Un invito all'algebra 884700313X, 9788847003132

L'opera è un libro di testo, rivolto agli studenti universitari che devono affrontare il corso di algebra e matemat

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Indice
Introduzione: non solo equazioni
1 Cenni di Teoria degli insiemi
1.1 Insiemi: un'introduzione naÏf
1.2 Insieme delle parti
1.3 Prodotto cartesiano
1.4 Relazioni
1.5 Funzioni
1.6 Relazioni di equivalenza
1.7 Grafi
1.8 Relazioni di ordine
1.9 Qualche calcolo
1.10 Briciole di infinito
1.11 Gli assiomi: come e perché
2 I numeri naturali
2.1 Il principio di induzione
2.2 La divisione in N: quoziente e resto
2.3 Numeri e dita
2.4 Massimo comun divisore e minimo comune multiplo
2.5 Numeri primi
2.6 Congruenze
2.7 Calcolo di potenze modulo m
2.8 Criteri di divisibilità
2.9 Un'altra applicazione: la prova del 9
2.10 Equazioni congruenziali
2.11 Il Piccolo Teorema di Fermat
2.12 La 'P di Eulero e il Teorema di Eulero
2.13 Il criptosistema RSA
3 azionali, reali, complessi e quaternioni
3 .1 Un intermezzo
3.2 Razionali
3.3 Reali
3.4 Complessi
3.5 Quaternioni
4 Grafi e multigrafi
4.1 La nascita della teoria dei grafi
4.2 Grafi e multigrafi
4.3 Circuiti euleriani e i ponti di Konigsberg
4.4 Cammini e circuiti hamiltoniani
4.5 Grafi bipartiti
4.6 Alberi
4.7 Grafi piani e planari
4.8 Grafi, mappe e colorazioni
4.9 Grafi e multigrafi orientati
5 Gruppi e permutazioni
5.1 Gruppi
5.2 Permutazioni
5.3 Un assaggio di Teoria dei gruppi
5.4 Ancora gruppi
5.5 Unioni e intersezioni di sottogruppi
5.6 Classi laterali
5.7 Sottogruppi normali e gruppi quoziente
5.8 Omomorfismi tra gruppi
5.9 Automorfismi di un gruppo
5.10 Cayley e Sylow
5.11 Prodotti diretti
5.12 Piccoli gruppi
5.13 Galois
6 Anelli, matrici e polinomi
6.1 Strutture
6.2 Anelli, corpi e campi
6.3 Polinomi
6.4 Ancora anelli
6.5 Matrici
6.6 Domini di integrità
6.7 Sottoanelli
6.8 Ideali
6.9 Anelli quoziente
6.10 Omomorfismi tra anelli
6.11 La caratteristica di un anello unitario
6.12 La fabbrica degli anelli
7 Anelli commutativi unitari
7.1 Introduzione
7.2 Massimo comun divisore e minimO comune multiplo
7.3 Gli anelli euclidei e l'algoritmo di Euclide
7.4 Elementi primi e irriducibili: domini afattorizzazione unica
7.5 Polinomi
7.6 Un intermezzo: radici e radicali
7.7 Ideali primi e massimali
8 Vettori, matrici e sistemi lineari
8.1 Moduli su un anello
8.2 Spazi vettoriali su un campo
8.3 Sottospazi
8.4 Basi e dimensioni
8.5 Ancora sottospazi: somme dirette
8.6 Funzioni lineari
8.7 Dualità
8.8 Funzioni lineari e matrici
8.9 Sistemi lineari e matrici
8.10 Il metodo di Gauss-Jordan
8.11 Il rango di una matrice
8.12 Determinanti
8.13 Matrici invertibili e gruppi lineari
8.14 La regola di Cramer
9 Campi
9.1 Sottocampi
9.2 Il campo dei quozienti
9.3 Ampliamenti di un campo
9.4 Elementi algebrici e trascendenti
9.5 Ampliamenti semplici di un campo
9.6 Sottocampo minimo
9.7 Campo di riducibilità completa
9.9 Campi finiti
9.10 Codici autocorrettori: il codice BCH
Riferimenti bibliografici
Indice analitico
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Un invito all'algebra
 884700313X, 9788847003132

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In ricordo di Sauro Tulipani

s. Leonesi C. Toffalori

Un invito all' Algebra

~ Springer

s. LEONESI

Dipartimento di Matematica e Informatica Università di Camerino, Camerino C. TOFFALORI Dipartimento di Matematica e Informatica Università di Camerino, Camerino

Springer-Verlag fa parte di Springer Science+ Business Media springer.com © Springer-Verlag Italia, Milano 2006

ISBN lO 88-470-0313-X ISBN 13978-88-470-0313-2

Quest'opera è protetta dalla legge sul diritto d'autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all'uso di figure e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla riproduzione su microfilm o in database, alla diversa riproduzione in qualsiasi altra forma (stampa o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. Una riproduzione di quest'opera, oppure di parte di questa, è anche nel caso specifico solo ammessa nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d'autore, ed è soggetta all'autorizzazione dell'Editore. La violazione delle norme comporta sanzioni previste dalla legge. I:utilizzo di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc., in quest'opera, anche in assenza di particolare indicazione, non consente di considerare tali denominazioni o marchi liberamente utilizzabili da chiunque ai sensi della legge sul marchio. Riprodotto da copia camera-ready fornita dagli Autori Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano Stampato in Italia: Signum, Bollate (Mi)

Indice

Introduzione: non solo equazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. XI 1

2

Cenni di Teoria degli insiemi .............................. 1.1 Insiemi: un'introduzione naiJ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Insieme delle parti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Prodotto cartesiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Relazioni............................................... 1.5 Funzioni................................................ 1.6 Relazioni di equivalenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 1. 7 Grafi................................................... 1.8 Relazioni di ordine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 1.9 Qualche calcolo ......................................... 1.10 Briciole di infinito .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 1.11 Gli assiomi: come e perché. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

1 1 7 8 12 18 23 24 27 34 38

I numeri naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.1 Il principio di induzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.2 La divisione in N: quoziente e resto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.3 Numeri e dita ........................................... 2.4 Massimo comun divisore e minimo comune multiplo. . . . . . . . .. 2.5 Numeri primi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.6 Congruenze............................................. 2.7 Calcolo di potenze modulo m . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.8 Criteri di divisibilità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.9 Un'altra applicazione: la prova del 9 ....................... 2.10 Equazioni congruenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 2.11 Il Piccolo Teorema di Fermat ............................. 2.12 La 'P di Eulero e il Teorema di Eulero ...................... 2.13 Il criptosistema RSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

45 45 49 50 55 58 62 69 72 74 75 77 79 83

Il

VI

Indice

3

Razionali, reali, complessi e quaternioni ................... 3.1 Un intermezzo .......................................... 3.2 Razionali............................................... 3.3 Reali................................................... 3.4 Complessi.............................................. 3.5 Quaternioni .............................................

89 89 89 94 98 107

4

Grafi e multigrafi .......................................... 4.1 La nascita della teoria dei grafi ............................ 4.2 Grafi e multigrafi ........................................ 4.3 Circuiti euleriani e i ponti di Konigsberg ................... 4.4 Cammini e circuiti hamiltoniani ........................... 4.5 Grafi bipartiti ........................................... 4.6 Alberi .................................................. 4.7 Grafi piani e planari ..................................... 4.8 Grafi, mappe e colorazioni ................................ 4.9 Grafi e multigrafi orientati ................................

113 113 115 128 131 135 138 142 149 155

5

Gruppi e permutazioni .................................... 5.1 Gruppi ................................................. 5.2 Permutazioni ........................................... 5.3 Un assaggio di Teoria dei gruppi ........................... 5.4 Ancora gruppi .......................................... 5.5 Unioni e intersezioni di sottogruppi ........................ 5.6 Classi laterali ........................................... 5.7 Sottogruppi normali e gruppi quoziente ..................... 5.8 Omomorfismi tra gruppi .................................. 5.9 Automorfismi di un gruppo ............................... 5.10 Cayley e Sylow .......................................... 5.11 Prodotti diretti ......................................... 5.12 Piccoli gruppi ........................................... 5.13 Galois ..................................................

161 161 166 174 182 187 191 196 198 203 207 212 215 218

6

Anelli, matrici e polinomi . ................................. 6.1 Strutture ............................................... 6.2 Anelli, corpi e campi ..................................... 6.3 Polinomi ............................................... 6.4 Ancora anelli ........................................... 6.5 Matrici ................................................. 6.6 Domini di integrità ...................................... 6.7 Sottoanelli .............................................. 6.8 Ideali .................................................. 6.9 Anelli quoziente ......................................... 6.10 Omomorfismi tra anelli ................................... 6.11 La caratteristica di un anello unitario ......................

223 223 224 229 232 233 244 244 246 250 252 256

Indice

VII

6.12 La fabbrica degli anelli ................................... 257 7

Anelli commutativi unitari . ................................ 267 7.1 Introduzione ............................................ 267 7.2 Massimo comun divisore e minimo comune multiplo .......... 268 7.3 Gli anelli euclidei e l'algoritmo di Euclide ................... 272 7.4 Elementi primi e irriducibili: domini a fattorizzazione unica ... 278 7.5 Polinomi ............................................... 284 7.6 Un intermezzo: radici e radicali ............................ 298 7.7 Ideali primi e massimali .................................. 304

8

Vettori, matrici e sistemi lineari . .......................... 311 8.1 Moduli su un anello ...................................... 311 8.2 Spazi vettoriali su un campo .............................. 314 8.3 Sottospazi .............................................. 317 8.4 Basi e dimensioni ........................................ 323 8.5 Ancora sottospazi: somme dirette .......................... 330 8.6 Funzioni lineari ......................................... 334 8.7 Dualità ................................................ 341 8.8 Funzioni lineari e matrici ................................. 343 8.9 Sistemi lineari e matrici .................................. 349 8.10 Il metodo di Gauss-Jordan ............................... 352 8.11 Il rango di una matrice ................................... 363 8.12 Determinanti ........................................... 368 8.13 Matrici invertibili e gruppi lineari .......................... 380 8.14 La regola di Cramer ..................................... 384

9

Campi ..................................................... 393 9.1 Sottocampi ............................................. 393 9.2 Il campo dei quozienti .................................... 394 9.3 Ampliamenti di un campo ................................ 399 9.4 Elementi algebrici e trascendenti .......................... 400 9.5 Ampliamenti semplici di un campo ........................ 402 9.6 Sottocampo minimo ..................................... 410 9.7 Campo di riducibilità completa ............................ 410 9.8 Campi algebricamente chiusi, e chiusura algebrica di un campo 411 9.9 Campi finiti ............................................ 412 9.10 Codici autocorrettori: il codice BCH ...................... 415

Riferimenti bibliografici . ....................................... 421 Indice analitico ................................................ 425

Introduzione: non solo equazioni

Chi riceve un invito all'opera può giustamente chiedere a quale opera; chi riceve un invito al cinema può domandare per quale film; in occasione di un invito a cena può essere cortese descrivere il menù. Così anche nel caso di un Invito all'Algebra pare opportuno spiegare preliminarmente che cosa è l'Algebra. Ebbene, etimologicamente parlando, il termine "algebra" nasce come traslazione latina di una parola araba, e precisamente di "al-jabr". Un grande matematico arabo del IX secolo dopo Cristo, che si chiamava Abu Al-Khwarizmi e operava a Badgad, la usò nel titolo di una sua opera, che in lingua originale suonava "Hisah al-jabr w' al-muqabala" e corrisponderebbe in italiano a "Calcolo della riduzione e del bilanciamento". Il trattato era dedicato alle tecniche di risoluzione delle equazioni: in particolare "al-jabr" stava a significare l'operazione che sposta i termini negativi in un membro di un'equazione all'altro membro con segno positivo (mentre "al-muqabala" intendeva l'eliminazione di una stessa quantità presente in ciascuno dei due membri, dunque ad esempio la deduzione di x = y da x + z = y + z). Quando l'opera di AI-Khwarizmi fu tradotta in latino, nel 1140, la si intitolò, per assonanza, "Liber Algebrae et al mucabala". Fu questa "scelta editoriale" a inaugurare l'uso della parola "algebra" anche nel mondo occidentale. Tra l'altro, vale la pena di riferire, magari solo per inciso, che un altro termine scientifico oggi largamente in uso, per la precisione "algoritmo", deve la sua nascita ancora a AI-Khwarizmi: il lettore infatti non sarà sorpreso di apprendere che esso costituisce proprio la traslazione (prima in latino, e poi nelle lingue occidentali) del nome stesso del matematico arabo. Ma torniamo all'Algebra. Dunque, sin dall'origine del nome, questa parola richiama il tema delle equazioni. E, in effetti, secondo un'opinione popolare tanto diffusa quanto sommaria, "fare algebra" significa "risolvere equazioni", il che basta ai più per catalogare l'argomento in modo definitivo e relegarlo senza rimpianti in qualche dimenticatoio. Assumiamo comunque momentaneamente per semplicità questo punto di vista riduttivo che, se non altro, ha il pregio di distinguere l'Algebra dalla Aritmetica, la quale, invece che di equazioni, si interessa dei numeri, ed in particolare

X

Introduzione: non solo equazioni

di quei numeri "naturali" 0, 1, 2, 3, ... con cui siamo abituati a contare. Ebbene, va rilevato che numeri ed equazioni non sono cosÌ alieni dalla nostra vita di tutti i giorni. Le stesse equazioni algebriche sono spesso suggerite da problemi pratici, dal tentativo di rappresentare la realtà che ci circonda con modelli matematici appropriati, che ne aiutino la comprensione. Ad esempio una semplice equazione come F = m . a riassume (la versione non vettoriale di) un fondamentale principio della meccanica classica, quello che collega una forza F, la massa m del corpo che le è soggetto e l'accelerazione a che gliene deriva. Allo stesso modo orbite di pianeti, di satelliti, o di elettroni, possono essere descritte da equazioni algebriche, come quella X2 + y2 = 1 di una circonferenza di raggio 1 e centro nell'origine del sistema di riferimento prefissato. In effetti, già nel Rinascimento italiano l'Algebra era intesa come la risoluzione di problemi (matematici e non) attraverso tre fasi successive: • • •

riduzione del problema in termini di un'equazione; riduzione dell'equazione in una forma canonica, più semplice da affrontare; soluzione dell'equazione nella forma canonica ridotta.

Va da sé che al giorno d'oggi l'uso dei calcolatori può accelerare sensibilmente tutte queste procedure. Ma non sempre le formule risolutive delle equazioni sono facili da trovare e quindi da trasmettere al computer per il suo successivo lavoro. Del resto, l'interazione con il calcolatore richiede anche che si concordi preventivamente un linguaggio appropriato con cui scambiare informazioni, formulare le domande, interpretare le risposte. In questo senso l'uso delle lettere x, y, z, ... per indicare le incognite e delle cifre 0, 1, 2, ... , 9 per rappresentare i coefficienti risulta quanto mai utile e appropriato. Ma va rilevato che il processo che ha condotto alla scelta di queste semplici convenzioni e di questi facili simboli è stato lungo e laborioso, tutto men che banale. Ad esempio, le tecniche di soluzione delle equazioni di secondo grado (e forse anche di terzo) in una incognita erano già note millenni fa alla cultura Egiziana e Babilonese. Nel III secolo avanti Cristo, poi, i monumentali "Elementi" di Euclide, che pure sono principalmente ricordati per la loro trattazione della Geometria, includevano comunque significativi contributi di Aritmetica e di quel che oggi chiamiamo Algebra, come metodi di soluzione per le equazioni di primo e secondo grado, un efficiente algoritmo di ricerca del massimo comune divisore, e altro ancora. Sempre nell'ambito greco-romano, si potrebbe citare anche il contributo di Diofanto, che operò qualche tempo dopo Euclide, nel III secolo dopo Cristo, ad Alessandria di Egitto e si interessò del problema di risolvere equazioni a coefficienti interi 0, ±1, ±2, ... ; del resto, queste equazioni sono ancor oggi chiamate diofantee proprio in suo onore. Diofanto vi inaugurò, tra le altre cose, l'uso di abbreviazioni, in particolare della lettera (J", per indicarvi quantità sconosciute (le incognite). Ma, a fronte di questi progressi mai trascurabili e spesso geniali va rilevato, ad esempio, il modo scomodo e faticoso con cui i pur pratici Romani scrivevano i numeri naturali I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, ... , ancor oggi

Introduzione: non solo equazioni

XI

testimoniato dalle lapidi di antichi monumenti. In effetti le cifre che ora adoperiamo 0, 1, 2, 3, ... ci provengono dal mondo arabo (e dallo stesso Al-Khwarizmi), che a loro volta le avevano ricevute dalla cultura indiana. A diffonderle in "Occidente" fu ai tempi del Medio Evo il mercante pisano Leonardo Fibonacci, che ebbe modo di frequentare la società orientale per motivi di commercio, vi apprese queste e altre notevoli novità matematiche e, tornato a casa, le trasmise in vari libri ricchi di fertili osservazioni, dei quali quello del 1202 intitolato "Liber Abaci" è il più famoso. Dunque l'avvento delle cifre decimali fu assai laborioso. Quanto poi all'Algebra e alle equazioni, i tempi del loro progresso sono stati ancora più lenti e prolungati. Ad esempio, lo stesso Al-Khwarizmi, che pur conosceva i simboli 0, 1, 2, ... , scriveva ancora "cubo e numero uguali a cose" per significare l'equazione di terzo grado x 3 + c = bx. Anzi, pochi secoli prima, per la precisione intorno alla metà del V secolo dopo Cristo, il matematico indiano Arya-Bhata riteneva appropriato trattare l'argomento in forma di versi, come poema. Arya-Bhata fu imitato in questo quasi un millennio dopo, nel Cinquecento, dal matematico italiano Niccolò Fontana detto il Tartaglia (perchè balbuziente), il quale adoperava le rime seguenti

"Quando chel cubo con le cose appresso se agguaglia a qualche numero discreto, trovan dui altri differenti in esso. Da poi terrai questo per consueto che'llor produtto sempre sia uguale al terzo cubo delle cose neto, el residuo poi suo generale delli lor lati cubi ben sottratti varrà la tua cosa principale" per spiegare come risolvere un'equazione di terzo grado x 3 + bx = c (il "cubo con le cose appresso" che si uguaglia a un "numero discreto"): secondo i versi di Tartaglia, la strategia da seguire è quella di trovare u e v per cui c

=u-

v,

e ricavare poi x come qu- {IV. Del resto, nella stessa epoca, l'altro matematico italiano Luca Paci oli scriveva

"Troname. l. nO che gi8to al suo qdratO facia. 12" per intendere il problema di risolvere l'equazione x + X2 = 12: in essa, infatti, l'indeterminata x è proprio quel numero che sommato al suo quadrato fa 12. Altri esempi dello stesso tenore si potrebbero citare. Così nella scuola matematica italiana del Rinascimento (formata da Dal Ferro, Cardano, Tartaglia, Ferrari, Pacioli e altri ancora) queste complicazioni linguistiche appesantivano e accompagnavano idee nuove e brillanti, e in particolare le formule risolutive

XII

Introduzione: non solo equazioni

per le equazioni di terzo e quarto grado in una incognita che compaiono già nel 1545, nel trattato "Ars Magna" di Cardano; del resto, proprio in questa prospettiva furono introdotti all'epoca del Rinascimento quei numeri "immaginari" che oggi chiamiamo complessi. La storia che li riguarda è assai singolare. Infatti, vi pare ragionevole "immaginare" un numero il cui quadrato è -l? Eppure questo è quanto si pretende dal "capostipite" dei numeri complessi, e cioè da quello che viene usualmente denotato i (proprio a sottolineare la sua caratteristica di oggetto "immaginario"). Ebbene, sempre nel Cinquecento, un altro matematico italiano, Bombelli, si imbatté in i mentre si cimentava a risolvere un'equazione di terzo grado a coefficienti interi, x 3 - 15x - 4 = O per la precisione, e ne scopriva la soluzione intera 4 (infatti 4 3 - 15·4 - 4 = 64 - 60 - 4 = O). Bombelli seguì i consigli poetici di Tartaglia per b = -15 e c = 4 e cercò due numeri u e v per cui 3 3 15 u +v =4 , u'v=-=5 3'

Le tecniche che già allora erano note e che avremo modo di approfondire nei futuri capitoli lo portarono a considerare

u=

~2 + v"=121,

v=

~2 -

V-121,

che però coinvolgono la radice quadrata di un numero negativo -121. Tuttavia, se ammettiamo il numero i, questa radice è V-121 quindi si ha

u

=

~2

= R· Vi2i = lli, + lli,

v

=

~2 - lli.

D'altra parte, assumendo i 2 = -1, si vede facilmente che (2 ± i)3

=8±

12i

+ 6i 2 ± i 3 = 8 ±

12i - 6 =t= i

=2±

lli,

così la radice cubica di 2 + Il i è 2 + i e quella di 2 - Il i è 2 - i; allora possiamo porre u = 2 + i, v = 2 - i, e dedurre x = u + v = 2 + i + 2 - i = 4, appunto. Così Bombelli approfittava del numero immaginario i per la soluzione intera di un'equazione a coefficienti interi. Ma torniamo alle equazioni e al modo di rappresentarle. Solo a fine Cinquecento l'attuale formalismo algebrico iniziò a prendere finalmente piede. Fu il francese Viète a introdurre l'uso delle lettere nelle equazioni per indicarvi incognite e parametri: così lo stesso Viète scriveva nel 1590

Introduzione: non solo equazioni

"lQC - 15QQ

+ 85C -

225Q + 274N

aequatur

XIII

120"

per indicare l'equazione che al giorno d'oggi si esprimerebbe come x 6 - 15x4 + 85x 3 - 225x 2 + 274x = 120 (Q stava dunque per quadrato, C per cubo, QC per quadrato del cubo, N per numero, e via dicendo). L'idea ebbe successo, e qualche anno dopo, nel 1637, Descartes (Cartesio, nella versione italianizzata del cognome) migliorava il simbolismo di Viète e, per esempio, scriveva

yy

) 0, cosÌ m = Imi). Allora a-r = m'q, cioè a == r (modm), ovvero a m = r m . Dunque ogni intero a è congruo modulo m al suo resto nella divisione per m e due interi a e b sono congrui modulo m se e solo se hanno lo stesso resto nella divisione per m. 2. Siano ora r, S E Z due possibili resti nella divisione per m, r < s < m. Si ha < s - r < m, quindi m t s - r. Dunque s oj. r (modm), ovvero sm::j::. rm·

°: ;

°

CosÌ ci sono in Zm esattamente m classi, che corrispondono ai possibili resti nella divisione per m, e quindi sono chiamate classi di resti modulo m,

Per ogni r E Z con

°: ;

r

< m,

r m = {k· m + r : k E Z} = { ... , r - m, r, r + m, r + 2m, .. .}.

In particolare

• •

Om={k·m: kEZ}={ ... ,-2m,-m,0,m,2m, ... }, 1m ={k·m+1: kEZ}={ ... ,-m+1,1,m+1, ... },



(m - l)m = {k· m + m-l: k E Z} = = { ... ,-m-1,-1,m-1,2m-1, ... }.

Esempi 2.6.7 1. Z2 = {02, 12}. Inoltre • O2 = {2k: k E Z} = {0,±2,±4, ... }, • h={2k+1: kEZ}={±1,±3,±5, ... },

2. Z3 • • •

= {03, 13, 23}. Inoltre 03 = {3k: k E Z} = {0,±3,±6, ... }, 13={3k+1: kEZ}={ ... ,-2,1,4, ... }, 23 = {3k+2: k E Z}= { ... ,-1,2,5, ... }.

3. Z4 = {04, 14,2 4, 34}. Inoltre, ad esempio,

34 ={4k+3: kEZ}={ ... ,-5,-1,3,7,1l, ... }. Allarghiamo di nuovo il discorso ad un qualunque intero positivo m. Proposizione 2.6.8 Siano a, al, b, bI E Z tali che a == al (modm), b b' (modm). Allora a + b == a'

+ b' (mod m),

a . b == al . b' (mod m).

66

2 I numeri naturali

Dimostrazione. Per ipotesi mia - al e mlb - bI. CosÌ ml(a - al) + (b - bI), dunque ml(a+ b) - (al + bI), cioè a+ b == al + bI (modm). Inoltre ml(a - al). be mlal·(b-bl ), da cui ml(a-a l ) ·b+a l ·(b-bl ), dunque mla·b-al·b+a l ·b-al·bl = a . b - al . bI, cioè a . b == al . bI (mod m). D

Possiamo allora definire, per ogni scelta di a, bE Z,

Infatti questa definizione è corretta e non dipende dalla scelta di a e di b tra gli infiniti elementi di a m e bm rispettivamente, come la proposizione precedente conferma. Esempi 2.6.9 L'indice m, quando risulta chiaro dal contesto, è omesso. 1. m = 12. Abbiamo 12 elementi 0,1,2, ... ,11

che si sommano proprio come le ore del giorno 11

+2=

13 == 1 (mod 12)

(2 ore dopo le 11, sono le 1), e si possono anche moltiplicare 11· 2

= 22 ==

lO (mod12).

L'esempio giustifica il nome di aritmetica dell'orologio dato alle operazioni modulo m. Ma nel nostro caso ci sono orologi anche con un numero di ore diverso da 12 (o da 24) e anzi uguale a 2,3,4, .... 2. m = 2. Allora Z2 = {O, l} e si calcola facilmente O + O = 1 + 1 = O,

O + 1 = 1 + O = 1,

O . O = O . 1 = 1 . O = O,

1· 1 = 1.

Possiamo riassumere queste computazioni mediante le seguenti tavole additive e moltiplicative: in ogni caso la somma o il prodotto di due elementi sono dati dall'incrocio della riga del primo e della colonna del secondo.

+

01 O 01 110

ffi

01 O OO 1 01

2.6 Congruenze

67

3. m = 3. Stavolta si hanno 3 elementi 0,1,2 che si sommano e moltiplicano come descritto dalle tavole seguenti.

+

012

O O1 2

1 120 2

2 O1

012 O OOO 1 O1 2

2 02 1 4. m = 4. I 4 elementi distinti 0,1,2,3 si sommano e moltiplicano secondo le tavole che seguono.

+

O 1 2 3

0123 0123 123 O 230 1 3 012

O1 2 3 O OOOO

1 01 23 2 O2 O2 3 0321

Si osservi in particolare che 2·2 = 4 = O (ma 2 -::f. O). 5. m = 31. Abbiamo 31 elementi, da O a 30; in particolare 28 + 5 = 33 = 2 (mod31). La situazione ricorda quella dei giorni dei mesi (supponendo che i mesi abbiano tutti 31 giorni). Infatti 5 giorni dopo il 28 gennaio abbiamo il 2 febbraio. Esercizio 2.6.10 Si provi che, modulo 2, Natale, cioè il 25-12, coincide con Ferragosto, cioè il 15-8. E Pasqua? Si estendono a +, . in 1, m molte delle principali proprietà di per a, b, c interi, è semplice verificare:

+, . in 1,. Infatti,

68

• • • •

2 I numeri naturali

a m + bm = bm + a m , a m · bm = bm . a m ; (a m + bm ) + Cm = a m + (b m + Cm), (a m · bm ) . Cm a m + Om = a m , a m ·lm = a m , a m · Om = Om; a m · (b m + cm) = a m . bm + a m . Cm·

= a m . (b m . Cm);

Esercizio 2.6.11 Si provino le precedenti uguaglianze.

A questo punto ci possiamo domandare quali sono gli interi a tali che a m è invertibile in Zm, nel senso che esiste x E Z per cui a m . X m = 1m ; in tal caso si pone X m = a;l. Infatti un tale x, se esiste, è unico modulo m: se x, Xl E Z soddisfano entrambi si ha

Ricordiamo che gli unici elementi invertibili in Z sono ±1. Ma in Zm la situazione è più articolata, si ha infatti: Teorema 2.6.12 Per ogni a E Z, a m è invertibile in Zm se e solo se (a, m) = 1.

Dimostrazione. a m è invertibile in Zm se e solo se esiste x E Z tale che 1m = a m · X m = (a· x)m, dunque se e solo se a· x == 1 (modm) per qualche x E Z, e cioè se e solo se esistono x, y E Z tali che a· x + m . y = 1. Ma allora il massimo comun divisore di a, m, che divide a e m, divide anche 1, e quindi coincide con 1. Viceversa, per l'identità di Bézout, se (a, m) = 1, allora ci sono x, y E Z per cui 1 = a . x + m . y e quindi, ripercorrendo a ritroso i precedenti passaggi, a m risulta invertibile. D Esempio 2.6.13 Gli elementi invertibili modulo 5 sono 15 , 25 , 35 , 4 5 , infatti 1, 2, 3, 4 sono gli interi tra O e 4 primi con 5. Allo stesso modo, quelli invertibili modulo 12 sono h2, 5 12 , 7l2 , 1h2.

Che accade invece quando (a, m) -::f. l? • •

Può succedere che (a, m) = m, cioè che m divida a. Ma in tal caso a m = Om· Altrimenti 1 < (a, m) < m. Poniamo d = (a, m). Si noti che m = d· q dove anche q soddisfa 1 < q < m. Così dm -::f. Om, qm -::f. Om ma dm . qm = (d· q)m = mm = Om: si dice allora che dm - così come qm - è divisore dello zero in Zm. Lo stesso accade ad a, infatti anche a m è diverso da Om così come qm (perché m f a), ma a . q è multiplo di d· q = m e quindi a m · qm = Om.

2.7 Calcolo di potenze modulo m

69

Distinguiamo adesso due casi rispetto a m.

Caso 1. Sia m

= p numero primo.

Allora ogni a

= 1,2, ... ,p -

1 è primo con

i:- p e dunque (a, p) deve essere 1. Così 1p , 2 p , ... , (p - l)p, cioè tutti gli elementi i:- Op in 1,p, sono invertibili in 1,p (come accade nell'esempio

p, infatti (a, p)

2.6.13 quando m = 5).

Caso 2. m non è primo. Ci sono allora interi a che dividono m e soddisfano 1 < a < m. Esistono di conseguenza interi per cui 1 < (a, m) < m e dunque divisori dello zero am in 1,m. Invece, per (a, m) = m, a m = Om e per (a, m) = 1 a m è inverti bile. Ad esempio in 1,12 212 .6 12 = 3 12 .4 12 = 0 12 , così 212, 3 12 e di conseguenza 4 12 , 6 12 , 8 12 , 9 12 , 10 12 dividono lo zero. Esercizio 2.6.14 Si provi direttamente che nessun elemento invertibile di può contemporaneamente dividere lo zero (suggerimento: si supponga a m . qm = Om e si deduca

1,m

Una questione che emerge naturalmente nel contesto che stiamo studiando è quella di calcolare l'inverso a;;,I di a m quando a è primo con m. Un semplice metodo a questo proposito fa ancora riferimento all'algoritmo di Euclide per il massimo comun divisore e all'identità di Bézout. Infatti, come il Teorema 2.6.12 mostra, quando (a, m) = 1, a;;,l è la classe di ogni intero x che soddisfa l'identità di Bézout a . x + m . y = 1 insieme ad un opportuno y. Ma sappiamo già come calcolare esplicitamente x, y conoscendo a, m, indipendentemente dal valore di (a, m). Ci basta allora applicare quella procedura quando (a, m) = 1. Esempi 2.6.15

= 2, m = 3: abbiamo visto che 23 . 23 = 13, così 23 1 = 23; del resto 1 = (2, 3) = 2 . ( -1) + 3 . 1, e così x = -1 == 2 (mod 3). Siano a = 3, m = 4: abbiamo visto che 34 .34 = 14 , così 341 = 34 ; del resto 1 = (3, 4) = 3 . ( -1) + 4 . 1, e quindi x = -1 == 3 (mod 4). Siano a = 2, m = 9: allora 1 = (9,2) = 2· (-4) + 9· 1, dunque x = -4 == 1 5 (mod9); così 29 = 59.

1. Siano a

2. 3.

Esercizio 2.6.16 Calcolare in 1,8, se esistono, 38 1, 48 1, 781.

2.7 Calcolo di potenze modulo m 3 100 è, come ben noto, il prodotto di 100 fattori, tutti uguali a 3. Ma non c'è bisogno di operare 99 successive moltiplicazioni per ottenere questo risultato. Possiamo infatti osservare che 100 = 2 . 50 e dunque

70

2 I numeri naturali

si ricava come il quadrato di 350 . Naturalmente l'osservazione si può ripetere: siccome 50 = 2 . 25, si ha quindi

Di nuovo 25

= 2 . 12 + 1, così

da cui

3100

= (((3 12 )2. 3)2f

Dalle successive divisioni per 2 • • • •

12 = 2·6, 6 = 2·3, 3 = 2·1 + 1, 1 = 2· O + 1,

si ottiene finalmente l'espressione

che fornisce 3100 a partire da 1 con • •

3 moltiplicazioni per 3, 6 elevamenti al quadrato,

dunque con 9 moltiplicazioni, cioè con un numero di operazioni largamente inferiore alle 99 moltiplicazioni prospettate in partenza. Si noti che la sequenza delle divisioni che permettono questa semplificazione è la stessa che ha condotto in precedenza a rappresentare l'esponente 100 in base 2 nella forma 1100100. Le cifre O, 1 corrispondono per la precisione: • •

O a quadrare, 1 a quadrare e a moltiplicare per 3.

Così se abbreviamo con





Q l'istruzione "quadrare",

X l'istruzione "moltiplicare" (in questo caso per 3),

il numero 1100100 determina la sequenza di istruzioni Q X Q X QQQ X QQ da applicare a 1 per ottenere 3 100 . Naturalmente, quando si lavora modulo m, tutte queste istruzioni si svolgono modulo m, e i risultati possono essere ristretti tra 0,1, ... ,m - 1 al prezzo massimo di una divisione per ogni passaggio.

2.7 Calcolo di potenze modulo m

71

Esempio 2.7.1 Poniamo m = 101, e dunque calcoliamo 3 100 modulo 101. Applicando le precedenti istruzioni QXQXQQQXQQ a 1, otteniamo 1 --+Q 1 --+ x 3 --+Q 9 --+ x 27 --+Q 729 == 22 --+Q 484 == 80 --+Q 6400 == 37 --+ x 111 == lO --+Q 100 == -1 --+Q 1 (mod 101). Si deduce 3 100 == 1 (mod101). L'algoritmo. In generale il procedimento da seguire per calcolare ah

per a, k, m interi, k, m • •



>1è

(modm)

il seguente:

rappresentare k in base 2; sostituire le cifre 0,1 della rappresentazione di k rispettivamente con le istruzioni - Q: quadrare, - QX: quadrare e moltiplicare per a; applicare la sequenza di istruzioni così ottenuta a 1 modulo m.

Esempi 2.7.2 1. 2340 == 1 (mod341). Infatti già sappiamo che 340 101010100. Si ha dunque la sequenza di istruzioni

III

base 2 diviene

QXQQXQQXQQXQQ, che applicata ad a

=2a

partire da 1 produce

1 --+Q 1 --+ x 2 --+Q 4 --+Q 16 --+ x 32 --+Q 1024 == 1 --+QxQQxQ 1 --+Q 1 (mod341) (si noti infatti che l'esecuzione delle prime 6 istruzioni conduce da 1 ancora a 1, e che le seconde 6 ripetono fedelmente le prime 6). 2. 57 == 5 (mod24). Infatti 7 in base 2 è 111, e genera la sequenza di istruzioni

QXQXQX, che, applicata a 1, produce 1 --+Q 1 --+x 5 --+Q 25 == 1 --+x 5 --+Q 1 --+x 5 (mod24). Esercizi 2.7.3 1. Si provi che 2560 == 1 (mod 561). 2. Si determini 15 15 modulo 15 (attenzione). 3. Si determini 15 15 modulo 17.

72

2 I numeri naturali

2.8 Criteri di divisibilità Abbiamo già sottolineato come il problema di decomporre in fattori primi un naturale a > 1 non ha ancora trovato algoritmi capaci di soddisfarlo in modo rapido, almeno per grandi valori di a. A questo proposito può essere utile esplorare la seguente questione. Problema. Siano a E Z, p primo: a è divisibile per p?

Ovviamente la domanda si può proporre per un p arbitrario, non necessariamente primo, e l'algoritmo elementare che le risponde consiste nel dividere a per p, verificando che il resto è O. Ma esistono talora metodi più rapidi che adesso descriviamo. Chiaramente possiamo assumere a,p > O. Esempio 2.8.1 Vogliamo controllare se 41257 è divisibile per 3. Ricordiamo che 41257 = 7 + 5 . lO + 2 . 10 2 + 1 . 10 3 + 4 . 10 4 •

Inoltre lO

dunque

10 k

==

1k

==

1 (mod3)

== 1 (mod3) per ogni

k E N.

Allora

41257 == 7 + 5·1 + 2·1 + 1 ·1 + 4·1 = 7 + 5 + 2 + 1 + 4 = 19 (mod3). Ma 3 t 19, così 3 t 41257. Vediamo nei dettagli l'algoritmo usato nell'esempio precedente. 1. Calcolare le potenze di lO modulo p. 2. Fissato a, scrivere a secondo la rappresentazione in base lO

con O ~ aO,al, ... ,an ~ 9. 3. Calcolare a modulo p usando questa rappresentazione e punto 1.

risultati del

In questo modo si spiegano i criteri di divisibilità studiati alle scuole medie: ne ripresentiamo alcuni qui di seguito sotto questa nuova luce. Esempi 2.8.2

1. p = 2. Allora lO == O(mod2) e così lQk == O(mod2) per ogni k E N, k Così, per ogni a, a == ao (mod2) dove ao è la cifra delle unità di a, e

21a se e solo se 2lao, cioè se e solo se ao = 0,2,4,6,8.

> O.

2.8 Criteri di divisibilità

73

2. p = 5. Come già per 2, lO == O (mod 5) e cosÌ 10 k == O (mod 5) per ogni k E N, k > O. Di nuovo, per un dato a, a == ao (mod5) e 5[a se e solo se 5[ao, cioè se e solo se ao = O o ao = 5.

= 3. Come già osservato, == ao + ... + a n (mod 3), e

3. p

10 k

== 1 (mod3) per ogni k

3[a se e solo se 3[ao

E N. CosÌ ogni a è

+ al + ... + ani

in altre parole a è divisibile per 3 se e solo se lo è la somma delle sue cifre. 4. p = 11. Stavolta lO == -1 (mod11), cosÌ 10 k == (-l)k (mod11) per ogni k E N. Allora 10 k == 1 (mod11) se k è pari e 10 k == -1 (mod11) se k è

dispari. Segue che, per ogni a,

l1[a se e solo se l1[ao - al

+ a2

- a3

+ ... +

(-l)n an ;

dunque a è divisibile per 11 se e solo se lo è la differenza tra la somma delle sue cifre di posto pari e quella delle sue cifre di posto dispari. 5. p

= 7.

In questo caso lO == 3 (mod7), 2

10 == 9 == 2 (mod7). Moltiplicando membro a membro si ottiene 3

10 == 2 . 3

= 6 ==

-1 (mod 7),

104 == -3 (mod7), ... In particolare si ha che 7 divide un certo a se e solo se divide

Ad esempio, 7[41257 se e solo se 7[7 + 5·3 + 2·2 + 1 . (-1) + 4·4. CosÌ il criterio per p = 7 non è affatto utile, e non fa risparmiare gran tempo rispetto alla divisione diretta di a per 7. Del resto, difficilmente alle scuole si impara e si insegna questo procedimento. Esercizi 2.8.3

= 101 (si osservi in particolare che a è divisibile per 9 se e solo se lo è la somma delle sue cifre) . 2. Si stabilisca un criterio di divisibilità generale per 2n con n naturale positivo. l. Si stabiliscano dei criteri di divisibilità per 4, 9 e per il primo p

74

2 I numeri naturali

2.9 Un'altra applicazione: la prova del 9 Molti di noi conservano tra i remoti ricordi delle scuole elementari la prova del 9 adoperata per controllare la correttezza di varie operazioni tra interi, ad esempio della moltiplicazione. Oggi, con l'avvento dei calcolatori, l'uso di queste tecniche elementari sta scomparendo, perché si è sempre meno abituati a fare calcoli "a mano". Pur tuttavia vale la pena di cercare di capire il funzionamento di questa vecchia procedura. Ebbene, le proprietà delle congruenze ce ne chiariscono il meccanismo. Ricordiamo dapprima che nel caso della moltiplicazione la prova del 9 consiste nel prendere ciascun fattore, sommarne le cifre, e poi eventualmente le cifre della somma risultante e così via fino ad ottenere un valore minore di lO; a questo punto si moltiplicano i numeri così ottenuti da ciascun fattore; la somma delle cifre di questo prodotto deve coincidere con la somma delle cifre del risultato da controllare (sempre assumendo di iterare le somme delle cifre fino a che non si ottengono valori inferiori a lO). Facciamo un esempio: consideriamo il prodotto 371·4156 il cui risultato presunto da controllare è 1541875. Procedendo come appena descritto • • •

da 371 si ottiene 3 + 7 + 1 = 11 e poi 1 + 1 = 2, da 4156 si ottiene 4 + 1 + 5 + 6 = 16 e successivamente 1 + 6 = 7, da 1541875 si ottiene 1 + 5 + 4 + 1 + 8 + 7 + 5 = 31, da cui si ha poi 3 + 1 = 4.

A questo punto si esegue il prodotto 2 . 7 = 14, che ha come somma delle cifre 1 + 4 = 5, dunque un valore diverso della somma delle cifre del risultato presunto 1541875. Ne deduciamo che la moltiplicazione è sbagliata. Cerchiamo adesso di capire in base a quale meccanismo possiamo acquisire questa certezza. Il prodotto 371 . 4156 = 1541875, se corretto, vale anche modulo 9 e dunque implica 371 9 .4156 9

= 1541875 9 .

Ma modulo 9 371 == 3 + 7 + 1 == 11 == 1 + 1 == 2 (mod9) e, allo stesso modo, 4156 == 7 (mod9), 1541875 == 4 (mod9). Così, invece di 371 9 .4156 9 possiamo controllare ma in realtà

= 1541875 9 ,

2.10 Equazioni congruenziali

2 . 7 == 14 == 5

75

't- 4 (mod 9) ,

dunque il risultato 1541875 è sbagliato e va ricalcolato. In effetti si ha 371 . 4156 = 1541876, come anche la prova del 9 conferma, visto che

1541876 == 5 (mod9). Si noti però che la prova non ha affidabilità assoluta e può talora essere ingannevole. Ad esempio, l'eventuale errore 371·4156 = 1541885 non viene segnalato perché 1541885 è congruo 5 modulo 9 come il risultato esatto 1541876

1541885 == 1 + 5 + 4 + 1 + 8 + 8 + 5 == 32 == 3 + 2 == 5 (mod9). Finalmente è da osservare che una prova del 9 si potrebbe sostituire con una prova del 7, o del 13, o dell'H, o di qualunque altro numero ?: 2. 9 si fa preferire perché è più facile calcolare la classe modulo 9 dei fattori e del risultato, tramite la somma delle loro cifre, mentre le basi differenti da 9 sono assai meno maneggevoli. In realtà, anche la base 3 andrebbe bene al posto di 9, ma i resti modulo 3 sono solo O, 1, 2 e la possibilità che la prova modulo 3 non segnali errori effettivi aumenta sensibilmente rispetto al modulo 9.

2.10 Equazioni congruenziali In Z capita di affrontare equazioni come quella classica di secondo grado in una indeterminata x

ax 2

+ bx + c =

O con a, b, c E Z, a

i:- O,

o altre equazioni e sistemi di equazioni, per trovarne la soluzione. Abbiamo già accennato alle tecniche risolutive di queste equazioni, e avremo modo di approfondirle nuovamente nei prossimi capitoli. D'altra parte si possono considerare equazioni e sistemi di equazioni anche in Zm, alla ricerca delle loro soluzioni. Si parla allora di equazioni congruenziali. Un esempio è, appunto, l'equazione di secondo grado, che diventa ax 2

+ bx + c == O (modm)

con a, b, c E Z, m E N, m> O, a

't- O(modm).

Le sue soluzioni sono le classi di resti degli interi z per cui az 2

+ bz + c == O(modm).

Si noti che, se z E Z è soluzione, ogni intero congruo z modulo m è ancora soluzione. In modo analogo si introducono i sistemi di più equazioni in più incognite. Visto che c'è soltanto un numero finito di classi distinte di interi modulo m - quelle di O, 1, 2, ... , m-l-, un metodo rozzo di soluzione di questi sistemi consiste nel procedere per tentativi controllando quali tra questi m valori sono capaci di soddisfare tutte le uguaglianze coinvolte nei sistemi. Ma,

76

2 I numeri naturali

per m grande, il metodo non è efficace perché richiede un numero eccessivo di controlli. D'altra parte le tecniche che si applicano alle equazioni in Z non sempre si trasferiscono automaticamente alle congruenze modulo m. Ad esempio, sappiamo che, per a -::f- ±1, l'equazione a . x = 1 non ha soluzioni in Z (cioè a non ha inverso); ma l'equazione congruenziale

a . x == 1 (mod m) è senz'altro risolubile, purché (a, m) = 1. Ecco un altro caso in cui ridurre il nostro ambito modulo m produce qualche "anomalia".

Osservazione 2.10.1 Per ogni m > 0, (±1)2 == 1 (modm) cioè +1, -1 sono soluzioni di X2 == 1 (mod m) e dunque costituiscono radici quadrate di 1 modulo m. Non sempre però sono le uniche soluzioni. Per m = 8 (un numero non primo, dunque), 12 == 1 (mod8), 2

= 9 ==

1 (mod8), 52 == (_3)2 == 32 == 1 (mod8), 72 == (_1)2 == 12 == 1 (mod8), 3

cosÌ ci sono 4 valori distinti modulo 8, e cioè ±1, ±3, che risolvono tutti 1 (mod 8) e quindi formano le radici quadrate di 1 modulo 8.

X2

==

Vale però il seguente

Teorema 2.10.2 Siano p primo, a E Z tale che a 2 == 1 (modp). Allora a == + 1 (mod p) oppure a == -1 (mod p). Dunque ± 1 sono le uniche soluzioni di X2 == 1 (modp).

Dimostrazione. Sappiamo che pla 2 - 1 = (a - 1) . (a + 1). Ma p è primo, cosÌ per la Proposizione 2.5.9 pia - 1 o pia + 1. D Ecco un altro esempio di sistema congruenziale, con relativa soluzione. Stavolta anche il modulo m varia.

Teorema 2.10.3 (del resto cinese). Siano ma,ml, ... ,m n interi> 1 a due a due primi tra loro, e siano aa, al, ... ,an E Z. Allora esiste a E Z che soddisfa tutte le equazioni x == aj (mod mj) per j ::; n, cioè

a == aj (modmj) per ogni j::; n. Inoltre, per ogni b E Z, b soddisfa le suddette equazioni (cioè b == aj (modmj) per ogni j ::; n) se e solo se b == a (mod M) dove M = ma . ml ... m n .

2.11 Il Piccolo Teorema di Fermat

77

Dimostrazione. Per ogni j ::; n, sia qj = :::. Siccome mo, mI, ... ,m n sono a J due a due primi tra loro, per ogni j deve essere (qj, mj) = 1, cosÌ esistono per l'Identità di Bézout Sj, tj E Z per cui 1 = qj . Sj + mj . tj, e dunque

da cui segue

aj . qj . Sj == aj (modmj).

Sia ora a = L:i 2,

Ad esempio, per p

a p- l

= 7,

infatti si controlla facilmente

_

-

(a

p

)p-2 •

2.12 La

1. Definizione 2.12.1 t.p è la funzione di N- {O} in N- {O} che ad ogni m E N, m -::j:. O, associa il numero t.p(m) dei naturali s per cui 1 ::; s ::; m e (s, m) = 1. t.p è chiamata la funzione di Eulero. Esercizio 2.12.2 Si provi che, per ogni m> 1, t.p(m) è il numero delle classi di congruenza modulo m di interi primi con m. (Suggerimento: si ricordi che, per ogni intero a, se l' è il resto della divisione di a per m, allora (a, m) = 1 se e solo se (1', m) = 1; in particolare a è primo con m se e solo se l' lo è). Esempi 2.12.3 1. t.p(1) = 1. 2. È facile controllare t.p(2) = 1, t.p(3) = 2, t.p(5) = 4; in generale, per ogni p primo, t.p(p) = p-l; infatti tutti i naturali 1,2, ... ,p - 1 sono primi con p. 3. Per 4 = 22 , t.p(4) = 2, infatti ci sono 2 numeri tra 1 e 4 primi con 4 (1 e 3). Analogamente, per 8 = 23 , t.p(8) = 4 (i numeri tra 1 e 8 primi con 8 sono 1,3,5,7). Si noti ancora, per 9 = 3 2 , t.p(9) = 6 (i numeri tra 1 e 9 primi con 9, cioè con 3, sono 1,2,4,5,7,8). Ricapitolando, possiamo scrivere

t.p(2 2 )

= 21 . (2 - 1),

t.p(2 3 )

= 22 • (2 -

t.p(3

2

)

=3

1

.

1),

(3 - 1).

In effetti il risultato di questi esempi si può generalizzare: per m potenza di un primo p, si ha

t.p(m) = pk-l . (p - 1).

= pk

80

2 I numeri naturali

Infatti ci sono pk numeri tra 1 e pk e, siccome p è primo, quelli tra loro che non sono primi con p sono i multipli di p p= l.p,2.p,3.p, ... ,pk-l. p (=pk), dunque sono pk-l. Segue t.p(pk) = pk _ pk-l = pk-l . (p _ 1). 4. Si può controllare facilmente che t.p(6) = 2, t.p(1O) = 4, t.p(15) = 8, risultati che si possono anche esprimere cosÌ t.p(2 ·3) = 1·2 = t.p(2) . t.p(3) , t.p(2· 5) = 1·4 = t.p(2) . t.p(5) , t.p(3· 5) = 2·4 = t.p(3) . t.p(5). A quest'ultimo proposito vale la seguente Proposizione 2.12.4 Siano a, b inteTi positivi tali che (a, b)

t.p(a· b)

= t.p(a)

= 1.

Allora

. t.p(b).

Dimostrazione. t.p( a . b) è il numero degli interi compresi tra 1 e a . b e primi con a· b, ovvero primi tanto con a quanto con b, visto che (a, b) = 1 e dunque a, b non hanno divisori non banali comuni. Distribuiamo tutti gli interi tra 1 e a . b su b righe e a colonne nel modo che segue: 1 b+ 1 2 b+ 2

k· b + 1 k· b + 2

(a-l)·b+l (a-l)·b+2

T

b+ T

k· b+ T

(a-l)·b+T

b

2b

(k+l)·b

a·b

Dunque T varia da 1 ab, k da O a a-l. Selezioniamo in questa tabella anzitutto gli interi primi con b e poi, tra i sopravvissuti, quelli che sono anche primi con a. Cominciamo con b. Notiamo che per 1 ::; T ::; b tutti gli elementi della riga di T hanno lo stesso resto di T nella divisione con b; dunque, se (T, b) = 1, tutti gli elementi della riga di T sono primi con b; altrimenti nessuno lo è. Osserviamo poi che i numeri T tra 1 e b che sono anche primi con b sono t.p(b) , per la definizione stessa di t.p. Concludiamo che, nella nostra tabella, gli elementi primi con b si distribuiscono su t.p(b) righe, corrispondenti ai valori T tali che (T,b) = 1. Passiamo adesso a calcolare quanti elementi su queste righe sono anche primi con a. Osserviamo che elementi distinti di una stessa riga sono complessivamente in numero di a e hanno resti distinti nella divisione per a. Infatti, per

2.12 La

1, si decompone m in fattori primi m = p~o . p~' ... p:t con PO,Pl, .. ·Pt a due a due distinti, k o , k l , ... , kt interi positivi. Si ricorda , . . t ra loro, e SI. d e d uce ch e Poko ,Plk , ... ,Ptkt sono a d ue a d ue pnml

In notazione più sintetica, per m = ITj O. Ammettiamo che %::; ~. Si provi che, allora, %+ ~ + e, se e 2: o, %. ~ 2. Si deduca che in Q somme e prodotti di elementi non negativi (cioè 2: O) restano non negativi. Si mostri anche che somme e prodotti di elementi positivi (cioè> O) restano positivi. 3. Si provi che in Q nessun quadrato, e nessuna somma di quadrati, può essere negativo. Anzi una somma di quadrati, dei quali almeno uno non è nullo, deve essere positiva.

7 ::;

7

7 ::; . 7'

94

3 Razionali, reali, complessi e quaternioni

Finalmente accenniamo ad una possibilità alternativa di rappresentare i numeri razionali. Consideriamo ad esempio ~. Si rappresenta anche come 150 e in questo senso si può anche esprimere con lo sviluppo decimale finito 0,5. Ogni razionale ha una rappresentazione analoga, che determina uno sviluppo decimale talora finito, come nel caso di ~, talora infinito periodico, come mostrato dai seguenti esempi: • •



~ diventa 0, 3333 ... che si sintetizza 0,3: dopo la virgola, la cifra 3 si ripete indefinitamente; 1 3 0 diventa 0,0333 ... = 0,03: dopo la virgola, c'è uno di anticamera, dopo di che inizia il periodo 3 che si ripete infinitamente; ~ si scrive 0,142857142857142857 ... con un periodo più lungo 142857.

°

3.3 Reali L'introduzione dei numeri reali ha motivazioni più complicate e profonde di quelle che portano alla costruzione dei razionali, e risulta anche assai più elaborata. La accenniamo procedendo ancora in modo "ingenuo" e talora impreciso. Ammettiamo allora di voler risolvere la questione che segue. Problema Sono dati • •

una retta r, una coppia di punti distinti

a

a,

U su r.

a

e U determinano una orientazione di r (da verso U, appunto) e un segmento unità di misura au. Vogliamo allora assegnare ad ogni punto P di r una sua ascissa, e cioè una misura con segno ± al segmento a P. È facile allora trovare su r



°

punti P ad ascissa intera: infatti corrisponde a a, 1 a U, 2 al secondo estremo del segmento che duplica au dalla parte di U, -1 al punto simmetrico di U rispetto ad a, e cosÌ via;

-1

a

U

o

1

2

r

Figura 3.1. Retta reale



punti ad ascissa razionale (in aggiunta a quelli che hanno già ascissa intera): infatti, se prestiamo fede a quello che si chiama Postulato della Divisibilità, per ogni intero positivo n si può determinare un punto N su r tale che la lunghezza di au è n volte quella di aN, dunque N ha ascissa ~; è immediato allora ricavare su r anche punti di ascissa ~ per ogni intero m (e del resto abbiamo visto nel paragrafo 3.2 come costruirli effettivamente) .

3.3 Reali

u

o I

I

I

I I I

I

I

I

-1 -J{ O Y; J{% 1 li,' 2

-2

95

r

Osservazioni 3.3.1

1. Possiamo ammettere che i punti di ascissa razionale siano "densi" in l, nel senso che, se P e Q sono su I e P precede Q secondo la orientazione fissata su " allora c'è qualche punto intermedio T che segue P, precede Q e ha ascissa razionale:

o I o

U

P

1

Q

T

I

I

I~

I

r

2. D'altra parte ci sono punti di I privi di ascissa razionale. Ad esempio, consideriamo il punto P 1 che si ottiene costruendo il quadrato di lato OU, tracciando poi la circonferenza che ha centro O e raggio la diagonale di questo quadrato, intersecando finalmente questa circonferenza con I dalla parte di U. Per il Teorema di Pitagora, la lunghezza x di O P1 , dunque la ascissa di P1 , soddisfax 2 = 12 + 12 = 2. Ma nessun numero razionale ~ possiede questa proprietà. Altrimenti si deduce tra gli interi l'uguaglianza m 2 = 2 . n 2 , dove il fattore primo 2 compare a sinistra un numero pari di volte (il doppio delle sue occorrenze come divisore di m) e a destra un numero dispari di volte (il doppio delle sue occorrenze come divisore di n, più una ancora): ma questo contraddice l'unicità della decomposizione in fattori primi di m 2 = 2· n 2 . Dunque il punto P 1 costruito nel modo sopra descritto non può avere ascissa razionale; l'osservazione era già nota agli antichi Greci e viene anzi attribuita alla stessa scuola di Pitagora.

o

l J2

2

Figura 3.2. Irrazionalità di

r

V2

3. Del resto, nessun intero positivo a che non sia un quadrato in Z può esserlo in Q. Dunque quanto appena osservato per a = 2 si estende ad a = 3, 5, 7, 8, lO, ... , 15, 17, e via dicendo: nessuno di questi valori è un quadrato in Q. Il lettore può cercare di provarlo per esercizio. D'altra parte, la

96

3 Razionali, reali, complessi e quaternioni

geometria euclidea ci insegna come costruire un segmento che è lato di un quadrato di area a: basta prendere l'altezza relativa all'ipotenusa di un triangolo rettangolo in cui le proiezioni dei cateti sull'ipotenusa misurano 1 e a. Se disponiamo questo segmento sulla retta r con un estremo in D dalla parte di U, il suo secondo estremo ha ascissa x che soddisfa, appunto, X2 = a e quindi non può essere razionale. 4. Alternativamente, riportiamo su r a partire da D secondo la orientazione scelta su r un segmento tanto lungo quanto la semi circonferenza di raggio DU. Sia P2 il secondo estremo di questo segmento. Allora P2 non ha ascissa razionale. Ricordiamo infatti che la ascissa di P 2 , cioè il rapporto tra la lunghezza della semicirconferenza e il suo raggio, è in genere indicato con la lettera greca 7r. I Greci osservarono anche che 7r non dipende dalla lunghezza del raggio e dalla conseguente lunghezza della circonferenza, è dunque costante per ogni circonferenza. Tuttavia il fatto che 7r non può essere un numero razionale fu provato solo molti secoli dopo gli antichi greci. Chi ci riuscì fu Johann Lambert, matematico del settecento che operò a Berlino con Eulero. Lambert usò per la sua dimostrazione idee e tecniche assolutamente innovative, e certamente sconosciute ai greci. Infatti provò in generale che, se a è un numero razionale non nullo, allora la tangente di a non può essere razionale. Applicando questo risultato ad a = ~ che ha tangente razionale 1, dedusse che ~ e conseguentemente 7r non sono razionali. In definitiva l'insieme Q dei razionali è insufficiente a garantire una ascissa ad ogni punto di r. Per raggiungere questo obiettivo occorre introdurre un più ampio insieme numerico. Riprendiamo comunque il riferimento al punto P 1 la cui ascissa (positiva) x deve soddisfare X2 = 2 e quindi non può essere trovata tra i razionali. Tuttavia x si approssima anzitutto tra i razionali 1 e 2, visto che 12 = 1

1, d(V3) > 2 e via dicendo, fino a concludere d( v n ) > n-l, il che è impossibile perché V n può essere al più collegato con gli altri n-l vertici del grafo. Se invece d(Vl) = 0, si deduce comunque allo stesso modo d( v n ) > n - 2, e questo è ugualmente impossibile perché V n è al più collegato a n - 2 vertici V2, ... , Vn-l (infatti Vl non è adiacente a nessun vertice). D Definizione 4.2.18 Siano G = (V, L) un grafo, u, w E V. Si dice cammino (finito) di G tra tra u e w una sequenza finita a = (h, l2, ... ,lm) di lati h, l2, ... , lm di L a due a due distinti tali che, per ogni i < m, li+ l è consecutivo a li. Così ci sono vertici Vo, Vl, V2, ... ,Vm di V tali che u = Vo, w = Vm e, per ogni = 1, ... ,m, li = {Vi-l, V;}. m si chiama la lunghezza del cammino. Va ribadito che la definizione di cammino esclude l'eventualità che uno stesso lato compaia due o più volte tra h, ... ,lm; consente tuttavia che uno stesso vertice ricorra più di una volta tra vo, ... ,V m come estremo di due o più lati distinti.

i

4.2 Grafi e multigrafi

121

Ammettiamo poi anche il caso m = O, cioè la possibilità di un cammino che partendo da u si esaurisca subito in u = w senza percorrere alcun lato: lo chiameremo cammino nullo (o di lunghezza zero) con origine u. Naturalmente può capitare che u coincida con w, cioè che si abbia Vo = Vm , anche in cammini di lunghezza m > O: in tal caso la sequenza o: è detta un circuito. Quindi un circuito è un cammino che, partendo da un vertice, attraversa un certo numero di lati distinti e infine ritorna al vertice di partenza. Si noti che un circuito deve contenere almeno 3 lati (perchè?). Definizione 4.2.19 Un grafo G = (V, L) si dice connesso se per ogni coppia di vertici distinti u, v E V esiste un cammino tra u e v. Allora il grafo dell'Esempio 4.2.2 non è connesso, perchè il vertice V5 non è collegato ad altri vertici. Però, se eliminiamo V5, il sottografo che si ottiene (composto dai 4 vertici VI, V2, V3, V4 e dai lati che li hanno per estremi) è connesso. Esercizio 4.2.20 Un grafo completo è connesso? E uno regolare? In generale, per ogni grafo G = (V, L) si può considerare la relazione binaria '" in V tale che, per ogni scelta di u e v in V, vale u '" v se e solo se c'è un cammino - eventualmente nullo - tra u e v. Esercizio 4.2.21 Si provi che'" è una relazione di equivalenza in V (suggerimento: le proprietà riflessiva e simmetrica sono immediate, ma si faccia attenzione alla proprietà transitiva: i lati di un cammino devono essere a 2 a 2 distinti!). Così '" determina una partizione di V in classi di equivalenza tra loro disgiunte. Ognuna di queste classi C - in quanto sottoinsieme di V - genera un sottografo di G, come spiegato dopo la Definizione 4.2.10. Questo sottografo è evidentemente connesso perchè tutti i punti di C sono tra loro equivalenti e dunque sono collegati a 2 a 2 da cammini di G. Inoltre non è possibile ampliare C con nuovi vertici in V - C senza pregiudicare questa proprietà di connessione, perchè i punti di V - C non sono equivalenti in '" a quelli di C e quindi non possono esserci cammini tra vertici di C e vertici fuori di C. Le classi di equivalenza di '" si chiamano allora componenti connesse di G: ognuna di esse è un sottografo connesso di G che non si può estendere mantenendo la proprietà di connessione. Ogni vertice v di V fa parte di una e una sola componente connessa di G, che indichiamo Cv. Esempio 4.2.22 Sia dato il grafo G = (V, L) con 7 vertici altrettanti lati h, ... ,h rappresentato dalla figura che segue.

VI, ... , V7

e

122

4 Grafi e multigrafi

G Vl e V4 appartengono alla stessa componente connessa di G, perchè ci sono addirittura due cammini che li collegano, rispettivamente al = (h, 12 ,1 3 ) e a2 = (1 4 , h). Ma il grafo non è connesso perchè, ad esempio, non esiste alcun cammino che collega V2 a V6; in effetti è ben visibile che G è composto da due componenti connesse, l'una composta dai vertici Vl, V2, V3, V4, l'altra da V5, V6, V7·

Teorema 4.2.23 Siano G = (V, L) un grafo finito, 6 G. Allora valgono le seguenti condizioni:

> O il grado minimo di

1. G contiene un cammino di lunghezza 2': 6; 2. se 6 2': 2, allora G contiene un circuito di lunghezza 2': 6 + 1. Dimostrazione. Sia a = (h, 12 • •• ,1 m ) un cammino di G di lunghezza m massima. Per 1 ::; i ::; m indichiamo con Vi-l e Vi i due estremi di li. Osserviamo che, per ogni vertice v adiacente a Va, il relativo lato l = {v, va} deve comparire già in a, altrimenti (l, Il, ... , 1m ) contraddice la massimalità di m. Conseguentemente ogni vertice v adiacente a Va è tra Vl, ... , Vm . Quindi m 2': d(va) 2': 6. Sia poi 6 2': 2. Riferiamoci ancora al cammino a = (h, ... , 1m ) di lunghezza m massima in G e, per ogni i = 1, ... ,m, agli estremi Vi-l e Vi di l;. Sia k il massimo degli indici j ::; m per cui {va, Vj} E L. Ovviamente k 2': 1. Inoltre sappiamo che tutti i vertici adiacenti a Va sono tra Vl, ... ,Vm e quindi, per la definizione di k, tra Vl , ... , Vk; segue che k 2': 6 2': 2. Finalmente l = {Vk, va} E L, quindi (h, ... , l k, l} risulta essere un circuito di lunghezza k + 1 2': 6 + 1 in

G.

D

Il disegno di un grafo è strumento utile per facilitarne la comprensione, ma nulla di più. Infatti la disposizione su un foglio dei vertici di un grafo è puramente arbitraria e può succedere che collocazioni differenti dei vertici portino a rappresentazioni visive differenti della stesso grafo, o facciano sembrare strutturalmente distinti grafi che non lo sono.

4.2 Grafi e multigrafi

Esempio 4.2.24 I due grafi C = (V, L), CI stella e un pentagono)

123

(VI, LI) sotto riportati (una

VI

UI

G

G'

hanno entrambi 5 vertici e 5 lati, ma paiono chiaramente diversi. Eppure proviamo a muovere il vertice V2 di C verso sinistra, tra V5 e V4, accompagnandolo con i lati che lo contengono. Otteniamo

Un analogo movimento di disegno

Vl

verso il basso, tra

V4

e

V3,

determina il nuovo

124

4 Grafi e multigrafi

che è del tutto somigliante a quello di G I • Per la precisione, la funzione V in VI tale che

f

di

è una corrispondenza biunivoca tra V e VI e inoltre preserva i lati di L e LI, ad esempio collega il lato {vI,vd di L al lato {U3,U2} di LI, e via dicendo. In generale si pone: Definizione 4.2.25 Due grafi G I = (VI, Ld, G 2 = (V2 , L 2 ) si dicono isomorfi se esiste una biiezione f : VI ---+ V2 tale che, per ogni scelta di u, v E VI, si ha {u,v} E LI se e solo se {f(u),f(v)} E L 2 .

f

si dice isomorfismo di G I su G 2 •

Un isomorfismo f tra due grafi finiti G I = (VI,Ld e G 2 = (V2 ,G 2 ) conserva in particolare il numero dei vertici e dei lati, oltre che l'adiacenza tra vertici. Di conseguenza l'isomorfismo tra grafi manda sottografi in sottografi. Inoltre, per ogni v E VI, dc, (v) = dc2 (f(v)): in altre parole, f preserva anche il grado di vertici corrispondenti. Esercizio 4.2.26 Si provi che due grafi finiti costituiti esclusivamente da vertici isolati sono isomorfi se e solo se hanno lo stesso numero di vertici.

Si noti poi che, per ogni intero positivo n, esiste a meno di isomorfismi un unico grafo completo di n vertici: in altri termini due grafi completi di n vertici sono tra loro isomorfi. Infatti c'è una corrispondenza biunivoca tra gli insiemi dei loro vertici, e questa corrispondenza preserva anche i lati, visto che in un grafo completo ogni coppia di vertici distinti è collegata da un lato. Dunque è lecito indicare con un simbolo apposito Kn l'''unico'' grafo completo con n vertici (come ab biamo già accennato qualche pagina fa). Esercizi 4.2.27 1. Si provi che, per n ::; m, Kn è sottografo di Km. 2. Si controlli se i seguenti grafi sono isomorfi .

• •

4.2 Grafi e multigrafi

125

3. Non è detto che due grafi con lo stesso numero di vertici e lo stesso numero di lati siano isomorfi: come esercizio si fornisca un controesempio al riguardo. Definizione 4.2.28 Dato un grafo G = (V, L) chiamiamo grafo complementare di G il grafo G ' = (V, L') dove, per u, v elementi distinti di V, {u, v} E L' se e solo se {u,v} L.

rt

Per esempio i due grafi di seguito riportati sono l'uno il complementare dell'altro. V __ 2 - - - - _ V3

G'

G

Si osservi anche che il complementare di un grafo completo è costituito esclusivamente da vertici isolati. Vale inoltre il seguente risultato. Proposizione 4.2.29 Siano G = (V, L) un grafo finito di n vertici e G' = (V, L') il suo complementare. Se v E V, allora n = dc (v) + dc, (v) + 1.

Dimostrazione. Sia v E V. I vertici che non sono adiacenti a v in G lo sono in G' . Dunque tutti gli n-l vertici di V diversi da v sono adiacenti a v in G o in G' . Quindi la somma dei gradi di v nei due grafi è n-L D Esercizio 4.2.30 Si provi che se due grafi sono isomorfi allora anche i loro complementari lo sono. Fino a questo momento non abbiamo preso in considerazione la possibilità che tra due vertici distinti di una grafo possa esistere più di un lato che li colleghi, ma lo stesso problema dei ponti di Konigsberg e il "grafo" ad esso relativo c

d

b

126

4 Grafi e multigrafi

suggeriscono di valutare questa ulteriore eventualità. Sembra dunque ragionevole proporre una generalizzazione della nozione di grafo in cui sia possibile che due vertici distinti possano essere uniti anche da più lati. Nasce cosÌ il concetto di multigrafo, che adesso presentiamo in dettaglio. Definizione 4.2.31 Un multigrafo (non orientato) G è una tripla (V,L, O se f(i) < f(j)

.. Z-J

Notiamo che, siccome f è iniettiva, quando i varia tra 1, ... , n, anche f(i) descrive tutti i valori tra 1, ... ,n (e lo stesso vale per j e f (j)). Quindi

II

i - j

l 0, (1, q, +) è ciclico. Infatti 1,q coincide con l'insieme dei multipli della classe lq di 1 modulo q, 1, q = (lq). In generale, per ogni a E 1"

5.3 Un assaggio di Teoria dei gruppi

7l q

= (a q )

se e solo se (a, q)

181

= 1.

Infatti vale 7l q = (a q) se e solo se lq = m . a q per qualche intero m; è facile verificare che m . a q = mq . a q = (m· a)q. Allora 7l q = (a q) se e solo se 1 == m . a (modq) per qualche intero m, e dunque se e solo se esistono m, n E 7l tali che 1 = m· a + n· q. Ma sappiamo che quest'ultima affermazione equivale a dire (a, q) = 1. Ad esempio, per q = 8, (7l 8 , +) è generato da 18 , 38 , 58, 78 . 3. Nel gruppo (lE.*, .) il sottogruppo S = { -1, + I} è ciclico. Chi lo genera è -1, infatti (-1)2 = 1. CosÌ S = {(-1)°,(-1)1}. Dunque S "assomiglia" a (7l 2 , +). Invece lE.>o non è ciclico (perché?).

4. Nel gruppo moltiplicativo (C*,·) dei complessi non nulli, sottogruppo di 4 elementi (i) = {±1, ±i}; infatti

genera un

CosÌ (i) = {iO, il, i 2, i 3 }. L'altro possibile generatore di questo gruppo è -i. Si noti una qualche "somiglianza" con (7l 4 , +). Notiamo che ±i, ±1 costituiscono le 4 radici quarte dell'unità in C (cioè le soluzioni di x 4 = 1 in C). 5. Sappiamo che, più in generale, C contiene per ogni n 2': 1 esattamente n radici n-me di 1. Per la precisione, se poniamo 27r (n = cosn

27r

+ sen- i, n

allora le radici n-me di 1 in C sono 1, (n, (;, (~, ... , (;:-1. Inoltre (;: = 1. CosÌ le n radici n-me di 1 in C formano un sottogruppo ciclico C n del gruppo moltiplicativo (C*,·) dei complessi non nulli. Una radice n-ma di 1 in C si dice primitiva se genera o,

S'

= {-1,+1}.

Allora (S U S') eguaglia l'intero gruppo lR*, perché ogni reale non nullo è prodotto di un reale positivo e di ± 1. Invece S n S' = {l} 3. Nel gruppo (additivo!) degli interi (Z, +) consideriamo due sottogruppi S = mZ,

S' = nZ

con n, m interi non nulli.

Allora S n S' è l'insieme dei multipli tanto di m quanto di n, dunque coincide con [m,n]Z (dove [m,n] è il minimo comune multiplo di m,n). Invece (S U S') coincide con l'insieme delle somme di due addendi, l'uno in S, l'altro in S', dunque con gli elementi mx + ny con x, y E Z. Il lettore può controllare che in questo modo si ottiene (m,n)Z (dove (m,n) è il massimo comun divisore di m, n). Il lettore determini anche S n S' e (S U S') quando S o S' coincide col sottogruppo nullo {O} di Z. 4. Per n ?: 3, Dn è il sottogruppo di

Sn

generato dai due elementi

0n,

(3n.

5. Il gruppo quaternionico di ordine 8 coincide col sottogruppo generato da Z,

J.

5.6 Classi laterali

191

5.6 Classi laterali Siano (G,·) un gruppo, S un suo sottogruppo. In G consideriamo la seguente relazione binaria =5: per ogni scelta di a, bE G, a =5 b se e solo se a . b- 1 E S. =5 è una relazione di equivalenza in G, infatti si ha:

• • •

per ogni a E G, a =5 a (perché a· a-l = le ES); per ogni scelta di a, b E G, se a =5 b allora b =5 a (infatti se a . b- 1 E S, allora S contiene anche (a· b- 1 )-1 = (b- 1 )-1 . a-l = b. a-l); per ogni scelta di a, b, c E G, se a =5 b e b =5 c, allora a =5 c (infatti se a·b- 1 E Se b·c- 1 E S, allora S contiene anche il prodotto (a·b- 1 )·(b·c- 1 ) = a· b- 1 . b· Cl = a· C-l).

Così =5 determina una partizione di G in classi di equivalenza. Cerchiamo di capirne la natura. Definizione 5.6.1 Per ogni a E G, sia Sa l'insieme dei prodotti s . a per s che varia in S Sa = {s· a: sE S}; Sa si dice classe laterale destra di a in G rispetto a S. Proposizione 5.6.2 Per ogni a E G, al=s = Sa.

Dimostrazione. Sia b E G tale che b E al=s' cioè b =5 a; allora b· a-l E S e dunque b = b· a-l. a E Sa. Viceversa sia b E Sa, quindi b = s . a per qualche sE S. Allora b· a-l = s E S, dunque b =5 a e b E al=s. D Allora, per ogni scelta di a, bE G, a

=5

b se e solo se Sa = Sb.

Notiamo che tra le classi laterali destre di Sin G c'è anche Sle = S. Inoltre, ribadiamo che, per ogni a E S, a E Sa (perché a = le· a con le E S, oppure perché a E al=s e al=s = Sa). In modo analogo si può definire una seconda relazione di equivalenza 5= in G: per ogni scelta di a, bE G,

a 5= b se e solo se a-l. bES. Si verifica come prima che, per ogni a E G, la classe di equivalenza di a rispetto a 5= è aS = {a . s : s E S} (la classe laterale sinistra di a rispetto a S). In particolare le I=s = IcS = S. Quanto abbiamo fatto sin qui in astratto in questo paragrafo generalizza in realtà un esempio che conosciamo bene: quello delle relazioni di congruenza tra interi.

192

5 Gruppi e permutazioni

Esempio 5.6.3 Sia infatti (Z, +) il gruppo additivo degli interi. Consideriamo un suo sottogruppo S. Sappiamo che S ha la forma qZ con q intero non negativo. Assumiamo q -I- O. Allora, per ogni scelta di a, bE Z, si ha: • •

a =5 b se e solo se a - b E qZ cioè se e solo se q divide a - b, quindi se e solo se a b (mod q); a 5= b se e solo se -a + b E qZ cioè se e solo se q divide -a + b, quindi di nuovo se e solo se a b (mod q).

=

=

Così, in questo caso, =5 e 5 = coincidono tra loro e con la relazione di congruenza modulo q. Inoltre, per ogni a E Z, • •

qZ + a (la classe laterale destra di a in Z rispetto a qZ), a + qZ (la classe laterale sinistra di a in Z rispetto a qZ)

coincidono tra loro e con la classe di resti di a modulo q. Esercizio 5.6.4 Siano (G,·) un gruppo abeliano, S ::; G. Si provi che, allora, =5 e 5= coincidono. Inoltre, per ogni a E G, Sa = aS.

Mostriamo altri esempi. Esempi 5.6.5 1. Consideriamo il gruppo simmetrico Sn (n 2: 2) e il sottogruppo alterno An. Per j,g E Sn, si ha

j =A n g se e solo se j o g-l E An, quindi se e solo se 1 = o g-l) = c(f). c(g)-l, in definitiva se e solo se j,g hanno la stessa parità.

E.(f

Anche per An = vale la stessa caratterizzazione: per j,g E Sn, j =A n g se e solo se c(f) = c(g). Così, per j E Sn,

An j

=j

An

= {g

E

Sn : g ha la stessa parità di j}.

Si hanno allora due classi laterali (contemporaneamente destre e sinistre): An (la classe delle permutazioni pari), Sn - An (quella delle permutazioni dispari). 2. Nel gruppo (lR*,·) consideriamo il sottogruppo lR>o. Allora, per a, bE lR*, a =IR>o b se e solo se a· b- 1 E lR>o, e cioè se solo se a, b hanno ugual segno.

Lo stesso vale per IR>O=; del resto lR* è abeliano. Così, per a E lR, lR>o a = alR>o è l'insieme dei reali che hanno lo stesso segno di a. Si hanno di nuovo due classi laterali (destre e sinistre): lR>o e il suo complemento, cioè l'insieme dei reali negativi. 3. Consideriamo ancora (lR*,·) ma stavolta riferiamoci a A = {-I, + I}. Allora, per a, b E lR* ,

5.6 Classi laterali

193

a =s b se e solo se a = ±b. Lo stesso vale per s=. Così, per a E ]R*,

Sa

= aS = {+a, -a}.

Si hanno allora infinite classi laterali (contemporaneamente destre e sinistre) . 4. Sia G = S3 = D3 il gruppo delle permutazioni su 3 oggetti, ovvero il gruppo diedrale di grado 3. Sappiamo

G

=

{id,a,a 2 ,,8,a o ,8,a 2 o,8}

dove a,,8 abbreviano qui a3,,83 e quindi denotano rispettivamente le seguenti permutazioni, l'una a = (123),

.

1

2

Figura 5.6.

Cl'

= (123)

e l'altra ,8 = (23).

1

3

..

l l

• l l l l l l l l l l l l

2

l

Figura 5.7. (3 = (23)

In particolare a 3

= ,82 = id, ,8 o a = a 2 o ,8.

Sia ora S = (,8) = {id,,8}. Cerchiamo le classi di equivalenza di =s e s= in G, cioè le classi laterali destre e sinistre di S in G. Quelle destre in G sono

S = {id,,8}, Sa 2

=

Sa = {a,,8 o a} = {a,a 2 o ,8}, {a 2 ,,8oa2 }

=

{a 2 ,a o ,8}.

194

5 Gruppi e permutazioni

Invece quelle sinistre sono

Si deduce che, in questo caso, Sa -I- aS e S a 2 -I- a 2 S; Sa, S a 2 non sono neanche classi laterali sinistre, né aS, a 2 S sono classi laterali destre. Se invece S' = (a) = {id, a, a 2 }, allora S' ha due classi laterali sinistre che coincidono con quelle destre: una è S', l'altra G - S'. Lemma 5.6.6 Siano (G,·) un gruppo, S ::; G. Due classi laterali (destre o sinistre) di S in G sono in corrispondenza biunivoca.

Dimostrazione. Per ogni a E G, la moltiplicazione a destra per a è iniettiva e trasforma S su Sa; così S e Sa sono in corrispondenza biunivoca. Allo stesso modo, per ogni bE G, la moltiplicazione a sinistra per b è iniettiva e trasforma S su bS; cosÌ S e bS sono in corrispondenza biunivoca. A questo punto due classi laterali arbitrarie (destre o sinistre) sono in corrispondenza biunivoca tra loro perché ciascuna lo è con S. D Lemma 5.6.7 Siano (G,·) un gruppo, S ::; G. Allora esiste una corrispondenza biunivoca tra l'insieme delle classi laterali destre e quello delle classi laterali sinistre di S in G.

Dimostrazione. Associamo che ad ogni classe laterale destra Sa (con a E G) la classe laterale sinistra a - l S. Si ottiene cosÌ una funzione dall 'insieme della classi laterali destre in quello delle classi laterali sinistre di S in G perché, per ogni scelta di a, bE G, se Sa = Sb, allora è a· b- 1 E S, cioè (a- 1 )-1. b- 1 E S, dunque a- 1 S = b- 1 S. Sia cp la funzione cosÌ definita; cp è suriettiva perché, per ogni a E G, aS = cp(Sa- 1 ); cp è iniettiva perché, per ogni scelta di a, bE G, se vale a- 1 S = b- 1 S, allora si ha (a-I)-l. b- 1 E S, cioè a· b- 1 E S, dunque Sa = Sb. D

Esercizio 5.6.8 Perché non porre, più semplicemente, cp(Sa) = aS per ogni a E G? (Si rifletta sull'Esempio 5.6.5.4). Sia ora (G,·) un gruppo finito, e sia S ::; G. Il Lemma 5.6.6 ci dice che tutte le classi laterali (destre o sinistre) di S in G hanno lo stesso numero (finito) [SI di elementi. Il Lemma 5.6.7 ci assicura poi che il numero delle classi laterali destre coincide con quello delle classi laterali sinistre.

Definizione 5.6.9 Si chiama indice di S in G, e si indica [G : SI, il numero delle classi laterali destre (sinistre) di S in G.

5.6 Classi laterali

195

Teorema 5.6.10 (Lagrange). Siano (G,·) un gruppo finito, S ::; G. Allora

IGI = ISI ·IG : SI· In particolare [SI e [G : S[ dividono [G[.

Dimostrazione. =s determina una partizione di G in [G destre, ciascuna con [SI elementi.

S[ classi laterali D

Corollario 5.6.11 Siano (G,·) un gruppo finito, a E G. Allora l'ordine di a divide [G[; in particolare alai = lo.

Dimostrazione. L'ordine di a coincide con I(a) [, e, per G finito, coincide col minimo intero positivo q tale che a q = lo. Così la prima tesi è un caso particolare del Teorema di Lagrange. Circa la seconda tesi, si ponga [G[ = q·m per un opportuno m intero positivo; allora

D

Corollario 5.6.12 Sia (G, .) un gruppo finito di ordine p, dove p è un numero primo. Allora G è ciclico e non ha sottogruppi oltre {lo} e G.

Dimostrazione. La seconda tesi segue dal Teorema di Lagrange e dal fatto che gli unici divisori di p in N sono 1 e p. Sia ora a E G, a "I- lo; allora (a) "I- {lo}. Così (a) = G. D Joseph-Louis Lagrange fu matematico del 1700. Per la precisione nacque nel 1736 a Torino che a quei tempi faceva parte del Regno di Sardegna, e morì a Parigi nel 1813. C'è allora chi lo considera italiano, e chi lo ritiene francese. Diede contributi notevoli in vari settori della Matematica e della Fisica. Il suo teorema appena citato è semplice, ma utile nelle applicazioni. Ad esempio, permette di dedurre rapidissimamente il Piccolo Teorema di Fermat e la successiva generalizzazione di Eulero (di cui abbiamo parlato nel Capitolo 2) per m intero positivo. Applichiamolo infatti al gruppo moltiplicativo U(Zm) degli elementi invertibili modulo m (cioè delle classi modulo m di interi a primi con m). Sappiamo che questo gruppo ha ordine o, .) dei reali positivi. 4. Allo stesso modo lR>o è sottogruppo normale di (lR*,·) e il gruppo quoziente si riduce a due classi, quelli dei reali positivi (in particolare di +1) e quella dei reali negativi (e di -1). CosÌ il gruppo quoziente "assomiglia" a { -1, + l} - e comunque a ogni gruppo ciclico di ordine 2 -. Ma è tempo di specificare con precisione in che cosa consiste questa "somiglianza" più volte invocata.

5.8 Omomorfismi tra gruppi Definizione 5.8.1 Siano (G, '), (G',*) due gruppi. Una funzione f di G in G' si dice un omomorfismo di (G, .) in (G', *) se, per ogni scelta di a, b E G,

f(a· b) = f(a)

* f(b).

Un omomorfismo suriettivo è anche chiamato epimorfismo, e un omomorfismo iniettivo riceve anche il nome di monomorfismo. Finalmente un omomorfismo f che è anche una corrispondenza biunivoca si dice un isomorfismo di (G,·) su (G', *). Se c'è un isomorfismo di (G,·) su (G', *), si dice che (G,·) e (G', *) sono isomorfi, e si scrive di (G,·) ~ (G',*). Un omomorfismo di (G,·) in (G', *) è dunque una funzione di G in G' che preserva l'operazione di gruppo di G e G'. Ma f preserva allora anche gli elementi neutri e gli inversi. Si ha infatti: Proposizione 5.8.2 Sia f un omomorfismo di (G,·) in (G',*). Allora f(lc) 1c ' e, per ogni a E G, f(a- 1 ) = (f(a))-l.

=

5.8 Omomorfismi tra gruppi

199

Dimostrazione. Sia b E G, allora

i(b)

* lc'

= i(b) = i(b·

lc) = i(b)

* i(lc).

Dalla legge di cancellazione segue che lc' = i(lc). Se poi a E G,

i(a)

* i(a- l ) =

i(a· a-l) = i(lc) = lc'.

Così i(a- l ) = (f(a))-l.

D

Esaminiamo ora il caso di due gruppi (G,·), (G',*) che sono isomorfi. C'è allora una corrispondenza biunivoca tra G e G' (e quindi G, G', se finiti, hanno lo stesso numero di elementi), e questa corrispondenza biunivoca può essere scelta in modo da preservare l'operazione di gruppo in G e G'. Così G e G' possono essere superficialmente diversi (ad esempio i loro elementi e le loro operazioni possono avere nomi differenti, o simboli diversi a indicarli), ma, al di là di queste differenze esteriori, (G, .) e (G', *) sono strutturalmente lo "stesso" gruppo. Esercizio 5.8.3 Si provi che se i è un isomorfismo di (G,·) su (G',*) la funzione inversa i-l è un isomorfismo di (G', *) su (G, .). Definizione 5.8.4 Sia i un omomorfismo di (G,·) in (G',*). Si dice nucleo di i, e si denota con Ker i, l'insieme {a E G: i(a) = lc}. K er deriva dall'inglese kernel, che significa, appunto, nucleo. Si osservi che

K er i ::; G. Infatti:

(1) per ogni scelta di a, bE K er i, a· b E K er i, poiché

i(a· b) = i(a)

* i(b) =

lc'

* lc'

=

lc';

(2) lc E Ker i, perché i(lc) = lc'; (3) per ogni a E Ker i, a-l E Ker i, poiché i(a- l ) = (f(a))-l = le; = lc'. Anzi, Ker i è sottogruppo normale di G: infatti, per a E G e b E Ker i, er i, visto che

a . b . a - l appartiene ancora a K

i un omomorjismo di (G,·) in (G',*). Allora iniettivo se e solo se K er i = {lc}.

Proposizione 5.8.5 Sia

i

è

Dimostrazione. Sia i iniettivo, allora c'è un solo elemento a E G tale che i(a) = lc', e questo elemento non può che essere lc; cosÌ Ker i = {lc}. Viceversa, sia Ker i = {lc}, e siano a,b E G tali che i(a) = i(b); allora i(a· b- l ) = i(a) * (f(b))-l = lc' e a· b- l E Ker i; segue a· b- l = lc, cioè a = b. D

200

5 Gruppi e permutazioni

Esercizio 5.8.6 Sia I un omomorfismo di (G,·) in (G',*), e sia I(G) = {f(a) : a E G}. Si provi che I(G) è sottogruppo di G'. Si noti che I è suriettivo se e solo se questo sottogruppo I (G) eguaglia G'. Esempi 5.8.7 1. Per ogni gruppo (G, .), id e è un isomorfismo di (G,·) su (G, .).

2. Sia I la funzione di lE. in lE. tale che, per ogni a E lE., I(a) = [a[. Allora I non è un omomorfismo di (lE., +) in (lE., +): ad esempio

[2 + ( -1) [ = 1, ma [2[ + [ - 1[ = 2 + 1 = 3 ;F 1. Se restringiamo I a lE.* = lE. - {O}, otteniamo invece un omomorfismo di (lE.* , .) in (lE.* , .). Infatti, per a, b E lE.,

[a· b[ Si noti che

K er I = {a E lE.* : [a [ = I} = { -1, + 1};

in particolare

1(lE.*) = {a

= [a[ . [b[.

I

non è iniettiva. Infine a> O}.

I

non è neanche suriettiva, infatti

E lE.:

3. Sia poi g la funzione di lE.* in {-I, + I} che associa -1 ai reali negativi, + 1 a quelli positivi. g si chiama la funzione segno, ed è facile controllare che è un omomorfismo di lE.* su {-1,+1}. Kerg è lE.>o. 4. Sia

I

la funzione di lE. in lE.>o tale che, per ogni a E lE.,

Allora I è un isomorfismo di (lE., +) su (lE.> o , .) perché denza biunivoca e, per ogni scelta di a, b E lE.,

I

è una corrispon-

I(a + b) = 2a +b = 2a . 2b = I(a) ·I(b). Si determini l-l per esercizio, e si controlli che (lE.>o , .) su (lE., + ).

l-l

è un isomorfismo di

5. La funzione parità E: Sn -+ {-I, +1} è un epimorfismo del gruppo simmetrico Sn sul gruppo moltiplicativo ({-1,+1},·). Infatti, per I,g E Sn, E(f o g) = c(i) . c(g). Il nucleo di E è An (il che conferma che An è sottogruppo normale di Sn). 6. Fissiamo un intero positivo q e consideriamo la funzione Z / qZ tale che, per ogni a E Z,

I(a)

I

di Z su Zq =

= qZ + a.

Allora I è un omomorfismo di (Z, +) su (Zq, +): è evidentemente suriettiva e soddisfa, per ogni scelta di a, b E Z,

5.8 Omomorfismi tra gruppi

f(a

+ b)

Inoltre

= qZ

+ (a + b)

+ a) + (qZ + b)

= (qZ

K er f = {a E Z : qZ

+a=

= f(a)

201

+ f(b).

qZ} = qZ.

Nell'ultimo esempio qZ :9 Z e f è una funzione di Z sul gruppo quoziente Z / qZ che ad ogni intero a associa la sua classe laterale qZ + a. Possiamo generalizzare questo risultato osservando quanto segue. Proposizione 5.8.8 Siano (G,·) un gruppo, S un sottogruppo normale di G,7r la funzione di G su G/S tale che, per ogni a E G, 7r(a) = Sa. Allora 7r è un omomorfismo di G su G / S e K er 7r = S.

Dimostrazione. Per a, bE G, 7r(a·b) = S(a·b) = Sa·Sb = 7r(a) '7r(b); il nucleo di 7r è {a E G : Sa = 7r(a) = S} = S; finalmente, per ogni X E G/S, X è della forma Sa per qualche a E G, cosÌ X = 7r(a). D Diciamo che • •

7r

è l'omomorfismo naturale di G su G / S. CosÌ

ogni sottogruppo normale S di G è il nucleo, il corrispondente gruppo quoziente G / S è l'immagine

di qualche omomorfismo suriettivo che parte da G (7r, appunto). Ma, viceversa, per ogni omomorfismo f di G su qualche gruppo G', • •

il nucleo di f è sottogruppo normale di G, l'immagine di f è - a meno di isomorfismi - il relativo gruppo quoziente.

È questo, infatti, il contenuto del seguente fondamentale teorema. Teorema 5.8.9 (degli omomorfismi). Siano (G, '), (G ' ,*) due gruppi, f un omomorfismo di (G,·) su (G', *). Allora K er f :9 G ed esiste un isomor-

fismo h di (G / K er f, .) su (G', *) tale che, se G su G / K er f, allora h o 7r = f.

f

G

/

/

/

/

/

/.•

7r

è l 'omomorfismo naturale di

G'

// h

.

/

/

/

/

/

G/Kerf Figura 5.8. Il Teorema degli omomorfismi

202

5 Gruppi e permutazioni

Dimostrazione. Poniamo per semplicità K = K er f. Già sappiamo che K:9 C. Definiamo allora la seguente relazione h tra C / K e CI: h = {(Ka,f(a)): a

E

C}.

Notiamo che, per ogni a, b E C,

Ka = Kb se e solo se a·b- 1 E K, dunque se e solo se ICI = f(a·b- 1 ) f(a) * f(b)-l, e in conclusione se e solo se f(a) = f(b).

=

Così

• •

h è una funzione di C/K in CI: infatti f(a) = f(b) se a = b; possiamo allora porre, per ogni a E C, h(Ka) = f(a); h è iniettiva: infatti se h(Ka) = h(Kb), cioè f(a) = f(b), allora Ka = Kb.

Inoltre



h è suriettiva perché, per ogni al h(Ka);



h è un omomorfismo perché, per ogni scelta di a, b E C,

E

CI, esiste a

h(Ka· Kb) = h(K(a· b)) = f(a· b) = f(a)

E

C tale che al = f (a) =

* f(b)

= h(Ka)

* h(Kb).

Segue che h è un omomorfismo di (C / K, .) su (CI, *). Finalmente, per ogni a E C,

(h o 7f)(a) = h(7f(a)) = h(Ka) = f(a),

così h

o 7f

= f.

D

Esempi 5.8.10 1. Sia c la funzione parità di Sn in { -1, + 1}. Sappiamo che c è un epimorfismo e ha nucleo An. Segue che la funzione h da Sn/ An in { -1, + l} tale che, per ogni f E Sn, h(Anf) = c(f) è un isomorfismo di Sn/An su {-l, +l}. In questo senso il gruppo quoziente Sn/ An e il gruppo moltiplicativo { -1, + l} si assomigliano.

2. Sia f la funzione di lE.' in lE.>o tale che, per ogni a E lE., f(a) = la[. Sappiamo che f è un omomorfismo di (lE.* , .) su (lE.>o , .) di nucleo K er f = {-l, + l}. Segue che c'è un isomorfismo h di lE.* / {-l, + l} su lE.>o definito ponendo, per ogni a E lE.* ,

h(Ka) = la[. In questo senso il gruppo quoziente lE.* / { -1, + l} assomiglia al gruppo (lE.> o , .). 3. Sia g la funzione segno di lE.* su {-l, + 1 }. Sappiamo che g è un omomorfismo di nucleo lE.>o. Così c'è un isomorfismo h tra il gruppo quoziente lE./lE.>o e il gruppo {-l, + l} definito ponendo h (lE.>o ) = 1 e h(lE.* - lE.>O) = -1. In questo senso lE./lE.>o assomiglia al gruppo ciclico

{-l,+l}.

5.9 Automorfismi di un gruppo

203

Possiamo usare il Teorema degli omomorfismi per classificare finalmente in modo preciso i gruppi ciclici. Teorema 5.8.11 Sia (G,·) un gruppo ciclico. Allora (G,·) :::::: (Z,+) oppure (G,·):::::: (Zq,+) per qualche intero positivo q.

Dimostrazione. Sia a E G tale che G = (a). Consideriamo la funzione f di Z in G tale che, per ogni n E Z, f(n) = ano Allora f è suriettiva perché G è ciclico ed è generato da a; inoltre, per ogni scelta di n, m E Z,

f(n

+ m)

= a n+ m = a n . a m = f(n) . f(m).

Così f è un omomorfismo di (Z, +) su (G, -). In particolare K er f è sottogruppo normale di Z. Ma sappiamo che i sottogruppi di Z (tutti normali perché Z è abeliano) sono esattamente quelli della forma qZ per q intero non negativo. • •

Se q = 0, cioè Ker f = {O}, allora f è iniettiva e dunque è un isomorfismo: G è isomorfo a (Z, +). Se q> 0, dal Teorema degli omomorfismi segue che Zq = Z/qZ è isomorfo a (G, .) tramite la funzione h che, per ogni n E Z, è definita come D

Esercizi 5.8.12 1. Siano f un omomorfismo del gruppo (G,·) nel gruppo (G', *), a un elemento di G. Si provi che l'ordine di f(a) divide quello di a. Si mostri poi che i due ordini coincidono se f è un isomorfismo. 2. Si provi che il gruppo diedrale (D 4 ,·) e il gruppo quaternionico (Q, .), pur avendo lo stesso ordine 8, non possono essere isomorfi. (Suggerimento: in (Q, .), i, j sono elementi di ordine 4 né uguali né inversi, ma con uguale quadrato; vale nulla di analogo in (D 4 , .)?).

5.9 Automorfismi di un gruppo Definizione 5.9.1 Si dice endomorfismo di un gruppo (G,·) un omomorfismo f di (G,·) in (G,·) (dunque una funzione f di G in G che è anche un omomorfismo, cioè soddisfa

f(a· b)

= f(a)

. f(b) per ogni scelta di a, b E G).

Definizione 5.9.2 Si dice poi automorfismo di (G,·) un endomorfismo f di (G, .) che sia anche una corrispondenza biunivoca (dunque un isomorfismo f di (G, .) su (G, .) ) .

204

5 Gruppi e permutazioni

End( G, .) denota l'insieme degli endomorfismi di G e Aut( G, .) quello degli automorfismi di (G, .). Spesso scriveremo più sbrigativamente End(G) e Aut(G) per indicare End( G, .), Aut( G, .) rispettivamente. Chiaramente Aut(G) ç End(G). Inoltre Aut(G) è sottoinsieme di S(G) l'insieme di tutte le permutazioni di G -i ma S( G), rispetto alla composizione, è un gruppo. Si osservi allora: Proposizione 5.9.3 (Aut(G),o) è sottog'ruppo di (S(G),o).

Dimostrazione. Ci rifacciamo al criterio stabilito dal Teorema 5.3.4. È chiaro che ide E Aut(G). Siano poi f, g E Aut(G), allora, per ogni scelta di a, bE G,

(f

° g)(a· b) =

f(g(a· b)) = f(g(a)) . f(g(b)) = (f

° g)(a) . (f ° g)(b)i

dunque f ° g E Aut(G). Sia infine f E Aut(G), vogliamo provare che f- l E Aut(G): siano a, bE G, poniamo

rl(a)

= x,

cioè f(x)

= a,

f-l(b)

= y,

cioè f(y)

= bi

allora

f(x· y) = f(x) . f(y) = a· b, cioè

f-l(a· b) si conferma così

f-

l

E

= x· y = rl(a)·

f-l(b)i

Aut(G).

D

Esercizio 5.9.4 Sia f E Aut(G). Si provi che, per ogni a E G, a e f(a) hanno lo stesso ordine. Esempi 5.9.5 1. Sia a E G, consideriamo la funzione 'Pa di G in G tale che, per ogni x E G,

Allora 'Pa E Aut( G). Eccone la verifica. • 'Pa è iniettiva: sia y E G, ci chiediamo per quanti elementi x E G si ha y = 'Pa(x) = a·x·a-li ma, per questi elementi x, si ha necessariamente a-l. y . a = a-l. a . x . a-l. a = Xi così c'è al più un x E G per cui y = 'Pa(x), ed è x = a-l. y. a. • 'Pa è suriettiva: basta notare che, per ogni y E G, si ha effettivamente 'Pa(a- l . y. a) = a· a-l. y. a· a-l = y. • 'Pa è un omomorfismo: per ogni scelta di x, y E G,

'Pa(x· y) = a· x· y. a-l = a· x· a-l. a· y. a-l = 'Pa(x) . 'Pa(Y).

5.9 Automorfismi di un gruppo

205

Si noti che, se G è abeliano, allora per ogni a E G si ha che CPa è l'identità di G ide: infatti, per ogni x E G,

CPa(x) = a· x . a-l = x· a· a-l = x . le = x = ide(x). Si ha anzi che G è abeliano se e solo se CPa = ide per ogni a E G. Più in generale, per G arbitrario e a E G, CPa = ide se e solo se, per ogni x E G,

a . x . a -1

=x

. ,

e ClOe

a.x

= x . a.

2. Sia cP la funzione di G in G tale che, per ogni x E G, cp(x) = X-l. È ovvio che cP E S(G) ma, per G non abeliano, cP (j. Aut(G): infatti esistono x, y E G tali che x· y -::f. y. x e dunque

= (x· y)-l

cp(x· y)

-::f. X-l. y-1

= cp(x) . cp(y).

Invece, per G abeliano, cP E Aut( G): infatti per x, y E G,

cp(x. y) = (x· y)-l = X-l. y-1 = cp(x) . cp(y). Tornando all'Esempio 5.9.5.1, per ogni a E G chiamiamo CPa l'automorfismo interno indotto da a. I(G) denota l'insieme degli automorfismi interni di G. Per studiare meglio I (G) ci serve la seguente nozione. Definizione 5.9.6 Si chiama centro di G, e si denota Z(G), l'insieme degli elementi a E G che commutano con ogni x E G, soddisfano cioè a . x = x . a per ogni x E G.

Dunque Z(G) si può introdurre come l'insieme degli a E G tali che CPa = ideo Esempi 5.9.7 1. Se G è abeliano, Z(G)

= G.

2. Sia G il gruppo S3 = D3. Così

G = {id, a, a 2,;3, a

o

;3, a 2 o ;3}

dove a 3 = ;32 = id e ;3 o a = a 2 0;3 (da cui ;3 o a 2 = a o ;3). È allora immediato escludere da Z(S3) a, a 2,;3, a o ;3, a 2 o ;3. Segue Z(S3) = {id}. Sia ora cP la funzione di G in Aut( G) che ad ogni a E G associa

cp(a)

= CPa =

l'automorfismo interno indotto da a.

Osserviamo che cP è un omomorfismo: infatti per a, b E G si ha CPa·b poiché, per ogni x E G,

(CPa

o

= CPa . CPb

CPb)(X) = CPa(CPb(X)) = a· b· x· b- 1 . a-l = a· b· x· (a· b)-l = CPa.b(X).

In particolare, per ogni a E G, CPa-1 = cp;;-l. Inoltre cp(G) = I(G) e Ker cP = {a E G : CPa = ide} = Z (G). Allora dall 'Esercizio 5.8.6 segue I (G) ::; Aut( G). Dal Teorema degli omomorfismi, poi, si ha

206

• •

5 Gruppi e permutazioni

Z(C):::! C, C / Z(C) ~ 1( C) tramite la funzione h tale che, per ogni a

E

C, h(Z(C)a) =

'Pa·

Si ha anzi Proposizione 5.9.8 I(C)

:::! Aut(C).

Dimostrazione. Siano a E C, f per ogni x E C (f

o 'Pa o

E

Aut( C), consideriamo in Aut( C) f o 'Pa o f-l:

f-l )(x) = f(a· f-l(X) . a-l) = f(a) . f(f-l(X)) . f(a- l ) = = f(a) . x· (f(a))-l = 'Pf(a) (x).

Così f o 'Pa o f-l

= 'Pf(a)

E

I(C). Segue che I(C) :::! Aut(C).

D

Esempi 5.9.9 1. Per (C,·) abeliano, Z (C) = C e l (C) = {id e }. Consideriamo il caso particolare del gruppo (Z6, +). Z6 è il gruppo ciclico generato da 16 o da 56 = -1 6. Anche per (Z6,+) si ha Z(Z6) = Z6, I(Z6) = {ide}. Cerchiamo però di analizzare Aut(Z6)' Sia allora f E Aut(Z6)' Notiamo che • f deve trasformare 16 in un elemento del suo stesso ordine 6, cioè in 16 05 6; • f(16) determina f perché f(26) = f(16+ 16) = f(16)+ f(16) = 2·f(1 6), e così via. Si hanno allora due soli automorfismi in Z6, per la precisione • f tale che f(16) = 16, così che f(26) = 26, f(3 6) = 36, e via dicendo (dunque f = idz6 ); • f tale che f(16) = 56 = -1 6, così f(26) = -2 6 = 4 6, e via dicendo (dunque f(a6) = -a6, per ogni intero a).

Esercizio 5.9.10 Si determinino Z(C),I(C), Aut(C) per C = Z5, Z7, Z8.

2. Sia ora C = 53 = D3 = {id, a, 00 2 , /3, a o /3,00 2 o /3} dove id denota la permutazione identica su {I, 2, 3}, 00 3 = /32 = id, /3 o a = 00 2 o /3. Abbiamo già visto Z (C) = {id}, così

I(C)

~

C /Z(C)

ha 6 elementi: in altre parole C = 53 ha 6 automorfismi interni (uno per elemento di 53)' Consideriamo poi Aut(C). Sia f E Aut(53 ), notiamo: • f deve trasformare a in un elemento di ordine 3, cioè in a o in 00 2 (e di conseguenza 00 2 in 00 2 e (00 2 )2 = a, rispettivamente); f trasforma poi /3 in un elemento di ordine 2, cioè in /3 o in a o /3 o in 00 2 o /3; ci sono quindi 2 possibilità di scelta per f (a) e 3 per f (/3);

5.10 Cayleye Sylow

207

l(a), 1((3) determinano completamente l'automorfismo l perché a, (3 generano S3. Ad esempio, deve essere l(a 2) = (1(a))2, l(a o (3) l(a) . 1((3), e cosÌ via. CosÌ Aut(G) ha 6 elementi, tanti quanti I(G), dunque



In particolare CPid = ido, CPa è definito da CPa(a) = a o a o a-l = a e CPa((3) = a o (3 o a-l = a o (3 o a 2 = a 2 0(3, CP(3 da cp(3(a) = (3 o a 0(3-1 = (3 o a o (3 = a 2 , cp(3((3) = (3, e cosÌ via.

5.10 Cayley e Sylow Tra gli esempi principali di gruppi, abbiamo citato i gruppi di permutazioni. Anzi abbiamo già anticipato e avremo modo di confermare a fine capitolo che la teoria astratta dei gruppi nasce in qualche senso proprio dall'interesse per certi sottogruppi di gruppi di permutazioni (su radici di polinomi). Ci preme allora approfondire qui il legame tra gruppi e permutazioni.

Definizione 5.10.1 Siano (G,·) un gruppo, X un insieme. Si dice rappresentazione di (G,·) su X un omomorfismo T di G in S(X). Se T è iniettivo, la rappresentazione si dice fedele. Allora, se

T

è una rappresentazione di (G, .) su X,



ogni elemento a E G definisce una permutazione T( a) su X;



il prodotto di due elementi a, b di G determina in questo modo la composizione delle permutazioni corrispondenti ad a e b, nel senso che T( a . b) = T(a)oT(b); di conseguenza T(lo) = id x e, per ogni a E G, T(a- l ) = T(a)-l.

T è fedele quando l'unico elemento a E G tale che T(a) = id x è lo, ovvero quando elementi distinti a -::j:. b di G determinano permutazioni distinte T(a) -::j:. T(b) su X. Esempi 5.10.2 1. Siano X = G, cP la funzione di G in S (G) tale che, per ogni a E G, cp( a) è CPa (cioè l'automorfismo interno indotto da a). Abbiamo già visto che cP è un omomorfismo di G in S(G), dunque cP è una rappresentazione di G in G. Sappiamo poi che K er cP = Z (G). CosÌ cP è fedele se e solo se Z(G) = {la}. 2. Sia ancora X = G, e guardiamo alla funzione T di G in S(G) tale che, per ogni a E G, T(a) è la moltiplicazione a sinistra per a: per ogni x E G,

T(a)(x) = a· x

208

5 Gruppi e permutazioni

(così T(a) E 5(C), come richiesto). T è un omomorfismo perché, per ogni scelta di a, b, x E C,

T(a· b)(x) = (a· b) . x = a· (b· x) = T(a) . (T(b)(x)) = (T (a) . T(b))(x). Così T è una rappresentazione di C su C. Inoltre ogni a E C,

T

è fedele, perché, per

T(a) = ido se e solo se, per ogni x E C, a· x = T(a)(x) = ido(x) = x, quindi se e solo se a = lo. Abbiamo così implicitamente provato: Teorema 5.10.3 (Cayley). Ogni gruppo (C,·) è isomorfo ad un sottogruppo di un gruppo 5(X) per qualche insieme X.

Dimostrazione. Basta prendere X 5(C).

=

C; tramite T, C è isomorfo a T(C) :S D

Una parentesi storica: Arthur Cayley visse nell'Inghilterra dell'Ottocento ed esercitò la professione di avvocato, ma la sua abilità di matematico gli meritò una cattedra - di matematica, appunto - a Cambridge. Ebbe così modo di contribuire in modo significativo alla Teoria dei gruppi di permutazione e dei Gruppi astratti (e a molti altri argomenti di Matematica). Continuiamo con gli esempi. 3. Siano X = C, T la funzione di C in 5(C) tale che, per ogni a E C, T(a) è la moltiplicazione a destra per a - l : così per ogni x E C

T

è un omomorfismo perché, per ogni scelta di a, b, x E C,

T(a·b)(x) =x· (a. b)-l =x·(b-l·a- l ) = = (x· b- l ) . a-l = T(a) . (T(b)(x)) = (T (a) . T(b))(x) (a proposito, perché conviene moltiplicare per a-l e non direttamente per a?). Così T è una rappresentazione di C su C, evidentemente fedele. 4. Sia ancora X = C. Sia poi H un sottogruppo di C e consideriamo la funzione T di H in 5 (C) che associa ad ogni a E H la moltiplicazione a sinistra di a. Si verifichi che T è una rappresentazione di H su C. Lo stesso vale per la funzione TI di H in 5 (C) che associa ad ogni a E H la moltiplicazione a destra per a-l. T e TI sono fedeli?

5. Sia stavolta X = H con H sottogruppo normale di C. Per ogni a E C, consideriamo la funzione T(a) che ad ogni x E H associa T(a)(x) = a· x· a-l: osserviamo che a· x· a-l E H perché H:9 C. Così T(a) è una permutazione su H (anzi un automorfismo di H). È facile verificare che T è un omomorfismo di C in 5(H), quindi una rappresentazione di C su H. In quali casi T è fedele?

5.10 Cayleye Sylow

209

Siano (G,·) un gruppo, X un insieme, T una rappresentazione di G su X. Conviene usare una notazione più snella in questo ambito e, per a E G, x E X, indicare T(a)(x) più sbrigativamente come ax e dunque porre

T(a)(x)

=

ax .

Allora, per a,b E G e per x E X, vale a.bx = a(bx ) e lGX = x. In X definiamo poi la seguente relazione binaria ~: per x, y E X,

x

~

y se e solo se esiste a E G tale che y

=

ax .

È facile verificare che ~ è una relazione di equivalenza in X. Si ha infatti: • • •

per per y= per tali

ogni x E X, x ~ x (basta ricordare che x = 1 Gx); ogni scelta di x, y EX, se x ~ y, allora y ~ x (se a E G soddisfa 1 ax , allora x = lGX = a-1.ax = a-'(ax ) = a- y ); ogni scelta di x, y, z E X, se x ~ y e y ~ z, allora x ~ z (siano a, b E G che y = ax , Z = by, allora z = b(ax ) = b.ax ).

Le classi di equivalenza di X rispetto a ~ si dicono orbite di X rispetto a G (e T, naturalmente). Descriviamo i concetti ora introdotti facendo riferimento agli esempi trattati in 5.10.2. 1. Per ogni x E G, l'orbita di G è

{47a(X) : a

E G}

= {a· x· a-l:

a E G}

e si dice anche classe di coniugio di x in G. 2. e 3. Nel caso 2, per ogni x E G, l'orbita di x è {a· x: a E G} = G; c'è dunque una sola orbita in G, cioè G stesso. Altrettanto accade nell'esempio 3. 4. Nel primo caso, per ogni x E G, l'orbita di x è {a· x : a E H}, cioè H x la classe laterale destra di x in G rispetto a H -; invece nel secondo caso, per ogni x E G, l'orbita di x è {x· a-l: a E H} = xH classe laterale sinistra di x in G rispetto a H. 5. Per x E H, l'orbita di x è {a· x· a-l: a E G}. Definizione 5.10.4 Per x E X, si chiama stabilizzatore di x e si indica con Stab(x) {a E G: ax = x}. Teorema 5.10.5 Per ogni x E X, Stab(x) :::; G; inoltre c'è una corrispondenza biunivoca tra l'insieme delle classi laterali sinistre di Stab( x) in G e l'orbita di x; in particolare, per G finito, il numero degli elementi dell 'orbita di x eguaglia IG : Stab(x)l.

Dimostrazione. Proviamo anzitutto che Stab(x) :::; G. In riferimento al criterio stabilito nel Teorema 5.3.4, notiamo:

210

5 Gruppi e permutazioni

(1) per ogni scelta di a, b E 5tab(x), anche a . b E 5tab(x): infatti a.b x a(b x ) = a x = X; (2) le E 5tab(x), poiché 1Gx = X; (3) per ogni a E 5tab(x), a-l E 5tab(x): se a x = x, X = a-l.a x = a-l (a x ) = a-l

X.

Siano ora a, b E G, allora a 5tab(x) = b 5tab(x) se e solo se a-l. b E 5tab(x), quindi se e solo se x = a-l.b x = a-l (b x ), e in conclusione se e solo se a x = b x . Dunque a5tab(x) H a x definisce una funzione iniettiva (e anche suriettiva) dell'insieme dei laterali sinistri di 5tab(x) in G nell'orbita di x. D Nei precedenti esempi 2 e 3 in 5.10.2 si ha 5tab(x) = {le} (infatti {a E G : a· x = x} = {le} = {a E G : x· a-l = x}); siccome G è l'unica orbita, c'è poi una corrispondenza biunivoca tra Gj5tab(x) e G. Nell'esempio 4 si ha di nuovo 5tab(x) = {le}: c'è una corrispondenza biunivoca tra Hj5tab(x) e H, e dunque tra Hj5tab(x) e l'orbita di x (che è la classe laterale destra o sinistra di x in G rispetto a H). Nell'esempio 5, per ogni x E G, 5tab(x) = {a E G: a·x·a- 1 = x} = {a E G: a . x = x . a} si chiama centralizzante di x in G e si indica Cc (x). Esaminiamo due casi particolari a suo proposito.





Se G è abeliano, per ogni x E G, l'orbita di x in G (ovvero la sua classe di coniugio {a . x . a-l : a E G}) si riduce al solo elemento x, perché a· x· a-l = x per ogni a E G; d'altra parte Ce(x) = G, e dunque c'è una corrispondenza biunivoca tra {x} e GjCe(x) = GjG. Sia ora G = 53 = {id, a, a 2 , (3, ao(3, a20(3} con a 3 = (32 = id, (3oa = a 20 (3. Si verifica che - l'orbita di id è {id}, - l'orbita di a è {a, a 2 } (in particolare (3 o a o (3-1 = a 2 ), - l'orbita di (3 è {(3,a o (3,a 20 (3} (infatti ao(3 = a20(30(a2)-1; a 20 (3 = a o (3oa- 1). Inoltre - C 53 (id) = 53 ha una sola classe laterale (sinistra) in 53, - C 53 (a) = {id,a,a 2 } ha due classi laterali (sinistre) in 53, - C 53 ((3) = {id,(3} ha tre classi laterali (sinistre) in 53.

I precedenti risultati ci servono per provare un importante risultato sui possibili ordini dei sottogruppi di un gruppo finito (G, .). Ricordiamo che il Teorema 5.6.10 di Lagrange ci dice che l'ordine di un sottogruppo H di G divide quello di G. Ci chiediamo allora: Problema. Siano (G,·) un gruppo finito, n un intero positivo tale che n IGI. Esiste un sottogruppo H di G tale che n = IHI?

divide

5.10 Cayleye Sylow

211

La risposta è, in generale, negativa: ad esempio [A 4 [ = 12, ma si può verificare che A4 non ha sottogruppi di ordine 6. Tuttavia il risultato è valido se il divisore n di [G[ è la potenza di un primo. È questo infatti il contenuto del seguente: Teorema 5.10.6 (Sylow). Siano (G,·) un gruppo finito, p un primo, k un intero positivo tale che pk divide IGI. Allora G ha un sottogruppo di ordine pk.

Ludwig Sylow fu matematico norvegese dell'Ottocento, e si occupò della Teoria delle equazioni algebriche, e conseguentemente della Teoria dei gruppi, sulla scia dei risultati del suo connazionale Abel e di Galois. Il Teorema di Sylow è risultato impegnativo e complicato da dimostrarsi. Eccone una prova.

Dimostrazione. Fissiamo IGI = pk . m per qualche naturale m. Sia poi r il massimo intero positivo tale che primi cosÌ pr+l f m. Sia X l'insieme dei sottoinsiemi Y di G che hanno pk elementi. Sappiamo allora che

Si noti che, per O < i

< pk

- 1 e per s E N,

pS[pk. m - i se e solo se pS[i,e quindi se e solo se pS[pk - i. CosÌ i fattori uguali a p che compaiono nella decomposizione in fattori primi di pk . (pk . m-l) ... (pk . m - pk + 1) sono dello stesso numero di quelli che dividono il denominatore pk . (pk - 1) ... (pk - pk + 1). Ricordiamo che pr è anche la massima potenza di p che divide m, e deduciamo allora che pr è k anche la massima potenza di p che divide IX[ = (P p~m): prl

(pkp~m),

pr+l

f (pkp~

m).

Notiamo poi che, per ogni a E G e per ogni Y E X, si ha aY E X. Possiamo definire una funzione T a di X in X associando ad ogni Y E X

Si verifica facilmente che T a è una corrispondenza biunivoca di X, cioè T a E S (X). Consideriamo allora la funzione T di G in S (X) tale che, per ogni a E G, T(a) = Ta . Si verifica che T è una rappresentazione di G su X (lasciamo i dettagli al lettore per esercizio). Ricordiamo che pr+l non divide (P:~m) = [XI. Siccome le orbite di X determinano una partizione di X, deve esistere un elemento Y E X tale che pr+l

212

5 Gruppi e permutazioni

non divide il numero n degli elementi dell'orbita di Y. Ma n = IC : 5tab(Y)1 (dove 5tab(Y) = {a E C : aY = Y}), cosÌ pr+l non divide IC : 5tab(Y)I. Ma pr+k divide ICI perché pr divide m, dunque pk deve dividere 15tab(Y)I. D'altra parte si fissi y E Y. Al variare di a E 5tab(Y) gli elementi a . y sono tutti in Y, e sono a due a due distinti. Ma Y ha in tutto pk elementi, quindi gli elementi a· y al variare di a in 5tab(Y) sono al più pk, e di conseguenza anche 5tab(Y) ha al più ordine pk. Dunque pk divide I5tab(Y) I e I5tab(Y) I ::; pk. Ne segue che I5tab(Y) I è proprio pk. Si è quindi trovato un sottogruppo 5tab(Y) di C di ordine pk. D

5.11 Prodotti diretti C'è un modo molto semplice con cui, partendo da due gruppi (50, *0), (51, *r) se ne costruisce un terzo. Basta considerare il prodotto cartesiano

C = 50 X 51 = {(ao,ar): ao E 5 0 ,al E 5r} e definirvi la seguente operazione binaria: per ao, bo E 50, al, bI E 51,

È noioso ma non difficile controllare che C è un gruppo rispetto a questa operazione: basta notare che gli assiomi di gruppo, che valgono per (50, *0) e (51, *1), si trasferiscono anche a (C, .). (i) È in questo modo che si verifica la proprietà associativa in (C, '), e cioè che, per ogni scelta di ao, bo, Co E 50 e al,b l ,cl E 51, si ha (ao,ar)· ((bo,br)· (co, cr)) = (( ao, ar) . (bo, bI)) . (co, cr): lasciamo al lettore volenteroso il relativo controllo. (ii) L'elemento neutro di C è (1 50 ,1 51 ), Infatti per ogni ao E 50 e al E 51 (ao, ar)· (1 50 ,1 5') = (ao*o 15o, al *115') = (ao, ar), e (150,1 5,), (ao, ar) = (150 *0 ao, 151 *1 ar) = (ao, ar)o (iii) Finalmente per ao E 50 e al E 51, l'inverso di (ao,ar) in C è (aGl,alI), infatti (ao, ar)· (aGI, alI) = (ao*oa Gl , al *1 alI) = (15 0,151) e (aGI, alI). (ao,ar) = (aGI *0 ao,a l l *1 ar) = (15 0,151)'

(C, .) si dice il prodotto diretto esterno di (50, *0) e (51, *r). Esercizio 5.11.1 In quali casi (C,·) è abeliano?

I due gruppi (50 ,*0), (51,*r) si possono recuperare, a meno di isomorfismi, come sottogruppi di (C, .). Infatti consideriamo

Osserviamo che

5.11 Prodotti diretti

213

(1) SO,Sl sono ambedue sottogruppi normali di (G,) Il lettore può verificarlo utilizzando i criteri per riconoscere i sottogruppi e sottogruppi normali, oppure fare riferimento alle funzioni

tali che, per ogni (ao,ar) E G, fo(ao,ar) = al, h(ao,ar) = ao. È facile vedere che ambedue sono omomorfismi, e che hanno nucleo rispettivamente proprio So, SI. Così So, SI sono sottogruppi normali di G.

È poi chiaro che Si è isomorfo a Si per ogni i = 0, 1 (come il lettore può verificare per esercizio). Finalmente G = So' SI, e anzi

(2) ogni elemento di G si rappresenta in modo unico come prodotto di un elemento di So e di uno di SI. Infatti, se ao E So e al E SI, si ha

e questa è l'unica decomposizione possibile di (ao, ar) nel modo appena descritto: se infatti (ao,ar) = (b o ,ls, )' (ls o ,br) con bo E So e bI E SI, si ha (ao,ar) = (bo,br), dunque ao = bo, al = bI. A questo proposito notiamo che So . SI coincide con il sottogruppo di G generato da So, SI perché So :'9 G, o anche perché SI :'9 G. Rovesciamo adesso la nostra prospettiva; ammettiamo cioè di avere un gruppo (G,·) e chiediamoci se sia possibile individuare due gruppi So, SI di cui G sia il prodotto diretto esterno. L'utilità di questa ricerca è evidente: una volta che So, SI sono determinati, lo studio della struttura di (G,·) si può ridurre a quello di So, SI. Alternativamente, possiamo cercare al posto di So, SI due sottogruppi Ho ,H1 di (G,·) che si comportino come appena descritto per So, SI nel caso del prodotto diretto esterno. Poniamo allora: Definizione 5.11.2 Siano (G,·) un gruppo, H o,H1 prodotto diretto interno di Ho, Hl se

::;

G. Si dice che G è

(1) Ho, Hl :'9 G; (2) per ogni a E G, a si scrive in uno ed un solo modo nella forma a = ao . al, con ao E Ho, al E Hl. Quindi, se G è prodotto diretto esterno di So, SI, allora G è prodotto diretto interno di So, SI. Notiamo poi che (2) si suddivide in due condizioni: (2)' per ogni a E G, esistono ao E Ho e al E Hl tali che a (2)" per ogni scelta di ao, bo E Ho e di al, bI E Hl, se ao ao = al e bo = bI.

= ao . al; . al = bo . bI,

allora

214

5 Gruppi e permutazioni

Chiaramente (2)' vale se e solo se G = Ho . Hl. Inoltre

(2)" vale se e solo se Ho n Hl

= {le}.

Assumiamo infatti (2)" e prendiamo a E HonH l , allora a = a·1e con a E Ho, le E Hl, ma anche a = le· a con le E Ho, a E Hl. Da (2)", si ottiene allora a = le. Viceversa, sia Ho n Hl = {le} e prendiamo ao, bo E Ho, al, bl E Hl per cui ao . al = bo . bl . Allora bOl . ao = bl . a;-l, dove bOl . ao E Ho e bl . a;-l E Hl. Segue bOl . ao = bl . a;-l = le, cioè ao = bo, al = bl . Osserviamo adesso: Proposizione 5.11.3 Sia G prodotto diretto interno di Ho, Hl. Allora, per ogni ao E Ho e al E Hl, ao· al = al· ao.

o

Dimostrazione. Consideriamo l'elemento ao . al . a l . a;-l. Se lo scriviamo come ao . (al . a l . a;-l) deduciamo che appartiene a Ho perché Ho :'9 G e quindi non solo ao, ma anche al . ao . a;-l appartiene a Ho; si ha anche , -l -l ao . al . ao- l . al- l = ( ao· al . a o-l) . al- l COSl ao . al . a o . al E H l, perch'e l Hl :'9 G. In conclusione ao . al· a . a;-l E Ho n Hl e quindi ao . al· a l . a;-l = ao . al . (al· ao)-l = le· Segue ao . al = al . ao. D

o

o

o

Possiamo finalmente mostrare: Teorema 5.11.4 Sia (G,·) prodotto diretto interno dei sottogruppi Ho, Hl. Allora G è isomorfo al prodotto diretto esterno Ho x Hl.

Dimostrazione. Sia f la funzione di G in Ho x Hl che ad ogni elemento a E G associa f(a) = (ao, ad dove ao E Ho, al E Hl e a = ao . al. Notiamo che: • •

f è suriettiva per la definizione di Ho x Hl; f è un omomorfismo; infatti siano a, b E G, a = ao . al, b = bo . bl per ao, bo E Ho e al, bl E Hl; osserviamo che a . b = ao . al . bo . bl si scrive anche ao . bo· al . bl per la Proposizione 5.11.3; ma ao· bo E Ho, al . bl E Hl, quindi f(a· b) = (ao . bo, al . bd = (ao, ad· (bo, bd = f(a) . f(b);



f è iniettiva: sia infatti a E G tale che a E Ker f, cioè f(a) = (l Ho ' 1H ,); allora a = 1Ho . 1H1 = le· le = le. D

Adotteremo allora la notazione G = Ho X Hl per indicare anche che il gruppo (G,·) è prodotto diretto interno dei sottogruppi Ho, Hl.

5.12 Piccoli gruppi

215

Naturalmente la definizione di prodotto diretto (interno o esterno) si può estendere al caso di 3,4, ... , e anche infiniti sottogruppi. Ad esempio, il prodotto diretto esterno di 3 gruppi (So, *0), (Sl, *d, (S2, *2) è formalmente definito come il gruppo So x Sl X S2 delle terne ordinate (ao, al, a2) con ai E Si per ogni i :S 2, rispetto all'operazione binaria che moltiplica due terne (ao, al, a2), (bo, b1, b2) associando loro (ao *0 bo, al *1 b1, a2 *2 b2 ). Esempi 5.11.5 1. Consideriamo il prodotto diretto esterno dei gruppi additivi (Z2, +) e (Z3, +). Otteniamo un gruppo

Tra questo 6 elementi c'è (lz, b) che ha ordine diverso da 1, 2, 3 (infatti (lz, b) -::f. (0 2,0 3), 2· (h, 13 ) = (0 2 ,2 3 ) -::f. (0 2 ,0 3 ), 3· (lz, b) = (lz, 0 3) -::f. (0 2,0 3)) e quindi deve avere ordine 6. Così Z2 x Z3 è ciclico generato da (lz,1 3) e quindi è isomorfo a (Z6, +): Z2 x Z3 :::::: Z6. È facile vedere che anche Z3 x Z2 è isomorfo a Z6. 2. Viceversa consideriamo il gruppo ciclico additivo (Z6, +) e in esso i due sottogruppi

Allora H o,H1 :::)Z6 (perché Z6 è abeliano), Ho +H1 = Z6 (basta osservare che 16 = 36 + 46 E Ho + Hd, Ho n Hl = {06}. Così Z6 è prodotto diretto interno di H o,H1 . 3. Z2 X Z2 = {(02,02), (1 2 ,0 2), (0 2 , 12), (1 2 , 12)} è un gruppo (additivo) abeliano di ordine 4, ma non è isomorfo a Z4 perché non ha elementi di ordine 4, infatti

Esercizi 5.11.6 1. Quali sono gli ordini degli elementi del prodotto diretto esterno Z2 x Z2 X Z2 = {(a,b,c): a,b,c E Z2}? E di Z4 x Z2? Si deduca che Z2 x Z2 X Z2, Z2 X Z4 e Zs non possono essere isomorfi. 2. Si provi che se (So,*o), (Sb,*~) sono gruppi tra loro isomorfi, e lo stesso vale per (Sl,*d, (Sf,*D, allora anche i prodotti diretti (So x Sl,') e (Sb x S~, -') sono isomorfi.

5.12 Piccoli gruppi Il Teorema di Sylow e la nozione di prodotto diretto sono strumenti utili per lo studio dei gruppi. Ad esempio, c'è un programma affascinante e ambizioso che

216

5 Gruppi e permutazioni

richiede di classificare a meno di isomorfismi tutti i gruppi finiti, di produrre cioè una lista che includa ogni possibile esempio di gruppo finito (a meno di isomorfismi, come detto). Si tratta di obiettivo formidabile che, nel caso più "semplice" di gruppi privi di sottogruppi normali è stato raggiunto solo da pochi anni: le relative dimostrazioni occupano una serie di volumi illustrativi e migliaia di pagine, usano strumenti potentissimi e raffinati, ben più profondi del Teorema di Sylow e dei prodotti diretti. Però a scopo illustrativo, quasi come esercizio, vediamo come questi ultimi due concetti permettano una classificazione dei gruppi finiti almeno fino all'ordine 8: un modestissimo antipasto del teorema generale. La lista che cerchiamo deve contenere tutti i gruppi di ordine n ::; 8, evitando però che lo stesso gruppo vi compaia più volte, magari sotto spoglie diverse e con differenze solo superficiali; lavoriamo cioè, come già anticipato, "a meno di isomorfismi" , nel senso che elenchiamo un solo rappresentante per ogni classe di gruppi tra loro isomorfi. Siccome gruppi finiti isomorfi hanno lo stesso numero di elementi, possiamo anzitutto distinguere l'ordine n dei gruppi da considerare e studiare separatamente i casi n = 1,2, ... ,8. D'altra parte, per n = 1, l'unico gruppo G da considerare (a meno di isomorfismi) si riduce al solo elemento unità le. Inoltre sappiamo che, se n è primo e quindi, nel nostro ambito, se n = 2,3,5,7, un gruppo di ordine n è ciclico, quindi isomorfo a (1, n, +). Ci restano allora da considerare i casi n = 4,6,8. Li discutiamo separatamente. Sia dapprima n = 4. Conosciamo due gruppi di ordine 4: • •

il gruppo ciclico (1,4, +), il prodotto diretto di (1,2, +) per se stesso.

I due gruppi non sono isomorfi perché il primo ha elementi di ordine 4, il secondo no. Ebbene, a meno di isomorfismi, non ci sono altri esempi possibili. Si ha infatti: Teorema 5.12.1 Un gruppo di ordine 4 è isomorfo a (1,4, +) o a (1,2X1,2, +).

Dimostrazione. Sia (G, .) un gruppo di ordine 4. Se G è ciclico - cioè ha un elemento di ordine 4 -, allora (G,·) è isomorfo a (1,4,+). Se G non è ciclico, tutti gli elementi diversi da le in G hanno ordine 2, in particolare G è abeliano. Siano a, b due elementi di G distinti tra loro e da le; il quarto elemento di G è allora a . b, che si verifica facilmente essere diverso da le, da a e da b (altrimenti si ha rispettivamente a = b, b = le, a = le). Ho = (a) = {le, a} e Hl = (b) = {le, b} sono sottogruppi di G, chiaramente normali e isomorfi a (1,2, +), e ogni elemento le, a, b, a . b di G si esprime in modo unico come prodotto di un elemento di H o e di uno di Hl. Segue che (G,·) è il prodotto diretto interno di Ho e Hl, dunque (G,·) è isomorfo a (1,2 x 1,2, +). D Consideriamo ora n = 6. Anche in questo caso conosciamo già due gruppi di ordine 6,

5.12 Piccoli gruppi

• •

217

quello ciclico (Z6, +), il gruppo (53, o) delle permutazioni su 3 oggetti.

Tra l'altro, (53, o) non è abeliano e ha due generatori a, (3 che soddisfano le uguaglianze a 3 = (32 = id, (3 o a = a 2 o (3. Ovviamente (53, o) non è isomorfo a (Z6, +). Inoltre (53, o) coincide col gruppo diedrale D3. Invece (Z6, +) è isomorfo al prodotto diretto (Z2 x Z3, +). In realtà non ci sono altri gruppi di ordine 6 a meno di isomorfismi. Teorema 5.12.2 Un gruppo di ordine 6 è isomorfo a (Z6, +) o a (53, o).

Dimostrazione. Sia (G,·) un gruppo di ordine 6. Dal Teorema di Sylow deduciamo che G ha • •

un sottogruppo Ho di ordine 3, un sottogruppo Hl di ordine 2,

dunque • •

un elemento a di ordine 3 per il quale Ho un elemento b di ordine 2 per il quale Hl

= (a) = {le,a,a 2 }, = (b) = {le, b}.

Ovviamente b ti. Ho. Segue che gli elementi

le, a, a 2 , b, a . b, a 2 . b sono tra loro distinti ed esauriscono dunque i 6 posti a disposizione in G. Sappiamo poi che a 3 = b2 = le. Consideriamo allora b· a, che deve trovare posto in G e dunque coincidere con uno dei 6 elementi elencati. È semplice escludere b . a = le, a, a 2 , b altrimenti b = a 2 , b = le, b = a, a = le rispettivamente. Restano allora due possibilità. 1) b· a = a· b: in questo caso G è abeliano, di più si vede facilmente che (G, .) è il prodotto diretto interno di Ho, Hl, e quindi isomorfo a (Z3 x Z2, +) e di conseguenza a (Z6, +). 2) b· a = a 2 . b: se ne deduce che (G,·) è isomorfo a (53, o). D Passiamo finalmente all'ordine n = 8. Conosciamo già cinque esempi di gruppi di ordine 8 tra loro non isomorfi. Tre di loro

sono abeliani, gli altri due

(D 4 ,0),

(Q,.)

no. Non ci sono altri esempi possibili a meno di isomorfismi. Teorema 5.12.3 Un gruppo di ordine 8 è isomorfo a uno tra (Zs, +), (Z4 x Z2,+), (Z2 x Z2 x Z2,+), (D 4 ,0), (Q,.).

218

5 Gruppi e permutazioni

Dimostrazione. Sia (C,·) un gruppo di ordine 8. Se C è ciclico, cioè ha un elemento di ordine 8, (C,·) è isomorfo a (Zs, +). Se tutti gli elementi diversi da lo in C hanno ordine 2, allora C è abeliano per la Proposizione 5.3.18 e non è difficile vedere che (C,·) è isomorfo a (Z2 x Z2 X Z2, +). Ammettiamo allora che C escluda elementi di ordine 8, ma ne abbia uno a di ordine 4. Così a ha 4 potenze distinte la,a,a 2 ,a3 , e a 4 = lo. Sia b E C, b -I- la,a,a 2,a3 • È facile dedurre che la,a,a 2 ,a3 ,b,a·b,a2 ·b,a3 ·b sono elementi a due a due distinti, e quindi esauriscono gli 8 posti a disposizione in C. Ma tra gli elementi di C c'è anche b2 , e possiamo chiederci con quale degli 8 elementi b2 può coincidere. È facile escludere b2 = b, a . b, a 2 . b, a 3 . b. Se poi b2 = a o b2 = a 3 , allora b ha ordine 8, e questo è impossibile. Restano due possibilità b2 = lo o b2 = a 2 . Allo stesso modo, quando consideriamo b . a, è facile escludere b . a = lo, a, a 2, a 3 , b. Si può poi notare che b·a -I- a 2 ·b. Infatti ammettiamo b·a = a 2·b; se b2 = lo, si deduce b· a· b- 1 = b· a· b = a 2 . b2 = a 2; ma a ha ordine 4 e a 2 ha ordine 2, dunque a e a 2 non possono corrispondersi in un automorfismo di (C, .) come quello indotto da b; se poi b2 = a 2 , b· a = a 2 • b coincide anche con b3 , dunque a = b2 = a 2 , e questo è assurdo. Restano allora anche per b· a due casi possibili: b.a

= a . b oppure b . a = a 3 . b.

Discutiamo una a una le quattro eventualità rimaste per b2 e b . a. Il lettore può curare per esercizio i dettagli di tutti i casi. 1) b2

= lo e b· a = a . b. Allora C è abeliano ed anzi è prodotto diretto di (a) e (b), dunque risulta isomorfo a (Z4 x Z2, +). 2) b2 = a 2 e b· a = a . b. Notiamo che (a. b)2 = a 2 . b2 = a 4 = lo,

così a· b ha ordine 2. Inoltre C è abeliano e se ci riferiamo agli elementi a, a· b invece che ad a, b troviamo che C risulta isomorfo a (Z4 x Z2, +), come nel caso precedente. 3) b2 = lo e b· a = a 3 . b. Siamo esattamente nella situazione di (D 4 , o), e si prova che (C, .) è, appunto, isomorfo a (D 4, o). 4) b2 = a 2 e b· a = a 3 . b. Siamo stavolta nel caso del gruppo quaternionico di ordine 8 (Q, '), e si prova che in effetti (C,·) è isomorfo a (Q, .). D

5.13 Galois Prima di concludere il capitolo, vale la pena di spendere qualche parola sul legame già accennato più volte tra la Teoria dei gruppi, e in particolare dei

5.13 Galois

219

gruppi di permutazioni, e la possibilità di risolvere per radicali un polinomio f(x) a coefficienti in un campo K. Esempio 5.13.1 Per K = Q, consideriamo il polinomio f(x) = x 4 - 2. Notiamo che f(x) è risolubile per radicali, anzi le sue radici complesse sono

Ci sono complessivamente 4! = 24 permutazioni possibili tra le 4 radici Zl, Z2, Z3, Z4. Ma solo alcune di esse sono "algebricamente plausibili" , nel senso che ora cerchiamo di spiegare. •



Zl e Z2 sono opposte, Zl = -Z2; da un punto di vista algebrico è dunque ragionevole prediligere tra tutte le permutazioni sulle 4 radici, quelle che trasformano Zl, Z2 in radici ancora tra loro opposte, come Z2, Zl, o Z3, Z4, o Zl,Z2, o Z4,Z3' Lo stesso vale per Z3 e Z4. Zl e Z3 soddisfano (Z3' zll)2 = -1; da un punto di vista algebrico è dunque ragionevole limitarsi a considerare quelle permutazioni che trasformano Zl, Z3 in radici che soddisfano la stessa uguaglianza, come accade a Zl, Z4, o Z2, Z4, e cosÌ via.

In altre parole, le permutazioni che ci interessano • • •

hanno libertà di trasformare Zl in una qualunque radice ± V'2, ±i V'2, ma devono operare conseguentemente su Z3 in modo che Z3 . zll sia trasformato in ±i, hanno poi l'obbligo di trasformare Z2, Z4 negli opposti delle immagini di Zl, Z3·

Ad esempio, possiamo accettare le seguenti permutazioni a, (3: •

V'2)



V'2,

V'2)

-V'2),

= Z3, a(z3) = -Zl = Z2 (cioè a( = i a(i = e di a(z2) = Z4, a(z4) = Zl: si noti che Z3 ,zll = i in questo caso; (3(zr) = Zl, (3(Z3) = Z4 (cioè (3( = (3(i = -i quindi (3(Z2) = Z2, (3(Z4) = Z3: stavolta Z3 . zll = -i. a(zr)

conseguenza,

V'2)

V'2,

V'2)

V'2),

Naturalmente anche le possibili composizioni di a, (3 restano "algebricamente plausibili". In effetti, a ha ordine 4, cioè 4 potenze distinte • • • •

id, a (appunto), a 2 (che trasforma Zl in a 3 (che invia Zl in Z4 e

Z2 Z3

e Z3 in in zr).

Z4),

(3 ha invece ordine 2, ma a, (3 generano insieme, ancora,

• • •

a o (3 (che scambia Zl e Z3), a 2 o (3 (che trasforma Zl in Z2 e Z3 in se stesso), a 3 o (3 (che invia Zl in Z4 e Z3 in Z2).

220

5 Gruppi e permutazioni

In totale si ottengono 8 permutazioni "algebricamente plausibili" tra le 24 totali. Siccome si vede facilmente che (3 o o = 0 3 o (3, queste 8 permutazioni formano un sottogruppo di 54 isomorfo al gruppo diedrale (D 4, o). Galois definì in generale, per ogni polinomio f(x) E K[x]' un gruppo di permutazioni "algebricamente plausibili" delle radici di f (x) e collegò la possibilità di risolvere per radicali f(x) a proprietà strutturali di questo gruppo. Mostrò poi che, ad esempio, An, 5 n non godono di queste proprietà quando n ~ 5. Così, se f(x) ha come gruppo di permutazioni "plausibili" delle radici An O 5 n per n ~ 5 - o comunque un gruppo privo delle proprietà decisive -, allora f(x) non si può risolvere per radicali. Non è questo il caso del polinomio x 4 - 2 dell'esempio precedente, che del resto corrisponde al gruppo D4; ci sono però polinomi di grado ~ 5 che corrispondono a questa situazione negativa.

Esercizi. 1. Si stabilisca quali dei seguenti insiemi sono sottogruppi del gruppo moltiplicativo ([* = ([ - {O} dei numeri complessi non nulli. a) L'insieme dei numeri complessi con modulo razionale positivo. b) L'insieme dei reali della forma a + bV2 con a, b razionali non entrambi nulli. c) L'insieme dei numeri razionali che, ridotti ai minimi termini, hanno numeratore e denominatore dispari. d) L'insieme dei reali della forma a + b{12 con a, b razionali non entrambi nulli. e) L'insieme dei complessi a + bi con a, b razionali e [a + bi[ > O. 2. Si mostri che l'insieme delle applicazioni f : lE. --+ lE. della forma

f (x)

= ax + b I;j x

E lE.

per a, b reali, a -::/:- O, formano un gruppo rispetto alla composizione di applicazioni da lE. in lE.; questo gruppo si chiama gruppo affine di dimensione 1. 3. Sia (5(Z), o) il gruppo simmetrico delle permutazioni sull'insieme dei numeri interi Z. Si definisca f : Z --+ Z ponendo X

f (x) =

{

x x

+ 1 se + 4 se + 5 se

x == O(mod 3), x == 1 (mod 3) x == 2 (mod 3).

• Si provi che f è una permutazione di Z. • Si determini l'ordine del sottogruppo ciclico (lì generato da f in 5(Z). 4. Si determini il centro del gruppo diedrale D4. Più in generale si determini il centro di Dn per n > 2.

5.13 Galois

221

5. Ricordiamo che se G è un gruppo indichiamo con Z(G), I(G) rispettivamente il centro di G e il gruppo dei suoi automorfismi interni. Siano ora Gl, G 2 due gruppi e G 1 x G 2 il loro prodotto diretto. • Si mostri che Z(G 1 x G 2 ) = Z(Gd x Z(G 2 ). • Si mostri che il gruppo I(G 1 x G 2 ) è isomorfo al gruppo I(Gd x I(G 2 ). 6. Si dimostri che l'insieme G = {ao, a x, a y, id} costituito dalle simmetrie del piano euclideo rispettivamente all'origine, all'asse x, all'asse y e dall'identità forma un gruppo rispetto alla composizione o. Si provi inoltre che (G, o) è isomorfo a C2 x C2 dove C2 è il gruppo ciclico di ordine 2.

Riferimenti bibliografici Riferimenti classici di Teoria dei gruppi, da consigliare al lettore per approfondimenti, sono [57], [58], [63]. La Teoria dei gruppi abeliani ha sue peculiarità, ed è sviluppata ad esempio in [31], [50]. A livello più elementare è di piacevole lettura [33]. Un'esposizione della Teoria di Galois è in [62], che contiene anche qualche breve cenno sulla vita di Galois. Sulla storia di Galois, si vedano anche [30], [66]. Finalmente un aggiornamento sulla classificazione dei gruppi finiti è in [6].

6

Anelli, matrici e polinomi

6.1 Strutture Nell'introduzione abbiamo già visto l'evoluzione storica dell' Algebra verso lo studio astratto delle strutture. Abbiamo poi incontrato, nello scorso capitolo, un esempio specifico di struttura algebrica: i gruppi. Il capitolo che ora inizia introduce altre strutture che si chiamano anelli. Vale allora la pena di inquadrare questi esempi in un contesto più ampio e generale. Cominciamo col ricordare che si pone quanto segue. Definizione 6.1.1 Per A insieme non vuoto e n intero positivo,

• •

operazione n-aria su A è una funzione di A n in A; relazione n-aria su A è un sottoinsieme di A n .

n è detto l'arietà della funzione o della relazione. Esempi 6.1.2 Per A

• +,'

=Z

sono operazioni binarie su Z; binaria su Z.

• < è una relazione

Possiamo allora convenire che cosa si intende per struttura. Definizione 6.1.3 Una struttura A è una sequenza composta da:

• • • •

un insieme A -I- 0, operazioni f su A, ciascuna con la sua arietà n, relazioni R su A, ciascuna con la sua arietà n, elementi c privilegiati in A.

Così (Z, +) è una struttura, come anche l'insieme totalmente ordinato (Z, ::;): nel primo caso abbiamo un'operazione binaria, nel secondo un'unica relazione binaria. Anche (Z, +,.) è una struttura, come anche (]]{, +,',::;,0, 7r, V2); in quest'ultimo esempio abbiamo due operazioni e una relazione (tutte binarie) e

224

6 Anelli, matrici e polinomi

tre elementi privilegiati. In genere, un gruppo si può intendere una struttura con un'unica operazione binaria (anche se ci sono strutture che hanno una sola operazione binaria e non sono gruppi, come ad esempio (N, +)). Vediamo adesso quali strutture si definiscono come anelli.

6.2 Anelli, corpi e campi Come già anticipato, il capitolo che inizia è dedicato alle strutture che si chiamano anelli. Esse hanno due operazioni binarie, usualmente denotate +, '. Gli esempi che seguono servono a introdurle. Esempi 6.2.1

1. Consideriamo l'insieme Z degli interi con le usuali operazioni di addizione + e moltiplicazione '. Sappiamo che: (i) rispetto a +, Z è un gruppo abeliano, gode quindi di tutte le varie condizioni (associatività, commutatività e cosÌ via) che corrispondono a questa nozione; (ii) rispetto a " Z soddisfa, se non altro, almeno la proprietà associativa: per ogni scelta di a, b, c E Z, a· (b· c) = (a· b) . c; (iii) valgono poi le proprietà distributive di . rispetto a +: per ogni scelta di a, b, c E Z, a· (b + c) = a· b + a . c,

(b

+ c) . a = b· a + c . a.

Si dice allora che (Z, +,.) è un anello. Ma l'anello degli interi ha ulteriori proprietà relative a '. Infatti: (iv) per ogni scelta di a, b E Z, a . b = b· a (vale cioè la proprietà commutativa di .); (v) esiste un intero, per la precisione 1, tale che, per ogni a E Z, a· 1 = a (= 1 . a) (esiste quindi un elemento unitario). Si dice allora che (Z, +,.) è un anello commutativo (per (iv)) e unitario (per (v)). Ci si può poi domandare quali interi a siano in verti bili , ammettano cioè un elemento b E Z per cui a . b = b· a = 1. Ma già sappiamo che gli unici interi con questa prerogativa si restringono a ±1. In compenso Z non ha divisori dello zero e cioè coppie di elementi a, b -I- O il cui prodotto a· b è O. Infatti, per ogni scelta di a, bE Z,

a . b = O implica a = O o b = O. 2. Anche (Q, +,.) è un anello commutativo unitario. Ma ha la ulteriore proprietà che ogni elemento diverso da O è invertibile: (vi) per ogni a E Q con a -I- O, esiste b E Q tale che a· b = 1 (= b· a). CosÌ Q* = Q - {O} risulta un gruppo abeliano rispetto a '.

6.2 Anelli, corpi e campi

225

Un anello commutativo unitario che soddisfi l'ulteriore condizione (vi) si dice un campo. CosÌ Ql è un campo rispetto a +, .. Il lettore potrà osservare che anche lE. e R· a. Viceversa, sia b E I; dato che a "I- OR, esistono q, r E R tali che b=a·q+r, v(r) O; bk è irriducibile, dunque primo per (i), e bk Ico ... Ch. Così esiste j :S h tale che bk ICj e quindi bk cv Cj. Possiamo assumere j = h, bk = Ch. Visto che (]]{, +,.) non ha divisori dello zero, possiamo cancellare bk in bo··· bk = Co··· Ch e ottenere bo··· bk - l = Co· .. Ch-l, da cui, usando l'ipotesi di induzione su k, ricaviamo h-l = k - 1 (il che implica h = k) e, salvo permutare gli indici, bi cv ci per ogni i < k = h. D Un esempio di dominio di integrità con unità che non è un dominio a fattorizzazione unica è, allora, (Z[J15J, +,.) (che ammette elementi irriducibili e non primi), come del resto sappiamo già dallo scorso capitolo (dove abbiamo visto che lO ha almeno due possibili decomposizioni in fattori irriducibili in Z[J15]). Un esempio di dominio a fattorizzazione unica è, ovviamente, (Z, +, .). Mostriamo adesso che ogni dominio a ideali principali, in particolare ogni anello euclideo, è un dominio a fattorizzazione unica.

Corollario 7.4.7 Ogni dominio a ideali principali è un dominio a fattoriz. . zazzone unzca.

Dimostrazione. Sia (R, +, .) un dominio a ideali principali, proviamo che (R, +,.) soddisfa le condizioni (i) e (ii) del teorema precedente.

(i) Sia p E R irriducibile, e siano a, bER tali che pia· b. In particolare, sia E R per cui a . b = p. c. Consideriamo un massimo comun divisore d di a, p.

C

Se d è invertibile, possiamo assumere d = 1R . Ricordiamo poi che 1R a· x + p . y per opportuni x, y E R. Segue b

= b· 1R = b· (a· x + p. y) = a· b· x + p. b· y = p. c· X + p. b· y

=d

=

=

=p·(c·x+b·y),

cioè plb. Se d non è invertibile, siccome dlp e p è irriducibile, deve essere p dia, dunque pia.

cv

d. Ma

282

7 Anelli commutativi unitari

(ii) Siano aO,al, ... ,an , ... in R tali che, per ogni n E N, (a n ) ~ (an+l)' Sia I = UnEN(a n ). Come sappiamo dalla Proposizione 6.8.14 I è un ideale di (R, +, .). Siccome (R, +,.) è un dominio a ideali principali, esiste c E I per cui I = (c). Sia n E N tale che c E (a n ), allora I = (c) ç (a n ) e dunque (an+d ç (a n ): ma questo contraddice la scelta dei vari an0 D Tuttavia la classe dei domini a fattorizzazione unica estende in modo proprio quella dei domini a ideali principali: ci sono domini a fattorizzazione unica che hanno ideali che non sono principali. Ad esempio vedremo nel Teorema 7.5.26 che l'anello Z [x] è, così come Z, un dominio a fattorizzazione unica, mentre sappiamo che Z[x] ammette ideali che non sono principali. In ogni dominio a fattorizzazione unica (R, +, .) nascono in modo naturale due problemi: dato un elemento a E R, non nullo né invertibile, • •

stabilire se a è irriducibile o no, decomporre a nel prodotto di fattori irriducibili.

Questi problemi sono ben familiari in (Z, +, .). Vogliamo trattarli nell'ambito esteso dei domini a fattorizzazione unica. Dedicheremo all'argomento i paragrafi futuri. Anticipiamo comunque qui qualche utile osservazione, valida quando (R, +,.) è un anello euclideo con valutazione V. Sia allora a E R. Caratterizziamo anzitutto tramite v i casi in cui a = OR o a è invertibile. Osservazioni 7.4.8 1. Come già sappiamo, a 2. v(I R )

= OR

se e solo se v(a)

= O.

= 1.

Infatti v(I R ) = v(IR . I R ) = v(I R )2. Ma gli unici naturali che sono uguali al proprio quadrato sono O e 1, e non può essere v(I R ) = O perché l R -::f- OR. Quindi v(I R ) = 1.

3. Più in generale a è invertibile se e solo se v( a) = 1. Infatti, se a è invertibile, allora l R = a . a-l, e quindi 1 = v(I R ) = v(a· a-l) = v(a) . v(a- l ) da cui deduciamo v(a) = v(a- l ) = 1. Viceversa, sia v(a) = 1. Esistono q, r E R per cui I R = a . q + r e v(r) < v(a) = 1. Così v(r) = O, r = OR e I R = a· q. Circa le possibili valutazioni di elementi irriducibili in (R,

+, .),

notiamo:

Proposizione 7.4.9 Se v(a) è primo (in N), a è irriducibile.

Dimostrazione. Altrimenti a = b· c per opportuni b, c E R, b, c non invertibili. Segue v(a) = v(b) . v(c) con v(b), v(c) E N, v(b), v(c) > 1. Così v(a) non è primo. D Terminiamo il paragrafo illustrando con un esempio gli argomenti fin qui trattati nel capitolo.

7.4 Elementi primi e irriducibili: domini a fattorizzazione unica

283

Esempio 7.4.10 Consideriamo l'anello degli interi di Gauss (Z[i], +, .). Ricordiamo che Z [i] = {a + bi : a, E Z} e che (Z [i]' +, .) è un anello euclideo (dunque un dominio a ideali principali e un dominio a fattorizzazione unica) purché poniamo

v(a

+ bi)

= a2

+ b2

per ogni scelta di a, bE Z.

1. La divisione si esegue in Z [i] come suggerito dall'Esempio 7.3.5.2, prima cercando un quoziente esatto in O (ovvero di grado minore di 8( a( x)): si ricordi infatti che in K[ x] il grado di un prodotto coincide con la somma dei gradi, in particolare

8(a(x))

= 8(b(x)) + 8(c(x));

quindi, se a( x) si esprime come b( x) . c( x) con b( x), c( x) non invertibili, cioè di grado> O, deve anche essere 8(c(x)) < 8(a(x)), e analogamente per 8(b(x)). Ovviamente a(x) è riducibile se ha grado> O e si può esprimere appunto come prodotto di due polinomi b( x), c( x) di grado> O (ovvero < 8( a( x))). A questo punto, 2 non dice niente di eccezionale o inatteso: è chiaro infatti, che un polinomio a(x) di grado 1 non si può scrivere come prodotto di due polinomi di grado minore (cioè O). Dunque il riferimento alla valutazione v non dà grande aiuto nella ricerca dei polinomi irriducibili in K[x]. Se vogliamo risultati più incisivi dobbiamo battere altre strade. Possiamo comunque concentrare la nostra attenzione su polinomi a(x) di grado ~ 2. Un tema che si lega parzialmente a quello dell'irriducibilità riguarda le radici di a(x).

Definizione 7.5.4 Siano a(x) E K[x],

et E

a(et) = OK.

In altre parole,

et

K.

et

si dice radice di a(x) se

è una soluzione dell'equazione a(x) = OK.

Tra parentesi, possiamo ricordare, a proposito dei polinomi a( x) = ao + al x E K[x] di grado 1, che essi hanno sempre una (e una sola) radice -a1lao (infatti al-::/:-OK).

Proposizione 7.5.5 Siano a(x) E K[x], divisione di a(x) per x - et è a(et).

Dimostrazione. Siccome x -

et -::/:-

et

E

K. Allora il resto della

OK, esistono q( x), r( x) E K[ x] tali che

7.5 Polinomi

a(x)

= (x -

a) . q(x)

287

+ r(x)

con r(x) = OK o 8(r(x» < 8(x - a) = 1. In ogni caso r(x) = a(a) = (a - a) . q(a) + 1'0 = 1'0.

1'0

E K. Inoltre

D

Corollario 7.5.6 (Teorema di Ruffini). Siano a(x) E K[x], a E K. Allora a è radice di a(x) se e solo se x - a[a(x). Dimostrazione. Il resto della divisione di a(x) per x - a è proprio a(a).

D

Corollario 7.5.7 Un polinomio a(x) E K[x] di grado n 2: 1 ha al più n radici in K. Dimostrazione. Procediamo per induzione su n. Il caso n = 1 è già stato trattato appena prima della Proposizione 7.5.5. Supponiamo adesso il corollario vero per polinomi di grado n e mostriamolo per polinomi a(x) di grado n + 1. Se a(x) non ha radici in K, la tesi è ovvia. Altrimenti ne ha almeno una a, e x - ala(x), cioè a(x) = (x - a)· q(x) per un opportuno polinomio q(x) E K[x] di grado n. Per l'ipotesi induttiva q(x) ha al più n radici in K. D'altra parte le radici di a(x) annullano (x - a) . q(x), dunque sono radici di x - a (e quindi coincidono con a) oppure sono radici di q(x). Così a(x) ha al più n + 1 radici. D

Corollario 7.5.8 Se a(x) E K[x] ha grado 2: 2 e una radice a E K, allora a( x) è riducibile. Dimostrazione. Infatti x-a E K[x], x-a divide a(x) e x-a non è invertibile né associato a a(x) perché ha grado 1. D

Ci si può domandare allora se, per polinomi a(x) di grado 2: 2, a(x) è irriducibile in K[x] se e solo se a(x) è privo di radici in K.

Abbiamo visto che vale l'implicazione da sinistra a destra. Ma l'altra implicazione può essere falsa già per polinomi di grado 4.

Esempio 7.5.9 Per K = 0, l' = k. Ma (1', k) = 1, così l' = k = 1. In conclusione a(x) = g'(x) . h'(x) è riducibile in Z[x]. Dunque il teorema è provato se mostriamo:

Lemma 7.5.20 (Gauss). Il prodotto di due polinomi primitivi in Z[x] è primitivo.

Dimostrazione. Siano

g(x)

= go + glX + ... + gnxn,

h(x)

= ho + h1x + ... + hmx m

due polinomi primitivi in Z[x]. Ammettiamo g(x) . h(x) non primitivo. Così c'è un primo p che divide tutti i coefficienti di g(x) . h(x). D'altra parte ci sono i :S n, j :S m tali che p non divide né gi né hj (infatti g(x), h(x) sono primitivi). Siano i,j minimi con questa proprietà. Il coefficiente di xi+j in

g(x) . h(x) è

Ma p divide questo coefficiente, così come divide go, ... , gi-l, ho, ... ,hj - 1. Segue che plgihj, e dunque pigi o plh j ; ma questo è assurdo. Si conclude che g(x) . h(x) è primitivo. D

294

7 Anelli commutativi unitari

Passiamo ora alla questione della irriducibilità in Ql[x] (o in Z[x]), cioè al problema (1). Qui la situazione è assai più complicata che in qx] o lE.[x]. Ad esempio si ha Corollario 7.5.21 (Criterio di Eisenstein). Sia a(x) = ao + alX + ... + > O, a n -::f- O. Supponiamo che esista un primo p tale che

anx n E Z [x], con n

... , Allora a(x) è irriducibile in Ql[x]. Dimostrazione. Siccome p non divide a n , p è primo con il divisore d di a(x). Salvo dividere i coefficienti di a( x) per d, possiamo allora supporre a( x) primitivo senza alterare le ipotesi. CosÌ, se a(x) è riducibile in Ql[x], lo è anche in Z[x]: esistono g(x), h(x) E Z[x] non invertibili (e di grado 2': 1) tali che a(x) = g(x) . h(x). Poniamo

dove gr, hs -::f- O, O < T, s

O e ai = goh i + ... + gi-Ihl + gihO. Ora plai, plgo, ... ,plgi-l e quindi PlgihO. Ma allora p divide gi o ho, e questo è assurdo. Segue che a(x) è irriducibile in Ql[x].

D

Esempi 7.5.22 1. Per ogni primo p e per ogni intero positivo n, xn - p è irriducibile in Ql[x] (e dunque in Ql[x] ci sono polinomi irriducibili di qualunque grado n> O). Infatti si può applicare il Criterio di Eisenstein per p: plao (anzi ao = p), plal (infatti al = O), ... , plan-l (ancora perché an-l = O), P non divide a n (dato che a n = 1) e p2 non divide ao.

2.

Xl2 -

3x 5

+ 21 x 4

-

27x 3

+ 81x2

- 42 è irriducibile in Ql[x]. Infatti

310, -3,21, -27,81, -42;

3 tI;

32 t 42.

Possiamo allora applicare il Criterio di Eisenstein per p

= 3.

Gotthold Eisenstein fu matematico tedesco dell'Ottocento, tanto brillante quanto sfortunato: morÌ infatti prematuramente, a soli 29 anni; ebbe modo comunque di collaborare con maestri illustri, come ad esempio Gauss.

7.5 Polinomi

295

Dunque, in generale, per K = Ql, il problema (1) (la ricerca dei polinomi irriducibili) è assai complicata. Esistono comunque a suo proposito e anche a riguardo del problema (2) (decomposizione in fattori irriducibili) algoritmi generali, anche se difficili, di risoluzione: se ne parla ad esempio in [15]. Quanto al problema (3) (ricerca delle radici) la situazione diviene, in linea di principio, molto semplice. Sappiamo infatti che ogni polinomio in Ql[x] ha le stesse radici di un opportuno polinomio in Z [x] a lui associato. Ma per polinomi in Z [x] è facile delimitare le possibili radici razionali in un ambito finito. Infatti si impara già nelle scuole superiori quanto segue. Proposizione 7.5.23 Sia a(x) = aO+alx+·· ·+anx n E Z[x] di grado n> O, e sia a E Ql una radice di a(x), a = ~ con p, q interi, q "I- O, (p, q) = 1. Allora p[ao e q[a n .

Dimostrazione. Sappiamo che O = ao

+ al ~ + ... + a n

(~) n

aoqn

+ alpqn-l + ... + anpn qn

quindi D'altra parte

P [alpq n-l

+ . . . + an-lPn-l q + anP, n

quindi p[aoqn; ma p è primo con q e dunque p[ao. Allo stesso modo

q [aoq n

+ alpq n-l + . . . + an-lPn-l q,

cosÌ q[anpn. Ma (q,p) = 1, perciò q[a n .

D

La proposizione limita la ricerca delle radici razionali di a( x) a un contesto finito (cioè ai razionali a = ~ con p[ao e q[a n ): basta allora una verifica caso per caso (che stabilisca per ogni possibile a se f (a) = O o no) per determinare le radici effettive. Si noti però che l'algoritmo proposto, per quanto semplice in teoria, potrebbe rivelarsi lungo e lento nella pratica: infatti gli a da esaminare (dedotti dai divisori di ao, a n ) potrebbero essere assai numerosi. Esempio 7.5.24 a(x) = x 3 + 5X2 - 6x + 1 E Ql[x] ha ±1 come possibili radici razionali perché ao = a3 = 1 hanno i soli divisori ±1. Si verifica facilmente

a(l)

= 1+5-

6+1

= 1 "I- O,

a( -1)

= -1 + 5 + 6 + 1 = 11 "I- O.

CosÌ a(x) è privo di radici in Ql. Inoltre 8(a(x)) = 3, dunque a(x) è irriducibile in Ql[x]. Invece le radici di X 51 - 10924716988572 sono tra i divisori (positivi o negativi) di 10924716988572: ma quanti e quali sono questi divisori?

296

7 Anelli commutativi unitari

Sia ora K = Zp con p primo. Zp è finito, e cosÌ anche l'insieme dei polinomi a(x) E Zp[x] di grado assegnato è finito. Perciò non c'è difficoltà - in linea teorica - a riconoscere i polinomi irriducibili in Zp[x], a decomporre in fattori irriducibili un dato polinomio, o a determinare le sue radici. Basta operare con pazienza le relative verifiche caso per caso. Tuttavia nella pratica il procedimento potrebbe allungarsi a tempi proibitivi. Vediamo comunque qualche esempio.

Esempi 7.5.25 1. Consideriamo a(x) = X2 + 1 E Z3[X]. Siccome a(x) ha grado 2, si ha che a(x) è irriducibile in Z3[X] se e solo se è privo di radici in '1. 3 . D'altra parte gli elementi di '1. 3 , e dunque le possibili radici di a(x) in '1. 3 , sono 0,1,2 e

a(O)

= 1, a(l) = 2,

a(2)

=5=2

(le uguaglianze si intendono, ovviamente, in '1. 3 ). CosÌ a(x) è irriducibile in Z3[X]. 2. Consideriamo a(x)

= X2 + 1 in

Z5[X]. Stavolta

a(2)

= a(3) = O,

e da questo si deduce

a(x) = (x - 2) . (x - 3). Del resto a(x) modulo 5).

= X2 + 1 = X2

3. In '1. 2 , a(x) = X2

- 2) . (x

+ 2)

(e 3 coincide con -2

= O in

= X2 + 1 = X2 + 2x + 1 = (x + 1)2

= O e 1 = -1 in '1. 2 • I possibili polinomi di grado 2 in Z2[X] sono x 2, X2 + x, X2 + 1 (riducibili), X2 + x + 1 (irriducibile, infatti 0 2 + O+ 1 = 1 -I- O, 12 + 1 + 1 = 3 = 1 -I- O). In Z2[X] si consideri a(x) = x 4 + X + 1, che ha grado 4. a(x) non ha radici (si ricordi 2

5.

= (x

+ 1 è riduci bile perché a(x)

4.

- 4

'1. 2 ). Del resto a(l)

in Z2[X] perché

a(O)

= a(l) = 1 -I- o.

Chiediamoci se a(x) è irriducibile. Si ha: a(x) non ha divisori di grado 1, perché non ha radici; a(x) non ha divisori di grado 3, altrimenti l'eventuale quoziente sarebbe un divisore di grado 1, e questo è già stato escluso; • a(x) non ha fattori irriducibili di grado 2: l'unico potrebbe essere X2 + x + 1, ma (X2 + x + 1)2 = x 4 + X2 + 1 -I- x 4 + X + 1. Segue che a(x) è irriducibile in Z2[X].

• •

7.5 Polinomi

297

Tornando a Z, siamo finalmente in grado di provare, come promesso, che l'anello Z[x] dei polinomi a coefficienti interi nella indeterminata x è un dominio a fattorizzazione unica, come Z o Q[x]. Possiamo infatti applicare i risultati di Gauss sui polinomi primitivi e, appunto, dedurre Teorema 7.5.26 (Z[x], +,.) è un dominio a fattorizzazione unica.

È da ricordare che Z [x], a differenza di Z e Q[ x], non è invece un dominio a ideali principali.

Dimostrazione. Già sappiamo che Z[x] è un dominio di integrità e conosciamo i suoi elementi invertibili, che si riducono a ±1. Dobbiamo allora provare che ogni polinomio a(x) E Z[x] diverso da O, ±1 si decompone in fattori irriducibili in Z [x], e che questa rappresentazione è unica a meno di permutazioni dei fattori o di fattori associati. Scriviamo a( x) = d· q( x) dove d è divisore di a( x) e q( x) è primitivo. Esistenza della decomposizione. Anzitutto d si rappresenta come prodotto di elementi irriducibili in Z e in Z[x]. Anche q(x) si decompone in Q[x] nella forma

q(x) =

II qj(x) j O abbiamo due radici distinte e opposte, ± -!!Q. appunto. Si noti che, se trasferiamo il nostro ambito da ]]{ a2

J

al campo complesso d è in (h (x), ... , f n (x)). Segue che K[xl -::j:. (h (x), ... , fn(x)).

Proponiamo adesso alcuni esempi di spazi vettoriali finitamente generati. Esempi 8.3.15 1. Siano K = JE., V = JE.2. Allora V è finitamente generato. Ad esempio V = ((1,0), (O, 1)), infatti ogni elemento (XI,X2) E JE.2 si scrive

(XI,X2) = (XI,O)

+ (0,X2)

= Xl' (1,0)

+ X2'

(0,1).

Di conseguenza, per ogni (Xl, X2) E JE.2, V è anche ((1, O), (O, 1), (Xl, X2)) infatti (Xl, X2) appartiene già a (( 1, 0), (O, 1)). Ma V si può anche ottenere come ((1, 1), (-3,2)); infatti ogni (Xl, X2) in JE.2 si può scrivere (Xl, X2) = 'l' (1, 1) + '2' (-3,2) = ('l - 3/2, 'l + 2/2) per opportuni Il, '2 E JE., basta che si abbia dunque che (come è facile verificare per esercizio).

322

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

2. Per ogni campo K, Kn = (el,e2', ... ,e~) dove e1 = (IK,OK, ... ,OK), e2' = (OK,IK, ... ,OK), ... , e~ = (OK, ... ,OK,IK); infatti ogni elemento x = (Xl,X2, ... , x n ) di K n si esprime come Xl' e1 + X2' e2' + ... + Xn ' e~. Dunque K n è finitamente generato. Esercizi 8.3.16 1. Per ogni naturale d, sia W d l'insieme dei polinomi di K[x] nulli o di grado ::; d. Si provi che W d è un sottospazio di K[x] e che W d è finitamente generato (suggerimento: Wd = (IK, X, x 2 , ... , x d)). 2. Si provi che lo spazio vettori aIe delle matrici m x n a coefficienti in un campo K è finitamente generato.

Torniamo adesso al problema di determinare, per ogni spazio vettoriale V su K, un minimo sottospazio che estenda due sottospazi dati Wl, W 2 e quindi la loro unione Wl U W 2: quindi con la notazione sopra introdotta, dobbiamo individuare (Wl U W 2). L'analoga questione per gruppi e sottogruppi e la constatazione che Wl, W 2 sono sottogruppi normali del gruppo abeliano additivo V ci suggeriscono di considerare la somma di Wl e W 2, ovvero l'arrangiamento in chiave additiva del prodotto di sottogruppi definito nel paragrafo 5.5, dunque Wl + W 2 = {Wl + W2 : Wl E Wl, W2 E W 2}. In effetti è facile provare Proposizione 8.3.17 (Wl U W 2)

= Wl + W 2.

Dimostrazione. (Wl U W 2) contiene tutti gli elementi tanto di Wl quanto di W 2 ed è un sottospazio, quindi include anche la loro somma, cioè Wl + W 2. Dobbiamo allora provare l'inclusione inversa Wl + W 2 ;;:> (Wl U W 2). Ricordando la definizione di (Wl U W 2), ci basta mostrare:

(i) Wl U W 2 ç Wl + W 2, (ii) Wl + W 2 è un sottospazio di V. (i) È sufficiente scrivere ogni elemento Wl E Wl come Wl = Wl +Ov e osservare che Ov E W 2; così Wl E Wl + W 2. Allo stesso modo, per ogni W2 E W 2, W2 = Ov + W2 E Wl + W 2 perché Ov E Wl. (ii) Già sappiamo che Wl + W 2 è un sottogruppo del gruppo additivo V. Ci basta allora osservare che, se Wl E Wl, W2 E W 2 e k E K,

Dal Teorema 8.3.2 Wl

+ W 2 risulta un

sottospazio di V.

D

Esempio 8.3.18 Siano K =]]{, V = ]]{2, Wl = ((1,0)) = {(Xl,O): Xl E ]]{}, W2 = ((0,1)) = {(0,X2) : X2 E ]]{}. Allora (Wl U W 2) = Wl + W 2 si compone delle somme (Xl,O) + (0,X2) = (Xl,X2) al variare di Xl,X2 in ]]{, dunque coincide con l'intero V.

8.4 Basi e dimensioni

323

8.4 Basi e dimensioni Sia V uno spazio vettoriale su un campo K. Introduciamo una nozione di dipendenza tra elementi di V nel modo che segue. Definizione 8.4.1 Gli elementi VI, ... ,V n di V si dicono linearmente dipendenti se esistono k l , ... ,kn E K non tutti nulli tali che k l 'Vl + .. -+ k n 'V n = Ov; VI, ... ,Vn si dicono, di conseguenza, linearmente indipendenti se, per ogni scelta di k l , ... , k n E K, se k l . VI + ... + k n . v n = Ov, allora deve essere k l = ... = k n = Ov.

Ricordiamo infatti che OK'Vl + .. ·+OK·V n = Ov. Nel seguito abbrevieremo per semplicità l'espressione "linearmente dipendenti" in 1. d. e l'altra "linearmente indipendenti" in 1. i .. Esempio 8.4.2 Un singolo elemento VI E V è l. i. se e solo se VI -::f- Ov. Infatti, se VI -::f- Ov, allora, per ogni k l E K, k l . VI = Ov impone k l = Ov, quindi VI è l. i .. Viceversa VI = Ov soddisfa IK 'Vl = Ov pur essendo IK -::f- Ov. Esercizio 8.4.3 Si provi che, se

• •

VI, ...

,vn E V sono l. i., allora

per ogni permutazione (J" di Sn, Vo-(l), ... ,Vo-(n) sono l. i., per ogni intero positivo m ::; n, VI, ... , V m sono l. i.; in particolare VI, ... ,V n -::f- OV·

Esempi 8.4.4 1. Siano K = ]]{, V = ]]{2. Allora (1, O), (O, 1) sono l. i., perché, per k l , k 2 E ]]{, se (O, O) = k l . (1, O) + k 2 . (0,1) = (k l , k 2 ), allora deve essere k l = k 2 = O. Invece, per ogni (Xl, X2) E ]]{2, (1, O), (O, 1), (Xl, X2) sono l. d. perché vale Xl'

(1,0)

+ X2'

(0,1) -1·

(Xl,X2)

= (0,0)

pur essendo -1 -::f- O. Finalmente (1,1), (-3,2) sono l. i.: infatti sia (0,0)

= kl

·

(1,1)

+ k2

·

(-3,2)

= (k l

-

3k2 ,kl

+ 2k2 )

per k l , k2 E ]]{, allora deve essere

kl

-

3k2

= kl + 2k2 = O,

da cui si deduce facilmente k l = k2 = O. 2. Siano K un campo e n un intero positivo. Allora ef = (1K, OK, ... ,O K), e 2 = (OK, IK, ... ,OK), ... , e~ = (OK, ... ,OK, IK) sono l. i. in Kn: infatti, se k l , .. . ,kn E K e

allora deve essere k l = k 2 = ... = k n = OK

.

324

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Ecco un'altra caratterizzazione della dipendenza lineare in uno spazio vettoriale. Lemma 8.4.5 VI, ... , v n E V sono l. i. se e solo se ogni elemento V nello spazio (VI, ... , v n ) che VI, ... , V n generano si rappresenta in modo unico come combinazione lineare di VI, ... , V n : vale V = k l . VI + ... + k n . V n per un'unica scelta di k l , ... ,kn E K.

Dimostrazione. Supponiamo dapprima VI, ... ,vn E V L i.; siano poi k l ,h n E K tali che

, ...

,kn ,

hl, ...

kl

. VI

+ ... + k n

. Vn

= hl

. VI

+ ... + h n

.

vn ;

deduciamo e quindi, siccome VI, ... ,V n sono L i., k l - hl = ... = kn - h n = OK, cioè kl = hl, ... ,kn = h n · Viceversa, siano k l , ... , k n E K tali che k l . VI + ... + k n . V n = Ov. Ma Ov si scrive anche OK . VI + ... + OK . V n . Dall'unicità della rappresentazione in (Vl,""V n ) si deduce k l = ... = k n = OK. D Definizione 8.4.6 Si dice che su K se

(i) (ii)

VI, ... , V n VI, ... , V n

VI, ... , V n

formano una base

{VI, ... ,

v n } di V

generano V, sono L i ..

Quindi VI, ... , V n formano una base di V se e solo se ogni elemento V E V si esprime in uno e un solo modo come combinazione lineare di VI, ... , V n , si ha cioè V = k l . VI + ... + k n . V n per una e una sola scelta di k l , ... , k n E K (k l componenti di V rispetto alla base {VI, ... , V n } ).

, ... ,

k n si dicono allora le

Esempi 8.4.7 1. (1, O), (O, 1) formano una base di JE.2 su JE.. Le componenti di (Xl, X2) E JE.2 rispetto a questa base sono proprio Xl, X2, infatti (Xl, X2) = Xl . (1, O) + X2 • (0,1). Anche {(l,l), (-3,2)} è una base di JE.2 su lE.. Invece (1, O) non forma una base di JE.2 su JE. perché non riesce a generarlo, e (1, O), (O, 1), (1, 1) non formano una base di JE.2 su JE. perché sono L d .. {(l,O), (O, l)} si chiama la base canonica di JE.2 su JE.. 2. In generale, per ogni campo K, lo spazio vettoriale K n ammette {el"'" e~} come base. Le componenti di un elemento (Xl, ... , x n ) di Kn rispetto a questa base sono proprio Xl, ... , X n , infatti

{e l , e~, ... , e~} si dice la base canonica di K n su K.

8.4 Basi e dimensioni

325

3. Lo spazio {Ov} non ha base: infatti l'unico suo vettore Ov è L d .. La nostra definizione di base prevede (almeno implicitamente) che lo spazio vettori aIe V sia finitamente generato. Sotto questa condizione è relativamente semplice provare l'esistenza di una base per V se V -::/:- {Ov}. Teorema 8.4.8 Sia V -::/:- {Ov} uno spazio vettoriale finitamente generato su

un campo K. Allora esiste una base di V su K. Dimostrazione. Siccome V è finitamente generato, esistono VI, ... , v n E V tali che V = (VI, ... , v n ). Siccome V -::/:- {Ov}, almeno uno tra VI, ... , V n è diverso da Ov; per semplicità assumiamo VI -::/:- Ov. CosÌ •



VI, ... , V n

invece

VI

generano V, ma non è detto che siano L i.; è L i., ma non è detto che generi V.

Ci sono comunque due possibili strategie che, a partire da scono una base di V. Possiamo infatti

VI, ... , V n ,

defini-

a) eliminare alcuni elementi tra VI, ... , V n in modo che quelli restanti continuino a generare V ma acquistino l'indipendenza lineare; b) alternativamente estendere VI all'interno di VI, ... , v n in modo da mantenere l'indipendenza lineare ma riuscire a generare V. Esponiamo ambedue i metodi.

a) Se VI, ... , V n sono L i., siamo a posto: VI, ... , V n formano una base di V. Altrimenti esistono k I , ... , k n - I , k n E K non tutti nulli tali che k I . VI + ... + kn - I . Vn-I + kn . V n = Ov. Ammettiamo per comodità kn -::/:- OK; allora k n ha inverso k:;;l in K; moltiplicando la precedente uguaglianza per k:;;l otteniamo k;;l . (k I

. VI

+ ... + k n -

I . Vn-I

+ k n . v n ) = k;;l

·Ov

= Ov;

ma

k:;;l ·(k I . VI + ... + k n - I . Vn-I + k n . v n ) = = k:;;l . kI . VI + ... + k:;;l . k n - I . Vn-I + k:;;l . k n = k:;;l . kI . VI + ... + k:;;l . k n - I . Vn-I + V n ;

. Vn

=

deduciamo allora che

e finalmente dal Lemma 8.3.12 (VI, ... ,Vn-I) = (VI, ... ,Vn-I,Vn ) = V. CosÌ la dipendenza lineare di VI, ... , Vn-I, V n consente l'eliminazione di V n . A questo punto, se VI, ... , Vn-I sono L i., otteniamo una base VI, ... , Vn-I di V; altrimenti possiamo ripetere il procedimento precedente ed eliminare nuovi elementi. Tuttavia, siccome VI -::/:- Ov è L i., la procedura deve aver fine prima di eliminare anche VI e produrre quindi una base di V, e cioè un insieme di vettori tra VI, ... , V n L i. e capaci di generare V.

326

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

b) Se (VI) = V, siamo a posto: VI forma da solo una base di V. Altrimenti (VI) -I- V = (VI, V2, ... , V n ) e quindi qualche elemento tra V2, .. . ,Vn è fuori di (VI)' Supponiamo ad esempio V2 (j. (VI)' Allora VI,V2 sono l. i.: siano infatti k I , k 2 E K tali che k I . VI + k 2 . V2 = Ov· Se k 2 -I- OK, allora moltiplichiamo l'uguaglianza per l'inverso k:;I e otteniamo come prima V2 = _(k:;I . kr) . VI E (VI), il che è assurdo. Allora k 2 = OK, e questo implica k I . VI = Ov, quindi k I = OK. A questo punto se V = (VI, V2) siamo a posto: VI, V2 formano la base cercata. Altrimenti, se VI, V2 non riescono a generare V, si ripete il ragionamento. Ma anche in questo caso il procedimento ha termine (e produce dunque una base di V) perché VI, ... ,Vn generano V. D

Due punti della precedente duplice dimostrazione meritano qualche commento. •



Anzitutto l'ipotesi che V è finitamente generato e il conseguente riferimento a VI, ... ,V n gioca ruolo essenziale. Va tuttavia aggiunto che una più elaborata definizione di base si può dare anche per spazi V non finitamente generati e - quel che più conta - un teorema di esistenza della base si può dare provare anche in questo ambito esteso: si ha però bisogno di far riferimento all'assioma della scelta, come già accaduto nel capitolo scorso a proposito degli ideali massimali. Anzi la prova è ancor più impegnativa, e questo è uno dei motivi che ci inducono a restringere l'attenzione al caso finitamente generato. Anche l'ipotesi che K è un campo, e dunque la scelta di trattare solo spazi vettoriali e non anche moduli su anelli arbitrari, sono fondamentali. La certezza di un inverso per ogni elemento non nullo di K permette infatti nel Teorema 8.4.8 rapidi passaggi verso la conclusione. Senza questa ipotesi, cioè quando l'analisi si allarga dai campi ad altre classi di anelli, l'esistenza di una base non è più garantita.

Osserviamo comunque che, anche nel caso di campi K e di spazi vettori ali V su K finitamente generati, una base non è in genere unica. Ad esempio sappiamo che tanto (0,1), (1, O) quanto (1,1), (-3,2) formano una base di JE.2 su JE.: entrambe hanno, tuttavia, due elementi e, in effetti, vale in generale il risultato seguente.

-I- {Ov} uno spazio vettoriale finitamente generato su K. Allora tutte le basi di V su K hanno lo stesso numero di elementi.

Teorema 8.4.9 Sia V

Dimostrazione. Siano {VI, ... ,Vn }, {Wl, ... ,wm } due basi di V su K, dobbiamo provare che n = m. A questo scopo ci basta mostrare che, se VI, ... , V n , Wl, ... ,W m E V e • •

VI, ... , V n generano V, Wl, ... ,W m sono l. i.,

8.4 Basi e dimensioni

327

allora m ::; n. Infatti, se questo è vero, possiamo invertire nelle nostre ipotesi i ruoli di VI, ... , V n , Wl, ... , W m , notare che anche Wl, ... ,W m generano V e anche VI, ... ,Vn sono L i., dedurre che n ::; m e, in conclusione, n = m. Supponiamo allora

V =

(VI, ... ,vnì,

e ammettiamo per assurdo n k l , ... ,kn E K per cui

Wl, ...

< m. Siccome

,wm L i.,

VI, ... ,Vn

generano V, ci sono

siccome Wl -I- Ov, c'è almeno un i = 1, ... ,n per cui k i -I- OK. Sia ad esempio k l -I- OK, così k l ha inverso k 1 l e, moltiplicando i due membri della precedente uguaglianza per k1 l , si ottiene

kl l

. Wl

= k1l . (k l . VI + ... + k n . V n ) = = k1l . k l . VI + k1 l . k 2 . V2 + ... + k1 l = VI + k1l . k 2 . V2 + ... + k1l . k n . V n

.

kn

. Vn

=

cioè in particolare VI E (Wl, V2, ... ,vnì, quindi (Wl, V2, ... ,Vnì = (Wl, VI, V2, ... ,vnì include (VI, V2, ... ,vnì, cioè V, e di conseguenza (Wl, V2, ... ,vnì = (Wl, VI, V2, ... , vnì = V. In altre parole V è generato anche dagli elementi Wl, V2, ... , V n , che sostituiscono VI con Wl. Adesso notiamo che anche W2 si esprime in riferimento a Wl, V2, ... ,V n come

per opportuni hl, ... ,hn E K; vale quindi

sono L i., - hl . Wl + W2 -I- Ov, dunque è anche h 2 . V2 + ... + h n . V n -I- Ov ed esiste i = 2, ... n per cui h i -I- OK· Possiamo supporre h 2 -I- OK; ma allora, procedendo come sopra, si deduce che possiamo sostituire V2 con W2 tra i generatori di V e che dunque si ha V = (Wl, W2, V3, ... , vnì. Ripetendo il procedimento si ottiene che, salvo permutare gli indici 1,2, ... ,n, Siccome

Wl, W2

Ma allora (per n

per opportuni

< m)

Wn+l

/1, /2, ... , / n

si scrive

E K; vale cioè

328

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

e questo contraddice l'ipotesi che Wl, ... ,W n , Wn+l, ... ,W m sono L i .. Dunque non può essere n < m, e di conseguenza si ha n 2': m, come richiesto. D Il precedente teorema si può estendere anche a spazi vettoriali non finitamente generati: in questo caso non ha senso parlare di "numero" di elementi di una base, ma si prova che due basi di V sono in corrispondenza biunivoca tra loro. Di nuovo, però, il risultato adopera in modo decisivo l'assioma della scelta; di più la sua dimostrazione diventa più complicata di quella del caso finitamente generato. Continuiamo perciò a limitare il nostro interesse agli spazi vettoriali finitamente generati. Va anche sottolineato come l'ipotesi che K sia un campo (e non un anello arbitrario) gioca un ruolo cruciale nella dimostrazione precedente, perché permette di considerare liberamente gli inversi degli elementi non nulli di K. Il Teorema 8.4.9 giustifica la seguente Definizione 8.4.10 Sia V -::j:. {Ov} uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo K. Si chiama dimensione di V su K, e si indica dimK V, il numero (costante) degli elementi di una qualunque base di V su K.

Si conviene poi di assegnare allo spazio {Ov} la dimensione o. A spazi vettori ali non finitamente generati daremo sbrigativamente dimensione infinita (senza scendere in ulteriori dettagli). Esempi 8.4.11 1. dimIRll~.2 = 2; infatti lE.2 ha su lE. la base {(0,1), (1, O)} (o anche l'altra {(I, 1), ( -3, 2)}. A proposito, dimIR \ (1, O) ì = dimIR \ (0,1) ì = 1 (esercizio: perché?). 2. Per ogni campo K e per ogni intero positivo n, dimK K n = n (si ricordi che una base di K su Kn è formata da e1, ... , e~).

Ecco alcune notevoli conseguenze dei due teoremi precedenti. Fissiamo uno spazio vettoriale V -::j:. {Ov} finitamente generato su un campo K e conveniamo che n sia la sua dimensione su K. Corollario 8.4.12 n è il numero minimo di generatori di V e il numero massimo di elementi l. i. in V.

Dimostrazione. Sappiamo che una base di V su K si compone di n elementi, che questi elementi generano V e sono L i.; abbiamo poi visto nel corso della dimostrazione del Teorema 8.4.9 che • •

un qualunque insieme di generatori di V ha almeno n elementi; un qualunque insieme di elementi L i. di V ha al più n elementi. D

8.4 Basi e dimensioni

329

Corollario 8.4.13 Ogni insieme di generatori di V si può restringere a una base di V su K, e ogni insieme di elementi l. i. in V si può estendere a una base di V su K.

Dimostrazione. Ammettiamo che V = (Vl, ... , vmì (con m ~ n). Se Vl, ... , V m sono L i., allora formano già una base di V su K. Altrimenti la dimostrazione del Teorema 8.4.8 ci indica come escludere un qualche elemento (ad esempio v m ) da Vl, ... , V m in modo che quelli restanti Vl, ... , Vm-l generino ancora V. A questo punto, il ragionamento si ripete: se Vl, ... , Vm-l sono L i., abbiamo ottenuto la base cercata; se no, si può eliminare ancora qualche elemento tra Vl, ... , Vm-l. Il procedimento deve comunque avere fine, perché non possiamo trovare insiemi con un numero minore di n di generatori di V. Supponiamo adesso Vl, ... , V m L i. (così m ::; n). Se Vl, ... , V m generano V, siamo a posto, {Vl, ... , v m } è la base cercata, e m = n. Se no, possiamo comunque estendere Vl, ... , V m con un numero finito di altri vettori v m + l, ... , vm+t in modo tale da generare V, e la dimostrazione del Teorema 8.4.8 ci assicura che per uno almeno di questi vettori - ad esempio per Vm+l - si ha che Vl, ... , V m , Vm+l sono ancora L i .. Si ripete il procedimento finché necessario. In al più n - m passi si ricava la base cercata, perché non si possono trovare in V più di n elementi L i. . D Corollario 8.4.14 Siano

(a) Se (b) Se

Vl, ... , V n Vl, ... , V n

Vl, ... , V n

n elementi di V.

generano V, allora Vl, ... , V n formano una base di V. sono l. i., allora Vl, ... , V n formano una base di V.

Dimostrazione. Altrimenti si può procedere come nel Corollario 8.4.13 e • •

eliminare in (a) qualche elemento da Vl, ... , V n , mantenendo la loro capacità di generare V, aggiungere in (b) qualche elemento a Vl, ... , V n preservando la loro indipendenza lineare,

contraddicendo comunque il Corollario 8.4.12.

D

Corollario 8.4.15 Sia W un sottospazio di V. Allora anche W è finitamente generato, e dimK W ::; n; anzi dimK W = n se e solo se W = V.

Dimostrazione. La tesi è ovvia se W = {Ov}: in tal caso W è finitamente generato, dimKW = O < n, e W -::/:- V. Supponiamo allora W -::/:- {Ov}. Sappiamo che n limita il numero massimo di elementi L i. in V, e dunque anche in W. Sia allora m ::; n il numero massimo di elementi L i. in W, e siano Wl, ... , w m E W L i.; se (Wl, ... , wmì -::/:- W, possiamo procedere come nel Corollario 8.4.13, prendere Wm+l E W - (Wl, ... , wmì e dedurre che Wl, ... , W m , Wm+l sono L i., contraddire così la scelta di m. Segue che W = (wl, ... ,wmì. Allora W è finitamente generato, anzi {Wl,""W m } è base di W su K: così dimKW = m::; n.

330

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Finalmente, n, possiamo sono l. i. in generano V;

è ovvio che, se W = V, allora dimKW = n. Se invece dimKW = prendere una base Wl, ... ,W n di W su K, notare che Wl, ... , W n W, dunque in V, dedurre dal Corollario 8.4.14 che Wl, ... ,W n concludere V = (Wl, ... ,W n ) = W. D

8.5 Ancora sottospazi: somme dirette Dedichiamo qualche ulteriore riga all'argomento dei sottospazi. Lavoriamo allora in uno spazio vettori aIe V -::/:- {Ov }; salvo avviso contrario, non richiediamo che V sia finitamente generato. Ci interessa in particolare la nozione di somma diretta di sottospazi, che andiamo a introdurre con un paio di esempi. Prima però ricordiamo che nel paragrafo 8.3 abbiamo introdotto la somma di due sottospazi Wl, W 2

e abbiamo provato che Wl

+ W 2 coincide col sottospazio generato da Wl UW2 .

Esempi 8.5.1 1. Siano K = JR, V = JR2, Wl = ((I, O)), W 2 = ((0,1)). Già sappiamo che Wl + W 2 = JR2. Aggiungiamo però l'osservazione che Wl n W 2 = {(O, O)}, e notiamo anche che ogni elemento (Xl, X2) E JR2 si decompone in un solo modo come somma di un elemento di Wl e di uno di W 2 : per la precisione, (Xl,X2) = (Xl,O) + (0,X2). 2. Sia ancora K = JR, ma consideriamo V = JR3. Consideriamo poi Wl ((1,0, O), (O, 1, O)), W 2 = ((0,1, O), (0,0,1)). Si noti allora che

Si ha allora che Wl + W 2 = JR3 , infatti ogni tema (Xl, X2, X3) si può esprimere come somma di un elemento di Wl e uno di W 2 , ad esempio come o anche come e in altri modi ancora: dunque la possibile rappresentazione non è più unica, come invece accadeva nell'esempio precedente. Inoltre Wl

n W 2 = {(0,X2,0)

: X2 E JR}

= ((0,1,0))

-::/:- {(O,O,O)}.

Definizione 8.5.2 Siano Wl, W 2 due sottospazi dello spazio V. Si dice che

V è somma diretta di Wl e W 2 , e si scrive V = Wl EB W 2 , se ogni elemento di V si esprime in uno e un solo modo come somma di un elemento di Wl e di uno di W 2 .

8.5 Ancora sottospazi: somme dirette

331

Negli esempi precedenti JE.2 = Wl EB W 2 in 1, mentre in 2 JE.3 è somma di Wl e W 2 , ma non è somma diretta. Si noti che V è somma diretta dei sottospazi Wl, W 2 se e solo se V, visto come gruppo abeliano additivo, è il prodotto diretto (interno) dei sottogruppi Wl, W 2 (secondo la notazione introdotta nel paragrafo 5.11: si preferisce comunque parlare qui di somma diretta in omaggio alla notazione additiva). Si deduce allora la seguente caratterizzazione di EB, già suggerita in qualche maniera dagli esempi e dimostrata implicitamente nel caso dei gruppi dopo la Definizione 5.11.2. Proposizione 8.5.3 Siano Wl, W 2 due sottospazi di V. Allora W = Wl EB W 2 se e solo se (a) V = Wl + W 2, (b) Wl n W 2 = {Ov}.

Nel caso in cui V è finitamente generato, e V è somma - o addirittura somma diretta - dei sottospazi Wl, W 2, possiamo confrontare le dimensioni di V, Wl, W 2: infatti anche Wl, W 2 sono finitamente generati, come tutti i sottospazi di V. Si ha: Teorema 8.5.4 Siano V i:- {Ov} uno spazio vettoriale finitamente generato su K, Wl, W 2 due suoi sottospazi tali che V = Wl + W 2. Allora

(*)

dimKV = dimKWl

+ dim K W 2

-

dimK(Wl

n W 2 ).

In particolare, se V è somma diretta di Wl e W 2, dimK V dimKW2.

La (*) si dice formula di Grassmann; infatti il teorema appena enunciato è comunemente attribuito a Hermann Grassmann, matematico dell'Ottocento, che visse, operò e morì a Stettino (città oggi polacca, ma allora appartenente alla Prussia) e si occupò di calcolo vettoriale. Il lettore osserverà come la (*) estenda una proprietà già osservata nel paragrafo 1.9 a proposito di insiemi e cardinalità, quando si è provato che, per A, E insiemi finiti, [A U E[ = [A[ + [E[ - [A n E[. Quanto là stabilito per cardinalità e insiemi si ripete qui per dimensioni e spazi vettoriali. La formula di Grassmann è confermata dai precedenti esempi su spazi e sottospazi: in 8.5.1.1, dimJRJE.2 = 2 = 1 + 1 = dimJR((l, O))

+ dimJR((O, 1)).

(e JE.2 = ((1,0)) EB ((0,1))). In 8.5.1.2, invece, si vede che

e, in effetti, 3

=2+2-

1.

332

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Dimostrazione. Sia dapprima Wl n W 2 -I- {Ov}. Fissiamo una base Wl, ... ,wq di Wl n W 2 su K. Gli elementi Wl, ... ,W q appartengono a Wl e a W 2 e sono l. i.; per il Corollario 8.4.13, possiamo allora estenderli a formare • •

una base Wl, ... ,Wq,W~, ... ,w~ di Wl su K, una base Wl, ... ,Wq,W~, ... ,w~ di W 2 su K.

Ci basta provare che Infatti in tal caso dimK(Wl

Wl, ... , W q , w~,

+ W2)

... , wL W~',

... , w~

è una base di V su K.

= q + t + s = (q + t) + (q + s) - q = = dimKWl + dimKW2 - dimK(Wl n W 2 ).

Si noti anche che per Wl n W 2 = {Ov} si può procedere in modo analogo: possiamo fissare direttamente • •

una base w~, ... ,w~ di Wl su K, una base w~, ... ,w~ di W 2 su K

e provare che w~, ... , w~, w~, ... , w~ formano una base di V su K (in altre parole assumere q = O, ovvero sostituire {Wl, ... ,W q } con 0). Dunque, supponendo eventualmente q = O, dobbiamo provare

(i) Ogni elemento di V si scrive come VI + V2 con VI E Wl e V2 E W 2 . D'altra parte VI = k l . Wl + ... + kq . w q + h~ . w~ + ... + h~ . w~, V2

= 'l

. Wl

+ ... + Iq

. w q + h~ . W~'

per opportuni kl, ... ,kq,/l, ... ,Tq,h~, ... ricava facilmente che VI

+ ... + h~

,h~,h~, ... ,h~

+ V2 = (k l + Il) . Wl + ... + (kq + I q) + h~ . W~ + ... + h~ . W~

. Wq + h~ . W~

. w~

in K. Ma allora si

+ ... + h~ . W~ +

I /I ") ,Wq,W lI ,··· ,WtJW l ,··· 'W s . (ii) Siano ora k l , ... , kq, h~, ... , h~, h~, ... , h~ E K tali che

e" .In

/

\Wl, ...

Ov = k l

. Wl

+ ... + kq

Sia V = k l . Wl scrive anche

. w q + h~ . w~

+ ... + kq . w q + h~ V

+ ... + h~

. w~

= -h~ . W~

-

+ ... + h~ ... -

e come tale appartiene anche a W 2 . Quindi conseguenza V

=

TI . Wl

. w~

V

h~

per opportuni Il, ... , I q E K. Se ne deduce

. w~. Allora

V

E Wl, ma V si

. W~

E Wl

+ ... + T q

+ h~ . W~' + ... + h~ . w~.

. Wq

nW2

=

(Wl, ... ,

Wq), e di

8.5 Ancora sottospazi: somme dirette

Ov

Ma

=v -

v

= 1'1

. Wl

Wl, ... , W q, W~' , ... ,W~ 1'1

Allora v

= Ov, kl

.

wq

+ h~ . w~ + ... + h~ . w~.

sono L i., quindi deve essere

= ... = l' q = h~ = ... = h~ = OK .

e cioè . Wl

+ ... + kq

l'indipendenza lineare di kl

Dunque

+ ... + l' q

333

Wl, ... , Wq, w~,

. w q + h~ . w~

+ ... + h~

Wl, ... ,W q , W~, ... ,w~

. w~

= Ov;

implica

= ... = kq = h~ = ... = h~ = OK. ... , W~, w~, ... , W~ sono L i., come richiesto.

D

Osserviamo ancora che, come già nel caso dei gruppi, cosÌ anche per gli spazi vettori ali si può definire la somma, o la somma diretta non solo di due, ma anche di tre o più sottospazi. Per la precisione, per Wl, ... , W n sottospazi di V, si chiama somma di Wl, ... , W m e si indica ~7=1 W j l'insieme delle somme VI + ... + Vm con Vj E W j per ogni j = 1, ... , m; si prova poi che questa somma è un sottospazio, e anzi coincide con (U7=1 W j ). Si dice poi che V è somma diretta di Wl, ... , W m , e si scrive V = EB;:l Wj, se e solo se

(i) V = ~7=1 W j , (i) per ogni i = 1, ... , m, W i n

(~#i

Wj )

= {Ov},

ovvero se e solo se ogni elemento di V si scrive in uno e un solo modo come somma VI + ... + Vm con Vj E W j per ogni j = 1, ... ,m. Per V finitamente generato e V = EB7=1 W j si prova poi n

dimKV = LdimKWj .

j=l

Esercizi 8.5.5 1. Si provi a estendere la formula di Grassmann quando V è finitamente generato e V = ~;:l W j con m 2: 3. 2. Sia V finitamente generato, V "I- {Ov}, e sia {Vl, ... ,Vn } una base di V su K. Si dimostri che V = EB7=1 (Vj).

Concludiamo il paragrafo osservando che anche tra gli spazi vettoriali, come già tra gruppi o anelli, si possono introdurre strutture quoziente. Ne accenniamo la costruzione, anche se la relativa nozione ci sarà utile solo raramente nel seguito. Sia dunque V uno spazio vettoriale su un campo K, facciamo riferimento a un suo sottospazio W. V è un gruppo abeliano additivo e W è un sottogruppo di V, forzatamente normale. Si può allora introdurre il gruppo quoziente

334

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

= {W + a : a E V} + a = {w + a : w E W}

V/W

dove, per ogni a E V, W rispetto a W e quindi, per a, a' E V,

W

+a =

W

+ a'

è la classe laterale di a

se e solo se a - a' E W;

l'operazione di gruppo è definita ponendo, per a, b E V,

(W + a) + (W + b) = W + (a + b). Per dare a V/W la struttura di spazio vettori aIe su K dobbiamo introdurre in modo appropriato una moltiplicazione per ogni elemento k E K: a questo proposito, sembra ragionevole azzardare, per a E V, k· (W

+ a)

= W

+k .a

dunque il prodotto tra k e la classe laterale di a è la classe laterale di k . a rispetto a W. Ma perché la definizione abbia senso dobbiamo preliminarmente controllare che non dipenda in nessun caso dalla particolare scelta di a in W +a e dunque che, per a, a' E W, se W

+ a = W + al allora W + k . a = W + k . al,

in altre parole che se a - al E W allora k . a - k . al è ancora in W. Ma la relativa verifica è facile: infatti k . a - k . a' coincide con k· (a - a') e dunque sta in W perché a - a' E W e W è un sottospazio. A questo punto il controllo che la struttura V/W cosÌ ottenuta - con relative addizione e moltiplicazione per gli elementi di K - è uno spazio vettori aIe su K è facile (ed è lasciata per esercizio al lettore volenteroso). Esercizio 8.5.6 Sia V = Wl EB W2 . Si provi che ogni classe laterale di V/Wl ha la forma Wl + a2 per un unico a2 E W2 . Si mostri che, anzi, la funzione F da V/Wl in W2 che associa ad ogni classe laterale di Wl in V quell'unico elemento a2 E W2 che le appartiene è una corrispondenza biunivoca di V/Wl su W 2 . Si noti finalmente che, per a2, b2 E W 2 e k E K,

8.6 Funzioni lineari Fissiamo un campo K. In questo paragrafo vogliamo trattare quelle funzioni tra spazi vettori ali su K che ne preservano la struttura - cosÌ come, negli scorsi capitoli, abbiamo considerato gli omomornsmi dei gruppi, o quelli degli anelli -. Nel caso degli spazi vettoriali, si preferisce però usare il nome di funzione lineare (anziché omomorfismo). Eccone la definizione.

8.6 Funzioni lineari

Definizione 8.6.1 Siano V, W due spazi vettoriali su K. Una funzione V in W si dice lineare se, per ogni scelta di v, VI E Ve k E K,

f(v

+ VI)

= f(v)

+ f(v / ),

335

f

di

f(k· v) = k· f(v).

Se poi f è anche una corrispondenza biunivoca di V su W, f si chiama un isomornsmo di V su W. Quando c'è un isomorfismo di V su W, V e W si dicono isomorn. Quindi una funzione lineare f è un omomorfismo dei gruppi additivi (V, +) e (W, +) e, in più, preserva la moltiplicazione con gli elementi k di K. Come omomorfismo di gruppi, f ha ovviamente le seguenti proprietà:

(a) f(Ov) = Ow, (b) per ogni v E V, f(-v) Notiamo poi che, per

= -f(v).

Vl, ...

,vn E V e k l , ... ,kn E K,

Esempi 8.6.2 1. Sia K = JR e sia Xl, X2 E JR2,

f

la funzione da JR2 a JR2 tale che, per ogni scelta di

f(Xl,X2) =

(Xl

+X2, 2X2).

Allora f è lineare, infatti, per Xl, X2, Yl, Y2, k E JR,

f((Xl,X2)

+ (Yl,Y2))

= = = = =

f(Xl + Yl,X2 + Y2) = (Xl + Yl + X2 + Y2,2(X2 + Y2)) = (Xl + X2 + Yl + Y2, 2X2 + 2Y2) = (Xl + X2, 2X2) + (Yl + Y2, 2Y2)) = f(Xl,X2) + f(Yl,Y2);

= f(k . Xl, k . X2) = (k . Xl + k . X2, 2(k . X2)) = = (k· Xl + k· X2, (2k) . X2) = (k· Xl + k· X2, (k . 2) . X2) = = (k· (Xl + X2), k· (2X2)) = k· (Xl + X2, 2X2) = = k· f(Xl,X2). Esercizio. Si provi che f è addirittura un isomorfismo di JR2 su se stesso. Sia K = JR e sia f la moltiplicazione in JR, dunque la funzione di JR2 in JR f(k· (Xl, X2))

2.

tale che, per ogni scelta di

Allora

f

Xl,

X2 E JR,

non è lineare perché, ad esempio,

f((I, 1)

+ (1,1)) =

f(2, 2)

= 4 i- 2 = 1 + 1 =

f(l, 1)

+ f(l, 1).

336

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

3. Ancora per K = lE., sia di Xl, X2, X3 E lE.,

f

la funzione da lE.3 in lE. tale che, per ogni scelta f(XI,X2,X3)

f è lineare: infatti, per f((XI,X2,X3)

Xl,

= Xl·

X2, X3, YI, Y2, Y3 E lE.,

+ (YI,Y2,Y3)) = f(XI + YI,X2 + Y2,X3 + Y3) = Xl + YI = f(XI,X2,X3)

+ f(YI,Y2,Y3);

=

Si noti che f è suriettiva ma non iniettiva (perché?), dunque non è un isomorfismo. 4. Sia V uno spazio vettoriale su K, e supponiamo che V sia somma diretta dei sottospazi Wl, W 2 • Definiamo h : V ---+ Wl, fz : V ---+ W 2 come segue: ogni elemento v E V si decompone in modo unico come Wl + W2 con Wl E Wl, W2 E W 2 , poniamo allora

Allora h, fz sono entrambe funzioni lineari. Infatti siano k E K, v, v' E V, decomponiamo v, v' nel modo sopra descritto

v =

Wl

+ W2,

v' = w~

+ W;

con Wl, W~ E Wl, W2, W; E W2 ; notiamo allora che v rispettivamente V + VI

= Wl + W2 + Wl + w 2 = I

I

(

Wl

+ v' , k . v

si scrivono

+ WlI ) + ( W2 + w 2I ) ,

= k . (Wl + W2) = k . Wl + k . W2 dove Wl + w~, k . Wl E Wl e W2 + w;, k . W2 E W2 perché Wl, W2 sono sottospazi. Otteniamo così le rappresentazioni di v + v' e k . v rispetto a k .v

Wl, W 2 , e deduciamo

h (v + v') = Wl + W~ = h (v) + f (v'), e analogamente per

h (k . v) = k . Wl = k . f (v),

fz.

h, fz sono isomorfismi? Sia ancora V = Wl EB W 2 • Nell'esercizio 8.5.6 si è sostanzialmente provato Esercizio.

5.

che c'è un isomorfismo tra V/Wl e W 2 : è la funzione F che associa ad ogni classe laterale di V/Wl il suo unico elemento appartenente a W 2 • 6. Sia W sottospazio di V. La funzione p di V in V/W che ad ogni elemento a di V associa la sua classe laterale W + a è lineare: il lettore può verificarlo per esercizio. Si noti che p è suriettiva: si controlli ancora per esercizio se p è anche iniettiva.

8.6 Funzioni lineari

337

Quando V è uno spazio vettoriale finitamente generato e diverso da {Ov}, ogni funzione lineare da V ad un altro spazio W è perfettamente identificata se conosciamo i valori che essa assegna agli elementi di una base di V: è questo il contenuto del teorema che segue. Teorema 8.6.3 Siano V, W due spazi vettoriali su K. Supponiamo V i:{Ov }, V finitamente generato e fissiamo una base {VI, ... , v n } di V su K. Siano poi Wl, ... ,wn E W. Allora esiste una e una sola funzione lineare f di V in W tale che f(v;) = Wi per ogni i = 1, ... , n.

Dimostrazione. Mostriamo anzitutto che c'è al più una funzione lineare f con le proprietà descritte. Supponiamo infatti f : V --+ W lineare, f( Vi) = wi per ogni i = I, ... ,n, e notiamo che allora f(v) ha valore obbligato per ogni V E V: in effetti, V si decompone in uno e un sol modo nella forma v

= kl

. VI

+ ... + k n

. Vn

con k l , ... ,kn E K.

Allora, siccome f è lineare, f(v) = k l · f(Vl)+·· ·+kn · f(v n ) e, siccome f(Vi) = Wi per ogni i = 1, ... ,n, f (v) coincide forzatamente con k l . Wl + ... + k n . Wn . Sia allora f l'unica possibile funzione sopravvissuta alla precedente selezione: per ogni v E V, se v si decompone rispetto a VI, ... ,V n come k l ·Vl + .. ·+kn ·Vn , f(v) = k l

. Wl

+ ... + k n

. Wn·

Mostriamo che questa f soddisfa le richieste del teorema. È ovvio che, per i = 1, ... , n, f(Vi) = Wi, infatti Vi si decompone in OK·Vl + .. +IK·vi+·· ·+OK"Vn , e OK . Wl + ... + I K . Wi + ... + OK . Wn = Wi. È invece più noioso controllare la linearità di f: comunque, se v, v' E V, k E K e si ha v

per k l

, ... ,

= kl

. VI

+ ... + k n

.

vn ,

V'

= k~

. VI

+ ... + k~

. vn

k n , kL ... , k~ E K, allora V + v'

= (k l + k~)

. VI

+ ... +

(k n

+ k~)

. Vn ,

cosÌ f(v

+ V')

= = = =

(k l + kD . Wl + ... + (k n + k~) . w n = k l . Wl + k~ . Wl + ... k n . w n + k~ . w n = (k l . Wl + ... + k n . w n ) + (k~ . Wl + ... + f(v) + f(v ' ),

f(k . V)

k~

. wn )

=

= (k . kd . Wl + ... + (k· k n ) . w n = = k· (k l . wd + ... + k . (k n . w n ) = = k· (k l . Wl + ... + k n . w n ) = k· f(v). D

Sia f una funzione lineare di V in W. Come detto, f è un omomorfismo tra i gruppi additivi di Ve W, e possiamo conseguentemente considerare

338



8 Vettori, matrici e sistemi lineari

il nucleo di i K er i

= {v

E

V : i (v)

= Ow}

oltre che •

l'immagine di i Imi = {f(v) : v E V}.

Sappiamo poi che K er i è sottogruppo di V e I m addirittura di più.

i

lo è di W. Ma si ha

Osservazione 8.6.4 K er i è un sottospazio di V e I m i è un sottospazio di W. Ci basta notare che, per k E K e v E Ker i, cioè i(v) = Ow, anche k· v è in Ker i (infatti i(k· v) = k· i(v) = k· Ow = Ow) e, analogamente, che, per k E K e v E V, k· i(v) è in Imi (infatti k· i(v) = i(k· v)).

Ricordiamo poi che

• i

è iniettiva se e solo se K er i = {Ov}

e, ovviamente,

• i

è suriettiva se e solo se 1m i

= W.

Descriviamo nucleo e immagine di alcune delle funzioni lineari trattate negli esempi 8.6.2.

3. Ker i = {(0,X2,X3) : X2,X3 E lR} è il sottospazio generato da (0,1,0), (0,0,1), ha dunque dimensione 2 su lR. Invece 1m i = lR ha dimensione 1; si noti che dimlRK er i + dimlRI m i = 2 + 1 = 3 è la dimensione dello spazio V = lR3 . 4. Ker fr = W 2 e Imfr = Wl, Ker h = Wl e Im12 = W 2 : si ricordi che, per V finitamente generato, dimKV = dimKWl +dimKW2 , dunque dimKV = dimKKer ii + dimKImii per ogni i = 1,2. 6. Kerp = W e Imp = V/W. Esercizio 8.6.5 Si provi che, per ogni campo K e per ogni scelta di m, n interi

positivi, lo spazio vettoriale Mmxn(K) delle matrici m x n a coefficienti in K è isomorfo a Km·n. Vale nell'ambito delle funzioni lineari un risultato analogo al Teorema degli omomorfismi di gruppi o anelli: se i è una funzione lineare dello spazio V nello spazio W - e dunque K er i è sottospazio di V -, allora c'è un isomorfismo h di V/Ker i su Imi tale che, per ogni v E V, h(Ker i + v) = i(v). Del resto i precedenti esempi 4 e 5 illustrano già implicitamente questa situazione: per V = Wl EB W 2 , consideriamo la funzione lineare h da V a W 2 (così K er h = Wd, e notiamo che la funzione F dell'esempio 5 è proprio quella stabilita dal precedente risultato. Non vogliamo però soffermarci troppo su questo punto, preferiamo invece mettere in evidenza una sua variante, che coinvolge ancora nucleo e immagine di una funzione lineare e ha il pregio di collegarne le dimensioni. Gli esempi 3,4 appena svolti hanno già in qualche modo introdotto il risultato che vogliamo presentare. Eccone i dettagli.

8.6 Funzioni lineari

339

Teorema 8.6.6 (nullità + rango). Siano V, W due spazi vettoriali su un campo K e sia i una funzione lineare di V in W. Se V è finitamente generato, allora K er i e 1m f sono anch 'essi finitamente generati, e vale

Si noti che non si richiede che W sia finitamente generato.

Dimostrazione. K er f è sottospazio di V, e dunque è finitamente generato. Non altrettanto possiamo al momento dire di 1m i, perché non sappiamo se W è finitamente generato. Fissiamo comunque una base VI, ... , Vs di K er f e estendiamola a una base VI, ... , Vs, Vs+I, ... , Vn di V (dunque s = dimKK er f, n = dimKV; eventualmente Ker f = {Ov} es = O). Ci basta provare che:

(i) i(vs+r), ... , f(v n ) generano 1m f, (ii) i(vs+r), ... , f(v n ) sono Li .. Infatti, se questo è vero, (i) garantisce che 1m f è finitamente generato, (i) e (ii) insieme implicano poi che

(i) Sia w E 1m f, allora w = f (v) per qualche V E V. Decomponiamo secondo la base VI, ... , Vs, Vs+ 1 , ... , Vn e otteniamo

V

per opportuni k I , ... , k8) ks+ 1, ... ,kn E K. Allora

Ma VI, ... ,V s E Ker f, quindi f(vr), ... ,f(vs ) = Ow e, in conclusione, w = ks+I . f(vs+r) + ... + k n . f(v n ) è in (f(vs+r), ... , f(v n )).

(ii) Siano ks+I, ... , k n E K tali che Ow = ks+I . f(vs+r) + ... + k n . f(v n ), cioè Ow = f(k s+ I . Vs+I + ... + k n · v n ): è da provare ks+I = ... = k n = OK. Notiamo che ks+I . Vs+I + ... + k n · Vn è in K er f e quindi si decompone come k I . VI + ... + ks . Vs per opportuni k I , ... , ks E K. Segue che

cioè

Ma VI, . .. , Vn sono L i., quindi k I , ... , ks e, soprattutto, ks+ 1, ... ,kn sono tutti nulli. D Esercizio 8.6.7 Siano V, W due spazi vettoriali su un campo K finitamente generati e non nulli. Sia poi n = dimKV, m = dimKW.

340

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

1. Si provi che c'è una funzione lineare iniettiva di V in W se e solo se n ::; m. 2. Si mostri poi che c'è una funzione lineare suriettiva di V su W se e solo se n > m. 3. Si deduca che c'è un isomorfismo di V su W se e solo se n = m: dunque V e W sono isomorfi se e solo se hanno la stessa dimensione su K (risultato da tener presente in futuro). 4. Si osservi poi in particolare che se f è un isomorfismo di V su W e VI , ... , V n formano una base di V su K, allora f (VI), ... , f (v n ) formano una base di W su K. Viceversa, se VI, ... , v n è una base di Vele immagini f (VI), ... , f (v n ) di VI, ... , V n nella funzione lineare f formano una base di W, allora f è un isomorfismo di V su W.

(Suggerimento: fissiamo due basi {VI, ... , v n } di V e {Wl, ... , w m } di W. a) Una funzione lineare iniettiva f di V in W ha nucleo {Ov} di dimensione O, dunque dal Teorema 8.6.6 si ricava n = dimK V = dimK I m f ::; dimKW = m. Viceversa, ponendo f(Vi) = Wi per ogni i = l, ... ,n, si definisce un 'unica funzione lineare f di V in W; si provi che f è iniettiva. b) Una funzione lineare suriettiva f di V su W soddisfa I m f = W, dunque dal Teorema 8.6.6 si deduce n = dimK V = dimK K er f + dimK W = dimK K er f + m ~ m. Viceversa, per n ~ m, si ponga f(Vi) = Wi per i = l, ... ,m, f(Vi) = Ow per i = m + l, ... ,n: si definisce cosÌ un 'unica funzione lineare f di V in W. È facile vedere che f è suriettiva). Si osservi l'analogia del precedente esercizio con il Teorema 1.9.2 valido per insiemi e funzioni arbitrari. Esercizio 8.6.8 Si provi che lo spazio Mmxn(K) ha dimensione m· n su K. (Suggerimento: si ricordi che Mmxn(K) è isomorfo a K m.n ; una base di Mmxn(K) si ottiene in particolare come immagine della base canonica di Km.n, dunque con le matrici

(: nu n u n O O

l O

O

O

, ... ,

O O O

dove O abbrevia OK e l sta per IK).

Concludiamo il paragrafo con qualche ulteriore osservazione sulle funzioni lineari. Proposizione 8.6.9 La composizione di due funzioni lineari è ancora lineare: se V, W, U sono spazi vettoriali sullo stesso campo K, f è una funzione lineare di V in W e g è una funzione lineare di W in U, allora anche la composizione g o f : V ---+ U è lineare.

8.7 Dualità

341

Dimostrazione. Siano v, v' E V, k E K, si ha allora

(g

f)(v + v') = g(f(v + v')) = g(f(v) + f(v ' )) = g(f(v)) + g(f(v ' )) = = (g o f)(v) + (g o f)(v ' );

o

(g

o

f)(k· v) = g(f(k· v)) = g(k· f(v)) = k· g(f(v)) = k· (g

o

f)(v). D

È poi ovvio che, per ogni spazio vettori aIe V, l'identità di V è lineare. Finalmente la linearità si preserva anche per funzioni inverse, vale infatti: Proposizione 8.6.10 Siano V, W due spazi vettoriali sul campo K e sia f un isomorfismo di V su W. Allora anche f-l è un isomorfismo (di W su V).

Dimostrazione. Ricordiamo che f è in particolare una corrispondenza biunivoca tra V e W e quindi è definita l'inversa f-l di f, quella funzione da W a V che ad ogni w E W associa l'unico elemento v E V per cui f(v) = w. Inoltre f-l è una corrispondenza biunivoca. Resta quindi da provare che f-l è lineare: siano allora w, w' E W e siano v, v' E V tali che

f(v) = w, f(v' ) = w', cioè rl(w) = v, rl(w' ) = v'. Allora, per k E K,

f(v + v') = f(v) + f(v' ) = W + w', dunque

f-l(W + w')

f(k· v) = k· f(v) = k· w,

= v + v' = f-l(W) + f-l(W ' ),

f-l(k· w) = k· v = k· rl(w). D

8.7 Dualità Per V, W spazi vettoriali sullo stesso campo K, possiamo formare l'insieme di tutte le funzioni lineari da V a W. Lo denotiamo con L(V, W) (L per lineare, ovviamente). È notevole osservare che anche L(V, W) assume la struttura di spazio vettori aIe su K. Vediamo come. •

Dobbiamo anzitutto definire un'addizione in L(V, W). Possiamo quindi procedere come in situazioni analoghe incontrate in precedenza, ad esempio quando si è parlato dell'anello degli endomorfismi di un gruppo abeliano. Per f, g E L(V, W), chiamiamo allora f + g la funzione da V a W tale che, per ogni v E V,

(f + g)(v)

= f(v) + g(v).

342

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

È un facile esercizio controllare che anche v, VI E V e k E K, si ha (f + g)(v + VI)

f +g è

lineare: infatti, per

= f(v + VI) + g(v + VI) = f(v) + f(v l ) + g(v) + g(v l ) =

= f(v) + g(v) + f(v l ) + g(v l ) = (f + g)(v) + (f + g)(v l ),

(f + g)(k· v)

= f(k· v) + g(k· v) = k· f(v) + k· g(v) = = k· (f(v) + g(v)) = k· (f + g)(v)

(in entrambi i casi la prima uguaglianza deriva dalla definizione di f + g, la seconda dalla linearità di f, g, la terza dalle proprietà degli spazi vettoriali, l'ultima nuovamente dalla definizione di f + g). •

Adesso, per ogni r E K, dobbiamo definire la moltiplicazione per r delle funzioni f E L(V, W). Poniamo, per ogni v E V,

(r·f)(v) =r·f(v). Di nuovo, si verifica che r . E V, k E K,

f,

così definita, è lineare: nei dettagli, per

V,VI

(r· f)(v + VI)

= r· f(v + VI) = r· (f(v) + f(v l )) = = r· f(v) + r· f(v = (r· f)(v) + (r· f)(v l

)

l

),

(r·f)(k·v) =r·f(k·v) =r·(k·f(v)) = = (r· k) . f(v) = (k· r) . f(v) = k· (r· f(v)) = k· (r· f)(v) (nell'ultima serie di uguaglianze si usa anche la commutatività della moltiplicazione del campo K, quando si afferma r . k = k· T). A questo punto va controllato che L(V, W) con le operazioni così introdotte diventa uno spazio vettoriale su K. Trascuriamo i relativi dettagli e ci limitiamo ad affermare che: • •

OL(V, W) è la funzione da V a W che associa Ow ad ogni v E V; per f E L(V, W), - f è la funzione da V a W che ad ogni v E V associa - f(v) (l'opposto di f(v) in W).

Può essere istruttivo considerare il caso particolare in cui W coincide con K - inteso come spazio vettoriale di dimensione 1 su se stesso -: L(V, W) si indica allora, più sbrigativamente, V* e si chiama lo spazio duale di V. Vale la seguente notevole proprietà. Teorema 8.7.1 Siano V uno spazio vettoriale finitamente generato e non

nullo sul campo K. Allora c'è un isomorfismo tra V e V*, in particolare V e V* hanno la stessa dimensione. Dimostrazione. Sia n la dimensione di V su K, fissiamo anzi una base { Vl, ... , v n } di V su K. Per ogni i = 1, ... , n, è possibile determinare una (unica) funzione lineare 7)i di V in K - dunque un elemento 7)i di V* - ponendo, per ogni j = 1, ... ,n,

8.8 Funzioni lineari e matrici

343

(si ricordi il Teorema 8.6.3; b è il simbolo di Kronecker). Proviamo che formano una base di V*. Questo ci è sufficiente perché allora V* ha la stessa dimensione n di V, e dunque gli è isomorfo per l'Esercizio 8.6.7. Osserviamo anzitutto che, per k 1 , ... , k n E K, la funzione lineare k 1 . 7]1 + ... + k n . 7]n E V* è ancora determinata dai suoi valori su VI, ... , V n , e che, per i = 1, ... ,n, 7]1 , ... ,7]n

(k 1

'7]1 + ... + kn . 7]n)(Vi) = = k 1 . 7]1 (Vi) + ... + k i · 7]i(Vi) + ... + k n · 7]n(Vi) = = k 1 . OK + ... + k i . l K + ... + k n . OK = k i .

N e deduciamo anzitutto che 7]1, ... ,7]n generano V*: sia infatti f E V* e, per ogni i = 1, ... ,n, sia k i = f( Vi), formiamo corrispondentemente k 1 . 7]1 + ... + k n . 7]n e notiamo che f e k 1 . 7]1 + ... + k n . 7]n coincidono su ciascun Vi

dunque sono uguali tra loro (di nuovo per il Teorema 8.6.3). Di più 7]1, ... ,7]n sono L i.: siano infatti k 1 , ... ,kn E K tali che k 1 . 7]1 + ... + k n . 7]n è la funzione nulla Ov* di V* (quella che associa OK a ogni elemento di V), allora per ogni i = 1, ... ,n D

Così il teorema ci chiarisce la struttura di V*, ci dice che V* ha la stessa dimensione di Veci fornisce una sua base {7]1," . , 7]n} a partire dalla base { VI, ... , v n } di V. {7]1,"" 7]n} viene chiamata la base duale di {VI, . .. , v n }. Ci piacerebbe avere analoghi risultati per ogni spazio L(V, W) anche quando W è diverso da K: nel prossimo paragrafo affronteremo la questione per V, W finitamente generati.

8.8 Funzioni lineari e matrici Nel Capitolo 6 abbiamo introdotto l'anello Mmxn(K) delle matrici m x n a coefficienti in un campo K. Al principio di questo capitolo abbiamo poi visto che Mmxn(K) si può anche considerare come spazio vettoriale su K e come tale ha dimensione m . n. Del resto anche K n - inteso come insieme dei vettori riga a n componenti in K, dunque come insieme delle matrici 1 x n - si può vedere come spazio vettori aIe in questa prospettiva. Per altra via K m si può identificare come insieme dei vettori colonna a m componenti in K, ovvero

344

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

come in,i eme delle mat.cici m x l

(:~J ~'(

x" ... , x m )

"i può vedece come

spazio vettoriale su K per questa via. Ci conviene anzi, almeno nell'ambito di questo paragrafo, considerare Km e anche Kn proprio sotto questo punto di vista, fare dunque lo sforzo di trattarne gli elementi come vettori colonna. Ma le matrici di Mmxn(K) determinano anche funzioni lineari, per la precisione da K n a K m , nel modo che ora descriviamo. Per ogni matrice A E Mmxn(K), sia F(A) la funzione da Kn a Km definita ponendo, per ogni x E Kn - inteso come vettore colonna n x 1 -,

F(A)(x)

= A· x

(il prodotto righe per colonne di A per x, che produce una matrice m x 1, cioè un elemento di K m ). Osservazione 8.8.1 F(A) è una funzione lineare da Kn a Km. Basta ricordare che, per x, Xl E Kn (pensati come vettori colonna n xI) e k E K,

A·(X+X/)=A·x+A·XI,

A·(k·x)=k·A·x

e tradurre queste uguaglianze nella forma desiderata

F(A)(x

+ Xl) = F(A)(x) + F(A)(x / ), F(A)(k· x) = k· F(A)(x).

Esempi 8.8.2 1. La matrice A

= (~ ; ~)

E M 2x3 (JR) definisce la funzione F(A) di JR3

in JR2 tale che, per ogni scelta di Xl, X2, X3 E JR,

GU 1 (3 ; n· G:) F(A)

(infatti

F(A)

Xl + 2X2 + 3X3 )) . In partIcolare . ( 3Xl + 2X2 + 2X3

m~ C), m(n, P(A:

P(A)(D

G).

Si ricordi che i valori di F(A) sugli elementi di una base di JR3 , come

appunto

O) ,(!) ,O}

individuano pedettamente P(A) d

not.i

che questi valori corrispondono nel nostro caso proprio alle tre colonne di

A.

8.8 Funzioni lineari e matrici

2. Viceversa consideriamo la funzione lineare

dunque, per

Xl,

X2, X3

Si noti allora che infatti

f

f : ]E.3 --+

]E.2

345

definita ponendo

reali arbitrari,

coincide con F(A) se A è la matrice

1 (4

-2 O

(Xl) 1 (14 -2O O).

per ogni scelta di

Xl,

X2 X3

X2, X3.

In effetti il collegamento tra matrici Mmxn(K) e funzioni lineari da K n a m è stretto e profondo. Vale infatti il seguente risultato.

K

Teorema 8.8.3 Sia F la funzione di Mmxn(K) in L(K n , K m ) che ad ogni

matrice A associa la funzione lineare F(A). Allora F è un isomorjismo tra Mmxn(K) e L(Kn,K m ).

Dimostrazione. Passiamo in rassegna i punti da dimostrare. (a) Anzitutto è da vedere che F è suriettiva, cioè che ogni funzione lineare f da K n a K m si ottiene come F(A) - dunque dalla moltiplicazione righe per colonne a sinistra per A - per qualche matrice A. (b) È da mostrare poi che F è iniettiva, dunque, fissata f, c'è un'unica matrice A per cui f = F(A). (c) Finalmente c'è da vedere che F è a sua volta lineare, cioè per A, A' E Mmxn(K) e k E K,

F(A

+ A') = F(A) + F(A' ),

F(k· A)

= k· F(A).

C'è un'osservazione preliminare che conviene premettere alle dimostrazioni di (a), (b), (c): sappiamo infatti che ogni funzione lineare da K n a K m è perfettamente individuata dai valori che assegna agli elementi di una base di

346

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Kn; disponiamo poi per Kn della base canonica e1, ... , e~. Vale dunque la pena, per ogni matrice A E Mmxn(K), valutare F(A)(e 1), ... , F(A)(e~). Si controlla allora che, per ogni j = 1, ... , n, F(A)(ej) è la j-ma colonna A(j) di A, infatti

a2l'11 ••• ... a (

al,j ... al,n ) a2,j ... a2,n

am,'l ... am,j ... am,n

Ik OK

al , l . OK + ... + al ,).. I K + ... + al ,n 'OK) a2,1 . OK + ... + a2,j . I K + ... + a2,n ·OK (

a m l ' OK + ... + am,] . I K + ... + am n ·OK

al,j ) a2,j -

(

.

.

am,j

Ciò premesso, è immediato provare (b): se A e A' sono due matrici diverse in Mmxn(K), allora A, AI differiscono in almeno una colonna, A(j) -::j:. (A,)(j) per qualche j = 1, ... , n; ma allora F(A)(ej) -::j:. F(A')(ej) e quindi F(A) -::j:. F(A' ). Passiamo ad (a). Sia f E L(Kn, Km), calcoliamo f(el), ... , f(e~) E Km e costruiamo la matrice A E Mmxn(K) che ha queste immagini come colonne, dalla prima alla n-ma, nell'ordine. Allora F(A)(ej) = f(ej) per ogni j = 1, ... , n, quindi F(A) = f. Finalmente consideriamo (c). F(A + AI) e F(A) + F(A' ) sono entrambe funzioni lineari da Kn a Km, dunque coincidono se si prova che associamo le stesse immagini a ej per ogni j = 1, ... , n. Ma F(A + A')(ej), F(A)(ej), F(A')(ej) sono, rispettivamente, la j-ma colonna di A + A', A e A' e sappiamo che (A + A,)(j) = A(j) + (A')(j). L'altra uguaglianza F(k . A) = k . F(A) si prova allo stesso modo.

D

Corollario 8.8.4 L(Kn, Km) ha dimensione m· n su K.

Dimostrazione. Tale è infatti la dimensione di Mmxn(K) su K.

D

Una base di L (Kn , Km) si ottiene poi considerando le funzioni lineari di Kn in Km che corrispondono in F alle matrici di una base di Mmxn(K). Osservazione 8.8.5 Per m = 1, si ha che L(Kn, K) - cioè lo spazio duale di Kn - ha dimensione n . 1 = n, cioè la stessa dimensione di Kn, e quindi è isomorfo a Kn. Si recupera in questo modo come conseguenza del Teorema 8.8.3 il risultato finale del paragrafo scorso (almeno nel caso V = K n ). Il collegamento tra matrici e funzioni lineari interessa anche le due operazioni di prodotto che nei due diversi ambiti sono state introdotte:

8.8 Funzioni lineari e matrici

• •

347

la moltiplicazione righe per colonne tra matrici, la composizione tra funzioni lineari.

Le due operazioni si corrispondono in F, nel modo che ora enunciamo e dimostriamo. Teorema 8.8.6 Siano A E Mmxn(K), B E Mnxq(K) e siano g, f le funzioni lineari, rispettivamente da K n a K m e da Kq a K n , che corrispondono ad A, B nel modo sopra descritto. Allora la funzione lineare che corrisponde ad A· BE Mmxq(K) è go f (che va da Kq a Km).

Dimostrazione. Per x E Kq, f(x) = B· x e per y E K n , g(y) = A· y. Così, per x E Kq, (g o f)(x) = g(f(x)) = g(B· x) = A· (B· x) = (A· B)· x. D Se restringiamo la nostra attenzione al caso m = n, dunque a matrici quadrate n x n a coefficienti in K e a funzioni lineari di K n in K n , possiamo anzitutto notare che infatti, per ogni x E Kn, In . X = x: dunque matrice unità In e funzione identica idKn si corrispondono. Si ha poi: Teorema 8.8.7 Siano A E Mnxn(K), f E L(Kn,Kn), e supponiamo che A e f si corrispondano in F, cioè F(A) = f. Allora A è invertibile se e solo se lo è f (cioè se e solo se f è un isomorfismo).

Dimostrazione. Se A ha inversa A-l e vale dunque A· A-l = A-l. A = In, si deduce F(A)· F(A -l) = F(A- A -l) = F(In) = idKn, e F(A -l). F(A) = idKn analogamente. Così f = F(A) ha inversa F(A- l ). Viceversa, se f è un isomorfismo e dunque ha inversa f-l, si recupera anzitutto la matrice A' per cui f-l = F(A ' ), si nota poi che F(A· A') = F(A)· F(A ' ) = f o f-l = idKn = F(In) e si deduce A· A' = In (e poi anche A' . A = In allo D stesso modo): si conclude che A ha inversa A'. Esempi 8.8.8 Siano K 1. Siano

f, g

E

= JE., V = JE.2.

L(JE.2 , JE.2) definite ponendo, per ogni scelta di g

X2

(Xl) = (Xl - x2) . X2

3X2

In altre parole

e

Xl,

f(~) (~), f(~)

(!1)'

g(~)

(-;1).

(~), g(~)

E

JE.,

348

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

CosÌ le matrici che corrispondono a

i, g in

F sono rispettivamente

Il loro prodotto A . B è

O-1).(2 3 1 -13)=(13-34)

A.B=(l

e corrisponde alla funzione lineare g o i: infatti, per Xl, X2 E JE.,

(in particolare (g 2. Le matrici di M

o

(~) = (~)

1)

2x2

e (g

o

1)

(~) = ( ~3 )).

(JE.)

sono l'una inversa dell'altra, cosÌ come le corrispondenti funzioni lineari da JE.2 a JE.2

il lettore può verificarlo in dettaglio. Osservazione 8.8.9 Sia A E Mmxn(K), allora KeT F(A) è l'insieme degli

K n per cui A . x = OKn. Sappiamo che K eT F(A) è un sottospazio di Kn. Di più, due elementi Xl, x" E Kn stanno nella stessa classe laterale di K eT i(A) se e solo se Xl - x" E K eT F(A), ovvero

X

E

A . Xl

-

A . x"

= A· (Xl

-

x")

= OK=,

cioè ancora A . Xl = A· x". Se b E Km indica il comune valore di A· Xl la classe laterale di Xl (e x") è composta dagli X E Kn tali che A . X

= A· x" , = b.

Le considerazioni svolte nel corso del paragrafo su L(Kn,K m ) si possono estendere in modo opportuno a L(V, W) per ogni coppia di spazi vettori ali V, W su K con dimK V = n, dimK W = m: del resto, V, W risultano isomorfi proprio a K n , K m rispettivamente. L'analisi di questo contesto esteso diventa però più elaborata. Ad esempio, non possiamo più riferirci a basi "canoniche", come e1, ... ,e~ per Kn e e1 , ... ,e: per Km. In compenso, è lecito fissare due basi di V, W

8.9 Sistemi lineari e matrici { V l , " " V n },

349

{Wl,""W m }

rispettivamente. Allora ogni elemento v di V si esprime

v=

Xl' Vl

+ ... + X n . V n per opportuni

(e unici)

Xl, ... ,

xn E K

e in modo analogo ogni w E W si scrive w

= Yl

. Wl

+ ... + Ym

. w m per opportuni (e unici)

Yl, ... ,

Ym E K.

Una corrispondenza F tra matrici in Mmxn(K) e funzioni in L(V, W) si può allora definire in riferimento alle basi {Vl, ... , v n } e {Wl, ... , w m } ponendo, per ogni A E Mmxn(K) e per v E V, w E W come prima F(A)(v) = w se e solo se A·

X

= y.

I risultati sopra ottenuti per K n e K m si adattano a questo nuovo contesto, ad esempio F risulta essere un isomorfismo tra Mmxn(K) e L(V, W), e di conseguenza L(V, W) risulta avere dimensione m·n. Ma c'è da sottolineare che ogni nuova scelta di Vl, ... , V n e Wl, ... , W m determina un nuovo isomorfismo F.

8.9 Sistemi lineari e matrici La Teoria degli spazi vettori ali ha utili applicazioni e notevoli conseguenze in Geometria, come i testi e i corsi relativi descrivono in dettaglio. Ma a noi preme qui sottolineare l'importanza degli spazi vettoriali nella soluzione di questioni algebriche, in particolare nella soluzione dei sistemi di grado 1 di più equazioni in più indeterminate. Ammettiamo quindi di avere

• •

n indeterminate Xl, ... , X n , m equazioni in Xl, ... , X n ,

dove n, m ?: 1; supponiamo poi che tutte le equazioni coinvolte siano di grado 1, così che il sistema stesso da esse formato abbia grado 1 (cioè sia lineare). Il sistema si può allora scrivere come al lXl a2,lXl { am,lXl

+ al 2X2 + ... + al nXn bl + a2,2X2 + ... + a2,nXn = b2 ...... . .. + a m ,2 X 2 + ... + am,nXn = bm

(8.1)

Per i = 1, ... , m, ai,l, ai,2, ... , ai,n sono quindi i coefficienti rispettivamente di Xl, ... , X n nell'equazione i-ma del sistema e bi è il termine noto di questa equazione. Per semplicità supponiamo che gli uni e gli altri (i coefficienti delle

350

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

indeterminate e i termini noti) siano in un campo K: avremo così il vantaggio di poterli non solo sommare, sottrarre e moltiplicare, ma anche dividere senza problemi. C'è tuttavia un modo più coinciso di scrivere il sistema (8.1): le matrici ci suggeriscono una rappresentazione più snella. Consideriamo infatti • •

la matrice A = (ai,jh'Si'Sm,l'Sj'Sn dei coefficienti, il vettore colonna b = t (bI, ... , bm ) dei termini noti.

Facendo riferimento al prodotto righe per colonne tra matrici, possiamo scrivere il sistema (8.1) come (8.2) A·x = b dove x

• •

=

t (Xl,

... , x n ) è il vettore colonna delle indeterminate. A proposito,

A si chiama la matrice incompleta del sistema, mentre (A, b) (che aggiunge ad A l'ulteriore colonna dei termini noti) è la sua matrice completa.

Tra l'altro, per ogni i

= 1, ... ,m, l'equazione i-ma del sistema ai,lXl

si può anche scrivere ... ai,n) di A.

+ ai,2 x 2 + ... + ai,nXn

A(i) . X

Esempio 8.9.1 Sia K incognite

=

bi

= bi

adoperando la riga i-ma

A(i)

(a't, l a·t, 2

Q. Il sistema lineare di due equazioni in due

Xl + X2 { -Xl + X2

=3 =5

si può anche scrivere

Così A =

(~1 ~)

è la sua matrice incompleta,

.. . . d' (1 1 3) l

termml notI, e qum l

-1

1

5

.

(~)

la colonna dei suoi

l

a sua matnce com p eta.

Se b è il vettore nullo, cioè bi = OK per ogm z = 1, ... , m, il sistema lineare corrispondente ha la forma A· X = OK~ e si dice omogeneo (OK~ rappresenta qui il vettore m x Ile cui componenti sono tutte OK). Il nostro obiettivo di fronte a un sistema lineare nelle forme (8.1) o (8.2) su un campo K è, ovviamente, quello di trovare le sue soluzioni, individuare cioè quei vettori (colonna) 8 = t (81, ... ,8 n ) E K n per cui vale A . 8 = b, ovvero ai,18l

+ ai,2 8 2 + ... + ai,n8n = bi

per ogni i = 1, ... ,m. Più precisamente intendiamo stabilire

8.9 Sistemi lineari e matrici • •

351

se ci sono vettori s E Kn per cui A . s = b, in caso affermativo, determinare tutti gli s con questa proprietà.

Esempi 8.9.2 1. Un sistema lineare omogeneo A . x = OK= ha sempre la soluzione nulla, infatti A· OKn = OK= (OKn è il vettore n x 1 con componenti tutte nulle). È possibile tuttavia che il sistema ammetta altre soluzioni: si pensi infatti al sistema lineare omogeneo su K = Ql composto dall'unica equazione Xl

+ X2 = O;

esso è ovviamente soddisfatto in Ql da

(!2) ,... e da ogni coppia ( ~r )

Xl

= X2 = O,

con r

ma anche da (

EQl.

!1)'

2. Il sistema lineare a coefficienti in Ql

{Xl ++ Xl

X2 X2

=2 =3

, cioè

(1 1). (Xl) 1

1

X2

( 32 )

non ha evidentemente soluzioni in Ql: infatti nessuna coppia di razionali può avere come somma 2 e 3 contemporaneamente. La Teoria degli spazi vettoriali ci dà alcune utili indicazioni a proposito dei sistemi lineari. 1. Anzitutto ci dice che l'insieme delle soluzioni in Kn di A-x = OK= coincide col nucleo della funzione lineare F (A), e quindi è un sottospazio di K n , chiuso rispetto all'addizione e alla moltiplicazione per gli elementi di K: lo chiameremo spazio delle soluzioni di A . X = OK=.

2. Ci mostra poi che, per ogni b E Km, l'insieme delle soluzioni di A . X = b, se non è vuoto, coincide con una classe laterale dello spazio delle soluzioni di A . X = OK=, in particolare è in corrispondenza biunivoca con questo spazio. Se c è una soluzione di A . X = b, cioè A . c = b, le altre soluzioni sono tutte e sole quelle della forma s + c con s nello spazio delle soluzioni di A . X = OK=, cioè A . s = OK=. Diremo che A . X = OK= è il sistema lineare omogeneo associato ad A . X = b. Il proposito dei paragrafi che seguono è allora chiaro. Con l'aiuto eventuale della Teoria degli spazi vettoriali, vogliamo affrontare il seguente Problema. Determinare un algoritmo che, per ogni sistema lineare A· su un campo K,

• •

sappia stabilire se il sistema abbia o no soluzioni in Kn, in caso affermativo, sappia calcolare tutte queste soluzioni.

X

=b

352

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Il concetto di sistemi equivalenti ci è utile in questa nostra ricerca. Infatti due sistemi lineari a coefficienti in K nelle stesse indeterminate Xl, ... ,X n si dicono equivalenti se e solo se hanno le stesse soluzioni in K n . Ad esempio i sistemi Xl + X2 = 3 Xl + X2 = 3 { -Xl + X2 = 5 ' { X2 =4 ' ovvero

sono equivalenti; si verifica infatti facilmente che condividono l'unica soluzione 1 ( ~ ) : del resto il secondo sistema si ottiene dal primo sostituendo la seconda equazione con la sua somma per la prima. Tuttavia la soluzione del secondo sistema è più semplice, perché la conoscenza di X2 = 4 ci permette di ottenere quasi immediatamente anche Xl = -l. Possiamo allora cercare di risolvere il problema generale appena enunciato sostituendo il sistema di partenza con un altro che gli sia equivalente ma risulti di più facile soluzione.

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan I ricordi liceali ci suggeriscono qualche idea a questo proposito. Esempio 8.10.1 Consideriamo infatti ancora il sistema lineare appena visto alla fine dello scorso paragrafo: Xl { -Xl

+ X2 = 3 + X2 = 5

ovvero, se vogliamo scriverlo con l'uso delle matrici, (1 -1

1). 1

(Xl) X2-

(~) . Abbiamo già ricordato che un possibile modo per trovarne le soluzioni è quello di sommare le equazioni ottenendo 2X2

= 8

e conseguentemente, mediante un'ulteriore divisione per 2,

Abbiamo così determinato il valore di sostituiamo

X2

X2

in una soluzione

(~~).

Se adesso

con 4 nella prima equazione del sistema originario, otteniamo

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan

da cui si ricava facilmente

Xl

353

1

= -1. Si arriva cosÌ all'unica soluzione ( -4 ).

Esaminiamo ora l'effetto di questi passaggi sulle matrici incompleta e completa del sistema, che scriviamo insieme 1 1

separando la matrice incompleta dalla colonna dei termini noti con un tratteggio verticale. Le operazioni che abbiamo prima compiuto corrispondono a



sostituire la seconda riga con la sua somma con la prima



dividere la seconda riga per 2

(~

Il sistema Xl {

1 (0

1 2

1 1

+ X2 X2

= 3 = 4

che viene conseguentemente a formarsi è equivalente a quello di partenza, e immediato da risolversi. Ci chiediamo come estendere questa idea (facile da svolgere per sistemi di due equazioni in due incognite) al caso di 3, 4, 5 o più equazioni in 3, 4, 5 o più indeterminate. In effetti un numero superiore di equazioni e indeterminate crea qualche maggiore complicazione. Consideriamo allora su un campo K un sistema A·x = b con un numero arbitrario m di equazioni e n di indeterminate. Quindi A è una matrice in Mmxn(K) e b E Km. La risoluzione di A· X = b è certamente più agevole se A si presenta nella forma

con al,1,a2,2,a3,3, 1, ... ,n,

...

al,2

al,3

a2,2

a2,3

OK

a3,3

1, ... ,m e J

diversi da OK, se cioè, quando

ai,j

{

= OK

"I- OK

per i > j, per i ~ j.

Infatti, in tal caso, A . X = b si scrive per esteso al,lxl

{

+ al,2 x 2 + al,3 x 3 + ... + al,nXn a2,2 x 2 + a2,3 x 3 + ... + a2,nXn a3,3 x 3 + ... + a3,nXn

= bl = b2 = b3

354

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Per al,l come

-I- OK, la prima equazione consente allora di ricavare Xl = al,i . (b l - (al,2 x 2 + ... + al,nXn)); a2,2 -I- OK, la seconda equazione fornisce

da

X2, ... ,X n

Xl

d'altra parte, per X3,"" X n come

proseguendo, per come

a3,3 X3

-I- OK, la terza equazione dà X3 = a3,~ . (b 3

(a3,4 x 4

-

X2

a partire da

in funzione di

X4, ... , X n

+ ... + a3,n X n)),

e così via. In questo modo la risoluzione del sistema può procedere come già nell'Esempio 8.10.1 e come anche i seguenti esempi illustrano: sostanzialmente • •

si esprime ogni indeterminata in funzione delle successive, si usano queste espressioni per ricavare i valori delle indeterminate a ritroso, a partire da quella dell'ultima equazione.

Esempi 8.10.2

1. Sia K = lE.. Consideriamo il sistema lineare Xl {

+ X2 + X3 X2 -

La sua matrice incompleta A =

X3

= 2 = 5

(~ ~ ~

1)

ha la forma sopra descritta.

In effetti il sistema si risolve ricavando a partire da X3 • X2 con la seconda equazione, come X2 = X3 + 5, • Xl con la prima equazione, come Xl = -X2 - X3 + 2 = -(X3 + 5) X3 + 2 = - 2X3 - 3. In conclusione le soluzioni del sistema sono le teme (-2X3 - 3, X3 + 5, X3) dove X3 è libero di assumere tutti i valori che vuole; sono dunque infinite; includono tra loro, ad esempio, (-3,5, O) quando X3 = O, o (-5,6,1) quando X3 = 1, o ancora (-1,4, -1) quando X3 =-l. 2. Sempre per K = lE., consideriamo adesso Xl {

+ X2 + X3 + X4 = 2 X3 + X4 = 3 -X3 + X4 = 5

La matrice incompleta A ha adesso la forma 1 1 O 1 O -1

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan

355

Pur soddisfacendo a2,1 = a3,1 = a3,2 = O, ha tuttavia a2,2 = O; in altre parole X2 manca nella seconda equazione e, se è per questo, anche nella terza. Possiamo però permutare l'ordine delle incognite, dare la precedenza a X3, X4 rispetto a X2, scrivere quindi il sistema nella forma Xl {

+ X3 + X4 X3 + X4 -X3 + X4

+X2

=2 =3 =5

con la nuova matrice incompleta 1 1

-1

1 1 1

procedere poi con la tecnica di sommare le due ultime equazioni tra loro per ricavare il sistema equivalente

con relativa matrice

1 1

1 1 O 1

G

~) ,

calcolare finalmente le soluzioni X4 {

X3 Xl

=4 = 3 - X4 = 3 - 4 = -1 = -X2 -1,

cioè (-X2 -1,x2, -1,4) al variare di X2. L'esempio segnala l'importanza che nella matrice A tutti gli elementi ai,i ( per 1 ::; i ::; n) siano diversi da OK; mostra tuttavia come sia possibile, a tal fine, permutare l'ordine delle incognite. A proposito, una matrice A E Mmxn(K) che ha j = 1, ... , n e i > j, che quindi si presenta come al,2

al,3

a2,2

a2,3

OK

a3,3

ai,j

= OK

per i

= 1, ... , m,

si dice, per motivi facilmente intuibili, in forma triangolare superiore. A si dice invece in forma triangolare inferiore se ai,j = OK quando i < j (per i = 1, ... ,m, j = 1, ... ,n), cioè se si scrive

356

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

a2,1

a2,2

OK

OK OK

a3,1

a3,2

a3,3

am,l

a m ,2

a m ,3

C'

OK ) OK am n

Chiaramente una matrice in forma triangolare inferiore ha trasposta in forma triangolare superiore e viceversa. Si noti poi che, per matrice A in forma triangolare (superiore o inferiore), non si pongono condizioni su al,1, a2,2, a3,3, ... , che possono dunque essere nulli o non nulli. Gli elementi al,l, a2,2, a3,3, ... si dicono diagonali. Una matrice A è diagonale se e solo se è tanto in forma triangolare superiore che in forma triangolare inferiore, ovvero se e solo se ai,j = OK per i = l, ... , m, j = 1, ... , n e i ::j::. j. Quindi una matrice diagonale si presenta

a2,2

OK

OK OK

OK

a3,3

OK OK OK

Torniamo alla risoluzione dei sistemi lineari A . x = b. Ci resta il problema di trasformare, se possibile, A . x = b in un sistema AI . x = bI che • •

gli è equivalente, ha matrice incompleta AI che ha forma triangolare superiore con elementi diagonali non nulli e dunque si presta ad una più diretta ricerca delle soluzioni.

Il procedimento che segue, dovuto a Gauss e Jordan, raggiunge questo obiettivo generalizzando le idee dell'esempio 8.10.1. Fu ideato da Gauss e poi perfezionato da Wilhelm Jordan, matematico tedesco della seconda metà dell'Ottocento. Metodo di Gauss-J ordan. È dato un sistema lineare A· x = b su un campo K: A è una matrice m x n a coefficienti in K, b E K m . Passo 1. Si osserva anzitutto Lemma 8.10.3 Se in A . x = b 1. si scambiano tra loro due equazioni, 2. si moltiplicano i due membri di un'equazione per un elemento non nullo r di K, 3. si sostituisce un'equazione con la sua somma per un'altra,

il sistema che ne risulta resta equivalente a quello di partenza (A . x appunto).

b,

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan

357

Dimostrazione. 1 è chiaro: le soluzioni di un sistema non dipendono dall'ordine in cui sono proposte le equazioni. 2. Ammettiamo di moltiplicare l'equazione i-ma del sistema

per

T:

otteniamo

D'altra parte, se

8

E Kn soddisfa ai,181 T'

(a·z, 181

+ ... + ai,n8n

=

bi,

allora si ha anche

+ ... + a t,n 8 n ) = T' b·z,

basta moltiplicare per T la precedente uguaglianza. Viceversa, da T . (ai,l 81 + ... + a·t,n 8 n ) = T' b·z si torna a a·z, 181 + ... + a t,n 8 n = b t moltiplicando per T-l. In conclusione, le soluzioni di (*) sono le stesse di (**). Di conseguenza le soluzioni dell'intero sistema restano le stesse prima e dopo la moltiplicazione dell'equazione i-ma per T. 3. Siano i, h = 1, ... , m, i -::j:. h. Ci basta provare che 8 E K n soddisfa le equazioni i-ma e h-ma di A . x = b se e solo se soddisfa una delle due - ad esempio la h-ma - e la loro somma. Infatti da

si ottiene con un'addizione membro a membro ( a't, 181

+ ... + a·t,n 8 n ) + (ah , 181 + ... + ah ,n 8 n )

=

bz

+ bh ,

cioè con facili passaggi

Viceversa sottraendo da quest'ultima uguaglianza la seconda in (*) si ritorna ad ai,181 + ... + ai,n8n = bi. D Il lettore potrà osservare che le operazioni 2, 3 appena descritte sono esattamente quelle adoperate nell'esempio 8.10.1: la moltiplicazione di un'equazione per T = ~ e l'addizione di due equazioni, rispettivamente.

Passo 2. Vediamo adesso come il metodo di Gauss-Jordan utilizza le tre operazioni descritte nel Passo 1 per ridurre, se possibile, il sistema A . x = b nella forma desiderata. Conviene scrivere A . x = b nella forma più dettagliata

!

+ a1,2x2 + a1,3x3 + ... + a1,nXn + a2,2 x 2 + a2,3 x 3 + ... + a2,nXn a3,l x 1 + a3,2 x 2 + a3,3 x 3 + ... + a3,nXn

a1,lx1

a2,l x 1

a m ,l X 1

.........

+ a m ,2 X 2 + a m ,3 X 3 + ... + am,nxn

bI

= = =

b2 b3

. .. bm

358

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

Salvo scambiare tra loro alcune equazioni - con l'uso dell'operazione 1 -, possiamo supporre al,l -I- OK: altrimenti l'indeterminata Xl ha coefficiente OK in ogni equazione e quindi la sua presenza è del tutto fittizia e può essere trascurata. A questo punto, per i = 2,3, ... , m, quindi nelle equazioni che seguono la prima, si procede come segue: 1. se ai,l = OK, si ricopia l'equazione i-ma; 2. se ai,l -I- OK, si moltiplica l'equazione i-ma per al,l e poi le si somma la prima equazione moltiplicata per -ai,l; l'equazione così ottenuta ha ai,l . al,l - al,l· ai,l = OK come coefficiente di Xl; la si sostituisce all'equazione i-ma, come permesso dalle operazioni 2 e 3. Il sistema che si costruisce in questo modo è equivalente a A . X = b, ma, per nuovi valori di ai,j e bi per i ~ 2 e j = 1, ... , n, ha la forma

!

al,lxI

+ al,2x2 + al,3x3 + ... + al,nXn = a2,2 x 2 + a2,3 x 3 + ... + a2,nXn = a3,2 x 2 + a3,3 x 3 + ... + a3,nXn = .........

a m ,2 X 2

bI b2 b3

. ..

+ a m ,3 X 3 + ... + am,nxn = b m ,

cioè una matrice incompleta

OK OK

C"

OK

al,2

al,3

a2,2

a2,3

a,n)

a3,2

a3,3

a3,n

a m ,2

a m ,3

am,n

a2,n

che inizia ad assomigliare alla forma triangolare superiore cui stiamo puntando. A questo punto il procedimento cerca di annullare i coefficienti di X2 nelle equazioni dalla terza all'ultima, cioè gli elementi della seconda colonna della matrice che stanno sotto a2,2. A tal scopo, conviene dimenticare la prima equazione, cioè la prima riga della matrice: coinvolgerla di nuovo, ad esempio sommarIa con una delle successive, rischierebbe di produrre elementi non nulli nella prima colonna della matrice sotto al,l. Invece le operazioni 1, 2, 3 applicate alle righe successive non alterano più questa prima colonna, le mantengono cioè OK in ogni riga. Si fa allora riferimento alla seconda riga, e in particolare ad a2,2, per ripetere il procedimento. C'è però una variazione da considerare rispetto al caso di al, l. Non ab biamo infatti alcuna certezza che si possa scegliere a2,2 -I- OK. Infatti, possiamo assumere ai,2 -I- OK per qualche i = 1, ... , m altrimenti la presenza di X2 nel sistema è assolutamente fittizia, ma non possiamo escludere che il solo elemento non nullo nella seconda colonna sia proprio al,2, che abbiamo deciso di non coinvolgere più. Si procede comunque nel modo che segue.

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan







359

Se a2,2 = a2,3 = ... = OK e anche b2 = OK, allora la seconda equazione si riduce a OK = OK ed è identicamente soddisfatta da ogni S E Kn; può essere quindi trascurata e anzi cancellata dal sistema. Se a2,2 = a2,3 = ... = OK ma b2 i:- OK, allora la seconda equazione diviene OK = b2 , ed è quindi priva di soluzioni; di conseguenza anche il sistema non ammette soluzioni. Altrimenti a2,j i:- OK per qualche j = 2, ... , n e, salvo scambiare l'ordine delle incognite, in particolare Xj con X2, possiamo supporre a2,2 i:- OK. A questo punto si procede come per al,l.

L'algoritmo si ripete in questo modo per tutte le equazioni successive. Illustriamo l'algoritmo con alcuni esempi. Per una trattazione più snella, agevole e rapida applichiamo le operazioni 1, 2, 3 direttamente alle matrici incompleta e completa dei sistemi, piuttosto che alle corrispondenti equazioni. Esempi 8.10.4 Fissiamo K

= Q.

1. Consideriamo il sistema lineare

con le relative matrici incompleta e completa

2

3

1

4

-3

1

Come suggerito dal metodo di Gauss-Jordan, sommiamo alla seconda riga la prima moltiplicata per -2 e alla terza riga la prima moltiplicata per -3, ottenendo

2

3

-3

-2

-9

-8

facciamo adesso riferimento alla seconda riga e in particolare a -3: se sommiamo alla terza riga la seconda moltiplicata per -3, ricaviamo

(~ che possiamo anche ridurre a

2

3

-3

-2

O

-2

iJ

360

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

(i

2

3

3

2

~)

O 1

moltiplicando ancora la seconda riga per -1 e la terza per - ~. Il sistema di partenza risulta in conclusione equivalente a

che ha la soluzione X3 X2 {

Xl

=1 = -~X3 = -~3 3

= -

2X2 -

3X3

+1=

4

2

3" - 3 + 1 = - 3"

2. Consideriamo adesso il sistema

con le relative matrici incompleta e completa

O

1

2

4

-2 O

4

-1

2

Conviene scambiare subito le righe in modo che l'elemento di posto (1,1) sia diverso da o. Anzi, è utile spostare l'attuale prima riga al terzo posto (perché?). Si può poi osservare che l'attuale seconda riga si può dividere per 2. Così, operando questa divisione e spostando la prima riga al terzo posto, si ottiene

(~

2

-1

O

4

-1

2

O

1

2

2

-1

O

O

1

2

O

1

2

:)

e da qui

(i Salvo scambiare

X3

con

X2

si arriva a

~)

8.10 Il metodo di Gauss-Jordan

(~

-1

2

O

1

O 2

1

O 2

361

~)

da cui si passa alla matrice

(~

-1

2

O

1

O 2

O

O O

~)

in cui l'ultima riga corrisponde ad un'equazione identica OX4 = O e può essere cancellata. Abbiamo in conclusione

(~

-1 1

2

O

O 2

OXl

+ OX2 + OX3 +

~)

che corrisponde al sistema

(si ricordi che

X2

e

X3

sono stati scambiati). Le soluzioni sono

e dipendono da una scelta completamente arbitraria di X2 e X4. Si osservi che l'ultimo sistema è equivalente a quello di partenza, ma ha un'equazione in meno. In effetti non è vietato che sistemi equivalenti abbiano un numero diverso di equazioni, anche se ovviamente sistemi equivalenti devono avere ugual numero di indeterminate. 3. Finalmente consideriamo il sistema lineare

con la corrispondente coppia di matrici 1

-1

O

1

1

1

Conviene scambiare le prime due righe per ottenere

362

8 Vettori, matrici e sistemi lineari

(~

O

1

1

-1

1

1

~)

Il metodo di Gauss-Jordan produce allora

(~

O

1

1

-1

1

-1

poi

(~

O

1

1

-1

O

O

~)

iJ

L'ultima riga della matrice finale corrisponde ad un'equazione impossibile + OX2 + OX3 = 1: dunque l'intero sistema è impossibile.

OXl

Il metodo di Gauss-Jordan si applica a sistemi con numeri arbitrariamente grandi m di equazioni e n di indeterminate, ed è ragionevole attendersi che i suoi tempi di lavoro crescano con l'aumentare di m e n. Quindi può essere utile capire in che modo i valori di m, n incidano sulla sua efficienza, stimare ad esempio, in funzione di m, n, il numero complessivo di operazioni elementari - addizioni, moltiplicazioni, sottrazioni, divisioni - che il metodo richiede. Sia allora M il valore massimo tra m e n. Un'analisi attenta di tutti i passaggi che il procedimento di Gauss-Jordan conseguentemente svolge fissa in C . M 3 - con C opportuna costante intera positiva -, dunque in una funzione polinomiale di grado 3 in M, una stima in eccesso del numero di queste operazioni. Non ci attardiamo nei dettagli di questa verifica, che comunque il lettore interessato può anche completare da solo per esercizio. Diciamo solo che questa limitazione superiore, C . M 3 appunto, è da ritenersi eccellente secondo i parametri di efficienza della moderna Informatica Teorica. È chiaro infatti che al crescere di m, n e quindi di M, C . M 3 può raggiungere a sua volta valori assai elevati, di conseguenza risolvere col metodo di GaussJordan sistemi con molte equazioni e indeterminate richiede in assoluto un gran numero di operazioni; ma questo numero, se riferito a quello di equazioni e incognite, è relativamente basso e accettabile. Avremo modo di ritornare su questo argomento. Concludiamo il paragrafo notando che il metodo di Gauss-Jordan si applica anche alle matrici A E Mmxn(K), a prescindere dal loro collegamento con i sistemi lineari, associando ad ogni A una matrice AI in forma triangolare superiore tramite le operazioni 1. scambio di due righe,

8.11 Il rango di una matrice

363

2. moltiplicazione di una riga per un elemento non nullo in K, 3. sostituzione di una riga con la sua somma con un'altra. Non si richiede espressamente che gli elementi diagonali di AI siano diversi da OK, dunque non sono necessari scambi di colonne (corrispondenti a scambi di indeterminate nei sistemi associati) e anche la matrice AI è in Mmxn(K), cioè ha tante righe, o colonne, quante A. Esempio 8.10.5 Sia K

=