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Italian Pages 150 [154] Year 1969
STUDI E TESTI 90
GIOVANNI C a r d . MERCATI BIBLIOTECARIO E ARCHIVISTA DELLA S. R. CHIESA
ULTIMI CONTRIBUTI ALLA STORIA DEGLI UMANISTI FASCICOLO I: TRAVERSARIANA DIECI LETTERE NUOVE DEL B. AMBROGIO CAMALDOLESE E VARIE OSSERVAZIONI SULL’EPISTOLARIO DI LUI PUBBLICATE PER IL V CENTENARIO DELLA MORTE SEGUONO ALCUNE LETTERE D I ANDREA (FIO CCH I) DA FIRENZE SEGRETARIO APOSTOLICO
C IT T A ’ DEL V A TIC A N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXXXIX
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1
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STUDI E TESTI ----------- 9
G IO V A N N I
0 ------------
Card.
M E R C A TI
B IBLIOTECAR IO E ARCHIVISTA D E LLA 3. R. CHIESA
ULTIMI CONTRIBUTI ALLA STORIA DEGLI UMANISTI FASCICOLO 1: TRAVER8ARIANA DIECI LETTERE NUOVE
DEL B. AMBROGIO CAMALDOLESE E VARIE OSSERVAZIONI S U L L ’EPISTOLARIO DI L U I PUBBLICATE PER IL V CENTENARIO DELLA MORTE
SEGUONO ALCUNE LETTERE
DI ANDREA (FIOCCHI) DA FIRENZE SEGRETARIO APOSTOLICO
C ITTÀ DEL VATICANO B IB L IO TE C A A P O S T O L IC A V A T IC A N A M CM XXXIX
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IM PRIM ATUR: Datum in Civitate Vaticana die 6 Novembris 1939. Fr. A lfonsds C. D e R omanis, Ep. Porphyreonen. Vic. Gen. Civitatis Vaticanae
Ristampa anastatica Tipo-Litografia D in i s.n.c. - Modena 1996
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ALLA. SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE
PIO PP. XII NEL GIORNO DELLA INCORONAZIONE MENTRE « TOTUS IN ORBE TERRARUM MUNDUS E X U LT A T »
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D A L L ’ AVVISO
A I LETTORI
P R E M E S S O A L F A S C IC O L O I I
Il
volume (degli Ultimi contributi alla Storia degli Umanisti) avrebbe dovuto cominciare con alcune lettere inedite del B. Ambrogio Traversari ed altre del suo contemporaneo ed amico Andrea Fiocchi da Firenze, segretario pontifìcio, conosciuto solamente come autore dell’opuscolo De Romanorum magistratibus, che un tempo corse sotto il nome dell’antico L. Fenestella. Però sul finire della introduzione alle prime quattro lettere del Traversari, delle quali unicamente m’ero fino allora curato perchè d’interesse bibliografico, essendomi fuori dell’aspettazione accorto di qualche fenomeno singolare, non oso dire proprio, della trasmissione di varie lettere di lui, che mi parve degno d’essere segnalato ma im possibile ad esporsi convenevolmente a quel momento, senza aver compiuto un tentativo per lo meno di ri cerca nei registri pontifici, e d’altra parte sovvenen domi che nel prossimo ottobre si festeggerà il V cen tenario della morte del Beato, mi risolsi di fare con quelle lettere un primo fascicolo e di pubblicarlo allora in omaggio all’esimio Camaldolese, benemeritissimo della Chiesa cattolica e della S. Sede, che servi in tempi oltremodo difficili e in imprese d’importanza somma; benemeritissimo dell’Ordine che rialzò, e delle lettere sacre ed umane, che promosse ricercando codici, com piendo traduzioni, insegnando, e del suo monastero di S. Maria degli Angeli facendo un cenacolo dei migliori umanisti fiorentini, che traevano assiduamente a lui come ad un oracolo. 12 marzo 1939.
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INDICE
TRAVERSARIANA DIECI LETTERE INEDITE DEL B. AMBROGIO CAMALDOLESE PAG.
I
- Quattro lettere a letterati d’interesse letterario.......................... i 1. A
Poggio B r a c c io lìn i................................................................ 22
2. A Leonardo G iu s t in ia n o .............................................................. 23 3. A ser Filippo di ser Ugolino P i e r u z z i ......................................... 24 4. Ad Andreolo Giustiniani II
..........................................
26
- Altre due lettere d’interesse bibliografico.......................... . 2 9 5 e 6. A ll’abbate Gomes della
Badia Fiorentina
. .
.
.
.3 2
III - Quattro lettere religiose e di un manoscritto prezioso per l’epistolario 7. A Niccolò Niccoli ............................................
.
33.
.
.46
8. Al Maggiore e agli altri eremiti di Camaldoli............................47 9 e 10. Al monaco Innocenzo...................................................... 48 IV - A lcune
avvertenze per una nuova edizione delle lettere del
T raversari .
V
- Un
..........................................
passo non chiarito del
T raversari
.
.
.5 0
sopra due giovani uma
nisti t o s c a n i ...............................................................................68
VI
- Sull ’ opuscolo «D e sacerdotioCh r isti »
attribuito a l
70
T raversari
A p p en d ice - 1. Iacopo Antonio Marcello a Renalo I d’Angiò, manda il De sac. Chr.................................................................................81 2. Iacopo Lulmeus a Giovanni Barocci vescovo di Bergamo, manda il De sac. C h r.................................................................................. 82 3. I. A. Marcello a Renato I d’Angiò, manda l’om. 1 De statiate del Crisostom o...............................................................
82
4. Federico Manfredi vescovo di Faenza a Federico I duca d’Urbino, manda il D e sac.C h r . ...............................................................85 Digressione - Gli autografi sottratti dal codice Vati«;, lat. 3908 I n fugarti vacui:
.
.
86
Un discorsino delT r a v e r s a r i......................................... 95
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INDICE
V ili
ANDREAS DE FLORENTIA SEGRETARIO APOSTOLICO PAG.
Alcune notizie e varie lettere di Andrea Fiocchi canonico fiorentino
.
97
1. Al cardinale Giuliano G e s a rin i.................................................115 2. A Leonardo Bruni.
........................................................ 117
3 e 4. A Francesco de Lignamine di Padova................................. 118 5. A Francesco di Giuliano d’Averardo de’ Medici
.
.
.
.
120
6, 7, 8 e 9. A Paolo B a r b o ........................................................ 121 10. Al cardinale Francesco Condulmer.......................................... 130 Aggiunte e correzioni
...................................................................... 131
Indice dei codici menzionati
................................... 134
Indice delle persone e c o s e ............................ .................................. 135
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TRAYERSARIANA
ALCUNE LETTERE INEDITE DEL B. AMBROGIO CAMALDOLESE
I - QUATTRO LETTERE A LETTERATI D’ INTERESSE LETTERARIO Il codice Vatic. lat. 3908, che racchiude le lettere autografe di molti umanisti italian i1 a Giovanni Tortelli, il degnissimo curiale che fu biblio tecario della Vaticana sotto Niccolò V, e talune dirette al papa o ad alto personaggio della Curia, probabilmente comunicate da essi al Tortelli, 2 e perciò fu preso di mira e mutilato 3 da infami ladri, o negozianti o amatori di autografi travestiti in studiosi e magari ben raccomandati, onde seguirono diffidenze e restrizioni, ricadute necessariamente anche sopra gli studiosi veri e onesti, presenta verso la fine tre fogli d’una stessa scrittura, 4 che mi pare quella del Tortelli medesimo non ostante alcune scorrettezze un poco sorprendenti nell’autore del De orthographia, non già formati come molti fogli del codice con due o tre lettere incollate insieme, ma tutti d’ un pezzo, però isolati ossia staccati ciascuno dall’ altro in modo che non si può affermare ne siano stati mai congiunti due.
1 Se ne vedano i nomi in Anecdota litteraria ex Mss. codicibus ernia, III, 362 sg. (G. Cr . A madozzi), e 11 Muratori, 1,11 (I. Carini). Ma purtroppo una indicazione precisa di tutte le lettere contenute anteriore alle sottrazioni non c’è, per lo meno a mia conoscenza. * Ciò suppongo, per es., della lettera del Traversari, ad Eugenio IV in favore del Clero aretino, di cui darò le varianti a p. 67, n. 1; di quella di Paride Avogadro fer rarese a Niccolò V ed. dal Carini in 11 Muratori, I, 23-26; d’una supplica di Gregorio Corrano allo stesso papa nel f. 126 (già 128); e di una relazione preziosa di Niccolò di Cusa al cardinale Giuliano Cesarini, benefattore del Tortelli., che sarà pubblicata da mio fratello, Mgr. Angelo Mercati, prefetto degli Archivi della S. Sede. 3 V. p. 86 e sgg. * È la scrittura dei ff. 175 (185), con la minuta di un disegno di riforma ecclesiastica ad un papa; 177-178 (187-188), con la lista delle orazioni di Dione Crisostomo e appunti metrologici; 183 (193), con le proposte per far rifiorire il culto e la vita religiosa nella pieve di S. Maria di Arezzo, « ecclesia in ea civitate pulcherrima,... magnum aediflcium », di cui era allora arciprete il Tortelli (« Archipresbyter qui nunc est eius, scilicet Iohannes Arretinus » ); 222 (236), con la copia di due lettere del Perotti (cf. Studi e Testi, 44, p. 40 sg.). Ivi anche copie d’altra mano con testi che forse interessarono il Tortelli, come l’epitatto metrico di Omonea (f. 182), i primi ventitré versi della Veronae rythmica descriptio (f. 228, già 242), forse mandatigli dal Corrario o da altro amico di Verona (sarà da vedere se sia copia più vecchia del cod. 1016 della Comunale di Verona, usato da L. Simeoni in Ber. Ital. Scriptores ’, II, i, p. vm e 3), e indici di codici offerti o segnalati (ff. 179, 180), ecc.
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TUAVKR8AKIAXA -
1. QUATTRO LETTERE INEDITE
In detti fogli, anticamente numerati 243-245 e divenuti dopo le mu tilazioni 229-231, ci sono otto fra lettere e pezzi di lettere così spartiti. Nel f. 229, vuoto per cinque sesti, e con sole undici linee di scrittura, v ’è una lettera di nove linee, e due, evidentemente soli principii di altre lettere: non v ’è nome nè dello scrivente nè del destinatario e mancano le date di luogo e di tempo, e non v’è altro che li riveli e faccia divinare l ’argomento vero. Nel f. 230, al dritto v ’è una lettera piuttosto lunga e ma nifestamente completa, però senza le date; e ne segue un’altra di appena due righe, che si potrebbe prendere per un bigliettino di presentazione, ma ci risulterà invece un principio e nulla più : lo scrivente, che aveva ancora dello spazio libero per otto o dieci righe senza voltar pagina, lo lasciò bianco. Le due lettere hanno a principio, nella salutazione, i nomi ma in sigle, così : « A. preclarissimo viro P. s. d. ; A. P. suo Immanissimo s. d. », e anche dentro la lettera lunga vi sono due nomi pure in sigle: « d. M. », e « N. » A l rovescio v’è una lettera sola, che occupa quasi l’in tera pagina e sembra completa sostanzialmente, e, se mai, tutt'al più priva della chiusa coi saluti e le date: nella salutazione a principio vi ritorna 1’ « A. » ma seguono per disteso nome e cognome del destinatario. Nel f. 231 invece vi sono due lettere col nome per disteso dello scrivente « Ambrosius », e così dei destinatari — due affatto diversi — e delle per sone menzionate dentro. Basta la descrizione puramente esterna a dimostrare che si hanno davanti non gli originali spediti ma copie, e che i singoli fogli debbono trattarsi a sè, potendo essere le lettere di uno stesso scrivente come le copie sono di uno stesso copista, e potendo anche non esserlo,1 inoltre potendosi chiamare sofisticamente in dubbio, che « A. » nella prima let tera del f. 230 sia lo scrivente come è nelle altre due. Parliamo quindi dei singoli fogli nell’ordine stesso del ms., benché a primo aspetto sembre rebbe metodico e doveroso cominciare dall’ultimo, e lo sarebbe davvero se i due primi fossero del tutto inediti ancor essi; ma poiché fortunata mente non è così, ci sbrigheremo prima di questi, e ben volentieri, per fissarci dipoi senza preoccupazione sopra le lettere del foglio ultimo, che sono davvero le più importanti e degne d’illustrazione, e sole mi attras sero e fermarono dapprima e m’hanno obbligato in ultimo a considerare anche le compagne. Adunque nel f. 229 non vi sono che estratti di lettere del B. Traver savi, e precisamente: 1) l ’esordio dell'Epist. IX, 1, a Giacomo Aldrobando, da Fontebona, 17 novembre 1432: « Quod ignotus ad ignotum... Quid autem velim accipe pater » (col. 425-426) ; 2) l ’inizio delVEpist. XI, 49, al proprio fratello fra Girolamo, da Fontebona, 15 novembre 1432 : « Scripsi ad te proxime : neque ferme quid scriberem modo erat » (còl. 534) ; Difatti la stessa mano copiò nel f. 222 due lettere del Perotti (v. la p. 1, n. 4).
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d ’ in t e r e s s e
l e t t e r a r io
a
VARÌ
3
3) l’inizio dell'Epist. II, 6,al card, protettore dei Camaldolesi Giovanni Cervantes, da Fontebona, 22 ottobre (7 novembre in Martene, Epist. II, 11, me glio; cf. Epist. XI, 48, col. 532 sgg.) 1432 : « Quod segnior in scribendo fuerim quaeso ne imputes negligentiae sed perpetuis occupationibus » col. 73). Sono dunque lettere tutte dallo stesso luogo e dello stesso tempo, e più precisamente sono estratti senza importanza, fatti per una semplice memoria o a scopo (diciamo così) puramente letterario. Nel f. 230 la seconda lettera, quella di due righe, è pur essa il prin cipio di una lettera stampata del Traversari, e precisamente deirunica e sola sua lettera edita a Poggio Bracciolini (da Poppiena), 24 ottobre 1433 : « Proficiscitur ad vos A . 1 negocia... et causami ipsam ». Restano così spiegate con certezza le sigle A. e P. della salutazione, e si ha ragione di presumere che le altre due lettere del foglio appartengano ancor esse alla corrispondenza del B. Ambrogio, benché non vi si trovino, ma non sorprende: infatti non poche sono le lettere di cui si ha traccia ma non si è ritrovato il testo,2 o perchè non rese all’autore quando le domandò per farne raccolta, 3 o perchè scartate dagli amici ai quali affidò la scelta di esse indicando quelle da omettere, 4 o perchè le ricerche nei mano scritti furono e sono ben lontane dalla compitezza. 1 Nell’ed.: « Ugolinus Abbas », come è nominato anche nella lettera seg. a Giustino Planca. Epist., II, 32 e 33, col. 103. • Cf. Mehus, p. vm. Varie risulteranno dalle lettere che pubblico. * Cf. Epist., Ili, 29 (col. 133) e VI, 38 (col. 322). 4 Cristoforo da S. Marcello, che prima le voleva tutte (Cf. Epist., Ili, 20 e 21, col. 126, 127), dopo domandò una scelta, persuaso probabilmente dalle osservazioni fattegli dal Beato, che vi sapeva dentro cose da non pubblicare e temeva « neve epistolae in usus ullos parum idoneae nobis verecundiam pariant, simusque ridiculosi qui utcumque habemur eruditi, vel saltem non imperiti » (c. 128); «n e forte quae ti hi placent, offendant alios non aeque nobis adfectos » (c. 133). Onde la prescrizione, che a cura di Fi lippo e Paolo «q u ae videbuntur digniores, transcribantur, et reliquae omittantur... Familiares illae vel ad Hieronymum fratrem vel ad alios magna ex parte queunt omitti, in quibus sola de re familiari vel privata agitur » (col. 623). Per capacitarsi della sin cerità e opportunità di tale ordine bisogna conoscere la vita di un superiore religioso di zelo e rappresentarsi le circostanze straordinarie in cui il Traversar! trovò l’Ordine e la Chiesa. Costretto molte volte a scrivere in prescia, « quam raptim, ad lucernae igniculum », tra occupazioni opprimenti, tanto su miseriole interne non trascurabili da un superiore ma inezie per estranei, quanto su guai dolorosissimi da rimediare senza scandalo, egli, uomo di buon gusto o serio, che sapeva di vivere fra umanisti schifil tosi e litigiosi, non potè non esser conscio che tante lettere sue non erano, o per l ’ar gomento o per la forma, quali il suo gusto di letterato avrebbe richiesto ed avrebbe prodotto nell’« ozio letterario », e che altre erano delle ripetizioni.:·Perciò rimediò come fece, affidando ad amici discreti la scelta, indicando l’ordine in cui desiderava le lettere (ordine dei corrispondenti singoli, in cui le ripetizioni sono mòno percettibili, perchè distanti), e insegnando — da calligrafo esperto di belli ed antichi codici — come le si dovessero ricopiare, affinchè riuscissi; il codice perspicuo e gradevole (cf. la bella Epist. XIII, 14, col. 622). E ciò per un ragionevole sentimento di onore, non per una finta mo destia, quale suppose in lui, mi pare a torto, il compianto V. Rossi, Il Quattrocento V p. 34, dove crudamente afferma: « c e r t o non era sincera la sua modestia, nè l’osten tata austerità della vita ».
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TR AVER SARIANA -
X. QUATTRO LETTERE INEDITE
Vero è che le due lettere sono verbose e quasi per intero di scusa e dì complimento, ma non reputo uno sciupo di carta lo stamparle, per riguardo alle celebri persone fra cui si scambiarono, ed a quelle altresì che vi si nominano: « N. », credo il Niccoli, e « d. M. », probabilmente l ’ottimo confratello, divenuto dopo altri impieghi di fiducia abbate di Deciano e priore generale, don Mariotto A lle g ri,1 aretino, ai quali il Beato scrisse molte lettere (Epist., V ili, 1-54; XV, 1-49), come pure a causa di talune notiziole che se ne cavano, ma specialmente perchè sem brano proprio le prime lettere scritte da Ambrogio a quei due celebri umanisti e ne risulta che di solito non fu il monaco ad iniziare le cor rispondenze. La prima lettera infatti, che al tenore medesimo appare non del baldo, aggressivo e ben ricompensato segretario apostolico, ma del timido mo naco, già in pensieri ed occupatissimo a provvedere i viveri (« occupa tissimus in rei penuariae studio » ) e quindi cellerario o procuratore, 2 attesta che Poggio aveva cominciato a mostrargli grande benevolenza prima di conoscerlo in persona e tuttavia egli, per quanto grato, affezio nato e memore, non aveva osato scrivergli, perchè « n u n q u a m soleam, prohibente verecundia, n o n p r o v o c a t u s p r i m u m quamvis amicis simis atque familiarissimis litteras r e d d e r e » ; lo farà più diffusamente se gliene darà fiducia e con sua lettera l ’esorterà a riscrivergli: avere da un mese scritto a d. M. senza averne peranco ottenuto risposta: quando P. vedrà N., che è stato gravemente infermo e finalmente si è ri messo, lo saluti per lui.*3 • Su lui, morto nel 1478, v. Annal. Camald., VI, 322; VII, 44 sg., 236, 298, ecc. Fu vicario del generale nel 1433 sg., e carissimo a lui perchè sapeva formare egregiamente i giovanetti del collegio di Fontebona, che gli stava tanto a cuore. Cf. Epist., XII, 9; IV, 12, ecc. Si fanno del « 1428 circa», con un punto interrogativo, le tre prime lettere del Beato a Mariotto, ma in esse non v ’è nulla che le mostri di tale anno piuttosto che di un altro qualsiasi. Perciò, se veramente si nascondesse l ’Allegri nel D. M. della nuova lettera, quelle tre senza inconveniente alcuno sarebbero da porre ai 12 marzo, 31 maggio e 29 settembre del 1423 al più tardi. Mariotto era allora nel monastero dei Ss. Giusto e Cle mente di Volterra. 3 Lo era già nel 1423 e nel 1424 (Epist. V ili, 3, 5, 6; col. 355, 356, 361, 365), e se ne lamentava col Niccoli («occupatio molestissima quaesturae; annus quaesturae nostrae permolestus satis studiis nostris atque desideriis »). Anche in annate non cattive doveva essere difficile provvedere, perchè il monastero era poverissimo e carico di de biti, e i religiosi erano molti: una sessantina nel 1131. Cf. Epist., V, 27, col. 261: « Sumus nempe lx ferme in Domini schola divino servitio famulantes, quibus emendicare victum necesse s it ». E ib., V, 14 (dell’anno 1428), col. 251: «N o s pro inopia nostra huiusmodi nunquam onera solvimus, quippe quibus necessaria victui minime subpetunt, quique praeterea gravi aere alieno praemimur usurisque consumimur ». — Dichiaro una volta per sempre che dove esplicitamente non dissento, seguo la data delle lettere fissata da F. P. L diso, Riordinamento dell’Epistolario di A. Traversavi, Firenze, 1903, estr. in parte dai volumi V III-X della Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, e che cito ordi nariamente l ’edizione florentina di P. Canneti e L. Mehus (1759), non quella di E. Mar tene e U. D urand, Veterum scriptorum et monumentorum amplissima collectio, III (1724), la quale però non ho trascurato (e lo si vedrà) « per la ragione che i due testi s’integrano a vicenda», come rilevò R. Sabbadini, Carteggio di Giovanni Aurispa, p. v ii .
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d ’ in t e r e s s e
l e t t e r a r io
a
varì
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Di che tempo è la lettera? e dove fu diretta? Essendo della primavera 1429 la prima lettera che si cita, ma non è conservata, del Traversar! a Poggio — quella in cui si esprimeva favo revolmente sopra il dialogo De avaritia, 1 — alla nostra si può tranquil lamente assegnare una data anteriore. D’altro lato non sembra che si possa risalire più addietro dei primi del 1423, solo allora essendo Poggio ritornato a Roma dopo quasi un decennio passato per la maggior parte fuori d’ Italia, oltre le Alpi (1415-1418) e oltre la Manica (1419-1422),2 durante il quale, nonché prima, nemmeno il poggiano E. Walser ha os servato una traccia qnalsiasi di corrispondenza diretta fra Ambrogio e Poggio. Resterei quindi dentro il sessennio 1423-1428. Ora in tale tratto v ’è per lo meno un momento, nel quale concorsero le varie circostanze trasparenti dalla lettera : che il Traversari era prov veditore del monastero e con tale brigosissimo officio si scusava di dover trascurare corrispondenza e studi; che il Niccoli era lontano da Firenze e si supponeva stesse in un luogo medesimo o prossimo di Poggio o fosse per recarvisi fra breve, e che frattanto si era ammalato sul serio e riavuto. Tutto ciò cadde, o si credette accaduto da Ambrogio, nell’autunno avanzato del 1423. Invero questo per lui fu un anno della molestissima occupazione della questura, non consolato nemmeno dalla speranza che ne sarebbe stato sollevato al nuovo anno. 3 Eppoi nel dicembre, in seguito a lettera f i n a l m e n t e ricevuta dal Niccoli, ch’era partito d’ im provviso insieme al nipote Cornelio e alla Benvenuta,45senza nemmeno salutarlo e senza scrivergli per lungo tempo,6 aveva dovuto spedirgli l ’orologio e dirigergli lettere su lettere, da cui risulta che il Niccoli non era a Roma ma si supponeva che fosse in via per R om a;6 che Ambrogio l’ aveva creduto ammalato perchè Lorenzo de’ Medici, a cui aveva annun ciata la prossima partenza del Niccoli per Roma, ciò gli aveva scritto,7 e poi l ’ aveva anche avvertito che il Niccoli s’era lamentato seco del lungo
1 P oggii Epist., Ili, 36, ed. Tonelli, I,282sg., che ne corregge il mese; E. W alser , Poggius Florentinus Leben und Werke, 126,133. * Cf. W alser , 21sgg., 41 sgg., 71sgg., 84. ’ V. la nota 2 della p. 4. * V. la chiusa delle lettere 3 e 5 del libro V ili (col. 358 e 362). E cf. le lettere 29 e 39 (coll. 387 e 403) dell’estate successiva 1424. 5 «Permolestum erat adeo d iu t u r n u m silentium tuum (eoi. 359). Tuli primum aegre quod me insaluto profectus esses. Quaedam enim tecum conferre animus erat» (coi. 363). 6 Coi. 359 e 365, lett. 17 e 27 dicembre 1423. Ragione dei ritardi la paura della peste. In un colloquio con lui Cosimo «Rom am proficisci cupere praeseferebat; sed eamdem caussam morae adtulit, quam et t u is et Laurentii nostri [de’ Medici] literis didiceram, pestis videlicet indicia et signa» (18 dicembre, col. 360). 7 Col. 360, 18 dicembre : « Laurentius noster de Medicis iocari mecum voluit, qui de tua imbecillitate ac mala valetudine scripsit. Est amantissimus tui; sed quum de pro fectione tua ad urbem Romam desperaret, quam illi brevi fore significaveram, ea mihi scripsit, quae tibi contigisse vel audivit vel ioco, ut dictum est, finxit».
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TRAVEKSAKIANA -
I . QUATTRO LETTERE INEDITE
silenzio di Ambrogio e tanto stancato del breve ma molestissimo viaggio da dover giacere per più giorni mezzo ammalato, anzi perfettamente lan guido. 1 Da tutto questo appare che il Niccoli, verso il novembre, 2 era partito d’improvviso co’ suoi, si credette alla volta di Roma, e dopo non molto s’era fermato presso un innominato « ospite », non lontano da un luogo, dove si trovavano e Lorenzo de’ Medici e Cosimo, 3 il quale ancor esso nel gennaio 1424 si preparava a recarsi in Roma, 4 dove finalmente andò, forse con lui, anche il Niccoli, che vi rimase parecchio tempo fra il gennaio e il giugno,5* rientrando a Firenze solo nel settembre.8 Pertanto farei diretta a Poggio in Roma da Firenze nel novembre o a’ primi del dicembre 1423 la nuova lettera del Traversar!, ed iniziato allora il commercio epistolare fra i due; commercio che non sembra stato-molto vivo, forse non tanto per la diversità grande di carattere e di costumi, quanto perchè Poggio scriveva spesso al Niccoli, e dal Niccoli avrà rice vuto Ambrogio tutte le notizie che l ’ interessavano senza che avesse ob bligo di scrivere all’uomo assai libero e sboccato. Comunque, di fatto la corrispondenza s u p e r s t i t e fra Poggio e Am brogio nei tanti anni che stettero lontani, non ostante la stima e fiducia di cui è prova singolare la comunicazione di minute di lettere apostoliche in composizione,7 si riduce a tre lettere sole: due del primo, da Roma, 13 gennaio (ma è del giugno)8 1429 e 15 marzo 1430, e una del secondo, 24 ottobre 1433 (Epist., XXIV, 7 e 8; II, 32): perciò il guadagnarne in tanta scarsità una, fosse anche del tutto insignificante, è qualche cosa. Più copiosa relativamente e più interessante per notizie letterarie e non letterarie è la corrispondenza col veneto Leonardo Giustinian: ne 1 Col. 362,27 dicembre: «Accepi enim literas Laurentii nostri, quibus adserit que stum te apud se cur non scribam, cur diu mutus sim apud te, additque te ita iatigatum brevi ilio quidem sed molestissimo itinere, ut plures dies semisanus, imo perfecte lan guidus iaeueris ». 3 11 6 novembre 1423 Poggio riceveva dal Niccoli una lettera data da Firenze, in cui diceva sarebbe andato a Bibbiena. Indi P. prese l’occasione di sollecitarlo a venire a Roma, promettendo di mandargli a Siena la sna mula e un cavallo col famiglio e che gli sarebbe anche venuto incontro. Epist., II, 7 (Ton., I, p. 97, 99). 3 V. le chiuse delle lettere 4 e 6 (17 e 27 dicembre), coll. 359 e 365. 3 Col. 357, lett. 3a, gennaio 1424: «E i an te comitem adiungas, scire aveo; ne Lau rentius noster frustra forte iocatus sit». Cosimo fu a Roma nel febbraio (W alser , 91). 5 W alser , 91, n. 2. Attese le parole di Lorenzo, in cui il Traversari, una volta gio cato, temeva un nuovo gioco (v. la n. prec.), si può credere che sia stato Cosimo a de terminare finalmente il Niccoli e siano venuti insieme. " Del 2 settembre infatti è per quell’anno l’ultima lettera del Traversari al Niccoli lo n t a n o . Questi, giunto a Firenze, non tardò ad informarne Poggio, che gli rispondeva da Roma il 14 ottobre: «Gaudeo te sospitem rediisse Florentiam* (I, p. 137). 1 Epist., I, 7, ad Eugenio IV, 14 agosto 1434: « Vidi ego et legi ipsius minutam apud Poggium, eique indicavi commotionem Sanctitatis tuae... Legi et apud eum minu tam bullae, quam Officialibus Montis tua Sanctitas scribit... » (coi. 23). Che Poggio gliele mostrasse per ordine del papa, pare escluso dal contesto. Il 16 luglio 1434 Ambrogio intervenne a favore di Poggio prigione del Piccinino (Epist., V, 10; W alser , 157sg.). • Cf. P oqqii Epist., ed. Tonelli, I, 283, n. 1.
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sono a stampa ben sedici lettere a lui del Beato (Epist., V i, 23-38), degli anni 1425-1435, e cinque di lui al medesimo (Epist., XXIV, 20-24), degli anni 1431, 1433 e 1438 ; 1 ma la corrispondenza era principiata assai prima del 1425, 2 perchè già ai 27 dicembre 1423 Ambrogio ricordava al Niccoli d’aver scritto a Leonardo lagnandosi di un « Grecalo » che l’aveva ingan nato « in adsportandis pecuniis et libro ilio Cosmi nostri » . 3 Sembra perciò da mettere avanti il 1424 parecchi mesi, forse anche più addietro, la nuova lettera, esprimente l’esultanza di Ambrogio per aver « conse guito » la sommamente desiderata « consuetudine » di Leonardo, che in addietro aveva conosciuto per « ottimo ed umanissimo » uomo « constan tissima atque consentiente omnium opinione », ma ora vedeva tale nella carissima sua lettera, in cui si era detto in colpa di non avergli scritto mai prima ed aveva approvato invece la « ratio silentii » di Ambrogio, suppo nendola probabilmente timidezza e modestia o l ’assorbimento nello studio e nei doveri religiosi. Questo e il rimanente, se non erro, mostra che si era agl’inizi della corrispondenza diretta fra i due, conosciutisi prima at traverso amici comuni, e che nel passo « consuetudo » significa com mercio epistolare e non conoscenza e conversazione in persona, quale ebbe luogo molto dopo, nel 1433 a Venezia, dove il Traversar! si trat tenne oltre un mese. 4* Comunque, è fuori di dubbio che la nuova lettera non risponde a veruna di quelle edite di Leonardo, in nessuna di queste riscontrandosi la sentenza Platonica che Leonardo avrebbe illustrato nella sua, forse parando elogi di lui fatti dal Traversari e a lui riferiti. Ora passiamo alle lettere del f. 231. Esse, quantunque trascritte nel secolo xvm 6 coll’intenzione di stam parle (non ne dubito), debbono essere, o per lo meno considerarsi come inedite, perchè nei molti anni da che le conosco e ho tenute d’occhio, non le ho mai vedute nè a stampa nè citate dove e da chi non si sa rebbe tralasciato di citarle, e specialmente perchè le ritiene inedite il S.r L. Berlalot, occupatosi un tempo delle lettere del Traversar!6 ed infor
1 Cf. A. Oberdohfer, L ’epistolario di Leon. Giustiniano in L'A teneo Veneto, an. 34, voi. I (1911), 8sgg. Sul Giustinian v. V. Rossr, I l Quattrocento ’ , 222 sgg. ; G. Billano vich nel Giornale stor. della Leti. It., CX, 248 sg. (date della nascita e della morte). 2 11 B.o comincia la prima delle pubblicate: «M irari ipse mecum vix satis possum quo pacto fieri potuerit, ut tamdiu literarum inter nos mumis intermitteretur » (col. 305). 3 Epist., V ili, 6, col. 364: « Scripsi, quod tu minime ignoras, ad Leonardum Iustinianum... ». Gf. per il seguito, la col. 355. * Hodoeporicon (ed. Dini Traversari), 61 sgg.; Annales Camaldul., VII, 48 sgg. 3 Sono quelle, se non erro, « Ambrosius Philippo suo [pag.] 549; — Iustiniano 553, — Leonardo Iustiniano 561 » del t. X V del Tioli nell’Universitaria di Bologna (v. F. Can cellieri, Notizie della Vita e delle Miscellanee di Mons. P. A. Tioli, p. 117), che G. Z ippel nel Giornale stor. della Letter. Ilal., XXXVI, 246, ricordava al Luiso citando direttamente il Vatic. lat. 3908. 6 Zwfilf Briefe des Ambrogio Traversari, nella R/imische Quartalschrift, XXIX (1915), *9t-*106 (ivi tre lettere al futuro Eugenio IV : un a’d’invio del Contro Graeenrum errores di Manuele Caleca desiderato da lui; una per indurlo ad accettare la prò-
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I. QUATTRO LETTERE INEDITE
matissimo di quanto rimane degli scritti dei primi nostri umanisti e si è pubblicato intorno ad essi. Destando interesse per le notizie di pre ziosi codici greci, quali mandati e quali mostrati o segnalati al Traver sar!, inoltre per qualche buona notizia sull’imperatore di Costantinopoli, su Bessarione e qualche altro personaggio allora di conto, ognuno, credo, del secolo passato e presente si sarebbe affrettato a pubblicarle. Le lettere sono due, come dissi, e furono scritte a linee assai più lunghe che non nel foglio precedente. La prima lettera, « Philippo suo », d’una ventina di righe, occupa la metà superiore del dritto; la seconda * Andreolo Iustiniano », lunga tre volte più dell'altra, occupa il resto del dritto e quasi tutto il rovescio. Nel dritto a sinistra fu lasciato, e rimane ancora per buona parte, il margine con alcuni dei così detti «n o ta b ili»; invece a destra in una legatura fu ritagliata troppo la carta, condanno della scrittura alla fine delle linee. Nel rovescio la scrittura rimase intatta. La lettera seconda ha le date di luogo e di tempo : Firenze, dal mo nastero (di S. Maria degli Angeli), 10 luglio 1435, e ne fu ricopiato anche l’indirizzo fuori, ad Andreolo (Andreotto) Giustiniani in Chio. La prima non presenta le date nè ha l ’indirizzo : solo c’è il nudo nome del desti natario nel saluto a principio. Vediamo di fissare subito quelle date e di conoscere il destinatario e l’indirizzo, principiando così dalla prima let tera, come del resto ci avrebbe imposto l’ordine della carta. La lettera è posteriore d’alquanto alla venuta dei Greci in Italia al Concilio di Ferrara. Difatti Ambrogio vi rimanda ad una sua precedente, spedita a « Paolo nostro » dopo una visita all’ imperatore greco che gli aveva mostrato tre codici e promesso di fargliene vedere altri, ed afferma di avere dipoi ricordato tale promessa al sovrano, senza risultato fino allora, e di stare già in dimestichezza grande coll’arcivescovo di Nicea Bessarione, da cui aveva veduto alcuni codici e saputo dei molti lasciati a Modone. Quindi la lettera potè essere scritta, al massimo, verso la fine di febbraio da Venezia, dove i Greci erano giunti l’8 e rimasero una ven tina di giorn i,1 ma di fatto appare spedita fra l’ i l marzo e il 7 aprile,
tettoria dell’Ordine e una per ringraziarlo deH’accettazione). Se a G. P esbnti, L a scuola di greco a Firenze nel prim o Rinascimento in Atene e Roma, N. S. XII (1931), 94sgg., non fossero sfuggite queste lettere, egli avrebbe risparmiato le due pagine senza conclu sione sicura, se il Beato imparò il greco da Manuele Crisolora o da Giovanni Malpaghini di Ravenna, ece. Il Trav. lo apprese senza maestro («absque minieulo preceptoris ») aiutandosi con un Salterio greco dapprima e poscia coi vangeli e le lettere di S. Paolo e gli Atti degli Apostoli, come richiesto espone nella lettera l u n ■ domino Francisco Copule » (ih. n. VI), forse della famiglia napolitana da cui uscì il famoso conte di Sarno Francesco, ucciso nel 1487 quale uno dei capi della congiura dei baroni. Si assuefece poi a scrivere il greco coll’esercitarsi insieme a tradurre di latino in greco qualche lettera di S. Gregorio Magno, come confidava al Niccoli il 27 dicembre 1423 (Epist., V ili, 6, col. 365). — B ertalot a p. *91, n. 3, indica le lettere del B.° uscite dopo l ’edizione di Canneti e Mehus. Sopra un tratto della V lettera del Bertalot, v. avanti, p. 68-70. 1 11 Trav. vi sarà giunto il 13 e partito il 27 col legato pontificio card. Niccolò Alber gati. Cf. M. Sanuoo, Vite de’ duchi di Venezia (fra i Rerum Ital. Scrìptores, XXII), 1051-1055; E. Cecconi, Studi storici sul Concilio di Firenze, I, 210 sg
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inserendosi le predette lettere a Paolo e a Filippo fra due di tali date da Ferrara a fra Michele degli Angeli, come si vedrà in seguito. Filippo aveva eccitato il B. Ambrogio « ad rem librariam curandam diligentissime », evidentemente nella certezza che i Greci avevano por tato seco dei libri e potevano dar notizie di altri non portati. Ma il Traversari non aveva aspettato a farselo dire, e nella lettera anteriore all’amico comune Paolo, che presumeva comunicata a Filippo e perciò riassumeva in breve, aveva parlato di tre codici « prestantissimi » veduti presso l’im peratore: un Platone completo, di bellissima scrittura; un gigantésco Plutarco, pur completo, ed un Aristotele, non altrettanto bello, con com mento di cui non è detto l ’autore, oppure il nome era caduto col margine, sopra le opére più note di lui, forse la Fisica, il De coelo, e le Categorie. Ora nelle lettere a fra Michele del febbraio-maggio 1438 1 ripetutamente compariscono appunto un Filippo e un Paolo come devotissimi al Traversar!, pronti a servirlo e pieni di ardore per i libri, ed in quella del 24 aprile si parla precisamente di un Plutarco, che dovette essere gros sissimo contenendo le Vite parallele e i Morali, comprese le Questioni conviviali, 2 e si dichiara che il «Commentum s u p e r A r i s t o t e l i s n o t i o r a Simplicii est ». Come non credere che questi siano il Plutarco e l ’ Aristotele della nostra lettera a Filippo, ossia dell’imperatore (ciò che non risulta affatto dalla lettera a Michele), e il Paolo e il Filippo nostro siano gli stessi delle lettere a fra Michele? Il Mehus 3 prese i due per monaci del cenobio degli Angioli, mentre gli Annalisti Camaldolesi 4 hanno veduto in essi due secolari, assidui frequentatori del Traversari: ser Filippo di ser Ugolino, notaro all’uffieio delle Riformagioni, e maestro Pagolo di Domenico, « sommo astrologo, ... maraviglioso geometra », dei quali Vespasiano da Bisticci racconta che « erano soliti d’andare ogni dì agli Agnoli a starsi con frate Ambruogio » . 5 Benché sulle prime m’abbia inclinato all’opinione del Mehus quel passo della lettera 7-8 febbraio 1438 a fra Michele sulla scelta delle pro prie lettere rimessa pienamente a Filippo e a P aolo,6 sembrando meno > Episi.. XIII, 15-21, coll. 623-629. * « Volumen illud Plutarchi, praeter symposia, quod quidem apud nos non sit con tinet nihil: homines habet eos, quos notissimos nostis, moralesque orationes easdem. Verum symposiaca illa, magnum certe opus, desideramus, et scribenda curabimus si membranae adferantur (domandate a Filippo!), iamque subarrhatos librarios (fra i Greci?) habemus, qui se otiosos causantur tamdiu perstare. Itaque hortare hominem, ut mittat quas s p o n te est pollicitus; nam hic tanta eius rei caritas est, ut nihil supra » (coi. 626 sg.). 3 Praefat., p. ix. 4 I. B. Mittarelli -A. Costadoni, Annales Camaldulenses, VII, 173. Anche Z ippel , Giorn. stor., XXXVI, 246: « a un Filippo che non sembra da identificare coi due Filippi Monaci amici di Frate Ambrogio... », e non accenna a Paolo. 5 Vite, ed. Frati, II, 9 e 12 (più correttamente riferiti negli Ann. Camald., VII, 7), 296. 6 « Cupit Ariminensis noster (il vescovo, Cristoforo da S. Marcello) seligi epistolas nostras, quae sunt electiores, et in volumen redigi. Eam curam v o lo sumant sibi nostri Philippus et Paulus; et quae videbuntur digniores transcribantur, et reliquae omittan tur, tantique viri votis flat satis... » (coi. 623). Cf. Mehus, p. isg.
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TRAVEKSARIANA -
I . QUATTRO LETTERE INEDITE
credibile che il Traversari affidasse ad estranei e laici tale cura assai de licata, come quella che richiedeva l ’esame di tutta la corrispondenza, anche la relativa alla disciplina dell’Ordine, mi sono dipoi persuaso che veramente non potè essere un frate e un dipendente quel Filippo che Ambrogio non dice « figlio » suo come fra Michele, ma « homo ami cissimus» (col. 626), e dal quale una volta ordina di pigliare a p r e s t i l o dei denari per pagare un debito aggiungendo che glieli avrebbe restituiti e g li.1 Anche la supposizione del B.°, che Paolo e Filippo si sa rebbero comunicate le lettere mandate da lui e le avrebbero mostrate a fra Michele, e le avvertenze che allo stesso tempo aveva scritto or a Paolo or a Filippo 2 o aveva ricevuto lettera da loro, mi pare confermino che i due non dovevano essere dei confratelli di fra Michele viventi nello stesso convento. Pertanto credo Filippo un secolare e comprendo bene perchè il Tr. approfittandosi della devozione di lui e del suo fervore per i libri gli commetteva pergamene in abbondanza da Ferrara dov’erano carissime, avendone bisogno per ricopiare testi. 3 E altrettanto ritengo di Paolo, che il B.° nelle lettere 19 (del 1426?), 36 e 37 (del 1431) al Niccoli chiama « Physicus amicissimus noster », medico, ottimo, dolcissimo, e dice mes sosi a trascrivere in vece sua il Teofrasto De plantis promessogli, e gli torna a nominare nelle lettere 45-47, 53, del 1433 e 1434, 4 e nell’ ifodoe-
1 « ...admones uti debitum persolvamus Michaeli nostro... Si necessitate ille fortasse urgetur, mutuo a Philippo nostro ipsas pecunias acceptas illi restitue. Ego ei postea satisfaciam » (coi. 626). Ho aggiunto « postea * dal Vatie, lat. 1793, f. 77'. * Coi. 625, 626, 627. * « Philippo nostro ut membranas mittat copiosissimas scribimus, quia non otiose mittentur » (coi. 625). « Membranas Philippus noster misisse scribit, quae tamen ad nos hactenus non pervenerunt » (coi. 628). Le aveva promesse egli spontaneamente (V. p. 9, n. 2). Con Filippo avea domestichezza grande un cognato del Traversari (v. Epist., V ili, 3, col. 357). * Epist., V ili, 36, col. 395: « Quod tam graviter quereris Theophrastum a me ne gligi cui transcribendo operam pollicitus fueram, inique non fero » ; esserne stato im pedito dal nuovo suo gravosissimo officio; «sed enim quod ipse nequibam, Curavi ut Paulus noster optimus ac dulcissimus pro reliqua sua diligentia exequeretur. Coepit iam opus suum in membranis tuis prosequiturque egregie. Ego id per me emendabo». E a col. 399: « Paulus medicus Theophrastum fere absolvit. Eius emendandi curam mihi ipse suscipiam ». Da Murano, 30 maggio 1433 (« ili Kl. iunias » nel Vatie, lat. 1793, f. 50r, e nell’ed. del Martene giustamente), riferendo sui codici greci del medico Pietro Tommasi (sul quale v. Sabbadini, Le scoperte ecc., 1905, p. 64 e 95): «Feci illi verba de Paulo nostro deque illius singulari peritia et diligentia... » (col. 412). Su lui di nuovo a coi. 413, 415 (dove annuncia l’intenzione di Pietro di venire a Firenze e portare i suoi mss. greci a Paolo, il quale glieli «Postulet maglia cum fiducia: nihil illi omnino denegabitur. Ita de viri benevolentia et pietate in Paulum ipsum confido»), 527 e 591. Noto i passi perchè sfuggiti a G. Uzie lli , L a vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli, nella Raccolta di documenti e studi pubbl, dalla R. Commissione Colombiana. Parte V, Voi. I. Se il Paolo Egineta, il Tolemeo-Poriirio e Plutarco De musica, e i 2 volumi dei Morali di Plutarco Paolo li abbia realmente ricevuti dal Tommasi non so; il Galeno forse sì, e può essere il Laurenziano LXXV, 8: « Angeli Politiani liber emptus de Paulli physici Florentini heredibus: pellegeram ego Ang. Politianus in rusculo meo Faesu-
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poricon, p. 86 e 90, ci mostra come medico curante del proprio fratello d. Girolamo ( f 1433) nell’ ultima malattia, nominandolo « nostro Paulo fidelissimo viro, et peritissimo medico» e premurosissimo. Anzi,osservando che i due ritornano così spesso e cospicuamente nelle lettere del 1438, dopo la morte del Niccoli (il quale nell’ ultimo testamento del 22 gennaio 1437 *1 li avea nominati entrambi, quasi subito dopo frate Ambrogio, fra i sedici rispettabilissimi cittadini esecutori della propria volontà circa la sua pre ziosissima biblioteca), viene il pensiero che essi abbiano come voluto com piere la parte anche del Niccoli, e che il B.° sapendoli tanto affezionati e docili e tanto istruiti e amanti dei libri e del sapere, se ne sia servito con altrettanta e forse maggiore libertà e confidenza che dei propri monaci quasi fossero frati laici. Da rigido frate difatti visse nel secolo maestro, Paolo di Domenico; 2 come pure ser Filippo di ser Ugolino, il quale in ultimo si ritirò addirittura fra i benedettini di Settimo, « a vivere alla vita de’ frati », impiegandosi per di più « in insegnare a’ più giovani del munistero la lingua latina; e perchè erano innanzi più uno che un altro, leggeva loro varie lezioni, pure di cose sacre », e là morì lasciando « tutti i libri sacri alla badia di Settimo, cb’erano grandissimo numero, e alcune opere gentili, ch’erano in parte istorie; i quali tutti si hanno in detta libraria di S ettim o»,3 purtroppo «p iù tardi, cioè nel 1529, du
lano X VII Kal. Quintilis anno sai. mcccclxxxvii » (B andini, III, 151), che contiene dieci libri De compositione medicamentorum. Purtroppo il passo di Ambrogio, col. 413, è mutilo perchè vi furono omesse dai copisti le parole greche: «Volum en aliud Galeni est... lib. V I (‘ V I I ’ Vatic. cit.).j. libri III. optimis literis». Chi ha il ms. alle mani, lo esamini. Sulle strette relazioni tra Paolo e il Poliziano e i loro colloqui, principalmente di medicina, |cf. U zielli , 233. Paiolo lasciò « sedici volumi greci », di cui U zielli , 543, conobbe l’inventario e ne trasse copia per ¡stamparlo ma non l’ha pubblicato. 1 G. Z ifpel , N . Niccoli, p. 97, e più correttamente G. Uzielli , L a vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli, 629: « 1. Rev. viro in Christo patri fr. Ambrogio [I] ve nerando generali Camaldulensi, ,.i. 4. Egregio artium et medicine doctori magistro Paulo magistri Dominici, civi fiorentino: 5. Prudenti et sapienti viro Filippo ser Ugolini Pieruzzi, civi et notarlo fiorentino, rtotario reformationum comunis Florentie... 10. Sapien tissimo viro Gianozo olim Bernardi de Manectis, de Florentia... ». Come Paolo, così Filippo compare nelle lettere 5, 6, 39 del Beato al Niccoli (v. col. 361, 365, 402). 3 V. da Bisticci, Vite, II, 295-297. 3 Ib., III, 95-111. Difatti in due dei tredici mss. del monastero di Settimo registrati dal Bandini, il Laurenz. IX, 2 (grèco; I, 390) e lo Strozziano 136 (Biblioth. Leopol., Il, 515) si legge : « Liber Philippi ser Ugolini Peruzi Notarli Fiorentini, nunc autem Monasterii Septimi », e ♦ ...Pieruzi... Liber Monasterii S. Salvatoris de Septimo Cistere. Ordinis et Fior. Dioec. ». Provengono da ser Filippo anche il Laurenz. LX X V 1,13 (lat.; Bandini, Ili, 92), e i mss. « Florent. Eccl. » 183 e 186 stati poi di Giorgio Antonio Vespucci (Bibl. Leopold., 1, 493, 496). Come racconta Vespasiano stesso a p. 96, altri libri di lui erano dai domenicani di S. Marco (oltre che della Santa Scrittura « dilettossi assai e d’astrologia e di geometria e d’aritmetica, dove ne fece scrivere più libri, e comperonne in ogni facultà, come si può vedere in Sancto Marco infiniti volumi che vi sono, che furono s u a ») e questi, secondo U zielli , p. 66, gli «furono, probabilmente, confiscati [nel 1444] quando fu cassato d ’ufficio e confinato, e quindi trasportati a san Marco ». A Cosimo de’ Medici il vecchio per S. Marco sei· Filippo « diligenti atque solemni confecto inventario » aveva consegnato i libri del Niccoli (Z ippel , p. 105 sg.).
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I. QUATTRO LETTERE INEDITE
rante l ’assedio di Firenze, indegnamente guastata » (G. Uzielli). Lo stesso principio della lettera 24 aprile 1438 a fra Michele sembra mostrare che l ’ardente zelo librario di Filippo era recente.1 Se Filippo ora si può dire un ignoto, non cosi maestro Paolo di Do menico, che fu non già il Dagomari o dall’ Abaco ( f 1372), Com’è fallace mente segnato nell’indice delle Vite di Vespasiano, 2 bensì il celebre ma tematico ed astronomo fiorentino, nominato da un pozzo vicino alla casa avita oltre Arno Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), come ben vide G. Uzielli nella lettera 11 aprile 1438 del Traversari (alle altre non badò). 3 Di quell’uomo singolare, che dal Bisticci si sapeva essere stato amicis simo del Beato, ora dobbiamo ritenere altresì che concorse alla raccolta delle lettere Traversariane scelte per il vescovo di Rimini Cristoforo da S. Marcello; che col Camaldolese durante il Concilio di Ferrara scambiò lettere di argomento letterario, e forse anche di argomento più grave, se bene afferro il passo della lettera 7 aprile 1438: « Monachum Aethio pem libentissime vidimus Paulique literas Pontifici detulimus legendas. Si qua generositas illius pectus obsedit, fructum illae parient; sin minus, tolerabimus ut cetera » (coi. 625). Da questo passo, se non traveggo, sembra trasparire che la lettera di Paolo aveva rapporto con quel monaco abissino, — nel suo ritorno da Roma ospitato dai Camaldolesi degli An geli, ai quali il Traversari l’aveva raccomandato, 4 e allora probabilmente*
1 « Legimus literas tuas, quibus de Philippo nostro deque illius perpetua h u m a n ita te et studio flagrantissimo scribis plurima, hortarisque ut satisfaciam i n e x p l e b i l i a v i d i t a t i s u a e , quam fortasse de industria trahimus, ut scribendi materiam alias torpenti subministremus. Idipsum et suis a nobis literis postulat h om o a m i c is s im u s. Geremus illi morem quamprimum, examussim cuncta illi explicantes, ita ut volumina (« ipsa » agg. Martene, 406) [veduti a Ferrara) subieeta oculis possit arbitrari » (coi. 626). Però le Epist., V ili, 5, 6, 39 (già citate a p. 4, n. 2, e 5, n. 4) dei 1423 e 1424 mostrano che fino da allora Filippo s’interessava di libri e di professori. ’ III, 382. Altro sproposito: ivi non si rimanda a II, 9 e 12, dove si parla eviden temente dello stesso Paolo, e II, 9 è segnato a III, 409 sotto « Pagolo (Maestro) tedesco, filosofo e astrolago presso Federico II duca d’Urbino », ossia Paolo di Middelburg (14451533; sul quale cf. D. J. Struik in Mededeelingen van het Nederlandsch Ristoriseli Tnstituut te Home, V, 1925, 79-118). s 0. c., 66 sgg. Sul Toscanelli v. Uzielli , o. c. ; Celoria e F umagalli cit. in Enci clopedia Italiana, XXXIV, 105 sg. Sopra l’atteggiamento di lui verso i’astrologia L tnn T horndike, A History o f Magic and Experimental Science, IV, 430 sgg., 530. * È curioso che il 7 aprile Ambrogio non riferisce altro che d’averlo visto volen tieri, ma un mese dopo, il 5 maggio, poteva scriverne (credo che si tratti dello stesso abissino): « Monachus ille, quem commendaveram vobis, Aethiops genere, ad nos rediit, et se in reditu ex Urbe suo adseruit visitasse monasterium et officiose fuisse susceptum. Agimusque gratias charitati vestrae, quia cupimus opinionem monasterii nostri, quantum fleri potest, propagari; et suademus ut istiusmodi ignotos ac peregrinos monachos maximeque observantes prompte semper suscipere studeatis et grate, ut bonus odor charitatis vestrae ubique vulgetur in laudem et gloriam Dei » (coi. 627). Probabilmente i due avranno stentato a intendersi. Quel monaco sarà passato a Roma da Gerusalemme, e avrà parlato forse un poco l’arabo. Nel 1441, quando venne a Firenze la legazione abissina, « alcuni documenti insistono appunto sulla difficoltà essenziale che l’ignoranza
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interrogato con tutta la sua curiosità di sapere da P ao lo ;*1 — che quella lettera, diretta forse ad Eugenio IV, se non piuttosto ad Ambrogio, era di tale tenore da interessare il papa, nel momento specialmente de’ suoi sforzi per l ’ unione delle varie Chiese Orientali a Roma, e gli venne comunicata. Il che se fu realmente, quella potrebbe essere stata una pri missima spinta all’ atto che papa Eugenio compì verso gli Abissini nel 1439, subito dopo la riunione de' Greci, scrivendo al negus e mandando la lettera per mezzo di frate Alberto da Sarteano, il quale, sebbene non potè farla giungere a destinazione, ottenne almeno da Nicodemo, abate del con vento etiopico di Gerusalemme, l’invio di delegati a Firenze, che giunsero il 26 agosto 1441 ed ebbero udienza da Eugenio il 2 settembre, 2 tre anni e mezzo dopo la lettera di Paolo. Peccato che Filippo e Paolo non abbiano pensato ad inserire le let tere dirette a loro nel volume preparato per il vescovo di Rimini, o che una copia di questo volume non sia stata ritrovata o riconosciuta! Il numero di esse non potè, è vero, salire alto, perchè il Beato nell’au tunno 1438 fu costretto dalla malattia mortale della madre e da faccende dell’Ordine a trattenersi parecchie settimane in Toscana, e nel 1439 vi rimase dalla fine del gennaio sino alla morte nell’ ottobre, 3 ma se anche poche, a noi bibliografi, e non solo a noi, sarebbero di molto interesse e graditissime, oltre che per le notizie, per la piena confidenza e libertà, della lingua etiopica opponeva a maggiori relazioni con gl’inviati dell’abbate Nicodemo » (E. Cbrulli, Eugenio I V e gli Etiopi al Concilio di Firenze nel 1441, nei Rendiconti della R. Accademia Naz. dei Lincei, Scienze mor., Ser. VI, Voi. IX, 1933, p. 362; e cf. ib., 352: « binis interpretibus, quorum unus esset Arabs, alter, latinus, alternis re ferentibus »). Di Etiopi venuti a Koma s o tto Eugenio IV prima del 1440 non fanno pa rola nè Cerulli, nè il P. Mauro da L eonessa, S. Stefano Maggiore degli Abissini, 134 sgg., nè R. L efèvre, Pellegrini e monaci d’Etiopia nella Roma dei Papi in L a Rassegna Italiana, X L V (1937), 549-560, nè A. Z ucchi, Roma·domenicana. - S. Stefano dei M ori e i Domenicani abissini (nelle Memorie Domenicane del 1936, 163-172,209-216, 352-354, con un « continua » llnora non mantenuto), ma già nel 1431 era comparso un « Thomas de Ethiopia, sacerdos ut asserit, qui zelo devotionis et fervore (Idei de lon ginquis Ethiopie partibus innumerabilibus periculis et latioribus se exponens ad visi tanda Apostolorum limina est profectus»; e volendo «aci patriam suam... remeare» ottenne dal papa una lettera ♦ Indulgentiae » a chi gli facesse elemosina (Reg. Vatic. 370, f. 32, 9 agosto 1431), e forse anche un altro indicatomi dal R. P. R. Loenertz O. P., certo « Theodorus diaconus de partibus Indie ordinis Sancti Antonii », che ottenne una lettera d’indulgenza e di passo in data Bologna 25 maggio 1436, da valere per due anni, volendo esso « a d prefatum monasterium remanere (così! «rem eare»?) ... post visitationem bea torum Apostolorum Petri et Pauli atque lacobi ad dictas partes Indie » (Reg. Vat. 374, f. 89). 1 Paolo sapeva l’arabo, a testimonianza del coetaneo Lorenzo prete Pisano (v. sotto, p. 69), che fece discorrere Paolo sulle tentazioni in uno de’ suoi dialoghi intitolato appunto Paulus. V. Studi e Testi, 75, p. 101 e 285. ’ Cerbli.i , Eugenio I V ecc., 348 sgg., e L ’Etiopia del sec. X V in Africa Italiana, V (1933), 58 sgg. ; compendiato dal P. S. Sa l a v il le he L'O riente Cristiano e l’unità della Chiesa, III (1938), 141-144. 3 Annal. Camaldul., VII, 175 sg., 179-183; A. D in i -Travrrsahi, A . Traversavi e i suoi tempi, 295 sg., 299 sgg., 314 sgg.
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TRAVERSARIANA -
X. QUATTRO LETTERE INEDITE
con cui li avrà trattati e messi a parte di ciò che interessava tutti e tre. Ce n’è pegno la nostra, che è il primo e finora l ’ unico avanzo di quella corrispondenza.1 Essa difatti, oltre rivelarci l’augusto possessore dei due codici greci menzionati nella lettera 24 aprile 1438, ci presenta Giovanni V ili quale il Traversari nel 1423 non aveva creduto, 2 cioè come un bibliofilo appas sionato, superbo di avere trovato « multa... mirabili studio et diligentia sedula », nominatamente di Diodoro (Siculo), di Dionigi d’Alicarnasso e « p l u r i m o r u m », che a comodo suo avrebbe palesato o mostrato al Traversari. Inoltre attesta che Bessarione e Ambrogio si erano di già fatti amici, mentre nelle altre lettere il Beato nomina come particolar mente benevoli verso di sè l ’imperatore e il patriarca, 3 non anche il Niceno ; e che questi aveva portato seco pochi libri, di cui uno, la grossa opera di S. Cirillo Alessandrino contro Giuliano l ’apostata « in XV libri » (così!), fu subito scelto da copiare, e più altri, come un (Euclide) e un Tolemeo illustrato da figure eccellenti di mano delio stesso Bessarione, erano, curiosamente, matematici, ma ne aveva lasciati « una grande 1 Salvo che non si accetti per vero, — ed io non ho veruna ragione in contrario, — anche l ’indirizzo « Philippo suo » della lettera « Ex litteris venerabilis patris nostri ab batis Florentini sum factus », da Soci l giugno (o piuttosto gennaio) 1437, presentato dall’edizione del filartene, Epist., XV11I, 17, col. 603 sg., mentre in quella del Canneti, Episti, VII, 8, col. 337sg., e con vario inizio (« Ex litteris n o s tr o r u m sum f. ») e di versa data ( « I V Kal. Iun. » ) anche nell’ed. del filartene, Epìst., XIII, 19, col. 467 sg., appare diretta a Cosimo il vecchio. Il priore generale, falsamente accusato dagli eremiti presso il papa, si sarebbe rivolto a due dei più autorevoli cittadini suoi fedeli amici quasi c o g l i s te s s i t e r m in i, come si vedrà a p. 52-62 che fece non poche volte. — Ho annotato come mese della lettera piuttosto il gennaio a causa del passo : « Nicolao amico nostro, cui huius rei gratia congressus es, scribo litteras », ii quale mi sembra il Niccoli, e non veggo chi fuori di lui potè esserlo. Ora il Niccoli era morto il 4 febbraio dell’anno stesso 1437, fra le braccia del Traversari. Sarebbe avvenuto un facilissimo scambio di lettura o di scrittura fra « ian. » e « iun. », come di certo neìVEpist., HI, 36 di Poggio (v. p. 5, n. 1, e 6, n. 8). Anche nel gennaio pressoché intero Ambrogio stette a Soci (v. l ’In dice cronologico delle lettere in Lciso, p. 62). Anzi mi sembra che la correzione venga confermata dalla lettera deil’8 gennaio a fra filichele (Epìst., XIII, 6, in filartene XX, 22), dove accenna agli emuli che ♦ nequaquam dormiunt, et agunt seu moliuntur quaecum que possunt contra n o s», dicendosi a principio: «Nicolao item nostro iam saepius scripsimus, neque respondere ipse quoque hactenus voluit; et quidem cum s e r i a m u lta illi s c r ip s e r im u s et quae n e q u a q u a m n e g l i g e n d a viderentur, ut summe cogamur admirari hominem, alias officiosissimum in officio, nequaquam respondisse ». Lo svegli: « Etsi m u lt it u d o r e r u m librum ab illo, non epistolam efflagitat, omnia, si placet, damnet a nobis hactenus scripta, solique respondeat scriptorum [copisti e autori] sibi tam a Cosmo nostro, quam a nobis delegatae curae, et quid sperandum sit admoneat literis suis » (coi. 619). Indubbiamente qui si paria del Niccoli, che già malandato mal poteva adoperarsi e rispondere. * Epìst., V ili, 5, col. 361: «S i Constantinopolitanus Imperator Senior [Manuele Pa leólogo II] ad nos profectus fuerit, nihil omittam diligentiae in eruendis thesauris huiusmodi sane pretiosissimis. Nam si sit iunior (adhuc enim incertum est uter ex eis adplicuerit) parum me prolicere posse inquirendo spero; ijuum non sit ipse eruditus ». Di fatto venne l’imperatore giovane insieme col suo segretario G. Aurispa, il quale asserì che vari codici aveva ricevuto in dono da lui. V. Carteggio di G. Aurispa, xv sgg. • Epìst., X, 11; XIII, 16; XVII, 39, col. 466, 624, 809.
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d ’ in t e r e s s e
l e t t e r a r io
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mole » a Modone in Morea, — fra essi1 una Geografìa di Strabone in due volumi grandissimi,2 — che il Traversari avrebbe stimolato a far venire. Finalmente dicendovisi « triceniiario » Bessarione, quale probabilmente appariva all’aspetto giovanile, si conferma la data della nascita di lui: 2 gennaio 1406, che raccolsi da un passo di Niccolò Perotti, stato per lunghi anni famigliare del cardinale, anziché l’altra, dedotta dall’elogio funebre: 2 gennaio 1403 o 1402. 3 Di una non lunga lettera il frutto non è piccolo. Ma anche la seconda non n’ è scarsa, sebbene contenga molti compli menti e scuse, come si addiceva con un grande signore, che il Traver sari ai 12 maggio 1436, nel raccomandare caldamente a Cristoforo ve scovo di Rimini due suppliche di lui al papa, chiamerà « optimum ac religiosissimum principein » (col. 182). Vi si scusa di non avere finora risposto ad una di lui, congiunta « honestissimo muneri », adducendo le proprie molestissime cure e continue peregrinazioni nei tre anni e più dacché il papa l ’aveva fatto generale dell’Ordine. Gli riferisce dei discorsi tenuti su lui col padre maestro Francesco da Pistoia di ritorno da un lungo viaggio; che dei cinque codici greci annunciatigli nella lettera (in cui si accennava ad altri mandatigli in antecedenza ma rubati 1) e segnati nella lista data a Francesco aveva ricevuto uno solo, graditissimo, prezio sissimo; di esso lo ringrazia in nome suo e di tutti gli studiosi, e desi dera ed attende di giorno in giorno i rimanenti. E poiché Francesco gli aveva parlalo di altri volumi ricevuti dopo da Andreolo per lui e por tati, lo informerà anche di questi quando gli saranno consegnati. Poi racconta quel che si era fatto per un « Macario nostro », uomo ottimo, integerrimo, caro al papa e ad Ambrogio. Padre Francesco ne aveva par lato a lui ed egli al papa : il quale ora spedisce un breve a Macario ed uno ad Andreolo, affinchè il valentuomo con tutti i suoi libri venga come dalla tempesta in porto, a starvi inquiete piena. Anche Ambrogio scrive a Macario che si sbrighi e voli : gli faccia pur egli, Andreolo, delle pre mure, e i posteri gli dovranno molto se mercè sua « tanto et tam decoro fruamur munere ». Gli manda l ’opuscolo De anima di Enea sofista da sé tradotto, e lo saluta in nome altresì del Niccoli. Non mi occorre di parlare del maonese Andreolo Giustiniani (13921456), « appassionato collezionista di manoscritti, monete e statue ed altri oggetti d’arte », corrispondente di Ciriaco d’Ancona, Poggio, Bracelli e* 1 Per questi codici v. le note alla lettera. * « I codici Straboniani non erano tanto comuni tra gli umanisti ». Così Sabbadini, Epist. di Guarino Veron., Ili, 470 sg., e ne seppe indicare (tre soli per il tempo del Tra versari, uno del Filelfo che lo smarrì, e due dell’Aurispa. * Studi o Testi, 44 (1925), 73. Nei Dizionari si continua a farlo nascere probabilmente nel 1402 o 1403 ( Enciclopedìa Italiana, VI, 811 ; Lexicon für Theol. u. Kirche, II, 247; Diclionnaire d ’Histoire et de Géographie ecclés., V ili, 1181), seguendo quell’elogio fu nebre e il Vast (cf. L. Möhler, Kard. Bessarion, I, 40). L ’elezione a vescovo nel 1437 non esclude nemmeno che egli possa essere nato anche ai primi del 1407.
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TRAVEESARIANA -
I. QUATTRO LETTERE INEDITE
altri umanisti italiani, avendone discorso mio fratello Silvio Giuseppe nello stampare una Lettera inedita di Giovanni Argìropuìa, a lu i.1 Neppure ignoto è il maestro fra Francesco da Pistoia.·2 Fu dei Mi nori. Nel 1429 volendosi recare al Santo Sepolcro e in altri luoghi fece raccomandare la cosa dal Niccoli a Poggio Bracciolini, segretario aposto lico, e questi gliene ottenne la licenza da Martino V sotto la condizione che si portasse anche dal Soldano in Cairo con lettere del papa, e si ap profittò dell’occasione per commettergli l’acquisto di qualche bella statua o testa antica in quelle parti.3 Francesco accettò e il 23 agosto ebbe dal papa un salvacondotto per due anni e la grazia dell’indulgenza plenaria « in articulo mortis ». 4 Nel viaggio passò per Chio e vi s’intrattenne a lungo : fattivi degli acquisti per Poggio ed avute da Andreolo promesse di regali al Niccoli e al Traversari, ne informò con lettere Poggio e Am brogio a mezzo il 1430, ma, benché ne avesse buona e sicura occasione, non mandò nulla volendo portar egli stesso gli oggetti al ritorno (per Gaeta) « qui proxime futurus est » 5 e che sarà avvenuto, ma non mi ri sulta, prima della morte di Martino V (20 febbraio 1431). Nel 1432-1433 era in Siria, e là avrebbe cercato e trovato parecchio per il Niccoli, se condo che il Traversari aveva sentito dà Benedetto Dandolo in Venezia e riferiva al Niccoli da Padova il 3 luglio 1433. 6 La nostra lettera ad Andreolo lo mostra tornato da una « lontana peregrinazione » in Firenze verso la metà del 1435, e che era ripassato da Chio e ne portava doni di manoscritti da parte di Andreolo al Beato. A tale ritorno, in cui na turalmente avrà portato anche informazioni desideratissime sull’Oriente e richiamato sopra di sé l’attenzione della Curia Pontificia allora in Fi renze, e forse avrà anche brigato mediante gli amici, quasi di certo seguì e va connessa l ’ esortazione, equivalente a un ordine, di Eugenio IV in data
1 Mélanges d'Archéologie et d’Histoire, XXXIX (1921-1922), 153 sgg. Cf. 1. B. de R ossi, Inscriptiones Christianae V. Hornae, II, pars I, 357 sg., 3(i6sg. 2 Mehus, Praef. ecc., p. lii e c lx x iii ; Sbar alea , Supplementum ad Scriptores trium ordinum S. Fra n eisci1, 279; E. W alser , Poggius Fior., 147 sg. ; S. G. Mercati, 155-157. Lo Sbaraglia non fu bene informato delle lettere di Francesco contenute nel codice Classense 349. La 1», a Leonardo Bruni, non è del minorità ma di Iob de Restis (♦ Ioannem de Bestis * Bernicoli); parimenti la 3», a D. Benedetto de Casentino, è di Matteo da Siena abbate del monastero dell’Ardinga (poscia di S. Pancrazio in Firenze). Per contro vi sono dimenticate di Francesco una « Antonio presbitero. Senis II ydus Ianuarii » [data questa male attribuita in Sbar. alla lettera « Bartholomaeo presbytero », che invece ha «Senis xx viiii decembris) ed una al predetto abbate « Matthaeo de Senis », senza data. Cf. B er nicoli S. in G. Mazzatinti , Inventari dei mss. delle biblioteche d’Italia, IV, 220. Quella dimora a Siena di Francesco la direi anteriore alla sua andata in Oriente del 1429. 8 P oqgii Epistolae, ed. Tonelli, I, 287-291 (23 luglio e 13 agosto 1429), 322 s., 348. Questo fu il « primo suo ad Graeciam accessu » (II, 174). ‘ Bullarium Franciscanum, VII (1904), 726, n.» 1866. * T raversari, Epist., V ili, 35 (18 nov. 1430), col. 393; e cf. P oqgii Epist., I, 322 (23 sett. 1430), 332 (« quód tam diu fueris Chii »). 6 Epist., V ili, 48, col. 417 : « Ex eo viro [il Dandolo) factus sum certior magistrum Franciscum Pistoriensem, quem offendit in Syria, multa tuo nomine quaerere, pluraque iam invenisse. Nec tamen expresse quid invenerit retulit ».
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D’ INTERESSE LETTERARIO A VARÍ
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13 giugno a Guglielmo da Casale Ministro Generale dei Minori, che all’ufficio molto importante di ministro o rettore della provincia di Oriente nominasse Francesco, « q u i et i b i d e m d i u t i u s fuit et de litterarum scientia, probitate morum et integritate vitae plurimum commenda tur » . 1 Fu fatto; ma nel 1438 gli venne sostituito frate Onofrio da Castel Du rante, 2 ed egli compare in Italia, a Firenze, dove fra Michele ebbe l’or dine, rinnovato dal B. Ambrogio il 31 maggio da Ferrara, di rimborsarlo « p r o libris illis... ne c o n t r i s t e t u r » , 3 non so se avuto riguardo alle maldicenze di Poggio, che poco prima, deluso nelle sue aspettative di molte antichità, l ’aveva denunciato ad Andreolo come un bugiardo, fro dolento, infedele ecc., 4 e non ne avrà di certo parlato meglio in Curia. A Francesco « multimemor monitor » si confessa debitore di aiuto nella traduzione della Divina Comedia in latino l ’olivetano Matteo Ronto, cre tese ( f 1443), 56dannato alla galera perpetua nell’altro mondo per gl’infi niti suoi versacci dal contemporaneo Francesco Contarmi.G Purtroppo finora non ho riconosciuto l ’ ottimo « Macario nostro » invi tato a Firenze in Curia, dove sarebbe accolto a grande onore : come non è appai'sa finora la lettera scrittagli da Ambrogio, così i brevi di Euge nio IV a lui e ad Andreolo, che ci darebbero qualche luce, non compa riscono negl’indici dell’Archivio Segreto Vaticano, nè sembra che finora almeno siano stati veduti. Perchè gli si scrivesse a quel modo, dovette essere un personaggio molto riguardevole, grande amico di Andreolo e di stanza in Chio o in quelle parti, possessore e studioso di libri, uomo amante della pace ed invece travolto come da una tempesta. Forse che il mede simo « Macarius noster » della lettera in data F i r e n z e 21 aprile 1439 al card. Giuliano Cesarini, piena di gioia per l ’adesione di Bessarione e del confessore dell’imperatore alla dottrina della Chiesa Romana sulla pro cessione dello Spirito Santo e alla riunione, che il Beato mandò al cardi nale, affinchè gli raccontasse tutto largamente?7 Confesso però di non saperne altro. M’era sovvenuto che potesse essere il frate Macario olivetano, che indusse il Ronto a scrivere la biografia « molto insignificante » del cretese Alessandro V , 8 e sarà stato pur esso un greco : ma a persua dercene non basta la coincidenza nel nome, nel tempo e nella nazione. 1 U. Hüntemann , Bullar. Francisc., N ov. ser. I (1929), 83, n.° 165. 2 W adding , Annal. Minor., an. 1438, n.° 28. 8 Epist., XIII, 21, col. 628. «Neque hoc sine certa ratione dicimus», aggiunge il Beato. • Epist., II, 174 sgg. 5 Mehos, p. clxxiii ; Grillen beroer in Studien u. Mittheilungen aus dem Bene diktiner- und dem Cistercienser-Orden, XII, 17 sgg., 314 sgg.; R. Sabbadini, Epist. di Guarino Veron., III, 280-283. 6 V. A. Segarizzi, F r. Contarmi politico e letterato veneziano del sec. X V , nel Nuovo Archivio Ven., N. S. XII (1906), 283. 7 Epist., II, 19, col. 89: « Ea omnia ex Macario nostro addisces uberius, quem ad te huius rei gratia m itto». 8 Miscellanea di varia Letteratura (Lucca 1762), IV, 353. Gf. Ehiìle , Der Senten zenkommentar Peters von Candia (Franzisk. Studien, Beiheft 9), p. 5, n. 1. Fra le lettere dirette all’abate Gomes (-¡- 1442), che si conservano in un volume della Nazionale 2
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TRAVERSARIA^ -
I. QUATTRO LETTERE INEDITE
Anziché infestare la carta con identiiicazioni di poco o verun fondamento aspettiamo con pazienza di ritrovare i brevi o altre memorie dell’uomo, oppure che altri migliori conoscitori del tempo ce lo insegnino. Daile persone passando alle cose, si noti che la traduzione di Enea Solista*1 dedicata ad Andreolo fu spedita con la nostra lettera. Non è ve risimile pertanto che la versione sia stata compiuta, come suppose il Dini-Traversari, p. 125, al tempo incirca di quella di Manuele Galeca, vale a dire dieci e più anni prima del 1435. Il ms. greco, su cui la fece, era del monastero di Ambrogio e conteneva altri scritti, come appare dalla richiesta che il Beato ne fece da Ferrara nel maggio 1438 a fra Michele: « voluinen illud graecum, u b i e s t Aeneae dialogus, quem ipsi traduximus » (col. 628), forse intendendo di servirsene nelle discussioni coi Greci. Il volume gli sarà stato mandato, ma ho il sospetto che non sia tornato o rimasto agli Angioli, come dirò subito di un altro manoscritto. In secondo luogo è notevole la generosità di Andreolo verso il Tra versali. Una prima volta, probabilmente nel 1430, gli manda libri, che non giungono a destinazione e si dicono rubati. 2 Verso il 1435 ne dà per lui al P. Francesco prima cinque, e poi altri ancora, e non sappiamo del seguito, per la mancanza delle lettere probabilmente. Tanta genero sità non sorprende sapendosi che Andreolo, largo e splendido signore, aveva una biblioteca ben fornita, anche se ritengasi esagerato il numero di 2000 codici incirca fornito dal nipote Agostino Giustiniani ( f 1536), 3
Centrale di Firenze ve ne ha « Macarii monachi » (cf. G. B a t t e l l i nell 'A rchivio ator. Ital., 1938, II, p. 222), non più precisamente indicato. 1 Essa negli Annoi. Gomold., VII, 190, fu registrata tre volte, quasi fossero tre lavori diversi, e le prime due volte come di S. Atanasio: «29. Eiusdem [S. Athanasii] dialogus Timesophistae [così !]. 30. Eiusdem de immortalitate animi. ... 39. Aeneae Gazaci dialogus, qui Theophrastus inscribitur, de immortalitate anim ae...». Ivi anche il « 28. Eiusdem [S. Athan.] adversus Graecorum errores libri IV » è semplicemente il n° «38. Manuelis Calecae adv. Graecorum errores libri IV ... ». * Andreolo se intese parlare dei libri dati nei 1430 a frate Francesco, conviene dire che egli abbia creduto al furto. Non lo credette invece P oggio, II, 175, a riguardo d’una statua di due cubiti incirca mandatagli da un « Suffretus quidam Rhodius » per mezzo di Francesco. « Signo autem me fraudavit asserens id sibi infirmo corpore e navi esse sublatum, in quo, ut c o n j ic io , manifeste mentitus fuit. Non enim marmoris sculpti Cathalani cupidi sunt, sed auri et servorum, quibus ad remigium utantur. Capita vero illa, quae mihi tradi volebas, non Cathalani vi aut ferro subripuerunt, sed Florentiam sunt comportata, quae ille quibus voluit donavit ». Quel « ut cornicio » di persona maligna ci deve render cauti ad accettare le affermazioni di Poggio. Se parla di Catalani, è perchè il frate da Chio sarà venuto a Gaeta, come aveva scritto (ib. 1, 323), sopra una nave catalana. Però anche « Iaeobus theologus familiaris antiquus » di Francesco affermava «illiu s ingenium id esse, ut ingentia polliceatur, pauciora exhibeat» ( T r a v e r s ., Epist. V III, 38, coi. 400). 3 Nella ded. dell’ed. di Enea Sofista, di cui trovò la traduzione Traversariana « inter avi monimenta », afferma: « in cuius nimirum bibliotheca ad duo millia librorum volu mina habebantur : numerus certe in domo privati civis non contemnendus eo tempore, quo libri non stamneis characteribus, uti nostra aetate, sed manu, magna quidem im pensa, scribebantur» (in T r a v e r s ., Epist. XXV, 34, coi. 1116).
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D’ INTERESSE! LEJTTERARIO
a
vaeÌ
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ed aveva buone occasioni di acquistarne dai disgraziati sfuggenti alfavanzarsi dei Turchi; Che poi il Traversari abbia ricevuto nel 1435 quelli man datigli per il P. Francesco, è da presumere finché non si conoscano lamenti di lui al proposito, sembrando poco credibile, che a lui, così stimato e ben voluto da Eugenio IV, il francescano abbia osato fare un tiro vergo gnoso, col trattenersi o dare altrui a capriccio i codici (come g l’imputò Poggio d’aver fatto delle antichità promessegli), dimostrandosi indegno di missioni e di governi. Disgraziatamente non si conosce nè la lista dei codici mandati da Andreotto nè (ch’io sappia) un inventario dei libri del monastero degli Angeli in Firenze al tempo del Traversari o poco dopo, e perciò non è possibile provare che li ebbe effettivamente, nè riconoscerli (come non è possibile sapere quanti codici mise insieme il Beato, nè riconoscere quelli che dice di avere avuto in dono da Francesco Barbaro, Pier Can dido Decembrio, Fr. Filelfo, N. Niccoli, per esempio); però è certa per lo meno la consegna di uno, e questo preziosissimo, in membrana, senza il nome dell’autore, caduto, come presumeva il Tr., con le prime carte contenenti forse il proemio, ma intero per il resto, e ne sembra molto probabile la conservazione, non ostante le tristi vicende di quella bi blioteca. *1 Il detto codice, stando alle parole con cui è descritta e caratterizzata l’opera, indubbiamente conteneva la Biblioteca di Fozio. Ora di mano scritti su pergamena di questa opera anteriori al 1435 si conoscono due Soli ; il Marciano gr. 450, del secolo x avanzato, col nome dell’autore, e l ’altro Marciano gr. 451, del secolo xu, senza il nome,-scoraparso per la caduta del foglio primo, che conteneva la lettera a Tarasio e i primi 43 lemmi della tavola dei capi. 2 0 dunque andò perduto il ms. di Andreolo non ostante il pregio sommo iq che lo tenne Ambrogio, oppure è preci samente il Marciano 451. Io propendo alla seconda supposizione. Fuori di un disgraziato acci dente, che può incogliere anche il possessore più geloso, non è verosi mile che il Traversari, caldo ammiratore dell’opera, e gli altri umanisti
• Cf. Mehus, p. ex. Nel Vatic. lat. 11287, ff. 91-98, v’è la « Liatra [così] de libri che si ritrovano al presente nella Badia di S. Maria degl’Angeli di Fiorenza dell’Ordine di Camaldoli, fatta questo dì sei di Giugno 1600», ma non vi sono che pochissimi mss. certi (sei, se non mi sbaglio) e tutti latini. E latini sono il Lattanzio copiato dal Traversari nel 1414, già alla Badia di Firenze (B andini, Catal. codd. latt. Biblioth. Laur., I, 667, n. 1), lo Strozziano 64 (autogr. della trad. di Diogene Laerzio, Bibliolh. Leopold., II, 400); i Vatic. lat. 283 e 10268; e l 'Etimologie di S. Isidoro ora a New York (v. Seymour de R icci, Census o f Medieval and Renaissance Mss. in thè United States and Canada, p. 1774, n.° 125). Di greci ho segnato il Vat. gr. 474, forse uno dei Nazianzeni donati da Fr. Barbaro; il Laurenz. Gaddiano 6, uno dei donati da Pietro Candido (B andini, III, 423; il Decembrio? cf. T ravers., Epist., II, 42; V ili, 52; XXIV, 69) il Madrileno O. 93, un S. Ba silio del sec. xm (v. il cat. del Miller , p. 108). Ma confesso di non averne fatto ricerche. * Cf. Eduar Martin i , Textgeschichte elei· Bibliotheke des Patriarchen Photios von Konstantinopel, 1,1911 (Abhandlungen d. philol.-hist. Klasse d. kgl. Sächsischen Ges. d. W iss., XXVIII, n.o V I), 6-17.
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TRAVERSARÏANA -
I. QUATTRO LETTERE INEDITE
delia sua cerchia abbiano trascurato un libro di quella natura ed utilità, rappresentante una vera biblioteca, con notizie innumerevoli pur di opere perdute e di autori rari e meno conosciuti, anche se per avventura non ebbero al momento il pensiero o il comodo di studiarla e conoscerla bene. AH’ incontro sembra assai verosimile che nel 1438 o 1439, divenuti amici Bessarione e Ambrogio e, naturalmente, passati a scambiare fra loro le notizie letterarie con l’insaziabile avidità propria di quei primi entusia stici umanisti, il Beato abbia interrogato l’altro sopra l’autore dell’opera che l ’aveva tanto colpito, e che Bessarione per poter rispondere con si curezza domandasse di esaminarla. A tale richiesta di tanto uomo ed amico, da cui già aveva molto ottenuto e sperava ottenere di più, Am brogio, avvezzo a pigliare e a dare in prestito i codici del N iccoli,1 non avrebbe risposto con un rifiuto, neanche se non l’avesse provocata egli nell’interesse proprio. Dato il codice, fatto cardinale e stabilitosi in Curia Bessarione e morto frattanto Ambrogio, sia per uno scambio o una ces sione regolare, sia per la nessuna fretta a restituirlo del cardinale, che l’avrà ritenuto volentieri il più a lungo, sia per quel rispetto umano, che persuade a pazientare coi grandi, dai quali si speri d’avere aiuti e favori dalla comune più apprezzati e cercati dei libri, sia per errore,2 il manoscritto sarebbe rimasto fra quelli del cardinale e finito con essi a Venezia. Sul Marciano gr. 451 non si trova, a quanto sembra, il solito ex-libris di Bessarione mentre c’è nel Marc. gr. 450, non ostante che il primo sia registrato insieme con l ’altro nell’inventario dei libri donati alla Repubblica di Venezia nel 1469. 3 È vero, la mia è una pura ipotesi, ma amo di tenerla finché non si abbia la prova della realtà di una perdita, di cui non sarebbe possibile determinare la gravità. 4 I due mss. Marciani sono riconosciuti per i soli 1 E della Badia Fiorentina, come si vedrà a p. 32 sg. dalle due lettere all’abbate Gomes. 3 Un caso classico di ciò che poteva accadere nei prestiti fra quei bravissimi uomini, si vede nella lettera 17 ottobre 1438 del card. Gesarini al Traversari, il quale aveva ri cevuto da lui « de libris Uomini Nicolai (il Cusano) volumen [in greco] trium Generalium GonciliorumVI. VII. et V ili, quod mutuo acceperara a Domino Archiepiscopo Nicaeno : et nescio quo pacto cum suis voluminibus ipse Dominus Nicolaus miserit servandum ad memoratum Dom inum »; volume che il cardinale riteneva del Cusano e comprato da lui in Costantinopoli, e credeva che questi « forte ipse adcommodaverat illum Domino Nicaeno, et ipse Nicaenus tibi: et postea reversus est ad manus Domini Nicolai, et posuit inter libros suos » (Epist., XXIV, 5, col. 976). — Osservo che dalla cit. ricevuta del Tra versari risulta che il Cesarini già prima dell’ottobre 1438 era stato promosso al titolo di S. Sabina, e non già « c(irca) a. 1440», come segnò E ubel, IP, 64. 3 Cf. Ma rtini , p. 13 e 17. Come appare da Una sua lettera, Bessarione acquistò il Marciano gr. 450 da Nardo Palmieri genero ed erede di Giovanni Aurispa ( f 1459), il quale se l ’era procurato durante il suo secondo soggiorno in Oriente (1421-1423). Cf. Sabbadini, Carteggio di (I. Aurispa, 173 sg. 4 Altrettanto amo supporre, ma ne ho molto meno motivo, del ms. greco contenente il Teofrasto o Da immortalitate di Enea Sofista, che il Traversari domandò di spedirgli a Ferrara e che non sembra rimasto a Firenze ; vale a dire che sia il Marciano gr. 496, del secolo x, unipo per il Contra Marcellum di Eusebio, l’Adamansio, l’Ammonio di Zaccaria Scolastico, il Teofrasto di Enea e i libri A d Autolico di Teofilo Antiocheno. Sovr’esso cf. E. K lostekmann nel IV volume delle opere di Eusebio (fra i Griechischen
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LETTERARIO
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che valgono nella restituzione del testo della Biblioteca, essendo indipen denti l ’uno dall’altro ed esemplari dei rimanenti. *1 Il Marciano greco 451 fu nei secoli xm-xiv del monastero della SS. Theo tocos rtjs TrepifiXeirrov dentro Tessalonica, e colà se ne ricopiarono i cc. 222 e 223 nel Vindobon. theol. gr. CGXX, scritto per desiderio del metropolita Isidoro. 2 Propendo a sospettare che ne fu portato via nel 1430,3 quando i Turchi conquistarono la città, e che poco dopo sia riuscito ad imposses sarsi di quello'e di altri inss. il nostro grande raccoglitore Andreolo Giu stiniani di Chio. Dopo illustrato il pregio delle lettere non sembrerà temerario sup porre che il Tortelli, assai stimato e amato in gioventù dal Traversar!, 4 se le abbia copiate per le notizie bibliografiche di molto interesse, e forse anche per istima ed affezione dei personaggi fra cui furono scambiate.
christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrh.), p. xvi sgg. Nel volume degli Angioli certamente vi erano (appare dalle parole del Beato) altri testi, che è presumibile fossero i predetti, i quali si ritrovano uniti nel Marciano e nelle sue copie. 1 Gf. Martin i , o. c. ; A. S everyns, Recherches sur la Chrestomathie de Proclos 1 ( = Bxbliothèque de la Faculté de Philosophia et Lettres de V Université de Liége, LX X V I1I,1938), 15 sgg. S ev. preferisce di molto il testo del Marc. gr. 450 all’altro, che sarebbe stato guastato anteriormente da un lettore assai intelligente e dotto ma troppo corrivo a correggere e ritoccare di duo cervello. 1 Gf. Ma r t in i , 19 e 53. Per il tempo del· governo d’isidoro (1379-1393) v. L. P etit in Èchos d'Orient, XVIII, 249, 254. ‘ E non nel 1429; v. Bysantinische Zeitschrift, XXXVII, 372 sg. 4 Gf. Epist. II, 25, da Ferrara, 10 marzo 1438: «loannes Arretinus, designatus Clericus Camerae, mihi carus est multum ac familiaris », e lo raccomanda vivamente come giovane buono e studiosissimo (col. 96). Anzi già f o r s e nella lettera del 18 ottobre 1432 da Fontebona al fratello Girolamo (Epist., XI, 45, col. 530; Martene, XX, 23) : « Commendo tibi Ioannem Arretinum harum portitorem: est enim amantissimus mihi, et Romae fuit admodum familiaris. Adloquutus sum Hieronymum praepositum hospitalis Lemmi [Lemnii Marlene] huius viri gratia, ut mansionem aliquam sibi intra hospitale largiretur, quoniam hoc ipse postulaverat. Respondit se recogitare aliquantulum valde; spem tamen dedit exsequendi quae poscerem. Accersas ergo illum, et quid decernat elicias. Is enim ei si locus desit, alium sibimet quaeret » ; da cui G. Mancini, (7. Tortelli [Archivio stor. Ital., 1920, II, 166 sgg.] avrebbe potuto ricavare che il Tortelli, se è lui, nella prima metà del 1432 stava a Roma e nell’autunno era in Toscana e cercava un posto, non appare quale, nello spedale fiorentino di Lemmo (non di Lenno in Oriente, come fecemi sognare un momento la stampa del Martene), dove circa il 1497-98 dimorò per un biennio l ’uma nista camaldolese Pietro Candido di Portico di Romagna, compatriota di Ambrogio (cf. Ann. Camald., VII, 358, e v. ib. 32 e 115). Però il « i u v e n i s bonus bonarumque artium in primis studiosus » della lettera del 1438 fa dubbio alquanto e consiglia di veder bene, se egli possa essere e sia davvero il « loannes Arretinus » copista del Vatic. lat. 3237 a Venezia nel 1422, come ritennero P. de N olhac, L a Biblioth. de F. Orsini, 197, e G. Mancini, 163; ciò che escluderei assolutamente, ove fosse per risultare (ma alla scrittura non mi sembrerebbe) il medesimo che copiò nel 1410 il Vatic. Palat. 1496, nel 1412 i Laurenziani LXI1I, 5 e 6 (B andini, Catal. codd. lati., Il, 687), ecc., e di certo non fu il Tortelli. Il Traversari nomina ancor questo calligrafo, ma con ben altre parole, nella lettera del 29 agosto 1424 al Niccoli: « Hodie mecum diutiiis fuit loannes Arretinus libra rius, multaque invicem contulimus, séd ea tibi reservo dum· coram aderis. L e v i s est, ut solet, sed eum dimittamus » (Epist., V ili, 29, col. 388).
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TRAVERS ARIANA -
I. QUATTRO LETTERE INEDITE
Nella stampa ho mantenuto prime le lettere del f. 230, perchè ante riori, se non errai, al 1430, mentre quelle del f. 231 spettano certamente all’ultimo lustro della vita del Beato, quando più che agli studi dovette attendere, oltre alla riforma dell’Ordine, alle gravissime imprese della difesa del papato e di Eugenio IV contro i conciliari di Basilea e alle pratiche preparatorie e poi alle discussioni coi Greci nel Concilio del l ’ Unione. Ho mantenuto altresì l ’ordine di ciascun foglio, perchè nel f. 230 non si può affermare che la seconda sia anteriore o posteriore all’altra, e nel f. 231 l’ordine è bensì contro la cronologia, ma non conviene mu tarlo per la ragione pratica, che il ritaglio del margine è disuguale, e sembrano scomparse più lettere in alto e gradatamente sempre meno nel scendere in basso : ciò. che nel supplire le lettere scomparse devesi tener presente tanto quanto il fatto, che nei codici le linee al fine non sono uguali come nelle stampe, bensì ora più ora meno lunghe, e con ab breviazioni e lettere rimpicciolite per troncare meno le parole e non andare a capo. In conseguenza vi ho mantenuto l’ordine della copia e segnato con asta i princìpi delle righe, e dove alla fine di esse non saprò supplire o dubiterò del supplemento, metterò puntini. A supplire ivi aiutano i nomi degli autori che l ’erudito copista, interessato ad essi, ri petè in margine, benché nel rilevare il contenuto di un codice matema tico con Tolemeo e altri trascritto da Bessarione, abbia male aggiunto di suo capo «Geogr. », mentre dovette esservi l ’Almagesto o altra opera matematica, come si argomenterebbe anche solo dal contesto, ove fosse necessario, e non ce lo dimostrasse il codice medesimo conservato. I sup plementi — si sottintende — sono per lo più provvisori e solo quanto al senso sicuri : ove non si trovi un altro manoscritto indipendente, che riveli avere il Traversari scritto, ad es., « atque » e non « et », « etsi » e non « licet, quamvis », « redditas fuisse » anziché « redd. esse », ecc., non si sarà mai certi della scrittura originale precisa. Lascio intatte le non buone grafie anche dove le credo del copista e non del Traversari.1 1 - A Poggio Bracciolini in Roma, da Firenze, novembre o principio di dicembre 1423 Si scusa di non avergli mai scritto prim a. Vatic. lat. 3908, f. 230 (244)r.
A. praeclarissimo viro P. salutem dicit. Ego quidem, humanissime vir, quod ad te hucusque non scripsi, quamvis iusta non desit excusatio, quod scilicet occupatissimus in rei penuariae studio fuerim idcircoque minus ocii, quod scri benti quam maxime necessarium est, suppeditare potuerim, quodque verius est. nunquam soleam, prohibente verecundia, non provocatus primum quamvis ami cissimis atque familiarissimis litteras reddere, nihil tamen aliud in culpa esse volo quam negligentiam meam, apud te potissimum, qui me miro benivolentiae affectii amare cepisti antequam nosse, ut merito possim argui tarditatis atque ingratitudinis denotari, quod non tantae tamque eximiae dilectioni tuae saepenumero et inter ipsas occupationes meas reddiderim salutationis officia. Quam
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sane negligentiam meam hisce primum corrigere statui, certus de benivolentia tua quod huic facile indulgeas, cum videas taciturnitatem meam non de amici tiarum contemtu 1 aut oblivione descendere sed de verecundiae atque pudoris magnitudine, dum vereor ineptias meas eruditis ingerere auribus. Tantum enim a me abest amicorum non assidue meminisse, ut, quia istud ingrati animi inditium est, nihil a puero magis exhorruerim vitandumque delegerim. Haec inte rim brevibus, ut non putes silentium meum oblivionis fuisse, certusque sis me amicos semper et absentes colere, cum omnes, tum eos maxime qui se hone stissimis ac sanctissimis studiis omnino dederunt. Scribam latius maioremque litterarum campum ingrediar, si ipse fiduciam dederis meque tuis litteris ad rescribendum hortari dignatus fueris. Scripsi ante ferme mensem d. M. litteras, et necdum responsa promerui. Saluta meo nomine N. dum illum videris, siquidem illum graviter infirmatum didici adiutumque desuper tandem con valuisse. 2 Valere te feliciter atque diutissime cupio, amplissime atque stu diosissime vir. A. P. suo humanissimo s. d. Proficiscitur ad vos A. negocia quaedam nostra tractaturus. Ea ex eo percipies, namque indicem dedimus quid fieri velimus, Commendo tibi et illum et causam ipsam.3 2 - A Leonardo Giustiniano, prim a dell’autunno 1423 Lo ringrazia di aver cominciato a scrivergli e lo eccita a farlo spesso, come farà egli medesimo. Vatic. lat. 3908, f. 230 (244)”.
A. Leonardo Iustiniano v. c. pi. s. Quam me suaviter affecerint litterae tuae, longe ipse facilius ac melius pro tua singulari in me benivolentia et pietate inteliigere poteris quam ego scribere. Nam cum antea de tuo ingenio, industria, mo destia praestantique virtute adeo magnifice mihi persuasum esset, ut consuetu dinem tuam summa ope mihi expetendam iudicarem, non modo me illam con secutum ut optaram sentio, verum in sinu tuo 4 penitus reconditum, sive potius in viscera traiectum gaudeo. Quae cum ita sint, gratulor foelicitati meae, immo verius nostrae: nihilo enim te minus foelicem censeo quam me, immo longe esse foeliciorem hac in parte scilicet; te enim eum esse quem constantissima atque consentiente omnium opinione didiceram, optimum scilicet atque huma nissimum, ex hisce tuis litteris perquam sane exploratum habeo. Elucet in eis cum singularis lenisque facundiae facilitas et gratia dignitasque orationis, tum, quam pluris existimo, singularis ac pene incredibilis caritas ac pietas in me: quae cum ex candidissimo pectore proficiscatur, nihil est in humanis rebus quod pluris faciam, nihil fere quod tantidem existimem. Itaque non sola me voluptate sed excellenti etiam utilitate affectum ex tuis litteris et sentio et prae me fero. Sed hinc ne plura: ero enim molestior quam officiosior, si ut persua deam tibi de amore in te meo pluribus verbis opus esse arbitrabor, cui de mea voluntate ac studio iam ita manifeste et aperte persuaisum est, ut nihil sit quod non tibi de me facillime pollicearis.
1 « contentu » cod. * V. sopra, p. 4, dove ho proposto di leggere « Mariotto » e « Nicolaum », 3 Epist., II, 32, col. 103, allo stesso Poggio. V. sopra, p. 3. 4 Segue « potius » cancellato.
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TUAVER SARI AN A - ì. QUATTRO LETTERE INEDITE
Venio ad ipsas litteras tuas,1 quas quotiens relego, facio autem id saepis sime, nova perfundor voluptate, novo amore succendor, ut te nunc demum amare videar, antea solum dilexisse. Quod silentii mei tibi probata sit ratio, mirifice gaudeo. Quod item 2 tibi met succenses non te prius scripsisse ad me, facis tu quidem, ut soles, humanissime, sed per mansuetudinem tuam te oro atque obsecro, ne id ultra tibi soli acceptum referas quod utriusque crimen est. Agamus potius omni studio, uti praeteriti silentii, cuius utrinque sdla fortasse verecundia causa fuerit, damna 3 crebris litteris resarciamus. Quod autem Pla tonici illius 4* admones ¿¡n Tv^Xodrcu5 rò rfnXovv irepi to tfciXovjievov plurimaque in eam sententiam colligis, recte omnino facis et bene admones: cave enim exi stimes me cuiquam amicissimo licet atque optimo viro plus de te quam tibi ipsi crediturum iudicioque meo. 6 3 - A Ser Filippo di Ser Ugolino P ie r uzzi in Firenze, da Ferrara fra I’l l marzo e i l 7 aprile 1438 Dà notizia dei codici veduti presso l ’imperatore greco Giovanni V i l i Paleologo e Bessarione arcivescovo di Nicea, e di altri codici posse duti dai medesimi e non visti. Vatic, lat. 3908, f. 231 (245)".
Ambrosius Philippo suo s. d. Heri vesperi redditae sunt mihi abs te litterae plenae suavitatis, quibus tu sopitam animam |varia distractione marcentem excitas et ad rem libra riam curandam diligentissime invitas. Quoniam Paulo nostro iam arbi
sia un semplice rifacimento stilistico eseguilo senza ricorso al greco, e nel caso che no, se l ’ignoto usò un diverso codice o il medesimo che Lauro. L ’edizione del 1511 non mi pare italiana, e forse è ristampa di una ed. francese, essendo francesi i personaggi di cui nel titolo si nota una lettera, che non c’è nell’esemplare Barberiniano: « e t Gilberti Cognati Nozereni [Cousin, di Nozeroy, 1506-1567] ad Petrum Richardotum epistolis». Anche la vita di Maometto tradotta da Giorgio Ermonimo di Sparta, copista e pro fessore di greco a Parigi, che la dedicò « praestantiss. munificentissimoque viro domino Germano Ganaeio » , 1 come del rimanente la nuova versione da Suida e la nuova lettera a Renato si poterono avere più facilmente in Francia dove Renato avea lasciato la sua biblioteca, che non in Italia. Se veramente la versione fu stampata dapprima in Italia, come sembra dire il P. Henten (il quale però potè aver notizia della edizione del 1476 0 del 1496 dell’opuscolo e supporle della versione stessa che teneva sotto gli occhi), lascio indagare ai nostri bibliografi: quanto all’edizione del 1541, mi arrischio ad esporre il sospetto che sia di Basilea («in Germania» disse Henten), e precisamente del tipografo Roberto Winter, al quale l’in formatissimo contemporaneo e connazionale Corrado Gesner attribuì ap punto l’edizione della vita di Maometto tradotta dall’ Ermonimo: 2 anche all’aspetto dimesso mi pare stampa svizzera o tedesca. Ora tornando alla versione detta del Traversari, si hanno egli testi monianze tali da doverla ritenere di lui? Al. presente non mi pare che si possa dare una risposta sicura, non conoscendosi tutti i codici della versione, segnatamente le date di essi e 1 titoli originali precisi e la loro autorità. I pochi da me veduti m’in durrebbero piuttosto a dire di no, perchè i più antichi — un padovano della prima metà del secolo X V 3 e un bolognese del 1451 o poco dopo,4 coi quali sta un altro bolognese assai corretto dell’ultimo quanto del se colo, 5*8la presentano senza nome, e quelli che hanno il nome, (col « san1 Germano de Ganay, canonico di Bourges, vescovo di Cahors (1509), poi d’Orléans
(1512), morto nel 1520. Omont, 83, n. 1. * Bibliotheca Universalis, 1545, f. 269'. Sul Winter, risch-biographisches Lexikon der Schtveie, VII (1934),
morto nel 1553 o 1554, v. Hislo553. 8 11 Vatic. lat. 3180, f. 39T-41r. 11 trattato a principio (ff. 1-21), dal titolo: «rattà de li veneni fati per maistro Piero da A bano»), ha la sottoscrizione: « Finitus est ... 141x die xix. mensis septembris indie. 3a Padue ». 1 II Vatic. lat. 693, sul quale v. A. P elzer, Uodices Vati, latt., Il, 14 sg. Ivi, alla fine, forse il copista medesimo fra Bartolomeo da Traù domenicano, andando a n u o v a l i n ea, a g g iu n s e alcuni passi scritturali in pi’ova del sacerdozio di Cristo («Eciam in ps. C VIII° Tecum principium in die... Et iterum ps. V ili«. Domine dominus noster... Eciam in passione dominica Dominus reprehendens... X.»s Y. ergo sacerdos et pontifex»), estranei all’originale ed alla versione. 8 11 Vatic. lat. 2726, D’opuscolo sta nell’ultimo quaternione, che termina col «T e stamento lasciato a Bolognesi per frate Ino. da Siena de l ’ordine de servi predicando in san Pietronio 1463 nel quale provò 20 generationi et a eiasehuna lasciò 3 d on i...». Sul ms. v. F. L. Mannucci. Antoniì R y va n ì Sarsan. liisloria eec., p. xxv, n. 3 (Jìerum Ital. Seriptores!, XX111, parte IV).
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ATTRIBUITO AI. TRAVERSAR!
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otum » o « sanctissiuium », si noti) inducono in inganno in quanto l’opu scolo vi parrebbe opera del Traversali stesso (come difatti credette il vescovo di Faenza che ne mandò copia a Federico d’ Urbino) e non una traduzione, e presentano nella chiusa un’omissione comune.12che li di mostra meno vicini all’originale. Dapprima mi aveva colpito fortemente e quasi convinto il codice Ur binate lat. 547 (col quale manifestamente va l’edizione bolognese del 1496), perchè fatto scrivere dal signorotto mitrato di Faenza, pressoché conter raneo, che possedeva qualche altra opera indubbia di Ambrogio,3 e se gnatamente perchè in certo modo a chiusa dell’opuscolo e del codice succede immediatamente un lungo elogio in distici, che principia: Si cupis auctorem praesentis nosse libelli: Quod cupis, a nostro carmiue doctus eris. Is fuit Ambrosius toto clarissimus orbe, Camaldulensis religionis honos ecc.
carme che si potrebbe pensare già unito all’opuscolo nell’ a r c h e t i p o , e non fra il 1474 e il 1478. Ma esso è il carme del faentino Taddeo da Viarana figlioccio del Trav., che sta unito anche all’esemplare dell’Hodoeporìcon già dell’Ar chivio di Fontebona 3 e ora nella Magliabechiana (Biblioteca Nazionale) di Firenze.4 Siamo dunque tutt’altro che sicuri dell’identità del « libello » del carme con l’ opuscolo, di cui invece siamo certi che Ambrogio non fu « autore », e, se mai, fu solo traduttore. Quanto al vescovo Federico Manfredi dei signorotti di Faenza, è da ricordare che forse non era ancor nato, o al più era bambino alla morte del Beato, essendo stata rifiutata nel 1463 la sua elezione a vescovo per il troppo difetto di età.5 Da ultimo, senza dare soverchio peso alla cosa, è molto credibile che il Trav. sia stato meno sagace e sensibile del Bosso di fronte agli spro positi e alla crudità dell’opuscolo, e l’abbia tradotto come serio ed edi ficante ? Lo crederò quando mi apparirà una prova stringente della atten dibilità dell’attribuzione. Termino con lo scusarmi di avere consumato un po’ di tempo e di carta intorno a tale opuscolo. Vi fui tratto da un’interrogazione del Rev.d0 D. Tommaso Accurti, peritissimo d’incunaboli, che mi mostrò l’ed. del
' V. sopra, p. 71, n. 5. 2 Le versioni di tre opere dell’Areopagita e delle vite di S. Giovanni Crisostomo e di S. Gregorio Nazianzeno. V. nell’Appendice, n°. 4, p. 85, la bella e bene scritta let tera, che elogia specialmente la famosa biblioteca del duca di Urbino. 8 V. M e h u s , p. ccccxvi sg.; Annali·,s Camaldul., V U , 186 sg., e nell’indice di esso volume a « Viarana » i parecchi luoghi, in cui si ricordano le buone relazioni del Beato coi Viarani. Gf. anche la nota di fra Simone da Reggio (indicatami dal S.' Dr. A. Cam pana) nel codice Faentino 40 donato da Taddeo, ed. in Studi ital. cit., XIX, 22. 4 A. D ini-T raversari, o. c., 315sg., Append. prima, 10 sg. 5 Eubel , I l s, 152, Favent. n. 3.
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TR AVER SARI ANA -
VI. S U LL’ OPUSC.
«
DE SACERDOTIO CHRISTI »
1496 perchè dubitava della genuinità dell’opuscolo, sembratogli indecente e non degno del Traversari. Ciò che n’è venuto fuori, se non risolve la questione, può essere di qualche altra utilità, per quanto modesta. Anzitutto si è raccolta materia per una particella della storia di quel l ’apocrifo piaciuto non soltanto a povera gente. E poi si è fornito ai ricercatori e descrittori di codici il mezzo di distin guere facilmente e d’indicare con precisione, o per lo meno con maggior cautela, le versioni di esso e i loro veri o presunti autori, e parimenti si è fornita ai bibliografi e studiosi dell’ Umanesimo qualche nuova notiziola. Finalmente chi ha interesse alla storia dei codici di Suida ne verrà indotto, spero, a cercare se mediante quelle versioni, compiute in luoghi distanti : Inghilterra, Toscana? Venezia, Milano o Roma, quindi non dallo stesso codice certamente, si giunga a riconoscere il manoscritto da cui procedono, ov’esista, ancora, e cosi a sapere dove e presso chi si trovò al tempo della traduzione il tale e il tale codice. Tale ricerca non mi pare sia stata nemmeno tentata dalla benemeritissima A. Adler, la quale nella dissertazione sui codici di Suida fece sempre, dove poteva, la sto ria dei singoli manoscritti. Non è impossibile che ne sopravvenga qual che sorpresa. Per esempio, se la versione del Grossatesta finì davvero con le parole : « propalavit, disponente hoc domino Deo veritatis, qui noluit hoc memorabile penitus subcinerari. Cui est honor et gloria in secula seculorum», come ha la copia fattane dal contemporaneo Matteo Paris (v. p. 71, n. 3), sarebbe impossibile mantenere che Roberto tradusse dal V(ossiano 2) o da altro dei codici superstiti, nessun ms. della Adler pre sentando quella chiusa, e converrebbe a supplemento dell’ed. collazionare, anzi pubblicare tutti gli avanzi della letteralissima traduzione di lui. A ugidnta a i>. 77 - Nello «Stamp(ato) Chig(iano) V. 2354·» c’è un esemplare com pleto dell’ed. del 1541. Dalla dedica in data «Nozereti ipsis calendis Ianuarii» d’un anno non indicato ma prossimo alla morte d’ Erasmo (luglio 1536), di cui il Cognatus era stato segretario per sei anni (« In Erasmo Roter, plurimum amisi ... Nec enim ami cum, sed patrem in omnibus, et si quid forte potest esse amicius coniunctiusque, sensi. Superest, ut postquam ita Dominus voluit, casus humanos patientius ferre discam »), e quindi forse anteriore di qualche anno al 1541, appare che egli non conosceva veruna stampa dell’opuscolo in latino; che l ’aveva tratto da un manoscritto antichissimo (!) di brutto carattere fr a n c e s e , e che egli lo stimava poco o punto. «A d haec, (dice) ne huius anni hic liminaris dies te mihi indonato elabatur, de Christi sacerdotio libellum his adieci, nondum quod sciam typis excusum, nisi quod Graece apud Suidam extat : cui qui non perinde ildem tribuant, hodie fortassis non deerunt. Verum hoc quicquid est rei, iudieandum nasuto cuique lectori rqlinquimus, de ea sane non habentes in praesentia, quod dicamus, nisi in Cassiodori et aliorum centonibus huius farinae multa reperiri, hisque minutiora. Huiup narrationis concinnator, quo Iudaei et Christiani con fabulationi ildem aliquam conciliaret, testimonia aliquot e Sacris literis et autoribus subduxit, sed quae ovre yijs arr\v, ovre ovpavov airrovcn. Nos solum de codice vetu stissimo, Gallicis literis supra quam dici potest foedis et portentosis scripto, hunc li bellum descripsimus. In stylo a nobis nihil mutatum est. Nam eiusmodi est ut non admittat emendationis diligentiam, et libelli inscriptionem in exemplari repertam reli quimus ». — Sui Cognatus, che diede al Winter vari opuscoli da stampare, v. le Biblioth. dei contemporanei e amici Gesner e Simi.ek a « Gilbertus C .», e la Bibliographie Universelle a «C ou sin »; H. R eusch, Der Index der verbotenen BUcher, I, 437 sg. Fra le opere di lui (Basilea 1562) non fu ristampato l ’opuscolo De sacerdotio Christi.
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APPENDICE
APPENDICE 1 - Iacopo Antonio Marcello manda il De sacerdotio D. N. Iesu Christi tradotto da Lauro Quirini a Renato I d’Angiò re di Napoli, da Ve nezia, 5 aprile (1452) God. Corsin. 839 (43 D 8), f. 78r. N . B. L e parole spaziate dentro la lettera sono quelle che Iacopo Lulmeo sostituì con altre nella sua a G. Barocci, vescovo di Bergam o (v . il n.° 2).
Serenissimo ac Illustrissimo Regi Ranato lacobus Antonius Marcellus re verenter sese commendat. Inter mea vota, I n c l i t e R e x , *1 hoc vel principa lissimum est R eg i a m vestram M a i e s t a t e m 2 videre, ut et instituto iam pridem mihi proposito et officio debito et cupidissime mee voluntati satisfacere possim. Quod,a quoniam r espubl ic a ob temporum d i f f i c u l t a t e m 3 me mei iuris non sinat,4 simque in tantum intus neg ot ii s o cc up at us ,5 ut iuxta proverbium vix respirare possim, studeo, Serenissime R e g u m , 5 litteris saltem Regi am Vestram M a i e s t a t e m 7 visere, idque libentius facio, cum facultas rei alicuius8 datur, quae digna sit r e gi a v e s tr a a u d i t i o n e . 9 Ne que enim sepius scribere opus c e l s i tu d i ni v e s t r e 10 aut de vestris erga me singularibus beneficiis, quae apud me meosque posteros immortalia erunt, aut de mea erga I ll ust rem Vestram maiestatem unica11 observatione. His itaque diebus rem vidi dignam cognitione et memoria sempiterna. Vir enim quidam ex nost ri s p a t r i c i i s et mihi omnino charus atque d i l e c t u s ,12 Laurus Quirinus Latinarum13Grecarumque literarum peritus, in Surda vetusto Grecorum c o d i c e 14 invenit quamdam brevem Istoriam 15 de sacer dotio domini nostri Iesu Christi, eamque in Latinum sermonem vertens Nicolao Summo Pontifici misit: que quoniam digna res visa est, studui ipse quoque Vobis chr ist iani ss imo R egi tam Grece ac L at i ne scriptam m i t tere, 18 novi enim animum vestrum christianitati et religioni deditum, ob idque pergratum17 esse non dubito. Illud ergo restat in fine implere,18 ut Mar c e l l o 19 tantum iubeat R eg i a Vest ra Mai est as ,20 quantum vita sua suf ferre possit: nulla enim res neque tam ardua neque tam difficilis neque tam periculosa esse poterit quam non putabit levissimam pro re gi a v es tr a c e l s itudi ne atque s u b l i m i t a t e . 21 Valeat, ut opto, felicissima r e g i a v e stra M a i e s t a s . 22 Datum Venetiis Nonis Aprilis: quo die ad castra proficiscebar ex mandato Senatus nostri. a Così, campato in aria, se non sta per « q u a r e » . Si aspetterebbe: « I l che non potendo io fare ora, perchè la Repubblica ecc., mi studio almeno di visitare con lettere ecc. » Cf. sotto, p. 84, lin. 6 sgg. In queste note riferisco le espressioni sostituite a quelle del Marcello da Iacopo Lulmeo nella sua lettera al vescovo di Bergamo ( v. il n.° 2). 1 eximie presul 2 Reverendam vestram dominationem 3 assidua leccionum mearum interpositio fiorentissimi huius studii 4 sinit 6 in eius vigiliis detentus a presul 7 dominationem vestram 8 alicuius rei 8 v estra audicione sit 10opus est tante dignitati 11 dignitatem vestram unicam 12 ex patriciis venetis 18 latinarumque 14 in vetustissimis grecorum codicibus 15 brevem quandam epistolam seu historiam 18 vobis Religiosissimo antistiti mittere 17 pergratam 18 Bp(isto)le (non explere) 19 Lulmeo Iacobo 20 dominacio vestra 21 pro summa vestra digni tate 22 fel. vestra dominacio.
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TRAVERSARIANA -
APPENDICE AL C. VI
I n capo della carta, resti di una prim a linea guastata dal ferro del legatore ; p o i: Iesu Christi e greco in latinum conversa per Magnificum Dominum Lau
rum Quirino patricium venetum. 2 - Iacopo Lulmeus manda il De sacerdotio D. N. Iesu Christi tradotto da Lauro Q uirini al vescovo di Bergamo Giovanni Barocci, da P a dova, 28 aprile (1452?) Cod. 'Vatie, lat. 628, f. 104”.
Domino Reverendissimo in Christo patri domino Iohanni Barocio Dei gratia et Ap. se(dis) Pergamen. Episcopo ac Corniti Iacobus Lulmeus reverenter sese comendat. La stessa lettera come sopra al n. 1°, ma coi cambiamenti che vi ho trascritto nelle note. Data Padue Quarto kal. Maij. 3 - Iacopo Antonio Marcello manda a Renato I di Angiò un'om ilia di S. Giovanni Crisostomo tradotta, 1453, primavera Cod. Vatic. lat. 5145, f. 1-3».
A provare che la dedica, stampata al n. 1°, della versione di Lauro Quirini è dell’aprile 1452, e quindi la versione stessa è di poco ante riore, e che la seconda dedica e la seconda versione anonima del De sa cerdotio D. N. I. C. stampate nel 1541 sono anteriori al maggio 1453, pubblico la dedica di un’omilia di S. Giovanni Crisostomo che il Mar cello mandò tradotta a Renato I pochi giorni dopo avere intesa la morte della regina Isabella di Lorena sua sposa, avvenuta il 28 febbraio 1453, e scrittogli una lettera di condoglianza. Questa dedica non è del tutto ignota. Il Papon e il Lecoy de la Mar che, II, 182, ne riferirono in versione francese poco esatta un passo, dal quale però non era possibile raccogliere l’ occasione triste dell’ invio e quindi il tempo. Per questo, ma specialmente perchè pochissime sono le lettere conosciute dell’uomo insigne, ed essa, oltreché bella, è di certa importanza in quanto espressamente vi si afferma che assai di frequente il patrizio veneto scriveva al re, e si vede che tuttora nella primavera del 1453 egli non conosceva, o mostrava di non conoscere, la partecipa zione di Renato alla lega, conclusa l’ anno precedente fra Carlo VII, Francesco Sforza e i Fiorentini contro la Serenissima, onde poi scese nell’estate, e nell’ ottobre mandò al Malipiero e al Marcello la dichiara zione di guerra, che dovette interrompere per un certo tempo la corri spondenza ; io anziché riportare sopra, a p. 73, n. 2, come mi bastava, il solo passo che serve a datare, ho preferito di pubblicar qui la lettera intera, come R. Sabbadini stimò utile di pubblicare1 l’accompagnatoria,
1 I I L ibro e la Stampa, III (1909), 13-15.
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molto più citata, dello Strabone Guariniano nel 1458, dalla quale fu ar gomentato che 1’ « ostilità officiale » del 1453-54 non aveva « alterato i loro sentimenti reciproci. » 1 La dedica dell’omilia sta al principio del Vatic. lat. 5145, un piccolo codicetto di scrittura elegante ed accurata sopra bella pergamena, che potrebbe essere l’esemplare medesimo mandato, o per lo meno destinato a Renato. Le succede (fif. 4r-37v) la versione latina, e poi (ff. 38r-77v) il testo greco, allo stesso modo, e probabilmente nello stesso ordine, in cui il Marcello gli aveva mandato dapprima in greco e in latino il De sa cerdotio. L ’omilia, che le parole « in vetustis Graecorum commentariis » m’ave vano da principio fatto cercare dentro il commento dell’epistola 1 a T i moteo, c. V (c. ripetutamente citato a principio), è invece la l a delle omilie al popolo Antiocheno De statuis. 2 Essa era stata già tradotta dal B. Ambrogio Traversari,3 ma nè il Marcello nè il suo dotto amico lo seppero, nè lo seppe il pisano Pietro Balbi ( f 1479), che pochi anni dopo, nel. 1460, tradusse di nuovo la prima omilia e poi tutte le altre De statuis.4 La versione del Traver sari principia: «Audistis, fratres, apostolicam vocem, celestem tubam, lyram spiritualem; velut enim tuba terribile ac bellicum resonans adver sarios exterret ac percutit,» e quella del Balbi: «Audistis, fratres d ia rissimi, Apostoli vocem, tubam caelestem, lyram spiritalem; est enim tanquam. tuba, quae ita suo per aerem clangore et terrorem hostibus i ncutit»,5 mentre la traduzione dell’ ignoto amico del Marcello dice: *