Tra razionalismo e irrazionalismo. Il pensiero di Bruno Fabi 9788869927140


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Tra razionalismo e irrazionalismo. Il pensiero di Bruno Fabi
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TEMI DEL NOSTRO TEMPO

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Patrizia Audino

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TRA RAZIONALISMO E IRRAZIONALISMO Il pensiero di Bruno Fabi

ARMANDO EDITORE

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ISBN: 978-88-6992-714-0 Tutti i diritti riservati – All rights reserved Copyright © 2019 Armando Armando s.r.l. Via Leon Pancaldo 26, Roma. www.armandoeditore.it [email protected] – 06/5894525

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Sommario

Prefazione

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Fabio Pierangeli

Introduzione

Patrizia Audino

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Gli sviluppi dell’irrazionalismo nella storia della filosofia 15 Patrizia Audino

Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico

30

Nuove prospettive del pensiero irrazionale Testo della riunione di fondazione Manifesto Il tutto e il nulla

30 30 30 31

Bruno Fabi

Riflessioni comuni

37

Franco Campegiani, Flippo Ferrara, Aldo Onorati

Atti del convegno di filosofia “Tra razionalismo e irrazionalismo – la parola ai filosofi”

41

Introduzione agli atti del convegno di filosofia

41

Bruno Fabi, Ingegno poliedrico

43

Patrizia Audino Aldo Onorati

La filosofia dell’irrazionale di Bruno Fabi

45

Franco Campegiani

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La prospettiva autocentrica La teoria autocentrica Razionalismo di Hegel e Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi

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Filippo Ferrara

Risposte ai quesiti in ordine ai temi del convegno

69

Considerazioni finali

79

Franco Campegiani

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Patrizia Audino

A dieci anni di distanza… Le interviste

81

Patrizia Audino

L’intervista ad Aldo Onorati Intervista a Franco Campegiani Intervista a Filippo Ferrara

81 87 95

Considerazioni conclusive

104

Bibliografia

108

Patrizia Audino

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Prefazione

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Fabio Pierangeli*1

Mi è stata chiesta la prefazione a un’opera di raffinata filosofia. Ho accettato perché conosco molti libri di Bruno Fabi, pensatore “problematico” scomparso dieci anni or sono, fondatore della corrente “Irrazionalismo sistematico”. Non pretendo di aggiungere nulla al corposo testo della professoressa Patrizia Audino, né alle argomentazioni dei collaboratori di Fabi, Franco Campegiani, Filippo Ferrara e Aldo Onorati. D’altronde, la tesi rivoluzionaria di Bruno Fabi, che ha ribaltato l’assunto di Hegel per il quale “tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”, è conosciuta da tempo. Il giorno della sua dipartita molti quotidiani italiani hanno dato ampio spazio al Maestro, ricordando l’importanza da lui ricoperta nel campo del pensiero e dell’arte. Ecco, io mi aggancio proprio a quest’ultima parola: arte, cioè poe­sia e narrativa (ma anche pittura, perché Fabi è un ingegno poliedrico, con vaste e profonde conoscenze nel campo scientifico, egli che è stato professore di Diritto Romano all’Università di Camerino e alto Magistrato), in quanto ho cono*

Università di Roma Tor Vergata.

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sciuto il filosofo attraverso i suoi romanzi, specie Racconto americano, Delirium: diario d’inganno, Il terzo millennio e la stupenda raccolta di liriche La sorpresa di vivere che una piccola e coraggiosa editrice (Anemone Purpurea) pubblicò nel 2007. Mi accorsi della fusione di pensiero e fantasia in quelle pagine e volli approfondire la conoscenza dell’autore leggendo altri suoi scritti che erano stati pubblicati, se non erro, dall’autorevole editore Armando Armando. La sua opera centrale, quella che lo pone tra i filosofi “scomodi” del Novecento, resta Il tutto e il nulla, edito a suo tempo dai Fratelli Bocca per interessamento di Ugo Spirito. Ho letto questo ponderoso e fondamentale lavoro nella seconda edizione, rivisitata, pubblicata lodevolmente da Anemone Purpurea. Ritengo che il modo migliore per avvicinarsi all’opera del Maestro sia quello di leggere Incontro con Bruno Fabi, scritto da Aldo Onorati, suo amico per una quindicina d’anni e curatore di quasi tutte le sue opere. Lì c’è pure il personaggio più intimo, colto nel suo dialogare socratico, nella sua visione della vita anche “oltre” il contenuto delle sue splendide pagine. Ora, siccome una prefazione deve dare esplicazioni sul libro a cui è destinata, non posso fare a mano di lodare l’impegno della professoressa Patrizia Audino, la quale ha al suo attivo molti titoli e il merito di aver organizzato in un istituto di filosofia un incontro su Bruno Fabi con gli studenti, dopo aver avvicinato gli stessi al pensiero del Maestro. Sento che l’interno battito della “rivoluzione” di Fabi (per il quale “tutto ciò che è reale è irrazionale e tutto ciò che è irrazionale è reale”) è sviscerato senza retorica, 8

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ma con profondità di vedute: il merito va alla Audino, che si è giovata anche della preziosa collaborazione dei firmatari del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico: Campegiani, Ferrara, Onorati (in calce alla grande firma di Bruno Fabi). Conosciamo gli autori: filosofo e poeta il primo, storico e sociologo il secondo, scrittore e dantista il terzo. Buone garanzie, ma garanzia di serietà in primis colei che ha voluto mettere per iscritto gli atti del convegno, in una sistemazione intelligente, organica, consequenziale. Ne risulta una fervida ammirazione per il Maestro e un caposaldo per la conoscenza della sua produzione. Bruno Fabi aveva forte il problema di Dio. Eppure asseriva essere irrazionale il tutto (forse da mettere in lettera maiuscola: il Tutto). Può sembrare una contraddizione, ma sta proprio in questa tensione fra l’idea di Dio e la sorte umana la forza della sua narrazione, della sua poesia, della sua filosofia che è sempre sottesa a ogni forma di espressione, e chiara nella sua opera centrale che in questo libro si esamina nei dettagli. Non posso e non voglio dire di più: lascio ai lettori la scoperta (o la riscoperta) di un ingegno che ha formato soprattutto molti scrittori, dacché – al di là della letteratura di evasione: ed è tanta, oggi – le opere più profonde risentono della doppia natura dell’uomo: razionale e irrazionale (d’altronde, Edgard Morin aggiunge a tale realtà considerazioni coinvolgenti, e, con lui, gli autori più problematici del nostro tempo).

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Introduzione

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Patrizia Audino

Questo lavoro nasce con l’intento di fare il punto della situazione sull’Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi a dieci anni dalla sua scomparsa avvenuta nel 2009. Non ho avuto la possibilità di conoscerlo personalmente ma solo telefonicamente. Ricordo ancora le sue parole al telefono: “Cara professoressa, chiunque dinanzi ad un impegno profuso per rendere pubblico il proprio pensiero non può non essere riconoscente a chi si adopera per farlo…”. Io però sono riconoscente a lui perché, come insegnante di filosofia, ho potuto far capire ai miei allievi come fosse più viva che mai la filosofia contemporanea. L’ho fatto organizzando un convegno dal titolo “Tra razionalismo e irrazionalismo – la parola ai filosofi” incentrato proprio sul pensiero di Bruno Fabi fondatore dell’irrazionalismo sistematico. L’opera fondamentale di questa corrente filosofica è Il tutto e il nulla pubblicato dalla Casa Editrice Fratelli Bocca di Milano nel 1950. Il saggio riscosse un certo successo tra gli esperti del settore. 10

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Fu poi riedito nel 2006 ad opera della editrice Anemone Purpurea. Nel Dicembre del 2005 fu stilato e firmato dal fondatore Bruno Fabi, da Franco Campegiani, Filippo Ferrara e Aldo Onorati, il “Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico – Nuove prospettive del pensiero irrazionale”. Il Manifesto in questione aveva lo scopo di divulgare sul piano filosofico – artistico – culturale la filosofia dell’irrazionale e di porre in rilievo i relativi cardini del sistema. Il quale1: 1. disvela e afferma, al di là di ogni ipocrita o ingenua illusione, in un mondo dalle infinite contraddizioni reali, in cui tutto è possibile, anche l’impossibile, l’irrazionalità dell’essere e della vita; 2. pone la ragione come componente antinomica necessaria della suprema contraddizione dell’essere (“razionaleirrazionale”); ne esalta la funzione irrinunciabile nello svolgimento storico del pensiero, ma ne rivela anche i limiti e la relatività, specie quando usata come ragione astratta; 3. esalta, nell’ambito dell’irrazionalismo trascendentale, il potere della fede nel linguaggio, nell’azione, nella religione, nel bene, ma, se la fede è ridotta a rozzo fanatismo, ne mette in luce anche la possibile atrocità; 4. pone a conclusione il motto del fondatore, sintesi “con valore relativo” della sua filosofia:

1 Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico Nuove prospettive del pensiero irrazionale, Anemone Purpurea editrice, 2005, Albano L., p. 3.

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“Tutto ciò che è reale è irrazionale” Questo è l’assunto da cui l’autore parte e conclude, per comporre il suo pensiero filosofico per cui “Il tutto è il mondo di tutte le contraddizioni, ne deriva che esso, ancora per questo verso, è irrazionale”2. E così “In un tutto irrazionale, come il mondo di tutte le contraddizioni, la suprema antinomia riguarda proprio l’opposizione ‘razionale-irrazionale’, e non è strano, ma ancora una volta ‘coerentemente’ contraddittorio, che sia proprio la ragione a fondare e a illustrare la filosofia dell’irrazionale”3. L’autore, conversando con l’amico Aldo Onorati sul tema religioso nella prospettiva irrazionale, come è raccontato nel libro “Incontro con Bruno Fabi – Il filosofo che ha capovolto l’assunto di Hegel” scritto dallo stesso Aldo Onorati, così si pronuncia: “Ah, caro Aldo, quanta salvezza offre la Fede e quanti disastri genera nello stesso tempo! Dipende sempre da una qualità suprema dell’uomo, purtroppo posseduta da pochi: la schietta umiltà, madre di tutte le virtù; essa ci fa pensare che pure gli altri siano nel giusto, o altrimenti che pure noi possiamo sbagliare come altrui”4. Bruno Fabi, che era Procuratore Generale Onorario della Corte Suprema di Cassazione e Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica, non è stato solo filosofo ma anche poeta, scrittore e pittore.

Ibidem, p. 6. Ibidem, p. 6. 4 Aldo Onorati, Incontro con Bruno Fabi, Anemone Purpurea editrice, 2010, Albano L., p. 61. 2 3

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Tutte le sue opere riflettono il suo pensiero filosofico, dalle poesie de “La sorpresa di vivere” del 2006 ove si nota la potenza del contenuto e la sintesi di liricità e pensiero sino all’altro recente lavoro pubblicato da Anemone Purpurea “Delirium, diario d’inganno” del 2009, dove vengono riproposti, in chiave avventurosa e narrativa, gli argomenti presenti nell’Irrazionalismo Sistematico e che, come scrive Franco Campegiani in un suo articolo: rinnova atmosfere e itinerari già vissuti, con in più il fascino di una trattazione letteraria sui generis, capace di avvincere, in forma di racconto, intorno a temi filosofici ed epistemologici di grande attualità. Tutto ruota intorno al ridimensionamento della dea ragione, non nei termini kantiani (comunque ottimistici) sulle possibilità circoscritte e costruttive della ragione stessa, bensì nei termini pessimistici e contemporanei che, pur riconoscendo alla ragione l’insostituibile ruolo di stimolazione del pensiero, ne rivela, al di là di ogni ipocrita o ingenua illusione, tutta la relatività, assegnando all’irrazionale il ruolo di guida nell’azione dell’uomo e nella vita in generale5.

Il presente saggio, oltre a contenere per intero il Manifesto sopra citato, contiene anche l’estratto degli Atti del Convegno su Bruno Fabi che si è tenuto nel 2008. Mi sono chiesta se non fosse opportuno interpellare i firmatari del Manifesto, a dieci anni dalla scomparsa dell’autore, 5 Franco Campegiani, Delirium di Bruno Fabi da “Il corriere di Roma”, Anno LX, n. 909, 30 luglio 2008, p. 18.

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riguardo lo sviluppo di questo sistema di pensiero e riguardo l’attualità dell’irrazionalismo sistematico. Le risposte, a mio avviso, sono estremamente interessanti, quindi ho pensato di trascriverle per intero. Per concludere il lavoro, oltre a introdurre la filosofia irrazionalista contemporanea, ho voluto dare uno sguardo al mondo culturale odierno per studiare gli approcci filosofici più attuali applicati alla pedagogia.

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Gli sviluppi dell’irrazionalismo nella storia della filosofia

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Patrizia Audino

Il fondatore dell’Irrazionalismo Sistematico ha così il merito di ristabilire nella filosofia del nostro tempo quell’unitario e contraddittorio respiro dell’universale e del particolare, dell’assoluto e del relativo, che il relativismo contemporaneo sembra avere smarrito, viaggiando in maniera totalmente ignara dell’assoluto (salvo farne un contenuto, se non dell’intelletto, come accadeva in passato, comunque della psiche irrazionale dell’umanità)1.

Così recita un articolo scritto nel 2008 da Franco Campegiani, in relazione al fondatore dell’Irrazionalismo Sistematico Bruno Fabi. Effettivamente è il secolare problema della vita e dell’essere come razionale o irrazionale che ora, più che mai, viene dibattuta dai filosofi contemporanei, non ultimo da Franco Campegiani, autore dell’articolo2 su Bruno Fabi, il quale è l’ideatore di una Teoria Autocentrica3 in cui lo stesso Assoluto rappresenta l’equilibrio tra essere e non-essere ed è 1 Franco Campegiani, Una ristampa per il fondatore dell’Irrazionalismo Sistematico Il tutto e il nulla di Bruno Fabi, da Cronache, gennaio 2008, p. 45. 2 Ibidem, p. 9. 3 Franco Campegiani, La teoria autocentrica – analisi del potere creativo, Armando Editore, Roma, 2001.

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considerata entità contraddittoria ma necessaria con cui perveniamo ad un’armonia dei contrari all’interno dell’Io che ne prende coscienza. Ma cosa s’intende per irrazionalismo che tanto dibattito ha causato tra i filosofi contemporanei? Potremmo parlare di un irrazionalismo di tipo gnoseologico o metodologico che è relativo all’atteggiamento di sfiducia verso le capacità conoscitive della ragione. Infatti l’irrazionalismo gnoseologico4 è l’attuazione di una negazione del potere conoscitivo della ragione verso la realtà e in alternativa a questa, pone fiducia verso la fede, i sentimenti, le intuizioni, ecc. L’irrazionalismo gnoseologico affonda le sue radici già nella sofistica, nello scetticismo e nel misticismo neoplatonico5. Nell’epoca moderna ha rappresentato una reazione al razionalismo di Cartesio (con la filosofia “irrazionalistica” di Pascal), poi ancora una reazione all’Illuminismo grazie al pensiero romantico, sino ad arrivare al Kantismo contestato dai filosofi della fede, ad Hegel (con la filosofia di Kierkegaard) ed al positivismo contestato dalla filosofia di Bergson, dai pragmatisti, dai filosofi della vita, ecc. I ricercatori parlano anche di una corrente irrazionalistica di tipo metafisico o ontologico6, cioè legato al carattere non razionale del mondo i cui principi si manifestano in modo caotico e disarmonico. Espressione filosofica di questo approccio sono, ad esempio, la filosofia di Schopenhauer con la “volontà di vivere”, la filosofia di Nietzsche con la sua “volontà di potenza”, 4 Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, Novara, Vol. 11, p. 454. 5 Ibidem, p. 454. 6 Ibidem, p. 454.

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Bergson con lo “slancio vitale”, Freud con l’“inconscio”, la corrente dei pragmatisti con l’“azione”, ecc.7. Una nota a sé va rivolta a Gyorgy Lukacs, vissuto tra il 1885 e il 1971, che nel suo trattato “La distruzione della ragione” del 1954, definisce “irrazionalisti” tutti i filosofi che si discostano dal concetto di “ragione” hegeliano e marxiano; temi, oggi, ancora molto dibattuti tra i “moderni” e i “post-moderni”. Ma allora chiariamo anche il concetto di “razionalismo”. Cosa si intende? Hegel intendeva il razionalismo come “la tendenza alla sostanza per cui si afferma, contro il dualismo, un’unica unità, un solo pensiero, al modo stesso in cui gli antichi affermavano l’essere”8. Dando uno sguardo agli “antichi” si può ricordare, a proposito del concetto di “ragione”, Eraclito, il quale asserisce: “Bisogna che si segua ciò che è universale, cioè comune a tutti; e solo la Ragione è comune; ma i più vivono come se ciascuno avesse una sua mente privata”9 ed ancora Parmenide: “Allontana il tuo pensiero da questa via di ricerca e non ti spinga su di essa l’abitudine di lasciarti guidare da un occhio che non vede, da un orecchio che rimbomba e dalla parola: giudica invece con la Ragione”10. Cicerone, diceva: “La Ragione, per la quale ci differenziamo dai bruti, per mezzo della quale possiamo congetturare, argomentare, ribattere, discutere, condurre a termine e concluIbidem, p. 455. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Geschichte der Philosophie, ediz. Glockner, III, p. 329 sgg; trad. ital., III, 2, p. 68 sgg. 9 Eraclito, Frammenti, II, Diels . 10 Parmenide, Frammenti, I, 33-37, Diels. 7 8

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dere, è certamente comune a tutti, differente per preparazione, ma eguale quanto a facoltà di apprendere”11 e ancora Seneca: “La Ragione è immutabile e ferma nel suo giudizio perché non è schiava ma signora dei sensi. La ragione è uguale alla ragione come il giusto al giusto: dunque anche la virtù è uguale alla virtù perché la virtù non è altro che la retta ragione”12.

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Cartesio, così si esprime sulla ragione: La capacità di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso, che è propriamente ciò che si chiama il buon senso o la ragione, è naturalmente uguale in tutti gli uomini; perciò la disparità delle nostre opinioni non viene da ciò che le une sono più ragionevoli delle altre ma solamente da ciò: che conduciamo i nostri pensieri per diverse vie e non consideriamo le stesse cose. Non è sufficiente aver lo spirito sano ma la cosa principale è applicarlo bene13.

Dal canto suo Locke sosteneva che la ragione è una determinante fondamentale, cioè di essere, la ragione, uno strumento indispensabile per ogni tipo di conoscenza perché “percepisce la connessione probabile che unisce tra loro le idee o prove in ciascun grado di una dimostrazione cui giudichi sia dovuto l’assenso”14. Queste affermazioni di Locke saranno giudicate la base del concetto di ragione che l’Illuminismo settecentesco prenderà a riferimento e che Kant cercherà di realizzare pienamente. 11

Cicerone, De legibus, I, 10, 30. Seneca, Epistole, 66. 13 Cartesio, Discours, I. 14 John Locke, Saggio, IV, 17, 2. 12

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Dunque, la definizione di “razionalismo”, in senso stretto, è da attribuirsi alla dottrina di Kant con le sue “Critica della ragion pura”, “Critica della ragion pratica” e “Critica del giudizio”. La ragione, sostiene Kant, è la facoltà “che produce da sé i concetti” e perciò rappresenta la “facoltà dei principi”15. Sostiene ancora Kant: “La ragione procede, come l’intelletto, discorsivamente; ma considera i procedimenti discorsivi dell’intelletto come compiuti in ‘idee’ di totalità e di unità (l’anima, il mondo, Dio) che sono perfette ma inconfrontabili con l’esperienza, quindi puramente fittizie e fonti solo di ragionamenti dialettici, cioè sofistici”16. La ragione viene successivamente considerata come autocoscienza da Fichte il quale sostiene la completa identificazione di ragione e realtà; inoltre la ragione è deduzione nel discorso e come tale ha come principio unico l’Io17. Schelling insiste: “La natura attinge il suo più alto fine, che è quello di divenire interamente oggetto a se stessa, con l’ultima e più alta riflessione che non è altro se non l’uomo o più generalmente ciò che noi chiamiamo ragione”18. Con Hegel la ragione è intesa come identità dell’autocoscienza come pensiero ed è identità di pensiero e realtà ovvero: “La Ragione è la certezza della coscienza di essere ogni realtà”19. In altri termini la Ragione è la pretesa di asserire che tutte le determinazioni del pensiero e della realtà sono l’una 15

Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Dialettica trascendentale, Intr. II, a. Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, Novara, p. 226. 17 Johann Gottlieb Fichte, Wissenschaftslehre, 1794, § 4, C; trad. ital., p. 92. 18 Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, System des transzendentalen Idealismus, 1800, Intr., § 1; trad. ital., p. 9. 19 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phanomen. des Geistes, I, V, 1; trad. ital., p. 209. 16

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e l’altra in un unico processo di cui si asserisce la perfetta “necessità”. Inoltre la ragione, come autocoscienza, non è formale ma sempre identica alla realtà. “La Ragione, dice Hegel, è negativa e dialettica perché risolve in nulla le determinazioni dell’intelletto. Essa è positiva perché genera l’universale e in esso comprende il particolare”20. Più recentemente anche Husserl sostiene che la Ragione è da intendersi come auto rivelazione o evidenza e che è lo stesso manifestarsi fenomenologico degli oggetti. Il termine unitario per indicare il concetto che comprende il significato assertorio e apodittico è chiamato da Husserl, “coscienza razionale” o “evidenza”21. La definizione di ragione di Husserl viene accettata da Heidegger che la fa sua. Tornando sul concetto di Irrazionalismo, dobbiamo far riferimento ai moti rivoluzionari del 1848: in quel periodo crebbe l’ostilità per ogni forma di pensiero che ignorasse il valore della vita e dei sentimenti ed invece esaltasse la concezione astratta della realtà basata sul concetto di Assoluto o sul semplice progresso tecnologico. L’epoca romantica dello “Sturm und Drang” è assimilabile, in un certo senso, ad una forma di irrazionalismo. Crebbe così una sorta di irrazionalismo romantico che contestava le vecchie teorie positivistiche dell’800. Espressione di questa contestazione di “fin de siècle”, sul piano poetico, letterario ed artistico, furono il simbolismo, il modernismo e il decadentismo. 20

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Wissenschaft der Logik, Pref. alla 1° ediz.; trad. ital.,

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Edmund Husserl, Ideen, I, § 137.

p. 5.

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In questo senso si potrebbe dire che irrazionalista era Schopenhauer che concepisce la vita come manifestazione cieca e alternativa alla ragione, ovvero come insopprimibile “volontà di vivere” che produce dolore perché è puro “noumeno”. Infatti “noi ci illudiamo continuamente che l’oggetto voluto possa porre fine alla nostra volontà: Invece, l’oggetto voluto assume, appena conseguito, un’altra forma e sotto di essa si ripresenta”22. Egli sostiene, a tal proposito: “La volontà è la cosa in sé di Kant; e l’idea di Platone è la conoscenza pienamente adeguata ed esauriente della cosa in sé, è la volontà come oggetto”23. Più si ha desiderio di vivere e più si soffre. La volontà di vivere è irrazionale e cieca. Tuttavia c’è un solo modo per uscire dal dolore che provoca, ovvero l’“ascesi” che è auto-negazione della volontà di vivere operata con l’uso della ragione24. Nel campo letterario occorre citare, a proposito dell’irrazionalismo, il pensiero di D’Annunzio che con la sua più famosa opera Il piacere, per alcuni versi autobiografica, descrive come l’artista debba lasciarsi guidare unicamente dalle sensazioni che prova, senza seguire nessun imperativo razionale. Sul piano scientifico va invece messo in evidenza l’irrazionalismo di Paul Feyerabend, vissuto tra il 1924 e il 1994, che con il suo Contro il metodo, opera del 1975, mette in discussione le regole metodologiche della scienza classica per arrivare ad un anarchismo epistemologico. Sostiene infatti che seguire le regole tradizionali non contribuisce al Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 52. Schopenhauer, Manoscritti 1804-1808, in Der Handschriftliche Nachlass, ibid., p. 391, OTV, Munchen-Zurich, 1985. 24 Cfr. Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, 1859. 22 Arthur 23 Arthur

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successo scientifico. Si dichiara anche critico verso il “falsificazionismo” di Popper poiché nessuna teoria interessante è mai coerente con tutti i fatti che la riguardano per cui questo esclude la possibilità di utilizzare la regola popperiana secondo la quale una teoria scientifica deve essere necessariamente rifiutata se non concorda con i fatti noti25. Interessante, sul piano della filosofia della scienza, anche la posizione del matematico ed astronomo francese Henri Poincaré (1854/1912) con la sua teoria gnoseologica per cui egli riconosceva chiaramente il carattere convenzionale dei postulati geometrici. “Gli assiomi geometrici non sono né giudizi sintetici a priori né fatti sperimentali. Sono convenzioni. La nostra scelta fra tutte le convenzioni possibili è guidata da fatti sperimentali; ma resta libera ed è limitata soltanto dalla necessità di evitare la contraddizione. In tal modo i postulati possono restare rigorosamente veri anche quando le leggi sperimentali che hanno determinato la loro adozione sono solo approssimative”26. Poincarè sostiene ancora: “La scienza è innanzi tutto una classificazione, un modo di avvicinare i fatti che le apparenze separano benché siano legati da qualche parentela naturale e nascosta. La scienza, in altri termini, è un sistema di relazioni. Nelle relazioni soltanto dunque deve essere cercata l’oggettività; sarebbe inutile cercarla negli esseri considerati isolatamente gli uni dagli altri”27. Poincarè, in ordine alla vita morale, sostiene che essa si muove nell’orizzonte della libertà e l’uomo non può agire È il tema centrale de Contro il metodo, P. Feyerabend. Henri Poincaré, La Science et l’hypothèse, p. 66. 27 Henri Poincaré, La valeur de la science, p. 132. 25 26

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che da uomo libero. “La scienza stessa d’altronde è indirettamente fonte di moralità in quanto ispira l’amore disinteressato per la verità e in quanto abitua gli uomini a lavorare per l’umanità costringendoli ad un lavoro collettivo e solidale che dura e si accumula nei secoli”28. L’argomento filosofico dell’irrazionale è stato particolarmente discusso nel Novecento per via delle ideologie alla base dell’ evento più disastroso avvenuto in Europa, la Grande Guerra. Ad esempio il Nazismo aveva preso come riferimento ideologico, il pensiero di Nietzsche, i cui scritti sono pervenuti tramite sua sorella Elisabeth Forster – Nietzsche29. Friedrich Wilhelm Nietzsche interpreta la cultura classica come il risultato di un conflitto tra un principio apollineo (che esprime armonia e razionalità) e uno dionisiaco (espressione della vita e degli istinti) concependo come fondamentale e originario quello dionisiaco. La sua teoria filosofica implica il concetto di “Nichilismo” che è causato da un atteggiamento morale che deriva da un originario atteggiamento valutativo di tipo non morale, per cui Nietzsche auspica una “tra svalutazione” di tutti i valori mediante l’affermarsi della “volontà di potenza”, importante fattore alla base della vita individuale e sociale30. Occorre, dice Nietzsche, attuare un superamento della morale mediante l’avvento del “superuomo” che nasce sulle ceneri dell’uomo cristiano-borghese e concorda pienamente 28

Henri Poincaré, Dernières pensèes, pp. 232-33.

29 Così sembrerebbe essere dalla lettura di alcuni commenti storiografici sul Nazismo. Ma

è una questione ancora aperta e dibattuta dagli studiosi. 30 Luca Fonnesu, Mario Vegetti, Le ragioni della filosofia, 3 – Filosofia contemporanea, Le Monnier Scuola, 2008, Milano.

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con l’idea di una dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza nella piena consapevolezza della “morte di Dio”31. Espressione di un irrazionalismo moderno è senz’altro il pensiero di Martin Heidegger (1889/1976) che tematizza il nesso tra razionale e irrazionale. “Il pensiero (Denken) è per lui un’ apertura che non deve essere risolta in quel pensiero come calcolo (Denken als Rechnen) in cui la ragione consiste, perché un simile risolvimento farebbe della ragione “la peggior nemica del pensiero” che si troverebbe nell’impossibilità di pensare tutto ciò che non rientra in quel modello di pensiero ordinato dalla logica”32. Nel Novecento vengono accusati di irrazionalismo anche Hegel, di cui prima abbiamo accennato e la psicoanalisi di Sigmund Freud (1856/1939) poiché ha spostato l’indagine dalla sfera cosciente della persona alla sua parte più nascosta e misteriosa che è l’inconscio e quindi ha interpretato l’agire umano alla luce del suo passato infantile e dunque irrazionale33. In realtà, secondo una sua personale esperienza narrata in un suo scritto “Freud”, Cesare Musatti, celebre psicoanalista, vissuto tra il 1897 e il 1989, ha potuto constatare che la psicoanalisi freudiana era concepita da alcuni come materialistica e da altri come spiritualistica. “Deve esserci, scrive Musatti, evidentemente un equivoco nelle parole, se è possibile un così contrastante giudizio”34. 31 Cfr. Luca Fonnesu, Mario Vegetti, Le ragioni della filosofia, 3 – Filosofia contemporanea, Le Monnier Scuola, 2008, Milano, p. 210. 32 Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, UTET, 1992, Milano, p. 521. 33 In realtà Freud non aveva intenzione di essere considerato un filosofo ma uno scienziato che studia la psiche. Il suo pensiero si evince dalle numerose opere scritte negli anni, a cominciare dall’opera prima del 1895, Studi sull’isteria con cui inizia la sua ricerca su quella parte della psiche che chiamerà “inconscio”. 34 Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Philosophica, 3 A, Marietti Scuola, 2007, Novara, p. 459.

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Importante per la storia della filosofia del ’900, è la figura del pensatore Ludwig Wittgenstein (1889/1951), autore del Trattato logico-filosofico pubblicato nel 1921. La sua è una teoria del linguaggio e nel suo trattato il rapporto fra i fatti del mondo e quelli costituenti il linguaggio, viene espresso dalla tesi che il linguaggio è la “raffigurazione logica del mondo”. Secondo Wittgenstein non esiste pensiero o conoscenza che faccia da mediazione tra il mondo e il linguaggio. Egli sostiene che non si può pensare alcunché e non si può esprimere nulla che non sia un fatto relativo al mondo che ci circonda35. Questo è il presupposto fondamentale della sua filosofia. Wittgenstein dichiara ancora che aver fede nel nesso causale è pura superstizione36. Le leggi appartengono solo alla logica e quindi, al di fuori di essa non ci può essere che il caso37. Alla fin fine il linguaggio è la manifestazione di “ciò che è”, e “ciò che è”, è semplicemente un insieme di fatti che succedono senza alcun ordine e senza alcuna connessione reciproca e, quindi, senza necessità38. Il linguaggio, per Wittgenstein, è un’attività o una forma di vita. Esistono una molteplicità di linguaggi che non possono neppure essere stabiliti una volta per tutte, infatti, nuovi tipi di linguaggio o “giochi linguistici” nascono continuamente mentre altri vengono dimenticati39. 35 Cfr. Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, “Gruppo Editoriale L’Espresso”, 2006, Novara. 36 Ibidem. 37 Ibidem. 38 Ibidem. 39 Ibidem.

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Quindi la filosofia, come analisi del linguaggio, non può in alcun modo interferire con l’uso del linguaggio ma può, alla fine, solo descriverlo40. Ma oggi cosa sta accadendo nell’ambito del pensiero filosofico contemporaneo e post-moderno? Gianni Vattimo, nato a Torino nel 1936, è un filosofo dei nostri giorni e autore di libri di grande successo iniziando da Essere, storia e linguaggio in Heidegger del 1963, a “Ipotesi su Nietzsche” del 1967, e ancora Il pensiero debole del 1983 scritto in collaborazione con P.A. Rovatti, La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura moderna (1985) e La società trasparente (1989). Alcuni testi, tra cui gli ultimi due citati, sono stati tradotti in parecchie lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, finlandese e serbo-croato). Vattimo è il fondatore del “pensiero debole” che rappresenta nella sua forma più concentrata, una lettura della fine della modernità ove per modernità egli intende “quell’epoca per la quale l’esser moderno diventa un valore, anzi il valore fondamentale a cui tutti gli altri vengono riferiti”41. Il filosofo sostiene inoltre che se il moderno si qualifica in relazione al concetto di storia, allora il post-moderno è in relazione all’idea di “fine della storia”, in cui la storia è concepita come un insieme di circostante sociali e culturali. Perché nel suo pensiero, Vattimo fa esplicito riferimento a Nietzsche e Heidegger? Nella Introduzione di La fine della modernità scrive: “Il passo decisivo per operare la connessione tra Nietzsche – Heidegger e il “postmodernismo” è 40 41

Ibidem. Gianni Vattimo, La fine della modernità, cit., p. 108

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la scoperta che ciò che quest’ultimo cerca di pensare con il prefisso “post” è proprio l’atteggiamento che, in termini diversi ma, secondo la nostra interpretazione, profondamente affini, Nietzsche e Heidegger hanno cercato di costruire nei confronti dell’eredità del pensiero europeo, che essi hanno messo radicalmente in discussione, rifiutandosi però di proporne un “superamento” critico, per la buona ragione che questo avrebbe significato rimanere ancora prigionieri della logica di sviluppo propria di questo stesso pensiero.”42 Ma nel post – moderno, se diamo uno sguardo all’attuale società occidentale, la novità perde completamente il suo valore rivoluzionario divenendo così il cosiddetto “progresso” solamente una “routine”. Del resto, anche la cultura di oggigiorno, arriva a formulare la stessa conclusione nel senso che la storia, come corso unitario di fatti e eventi verificatesi nel tempo, perviene ad una vera e propria dissoluzione. Così, sostiene ancora Vattimo, in sede storiografica “ci si è resi conto che la storia degli eventi – politici, militari, dei grandi movimenti di idee – è solo una storia tra le altre” e ancora “è illusorio pensare che ci sia un punto di vista supremo, capace di unificare tutti gli altri (come sarebbe la ‘storia’ che ingloba la storia dell’arte, della letteratura, delle guerre, della sessualità”, ecc.)43. Quindi se la storia ha un senso, questa condizione post – storica e post – moderna, “consiste nella dissoluzione del senso”. Alla fin fine anche il concetto di Essere subisce un mutamento di significato che si richiama a quello di Heidegger, per il quale occorre sostituire al concetto di Essere 42 Gianni Vattimo, La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura postmoderna, Introduzione, Garzanti, 1985, Milano. 43 Gianni Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano 1989, p. 10.

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come forza, eternità, stabilità quello di Essere come vita, maturazione, nascita e morte. Rappresenta questa nuova concezione di essere una vera e propria forma di nichilismo che Heidegger attua nel suo Essere e tempo. Alla fine Vattimo perviene alla conclusione che occorre attuare un “oltrepassamento della metafisica” che si può realizzare solo se, al metafisico essere “forte” della filosofia tradizionale, subentri un postmetafisico essere “debole”. Rappresenta questa una prospettiva sostanzialmente nichilistica del pensiero che Vattimo pone a fondamento del suo “pensiero debole” infatti la nozione di nichilismo è considerata “una parola chiave della nostra cultura, una sorta di destino del quale non possiamo liberarci”44. Per concludere, Vattimo intende l’uomo post – moderno come colui che riesce a vivere il suo tempo e la sua storia “senza nevrosi”, in un mondo senza strutture fisse capaci di fornire un fondamento sicuro a cui far riferimento e quindi l’uomo post – moderno non ha più bisogno di rassicurazioni di tipo magico, ha accettato il nichilismo presente con la perfetta convinzione che non esiste alcuna certezza assoluta e quindi ha assunto la condizione “debole” dell’esistenza imparando così a convivere con la propria finitezza. Altro pensatore contemporaneo, meritevole di essere citato, è senz’altro Massimo Cacciari, nato a Venezia nel 1944, filosofo, accademico, saggista e uomo politico. È un filosofo che ha una grande eco nel mondo contemporaneo grazie alla sua opera, pubblicata nel 1976, dal titolo Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein in cui richiama sia il pensiero 44

Gianni Vattimo, Le mezze verità, ed. La Stampa, Torino 1988, p. 9.

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marxista che quello di autori come Nietzsche, Heidegger e Wittgenstein. Lo scritto di Cacciari si propone di effettuare una critica di tutta la metafisica presente nelle filosofie razionali e dialettiche, come il marxismo, mediante l’utilizzazione del “pensiero negativo”. Cacciari scrive: “Se questo libro significa qualcosa, esso mostra la funzione positiva, effettuale che il pensiero negativo svolge nella crisi del sistema classico, sia economico che ‘fisico’, e nella crisi del pensiero dialettico; esso liquida le separazioni astratte tra pensiero dialettico e pensiero negativo, operate sulla base di una concezione di quest’ultimo come ‘irrazionalismo’, oppure ideologia – apologia, oppure ‘liberazione’, discorso ‘immediatamente’ a – dialettico, utopia”45. Cacciari fa esplicito riferimento a Schopenhauer, Nietzsche e Wittgenstein per indicare che, solo con la loro filosofia, si può dichiarare la fine della razionalità classica e dialettica e l’emergere di un pensiero non distruttivo ma rifondativo, cioè del pensiero negativo; per rifondativo intende, non una riproposizione di teorie razionali classiche, bensì una molteplicità di linguaggi così come operati da Wittgenstein ed altri rappresentanti della cultura odierna. In conclusione Cacciari intende dire che, con l’avvento del pensiero negativo, più sopra descritto, ci si sottrae, finalmente, ad “un ideale totalitario del sapere, per cui non si dipende più dall’ordine naturale, fisso ed immutabile, di cui la ragione scopre le leggi, ma si interviene creativamente, dando ordine alle cose, in una molteplicità di saperi”46. 45

Massimo Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 7-8. Giovanni Catapano, Coincidentia Oppositorum: Appunti sul pensiero di Massimo Cacciari a cura del Dipartimento di Filosofia, Università di Padova. 46

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Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico

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Nuove prospettive del pensiero irrazionale Testo della riunione di fondazione Il giorno 8 giugno 2005, in Roma, nell’abitazione di Bruno Fabi, sono presenti, oltre allo stesso Bruno Fabi, filosofo, fondatore dell’Irrazionalismo Sistematico, istituito attraverso l’opera fondamentale Il tutto e il nulla (saggio di una filosofia dell’irrazionale), ed elaborato in modo compiuto mediante le successive opere letterarie, saggistiche e scientifiche, i seguenti personaggi: Aldo Onorati, scrittore, poeta e critico letterario; Franco Campegiani, filosofo e poeta; Filippo Ferrara, scrittore e saggista (questi ultimi quali estimatori del sistema filosofico suddetto, di cui condividono senza riserve i contenuti). I convenuti, concordemente con il fondatore, decidono di pubblicare il presente:

Manifesto Allo scopo di divulgare sul piano filosofico-artisticoculturale “la filosofia dell’irrazionale” e di porre in rilievo i relativi cardini del sistema. Il quale: 30

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1. Disvela e afferma, al di là di ogni ipocrita o ingenua illusione, in un mondo dalle infinite contraddizioni reali, in cui tutto è possibile, anche l’impossibile, l’irrazionalità dell’essere e della vita; 2. Pone la ragione come componente antinomica necessaria della suprema contraddizione dell’essere (“razionale-irrazionale”); ne esalta la funzione irrinunciabile nello svolgimento storico del pensiero, ma ne rivela anche i limiti e la relatività, specie quando usata come ragione astratta; 3. Esalta, nell’ambito dell’irrazionalismo trascendentale, il potere della fede nel linguaggio, nell’azione, nella religione, nel bene, ma, se la fede è ridotta a rozzo fanatismo, ne mette in luce anche la possibile atrocità; 4. Pone a conclusione il motto del fondatore, sintesi “con valore relativo” della sua filosofia:

“Tutto ciò che è reale è irrazionale” Bruno Fabi, Franco Campegiani, Filippo Ferrara, Aldo Onorati

Il tutto e il nulla1 Bruno Fabi

Non sembra inverosimile l’ipotesi che l’essere sia sempre stato eterno nel tempo e infinito nello spazio. Peraltro 1 Questa è la prefazione alla riedizione, dopo 55 anni, del celebre libro Il tutto e il nulla di Bruno Fabi (Fratelli Bocca Editori, Milano 1950), fortemente caldeggiato, a suo tempo, da Ugo Spirito. Il testo, che ha rappresentato una pietra miliare del pensiero contemporaneo, ha avuto eco in tutto il mondo, fino a formare una corrente filosofica.

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esso non poteva e non può essere, perché il non essere lo presuppone, e perché il nulla non esiste neppure come nulla. Ben vero che le componenti dell’essere sono, a breve o a lunghissimo termine, caduche e mortali; poiché però nel cosmo e nella vita esse si riformano e rinascono ciclicamente sulle loro stesse ceneri (nulla si crea e nulla si distrugge), deve supporsi che l’essere, nonostante la caducità delle sue componenti, e a causa del loro costante risorgere, abbia conservato la propria ininterrotta presenza come “il tutto” di esse. Dunque, eternità dell’essere come tutto. Nel campo letterario torna a proposito un aforisma di Gesualdo Bufalino: “La morte è un taglialegna, ma la foresta è immortale”; ma anche infinità dell’essere come tutto, se tutto è non-“parte” (che appartiene al finito), e quindi infinito. Illimitato poi anche nei suoi contenuti, ogni limite riducendo ancora il tutto a parte, l’essere si presenta come il mondo di tutto il possibile, senza eccezione, perché ogni cosa pensata, sia pure per escluderla, appartiene già all’essere, e rientra nel tutto. Con la conseguenza che nel tutto è possibile anche l’impossibile, come il miracolo. A sua volta il mondo del “tutto è possibile” non può essere che un mondo di contraddizioni, e così esso ci offre le infinite bellezze naturali, le gesta, le passioni, le invenzioni e le opere d’arte belle senza paragone, ma anche l’orrore di paesaggi infernali, di catastrofi naturali e di stragi umane da gelare il cuore: insomma bello e brutto, piacere e dolore, verità e menzogna, bene e male, vita e morte, Dio e Satana. In conclusione, dalla premessa che il tutto è sempre stato, deriva che esso si sottrae al principio di causalità, e come 32

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tale è già irrazionale, perché, esistendo da sempre, non può essere stato creato: il che riafferma l’innocenza di Dio, affrancando la divinità dalla imputazione di aver dato origine alla possibilità del male. D’altra parte la possibilità del male non è frutto di un disegno perverso, ma solo conseguenza necessaria del “Tutto è possibile” come modo di essere proprio del tutto. (Per la diversa ipotesi che Dio si identifichi con il tutto, rimando all’apposito capitolo del libro). Se poi il tutto è il mondo di tutte le contraddizioni, ne deriva che esso, ancora per questo verso, è irrazionale. Ed è ancora una volta irrazionale non essendo definibile in alcun modo, se non con se stesso, ogni definizione riducendolo a parte. Pertanto la sua definizione è una tautologia: “Il tutto è il tutto”. Infine, la stessa vita umana diventa l’unica coscienza del tutto, se l’essere è tutto ciò che ognuno di noi conosce ed è. Quindi anche la nostra vita è il tutto e, come tale, irrazionale nelle sue condizioni, nelle sue vicende, nel suo destino. Così, nella vita, non esiste in senso assoluto un “fine”, una meta, uno scopo, ogni scopo essendo compreso nel tutto. Perciò la vita, al pari di tutto l’essere, è solo fine a se stessa. In un tutto irrazionale, come il mondo di tutte le contraddizioni, la suprema antinomia riguarda proprio l’opposizione “razionale-irrazionale”, e non è strano, ma ancora una volta “coerentemente” contraddittorio, che sia proprio la ragione a fondare e a illustrare la filosofia dell’irrazionale. C’è però da dire, al riguardo, che nell’ambito dell’irrazionale in cui si colloca, come ad esso opposta, la ragione non può e non poteva che assumere un valore relativo, attenuandosi così il paradosso della suddetta contraddizione. 33

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Valore relativo perché, essendo la ragione fatta di parole e per lo più di concetti, questi ultimi astraggono dalla pluralità solo gli elementi comuni, trascurando quelli di qualità, di tempo e luogo che individuano e distinguono le singole specie: così che, ponendo l’accento sugli elementi specifici trascurati, e poiché ogni parte è in relazione con il tutto, è possibile mutare punto di vista rendendo controvertibile ogni assunto. Tale la relatività di ogni giudizio razionale astratto, sempre soggetto a critica, come, però, per la medesima ragione, la critica stessa: cose queste purtroppo ignorate da quei politicanti, faziosi e fanatici, che danno per assolute le loro astratte declamazioni e i loro slogans. Al contrario, per quanto mi riguarda, ribadisco il carattere relativo della stessa filosofia dell’irrazionale, in quanto astratta, e di queste considerazioni, augurandomi che lo stesso carattere riconoscano i critici alle loro obiezioni. Non contrasta con il carattere relativo della ragione astratta l’esistenza delle cosiddette scienze esatte, la cui “esattezza” dipende soltanto dalla costruzione convenzionale dei relativi sistemi. Peraltro in natura non esistono numeri né figure geometriche perfette. Quanto alla logica, la causalità esige la verifica della “causa” come effetto di una causa precedente, all’infinito, nonché l’assenza di causalità configgenti. Quanto all’applicazione della ragione alla vita umana, essa ha gran parte nella vita di relazione, nel linguaggio, nella pubblicità, nella conoscenza e nelle opere, ma, pur permeando in modo quasi totale la vita della società, non perde il suo carattere relativo. 34

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Una fotografia rende la realtà meglio di mille parole. Perché corrisponda a una realtà, ogni parola ha bisogno della fiducia, della sua corrispondenza a un oggetto reale; ogni legge necessita della sua corrispondenza o della sua applicabilità alla realtà, ogni giudizio di una prova sia pure già acquisita. E del resto tutte le ipotesi cosmologiche e le relative leggi fisiche risultano di anno in anno superate. Rimane l’apporto della ragione alla conoscenza, alle opere, alle invenzioni, alla tecnologia il cui enorme sviluppo è sotto gli occhi di tutti, ma anche in questi casi si tratta di un apporto parziale e ausiliario, dato che ogni opera esige il concorso imprescindibile di altri elementi, come la volontà, l’intuizione, la fantasia, l’arte, l’azione, tutti vicini all’irrazionale. Si può anche prestare fede irrazionale alla ragione, ma ne risultano spesso la faziosità e il fanatismo. Quanto alla relatività del suo apporto, la ragione ha permesso di raggiungere la luna, ma ha anche prodotto Hiroshima. Al progresso tecnologico fa riscontro il regresso morale, il successo senza merito, lo sfrenato nepotismo, l’esibizionismo vanitoso, il culto della quantità degli ascolti a dispetto della cultura e del buon gusto, il ginepraio burocratico che rende invivibile l’esistenza. Così lo sviluppo tecnologico ha trasformato le abitudini e i costumi, ma non ha apportato pace, giustizia e fiducia. E non voglio ricordare le atrocità commesse in nome della “dèa” ragione, nonché quotidianamente l’odio e gli scontri senza fine delle fazioni politiche. Tutto quanto precede prende lo spunto dal saggio espresso nella prima edizione di questa opera, della quale ho 35

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sviluppato le idee, con qualche variazione, nei successivi articoli scientifici e nelle pubblicazioni letterarie, ma che rimane pur sempre il fondamento del mio pensiero, anche se l’irrazionalismo sarà sempre inviso ai più, che ingenuamente fondano nella ragione i loro successi. Mi si consenta infine un breve sfogo letterario, la cui passione avvicina il discorso all’irrazionale. Bene esaltano l’“irrazionale” la bontà dei santi, le bellezze indicibili della natura, l’amore e le arti creative, la felicità generosa dei giusti e i fautori della pace, ma gridano l’“irrazionale” l’invivibile situazione della società motorizzata, le persone senza merito alla ribalta, gli affamati di periferia; e urlano l’“irrazionale” l’umanità in costante pericolo di soccombere alle eruzioni vulcaniche, alle alluvioni, alle epidemie, all’impatto della Terra con gli asteroidi, a torture e genocidi, le vittime del cancro a 20 anni, le migliaia di bambini che muoiono di fame in Africa, le moltitudini schiacciate sotto le macerie dei terremoti. Così stando le cose, è controproducente, nella sciagura, cercare di “farsi una ragione” dell’irrazionale; per contro, il riconoscerlo come la vera natura dell’essere può recare un conforto che assomiglia alla rassegnazione. Il vero sollievo può essere affidarsi alla misericordia divina, per chi ha il dono misterioso, e dunque irrazionale, della fede.

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Riflessioni comuni

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Franco Campegiani*, Filippo Ferrara**, Aldo Onorati***2, 3, 4

Il tutto e il nulla di Bruno Fabi, edito dai Fratelli Bocca nel 1950, apre una nuova fase nell’ambito dell’Irrazionalismo. Con questo termine si designano in senso stretto le filosofie della vita e dell’azione che, pur tra loro differenti, considerano il mondo come la manifestazione di un principio non razionale. In senso molto più lato, tuttavia, il fanatismo della ragione è stato posto sotto accusa in quasi tutti gli ambiti della cultura e della filosofia dei nostri tempi. Si dirà che questo non è propriamente “irrazionalismo”, ma neppure si può definire correttamente “razionalismo” quella tendenza oggi diffusa, tesa ad umiliare le pretese dogmatiche della razionalità. Si colloca dunque meglio in un’area irrazionalistica, più o meno diretta ed esplicita, l’autentica vocazione filosofica del mondo contemporaneo. Un irrazionalismo a volte esaltato e intemperante, altre volte moderato e cauto, ma in ogni caso tendente a sopravvalutare la parte, vuoi affidandole valore di “tutto”, vuoi frustandola nel “nulla” del suo essere particolare. Ci troviamo comunque di fronte ad un “assolutismo * Nato nel 1946, vive a Marino (Rm). Ha pubblicato sei testi poetici e due saggi filosofici. Critico d’arte, è giurato in premi letterari e collabora a riviste e blog culturali. Ha promosso iniziative artistiche, manifesti e cenacoli culturali. ** Ha conseguito due titoli universitari: vigilanza scolastica e Laurea in Filosofia e Pedagogia con indirizzo sociologico. Ha due abilitazioni in Lettere e in Filosofia. Ha rinunciato alla Cattedra di Filosofia per continuare ad insegnare nella scuola media di primo grado. È stato giurato in concorsi di poesia e promuove e conduce, da decenni, conferenze e seminari per la divulgazione di opere letterarie. *** È scrittore e poeta tradotto in molte lingue del mondo. È stato insegnante di Lettere negli Istituti Superiori, giornalista di testate nazionali, collaboratore della Rai-Tv, direttore editoriale. È dantista e tiene conferenze e seminari di Studi. Fra i suoi numerosi libri: Lettera al padre (2009), Gli ultimi sono gli ultimi (1999), Incontro con Bruno Fabi (2010).

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della relatività”: trionfalistico o vittimistico non fa differenza alcuna. Ed è questa, nel suo insieme, la connotazione irrazionalistica dei tempi attuali, che Bruno Fabi eredita e porta a conseguenze più mature. In che modo? “Relativizzando la stessa relatività” e scoprendone i sani legami con l’assoluto. L’“Irrazionalismo Sistematico” di Bruno Fabi individua così, nell’ambito dell’irrazionalismo, una terza via: quella che fa della parte né un tutto né un nulla, ma un semplice tassello dell’immenso mosaico, una componente dell’armonia universale, un’esperienza degna dell’alleanza cosmica. E non è un invito a conoscere, bensì a vivere, le strutture e le leggi della realtà universale, visto che la conoscenza inganna sempre se stessa, scadendo nel dogma e nel pregiudizio dottrinario. È un invito a vivere direttamente quelle strutture e quelle leggi, affidandosi al mistero dell’essere e facendo pulizia mentale. Mutuando e correggendo il famoso motto socratico, potremmo sostituire il conosci te stesso con un sii te stesso, ben più concreto e vitale, per quanto fortemente autocritico. L’ Irrazionalismo Sistematico non attribuisce valori razionalistici alla vita, ma riconosce che la vita ha valore in sé ed è fine a se stessa. Un relativismo, come può vedersi, intriso di sapori universali. Una fede della vita in se stessa, che precede tutte le fedi costruite nel piano storico, senza opporvisi necessariamente, ed anzi onorandole nella convivenza e nell’integrazione. Importante è il ruolo insostituibile assegnato alla ragione; la quale deve essere umile per potersi realizzare nel modo più pieno. E non è che, per essere umili, occorra coltivare il dubbio, come da sempre si ritiene. Il dubbio è ancora razionalismo, ed anzi ne rappresenta la massima glorificazione. 38

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Essere umili significa soltanto inchinarsi di fronte al mistero. Non al “dogma”, ma al “mistero”. Ed è qui, presumibilmente, che l’Irrazionalismo di Bruno Fabi si distingue dal problematicismo del suo autore, il filosofo Ugo Spirito, che prima di lui aveva dichiarato il fallimento di ogni forma di teoreticismo razionalistico, pur senza approdare allo scetticismo, bensì alimentando il senso e il desiderio di una ricerca infinita. Senza fede nell’infinito, come può avere luogo una ricerca infinita? Ecco che ci vuole una grande fede per poter dubitare, ed ecco che la fede è debole in assenza del dubbio di cui potersi cibare. All’uomo occorrono congiuntamente il razionale e l’irrazionale. La fede e il dubbio si debbono integrare. Non si possono separare i campi dell’esperienza: da un lato il razionalismo filosofico-scientifico, dall’altro l’irrazionalismo mistico-estetico-morale. Tutto l’uomo è presente, o dovrebbe esserlo, nelle svariate esperienze umane. Tuttavia non è possibile armonizzare i due campi se non si riconosce la superiorità dell’irrazionale sul razionale. L’uomo è niente senza l’amicizia di questo mistero. Deve diventare alleato, perché, se pure non può arrivare a conoscerlo, aggredendolo con i suoi artigli spietati, può umilmente imparare ad ascoltarlo e a comprenderlo in maniera confidenziale. Questo è il grande compito affidato all’intelletto razionale: recepire, per farle proprie (vagliandole) le informazioni amichevoli dell’irrazionale. Ed è da questa collaborazione che scaturiscono le opere eccellenti, come ogni altra manifestazione eccezionale. Di quale irrazionale stiamo parlando, l’abbiamo già detto: non quello che sta al di sotto, ma al di sopra della sfera 39

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razionale. Non è l’inconscio fosco e livido, sempre partigiano, inquinato dalla coscienza razionale, bensì l’inconscio puro e neutrale, universale ed arcano. Questo irrazionale è limpido ed è come l’infallibile istinto animale. È la fonte della chiarezza, offuscata (seppure non annientata) da quel libero arbitrio e da quella coscienza razionale, a torto propagandate come le più fulgide e maggiori facoltà della mente umana. C’è una via inferiore dell’irrazionalismo, dove i paradossi e le contraddizioni sono sinonimi di caos; e c’è una via superiore di esso, in cui i contrasti si trasformano in armoniche polifonie. Il pensatore marchigiano, fondatore dell’Irrazionalismo Sistematico, ha il merito di ristabilire nella filosofia dei nostri tempi quell’unitario e contraddittorio respiro dell’universale e del particolare, dell’assoluto e del relativo, che il relativismo contemporaneo sembra avere cancellato, viaggiando in maniera totalmente ignara dell’assoluto. Nel suo pensiero, assoluto e relativo si giustificano l’un l’altro e l’uno costituisce la riprova della fondatezza dell’altro. Tutto ciò costituisce un avanzamento della filosofia relativistica, che in assenza di tale chiarimento, rischia di diventare un nuovo assolutismo. È un universalismo fondato sulla molteplicità, sulla limitatezza, sulla complessità e sulla varietà. L’“Irrazionalismo Sistematico” vuole essere molto di più che la denuncia di una crisi civile e culturale. È la messa in crisi – salvifica – dell’intera impalcatura mentale dell’essere umano, della sua inclinazione perenne allo schematismo e ai pregiudizi, elevandola verso quella nuova forma di libertà che è la libertà di riconoscere e ammettere quel che l’essere è, fuori da ogni dogma.

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Atti del convegno di filosofia “Tra razionalismo e irrazionalismo – la parola ai filosofi”

Introduzione agli atti del convegno di filosofia Patrizia Audino

Un allievo del Liceo dove insegnavo, un giorno mi chiese “Professoressa, esistono ancora i filosofi oggi?” ed un altro “Ma dove sono i filosofi?”, poi mi hanno ancora chiesto “Ma se ci sono, probabilmente sono pochi, perché non si vedono?”. Dinanzi a questi interrogativi mi sono sentita legittimata a dare loro una risposta; ma che tipo di risposta? Ed in quale modo? Mi sovvenne allora che, qualche tempo prima, in una di quelle belle manifestazioni culturali in cui si presentano libri, mi capitò per le mani un libro abbastanza voluminoso che si intitolava Il tutto e il nulla ed allegato a questo, una sorta di libricino di poche pagine dal titolo “Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico – Nuove prospettive del pensiero irrazionale”. Fui incuriosita dal titolo ed approfondii con calma: lessi attentamente e tutto d’un fiato. Rimasi colpita dalle ultime 41

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righe, scritte da Bruno Fabi, filosofo, fondatore dell’“Irrazionalismo Sistematico”, tratte dalla prefazione alla riedizione, dopo 55 anni, de Il tutto e il nulla, che così recitava: «… Bene esaltano l’“irrazionale” la bontà dei santi, le bellezze indicibili della natura, l’amore e le arti creative, la felicità generosa dei giusti e i fautori della pace, ma gridano l’“irrazionale” l’invivibile situazione della società motorizzata, le persone senza merito alla ribalta, gli affamati di periferia; e urlano l “irrazionale” l’umanità in costante pericolo di soccombere alle eruzioni vulcaniche, alle alluvioni, alle epidemie, all’impatto della Terra con gli asteroidi, a torture e genocidi, le vittime del cancro a 20 anni, le migliaia di bambini che muoiono di fame in Africa, le moltitudini schiacciate sotto le macerie dei terremoti. Così stando le cose, è controproducente, nella sciagura, cercare di “farsi una ragione” dell’irrazionale; per contro, il riconoscerlo come la vera natura dell’essere può recare un conforto che assomiglia alla rassegnazione. Il vero sollievo può essere affidarsi alla misericordia divina, per chi ha il dono misterioso, e dunque irrazionale, della fede». Parole di una bellezza incredibile che mi hanno colpita e fatta riflettere… Sorpresa ebbi quando, subito dopo, lessi nel Manifesto le riflessioni comuni: erano firmate da Franco Campegiani che, avendolo già conosciuto, mi dette subito l’impressione di una persona riflessiva ed equilibrata, di grande forza comunicativa, da Filippo Ferrara, persona generosa ed affabile e infine da Aldo Onorati, acuto osservatore del mondo contemporaneo e vivace personalità; collaborare con loro significava fare un “tuffo” nella cultura, quella vera, quella dei grandi interrogativi. 42

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Ed allora, perché non dare una risposta ai ragazzi mediante l’incontro con intellettuali del nostro tempo, magari proprio con loro tre? Era fattibile tutto ciò? Li contattai e loro furono lieti di incontrare i ragazzi; del resto i giovani sono la nostra linfa vitale, vanno incoraggiati, sostenuti e guidati verso la strada che porta al successo, quello interiore che nessuno potrà togliere loro, verso ciò che li può portare ad intraprendere un cammino che, anche se irto di ostacoli, li possa condurre però a realizzare i loro sogni, le loro aspirazioni ed attitudini ed essere così utili alla società che è sempre assetata di questa nuova linfa vitale, quella più genuina e intellettualmente onesta. Decidemmo una data, il 5 aprile 2008 e così iniziò l’avventura! Mi venne in mente, a questo punto, che sarebbe stato opportuno che gli allievi non solo avessero partecipato all’evento del 5 aprile 2008, dal titolo “Tra razionalismo ed irrazionalismo – la parola ai filosofi”, ma che anche loro dovessero esserne, insieme ai relatori, i protagonisti.

Bruno Fabi, Ingegno Poliedrico Aldo Onorati

Anche se la fama internazionale di Bruno Fabi è legata al suo pensiero filosofico, che ha influito a vari livelli sulla produzione letteraria contemporanea, di non minore impatto estetico e filosofico sono le sue pubblicazioni di narrativa, prima fra tutte Il terzo Millennio, e poi Racconto americano, Venere segreta, Delirium, La commedia è finita etc., in cui 43

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il pensatore trova, o conia, un linguaggio espositivo affidato alla narrazione, ai personaggi, sì da rivestire il concetto filosofico di trame, affabulazione, poesia, attraverso gli attori della vicenda. Quindi, da una parte quel grande volume Il tutto e il nulla, in cui la cogitazione è rigorosa, non ammette metafore né divagazioni di ordine lirico; dall’altra, il ragionamento filosofico sotto mentite spoglie; non è più Bruno Fabi a dettare la sua tesi, ma i protagonisti della vicenda, la natura stessa descritta con struggente sensibilità. La poetica dedotta dal lettore si unisce, per altre vie, al centro focale dell’intuizione fabiana. Ma ciò non basta. Fabi è anche pittore di straordinarie risorse; quasi tutte le copertine dei suoi libri riproducono un quadro di sua fattura, ed abbiamo un altro linguaggio espressivo. Infine, la sua raccolta di liriche La sorpresa di vivere, che contiene tutte le sillogi nell’arco di cinquanta anni, rappresenta uno dei vertici dell’esperienza poetica del secondo Novecento. Siamo di fronte a un Autore complesso, polisemantico, dotato di linguaggi alternativi, basti leggere anche i suoi studi sul concetto di “tempo” e di “spazio”, le riflessioni sul Cosmo, per accorgerci che Bruno Fabi si pone ai piani più alti del sapere e dell’espressione, poiché, se lo stile è unitario, i linguaggi relativi alle diverse forme assumono connotati particolari e adatti a quella materia. È un discorso ampio e tentatore, ma non voglio tenere per me soltanto l’orario della mattinata, che ha in serbo approfondimenti di ordine filosofico sull’opera centrale del nostro 44

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filosofo, fondatore della corrente di pensiero “Irrazionalismo Sistematico”, il cui Manifesto abbiamo avuto l’onore di firmare (Campegiani, Ferrara e il sottoscritto) e di vedere stampato, diffuso e discusso, nonché ammirato in sedi universitarie quanto in scuole di formazione e fra gli iniziati di ogni settore culturale.

La filosofia dell’irrazionale di Bruno Fabi Documento acquistato da () il 2023/09/20.

Franco Campegiani

La prospettiva autocentrica Premetto che il mio intervento si dividerà in due tempi. Nell’ultima parte accennerò alla “prospettiva autocentrica” da me stesso elaborata, mentre per tre quarti della mia relazione parlerò dell’“irrazionalismo sistematico” di Bruno Fabi, dispiaciuto per il fatto che egli non possa essere qui, per motivi di età e di salute: è molto anziano, anche se lucidissimo e mentalmente fin troppo attivo, come comprova il libro in corso di stampa, Delirium, di cui ha parlato Aldo Onorati. Se fosse stato lui qui, avrebbe illustrato in maniera molto più penetrante e affascinante di quanto possa fare io il suo straordinario percorso filosofico. Io farò del mio meglio, ben sapendo tra l’altro che non riuscirò, malgrado gli sforzi, a non contaminare con i miei pensieri le sue stimolanti teorie, nel cui solco penso molto immodestamente di potermi inserire, come si inseriscono anche gli altri due illustri relatori di questo convegno: il Prof. Filippo Ferrara e il Prof. Aldo Onorati, insieme ai quali 45

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risulto firmatario e sottoscrittore del “Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico”, direttamente stilato dal fondatore. Voglio partire, per questa succinta disamina, da quello che è il motto fondamentale del pensiero filosofico di Bruno Fabi, nel quale si concentra il suo ribaltamento delle note teorie hegeliane, fondate sull’equivalenza tra “reale” e “razionale”. Il motto suona così: “Tutto ciò che è reale è irrazionale”. Cerchiamo di capire perché. La motivazione è molto semplice. Se la realtà fosse razionale, essa sarebbe univoca, schematica e facilmente racchiudibile in una formula. È accettabile ciò? Se per un solo attimo riuscissimo a liberarci dell’intellettualismo, a porlo fra parentesi (pur non potendo evidentemente eliminarlo o farne a meno), ci renderemmo conto che non c’è nulla di più complesso della realtà, che è poi la stessa vita, l’immenso campo dell’esperienza contraddittoria degli esseri e delle creature viventi, il regno del molteplice e della pluralità, della diversità e delle differenze, della varietà e della mutevolezza, che ovviamente non può essere ridotto entro uno schema razionale. Questa semplice constatazione non ha bisogno, per essere accettata, di alcuna argomentazione o dimostrazione. È, se vogliamo, una considerazione apodittica, evidente, che s’impone da sé, senza bisogno di elucubrazioni mentali. L’immensa contraddittorietà della vita e dell’essere è sotto gli occhi di tutti, purchè questi occhi siano liberi da veli o offuscamenti di tipo razionale. La realtà è dunque irrazionale: un incomprensibile intreccio di eventi, che si direbbe assurdo e paradossale. 46

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Ma assurdo per chi? Sempre ed esclusivamente per la ragione, che non è in grado di contenere nei suoi orizzonti e nel suo sguardo la complessità delle relazioni esistenziali. La realtà è dunque misteriosa, al punto che ci sentiamo autorizzati a stabilire un’equivalenza tra “realtà” e “mistero”. La realtà è il mistero. Ma il mistero per chi? Ancora una volta, esclusivamente dal punto di vista razionale. In sé e per sé, la realtà, ossia il mistero, è quanto di più luminoso ed armonioso possa esistere; ed è anche questa una considerazione apodittica, di un’evidenza straordinaria. Difatti, se a governare il mondo non ci fosse un disegno intelligente – poco importa se imperscrutabile per la ragione – l’immensa contraddittorietà delle cose dissolverebbe ben presto l’intero universo, mentre vediamo che questo non si distrugge o, se si distrugge, si ricostruisce in continuazione. Evidentemente c’è un’armonia nascosta, un equilibrio che sfugge ai nostri occhi e che il grande Eraclito indicò come “armonia dei contrari”. Per inciso è molto curioso osservare come questo stesso principio sia presente in altri ambiti culturali, anche molto distanti dal nostro (ad esempio nello “yin” e nello “yang” del Tao). Il che farebbe pensare alla diffusione, in tempi arcaici, di una vera e propria filosofia planetaria universale, fondata sulla consapevolezza dell’armoniosa irrazionalità dell’essere e del reale (ma questa è una mia illazione, non attribuibile al Fabi). Il fondatore dell’irrazionalismo sistematico ha comunque il merito di ristabilire nella filosofia del nostro tempo quell’unitario e contraddittorio respiro dell’universale e del 47

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particolare, dell’assoluto e del relativo, che il relativismo contemporaneo sembra avere cancellato, viaggiando in maniera totalmente ignara dell’assoluto. Nel suo pensiero, assoluto e relativo si giustificano l’un l’altro e l’uno costituisce la riprova della fondatezza dell’altro. Tutto ciò costituisce un avanzamento della filosofia relativistica, che in assenza di tale chiarimento rischia di diventare un nuovo assolutismo: l’assolutismo del relativo. Se tutto è relativo, infatti, anche il relativo è relativo. E dove trova i suoi limiti il relativo, se non nell’assoluto che a lui si oppone? Ecco che una sana visione relativistica pretende che si accendino di nuovo i fari sull’assoluto. È questo, a mio modesto parere, il portato più significativo del pensiero di Bruno Fabi. Egli sviluppa le tesi problematicistiche del suo autore, il filosofo Ugo Spirito, che prima di lui aveva dichiarato il fallimento di ogni forma di teoreticismo razionalistico, senza per questo approdare allo scetticismo, bensì alimentando il senso e il desiderio di una ricerca infinita. Senza fede nell’infinito, come può avere luogo una ricerca infinita? Ecco che i limiti non sono assoluti e vanno considerati solo sullo sfondo dell’infinito. Viceversa, questo può avere un valore e un senso solo autocontraddicendosi nel finito. L’una cosa sta nell’altra, pur essendo diverse e distinte tra di loro. Assoluto e relativo stanno l’uno nell’altro, in una fluida osmosi, in una dualità dell’essere che a mio parere (non è il Fabi a dirlo, ma è una mia intuizione) può preludere all’ammissione di una trialità dell’essere, tenendo conto del punto di equilibrio e di incontro tra le due sfere. 48

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Ed è facile immaginare quanto ciò possa venire utile nelle speculazioni teologiche sulla “trinità divina”. In ogni caso, l’irrazionalismo sistematico si pone come una filosofia dell’universale pienamente rispettosa del relativo (o viceversa, che è la stessa cosa). È un universalismo relativistico, o un relativismo universalistico, che innesta le due dimensioni tra loro, conservando in tal modo dell’essere una struttura bipolare, aperta al tempo e alla cangianza, sicchè il tempo scorre nella atemporalità e nell’eternità dell’essere, senza smarrire per questo la sua natura mutevole e temporale. Una bipolarità che direi diversa dell’assimilazione (infuturazione) dell’essere nel tempo di cui parla la filosofia heideggeriana. Gli eventi, per Fabi, si succedono sullo sfondo dell’eterno presente, da intendersi ovviamente come il presente dell’essere e non come il presente del tempo, che sarebbe l’attualità o la coscienza attuale dell’io. Essere e tempo sono così facce divergenti dell’eterno, la cui libertà risiede proprio in questa sua struttura auto contraddittoria, duale. A mio parere, nella filosofia di Bruno Fabi si riaffaccia, in forme attualissime di pensiero, la primitiva speculazione presocratica sull’essere e sul non essere, avviata dalla Scuola Ionica ed in particolare da Anassimandro, il quale riflette sul rapporto fra limitato e illimitato. L’essere, ci dice Fabi, è il “tutto”, ma il “tutto” è anche il “nulla”, perché nella sua pretesa onnicomprensiva non può lasciare parti fuori di sé e deve comprendere anche il contrario. Va da sé che il “nulla”di cui qui si parla non equivale all’assenza dell’“essere”, ma alla sua “autocontraddizione” 49

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nel “limite”, al suo porsi nelle parti, al suo “annullarsi” come “infinito” nel “finito”. C’è un passo, che costituisce l’avvio alla prefazione della seconda edizione de Il tutto e il nulla, edita nel 2006 dall’Anemone Purpurea di Luca Onorati, figlio del qui presente Aldo Onorati (la prima edizione fu stampata nel ’52 dai Fratelli Bocca di Milano), su cui vorrei fermare la vostra attenzione, perché chiarisce il concetto testè presentato. Nel passo viene stupendamente conciliata la visione eraclitea dell’armonia fra Essere e Non-essere con quella di Parmenide, suo massimo oppositore, secondo cui “l’essere è e non è possibile che non sia”. Il passo suona così: “Non sembra inverosimile l’ipotesi che l’essere sia sempre stato eterno nel tempo e infinito nello spazio. Peraltro esso non poteva e non può non essere, perché il non essere lo presuppone, e perché il nulla non esiste neppure come nulla. Ben vero che le componenti dell’essere sono, a breve o a lunghissimo termine, caduche e mortali; poiché però nel cosmo e nella vita esse si riformano e rinascono ciclicamente sulle loro stesse ceneri (nulla si crea e nulla si distrugge), deve supporsi che l’essere, nonostante la caducità delle sue componenti, e a causa del loro costante risorgere, abbia conservato la propria ininterrotta presenza come il tutto di esse”. La realtà dell’essere è pertanto inoppugnabile ed il nulla può avere un senso solo se dall’essere stesso presupposto come “autolimitazione”. Inoltre l’idea della sua ciclicità è ben più arcaica di quella della sua “trasformazione”, proposta dai filosofi pluralisti (Empedocle, Anassagora) e da quelli atomisti (Democrito, Epicuro), preoccupati anch’essi, 50

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ma in altro modo, di conciliare l’immutabilità dell’essere con la mutevolezza del divenire. Il fatto è che la filosofia greca, in particolar modo quella postsocratica, si è fin da subito posta sulla linea di un “pensare dialettico” che ha spostato l’armonia dei contrari dal piano dell’irrisolta e irrisolvibile tensione originaria al piano di un suo possibile sbocco risolutivo, e quindi al piano del divenire, semplificando per esigenze razionali l’impervia ed angosciante complessità della non certo lineare visione eraclitea. Eraclito parla di un’armonia che dall’interno governa il molteplice e l’esperienza contraddittoria delle cose. L’accordo è nel disaccordo stesso, ma ciò nella profondità del “Logos”, attraverso il meccanismo mentale comprensivo. È la comprensione degli opposti, quella di cui parla Eraclito, e ciò è agli antipodi della prevaricazione o fagocitazione dialettica, che non riesce a comprendere la profonda armonia dei contrari. Eraclito è stato a torto ritenuto anticipatore del razionalismo dialettico, mentre in realtà egli parla di un’armonia nascosta alla ragione, in una tensione che è fine a se stessa e non al processo sillogistico. A parer mio l’irrazionalismo sistematico di Bruno Fabi, racchiuso nel motto “Tutto ciò che è reale è irrazionale”, non fa che prendere atto della fine del pensiero dialettico, di cui Hegel è il maggiore interprete contemporaneo, chiudendo il ciclo inaugurato dalla filosofia classica e tornando alle arcaiche e primeve intuizioni dell’armonia dei contrari. Per la verità, l’irrazionalità del reale e della vita è il cavallo di battaglia di molte filosofie contemporanee che, sia 51

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pure con argomentazioni diverse ed opposte, considerano il mondo come manifestazione di un principio non razionale. Possiamo citare le Filosofie dell’Azione, l’intuizionismo, il Pragmatismo, il Nichilismo, la Psicoanalisi, l’Esistenzialismo, ed io includerei nel novero la stessa Fenomenologia, che si presenta, è vero, come razionalismo, ma sostiene poi la “sospensione del giudizio” e sottopone la pura conoscenza ad un atto intuitivo: la cosiddetta “intuizione eidetica”, o “intuizione delle essenze”, che avrebbe il compito di condurre l’uomo nell’“Erlebnis”, nell’ignoto flusso della vita. Tutto ciò lascia intendere come sia proprio l’irrazionalismo la connotazione più esplicita e l’autentica vocazione filosofica del mondo contemporaneo. E che dire, in sede epistemologica, del relativismo cui la stessa ricerca scientifica è stata assoggettata? Di estremo interesse, in questa nuova logica scientifica, la posizione di Popper, per il quale la scienza non può essere ridotta a teoria, dati i suoi presupposti empirici, ed un sistema scientifico è valido non quando sia verificabile, ma quando sia falsificabile, ovvero confutato e superato dall’esperienza. Ma qual è la connotazione che qualifica l’irrazionalismo sistematico rispetto a tutte le altre forme di irrazionalismo che il pensiero contemporaneo ha sviluppato? Ebbene, io credo che le varie forme di irrazionalismo dei tempi attuali – che io definirei meglio “antirazionalistiche” – restino sostanzialmente intrappolate negli orizzonti del pensiero dialettico, sia pure favorendone il momento dell’“antitesi” rispetto a quello della “sintesi” idealistica ed hegeliana. Esse in sostanza prediligono l’uno o l’altro aspetto della contraddizione dialettica (l’assoluto o il relativo), opponen52

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dosi all’idea della sintesi razionalistica, ma restando imprigionate in una visione disarmonica del reale. L’irrazionalismo sistematico eredita e porta a conseguenze più mature queste forme improprie di irrazionalismo, giungendo alla consapevolezza dell’armonia dei contrari e sfuggendo, in tal modo, totalmente, alle trappole del pensiero dialettico tradizionale. E in che modo può giungere a queste armoniche conclusioni? La risposta è semplice: “ponendo da un lato, l’assoluto nel relativo, e dall’altro il relativo nell’assoluto”. Le due sfere sono inestricabilmente e misteriosamente legate tra di loro. Resta a questo punto da sciogliere un nodo cruciale. Mi chiedo: l’irrazionale dell’irrazionalismo sistematico ha qualcosa a che fare con la follia? L’interrogativo sono io a porlo e non mi risulta venga affrontato da Bruno Fabi nella sua filosofia. Ebbene, l’irrazionale descritto negli altri irrazionalismi ha sempre tinte fosche e livide, derivanti dalla sua natura conflittuale. In quelle filosofie l’uomo risulta in balìa di forze cieche e minacciose, mentre l’irrazionale di cui parla il Fabi si direbbe profondamente armonico, intelligente, provvidenziale, pur ammettendo e comprendendo nel suo ordine il disordine ed il caos. A mio parere, è una leggenda da sfatare quella che fa dell’intelligenza una prerogativa della ragione, un esclusivo appannaggio della coscienza umana. Niente di più presuntuoso per chi abbia l’umiltà di osservare il creato. Tutta la vita è intelligente, di un’intelligenza diretta e istintiva, che nulla possiede di “razionale”. La ragione è solo un particolare tipo di intelligenza: un’intelligenza, per così dire, seconda, “indiretta”, atta a rispecchiare, 53

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ad analizzare, a comprendere i processi dell’intelligenza “prima” e “diretta” del creato. La ragione è un tipo di intelligenza che osserva e, come tale, può svilupparsi solo appartandosi dall’ordine naturale. Deve stare attenta a non degenerare, pensando di potersi totalmente affrancare dall’intelligenza attiva, prima e diretta, che regola la vita del creato. Sta dunque nella ragione il seme della follia. Là la matrice della presunzione, della prevaricazione, del raggiro, della menzogna, ed in breve delle sciagure che colpiscono il genere umano. Gli altri esseri non possiedono facoltà razionali, ed è probabilmente per questa carenza che si direbbero incapaci di follia. Sono votati ad essere se stessi, amici di se stessi, privi di manie autodistruttive. Si attribuiscono spesso all’inconscio le malattie mentali, ma io direi che queste derivino piuttosto dalle forzature e dalle macchinazioni della coscienza razionale. C’è un inconscio sano e un inconscio malato; un inconscio puro e un inconscio inquinato. Il secondo è il frutto delle macchinazioni razionali, mentre allo stato puro l’inconscio non può essere patologico, giacchè è un’energia innocentissima, la cui unica volontà è di manifestarsi, di potersi rivelare. Tutto questo per dire che l’irrazionale dell’ irrazionalismo sistematico è profondamente intelligente e non ha nulla a che fare con la follia; la quale, invece, ha molto da condividere con la ragione del pensiero razionale. L’irrazionalismo sistematico può donare una grande libertà all’essere umano. Esso vuole essere molto di più che la denuncia di una crisi civile e culturale. 54

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È piuttosto la messa in crisi – salvifica – dell’intera impalcatura mentale dell’uomo, della sua inclinazione perenne allo schematismo e ai pregiudizi, elevandola verso quella nuova forma di libertà, che è la libertà di riconoscere e ammettere quel che l’essere è, al di fuori di ogni dogma. Una filosofia, lo ripeto, che ribadisce la realtà dell’assoluto partendo da posizioni relative. O anche – che è la stessa cosa – un relativismo intriso di sapori universali. Una filosofia dell’universale fondata sull’esperienza del molteplice, sulla limitatezza, sulla varietà contraddittoria della vita. Quindi sulla consapevolezza della sofferenza, del dolore, del senso dello svanire ineluttabile di tutte le cose; e in definitiva del male di vivere, considerato anche come un sommo bene. L’osservare e il comprendere la vanità del mondo non induce infatti il Fabi verso il nichilismo tragico di Schopenhauer (anche se per molti versi questo pensatore gli è caro). Le prospettive ascetiche del mondo orientale lo affascinano, ma non riescono a minare l’entusiasmo per la dolorosa vivacità dell’esistere, per il contrastato e ricco pluralismo dell’esperienza vitale. Stanno qui le radici di questo pensatore fecondo: in questo amore del tutto che è necessariamente anche amore della parte; in questa fede in un Dio non astratto o dogmatico, ma coinvolto e al tempo stesso svincolato rispetto al vivente. In questa fede che non è un proclama fideistico, ma un impegno a scoprire quel Tutto che si pone nella parte, quel Regno di Dio che vive dentro di noi, potremmo anche dire, e che qualifica la nostra più profonda identità spirituale. Certamente il Dio di cui parla Bruno Fabi non è il Dio personale e antropomorfico della razionalistica tradizione 55

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occidentale, il quale non è il tutto, ma una sua parte (sia pure la sua parte creatrice). E non è neppure io Dio-tutto del panteismo, non meno razionalistico e personalistico, intrappolato nel mondo ed equivalete all’opera da lui creata. Né a me sembra che questo Dio possa venire equiparato al Dio impersonale ed indistinto, totalmente scisso ed avulso dal mondo, di cui parlano le tradizioni ascetiche (impropriamente irrazionalistiche) occidentali ed orientali. È un Dio trascendente ed immanente nello stesso tempo, un Dio che sta al di qua e al di là della sua creazione. Questa fede nel paradosso non induce tuttavia il Fabi a rinunciare alla ragione, o in qualche modo ad offenderla, bensì, al contrario, ad esaltarla proprio nel ridimensionarne le pretese e nel ricondurla entro i suoi binari naturali. Scrive egli in proposito: “in tal modo, il problema del come uscire dalla ragione ragionando, si risolveva nel modo più impensato: era possibile uscire dal punto morto della filosofia, e cioè dalla relatività di ragione, ragionando realmente. Ciò non era contraddittorio, se la contraddizione si addiceva al tutto, e l’attingimento del tutto riposava dunque in una contraddizione”. Importante è il ruolo insostituibile assegnato alla ragione; la quale deve essere umile per potersi realizzare nel modo più pieno. La ragione non si deve annullare, ma, per affermarsi realmente, deve imparare ad inchinarsi di fronte al mistero. Non al dogma, ma al mistero. L’uomo è niente senza l’amicizia di questo mistero. Deve diventarne alleato, perché, se pure non può arrivare a conoscerlo, aggredendolo con i suoi artigli spietati, può umil56

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mente imparare ad ascoltarlo e a comprenderlo in maniera confidenziale. Questo è il grande compito affidato all’intelletto razionale: recepire, per farle proprie (vagliandole) le informazioni amichevoli dell’irrazionale. Ed è da questa collaborazione che scaturiscono le opere eccellenti, come ogni altra manifestazione eccezionale. Il secondo cardine del Manifesto filosofico, di cui sopra ho parlato, recita così: “L’irrazionalismo sistematico pone la ragione come componente antinomica necessaria della suprema contraddizione dell’essere (razionale-irrazionale); ne esalta la funzione irrinunciabile nello svolgimento storico del pensiero, ma ne rivela anche i limiti e la relatività, specie quando usata come ragione astratta”. Questo è, a mio parere, il nucleo centrale che Fabi ci espone, e sta qui il tratto innovativo della sua stimolante filosofia. Un percorso che non possiamo seguire in tutte le sue dispute e in tutte le sue variegate formulazioni. Il che richiederebbe ben più ampie dissertazioni. In sostanza trattasi, come già detto, di un universalismo rispettoso del particolare, del relativo. Una filosofia che tenta di ristabilire il primato dell’assoluto senza conculcare, ed anzi esaltando, le ragioni del relativo.

La teoria autocentrica Per quanto concerne la mia “Teoria autocentrica”, pubblicata nel 2001 da Armando editore, con prefazione di Bruno Fabi e postfazione di Aldo Onorati, debbo innanzitutto 57

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chiarire che essa è il frutto di una lenta macerazione interiore. Intendo dire che non è un pensiero nato sui libri, dallo studio della filosofia, o dalla storia della filosofia, bensì nato da una sorta di autoanalisi che ho sempre svolto spontaneamente, fin da ragazzo e di cui per moltissimi anni non ho avuto cognizione alcuna. Successivamente è nata l’esigenza di confrontare questi miei pensieri con i pensieri altrui, ed è qui che è intervenuta la storia della filosofia: un’avventura che non ho condotto fino in fondo, ed ho molte lacune ancora da colmare. Questo per dire che non sono un professore di filosofia e forse neanche un filosofo, così come sono stato presentato. Un pensatore, sì, lo sono senz’altro, ma voi studenti, freschi di studi, avete sicuramente nozioni superiori alle mie. Quindi vi prego di non mettermi in difficoltà, come so che volete fare. Io, letterariamente, sono nato come poeta ed ancora continuo a fare poesie. Se vorrete, poi vi darò anche un piccolo saggio della mia poesia. Tuttavia mi sono sempre chiesto quale fosse il motivo del mio essere poeta e di questo mio fare poesia. Ne sono nate migliaia di pagine, di appunti selvaggiamente scritti e buttati da qualche parte, dentro valigie, in vari scaffali, nei cassetti della scrivania. Finché mi sono deciso a mettere ordine, a fare una sintesi, e ne è nato questo piccolo volume edito da Armando nel 2001. Fra l’altro ci sono nuovi sviluppi che spero di poter dare alle stampe quanto prima. La “Teoria autocentrica”, termine che credo di aver coniato, nasce come analisi del potere creativo, il quale, visto in connessione con uno scavo interiore, autocritico, diviene 58

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il cavallo di battaglia di una possibile rinascita nelle sorgenti dell’essere, da parte dell’uomo. Naturalmente le riflessioni si allargano e diviene un discorso filosofico di vaste proporzioni. Non mi dilungherò in questa disamina, anche perché so che verranno estrapolate delle pagine dal testo, per darle alla lettura. In sintesi posso dire: 1) Che l’autocentrismo non ha nulla a che vedere con l’antropocentrismo, o con l’egocentrismo, termini con i quali si trova in aperto dissidio. Questi termini, infatti, pongono l’uomo al centro dell’universo, facendone un despota, mentre l’autocentrismo pone l’uomo al centro di se stesso, rendendolo tanto più sovrano di se stesso, quanto più autocritico con se stesso e capace di porsi in crisi senza pietà alcuna; 2) Che la capacità autocritica non fa che parlare ancora una volta dello sdoppiamento e della dualità dell’essere umano, tornando anche per questa via al tema dell’armonia dei contrari. In pratica può essere considerata uno sviluppo dell’armonia dei contrari sul piano strettamente individuale. E ciò mi ha fatto pensare a quanto la filosofia socratica del “daimon” possa essere, anche inconsapevolmente, debitrice dell’impervia costruzione eraclitea; 3) Che la filosofia autocentrica non ha nulla a che vedere con l’intimismo filosofico, in quanto tende a superare le anguste visioni dell’Io in quelle, più aperte, del Sé universale. La relazione fra l’Io e il Sé, di cui parla l’autocentrismo, è il chiaro segno di una filosofia non solipsistica, ma relazionale. E con questo ho concluso.

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Razionalismo di Hegel e Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi

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Filippo Ferrara

Un saluto cordiale a tutti voi studenti e professori e un ringraziamento al Preside e alla prof.ssa Patrizia Audino che ha avuto l’idea di questo convegno e si è impegnata molto per la buona riuscita di esso. Il tema che dobbiamo discutere questa mattina è razionalismo e irrazionalismo e saranno tirati in causa Federico Hegel e Bruno Fabi, in un confronto direi naturale perché il primo è il più importante filosofo dell’idealismo logico, mentre, il secondo è uno dei maggiori rappresentanti viventi dell’irrazionalismo sistematico. Nella nostra vita in questi ultimi decenni è avvenuta una grande rivoluzione che ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere e di pensare. Tra i tanti cambiamenti avvenuti ci sono quelli irreversibili di cui bisogna semplicemente prendere atto, altri invece che è possibile cambiare. Prendiamo ad esempio la globalizzazione, un fenomeno di dimensioni planetarie. Esso, così come si sta svolgendo suscita molte preoccupazioni, perché come una forza incontenibile, sta approfondendo il divario tra il nord e sud della terra, tra i paesi ricchi e i paesi poveri, tra i più potenti e i più indifesi. Ma la globalizzazione è anche una grande opportunità per l’umanità avendo già portato alla creazione di un sistema di comunicazioni inimmaginabile fino a poco tempo fa. 60

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Se le regole a cui si fa attualmente riferimento verranno opportunamente riviste e corrette, la globalizzazione contribuirà ad aprire una nuova era di progresso e di benessere per tutti, favorendo l’integrazione delle varie economie col sostegno a quelle più deboli, col superamento della logica di mercato senza regole. Un altro argomento importante: l’uso sconsiderato che si sta facendo attualmente delle risorse naturali della terra e l’inquinamento dell’ecosistema al quale si può porre termine solo utilizzando le energie pulite su vasta scala. È ormai un luogo comune dire che la storia dell’umanità è storia di contrasti politici-diplomatici, militari, economici, culturali, ideologici, contrasti tra la fede nella ragione e la fede nel sentimento. Questi ultimi hanno caratterizzato la storia della cultura, non solo del ’700, dell’800 e ’900 ma anche di quella contemporanea, in forma e con un ritmo che si possono definire altalenanti, nel senso che ha prevalso ora l’una ora l’altra e mai in modo definitivo e assoluto. Nel momento della massima affermazione dell’idealismo di Fichte, Schelling ed Hegel, ad esempio, faceva sentire la sua voce l’irrazionalismo di Schopenhauer. Ed è proprio questo il tema del convegno di oggi, che io cercherò di sviluppare utilizzando il metodo della comparazione in un quadro generale estremamente complesso e difficile e perciò chiedo anticipatamente scusa per le inevitabili approssimazioni che la mia relazione presenterà. Come più volte è stato detto Bruno Fabi con la sua considerevole opera anche di scrittore, è uno dei più importanti rappresentanti attualmente, dell’irrazionalismo sistematico. 61

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Quando si prende in esame il suo pensiero, si è portati in maniera naturale direi, a confrontarlo con quello di Hegel, che come sappiamo è stato considerato a lungo uno dei più grandi filosofi, che ha esercitato una profonda influenza sul suo tempo e su quello successivo. Oggi l’importanza della sua dottrina è piuttosto ridimensionata, anche se si può dire che sia uscito dal novero dei grandi pensatori. Si farà riferimento più volte ai capisaldi del suo pensiero per poter meglio costruire un confronto con l’irrazionalismo di Fabi. Tutto ciò che è reale o effettuale, esiste, secondo Hegel per necessità e deve essere razionale e buono. Particolarmente buono è lo Stato prussiano nella sua esistenza. E lo Stato è tutto, l’individuo nulla. “Di fronte a opinioni sovversive lo Stato deve prendere in protezione la verità oggettiva”. È questa l’analisi del grande filosofo Popper, il quale poi aggiunge: “Chi deve giudicare qual è e quale non è la verità oggettiva?”. Schopenhauer, sia detto per inciso, considerò la dialettica hegeliana come distruttività di ogni intelligenza, avendo aperto la strada a quel forsennato nazionalismo che dominerà la scena politica per decenni causando disastri immani. Era inevitabile per questo che l’ottimismo di Hegel venisse sostituito da quel pessimismo radicale che impregnò di sé tutta la cultura successiva. E Nietzsche annuncia la morte di Dio, causa della fine dell’ottimismo teologico della tradizione giudaico-cristiana che, come ha scritto Umberto Galimberti, visualizzava il 62

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passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. L’illuminismo e il positivismo avevano anch’essi professato questo ottimismo nella convinzione che la storia dell’umanità è storia di progresso e di conquista del benessere materiale. Questa grande speranza, o grande promessa come la chiama Fromm è caduta e il futuro da promessa è diventato minaccia. Nietzsche parla di catastrofe del senso. “Cosa manca?” si chiede. E risponde “Manca il significato, il fine, manca la risposta al perché?” “E che cosa significa nichilismo?” Si chiede ancora. “Che i valori supremi si svalorizzano”. “Con la morte di Dio”, secondo lui, “saltano per aria anche i suoi surrogati, tutte le forme sostitutive, come la coscienza morale autonoma di tipo kantiano, il senso e il fine della storia, la ragione etica, la consistenza stessa del soggetto, l’umanesimo, la connessione bene-vero, alla base della coscienza culturale dell’occidente”. (L’ultima frontiera dell’Educazione, Giuseppe Acone). Sul banco degli accusati finiscono l’illuminismo e il positivismo con le loro promesse di benessere senza limiti, di sviluppo senza fine, finisce sul banco degli accusati lo scientismo con la sua pretesa di essere una vera e vincente filosofia, travisando così il carattere relativistico e problematico della scienza. E Giuseppe Acone, nel saggio già citato, dice: “Ci troviamo ormai di fronte a un vero e proprio discredito della ragione illuminista e della sua connessa istanza di risolvere su basi razionali, scientifiche, tutti i problemi dell’uomo, 63

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compresi quelli inerenti ai significati globali dell’esistenza individuale, quotidiana, interpersonale, sociale. La scienza ha perduto gran parte del suo fascino e del suo valore salvifico”. Non c’è dubbio che si è aperta una fase nella storia dell’umanità in cui domina l’insicurezza e il disorientamento. È scoppiata la terza guerra mondiale, dice qualcuno, una guerra però che non ha un fronte e in cui non si fronteggiano eserciti nemici, per occupare territori e sottomettere gli sconfitti. In realtà, non si avvantaggia in essa, come è sempre stato, chi ha armi più sofisticate e potenti. Una guerra assurda scatenata da fanatici fondamentalisti, nemici di una civiltà che essi considerano blasfema. Questo fanatismo è figlio dell’irrazionalismo, in cui è difficile cogliere elementi che possono aiutarci in qualche modo a capire l’esplosione di odio, che da esso scaturisce, e a trovare un rimedio che non sia la reazione violenta. Sono interessanti alcuni paragoni creati da uno studioso: il fratello musulmano pronto a immolarsi per l’Islam, ricorda l’eroe fascista che grida viva la morte, quello nazista dominato dal mito della razza superiore e l’uomo di acciaio bolscevico. “La realtà che abbiamo di fronte”, ha scritto Eugenio Scalfari, “è così tremendamente complessa e intrisa di fatti oggettivi, interpretazioni soggettive, passioni, interessi, che un discorso filato con uno sviluppo coerente e una conclusione valida e non contestabile, è diventato difficilissimo, se non addirittura impossibile. La situazione sembra essere dominata da un vento di generale follia”. 64

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E Giorgio Bocca sostiene che “L’irrazionale domina il nostro destino. Noi facciamo regolarmente ciò che non deve essere fatto, cioè tutto ciò che può distruggere le nostre vite e l’ambiente in cui viviamo e non c’è nulla da fare, da contrastare, da impedire: il mondo va così e noi dietro come pecore”. È veramente radicale la sfiducia verso il razionalismo e i suoi più illustri rappresentanti, in particolare verso Hegel. Bruno Fabi, con Popper, è tra i filosofi che hanno duramente attaccato Hegel cercando di smantellare la mastodontica costruzione filosofica hegeliana attraverso una rigorosa e sistematica analisi critica. Popper chiama spesso in causa Schopenhauer, il quale era “ferocemente” critico nei confronti di Hegel, al punto da definire il periodo in cui visse Hegel, l’epoca di disonestà. Critiche indubbiamente comprensibili, soprattutto se si considera che il filosofo idealista, contribuì col suo pensiero alla nascita dei totalitarismi del XX secolo che tante tragedie provocarono nel mondo. Bruno Fabi è altrettanto severo, perché arriva a capovolgere l’assunto hegeliano secondo cui tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale, sostenendo invece che tutto ciò che è reale è irrazionale e tutto ciò che è irrazionale è reale (Esattamente il contrario). Per Hegel non solo il reale, ma tutto lo svolgimento della storia, è una sorta di operazione logica, sostenuta dallo Spirito assoluto e dalla Provvidenza, il cui fine, è la perfezione del mondo. Perciò, tutto ciò che accade, è opera di Dio. Lo Stato in generale e quello prussiano in particolare è la massima espressione della creazione divina. 65

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Per Bruno Fabi la vita non ha un fine, né significato, ma può dirsi solo fine a se stessa. La storia è la dimostrazione dell’irrazionalità delle vicende umane. “Essa”, dice Fabi, “non sarebbe che un’interminabile catena di fatti incredibili sotto l’aspetto della razionalità. Le ricorrenti catastrofi naturali e, in campo umano la ferocia di guerre, rivoluzioni, genocidi, fanatismi, assassini, basati sulla cultura degli slogans e sull’odio innescato dalla miseria e da una cieca fede religiosa, sono la dimostrazione di quell’irrazionalità dell’essere, che solo in apparente contraddizione ho chiamato la mia filosofia”. Anche la vita di tutti i giorni della gente, secondo Fabi è dominata da egoismi, invidia, odio, trasgressioni di ogni genere. E l’irrazionalismo si estende anche a tutto l’universo, che per Fabi, è ben lungi dall’essere il regno dell’ordine e dell’armonia. “Già irrazionale come ogni bellezza naturale o estetica, è lo splendore del cielo stellato – egli dice – una delle meraviglie che ci spingono a vivere. Ma questo nel breve termine di uno sguardo o di una contemplazione. A lungo termine, cioè nel giro di miliardi di anni, l’universo si presenta come una miriade di astri fiammeggianti che esplodono, implodono e si ricreano sulle loro stesse ceneri, con attorno teschi butterati di pianeti gelidi o arroventati, un universo percorso da asteroidi assassine, cosparso di buchi neri in agguato e sinistrato da mostruose collisioni di galassie, un cosmo alla cui estrema periferia come un granello di sabbi perduto in un infinito deserto, è la nostra terra con la sua umanità riottosa e feroce”. 66

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“Molti ritengono”, osserva Fabi, “che l’uso della ragione potrebbe rendere perfetta la società umana, ma in realtà l’ordine razionale, come nel cosmo, non può che essere un ordine relativo”. Egli non nega l’importanza della ragione, tanto è vero che in un altro passaggio del suo pensiero auspica che il suo uso venga incrementato, per l’apporto che può dare all’organizzazione della vita sociale e del pensiero. Al razionalismo radicale di Hegel non oppone un irrazionalismo altrettanto radicale. Egli è certo, ha la convinzione che alla base della vita c’è l’irrazionale e che la storia umana non si muove verso un fine preciso e tutto ciò che si chiama progresso per lui è soltanto trasformazione della vita sociale, delle sue regole, delle sue esigenze e abitudini, dei suoi mezzi e desideri. Inoltre apprezza tutti coloro che hanno contribuito ad abbattere il mito della ragione e ridimensionare il valore del procedimento razionale, nella sua astratta formulazione. Ho più di una volta nelle discussioni con Fabi, esposto un concetto, che non è solo mio, secondo cui tra razionalità e irrazionalità esiste un rapporto di interazione. Affermare che tutte le manifestazioni della vita e tutto il percorso della storia sono razionali, oppure al contrario irrazionali, significa sconfinare in un estremismo ideologico o filosofico che non è il migliore viatico per la conoscenza della verità. L’idea che tutto è irrazionale serve a Fabi a contrastare il pensiero di Hegel che nella sua assolutezza appare paradossale per cui non lascia alternative. 67

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Il sociologo francese Edgar Morin sostiene che la società occidentale attraversa una grave crisi e se non vuole correre il rischio dell’autodistruzione deve innanzitutto liberarsi della ostinata e cieca fiducia nel potere della tecnica e dell’economia e della logica determinista e meccanica ad essa connessa il cui limite principale è quello di non sapere cogliere la qualità della vita, privilegiando la logica quantitativa e del calcolo cieco. Per uscire dalla crisi occorre secondo Morin convertire la tendenza in atto dando spazio e valore ai sentimenti. Per questo Morin a Cartesio preferisce Pascal, il filosofo che esalta le ragioni del cuore, non ignorando l’importanza della ragione, di cui però si devono tener presenti i limiti. Eugenio Scalfari, affrontando tale argomento, con grande lucidità riesce a cogliere e a chiarire il punto principale del pensiero di Pascal. “Usando, dice Scalfari, contemporaneamente gli occhi della mente e quelli del cuore, l’intelletto razionale e l’anima dei sentimenti, Pascal fu il primo ad avvalersi consapevolmente di questo duplice approccio alla conoscenza e all’azione. Non potremmo avere migliore modello”. Bruno Fabi non rifiuta questa sintesi. L’ho potuto più volte constatare, nella discussione, nei suoi scritti e in quella illuminante intervista concessa ad Aldo Onorati tempo fa, dove, ammette chiaramente l’importanza della ragione auspicando che essa venga incrementata per l’apporto che può dare alla vita della società e del pensiero.

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Risposte ai quesiti in ordine ai temi del convegno

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Franco Campegiani

Cari ragazzi, avrei voluto rispondere in modo tempestivo alle vostre stimolanti osservazioni. Purtroppo non mi è stato possibile farlo prima di ora, e non occorre che io vi elenchi la serie di occupazioni che mi hanno bloccato. Mi sarebbe anche piaciuto accordarmi con gli altri relatori del convegno, e con lo stesso Bruno Fabi, per una risposta collegiale, ma i tempi si sarebbero allungati notevolmente, mentre a me urge rispondere a caldo alle vostre osservazioni. Insieme agli altri potremo tornare sull’argomento in un secondo tempo. Non sto qui a ripetere quanto già esposto nella mia relazione al convegno ma preferisco sviluppare discussioni e temi di altro genere, comunque a quella connessi. Inutile aggiungere che la paternità e la responsabilità 69

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di quanto enuncerò è mia e non va attribuita (almeno per ora) agli amici con cui condivido i principi generali dell’“Irrazionalismo sistematico”. Il problema fondamentale da voi sollevato è di ordine morale. Sostanzialmente vi chiedete – visto che la ragione è sotto accusa, da parte dell’Irrazionalismo – come sia possibile rinunciare a farsi una ragione dei mali che affliggono il mondo. Questa rassegnazione avrebbe, secondo voi, il sapore della complicità con il male stesso ed equivarrebbe ad un troppo comodo “fare orecchie da mercante”. Ebbene, la prima obiezione che sento di dover fare è la seguente: il bene ed il male appartengono entrambi alla sfera morale e tentare di dividerli è il primo e più grave attentato alla salute morale che l’uomo possa compiere. Ciò è anche adombrato nella simbologia della “Genesi”, che spinge a non mangiare i frutti dell’albero proibito: dell’albero, ossia della “scienza (discriminazione) del bene e del male”. Caino ed Abele sono in fondo un medesimo uomo, e sta nel momento in cui quest’uomo decide di lacerarsi, separando in se stesso il bene dal male, che ha fine la sua fratellanza ed ha inizio la storia delle sciagure umane. Nessuno può arrogarsi il diritto di “scagliare la pietra”, se si accetta l’idea che il male vive in ciascuno di noi. Né ciò deve essere inteso come un comodo invito ad evitare la lotta, perché al contrario è un invito ad interiorizzarla, quindi a renderla ben più cruenta ed efficace sul piano individuale. 70

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È fin troppo facile combattere il male sul piano esteriore, additando sempre gli altri, senza nulla dare come esempio personale. Facile ed illusorio, perché si resta sempre e comunque, in tal modo, nel “bla bla” dei proclami esteriori, evitando quell’impegno personale e diretto nelle piccole azioni quotidiane, che – è vero – non riuscirà a cambiare il mondo (quale presunzione si annida dietro questo falso ideale!), ma di certo migliorerà noi stessi, migliorando di riflesso, “concretamente”, il mondo in cui viviamo. Fare della lotta morale una lotta con se stessi, significa accettare in noi stessi la compresenza e la convivenza, la collaborazione e la fratellanza, sia pure nello scontro, del bene e del male. Ed è questo, per restare nella simbologia biblica, l’“albero della vita”, i cui frutti corroborano e spingono a crescere nell’equilibrio, nell’armonia morale. Il “peccato originale”, con la conseguente cacciata dall’Eden, consiste proprio nella frattura di questo salutare equilibrio, che possiamo anche definire come “armonia dei contrari”. Approfitto a questo punto per rispondere a quell’intelligente domanda rivoltami da uno i voi, riguardante “Satana”, cui ora ricordo di non avere risposto nel corso del convegno, data la ristrettezza dei tempi a disposizione. Ebbene, io ritengo che Satana non esiste come entità metafisica e che è una pura e semplice simbologia della perversione umana. Non a caso, etimologicamente, Satana significa “Il Separatore”, e l’allusione è evidente alla divisione fra il bene ed il male di cui stiamo parlando, la quale comporta 71

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in ogni caso la “demonizzazione” di qualcosa o qualcuno che sta al di fuori di noi. I “buoni” da un lato e i “cattivi” dall’altro. Questa comoda separazione operata dall’intelletto viene erroneamente attribuita ad un’entità metafisica, dimenticando che il regno metafisico è un mondo di luce e d’amore, le cui bandiere sono alitate soltanto dal vento dell’armonia. Di quale “cacciata degli angeli” vogliamo parlare? Nell’eterno non ci sono ribelli. La “cacciata degli angeli” avviene sulla terra, e non nel “regno dei cieli”! Qualcuno può chiedermi: e la possessione? Ebbene, qui si entra nel campo delle malattie mentali, le quali non sono state comprese fino in fondo dagli psichiatri, data l’estrema complessità della mente (ed è probabile che alcuni enigmi resteranno per sempre tali). Se così non fosse, e se dunque la “possessione” fosse attribuibile ad un’entità metafisica, ci dovremmo tra l’altro chiedere a che serve il cosiddetto “angelo custode”, posto dal mondo metafisico stesso a tutela dell’uomo sensoriale. Mi si obietterà: come mai, allora, gli esorcisti riescono a guarire da questo male? Riescono a farlo, a mio parere, come ogni altro guaritore psichico, le cui modalità operative sono ignote e ancora da svelare. In ogni caso ci troviamo nel campo della psiche e non occorre scomodare entità metafisiche, che hanno altro da fare! Ma resta da sciogliere un altro nodo cruciale. Se è vero, come io vado argomentando, che il male “necessario o cosmico” si deve accettare, in quanto componente imprescindibile della sfera morale, possiamo dire altrettanto del male “satanico umano”, consistente nella divisione tra il bene ed 72

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il male? Io ritengo che questa seconda tipologia di male sia inaccettabile e che la si debba contrastare. A tal riguardo mi sovviene una saggia preghiera “cherokee”, che mi sembra opportuno citare: “Oh, Grande Spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza”. Quali sono “le cose che posso cambiare” (o meglio, tentare di cambiare)? Indubbiamente quelle che attengono alla sfera del “male satanico umano”. In questa sfera è evidente che occorre prendere posizione e ci si deve schierare. Nella consapevolezza tuttavia che si entra nel piano della relativa ragione umana, dove non ha senso esprimere giudizi o condanne morali. Il “giudizio razionale” è un conto, il “giudizio morale” un altro. Il primo si esercita orizzontalmente, sul piano sociale, mentre il secondo è verticale e va esercitato nel privato, giacchè è di pertinenza strettamente individuale. Bisogna dare a Cesare e a Dio, ma i due piani non vanno confusi tra di loro. Esemplifico: se mi pesti i calli, è giusto che io mi difenda sul piano materiale, ma non è giusto che io ti condanni da un punto di vista morale. E ancora: se occorre fermare Hitler, trovo più che giusto scatenargli contro una guerra mondiale. Sarebbe tuttavia ingiusto giudicarlo moralmente, giacchè a quel livello il giudizio è e resta individuale. Chi siamo noi per presumere di poter imporre agli altri i nostri criteri morali? Possiamo esser certi che, in un giudizio “equo ed imparziale” su se stesso, Hitler non venga scagionato? Nella sfera morale – l’abbiamo già 73

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detto – c’è bisogno di Caino e di Abele, e poco importa che sul piano pratico ci sia sempre divisione tra i due. Si dirà che questo è relativismo morale. Io però sto affermando che i principi e i valori ci sono e che sono assoluti e inderogabili, ma che sono strettamente individuali. Si obietterà, allora, che quest’etica ininfluente sul piano sociale, in fin dei conti risulta anche vana. In parte è vero. Sono purtroppo queste le conseguenze del “peccato originale”, che non possiamo in alcun modo eludere, ma che possiamo tentare di superare individualmente puntando all’“Eden”, ovvero al regno dell’armonia sacrale. Che poi quest’individuo rinnovato moralmente sia inefficace sul piano pubblico e non possa in alcun modo incidere sull’assetto e sull’etica sociale, è tutto da dimostrare. Egli è infatti un uomo morigerato e saggio che opera nel relativo e sa accettarne le regole, nell’interscambio fecondo e personale con l’assoluto, il quale lo costringe all’autocritica, alla tolleranza, alla concordanza universale. E sta in questo interscambio, a mio parere, la dirompente novità filosofica dell’irrazionalismo, nelle sue varie sfaccettature, (ri)proposte nei tempi attuali. C’è una grande differenza fra l’“armonia dei contrari” ed il pensiero “dialettico”, fra Eraclito e le filosofie successive. Dove infatti l’“armonia dei contrari” parla di una tensione originaria irrisolta e irrisolvibile, il “pensiero dialettico” cerca di trovare sbocchi a quella situazione angosciante (ma quanto creativa!) sul piano del divenire. Dove la prima propone una crescita individuale nell’equilibrio archetipo, il secondo propone un caos fine a se stesso, in un mondo in disfacimento totale. 74

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E c’è un’altra considerazione da fare. Se l’assoluto e il relativo sono l’uno nell’altro, anche Dio e il mondo lo sono, ed è ovvio pensare che i due termini siano nello stesso tempo divisi e indivisi tra di loro. Sono “due in uno”, per cui occorre pensare alla nascita del mondo, non come ad una “creazione dal nulla”, ma come ad una “generazione del grande Artefice dalle proprie profondità abissali”. Qualcuno di voi mi ha chiesto se l’Essere è increato. Ebbene, se per Essere intendiamo Dio, è ovvio rispondere che Egli è increato. Se invece intendiamo il Mondo, dobbiamo dire che è “generato” (e solo in tal senso creato). Se poi, per Essere, volessimo intendere il Tutto, allora possiamo immaginarlo come un cerchio, il cui centro è “increato” ed il cui margine è “generato”. Sostenere che il mondo è “increato” non significa necessariamente rifiutare la creazione del mondo, ma può significare anche di credere in una forza creatrice interna alla creazione stessa. Una forza che dall’interno esplode verso l’esterno e che non è dunque estranea al mondo, ma è la sua quintessenza, la sua matrice, la sua identità. Dove si trovi questo centro nessuno può dirlo. È un punto che sprofonda nell’infinito, un abisso insondabile che tuttavia irradia la propria energia dovunque. Tanto che dovunque è il centro dell’universo e ciascuno deve farlo vivere, o viverlo, per proprio conto. In questa visione teologica interiorizzata, che spinge a cercare il “Regno di Dio dentro noi stessi”, pur senza identificarlo con la nostra realtà esistenziale, non c’è ovviamente spazio per le visioni teologiche tradizionali – occidentali 75

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(razionalistiche), orientali (antirazionalistiche) – le quali coltivano una visione molto esteriore del divino. E fu una visione non meno esteriore dell’Essere a condurre Parmenide, primo risoluto essenzialista della storia del pensiero occidentale, a negare la realtà del molteplice e del divenire, in nome di un monismo che riduceva a pura illusione ogni apparenza sensibile legata al nascere e al morire, all’apparire e allo scomparire. È certamente vero quel che Parmenide afferma, che l’“Essere è e non è possibile che non sia”. Tuttavia il mondo fenomenico è “reale” nel senso più pieno del termine e non ha nulla a che fare con quella sorta di “velo di Maya” di cui sembra parlare Parmenide, in sintonia con le filosofie orientali. Per comprendere il paradosso bisogna rifarsi all’irrazionalismo di Parmenide, secondo cui “tutto muta e tutto resta immutabile nella mutazione”. Ed è qui utile approfondire il concetto di Non – essere, quale può venire indotto da una corretta analisi del pensiero eracliteo. Il “Non – essere” non è da intendersi come “Assenza di Essere”, bensì come “Autocontraddizione dell’Essere”, come esperienza del limite cui si assoggetta l’illimitato al fine di risorgere dentro se stesso e di vivificarsi in continuazione. Questa tipologia del “Nulla” è ovviamente legata all’“Essere” e lo presuppone, per cui “Essere” e “Non – essere” rappresentano le due facce dell’Eterno e dell’Armonia universale. Il finito sfuma nell’infinito, e viceversa. I limiti e l’illimite sono l’uno nell’altro e si giustificano vicendevol76

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mente! E qui approfitto per rispondere ad un’altra delle vostre domande, circa il valore da dare alla cosiddette “scienze esatte”. Quale valore può avere l’“esattezza” in una visione irrazionale della vita e del mondo? Un valore eminentemente relativo! Esemplifico: “due più due fa quattro”. C’è qualcuno che possa confutare l’esattezza della suddetta affermazione? No. Tuttavia l’affermazione ha senso in un sistema di riferimento preciso: quello del “quattro”. Se prendessimo come sistema di riferimento, ad esempio, il “tremiladodici”, non potremmo più ritenere valida quell’affermazione! Voglio dire che il “quattro” è un sistema di riferimento arbitrariamente assunto dalla nostra ragione. Entro quei limiti ha valore il “due più due” (o il “tre più uno”, che è la stessa cosa), ma questa non può essere presa come una verità universale, dacchè, dal punto di vista universale, il “quattro” non è che un numero di una progressione aritmetica infinita. Vi chiedete e ci chiedete, infine, se nella polemica che l’irrazionalismo svolge nei confronti della “dea ragione”, non si corra il rischio di un nuovo ed opposto dogmatismo. Questo pericolo è noto e viene da noi scongiurato nel punto 4 del “Manifesto dell’Irrazionalismo sistematico”, dove è espressamente dichiarato che detto pensiero “pone a conclusione il motto del fondatore, sintesi con valore relativo della sua filosofia”. Vorrei tuttavia aggiungere un’ultima considerazione. Se il pericolo del dogmatismo è di racchiudere il mondo in una ristretta formula, in uno schema a senso unico, 77

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questo pericolo non può essere corso da una filosofia sostanzialmente “duale”, in grado di fare delle contraddizioni il suo pane. La polemica svolta contro la “dea ragione” non è dogmatica per il semplice fatto che ne contesta unicamente gli eccessi, accettandola per quello che è, entro i suoi naturali binari.

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Considerazioni finali

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Patrizia Audino

Su una nota relativa al Convegno indicai, tra gli obiettivi che mi ero prefissata, anche quello di “promuovere una cultura dell’essere, in contrapposizione a quella dell’avere, mediante il confronto diretto con i filosofi del nostro tempo…” Ecco, io credo che una modalità dell’essere non può e non deve essere “sganciata” dal fare, dall’operare, dal rendere concreto ciò che è. Tutto ciò allo scopo di non vanificare il pensiero e l’elaborazione dei concetti e soprattutto, con l’intento di dare impulso, tramite l’espressione e l’agire, ad una ulteriore elaborazione e creazione del nuovo. La creatività è senz’altro l’aspetto più importante in questa fase, quella della preparazione dell’incontro, perché è questa che stimola e rafforza l’intelligenza. Maturò in me l’idea di creare un “laboratorio di filosofia”, quindi mi impegnai a sensibilizzare tutti gli allievi del triennio del Liceo a partecipare a questo evento secondo le proprie possibilità e capacità; constatai che tutti gli allievi risposero con entusiasmo preparando cartelloni illustranti aforismi celebri, riflessioni critiche, richieste da porre ai 79

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relatori inerenti le problematiche filosofiche, esecuzione di pezzi musicali, recitazione di brani tratti dall’opera filosofica di riferimento di Bruno Fabi Il tutto e il nulla e brani tratti dal libro, scritto da Franco Campegiani, intervenuto al Convegno, dal titolo La teoria autocentrica – analisi del potere creativo. Gli allievi hanno inoltre proiettato, durante i lavori del Convegno, alcune diapositive riportanti celebri quadri d’autore come, ad esempio, “La scuola di Atene” di Raffaello Sanzio. Altri ragazzi hanno inoltre curato la parte tecnica dei lavori, occupandosi del suono, delle luci, dei microfoni, delle riprese e quant’altro. Desidero ringraziare, oltre ai ragazzi che si sono particolarmente distinti nella partecipazione, anche i colleghi del Dipartimento di Lettere e Filosofia per la loro collaborazione. Spero che questo Convegno rappresenti l’inizio di un rinnovato interesse per il pensiero filosofico e l’inizio di una rinnovata consapevolezza dell’attualità e della necessità della filosofia come risposta ai grandi problemi ed interrogativi della società attuale. “Ad majora”.

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A dieci anni di distanza… Le interviste

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Patrizia Audino

Intervista ad Aldo Onorati Come ha conosciuto il filosofo Bruno Fabi? In maniera indiretta: leggendo un suo inedito intitolato Racconto americano. Avvenne così. Ero direttore editoriale della Sovera (collegata alla Armando). Un giorno (forse 25 anni fa), venne un distinto signore (che poi seppi essere amico di Fabi e importante operatore nel campo della Magistratura) a consegnarmi un dattiloscritto appunto di S.E. l’alto Magistrato e professore universitario Bruno Fabi. Lo conoscevo solo di nome: era stato allievo e collaboratore del grande Ugo Spirito. Promisi che lo avrei letto con calma, per dare giusta precedenza secondo le consegne dei manoscritti (molti dei quali passavo ai miei stretti collaboratori per ragioni di tempo). Però – quando si dice il Caso – la sera, purtroppo o per fortuna, il treno, da Roma alle laziali, tardò molto a partire. Non avendo altro da leggere, presi in mano il romanzo di Fabi e ne gustai una buona parte. Tanto era interessante, che, dopo cena, lo terminai tutto. 81

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Telefonai all’autore dicendogli le mie impressioni a caldo. Così avvenne la conoscenza anche personale, che durò, con affetto e stima, fino alla sua dipartita.

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Come è avvenuto il primo incontro con Bruno Fabi? Dove vi siete visti e cosa vi siete detti? Appunto a casa sua. Egli mi invitò da lui ed io mi sentii lusingato di tanta attenzione. Abitava in una traversa di Via Gregorio VII, in una casa bellissima che dava su un giardino. Notai dei quadri interessanti, che poi seppi essere suoi. Il mio amico Franco Campegiani in seguito organizzerà una mostra personale dell’autore a Marino. La prima impressione che sortì la sua figura alta, imponente, fu di simpatia, ma anche di autorevole personalità. Sua moglie, una donna minuta, gentilissima, ci servì il caffè: col tempo, mi accorsi della sua cultura, enorme: infatti, vicino a un grande uomo c’è sempre una grande donna. Lei pubblicò, ma postuma, con Armando, una silloge poetica delicatissima curata dal marito. Non ricordo cosa ci dicemmo quel giorno, però nacque un’immediata simpatia umana tra noi. Mi invitò a pranzo per la settimana successiva: cosa che divenne quasi un rito e risultò fra le migliori ore passate nella Roma editoriale piena di fatica ma pure di interessi culturali. Quanto invece fu nelle nostre conversazioni in seguito, molto l’ho registrato nel mio libro Incontro con Bruno Fabi. Comunque, al primo impatto, ebbi la sensazione della sua vastissima cultura, non solo giuridica (aveva insegnato 82

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all’Università di Camerino “Diritto Romano” e aveva ricoperto le più alte cariche della Magistratura), ma letteraria, pittorica e soprattutto filosofica.

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Essendo lei stesso un grande scrittore, poeta e dantista eccellente, che visione ha del mondo contemporaneo da un punto di vista sociale e filosofico? È una domanda complessa. Socialmente il mondo contemporaneo non fa sperare granché di buono: c’è un nuovo modo di distruzione, cioè l’incutere terrore. Nessuno vive più al sicuro. Puoi avere accanto un terrorista che si fa esplodere in nome della sua religione. Dopo il fatidico 11 settembre, la maniera di fare storia è cambiata. Non c’è più bisogno degli eserciti per sconfiggere una civiltà, una nazione, un continente: i votati alla morte bastano e avanzano per mettere in ginocchio il futuro. Ma forse il futuro non ci sarà, a causa dell’innalzamento geometrico del clima. Da qui muta ogni prospettiva, anche quella filosofica (la quale è morta da un pezzo: non direi dopo Kant e Schopenhauer, ma certamente dopo Nietzsche; dopo l’ultimo “poeta filosofo“ come lo era Fabi, sono venuti i costruttori di intraducibili pagine, non dico come quelle di Adorno che, tutto sommato, decodificandole, un succo si trova, ma dei parolai al “filosofese”, come li definisce Massimo Baldini). Considerato che Bruno Fabi, oltre che un filosofo dell’Irrazionale, è anche stato un eccellente scrittore e poeta, cosa 83

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pensa della sua produzione letteraria, dei suoi romanzi e dei suoi racconti? Vede, Fabi ha dato un colpo mortale a Hegel, ma non è stato il primo, se si vuole essere onesti (lo aveva preceduto Schopenhauer, ad esempio, e anche Kierkegaard). Solo che Fabi è una personalità complessa, la quale ha trasfuso il suo pensiero in tutte le sue opere, dando corpo artistico alla scientificità di cui si compone il libro maggiore Il Tutto e il Nulla, pietra miliare della filosofia del Novecento, a cui tanti autori contemporanei debbono molto. Voglio intendere ciò: egli è enorme come pensatore, ma non si è fermato lì; ha tradotto in forme sanguigne e palpitanti il suo pensiero, in ogni romanzo, nelle poesie, anche nei quadri se vogliamo. Ragion per cui la sua intuizione secondo la quale “tutto ciò che è reale è irrazionale”, capovolgendo l’assunto hegeliano, diventa originalissima grazie alla creazione di caratteri e trame che ne dimostrano, realmente, la verità. Mi viene ora di pensare a Camus della Peste e dello Straniero, a Federigo Tozzi di Tre croci, a tutto Luigi Pirandello (forse il più vicino a Fabi per teoretica e arte). Tuttavia, quello che contiene Il Tutto e il Nulla, che uscì in prima edizione coi Fratelli Bocca per volere di Ugo Spirito, e che mio figlio ha ripubblicato con Anemone Purpurea, con l’illuminante postfazione di Franco Campegiani, spazia talmente in ogni settore della realtà e dello scibile, da farne un “unicum”. Da qui il coinvolgimento diretto della sua altissima qualità nella produzione letteraria, colma di pensiero, e di liricità 84

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anche: ho scritto un lungo saggio in prefazione alla sua opera poetica, e l’autore mi ha detto di aver centrato il nucleo della sua poesia.

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Ricorda qualche aneddoto su Bruno Fabi che a lei è rimasto impresso per qualche motivo particolare? Cerco nella memoria, ma non lo trovo. Nel mio libro sì di lui ci sono riportati moltissimi pensieri che la mia attenzione ha registrato nei colloqui diretti e indiretti. Posso dire una cosa: il giorno della sua morte, tutta l’Italia ha parlato di lui a grandi colonne sui giornali e radio e televisioni. Il riconoscimento di Caposcuola fu unanime. Come si è pervenuti alla sottoscrizione del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico? Attraverso dibattiti e incontri con Franco Campegiani, con Filippo Ferrara che faceva parte interna alla cordata, il sottoscritto e lo stesso autore. Il manifesto ha avuto riscontri favorevoli ma alcuni polemici, però – sotto sotto – il problema scottante è serpeggiato fra gli studiosi. A dieci anni dalla scomparsa del grande filosofo Bruno Fabi e a quattordici dalla pubblicazione del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico, quali sono le conclusioni ad oggi e quali le speranze per il domani?

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È tempo di interessarsi a far dedicare una via a Fabi nella sua amata Camerino. Questo suo libro, professoressa Audino, cade a proposito per ogni eventualità. Devo, per dovere di cronaca, accennare a un fatto: quando, in macchina, diretti a Camerino (Ferrara, Campegiani ed io), a dare l’estremo saluto all’Autore moorto nella notte precedente, telefonai al giornalista Daniele Priori la notizia, egli, fulmineamente, la trasmise al “Corriere della sera”, che la pubblicò all’istante. Tutto nacque da lì. Gli articoli che si susseguirono su quasi tutte le testate italiane, erano informatissini: segno che l’autore era stato seguito negli anni. D’altronde, in questo decennio di “sonno del pensiero” (se si eccettua qualche rarissima voce non ascoltata), l’opera di Bruno Fabi ha serpeggiato senza rumore fra gli scrittori specialmente: me ne accorgo dai temi delle loro opere in cui traspare la presa di coscienza dell’irrazionalità della Storia e della cronaca. Sarà un caso? D’altronde, quando uscì la seconda edizione di Il Tutto e il Nulla le recensioni furono molte e anche polemiche. Il domani? Vede, io sono un appassionato di ecologia. Temo che l’umanità avrà altri problemi da affrontare che la letteratura e la filosofia: migrazioni bibliche per l’innalzamento degli oceani, desertificazione dei terreni, scarsezza di acqua dolce, fame, atc. L’aumento del clima è l’unica cosa centrale di oggi e del futuro. Ma sembra che nessuno le dia peso… Ecco: sono molto preoccupato per il futuro. Noi abbiamo vissuto la nostra vita in tutte le sue sfaccettature perché c’era la speranza. 86

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Le nuvole all’orizzonte non fanno prevedere nulla di buono. A meno che non succeda un miracolo, i giovani avranno problemi nuovi e inauditi da affrontare. Mi auguro di sbagliarmi…

Intervista a Franco Campegiani

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Quando e in che occasione Lei e Bruno Fabi vi siete conosciuti? Era, mi pare, sul finire degli anni Novanta. A quel tempo frequentavo un’affermata editrice romana di cui era direttore Aldo Onorati, ed è in quel contesto che conobbi il filosofo Bruno Fabi, che era anche un finissimo letterato e stava pubblicando romanzi nella stessa editrice. Credo che il primo incontro ravvicinato con l’autore sia stata la presentazione di Venere segreta – Racconto proibito, svoltasi con grande successo presso il liceo classico di Albano Laziale (non ricordo precisamente in quale data), con un mio intervento congiunto a quello di Onorati. Da allora entrammo in rapporti confidenziali. Che impressione si è fatto della sua personalità. Quali erano le sue caratteristiche personali più interessanti? Un’intelligenza vivacissima, uno sguardo acuto e luminoso, un eloquio fluido, lucidissimo, accattivante. Non si dava arie d’autore ed era sempre allegro, scherzoso e pieno di arguzie, a dispetto del suo pessimismo filosofico, da 87

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intendersi come disincanto e disillusione razionalistica, scetticismo radicale per ogni dichiarazione assertiva e per ogni certezza assoluta, per ogni astratta utopia, sempre e platealmente smentita dalla vita reale. Non disdegnava, l’autore, di raccontare barzellette, ma divenne cupo da anziano, molto anziano, dopo la dipartita della moglie, la signora Anna, mentre inesorabilmente peggiorava quel suo antico problema all’anca, che da giovane aveva trascurato, e che alla fine lo costrinse sulla sedia a rotelle. Ci sono degli aneddoti che Lei ricorda sul grande filosofo? Per il tramite di Onorati – che non finirò mai di ringraziare – i rapporti s’infittirono ed iniziai a frequentare la sua casa romana, unitamente a Filippo Ferrara. Si parlava di tutto e lui era un fiume in piena. Non era sentenzioso, ma sapeva di stare tra amici e si concedeva, con nostro sincero e profondo gradimento, la libertà di esternare qualche briciola del suo immenso sapere. Amava la semplicità, la vita autentica e c’era da apprendere realmente da lui, dalla sua altezza di pensiero, dalla sua straordinaria umiltà, dalla sua genialità fresca e fantasiosa. Ricordo i pranzi allestiti nel soggiorno, al tavolo rotondo, dalla signora Anna, cuoca raffinata e fine poetessa, intellettuale coltissima. La mensa era assai varia, ma tre cose, sul desco, non mancavano mai: gli asparagi al limone, i “marron glacé”, di cui Sua Eccellenza era ghiottissimo, e il Porto, vino assai pregiato, ma un po’ dolce per il mio (e nostro) ruvido palato castellano. 88

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Quali sono state le occasioni di incontro e scambio di idee con lui? Le pareti della sua casa erano tappezzate di tele da lui stesso dipinte in stile nabis, vagamente bonnardiano. Presentai una sua mostra, nella tarda primavera del 2001, presso l’antica abazia domenicana della mia città, Marino Laziale: ambientazioni intimistiche, scene di “toilette”, nudi femminili e camere matrimoniali; poi un autoritratto giovanile ed uno struggente paesaggio urbano, fino a quel caleidoscopio magico intitolato Concerto cromatico, riprodotto nella copertina di Racconto americano, un suo romanzo di successo pubblicato nel 1997. Un percorso pittorico, quello di Fabi, teso a enfatizzare le suggestioni simboliche della realtà, la cosiddetta poesia del quotidiano, dove, partendo da un’iniziale impronta impressionista, veristico – crepuscolare, prendeva campo man mano quel tripudio coloristico fortemente evocatico, di attrazione astrattista – geometrica, di cui sopra parlavo. Un’altra occasione di incontro fu la prefazione generosa che l’autore gradì apporre a La teoria autocentrica, un mio manifesto di pensiero (che mi guardo dal definire “saggio filosofico”), di cui lui colse l’intimo anelito al “trasferimento del mondo dall’esterno all’interno dell’Io, ovvero l’Io nell’Essere che diventa l’Essere nell’Io” (parole sue). Il grande filosofo colse e incoraggiò il mio suggerimento ad un’interiorizzazione profonda dell’esperienza umana, per tale via chiamata all’autorinnovamento e all’esperienza creativa.

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Come è pervenuto alla sottoscrizione del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico? Nacque tutto in modo spontaneo, frequentando l’autore e leggendo le sue opere, prima fra tutte Il Tutto e il Nulla, caposaldo del suo pensiero. Noi tre – io, Onorati e Filippo Ferrara – che certamente venivano da percorsi autonomi di vita, di studi e di pensiero – ci persuademmo man mano che la cultura contemporanea aveva urgente bisogno di un così profondo e salutare scrollone, di una così rigenerante ventata innovativa. Sentivamo nostra l’urgenza di rimuovere quello che costituisce il maggiore ostacolo al rinovamentpo del pensiero: la rigidità razionalistica, la tendenza a cristallizzare in formule astratte e schematiche la varietà sconcertante e contraddittoria della vita. L’8 giugno del 2005 fu il giorno in cui Bruno Fabi, in nostra presenza stilò di suo pugno il testo del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico. Sottoscrivemmo senza riserve, estimatori convinti del suo pensiero. Cosa pensa del capovolgimento dell’assunto hegeliano perpetrato da Fabi? Ne penso ogni bene, e penso anche che ritenere il contrario, cioè che il reale è razionale, non è altro che pura presunzione. Non riesco infatti a comprendere con quale sfacciataggine e con quale autoinganno mentale si possa giungere a 90

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credere che l’intera realtà sia forgiata a nostra immagine e somiglianza, sul modello del nostro intelletto razionale. Solo una mente vanesia e malata può giungere a tanto. Per non parlare del mostruoso tentativo di equiparare, per il tramite del concetto di “logos”, l’intelletto razionale dell’uomo con quello divino. Adamo pagò con la cacciata dall’Eden questo peccato di presunzione. Se poi per “reale” volessimo intendere, non la realtà universale, bensì la pura e semplice “realtà dell’uomo”, allora dovremmo onestamente constatare la totale irrazionalità da cui quella è dominata, a dispetto (ma sarebbe meglio dire in virtù) della tanto decantata ragione. Essendo Lei, oltre che un eccellente scrittore e poeta, anche filosofo del tempo contemporaneo, Le chiedo: quali sono i capisaldi del suo pensiero filosofico illustrato nel testo La teoria autocentrica – analisi del pensiero creativo? La ringrazio per la stima, ma forse è eccessivo considerare “filosofo” un semplice e modesto navigatore dell’anima, quale io penso di essere. Che cosa intendo per auto centrismo? Intendo una visione del mondo agli antipodi dell’antropocentrismo. Dove infatti la visione antropocentrica pone spocchiosamente l’uomo al centro dell’universo, padrone incontrastato di tutte le cose, la visione autocentrica pone l’uomo al centro di se stesso, teso alla padronanza autocritica di se stesso. Fondamentale è la facoltà di porsi continuamente in crisi di fronte a se stessi, abbassando le pretese razionalistiche per fare spazio all’essere alare che ci vive dentro, al divino 91

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di noi stessi, al nostro doppio ultrafisico che vorrebbe viaggiare con noi, ma che noi preferiamo ignorare. Sottolineo che sto parlando di autocritica e non di auto giustificazione, quell’autocritica che presuppone, in noi, una struttura duale. In pratica, si è due in uno, ed è l’armonia dei contrari. Autocentrismo, in fondo, non è altro che ricerca del proprio equilibrio, dell’equilibrio individuale, ed è quanto di cui c’è bisogno per riequilibrare le sorti di una cultura e di una società in preda a squilibri d’ogni tipo. Se riuscissimo, per pura ipotesi, a fondare tutto sull’autocritica, anziché sulla critica che ci deresponsabilizza facendoci sempre puntare l’indice all’esterno, verso altre persone o situazioni, ogni problema dell’umanità svanirebbe nell’arco di ventiquattro ore. Ci sono stati ulteriori sviluppi sulla sua teoria? Nel 2017 ho pubblicato con l’Editrice David & Matthaus un saggio dal titolo Ribaltamenti, di cui è attualmente in corso di stampa una nuova edizione affidata a W Dreamers. In questo nuovo lavoro approfondisco i temi auto centrici, creando un parallelismo tra la struttura edenica dell’animo umano ed il pensiero prelogico, tutt’altro che ingenuo, del bambino, del poeta e dello sciamano, fondati entrambi sull’armonia dei contrari. Cos’altro è il “frutto proibito”, se non la separazione dell’unità inscindibile di materia e spirito, di maschile e femminile, di bene e male, come di ogni altra coppia di opposti in armonia? Separazione operata da Satana, che è l’uomo 92

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stesso e che significa il “Separatore”? Da questo primo ribaltamento discendono a corollario, nel testo, numerosi altri ribaltamenti. Consideriamo il razionalismo della cultura greco – romana. Su di esso, ossia sulla menzogna del “principio di non contraddizione”, è fondata per intero la civiltà occidentale nata con uno strappo traumatico dalla cultura prelogica e mitico sapienziale del periodo più arcaico, dominata dal principio dell’armonia dei contrari. Un identico strappo opera il bambino in se stesso quando si adultera passando dall’“età della sapienza all’età della ragione”, mentre dovrebbe maturare senza adulterarsi, facendo crescere, e non seppellendo, il bambino che è in lui. Oggi, a mio parere, si avverte impellente il bisogno di un cambio epocale che punti al recupero della struttura duale ed armonica dell’originario pensiero. Non certo per tornare al passato, bensì per promuovere un nuovo albeggiamento della cultura umana. Come si concilia il suo pensiero filosofico con quello dell’Irrazionale di Bruno Fabi? Bruno Fabi ha scritto pagine lucidissime e memorabili sul rifiuto del “principio di non contraddizione”. Sta qui un innegabile punto di contatto, anche se non posso essere certo che l’Autore avrebbe potuto condividere fino in fondo il mio sviluppo di pensiero. Probabilmente sarebbe rimasto perplesso di fronte alla svolta extrarazionale, o sovrarazionale, del mio irrazionalismo, ma non c’è stato modo per poterlo appurare. 93

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Esistono delle convergenze tra l’Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi e la sua Teoria Autocentrica? L’Irrazionalismo Sistematico di Fabi condivide e porta a conseguenze più mature la connotazione sostanzialmente irrazionalistica dei tempi attuali. Il Nichilismo, in particolare, ha scatenato la sua guerra contro il razionalismo metafisico, rivendicando contro il dogmatismo, i sacrosanti diritti del Relativo. Purtroppo non si è reso conto, così facendo, di promuovere un nuovo tipo di assolutismo: l’assolutismo del Relativo. L’Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi radicalizza la condanna del razionalismo, bollando ogni forma dogmatica di pensiero, assolutistica o relativistica che sia, con ciò riscoprendo i sani legami dell’assoluto con il relativo. Ebbene, il mio Autocentrismo accoglie questa indicazione, interiorizzandola e portando all’interno dell’Io la dualità “assoluto-relativo”. A suo parere ci sarà un futuro per la Teoria dell’Irrazionalismo Sistematico nel mondo filosofico attuale e futuro? A mio parere, senz’altro. Nella misura in cui saremo disposti ad accettare il principio della relazionalità, ovvero del dialogo tra assoluto e relativo. Ritengo che la fisica subatomica e quantistica, fondata sul principio di interrelazione di tutto il vivente, secondo cui ogni cosa è in relazione con l’altra e nulla è isolato in se stesso, possa aiutare notevolmente a crescere in tale direzione. 94

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A dieci anni dalla scomparsa del grande filosofo Fabi e a quattordici anni dalla sottoscrizione del Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico, quali sono le conclusioni che si sente di trarre? Ho grande fiducia che questa visione non dogmatica del mondo possa attecchire, garantendo all’uomo e al suo habitat quel futuro che oggi sembra irrimediabilmente compromesso per causa di visioni distruttive ed autodistruttive che impediscono di guardare al di là di un palmo dal naso. Si tratta di riscoprire quella spiritualità che è in noi da sempre e che è la nostra vera libertà, al di fuori di ogni schema.

Intervista a Filippo Ferrara Come ha conosciuto Bruno Fabi? Me lo ha fatto conoscere Aldo Onorati che era amico di Fabi. Spesso mi parlava di lui come di un alto magistrato in pensione, filosofo, scrittore nonché poeta e pittore, una personalità di alto prestigio che viveva in disparte con la moglie in un quartiere non molto distante da S. Pietro. Onorati mi informò che come direttore di un’editrice romana si stava interessando di alcuni suoi scritti, in particolare di romanzi e racconti che l’autore teneva nel cassetto da lungo tempo non pensando mai di pubblicarli. Onorati aveva insistito molto perché li tirasse fuori per darli alla stampa. 95

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Quando feci conoscenza con questo personaggio provai una grande soddisfazione. Fummo più volte a pranzo a casa sua, soprattutto per il piacere di stare insieme. Di quegli incontri ho un bellissimo ricordo.

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Se dovesse delineare la sua personalità come lo descriverebbe? Fin dall’inizio Bruno Fabi mi colpì per la vasta cultura e la sua grande umanità, doti che unite a un’innata modestia, facevano di lui una persona straordinaria. Negli incontri che avemmo, ricordo di non aver rilevato nei suoi atteggiamenti e nelle sue parole, mai una qualche manifestazione che potesse creare distacco tra noi o marcare differenze. Egli con la sua semplicità ci metteva sempre a suo agio. Erano ben lontane da lui l’ambizione e la smania di successo. Non faceva mai riferimenti ai riconoscimenti ottenuti, né ai suoi numerosi scritti che probabilmente sarebbero rimasti nel cassetto se Aldo Onorati non avesse molto insistito perché si decidesse a pubblicarli. Durante i suoi funerali che si svolsero in un triste e piovoso pomeriggio del maggio 2010, ricordo mi venne uno strano pensiero. Poiché Fabi non parlava mai della sua brillante carriera di magistrato, né dei suoi meriti culturali, arrivai a pensare che la sua morte sarebbe passata sotto silenzio. Fui smentito di lì a poco dai giornali locali e nazionali che diedero grande risalto alla sua dipartita soffermandosi sui suoi meriti culturali. 96

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Quando è iniziato con Fabi il vostro sodalizio filosofico? Quando vennero pubblicati alcuni suoi scritti e fu ristampata dopo anni l’opera sua filosofica più importante Il tutto e il nulla, saggio sulla filosofia dell’irrazionale, che alla sua prima pubblicazione aveva ottenuto l’interessamento e la prefazione del filosofo Ugo Spirito che a quel tempo era ritenuto uno dei pensatori italiani più importanti. Questo fatto di non poco conto, contribuì sicuramente al successo del libro che nel giro di pochi anni ebbe altre pubblicazioni. Bruno Fabi così visse momenti di grande soddisfazione e popolarità. Molti studiosi e amanti della filosofia indirizzarono all’autore attestazioni di stima e simpatia. Perché ha aderito al Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico? Principalmente per ragioni di stima e affetto verso Fabi e perché ritenevo di grande interesse la sua opera filosofica che si voleva rilanciare per disvelare e affermare, come scritto nel Manifesto, in un mondo dalle infinite contraddizioni, la irrazionalità dell’essere e della vita, un assunto particolarmente interessante anche perché si oppone al pensiero del grande filosofo tedesco Hegel che non riscuote la mia simpatia. Per questo strano pensatore “Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”. Per lui lo Stato autoritario prussiano, custode della verità oggettiva e massima espressione della razionalità era 97

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tutto e per questo motivo l’individuo non contava nulla e la storia è una sorta di operazione razionale sostenuta dallo spirito assoluto e dalla Provvidenza il cui fine è la perfezione del mondo. Una visione inaccettabile, per Bruno Fabi che, al contrario, vede la realtà e la storia come manifestazione dell’irrazionale. Ho sempre avvertito nei confronti del pensiero hegeliano una grande estraneità, per non dire ostilità. Forse avrei potuto avvertire meno distacco se non avesse contribuito ad aprire la strada al nazionalismo e con esso al nazismo. Questa mia avversione al razionalismo astratto di Hegel, mi ha ben predisposto verso Bruno Fabi e il suo irrazionalismo. Il Manifesto da quale assunto parte e quale fine si propone? L’irrazionalismo sistematico, come si può capire, è il pilastro dell’opera filosofica di Fabi, con cui si capovolge il pensiero di Hegel e fa intravedere nel superamento della ragione, o meglio, nel suo ridimensionamento, la vera possibilità di cogliere la radice universale ed armonica del mondo. E come è scritto in un documento che ha accompagnato il Manifesto, “si può affermare che ci troviamo di fronte a una nuova fase dell’irrazionalismo che prende atto delle sconfitte della ragione e la invita a cogliere la ricchezza di un pensiero schematico, che si affida anche al mistero, alle segrete ed impervie leggi dell’armonia dei contrari”. 98

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Proprio in quanto armonico, l’irrazionalismo sistematico non mortifica la ragione e le riconosce un importante ruolo da svolgere, che non sia di aggredire, bensì di assecondare umilmente i progetti dell’irrazionale che rispondono a un’esigenza di massima concretezza operativa libera dalle pastoie qualunquiste ed inconcludenti di certe ideologie.

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In qualità di sociologo come interpreta la filosofia dell’Irrazionalismo Sistematico? L’irrazionalismo sistematico di Fabi sembra voglia sostituire un estremismo di idee con un altro estremismo di idee. Ma non è così come abbiamo cercato di dimostrare in qualche risposta. Anzi esso è una correzione del razionalismo assoluto di Hegel e cerca di dare valore alla ragione in una certa misura, non dimenticando l’importanza di altri fattori indispensabili per capire il significato della storia e le tante manifestazioni della vita. Come interessato al succedersi senza sosta dei fenomeni sociali con le tante variabili, non posso non dar ragione a Bruno Fabi. Hegel vede lo svolgersi incessante degli eventi in un modo lineare e diretto verso un fine unico. La ragione ne è il motore. Portando alle estreme conseguenze questo pensiero, dovremmo considerare prodotto della ragione tutta la serie drammatica degli avvenimenti e fatti del ’900, vale a dire le due guerre mondiali, l’avvento del comunismo, del fascismo e del nazismo, i campi di concentramento nazisti, 99

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l’impiego della bomba atomica ed altro e vedere, in tutto questo, l’opera incessante della ragione, mi sembra veramente paradossale. Ha ragione senza dubbio Fabi quando vede in tanti avvenimenti storici la manifestazione dell’irrazionalità: le ricorrenti catastrofi, la ferocia di guerre, rivoluzioni, genocidi, fanatismi, assassini, sono la dimostrazione, rileva Fabi, dell’irrazionalità dell’essere. Come si concilia il progresso sociale con una teoria filosofica che fa dell’irrazionale il suo caposaldo? Credo di aver risposto almeno in parte a questa domanda. Aggiungerei che il progresso è figlio di vari fattori che interagiscono tra loro: la volontà, la determinazione, la fede religiosa e negli ideali, la fantasia e la creatività degli uomini che non sono mai soddisfatti e cercano incessantemente di dare risposte ai piccoli e grandi problemi personali e sociali. L’irrazionalismo come il razionalismo, nel loro costante rapporto di contrapposizione, sono presenti sempre in quesa dinamica che non conosce soste. Che opinione ha del concetto di fede nella teoria dell’irrazionale: è coerente con l’assunto anti-hegeliano “Tutto ciò che è reale è irrazionale”? Bruno Fabi era un laico, rispettoso di tutte le confessioni religiose, di cui ne riconosceva il valore sociale oltre che umano. 100

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A volte commettiamo l’errore di pensare al laico come a colui che fa preciso riferimento a una visione della vita che contrasta la religione. Al contrario essere laici significa avere una predisposizione all’apertura e al rispetto verso il pluralismo delle idee e le diverse fedi religiose. È invece il laicismo, una filosofia decisamente avversa a ogni tipo di religione e alla sua intima essenza. Questa posizione laica di Fabi, per me che provengo dal mondo cattolico, era importante ma non mi impediva di stimare e sostenere l’amico filosofo. Fabi, come si rileva in un altro documento che accompagna il “Manifesto”, pensava all’affermazione di una filosofia genuinamente relativistica fondata sul riconoscimento della relatività della ragione umana. Un relativismo tuttavia non chiuso in se stesso e nella trappola delle nuove forme di assolutismo relativistico, ma aperto ai venti del mistero. Che opinione ha di Bruno Fabi poeta e pittore? Ricordo che in occasione della presentazione di un suo libro a Marino, fu allestita anche una mostra di alcuni suoi quadri che suscitarono molta curiosità nel numeroso pubblico presente. Ma fu l’unica volta che si parlò di Fabi pittore e poeta. Perciò ho una buona ragione di credere che il filosofo e scrittore non desse molta importanza agli altri due suoi interessi, giudicandoli minori.

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L’ultima domanda riguarda il filosofo Ugo Spirito. Sappiamo che ha scritto la prefazione al saggio di Bruno Fabi Il tutto e il nulla e che ha avuto con lui un lungo rapporto. So che Lei ha avuto la fortuna di incontrarlo. Cosa ci può dire di lui? Ho avuto infatti il piacere di ascoltarlo in due circostanze. La prima in occasione di una conferenza che egli tenne agli studenti del Magistero di Roma, che io frequentavo a quel tempo; la seconda volta a un corso di aggiornamento per insegnanti che egli tenne a Roma insieme ad altri importanti studiosi. Il suo eloquio, era chiaro, privo di qualsiasi ampollosità e di espressioni complicate. La stessa sua persona era semplice e schietta, tanto da sembrare uno sportivo più che un uomo di studi. A quale scuola filosofica apparteneva? Al neoidealismo, che fino alla metà del ’900 e oltre, mostrava ancora segni di vitalità. Egli era tra l’altro un grande estimatore della cultura italiana. Nell’avvertenza a Nuovo umanesimo, una delle sue opere più importanti, mette in grande evidenza una sua convinzione “La tradizione italiana”, scrive, “che si raccoglie tutta nella concezione dell’umanesimo e del rinascimento, continua sostanzialmente a dominare la cultura di oggi…”. E in un altro passaggio: “Una tradizione radicata e consolidata in secoli di esperienza che dall’Italia si è estesa a tutto il mondo. Basta ripercorrere le vicende della Magna 102

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Grecia, dell’impero romano, della Chiesa cattolica e poi del rinascimento per rendersi conto del carattere di centralità che la cultura dell’Italia ha avuto nella storia del mondo civile”. Sono impressionanti anche le previsioni dei grandi cambiamenti sociali e ideologici che ci sarebbero stati nel mondo e che egli ha nei suoi scritti ampiamente e genialmente anticipati.

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Considerazioni conclusive

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Patrizia Audino

La lettura dell’Irrazionalismo Sistematico di Bruno Fabi mi ha permesso di riflettere ancora una volta sul suo pensiero, alla luce delle contemporanee correnti filosofiche. Già l’idea fabiana, che la ragione fa parte di un tutto, ed è indispensabile all’agire umano, permette di dire che, rispetto al passato, la sua non è una visione dicotomica, duale, come effettivamente è accaduto nei tempi antichi e in quelli più recenti, della storia della filosofia. Infatti se andiamo ad attingere dal passato troviamo la vecchia dicotomia del pensiero platonico ed aristotelico che, con i suoi sviluppi nel pensiero medioevale, hanno portato avanti il secolare problema sulla verità dell’essere, ovvero se esso fosse deducibile dalla ragione o dall’esperienza. Questa dicotomia è proseguita nei secoli, portando sostanzialmente la corrente razionalistica e quella empiristica del pensiero filosofico, a teorie sempre più elaborate. Oggi assistiamo al sostanziale riemergere, dopo le potenti e influenti dottrine filosofiche razionalistiche del ’900, 104

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conseguenti soprattutto alla filosofia hegeliana, di concezioni filosofiche che poggiano sull’irrazionale. Ne è esempio quella succitata di Fabi che parte dall’assunto hegeliano del “tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale” per opporvisi con un altro motto “tutto ciò che è reale è irrazionale”, così superando il concetto hegeliano del “razionale” per cui il reale non può esistere senza il razionale e viceversa, come dire che se non vi è coscienza di qualcosa, la cosa non esiste affatto. La realtà, in questo modo, è giustificata e non governata. Ora lo sviluppo conseguente a questo ragionamento è forse quello di porsi umilmente dinanzi alla nostra stessa ragione. Ha senso parlare di razionale e di irrazionale, sia pur in modo diverso? Non rischiamo nuovamente una nuova dicotomia, sia pur espressa diversamente? Penso che ben vengano le nuove prospettive moderne del “pensiero negativo” a cui Cacciari, ad esempio, si riporta, o del “pensiero debole” di Vattimo: esempi di un ribaltamento dei termini dell’elaborazione filosofica della realtà. In particolare, l’idea di Vattimo per cui il sistema attuale è basato su “giochi linguistici” che non hanno nulla a che fare con i valori di riferimento, anche “magici”, del passato e che non danno, per questo motivo, alcuna rassicurazione, rappresentano, semplicemente, un nuovo modo di esistere e di porsi dinanzi al mondo, caotico e dispersivo, in una prospettiva di accettazione e non di rassegnazione. Dinanzi alla costellazione di input che dal mondo provengono, sono portata a pensare che occorre, allora, una nuova consapevolezza dell’Io, che dovrà, antropologicamente parlando, 105

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adattarsi alla molteplicità di messaggi che arrivano e si intersecano in un enorme nodo, fatto di informazioni che si tramutano in diversi significati a seconda del contesto di riferimento. E allora mi vien da pensare al buon Cartesio col suo “Cogito, ergo sum”. Di cos’altro possiamo essere consapevoli e dove possiamo spingerci con la nostra ragione? Noi possiamo, come dice Fabi, portare avanti la nostra società, renderla migliore grazie alla ragione però, al di là della ragione stessa, dobbiamo inchinarci al mistero dei grandi quesiti della filosofia; domande che corrispondono alla necessità dell’uomo di capire le sue ancestrali origini e il senso della vita. Ma se l’uomo può effettivamente porsi questi interrogativi, e lo può perché se li pone, perché non chiedersi se esistono, invece, altre dimensioni dell’Essere che noi, con il nostro intelletto, non riusciamo ad afferrare? Forse in questo risiede la speranza di comprendere ontologicamente qualcosa in più del nostro essere al mondo. E magari ciò ci permetterà di proseguire più serenamente il cammino di ricerca della filosofia che, per quanto detto, non potrà mai essere cancellata come dottrina del sapere. Però va fatta un’ulteriore riflessione: il corso della storia del mondo, fatto di eventi microscopici e macroscopici, è comunque, per usare un termine moderno, irrazionale. Gli eventi che l’uomo non decide, non seguono uno scopo ai nostri occhi ma che la fede, nella sua più ampia accezione, può permettere di accettarne le manifestazioni, restituendo agli eventi stessi uno scopo, una finalità. La critica all’irrazionalismo filosofico può fondarsi sulla scarsa distinzione tra la parte logica e quella etica: la razionalità è logica e non 106

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tocca ad essa giustificare eticamente i fatti, il cui giudizio etico spetta a quest’ultima. Assistiamo, in quest’ultimo decennio, alla rinascita e al rinnovato interesse verso la filosofia, a tutti i livelli, da quello scolastico – dalla scuola elementare all’Università – a quello della gente comune che sente sempre di più, l’urgenza di capire se stesso rispetto all’ambiente circostante; questi fenomeni hanno portato alla comparsa e alla diffusione di nuove figure professionali come i consulenti filosofici, per consigliare sui temi della vita alla luce della riflessione dei grandi filosofi. Ma il fatto più interessante è legato al fenomeno dei laboratori di filosofia che si stanno avviando un po’ dovunque e già presso le scuole elementari, dove i bambini vengono aiutati a sviluppare la capacità critica di pensiero. Sono laboratori in cui la materia filosofica non viene trattata in modo astratto e distante ma in modo semplice e vicino alle esigenze quotidiane dei ragazzi, aiutandoli a discernere, nel bombardamento di informazioni della società attuale, gli elementi immediatamente più utili e fruibili rispetto alle loro necessità ed ai loro interessi. Questi fenomeni rappresentano la vera speranza per una società composta da persone più consapevoli e responsabili verso un mondo che cambia in modo caotico e vertiginoso.

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Bibliografia

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Cicerone, De legibus, I, 10, 30. Seneca, Epistole, 66. Cartesio, Discours, I. John Locke, Saggio, IV, 17, 2. Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Dialettica trascendentale, Intr. II, a. Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, Novara, p. 226. Johann Gottlieb Fichte, Wissenschaftslehre, 1794, § 4, C; trad. ital., p. 92. Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Dialettica trascendentale, Intr. II, a. Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, Novara, p. 226. Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, System des transzendentalen Idealismus, 1800, Intr., § 1; trad. ital., p. 9. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phanomen. des Geistes, I, V, 1; trad. ital., p. 209. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Wissenschaft der Logik, Pref. alla 1° ediz.; trad. ital., p. 5. Edmund Husserl, Ideen, I, § 137. Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 52. Arthur Schopenhauer, Manoscritti 1804-1808, in “Der handschriftlicher Nachlass”, vol. I, p. 391, DTV, MunchenZurich, 1985. Paul Feyerabend, Contro il metodo. Henri Poincarè, La Science et l’hypothèse, p. 66. Henri Poincarè, La valeur de la science, p. 132. Henri Poincarè, Dernières pensèes, pp. 232-33. 109

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