Il pensiero geopolitico. Spazio, potere e imperialismo tra Ottocento e Novecento 8843073249, 9788843073245

Come è stato pensato lo spazio nella politica e nella geografia? Come riflettevano sul territorio e sulla sovranità i pr

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Il pensiero geopolitico. Spazio, potere e imperialismo tra Ottocento e Novecento
 8843073249, 9788843073245

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Patricia CKiantera-Stuttc

Il pensiero geopolitico Spazio» potere e imperialismo tra O tto e Novecento

Carocci editore

A Eric e a Sven e al mondo che verrà D evo ringraziare le persone che mi sono care: la mia fam iglia, i m ici amici. 1 miei soggiorni a C o lo n ia e a Lipsia, grazie alle borse di studio della d a a d c del Leibniz Institut für Länderkunde, sono stati indispensabili non solo per la raccolta dei materiali, ma anche per l’ im postazione del lavoro: ringrazio Jürgen Elvert. Ute Wardcnga c Sebastian Lenz per avermi indicato linee di ricerca essenziali. Tra tutti i collcghi e gli am ici, voglio ringraziare dei loro consigli preziosi C ario Galli, T ullio G regory, C a rlo Fantappté e G ianfranco Poggi.

i* edizione, settembre 1014 © copyright 1014 by Carocci editore S.p-A., Roma Finito di stampare nel settembre 1014 da G rafiche VD, C ittà di C astello (PG) ISBN 9 7 8 -8 8 -4 JO-7 )Z 4 *$

Riproduzione vietata ai sensi di leggp (art. 171 della legge 1 1 aprile 1941, n. 6))) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi m ezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione. Ordini politici c spazi geografici I.

II. i.z.

z.

1.1. 1.1. z.3. 1.4. 3.

3.1. 3.1.

Lo spazio dello Stato di potenza: geografìa e politica neirO ttocento La genesi del nostro tempo e del nostro spazio: il x i x secolo Il sapere geografico tra scienza c politica nella cultura tedesca ottocentesca Geopolitiche deirimperìalismo nel contesto tedesco e anglossasone

9

13

13 31

47

Teorìe del colonialismo nella scienza geografica tede­ sca: Friedrich Ratzel e la scuola di Lipsia , popolazione e grandi spazi in Friedrich Ratzel Il contesto anglossassone: la geopolitica dell’ impero marittimo in Alfred T. Mahan La geopolitica della difesa: Halfbrd Mackinder

63 70

La “scienza* geopolitica e la storiografia nella cultura te­ desca tra le due guerre

79

Lcbensraum

La crisi degli imperi centrali e la nascita della scienza geopolitica in Svezia e Germania Concetti e metodi geopolitici nella geopolitica e nella storiografia tedesca degli anni Trenta: territorio e po­ polazione nella

Ostforscbung 7

47 5Z

79

88

44-i. 4-1. 55. 1. 5.1. 5 ). 6.

6.i. 6.1. 6.3.

Lo spazio della guerra, la geopolitica e la rivoluzione conservatrice

101

Mappe suggestive e grandi spazi nelle riviste tedesche tra il 1914 e il 1938

101

Cari Schmitt: lo spazio del politico

**3

Spazi globali: la geopolitica americana dalla Prima alla Seconda guerra mondiale

*33

L'emisfèro occidentale fra le due guerre nella prospet­ tiva dei vincitori e dei vinti L ’ idealismo gcopolitico di Halfbrd Mackinder e Isaiah Bowman: democrazia ed economia nella geopolitica americana La geopolitica nelle relazioni internazionali: Nicholas J. Spykman e l ’accerchiamento del Nuovo M ondo La geopolitica e la storia globale dello spazio nell’età virtuale Forme e questioni della geopolitica contemporanea La geopolitica critica: il territorio, la sovranità e lo Stato la spazializzazione della storia Lo

spatial turni

*33 148

*59 7 *7* *75

* *

*87

Bibliografìa

*93 *97 1*3

Indice dei nomi

119

Conclusioni. L’agrimensore di Kafka Letture consigliate

Introduzione Ordini politici e spazi geografici

Ogni grande trasformazione storica comporta quasi sempre un mutamento deirimmaginc dello spazio. Schmitt (ìooa)

Questa constatazione di Cari Schm itt circa I*importanza cruciale delle immagini dello spazio nella politica e nella cultura sembra quasi banale. È ovvio che la nostra immagine dell’ Europa c del mondo sia diversa da quella dei nostri antenati ed è anche naturale che essa si sia formata grazie a processi culturali, mass-mediatici, storici e politici. Se, però, approfondiamo la questione del riferimento dcll’agire politico, ma anche del senso comune, a un certo ordinamento dello spazio c del tempo, perdiamo ogni senso di certezza. Q ual è lo spazio a cui veramente facciamo riferimento? Prima del x i x secolo la concezione dello spazio politico (Gal­ li, zo o i) era più semplice, meno complessa: lo spazio della politica era quello dello Stato - dinastico o territoriale che fosse. Lo spazio dell’ individuo, quello in cui si muoveva e in cui organizzava la sua esistenza, era certamente più ristretto (Braudel, 1987) così come il suo tempo, che si differenziava dai tempi delle dinastie politiche e dai tempi delle imprese produttive. O ggi, invece, gli spazi sembrano continuamente ridefìnirsi c riaggregarsi in forme fluide. La velocità dei mezzi di trasporto di persone e beni, insieme con l’ istantaneità del passaggio di informazioni rendono le nostre mappe geografiche molto più compresse rispetto a quelle di una generazione precedente. La continua dislocazione dell’individuo tra vari spazi è però trau­ matica: ingenera tensioni e conflitti. Lo spazio virtuale si scontra con lo spazio del quotidiano, il riferimento a un territorio politico di ra­ dicamento della cittadinanza contrasta con l ’ internazionalizzazione che rende impotenti governi e gruppi; la globalizzazione economica sfida costantemente la ricerca di spazi certi e gestiti dagli individui o dalle famiglie. Quale spazio è, allora, quello in cui viviamo e in cui vive il nostro mondo - economico e politico? Qual è la relazione tra

9

IL PENSIERO GEOPOLITICO lo spazio delle nostre azioni quotidiane e gli spazi virtuali delle co* municazioni? Sono spazi diversi, destinati a restare paralleli? Siamo in grado di “riprenderci gli spazi” - come proclama il movimento antiglobalista ? Il libro non risponde a - e non tenta nemmeno di porre - queste domande. Esso cerca, tuttavia, di analizzare criticamente alcuni spazi immaginari, visioni e progetti politici e geopolitici, usando non una prospettiva geografica, che esula dalle competenze deH’autrice, ma un approccio di storia del pensiero politico. Il suo approccio presuppone che la definizione dello spazio - o meglio degli spazi - non sia solo un problema del x x i secolo, ma piuttosto una costante nella storia moderna. Pertanto esso tenta di individuare dei nodi, dei problemi che la riflessione sullo spazio pone nell’ambito politico e geopolitico da metà O ttocento (ino al 194$. La domanda da cui par* te questa riflessione è: come veniva pensato lo spazio nella politica e nella geografia? E cioè: come riflettevano non solo i protagonisti della politica, ma gli uomini di cultura, sullo spazio? E ancora: quale spazio hanno osservato e quale spazio hanno costruito? Lo spazio è sempre, infatti, costruito c. insieme, parte del mondo fenomenico che sta intorno a noi. Tuttavia, come vede bene John A gnew (ìo o ia ), affermare che lo spazio esiste fuori da noi non signi* fica dire che possiamo conoscerlo oggettivamente senza usare le no* stre categorie di interpretazione. Lo spazio immaginato dalla storio* grafìa, dal sapere politico, geografico e dalla cartografìa, condiziona fortemente la nostra concezione e, insieme, fornisce quei presupposti fondamentali per confrontarci sulle diverse interpretazioni dcU’agire politico. E tali presupposti, anche quelli riguardanti lo spazio, sono a loro volta radicati nella storia e nella cultura dei popoli.

RecLttm thè Street

Il pensiero politico e la geografia La geografìa, intesa come scienza geografica, non detiene il monopo* lio sulla definizione degli spazi. I presupposti su cui molti geografi e geopolitici fondano la loro concezione di spazio, le loro “mappe mentali”1 sono (ormati nell’ambito di una disciplina - la geografìa -

1. Per m attai maps si intendono "quadri cognitivi" sulla base dei quali storici.

IO

INTRODUZIONE che intrattiene dei rapporti specifici col potere politico. A sua volta, la geografia, come qualsiasi disciplina, è, come, afferma M ichel Fou­ cault (1967), un potere-sapere: un ambito discorsivo che si forma in riferimento al modo in cui la società è ordinata e alle modalità in cui ogni organizzazione politica si autodetermina, controllando le spinte centrifughe entropiche che potrebbero metterla in crisi. Insomma, la geografia, come tutte le discipline accademiche, non illumina la realtà oggettiva c fenomenica, svelando le caratteristiche proprie della natura o del l’uomo, indipendentemente da categorie culturali e processi co­ gnitivi condizionati. Essa opera all’interno di categorìe preesistenti e di rapporti di potere che le conferiscono dei limiti e un’ identità. La geografia è, rispetto ad altri saperi, ancor più "complice” della politica: il suo rapporto stretto con l ’esercizio del governo politico però è inscritto nella sua genesi, e cioè nella statuizione, da parte di Humboldt c Ritter, della sua autonomia dall’antica scienza statistica. La sua autonomia dalla cartografia e dalla sua opera di "servizio” ai monarchi, e cioè la definizione di un campo disciplinare che studi in modo "oggettivo” la natura umana c geografica, svela in controluce la sua forte relazione con la nuova idea borghese di scienza e di società e l’abbandono dei modi tradizionali di esercizio del potere (cfr. Farinel­ li, zooo). Questo non significa che la geografia sia tutta politicizzata, o che non sia possibile nessuna forma d ’autonomia di pensiero e di valutazione nella disciplina geografica, ma piuttosto che ogni autore fa riferimento al modello di scienza geografica corrente che, a sua vol­ ta, è posto in una relazione stretta e specifica con il potere politico e con una concezione di potere. È vero che la geografia tratta scientifi­ camente alcuni temi che sono al cuore del discorso politico - la terri­ torialità, i confini, la popolazione, la guerra - è anche indubbio che questi temi sono di per sé poste in gioco importanti nella continua »definizione dei discorsi geografici e, insieme, politici. Tuttavia, la ca­ pacità di riflettere criticamente su di essi, e cioè di immaginare altri spazi e altre forme di potere, rende il discorso geopolitico differente da una mera propaganda politica. Infatti, sia Timpcrialista Mackinder sia l’anarchico Eliscc Reclus parlano e scrivono all’ interno di una tradi-

geografi o in genere gii individui si orientano nel mondo (Henrilcson, 1004, p. 177) Essi non non sempre Traducibili in mappe cartografiche, sono «sistemi cognitivi di­ namici che. come i programmi software, possono generare immagini mentali, cosi come su un monitor» (ivi, p. 181).

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IL PENSIERO GEOPOLITICO zionc geografìco-politica, che è posta in un ambito disciplinare poroso alle discussioni e ai progetti politici. I loro discorsi tuttavia divergono profondamente rispetto alla legittimazione di uno specifico modello politico imperialista diffuso tra l ’O tto c il Novecento: Maclcinder pro­ muove l’imperialismo, Reclus rifiuta di legittimare il potere politico. Sono la riflessività, la capacità di tematizzare coscientemente questo rapporto c di realizzare degli ambiti di autonomia intellettuale che rendono le opere di alcuni geografi straordinarie e illuminanti per lo studio storiografico e politologico. N on solo la geografia c “porosa" rispetto alla pratica politica e alle teorie politiche, ma, inversamente, alcune dottrine e idee politiche sono fortemente influenzate dai metodi c dagli schemi elaborati in ambito geografico. Basti pensare alle opere di Cari Schmitt, ma an­ che ad autori, come A d o lf Grabowski o lo stesso R u dolf Kjellcn, che per comodità sono stati definiti geografi. Grabowski c Kjellcn, ma anche Spykman, sono politologi: insegnano teoria politica c scrivono opere di politica. La loro peculiare classificazione accademica non è frutto di una negligente c pedissequa mania di definire e applicare steccati disciplinari, anche laddove non ci sono: essa è il prodotto di una rimozione “politica", e cioè della censura che ha investito la geopolitica tedesca dalla fine della guerra. Confinare Kjellcn a ll’ambiro della geopolitica, dimenticando la sua ben più ampia trattazione della politica statale e imperiale, significa condannarlo, insieme con tutti i geopolitica al giudizio negativo che pesa sulla scienza nazista. A l contempo, tale rimozione permette di salvare la scienza politica in quanto “pura", perchè non coinvolta nel nazismo. Lo stesso si può affermare della schizofrenica ricezione del lavoro del marxista A d o lf Grabowski (cfr. Klein, zo o o ), che venne rivalutato come uno dei p o­ chi gcopolitici in grado di produrre opere scientifiche, perché distan­ te dal nazismo. Lo strabismo della ricezione storiografica della geo­ politica è evidente, poi, nell’assoluzione della geopolitica americana da ogni colpa ideologica dell’ imperialismo. I geopolitici Mackinder, Bowman e Spykman venivano rappresentati come scienziati dediti alla causa della verità, fino all’attuale decostruzione critica dovuta al dibattito inaugurato dalla geopolitica negli anni Novanta. Q uesti esempi sono solo marginali, ma segnalano delle fratture, delle con­ traddizioni nella ricezione e considerazione del sapere geopolitico, che, a loro volta, mostrano degli squarci sul fondamentale rapporto del sapere geografico col potere politico.

iz

INTRODUZIONE L ’uomo politico c il geografo, ovvero: «Isaiah, così si fa la storia!» «Isaiah, così si fa la storia!», commentò Roosevelt quando il geografo Bowman spostò sulla cartina geografica i confini dell emisfero occi­ dentale permettendo così agli Stati Uniti di intervenire nella Secon­ da guerra mondiale. La geografia politica è particolarmente ’ esposta” all’ influenza della politica: essa accompagna le conquiste coloniali, mi­ surando e permettendo il controllo dei territori d oltremare: essa legit­ tima la definizione dei confini interni ai continenti, in caso di guerre e di nuovi accordi politici: essa sostiene i progetti imperialisti e definisce le zone di influenza, permettendo alle grandi potenze di penetrare e di controllare altri Stati - come nel caso della dottrina Monroe. La geopolitica non è solo una scienza geografica, ma anche l ’ar­ te del potere geografico: geopolitici come Mackinder, Haushofer e Bowman furono al contempo geografi e consiglieri politici. La loro attività politica non era indipendente dalla loro funzione scientifica, anzi, essi usarono coscientemente nel campo politico queirautorità che proveniva dalla loro conoscenza scientifica - come per il mo­ dello di intellettuale descritto dal sociologo Pierre Bourdieu (1981). Tuttavia, la loro posizione era più o meno intrecciata e dipendente dalla politica a loro contemporanea: essi non erano meri uomini po­ litici, coinvolti nelle faccende politiche. Essi erano scienziati, anzi il loro ruolo di consiglieri - o d i critici del potere - dipendeva dalla loro condivisione con la comunità accademica di una gamma di metodi di ricerca scientifici e di una prospettiva oggettiva e neutrale. C om e già affermava Friedrich Ratzel all’ inizio del Novecento, le regole scoperte dalla geografia politica non si intrecciavano alla politica contingente, ma alle manifestazioni politiche durature c preparate nei tempi lunghi (Ratzel, 1890-94). La forza c la posizione che la geografia rivendicava rispetto alla politica originava, in sintesi, proprio dalla sua posizione ’ supcriore” c dalla sua prospettiva a lungo raggio, che le permetteva di astrarre dalle circostanze politiche del tempo e di guardare lontano, ai grandi processi storici e culturali. Anche in questo caso, però, le posizioni individuali dei geopoli­ tici cambiavano ed erano connesse con il relativo contesto culturale. Ratzel, un geografo conservatore della Germania gugliclmina, poteva ancora aderire a un modello liberale di scienza, separata dalla polirì-

è

1*

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO ca, pur coltivando una scria passione per l’imperialismo. La politica lasciava una certa libertà all’accademia e alla scienza - si configura' va, in tal caso, una situazione che il sociologo Bourdieu chiamereb' be di «autonom ia» tra il campo politico e quello intellettuale. Karl Haushofer, invece, doveva far fronte alla politicizzazione delle scienze durante il nazismo ( ): traduceva direttamente il suo imperialismo e il suo antisemitismo “strabico* (poiché sua moglie era ebrea) in un attivismo politico - moderato - a favore di Hitler. La sua scienza si “omologava* alla situazione di delle scienze nel nazismo: si orientava al totalitarismo e s’ identificava nel suo ruolo funzionale al potere politico. La situazione del campo intellettuale era chiaramente di «eteronomia » rispetto al potere politico. Che dire, allora, della geopolitica statunitense dopo il 1945? Alcuni geografi della (Smith, 1005; Kearns, 1009) hanno mostrato gli intrecci fra la geografia e la politica egemonica nelle de­ mocrazie occidentali dopo la Seconda guerra mondiale. La geografia funziona, da allora, come scienza posta al servizio della globalizzazio­ ne economica c deH’egcmonia statunitense (Agnew, 1005b). A ll’inter­ no dei maggiori americani, i geografi svolgono la funzione di “consiglieri del re*. A loro volta i geografi critici della corrente della rivendicano, in un gioco che secondo Bourdieu non può mai cessare, l’autonomia del loro discorso, separato dalla legitti­ mazione politica, benché essi constatino che nell’epoca postmoderna tutte le verità si dimostrano fallaci e tutti i discorsi imbrigliati in gerar­ chie di potere.

Gleichschaltung

Gleichschaltung

criticaigeopolitics

think tanks

criticaigcopolitics

L'espansione dell'orizzonte politico V i è ancora un’altra evidenza fondamentale dell’ intreccio fra la geo­ politica e la politica, intesa in questo caso come teoria. La geopoli­ tica e la geografia politica, precedente ad essa, non sono “discipline scientifiche*1 i cui metodi e le cui argomentazioni rimangono confína­ te all’ interno degli ambiti accademici. A l contrario, gli schemi e i con-i.

i. M eno le parole fra virgolette perché per alcuni (ad esempio Spykman e Bowman: cfr. infra. CAP. )) la geopolitica non è una disciplina, ma un'ideologia fu­ mosa e criminale.

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INTRODUZIONE

criticaigeopoliticsy

cccti della geopolitica, come ha dimostrato la recente permeano e penetrano nel senso comune, nell opinione pubblica, nella politica e in altre discipline accademiche1. L ’ultimo ambito è uno degli spunti della seguente riflessione: il rapporto della geografìa politica e della geopolitica con le teorie politiche. Tale relazione deve essere intesa in due sensi: sia da un punto di vista teorico-concettuale, sia da un punto di vista ideologico e proprio delle dottrine. Nel primo caso, in queste pagine si dimostra che i ge­ ografi politici hanno sempre un’ idea politica ben precisa dell’ordine politico: i loro modelli di entità territoriale, di confini poggiano sul­ le teorie politiche a loro contemporanee. Humboldt, Ritter e Ratzel definiscono gli Stati e i territori a partire dalla concezione hcrderiana di e Ernst Kapp elabora una teoria fìlosofìco-geografìca della storia a partire da Hegel. Haushofcr avrà come punto di riferi­ mento Kjellen c Ranke. Mentre la tradizione angloamericana soster­ rà e giustificherà le idee di democrazia e di liberalismo di W òodrow W ilson, pur conservando un costante riferimento al darwinismo c alla concezione spcnceriana di società. Viceversa, alcune teorie poli­ tiche c teorie storiografiche vengono costruite sulla base delle coeve elaborazioni teoriche della geopolitica: il di Cari Schmitt e l’approccio storiografico di Werner C on zc c Hermann Aubin sono esempi chiari a tal proposito. La teoria del schmittiana è coscientemente fondata su “dimostrazioni" geopolitiche date per scontate, e cioè su “fatti” tratti dalla scienza biologica e dalla geopo­ litica. Le argomentazioni di Conze sulla storia dell’ Europa orientale sono fondate sul e sulla teoria del paesaggio culturale, e cioè su concetti geopolitici. A livello ideologico e nell’ambito delle dottrine, le teorie geogra­ fiche sottintendono, giustificano o criticano i concetti propri della teoria politica: i temi discussi nella geopolitica sono gli stessi che for­ mano l ’ossatura della trattazione politologica. Stato, territorio, popo­ lo, popolazione, spazi, grandi spazi, sfere di influenza, razze, impero: questi sono gli argomenti di entrambe. Questi sono anche i maggiori temi che vengono trattati dalla letteratura politica meno specializzata3

Volk Nation.

Grojlraum

Grofiraum

Lcbcnsraum

3. In particolare Aalto (aooi) e OTuachail (1999) definiscono diversi ambiti di studio della geopolitica. Le loro tipologie sono lievemente differenti, tuttavia en­ trambi distinguono una geopolitica formale (accademica e della cultura alta) dalla geopolitica popolare (dei mass-media) c da quella strategica (dei governi politici).

IL PENSIERO GEOPOLITICO e più giornalistica in Europa a partire da fine Ottocento. Le riviste del­ la Repubblica di Weimar, che verranno prese in considerazione, for­ niscono un esempio straordinario della compenetrazione del discorso gcopoiitico e di quello politologico e di teoria politica in un genere letterario che trova una grande diffusione presso l’ampio pubblico. In queste riviste la geopolitica si trasforma in teoria politica, e teorici p o­ litici centrali nella rivoluzione conservatrice, come Giselher W irsinge Hans Zchrcr per esempio, adoperano schemi, modelli c perfino carte geopolitiche non solo per corroborare le loro tesi, ma per formulare nuove visioni della politica. In tal modo, la pubblicistica specializzata, la storiografìa c gli studi giuridici propagano le teorie geopolitiche sia nella sfera pubblica, sia presso il pubblico accademico. Tramite questo processo di diffusione, la geopolitica diventa “immaginazione geopolitica”, e cioè inizia a contribuire a formare delle “mappe men­ tali”, fornendo ai lettori dei “punti di riferimento* su cui orientare le proprie immagini del mondo. Insomma, la trasformazione della di­ sciplina geopolitica in “immagini* geopolitiche - o anche in mappe mentali - avviene grazie alla sua propagazione in ambito accademico e giornalistico: Schmitt, la i C onze e Aubin e le riviste sono cruciali in questo passaggio. Studiare la geopolitica nel suo rapporto con la politica e con la teo­ ria politica permette allora di illuminare in piccola parte quel processo attraverso cui vengono costruite le “immaginazioni geopolitiche* - o immaginari geopolitici - intese come «un insieme di presupposizioni geografiche, di designazioni c interpretazioni che fanno parte della formazione della politica mondiale» (Agncw, 1998, p. 1). In questa prospettiva, l ’ introduzione di concetti e metodi geopolitici all’inter­ no del pensiero politico promuove l ’ imperialismo, e cioè una sorta di “espansione* dell'orizzonte politico, perché fornisce strumenti utili per considerare e legittimare alcuni scenari futuri mondiali. In tale prospettiva alcuni teorici politici, come Kjcllen e Schmitt, integrano le categorie e i modelli geopolitici nelle loro strutture discorsive per acquisire un metodo diverso con cui osservare i processi storici e con cui innovare la propria disciplina - la scienza politologica per Kjellen e il diritto internazionale per Schmitt. Lo studio della relazione fra la politica e la geopolitica ci permette, allora, di guardare alla costruzione dell’immaginazione geopolitica da uno scorcio particolare: dal punto in cui un sapere accademico - la te­ oria politica - si incrocia e con una disciplina quasi accademica al scr-

Ostforschungò

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INTRODUZIONE vizio della politica - la geopolitica - , e con l’ambito di discorso pub' blicistico. Insomma, le riviste che verranno considerate sono centrali tanto nel processo di creazione di alcuni "immaginari geopolitici”4, e cioè di quell’ insieme di rappresentazioni dello spazio che vengono poi impiegate nella sfera pubblica, quanto nella diffusione di specifiche concezioni politiche, che vengono supportate da schemi e strumenti della geopolitica. Una rivista come “Die Tat" rivestiva, ad esempio, una grande importanza nella cultura tedesca fra le due guerre, sia perché diffondeva l’ idea di espansione ad Est e di imperialismo tedesco, sup­ portandolo con cartine e argomentazioni geopolitiche, sia perché con­ tribuiva alla costruzione di modelli, schemi geopolitici nell’opinione pubblica, udii a ordinare e “collocare” la Germania rispetto all’ Europa e all’America. Naturalmente, la “collocazione” di uno Stato non era meramente gcografico-fìsica, ma idcologico-politica: per esempio la Germania veniva percepita nella letteratura degli anni Venti e Trenta e nella sfera pubblica - come accerchiata, minacciata, schiacciata dalle grandi potenze. Durante la Seconda guerra mondiale, anche gli Stati Unid verranno collocati al centro della terra, in una diffìcile posizione a rischio di accerchiamento (Spykman, 1944). L’accerchiamento non era, tuttavia, un mero dato geografico: esso era reversibile, poiché se l’ Eurasia poteva minacciare l ’America, anche il Nuovo M ondo poteva accerchiare l’Europa. gioco dell’accerchiamento non era determinato da costanti geografiche, ma dalla potenza e dalla capacità militare ed economica dei condnend.

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Le costruzioni dello spazio nei contesti politico-culturali Il libro individua le concezioni politiche che sono alla base dei suc­ cessivi discorsi geografici e, d ’altro canto, analizza le argomentazioni geopolitiche presenti nel pensiero politico. Alcuni temi principali costituiscono gli assi su cui il volume si costruisce. N ell’ambito della geopolitica viene esplorata la relazione della geopolitica con i progetti e le ideologie politiche coeve, come il nazionalismo, l’imperialismo,

4. Per "immaginario” Gregory (199)) ¡mende non solo concrete immaginazioni compiute debordine spaziale, ma anche una serie di disposizioni conscie c inconscie, predone a livello individuale e collettivo, che favoriscono alcuni tipi di spazializzarioni e di idee di ordine spaziale.

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IL PENSIERO CEOPOLITICO il globalismo, la democrazia; con le unirà geografìco-policiche prin­ cipali presenti nel pensiero geografico (nazione, popolo, impero, eco­ nomia globale); con la considerazione della propria funzione nelTambiro del processo educativo c della formazione del senso nazionale o civico. Neirambico del pensiero politico vengono considerati: l’uso di concetti della geopolitica (come potenze marittime c terrestri, grandi , continenti), il ricorso a immagini proprie della ge­ spazi, opolitica per definire i classici luoghi del lessico politico (Stato, confi­ ne, impero) e la rilevanza delle idee e dei metodi della geopolitica per fondare o giustificare una "nuova” concezione della politica e delle re­ lazioni internazionali. Alcuni nodi concettuali ricorrono molto spesso nella letteratura: essi rappresentano delle questioni fondamentali, che vengono continuamente rielaboratc dagli autori. Questi sono: il tema del determinismo della natura, e cioè il peso delle condizioni natura­ li nella determinazione dell’agirc politico; l’opposizione, correlata ad esso, fra la natura e la cultura; l’oscillazione fra la limitazione territo­ riale - espressa nella delimitazione dei confini statali o imperiali - e l’espansione delle nazioni e dei popoli, intesi come organismi viventi o come soggetti della globalizzazione; la tensione tra la funzione politica della scienza geografica e la sua considerazione come discorso filoso­ fico e storico, non direttamente utile al potere politico; la vocazione umanistica o naturalistica della scienza geografica. 11 libro non tratta esaustivamente di tutte le teorie geografiche e geopolitiche c nemmeno di tutte le teorie politiche che sono state in­ fluenzate da idee e paradigmi geopolitica Esso considera alcune figure esemplari, particolarmente incidenti nella cultura politica e famose nel dibattito attuale. Inoltre, la trattazione ha due grandi limiti. La prima limitazione è tematica: manca tutta la geografia politica francese. La seconda è temporale: arriva fino alla fine della Seconda guerra mon­ diale, dando solo alcuni cenni agli sviluppi successivi. La limitazione temporale è dovuta alla pervasività che assume la geopolitica dopo il 1945: al fatto che essa si frantuma in tanti rivoli, discipline e che pe­ netra nei mass-media, nelle pubblicità. La trattazione della geopoli­ tica dopo il 1945 è un'impresa ciclopica a cui il libro non è dedicato. La prima limitazione riguarda invece l’ impostazione della ricerca: si affronta uno specifico filone di ricerca della geografìa che è stato par­ ticolarmente intrecciato al potere politico e che ha promosso progetti e visioni politiche. La geografia politica francese rappresenta una cor­ rente molto diversa, che ha una relazione a sé con la politica, distinta

Lebensraum

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INTRODUZIONE da quella elaborata dalla scuola tedesca e angloamericana. L ’approccio francese è più articolato e pone questioni metodologiche differenti, poiché la sua relazione con la politica e colla teoria politica è più me­ diata, meno diretta e subordinata (cfr. Parker, zooo). Il libro segue i mutamenti di paradigma della geografìa politica e della politica sulla base di alcune cesure storiche, che vengono ricostruite c analizzate. La struttura segue pertanto una linea temporale di ricostruzione, insieme a una geografìco-comparativa. In altre parole, vengono messi a confronto gli sviluppi della geopolitica tedesca e di quella anglosassone da metà O ttocento - quando la scienza corolo­ gica acquista uno status scientifico - fino al secondo dopoguerra. Nel delincare il percorso intrecciato della geografìa con la geopolitica e la politica emergono alcuni punti fermi, e cioè il riferimento a modelli organizzativi territoriali dati per scontati o, al contrario, rimossi. I pas­ saggi principali si snodano incorno a quattro grandi progetti politico­ spaziali: lo Stato, declinato dai primi geografi e dalla filosofìa herderiana come spazio per la nazione o per il popolo; l’ impero coloniale, elaborato all’interno delle teorie successive di Ratzel e di Mackindcr al volgere del x i x secolo; le teorìe dei grandi spazi, e cioè il superamento dello Stato nazionale, propugnato sia nella Germania weimariana c poi nazista per promuovere la costruzione di grandi sfere imperiali, sia ne­ gli Stati Uniti, per dar vita all'universalismo giuridico c alla globalizza­ zione economica - con W ilson e con il suo geografo Isaiah Bowman - ; e, infine, lo spazio postmoderno, e cioè la disgregazione di ogni forma di ordine territoriale in una costellazione di flussi di comunicazione e di prodotti di consumo, delineata nelle teorie della proprie della nostra epoca. Il c a p . i descrìve la genesi della geografìa che corrisponde alla sua fondazione da parte di Humboldt e Rictcr, sulla base dell’ interpreta­ zione herderiana di popolo e nazione. Nel c a p . z si espone il paradig­ ma imperialista della geografìa politica elaborato da Ratzel in Germa­ nia e da Mackinder in Inghilterra. Nel c a p . 3 viene messa a fuoco la geopolitica tedesca imperialista e finalizzata alla guerra con le potenze marittime: in esso viene studiato il modello gcopolitico aggressivo ed espansionista elaborato da Kjellen e Haushofcr. Nel c a p . 4 si ricostrui­ scono la letteratura politica ncoconservatrice e la teoria dei grandi spa­ zi di Cari Schmitt, specificando il loro rapporto con la geopolitica. Nel CAP. 5 viene trattata la prospettiva geopolitica angloamericana degli stessi anni: in particolare viene ricostruito il passaggio da un modello

criticaigeopolitics

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IL PENSIERO CEOPOLITICO imperialista a uno globalista, insieme con la trasformazione dell'approccio gcopolitico. Il nuovo paradigma gcopolitico, in autori come Maclcindcr e Bowman, è caratterizzato dalla spiegazione della politi­ ca non più alla luce dei rapporti di potenza e della geografìa, ma in chiave economica. L'analisi della detcrritorializzazionc del paradigma geopolitico, tipica di quest'ultima posizione metodologica, viene ri­ presa nel c a p . 6. che esamina due forme contemporanee di approccio e la storia globale. La geopolitico: la porta alle estreme conseguenze la deterritorializzazione del paradigma geopolitico, inaugurata negli studi di Mackinder c Bowman, pur decostruendo criticamente la loro ideologia imperialista e razzista. L'ap­ proccio della storia globale riporta, al contempo, al centro del lavoro storiografico la considerazione degli spazi e recupera la prospettiva ge­ opolitica, “spazializzando” il discorso storiografico. Il libro individua, allora, tre punti di snodo del paradigma geopolitico - nazionale, imperialista, globalista - che sono in relazione con le forme ideologiche di potere c di egemonia politica mondiale - na­ zionalismo, imperialismo c globalizzazione. Tuttavia, la lettura svolta della relazione fra scienza e politica non è determinista né diretta. Ven­ gono considerati una serie di “luoghi" in cui la geopolitica riflette su di sé, distanziandosi dal paradigma ideologico e politico dominante e affermando la propria autonomia culturale rispetto alla politica. Com e si è detto, se una più libera articolazione del pensiero geografico politi­ co sembra più probabile per autori che vivono in un regime caratteriz­ zato da una certa autonomia della sfera intellettuale, per i geopolitici nazionalsocialisti, invece, la geopolitica tende all'omologazione tipica delle scienze sottoposte al totalitarismo. In particolare la geografìa politica e la geopolitica non riflettono so­ lamente i discorsi politici dominanti, né sono mere casse di risonanza della propaganda politica. Al contrario, la riflessione sull’adeguatezza della forma della sovranità territoriale a contenere le spinte vitali della popolazione e delle potenze politiche, nel caso della geopolitica clas­ sica, e poi a controllare i flussi di popolazione, di denaro e di informa­ zioni, nella geopolitica contemporanea, pone alla geografìa politica c alla politica delle sfide complesse, che vengono ogni volta risolte diver­ samente. La geopolitica c il pensiero politico, che tematizzano coscien­ temente lo spazio, devono far fronte da sempre alla richiesta, insita nel loro statuto metodologico, di elaborare nuovi ordini cognitivi che

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INTRODUZIONE possano spiegare le diverse e mutcvoli dinamiche politiche ed econo­ miche, superando una concezione statica della politica territoriale. La questione principale, posta da Rittcr e Humboldt e formulata per la prima volta espressamente da Ratzei a cavallo tra O tto e Nove­ cento, è quella di spiegare la dinamica dei movimenti delle popolazioni e degli Stati, che non rispettano i confini e perfino gli accordi interna­ zionali. La dinamica storica e politica dunque la cifra con cui leggere non solo la geografia politica, fin dalle sue origini ratzeliane, ma anche tutta quella riflessione politica che si confronta con gli spazi e con l ’e­ spansione delle potenze. Paradossalmente lo spazio è tanto più rile­ vante quanto più esprime una forza dinamica, che avanza, sovrasta e conquista. Il fascino dell’ inesorabile legge degli spazi che si espandono - il (da Ratzei a Haushofer) - o il pani­ co dell’accerchiamento dell’ isola mondiale (in Mackindcr c Spykman) sono alcune delle sorgenti più profonde della letteratura politica e geo­ politica c ancora oggi esercitano una forte attrazione sui lettori.

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Gesctz der wachsenden Ràume

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Lo spazio dello Stato di potenza: geografìa e politica nell’Ottocento Lo sviluppo del traffico mondiale, delleconomia mondiale, della cultura mondiale c della politica mon* diale nell’epoca delle macchine a vapore, a cui si col* legala scoperù del continente africano, dell'Asia cen­ trale c dei Poli, sono le tappe fondamentali della storia mondiale c, insieme, dd progresso della geografìa. Hcttncr (19x7 )

I.I

La genesi del nostro tempo e del nostro spazio: il x i x secolo Secondo il geografo britannico John Agnew il passaggio dalla geopoli­ tica «civilizzatrice», caratterizzata dalle scoperte e dalla conquista dei «nuovi continenti», alla geopolitica naturalizzata, e cioè alla conce­ zione dell’universo chiuso, ormai noto c sfruttato fino ai suoi confini, è un’esperienza fondamentale a partire dalla metà dell’Ottocento. Il mondo e i rapporti politici vengono «naturalizzati»: i popoli sono divisi fra imperialisti e colonizzati; gli Stati sono definiti attraverso i loro bisogni naturali, biologici, di territori e risorse; il gioco del potere nel mondo diventa a somma zero, c cioè laddove una nazione vince l’altra perde (Agnew, 1998, pp. 96 ss.). Questa trasformazione è segna­ ta dall’ inserimento nella scienza geografica europea di una nuova pro­ spettiva c di nuovi metodi di ricerca, quelli della geografìa politica, e, successivamente della geopolitica, adottati in Inghilterra da Halford Mackinder, in Francia da Paul Vidal de la Biache e in Germania da Friedrich Ratzcl e poi in Svezia da R udolf Kjcllen. La nuova disciplina geopolitica traduce le ansie c la presa di coscienza di una nuova realtà politica c sociale tra la fine dell’O ttocento c l’inizio del Novecento: la percezione di un mondo globalizzato, sempre più interdipendente grazie alle invenzioni tecnologiche e allo sviluppo del capitalismo e della finanza intemazionale, in cui «qualsiasi esplosione di forze so­ ciali, invece di disperdersi nello spazio dei territori circostanti, ancora

IL PENSIERO GEOPOLITICO sconosciuti e dominaci dal caos barbarico, riecheggerà intensamente dall’altra parte del globo» (Mackinder, 1997« p. 74)- U mondo che raf­ figurano i due geografi Mackinder e Ratzcl, un mondo chiuso, cono­ sciuto c, però, estremamente complesso, solcato da conflitti non nazio­ nali ma globali. Alla scienza spetta il compito di ordinare e classificare questo universo caotico poiché «ci troviamo - spiega Mackinder - per la prima volta, nella condizione di poter tracciare, con un certo gra­ do di completezza, una correlazione tra le più grandi generalizzazioni geografiche c storiche», in modo da scoprire le leggi della «causalità geografica nella storia universale» In Germania Friedrich Ratzel (1844-1904) elabora un nuovo modo di impostare lo studio della geografìa, modellato fino ad allora sull’a­ nalisi delle regioni limitato a una rilevazione positivi­ stica di dati territoriali, c affidato ancora dopo la metà dell’Ottocento a studiosi di altre materie (Farinelli, 1009, pp. 3 ss.; Id., zooo). Ratzel avvia una vera e propria rivoluzione metodologica, che avrà una porta­ ta europea, quando indica che il compito del è ri­ levare « il rapporto della superficie della terra con la natura c la storia » . In questa prospettiva globalizzante delle relazioni naturali e umane, in cui è chiara l’ influenza delle teorie dello panpsichismo di Theodor Gustav Fechner, «la terra è oggetto della ricerca scientifica geografica in quanto le sue manifestazioni spaziali mostrano di orientarsi a leggi precise, poiché la terra rappresenta la base e il fondamento di tutta la vitac, in particolare, della vita della specie umana» (Ratzel, 1881, p. 7). La nuova attenzione alla centralità del territorio e della cultura nel­ le discipline storiche, geografiche e politiche deve essere inquadrata nel contesto della nascente globalizzazione, che si realizza con l’ intercon­ nessione fra le culture, le politiche degli Stati e dei continenti. «Il x ix secolo - afferma lo storico contemporanco Jürgen Osterhammel (1010, p. 14) - fa della sua stessa trasformazione in un secolo globale l’oggetto della sua riflessione». Vengono adottati «orizzonti più ampi del pensie­ ro e dell’agire». Scrive Osterhammel riferendosi all’Ottocento:

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(ibid.)

{Länderkunde).,

XAnthropogeographic

molti milioni di uomini non si astennero dal compiere viaggi in paesi sco­ nosciuti. Uomini politici c militari impararono a pensare con categorie della politica mondiale. Ebbe origine, allora, il primo impero mondiale della sto­ ria, che comprende la Nuova Zelanda c l’Australia: l’impero britannico [...). U commercio c le finanze s’infittirono ulteriormente rispetto al secolo della prima modernità, fino a formare un sistema mondiale. Nel 1910 circa i muta­

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I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA menci economici registrali a Johannesburg, Buenos Aires o Tokio venivano immediatamente registrati ad Amburgo, New York o Londra. Gli scienziati raccoglievano informazioni e oggetti in tutto il mondo: studiarono le lingue, le culture c le religioni dei popoli più distanti. I critici dell’ordine mondiale dominante iniziarono allo stesso modo a organizzarsi a livello internazionale - spesso ben oltre l’Europa: lavoratori, donne, attivisti per la pace, antirazzisti c attivisti contro il colonialismo (ivi, pp. 15-4). Un profondo mutamento dell’ idea di spazio e di tempo attraversa il X IX secolo: una vera e propria accelerazione del tempo e un restringi'

mento dello spazio (la compressione spazio*tempo descritta da Harvey per il postmoderno, 1991) dovuti anche al progresso tecnologico e scientifico. A partire da allora c fino ad oggi, le informazioni, la cultura c i flussi di beni e persone si spostano velocemente, in modo da realizzane una profonda interdipendenza fra i vari spazi del pianeta. Le conseguenze della globalizzazione economica ottocentesca non si ripercuotono solo sulla politica, ma anche sulla cultura - nel senso di cultura accademica c cultura di massa. Da un punto di vista politico, il nuovo internazionalismo dà luogo, nell'interpretazione dello storico inglese Bayly, a «un sistema intemazionale guidato da economie pò* litiche nazionali che possono cooperare o configgere» (Bayly, 1009, p. 174): in Europa e nell’ambito extracuropco si realizza una diffusa interdipendenza politica ed economica. Tale cambiamento del sistema internazionale è accompagnato, a sua volta, da una nuova riflessione teorica e dalla formulazione di nuovi modelli politici e di relazioni in* ternazionali (Osterhammel, 1010). Politicamente l ’Ottocento è contrassegnato da due tendenze appa* rentemente contrapposte: da un lato il successo del nazionalismo e di conseguenza della formula dello Stato-nazione e, dall’altro, l ’imperia­ lismo. L ’ Europa domina il mondo e impone i suoi modelli politici e culturali al resto del pianeta, esercitando il suo potere in due modi: attraverso la politica di potenza, usata anche con azioni aggressive, e attraverso I egemonia, realizzata tramite l ’ imposizione di pratiche e re­ gole commerciali e con la diffusione dei suoi modelli culturali (ivi, p. 10). La nazione e l’impero costituiscono, in questa prospettiva, i due attori principali dei rapporti internazionali a livello globale. L ’esalta­ zione del legame essenziale fra un certo Stato sovrano e la corrispon­ dente nazione affiora marcatamente nella storia politica solo dopo il tentativo napoleonico di porre tutta l ’ Europa sotto il dominio dell’ im­

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IL PENSIERO CEOPOLITICO pero francese e perciò di creare uno Staro universale. Tuttavia» l’origine e l’esito dell’ impresa napoleonica devono essere inquadrati all’ interno del nuovo contesto politico, che viene, per la prima volta, determinato dalle rivoluzioni borghesi e del terzo stato. Le ripercussioni della rivoluzione francese e di quella americana e delle invasioni napoleoniche attraversano il XIX secolo e provoca­ no una grande svolta nella politica mondiale: non solo sconvolgono l ’ordine delle relazioni intracuropec e mondiali, ma producono una metamorfosi delle forme politiche dell’ impero c dello Stato. Dalla ri­ voluzione francese in poi le idee imperiali e nazionali assumono, in­ fatti, un significato diverso. L’impero napoleonico per la prima volta giustifica il potere politico sulla base della legittimità della rivoluzione armata dei popoli piuttosto che delle antiche tradizioni dinastiche. £sso si fonda sulla “chiamata alle armi” di tutti i cittadini decretata fin dalla rivoluzione francese - esattamente dalla convenzione nazionale del 15 agosto 1795 - con la quale il popolo viene direttamente recluta­ to per difendere in modo permanente la sua nazione (ivi, p. 567). Da allora in poi, la mobilitazione delle nazioni e dei popoli diventa uno dei motori principali dell’azione politica. Per tale ragione tra l’ impero napoleonico e la rivoluzione del terzo stato vi è una continuità impres­ sionante: la nazione c l’ impero sono fondati su uno stesso principio di rottura dell’ordine attraverso la mobilitazione del popolo c la costi­ tuzione della nazione ad opera del terzo stato (Galli, 1001; Agamben, 1005). L ’ impero napoleonico, a sua volta, pur espandendosi in modo violento in tutta l’ Europa, diffonde le rivendicazioni della rivoluzione e il lessico dei diritti del cittadino, provocando una reazione contraria all’ imposizione di autorità, e incidendo sia sui rapporti interstatali eu­ ropei, sia sui principi di legittimazione della sovranità. La pace europea, che inizia nel i8zo - cinque anni dopo il C o n ­ gresso di Vienna - e dura fino alla Grande Guerra, con un’ interruzio­ ne dal 1855 al 1871, sembra restaurare un precario sistema di equilibrio, che riprìstina l’antica “ bilancia degli Stati“ garantita fin dalla pace di Utrecht del 1715 e fondata sull’accordo della pentarchia (Francia, Gran Bretagna, Austria, Russia c Prussia) c sulla relativa sicurezza dei piccoli Stati (cfr. Chabod, 1995). La restaurazione del sistema di Stati, realizzata contro la minaccia di dom inio imperiale napoleonica, viene legittimata a livello teorico con la riaffermazione del principio della pluralità della fórma “Stato-nazione” e trova una delle più articolate formulazioni nell’affermazione del filosofo Herder dell’unicità dei

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I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA popoli c delle loro culture. Il "concerto delle nazioni", creato tra il 1815 e il 1816 in risposta al tentativo napoleonico di instaurare uno Sta­ to universale, viene fondato su alcune regole informali, ma efficaci in ambito europeo: il rifiuto del predominio assoluto di uno Stato sugli altri e la tendenza a evitare conflitti estesi (Holsti, 1991). In realtà, la pace europea e l ’armonia degli Stati c ancorata in un tessuto politi­ co ed econom ico ben diverso da quello settecentesco: il sistema delle potenze inizia a dipendere fin dalla metà dell’O ttocento da fattori estranei alla politica europea, e cioè dall’ imperialismo e dal coloniali­ smo e, insieme, dalla spinta alla globalizzazione commerciale e all’ in­ dustrializzazione. Il x i x secolo è ’ «età degli im peri», « non solo perchè dà origine a un imperialismo di nuovo tipo, bensì anche per una ragione di stampo molto più antico. È quello, probabilmente, il periodo della storia mon­ diale moderna in cui furono più numerosi i sovrani che si chiamavano ufficialmente “imperatori’’ » (Hobsbawm, 1987, pp. 66-7). L ’ impero coloniale assicura la stabilità dell’ Europa ottocentesca da un punto di vista politico ed economico, attraverso la creazione di una forte in­ terdipendenza fra la madre patria e le colonie (Hobson, 1987; Wallerstein, 1987). Tuttavia, accanto all’ impero "nuovo" coloniale, sussistono in Europa le antiche forme imperiali russa e austriaca, a cui si aggiunge nel 1871 il nuovo Reich prussiano. Il culmine della conquista impe­ rialista avviene nella fase che coincide con la ripartizione di tutto il continente africano e della Cina fra le potenze europee e con la corsa all’acquisto di nuovi territori - tra il 1880 e il 1918. In quel momento, secondo Bayly, una «nuovaglobalizzazione» subentra alla globalizza­ zione arcaica. In altre parole, la spinta all’espansione territoriale, che fino al Settecento era sostenuta dalle ambizioni dei sovrani monarchici e dall’opera di conversione missionaria (Bayly, 1009, p. 27), e che aveva condotto all’apertura del Vecchio Continente nei confronti del N uo­ vo M ondo, viene ora regplamcntata e statalizzata. Gli Stati determina­ no centralmente sia le politiche espansive sia la statuizione di regole commerciali e di accordi intemazionali. In tal modo, si consolidano quei processi che condurranno alla politica e all’economia del mondo globale: l’ internazionalizzazione politica e l’interdipendenza econo­ mica e culturale. Lo Stato monarchico e l’ impero non esauriscono, però, il varie­ gato spettro delle forme politiche dell’Occidente nel x i x secolo. Le forme monarchiche antiche, riformate costituzionalmente durante

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IL PENSIERO GEOPOLIT1CO l’ Illuminismo, coesistono con le nuove forme repubblicane inaugurate formalmente con la Costituzione americana (1787) c proseguite nella Costituzione francese del 1791 e con quella spagnola del 1811. La de­ mocrazia, come afferma Tocqueville nella sua (1855), dimostra di non essere un regime come gli altri, ma una formula politica a cui si rivolgono tutti i paesi e con cui tutti gli attori politi­ ci devono ormai confrontarsi. Lo Stato costituzionale e di diritto e la correlativa pretesa dei diritti di cittadinanza incontrano la resistenza dei governi assoluti, che, però, gradualmente si aprono alle riforme, a causa di cambiamenti economici e anche delle forti proteste dell opi­ nione pubblica e delle rivoluzioni civili che, dal 1810 in poi, attraversa­ no l’ Europa. La costituzionalizzazionc dei regimi politici (Finer, 1997) non solo prende piede anche presso governi alieni dall’idea rivoluzio­ naria, ma attraversa i confini dell’ Europa e sbarca neU’America Latina (in Bolivia e Perù) e in Giappone (Ostcrhammel, 1010). A l contempo, il movimento socialista inizia a diventare, in questo mutevole pano­ rama, una forza politica globale, sfruttando c denunciando le con­ traddizioni che il capitalismo, lo sfruttamento industriale e insieme il colonialismo creano nelle società ancora rette da governi conservatori e monarchici. Il socialismo cresce in realtà nazionali e istituzionali di­ verse, coniugando la dottrina marxista con delle esigenze tattiche di confronto con la politica dei vari Stati: in Francia assume dei connotati insurrezionalisti, articolati nella concezione di Auguste Blanqui e poi in quella sorcliana; in Gran Bretagna esso tarda a trasformarsi in un movimento politico consistente, in Italia e in Germania ha influenza politica sui patrioti (Mazzini, ad esempio), ma soprattutto sui movi­ menti sindacali, che basano le loro rivendicazioni sul socialismo scien­ tifico. 11 sindacalismo diviene internazionale, affiancando movimenti sociali collettivi - come quelli contro lo schiavismo e per i diritti - che iniziano a propagarsi nel globo e a pensare “globalmente’’. Questi cambiamenti istituzionali, organizzativi c ideologici provo­ cano una trasformazione dei modi in cui gli Stati interagiscono. Fin dall’Ottocento la politica intemazionale si orienta su altre regole e adotta principi e modelli di azione che anticipano gli scenari del X X se­ colo: nei processi politici diventa centrale la mobilitazione dei popoli e delle nazioni (che siano classi botghesi o il terzo stato) sancita dalle due rivoluzioni settecentesche; la politica dinastica viene sostituita dalla politica, orientata all’ idea di « ragion di Stato» ; le azioni diplomatiche iniziano a vertere sulla considerazione del potere di sterminio, dovuto

Democrazia in America

I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA allo sviluppo della tecnologia bellica; le capaciti industriali e produt­ tive acquistano un significato determinante nelle transazioni politiche ss.)- Tali schemi di agire e nelle guerre (Osterhammcl, zoio, pp. diplomatico e politico travalicano i confini europei: il sistema europeo si allarga fino a costituire il sistema mondiale di Stati, che integra tutti gli spazi geografici attraverso il processo di colonizzazione mondiale. L’ imperialismo colonialista, pur fondandosi sullo sfruttamento e sulla subordinazione delle colonie, costituisce la prccondizionc per la loro liberazione, attraverso la loro integrazione culturale: « L ’ imperialismo [...] diventa il contrario di quello che avevano progettato i suoi prota­ gonisti: mediando i rapporti politici mondiali acquista una funzione maieutica per la creazione di un ordine post-imperiale» (ivi, p. 570). Gli scambi fra la madre patria e le colonie non si limitano, infatti, ai beni c alle materie prime, ma permettono una massiccia migrazione e dislocazione di popolazioni, oltre alla diffusione delle nuove tecnolo­ gie, di modelli di vita e di idee, c anche di ideali di autodeterminazione dei popoli e degli Stati. Le condizioni necessarie per la globalizzazio­ ne intesa in senso culturale come propagazione di modelli di consu­ mo sono state individuate dagli storici contemporanei nello sviluppo dell’ industria - in particolare dei settori metallurgici c del l’elettricità (Abelshauser, z o o e nel progredire delle nuove tecnologie, come le navi a vapore, le ampie reti ferroviarie e le telecomunicazioni. Inol­ tre, la realizzazione del mercato globale orientato al libero scambio, di un sistema monetario efficiente e standardizzato a livello nazionale e l’esportazione di grandi capitali permettono la diffusione globale di prodotti e di opere culturali e l’ interazione di scili di vita diversi. Le «rivoluzioni industriose» (D e Vries, 1994), c cioè i cambiamenti di mentalità e di modalità di consumo, forniscono le condizioni per la globalizzazione dei mercati: il mutamento dei modi di consumo delle famiglie, che, razionalizzando la loro attività produttiva, adottano pro­ dotti provenienti da paesi lontani, accresce il commercio e la produzio­ ne globale. Emerge, allora, proprio grazie alla crescente omogeneità dei modelli di vita e di consumo, e, insieme, all’enfasi sull’etica del lavoro e sullo spirito del commercio, una classe media commerciale: «gente perbene dedicata al commercio in cucco il m ondo» (Bayly, Z009, p. 117). A sua volta, l’ implementazione dei commerci globali viene raf­ forzata dall’idea del libero scambio, affermata dall’impero britannico (in particolare da Lord Palmerston a metà del secolo). L ’ ideale del li­ bero commercio è funzionale a un progetto di egemonia economica

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IL PENSIERO GEOPOLITICO britannica sui mari, divergente dal modello protezionista, promosso dagli imperi europei (in particolare da Friedrich List per la Germania). Si può affermare che dal 1815 al 1875 l'Impero britannico rapprcsen* ti il potere egemone nel mondo (Cox, 1987; Taylor, 1995): non solo esso ha un ruolo chiave di raccordo fra il Vecchio e il Nuovo Mondo, ma è tecnicamente c industrialmente la potenza trainante e, inoltre, domina un vasto impero cxtracuropco. Grazie a tale incontrastato predominio, il Regno Unito può imporre il modello del libero scambio globale a partire dal 1813 fino sostanzialmente alla fine del secolo - nonostante alcune inversioni di rotta. In tal modo «i britannici creano un network a livello mondiale per gli scambi commerciali e finanziari che permettono di presentare la centralità [dell'Impero britannico] come una conseguenza del "mercato globale", che opera a favore di tutti. I governi britannici possono pretendere credibilmente che la crescita dell’economia britannica serva non solo l’interesse nazionale, ma an­ che quello globale» (Agncw, Corbridge, 1995, p. 17). Il cambiamento sociale, politico e culturale si ripercuote e accom­ pagna un'altra grande trasformazione sia nella cultura accademica, sia nell’opinione pubblica (Habermas, 1006). L’istruzione viene estesa non solo a fasce ulteriori di popolazione, ma anche esportata nelle colonie. L ’università assume le funzioni che la caratterizzano ancora oggi: diventa un luogo di legittimazione e propagazione del sapere accademico, promuove la ricerca scientifica, costituisce l’ istituzione primaria per la formazione e la socializzazione delle classi dirigenti (Ostcrhammcl, zoio, p. 1131). Il x i x secolo è, in questa chiave, il se­ colo delle università, e anche quello in cui la cultura - accademica e popolare - si confronta con la tecnica e con la scienza. Le opere acca­ demiche e la pubblicistica non solo usufruiscono dei mezzi tecnologici per la loro diffusione presso un pubblico mondiale, ma adottano, più o meno crìticamente, le scoperte scientifiche come fonti di riflessione e dibattito. Ad esempio, la grande rivoluzione scientifica del secolo, e cioè il darwinismo che prende avvio con la pubblicazione dell’opera del 1859, non investe solo le scienze di Darwin naturali, ma anche tutte le discipline umanistiche. Il modello teorico dell’evoluzione delle specie viventi, il quale scardina i precedenti para­ digmi tassonomici ed evoluzionisti attraverso l’osservazione delle leggi naturali e include l’uomo come uno fra tutte le specie viventi, è «uno sconvolgimento» che «si confà a molti campi, dall’antropologia alla religione naturale, offrendo la chiave del cambiamento. Soprattutto,

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Sull'origine delle specie

I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA fa valere lo sviluppo storico come causa del cambiamento, in luogp dell’ intervento provvidenziale» (Bayly, 1009, pp. z8z'3). Le scienze umane, il sapere politico c le scienze naturali risentono profondamente del successo del modello darwinista, che, così, fornisce una chiave di lettura innovativa per ordinare sia le specie naturali, sia gli eventi stori­ ci in un secolo di profondo cambiamento. La coscienza dell’ interdipendenza dei processi economici, politici e culturali c la realizzazione della diversità delle culture sfociano nella ricerca di modelli scientifici in grado di ordinare le civiltà c estrapolar­ ne i caratteri essenziali, c nella pratica e teoria dei diritti universali. La concezione estetizzante della cultura extracuropea, considerata come esotica, propria del mondo settecentesco erudito, lascia il posto alle classificazioni “scientifiche" delle differenze tra i popoli e le culture del (come ad esempio le teorie di Spencer in 1884), mentre la semantica dei diritti di cittadinanza inizia a diffon­ dersi oltre l ’Europa. «Il punto critico del cambiamento, dopo il 1800 - scrive Bayly - , fu la maniera in cui, nel mondo, scrittori, giuristi e uomini politici assunsero c adottarono le idee dei diritti dell’individuo e degli Stati a proprio uso» (ivi, p. 178). Le scienze politiche, storiche e geografiche, in particolare, risentono della tensione fra l’esigenza di comprendere le specificità delle culture e, d ’altra parte, il linguaggio giuridico sviluppato dalle democrazie e dal lessico universale dei diritti. In particolare, una delle nuove scienze veicola le tensioni politiche del tempo in un nuovo linguaggio scientifico: la scienza geografica o co­ rologica. Lo studio della corologia non solo ci permette di individuare alcune contraddizioni e tensioni dell’Ottocento, ma anche di delineare il nuovo rapporto fia la scienza e la politica all’interno di un quadro culturale completamente mutato. Nei paragrafi che seguono verranno considerate la nascita della geografia e il suo sviluppo sotto due princi­ pali aspetti: nel rapporto che la nuova scienza corologica instaura con il potere politico e con le altre scienze, e nella capacità di elaborare quel­ le contraddizioni che caratterizzano l’epoca storica in cui si sviluppa. Prima di tutto verrà seguito il percorso che conduce alla definizione della scienza geografica come “scienza borghese", e cioè neutra e appa­ rentemente slegata alla politica: si delineerà la nascita, con Humboldt c Ritter, della geografia come sapere non direttamente al servizio del so­ vrano. Verranno inoltre messi in luce i rapporti che legano le definizioni geografiche, elaborate dai primi geografi, con le definizioni politiche di Stato e le concezioni territoriali di confine. In secondo luogo, verranno

The Man Versus thè State

IL PENSIERO CEOPOL1T1CO individuare le condizioni per l’ interpretazione da parte del pensiero gèografìco, e poi della geopolitica di Ratzel e quindi di Mackinder, delle nuove tendenze politiche c culturali dell’Ottocento: l’ imperialismo, la globalizzazione, l’esaltazione della tecnologia. Inoltre, sarà possibile illustrare all’ interno del paradigma scientifico geografico le tensioni implieite all’ idea di autonomia scientifica del sapere geografico dalla politica. Nel contempo verranno individuati i maggiori nodi tematici che caratterizzeranno tutta la riflessione geografica e geopolitica: il rappor­ to tra la scienza geografica c la politica, la questione del determinismo della natura sull’uomo, la tensione fra l’acccttazione di un paradigma politico fiondato sulla sovranità degli Stati nazionali e l’osservazione dei rapporti di potere sovrastatali, imperiali e globali.

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Il sapere geografico tra scienza e politica nella cultura tedesca ottocentesca È con il darwinismo che si confrontano le “nuove scienze”, e cioè quegli ambiti disciplinari costituiti o consolidati nell’Ottocento, la cui rappre­ sentazione riflette le esperienze fondamentali del secolo, ossia l’accele­ razione del tempo c il restringimento dello spazio. La geografìa, l’et­ nologia, l’antropologia c gli studi linguistici ricevono un forte impulso dal contatto con le altre civiltà e gii altri popoli, legati ormai da una relazione di interdipendenza con l’ Europa. La geografìa, in particola­ re, detiene un ruolo preminente tra le scienze: essa assume un doppio status accademico e politico, ovvero è definita in ambito accademico come una nuova disciplina separata dalla storia c della politica, e, in­ sieme, viene impiegata come “consulente* del potere politico. Diventa uno «strumento dello Stato» secondo la definizione di fìayly (1009, p. 316). In Europa la sua legittimazione scientifica è indiscussa, sia perché è l’unica disciplina che rivendica per sé, a livello globale, l’autorità di esa­ minare gli spazi e i territori con dei metodi, un lessico e delle procedure scientifiche, sia perché essa esercita un potere assoluto per la definizione legittima dei territori politici e dei confini statali, che, a loro volta, sono oggetto dell’esercizio del potere politico e delle contese intemazionali (Osterhammel, 1010; Farinelli, 1009). «Attraverso tutti i manuali e li­ bri di testo scolastico e attraverso ogni cartina, soprattutto se fondati su

I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA un’autorità supcriore, [i geografi] esercitavano il loro potere di defini­ zione ( )» (Ostcrhammel, io io, p. i jl ). Questa interrelazione del potere politico col sapere scientifico si manifesta in particolare nell'accertamento dei confini durante l’ imperialismo coloniale: la spartizione delle colonie preceduta da accordi - o conflitti - politici, che non possono prescindere dal riferimento al sapere geografico e cartografico. La geografia c la cartografia acquista­ no. così, insieme un valore simbolico e una funzione pratica per l’eser­ cizio del potere politico: sono strumenti per guidare la conquista e la spartizione dello Stato coloniale e, allo stesso tempo, rappresentano il potere dei governi e della scienza occidentali (Benton. 1010). « A livel­ lo simbolico, l’avanzata del rilevamento delle zone interne rappresentò il trionfo della scienza e della tecnologia occidentale e il definitivo im­ porsi del dominio britannico» (Bayly, 1009, p. $18). Per quanto riguarda la sua classificazione come sapere scientifico, la geografia assume, fin dalla sua fondazione a cavallo fra il Settecento e l ’Ottocento in Germania con Alexander von Humboldt c Cari Ritter, una posizione in bilico fra le discipline naturali c quelle umanistiche e fra la scienza pura e quella applicata. Lo status epistemologico specifico c i metodi della scienza geografica devono essere inquadrati, pertanto,

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Dalla proiezione emisferica alle categorìe geopolitiche

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IL PENSIERO GEOPOL1TICO in relazione a ere fattori, che spiegano il rapporto della scienza geogra­ fica con le altre discipline umanistiche ed esatte, e con la politica. In particolare, ci si riferisce alla sua posizione disciplinare-accademica, al rapporto con lo Stato e col potere politico, e alla funzione di promo­ zione della politica imperialista. Originariamente, da un punto di vista disciplinare, la geografìa deve adattarsi e inserirsi nella trasformazione delle facoltà e delle università, attraverso un processo di definizione e classificazione dei suoi metodi. La «geografìa pura» rivendica con difficoltà gra­ zie a Cari Ritter (1779-1859) il suo statuto di scienza con propri me­ todi in contrapposizione con l’amica statistica o geografìa dello Stato. N ell’interpretazione della cartografia di Polycarpus Leyser - nel com­ mento sul metodo geografico del 1716 - si riscontra la prima asserzione dell’autonomia della disciplina e la sua frattura con l’antica cartografìa (Farinelli, 1009; Livingstonc, 1991; Schultz, 1005a). La cartografia, che nel Settecento rappresentava una delle branche della statistica poste di­ rettamente al servizio del governo, segnalava le variazioni dei confini territoriali, così come venivano stabiliti di volta in volta dalla politica dinastica. La "pratica politica" della statistica era congeniale al modo in cui gli Stati settecenteschi si relazionavano ai loro cittadini e alle altre entità politiche. Tali Stati di polizia gestivano in modo paternalistico la sicurezza e il benessere dei sudditi. N ell’Ottocento, la fine della politi­ ca dinastica, le guerre e le rivoluzioni, c la conseguente trasformazione delle relazioni internazionali, descritte precedentemente, resero diffi­ cile la sopravvivenza dell’antico sapere statistico: i confini diventarono imprevedibili c mutevoli, poiché iniziarono a sfuggire alla decisione dei sovrani e furono soggetti a nuove forze dirompenti c ingestibili, come la "volontà della nazione”. Al contempo, le aree confinanti divennero oggetti di conflitto fra gli Stati che rivendicarono su di esse la propria sovranità. Inoltre, la spartizione dei territori oltreoceano pose in crisi i metodi tradizionali di divisione territoriale dinastica e introdusse criteri diversi di ripartizione. A questi problemi pratici si aggiunsero la pressio­ ne di alcuni mutamenti culturali: i nuovi imperativi diffusi dalle rifor­ me pedagogiche proposte da Pcstalozzi e Rousseau, i quali promossero il "ritorno alla natura” nell’osservazione scientifica, e i cambiamenti nella strutturazione del sapere scientifico introdotti dalla rivoluzione francese e dai movimenti di reazione ad essa. La «geografia pura» nell’accezione coniata da Ritter (Schultz, 1005a) risolve la questione pratica dell’incapacità della statistica di

{reine Geogmphie)

t. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA formulare un ordine scabile c dei confini cerei, decretando una vera e propria rivoluzione scientifica. La geografia cambia la sua prospectiva: dalla “geographia politica” alla “geographia naturalis”. Su questa chiave Emil W isotzki esorta gli statistici ad abbracciare una nuova visione del mondo: «N on serve niente altroché stropicciarvi gli occhi e svegliarvi finalmente! Il grido di guerra si innalza: la geografia pura!» (W isotzki, 1897, p. 1$). La geografia pura si fonda con Rittcr su un espedicnce insieme metodologico e epistemologico. Essa separa la conoscenza geografica dalla politica attraverso la statuizione di un nuovo metodo di ricerca, e cioè il ricorso a una formulazione “naturalistica” dell’idea di confine c di zona geografica. Il geografo - al contrario dallo sta­ tistico - studia, ora, le arce simili da un punto di vista naturale, in­ dipendentemente dalle suddivisioni politiche. La geografia viene così epistemológicamente slegata dall’ immediata funzione politica e assur­ ge allo statuto di scienza «neutrale» - in armonia con la concezione borghese della scienza come strumento neutrale di ricerca (Farinelli, 1009). La proposta di Leyser nel 1716 di definire le arce della terra se­ condo le «suddivisioni naturali» - che si differenziano in «posizioni naturali» e «situazioni» delle sedi abitate (ivi, p. 11) - viene, così, finalmente accolta dopo mezzo secolo di veementi polemiche in am­ bito scientifico. La carta fisica, e con essa la geografia pura che si fonda su di essa, intrattiene, però, una relazione ambigua con le definizioni politiche: essa va a confermare una specifica idea politica unitaria di Stato, a partire non più dalle decisioni di politica estera del sovrano o delle dinastie, bensì direttamente dalla ripartizione in territori natura­ li: « C osì, la carta fisica diventa una “ rivelazione” di carattere politico, che, allo sguardo manipolatore del geografo, lascia intrawederc, dietro il disegno dei caratteri fisici, la carta degli Stati originata dalla stessa natura» (Schultz, 1005a,p . 9). La geografia pura si fonda, allora, a partire da Alexander von Hum­ boldt e da Cari Ritter, sia sulla base dell’apporto di più discipline - la filosofìa, la storia, le scienze naturali - sia sulla delimitazione di un proprio ambito specifico di ricerca. La scienza corologica trova le sue radici nell’interpretazione kantiana del tempo e dello spazio e si dedi­ ca allo studio dei fenomeni naturali e umani nella loro configurazio­ ne spaziale (Kant, in Diinne, Giinzel, 1006, pp. 64 ss.). Kant, infatti, aveva fondato la disciplina corologica (c cioè spaziale) caratterizzan­ dola come un ambito delle scienze fìsiche orientato alla spiegazione dell’ordine dei fenomeni nella dimensione spaziale: la classificazione

IL PENSIERO GEOPOLITICO degli oggetti in base alla dimensione spaziale, la loro collocazione e il confronto delle loro caratteristiche su uno stesso piano spaziale de* terminato in base alla superfìcie della terra forniva l’oggetto specifico della corologia. In continuità con la riflessione kantiana, la statistica e, insieme, la collezione di dati geografici eruditi, che caratterizzavano l’osservazione della terra nel Settecento, vengpno superate nella rivoluzione metodologica di Rittcr (Schultz, 1980, pp. 45 ss.). Questi, statuendo la diffe­ renza fra la geografia e la storia, afferma che «come disciplina storica, la geografia è finora solo una massa vasta di dati senza alcuna legge in­ terna; essa aspetta sotto il peso delle scorie, che la ricoprono, uno sguar­ do strabico :), che la trasformerà in una scienza pura» (ivi, p. 44). Lo storico Hans-Dietrich Schultz ha lucidamente definito lo «sguardo strabico» come quella visione cosmologica duplice sulla na­ tura che riconduce le manifestazioni naturali a una totalità organica e, nello stesso tempo, non trascura la pluralità dei diversi fenomeni natu­ rali e umani. La scoperta delle leggi cosmologiche e lo studio delle aree geografiche particolari sono, infatti, i temi delle lezioni di Alexander von Humboldt sul cosmo, che inaugurarono la scienza geografica (l’o ­ pera verrà pubblicata incompleta tra il 1845 e il 1861). Anche per l’altro fondatore della disciplina, Rittcr, lo studio del particolare, e cioè delle arce geografiche, deve essere accompagnato c finalizzato allo sguardo all’universale: «in tal modo l’oggetto della ricerca deve essere non solo la legge generale di un fenomeno, bensì quella di tutte le forme dell’essere, in cui la natura si palesa allo stesso modo, sia, in grande, nella superfìcie del pianeta, sia, in piccolo, in ogni singolo posto: poiché solo così può essere compresa l’armonia del tutto» (ivi, p. 45). Rittcr individua, pertanto, i moderni strumenti della scienza geo­ grafica rinvenendoli in due ambiti di ricerca: nella rilevazione delle associazioni e delle somiglianze dei fenomeni naturali all’ interno di delimitate aree geografiche e, in secondo luogo, nell’osservazione della distribuzione di alcune qualità/qualifìcazioni dell’ambiente naturale a livello globale. Il compito della ricerca geografica, il cui oggetto consi­ steva nello studio di «spazi della superfìcie terrestre, che contengono fenomeni terrestri», è di ricostruire una triplice relazione: fra gli spazi geografici, fra questi e la terra/mondo e, infine, fra quello che essi con­ tengono. Essa studia «in primo luogp le loro relazioni aritmetiche (...) poi le relazioni geometriche degli spazi, delle loro figure ( ), forme e posizioni [...] e tuttavia anche gli oggetti terrestri contenuti

{Silberblick

Cosmof

Gestaltcn

I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA nello spazio (...) secondo la loro relazione di distribuzione, le sfere e le leggi di diffusione sulla terra» (ivi, p. 46). Da questo studio deriva l’analisi del rapporto dell’uomo con l ’am­ biente, in quanto l’uomo c «contenuto» nello spazio, non solo in quanto costituisce un elemento della natura, ma come attore carat­ terizzato da una sua specificità storica e politica. Per tale ragione la geografìa si fonda fin dalla sua genesi sul sapere filosofico e su quello storico-politico: esaminando l’uomo nello spazio c nel territorio, ne coglie la specificità essenziale nella sua storicità, e cioè nella sua abi­ lità a rapportarsi col suo territorio in modo diverso, c a seconda dello stadio di sviluppo della civiltà umana. Inoltre, la geografìa rittcriana svela la sua matrice filosofica settecentesca hcrdcriana quando dichiara di mirare a osservare scientificamente la relazione del popolo ( ) con il territorio, sia per rilevare l’accordo fra una popolazione c la sua patria (ivi, p. 45), sia per dimostrare il profondo influsso fra un certo clima c ambiente ( c la specie umana (Schultz, zoosa, p. 7). Tale influsso della natura sull’uomo non è deterministico né in Herder e nemmeno in Rittcr: entrambi non trascurano l’ imprevedibile caoti) delle creature cità dei fattori naturali c della forza vitale ( viventi, in grado di modificare la natura. In questa concezione filosofica, tuttavia, la natura, intesa come una totalità armonica, possiede le sue leggi e il suo equilibrio, che l’uomo, l’unica creatura in grado di elevarsi culturalmente per dominare gli altri esseri, può modificare solo gradualmente, rispettandone l’armonia. In questa chiave, secondo Herder, ’ « innaturale espansione degli Stati» viola la natura: se in realtà essa è possibile, grazie all’arbitrarietà della volontà umana, è, tuttavia, innaturale, perché forma Stati artificiali e non organici e distrugge l’ individualità dei popoli e delle nazioni. Nel 1785 il filosofo Herder scrive: «la natura coltiva famiglie. Lo Stato più naturale è un popolo con un carattere nazionale [...], niente sembra contrastare lo scopo dei governi di più, che l’innaturale ingrandimento degli Stati, la selvaggia mescolanza delle stirpi e delle nazioni umane sotto un solo scettro» (Herder, 1001, voi. 1, p. 336). Da queste righe risulta come la concezione olistica di Herder, pur prevedendo uno spazio di libertà per l’azione umana, presupponga l’armonia fra lo Stato, la nazione, il territorio e il popolo, caratterizzati da rapporti specifici che distinguono determinate civiltà e aree terri­ toriali e che formano delle individualità. Tali individualità, secondo Herder e successivamente secondo Ritter, sono a loro volta integrate

Volk

Localitat)

Lcbenskraft

1

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IL PENSIERO GEOPOLIT1CO in un sistema distico universale, che si regge sulla coesistenza, fianco a fianco, dei popoli: «i popoli dovrebbero vivere gli uni accanto agli altri, non spingersi tra gii altri o sopra gli altri» (Herder, 1967, voi. v, p. 156). La natura permette, secondo il filosofo tedesco, la pace e la coesistenza delle genti, che vivono in territori confinanti, ma comu­ nicanti e aperti agli influssi culturali: l’uomo deve solo riconoscere i dettami naturali e prepararsi ad essere insieme «padrone e servo della L ’arbitrario rifiuto delle leggi naturali, natura» (ivi, voi. x i i i , p. storicamente dimostrato dall’espansione aggressiva di alcuni Stati, è, pertanto, possibile ma non duraturo: gli Stati «m eccanici», che non seguono le leggi organiche di sviluppo, sono destinati a perdersi nel gioco del progresso naturale armonioso, poiché la storia restaura, a lungo andare, l’equilibrio naturale (ivi, voi. Xiv, p. 83). La soluzione settecentesca di Herder alla questione della rottura delle leggi naturali, c cioè la fiducia nella ricomposizione dell’equilibrio politico e naturale, fornisce, dopo la rivoluzione francese e il ten­ tativo di instaurare un grande impero napoleonico, il nucleo teorico della formulazione della relazione fra i popoli, il territorio e lo Stato del pensiero ritteriano, che si allinea con il progetto della Restaura­ zione delle nazioni europee. Per Cari Ritter e per la maggior parte dei geografi della prima metà dell’Ottocento, l’armonia fra un certo ter­ ritorio, il popolo e lo Stato, costituiscono il fine ultimo della storia e, insieme, la primaria legge naturale, che, a sua volta, avrebbe garantito allo scienziato di scoprire l’ordine del mondo. A dispetto del caos ap­ parente che regna nelle relazioni interstatali e dell’espansionismo dei governi, il «piano della natura», e cioè l’armonia fra i popoli e le na­ zioni, è destinato a trionfare. 11 geografo assume un ruolo essenziale per il suo compito scientifico generale e per la sua funzione pratica, come consigliere del potere politico: egli è investito della missione di «pre­ vedere» e di intravvedere, al di là del disordine politico e degli errori umani, « i necessari percorsi di sviluppo di ogni singolo popolo in una specifica area della terra» (Schultz, 1980, p. 133). In questa concezione è evidente l’ intreccio fondamentale fra la scienza geografica, così come viene definita da Ritter, e una specifica concezione politica e storica. La politica non determina più gli stru­ menti di ricerca del geografo c i suoi concetti, come nella statistica e nelle opere erudite del Settecento: essa, però, fonda il sapere geografi­ co, poiché è sottintesa alla concezione di uno specifico ordine spaziale. In altre parole, la necessaria relazione fra un popolo, un territorio e uno

17).



I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA Stato indicano il quadro e il limite entro i quali lo sviluppo storico è possibile» razionale e necessariamente incanalato: il rapporto politico organico ed essenziale del popolo col territorio guida l'agire politico «giusto» e fornisce, insieme, il presupposto del lavoro del geografo. Il geografo, allora, nello scoprire le leggi naturali e il «piano della na­ tura», individua il perfetto ordine politico e, allo stesso tempo, il fine della storia umana. Neanche la tecnica c lo sviluppo industriale turbano, nel pensiero dei geografi fri l ’ Illuminismo c il Romanticismo, tale concezione armoniosa e organicistica della storia: questi, anzi, propu­ gnano una visione ottimista dell'armonia fra il progresso materiale e scientifico e i cicli naturali. In tale quadro, l'Europa, con la sua plurali­ tà di culture e di individualità, costituisce la massima espressione della ricchezza culturale e politica dei popoli, e si pone come riferimento culturale e politico per gli altri continenti. La teoria storico-filosofica di Hegel offre, successivamente, un pun­ to di contatto tra la concezione storica di Rittcr c quella filosoficogeografica di Kapp, che influì profondamente sulla geografia e sulla letteratura politologica novecentesca. Hegel ¿, infatti, fortemente influenzato da Ritter. L ’affinità tra la metodologia rittcriana c quel­ la hegeliana e la coincidenza della concezione storica dello sviluppo della civiltà, che sorge in Oriente e trova il suo culmine nella cultura occidentale c, infine, la teoria del clima, rilevano l’ incidenza della let­ tura delle opere di Ritter nell'elaborazione filosofica hegeliana'. Nella concezione filosofico-gcografica di Hegel, come in quella di Herder, il clima e, in particolare, i fattori caratteristici della geografìa svolgono un ruolo di rilievo nel progresso della civiltà e pertanto nello sviluppo

i. C fi. B ertoni (1997): Rossi (1975), c in particolare nella seconda c terza edi­ zione dell' Enzyldopàdie, successive all’opera di Rittcr D ie Erdlcunde im Verh,il(nis sur N atur und zur Gesebicbte dei Memeben odeiallgem eine vergleubende Geograpbie (1817)- Mi riferisco alla seconda c terza edizione dell 'Enciclopedia delle scienzefilosofi­ che del 1817 c del 1830. e alle Lesioni stdlaftlosofìadella storia pubblicate postume nel 1840. Com e sottolinea Pietro Rossi, la concezione geografica di Rittcr si presta mag­ giormente. rispetto a quella di Humboldt, ad essere utilizzata nel sistema filosofico di Hegel per due ragioni: perché Ritter approfondisce il rapporto fra la storia, la cultura dei popoli e le costanti geografiche c per il metodo storìcisticoc filosofico rittcriana Humboldt, che peraltro sviluppò il suo approccio in un rapporto di diretta critica con Hegel, aveva fondatola sua idea geografica su una concezione comparativa, c cioè sull’esperienza empirica, e sul materiale etnografico raccolto durante i suoi viaggi (cfi. Rossi. 1975. pp. 14 ss.).

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IL PENSIERO GEOPOLITICO storico. Tuttavia la concezione di Hegel mostra una profonda discon­ tinuità con il pensiero di Ritter e con le teorie del clima sviluppate da Herder in Germania c da Montesquieu con YEsprit des Lots in Francia nel 1748. Infatti, non solo Hegel rifiuta la continuità che Herder aveva delineato fra lo sviluppo geologico, quello biologico e la storia umana, ma ricolloca la teoria del clima in una concezione filosofica idealista. In questa chiave Hegel considera i fattori naturali solo in relazione con la ri formulazione di una filosofìa della storia in cui i popoli incarnano degli stadi specifici di evoluzione dello spirito universale. «N on ci in­ teressa conoscere il terreno come località esteriore, bensì il tipo natura­ le della località, che coincide giustappunto con il tipo c il carattere del popolo che è figlio di quel terreno. Tale carattere dei popoli altro non è che il loro modo di intervenire nella storia mondiale» (Hegel, ìo iz , p. 70). Pur ammettendo una certa relazione del clima con la popolazione e la cultura, nega che questo possa esercitare effetti c influenze troppo particolari: se è vero che la poesia di Om ero è impensabile senza la sua ambientazione sulla costa dell’Asia minore, e ancora più evidente che esiste solo un Om ero nella storia universale benché «il mite ciclo io­ nico [abbia] contribuito molto alla grazia dei poemi omerici» (iùid.). Il clima, pertanto, non è studiato per la sua influenza sulla cultura dei popoli o degli individui, bensì perché costituisce il terreno per la liber­ tà dell’uomo c cioè il presupposto per lo svolgimento della storia dello spirito universale. In altre parole, Hegel non inferisce dal clima i caratteri delle razze e della loro civiltà, ma considera la determinatezza geografica nella sua connessione interna, e cioè filosofica, con le «individualità» dei popoli, i quali, a loro volta, rappresentano un certo grado di sviluppo nella storia universale. Infatti, la storia universale, in Hegel, riconduce il caos apparente e la casualità della storia a uno sviluppo necessario e ordinato. In questo senso la storia universale rappresenta l’ idea dello spirito, quale esso si mostra nella realtà come una serie di formazioni esteriori. La storia universale è, allora, declinata in senso diacronico e sincronico-geografìco attraverso la specifica esistenza storica dei po­ poli, i quali rappresentano un grado di sviluppo storico, o meglio un «grado di coscienza» che lo spirito ha di sé: «I principi degli spi­ riti del popolo, posti in una successione graduale e necessaria, sono soltanto momenti dell’unico spirito universale che s’ innalza per loro tramite alla storia fino a concludersi in una totalità» (ivi, p. 69). La posizione geografica di una nazione o il suo clima costituiscono, allo­

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I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA ra, solo il substrato materiale che permette allo spirito di un popolo di esprimersi come libertà. La «determinatezza naturale» si articola, dunque, anche come una specificazione geografica, che spiega le par­ ticolarità di un certo stadio dello sviluppo dello spirito e della storia universale. Due aspetti della determinatezza naturale sono tematizza­ ti nella filosofia hegeliana: quello soggettivo della «volontà natura­ le di un popolo» c la «natura esterna» oggettiva, ovvero gli aspetti geografici. Il carattere di un popolo - il suo spirito - si realizza non nell'adattamento all’ambiente, ma nel rapporto dialettico tra libertà e natura: esso è « il modo di intervenire nella storia mondiale, di pren­ dervi posizione» (ivi, p. 64). È necessario sottolineare che il momento decisivo nella storia dello spirito hegeliana è la liberazione dalla naturalità c il raggiungimento dell’autonomia della soggettività, la quale c posta al centro del suo uni­ verso filosofico. Lo spirito del popolo determinato geograficamente trapassa come attore nella storia universale, c cioè assume il suo ruolo storico, solo nel movimento della liberazione della sostanza spirituale dalle determinatezze naturali. Proprio per la sua tensione all’afferma­ zione dell’autonomia dello spirito dalla naturalità, il modello filosofico hegeliano, pur condividendo alcuni temi della geografia rittcriana, se ne discosta profondamente. Com uni a Ritter e a Hegel sono l’idea dei continenti come individualità storiche e geografiche, lo sviluppo della civiltà da Oriente a Occidente, la divisione fondamentale fra gli elementi fluidi c solidi (acqua e terra), il rapporto inverso tra lo svi­ luppo culturale e la dipendenza dalla natura. Per entrambi il cammino dello sviluppo culturale è rappresentato da un percorso che segue la direzione del sole: parte dai continenti asiatici e arriva all’Occidente. I continenti sono connotati in senso storico, a seconda del loro stadio in questo sviluppo, c in senso geografico, rispetto alla loro conformazio­ ne e alla loro relazione con l’acqua. Q uest’ultima è il nesso principale di comunicazione fra gli spazi e le forme di vita: la prossimità alle fonti di acqua e al mare spiega per Ritter e per Hegel la storia c i caratteri dei continenti. Lo sviluppo storico e l’evoluzione della civiltà dei diversi continenti scaturiscono, allora, dalla posizione geografica e dal grado in cui le popolazioni hanno saputo dominare le forze della natura. La lettura di Ritter non scade mai nel determinismo ambientalista, ma si fónda su una concezione complessa del rapporto fra l’uomo, la cultura e la natura. È palese per il geografo tedesco che la natura “ope­

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IL PENSIERO CEOPOL1TICO ri” nella scoria umana; tuttavia gli sviluppi tecnici e culturali rendono possibile un aumento progressivo di libertà. L elemento della libertà, che rimane accennato in Ritter, è però al cardine della concezione geografica nella filosofìa hegeliana: due esempi a proposito si trovano nell’ interpretazione del mare e nella lettura della storia della civiltà. Il mare per Hegel è essenziale per l’af­ fermazione della libertà dello spirito umano1: in quanto illimitato, in­ finito e sconfinato, esso esemplifica la sfida che l’uomo deve affrontare per raggiungere «la coscienza di una maggiore libertà e autonomia» (Hegel, VorUsungen uberdic Philosophie der Geschichtc, ivi, pp. 71 ss.). 11 mare, infatti, spinge il navigante, in cerca di profitto, verso l ’infi­ nito, mettendo in pericolo la sua vita c permettendogli di mostrare il suo coraggio. La relazione fra l ’uomo e il mare configura pertanto quel processo di liberazione c autonomizzazione dello spirito che è essen­ ziale nella filosofia hegeliana. A partire da questa prospettiva il filoso­ fo individua la zona geografica più consona allo sviluppo della civiltà. Solo la zona temperata «deve offrire il teatro per lo spettacolo della storia universale» (ivi, p. 66), poiché i climi più estremi limitano la libertà di azione, ostacolando lo sviluppo civile. «La natura - affer­ ma Heg?l (ibid.) - in generale è qualcosa di quantitativo la cui forza non deve essere cosi grande da porsi essa soltanto come onnipotente». Questa considerazione geografica si ricollega, così, sia alla collocazione hegeliana dell’Africa come continente estraneo alla storia universale, abitato da un popolo allo stato di innocenza, sia all’affermazione della centralità dell’ Europa e della razza caucasica per lo sviluppo dello spi­ rito universale. La realizzazione politica, c cioè la costituzione dell’or­ dine politico nello Stato, determina, secondo Hegel, la collocazione delle varie nazioni e dei continenti nella storia universale: gli africa­ ni, ad esempio, ne sono esclusi anche per la loro incapacità politica di organizzazione statale. Com e sostiene Rossi, la limitazione geografica della storia universale hegeliana, che si dimostra sia nell’esclusione del N uovo M ondo - poiché è «un paese del futuro» (Hegel, zoiz, p. 71) - e dell’Africa, sia nella centralità conferita all’Europa, costituiscono i due risvolti etnocentrici del pensiero hegeliano, che contrasta con la tradizione illuministica. In questa «il riconoscimento del rapporto fra processo storico e ambiente geografico aveva una funzione relativiz-i.

i . Tale lettura verrà ripresa fra gli altri da Cari Schmitt in Terra e m an (1941).

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I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA zanre» (Rossi, 197$, p. 41). L’asserzione della diversità delle culture e degli sviluppi e, insieme, l’assioma della perfettibilità culturale, cui tutta l’umanità può divenire civile, propri della concezione herderiana, vengono scalzati dalla «giustificazione provvidenzialistica della storia hegeliana» ( .), secondo la quale il primato spirituale europeo coincide con il diritto e il dovere dell’ Europa di rappresen' tare lo stadio più avanzato dello svolgimento storico. Su questa linea di pensiero si porranno molti geografi successivi, in particolare Ernst Kapp e Friedrich Ratzel. Ernst Kapp (1808*1896), un autore che ispirerà diverse opere di Cari Schmitt, riclabora la teoria geografica di Ritter, formulando una concezione articolata della storia della geografia integrata nella filoso* ila hegeliana, fondata sulla centralità dei continenti, c non degli Stati*. In una visione che armonizza la storia, la natura e il progresso scienti* fico, Kapp ripropone l ’idea della sovrapposizione di ogni Stato con un popolo e con un territorio precisi, facendone il fulcro di uno studio di «filosofìa della geografia ». La geografìa, il punto di confluenza del sa* pere storico e filosofico, e, secondo Kapp, essenziale al potere politico fin dall’opera di Strabone: fin dalla Grecia antica, la corretta direzione politica non può prescindere dallo studio della terra. « C om e potrebbe lo studio della geografìa - scrive (1868, p. zi) - essere di utilità pra* tica per il dirìgente politico, se la terra stessa non fosse veramente la base fìsica della comunità politica, conferendo cosi alla creazione dello Stato, intesa come grande opera istituzionale politica educativa, il suo carattere naturale?». La geografìa diventa così il presupposto dell’azione politica e, in­ sieme, una forma di filosofìa c di storia: « l ’ultima specie della rappre­ sentazione geografica deve essere ascritta alla filosofìa» (ivi, p. 19). La filosofìa - e con essa la geografìa - è considerata, nelle opere di Kapp, in un’accezione organicistica: essa è una filosofìa della natura, che per­ mette all’individuo di realizzare la coscienza della coincidenza fra «le leggi del suo pensiero [che] sono le leggi naturali fuori di lui» La storia della geografìa, intesa come il raggiungimento della coscienza geografica e storica, si identifica, pertanto, con la storia della filosofìa e con lo sviluppo delle civiltà. Q uest’ultimo si articola in tre stadi stori­ ci, caratterizzati da tre diverse concezioni filosofiche c geografiche del

se­

condo

ibid

{ibid.).

j. Su Kapp cfr., fra gli altri, Sass (197)) e Sprengel (1996).

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IL PENSIERO GEOPOLITICO rapporto dell’uomo con il suo ambiente» corrispondente a tre diverse fasi politiche: la prima è pocamica, la seconda mediterranea e la terza oceanica. La storia - scrìve il filo so fo tedesco (ivi» p. 18) - è il processo della realizza* z io n c d e ll’ idea d ello Stato, d a cui origin a la spinta d ella storia m ondiale. T ale spinta presuppone un m otore, una p o ten za fisica, un elem ento co stitu tivo vivente, o vvero l'acqua, ch e determ in a la nascita dei prim i Stari in O rie n te a tto rn o alle aree fertilizzate dai fium i, poi co n d izio n a la vita greca e la con* contrazione del p otere im periale rom ano sulle coste del M ar M editerran eo, c, infine, nella sua form a universale, raccoglie c fa sgorgare tutte le altre acque n ell'o cean o , si innesta nella m issione d ello spirito g erm an ico, ovvero nel prò* m uovere l ’ interesse di tu tti g|i Stati.

U terzo stadio dell’evoluzione del rapporto dell’uomo col suo ambien­ te e della riflessione filosofica c geografica e individuato nella geografia culturale, che presuppone c, allo stesso tempo, trascende il condizio­ namento spaziale c naturale. Essa culmina con «la dominazione della terra da parte dello spirito» (ivi, p. 19). In questa fase, l’uomo supera e risolve la sua separazione dalla natura attraverso l’azione su essa, c cioè grazie al lavoro che trasforma il mondo. Alla razionale coltivazio­ ne agraria c al moderno sfruttamento di territori, che costituiscono il primo stadio dell’ inter vento umano, succede lo sviluppo della «tele­ grafìa », e cioè dei mezzi di comunicazione, che riducono le distanze e superano i limiti imposti dalla natura. La fase finale del progresso ma* cenale e spirituale dell’umanirà coincide, per Kapp, con l’ impero dello spirito (Geistareieh), in cui gli spazi geografici sono interdipendenti e l’umanità realizza i fini generali e condivisi da tutti gli individui. A que­ sti stadi storici - potamico, mediterraneo e oceanico - corrispondono le differenti fasi della coscienza geografica. Al primo è legata l’origine della geografia fìsica, che è indirizzata alla spiegazione dei fenomeni naturali: a questa, segue, nel secondo periodo storico, lo studio della geografia politica c, nella terza era, emerge la Culturgeographic, ovvero la geografia culturale. Nella seconda e terza fase, che rappresentano un avanzamento della civiltà, matura la coscienza riflessiva filosofica del rapporto dell’individuo e dei popoli con la natura. La geografia politi­ ca, fondata sullo studio della terra in quanto «abitazione della specie umana» (tVohnhaus des Menscbengeschlecbts per Ritter), costituisce un grado elevato di coscienza storica, poiché analizza la relazione dei

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I. LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA popoli e del territorio con lo Stato, che rappresenta hegelianamente il fine della storia. Lo scandirsi delle tappe di riflessione filosofica e geografica, come si nota, si affianca, per Kapp, alla concreta evoluzione delle forme politiche e delle civiltà, caratterizzate da modi diversi e progressivi dell'utilizzo dell'elemento “acqua" Dal dom inio dell'area mesopotamica, fondato sullo sfruttamento dei fiumi (età potamica), si passa all’egemonia delle città-Stato greche e dell'impero romano, sviluppata interno al Mar Mediterraneo (età talassica), c, infine, alla potenza delle nazioni germaniche, l’ Inghilterra c la Germania, che realizzano l'unità del mondo, congiungendo tutti i continenti attraverso l’oceano (età oceanica). In questa visione che coniuga il progresso tecnologico con lo sviluppo della civiltà, il progredire dello spirito culmina con l’ instaurazione di un ordine mondiale riappacificato. Il fine ultimo della storia umana viene raggiunto col dom inio di alcuni popoli e nazioni: Inghilterra e Germania. Il maggiore impero oceanico - esattamente l’ Inghilterra - che incarnala «prima potenza della terra» (ivi, p. 517) è complementare alla Germania, cuore culturale e politico dell'Euro' pa, che garantisce l'armonia e l’equilibrio continentale (ivi, p. 595), in­ sieme con il dispiegarsi dello spirito, e cioè della riflessione filosofica e della cultura occidentale. La cornice filosofica della geografia di Kapp e la sua interpretazione degli scopi e dei metodi della geografìa si inquadrano in una concezio­ ne organicistica dello Stato e nell’affermazione del primato della cul­ tura germanica, benché essa introduca una concezione più vasta dello sviluppo storico, fondata sulla preminenza dei continenti come attori del progresso. La sua ricostruzione della storia delle civiltà e la sua ri­ cerca del fondamento dell’egemonia degli imperi di mare non avranno molta influenza nella geografia c nella filosofia a lui contemporanee, ma diverranno dei temi ricorrenti nella geografia e nelle opere poli­ tologiche successive, influenzando ad esempio le interpretazioni del geografo Alfred Hettner, di Mackinder e del giurista Cari Schmitt. Il suo modello epistemologico, che ancora la geografia alla filosofia, così come la sua idea teleologica di progresso verranno, di fatto, quasi ab­ bandonati nella disciplina geografica a partire dalla fine del x i x secolo. Infatti, il paradigma armonico della composizione del territorio, del popolo e dello Stato in un'individualità storica c geografica cede e si sfalda a partire da metà Ottocento, conducendo a una riformulazione del rapporto fra la geografia, la politica e la scienza. C on Oskar

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IL PENSIERO GEOPOLITICO Pcschei, Friedrich Ratzel e Ferdinand von Richthofen, la presupposi' zione di un ordine politico e naturale da cui l’evoluzione storica prende senso lascia il passo a una concezione più complessa e dinamica delle relazioni fra gli Stati e i popoli. C o n la crisi del paradigma setteccntesco hcrdcriano, che aveva permesso la fondazione della scienza di Ritter, la disciplina geografica inizia ad assumere contorni diversi e si prepara ad accompagnare e accelerare quei processi di trasformazione dell’ idea di spazio c di politica che contraddistinguono la cultura e la vita della fine del secolo. La proposta epistemologica di Kapp, nel contesto internazionale mutato, non offre risposte adeguate alla trasformazione reale delle categorie c forme politiche, dovute a una forte accelerazione del pro­ cesso di colonizzazione e dell’internazionalizzazione e, insieme, alla diffusione di idee democratiche e di istituzioni politiche che rompo­ no dall’ interno l’equilibrio su cui era basato il sistema degli Stati. C on Oskar Peschel (1816*187$) c soprattutto con Ferdinand von Richtho­ fen (1833-190$), la disciplina geografica viene rifondata in base a me­ todi affini a quelli delle scienze naturali. La concezione teleologica di Ritter, ovvero l’idea della «predestinazione» herderiana dell’ordine politico, viene scardinata da Peschel, che definisce due campi separati di analisi: uno storico e uno geografico. Ancora più decisamente Rich­ thofen sentenzia che il campo di ricerca della geografia è « la superficie terrestre in sé » c indica nel rigoroso metodo comparativo, che permet­ te di rilevarne le conformazioni e le qualità, la maggiore garanzia di scientificità (ivi, pp. 74 ss.). A tale orientamento della geografia verso le scienze naturali, che segna una svolta contro la concezione storica e fi­ losofica dei fondatori Ritter c Humboldt, si oppone Friedrich Ratzel, il quale restituisce un significato fondante al rapporto fra il potere poli­ tico e il sapere geografico. La sua soluzione alla questione della rottura dell’equilibrio politico europeo settecentesco si differenzia profonda­ mente dalle formulazioni di Ritter e Kapp. Ispirandosi alle categorie epistemologiche dei fondatori della scienza geografica, egli cerca una soluzione alla difficile crisi dei modelli politici e scientifici su cui si era consolidata la cultura europea prima dell’esplosione imperialista.

46

2.

Geopolitiche dell’imperialismo nel contesto tedesco e anglosassone Se solo la terra avesse più spazio!

Ranci (1904)

1.1 Teorie del colonialismo nella scienza geografica tedesca: Friedrich Ratzel e la scuola di Lipsia Il mutamento del rapporto ira la disciplina geografica, il sapere scienti' fico c la prassi politica a metà del secolo, in Germania, è contrassegnato da due sviluppi: uno pratico-politico, c cioè la crescente influenza sulla società e sulla politica del colonialismo migratorio e delle organizza* zioni pangermaniche, e uno culturale, ovvero la formulazione di nuovi metodi scientifici che definiscono in modo originale i concetti della cultura, del popolo e dello Stato. Tali processi sono correlati, sia per l’ impegno politico pangermanista di molti esponenti delle «nuove» scienze culturali, sia per la fungibilità politica di alcune teorie accade­ miche elaborate nelle nuove discipline. La politica imperialista della Germania guglielmina è il contesto in cui è possibile, allora, ricostruire questi processi, che costituiscono l’ humus per la rifondazione della ge* ografìa politica da parte di Friedrich Ratzel. L ’ imperialismo guglielmino si biforca in due correnti, che fan­ no riferimento a concezioni politiche divergenti e contrapposte: la c cioè l’ imperialismo economico extraeuropeo, sostenuto dal grande capitalismo c da settori modernizzatori e liberali, e il colo­ nialismo migratorio re azionario-conservatore, proprio dei ceti rurali ) (Smith, 1986. pp. zi ss.). Quest'ultim a ideologia pro­ e agrari ( pugna il progetto di colonizzazione "culturale” degli spazi europei - a e cioè est della Germania - ed extraeuropei. La difesa del delle specificità della cultura tedesca, considerata come espressione di valori agrari e tradizionali, e la critica alla modernizzazione costi­ tuiscono i punti salienti del suo programma. Ai contadini viene affi­ data la missione di diffondere i valori tradizionali tedeschi attraverso

Wcltpolitik,

Junker

Deutschtum,

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IL PENSIERO GEOPOLITICO la "colonizzazione interna* c la diffusione della cultura tedesca nelle organizzazioni e nelle endaves dei tedeschi residenti fuori dai confini (Ausländsdeutsche). La "colonizzazione interna" {innere Kolonisation) avrebbe dovuto rinsaldare le radici della cultura tedesca, sia fuori dalla Germania, sia nei territori della Prussia orientale, interessati da un am­ pia migrazione di braccianti polacchi. La diffusione della cultura ger­ manica nel mondo sarebbe stata garantita, in questa interpretazione, dalla conservazione delle tradizioni da parte dei tedeschi che vivono all’estero, gli Ausländsdeutsche. La migrazione, secondo il programma politico dei gruppi del colonialismo migratorio, avrebbe risolto la crisi economica e agraria tedesca, con lo spostamento dei contadini tedeschi in aree orientali fuori e dentro i confini e avrebbe anche permesso di superare il declino culturale tedesco, diffondendo la Kultur nel mondo e consentendo così alla Grande Prussia di assurgere al ruolo di potenza mondiale. La Lega pangcrmanistica {Alldeutscher Verband, a d v ), che elabora e sostiene la causa del colonialismo migratorio, ha certamen­ te un ruolo significativo per l’elaborazione delle politiche espansive a Est, basate non esclusivamente sulla conquista territoriale, ma sulla colonizzazione agraria e culturale. Nel suo programma del 1894, essa sostiene un progetto che W oodruff D. Smith chiama di culturalengeneering (ivi, p. 104), di ingegnerìa sociale e culturale, che consiste nel rìmodcllamento del substrato etnico e culturale - ma non stret­ tamente razziale - dei territori della Prussia orientale. I suoi obiettivi consistono sia nel sostegno fornito ai piccoli contadini tedeschi per contrastare l ’ immigrazione polacca e l’ampliamento dei latifondi ter­ rieri della nobiltà polacca, sia nella promozione di "colonie tedesche” all’estero per diffondere la cultura germanica. I due punti coincidono con i maggiori obiettivi dell’ imperialismo culturale promosso dagli accademici di Lipsia Friedrich Ratzel e Karl Lamprecht, protagonisti di una rivoluzione metodologica delle scien­ ze umane a fine O ttocento, che avrebbe condotto fra l’altro alla na­ scita di due nuovi modelli di ricerca: l’approccio di storia universale e la geografìa politica. Lamprecht e Ratzel, che fondano il loro metodo scientifico su un’ idea organicistica di popolo e sul rifiuto dell’ indivi­ dualismo metodologico, elaborano una concezione originale del con­ cetto di "cultura materiale”, inteso come l’espressione delle tradizioni c del sapere pratico di gruppi sociali coesi. Q uesto si rivela funzionale alla politica del colonialismo migratorio. Nella lettura di Lamprecht e Ratzel, la cultura indica il grado di sviluppo di un popolo c si rispec­

«.

»

48

1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO chia nel substrato naturale dei paesaggi agrìcoli e nella realizzazione produttiva. In altre parole, essa segnala l’abilità politica di una stirpe, poiché dimostra la predisposizione di una civiltà a dominare “cultura!' mente" e politicamente sul suo territorio e a espandersi oltre i propri confini (Lamprecht, 198z; Ratzel, 1898). È necessario sottolineare il valore dimostrativo ed esplicativo del concetto di cultura in Ratzel, che, al contrario di quanto hanno pensato alcuni studiosi (La Vergata, 100$), non elabora una mera applicazione del social-darwinismo alla scienza geografica, ma il cui pensiero va inserito nella corrente cultural' imperialista dell’epoca gugliclmina. L'attività di Ratzel, infatti, va compresa a partire dal in cui è integrato e lavora, e cioè l’università di Lipsia e la famosa che conta fra gli altri il fondatore della storia universale ( Karl Lamprecht e il padre della psicologia dei popoli ( ) W ilhelm W undt (efir. Chickcring, 1993; Middell, Z005; Schorn-Schütte, 1984). L ’approccio sviluppato da questo circo' lo interdisciplinare nasce dall’aspirazione a imprimere coscientemente alle scienze umane c naturali una svolta metodologica, ponendo al centro dell’analisi i gruppi e non gli individui (Oncr, 1005). Inoltre, gli accademici di Lipsia propugnano una concezione “militante* dell’im­ pegno intellettuale: l’obiettivo fondamentale di Lamprecht e W undt è, da un lato, di formare ed educare la borghesia a intervenire attivamente nella vita politica, dall’altro, di affermare il proprio ruolo di "consiglieri della politica" sulla base della loro competenza scientifica e della loro autorità intellettuale Contro la concezione liberale, che tematizza la differenza fra l’attività accademica e quella politica, tipica dell’approccio weberiano (Weber, 1948), Lamprecht e Ratzel af­ fidano alla scienza un ruolo essenziale di chiarificazione degli obiettivi politici e di educazione del ceto dominante. due accademici di Lipsia interpretano la cultura in modo "tota­ lizzante", come il momento indispensabile di mediazione e di integrazione fra l’ individuo, il suo gruppo di appartenenza e la natura: essa, infatti, permette ai popoli e ai singoli, di prendere coscienza delle leg­ gi naturali e di adeguarvisi. La cultura non rappresenta per lo storico Lamprecht - aspramente criticato dalla scuola storicista tedesca e da Max Weber* - una forma di espressione di individui o di un popolo,1

milieu Leipziger Uni­

Schule, versalgeschichte) Völkerpsychologie

(iùid.).

1

1. Sul famoso M ethoAem trtit che divise gii storici in due schieramenti, rispettiva-

49

IL PENSIERO CEOPOLITICO o il prodotto di processi storici sviluppaci in ambito nazionale» ben­ sì la precondizione per la vita sociale, «la (orma di vita degli uomini socializzaci» (Lebensform vergesellschafteter Menschen) (Lamprecht, 1974, pp. 577-8). Essa acquista, così, due valenze: ¿ il modo naturale attraverso cui si organizza la vita degli uomini e denota, al contempo, la conquista di una coscienza storica e politica superiore. A tal propo­ sito si deve definire la (òrma di imperialismo, promossa da Lamprecht e da Ratzel, come Kulturimperialismus: la politica estera, c specifica­ mente la politica coloniale, devono fondarsi, in tale prospettiva, sul­ la (orza di persuasione culturale, mirante a rafforzare c accrescere la potenza dell’ impero tedesco (Lamprecht, 1913)*. In linea con l’ idea di colonizzazione non violenta, lo storico di Lipsia afferma che «per conquistare il “cuore” dei popoli stranieri caratterizzati da una “cultura bassa o media” è necessario favorire una politica culturale pervasiva, attraverso le scuole, le istituzioni formative e culturali» (Lamprecht, in Vom Bruch. 198z, p. 199). La cultura diventa, così, uno strumento di dominio c, insieme, la testimonianza della superiorità di un popolo su un altro e il segno della missione della nazione tedesca*. L ’imperia­ lismo, c cioè la penetrazione della cultura superiore in quella inferiore e la sua supremazia, è così legittimato dalla legge naturale che impone alle grandi civiltà di guidare il mondo. Il progetto cultural-impcrialista affidato al popolo tedesco presuppone l’educazione e il perfeziona­ mento ad opera degli uomini di cultura. In un’analoga chiave di interpretazione, Ratzel, a cavallo tra i due secoli, mira a «ampliare gli orizzonti geografici» del proprio popo­ lo {Erweiterung des geographischen Horizontes), in modo da educare i cittadini a pensare «in grande», ovvero a immaginare l ’espansione e la creazione di grandi unità politiche, in grado di affrontare con suc­ cesso la sfida sferrata dalla prima internazionalizzazione delle società e dei rapporti politici (Ratzel, 1897, p. zoo). La teoria ratzeliana, allo­ ra, non spiegabile come una concezione del nostalgico ritorno alla natura o del conservatorismo agrario, ma utilizza i temi del pensiero conservatore per un progetto politico colonialista e modernizzatore.

è

mente favorevoli a Weber e a Lamprecht, cfr. Schorn-Schütte (1984). 1. Sull*imperialismo culturale cfr. Vom Bruch (1981). 3. È possibile riscontrare una certa continuiti tra l'idea hegeliana di storia uni­ versale c la centralità conferita alla cultura europea e le concezioni di Lamprecht c Ratzel.

50

X. GEOPOLITICHE DELL'IMPERIALISMO Essa coniuga, così, aspetti moderni, come l ’esaltazione delle conquiste tecnologiche e la fede nella confluenza, presso le società culturalmente avanzate, fra il progresso e la maggiore coscienza delle leggi naturali (Ratzel, 1899, p. 85), con la perorazione conservatrice del rispetto della natura e dei suoi processi. E questo il motivo per il quale l’approccio di Ratzel alla questione delle migrazioni e della colonizzazione - il cosiddetto «diffusionismo» ratzeliano (Smith, 1986, 1991) - è stato tradotto in sapere pratico usato politicamente in senso imperialista, mettendo d ’accordo due partiti opposti della politica guglielmina: i grandi industriali e il settore agrario. Ratzel, pur appoggiando il colonialismo migratorio, non giustifica l'imperialismo in base alla sola potenza o alla necessità, da parte di un ma le* popolo sano, di espandere il proprio spazio vitale ( gittima, come Lamprecht, un imperialismo di tipo culturale. Se è vero che nella concezione storica e politica rarzeliana, vicina al dettato del neolamarckismo, il futuro arride solo agli Stati in continua espansione e, in tal chiave, l’Europa continentale viene «risvegliata dalla convin­ zione della necessità di unirsi almeno economicamente in uno spazio più esteso contro i giganti della Russia, dell’America e della Gran Breta­ gna» (Ratzel, 1896b, p. 106), la forza bruta e la violenza non sonoi mez­ zi attraverso cui si realizzano le leggi naturali della crescita. Solo i popoli che hanno sviluppato una cultura avanzata possono im­ porsi «grazie a leggi naturali», inglobando di fatto i popoli naturali e i loro territori (Ratzel, 1901, p. 161). La vittoria dei po­ poli civilizzati su quelli inferiori dimostra la loro naturale superiorità. La cultura diventa, così, uno strumento di dominio universale, piegato, al contempo, al servizio particolare della nazione prussiana. La teorìa rarzeliana tematizza espressamente alcuni temi di inte­ resse politico, riponendoli al centro della trattazione geografica e ag­ giornando il dibattito sulla funzione politica della scienza geografica. Com e osserva Farinelli (1000), nel rifiutare l ’orientamento metodologico naturalista e l ’esclusiva trattazione dei fenomeni fìsici, Ratzel rielabora l’ idea rìtterìana e humboldtiana del radicamento della disci­ plina corologica all’interno delle scienze umane e in stretta relazione con la storia e con la storia politica. Tuttavia, la sua implicita polemica contro la scelta di Richthofen di formulare una scienza esatta e natu­ rale della geografìa non implica un mero riromo alla concezione or­ ganicistica dei «fondatori»: l’eclettico Ratzel - zoologo, biologo e giornalista - interpreta in termini nuovi lo statuto epistemologico e la

Lebensraum\

{Kulturvölker)

{Naturvölker)

{Kultur)

5*

IL PENSIERO GEOPOLITICO metodologia della geografìa, innescando su di essa i cemi della lettera' tura scientifica a lui contemporanea e del dibattito politico (Schultz, zooé). In tal modo, Ratzel, pur professando il ritorno alla disciplina geografica originaria che comprende lo studio del cosmo e dell’uomo e che tematizza la politica, e pertanto rifiutando apparentemente i ca* noni della scienza borghese, assorbe e traduce nei suoi scrìtti la crisi politica e sociale del suo secolo. In tal modo, Ratzel riflette ed esprìme il fallimento del paradig­ ma su cui si fondava l’equilibrio degli Staci e l’armonia fra il sapere scientifico e la funzione politica, ancora saldo in Humboldt e Rittcr. La profonda divergenza della concezione geografica ratzeliana con il modello ritteriano-herderiano diventa palese all’esame dei concetti politico'geografìci che Ratzel usa nelle sue opere principali, e cioè in Antbropogeographie (1881-1891), in D erStaat undsein Bodcn (1896) e Politische Gcographie (1897): l’ idea di spazio vitale (Lcbcnsraum), di Stato e di grande spazio (Grofiraum), c la concezione di spazio.

1 .1

L ebensraum , popolazione e grandi spazi in Friedrich Ratzel Secondo Smith (1991, pp. 13 ss.) il pensiero di Friedrich Ratzel (18441904) risente fortemente della crisi del «m odello delle scienze libera­ li» diffuso dall’inizio del secolo e fondaco su tre presupposti: la con­ cezione razionale dell’individuo, l’idea nom otcticadi scienza empirica e, infine, la credenza nelle leggi di cambiamento c di equilibrio finale che governano insieme il mondo e la scienza. La crisi del liberalismo, successiva alle rivoluzioni fallite del 1848, provoca, infatti, la messa in discussione dei metodi di classificazione della società c dei modi in cui l ’intellettuale borghese interviene nel dibattito politico: da que­ sto momento in poi si avvia un ripensamento delle maggiori catego­ rie epistemologiche nelle scienze umane. L ’emergere delle cosiddette ‘ scienze della cultura” è conseguente a questo mutamento e provoca una vera c propria rivoluzione scientifica in senso kuhniano. I princi­ pali ‘ attori politici” - gli Stati c i popoli - dello svolgimento storico, secondo la storiografia ottocentesca, mutano e, insieme, viene meno la facile identificazione delle entità politiche con quelle date dalla natura su cui si fondava la corologia. Le individualità storiche, la razionalità

Si

I. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO dell equilibrio del sistema degli Staci, la divisione politica in territori naturalmente separati non sono più quei punti fermi che garantivano i modelli stabili c consolidati di scienza e di prassi politica. Il pensiero di Friedrich Ratzel registra questi cambiamenti, inno­ vando le scienze della cultura, e in particolare l’ idea e i metodi della scienza geografica. Egli innesca nella sua concezione originale i motivi del darwinismo, del neolamarckismo, della sociologia organicista di Albert Schaflflc, della zoologia di Ernst Hacckcl, della teoria zoologica delle migrazioni di Moritz Wagner c, infine, del modello spcncenano di scienza sociale evoluzionista c della teoria panpsichica di Gustav T. Fechner. La concezione evoluzionista spenccriana, secondo la quale la società è un organismo che si evolve, differenziandosi funzionalmen­ te nelle sue parti costitutive, viene fusa, nell’ interpretazione ratzeliana, sia con la concezione “spiritualista” del sociologo Schafiflc, per la quale è rilevante « l ’ interna articolazione» della totalità, incesa non biologicamente ma spiritualmente (Ratzel, 1896a, p. 8), sia con la sta­ tuizione dell’ inevitabilità della distribuzione c della migrazione degli individui biologici c delle specie, affermate rispettivamente da Ernst Haeckcl c M oritz Wagner. La lettura di Ratzel ingloba in tal modo i temi del neodarwinismo c del neolamarckismo propri della cultura coeva c i suggerimenti del migrazionismo di Wagner: il popolo miglio­ re, nella concezione di questi, si adatta aH’ambiencc c si espande natu­ ralmente, dominando e annichilendo le culture inferiori (Campbell, Livingstone, 1983). In tal modo, il colonialismo viene inteso non solo in termini scientifici, ma strettamence politici, in tal guisa da promuo­ vere un certo progetto funzionale agli interessi dei seccori conservatori tedeschi. Così Ratzel legittima l ’attività dei “coloni”, e cioè degli agricoltori tedeschi, privilegiandola rispetto alla conquista di territori tramite la spedizione di dotte (Ratzel, 1896b, pp. 93 ss.). L ’ Europa, in tale prospettiva, è «il cuore» della colonizzazione e della civilizzazio­ ne tcrrcstri(Ratzel, 1903a, p. 171). La comprensione delle leggi della natura - e insieme della storia umana - viene raggiunta da Ratzel grazie a un approccio “sintetico”, che integra i metodi delle scienze biologiche e zoologiche, insieme con la scoria e la politica, intrecciando strumenti di ricerca e concetti discipli­ nari diversi. Tale eclettismo metodologico è finalizzato alla descrizione della «totalità», e cioè all’osservazione dell’ insieme dei fenomeni sto­ rici e naturali, nella loro concatenazione e connessione, per rinvenirne il senso storico: « C iò che deve essere spiegato - annuncia Ratzel nella sua

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO Anthropogeographie ( i 88i , p. 7) - è la relazione della superficie terrestre con la natura e con la storia, e cioè la terra diventa oggetto della ricerca scientifica geografica solo fin tanto che le sue manifestazioni di ordine spaziale seguono delle leggi specifiche, poiché la terra costituisce sia il fondamento e la base di tutta la vita, sia la scena dello sviluppo dello spazio vitale, e in particolare della vita della specie umana ». Per Ratzel, al contrario che per i suoi coevi colleghi geografi, gli steccati disciplinari fra la storia e la geografia, c all’ interno di questa fia Erdkunde geografia della terra - c Länderkunde scienza delle re­ gioni - , non hanno ragion d essere. La geografia umana (Anthropogeographie) c la geografia politica (Politische Geographie), infatti, devono mirare insieme a spiegare i fenomeni sociali e politici e le migrazioni dei gruppi etnici collegandoli con le leggi naturali e cioè ricostruendo quelle regole che determinano e sottintendono al rapporto fra il vivere civile, la cultura di un popolo c la natura del territorio. L'abile impiegp da parte di Ratzel di un modello di spiegazione biologico e zoologico per comprendere degli eventi storici e politici c, viceversa, l’inquadra­ mento dei processi naturali all'interno di una totalità «spirituale», propri del metodo di Ratzel, rendono i suoi scritti dubbi da un pun­ to di vista accademico (Schultz, 1995), ma anche estremamente frui­ bili dal pubblico più vasto e da alcuni settori politici. Alcuni esempi dell'affascinante composizione di linguaggi accademici diversi sono la sua celeberrima concezione del Lebensraum, quella del territorio, dello Stato e del “grande spazio" {Großraum). Il Lebensraum rappresenta in Ratzel, specularmente alla concezio­ ne della cultura materiale, un concetto biologico con una spiccata ac­ cezione culturale e politica. Lo spazio vitale, che era originariamente definito dalle scienze naturali come quel territorio utile per la soprav­ vivenza dì una specie biologica, diventa, nell'accezione ratzcliana, un territorio dominato culturalmente e politicamente da uno specifico popolo. Ratzel articola e fonda la sua teoria sulla premessa biologica diffusionista della migrazione delle popolazioni4, dinamizzando la no­ zione di equilibrio e ordine politico attraverso quella di spazio vitale e postulando la «naturale» espansione politica da parte di un popolo

-

-

4. Secondo la teoria diffusionista, che riprende i concerti di Vfògncr sul valo­ re essenziale delle migrazioni per lo sviluppo dell’umanità, i popoli sono destinati a diffondersi in altri territori, esportando la propria cultura c i propri modi di vivere e innescando un processo di selezione naturale, in cui i popoli "migliori” sopravvivono.

54

1. GEOPOLITICHE DELL’lMPERIALISMO «sano». La corrispondenza fra un cerco territorio, un popolo e uno Stato viene travolta dal dinamismo dei popoli e dalla limitatezza dello spazio: la condizione umana è determinata dalla ristrettezza del terri­ torio c dalla conseguente lotta dei popoli, o dalla loro migrazione per mantenere o conquistare il proprio La lotta per lo spazio, che, come rileva acutamente Hans-Dictrich Schultz (1007). equivale nel linguaggio di Raczel alla darwiniana lotta per resistenza, origina da una contraddizione, insita alla condi­ zione umana, tra (espansione della vita e lo spazio. «La vita - scrive Ratzel (1901, pp. 114-5) c movimento [...], tale vita è prima di tutto un fatto interno all’organismo. Ma la vita interna produce sempre un movimento esteriore. O gni aumento della massa organica, ogni cre­ scita, ogni riproduzione significa un movimento nello spazio; e ogni movimento implica il dominio sullo spazio ( )» . La vita, che è movimento, c necessariamente frenata c condizionata dallo spazio, che limita e orienta il suo corso, «poiché lo spazio è la primaria condizione della vita e ad esso si misurano tutte le altre condizioni del­ la vita umana, prima di tutto quella del nutrimento. Nella lotta per re­ sistenza. allo spazio è assegnato lo stesso signi Reato che esso ha in ogni momento decisivo della lotta dei popoli, nelle battaglie. In entrambi i casi la lotta avviene per la conquista dello spazio attraverso movimenti di avanzamento o di ritirata» (ivi, p. i$z). La conquista dello spazio viene così fatta dipendere dal fabbisogno del nutrimento e pertanto dall’aumento di popolazione e, soprattutto, dalla capacità di un popolo di dominare lo spazio attraverso la sua cul­ tura - ovvero tecnica - supcriore. La crescita demografica dimostra la fertilità e il benessere di un popolo e la sua espansione testimonia della superiorità culturale di un A sua volta, la superiorità culturale si traduce nella coscienza e conoscenza dello spazio, e cioè nella produ­ zione di un insieme di conoscenze in grado di condurre uno Stato a dominare politicamente sugli altri*. La riduzione dello spazio vitale di un popolo decreta, al contrario, il declino della civiltà che lo abitava e il riassetto dell’ordine politico e spaziale ( in Ratzel, i?03a, p. Z04).V

Lebcwraum.

Raumbetuahigung

Volk.

Umformung*

V Si nota in R anci un’inversione dell’idea hegeliana c rincriana del rapporto inverso fra lo sviluppo culturale c la prossimità alla natura: per Ratzel l ’accrescimento delle conoscenze c la civiltà conducono l ’uomo a una maggiore comprensione e vici­ nanza con la natura.

S5

IL PENSIERO GEOPOLITICO Da questa argomentazione deriva che la differenza fra Naturvölker e Kulturvölker è insieme culturale e naturale: culturale, poiché ai popoli non civilizzati manca la capacità di elaborare una politica e delle co­ noscenze che permettano a loro il dominio dello spazio (Raumbewaltigung) e l’espansione della loro cultura nel mondo; naturale poiché da questa inferiorità e debolezza scaturisce il loro «naturale» destino a scomparire o sottomettersi alla forza propulsiva delle civiltà vincenti. L ’espansione di una popolazione presuppone, infitti, la realizzazione cosciente del destino che la lega ad un particolare spazio e al mondo: « L ’allargamento dell’orizzonte geografico {Erweiterung desgeographi­ schen Horizontes), frutto degli sforzi spirituali e fisici di innumerevo­ li generazioni, pone sempre nuovi spazi a disposizione della crescita territoriale dei popoli, e lo sviluppo politico avanza di tappa in tappa fino ad arrivare ad abbracciare la terra in una totalità spirituale» (ivi, p. 105). Non è esclusivamente necessaria, allora, la conquista violenta di altri territori per affermare la supremazia culturale, benché la guerra sia giudicata in Politische Geographie una «scuola dello spazio», che educa la popolazione a dominare il proprio territorio e ad espandersi (ivi, p. 373)*. La diffusione della cultura è uno strumento adeguato e potente per un’effettiva colonizzazione, perché essa scaturisce natural­ mente dallo stesso movimento vitale dei popoli migranti: « C iò che chiamiamo migrazione è in verità la crescita della vita di un territorio oltre il proprio spazio originario» (ivi, p. 118). In tal modo Ratzel le­ gittima il colonialismo sia su una base scientifica neodarwinista, sia su un fondamento culturale e universalista (Smith, 1991, pp. 140 ss.). Il vincitore nella naturale lotta fra le nazioni che ambiscono ad allarga­ re il proprio Lebensraum dimostra, infatti, insieme la sua superiorità militare e culturale rispetto a tutti gli altri popoli, inverando la leg­ ge darwinista del dominio della specie migliore; la sua vittoria, a sua volta, arreca vantaggio allo sviluppo all’umanità, poiché permette la diffusione delia cultura superiore e sana. Da un lato, per Ratzel ogni unità organica del popolo ( Volksgan­ ze) tende a diventare un’unità naturale e politica {Naturganze), e cioè6

6. La guerra assume un grande valore per giudicare i p opoli Nei popoli che han­ no livelli culturali bassi essa è l'unica «prova del valore in un popolo» (Ranci, 1900, p. 17), ma anche in quelli caratterizzati da una cultura evoluta essa ha il significato di una grande prova. Essa è «la scuola migliore per il giudizio dei popoli» (ivi. p. 18).

56

1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO a completare la sua individualità attraverso (’acquisizione di un terri­ torio e di un ordine politico stabili. D ’altro canto, però, la vita com­ porta il movimento e la continua espansione: nessun confine c definito per sempre c ogni configurazione politica è mutevole. D all’intrinseca mutevolezza dei confini trae significato la visione «realista»: questa si deve fondare non sulla considerazione degli accordi interstatali, ma sull’osservazione dell’ingrandimento degli spazi politici e del possibile conflitto fra grandi potenze. Da questa contraddizione tra la concezio­ ne organica dello Stato, a cui corrisponde un Volk e un territorio, e la sua espansione emerge la tensione, propria di tutta la disciplina geografica, tra il radicamento della geografia nel paradigma dello Stato sovrano e la ricerca di altri punti di riferimento per comprendere le dinamiche della storia mondiale. In altre parole, Ratzel intuisce che il riferimento alla potenza dello Stato e alla sua sovranità limita la comprensione dei mutamenti politici del suo secolo. Il modello politico geografico dello Stato nazionale fondato sulla sovrapposizione fra il Volk e lo Stato, ere­ ditato da Herder, deve cedere di fronte all’evidenza della mobilità delle popolazioni c del carattere espansivo delle potenze europee: la geogra­ fia non può più spiegare con lo schema herderiano la corsa all’espansio­ ne imperiale c nemmeno la più ristretta, ma rilevante in area tedesca, colonizzazione interna, poiché i rapporti di equilibrio presupposti dal paradigma herderiano sono scomparsi. Essa non dispone, però, di uno schema alternativo a quello dello Stato sovrano nazionale. La tensione tra la tendenza alla stabilità e l’impulso al superamento dei limiti, tema­ tizzata in tutta l’opera di Ratzel, rimanda alla dicotomia tra il principio di individualità dello Stato (Ratzel, i90$a, p. 181), e la legge dell’espan­ sione degli spazi (Gesetz des räumlichen Wachtums). Nella visione ratzeliana, questa tensione viene risolta, diversamente da Ritter, attraverso la gcrarchizzazione degli spazi e ladinamizzazione dell’ordine politico (Schultz, 1007, pp. 51 ss.). Gli spazi, ovvero i popo­ li e gli Stati che su di essi si fondano, non sono uguali, ma sono sovraordinati o subordinati, ovvero divisi fra popoli naturali (Naturvölker) e popoli portatori di cultura (Kulturvölker) o, anche, fra i grandi Stati che tendono ad abbracciare tendenzialmente un continente e i piccoli Stari. Il fulcro dell’ordine politico inizia a spostarsi su unità più ampie dello Stato: la frase « E in Kontinent, ein Staat» (un continente, uno Stato) racchiude la prospettiva del futuro in Ratzel (1901b, p. $1 La storia, allora, si orienta verso il superamento delle piccole forme pò-

6).

S7

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO litiche e verso il trionfo dei grandi Staci, in una visione che in parte recupera alcuni elementi della teoria filosofica di Ernst Kapp. Implicitamente la teorìa ratzeliana mette in dubbio i suoi stessi presupposti, e cioè quel rapporto di corrispondenza fra i territori, i popoli e gli Stati (Farinelli, zooo; Schultz, 1007) che, fino ad allora, era dato per scontato. Lo Stato è primariamente un organismo vivente, non solo biologico ma anche spirituale: « L ’uomo, così come la sua opera terrestre maggiore, e cioè lo Stato, non è pensabile senza la terra. Quando parliamo di uno Stato, incendiamo, come per una città o una strada, sempre una parte di umanità, una parte di lavoro umano e una porzione di territorio» (Ratzel, 18963, p. 18). Lo Stato è, pertanto, un organismo dinamico, non un artefatto politico. Esso si costitusce sugli scambi costanti fra l’uomo e il suo territorio, che la geografìa politica studia nei suoi aspetti materiali e culturali. A llo stesso tempo, la sua fondazione nella «m aterialità», nel rapporto con i limiti e le forze naturali che agiscono su di esso, è al cuore dell'osservazione geografica: la sua conformazione territoriale e la «natura della sua popolazione» rappresentano le radici oggettive della sua vita (ivi, p. 31). Si intravvede in tale lettura una nuova accezione dell’ idea di Stato: esso non è più "proprietà” del monarca o oggetto di accordi dinastici o, ancora, frutto di contrattazione di istituzioni politiche mosse dalla "ragion di Stato”, ma una realtà naturale e insieme culturale, fonda­ ta su due entità esterne ad esso - il territorio e la popolazione - con cui intrattiene un rapporto dialettico. Grazie a queste, lo Stato viene definito come organismo individuale; d ’altro canto, esso ordina e do­ mina il popolo c il territorio. È naturale che questa interpretazione del concetto di Stato giunga, portata alle sue estreme conseguenze, a far implodere le categorie su cui si era fondata la dottrina dello Sta­ to paternalista settecentesco e, più oltre, anche le rivendicazioni dello Stato rivoluzionario. Uno dei presupposti del concetto di Stato, c cioè il confinamento e la delimitazione del territorio dello Stato sovrano attraverso confini decisi da accordi internazionali e dall’esercizio del potere, viene slegato dalla decisione politica di individui o gruppi, e inizia a far perno, nel pensiero di Ratzel, sul complesso rapporto tra la popolazione c il territorio e la cultura di un popolo. Una volta che l’e­ voluzione e la delimitazione degli Stati vengono scisse dalle decisioni umane "arbitrarie” o dalla ragion di Stato - come avviene nella storio­ grafìa rankiana e nella concezione politica illuminista - e anche dal loro legame con un ordine ed equilibrio prestabiliti - come in Herder e

1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO Ritter - , lo Stato obbedisce a leggi di crescita e declino biologicamente definite. Esso segue i movimenti dei popoli: mette a disposizione di una popolazione in fase espansiva c di una cultura dominante, nuovi territori utili per il fabbisogno alimentare, economico e «culturale» (Ratzel, 1905a, p. 114). Q uesto Stato non coincide in linea di massima con nessun terri­ torio stabilito una volta per tutte, ma si definisce in base alla sfera di interessi (Interessensphäre) e all’ambito culturale (Ktdturgebiet). «Fuori del suo ambito territoriale - precisa Ratzel in Der Staat und sein Boden (1896a, p. 2.8) - lo Stato rivendica un campo di influenza o una sfera di interessi in diretta relazione con il suo nucleo». Riecheg­ giando, ma non citando, la concezione che fonda la dottrina di M on­ roe del 1813 sulla «sfera di influenza», Ratzel traduce politicamente e praticamente l’ idea dello «sconfinam ento» dell’ intervento statale con il principio di non intervento degli Stati confinanti in una sfera di interessi appartenente a un altro Stato. La protezione di interessi politici ed economici, oltre la sfera dello Stato nazionale attraverso l’ imposizione di un potere politico su ambiti economicamente o ter­ ritorialmente affini, non scaturisce dai limiti territoriali e geografi­ ci, ma dalle relazioni di potere {Machtverhältnisse) internazionali in condizioni di conflitto, quando « l’occupazione da parte di un altro Stato di parte di territori non occupati, e al di fuori del proprio ambi­ to, viene considerata come una violazione del suo proprio territorio» U n’ulteriore dimostrazione della relatività dei confini (ivi, p. l territoriali è individuata nella protezione della sfera della comunità della cultura {Sphäre der Kulturgemeinschaft), e cioè dell’ insieme di territori che dimostrano un’affinità {Venvandtschaft) o comunanza {Gemeinschaft) con il nucleo centrale statale. La loro condivisione di caratteri culturali e storici comuni con uno Stato esterno costituisce per Ratzel un fattore potente di orientamento politico: «nascono così le comunità o affinità storiche, che non hanno niente in comune con gli ambiti territoriali degli Stati: la loro intima comunanza è prò-7

8)\

7. In questo passaggio di R anci è possibile leggere una rappresentazione dei rap­ porti tra gli Stati simile a quella della dottrina di Monroe del 18zj: lo Stato protegge non solo i suoi confini, ma quelle arce che risultano cruciali per i suoi interessi. Il su­ peramento dei confini statali attraverso il ricorso ad arce più vaste configurate come sfere di influenza o di interesse costituisce uno dei filoni più interessanti del pensiero gcopolitico che verrà esplorato nei prossimi capitoli.

59

IL PENSIERO GEOPOLITICO fonda e si estrinseca nell’azione politica» (Ratzel, 1903a, pp. 180 ss.). Esempi di ambiti culturali affini sono l’ Europa mediterranea, la Mitceleuropa e l’ Europa orientale: tali arce, pur essendo politicamente frammentate, sono unità culturali che eventualmente si trasformano in entità politiche. È evidente che la definizione di aree culturali e di interessi omoge­ nei c politicamente rilevanti travalichi la descrizione geografica e inve­ sta la questione politica dell’intervento degli Stati su zone poste al di là dei loro confini c della loro rispettiva sovranità. In questa prospetti­ va Ratzel svolge una doppia critica, metodologica e politica, riguardo alla concezione geografica e politica corrente dell’ idea «chiusa» dello Stato. D a un canto, attacca la concezione « astratta c non organica » di Ritter (in Ratzel, 1896a, p. 30) che si fonda su una scontata equivalenza tra lo Stato e un territorio geografico e culturale omogeneo, poiché essa non tiene conto del movimento di espansione degli Stati e della non coincidenza fra l’ambito politico (politiscbes Gcbiet) e quello na­ turale (Naturgebict). D all’altro, polemizza contro la politica delle na­ zionalità, dimostrando l’inadeguatezza di questa a confrontarsi con la dinamica degli Stati e delle popolazioni e denunciando il suo carattere obsoleto, immobile e astratto: tale orientamento nazionalista significa per Ratzel un «regresso», poiché presuppone uno spazio territoriale ridotto (ivi, p. 83) e che si autolimita. Pertanto, la «nuova» geografìa politica di Ratzel rivela l ’efficacia di una politica «territoriale», che, poggiando sulla differenziazione fra spazi politici, culturali e sfere di interesse, legittima l’espansione coloniale, il cui scopo e di « trasforma­ re un paesaggio naturale in un paesaggio culturale» (ivi, p. 93), e cioè di intervenire attivamente con il lavoro dei «coloni» c con la politica di conquista pacifica [fricdlichc Eroberung) per rintegrare alcuni spazi «affini» ad uno Stato culturalmente omogeneo (ibid.). Ratzel fonda cosi scientificamente, e cioè legittima attraverso un discorso accademico, due tipi diversi di colonialismo: il primo corri­ sponde alla corrente della tedesca e affine all’ imperialismo ", che mira a sottomette­ colonialista inglese del “ re i popoli “non civilizzati” di altri continenti diffondendo la propria cultura «superiore»; il secondo si pone nell’ambito del colonialismo migratorio, il cui programma è il graduale assorbimento dei territori storicamente e culturalmente «affini» attraverso il lavoro dei coloni e l’espansione culturale. Si deve allora inquadrare il pensiero di Ratzel all’interno di una complessa prospettiva politica imperialista, che di­

Wcitpolitik white mans burden

60

I. GEOPOLITICHE DELL'IMPERIALISMO namizza i limici territoriali e le competenze dello Stato, non solo attra­ verso la conquista in altri continenti, ma anche con la rivendicazione del dominio su sfere di influenza omogenee nel continente europeo. Così si pongono le basi geopolitiche per quella che sarà la spinta a est propria di tutta la politica espansiva tedesca. In tale visione i confini statali - intesi in Rittcr come stabili e definiti da «linee» nette - vengono sostituiti dalle frontiere tipiche degli imperi: zone di tensione e osservazione, terre di nessuno’ . Per Ratzcl «la linea di confine è solo un’astrazione del fatto che quando un corpo tocca l’altro, esso lo modifica alla superficie, che a sua volta è distinta dal suo nucleo [...]. La zona di confine è la realtà, la cui astrazione è la linea. [...] tutte le linee sono irreali» (Ratzel, 19033, p. 538). Una dimostrazione del superamento dell’ idea di Stato in Ratzel è rappresentata dalla visione dell’organizzazione politica futura e dall’enfasi sul «senso dello spazio» come motore della dinamica politica. Ratzel non considera lo Stato né come un fine, né come l’orìgine della politica. Esso non corrisponde alla tappa finale hegeliana dello sviluppo umano, pur essendo una tappa fondamentale dell’evoluzione dell’umanità (Ratzel, 1900). Esso, infitti, è un mezzo per lo scambio e l ’espansione dei popoli ed è, pertanto, equivalente al commercio: « L o Stato mira, attraverso un più deciso espansionismo e accentramento, allo stesso scopo a cui mira la circolazione dei popoli attraverso il contatto pacifico e lo scambio» (ivi, p. 9). Inoltre, geneti­ camente, lo Stato rappresenta una tappa intermedia per la realizzazio­ ne finale dell’umanità, che è destinata ad unirsi in un’organizzazione universale: lo Stato costituisce una fase intermedia tra le prime forme di aggregazione commerciale e l ’età finale universale.

{Drang nach Oste»)

{Raumsinn)

Ogni Stato che si espande su popoli e razze diversi - scrive Ratzel ( ivi, p. 11) realizza, così, il suocontrìbuto per la formazione dell’umanità. TaleStato può essere considerato come un organo di tale processo. (...) Così come il legame economico prepara quello politico, l’unità politica sempre il primo passo per un’unità etnografica. Ucommercio fa penetrare i popoli gli uni negli altri, la politica li unisce insieme e li fa interagire in uno spazio, c, in tal modo, si forma una razza politica.8

è

8.

Una trattazione dei diversi confini delle entità imperiali si trova in MiinkJer

(1008).

6l

IL PENSIERO CEOPOLITICO

Anthropogeograpbic

In (1881, p. 174) Ratzcl preconizza, come Ernst Kapp, l'unione del mondo in uno Stato globale destinato ad abbraccia* re l’ intera umanità espansione dei traffici commerciali, l’abbattimento dei condizionamenti dello spazio tramite le scoperte tecnologiche e la maggiore istruzione e coscienza da parte dei popoli della loro capacità di dominare lo spazio, conducono inevitabilmente ad un ordine mondiale pacificato. Trascinato dall’entusia­ smo per il progresso, Ratzcl (190 za, voi. 11, p. 677) proclama: «Sen­ tiamo la potenza elementare della legge naturale in questa corrente dell’ interesse mondiale; dobbiamo entrare nella corrente e seguirla, per non essere trascinati e lacerati da essa». La realizzazione dell’umanità unita e pacifica si fonda, come in Kapp, sullo sviluppo culturale, e cioè sull’allargamento dell’orizzonte geografico e politico (Ratzcl, i903a, p. z i7) nella mentalità del popolo. Questo deve essere educato a sviluppare la coscienza dello spazio, in modo da sfruttare la sua competenza geografica e spaziale c conseguire il dominio culturale e politico sullo spazio, inteso non meramente in senso statale territoriale: in verità, infatti, « l ’accrescimento dello spa­ zio è una delle forme del dominio politico dello spazio» (ivi, p. Z14). U grande spazio non è, allora, uno spazio grande, una semplice definizio­ ne geografica o politica, ma una condizione dello spirito: «lo spazio [nel senso di grande spazio] si trasmette nello spirito dei popoli [e] agisce, indipendentemente dalle limitazioni del territorio, come ’‘spa­ zio in sé” e come “senso politico dello spazio” nei singoli c nei popoli» (i896b, p. 13). Lo studio della geografia acquista, a questo proposito, un ruolo essenziale non solo per un’azione politica corretta e coscien­ te (ivi, p. 117), ma anche per l ’educazione dei popoli, i quali saranno vincenti nella lotta politica, solo allorché elaboreranno una «conce­ zione ampia» dello spazio ( ) (i903a, p. 370). Lo spazio perde, in questo risvolto del pensiero di Ratzel, la propria mate­ rialità e diventa l’agone di confronto che consente di rivelare la forza spirituale e politica di un soggetto storico: « L o spazio in sé, non uno spazio definito, viene misurato in relazione alla forza necessaria per il .). La concezione agonistica della dinamica dello suo dom inio» ( spazio visto come limite e confronto dei popoli e della loro capacità di elaborazione culturale tradisce la matrice neodarwinista del pensiero ratzeliano, mentre la sua formazione idealistica traspare dalla sua teoria complessa del rapporto fra la cultura e la società.

(Erdumjhssungdcr fVeit): 1

Grofiraumauffassung

ibid

6i

I. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO

1-3 U contesto anglosassone: la geopolitica dell*impero marittimo in Alfred T. Mahan A l contrarío della nazione prussiana, che può essere definita come un nel raggiungimento dcirunificazione nazionale e. poi. nella sua affermazione come potenza imperiale, la Gran Bretagna rapprcsenta (esempio più compiuto del colonialismo europeo a metà Ottocento. L ’impero britannico, fondato sul commercio marittimo e su una politica di promossa da Ewart Gladstone, era una potenza mondiale consolidata già prima che le classi dirigenti dell’ impero te­ desco, nato nel 1871, volgessero la loro attenzione all’espansione terri­ toriale coloniale e all’egemonia sul vecchio continente. Benché il x i x secolo rappresenti il «secolo imperiale» della Gran Bretagna (Smith, 1998), in cui si allarga c si consolida il suo formidabi­ le potere politico e commerciale, il dominio coloniale britannico viene in parte minacciato sia dall’ interno, con la guerra di indipendenza del­ le colonie americane conclusa con la pace di Parigi del 1785 e poi con la seconda guerra dei Boeri, conclusa nel 1901, sia dall’esterno, e cioè dalle altre potenze imperiali della Francia di Napoleone e della Rus­ sia. In ambito politico-economico, il postulato liberale del che aveva garantito al Regno Unito l’egemonia sui mari, viene sfida­ to nella competizione dei paesi europei per le colonie: il segretario di Stato delle colonie, Joseph Chamberlain, propone nel 190 j una brusca virata nella politica economica e l’adozione di una politica di tariffe doganali per reagire alla maggiore competizione. Iniziano, allora, a emergere quelle contraddizioni che condurranno alla crisi del sistema intemazionale e coloniale britannico nel secolo successivo: la crescente industrializzazione nelle colonie e la formazione in esse di una classe dirigente, educata ai principi democratici occidentali, insieme con la diffusione di modelli di vita e di cultura occidentali innescano dei pro­ cessi distruttivi per le politiche imperialiste. Tuttavia, in Europa e nell’area occidentale del mondo la pace tra tutti i paesi sembra ancora scontata a fine Ottocento. La stabilità dei rapporti tra la Gran Bretagna e le altre nazioni europee, e in particolare la Germania, sembra essere completamente assicurata fin dal 1890. Al contempo, un tacito patto di non aggressione, consolidato e teorizza­ to nella dottrina americana del non-intcrvento elaborata da Monroe e

late-comer

free tracie

Jree tracie,

63

IL PENSIERO GEOPOLITICO rispettata dalla Gran Bretagna fin dalla costruzione del canale di Pa' nama nel 1901, garantisce i rapporti cordiali fra il vecchio e il nuovo continente (Vcnicr, 1005). Le tensioni fra i paesi europei, proprie dei secoli precedenti, non terminano ma, in verità, si spostano attraverso la conquista della politica coloniale nel corso dell’Ottocento: in particolare la crescente potenza russa e le mire espansive sul Giappone pongo­ no un problema di egemonia ncll’area delle colonie asiatiche. Il primo ministro britannico nel 1901 definisce il conflitto russo-giapponese come una questione cruciale per la difesa dell’impero britannico (ivi, p. 61). Si scontrano, così, due orientamenti riguardo alla politica estera e alla strategia militare inglese: l’uno richiede la diminuzione delle spe­ se militari per il controllo di alcuni snodi geografici essenziali, l’altro insiste sul potenziamento della flotta (Buldn, 1005). A quest’ultima fazione appartiene il geografo Halford Mackindcr, il quale, nonostan­ te l’incontrastata supremazia della flotta britannica sui mari, rinfoco­ la l’allarmismo dei promotori di un maggiore impegno militare (cfr. Lambert, 1995). Mackinder (1861-1947) non tuttavia un mero stratega: la sua ope­ ra esprime un’ innovativa riflessione sulla funzione polìtica dell’ Euro­ pa e del più vasto impero coloniale europeo (Blouct, 1987; O ’Tuathail, 1996; Kcarns, 1009). Egli vede nelle conquiste coloniali europee del xix secolo, che culminano nella spartizione dell’Africa nella C on fe­ renza di Berlino (1884-85), la fine di un periodo storico e l’avvento di una nuova era, nella quale il mondo diventa «un circuito chiuso - una macchina completa c bilanciata in tutte le sue parti. Toccare qualcosa significa influenzare tutto» (Mackinder, 1900, p. 171). Alla fine dell’e­ tà delle esplorazioni delle nuove terre e dell’occupazione coloniale, l’ impero britannico non può più fondare la sua potenza sulla conqui­ sta di nuove terre. Esso deve, pertanto, assumere un ruolo nuovo, non più politico ma finanziario: Londra deve fiorire come centro degli scambi economici e del mercato. La nuova scienza geografica inglese che prende avvio dalla rifles­ sione di Mackinder si fonda su tre basi: la colonizzazione, lo sguardo prospettico cartesiano - ovvero la pretesa di oggettività scientifica - e il darwinismo-lamarckismo ( O ’Tuathail, 1996).

è

La geografia era per Mackinder soprattutto uno strumento per l’ imperia­ lismo sociale, una forza domestica per rinnovare lo sprone alla conquista imperiale. La geografìa di Mackinder era, innanzitutto, uno sprone per una

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1. GEOPOLITICHE DELL'IMPERIALISMO nuova identità imperiale. Egli mirava a usare la geografìa per inculcare una soggettività imperiale, per far credete alle future classi dirigenti britanniche che l’ impero fosse l’eredità dell’uomo bianco [...]. La geografia di Mackinder era, in secondo luogo, uno stimolo per immaginare l'impero, e cioè una sfida lanciata al popolo comune britannico per fargli considerare i suoi interessi come interessi globali [...]. Infine, la geografia di Mackinder era un incentivo per una biopolitica imperiale, e cioè per amministrare, per sorvegliare e per ottenere una classe opcraria sana, in modo che il potere umano della nazione potesse combattere per l'impero (ivi, p. 109).

{nation's man power)

Alla geografìa, intesa come la scienza pratica che fornisce il necessario ausilio alle esplorazioni e alla spartizione politica di nuovi territori co­ lonizzati attraverso l’elaborazione di cartine e la classificazione di ca­ ratteristiche fìsiche dei territori e delle popolazioni, è attribuito, nella fase di riassetto dell’ impero coloniale, un compito significativo che la distingue dalla cartografìa impiegata nella fase della colonizzazione. La cartografìa imperiale è, fin dalla sua orìgine, uno strumento indispensa­ bile all’esercizio del potere, poiché definisce le appartenenze territoriali e sottolinea le diversità dei popoli e delle aree geografiche, fornendo la legittimazione scientifica per la conquista di alcuni territori. Essa fun­ ziona, nelle parole di Dcrcck Gregory, come una «cartografìa dell’oggettivismo, che pretende di svelare una geometrìa fondamentale e persi­ stente che soggiace all'apparente diversità ed eterogeneità del mondo» (Gregory, 1993, p. 70). La geografìa elabora, invece, una riflessione arti­ colata c complessa sulle categorie politiche e sui dati cartografici. Tuttavia la scienza geografica, che si fonda sulla cartografìa c inter­ preta i dati cartografici ma se nc distanzia, è poco sviluppata nel Re­ gno Unito fino alla fine del secolo. La mancanza di un chiaro oggetto di ricerca e l’uso di un metodo sintetico, tipici dell’approccio tedesco, si scontrano con la tradizione scientifica analitica anglosassone, ali­ mentando le accuse di scarsa scientificità presso i circoli accademici britannici (Kearns, 1009, pp. 43 ss.). U n’espressione della mancanza di interesse per la geografìa a cavallo del secolo si può dedurre dalle osservazioni di Mackinder, che, tra l’altro, era il fondatore della Bri­ tish Geographical Association (creata nel 1893). Ponendo le basi per la rivalutazione del ruolo politico e accademico del sapere geografico nel mutamento nel quadro degli equilibri mondiali, egli denuncia la difficoltà di indottrinare nel sapere geografico il popolo britannico: «La questione più affascinante del nostro tempo è capire se possiamo.

IL PENSIERO GEOPOLITICO utilizzando le risorse moderne di comunicazione - stampa, viaggi, tele­ grafìa e altro - inculcare alla nostra gente l'idea dell’impero britannico, senza aspettare la nostra comune disfatta» (Mackinder, 1907, p. 34). È necessario insistere sul rapporto che Mackinder instaura fìa l’epilogp della fase delle esplorazioni e la conquista di una conoscenza completa dei fattori politici e naturali che governano gli eventi storici: «per la prima volta - afferma, riferendosi al mondo a lui contempo­ raneo - possiamo percepire qualcosa della reale proporzione delle ca­ ratteristiche c degli avvenimenti sulla scena mondiale, cercando una formula che esprima almeno alcuni aspetti della causalità geografica nella storia universale» (Mackinder. 1997, p. 74). La necessità di ripen­ sare in modo scientifico, c cioè oggettivo, le relazioni generali intersta­ tali c la relazione fra le determinanti geografiche, la politica c la storia, origina, allora, dal compimento delle conquiste e dal raggiungimento del dominio e della conoscenza dell'uomo - bianco - su tutto il pia­ neta. In questo quadro, la geografìa rappresenta il momento riflessivo necessario per completare e realizzare in modo conscio c responsabile l'egemonia imperiale europea, o meglio britannica. A tal fine, essa deve superare i limiti della cartografìa, e cioè la sua funzione di scienza "pra­ tica”, impiegata direttamente dagli esploratori c dagli uomini di Staro per esaminare i caratteri fìsici di uno spazio c affermare la sovranità o insinuare il dubbio sul controllo su un determinato potere politico. La geografìa, come è evidente soprattutto nella sua interpretazione tedesca, che Mackinder conosce e a cui si ispira, ambisce a sviluppare un punto di vista scientifico e accademico più astratto ed elevato ri­ spetto alla cartografìa, rivendicando una certa indipendenza dal sapere "pratico” funzionale alla politica. Fin dalla sua fondazione con Ritter, la geografìa implica, infatti, una riflessione generale storica e filosofi­ ca sia sugli eventi umani, sia sulle limitazioni naturali all'agire degli individui c dei popoli. Proprio per il suo significato di sintesi e rifles­ sione sulla storia umana, essa è posta da Mackinder alla fine dell’era delle esplorazioni. La conclusione delle grandi scoperte geografiche dischiude, allora, una nuova riflessione sul rapporto fra l ’uomo, la sto­ ria e la natura e una nuova considerazione del nesso fra la scienza geo­ grafica e la politica. La cartografia, e cioè la scienza pratica indirizzata a coadiuvare l’esplorazione e legittimare le ambizioni territoriali, viene integrata dalla scienza geografica, un «sapere» accademico in grado di elaborare i dati cartografici e politici c di fornire un’ immagine "og-

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1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO gcttiva" degli equilibri mondiali e del peso dei fattori geografici nella stona degli Stati. La scienza geografica anglosassone, allora, trova i suoi presupposti indispensabili nella politica coloniale ( O ’Tuathail, 1996; Agnew, 1998; Kearns, Z 0 0 9 ), non perché essa nasca direttamente in funzione deirimpenalismo, bensì poiché ad essa appartiene un carattere rifles­ sivo e astratto, che la differenzia dalla scienza cartografica e che scatu­ risce dalla sua collocazione storica9. Essa è una scienza borghese, che propugna i valori dell’universalità, della neutralità e dell oggettività. Essa non si limita, infatti, a legittimare la rivendicazione del dominio su un territorio nelle lotte per la «conquista» colonialista, ma piuttosto aspira a «trovare una formula» che fornisca ordine e spieghi le leggi storiche che determinano lo sviluppo degli spazi già conquistati. Tale « formula » viene ricavata grazie alle teorìe ncodarwiniste e ncolamarckistc, che costituiscono in Gran Bretagna un discorso dominan­ te per tutte le scienze, naturali e umane (Campbell, Livingstone, 1983). Il darwinismo, che viene discusso e conosciuto nel mondo scientifico fin dalla pubblicazione nel 18 70 del libro occupa, insieme con il neolamarckismo, un ruolo predominante nella cultura anglosassone. Mentre il darwinismo evidenzia lo sviluppo casuale di caratteri utili per la sopravvivenza delle specie, ed c pertanto difficil­ mente traducibile in un sistema di regolarità fisiche, il neolamarckismo, sottolineando la capacità degli individui di adattarsi all’ambiente modificandosi geneticamente, apre nuove prospettive per le discipline biologiche e per la geografia. Secondo lo storico David Livingstone esso è «di importanza cruciale nel progetto di ricavare uno spazio co­ gnitivo accademico per la geografia come disciplina di studio» (Livin­ gstone, 19 9 1 , p. 1 0 1 ) . Un altro fondamento della diffusione e dell’ istituzionalizzazio­ ne della scienza geografica in Gran Bretagna è il grande successo de­ gli studi strategici e, in particolare, dell’opera del generale americano Alfred Thayer Mahan (1840-1914), che ispirerà non solo l’opera di Mackinder, ma anche successivamente quella di Cari Schmitt e della geopolitica del x x secolo. Lo studio di Mahan è il presupposto per

The Descent ofMan,

9. Da questo punto di vista la lettura proposta si discosta da Agnew (1998) e O ’ Tuathail (1996). poiché la scienza geografica non é vista come rispecchiamento diretto dei rapporti di dominio o egemonia mondiali, bensì come sapere intrecciato ai rapporti di dominio, che però riflette su di essi in uno status di relativa autonomia.

67

IL PENSIERO GEOPOLITICO la ricostruzione geopolitica di Mackindcr. Entrambe hanno il pregio, secondo i contemporanei di Mackindcr, di «mettere in prospettiva» le forze della politica internazionale sulla base dell’analisi militare stra­ tegica (cfr. O ’Tuathail, 1991). La ragione della ricezione entusiasta del (Little Brown, libro di Mahan Boston, 1890) sia presso U pubblico più vasto sia presso uomini di Sta­ to c politici sta nella sua duttilità. Mahan, infatti, da un lato favorisce la politica di riarmo, poiché legittima la promozione di grandi flotte da parte dei governi europei e non, come l ’Inghilterra, la Germania, la Francia, l’America di Roosevelt, il Giappone (Scager, 1977, pp. 199 ss.; Van Laak, zooo), dall’altro mira ad indottrinare politicamente la piccola borghesia e le masse attraverso un suo stile semplice c conciso, fondando la sua pretesa di scientificità c autorità intellettuale sul riferi­ mento alle proprie competenze militari e politiche. La vicenda che Mahan racconta nelle sue opere è quella della lotta trionfale delle potenze marittime europee e americana contro gli impe­ ri asiatici terrestri, spiegata con l’uso di una strategia militare vincente e con la superiorità «organizzativa » della civiltà occidentale. La sua ri­ costruzione dell’origine e consolidamento delle potenze marittime nel mondo dà per scontata una concezione razzista ed eurocentrica della storia mondiale, intesa come una serie di battaglie del mondo civiliz­ zato contro i «barbari». La cultura europea e americana viene esalta­ ta come un’ «oasi posta nel deserto della barbarie» (Mahan, 1897, p. 110), realizzata grazie ad una capacità di organizzazione superiore e aJ continuo stato di allerta, dovuto alla necessità di difendersi da grup­ pi numericamente superiori di popolazioni non civilizzate. In questa visione I’ «unica sicurezza e nella prontezza al combattimento» (ivi, p. 111) e l ’anelito per la pace nasconde vigliaccheria o mancanza di di­ scernimento. La difésa non deve essere, tuttavia, l’unico fine della strategia mi­ litare e politica occidentale. Mahan giunge, infatti, nella sua apolo­ gia della civiltà occidentale, a fornire un fondamento «oggettivo» e «universale» all’occupazione di territori già abitati da altre popola­ zioni, appellandosi alla necessità di sfruttare e rendere produttivi tutti i territori nel mondo.

The InfluenceofSea Power upon History

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L’uomo civilizzato e non civilizzato - affermi (ivi, pp. - ha biso­ gno di cercare un territorio da occupare e uno spazio in cui espandersi [...]. Come in tutte le forze naturali, l’impulso prende la direzione della minore

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1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO resistenza, tuttavia, quando incontra nel suo corso una regione ricca nelle sue potenzialità, ma non sfruttata per l’incapacità o la negligenza di coloro che vi dimorano, la razza o il sistema inefficiente decadranno, poiché la razza inferiore ha sempre ceduto ed è scomparsa nell’ impatto con quella superiore. In tal modo, il generale americano formula un vero e proprio diritto all’occupazione, di cui sono titolari solo gli occidentali c decreta, al tempo stesso, l’ inefficacia di ogni pretesa ad occupare uno spazio e a esercitare su di esso la sovranità da parte delle popolazioni «infcriori»: «non vi è nessun diritto inalienabile per nessuna comunità che controlla l’uso di una regione a detrimento del mondo intero» (ivi, p. 167). È necessario sottolineare in questa sede che le argomentazioni di Mahan circa la conquista di un territorio e la sua gestione offrono una giustificazione universalista al diritto del più ‘‘efficiente” - o del più forte: il diritto allo sfruttamento di un certo territorio da parte degli indigeni viene fondato su un argomento universalistico ed economico, e cioè quello della necessità di rendere la terra - c l’economia - pro­ duttiva per il resto dell’umanità10. La dicotomia, enfatizzata in Mahan, fra popoli civili e barbari si ricollega a questa interpretazione. Inoltre la differenza fra potenze marittime e terrestri diverrà un nella let­ teratura geografica e politologica del secolo successivo. Per lo stratega americano U mare permette la comunicazione fra i popoli c pertan­ to il commercio la civiltà: « lo stesso suono della parola “commercio” suggerisce il mare, poiché il commercio marittimo ha sempre prodotto ricchezza in tutti i tempi e la ricchezza è l ’espressione concreta dell’e­ nergia nazionale vitale, materiale c mentale» (Mahan, 1900, p. 115). Le potenze marittime sono, al contempo, promotrici della ricchezza materiale e del benessere dei propri sudditi e garanti dello sviluppo completo delle migliori qualità umane - di quello che Mahan chiama «umanizzazione dell’uom o» (ivi, p. 65). Tale vantaggio - dovuto a fattori geografici naturali - e tale missione dell’Occidente sono pre­ ziosi beni da difendere contro gli altri popoli, in una continua battaglia che corrisponde alla legge darwiniana della lotta per l’esistenza:

topos

io. Nel CAP. $ si vedrà l’analogia di questa lettura con alcuni argomenti della tedesca che forniscono le stesse basi argomentative per “co­ cosiddetta lonizzare"1i territori a oriente della Germania. Su presupposti parzialmente diversi si fondava la concezione di Ratzcl, c cioè sul predominio culturale.

Ottjbmhung

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IL PENSIERO CEOPOLIT1CO La storia della p o ten za m arittim a è largam ente, m a n on solo, una narrazione d i battaglie [...). A l lin e di assicurare a una p o p o la zio n e una ietta sp ro p o rzio ­ nata d i benefìci [di crescita e prosperità] venne fatto ogn i sforzo per escludere gli altri, sia attraverso m ezzi legislativi p acifici di m o n op o lio , di regolam enta­ zio n i o d ivieti, o, se q uesti m ezzi fallivan o, attraverso la violenza d iren a (M ahan, 1890. p. 1).

z.,4 La geopolitica della difesa: Halford Mackinder Halfbrd Mackinder è considerato, insieme a Friedrich Ratzel, un inno­ vatore dei metodi della geografìa, poiché si dedica a un'analisi comples­ sa e interdisciplinare dei rapporti politici e geografici, che darà l’ impul­ so agli studi gcopolitici del Novecento (Diodato, 1011). Com e il suo contemporanco tedesco, la sua attività non si esaurisce nella brillante carriera accademica, che culmina con la nomina a direttore della Lon­ don School o f Economics nel 1903. Si impegna anche nella politica: entra, con Bertrand Russell e H. G. Wells, nel circolo degli economisti Sidney c Beatrice Webb, il “Cocffìcicnts Dining C lub” partecipando alle discussioni sulle riforme politiche e sociali del governo britannico e sul consolidamento dell’ impero. Fa parte del partito liberale, anche se lo abbandona per il partito conservatore, appoggiando la politica protezionista delle “ di Chambcrlain nel 1904, e, dopo la Prima guerra mondiale (nel 1919). viene inviato in Russia come per concordare una politica di non commissario aggressione dei nuovi Stati caucasici e per aprire le frontiere sovietiche al mercato britannico (Keams, 1009, pp. 104 ss.). 11 suo impegno politico e le sue interpretazioni della letteratura militare c strategica si fondono con i suoi riferimenti alla geografìa classica e alla dottrina neodarwinista in un’opera eclettica, che rispec­ chia il contesto politico imperialista e il clima culturale della sua epoca (Diodato, 1011). Com e osserva Kearns (1009, p. 77), «Mackinder usò Darwin per dimostrare la necessità della continua lotta e associò ad esso una lettura strategica e militare dello spazio per produrre un’ im­ maginazione geopolitica al servizio del fiorente impero britannico». La natura umana e la dinamica dei rapporti fra le nazioni sono spie­ gabili, per il geografo britannico, solo facendo ricorso alla lotta intesa

imperiaiprcfcrentics*

{High Commissioner)

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1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO in senso darwinistico: «la natura è spietata - postula nel 1905 (Mackindcr, 1905, p. 143) - c noi dobbiamo creare una potenza in grado di competere sullo stesso piano con altre potenze o di entrare nell’ambito della gerarchia degli Stati che prosperano sulla sofferenza». I fattori geografici c ambientali sono di importanza cruciale nella competizio­ ne poiché possono favorire alcune comunità rispetto ad altre (Mackinder, 1887, p. 143). In tale quadro, la scienza geografica costituisce un tassello di una conoscenza scientifica generale c sintetica, finalizzata a educare i governi e i cittadini alla vittoria nella lotta per l’esistenza. C o n riferimento a Herbert Spencer di Mackinder osserva scientificamente gli organismi in base alla loro distribuzione nello spazio c nel tempo: gli individui della specie si evolvono nel tem­ po ma, nello stesso momento, lottano nello spazio in modo tale che le specie superiori occupino le terre abitate da creature inferiori (cfr. Kcarns, 1009, p. 64). La dimensione del tempo, analizzata dalle scienze storiche, non è però separabile da quella dello spazio, poiché la lotta per la vita e per il dominio di territori costituisce l ’ impulso indispensabile per l'evoluzione della società, della specie - o anche della razza. La conoscenza geografica acquista, allora, un ruolo non solo poli' tico, ma strategico per la vita dell’uomo e delle nazioni, e Mackinder ne è uno dei promotori più indefessi. Scrive nel 1901 a Schott Kcltie, autore di un rapporto (1886) commissionato dalla Royal Geographical Society sullo stato della geografìa in Europa: «voglio dedicare il resto della mia vita lavorativa alla modernizzazione dell’educazione inglese. Tutto il futuro della Gran Bretagna dipende da questo. E per questo ho bisogno di una base combinata di geografìa, amministrazione, politica e scrittura» (ivi, pp. 49-50). La sua campagna a favore della geografìa si inserisce in un’azione più vasta di “propaganda geografica* intrapre­ sa dalla Royal Geographical Society e finalizzata a istituire cattedre di insegnamento, portando la Gran Bretagna al passo con la Francia e la Germania. Nel corso della sua intensa attività accademica, Mackinder produ­ ce per il pubblico più vasto e per l’audience accademica e studentesca una serie di contributi e opere più o meno divulgative sui metodi e sul ruolo politico e culturale della geografìa. In questi scritti la geografìa viene innanzitutto delineata, seguendo la tradizione classica tedesca, come la scienza che studia le distribuzioni di specie e qualità nella na­ tura. Essa rappresenta la «base fìsica della storia» e si biforca in due

Principia ofBiology,

{in-

ferior creatura)



IL PENSIERO GEOPOLITICO direzioni: la prima, la geografìa fìsica, fornisce le basi alla seconda, la geografìa politica. Tuttavia essa non si inserisce in modo univoco nel quadro delle discipline, poiché occupa una posizione intermedia fra la scienza, l’arte e la Biosofìa (Mackinder, 1941): è scienza in quanto studia oggettivamente la distribuzione degli esseri viventi e i caratteri della terra, ma è anche arte, perché richiede una grande sensibilità este­ tica per la rappresentazione grafica dei luoghi e per la redazione delle mappe; inoltre essa é anche filosofìa, giacché consente di elaborare una visione complessa del mondo politico c del rapporto fra l’uomo e la na­ tura. L ’ indeterminatezza del suo statuto disciplinare, a cavallo fra la fi­ losofìa, l’arte e la scienza esatta, non costituisce, per il geografo inglese, uno svantaggio, ma il pregio principale della geografìa che costruisce un «ponte» fra le scienze umane e quelle naturali: un «ponte sull’a­ bisso che, secondo molti, sta sconvolgendo l ’equilibrio delle culture» (Mackinder, 1951, p. 15). In tal senso, l’educazione geografica aiuta la gioventù britannica a conseguire una comprensione della totalità del­ le relazioni umane e naturali: «la visualizzazione è la vera essenza del potere geografico; essa dovrebbe esser coltivata affinché sia possibile pensare a tutta la superfìcie terrestre in tutta b sua complessità» affer­ ma il geografo inglese (Mackinder, 1904, pp. 191'}). Benché la riflessione metodologica e filosofica di Mackinder non sia paragonabile a quella dei geografi tedeschi, che elaborano in modo più articolato c teorico la tradizione storicistica e filosofica tedesca, egli affida a lb geografia un ruolo fondamentale e originale nella formazio­ ne della cultura e della politica. Il geografo, in questa lettura, non è solo un uomo di studio, ma è un cartografo, uno storico, un biologo e un uomo politico: con la sua immaginazione visiva c la sua abile manualità, il nostro geografo è ben equipaggiato per dedicarsi a un ramo della geografia o a un altro campo di energia. Come cartografo produrrà mappe accademiche e grafiche, come insegnante farà parlare le cartine, come storico o biologo sottolineerà lo studio dell’ambiente invece di accettare i meri delle introduzioni dei ma­ nuali c dei libri di storia; come commerciante, soldato o politico esibirà capaci­ tà di comprensione c iniziativa quando tratterà i problemi pratici dello spazio sulla superficie terrestre. Ci sono molti inglesi che possiedono naturalmente queste o analoghe capacità, ma l’Inghilterra sarebbe più ricca se tali uomini avessero, tra l’altro, un’educazione geografica (Mackinder, 1895, p. 376).

obiter dieta

7i

1. GEOPOLITICHE DELL'IMPERIALISMO A partire da queste convinzioni scientifiche e politiche insieme, Ma­ ckinder sferra un formidabile « assalto ideologico alla mente dei ra­ gazzi inglesi», il cui fine e la trasformazione del modo di pensare al mondo ( O ’Tuathail, 1996, p. 88). Afferma: «È essenziale che i citta­ dini che governano l’impero mondiale siano capaci di visualizzare le condizioni geografiche distanti [...), il nostro scopo deve essere quello di far pensare tutto il popolo imperialmente - e cioè farlo pensare a spazi mondiali - ed è questo il fine del nostro magistero geografico» (Mackinder, 1907, pp. *7-8). L'intreccio della geografia con la politica avviene pertanto a due livelli: sia nella statuizione delle caratteristi­ che e dello status disciplinari della geografia, sia nella definizione dei fini dell opera di insegnamento geografico. Se l’antica cartografìa era un mero strumento a servizio delle imprese coloniali, la nuova geo­ grafìa costituisce, secondo il geografo britannico, una scienza guidata da un’osservazione oggettiva. In verità, come vedremo, l’oggettività è sempre finalizzata al dominio, c cioè alla formazione di cittadini che «pensino imperialmente», secondo il titolo di un’opera di Mackin­ der (ibid.). Anzi, essa si pone direttamente al servizio della potenza commerciale marittima inglese, da cui trac la sua legittimazione: «cre­ do - scrive Mackinder (1951, p. 19) - che debba essere elaborata una geografia [...] che soddisfi allo stesso tempo i requisiti pratici richiesti all’uomo di Stato e di commercio, i requisiti tecnici pretesi per lo sto­ rico e per lo scienziato e i requisiti intellettuali dell’ insegnante (...). Essa rappresenterà una costante protesta contro la disintegrazione del­ la cultura che ci minaccia». Da queste righe emerge il conservatorismo del pensiero di Mackinder, che, al contrario di molti geografi tedeschi, guarda con preoccupazione ai possibili effetti devastanti dello svilup­ po tecnologico e industriale sugli equilibri mondiali politici c sociali, allora favorevoli all’ impero britannico. Il mondo è infatti un organi­ smo che si fonda su alcune armonie instabili e la storia umana è la sua vita (Mackinder, 1997, p. 75): il fine del geografo-politico è conservarli, non sconvolgerli. L ’opera di Mackinder avrà una grande risonanza nella letteratura politologica c geografica successiva per tre motivi: per la sua interpre­ tazione dell’evoluzione dei rapporti geopolitici nella storia a partire dal medioevo, per l’opposizione che elabora tra le potenze marittime e terrestri e per la sua concezione dei rapporti politici internazionali. Il più noto contributo di Mackinder a lb geografìa politica e alla ge­ opolitica - e cioè la rebzione The Geographical Pivot o f History del

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IL PENSIERO CEOPOLIT1CO 1904 - ricostruisce la vita dcll’organismo-mondo e la scomposizione e ricomposizione degli equilibri politici in tre epoche: l’età premedie­ vale cristiana, quella colombiana e quella postcolombiana (cfr. Blouet, 1005). Il motivo propulsore dello sviluppo storico il conflitto tra la civiltà europea c quella slava, che si snoda nell'ambito geografico asiatico ed europeo seguendo l’evoluzione delle invenzioni tecniche e in epoca militari. Le «invasioni barbariche» (Maclcindcr, 1997, p. medievale e la minaccia delle orde di cavalieri asiatici costringono il mondo europeo a chiudersi in se stesso e a proteggersi in una guer­ ra difensiva: il mondo politico medievale è circoscritto c limitato. Le scoperte c la navigazione forzano i confini dell'Europa medievale ad aprirsi ai commerci e sanciscono l'età colombiana dell’espansione delle potenze marittime e della libertà di navigazione sui mari. La vittoria delle potenze di mare indica, allora, un progresso di civiltà e insieme lo spostamento dell'asse delle potenze dominanti verso i paesi atlantici:

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Il grande oceano interrotto che circonda terre tra loro separate è infatti il presupposto geografico sia del completo dominio sui mari, sia della politica c della strategia navale moderna, così come stato chiamato da autori quali il ca­ pitano Mahan e M. Spencer Wilkinson [...]. Se nel medioevo l'Europa si tro­ vava imprigionata tra un deserto impraticabile a sud, un oceano sconosciuto a ovest, distese di ghiaccioo di foreste a nord c nordovest, ed era costantemente minacciata dalla supcriore capacità di spostamento degli uomini a cavallo e su cammello a est c sudest, ora essa primeggiava nel mondo (...) estendendo la propria influenza intorno alla potenza terrestre euroasiatica che fino ad allora aveva minacciato la sua stessa esistenza (ivi, p. 88). L’età colombiana, che corrisponde al dominio europeo dei mari e alla liberazione dalla minaccia di invasione dei barbari, messi in scacco dall'aggiramento del continente asiatico ed europeo per mezzo delle navi, si conclude in una nuova c pericolosa fase di chiusura del sistemamondo. che viene sancita dal trattato di Berlino del 1884. La mappa del mondo è, allora, completata: tutta la superfìcie terrestre è occupata da imperi e Stati e, al contempo, vcngpno solcati tutti i mari. Il mondo è chiuso, ripartito politicamente in imperi distinti c commercialmente in in competizione, attraversato da nuovi potenti mezzi di comu­ nicazione e di mobilità. Lo spazio è annichilito (Mackinder, 1914, p. Z5$): le distanze si accorciano. La restrizione dello spazio e il controllo su tutti i territori rende tutte le aree del mondo interdipendenti, di

trusts

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X. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO modo che «qualsiasi esplosione di forze sociali, invece di disperdersi entro lo spazio dei territori circosanti, ancora sconosciuti c dominati dal caos barbarico, ricchcggcrà intensamente dall’altra parte del globo, facendo di conseguenza saltare gli elementi più deboli dell’oiganismo politico ed economico mondiale» (Mackinder, 1997, p. 74). L ’opposizione tra potenze di mare e potenze di terra, la quale for­ ma l’asse attorno al quale ru o a la storia, acquista, a partire da questa formulazione, un significato pregnante che manterrà nella letteratura geopolitica e politica anglosassone. Mackinder. facendo espressamen­ te riferimento alla lettura di Mahan, argom ena con più precisione di questi la relazione di interdipendenza tra il commercio, il progresso materiale c culturale e la collocazione marittima di un territorio. Com e Mackinder, Mahan disccrncva nel mondo a lui contemporaneo una tendenza a ridurre gli spazi, «tutravia - aggiungeva - anche se le di­ stanze si sono ridotte, [...] per ottenere l’ influenza politica [le distan­ ze] devono essere attraversate alla fin dei conti da una flotta, lo stru­ mento indispensabile attraverso il quale [...] la nazione può proiettare il suo potere» (Mahan, 1890. pp. 148-9). Al contrario di Mackinder, l’avanzare della tecnologia e lo sviluppo di mezzi di comunicazione terrestre non costituivano una minaccia per Mahan: solo la conquista figura a Il perno geografico di Mackinder

Fornir. The GtogtdflfiùUPivot ofHutory. in "T h e G c o p a p h ic A JourvuT. x*. Aprii 1904 (hap://«mmr. a n id m j c d u / ic id a n ic / K B ( Q r y / h d u b r u Ì le / W ll/ ^ ^ 1 lio io / t m / p id in f / f o o d / ii« io ilk h ( m ) .

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IL PENSIERO GEOPOLITICO di un approdo al Mediterraneo da parte della Russia avrebbe alterato gli equilibri mondiali, che poggiavano sull’incontrastato dom inio del* le potenze marittime a ovest. La visione politica mondiale di Mackinder rielabora e articola la semplice visione strategica di Mahan, svelando la precarietà del dom i' nio occidentale e integrando i presupposti fondamentali della conce* rione “marittima" del sea-potver in uno schema geografico, che dise­ gna sulla terra zone di cerchi concentrici, i quali partono da un cuore (ibeartland), e cioè dall’Eurasia. Questa costituisce il vero e proprio centro di gravitazione politica del globo. A tale concezione politicogeografica è sottesa una divisione del mondo in aree, non integrate fra loro, ma in conflitto per il dominio. L’arca al cuore del mondo, c cioè il centro dell’Asia, costituisce la «regione-perno {pivot) della politica mondiale (...) inaccessibile alle navi ma percorsa nell’antichità da no­ madi a cavallo» (Mackinder, 1997, p. 91). «Fuori dall’area-perno (pivotarea) in una grande mezzaluna interna (inner crescent) si trovano Germania, Austria, Turchia, india c Cina, c, in una mezzaluna esterna (outer crescent), Gran Bretagna, Sud Africa, Australia, Stati Uniti, Canada e Giappone» (ivi, p. 91). Il conflitto fia Y outer crescent e la pivot area sfocia nella guerra militare c insieme di civilizzazione che dà impulso alla storia mondiale: solo la scoperta e lo sfruttamento delle vie marittime di commercio, insieme con il po­ tenziamento della flotta navale, ha permesso all’ Europa di sottrarsi al dominio dell’Asia, superiore da un punto di vista demografico e inac­ cessibile alle navi. Tuttavia, lo sviluppo delle comunicazioni di terra po­ trebbe condurre alla definitiva rottura dell’equilibrio che ha permesso alla civiltà europea di crescere: «la rottura dell’equilibrio di potenza a favore dello Stato-perno che si risolverebbe nella sua espansione sulle terre periferiche dell’Eurasia permetterebbe l'impiego di vaste risorse continentali per la costruzione di flotte, con la conseguente possibilità di conquistare il dominio del mondo. Questo potrebbe accadere se la Germania dovesse allearsi con la Russia» (ibid.). In questo quadro, la rivoluzione spaziale e tecnologica comporta che l’ordine dell’attuale sistema-mondo si rovesci. Se l’Asia vincesse, conquistando l’appoggio della Germania o se fosse sopraffatta dalla Cina, e cioè se l’Asia si esten­ desse guadagnando l’accesso al mare, l’equilibrio mondiale, fondato sul rapporto dialettico fra Europa e Asia, sarebbe definitivamente rotto. Mackinder scrive il suo contributo più famoso alla storia della ge­

1. GEOPOLITICHE DELL’IMPERIALISMO opolitica (la conferenza The Geographical Pivot o f History del 1904) sulla spinta di quello che Dodds definisce una situazione di «panico geopolitico» (Dodds, zoo$, p. 138), generato sia dairallarmismo di alcuni gruppi di potere britannici interessati al potenziamento della fiotta, sia dall’esplosione di due conflitti internazionali, e cioè la guerra boero-inglese, in cui le truppe inglesi erano state trasportate con d if­ ficoltà via mare in Africa, e la guerra fra la Russia e la Manciuria, nel corso della quale lo zar Nicola 11 scava utilizzando la rete ferroviaria che diventerà la Transiberiana - per trasportare le truppe di terra". La coincidenza temporale dei due conflitti dimostra a Mackinder lo svi­ luppo ormai parallelo di potenze militari che sfruttano i due principali mezzi di comunicazione: le navi e la ferrovia. Parzialmente diversa è, invece, la sua lettura dopo la Prima guerra mondiale. Nel 1919 il perno - che in questa opera Mackinder denomi­ na regione-cuore (heartiand) - si sposta verso l’Occidente europeo e non sta più in un rapporto simmetrico tra l’Asia e l’ Europa (Mackin­ der, 1919). In altre parole il pericolo cinese scema, mentre quello di un’alleanza della Russia con la Germania viene esasperato. La soluzio­ ne al pericolo asiatico tedesco viene individuata in una costellazione politica, che preconizza il quadro politico europeo fino al 1989: la di­ visione dell’ Europa in due parti e la cancellazione della Mittclcuropa. In altre parole, la neutralizzazione del pericolo del dispotismo asiatico passa attraverso l’occidentalizzazione della Germania c la creazione di Stad-cuscinetto nell’ Europa orientale. Tale riorganizzazione geopoli­ tica non è più il risultato della competizione darwinista degli Stati, ma deve essere sostenuta da una battaglia ideologica dei «popoli democra­ tici» . Lo Stato americano e quello briunnico vengono designati come garanti della stabilità e dell’equilibrio mondiale (Mackinder, 1919, p. 87 e cfr. Raffcstin, 1995) e perfino come potenze predominanti nella Lega delle nazioni (Mackinder, 1919, p. 6). La guerra e pertanto riget­ tata nell’interpretazione mackinderiana del primo dopoguerra, a con­ dizione che le nazioni garanti - Gran Bretagna e usa - abbiano un p o­ tere determinante di stabilizzazione mondiale. La garanzia della pace, in altre parole, è sub condicio: essa è possibile solo nel quadro del man­ tenimento di un sistema di una pluralità di Stati europei in equilibrio.1

11. La guerra sarà pena dallo zar Nicola il con la battaglia navale dello stretto di Tsushima alla fine di maggio del 190$.

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IL PENSIERO GEOPOLITICO Lo scaco d ’allerta è massimo allorché uno Scaco minacci di espandersi per egemonizzare parce dell'Europa. I diventano, allora, espressam ele e significativamente i custodi della pace e della giustizia nel mondo globalizzaco, interconnesso dai commerci e dell’economia globale e unito nella difesa della democrazia (Mackinder, 1919, p. 51). È significativo che Mackinder attribuisca sia prima che dopo la Grande Guerra un ruolo centrale alle potenze marittime, giustificandolo in base al rispetto di una specifica tradizione storica c culturale anglosassone: il «governo responsabile» (Mackinder. 1905). Questo non solo viene inculcato alle classi dirigenti britanniche attraverso (educazione imperialista, ma viene perfino ereditato con il sangue (Mackinder, 1915). La capacità di «governare responsabilmente» ap­ partiene solo alle classi dirigenti britanniche educate alla democrazia: l’abitudine al commercio e la gestione di un grande impero ne tempe­ rano i costumi e alimentano il loro senso di responsabilità. Così, nella concezione colonialista di Mackinder, la responsabilità politica non è un bene comune dell’umanità: l’autocrazia e la direzione imperiale nelle colonie costituiscono la faccia speculare e la condizione necessa­ ria dell’esercizio del governo democratico in Gran Bretagna (Mackin­ der, 1905, p. 137). Tale schema gerarchico, che statuisce una differenza fra popoli e culture diverse e divise fra superiori e inferiori, a cui vengo­ no attribuite tradizioni politiche differenti, viene talvolta abbandona­ to nelle opere del dopoguerra per far posto ad una concezione unitaria del mondo. Tuttavia, la funzione di garanti della pace c di «tutori» dell’ordine internazionale affidata al popolo inglese e a quello america­ no costituisce la nota di sottofondo della concezione mackinderiana, così come la distinzione fra la scienza geografica anglosassone, ispirata a principi scientifici di oggettività e inquadrata in una tradizione p o­ litica di libertà, c quella dei tedeschi «che piegano la realtà dei fatti al fine di raggiungere il dispotismo sul m ondo» (in Kearns, 1009, p. 1). Anche nella costruzione di una dicotomia fra scienza « buona» e «cattiva», così come per quanto riguarda l’idea di eleggere alcune potenze a «garanti della pace», e, soprattutto, nel fornire uno sche­ ma mentale che rappresenta una “geopolitica della paura” dell’ Europa continentale c marittima contrapposta all’Asia, Mackinder sicuramen­ te rappresenta pienamente la geopolitica imperialista del x x secolo'*.

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u. Cfr. infra, cap . $.

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3

La “scienza” geopolitica e la storiografìa nella cultura tedesca tra le due guerre La storia del mondo è la storia della Iona delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime. Schmitt (1941)

*1

La crisi degli imperi centrali e la nascita della scienza geopolitica in Svezia e Germania Il periodo che va dal 1875 *1 >945 decreta, secondo alcuni dei maggiori politologi contemporanei (C ox, 1981; Taylor, 1993), la fine dell ege­ monia britannica sui mari e l’inizio della rivalità che spacca l’Europa fra le antiche potenze coloniali (Francia e Inghilterra), sostenitrici del libero commercio e gelose del proprio primato nell’espansione colo­ nialista, e le nuove potenze imperialiste, in particolare la Germania. Q ucst’ulrima elabora un modello di penetrazione coloniale promosso direttamente dallo Stato e non spinto dalla forza espansiva del libero commercio, sfidando il colonialismo economico britannico. La corsa alla colonizzazione, la spinta tedesca all’ imperialismo e la protezione della propria posizione politica da parte delle antiche nazioni coloniz­ zatrici, insieme con il crescente nazionalismo e la militarizzazione de­ gli Stati europei, sono alcuni dei fenomeni che conducono alla Prima guerra mondiale, che si conclude con la sconfìtta degli imperi centrali. Le teorie di Ratzcl e Lamprecht di inizio secolo, che erano in con­ flitto con gli approcci delle scuole geografiche e storiografiche coeve egemoni, e in particolare con la scuola geografica di Richthofen e con quella storicistica di Lcopold Ranlce, ottengono un grande successodurante e dopo la sconfìtta della Germania nella Prima guerra mondiale. La rivisitazione delle opere di Ratzcl e Lamprecht intorno al 1913 viene, insomma, dettata da nuovi interessi politici e da una nuova atmosfera culturale. Nella Repubblica di Weimar, la perdita dei territori orientali tedeschi, la caduta dell’ Impero austro-ungarico e la conseguente rior­

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IL PENSIERO GEOPOLITICA ganizzazione traumatica delle popolazioni di origine tedesca nell’Eu­ ropa orientale, fomentano violente polemiche accademiche e politiche contro il trattato di Versailles. Per via della depressione economica c dalla protesta di buona parte dell’opinione pubblica per gli esiti del trattato, gli obicttivi della Lega pangcrmanistica, e cioè l’espansione a est e la germanizzazione dei territori tedeschi orientali, ottengono finalmente un largo consenso da parte di larghi settori politici e finan­ ziari, sconfiggendo il partito della In tal modo, il progetto del colonialismo d ’oltremare viene gradualmente sostituito dalla visio­ ne di una Mitteleuropa organizzata sotto l’egida tedesca. Allo stesso tempo, viene sancito il successo dell’ideologia del presso i settori sociali del grande capitalismo, convinti che la restaurazione di un impero al centro dell’ Europa, fondato sulla forza vitale dei popoli germanici e sull’armonia fra la comunità etnica c il territorio, avrebbe permesso di superare la decadenza, armonizzando la difesa del mondo agrario tedesco con gli obiettivi di un futuro sviluppo economico nelle aree orientali (Smith, 1986). È necessario sottolineare che il prerequisito essenziale per una politica ispirata all’unificazione del mitteleuropeo e alla creazione delle nuova potenza continentale euroasiatica è, per la Lega pangermanista, b sostituzione delb popolazione autoctona dei ter­ ritori sbvi con le popobzione agrarie tedesche. Lo dichiara già nel Memorandum del 1914 Heinrich C bss, presidente della Lega, allor­ ché elabora un piano di riorganizzazione dei territori slavi a est della Germania (Class, ivi, p. 176). Il nuovo imperialismo tedesco, sostenuto insieme dai settori politici modernizzatoli, conservatori e reazionari della Repubblica di Weimar, avrebbe realizzato effettivamente dopo la guerra l ’idea di Class e cioè la rimozione della popolazione slava dai territori orientali, traendo dalle “nuove scienze”, fra cui b geopolitica, la demografìa e l’ igiene razziale, gli strumenti indispensabili per la pro­ pria legittimazione “scientifica”. Proprio nella Repubblica di Weimar, le scienze umane acquistano un ruolo cruciale per forgiare l’opinione pubblica e per trasformare gli interessi dei settori politici ed economici reazionari e conservatori in valori apparentemente universali1. Il tracollo finanziario e politico della Repubblica di Weimar, travolta dalla guerra civile fra partiti di estrema

Weltpolitik.

Lebensraum

Lebensraum

1. Per il colonialismo c il Drang nach Osten cfr. Mohammad (loi 1).

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}. LA "SCIENZA* GEOPOLITICA E LA STORIOGRAFIA NELLA CULTURA TEDESCA destra ed estrema sinistra, permette a Hitler e al nazionalsocialismo di conquistare il potere nel 1933. L'agitazione sociale, la grande crisi eco­ nomica e il risentimento per le popolazioni tedesche, spostate oltre i nuovi c più ristretti confini dettati dai trattati nel dopoguerra costitu­ iscono Thumus su cui sorge il nazionalsocialismo, che viene preparato da un’ampia letteratura politica c saggistica revisionista. Un esempio delle conseguenze di tale letteratura sul clima politico weimariano è evidente nel successo del tema del «popolo senza spazio» trattato nella famosa opera di Hans Grimm nel 19x6 ( Van Laak, i o 00), che segnala c, al contempo, rafforza il malcontento dei cittadini tedeschi per il riassetto politico versalliano, e giustifica la mobilitazione politica delle masse da parte di settori nazionalisti e revisionisti. La geopolitica svolge un ruolo assai rilevante nell’epoca precedente al regime nazionalsocialista come catalizzatore di questo disagio so­ ciale c politico (Murphy, 1997; Hcrb, 1005). «Avendo origini simili a quelle del nazionalsocialismo, e pertanto alcune caratteristiche comu­ ni, la geopolitica lo anticipò e hi assorbito nel suo insie­ me con altre correnti politiche c ideologiche» (Diner, zooo, p. zé). Il legame fra il nazionalsocialismo e la geopolitica si fonda sia su circo­ stanze biografiche dei leader politici, sia su una sostanziale somiglianza di alcuni obicttivi. Hitler è stato considerato, per molti interpreti an­ glosassoni dell’immediato secondo dopoguerra (Strausz-Hupé, 1941; Weinrcich, 194 Hipler, 1996), profondamente influenzato dalla scuola geopolitica. La letteratura specialistica e giornalistica americana è giunta perfino a considerare la geopolitica come «la politica estera del nazionalsocialismo» (Strausz-Hupé, 1941, p. 79) e Karl Haushofer come il capo di un potente istituto che guidava la strategia nazionalso­ cialista durante la guerra. Tuttavia le analogie e i punti di contatto sono reali, ma circoscritti, come hanno provato alcuni studi accurati successivi agli anni Sessanta, nei quali si dimostra non solo quanto limitate fossero le risorse di cui disponeva Haushofer c quanto parziale la sua ascendenza su Hilter, ma anche la progressiva “disgrazia” della disciplina geopolitica a partire da metà degli anni Trenta (Harbeck, 1963; Bassin, 1987). Le principali cau­ se della fine di un più stretto connubio fra hitleriano e i geopolitici non sono solo da ascrivere alla circostanza che il figlio di Karl Haushofer, Albrecht, esperto di geopolitica e più abile del padre nelle sue ricostruzioni teoriche, avesse preso parte alla congiura fallita contro H ider nel 1941. Erano, invece, proprio le linee programmatiche, i me-

{Volli ohne

Raum)

mainstream,

6;

Vestablishment

81

IL PENSIERO CEOPOLITICO codi e le visioni politiche di Haushofer, simili ma non identiche a quelle proprie dell’espansione nazista, a infastidire e insospettire Hitler c i suoi collaboratori più organici. La concezione geopolitica era infatti trop­ po spostata sulla preminenza del fattore geografico nella spiegazione politica e metteva da parte l’unico ’’perno” della scoria secondo la dot­ trina nazionalsocialista, e cioè la razza1. Inoltre, il progetto politico che Haushofer difendeva non era quello dell’impero mondiale, ma piutto­ sto dell’unità continentale, che presupponeva l’alleanza con la Russia. U n’ulteriore prova della divergenza fra i disegni politici di Haushofer e l’imperialismo razzista hitleriano era nella loro visione strategica del­ le alleanze: per il pensatore gcopolitico, la Germania avrebbe dovuto unirsi militarmente alla Russia nella conquista del continente, Hitler al contrario, tradendo il patto Molocov-Ribbentrop del 1939, invase l’al­ leato sovietico nel 1941. Com e è evidente anche ad un primo scorcio degli articoli della rivista fondata da Haushofer insieme ad altri geografi e politologi nel 1914, “Zeitschrift für Geopolitik'*, la linea editoriale era orientata non tanto alla promozione dell’ impero mondiale hitleriano, ma all’unione politica dei continenti, che avrebbero incarnato g|i accori politici internazionali del futuro - non è un caso che la rubrica in cui Karl Haushofer scrìveva era infatti quella dedicata ai "Continenti”. Per quanto, però, la geopolitica godesse nel nazismo di molto meno sostegno di quanto sia stato affermato nel secondo dopoguerra, essa fu certamente favorita dal regime e acquisì nei programmi scolastici e universicari e nella pubblicistica un grande rilievo fin dalla Repubblica di Weimar. Inoltre, il "credo” ufficiale del regime totalitario, formato da una miscela di razzismo e antisemitismo, era diffuso presso mol­ ti autori geopolitici, benché non fosse considerato come il maggiore fondamento teorico della concezione geografica. L ’espansionismo e la legittimazione della legge del popolo più forte erano i temi principali già prima dell’ascesa di Hider. Com e afferma Hans-Dietrich Schultz, il Terzo Reich non iniziò nella geografia con la fine della Repubblica di Weimar, ma con le grandi aspettative originate dalla politica guglielmina, allorché Ratzel preparò il terreno per concepire la geografìa

1. In particolare n d 19}$ nd convegno di Bad Saarow la concezione geopolitica fu attaccata dai nazisti perché dava troppo peso alla geografia c non « alle forze vitali del popolo c della razza». Cff. Bassin (1987).

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}. la ‘ s c ie n z a ’ g e o p o l it ic a e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a FIGURA ) I blocchi conciti cnrali di Haushofer

Fonte. Geopolitik der Paßbldtm, 19\i.

come il «fondamento indispensabile per l ’agire e il giudizio politici» (Schultz, 199*. p. a*). Il primo grande successo della letteratura geopolitica in Germania risale al 1814, l’anno di pubblicazione della traduzione dell’opera del geopolitico svedese Rudolf Kjellen D ie Großmächte der Gegenwart (Le grandi potenze del presente), apparso poco prima di un altro best seller europeo, e cioè il libro Mitteleuropa di Friedrich Naumann del 1915. Pur non essendo comparabili per il loro progetto politico - il primo è ispirato da una concezione imperialista, il secondo da un princi­ pio federalista - i due testi, apparsi in concomitanza con l’ inizio della Grande Guerra e diffusi ampiamente, mostrano che l ’ interesse cul­ turale in Germania si concentrava sulla questione della gestione dei conflitti mitteleuropei c sulla formulazione di nuovi modelli politici per riordinare l’assetto continentale. L ’autore di Großmächte der Gegenwart, il politologo ed esponente politico ultranazionalista svedese Johan Rudolf Kjellen (1864-1911), sistematizza, negli anni cruciali dell’ inizio Novecento, lo studio della geopolitica sulla base della tradizione geografica tedesca - soprattutto delle opere di Ratzel, ma anche degli approcci storiografici di Ranke e di Droysen (Kjellen, 1899). La crìtica radicale al liberalismo e allo sire-

»3

IL PENSIERO CEOPOLIT1CO nato capitalismo costituiscono la cifra della produzione scientifica del politologo svedese» il quale, in un opera diventata famosa in Germania» (1915)» pubblicata in tedesco all’ inizio della Grande Guerra, difende la comunità culturale e i valori nazionalisti germanici contro il credo democratico e liberale. Le idee del 1914, aspramente at­ taccate nel libro, sono gli ideali del 1789, e cioè l’uguaglianza, la rappre­ sentanza, la democrazia - espressioni, insieme con la socialdemocrazia, della decadenza della cultura europea materialista. Kjellen è ricordato, tuttavia, soprattutto come il fondatore della scienza geopolitica, che costituisce, nel suo sistema metodologico, solo uno dei cinque ambiti in cui è suddivisa l’analisi delle strutture e dell’a­ zione politica dello Stato. Oltre alla geopolitica, che tratta del territo­ rio dello Stato, Kjellen indica gli altri campi di ricerca e investigazione politica ncll’ecopolitica (studio economico), nella demopolitica (che riguarda le popolazioni), nella sociopolitica (concernente la società) c nella craropolitica (sulla politica di potenza) (Kjellen, 1910). La geo­ politica - e in genere la politica - è la dottrina dello Stato inteso come Reich (ivi, p. 40): ad essa non basta rilevare le caratteristiche fìsiche del territorio, oggetto proprio dell’approccio geografico, ma « l ’area territoriale politicamente organizzata, cresciuta col potere politico e che serve dei fini politici» (ivi, pp. 19-30). L’organicismo del conservatore reazionario Kjellen, che, come tutti gli autori che vivono a cavallo dei due secoli, è profondamente influen­ zato dal paradigma neodarwinista, è palese nella sua famosa definizio­ ne dello Stato come «forma di vita» (Lebensform) e del Reich come «organismo geografico». Tale concezione svela non solo le principali radici del suo pensiero: la storiografìa di Rankc e Droysen, ma anche il riferimento a Ratzel e il suo radicale rifiuto dell’ individualismo. Il Reich è riconosciuto da Kjellen come l ’unico soggetto attivo della poli­ tica nazionale e intemazionale: esso è una «realtà oggettiva e vivente » e sovraindividuale (ivi, p. 8), che inglobagli individui e le loro azioni. Nella sua concezione dello Stato si palesa il retaggio biologista, poiché l’oggetto dello studio politologico risiede per Kjellen nella «vita ben) nelle sue diverse espressioni: la geopolitica per la considerazio­ ne del territorio naturale, l’ccopolitica [nello studio del] l’autarchia, la demopolitica per la nazionalità, la sociopolitica per la socialità e la cratopolitica per la fedeltà» (ivi, p. 57). La geopolitica si basa, allora, su un metodo sintetico, che sfrutta i risultati e gli approcci sia delle scienze naturali - biologica e geografica

Le idee del 1914

{Le-

J. LA "SCIENZA* GEOPOLITICA E LA STORIOGRAFIA NELLA CULTURA TEDESCA - sia delle scienze umane - storica e politica. La metodologia sintetica che unisce la biologia, la politica, l ’economia, la storia c la geografia è una «per­ scaturisce dalla specificità dell oggetto di ricerca: il sona vivente», la cui azione deve essere interpretata in base alle sue «espressioni» e cioè sia alla sua «personalità» e «individualità» (ivi, p. 57), sia alla sua esistenza come organizzazione morale (Kjellen, 1914, pp. 34 ss.). L ’approccio storiografico a cui Kjellen fa riferimento è sicu­ ramente quello dello storico tedesco Johann Gustav Droysen, impron­ tato a un forte nazionalismo c ano-individualismo. Nello studio della geopolitica vengono considerati due elementi, utili per classificare e comprendere l’azione delle «personalità politi­ che»: il territorio naturale (c biologico) c il potere. Nella visione an­ tiliberale di Kjellen, lo Stato è spinto nelle sue azioni dalla politica di potenza: il potere e gli interessi vitali delle grandi potenze decidono della vita politica internazionale ( .). Tuttavia, la politica di potenza non è arbitraria, ma è soggetta alle leggi naturali biologiche e orga­ niche. Il radicamento della vita politica in quella organica permette allo scienziato-politologp di estrapolare oggettivamente dalla natura le leggi naturali, che sono sintetizzate nell’ ineluttabile dato di fatto della lotta fra gli Stati. Per conoscere le probabilità della sopravvivenza di uno Stato e la sua potenza nell’agone internazionale, la scienza geopo­ litica analizza il substrato materiale delle società, vale a dire il suo terri­ torio, la popolazione e la vita sociale - e cioè le caratteristiche generali della cultura di un popolo. Le geopolitica, in particolare, differenziandosi della cratopolitica, si concentra sull’azione dello Stato di potenza ed esamina la posizione la sua conformazione e il suo territorio. Secondo Kjellen, il del «appartiene » a un certo territorio e viceversa. Entrambi stanno, pertanto, in una relazione di co-determinazione: lo spazio detta le leg­ gi naturali per lo sviluppo storico statale e determina le sue limitazio­ ni naturali (ivi, pp. 16-7). Dalla relazione di co-appartenenza di Stato e territorio deriva l’ inviolabilità del principio di non-intervento (in campo politico) e di autarchia (nell’ambito economico). «D al nostro punto di vista organico - osserva lo studioso svedese - la cosa è chiara: se la terra è il corpo dello Stato c lo Stato è un’unità, esso non tollera né le rivendicazioni di scioglimento che provengono dall’interno, né gli attacchi esterni» (ivi, p. 84). L ’integrità dello Stato non implica però la sua limitazione ai con­ fini esistenti stabiliti per sempre: Kjellen riprende l ’idea ratzeliana dei

Retch

ibid

Ràchy Reich

85

IL PENSIERO GEOPOLITICO confini internazionali. L ’espressione famosa di Kjellen per la quale lo Scaco è una «forma di vita» implica due dimensioni: la dclimicazione dell’ «individuo geografico» dello Scaco accraverso dei confini esterni e. internamente, la connessione armonica di un’area naturale con le accività produttive. In economia, l’organicismo del modello statale di Kjellen si manifesta nell’aucarchia e pertanto nella chiusura e autono­ mia economica dell’unità politica. Nella teoria imperialista di Kjellen lo Stato non è politicamence definito come sovrano su un territorio su b il ito, poiché il compito di ogni entità politica è di estendere il pro­ prio ambito a un territorio naturale adeguato alla vita della popola­ zione. Per «territorio naturale» Kjellen intende quel territorio indi­ spensabile a un’organizzazione tde da sviluppare un’economia force e autonoma (Kjellen, 1910, pp. 71 ss.). Il territorio politico indispensa­ bile per la vira di uno Stato - c necessario per rivendicare un ambito di non intervento - non è, allora, quello subilito dal riconoscimento in­ ternazionale o dalla sovranità statale in un certo momento, ma è quello che permette un’economia autonoma, auurchica. In altre parole, lo S u to sovrano non ha un significato in sé, ma è visto solo in relazione a un certo territorio all’ interno del quale vige l’economia auurchica. La conquista del territorio naturale c il suo inglobamento nello Stato realizzano l ’armonia interna dello Stato c l’ambito di produzione e di consumo autarchici. La geopolitica, c cioè la scienza della terra dello S uto, non può prescindere, pertanto, dall’analisi dell’ccopolitica, e cioè dalla ricerca delle condizioni che permettono lo sviluppo dell’e­ conomia auurchica. Entrambe - la geopolitica c l’ecopolitica - stu­ diano l ’economia autonoma dello Stato e cioè la produzione dei mezzi produttivi che permettono a uno Stato di provvedere autonomamente ai bisogni del suo popolo. L’ ideale autarchico di Kjellen supera e mette in crisi l’idea classica di sovranità dello Suto. L ’adesione al modello economico autarchico serve, secondo l’autore svedese, a risolvere sia le questioni di politica interna, sia i conflitti fra le nazioni, poiché solo l’ indipendenza eco­ nomica dello Stato - o meglio del - garantisce il rango di p o­ tenza agli attori politici internazionali. Kjellen, tuttavia, comprende la difficoltà da parte degli Stati di raggiungere un’economia pienamente auurchica in un mondo globalizzato c, perunto, impiega un modello geopolitico economico che si ispira alla concezione di Ratzel e che di­ venterà poi famoso nella letteratura: il sistema delle sfere di interesse. Sono le sfere di interesse a decidere delle relazioni internazionali: «U

Reich

86

$. LA ‘ SCIENZA* GEOPOLITICA E LA STORIOGRAFIA NELLA CULTURA TEDESCA problema della Germania - scrive in un passaggio centrale della sua opera - è effettivamente uguale a quello inglese: anche questa nazione deve crearsi un mercato sicuro per l’acquisto delle materie grezze e la vendita dei prodotti. Per risolvere questo problema bisogna cercare an­ che in questo caso una sfera di interesse [...]. La Germania deve, però, creare questa sfera di interesse» tramite « l ’espansione» (Kjcllen, 1914. pp. 143 ss.). autarchico e, insieme, l’organizzatore di Lo Stato è allora il una sfera di interessi. Aborrendo la dottrina di Manchester, e cioè l’ i­ dea liberale del libero scambio, c l’ ideale politico del cosmopolitismo, perché entrambi sono ritenuti responsabili dell’attuale decadenza p o­ litica ed economica europea, Kjcllen propone una nuova idea, cultura­ le, europea e squisitamente politica, del Contro le concezioni di­ sarmoniche e meccanicistiche del liberalismo, viene ideato un modello statale chiuso, sia in ambito economico - con la difesa dell’autarchia sia nella politica culturale - con l’affermazione della cosiddetta « m o­ nocultura» (Kjcllen, 1916, p. 103). Secondo questa lettura, infatti, allo Stato economicamente protezionista corrisponde l’uniformità cultu­ rale ed etnica: le etnie devono essere omogenee all’ interno dell’unità statale, poiché tutti i cittadini formano un entità spirituale popolare che è il motore della potenza e della crescita della nazione (Kjcllen, 1914, p. 104). Per quanto riguarda l’attuale assetto europeo, il conservatore Kjellen conferisce alla Germania un ruolo essenziale per realizzare il nuovo ordine globale. A ll’impero tedesco è assegnato il compito di riaffer­ mare in Europa i valori della potenza dell’anima del popolo e della na­ zionalità. La sua missione proviene dalla sua particolare natura: la p o ­ in Europa. La Germania, da un canto, è sizione mediana minacciata dalle potenze orientali e occidentali e dalla possibilità di un fatale accerchiamento, dall’altro, proprio a partire da questo apparente svantaggio, assurge alla guida politica della nuova Europa, sfruttando il suo ruolo di mediatrice fra Oriente c Occidente (Kjcllen, 1911, pp. 54-5). La elaborata da Kjellen mira a invertire le tendenze cosmopolitiche imperanti, che costituiscono il frutto delle dottrine liberali anglosassoni. Per disegnare le condizioni del nuovo equilibrio internazionale, il suo modello supera di fatto le divisioni statali, giun­ gendo alla visione della coesistenza dei grandi imperi intemazionali - Germania, Inghilterra, Asia, America - in una relazione reciproca di equilibrio. bilanciamento delle potenze sarà garantito dalla Grande

Reich

Reich.

(Volkssecle)

(Mitteilage)

Realpolitik

11

87

IL PENSIERO GEOPOLITICO Germania, estesa territorialmente ai Balcani e all’Asia: essa sarà la rap­ presentante e la guida dell’ Europa continentale e perfino di una parte dell’Africa, l’ impero coloniale tedesco dell’Africa di mezzo (M ittcla Jrika). C om e vedremo, la mappa geopolitica di Kjellen, che divide il mondo in sfere di influenza dominate da imperi, avrà una risonanza straordinaria nella letteratura politologica e geopolitica successiva: da Cari Schmitt a tutta la scuola geopolitica anglosassone.

3.1

Concetti e metodi geopolitici nella geopolitica e nella storiografia tedesca degli anni Trenta: territorio e popolazione nella O stforschung La disciplina e la discussione sulla geopolitica nella Repubblica weimariana vengono fortemente influenzate dal paradigma ratzeliano, sviluppato in epoca guglielmina. Com e scrìve Hans* Dietrich Schultz, «solo la guerra mondiale fece emergere il “politico” dai dati fondamentali della geografia. Tutto ciò non avvenne sotto l’egida della ge­ ografia politica, ma dietro la bandiera spiegata delle nuove scoperte della geopolitica» (Schultz, 1993, p. 13). Il successo della dottrina geopolitica fu, come si è detto, favorito dalla vicenda politica tedesca imperialista e dalla sconfitta nella Gran­ de Guerra: dal 1914 la geopolitica divenne una disciplina riconosciuta (Schulze, 1989; Oberkrome, 1993) e le opere geopolitiche si diffusero anche al pubblico più vasto. Alla mancanza della coscienza spaziale venne perfino ricondotta una delle ragioni principali della sconfitta te­ desca c della mancanza di determinazione dei politici weimarìani, che avrebbero dovuto trarre dagli studi geopolitici gli strumenti necessari per reagire pesantemente contro il trattato di Versailles (Haushoferel 1918, pp. 19 ss.; cfr. Hcrb, 1005). La geopolitica occupò già fin dalla Repubblica di Weimar uno spazio maggiore nei programmi scolastici a detrimento della geografìa e delle scienze della terra (Folkers, 1941; Schultz, 1993; Murphy, 1997), mentre, al contrario, a livello accademi­ co incontrò una maggiore resistenza da parte del corpo docente. L ’ in­ troduzione del paradigma geopolitico nelle scuole fu favorito dalla crisi politica e dal mutamento della disciplina geografica. La suggestiva

al.,

88

y

LA ‘ s c ie n z a * g e o p o l it ic a

e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a

cartografia geopolitica (Haushofer, 19x1)* e i popolari grafici e sche­ mi usati da Karl Haushofer c dai suoi collaboratori non erano confi' nati alla diffusione accademica, ma erano riprodotti nella letteratura pubblicistica e popolare, offrendo la possibilità a un pubblico vasto di "visualizzare” le perdite tedesche dovute ai trattati del dopoguerra e di vedere i confini che, di volta in volta, venivano assegnati nei trat­ tati politici. I concetti geopolitici c le cartine ebbero per tale ragione una grande utilizzazione come strumenti di propaganda politica per la costruzione e la visione di nuovi ordini europei, sia durante la fase weimariana sia in epoca nazionalsocialista4. La geopolitica ebbe fin dall'inizio un ruolo importante nella propaganda politica, grazie alla sua capacità di suggestionare un grande pubblico. Com e affermò V ic­ tor Klempcrer, un filologo ebreo che subì le misure politiche razziste del nazismo, il fàscino dei concetti geografici stava nell’offrirc visioni politicamente illimitate e nell'essere scientificamente indeterminati (Klempcrer, 1 0 0 0 , pp. 191 ss.). In effètti, secondo i suoi promotori, il «pensiero geopolitico» avrebbe avuto l’effetto di «ampliare gli oriz­ zonti geografici» (Ratzel, 1897, p. zoo) non solo della classe politica, ma di tutto il popolo, preparando così il terreno per la conquista impe­ rialista e per la crescita della potenza tedesca. Il progetto ratzeliano di educare il popolo tedesco a dominare lo spazio politico sarebbe stato finalmente realizzato da Haushofèr, che lo avrebbe però, deformato. Le ragioni del successo della geopolitica, che esplose dopo la Prima guerra mondiale, sono da rinvenire in due fattori: in primo luogo, la profèssionalizzazionc della disciplina c, in secondo luogp, la legittima­ zione scientifica che proveniva dal paradigma geografico ratzeliano, conosciuto e studiato oltre i confini tedeschi. Già prima dell’avvento di Hitler al potere e del successo politico del sostenitore nazista R udolf Hess, allievo di Haushofer, era iniziata la politicizzazione della disci­ plina geopolitica, c cioè la sua utilizzazione come “scienza applicata” a scopi politici. L ’ istituzionalizzazione della disciplina accademica geopolitica negli anni Trenta conferì, poi, alle rappresentazioni geo-

j. Per cartografìa suggestiva si intende quella cartografìa che fa largo uso di sim­ boli e di elementi - come ingrandimenti, deformazioni - per suggerire al lettore al­ cune percezioni c immagini del mondo. Della cartografìa suggestiva, inventata dai gcopolitici, fa uso attualmente tutta la letteratura geopolitica. Cfr. Boria (zoiz). 4. Per l’essenziale funzione della geografìa di definire c stabilire un ordine cfr. Zicrhofcr (zoo 6).

«9

IL PENSIERO GEOPOLITICA politiche un’autorità scientifica e una legittimazione molto prestigio­ se. Cartine c schemi geopolitici acquisirono, così, lo status di "verità scientifiche", che avrebbero legittimato i fondamentali progetti politici per la riappropriazionc dei territori orientali europei e per la creazione di un nuovo ordine politico mitteleuropeo. La riconquista del terri* torio orientale, perso nel corso della Prima guerra mondiale, diventò un fine "etico" giustificato dalla nuova disciplina geopolitica. In questa fase storica, dopo la Grande Guerra, « l’oggetto di ricerca della geo­ grafia ricevette il suo status finale di norma etica, di accanto a Per i vecchi geografi fu allora molto fàcile, durante il nazional­ socialismo intendere il come una semplice variazione del nesso terra-uomo, in modo che la questione classica della geografìa rimanesse immutata» (Schultz, 1995, p. z i). Fra Haushofer c Ratzel, però, sussisteva una grande differenza. Benché l ’oggetto di ricerca di Ratzel fosse la relazione fra lo Stato c il tcrritorio/spazio, il suo scopo non era mai consistito nel mostrare gli obiettivi dell’agire politico, ma piuttosto nel rilevare leggi naturali a cui erano soggetti tutti gli esseri, inclusi gli uomini che, però, godevano di un certo grado di libertà. Essi potevano scegliere, per Ratzel, di seguire queste leggi o di non seguir­ le, a loro rischio. Il “governo giusto" o l’ottima forma di governo non erano mai stati, insomma, i temi di ricerca di Ratzel: le sue osserva­ zioni, anche riguardo alla politica, erano orientate al lungo periodo, e il suo lavoro mirava all’ individuazione di leggj generali e universali, che ben poco avevano a che fare con la politica partitica. Durante le lezioni Ratzel chiariva spesso che se lo Stato era un organismo vivente, le regole della geografìa politica non si riferivano alla politica odierna, ma alle manifestazioni durature e preparate nei tempi lunghi (Ratzel, 1890-94). A l contrario di Ratzel, i promotori della “nuova disciplina” sottoli­ neano già negli anni Venti del Novecento la funzione eminentemente politica della scienza geopolitica e, sulla base di tale rapporto stretto con la politica, delincano i confini con le vecchie geografia c geografia politica. Karl Haushofer e O tto Maull, ad esempio, individuano l’ele­ mento caratterizzante della geopolitica nella sua relazione con la prassi politica: la geopolitica diviene una «scienza applicata» (Maull, Secondo Karl Haushofer essa costituisce « il ponte che unisce il sapere, che viene trasmesso dalla geografia politica, con il potere, che si espri­ me nella politica esecra e che proviene dalla geopolitica» (Haushofer, 1919, p. 15). Da questa funzione scaturisce lo status specifico della

Sein.

SoUcn

Blut und Boden

1916).

90

V la “ s c ie n z a * g e o p o l it ic a e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a geopolitica rispetto alla politica: «La geografia vuole essere prima di tutto a servizio delle fòrze dirigenti politiche, tuttavia mira a rivendi­ care almeno il diritto di presentare alla politica dati di fatto concreti c comprovati e di essere pertanto ascoltata c considerata» (K. Hausho­ fer, 1918. p. 69)'. Karl Haushofer (1869-1946) è sicuramente colui che meglio espri­ me ü legame forte tra la scienza e la politica e che, pertanto, assume il ruolo di protagonista nella geopolitica tedesca nazista. Egli individua il nucleo dello studio geopolitico nella ricostruzione della relazione fra la posizione politica di uno Stato e di un impero, da un lato, la sua natura e il popolo, inteso come portatore di una cultura, una menta­ lità c dei tratti sociopsicologici specifici, dall’altro. La geopolitica, in tale chiave, non si limita a fornire una descrizione geografica, ma ela­ bora un’analisi delle caratteristiche dei popoli e della loro cultura: dal rapporto simbiotico fra la terra e il popolo deriva l’ imprescindibilità dell’analisi politica da quella geografica. L ’ambito della disciplina geo­ politica c individuato, in questa chiave, in una zona liminarc fra la ge­ ografia, la storia e la politica: essa rappresenta «la scienza della forma politica vivente nello spazio vitale nel suo ) e nella sua dipendenza dall’evo­ legame con la terra ( luzione storica» (K. Haushofer, 1918, p. 54). Com e per Ratzel nella sua (1897), e per Kjcllcn (1914), lo Stato c un organi­ smo naturale, o, più esattamente, l ’ incarnazione della volontà politica del popolo e il prodotto dell’interazione tra i popoli e la natura: «un pezzo di umanità [...] e insieme un pezzo di territorio» (Ratzel, 1897, p. 4). Metodologicamente la geopolitica viene fondata da Haushofer su una "terza via", c cioè sulla sintesi dei metodi delle scienze umane e5

{Lebensform) Erdgebundenheit

{Lebensraum),

Geografia politica

5. Per cale ragione la geopolitica non deve essere considerata alla pari delle altre scienze accademiche - il diritto, la storia, la sociologia - che hanno subito il proces­ so di “nazifìcazionc*, mantenendo, tuttavia, i propri confini disciplinari e una certa fedeltà a un ideale di “scientificità” che proveniva da un’antica tradizione accademi­ ca c che poteva permettere agli studiosi di sottrarsi all’uso propagandistico nazista. Insomma, la geopolitica - e non la geografica politica - si diffuse in funzione del nazismo c come “scienza applicata” della politica: essa trovava nel governo totalita­ rio la sua ragion d ’essere. Tuttavia i confini tra la geopolitica c la geografìa politica divennero sfocati negli anni del nazismo, quando l ’intervento della politica nella cul­ tura divenne pressante. Ad esempio, O tto Maull cd Erich Obst, due geografi politici accademicamente accreditati, si prestarono con Haushofèr a promuovere le ragioni dell’imperialismo nazista e a porre la geografia a servizio del totalitarismo.

91

IL PENSIERO CEOPOLITICO naturali. La scelta della metodologia sintetica è da attribuire alla natura del suo oggetto di ricerca, che è geopolitico, e cioè riguarda sia le scien­ ze naturali, nella sua accezione di studio della terra, sia quelle umane, poiché tratta della politica (Kost, 1988). La geopolitica assume, con Haushofcr, un ruolo peculiare nell’ambito delle scienze, incrociando approcci disciplinari diversi: quello geografico, quello storico, polito­ logico e sociologico. Haushofcr mira, in tal modo, a conseguire una prospettiva generale e «totale» ( ) sulla politica e sulla storia. Tale scienza sintetica, secondo il geopolicico tedesco, è tipica­ mente «tedesca», e cioè può nascere solo nel contesto culturale te­ desco, nel quale si sono incrociate e combinate le correnti disparate del romanticismo e dell*illuminismo, del positivismo e dell’idealismo, dando luogo a una sintesi originale - una , una via originale tedesca (Haushofcr, 1944). Nella concezione haushoferiana, la scien­ za geopolitica deve rivalutare la cultura tedesca, che, fin dal Roman­ ticismo, esalta l’unità organica del popolo con la sua nazione. Il suo compito sta, pertanto, nell ’opporsi all’ interpretazione anglosassone positivista del diritto c della politica, che trascura il legame organico dello Stato c della popolazione con il territorio, e nel riportare al cen­ tro della discussione politica e accademica il popolo ( ) e lo .). spazio Una caratteristica importante della concezione haushoferiana è la sua capacità di semplifìcarc concetti politici e di prestarsi alla dif­ fusione nell’ambito pubblicistico e accademico. C iò è evidente nella popolarità della geopolitica, ovvero dei suoi metodi, della cartografìa suggestiva, dei suoi concetti, nella cultura e nelle altre scienze durante gli anni Venti e Trenta. In particolare è significativa la relazione stret­ ta fra gli autori del pensiero neoconservatore c i geopolitici: non solo per il loro utilizzo di un lessico comune - di termini come spazio vi­ ), potenza che domina Io spazio ( tale ( Panidee (Paneuropa, Panamerica ccc.) e varie concezioni mitteleuropee - ma anche per l’attenzione conferita allo spazio e al rapporto fra la politica e il territorio e per la concreta collaborazione di rappresentanti del pensiero conservatore e geopolitici nelle stesse riviste e istituzioni. C osi, esponenti della rivoluzione conservatrice, alcuni giuristi di grande fama, come Cari Schmitt e alcuni storici ap­ non solo introducono nei loro partenenti alla cosiddetta lavori il lessico gcopolitico, ma fondano i loro metodi di ricerca e di interpretazione sulle concezioni geopolitiche.

Gesamtscbau

Sonderweg

Volksbodcn

(Raum) (ibid

Lebensraum de Machi),

Raumüberwindcn

Ostfonchung

91

J. LA " s c ie n z a ” g e o p o l it ic a e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a N ell’ambito delle concezioni di politica internazionale e, in par­ ticolare, in relazione all’espansione del nei territori orientali, la geopolitica fornisce alcune argomentazioni che legittimano l ’avanza­ ta delle truppe tedesche nei territori orientali: l’ ideale di preservare l’etnia tedesca negli Stati-cuscinetto, creati con i trattati di Parigi, e di conservare la società agraria di ascendenza germanica, viene rafforza­ to dalla necessità, fondata su logiche biologiche e pseudoscientifiche, di migliorare l ’economia agraria e la qualità della popolazione nella Polonia e negli Stati orientali (Haushofcr, in Jacobscn, 1979, voi. 1, pp. 639 ss.). La difesa nostalgica del rapporto del popolo tedesco agrario col suo territorio in qualsiasi parte d ’ Europa - e pertanto anche nei territori non tedeschi - e la riappropriazionc dei territori appartenen­ ti al prima della guerra vengono legittimate dal discorso ’’scien­ tifico'*, che usa argomentazioni storicistiche e costruzioni geopoliti­ che, corredate da indici demografici. Ricostruzioni cartografiche e tabelle demografiche dimostrano la necessità di ampliare i territori occupati a causa della pressione sui confini orientali da par­ te del popolo tedesco in eccesso. In queste letture, la Germania, che rappresenta la potenza terrestre per eccellenza, non può fornire alla sua popolazione alcuna valvola di sfogo nelle colonie marittime ed è quindi inesorabilmente costretta a spingersi a est G li ebrei orientali ( ) sono considerati, nella mappa haushoferiana dei territori orientali, come doppiamente estranei, da un punto di vista generale e da un punto di vista particolare: sia perché in ge­ nere il cosmopolitismo e il conseguente sradicamento degli ebrei ha corrotto la cultura europea tradizionale, legata ai valori agrari, sia per­ ché agli ebrei orientali viene attribuita la decadenza tedesca (lettera di Haushofer, ivi, p. 131)*. Un esempio dell'impiego di schemi tratti dalle geopolitica per legittimare le nuove concezioni della storia e della sociologia, forte­ mente piegate a specifici progetti imperialisti, è costituito dalla cosid­ detta Ostforschungt una corrente che si sviluppa nelle scienze storiche e sociali a partire dalla fine degli anni Venti. L ’Ostforschung, ovvero l ’ insieme di studi storiografici, politologici, economici e demografi-6

Reich

Rcich

(Druck)

(Drangnach Osten).

Ostjuden

6. Anche il figlio di Karl Haushofcr, Albrcchc, benché di madre ebrea, distingue' va ha ebrei occidentali e orientali ed escludeva questi dal corpo politico tedesco (cfr. Laak-Michel, 1974, pp. u i ss.)

93

IL PENSIERO GEOPO LITICO ci riguardanti le popolazioni e i territori al confine orientale tedesco, non rappresenta solo un filone di ricerca, progressivamente al servizio del potere politico, ma anche una corrente metodologicamente nuova nel campo degli studi storiografici. Fondandosi sui dati delle scienze naturali e pertanto su fonti statistiche, geografiche e demografiche, essa elabora un approccio originale rispetto alla tradizione idealisti* ca e storiografica tedesca c anche alle scienze culturali nate a cavallo del secolo precedente. Il lavoro interdisciplinare costituisce, infatti, il fulcro delle attività delle nuove istituzioni accademiche e di ricerca della fra le quali è necessario citare: la Mittelstclle Für mitteleuropäische Fragen (Ente di mediazione per le questioni mitte* leuropee), la Stiftung für deutsche Volks* und Kulturbodenforschung di Lipsia (Fondazione per la ricerca sul territorio culturale e popolare tedesco), la Verein für das Deutschtum im Ausland (Associazione per la germanità all’estero), la Bund Deutscher Osten (Federazione dei te* deschi dell’Est), la Nord* und Ostdeutsche Forschungsgemeinschaft (Ente di ricerca per la Germania settentrionale e orientale). In tale contesto originano non solo i lavori di celebri organizzatori culturali e politici come Albert Brackmann e Theodor Oberländer, ma anche ricerche originali, che avrebbero avuto successo nel dopoguerra, come quelle del sociologo Hans Freyer della scuola di Lipsia, e gli studi pio­ nierìstici degli storici Hermann Aubin, Günther Ipsen, Werner Conze e O tto Brunner i quali, nel dopoguerra, diventano insieme a Reinhart Koselleck i maggiori punti di riferimento per l’innovativa corrente della “storia sociale”. In questo Filone di ricerca è centrale il riferimento alla categorìa di considerato nelle maggiori opere politologiche e nella pubblici­ stica degli anni Venti come “un essere autonomo” e il punto di partenza per spiegare le forme di organizzazione politica. La nuova idea di emerge in relazione al diritto delle minoranze, che costituiva un tema controverso, soprattutto dopo la Prima guerra mondiale, in riferimen­ to alle popolazioni germaniche le quali, in base al trattato di Versailles, non vivevano più nello Stato tedesco. Max H. Boehm è il politologo che, decretando il valore prioritario dell’idea di sia nelle scienze storiche, sia nell’ambito “operativo” delle strategie politiche, scardina la concezione liberale (rappresentata ad esempio da Paul Schiemann), secondo cui lo Stato era l’ultima istanza di decisione giuridica riguardo ai conflitti delle minoranze. Secondo Boehm (1933) il popolo costitu­ e la sua isce, invece, il perno della vita politica, poiché il popolo

Ostforschung,

Volk,

Volk

Volk

{Volk)

94

y

LA “ s c ie n z a ” g e o p o l it ic a e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a

)

cultura ( Volkstum sono i punti saldi attorno a cui si crea il diritto dello Stato: quest’ultimo viene così di latto svuotato e subordinato al popolo e al «vero diritto dei popoli», che garantisce lo sviluppo armonico e organico della comunità del Volk. La concezione di Bochm, che ha una grande rilevanza per la definizione dei rapporti Ira i vari Vdlkcr in ambito storiografico e politologico, orienta, tanto teoricamente quan­ to a livello ideologico, il dibattito sulle minoranze. Essa, da un lato, fornisce le basi per sciogliere le minoranze tedesche, sparse nei territori esteri, dai loro obblighi verso il diritto degli Stati ospitanti, legandoli ancora una volta alla madrepatria, e, dall’altro, decreta la supremazia a livello politico e culturale del popolo sullo Stato (Elvert, 1999). Nelle ricostruzioni storiche e politiche dell’ Ostjbrschung, il rife­ rimento a questo nuovo diritto delle minoranze si concilia con una concezione nuova del rapporto fia i popoli e i loro Stati c territori. In particolare, i criteri impiegati per classificare i territori dell’area mitte­ leuropea e le rispettive popolazioni non vengono incentrati sulla cul­ tura c sull’ idea di popolo c di etnia, ma soprattutto su variabili demo­ grafiche e rappresentazioni cartografiche c geopolitiche. Riprendendo l’affermazione di Shapiro, il quale considera la propaganda geografica durante il nazionalismo, si impone una nuova «geografia morale», che, grazie a norme e criteri di legittimazione pseudo-scientifici, pro­ muove dei progetti politici sopprimendone altri (Shapiro, 1997, p. 16). In questo caso la posta in gioco delle ricerche della Ostjorschung è evi­ dentemente la promozione dell’espansione del Terzo Reich. Il concetto ratzeliano di Lebensraum offre a questa letteratura accademica un pon­ te linguistico necessario fra la concezione storiografica tradizionale, che definisce la cultura slava come estranea e inferiore a quella tedesca, quella geopolitica c demografica, che misura l’equilibrio fra una certa popolazione e il territorio c, infine, quella politica propria del colonia­ lismo migratorio e del nuovo imperialismo, che proiettano un nuovo assetto politico e demografico sui territori orientali. Il Lebensraum è inteso ratzclianamente nella letteratura storiografica dell ’Ostforschung come quella sfera di interazione armonica fra un certo territorio e la sua popolazione, retta da leggi biologiche - e cioè dalla capacità di uno specifico territorio di soddisfare i bisogni materiali del Volk - dall’esi­ stenza di qualità culturali superiori e da criteri di efficienza economica. L'esistenza c lo stato di salute del Lebensraum tedesco costituiscono il tema di questi studi, che diagnosticano la crisi economica e culturale del mondo slavo, per opporre ad essa una risoluzione politica, utile a

9S

IL PENSIERO GEOPOLITICO FIGURA 4 Confronto tra popolazione e potenziale sostenibilità del Lebensmum

I cerchi in d ica n o b capacità potenziale d i un te rrito rio d i m ten eve una popolazione, la pane nera in d ica la p o p o b z io n c attualm ente preterite. N u m e ri in m ilio n i S i noci anche, com e il d o b o è d iv iio in arte e come l'arca europea oca den ta le è rappresentata com e sovrapopobta e connina con l'area est-europea dem ograficam ente n on matura.

F inir. "Zeitschrift (tir G e o p o litik ", No*. 191*.

ripristinare l’equilibrio culturale, economico e demografico europeo e cioè la ri-colonizzazione tedesca. Le carte geografiche suggestive e le idee di paesaggio acquistano nella un grande rilievo e pubblicistica e nella storiografia della una vasta diffusione. Si potrebbe affermare, con la studiosa contempo­ ranea Bachmann-Medick (1009. p. 191), che le ricostruzioni cartografi­ che di questo filone geografico e storiografico rappresentano «paesaggi ideologici, rappresentazioni spaziali, innervati da relazioni di potere». Un celebre esempio è costituito dalla mappa geopolitica di Ale del 1915 (Pcnck, 1915): brecht Penck su essa svolge una funzione essenziale sia per legittimare le molteplici ricostruzioni dell’area mitteleuropea in pubblicazioni accademiche e giornalistiche, diffuse presso il pubblico più vasto, sia nell’ambito dei dell’ Est' programmi politici di ri-colonizzazione (

Ostforschung

Volksboden Kulturboden

Widerbesiedlung)

7. Sull* importanza delle carte c£r. fra gli altri Herb (1997).

96

J. LA ' s c ie n z a * g e o p o l it ic a e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a Tale carta divide lo spazio dell’ Europa centro-orientale in due zone, che rappresentano l’espansione dello spazio statale ad est dei confini attuali tedeschi: il Volksboden abitato dal popolo tedesco e il più ampio Kulturboden ovvero il territorio che presenta tracce evidenti del do­ minio della cultura/coltivazionc tedesca. Q u est’ultimo si distingue a sua volta nel Kulturboden vero e proprio, nel territorio all’ombra della cultura tedesca {Abschattung deutscher Kultur) e, infine, nella zona di interesse politico-economico tedesco. La novità della carta di Pcnck, che richiama l ’ idea ratzeliana di Lebensraum, consiste nell’implicita negazione dei confini statali per definire il territorio politico. Attraver­ so la cartografia, Penck constata “scientificamente”, e cioè con l ’uso dei metodi propri delle scienze naturali, un’identità ’’tedesca” omogenea che accomuna i paesaggi dell’ Europa centrale. In tal modo, il carto­ grafo-storico dimostra, con il lavoro di decifrazione dei segni della sua coltivazione e suddivisione, la ’’vera” identità culturale del territorio/ paesaggio, indipendentemente dalla sua appartenenza politica allo Sta­ to tedesco e dalla presenza nella popolazione autoctona di etnie con lingua tedesca. «Il Kulturboden tedesco - scrive Penck - c il lavoro deU’ inteliigenza tedesca, dello zelo c del lavoro tedeschi. Esso rispec­ chia le straordinarie qualità del nostro popolo, i fondamenti del suo essere e della sua potenza» (in Fahlbusch, 1994. p. 71). Tale “identità” del paesaggio viene tradotta in termini politici dagli storiografi e sociologi della Ostforschung, per i quali i tratti del Landschaft dimostrano “scientificamente" l’estensione dell’area del dominio del Volk tedesco oltre i confini statali. La storia viene, cosi, corroborata dalla geografìa nelle opere degli storici Hermann Aubin c Werner Conzc. Allo Stato subentra il Kidturboden e il Lebensraum anche negli articoli delle maggiori riviste pubblicistiche e specializzate (“Zeitschrift für G eopolitik”, “Zeitschrift für Politik", e anche “Volk und Reich”). II Kulturboden, il Volksboden e Io Staatsboden (territorio culturale, del popolo, e statale) diventano gli spazi classificati secondo le necessità, la “salute” e i movimenti della popolazione. U paesaggio c il territorio vcngpno decifrati grazie alle loro caratteristiche geomorfblogiche, c cioè in base ai segni che il “popolo culturalmente dominan­ te” imprime loro: tali segni dimostrano scientificamente la presunta “naturale” destinazione di un certo territorio al dominio da parte del Volk più civile e produttivo. D ’altro canto tale dimostrazione viene resa “visibile” attraverso l’uso dei moderni strumenti e dei supporti della fotografia, della cartina c delle tabelle demografiche: l’evidenza

,

97

IL PENSIERO GEOPOLITICA apparente delle immagini serve, in tal modo, a consolidare delle certez­ ze nell’opinione pubblica e a fornire delle prove comprensibili a tutti - anche ai lettori non specializzati - dell’appartenenza di un territorio alla Germania. Le ricostruzioni storiche relative all’apporto delle minoranze te­ desche nello sviluppo economico e politico dei territori orientali con­ cepite da Hermann Aubin, direttore dcH’ lnstitut fur geschichtlichc Landeskundc dcr Rhcinlande, costituiscono un chiaro esempio dell’in­ tersezione fra i modelli geopolitici e il metodo storiografico sotto l’e­ gida del progetto nazista di espansione orientale. Il fondamento della sua trattazione consiste in una concezione naturalista della cultura, che esaspera l’interpretazione materiale culturalista fornita da Lamprccht e Ratzel. I popoli vengono classificati in base alla loro capacità di plasmare i territori. Aubin mira ad ampliare c superare i metodi della di Ratzel c Pcnck, giungendo a elaborare una vera e propria “morfologia storico-geografica”: se la precedente geografia culturale sviluppata da Pcnck individuava le zone in cui si evidenziava l’apporto culturale di un popolo specifico - come nel caso del - , la di Aubin codifica esattamente e “scientificamente* i segni lasciati sui territori dalle varie popolazioni, in modo da permettere la ricostruzione degli eventi storici attraverso l’analisi geomorfblogica, e cioè l’ interpretazione dei paesaggi e dei territori c le caratteristiche dei popoli (, ) (Aubin. 191$, pp. 35,41). L ’introdu­ zione della geografia nella metodologia storiografica costituisce un nuo­ vo orientamento scientifico che sancisce una rivoluzione negli studi ac­ cademici. secondo Aubin. In questa chiave, la ricerca storiografica deve mutare completamente il suo ruolo e le sue modalità di svolgimento: essa deve mirare ad analizzare i caratteri della «natura», intesa in senso ampio, e cioè i segni materiali lasciati dalle civiltà nei paesaggi. Questi connotati, a prescindere dalla loro vaghezza c indeterminatezza, vengo­ no utilizzati come testimonianze dell’ «identità culturale» di un certo territorio c popolo, indipendentemente dalla loro attuale collocazione politica. In questo senso lo scopo delle ricerche storiche è da un lato di fornire dei dati «scientifici» per la ricostruzione della storia regiona­ le, dall’altro di «trasmettere la coscienza dell’appartenenza nelle regioni frontaliere, attraverso il rafforzamento della rappresenta­ come «creatore» del proprio territorio (ivi, p. 91). zione del Alcuni esempi della conseguente radicalizzazione della polarità fra slavi e tedeschi sono evidenti proprio nella trattazione dei confini orienta-

Kulturgco-

graphie

Kulturboden

Kulturmorpbologie

MerkmaUder Volksmasscn

vóikisch»

VoUtstum

98

j. LA “ s c ie n z a * g e o p o l it ic a

e la s t o r io g r a f ia n e l l a c u l t u r a t e d e s c a

li di Aubin, che esalta il valore culturale della colonizzazione tedesca e la degenerazione della civiltà slava. Il pericolo slavo si concretizza, in questa lettura, nella pressione sui confini: le frontiere dell’antico Impe­ ro austro-ungarico sono per Aubin un «baluardo contro la civiltà bar­ bara» (Aubin, 1938, p. ovvero l’unico confine esterno della civiltà occidentale. Le frontiere orientali, da lui rappresentate come pericolosa­ mente oscillanti a causa della pressione della «massa amorfa dei piccoli popoli» che si spinge da secoli verso l’Occidente, devono esse­ re definitivamente consolidate attraverso la colonizzazione germanica. Q uest’opera di colonizzazione non solo garantisce il mantenimento della cultura tedesca nelle popolazioni, ma implica anche la conservazione di alcuni paesaggi, c cioè preserva l’equilibrio fra il ter­ ritorio c la stirpe, intesa in senso demografico (Aubin, 1931, p. 158). Un esempio ulteriore degli effetti direttamente politici della com ­ penetrazione fra l’osservazione di fenomeni naturali, la geopolitica, c la riflessione storiografica è fornito dalle interpretazioni di Werner Conze, uno storico che nel secondo dopoguerra sarà molto famoso. Nelle sue opere giovanili egli utilizza e articola il modello ratzeliano del attraverso il quale definisce il concetto di popolazio­ ne. Questa è interpretata come un «processo vitale », e deve essere ana­ lizzata nel suo rapporto di equilibrio tra la crescita demografica ( indice di nascita) e lo spazio vitale (Conze, 1940-41, pp. 40 ss.). Il «teorem a» implicito nel modello storiografico di Conze si fonda sulla necessaria corrispondenza biologica fra i dati demografici e la descrizione geo­ grafica dello spazio, e cioè sull’armonia fra la crescita della popolazio­ ne e il territorio. Conze ricerca i motivi per cui questa relazione non è «sana» nei territori orientali, indicando, attraverso lo studio delle istituzioni giuridiche, i processi che hanno causato la crisi in tale equi­ librio. Riferendosi alle concezioni geopolitiche c demografiche, oltre che allo studio della storia delle istituzioni giuridiche, viene elaborato, così, un nuovo approccio storiografico, che amalgama le maggiori teo­ rie sviluppate dalla Nelle sue opere giovanili sulla Lituania e sulla Polonia, C onze (1934, 1940) dimostra in quale modo l’armonia fra lo spazio, la cultura c la popolazione si è spezzato nei territori dell’ Europa orientale. Ana­ lizza il processo attraverso cui l’equilibrio demografico e politico fra la popolazione slava c quella tedesca si è incrinato, c cioè attribuisce la decadenza slava al rifiuto da parte delle popolazioni autoctone di adot­ tare le istituzioni giuridiche tedesche (la e, di fatto,

60),

(ibid.)

{Deutschtum)

Leùensraumt

Ostforschung.

Huferverfassung)

99

IL PENSIERO GEOPOLITICO di sottoporsi al dominio culturale del popolo tedesco. Tale mancanza di armonia nel ha a sua volta indotto un processo di de­ cadenza e, infine, la crescita eccessiva della popolazione slava (Conze, 1940-41). La popolazione tedesca, in questa chiave, incarna l’agente storico principale che garantisce l’ impulso positivo necessario per la crescita economica e per lo sviluppo agricolo, e che avrebbe forgiato, uno strumento giuridico essenziale per il man­ con la tenimento di una sana economia agraria. L ’obiettivo di Conze consiste, allora, nel diagnosticare la crisi dei territori orientali e nell’ indicare le condizioni necessarie per realizzare l’armonia demografica, economica e sociale. A tal fine egli analizza la proletarizzazione degli slavi, incapaci di accedere ai lavori e alle posizioni di prestigio nelle città dominate dai mercanti ebrei. È chiara, in questa ricostruzione, l’assegnazione di ruoli specifici alle diverse etnie: gli ebrei, che forniscono un ulteriore impulso alla decadenza, impedendo ai polacchi qualsiasi avanzamento sociale, sono contrapposti ai tedeschi. 11 postulato secondo il quale l ’e­ quilibrio demografico ed economico si fonda solo sulla presenza c sul «dom inio» della popolazione contadina di origine tedesca conduce implicitamente, nell’opera di Conze, alla conclusione, in sede politica, della necessità della ri-colonizzazione. Lo slavo e la cultura slava, ormai degenerati, necessitano della guida organizzativa e «culturale» dei « coloni» tedeschi, poiché la rottura dell’equilibrio del rafforza la minaccia dell’ invasione russa e della bolscevizzazione. Le argomentazioni di Conze elaborano alcuni stereotipi discrimi­ natori, presenti nella cultura tedesca precedente, in una visione com ­ plessa e fondata sia su dati apparentemente "scientifici” - economici, geografici, demografici - sia su un’idea precisa di armonia fra la na­ tura, il territorio e la cultura. In essa le stirpi c le razze assumono una funzione storica specifica. Polacchi, ebrei e tedeschi vengono caratte­ rizzati, così, per la loro influenza positiva o negativa sull’ambiente e lo spazio vitale: ai tedeschi è assegnato l ’usuale ruolo positivo di portato­ c di organizzatori, agli ebrei è attribuita una ri di cultura, funzione negativa, poiché essi accentrano tutte le risorse economiche e sociali nelle città slave, mentre gli slavi vengono considerati inefficien­ ti, insignificanti, in balia dei "veri” protagonisti della storia, che siano ebrei o tedeschi. La traduzione di questa classificazione dei popoli, ela­ borata da Conze a metà degli anni Trenta, nella politica dell’occupa­ zione dei territori orientali e dello sterminio delle etnie ebrea e in parte slava è inquietante.

Lebensraum

Huferverfassung,

Lebensraum

Kulturträger

100

4

Lo spazio della guerra, la geopolitica e la rivoluzione conservatrice L ’occupazione di terra precede l’ordinam ento che de* riva da essa non solo logicamente, ma anche storica* mente. Essa contiene in si l ’ordinam ento dello spazio, l ’orìgine di ogni ulteriore ordinam ento concreto c di ogni ulteriore diritto - Essa è il ‘ mettere radici" nel regno di senso d e lb storia. Schmitt ( lo o la )

4-1

Mappe suggestive e grandi spazi nelle riviste tedesche tra il 1914 e il 1958 La geopolitica non rappresenta una mera disciplina accademica, se­ condo Ratzel, Mackindcr e Haushofer: essa deve educare i cittadini e gli statisti a liberarsi delb vecchia cultura nazionalista c statalista e a «pensare in grande» (Ratzel. 1911). Tale formazione deve inculcare quel senso di spazio ( che rende le popolazioni e i loro governanti delle giovani forze imperialiste c vincenti. La maggior par­ te degli autori delle riviste “Die Tat” e “ Zeitschrift ftir Politile", attive nelb Repubblica di Weimar, prendono sul serio l ’opera di educazione rivolta dai geopolitici ai governanti e alle masse. Le riviste “Die Tat* c “Zcitschrift fur Gcopolitilc", molto diffuse fra un pubblico specializzato e non, operano come "propagatori” dei nuovi metodi gcopolirìci, concentrandosi sull'osservazione della po­ litica estera tedesca in relazione alla posizione di potenza intermedia ) delb Germania fra Ovest ed Est, fra cultura e mediatrice ( occidentale e civiltà sbva. Aperta anche ad una corrente fìloslava c poi fìlobolscevica, la rivista "D ie Tat" ospita, soprattutto prima del 1918, sia autori vicini alla Lega pangermanista, sia diversi sostenitori della cre­ azione del tedesco autarchico nell’ Europa centrale e del progetto egemonico mitteleuropeo (Hcclccr, 1974; Chiantcra-Stutte, 1008,2.011). G ià a partire dagli articoli del 1914 e del 1915, e cioè dagli

Raumgeftiht)

Vcrmittlcr

Lebensraum

101

IL PENSIERO GEOPOLITICO anni politicamente e culturalmente più significativi per l’avvio della fortuna della letteratura sulla Mitteleuropa e delle opere di geopolitica, ai motivi tradizionalmente addotti dai maggiori redattori della rivista per fondare saldamente l’espansione della Grande Germania a est - la superiorità culturale e le ragioni della Realpolitik - se ne aggiungono altri, tratti dalla nuova letteratura geopolitica c dagli studi neodarwinisti (cfr. fra gli altri La Vergata, 100$). La necessaria forza espansiva del tedesco, la pressione demografica e la necessità di miglio­ rare il rendimento economico e lo sviluppo produttivo nei territori tra­ scurati dalla popolazione slava costituiscono gli argomenti principali per giustificare il progetto imperialista dell’unione mitteleuropea. La prospettiva in cui si colloca la maggior parte degli interventi è chiara­ mente contrapposta a quella della Mitteleuropa di Naumann: essa è centrata sulla Germania ed è imperialista. La rivista conta fra i suoi collaboratori alcuni autori che avrebbero avuto un grande successo nella loro opera di pubblicisti e di politolo­ gi: Hans Zehrcr, Giselher Wirsing, A d o lf Grabowsky c Cari Kristian von Locsch. Nelle questioni di politica interna, essa promuove nella Repubblica di Weimar i movimenti giovanili conservatori tedeschi ) e, prima e durante la conquista del potere da par­ te di Hitler, il bolscevismo nazionalista dei fratelli Strasser. Tuttavia, il nucleo tematico degli articoli non è la critica del parlamentarismo e della debole democrazia weimariana, ma piuttosto la politica estera tedesca. U «primato della politica estera» della maggior parte degli articoli, e cioè la considerazione centrale della rilevanza della politica intemazionale per spiegare i processi politici ed economici interni allo Stato, si innesta nella tradizione tedesca storicistica*. Per i collaboratori della rivista, la crescita del prestigio internazionale della Germania, e cioè il raggiungimento di una posizione di grande potenza dopo la Pri­ ma guerra mondiale, è la condizione fondamentale per risolvere la crisi sociale, politica ed economica. Tuttavia, il protagonista della rinascita tedesca è il popolo, e non lo Stato, come, invece, nel pensiero rankiano. Ai riferimenti alla scuola storicistica si uniscono, negli articoli della ri­ vista, quelli al Terzo impero di Arthur Moeller van der Bruck (1915),

Lebemraum

{JugcnAbewegungcn

1. Cfr. su Rankc c il primato della politica estera nella rivista ‘ Die Tat*: Zehrcr (1919) c W irsing (i9Jib). Pier una ricognizione critica di questa letteratura cfr. Kehr

(»^SI-

IO!

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA alla dottrina giurìdica dell'integrazione di Rudolf Smend (1918) e alla teoria del grande spazio di Cari Schmitt1. La rivendicazione di un ruo­ lo egemonico per la Germania nelle contratrazioni europee dopo la Grande Guerra lascia il posto, gradualmente, all'appello alla riunificazione delle minoranze tedesche sparse negli Stati dell'Europa centrale. La visione revanchista si sovrappone, nella maggior parte degli articoli, alla denuncia della diaspora etnica tedesca, vista come la causa princi­ pale dei mali che affliggono la giovane repubblica weimariana. La riu­ nione del popolo germanico in un impero mitteleuropeo e la conqui­ sta dei territori orientali costituiscono, per molti redattori, la missione storica principale assegnata al nuovo Stato e al popolo. L'altra rivista che fa della diffusione della geopolitica la sua mis­ sione, “Zeitschrift fur Geopolitik", viene fondata nel 1914 da Karl Haushofcr e dall'ordinario di Geografia all'Università di Hannover Erich Obst, con l'editore reazionario Kurt Vowinckcl. Il suo program­ ma rende chiari i principali obiettivi dell'impresa editoriale: A . N ella scienza (la rivista] coadiuverà a innalzare l ’ed ificio della geo p o litica. [...] B. N ella vita qu o tid ian a essa trasm etterà una grande quantità di c o n o ­ scenze sulle vicende che accad on o sul g lo b o terrestre, nella loro relazione con lo spazio c la storia. C o s i essa farà em ergere la coscienza: nella p o litica m o n ­ diale: d ella dip en denza dalla natura, n e ll’econ o m ia globale: della struttura in ­ terna, nella cultura globale: del m ovim en to di d o m in io dello spazio (H a u sh o ­ fcr, M anuscript dcr H crausgcber K o n fcrcn z, in H arbcck, 1965, pp. 11-3).

G ià da questi primi cenni appare chiara la differenza degli approcci delle due riviste “Die Tat” c “ Zeitschrift fur Geopolitik*. La prima ha un’ impronta più gpneralista c umanistica: il suo pubblico è quel­ lo borghese c intellettuale e il suo ruolo c secondo l'editore Dietrich (Hecker, 1974, p. 11) «di orientamento spirituale». In altre parole, essa rappresenta un luogo di dibattito dei movimenti ncoconservatori. A l contrario, “ Zeitschrift fìir G copolitik” rappresenta una prospettiva politico-scientifica sulla geopolitica e pretende di fornire gli strumenti conoscitivi per l'agire politico c l'educazione delle masse, in modo da realizzare il progetto tedesco imperialista. Entrambe, però, mirano a elaborare e legittimare il progetto politico mitteleuropeo e sostengo­

1. Per il rapporto fra le teorie di Schmitt e quelle dei redattori di "Die Tat" cfr. Hecker (1974. pp. 177

103

IL PENSIERO CEOPOLITICO

{Drang nach Osten).

no pertanto l’ idea della spinta espansiva verso est Parallelamente, esse rivendicano il ruolo centrale per la politica e la cultura tedesca in Mitteleuropa per il rinnovamento spirituale del vec­ chio continente, che avrebbe dovuto opporsi allcspansionismo anglo­ sassone e al bolscevismo russo. Riguardo a quest’ultimo, comunque, la posizione della maggior parte degli autori di entrambe le riviste è oscillante e non conforme alla dottrina nazionalsocialista. Raramente la Russia bolscevica rappresenta solo un pericolo «barbarico»: essa è vista, spesso, come il focolaio di nuove idee politiche (ivi, pp. 94 ss.) e come un prezioso alleato per conquistare l’ intero continente e u ra sia ­ tico (Harbeck, 1963, pp. 116 ss., 140 ss.). Queste analogie, che riguardano la visione del futuro ordine mon­ diale, vengono rafforzate dall’uso comune di concetti c di un lessico nuovi, tratti dalla geopolitica, e daU’cffcttiva collaborazione reciproca dei rispettivi redattori*. Queste circostanze permettono di sostenere che ci siano affinità sostanziali fra il campo culturale-politico dei neoconservatori e quello dei gcopolitici. In particolare, i temi e i metodi che rivelano analogie interessanti tra gli approcci dei maggiori colla­ boratori delle due riviste riguardano il ruolo della geopolitica e l ’ in­ fluenza dello spazio nei processi politici, la crisi dello Stato-nazione, la funzione imprescindibile del popolo e della cultura per l ’azione politi­ ca e, infine, le visioni di forme alternative allo Stato-nazione per orga­ nizzare lo spazio europeo, superando la crisi e la decadenza occidentali. La geopolitica rappresenta per entrambe le riviste un mezzo es­ senziale per formare la classe dominante c il popolo. Già a partire dal 1914, ovvero nell’anno di fondazione della “Zcitschrifr ftir Geopolitik”, Giinthcr (1914) descrìve nella rivista “ Die Tat” la geografìa tedesca come una sintesi « tipicamente tedesca » fra scienza c arte, elaborata da Ratzel e prima da Cari Rittcr e Johan Gottfried Herder. La geografìa, afferma, non una disciplina fra le altre, ma detiene un ruolo politico specifico nella formazione del popolo, poiché «noi [tedeschi] non riu­ sciremmo a restaurare la nostra comunità del popolo senza conoscenze geografiche e senza il pensiero geografico» (ivi, p. 814). La percezione tedesca dello spazio, la quale emerge anche dalla diffusione del m o­ vimento politico neoconservatore, è caratterizzata dalla coscienza da

è

3. Ad esempio Zehrer e W irsing scrissero spesso in "Zeitschrift für G eopolitik" A d o lf Grabowski e AJbrecht Haushofer nella rivista "Die Tat”.

104

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA parte del popolo del proprio dovere di conoscere i dati geografici e la terra (ivi* p. 830). Alcuni anni dopo questo articolo il professore di ge­ opolitica e politica alla Hochschule di Berlino, A d o lf Grabowski, sta­ tuisce il ruolo della nuova scienza geopolitica e la necessità di orientare la politica sulla base delle leggi e previsioni geopolitiche: C o s ì com e gli individui so n o determ in ati dalla loro o rìgine c dal lo ro am ­ biente, l ’ in d ivid u o -S tato è determ in ato non solo dal p o p o lo , ma dallo spazio. N o n si p u ò elaborare una qualun que p o litica: si deve fare solo quella p o liti­ che ch e è prescrìtta dallo spazio. U n a m aggiore con oscen za d e llo spazio da parte dei responsabili p o litici dello Stato co n d u ce a una m igliore p o litica. (...) Il p o litico ch e prende in co n siderazion e lo spazio del prop rio Stato c del m o n d o n on andrà m ai a ten to n i (G rab o w sk i, 1918, pp. 66 -7).

Il politico deve acquisire, pertanto, un’abilità geopolitica, e cioè deve essere capace di dominare lo spazio da un punto di vista «tridimen­ sionale» e di prevedere pertanto i processi politi­ ci a partire da una considerazione globale della storia c geografìa. La "visione tridimensionale” indica, in questa accezione, una prospettiva dinamica e globale dei rapporti fra gli Stati, i popoli e i territori nel loro rapporto di interazione. Secondo uno dei redattori di "D ie Tat”, Hans Zehrer, il senso dello spazio e l’aspirazione nazionalista - che egli intende come «naziona­ lismo sovranazionale» e cioè mitteleuropeo - sono le condizioni es­ senziali per realizzare una corretta politica estera: «la politica estera è impossibile senza un’adeguata rappresentazione dello spazio. La ten­ sione necessaria per perseguire una politica estera può originare solo dalla coscienza di vivere in uno spazio c di condividere insieme uno spazio» (Zehrer, 1930, p. 13). La moderna concezione dei rapporti in­ terstatali «astrattae teorica» deve essere sostituitada una nuova visio­ ne dello spazio, che - scrive Zehrer in un articolo non firmato - deve essere «plastico»: «la più importante precondizione [della politica estera] [...] è lo spazio in cui la politica ha luogo e la visione plastica di tale spazio (...) solo tale visione plastica dello spazio evoca le em ozio­ ni e induce il popolo aJ consenso» (Anonimo, 1931, p. 934). Uno dei maggiori meriti del movimento neoconservatorc è proprio quello di forgiare questa coscienza della relazione fra il popolo c il suo spazio naturale, grazie alla quale la cultura e la politica tedesche sarebbero ri­ fiorite (Zehrer, i93ia).

{PUstisches Schen)

IL PENSIERO GEOPOLITICO In un articolo di Kriiger in “ Die Tat* il «crescere insieme» {Verwacksensein) di Zehrer, che contraddistingue il rapporto fra un popolo e il suo territorio, viene tradotto come «radicamento» ( Vcrwurzclung). Tale espressione, che si trova già nei lavori di Ratzel (1909, p. 116), diviene un topos della letteratura conservatrice. Per Herbert Kriiger «la comunità e lo spazio si creano [...] in un rapporto reciproco. La legge spirituale dello spazio si esprime nella specificità della comunità che lo riempie e, al contrario, la comunità opera sullo spazio con la sua forza politica creatrice. (...) Uomini e spazio operano insieme attiva­ mente per creare una forma politica» (Kriiger, 1933, p. Il diritto dei popoli giovani ad espandersi proviene allora dalla loro profonda coscienza dello spazio e dal radicamento in esso, oltre che dalla dina­ mica innescata dalla sovrappopolazione la politica aggressiva tedesca ai confini orientali viene cosi giustificata in base a fattori geopolitici e culturali. Tali temi fanno parte anche dello spettro delle argpmentazioni impiegate dai geopolitici nella loro rivista. Un esempio a proposito è la concezione organicistica dello Stato presentata da Karl Haushofer (1918) e da molti redattori di “ Zeitschrift fiir G copolitik”. Fritz S. Bodenheimer (1931) fonda la sua teoria dello Stato come Ultraindividuo sull’opera di Oswald Spengler. La commistione di concetti delle scienze naturali e di concezioni organiche è evidente nel­ la descrizione di Bodenheimer dei rapporti fra lo Stato e lo spazio:

796).

(Übtrbevólkerung):

(Uberindividuum)

10 Stato vivente non è niente senza il suo territorio, su cui cresce. A partire dalle posizioni espresse dalla biologia dobbiamo riconoscere ancora una volta che il territorio c lo Stato, lo spazio c il popolo si condizionano reciprocamen­ te. Questo spazio mitteleuropeo nelle sue estensioni conosciute è diventato 11 destino del popolo tedesco! Lo spazio del territorio è il destino (...]. Lo spazio determina la crescita del popolo, la vita dello Stata (...) La crescita della nazione segue le lince di sviluppo del territorio del popolo ( ) (ivi, pp. 560*1).

Volksboden

Kurt Vowinckel raffigura lo Staro come una forma di vita c il corpo popolare come un «tutto conchiuso» che è caratterizzato dalla sua organicità (Vowinckel, 1933, p. 608; cfr. Harbcck, 1963, pp. 157 ss.). Per un altro redattore della rivista. Max Baumann, lo Stato ha due aspet­ ti: uno spaziale-territorialc c uno etnico. Questa duplicità della natura dello Stato viene tradotta nell’espressione «sangue e suolo»

(Blutund

106

4. LO SPAZIO DELLA GUERRA

Boden). Per tale ragione la considerazione geopolitica dello Stato è in* trecciata con lo studio della sua popolazione (Baumann, 1955). Lo Stato è considerato con scetticismo nella sua funzione di attore della politica di potenza internazionale dai collaboratori di entrambe le riviste. vecchio concetto di Stato è «antiquato», cosi come Tu* topia della fratellanza universale. Solo dall'alleanza fra il concetto di Stato antico e l'idea di un impero tedesco si può elaborare un modello politico adatto a superare la decadenza politica europea. «D al crollo dei due [dello Stato c dell’ impero tedesco] deve emergere il nuovo sen­ timento nazionale, che forza i vecchi limiti statici dello Stato c trasfor­ ma in unità la nazione, dispersa in tutto il mondo in piccoli gruppi e minoranze» (Zcher, 1930, p. 13). La crisi dello Stato tedesco mostra che la funzione della sovranità si sposta su altri soggetti politici, e in particolare sul popolo, secondo Zehrer. La decadenza della politica statale sovrana è solo uno dei segni della trasformazione delle forme politiche, attraverso cui il vero agente storico - il popolo - si organizza c si rappresenta: «è vero che lo Stato pretende di rappresentare la realtà del popolo. Tuttavia il popolo pos­ siede la sua propria realtà. Giacché la forma non può mai corrispon­ dere a qualcosa di vivente, che essa pretende di rappresentare. Popolo e Stato hanno due diverse realtà [...] che vanno in direzioni parallele. [...] In questo caso il popolo il momento originario, più forte c crea­ tore, mentre lo Stato è derivato e mediato dal prim o» (Zehrer, i9 jja, p. 7). La sovranità risiede nel popolo, che è tenuto insieme dal «sen­ timento, cosciente o incosciente, di una comune totale appartenenza e unirà» Zehrer non solo decreta la fine del modello rivolu­ zionario francese di Stato e di rappresentanza, ma anche la decadenza della nazione. Contemporaneo al collasso di questi principi il succes­ so del movimento neoconscrvatore che si fonda su due presupposti: la «compromissione dell’idea di nazione e l'intreccio internazionale [...]. Lo sviluppo mondiale porta obbligatoriamente all’eliminazione dell’idea nazionale» (Zehrer, i933b,p. 179). C on simile rigore polemico, un altro collaboratore di "D ie Tat", Giselhcr W irsing, si oppone ai concetti di Stato e nazione, originati nella tradizione occidentale: essi rappresentano idee contrarie all'integrache deve presiedere i rapporti zionc organica ( fra il popolo e lo Stato. A llo Stato e alla nazione vengono contrapposti i modelli mitteleuropei e imperiali - integrativi e federali (Wirsing, 193za, pp. 9 ss.). W irsing si ispira nella sua concezione del percorso

11

è

{ibid.).

è

Gegenintc%rationskràftc\

107

IL PENSIERO GEOPOLITICO storico i l paradigma giurìdico elaborato da R udolf Smend (192-8), il quale aveva classificato le forze sociali integrative c aveva sviluppato una teoria antipositivista del diritto su un modello organico. La considerazione del fallimento dello Stato c della nazione viene approfondita anche dal Karl Christian von Loesch (1930), dal figlio di Karl Haushofer, AJbrccht Haushofer (1931), e da Erich Obst. Q uest’ul­ timo, nel 1919, definisce lo sviluppo politico e geopolitico della storia mondiale come il processo che conduce dai piccoli ai grandi Stati: «La storia mondiale acquista un nuovo significato dalla prospettiva geopo­ litica: al posto di Stati storici radicati in piccoli territori e con ampie possibilità di movimento, appaiono gradualmente, con la progressiva occupazione globale. Stati radicati in grandi territori e con limitate possibilità di movimento» (Obst, 19Z9C, p. 187). In particolare Obst afferma la «necessità [...] di comprendere l ’Europa nei suoi problemi a partire dalla sua totalità» (Obst, 1914. p. 61). I motivi per edificare gli Stati Uniti d ’Europa sono culturali ed economici, allo stesso tempo: solo un’ Europa unita può opporsi con speranza alla crisi della cultura occidentale e alla decadenza mondiale In generale le alternative dello Stato sono individuate dai redattori delle due riviste in quattro forme politiche organizzative: la creazio­ ne di una federazione europea, quella di un grande Stato europeo, un ). Tutti i modelli impero mitteleuropeo, il grande spazio ( si oppongono alla Società delle nazioni c alla Lega paneuropea, che, secondo W irsing (1936), celano il rapporto di egemonia delle nazio­ ni vincitrici su tutta l’ Europa e, secondo O bst (1916), rappresentano il prodotto di strategie politiche c decisioni astratte, che prescindono dalla «crescita organica» dei popoli. In un articolo del 1930 Erich O bst attacca Briand c afferma che «la strada per la crescita organica conduce ai popoli, ad un vero diritto delle minoranze e a organizzazio­ ni pan-nazionali» (Obst, 1930). La nuova Europa emergerà, secondo W irsing(1936), dall’alleanza dei «popoli giovani» - Italia c Germania - contro le potenze vincitrici. Secondo Obst, l’ Europa futura nascerà dall’ iniziativa dei popoli, non dagli Stati: « l’opposizione fra lo Stato e il principio popolare ( ) non può essere superata in Occidente, fino a quando ogni Stato membro dell’Europa insisterà sulla propria sovranità. Lo sviluppo libero di ogni singolo popolo è pensabile solo in un’Europa unita economicamente e politicamente» (Obst, 19Z9C). La Germania e il popolo tedesco assumono un ruolo storico e poli­ tico essenziale sia nelle visioni dell’Europa, sia nei progetti mondiali di

(ibid.).

Grofiraum

Volhtum

108

4■

LO SPAZIO DELLA GUERRA

tali autori. Il ruolo politico della Germania in Europa, così come la sua La cultura, sono determinate dalla sua posizione mediana forza e la debolezza di tale posizione tra Est e Ovest era stata già rico­ nosciuta e analizzata prima della Grande Guerra da Ratzel e Kjellen, i quali avevano assegnato alla Germania il ruolo di mediatore tra la cultura occidentale e quella orientale c quello di difensore della civiltà europea (efir. Schultz, io o l ). Ratzel aveva già osservato che «la forza c la debolezza della Germania risiedono della posizione mediana c frontaliera» (Ratzel, i8?8b, p. 18). In termini analoghi, Kjellen raffigura sia il perìcolo della localizzazione geografica della Germania, costretta a difendersi dal possibile accerchiamento di tutte le nazioni europee sia, però, la sua missione di guida di tutta l’ Europa proprio per la sua posizione centrale (Kjellen, 1911, p. 54)*. Questa concezione della posizione centrale e mediana della cultura tedesca trova un ampio riscontro e successo in entrambe le riviste qui considerate, fino a sposarsi a concezioni che promuovono l’orienta­ mento politico e culturale della Germania all’ Est - alla Russia bolsce­ vica - c il suo progressivo allontanamento dall’Occidente, c cioè dalle idee del 1789 del razionalismo occidentale e del sistema democratico c liberale (W irsing, 19324). In tale prospettiva, Hans Zehrer e Karl Haushofcr suggeriscono una maggiore collaborazione del governo te­ desco con la Russia bolscevica già all’inizio degli anni Trenta. Zehrer vede nell’Oriente l’unica possibile opposizione esistente alle forze del capitalismo, pericolose per l’unione dell’ Europa. La Russia fornisce, in questa visione, il baluardo contro le potenze revisioniste, e cioè Francia e Inghilterra. Karl Haushofcr propone, in una concezione più squisi­ tamente geopolitica di quella di Zehrer, un’alleanza con la Russia per unire il continente euroasiatico in un unico blocco e per rafforzarlo contro il potere americano (Haushofer, 1930). L ’alleanza con la Russia e anche la creazione della Mittcleuropa hanno, infatti, due significati diversi per i redattori della rivista geopolitica e per “Die Tat”. L’obietti­ vo dei primi non è edificare la Mittcleuropa o sostenere il e cioè un’espansione europea limitata ai territori orientali, ma avviare un progetto integrativo più ampio. Per Obst (1930) l’unifìca-

{Mittellagè).

Drangnach

Ostcn,

4. Questa immagine verri adoperata in rutta la letteratura successiva, in ambito politologico e geopolitico. Cfr. per esempio Cari Schmitt. L'epota dtiU neutralizza­ zioni e spoJiticizzazioni (1939, trai. it. in Schmitt, ¿007, pp. 197 ss.).

109

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO zionc dell'atta centrale europea è solo la prima pietra per lo sviluppo di un’ integrazione europea e per Haushofer (1930) è una fase preliminare per la creazione di un blocco continentale, che avrebbe compreso la Germania, la Russia, il Giappone e la Cina. In generale gli articoli di “Zeitschrift fur G eopolitik” proiettano la visione di un grande spazio politico continentale organizzato e non solo l’unione mitteleuropea, come invece i collaboratori di “ Die Tat*. Erich Obst, per esempio, attacca l’ intervento dell’ Inghilterra nelle questioni politiche europee, fondando le sue argomentazioni su un’i­ dea di Europa come spazio continentale chiuso all’intervento esterno e adombrando un’ idea di grande spazio che presenta analogie con la visione schmitdana*. O bst afferma che l’ Europa [...] può superare la crisi attuale solo in quanto un iti chiusa. A l con­ trario si frantumerebbe lentamente nelle sue singole componenti {subendo) il destino di diventare una colonia americana. In un’epoca in cui la spinta a creare grandi organismi domina la politica mondiale, non vi è più posto per un’ Europa frantumata; b sovranità assoluta deve essere scambiata con l ’auto­ nomia culturale all’ interno del blocco continentale europeo. A l contrario essa perirebbe come vittima nell’assalto delle potenze extraeuropee (Obst, i9i9b).

Analogamente Trampler (1919, p. 751) offre «la visione di un’organiz­ zazione economica dei grandi spazi e di grandi ricavi»: egli sostiene l’urgenza di «una regolamentazione delle relazioni fra Stati e popoli [che] deve necessariamente precedere la costituzione di un’organiz­ zazione economica dei grandi spazi e la dismissione di apparati im­ produttivi in Europa», e che renda possibile «la ripresa della capa­ c iti concorrenziale europea al confronto con gli altri continenti. La creazione di un equilibrio biologico è impossibile senza un equilibrio spirituale fra i popoli europei» (ivi, p. 751). Il modello organizzativo di Trampler implica la realizzazione di un’ idea - abbastanza indeter­ minata - di difesa e implementazione dell’autonomia culturale e del federalismo europeo, «dove per federalismo [si intende] la sottomis­ sione delle comunità sotto una comune organizzazione imperiale per il raggiungimento di scopi comuni» (ivi, p. 754). Il grande impero tedesco ingloba, in tutte le interpretazioni consi­ derate fino a questo punto nella rivista “Die Tat", gran parte dell’ Euro-

5. Cfr. PAR. 4.1.

no

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA pa centro'Orientale. Due dimensioni specifiche del tema della «spinta ad Oriente»» promossa dai settori politici nazionalisti e conservatori, tedesco emergono in molti articoli: la salvaguardia del per soddisfare i bisogni della popolazione in crescita eccessiva ( I - c la conservazione della cultura tedesca nell’ambito te­ territoriale dell’ Europa mediana c centro-orientale. Il desco viene inteso, nella maggior parte delle interpretazioni, nel senso ratzcliano, ovvero come un’entità biologica e come quel territorio che dà sostentamento al popolo etnico tedesco. Nel dopoguerra la realizza­ zione dell’unità territoriale del tedesco viene fondata, in “Zeitschrift für Geopolitik” e in “Die Tat", sui seguenti argomenti: il dello Stato tedesco non coincide con i confini dello Stato attuale, poiché una parte del popolo tedesco vive fuori dalle sue fron­ tiere c, inoltre, il territorio è sovrappopolato, c cioè il popolo dispone di uno spazio ridotto per la sua crescita (cfr. Harbeck, 1965, pp. 8} ss.). Giselher W irsing promuove, in questa prospettiva, la costituzione di un impero mitteleuropeo sotto la guida tedesca, legittimando le sue ar­ gomentazioni sulla dottrina biologista neodarwinista della superiorità dei grandi organismi su quelli inferiori nella lotta per lo spazio vitale (W irsing, 1930a). La giustificazione demografica, e cioè l ’espansione naturale dei popoli c la necessità di conquistare uno spazio più esteso per Stati con una popolazione eccessiva, si intreccia, nell’articolo di W irsing, con una particolare interpretazione del concetto di cultura, propria già del pensiero ratzcliano6. Il termine “cultura” è impiegato in primo luogo in costrutti seman­ tici in cui indica il «paesaggio culturale» e il «territorio culturale» (Penck, 19x5), ed è in tal modo ricondotto a una concezione “natu­ ralizzata” dei processi culturali. Inoltre, la difesa della cultura diventa uno degli elementi che definiscono la missione del popolo tedesco - la missione culturale ( ). Nel primo caso la cultura rappre­ senta una sorta di «indicatore» che rivela l’ identità tedesca dei pae­ saggi e dello spazio oltre i confini orientali; nel secondo caso, essa è la base necessaria per realizzare l’opera di colonizzazione interna ed esterna, ovvero per riguadagnare i territori e le popolazioni “perse” dopo la Prima guerra mondiale e i territori abitati da importanti mino­ ranze straniere. 1 paesaggi diventano, nella prima accezione, concreti!-

Lebensraum

bevölkerung

Über­

Lebensraum

Lebensraum

Lebensraum

Kulturmission

6. Cfr. cap . 1.

in

IL PENSIERO GEOPOLITICO zazioni visibili dell’appartenenza politica. Secondo il famoso geografo Hugo Hassinger (1931, pp. 181-3) il compito dello Stato c del popolo è primariamente di «creare i paesaggi» e cioè di assoggettare la natura imprimendole il suo «m archio». La vera ed effettiva politica culturale è fondata, per molti collaboratori di "Die Tat", sulla valorizzazione del rapporto del popolo con la natura e col paesaggio: «N on resta altra al­ ternativa che questa: la creazione di un rinnovato rapporto intimo con il nostro », afferma Grueneberg (1931, p. 871). La cura del paesaggio e la sua '’creazione’* diventano così dei mezzi fondamentali attraverso cui si realizza la politica culturale tedesca, che mira alla dif­ fusione c allo sviluppo della cultura e dell’identità tedesca nei territori orientali fuori e dentro la Germania. La missione culturale e politica della Germania è, allora, quella di ri­ conquistare la sua identità, assorbendo i territori e la popolazione fuo­ ri dai suoi confini (Zehrer, i93ib). Afferma W irsing (i93ob, p. 714): «Il riconoscimento della nostra interrelazione originaria con l'O vest anche allo stesso tempo il riconoscimento della nostra missione eu­ ropea, che consiste nella creazione, in collaborazione con esso, dello spazio mitteleuropeo e forse anche di quello al di là dell’area mitte­ leuropea». La missione culturale tedesca assume un carattere proprio europeo, che viene contrapposto aU’ impcrialismo violento francese e inglese (cfr. Hecker, 1974, pp. 40 ss.). nuovo ordine politico europco, che unirà le etnie tedesche mitteleuropee e quelle dell'Europa centro-meridionale, si orienta alla realizzazione del Terzo impero (in riferimento all'opera di Moellcr van der Bruck) e alla restaurazione dei valori dell’autorità del e della comunità popolare ( 11 pensiero imperiale c (pseudo-)federativo viene contrapposto, così, alle conquiste politiche dell’ imperialismo anglosassone e ai mali europei, ovvero il centralismo, il militarismo e il capitalismo (Zehrer, i93zb). Il idealizzato negli interventi di "Die Tat” è l’organismo vivente mitteleuropeo. L'impero è, nella maggior parte degli articoli, soggetto alla guida tedesca: tale visione, improntata all’opera di Moeller van der Bruck, conferisce al popolo tedesco il compito di condurre i piccoli popoli mitteleuropei a una simbiosi politica c culturale (W^irsing, i93oa). Il suo scopo è restaurare il grande e forte impero tedesco, rigenerato con le energie del mondo agrario dei coloni di etnia tedesca e del popolo dei territori orientali, non corrotti dal capitalismo (Strauss und Torney, 1919). La creazione di una Mitteleuropa unita sotto la guida tede­

Lcbcnsraum

è

11

Rad)

schajt).

Volksganàn-

Rack

in

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA sca significa soprattutto l’affermazione di un’ «appartenenza comune di cutto ciò che è la lingua e il sangue tedeschi» (Zehrer, 1930, p. z$). Nel 1930 Zehrer vede in questa Mitteleuropa non federale e dominata dall’etnia tedesca la soluzione ai problemi politici e culturali interna­ zionali. La Mitteleuropa comprende l’ idea europea: la Mitteleuropa è l’unico concetto in cui tutte le condizioni della nostra situazione trovano il loro punto di unione. Essa comprende l'idea europea, che attualmente aleggia sugli animi. Essa defini­ sce c precisa l’idea europea all’ interno della nostra situazione nazionale par­ ticolare. Essa stabilizza la posizione mediana ( di tutto ciò che è tedesco. [Essa è] ampia c includente, contrastando così le dimostrazioni di forza egoiste del nazionalismo, le cui pretese sono limitate a un piccolo spazio territoriale (ivi, p. 16).

MittdLige)

Per Zehrer l’ impero non rappresenta un modello politico qualsiasi, ma permette l’avvio di una rivoluzione nel pensiero politico c l’ab­ bandono di molti principi corrotti della politica occidentale: il Reich necessita, infatti, per la sua realizzazione, «della concezione spazia­ le e di un nazionalismo sovranazionale» (cfr. Hecker, 1974, pp. 139 ss.) e della restaurazione del principio gerarchico nell’organizzazione politica interna. Secondo Zehrer (i933a, p. 8) «il Reich non si limita ai confini statici dello Stato (...]. I suoi confini sono oscillanti come quelli del popolo [...]. Lo Stato e il Reich costituiscono le basi del mo­ dello tedesco».

4 *^

Cari Schmitt: lo spazio del politico La caduta dell’impero gugjielmino con la sconfitta nella Grande Guer­ ra e la nascita delia Repubblica di Weimar, costruita su una costituzio­ ne avanzata, e, però, priva di meccanismi in grado di stemperare la crisi sociale, economica e politica del paese, suscitano un dibattito vivace sui principi della democrazia c sui fondamenti del diritto. In tale con­ testo emerge la posizione di uno degli intellettuali più controversi del XX secolo: Cari Schmitt (1888-1985). Benché considerato dal giorna­ lista e studioso del totalitarismo Waldemar Gurian (1936) il «giurista della corona» (Kronjurist) del Terzo Reich e dallo storico Müller una

IL PENSIERO GEOPOLITICO «mente pericolosa» (Müller, 1003), e nonostante abbia appoggiato senza incertezze I efferato antisemitismo nazista, le sue intuizioni han­ no profondamente modificato il discorso giurìdico e politologico del XX secolo. La sua visione è compenetrata, soprattutto a partire dagli anni in cui aderisce al progetto imperialista nazista, di elementi geopolitici: egli assorbe la discussione elaborata dal pensiero conservatore e in quello gcopolitico e geografico sulla necessità di forgiare nuove dimensioni istituzionali per le forze politiche scatenate con l’avanzata modernità'. Il positivismo e il liberalismo sembrano al giovane giurista Schmitt incapaci di costituire un rimedio alla crisi effettiva della democrazia weimariana e al disordine provocato dalla mancanza di una guida p o­ litica. Lo Stato weimariano, «totale per debolezza» (Schmitt, 1007, pp. 137 ss.), è travolto dai partiti politici e dai movimenti, veri prota­ gonisti della vita politica, capaci di mobilitare le masse e gli interessi economici e sociali. Il “politico" si frantuma e l ’apparato giuridico statale a stento difende la sua sovranità dalla prepotente entrata delle masse organizzate nella vita politica. C om e avrebbe visto negli stessi anni un altro studioso, attento alla caotica trasformazione della poli­ tica e lettore di Cari Schmitt, il liberalismo, con la sua separazione tra la politica e la cultura, tra il diritto e la politica, non è solo inadeguato, ma c un tentativo inutile di dominare con vecchi strumenti nuovi e imprevedibili sviluppi (Cantim ori, 1991, p. 194). L ’effettiva riduzione dello Stato a una «parte fra le altre», a un’istanza politica qualunque nel disordine della concorrenza di poteri partitici c di gruppi di inte­ resse, si c già consumata: occorre ora opporre - dice Cantimori - una a un’altra una concezione forte del mondo e una decisione politica forte all’erosione della sovranità sta­ tale. Il progetto moderno su cui si era costituito l’ordine politico, e cioè la concezione giuridica moderna, fondata sulla separazione fra la sfera di valori e il diritto, insieme con la neutralizzazione dello Stato hobbesiano, che ha origine nell’astrazione del momento politico dal conflitto religioso e nella produzione artificiale di un ordine pacifica­ to, perdono il loro senso in una società quale quella del x x secolo, ca-7

Weltanschauung

Weltanschauung,

7. 11 pensiero di Schmitt verri trattato con riferimento alla letteratura geopoliti­ ca, che Schmitt come vedremo conosceva e discuteva. Si estrapolerà solo quella parte dell'impianto teorico sch mirti ano, evidenziando, però, la sua importanza per gli svi­ luppi del suo pensiero politico internazionalista.

«4

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA ratccrizzata da un accelerato sviluppo tecnico e dalla politica di massa (Galli, 1996, pp. >64 ss.). La politica, secondo Schmitt, per guidare la società deve ritornare a svelare la sua genesi, la sua originariecà nel politico. Il suo momento fondante si situa fuori dal diritto, e cioè in un "luogo” in cui si costituisce la sovranità a partire da una situazione di anarchia. La genesi del politico sta nella decisione fondamentale sull’amico c sul nemico: «la sostanza del "politico” non è l’ inimicizia pura e semplice, bensì il sape­ re distinguere fra amico c nemico, e il presupporre sia l ’amico sia il ne­ m ico» (Schmitt, 1981, p. 75). Il politico indica allora insieme una sfera di amicizia c di inimicizia, e, così, un «principio di identità collettiva» c «una decisione sulla propria identità» (Galli, 1996, pp. 148-9). Nel­ lo stesso tempo, il «caso critico» e la correlata decisione di istituire un ordine a partire dal caos della guerra civile, superandolo e decidendo i confini che distinguono il nemico dall’amico - e cioè colui che si può uccidere da colui la cui eliminazione costituisce un reato - costi­ tuiscono la scaturigine della sovranità. Lo Stato di eccezione, in cui l ’ordinamento legislativo è sospeso, decreta pertanto l’emergere della sovranità e della decisione, che istituisce il nuovo ordine legale. Tutta­ via, la possibilità di ripiombare nella guerra civile, nella sospensione del diritto - l’eccezione - costituisce l’altra faccia del diritto e dell’ordine. Questa è un’eventualità che è posta rispetto al diritto come la sua om­ bra (cfr. Agamben, zoos). La teoria politica e giuridica di Schmitt, che contro il positivismo kelscniano fonda la politica sulla «concretezza », e cioè sul caso crìtico posto al di fuori dalla politica ordinaria, si presta negli anni Trenta, con il collasso della Repubblica di Weimar, a giustificare giurìdicamente il totalitarismo hitleriano. Tale affinità non implica necessariamente l’omologazione al diritto nazista, organico all’ imperialismo razziale. La difesa di Schmitt dell’articolo 48 della Costituzione di Weimar, che istituisce lo Stato di eccezione e sospende le procedure democratiche e parlamentari a favore di un commissario plenipotenziario, e il suo appoggio al crollo del sistema parlamentare, sono, secondo una sua dichiarazione nel secondo dopoguerra, mirate alla protezione della democrazia contro la guerra civile. Tuttavia pur volendo credere alla ricostruzione autobiografica l’adesione di Schmitt al nazismo è rapida a partire dall’ascesa di H idcr al potere. Schmitt fornisce a questi gli strumenti giuridici per compiere l’opera di dei , ovvero per ridurre l’autonomia delle regioni federate tedesche già con

GUickschaltung Làndcr

»5

IL PENSIERO GEOPOLITICO la legge del marzo 1933. Già nel 1935, però, la sua fama negli ambienti hitleriani declina, per i fondamentali contrasti con la dottrina giuridi­ ca nazista patrocinata da intellettuali più organici al totalitarismo - fra gli altri Werner Best e Reinhard H òhnv (Schmoeckcl, 1994, pp. 180 ss.; Maschke, in Schmitt. 1995, pp. x i v ss.). È in questo periodo che gli studiosi individuano un mutamento nelle coordinate del pensiero schmittiano. che si caratterizza diversamente sia per lam bito di ricerca e discussione, sia per il metodo. Propri di questa fase sono la centralità del pensiero degli «ordini concreti» e l’ interesse per il diritto intemazionale. M eto­ dologicamente il «decisionismo» sembra lasciare spazio al pensiero degli «ordini concreti». Dalla teoria secondo la quale il diritto trova il suo fondamento nella decisione fra amico e nemico, Schmitt sposta la sua attenzione agli ordini concreti, ovvero a quelle situazioni storiche, istituzioni e costellazioni che concretamente permettono di situare la norma giuridica. La teoria degli ordini concreti risente delle elaborazio­ ni istituzionalistc di Maurice Hariou e di Santi Romano e costituisce, per molti studiosi, una radicale discontinuità col precedente pensie­ ro decisionista (Hofmann, io o z ). La norma viene ridefìnita da Sch­ e si caratterizza come ordinamento: si orienta in un mitt come è descritto in relazione alla contesto c modella un ambiente. Il concreta spazialità e storicità: «O gni ordinamento fondamentale un ordinamento spaziale. Quando si parla della costituzione di un paese o di un continente, ci si riferisce al suo ordinamento fondamentale, al suo Ora, il vero, autentico ordinamento fondamentale si basa, nella sua essenza, su determinati confini e delimitazioni spaziali, su deter­ minate misure c su una determinata spartizione della terra» (Schmitt, zo o !, pp. 73-4). La legge, così, perde in Schmitt il suo carattere astratto e slegato dalla concretezza degli eventi storici e degli ordini politici e spaziali, ma appartiene ad essi e li codetermina. Il diritto è, come nella fase decisionista, situato e contingente ma, allo stesso tempo, ne viene accentuata la relazione di codeterminazionc con lo spazio e col tempo. Meno discussa, ma altrettanto evidente, risulta la seconda frattu­ ra fra le due fasi del pensiero schmittiano, e cioè quella relativa all'o­ rientamento dei suoi interessi dall’esame del diritto costituzionale alla discussione sul diritto intemazionale. L ’analisi del diritto e delle rela-S .

{konkrete Ordnungm)

nomos

nomos

nomos.

S. Su questi giuristi cfr. ita gli altri Elvert (1999).

116

è

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA zioni internazionali rimarrà, da allora, centrale nelle sue opere, costi­ tuendo, nell’opera sul

Nomos della terra del 1950 ampiamente discussa

e citata nella letteratura scientifica contemporanea, la trama su cui vie­ ne riconsiderata la storia - o meglio viene elaborata una metastoria degli ordinamenti politici e giuridici occidentali ed europei. Queste due fratture del pensiero schmittiano - il passaggio agli « or­ dini concreti» e al diritto internazionale - forniscono i maggiori ar­ gomenti di vivace discussione nell’attuale interpretazione politologica e storiografica: secondo alcuni studiosi esse sono da leggere in chiave di continuità (Sprengel, 1996; Köster, zooz; Hooker, 1009) secondo altri in forte contrapposizione (Galli, 1996; Kervégan, 1999) con la fase precedente. Le ragioni della svolta del pensiero schmittiano sono da ritrovare probabilmente in una contingenza storica (Hofmann, 1001), e cioè nella prudenza che impone di evitare temi rischiosi, come quelli della politica interna, improntata alla

Gleichschaltung nazista e, pertan­

to, all’espansione del controllo totale su tutte le istituzioni. Si potrebbe dire, secondo alcuni studiosi, che Schmitt, pur essendo sostenitore del regime hitleriano, rimanga un cattolico reazionario non del tutto con­ formato al credo razzista, che invece fornisce la chiave di interpretazio­ ne del diritto tedesco organico al regime (Galli, 1996). Per tale ragione, e cioè per il suo non completo allineamento con il diritto nazista di Höhn e Best, Schmitt avrebbe evitato di misurarsi sul piano del diritto costituzionale con i sostenitori più integrati al regime, con cui peraltro avvierà un dibattito acceso proprio a partire dal 1936, e avrebbe orien­ tato le sue ricerche al diritto intemazionale. Tuttavia sono proprio gli scritti di diritto internazionale a irritare maggiormente

Kestablishment

nazista contro Schmitt: come vedremo, la sua concezione dell’impero tedesco - o meglio del

Großraum (“grande spazio”) c del Reich - pro­

voca un serie di critiche veementi che mettono ancora più in ombra il suo lavoro e la sua posizione (Schmocckel, 1994, pp. 180 ss.). La sua interpretazione internazionalista viene, infatti, attaccata dai più in­ fluenti giuristi nazisti: da Reinhard Höhn, perchè troppo legata alle istituzioni borghesi c allo Stato, e da Werner Best, poiché essa non si fónda esclusivamente sul principio della superiorità razziale, e, in gene­ rale da tutti i giuristi organici al nazismo, perché - ed è questa l’accusa

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IL PENSIERO GEOPOLITICO più compromettente - postula indirettamente un’espansione imperia* le tedesca limitata all’area mitteleuropea ( .)*. Cari Schmitt, nel suo scrìtto principale di diritto internazionale in questi anni, e cioè del 1941, non sembra, però, volersi sot­ trarre alla polemica con l’ambiente accademico nazista: crìtica espres­ samente le teorìe dei giuristi nazisti Reinhard Höhn e Norbert Gürke, perchè non riescono a fondare «scientificamente» un nuovo diritto intemazionale che risolva la questione della protezione delle minoran­ ze (Schmitt, 1991, pp. 58 ss.). Ed è proprio questa la posta in gioco nella politica e nella discussione scientifica, così come nella letteratura di diffusione popolare in questi anni, come abbiamo visto nel CAP. 3. Le minoranze tedesche, disperse nella Mitteleuropa a partire dalla pace di Versailles, sono la pietra dello scandalo della politica e della discussione intellettuale e pubblicistica tedesca. A febbraio del 1939 quando H it­ ler, nel suo discorso, giustifica il capovolgimento radicale della soluzio­ ne data da Versailles alla sistemazione delle etnie c l’annessione della Boemia c Moravia, il problema delle minoranze sparse sembra essere di fatto risolto, secondo il giurista tedesco. D ue mesi dopo la svolta di Hitler, Schmitt legittima questa nuova sistemazione internazionale con il suo intervento alla conferenza di Kiel, che diventerà, appunto, il libro Si potrebbe, allora, ipotizza­ re che la scelta di Schmitt di misurarsi con il diritto intemazionale e, quindi, di trattare una questione particolarmente spinosa dal punto di vista politico e giurìdico, origini sia dall’effettivo riconoscimento che gli avvenimenti mondiali abbiano un notevole impatto sulla vita poli­ tica tedesca, c cioè che, come diremmo oggi, il mondo politico ed eco­ nomico sia globalizzato, sia dal tentativo di fornire un’argomentazione teorica che giustifichi l ’espansione tedesca, al di là e a prescindere dalle egemoni nell’accademia nazista. La correnti teoriche razziste e dichiarazione di Hitler del 1939, che istituisce il protettorato sulla M o­ ravia e Boemia, viene direttamente percepita da Schmitt come l’atto fondatore di un nuovo diritto intemazionale, che spazza via «tutti gli ideali di assimilazione, di assorbimento e di melting por alla base della sistemazione del primo dopoguerra» (ivi, p. 47). C o n essa, si inaugura9

ihid

Völkerrechtliche Großraumordnung mit Interventionsverhotfiir raumfremde Mächte

Völkerrechtliche Großraumordnung.

völkisch

9. Sul diritto nazista dir. Gruchmann (1961) e, sulla polemica che oppone Schmitt a Höhn, dir. Ingo J. Hueck, in Joeiges, Ghaleigh ( iooj ).

118

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA un nuovo concetto di diritto internazionale, che sfida apertamente sia il diritto occidentale, dominato dalla scuola positivista, sia la concreta sistemazione del dopoguerra, che è improntata a una concezione poli­ tica liberale, elaborata dalle potenze vincitrici e, in particolare, dall’Amcrica (ibid.). C on lo scritto che giustifica la nuova posizione di H it­ ler, Schmitt tenta di ri-orienrare il dibattito giuridico internazionalista postfactum, dopo, cioè, il crollo dell’equilibrio instabile di Versailles. La fondazione di un nuovo modello di diritto internazionale - e, insieme, la decostruzione di quello coevo - avviene utilizzando e fon­ dendo fonti e approcci diversi. A tal fine, Schmitt non solo recupera le teorie classiche giuridiche e politologiche, prendendo spunto da Hobbes, Hegel c Rousseau, ma riclabora una letteratura non usale nell’am­ bito del campo giurìdico: la geopolitica e la letteratura pubblicista, a questa collcgata, della rivoluzione conservatrice. In questo senso, come si dimostrerà, Schmitt non è un autore meramente geopolitico, poi­ ché opera una metamorfosi dei concetti c dei metodi della geopolitica alfinterno di un’originale concezione giurìdica e politica: dà insomma un altro significato e un’altra funzione a temi ed argomentazioni tratte dalla geopolitica. Usando una parola che Schmitt impiega spes­ so, si potrebbe dire che egli operi una Umdeutung, uno slittamento di signifìcato/interpretazione di alcune concezioni basilari del diritto internazionale attraverso l’ introduzione di concetti della geopolitica. La sua lettura della storia delle relazioni e del diritto internazionale trova, allora, uno dei fondamenti nella riflessione geopolitica e nelle opere della rivoluzione conservatrice: queste non vengono meramente sovrapposte alla concezione giurìdica e politica - al suo decisionismo e alla sua idea di politico - ma operano in essa dall’interno, trasforman­ dola e fornendole nuove argomentazioni. È indicativo, in questo senso, l’inizio della sua opera su Raum und Großraum im Völkerrecht, che, denunciando il rifiuto da parte dell’at­ tuale diritto intemazionale di tematizzare lo spazio, afferma che «lo spazio conserva il suo senso concreto e specifico (...) nella seguente esposizione che tratta del grande spazio {Großraum). Si tratta dell’e­ laborazione concettuale di un processo storico-politico profondo che riguarda tutti i popoli mondiali, senza la quale considerazione, l’intero diritto intemazionale sarebbe solo una serie di pseudo-norme» (Sch­ mitt, Raum und Großraum im Völkerrecht (1940], in Schmitt, 1995, p. 154). In questo scrìtto del 1940 Schmitt fonda la sua concezione di Großraum su riferimenti storici concreti, citando espressamente la

119

IL PENSIERO GEOPOLITICA Mitteleuropa di Naumann (ivi, p. 135), ma reinventandola e radicando il rapporto fra i popoli e il territorio mitteleuropeo su basi non csclu' sivamentc economiche bensì squisitamente politiche e geopolitiche. L ’ introduzione di un nuovo soggetto politico al posto dello Stato c, conseguentemente, il suo - scaturirebbe da una - il particolare costellazione storico-politica, e cioè dalla «nuova rivolu­ zione spaziale» ( ) tecnologica, che segue a una prima rivoluzione spaziale avvenuta con la conquista dell’America, quando «la forma sferica [della terra diventa] un dato tangibile» (Schmitt, 1001, p. 66 Com e avvenne nel x v secolo, si produce oggi un «m u­ tamento non solo nelle misure e nei parametri, non solo dell’orizzon­ te esterno degli uomini, ma anche della struttura del concetto stesso di spazio. [...] [Infatti] ogni grande trasformazione storica comporta quasi sempre un mutamento dcU’immaginc di spazio» (ivi, p. 59). La seconda rivoluzione, spiega Schmitt, celando un riferimento a Ratzel, è quella tecnica, che rimpicciolisce lo spazio e rende il globo attraver­ sabile e fruibile: «elettricità, aviazione e radiotelegrafìa produssero un tale sovvertimento di tutte le idee di spazio da portare chiaramente [...] a una seconda, nuova rivoluzione spaziale» (ivi. p. 106, ma anche Schmitt, 1995, pp. 390 ss.). I testi di Schmitt degli anni Trenta descrivono una nuova immagine del mondo, a partire, però, da una ricostruzione storica che ci rivela la "mappa” concettuale geopolitica schmitdana, fondata sulla contrap­ posizione fra due grandi agenti storici. Riecheggiando Marx, Schmitt afferma perentoriamente nel 1941: «La storia del mondo è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime» (Schmitt, zooz, p. 18). Prendendo spunto da Ernst Kapp e, implicitamente, da Hegel (ivi, p. 15), Schmitt ripropone la dualità fondamentale fra terra c mare, che at­ traversa la storia mondiale c determina la divisione delle civiltà. Anche in questo caso Schmitt sceglie di fondare la sua argomentazione sul caso estremo, e cioè sulla guerra, che sancisce il contrasto maggiore fra la terra c il mare. In altre parole, il modo differente di condurre la guer­ ra da parte delle potenze marittime e di quelle terrestri svela, secondo Schmitt, l’ inconciliabile dualismo delle rispettive civiltà e dei relativi Behcmoth, il mostro terrestre, e il Leviatano, quello marino, simboleggiano l’ insuperabile dissidio fra i due motori dello sviluppo storico. Essi indicano i due miti contrapposti: Behemoth dilania il ne­ mico, e cioè penetra nel suo territorio, mentre Leviatano lo soffoca,

Rcich

Grofíraum

Raumrevolution

).

nomot.

no

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA cagliando i rifornimenti alla tcrrafèrma. La guerra nel mare non ha confini e tende all'annientamento del nemico, al contrario di quella terrestre, che avanza sul territorio e preserva le risorse, controllando il nemico. Tale tipizzazione schmittiana rielabora i temi diffusi della lettera­ tura filosofica c geopolitica otto- c novecenteschi: la lettura hegelia­ na, ripresa poi da Kapp, della correlazione fra le civiltà marittime c lo sviluppo tecnico industriale e la sua individuazione della dimensione debole dello Stato contrapposto alla complessa società civile in ambi­ to anglosassone; la contrapposizione fondamentale fra mare e terra in Mackinder e in Haushofer; la violenta anglofobia haushoferiana10; la tendenza monopolistica del dominio sui mari, osservata a suo tempo da Ratzcl (1911, p. 63), c la riconduzione del modello commerciale co­ lonialista anglosassone alla sua origine nel - e cioè nel diritto di preda (ivi, p. 4 la qualificazione ratzeliana del mare come ele­ mento illimitato e sottratto ad ogni tentativo di partizione e all’impo­ sizione dei confini (ivi, p. 8). Questi sono motivi ricorrenti non solo nella letteratura della rivoluzione conservatrice, ma, come si nota, nel­ la tradizione geografica e in quella filosofica tedesca. È necessario, a tal proposito, sottolineare le profonde analogie fra il pensiero ratzeiiano e quello del giurista tedesco riguardo alla fondamentale contrapposi­ zione fra mare e terra. Il mare non ha strade, «il mare è una strada» - dichiarava Ratzcl (ivi, p. 38), rifacendosi a Ritter c Hegel: «il mare, che separa c collega, diventa così il promotore dello sviluppo nella sto­ ria» poiché la storia è movimento ed espansione illimitata (ivi, p. 63). Ancora Ratzcl, che Schmitt cita, descriveva la guerra marittima - c il commercio - come relazioni «decisedallo spazio» (ivi, p. 6)". L aco-

Secraub

6);

10. Karl Haushofer fonda la sua dicotomia fra potenze marittime c continentali su una radicale polemica contro le società anglosassoni. Le potenze anglosassoni, fon­ date come Stati-piriti sono da sempre in lotta contro le potenze terrestri (Haushofer, D m Kontmtnbilblodc: Mìttcieurofut, Eurasìcn, Japan. Rcubistudentcnftdtrrr S cIkc Ì [1940]. in Haushofer, 1979, voL 1, pp. 606 ss.). Le prime non affrontano i nemici politici con gli eserciti, ma penetrano economicamente nei territori degli altri Stati, assoggettando l ’economia mondiale al dominio del dottar bnpniattsm (dir. Hausho­ fer, 1970). 11. Per Ratzcl il commercio e la guerra sono analoghi dal punto di vista della circolazione dei popoli e cioè svolgono la stessa funzione di diffusione migratoria. Per tale ragione essi rimandano l ’uno all'altro. Pertanto il commercio marittimo s u a quello terrestre come la guerra marittima sta a quella terrestre: il primo è senza limiti.

IZI

IL PENSIERO GÉOPOLITICO nosccnza dello spazio marino, «semplice e uniforme» (ivi p. 8), era, per Raczel, Punico riferimento possibile per vincere una baccaglia nava­ le: non servivano accordi con la popolazione o con le altre potenze. Lo Stato marittimo, inoltre, non conquistava territori, ma ampliava i suoi confini, «obbligando gli altri Stari a divenire marittimi» (ivi p. 44) e cioè a sottomettersi alla sua egemonia culturale. Il carattere aggressivo ed espansivo delle potenze di mare costituiva, in questa lettura, la loro principale differenza rispetto alle potenze terrestri: esse «non si accon­ tentano di una porzione di mare o di un pezzo di sovranità sui mari. Il fatto che la legge della crescita degli spazi si realizzi maggiormente nei mari che sulla terra è dimostrato dalle guerre marittime, più che dal In tal senso Ratzel proclamava commercio» (Ratzcl, i9o;b, p. che « il mare forma poteri mondiali» (ivi, p. 503). Schmitt, pur assorbendo i motivi principali espressi nelle opere di Ratzcl, Mahan, Haushofer, Mackinder, contestualizza, al contrario di essi, il rapporto di contrapposizione fra mare e terra, conferendogli «concretezza », e cioè delimitandolo temporalmente e politicamente. Secondo il giurista, che si discosta dalle interpretazioni geopolitiche, le potenze marittime non sono, come quelle terrestri, destinate per la loro conformazione ad assumere un certo ruolo storico. Vi è, invece, un momento storico, in cui il della terra - che è quello origina­ rio, in quanto l’uomo è «un essere terrestre» nella sua antropologia (Schmitt, io o z , p. 11) - si spacca a causa di una «decisione». In quel momento l’isola Inghilterra si trasforma in «pesce» (ivi, p. 95), de­ cidendo di divenire una potenza marittima c avviando così la prima rivoluzione spaziale: è nel XVI c nel x v u secolo che «questo popolo di pastori si trasformò veramente in un popolo di schiumatori del mare e di corsari, in "figli del mare”» (ivi, p. 51). Insomma, non è la posizio­ ne territoriale o la caratterizzazione geopolitica in sé, e nemmeno il semplice fatto della scoperta dell’America a provocare una rivoluzione spaziale, ma è la «decisione» di un popolo in una congiuntura storica particolare, o, come dirà in un libro più tardo, la risposta dell’ Inghilter­ ra alla «sfida di una determinata situazione storica» (Schmitt, i o t i , p. 79) a stabilire la contrapposizione fondamentale che segnerà la storia mondiale. A partire da allora, due ordinamenti, due modi di immagi-

499).

nomai

aggrcssivo ed espansivo, il secondo limitato c territorialmente determinato (Ratzel,

i 90)b,p. 49))-

111

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA nare lo spazio, il diritto e la politica coesistono in Europa dal xvi fino al xx secolo: quello marittimo e quello terrestre. 11 primo è senza con* fini e senza limitazioni, «universalistico» perché modellato sull’im­ magine delle vie marittime c non dei territori concreti (Schmitt, 1991, p. 35), finalizzato alla conquista colonialista e ispirato all’espansione illimitata del libero commercio e dell’imperialismo britannico. Il se­ condo, terrestre, è centrato sulla sovranità statale c sul riconoscimento di un ordine ed equilibrio fra Stari confinanti, pur nella loro relazione conflittuale. La guerra marittima e la guerra terrestre sono state sem­ pre diverse, ma a partire dal x v i secolo «la loro opposizione diventa espressione di mondi differenti» (Schmitt, 1001, p. 89): la seconda è ordinata e regolamentata come una contrapposizione fra Stati che conquistano o perdono spazio territoriale, la prima non distingue fra lo Stato e la sua popolazione civile, bloccando i rifornimenti aquest’ul­ tima e sfruttando la superiorità riguardo alle risorse (ivi, p. 90). Alla coesistenza di due ordinamenti - terrestre e marittimo - si so­ vrappone, a partire dalla scoperta dell’America e della sua spartizione e colonizzazione nel xviii e xix secolo, un’altra fondamentale distin­ zione: quella fra l’ Europa - inclusa l’ Inghilterra - e le colonie. Dalla giustificazione apparente di cristianizzare i popoli extraeuropei, ma, in verità, dall’ impulso alla conquista, «nacque il diritto internazionale cristiano-europeo, ossia una comunità dei popoli cristiani d ’Europa contrapposta al resto del mondo. Questi popoli costituirono una “fa­ miglia delle nazioni”, un ordinamento interstatale» (ivi, p. 75): lo Negli anni Quaranta la descrizione della con­ trapposizione fra la terra e il mare e di quella fra l’ Europa e l’America è finalizzata, nelle opere di Schmitt, a mostrare sia la frattura tra l ’ordine statuale moderno e quello contemporanco caratterizzato da forme p o­ litiche diverse, sia la necessità di statuire giuridicamente il nuovo stato di fatto politico mondiale, che consiste nell'inesorabile e progressiva divisione in Lo scritto del 1941, risponde pertanto all’ istanza di codificare giuridicamente e accelerare il processo politico che conduce alla scomparsa della forma Stato, «principe», fino ad allora, dell’ordinamento politico spaziale1

jus

publicum curopaeum

mordnung,

Gtvjìraume.

Vóikerrechtlichc Grofirau-

11. Nel Nomos dtlU terra, (opera successiva alla sconfina tedesca della Seconda gu arà mondiale, Schmitt elaborerà ulteriormente i temi delle modalità della guerra europea c dellojuspubhtum europaeum: cfr. CAP. $.

11*

IL PENSIERO CEOPOLITICO europeo. La riflessione schmittiana mira così a formulare teoretica­ mente 1 emersione di fatto di nuove forme politiche organizzative. 11 nuovo ordine intemazionale che sta nascendo non è né quello della Lega delle nazioni improntata al diritto positivistico e alla dottri­ na liberale e nemmeno quello statale. Nel 1941, riferendosi alla Secon­ da guerra mondiale, Schmitt afferma che quando gli imperi crollano e si combatte, la struttura del diritto intemaziona­ le relativo ai vecchi imperi viene alla luce [...]. I concetti fondamentali che so­ stengono c dominano ogni diritto intcmazionalc,£Mmvt e vengono alla luce nella loro concretezza attuale, per far emergere l'idea di spazio terrestre c di distribuzione territoriale, caratterizzante e propria di ogni sistema di di­ ritto internazionale. La centenaria limitatezza della rappresentazione tedesca statale dello spazio, che consisteva nell’idea di un piccolo o medio Stato, ci ha impedito finora di guardare all'orizzonte del diritto intemazionale (Schmitt, 1991. p. 65).

pace,

Per Schmitt, che richiama la dottrina ratzeliana, lo Stato tedesco deve ampliare i suoi orizzonti e diventare una potenza in grado di travalicare 10 spazio secondo espressione di Karl Haushofer (1954) citata in (1991, p. Z9)". Il superamento dell'idea di Stato, che era già presente nella lette­ ratura ncoconservatricc e nelle concezioni geopolitiche, viene articola­ ta da Schmitt in un sistema logico originale, che travalica il linguaggio giuridico tradizionale, mostrando la porosità degli schemi giuridici, infiltrati dai principi politici c da manifestazioni concrete di potenza. 11 caso evidente di una situazione di fatto che viene incorporata nel sistema di relazioni internazionali e che dimostra la forza concreta di una relazione di potere, indefinibile a partire dai consueti schemi giu­ ridici è la dottrina Monroe, «esempio di un principio di

(Raumùberwindende Alacht), 1 Vòlkerrechtlichc Raumordnung

Grofiraum

i). Volpi nella sua Postfazione a Terra e mare (Schmitt, 1001. pp. ijs-6) fornisce un prezioso appunto biografico sulla prcccupozione di Schmitt per (’ inferiorità della Germania rispetto all* Inghilterra. In un dialogo col figlio del sociologo Werner Som bari all'inizio degli anni Quaranta Schmitt afferma: «Il popolo inglese non ha avuto bisogno dello Stato, ed è diventato ugualmente una potenza mondiale. (...) capisci, il popolo inglese si è deciso contro lo Stato per il mare aperto!» e sulla Germania dichiara: «La Germania non è mai stata altro che uno Stato continentale europeo di media grandezza. Questo è il nostro destino, un destino da topi di terra! Il Reich tedesco è ridicolo a confronto con l'Em pire inglese».

114

4- LO SPAZIO DELLA GUERRA del diritto internazionale» (Schmitt, 1991, p. zz). La dottrina Monroe, recepita dall’articolo zi del Patto della Società della Nazioni, che la giudica non incompatibile col suo statuto, rappresenta un esempio di sfondamento della concretezza politica nel diritto universalista e im­ prontato a una concezione liberale: essa apre la crisi del sistema di rela­ zioni intemazionali attuale. Secondo questa dottrina politica - e non strettamente giuridica - del 18Z3, gli Stati Uniti di America impongo­ no alle potenze esterne, e in particolare europee, di non intervenire politicamente in una sfera territoriale coincidente con il territorio del continente americano. A ll’origine, tale dottrina era stata postulata in funzione difensiva, per impedire che le potenze europee restaurasse­ ro la loro sovranità sui territori indipendenti dell'America Latina, che costituiscono da sempre, peraltro, un importante sbocco commerciale per il Nord del continente. Essa ritagliava, così, uno spazio più esteso dello Stato territoriale, su cui lo Stato esercitava una forma di sovranità per realizzare gli interessi americani, e lo sottraeva dagli interventi di terzi, esercitandovi un’egemonia politica14. Il “nucleo” della dottrina Monroe risiede per Schmitt neU’affermazione del «principio del gran­ de spazio», che è a sua volta basato sul collegamento di tre componen­ ti fondamentali, e cioè del «popolo politicamente risorto, di un’idea politica e di un grande spazio, dominato da questa idea politica e sot­ tratto all’ intervento esterno» (ivi, p. 30). NeH’affermarc il principio del grande spazio, sia in funzione difen­ siva con Monroe, sia aggressivamente con Roosevelt negli anni Trenta, al fine di esercitare l’ imperialismo economico, la potenza americana apre la possibilità di uno «slittamento di significato» (Umdeutung) che scompone l’attuale diritto internazionale secondo il giurista tede­ sco. Questo slittamento è evidente nella ricezione, all’articolo zi del Patto della Società delle Nazioni, della dottrina Monroe come non incompatibile con i principi della Società. Il Patto, recepito come inte­ grazione al trattato di Versailles, all’articolo io bandisce la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti intemazionali e impegna gli Stati a rispettare e proteggere la pace e i confini territoriali stabiliti nel trattato di Versailles anche con le armi. Secondo Schmitt, paradossalmente si

14. Cfr. b discussione del concetto di egemonia - intesa in senso economico secondo Heinrich Triepel c la contrapposizione ad essa dell'idea politica di Fiibrung (“guida’ ) nell ‘articolo Fùbrung und Hegemonie del 1939 (Schmitt, 1995. pp. u ì ss.).

IL PENSIERO CEOPOLIT1CO sancisce pertanto sia un possibile intervento esterno negli affari di uno Stato per generali ragioni umanitarie, sia la fine dell’equilibrio inter­ statale europeo, fondato non tanto su accordi, quanto sulla prassi della guerra regolamentata. D ’altra parte, il riconoscimento, all’articolo zi, della dottrina Monroe e cioè la sottrazione di un ambito territoriale il continente americano - all’osservazione del principio universale di intervento in caso di violazione della pace c dell’ integrità territoriale di un terzo apre una «falla» nel sistema generale universalistico del diritto internazionale, un’ «eccezione» che permette il riconoscimen­ to di una realtà «concreta» sottratta ai canoni del diritto. Tale ecce­ zione produce, allora, un «cambiamento di senso» di tutto il sistema giuridico (ivi, p. $i)'\ L ’universalismo della pace - da difendere anche con l’ intervento miliare contro gli altri Stati, e dunque violandone le sovranità - si ferma alle porte dell’emisfero occidentale sotto il domi­ nio americano, svelando la realtà dei rapporti di potenza, ovvero l’e­ gemonia statunitense. Attraverso la ricezione della dottrina Monroe nell’articolo 11 del Patto della Società delle Nazioni, che rappresenta il diritto internazionale universalistico, si snatura, d ’altro canto, il prin­ cipio del grande spazio affermato dallo stesso Monroe, poiché viene «diluito un pensiero dell’ordine concreto e determinato spazialmente in un’ idea universalista, trasformando il nucleo sano del principio del diritto internazionale del grande spazio in un’ideologia globale paninterventista, che si intromette negli affari di tutti sotto il pretesto di azioni umanitarie» (ivi, p. La dottrina Monroe è, allora, nella sua formulazione originaria, contrapposta di fatto al diritto universalista, che trova le sue origini nella garanzia della libertà dei mari asserito dall’ Impero britannico: difende un grande spazio dall’ intervento di tutte le altre potenze e di qualsiasi istituzione, anche se fosse legittimato dal diritto internazio­ nale. Una volta assorbita nel Patto della Società delle Nazioni attra­ verso la sua interpretazione wilsoniana, essa si snatura, stemperando­ si nell’attuale universalismo giuridico, e apre, nello stesso tempo, un varco per indicare l ’instaurazione definitiva di un ordine concreto in­ ternazionale e di rapporti di potenza sbilanciati a Occidente. Cosi, la

yi).

ìy Com e si nota, anche in questo ambito, il ‘ caso crìtico" l’eccezione, svela la vera configurazione delta realtà politica e giurìdica. La concretezza, c cioè il fonda­ mento di tutte le norme in un'esigenza presumale e pregiudiziale, divenu evidente nell’eccezione.

4. LO SPAZIO DELLA GUERRA dottrina Monroe fornisce a Schmitt due strumenti di riflessione: uno strumento metodologico, utile per mostrare il possibile superamento deirattuale universalismo giuridico, che scaturisce dalla polìtica economica inglese e dalla dispersione dell’ Impero britannico nel mondo; e un metro per misurare i reali rapporti di potere. I vari trattari del primo dopoguerra rispecchiano non solo funzionalmente la difesa del libero commercio, funzionale agli interessi inglesi e alla “politica della porta aperta”, ma rappresentano « lo status quo dell’interesse deU’ impero mondiale» (ivi, p. 41). Prendendo spunto dalla dottrina Monroe, e utilizzando linguaggi e metodi estranei alla disciplina giuridica, Schmitt mira a radicare ra ­ zione politica e il diritto internazionale nello spazio ( ) concreto Se il diritto internazionale diritto dei popoli, e dun­ e nel que «personale, c cioè un ordine concreto determinato dall’apparte­ nenza allo Stato e al popolo» (ivi, p. 11), tale ordine concreto c anche territoriale. C osì Schmitt individua nel territorio il motore della poli­ tica - internazionale c interna. Per definire il nuovo centro propulsore della politica - il - egli introduce una nuova idea di di diritto e di spazio. Lo spazio è «qualitativo-dinam ico», contrapposto a quello matematico-neutrale presupposto dal diritto universalista, è uno spazio di azione , un «cam po di attività, pianifi­ cazione e organizzazione umana» (ivi, p. 14). Tale concezione viene tratta dall’opera del biologo Viktor von Wcizsàckcr , Leipzig 1940), il quale aveva ridefìnito lo spazio in relazione con il contesto, sottolineando la creazione attiva del proprio ambiente - e dello spazio - da parte del soggetto: per Wcizsàckcr come per Schmitt « il mondo non è nello spazio, ma lo spazio è nel mondo e attorno ad è più di uno esso» (Schmitt, 1991, p. 80). Per tale ragione il spazio o di un territorio (cfr. Kòster, 1001), esso non è solo uno spazio matematicamente più grande ma, come afferma Ratzel citato da Sch­ mitt, esso è qualitativamente superiore agli altri spazi: «Esso contiene in sé qualcosa di creativo» (ivi, p. 76)'*. Per Schmitt, adottare il «grande spazio» come misura delle rela­

Grofiraum.

è

Raum

Grofìraum

Volk,

(Lastungsraum)

{Dar Gestaltkreis

Grofiraum

is. Schmitt segue il metodo di Ratzel, che aveva indicato la strada per una me­ tamorfosi dello spazio in un’ idea snaturalizzaca. mitica e politica. Infatti, il "grande spazio” era per Ratzel uno spazio «intcriore» che permetteva ai popoli di espandersi e conquistare nuovi territori, mentre solo lo spazio fìsico, e cioè il territorio, veniva plasmato dalla cultura.

IZ7

IL PENSIERO GEOPOLITICO zioni internazionali conduce alla ristrutturazione delle categorie giuri* diche, alla «trasformazione del contesto che dà significato ai concetti giuridici», e cioè di parole come spazio, suolo, regione. L ’ introduzio­ agisce, come indica il caso specifico della dottrina ne del Monroc, come il produttore di uno slittamento di significato che permette di reinterpretare le definizioni giuridiche e di sve­ lare il proprio legame con lo spazio. Il diritto viene, di conseguenza, riportato al suo radicamento in un ordine c un orientamento concreti e, nello stesso tempo, contingenti. Se lo spazio in sé non è ancora l'ordine concreto, «ogni ordine concreto e concreta comunità hanno un contenuto spaziale e locale (ivi.p. 8i)’’. Schmitt ha come riferimento uno spazio sovrapponibile alla Micce* leuropa allorché delinea la sua idea di cedesco (M cCorm ick, in Jocrgcs, Ghaleigh, 1003; Licbhold, 1006). Lo si deduce dalla fonda* zionc dell’ idea schmicciana del nuovo ordinamenco spaziale sull’atto con cui H idcr dichiara il proceccoraco in Boemia c Moravia, sfidando l'ordine politico di Versailles e il diricco delle minoranze, come era scaco inceso fino ad allora dal diruto internazionale. Contro la classica con* cezionc individualista della questione delle minoranze, applicata dal­ la Società delle nazioni, Schmitt appoggia la lettura di Max Hidebcrt Bochm, i cui lavori avevano segnato una svolta negli studi politologici, spostando l’oggetto della tutela giuridica delle minoranze dagli indivi­ dui ai popoli (cfr. Elvcrt, 1999). L ’idea “individualistico-libcrale” della questione del rapporto fra le etnie e lo Scaco e la relativa considerazione universalistica dei diritti umani individuali rispecchiano, per Schmitt, l ’ordinamento giuridico anglosassone c sono funzionali al controllo egemonico, da parte delle poccnze occidentali, dello spazio dell’ Euro­ pa orientale abitato da etnie germaniche (Schmitt, 1991, p. 46). C on ­ tro la sistemazione del primo dopoguerra, sfavorevole alla Germania e

Grofiraum

(Umdeu-

tung),

{Ordnungund Ortung)

(Ori- undRauminhal-

te)»

Groftraum

17. Un alerò riferimento di Schmitt che permette di comprendere la sua conce­ zione di ordine concreto è quello allo storico O tto Brunner e alla sua opera Land und H erruhaji del 19)9. Brunner usa esattamente la stessa espressione di «ordini concre­ ti» - Konkrete Ordnungtn - per indicare ordinamenti giuridici e contesti culturali diversi nel tempo e che sono storicamente interpretabili solo come totalità. In altre parole, la sua concezione del Medioevo c degli ordini concreti nella società e nel di­ ritto medievale mira a cogliere la specificità medievale del rapporto stretto fra terra e popolo, che è andato perso nella storia occidentale moderna (cfr. Algazi, 1996).

4 ‘ LO SPAZIO DELLA GUERRA pregiudizievole per le ernie tedesche sparse nei paesi-cuscinetto, H it­ ler riafferma l’appartenenza del gruppo etnico tedesco c dello spazio orientale al Reich, sulla base non solo della comune tradizione storica, ma, secondo Schmitt, del nuovo principio giuridico della divisione del mondo in grandi spazi e. pertanto, a partire dalla »definizione di una sfera di influenza che abbraccia aree economicamente, militarmente e politicamente rilevanti per il Reich. U n’ulteriore conferma del riferimento implicito di Schmitt a una precisa area geograflca mitteleuropea nella sua descrizione del Großraum, consiste nella sua definizione di «arca di interesse», che riprende l’ idea elaborata sia nel pensiero imperialista di Kjcllen e da Ratzel, sia nella declinazione liberale di Naumann. L’ idea economica mitteleuropea di Naumann deve essere integrata, per il giurista tede­ sco, da un’ idea più strettamente politica di egemonia del Reich sulle arce centro-europee. Benché la «grande economica mitteleuropea» (mitteleuropäische Großraumwirtschaß) sia infetti uno dei nuclei ori­ ginari della "concretezza” storica del Großraum, essa va trasformata in senso politico, e cioè articolata in un’organizzazione squisitamente po­ litica, nel Reich governato da una guida forte (Schmitt, Führung und Hegemonie [1939]. in Id., 199s, pp. 115 ss.). Tale trasformazione quali­ tativa di uno spazio di rapporti economici in un’entità politica si com ­ pie non solo sulla base di interessi economici comuni tra le nazioni, e nemmeno solo grazie all’idea dcmograflca o al razzismo, o alla presen­ za di etnie tedesche, e neanche alla condivisione di una comune cultu­ ra. La trasformazione di uno spazio economico egemonico (Hegemo­ nie) in uno spazio politico guidato unitariamente (Führung) implica una riformulazione meramente politica dell’ idea in senso schmittiano, e cioèl’autonomia dell’area gcograflco-politica, c l’adeguatezza degli Stati a condurre una guerra con le potenze occidentali. 1 piccoli Stati originati dal trattato di Versailles sono incapaci di condurre una guerra per la loro debolezza politico-militare, e pertanto sono direttamente posti sotto il controllo delle potenze vincitrici (Schmitt, 1991, p. 44), costituendo in effetti degli Stati-cuscinetto udii a scongiurare l’ incubo di tutta la letteratura politologica e geopolitica anglosassone: l’unio­ ne, descritta in Mackinder, della Russia con la Germania c il controllo di tutta l ’ Europa da parte di una grande potenza. Manca, pertanto, uno Stato reale forte europeo, in grado di dichiarare la guerra, e cioè di esprimere la propria autonomia nei confronti delle grandi potenze occidentali u s a e Gran Bretagna.

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IL PENSIERO GEOPOLITICO Schmitt si discosta da Mackindcr - e da Haushofèr - nel delincare il territorio del grande spazio, suggerendo una delimitazione a est con la Russia, che corrisponde alle frontiere decise dall’accordo di frontiera e di amicizia del 19 $9. C o n la statuizione della frontiera orientale con la Russia, vengono abbozzate le delimitazioni dei due grandi spazi asiati* co ed europeo. N ell’accordo, secondo Schmitt, non solo viene ribadito il principio del non-intcrvenco delle terze potenze nelle arce rispettive, ma viene garantita l’esistenza pacifica delle corrispondenti etnie, collo­ cate all’ interno dei confini delle due entità politiche (ivi, p. 47). In tal modo, vengono d ’un colpo spazzati via gli Stati-cuscinetto e indicati i confini delle future sfere di influenza. La visione complessiva schmittiana dell’ordine politico internazio­ nale configura un insieme pluriverso di grandi spazi retti ognuno dai propri intesi come «potenze che [li] reggono e guidano, e la cui idea politica viene irradiata in uno specifico grande spazio, il quale vie­ ne sottratto all’intervento di potenze territorialmente estranee» (ivi, p. 49). Al contrario del modello politico dell’impero «universalista» britannico, neutro riguardo alle etnie, il tedesco riafferma la de­ terminazione concreta, particolare - «non-universale» - del nuovo ordine internazionale «fondato sul rispetto di ogni etnia» (ivi, p. $0). In tal modo il posto, come nelle raffigurazioni di Ratzcl e Kjellcn, riveste una funzione essenziale nello svolgimento stori­ nella co globale: esso riafferma l’ Europa di mezzo, tra « l’universalismo delle potenze occidentali liberal-democratichc e assimilar rici da un punto di vista etnico» e « l’universalismo bolscevico e mondial-rivoluzionario», e, insieme, asserisce il principio della coesistenza di grandi potenze, che rappresentano vari ordinamenti diversi c specifici. La mappa mentale schmittiana si articola, allora, in grandi spazi, retti dal proprio , in un rapporto di equilibrio. Ad essi è attribuita la capacità di fare guerra. La guerra fra questi imperi è condotta da entità politiche specifiche e non da organismi internazionali e ispirata non a principi umanitari, ma a ragioni di potenza. Essa ha i caratteri della guerra fra Stati vigente nello , garantendo un certo bilanciamento fra le po­ tenze internazionali’ è un duello fra due attori politici posti sullo stesso piano ed è così una prova di forza e non una crociata per la giustizia1’.

Reiche,

Reich

Reich, Mittellage,

Reich

jus publicum curopaeum

18. La mentalità ebraica cosmopolitica costituisce, in questa visione schmittia­ na della politica intemazionale delimitata e ancorata a spazi territoriali, il nemico

1 )0

4. LO SPAZIO DELLA GUERRA

Da

questa rapida scorsa al pensiero di Schmitt precedente allaguerra emerge la rilevanza delle tematiche geopolitiche nell elaborazione di una nuova concezione del diritto internazionale, così come del rife­ rimento ad autori della rivoluzione conservatrice e della Risulta, peraltro, difficile tracciare, come farà Cari Schmitt (ioo6 b) nelle sue risposte alle accuse durante il processo di Norimberga, una chiara linea di demarcazione tra i concetti elaborati dalla geopolitica e l’ idea di grande spazio secondo Schmitt. In primo luogo, questi impie' ga abbondantemente varie idee geografiche c geopolitiche - e perfino quella di da cui nel testo del 1941 non prende le distanze (Schmitt. 1991, p. 13). Non vi è dubbio che la concezione schmittiana di sia originale: essa non è semplicemente geografica, ma politica e giuridica. Inoltre il suo progetto politico non è quello gè* opolitico haushoferiano, e cioè Schmitt non mira a creare un grande continente europeo alleato contro le potenze marittime, c nemmeno realizzare l’ idea paneuropea. Tuttavia c anche certo che la geopolitica al contrario di quanto asserisce Schmitt non si limita alla concczio* ne di Haushofcr e, negli anni in cui Schmitt scrìve, geografi come A l' brccht Pcnck, O tto Maull, Eric Obst, A d o lf Grabowski elaborano una teoria del territorio che, nella geografica politica, ha la stessa funzione di quella di Schmitt nel diritto intemazionale. Essi, e prima di loro Penck, e, in parte, Ratzd, scardinano, come abbiamo visto, la conce* zione omogenea e omologante del territorio statale, distinguendo un territorio statale vero e proprio ( ), dal territorio del popolo ) e dal territorio culturale Questa struttu­ ra territoriale a cerchi concentrici, benché fondata su caratteri paesag' gistici c geografici, dissolve l’ idea della relazione fra Stato e territorio e introduce una concezione più complessa del rapporto fra il territorio, fonda la il popolo c la sovranità politica. C om e si è visto, legittimazione del dominio tedesco sui territori orientali proprio sulla «morfologia del territorio» e cioè sulla somiglianza di territori posti in Stati diversi e sulla pretesa che tale omologia si trasformi in un dato politico.

Ostforschung.

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V Ostforschtmg

estremo: secondo un pregiudizio antisemita largamente diffuso - basti ricordare Karl Haushofèr c tutta la letteratura della Ostforschung - il disconoscimento del legame con la terra, caratteristico del popolo ebraico, costituisce di per sé un fattore altamen­ te disgregante nella politica e società europee. 19. Cfr. per Ratzcl e Pcnck cap . 1.

IL PENSIERO GEOPOLITICO La lettura schmittiana, pur non cadendo mai in un banale deter­ minismo naturalista e nella semplice e ideologica trasposizione di ar­ gomenti demografici o geografici nella politica, presuppone c si fonda su questa letteratura. Anche se l ’elemento decisionale, la contingenza e la storicità della politica schmittiana sono sempre a fondamento del suo pensiero, una gran parte dell’originalità della sua visione di “ordini concreti” sta nella «torsione» di significato ( Umdeutung) di alcuni luoghi comuni e di alcune teorie del diritto - il territorio, il popolo, l’area di influenza - , che vengono messi a confronto con il lessico della geopolitica, acquistando un significato diverso e dando luogo a figure giuridiche inedite. Così, la famosa espressione Ordnung und Ortung (“ordinamento e localizzazione”, in Schmitt, zoo6a, p. 13) riferita al di' ritto permette a Schmitt di guardare al diritto intemazionale corrente e dominante da un angolatura diversa: dal punto di vista della concre­ tezza di un diritto che deve essere radicato sui rapporto - contingente e sempre mutevole - con lo spazio. La stessa idea di spazio qualitativo, fondata su una concezione biologica, viene adoperata abilmente per mostrare la relazione di interazione fra il soggetto politico-giurìdico e il suo spazio - una relazione che Ratzel aveva già ampiamente affron­ tato attraverso la sua idea di Lrbensraum, traducibile sia come spazio vitale sia come spazio di vita. Il progetto del grande spazio deve essere comunque studiato nel contesto del nazionalsocialismo e dell’adesione di Schmitt al regime, come un «freddo tentativo analitico di pensare seriamente al modo in cui il nazionalsocialismo avrebbe potuto realizzare i suoi maggiori interessi - la creazione di un ordine territoriale plurale per sostituire lordine crollato degli Stati-nazione» (Hooker, 1009, p. 147). In altre parole, Schmitt legittima e, nello stesso tempo, tenta di orientare la p o­ litica aggressiva e spietata nazista nei territori orientali in modo da farla coincidere con la sua idea di configurazione politica europea. Per far questo, egli si accanisce, così come i più spietati collaboratori di Hitler, contro gli ebrei - quel popolo che in questa lettura non intrattiene nessun rapporto con lo spazio. Malgrado la sua collaborazione nazista, la sua messa in discussione del diritto e della politica contemporanea a partire da una grande pluralità di linguaggi e di approcci, c la sua crìtica mai banale al diritto positivo rende il suo pensiero - quella « mente pe­ ricolosa » di cui parla Müller (1003) - ancora discusso e attentamente studiato fino, e soprattutto, ai nostri giorni.

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Spazi globali: la geopolitica americana dalla Prima alia Seconda guerra mondiale T h e going concern is, in these days, the great E cono­ mic Reality; it was used crim inally by the Germans, and blindly by the British. T h e Bolscheviks must have forgotten that it existed. Mackinder (1919)

5*1

L emisfero occidentale fra le due guerre nella prospettiva dei vincitori e dei vinti La Seconda guerra mondiale e la conseguente distruzione di etnie e la trasformazione di assetti politici e geografici aprono un periodo stori­ co, a noi vicino, contrassegnato dalla contrapposizione fra due blocchi di potere: la cosiddetta Guerra Fredda fra l'America c l'U nione Sovie­ tica. Dalla fine della Seconda guerra mondiale «le rispettive sfere di influenza d[i questi] due Stati, fino ad allora distanti c piccole, sem­ brano [...] sovrapporsi - in Europa, in Asia e anche nell'Artico, che emerge come un Mediterraneo della nuova era basata sulla potenza aerea. Il pianeta su cui i due Stati emergono improvvisamente come superpotenze sembra ridotto, certamente più ristretto» (Hcnrikson, 1004, p. 181). L'analisi condotta in questa pagine si fermerà al di qua di questa cesura storica, segnalando delle svolte fondamentali nel discor­ so geopolitico e politico avvenute a cavallo fra le due guerre e durante la Seconda guerra mondiale. In particolare, verranno delineati alcuni cambiamenti cruciali nel lessico e nella formulazione dei temi geopo­ litica Le cesure e le continuità nel discorso geopolitico tra l'inizio del Novecento e la fine della Seconda guerra mondiale sono essenziali per esaminare e comprendere la percezione politico-spaziale delle classi dominanti e delle masse a partire dal 1945. La fase politico-economica che si avvia nel secondo dopoguerra tende al globalismo, e cioè all'egemonia della potenza globale statuni­ tense, che mira a esercitarsi non solo economicamente, ma anche poli-



IL PENSIERO CEOPOLITICO

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cicamence, oltre emisfero occidentale (Cox, 1987; Agnew, 10052). Il globalismo è, nel caso specifico, un progetto apparentemente incom­ pleto. perché si scontra con la realtà della potenza politico-economica sovietica: l’egemonia americana, che è culturale, economica c politica trova, a partire dalla Guerra Fredda, le proprie frontiere là dove comineia la sfera di influenza della Russia. Le ultime fasi della guerra del 1939* 45 fanno già incrawedere questo nuovo scenario politico bipolare: la potenza sovietica e quella statunitense marciano sull’ Europa ormai devastata e priva di governi effettivi alla fine della catastrofe mondiale. Il nazionalsocialismo ha spazzato via gli Stati e sterminato intere po­ polazioni: il piano hidcriano per la conquista dell’ Europa e del mondo non si è avverato, ma della vecchia Europa, formata da nazioni ed etnie diverse, è rimasto ben poco. L ’ultima rivoluzione tecnologica bellica la guerra aerea - ha rasato al suolo città al di qua e al di là della Manica, sterminando i civili c mettendo in fuga le classi dirigenti dai territori dell’Asse c da quelli occupati. Nelle contrattazioni successive fìnalizzate alla riorganizzazione europea emerge, ancora più chiaramente di quanto non fosse accaduto alla fine della Prima guerra mondiale, l’ in­ treccio fra il Vecchio e il N uovo Mondo c la dipendenza dell’ Europa dalle potenze extraeuropec. La collaborazione fra l’ Unione Sovietica e gli Stati Uniti si rivela ben presto, tuttavia, limitata alla lotta contro la Germania nazista. La guerra delle due visioni del mondo, quella comu­ nista e quella capitalista, ha radici antiche che risalgono all’ interven­ to delle truppe occidentali contro i b o lsce v ici già allo scoppio della Rivoluzione d ’ottobre, all’esclusione dell’ URSS dalle organizzazioni intemazionali e alle campagne americane antisovietiche, tra le quali la aveva avuto un carattere particolarmente violento. Gli accordi politici postbellici, che stabiliscono sia i confini terri­ toriali europei, sia le diverse sfere di influenza, permettono comun­ que di creare le basi per un equilibrio apparentemente instabile, ma effettivamente controllato e finalizzato allo sviluppo capitalista (W illerstein, 1010). Le due maggiori potenze, USA c URSS, si spartiscono militarmente, economicamente e ideologicamente il potere globale: «in tal senso la Guerra Fredda è un gioco accuratamente controlla­ to con regole comunemente accordate, piuttosto che un campo con chiari vinti e vincitori» (Cox, 1990, p. 31). Le due superpotenze rap­ ss.), presentano, come vedono bene Agnew e Corbridge (1995, pp. due poli ideologici distinti, che costruiscono c rafforzano nel tempo la propria identità politica sulla contrapposizione con l’altro blocco

redscare

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$. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA (Campbell, 1991). Entrambe possono vantare la loro fondazione po­ litica nelle rispettive rivoluzioni e nella legittimità del potere della vo­ lontà popolare, rivendicato contro l’ordine e le élites costituite - quella della madrepatria britannica c quella del potere zarista. La rivoluzione americana e quella bolscevica rappresentano, infatti, i due momenti fondatori per le due nazioni vincitrici: esempi di una rottura storica, che, al contrario della rivoluzione francese, hanno dato orìgine a entità politiche stabili e forti, che si sono conservate nel tempo. Inoltre, USA e URSS indicano le due vie antitetiche per risolvere il rapporto fra la politica e l ’economia: il capitalismo c il comuniSmo. Ideologicamen­ te questi sono i due poli opposti che rivendicano il dominio globale: l’adesione al modello capitalista o, al contrario, a quello comunista im­ plica non solo il contrasto estremo col "nemico”, ma anche una spinta universalista, c cioè l’ambizione a "esportare” il proprio ideale politico ed economico in tutto il globo1. La polarizzazione mondiale fra i due schemi politico-economici viene rafforzata dalla paura isterica del nemico c dalla denuncia della vulnerabilità della propria cultura e civiltà rispetto agli attacchi esterni. Si può perfino parlare, in tal caso, di una "idealizzazione” del blocco nemico, e cioè dalla sopravvalutazione del suo pericolo, che sopravvive perfino alla fine della Guerra Fredda, allorché l’amministrazione ame­ ricana continua a temere gli attacchi comunisti ben dopo la caduta del ss.). muro di Berlino (Agncw, Corbridge, 1995, pp. D opo la Seconda guerra mondiale la mappa geopolitica globale assume cosi altri centri e altri vettori rispetto al periodo precedente: tra i due blocchi americano e sovietico, l’ Europa divisa sembra scom­ parire. Milan Kundera (1984) parla negli anni Ottanta, a proposito, , guardando retrospettiva­ di un’ Europa sequestrata, mente alla conferenza di Yalta che separa in due il Vecchio Continente. La divisione al cuore dell’ Europa, simboleggiata dal muro di Berlino e politicamente stabilita a Yalta nel 1945. rende palese, infatti, la nuova sistemazione dei poteri mondiali. Si apre un'altra epoca storica, che avrebbe dovuto fondarsi, secondo i rappresentanti dei paesi vincitori, su una radicale discontinuità col passato: dal 1945 in poi nessuna p o­

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1. Tale divisione i retta, nella letteratura americana, dalla teorizzazione dei tre mondi: il mondo moderno, tecnologicamente avanzato, è diviso fra il primo mondo aperto c libero ( u s a ) e il secondo, chiuso e ideologico ( u r s s ); il mondo non ancora modernizzato costituisce il terzo mondo (cfr. Agncw, Corbridge. 199). p- 71).



IL PENSIERO GEOPOLIT1CO tenza europea avrebbe potuto acquistare una posizione egemonica in Europa. L ’isola del mondo - individuata da Mackinder nell’ Eurasia sarebbe stata “salva* ma anche debole: il continente euroasiatico non sarebbe mai più stato soggiogato a un dominio universale e, però, non sarebbe mai potuto diventare una grande potenza. L ’opposizione al progetto nazionalsocialista di un impero tedesco, basato sul razzismo e sulla violenza, c alla visione geopolitica haushoferiana di un forte continente euroasiatico che avrebbe fronteggiato le potenze marittime anglosassoni, fonda non solo l’identità politica europea nel dopoguerra, ma anche il nuovo ordine mondiale. Questo, d ’altro canto, viene garantito politicamente dalle istituzioni sovranazionali (Nazioni Unite), militarmente dalle alleanze corrispondenti ai due blocchi ( n ato c Patto di Varsavia) ed economicamente dagli or­ ganismi interstatali (Fondo Monetario Intemazionale, Banca Mondia­ le, c a t t e accordi di Bretton Woods). Apparentemente, nell’ambito della cultura, la geopolitica viene “punita* e bandita in quanto scien­ za del nazismo insieme con l’ imperialismo hidcriano e il razzismo. In verità, la geopolitica americana, che nasce con quella inglese dalla co­ mune origine tedesca, continua a svilupparsi, approfondendo alcune cesure con il passato, ma anche operando in continuità con i postulati e i metodi della geografia politica c della geopolitica tedesche. Fin dal primo dopoguerra, essa, tuttavia, elabora nuove categorie economiche e geografiche per ordinare i nuovi assetti territoriali c politici. Già pri­ ma della fine della Seconda guerra mondiale, alcuni tra i più influen­ ti geografi e politologi americani, come Isaiah Bowman e Nicholas Spylcman, espressamente influenzati dal pensiero tedesco di Ratzcl, oltre che dalle idee di Mahan e Mackinder, coniano metodi c schemi per una nuova geopolitica: la mappa mentale complessa e “fluttuante” dell’emisfero occidentale. L ’emisfero occidentale, che nasce con la dot­ trina Monroe, si allarga e investe anche l’Europa, come una nuova zona di influenza americana. Tre grandi artefici dell’estensione dell’emisfero occidentale sono i presidenti americani W oodrow W ilson e Franklin D. Roosevelt, e il geografo Isaiah Bowman (1878-1950). Questi non è solo il presidente della Società americana di geografia e l ’infaticabile promotore di isti­ tuti e iniziative culturali, ma ha un ruolo di rilievo nella politica, come indispensabile consigliere della Presidenza degli Stati Uniti da W ilson a Roosevelt. Nella sua biografìa si palesa con grande evidenza la com­ mistione tra il potere accademico e quello polidco, tra la funzione di

world island

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SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA

scienziato e quella di consigliere dello Stato. Bowman non è solo uno “scienziato” o un intellettuale che discute della politica da un punto di vista “esterno” e cioè a partire dalla sua autorità in campo accademico o intellettuale. Egli incarna, molto più chiaramente di Haushofer, la vocazione “pratica” del sapere geopolitico: accompagna i presidenti americani fin dagli anni della Grande Guerra nelle delegazioni inter­ nazionali per rappresentare l'America e fornisce la sua esperienza di geografo e geopolitico, partecipando ai maggiori dell'am­ ministrazione americana. La ricostruzione del suo percorso biografi­ co permette di analizzare con chiarezza l'intreccio fra la sua attività politica e la sua opera scientifica, che fornisce la chiave per una lettura più specifica dei rapporti fra l’accademia c il potere politico e per la definizione della sfera di interessi degli Stati Uniti (Smith, 1003). Già a partire dalla fondazione di nel 1917, e cioè dalla crea­ americano che si occupa zione da parte di W ilson del primo di politica estera, Bowman, che lo presiede, esamina le condizioni per una rivisitazione della dottrina Monroe nell'ambito sia economico, e cioè in riferimento alla politica liberale del presidente americano, sia politico, ovvero nel contesto della Grande Guerra. C on la ge­ opolitica americana diventa uno strumento indispensabile per l’ammi­ nistrazione e per la formulazione della politica estera.

think tanks

Inquiry think tank

Inquiry

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salutare congiungimento tra gli interessi della Società americana di geo­ grafìa c il Dipartimento di Stato [...] combinava il globalismo economico, che germogliava nell’amministrazione di Wilson,con l'enciclopedica portata di dati geografici della Società americana di geografia [...]. L'interesse geo­ grafico globale della Società assumeva un carattere politico ed economico, mentre, al contempo, l’emergente globalismo wilsoniano della “porta aperta* riceveva un sostegno fondamentale dalla geografia globale (ivi, p. 135). Nel 1917 il lungimirante W ilson organizza un gruppo di lavoro per studiare le questioni relative alla crisi bellica europea c per delincare il ruolo americano nel dopoguerra, ponendo le condizioni per inver­ tire la natura difensiva e isolazionista della dottrina Monroe del 1813 e per rafforzare l’ interconnessione dell'interesse economico e politico lavora su due americano con gli affari europei. La commissione fronti: quello interno all’emisfero occidentale c quello esterno. Inter­ namente al continente, essa rinforza, sulla base di giustificazioni geo­ politiche, la tesi dell'interdipendenza tra l'America Latina e gli u sa ,

Inquiry

IL PENSIERO GEOPOLITICO sia per la necessità di trovare sbocchi economici dei prodotti americani, sia per l’esigenza di proteggere il continente subamericano da possi­ bili mire dell’ Europa. Inoltre, nei rapporti con l’estero, la commissione promuove la conoscenza dell ’Europa asiatica raccogliendo una grande messe di dati per valutare il pericolo di eventuali alleanze fra gli espo­ nenti europei e i rappresentanti della rivoluzione russa. In tal modo avvia una riflessione sulla possibile destabilizzazione della situazione europea (ivi, p. i$i). non è rilevante solo Com e osserva lo studioso Neil Smith, in quanto primo e nemmeno esclusivamente per la sua ope­ ra di sostegno a lb Presidenza americana. Da un punto di vista scienti­ fico, i metodi e le interpretazioni della commissione dischiudono un nuovo orizzonte per gli studi geopolitici c per la prassi politica, perché spostano la ricerca scientifica dall’analisi del potere politico ai proces­ si geoeconomici c all’osservazione finalizzata al controllo dei mercati. L’ introduzione della geoeconomia negli studi geopolitici e geografici è il merito principale di Bowman, che, nel suo lavoro, conferisce un peso significativo alle risorse economiche per delincare i rapporti di potenza c gli equilibri politici internazionali. In tal modo, egli abban­ dona l’ interpretazione della geopolitica classica tedesca, incentrata sullo studio delle connotazioni geografiche degli Stati. In altre paro­ le, lo studio della relazione fra le risorse economiche, l’espansione dei mercati e le variabili geografiche permette ai membri di di con­ siderare adeguatamente l’ incidenza dell’espansione del mercato sulla geografia globale e cioè sui rapporti politici fra le nazioni (ivi, p. 135) e di restituire un ruolo centrale all’approccio geopolitico e geografico per lo studio della politica1. offre a La ricognizione geografica e geopolitica svolta da W ilson, già dopo la Prima guerra mondiale, gli argomenti per giustifi­ care scientificamente il ruolo della nuova potenza americana come ga­ rante internazionale degli equilibri fra Stati e, insieme, per preservare l ’ integrità dell’interesse americano nella sua sfera di influenza, e cioè in America Latina. In particolare, superando l’ idea isolazionista del­ la prima formulazione della dottrina Monroe, secondo la quale l’area

Yìnquiry

think tank,

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1. Bowman ritenne sempre che la geografìa fìsica c lo studio del territorio oltre ai dati economici fossero i presupposti per formulare la geografia politica (Smith, xo oj, pp. 441 ss.).

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v SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA geografica americana è slegata dagli sviluppi e dalle tensioni nel resto del mondo» W ilson sottolinea l’ importanza della relazione curoaclan­ tica, c pertanto Tintcrcssc americano all’equilibrio europeo. Durante la conferenza di pace di Parigi del 1919, W ilson propone la sua idea universalistica c “idealistica” della politica globale, che deve essere sot­ tratta alla logica della politica espansiva c aggressiva. Secondo la lettu­ ra di Neil Smith, l’idealismo wilsoniano non deve essere inteso come un esempio di «il [suo] idealismo retorico era per se un’arma politica spietata applicata a una causa molto “realista” e partigiana. (...) l ’aspirazione principale di W ilson non era niente di meno che la costruzione di un ordine liberale capitalista, che avrebbe fornito un libero accesso economico dell’America in tutti i mercati statali» (ivi, p. 140). Insomma, il pragmatismo idealista wilsoniano, espresso nei fa­ mosi “quattordici punti”, mira a difendere, a cavallo fra le due guerre» lo specifico interesse politico-economico americano funzionale ai più generali interessi del capitalismo globale. La stabilità mondiale, in tal chiave, non è difésa come valore in sé, ma diventa un bene da garantire per permettere l ’apertura dei mercati agli investimenti e al commercio. La commissione e, in particolare, Bowman, che assiste W il­ son nella delegazione di pace a Parigi, assume come proprio l’ ideale universale e progressista wilsoniano c utilizza gli strumenti cartografici e geografici in una visione geopolitica nuova, che sposta l ’attenzione dai confini c dalle relazioni interstatali di potere alle risorse economi­ che e alla disponibilità dei governi a favorire gli scambi commerciali. In tal modo, la geopolitica americana realizza una “silenziosa” rivoluzione epistemologica c insieme politica, fondata su una diversa valutazione del rapporto fra la geografìa, la politica c l'economia. « L ’originalità degli internazionalisti liberali americani del tempo (...) stava nella co­ scienza implicita (...) che la nuova era sarebbe stata organizzata diver­ samente c che l’espansione economica avrebbe divorziato dall’espan­ sione territoriale» (ivi, p. 141). In tale ambito, l’impegno di Bowman si articola in due modi: in primo luogo nella nuova definizione della geopolitica come analisi delle risorse economiche e dei rapporti economico-polidci fra le potenze (Bowman, 1911 )l e, in secondo luogo,

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). Si veda a proposito il rcport di Bowman citato in Denis (19)8. p. 11): «così come il disarmo è un ideale senza speranza a meno che non si consegua prima o du­ rante il processo di disarmo la sicurezza collettiva contro l ’aggressione, così i conflitti perle risorse materiali delle nazioni non hanno alcuna speranza di risoluzione in un

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IL PENSIERO CEOPOLITICO nell'ausilio offerto alla Presidenza americana per assicurare all'America il ruolo di garante dell'equilibrio mondiale. In questa chiave Bowman interviene non solo durante la Prima, ma anche durante la Seconda guerra mondiale per favorire l’ intervento americano (ivi, pp. 195 ss.), guidando, poi, alcune importanti organizzazioni istituite dal presidente Roosevelt negli anni Quaranta per risolvere le questioni demografi­ che e di sviluppo economico aperte dalla guerra. Inoltre partecipa alla fondazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Nella prefazione alla quarta edizione della sua opera The New World: Problemi in Poli­ ticai Geography, Bowman ribadisce la centralità del ruolo del geografo politico e l'importanza della geopolitica per l'educazione dei cittadini americani e soprattutto per la gestione della politica estera: Per affrontare i problemi odierni, i membri del governo degli Stati Uniti han­ no bisogno di qualcosa di più del senso comune e del desiderio di compor­ tarsi correttamente con gli altri. Essi necessitano, soprattutto, di studiare i materiali geografici e storici che fanno parte della rete di fatti, relazioni c tra­ dizioni che denominiamo come politica estera. (...) Per elevare gli standard di governo è richiesto un riesame continuo dei problemi contemporanei da parte dei cittadini, che sono estranei alle attività di governa In tal modo ven­ gono rappresentati dei nuovi punti di vista c vengono rese disponibili delle nuove valutazioni (Bowman, 1918, p. III). Bowman è uno dei protagonisti di un momento cruciale nella storia del potere del pensiero gcopolitico. Bowman, Roosevelt e l ’ammiraglio Harold R. Starle sono i principali fautori della ridefinizione dell’emi­ sfero occidentale, che preparerà l’ intervento americano nella Secon­ da guerra mondiale, permettendo la violazione di fatto del Neutmlity Act approvato dal Congresso nel 1939. Questo esprimeva la vocazione isolazionista americana, impedendo la partecipazione statunitense alla guerra europea, a condizione che non si fosse resa necessaria la difesa dell'emisfero occidentale. Nel 1941, dopo una serie di riunioni fra il presidente Roosevelt e i due esperti consiglieri, i confini dell'emisfero occidentale vengono improvvisamente ampliati fino al venticinque­ simo meridiano, con alcune piccole modifiche. Tale mutamento non solo permette all'America di estendere il confine che i sottomarini te-

mondo in cui ogni Stato dipende dalla sua sola forza per scongiurare la minaccia della guerra».

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s. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA deschi non avrebbero dovuto violare» ma rappresenta una svolta per ridefìnire l’area di influenza degli Stati Uniti (Smith, zoo}, p. 31)). Bowman svolge un ruolo fondamentale non solo per la determina' zione tecnica di tale confine, ma anche per la giustificazione geografico-politica della zona dell’emisfero occidentale: nel riconfigurare tale sfera di interessi, egli fa esplicitamente riferimento alla politica e alla ragione militare, mettendo la geografia direttamente a servizio della politica (ivi, pp. 314 ss.). La sua definizione dell’area di interessi ge­ opolitica statunitense deve essere letta, tuttavia, in relazione alla sua lotta contro l’ideologia del hidcriano. Nel 1941, durante una riunione del Council o f Forcign Relations, un organo centrale per la definizione del programma di politica estera, Bowman afferma: per tutti c la risposta al per uno» (in Smith, 1003, p. 319), spiegando che lo spazio vitale deve essere inteso come uno spazio economico aperto globalmente e non come un territorio che persegue una politica imperialista. Il sostegno offerto da Bowman all’espansionismo economico americano si ancora, così, all’idea della responsabilità degli USA per l’equilibrio e per il rispetto della democra­ zia: la pace in Europa garantisce, in questa prospettiva, il libero com ­ mercio e, viceversa, l ’apertura degli Stati agli investimenti c al mercato permette la penetrazione delle idee liberal-democratichc. Nel 1941, immaginando la fine della guerra e il ruolo degli USA, Bowman scrìve: «Nella misura in cui gli Stati Uniti sono l ’arsenale delle democrazie, essi saranno l’arsenale cruciale al momento della vittoria. Non posso­ no buttar via i contenuti dell’arsenale [...]. Non vogliamo dominare il mondo. Gli eventi attuali ci hanno obbligato a dominare la situazione di guerra. La nostra vittoria sarà misurata dal nostro dominio dopo la vittoria» (letteradi Bowman a H. F. Armstrong, 15 dicembre 1941, ivi, p . Z ). Nel periodo storico in cui i confini cancellati dalla guerra vengo­ no rìdisegnati a Yalta e l’equilibrio mondiale muta radicalmente, ren­ dendo le due potenze extracuropee, America c Unione Sovietica, i due maggiori contendenti nell’economia c nella politica mondiale, Cari Schmitt legge in modo diverso la storia che Bowman e Roosevelt trac­ ciano sulle mappe4. Si deve concordare con Kòster secondo il quale

Lebensrattm

Lebensraum

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4. Sull’imperulismo economico americano e l'immaginazione geopolitica del Nuovo M ondo all’epoca di Roosevelt ch. Golub (zo u ).

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IL PENSIERO CEOPOLITICO « il progetto di Schmitt di pensare alla guerra (precisamente di pensare alla Seconda guerra mondiale come strumento della politica nazional­ socialista) poteva essere trasibrmato dopo la guerra, senza grandi mu­ tamenti, nel progetto di pensare la pace» (Koster, 2.001, p. 117). G li scritti di Schmitt del periodo postbellico, infatti, rappresentano in gran parte una risistemazione della sua produzione precedente, dalla fine de­ gli anni Trenta in avanti (cfr. Hooker, 1009, pp. 149 ss.). Le sue inter­ pretazioni circa la guerra, lo juspublicum europaeum, la dottrina Monroc, la lettura del nomas, vengono organizzate nel 1950 in un libro che avrebbe goduto più tardi di un grande successo, soprattutto neirambito del diritto intemazionale e degli studi geopolitici: Nomas della terra. 11 fàscino della prospettiva "rovesciata" presentata nel libro trae orìgi­ ne dall’ interpretazione di un "vinto della storia" e cioè dalla capacità dell’autore di analizzare e di decostruire le idee fondamentali su cui si basano il diritto e lordine internazionale nel secondo dopoguerra da un angolo visuale diverso da quello dominante. «N on più preoccupato delle prospettive politiche specifiche alla Germania nazista, Schmitt si sent[c] libero di sviluppare la sua critica permanente al positivismo dei trattati e all’assalto universalista allo Stato, senza bisogno di collegarla a delle speranze nel futuro» (Hooker, 1009, p. 149). Due esempi di questa lettura rovesciata sono offerti dall’interpreta­ zione dell’ intervento degli Stati Uniti nella guerra e dalla decostruzione dell’idea di emisfero occidentale. Schmitt non condivideva già dal primo dopoguerra l’ottimismo di Wilson sulla vittoria della democra­ zia, e criticava radicalmente sia la Società delle nazioni, sia l’espansione del libero mercato. L’ imperialismo delle potenze vincitrici della prima guerra è un dominio di una visione del mondo che umilia la Germania e impedisce ai paesi deboli europei di riguadagnare dignità nei rapporti internazionali (Schmitt, 199$, pp. 17 ss.; cfr. Koskenniemi, zoiz, pp. 194 ss.). La storia del Novecento è contrassegnata dallo spostamento dell’equilibrio politico globale verso Occidente, e cioè in favore degli Stati Uniti, e, insieme, dall’affermazione incondizionata delle potenze marittime nella lotta plurisecolare che le oppone alle potenze terrestri, secondo il giurista tedesco. Alla fine della guerra, la Gran Bretagna affi­ da la prosecuzione della sua politica marittima e del suo ruolo al Nuovo Mondo. Schmitt cica a supporto della sua tesi la concezione di Mahan, ed esemplifica la sua interpretazione con una frase pronunciata nel 1816 dal primo ministro inglese Canning a proposito dell’equilibrio euro­ peo. «I mezzi per procedere a un bilanciamento - aveva detto Canning

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5. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA - li cerco nell’alcro emisfero (...]. Chiam o in vita il nuovo mondo per ristabilire equilibrio nel vecchio» (Schmitt, 1003, p. 303). C on l’ intervento degli USA nelle due guerre si realizza il progetto di Canning. Tuttavia, l”‘equilibrio” europeo visto dalla prospettiva inglese signi­ fica la crisi e la decadenza nell’ Europa dominata dalle potenze terrestri e decreta, con la conclusione della Prima guerra mondiale, la fine del­ lo juspublicum europaeum. Q uest’ultimo si fondava, g ii dalla scoperta deU’America, sulla convivenza del nomos marittimo e di quello terrestre entro i confini europei, e sulla ripartizione del globo tra l’ Europa, da una parte, e le colonie - in particolare le Americhe - , dall’altra. Schmitt riconduce questa separazione all’ istituzione delle amity lina, stabilite con accordi segreti dal trattato di Catcau-Cambrésis (1359): esse segna­ vano il confine esterno del diritto europeo, c cioè una «zona d ’oltrema­ re dove [...] valeva solo il diritto del più forte» (ivi, p. 91). Nella lettura di Schmitt, che è stata sostanzialmente convalidata da interpretazioni recenti (cfr. Stirk, 1011), le amity lincs cinquecentesche definivano un campo di libertà assoluta - c cioè di violenza non sanzionata da nessu­ na norma. Nel Nuovo Mondo veniva, infatti, autorizzato il ricorso alla conquista attraverso «il libero e spietato uso della violenza [...]. Questo significa un enorme sgravio della problematica intraeuropea, e in questo sgravio consiste il senso giuridico-intemazionale della celebre e famige­ rata espressione beyond thè line » (Schmitt, 1003, p. 93). La terra veniva così divisa in un’area di barbarie incontrastate e un’altra in cui fiorivano le diverse e varie civiltà europee, ’ sgravate’’ dai conflitti grazie a una val­ vola di sfogo posta spazialmente fuori dai confini della civiltà. Beyond thè line - al di là della linea di demarcazione europea - non vigeva lo specifico juspublicum europaeum, che si esemplificava in una concezio­ ne specifica di guerra e di equilibrio di potenze. L ’ordine europeo si fonda, allora, sulla costruzione di un’eccezione spaziale e, cioè, sulla de­ limitazione dell’ Europa da uno spazio che resta fuori dall’ordinamento civile e, pertanto, è allo stato di natura. Il Nuovo Mondo viene incluso nella “geografia politica” delle relazioni fra Stati proprio attraverso la sua esclusione (cfr. Agamben, 1005, p. 18). Il punto di partenza della riflessione schmittiana sta allora nella dife­ sa del nomos europeo, ovvero nella convinzione che « il diritto e la pace poggiano originariamente su delimitazioni in senso spaziale» (ivi, p. 63). Le delimitazioni spaziali separano il mondo fra zone di violenza in­ discriminata - le colonie - e di guerra controllata - l’Europa; altre con­ venzioni indicano, internamente ai continenti, gli spazi di mare regolati

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IL PENSIERO

G E O P O tm C O

dal diritto di preda e le aree terrestri, dominate dalla delimitazione del confine e dalla «recinzione» {Hegung) o definizione della violenza le­ gittima. Com e si nota, i confini spaziali e le separazioni costituiscono i tratti della mappa mentale dello Schmitt del nomos. La questione essen­ ziale per l’esistenza di qualsiasi ordinamento giuridico è quella della sta­ tuizione del limite e dei confini, che permette di neutralizzare la guerra relegandola in alcuni ambiti e zone: «non tanto quello dell’abolizione della guerra, ma piuttosto quello della sua limitazione» (ivi, p. 65) è il problema dello Stato m oderna Lo juspublicum europaeum, vigente dal­ la scoperta dcH’Amcrìca fino alla Prima guerra mondiale, aveva risolto con successo questo problema. Tale ordinamento era caratterizzato dal­ la limitazione della violenza in senso spaziale c dalla separazione della politica dalla morale: lo sganciamento del conflitto dal riferimento ai valori morali o cristiani permetteva di considerare la guerra come uno scontro ira uguali e come un evento delimitato in senso spaziale - un duello. La guerreen «un confronto tra entità spaziali raffigurate come personaepublicae, le quali costituiscono sul suolo comune d'E u­ ropa la "famiglia" europea» (ivi, p. 165). Lo scopo di questa guerra non era l’annientamento ma b statuizione di un nuovo equilibria Già alla fine della Prima guerra mondiale l’equilibrio europeo cessa a causa di diversi fattori, riconducibili alb predominanza delb potenze marittime c all* intervento dell’America negli affari europei. L ’equilibrio - o meglio la coesistenza - tra il nomos di terra e il nomos marittimo si infrange definitivamente, a causa dello sviluppo tecnologico-industriale, che aveva consolidato la dominazione dell’ Inghilterra, e dell’ inge­ renza degli Stati Uniti, la nuova potenza economica e marittima, nelb politica europea. L ’omologazione del diritto internazionale europeo al diritto universalista di impronta liberale, che discende dall’antico dirit­ to marittimo, mostra chiaramente la cancellazione dei principi dellojus publicum europaeum. L'antico diritto marittimo, fondato sul diritto di preda applicato nel conflitto con navi pirata, padre del moderno diritto internazionale, è incomparabile col diritto emanato dagli Stati sovrani territoriali. Il primo, fino al trattato di Parigi del 1856, si distingueva dal secondo per la possibilità di predare qualsiasi nave nemica e impos­ sessarsi dei suoi beni, indipendentemente dalla sua appartenenza allo Stato o a privati cittadini. Il diritto bellico terrestre, invece, delimita b guerra spazialmente e temporalmente: non solo la confina geografica­ mente tramite gli avamposti, le strategie degli avanzamenti e la logistica

jòrmck

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v SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA delle truppe, ma differenzia la popolazione civile dai militari dello Stato nemico. Secondo Cari Schmitt, il diritto internazionale universalista rappre­ della terra e ma* senta lo sfaldamento delle distinzioni fra sia in un senso gèritorno e insieme la perdita di «confini» ografìco-statalc, sia in un senso più profondamente filosofico-giuridico (cfr. Colom bo, 1007). In relazione alla prospettiva filosofico-giuridica, il diritto intemazionale, a partire dall’ istituzione della Società delle Nazioni, è in un rapporto di continuità col diritto di preda, e cioè con un'idea non spaziale, non definita c, pertanto, discriminatoria di legge. Esso rifiuta la guerra, provocando paradossalmente la sua proliferazio­ ne: senza controlli e limiti, il conflitto diventa una guerra umanitaria controgli Stati aggressori, in cui il nemico è privato di ogni qualità uma­ na. Ribaltando la lettura corrente, che vede nella Società delle Nazioni il compimento dell’ideale di coopcrazione fra popoli per risolvere pa­ cificamente i possibili conflitti, Schmitt considera, da un punto di vista che oggi chiameremmo “realista", l'illusorictà della collaborazione fra gli Stati. Il diritto intemazionale universalistico, che, a partire dalla fine della Prima guerra mondiale, proclama l’umanitarismo, dichiarando la guerra fuori legge, è in verità il mezzo principale per l’espansione del dominio economico angloamericano.

nomos {Hegung)

nomos

se

Chi dice umanità, mente - afferma il giurista tedesco già nel 1931, uno Stato combatte il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di un concetto universale per poter­ si identificare con esso (a spese dell’avversario) [...]. "Umanità” è strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche (Schmitt, 1971, p. 139).1 11 reale significato delle formulazioni del diritto intemazionale sta nella promozione dell’ imperialismo americano, che non si espande conqui­ stando un territorio e assoggettando le popolazioni, ma amputando la sovranità degli altri Stati, in modo da costringerli ad aprire le fron­ tiere per gli scambi commerciali e ad accettare l’egemonia economica statunitense. L’esempio della nuova forma di imperialismo si rivela nell’applicazione della dottrina Monroe e nella conseguente minora­ zione della sovranità delle nazioni dell’America Latina. Emerge, nello sviluppo dell’ idea di emisfero occidentale, una nuova forma di dominio politico, che svuota il concetto di sovranità, principe dell’ordinamento

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO

jus publicum mropaeunu

giuridico-spaziale dello I paesi che rientrano nell emisfero occidentale non perdono la propria sovranità: 10 spazio esteriore - svuotato - della sovranità territoriale rimane intatto, mentre il contenuto reale di questa sovranità viene modificato in quanto vin­ colato alla protezione del grande spazio economico della potenza esercente 11 controllo. Il controllo e il dominio politico si fondano qui suirintcrvento, mentre lo status quo territoriale rimane garantito. (...) la sovranità territoriale si trasforma in un vuoto spazio di eventi economico-sociali. Viene garantita l’integrità territoriale esteriore, con i suoi confini lineari, non già il contenuto sociale ed economico della stessa integrità, ovvero la sua sostanza. Lo spazio del potere economico determina l’ambito giuridico intemazionale (Schmitt, 1005, PP- 514-5)-

Dalla Prima guerra mondiale l’emisfero occidentale, protetto dalla dot­ trina di Monroe, si introduce come protagonista nella storia mondiale, scardinando gli equilibri europei. G ià con l’ intervento bellico wilsoniano, la dottrina di Monroe del 1815 si trasforma, secondo Schmitt, da uno strumento di difesa di un certo ambito di interessi politici contro il possibile intervento europeo, in un’arma di conquista cconomicopolitica. La geografia e l’economia americana detengono un ruolo fondamentale nella delimitazione della sfera di interessi americana e : nella sua espansione, c decretano la fine dello lo spostamento dei confini dell’emisfèro - prodotto da Bowman nel 1941 - costituisce un esempio dell’utilizzazione di metodi geograficomatematici per statuire un nuovo assetto mondiale. L’estensione del confine geografico dcU’emisfèro segnala, allo stesso tempo, una nuova forma di dominio economico-giuridico c un nuovo modo di pensare la guerra. La guerra, a partire dalla fine del primo conflitto mondiale, vie­ ne messa “fuori legge” dalla Lega di Ginevra: in tal modo si avvia la sua deregolamcntazione e il ricorso effettivo alla guerra di annientamento. Nella guerra discriminatoria, potenziata nella sua brutalità dall’ impie­ go dell’aviazione, la popolazione viene sterminata e annientata: si reci­ de così il rapporto fra protezione e obbedienza che era un cardine dello e della guerra non discriminatoria. Il mutamento della concezione della guerra c però solo una delle manifestazioni dell’”invasione” del Nuovo M ondo nel Vecchio: il po­ tere economico si profila ormai come l’anima dei rapporti di potenza: « lo spazio del potere economico determina l’ambito giuridico inter­

juspublicum curopacum

jus publicum mropaeum

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y

SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA

nazionale» (ivi, p. 315). La trasformazione della dottrina Monroe in uno strumento di penetrazione mondiale dell’ideologia americana del* la “porta aperta" e la nascita di organizzazioni internazionali che pro­ teggono e perpetuano il libero commercio e l’economia concorrenziale costituiscono le prove evidenti dell’estensione dell’emisfero occidentale in Europa. Se è vero che i confini territoriali degli Stati europei vengono ristabiliti dopo la Seconda guerra mondiale, è altrettanto evidente che essi non frappongono più alcuna barriera alla sfera di interesse econo­ mico. Il dominio globale passa attraverso l’ influenza economica e viene canalizzato attraverso il diritto universalista: L ’Europa politica degli Stati sovrani, in equilibrio perché spazial­ mente delimitati c orientati, lascia il posto all’economia globale, do­ minata da uno Stato — quello americano — che non è organizzato po­ liticamente ma è destrutturato c articolato nella società civile. «Nella separazione fra politica ed economia risiede realmente la chiave per chiarire la contraddizione tra presenza e assenza, in cui deve incorre­ re il nuovo mondo» (ivi, p. 387). L ’egemonia americana mondiale si basa su una genetica povertà della vita statale, già notata da Hegel alla fondazione dello Stato americano: l’America non risolve hegeliana­ mente la società civile nello Stato, ma riduce quest’ultimo alla tutela della proprietà borghese e della libertà degli interessi. La separazione fra 1' economia e la politica c la conseguente egemonia dell’economia, autonoma dal controllo politico, è la chiave per comprendere i nuovi rapporti di potere globali e il nuovo diritto internazionale, improntato alle istituzioni giuridiche e politiche delle potenze marittime. L ’assun­ zione ingenua del libero commercio come principio a sé, separato dalla sfera politica e dall’autorità di uno Stato, permette aJ Nuovo Mondo di “scavalcare” i confini territoriali e di imporre l’egemonia economica globalmente. « L ’assenza ufficiale era dunque (...] un’assenza , mentre la presenza non ufficiale era per contro una presenza straordinariamente effettiva, cioè economica e, se necessario, anche una forma di controllo politico» (ivi, p. 319). Per Schmitt, con la fine della Seconda guerra mondiale, le civiltà entrano in un nuovo periodo storico. Lo spazio terrestre, corrugato e suddiviso, orientato a un senso di limitazione e di località, lascia il posto a uno spazio liscio, uniforme c geometrico: « L ’ormai incipiente esten­ sione ed espansione sul mare rese il concetto di emisfèro occidentale ancora più astratto, nel senso di una superfìcie vuota, prevalentemen­ te gcografico-maremarica. N ell’estensione e nella liscia uniformità del

cuius oeconomia, cius regio.

soltanto

politica

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IL PENSIERO GEOPOLITICO mare si manifestava in modo più puro - come si esprimeva Friedrich (ivi, p. 371) e cioè lo spazio privato di senso e di Ratzel - lo direzione. U mondo attuale è quello dominato dalla tecnica e dilaniato da due nemici - comuniSmo e capitalismo - incapaci di assicurare la pace e inabili a sferrate una guerra (Galli, 2.008, pp. 147 ss.). Nostalgicamente Schmitt guarda al futuro, riproponendo, in una versione geograficamente diversa, la sua idea di equilibrio dei grandi spazi: l’egemonia americana può essere scongiurata solo ricostituendo la pluralità di aree di interesse - grandi spazi - che riporterebbero l’ Eu­ ropa, insieme con l ’America c l’Asia, al centro della politica internazio­ nale. La sua visione dell’ordine intemazionale, che, secondo alcuni stu­ diosi (Laughland, 1997; Joerges, Ghaleigh, 1003) ha lasciato dei segni nella costruzione legale e politica dell’attuale idea di Europa, origina dalla tensione tra l’anelato ritorno a un ordine europeo, che avrebbe po­ tuto essere realizzato nel nazionalsocialismo, e la critica, acuta e pene­ trante, dell’attuale egemonia del mercato, protetta dalla

spazio in sé»

pax americana.

5.1 L ’idealismo geopolitico di Halford Mackinder e Isaiah Bowman: democrazia ed economia nella geopolitica americana D opo la Seconda guerra mondiale gli studi geopolitici vivono una lun­ ga fase di clandestinità. Da allora la geopolitica viene percepita negli altri ambiti disciplinari e nella discussione politica e politologica in modo schizofrenico. La negazione di ogni riferimento ad Haushofer e il rifiuto della tedesca vengono proclamate a gran voce in ogni opera geografica e politologica del dopoguerra. I modelli geopolitici elaborati dai tedeschi c il loro lessico vengono pubblicamente accusati di aver contribuito ad una della più grandi catastrofi politiche e umane. Tuttavia la cesura è più apparente che reale: la geopolitica innerva gli studi strategici e politici americani. È evidente, pertanto, come l’opportunità di una pubblica abiura della sia, nel secondo dopoguerra, un problema politico non trascurabile per i padri della geografia anglosassone. Bowman e Mackin­ der riescono a liberarsi dal "peso ideologico” della loro formazione ge­ opolitica a fatica e grazie a un’accurata operazione politico-ideologica.

Geopolitik

Geopolitik

*. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA

I due autori, fortemente influenzati dal paradigma geopolitico tedesco, trasformano con grande abilità il loro approccio di partenza, connotato da un certo determinismo geografico, in un modello teorico che legitti­ ma l’idealismo wilsoniano e, insieme, l’ideale della "politica della porta aperta"', riversando sulla Geopolitik non solo l’accusa polìtica di impe­ rialismo e razzismo, ma anche il biasimo scientifico per aver diffuso il determinismo ideologico. Come si vedrà, il determinismo usato dalla geopolitica classica, e cioè la dipendenza dell’evoluzione politica dai fittoti geografici, viene non solo privato di qualsiasi valore epistemolo­ gico; ad esso viene anche attribuito un ruolo storico e politico negativo. Fin dalle opere di Bowman e Mackindcr successive alla Prima guer­ ra mondiale, il "determinismo" viene, così, interpretato per indicare il “modo tedesco" ed errato di illustrare scientificamente, da parte dei Gcopolitiker, e di gestire politicamente le relazioni di politica intema­ zionale nella Germania nazista. In tal modo, alla "mentalità tedesca* e alla scienza geopolitica tedesca viene attribuito il difetto di aver co­ struito un paradigma determinista, e cioè una concezione falsa scien­ tificamente e politicamente fuorviarne della realtà. U problema che era fondamentale in tutta la scienza geografica e geopolitica, e cioè la questione del peso della natura nell’influirc sui fatti culturali, viene ap­ parentemente risolto attraverso l’elaborazione di una mappa mentale, che localizza il "male" della geopolitica in un paese e in un’epoca: la Germania della prima metà del Novecento. Grazie a tale attribuzione e "delimitazione" della colpa - scientifica e politica - ai Geopolitiker, la scienza geopolitica americana è salva. La divisione binaria che decreta la divisione fra una geopolitica "cattiva", a cui corrisponde l’ideologia politica e la mentalità del popolo tedesco, c l’idea americana positiva di politica e geografìa, è l’operazione principale che permette di rifondare la geopolitica su altri prìncipi e paradigmi. La geopolitica di Mackinder e Bowman è “smatcrial¡zzata" o, come affermano Agnew e Corbridge (zoo$, p. 6$) detertitorìal¡zzata: non studia più il peso dei fattori fìsici e geografici nella cultura e nella politica. A fronte di questa deterrìtorializzazione del paradigma geopolitico, avviene un processo contrario nell’ambito di una "nuova scienza” che5 5. Per politica della porta aperta si intende l’affermazione del libero commercio e della disponibilità dei paesi ad aprire le frontiere c a non opporre allo scambio eco­ nomico internazionale delle politiche protezioniste.

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IL PENSIERO GEOPOLITICO avrà la sua consacrazione in America negli anni Cinquanta del Nove* cento con il realismo di Hans J. Morgenthau, e cioè nelle relazioni in* ternazionali. Negli anni Quaranta, quando le relazioni internazionali non sono ancora un ambito disciplinare a sé stante separato dalla so* etologia e dal diritto (Guilhoc, 2.011), uno dei primi studiosi di Nicholas Spykman, attribuisce ai fattori geografici e ai modelli geopolitici un ruolo essenziale nella spiegazione scientifica dell'azione della politica. Tra le opere di Spykman e dei geopolitici te* deschi e americani esistono rimandi cosi consistenti da permettere di avanzare l'ipotesi che la disciplina delle relazioni internazionali e degli studi militari abbia raccolto parte dell’eredità del lavoro dei geopolitici (cfr. Ashworth, Z013). A d una lettura superficiale della letteratura successiva alla Seconda guerra mondiale sembra, però, che la maggior parte dell’opinione pub* blicac della critica accademica attacchi radicalmente la “pseudo-scienza" geopolitica. Giornalisti come Robert Strausz*Hupè (1941), accademici come Hans Wcigcrt (1941), emigrato dalla Germania, c Dcrwent W ittlesey (1941) attaccano pubblicamente la geopolitica. Tra questi emerge la posizione di Isaiah Bowman, il quale durante tutta la guerra era sta* to reticente a esprimere qualsiasi giudizio riguardo ai geografi nazisti (Smith, 2.003, PP-183 ss.). Il geografo americano, probabilmente diviso fra la sua adesione alla democrazia wilsoniana e la sua grande ammira­ zione scientifica verso la scuola geografica tedesca, viene coinvolto nella discussione accademica e giornalistica da un'accusa di George Renner, che, nel pubblicare le mappe geopolitiche elaborate dai geografi tede­ schi, definisce Isaiah Bowman il decano dei gcopolitici americani (Ren* ner, 1942). In (1942^) Bowman risponde estesamente all’articolo di Renner, difèndendo la scientificità del suo approccio e, insieme, tentando una demarcazione fra la geopolitica e la geografìa. Il valore scientifico di quest'ultima viene dimostrato dalla sua capacità di fornire dati oggettivi a governi responsabili e democra­ tici - di cui è esempio più evidente l'amministrazione statunitense. Al contrario la «geopolitica presenta una visione distorta delle relazioni storiche, politiche e geografiche nel mondo e tra le sue parti (...]. Le sue argomentazioni sviluppate in Germania sono costruite solo al fine dell’aggressione tedesca» (ivi, p. 646). Tuttavia, per Bowman e per i crìtici americani della geopolitica tedesca la geopolitica non è in sé una pseudo-scienza da dimenticare, ma piuttosto da implementare; infatti, dagli anni Quaranta l’America

nationai affairsy

Geography versus Geopolitics

inter-

$. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA attraversa una fase di isteria geopolitica. Una specie di ansia da com­ petizione pervade la letteratura pubblicistica e geografica americana ( O ’Tuarhail, 1996, pp. 111 ss.). Weigert, che analizza la spietatezza del generale Haushofer e la sua responsabilità nella politica del nazismo, esagerando il suo ruolo, testimonia in modo esemplare tale fenomeno; entusiasmo che Haushofer suscitò nel campo della geopo­ scrive che litica ha avuto grandi risultati nel campo dell’educazione [...]. Non sarà mai sopravvalutata 1 ampiezza del successo educativo di quest’uomo in un periodo in cui qualsiasi giovane deluso rivolgeva la sua attenzione a slogan politici» (Weigert, 1941, p. 15). Per tale ragione l’autore si ram­ marica della mancanza di un’educazione geopolitica americana, che possa fornire una base culturale e scientifica alla politica delle democra­ zie contro H idcr (ivi, p. z6). La scienza geografica americana e la politica sono strette, nel dopo­ guerra, nella morsa tra il rifiuto della geopolitica nazista e imperialista e la pulsione a superare i tedeschi, padroneggiando i loro metodi e utiliz­ zandoli per la "causa democratica”. La questione di una geopolitica an­ glosassone distinta da quella tedesca era già stata però affrontata nell’o ­ pera dei maggiori geopoiitici anglosassoni fin dal primo dopoguerra. Gli esperti più celebri della geopolitica angloamericana, Mackinder e Bowman, avevano iniziato già dalla fine della Grande Guerra a pro­ porre una nuova geopolitica che superasse alcuni limiti dell’approccio tradizionale attraverso una »fondazione dei suoi metodi c scopi che avrebbero dovuto fondarsi sulla difesa dell’ ideale politico democrati­ co. Così essi avevano anticipato i tempi, riformulando la questione del rapporto fra l'analisi scientifica delle costanti geografiche c la politica internazionale degli Stati. Il loro nuovo paradigma geopolitico mirava a sganciare la geopolitica dal suo più evidente difetto genetico - il deter­ minismo geografico - c ad ancorarla al progetto democratico wilsoniano di coopcrazione delle nazioni per conservare l’equilibrio europeo. Per comprendere il progetto scientifico dei geopolitici del dopoguerra ¿ utile considerare le due maggiori opere di Mackinder e di Bowman: Democratic Ideali and Reality scritto dal primo nel 1919 e The New Word pubblicato dal secondo nel 1911. Mackinder può essere considerato un autore chiave nella transizio­ ne al nuovo paradigma geopolitico. Appartiene alla prima generazio­ ne geopolitica, il cui pensiero è connotato apparentemente da un più smaccato determinismo ambientale, e cioè dalla spiegazione delle di­ namiche politiche in base a fattori ambientali - come dimostra la sua

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IL PENSIERO GEOPOUTICO opera del 1904 II perno geografico della storia. A llo scesso tempo, egli è anche protagonista nel cambiamento metodologico che caratterizza la letteratura sulle relazioni internazionali c sulla geopolitica nel primo dopoguerra. C o n Democratic Ideáis and Reality egli abbandona la sua concezione geograficamente determinista a favore di un'idea possibi­ lista del rapporto fra l’ambiente geografico ed economico c la realtà politica, radicando la sua interpretazione sul conflitto fra idealisti e or­ ganizzatori. I fattori geografici non costituiscono più la filigrana dello sviluppo storico delle potenze, ma possono essere trascesi c trasformati nel corso deU’accività politica. Un esempio della deterricorializzazione delle categorìe geografiche nel discorso di Mackinder è dato dall’op­ posizione fra idealisti e organizzatori, che ha un ruolo di snodo nella letteratura geopolitica fra il primo e il secondo dopoguerra. Tale con­ trapposizione, infatti, da un lato è costruita sulla divergenza tra le p o­ tenze di mare e quelle di terra - un tema costante dei testi di politica e geopolitica tedeschi - , dall’altro, coincide con la separazione fra ide­ alisti e realisti, impiegata diffusamente nella letteratura geopolitica e delle relazioni internazionali successive, a partire dai lavori di Bowman c di Spykman. La dicotomia fra gli idealisti e gli organizzatori ’‘idealizza* c trasfor­ ma in “mentalità” l’originaria differenza fra potenze marittime e poten­ ze terrestri. In The Geographical Pivot o f History del 1904 Mackinder aveva contrapposto, in una lettura che risentiva dell’approccio neolamarckiano delle teorie ratzelianc (non citate) e dell’opera del generale Mahan, le potenze terrestri {landpowers) a quelle marittime {seapowers). La maggiore preoccupazione di Mackinder era, in quell’opera, l’accu­ mulazione di potere delle prime, e cioè della zona al cuore del conti­ nente euroasiatico chiamata Tarea-perno {pivot): se la Russia, un vasto impero di terre impenetrabili dalle navi - e pertanto dai seapowers avesse avuto uno sbocco sul mare, e cioè se si fosse realizzata l’alleanza fra la Germania e la Russia, fra gli slavi e i teutonici, il mondo sarebbe stato in perìcolo. La lotta che contrassegnava lo sviluppo mondiale era quella della civiltà - europea, anglosassone e teutonica - contro la bar­ barie - slava - e cioè contro le orde dei predatori del deserto. Il secolo Novecento rappresentava un alto rìschio per la civiltà e per il mondo libero: la minaccia di un “mondo-impero” dominato dalle potenze ter­ restri diventava più tangibile con lo sviluppo tecnologico, e cioè con le ferrovie che mettevano in comunicazione le zone impervie e isolate delle aree desertiche russe.

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v SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA Lo schema mackinderiano risentiva, come si è detto, dei modelli previsionali e storici elaborati in area anglosassone dal generale Mahan nel suo famosissimo The Injluence ofSea Power ttpon History del 1890, ma ne ribaltava il senso. Se Mahan aveva affermato senza dubbio la su­ premazia delle potenze che controllavano il mare, perche esse domina­ vano la maggior parte della superfìcie del globo, coperta dalle acque, Mackinder considerava che, con lo sviluppo tecnologico, e in partico­ lare con le ferrovie, le potenze terrestri avrebbero recuperato lo scarto che le separava dagli imperi nautici e avrebbero potuto accerchiare i seapowers. N ell’intervento del 1904 il geografo inglese mirava ad avvertire i politici anglosassoni riguardo al pericolo delle potenze terrestri c ad educare i cittadini colti. Dopo la Prima guerra mondiale la concezione geopolitica di Mackinder sembra mutare. La guerra e soprattutto il riassetto territoriale deciso M a tavolino” negli accordi di Parigi, condizionano profondamen­ te le sue concezioni In Demoaratic Ideáis andReality, il geografo inglese si "converte” a una teoria decisionale c volontaristica dei rapporti inter­ statali. Ripudia espressamente il determinismo e il darwinismo, dichia­ rando la sua fede nell’internazionalismo e nella Lega delle Nazioni. Il successo di quest’ultima, che Mackinder caldeggia, dipende non solo dalla conoscenza dei fatti geografici, ma dal loro superamento (Mackin­ der, 1919, p. $). In quest’opera egli non mira a individuare gli scenari geopolitici futuri, come nel 1904, bensì a «coniugare l’idealismo con la realtà» (ivi, p. 6). In altre parole, tenta di leggere i cambiamenti geopoitici avvenuti dopo la Grande Guerra alla luce degli sviluppi politici, e cioè del trionfo delle democrazie sulle dittature. Il geografo inglese confuta il determinismo geopolitico: afferma che se la distribuzione delle risorse, la posizione geografica dei paesi, c cioè i « fatti della geografìa », rimangono uguali, cambia tuttavia la prospettiva geografica e pertanto l’interpretazione di questi «fatti» (ivi, p. 59). L ’uomo è tale - e la politica è tale - perchè trascende le limitazioni na­ turali, forzando una situazione di pace c di equilibrio laddove potrebbe scoppiare la guerra (ivi, p. 5). Per tale ragione Mackinder ripudia anche la concezione precedentemente espressa nel 1904 sulla stretta dipen­ denza della politica dalla posizione geografica di una nazione. I dati ge­ ografici non mutano ma «ogni secolo ha la sua prospettiva geografica» (ivi, p. 39). La politica non è, allora, una strategia da elaborare entro dei limiti stretti dati dalla natura, ma implica la forzatura di questi limiti per affermare degli ideali.

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IL PENSIERO GEOPOLITICO In questo libro Mackinder veste quasi gli abiti di un personaggio faustiano, diviso fra l’ idealismo politico e il realismo geografico: crede negli ideali democratici, ma deve dar conto della realtà geopolitica della Mackinder nel 1919 è competizione fra le nazioni. L'ideale del la Lega delle Nazioni: egli crede nell'internazionalizzazione della poli' tica inglese e mondiale. Nello stesso tempo, però, Mackinder indica chiaramente le difficoltà di garantire, anche per un breve lasso di tempo, la pace fra le nazioni, proprio per quella disparità nella posizione e nelle risorse, e cioè per la differenza della distribuzione dei fattori naturali (ivi, pp. 5 ss.). Non basta, ammette Mackinder, l’esistenza di un'organizzazione internazionale per assicurare la pace, sia per la reale disparità degli Stati, sia per lo stato di anarchia della politica internazionale. Inoltre, la vecchia politica diplomatica c l’ ideale del non possono essere ripudiati in virtù della sola creazione di organismi legislativi intemazionali: «Cosi come fra gli individui si in­ voca il potere dello Stato per preservare la giustizia, allo stesso modo [...] dobbiamo riconoscere un potere, o una sanzione, come dicono i giuristi, per preservare la giustizia fra le nazioni» (ivi, p. 6). L ’ idea del mantenimento del e della giustizia fra le nazioni trova una traduzione politica pratica nella sua idea cartografica della nuova Europa. Questa è caratterizzata dalla coesistenza di piccole e grandi nazioni c dall’intangibilità degli Stati-cuscinetto che garantiscono l’ inaccessibilicà delle grandi potenze terrestri al mare e all’espansione. La Lega delle Nazioni va dunque protetta contro le potenze di terra, e cioè contro le mire espansionistiche della grande potenza asiatica, sede di una rivoluzione «barbara » - e cioè dello Stato bolscevico4. La pluralità dei blocchi mondiali, che garantiranno un certo equilibrio di potenze, sarà conservata grazie all’azione delle potenze marittime, esterne alla lotta continentale e interne alla dinamica della storia civile europea. Le potenze di mare - Inghilterra c America - non mirano a mutare l’equi­ librio mondiale, sia per la loro naturale delimitazione territoriale nel mare, sia perché sono interessate politicamente ed economicamente a preservare una situazione di armonia all’ interno dell’ Europa. Al fine di conservare il europeo, esse si rendono garanti nella6

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6. L’odio di Mackinder verso il bolscevismo e la sua definizione dell’¿lice rivo­ luzionaria russa come un gruppo giudaico di "uomini senza terra* rivela un suo cerco orientamento antisemita.

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v SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA baccaglia contro la tirannia universale: assicurano che la «minaccia alla libertà del m ondo» proveniente «dalla cittadella della world island sia sventata (ivi, p. 140). In questo passaggio Mackindcr sembra sugge­ rire, pur senza apertamente dichiararlo, che esse svolgano una sorta di funzione di assicurazione esterna debordine internazionale.

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Benché promuova l’idea wilsoniana di una più stretta collaborazio­ ne fra il Vecchio e il Nuovo Mondo, il geografo inglese contrappone alla visione internazionalistica del libero commercio globale una concezione più '‘parrocchiale’*della politica e dell’economia nazionale: ogni nazio­ ne deve cercare di rendersi il più possibile autonoma, pur mantenendo i propri confini aperti per il commercio globale. L'equilibrio dei poteri internazionali è cosi radicato nell’equilibrio interno alle nazioni e nella loro autonomia che, pur non avviando programmi autarchici, i governi devono tendere a una relativa indipendenza economica e produttiva. L’interesse del libro di Mackinder, tuttavia, non sta solo nella sua concezione economica tendenzialmente autarchica, ma nella temadzzazionc dell’opposizione politica internazionale tra idealisti c realisti. Attraverso un intelligente slittamento lessicale, il geografo britannico supera il determinismo geografico che trapelava dall’intervento sul pi­ vot. Egli elabora, in altre parole, un’o pposizione squisitamente politica, che sembra solo apparentemente slegata dalla dicotomia metodologica fra determinismo c decisionismo, ma che ne è, invece, la conseguenza. La dicotomia di cui sto parlando è quella fra realismo/mentalità orga­ nizzatrice, da un lato, e idealismo/mentalità democratica dall’altro. La funzione degli Stati marittimi - usa e UK - consiste nel preservare l’e­ quilibrio europeo fin dal 1917 ed è conservativa riguardo alla pluralità delle nazioni e all’equilibrio del potere. Tale è la politica “idealistica”. Dopo l’entrata degli Stati Uniti in guerra e dopo la rivoluzione bol­ scevica lo scontro fra le potenze di mare e quelle di terra acquista, per Mackinder, un significato non solo strategico, ma anche morale: «ab­ biamo lottato - afferma, riprendendo le parole di Wilson - per fare del mondo un posto sicuro per le democrazie» (ivi, p. 78). La lotta fra potenze di mare e di terra riveste un significato morale-civile che aveva già nello scritto sul perno geografico: essa rappresenta il conflitto per la civiltà c per la democrazia. Se nel 1904 tale conflitto, però, era consi­ derato soprattutto nella sua accezione geopolitica e strategica, nel 1919, quando Mackinder favorisce apertamente l’idealismo wilsoniano, esso acquista un valore universale ed etico. Mackinder, inoltre, fa corrispon­ dere gli idealisti e gli organizzatori a delle mentalità o a culture nazio»SS

IL PENSIERO GEOPOL1TICO nali, “collocandoli* in una sua mappa geopolitica mentale. Gli idealisti, che vengono definiti in età moderna come rivoluzionari, immaginativi e orientati a difendere dei principi etici, sono perlopiù democratici: «la democrazia - scrive Mackindcr - rifiuta di pensare in modo strategico fin quando non vi costretta per difendersi (...] il democratico pensa con i principi, sia che siano [...] ideali, o pregiudizi o leggi economiche. L organizzatore, dall’altro lato, pianifica e deve considerare la base delle sue costruzioni c i materiali di cui sono fatte» (ivi, p. 33). Questi, infatti, ¿u n «manager della macchina sociale» (ivi, p. 14). È un realista: piani­ fica, organizza, classifica e pensa strategicamente. La dicotomia fra idealismo e realismo non riguarda solo un com­ portamento politico: essa viene «collocata» geograficamente da Mackinder nelle due nazioni che rappresentano per antonomasia il c il L ’ Inghilterra, promotrice del e campione della democrazia e dell’ idealismo, si contrappone alla Germania, ca­ ratterizzata dalla mentalità organizzativa e strategica, nonché dalla difesa della intesa come insieme di valori etici territoriali. U comportamento politico viene “naturalizzato* da Mackindcr: le diffe­ renze fra gli idealisti e i realisti diventano un fatto geografico e insieme un carattere geopolitico c storico. Anche se, alla fine del libro, Mackin­ dcr difende l ’ideale di un completamento dei due modelli, idealista e organizzatore, la contrapposizione fra i sistemi politici, le mentalità e le politiche economiche viene esattamente delineata e la politica viene così “naturalizzata”. Il determinismo geografico viene sostituito da un determinismo etnico che definisce e colloca storicamente non solo due modi di fare politica ma, con essi, due modi di pensare ai rapporti fra l ’agire politico c la natura. Il determinismo e il darwinismo vengono attribuiti ai realisti, a coloro che pensano strategicamente e agiscono come organizzatori: ai tedeschi I popoli anglosassoni e cioè coloro che hanno lottato «per rendere il mondo un posto sicuro per le democra­ zie» (ivi, p. 78), sono gli idealisti, sono coloro che spezzano le catene che legano l ’uomo alla natura - alla lotta darwinista per la sopravvi­ venza - c pensano in termini di ideali politici. Il cammino della civiltà va verso l'idealismo: da Oriente a Occidente, dall’ Europa continenta­ le all’America - nella visione che Mackindcr riprende dall’hegeliano tema della filosofìa della storia.

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Un simile approccio alla storia politica recente è presente nel libro del 192.1 The New World del geografo americano Isaiah Bowman. Que­ sti condivide con Mackindcr sia il radicamento della sua formazione

y SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA

accademica nella geografìa tedesca e nella geografìa politica di Ratzel, sia l’impegno durante la Prima guerra mondiale contro le potenze mitteleuropee e la promozione dell’idealismo wilsoniano. Nella sua analisi del nuovo assetto mondiale e della guerra, Bowman affronta i temi maggiori trattati da Democratic Ideali, sottolineando, però, aspetti diversi nella considerazione delle cause della guerra. Esse sono indivi­ duate nei confini non esattamente delimitati {grey zones), nei metodi di lavoro non trasparenti della diplomazia europea e nei fattori geografici ed economici che rendono le nazioni diseguali nella competizione e in­ fine nella disparità delle risorse. L’oggetto della contesa fra le nazioni si sposta dalla loro posizione geografica alle risorse economiche: questo slittamento permette di slegare la competizione economica - e politica - dal territorio. Com e abbiamo visto, la deterritorializzazione della competizione per la ricchezza e per il potere è la conseguenza del processo storico di globalizzazione: l’egemonia sul mondo - o, in termini wilsoniani, la garanzia di pace - non è veicolata dalla politica territoriale, ma dall’e­ spansione economica, e pertanto dall’ impulso del controllo sulle ri­ sorse. Bowman esemplifica, attraverso il mutamento del suo approccio geopolitico il passaggio da un determinismo ambientalista di matrice ratzeliana all’ idealismo liberale wilsoniano. Bowman «andò a Parigi in cerca dell’ordine mondiale [...] e tornò con una visione del mondo» (Smith, zoo3, p. 163).

Come Mackinder, Bowman ripudia scientificamente il determi­ nismo ambientale e, con esso, l’idea di una politica di potenza che si esplichi nella conquista territoriale. Il sapere geografico si realizza nello studio delle relazioni intemazionali, che mira a individuare non solo i condizionamenti geografici, ma anche c soprattutto i flussi economi­ ci e demografici c le decisioni economiche e politiche'. Studia, cioè, il moderno capitalismo al di fuori dei confini territoriali e degli ambiti di sovranità nazionale. La geopolitica diventa così una scienza utile e integrata nell’ammini­ strazione dello Stato e nella nuova diplomazia (netv diplomacy)>che, al contrario della tradizionale diplomazia europea, si fonda su tali accordi internazionali e sull’influenza economica. La geografica cambia con la7 7. In pane Bowman, secondo Smith (100 j), anticipa l’approccio della geoeco­ nomia di Edward Luttwak (1999).

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IL PENSIERO GEOPOLITICO politica e la diplomazia: gli Stari non mirano più all'espansione territo­ riale, bensì alla creazione di rapporti commerciali ed economici capil­ lari, che necessitano del mantenimento di uno spazio economicamente aperto e disponibile (cfr. Wallerstein, 1010). L'affermazione di Wilson, secondo cui il fine della lotta delle potenze americana e britannica nella Prima guerra mondiale stato di « rendere il mondo un posto sicuro per le democrazie» mostra in controluce, nell’opera di Bowman, il suo risvolto egemonico: laddove non vi è più possibilità di espansionismo territoriale, è possibile - e auspicabile - , da parte delle potenze egemo­ ni, l’espansione mondiale del Il geografo americano insiste, infatti, sulla divergenza tra l’ imperialismo violento e aggressivo euro­ peo e continentale c l’espansionismo economico positivo e produttivo americano (ivi, pp. z i ss.) e, infine, sulla funzione di garanzia dei poteri liberali marittimi, Gran Bretagna e USA. « È probabile - scrive - che i della corridoi marittimi e i punti strategici distanti sul margine civilizzazione possano essere mantenuti solo se vi è una flotta potente e mobile» (ivi, p. 11). Tale flotta quella delle potenze marittime della Prima guerra mondiale. Se in Mackindcr la bilancia non ancora del tutto spostata verso gli imperi di mare c verso l’idealismo, in Bowman e Spykman la decisio­ ne per uno dei due corni dell’alternativa c più netta. Bowman difen­ de l’ idealismo e Spykman sostiene il realismo. Per Bowman, la Grande Guerra rappresenta il momento in cui è possibile ridisegnare il "nuo­ vo mondo”, ma, per farlo, occorre l’idealismo. Lo studioso americano accentua ancora più di Mackindcr il potere demiurgico delle idee: «il mondo diventa nuovo nel momento in cui un’ idea è applicata ad esso e alle sue opere» (Bowman, 1917, p. 65). La prassi dell’ idealismo wilsoniano (Smith, 1003, p. 169) penetra profondamente nella visione politica di Bowman e, al contempo, nel nuovo paradigma geopolitico, che promuove l’ internazionalismo e, con esso, l’espansione dell’ ideale del libero commercio. Tuttavia l’internazionalismo e l ’idealismo non costituiscono l'unica assicurazione della pace mondiale: il ruolo delle potenze marittime, in particolare degli Stati Uniti, è quello di garanti­ e cioè il re l’equilibrio asiatico ed europeo. L ’idea del radicamento dell’ idealismo a una realtà di equilibrio di potenze pa­ rimenti affermata: «Giacche il mondo abitato da esseri umani im­ perfetti, esso avrà sempre motivi per il conflitto [...]. I saggi si devono adattare a questo stato di cose [...]. Questo è un mondo competitivo e ai costi della competizione ordinaria bisogna aggiungere quelli della

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$. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA competizione suprema della guerra» (Bowman, 1911» p. 11). La guerra e la politica di potenza sono realtà dovute alla differenza delle risorse e della posizione geografica dei vari paesi. Il nazionalismo c la disuguaglianza delle risorse sono i fattori invariabili che conducono alle guerre e pertanto sono elementi da considerare persino nella politica idealista poiché sono i limiti che essa deve trascendere. Bowman, ancor più che Mackinder, partecipa con slancio all’univer­ salismo wilsoniano, che contrasta la sua coscienza scientifica di geografo e di osservatore strategica Egli è diviso fra l'eredità geopolitica classica - che si traduce nel realismo - e il credo internazionalista wilsoniano. Decide, alla fine, di scommettere sull'idealismo: «Se è importante af­ frontare questi latti [la competizione fra Stati e la guerra], è ancora più importante che gli spiriti umani debbano rivolgersi alla sperimcntazione riguardo ai piani di coopcrazione» La sua risposta alla realtà politica della guerra consiste nella proclamazione della fede nella «nuo­ va diplomazia», e cioè nella promozione della coopcrazione intema­ zionale che inneschi un processo storico di rinnovamento della politica. L'America, insieme alla Gran Bretagna, ha una responsabilità politica centrale per l ’equilibrio europeo, e un forte interesse economico alla stabilità europea ed asiatica (ivi, p. iz). Il modello politico-economico wilsoniano, e cioè il , diventa così un progetto globale e ideale (ivi, p. zi): il progetto che deve ispirare c orientare la concezione della politica intemazionale nell’età del capitalismo globale.

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La geopolitica nelle relazioni internazionali: Nicholas J. Spykman e l’accerchiamento del Nuovo Mondo

La promozione del ruolo internazionale dell’America e l’opposizione ad un’interpretazione isolazionista della dottrina Monroc caratterizza la concezione di un autore che, benché non sia classificabile come geo­ grafo, fa rivivere nelle sue opere molti modelli e argomentazioni propri della geopolitica: Nicholas J. Spykman (1893-1943). È necessario pre­ mettere all’analisi di tale autore che gli studi geopolitici costituisco­ no un filone stranamente dimenticato alla base della disciplina delle relazioni internazionali (Ashworth, Z013). Infatti, gli studi geopolitici e geostrategici, sviluppati presso lo Yale Institute for International

IL PENSIERO GEOPOLITICO Studies sotto la direzione di Nicholas Spykman, che nc è direttore dal 1955 al 1940’ , costituiscono, insieme con le ricerche sociologiche e gli scudi di diritto internazionale, le fonti da cui trae orìgine il progetto di Hans J. Morgenthau di fondare una nuova disciplina per le relazioni internazionali (Guilhoc, 1011). In questa chiave, gli studi geopolitici di Spykman, ma anche quelli di Isaiah Bowman e di Halford Mackindcr, sono fonti indispensabili della disciplina delle relazioni internazionali in gran parte della letteratura contemporanea - esempi ne sono le opere di Arnold Wolfers e di William T. R. Fox. Le riflessioni di Spykman reincroducono i motivi principali della geopolitica al cuore della riflessione sulle relazioni internazionali: nel* la sua lettura il comportamento degli Stati è condizionato da fattori geografici e dalla loro posizione strategica; i modelli di conflitto intentatale (confluìpattems) sono ricorrenti c legati ai tipi di frontiere e al modo di espandersi degli Stati; la strategia militare, che determina come ultima ratio i conflitti interstatali, è determinata dalla geopoli­ tica*. America ’s Strategy in World Politici viene scrìtto nel 1941, e cioè dopo il secondo conflitto mondiale e durante la corsa americana per guadagnare terreno sui geopolitici tedeschi. Nicholas Spykman pro­ muove in esso una politica anti-isolazionista, rifbrmulando le idee di Bowman e di Mackindcr, c insieme, i metodi di Haushofer e della scuo­ la tedesca. La maggiore preoccupazione di Spykman negli anni della guerra è l’ insensibilità del governo americano per l’analisi geopolitica e per la considerazione dei fattori geografici nei rapporti internazionali (Sempa, i o 08). Recuperando il filone della geopolitica, Spykman distingue, in una sua recensione (194z) tre tipi di geopolitica: la geografìa politica in­ tesa come «studio delle relazioni tra i fenomeni geografici e quelli politici»; un tipo di analisi che precede l ’esecuzione di politiche ter­ ritoriali o strategiche e, infine la «filosofia politica» tedesca e cioè una «teoria sulla natura dello Stato e una dottrina sul bisogno c sulla desiderabilità dell’espansione territoriale» (ivi, p. 598). Rifiutando l ’ultima versione, considerata come una Mpscudo-scienza” filosofi-8 9

8. Sull’ importanza deiriscinico di Yale e della Fondazione Rockfeller per lo svi­ luppo degli scudi sulle relazioni intemazionali c di gcopoitica cfr. Parmar (1011). 9. Secondo Furniss (1951) Spykman apre con il suo libro America s Strategy un campo di ricerca inesplorato: quello delle relazioni intemazionali viste alla luce dei metodi c modelli geopolitici

$. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA ca, Spykman si propone nella sua attività accademica di perseguire gli insegnamenti e i modelli delle prime due correnti geopolitiche. Metodologicamente precisa che la sua concezione si pone tra quella ratzcliana e quella della scuola francese: mentre la prima è chiaramen­ te determinista, la seconda, rappresentata da Paul Vidal de la Blache e successivamente da Henri Lcfèbvrc, considera i fattori geografici come mere possibilità offerte dalla natura, suscettibili di essere im­ plementate in base alla decisione degli attori storici. Nel suo lavoro di osservazione dei rapporti internazionali, Spykman cerca una terza via fra il determinismo e il possibilismo affermando che «lageografìa non determina, ma condiziona; non solo offre possibilità da usare, ma richiede che siano usate. L ’unica libertà umana sta nella capacità di usare queste possibilità bene o male o di modificarle per il meglio o per il peggio» (Spykman, 1938, p. 30). Dalla sua interpretazione sulle origini della politica trapela la soli­ da conoscenza della letteratura storicistica tedesca e degli scrìtti sulla ragion di Stato, che riconducono la dinamica dei rapporti fra gli Stati alla lotta di potere c della politica di potenza. Per Spykman « G li Stati esistono (...) nei termini della loro forza o della forza di chi li protegge; se vogliono mantenere la loro indipendenza, devono fare della con­ servazione o dell’aumento della loro posizione di potere il loro scopo primario nella politica estera» (Spykman, zoo8, p. 4 Questa real­ tà, e cioè la competizione per il potere, non cambierà mai: essa defini­ sce i caratteri delle relazioni internazionali fra Stati, che si misurano, in un ambiente anarchico, direttamente sulla forza. Il nuovo ordine futuro del secondo dopoguerra - che Spykman non vedrà a causa del­ la morte prematura - non differirà da quello precedente, perchè gli Stati perseguono sempre una politica estera che massimizza il loro p o ­ tere. E questa la realtà da cui deve partire non solo una buona ricerca scientifica, ma anche una politica estera sensata quest’ultima dev’essere basata sull’osservazione degli clementi strategici e geografici di uno Stato. Essa «non solo deve ingranarsi nella realtà della politica di potenza, ma deve adeguarsi alla posizione specifica che uno Stato occupa nel mondo. Sono la posizione geografica di una nazione e la sua relazione con i centri del potere militare a definire il problema della sicurezza» (ivi, p. 447). U potere di uno Stato è, insomma, fortemente condizionato dalla sua posizione geografica:

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IL PENSIERO GEOPOLITICO



L'area geografica dello Stato - scrive Spykman la base territoriale da cui esso opera nel tempo di guerra e la posizione strategica che occupa durante quell’armistizio temporaneo chiamato pace. È il fattore che più condizionance della formulazione della politica nazionale» poiché quello più per­ manente. Poiché le caratteristiche geografiche degli Stati sono relativamente stabili c immutabili, le pretese geografiche degli Suri rimarranno le stesse per secoli, e poiché il mondo non ha ancora raggiunto quello stato felice in cui i desideri di qualcuno non contrastino con quelli degli altri, quelle pretese causeranno conflitti (Spykman, 19)8, p. 19).

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1 fattori geopolitici che condizionano - ma non determinano stret­ tamente - la politica di uno Stato sono le dimensioni, la posizione e le risorse. La grande dimensione è una qualità decisiva che si dimo­ stra utile soprattutto nella guerra; tuttavia essa è influente solo se lo Stato è sottoposto a un controllo centralizzato e capillare e se le forze centripete del regionalismo e del separatismo sono inesistenti o deboli. Ancora più determinante per la potenza di uno Stato è la sua posizione rispetto sia al globo, sia all’ambito regionale: tale duplice collocazione determinerà il clima, la produzione di risorse, il suo ruolo strategico, la possibilità di collegamenti e la capacità di contare sulle difese naturali. Spykman arriva a delineare, attraverso la definizione della posizione, della dimensione e delle risorse, una mappa mondiale, in cui individua un ambito specifico che storicamente è stato favorevole all’espansione c alla conservazione della forma-Stato democratica: l’emisfero nordatlantico, aperto al commercio e ideale per la sua posizione strategica. L’evoluzione storica, secondo Spykman. che ritorna al "consumato1* modello ritteriano e hegeliano, sembra confermare il passaggio del­ la civiltà e del dominio mondiale da Oriente ad Occidente per poi, però, arrivare alla frammentazione dell’equilibrio mondiale fra alcuni blocchi di potere - asiatico, americano ed europeo (ibid.). Saranno le potenze politicamente ed economicamente egemoni - u s a , Europa, Cina, Russia e India - a controllare il globo. Tuttavia la potenza di uno Stato non dipende solo dalla sua posizio­ ne sulla cartina geografica e dalla sua dimensione e ricchezza naturale. La tecnologia, e cioè lo sviluppo di sistemi di comunicazione e di mo­ derni strumenti bellici - come l’aeronautica - pesano fortemente sugli equilibri internazionali Attraverso, per esempio, un più efficiente collegamento del centro con la periferia, oppure grazie all’uso dei nuovi strumenti bellici, una nazione può migliorare la sua posizione relatiiéz

5- SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA va di potere10. Ricollegandosi a Bowman, Spykman afferma, inoltre, resistenza di una dimensione che oggi chiameremmo “sociale1* della collocazione geopolitica: la diversità temporale dello specifico quadro di ogni Stato che costituisce la sua di riferimento mappa strategica e politica diversa (ivi, p. 43). Da tale circostanza ori­ gina la divergenza tra gli interessi dei paesi e la difficoltà a cooperare nel campo internazionale. Cosi, sebbene i “fatti” geografici riguardanti la posizione geografica non cambino, cambia, tuttavia, il loro signi­ ficato, che viene ogni volta riformulato in base alla storia del paese e alle concezioni di politica estera ( .). L ’insieme di questi fattori ge­ ografici oggettivi e soggettivi permette allo scienziato delle relazioni internazionali di scoprire dei « modelli di comportamento degli Stati sottoposti a stimoli diversi e in ambienti interna­ zionali differenti » (ivi, p. 18). Le relazioni reciproche degli Stati sono rapporti di forza e di potere e a livello internazionale vige uno stato anarchico: questo stato di fat­ to suggerisce al geografo Spykman, che allinea la sua interpretazione a quella precedente di Mackinder, una certa cautela nel giudizio riguar­ do all’ istituzione di società intemazionali. L ’esperienza della Seconda guerra mondiale rafforza questo scetticismo. La guerra, e non la pace, è la condizione naturale delle relazioni interstatali: «La comunità inter­ nazionale è un mondo in cui la guerra uno strumento di politica na­ zionale e il campo nazionale la base militare da cui lo Stato combatte e si prepara per la guerra durante l’armistizio temporaneo chiamato rischio della guerra è costante sia pace» (Spykman, zoo8, p. 447). per la diseguaglianza delle risorse, sia per l ’anarchia internazionale, sia per la percezione soggettiva che ogni Stato ha del proprio interesse, sia, infine, per la natura stessa dei confini. Questi vengono descritti da Spykman come delle linee stabilite dalla politica e non dalla natura: le frontiere trattengono la pressione interna - politica e demografica. Usando una metafora che a partire da Ratzel era stata impiegata in tutta la letteratura geopolitica tedesca, Spykman definisce la pressio­ ne sulle frontiere come «una forza dinamica di ogni entità organica» (Spykman, Rollins, 1939, p. 391), che conduce ogni Stato a espandersi.

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io. Tuttavia, come mostra bene Corrado Sccfanachi (1013), lo sviluppo tecnol°g ico dell’aeronautica non modifica fondamentalmente la dinamica della guerra in Spykman, che riconduce la potenza militare alla logistica e al buon funzionamento della marina.

IL PENSIERO CEOPOLITICO In questa prospettiva, il «problema della sicurezza collettiva è il problcmadi eguagliare queste pressioni» (ivi, pp. 594'$) creando un equi* librio di poteri che, tuttavia, risulta sempre instabile. «Il regno della politica intemazionale - aggiunge - è come il regno di forze compara­ bile a un campo magnetico. A un certo momento ci sono alcuni gran­ di poteri che operano come poli» (ivi, p. 395). L ’equilibrio è allora precario e suscettibile di modifiche: esso è dinamico perché dipende sia dalle relazioni contingenti internazionali, sia dal rapporto fra la p o­ litica interna, l’economia, la rappresentazione spaziale soggettiva e la posizione geopolitica di ogni Stato. In un’opera ampiamente diffusa pres­ so il pubblico e apprezzata da Bowman (i94zb), Spykman difende il vecchio modello del e, sulla base di un rafforzamento del sistema di equilibrio, si dichiara favorevole all’ istituzione di una società internazionale che possa stabilizzare l'equilibrio dei poteri. L ’ internazionalismo giuridico e la stipulazione di accordi per la pace non garantiscono la pace; anzi, il carattere universalista della Lega delle Nazioni è causa della sua mancanza di efficacia e del suo falli­ mento (Spykman, 1008, p. 471). Al contrario, un modello regionale di accordi che profili un equilibrio mondiale fra i blocchi di potere sembra la via più solida per limitare la guerra. Secondo la prospettiva realistica di Spykman, il relativo successo dell’intervento delle potenze angloamericane non è dovuto all’ internazionalismo, ma all’esistenza di un sistema europeo di piccoli e medi Stati in equilibrio fra loro e alla loro sostanziale debolezza rispetto alle potenze marittime, omogenee e unite territorialmente. Pertanto né l’internazionalismo e nemmeno un’alleanza tra gli inglesi e gli americani possono garantire la stabilità globale: il primo perché funziona solo se gli Stati sono già in una con­ dizione di equilibrio, la seconda poiché condurrebbe inevitabilmente alla creazione di un fronte di potenze terrestri contrapposte ad essa e, successivamente, al conflitto mondiale. La soluzione alla questione della limitazione della guerra sta allo­ ra nella "vecchia” formula dell’equilibrio di poteri e nella tradizionale deve stare a fondamento di qualsiasi diplomazia. Il organismo di garanzia c di qualsiasi legislazione internazionale: esso è la condizione per la sicurezza collettiva.

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Un equilibrio di forze intrinsecamente instabile - scrive in - sempre mutevole e variabile non é un modello ideale di potere per una socie­

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v SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA tà intem azionale. M a, se possiam o deplorare i suoi lim iri, dovrem m o far bene a ricordare che esso e un elem ento indispensabile per un ordine internazionale basato su Stati indipendenti. Incoraggia la coop erazion c, la con ciliazion e, e Tim plem entazione della legge ed e p robabilm ente un p rom otore di pace e di giustizia, più di qualsiasi altro tipo di distribuzione [di p o tere](ib id ).

L ’America non può evitare di riconoscere come determinante il suo ruolo in un sistema globalizzato, in cui il crollo del sistema europeo causa scompensi a livello globale: il suo interesse è, allora, preservare la pace, per evitare effetti domino pericolosi. Essa salvaguarda cosi un interesse squisitamente politico e non solo economico, nell’interpreta­ zione di Spykman, che diverge da quella dei due geopolitici anglosasso­ ni M ackindcrc Bowman. L ’unico fondamento di una politica sensata è il realismo: l’egemonia economica angloamericana e l’ internazionalismo non servono da soli. La realtà dei rapporti fra gli Stati e dell’equilibrio mondiale, che si sostiene sulla base di accordi regionali e di formazione di blocchi di potenze, sta nella politica di potenza. I conflitti si sviluppano a livello globale, con Tutilizzo dello spazio aereo e marittimo: una politica sensata da parte degli Stati Uniti deve accettare la realtà della società internazionale c cioè l ’esistenza di blocchi di potenze e della globalizzazione politica. La politica si svol­ ge nella realtà della competizione tra le potenze (Spykman, 1008, p. 446)". Il rifiuto dell’idealismo non significa, in sede squisitamente po­ litica, che Spykman rigetti i tentativi di collaborazione fra le nazioni. Egli piuttosto mette in guardia contro la semplicità di questa soluzio­ ne: qualsiasi società internazionale deve fondarsi sul che, a sua volta, è temporaneamente mantenuto grazie non solo alla diplomazia, ma anche alla garanzia dell’esistenza di equilibri geografici e geopolitici'1. Non è un caso, allora, che l’autore faccia riferimento non solo ai modelli di comportamento degli Stati, ma anche agli sche­ mi geopolitici, e in particolare al modello del “perno della storia” di1

(soundpolicy)

balance ofpower*

11. Spykman riprende nei suoi scrìtti le riflessioni machiavelliane sull’uso del­ la "moralità* nella politica per conservare il potere o per conquistarlo. Insomma, la moralità non ha spazio per il "realista" Spykman, al di fuori dell’uso finalizzato alla ragion di Stato (Scmpa, 1007. pp. x v m ss.) ix. Tuttavia Spykman non accetta incondizionatamente l ’ idea di baiarne ofpo­ wer. per lui non esiste un'equazione del baiarne ofpower, ma una percezione sogget­ tiva, che deve essere per ogni Stato tale da fargli pensare di essere in una posizione di vantaggio (generati margtti). Sul tema cfr. Rogowski (1968).

IL PENSIERO GEOPOLITICO FIGURA $ Le rim eUnds secondo Spykman

fèmtr. Cftpntfity t f Ptmcr. 1944.

Mackinder del 1904. Su di esso, c cioè su un’interpretazione geopoli­ tica della storia e della politica, viene costruita la sua “cartina" dell’e­ quilibrio europeo, individuando nelle zone costiere euroasiatiche il pericolo mondiale (Spykman, 1944). V heartland di Mackinder, e cioè la zona siberiana impenetrabile alle navi, non costituisce una fonte di preoccupazione nella previsione politica di Spykman: la sua posizio­ ne climatica e la sua improduttività economica la rendono inoffensi­ va. Invece, gli "orli” del continente curoasiativo (rimeUnds), e cioè gli Suri costieri europei c asiatici affacciati sull’oceano, possono cambia­ re l’equilibrio globale se si coalizzano o invadono le grandi superaci interne al continente. Solo una grande coalizione di Stati euroasiatici che parte dai rimelands può “accerchiare" gli Stati Uniti, rovesciando l’equilibrio mondiale, sfidando il suo potere sui mari c boicottando la sua economia'*. Gli Stati Uniti diventerebbero, allora, deboli, benché possano attingere alle riserve dell’America Latina. Essi, infatti, sono economicamente dipendenti a livello globale c l’emisfero occidentale è politicamente insubile nei settori dell’America meridionale, insoffe­ renti all’egemonia nordamericana. i). « C h i controlla il rònlennddomina I'Eurasia; chi domina 1*Eurasia controlla i destini del m ondo» (Spykman, 1944, p. 41).

166

*. SPAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA FIGURA 6

Accerchiamento del nuovo continente

fontr. Gtogmfhy t f / W , 1944.

La geopolitica di Spykman è dettata dalla paura dcU'accerchiamento, come quella di Mackindcr. La forza degli USA non deriva dalla sua incontrastata e incostrastabilc supremazia sui mari, ma dalla mancan­ za di unità politico-militare fra l'Europa e l'Asia. L'isolamento marit­ timo americano è un'esile barriera rispetto alla grande isola mondiale (world isLtnd) eurasiatica: le distanze marittime fra i due continenti americano ed euroasiatico vengono sempre più ridotte dalla moderna tecnologia militare e dai mezzi di comunicazione. Spykman, temen­ do l'accerchiamento del Vecchio Mondo da parte del Nuovo Mondo, scrìve: noi [americani] abbiamo completato un altro ciclo nella versione anglosassone del gioco della politica di potenza: guerra, isolamento, alleanza c guerra. Come i britannici, sogniamo l'isolamento pacifico per la poca acqua che ci divide dai nostri vicini. Ma ancora una volta il potere economico, la potenza umana e la ricchezza industriale degli Stati Uniti dipendono dalla misura delle guerre di potere europee. Ancora una volta la politica [america­ na] è mirata alla conservazione del l'equilibrio di potere europeo (Spykman, 1008, p. iz8).

L’interpretazione che Spykman dà al perìcolo dell'accerchiamento contro gli u s a , e cioè dell’unione degli Stati euroasiatici, sotto l’egida

IL PENSIERO GEOPOLITICA FIGURA 7 11 dilemma della politica mondiale: il duplice accerchiamento del vecchio conti­ nente nei confronti del nuovo continente e viceversa

F**tr. Gtogrxfhy tfPntfc, 1944.

rimclands,

containment

dei ispirerà in parte la politica del , enunciata nel 1946 dallcspcrto americano George Kcnnan e sviluppata nella ge­ opolitica di Kissingcr (efir. Kaplan, 1011, pp. 97 ss.). Tale linea mira a difendere l’ Europa occidentale. Israele, gli Stati moderati arabi, l’ Iran e parti dell’Asia (Afghanistan e Vietnam) contro l’espansione russa. Per questa ragione Spykman sostiene una politica americana postbel­ lica che assicuri la ricostruzione dello Stato tedesco e l ’alleanza con il Giappone: questi due Stati sono indispensabili garanti dell’equilibrio mondiale e della difesa contro le potenze sovietica c cinese.

168

v STAZI GLOBALI: LA GEOPOLITICA AMERICANA

Pur non rifiutando il progetto degli “idealisti** promotori della collaborazione internazionale, Spykman lo radica fortemente in una concezione politica e geopolitica del baiarne o f power c fonda l’agire politico sulla concezione realistica dei rapporti di potenza fra Stati. Alle accuse di cinismo rivolte contro la sua teoria, Spykman risponde: Il m io interesse p er l ’e qu ilib rio dei poteri non è solo ispirato dalla p reo ccu ­ p azione per la nostra posizione di potere, ma anche dalla co n vin zio n e che la sicurezza co llettiva c fu n zio n an te solo in un sistema di p otere abbastanza bi­ lanciato. So lo a questa co n d izio n e l'a zio n e com un e p uò co n ferire alla co m u ­ n ità internazionale un p otere irresistibile. (...]. S o n o favorevole all’equ ilib rio dei p oteri in Europa c in A sia perché solo a questa co n d izio n e gli Stati U n i­ ti, che so n o lontani, possono partecipare efficacem en te alla con servazione d e ll’o rd in e internazionale c accollarsi degli im pegni positivi per preservare 1 ’ in tcgrità

di p icco li Stati territoriali oltre l ’o ceano. La giustizia prevarrà co n

p iù p rob ab ilità tra gli Stati che h an n o una forza approssim ativam ente eguale, c la dem ocrazia p u ò essere al sicuro solo in un m o n d o in cui l’accrescim ento sbilanciato del p otere p u ò essere evitato (Spykm an, 1943, p. z).

6

La geopolitica e la storia globale dello spazio nell’età virtuale Viviam o in un ’epoca in cui Io spazio ci si offre sotto forma di relazioni di dislocazione Foucault (to o l)

6.1 Forme e questioni della geopolitica contemporanea

thìnk tanks

A partire dal 1945 la geopolitica viene studiata nei ameri­ cani e in ambito militare. Pur non potendo trovare una diretta pro­ secuzione nelle opere di geografìa politica del secondo dopoguerra, i modelli e gli schemi dei gcopolitici tedeschi continuano a dominare gli studi strategici, penetrando nelle scienze accademiche, c cioè negli studi di relazioni internazionali, in quelli storici e sociologici, e ancora di più nella cultura popolare. Si potrebbe dire che essa si ramifica, pe­ netrando in varie discipline accademiche, ispirando la geoeconomia, fondando la base degli studi strategici, ma anche della sociologia cul­ turale: un caso esemplare è quello di Samuel P. Huntington. Insomma, la geopolitica non rappresenta più un ambito di ricerca accademica e neanche un’ ideologia politica ‘'pericolosa”, ma entra nella cultura p o­ polare e in quella specialistica, permeando con le cartine, gli schemi e le rappresentazioni spaziali l’ intera produzione culturale.

Tre sviluppi mostrano la rilevanza della geopolitica nei processi cul­ turali contemporanci: la sua maggior presenza nei dibattiti accademici e il suo impiego presso istituzioni governative e militari sia per spie­ gare i processi di integrazione europea sia per individuare le dinami­ che della globalizzazione (Sassen, 1008). Per quanto riguarda l’ambito accademico, il cosiddetto spattai tum (rivoluzione spaziale) indica il ritorno dello spazio e della geopolitica nello studio della storia e delle scienze sociali (Osterhammel, 1998: Schlògel, 1005,1004; BachmannMediclc, 1009): la considerazione dell’immagine dello spazio costitu­ isce il tratto innovativo di un’originale corrente storiografica, gli studi di storia globale, che allarga l’analisi storica agli altri continenti. Sem­ 171

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO pre in ambito accademico, inoltre, la scuola anglosassone geopolitica critica (i svolge una riflessione crìtica sul rapporto tra il potere e il sapere nella geopolitica classica e negli studi culturali. La geopolitica costituisce, infine, una delle radici e dei “motori” del­ la scuola del realismo politico all’ interno della disciplina di relazioni internazionali a partire dagli anni Cinquanta. L ’analisi inaugurata da Spykman, che intreccia i metodi della geopolitica con gli studi di poli­ tica internazionale, è una delle fonti non solo della moderna letteratura sulle relazioni intem azionali, ma anche degli studi strategici c militari (Parmar, io ti; Guilhot, 1011). Un ulteriore ambito in cui le analisi geopolitiche sono applicate da­ gli anni Novanta del Novecento è quello delle ricerche sull’ integrazio­ ne europea, a cui in questa sede si può solo accennare. Nel 1991 Dietz (1999) aveva osservato il ricorso a spiegazioni c paradigmi gcopolitici nell’ambito dello studio sulla costituzione di un’identità europea. C o n ­ cetti e metodi geopolitici sono frequentemente usati per comprendere sia le questioni della politica estera europea, in particolare la sicurez­ za c la difésa, sia per studiare l’ integrazione dei paesi dell’ Est europeo. Alcuni studiosi (Aalto, zooi; Zielonka, zo o 6 considerano cruciali gli strumenti offèrti dalle conoscenze geopolitiche per delincare la fraliti­ ca di sicurezza comune europea e per elaborare un modello di identità europea che superi e integri gli Stati nazionali. Lo spazio politico, in qualche prospettiva, non deve essere visto secondo il modello classico politico, come omogeneo e chiuso in esterno e interno, c cioè nel ter­ ritorio dentro c fuori lo Stato. Lo spazio mondiale è stratificato, è uno spazio di sfere concentriche geopolitiche, che si differenziano in sfere interne, semi-interne, semi-esterne e esterne. Insomma, per quanto ri­ guarda l’ Unione Europea, la divisione netta dei confini che dividono l’ interno dall’esterno non ha più significato: essa si caratterizza per la costruzione di rapporti diversi con i propri Stati membri (sfera interna), con gli aspiranti (semi-interna), con gli esterni all’ ue che intrattengono tuttavia un rapporto privilegiato con essa attraverso accordi e trattati (semi-esterni), e, infine, con gli esterni. Questa costellazione territoriale è dinamica e fluttuante. Inoltre, gli studiosi mettono in evidenza i modi in cui gli studi gèopolitici vengono impiegati nell’ambito del discorso sulla sicurezza europea, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda e dopo I*11 set­ tembre per rinforzare il panico sociale contro il nemico (Scott, zoo$). La geopolitica acquista un ruolo particolarmente significativo non

criticai geopolities)

)

171

6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL'ETÀ VIRTUALE solo nell’ambito degli scudi specialistici e militari, e nemmeno solo delle discipline accademiche, ma anche nella cultura popolare. Una spiegazione psicologica di questo fenomeno è da ritrovare nella ricerca di sicurezza e di radicamento spaziale che viene, in parte, soddisfatta dalla pubblicistica geopolitica che definisce apparentemente un ordine spaziale e territoriale certo c Zichrhofar, 1006). I modelli di sicurezza elaboraci a partire dalla fine della Guerra europei diventano più complessi e più attenti Fredda dai a considerare le variabili emotive e sociali delle collettività (Browning, Joenniemi, 1004; Del Sarto, Schuhmacher, 1005; Dalby, 1990). In re­ lazione alfintcgrazione europea, l’analisi geopolitica viene usata sia nelle analisi delle istituzioni, sia nell’ambito del discorso sull’identità europea. Nel primo caso, essa serve per l ’approccio originale dcll’ uE nel disegnare l’ integrazione degli individui in organismi non statali (cfr. ira gli altri Agncw, ìo o ib ); nel secondo caso, la geopolitica per­ mette di analizzare le rappresentazioni dei cittadini e delle politiche identitarie dei paesi membri dcll’ uE, soprattutto nei processi di in­ tegrazione dei nuovi candidaci est-europei (Kuus, 1007b; Neumann, 1998). In questi ultimi scudi sono stati evidenziati il carattere discrimi­ natorio e l ’accezione fortemente protezionista che contraddistingue­ vano le campagne riguardo all’accesso dcii’ uE in alcuni paesi dell’ Est Europa. In altre parole, l’accesso all’ uE veniva definito nei discorsi p o ­ litici non in funzione dell’integrazione c del l’apertura con altri paesi, ma in relazione a temi di sicurezza e di chiusura del territorio .). II ruolo essenziale dell’ UE nelle relazioni intemazionali e la sua espansione pongono nuove questioni e sfide alla costruzione dell’ iden­ tità geopolitica europea: « u n ’idea e un’ideale dell’ Europa sono inse­ parabili dalla realtà economica e politica del luogo Europa» (Kuus, 1005, p. 567). Una ri formulazione della funzione dell’ uE significa al­ lora una revisione della sua definizione culturale, politica e geografi­ ca. Com e afferma Paasi (ivi, p. 580) «la nostra comprensione attuale dell’ uE è basata su pratiche e discorsi istituzionalizzati [...] che ven­ gono sottoposti a processi di ridetemi inazione spaziale {rc-scaling) ». non significa in questa accezione un processo meramente geografico di risistemazione degli spazi, ma una trasformazione cultu­ rale e politica, che porta a ricondurre l’ordine nella politica e nei rap­ porti interstatali, e a riformulare un progetto di stabilità geopolitica per un mondo che è scosso dai processi di globalizzazione e di interna­ zionalizzazione. La ridefìnizione dell’ Europa viene considerata, nella

(ibid.

think tanks

{ibid

Re-satling

m

IL PENSIERO GEOPOL1TICO maggior parte degli autori che tratteremo, come un punto di partenza per riordinare cognitivamente gli spazi mondiali e ridare un senso alla politica. In questo senso, l’ Europa è considerata come un nuovo pa­ radigma politico post-sovrano, che comprende in sé una moltitudine di spazi e dimensioni politiche integrative (Agnew, zoo$b). L ’Unione Europea può diventare, in questa lettura, il miglior esempio dell’ordi­ ne politico post-sovrano, riformulando l ’equilibrio fra centri e perife­ rie c fra entità spaziali ed economiche integrate. Le due correnti culturali a cui si accennerà riguardano i due mag­ giori approcci che riclaborano l’eredità geopolitica classica, rileggen­ dola in relazione con gli sviluppi della globalizzazione c con la crisi del modello di sovranità statale. La geopolitica critica americana e la letteratura storicista anglo-tedesca della rivoluzione spaziale rielabo­ rano coscientemente e criticamente le opere di Ratzel, Mackinder e di Schmitt, recuperando la memoria storica della geopolitica, pur senza dimenticare o trascurare il peso del suo coinvolgi mento nei progetti imperialisti. Tali correnti di ricerca prendono spunto dalla valutazione critica del rapporto tra sapere e potere, così come viene formulato da Michel Foucault. Seguendo l’attacco di Michel Foucault alla conce­ zione liberale delle scienze come separate dalla politica, tali studi mi­ rano a individuare i modi in cui è emersa e si è sviluppata la scienza geopolitica e geografica come un sapere-potere. Foucault, già in una delle sua prime opere, Le panie e le cose (1967), aveva dimostrato come l’emersione storica di alcuni saperi, di discipline e scienze, avvenisse all’ interno di pratiche istituzionali, rapporti di potere e posizioni di problemi economici, politici e giuridici In questa lettura, i saperi, in cui rientrano le discipline accademiche e le scienze, non sono mai sle­ gati dai rapporti di potere, da pratiche istituzionali e sociali, ma fanno parte integrante del modo in cui il potere politico si esercita all’inter­ no di un corpo sociale. In altre parole, i saperi sono sempre forme di sapere-potere. Gli studi critici di geopolitica e le ricerche di storia globale sono, nella lettura proposta in questo libro, le forme più consapevoli di prosecuzione degli studi gcopolidci, non solo perché sviluppano una riflessione riguardo alla propria stessa fondazione e alla tradizione ge­ opolitica e storiografica, ma perché tematizzano criticamente la crisi dello Stato sovrano e l’emergere del capitalismo globale.

*74

6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL’ETÀ VIRTUALE 6 .2. La geopolitica critica: il territorio, la sovranità e lo Stato

Gran parte della geografìa politica americana si concentra oggi proprio sulla varietà delle forme della geopolitica contemporanea, e dà rilievo aJI’assorbimento da parte della cultura popolare - cinematografìa, fu* metti, riviste - di argomentazioni, cartine e schematizzazioni geopo­ litiche (cfr. O ’Tuathail, 1996; Dodds, 1005; Dittmcr, xoio). Essa stu­ dia, così, quel processo di frantumazione e diffusione della disciplina geopolitica in ambiti accademici e in discorsi diversi - politici, mass­ mediatici e accademici - che era già iniziato durante gli anni Venti del Novecento. Allora la geografìa aveva iniziato a diventare oggetto di discussione nella politica: le cartine geografiche e gli articoli degli esperti geopolitici erano divenuti un genere giornalistico nella cultura tedesca c angloamericana. Nella società contemporanea, questo pro­ cesso si amplifica e le mappe c gli schemi geopolitici fanno parte del senso comune e del giornalismo. In ambito accademico, tuttavia, la geopolitica, o meglio la geogra­ fìa politica, si specializza: l'oggetto dello studio passa dalla rilevazione della relazione tra la natura geografica di uno Stato e la sua politica, all'analisi della disciplina geopolitica in (cfr. Agnew, 1001, voi. 1, p. 1) e alla rilevazione delle forme in cui si esprime 1’ « immaginazione ge­ opolitica» (Agnew, 1998) o ('«immaginario geopolitico» (Gregory, 199$). C on questi due concetti vengono intese le definizioni o le per­ cezioni dello spazio e della localizzazione di fenomeni, la costruzione di entità c “realtà" politiche all'interno della cultura di massa e del di­ scorso politico. L ’immaginazionec l'immaginario geopolitico costitu­ iscono una serie di coordinate spaziali inconscie o conscie che permet­ tono ad una società di ordinare, classificare e gerarchizzare i fenomeni politici attraverso delle localizzazioni speciali. L'uso di questi nuovi strumenti metodologici permette, per esempio, di ricostruire storica­ mente l'avvicendamento di concezioni diverse dell'Europa rispetto al resto del mondo, oppure della divisione territoriale interna al Vecchio Continente nelle diverse epoche storiche. In tale chiave John Agnew (i995* 1999) sottolinea le discontinuità tra la percezione spaziale del mondo moderno, diffusa nella letteratura politologica e geografica, e quella diffusa nella società contemporanca. Alcuni geografi contemporanei hanno intrapreso lo studio del di­



175

IL PENSIERO GEOPOLITICO

scorso geopolitico sia in ambito accademico, sia nei mass-media, ri­ flettendo sulla genesi e sulla funzione sociale e politica della scienza geografica e geopolitica. In tal modo hanno messo in crisi il paradigma classico della geopolitica, svelando il suo legame con il dominio della politica e della cultura occidentale nel mondo. Mi riferisco alla corren­ te della geopolitica critica - criticaigeopolitics - che viene fondata negli anni Novanta da John Agncw, Gearóid O ’Tuathail, Simon Dalby. In uno dei suoi testi fondativi del 1991, Agncw e O ’Tuathail dichiarano: «la nostra premessa sta nel ribadire che la geografìa è un discorso so­ ciale e storico, e che essa è sempre intimamente legata a questioni di politica c ideologia. [...] la geografìa è una forma di poterc/sapcre» (Agnew, O ’Tuathail, 1991, p. 1983). La geopolitica proposta da Agncw e O ’Tuathail c critica, perché non dà per scontata la realtà geografica e la sua descrizione da parte dei geografi e gcopolitici classici, ma studia l’origine, la genealogia delle categorìe c degli schemi che essi hanno adoperato. L’idea di un sapere geografico oggettivo c di una scienza ge­ opolitica neutrale vengono radicalmente messi in discussione: la scien­ za geografica non è «un corpo innocente di conoscenze, ma [...] un insieme di tecnologie di potere riguardo alla produzione governamene tale c alla gestione dello spazio territoriale » (O ’Tuathail, 1996, p. 7). Per definire il potere politico e per delincare la nascita della scienza geografica, la criticaigcopolitics fa riferimento a Foucault e al suo con­ cetto di «governamcntalità», opposto sia alla classica idea del flusso di potere che si esercita dall’alto in basso, sia alla concezione weberiana di potenza e autorità. L’ idea di potere di Foucault è policentrica e diffusa: il potere, come il linguaggio, si esercita attraverso il comporta­ mento e le azioni dei soggetti individuali e collettivi (Foucault, 1977); esso non proibisce, ma crea le possibilità per l’articolazione dei crite­ ri di vcro/falso, giusto/ingiusto. Scartando come insufficiente l’idea classica di potere a somma zero, la geopolitica crìtica impiega l’ idea di govcrnamenralità, e cioè di razionalità govcrnamentale, per spiegare l’emersione di modi differenti di governo del territorio c della popo­ lazione. Il concetto di govcrnamentalità, di matrice fbucaultiana, per­ mette, secondo gli autori del nuovo approccio geografico, di superare l’ idea di sovranità e territorialità e di partire dalle pratiche istituzionali e dalle tecniche del governo per spiegare come nasce c si esercita il p o ­ tere politico.

La governamcntalità è una forma specifica di esercizio del potere, che presuppone lo sviluppo di una nuova tecnica di controllo della 176

6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL'ETÀ VIRTUALE popolazione e del territorio. Nella ricostruzione storica foucaultiana vengono distinti due modi di esercizio del potere, che originano in due epoche diverse e poi si integrano. La prima forma, definita dal filosofo francese come «poteredisciplinare», origina fra il xvii c x v m secolo: essa mira a disciplinare i corpi individuali attraverso istituzioni militari e le prigioni, funzionando con l’ imposizione dei tempi e degli spazi in cui i singoli individui sono costretti a muoversi (Foucault, 1976). A l potere disciplinare si aggiunge, alla fine del x v iu secolo, il biopotere, che mira a governare la massa, ovvero la popolazione, attraverso la re* golamentazione e la promozione delle condizioni di vita e della salute del corpo sociale (Foucault, 1005). In quel momento storico emerge una certa razionalità del governo - la govemamcntalità - e origina' no le scienze che studiano la società, la popolazione, la sua ‘ igiene” e il suo comportamento, e l’economia politica. La polizia, e cioè, nei secoli x vii e x v m , «la razionalità di un piano di governo», inizia a «penetrare, regolare e rendere quasi automatici tutti i meccanismi del­ la società» (Foucault, io o i , p. 56). Nel frattempo l’arte del governo, esemplificata dalla letteratura machiavelliana, che assume cosciente* mente la funzione di consigliare il principe nell’esercizio del suo p o­ tere su un territorio, lascia il posto a una serie di scienze c discipline le quali definiscono e determinano le condizioni di vita e salute della popolazione. Tale governo della popolazione è slegato dall’esercizio della sovranità su un territorio, poiché mira a regolare un complesso di rapporti specifici e interconnessi, indipendentemente dalla loro collo­ cazione territoriale. Avviene la «governamentalizzazione dello Stato» e cioè la scomposizione della sovranità statale e dell’autorità (la weberiana) in una serie di tattiche di governo che permettono di «definire, di volta in volta, ciò che compete o non compete allo Stato, ciò che è pubblico o privato, ciò che è statale e ciò che non lo è » (Fou­ cault, 100$, p. 89). In tal modo, Foucault studia i processi attraverso cui lo Stato territoriale, concepito in età medievale come uno Stato ter­ ritoriale di giustizia e, dal x v secolo, come uno Stato amministrativo «nato (...) da una territorialità di frontiera e non più feudale» ( 1), si scompone e frantuma nelle tattiche governamcntali e nella costella­ zione di strategie razionali per esercitare il governo sulla popolazione. Questo «Stato di governo (...) non si caratterizza più fondamental­ mente per la sua territorialità, per la superficie occupata, bensì per una massa, la popolazione, con il suo volume, la sua densità e, ovviamente,

Hcrr-

schaft

ibid

177

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO

è

il territorio su cui risiede, territorio che però soltanto una componen­ te» La govemamentalità viene intesa da Foucault in tre sensi:

{ibid.).

(N el prim o senso com e] l ’ insiem e d i istitu zion i, procedure, analisi e riflessio­ n i, calcoli c tattiche ch e p erm etto n o di esercitare questa form a assai specifica e assai com plessa d i potere, ch e ha nella p o p o la zio n e il bersaglio principale, n e ll’eco n o m ia p o litica la form a privilegiata di sapere c nei dispositivi di sicu­ rezza lo strum en to tecn ico essenziale. Seco n d o , [com e] la tendenza, la linea d i forza che, in tu tto l ’O ccid e n te c da lun gp tem po, con tin ua ad afferm are la p rem inenza di q u esto tipo di governo su tu tti gli altri - sovranità, d iscip li­ na, col co n scgu en te sviluppo, da un lato, d i una serie di apparati sp ecifici di governo, e [d a ll’altro] si una serie di saperi. Infine per « g o v e m a m e n ta lità » bisogn erebbe intendere (...) il risu lta to d el processo m edian te il quale lo Stato d i giustizia del m edioevo, diven u to Stato am m inistrativo nel co rso del x v e x v i secolo, si è trovato gradualm ente « governa m cn talizza to » (ivi, p. 88).

criticai geopolitics

La svolge, allora, la sua riflessione critica sulla base dei nuovi strumenti metodologici coniati da Foucault - dalla sua «cas­ setta degli attrezzi» (Foucault, 1977, pp. 108-17). Il potere-sapere, la govemamentalità e la concezione del discorso come pratica di pote­ re sono i suoi fondamenti metodologici. I due lemmi foucaultiani di «potere-sapere» e «govemamentalità» costituiscono una base co­ mune di tutti gli autori della geopolitica critica, che però abbracciano posizioni teoriche e politiche differenziate per quanto riguarda sia la concezione epistemologica, sia i metodi e la funzione politica della scienza geografica. Tale corrente, inoltre, fruisce anche della letteratura postmarxista, in particolare della concezione di egemonia gramsciana, del decostruzionismo di Jacques Derrida e degli studi postcolonialisti di Edward Said (1003). È centrale in questa letteratura, fra gli altri, il lascito gramsciano, che mette in evidenza l'aspetto consensuale della dominazione di modelli culturali: attraverso il riferimento allegem onia, che studia la trasformazione di interessi di classe in idee culturali universali e condivise dall'intera società civile, la geopolitica critica ri­ esce a spiegare la diffusione di modelli imperialisti e colonialisti presso le masse e i paesi colonizzati. A seconda delle fonti adoperate e dei metodi di ricerca, è possibile differenziare le differenti posizioni all'interno della costellazione della In questa sede è utile solo accennarcall'interpreta-

criticai geopolitics.

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6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL’ETÀ VIRTUALE zionc della relazione era la sovranità, lo Stato e il territorio. Su questo tema, centrale sia nelle discipline politologiche e geografiche, sia nel discorso politico, si concentra l’attenzione della maggior parte degli autori. modello di Stato sovrano ¿ uno dei nodi mai risolti dal pen­ siero gcopolitico classico, che, come si è visto, oscilla tra l’accettazione del limite territoriale e l’aspirazione alla creazione di entità più vaste, naturali, economiche e culturali. I grandi spazi, le sfere di influenza, le costruzioni di potenze continentali costituiscono i modelli più dif­ fusi nella geografìa politica e nella geopolitica. Q uest’ultima esercita un grande fascino sia sulla cultura popolare, sia sugli ambienti poli­ tici, proprio per la sua concezione non ortodossa dell ordine statale intemazionale e per la giustificazione che offre ai progetti di espan­ sione. Inoltre, questo tema lascia intrawedere una tendenza che si è già riscontrata nel Novecento: b deterritorializzazione del paradigma gcopolitico. L ’articolazione delb relazione fra il territorio, lo Stato e la sovrani­ tà, inoltre, permette di mostrare le divergenze all’ interno della costel­ lazione della geopolitica critica, ma anche la sua grande omogeneità e la continuità, seppure attraverso una lettura di segno opposto, con la scienza geopolitica dell’ultimo Mackinder e di Bowman. Benché la prima ribalti il segno delle letture di questi due autori, criticando radi­ calmente il ruolo della cultura occidentale e dell’America, essa porta alle sue estreme conseguenze lo scioglimento del legame della geo­ politica con b geografìa fìsica, risolvendo la questione “genetica" del determinismo naturalista con una (quasi) completa eliminazione del riferimento alla “natura". Il problema che fin da Humboldt costituiva il nodo di tutti i dibattiti sulla metodologia della geografìa, e cioè la que­ stione della determinazione esercitata dalla natura sull’azione umana e sulla cultura, viene riproposto nell’ambito del paradigma riflessivo critico della geopolitica contemporanea. Esso viene declinato come il rapporto fra la politica c la scienza, fra le esigenze imperialistiche ed egemoniche e la funzione della geografìa politica nel promuovere o impedire le condizioni per il dom inio dell’economia capitalista o del modello politico colonialista. Le posizioni della sul tema del territorio c della sovranità non possono essere qui esaurientemente analizzate. Tuttavia è necessario scorrere alcuni punti di vista particolarmente significativi. O ’ Tuathail, a a l proposito, definisce b geopolitica classica, a partire da Mackinder, come un «evento discorsivo», e cioè come un potere-

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criticaigcopolitics

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IL PENSIERO GEOPOLIT1CO sapere che deve essere decostruito dalle fondamenca attraverso una prospettiva radicalmente critica, per individuare la sua connivenza con il potere dell’Occidente capitalistico. La globalizzazione, e cioè la dif­ fusione senza limiti del sistema capitalista, è l’ambito entro cui bisogna situare lo sviluppo della geopolitica: «Scrivere sulla globalità richiede un metodo di ricerca antiglobalizzante» ( O ’ Tuathail, 1996, p. 17). La geopolitica classica, per Fautore irlandese, presuppone c rafforza l’esi­ stenza di due postulati chiave della modernità c tipici della società oc­ cidentale: l’ idea dell’ individuo cartesiano, che è in grado di guardare oggettivamente il suo ambiente e di descriverlo; e quella di uno spazio euclideo, trasparente e misurabile. L ’individuo cartesiano, inteso come separato dalla realtà che de­ scrive c osserva, e capace di codificarla esattamente, è incarnato nell’uomo bianco occidentale, che impone la sua «visione prospettica cartesiana» (ivi, p. 13) al resto del mondo come l’unica possibilità di controllare c analizzare l’ambiente naturale. Mackinder, Bowman e i geopolitici della tradizione classica confermano c diffondono, secon­ do O ’ Tuathail, una visione «scientifica» c cartesiana del mondo, ti­ pica dell’Occidente, come l’unico possibile metodo per comprendere la realtà. Il loro atteggiamento scientifico e politico è contrassegnato da una convinta promozione del progetto imperialista occidentale c dell’idea darwinista c neolamarckista dell’evoluzione naturale (ivi, pp. 10 ss.). Il ncolamarckismo, che promuove l’idea dell’adattamento dell’uomo alla natura e del suo perfezionamento tramite la lotta del­ le specie, fornisce gli argomenti scientifici che legittimano le pretese dell’uomo bianco di assoggettare i popoli «barbari» e che giustifica­ no l’ imperialismo. Com e tutta la letteratura contemporanea postcolo­ nialista dimostra (cfr. fra gli altri Said, z o o 3), l ’imperìalismo occiden­ tale, e la scienza geopolitica connivente con esso, sono fondate sulla credenza nella superiorità della razza bianca e della cultura europee e, insieme, sull’ "invenzione" dell’altro visto come inferiore e barbaro in contrapposizione con l’europeo/americano. è

La geopolitica classica inoltre contrassegnata dall’impiego del modello di spazio euclideo, misurabile attraverso delle conoscenze scientifiche apparentemente «neutrali». Lo spazio euclideo è incar­ nato nel territorio dello Stato, che nella tradizione geopolitica rap­ presenta il luogo da cui promana l’autorità politica, in cui si esercita la sovranità e che deve rimanere integro o espandersi. La volontà di dominio politico occidentale innerva tutta la geopolitica classica, che 180

i . LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL’ETÀ VIRTUALE da un canto difende la territorialità dello Stato attraverso l’appello al principio di integrità, dall’altro giustifica l’espansione verso le colo* nie, disconoscendole come entità territoriali. La volontà di dominio da parte dell’Occidente si traduce direttamente, secondo O ’Tuathail, nella spasmodica tensione a osservare, conoscere e classificare i terri­ tori extraeuropei, che dà impulso alla geopolitica. La ricostruzione cartografica dei territori coloniali, le spedizioni per conoscere i luo­ ghi lontani dalla civiltà occidentale e l’esigenza di classificare le specie biologiche e le etnie e di denominare località geografiche sono i segni visibili dell’espansione del dominio culturale, politico ed economico europeo. Lo scopo della geopolitica critica è, allora, direttamente politico: sfidare il dominio dell’egemonia occidentale. Per mettere in discussio­ ne radicalmente il progetto imperialistico implicito nella geopolitica classica, la geopolitica deostruisce i discorsi accademici, mass-m odia­ tici e politici, osservando il loro significato in relazione ai rapporti di egemonia globali. Al di là deH’ idealc geopolitico classico di presentare una scienza neutrale c oggettiva, O ’Tuathail svela la realtà della politi­ cità e del ruolo politico della scienza geopolitica, finalizzata a un pro­ getto espansionista. La denuncia del discorso gcopolitico del saperepotere, che si sposa alla conquista violenta del mondo, conduce, però, a un paradosso metodologico che Agncw (2.000) osserva con acutezza nella sua critica di O ’Tuahtail: la questione della "posizione ontologi­ ca” dell’osservatore. Se il potere innerva tutti i discorsi, se tutti i saperi sono conniventi con delle forme di potere, se l’ ideologia non si distin­ gue dall’ idea, c possibile una critica geopolitica che sveli il rapporto fra potere c sapere? La geopolitica critica, per O ’ Tuahtail, deve rifiutare di assoggettarsi a qualsiasi progetto politico o ideologia c a qualunque pretesa di «presentare la verità». Essa non è pertanto una scienza, ma un discorso, che rinuncia a un fondamento ontologico c alla possibilità di realizzare un nuovo sistema discorsivo con criteri di verità. Il suo ruolo c quello di mostrare criticamente l’uso di procedure linguistiche e di pratiche sociali finalizzate al dom inio occidentale e di prendere attivamente posizione contro la globalizzazione e il dom inio del m o­ dello capitalista. Questo intento epistemologico, e cioè l’abbandono da parte del­ la geopolitica di ogni fondamento ontologico, è facilitata, secondo i protagonisti della svolta critica, da una nuova costellazione culturale e politica: dalla riflessione avviata dagli studi postcolonialisti e fbucaul-

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IL PENSIERO GEOPOLITICO ciani e, politicamente, dall’ implosione del modello politico dello Stato sovrano occidentale. Per O ’Tuathail e per Tim othy Lukc ( O ’Tuachail, Luke, 1994; O ’Tuathail, 1996; Lukc, 1996), lo Stato territoriale sovrano, attore principale della politica europea moderna, scompare globo, pur essendo dopo la Guerra Fredda nella sua forma ideale. formalmente diviso in spazi governati da entità territoriali sovrane, che riproducono modalità economiche di scambio e produzione specifi­ che, è dominato da flussi economici c di comunicazioni che deterri* totalizzano il potere. N ell’era nucleare, «si assiste [così] a una re-im­ maginazione e re-disposizione dei fard attorno a fini di convenienza, determinati non dallo Staro, ma dalla fede, dal pianeta, dalla razza, dal culto, dalla famiglia, dalla gang. Questi emeigono come realtà sovra­ ne non stabili contro la legge sovrana stabile» (Luke, 1996, p. $00). Lo «spazio liscio» dello Stato sovrano (cff. Galli, zooi), immaginato come comunità omogenea stanziata su un territorio (Anderson, 1991), implode e viene sosdtuito da spazi caratterizzati da una strutturazione govcrnamentale. In altre parole, lo spazio statale si frammenta nelle sue funzioni di sovranità e nell’erogazione dei servizi di welfarc. Politicamente esso ¿ sempre più penetrato da altre istituzioni sovranazionali (n a t o , Unione Europea) che detengono dei poteri legisladvi ad esso sovraordinati; economicamente è asservito al sistema capitalistico glo­ bale e a organismi finanziari internazionali (fm i , b c ); culturalmente è aperto ai flussi di comunicazione virtuali. Esso viene privato di alcune funzioni essenziali: quelle di assoggettare tutti i cittadini o gruppi di potere al comando della legge statale e quella di permettere ai cittadini l ’accesso ai servizi pubblici. La sua frammentazione fa cmcigere luoghi virtuali, «spazi di uso multiplo e (diversi] punti di accesso» ai servizi (Lukc, 1996, p. 505) in cui vigono delle logiche govcrnamentali transnazionali e non riconducibili al modello statale territoriale. Esempi di tale frammentazione sono la globalizzazione e la dislocazione econo­ mica, la creazione di reti virtuali di informazioni a livello mondiale e l’uso di piattaforme sovranazionali per rivendicare politicamente i diritti collettivi e individuale.

W.

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All’affermazione della fine dello Stato, proclamata da Luke e O ’Tuathail, si oppongono due studiosi della criticaigcopolitics: Stuart Eldcn e John Agnew. Il primo afferma la centralità contemporanea dell’organizzazione politica dello Stato, ma anche il suo ruolo signi­ ficativo per legittimare l’attuale dominio politico americano sul globo e la lotta al terrorismo (Elden, Z009). Eldcn concentra la sua analisi, al

6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL*ETÀ VIRTUALE

contrarío di Lukc e O ’Tuathail, sulla «ri territorial izzazione», che è un processo complementare a quello della de-territorializzazione (cfr. Deleuze, Guattari, 1980). Lo spazio, in tale lettura, impregnata di ri­ ferimenti alla filosofìa heideggeriana, alla letteratura storica di Henri Lcfcbvrc e al pensiero foucaultiano, è la condizione fondamentale per l’esercizio del potere politico (Eldcn, zooz, pp. 116 ss.). Un esempio evidente della pregnanza della categoria di spazio nel discorso culturale e politico contemporaneo è l’ impiego dell’ idea di difesa territoriale proclamata durante la guerra al terrorismo dal presi­ dente statunitense George Bush. La guerra al terrorismo dimostra, per Eldcn, che l’egemonia economica statunitense sul globo non è l ’unica manifestazione del dominio statunitense c che «la forza militare può essere necessaria per sostenere l’egemonia finanziaria», provocando, nel discorso politico, un «mutamento daH’ M cgemonia del consenso" alFwcgcmonia della forza” » (Eldcn, 1009, p. x ix ). La guerra geopo­ litica classica mirata al dominio territoriale riacquista senso nel x x i secolo: la lotta globale al terrorismo non è solo un conflitto economico per il petrolio, bensì un confronto militare e geopolitico per il control­ lo territoriale sulle aree ricche di materie prime. Su questi presupposti, Eldcn svolge l ’analisi delle politiche e del linguaggio dell’amministra­ zione americana, suggerendo che la lotta al terrorismo «ha importan­ ti dimensioni territoriali, palpabili ma minimizzate, ma anche che la considerazione del territorio offre una serie di conoscenze preziose per comprendere la guerra in generale» (ivi, p. XXXl). Insomma, il territorio, sia che venga inteso classicamente come Stato, e cioè come «contenitore» c cioè come «spazio dominato da un gruppo di per­ sone» o che sia considerato foucaultianamente come risultato di un «comportamento o strategia umana (...) deve essere considerato come una forma geografica specifica dell’organizzazione e del pensiero po­ litico» (Elden, 1010, pp. 757-8). Anche se attualmente «il territorio non è l’unica forma di (...) spazio politico, esso rimane una forma im­ portante. Proprio per la sua limitatezza, specificità storica, perché non è un modo esclusivo di ordinare i rapporti spaziali, deve essere studiato accuratamente» (ivi, p. 760).

Elden mette in discussione, così, non solo l’idea di superamento dello Stato di Lutee e O ’Tuathail, ma anche la teoria di John Agnew, che relativizza storicamente c politicamente l’idea di Stato. Lo Stato, per Agnew, non è solo una forma storicamente limitata di organizza­ zione politica, ma viene, fin dalla sua origine, contestato da altre istitu­ i i

IL PENSIERO GEOPOLITICO

defacto

zioni che hanno ridotto la sua sovranità. « G li Stati non hanno mai esercitato monopoli politici o economici-regolar ori sui loro ter­ ritori. E il discorso sulla sovranità implica spesso questo passaggio» (Agnew, 1009, P- *)• Invece di considerare, allora, la sovranità assoluta come data per scontata, e il rapporto fra la sovranità e il territorio come una relazione necessaria, Agnew analizzala «sovranitàeffettiva» inte­ sa come «circolazione del potere tra una serie di attori posti in diversi luoghi» (ivi, p. 9). Insomma. la sovranità è il prodotto di negoziazioni e interazioni fra i protagonosti della politica internazionale c coloro che detengono una qualsiasi forma di potere - economico, cultura­ le, politico - entro uno spazio. Il territorio statale sovrano diventa, in questa visione, solo una « scala », e cioè uno dei livelli entro i quali vie­ ne esercitato il potere: esso rappresenta una «strategia sviluppata mag­ giormente in alcuni contesti, piuttosto che in altri» (Agnew, ioo$b, P-

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A l fine di classificare i vari modelli di sovranità effettiva, Agnew in­ dividua alcuni principali « regimi di sovranità » sulla base di due varia­ bili: la centralizzazione dell’esercizio della sovranità e il consolidamen­ to di quest’ultima in forme territoriali o non-territorìali. I regimi di sovranità che Agnew individua evidenziano come, accanto alle forme classiche di sovranità diffuse fino al x x secolo, e cioè quella territoriale centralizzata - c assoluta - e l’ imperialismo, connotato da una territo­ rialità aperta c da un potere centrale modesto, si sviluppino maggior­ mente nella politica contemporanea altri modelli: quello globalista e quello integrativo. Q u est’ultimo corrisponde all’ Unione Europea, che, pur esercitando la sua azione politica su un territorio consolidato e ben definito, ha una struttura di potere debole c dispersa su vari livelli - europeo, nazionale e regionale. Il primo caso «globalista » , invece, è caratterizzato da una territorialità non definita c da un’autorità centra­ le forte. Esso è rappresentato attualmente dagli Stati Uniti, che eserci­ tano la loro sovranità effettiva oltre i loro confini nazionali su territori diffusi, sia attraverso le istituzioni economiche intemazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, sia attraver­ so organismi politici, come la n a t o . L ’America, grazie alla sua forma economica e non meramente territoriale di penetrazione nell’ambito di sovranità degli altri Stati, è riuscita a raggiungere una posizione di potenza globale. Agnew evidenzia, a tal riguardo, la natura egemonica e non imperialista del potere americano: riferendosi alla definizione gramsciana, con l’espressione ’’egemonia’’ egli intende una forma di do­

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6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL*ETÀ VIRTUALE minio basata sulla coercizione e sul consenso attivo da parte degli Stati o dei gruppi sottoposti al potere. In contrasto con le interpretazioni secondo le quali l'America svol* ge una funzione imperiale sul resto del mondo, Agnew individua la (orma di influenza globale degli USA nell'esercizio del potere egemoni­ co. Questo è il risultato dell'interazione fra «unaposizione dominan­ te a livello globale, da un lato, e un insieme di qualità attribuite ad essa grazie al suo dominio, che le permettono di imporsi al resto del mondo - ciò che chiamerei società del mercato» (Agnew, zoosa, pp. v m -ix ). La globalizzazione economica e politica è strettamente intrecciata, al­ lora, a specifici interessi del gigante americano: «la globalizzazione è made in u s a » (ivi, p. v ili). La ristrutturazione globale dei rapporti economici ri-orienta non solo i rapporti politici fra gli Stati, ma i modi di vita degli individui, creando società fondate sul consumo ed econo­ mie sostenute dall’ interdipendenza. Com e si può notare da questi pochi accenni, Agnew parte, nella sua analisi, dalle strutture economiche c delle relazioni internazionali. Su tale base costruisce la sua tipologia dei diversi modelli di «scienza geopolitica» che si sono avvicendati nel tempo e che hanno permesso alla società e al potere politico di corroborare idee e schemi geogra­ fici e politici con cui interpretare la realtà: le varie forme di «imma­ ginazione geopolitica» (Agnew, 1998). Anche per questi, come per O'Tuathail, la geopolitica rappresenta una forma di potere-sapere su cui interrogarsi e «un insieme di presupposizioni geografiche, di desi­ gnazioni e interpretazioni che (anno parte della formazione della p o­ litica mondiale» c del senso comune (ivi, p. 1). Tuttavia, Agnew non riduce l’analisi critica geopolitica allcsam cdelle pratiche linguistiche diffuse nella cultura, nella politica e nei mass-media, poiché i rapporti di potere non coincidono con le espressioni linguistiche del dominio. Teorizza espressamente una terza via fra il realismo, tipico della geopolitica classica e rappresentato attualmente da O ’ Loughlin, e il costruttivismo di O ’Tuathail, che riduce al linguaggio tutte le dina­ miche di potere. Le due prospettive rappresentano due iperboli spe­ culari della realtà dei rapporti di interdipendenza (fa i fenomeni reali e la percezione di essi da parte degli individui e delle culture: «da un lato, [nella geopolitica classica] la geografìa del mondo è causale ed efficace e i termini usati per descrìverla riflettono la sua natura intima. D all’altro, [nella geopolitica critica] le regioni c le altre designazioni geografiche sono il risultato di categorie linguistiche prodotto da con­

IL PENSIERO GEOPOLITICO venzioni sociali che sono rivestire di un significato naturale» (Agnew, zoota, p. 5). Per mantenere un equilibrio Ira le due posizioni realista e costruttivista, Agnew fonda il proprio approccio sulla centralità del processo di riflessività umana, che presuppone l’esistenza di una realtà fenomenica c, insieme, lavora tramite idee c concetti che non rifletto' no semplicemente questa realtà, ma vengono costruiti dal soggetto. La prospettiva metodologica che Agnew costruisce nei suoi lavori è quella del «realismo costruttivista», nel quale viene riconosciuta resistenza di realtà fenomeniche e viene, allo stesso tempo, rifiutata l’ idea che queste ultime possano essere conosciute indipendentemente dalle pra­ tiche sociali e dal linguaggio (ivi, p. 4). Nella pratica della ricerca, l’ impostazione di Agnew conduce ad una maggiore attenzione alle realtà dei rapporti di potere e alle re­ lazioni economiche e politiche. Per tale ragione l’autore britannico definisce una pcriodizzazione storica della disciplina geopolitica e dell’ immaginazione geopolitica a partire dagli sviluppi politici, eco­ nomici e sociali delle diverse epoche. Il primo perìodo dello sviluppo della geografia politica (1815-75) è contestualizzato aU’ intem o di una situazione politica di equilibrio europeo c di colonialismo. In tale fase la geopolitica assolve la sua funzione come il sapere che legittima la colonializzazione, separando le società civili - europee - da quelle non ancora civili - le colonie. Tale modello civilizzarono geopoliti­ co implica uno schema di perfettibilità, per il quale le colonie, che si trovano a uno stadio primitivo di cultura, devono essere condotte agli standard di vita europei. La seconda fase storica (1875-1945) si apre con una lotta competitiva fra le potenze europee per il dominio mondiale e finisce con il crollo definitivo dell’equilibrio europeo. In questo lasso di tempo la scienza geopolitica si «naturalizza», fonda i propri modelli sul radicamento della cultura nella geografia delle nazioni e sulla chiusura di queste ultime. È questa la fase in cui la ge­ opolitica promuove i movimenti nazionalisti. Nel periodo successivo della Guerra Fredda (1945-89) i grandi blocchi sovietico e americano dividono il globo nelle rispettive zone di influenza. La situazione po­ litica è bloccata, tesa, sospesa in una guerra di terrore che, tuttavia, permette la conservazione di un equilibrio in tensione. Le geopolitica è ideologica: difènde e giustifica apertamente uno dei due poli da un punto di vista politico, econom ico e anche morale. N ell’ultima fase, quella attuale, il crollo dell’ Unione Sovietica permette l’espansione dell’egemonia americana a livello globale; la geopolitica contempora­

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6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL’ETÀ VIRTUALE

nea riflette la crisi dei modelli territoriali e delle logiche di sovranità» abbandonando il riferimento a territori e agli spazi per la spiegazione dei processi politici e culturali.

6.3 Lo sp a tia l tu m : la spazializzazione della storia

La corrente della storia globale emerge grazie al ritorno dei temi e dei modelli della disciplina geopolitica nella metodologia storiografica contemporanea. La riflessione che tematizza la «rivoluzione spaziale» a partire dagli anni Ottanta del Novecento recupera, infatti, l’atten­ zione verso l’incidenza dello spazio c del territorio nello svolgimento dei rapporti culturali e nello sviluppo delle discipline accademiche, pur tematizzando criticamente il legame di alcuni autori e scuole della geopolitica con le politiche imperialiste. La scoria globale (cfr. Oscerhammcl, 1998; Osterhammel, Petersson, 1005; Schlògcl, 1003; Bayly, Z009) mira, attraverso un’osservazione trasversale delle manifestazioni politiche e culturali nei vari continenti, a delincare il mutamento fondamentale nelle dimensioni dello spazio e del tempo. A tal fine essa arricchisce c trasforma gli approcci storio­ grafici tradizionali, ampliando la ricerca oltre il continente europeo e introducendo esplicitamente delle categorie geografiche e spaziali nella rappresentazione storiografica. Le maggiori fonti metodologiche su cui essa si basa sono gli studi postcolonialisti, il marxismo e la storia socia­ le. Dall’approccio postcolonialista (Said, 1003) essa eredita la critica al pregiudizio eurocentrico e l’attenzione alle interazioni fra le culture di­ verse: ogni civiltà rappresenta, in questa chiave, un punto di vista unico e di pari valore, che lo storico deve necessariamente adottare nelle sue ricostruzioni. Il riferimento alla scuola storica marxista (Hobsbawm, 1987) c agli studi postmarxisti (Wallerstein, zoio) si palesa nella ri­ costruzione critica dei rapporti economici e politici. La terza matrice della storia globale si fonda sull’approccio di storia sociale di Koselleck (1996), che elabora un'idea innovativa del tempo storico: questo non è più omologo al tempo degli individui c delle società e dato per scontato come l’unità temporale uniforme per leggere gli eventi e i processi sto­ rici, ma rivela la sua natura contingente costruita socialmente. Il “tempo storico” emerge con la nascita della disciplina storica ed è frutto della 187

IL PENSIERO GEO POLITICO crisi politica c sociale moderna e della ridcfìnizione temporale in base alla proiezione delle società e delle azioni umane nel futuro. A partire dalla rivoluzione francese affiora, secondo Koselleck (ivi, p. 50), il con­ cetto della «storia in generale», così come viene trattata dalla disciplina storiografica: essa non rappresenta più una serie di eventi e narrazioni che rimandano a eventi passati e ripetibili, ma ingloba la concezione del futuro, una prospettiva lineare che «si apre sull’ ignoto, diventa piani­ ( Geschichic schicchiin , così, diventa un sapere ficabile». La storia in autonomo e indica una direzione e un’ intenzione coscienti di un sog­ getto storico, implicando un quadro di interpretazione proprio della fi­ losofìa della storia. Essa non ricostruisce più narrazioni diverse scandite da tempi diversi, ma viene considerata «come cosa di cui [gli uomini] potevano disporre, o pensarla come fattibile» poiché «la Gachichte, la storia stessa» assume «la forma autonoma di un concetto-guida al singolare» (ivi, p. 117). Tali tre fonti - gli studi postcolonialisti, il marxismo e la storia dei concetti - vengono integrate nella storia globale con il riferimento alla letteratura geografica e politica, c cioè ad ambiti di discorso che solo in parte sono stati trattati negli studi storiografici, in particolare nella storiografia francese delle “Annales”. La letteratura geografica e geopo­ litica permette di completare l ’osservazione storica dei mutamenti at­ traverso una metodologia che registra la storia delle categorie di potere, di spazio e di luogo. In tal modo, la storia globale - soprattutto nella sua variante tedesca - si pone espressamente in continuità con le disci­ pline della geografia politica c con la scienza applicata della geopoliti­ ca, superando una sorta di censura informale che, a partire dal secondo dopoguerra, aveva relegato la geopolitica ai margini dell’attenzione scientifica. Dalla fine della Seconda guerra mondiale le concezioni e i modelli della geografia politica e della geopolitica classica aveva­ no fornito, nonostante l’apparente censura, alcune delle fonti e delle metodologie alla storiografia. Mi riferisco, in particolare, alla famosa scuola storica francese delle “Annalcs" che aveva ereditato il lascito del­ la geografia politica di Vidal de la Blachc, ancorando l ’ indagine storica allo studio del territorio e delle popolazioni: non solo Marc Bloch, ma anche lo storico Lucien Febvre, allievo di Vidal de la Blache, ne aveva proseguito in parte il lavoro in un campo scientifico diverso. A l con­ trario che in Francia, dove la storia della disciplina geografica era legata a tradizioni politiche liberali (Vidal de la Blache) o anarchiche (Elisée Reclus), e alla lotta contro il totalitarismo (Lefebvre), nella Germania



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6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL'ETÀ VIRTUALE del dopoguerra ragioni di opportunità politica impedivano l’esplicito riferimento alle opere geopolitiche degli anni Trenta e Quaranta e a quelle precedenti di Friedrich Ratzel. La chiara collaborazione delle scienze storiografiche e geografiche alla politica di segregazione razziale e di sterminio (Obcrkromc, 199); Fahlbusch, 1994; Haar, 1000) e, a livello biografico, la comprovata compromissione di autori come il geografo Karl Haushofer alla spietata politica di guerra, impedivano una valutazione obiettiva del carattere proprio delle scienze geografi' che nei loro sviluppi precedenti al nazismo. Tuttavia l’apporto dato da queste scienze a opere di storiografi prestigiosi nel dopoguerra (in par* ticolare ai lavori di Werner Conze, Hermann Aubin, O tto Brunner) e gli spunti che si rinvengono nelle interpretazioni del celebre giurista Cari Schmitt rendevano complessa la questione delle connessioni fra le "scienze incriminate” (la geopolitica c la geografica politica) c la cultura tedesca molto complessa. Anche in Germania, infatti, a dispetto della censura dettata da un informale conformismo storiografico, emergeva nella storiografia del dopoguerra una tradizione che rielaborava il lascito delle ricerche sto­ riche che, durante il nazismo, si erano ispirate ai metodi di geografia politica. In particolare la nuova storia sociale - la Bcgriffigeschichte* e cioè l ’ impresa editoriale organizzata e diretta da Reinhard Koselleck, O tto Brunner e Werner Conze - usufruiva sia delle riflessioni delle opere di Cari Schmitt, sia della cosiddetta Ostforschung, la corrente della storiografìa legata agli interessi espansionistici totalitari che, ne­ gli anni Quaranta, aveva innovato i metodi con l’apporto delle scien­ ze del territorio, geografiche e demografiche. Werner C onze è un caso emblematico a tal proposito: dopo essere stato celebrato, grazie alla rimozione della sua passata collaborazione nelle fondazioni e istituti storici legati al nazismo, egli solo recentemente è stato studiato per la sua attività politica. L ’ influsso dei concetti e dei metodi della geografia politica e della Ostforschungàx Conze c Brunner sui modelli di ricerca impiegati dalle scienze storiche e sociali nel dopoguerra e innegabile. In particola­ re, l ’apporto della geografia politica alla comprensione storiografica è evidente in due dimensioni delle ricerche storiche e politologiche contemporanee: negli studi sulla relazione fra i movimenti demogra­ fici e il territorio e, in secondo luogo, nell’ interazione fra la politica, la storia c la geografìa Nel dopoguerra c stato sancito il non ritorno all’egemonia della storiografìa pura, di Leopold Ranke e poi di Frie­

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IL PENSIERO GEOPOLITICO drich Meincckc, che ricostruiscono la storia degli Stati come il pro­ dotto dclKagire di individualità storiche e politiche: la storia diven a un processo intricato, in cui la politica si intreccia con la cultura e con i movimenti demografici. La storia globale, sviluppata soprattutto in area tedesca e inglese, è l’esito più recente del confronto della disciplina storica c politica con la memoria storiografica europea - e anche con le discipline storiche maturate durante il totalitarismo. Essa rappresenta un momento "ca­ tartico” di questo confronto con la memoria, poiché recupera una pro­ spettiva di ricerca sullo spazio c sul territorio che erano proprie delle opere storiografiche e politologiche fra le due guerre. A tal proposito, la storia globale definisce l’epoca contemporanca come c cioè come una rivoluzione spaziale che, secondo Ostcrhammel (1998) e Schlògcl (1003) si delinea tanto nella politica e nell'economia, quan­ to nei modelli di interpretazione delle discipline storiche. Lo si concretizza nella rivalutazione dello spazio, e cioè nella sua tra­ sformazione da "contenitore vuoto” a una costruzione culturale che interagisce con le rappresentazioni politiche e sociali. Due dimensioni caratterizzano la nuova percezione politica e culturale dello spazio: i processi di globalizzazione c di internazionalizzazione nella politica e nell’economia e un processo riflessivo culturale, che si esprime nella re­ stituzione di un valore preminente alla scienza geografica nella spiega­ zione degli eventi storici e delle relazioni politiche. La centralità dello spazio risulterebbe dal «restringimento degli spazi» (Harvey, 1991), ed esattamente dalla maggiore interconnessione tra i diversi spazi ge­ ografici misurata sia dalla globalizzazione economica, sia dal maggior flusso di informazioni e dall’accelerata mobilità geografica.

spatial tum,

tum

spatial

Gli studi critici contemporanei - scrive Soja (1996, p. 41) - hanno subito una rivoluzione spaziale significativa. In alcuni sviluppi intellettuali c politici più importanti delb fine del x x secolo, gli studiosi hanno iniziato ad interpretare lo spazio e la spazialità proprie della vita umana con lo stesso spirito critico c la stessa enfasi propri allo studio sia del tempo e della storia, sia della società e delle relazioni sociali. La storiografia tedesca (Middell, ìoo^a; Schlocgcl, 1003) rielabora tale mutamento paradigmatico e lo articola sulla base della tradizione accademica tedesca, coniugando la « rivoluzione spaziale» contempo­ ranea con la rivaluuzione della scuola geografica tedesca e della sua

6. LA GEOPOLITICA E LA STORIA GLOBALE DELLO SPAZIO NELL’ETÀ VIRTUALE

parziale prosecuzione nella geografìa politica. L'opera di Friedrich Rarzd acquista un grande rilievo a tal proposito, poiché la sua con­ cezione ha ispirato le maggiori opere geografiche in campo europeo e americano - si pensi al francese Elise e Reclus e all’inglese Halford Mackinder - e offerto spunti di riflessione ed elaborazione teorica a giuristi (come Cari Schmitt), politologi (come Adolf Grabowsky c Karl August Wittvogcl) e agli storici c demografi della Ostforschung (Otto Brunner e Werner Conzc). Rivendicando, allora, il primato sto­ rico della Germania nello studio dei processi spaziali c geografici, la storiografìa globale tedesca vuole implicitamente superare uno sullo negli studi storici, che registravano un forte disagio nell’usarc c indica­ re esplicitamente fonti storiografiche c geografiche compromesse col totalitarismo. Attraverso il recupero di autori di geografìa precedenti al nazismo e attraverso la rivalutazione degli studi politologici, giuridi­ ci (come quelli di Schmitt) o storiografici tra le due guerre che rifletto­ no sulle categorìe di spazio, popolazione e territorio, la storia globale rivendica un significato insieme scientifico c “morale" alla sua impresa scientifica: il recupero del passato e la liberazione dal {'impasse storio­ grafica, che doveva censurare alcune delle fonti alla base della propria tradizione. La storia globale mira a fornire un metodo appropriato per descrì­ vere i mutamenti degli equilibri geografici e il susseguirsi di percezioni e rappresentazioni diverse dello spazio sia nei discorsi elaborati dalle élite politiche e intellettuali, sia in genere nell'opinione pubblica. Da un punto di vista della ricerca storiografica, essa, infatti, tematizza co­ scientemente il ruolo fondamcnule delle categorie di spazio e, insieme, porta alla luce le relazioni del sapere geografico con la politica, da un lato, e con le altre discipline accademiche e pratiche discorsive, dall'al­ tro. Inoltre, essa offre metodologicamente un prospettiva privilegiata per lo studio dello spazio e dei luoghi geografici nell'ambito storico, poiché si pone coscientemente in continuità crìtica con le prime teo­ rie geografiche - quella della «geografìa pura» di Cari Rittcr, ma poi soprattutto con il diffusionismo di Ratzel - che raccoglievano la sfida di rappresentare scientificamente lo spazio in cui vivono gli individui e i popoli. Infine, l’approccio della storia globale tenta di rispettare la pluralità delle prospettive scientifiche, relativizzando la propria osser­ vazione dei rapporti politici e scientifici c, nello stesso tempo, sottoli­ neando l’importanza delle reti, dei contatti fra i popoli e le culture. Ne consegue una visione dei rapporti fra civiltà che rinvia a quella della 191

IL PENSIERO CIOPOLITICO rete delle organizzazioni sociali di Manuel Castells. Tale rete è solo apparentemente uniformante, poiché viene strutturata al suo interno in modo gerarchico (Castells, zooo). La storia globale svela c riflette sul suo radicamento nell’epoca della globalizzazione, ricostruendo le condizioni economiche del capitalismo globale, senza indulgere nel pessimismo sull’inesorabile dominio delle potenze globali. Usando il modello di Immanuel Wallcrstein di sistema-mondo, essa studia il modo in cui, a partire dal XVI secolo, si è affermata l’cconomia-mondo capitalista, «poggiata su un’ inesauribile accumulazione di capitale» e caratterizzata da « una struttura (...) di una divisione sociale assiale del lavoro che mostra una tensione centro/periferia basata su uno scambio ineguale» (Wallerstein, zoio, p. 183). Lo scambio diseguale dipende dalla distribuzione mondiale diseguale di risorse e di potere e conduce alla costituzione di una rete di Stati, economicamente interdipendenti e in equilibrio bilanciato, seppur instabile. Insomma, il modello econo­ mico c sociale di sviluppo di Wallcrstein permette agli storici di rico­ struire la storia mondiale nella sua tensione fra l’equilibrio tra gli Stati, fondato sull’ interazione fra unità territoriali discguali, e i tentativi di dominio e di creazione di un «im pero-m ondo» (ivi, pp. z8j ss.). La storia globale, partendo dalla considerazione dell’ intreccio fra la storiografia, la cultura e la politica c dell’interdipendenza economica mondiale, pone «un tipo di “interrogazione trasversale” rispetto alle storie nazionali (...) per esaminare le relazioni tra i popoli, i paesi e le civiltà» (Ostcrhammel, Petcrssen, 1005, p. io). Essa, così, mira a sto­ ricizzare e relativizzare - a «normalizzare» (ivi, p. tz$) - la globaliz­ zazione come un fenomeno storico per individuare criticamente «gli attori globali con differenti visioni e strategie» (ivi, p. iz6).

Conclusioni L’agrimensore di Kafka

Ministers come and ministers go, even dictators die, but mountain ranges stand unperturbed. Spykman ( i » * )

La geografia e la geopolitica occupano sempre più spazio nelle rivi­ ste e nelle pubblicazioni. Il secolo che viviamo è quello “geopolitico": globalmente, dall’America alla Russia, accademici, politologi, esperti mass-mediatici individuano nei cosiddetti “scenari gropolitici" e nel­ le costanti gcocconomiche le cause dei mutamenti politici globali. Le guerre vengono spiegate come conseguenze della distribuzione geoeconomica delle risorse e spesso gli attori politici diventano ombre manipolate coscientemente dal potere geopolitico e geoeconomico. Dominare lo spazio sembra essere oggi la spinta più forte per spiegare la dinamica politica. La geopolitica, in molte delle sue forme, ha avuto e possiede ancora oggi il fascino di interpretare in modo apparente­ mente chiaro i processi politici che sfuggono agli occhi dei cittadini. La geopolitica è analoga alla cartografia suggestiva. Questa rende “vi­ sibili”, attraverso l’uso di schemi, i complessi mutamenti politici, mo­ strando con l’impiego di frecce, linee c cerchi, non solo le dinamiche della storia politica, ma anche le forze che portano alla decadenza o alla sopravvivenza di un popolo. La geopolitica, in alcune sue inter­ pretazioni, non solo semplifica gli sviluppi storici, ma svuota la storia e l’azione umana del suo carattere contingente, legando i destini dei popoli e degli Stati alla natura - intesa come ambiente geografico o come insieme di risorse economiche. Il fàscino della geopolitica sta, insomma, nella sua presentazione di un ordine naturale, che tenta di ricondurre la politica alla natura e di sottrarla alla contingenza e all’im­ prevedibile azione umana. Questo è però solo un aspetto della geopolitica, che emerge nei pe­ riodi di crisi, simili a quello attuale. Come abbiamo visto, gli studiosi seri c coscienti vedono e tematizzano la dualità dell’azione politica, e cioè la tensione fra la contingenza dell’azione umana e la fissità della *93

IL PENSIERO GEOPOLIT1CO natura, fra la libertà della politica e la limitazione della politica nel' lo spazio. A un livello teoretico più astratto, quelle false certezze che vengono propagandate nell’ambito della pubblicistica geopolitica svaniscono: da Ratzel a Spykman, da Mackinder alla corrente crìtica geopolitica, le aporie della politica e della geopolitica restano irrisolte. La tensione fra la libertà dell’azione politica e la determinatezza della situazione storica e geografica, l’ irriducibilità del dilemma fra una funzione politica e ideologica della scienza e l’anelito ad andare oltre le forme politiche attuali e a progettare scenari futuri restano centrali negli approcci più seri e metodologicamente fondati della geopolitica. La geopolitica crìtica attuale, che continua la tradizione degli autori che hanno riflettuto sull’ interdipendenza del mondo, coscientemente continua e ribalta, in parte, la scuola di pensiero classica. Q uest’ultima, pur rispecchiando politicamente le idee imperialiste e colonialiste, ha apertamente posto la questione del governo di un mondo nuovo, glo­ bale, complesso e interdipendente. Nel registrare questo cambiamen­ to epocale, i primi geografi politici hanno, in parte, superato i confini disciplinari che li separavano dagli storici e dai politologi. A llo stesso modo, alcuni pensatori politici, come Kjcllcn, il gruppo degli storici della c Cari Schmitt hanno iniziato a leggere in modo diverso - ’‘geografico" o spaziale - le categprie che usavano nel loro lavoro e hanno tratto dall’analisi geopolitica gli strumenti per ampliare i propri orizzonti. Questi sviluppi sono stati contrassegnati, in parte, dalla difesa di fórme di aggressione e imperialismo efferate, che hanno condotto il mondo occidentale alla catastrofe politica e materiale. Tuttavia la riflessione sulle categorìe dello spazio e sulla interdipen­ denza degli spazi nel mondo globale non solo non è legata solo alla follia nazista c razzista, come dimostra il percorso successivo della geopolitica nelle democrazie occidentali. Essa rispecchia un’esigenza seria, che dà orìgine attualmente alla crìtica geopolitica delle forme di imperialismo e di dominio, proprie di alcuni approcci attuali. Se allora è vero che la geopolitica, intesa in senso reazionario, riemerge nell’Europa post-ide­ ologica (Bassin, 1005) c altrettanto vero che la coscienza dello spazio e del rapporto fra la politica e il potere accademico e ideologico costitu­ isce uno strumento adeguato per combattere i tentativi di legittimare forme reazionarie di potere e teorìe conservatrici dei "grandi spazi". 11 percorso della geografìa politica che si delineato fin qui rispec­ chia la vicenda dell’agrimensore del castello di Kafka: il tentativo di conferire ordine allo spazio si infrange contro la mancanza di misure

Ostfonchung

è

*94

CONCLUSIONI e d i lu o g h i d e fin iti del m o n d o glo b a lizza to . L a ricerca dei m etod i per la m isu razion e del m o n d o , che avrebbe c o n d o tto H u m b o ld t e R itter a scop rire il legam e fra i lu o g h i partico lari e l ’ in tero co sm o si frantum a secoli d o p o , c o n la g e o p o litica critica, nella d ec o stru zio n c dei lu o g h i di potere e d eg li o rd in i eg em o n ici. L a crisi d ello sp azio p o litic o sovran o rin fo rza il fa llim en to del p ro g e tto in iziale della geo g ra fìa p o litic a d i in d ivid u are l ’a rm on ia fra la c u ltu ra e la natura, l ’o p era p o litic a d e ll’u o ­ m o - e cio è lo S ta to - c la fisicità della terra. L a g lo b a lizza zio n e e l ’ in­ tern a zio n a lizza zio n e sfid a n o l ’ idea d i a u to d eterm in azio n e d egli Stati. I m o v im en ti fin an ziari, d em o g ra fici, la d iffu sio n e d i in fo rm a zio n i ren­ d o n o i c o n fin i p o litic i porosi c q u elli naturali ch im erici. E ppure, tu tto ci rim anda a q u a n to è già accaduto. H erd er, e p o i H u m b o ld t e R itter sulla base della lezio n e h crd criana, h a n n o im presso una svolta fon d am en tale al m o d o di considerare le n azion i, i p o p o li e la ge o g ra fia a partire daU ’cven ro trau m atico d ella co n q u ista c o lo n ia ­ le, e c io è d e ll’u n io n e d el m o n d o civilizza to in un im pero glo b a le. Il pensiero p o litic o d i H erd er form u la catego rie p o litich e , co n il p o p o lo e la n azion e - ch e i “ n u o v i” geo g ra fi d e lim ita n o e o rd in a n o , rivolu ­ zio n a n d o le u n ità d i m isura d e ll’antica statistica. R a tzcl e M a ck in d er reagiscon o alla riv o lu zio n e tecn ica e alla scoperta d a rw in ista d ella d i­ scen d en za d e ll’u o m o d agli anim ali: la visio n e di R atzel un isce lo spa­ z io del m o n d o , a rtico la n d o lo in aree cu ltu ra li e p o litic h e diverse, so tto l ’egem on ia dei p o p o li cu ltu ra lm en te superiori; M a c k in d er costruisce la sua g e o p o litica sulla paura d e ll’a ccerch ia m en to da p arte d e ll’ isolam o n d o d e ll’ im pero m a rittim o b rita n n ico . R atzel e M a c k in d er fo rzan o i c o n fin i d ello Stato, rip ro d u ce n d o il m o v im e n to espansivo della p o litic a im perialista o tto cen tesca e n o ve­ centesca. Il N o v e ce n to rappresenta l ’ep oca in cu i g li spazi d i co n q u ista e le geo g ra fie d eg li im peri si so v ra p p o n g o n o : il g lo b o è “tro p p o p ic ­ c o lo ” per perm ettere a tutti gli Stati d i convivere. L e gu erre m o n d ia li m u ta n o l ’assetto p o litic o e geo g ra fico d el m o n d o , il razzism o e l ’ im ­ perialism o d istru g g o n o il « m o n d o c o m u n e » (A ren d t, z o o o ) , e cio è q u ello sp azio relazion ale che p erm ette la lib ertà in d iv id u a le c, insiem e, la co n d iv isio n e d i scopi e finalità d e ll’agire. L a teoria p o litica e la g e o ­ p o litic a , ch e so n o state analizzate, a cco m p ag n a n o e acceleran o il p r o ­ cesso di erosione d eg li a n tich i eq u ilib ri di p o tere e della p o litic a libera­ le. L e visioni d i S c h m itt e H a u sh o fer c erca n o di anticip are un m o n d o co m p leta m e n te n u o vo , fo n d a to su presu p posti g iu rid ici in n o v ativ i e d istru ttiv i e s u ll’eg em o n ia di po teri co n creti, slegati d a lle a n tich e reg o ­

*95

IL PENSIERO CEOPOLITICO le e c o n v e n zio n i. L a p o litic a am ericana, da p arte sua, solo apparentem en te intervien e in d ifesa del v e cc h io m o n d o , ristab ilen d o l ’eq u ilib rio eu rop eo. In verità essa si fo n d a su u n ’altra riv o lu zio n e p arad igm atica: q u ella d ei d iritti universali e della d em o crazia w ilson ian a, basata sulla forzatu ra glo b a le d ei c o n fin i statali per l ’eg em o n ia e c o n o m ic a am eri­ cana. L a storia viene “spaziaiizzata" nella g e o p o litica an gloam erican a d i M a c k in d er e B o w m an : i d ifferen ti percorsi storici, che si raggru m a­ n o n ella fo rm azio n i p o litic h e p a rtico lari - n egli Stati - n on so n o p iù rilevanti per una g e o p o litica ch e si fo n d a sulle risorse e sulle ricchezze. N e lla nostra ep o ca, in cu i viene acclam a to il d e c lin o d elle fo rm e p o ­ litich e e c u ltu ra li o c c id e n ta li - d e c lin o già da tem p o co n su m ato - la g e o p o litica c la p o litic a r ic o m p o n g o n o e sc o m p o n g o n o i fram m en ti d eg li o rd in i p o litic i scom parsi. L a geog ra fìa critica c la sp aziaiizzazion e della sto riografìa so n o i d u e m aggiori pa rad igm i ch e m iran o o g gi a ri-im m agin are e ricostruire u n o sp azio p o litic o n u o vo , sulla base delle teorie fo u ca u ltian c c d egli stu d i po stcolon ialisri. « G e o g r a p h y m atters m ore than ever » , scrive H arm D e Bli) (zo o $ ). L e teorie p o litic h e e q u elle g e o g ra fich e cercan o an cora una v o lta di ri­ co stru ire il senso, i c o n fin i e un ord in e, rifle tten d o sulla d in a m icità di qualsiasi assetto e sulla flu id ità d i o g n i ten tativo di d e fin iz io n e d i un o rd in e. N e l farlo, esse n o n rifle tto n o dei m utam en ti, m a li innescano, li p ro m u o v o n o , crean d o dei lu o g h i, d elle im m ag in a zion i g e o p o litich e o p o litic h e . R ifle tte n d o sulla p o ssibilità d i creare lu o g h i liberi d a ll’e­ ge m o n ia d el m ercato, spazi aperti a ll’a p p ro p ria zio n e da p arte d ei c it­ tad in i. il pensiero c ritic o co n tin u a a riven d icare un p o tere c un ru olo sig n ifica tivi nel processo d i riflessione. R eclam are gli spazi - spazi di citta d in a n za c di a zio n e civica - v u o l d ire, in q u esto caso, reclam are il d iritto a scom p o rre c ricom p orre q u elle m appe m en tali, in d iv id u a li e co llettiv e, ch e im b rig lia n o la storia. L a g lo b a lizza zio n e, co m e m ostra fra gli a ltri W allerstein (10 10 ), n on sign ifica e g u a g lia n z a o parità d i o p ­ p o rtu n ità di accesso alle risorse, m a al c o n tra rio il c o n so lid a m en to di p eriferie e cen tri d i potere. A llo stesso m o d o il flusso di c o m u n ic a z io n i n on p ervad e tu tti gli spazi, m a lascia fu o ri gli sco n fitti e i m argin ali. R ein ven tare il fu tu ro sig n ifica allora accettare la sfida d i ripensare a un o rd in e ch e, p er q u a n to flu id o sia, trasform i lo sp azio in d e term in a to in lu o g h i in cu i i d iritti e l ’ idea di g iu stizia p o ssan o valere.

196

Letture consigliate

Geografìa classica tedesca nell’Ottocento Le opere consultate riguardano sia una parte della letteratura primaria filoso* fica e geografica, sia la letteratura secondaria che indaga i rapporti ira la ge­ ografìa e la fdosofìa. Per quanto attiene alla filosofia tedesca c al suo apporto per la determinazione della scienza corologica si è facto riferimento, riguardo all'interpretazione kantiana, al saggiodi I. CONSOLATI, L a splendida m iseria. K a n t e la civiltà coloniale, in “ Filosofia politica”, xx vii , 2.015, $» pp- 479-98: all’opera di J. DÜNNE, s. gü n zel , R aum theorie. G rundlagen aus Philosophie u n d Kulturw issenschaften , Suhrkamp, Frankfurt a. M . 1006; b . hum ph reY, T he historical a n d conceptual relations hetween K ant's M etaphysics o f space a n d Philosoplsy o f Geom etry, in “Journal o f the History o f Philosophy“, x i,

1973, pp. 485-511; g . wohlfart , Ist der R aum eine Id eeÌ Bem erkungen zu r transzendentalen A steth ik K an ts, in “ Kant-Studien", 1,1980, pp. 137-54; D. N. LIV1NGSTONE, s. w. j. w ith ers , Geograplry a n d E n lig h ten m en t, University

o f C hicago Press, C hicago 1999 c, per quanto riguarda Hegel, all’opera di p. rossi . Storia universale e geografia, Sansoni, Firenze 1975, che commentano le fondamentali posizioni di Hegel riguardo alla geografia, contenute nella seconda e terza edizione dell’ Enciclopedia delle scienze filo so fich e del 1817 e del 1830, e infine alle L ezio n i su lla filosofia della storia pubblicate postume nel 1840, c a m . BERTOZZl, I l fascino indiscreto d el determ inism o geografico, ovvero H egel e R itter, in M. BERTOZZl et a i, E lem en ti d i geopolitica. Sapere, Padova >9 9 7 . pp. >7 ) 0 . Su Ritter la letteratura è m olto vasta. Fra tutti: G. kram er , C a rl R itter; E in L eben sbild nach seinen NacM ass, Buchh. d. Waisenhauses, Halle 1875; H. SCHMITTHENNER, w. h ar tk e , Studien über cari R itter, Kramer, Frankfurt a. M. 1951; L. ZÖGNER, C a rl R itter in seiner Z e it; 177 9 -1S S 9 , Reimer, Berlin >979; a . sc h a c h , C a rl R itter, Litt, Münster 1996; BECK h., C a rl R itter, Rei­ mer, Berlin 1979. D i Ritter si c considerata la sua D ie E rdkunde im Verhältnis zu r N a tu r u n d z u r G eschichte des M enschen oder allgem eine vergleichende G eographied cl 1812. (Reimer, Berlin).

La filosofia di Herder in J. G. Herder , Ideen zu r Philosophie der G es­ chichte der M enschheit, 1 voll., a cura di W. Pross, Hanser, München 1001 (cd.

or. 1785) c, sempre di J. G. HERDER, A uch eine Philosophie der G eschichte der M enschheit, in B. Suphan (hrsg.), Säm tliche Werke, O lm s, Hildesheim 1967,

voll. 33 (cd. or. 1774), sono state analizzate per rintracciare il loro apporto

>97

IL PENSIERO CEOPOLIT1CO alla formulazione del paradigma geografico rittcriano, soprattutto da: H.

d

.

Sc h u l t z , H erder u n d R a tzel: u v e i E xtrem e, ein Paradigm a?, in "Erdkunde", 1998, $1, pp. 117-43; ID., R aum konstrukte d er klassisdren Deutschsprachigen Geographie des 19./20. Jahrlm nderts im K o n text ihrer Z e it: E in Ü berblick, in

"Geschichte und Gesellschaft" 1001, 18, pp. 343-77; ,D * D as P o litisela an d er klassischen D eutsdren Geographie, in "Erdkunde”, 59,2.005, ■ »PP- 5-2.1; i d . M it oder gegen G eschidrte? D ie D icken des geographischen Paradigm as beim K a m p f des Faches um d ie O berstufe der höheren Schule Preußens vordem ersten W eltkrieg, in U Wardcnga, I. Hönsch (hrsg.), K o n tin u itä t u n d D iskon tin u itä t der deutschen Geographie in Um bruchphasen, Münscerschc Geographische

Arbeiten, Münster 1995, pp. 19-50. La maggiore opera del geografo hegeliano

E. kapp . Vergleichende A llgem ein e E rdkunde in w issenschaftlicher D arstellung, Westermann, Braunschweig 1868, è stata letta alla luce del suo apporto per la nascita della geografìa politica da H. M. SASS, D ie philosophische E rdkunde des hegelianers E rnst K app, in “Hcgclstudicn" 8,1975, pp. 163-81 e R. SPRENGEL, K ritik der G eopolitik, Akademie Verlag, Berlin 1996. Le principali opere che delincano la nascita della geografia di Ritter e H um boldt in Germania sono: R. DIKSHIT (cd.), D evelopm ents in p o litica i Geography, Sage, N ew D chli 1997; F. farinelli . C he cos'è i l territorio, in N . Bertoncin, A . Pasc (a cura di), Pre-visioni d e l territorio, FrancoAngeli, M ilano 2.008; ID., C risi d ella ragione cartografica, Einaudi, Torino 1009; D. N. livin -

GSTONE, T he G eographical Tradition: Episodes in thè H istory o f a C ontested E nterprise, Blackwell, O xford 1991; c . raffestin , G éopolitique et histoire,

Payot, Lausanne 1995; h . d . sc h u lt z . D ie deutschsprachige Geographie, Selb­ stverlag des Geographischen Instituts, Berlin 1980; E. w iso t z k i , Z eitströ ­ m ungen in d er Geographie, Dunckcr und Humblor, Leipzig 1897.

Geopolitiche dell’ imperialismo tedesco e anglosassone fra Ottocento e Novecento I principali geografi che promuovono rimperialismo e pongono le basi della geografia politica sono Friedrich Ratzel, Alfred T. Mahan e Halford Mackindcr. Le maggiori opere di Ratzel sono: F. ratzel , Antbropogeographie oder G rundzüge d er A nw endung d er E rdkurule a u f d ie G eschichte, Engelhorn, Stuttgart i88z; ID., Vorlesungen R a tzels ÌS90-1S94, P o litis c h Geographie u n d Staatskunst, in Ratzels Archiv, Leibniz Institut fiir Länderkunde, Kasten 155;

ID., D er Staat u n d sein B oden, Hirzcl, Leipzig 1896; ID., G esetz des räum lichen W achstum s der Staaten, in "Pctcrmanns Mitteilungen", 1896, 5, pp. 97-107;

ID., P o litis c h Geographie, O ldenbourg, M ünchen 1897; ID., D eutschla n d, Grunow, Leipzig 1898; id ., D ie M e n sch h it als Lebenserscheinung der E rde, in

198

LETTURE CONSIGLIATE H . F. Hclm ot (cd.), Weltgeschichte, Biographisches Institut, Leipzig 1899; i d ., Einige Aufgaben einer politischen Geographie, in “Zeitschrift für Sozialwissenschaften”, 3, 1900,1, pp. 1-19; ID., Der Lebensraum, in Büchner K. et a i, Fest­ gabefür Albert Schaffe zur Siebzigsten Wiederkehr seines Geburtstages, Verlag der H. Lappschcn Buchandlung, Tübingen 1901, pp. 103-89; ID., Die Erde und das Leben, Bibliographisches Institut, Leipzig 1901, z voll.; id ., Land und Landschaß in der Nordamerikanischen Volksseele, in “ Deutsche M o ­ natsschrift”, 190z, z, pp. 313-38; id ., Politische Geographie oder die Geographie der Staaten, Verkehre und des Krieges, O ldenburg - München 1903; ID., D ie geographische Bedingungen und Gesetze des Verkehrs undSeestrategik, i n "G e o ­ graphische Zeitschrift”, 1903,9, pp. 489-313; ID., Anthropogeogntphie. Bandi: Grundzüge der Anwendung der Erdkunde a u f die Geschichte, Stuttgart 1909; ID., Das Meer als Qitelle der Völkergrösse: eine politischgeographische Stud­ ie, Helm ot, München 1911. Le traduzioni italiane principali di Ratzel sono: Geografia dell'uomo: prìncipi di applicazione della scienza geografica alla sto­ ria, trad. U Cavcllcro, Bocca, M ilano 1914; La terra e la vita, trad. a cura di A . C icogn in i c M. Lcssona, UTET, Torino 1907; Le razze umane, trad. a cura di M. Lcssona, in N . Neumayr et al.. Storia naturale, UTET, Torino 1891-96; Il mare, origine e grandezza dei popoli, UTET, Torino 1906. La letteratura secondaria su Ratzel è vasta. Alcune delle maggiori opere sono la raccoltadi m . a n t o n sic h , v . kolossov , m . p. pagnini (cds.),Europe betiveen Politicai Geograpljy and Geopolitics, Società geografica italiana, Roma

1001; G. BUTTMANN, Friedrich Ratzel, Leben und IVerk eines deutschen Ge­ ographen, Wissenschaftliches Vcrlagsgesellschaft, Stuttgart 1977; g . dijkink , Ratzels Politische Geographie and nineteenth-century German Discount, in Antonsich et al. (eds.), Europe between Political Geography, cit., pp. 113-17; F. farinelli , Friedrich Ratzel and thè nature o f (politicai) geograpfty, in “Politi­ cal Geography", 1000,19,8, November, pp. 943-33; J. M. hun ter , Penpective on Ratzels politicaigeograplry, University Press o f America, London 1983; F. la n d ò , La geografìa di Friedrich Ratzel: suolo, stato e popolo, in “ Bollettino della Società geografica italiana”, 1011, 13, 3. pp. 477*311; G. H. MÜLLER, Frie­ drich Ratzel (ti44-1904): Naturwissensclraftler, Geograph, Gelehrter, Verlag für Geschichte der Naturwissenschaften und der Technik, Stuttgart 1996; G. PARKER, Ratzel, the French School and the birth o f alternative Geopolitics, in “ Pblitical Geography”, 1000,19, pp. 957-69; h . d . sch u lt z , Hätte die Erde

me/rr Raum! Friedrich Ratzel und sein (politisch-) geopaphisclres Weltbild, in “M itteilungen der Geographischen Gesellschaft München”, 1007, 89, pp. 3-45; id ., Geopolitik avant la lettre in der deutsdrsprachigen Geographie bis zum ersten Weltkrieg, in Geopolitik: zur Ideologiekritik politischer Raumkonzepte, Promedia, W ien 1001, pp. 19-50; id ., Ratzel: Raumdenker oder Rassend­ enkerl, in “Geographische Revue", 1006, 1, pp. 5-45; id . (hrsg.), Europa als geographisches Konstrukt, Institut für Geographie Selbstverlag, Jena 1999; R.

199

IL PENSIERO GEOPOLITICA SPRENGEL, Kritik der Geopolitik, Akadem ie Verlag, Berlin 1996; B. STRECK (1001), Difjusionism and Geopolitics in the Work o f Friedrich Ratzel, in A n ton ­ sich et a l (cds.), Europe between Political Geography, cit., pp. 51-77.

Sul circolo di Lipsia c su Karl Lamprccht le letture più significative sono: r.

CHICKERING, Kari Lamprecht. A German Academic Life 1896-191$, Hu­

manities Press, Atlantic Highlands 1993; m . MIDDELL, Weltgeschichtsschreihung im Zeitalter der Verfachlichung und Professionalisierung. Das Leipziger Institut ftir Kultur und Universalgeschichte 1890-1990, a v a , Leipzig 1005; L. s c h o r n - s c h ü t t e , Karl Lttmprecht. Kidturgeschichtsschreibung ztvischen Wissenschaft und Politik, Vandehocck und Ruprecht, Göttingen 1984; E. ÜNER, Die Emanzipation des Volkes zum Votksbegriffder Leipziger Schule vor 1933, in R. Mackensen, J. Reulcckc (Hrsg.), Das Konstrukt Bevölkerung vor, im und nach dem Dritten Reich, Verlangfü r Sozialwissenschaften, Wiesbaden 1005; R. BRUCH, Weltpolitik als Kulturmission. Auswärtige Kulturpolitik und Bildungsbiirgertum in Deutschland am Vorabend des Ersten Weltkrieges, Schöhnig, Paderborn 1981. Le maggiori opere di Lamprccht consultate sono: K. l a m p r e c h t . Über auswärtige Kulturpolitik, Rede gehalten am 7. Oktober 1912 a u f der Tagung des Verbandesfür internationale Verständigung zu Heidel­ berg, Veröffentlichungftir internationale Verständigung, Kohlhammcr, Leipzig 1913; Ausgewählte Schiften zur Wirtschafts- und Ktdturgeschichtend zur The­ orie der Geschichtswissenschaft, Aalen 1974; id ., Zur auswärtige Kulturpoli­ tik, in R. Vom Bruch, Wettpolitik als Kultumission. Auswärtige Kulturpolitik und Bildungsbiirgertum in Deutschland am Vorabend des Ersten Weltkrieges,

Schöhnig, Padeborn 198z. In genere sull*imperialismo tedesco sono da considerare: w .j. m omm sen ,

Das Zeitalter des Imperialismus, Fischer, Frankfurt a. M . 1969; ID., Imperial­ ismustheorien. Ein Übeiblick über die neueren Imperialismusinterpretationen, Vandcnhocck und Ruprecht, G öttingen 1980. Sul colonialismo tedesco e i suoi rapporti con lem crgcrc della scienza politico-geografica sono essenziali le opere: w . D. SMITH, The ideological origins o f Imperialism, oup , O x­ ford 19 86 ; 1D., Politics and the Sciences o f Culture in Germany 184 0-1920, OUP, O xford 1991 e, in generale: s. MOHAMMAD, German Colonialism, C olum bia University Press, Berkeley 1011. Le maggiori opere di Mahan sono: a . T. m a h a n , T he In fluence o f Sea Pow er upon H istory, Little Brown, Boston 1890; id .. The interest o f A m erica in Sea Pow er present a n d fu tu re , Litdc Brown, Boston 1897: id .. T he P rob­

Nazi

lem o f A sia a n d its E ffect upon In terna tiona l Policies, Little Brown, Boston

1900. La letteratura secondaria su Mahan è abbastanza scarsa: si deve citare, insieme con l’opera di SPRENGEL: H. H. HERWIG, The Influence o f A . T M a ­ han upon G erm an Sea Pow er, in J. B. Hattendorf (cd.). T he influen ce o f H is­ tory upon M ahan , Diane Publishing, Newport 1991, pp. 67-80; s. B. JONES, G lob a l strategic Vietvs, in "Geographical Review", 1945,45, 4, pp. 491-508; a .

zoo

LETTURE CONSIGLIATE D. lambert , The Royal Navy, ii$6-tpi4: Deterrence and Strategy o f World Poioer, in K. Ncilson, E. J. Errington (eds.), Navies and Global Defense: The­ ories amd Strategy, Praeger, W estport (c t ) 1995, pp. 69-7); D. van l a a k , Von Alfred T. Mahan zu Carl Schmitt, in L Dickmann, P. Kruger. J. H . Schoeps (hrsg.), Geopolitik. Grenzgänge im Zeitgeist, Verlag fur Berlin Branden­ burg, Potsdam 1000, pp. 157-81; m . r . sh ulm an , The Influence o f Mahan upon Sea Power, in “ Reviews in American History* 1991, 19, 4, pp. 511-7; R. seager , Alfred Thayer Mafsan: The Man and his Letters, Naval Institute Press, Annapolis 1977; y T. SUM i da . Inventing Grand Strategy and Teaching Command: The Classic Works o f Alfred Thayer M ahan,). Hopkins University Press, Baltimore 1010. Lc opere principal di Mackinder sono: h . j. Ma ck in d e r , On the Scope and Methods o f Geography, in “Proceedings o f the Royal Geographical Soci­ ety and M onthly Record o f Geography* N ew M onthly Scries, 1887,9, 5, pp.

141-74, ora in ID., 'life Scope and Methods o f Geography'and *The Geographical Pivot o f History, Royal Geographical Society, London 1951; id ., Modem Geography, in “German and English Geographic Journal", 1895,6, pp. 567-79; ID., Tlxgreat trade routes, in “Journal o f the Institute o f Ban leers", 1900,11, pp. 1-6. pp. 157-55, pp. 166-75; id *. Britain andtheBritisls Seas, Heinemann, Lon­ don 190t; ID, The development o f geographical teaching out o f nature study, in “ Geographical Teacher", 1904,1, pp. 191-7; id , Man-Power as a Measure o f National and Imperial Strength, in “National and English Review", 1905, x iv ; id . Lectures on Empire, a cura di M. E. Sadler, London 1907; id . The Modem BritisI) State, Philip, London 1914; id . The English Tradition and the Empire: Some Thoughts on Lord Milner's Credo and the Imperial Committees, in “ United Empire* 1915,14, pp. 1-8; ID, Geography as art and philosophy, in “Geography", 1941,18, pp. 595-605 c ID, Democratic ideals and reality, H olt,

N ew York 1919. Le rraduzioni italianc dcllc opere di Mackinder sono: ID,

II

pemogeografico della storia, in M. Bcrtozzi et al. (a cura di), Elements digeopolitica, Sapere, Padova 1997 (ed. or. 1904 e 1917); ID, Sillabi per Tinsegnamento dellageografla in Ingbilterra, vol. 11, D c Agostini, Novara 1917. La principalc lettcratura sccondaria sul gcografb inglcsc i contenuta in L. M. ASHWORTH, Realism and the spirit o f ¡pip: Halford Mackinder and the reality o f tlx League o f Nations, in “European Journal o f International Relations", 1010,10,10, pp. 1-15; B. w. blouet , Ha ford Mackinder. A Biograplry, Texas University Press, C ollege Station 1987; id . Global Geostrategy, Mackinder and the Defence o f the West, Frank Cass, London 1005; bo r d o n ar o , Lageopolitica anglosassone, Guerin i. Roma 1011; r . a . bultin , TI>e Pivot and imperial Defence Pol­ icy, in Blouet (ed.), Global Geostrategy, c it , pp. 56-54; M. c h ia r u z z i , *Fas est et hoste doceri". Motivs e moments della prima geopolitica anglosassone, in ‘ Filosofia politica". 1011,15,1, pp. 45-56: G. kearn s , Geography and Empire, OUP, O xford 1009; id . Geography, Geopolitics and Empire, in “Transactions",

101

IL PENSIERO GEOPOLITICO io io , }5, 2, pp. 187-20); G. o ’t u a t h a i l . C ritica l G eopolitics, University o f Minnesota Press, M inneapolis 1996; ve. H. Pa r k e r , M ackinder, Geography as a n A id to Statecraft, Clarendon Press, O xford 1982; D. s c a l e a J o h n M a c­ kinder. D a lla geografia a lla geopolitica. Fuoco ed., Roma 201 j.

La geopolitica e il pensiero politico tedesco tra le due guerre e fino al nazionalsocialismo La letteratura sulla rivoluzione conservatrice c vasta, tuttavia solo poche ope­ re riguardano 1* intreccio fra la geopolitica e il pensiero politico neoconservatorc. Per b rivoluzione conservatrice c il pensiero völkisch si fa riferimento a: S. b r e u e r . L a rivoluzion e conservatrice, Donzelli, Roma

1995; ID., G ru n d 1999; ID.,

Positionen der deutschen R echten (1 8 7 1 -1 9 4 $ ), Diskord, Tübingen

O rdnungen der U ngleichheit - D ie deutsche R echte im W iderstreit ihrer Ideen 18 7 1 -1 9 4 $ ,

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e lv e r t ,

M itteleurop a ! D e u ts c h P lä n e z u r europäischen N euordnung (¡9 1 8 -1 9 4 $ ),

Steiner, Stuttgart 1999;

a . m o eller van der b r u ck ,

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Ring Verlag, Berlin 192$; a . MÖHLER, D ie konservative R evolution in D eutsch­ la n d ¡9 18 -19 3 2 . G ru n d riß ihrer W eltanschauung, Vorwerk, Stuttgart 1950; K. s o n t h e im e r ,

A ntidem okratisches D enken in der W eim arer R ep ublik, d t v ,

München 1992. Sugli intrecci tra la storiografìa tedesca, la geopolitica e la politica espan­ siva oltre i confini tedeschi orientali nella Repubblica di Weimar c soprattut­ Konkrete to durante il nazionalsocialismo cfr.: G. a l g a z i , O tto B ru nn er O rdnung“ u n d Spradfe d e r Z e it, in P. Schot der (hrsg.), G eschichtsschiebung als Legitim ationsw issensdtaß ¡918-194$, Suhrkamp. Frankfurt a. M .

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d ie N euorientierung der westdeutschen W issenschaß nach

tion alsozialistischen P o litik ?: D ie ”Volksdeutschen Forschungsgem einschaßen“ von

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2000;

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Brockmcyer, Bochum 1994; 1. h a a r et a l (hrsg.), H an dbuch der völkischen W issen­ schaften, Saur, München 2008; w . j. m o m m s e n . Vom „V olkstum skam pf* zu r deutsdie Volks- u n d K ulturbodenforschung in L eip zig,

nationalsozialistischen Vcm ichtungspolitik im O sten. Z u r R olle der deutschen

202

LETTURE CONSIGLIATE Historiker unter dem Nationalsozialismus, in W. Schulze, O. G. Oexle (hrsg.), Deutsche Historiker im Nationalsozialismus, Fischer, Frankfurt a. M. 1999, pp. 183-214; w . o b e r k r o m e . Volksgeschichte. Methodische Innovation und völkische Ideologisierung in der Deutschen Geschichtswissenschaft, Vandcnhoeck und Ruprecht, Göttingen 199); p. s c h ö t t l e r (hrsg.), Geschichtsschriebungals Legitimationswissenschaft 1918-1945, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2.001; w. SCHULZE, Deutsche Geschichtswissenschaft nach 1945 Oldenbourg, München 1989; w. w ip p e r m a n . Der deutsche Drang nach Osten, Wissen­

,

schaftliche Buchgcscllschaft, Darstadt 1981. La principalc letteratura primaria claborata dagli storici che promosscro la Ostforschung annovera: H. aubin . Geschichtliche Landeslutnde. Anregun­ gen in vier Vorträge, Klopp, Bonn 1925; ID., Die geschichtlichen Grundlagen der deutschen Stämme, in a a .vv ., Verhandlungen der siebten deutschen Sozi­ ologentages 28. Sept.-i. Oktober, Berlin-Tübingen 1931; ID., D ie Ostgrenze des alten deutschen Reiches. Entstehung und staatsrechtlicher Charakter, in ID., Von Raum und Grenzen des Deutschen Volkes, Darmstadt 1938; o. BRUN­ NER, Land und Herrschaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsges­ chichte Südostdeutschlands im M ittelalter, Veröffentlichungen des Instituts für Geschichtsforschung und Archivwissenschaft, Wien 1939; p. c h ia n ter a -s t u t t e , Space Großraum and Mitteleuropa, in “European Journal o f Social Thcory", 2008, n, pp. 185-201; w. c o n z e , Hirschenhof D ie Geschichte einer deutschen Sprachinseln in Livland, Neue Deutsche Forschungen, Berlin 1934; i d .. D ie ländliche Überbevölkerung in Polen, in G. Gusti (hrsg.), Die Arbeiten des xivinternationalen Soziologen Kongresses in ßuearesti, Das Dorf, vol. 1, Bukarest 1940-41, pp. 40-53; ID., Agrarverfassung und Bevölkerung in Lituanien und Weißrussland, Teil 1: D ie Hufenverfassung im Großfurstertum Lituanien, Hirzcl, Leipzig 1940.

Sulla questione delle minoranzc tcde sehe c sulla legittimazionc giuridica e gcopolitica dcl Drang nach Osten il libro fa riferimento all’influcntc opera di M. H. boehm , Minderheiten, Judenfrage und das neue Deutschland, in“Dcr Ring" 1933,6, pp. 270-1 c alla concezionc di territorio di a . pen c k , Deutsche Volks und Kulturboden, in K. C . Loesch (hrsg.), Volk unter Völker, Deutsche Schutzbund, Breslau 1925, pp. 62-73. In generc sulla Repubblica di Weimar e sul suo rapporto con la gcopoli­ tica si rimanda ai lavori di: M. Bassin , Race contraspace. Theconftictbetween German Geopolitik and National Socialism, in “Political Gcography Quarterly" 1987,6, pp. 115-34; w. y c ah n m an , Methods ofgeopolitics, in "Social fbrees" 1942, 21, 2, pp. 147-54; P. c h ia n t e r a -s t u t t e , Destino Mitteleuropa! Fra scienza geografica, gcopolitica e pensiero politico conservatore da Ratzel a Hitler, in “Filosofia politica“, 2011, 25, 1, pp. 29-44; n>.. D ie neue Raumord­ nung Krise und Auflösung des Nationalstaates im Austausch zwischen Geopoli­ tik und konservativer Revolution, in "Historische Mitteilungen”, 2008,21, pp.

203

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La bibliografia primaria geopolitica utilizzata e inccntrata sui lavori di Kjellcn c Alb recht e Karl Haushofer: R. kj ELLEN Studier öfver Sveriges politiskagränser, Ymer, Stockholm 1899, pp. 183-331; ID., D ie ideen von ipi4. Eine weltgeschichtliche Perspektive, Hirzel, Leipzig 1915; ID., D ie politische Probleme des Weltkrieges, 111 cd. Tcbner, Leipzig-Berlin 1916; ID., Grundriß zu einem System der Politik, Vowinckcl, Berlin-Leipzig 1910; i d „ D ie Gross­ mächte und die Weltkrise, Tcubncr, Leipzig-Berlin 1911; ID., Der Staat als Lebensform, i v cd. Vowinckcl, Berlin-Leipzig 1914; j. klein , A d olf Grabowsky: ein vergessener Politikwissenschafiler, in B. Hcfencgcr, W. Schäfer (hrsg.), Aufbruch zwischen Mangel und Vertveigerung, Marburg Rathaus Verlag, Mar­ burg 1000, pp. 393-410; a . Haush ofer , Berichterstattung, in “Zeitschrift für Geopolitik“, 1931,1, p. 419; i d .. D ie suggestive Karte, in “Grenzboten*, 1911, 1, pp. 17-9; id .. Geopolitik, in B. Harms (hrsg.), Volk und Reich der Deutschen. Vorlesungen gehalten in der deutschen Vereinigungfiir Staatswis­

104

LETTURE CONSIGLIATE senschaftliche Fortbildung, 3. voli., Scicntia, Berlin 1919; id ., Berichterstattung, in “ Zeitschrift ftir G eopolitik”. 19)0, 7 ,1, p. 181; id ., Raum und Erde, 3 voll., Teubncr, Leipzig - Berlin 1934; id ., Politisdse Erdkunde und Geopolitik (ed. or. 1944), in J. M atzncttcr (hrsg.), Politisdse Geographie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft Darmstadt 1977; ID., Prcfazionc a S. Ncaring, R. Freeman, Dollar Diplomacy: A Study o f American Imperialism, Arno, N ew York 1970 (ed. or. 1915); ID. e ta l, Bausteine zur Geopolitik, Vowinckel, Berlin 1918. Sono state prese in cortsidcrazionc alcunc tra Ic maggiori rivisce politiche e geopolitichc: “D ie Tat" c “ Zeitschrift fiir G eo politik“, trattatc nclle opere rispettivamente di H. h ecker , D ie Tat und ihr Osrteuropahild 1909-19$9, Verlag Wissenschaft und Politik, Köln 1974 e K.-H. h arbeck . D ieZeitschriß

fiir Geopolitik 1924-1944, Dissertation der Philosophischen Fakultät der Universität Kiel, Kiel 1963. In particolare sono stati analizzati i numeri dcllc rivistc dal 1914 al 1941. D eila “ Zeitschrift ftir G eopolitik” sono stati scclti i seguenti articoli: m . baum ann , Raum und Staat, in “ Zeitschrift fiir G e­ opolitik”, 1933, 10, 9, pp. 554*9; F- S. BODENHEIMER, Der Staat als Überin­ dividuum, in “ Zeitschrift fiir G eopolitik”, 1931, 9, 9, pp. 561 ss.; H. HASSIN*

GER, Staat als Landschaftsgestalter 11, in “ Zeitschrift fiir G eopolitik”, 193z, 9, 1, pp. 181-3; E- OBST, Berichterstattung, in “ Zeitschrift Ftir G eo p olitik ”, 1916, 3, i , p. 138; ID., Das Problem Europa, in “ Zeitschrift ftir G eo p olitik ”, 1914, 1, 1, p. 61; ID., Berichterstattung, in “Zeitschrift fiir Geopolitik", 1919, 6 ,1, p. 13; ID., Berichterstattung, in “Zeitschrift für G eopolitik” 1919, 6, i , p. 187; ID., Berichterstattung, in “ Zeitschrift für G eo politik”, 1919. 6, 8, p. 616; ID., Berichterstattung, in “Zeitschrift für G eopolitik”, 1930, 7,9 , p. 915; k . c . von LOESCH, Der Kam pfftir das Rechtim Osten, in “ Zeitschrift fiir Geopolitik", 1930.7.1, pp. 19-41; K. v o w i n c k e l . Der Staat als Lebensform, in “Zeitschrift ftir G eopolitik”, 1933, p. 608. Nella rivista “ D ie Tat” sono stati selezionati i seguenti articoli: E. GÜN­ THER, Künstlerische Geographie, in “D ie T at”, 19 14 ,16 , 7, p. 814; H. GRUENEberg . Ist eine Kulturpolitik bereits möglich?, in “ D ie T at”, 14, 8, 1931, p. 871; A. g r a bo w sk i , Pobtisdses Verständnis durch Karten, in “ D ie Tat”, 1918,10, I, pp. 65-71; L. von strauss UND TORNEY, Heroische Revolution, in "D ie Tat", 1919, 1 1,1, pp. 81-100; G. Wirsin g , Die grüne Internationale, in “D ie Tat", 1930, 11, 3, pp. 111-30; ID., Les deux Europes, in “D ie Tat", 1930, n , 9, pp. 711-5; ID., D ie Siegfriedstellung der deutsdsen Außenpolitik, in “ D ie Tat", 1 9 3 1 .1 4 .1 , pp. 14-35; IO.. D ie Adssen Europas, in “ D ie Tat", 1936, 18, 5, pp. 311-7; H. ZEHRER, D ie Ideen der Außenpolitik, in “ D ie Tat", 1 9 1 9 ,1 1 ,1 , pp. i o i - io ; ID., Ist eine Deutsche Außerpolitik überhaupt möglich? in “ Zeitschrift für G eo p olitik ”, 1930, 7,1, pp. 1-18; id ., Rechts oder Links?, in “ D ie Tat”, 1931, i ) . 7. PP- $05*59; 1D., Deutschlands fVegin der Engpass, in “ D ie Tat”, 1931,13, II, pp. 857-73; ID., Der Umbau des deutschen Staates, in “D ie Tat", 1933,15,1, pp. 7-10; ID., Außenpolitik und nationaler Sozialismus, in ”D ic Tat", 1933,15,

IL PENSIERO CEOPOLITICO

Deutschlands wegaus der Einkreisung,

3, p. 179; a n o n im o , ma h . zeh rer , in “ D ie Tat", 1931, 31, pp. 919-56. Inoltre sono state prese in considerazione le seguenti fonti primarie: H. h assin g er , in "M itteilungen der K . K . Geographiseen Gesellschaft in Wien", lx , 1917: E. Ja c k h , in "Deutsche Politik", I, 1916, pp. 1063-71; o. m aull , in “Geographischer Anzeiger", 1916,17, Wissenschaftliche pp. 145-53; ). m atzn etter (hrsg.). BuchgcSeilschaft, Darmstadt 1977, e a n o n im o , , in “Geographisches Wochenschrift", 1935, J. partsch , Perthes, G otha 1904 e G. w ir sin g , Dicderich, Jena 1931, pp. 9 ss. Le opere di Schmitt che sono state considerate comprendono: C. SCH­ MITT, Le categorie del politico, il M ulino, Bologna 1971 (ed or. 1963); ID , Teoria del partigiano, il Saggiatore, M ilano 1981; id ., Völkerrechtliche Gross­ raumordnung mit Interventionsverbotfü r Raumfremde Mächte, Dunckcr und Hum blot, Berlin 1991 (cd. or. 1941J; ID., Staat, Großraum Notnos. Arbeiten aus denJahren ¡916-1969, in G . Maschkc (hrsg.), D unckcr und Hum blot, Ber­ lin 1995; ID., Terra e mare, Adclphi, M ilano 1001 (ed. or. 1941); ID., Nomos della terra, Adclphi, M ilano 1006 (cd. or. 1930); ID., Risposte a Norimberga, Laterza, Roma-Bari 2.006 (ed. or. 1000); ID., Posizioni e concetti, Giuffrè, M i­ lano 1007; id „ Dialogo stdpotere, Adclphi, M ilano 1011. La letteratura secondaria su Schm itt è m olto vasta. Per quanto riguarda la sua concezione generale del « p o litico » e la sua idea di diritto intem aziona­ Boringhicri, Torino le sono da annoverare: G. a g a m b e n , L o 1003; j. w . b e n d e r s k y . il M ulino, Bologna

Dos geographisdses Wesen Mitteleuropas, Mitteleu­ ropa als Organismus, Politifelle Geographie und Geopolitik, Politische Geographie, Aussprache über Geopolitik in Bad Sarrow y, Mitteleuropa. Die Länder und l^olker, Zwischeneuropa und die deutsche Zukunfi,

stato d'eccezione, Cari Schmitt teorico del Reich, 1989; a . c o l o m b o , La guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della so­ cietà intemazionale, il M ulino, Bologna 1006; c . g a l l i . Genealogia della po­ litica, il M ulino, Bologna 1996; ., Lo sguardo di Giano, il M ulino, Bologna 1008; w. g u r i a n , DerN. S. Kronjurist Cari Schmitt als Moftr, in “Deutsche Briefe“, 1, D cccm bcr 11, 1936, pp. 489-91; h . Ho f m a n n , Legitimität gegen Legalität. Der Weg der politischen Philosophie Carl Schmitts, Dunckcr & H um blot, Berlin 1001; w . h o o k e r , Carl Schmitts international Thought, CUP, Cam bridge 1009; F. k e r v é g a n , Carl Schmitt and the World Unity, in c . MOUFFE (cd.), The challenge of Carl Schmitt, Verso, London 1999, PP* 57*74: M. KosKENNiEMi, // mite civilizzatore delle nazioni, Laterza, R o­ ma-Bari i o t i ; G. m a r r a m a o , The Exile ofthè Nomos:fora Criticai Profile of Cari Schmitt, in “C ardozo Law Review" zoo o, 11, pp. 1367-87; H. m e ie r . Die Lehre Carl Scismitts: vier Kapitel zur Untersehedungpolitiscfxr Theologe und politischer Philosophie, Metzler, Stuttgart 1994; c . m o u f f e (cd.), The chal­ lenge ofCarl Schmitt, Verso, London 1999; j.-w. Mü l l e r , A dangerous mind. Carl Schmitt in postwar European tltought, Yale University Press, N ew Havcn ìd

J.

10

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io

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IL PENSIERO GEOPOLITICO

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La geopolitica americana dalla Prima alla Seconda guerra mondiale La letteratura americana che rivolge una violenta critica alla geopolitica te*

Geopolitics: The Struggle far Space and Power, Putnams Sons, N ew York 194X; w eigert h . w ., Generalsand Geogrnphers: The Twiligftt of Geopolitics, OUP, N ew York 1941; ID., dcsca è propria delle letture di R. STRa u sz -hupé ,

LETTURE CONSIGLIATE German Geopolitics, OUP, O xford 1941; d . w ittlesey , German Strategy o f World Conquest, Farrar and Rinehart, New York 1941. I maggiori geografi e gcopolitici americani qui considerati sono Isaiah Bowman e Nikolas J. Spykman. La letteratura primaria di Isaiah Bowman è: 1. bow m an , TI>e New World. Problems in Politicai Geography, Yonkers on Hudson, N ew York 19x1; ID., The Pioneer Fringe, in “ Foreign affairs", 1917,6, pp. 49*66; id .. Introduction, in The Netv World, iv ed., World Books, N ew York 1918; i d .. Geography versus Geopolitics, in “Geographical Review" 1941, 51, pp. 648*58; id .. Political geography ofpower, in “Geographical Review" 194a, 31, p. 551. Le opere principali di Spykman sono: N. j. spyk m an , a . a . ROLLINS, Geographic Objectives in Foreign Policy, in “American Political Sci­ ence Review", 1939,3-4, pp. 391*410 e 591-614; n . y spyk m a n , Geograplry and foreign policy, in "American Political Science Review”, 1938, 31, pp. 18-51 c

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Berkeley 1003. La bibliografia secondaria su Spykman annovera i lavori di

M. E. earle , Potver Politics and American World Policy, in "Politicai Science Q uarterly”, 1943, 58, pp. 94-106; E. s. furniss . The Contribution o f Nicholas John Spykman to the Study o f International Politics, in “ World Politics", 1951, 4,3, pp. 381-401; R. ROGOWSKI, International Politics: The Past as Science, in “ International Studies Quarterly", 1968, 11, 4, pp. 394-418; F. P. sem pa . In­ troduction, in Spykman, Americas Strategy in Wodd Politics, c it , pp. XI-XXX; G. R. SLOAN, Geopolitics in United States Strategic Policy, W hcatshcaf Books, Brighton 1988; c . stefan ach i , NicholasJ. Spykman e la nascita del realismo politico americano, in “Storia del pensiero politico", 10 1 3 ,1 ,1 , pp. 183-310.

Geopolitiche e scoria dello spazio nell’età virtuale Sull’uso di modelli gcopolitici per la concezione europea c dell’ Unione Eu­ ropea del secondo dopoguerra le opere principali, usate nel libro, sono: p . aalto

.

Structuralgeopolitics in Europe. Constructing geopolitical subjectivity 109

IL PENSIERO GEOPOLITICO

for the and Russia, Copenhagen Peace Research Institute W orking Paper. io o i, i i; j. CLARK, A. Jon es , The spatialitics of Europeanisation: territory, government and potver in Europe, in “ Transactions*, 1008, *3, pp. 300-18; M. KUUS, Multiple Europes. Boundaries and Margins in EU Enlargement, in “ Geopolitics* 10 0 5 ,10 ,3,pp. 567-9: ID., Intellectuals andgeopolitics: The 'cul­ turalpoliticians" of Central Europe, in “Gcofbrum", 1007, 38, pp. 14 1-5 1;ID., Something old, something new: Esteness in European Union Enlargement in “Journal o f International Relations and Development*, 1007,10, pp. 150*67; H. MOURITZEN, a . w ivel (ed.). The Geopolitics of Euro-Atlantic. Integration, Routlcdgc, London 1005; l. B. NEUMANN, European identity, Expansion and the Integration/Exclusion nexus, in “Alternatives: social transformations and human governance”, 1998,13, 3, pp. 397-416; „ Forgetting the Central Europe ofthe ipSos’, in C . Lord (cd.), Central Europe: core or periphery?, C o ­ penhagen Business School. Copenhagen 1003, pp. 107-18; a . paasi , Re­ marks on Europe's transforming metageographies, in “Geopolitics", 1005, 10, 3, pp. 580-5. Nella vasta lettcratura della critical geopolitics sono state sccltc le opere e u

eu

id

di alcuni autori particolarmcntc significativi per la loro concezione critica del m odello scatalc di territorio c del potcre geopolitico. Tra i lavori di John A gncw sono da annovcrarc: j. agnew .

Geopolitics, re-visioning world-pol­ itics, Routlcdgc, London 1998; id ., Global Political Geography beyond Geo­ politics, in “ International Studies Review", 10 0 0 ,1 , 1, pp. 91-9; id .. Disput­ ing the nature ofthe International in Political Geography, in “ Gcographischc Zeitschrift", 89, lo o i, 1, pp. 1-16; id ., The Viewfrom Nowhere and the modem Geopolitical Imagination, in Antonsich et al. (cds.), Europe between Political Geography and Geopolitics, cit., pp. 119-41; ID., Hegemony. The new Shape of Global Power, Temple, Philadelphia 1005; ID., Sovereignty Regimes: Territo­ riality and State in Comtemporary World Politics, in “Annals o f the Associ­ ation o f American Geographers”, 1005, 95, 1, pp. 437-61; id .. Globalisazion and sovereignty. Bowman and Littlefield, N ew York 1009; ID., The origins of critical geopolitics, in K. DODDS, M. KUUS, j. sharp , The Ashgate Reasearch Companion to Critical Geopolitics, Ashgatc, Famham 1013, pp. 19-31; J. AG­ NEW, s. CORBRIDGE, Masteting space, Routledge, London 1995; J. agnew , G. o ’tu a th a il , Geopolitics and discourse: practical geopolitical reasoning in American Foreign Policy, in “ Political Geography" 1991,11, pp. 190-104. Tra le opere di Elden sono state sceltc: s. elden . Mapping the present Heidegger, Foucault and the Project ofa Spatial History, Continuum , London, 1001; ID., Terror and Territory, University o f Minnesota Press, Minneapolis 1009; ID., Thinking Territory historically, in “G eopolitics”, 1010,15,1010, pp. 757-61; ID., Reading Schmittgeopolitically: nomos territory ami Grofraum, in Lcgg (ed.), Spatiality, Sovereignty and Carl Schmitt, cit., pp. 91-105. Riguardo alia produzionc di O ’ Tuathail, sono state sclezionate: G. o ’th u a t h a il ,

no

LETTURE CONSIGLIATE s. dalby , Rethinking Geopolitics, Rout]edge, London 1998; G. o ’t u a t h a il . Putting Mackinder in his place, in “Political Geography", 1991,11,1, pp. 10018; id ., Problematizing Geopolitics: Survey, Staatesmahship and Strategy, in "Transactions o f the Institute of British Geographers” 1994,19,3, pp. 159*71; ID., Critical Geopolitics, University of Minnesota Press, Minneapolis 1996; ID., Understanding criticalgeopolitics: Geopolitics and risk society, in "Journal o f Strategic Studies", 1999, 1*3, pp. 107-14; id ., Rahmbedingungen der Geopolitik in der Postmoderne: Globalisierung, xnfeormationalisierung und die Globale RisikogeseUscha.fi, in Geopolitik: zur Ideologiekritik politisdser Raumkonzepte. Promedia, Wien 1001, pp. 110*41; G. o ’t u a t h a il , t . w. luke , Present at the (dis)Integraiion: Derritorialisation and Reterritorialisation in die New World Order, in “Annals o f the Association of American Geogra­ phers", 1994,84,3, pp. 381*98; M. Sh apiro (1997), Violent Geographies, Uni­ versity o f Minnesota Press, Minneapolis 1997; Y. N. SOYSa l , Locating Europe, in "European Societies", 1001, 4, pp. 165*84; o . w aever . The EU as security actor: reflectionsfrom a pessimistic constructivistic on Post-sovereign seatrity or­ ders, in M. Kclstrup et aL (cds.). International relations theory and the politics ofEuropean integration: power, security and community, Routlcdgc, London 1000, pp. 150*94; ID., Identity, communities andforeign policy: discourse anal­ ysis asforeign politicy theory, in L. Hansen, O. Waever (cds.), European Inte­ gration and national identity: the challenge of the Nordic States, Routledge, London 1001, pp. 10-49; ID- bnperial metaphors: emerging European anal­ ogies to Pre-Nation-State Imperial Systems, in O. Tunandcr, P. K. Bacvl, V. I. Einagcl, Geopolitics in Post-wall Europe: Security, Territory and identity. Sage,

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