Stato e rivoluzione in Inghilterra. Teoria e pratica della prima rivoluzione inglese


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TEORIA E PRAT10A DELLA PRIMA· RIVOLUZIONE INGLESE

Alessandro Piazzi, Mauro Segatori, Mario Tronti

Stato e rivoluzione in Inghilterra teoria e pratica della prima rivoluzione inglese

il Saggiatore

RICARDO BALEN FILOSOFIA UFPR

© il Saggiatore, Milano 1977 I edizione: mnrzo 1977

Sommario

Premessa

5

Parte priml;i Stato e prci,prietà nella teoria politica di Thomas Hobbes di Alessandro Piazzi

7

Parte seconda Proprietari e cittadini nella polemica ideologica dei Livel­ latori e.li Mauro Segatori

101

Parte terza I [obbes e Cromwell di Mario Tronti

183

Appendice

319

3

Premessa

L'idea è nata a Siena. A ripensarci, solo H poteva nascere. Fuori dal mondo si guarda indietro. Nell'ambito di un inse­ gnamento che si chiama di « filosofia morale», andiamo facendo in effetti storia delle dottrine del potere. Naturalmente, dentro il capitalismo. E un punto ha subito richiesto uno scavo di pro­ blemi. Le origini teoriche dello Stato borghese moderno riaf­ fiorano, non viste, alla superficie dell'attualità politica. Il piu lontano passato dello Stato - il suo atto di nascita - sembra come fare da specchio al presente politico, per ridarcelo cosi com'è. Per questo, da alcuni anni stiamo sulla rivoluzione in­ glese e non riusciamo a uscirne. È un mondo di problemi non solo del « paese di Dio», non solo del Seicento, non solo del capitalismo. Problemi dello Stato, e cioè del potere, e cioè no­ stri. Si è detto: « Bisogna partire dalle origine dello Stato mo­ derno e venire avanti. E bisogna partire dalla presente congiun­ tura politica e andare indietro. » Qui c'è la prima via. Se si trova il punto che conta, se si guarda con gli occhi di oggi, se si mira a un futuro della pratica, e se non ci siamo sba­ gliati, questo passato politico ci servirà. Per comodità di lettura, il discorso è diviso in tre parti: il livello della teoria, cioè Hobbes, nel saggio di Piazzi; il li­ vello. dell'ideologia, cioè i Livellatori, nel saggio di Segatori; a me è toccata la storia, una buona ginnastica per il teorico della politica pratica. La qualità della ricerca vuole essere di medio livello. Nessuna intenzione divulgativa: raccontare idee e fatti della rivoluzione per far passare la morale della favola.

5

Nessuna analisi erudita: mostrare cli aver letto tutto pet fare in modo di non dire niente. L'idea è un'altra: suscitare proble­ mi, suggerire temi, spingere ad approfondire, incuriosire, richia­ mare l'nttl�11zione su certi momenti, su certi personaggi, su certi libri. Ln r11ltu1'a serve a questo: a coprire con. un velo di silenzio le cosc impmtanti. Strappare il velo della tradizione culturale è rivol11zionnrio. Mettersi a scegliere invece tra due tradi­ :r.ioni è In solita opera codina dell'intellett1:1itle d'avanguardia. L'interesse di questo discorso, se c'è è dunque ancora nel me­ todo. Di tornare a spiegare, magari con le categorie del politico, la storia dcll'umanità, non ce ne importa niente. Ma se dentro l'ureo di i;viluppo della società capitalistica è dentro la storia dl'llo Staio, funziona un modello di interpretazione che fa chia­ rc:r.:r.n nl tempo stesso sulla prima rivoluzione inglese e sulla q11estionl· democristiana, - allora quasi ci ·siamo e possiamo andare sul �icuro alla prova cli alcune prossime cose da fare. f,: 1111111 che insegnando non si impara ni,ente. Si ha però l'11ppor11111itù di veder crescere di fronte a sé una cosa rara, e doÌ' il muro della comprensione. Questa generazione di gio­ v1111i d1t· qualcuno dice perduta per la politica, è una genera­ :r.ione che politicamente, in modo sconcertante, capisce. Il di­ scorso di questo libro non riflette certo passivamente opinioni di IIIUSSll presenti oggi nel movimento Studentesco,. anzi piut1.0S!ll le rnmbatte e le contrasta. L'unico intetlocutore disposto, però, 11 confrontarsi con il corpo di questi problemi sappiamo che o stn H o da nessuna parte. Di qui, l'idèa cli un uso del­ l'Università come punto cli aggregazione di una nuova forma del lnvot·o teorico sulla politica. Non si trat�a di portare dal­ l'esl l'.l'llo, nei giovani, la coscienza dei problemi. St tratta di ol'gnni:t.z111·e, ragionando insieme ad alta voce - questa è ormai la lc:t.ionc universitaria - la linea di ricerca del loro discorso. L'Ol'gani:t.:.mzione delle loro lotte passa anche di quL �a critica della politica classica può essere la via alla scopert� della po­ litica moderna? È la traduzione, negli studi, di un problema che scotta. Critica della politica che cos'è? Non è: conquista della politica? M. T.

6

Parte prima

Uno studio della storia del pensiero è premessa necessaria all'emancipazione del­ la mente; non so cosa renderebbe piu conservatore un uomo, se non il cono­ scere null'altro che il presente, oppure null'altro che il passato. (Keynes)

Stato e proprietà nella teoria politica di Thomas Hobbes di Alessandro Piazzi

I. Tucidide e Euclide

Si è spesso affermato che il dato di gran lunga piu importante nella biografia di Hobbes è costituito dall'incontro che questi ebbe con la geometria di Euclide, non tenendo, forse, sufficiente­ mente conto che proprio in quel periodo Hobbes aveva da poco ultimato la traduzione della Guerra del Peloponneso di Tucidide. Come fa notare il Viano, questa non è, per Hobbes, una scelta casuale, 1 si tratta, invece, di una scelta cosciente che serve a pre­ parare gli strumenti necessari per affrontare in modo adeguato il gravoso compito che Hobbes si è imposto: la teorizzazione di un nuovo assetto politico per una società caratterizzata da rapidi pro­ cessi di mutamento e ristrutturazione. Forse, l'aspetto fondamentale di questo periodo non è nem­ meno quello della « storia maestra di vita » come sottolinea il Ber­ sano. 2 Qui c'è di piu che questa verità evidente; c'è il problema del reperimento di una tecnica di indagine politica efficace quale la metodologia di Tucidide poteva offrire. Nella ricerca diretta e spregiudicata che questo storico effettuava, nella sua tecnica di raccqnto, Hobbes vedeva un modello insuperato per chiarezza ed efficacia espressiva. Ma era soprattutto il senso politico, una ade­ sione illimitata ad un crudo .realismo ed il rifiuto di usare tecniche rivolte a suscitare emotività n1;:l lettore, che generavano in Hobbes una profonda ammirazione per Tucidide. In un passo

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della dedica ai lettori afferma: « But Thucydides is one, who, though he never digress to red a lecture, mora! or politica!, upon his own text, nor enter into men's hearts further than the acts themselves evidently guide him: is yet accounted the most politic historiographer that ever writ. » 3 Lo scrittore piu politico che abbia mai scritto. Ecco il dato che sopra ad ogni altro inte­ ressa ad Hobbes. E non è cosa da poco se si tien conto che questa sete di politica assillava Hobbes già nel 1629. Il suo esordio, seppure come traduttore, è un esordio politico. E vi è pure l'altro aspetto, che anch'esso va piegato, fino a farlo con­ vergere, con l'esigenza politica di Hobbes: il rifiuto della retorica. Il Viano in un saggio del '62 affronta in maniera esauriente il problema. 4 Egli sostiene che la scelta di Tucidide fatta da Hobbes costituisce un'alternativa radicale alla retorica filtrata attraverso il rifiuto della dottrina aristotelica del sommo bene e del fine ultimo dell'uomo. Il rifiuto della retorica come strumento ideologico diviene il momento di passaggio fondamentale per la ricerca di un nuovo linguaggio in politica ed è una anticipazione chiara della di­ visione tra sapere dogmatico e sapere matematico degli Elementi ,� Dalle due principali parti della nostra natura, Ragione e Pas­ sione, sono derivati due tipi di sapere, il matematico ed il dog­ matico. Ìl primo è libero da controversie e disputa, in quanto consiste nel confrontare unicamente figure e movimento; in que­ ste cose la verità e l'interesse degli uomini non si oppongono a vicenda. Ma nel secondo non vi è nulla che non sia soggetto a discussione, poiché confronta uomini, ed interferisce nel loro diritto e profitto ». 5 L'indagine che Tucidide effettua direttamente sul tessuto sto­ rico, aliena da ogni forzatura emotiva, sembra ad Hobbes la migliore risposta all'uso ideologico della retorica e permette il miglior reperimento di dati nella loro immediata materialità senza nessuna frapposizione di griglie o schemi interpretativi. Il Dilthey afferma in proposito: « Egli desiderava intendere e rappresentare spregiudicatamente e crudamente le forze operanti nell'uomo, nella società e nella storia, come a dire la struttura della vita reale. IO

(.)ucsta tendenza del suo spirito s'era formata alla scuola di Tu­ ddide e di Polibio, e fu favorita dalle condizioni ambientali in n1i egli viveva. E da questo ambiente gli germogliò anche in ori­ gine la volontà di agire sulla vita. Nello studiare l'uomo sia nella storia che nei paesi stranieri e nella società inglese con­ temporanea, Hobbes si proponeva di trarre da questo studio risultati sicuri, che potessero adoperarsi negli affari politici». ò Risultati sicuri, vale a dire risultati validi per un progetto di lunga durata che deve essere affrontato con strumenti raffinati e ben sperimentati. Ecco l'aspetto, fecondo di prospettive, rin­ I racciabile in questo momento importante della vita di Hobbes, poiché solo dopo aver collocato in modo adeguato Tucidide è pos­ sibile una collocazione altrettanto adeguata di Euclide, non prima. Da qui in poi si può parlare di Hobbes impegnato nell'organiz­ iazione complessivamente unitaria del sapere umano che fun­ iioni da presupposto e supporto oggettivamente necessario nella organizzazione della comunità sociale. Si trattava di trovare i principi politici stabili ed immutabili « che la passione non sia in grado di rimuoverli», 7 attraverso l'uso di strumenti infallibili quali quelli rappresentati dalla matematica e dalla geometria. Costruzione di una scienza - afferma il Pac­ chi - che « tendeva a presentarsi come un tutto omogeneo in cui le diverse parti si trovano necessariamente legate nel progressivo svolgimento di una onnicomprensiva deduzione». 8 Il tentativo è quello di definire uno statuto della scienza po­ litica, che qui è solo scienza ad alto livello dello Stato moderno, della sua struttura, e del suo funzionamento. Qui siamo anche piu avanti di quell'atteggiamento tipico del Rinascimento a cui fa riferimento C. Schmitt: il tecnicismo. « Lo Stato moderno è sorto storicamente da una tecnica pratica (Sach­ lechnik) nell'ordine politico. » 9 Non si tratta piu e soltanto di una tecnica applicata con brutale immediatezza, siamo in pre­ senza, invece, di una proposta teorica di risoluzione permanente di organizzazione del sociale in chiave politica. La stessa soluzione che Hobbes dà al rapporto tra gli aspetti II

piu propriamente scientifici e quelli di carattere etico-morale pre­ sentano una connotazione particolare. È il grande scienziato borghese che dopo aver definito la pro­ pria condizione, si confronta e si contrappone con i grandi studiosi del tempo e poi utilizza con sistematicità l'acquisizione scientifica in campo politico. La scienza è qui usata in modo deciso come elemento esplicativo di un universo intero, sia negli aspetti geometrico-matematici che in quelli politico-sociali. Un approccio scientifico come ricerca del vero in politica. Politica come scienza e scienza come politica. « Hobbes ha realizzato un grande para­ dosso :filosofico: ha cioè proposto un sistema scientifico-filosofico modellato secondo le regole del metodo geometrico diffuso nel­ l'età sua, che prescriveva di sottoporre ogni cosa alla definizione e alla dimostrazione, secondo la metodologia della nuova scienza fisica. Un sistema, dunque, che attraverso lo sviluppo di un ragio­ namento condotto nella forma di un calcolo, doveva assolvere al requisito di un sapere non soltanto formalmente certo e interna­ mente coerente, ma anche adeguato alla natura esterna, idoneo a fornire la spiegazione scientifica degli eventi fisici e dei com­ portamenti umani. » 10 L'esigenza di uno statuto permanente in politica che già nel 1628 con la traduzione di Tucidide si era esplicitato, trova agli inizi degli anni '40 con gli Elements of Law e il De Cive la sua piu chiara formulazione. Nella lettera dedicatoria del De Cive Hobbes afferma: « Se si conoscessero con ugual .certezza le re­ gole delle azioni umane come si conoscono quelle delle grandezze in geometria, sarebbero debellate l'ambizione e l'avidità, il cui potere si appoggia sulle false opinioni del volgo intorno al giusto e all'ingiusto; e la razza umana godrebbe una pace cosi costante, che non sembrerebbe di dover mai piu combattere, se non per il territorio, in ragione del continuo aumento della popolazione». 11 Ed è questo uno dei temi ricorrenti in tutta l'opera di Hobbes: trovare con certezza delle norme che indichino senza ombra di dubbio ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ma questa certezza com'è raggiungibile? Cosa ci farà credere che una volta stabilita una norma di interpretazione del giusto e dell'ingiusto essa sarà I2

riconosciuta e pertanto rispettata da tutti? Per rispondere a questi quesiti Hobbes fa alcune proposte. C'è un ramo della filosofia chiamato geometria, che avendo avu­ to da parte degli studiosi un'ottima cura, ha dato dei notevoli ri­ sultati per tutta l'umanità. Le scoperte ed il metodo seguito da questa disciplina hanno dato origine ad un sapere certo ed alieno da controversie. Si tratta allora di applicare al campo della morale la stessa metodologia e lo stesso rigore per avere altrettanta sicu­ rezza e certezza nei risultati. Poiché proprio in questo campo è sempre regnato il piu assoluto disordine e perfino l'improvvisa­ zione, è assolutamente necessario trovare le vie certe ed incon­ futabili della scienza politica. « Dopo di lui [Socrate], Platone, A ristatele, Cicerone e tutti gli altri :filosofi greci e latini, e in­ fine non solo tutti i filosofi di tutte le genti, ma anche chi non aveva altro da fare la bistrattarono e continuarono a bistrattarla, rnme se fosse una materia assai semplice, non richiedente alcuna applicazione, accessibile a qualsiasi inteJligenza men che medio­ nc. » 12 La posta in gioco è troppo alta, « troppo grandi sono i mali » perché si lasci ancora spazio al dilettantismo. La stessl\. preoccupazione affiiggeva Machiavelli del quale Schmitt afferma: « In tema di diplomazia e di politica, a Machia­ velli interessa soprattutto il problema del come conseguire un , le terminato risultato, come fare una certa cosa. Le rare volte che 11d Principe emerge qualche nobile affetto è sempre di odio e disprezzo per il dilettante, per chi improvvisa in politica e ri111une sempre a mezza strada, tanto nella crudeltà che nella vi l'lu ». 13 La scienza di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, non può lnsciare spazio alcuno all'improvvisazione né tantomeno alla opinione, poiché l'errore, in questa materia, genera morte e distruzione. « Quanti re, e quanti galantuomini, non ha fatto mol'ire un solo errore, cioè che un suddito abbia il diritto di 11rddere il tiranno? Quante persone non ha rovinato un altro c•nore, che un sovrano possa venir spogliato del suo regno, per determinate cause e da certi uomini? » 14 Errori perniciosi che gettano gli Stati nel baratro della discor13

dia e della guerra civile. Qual è la causa per ·cui gli uomini tanto facilmente si lasciano adescare dalle teorie sediziose che spingono alla rivolta? È il problema che ha sempre tormentato Hobbes; e la sua teoria politica è il tentativo di risposta permanente a chi pone in dubbio l'autorità e l'autonomia dello Stato. Ma per far questo Hobbes deve prima confrontarsi con tutta una tradizione di pensiero che ha preteso, invano, di aver fatto filosofia politica. Hobbes sa bene che è necessario, prima di costruire del nuovo, distruggere il vecchio; non si edifica su un terreno ancora ingom­ bro di vecchie strutture e di detriti. E tanto piu ciò che si pro­ pone è nuovo e radicale quanto piu l'attacco contro il vecchio è duro e violento. · Se la scelta di Tucidide aveva significato il rifiuto della retorica come strumento ideologico, adesso, si impone l'attacco frontale a ciò che genera opinione e discordia. La considerazione dei filosofi morali viene espressa da Hobbes in una efficacissima pagina della prefazione ai lettori del De Cive. Gli antichi« raccontano, appunto, che Issione, accolto a banchetto da Giove, si fosse innamorato di Giunone e le chiedesse amore. Ma gli si offri. invece di Giunone una nube che aveva l'aspetto della dea, onde nacquero i Centauri, metà uomini e metà cavalli, razza turbolenta e combattiva. Spogliata dell'allegoria la storia viene a significare che gli uomini, chiamati a prender parte alle decisioni dello Stato, desiderarono sottomettere al loro intelletto la Giustizia, sorella e sposa del potere supremo, ma, impossessatisi solo di una sua immagine falsa e vacua come una nuvola, fecero nascere i dogmi biformi dei filosofi morali, in parte giusti e belli, e in parte brutali e bestiali, cause di tutte le lotte e di tutte le stragi. » 15 Gli strali piu acuminati sono diretti nei confronti di Aristotele, ma in questo attacco viene coinvolta tutta la tradizione del pensiero politico. 16 Hobbes è perfettamente consapevole che l'epoca in cui sta vivendo è un'epoca con connotazioni e caratteri del tutto nuovi. Vi è un profondo fermento culturale a cui partecipano tutte le maggiori discipline. « Perciò ritengo che... , l'inizio della astro­ nomia non si debba far risalire oltre Nicolò Copernico, che re-

centemente, nel secolo scorso, ha ripreso le opinioni di Pitagora, di Aristarco e di Filolao. Dopo di lui, ... Galileo per primo h11 a noi aperto la porta di tutta quanta la fisica, cioè la natu­ ra del moto. » 17 Vi è poi Harvey che offre un'interpretazione radicalmente innovativa della circolazione del sangue al quale fanno eco Giovanni Keplero che studia le leggi del moto dei pianeti, Gassendi e Marsenne che approfondiscono gli studi di matematica e di fisica. In questo Olimpo di celebrità Hobbes non esita a riservarsi un posto di rilievo. « La fisica, dunque, è una novità. Ma la filosofia civile lo è ancor di piu, come quella che non è piu antica del libro da me stesso scritto Sul cittadino. » 18 Ed è attraverso l'im­ magine che offre di se stesso, di teorico e fondatore della scienza politica, che si impone la lettura e l'interpretazione dell'opera di Hobbes. Pur essendo molti ed importanti gli aspetti di carattere gnoseo­ logico da considerare, nel quadro piu vasto di una ampia tema­ tica scientifica, occorre tener presente la pressante esigenza di Hobbes di uno scopritore in politica. Con una certezza che quasi sconcerta nel De Corpore afferma: « Il fine della scienza è la po­ tenza. » Vale a dire che la scienza diviene strumento immediato per l'acquisizione di ulteriore potere politico. Eppure, c'è un dato, nel modello gnoseologico hobbesiano, che, pur essendo notissimo, vale la pena di sottolineare. Il Child esa­ minando il problema riporta questo passo tratto dalle Six Lessons to the Professors of the Mathematics. « Delle arti, alcune sono dimostrabili, altre indimostrabili; e dimostrabili sono quelle in cui la costruzione dell'oggetto di indagine è in potere dell'artista stes­ so, il quale, nel corso della sua dimostrazione, non fa altro che dedurre le conseguenze della sua personale operazione. La ragione è che la scienza di ogni oggetto deriva da una precognizione delle cause, della generazione e della costruzione del medesimo; e, di consèguenza, dove le cause sono conosciute v'è posto per la dimostrazione, ma non ve n'è là dove le cause sono da ricercare. Pertanto la geometria è dimostrabile, poiché le linee e le figure a partire dalle quali ragioniamo sono tratte e descritte da noi stessi;

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e la :filosofia civile è dimostrabile, perché noi stessi facciamo la comunità. » 19 Questa diversità metodologica nell'approccio scientifico, che opera una cesura all'interno della filosofia tra scienze naturali che osservano i dati cosi come sono offerti in natura per risalire alle cause possibili e scienza politica la cui generazione e perciò la cui conoscenza è di completo dominio dell'uomo, a cui però va as­ similata la geometria che appartiene alle scienze dimostrabili, ha appassionato, per la sua evidente anticipazione del verum­ factum vichiano, numerosissimi studiosi. 20 Due scienze, dunque - afferma Negri - l'una fondata sulla convenzione e l'altra sull'ipotesi. 21 In realtà, l'operazione condotta da Hobbes, di porre su ri­ gide basi convenzionalistiche la filosofia politica assimilandola alla geometria, risponde all'esigenza fondamentale di togliere dalla di­ sputa i principi primi della teoria politica. Questa, infatti, a dif­ ferenza delle scienze naturali, gode, nell'impianto approntato da Hobbes, di una doppia sicurezza. Essa, infatti, proprio per la co­ noscibilità delle cause da parte dell'uomo resta dimostrabile a priori attraverso un procedimento di sintesi deduttiva, ma nello stesso tempo si offre ad un procedimento di analisi condotta empi­ risticamente sul comportamento dell'uomo. Il fine della :filosofia, che Hobbes aveva dichiarato essere quello della potenza, adesso, assume una maggiore corposità. Come tutte le scienze, anche la scienza politica serve alla pre­ visione, che cosf impostata possiamo definire geometrica, dei comportamenti umani, senza la quale l'edificazione di una strut­ tura di vita sociale diviene chimerica. « Per Hobbes, l'istituzione della sovranità assoluta è la realizzazione di una condizione che permette... di far conto sul comportamento degli altri uomini, prima che esso si verifichi. In questo senso Hobbes ha sempre difeso i vantaggi che i singoli uomini possono ricavare dall'isti­ tuzione di uno Stato, quale egli auspica. Infatti, il fine di uno Stato di questo genere consiste appunto nella possibilità di dare ai singoli fiducia nella prevedibilità del comportamento dei loro simili e nella sicurezza del possesso dei mezzi che essi possono 16

razionalmente prevedere come disponibili. » 22 La prevedibilità del comportamento umano è raggiungibile solo a patto che si eliminino quelle sciocche teorie che indicano di fare ciò che è giusto, poiché « ... è una cosa inutile, prima che si sia stabilito una regola ed una misura sicura del giusto ( cosa che, finora, nes­ suno ha fatto) ». 23 Fondare una scienza politica a carattere strettamente convenzio­ nale offre ad Hobbes innumerevoli vantaggi, e tra di essi c'è una delimitazione del terreno d'indagine in modo da operare una divisione molto netta tra ciò che è conoscibile con il senso e l'in­ telletto e ciò che è conoscibile per fede. Quest'ultimo aspetto viene decisamente escluso dall'analisi di Hobbes il quale afferma: « Perciò, la filosofia esclude da sé la teologia, dico la dottrina che riguarda la natura e gii attributi di Dio, eterno, ingenerabile ed incomprensibile... La filosofia esclude la dottrina degli angeli e di tutte quelle cose che non si ritiene siano né corpi né proprietà di corpi... La filosofia esclude ogni scienza che nasce dall'ispira­ zione divina o dalla rivelazione, come quella che non è ottenuta attraverso la ragione, ma è data in dono per grazia divina... » 24 Ogni interferenza che avrebbe rischiato di inquinare la sal­ dezza del ragionamento e che avrebbe finito poi per esigere un ancoraggio dei principi primi della filosofia politica ad aspetti teologico-metafisici viene rigidamente esclusa, cosi come viene esclusa ogni dottrina che non abbia un solido {•;mdamento scien1 ifico. Adesso, sgombrato il campo, il compito di Hobbes si presenta, pur nella sua complessità, piu facile: è possibile intraprendere 1111a analisi dei comportamenti degli uomini e delle passioni che I i generano senza nessun velo interpretativo che avrebbe finito per deformare l'immagine del reale di cui Hobbes ha bisogno.

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Note

1. Cfr. A. Viano, Analisi della vita emotiva e tecnica politica nella filo­ sofia di Hobbes, in « Rivista Critica di storia della filosofia», Anno XVII, IV. 2. Cfr. Bersano, Per le fonti di Hobbes, in « Rivista di filosofia», X, 1908, pp. 197-213. 3. T. Hobbes, English Works of Thomas Hobbes of Malsmebury, London 1843, Second Reprint 1966, Vol. VIII, p. vm. 4. Viano, art. cit. 5. T. Hobbes, Elements of Law Natural and Politic, traduzione italiana a cura di Arrigo Pacchi, Elementi di legge naturale e politica, Firenze 1968, pp. 3-4. Da qui in poi citata come Elementi. 6. W. Dilthey, Weltanshaung und Analyse des Menshen seit Renaissance und Reformatio, Leipzig, 1921, trad. it. a c. di G. Sanna, Venezia 1926, Vol. II p. 145. 7. T. Hobbes, Elementi, p. 4. 8. A. Pacchi, Convenzione e ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Tbomas Hobbes, Firenze 1965, p. 1. 9. C. Schmitt, Die Diktatur. trad. it. a cura di Bruno Liverani, Bari 1975, p. 24. 10. A. G. Gargani, Hobbes e la scienza, Torino 1971, p. 1x. 11. T. Hobbes, Elementorum philosophiae sectio tertia de cive, trad. it. a c. di Norberto Bobbio in Opere politiche, di Thomas Hobbes, Torino 1948, p. 60. Da qui in poi citata come De Cive. 12. T. Hobbes, De Cive, p. 64. 13. C. Schmitt, Die Diktatur, op. cit., p. 20. 14. T. Hobbes, De Cive, p. 64.

15. T. Hobbes, De Cive, p. 66. 16. Cfr. L. Strauss, Natural Right and history, trad. it. a cura di Nicola Perri, Venezia 1957. 17. T. Hobbes, Elementorum Philosophiae Sectio prima De Corpore; in Elementi di filosofia. Il corpo - L'uomo di Thomas Hobbes, a cura di Antimo Negri, Torino 1972, p. 62. Da qui in poi citata come De Corpore. 18. T. Hobbes, De Corpore, p. 63. 19. A. Child, Fare e conoscere in Hobbes, Vico e Dewey, in Studi Vi­ chiani, Napoli 1970, p. 19. 20. Cfr. Child, op. cit. 21. A. Negri, introduzione a Elementi di filosofia di Thomas Hobbes, Torino 1972, p. 32.' 22. C. A. Viano, art. cit., p. 391. 23. T. Hobbes, De Corpore, p. 76. 24. T. Hobbes, De Corpore, p. 77.

Il. Lo stato di natura

La definizione di stato di natura in Hobbes è concetto molto controverso. L'alternativa piu frequente è quella tra stato di natura come ipotesi logica e stato di natura come effettivo riferi­ mento storico. È evidente, per l'importanza che assume nella te­ matica hobbesiana, che la definizione di questo concetto finisce per rimanere al centro del dibattito di tutta l'interpretazione cri­ tica di Hobbes. Occorre dire, che dai testi stessi è possibile trarre argomenti che possono accreditare ora l'una ora l'altra impostazione. Senza prentendere di concludere la discussione, qui il concetto di stato di natura verrà interpretato con una sorta di ambivalenza. Hobbes, infatti, usa l'ipotesi logica dello stato di natura come schema teoretico sul quale misurare di volta in volta la propria proposta di Stato politico. Unità di misura che serve a designare uno stato puro in vitro che storicamente non è mai esistito ma al quale i vari momenti storici vanno rapportati: quanto piu nelle si­ tuazioni reali vi sarà assenza di autorità, diritto di tutti a tutto, mancanza di Stato, tanto piu ci avvicineremo allo stato di natura; quanto piu la società civile sarà funzionante ed ordinata, poiché ognuno ha deposto il proprio potere individuale in favore del po­ tere dello Stato, tanto piu ci allontaneremo dallo stato di natura. Nel Leviatano Hobbes colloca la descrizione dello stato di 20

natura al capitolo tredicesimo facendolo precedere dalla consi­ derazione dell'uomo nel suo modo di comportarsi. Negli Elementi la descrizione dello stato di natura è collocata al capitolo quattor­ dicesimo. In entrambi i casi lo stesso passaggio, dalla descrizione dell'uomo genericamente inteso nella sua struttura bio-psicologica in relazione col mondo naturale, al suo reale atteggiarsi nei con­ fronti dei simili in assenza di autorità politica. Nel De Cive gli aspetti iniziali vengono presupposti come già trattati essendo quest'opera complementare alle trattazioni del De Corpore e del De I-I.omine pubblicate posteriormente. In ef­ fetti in tutte e tre le impostazioni lo schema è lo stesso: dalle facoltà dell'uomo alla teorizzazione del vivere in società; dai bi­ ,;ogni soggettivi alla costruzione dello Stato. I passaggi sono molti e molto importanti; qui, per migliore intelligenza, solo brevi tratti. L'universo, in tutte le sue articolazioni ha come nesso fonda­ mentale il moto, che nell'uomo si manifesta come elemento mo­ tore di tutte le sue passioni, le quali, nella loro gamma di pos­ sibilità, si rapportano in varia misura con gli oggetti esterni at­ traverso gli organi del senso. « Dai nostri diversi organi noi ab­ biamo diversi concetti di diverse qualità degli oggetti; infatti, attraverso la vista abbiamo un concetto o immagine consistente in 1111 colore o in una figura, che costituiscono l'intera nozione e co­ noscenza che l'oggetto ci trasmette, tramite gli occhi, circa la sua natura. Attraverso l'udito abbiamo un concetto chiamato suono, rhe costituisce l'intera conoscenza che noi abbiamo, dall'orecchio, drca la qualità dell'oggetto e cosf anche il resto dei sensi sono nmcetti di svariate qualità, o nature dei lpro oggetti. » 1 Ma le , 1ualità degli oggetti che noi percepiamo non sono gli oggetti stessi bensf le rappresentazioni che a noi appaiono. « ... di quel movimento, agitazione o alterazione, che l'oggetto opera nel rctveilo... ». 2 Il 1novimento causato dall'oggetto esterno nel nostro cervello 1 irosegue fino al cuore dove asseconda o contrasta il movimento vitale proprio di ogni uomo « ... quando lo asseconda è detto piacere, contentezza o diletto, ... ma quando tale moto indebo21

lisce o contrasta il moto vitale, allora si chiama dolore; e in relazione a ciò che lo causa, odio.... ». 3 ù il perpetuo movimento dell'universo con il quale l'uomo non poteva non essere in sintonia e che determina l'essenza vi­ tale dell'uomo stesso. Se le passioni sono innegabilmente all'origine dell'agire e del modo cli rnmportarsi, occorre, allora, stabilire il nesso perma­ nente trn queste e la loro causa. Una_ concezione meccanicistica del rappmto 1101110-natura strutturata rigorosamente in modo da non lnsdnrl· alcunché di inesplorato e di inesplorabile nel mare gelatinoso delle passioni umane. Appetito e fuga, desiderio e av­ versione sono le coppie antitetiche, i poli estremi al cui interno oscilla il pendolo delle passioni e dei desideri. Negli Elementi I Iobbcs nll'nma: « Come l'appetito è l'inizio del moto animale verso q11nlrnsu che ci piaccia, cosi il suo raggiungimento è il fine cli qud moto, e noi lo chiamiamo anche scopo e mira, e causa finnlc cll'I moto stesso; e quando noi raggiungiamo questo fine, il piarl'l'l'