamente responsabile Washington. Durante il carcere, non aveva maturato
soltanto un forte risentimento personale contro il Presidente, ma anche una certa diffidenza nei confronti della fazione federalista al governo, nonché forti perplessità sulla Costituzione federale. Il 27 aprile 1797, in una lettera indirizzata a Madison, il quale - dopo aver sostenuto la ratifica del testo costituzionale pubblicando i Federalist Papers con Alexader Hamilton e John Jay - aveva assunto una posizione fortemente critica rispetto alla politica interna ed estera dei due esponenti dell’amministrazione Washington, Paine scrisse di aver «perso completamente la fiducia nel governo americano». Nonostante questo distacco personale e politico, egli manifestò ripetutamente l’intenzione di lasciare l’ Europa, ima fu costretto a rinviare la partenza per non correre il rischio di essere catturato dalla flotta britannica. Soltanto nel 1802, alla non più giovane età di 65 anni, fece ritorno oltreoceano grazie all’impegno del nuovo Presidente, Thomas Jefferson?!. Inizialmente, Paine aveva accolto con favore la notizia della ratifica
della Costituzione del 1787. Sebbene avesse appena lasciato l'America quando il testo costituzionale fu redatto e discusso nella Convenzione nazionale riunita a Filadelfia, in precedenza nella sua veste di collaboratore del sovrintendente delle Finanze, egli aveva svolto un ruolo importante nell'’ammorbidire il coriaceo sentimento popolare contrario all’accentramento del potere politico, contribuendo così al mutamento costituzionale dalla Confederazione all’ Unione. In Europa, nonostante accennasse criticamente al silenzio costituzionale sulla schiavitù e al pericolo che l’esecutivo presidenziale diventasse ereditario, Paine espresse un giudizio positivo sullo sforzo compiuto per attribuire alla sovranità in Francia, in seguito lo ritenne insieme a Washington responsabile della sua prigionia. ID. Letter to Thomas Jefferson, 13 febbraio 1792; ID., Letter to Gouverneur Morris, 24 febbraio
1794. Rilevante, a questo proposito, è la fitta corrispondenza con James Monroe da agosto a novembre del 1794, in CW, cit., vol. 2, pp. 1327-1328, 1332-1333, 1341-1375. Sulla costruzione
del mito di Common Sense come pamphlet rivoluzionario del «padre fondatore» Paine, T. LOUGHRAN, The Republican in Print. Print Culture in the Age of U.S. Nation Building, 1770+ 1870, Columbia University Press, New York 2007, pp. 33-104. 51. T.PAINE, Letter to James Madison, 27 aprile 1797, 1D., Letters to Jefferson, 14 maggio 1797, 9 giugno 1797, 1 ottobre 1800, 25 giugno 1801, 17 marzo 1802, novembre 1802, in
CW, cit., vol. 2, pp. 1393-1395; 1399-1400, 1406-1412, 1419-1423, 1427-1430.
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una dimensione nazionale. Nel 1788, discutendo per lettera con uno scettico Jefferson, decisamente preoccupato dalla concentrazione del potere politico che sarebbe derivata dalla Costituzione, Paine scrisse: Giudico la sovranità individuale che gli stati trattengono sotto la Confederazione pericolosa perché [...] risponde all’orgoglio e all’interesse di pochi uomini in ogni stato, mentre lo Stato preso collettivamente [Unione] risulta indebolito”. Inaspettatamente, in una lettera del 16 marzo 1790, indirizzata al suo
amico abolizionista Benjamin Rush, Paine accolse con soddisfazione anche la riforma della Costituzione statale della Pennsylvania, che in precedenza aveva difeso come baluardo democratico della Rivoluzione del 1776. Nonostante la limitazione del suffragio sulla base del censo, la
divisione della rappresentanza in due Camere legislative e il potere di veto del governatore, Paine sembrò guardare con favore al nuovo assetto costituzionale perché, a suo dire, sostituiva la «prudenza» necessaria per governare al «capriccio» legato all’umore delle parti che cambiava dopo ogni elezione. Nella sua corrispondenza non mancavano, però, tracce di un cattivo presagio che, per quanto in modo estemporaneo,
era stato espresso già all’inizio del 1789 in una lettera in risposta a Ketty Nicholson, figlia di un fervente repubblicano di New York, l’ultimo Stato, insieme alla Virginia, ad aver ratificato la Costituzione federale dopo un lungo e aspro scontro politico. Nella lettera, Paine spinse la propria penna fino alla sconsolata previsione che l'America potesse diventare come l’Inghilterra”. Mentre approfondiva la critica dello Stato britannico e del suo governo dispotico, nel corso della vicenda rivoluzionaria francese, Paine maturava dunque una precisa presa di distanza dalla Costituzione federale che espresse pubblicamente soltanto nella Letter to George Washington del 30 giugno 1796. Nella sua stesura, egli fu certamente influenzato dalla dolorosa esperienza del carcere, oltre che abbagliato nel giudizio dal rancore personale nei confronti del suo vecchio amico del tempo
52. ID. Letter to Thomas Jefferson, febbraio 1788, in E. FONER, (ed.), Collected Writings, cit., pp. 368-369; T. PAINE, To George Clymer, 29 dicembre 1787; ID., To Anonymous, 16 marzo 1789, in CW, cit., vol. 2, pp. 1266-1267, 1285-1286.
53.
T. PAINE, To Benjamin Rush, 16 marzo 1790, in E. FONER (ed.), Collected Writings,
cit., pp. 371-372. T. PAINE, Letter to Kitty Nicholson Few, 6 gennaio 1789, in cw, cit., vol. 2, pp. 1274-1278.
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di guerra. Tuttavia, non perse lucidità e chiarezza quando accusò la
fazione federalista al governo di aver tradito l’ideale dell’indipendenza, dichiarando la neutralità nella guerra franco-inglese, approvando un trattato commerciale con la Gran Bretagna (Jay Treaty) che favoriva il mercato inglese a discapito dello scambio commerciale con la Francia, attuando anche una politica economica che alimentava frode e speculazione. Alla luce del sistema fiscale e finanziario inglese, che qualche mese prima aveva condannato senza appello come un «mostro di frode e oppressione» nel pamphlet The Decline and Fall of the English System ofFinance, una simile amministrazione sembrava negarela Rivoluzione del 1776: le politiche federaliste erano «una satira della Declaration of . Independence». La repressione dell’insurrezione contro la tassa «inutile e improduttiva» sul whiskey da parte della milizia federale guidata dal Presidente non fece che confermare questa percezione?4. Sebbene dedicasse ampio spazio al racconto disperato della prigionia e alla denigrazione personale del Presidente, definito un «traditore o impostore», la lettera del 1796 non era dunque soltanto uno sfogo personale, ma era indirizzata alle democratic-republican societies che avevano contestato l'ambizioso progetto politico ed economico con il quale Alexander Hamilton, il segretario del Tesoro erede del sovrintendente delle Finanze, aveva accentrato la gestione del debito pubblico, istituendo una banca nazionale e imponendo una cospicua tassazione federale. La sua polemica contro Washington servì, in questo senso,
anche per incoraggiare l’affermazione dell'opposizione repubblicana che stava sostenendo Jefferson nella campagna presidenziale contro John Adams. Nonostante Paine fosse assente perché impegnato oltreoceano, repubblicani e democratici videro in lui un legame simboli-
co fra indipendenza americana e Rivoluzione francese, e la sua figura venne utilizzata per proteggere l’eredità della Rivoluzione contro una politica interna e internazionale giudicata filo britannica. In questo contesto politico non stupiva affatto che, sebbene non accettasse l’appellativo antifederalista, anzi rivendicasse la proposta di convocare una convenzione nazionale per superare la Confederazione, con fare tanto inequivocabile quanto provocatorio, Paine criticasse ferocemente la Costituzione del 1787: 54. ip., Letter to George Washington, 30 luglio 1796, in CW, cit. vol. 2, pp. 691-723. Cfr. In., Observations on Jays Treaty, 1795; ID., Letter to Thomas Jefferson, 1 aprile 1797; ID.,
Remarks on Morriss Funeral Oration on General Hamilton, 7 agosto 1804; in CW, cit.,
vol. 2, pp. 568-570, 691-723, 957-962, 1386-1391.
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Poiché la Costituzione federale è una copia, sebbene non così spregevole come l'originale, della forma del governo britannico, era naturale aspettarsi un'imitazione dei suoi vizi. Così intima è la connessione tra forma e pratica che adottare la prima significa invitare la seconda”.
Nel 1802, al suo ritorno, l'accoglienza non poté che essere negativa. L'etichetta di traditore affibbiata al Presidente Washington scatenò enorme scalpore, contribuendo certamente all’esclusione di Paine dalla cerchia dei padri fondatori. Quando venne resa pubblica la lettera con la quale Jefferson, nel frattempo eletto alla presidenza, aveva invitato Paine a fare ritorno negli Stati Uniti, assicurando la protezione della flotta statunitense, i federalisti lanciarono una violenta campagna di stampa contro Paine. Egli venne indicato come un ateo infame, che meritava di essere calpestato per aver oltraggiato la cristianità con The Age of Reason, un opportunista che aveva osato infangare il nome dell’unico vero padre della Nazione. Eppure, Paine godeva ancora della stima dell'America che aveva letto Common Sense con ardore democratico e spirito partigiano contro l’élite proprietaria coloniale, quell’America che, come scrisse su «Aurora», il giornale che aveva sostenuto con
successo l'opposizione repubblicana, intendeva accendere nuovamente
una «scintilla sull’altare del 1776»?°. 55.
Ip. Letter to George Washington, cit., pp. 693-694. Le principali risposte alla lettera
pubblica indirizzata al Presidente si possono trovare in K.w. BURCHELL (ed.), Thomas
Paine and America, 1776-1809, Pickering & Chatto, London 2009, vol. 6, pp. 1-104. Sull’influenza di Paine nel dibattito politico statunitense degli anni Novanta, }. PASLEY, Thomas Paine e le elezioni presidenziali del 1796 e s. NEWMAN, Agli amici dei Diritti
dell'Uomo. Thomas Paine e le origini della politica popolare americana, in M. sIoLI, M. BATTISTINI (a cura di), L'età di Thomas Paine, cit., pp. 113-136. Sul programma hamiltoniano e la mobilitazione delle democratic-republican societies, Mm. EDLING, So Immense a Power in the Affairs of War: Alexander Hamilton and the Restoration of Public Credit, in «William & Mary Quarterly», 64, 2, 2007, pp. 287-326; J.A. RIESMAN, Money, Credit and Federalist Political Economy, in R. BEEMAN, S. BOTEIN, F.C. CARTER II (eds.),
Beyond Confederation: Origins of the Constitution and American National Identity, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1987, pp. 128-161; P.s. FONER (ed.), The Democratic-Republican Societies, 1790-1800: A Documentary Sourcebook ofConstitutions, Declarations, Addresses, Resolutions and Toasts, Greenwood Press, London 1976. 56. T. PAINE, Letter to the Citizen of the United States, n.1,in CW, cit., vol. 2, p. 909. Per
le reazioni al ritorno di Paine, «National Intelligencer and Washington Advertiser», 15 luglio 1801; «Gazette of the United States and Daily Advertiser», 21 e 22 luglio, 28 settembre 1801; «Baltimore Republican; or the Anti-democrat», 18 ottobre 1802; «The
New York Evening Post», 10 gennaio 1803; «Aurora», 14 luglio, 7 agosto 1801; 8 novembre 1802, 11 gennaio 1803. Si veda J.w. KNuDbSON, The Rage around Tom Paine. Newspaper
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Nel mondo atlantico delle rivoluzioni democratiche, nonostante la ratifica della Costituzione federale, l’esistenza politica e sociale degli Stati Uniti d'America non era dunque contraddistinta da consenso unanime. Piuttosto, il primo Stato postcoloniale dovette affrontare un lungo e tortuoso processo di legittimazione politica nel corso del quale, non senza fatica, la Costituzione del 1787 acquisì gradualmente una certa supremazia sulla conflittualità politica e sociale che segnava la nascente Nazione. Questa supremazia segnava certamente un carattere diverso dalla vicenda costituzionale francese contraddistinta da successive rotture rivoluzionarie. Non per questo costituiva un tratto eccezionale. Come vedremo,
sebbene al suo ritorno Paine impegnasse la propria penna per sostenere l'ampliamento del suffragio, anche oltreoceano, come era avvenuto nella
Francia del Termidoro, la democrazia fu esclusa dall’orizzonte immediato dello Stato-Nazione. Essa divenne una qualità imprescindibile della cultura politica americana nel ventennio successivo alla sua morte, nel 1809,
quando l’assetto costituzionale statunitense mostrò di essere in grado di diventare democratico. Di una democrazia comunque bianca e maschile. Come vedremo, in quegli stessi anni, l'eredità politica e intellettuale di Paine emerse nel mondo atlantico. Costituzione e Nazione
Prima di ricostruire l’impegno democratico di Paine al suo ritorno negli Stati Uniti, bisogna spiegare in che modo la Costituzione federale divenne centrale nell’esistenza politica e sociale dello Stato americano dopo la Rivoluzione. Nella Letter to George Washington e in altri scritti, Paine fece riferimento alla discussione nazionale che aveva condotto alla ratifica della Costituzione del 1787, distinguendo quanti avevano assunto una posizione «anticostituzionale», favorevole alla Confederazione e contraria all’ Unione federale, da coloro i quali avevano invece accettato la Costituzione promuovendo modifiche ed emendamenti,
nonostante «il termine antifederalista fosse stato affibbiato a tutti coloro che avevano contestato i suoi difetti». Questa chiave di lettura serviva
per interpretare l’eterogeneo insieme di critiche e contestazioni dell’assetto costituzionale, statale e nazionale, che influenzavano la politica + Reaction to his Homecoming in 1802, in «New York Historical Society Quarterly», n. 53, 1969. Cfr. J. KEANE, Tom Paine. A Political Life, cit., pp. 455-536; A. YOUNG, The Ce-
lebration and Damnation of Thomas Paine, in A. YOUNG, Liberty Tree. Ordinary People
° and the American Revolution, New York University Press, New York 2006, pp. 265-295.
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statunitense all’inizio del nuovo secolo. Nonostante fosse stata sconfitta, la campagna antifederalista lasciò, infatti, in eredità un contesto conflittuale, nel quale erano ancora vive le aspettative democratiche e le spinte centrifughe, contrarie all’accentramento del potere politico, derivate dalla vicenda rivoluzionaria”. Gli antifederalisti non elaborarono un discorso politico coerente e pienamente condiviso dalle diverse forze sociali e politiche che parteciparono alla discussione nazionale. Contadini e coloni (settler) delle frontiere, proprietari terrieri e schiavisti del sud, anche artigiani e lavoratori delle zone urbane videro con sospetto l'emergere di un forte interesse mercantile e finanziario nella regione atlantica del nord, ma non condivisero un comune orizzonte politico. Ciò non vuol dire che non esistette un fronte antifederalista. La polemica politica delineò una posizione condivisa attorno a una concezione confederale dell’unione, per la quale i singoli Stati dovevano mantenere una quota ampia della loro sovranità. Tuttavia, mentre le élite proprietarie intesero affermare o consolidare il loro potere politico a livello nazionale, contadini e lavoratori, specie nelle zone di frontiera, pretesero di confermare o acquisire un certo controllo sulle assemblee legislative: la possibilità di radunare e guidare una milizia continentale, la funzione legislativa ed esecutiva dell’Unione federale in materia di tassazione, regolamentazione del commercio ed emanazione di moneta, l’esecutivo presidenziale giudicato come anticamera della monarchia, la durata sessennale del Senato considerata eccessiva e il mancato riconoscimento dei diritti individuali definirono una comune agenda politica”. Il fronte antifederalista fu però profondamente diviso al suo interno, in particolare sulla questione della rappresentanza. Gli antifederalisti, che erano per lo più grandi proprietari terrieri, schiavisti e non, condivisero
57.
T. PAINE, Letter to Washington, in Cw, cit., vol. 2, p. 692. Cfr. Letter to the Citizens
of United States, n. 2, 22 novembre 1802; Ip., A Challenge to the Federalists to Declare their Principles, 17 ottobre 1806, in CW, cit., vol. 2, pp. 912-915, 1007-1010. 58. Il testo più importante sull’esperienza antifederalista è quello di s. CORNELL, The Other Founders. Anti-Federalist & the Dissenting Tradition in America, 1788-1828, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1999. Il volume rappresenta il culmine del lavoro storiografico di rivalutazione degli antifederalisti, inaugurato da }.T. MAIN, The Antifederalists: critics ofthe constitution 1781-1788, contro l’interpretazione di c.M. KENYON, Men ofLittle Faith: The Anti-Federalists on the Nature of Representative Government, in «William & Mary Quarterly», n. 12, 1955, Pp. 3-43. Cfr. G. GRAPPI, «The
Wolfin Sheep cloathing». Per una rilettura del dibattito sulla ratifica della Costituzione degli Stati Uniti, in «Giornale di Storia costituzionale», 1, 27, 2009, pp. 119-138.
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con i federalisti una concezione elitaria della rappresentanza. La Costituzione del 1787 non aveva previsto una limitazione del voto sulla base
del censo, la normativa elettorale era infatti stata lasciata ai singoli Stati. Tuttavia, attraverso la separazione dei poteri e la diminuzione dei rappresentanti, stabilendo ampi collegi elettorali e una maggiore durata delle Camere, i federalisti vollero salvaguardare nel processo decisionale uno spazio decisivo per coloro che, per istruzione e ricchezza, possedevano una certa superiorità culturale ed economica. A loro modo di vedere, la Costituzione doveva istituzionalizzare un sistema rappresentativo capace
di affermare una forma particolare di aristocrazia politica; non ereditaria, ma che veniva rivendicata come naturale perché emergeva spontaneamente dalla società e dalla sua espansione commerciale. Come era stato
esplicitamente affermato nei Federalist Papers, «gli organi rappresentativi» dovevano essere «composti di proprietari terrieri, di commercianti, di rappresentanti delle professioni liberali»??. Una simile concezione della rappresentanza venne considerata centrale anche dalle élite antifederaliste che intendevano conservare la loro influenza politica nelle assemblee legislative. Esse non contestarono il portato antidemocratico della proposta federalista, bensì il ridimensionamento delle funzioni di governo a livello statale. In un certo senso, il loro problema fu contiguo a quello affrontato dall’opposizione country e tory inglese che, dalla Gloriosa rivoluzione del 1688 lungo tutto il Settecento, aveva rivendicato un maggiore equilibrio fra accentramento del potere politico nel Parlamento e possibile deriva democratica del legislativo, favorendo la formazione di meccanismi istituzionali di controllo del governo che riflettevano i diversi interessi agrari e mercantili della società. Ecco perché queste élite coniugarono la retorica democratica contro la Costituzione federale con la pretesa centralità politica dell’aristocrazia naturale a livello statale. Sebbene contestassero la scarsa rappresentatività del Congresso e la lunga durata del Senato, non sostennero le aspettative egualitarie che pure erano ampiamente presenti nella campagna antifederalista®°. I leader popolari del fronte contrario alla Costituzione avanzarono invece una posizione che possiamo definire democratica, anche consi-
59.
A.HAMILTON, I Federalista, n. 35, ìn A. HAMILTON, J. MADISON, J. HAY, Il Federalista,
RIE P345"
60. S. CORNELL, The Other Founders, cit., pp. 19-80; J.M. MURRIN, Great Inversion, or Courts versus Country, in J.G.A. POCOCK (ed.), Three British Revolutions: 1641, 1688, 1776, Princeton University Press, Princeton 1980.
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derando che molti di loro animarono le democratic-republican societies: fra questi John Smilie e William Findley, i due esponenti dei gruppi rurali della Pennsylvania rivoluzionaria che avevano criticato Paine al tempo della polemica politica sulla Bank of North America. A loro modo di vedere, la proposta costituzionale federalista tradiva lo sforzo democratico del 1776 perché negava la libera ed eguale rappresentanza, attribuendo in via esclusiva la funzione continentale di governo a coloro i quali venivano additati come better sort o well born. Da questo punto di vista, la Costituzione del 1787 pose nuovamente all’ordine del giorno
la necessità di sconfiggere quelle che furono denunciate come aristocrazie politiche, non nel senso feudale francese o imperiale inglese, ma con riferimento alle gerarchie politiche ed economiche che stavano prendendo forma in seguito all’espansione commerciale della società. Queste gerarchie contraddicevano il principio universale di libertà e uguaglianza proclamato con l’indipendenza, attorno al quale anche la fazione federalista stava elaborando una propria retorica dell’appartenenza nazionale, depurando però la Rivoluzione del 1776 della sua sostanza democratica. Dallo scontro politico e sociale sulla Costituzione federale, ebbe dunque origine un discorso politico e culturale sulla Nazione americana tanto specifico per la sua pretesa universalista, quanto
conteso dalle diverse forze in campo. A partire dalla fine del Settecento, un profondo senso di superiorità ed eccezionalità pretendeva di distinguere l'America dall’ Europa. Eppure, l’invenzione della Nazione americana e del suo nazionalismo inseguiva la conflittuale definizione dello Stato americano come sua legittimazione interna e internazionale, esattamente come il discorso politico sulla Costituzione britannica e la concezione dell’ Impero libero, protestante e commerciale avevano legittimato la costruzione settecentesca dello Stato britannico, il suo
governo misto e la sua proiezione oltreoceano®. Vi era, inoltre, una posizione antifederalista che espresse un sentimento di appartenenza all’esperienza rivoluzionaria ancora più estremo, perché rivendicava la democrazia non nell’ambito costituzionale federale o statale, bensì nella dimensione limitata della comunità locale,
l’unica ritenuta adeguata alla sperimentazione di forme democratiche 61. S. CORNELL, The Other Founders, cit., pp. 81-106, 172-194. Cfr. }.P. GREENE, The Intellectual Construction of America: Exceptionalism and identity from 1492 to 1800, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1997; D. WALDSTREICHER, In the Mids
ofPerpetual Fetes, The Making of American Nationalism 1776-1820, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1997.
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dirette. Questa frangia estrema considerava legittimo persino fare ricorso all’azione popolare (mob) fuori dalle procedure rappresentative, nonostante il possibile risvolto violento e illegale. Quanto accadde in Pennsylvania sul finire del 1787, quando un gruppo di antifederalisti scese nelle strade per impedire con la forza lo svolgimento di una manifestazione in favore della Costituzione federale (Carlisle Riot), rese
evidente la profonda frattura politica e sociale del fronte antifederalista, dalla quale prese le mosse il tormentato processo di legittimazione dello Stato americano dopo la Rivoluzione: il timore di una possibile deriva insurrezionale spinse molti leader popolari ad appoggiare la più ragionevole e moderata posizione delle élite proprietarie antifederaliste, che acconsentirono alla ratifica dietro assicurazione dell’approvazione
del Bill of Rights®?.
Ciononostante, l'approvazione della Costituzione federale, tramite apposite convenzioni elettive a livello statale, non ne determinò immediatamente la supremazia. Sul terreno fertile sedimentato dalla campagna antifederalista, l’ondata rivoluzionaria proveniente da oltreoceano agitò nuovamente un ampio spettro conflittuale di forze — artigiani e lavoratori delle zone urbane e soprattutto gruppi rurali della frontiera - che non sembrarono affatto sopite dall’elezione alla presidenza del generale George Washington, il padre fondatore attorno alla cui figura si andava certamente costruendo un forte senso di appartenenza nazionale, senza però che ne derivasse un consenso unanime privo di
contestazioni. Quando fu pubblicata l’edizione americana di Rights of Man, la Costituzione del 1787 venne nuovamente messa in discussione.
Nella breve prefazione al volume, che presentava la firma di Jefferson pur non avendone il consenso, si leggeva che Paine rappresentava un antidoto contro le «eresie politiche» federaliste. Il riferimento esplicito era alla serie Discourses on Davila (1790) con cui Adams aveva condan-
nato la Rivoluzione francese, seguendo una traccia controrivoluzionaria simile a quella impostata dalle Reflections on the French Revolution. Dal punto di vista del pubblico europeo, Rights of Man indicò l’indipendenza americana e il suo compimento costituzionale come conquiste
rivoluzionarie che era possibile raggiungere; allo specchio dell’Atlantico, il pamphlet rifletteva invece al lettore americano la possibilità di cambiare la Costituzione federale in senso democratico. Un obiettivo 62. Ss. CORNELL, The Other Founders, cit., pp. 107-120. Cfr. J. NEDELSKY, Confining Democratic Politics: Anti-Federalists, Federalists, and the Constitution, in «Harvard Law ‘ Review»; n. 96, 1982, pp. 340-360.
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niente affatto estraneo a Paine che, in una lettera del 2 novembre 1791
indirizzata al segretario personale di Jefferson, scrisse di avere avuto in mente proprio Adams quando compose il pamphlet93. Nell’estate del 1791, pubblicando le Observations on Paines Rights of Man conlo pseudonimo di Publicola, il futuro Presidente John Quincy Adams prese le difese di suo padre contro Jefferson, spiegando che la Costituzione del 1787 andava considerata perpetua, esattamente come il britannico Revolution Settlement del 1689. Il suo obiettivo politico, condiviso con la fazione federalista al governo, era tracciare una precisa linea di continuità fra Gloriosa rivoluzione e Rivoluzione americana, per smorzare in questo modo il crescente entusiasmo democratico suscitato dalla vicenda rivoluzionaria francese e dal suo simbolo americano, l’autore di Rights of Man. Quanto Paine aveva sostenuto relativamente alla Gran Bretagna era profondamente sbagliato e pericoloso anche oltreoceano. Secondo Quincy Adams, il popolo non poteva resistere al governo e convocare una convenzione per cambiare la Costituzione, perché con la sua ratifica aveva delegato definitivamente il proprio potere politico al Congresso. Non poteva dunque parlare e agire se non in modo costituzionale, ovvero aderendo alle procedure rappresentative stabilite dalla Costituzione federale. La sua supremazia non era negoziabile poiché, sebbene il testo attribuisse la sovranità al popolo, questa andava esercitata limitatamente alla pratica delle elezioni, non poteva,
cioè, essere reiterata come potere costituente.
A suo modo di vedere,
una simile eventualità avrebbe costituito una «usurpazione delle più temerarie: presupponeva la dissoluzione dei legami della società». L'allarme con cui Quincy Adams rispose all’edizione americana di Rights ofMan trovò conferma in diverse prese di posizione sulla stampa. Sul «Pennsylvania Evening Post» del 9 luglio 1791, un anonimo autore sotto lo pseudonimo Agricola argomentò che Paine portava nuovamente
all'attenzione popolare il grande insegnamento del 1776, ovvero che il potere di scrivere una Costituzione, conseguentemente la facoltà di 63. T. PAINE, Letter to William Short, 2 novembre 1791; ID., Letter to John Hall, 25 novembre 1791, in CW, cit., vol. 2, pp. 1320-1322. Cfr. E. CANAVAM, The Relevance of the
Burke-Paine Controversy to American Political Thought, in «The Review of Politics», 49, 2, 1987, pp. 163-176. Su Washington come simbolo della Nazione, s. NEWMAN, Principles
or Men? George Washington and the Political Culture ofNational Leadership, 1776-1801, in «Journal of the Early Republic», n. 12, 1992, pp. 477-507. 64. ]. QUINCY ADAMS, Observations on Paine Rights of Man (Boston 1791), riedito in K.W. BURCHELL (ed.), Thomas Paine and America, 1776-1809 11, Pickering & Chatto,
London 2009, pp. 69-118.
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cambiarla, risiede interamente nel popolo. Non era dunque prerogativa di «pochi uomini superiori per nascita o dignità», come invece aveva affermato Publicola. L'intervento più importante, per contenuto e diffusione su diverse testate giornalistiche del Paese, fu quello di Brutus, una firma dietro la quale era verosimilmente nascosto lo stesso autore antifederalista che aveva risposto duramente ai Federalist Papers: l’eminente giurista Robert Yates, il quale aveva partecipato con forte spirito critico alla Convenzione nazionale come delegato dello Stato di New York. I suoi articoli, pubblicati fra luglio e agosto del 1791, spiegarono che «dove il potere di alterare la costituzione veniva delegato al legislativo non esisteva alcuna costituzione». A suo parere, il testo costituzio-
nale poteva essere accettato nella misura in cui garantiva il diritto di resistere all'applicazione delle leggi che non rispondevano all’interesse nazionale. Come questo diritto andasse inteso non era però esplicitato. Dal suo punto di vista, era invece importante lasciare aperto uno spazio politico per criticare e riformare la Costituzione in senso democratico, ovvero aumentando il controllo popolare sulla funzione legislativa ed esecutiva dell’ Unione federale. Con questo scopo Rights of Man venne distribuito e rivendicato dalle democratic-republican societies®. Coloro che presero posizione in favore di Paine contro Publicola intesero quindi cavalcare l’onda rivoluzionaria francese per rendere lo Stato americano coerente con la Rivoluzione del 1776. A loro modo di
vedere, mentre l’indipendenza aveva promesso un futuro di libertà e uguaglianza anche per l’Europa, la Costituzione del 1787 rappresentava un pericoloso ritorno al passato del vecchio mondo. Al contrario, negando la possibilità di discutere la Costituzione, i federalisti al governo intesero separare l’esistenza politica e sociale degli Stati Uniti dalla vicenda rivoluzionaria europea, per consolidare in questo modo il testo costituzionale come segno tangibile dell’eccezionale superiorità della Nazione americana, capace di evitare derive assolutiste o eccessivamen-
te democratiche. Per fare ciò, fecero però ricorso anche alla letteratura loyalist inglese, in particolare pubblicando i Cheap Repository Tracts
65.
AGRICOLA, To Publicola, in «Philadelphia Evening Post», 9 luglio 1791; BRUTUS,
To Publicola, in «Philadelphia Evening Post», 24 luglio, 2 e 19 agosto 1791. Questi stessi articoli furono pubblicanti anche in «Columbian Sentinel» di Boston, «Federal Ga‘zette and Philadelphia Daily Advertiser» e «New York Journal and weekly register». Altre risposte alla pubblicazione di Rights of Man si trovano in k.w. BURCHELL (ed.), Thomas Paine and America, 1776-1809, cit., vol. 2, pp. 137-262; e in P.S. FONER (ed.), The
Democratic-Republican Societies, 1790-1800, cit., pp. 155, 169, 232, 236, 265.
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con i quali l’evangelica Hannah More aveva inteso educare i poveri al rispetto delle gerarchie societarie e all'impegno nel lavoro. Così, mentre l’autore di Rights ofMan venne celebrato tra i ceti popolari, i federalisti al governo denigrarono la sua figura, descrivendolo come un «serpente a sonagli» che prima seduceva e poi abbandonava il popolo con le sue visionarie promesse politiche. Sebbene avesse inaugurato la Guerra d'indipendenza con Common Sense, Paine veniva bollato come «peste della società»: beffarda ironia per colui che divenne famoso per aver definito la società come una benedizione®°. AI di là della retorica federalista, però, la supremazia della Costituzione trovò una sua solidità politica soltanto nel 1794, quando Washington mise in pratica l’articolo più contestato dal fronte antifederalista, quello che definiva senza ambiguità il carattere statuale dell’ Unione federale: il monopolio della forza fisica. Alla testa della milizia che aveva radunato in quanto Commander in Chief dell’esercito, il Presidente pose fine alla rivolta dei Ribelli del Whiskey che, sulla frontiera occidentale della Pennsylvania, avevano impedito la riscossione delle tasse volute dal segretario del Tesoro. In ultima istanza, sebbene Washington agisse con un consenso più ampio della sua maggioranza federalista al Congresso, la supremazia della Costituzione e con questa la nervatura fiscale e militare dello Stato americano dopo la Rivoluzione venne affermata con la spada del sovrano. L'organizzazione dell'opposizione legittima e l'elezione del suo leader alla presidenza nel 1800 dimostrarono poi che non era necessario resistere al governo per scalzare la fazione federalista. Questo era il significato ultimo delle famose parole pronunciate da Jefferson per salutare la sua elezione: «Siamo tutti repubblicani, siamo
tutti federalisti». Un profondo senso di appartenenza nazionale attorno alla Costituzione del 1787.
66.
AN AMERICAN CITIZEN, A Letter to Thomas Paine, John Bull, New York 1797,
pp. 1, 15-16. Sulla letteratura conservatrice inglese negli Stati Uniti di fine Settecento, S. COTLAR, The Federalists’ Transatlantic Cultural Offensive of 1798 and the Moderation of American Democratic Discourse, in J. PASLEY, A. ROBERTSON, D. WALDSTREICHER,
Beyond the Founders. New Approaches to the Political History of the Early Republic, University of North Carolina Press, Chapel Hill 2004, pp. 31-57. 67. T.P. SLAUGHTER, The Wiskey Rebellion. Frontier Epilogue to American Revolution, Oxford University Press, Oxford 1988; M. sIoLI, Contro i padri fondatori. Petizioni e insurrezioni nell’America post-rivoluzionaria, Unicopli, Milano 1994; P.s. FONER (ed.), The Democratic-Republican Societies, 1790-1800, cit., pp. 91-93, 99-100, 147-148, 183-184,
304-305; $. CORNELL, Beyond the Mith of Consensus. The Struggle to Define the Right to bear Arms in the Early Republic, in J. PASLEY, A. ROBERTSON, D. WALDSTREICHER,
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Aftinché la Costituzione federale definisse un orizzonte nazionale di senso, condiviso e accettato, fu dunque necessario l’uso legittimo della forza contro ipotesi insurrezionali che l’esperienza rivoluzionaria aveva lasciato in eredità, specie nelle zone di frontiera. La Costituzione stabiliva così un certo tasso di costrizione e repressione, ma forniva anche una strumentazione giuridica e politica in grado di servire future contestazioni. Non era suprema soltanto in quanto espressione del potere politico che derivava dal popolo, ma anche perché non era alla mercé di un solo interesse o gruppo della società, consentendo l’alternanza di diverse maggioranze al governo senza che fosse necessario replicare la Rivoluzione. La Costituzione diventava, quindi, anche il riferimento assoluto della Nazione americana, non soltanto della sua coesione interna e sicurezza internazionale, ma anche del disaccordo intrinseco alla sua formazione coloniale e rivoluzionaria. L’assetto costituzionale federale e statale aveva in questo senso assunto il conflitto come sua struttura portante poiché, come scrisse Madison nel Federalist n. 10: Le fonti più comuni e durature di faziosità sono [...] fornite dalla varia o ineguale distribuzione delle ricchezze. Coloro che possiedono e coloro che non hanno proprietà hanno sempre costituito i contrastanti interessi nella società.
Diversamente da quanto era accaduto nella Francia rivoluzionaria, dove la profonda convinzione del primato della volontà generale sul potere costituito e l’ossessiva ricerca della Costituzione imposero successive rotture rivoluzionarie, negli Stati Uniti d'America, le diffuse aspettati-
ve democratiche, che rivendicarono maggiore controllo popolare del governo per resistere in questo modo all’accentramento del potere politico, abbandonarono il tono anticostituzionale per fare invece leva sul
significato «originario» della Costituzione. Non era legittimo resistere Beyond the Founders, cit., pp. 251-273; N.E. CUNNINGHAM, Jeffersonian Republicans. The Formation of Party Organization, 1789-1801, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1957; R. HOFSTADTER, The Idea ofaParty System. The Rise ofLegitimate Opposition in the United States, 1780-1840, University of California Press, Berkeley 1969. Secondo
lo storico Sean Wilentz, nelle elezioni del 1800 il passaggio del governo all'opposizione legittima non fu così lucido, residuando in alcune parti della Nazione la convinzione di poter resistere al governo. s. WILENTZ, The Rise ofAmerican Democracy: Jefferson to «Lincoln, Norton, New York 2005, pp. 90-98.
68. ]. MADISON, Federalista, n. 10, in A. HAMILTON, J. MADISON, ). JAY, Il Federalista, cit., p. 191. Cfr. T. BONAZZI, Introduzione a T. BONAZZI (a cura di), La costituzione statunitense e il suo significato odierno, il Mulino, Bologna 1988, pp. 7-29.
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al governo con la forza, ma il significato del testo costituzionale poteva essere ampliato per comprendere al suo interno anche le critiche antifederaliste. Come Jefferson aveva suggerito rispondendo alla legislazione d’emergenza del 1798, quando il Presidente John Adams aveva limitato la libertà di stampa e l’ingresso degli immigrati considerati pericolosi (Alien and Sediction Act), la Costituzione del 1787 poteva essere inter-
pretata come un patto fra Stati, alla luce del quale il governo federale non poteva assumere competenze non esplicitamente attribuite e ogni
singolo Stato poteva giudicare la costituzionalità della legge nazionale. Sebbene successivamente alimentasse spinte secessioniste che precipitarono nella guerra civile, all’inizio del nuovo secolo questa interpretazione non serviva soltanto per assicurare una maggiore quota di funzioni
legislative ed esecutive ai singoli Stati, ma anche per integrare l'assetto costituzionale federale con una crescente partecipazione popolare che passava attraverso l’organizzazione dell'opposizione legittima, federalista e repubblicana, successivamente democratica e repubblicana®9. I federalisti elaborarono così un’interpretazione estensiva della Costituzione per ampliare le competenze legislative ed esecutive del governo federale, specie in ambito fiscale e militare. Senza rinunciare aftatto
alla possibilità di una cospicua politica nazionale, i repubblicani intesero invece riportare la Costituzione alla lettera del dettato costituzionale. Per entrambi, la Costituzione federale era l’asse fondamentale dello Stato americano, attorno al quale il conflitto poteva essere organizzato positivamente senza compromettere la condivisa appartenenza nazio-
nale. In altre parole, la Costituzione forniva il tessuto per confezionare l'abito comune della Nazione, talmente comodo da poter vestire gli uni e gli altri. Almeno fino alla guerra civile, ma anche dopo con rinnovato senso originario, la specificità del nazionalismo americano, che legittimava e consolidava lo Stato alla luce delle sfide interne ed esterne, era dunque di essere costituzionale. Lo specchio dell’Atlantico mostrava in questo senso una diversa tendenza costituzionale e politica statunitense, senza però oftuscare una specifica linea di continuità che escludeva la democrazia dall’orizzonte immediato dello Stato americano”°.
69. R. MARTUCCI, Lossessione costituente: forma di governo e Costituzione nella Rivoluzione francese, 1789-1799, il Mulino, Bologna 2001; }.N. RANKOVE (ed.), Interpreting the
Constitution. The Debate over Original Intent, Northeastern University Press, Boston 1990; S. CORNELL, The Other Founders, cit., pp. 221-302. 70. Cfr. J.M. MURRIN, A Roof without Walls: the Dilemma of American National identity, iN R. BEEMAN, S. BOTEIN, E.C. CARTER Il (eds.), Beyond Confederation, cit., pp. 333-
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Federalismo e democrazia
Dopo aver attraversato le acque agitate dell'oceano per mettere piede su quella terra che aveva consacrato il successo della sua penna,
l’autore di Common Sense e Rights of Man sperò di infiammare nuova-
mente la miccia democratica del 1776. Inizialmente, non soltanto per
gratitudine nei confronti di colui che aveva reso possibile il suo ritorno negli Stati Uniti, ma anche per evitare che l'America fosse nuovamente consegnata a quello che aveva definito il «regno del terrore» con riferimento al governo Adams e al suo provvedimento Alien and Sedition Act, Paine sostenne la riconferma di Jefferson alla presidenza nelle elezioni del 1804. Nelle Letters to the Citizens of the United States, egli condannò duramente il tentativo federalista di «rovesciare le libertà del Nuovo Mondo e trasformare il governo sulla base del sistema corrotto del Vecchio». Tuttavia, nonostante il suo costante dialogo con il Presidente su tematiche di politica domestica e internazionale, quando emerse un conflitto interno alle maggioranze repubblicane fra una corrente radicale e una moderata jeffersoniana, prese posizione al fianco della left wing per sostenere la rivendicazione della riforma delle Costituzioni
statali del New York, della Pennsylvania e del Connecticut”?. A questo scopo, approfondendo quanto aveva precedentemente sostenuto nella Letter to George Washington, Paine distinse i termini federalism e federalist dal significato negativo aftibbiato alla fazione che aveva governato dopo la ratifica della Costituzione del 1787. Il suo
obiettivo politico era rivendicare la primogenitura dell’ Unione federa348; L. BANNING, Republican Ideology and the Triumph of the Constitution, 1789-1793, in «William & Mary Quarterly», 31, 2, 1974, pp. 187-198; T. BONAZZI, Postfazione. La
guerra civile americana e la «nazione universale», in T. BONAZZI, C. GALLI, La guerra civile americana vista dall’ Europa, il Mulino, Bologna 2004, pp. 463-502. 71. T. PAINE, Letters to the Citizens of the United States, nn. 1, 2, 3, 6, 8 (novembre 1802-giugno 1805), in CW, cit., vol. 2, pp. 909, 914-918, 936-938, 955. Gli scritti in favore
delle riforme costituzionali sono: Constitutions, Governments and Charters, 21 giugno 1805; Constitutional Reform. To the Citizens of Pennsylvania on the Proposal for calling a Convention, agosto 1805. Paine intervenne anche nel dibattito politico del Connecticut che aveva ancora in vigore la carta coloniale regia: R. GimBEL, New Political Writings by Thomas Paine, in «The Yale University Library Gazette», 30, 3, 1956, pp. 94-107; H.
BURGESS (ed.), Thomas Paine. A Collection of Unknown Writings, cit., pp. 181-184, 189-202. Cfr. N.E. CUNNINGHAM, Jeffersonian Republicans in Power: Party Operations, 18011809, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1963; A. SHANKMAN, Crucible of
American Democracy. The Struggle to Fuse Egalitarianism & Capitalism in Jeffersonian Pennsylvania, University Press of Kansas, Lawrence 2004.
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golare il potere legislativo affinché non degenerasse nel dispotismo della maggioranza. A questo proposito, aveva auspicato l’istituzione di una
seconda Camera e argomentato che la legge non poteva avere valenza retroattiva e annullare un provvedimento che regolava un contratto privato, l'adempimento del quale cadeva a suo parere sotto il controllo del giudiziario. A distanza di un ventennio, alla luce dell’esperienza rivoluzionaria francese e sul terreno fertile lasciato in eredità dalla campagna antifederalista e dal movimento delle democratic-republican socie72.
T. PAINE, Letter to the Citizens of the United States, 22 novembre 1803; cfr. iD., A
Challenge to the Federalists to Declare their Principles, 17 ottobre 1806, in cw, cit., vol. 2, pp. 913-915, 1007-1010.
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ties, intervenendo nel dibattito di New York, dove il governatore aveva incorporato la Merchants Bank come banca pubblica, Paine sostenne invece che le leggi con le quali venivano stabilite obbligazioni economiche fra Stato e privati dovevano passare al vaglio della successiva assemblea legislativa. Non potevano cioè essere considerate perpetue dopo una singola approvazione e la loro validità e applicazione non poteva essere affidata in via esclusiva al potere giudiziario. Così, non soltanto riaffermò che le assemblee dovevano essere elette annualmente, ma criticò anche l'istituzione del Senato e l’attribuzione del potere di veto al governatore. Come scrisse con riferimento alla Pennsylvania, la divisione della rappresentanza e la separazione dei poteri avevano favorito la formazione di aristocrazie della mente (learned men) che
negavano il «principio fondamentale del governo rappresentativo», ovvero che «la maggioranza governasse»?3. Nello Stato che lo aveva visto protagonista durante la Rivoluzione, con il sostegno del nuovo direttore del giornale democratico «Aurora», il radicale di origine irlandese William Duane fortemente critico della maggioranza repubblicana jeffersoniana, Paine pubblicò il pamphlet più importante dal suo ritorno negli Stati Uniti. Nonostante avesse accolto con soddisfazione la notizia della riforma del 1790, in Constitutional
Reform. To the Citizens ofPennsylvania on the Proposal for Calling a Convention, senza alcun timore di cadere in contraddizione, Paine scrisse
che l’élite mercantile statale aveva rovesciato la Costituzione del 1776
per imporre al suo posto una «copia in miniatura» del governo dispotico britannico. Non soltanto era stata istituita una seconda Camera
legislativa dalla durata quadriennale, attribuendo anche al governatore il potere di veto; ma soprattutto, ed era questo il punto decisivo della sua argomentazione, era stato negato il principio di uguaglianza sancito
dalla Declaration ofIndependence, stabilendo una «distinzione artificiale fra gli uomini nel diritto al suffragio»”!. Era quindi facile concludere che, come era accaduto nella Francia rivoluzionaria con la Costituzione del Termidoro, oltre che in Gran Bretagna dove erano state respinte pure le proposte moderate di rifor-
ma della rappresentanza, anche negli Stati Uniti d'America, la volontà di difendere la ricchezza aveva elevato la proprietà a criterio costituzionale per limitare l’accesso al voto. Il punto decisivo della sua critica 73. in. Constitutions, Governments and Charters e Constitutional Reform; 1p., Constitutional Reform, in Cw, cit., vol. 2, pp. 989-992, 1006-1007. 74. 1p., Constitutional Reform, in cw, cit., vol. 2, p. 1001.
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coincideva dunque con il suo lascito democratico d'oltreoceano. In America come in Europa, Paine pose all’ordine del giorno la questione del suffragio universale, perché la povertà di quanti vendevano il proprio lavoro in cambio di salario non legittimava alcuna esclusione dalla rappresentanza. Per questo motivo, lanciando un modello per l'ampliamento del voto che venne recuperato nel ventennio successivo per imporre la democratizzazione delle Costituzioni dei singoli Stati, Paine propose di convocare una convenzione statale. Come aveva-
no sostenuto coloro che accolsero con favore l’edizione americana di Rights of Man, il potere di cambiare la Costituzione non apparteneva al legislativo, bensì al popolo sovrano che poteva esercitarlo eleggendo una convenzione: Non abbiamo che un ORDINE in America, al livello più alto, l’ORDINE DELLA SOVRANITÀ, e di questo ORDINE ogni cittadino è membro per suo stesso diritto personale. Perché allora dovremmo scendere un gradino più in basso? Dall’evento della Rivoluzione siamo in condizione di pensare in modo originale. La storia delle epoche passate non ci mostra niente, se non esempi di tirannia e antiquate assurdità. Abbiamo copiato alcune di queste e sperimentato la loro follia”.
Nonostante questo appassionato appello allo spirito del 1776, l'ennesima sfida del rivoluzionario atlantico non ebbe successo. In Pennsylvania, come a New York, gli esponenti repubblicani moderati conservarono le maggioranze nelle assemblee legislative, impedendo la convocazione della convenzione. Alla sconfitta politica seguì anche la delusione personale: Paine constatò una crescente freddezza nei suoi confronti da parte del Presidente che, per non inimicarsi ulteriormente la stampa federalista, già da qualche anno evitava di parlare pubblicamente di lui. Anche dopo la sua morte, Jefferson non spese una parola per commemorare l’autore di Rights of Man, il pamphlet che aveva usato per lanciare l'opposizione repubblicana alla fazione federalista. La lotta politica per l'ampliamento del voto fu, però, soltanto allontanata nel tempo. In questo senso, il ritorno americano di Paine non confermò
l'eccezionale impresa politica dei padri fondatori, che erano riusciti nel «miracolo» di scrivere una Costituzione attorno alla quale giocarono
consenso e dissenso senza il pericolo che il conflitto degenerasse in
75.
Ivi, p. 1003.
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brusche rotture rivoluzionarie. Piuttosto; mostrò come questa diversa
tendenza costituzionale non escludesse una specifica linea di continuità che congiungeva America ed Europa”°. Da una sponda all’altra dell'oceano emerse, infatti, una comune riflessione costituzionale per contrastare l'ideale democratico che Paine
aveva forgiato e diffuso. Dal «costituzionalismo degli uomini sobri» al «costituzionalismo dei migliori», passando attraverso la difesa dell’antica Costituzione inglese, queste diverse teorie e pratiche politiche e giuridiche elaborarono e affermarono il progetto politico e sociale di costruire una convivenza umana nella quale la Costituzione dello StatoNazione e la sovranità della sua legge definissero l’uguaglianza civile e giuridica, garantendo nel contempo l’accettazione delle disuguaglianze sociali che derivavano dal possesso e dal non possesso della proprietà. Eppure, l’appello di Paine in favore del suffragio universale presentò la democrazia come l’orizzonte non eludibile della rivoluzione aperta dalle vicende del 1776 e del 1789, orizzonte che divenne concreto con
le mobilitazioni democratiche della prima metà del secolo successivo. Paine risultò allora decisamente più lungimirante dei suoi illustri e potenti avversari. Come rivoluzionario, entrò nelle vicende politiche. più importanti e, pur uscendone sempre sconfitto, dimostrò una grande capacità di leggere le tensioni più profonde e costitutive della sua epoca, segnalando ai suoi oppositori aporie e contraddizioni che investirono
nuovamente il mondo atlantico”.
76. C. LOUNISSI, Thomas Paine e Thomas Jefferson: la lunga affinità, in M. SIOLI, M. BATTISTINI, L'età di Thomas Paine, cit., pp. 153-180. Sulla divisione che segnava il partito repubblicano in Pennsylvania, si rimanda ad A. SHANKMAN, Malcontents and Tertium Quids: The Battle to Define Democracy in Jeffersonian Philadelphia, in «Journal of the Early Republic», 19, 1, 1999, pp. 43-72. Sulla democratizzazione, L.J. SCALIA, Americas
jeffersonian Experiment. Remaking State Constitutions 1820-1850, Northern University | Press, DeKalb 1999; A. KEYSSAR, The Right to Vote. The Contested History ofDemocracy
in the United States, Basic Books, New York 2000. 77. Mi permetto di rinviare al mio The Transatlantic Republican. Thomas Paine e la democrazia nel mondo atlantico, in «Contemporanea», 12, 4, 2009, pp. 625-650.
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Storia Politica La collana Storia Politica nasce con lo scopo primario di favorire la visibilità editoriale e la diffusione di ricerche di qualità nell'ambito della storia politica dei secoli XIX e XX. Un settore di studio definito in senso ampio, in grado di includere anche ricerche di storia del pensiero e della cultura,
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